Il nostro titano

di Arydubhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due persone singolari ***
Capitolo 2: *** La promessa ***
Capitolo 3: *** Negazione ***
Capitolo 4: *** Erwin o l'ammirazione ***
Capitolo 5: *** Petra o La riconoscenza ***
Capitolo 6: *** Realizzazioni ***
Capitolo 7: *** Bugie ***



Capitolo 1
*** Due persone singolari ***


CAPITOLO 1:  DUE PERSONE SINGOLARI

Hanji Zoe era una persona singolare.
Chi l'avesse vista per la prima volta di certo avrebbe pensato fosse pazza, un'opinione che una conoscenza più approfondita non avrebbe fatto altro che confermare. Probabilmente, se non fosse vissuta all'interno di Wall Rose e se l'umanità non fosse stata troppo impegnata a sopravvivere ai giganti per costruire istituti psichiatrici, Hanji sarebbe stata rinchiusa già da un pezzo in uno di questi manicomi.
Di questo Levi era fottutamente sicuro da sempre.

C’erano tante maniera in cui Levi aveva provato nel corso dei giorni, dei mesi e degli anni, a trovare un termine giusto per definire correttamente il capitano Hanji.
Ci aveva riflettuto a lungo, spinto dalla necessità di trovare un insulto non solo bene azzeccato - di quelli che ti stroncano, mettendo a nudo le tue più profonde debolezze o che ti deridono per il tuo essere interiore, esteriore, anteriore e posteriore; ma di quelli supremi, che ti sedano in maniera definitiva, mortificandoti dall’animo alla punta del naso- che nel caso di Hanji spiccava pure con una certa importanza; per tentare, insomma una volta o l’altra di porre freno all’imperversare di quella donna che -alle volte, Levi lo ammetteva- avrebbe tanto voluto abbattere con una botta in testa mentre scorrazzava di qua e di là per la base come una gallina impazzita. Una padellata in testa e forse, magari, si sarebbe fermata una buona volta.
Ma alla fine Levi aveva rinunciato a questa idea dell’insulto personalizzato ad Hanji, realizzando che in primo luogo non sarebbe servito a niente - probabilmente l’avrebbe solo fomentata-; in secondo luogo, in effetti, non riusciva a trovare una definizione onnicomprensiva dell’improbabilità esistenziale della donna.
. Una scoperta difficile da accettare, che aveva lasciato Levi in disappunto nei confronti del proprio lessico, che ora, improvvisamente, scopriva carente proprio in quella disciplina che gli riusciva tanto bene -dopo lo sterminare giganti: l’insulto.
Del resto, non era facile trovare una parola che finisse per avere davvero una connotazione negativa quando il soggetto prendeva l’aggettivo "schizoide" come un complimento.
In definitiva, lasciar perdere era l’unica via quando ti rendevi conto che abbattere un titano era più facile che porre un freno a lei. Così anche la sua inventiva aveva capitolato e Hanji era diventata la "quattrocchi" per eccellenza. Niente di più, niente di meno. Che poi, quello della cecità, non era neppure il peggiore dei suoi difetti - di sicuro era quello che meno tormentava gli altri.


Avete presente quelle persone anonime, capaci di mimetizzarsi perfettamente nella folla? Ecco, Hanji non era assolutamente una di quelle.
Non era per via della sua altezza, sebbene il suo metro e 70 fosse abbastanza per far torcere nella sua direzione lo sguardo di più di qualche ammiratore delle gambe lunghe; non era il suo abbigliamento, visto che a memoria d'uomo -e donna- nessuno ricordava d'averla mai vista con indosso altro rispetto all'anonima divisa della legione esplorativa; non erano i suoi tratti un po' mascolini, che a più di qualcuno, in passato, avevano fatto sorgere qualche dubbio su cosa fosse Hanji Zoe, ancor prima che su chi.
Hanji Zoe aveva un’altra qualità che l'avrebbe fatta riconoscere tra mille persone, anche a un chilometro di distanza.

La voce.


Hanji non parlava con le persone: urlava. Era capace di gridolini talmente acuti da perforare i timpani. E ogni volta che succedeva qualcosa di interessante o divertente o piacevole  o sorprendente Hanji si abbandonava a questi inconsulte e moleste manifestazioni di gioia, senza pensarci due volte.
Ed era quello il punto: Hanji era sempre felice, anzi eccitata ed euforica. La si sarebbe facilmente creduta in preda a qualche farmaco adrenalinico o a qualche droga tagliata male; ma Hanji non aveva bisogno di sostanze chimiche, la sua mente produceva da sé sostanze psicotrope.
Genuinamente, spontaneamente.
Era stupefatta così, Hanji, dalla vita.

Per Hanji era tutto bello e divertente, tutto le strappava un sorriso, una risata. Di quelle roboanti tipiche del suo tono da banditore o da pescivendola del mercato. Probabilmente in una vita passata Hanji doveva averle ricoperte davvero, quelle professioni – aveva concluso un giorno Levi; altrimenti non si sarebbe spiegata l'inveterata costanza con la quale era sempre capace di rompere così tanto col suo fastidiosissimo tono di voce.

Perché fatti due conti non erano solo i gridolini ad essere fastidiosi, ma in generale ogni secondo in cui apriva la bocca era lo strazio per la gente attorno a lei. Hanji era una persona estremamente gioviale, fin troppo, tanto da scadere sovente, quasi costantemente, nell'inopportuno ogniqualvolta si intrometteva in discussioni alle quali nessuno l'aveva invitata. E Hanji un po' perché aveva le orecchie lunghe, un po' perché aveva un tempismo formidabile, riusciva sempre a capitare a tiro quando meno la si sarebbe voluta attorno.

Non solo tendeva a distribuire consigli senza che nessuno l'avesse interpellata al riguardo, ma aveva pure l'irritante propensione a rendere noto a tutti il suo punto di vista, anche quando palesemente alla gente attorno a lei non avrebbe potuto importare di meno. Certe sue affermazioni, poi, avevano un che di memorabile …
Impicciona, ma non per cattiveria, le sue uscite erano forse per talento così spesso fuori luogo. Perchè era capace di sdrammatizzare tutto, Hanji, di trovare un lato positivo di qualunque cosa; per lei la vita non era una questione di “bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto”, a Hanji bastava pensare al bicchiere stesso per sentirsi appagata. Il problema era che spesso pretendeva che anche gli altri, le persone normali, facessero lo stesso.

Anche se, e qui lo si doveva ammettere, spesso Hanji con quei consigli ci azzeccava; perchè tutto si poteva dire di lei ma non che non sapesse usare bene quel cervello quando si trattava di ragionare con senso compiuto.
Solo che spesso, nel suo marsma esistenziale, il limite tra l'essere un proiettile sparato alla cieca e una freccia capace di arrivare al centro del bersaglio si faceva in lei davvero troppo labile. Probabilmente, davvero, in tutto il mondo non era esistito mai un animale sociale come lei, così desideroso di dialogo eppure così inadatto ad esso.


Intavolare un confronto verbale con Hanji era impossibile. Perché semplicemente a parlare era solo Hanji, punto e basta. Dirle “Ciao” equivaleva guadagnarsi un biglietto di sola andata per una sinossi della sua intera vita – o, peggio ancora, delle sue ultime ricerche. Voleva dire spalancare le chiuse della diga di fronte a un fiume in piena, autorizzare una valanga a travolgerti senza avere un riparo, farsi rapire dagli alieni con la consapevolezza di ritornare sulla terra con qualche anno di vita in meno. Nessuno la fermava più.

Hanji non era logorroica: era il non-plus-ultra dell’inarrestabilità linguistica. Lei non chiacchierava, teneva conferenze. E in tutto ciò l’unica cosa che ti poteva venir voglia di fare era morire lì, all’istante, perché sarebbe stato sicuramente meno tediante e più indolore spernersi di colpo, come un aggeggio che si guasta per sovraccarico elettrico. Se Hanji decideva che voleva parlarti c’era una sola cosa che potevi fare: scappare. E alla svelta, inventando qualche scusa -ma verosimile, o se ne sarebbe accorta e ti avrebbe trascinato via con lei lo stesso. Levi se lo era chiesto se bene o male non ci fosse una maniera per usare Hanji stessa come arma di distruzione di massa per i titani, perché sicuramente con gli umani la sua presenza costituiva un fantastico esempio di annichilimento delle personalità altrui. Poi l'aveva vista parlare sul serio con i giganti e a quel punto non aveva più avuto dubbi sul fatto che la donna dovesse avere sul serio qualche rotella fuori posto. Sotto sotto, ancora pensava che Sawney e il suo compare titano che un giorno avevano catturato si sarebbero dati al suicidio durante le sperimentazioni che Hanji aveva predisposto per loro, se solo non fossero stati cautelativamente legati come salami e avessero avuto la possibilità di farlo. Anche perchè farla fuori non era così semplice...era agile, Hanji, agilissima. Il che peraltro era la ragione per cui nemmeno lui ancora era riuscita a darle il benservito una volta per tutte.

Quello che diceva Hanji era interessante, per la carità, ma aveva sempre così tanto da dire…che dopo i primi 10 minuti il tuo cervello disconnetteva e partiva per un viaggio d’esilio per Blablalandia.

Che poi, non era solo un problema di modi, ma anche di contenuti. Praticamente nessuno era in grado di seguire davvero Hanji nei suoi discorsi.

A nemmeno 35 anni Hanji era tutto: ricercatrice, scienziata, combattente e ufficiale della legione esplorativa.
Un prodigio. Una rarità. La persona più intelligente di cui l’umanità poteva fregiarsi almeno quanto Levi era il più forte - sebbene Levi odiasse quel titolo che si era trovato tra capo e collo da un giorno all'altro; ma che quella fosse la cifra dell'eccezionalità di Hanji era semplicemente obbiettivo.
Hanji era sicuramente una di quelle persone situate a cavallo tra il genio e la follia - anche se, secondo Levi, il limite della follia Hanji doveva averlo abbondantemente superato da un pezzo.
Le sue invenzioni tuttavia avevano salvato la pelle a talmente tanti di loro, che, in effetti, a quei suoi neuroni bruciati e completamente svalvolati, prima o poi qualcuno avrebbe dovuto erigere un monumento o quantomeno garantirle un encomio.

Sempre troppo impegnata anche solo per lavarsi, troppo indaffarata per guardare davvero dove metteva i piedi, troppo presa dalle sue ricerche per accorgersi dei suoi commenti inopportuni, troppo incosciente per pensare davvero alla sua incolumità e a volte anche a quella delle persone attorno a lei, troppo desiderosa di essere utile per rendersi conto che, dopo 78 ore sveglia a trangugiare caffè e avere visioni che potevano - forse- salvare il mondo, un po’ di sonno te lo puoi concedere. Hanji, insomma, viveva e pensava in un’altra dimensione, con altri ritmi ed altre esigenze e solo ogni tanto sembrava concedersi di comportarsi da essere umano anche lei.

Hanji era troppo anche nell’essere eccessiva.

Di una cosa, perciò, in buona sostanza, Levi poteva essere sicuro dopo tutti quegli anni passati al suo fianco: non avrebbe mai capito fino in fondo quella donna. Anche se questo non voleva dire che col tempo non avesse imparato a tollerarla...persino apprezzarla. Hanji era certo una persona tutta particolare, ma sicuramente era una delle migliori che avesse incontrato in quello sgangheratissimo esercito. Se c'era qualcuno capace di incarnare il concetto di libertà e tutti quei bei parolini di cui Erwin amava infarcire i suoi discorsi motivazionali sui valori della Legione Esplorativa...quella era Hanji. Lavorare, sfiancarsi per il bene del'umanità. Lei lo faceva, lei ci credeva davvero. Forse per questo riusciva sempre a guardare avanti, piena di ottimismo e vglia di fare, chissà.

Anche in quel momento Levi la stava guardando mentre correva agitata per la base canticchiando e urlando “Titani! Titani!” come avrebbe potuto fare un bambino di fronte alla merenda. La stessa vogliosa eccitazione in viso, gli occhi un luccichio avido, la bocca quasi incurvata dal piacere.

Dietro di lei uno stuolo di sottoposti, Moblit in prima fila, portava oggetti, i più vari e strani, che sicuramente la donna avrebbe utilizzato per i suoi esperimenti. Levi tra sé e sé esclamò “Dio, perché?”  quando ne riconobbe alcuni che la sua mente non poteva che definire inconsulti.

Poco ma sicuro, stava andando a dissezionare l’esemplare che lui stesso aveva portato dentro le mura qualche ora prima.
Vivo. Era stata una faticaccia, ma per fortuna l’operazione era stata ben studiata e addirittura nessuno dei suoi era morto. Strano ma vero, la fortuna ogni tanto arrideva anche alla Legione Esplorativa. Faceva piacere, ogniqualvolta gli capitava l’occasione, poter smentire la nomea di “Legione Suicida”. Faceva piangere, a dirla tutta, e per una volta non di tristezza, ma di gioiosa commozione.

Hanji intanto si era risvegliata come da una specie di trance vedendo il Caporale: lo aveva riconosciuto appoggiato a uno stipite, le braccia conserte, mentre scrutava tutto e tutti dal suo angolo di silenzio e meditazione pacata. In realtà la prima cosa che Hanji aveva notato dell’amico erano stati il suo sguardo truce circondato dalle solite paurose occhiaie infossate e la sua frangia di capelli corvini aperte a finestrella sulla fronte. Di tanto in tanto si divertiva a piazzare una pacca su quella fronte esposta i quattro venti, facendo andare il Caporale su tutte le furie; ma quel giorno la donna aveva intenzione di trattenersi dal metterlo in ridicolo.
Hanji gli aveva sorriso mettendo in mostra tutti i denti, uno sguardo inquietante quanto quello di un titano famelico; aveva poggiato su un tavolo una pila di pergamene e scartoffie e gli si era diretta contro, sempre sorridendo.
Levi per un attimo si era chiesto se non gli convenisse scappare, visto che il volto di lei era illuminato da un’espressione anche più allucinato del solito. Ma si trattenne... Vagamente, aveva idea di cosa stava per dire Hanji…

“Levi, è stata la tua squadra a procurarmi il titano?” C’era entusiasmo nella sua voce.

“E quale sennò? Cosa ti aspettavi, che avessero fatto qualcosa quegli smidollati della Polizia o quegli ubriaconi della Gendarmeria? HA!” Soffiò Levi con noncuranza e malcelato disprezzo verso il mondo di inetti che lo circondava -E’ stato un gioco da matricole per noi della Legione esploratrice!- il che tecnicamente era pure vero, visto che alla spedizione avevano partecipato le nuove reclute e soprattutto il gruppo di Yeger e i suoi amici fricchettoni. E poi non era mai male insultare Gendarmeria e soprattutto Polizia.

Le braccia della donna gli furono addosso prima che potesse aggiungere altro.

“Grazie, Caporale!”

Levi era trasalito, ancora intento com'era per la prontezza con la quale era riuscito a insultare due corpi di guardia in una frase sola. “HANJI, LEVA SUBITO QUELLE LURIDE BRACCIA DAL MIO COLLO O TE LE TAGLIO! E poi PUZZI! Da quant’è che non ti fai una doccia, si può sapere?”

“Ho perso il conto…- fece quella alzando gli occhi al cielo e aggiustandosi gli occhiali, arricciando il naso con fare pensoso, effettivamente chiedendosi da quanto non si lavava, prima di limitarsi a una scrollata di spalle - Oh, be’ poco male! Ai Titani non dà fastidio, l’ho già scoperto la volta scorsa -anzi aiuta persino a mimetizzarsi, sai?” Rispose di tutto punto quella, senza scostarsi di un millimetro, un enorme sorriso stampato in viso. "Se vuoi poso raccontarti..."

“Hanji tu vivi tra le persone prima che tra i titani….E SPOSTA QUELLE BRACCIA O TI MANDO IN CONGEDO PER INSUBORDINAZIONE!”

Sbuffando, Hanji si decise a lasciare andare Levi: “E da quando saresti un mio superiore…collega?- lo canzonò, alzandosi in tutta la sua torreggiante statura per svettare sul giovane uomo davanti a lei –“Anche ad altezza…mi pare che qui siamo sempre gli stessi tappi, nano…” insinuò quella muovendo le mani come a misurare i centimetri di differenza tra loro due, prima di mollargli un piccolo ceffone sulla fronte, là dove la frangia si apriva. Si era ripromessa di non farlo…ma la solita indisponenza di Levi non l’aveva certo aiutata a evitare la tentazione...

“Quattrocchi insolente, torna qui e ti ammazzo!”

Ma Hanji non diede a Levi il tempo di replicare oltre, picchiarla o ucciderla all’istante; sgusciò via dalla sua portata velocemente, le braccia nascoste dietro alla schiena, i palmi uniti in una posa innocente, guadagnando una decente distanza di sicurezza.

“Non credevo che avresti mantenuto la promessa. Ti meriti un rapporto coi fiocchi sulle sperimentazioni che condurrò sul nostro titano” promise all’uomo davanti a lei, facendo l’occhiolino.

Poi fuggì via, gridando ancora un “Grazie, Levi!” che risuonò per tutto il quartier generale, sotto lo sguardo un po’ frastornato di tutti, decisamente confusi da quanto era accaduto e da quanto avevano potuto carpire dalla loro conversazione. Hanji sembrava essere l'unica capace di rompere quell'aurea compostezza di cui il caporale si circondava.

Levi, intanto, sistemandosi il cravattino che quella sconsiderata gli aveva tutto scomposto, non distolse lo sguardo un secondo da Hanji, sperando davvero di poterla incenerire con lo sguardo mentre scompariva. Prima o poi l’avrebbe gettata in una vasca e con la scusa di levarle l’unto di dosso la avrebbe affogata. Lo giurava a sé stesso. Si strinse ancora di più nelle spalle, la contrarietà chiaramente leggibile nel suo labbro incurvato e lo sgardo torvo. Non c’era decisamenteniente che andava in lei, né nel suo modo di agire né di parlare.

“Il nostro titano”…quanto suonava male quella frase?…specie visto che lei era solita chiamare i suoi giganti da sperimentazione “i miei bambini

Si sforzò in tutti i modi di non arrossire di rabbia e imbarazzo. Era inutile sperare che nessuno avesse sentito quelle frasi equivoche.

 “E comunque dovrebbe chiamarmi “Signor Caporale” sempre. Vorrei sapere quando le ho dato il permesso di chiamarmi per nome…” mugugnò tra sé, tra offesa e disappunto.

“Giuro che credevo di averne viste di relazioni strambe in 40 anni della mia vita; ma due piccioncini che si scambiano titani come pegno d’amore …be’ credo che solo voi due potevate esserne capaci!”

Levi si girò a fulminare il proprietario di quella voce che conosceva benissimo. Erwin lo aveva raggiunto alle spalle, un ghigno sghembo sul viso tipico di chi crede di saperla lunga.

“Deve farti ancora male la testa. Io ho solo portato un titano. Fine. Non è successo altro” si limitò a replicare Levi indicando le bende che ancora avvolgevano la ferita sulla nuca di Erwin. Non aveva intenzione di cogliere le provocazioni dell’amico.

“Be’ nessuno ti aveva chiesto di catturarne uno…ma, come dicevo, probabilmente per due persone particolari come voi i fiori sono troppo banali”

“E' semplicemente capitato! Credi davvero che sarei sconsiderato da rischiare la vita mia e dei miei sottoposti per portarle un Titano vivo?”
“In pratica…”

Levi gli gettò un’occhiata adirata. Perché si sentiva colto in fallo?

“Senti… per quanto odi ammetterlo, quella quattrocchi malata di mente sta facendo grandi cose coi suoi esperimenti… a lei serviva un titano…quindi ho pensato che se potevamo riprenderne uno in breve tempo sarebbe stata cosa buona e visto che avevamo una missione già pianificata che poteva essere utile allo scopo…non vedo cosa ci sia da insinuare…fa parte del mio lavoro.”

“Oh be’ io non insinuo nulla. Mi limito, ecco, a puntualizzare. Levi.” Mise particolare enfasi sul nome del Caporale; questi, avrebbe potuto giurare che Erwin avesse aggiunto una nota più alta del normale per imitare la voce di Hanji.

“Le ho detto mille volte di non chiamarmi così – sbottò infine spazientito Levi -ma cosa pretendi da una che dimentica di lavarsi? Che ricordi l’educazione?”

“Alquanto stupido, in effetti. Più o meno come pretendere onestà verso i propri sentimenti da parte di un nano scorbutico e misantropo” concordò quello in tono di finta accondiscendenza prima di lanciare la stoccata finale.

Levi si sentì improvvisamente privato di ogni valida argomentazione con cui controbattere; piuttosto, al posto suo l’aria tutt’attorno sembrò pronunciare all’unisono distintamente la parola “touché”. Rimase perciò lì imbambolato a guardare Erwin, sbattendo le palpebre ritmicamente

Erwin, dal canto suo, fece per andarsene così come era venuto, un ghigno ancora stampato in viso, se possibile ancora più pronunciato di prima.
Esattamente come aveva fatto Hanji.
Levi era furibondo. Perché la gente si divertiva a venirlo a prendere per il culo per poi lasciarlo lì come un pirla ad aspettare il prossimo stronzo che intendesse divertirsi con lui?

Ma Erwin esitò ancora un secondo prima di andarsene e aggiunse “Devo ammettere tuttavia che per quanto tu sia assolutamente incapace di relazionarti col gentil sesso, hai trovato un regalo davvero azzeccato per Hanji. Certo lo apprezzerà più di qualunque comunissimo fiore, che potrebbe anche non piacerle. Senza contare che non si rischia la vita per cogliere una rosa...fiabe a parte.”

“Era per lavoro!” esclamò in tono esasperato Levi, mettendosi a seguire il Comandante, che intanto aveva preso ad avviarsi per il corridoio; stavolta Levi era intenzionato ad avere l’ultima parola. “Non puoi accusarmi di aver agito da sconsiderato. Non lo accetto. Il piano era ben studiato infatti non ci ha rimesso le penne nessuno. E soprattutto aveva uno scopo utile! Non puoi pensare che abbia fatto tutto questo per…Hanji…cioè l’ho fatto per i suoi esperimenti, ma non per farle un piacere…Nel senso sì, le ho fatto un piacere, è che glielo avevo promesso perché sapevo che ne aveva bisogno…Siamo compagni di squadra, no? E finisce lì! Ti pare che io possa…provare per …Hanji...oh, per piacere! Solo una persona malata di mente potrebbe…innamorar…PROVARE qualcosa per una persona…diciamo, singolare come lei...solo uno fuori di testa quanto lei, per non dire pazzo! Spiegami, forza, cosa avremmo in comune noi due a parte il nostro titano???”

Levi realizzò che il suicidio non era una prospettiva così brutta, appena si rese conto di avere usato le stesse esatte parole di Hanji.
 “Il vostro titano?” Il tono di Erwin era estremamente carico di ironia, mentre pescava con cura dalle parole appena usate da Levi. “Cioè ma ti sei sentito? In pratica tu hai seriamente promesso un titano ad Hanji? - Gli mise una mano sulla spalla, mentre Levi cercava, invano, un modo per non sprondare dalla vergogna - Ti do ufficialmente il benvenuto tra i pazzi, Levi...o come li hai definiti? AH, SÌ. I singolari...”.



-----------Author's corner-------------------
Ciao a tutti! Spero che questo primo capitolo vi abbia incuriosito. Non ci saranno molti altri capitoli, ma prometto che succederanno cose ahha.
Trovo la coppia HanjixLevi perfetta; sono due personaggi così diversi che immaginarli interagire tra di loro permette di spaziare in mille e più variabili del disagio. Erwin, se non si fosse capito, in questa ff li shippa di brutto!
Personalmente mi sono divertita molto a scrivere questa cosuccia. Spero sia valso un po' del vostro tempo.
Leggete e , se potete, commentate :D
Ci vediamo nel prossimo capitolo dove Levi ci rivela come...be' lo leggerete nella prossima pubblicazione. Intanto vi lascio il titolo: LA PROMESSA. Del resto questa parola ha aleggiato per tutta la ff...vi meritate la spiegazione di come Levi sia rimasto...incastrato :D

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Capitolo 2
*** La promessa ***


CAPITOLO 2: LA PROMESSA

 

Era successo qualche settimana prima.

Il sole stava tramontando.

Era stata una giornata tranquilla per la media di un soldato di Wall Rose. Specie per uno come Levi, che era Caporale, non una recluta qualunque. In genere succedeva sempre qualcosa, se appartenevi agli alti ranghi. La gente sembrava quasi divertirsi a creare problemi solo per il gusto di venirti cercare, tediare, disturbare. E dovevi essere pronto a qualunque tipo di problema.

Quel giorno no.

Qualche scartoffia, qualche ora di allenamento col ragazzo-titano – più che altro qualche ora passata a ridergli addosso, maltrattarlo e insultarlo, una vera goduria. Incombenze poche e tranquille. Nessun incidente, nessuna preoccupazione.

Non sapeva chi ringraziare per quella specie di benedizione ricevuta.

Mentre si dirigeva ai suoi alloggi attraversando la piazza d’arme, gustava quasi con gioia anche la magra cena che lo attendeva al refettorio; una giornata così piacevole era sufficiente per fargli sembrare tollerabile, persino godibile, l’intruglio che come ogni giovedì sera li attendeva fumando e gorgogliando bollicine -e perché ci fossero quelle bolle era un mistero che si era da tempo ripromesso di non indagare mai;  aveva fatto promettere anche ad Hanji che non avrebbe mai provato a soddisfare quella curiosità- o perlomeno era riuscito a farle giurare che se ci avesse provato, non avrebbe comunque mai messo lui al corrente delle proprie scoperte…

Neanche a farlo apposta, proprio in quel momento, l’aveva vista, Hanji, sul campanile della torre di avvistamento. Guardava fuori dalla finestra, un sorriso sghembo stampato in faccia, lo sguardo trasognato

Tanto per cambiare...

Ma c’era qualcosa di strano…

Aveva i capelli sciolti, una vista che lì per lì aveva lasciato Levi interdetto e stupito. Non credeva di aver mai compreso che i suoi capelli, perennemente tenuti su da una coda di cavallo alta, fossero così lunghi.

Ci aveva messo un attimo a riconoscerla, conciata così.

HANJI?

Aveva stretto gli occhi per aguzzare la vista. Era davvero Hanji. Non aveva neppure gli occhiali…né il marchingegno per la manovra 3D o la divisa…ma era senza dubbio lei

Aveva persino addosso un vestito bianco, piuttosto vaporoso -cosa ci faceva Hanji con addosso quella roba?

E ora si stava sporgendo dalla cima della torre d’avvistamento, simmetricamente appoggiata ai montanti della finestra, in piedi sul ballatoio.

Levi rimase impalato in mezzo alla piazza, continuando a guardarla, interdetto.

Il vestito fluttuava all’aria, segnandole la corporatura snella e facendola apparire ancora più magra e slanciata del solito

Gli sembrava così diversa

Poi fu preso dal panico.

Hanji dondolava. Giocava a lasciare i bordi della finestra, avanzando un pelo nel vuoto a penzoloni e poi li afferrava di nuovo.

Sembrava in procinto di cadere da un momento all’altro.

Che diavolo voleva fare quella, morire schiantata al suolo?

Levi sentì la rabbia montare. Che Hanji fosse pazza, lo sapeva, ma che avesse istinti suicidi…no, a pensarci bene, anche quello lo sapeva. Sennò non si sarebbe spiegata l’incoscienza con la quale si ostinava a mettere a rischio la propria vita coi suoi dannati esperimenti coi titani.

Probabilmente, questa volta, le era semplicemente dato di volta il cervello una volta per tutte.

Deficiente.

Senza che neanche se ne fosse accorto, Levi stava già salendo le scale. Guadagnava la cima della torre a grandi falcate, in testa il solo pensiero di fare presto, prima che fosse troppo tardi.

Incosciente.

Quella mentecatta non aveva trovato di meglio da fare che giocare con la morte?

Troppa grazia per quella giornata, evidentemente…

“La prossima volta che penso a quanto è stata tranquilla la giornata appena passata, voglio che qualcuno mi prenda a sassate” aveva pensato. Ma aveva urlato altro:

“Hanji!”

Si pentì subito di aver parlato.

Arrivandole alle spalle, per un attimo, Levi temette di avere accelerato la morte di quella stupida donna, prendendola alla sprovvista e urlandone il nome senza alcun preavviso. La vide sobbalzare un secondo e lasciare gli stipiti fuori tempo, un passo vacillante nel vuoto; ma quella fortunatamente non era abbastanza sbilanciata in avanti da perdere l’equilibrio e volare di sotto davvero…perlomeno non lo era abbastanza lei, che poteva vantare riflessi ottimi.

Senza emettere un suono, senza neppure scomporsi troppo, Hanji si limitò infatti a riguadagnare una posizione stabile sul ballatoio e si rivolse verso di lui, uno sfarfallio della veste bianca attorno alle caviglie e i capelli ondeggianti al vento. Lo accolse con un grande sorriso.

“Che ci fai qui, Levi? Mi hai quasi spaventata” chiese quella, il tono sbarazzino, l’accento volutamente puntato sul “quasi” strascicato, come se fosse la cosa più naturale del mondo farsi beccare mentre si era appena fatta una enorme cazzata come quella di giocare a vedere chi vinceva tra la gravità e la propria destrezza.

“Spaventata, tu? Mi è preso un colpo quando ti ho vista dalla piazzola d’armi! – la rimproverò lui adirato; stava cercando di farlo passare dalla parte del torto? – Sono salito a vedere cosa diavolo stavi combinando! Si può sapere cosa ci fai, qui, piuttosto?! Vuoi morire buttandoti di sotto?”

“No, pensavo. Ti sei mai chiesto come sarebbe volare?”

La confessione lasciò Levi spiazzato.

Eh?

“Se ancora non te ne sei accorta, genio, schizzare da un tetto all’altro a mezz’aria con il 3D manouvre gear è già abbastanza simile al volare…”

“Sì ma tecnicamente non lo è – rispose quella scuotendo la testa in tono pratico e allargando le braccia come se fossero ali-  Immagina: essere liberi, poter volare nel cielo, lontano, fino al mare. Senza titani che ti inseguono, che ti vogliono mangiare…sarebbe bello.”

Da dove le veniva fuori quella roba?

Levi non sapeva se la cosa più strana fosse sentire lei parlare così…o sentire lei parlare così dopo aver appena captato qualche ora prima un discorso simile da Armin -sì, anche lui e la spasimante dello Jeager erano presenti all’allenamento del ragazzo-titano.

Chi era quella? E che ne aveva fatto di Hanji?

Forse semplicemente Hanji era bipolare e se ne era accorto solo ora. In effetti senza occhiali, con i capelli slegati che le si appiccicavano indisciplinati al viso e la lunga camiciola fin troppo trasparente che le frusciava addosso Hanji sembrava un’altra persona…forse era anche colpa del tramonto che la illuminava circondandola di un’aura dorata…

 Che diavolo stava succedendo alla gente quel giorno?

“Tu che vorresti evitare i titani? Questa mi suona nuova…”

Levi non aveva trovato di meglio da dire. Suonava scortese, e lo sapeva, ma per lui era già una seccatura pensare di aver fatto tutti quei gradini senza motivo, un po’ doveva prendersela con lei.

Per tutta risposta Hanji lasciò cadere le braccia penzoloni lungo i propri fianchi.

“Hai ragione. Sai cosa ti dico? Forse alla lunga sarebbe pure un po’ noioso. Sembra assurdo ma…Sono felice di essere nata in quest’epoca.”

Levi si trattenne dal tirare un sospiro di sollievo.

“Ecco, adesso ti riconosco… questa è una frase che solo tu potresti pronunciare”

“Tranquillo, sono sempre io, sana di mente come al solito!”

Fuori come un balcone al solito, vorrai dire…” la corresse lui.

“Sono punti di vista…! - rimbrottò fingendosi offesa - Non volevo farti spaventare.”

Non erano propriamente scuse, ma sapere di averla fatta sentire in colpa era sufficiente per Levi per sentirsi soddisfatto, ripagato di quello spavento gratuito. Rimasero in silenzio un po’; poi, considerando troppo imbarazzante che l’unico suono che si sentisse fosse quello del vento…

“Secondo te i titani sanno nuotare?” chiese Hanji guardando il Caporale davanti a lei. La voce limpida, la curiosità palpabile, ma anche una nota seriosa.

Levi riconobbe immediatamente il cipiglio che la donna assumeva quando le rotelle del suo cervello si mettevano in funzione. Non era una domanda fatta tanto per…solo per spezzare la tensione. Hanji voleva davvero una risposta.

“Perché? “

“Pensavo che si potrebbero fare dei fossati piuttosto alti con pareti sollevabili attorno alle mura da riempire d’acqua per creare una sorta di piscina entro la quale fare affogare i titani…d’acqua o altra roba che li faccia morire male…” si era nuovamente appoggiata al ripiano della torre, stavolta limitandosi a posare sulla roccia i gomiti, puntellandosi. Gesticolava, mentre descriveva il suo piano.

“Una trappola…- mormorò Levi pensieroso, riflettendo sul piano proposto dalla collega -Ingegnoso, neanche troppo complesso e di veloce realizzazione. Per i 2-3 metri potrebbe funzionare”

“Vero? – aveva esclamato con entusiasmo, poi però il tono di Hanji aveva assunto una nota avvilita -Solo che non so se sanno nuotare o no. E quanto ci mettono a morire per asfissia…” Aveva alzato le mani al cielo in un’espressione di puro sconforto.

Levi non era certo di capire: “Be’ puoi sempre scoprirlo con i tuoi ulteriori esperimenti, no?”

Levi non sapeva di aver appena toccato un tasto volente. Per la precisione IL tasto dolente che le stava facendo fare pensieri più strani del solito.

Quando parlò, la voce di Hanji era un ringhio. “Sì, appena avrò un titano sottomano! Sono mesi che non mi capita di poter portare avanti un esperimento. Uccidere i titani è diventato facile…ma averli sottomano vivi...Il numero degli esperimenti utili che si possono fare con un titano morto sono diventati pochi. Mentre coi titani vivi…Ah - aveva appoggiato il viso scoraggiato tra le mani – ho un quaderno pieno di cose da testare, dubbi da fugare e piani che, se certe mie domande trovassero risposta, potrebbero rivelarsi vitali per la sopravvivenza di Wall Rose…magari addirittura per la ripresa di Wall Maria! E invece…sono bloccata.” Si stava mordendo il labbro. C’era tantissima frustrazione nelle sue parole, la sua voce più alta di un tono -che era già normalmente alto. Hanji era normalmente euforica, pure per cose per cui non avrebbe dovuto. Era così strano vederla…demoralizzata.

“Solo che…cosa posso fare? – aveva ripreso a dire mesta-  Non basta schioccare le dita per avere un titano…né posso chiedere alla gente “Ehi, qualcuno? Posso avere un titano vivo? Possibilmente di tot metri? Grazie! Se me ne procurate due non è che mi lamento, eh…” – normalmente sarebbe stato buffo vederla farsi il verso da sola-  Non sto mandando la gente a fare la spesa…E DA SOLA NON MI LASCIANO ANDARE! NE’ HO IL PERMESSO DI ISTITUIRE UNA SQUADRA SPECIALE PER LO SCOPO!” Hanji tirò un calcio al muro per tentare di fugare un po’ di frustrazione, ma tutto quelle che ottenne fu farsi parecchio male.

Levi la guardò stringersi il piede e imprecare. Se non avesse avuto addosso gli stivali -almeno quelli erano i soliti- probabilmente Hanji avrebbe avuto qualche dito rotto, a quel punto.

Levi non sapeva sinceramente cosa dire. Purtroppo, quello che diceva aveva senso.

“Hanji, per quanto tu sia un prodigio appena sotto il mio livello…non puoi onestamente pensare di poter fare da sola una roba del genere…è troppo pericoloso…”

“Lo so! Ed è questo il problema! - c’era delusione e rabbia nelle sue parole - Non è colpa mia, non è colpa di nessuno se non si può fare…o meglio, è colpa di quegli imbecilli che non mi danno il permesso di organizzare una spedizione SERIA! Ma che ci posso fare? Loro sono quelli alti in grado, non io. Io obbedisco. E capisco anche il loro punto di vista…Di conseguenza non posso neppure prendermela seriamente con qualcuno o qualcosa se non posso svolgere come si deve il mio dovere. Posso solo lavorare sulla teoria e attendere - si concesse un sospiro amareggiato-il problema è: per quanto ancora?”

La vide stringere i pugni con forza, fino a far sbiancare le nocche. Per un attimo Levi temette che la donna si fosse risolta a usare lui come punching-ball per sfogarsi – di sicuro tirare un pugno a lui le avrebbe fatto meno male che continuare a prendersela col muro. Ma quella che arrivò sulla spalla del Caporale fu solo una pacca complice – Troverò un modo; non sono il tipo da darmi per vinta, io. Scusa lo sfogo… e grazie, Levi. Sei l’unico che ha la pazienza di sentirmi descrivere i miei progetti, prima di vedermeli realizzati.”

Sembrava sbollita tutto d’un tratto. O forse si era ammutolita, realizzando di essere troppo turbata perché fosse prudente per lei continuare a parlare – e urlare.

Ripiombò il silenzio tra di loro. Hanji si accoccolò definitivamente alla finestra del campanile, stavolta in una posa più consona, perdendosi con lo sguardo all’orizzonte.

Levi rimase a guardare la donna davanti a lui.

Gli sembrava di vedere solo ora quale peso Hanji portava sulle spalle, di che responsabilità si sentisse investita. Capiva perfettamente le sue ragioni. Non sapeva bene per quale motivo, ma si sentiva anzi pieno di ammirazione nei suoi confronti.

Hanji non stava mollando. Le sue parole potevano suonare piene di demotivazione e rassegnazione. Ma Levi vedeva un luccichio determinato nei suoi profondi occhi color cioccolato.

Anche quello che a prima vista poteva sembrare un attacco isterico, uno sclero da invasata…era un comprensibilissimo momento che la donna si stava prendendo per rivedere le carte che aveva a disposizione. Permessi, poteri, mezzi, idee. Hanji non si stava lamentando col mondo della sua scontentezza e basta. Stava ragionando sul dato di fatto e, certo, maledicendo la sfortuna, si stava impegnando il triplo in attesa che arrivasse per lei il momento di entrare di nuovo in azione. Di essere utile come solo lei sapeva di poter fare e sentiva di dover fare.

Neanche lui poteva esattamente sapere dove si stesse perdendo coi suoi pensieri. Ma nella sua mente la vedeva volteggiare tra i titani come le aveva visto fare mille volte con il 3DMG, parlando con loro, come nessuno mai osava fare come primo approccio, rivolgendogli domande, scusandosi prima di ucciderli, ma senza esitazione alcuna nello sferrare il colpo decisivo quando ce n’era bisogno; nessuno sapeva sgusciare tra le loro dita meglio di lei, che, avendone studiato l’anatomia e il comportamento, sapeva prevederne ogni singolo movimento. Nessuno poteva dire di essere arrivato così tante volte a un passo dalla morte, troppo vicina alle loro mascelle, ai loro denti, alle loro mani e ai loro piedi ed essere però sempre sopravvissuta. Certo Hanji era fortunata -dannatamente fortunata- ma c’era dell’altro. Hanji era fottutamente brava. La danza letale delle spade di Hanji aveva un che di straordinario, condita com’era da uno sprezzo del pericolo e una curiosità sperimentale che non aveva paragoni ancorché eguali. Vederla combattere faceva davvero impressione e anche gli esemplari da lei abbattuti non erano pochi, a livello numerico. E soprattutto tendenzialmente li aveva sempre abbattuti in solitaria. Da questo punto di vista, Hanji sembrava davvero una persona fenomenale.

Suo malgrado però Levi doveva darle ragione: ammazzare titani era facile una volta che ci prendevi la mano – non che diventare veterani fosse facile; ma catturarli vivi era tutta un’altra storia, anche se l’umanità, miracolosamente, ci era già riuscita alcune volte in passato. Ma era stato per puro caso. Non erano mai partiti con l’idea di imprigionarne uno…era semplicemente capitato e quando ciò era successo ne avevano approfittato. Le perdite che erano state necessarie per l’ultima cattura, qualche mese prima, erano state però ingenti – troppo, si era giudicato - e da quel momento i piani alti erano stati costretti a mettere un freno all’ansia di ricerca del capitano Hanji. Il Caporale era stato tra i pochi che si erano opposti a questa decisione; ma né lui né Erwin, quella volta, avevano potuto fare niente. Non erano valse a niente neanche le suppliche di Hanji, che aveva cercato in ogni modo di convincerli che stendere un piano avrebbe potuto evitare che accadessero simili incidenti, che se la gente moriva era perché in genere si decideva all’ultimo di imprigionarne uno senza ucciderlo. Gli alti quadri però avevano definitivamente deciso che nuove catture semplicemente non sarebbero state autorizzate.

Levi ricordava con chiarezza ogni momento di quella dolorosa riunione, avvenuta appena qualche giorno prima. E onestamente credeva che Hanji avesse preso meglio la notizia. Era uscita dalla stanza del quartiere generale con pacatezza, limitandosi a un comprensibile “’Fanculo” seguito da una scollata di spalle e un laconico “Pazienza”. Aveva fatto del suo meglio per non sbattere nemmeno la porta. Per questo né lui né Erwin non si erano preoccupati troppo. Avevano già visto Hanji arrabbiata e una Hanji incazzata era una creatura bestiale capace veramente di fartela fare addosso. Quella porta, se avesse voluto, avrebbe potuto disintegrarla. Ma evidentemente Hanji si era semplicemente costretta a mantenere un contegno. Per non dare loro soddisfazione. Per fargli credere di poterle tarpare le ali, così, semplicemente. Per tutto quel tempo invece Hanji aveva fatto del suo meglio per non dare a vedere a nessuno quanto avrebbe volentieri strozzati tutti i generali…e aveva passato il resto dei giorni seguenti fino ad ora a rimuginare sul da farsi.

Realizzare che Hanji aveva deciso di confidarsi con lui aveva lasciato perciò addosso a Levi una strana sensazione. Era una prova di fiducia importante, di cui il Caporale si sentì improvvisamente grato. Fino a cinque minuti prima avrebbe voluto strozzare la quattrocchi -forse forse addirittura l’avrebbe buttata lui, di sotto, per averlo fatto preoccupare…ma poter condividere con lei qualcosa era una sensazione nuova e, per quanto il turbamento di Hanji fosse un problema effettivo -cosa che in parte, in effetti, giustificava il fatto che lui avesse dovuto salire di corsa 150 gradini-, gli aveva riempito il cuore. Glielo aveva anche appesantito in realtà, ma condivideva volentieri con lei quel peso che, per così tanto tempo, aveva sopportato da sola.

Vedeva in lei una fragilità e al contempo una forza del tutto nuove.

 

Guardò le spalle di Hanji alzarsi e abbassarsi al ritmo del suo respiro, ogni tanto turbato da un sospiro. Gli sembrava tuttavia che un abbozzo di sorriso disteso le si fosse dipinto in volto. Evidentemente neanche lei ce l’aveva più fatta a tenersi tutto dentro. Parlare con lui doveva averle davvero fatto bene e tanto bastava a Levi per sentirsi orgoglioso.

Levi desiderava davvero poterla aiutare in qualche modo, sollevare ancora un po’ quel peso dalle sue spalle. Se lo meritava, dopotutto. Doveva pur esserci qualcosa che poteva fare per lei. Qualcosa di più concreto di snocciolare due parole di conforto -e non era bravo a confortare la gente -o darle un abbraccio – e lui non abbracciava nessuno, che gli saltava in testa?

La osservò ancora un attimo in quella posa concentrata, le sopracciglia leggermente aggrottate, gli occhi socchiusi -da quando aveva ciglia così lunghe? - mentre giochicchiava soprappensiero con le ciocche dei suoi capelli castani -come mai non aveva realizzato prima che i suoi occhi avevano esattamente lo stesso colore dei suoi capelli?

Forse era colpa degli ultimi raggi del sole che moriva all’orizzonte, che irradiava tutto di una luce strana, creando un’aura soffusa tutt’attorno alla sua figura…quasi fosse una di quelle Muse ispiratrici di cui un giorno aveva letto su un libro.

E all’improvviso Levi ebbe un’illuminazione: effettivamente c’era qualcosa che poteva fare.

Fu perciò sicuramente colpa del tramonto se di lì a qualche secondo, di punto in bianco, Levi si trovò a dire: “Te ne porterò uno”

“Eh?” Aveva chiesto Hanji senza capire, spostando appena il mento dalla mano che gli faceva da sostegno.

“Ti porterò un titano. Ti serve per lavorare e noi abbiamo bisogno che tu ci porti risultati”

Hanji lo guardò con gli occhi sgranati.

“Levi, non puoi. Te l’ho detto. Non ti daranno mai il permesso…”

“Non credo di aver mai detto di voler chiedere il permesso. Ho intenzione di farlo e basta.”

Hanji lo guardava allibita. Stava dicendo sul serio? Poi pensò che quello era Levi, quindi non poteva che parlare sul serio.

“Se non ricordo male quegli idioti del consiglio hanno detto testuali parole: “Non ci opporremo all’attuazione di esperimenti qualora capitasse di imprigionarne uno.” Pertanto, direi che non resta che farlo, diciamo…capitare. Sono un caposquadra, del resto, ergo decido io cosa far fare ai miei uomini.”

“Ma è troppo rischioso…!”

Levi la guardò come se le fosse dato di volte al cervello “Direi che il rischio è routine per un membro della legione esplorativa – poi si abbandonò a un ghigno sadico, sfregandosi le mani – non vedo l’ora di raccontare a Jeager come mi servirà fargli fare da esca…”

Ma Hanji non sembrava persuasa. “No, seriamente…apprezzo tantissimo la tua offerta ma…se lo scoprissero al quartier generale finiresti in grossi guai. Già sarebbe pericolosa una missione autorizzata…ma così…rischi davvero troppo, Levi. Tanto più che non mi va di lasciare fare tutto il lavoro a te…”

“Cazzate, Hanji. Per quanto riguarda i capoccia, basta non farglielo sapere. Ho già in mente un piano per ottenere ciò che vogliamo senza destare sospetti…ovviamente sarà una missione segreta all’interno di una spedizione ufficiale…e mi assicurerò di tappare la bocca a chi verrà coinvolto- del resto so essere abbastanza, diciamo, persuasivo quando minaccio le persone di tagliar loro la lingua se solo osano proferire una singola parola a proposito dei miei progetti.”

Hanji guardò Levi per un lungo minuto a bocca aperta. Onestamente, non si era aspettata quella offerta. E, ancora più onestamente, non avrebbe mai osato chiederglielo.

“Io, non so cosa dire – grazie!” l’espressione di Hanji era grata, quasi estatica. Le tremavano persino le mani “Non so come sdebitarmi…”

“Lo faccio perché ne ho voglia. E coinvolgerti prima ci smaschererebbe. Raccogli tutti i dati che puoi una volta che ti avrò portato il gigante; non possiamo sprecare nessuna occasione!” tagliò corto Levi, semplicemente, prima che la riconoscenza di Hanji assumesse qualche forma irrichiesta e bizzarra.

“Signorsì, Caporale!” rispose quella mettendosi sull’attenti. Si scambiarono un sorriso; pure Levi si concesse una smorfia.

Levi ricambiò il saluto, la mano destra sul cuore come tipico del loro corpo d’armata. Un saluto appropriato da Hanji, rispettoso dei gradi…poteva quasi commuoversi – no, non è vero, non ci pensava neanche.

Piuttosto, gli veniva da ridere. In realtà quello che Levi aveva in mente si presentava con un’impresa tanto pericolosa quanto spassosa.

“Penso che sarà divertente costringere quegli smidollati ai portali a far passare un titano oltre le mura” ammise, sciogliendo la posa in un gesto di congedo.

Hanji scoppiò in una fragorosa risata, pensando alla scena: “Oh, sì”.

“Bene, è ora di scendere a cena…- osservò il caporale calcolando a occhio e croce che fossero le sette e mezza a giudicare dalla posizione delle prime stelle ormai visibili in cielo -e non è il caso che tu ti presenti al refettorio così. Non sapevo avessi vestiti femminili…” commentò Levi fingendo noncuranza.

“Ah già, questi - disse lei, toccandosi il camicione – orribile, vero? Temo di aver irrimediabilmente rovinato la mia divisa…sto aspettando che Moblit mi procuri qualche cambio. Questa cosa era di mia madre…ma non mi ci vedo molto. Troppo femminile, appunto”

“Non ti sta male” la rassicurò Levi. Non sapeva perché aveva sentito il bisogno di puntualizzare quell’aspetto. Ma era vero. Vederla vestita da donna era strano, ma non era una vista “orribile”, come l’aveva definita. Del resto Hanji era una donna e con un bel fisico, a voler essere oggettivi.

“Il premio inguardabilità ora come ora lo vince comunque lo scopettino biondo amico dello Jeager” commentò, pensando con disappunto quanto effettivamente la capigliatura di Armin gli rammentasse lo strumento per la pulizia. Per colpa di quella zazzera equivoca più di una volta aveva scambiato quel prototipo di ragazzino mal riuscito con un’altra recluta, tale Christa Lens. Non avevano neppure avuto la decenza di avere una statura troppo diversa, o perlomeno mettersi in due corpi d’armata differenti, quei due.

“Povero Armin! – esclamò Hanji scoppiando a ridere, in testa l’immagine di Levi che usava la testa di Armin per spolverare un mobile – non essere cattivo, so che apprezzi il cervello che quel ragazzo ha sotto la propria capigliatura”
“Mmmmh- mormorò Levi in una specie di assenso -È l’unico motivo per cui non l’ho ancora sbattuto fuori dall’armata ricognitiva. Davvero, mi turba. Decisamente meglio il tuo vestito.”

La risata di Hanji scoppiò ancora più fragorosa. Aveva le lacrime agli occhi.

“Se me lo dice mister eleganza col cravattino che non sono così inguardabile potrei finire per crederci, sai?- ridacchiò Hanji accettando il complimento, poi sembrò illuminarsi a un nuovo assurdo pensiero-…ti immagini combattere i titani conciati così? Watah!” e si mise a saltare e simulare piroette nel mezzo dello svolazzare del camicione.

In pochi secondi Levi poteva dire di aver visto tutto di Hanji sotto qual coso: mutande, addominali, seno. Distolse lo sguardo chiedendosi come poteva Hanji essere così poco accorta quando si trattava di senso del pudore… Ancora non sapeva che per Hanji mettersi di proposito in ridicolo era la strategia normale per nascondere l’imbarazzo, quello vero…e un complimento da parte di Levi era qualcosa di sufficiente per fare arrossire pure lei…e preferiva giustificare quelle guance imporporate col fiatone, che mostrare a Levi qualunque segno di palese turbamento. Hanji era abituata a ricevere complimenti per il suo cervello. Basta. Un po’, in fondo, lei lo capiva Armin.

 “Se non la smetti subito di fare la scema, ti ci butto io fuori dalla finestra davvero” La ammonì Levi per interrompere quell’irrichiesta mostra di grazie, guardando forzatamente da un’altra parte. Lei e la sua manie di sperimentare tutto, maledisse.

Hanji non se lo fece ripetere due volte.

“No no, la smetto, intanto fare qualunque mossa vestita così è scomodo…a questo punto Moblit dovrebbe avermi procurato qualcosa di più decente. – Che giorno è oggi?”

“Giovedì” rispose Levi, contentissimo che avessero cambiato discorso e che Hanji avesse smesso di giocare all’acrobata.

Alla scoperta, quella sembrò sorpresa.

“Ah non è più mercoledì? Ma pensa…devo essermi persa un’alba e un tramonto…”

La nuova rivelazione lasciò Levi sospettoso: “Hanji esattamente da quant’è che non dormi?”

“Credo circa 65 ore…a questo punto”

“Sei pazza! Vai a dormire!” la rimproverò.

“Ma in effetti avrei fame…”

La risposta non sorprese affatto Levi, che scosse la testa incredulo. Quella donna era senza speranza.

“Illuminami: cos’hai mangiato l’ultima volta e quando?”

Hanji esitò pensosa. “Temo di doverlo chiedere a Moblit…ricordo solo tazze di caffè…”

Levi la guardò a bocca aperta. Hanji non aveva davvero speranze.

“Senti, vai in camera. Ti faccio portare io da mangiare. Inventerò qualche balla. Vedrò di farti portare qualcosa di più sostanzioso della solita sbobba”

“Giusto… oggi è giovedì ci sono le r…”

“NON DIRMELO!”

“Scusa”

“Ti giuro che ti porto il titano…basta che non ti fai scappare una sola ulteriore sillaba su cosa ci sia in quella roba”

Era una promessa. Sputata fuori come una battura scema e una velata minaccia. Ma era una promessa. Levi se ne rese conto quando ebbe finito di pronunciare la frase, ma non si sentiva pentito.

Hanji si limitò ad annuire.

“E’ davvero una cosa schifosa…” si limitò a dire mentre metteva il piede sul primo gradino per scendere.

----Author's corner--------

Eccomi di ritorno, gente!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto :D

Non so quanti di voi avevano capito si sarebbe trattato di un flashback...probabilmente tutti, io faccio schifo con le sorprese ahaha

Dunque, in questo capitolo vediamo come Levi ha finto per promettere il gigante a Hanji...in pratica in cambio del silenzio sugli ingredienti sulla sbobba ahahha. No vabbè, scherzo.

Credo che trovarsi impossibilitati a svolgere i propri compiti sia una delle peggiori esperienze che possa capitare a chiunque di dovere affrontare nella propria vita. Mi intrigava l'idea di rappresentare una Hanji che lotta tra l'essere quello che è e ciò che la gente si apetta che sia. E proprio in questa situazione cerca ora di barcamenarsi Hanji, ingabbiata da meccanismi più grandi di lei non per sua colpa e senza poter fare nulla di concreto per cambiare le cose. Un dilemma, un filo del rasoio con il quale Levi si scontra...faticando per rimanere in bilico, senza essere sviato. Galeotto fu il tramonto, potrebbe dire Levi...io non so quanto sia colpa di due colori nel cielo :P

Come al solito pubblico il capitolo quando quello dopo è gia in cantiere e mezzo finito...ergo a voi quache anticipazione: nel prossimo episodio ritornerà il nostro Erwin-voce-della-coscienza che aiuterà Levi a ... be', lo scoprirete. Intanto vi lascio il titolo: AMMIRAZIONE.

Come al solito commenti e critiche sono bene accette :D

p.s. si accettano ipotesi su cosa ci sia dentro alla "sbobba" del refettorio

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Capitolo 3
*** Negazione ***


CAPITOLO 3: NEGAZIONE

“…e più o meno così è come sono andate le cose. Questo è come Hanji si è guadagnata il suo titano” concluse Levi soddisfatto, convinto di aver dato ad Erwin sufficienti prove della sua buona fede nell’aver fatto una promessa del genere a Hanji. 

I due uomini si trovavano nello studio del comandante: Levi appoggiato a una parete, braccia e gambe incrociate; il proprietario della stanza comodamente seduto a una scrivania, il mento retto dalle mani, unite a ponte, i gomiti puntellati sul pianale. Era ormai sera. Dopo quella breve schermaglia mattutina, si erano dati appuntamento per discutere la faccenda con calma e sangue freddo.

Di malavoglia, Levi aveva atteso l'intera giornata per potersi finalmente confrontare col Comandante. Ma non c'era stato verso di incontrarsi prima e la sua unica consolazione era stata quella di avere del tempo per prepararsi un discorso. Il Caporale aveva sentito il bisogno di chiarire al più presto come stessero le cose con Hanji prima che qualche grave fraintendimento finisse per scatenare un putiferio. La situazione con quel titano era del resto già abbastanza incasinata così, senza che nessuno si mettesse a fare illazioni. Non un superiore poi, anche se si trattava di Erwin. .


Anzitutto aveva disobbedito agli ordini, per di più ordini provenienti da piano molto alti, ed era palese che Erwin lo sapesse benissimo- anche se le sue parole lo avevano rassicurato sul fatto che su quel piccolo particolare era più che disposto a glissare; secondariamente Hanji con quella sua boccaccia aveva parlato fin troppo, facendo intendere a i quattro venti “cose” che assolutamente non erano. E delle due, onestamente, a preoccuparlo di più era la seconda questione.


Doveva far capire a Erwin che si trattava di una tipica baracconata della donna, nella quale suo malgrado si era trovato invischiato, ma per il resto, era tutto a posto.


Per questo Levi aveva concluso che raccontare al comandante l’intera vicenda a partire da quella stramaledetta promessa sarebbe stata la cosa migliore. Onesti, lisci, i fatti avrebbero parlato dà sé. Bastava spiegare appunto come era avvenuto tutto. 


Be’ tutto…quasi tutto. 


Levi aveva sorvolato su ogni particolare riguardante il suo stupore nei confronti di quanto fosse quasi guardabile, quella sera, Hanji, su quella torre, nella sua tenuta femminile. Aveva raccontato del giochino con la morte in cui la donna si era intrattenuta per qualche minuto e dello spavento che si era preso lui nel vederla, del turbamento di lei che era uscito allo scoperto, della sua decisione di aiutarla perché gli altri gradi avevano commesso un errore bloccandole la ricerca – un argomento che sapeva trovava Erwin concorde…chiaramente, su tutta la faccenda del tramonto e dei suoi strani effetti collaterali aveva taciuto. E sui pensieri anomali – diciamo pure impuri- che quella sera più volte, inspiegabilmente, Hanji gli aveva ispirato. 


Perché sì, purtroppo era così. Era successo qualcosa, in Hanji, quella sera, che lo aveva lasciato confuso -e tanto. Era come se di punto in bianco si fosse trovato a vedere davanti ai propri occhi una persona diversa, sotto parecchi punti di vista, anche se quella era sempre indubbiamente la solita vecchia Hanji. 
 
O forse qualcosa era successo in lui.
 
Fatto sta che la sua mente aveva cominciato a vagare per inesplorati lidi, salvo poi essere costretta a forza da lui a ritornare ogni volta entro i binari della ragione e della normalità.


Del resto era pur sempre un uomo, sebbene di sani principi morali, qualche pensierino in tal senso verso una donna poteva scappare, specie verso una donna che improvvisamente si rivelava possedere un lato attraente nel senso delle grazie femminili. Era naturale. Prevedibile quasi, scontato. Non troppo scontato, con Hanji, ma insomma… 


Era comprensibile. Ed era una spiegazione che avrebbe dovuto bastargli a decidere che, in fondo, mica volevano dire qualcosa quei pensieri. 


Appunto, avrebbe. 

La realtà era che Levi era il primo ad essere completamente stranito, a posteriori, dagli avvenimenti di quella sera. E se si era stupito nell’avere quei pensieri sul momento, si era stupito ancor più ripensandoci nei giorni successivi. Aveva passato ogni singolo minuto a ripensare alle varie osservazioni inconsuete che si era ritrovato a fare su Hanji, sul suo carattere, sul suo corpo, sul suo ruolo…e sì, aveva comunque trovato il fatto sempre più inspiegabile. E sconcertante. Era sinceramente scioccato al ricordo di quali pensieri gli fossero passati nella testa in quel frangente.
 
La cosa peggiore però era stata che ben presto si era reso conto di come quei pensieri non fossero confinati affatto a quella sera soltanto. Si era anzi ben presto ritrovato a pensare ad Hanji più spesso di quanto avesse voluto - o anche solo immaginato di poter fare fino a qualche giorno prima. Pensieri di questo nuovo tipo, che si vergognava persino di formulare.


Era capitato qualcosa -non si sapeva cosa- e non se ne capacitava. La stessa faccenda del titano che aveva proposto di portarle...giustificabile, per la carità, ma seriamente: che gli era saltato in testa?


Doveva essere stata davvero colpa del tramonto, di quelle luci e dell'atmosfera soffusa; per un attimo lui non era stato più lui e lei non era stata più lei, quasi fossero stati vittima di un incantesimo; così era successo quel che era successo.
 
Che poi però, che mai era successo in fin dei conti? Una promessa, qualche pensierino...neanche quella atmosfera magica aveva potuto più di tanto. perché appunto non c’era nient’altro che poteva accadere. MAI. Non c’era nessuna base.
 
Più che un incantesimo, qualcuno o qualcosa doveva avergli lanciato una fattura. Ma in quanto tale, si era detto, ci doveva pur essere una maniera per spezzare alla svelta quella specie di maledizione. Serviva solo trovarla…Per cercare di ritornare nella giusta prospettiva.
 
Pertanto, ogniqualvolta il suo sguardo l’aveva incrociata e strani pensieri di nuovo gli si erano affacciati alla mente, nei giorni successivi a quegli avvenimenti alla torre Levi si era costretto a puntualizzare tutti i difetti di Hanji. Esacerbarli, ingigantirli. Anche quella mattina Hanji con la sua uscita di ringraziamento per il titano si era appropinquata a lui in una delle sue intense sedute di denigrazione della donna.
 
Ripetersi e ripetersi tutto ciò che in lei non andava. Decisamente un ottimo metodo per finirla con quei pensieri inconsulti, si era detto. E ci aveva provato sul serio. Ma neanche quello era bastato nei giorni precedenti a mettere a tacere la sua mente rivelatasi così fantasiosa, a zittire la propria perplessità. 


Quella mattina, appunto, men che meno…e poi era stato il degenero.
 
La realtà era che Levi dentro di sé poteva cercare di ignorare l’accaduto; ma fondamentalmente il problema restava e soprattutto non accennava ad andarsene dalla sua testa: cosa diavolo gli era preso quella sera? Cosa diavolo gli saltava in testa ora

E il punto era che a ben vedere non era affatto intenzionato a scoprirlo, si diceva. 

“Non so che mi fosse preso. Non capiterà mai più” si era subito rassicurato, deciso, quel giorno, mentre scendevano dalla torre d’avvistamento, tagliando corto, archiviando il caso, cercando di bypassare la questione anzitutto con sé stesso. E così aveva fatto per giorni. Si era ripetuto a più riprese che non era niente, che non c’era nessun “però”, “se”, “ma”, “perché”. Non c’era bisogno di indagare ulteriormente, perché la questione cominciava e finiva lì. Ci stava minimizzare, era proprio d’obbligo.

Perché semplicemente non poteva vedere in lei certe cose. Non voleva


Ecco perchè Levi aveva passato i giorni a chiedersi se, al contrario, fosse a un tratto impazzito, visto che nonostante tutti i suoi sforzi non c’era verso di riuscire ad abbandonare il ricordo di quei pensieri ed evitare di formularne di nuovi, sulla stessa malsana linea; doveva per forza avere sbattuto la testa da qualche parte ed essere affetto da un attacco di amnesia, per questo non era più in grado di vedere Hanji con gli occhi di prima…


Eppure non ci voleva tanto. Sarebbe bastato riuscire a ignorare quelle strane idee perché tutto ritornasse come sempre...Era un campione a far finta di niente, quando voleva. 
 
Così era andato avanti a negare tra sé e sé che siffatte fantasticherie, nonostante tutto, potessero voler dire qualcosa. Qualcosa di serio, almeno. Di preoccupante. 


Se lo era ripetuto talmente tante volte, rimanendo tuttavia frustrato dall’inutilità del tutto, che di tanto in tanto, in quei giorni, il primo a mettere in discussione il proprio atteggiamento era stato lui stesso. Ma si era costretto a rimanere lucido e continuare imperterrito a negare, come se negando quella affermazione di diniego potesse divenire più vera.
Lui e Hanji? AH, no.
 
E alla fine si era convinto di esserci riuscito a ritrovare la quadra: qualunque cosa fosse successa, no, in fin dei conti, non volevano dire proprio niente quelle cose. Lui e Hanji erano due pianeti lontani anni luce, comunicavano, ma proseguivano imperterriti lungo le loro orbite differenti. Da soli. Da sempre. E così avrebbe continuato ad essere.


Per questo si era sentito in diritto di tenere per sé tutti quei particolari nella spiegazione data ad Erwin. Era inutile parlare del suo stupore al comandante; sarebbe stato raccontare cose che non erano come sembravano, mettergli in mano argomentazioni che avrebbe facilmente potuto usare contro di lui…ma sbagliando. Perché la situazione poteva dare adito a dubbi -li aveva avuti lui, figurarsi!- ma no, non era il caso. Già Erwin stava insinuando… e invece quei dubbi andavano fugati, come era riuscito, sebbene a fatica, a fare con sé stesso.

Erwin.
No, non stava propriamente mentendo a Erwin e Erwin no, non ci aveva visto giusto stavolta. Levi era convinto che in fallo fosse il Comandante, che i suoi pensieri fossero in fondo quelli di sempre e che la stessa cosa valesse per Hanji. Il resto delle baggianate? Baggianate, appunto. Apparenza. Erwin aveva semplicemente equivocato segnali certo un po’ strani, ma assolutamente innocenti. E lui non stava tacendo importanti elementi per convincerlo. Stava evitando i particolari non fondamentali della vicenda. Tutto lì. 

“Per dargliela a bere più facilmente” – aveva commentato nei propri pensieri; poi, veloce come la luce, si era autocorretto – “per fargliela capire più velocemente”. 


Ma a quello scivolone linguistico Levi si sarebbe tirato un pugno da solo - sebbene avesse evitato di mostrare alcun segno di vacillamento, sforzandosi di mantenere la solita espressione stoica sul proprio volto. Era il secondo in quella giornata.

“Non sto nascondendo nessuna verità tra me e Hanji, non sto nascondendo nessuna verità tra me e Hanji…” Si ripeté Levi come un mantra, abbaiando con la voce della mente, ancora una volta, alla valanga di pensieri indesiderati che accennava a ripresentarsi: i capelli, quel giorno, il vestito, anche il modo in cui gli aveva sorriso radiosa…
 
“Statevene nel vostro cazzo di angolino e rompete poco i coglioni. Siete senza senso!”
E inopportuni, come il soggetto a cui facevano riferimento, osservò Levi con stizza.


Rassicurandosi ancora una volta così, il Caporale aveva puntato lo sguardo determinato verso il superiore, in attesa di una risposta che gli facesse finalmente capire di averlo convinto.

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Scusate l'attesa, ma pubblicare questo capitolo è stato parecchio difficile. Purtroppo mi sono impelagata nella divisione dei capitoli, infatti "Ammirazione", che vi avevo anticipato sarebbe stato il 3° capitolo sarà in realtà il 4°. E' successo in pratica che mi usciva un "capitolo 3" di tipo 20 pagine word...al che quell'anima pia di -reset- - sia lodato il suo nome e leggete le sue ff!- mi ha illuminata sulla necessita di rivedere la struttura generale e suddividere quella cosa in più capitoli. Ecco dunque questo capitoletto di raccordo con Ammirazione, che pubblicherò invece dopodomani o giù di lì. Mi rendo conto che più che un vero capitolo 3 è una specie di appendice al capitolo 2, che avrei fatto meglio a pubblicare a conclusione del suddetto; ma piuttosto che far perdere chi aveva letto apportando aggiunte al cap. 2 ho preferito integrare così. Scusate. Alla fine quelle 20 pagine sono state divise in 4 capitoletti per i pro...ma restano i contro: per cui scusate se la questione vi sembrerà procedere lentamente o addirittura non procedere >.>
I prossimi 4 capitoli sono stati davvero un parto hahahaha MA succederanno cose. Soprattutto nel 6° X°D
Comunque: in questo capitolo vediamo che Levi non è messo molto bene: sente che qualcosa sta cambiando, anzi è già cambiato, ma scendere a patti con la realtà gli risulta pressocchè impossibile. Dentro di sè teme alquanto l'eventualità che porta il nome di Hanji a un ruolo nuovo nella sua vita. Fondamentalmente mi sono abbandonata a qualche pagina del mio guilty pleasure: la definizione dei pensieri -confusi- di un personaggio. Mi sono divertita in realtà a scrivere queste pagine - non so se si vede e non so se è un bene o un male. 
Niente, lascio a voi la parola sperando che questo capitolo non vi faccia scappare a gambe levate abbandonando il prosieguo della ff.
Grazie per aver letto fino a qui *_*
See ya! <3

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Capitolo 4
*** Erwin o l'ammirazione ***


 

CAPITOLO 4: ERWIN O L'AMMIRAZIONE


«Dunque è andata così?»

 

«Sì.»

 

Levi sperava veramente di avere ottenuto il suo scopo. 

Erwin, dal canto suo, aveva ascoltato tutto il racconto di Levi con attenzione, soppesandone le parole. Ne aveva osservato ogni gesto forzatamente controllato, si era trattenuto dal sorridere a ogni palese tergiversazione, svincolamento, mezza verità circumnavigata di lontano e pure in parte ingenuamente spiattellata.

 

E di fronte a quel discorso aveva capito che Levi, le possibilità di ingannarlo, le aveva esaurite proprio tutte. 


“Dovrai impegnarti di più se vuoi convincere qualcuno. Di sicuro dovrai farlo se vuoi convincere me” aveva pensato, ma si era astenuto dall’esprimersi ad alta voce. 


Erwin aveva già compreso di averci davvero visto fin troppo giusto quando Levi, in tono polemico, si era messo a trotterellare dietro di lui, l’espressione più accigliata del solito per quella che, in fin dei conti avrebbe potuto essere presa per una semplice, innocua battuta sui “piccioncini”. 


Dopo quella ridicola scena in refettorio tra Levi e Hanji si era persuaso del fatto che ci fosse parecchio in sospeso tra i due, talmente tanto che nemmeno persone così riservate come loro erano più state in grado di nascondere la cosa. E non bisognava essere ascoltatori particolarmente perspicaci per aver colto parecchi sottintesi nel ringhiare del Caporale e nello squittire della Caposquadra. 


“Il nostro titano”. Ah, chi l’avrebbe mai detto! 


Lì per lì aveva deciso di ridersela tra i baffi e ignorare la cosa, fingersi cieco e sordo e far finta di niente, perché in quanto superiore gli sarebbe toccato un monito di fronte a quella scena -perché no, tra colleghi quelle cose non si fanno e sì, si deve mantenere un contegno e no, non la raccontavano palesemente giusta quei due… 

Una battuta di scherno gli era sembrata però quantomeno inevitabile, perché vedere Hanji lasciare Levi così disarmato era comunque qualcosa di notevole, una rarità. 

 

Una cosa per di più andava fatta: andavano avvertiti: perché nel caso in cui loro due non se ne fossero accorti avevano dato sin troppo spettacolo quella mattina e se lui era pronto a chiudere un occhio, anche due se necessario, altri avrebbero potuto non essere altrettanto clementi -e a buon diritto perché i regolamenti valgono per tutti e quello sulle relazioni tra commilitoni era piuttosto severo.

 

Erwin non si aspettava di aver colto Levi così in fallo da vederlo trasformarsi improvvisamente in un mastino pronto all’autodifesa. 

E no, di fronte a questo, non gli era stato più possibile fingere di non vedere e ignorare i fatti. Doveva fare chiarezza, per sé, per quei due, per tutti. Del resto era inevitabile quando si era contemporaneamente amici e superiori in grado. 

Ora, vederselo davanti a lui convinto di averlo magistralmente riempito di panzane assurde e che esse fossero sufficienti a fargli credere anche a una sola parola di quanto avesse detto, gli procurava quasi pena. Perché Levi non poteva davvero sperare che con un racconto pieno più di buchi che di fatti potesse convincerlo di alcunché. Si sopravvalutava o lo sottovalutava. Sbagliando comunque.
Levi taceva cose e male

E sicuramente lo stava facendo di proposito. Un sospetto, questo, che era diventato sempre più certezza in Erwin ogni minuto che passava.

A che pro, tuttavia, quello gli sfuggiva.

 

Il dramma infatti era che Erwin riconosceva impegno nell’agire di Levi e, sotto sotto, un fare sinceramente convinto di essere nel giusto. Come se fosse davvero certo di quello che diceva, pur sapendo che si trattava di una balla…

 

Sul serio, Erwin credeva di non avere mai visto un tentativo così patetico di provare a convincere gli altri per convincere sé stessi delle proprie parole. Perché Levi non gli mentiva, pur sapendo di mentire, allo scopo di nascondergli qualcosa; mentiva consapevolmente anzitutto a sé stesso, per superare così lui per primo il proprio dissidio interiore. Levi non muoveva un muscolo, ma si vedeva nei suoi occhi fiammeggianti quale tempesta stesse cercando di reprimere…si trovava palesemente in quella situazione di bilico in cui esiste un dubbio che si tenta di superare autoimponendosi una soluzione che si ritiene la più giusta...ma non per forza è quella vera. La prima persona verso cui Levi stava peccando di disonestà…era sé stesso.

 

Il che, se possibile, contribuiva semplicemente a peggiorare ancor più la situazione. 

La sentenza, per Erwin, era stata quindi tutto fuorché ardua. Bisognava aprire gli occhi a quel pover'uomo, dargli una svegliata. E c'era una sola maniera per farlo rinsavire: farlo ragionare sulle sue stesse parole. Perciò aveva deciso di stare al suo gioco.

 

Dopo alcuni secondi di silenzio passati a riflettere su dove cominciare il proprio discorso, Erwin posò uno sguardo indagatore su Levi, attento a ogni sua reazione. 

“…Quindi in pratica… hai promesso a Hanji un titano perché ti sei sentito in dovere di aiutarla?”


“Sì, che diamine, se lo merita, e ha ragione fondamentalmente!” 

 

“Dovere morale, insomma?”

 

“Be’ ovviamente. Non potevo certo snocciolare due frasi di circostanza e cavarmela così…mi ha sorpreso, di certo non me l’aspettavo, non mi aspettavo nemmeno che pensasse quelle cose. Mi ha preso alla sprovvista ed è andata così. Non che me ne penta. E poi avresti dovuto vederla…era difficile non sentire il bisogno di fare qualcosa…”

 

“Beccato” ghignò dentro di sè Erwin.

 

 “In altre parole il fatto che si fosse aperta con te…ti ha colpito?” 

 

Levi esitò a rispondere, aggrottando un sopracciglio, soppesando bene le parole con cui replicare.

 

Fece spallucce. “Mi ha stupito che avesse a priori qualcosa da confessare. E di quel tipo.

 

Dove voleva andare a parare il Comandante? Per un attimo il Caporale aveva pensato di averla finalmente spuntata…Evidentemente no. Possibile che quello scemo non volesse capire? 

 
Quando gli rispose, Levi notò un che di provocatorio nel tono di Erwin, e incalzante. “Insomma tu non le hai fatto una promessa così stupida…per vederla ancora una volta riconoscente nei tuoi confronti.” Non era una domanda, ma una bruciante affermazione antifrastica, che lasciò Levi punto sul vivo. 


Che razza di conclusione era quella?

 

“NO” lo sguardo di Levi era di ghiaccio. Si era risentito ferito da quella insinuazione. 

Cosa stava facendo quello stronzo, stava mettendo in discussione in suo onore? Per che razza di uomo l’aveva preso, Erwin? Pensava che traesse piacere dalle disgrazie altrui? Che si divertisse a giocare all’aiutante, a impersonare il ruolo del salvatore? 

“Credevo che anche tu pensassi che Hanji fosse meritevole di aiuto” sputò Levi a metà tra accusa e incredulità. 

Erwin si limitò a sollevare un sopracciglio, pensando: “Non mi scapperai tergiversando…”

“Io – disse- non sto dicendo che non lo sia. Né che tu hai sbagliato a prometterle qualcosa che i generali hanno esplicitamente vietato, sai come la penso – bada bene, io non ho mai pronunciato queste parole. Mi conosci, Levi. Il mio punto è un altro: perché tu ti sei sentito in dovere di aiutarla?” 

Levi lo guardò allibito. Erano tornati al punto di partenza, al refettorio, alle battutine sceme. 

“Siamo colleghi!- ripeté il Caporale per la milionesima volta nelle ultime due ore – sai, lottare per uno scopo comune, tipo che da 8 anni circa ci facciamo il culo assieme in questo fottutissimo corpo d’armata – lei pure da più tempo? Mi sembra il minimo voler aiutare una delle poche persone davvero utili qui dentro… Non sono mai stato uno dedito alla causa, non come Hanji, non come te. Del resto io, qui, mi ci sono trovato quasi obbligato ad entrare, non mi sono arruolato come voialtri…ma non mi sembra di essermene mai fregato di questa guerra, delle mie responsabilità, della gente che mi avete affidato o con cui ho avuto a che fare. Né di non aver mai riconosciuto i dovuti meriti a chi ne poteva vantare. E lei ne guadagna fin pochi di fronte ai culi che si fa ogni singolo giorno. Fa quello che facciamo noi ufficiali e di più, con le sue ricerche. E sì, quante rotture di cazzo abbia per la testa l’ho capito appieno solo quella sera perciò in tutta sincerità le ho fatto quella promessa.” 

“Sarà. Io credo che tu non te ne renda conto.” 

“Di cosa?” 

“È palese.” 

“Cosa? Cosa è palese, Erwin?” il tono di Levi era giunto all'esasperazione. 

“C’è attrazione, tra voi due.” 

Levi si trovò a stringere ancora di più le braccia incrociate attorno al petto fino a farsi male e mozzarsi il fiato, sollevando gli occhi al cielo con sufficienza; scacciò via a pedate una vocina nella testa che gli urlava “Guarda che ha ragione!”.

 

“Ma manco mai!” la zittì con stizza.

 

Attrazione?

 

Cosa, davvero? Chi, loro? Bah... No, davvero, NO. 

 

Ma Erwin era deciso a non dargli tregua. 

“Levi, ci sono due opzioni, qui. O sei una persona che si bea della riconoscenza altrui e che gode a vedere altri sentirsi in debito nei propri confronti – ma sarebbe meschino, e, onestamente non è da te, semplicemente perché te ne freghi altamente del parere altrui, nel bene e nel male, e stimi più l’indipendenza che l’attaccamento; peraltro direi, a giudicare dalla tua reazione, che il solo pensiero di comportarti così ti disgusta - e non del tutto a torto; …oppure non ti sei reso conto che tu e lei passate la metà del tempo a flirtare.” 

Levi avrebbe preso a testate il muro. Con la testa ancora fasciata di Erwin, beninteso. Ci avrebbe messo meno tempo a spaccargliela, con il cranio già contuso. 

 

Flirtare?

 

Ahahah flirtare loro due, IMPOSSIBILE!

 

Certo quello che diceva dava senso ai suoi recenti pensieri ma…NO.

 

“Negare, Levi. Negare sempre e comunque.” Erwin non poteva avere ragione. Non doveva…ed era ancora in suo potere dimostrarlo, gli sussurrava quella parte di ragione convinta che fosse tutto un malinteso. Ma quel dialogo tra Levi, le vocine nella sua testa ed Erwin si stava dimostrando a quel punto davvero troppo estenuante. Era ora di finirla.

 

“Oppure semplicemente volevo aiutare una compagna? Ascolta. Ci siamo sempre insultati e aiutati, io e lei. È il nostro modo di parlare. E non vedo cosa ti porta a credere che qualcosa sia cambiato nel nostro modo di relazionarci. Non posso garantire per lei perché non sono lei, ma dubito fortemente che veda in me più di un buon amico. Ha la lingua lunga e straparla - troppo-, ma quello si sa. E per me, essendo io me stesso, posso garantire che verso di lei non ho alcuna attrazione fisica se non quella di gettarla in una vasca per farle fare un cazzo di bagno ogni tanto. Andiamo d’accordo, alla nostra maniera, sbottandoci contro e facendoci dispetti. E va bene così. FINE.” 

 

Levi aveva sputato quelle parole tutto d’un fiato, finendo per rantolare con il fiatone. Sperava che Erwin spiegasse il fatto con l’irritazione crescente con cui aveva chiaramente condito il proprio tono. In realtà il solo pensiero di un’eventualità nella quale Hanji provava qualcosa per lui lo imbarazzava. Ma del resto che voleva dire? Era normale…certe insinuazioni

 

Il caporale si trovò ad arrossire ancor prima di essersene reso conto.

 

L’aveva usata mille volte quella battuta sulla vasca da bagno. Era andato sul sicuro nel tirarla fuori. Eppure perché improvvisamente ora gli sembrava un’enorme menzogna?

 

È vero, certe fantasie le aveva avute ma…no davvero, se lo era ripetuto fino alla nausea, niente di serio, come tutto il resto.

 

…Giusto?

O no?

 

Ma tanto bastava a quel punto per minare le convinzioni di Levi. Con un sonoro “Crack!” Levi sentì il proprio muro di certezze, sempre più in precario equilibrio, cominciare a cedere.

 

Dove cazzo era finita la vocina buona che gli aveva dato man forte in tutti quei giorni? Quella che lo aiutava quando gli serviva dimostrare che lui e Hanji erano sue capitoli a parte?

 

 “Per me siete ciechi. Se non è flirtare quello…” rincarava intanto Erwin.

 

Oh, no. E se…?


“Va bene. Ammettiamo fosse così e io e lei siamo due idioti di quindici anni incapaci di capire i propri sentimenti. Fondamentalmente sarebbero affari nostri.” 


“Mi dispiace deluderti. Fondamentalmente hai ragione, sarebbero affari vostri – lo contraddisse Erwin, pratico-  Ma lascia che ti dica questo. Primo: se i vostri sentimenti contrastati finiscono per causare danno alla mia divisione militare credo capisci anche tu che la questione non rimane più una faccenda privata tra voi due. Secondo: se uno dei due finisce per indisporre l’altro in una qualunque maniera sono affari miei. Terzo - e primo per importanza: fate tutti e due schifo nelle questioni sentimentali. Inoltre, io e te ci conosciamo da tanti anni quanto tu conosci lei e devi ammettere che sono sempre stato piuttosto bravo a leggere dentro di te. Sei un libro aperto, Levi, capisco quello che pensi molto più chiaramente di quanto tu stesso comprenda i tuoi stessi pensieri. Perciò ritengo sia mio dovere aprirti gli occhi, perché anche io ho dei legami, con entrambi: sì tu e Hanji siete colleghi…ma è chiaro che in fondo siete diventati qualcosa di più. L’hai detto tu stesso: Hanji non si è confidata con nessuno…tranne che con te. Vorrà pure dire qualcosa” 

Levi si permise un sospiro di sollievo. Cioè, tutto lì? Quella doveva essere la grande argomentazione rivelatrice?

 

“È stato un caso…se fossi salito tu su quella torre al posto mio probabilmente si sarebbe confessata lo stesso. Stava scoppiando. Ripeto: tu non l’hai vista.” 

Ma Erwin scosse la testa. “Ti posso assicurare una cosa Levi: io non le avrei fatto alcuna promessa, non del genere.... Ah, insomma! Quello che sto cercando di farti capire – disse, finalmente alzandosi dalla sedia nella quale era stato finora composto – è che io vi vedo. Ti vedo. E sinceramente sei cambiato: fino a qualche tempo fa non avrei scommesso un guscio di noce vuoto che tu ti saresti proposto di fare qualcosa del genere. Per nessuno. Forse per me…- disse con un sorriso sornione– ma questo perché, ammettiamolo…ti sei sempre sentito in debito nei miei confronti. E io, a differenza tua, provo sì un certo compiacimento nel fare il “buono”, nel fare la cosa giusta; purtuttavia, non avrei mai promesso nulla del genere, nemmeno ad Hanji.” 

Levi era accigliato. Faceva male sentire dire quelle cose ad alta voce. Non che fossero sbagliate. Non che ci fosse niente di brutto. Tutti e due avevano sempre saputo che c’era un attaccamento tutto particolare da parte di Levi per Erwin, quella figura che negli anni era diventata un misto di capo-amico ma soprattutto salvatore, perché quello, in effetti, per Levi egli era stato; almeno tanto quanto era stato l’artefice della sua condanna a una vita spesa a combattere per la salvezza dai mostri di un’umanità che fondamentalmente disprezzava. Avrebbe potuto odiarlo, in tutti quegli anni, per ciò che gli aveva fatto…ma Levi non ci aveva mai pensato, nemmeno un secondo; del resto Erwin, quel giorno, offrendogli una possibilità di sopravvivenza arruolandosi, gli aveva forse concesso più di quanto in tutta la vita avesse meritato e anche solo sperato di ottenere. Era a lui se doveva il fatto di non essere più condannato allo squallore del sottosuolo né penzolava da una forca con l’accusa di aver attentato alla vita di un ufficiale, quello stesso ufficiale che la vita, una vita vera, gliela aveva donata. Vincolandolo a quel giuramento al corpo d’armata Erwin gli aveva concesso paradossalmente più libertà di quanta ne avesse avuto prima, da solo, senza un voto a cui prestar fede, senza un obiettivo per cui combattere. Quelle ali cucite alle sue spalle erano il simbolo di qualcosa che davvero prima di allora in tutta la sua vita non aveva mai conosciuto. Sentirselo sputare addosso però…faceva un certo effetto, ecco. Erwin sapeva davvero leggergli dentro. Quanto bene, però, spesso Levi lo dimenticava; e sentirselo ricordare così non era il massimo. Non era bello sapere che il proprio idolo era così consapevole della tua ammirazione nei suoi confronti. Faceva sentire patetici, almeno quanto tutto quel discorso faceva apparire Erwin ipocrita in quell’autoconfessione di orgoglio verso sé stesso. 

Non era confortante, soprattutto, accorgersi che effettivamente vista da una certa prospettiva un po’ il Comandante aveva centrato un punto fondamentale. 

Non c'era autocompiacimento in Levi per le proprie azioni. Aveva fatto tutto per Hanji e solo per lei. E a ripensarci, quasi paradossalmente, Levi di fronte alla confessione della donna non si era sentito affatto dalla parte del salvatore, bensì dalla parte di quello che si sente comunque in debito. Non voleva gratitudine da Hanji; era stato lui a sentirsi grato verso di lei per quella specie di…“dono” che gli aveva fatto condividendo con lui i propri pensieri. 

No, messa da quel punto di vista Levi non poteva che dargli ragione. Lui per primo si era stupito della propria offerta. Aveva dato la colpa a varie cose, al tramonto in primis, al fatto che non l’aveva mai vista così, al fatto che fino a 5 minuti prima se l’era immaginata morta spiaccicata al suolo. Aveva passato giorni a convincersi che tutta quella faccenda era colpa di fattori esterni a lui stesso, ai suoi sentimenti. 

E il fatto che per Hanji avesse sentito un moto di ammirazione lo aveva rassicurato in questo. Appunto, non sarebbe stata, Hanji, la prima persona verso cui mai gli fosse capitato di provare quel sentimento; proprio in quel momento stava in piedi innanzi a lui la prima persona per cui in assoluto l’ammirazione era cresciuta in lui sconfinata. E anche Hanji, per quanto strana e improbabile, era una persona davvero valida, affidabile, seria e a cui era in qualche modo affezionato.

 

Ma non interessava quanto onesta, giustificabile, previdente, apprezzabile fosse la pazzia che quel sentimento lo aveva portato a compiere e ancora prima a promettere. Il problema che Erwin stava portando alla luce era la natura di quel sentimento.  Quello che Erwin stava mettendo in discussione era se davvero a spingere Leci a fare quella promessa era stata solo l’ammirazione, quella consapevolezza di rispetto ancora più alto e profonda stima che, a detta sua sembrava essersi risvegliato in lui a sentirla parlare, a vederla quel giorno fare e quelle cose…oppure se la “colpa” andava data appunto a quel tipo di affezione che negli anni era crescita tra di loro, che lui stesso aveva ammesso.

 

Era, cioè, la natura del senso del dovere che Levi aveva provato, ciò che Erwin stava sindacando; era davvero senso del dovere, come lo aveva chiamato?


Per quanto gli scocciasse ammetterlo, quella di Erwin era un’osservazione intelligente. Le insinuazioni del Comandante erano forse le uniche a dare un senso a quanto fosse accaduto su quella torre. Andavano a pescare nel sacco di dubbi che Levi aveva nascosto a sé stesso, di pensieri che aveva formulato, fugacemente e che con violenza aveva rinchiuso in un angolo della sua testa.  Era vero: si era dato del cretino, quella sera, perché si era trovato a pensare ad Hanji in maniera diversa, ad osservare in lei cose diverse, a farglielo presente pure ad alta voce; e aveva continuato ad insultarsi a quella maniera in seguito cercando di soffocare i dubbi facendo il vocione. Ma intanto, quei pensieri li aveva avuti e continuava ad averli.

 

E sebbene Levi fino a qualche secondo prima avesse negato, sorvolato, tenuto cose per sè…Erwin era stato capace di leggere tutto lo stesso, di trovare la verità nei suoi silenzi e la realtà nelle sue omissioni.  Un po’ perché era Erwin. Un po’ perché forse, dall’esterno, aveva potuto veramente giudicare tutto con occhio disinteressato.  Erwin aveva rivoltato contro Levi il suo stesso gioco: aveva dato veramente voce ai fatti in sè, nella loro interezza, senza opportuni campionamenti selettivi.

 

E se li si lasciava parlare quei fatti non mostravano affatto apparenze, ma evidenti realtà.


Gli occhi inquisitori del Comandante, puntati fissi nei suoi sembravano bruciare: pretendevano che Levi capisse. Se la loro relazione fosse stata un pelo più anomala e malata probabilmente si sarebbe potuto scambiare lo sguardo di Erwin per uno sguardo di superiorità. Ma la sua era semplice apprensione; interesse sincero che Levi realizzasse cosa stava accadendo. 


Levi si trovò suo malgrado a deglutire. 


E se Erwin, in fondo, avesse avuto ragione sul serio? 


Non si trattava di amore, sicuro. Quello, proprio, no. L'ammirazione, appunto, era stata la forma più alta di legame che nella sua vita sentiva di avere avuto, assieme all’amicizia. Ma poteva dire che fosse ammirazione quella che provava per Hanji adesso, quella che su quella torre gli aveva fatto fare una promessa che comunque metteva a rischio la sua vita e quella di una cinquantina di altre persone? Bastava l’amicizia?


Intuendo il misto di realizzazione, confusione e straniamento che attanagliava la mente del Caporale, Erwin rincarò la dose con un’altra osservazione. 


“Rifletti su questo: c’è differenza tra quello che provi quando pensi alla ammirazione che hai per me e per Hanji? E ti dirò di più: non ti ho mai visto compiere gesti del genere per Petra.” 

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E niente...stavolta sono stata puntuale, come vi avevo promesso ahah
Dunque in questo capitolo Erwin finalmente comincia a far girare nel verso giusto le rotelline di Levi...FORSE...Gliene servirà ancora un po', di dialettica, per persuaderlo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ci rivediamo nel prossimo: "Petra o la riconoscenza".
Fatemi sapere cosa ne pensate! Bye :3

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Capitolo 5
*** Petra o La riconoscenza ***


CAPITOLO 5: Petra o la riconoscenza
Petra. 

Petra era stato un capitolo estremamente doloroso della vita di Levi – e la sua vita era piena di cose dolorose.
 
Aveva provato simpatia, molta simpatia per quella ragazza. Era brava, una grande lavoratrice. L’aveva anche trovata bella, di una bellezza spontanea, non costruita. Era come un fiore che spuntava immacolato da quell’arido terreno che era la Legione, fatta di duri uomini, amare sconfitte, indicibili sofferenze. Petra era stata quella ventata d’aria fresca di cui tutti, nella squadra Levi, avevano bisogno e non c'era nessuno che non la apprezzasse. Diligente, gentile, presente, aveva sempre una buona parola da spendere e un sorriso da regalare, per tutti.
 
Anche per lui.
 
Soprattutto per lui.
 
Levi lo aveva capito subito che Petra si era invaghita del proprio Caposquadra.
 
Il problema era che per quanto la apprezzasse…Levi aveva chiaramente capito di non ricambiarla. Le voleva bene, come si può volerne a qualcuno di prezioso e caro…Petra era importante: ma non la amava. Non come lei avrebbe voluto amare il suo Capitano, almeno. 

Ci aveva messo un po’ invero, Levi, a realizzare questo fatto, forse un po’ perché esaltato dal sentimento della ragazza nei suoi confronti, un po’ perché sorpreso da quella sensazione nuova e dal vedere qualcuno per la prima volta in anni provare un sentimento così speciale nei suoi confronti.
 
In fondo in fondo non gli sarebbe dispiaciuto perdersi prima o poi anch’egli in quel sentimento, l’amore. Ma ciò che provava per Petra non era amore. Era…altro.  Un misto di cose che non sapeva bene identificare.
 
Così aveva riflettuto, si era lambiccato; poi però anche a questo sentimento "diverso" aveva dato un nome: riconoscenza. Levi si era sentito riconoscente nei suoi confronti perché nonostante il suo brutto carattere e i suoi mille difetti che nel tempo erano pure peggiorati, lei aveva trovato un modo per apprezzarlo. Addirittura, appunto, si era innamorata. E c’era stato dispiacere nel capire che non poteva reciprocare. C’era stata pietà, perché lui non avrebbe voluto farle del male. C’era stata vergogna, perché sapeva che inevitabilmente gliene avrebbe fatto. Fondamentalmente, in breve: se era sentito in colpa. 

Così si era limitato a prender sempre più le distanze. Lei non si era accigliata, probabilmente aveva capito. Lui lo aveva dedotto dal sorriso triste che negli ultimi tempi Petra gli rivolgeva ogni volta che i loro sguardi si incrociavano. Aveva ringraziato il cielo di non averle dovuto fare alcun discorso misto di scuse e giustificazioni; ma l’aveva anche maledetto, il cielo, perché in quella maniera non aveva avuto modo di spiegarsi né chiarirsi con lei. Quasi che la responsabilità dei propri sentimenti, del parlare o tacere… non fosse davvero sua - e sua soltanto.
 
Avevano semplicemente optato per la via più facile, tutti e due. Avevano lasciato perdere. Peggio: avevano fatto finta di niente. O almeno così aveva fatto lui. Lei si era limitata ad adeguarsi; a guardarlo da distante, con discrezione. Impegnandosi, sforzandosi di essere perfetta come collega senza pretendere altro. Serbando il proprio amore nel suo cuore, come un segreto.
 
Poi però il cuore di Petra aveva smesso di battere. E lì Levi si era sentito un meschino. Un vero stronzo. E si era chiesto se, forse, una gioia a quella ragazza avrebbe potuto dargliela. Dopotutto lì dentro erano tutti morti che camminavano…forse anche lui ne avrebbe giovato; un po’ di compagnia, più approfondita, per essere meno soli, un contentino per l’uno e per l’altra; un intrattenimento che con l’amore, quello vero, non aveva niente a che fare, ma che come surrogato poteva forse persino funzionare. Quasi aveva dimenticato, Levi, quale fosse il piacere di intrattenersi con una donna e, anche se un discreto numero di anni lo separavano da Petra, non ci sarebbe stato nulla di male nell'abbandonarsi ai suoi favori, beandosi a sua volta della gioia nel renderla felice. Ma non aveva finito di formulare quel pensiero che si era dato del farabutto di nuovo per avere anche solo proposto a sé stesso uno scenario simile. Il fatto che non ci avesse pensato prima, però, quando ancora non sarebbe stato troppo tardi per gettarsi in una relazione pazza, senza senso, un riempitivo del nulla per lui, una finzione consolatoria per lei, era comunque garanzia che, nonostante tutto, un po’ di decenza gli era rimasta: almeno non aveva mai pensato di ingannarla, giocare con lei, illuderla in alcuna maniera, usarla. Azzardava ipotesi di questo tipo ora solo perché il velo dell'impossibilità rendeva tutto irreale, anche le occasioni perse, le speranze sfumate, i desideri infrantii, persino i pensieri illeciti. Non aveva e non avrebbe mai potuto pensare a Petra in quel senso: Petra per lui era la ragazza col sorriso più radioso al mondo, dopo Isabel. Forse era per la somiglianza con lei in alcuni suoi tratti che l'aveva apprezzata tanto. Null'altro.  E comunque di quei discorsi pieni di senno di poi erano piene le fosse.
 
Petra era morta e dei “se” e dei “ma” non avrebbero potuto più farsene nulla. Né l'uno, né l'altra.
 
Ma soprattutto era stato lì che Levi aveva capito: quando in quella foresta aveva visto il suo corpo dilaniato, la vita solo un pallido ricordo nei suoi occhi atterriti.
 
Aveva urlato, incredulo alla vista della propria squadra spazzata via in un soffio. Petra compresa. Erano bastati una manata, un piede che l’aveva schiacciata contro un albero. E la vita l’aveva abbandonata.
Il Capitano aveva sentito una forte fitta al petto.
Rimpianto. 
Dolore.
Disperazione.
Una nuova crepa si era aperta nel suo cuore. Profonda. Sanguinante. Ma non si era spezzato. Non del tutto.
Vedendo la ragazza ormai priva di vita, aveva realizzato che il dispiacere per la sua morte era uguale a quello della perdita di tanti altri compagni, di tutti i suoi compagni, forse appena più particolare di altri, ma niente di eccezionale.
 
Non era un amore quello che aveva perduto. Non lui. 

Ed era stato male, tanto, ma non troppo e forse non abbastanza. Così si era sentito sollevato, solo per sentirsi ancora più misero dentro.  Da quando era diventato così insensibile da provare sollievo per una cosa simile?

E se possibile il padre di lei, con quella rivelazione della proposta di matrimonio che aveva in mente, lo aveva fatto sentire ancora peggio. Perché in tutto quel tempo Petra si era limitata a nascondere a lui il suo amore, ma agli altri l’aveva mostrato lo stesso, involontariamente probabilmente, mascherandolo da fedeltà e devozione, ma tanto era bastato a rendere manifesti i suoi sentimenti. Oh, non che Levi si sarebbe mai sognato di accettare una simile offerta quand’anche Petra fosse stata ancora viva; con che faccia avrebbe potuto accettare la sua mano? Lui aveva preso già fin troppo bene le distanze…ma cosa diavolo avevano lasciato intendere i loro atteggiamenti agli altri?
 
Ma la cosa davvero grave era stata che Levi anche in quel momento, nel piazzale, al ritorno da quella missione fallimentare e tragica, di fronte a quel padre ignaro della morte della propria figlia, si era di nuovo sentito confortato: ancora una volta aveva avuto la conferma di non aver perso nulla di irreparabile, di insostituibile; non lo sarebbe stata, Petra, nemmeno con la sua improvvisa scomparsa.

Neanche sapeva quantificare quanto si fosse sentito in torto verso di lei e verso la sua famiglia per non aver provato un cordoglio più particolare del dispiacere per il qui pro quo appena creatosi. Ed era stato quello a distruggerlo dentro.
 
Era tragico, sebbene per altri versi, capire di provare meno dolore di quello che la gente attorno a lui si aspettava provasse, immaginandolo quell’innamorato che non era. E ancora una volta l’unica cosa che era stato davvero in grado di provare fu un profondo e indicibile senso di colpa misto a un certo disgusto per sé stesso e la certezza che lui per le relazioni con le persone, quale che fosse la loro natura, non era proprio tagliato. 

Aveva passato la notte piangendo. Lui, che non piangeva mai. Non per quello che aveva perso, o meglio non solo. Ma perché anche quella volta non aveva perso nulla di irreparabile, soffrendo perché stava male per il fatto di non stare troppo male. Una vera idiozia. Un cane che si morde la coda. La conferma di un fallimento esistenziale su tutta la linea: come amico, superiore, modello, compagno. Forse doveva arrendersi, una buona volta, al fatto di essere in buona sostanza un fallimento, in generale, come essere umano.

Perché realizzare di essere diventato così arido era stato per lui un brutto colpo…aveva raggiunto, e solo a quel punto se ne era reso pienamente conto, un livello cronico di apatia degno quasi di complimenti…salvo poi essersene già pentito. Anche se capiva che non era stata colpa di nessuno, fondamentalmente, se le cose erano andate così: con Petra, era stata un’occasione sprecata, ma con consapevolezza e responsabilità da ambo le parti. Gli amori non corrisposti esistono e non si sta tanto meglio a essere dalla parte dello stronzo che non ricambia anziché dalla parte del rifiutato. Specie quando questi amori infranti finiscono così male. 

E così la faccenda con Petra era finita senza mai nemmeno cominciare.

Ora, invece, solo ora, Levi capiva di aver agito con Hanji in maniera più simile a Petra di quanto avesse mai realizzato -anche se il suo caso era in parte differente. Avevano tutti e due tramutato – nel suo caso scambiato- per ammirazione qualcosa di più, qualcosa di pericolosamente simile all’amore. Petra nei confronti di Levi; lui nei confronti di Hanji. Petra aveva mentito a sé stessa per non soffrire per un caso perso, per non essere un peso per la persona che amava e con cui doveva e voleva, nonostante la delusione, collaborare al meglio. 

Lui… 

…lui perché era un coglione. 

Si era così abituato a non provare amore da non essere più in grado di riconoscerlo. A non riconoscere nemmeno l’attrazione. Si era talmente assuefatto a tenere distante le persone con la paura di perderle, da non volerne più davvero al proprio fianco.
 
Ma non ammirava Hanji come ammirava Erwin. Così come la riconoscenza nei confronti della collega non era per nulla paragonabile a quella che aveva provato nei confronti di Petra.
 
A Petra era stato grato perché con le sue attenzioni gli aveva fatto guadagnare un po’ di orgoglio maschile; non era un adone, era la persona più scorbutica dell’esercito eppure lei gli aveva dimostrato che anche in lui si poteva trovare qualcosa di attraente, che era possibile anche per lui essere accettato, non semplicemente tollerato, per quello che era ed era stato. Petra, osannandolo, aveva sollevato la sua autostima.
 
Hanji aveva fatto di più; aveva fatto di meglio.
 
Hanji passava la metà del tempo a deriderlo; ma con bonarietà, facendone una caricatura di cui però non pensava nemmeno un attimo di svilire sul serio i meriti: per questo la riconoscenza per lei era se possibile ancora più profonda, perché più volte Hanji gli aveva dimostrato che per le questioni importanti lo avrebbe sempre tenuto presente; addirittura aveva trovato la voglia di condividere con lui qualche briciolo di sé stessa . Dubbi, problemi, progetti…non lo aveva messo su un piedistallo e in qualche modo ne aveva preteso la presenza, il parere, la collaborazione. A ben vedere anche quegli insulti che si scambiavano non erano altro che profondi segni di reciproco affetto, così in linea col suo carattere da sembrare estremamente naturali nell'interazione tra loro. Hanji, in breve, col suo comportamento gli aveva permesso di essere pienamente sé stesso. E gli era arrivata dritta al cuore.
 
E ancora, Erwin. Lui, Erwin, non se lo era mai immaginato in situazioni esplicitissime in sua compagnia, il letto come ambientazione e muggii di piacere in sottofondo. Hanji, dopo quella sera, alla torre, sì. E più volte, anche se, risvegliandosi, quasi preso dal panico, aveva rinunciato a ore intere di sonno pur di non riprendere quella specie di incubo là dove l’aveva interrotto. Una volta o due però aveva concesso alla sua mente di indugiare su quelle immagini, salvo poi sempre pentirsene - perché a una amica e una commilitona non era giusto fare questo: ma  era capitato e, dandosi del pervertito, aveva lasciato la mente libera di vagare costruendo sulla figura di Hanji ipotesi e idee, dipingendo atti e parole di quella nuova Hanji che aveva conosciuto per caso qualche giorno prima, e che da quel momento in poi aveva continuato a immaginare; quella Hanji vestita di bianco, con la sua debolezza, con quella sua forza. Quegli occhi. Quei capelli. Quel corpo. Che fosse perlomeno curioso lo aveva dovuto concedere a sé stesso.

Era come se a un tratto il suo subconscio avesse riconosciuto in Hanji la donna che per tanto tempo aveva ignorato fosse…e avesse apprezzato. Come quando mangi una fetta di torta cucinata con una nuova ricetta e se al primo boccone ti piace, al secondo ti convince. Aveva aggiunto bene a bene e senza rendersene conto e ne era rimasto incantato. 

Quella specie di collega asessuato che Hanji era stato finora per lui…be’ non era più asessuato per niente, di questo poteva essersene sicuro. 

E anche alla luce di questo…no quello che provava per Erwin e Petra e quello che provava per Hanji non erano affatto la stessa cosa. 

Lui, poi, Erwin lo venerava. Punto. Perché era perfetto. Stronzo, ma un perfetto modello da seguire.
Petra, dal canto suo, era stata eccellente come soldato e sottoposto.

Hanji invece gli dava sui nervi; e allo stesso tempo lo faceva divertire coi suoi modi di istigarlo 
Odiava il fatto che non curasse la propria igiene personale eppure era tra le pochissime persone con cui nonostante tutto aveva deciso di mantenere dei veri rapporti interpersonali. 
La stimava come collega pur ritenendola fondamentalmente pazza. 
La riteneva insopportabile, eppure i momenti in cui si ritrovavano a sorseggiare tè lui e caffè lei erano preziosi. 
Odiava quanto fosse logorroica, ma gli faceva piacere se veniva a cercarlo per scambiare due chiacchere. 
La considerava eccezionale nonostante per un’altra buona metà la trovasse fastidiosa. 

Di più: voleva bene ad Hanji pur con tutti quei difetti. 

E diamine sì se era una situazione completamente differente. 

In una sola cosa il suo sentimento si avvicinava in quello per Erwin: le avrebbe affidato la vita, così come si rendeva conto che sarebbe stato pronto a gettare la sua per lei. Anche a Petra aveva voluto bene...ma non così.

La rivelazione gli arrivò in faccia con uno schiaffo. 
Quei pensieri che aveva giudicato strani per Hanji…a ben vedere non erano strani affatto. 

Ed il Comandante aveva decisamente ragione. 

Quello che provava per Hanji non era solo ammirazione né riconoscenza. Era ammirazione e tanto altro che per tutto quel tempo non era stato pronto a cogliere. 

Levi si rifiutava di chiamare quella cosa, per riassumere il tutto, "amore”. Ma la parola "attrazione", usata da Erwin, capiva ora che si adattava benissimo a loro due. 

Sicuramente si adattava a come lui aveva preso a relazionarsi con lei.
 
“O cazzo” sfuggì a Levi dalle labbra, dopo non sapeva quanto tempo passato a fissare Erwin senza nemmeno vederlo, la mente persa dietro ai propri pensieri, gli occhi focalizzati a metà tra il vuoto e l’infinito, seppur puntati al naso del proprio capo. 

Erano passati pochi secondi in realtà, in cui a Erwin era quasi sembrato di vedere la vita intera di Levi scorrere davanti agli occhi del giovane mentre, finalmente, prendeva il coraggio di analizzare davvero sé stesso. 

“Devo dedurre che finalmente ci siamo riusciti?” gli chiese comprensivo, incrociando le braccia. 

Levi si lasciò sfuggire un “Merda” che alle orecchie di Erwin suonò come un sì. 

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Ehm...mi sento un po' una merdaccia perché era da un po' che non aggiornavo...ma avevo bisogno di fare un po' il punto su alcune cose e mi è scappata la mano sull'altra ff di SnK. Il problema che questa cosa che era nata per avere 5 o 6 capitoli o giù di lì ha avuto una evoluzione imprevista...e nulla, sarà molto più lunga. Seriamente. MOLTO più lunga.
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE MI STANNO SEGUENDO, che hanno recensito, che mi hanno fornito preziosi consigli! Spero di non deludervi andando avanti - alle volte mi verrebbe voglia di scrivere un sunto dei capitoli per garantirvi che voglio davvero andare a parare da qualche parte ahahah
Comunque con questo capitolo finiscono gli insight psicologici - come promesso. Levi ce l'ha fatta finalmente a capire che prova qualcosa per Hanji - alla buon'ora! - e ora non gli resta che fare i conti con la situazione, con Hanji e con Erwin. Non sarà facile...ve lo anticipo – ma questo era ovvio. Del resto Erwin ha dovuto in pratica obbligare Levi a confrontarsi davvero con sé stesso e coi propri sentimenti – verso di lui, verso Petra, verso Hanji…roba che Socrate e la tua maieutica, levatevi. Il suo ruolo di deus ex machina è ben lungi dall’essere finito.
Il prossimo capitolo sarà più dinamico - e qui direte che finalmente era ora, sì lo so e avete ragione. Per vostra gioia entrerà in gioco proprio lei...Hanji...e niente diciamo che vi prometto solo cose belle. Ovviamente avrà combinato qualche "disastro"...ma lo scoprirete.
Vi dico ancora soltanto che si prevede un Levi parecchio incazzato.
Ma adesso basta spoiler :3
Che la Levihan sia con voi e nel prossimo capitolo “Realizzazioni”!

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Capitolo 6
*** Realizzazioni ***


CAPITOLO 6: Realizzazioni 

 
«E io che cazzo faccio ora? Perché Hanji?» la schiena abbandonata contro il muro, le spalle arcuate fino a sembrare cadenti sotto il peso della realizzazione, il Caporale era il ritratto della desolazione.

Levi sentì Erwin grugnire tra un sorriso e una smorfia. Sembrava restio a rispondere. 

«Per la seconda domanda non ti posso aiutare. Ma per la prima…Mi ripeterò. Cosa deciderete di fare sono affari vostri. Cosa vorrete essere dipende da voi. Dipende da te e da lei. Io non mi permetterò di immischiarmi in questa faccenda più di così...per ora almeno. Ma ci saranno conseguenze. Siete mie colleghi, siete miei amici e mi state a cuore tutti e due. Ma non posso basarmi solo sul sentimento personale. E qui parlo da vostro superiore: mi servite entrambi quindi mi arrabbierei parecchio se qualunque cosa tra voi due si mettesse in mezzo al lavoro di noi tutti.»
 
Erano parole ambigue. A metà tra una benedizione e una minaccia da parte di una persona dimidiata tra dovere e sentimento personale. 
Ma il senso si capiva benissimo. 

Levi sentì improvvisamente l’impulso di trovare una sedia. Tutta la voglia che aveva avuto di scappare lasciando Erwin tra i suoi deliri era evaporata lasciandolo di fronte al fatto compiuto che quello che delirava era lui.
 
Si chiese se forse avrebbe potuto chiudersi in quella stanza, rifiutandosi di uscire con una scusa. 

Aveva un’unica certezza in quel momento: non avrebbe potuto reggere la vista di Hanji. 
Non ora. Non ora che sapeva, non ora che finalmente aveva dato un senso logico al tutto…ma non era pronto a guardarla con gli occhi di chi finalmente la vedeva

Davvero, che fare? Hanji era sempre stata una collega. E una amica. 

Non sapeva per quale ragione, ma più ci pensava, più riteneva quasi un insulto il fatto di aver finito per vedere in lei altro. Non ci si innamora tra colleghi, questa era una regola che veniva tassativamente rispettata nell’esercito e a cui si era messi di fronte sin da subito.

In effetti, con quella mossa geniale aveva distrutto la propria deontologia professionale, per quanto non intenzionalmente. 
E la cosa peggiore era che a ripensare ad Hanji, a quella sera, a quel vestito a quel tramonto, eccetera…realizzava che lei aveva davvero gradito il suo complimento.
Forse Hanji non avrebbe badato alla sua deontologia professionale più di quanto di norma badava ad essere presentabile per i canoni estetici di una normale donna di razza umana. Ma forse stava correndo troppo col pensiero, quel pensiero che fin per troppo tempo aveva tenuto anni luce lontano da Hanji…

«Secondo te…» cominciò Levi. 

Non trovava la forza di concludere la frase. 

Si schiarì la gola, passandosi una mano in viso, raccogliendo tutte le forze. 

«Secondo te...lei…» si bloccò di nuovo. 

Levi sperava che Erwin capisse da solo quel che intendeva dire. Stentava ancora ad ammettere a sé stesso tutta la faccenda, non se ne parlava di riconoscere i fatti ad alta voce. 

Un pronome in più era un progresso, in fondo.  

«Non sono io quello che capisce Hanji…» commentò il Comandante. 

Levi sospirò.  Ecco, aveva capito benissimo, lo stronzo.

«Spiegami. - tentò di cambiare il tiro-  Da quanto, cazzo, sono diventato così sentimentale?»

Erwin scosse la testa, grattandosi un orecchio. 

«Lo sei sempre stato, a modo tuo. In fondo. Talmente in fondo e talmente a modo tuo, però, che alle volte neanche tu ci capisci qualcosa.»

«Non so se voglio capire davvero come stanno le cose» confessò Levi dalla sedia in cui era abbandonato. 

Seriemente, perché Erwin si era sentito in dovere di fargli capire che la sua maniera di vedere Hanji era cambiata? Ah sì, giusto: lui, alla propria deontologia professionale, ci teneva eccome. 
 
Non sapeva perché, ma Levi aveva come la sensazione che una grande, enorme figura di merda lo attenesse al varco.

«Sai, forse sarebbe davvero bello saper volare. Hai presente, andarsene lontano, lontano dai titani, lontano da qui» e ascoltando sé stesso pronunciare quelle parole, in quel momento, per la prima volta capì esattamente che cosa avevano inteso dire Armin e Hanji. 

«Non so se basterebbe per liberarsi di Hanji» osservò Erwin ironico.
 
L’unica risposta che ottenne fu un’imprecazione sofferente e il mormorio di Levi: «È ancora valida la proposta della forca?».
 
Proprio in quel momento, però, Erwin gli fece cenno di tacere; Levi aguzzò le orecchie, solo per sentirsi sbiancare.

Passi di corsa.
Poi i due sentirono bussare. Quattro picchiettii ritmati, inconfondibili.

«Oddio è lei...è qui?» Levi scattò in piedi, il suo sussurro rivelava il panico più totale.

«Temo proprio di sì...»

«Merda, perché proprio ora!!!» il Caporale gettò un fugace e spasmodico sguardo alla stanza. «Non sono pronto...»

Con gli occhi cercava angoli e valutava volumi.

Erwin lo guardò basito, intuendo le intenzioni di Levi: «Levi, non starai pensando di nasconderti, spero...»

L'occhiataccia che Levi gli lanciò fu una conferma piuttosto eloquente. Ma con suo grande rammarico non v'era posto alcuno dove sparire. A meno di non gettarsi giù dalla finestra. Tre metri non erano poi così tanti...ma nemmeno pochi. Se solo avesse avuto con sé il 3DMG...

«Suvvia, si tratta di interagire con lei con qualche battuta…» lo rassicurò Erwin.

«Temo di non esserne in grado in questo momento…»

«Andrà tutto bene…»

«Uccidimi…»

«Oh, cielo! Levi, io devo aprirle...» avvisò il Comandante.

“Non sono pronto...” si ripeté un’ultima disperata volta Levi.

Ma quando Erwin face scattare la maniglia della porta, sul volto di Levi era tornata la stessa espressione di sempre, stoica e annoiata; aveva anche riguadagnato la sua tipica posizione, uno sfrontato semi-abbandonarsi alla sedia, mentre dava le spalle alla nuova venuta.

«Oh, ma chi si vede! I miei due confabulatori preferiti! - esclamò Hanji oltrepassando l’uscio, come al solito urlando, una pila disumana di cartacce in mano e un sorriso sghembo in volto; rivolse una smorfia a Levi- Non pensavo di trovarti qui a quest’ora, musone. - poi, tornando a guardare sorniona tutti e due-  Non dovreste chiudervi dentro a chiave, sapete...la gente potrebbe pensare male...»

Arrancando dentro alla stanza, quasi inciampando sui piedi di Levi, Hanji si gettò con tutto il suo peso sulla scrivania di Erwin, rovesciandoci sopra il suo mucchio di roba, che andò a spargersi con un tonfo sul pianale prima lindo e ordinato, sommergendo gli oggetti di Erwin, mentre qualche foglio svolazzò per terra frusciando. Erano davvero una marea…

«Ops...»

«Ehi, non ti bastavano più il tuo ufficio e la tua camera per spargere in giro i tuoi scarabocchi? - le domandò il Caporale col tono più irritato che riuscì a tirare fuori, mentre acchiappava al volo alcuni dei documenti – Ti pare il caso di invadere gli spazi altrui? E perché questa carta è così zozza?»  

«Per la verità un po' di problemi di spazio inizio ad averli – ammise quella sbuffando e asciugandosi la fronte, felice di essersi liberata dal peso di faldoni, cartelline e plichi sparsi- ...sulla carta…non ti conviene indagare…»

Tutto in Levi, tono, espressione e postura, indicava quanto fosse schifiltoso e quanto quella risposta l’avesse lasciato indignato. Si affrettò a posare quella roba, strofinando le dita contro il giacchino come per pulirle.

«Tu non hai mai smesso di avere dei problemi… in generale...»

Sbem,

“Bravo, Levi- si complimentò il Caporale con sé stesso -Acido e ruvido come solo tu sai essere.”

Levi gettò uno sguardo compiaciuto a Erwin come a chiedergli un tacito giudizio sulla propria interpretazione; ma prima che potesse ottenere risposta, il suo campo visivo fu invaso dal faccione irritato di Hanji a due centimetri da suo naso, un’espressione suo malgrado più buffa che paurosa.

«Tu piuttosto! Non capisci il peso della conoscenza...- gli soffiò contro quella in tono tragico, i gesti teatrali -…io vi porto il SAPERE...»

«…Io spero solo non fossero in ordine...» ridacchiò in un angolo Erwin, indicando ciò che restava del proprio pianale e della pila di fogli portata da Hanji, sempre più drammaticamente inclinata di lato.

«Ordine, lei?» escluse in tono sarcastico Levi, piazzando una manata sull’ennesimo plico di fogli per impedirgli di scivolare via «Tzk!».

«Naaaaaaaaaah» confermò quella scrollando le spalle, riacciuffando di mano a Levi le preziose carte prima che questi decidesse di lanciargliele contro.

«Quattrocchi, sei venuta qui a dirci qualcosa o vuoi solo far casino? Noi stavamo parlando di cose importanti…» la richiamò all’ordine Levi, spostandola di peso da davanti e fingendo di allontanarla con un calcio.

Che l’argomento in questione fosse lei non era il caso di farglielo sapere.

Erwin si concesse un ghigno. Effettivamente, un plauso, Levi se lo meritava.

A quell’osservazione Hanji sembrò a un tratto farsi seria, atteggiando una smorfia fintamente offesa.
«Come siamo gentili, Levi. E io che ero venuta per elogiarti! - Hanji atteggiò la voce in un tono compito - Erwin sappi che è tutto merito del nanetto e del gigante che mi ha portato se stasera posso portarti tutti questi risultati! È stato estremamente prezioso, il nostro soldo di cacio…del resto, tra titani e nani non si può dire che fosse una faccenda da mezze misure…»

E dicendo questo, prese a strizzare in un abbraccio stritolatore il Caporale, che rimase un attimo interdetto prima di sbraitare, dimenandosi sulla sedia: «Quattrocchi, levati o ti ammazzo!».
Stretto in quella morsa, Levi sembrava una preda inesorabilmente presa in trappola.

Per un secondo Erwin dovette impegnarsi a trattenere il respiro per non scoppiare a ridere in faccia al Caporale: in un indesiderato tête-à-tête con il seno di Hanji, Levi puntava forzatamente gli occhi altrove, uno sguardo che chiedeva pietà, nel più totale imbarazzo, che con estrema fatica stava cercando di dissimulare in stizza. Aveva il fiato corto…forse il segnale di un infarto imminente.

«Hanji spostati o giuro che ti mando stesa a terra per la schiena!» le ringhiò contro a un certo punto intimidatorio, le braccia strette attorno al corpo come a farsi scudo. Ma Hanji non aveva intenzione di ascoltarlo.

Erwin si sentì in pietoso dovere di intervenire: «Ne sono al corrente, Hanji...Levi, qui, mi stava giusto spiegando del vostro accordo.»

Levi sentì Hanji irrigidirsi e la stretta allentarsi.

«AH.»

Il caporale le gettò un'occhiata di sottecchi, ringraziando il cielo che finalmente lo avesse lasciato respirare. Perché quel tono...deluso, però? Perché il battito di lei aveva perso un colpo per poi accelerare?

«Mi ha detto del tuo piano delle fosse e di altre cose di cui ti stai occupando per cui ti serviva un titano vivo, una vera sfortuna dopo il divieto dei piani alti…»

«Ah sì…la trappola»

…Levi aveva le traveggole o gli sembrava che Hanji si fosse rilassataSollevata, quasi?

«E concordo con lui- continuò Erwin- i generali sono in torto coi loro divieti e questa mossa della cattura per quanto avventata si è resa bene o male necessaria. Vi offrirò tutto il mio supporto qualora qualcuno venisse a lamentarsi...»

«Non vedo perché dovrebbero lamentarsi se la mia squadra è in grado di catturare titani vivi - sbottò Levi; - È stata una fortunata coincidenza in una missione nata per tutt'altro scopo, a sua volta portato meravigliosamente a termine. Fine.»

«Sono dello stesso avviso. - sorrise Erwin, complice – e così metteremo giù le cose a chiunque venisse ad avanzare rimostranze. Per il resto…Levi mi ha detto che avete pianificato tutto con cura…e infatti tutto è andato per il meglio. È davvero un peccato non poter rendere la cosa pubblica e dover far passare il tutto per un semplice caso fortunato…specie dato che il fatto dimostra che una accurata pianificazione come Hanji aveva proposto permette di salvare la vita a molte persone…»

«Magari al secondo caso fortunato che capita, magari con le stesse modalità, capiranno che la fortuna non c’entra un cazzo. -abbozzò come proposta il Caposquadra prima di aggiungere -   Forse…non darei proprio per scontata la capacità di pensare, ai “piani alti”.» Levi sputò quelle ultime due parole masticando ogni sillaba con spregio.

«Sì però mettiamo le cose in chiaro: io non ho fatto quasi niente - si affrettò a specificare Hanji – a occuparsi di tutto è stato Levi, il merito della buona riuscita del piano è tutto suo…io sono stata in disparte, per non dare nell’occhio… certo che fosse possibile effettuare la cattura senza sacrifici di sorta era stata una idea mia, ma…».

«…so tutto Hanji, non ti preoccupare. Avete tutti e due agito per il meglio…E questi be’ – disse Erwin indicando i fogli sulla propria scrivania - direi che bastano come tuo contributo…»

Improvvisamente, Hanji lasciò andare il collo di Levi e fece qualche passo indietro, dando loro le spalle – mossa che Levi sfruttò per tirare un respiro di sollievo per la ritrovata libertà. La videro armeggiare per qualche secondo dietro agli occhiali. Quando si voltò, i suoi occhi luccicavano palesemente di lacrime, che si stava però sforzando di trattenere, un’espressione buffissima in viso nel tentativo di contenere la commozione. Sembrava una bambina.

«Grazie…amici.» mise parecchia enfasi in quella parola, pronunciandola con convinzione. Un sorriso le illuminava il volto radioso come non mai «Io non so come ringraziarvi…»

«Amici…insomma, vabbè, dai, adesso non allarghiamoci!» si sentì in dovere di sbeffeggiarla il Caporale. Né lui né Erwin si erano aspettati quella reazione e ora la guardavano basiti; ma Hanji era un tipo emotivo ed espansiva com’era, poi…non c’era troppo da stupirsi che si fosse commossa; anche se sulle faccende importanti in genere era dotata di un autocontrollo formidabile.

Ma Levi odiava vedere le donne piangere, anche se quelle erano inconfondibilmente lacrime di gioia, le più sincere.
Perciò aggiunse: «Complimenti Erwin, sei uno stronzo: hai appena fatto piangere una donna.»

«Colpa anche tua, Levi. E abbiam fatto peggio: abbiam fatto piangere un’amica» gli resse il gioco Erwin.

«Io non sono amico delle donnicciole piagnucolose…specie quando sono pure appiccicose e tentano di strozzarmi» puntualizzò Levi massaggiandosi il collo.

Una arzigogolata circonvoluzione di parole da parte del Caporale per dire che era contento di vederla così felice.

«Ah, ma insomma! - lo rimbeccò Hanji di rimando, ridacchiando, scacciando via una lacrima fuggitiva con un dito - Io qua son seria, una volta tanto! Impara ad apprezzare la gratitudine, nano scorbutico.»

Era così tenero come un Levi imbarazzato fosse capace delle più varie scortesie.

«Hanji, credimi, questo – disse Erwin indicando ancora la pila di roba rovesciata da Hanji sulla sua scrivania- per quanto mi riguarda è più che sufficiente per me per farmi chiudere un occhio sull'irregolarità della faccenda. Anzi, non negherò che è piacere tutto mio sapere di avere dei sottoposti così» commentò Erwin con un sorriso.

Ewin lo pensava vero. Non avrebbe potuto chiedere sottoposti migliori in quanto a efficienza. E di sicuro il teatrino che aveva davanti era la cosa più simile al divertimento che gli fosse concesso avere in quella divisione militare…

«Un cane rabbioso…»

«…e una scienziata pazza? Contento tu.» si completarono vicendevolmente le frasi l’un con l’altro Hanji e Levi.

Erwin scoppiò a ridere fragorosamente.

Ci fu un attimo di silenzio dove ognuno si perse un attimo nei propri pensieri prima di proseguire il discorso.

«Be’ se Levi ti ha già spiegato tutto a proposito del perché e come il titano è entrato qui dentro, tanto meglio – riprese poi a dire Hanji schiarendosi la gola, il ben noto fuoco che le ardeva negli occhi- posso passare direttamente alla fase due: raccontarvi che cosa ho scoperto!»

Hanji agguantò da un angolo della stanza una sedia sulla quale senza troppe cerimonie si sedette a cavalcioni, cominciando a rovistare nel mucchio scomposto di fogli sulla scrivania di Erwin, mentre parlava fitto fitto.

Raccontò di come Ivel – così aveva chiamato il titano catturato- fosse stato sottoposto ad alcuni test per accertare la sua reazione di fronte al fuoco e all’acqua; avevano effettuato alcuni esperimenti per indagarne alcuni aspetti della circolazione sanguigna e ancora adesso stavano cercando di calcolarne l’esatta capacità polmonare…Non si erano risparmiati in quella giornata, anche se per alcuni test i risultati non sarebbero stati sicuri prima dell'indomani mattina. Avevano stilato parecchie tabelle comparative di dati tra previsioni, rilevazioni e confronti con test precedenti, alcuni a suo avviso piuttosto indicativi e persino - si sbilanciava - positivi per le sue idee.

«…perciò in sostanza…si potrebbe fare sul serio» concluse la sua dettagliata spiegazione con un sorriso.

Levi non aveva seguito moltissimo del discorso in realtà, impegnato com’era a calcolare la curva del seno di Hanji che gli ballonzolava proprio davanti agli occhi – considerato quanto fosse piatta, era incredibile quanto morbido fosse stato l’abbraccio di prima - ma annuì.
Aveva giusto capito che si riparlava dell’idea delle vasche e di piani per far affogare i titani…poco altro.
Se ne parlava Hanji ed era una sua invenzione sicuramente avrebbe funzionato, del resto.

Sì sentiva un po’ uno stronzo, in realtà, perché in genere la ascoltava con piacere e attenzione; ma quella sera stavano succedendo troppe cose e si meravigliava anzi di essere rimasto così lucido e normalmente irascibile tutto quel tempo. Anche se ora cominciava a crollare…

«Ho bisogno di alcune conferme definitive ma…come dire...preferirei aspettare un attimo»

«Perché?» chiese Levi, ritornato finalmente al presente.

«Perché…da questi ultimi test non si potrà tornare più indietro. Ivel morirà…e vorrei che questo capitasse il più tardi possibile, se devo essere sincera. Ho così tante domande a cui ancora cercare risposta e vorrei sfruttare al meglio l’opportunità che mi hai dato catturando il titano vivo.»

«Possiamo sempre prenderne un altro…»

«Non è il caso di rischiare troppo…e non è una giustificazione all’agire avventatamente. Ivel, per il momento, può essere utile per altro...»

Fu solo in quel momento che Levi si accorse del sorriso sghembo che aveva cominciato a imperare sulla faccia di Erwin mentre sfogliava un plico di carte. In quali oscuri pensieri sulla rivincita della razza umana si stava perdendo quell’uomo? - Si chiese Levi quasi stupito di quella palese rottura del suo superiore equilibrio emozionale. In genere la sua euforia non era così visibile…
Era persino un pelo inquietante.
Guardava palesemente baldanzoso le carte di Hanji e, a intermittenza, …lui. Probabilmente in quella sua testa bacata stavano già frullando idee per sfruttare al meglio le nuove informazioni di Hanji e le straordinarie abilità del soldato più forte dell’umanità – dio, se odiava quell’appellativo, Levi.

«Ah, quello…è il rapporto della cerimonia sul nome- commentò Hanji accorgendosi di cosa stesse guardando con curiosità il Comandante, rabbuiandosi -anche se pure stavolta il gigante non è sembrato avere reazioni di fronte a una celebrazione così importante…e niente alla luce della faccenda del titano di Ilse Lagnar che sapeva parlare e comprendere, mi era sembrato che il fallimento dei tentativi di comunicazione verbale fosse un dato da tenere comunque in considerazione…» si lamentò, un po’ delusa.

«Hanji, hai di nuovo fatto quella strana cosa di battezzare un gigante?» chiese Levi, guardandola in tralice, incredulo.

«Certo! Come posso pensare di fargli la festa un giorno o l’altro…senza organizzargliene una seria per celebrare il nostro incontro?» Hanji sembrava compiacersi particolarmente di quella squallida battuta…nel cui senso però Levi capiva con rammarico che credeva veramente.

«Oddio, Hanji, fammi il piacere!...Tu sei seriamente matta…»

«No, no, ascolta: perché dargli un semplice numero di matricola, dico io? Un nome si ricorda meglio di una sequenza di numeri…ed è anche più pronunciabile oltre che passibile di una risposta emozionale. Senza contare che io risponderei più volentieri a uno nome eufonico che a una sequenza di numeri! Vuoi mettere? “Ehi, tu, Y589B? Ehi, dico a te?” Meglio, decisamente, Sawney, Bean, toh, Ivel…»

Ma Levi non le diede la soddisfazione di alcuna altra replica, neanche un insulto o un semplice «Tzk», guadagnandosi una linguaccia da parte della donna.

«…e niente, io direi che per ora è tutto» concluse a quel punto Hanji, ritornando a guardare Erwin, sicuramente più valido come interlocutore «Domani procederemo con nuovi esperimenti».

«Benissimo. Ottimo lavoro, Hanji, come sempre.» si complimentò Erwin, con un vigoroso cenno del capo «Attenderò aggiornamenti, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno»

«Signorsì!» cinguettò quella ancora esaltata, esibendosi in un gongolante saluto militare.

«Riposo, Hanji. E adesso, se posso dirti la mia…vatti a fare una bella dormita. Goditi un lungo riposo ristoratore. Per oggi...hai lavorato a sufficienza.»

«Potrà sembrare strano…ma non me lo farò ripetere due volte. Questa giornata è stata estremamente fruttuosa ma anche terribilmente spossante…e ho perso il conto delle ore di sonno perdute nelle scorse settimana…quindi, se volete scusarmi…» e fece per guadagnare la porta.

Ma Levì la bloccò; «…Oi, quattrocchi, la tua robaccia la lasci qui?»

«…in realtà quello sarebbe il mio rapporto…un po’ corposo…» esitò quella un secondo, gli occhi a Erwin come a chiedere conferma che per lui andasse bene lo stesso «Non credo che a Erwin la cosa presenti problemi».

«Corposo? Questo è CAOS! Santo Moblit, dove sei…? Cioè, questa è la maniera in cui tu presenti i resoconti se quel benedetto ragazzo non gli dà una guardata?» si indignò Levi.

CAOS. Hanji apeva che l’avrebbe definito così.

«Guarda che è la bella copia! E Moblit – precisò, prima di proseguire pensierosa – l’ultima volta lo avevo visto collassato sul tavolo del refettorio…adesso starà dormendo beato come un fanciullo nel suo letto, avevo dato ordine agli altri di occuparsene…»

«Oddio. Quel ragazzo morirà giovane di stanchezza a furia di venir dietro al tuo pazzoide stakanovismo…Erwin, salvalo…»
Senza contare che se quella era la bella copia… Levi non voleva vedere la brutta.

«Nah, c’è abituato. – lo zittì lei - Ora, se per mister cravattino non c’è altro, io andrei»

«Congedata» confermò il suo permesso Erwin.

«…quattrocchi, fatti anche una doccia prima di dormire» la ammonì per tutta risposta Levi.

«Sarà fatto – esclamò quella allegramente, rivolta a entrambi, e stavolta fece davvero per andarsene; era già fuori dalla porta quando si voltò un secondo - ah e Levi…quando vuoi, passa da me…avrei una cosa da darti»

«VATTENE»

La porta si richiuse con un click, lasciandosi dietro solo silenzio.

Passarono interi minuti prima che il picchiettare nervoso del dito di Levi sulla sedia fosse sostituito dal lamentarsi della sua voce.
Quando fu certo che Hanji non fosse più a portata d’orecchio, i passi oramai scomparsi in lontananza: «Ha detto “dirti” o “darti”? L’ha detto sul serio? Dimmi che non l’ha detto davvero…non così» sbottò Levi schizzando in piedi come posseduto, misurando la camera a grandi falcate.

«Sai che si diverte a fare uscite infelici…» lo rassicurò Erwin.

«…“Da me” dove, poi? “Una cosa” cosa? E poi uno passa per quello che va a pensare male…»

«Be’ a un certo punto mentre ci spiegava le sue ricerche hai pensato male» osservò Erwin provocatorio, punzecchiandolo. Si era accorto delle occhiate di troppo.
Levi, consapevole, non aveva cuore di replicare. E si risedette.
L’importante era che non se ne fosse accorta lei

«Io non vado»

«Sarebbe scortese…»

«Non so cosa mi voglia dare, ma non vado. Può benissimo aspettare domani o dopo…»

«Sicuramente, specie visto che ha detto di voler andare a dormire. Comunque sei stato bravo a fare lo stronzo stasera» si complimentò Erwin, sinceramente colpito della sua dote recitativa. «Hai meravigliosamente interpretato il tuo solito te stesso. Pensavo ti saresti inalberato…»

«Eravamo in tre…»

«Perché se foste stati in due? Cosa cambierebbe se foste in due?»

Levì esitò un attimo. «Non lo so…forse la strozzerei, risolverei molti problemi»

Erwin sospirò.
«Levi…?»

«Che c’è?»

«Io credo che ti convenga andare da lei…se non altro per chiarire la faccenda…»

«Non se ne parla! Forse finalmente ho le idee chiare su cosa fare…È mia intenzione farmi passare questa … cosa e alla svelta. Anche questa conversazione ha reso chiaro che è l’unica soluzione possibile…hai ragione: è impossibile lavorare così e gliene parlerò…ma non ora…»

«Levi, sono affari tuoi quello che vuoi fare delle tue cottarelle ma...io mi riferivo piuttosto a questa faccenda»
Erwin gli allungò un plico.
«Leggi. Con attenzione.»

Levi prese i fogli in mano con esitazione e un po’ di ritrosia. L’idea di toccare ancora quella roba non lo persuadeva tanto.
Sfogliò un attimo le pagine tenute assieme da una graffetta.
Infilato nel fascicolo che Erwin aveva prima sfogliato con attenzione, quello della cerimonia del nome, stava un foglietto ancora più lurido degli altri che recava inequivocabilmente la calligrafia di Hanji. Vi erano scritti parecchi nomi, uno più impronunciabile dell’altro, alcuni scarabocchiati via, altri circolettati o depennati con una x. Freccette, pallini e altri segni mostravano chiaramente che Hanji si era divertita a giocare con anagrammi e mix di sillabe. Solo, al centro spiccava però il nome IVEL, una freccetta che girava tutto attorno.
“Ivel” pronunciò ad alta voce. Il nome del titano.
La realizzazione per il Caporale fu improvvisa.
Ivel…era Levi detto al contrario
Hanji aveva dato a un gigante il suo nome …O quasi.

«Non può averlo fatto sul serio…»

«A quanto pare…»

Quindi era per questo che Erwin si era messo a sorridere prima; nessun piano diabolico, nessuna macchinazione. Hanji, nel dividere le copie da tenere per sé e quelle da consegnare, aveva probabilmente dimenticato accidentalmente quel foglio... E lui lo aveva scovato.

«Personalmente terrei in considerazione questo fatto prima di decidere come comportarmi…»

«Ha dato il nome di uno che è notorio lei chiami “nano” a un gigante. Molto divertente…»

Ma Erwin suonava dubbioso.

«Io non credo che il suo intento sia stato quello, Levi…forse…forse in quel nome c’è la risposta alla domanda che mi hai fatto prima…»

«Erwin, a che gioco stai giocando?»

«Io?» replicò quello, innocente «Io non gioco; mi limito ad osservare. E giudicare.»

«E allora illuminami. Che diavolo significa?» ringhiò Levi ficcandogli il foglio sotto il naso.

Erwin si limitò ad alzare un sopracciglio. Poi pensandoci bene sollevò pure l’altro. Ok la gratitudine, ma quel foglio era inequivocabile…
«Be’, sai, spesso i figli portano i nomi dei padri e Levi jr sarebbe stato troppo palese…anche gli anagrammi vanno alla grande o i composti dei nomi dei genitori…»

Le sillabe impronunciabili.
Quelle rigacce tirate a caso.
Avevano un senso.

«Il nostro titano…» mormorò Levi folgorato dalla realizzazione.
Prima ancora che il Comandante avesse finito di parlare, Levi era in piedi e stava guadagnando la porta, lasciando Erwin seduto alla sua scrivania, senza dargli tempo di replicare.

«IO LA STROZZO SUL SERIO STAVOLTA»

E si fiondò fuori a rincorrerla.

-------------------------Author's corner--------------------
Temo di non sapere più quante volte ho scritto 'sto capitolo, spero vi soddisfi quanto adesso soddisfa -almeno un po'- me. Insomma, qui cominciano a scoprirsi gli altarini. Hanji è entrata, ha fatto casino, persino più di quanto da principio Levi avesse intuito. E mo 'sto tutti cazzi di Hanji ahhahahaha Ha un Levi incacchiato alle calcagna pronto a chiedere spiegazioni...e chissà come potrà evolversi la loro discussione?

Io spero di avervi strappato un sorriso anche stavolta. Non so quanti erano arrivati a capire subito il gioco dietro a Ivel - tutti, credo ahahahaha-. Ma il nostro Levi più che mancare di perspicacia manca di malizia e quindi ha dovuto ancora una volta bearsi del santo Erwin per capirci qualcosa. Mi ha divertita immaginare Levi compatire Moblit...ce li vedo a far comunella per pulire il disastro che Hanji lascia dietro di sè.

​Il prossimo capitolo sarà tutto dedicato ad Hanji...e alla rivelazione di alcune cose che ha fatto che...so che vi lasceranno stupiti >.>
SPERO.

​Colgo l'occasione per ringrazire _reset_ a cui dedico gli hint eruri di Hanji che se ne esce con la frase che "La gente pensa male se quei due -Erwin e Levi- si chiudon dentro a chiave". GRAZIE A TUTTI VOI che continuate a recensire, commentare, seguire e mettere la mia storia in una delle vostre cartelline di ff degne almeno un po' di nota :3 Non sapete quanto significhi tutto questo per me.
Che dire, ci vediamo nel prossimo aggiornamento.
​Preparatevi al fazzoletto e ad affilare i coltelli, prevedo che il prossimo capitolo farà imprecare almeno alcuni di voi X°D Ah e ve lo anticipo: quello non sarà allegro proprio per niente...

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Capitolo 7
*** Bugie ***


CAPITOLO 7: Bugie

Hanji si era concessa un amaro sorriso e un sospiro silenzioso mentre chiudeva la porta dell’ufficio di Erwin alle proprie spalle e si avviava verso la sua stanza nel quartiere femminile.
Non era così che si era immaginata quella conversazione. Proprio no.

C’aveva rimuginato su tutto il giorno, massacrandosi coi denti il pollice sinistro -con la mano destra era troppo impegnata a scrivere e scartabellare; infine si era decisa.
C’era più di una ragione se quella sera Hanji aveva deciso di recarsi dal Comandante: aveva bisogno estremo di un consulto con lui. I risultati delle ultime ricerche parlavano chiaro su alcune teorie che da tempo aveva formulato… Senza contare che troppi dubbi, problemi e questioni in sospeso andavamo risolte. E il consiglio di Erwin -o una sua intercessione- era giunta alla conclusione le avrebbero giovato grandemente -oltre a essere, a quel punto, estremamente d’uopo. Non poteva aspettare oltre.

Il sole era già calato da un pezzo, la sera inoltrata; anche il moncherino di candela che eroicamente resisteva acceso regalandole un poco di luce era all’orlo della capitolazione.
Così aveva fatto fagotto con tutto quello che era riuscita a raccattare – per fortuna aveva debitamente schiavizzato Moblit affinché spendesse la giornata a fare triplice copia di ogni appunto che prendeva- e si era affannata a ricopiare le ultime trovate che aveva elaborato dopo averlo congedato per la troppa stanchezza, prima che collassasse – seriamente, a un certo punto si era persino appisolato contro un muro... Del resto non si erano fermati un secondo in tutto il giorno e ancora adesso, lì fuori, il gigante che era stato oggetto delle loro sperimentazioni era sottoposto ad alcuni monitoraggi da parte della quarta squadra della Legione Esploratrice, direttamente al comando di Hanji.  Sarebbe stata ancora lunga, la notte, per Nifa e Keiji…

Normalmente, a dire la verità, Hanji non avrebbe avuto tutta quella fretta di finire di stilare i resoconti; ma le serviva portare a Erwin risultati concreti se voleva davvero intavolare quella conversazione che aveva in mente – e non poteva certo rifilargli spazzatura. Almeno non nei contenuti…visto che, per quanto concerneva la presentazione, si era arrangiata con quello che aveva trovato pur di finire, per dare un senso compiuto al tutto, connettere dati, statistiche, ipotesi…perciò a un certo punto, pur di aver materiale su cui scrivere, si era anche risolta a utilizzare qualunque cosa, compresa quella che, sospettava, un tempo doveva essere stata la carta di un panino ormai talmente vecchia che persino l’unto aveva finito per asciugarsi …e altra roba di natura altrettanto discutibile.

Ma del resto aveva così tanto da dire…che persino le riserve di carta avevano finito per scarseggiare – e la carta era un bene prezioso, la cui spesa, Hanji, tutti i mesi, doveva fare i salti mortali per coprire.
Aveva sorriso, raccogliendo le carte, un’ultima occhiata al suo ufficio, pensando a quante gliene avrebbe dette Levi se avesse visto com’era conciato in quel momento…il concetto di “soqquadro” non era mai stato meglio rappresentato. Il caos non aveva mai raggiunto tali livelli in quella stanza…
Così, con una pila effettivamente mostruosa di roba – per qualità e quantità-, si era fiondata da Erwin praticamente correndo.

Sì. Doveva parlargli assolutamente.
E ne aveva ben donde: quel giorno avevano scoperto cose grandiose e numerose che meritavano di essere rese note il prima possibile…!
Inoltre…
…inoltre Hanji, aveva in mente di tracciare il ritratto più elogiativo di Levi che chiunque avesse mai pensato di fare. Anzi, a dirla tutta, quello era lo scopo primario per il quale si era affannata a finire il proprio lavoro in tempo record.
Glielo doveva.

La donna ancora stentava a credere di avere finalmente di nuovo tra le mani un gigante vivo e vegeto. Era un vero e proprio desiderio tramutatosi in realtà. E il merito…il merito era tutto di Levi.
Quei nuovi risultati che stringeva in mano, visibilmente così copiosi, li dovevano tanto a lei…quanto a lui - e alla sua Squadra Speciale, certo. Era quasi ironico, a ben vedere, pensare che l’umanità compiva passi da gigante grazie a un…nanerottolo!

Quando quella mattina la notizia della cattura le era stata notificata, tre sensazioni l’avevano invasa a turno: sollievo, perché sapeva dell’operazione in corso e per tutto il tempo era stata invasa dalla preoccupazione; stupore, perché scoprire che Levi ce l’aveva fatta davvero aveva comunque qualcosa di fenomenale; e incontenibile gioia, che poi i risultati della produttiva giornata non avevano fatto altro che far aumentare.

Lo diceva, lei, che alcuni esperimenti che aveva in mente si sarebbero rivelati necessari per proseguire con i suoi studi; lo diceva che i risultati, se positivi, avrebbero potuto costituire una buna base di partenza per ampliare le loro nozioni sulla lotta ai giganti. Ora tra le mani stringeva la conferma che il suo parlare non era stato a vanvera.
Eppure…Hanji non poteva essere soddisfatta. Perché per colpa di uno stupido divieto, Levi e i ragazzi non avrebbero potuto giovare di quel successo come sarebbe stato giusto. Soprattutto Levi, l’artefice del piano.

L’operazione di cattura era stata svolta in gran segreto, nota solo ai pochi – fidati- che ne avrebbero preso concretamente parte. E per quanto il piano escogitato da Levi fosse geniale, davvero – degno di Erwin, per dire- proprio questo fatto le aveva lasciato un profondo senso di amaro in bocca. Era ingiusto, ingiustissimo che non potessero, lui e gli altri, bearsi di tutti gli elogi che avrebbero meritato.
Era andata così. In pratica Levi aveva deciso di sfruttare per la cattura l’occasione che gli era stata offerta su un piatto d’argento dalla Guarnigione.
Due giorni prima, dalle guardie del distretto di Karanese era stata registrata un’anomalia che aveva impiegato ben poco tempo a suscitare parecchio trambusto: qualche miglio più a sud, verso il distretto di Trost, da una zona di fitta boscaglia, era stata notificato l’innalzamento di alcune colonne di fumo, dense e nere. Era stato necessario un concilio lungo cinque ore e l’accorato intervento di Rico Brzenska affinché si decidesse, alla fine, di approntare una squadra di ricognizione che appurasse la natura del fenomeno. La speranza era che l’origine di quel fumo fosse di tipo antropico, per la precisione un rudimentale sistema di segnalazione escogitato da parte di qualcuno dei numerosi dispersi della sfortunata 57° spedizione della Legione, che si contavano a decine anche a parecchi giorni dal suo fallimento. Del resto, non sarebbe stata la prima volta che, quasi miracolosamente, qualche superstite fosse riuscito a cavarsela per giorni fuori dalle mura, pur circondato da giganti. Mille ragioni potevano impedire a qualcuno di raggiungere Wall Rose e mettersi in salvo…banalmente, per quanto ne sapevano, un intero gruppo di soldati poteva essere rimasto bloccato in quella macchia per via dei 3DMG danneggiati, magari circondati da un gruppo di titani famelici, troppo caparbi per lasciar perdere e troppo stupidi per acchiapparli.
Era stata quell’osservazione di Rico a convincere un po’ tutti della necessità di un controllo. Anche la semplice speranza di trovare un solo soldato vivo valeva la pena di uno sforzo…e del resto si trattava di una banale azione di controllo, tuttalpiù di salvataggio – e sarebbero solo stati felici, nel caso, di scoprire che in effetti qualcuno che potevano trarre in salvo c’era.
…Sempre che di punto in bianco i giganti non avessero imparato a usare il fuoco, eventualità piuttosto remota, in verità, ma che nel qual caso avrebbe costituito un vero problema per gli uomini delle mura – sebbene sicuramente un simile fatto avrebbe fatto felice una certa scienziata, a provocatoria detta di qualcuno... Non sarebbe stato carino scoprire l’esistenza di un ennesimo gigante nemico dotato di intelligenza umana e piromane
Per quanto ne sapevano, poi, poteva trattarsi in realtà di un normale rogo spontaneo - nemmeno troppo inverosimile dato il clima torrido di quei giorni- che per qualche ragione poteva essere rimasto confinato senza estendersi troppo, vuoi perché scaturito in una macchia piuttosto rada e poco sottovento, vuoi perché originatosi in aree più remote, tanto da permettere alle sentinelle sulle mura di scorgerne solo le ultime propaggini; ma tale da essere comunque abbastanza violento da carbonizzare l’area interessata; e del resto, anche se si fosse tratto niente più che di questo, sarebbe stato saggio controllare l’entità del danno arrecato alla Foresta dei Titani, alle strutture di supporto e, se necessario, ridisegnare le mappe dell’area.
Così ci si era risolti a una missione congiunta, da svolgersi di lì in capo a 48 ore, tra un gruppo di soldati dell’Avanguardia della Guarnigione, guidato dalla stessa Rico, e qualche membro della Legione non troppo malmesso dalla 57° spedizione.
Era stato allora che Levi aveva deciso di cogliere l’opportunità di mettere in atto il piano di cattura del titano così come l’aveva architettato nei giorni precedenti.
Senza pensarci due volte, aveva avanzato la proposta che ad accompagnare il giovane membro dell’élite della gendarmeria fossero i sopravvissuti tra le migliori 10 reclute della Legione provenienti del 104° corpo d’addestramento, che avrebbero potuto essere guidati per l’occasione da un membro dell’élite della Squadra ricognitiva.
Levi avrebbe volentieri proposto sé stesso e probabilmente aveva sempre pensato che l’azione sarebbe stata condotta da lui in persona: ma la ferita alla gamba che si era guadagnato nel combattimento con il Titano Femmina gli impediva per il momento la piena operatività e si rendeva conto che un Capitano ferito era solo un elemento in più di difficoltà gratuitamente aggiunto alla missione- anche se sarebbe stato un peccato farsi sfuggire quell’opportunità.... Con un cenno d’assenso a Levi, Mike per sua fortuna, si era proposto spontaneamente come guida in sua vece per quello sparuto nugolo di ragazzini. Levi sarebbe stato presente, ma nelle retrovie, sui carri che avrebbero accompagnato la spedizione. Da lì, a suo modo, avrebbe avuto maniera di fare la sua parte ugualmente, con il ruolo di coordinatore generale.
Che la proposta di Levi fosse stata accolta favorevolmente, era stato chiaro ancor prima che la si mettesse ai voti. Con il secondo soldato più forte dell’umanità dispiegato al fronte, il primo nelle retrovie e a dare man forte Rico, che, in quanto membro d’élite dell’Avanguardia, non era affatto da meno, la missione e il suo successo sembravano comunque assicurati.
Quello che non sapevano i generali -e nemmeno Erwin- era appunto che nelle intenzioni di Levi ci fosse quella di assegnare ai membri della legione da lui proposti il compito di imprigionare almeno uno dei titani che avessero incontrato. Per questo il suo pensiero era andato a Eren e ai suoi compagni d’anno.

Prima di tutto: bisognava far recuperare fiducia in sé stesso al ragazzo-titano. La 57° spedizione aveva incredibilmente lasciato illeso l’intero corpo reclute, ma non sul piano mentale: era dura, la prima spedizione, per tutti i novellini; ed Eren si era caricato sulle spalle il peso del suo fallimento e della morte della squadra di Levi. Inutili erano stati tutti i discorsi che Levi e chiunque altro avevano potuto fargli, il suo morale, da quel giorno, era a terra, la certezza che la responsabilità di quelle vite spezzate gravasse sulla sua coscienza un tarlo che rodeva da dentro.

In secondo luogo, bisognava ridare credibilità al ragazzo-titano, perché ai piani alti molti avevano finito con l’attribuire la colpa del fallimento della missione fuori le mura ad Eren…così che riconfermare l’utilità per gli umani della sua trasformazione era a tal punto divenuto nuovamente necessario. Non si trattava più di dimostrare che Eren non costituiva un pericolo, ma che Eren poteva essere utile.
Far sì che un’operazione si concludesse meravigliosamente grazie all’ aiuto del ragazzo era parsa a Levi l’unica soluzione per prendere più piccioni con una fava.
Senza contare che per catturare un gigante, averne uno tra le loro fila, e senziente, era una semplificazione non da poco, a studiare bene le mosse. Era logica.

Il piano si basava su sole due variabili: il numero e il tipo di titani che avrebbero incontrato.
Ma mentre il gruppo dell’Avanguardia si fosse inoltrato nel bosco, le reclute della Legione si sarebbero impegnate a tenere lontani i giganti con il solito metodo dei razzi colorati, svolgendo, in pratica, il ruolo di guardie del corpo. Un gruppo si sarebbe occupato specificamente dei carri, sui quali, nel caso, sarebbero stati caricati i feriti o i reduci ritrovati dalla 57° spedizione – e dai quali avrebbe contribuito a dirigere le operazioni Levi stesso. E tra i deputati al compito di sentinelle, ci sarebbero stati gli orfani di Shiganshina: Eren, Mikasa e Armin.
Ad Armin e al suo giudizio competeva scegliere quale titano catturare e quando.
Ad Eren sarebbe spettato il compito di agire da esca, in particolare, per attirarne volontariamente uno vicino alle mura.
Mikasa, invece, aveva ordine di aiutare Eren nella cattura garantendo la credibilità della scena e l’incolumità del ragazzo...oltre che- incredibile ma vero- del titano prescelto.

Quando fossero stati abbastanza vicini ai portoni di ingresso, Eren avrebbe dovuto trasformarsi in gigante e lottare con esso; a un certo punto, quando tutti fossero rientrati nelle mura, Eren avrebbe dovuto fingere di essere sopraffatto dal gigante, facendosi sbattere contro il portone di ingresso.
A quel punto sarebbe stato tutto nelle mani di Levi, che avrebbe dovuto convincere i guardiani delle mura ad aprire i cancelli per far rotolare all’interno i due giganti e catturare il “selvatico”.
Ed esattamente così erano andate le cose: nel giubilo generale dell’avere effettivamente ritrovato un gruppo di ben dieci soldati ancora vivi, la cattura del titano si era svolta esattamente come Levi aveva previsto. Un successo su tutta la linea.
E un piano geniale di per sè, davvero geniale.

Di più: Levi aveva corso un rischio grandissimo per mettere in atto quel piano. E a nulla erano servite le preghiere di Hanji di lasciar perdere per il momento, perché conciato com’era poteva finire molto male…
Ma «Tutt’altro- aveva ribatutto lui-  il fatto che sono ferito servirà ancor più a convincerli che io non sto tramando niente…solo uno sconsiderato potrebbe macchinare piani secondari con una gamba malandata…»
E così dicendo non aveva voluto sentire storie. Aveva deciso che la cattura del gigante sarebbe stata portata a termine e basta, semplicemente ciò sarebbe avvenuto, checché ne dicesse chiunque, lei compresa-. E quanto aveva detto aveva poi fatto.

Per tutto questo però, Hanji non riusciva a darsi pace.
Guardava le carte, i nomi dei membri dell’equipe al suo seguito perfettamente citati…e la mancanza della nuova squadra Levi in ognuno di quei rapporti le suonava come un insulto.
Se si era decisa ad andare a parlare con Erwin, era proprio per tale ragione: era una specie di dovere morale a spingerla; doveva parlare con il comandante, dirgli quanto si sentiva in debito nei confronti di Levi…per cercare di ripagarlo in una qualche maniera …per vedere se c’era qualcosa che almeno lui potesse fare, per informare il Comandante, almeno, di che uomo di valore avesse al proprio servizio. Perché in tutto questo, se proprio proprio un riconoscimento ufficiale non glielo si poteva dare – e Hanji sapeva benissimo che semmai, piuttosto, Levi ora come ora rischiava un richiamo formale per violazione delle direttive – almeno lui, però, che a differenza degli altri era dotato di un cervello, un po’ di merito nel suo piccolo avrebbe potuto concederglielo. Anche se concretamente non sapeva né come né con cosa il Comandante avrebbe potuto ricompensare Levi…ma questi erano dettagli.
Lei voleva sottolineare quanto generoso e rischioso fosse stato quel suo gesto, per di più volontario…certo Erwin già sapeva che Levi era tutto meno che l’insensibile commilitone che amava apparire, ma questa volta, con le sue azioni, aveva trasceso ogni gentilezza e prova di coraggio di cui era stato capace da quando era stato sbattuto nella Legione. Ancora una volta aveva agito per il vero bene dell’umanità, a rischio della sua stessa vita, ancor prima che della sua posizione…
Tutto ciò andava premiato, in qualche modo. Per forza.
Si sentiva pronta. Avrebbe finalmente ricambiato il favore, sarebbe stata lei utile a Levi, stavolta.
Si rifiutava di ricambiarlo solamente con un grazie; sentitissimo, eh, ma che non portava a nulla… Tanto più che fino a quel momento il diretto interessato della questione non aveva ancora potuto bearsi di alcun ringraziamento ben fatto: quella mattina era riuscita giusto giusto a urlare all’amico Caposquadra due cosette tra ilarità ed entusiasmo…dopodiché lei aveva passato il giorno a dar di matto sul lavoro e non aveva più avuto occasione di incrociarlo né di concludere seriamente quel discorso che aveva appena cominciato…

Così, si era diretta verso del Comandante con un discorso studiatissimo stampato in testa tanto lo aveva ripetuto dentro di sé, ricco di parole fiammanti e una retorica condita da ammirazione sincera.
Probabilmente a Erwin non sarebbe servito che lei dicesse nulla di che, in realtà; probabilmente avrebbe capito tutto già da solo, vedendosela spuntare davanti, persino più agitata del solito, vaneggiando il nome di Levi come una benedizione. Del resto Hanji faceva conto che probabilmente a quel punto già da solo Erwin stesse meditando qualcosa di simile a suo beneficio…

…Non si era aspettata però che Levi in quel momento si trovasse proprio con Erwin; e per un attimo era rimasta sorpresa, anche se, una volta nell’ufficio, con la faccia tosta che si ritrovava, aveva dissimulato alla grande il proprio stupore.
Hanji aveva riconosciuto la voce del Caposquadra sussurrare mentre bussava alla porta - anche se non era riuscita a distinguere cosa stesse dicendo.
Che diavolo ci faceva Levi lì dentro? Si era chiesta con estremo disappunto e, peggio, delusione.
“No no, così non va bene, questo è un disastro!” aveva pensato, quasi in preda al panico.
Lei necessitava di parlare prima con Erwin e poi con Levi! Non contemporaneamente!
Del resto, se finora aveva rimandato il confronto con Levi decidendo di andare prima da Erwin era stato anche perché, se ne era resa ben presto conto, il contenuto del discorso che intendeva fare a Levi sarebbe dipeso, in buona parte, dall'esito dall’altra discussione che aveva in mente di intavolare proprio con il Comandante... discussione che ora, però, sicuramente non avrebbe più potuto intrattenere. Non poteva certo fare quel discorso in presenza del soggetto…! Sarebbe stato…sbagliato
“Oddio e io adesso cosa dico a Levi?” E pensare che lei era arrivata lì per quello, per poter andare da Levi con qualcosa di più di un “grazie” …!
Ma era troppo tardi, ormai, per pensare di ripassare in un secondo momento: aveva già bussato.

Dopo qualche secondo di attesa, aveva sentito il rumore di una sedia strascicata e dei passi che si avvicinavano alla porta, ritmati e pesanti, militareschi: quelli di Erwin, senza alcun dubbio.
"Ahi".
Se Erwin si prendeva il disturbo di alzarsi anziché dirle semplicemente "Avanti", era perché la porta era chiusa a chiave dall'interno. E se la porta era serrata era perché la discussione che si stava svolgendo nella stanza aveva una certa importanza, tale da fargli desiderare di evitare involontarie interruzioni...
La chiave aveva girato nella toppa con un sonoro "clack". Due mandate.
“Ahi…”
Se le mandate erano due era perché Erwin si era preso la premura di accertarsi di avere a disposizione ulteriori secondi prima di fare entrare chiunque…

Poi però la porta era stata aperta e Hanji per un attimo era stata assalita dal dubbio di aver forse compiuto lei un’enorme cazzata e di aver appena fatto irruzione in un momento terribilmente sbagliato: Erwin l’aveva accolta con un sorriso raggiante per la verità, ma la donna, con la coda dell’occhio, aveva visto Levi seduto in un angolo, uno scuro cipiglio in volto che si ostinava a tenere puntato verso una parete.
Nulla di diverso dal normale, avrebbero detto in molti…ma non lei.
Hanji aveva immediatamente avuto l’impressione di aver troncato un confronto poco piacevole tra i due e la sua mente allenata a formulare teorie aveva elaborato alla svelta svariate ipotesi.
Forse le prime rimostranze dai generali avevano cominciato a farsi sentire…Non sarebbe stato così strano, in effetti…la voce di un titano entro le mura ci metteva poco a circolare…
Forse Erwin stava facendo il quarto grado a Levi per quanto accaduto. Avrebbe spiegato perché a quell’ora tarda stavano ancora discutendo in quell’ufficio.  Del resto un po’ aveva il diritto di prendersela per il fatto che Levi aveva tenuto all’oscuro un po’ tutti, compreso lui…
Forse era arrivata troppo tardi per evitare che Levi si trovasse da solo a difendere la propria posizione, a giustificare i suoi atti e le sue scelte; magari lei avrebbe dovuto sbrigarsi e farlo prima quel discorso…
Le prese quasi il panico.
…o forse tutto capitava a fagiolo e proprio adesso il suo discorso, un po’ ricalibrato, sarebbe stato più utile del previsto?
Sorrise quasi, al pensiero di potersi forse rivelare in un certo qual modo provvidenziale, più di quanto aveva anche solo sperato di poter essere per Levi. Forse c’era ancora speranza per lei di fare il suo discorso, magari non proprio come se lo era preparato, però nella sostanza…

Ma Hanji si era lasciata trasportare.
Della cattura del gigante stavano, i due, in effetti, parlando…ma per sua sfortuna- e per fortuna di Levi- Erwin non sembrava per nulla contrariato dall’accaduto. Anzi. Le era stato ben presto chiaro dal tono di Levi e ancor più dalle dichiarazioni di Erwin stesso; non che nella accondiscendenza del Comandante non avesse contato sin da principio…era lì proprio per quello
Ma Erwin appunto non poteva essere più lontano di così dal rimproverare il Caposquadra. Semmai gli dava pienamente ragione e si stava complimentando.
Aveva accolte anche lei con una giovialità rara persino per lui.
Hanji era stata ad ascoltarli con attenzione. Il Comandante aveva elogiato lui, aveva elogiato lei. Aveva speso buone parole per il piano, per l’operazione, per il futuro…
Armonia completa. Sembrava tutto perfettamente a posto.
Talmente a posto che il suo bel discorso di elogi si era rivelato fottutamente inutile ed estremamente fuori luogo… per sua somma insoddisfazione.
Il che aveva contribuito a frustrare ancor più le sue aspettative. Perché per un attimo Hanji aveva davvero sparato di poter davvero fare finalmente qualcosa, per il bene di Levi –non solo mettere una buona parola, anche due, tre ma addirittura difenderlo …. Invece no.

Li aveva ascoltati parlottare perfettamente a loro agio, comodamente, il Comandante e il Caposquadra, con Levi che insultava tutti caustico come suo solito, tra le risate divertite e cospiratrici di Erwin.
E a disagio si era sentita lei, con Levi al fianco e niente di decente da dirgli o ancor meglio, offrirgli in cambio. Perché più che concordare con Erwin…non poteva fare.
Esattamente quello che aveva temuto.
“Benissimo. E io che caspita faccio adesso?” si era domandata completamente disarmata, guardandoli. Mica poteva rincarare la dose tanto per fare qualcosa!

Così Hanji, osservando Levi al suo fianco dire peste e corna dei generali, aveva riso, la solita complicità di sempre, ma dentro di sé aveva sperato ardentemente che il nano si levasse dai piedi lasciandole lo spazio, finalmente, per parlare da sola con Erwin.
Alla fine si trattava di rimandare ancora una volta i ringraziamenti a Levi giusto un attimo e per un bene superiore – che poi era il suo.
Quasi quasi le dispiaceva vederli interloquire in toni così affabili...
E con quell’osservazione si era resa conto di aver toccato il fondo dell’indecenza.
“Ma che diavolo vado a pensare?" Si era redarguita da sola.
Le era dato di volta il cervello? Sperare che Erwin stesse cazziando Levi...o che questi se ne andasse via da una stanza dove stava già ricevendo solo elogi...?
Per fare cosa, poi??? Che le restava da dire, a lei?

Oramai non stava nemmeno più ascoltando le parole di quei due, impelagata nel dramma di capire com’era meglio comportarsi a quel punto.
 “Vorrei sapere perché diavolo non ho teso meglio le orecchie prima di bussare…”
Forse avrebbe davvero fatto meglio a origliare un attimo fuori dalla porta anziché piombare come una furia contro di essa. Lei e la sua stramaledettissima fretta. Se avesse aspettato solo un secondo di più magari avrebbe capito da sola che le conveniva sloggiare…magari avrebbe realizzato che Erwin stava già prendendo i dovuti provvedimenti del caso…se ne sarebbe andata lasciando i due a conversare e in un secondo momento avrebbe potuto fare quel discorso così come se lo era immaginato …
Invece no.
Quanto era stata stupida.
Aveva rovinato tutto e adesso non poteva fare più niente.

Così, totalmente rassegnata all’inconcludenza della sua venuta, pur di abbandonare definitivamente la questione, Hanji si era limitata a trasformare il suo bellissimo panegirico in una battuta, certo piena di riconoscenza e gratitudine, ma neanche lontanamente paragonabile all’encomio che aveva in mente.
E inutile, tanto quanto aveva fermamente desiderato non fosse.

Certo, poi avevano riso e scherzato tutti assieme.
Ma per converso, Hanji non si era mai sentita più sfiduciata di così.
Perché ad essere sincera lei era venuta lì per aiutare...ma soprattutto per capire alcune cose ...ma le era bastato poco per realizzare che non avrebbe potuto fare né l'una né l'altra cosa...anzi: da quella conversazione non avrebbe cavato fuori proprio nemmeno un ragno dal buco.
Davvero, il tempismo di Levi per quella volta era stato...semplicemente pessimo. E il suo pure.

Perché lei ci teneva davvero a sottolineare l’operato di Levi… specie ora che, di male in peggio, lui e Erwin, col loro cianciare, le confermavano che non c’era maniera per il momento di divulgare la volontarietà del progetto di cattura e di attribuire alcun merito concreto di pianificazione al Caporale… E con un Levi perfettamente incurante della cosa, come se fosse un fatto di nessuna importanza:
«Il fatto che ci fosse Mike è stato provvidenziale comunque – aveva sottolineato Levi a un certo punto- perché mentre io mi occupavo dell’operazione di cattura col nostro trio delle meraviglie, lui si è potuto occupare del resto della squadra fungendo da vero e proprio diversivo.»
«Almeno lui sapeva dell’operazione» si finse piccato Erwin.
«Be’ a lui dovevo dire qualcosa…Per quanto da fuori sembra sia stato il contrario, di fatto è stato Mike a pararci le chiappette…non si dovrà mai sapere che la cattura da noi eseguita era concordata…»
«Già. Questo è poco ma sicuro» aveva confermato Erwin scuotendo la testa in assenso. «È un peccato, ma è così…»
«Be’…pare che sinora ci siate riusciti benissimo a non farvi scoprire…- aveva mormorato Hanji rabbuiandosi, prima di sospirare - Dovrò ringraziare anche Mike…».
«Hanji, non siamo i soli a pensare che questa cosa del divieto di catturare giganti sia una cazzata…- l’aveva rassicurata Levi- hanno tutti partecipato di buon grado…anzi, avresti dovuto vedere lo zelo dello Jaeger quando ha saputo che si trattava di aiutare te…ma del resto quando non si eccita quel ragazzo di fronte a una missione suicida…? Credo che ti ammiri, sai, nonostante le cose strane che gli fai fare…Forse è per questo che andate d’accordo e non ti ha ancora uccisa nel sonno…» aveva aggiunto per stemperare. Si aspettava una battuta...che però non venne.
A quel punto i terribili sospetti di Hanji che gli sforzi di Levi non sarebbero stati ripagati a sufficienza si erano trasformati inequivocabilmente in realtà. Ed era questa l'unica cosa che le importava.

Così era rimasta zitta a osservarli, senza fare una piega alla battuta di Levi, incurante alle frecciatine. Si sentiva annichilita, svuotata.
Non c'era scampo. Stavano lì, entrambi, Erwin e Levi a discutere di come farsi beffe dei capi per il bene della scienziata, senza chiedere nulla in cambio…e Hanji non poteva che stare a guardare. Incapace di dire altro che “grazie”. A tutti.
Inutile, si era sentita semplicemente ed incontrovertibilmente inutile.

Hanji era stata grata ancora una volta della fiducia che le avevano accordato…delle belle parole spese in suo onore…
Ma a quel punto la sua delusione aveva raggiunto il limite.
Così era scoppiata a piangere. Un po’ per la gioia sincera di vedere quell’affetto nei propri confronti confermato e ribadito in maniera tanto palese. Ma in realtà a ben vedere per la rabbia ormai incontenibile di non poter essere in alcun modo d’aiuto, anche in quel momento, personalmente, ai suoi amici, a cui doveva per giunta così tanto. Soprattutto a lui, a Levi, grazie al quale era arrivata fin lì e per il quale si era spinta ad andare da Erwin.
Ma si era sforzata di non dare a vedere nessun segno di turbamento in questo senso, di non palesare le vere ragioni del suo pianto.
A loro voleva mostrare solo tutto l’affetto e la riconoscenza che provava nei loro confronti, la parte felice della propria commozione. Del resto…non poteva nascondere di essere davvero orgogliosa di avere amici e colleghi del genere.

«Peccato quasi non sia qui anche Mike…e i ragazzi pure…» si era risolta a dire.
Il resto, il suo sentirsi impotente…era un problema suo e avrebbe potuto farla passare, al contrario, per lagnosa e incontentabile: d’altronde, era stata fortunata ad essere circondata da persone simili…e lei si perdeva in pensieri così egocentrici, su ciò che non poteva fare, perdendo tempo a sentirsi in difetto...?
Per fortuna questa volta Levi era stato utile con le sue battute burbere nel levarla dall’impiccio.
E, grazie al cielo, lei aveva portato con sé quei plichi di roba con cui “svicolare” definitivamente- …anche se un po’ le veniva male ad etichettare tutto quel lavoro e la faticaccia che esso aveva richiesto come un semplice pretesto. Specie visto che li aveva intesi semmai come prova di un discorso di tutt’altro calibro.
Ricapitolare i successi del giorno, tuttavia, un po’ le aveva risollevato il morale.

Ma restava il fatto che i suoi intenti di fare qualcosa di concreto per Levi erano sfumati miseramente e senza possibilità di recupero.
Così, appena aveva potuto, se ne era andata. Non aveva altre certezze al momento se non che quella era, a quel punto, la cosa migliore da fare.
«Che terribile figura di merda…» aveva commentato una volta fuori dalla porta.

Si era avviata lungo il corridoio per tornare nella sua stanza desiderando ardentemente di morire lungo tragitto.
Anche perché tra tutte c’era una questione sulla quale aveva sentito l’esigenza di discutere con Erwin, forse la ragione vera che, in fondo, quella sera l’aveva spinta a raccattare su le sue carte e correre alla svelta da lui.  Se il discorso che intendeva fare avesse preso la piega giusta, Hanji intendeva parlare di una faccenda, piuttosto particolare ad Erwin, non da commilitone, ma in tutta confidenza, da amica. Ed era la questione sottesa a tutta la sua presente insoddisfazione.

Sapeva da tempo, Hanji, fin troppo tempo, di essersi completamente e irrimediabilmente innamorata del Caposquadra.
E questo a Erwin, con Levi lì presente...non ci voleva tanto a capire che non avrebbe proprio potuto confessarlo.
Aveva provato per un certo periodo a dirsi che non era il caso e non era possibile che avesse finito per provare qualcosa, qualunque cosa per lui, ma ogni bugia che la sua mente aveva potuto concepire a tal proposito era stata ogni volta abortita da qualche nuova azione del Caporale.

Nel corso degli anni era venuta a conoscenza di lati di lui che tante altre persone non potevano nemmeno immaginare e in parte era stata felice di divenire custode di quei piccoli segreti.
Sapeva a menadito, oramai, i pensieri che si affannavano in quella mente sempre all’erta. Le bastava uno sguardo per capire che cosa Levi stesse pensando dietro quella sua maschera impassibile. Impenetrabile solo per gli altri, non più per lei da un pezzo.
Frequentarsi sempre più era avvenuto quasi in automatico e Levi piano piano l’aveva fatta entrare nel suo mondo: certo lei un po’ pressante la era stata, con quella sua curiosità sempre smaniosa di sapere, ma tra un tira e molla e l’altro la sua insistenza si era fatta sempre meno significativa di fronte all’apertura spontanea da parte di Levi.
Erano diventati conoscenti oltre che colleghi e poi qualcosa di realmente simile a due amici. Anche se prima Levi aveva riso a quell’appellativo. Lo erano, eccome. Continuavano a beccarsi come due galli in un pollaio, ma lo facevano volentieri, perché la cosa divertiva anzitutto loro. Naturalmente. Ed era questo spontaneo rimbrottarsi ad averle fatto capire che non solo avevano finito per andare d’accordo, ma che tra loro si era instaurato un legame.

Che la loro distanza si fosse accorciata pian piano, Levi glielo aveva dimostrato più volte.
E, lentamente, era stato capace nei suoi confronti di gesti che avrebbero potuto passare perfino per carinerie. Di certo le aveva dato più volte conferma di tenere in qualche modo a lei.
Anzitutto c’era stata quella volta in cui Levi aveva tentato di regalarne una bellissima penna di falco come regalo di compleanno. “Tentato”, perché di fatto si era limitato a piazzarle in mano una scatola da regalo vaneggiando sul fatto che si era stancato di vederla impugnare in maniera indegna la sua penna ormai tutta sbilenca e smangiucchiata che le faceva inzozzare mani, carte e tavolo ogni volta. Si era dileguato prima ancora che lei potesse dire “grazie”. Ma insomma, non si regalano a caso cose così costose, incartate e infiocchettate a puntino, nel giorno del compleanno dell’interessato. Dirle “Auguri” non era passato neppure per l’anticamera del cervello di quel nanerottolo scorbutico, ma l’intento era stato chiaro e ad Hanji…era più che bastato.
Poi c’era stata quella volta che Levi l’aveva invitata a cena. A dirla tutta, praticamente l’aveva tirata fuori a forza dal proprio ufficio e l’aveva obbligata quasi di peso ad andare a mangiare. Era sera inoltrata, lei in effetti non si concedeva un pasto serio da giorni, la mensa era ormai chiusa e lui si era stufato delle lamentele di Moblit sulla sconsideratezza del proprio Caposquadra. Trovando la porta del refettorio chiusa, Levi non aveva fatto una piega e -dopo averla trasportata un po’ a spalla quasi fosse  un sacco di patate fino a che lei non aveva acconsentito a seguirlo volontariamente-  l’aveva guidata fuori dai quartieri militari, oltre la taverna nella quale ogni tanto capitava loro di andare a farsi un goccio in compagnia. L’aveva portata in un vero e proprio ristorante della città alta, un posto di quelli dove mezzo stipendio poteva partire in un soffio solo a guardare il menù. Avevano mangiato assieme chiacchierando del più e del meno – sproloquiando lei, grugnendo e mugugnando lui.
E al momento di pagare il conto aveva insistito per offrire.
“Levi…non ti permetto di pagare per tutti e due…”
“Oh, sì che devi. Così, sentendoti in colpa, avrò una buona ragione per obbligarti a ricambiare il favore la prossima volta che proverai a morire di fame sepolta tra i tuoi libri” aveva insistito lui.
«TI brucerai mezza paga…»
«La tua so che l’hai praticamente usata già tutti per gli ultimi esperimenti. Lascia, per stavolta.»
Con uno sbuffo, Hanji aveva accettato, facendo del proprio meglio per trattenere un sorriso e un po’ di imbarazzo.
Ma decisamente, Levi aveva fatto molto di più che rifocillarla…in parte l’aveva rinfrancata anche nello spirito. Era la prima volta da sempre che qualcuno, anche se in modo così atipico e ingannevole, la portava fuori a cena…

E ancora, qualche tempo dopo, aveva beccato Levi stracciare, tra imprecazioni e borbotti, un foglio nella sala comune delle reclute. Lei l’aveva canzonato come al solito, dicendogli che sembrava una pentola di fagioli che gorgogliava e che il contenuto di quel foglio doveva averlo davvero infastidito, vista la foga con cui lo stava riducendo a pezzi.
«Stupidaggini. Grandi, enormi, becere e inutili stupidaggini!- aveva replicato quello intensificando il ritmo con il quale stava facendo brandelli di quella carta all’avvicinarsi di lei - Certa gente farebbe meglio a impegnare meglio il suo tempo, specie se quello che scrive denota solo in maniera plateale la sua stupidità, cecità e ristrettezza di vedute. Ora scusami, ma c’è qualcuno che devo sottoporre a una intensissima seduta di pulizie punitive.» e detto questo se ne era andato, cacciandosi in tasca ciò che restava del foglietto.
Lei, rimasta sola nella stanza, era scoppiata a ridere: sapeva benissimo cosa conteneva quel foglio. Quella stessa mattina, mentre si dirigeva nelle cucine per un buon caffè del Buongiorno, il suo occhio era caduto su quel pezzo di carta abbandonato sul tavolo con noncuranza. La sera prima, durante bagordi notturni – a giudicare dal cumulo di bottiglie e lerciume sul tavolo-, le giovani reclute avevano probabilmente fatto un qualche gioco compromettente e si erano divertiti ad assegnare alle varie donne del reggimento un voto per la bellezza, incuranti dei gradi militari e di qualunque altro elemento…ovviamente avendo la geniale idea di segnare tutto su un foglio – su questo Levi aveva ragione: gli autori dei quell’opera d’arte non avevano proprio brillato di ingegno nell’arte dell’incognito; tanto più che, probabilmente, troppo ubriachi per rendersi conto che quel foglietto sarebbe stato meglio farlo sparire, avevano avuto l’idea altrettanto geniale di lasciarlo sul tavolo, alla mercé di chiunque fosse entrato nella stanza. Forse avevano pensato che il resto della spazzatura accumulata l’avrebbe nascosto a sufficienza…o forse, appunto, più semplicemente, a una certa non avevano più avuto la lucidità per pensare a niente. Certo che proprio lei fosse stata la prima a notarlo, un po’ denotava anche un certo grado di sfiga…
Perchè quella mattina, leggendo quel pizzino, affianco al suo nome, l’unico nella colonna dei “NO”, Hanji aveva trovato commenti poco carini e una caricatura altrettanto poco elogiativa.
«Però, ehi, suvvia non ho il naso così adunco…» aveva commentato, giusto un pelo di disappunto nella voce.
Ma si era limitata a fare spallucce: che l’avvenenza non fosse particolarmente il suo forte, non aveva bisogno che fossero degli adolescenti a dirglielo; certamente, non aveva intenzione di offendersi per quello che era incontrovertibilmente un dato di fatto di cui era conscia da una vita. E per il resto, non le sembrava il caso di tirar su da una stupidata del genere, fatta tra compagni d’armi tanto per ridere, da ubriachi per di più, una questione di stato. Per questo non si era neppure data la pena di gettarlo, quel foglio: aveva anzi deliberatamente deciso di lasciarlo lì; piuttosto, intendeva godersi la faccia scioccata della matricola che per prima, nel giro di qualche ora, si sarebbe accorta dell’errore commesso. Come vendetta, quella specie di infarto che lo sfortunato del caso avrebbe rischiato, poteva andare più che bene…
Ma evidentemente Levi, che per secondo aveva trovato quel foglio dopo di lei, non era stato del suo stesso avviso visto e, di fronte a quel foglio, oltre alle imprecazioni, non aveva risparmiato minacce ai responsabili.
Le aveva fatto piacere che proprio Levi si fosse premurato di fare del suo meglio affinché lei non leggesse quel foglio; che addirittura se lo fosse portato via nascondendolo in tasca prima di dileguarsi. E le faceva piacere averlo trovato intento all’indignazione ben prima che si rendesse conto della sua presenza. Era stato bello sapere che almeno lui riteneva quei commenti – come le aveva definite? - “Grandi, enormi, becere e inutili stupidaggini”.
Quando Levi se ne era andato rincarando la dose su come certa gente fosse “stupida, cieca e di vedute ristrette”, era riuscito a strapparle un sorriso imbarazzato. Che meditasse vendetta -sudatissima- per un torto che avevano fatto a lei, era stato quantomeno carino.

E oltre a questi episodi ce n’erano stati svariati altri…
E lei ne era rimasta dapprima sorpresa, poi colpita, infine folgorata.
Probabilmente, aveva realizzato Hanji, lei era all’unica a dare loro così tanta importanza. Ma gliela dava e, fondamentalmente, era questo a contare
L’offerta di Levi di procurarle il gigante era stata, insomma, il culmine di una serie di gesti che si erano sommati e avevano finito per significare moltissimo per lei. Spontaneamente, così come spontanea era stata la proposta di Levi su quella torre d’avvistamento.
Levi le aveva aperto il cuore, quella sera, offrendosi di catturare un gigante. Era certa di averlo sentito tremare nel petto, il cuore, poi, quando quell’offerta si era trasformata in una promessa. Perché se c’era una cosa che Levi non faceva mai, era parlare a vanvera – tolte le minacce che le rivolgeva a raffica, quelle sì le proferiva a valanghe senza mai metterle in atto; ma una parola da parte del Caporale valeva più di mille contratti firmati. Ma per Levi ogni premessa era debito. E questo Hanji lo sapeva bene.

Ma il punto significativo era un altro.
Nonostante tutto, Levi non si era mai spinto così in là per lei. Non si era mai spinto così in là per nessuno
Per questo ancora di più Hanji aveva atteso i giorni dei preparativi con apprensione. Perché mille cose sarebbero potute andare storte – e quando le cose andavano storte con da mezzo dei giganti era sempre una catastrofe.
Perché una mano in più abile, come la sua, di veterana, avrebbe potuto fare comodo…
Perché lei, stare seduta a guardare gli altri lavorare per suo conto, non lo poteva sopportare. Figurarsi poi sapendo che a sobbarcarsi l’onere di tutto era Levi…
Perché quella situazione più che una marachella in combutta tra loro due, aveva finito per sembrarle una sfida imprudente al destino tendente, per Levi, al rovinoso. Tanto più che, per giunta, questi non era al 100% nelle proprie piene condizioni fisiche.
Levi, per contro, conoscendola, si era risolto ben presto all’idea che la prima persona da lasciare completamente all’oscuro delle mosse vere e proprie della missione, avrebbe dovuto essere proprio colei per cui quel piano era stato imbastito. Aveva fatto di tutto per evitare che Hanji si immischiasse, sapendo che se solo fosse stata conscia di orari, azioni e posizioni, magari avrebbe potuto decidere qualche improvvisata o avere qualche colpo di testa capace di mandare all’aria tutto, addirittura farli scoprire.
Così come, Levi glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento, non aveva voluto per nessuna ragione che Hanji fosse presente sul luogo della cattura, “Per non insospettire anima viva”. Perché di lei, in quell’operazione, non doveva esserci zampino.

Pertanto non le aveva detto nulla di preciso sul piano, se non che sarebbe stato portato a termine durante una missione programmata di lì a qualche giorno.
'"Fidati di me" le aveva chiesto, serio.
E lei, suo malgrado, si era convinta a limitarsi ad obbedire. Tant’è che se adesso era al corrente delle peripezie di Levi, lo doveva solo a Jaeger, che  quello stesso pomeriggio el aveva spiegato la dinamica degli eventi mentre partecipava a delle sperimentazioni congiunte con l’altro gigante.

Anche per quello accettare gli elogi di Erwin le era stato difficile: lei a dirla tutta non aveva pianificato niente, si era limitata piuttosto a lavorare, dando il massimo, solo una volta avuto tra le mani il gigante, come le aveva chiesto Levi …ma a giochi già finiti.
A lei perciò durante l’operazione non era rimasto da fare altro che pregare, distraendosi nell’attesa che le fosse comunicata la notizia dell’esito della spedizione. Aveva passato giorni cercando di calmarsi, con l’unico risultato di agitarsi sempre di più ogni ora che passava, l’ansia mescolata all’insonnia in uno sforzo immane di astenersi dall'infilarsi addosso il 3DMG e correre dietro alla squadra di Levi - o perlomeno di andarsi a nascondere in qualche anfratto sulle mura e aspettare da lì il ritorno dell’uomo e dei suoi soldati dalla missione.
In breve era stata un fascio unico di nervi in apprensione. Senza dormire, senza quasi mangiare…attendeva e basta: un suono, un grido, una tromba…qualcosa, qualunque cosa che le annunciasse il rientro della spedizione. Vittoriosa o meno…non le importava neanche più. Bastava tornassero tutti, sani e salvi.
Si era consumata nell’attesa. E per una assurda beffa del destino era stata la stessa ansia a stroncarla...proprio qualche ora prima che Levi e la sua squadra, durante la notte, facessero ritorno per davvero, con, in più, la gradita presenza di un gigante alto 3 metri e mezzo. A un certo punto Hanji era semplicemente collassata sulla propria scrivania sotto il peso della troppa tensione accumulata e non si era accorta di niente.
Né le era stato comunicato qualcosa fino al giorno seguente.
Che Levi le avesse portato un gigante, però, era stata la prima notizia che Moblit si era premurato di riportarle la mattina seguente. Bellissimo risveglio, non c'era stato che dire...Anche se quattro o cinque urla ben piazzate il suo Secondo se le era prese, per non averla svegliata prima…

Si era praticamente gettata addosso la divisa per correre a vedere il gigante, senza perdere altro tempo. E mentre camminava per i porticati del secondo piano del Quartiere militare l’aveva visto, il gigante, già debitamente trattenuto da lacci e catene in quella maniera che già esperimenti precedenti avevano dimostrato rendesse quasi inoffensivi i titani.
Era un bellissimo esemplare di cinque metri.
Hanji aveva urlato di gioia vedendolo; dire che fosse euforica era un eufemismo. Per quello quella mattina era quasi saltata addosso a Levi.
Aveva così tante cose che voleva dirgli…tante, forse troppe. Perché di fronte alla realizzazione che Levi, quella promessa, l’aveva mantenuta davvero, per la prima volta aveva sentito la forza di rivelargli davvero, finalmente, quello che provava.

Ma si era trattenuta; e non perché una confessione su due piedi avrebbe di costituito per entrambi una circostanza quantomeno evitabile e imbarazzante: quanto piuttosto perché di fronte a quel gigante, infatti, Hanji si era sentita la più grande ipocrita del secolo. E non solo perché le pareva di aver fatto poco per meritarselo…ma soprattutto perché in fondo, ma neanche troppo in fondo, sentiva di non meritare affatto da parte di Levi null’altro che non fosse disprezzo.

In tutto questo già non semplicissimo panorama, c’era infatti un’altra, grave faccenda in sospeso tra loro due – e di cui Levi era completamente all’oscuro. Una complicazione non da poco che le impediva di accettare a cuor leggero da Levi qualunque cosa, figurarsi un pegno d’affetto di quel genere. Una sensazione, onnipresente, devastante, un tarlo che la rodeva dentro, senza accennare a sparire; un’ennesima ragione che contribuiva a renderle ancora più insopportabile la propria attuale posizione; la spiegazione vera del perché a tutti quei sensi di colpa; la ragione reale di quel corollario di sentimenti contrastati. Il dato di fatto per il quale ogni volta che posava lo sguardo su Levi non poteva che sentirsi una merda.
A lei era sempre andato benissimo amare Levi a suo modo. Per lei era stato sempre sufficiente apprezzare il Caporale da distante. Interagire come sempre avevano fatto, tra battibecchi, percosse a metà tra la rissa e i buffetti, insulti e concordi macchinazioni ai danni di chi di volta in volta se lo era meritato. Come le coppie di giustizieri di cui si leggeva nelle storie per bambini…funzionavano, a quella maniera, avevano sempre funzionato e in quella corrispondenza lei si era sempre sentita appagata.
Poi però era arrivata Petra.
E improvvisamente in Hanji aveva avvertito come una minaccia gravare su di sé.

Aveva capito subito che quella ragazzina si era innamorata di Levi, il suo Caposquadra. Intuito femminile, vuoi…ma chi non l’avrebbe capito? Petra venerava Levi…era così evidente. Passava le giornate a trotterellargli attorno, ubbidendo ligia ai suoi ordini, talmente maniacale da sbaragliare, quasi, Moblit – quasi: è più facile essere perfetti sottoposti quando anche il tuo capo è un perfezionista e Hanji era la perfetta antitesi di Levi in questo campo. Petra sorrideva raggiante a ogni raro, ma proprio per questo ancora più prezioso, commento positivo da parte di Levi, correndo ora di qua, ora di là, affannandosi pur di compiacerlo, facendone meravigliosamente le veci in qualità di Secondo. Era giovane, ma in quanto a responsabilità e capacità nessuno dei suoi compagni di squadra più grandi poteva farle concorrenza. Non c’era da meravigliarsi se Levi l’aveva voluta con sé e se le aveva accordato l’onere di rispondere in sua vece: Levi l’aveva scelta personalmente per la propria squadra tra i cadetti del suo anno.
E Petra, una volta messa all’opera, aveva confermato di essere davvero meritevole.
Giudiziosa, abile in combattimento, affidabile.
Aveva superato la prova a pieni voti e con encomio.
Levi stesso le aveva confessato, un giorno, che non avrebbe potuto essere più soddisfatto di così.
Ed era stato allora che Hanji aveva sentito per la prima volta il suo cuore perdere un colpo di fronte a Levi e alla possibilità di perderlo.

All’inizio aveva riso di quella situazione perché insomma, non poteva essere gelosa di Levi. E certamente avrebbe avuto tantissime ragioni per essere invidiosa di Petra – gli anni di meno per esempio, i capelli sempre pettinati e quel viso così proporzionato, cose che nulla avevano da spartire con la sua zazzera ribelle e l’enorme naso aquilino che si ritrovava da oramai ben 35 anni- ma non certo i complimenti e la considerazione che lui sembrava attribuirle.
Poi però Hanji aveva capito che non aveva proprio nulla da ridere, perché lei era sia gelosa sia invidiosa, rispettivamente dell’uno e dell’altra, e lo era esattamente per quelle ragioni.
Si era sentita una stupida nel vedere in quel volto fanciullesco, così pulito e gentile qualcosa di cattivo: eppure improvvisamente i tratti di Petra erano diventati per lei quelli del diavolo.
Di più: si era data della stronza – sì, della stronza, senza troppi giri di parole – quando negli ultimi tempi si era ritrovata a gioire per quelli che aveva interpretato come segnali inequivocabili di una certa freddezza ingeneratasi nel rapporto tra i due.
Una distanza cordiale ma biunivoca, come se a dividerli ci fosse un tacito velo di riguardo verso gli spazi reciproci. Un collaborare perfetto, in verità, giusto un po’ velato da una crepa sottile e abilmente mascherata, appena percettibile in superficie, ma netta in profondità. Assumeva la forma di una tristezza un poco più accennata in lei, come di rassegnazione, del solito volto impenetrabile da parte di lui, quella stessa imperscrutabilità dietro la quale era solito trincerarsi con la maggior parte delle persone.
Se qualcosa era successo era palese che stessero facendo del loro meglio per fingere che non fosse accaduto – fallendo, per certi versi, ma riuscendo mirabilmente a portare ugualmente a termine i propri compiti, con la stessa sinergia di sempre. Qualcosa che solo due persone meticolose come loro, forse, avrebbero potuto ottenere.
Era stato ancora una volta l’intuito femminile a farle notare con una certa sicurezza quel cambio di atteggiamento che, ai più, era sfuggito. E aveva esultato nel vedere, forse, quella che fino a poco tempo prima aveva individuato come una sicura concorrente trasformarsi improvvisamente in una persona come tutte le altre.

Quello che non si era aspettata era di scoprire che Petra, nei suoi confronti, aveva provato esattamente le stesse cose.
Si erano incrociate una sera nella dispensa del quartiere della Legione lì a Trost. Lei vi si era recata alla ricerca di caffè con cui rimpinguare le proprie scorte - e intanto cercare di darsi una botta di vita dopo troppe ore, per l’ennesima volta, spese a fare tutt’altro che dormire; Petra, come al solito, in cerca di cose per conto di Levi - tè, in quel caso, quella preziosa bevanda di cui il Caposquadra sembrava essere drogato, considerati i litri di quel liquido che era solito bere -…un’osservazione neanche troppo scorretta, si era ritrovata a realizzare Hanji, dal momento che teina e caffeina sono due sostanze che tendono a dare dipendenza…-ma che era sbiadita di fronte all’imbarazzo di trovarsi da sola faccia a faccia con quella che comunque costituiva, senza che potesse fare niente per evitare di vederla così, la sua più acerrima nemica.
Si era ripromessa da tempo di evitare qualunque manifestazioni dei propri pensieri in pubblico; del resto mica era colpa della ragazzina se avevano finito per mettere entrambe gli occhi sul nano più scorbutico dell’intero esercito. Forse, anzi, un po’ di cameratismo avrebbero piuttosto potuto averlo – specie ora che pure lei sembrava aver perso i favori di lui; senza contare che solo due spostate potevano avere la malsana ida di innamorarsi di uno così: e loro due, il premio follia, lo avevano vinto a pari merito.
Ma sebbene si fossero sorrise l’un l’altra, salutandosi cordialmente, erano rimaste a fissarsi qualche secondo di troppo, abbastanza da rendere chiaro che nessuna delle due si era sentita a proprio agio nel trovarsi fianco a fianco in quel cubicolo asfittico, che odorava di carne secca e altre cose strane, e che somigliava più alla cambusa di una barchetta da trasporto che alla dispensa di un intero Corpo militare- tali erano le risorse economiche della Legione.
Proprio una situazione sgradevole, in effetti.

Era stata Hanji a sciogliere la tensione passando a Petra un barattolo di latta, troppo in alto perché, anche in punta di piedi, la ragazzina potesse arrivarci.
«Temo che la lista delle trattenute di paga per i beni di lusso usufruiti a sfroso, sia lunga tanto per me quanto per il tuo Caposquadra» le aveva detto con un sorriso.
Del resto qualcosa lo doveva pur dire.
Lì per lì aveva pensato di fare una battuta sul fatto che solo qualche bontempone poteva aver messo così in alto il barattolo di quel tè che tutti sapevano fosse la bevanda preferita del nano malefico.  Ma poi si era trattenuta pensando che forse parlar male del Caporale non sarebbe stata proprio una buona idea di fronte a lei…neanche solo per scherzo.
E di fronte alla faccia di lei al solo citare il Caporale, si era resa conto che forse avrebbe proprio dovuto evitare di toccare del tutto l’argomento “Levi”, per evitare di alzare la tensione, anziché spezzarla…

Eppure Petra aveva accettato la sua gentilezza con un “grazie” gentile educato come sempre; non c’era stato intento derisorio, del resto, da parte di Hanji nell’alzarsi e nel passarle quel barattolo, che per un minuto buono Petra aveva provato a raggiungere, inutilmente, sbuffando. Dal canto suo, se Hanji si era alzata dai sacchi del caffè da cui stava attingendo per riempire alcuni contenitori da portare nel suo ufficio, era stato solo nella speranza che Petra, appena avuta in mano quella roba, si sarebbe fiondata alla veloce da Levi, lasciandola sola nel bugigattolo con il suo stimolante preferito e soprattutto senza più il peso della sua presenza.
Do ut des: ti do il barattolo, tu levati di piedi.

Ma Petra non sembrava avere affatto intenzione di andarsene.
Era rimasta impalata nel suo angolo, il barattolo di tè tra le braccia come fosse una bambina che stringe una bambola; guardava fisso Hanji, che in maniera forzatamente noncurante continuava a svuotare sacchi, meditando – o meglio fingendo di meditare- quale miscela scegliere per ogni contenitore, se farne mix o optare per barattoli puri: «Dunque… il caffè che viene da Karanese fa bruciare un po’ lo stomaco però è più forte...magari mi conviene prenderne almeno un po’ per i casi estremi…certo non è paragonabile con quello di Trost per profumo e corposità, però…» e così dicendo aveva continuato per un po’ a travasare caffè tra sacchi e barattoli chiedendosi quando, la ragazza, le avrebbe fatto il piacere di sloggiare.
Hanji era al quinto barattolo riempito tra mormorii e finti pensieri ad alta voce sui bei tempi della Shiganshina andata, quando la voce di Petra era risuonata secca e priva di cerimonie: «C’è qualcosa tra lei e il Caposquadra?»

Per un secondo, il sangue, ad Hanji, si era raggelato nelle vene.
Cosa aveva appena chiesto Petra?
Per un attimo Hanji non aveva saputo se scoppiare a ridere o mostrarle chiaramente l’espressione stupita che in quel momento imperava sul suo viso. Ancora china sui sacchi, la paletta bloccata a mezz’ara, aveva impiegato qualche attimo per decidere che anzitutto, la paletta, era meglio posarla.
Come caspita poteva esserle venuto in mente a Petra di chiederglielo? Così poi?
Aveva fegato, la ragazza.
Ma soprattutto…cosa mai aveva potuto farle credere che fra lei e Levi…? Oh, sembrava quasi una barzelletta.
«Ehm…»

Per un attimo il cuore le si era riempito di pietà per Petra.
“Poverina. Il suo amore per Levi è davvero così grande…”
Avrebbe dovuto dirle la verità. Spiegarle che oh, no, non c’era proprio nulla tra loro due se non insulti e battibecchi – finti – ma che non volevano dire nulla; che erano solo buoni amici e commilitoni; che forse sì, lei era invaghita di lui, ma che certo non era ricambiata…
Le sarebbe bastato dire la verità, rivelare come stavano le cose. Dire “no.” Imbarazzante sicuro, ma realistico.
Non sapeva perché dalle sue labbra fosse invece scappato tutt’altro. Laconico. Perentorio.
«Sì.»
Che diavolo le era preso? Perché quella bugia? Perché in maniera così stupida?
Aveva visto gli occhi di Petra farsi umidi, mentre si rabbuiava.
E lei aveva perso un battito. Diavolo, cosa aveva appena fatto?

«È una cosa che va avanti da molto tempo, vero?»
No, per la carità, non c’era nulla che andava avanti da nessun tempo. Doveva dirglielo a quella poveretta ormai sull’orlo delle lacrime. Petra aveva parlato col tono di chi vede i suoi peggiori sospetti divenire realtà e finalmente capisce tutto…ma non c’era nulla da sapere, nulla da capire…
Non c’era assolutamente del tenero tra lei e Levi. Non nel senso che avrebbe voluto lei per lo meno…
Doveva dirle che le aveva solo giocato un brutto tiro, che l’aveva presa in giro.
Le sarebbe bastato ridere, ammettere di essere stata un po’ stronza; poteva fare almeno finta di lasciarle carta bianca e darle una finta benedizione…ma se proprio non riusciva ad augurarle di riuscire a fregarle Levi da sotto il naso – cosa pure comprensibile-, potevano perlomeno accordarsi a una tacita gara a chi avrebbe vinto per prima i favori del Comandante …Potevano, semplicemente mettere le carte in tavola e, da adulti, parlare della situazione…Potevano accordarsi per giocarsela alla pari, in tutta coscienza, alla luce del sole.
Invece: «Va avanti da parecchio, in verità.»

Si poteva sapere per quale ragione lo aveva fatto di nuovo?
Perché continuare quella messinscena? Se l’avesse scoperta, Levi l’avrebbe ammazzata, probabilmente…
Hanji non si capacitava di come si stesse comportando…
Si sentiva come se la sua bocca fosse completamente sconnessa dal proprio cervello, la propria coscienza da una parte e il resto di sé dall’altra…nelle orecchie un fastidioso ronzio, come se la scena che aveva davanti non fosse vera, sul serio.
…ma il gioco incosciente più che inconscio della sua mente era chiaro: abbattere la concorrenza sulla base della sua buona fede. E a giudicare dalla faccia di Petra, Hanji doveva esserci riuscita benissimo.

Quando tornò a parlare, la voce di Petra suonava spenta, vuota.
«…Lo immaginavo.»

Un altro battito perduto.
«Immaginavi…cosa?» avanzò la coposquadra, una nota di curiosità di troppo, anche se Petra non parve darvi peso.
«Oh, be’ che ecco…io…voi…Ho notato come vi comportate. Siete due persone che più distanti di così non potrebbero essere l’una dall’altra, due opposti, eppure funzionate meravigliosamente bene - aveva farfugliato quella, il rossore dell’imbarazzo a imporporarle e gote, una grossa lacrima che ormai le solcava il volto – chiedo scusa per l’impertinenza, ma … era un qualcosa di cui mi dovevo accertare…»
Hanji era sicura che Petra avesse terminato la frase in un singhiozzo soffocato. Aveva infierito. Troppo.

«Petra, io…»
«Non serve. Ho capito.»
No, non poteva aver capito niente. E quel che aveva capito…era sbagliato.
Hanji era nel panico.
Doveva scusarsi. Aveva fatto un danno, un grosso, enorme danno. Aveva infilato una dietro l’altra bugie grosse come case. E stava facendo soffrire una poverina senza ragione… pur dispiacendosene, aveva continuato imperterrita a farle del male. Aveva usato poche parole: ma le peggiori.
Il dolore sul volto della ragazza era qualcosa di straziante
«Petra, ascolt…»
…ma Petra se n’era già andata.

“Cazzo.”
Hanji aveva esitato qualche secondo ancora a fianco ai sacchi di caffè prima di abbandonare tutto sul posto per correre dietro a Petra e inseguirla. L’aveva cercata ovunque: nel refettorio, in stanza, fuori da quartiere femminile. Sembrava sparita. Del resto non la conosceva così bene da poter sapere dove avrebbe potuto andare a nascondersi.
“Merda”
Che diavolo aveva fatto? Perché?

Si era appoggiata con la schiena contro un muro con un tonfo, le mani nei capelli, le pupille dilatate, il fiato corto e non per la corsa. Non era certa sarebbe stata in grado di rimanere in piedi altrimenti; le girava persino la testa. Avrebbe desirato essere fagocitata da quelle mura e sparire, così come era sparita dalla sua vista Petra.
Era stata la sua gelosia a parlare? La sua occasione di vendetta?...o il suo desiderio che ciascuna delle frasi che aveva detto su lei e Levi fosse vera e non solo una semplice bugia….? Suonavano così bene, in effetti, pronunciate ad alta voce, quelle parole…suonava bene il “noi”…
“Hanji, fai schifo.” Si era detta mordendosi le labbra fino a farle sanguinare, accasciandosi a terra. Si era permessa di piangere.

Quando ne aveva avuto le forze, era ritornata alla dispensa e si era diretta alle cucine. Il caffè non le era mai sembrato così amaro come quella sera.
Non c’era giustificazione a ciò che aveva fatto. Era semplicemente stata terribile.
“Le parlerò domattina - Si era ripromessa - Forse domani, a freddo, riuscirò pure a cavarmela solo con uno schiaffo…quello almeno me lo merito, del resto…”
Ma il giorno dopo era arrivato con un numero troppo alto di incombenze per entrambe perché avessero anche solo un minuto per parlare dei fatti loro: la spedizione sarebbe partita da lì a poche ore e non c’era tempo per poltrire. Senza contare che Hanji aveva avuto la netta sensazione che Petra, in tutto quel tempo, avesse fatto del proprio meglio per evitarla.

Così la 57° spedizione era partita e in quanto caposquadra Hanji era stata collocata da tutt’altra parte nello schieramento rispetto al gruppo di Levi…
…poi era arrivato il gigante femmina, il piano di Erwin era fallito. E durante la missione Petra era morta.

«Petra è…COSA?» aveva quasi urlato Hanji quando la notizia le era stata notificata da Levi stesso.
«La mia intera squadra è stata spazzata via»
«Oddio…Levi…io…»
Io cosa?
Ma Levi era rimasto in silenzio, lo sguardo vuoto … Hanji ricordava di avere visto poche volte quell’espressione sul volto del capitano.
«Mi dispiace…» aveva poi trovato la forza di dire, un groppo in gola a strozzarle la voce. Tremava.
«Non sapevo che foste amiche…» aveva commentato Levi osservando la sua reazione.
E mentre gli occhi le si inumidivano, era stato suo il turno di tacere. Per una volta neppure lei aveva avuto nulla dire. E da allora Hanji aveva nascosto e covato dentro di sé un senso di colpa e un rimorso senza precedenti.

«CHE COSA HO FATTO?» si era trovata a urlare quella sera, il volto affondato nel cuscino del proprio letto per soffocare i singhiozzi.
Aveva la nausea, voleva vomitare tanto era lo schifo, il ribrezzo che provava per sé stessa.
Petra era morta senza che avesse maniera di chiarire, di chiederle in qualche modo scusa.

Aveva giocato sporco. E ora di quello sporco le sembrava di avere le mani imbrattate…come del sangue di Petra. Perché non poteva fare a meno di chiedersi se, magari, la delusione per quella discussione che avevano avuto la sera prima potesse aver tormentato la ragazza…distraendola, fatalmente; perché Petra era stata sempre brava a combattere e non era mai stata incauta; non era così impensabile, così improbabile; forse per quella ragione Petra adesso non c’era più.
Aveva mandato a morire con il cuore gravato di una immeritata bugia una ragazza gentile, che tutto aveva meritato meno che un simile trattamento. L’aveva riempita di menzogne, mortificando le sue speranze. Tutto per…vanità? Calcolo? Dispetto?
Di tutto un po’ probabilmente, neanche lei lo sapeva bene.

Le aveva fatto un torto imperdonabile…e che a questo punto non sarebbe mai stato perdonato. Perché il tempo non torna indietro. E del resto, forse, non se lo sarebbe neppure meritato, il perdono. Si era comportata da infame in una maniera completamente indegna.
E così in quell’insopportabile senso di colpa Hanji aveva lasciato macerare il resto dei propri sentimenti assieme alla vergogna per quello che aveva fatto. Quella sera e nei giorni a venire.
E il fatto che solo lei sapesse di quanto accaduto in quel refettorio…alla lunga non aveva più capito se fosse un sollievo o un’ulteriore maledizione. Perché il peso di quanto accaduto gravava oramai sulle sue spalle come un macigno, che cresceva sempre più giorno dopo giorno. E lei avrebbe così tanto voluto liberarsene…ma non sapeva come, non sapeva con chi.
Ogniqualvolta il suo sguardo, nei giorni seguenti, aveva incrociato quello del capitano, le era sembrato che tutto si annullasse in quella stridente sequenza di sillabe e parole: «Non sapevo foste amiche…»
E quelle sue parole non facevano che rimbombargli nella testa.
“Amiche”
Tant’è che aveva trovato a stento la forza di guardare Levi negli occhi per qualche tempo.

Perché in fondo, il torto, lo aveva compiuto anche nei suoi confronti. Per questo Hanji sentiva di non meritare affatto alcun aiuto, alcun apprezzamento dopo quello che aveva combinato. Non da Levi, a cui aveva messo in bocca cose mai dette e azione mai compiute; non da Levi alle cui spalle, forse – chi lo sapeva! - aveva contribuito a sottrarre l’ennesima persona importante nella sua vita. Si era messa in mezzo, indebitamente. In maniera assolutamente vigliacca. E checché ne dicesse, lo aveva fatto in tutta coscienza. Non solo era in debito nei confronti di quell’uomo, ma era in fallo. Completamente.
Aveva commesso l’errore più grande della propria vita. E probabilmente se ne sarebbe pentita per sempre.

Per questo il titano che Levi le aveva adesso portato l’aveva riempita di gioia…ma l’aveva anche fatta stare male, più di prima.
Per questo quella sera si era decisa ad andare da Erwin: per trovare qualcuno con cui parlare, spiegare la situazione; per avere finalmente una mano che la aiutasse a non scoppiare.
Non sapeva fino a che punto sarebbe voluta andare nelle sue confessioni…ma era arrivata a un punto tale per cui non le era più possibile tenere tutto dentro.
Per questo fare qualcosa per Levi le era diventato necessario, imprescindibile. Solo lei sapeva quanto aveva da compensare; quanto, a dirla tutta, se solo avesse avuto un po’ più di palle, avrebbe dovuto farsi perdonare…
Ma l’unica a cui aveva chiesto perdono, a quel punto…era stata proprio lei, Petra. Il perdono più inutile, il perdono più facile; quello alla luce del senno di poi, di cui nessuno avrebbe potuto far qualcosa. Quello che per forza di cose non avrebbe potuto venir rifiutato. Perché i morti non hanno voce con cui rifiutare le scuse.

Era andata, il giorno dopo il ritorno la fine della spedizione, a visitare la sua tomba.
Aveva fissato per un lungo periodo la lapide marmorea, linda e candida come l’anima di quella ragazza. Non si era concessa di piangere lacrime che non sapeva se sarebbero state più di autocommiserazione o di pentimento, quella volta. Si era limitata a constatare ancora una volta la gravità delle proprie azioni, ad ammettere il proprio torto. Pentendosi di che razza di bugie era stata capace di proferire.
Poi, aveva promesso a Petra che avrebbe badato lei a Levi. Che ne avrebbe avuto cura, anche in sua vece.
Era stata una promessa ipocrita, unilaterale, fatta un morto, che probabilmente dall’aldilà la stava maledicendo. Ma il proposito di rispettarla era stato subito chiaro nella sua mente. E questa era stata l’ultima, la più profonda ragione dietro alla decisione presa quella sera da Hanji di andare da Erwin per cercare di ottenere che, da tutto questo trambusto per il gigante, almeno qualcosa di concreto arrivasse in mano a Levi; in parte, in buona parte, era stata la conseguenza di questa promessa.

Per questo la realizzazione di non poter fare nulla per Levi, ancora una volta, era stata una doppia delusione. Aveva fallito per sé. Aveva fallito per Petra.
Una giornata delle più luminose in quel periodo buio, conclusasi nello schifo più totale.

Ma, per fortuna, Hanji era ormai arrivata davanti alla porta della propria camera. Di tutto quell’enorme casino che aveva per le mani…se ne sarebbe riparlato l’indomani. Ora voleva solo andare a dormire e dimenticare in blocco le ultime ore.

Entrò con un calcio nell’accogliente parapiglia della propria stanza. Non era conciato in maniera molto diversa dal suo ufficio in quel momento…
Si buttò a terra tra le carte a guardare il soffitto. C’erano scritte vergate con la sua calligrafia pure lì sopra – anche se non rammentava più da che delirio fosse stata presa quando li aveva fatti…Era stato Moblit a tirarla giù dalla scala facendola rinsavire, quella volta, ricordava solo quello.

Moblit. Un goccetto in sua compagnia se lo sarebbe fatto volentieri in quel momento, se solo fosse stato sveglio. Era un grande estimatore di alcol, il ragazzo – e Hanji sapeva che qualcuno, probabilmente non a torto, sosteneva che fosse in buona parte anche “merito” suo.
Del resto come negarlo? L’alcol era un buon modo per dimenticare… ma non se si pretendeva presenza mentale il giorno dopo; quella presenza di cui lei avrebbe avuto sicuramente bisogno l’indomani mattina, per esempio. Una sbornia era decisamente l’ultima cosa che Hanji poteva permettersi in quel momento. Tanto più che, Hanji lo sapeva benissimo, con lei non c’erano mezze misure che tenessero e per contro alla sbronza aveva appurato che un solo goccetto  per lei  era garanzia assicurata di fare brutti sogni.
E neanche  la prospettiva di passare una nottata tormentata dagli incubi le sembrava esattamente una buona idea.

Si risollevò lentamente, passandosi una mano sugli occhi, stanchi, non solo per tutte le ore passate a leggere e scrivere.
«Credo che, per la prima volta nella mia vita, berrò una camomilla infarcita di sonnifero e mi infilerò a letto.»


__________________Author's corner__________________________
Pietàààààà! lo so, ho fatto peggio per latitare: in pratica mi avevate data ormai morta e sepolta - qualcuno mi ha pure scritto lol. Ma no, stavo lavorando per voi, davvero....Spero che leggendo ve ne siate resi conto XD Avevo un po' di fatti da sistemare, tanti pensieri....fornirvi tanti elementi che finora erano strti taciuti o appena accennati...
E sì, EFP non rende giustizia al tutto ma questo capitolone comincia a pagina 42 della fanfiction e termina a pagina 65 del mio file word X°D
Non sono soddisfattissima al 100% ma basta, non posso più rileggere e cambiare minuzie, pubblico e via X°D

In questo capitolo capitano tre cose 1) la parola passa ad Hanji per la prima volta 2) Scopriamo come si è svolta la cattura del titano 3) scopriamo che diavolo ha combinato Hanji con Petra. Io ve lo avevo detto che in questo capitolo buona parte di voi si sarebbe incazzato con la quattrocchi X°D Perchè si, prevedo che molti di voi ora lo siano, ora. Incazzati, intendo, non quattrocchi - anche se forse nell'attesa di questo capitolo qualcuno di voli magari è invecchiato così tanto da aver perso qualche diottria (soooorry, again >.>).
Bugie: il capitolo si intitola così perchè di Bugie ne racconta un po' tante la nostra Hanji, a sè, agli altri...più o meno gravi, alcune però gravissime. E si sa poi che il lupo perde il pelo, ma non il vizio...
Ah: gli episodi del passato di Hanji in cui racconta le carinerie di Levi hanno una dose molto forte di ispirazione da alcune doujinshi/vignette che ho spottato in giro qua e là per il web. Specie quella del foglietto che se non erro appartiene a Drink_your_fucking_milk (seguitela su tumblr, è un ordine! è la manna del Levihan quella ragazza!).
Ora avere chiaro il quadro della situazione, però. Non ci saranno altri grandi flashback -uno, nel prossimo capitolo-. Ma il gioco delle parti, almeno quelle principali è impostato. Il punto è: come evolverà adesso questo enorme macello?
Sì, sto per dirlo: LO SCOPRIRETE NEL PROSSIMO CAPITOLO! 
Fatemi sapere cosa ne pensate - come al solito va bene tutto, complimenti, insulti, secchiate d'acqua-.
Ecco questo non era un capitolo allegro e in futuro ce ne saranno di poco allegri, in realtà...ma il futuro non è scritto (in senso molto poco figurato, il capitolo 8 è ancora molto in fieri) e quindi sì, mo ve tocca de novo aspettà (non chiedetemi perchè ho scritto in romanesco, io sono pure piemontese). Ebbene, sperando di non avervi ispirato conati di vomito e che la voglia di leggere questi miei scleri non vi sia passata, vi auguro una buona notte e vi ringrazio per la lettura.

A parte gli scherzi: GRAZIE A TUTTI VOI CHE VI SIETE PRESI LA BRIGA DI CREDERE A QUESTA STORIA IN FIERI; CHE COMMENTATE, CHE SEGUITE, CHE MI LASCIATE A QUALCHE MANIERA UN SEGNALE DEL VOSTRO APPREZZAMENTO. Siete lo sprone ad andare avanti <3


 

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