La Promessa • La Regina dei Boschi

di mrsgreenleaf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** Due ***
Capitolo 4: *** Tre ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


“Death surrounds,
my heartbeat is slowing down.
I won't give up, I refuse.
This is how it feels 
when you're bent and broken.”
Aria.
In quel momento aveva solo bisogno d'aria.
Strizzò gli occhi, cercando di concretizzare ciò che aveva udito, mentre boccheggiava per l'intenso e insopportabile dolore allo stomaco e alla spalla.
Doveva tenere gli occhi aperti. Forse ce l'avrebbe fatta.
Davanti a sé soltanto un susseguirsi incessante di volti tristi e felici, di paesaggi familiari, di lacrime e di sorrisi.
I gioielli saranno ritrovati.
Occhi di smeraldo e capelli d'ebano, ecco la mia gemma più preziosa!
Perché saranno le Regine a riportarli alla luce.
Dovete sempre tenere gli occhi fissi sull'avversario.
E io non sono affatto scettico al riguardo.
Le stelle hanno bisogno delle tenebre per poter brillare.
La Fiamma Imperitura ridarà vita ai loro spiriti.
Ho paura di perderti.
Losillë.
Losillë…
«Losillë!»
Diverse voci rimbombavano nella sua mente, ma quella che aveva appena pronunciato il suo nome era così distinguibile che non poteva essere un sogno e niente più.
Le disse qualcos'altro con un tono disperato, ma ormai anch'essa diventò un suono lontano, e il suo bel viso, così caro e tanto amato, ormai sfuocato per via della vista che cominciava ad offuscarsi.
Distolse lo sguardo da lui e tornò a fissare il cielo; era come se le nuvole si fossero infrante.
Un freddo pungente si espanse improvvisamente fino alla punta delle sue dita, mentre un’acuta fitta fece strage dei suoi organi interni.
Gli occhi cominciarono a bruciare, le lacrime divorarono aspramente le sue iridi.
«Losillë...»
Non ebbe nemmeno la forza di socchiudere la bocca per provare a far uscire un soffio di voce.
Il suo petto sobbalzò lievemente, prima che i suoi polmoni si svuotassero. Prima che la forza la abbandonasse del tutto.
Esalò un ultimo respiro, i battiti del suo cuore cessarono di riempire l'aria.
Un ultimo urlo fracassò le sue orecchie, e poi fu il buio più totale.

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Capitolo 2
*** Uno ***


“I'm dreaming about 
who we used to be
when we were younger and free.
I've forgotten how it felt 
before the world fell at our feet.”

«Heszun!»

La sua voce stridula interruppe il profondo silenzio di quel luogo buio e freddo.

Le porte di legno intagliato si stagliavano severe lungo il lato sinistro del corridoio di marmo, e i timidi raggi del sole attraversavano appena le sottili tende delle finestre.

Le rispose riecheggiando il suo stesso richiamo; la nana si voltò di scatto.

E, appena vide le sue limpide iridi verdi comparire ad una spanna dal suo naso, spalancò gli occhi facendo un saltello indietro.

Era appesa a testa in giù, come un pipistrello, e si sorreggeva ad una trave di legno del soffitto.

«Mi stavi cercando?» le domandò con un sorrisetto.

«Tu!» ringhiò in risposta, tirandosi la stoffa della gonna del vestito per il nervosismo.

Lei si limitò ad allungare le braccia verso l'alto, e, dopo aver disteso le gambe, con un balzo fu a terra.

Alzò la mano e fra le sue dita comparve un piccolo oggetto che, incastonato di preziosi diamanti, pareva splendere di luce propria.

«Se oserai rubarmi di nuovo il pettine, giuro che ti spezzerò in due quelle lunghe gambe da elfa».

«Oh, Dís, quanto ti voglio bene» le disse alzando gli occhi al cielo.

Ma, proprio mentre stava per ribattere, la porta accanto venne spalancata.

«Ma voi due non avete altro da fare all'alba?»

Thorin aveva la voce roca, ancora impastata dal sonno.

Dís gli si avvicinò come una furia, puntandogli il dito sul petto con fare accusatorio. «Parlane con lei» sibilò.

Le strappò il pettine dalle mani e si girò, scomparendo dietro l'angolo di uno dei corridoi.

Thorin distolse lo sguardo da quel punto e si rivolse alla sorella.

«Capisco che Dís si svegli all'alba per pettinarsi la barba, ma tu non hai mai voglia di dormire?» rise stropicciandosi gli occhi.

Dopo un attimo di esitazione, l'elfa afferrò il suo braccio e lo trascinò qualche metro avanti, di fronte alla porta-finestra.

«Ora capirai» sorrise, tirando la pesante e polverosa tenda scura.

Un intenso bagliore riempì gli occhi ad entrambi, dipingendo di luce il piccolo tratto di muro alle loro spalle.

Il sole era un'immensa palla di fuoco, che inghiottiva le montagne e faceva brillare di arancione il Lago e i rami dei frondosi alberi di Boscoverde, che pareva riempirsi di una vita nuova.

«L'alba del primo giorno di primavera è la più bella di tutte».

Thorin si voltò a guardarla.

«Per la barba di Durin!»

Prima che l'elfa potesse protestare, avvolse le sue gambe con le braccia e la sollevò, fino a che la sua testa arrivò a pochi centimetri dal soffitto.

«Heszun, oggi è il tuo compleanno!»

Lei sorrise, appoggiando le mani sulle sue spalle. «A quanto pare sì» rise. «Come diamine hai fatto a sollevarmi?»

Thorin sciolse la presa, fingendo un'espressione affaticata.

«Nonno mi presenterà tanti ricchi principini, immagino» mormorò, lasciandosi sfuggire uno sbuffo.

«Io non mi preoccuperei» rispose il nano con un'espressione beffarda.

«Cosa intendi, toraz? Che nonno è stato parsimonioso con gli inviti o che nessun povero principe mi sopporterebbe all'infuori di te?»

Thorin ridacchiò e appoggiò il capo al muro. «Entrambe le cose, credo».

Rose sorrise e gli tirò una pacca sul petto.

«Penso che ora andrò a rubare qualcosa nelle cucine».

Thorin annuì.

«A più tardi, hyraz» disse, e rientrò nella sua camera.

 

*toraz: fratello.

*hyraz: sorella.

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Capitolo 3
*** Due ***


“Though your heart
is far too young to realize
the unimaginable light
you hold inside.”
Uno stormo di Corvi Imperiali si alzò in volo da un arbusto di more, perforando il cielo azzurro con le loro figure scure.
Il sole le scaldò le ossa gelate e i muscoli intorpiditi. Era piacevolmente tiepido, quel giorno, ma come sempre l'aria intorno a Erebor era fresca di neve.
Socchiuse gli occhi ai dolci raggi di primavera e allargò le braccia per circondare l'immensità che si stendeva di fronte a lei. Amava sentire la brezza smuoverle i capelli e passarle fra le dita.
Nonostante fosse nata e cresciuta a Erebor, la parte elfica di sua madre si faceva sentire ogni giorno. Un frammento del suo cuore pretendeva di sentire il sole sulla pelle, cercava la libertà del vento.
Era da sempre abituata al buio e all'umidità all'interno della montagna, ma aveva anche bisogno di sciogliere i capelli da quelle mille treccine, di cogliere le sue rose bianche e di sentirne il profumo impregnato sulle mani.
Non era fatta per vivere all'aria aperta, selvaggia, ma nemmeno sapeva restare prigioniera tra fredde mura di roccia e marmo. E suo padre l'amava anche per questo.
Di sua madre, invece, Rose non ricordava quasi niente. Nella sua mente c'erano solo immagini sbiadite e confuse.
Sapeva che il suo nome era Aratië, un'elfa di nobili discendenze del reame di re Thranduil, e che dopo la sua morte suo padre non aveva messo gli occhi su nessun'altra. Aveva amato Thráin ed i suoi figli più di qualsiasi altra cosa al mondo.
Per un'alleanza più solida e duratura, infatti, Erebor, Boscoverde e Dale cercavano di seguire l'ideologia della città di Ost-in-Edhil, capitale dell'antica regione dell'Eregion, dove i Noldor e i Nani di Moria vivevano insieme nella prosperità e nell'amicizia. Era stato re Oropher a introdurre quel sistema anche nel suo regno, e il figlio ne seguiva le orme.
Quando osservava le foglie brillanti degli alberi dalla finestra della sua camera a volte le tornava in mente il colore delle sue iridi verdi, occhi che lei aveva ereditato, al contrario di Thorin, Frerin e Dís, che avevano tutti quegli occhi sereni e azzurri come zaffiri, gli stessi di Thráin e Thrór prima di lui.
Si ricordava di quanto calmo e dolce fosse il suo sguardo, eppure nemmeno i suoi fratelli ricordavano il suono della sua voce, i tratti del suo volto o il colore dei suoi capelli.
Si sussurrava che suo padre avesse fatto sparire il suo unico ritratto, ma nessuno di loro aveva mai osato fare domande. C'era semplicemente stato troppo dolore per riportarlo a galla.
Dís era nata da poco più di dieci giorni, ed Erebor era in festa per la nascita della piccola principessa.
Rose era solo una bambina, così come lo erano Thorin e Frerin, quando sua madre avvertì i primi dolori al ventre.
Dopo varie visite, Gróin, l'esperto di medicina, concluse a malincuore che si trattava di una grave infezione dell'utero, molto frequente in qualsiasi razza dopo il parto.
Nonostante i guaritori cercassero di alleviare il più possibile la sua angoscia, per sua madre non c'era stato niente da fare.
Smise di mangiare, perse l'appetito, perse ogni sorriso. Il suo viso divenne scavato e bianco come il letto in cui era costretta a stare, attendendo la fine di quel supplizio. A volte la sentivano delirare nel cuore della notte attraverso il muro che divideva le loro camere.
Morì dopo quasi venti giorni, tra fitte continue alla testa e al cuore, brividi, una febbre devastante.
Con il tempo sfumò anche il ricordo di quel fantasma agonizzante. Ora di lei le restava soltanto una lapide nera come la morte.
Rose alzò il mento alla volta celeste, cercando di scacciare via quei pensieri. Fu in quel momento che le sue orecchie catturarono delle voci, provenienti da dietro un muretto di sassi.
Si avvicinò ad esso e sbirciò oltre: come sospettava, era Balin, seduto per terra a gambe incrociate con un grosso libro davanti a lui, e un semicerchio di bambini che pendevano dalle sue labbra.
Quando si accorsero di lei fecero tutti per alzarsi mormorando rispettosamente «principessa Heszun…», ma Rose li bloccò con un gesto della mano. «No, vi prego, restate comodi».
Balin sorrise vedendola sedersi tra i bambini, e si rimise a raccontare.
Non sopportava vedere la gente che si inchinava a lei. Se aveva un titolo e una corona in testa non significava necessariamente che era superiore a qualcuno. Non aveva fatto mai nulla per meritarselo, al contrario di Thorin e Frerin per le loro trionfanti battute di caccia.
E Dís con i suoi ricami per le guardie, ovviamente.
Rose storceva il naso ogni volta che vedeva sia i merletti della sorella che le carcasse degli animali esposte come trofei.
«Quindi per quale motivo gli Istari sono qui?»
Fu solo per la voce di una bambina dai lunghi boccoli biondi che Rose si rese conto di non aver ascoltato una sola frase. Ma in fondo Balin le aveva sempre raccontato favole e leggende per farla addormentare, forse era normale che non facesse più tanto caso alle sue parole...
«Loro sono i protettori delle Guardiane» rispose Balin con il tono dolce che riservava ai bambini. «Ogni stregone custodisce la profezia segreta che riguarda ciascuna delle Regine. E il loro sommo compito è guidarle sulla strada della luce».
Finalmente capì di cosa si stava parlando: aveva passato l'infanzia ascoltando Balin che parlava della Leggenda delle Guardiane. A volte trovava divertente come da piccola anche lei ci credeva fermamente.
«E se non ci riescono?» intervenne un altro bimbo più grande.
Balin cambiò improvvisamente espressione. «Beh, ragazzo mio... bisogna pregare che succeda soltanto ad una» mormorò. Rose lo conosceva abbastanza bene da poter affermare che aveva il timore di portare sventura nel pronunciare certe frasi ad alta voce.
Ci fu un tremito generale tra i bambini, che si guardarono tra loro terrorizzati.
«Ma è solo una leggenda» cercò di rassicurarli Rose, «una leggenda diffusa molto tempo fa negli accampamenti, durante la Guerra D'Ira. Secondo molti è una storiella inventata dai generali per cercare di dare un po' di speranza ai soldati...»
Alzò lo sguardo sul volto di Balin per un attimo e potè leggere tutto il suo disaccordo.
«Secondo altri, invece, questa non è leggenda ma pura verità... e io non sono affatto scettico al riguardo» aggiunse lui come per punzecchiarla.
I piccoli ricominciarono a borbottare fra di loro.
Rose allungò curiosamente gli occhi sul libro aperto; due pagine dai bordi giallastri incorniciavano un disegno consunto dal tempo.
Rappresentava quattro donne in piedi su una collina di luce bianca, l'infinità di una notte stellata alle loro spalle e i due magnifici alberi di Valinor ai lati.
Le loro chiome erano coperte da veli di petali di rose e le prime tre avevano una corona dorata a cingere le loro fronti. Incastonate nel centro c'erano una pietra splendente di fuoco, una che pareva contenere un turbine d'aria e la terza racchiudeva l'oceano.
Rose le riconobbe subito: erano i Silmaril, le gemme magiche di Fëanor, per le quali molti del suo popolo e dei suoi stessi figli erano morti.
«I gioielli saranno ritrovati, un giorno» le aveva detto spesso Balin come conclusione della storia, «perché saranno le Regine a riportarli alla luce».
Rose guardò l'ultima: non indossava nessuna corona, né tantomeno un quarto Silmaril. Sulle sue braccia dei rami di piante si arrampicavano intrecciandosi tra loro. I volti delle altre tre erano austeri e privi di espressione, dai tratti severi e tutti pressoché identici, a simboleggiare che nessuna al mondo era stata riconosciuta come una delle prescelte e pertanto non ne si conosceva l'identità.
La donna senza corona era l'unica che sorrideva. Capì che si trattava della Regina dei Boschi, la Guardiana della Terra, poiché tutti gli altri elementi appartengono ad essa.
Laurelin risplendeva d'oro al suo fianco, mentre Telperion era stato disegnato dall'altra parte, vicino alla prima, luccicante di polvere d'argento.
«Quando la Fiamma Imperitura ridarà vita ai loro spiriti e le colmerà del potere che i Valar hanno concesso loro, spero solo di essere ancora vivo per dimostrare che ti sbagliavi» disse Balin con un sorriso.
Gli occhi di tutti i bambini si spalancarono rilucendo di meraviglia.
«Ma che cos'è la Fiamma Imperitura?» domandò qualcuno dopo qualche istante.
Rose distolse lo sguardo dall'illustrazione, scosse il capo e si unì alla risata di Balin.

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Capitolo 4
*** Tre ***


“You left me broken,
you tried to make me think
that the blame was all on me,
with the pain you put me through.”


Infilò tra le ciocche la sua corona d'argento, nel centro della quale splendeva intensamente il rosso del rubino incastonato, e, dopo un'ultima spazzolata ai lunghi capelli corvini, si fiondò fuori dalla camera.
Lisciò velocemente le pieghe della gonna del vestito con le mani e attraversò in fretta il corridoio per raggiungere l'entrata dell'immensa sala del trono.
Ad un tratto, udì in lontananza dei passi in avvicinamento, facilmente distinguibili nel silenzio dei corridoi di marmo, in contrasto col trambusto proveniente al di là della soglia.
E infatti, dall'angolo comparve il suo maestro d'armi.
«Dwalin!» lo salutò andandogli incontro.
«Buon pomeriggio, principessa, e buon compleanno» disse con un lieve sorriso sul volto. «Sei... incantevole».
Il nano le offrì il braccio, che lei accettò con piacere – apprezzando indubbiamente il suo sforzo nell’essere galante.
«Il re ha invitato persone da ogni angolo del mondo».
«Lo immaginavo» alzò gli occhi al cielo. «E tuo fratello?»
«Oh, immagino che Balin si stia ancora pettinando la barba nell’eventualità che qualche nana faccia caso a lui» rispose sghignazzando. «Sai, come dice il buon vecchio Thráin, la speranza non muore mai».
«Questo lo dice a caccia, quando non riuscite a colpire nemmeno una lepre?» replicò lei ridendo.
«Mi hai scoperto…» bisbigliò entrando.
L’elfa non potè fare altro che sgranare gli occhi: era incredibile come riuscisse ogni giorno a sorprendersi sempre di più della maestosità di Erebor. Conosceva bene le tradizioni dei Nani: la sontuosità di quella festa era seconda solamente a quelle di Dís.
Gli immensi cumuli d'oro, tutte le pietre preziose ed i gioielli erano stati spostati probabilmente alle Sale Inferiori; stemmi della loro casata, tappeti in stoffe pregiate e molteplici arazzi tappezzavano le pareti. Barili di birra e vino erano sistemati intorno ai tavoli, imbanchettati con qualsiasi genere di carne, verdure e dolci. Ma ciò che la colpì maggiormente… fu il numero delle persone presenti.
«Ma quante persone ha invitato?» mormorò all'orecchio di Dwalin, piuttosto preoccupata.
«Beh… parecchie. Se le vuoi contare posso darti una mano».
Rose si mise a ridere, e il nano con lei. Dwalin riusciva sempre ad alleggerire la situazione e a metterla di buon umore.
Al suo passaggio, la gente chinava la testa e la salutava cortesemente.
«C’è anche Gandalf?» chiese entusiasta, indicandolo con un cenno del capo.
«Esatto…» bofonchiò, «ora, conoscendoti andrai a parlare con lui, quindi, se non ti dispiace, io andrei a litigare con qualcuno per della birra».
«O per dei biscotti» replicò beffarda. Dwalin le fece l’occhiolino ridendo e il nano si allontanò verso uno dei tavoli.
Così l’elfa si avvicinò lentamente allo stregone, il quale conversava e rideva allegramente con un uomo dall’aspetto piuttosto curioso: i suoi capelli erano insolitamente lunghi, di un colore che in lontananza pareva nientemeno che bianco, eppure appariva bello e giovane in volto, con un portamento regale e – e aveva una corona in testa.
Rose si sentì mancare.
No, non era decisamente un uomo.
Proprio mentre stava per fare dietrofront, ignorando tutte le regole sulla buona educazione acquisite in cento anni di vita, ecco giungere alle sue orecchie la voce di Gandalf. «Rose!» si sentì chiamare.
Lei si voltò verso lo stregone con un sorriso traballante, quando Gandalf la sorprese con un caloroso abbraccio. Improvvisamente sì sentì più a suo agio.
«Oh, è dalla festa dell'anno scorso che non ci vediamo, dico bene?»
L’elfa farfugliò qualcosa che assomigliava ad un «sì», intravedendo con la coda dell’occhio che l’uom-… che re Thranduil in persona, si stava avvicinando a loro.
«Mia cara, permettimi di presentarti Thranduil, sovrano di Boscoverde il Grande, figlio di Oropher e della regina Aranel».
«Mia madre non lo è più, Gandalf. Elenwë è la regina di Boscoverde».
Gandalf non seppe se annuire o meno, quindi abbozzò un sorriso nervoso. L’imprevista tensione calata nell’aria si poteva tagliare con un coltello.
A quanto pare, il re era una persona non poco suscettibile.
«Boscoverde!» esclamò Rose nel tentativo di eliminare l’attrito. «Lo ammiro sempre dalla finestra della mia stanza. Dev'essere un posto incantevole».
Thranduil volse il capo nella sua direzione e i suoi occhi glaciali la studiarono per un attimo, come se si fosse appena accorto che anche lei era effettivamente presente.
Dopo qualche istante finalmente i suoi lineamenti si rilassarono, e perfino un sorriso spuntò sul suo volto.
«Se vorrete visitare il mio regno, principessa, sarà per me un piacere ospitarvi».
Prima che potesse formulare una qualsiasi risposta, ecco che Thráin comparve al suo fianco.
«Occhi di smeraldo e capelli d'ebano, ecco la mia gemma più preziosa! Ti ho cercata dappertutto, tesoro mio».
Rose si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia.
«Tanti auguri, bambina» le disse suo padre, «spero che apprezzerai il mio regalo, te l’ho fatto portare in camera».
«Un regalo, *khazahal! Con la festa che mi avete organizzato?»
«Beh, Dís ne riceve il doppio solo perché è la minore, non ti vizio mai abbastanza!»
Tutti e quattro risero insieme.
«Bene…» mormorò sfregandosi le mani. «Tieni un occhio attento su tua sorella, mi raccomando».
Rose si guardò intorno di sfuggita. «Ah, è là» disse quando la vide vicino ad una colonna, sorridente e agghindata a dovere, con un boccale di birra ben riempito in mano. «È insieme ad un… un nano dai capelli castani».
Che a giudicare dai vestiti non sembrava affatto un nobile, ma questo non lo disse ad alta voce.
Rose la vide allontanarsi da lui in gran fretta e poi comprese il perché: Frerin, con il suo solito muso stampato in faccia, si stava guardando in giro un po’ troppo attentamente e avrebbe potuto scovarli.
«E i tuoi fratelli, invece? Li vedi?» le domandò ancora suo padre.
«Ho visto ora Frerin. Thorin invece si sarà nascosto da qualche parte... lo sai che è un tipo troppo mite per una festa del genere».
«Credo che tu abbia ragione, bambina» le rispose con un sorriso.
«Thrain» sopraggiunse Thranduil, che a quanto pare aveva pazientemente atteso un momento di silenzio, «io e la principessa stavamo discutendo sulla possibilità di farle visitare il mio regno».
A quelle parole, dapprima Thráin le parve turbato; poi, notando che la figlia si era accorta del suo cambio di umore, cercò di rassicurarla con un sorriso.
«Ma certo, ne hai tutto il diritto, bambina mia. I tuoi fratelli non hanno mai avuto questa curiosità per il Boscoverde» considerò perplesso, «ma tu sei tutta tua madre in fatto di lunghezza e orecchie a punta» aggiunse ridacchiando tristemente. «Quindi… insomma, se è quello che desideri, non potrei non esserne felice».
Rose sorrise eccitata. «Oh, papà, grazie!»
Thráin le accarezzò dolcemente un braccio, distogliendo lo sguardo da lei. «Penso che ora raggiungerò gli altri, mia adorata. A quanto pare ho il potere di far cessare risse solo camminandoci accanto».
Gandalf rise di gusto e gli mise una mano sulla spalla. «Allora a più tardi, amico mio» lo salutò amichevolmente. Il re Thranduil disse lo stesso con un rispettoso cenno del capo.
«E io credo che andrò dal nonno» disse Rose – più come piano di fuga. «È stato un vero piacere, re Thranduil».
Il sovrano le fece il baciamano, sconvolgendola non poco. «Spero anch’io che apprezzerete il mio regalo, principessa. Io e mio figlio saremo felici di accogliervi quando volete».
Rose annuì e sorrise a lui e poi a Gandalf, al momento incapace di dire o fare qualsiasi altra cosa.
E si voltò, incamminandosi sul lungo tappeto che era stato srotolato dinnanzi al trono reale, su cui sedeva Thrór; suo nonno la guardava avvicinarsi con un inaspettato sorriso dipinto in volto e Rose lo vide addirittura scendere dal trono per andarle incontro.
Quando fu di fronte a lui, come un lampo si ricordò di inchinarsi.
«Buon compleanno, Heszun» disse lui sfiorandole una guancia per farla alzare in piedi. «Una persona speciale nata in un giorno speciale».
Rose fece per sorridere, ma la felicità le morì sulle labbra non appena vide arrivare Frerin.
«Grazie mille, nonno» rispose sollevandosi e cercando di ignorare la sua presenza.
Si avvicinò quindi a Dís, che sfoggiava la sua miglior espressione seria sul volto.
«Andiamo, non dirmi che ce l’hai ancora con me per il pettine».
Dís sospirò altezzosa.
Poi entrambe scoppiarono a ridere.
La nana si tuffò tra le sue braccia, stringendola (stritolandola) per la vita. «Buon compleanno, hyraz!» esclamò nell’abbraccio.
«Ho detto a papà che eri con quel nano» le bisbigliò Rose all’orecchio, «e lui ora è a cercarti».
Dís ridacchiò. «Oh, avanti… non era nessuno di importante».
L’elfa percepì la sua voce incrinarsi. Segno che stava spaventosamente mentendo.
«Un po' arrogante fare la spia, non credi?»
Ed eccolo.
Era stato in silenzio troppo a lungo.
«Non ti deve importare, Frerin!» esclamò Dís rivolgendogli un'occhiataccia.
«Beh, invece m’importa» replicò infastidito.
«Frerin» lo richiamò severamente Thrór. «Avanti, è il suo compleanno. Almeno per oggi, non infastidire tua sorella».
«Lei mi infastidisce tutti i giorni con la sua stessa esistenza» sibilò amaramente suo fratello, «eppure non mi sono mai lamentato».
«Frerin!» gridò Thrór furibondo. «Chiedi immediatamente scusa!»
Dís si costrinse a stringere i pugni per evitare di peggiorare la situazione prendendo a ceffoni il fratello maggiore.
Si voltò nella direzione di Rose, ma, dopo quelle parole di veleno, era già scomparsa alla loro vista.
 

*khazahal: no, non è una parolaccia XD, significa “padre”.

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