Un romanzo da Chef

di Stregatta_Khan88
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il blocco dello scrittore ***
Capitolo 2: *** Sognando Russel ***
Capitolo 3: *** Eventi e grandi novità ***
Capitolo 4: *** Lo Chef furioso ***
Capitolo 5: *** In capo al mondo ***
Capitolo 6: *** Tutto per un'alborella ***
Capitolo 7: *** Lezione di cucina e scrittura ***
Capitolo 8: *** La fobia dei coltelli ***
Capitolo 9: *** So' venuto a cercarti ***
Capitolo 10: *** Che senso avrebbe scriverlo? ***
Capitolo 11: *** La prima bozza ***



Capitolo 1
*** Il blocco dello scrittore ***


Le dita puntate sulla tastiera del laptop, il foglio bianco di Word aperto davanti agli occhi ed il cursore che lampeggiava con severa intermittenza. Pareva impaziente, voleva produrre frasi logiche, creare parole.

Ne aveva digitate solo due: "capitolo uno".

Diana si gettò con la testa sui pulsanti, emettendo un verso frustrato. Il cursore la schernì facendosi strada sul foglio con lettere, numeri e simboli senza senso, a causa dell'impatto tra la sua fronte ed i tasti. Lo guardò di traverso, dopo di che voltò la sedia girevole dell'ufficio -la sua stanza da letto- verso la porta finestra che dava al suo paese, avvolto da una coltre di nebbia.

Diana Tosi era una scrittrice di romanzi fantasy ed aveva ambientato proprio lì la sua prima saga, a Sarnico, dov'era nata e cresciuta. Non era un'autrice di fama mondiale, lavorava per piccole case editrici, ma ciò che ricavava dalla vendita dei suoi libri, specialmente reperibili online, le bastava per vivere. Era più che entusiasta di quel lavoro: gestiva il suo tempo a piacimento, non aveva orari da rispettare, poteva andare a dormire quando voleva o alzarsi tardi la mattina ed uscire ogni volta che lo desiderava. Ma difficilmente Diana si svegliava oltre le otto e mezza e si addormentava oltre l'una di notte. Diceva sempre che svegliarsi tardi la lasciava intontita per tutta la giornata, portandole via ore da sveglia che poteva vivere e godersi, anche per trovare ispirazione per i suoi romanzi.

Aveva già pubblicato ben tre saghe, tutte ispirate alla magia, allo sciamanesimo, a streghe e incantesimi. Prendeva fatti reali e li tramutava con la sua fantasia, facendo spiccare i suoi protagonisti sempre come eroi. Non tralasciava di descrivere anche qualche scenetta di sesso, ma rimaneva entro certi limiti, niente volgarità.

Da non molto tempo aveva concluso l'ultima saga fantasy, ma già quando mancavano pochi capitoli alla fine si era detta che stava diventando monotona e, forse, avrebbe dovuto dare una svolta ai suoi scritti

Non voleva scrivere un romanzo rosa e soprattutto desiderava evitare gli erotici, due generi che non adorava. Diana non disdegnava il sesso, ma non si faceva problemi se mancava. A vent'anni non era stata a letto con molti uomini, ma quei pochi le erano bastati per capire che poteva anche farne a meno, era noioso per lei: si eccitava di più con le fantasie spinte che descriveva.

Ma come sapeva accadere anche ai grandi scrittori, a livello di Stephen King, JK Rowling o Licia Troisi, venne assaltata dal drammatico blocco dello scrittore. Se succedeva a loro, figurarsi a lei, che era conosciuta appena entro ristretti confini italiani. Probabilmente la sua fama si limitava ai confini di Bergamo, Brescia, Milano, Pavia...

Insomma, circa tutta la Lombardia; più a Sud era conosciuta per merito dei contatti su Facebook: tra i suoi millecinquecento contatti aveva amici in Emilia Romagna, Campania, Puglia e Marche, qualcuno anche in Lazio, ma parlava volentieri con così tante persone che spesso si confondeva.

Il terribile blocco era causato dal timore di cadere nella banalità, insieme alla mancanza di nuove idee, qualcosa d'innovativo ed interessante da offrire al pubblico dei lettori, dove mescolare ironia, serietà, magari un po' di mistero e... magia?

«No, dai, ho già fatto tre saghe di magia» disse tra sè e sè.

Tolse i suoi occhiali per pulire le lenti con l'apposito panno e si soffermò pensierosa a fissare il soffitto.

Diana aveva due bellissimi occhi che parecchie persone le invidiavano, un misto tra il blu ed il viola, ma le mancavano alcune diottrie. Eppure non se ne dispiaceva così tanto. Da adolescente odiava portare gli occhiali: il primo paio che aveva acquistato, con molta inesperienza, aveva una forma ridicola, quasi rotonda, e con quel suo viso non erano un bel vedere.

Gli anni erano passati.

Era diventata una giovane donna, il suo volto era dimagrito e la forma degli occhiali si era allungata ad occhi di gatto e quella montatura viola e nera le piaceva, nonostante sua madre le avesse spesso detto che la facevano sembrare una zitella. Lei fu convinta di quel modello dall'inizio, perchè con quella forma le bastava un trucco leggero per mettere in risalto quegli occhi che le lenti non riuscivano ad adombrare.

Accese la piccola tv al plasma, attaccata nell'angolo di fronte al letto, inforcò di nuovo i suoi occhiali e con la compagnia delle voci televisive tornò a fissare il cursore assassino che lampeggiava sul foglio digitale bianco. Lesse e rilesse le parole "capitolo uno" ma nulla si muoveva nella sua testa. Digitò rabbiosamente:

"Non so che cazzo scrivere". Salvò e chiuse.

Lascia perdere, si disse. Se le idee non arrivavano in automatico era vano sforzare la testa. A volte avrebbe voluto prendere più sul serio i viaggi che aveva fatto con i genitori e la famiglia: i luoghi visitati erano stati tutti interessanti e suggestivi da ammirare. Se in passato avesse preso appunti, fatto più foto e studiato meglio la storia dei siti visitati ne avrebbe ricavato buone storie, ma purtroppo era entrata da poco fino al midollo nel mondo della scrittura.

Prestò attenzione al canale su cui era sintonizzata. In quel momento andava in onda un programma di restauri di automobili, i titoli di coda che comparivano indicavano che era quasi finito. Alzò un sopracciglio pensierosa: e se avesse scritto un libro che parlava di piloti ed automobili? Rischioso: esisteva già il noto film "Rush" che aveva visto. Probabilmente avrebbe teso a emularlo e, per di più, non sapeva un accidenti di motori.

Si diresse in cucina e preparò un tè caldo solubile al limone. Lo adorava: se n'era presa la fissa ai tempi della scuola, quando a ricreazione se lo concedeva spesso. Da allora aveva bandito le bustine, passando alla polvere.

Quando fece ritorno in camera udì la sigla del programma successivo che le fece sgranare gli occhi a prestare maggiore attenzione alla tv. La musica di sottofondo doveva essere una composizione orientale, o qualcosa del genere. Il tipo che conduceva il programma faceva parte di quella categoria di uomini che accendeva pensieri strani nella mentre Diana.

Si sedette con la tazza di tè in mano e studiò quell'individuo che guidava la sua jeep bianca, tenendo un braccio completamente tatuato fuori dal finestrino. Tatuato, come l'altro braccio e buona parte del suo corpo.

I capelli a spazzola e la barba incolta scuri lo facevano sembrare più anziano dei suoi trent'anni; il fisico robusto denotava la sua ex professione da rugbista.

Nella prima stagione del programma debuttò con un paio di baffi da sparviero alla Salvador Dalì. All'attuale quarta stagione il suo aspetto si era fatto più tenebroso e rude, forse per la barba che aveva preso il posto dei baffetti. Nonostante la mutazione Diana lo aveva ritenuto sempre un figo pazzesco, ma leggendo sui blog aveva constatato che gran parte del pubblico femminile la pensava così.

Non era quel tipo di bellezze immacolate che lei non sopportava, che riteneva troppo false. Lui aveva un fascino tutto particolare ed il marcato accento romanesco non faceva altro che intensificare quel sex appeal.

Anche Diana, come tutte le donne che seguivano quel programma, lo vedeva bene nei panni del sex symbol, con il suo metro ed ottantasei di altezza ed i suoi centotre chili di muscoli da ex rugbista.

Ma Gabrio Rossato non conduceva un programma di stampo erotico. Gabrio Rossato era conosciuto da tutti come "Chef Russel", un cuoco sul canale 52 del digitale terrestre. Lo scopo del programma era far conoscere lo street's food d'Italia ed Europa, attraverso sfide con esperti del cibo da strada, che non erano i soliti Chef da cucina classica e raffinata, ma per lo più persone comuni che gestivano piccole attività culinarie, come baracche su quattro ruote o trattorie di quartiere. Programma originale, anche se non tutto il cibo da strada faceva parte dei gusti di Diana. Alcuni piatti la intrigavano, altri non ci avrebbe tenuto affatto a provarli, pur notando che Russel ci sapeva fare con i fornelli. Non tutte le sfide lo vedevano vincitore, ma non era tipo da prendersela, forgiato dallo spirito del rugbista: i praticanti di quello sport paravano bene i colpi delle perdite, così come esultavano delle vittorie.

Diana puntò un gomito sulla scrivania, reggendosi il volto con la mano mentre seguiva il programma interessata. Come di consueto Russel compariva vestito da comune cittadino, jeans, camicia con le maniche arrotolate fino al gomito sopra la t-shirt e scarpe da ginnastica. Gironzolava per la città scelta per la sfida, raccontando la storia della cucina e della tradizione delle viuzze interne, incontrando gli esperti commessi di fast food e valutava i piatti che potesse sfidare.

Lei ridacchiava ogni volta che, durante un confronto tra cuochi, la già accentuata espressività di Russel si marcava ancora di più, accompagnata dalle taglienti esclamazioni romanesche. Restò seria nel momento della sfida, spalancando gli occhi e socchiudendo la bocca, come al solito, quando Russel tolse la camicia e la maglietta, sfoggiando il suo fisico statuario con i numerosi tatuaggi sulla schiena e sul petto, indossando poi la casacca nera da cuoco. Freddava infine il suo sfidante con volto serio a braccia conserte.

«Troppo sexy...» sospirò Diana udendo una specie di campanellino che trillava nella sua testa. Un'idea! Perchè non scrivere un romanzo su uno Chef?

Sapeva dell'esistenza di una trilogia dove il protagonista era un cuoco, ma era una serie erotica, genere segnato da un'immaginaria X rossa. Cercò di pensare ad un simile personaggio messo su uno sfondo fantasy, ritenendola all'improvviso un'idea ridicola. Oltretutto non sapeva nulla di cucine e cuochi. Sapeva solo preparare piatti molto basilari, riso, pasta, bistecche impanate, ma era capitato anche che qualcosa fosse finito bruciato. Sapeva cucinare ma non era un asso e non conosceva nessuno che potesse darle dritte sul mondo dei cuochi. Un suo ex studiava presso l'istituto alberghiero ma... erano anni che non lo vedeva: storia durata due mesi quando aveva sedici anni. Tirò un sospiro, sentendosi svuotata di tutte le probabili idee per scrivere un nuovo romanzo.

Mordendosi il labbro iniziò a pensare che la sua carriera di autrice fosse già giunta alla fine, ma sembrò alla stessa un pensiero stupido: uno scrittore non doveva mollare per un comune e diffuso blocco.

Guardò Russel che esultava dopo la vincita della sfida di cucina e sopirò ancora. La telecamera fece il primo piano allo Chef, che tornando serio si rivolse direttamente alla camera. Diana ebbe la sensazione che Gabrio parlasse proprio a lei, mentre gli oscuri occhi guardavano fisso.

«Raga'. Ricordateve: l'importante è nun arrendesse». Diana lo invidiò, così come invidiò tante delle persone famose, attori, cantanti... e scrittori.

La sua ridotta fama la faceva sentire soddisfatta, ma non sempre ricavava una grande fiducia da essa. Diana lo invidiò: avrebbe voluto sapersi ripetere anche lei, più spesso, di non arrendersi mai.

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Capitolo 2
*** Sognando Russel ***


2.

 

 

Diana, arrivando al bar di fronte al Municipio, salutò la ragazza in piedi che attendeva all'esterno. Tratteneva per il guinzaglio un piccolo cagnolino dal pelo corto color miele. La sera prima si era accordata con le amiche di incontrarsi e fare colazione insieme quella mattina.

«Ciao Jayne, Valeria è già arrivata? Ehi, ciao Chicca!» Si chinò a fare le coccole alla piccola cagnolina che saltellava già da quando la vide arrivare al di là della strada.

«Non ancora» rispose l'amica con uno sbadiglio «Ed io muoio di sonno, odio svegliarmi presto».

«Ma su, ti godidi più le ore di vita attiva per fare le cose di casa, e Chicca ti è grata della passeggiatina».

Jayne non condivideva quell'idea e Diana lo sapeva dal periodo delle scuole, quando si conobbero, ma non perdeva mai l'occasione di stuzzicarla. Gli occhi grigi di Jayne non volevano saperne di spalancarsi vivacemente.

Un'auto, passando, lanciò uno squillo di clacson, imboccando l'ingresso del parcheggio vicino al bar. Scese una ragazza bassa dai capelli castani che saltellò allegramente verso di loro e, a differenza di Jayne, era già sveglia e scattante.

«Buongiorno, ragazze!» Esultò.

«Ciao Valeria, buongiorno a te».

«Sì, buongiorno a te ma non a me» borbottò Jayne assonnata, nascondendo il viso tra i suoi lunghi capelli ricci per ripararsi dall'aria fredda che aveva iniziato a spirare. Li aveva tinti tinti di un bizzarro viola-porpora. Valeria rabbrividì squittendo:

« Entriamo nel bar, si gela!».

Scappò davanti alle due, gettandosi letteralmente al tavolo libero più vicino al termosifone. Jayne la seguì a ruota, appiccicandosi accanto. Diana agganciò la borsa allo schienale della sedia e ci posò sopra il cappotto, tutto molto tranquillamente, prima di accomodarsi.

Sopportava abbastanza bene il freddo, tanto che delle tre era l'unica che portava la mini gonna con dei pesanti collant grigi. Le sue amiche vollero sapere di che cosa fosse fatta la sua pelle per sopportare così bene quel clima di Febbraio e lei si limitò a spiegare che, piuttosto che asfissiarsi con i quaranta gradi estivi, preferiva tremare un po' di freddo: lo soffriva ma allo stesso tempo sopportava.

Erano tre persone diverse. Tre esistenze diverse. Eppure quella diversità le teneva unite, facendole ritrovare spesso insieme a condividere esperienze ed emozioni quotidiane. 

Valeria faceva l'impiegata presso l'ufficio amministrativo di una ditta. Ragazza attiva, amante di diversi sport, sempre in cerca di attività da svolgere al di fuori delle quattro ore di part-time che la rilegavano ad una scrivania ogni pomeriggio.

Jayne era già sposata, nonostante la giovne età. Per colmare la perenne ricerca di un lavoro, si dilettava con il servizio a domicilio di ricostruzione unghie, mentre cercava qualcosa di più proficuo, soprattutto per sostenere le spese domestiche.

Diana, dato il suo lavoro, era la più sognatrice delle tre, ma non dava retta chi le diceva di mettere apposto la testa: abbandonare la fantasia era come ucciderla, anche se il blocco dello scrittore non se ne andava in quei giorni. Temeva che la razionalità adulta la stesse già facendo diventare sua schiava, ma avrebbe resistito. 

Avevano tutte la stessa età.

Ordinazioni: due cappuccini, di cui uno scuro, ed un caffè al ginseng in tazza grande; una croissant al cioccolato, una sfogliata alle mele ed una vegana ai frutti rossi. La colazione era considerata sacra da tutte: o si faceva bene o non si faceva affatto. Anche Chicca ne ricavava il suo beneficio, dato che il loro bar preferito accettava i cani, ai quali venivano serviti sempre biscottini a forma di osso.

«Come va la produzione letteraria?» Domandò Valeria zuccherando il cappuccino.

«In crisi» ammise Diana.

«Ma come? Hai scritto delle bellissime trilogie fantastiche».

«Sono affetta dal blocco dello scrittore».

«Magari hai spremuto troppo le meningi per le saghe ed ora il tuo cervello chiede un poco di pietà» ipotizzò Jayne sbocconcellando la brioche vegana.

Diana rispose con un'alzata di spalle, ritenendola plausibile come idea, ma dopo uno sbuffo scocciato aggiunse: «Mi servirebbe un'ispirazione diversa».

«Scrivendo fantasy hai la fortuna di poter inventare».

«Anche i fantasy hanno un tocco di realtà. Prendi Tolkien, per esempio, i luoghi dove ha ambientato “Il Signore degli Anelli” sono territori della Norvegia, in realtà» un istante di silenzio riflessivo anticipò la sua testa che abbandonò sul piano del tavolo in atteggiamento di resa. «Potrei cambiare genere ma so che non ce la farei».

«Stephanie Meyer dal young adult è passata al thriller, puoi farlo benissimo anche tu».

«Hai qualche idea di base?» Chiese Jayne.

Diana avvampò improvvisamente, ricordando la folle ipotesi di scrivere un libro su uno Chef, ispirandosi a Russel, con il rischio di mutare la sua inclinazione fantasy in erotico o romance. Espose la sua frustrazione con le amiche, definendo i romance troppo frivoli e gli erotici ripetitivi. Forse, la verità, era che si vergognava all'idea di scrivere qualcosa basato solo sul sesso. Valeria obbiettò:

«Non è detto che tutti i romance debbano essere frivoli, come gli erotici sempre uguali, dipende dall'autore».

«Lo so».

«Carina l'idea di usare uno Chef come Russel per protagonista. Potresti scrivere una storia su di lui, ambientata a Roma, magari».

«Sì, ne approfitti e ti fai un viaggetto nella Capitale, con i suoi bellissimi siti archeologici: il Colosseo, San Pietro, i Fori, i sette colli e l'Amatriciana» vaneggiò Jayne imitando un contorto accento romanesco. «A parte che non eri mica stata a Roma anni fa?» Aggiunse

«Sì, ma non ricordo granchè di ciò che ho visitato, so solo che era una gran bella città. Comunque, San Pietro è Vaticano, non Roma».

«Ehm, sì, be', sono vicine. Anzi, il Vaticano è dentro Roma... Oh, insomma, indipendente in Roma, punto».

Diana e Valeria risero per via della confusione di Jayne e della sua espressione imbronciata, ma l'ironia sfumò quasi subito: Diana si rifece seria, ricordando la splendida Roma, città degna del titolo di capitale. L'idea di tornarci era allettante, soprattutto perchè avrebbe tratto parecchie idee dalla sua maestà. Quando la visitò anni prima era ancora adolescente e la considerò solo una città d'arte, ma attualmente poteva essere la sua fonte d'ispirazione.

«Piacerebbe tanto anche a me vedere Roma» soggiunse Valeria con sguardo trasognante, reggendosi il volto con una mano. «Ha quel non so che di magico».

L'immagine più magica che a Diana era rimasta impressa tra i ricordi della Città Eterna, erano i tramonti, ai quali aveva assistito dalla finestra dell'hotel dov'era alloggiata. Come diceva una note canzone dedicata a Roma, il sole aveva tinto di rosso i cucuzzoli dei sette colli per tutta la settimana che vi aveva trascorso, non aveva mai piovuto. Riflettè: in qualche modo Diana voleva rendere quel luogo ancora più magico.

***

Otto e trenta di sera, pioggia battente sui vetri della finestra ed ancora tabula rasa, quel maledettissimo cursore che lampeggiava sullo sfondo bianco, accanto alla scritta ”non so che cazzo scrivere”. Diana stava con la testa gettata all'indietro sullo schienale della poltrona d'ufficio, dopo aver cenato ed essersi concessa una doccia. I lunghi capelli cenere ciondolavano dalla sedia con le sue braccia. 

Resa o no? Si chiese.

Un trillo proveniente dal laptop attirò la sua attenzione, inforcò gli occhiali ed aprì la chat, rispondendo all'avviso di videochiamata.

«Buonasera sorella!» Esordì una ragazza con una sprizzante tinta rosso rubino tra i capelli, manifestando un sorriso smagliante ma moderando il tono della voce.

«Ciao Romina, sei radiosa stasera».

«Sai, mia madre è uscita, il mio piccolo dorme ed io mi stavo annoiando, ho pensato di fare due chiacchiere, ti piace la tinta? Fatta a nuovo».

«Stai benissimo».

Videochiamando, evidentemente con l'utilizzo del cellulare e seduta in cucina, Romina si accese una sigaretta dando una lunga boccata con soddisfazione.

«Novità? Come vanno i libri?».

Diana dichiarò solo: «Blocco dello scrittore».

Non le servì dilungarsi in molte spiegazioni con Romina: era anche lei una scrittrice del livello di Diana, conosciuta molto in provincia di Pavia, Padova ed altre zone per vie dei contatti Facebook.

Viveva con la madre ed il figlio di tre anni, guadagnandosi da vivere, oltre che con la scrittura, anche lavorando presso una ditta come operaia. Nessuno meglio di lei avrebbe capito davvero la situazione di Diana e la crisi dovuta all'assenza di ispirazione ed idee.

«Vedrai che passerà. Dopo tre saghe come le tue è normale ritrovarsi un po' svuotata».

«Voleva fare un racconto su Chef Russel» sputò fuori Diana.

«Quello della televisione? Be', ti uscirebbe un racconto interessante, sarebbe un personaggino mica male, sai? Anche se ti confesso che non adoro gli uomini con la barba, ma invidio i suoi tatuaggi. Chissà se ne ha anche di nascosti da qualche parte».

Una campanello di allarme suonò nella testa di Diana, percependo il tagliente tono di voce e notando il sorriso assunto da Romina. La conosceva abbastanza bene da intuire che stesse già facendo qualche pensierino sconcio. Mettendosi a braccia conserte Diana puntualizzò:

«Non voglio scrivere romance»

«Bene, li odio anch'io».

«Neppure erotici, detesto pure quelli e poi, parlare di sesso riguardo ad una persona della tv, mi caccerebbe nei guai. Miravo ancora a qualcosa di fantasy».

Romina spense la sigaretta nel posacenere, rivolgendosi direttamente alla fotocamera del pc, come se fissasse concretamente qualcuno che in realtà vedeva da uno schermo.

«Non mi piacciono gli erotici ma, secondo me, cambiando nomi ed usando uno Chef, ne uscirebbe qualcosa di piccante e tu sapresti non renderlo noioso».

«Esiste già una serie di erotici con uno Chef» arrossì.

«Ma non di una scrittrice erotica ed uno Chef».

«Perchè tutti, dicendo Chef, pensano sesso?» Polemizzò Diana sull'orlo dell'isteria.

«Alcuni studi, hanno rivelato che il recettore celebrale del piacere, che si prova gustando del cibo, è lo stesso che si attiva durante il sesso» espose diplomaticamente Romina.

Diana sbuffò chiudendosi in sé stessa. Si fece scura in volto: «Non ho avuto grandi esperienze sessuali, verrebbe un libro monotono e noioso, come d'altronde ritengo lo sia scopare, scusa la volgarità».

Romina ridacchiò perfida. «Ti è mancato l'uomo con un po' di fantasia, sis! Ma tu sei ascendente Scorpione, pensa a Russel quando si spoglia per mettere la casacca da Chef, alle occhiate che dà alla videocamera, a quelle esclamazioni romanesche che fa, il recettore ti scoppia».

«Mi stai istigando a scrivere un erotico?».

«Mi ricordo quell'episodio che mi hai fatto vedere, non dire di no: il suo modo di leccare i ricci di mare ti attizzava parecchio, volevi essere un riccio di mare».

«Romina, ti prego, non iniziare».

«Ho anche letto una sua intervista, riguardo le relazioni col sesso. Da quel che dichiara, per me, sarebbe troppo tranquillo, ma tu che ti imbarazzi con poco, sis cara. Immaginalo mentre ti guarda zitto e pacifico ma dentro di sè pensa a cosa ti potrebbe fare».

Diana sgranò gli occhi: «Ma che cosa dici?».

Romina alzò le mani con espressione innocente: «Lo ha dichiarato Russel! Ha detto che quando fissa una donna che gli piace pensare a... Oh, mi sorprendi, Diana! Non hai letto l'articolo?».

«Temo mi sia sfuggito» aveva già il volto in fiamme.

«Cercalo su internet, altro che ricci di mare! Per me si dichiara santarellino a letto, ma è un bel furbone».

Nonostante solo di un anno più grande, la cara Romina aveva un'esperienza assai maggiore in ambito sessuale e Diana sapeva che non bisognava mai dar fuoco alla miccia. Sfortunatamente capitava che lo facesse involontariamente e quando la bomba esplodeva, i risultati erano quelli. Reggendosi il volto con le mani, fissò silenziosamente, con fare disinteressato, Romina che vaneggiava su quegli argomenti. Però, non era affatto disinteressata perchè qualsiasi cosa poteva darle spunto, anche se voleva evitare l'argomento sesso.

«Parliamo di qualcosa di non sessuale» borbottò.

«Mo cosa te farei, Diana» continuò Romina imitando l'accento romano. «T'empannerei come un Saltimbocca».

«I Saltimbocca non sono impanati... credo».

«Chiedi a lui, ti dirà: viè qua che te faccio vede'».

«Mica lo conosco Non ho email o numero di telefono, e anche se fosse non lo chiamerei mai per questo».

«Era per fantasticare, magari ti viene un'idea».

Diana si resse la fronte scuotendo il capo, coprendosi gli occhi con la mano, borbottando: «Romy, a causa tua, finora, ho solo immaginato Russel Chef Sadico».

«In certi mestieri c'è del sadismo, come nei chirurghi! Penso che lo Chef sia il lato razionale del cannibalismo» Romina si mise a riflettere con una mano sotto il mento e notò che Diana spalancò la bocca, senza emettere suono. Rise: «Be', è così logico: se la follia non sfocia nel cannibalismo, si diventa Chef, non trovi?».

Gettandosi esasperata con la testa sulla tastiera del computer, digitando per l'ennesima volta una serie alfanumerica senza senso, Diana trasse un sospiro affermando: «Sei davvero senza speranze» si fece seria. «Forse è inutile insistere».

«Avanti, mia piccola riccia di mare, vedrai che arriverà il flash per iniziare un nuovo romanzo».

«Per quanto tempo mi chiamerai riccia di mare ora?» Sbottò Diana sentendo le orecchie scottare.

«Finchè non ammetterai che il modo di leccare i ricci di mare che ha Russel ti eccita».

«A te nemmeno piace Russel, perchè t'interessa?».

«Perchè lo ritengo un tipo interessante, in fondo. Ma a te piace quindi ammettilo».

Se non gliela avesse data vinta, Romina l'avrebbe stuzzicata ancora per molto, molto tempo. Diana sospirò e disse: «E va bene: trovo che Russel usi la lingua in maniera eccitante. Contenta?».

«Uh, uh, dopo di questa lo incontrerai».

«Perchè? È una formula magica?».

«Può darsi!» Ammiccò sorridendo. Fu obbligata a salutare Diana perchè il figlioletto la chiamava dalla sua cameretta. Diana chiuse la chat e si alzò dalla "postazione di lavoro", dedicandosi alla preparazione del suo adorato tè solubile in cucina. Adocchiò i genitori che sedevano in salotto a guardare la televisione, la madre accomodata sul divano con una rivista aperta sulle ginocchia, il padre davanti al portatile ma rivolto alle immagini televisive che scorrevano sullo schermo, con gli occhiali sulla punta del naso.

In cucina attese la giusta temperatura di ebollizione dell'acqua e nel frattempo accese la tv, facendo zapping con il telecomando. Si fermò sul canale 9 che trasmetteva la replica di un altro programma in cui ancora Chef Russel era protagonista, insieme ad un'altra celebrity, ogni settimana diversa. Nel programma era previsto che lui e l'altra celebrità si sottoponessero a delle prove che, se vinte, garantivano premi da ricchi, se perse, comportavano penitenze da poveri.

Diana versò l'acqua nella sua tazza di ceramica e vi aggiunse due cucchiaini di polvere di thè, mescolandovi dentro una zolletta di zucchero. Una bastava, tanto la polverina era già abbastanza dolce di per sé.

Guardò lo schermo ed assistette alla prova di un malcapitato Chef Russel, costretto a cercare parti di un travestimento sparso all'interno di un labirinto oscuro.

Non riuscì a fare a meno di ridere guardando il panico dello Chef ed udendo le imprecazioni romanesche, ma poi lo studiò a lungo in silenzio, dopo aver vinto la prova. Lo mirò crogiolarsi alle terme, con l'acqua che scorreva sulla sua pelle, accarezzandogli i muscoli tesi delle braccia ed i pettorali tatuati. 

Arrossì ed il caldo le salì fino alla punta delle orecchie.

Il tè, si disse, quasi stesse parlando con Romina e cercasse di contrariarla, ma non potè negare a lungo l'evidenza davanti all'aspetto rude dello Chef, con il pelo sullo stomaco, la barba e tutti quei tatuaggi. 

Russel le piaceva da morire! Questa era la verità! 

Purtroppo era un personaggio della televisione, non certo un uomo facile da incontrare per strada, ed anche se fosse stato casualmente rintracciabile, non sarebbe mai potuto esserci un rapporto tra loro: lui era famoso, lei appena conosciuta entro ristretti confini. Si ritenne una stupida per aver avuto l'infantile idea di cercare un contatto ed avere informazioni da lui, per scrivere uno sciocco romanzo di cui non aveva neppure una trama o uno schema, al di là del fatto che non usasse mai quella tecnica per scrivere.

«Devi ancora crescere, Diana» si rimproverò guardando Russel che rideva con il suo compagno di viaggio, dando l'impressione che sorridesse per lei. Purtroppo, con un amaro sospiro, sapeva che lo Chef era come uno dei suoi personaggi fantastici, era come se non esistesse, anche se lo vedeva lì, concreto sullo schermo.

Doveva entrare nell'ottica di considerarlo come i supereroi dei cartoni animati, l'affascinante Chef che leccava in modo provocante i ricci di mare.

E per Diana, era il personaggio preferito.

 

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Capitolo 3
*** Eventi e grandi novità ***


La grande fiera della Microeditoria, in provincia di Brescia, era sempre un'importante evento, al quale Diana partecipava come ospite della sua piccola casa editrice, con la quale aveva pubblicato la prima saga fantasy ispirata alle streghe, la mitologia ed i territori del Nord Europa.

I quattro volumi di cui era composta la serie erano lì, tutti in bella mostra, con le copertine nere lucide e l'immagine al centro, che spiccava dei vivaci colori dell'aurora boreale.

Diana osservò la copertina del suo primo volume, sorridendo con una certa commozione, dato che era stato il suo esordio. Quante lacrime aveva versato nei momenti più difficili della stesura, quante volte aveva riletto quei capitoli e quanta l'ansia che l'aveva assalita dopo averlo mandato agli editori. Quanta gioia aveva provato quando la casa editrice le aveva inviato il contratto d'edizione, un sogno che era diventato realtà e si era espanso in maniera esorbitante. Altre due piccole case editrici avevano accettato i suoi primi volumi delle altre due saghe ed ogni volta non era riuscita a credere alla bellissima novità.

Era arrivata fin lì: una saga da quattro volumi e due trilogie che l'avevano portata ad avere un certo livello di fama, che mai eguagliava quella dei grandi autori, ma per lo meno l'aiutava a mantenersi.

Guardando i suoi quattro libri l'assalì di nuovo quella sensazione che da giorni non le faceva chiudere occhio, rendendola alquanto irritabile. Aveva scritto un sacco di libri ed ora aveva una tabula rasa in testa che avrebbe fatto rabbrividire anche il silenzio.

Trasse un sospiro abbassando la testa sconsolata, rivolgendosi subito dopo alla signora che si era interessata al quarto volume della sua serie e le chiese l'autografo. Sorridendo Diana prese il libro per firmarlo.

«Ho seguito questa saga dal primo volume, mi hai fatto letteralmente innamorare dei tuoi protagonisti» affermò la signora emozionata come un ragazzino davanti al suo calciatore preferito. «Sei ufficialmente una delle mie autrici preferite, Diana Tosi, mi hai fatto sentire giovane».

«La ringrazio e grazie per aver seguito le avventure della mia strega dall'inizio» rispose Diana arrossendo, mentre porgeva il libro autografato e sorrideva.

«Hai già in progetto qualcosa di nuovo?».

Morse il labbro facendosi pensierosa. Stefania, la moglie del suo editore, che fino a poco prima stava esponendo ad un cliente la trama del libro di un autore non presente, si accorse dell'atteggiamento di chiusura della ragazza. La guardò preoccupata mentre Diana, falsificando un sorriso, evidentemente teso agli occhi dell'editrice, rispose alla domanda della signora mentendo, accennando al fatto che stesse stendendo trame per nuove opere.

Quando la fan di Diana, dopo averla abbracciata, si allontanò, Stefania non perse tempo ad indagare sul turbamento della scrittrice. Si sedette accanto a lei e raccogliendo il caschetto bruno dietro le orecchie chiese:

«Che succede?».

«Nulla».

Stefania corrugò la fronte con un'espressione divertita, si chinò più vicina a Diana ed a mo di confidenza continuò: «Ho visto come guardavi i tuoi libri. Direi sconsolata, blocco dello scrittore?».

Come avrebbe potuto mentire a quella donna tanto dolce che le era stata accanto durante i primi passi della sua carriera da scrittrice? Anche se si adombrò in volto, Diana sentì di dover esprimere tutta la sua frustrazione proprio con lei, che magari l'avrebbe aiutata, dandole consigli o chiarimenti.

«Sì, non so cosa scrivere».

«E non trovi sia normale? Succede».

«Volevo diventare un'autrice fantasy di successo, invece puf... il nulla. C'è un tizio che mi ispira ma temo uscirebbe romance».

Stefania ridacchiò con una mano davanti alla bocca. «Cara, non ci vedrei nulla di male se tu scegliessi di scrivere un romanzo rosa, non è il genere a fare uno scrittore. Conoscendo il tuo modo di scrivere e lo stampo fantastico che ti scorre nel sangue, sono certa che non verrebbe nemmeno banale un tuo racconto così leggero, sappi che è un genere molto in voga».

«Mi sembrano frivoli... e gli erotici ripetitivi».

«Anche nel fantasy si può incappare in banalità e ripetitività, ma se un autore è bravo non ci casca».

Diana sospirò. «Volevo scrivere una storia su Chef Russel, lo conosci?».

«Quello delle televisione? Fallo, cambia i nomi e vai».

«Cambiare nomi? Uhm, è che avrei voluto parlare proprio di lui».

«Ma Diana, tesoro, è un personaggio della televisione, non puoi senza acquistare i diritti d'immagine».

«Avevo pensato di contattarlo e chiederglielo» bofonchiò con le guance che le pizzicavano dal rossore.

Stefania rise di nuovo. «Non è mica facile».

«Sul forum ufficiale c'è scritto che lo si può contattare».

«Sicuramente, ma sai quanti soldini servono?».

Troppi. Sicuramente troppi! E Diana non poteva permettersi una spesa del genere. Abbassò la testa e fissandosi le unghie colorate di viola, dovette dare pienamente ragione alla sua editrice.

Cresci, Diana! Urlò dentro di sé, rendendosi conto di aver fatto una figuraccia anche con la donna che si alzò e si avvicinò ad un altro cliente che l'aveva reclamata.

Cresci, stupida! Ribadì ancor più adirata con sé stessa. Quando era piccola sognava che i suoi personaggi preferiti dei cartoni animati uscissero dallo schermo televisivo e giocassero con lei o la portassero a vivere qualche avventura fantastica. Dai cartoni era passata agli esseri umani, sognando di incontrarli come fossero vecchi amici con cui parlare davanti ad un caffè.

Non era diventata grande!

Quell'immaturità era stata utile per i fantasy, per scrivere favole, ma non poteva durare all'infinito. Il problema persisteva e forse quel suo animo ancora bambino le rendeva difficile l'idea di scrivere qualcosa che non riguardasse streghe, fate e creature magiche.

La realtà la disgustava, per quel motivo amava evadere.

Si alzò per firmare ancora autografi mentre i pensieri ed i ricordi le pulsavano come immagini vivide nella testa. Aveva avuto esperienze e relazioni con uomini, storie brevi, più basate sul sesso che su altro, ma non l'avevano cambiata nella mentalità bambinesca.

Avrebbe dovuto avere rapporti più spinti, magari? Poteva cercare un dominatore da cui farsi sottomettere e chissà che svariati shock non l'avrebbero cambiata...

No, che assurdità!

Non dipendeva da rapporti e relazioni, ma semplicemente dal suo modo di essere come un eterno Peter Pan...

Magari proprio quell'immaturità aveva fatto durare così poco le sue storie d'amore. Non ci aveva mai fatto granchè caso ma capiva che non poteva più vivere in un mondo di favole, o rischiava di morire zitella.

Nessuno avrebbe voluto sposare una bambina che sognava i quattro elementi nelle sue mani.

Che importanza poteva avere? Si era sempre ripromessa che non sarebbe impazzita per l'assenza di un uomo. L'importante erano i suoi libri, che le davano grandi soddisfazioni, per quanto la fama non fosse altissima, ma con la pazienza sarebbe arrivato tutto, il tempo era la cura per ogni male e la benedizione di ogni desiderio. A pensarci bene era sfortunatamente anche la condanna di ogni autore che si ritrovava affetto dal blocco dello scrittore!

Si gettò con la testa sul piano del tavolo, emettendo un verso di frustrazione, ripetendosi a bassa voce:

«Sono un pessima scrittrice, sono una pessima scrittrice».

Rivolse l'attenzione allo stand allestito di fronte a quello della sua casa editrice ed alzò un sopracciglio, quando notò che, esattamente davanti a lei, erano esposti libri di cucina.

Forse l'Universo tentava di darle dei segnali?

Chef Russel... Pensò sospirando ma scuotendo immediatamente la testa. «No, Universo, smettila, devo crescere» borbottò afferrando il cellulare e trovando un messaggio vocale di Romina. Lo ascoltò, percependo di sottofondo i rumori della ditta dove lavorava, mentre parlava a bassa voce.

«Ciao sister, sono al lavoro! Buona fiera dei libri».

Cara, pensò Diana mandandole un emotion a forma di cuore come risposta, ma dimenticandosi velocemente del cellulare: non aveva voglia di scrivere messaggini, avrebbe contattato Romina quando sarebbe tornata a casa la sera. Prese dalla borsa il suo block notes ed osservò l'andirivieni di persone che s'interessavano ai libri esposti negli svariati stand, sperando che i volti la ispirassero.

Di nuovo il suo cellulare squillò, avvertendola della ricezione di un nuovo messaggio. Svogliatamente lo afferrò: il mittente era Jayne, che con una serie di emotion ridicole le scrisse a caratteri cubitali:

Mi prendi sempre in giro perchè leggo ogni depliant che trovo, ma quando ti mostrerò quello che ho preso oggi non riderai più! Caffè domani alle 10”

Cosa si era inventata? Diana conosceva bene Jayne e sapeva che le sue scoperte avrebbero elettrizzato anche un palloncino di gomma. Naturalmente non frenò la curiosità.

***

C'era il sole il quel giorno e l'aria portava l'odore di primavera, mentre Diana attraversava rapidamente le vie della sua Sarnico, respirando quell'ancora fresco clima che la faceva rinascere.

Riteneva sempre di essere una creatura che viaggiava controcorrente, rispetto alle leggi della Natura, che si svegliava a primavera ed andava in letargo in autunno. Diana faceva l'opposto e si sentiva più attiva e scattante da ottobre a marzo, non oltre. Sfortunatamente marzo e l'Equinozio di Primavera erano vicini.

Raggiunse il locale dove, dalla vetrina, intravide le sue amiche già sedute a confabulare tra loro qualcosa. Jayne stava nascosta dietro la testa di Chicca, ma era evidente che stesse ridendo. Valeria parlava con i pugni chiusi davanti alla bocca, i grandi occhi castani erano spalancati. Esitò ad entrare perchè aveva la spiacevole sensazione che stessero parlando proprio di lei. Perchè mai le sue amiche avrebbero dovuto sparlare alle sue spalle?

Riflettè, cercando un qualsiasi motivo che potesse spingere le due ad avercela con lei e dire cattiverie, ma era più che certa che non ci fossero stati conflitti di nessun genere tra loro. Si fece coraggio ed entrò, ripetendosi che qualsiasi fosse stato il problema ne avrebbe parlato civilmente.

Quando fu vicina al tavolo, le due alzarono la testa e la guardarono, salutandola come sempre tranquille ed allegre, solo con una strana punta di malizia nelle loro voci. Diana si strinse nelle spalle esclamando acida:

«Che avete da ridere voi due?».

«Siediti, Diana, abbiamo una news» Valeria spostò la sedia per farla accomodare. «Ed è meglio se non stai in piedi, altrimenti potresti svenire dall'emozione».

Diana si accomodò senza mai distogliere l'attenzione da Valeria, neppure quando ordinò la colazione alla cameriera che si era avvicinata. Valeria voltò la testa verso Jayne che tolse un foglio dalla borsa affermando:

«Come ti ho anticipato ieri, con questo depliant non mi sfotterai più perchè li raccolgo e li leggo ogni volta» dispiegò il foglio davanti agli occhi di Diana che notò subito il simbolo della Pro-loco di Sarnico.

«Una convention culinaria, dunque?».

«Gli ospiti! Leggi gli ospiti» specificò Jayne.

Diana abbassò gli occhi, leggendo le righe scritte in rosso, dov'erano elencati i nomi di alcuni cuochi della televisione, ospiti della serata, in un mormorio che andò crescendo, mentre i suoi occhi si spalancarono:

«Dal canale 52, Chef Russel... Oh, Gesù!» L'evocazione del Cristo ad alta voce, fece voltare alcune persone che erano lì nel bar, ma le tre amiche le ignorarono. Diana fissò quel depliant ancora scioccata, le labbra socchiuse e gli occhi spalancati, mentre le due ridevano

«Ci andremo, così potrai parlare con lui e scrivere un bel libro, eh? I casi fortunati della vita» squittì Valeria.

«Siete impazzite? Non posso parlare con Russel».

«Come no? Vuoi scrivere un libro su di lui».

«Sono solo un'emergente squattrinata, lui è uno Chef della televisione, è da bambini pensare che la mia proposta possa interessagli, nemmeno so se ci parlerò».

«Provaci, magari trovate un punto d'incontro, marketing che potrebbe servire ad entrambi» Jayne addentò la brioche mentre Valeria afferrava il depliant e leggeva, tamburellando le dita sul tavolo.

«Dev'essere un trovata dell'hotel “Rocca”, in concomitanza alla Pro-loco per incentivare i guadagni, sapevo era un po' in crisi».

«Una Spa a quattro stelle in crisi?» Si stupì Jayne.

«Be', è un tantino caro, questo è il problema» Diana lesse la data dell'evento: iniziava la sera di martedì della settimana successiva. Chef italiani e internazionali si sarebbero alternati su un palco, per realizzare spettacoli culinari d’avanguardia, illustrando la loro idea di cucina, le ultime tendenze creative e le nuove frontiere eno-gastronomiche, giocando con le consistenze e sperimentando nuove tecniche.

Era allestita anche un’area dove, oltre a guardare, si potevano assaggiare le pietanze; nella zona bevande si degustavano tantissimi tipi di birre artigianali, vini e bollicine. Il costo delle pietanze sarebbe stato espresso in gettoni, acquistabili all'ingresso dell'hotel ed ogni gettone sarebbe stato equivalente a un euro.

L'hotel “Rocca” si sarebbe occupato di offrire gratuitamente acqua e caffè, grazie agli sponsor.

«Cinquanta euro d'ingresso e gettoni, direi che è il minimo che acqua e caffè siano gratuiti» commentò Valeria.

Diana sbirciò lei e Jayne. «Verrete con me?».

«Certo! Non vorrai vedere il mitico Russel solo tu» ammiccò Jayne.

Diana non avrebbe potuto chiedere di meglio, se non che le sue amiche vicine proprio a quell'evento: la loro presenza sicuramente l'avrebbero incoraggiata.

***

Quella stessa sera si ritrovò a parlare con Romina in videochat. Le riferì dell'evento, percependo l'emozione che le scivolava sulla pelle, facendogliela accapponare. Di tanto in tanto sfregava le mani sulle braccia per placare i brividi che le drizzavano i peli, seguitando ad arricciare una lunga ciocca di capelli ad un dito.

Romina la guardava e sorrideva, mentre si fumava una sigaretta con i gomiti posati sul piano del tavolo. Il suo sguardo da lupa prometteva già una serie di affermazioni maliziose pronte da fare, quindi Diana cercò di raccontare tutto, valutando le cose da dire, omettendo qualche particolare per non farle dire qualche volgarità.

«Questa settimana sembrerà non passarti mai».

«Non devo pensarci, Romy».

«Oh, oh, come sei rossa, ti piace tanto lo Chef».

Diana si coprì il volto con le mani, ridendo e scuotendo il capo, sbirciando solo dopo l'amica tra le dita. Romina continuò, facendosi un po' più seria:

«Gli dirai del libro?».

«Non lo so» sospirò, «Non so se riuscirò a parlargli e poi...» s'interruppe abbassando gli occhi sulle sue unghie, lo smalto viola stava iniziando a scrostarsi.

«E poi?» La spronò Romina.

«Sono solo un'emergente».

«Sempre scrittrice sei, cara sis».

«Ma non credo accetterebbe la mia proposta, non garantirei un florido marketing».

«Vedendo come fa Russel in tv, lo trovo una persona umile e semplice, non ti direbbe mai di no».

«Proverò, sempre che riesca ad incontrarlo».

«Lo vedrai di sicuro, se la festa si svolge come mi hai descritto. Poi è in un albergo, spazi ristretti».

«E security ovunque».

«Santo cielo, sis, sono cuochi, non politici e tu non sei un terrorista, non penso ti spareranno addosso se lo avvicini».

«Speriamo di no».

«Al massimo ti trascina via e ti cucina lui».

Diana avvampò, facendo scoppiare a ridere Romina che aveva atteso tutta sera di riuscire a dire almeno una maliziosità, solo per il gusto di stuzzicarla. Sì, il sesso piaceva a Diana, ma era un territorio inesplorato, date le poche e monotone esperienze avute.

Romina lo sapeva, per questo si divertiva tanto.

***

Il giorno seguente Diana venne bloccata da Jayne a casa sua, obbligandola a farsi fare una french alle unghie, giustificando il fatto che voleva allenarsi un po' su quello stile di nail art. Diana accettò l'offerta, ma non bevve la menzogna, dato che sapeva che di allenamento l'amica non ne aveva bisogno.

Durante la ricostruzione, infatti, Jayne iniziò a parlare di trucchi, vestiti e tendenze dell'ultimo periodo, argomenti di cui non parlava quasi mai.

«Vieni al succo, Jay, cosa cerchi di dirmi?».

«Come ti vestirai per la convention?» Sorrise.

«Manca una settimana, ci penserò al momento».

Inutile dire che Diana già si era rassegnata a dover sopportare il tempo che sarebbe scorso lentamente: non voleva pensare a quella serata, ma era certa che ogni cosa gliela avrebbe ricordata. Uno di quei giorni si fece addirittura spiegare da sua madre a cucinare alcuni piatti, ironizzando sul fatto che fosse destinata a diventare Chef da strada. Ogni cosa che faceva, persino leggere, le ricordava la convention. Sarebbe impazzita di sicuro!

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Capitolo 4
*** Lo Chef furioso ***


Un filo di matita nera nell'interno occhi, ombretto grigio chiaro e bianco, eye liner nero in stile egiziano, mascara e olio per le labbra alla fragola. Un trucco non troppo pesante ma abbastanza appariscente, dietro alle lenti degli occhiali felini, sufficiente a far risaltare gli occhioni indaco. Ciuffo vaporoso, cascante davanti al viso, i lunghi capelli sciolti sulla schiena, perfetti ad incorniciare le sopracciglia ridefinite dalla pinzetta magica di Valeria, unghie apposto.

Ultimo dramma: il vestiario.

Per una convention serviva un certo rigore. Doveva anche presentarsi ad una persona per proporre un progetto collaborativo, perciò qualcosa di semplice e sobrio poteva andare, scelto in base anche al clima. Gonna nera,camicia bianca con un gilet di lana color antracite e scarpe col tacco, ne alto, ne troppo stretto.

Diana odiava i tacchi a spillo.

Per non essere troppo appariscente indossò gli orecchini a brillantino nei quattro buchi ai lobi delle orecchie. Si piacque, mentre fissandosi nello specchio, dava uno spruzzo a destra ed uno a sinistra di profumo, Ambra indiana.

Scattò quando il cellulare squillò una volta, Valeria e Jayne dovevano essere arrivate. Mise il suo cappotto nero doppio-petto e la sciarpa bordeaux, si controllò il ciuffo per l'ennesima volta e scese dalle amiche.

L'auto di Valeria pareva un forno a causa del riscaldamento acceso al massimo, un capogiro assalì Diana che non si trattenne dal dire che l'atmosfera interna era decisamente soffocante, sciogliendosi un po' il nodo alla sciarpa. Chi davvero godeva di quell'intenso calore era Jayne, incline a patire esageratamente il freddo.

«Siamo pronte» cinguettò Valeria ingranando la marcia ed imbocca la strada che costeggiava il lago.

Pronta era un parola grossa, secondo Diana.

Sentiva lo stomaco stretto in una morsa e le gambe tremanti dall'emozione, il cuore che le galoppava in gola. Doveva stare calma: stava andando ad un evento, non sulla forca, e Russel era un essere umano, non un alieno. Era un uomo, un cuoco, non un carneficie assetato di sangue.

Un uomo al quale voleva proporre una collaborazione, per il quale nutriva un affetto particolare, senza nemmeno sapere chi fosse, senza averci mai parlato. Scosse il capo: quello era unsuo difetto, ne era certa, il solito brutto difetto d'innamorarsi di persone impossibili, come gli adolescenti.

Basta Diana! Hai vent'anni! Pensò.

Parcheggiarono ed entrarono nell'affollata hall, pagando al lussuoso bancone di legno chiaro, intarsiato da piccoli quadratini riflettenti, specchietti in argento. Lasciarono cappotti e sciarpe al guardaroba e tennero solo le borse, ammirando, per la prima volta, l'interno del grande Hotel Rocca. L'impeccabile arredamento era ben curato e caratterizzato da tinte che abbracciavano il beige, il bianco ed il marrone. La vista sul lago era mozzafiato, con quella serata chiara e tersa, luna e stelle erano splendidamente visibili dai finestroni centrali e splendevano intense.

A parte le zone della piscina e delle aree benessere, le sale conferenze, le cucine e gli ampi atri erano tutti dedicati alla convention, musica a volume moderato suonava nel circuito chiuso hi-fi dell'albergo. Si percepivano profumi di spezie e pietanze qua e là.

«Quello è Fabio Crocchio» commentò Valeria a bassa voce all'orecchio di Jayne, che stizzita rispose:

«Sì, che fa pagare fior di euro aperitivi fatti con patatine dei sacchetti».

«Ehi, quello è lo Chef Pietro Cannavaro» Valeria indicò un uomo molto robusto con barba e capelli neri. Jayne spalancò gli occhi, restando con il bicchiere d'acqua a mezz'aria. Schiarì la voce commentando:

«È più grosso che in televisione».

«Corona! Quello è uno migliori mâitre di sala» disse Valeria iniziando ad essere sempre più entusiasta. Jayne le picchiettò la mano sul braccio affermando:

«Oh,oh,oh, il Re del cioccolato, Hans Weber».

Diana le guardò ridacchiando. Non si sarebbe mai aspettata che vedere così tanti cuochi potesse renderle allegre come ad un concerto di metallari, ma le emozionava il fatto che quegli uomini si vedevano sempre in televisione.

Anche gli altri partecipanti alla convention parevano estasiati dalla presenza di quegli individui che, come un corpo militare, vestivano tutti con eleganti pantaloni neri, grembiuli ed immacolate casacche doppio-petto bianche. La classe era ovunque impeccabile.

Ma gli occhi di Diana frugavano tra la gente e i cuochi, cercando un solo volto, che non riusciva ad individuare. Le divise bianche confondevano la sua percezione visiva, ma era certa che lo avrebbe notato: lui si distingueva da tutti gli altri della sua categoria.

Si sentì strattonare dalle due amiche. Un tantino scocciata dai loro starnazzi arrivò al limite e mancò poco che non strillasse loro di smetterla di farsi notare, con le loro voci troppo alte, ma s'interruppe. Valeria la trascinò tra lei e Jayne e sussurrandole:

«Guarda là il tuo Chef».

Russel arrivò da una delle cucina dell'albergo, con passo fermo, sfrontato, lo sguardo tenebroso come le sue vesti, era l'unico dei cuochi ad indossare la casacca nera.

A Diana mancò il respiro alcuni istanti, chissà se fossero stati effettivamente pochi secondi o interminabili minuti, il tempo sembrò rallentare. Di tutti era l'unico meno disciplinato dato che teneve le maniche arrotolate fino ai gomiti, sfoggiando gli intricati tatuaggi che aveva sulle braccia e le mani. La barba incolta, con il taglio più naturale di tutti, gli dava un aspetto rude e selvaggio, decisamente sexy, si differenziava veramente tanto tra quel corpo militare da cucina, anche per l'atteggiamento da duro.

Un vero rugbista!

Diana riprese a respirare, rendendosi conto che sudava ed il suo volto doveva essere color porpora. Guardò nella hall, individuando il bagno e si diresse verso la porta. Le sue amiche la chiamarono, cercando di fermarla, ma furono costrette a seguirla. La trovarono chinata sul lavandino a bagnarsi le guance che sentiva pizzicare. Quando si accorse delle sue amiche, senza guardarle disse:

«Io non ce la faccio, ragazze».

«Ehi, non pensarci nemmeno! Siamo venute qui apposta» polemizzò Valeria scuotendola per le spalle. Jayne obbligò Diana a guardarla negli occhi:

«Non fai nulla di male, lo avvicini e gli proponi collaborazione per il libro. Se dice no, amici come prima».

«Il problema è che è troppo figo».

«Non è una scusa per non provare ad avvicinarlo».

«Sei arrivata fin qui, non puoi tirarti indietro! Sarebbe come se, scrivendo un libro, rinunciassi a proseguirlo, proprio all'ultimo capitolo» affermò Valeria, tenendole una mano posata sulla spalla. «Forza e coraggio, su».

Le sbirciò con occhi supplicanti e lucidi. Implorò:

«Venite anche voi, però».

«Certo, siamo qui apposta» Jayne sorrise beffardamente, sistemandole il ciuffo vaporoso. Prendendo un bel respiro, Diana uscì dalle toilette, accompagnata dalle sue amiche. Vide Russel parlare con Chef Crocchio ed intuì, dalla sua espressione, che tra loro non doveva scorrere buon sangue. Crocchio era troppo per la disciplina, aveva notato dai programmi in televisione, misurava le quantità con il contagocce ed ogni cosa doveva essere impeccabile. Russel era tutto l'opposto, l'importante per lui era la qualità del cibo, non l'apparenza.

Diana sentì le gambe appesantirsi e si bloccò di nuovo. Le sue amiche la rimproverarono con muti sguardi. Scosse il capo, non parlò, la sua gola era secca e la salivazione azzerata, una reazione che nemmeno lei stessa si sarebbe mai aspettata. Fissò Russel che sbuffò scocciato, quando Crocchio si allontanò. Fu allora che le rivolse l'attenzione, o per lo meno credette lei che i loro occhi si fossero incrociati a vicenda. Si sbloccò, cercando di realizzare dove stesse guardando il cuoco che... le sorrise!

Sussultò ed istintivamente girò sui tacchi, abbandonando Jayne e Valeria che non riuscirono a fermarla e la dispersero tra la folla.

«Ma è veramente assurda» sbraitò Jayne.

«Siamo qui da poco, c'è tutta la serata, vedrai che le passerà e si farà coraggio».

«Lo spero se no vado là da lui e gliene dico quattro».

«Vostra amica?» Si sentirono dire dalle spalle. Voltandosi trovarono lì Russel che le osservava a braccia conserte. Avvamparono entrambe e Valeria disse:

«Che piacere incontrarla, Chef».

Lui accennò un sorriso.

«Ah, la nostra amica voleva salutarla, ma probabilmente ha visto che era impegnato con il suo collega...» continuò Jayne.

«Quale collega?» Ringhiò Russel.

«Il suo collega, Chef Croc...».

«Quale collega?» Ribadì lo Chef marcando l'accento romanesco. Le due ragazze tacquero scambiandosi uno sguardo allarmato. Valeria mimò due colpi di tosse nervosa sviando il discorso: entrambe avevano avuto la conferma sul rapporto conflittuale dei due cuochi.

«La nostra amica voleva farle una proposta, ma si vergognava, sa: è una sua grande fan».

Russell annuì tra sé e sé, passandosi una mano sulla barba. «L'ho notata un po' strana» ammise.

«Oh, Gabrio! Non ti perdere in chiacchiere» ordinò Crocchio passando alle sue spalle. Uno strano sguardo furioso attraversò il volto di Russel che assottigliò la vista. Sbirciò Fabio poi prestò nuovamente la sua attenzione alle ragazze, affermando:

«Se lo dice lui, mi perdo apposta!» Dichiarando così guerra al suo collega e scusandosi con Jayne e Valeria, passò tra di loro, diretto verso l'uscita. Jayne affermò:

«Temo che Diana si prenderà un colpo».

 

Diana si augurò che l'aria fredda della serata, calata sul lago, riuscisse a far calmare un po' quell'incendio divampato sulla sua faccia. Non era certa che Russel l'avesse vista davvero, non era certa le avesse sorriso, ma le piacque pensare così: in fondo il suo sognare non nuoceva a nessuno... Tranne che a se stessa!

Fissò la piscina chiusa dell'hotel, stando seduta su una delle sdraio a disposizione degli ospiti: le stelle si specchiavano nell'acqua, il lago sembrava un grande mantello nero che copriva il pezzo di terra di fronte all'albergo.

Smettere di sognare, di illudersi, di sperare in cose che desiderava ma che erano irrealizzabili, che non potevano accadere, sicuramente sarebbe stato un buon modo per crescere, ma si sarebbero rivelate anche un pessimo inizio del declino definito della sua professione da scrittrice. Abbassò la testa con un sospiro triste.

Un brivido la scosse, quando l'aria soffiò un poco più intensamente: rischiava un raffreddore stando lì. Si disse che forse era meglio tornare dentro al caldo e magari provare ancora ad avvicinare lo Chef, prevedendo già che avrebbe rifiutato la sua proposta, pensiero al quale si aggrappò per non farsi illusioni. Era un uomo di spettacolo, lei solo una cantastorie fantasy. Fu in quel momento che sentì dei passi avvicinarsi e qualcuno che esclamava:

«Ah, li mortacci! Che freddo stasera».

Diana sgranò gli occhi, voltandosi verso la porta che dava alla piscina, in tempo per vedere Russel che, sfregando le mani sulle braccia, si era soffermato ad osservare un mosaico. Diana coprì la bocca con la mano.

Che cosa gli dico ora? Pensò irrequieta.

Russel la guardò, lei sorrise lievemente, molto imbarazzata. Avvicinandosi lo Chef le disse:

«Congelerai qua fuori, non hai freddo?».

«Be', un po', in effetti» rispose in un filo di voce, sfuggendo il suo sguardo pochi istanti, prima di prender coraggio e guardarlo in volto. Un fascio di luce del lampione esterno illuminò i suoi occhi indaco e Russel studiò il suo viso con espressione meravigliata.

«A n'vedi, che begli occhi c'hai».

«Grazie, Chef» mordicchiò il labbro.

«Confesso che già li avevo notati, prima nella hall».

«Ah» commentò soltanto scossa da quella dichiarazione, da un lato preoccupata che le sue amiche avessero attirato troppo l'attenzione, dall'altro felice e soddisfatta per non aver soltanto immaginato, anche se il modo che aveva Russel di guardare la intimoriva un poco.

«E come faresti de nome?».

Lo sbirciò: «Mi chiamo Diana».

Russel ridacchiò: «La Dea della caccia e la luna» guardò il satellite a forma di falce che brillava nel cielo. «Come saprai, Gabrio Rossato, detto Chef Russel».

«Piacere di fare la sua conoscenza, Chef» Diana porse la mano. Russel l'avvolse nella sua, salda e sicura, ma invece di limitarsi alla semplice stretta baciò la sua pelle chiara e fredda. Arrossì ancora di più, guardandolo stupita.

«Che cosa credevi? So' de classe anch'io, in fondo» le sorrise audace, provocandole un brivido lungo la spina dorsale che si manifestò come un fastidioso prurito sulla nuca. La voce le uscì un poco tremolante quando obbiettò:

«Mai messo in dubbio»

«Ho saputo che volevi chiedermi qualcosa. Le tue amiche mi hanno riferito che avevi una proposta per me».

«Ah... ehm...» dentro di sé, Diana si immaginò piccola, piccola che nella sua testa saltellava gioiosamente strillando: Jayne, Valeria, vi amo!

Raccolse una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Sì, volevo farle una proposta, in effetti» affermò cercando di rendersi professionale.

«Avrei solo un paio di favori da chiederti. Primo, meglio se ne parliamo dentro al caldo, te pare?».

«Decisamente».

Si riavviarono verso la porta che dava alla hall. Varcata la soglia Diana notò le sue amiche che la osservarono stupite, dopo di che le lanciarono muti incoraggiamenti con le espressioni facciali, facendo segno di vittoria con le dita. Lei ricambiò con un sorrisino teso, salutandole con la mano.

«Altra cosa», aggiunse Russel mentre attraversavano il corridoio che raggiungeva la zona bar dell'albergo. «Rompiamo il ghiaccio: non chiamarmi Chef e dammi del tu, d'accordo? Quanti anni hai?».

«Venti, quasi ventuno».

Russel riflettè. «Dieci, dodici anni non fanno la differenza».

Entrarono nel bar, dove c'era un continuo andirivieni di persone che assistevano alle dimostrazioni dei Sommelier, o semplicemente si fermavano per una pausa e per concedersi un caffè o un drink con qualche stuzzichino. L'arredamento, misto tra il classico e lo zen, denotava la presenza di una Spa in quel lussuoso hotel.

Russel raggiunse un tavolo più isolato rispetto agli altri, spostò la sedia ed invitò Diana a sedersi. Ringraziò con un sorrisino poi, quando Russel si sedette davanti a lei, fece un respiro d'incoraggiamento e gli chiese:

«Se non Chef come posso chiamarti?».

«Come te pare: Gabrio o Russel, per me fa lo stesso, ma Chef è un titolo troppo pesante da sopportare»

Diana ridacchiò: «Ma tu sei effettivamente uno Chef».

«So' cuoco de strada» salutò con un cenno del capo il cameriere, invitando Diana ad ordinare per prima qualcosa da bere. Lei si schiarì la voce e disse:

«Un Prosecco».

«'Na birra» esclamò Russel ridacchiando rivolto a Diana. «Che sciccheria, aoh, er Prosecco».

Lei diede un'alzata di spalle: «Ogni tanto me lo concedo, ma non spesso: ultimamente sopporto poco l'alcol».

«Mejio, no? Ti risparmi il fegato. Ma dimmi un po', cosa fai nella vita, Dia'?».

«Sono una scrittrice».

Russel soffocò un'esclamazione di stupore. Entrambi rimasero zitti, mentre il cameriere li serviva. Quando si allontanò, Russel prese la birra e si chinò verso Diana per parlarle a bassa voce, in modo più confidenziale. Molto confidenziale: Diana tratteneva a stento i tremori alla ginocchia, fissando quello sguardo.

«E che genere scrivi?» Volle sapere lui.

«Prevalentemente fantasy» si sentì risollevata in modo inspiegabile. «Ho scritto tre saghe che parlano di streghe, sciamani e magia, ma ora vorrei fare qualcosa di diverso, per non cadere in banalità» bevve un sorso di bollicine, facendosi pensierosa, tipico di lei quando parlava di libri: dimenticava completamente chi aveva di fronte.

«Vuoi farmi diventare un personaggio del tuo libro? Un gladiatore, magari» ironizzò Russel facendole sciogliere quel velo severo che le era calato sul viso. Scosse il capo:

«In realtà volevo chiederti se potevo usare la tua immagine per creare una storia, ma non saprei su che genere impostarmi. Dalla mia professione di scrittrice, di solito, bandisco romance ed erotici».

«Hanno il loro perchè, non trovi?».

Diana arricciò il naso: «Il romance è frivolo, l'erotico monotono, sempre le stesse cose, se si esagera diventa sadico, mi resterebbe ancora il fantasy per farti essere... non so, magari il discendente di un gladiatore, davvero, anche se lo storico non fa per me».

«Stai sulla narrativa contemporanea, fatti reali, effettivi, romanzando solo qualcosa».

Diana lo fissò ad occhi spalancati: aveva letto che Russel faceva anche il Ghostwriter, perciò non parlava a vanvera. Quell'aspetto rozzo da Romano di provincia era davvero solo una maschera che usava nei programmi, per creare il personaggio. Era semplice, più umile degli altri cuochi, ma anche di classe, colto, pur mettendo spesso foto ridicole nella fanpage ufficiale di Facebook, solo per divertirsi e scherzare.

Diana pensò, bevve un'altra sorsata di prosecco ed annuì. Gabrio si limitò a scrutarla inclinando il capo. Quando si rivolse di nuovo a lui, Diana si soffermò a fissare i tatuaggi che aveva sul collo, sul lato sinistro collo un fiore, dall'altra parte una figura orientale. Anche lei aveva parecchi tatuaggi, ma non così tanti come Gabrio e soprattutto più piccoli. La sua schiena ed i i suoi pettorali, le braccia e pure una gamba erano un intricato puzzle di tribali e maori. Non riusciva a negare che gli uomini tatuati la eccitavano, specie se avevano corpi statuari come lui.

«Hai ragione, stando sulla narrativa contemporanea non farei una cosa troppo frivola, non troppo complessa come lo storico e non monotono come l'erotico».

«Se mi fai fare qualcosa di erotico basta sia con una bella, eh, e niente cose a tre o omosessuali».

Una bella? Non certo io, pensò ridendo dell'affermazione di Russel: «Va bene, promesso».

«Potresti venire alcuni giorni a Roma» suggerì lui.

«A Roma? Io?».

«Troveresti spunti ed io ti mostrerei i posti che ispirano di più un qualsiasi scrittore».

«Stai dicendo che accetti?» Lo interruppe Diana. Russel alzò il calice di birra facendolo cozzare contro il suo bicchiere di bollicine, sorridendole in maniera rassicurante.

«Brindiamo al nostro libro, allora».

Lei scosse il capo incerta di aver sentito bene, non ci credeva, forse stava sognando come al solito.

«Mi aiuterai davvero? Accetti di collaborare e usare la tua immagine? Perchè, Gabrio? Io non sono famosa».

«Marketing per entrambi, tesoro».

Diana si grattò il capo, sempre più confusa e perplessa e Russel le raccolse la frangia vaporosa dietro l'orecchio, facendo un discorso che evidenziò la sua umiltà.

«Preferisco aiuta' un'emergente che fa' riempire ancora de più la panza a chi già è famoso».

Gli sorrise apprezzando tantissimo ciò che aveva detto lo Chef. «Ti ringrazio, Gabrio, anche per la fiducia»

Le fece un buffetto sulla guancia con le nocche della mano. Solo dopo Diana si ricordò dell'evento a cui stava partecipando e di cui lui era uno protagonista. Con le labbra sul bordo del bicchiere mormorò:

«Ma Crocchio ha detto che dovevi andare...».

«Ma si faccia un quintale de mortacci sua» sbottò. «Tanto sono qui nell'albergo, mica scappo, se servo mi fa chiamare. La cucina è disciplina ma anche fantasia, anarchia. Lui sta troppo sulla disciplina»

Cucina e fantasia, pensò Diana, due mondi abbastanza vicini. Lui un cuoco, lei una scrittrice, non uguali ma simili, entrambi rappresentanti di due forme di arte.

Sì, arte, perchè come suonare, dipingere o scrivere, anche saper cucinare era un'arte, ed ogni cuoco aveva il suo modo di interpretarla. Molto probabilmente aveva davvero trovato il personaggio giusto da inserire nel suo piccolo romanzo contemporaneo. Mancava solo la trama.

Mirò Russel, che alzò un sopracciglio, e si massaggiò una tempia posando i gomiti sul tavolo, adocchiando le bollicine del suo prosecco che salivano in superficie. Solo un sospiro serpeggiò dalle sue labbra, dove si univa il sapore alla fragola dell'olio ed del prosecco.

Si era calata troppo a fondo nel ruolo dell'autrice professionista, al punto da sentire già le possibili immagini e l'ispirazione bussare alla sua mente.

Il cameriere tornò e posò tra loro un tagliere.

A quel punto, scrollando le spalle, Diana si diede della stupida rimproverandosi: era seduta davanti a Russel, uno dei suoi idoli televisivi, chissà se mai si sarebbe ripetuta quell'occasione che si stava perdendo facendo così? Non era il momento adatto di concentrarsi sulla creatività, quello.

Stai coi piedi a terra, Diana, ce l'hai davanti vero e concreto, non è un cartone animato! Sul punto di dire qualcosa, Russel l'anticipò, nonostante fosse già stato impegnato a mangiare dal vassoio appena servito.

«Fammi compagnia, Dia', assaggia qualcosa».

«Uhm, non posso» l'invito produsse la sua tipica vergogna di mangiare davanti ad un uomo la prima volta che gli parlava. Non voleva dirlo a lui, però: esser sincera su quel particolare la faceva sentire stupida.

«Come sarebbe a dire che non puoi? La bocca ce l'hai, quindi serviti» Russel sporse il tagliere verso di lei. Gli stuzzichini facevano gola, ma l'imbarazzo era molto più grande. Proferì la prima menzogna che le balzò in testa.

«Sono... a dieta».

Una strana espressione, mista tra l'ironico, lo scioccato ed il rabbioso, sfiorò il tenebroso sguardo di Russel. Diana rispose con un sorrisetto teso.

«Dieta» mormorò Russel, «Che brutta parola» inchiodò Diana nei due occhi castani, facendola arrossire e vergognare, come se fosse stata nuda davanti a lui, non si trattenne dal sussultare leggermente. Le occhiatacce da sfida che caratterizzavano lo sguardo di Russel la seducevano in televisione, ma di persona la raggelavano anche un po'.

La colpa era anche di Romina e di ciò che le aveva detto sulle dichiarazioni dello Chef in fatto di sesso. “Guarda una donna e pensa a cosa potrebbe farle”. Si morse la guancia interna domandandosi: starà pensando a cosa farmi?

«Mhm» mugolò.

«Dia'! Le diete sono offese per gli Chef».

«Oh... mi dispiace» ammise mortificata.

«Sei perdonata ad una sola condizione».

«Quale condizione?».

Russel afferrò una bruschetta e l'allungò verso di lei, che lo occhieggiò interrogativamente. Lo Chef ordinò:

«Magna», una tranquilla affermazione che non ammetteva ne repliche ne obiezioni.

«Devo proprio?».

Russel annuì socchiudendo le palpebre. Diana, imprigionata da quegli occhi, pensò: era un'autrice di vent'anni ed imbarazzarsi così non la rendeva ne adulta ne scrittrice professionista. A quel punto, cercando di darsi un'aria più seria e languida, nascondendo il sue essere goffa dietro una maschera provocante, addentò lentamente la bruschetta che Russel ancora stringeva tra l'indice ed il pollice, fissandolo con occhi felini.

Anche lui assottigliò gli occhi, corrugò la fronte, alzando il mento.

Diana ebbe ancora la sensazione che il tempo rallentasse. All'inizio pensò fosse a causa del vino, si augurò di non avere lo sguardo di una ragazza ubriaca.

Staccò con un leggero strattone il pezzo di bruschetta e lo masticò senza scomporsi, senza staccare gli occhi da Russel, che infilò in bocca il resto della tartina. Trascorsero diversi istanti di silenzio, durante i quali i loro occhi rimasero ancorati gli uni agli altri, sembrava che il resto del mondo fosse restato al di fuori di una campana di vetro che li circondava.

Ridacchiando quasi imbarazzato, Russel voltò poi il capo, fissando il gruppo di Sommelier e partecipanti alla convention che applaudivano. Disse:

«Senti un po', Dia'».

«Dimmi» lo invitò a parlare con una sorta di turbamento per via della strana risatina. Forse era apparsa ridicola ai suoi occhi? Russel tornò a fissarla.

«Non mi aspettavo avrei incontrato qualcuno così».

«Così... come?» Mormorò.

Sul punto di rispondere una voce tuonò: «Gabrio, ma dove cazzo eri finito?».

Russel spalancò gli occhi, più infastidito che turbato. Si voltò verso Crocchio che lo guardava storto a braccia conserte. Rispose solo con un gesto di ovvietà.

«Tutti presenti alla dimostrazione, tranne te» puntualizzò Crocchio senza far caso alla presenza di Diana, che avrebbe voluto sparire in quel momento.

«Stavo parlando di una proposta di lavoro. E comunque sono uno Chef di strada, ben diverso da voi altri, anche se non ero presente che problemi ti fai? Ve la siete cavata».

Russel e Crocchio si sfidarono a suon di occhiatacce per un po', finchè Fabio non degnò di minima attenzione Diana, che abbassò la testa. Affermò:

«Non si ripeta di nuovo».

«Minacci? Tu non puoi mica licenziarmi, sono uno Chef indipendente, dovresti saperlo, lavoro per il canale, quindi non sei tu il capo. Credi che il mondo giri solo attorno a te ed il tuo ristorante?».

L'aria era densa ed elettrica, sembrava che i due cuochi si sarebbero presi a pugni da un momento con l'altro, ma Crocchio si limitò ad allontanarsi senza aggiungere altro. Diana riprese a respirare, rivolgendosi a Gabrio.

«Mi dispiace averti fatto rimproverare».

Russel le sorrise: «Non è colpa tua, rilassati» trasse un sospiro scocciato. «Meglio se raggiungo gli altri ma, senti a me: la convention è ogni sera, fino a domenica, mi piacerebbe approfondire questo discorso del libro».

«Certo, volentieri» Diana s'illuminò.

«Sentiamoci per i pomeriggi a venire» posò sul tavolo davanti a lei un biglietto con scritti i tuoi contatti.

«Sarà fatto» rispose porgendogli il biglietto dov'erano scritti i suoi. Russel lo prese e lo infilò nella tasca del grembiule, salutandola con un occhiolino.

Rimase seduta, scossa e felice a fissare il biglietto dello Chef. Andò a cercare le amiche, con la bellissima novità. Doveva ringraziare caldamente anche loro.

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Capitolo 5
*** In capo al mondo ***


«Ci hai parlato?» La voce di Romina si strozzò per un forte colpo di tosse che le fece lacrimare gli occhi ed arrossare ancor di più la pelle, già tinta dalla temperatura della febbre. Si sventolò una mano accanto al viso quando le passò.

«Ti sei presa una bella influenza» osservò Diana pulendo gli occhiali. «Dovresti metterti a letto, invece che stare davanti al computer».

Romina scosse il capo. «Ho già dovuto aspettare fino a stamattina per sentire le novità. E senti, senti, cos'hai da dirmi la sis! Hai avuto un confronto con Chef Russel».

Diana sorrise all'amica, che la osservava maliziosamente dallo schermo. Sicuramente Romina aspettava qualche dettaglio piccante. Con un'alzata di spalle Diana affermò:

«Non è successo nulla».

Romina si gettò con la testa sulle braccia, imitando un pianto esasperato, ma si raddrizzò quasi subito e resse il volto con le mani. «Hai parlato del libro, almeno?».

«Sì e Russel mi pareva entusiasta dell'idea».

«Te l'avevo detto!» Esultò interrotta nuovamente da un convulso attacco di tosse che cercò di fermare con una caramella alla menta. Diana attese si calmasse, prima di continuare.

«Rimarrà qua con gli altri Chef fino a domenica, prima di tornare a Roma, dove mi ha proposto di andare: Sarebbe disposto a farmi da Cicerone in città».

«Oddio, sis! Ti ha invitata a... Oddio, sis! Ma in questi giorni vi rivedrete lì a Sarnico?».

«Spero! Ci siamo scambiati i biglietti da visita» il suo cellulare emise una vibrazione che l'avvertì della ricezione di un messaggio. Lo lesse, mentre Romina, tra un colpo di tosse ed un capogiro, che manifestava con lamentele e imprecazioni rivolte al Demonio, esultava girando sulla sedia della scrivania del suo salotto.

Valeria aveva scritto:“Tra mezz'ora al bar! Baciotti”. Diana sgranò gli occhi: mezz'ora senza anticipo? Era ancora in pigiama, spettinata, in pantofole, seduta davanti al laptop. Per fortuna a lei non serviva mai un'eternità per prepararsi.

«Romy, perdonami, devo uscire: le mie amiche mi aspettano al bar e me lo fanno sapere solo ora».

«Sbrigati, sis, fatti bella: si sa mai che lo incontri».

«Dubito» ammiccò Diana chiudendo la chat e correndo in bagno a lavarsi, pettinandosi con cura i lunghi capelli e raccogliendoli in una treccia morbida.

Indossò un paio di jeans ed un felpa grigio chiaro con le sue scarpe da ginnastica. Uscì coprendosi con il suo cappotto durante la discesa delle scale del condominio, salutando l'anziana signora del primo piano che, di solito, usciva sempre dal suo appartamento ogni qual volta sentiva qualcuno percorrere i pianerottoli. Si diresse verso il centro del paese, arrivando ancora prima delle sue amiche. Le attese smanacciando con il cellulare, ricordandosi del numero di Russel scritto sul biglietto che aveva nella tasca del cappotto. Lo segnò nella rubrica e sistemò il biglietto nel portafogli, per evitare di smarrirlo.

Udì un cane abbaiare e vide arrivare Jayne, trascinata da Chicca che scodinzolava allegramente.

«Piano! Piano! Non tirarmi!» Sbraitò la ragazza riprendendo fiato solo quando Diana si chinò ed accolse Chicca con carezze e grattini, stendendosi sulla schiena in cerca di coccole alla pancia.

«Ciao, piccola! Buongiorno Jay».

«Perderò cinque chili a star dietro a questa peste» sbuffò la ragazza. Diana la squadrò scettica.

«Non credo che ti serva, hai un fisico asciutto».

«Allora mi prosciugherò».

Poco dopo Valeria parcheggiò li vicino e raggiunse le due ragazze, già elettrizzata dagli avvenimenti della sera precedente. Trascinò Diana nel bar subito, prendendo posto al primo tavolo libero, Jayne le seguì ridacchiando, afferrando in braccio Chicca.

Ordinarono la colazione e senza dire nulla, ma solo con la forza degli sguardi, le due iniziarono ad interrogare Diana, che aveva promesso di raccontare tutto quel giorno.

«Siamo d'accordo di sentirci, resta fino a domenica» annunciò.

«Wow! Fantastico, chiamalo» incalzò Valeria.

Diana sbattè a vuoto le palpebre, scioccata dall'invito dell'amica che sorrise. Jayne afferrò la sua ciambella con lo zucchero e ne staccò un pezzo che addentò.

«Dovete parlare di lavoro, in fondo».

«Sì ma...» Diana guardò il display del suo cellulare, dove spiccava un wallpaper rappresentante una strega bionda. «Non ero intenzionata a cercarlo già oggi».

«E quando? Domenica quando parte?».

«Non perdere tempo, se vuoi scrivere questo benedetto libro» suggerì Valeria dando una carezzina a Chicca.

Diana fu irremovibile dalla sua scelta: non lo avrebbe chiamato già quella mattina, non lo riteneva educato. Si chiuse in sé stessa a braccia conserte, con il cornetto alla crema stretto tra i denti ed il telefonino posato tra lei ed il cappuccino, decisa a non riprenderlo in mano, se non che per infilarlo nella borsa.

Fu allora che iniziò a vibrare, accompagnando la ridicola suoneria di un cartone animato giapponese per la quale lei stessa scoppiava sempre ridere quando la udiva. Ma non rise quella volta, vedendo il nome che lampeggiava sul display e la fece saltare dalla sedia, rovesciando il cappuccio.

Chicca approfittò subito per mangiare il resto di brioche, caduta a terra dalla bocca aperta di Diana

«Ma che ti prende?» Sbottò Valeria pulendo con i tovagliolini di carta il lago di cappuccino.

«È lui!» Boccheggiò Diana preda del batticuore, mostrando il cellulare: Russel la stava chiamando.

«Uh, rispondi, dai!» Sollecitò Jayne.

Diana annuì, pigiando la cornetta verde sul display con la mano tremante. Altrettanto tremante fu la sua voce quando rispose in un filo di voce.

«Aoh Dia', tutto apposto? Che voce cupa» esordì Russel. Diana sentì il calore salirle dalla pancia alla testa.

«Ehi, ciao! No, no, tutto bene, ero... distratta» mentì con falsa tranquillità, osservando le amiche che ridacchiavano silenziosamente per via delle sue guance in fiamme e gli occhi lucidi. Passò l'indice sotto la gola, promettendo loro di ucciderle quando avrebbe riattaccato. La voce suadente dello Chef la riscosse.

«M'hai fatto preoccupa'.'Ndo stai?».

«Al bar con le mie amiche».

Le due soffocarono un'esclamazione d'entusiasmo mentre lei si sentì il cuore balzare in gola.

«Sto esplorando i dintorni, ci vediamo?».

Deglutì nel tentativo di sciogliere il nodo che le smorzava il fiato. «Certo, a che ora ti fa comodo?».

«Per pranzo, così mi fai vedere un po' di locali grezzi del paese, che ne pensi? Direi undici e mezza».

«Va bene, la Piazza del Monumento sai dov'è?».

«Ahie...» commentò Russel.

Diana intese che non aveva la benchè minima idea di dove sbattere la testa. Guardò nuovamente Valeria e Jayne, fattesi serie. Morse il labbro riflettendo, arrivando alla soluzione più semplice.

«Se hai il navigatore inserisci Piazza Umberto I, è una zona pedonale la trovi facilmente: Sarnico non è Roma».

«Va bene, dai, ci vediamo là dopo» rise.

«A più tardi» concluse lei chiudendo la chiamata, incontrando due paia di occhi simili a quelli di animaletti, intenti a studiare qualcosa di curioso. Sorrise ed annunciò: «Lo vedo a undici e mezza!».

Tutte e tre si lasciarono andare all'esultanza, ritrovandosi fissate dagli sguardi dei clienti del bar perplessi, la barista ed i camerieri, che non ebbero nemmeno la forza di invitarle a non fare troppo fracasso nel locale.

A nessuna di loro importò.

 

Salutando le amiche, che la stuzzicarono per tutto il resto della mattinata, Diana ebbe il tempo di spalmarsi uno strato di olio idratante alla fragola sulle labbra, sfruttando una vetrina come specchio. Si fece coraggio, raccogliendo dietro le orecchie due piccole ciocche di capelli ribellatesi alla treccia. Con un respiro profondo, stringendo sottobraccio il suo quaderno per gli appunti, imboccò la via Lantieri, la principale del centro storico e scese verso la Piazza, illuminata dal sole. Sbuffò: la temperatura si stava già alzando troppo per i suoi gusti e l'accoppiata felpa-cappotto iniziava a pesare.

Osservò in zona ma non vide Russel. L'orologio del suo cellulare segnava le 11.20, era in anticipo. Con un'alzata di spalle si sedette al cospetto della statua, costruita in onore dei caduti delle guerre mondiali, incrociò le gambe e prese la penna dalla borsa. Pensò, facendola roteare tra le dita come gesto per scaricare la tensione,desiderando scrivere qualcosa, ma le parole non volevano saperne di uscire. Scrisse soltanto: “prologo”, ma nulla più.

Le salì un tale nervoso da desiderare di lanciare la penna ed il quaderno, così, tanto per trovare un vincolo di sfogo più intenso, raggiungendo un certo livello di nirvana, cacciando via il nervoso. Si trattenne solo perchè vide arrivare Russel dai portici della banca che accedevano alla piazza.

Lo studiò da capo a piedi, quasi cercasse di trarre una descrizione improvvisata al momento, la giacca di pelle nera, la maglia bianca tesa sui muscoli del petto, i pantaloni scuri e la barba sistemata meglio ma mai assente.

Respira! Si disse.

Respira, deficiente! Insistette sorridendo a Russel.

«Buongiorno» esclamò con un leggero affanno.

«Ciao Dia', sei puntualissima».

«Non mi piace far aspettare».

«Dovresti, visto che le donne si fanno attendere».

Diana ridacchiò, scendendo dal muretto del monumento e gli porse la mano, ma Russel non si limitò a quel formale gesto, chinandosi a darle due baci sulle guance. Arrossì e lo Chef si passò una mano sul viso.

«Scusa la barba, gratta!».

«Fa nulla». Erano solo due baci sulle guance, i comuni bacetti francesi che ci i scambia, non eccitarti! Sbraitò la sua mente per rimproverarla.

Russel guardò il blocco appunti che Diana stringeva al petto con tanta devozione, accennando una risatina.

«Sei già al lavoro? So' pronto per l'interrogatorio, nel frattempo andiamo a vedere il cibo de strada».

Lo guidò per le vie del paese, dove sparse c'erano pizzerie egiziane, Kebab, piadinerie, fast food di fritture e ristoranti più classici ed eleganti. Diana ammise di non sapere quale fosse il piatto tipico di Sarnico, ma c'erano i cosiddetti “Pesciolini”, definiti il dolce tradizionale, biscotti secchi a forma di pesce. Puntualizzò:

«Tra lago e colline credo sia abbastanza reversibile il ricettario di Sarnico, carne e pesce, immagino».

«Sicuramente. Sarà anche tradizione bergamasca e bresciana, essendo un paese di confine. Di solito, i paesi di provincia acquisiscono le tradizioni delle grandi città».

«Polenta» esclamò Diana.

«Non credo solo quella. Fermiamoci ai fritti».

«Domani c'è il mercato qui, come ogni giovedì».

«Da quanto esiste?».

«Uhm, dal 500, se non erro. Lo avevo letto su dei libri in biblioteca, però alle scuole medie».

«Interessante, paese di pescatori, mercati e cacciatori».

Seduti ad uno dei tavoli interni al fast food, Russel ordinò ogni cosa che era elencata sulla lista, promettendo alla commessa una sfida culinaria. Diana sistemò gli occhiali e si mise ben composta, con penna e notes.

«Veniamo a noi, dunque» esclamò la ragazza. Russel si chinò in avanti, appoggiando le braccia incrociate sul tavolo.

«Dimmi tutto, scrittrice». Pronunciò quel titolo con una sfumatura sensuale nella voce, uguale al velo che coprì i suoi occhi. Diana lo fissò imbarazzata, si schiarì la voce ed abbassando gli occhi sul foglio scrisse con la penna il titolo “appunti”, affermando:

«Sì, allora...» non seppe cosa chiedere, al momento, poi formulò la prima domanda che ritenne più logica: «Com'è fare lo Chef da strada?»

«Come stare in cucina, senza bisogno di tutta quella disciplina inutile. Cucinare non ha bisogno di regole».

«Come dicevi, necessita fantasia» segnò sul quaderno.

«Esatto» raddrizzò la schiena, schiarendo la voce, dopo di che continuò. «Perchè non mi dici qualcosa tu, invece?» Domandò mentre la commessa posava sul tavolo un enorme vassoio, stracolmo di pietanze fritte, dalle ali alle verdure, dalle patatine alla crocchette. La domanda dello Chef lasciò di stucco Diana: non si aspettava certo che uno come lui s'interessasse alla sua vita. Osservò il vassoio.

«Come la paghiamo tutta questa roba?».

«Ho messo tutto sul conto della regia» Russel studiò ogni frittura che era stata servita prima di occhieggiare nuovamente Diana in silenzio, con fare interrogativo. Capendo che stava aspettando una risposta alla sua domanda, lei fece le spallucce, cercando di non manifestare troppo imbarazzo e perplessità.

«Che cosa vuoi sapere da me?».

«Per esempio, il tuo rapporto con la cucina» prese un'ala di pollo e l'addentò, spolpandola quasi completamente con un solo morso. Diana prese una patatina che si rigirò tra le dita, senza però avvicinarla alla bocca, cominciando a martoriarla con lo stuzzicadenti.

«Non sono una cuoca provetta, so cucinare le cose basilari, me la cavo solo per la sopravvivenza».

«E a magna' come sei messa? Mangi tutto?».

«Non proprio» la patatina si era trasformata in una poltiglia informe. «Alcune cose le rifiuto, non mi vanno».

«Male» obbiettò Russel.

«Tu come riesci a mangiare tutto? C'è qualcosa che non ti piace? In televisione, quando fai le sfide, mangi ogni cosa, persino le interiora degli animali, quelle mi nauseano solo a vederle, ti confesso».

«Ci sono cose che mi piacciono tanto ed altre un po' meno, ma non si butta niente. Esempio...» afferrò una crocchetta e la analizzò, commentando a bassa voce la doratura ben fatta ed il profumo, descrivendo il ripieno di patate, con una spruzzata di aglio e prezzemolo, addentandola. Diana non chiese nulla e mangiucchiò una sorella della patatina fatta a pezzi, aspettando che lo Chef continuasse il discorso che stava facendo. Russel riflettè pochi istanti ed indicando il block notes degli appunti di Diana disse: «Ti capita mai di lasciare in sospeso un romanzo che non riesci a continuare ma, allo stesso tempo, non vuoi nemmeno buttarlo?».

«Sì, ne ho quattro che non riesco a fare».

«E perchè non li cestini?».

«Perchè sarebbe un peccato, avendoli già avviati, potrebbero uscire delle storie carine, se ben curati».

«Rifiutare di mangiare è un grosso peccato, se calcoli poi la fame diffusa nel mondo».

«Hai ragione, ma i libri non si mangiano, il cibo sì: se assaggio qualcosa la prima volta e non mi piace...».

«La devi mangiare la seconda, perchè non captiamo subito, quindi non è detto che se la prima non va, la seconda volta non piacerà».

«Non so se è come dici».

«Diana, mangiare è come fare l'amore».

Con quella frase, senza nemmeno saperlo, Russel aveva innescato in Diana la produzione mentale di svariate immagini. Da un lato c'erano le sue amiche che ridacchiavano. Da un'altra parte vide Russel stringerle i polsi e spingerla, bloccata sotto si sé sul piano cucina, in un momento intimo, in cui le loro labbra si mescolavano a vicenda. Dall'altro lato ancora c'era Romina che esultava, saltellando e gettando in giro coriandoli. Soprattutto quell'immagine rischiò di scatenarle un attacco isterico che soppresse con un colpo di tosse finta.

«Fare l'amore» ripetè in un filo di voce.

Russel si chinò verso di lei, che rimase immobile a fissarlo senza aggiungere altro. L'immagine di lui che se la faceva in cucina pulsò di nuovo vivida e sostituì l'isteria a causa di Romina con una stato di eccitamento. Lo Chef allungò una mano e le sfilò gli occhiali. Diana non ebbe la forza di ribellarsi e sottolineare che non vedeva un accidenti senza le lenti, limitandosi a mirare quel tenebroso sguardo.

«La prima volta non è mai un granchè, nemmeno si gode. La seconda va meglio, la terza migliora e così via, sempre di più e, piano, piano diventa piacevole con la persona giusta».

«Hai ragione» dovette ammettere restando seria ed accorgendosi che, nonostante l'argomento, Russel non scherzava. Segnò qualcosa sul blocco degli appunti scrivendo a fatica per via della vista distorta, usando una calligrafia tremolante ed imprecisa. Russel le sorrise:

«Non ci vedi proprio, eh?».

«Sono una talpa» confidò scuotendo il capo.

«C'hai du'occhi in cui ce se potrebbe perdere, Dia'». Rimase pietrificata da quell'affermazione. Accorgendosene, Russel guardò altrove ridacchiando ed aggiungendo subito dopo: «Quegli occhiali a gatto ti donano, devo ammetterlo»

Lo ringraziò con un sorriso imbarazzato. «Non è un problema se sei venuto qui? Intendo, i colleghi, Crocchio soprattutto, non ti faranno storie?».

Russel sorrise: «Fino a stasera non lavoriamo, la giornata è libera. E comunque io sto lavorando, insieme a te, come indipendente. Ed è meglio così».

«Meglio?».

Russel prese un'altra ala ridendo e la immerse nella salsa barbecue. «'Ai voja, te! Street food e la tua dolce compagnia, non chiederei di più, davvero».

Diana si strinse nelle spalle goffamente, grattandosi il capo insicura. «Grazie, sono contenta ti faccia piacere la mia compagnia».

«Mo mangiamo, dopo andiamo ancora in esplorazione» le strizzò un occhio, aggiungendo: «E parliamo del libro».

 

Russel era più alto di quanto non sembrasse in tv e Diana era costretta a stare con il mento alzato per guardarlo. Camminando, lui contemplava il lago, le colline, i piccoli agglomerati che si affacciavano sulle rive, baciati dal sole, ridenti e colorati.

Insieme avevano percorso circa sei chilometri a piedi, andando avanti ed indietro per due volte, lungo l'intero chilometro e mezzo del lungolago. Fortunatamente le scarpe da ginnastica di Diana erano l'icona esistente della comodità, ma non ebbe nemmeno modo di accorgersi della lunga camminata, perchè furono sei chilometri di chiacchiere no stop!

Russel parlò del suo lavoro in televisione, ammettendo che preferiva la professione dello Chef di strada, libero da vincoli. Citò la sua storia come rugbista, prima dell'infortunio, dichiarando che il Rugby restava il suo sport preferito.

Diana gli raccontò dei suoi libri, spiegando le trame e le ricerche che aveva fatto. Gli parlò delle presentazioni e della sua tecnica di scrittura “a getto”, senza schemi, confidando che proprio schematizzare la metteva in difficoltà, preferiva mettere nero su bianco quel che le passava per la testa al momento.

Come Stephen King! Aveva esordito Russel.

Peccato che, al di là della similitudine della tecnica, la stessa Diana pensava che dire una cosa simile fosse una bestemmia, ma omettè di esporre quel pensiero, limitandosi a sorridere. Camminarono e parlarono, confrontandosi e scambiando le loro storie come amici di una vita, non più come fan ed idolo, la voce di Diana smise sempre di più di tremare. Il sole che si avviava al tramonto, specchiandosi nel lago, dava una sfumatura ambrata all'acqua scura.

«Quando torno a Roma cerco i tuoi libri» promise assorto dal volo dei gabbiani sul pelo dell'acqua. Avevano preso un birra ed un tè freddo e si erano fermati ad una delle panchine di pietra ed acciaio del lungolago.

«Sarei contenta di sapere che mi leggi».

«Intanto aspetto di leggere il nostro libro».

«Sarai il primo a leggerlo».

Russel aprì il tappo della birra con le mani, lasciando la scrittrice di stucco. Diana tacque alcuni istanti e riflettè, prima di continuare ad approfondire la conoscenza con lui: «Sai, ho letto che... ehm, sei single per scelta perchè... il tuo lavoro, sempre in giro per il mondo, renderebbe difficile stabilire una relazione con una donna, è vero?».

«Sì, è vero» dichiarò Russel senza esitazioni.

«Vivi solo per cucinare».

«E scoprire nuove sfide de cucina» guardò Diana con espressione sorniona, mentre teneva un braccio disteso sullo schienale della panca, con fare scomposto.

Lei fece un'alzata di spalle, cercando di apparire disinteressata, ma qualcosa dentro le rodeva, una sorta di gelosia infondata, nei confronti di una donna che non esisteva, al momento. Disse: «Magari una signora Russel, che vorrebbe seguirti in capo al mondo è lì fuori che sta aspettando solo d'incontrarti per seguirti».

«Chi lo sa, magari l'ho già trovata» la voce di Russel suonò strana, quasi provocante. Diana voltò il capo; lui le sorrise, si raddrizzò e senza mai staccarle lo sguardo di dosso domandò abbassando la voce: «Ma lei sarebbe disposta a seguirmi ovunque?».

Quegli occhi scuri la spiazzarono ed il ricordo di Romina, che parlava della relazione con le donne, dichiarata dallo Chef, guardare e pensare a cosa fare, le tornò in mente. Maledisse la sua memoria! Continuò sul filo del discorso, cercando di non pensarci, ribadendo ancora a sé stessa: è un personaggio della tv, anche se la domanda pareva posta direttamente a lei.

«Magari... come dice la canzone, da Roma a Bankok».

«Andata e ritorno?» La voce di Russel era un sussurro.

«Sola andata» biascicò lei.

«Tu pensi sia di Roma la famosa signora Russel?».

«Non lo so».

Che razza di discorsi erano quelli? Sembrava quasi che lo Chef ci stesse provando, ma Diana non avrebbe saputo dirlo con certezza, troppi pochi uomini avevano flirtato con lei, a volte si era persino illusa di piacere a qualcuno, o non si era resa conto di piacere a qualcun altro, interpretando l'interesse per presa in giro, nonostante le sue amiche le avessero sempre detto che sbagliava.

Distolse gli occhi dallo sguardo di Russel, tornando a fissare le screziature di sole dorate che si muovevano al ritmo delle onde prodotte dal vento. Sospirò, una punta di tensione s'impadronì di lei: pur non guardandolo direttamente sentiva lo Chef che la fissava.

«La sera si avvicina» esclamò per rompere il silenzio.

«Non abbiamo parlato molto del libro».

«Le cose che mi hai detto sono buoni spunti, rielaborandole ne uscirebbe sicuramente un prologo».

«So' proprio curioso».

«In tal caso, farò di tutto per non deluderti».

La campana della chiesa di San Paolo, nel centro storico, suonò i rintocchi delle cinque e mezza. Russel emise un sospiro scocciato alzandosi, si voltò verso Diana che restava ancora seduta.

«Devo tornare all'albergo e mi spiace, ho trascorso un piacevole pomeriggio con te» le porse una mano aiutandola a rialzarsi.

«Sei qui per lavoro, in fondo» mormorò amaramente, un poco rattristata. Per non darlo a vedere abbassò il capo, ma Russel la obbligò a guardarlo alzandole il mento. Si guardarono per degli istanti che a Diana parvero interminabili, domandandosi se anche per lui la sensazione fosse uguale. Oh, che domande stupide!

Ma cosa stava succedendo di nuovo?

Lo Chef le sorrise, pizzicandole delicatamente lo zigomo che, dopo quel gesto, si arrossò dalla vergogna.

«Meno male che esistono ancora le donne che sanno arrossire».

«Scusa» Diana indietreggiò un passo. «Non farci caso, ho il rossore facile, m'imbarazzo con niente».

«Non c'è nessun problema, me piaci così».

Stava scherzando, forse?

Si avviarono verso la piazza dove si erano incontrati, fermandosi al cospetto del monumento.

«Vuoi un passaggio, Dia'?» Domandò Russel.

«Ti ringrazio, ma rischi di arrivare tardi, poi lo devi sentire tu lo Chef Crocchio».

Alzò gli occhi al cielo ed abbracciò Diana, mormorando scocciato: «Ahie, ahie, ahie...».

Lei perse un battito ed il respiro le morì nella gola, mentre fissava zitta il vuoto, avvolta dal saldo abbraccio di Russel, con la testa appoggiata al suo petto. Timidamente gli cinse la vita, lui si ciondolava. Un piacevole torpore iniziò ad assalire Diana, i suoi nervi si rilassarono ed anche i suoi occhi si socchiusero un poco. In testa pensò solo: come si sta bene.

Anche il respiro le tornò regolare.

A quel punto Russel, separandola da sè per guardarla in volto, promise: «Ci vediamo ancora questi pomeriggi, ti va? Vediamo cosa tirar fuori per il libro».

«Mi piacerebbe» ammise confusa.

«E per domenica ti faccio preparare l'invito per l'ultima serata di gala, poi se vedemo a Roma».

«Serata di gala?» Diana non aveva abiti di quel calibro ma, in ogni caso Russel la stava invitando e non avrebbe perso occasione. Annui e accettò l'invito. «Ci vediamo domani, allora».

«Certo».

Si scambiarono due formali baci sulle guance, salutandosi. Diana riattraversò il centro storico con le gambe pesanti e la testa tra le nuvole, con quella piacevole sensazione ancora addosso.

Rientrò a casa, accolta dalla madre e dal padre che degnò con un semplice ciao, affermando che non aveva appetito. Si chiuse in camera dove guardò il cellulare, per la prima volta dopo ore che non lo sbirciava nemmeno. Trovò un sacco di messaggi di Jayne e Valeria.

"Come sta andando?"

"Fate i bravi!"

"Attenta a non farti cucinare"

"Non farci diventare zie!!!"

Le venne da ridere, ma non ci riuscì, sentendosi stanca e confusa. Ebbe il tempo di controllare la posta elettronica e la chat di Facebook, dove Romina chiedeva in un messaggio scritto se andasse tutto bene. Era online.

Diana digitò velocemente:

"L'ho visto per tutto il giorno!!!". La notifica "Romina sta scrivendo un messaggio" lampeggiò istericamente diverse volte prima di far apparire la risposta:

"DAVVERO??? Ora mi devi raccontare tutto".

Diana non aveva molta voglia di perdersi in chiacchiere, perciò riassunse in poche righe la giornata, specificando che non c'era stato nulla tra loro, solo conoscenza e osservazioni sul libro.

Chiuse sentendo che Romina doveva esser restata parecchio delusa dalla sua spiegazione. Si lavò ed indossò il pigiama, mettendosi a letto con le cuffie dell'iPod infilate nelle orecchie a godersi la sua playlist epic metal e goth. Nemmeno la musica riuscì a distrarla a lungo dal pensiero di quel bellissimo giorno trascorso Russel. Le balzò davanti la sua espressione e risentì il tono della sua voce che aveva assunto quando parlavano di un'ipotetica "Signora Russel", e in particolare una frase che lo Chef aveva pronunciato le tornò in mente:

Sarebbe disposta a seguirmi davvero ovunque?

«Non mi dispiacerebbe essere io la signora Russel che lo seguirebbe in capo al mondo» susurrò sorridendo e dandosi della sciocca: l'aveva già trovata, aveva anche affermato Russel.

Diana doveva capire che il suo posto era quello, era una scrittrice da quattro soldi, nulla più, lui uno Chef della tv e di certo non ci sarebbe mai stato un futuro.

Si incontravano per lavoro. Marketing... Al massimo poteva nascere solo una bella amicizia.

«Però io lo seguirei in capo al mondo» mormorò.

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Capitolo 6
*** Tutto per un'alborella ***


 

«Tutto il pomeriggio?!» Sbraitarono Jayne e Valeria all'unisono nel bel mezzo del mercato, come se non ci fosse stata anima viva li attorno. Diana fece cenno loro di abbassare la voce, ma ringraziò che il mercato fosse abbastanza affollato ed incasinato da confondere i loro starnazzi.

Quando smisero di parlare ad alta voce, i loro sguardi irrequieti gelarono Diana, senza una via di fuga dalle mille e più domande alle quali pretendevano di sentire una risposta. Placò il loro entusiasmo, raccontando nei minimi dettagli gli argomenti su cui vertì la chiacchierata, sperando di far addormentare un pò le loro fantasie contorte, con un risultato un pò scadente.

«Tutto qui?» Piagnucolò Valeria.

«Vi aspettavate "Cinquanta Sfumature" per caso?».

«"Sapori e Dissapori", è uno Chef» puntualizzò Jayne.

Diana picchiò una mano sulla fronte e la fulminò con un'occhiata mentre le rivolgeva un sorriso a trentadue denti. Ripresero a camminare tra le bancarelle, Diana guardava specialmente quelle che esponevano vestiti, cercando qualcosa di carino da indossare per la serata di gala alla domanica. Le sue amiche si trattennero per un pò, poi Valeria mimò due colpi di tosse affermando tagliente:

«Non ti abbiamo mai vista così interessata ai vestiti».

Si trovò indecisa tra il dire la verità ed il mentire, temendo una nuova reazione esplosiva da parte loro.

«Volevo rinnovare il guardaroba» incalzò.

«Chissà come mai».

«Mi serve un abito da sera nuovo» si decise a confidare. Le guardò, i loro occhi spalancati ardevano di curiosità. Sospirò non potendosi più tirare indietro, confidando alle due dell'invito alla serata. Non esplosero, fortunatamente, in grida disumane, ma in men che non si dica, Diana si ritrovò trascinata dalle due verso il parcheggio e spinta sull'auto di Valeria, che subito balzò alla guida, Jayne salì in parte. Diana si sporse tra i due sedili sbraitando:

«Ma si può sapere dove stiamo andando?»

Jayne si voltò. «Ti serve un abito da sera, hai detto. Noi sappiamo dove trovare qualcosa al caso tuo».

Mettendosi le mani tra i capelli, Diana si abbandonò con la schiena contro il sedile sospirando.

«Lo sapevo che dovevo stare zitta» borbottò fissando il tettuccio dell'auto calda e profumata di cosmetici.

«Hai fatto bene a dircelo, invece! Siamo qui per consigliarti, dovrai essere la più bella e professional».

Ridacchiando tra sé e sé, Diana si sentì fortunata, vedendo che le sue amiche avevano avuto la brillante idea di raggiungere un grande magazzino a buon prezzo, che vendeva abiti di buona qualità. Ancor più fortunata si ritenne ad avere amiche come loro.

Mentre studiava gli indumenti appesi le sentiva discutere perchè Valeria suggeriva un abito corto a fantasia, con sandali alti, Jayne riteneva più adatto qualcosa di lungo a tinta unita con scarpe chiuse, data la stagione.

Diana colse un po' di consigli da una parte e un po' dall'altra per scegliere, e mentre tra loro litigavano lei prese un abito nero lungo fino alle ginocchia con la gonna svasata. Smanicato, un ampio scollo a V davanti e dietro. Scelse un paio di scarpe di vernice con tacco rosse ed indossò il tutto nel camerino. Calzava tutto a pennello, per quanto le due non fossero del tutto d'accordo sulla scelta.

«Borsetta piccola o pochette, dimenticati i soliti zainetti con biro e block notes» puntualizzò Valeria.

«Poi metti un bel ciondolino su quello scollo, orecchini a brillantino ed alza i capelli» aggiunse Jayne.

«Alzarli, dici? Perchè non sciolti?».

«Mostrare il collo risveglia certi appetiti maschili...».

Valeria esplose in una fragorosa risata che risuonò per tutto il negozio. Diana rientrò nel camerino scuotendo il capo, si rivestì con i suoi abiti normali e si diresse alle casse, passando in mezzo alle due che ignorò. Mentre pagava sentì il cellulare emettere un bip.

Porse il denaro alla cassiera e prese il telefonino, leggendo quell'sms che le fece sgranare gli occhi, alla vista del nome del mittente.

Ti ho pensata ieri sera Ci vediamo nello stesso posto alla stessa ora oggi?”.

Diana uscì dal negozio senza aspettare ne il resto ne afferrando la borsa degli acquisti, mantenendo lo sguardo fisso su quel messaggio che lesse e rilesse per più volte con il batticuore. Scrisse per diverse volte una risposta, dove chiedeva se sul serio l'avesse pensata, ma ci rinunciò e cancellò ogni volta. Alla fine non accennò riferimenti a quell'affermazione e rispose solo che andava ancora bene al monumento a undici e mezza.

Si appoggiò al muro e strinse al petto il cellulare con un sospiro, osservando trasognante le nubi. Scosse il capo ridendo: basta! Basta pensieri strani! Rilesse il messaggio: “ti ho pensata”, con annessa un'emotion sorridente.

«Diana, sei cretina?» Strillò Valeria uscendo dal grande magazzino con Jayne, porgendole il resto che non aveva preso ma accorgendosi della sua espressione assorta.

Anche Jayne, che recava tra le mani le borse degli acquisti dell'amica, la studiò analiticamente, muovendo un mano davanti ai suoi occhi, per accertarsi fosse ancora sulla terra.

«Ti senti bene?» Domandò sull'orlo della preoccupazione ma Diana annuì senza guardarle, come fosse caduta in un profondo stato di trance. Notando come stringeva il cellulare, Jayne glielo strappò di mano e lo guardò, Diana non ebbe reazione di nessun tipo, anzi: non le importò nulla se le due, confabulando tra loro, lessero quel messaggio e la guardarono a bocca aperta, esplodendo poi in un sonoro:

«Ti ha pensata!».

Annuì persa, mentre riprendeva il telefonino e la borsa degli acquisti, avviandosi all'auto di Valeria. Jayne, sul sedile davanti, si girò ancora suggerendo a Diana:

«Metti le lenti a contatto alla serata».

Fece un cenno affermativo. In realtà Diana odiava le lenti a contatto perchè le davano fastidio. In altri momenti si sarebbe rifiutata immediatamente di accettare la proposta, ma in quel momento non era abbastanza presente da far polemiche. Veramente l'aveva pensata?

«Gioia bella» la chiamò Valeria. «Ti ha pensata, mi sa che non è solo un rapporto di lavoro questo» ridacchiò.

«Impossibile» ribattè con tono assente, scordandosi dove si trovasse, scordandosi della presenza delle amiche. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dal movimento dell'auto. Le sembrò di sentire la voce di Russel dire così:

Ti ho pensata...

 

Valeria fermò l'auto vicino alla piazza del monumento, augurando a Diana di riuscire ad incontrare lo Chef tra quella calca di gente alle bancarelle del mercato.

Salutando lei e Jayne scese dall'utilitaria e si mescolò alla folla, fermandosi davanti al banchetto allestito di fronte al monumento. Prese il cellulare dalla borsa per guardare l'orario: era in ritardo di dieci minuti e temette che tra tutte quelle persone non riuscisse ad incontrarlo.

Dieci minuti di ritardo, e se se ne fosse già andato?

Con mani tremanti avviò la chiamata e mise accanto all'orecchio il cellulare chiamando Russel. Suonò a vuoto, finchè non scattò la segreteria telefonica in automatico.

Si prese l'unghia del pollice tra i denti, agitata. Ma l'agitazione si sciolse quando lo vide arrivare, facendosi strada tra la gente, mentre mangiava qualcosa che estraeva da un sacchetto di carta.

«We, Dia', ce n'è di gente» osservò quando fu vicino a lei. Tirando un sospiro di sollievo nel vederlo, Diana fece un'alzata di spalle e sorrise:

«Il giovedì è sempre un caos».

Russel le mise un braccio sulle spalle e si fece strada tra le persone affermando: «Cerchiamo un posto più tranquillo. Scusa il ritardo, comunque, è stato un problema il parcheggio».

«Tranquillo, Gabrio, ritardo giustificabile» sgranò gli occhi rendendosi conto della sua frase: e se chiamarlo col suo nome fosse stato troppo confidenziale? Magari era meglio usare ancora Russel, per quanto a lui non parve dispiacere. Era il suo nome, in fondo, ma lei ritenne di averlo usato con troppa leggerezza. Schiarì la voce e cambiando argomento chiese: «Che stai mangiando?» Indicò il sacchetto che lo Chef recava in mano.

«Alborelle fritte, bone, ti piacciono?».

«Sì, quelle le adoro» dichiarò lei fiera di aver dimostrato apprezzamento per una pietanza abbastanza grezza. Raggiunsero le panchine all'esterno del parco giochi, affacciato al punto dove il lago mutava in fiume.

Russel guardò la diga in lontananza e le grandi piante acquatiche che crescevano sull'altra sponda prima di porgere il sacchetto a Diana domandando:

«Vuoi?».

Lei accettò, avendo ormai capito che con Russel non si doveva mai rispondere no davanti all'offerta di cibo. Ne afferrò una, ma il sopracciglio alzato dello Chef, che incontrò quando lo guardò, e la sua espressione contrariata, la spinsero ad afferrare più pesciolini fritti.

«Brava. Hai fatto shopping?» Notò la borsa di plastica.

«Sì, mi serviva un vestito».

Russel venne illuminato da un'intuizione e frugò nella tasca dei pantaloni, porgendole un foglio piegato.

«L'invito alla serata di domenica» specificò.

«Oh, ti ringrazio, Gab... ehm... Russel».

«Anche Gabrio va bene, eh».

Quelle alborelle in mano, parvero a Diana un ostacolo insormontabile, all'improvviso: le si chiuse lo stomaco e perse la forza di riuscire a mangiarle, leggendo il foglio dell'invito alla serata. Deglutì sentendo la faccia che iniziava a bruciarle, solo dopo si accorse che Gabrio si era avvicinato un po' di più a lei.

Alzò la testa ed incrociò quel suo sguardo audace, ma nessuno dei due parlò. Russel prese un'alborella dalla mano di Diana e gliela avvicinò alla bocca. Le bastò socchiudere appena le labbra, erano molto piccoli quei pesciolini. Gabrio gliela mise in bocca domandandole mentre masticava:

«Bona, eh?».

«Bona» replicò meccanicamente lei, senza riuscire a frenare quella domanda che le sorse incontrollata sulle labbra. «Veramente mi hai pensata?».

«Tanto» ammise senza mezzi termini lo Chef.

«Perchè?» Si disse che una domanda più stupida non poteva farla, ma Russel non parve curarsi della banalità di quel quesito, limitandosi a prenderle il mento con la mano, sfiorandole il labbro inferiore con il pollice. Una traccia di olio alla fragola rimase sulla sua pelle.

«Te l'ho detto che hai due occhi in cui ce se perde» leccò via la traccia di olio per le labbra dal pollice senza mai smettere di fissarla. Diana sentì il ventre basso contorcersi e deglutì, cercando altro da guardare per sfuggire dallo sguardo di Russel, senza avere successo, arrendendosi all'unica cosa da fare: continuare a tener testa a quelle occhiate.

Russel disse: «Bocca de fragole».

«Strana accoppiata di sapore con le alborelle fritte» puntualizzò Diana in un filo di voce, sentendosi leggermente accaldata.

«Magari si può trovare un punto d'incontro tra i due sapori» si raddrizzò mettendosi composto sulla panca, riflettendo su quella faccenda. Diana ricordò come si respirasse solo allora, mettendosi anche lei seduta diritta, con lo sguardo perso di fronte a sé, alle ondine del fiume che correva oltre il parapetto del lungolago. Tentò mentalmente di imporre al cuore di calmarsi

Possibile che bastasse sempre così poco ad emozionarla? Aveva scritto tanto di streghe e sciamani, ma nonostante le documentazioni e le ricerche non aveva imparato nulla. Per praticare la magia, lo sciamanesimo, aveva letto quanto l'autocontrollo fosse essenziale e ne aveva scritto alcune descrizioni. Le sue protagoniste fantasy, che quasi sempre rappresentavano sé stessa, erano di una sobrietà ed una professionalità stregale incredibile.

Già...

Nei libri era una vera eroina, ma nella realtà non riusciva neppure a tenere testa agli occhi dello Chef, nemmeno fosse stato davvero il sadico che le aveva erroneamente messo in testa Romina.

Osservò il suo quaderno per gli appunti che stringeva con tanta devozione sulle gambe, traendo un sospiro agitato. Quella poca fiducia, che le sue trilogie fantasy le avevano fatto acquisire, la abbandonò all'improvviso.

«Ti sto facendo perder tempo, Gabrio» azzardò.

«Ma che dici? Assolutamente no».

«Non so cosa chiederti per redigere il libro».

«Va be', ma trascorrere tempo insieme non è una perdita».

«Mi sento stupida» mormorò massaggiandosi la fronte. Russel le posò una mano sulla spalla.

«Se sei abituata a scrivere di getto, è inutile che mi fai le domande, scrivi quel che ti viene e basta, il permesso te l'ho dato. Non dire che stare insieme è una perdita di tempo, però: ti giuro che ho piacere di stare in tua compagnia, e spero che uscire come comuni esseri umani possa farti venire idee. Io sono a tua disposizione».

«Inconsciamente credo di aver usato il libro come espediente per avvicinarti e parlarti, altrimenti non so come avrei fatto» Diana si voltò a guardare Russel, rendendosi conto che lui già la fissava. Cercò di mandar giù quel groppo alla gola e proseguì: «Come ti han detto anche Jayne e Valeria, sono tua grande fan».

Sorrise: «Lo so».

«Anche se di cucina non me ne intendo» confidò.

Russel pensò, facendosi serio, senza mai smettere di guardare Diana. Imbarazzatissima restò impietrita attendendo di capire a cosa pensasse. Alla fine disse:

«Bisogna partire dalla base, se vuoi scrivere un libro con protagonista me. Ti proporrei di venire all'hotel domani pomeriggio».

«All'hotel Rocca?».

«Sì, fidati della mia idea. Fatti trovare davanti al monumento, passo a prenderti alle due».

Diana accettò, anche se avrebbe voluto fargli più domande, ma come per ogni cosa, il tono di Russel non aveva ammesso repliche. Il velo di mistero che aveva tinto la sua voce aveva diffuso profumo di sorpresa.

 

Romina sgranò gli occhi quando Diana le raccontò di quella strana proposta la sera, seduta davanti allo schermo del laptop in videochiamata con l'amica, che si reggeva il volto con una mano e la fissava a bocca aperta.

Diana fece le spallucce ed occhieggiò il cellulare che vibrava in modo convulso: Jayne e Valeria le scrivevano per avere maggiori spiegazioni ma purtroppo non sapeva cosa rispondere nemmeno lei: pareva che lo Chef volesse sorprenderla. Stranamente anche Romina non stava facendo battute piccanti.

«Non ti ha specificato proprio nulla?» Domandò per l'ennesima volta. Diana gettò il cellulare sul letto per non sentirlo più vibrare: sulla scrivania la vibrazione la faceva spaventare tutte le volte che riceveva un messaggino.

«Niente di niente».

«Ti piacciono le sorprese, sis?» Chiese.

«Se sono positive, direi di sì».

«Vai e non pensare, allora, sono certa che Russel ti sorprenderà piacevolmente. Me lo sentivo che avrebbe collaborato alla grande con te».

Diana le sorrise, ma non accennò minimamente a quegli istanti che si erano fatti piuttosto intimi, a causa di un'alborella fritta: Romina avrebbe pensato chissà cosa.

 

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Capitolo 7
*** Lezione di cucina e scrittura ***


Le amiche avevano consigliato un vestiario abbastanza appariscente e provocante, ma Diana si vergognava: preferì non darla vinta a loro, per le meno quel giorno che non sapeva cosa aspettarsi, era già troppo agitata di suo.

Loro aveva detto shorts, stivali alti e scollatuta, ma Diana si era limitata ad indossare jeans e stivaletti a raso terra, concedendosi solo la maglia di cotone blu scollata. Mentre si pettinava davanti allo specchio seguuitava a studiare proprio quella scollatura Si strinse nelle braccia, notando la riga che si formava tra i due seni, pentendosi di averla indossata, anche se Russel non aveva mai avuto atteggiamenti scorretti.

Mordendosi il labbro prese un foulard azzurro e lo legò al collo, lasciandolo cascare davanti al decolté.

Meglio così! Era meno sconcia!

Intrecciò i capelli in due lunghe treccie e dopo avergli dato una pulita, inforcò i suoi occhiali ad occhio di gatto. Cercò di respirare con regolarità, attaccanosi ad un qualsiasi pensiero, che riuscisse a placare la sua agitazione. Provò ancora a pensare a Russel come l'irrangiungibile chimera televisiva, l'unico pensiero che forse potesse levarle l'entusiasmo, ma Irraggiungibile non era stato dato che lo avrebbe rivisto ancora e l'aveva invitata persino a Roma.

"Ti ho pensata...". Ancora quel messaggio sembrava risuonare nella sua testa, pronunciata da lui.

Se avesse saputo quanto lo pensava lei...

No, era meglio non esporsi così tanto e...

No, non doveva pensare minimamenete alle emozioni. Lei e Russel avrebbero dovuto solo lavorare insieme. Punto!

 

«Come ti è nata la passione per la cucina, se eri rugbista?» Domandò Diana seduta sul sedile accanto a Russel mentre raggiungevano l'albergo.

«Ho smesso presto col Rugby, mi ero praticamente distrutto una gamba. Da ragazzino facevo il lavapiatti in un ristorante, quindi parecchio a contatto della cucina, mi sono appassionato poi ho iniziato a viaggiare e scoprire».

«Incredibile» mormorò Diana, «Sei partito dal mestiere più umile in assoluto in una cucina».

«M'è anche servito a nun appreza' quella disciplina de troppo. L'aiuto cuoco di quel ristorante di Frascati era diventato mio grande amico, poi mio mentore, possiamo definirlo. Ha viaggiato con me, insegnandomi parecchio sull'apprezzare il cibo, e con i viaggi ho appreso molto delle tradizioni in tutto il Mondo».

Diana scrisse appunti sul block notes. «Immagino che tu abbia dovuto farti esperienza nel campo, no?».

«Per gioco, ti dirò. Facevo video ironici di ricette con gli amici, ma ovviamente, per evitare certi infortuni, ho dovuto imparare a maneggiare tutti gli attrezzi da cucina».

«Hai frequentato istituti alberghieri?».

«No, sono finito a lavorare in un ristorante di alto livello, mentendo sulle mie conoscenze. Ho ricevuto delle proposte di lavoro per la mia bravura e la gente vedeva i miei video. Alla fine sono stato ingaggiato per condurre il programma che mi ha reso quel che sono oggi».

Russel parcheggiò l'auto accanto ad altre automobili, alcune delle quali appartenevano allo staff della convention. Invitò Diana ad aspettare mentre scendeva per primo. Girò attorno all'auto, le aprì la portiera e porgendole la mano la aiutò a scendere.

«Vieni, te mostro la mia “stanza dei giochi”» la invitò Russel, seguendo il vialetto che costeggiava il fianco dell'albergo e lo aggirava, svoltando sul retro.

«Hai letto “Cinquanta sfumature”?» Balbettò lei seguendolo.

Russel rispose alzando gli occhi al cielo: doveva essere un sì, con annessa sìlenziosa recensione ad una stella.

«Speriamo sia aperta» esclamò lo Chef a bassa voce afferando la maniglia di una porta quasi invisibile nel muro, dello stesso colore del muro dell'hotel. Si aprì con un rumore metallico e Russel esclamò: «Eh, daje!».

Entrarono in un grande stanzone in penombra, dove i rumori eccheggiavano. Russel avvertì Diana di attendere un istante, mentre lo sentiva allontanarsi, diretto all'altra parte della stanza. Premette degli interruttori e grandi luci al neon illuminarono lunghissimi fornelli, banchi da lavoro, cappe, pensili in acciaio e lavandini. Numerosi coltelli, fochettoni ed altri attrezzi per cucinare costellavano le pareti.

«Caspita» esclamò Diana meravigliata. «Sono stata ancora nelle cucine di un hotel, ma questa è davvero enorme» si guardò attorno, mentre Russel prendeva una valigia rigida da un armadietto e chiedeva.

«Quando sei stata nelle cucine di un albergo?».

Diana si girò per rispondere, in tempo per vederlo togliersi la maglietta, con quel fare rude ed erotico, sfoggiando i numerosi tatuaggi che aveva addosso. La adocchiò con espressione penetrante, mentre lei rimaneva impietrita con le braccia lungo i fianchi. Un sorrisetto beffardo gli si tinse sulle labbra, intanto che afferrava la sua casacca nera e la indossava, legando il grembiule a righe in vita.

«Ehm... dicevo...» si riscosse lei. «Da piccola andavo in vacanza al mare con i miei, ma difficilmente restavo ferma a tavola e mi divertivo a correre in giro per tutto l'hotel».

«Non si dovrebbero violare le sacre ore del pranzo e della cena» la rimproverò Russel afferrando un grosso coltello dalla lama affilata. Diana deglutì quando le si avvicinò con in mano quella lama tagliente e di punto in bianco desiderò strangolare Romina! Desiderò non aver mai sentito quella teoria sul sadismo ed il cannibalismo dei cuochi! Desiderò non aver detto a lui quel particolare sulla sua disobbedienza a tavola! Ridacchiò tesa.

«Ora non lo faccio più, giuro».

«Brava. Ma non siamo qui per parlare e basta, mia cara scrittrice. Voglio farti capire certi concetti che ti verranno utili, anche per la tua professione, non solo per il libro che vuoi fare su di me, ma tutto ciò che scriverai, anche in futuro».

Diana annuì entusiasta, indossando il grembiule che Russel le aveva dato. Lo seguì nella dispensa e nella cella frigorifera, dove rimase in disparte a sfregarsi le braccia. Russel si voltò verso Diana con volto astuto, mostrando un oggetto tondo con le spine che teneva tra le dita.

Commestibile!

«Boni questi».

Diana capì solo dopo di che cosa si trattasse ed, improvvisamente, il freddo della cella divenne nullo, a causa del calore che l'assalì.

«Ricci di mare?» Domandò con tono isterico.

«Li ho mangiati a Bridisi. Vista la puntata?».

«Ehm... ho visto tutti gli episodi del tuo programma di street food», ed ho visto come lecchi i ricci di mare! Pensò senza dir nulla. «Poseidonia, i migliori ricci».

«Brava. Esci fori, va, che si gela».

Diana obbedì, cercando di capire quali ingredienti si fosse procurato Russel, pregando che non fosse intenzionato a cucinare veramente i ricci di mare, magari da mangiare davanti ai suoi occhi. Ipotizzò poi che i concetti che lo Chef voleva farle capire erano legati alle ricette e la cucina.

«Mi fai redigere un ricettario?» Si appoggò con le mani al banco da lavoro della cucina davanti a Russel che rise. Imitò la sua posizione, e rispose con tono sornione:

«L'ho già scritto io quello».

«Lo so, l'ho comperato».

«Se hai schifo delle interiora come pensi riuscirai a cucinare quello che ho elencato lì sopra?».

«Preparerò ma non mangerò».

«E come le capisci lo giuste quantità d'ingredienti?».

«Ingaggierò un assaggiatore».

Tacquero fissandosi in silenzio. Russel afferrò un tagliere e ci puntò il coltello sopra con fare minaccioso. Diana deglutì ma non cambiò posizione:

«Me stai a provoca'?».

«Può darsi» ridacchiò lei per nascondere l'agitazione a cui non sapeva dare un nome, di cui non capiva nemmeno l'origine: la sentiva nella pancia, in gola, nel petto; sentiva gambe e braccia che le tremavano leggermente ma si tratteneva dal liberare completamente i fremiti degli arti. Non capiva che cosa le stesse accadendo, sembrava quasi che lo sguardo di Russel lanciasse qualche incantesimo che la faceva sciogliere, crogiolandosi nel suo imbarazzo e la sua timidezza

«Non ti faccio redigere un ricettario, semplicemente ti lascio guardare quel che faccio. Capirai quanto le nostre due arti siano vicine».

Diana annuì, osservano un vasetto contente un liquido denso e rosso. Chiese: «Sugo?».

«Concentrato di peperone e peperoncino».

Con espressione leggermente disgustata, schioccando la lingua, la ragazza adocchiò Russel affermando: «Qualsiasi cosa tu stia facendo non credo la mangerò».

«Perchè no?».

«Da piccola odiavo i peperoni e mai li mangerò».

«Diana, le esperienze passate non contano, devi lasciarti guidare dai sensi, nel qui ed ora, hai mai letto un libro due volte, che in passato hai odiato ma rileggendolo attualmente ti è piaciuto?».

«Uhm... "Il richiamo della foresta". Lo lessi a dieci anni e mi annoiò. L'ho ripreso di recente e ne ho colto meglio i significati. E mi è piaciuto molto di più».

«Già ti ho detto che se non piace la prima volta, non è detto non piaccia la seconda» puntualizzò lui.

Reggendosi il volto con entrambe le mani, Diana studiò i gesti di Russel con attenzione, notandolo decisamente disinvolto. Al di là del fatto che lei sapesse cucinare solo piatti base, non le sarebbe dispiaciuto avere quella confidenza con cibo, coltelli e fornelli. Invece doveva accontentarsi di notare quanto fosse lui ad avere una grande manualità. Notò come tenesse le dita tratte verso l'interno per non tagliarsi, come maneggiasse con destrezza il coltello, tranquillo e rilassato.

Studiò le sua mani, accorgendosi di un particolare.

«Ti ho seguito tanto in televisione, ma solo ora mi rendo conto che sei mancino».

Sorridendo, Russel la sbirciò con un volto alquanto attraente, Diana resistette all'impulso di avvicinarsi e baciarlo, la distanza che li separava non era poi molta.

Baciarlo? Che idee le venivano?

«'A mano d'er Diavolo» commentò lui. «Quando er Diavolo t'accarezza vole l'anima...»

«Cos'è quel tono minaccioso?» Lo stuzzicò perfida. «Io non sono mai stata toccata dal Demonio» rise.

A quel punto, Russel posò il coltello che stava usando per triturare il prezzemolo e sfiorò il volto di Diana che raggelò, perdendo un battito.

«Mo sei stata toccata» dichiarò.

Diana socchiuse gli occhi tesa. «Vuoi la mia anima?».

Ridendo Russel girò attorno al banco e si avvicinò a lei sussurrandole: «Prima c'è altro da fare» tolse il grembiule. «Te fidi de Russel?».

Cosa vuole fare? Si domandò preoccupata annuendo. «Certo che mi fido, non dovrei?».

«Non sei sicura a dirlo» la schernì passandole accanto, prese una sedia e l'avvicinò, invitandola a sedere. Lei eseguì, Russel si mosse alle sue spalle, accarezzando una delle sue treccie e le coprì gli occhi con il grembiule arrotolato. Non disse nulla, ma il suo respiro si fece affannato ed irregolare, mentre mordeva il labbro. Russel disse ancora: «Placate! Non ti succederà nulla». Tolse una pentola dal forno e la scoperchiò. Un intenso odore di peperoni e peperoncino inondò le narici di Diana, mescolato a quello di carne in umido.

«Spezzatino?» Azzardò con voce tremante.

«No» rispose Russel afferrando un mestolo.

Diana scuotendo il capo polemizzò: «Se mi fai mangiare cose strane guai a te, sai? Robe tipo interiora, fegati cuori o trachee...».

«Robe de magna'».

«Ma sono parti strane... la trachea, ti rendi conto?».

«Dia'» la interruppe. «Non devi pensare a quel che ha dentro un piatto, anche se non lo conosci, e non devi immaginare il sapore, scoprilo e basta».

Diana deglutì, mentre Russel le avvicinava il mestolo alle labbra. Si fece coraggio ed aprì la bocca mangiando quell'intingolo strano e quel boccone di carne, che masticò esitante all'inizio, poi quasi con passione.

«Oddio,che buona».

«Era la tua adorata trachea» ironizzò lo Chef ridacchiando e levandole il grembiule dagli occhi. Diana sbirciò dentro la pentola quello strano intingolo rossastro, interrogando in silenzio Russel. «Zuppa forte de Napoli».

«Non credevo fosse così buona».

«Diana, la cucina è come un libro dalla trama misteriosa: la leggi, non capisci e ciò ti spinge a comperare e leggere quel testo. Oppure, ti capita di avere in mente un racconto che inizi a scrivere, puoi sapere il soggetto, ma non immaginerai mai dall'inizio le parole che scriverai».

«Sì, è vero».

«Non focalizzare gli ingredienti, assaggia e basta. Non pensare alle parole che vuoi usare, per fare un romanzo su di me: butta giù quel che hai in mente, libera, a caso».

«Miravo a dei termini del gergo culinario».

«Tu sei scrittrice, non cuoca» le strizzò l'occhio. «Crea e basta, liberati da eventuali schemi imposti. Vuoi scrivere un libro su di me che sono Chef? E a te chi impone di utilizzare parole che uso io?».

«Nessuno... credo...».

Russel avvolse il grambiule dietro il collo di Diana e la tirò vicina, costringendola ad alzarsi dalla sedia. Il cuore le stava esplodendo nel petto, non riusciva più a sbattere le palpebre, la vista tendeva ad offuscarsi.

«Nessuno» ripetè lui. «Come nessuno ha mai imposto che alborelle fritte e fragole non si possano mescolare tra di loro» la liberò dalla morsa del grembiule ed indietreggiò un passo. Diana ridacchiò con fare isterico, raccogliendosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Trasse un respiro profondo per calmarsi un pò, frugando poi nella sua borsa.

«Sai, Gabrio, credo che questa lezioncina mi sarà di grande aiuto» tolse l'olio per le labbra dalla piccola trousse e lo spalmò. Russel rimase a studiare i suoi movimenti in silenzio, prima di chiedere:

«Olio alla fragola?».

«Sì, il famoso olio per le alborelle» rise.

Alzando un sopracciglio. Lo Chef domandò: «Me lo fai provare?».

Strana richiesta, ammise Diana tra sè e sè. Sapeva che Russel mangiava di tutto, ma arrivare a chiedere di assaggiare un accessorio di make up era la più grande delle assurdità. Con un'alzata di spalle glilo porse puntualizzando:

«Provalo pure, ma sappi che potrebbe venirti mal di pancia».

In tutta risposta, Russel le spostò la mano e la baciò in un modo tanto inaspettato che la vista di Diana si adombrò completamente ed i rumori si azzerarono: non vedeva, pur avendo gli occhi sgranati, non sentì più nulla.

Il bacio di Gabrio non rimase un semplice stampo. Diana chiuse gli occhi e gli cinse il collo con le braccia, spingendosi sulle punte dei piedi, mentre lui la prendeva per i fianchi e la alzava da terra, mettendola seduta sul piano cucina, così da essere circa alla stessa altezza.

Dio, se è un sogno non svegliatemi! Gridò dentro di sè esultando. Non le sembrava vero che stesse baciando proprio Chef Russel! Non le sembrava vero che lo stesso Chef si fosse fatto avanti e l'avesse baciata. Si guardarono quando si separarono, mentre lui, con la sua classica tenebrosa serietà, affermava in merito all'olio per le labbra:

«Bono...».

Gabrio fece un movimento impercettibile, come per avvicinarsi ancora alle labbra di Diana, ma una voce fuori dalla porta della cucina chiamò proprio lui. Fece nascondere Diana dentro un'anta in acciaio della cucina, poco prima che Chef Cannavaro entrasse.

«Che fai qui? Niente pausa?» Chiese con il suo marcato accento napoletano, avvicinandosi.

«Mi stavo allenando» mentì.

Cannavaro soffocò una sonora esclamazione di stupore, notando la padella. Si rivolse a Russel che lo invitò a provare la Zuppa Forte, porgendogli un grande cucchiaio.

«La mia Napoli si sente qui dentro» commentò lo Chef assaggiando e volgendosi a fissare Russel. «Sei romano de Roma ma ci sai fare bene».

«Romano de Frascati» specificò passandosi una mano sulla bocca per levare la traccia di olio per labbra di Diana, cercando di non farsi notare dal collega.

Cannavaro mangiò un'altra cucchiaiata.

«Non capirò mai perchè non hai accettato il contratto per la Gara degli Chefs amatoriali, Gabrio. Anche tu eri partito come amatoriale, o sbaglio?».

«Non sbagli, ma sopportare Crocchio anche per una conduzione televisiva sarebbe stato troppo».

Gli angoli della bocca di Cannavaro s'inarcarono verso l'alto lentamente, prima di lasciarsi andare ad una sonora risata, dando una pacca poderosa sulla spalla a Russel, che trattenne a stento un gemito.

«Non fare tardi, guagliù!» Si raccomandò uscendo dalla cucina. Diana uscì dal suo nascondiglio, guardando Russel timidamente. Lui, massaggiandosi la spalla, la guardò affermando ironicamente:

«L'ex rugbista so' io, ma nessuno batte le pacche di Cannavaro, aoh!».

«Tutti temono i suoi gesti amichevoli, anche in tv». Diana abbassò la testa torcendosi le dita. Mordicchiandosi le labbra si domandò con quale coraggio avesse risposto in modo così disinvolto, dopo il fatto appena successo.

Russel mi ha baciata... Oddio, mi ha baciata...

In un solo istante era accaduto tutto: un momento prima gli stava porgendo l'olio alle fragole ed un momento dopo le loro labbra si erano appiccicate, la pelle del viso era leggermente arrossata dal contatto con la barba di Russel

E il compromettente olio dov'era finito?

Guardò in tutti gli angoli del pavimento e lo individuò, chinandosi a raccoglierlo. Nello stesso momento anche Russel fece lo stesso gesto. Le loro dita si sfiorarono, i loro occhi, di nuovo, si persero gli uni negli altri. I loro respiri cessarono qualche istante.

«Ehm... Gabrio...».

«Annamo va» ridacchiò lo Chef «Sei un tantino confusa, mi sa».

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Capitolo 8
*** La fobia dei coltelli ***


Erano le cinque del pomeriggio e Diana si domandò come avesse fatto il tempo a scorrere così rapidamente in quella cucina. Lei e Russel si erano visti alle due e mezza ed in un batter d'occhio si era già fatto il tramonto. Sospirò sbiciando le mani dello Chef che stringevano il volante, guidando per riportarla a casa, nonostante si fosse offerta di andare a piedi. Russel aveva insistito e non aveva ammesso repliche. Da quando avevano lasciato l'albergo, nessuno dei due aveva più parlato. Diana si sentiva imbarazzata, confusa, ancora incapace di credere a quel che era accaduto, ancora convinta di essere sospesa sul filo che separava sogno e realtà.

E Russel? Lui come si sentiva?

Alzò gli occhi per studiare il suo volto: sembrava sereno, tranquillo, l'ombra di un sorriso appena accennato aleggiava sulle sue labbra. Diana sospirò e si ripetè in testa la solita litania, non poteva funzionare: lei era una scrittrice alle prime armi, lui uno Chef della televisione, per quanto avesse iniziato dalla base, senza neppure la guida di una scuola specializzata sul suo lavoro. Quasi un autodidatta, come lei nella scrittura, con un mentore che era stato un amico ed un semplice aiuto Chef. Lei doveva molto alla sua insegnante d'italiano per aver imparato a scrivere, quindi erano entrambi partiti da un livello basso.

Ma Gabrio Rossato era Chef Russel.

Diana Tosi... era solo Diana Tosi, con le sue mille fantasie ed emozioni legate ad un bacio, che in quell'istante la rendevano tanto piccola accanto a lui e non l'avrebbero certo resa la signora Russel!

Cosa avevano in comune loro due, in fondo, se non che la fantasia e l'odio per la disciplina?

Oh, quel bacio era stato così inaspettato e passionale, ma allo stesso tempo dolce, da esser parso soltanto un sogno.

«Ti senti bene?».

Si riscosse alla domanda di Russel, non potendo evitare di sussultare per via dei pensieri che l'avevano completamente resa assente dal mondo.

«Sì, bene, benone» farfugliò avvampando di colpo.

«Mi sembri un pò pensierosa» evidenziò lui.

«Be', pensavo...», pensava? «Pensavo ai concetti che mi hai trasmesso, alle similitudini tra arti...».

«Al bacio» la stuzzicò Russel.

Diana interruppe di colpo l'elenco di ciò che era stato detto, dei concetti appresi e del ritmo della respirazione. Socchiuse gli occhi abbandonandosi sul sedile dell'auto, presa da uno stato di ansia. Russel le mise la mano sulla sua, quella che teneva abbandonata sul ginocchio.

«Gabrio...» iniziò Diana anticipata da lui.

«Non voglio illuderti, quindi ti giuro che non bacio mai una donna se non ho intenzioni serie» confidò. Diana lo sbirciò appena, prima di tornare a fissare davanti a sè. Continuò schiarendo la voce. «Speravo avessi già capito che mi sei piaciuta dal primo istante».

Le si bloccò il respiro e, come da un lato s'immaginava in piedi a ballare su un cubo, esaltata dalla gioia, dall'altro teneva i piedi a terra domandando: «Perchè?».

«Colpo de fulmine?» Replicò ironico lui.

«Intendevo... perchè ti piaccio? Io non sono niente, non sono famosa, ho un misero conto corrente».

«Ma che discorsi fai?» Russel sembrò alterarsi un tantino, togliendo la mano ed alzò addirittura un pò la voce. «Non ho studiato in accademie prestigiose, adoro il cibo de strada, preferisco una trattoria ad un ristorante di lusso, parlo ner modo più coatto d'Italia e te pare che me 'mporti della tua fama e i tuoi soldi?».

Diana abbassò la testa mortificata. Non era sua intenzione farlo arrabbiare e formulare pensieri così sbagliati.

«Scusami» mormorò.

Mentre guidava, Russel la tirò vicina a sè, facendole appoggiare la testa sulla spalla, giocherellando con una sua treccia. «Me sei piaciuta vedendoti, e conoscendoti me sei piaciuta di più, pecchè se' Diana, non perchè sei scrittrice famosa o attrice mozzafiato».

Non replicò, sorridendo soltanto e stando ad occhi chiusi sulla sua spalla. Arrivare a casa sua non fu difficile per Gabrio, che aveva inserito la via nel navigatore. Guardandolo di sottecchi, quando fermo l'auto nel cortile, Diana disse:

«Immagino che tu abbia fretta di andare, vero? Se t'invito di sopra non vieni...».

Gabrio tacque alcuni istanti serio, prima di sorridere. Diede una rapida occhiata all'orologio del cruscotto,

«Non muore nessuno se ritardo un attimo» ammiccò.

 

Diana aprì la porta dell'appartamento, non trovando nessuno: i genitori non erano a casa. Russel trasse un sospiro affaticato entrando, dopo i tre piani di scale per raggiungere l'abitazione.

«Dodici anni de rugby buttati al vento» borbottò col fiatone, volgendosi a Diana. «Fai sempre tutte ste scale?»

Ripose con un'alzata di spalle, non sapendo cosa dire. Russel guardò e si diresse subito alla cucina che si trovava a destra della porta d'ingresso. Attese un attimo, poi anche Diana lo seguì, notando che si era soffermato a studiare le colline verso la quale dava la porta-finestra.

«Posso offrirti qualcosa?» Gli chiese.

«Sta scialla, Dia'» s'interessò al ceppo di coltelli da cucina della mamma di Diana. Mentre lui li osservava, lei si appoggiò al tavolo, di fronte al fornello. Disse:

«Non capirò mai perchè tutti quei coltelli».

«Perchè ognuno ha la sua funzione» Russel estrasse una grossa lama, le tipiche armi da delitti dei film, pensò Diana mentre lui si voltava con quella spessa lama. S'irrigidì: un breve periodo di lavoro in salumeria, durante il quale si era tagliata spesso, le aveva provocato una certa forbia per i coltelli. Lo Chef si avvicinò, Diana rimase immobile, un terribile silenzio restava sospeso su quella bizzarra situazione, che aveva quel qualcosa di erotico e terrificante.

Che assurdità...

Il fascio di luce che si scontrò con il coltello le fece abbassare la testa. Uno strano fastidio dalle mani si diffuse in lei, quando il dolore dei tagli riaffiorò alla sua mente. La fobia dei coltelli era il suo segreto intimo, una paura causata dal lavoro che aveva svolto, prima di dedicarsi alla scrittura, e vedere quel coltellaccio non le faceva bene. Gabrio le puntò la lama alla gola e le alzò la testa, Diana si accorse che stava sudando e la bocca le si era impastata. Mirò lo Chef negli occhi terrorizzata, mentre lui spiegava tranquillamente:

«Con questo si sfilettano le bistecche».

Perchè Romina aveva esposto la teoria dello Chef Sadico? Si domandò ancora Diana deglutendo, sentendo la punta del coltello sfiorarla.

«Con oggetti simile si può uccidere» disse in un filo di voce.

«Sai quanti hanno usato certi aggeggi per uccidere?».

«Tanti, ma non ho mai sentito di Chef assassini».

Il volto di Russel s'illuminò, tornando sereno e sorridente. Rimise a posto il coltello e Diana percepì un grande sollievo, ascoltandolo tranquilla.

«I cuochi stanno talmente tanto a contatto di certi gioiellini che si rifiuterebbero di ammazzarci qualcuno»

«Uhm» fu il solo commento di Diana.

«Ho notato già all'albergo che hai paura dei coltelli».

«Lievi incidenti sul vecchio lavoro, prima di affermarmi come autrice... ero salumiera» si mise a braccia conserte facendo una pausa. Russel l'ascoltò standole davanti. «Vuoi che fosse un pò la tensione che mettevano i colleghi, la fretta che facevano i clienti, le lamentele, l'inesperienza... mi sono tagliata un sacco di volte, sembravo un'autolesionista».

«E facevi un lavoro non incliene al tuo modo di essere, mi dà l'idea che tu sia molto pacata e riflessiva».

«Odio esser comandata, come odio stare tra clienti» dichiarò sperando di non fare troppo la parte di quella che pretendeva troppo dal mondo del lavoro.

«Ognuno è a sè» affermò semplicemente Russel.

Alzando gli occhi verso di lui, Diana si rese conto che la loro distanza era diminuita ancora di più. Si perse ancora in quegli occhi, sospirando per scacciare i cattivi pensieri e l'ansia, poi gli sorrise amaramente.

«Pensi che io sia una bambina, Russel?».

«No, ho intuito tutto giusto di te: sei una persona molto sensibile, in guerra con il Mondo, che invece di combattere queste guerre, le plasma con la fantasia e ne estrapola delle meraviglie, che non tutti sanno vedere».

«Che bellissimo complimento, Gabrio».

Perchè tutto sembra così ovattato? Le luci si sono attenuate o è una mia sensazione?

Guardò Russel restare zitto, di fronte a sè, vicino, tra di loro un silenzio che non dava tregua alla fantasia di Diana, che creava immagini nitide e precise che però non avrebbe saputo descriverle a parole. Forse a gesti.

È lui diventato così alto, o sono io ad essermi fatta così piccola? Ho perso la cognizione di tempo e spazio.

Russel appoggiò le mani al tavolo, togliendo a Diana ogni minima possibilità di fuggire da lui, un pensiero che aveva davvero dell'assurdo perchè lei non voleva affatto scappare. Le tolse il foulard azzurro, che teneva legato sul collo, scoprendo quella scollatura alla quale Russel non parve dare la stessa importanza che diede alla sua pelle. Si avvicinò al suo collo, inspirò a fondo, prima di iniziare a baciarla lungo la carotide. Diana si trattenne, mentre stringeva lo spigolo del tavolo, ma poi iniziò ad ansimare, colpita esattamente in una delle zone del suo corpo più sensibili, le si accopponò la pelle sentendo le braccia di Gabrio avvolgerle la vita.

Le gambe no! Non devono cedere! Pensò aggrappandosi alle spalle di Russel. Maledetto coltello!

Perchè certi aggeggi infernali, che Diana temeva tanto da alcuni anni, dovevano anche avere quel qualcosa di provocante tra i riflessi di luce nell'acciaio?

Oddio! Devo respirare! Se non si respira si muore... Oh, chi se ne importa? Muoio felice... Sto delirando!

Sì, delirava formulando pensieri sconnessi, neppure era certa di essere ancora viva sulla Terra, faticando a percepire sè stessa, sentendo solo i muscoli tesi delle spalle di Russel sotto le mani. E che spalle, sant'iddio...

La barba di Russel, che sfregava sul suo collo, le provocava inarrestabili brividi di piacere che si arrestarono solo quando le sfuggì un gemito che soffocò con la mano. Gabrio si fermò, osservandola con un'espressione che la stessa Diana non seppe interpretare, sbraitando soltanto dentro di sè:

È eccitato, forse? Occhiata lunguida? Bramosa? Mi vuole veramente? No, no, calmati, niente illusioni.

«Diana...» sussurrò Russel spostandole il ciuffo da davanti al viso. «Cosa sei riuscita a farmi in due giorni?».

«Io? Nulla... credo...» biascicò lei abbassando gli occhi sul suo petto, riuscendo ad immaginare i tribali che aveva tatuato addosso, quasi potesse vedere attraverso la sua maglietta. Tolse la mano che ancora gli teneva appoggiata addosso, intrecciandola con l'altra dietro la schiena ed osservando un punto nel vuoto al suo fianco.

Russel notò solo allora la piuma tatuata sul petto di Diana, all'altezza del cuore. Sorrise tra sè e sè ammettendo:

«Davvero graziosa».

«Ne ho nove piccoli sparsi... uno anche nascosto».

Lo Chef spalancò gli occhi con espressione ironica:

«Sei una ragazzaccia, allora».

Diana rise poi il rumore della chiave che girava nella toppa della porta li fece separare. La madre di Diana entrò squadrando perplessa lei e Russel.

«Diana».

«Ehm... ciao mamma...».

Sperò di non avere la faccia da pervertita, mentre sua madre la studiava, anche se la sua attenzione pareva concentrata più su Russel che la salutò con un:

«Buongiorno, signora».

Puntò un dito su di lui. «Io la conosco, ma non ricordo dove l'ho già vista».

Diana la interruppe con un forte colpo di tosse sibilando:

«Mamma, è Gabrio Rossato... Chef Russel».

«Oh, certo, l'ho vista spesso, Diana la segue tantissimo in tutti i suoi programmi».

«Lo so, infatti abbiamo ingaggiato una collaborazione per scrivere un romanzo insieme» Gabrio sorrise a Diana che arrossendo continuò, rivolta alla madre:

«Ci siamo conosciuti alla convention culinaria all'hotel Rocca di martedì e di cui ti ho parlato. Sai, quella dove sono andata con Jayne e Valeria...».

La mamma annuì mentre Russel, adocchiava l'orologio da parete della cucina imprecando:

«Azz... la convention! Chi lo sente Crocchio?».

«Sbrigati, sei già in ritardo» suggerì Diana accompagndolo fuori casa. Russel salutò la madre di Diana ed uscì, avviandosi lungo la prima gradinata, ma a metà si fermò, tornando indietro da lei, rimasta sul ciglio della scala e la baciò sulla bocca.

«Se vedemo domani» promise scendendo alla svelta. Diana entrò in casa e chiuse la porta, restando con la schiena appoggiata contro. Sopirò, notando solo dopo che la mamma la guardava in modo inquisitore.

«È giovane» osservò. Una leggera irritazione la assalì, percependo il tono premuroso della madre. Sbottò scontrosa:

«Ho vent'anni, mamma» si rinchiuse in camera, gettandosi sul letto ed ignorando la vibrazione del telefono che l'avvertiva di svariate ricezioni di messaggi.

Non aveva nessuna voglia di chiacchiere con le amiche, non accese neppure il computer. Si voltò a pancia in su a fissare il soffitto, sorridendo felice per quella giornata, per le parole che Gabrio le aveva riservato. Si sfiorò la piuma tatuata sul petto e si leccò via quel poco di olio alla fragola rimasto sulle sue labbra, cercando di percepire ancora quelle sensazioni che le avevano accapponato la pelle.

Quanto aveva sognato di parlare con Chef Russel, quando lo aveva seguito in televisione...

Mai si sarebbe aspettata di sentirsi dire certe cose, ma soprattutto, non si era mai illusa di venir baciata proprio da lui, in quel modo tanto passionale.

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Capitolo 9
*** So' venuto a cercarti ***


Romina fissò Diana a bocca aperta, dallo schermo del laptop, e quella stessa reazione l'ebbero anche Jayne e Valeria, al solo pronunciare quella frase ad occhi bassi e rossose sul viso.

"Russel mi ha baciata"

Occhi enormi, da cartone animato, labbra socchiuse, sguardi vuoti e commenti assenti, sospesi durante la fagocitazione di quell'informazione. Nessuna di loro formulò da subito pensieri e Diana pensò fosse meglio così, perchè c'erano già troppe cose nella sua testa che turbinavano senza una logica, indecifrabili. Qualsiasi affermazione una di loro avesse fatto, lei l'avrebbe percepita come linguaggio alieno.

Con Romina parlò in videochat appena si alzò la mattina, e stranamente fu più tranquilla del solito, non fece commenti di natura sessuale. A Jayne e Valeria ne parlò dopo al bar.

«A quanto pare, davvero, non è solo un rapporto di lavoro» osò dire Jayne da dietro la tazza di caffè, sbirciando di sottecchi Diana che tormentava un tovagliolino di carta, mantenendo lo sguardo diritto davanti a sè. Stessa cosa che aveva detto Romina.

«Che emozione» esordì Valeria, «Cioè, Diana, è un tuo idolo e pare si sia preso una cotta per te, quando tu eri già un pò infatuata di lui, si sa».

«Si sa» ripetè Diana.

Anche quelle parole erano simili a quelle di Romina, che l'unica affermazione che aveva fato, con tono un poco più malizioso, era stata:

"Ahhh, la signora Russel...".

Forse aveva visto Diana già abbastanza confusa. Le chiacchierate delle tre amiche vennero interrotte dalla ridicola suoneria del cellulare di Diana, che guardò il diplay illuminandosi in volto; Jayne e Valeria coprirono la bocca con un pugno chiuso, quasi contemporaneamente. Strano che Russel la chiamasse, erano già d'accordo di vedersi .

«Ehi, buongiorno» esclamò Diana rispondendo.

«Ciao Dia', tutto apposto?».

Si allarmò: il tono di Gabrio era stranamente cupo. «Sto bene ma tu... cioè, qualcosa non va? Ti sento strano».

«Eh... oggi non possiamo vederci».

Jayne e Valeria, vedendo impallidire il volto di Diana, si turbarono. Il suo telefonino aveva il volume abbastanza alto ed avevano sentito la risposta, notando che gli occhi dell'amica si fecero improvvisamente lucidi e rossi.

«Perchè no?».

«M'hanno incastrato qui per sistemare alcune faccende della regia» sospirò con fare irritato «Me dispiace, Dia', però abbiamo domani, no?».

«Sì... certo...» ammise esitante.

«Ehi, nun piagne».

«No, tranquillo, Gabrio. È il tuo lavoro».

Il suo lavoro...

Il suo Mondo, anche...

Un Mondo diverso da quello di Diana e lei doveva capirlo. Forse si era illusa troppo presto di poterne far parte.

Davvero troppo presto.

«Allora ci vediamo domani sera?» La riscosse la domanda di Russel. Diana dovette far affidamento a tutta la sua forza di volontà per non piangere davvero, mascherandosi di un falso sorriso che sperava di far avvertire anche a lui, al di là del telefonino. Jayne e Valeria, però, capirono.

«Certamente, l'invito attende» conclue Diana salutando Gabrio. La fine di quella chiamata aveva lasciato un vuoto enorme, un cratere le si era aperto nel petto. Con fare di rimprovero, ancora, si domandò come avesse potuto pensare che lui fosse davvero interesato a lei.

«Diana?» Mormorò Jayne.

Lei guardò prima una poi l'altra. «Ho preteso troppo, questa volta. Era... solo un bacio» non si trattenne oltre e lasciò scivolare le lacrime lungo le guance. Valeria, massaggiandole la spalla, disse:

«Su, Diana, vi vedrete domani».

«E poi?» Singhiozzò. «Dopo domani tornerà tutto come prima, probabilmente si scorderà anche di me ed io dovrò accontentarmi di vederlo in tv».

«Ma se ti aspetta a Roma» contestò Jayne.

Diana scosse il capo, togliendosi gli occhiali per asciugare quelle lacrime che, lei stessa, considerò soltanto da bambina capricciosa. E quello era l'atteggiamento di una "grande scrittrice" di vent'anni?

 

«Preferiresti sentirti un'ottantenne?» Obbiettò Romina quel tardo pomeriggio dallo schermo del computer, seduta con in braccio suo figlio che giocava con le macchinine sulla scrivania.

«No, ma una giovane donna a modo» Diana guardò nell'armadio i vestiti, alla ricerca di qualcosa di carino da indossare quel sabato sera: Valeria l'aveva invitata ad uscire con lei e le sue colleghe di lavoro, per aiutarla a non pensarci.

«Ricorda cosa sei, sis: una scrittrice! Per quelli come noi è bello fare gli adolescenti, a volte, ci si diverte di più. Lasciamo la maturità adulta per altri momenti».

«Questo era un momento adatto, direi» si sedette di peso alla scrivania e con lo specchietto iniziò a truccarsi. «Spero non si sia accorto che stavo per mettermi a gridare e piagnucolare».

«Sei convinta che il suo interesse sia falso?».

«No, sono convinta di essere io una stupida».

Romina storse la bocca, mentre il suo piccolo, prestando attenzione alle macchinine chiedeva: «Mamma, tia Diana male?».

«La zia sta male perchè è innamorata» Romina alzò un sopracciglio. «Ma anche lo zio Russel lo è».

Diana alzò lo sguardo verso di lei, tirandosi erroneamente una riga di matita sulla faccia. L'amica rise mentre il piccolo canticchiava:

«Tio Ruzel! Tio Ruzel!».

«Non insegnare certe cose a tuo figlio» polemizzò pulendosi la rigata nera.

«È piccolo ma non è stupido» ammiccò Romina.

 

Diana salì in macchina con Valeria. Affermò che anche le colleghe erano liete di conoscerla e le aspettavano alla pizzeria di fronte la discoteca che si affacciava sul lago. Si chiamavano Marina e Nicole, ragazze entrambe simpatiche, ma Diana non approfondì molto la loro conoscenza. Interagiva, sorrideva, rispondeva ma senza dilungarsi troppo, si sentiva davvero di pessimo umore.

Non dava la colpa a Russel ma a sè stessa. Quante volte si sarebbe ancora fatta deludere da sè stessa?

Il suo cellulare emise una vibrazione e lesse il messaggio che aveva ricevuto. Il cuore le balzò in gola notando il nome del mittente: "Mi sei mancata oggi".

Leggere il nome "Russel", alla fine di quel breve messaggio, la agitò. Troppo! Non doveva! Non voleva più che le emozioni la sopraffacessero così spietate.

Serietà... professionalità... Maturità!

"Ok..." rispose infilando il cellulare in borsa, senza neppure immaginare quali tempeste avrebbe potuto provocare, quale furia avrebbe richiamato.

 

Russel fissò sconcertato il telefono, dopo averlo sentito vibrare nella tasca del grembiule. Lesse e rilesse più volte a occhi sgranati quella risposta.

Ok... Che razza di messaggio era? Cosa ci capiva da uno stramaledetto ok? Diana era offesa, triste o arrabbiata? Gabrio odiava quelle risposte: ok...

Strinse il telefono fino a farlo scricchiolare. Chef Corona, notandolo teso, lo avvicinò esclamando ironico:

«Non dovresti tenere il telefono con te» ma fondamentalmente, all'esperto maître poco importava: si era solo preoccupato per Gabrio.

«Non posso restare» confidò Russel. Corona inclinò il capo interrogandolo in silenzio. A quel punto, trovandosi alle strette, Russel farfugliò qualcosa per giustificare l'affermazione, pronunciando solo imprecazioni romanesche a bassa voce. Corona ridacchiò affermando:

«Una donna?».

«Ehm...».

Voltando il capo altrove, focalizzando l'attenzione sugli altri cuochi, specialmente su Crocchio, lo Chef Corona incalzò:

«Vai, ti copro io le spalle».

Russel restò perplesso ma alla fine sorrise e sgusciò fuori dalla hall, attraverso una porta secondaria. Riprese il telefono ma stavolta non si limitò a scrivere un messaggio e selezionò il numero di Diana, chiamandola direttamente.

 

Diana era uscita dalla piccola discoteca, e sedeva su una panchina esterna a fissare il lago oscuro, quando la ridicola suoneria attirò di nuovo la sua attenzione. Prese il cellulare, sussultando alla vista del nome che la chiamava.

Calma, sii adulta! Si disse e rispose alla chiamata.

«Sei incazzata» esclamò Russel al telefono.

«No, non lo sono» sì, lo era, ma non con lui.

Russel sentì la musica alta di sottofondo che veniva da dentro la discoteca, avvolto dal silenzio della camera d'hotel dove si era diretto a prendere le chiavi dell'auto. Domandò:

«'Ndo stai, Diana?».

«In giro con la mia amica e le sue colleghe».

«Dove, Diana?!» Tuonò.

Il tono della sua voce la mise sull'attenti, ma non voleva affatto cedere di nuovo al potere delle emozioni. Guardò la discoteca e facendo le spallucce si limitò a dire:

«A giocare a scacchi» si accorse di qualcuno che si era seduto accanto a lei e sbirciando notò trattarsi di un giovanotto.

«A giocare a scacchi? Che vo' di'?» Sbraitò Russel.

«Ti richiamo» concluse Diana riattaccando e porgendo un sorriso al giovane con in mano un drink e che si era seduto accanto a lei.

 

Russel imprecò, dando un pugno alla macchina sul cui tettuccio si appoggiò, reggendosi la fronte con una mano, rendendosi conto di aver perso la testa. Ci aveva scherzato su, ma il colpo di fulmine lo aveva avuto davvero.

Un fascio di luce lo abbagliò: era stato solo un raggio laser della discoteca non lontana dall'albergo. L'occhio gli cadde sui cartelli stradali, la discoteca si chiamava "Scacco al Re".

«A gioca' a scacchi» ripetè, lasciando perdere l'automobile, ignorando la tenuta da Chef da strada ed avviandosi lungo la pista ciclabile che costeggiava il lago, arrivando fuori da quel locale.

 

«Mi sei sembrata un pò nervosa» osservò il giovane seduto accanto a Diana, che rispose con un'alzata di spalle.

«Giornata storta» si limitò a dire.

«Capitano a tutti».

Era un ragazzo affascinante, notò Diana, circa della sua età, capelli neri ed occhi verdi. Un bel giovane, niente da dire, purtroppo il genere di bellezze immacolate che Diana detestava: non aveva un filo di barba e le sopracciglia erano evidentemente state corrette con ceretta.

Ma dove sono finiti i veri uomini? Si chiese con un sospiro. Fissò ancora il telefono domandandosi e avesse fatto bene a ripondere in quel modo al suo idolo. Forse era stata la cosa migliore, per allentare un pò quel rapporto senza futuro, ma era la mente a dirlo, dato che in cuor suo era disperata.

 

Russel superò la fila, trovandosi di fronte il buttafuori che gli sbarrò il passaggio dichiarando:

«C'è una fila da rispettare».

«Non ho tempo per la fila, scusa» tentò di farsi avanti, ma il buttafuori lo bloccò ancora. Lo spirito battagliero da rugbista di Russel fu messo a dura prova, in quell'istante: il buttafuori era più alto e grosso, ma Russel conosceva le tecniche per scappare agli avversari e, soprattutto, per far male.

«La fila» ribadì il buttafuori.

«Senti 'n pò, nun me provoca'. So caro e bono, ma ti ho detto che ho fretta, quindi famme passa'».

Il butta fuori rimase immobile, nemmeno lo degnò di risposta. Il nervoso montò in Gabrio, insieme allo spirito di competizione. Dopo tanti anni credeva di averlo perso e invece...

Si voltò e fece tre passi, ma non e se ne andò, caricando soltanto lo scatto. Si gettò addosso al buttafuori, tra le urla dei clienti e la loro perplessità. Russel lo atterrò, tramortendolo. Ebbe modo di svignarsela prima che intervenissero altri colleghi del malcapitato, confondendosi nella folla e catinellando: «Ah li mortacci tua!».

Tra la gente notò Valeria che ballava in compagnia delle sue colleghe di lavoro e senza esitazioni la afferrò per un polso e la tirò vicina. La ragazza emise un gridolino e fissò Gabrio esterefatta, riconoscendolo nella penombra.

«Chef?» Sbottò.

«Vale', è con te Diana?».

Lei capì dal labiale la domanda, perchè con la musica alta era impossibile sentire le voci. Indicò la porta che dava al cortile esterno. Russel la ringraziò con un gesto. Uscì, individuando Diana che parlava sulla panchina con quel giovane. Si avvicinò lentamente, abbastanza da constatare che i due parlavano soltanto, ma un velo di gelosia calò su di lui, che si fermò alle loro spalle a braccia conserte.

Uno strano sesto senso spinse Diana a voltarsi, sobbalzando sulla panchina e dimenticandosi completamente del giovane che sedeva con lei, non ricordò nemmeno il suo nome, quando lesse quel "Russel" ricamato sulla casacca nera da Chef.

«Gabrio...».

«A giocare a scacchi, eh?» Ribadì lui con voce incrinata su un tono tenebroso, quasi penetrante.

Diana deglutì, pentita dall'atteggiamento avuto al telefono. Più che essersi dimotrata matura lo aveva fatto arrabbiare non poco, temette.

«Ma... la convention?».

Rispose con un'alzata di spalle, avvicinandosi a lei ed il ragazzo che le sedeva in parte. Gabrio gli lanciò un semplice sguardo, senza dire una sola parola. Il giovane si alzò svignandosela. Gabrio diede una carezza a Diana sul viso, facendola arrossire senza batter ciglio, immobile, pietrificata davanti a lui, persa negli oscuri meandri del suo sguardo. Si chinò su di lei, e rispose con le labbra appoggiate alle sue, ancora a quel gusto di fragole:

«So' venuto a cercarti».

«Perchè...?».

Russel la baciò a stampo. «Te l'ho detto» ancora un bacio, «Me sei mancata» e di nuovo uno stampo che si tramutò in un bacio più profondo. Diana avrebbe voluto gridare, ridere, piangere. Gli gettò le braccia al collo, mescolando in sè ogni emozione, gli occhi erano lucidi, ma il sorriso sulle labbra. 

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Capitolo 10
*** Che senso avrebbe scriverlo? ***


Diana non era mai stata il genere di ragazza che seguiva un uomo in una camera d'albergo, dove c'era un invitante letto a due piazze, dopo solo tre giorni che lo conosceva, dopo solo il primo bacio.

Ma Russel faceva l'eccezione!

Con lui sembrava tutto diverso. Con Russel aveva paura ma, allo stesso tempo, invece che fermarla quel timore la spingeva sempre più nell'abbraccio dell'ignoto. Quella paura non bloccava il suo desiderio di buttarsi a capofitto nelle tenebre che forgiavano i suoi occhi.

Via certi penieri! Sciò!

Sedette in silenzio sul bordo del letto, i pugni stretti sulle ginocchia e gli occhi inchiodati su Russel. Ricordò improvvisamente le parole di Stefania: "Non ci vedrei nulla di male se tu scegliessi di scrivere un romanzo rosa, non è il genere a fare uno scrittore”

Con i suoi gesti, le sue semplici movenze, Diana avrebbe potuto riempire pagine e pagina A4 di descrizioni. I loro guardi s'incontrarono.

No, non è il momento di pensare ai libri.

Russel mise la mano sul tappo della bottiglia di birra, senza staccare l'attenzione da Diana. La birra sibilò e lui abbandonò il tappo sulla specchiera della stanza. Diana deglutì sorridendo tesa.

«Come fai senza apribottiglie? Lo hai fatto anche in una puntata...».

«So' 'na forza della natura».

«Hai le mani d'amianto?».

«Solo tecnica» ammiccò porgendo la birra a Diana, che non rifiutò un sorso voracemente, quasi sperasse che i pochi gradi di una “Peroni” la aiutassero ad essere più spigliata.

Mirò alla stanza d'hotel di Russel, aspettandosi più disordine da un tipo che sembrava rude come lui, ma da quell'osservazione capì tanto di lui.

Solo apparenza quei modi rozzi.

Solo un'immagine televisiva, tutta scena.

Mangiava ogni cosa con le mani, rifiutando categoricamente le posate, ma nella sua vita l'ordine, non troppo sottile ma nel giusto, non mancava.

Schiarì la voce ammettendo:

«Sei più ordinato di me».

«Me piace fa' er zozzo in altre occasioni».

A Diana si azzerò la salivazione in una frazione di secondo. «Quali occasioni?».

Prendendole il mento con le dita, Russel le alzò la testa e le sfilò lentamente gli occhiali, indossando la maschera più ardita che lei avesse mai visto.

«Quanno se magna, cosa pensavi?».

«Nulla, nulla!» Farfugliò Diana. A volte quelle occhiate le facevano ipotizzare che Russel potesse schiacciarle la testa come una nocciolina.

«Zozzerie?» La provocò tagliente, con l'espressione mista tra il divertito ed il perfido. Forse c'era anche dell'altro che tentava di restare nascosto dietro quel sorrisetto, ma Russel non si curava affatto di ciò; a differenza di Diana, non gli importava di nascondere quel che provava, quei pensieri che gli frullavano insistentemente in testa.

Quanto pericolosi potevano essere?

Che cosa vuoi farmi, ora?

Non riuscì a pronunciare quelle parole, che restarono bloccate nella sua gola.

Mi serve un miracolo! Sto impazzendo, forse?

Era brama che tingeva quello sguardo tenebroso, perennemente tinto dallo spirito della sfida o incrinato dallo stupore in televisione, ma così lo aveva visto e da tanta gente, incollata allo schermo, sicuramente era stato visto.

Ma Diana sentiva di essere la sola, in quel momento, ad avere il privilegio di vedere quel volto tanto diverso da quello conosciuto dall'Italia, quegli occhi carichi di improvviso desiderio, infatuati, leggermente meschini, affascinati da... lei?

«Gabrio...» iniziò a tremare.

Lui si chinò più vicino al suo viso arrossato dalla vergogna, per incontrare quelle iridi indaco, prendendole il capo tra le mani. Per lei sarebbe stato impossibile guardare altrove.

«Sei la prima che mi sta facendo sperimentare cosa sia il colpo di fulmine, Dia'».

«Perchè?».

«Non c'è perchè! Te vojio dal primo istante! Non so cosa sei riuscita a fare, mi hai stregato, forse».

«Ho... scritto di streghe, ma non sono una strega».

«Magari hai acquisito qualche potere scrivendo... O semplicemente lo sei: scrivendo si fanno magie».

«Anche cucinando si fanno magie».

Ridacchiando Gabrio la fece alzare, tenendola per i fianchi. Diana sentiva di essere ormai schiava di quello sguardo ed a quel punto chiuse gli occhi.

«A cucinare le cose si mangiano, a scrivere le cose rimangono. Saprai meglio di me che la parola scritta possiede un'enorme potere».

Diana annuì senza guardare, rabbrividendo soltanto al tocco di Russel, quando aprì la zip della sua felpa e sfiorò la sua pelle, toccando con tatto leggero la piuma sul suo petto. Le prese una mano e lei tornò a guardare, in tempo per vederlo posarsela sul cuore, mentre scioglieva il grembiule dalla vita. La mise esattamente all'altezza del bottone più alto della casacca nera, occhieggiando in silenzio Diana. Lei si guardò con la felpa aperta, il reggiseno nero di pizzo in bella mostra.

Si rese conto che Russel lo stava guardando, ma non osava allungare le mani. Capì solo che cosa voleva che facesse lei: iniziò a slacciargli i bottoni della casacca.

Diana non ricordava di aver mai fatto l'amore allo stesso livello, ma la situazione era decisamente più eccitante. Slacciò tutti i bottoni ed aprì la casacca, guardò il suo corpo tatuato, forgiato dal faticoso sport che aveva praticato, il suo petto si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del respiro concitato. Aveva quel genere di corpo che Diana adorava, con quella traccia di peluria. Seguì il profilo del suo torace con le mani, facendogli scivolare via la casacca, spingendosi a baciare il suo petto. Russel gettò la testa indietro, tirando forte il respiro per non gemere e nel mentre sfilò la felpa di Diana.

A quel punto Russel si fece più aggressivo: le strinse le natiche con entrambe le mani e la baciò, affondando la lingua nella sua bocca. Una mano la spostò sulla sua schiena per slacciarle il reggiseno, con l'altra le alzò una gamba spingendosi contro con il bacino. Diana mugolò contro le sue labbra, aggrappandosi alle sue spalle, quasi con disperazione, ritrovandosi poi spinta sul letto, Russel salito a cavalcioni sopra di lei le slacciò i jeans ed in un unico movimento glieli tolse con gli slip. Fu istintivo coprirsi il volto: era nuda davanti a lui.

«Diana, sei mia» le prese delicatamente le mani, spostandole, le sussurrò: «Lasciati guardare».

«Gabrio io... io...», non sapeva cosa dire, le mancavano le parole, la logicità dei suoi pensieri era andata completamente a farsi fottere. Le mani di Gabrio frugarono su tutto il suo corpo, superficialmente e più a fondo, ed anche le sue labbra, la sua lingua...

Cosa volevo dire? Gabrio io... Oh, al diavolo! Pensò Diana gemendo, ansimando, stringendo il copriletto con tanta forza da farsi quasi male, ma nemmeno se ne accorse, presa dall'estasi del piacere, un piacere mai provato così intenso, incontrollato e che si spandeva umido sul letto.

Gabrio slacciò i pantaloni, Diana si rese conto di quanto fosse eccitato, nonostante il suo autocontrollo. Penetrò il corpo di Diana lentamente, fino in fondo, avvolgendosi la vita con una gamba di lei, l'altra libera Diana la sfregò sul suo polpaccio tatuato, seguendo il ritmo delle sue spinte, lente e profonde che le provocavano inesorabili orgasmi ai quali era impossibile fuggire.

Il loro ansimare si fondeva in un unico respiro, le loro mani intrecciate, i corpi avvinghiati, quasi fossero stati un unico essere, i loro occhi che si specchiavano a vicenda gli uni negli altri.

Tralasciando le sensazioni fisiche, Diana avrebbe potuto scrivere un intero libro soltanto per parlare delle emozioni che stava provando in quell'istante, sentimenti che viaggiavano sulla stessa lunghezza d'onda, nessuno di loro si contrastava.

Ma perchè scriverlo?

La cosa più bella era vivere quel momento, era sentire quel calore tanto intenso che la colmava come non era mai stata colmata prima da qualcuno. Mai si sarebbe aspettata che una simile beatitudine l'avrebbe provata proprio con Russel, proprio con lui, del quale Diana non faceva altro che pronunciare il nome tra un sospiro e l'altro, con quella sensazione di pienezza che le stava donando.

Non c'era nulla di diverso in quel rapporto, niente di estremo, sadico o pazzo, eppure quel piacere era una cosa del tutto nuova. A che servivano le follie se dipendeva dalla persona che possedeva in quel momento?

A Russel bastava poco per far perdere ogni minimo granello di ragione a Diana. Lo guardava con gli occhi annebbiati e tutto il resto sembrava perdere ogni significato. Come era arrivata fino a quel punto? Dove si trovava prima? Niente! Nulla contava più! C'era solo quel respiro caldo sul volto, quei baci dolci e voraci sulla pelle, le mani di Diana seguivano il profilo della sua schiena, sfiorando l'intricato disegno dei tatuaggi.

Ed in lei, Russel incontrò quell'ardore che mai era riuscito a trovare, al pari delle fiamme della più infernale delle cucine ma, se si fosse scottato allora, non avrebbe avuto l'istinto di allontanarsi. No, sarebbe entrato sempre più a fondo in quel fuoco vivo, acceso, che ansimando chiamava il suo nome. La guardò dall'alto, puntandosi con le braccia, le sue mani stringevano i polsi di Diana con delicata violenza, tanto leggera da sembrare la carezza di un alito di vento tiepido.

Si fermò fissandola intensamente e lei non mise di contorcersi, mordendosi il labbro ad occhi socchiusi. La lasciò fare, mirando in silenzio quel suo modo di mordersi la bocca, leggendo il suo nome sul suo labiale, implorato, bramato. Si chinò a baciare quelle labbra, lasciando che soffiasse i gemiti nella sua bocca, inarcando la schiena verso di lui, quasi volesse fondere il corpo al suo e lui... l'avrebbe accolta senza ripensamenti.

«Oh, Diana,quanto sei bella».

Lei sorrise, voltando il capo con un risolino imbarazzato. La baciò sul collo, il profumo dei suoi capelli lo inebriava al punto da desiderare di non lasciarla più. La strinse a sé, baciò le sue labbra ancora a lungo per poi restare appoggiato alla sua spalla. Diana si sentiva il corpo che fremeva leggermente, mentre fissava il soffitto con la vista ancora annebbiata, il respiro affannato ed un senso di completezza mai testato prima nella sua esistenza.

Certi appagamenti li aveva ricevuti soltanto dai suoi libri, dalla soddisfazione di vedere la sua opera pubblicata e letta dagli altri. Ma quel momento lo volle egoisticamente soltanto per sé, quel benessere che percepiva accanto a lui lo desiderava per sempre soltanto per sé.

Russel le si distese accanto, su un fianco. Anche Diana si sistemò nella stessa posizione, perdendosi ancora nei suoi occhi, in quello sguardo che era capace di dire tutto, senza bisogno di pronunciare una sola sillaba.

«Gabrio...»

«Verrai a Roma?».

«Certo che verrò, fosse l'ultima cosa che faccio».

Le sorrise spostandole i capelli dietro l'orecchio. Un altro brivido la scosse al contatto delle sue mani. Russel rimase a studiare curiosamente lo strano tatuaggio che Diana aveva sulla natica, glielo sfiorò, ricordando il volto di un animale, forse un felino, ma tracciato in arte tribale era difficile distinguerlo.

«Un gatto?» Chiese.

«Il mio guardiano spirituale» ammiccò.

Ridacchiando Russel asserì: «Non hai solo scritto di sciamani, qualcosa me fa pensare che te senti un po' sciamana, o sbaglio?».

Sorridendo Diana si accucciò più stretta a lui, che l'accolse tra le braccia. In un mormorio affermò: «Un po' sono magica, ma ora mi limito ad essere l'amante dello Chef...».

«Solo amante?».

Lo sbirciò perplessa, sul punto di chiedere il perchè di quell'affermazione ma non ebbe modo di farlo: Russel la baciò ancora, trascinandola di nuovo in un vortice di emozioni e sensazioni che non avevano né tempo né spazio, come un fantasy ambientato in un regno immaginario ed i protagonisti erano soltanto loro due.

Che senso avrebbe avuto scrivere qualcosa di quegli istanti? La cosa più bella era viverli senza pensieri, senza alcun motivo di pentirsi. 

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Capitolo 11
*** La prima bozza ***


«Allora, come vi sembro?». Domandò Diana girando su sè stessa, davanti agli guardi ammagoliati di Jayne e Valeria, che mimarono degli applausi da affollata platea.

«Non davo fiducia a quel vestito, al momento, ma rivederti ora mi fa cambiare idea» confidò Valeria annuendo tra sé e sé.

«La mia sis è meravigliosa!» Anche Romina era virtualmente lì con Diana e le amiche: attraverso la videochat di Facebook guardava e parlava. Quel pomeriggio si erano riunite tutte a casa sua, non avendo nulla da fare: Valeria non lavorava e non aveva affatto voglia di andare ad assistere alla partita di calcio del fidanzato, lo avrebbe visto la sera tranquillamente. Il marito di Jayne era ad un battesimo al quale lei si era rifiutata di partecipare. I genitori di Diana erano fuori porta.

Diana aveva indossato il suo nuovo abito da sera, dopo aver appostato il computer sul tavolo, così da ricevere da tutte e tre le amiche un'opinione.

«Abito nero e scarpe rosse sono il top» puntualizzò Jayne spingendo Diana seduta tra le grinfie sue e di Valeria, di fronte al laptop e agli occhi da lupa di Romina, che si teneva il viso con entrambe le mani. Le due si misero a spazzolare a ciocche i lunghi capelli di Diana, raccogliendole una ad una con delle forcine decorate con strass.

«Non tirate tante! Ho la faccia troppo tonda».

Romina rideva. «Lasciatele cascare qualche ciocca in parte» suggerì.

«Ti pettiniamo come me, al mio matrimonio, con la treccia cascante in laterale» spiegò Jayne.

«Piuttosto, ieri sera quando sei andata via con lui, dove siete andati? Siete scomparsi» intervenne Valeria.

«Mi ha portato a casa lui».

Romina notò subito che il colore del viso di Diana stava mutando e con un sopracciglio alzato si chinò più vicina alla webcam. Notando quel profondo silenzio anche le altre due si fermarono. Jayne mosse una mano davanti al viso di Diana, notandola pietrificata. Scambiò un'occhiata con Valeria, poi entrambe furono attratte dalla risatina malefica di Romina dal pc.

«Sis, cosa è successo?».

«Ehm... siamo stati in albergo da lui».

«Nella sua stanza?» Strillarono all'unisono. Diana strinse le gambe al pensiero della sera precedente e non riuscì a dire subito la verità. Valeria la spronò:

«Cos'è accaduto?».

«Abbiamo... fatto l'amore».

La quiete anticipò la tempesta. Le tre rimasero immobili a bocca aperta, mute inizialmente, per poi lasciarsi andare all'esultanza più sfrenata, riempiendo di mille domande, tipiche da giovani donne, la malcapitata Diana, ormai bordeuax.

Come è stato?”

Lo fa bene?”

Ma è dotato?

Sei venuta?”

Si coprì le orecchie per non infiammarsi di vergogna, strillando anche lei: «Tutto perfetto, proprio tutto! Basta come risposta?».

Fu schernita per tutto il tempo dalle amiche, che la notarono imbarazzatissima e confusa. Romina disse: «La buona notizia non si ferma a questo, eh!».

«E dove va a finire?» Bofonchiò Diana

«Ma ti rendi conto? Hai conosciuto il tuo idolo di Chef, che hai sempre seguito in televisione» prese la parola Valeria che tacque di colpo quando Jayne dichiarò:

«Seguito, conosciuto e scopato». Tre paia di occhi sgranati la fissarono. Aggiunse: «Ti aspetta a Roma».

«A Roma» ripetè fissandosi la french. Alzò la testa verso Romina che la stava ammirando come una futura sposa ammirerebbe un solitario, commentando:

«Sei un sogno, sis».

Jayne la annegò di lacca, ma ancora non era del tutto apposto, mancava il make up. Valeria corresse le sue sopracciglia e, consultandosi tra loro, scelsero il trucco ideale, dopo di che, delicatamente, le misero le tante odiate lenti a contatto.

Romina applaudì e le due si spostarono. Jayne prese lo specchio e lo mise davanti a Diana che si guardò stupita: il trucco leggero, perfetto, e la pettinatura impeccabile, con quell'abito da sera, la facevano sembrare più donna. I suoi occhi parevano splendere senza occhiali. Sorrise ed abbracciò le amiche, soffiando anche un bacio a Romina che ricambiò.

«Siete magiche, ragazze» ammise Diana.

«Questo lo tieni così» Valeria appoggiò nell'incavo delle braccia di Diana un lungo foulard rosso, che lasciò cadere morbido sulla sua schiena.

«E la pochette con le dita della mano unite, se no fa tanto raspa di gallina» continuò Jayne dando ancora una spruzzata di lacca sul suo ciuffo. «Farai un figurone stasera».

Diana non aveva dubbi sull'ottimo lavoro svolto dalle ragazze. Aveva solo timore di scoppiare a piangere davanti a tutti per via dell'arrivederci che avrebbe dovuto scambiarsi con Russel.

È un arrivederci... si ripeteva in continuazione.

 

Russel si guardò la casacca bianca con gli angoli del colletto tricolore, due piccole bandierine italiane, il doppiopetto chiuso da due file di bottoni dorati. Scosse il capo con ironia: non si vedeva proprio nella divisa da Chef bianca. Adocchiò Crocchio che a braccia conserte lo studiava.

Allargò le braccia per farsi vedere, con uno sguardo colmo di ovvietà, quasi a dire: “Ecco. Mi vedi? Faccio il cuoco modello”, ma non parlò.

Crocchio si avviò lungo il corridoio, diretto alla hall. Russel lo seguì dopo un po', mettendosi tra lui e Chef Corona nella fila d'accoglienza degli invitati alla serata. Frugò con gli occhi la folla, faticando ad individuare Diana, che non subito riconobbe, data l'eleganza sfrenata di cui la ragazza si era vestita quella sera, niente occhiali, la pettinatura splendida e quel vestiario semplice ma così eccitante.

Si guardarono.

Russel le sarebbe andato incontro e l'avrebbe baciata davanti a tutti, se non fosse stato obbligato a mantenere il rigido rigore di una serata di gala.

Corona lo sbirciò e ridacchiò: «Queste donne».

Stranamente Russel si accorse che anche Crocchio si era lasciato andare ad un sorriso più sereno del normale. Disse:

«Sai, amare è come scrivere un romanzo».

Russel sbirciò Crocchio perplesso da quell'affermazione, così poetica, proprio lui, uno dei colleghi più rigidi che avevano partecipato alla convention. Aveva associato amore e scrittura, doveva aver capito che tra lui e Diana, una scrittrice emergente, era nato qualcosa, ma fece finta di nulla. Crocchio continuò:

«Una volta che rispetti le regole base della scrittura, non esiste una vera e propria disciplina per mettere emozioni nero su bianco».

«Nun te seguo» mentì.

«Gabrio, non sono nato ieri» gli sorrise.

Russel sospirò guardando ancora Diana, che mordicchiava il labbro timidamente.

«Be', m'è successo».

«Anche la cucina, a volte, può essere presa più indisciplinatamente» ammise Crocchio.

«Me scoppia quasi il cuore a sentirte di' così».

«È l'ultima sera e tu sei uno Chef indipendente».

Russel si ritrovò una manata possente data sulla spalla da Chef Cannavaro che ridendo esordì:

«Vai o' soldat 'namurat!»

Spinto dai colleghi Russel si avvicinò a Diana che gli sorrise. Entrambi rimasero a fissarsi in modo contemplativo, dimenticando dove si trovassero, avvolti da quel misterioso silenzio che solo loro udivano. Insomma, Diana precipitò nelle tenebre, Russel si tuffò nel mare dei suoi occhi, e per entrambi non esistette più nulla.

Accarezzando la treccia laterale di Diana, lo Chef affermò:

«Sei di un'eleganza che mi fa quasi paura».

«Anche tu, Gabrio, stai molto bene».

«Ma...?».

«La tua rozza maschera di Chef da strada batte qualsiasi altra apparenza tu possa indossare». Gli porse il block notes che si era portata ed aveva tenuto nascosto dietro la pochette, per non deturpare l'eleganza. Russel alzò un sopracciglio, domandandole silenziosamente cosa significasse il gesto. Lei sorrise: «Mentre mi aspetti a Roma, visiona questa bozza che già ho riportato su computer» ammiccò e lui aprì il quaderno leggendo l'introduzione curioso:

 

Ho conosciuto uno Chef e me ne sono innamorata... Me ne sono innamorata perchè è un tipo che adora le sfide, ma odia stare troppo alle regole. Mi sono innamorata di uno Chef del quale racconterò la sua storia in questo libro, uno Chef che seguirei da Roma a Bankok, che maschera il suo animo dietro le tenebre del suo sguardo. Chi è? Be', lui si chiama Chef Rubio e vederlo in tv non mi bastava più...

 

«Chef Rubio?» Russel occhieggiò perplesso Diana che fece le spallucce, giustificando:

«Dovevo utilizzare un altro nome per copyright».

«E da dove l'hai tirato fuori questo nome?».

«Ho inventato, ma questo è solo l'inizio».

Gabrio sorrise e la prese in braccio, alzandola da terra. La baciò davanti a tutti, gli Chef applaudirono e, a ruota, il resto dei partecipanti. La serata era chiara e limpida sul lago, signore dei quella terra che assistette alla nascita di un nuovo amore, un amore accomunato da due arti tanto diverse quanto simili. Un uomo ed una donna che camminavano su due sentieri diversi, ma il traguardo era sempre lo stesso: cambiare il mondo creando.

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