The Role Reversal

di EcateC
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sucker for pain ***
Capitolo 2: *** Purple Lamborghini ***
Capitolo 3: *** I Started a Joke ***
Capitolo 4: *** Wreak Havoc! ***
Capitolo 5: *** Know Better ***
Capitolo 6: *** Gangsta ***
Capitolo 7: *** Heathens. ***
Capitolo 8: *** Heathens, parte seconda. ***
Capitolo 9: *** Super Freak ***
Capitolo 10: *** Standing in the rain ***
Capitolo 11: *** Up in the Air ***
Capitolo 12: *** You don't own me ***
Capitolo 13: *** Bohemian Rhapsody ***
Capitolo 14: *** Daddy's Lil Monster ***
Capitolo 15: *** Epilogo: Suicide Squad ***



Capitolo 1
*** Sucker for pain ***


 ♦ The role reversal ♦





Sucker for pain.

 


-Via! Non possiamo affidarlo a lei, è solo una ragazza!-

-Non abbiamo altra scelta, è stata l’unica psichiatra che ha dato la sua disponibilità- rispose Antony Arkham, il direttore dell’omonimo manicomio -E poi ha tutte le credenziali necessarie, senti qua- continuò, mettendosi a posto gli occhiali sul naso e iniziando a leggere il CV della nuova venuta -Harleen Frances Quinzel, ventisei anni, una laurea con il massimo dei voti in Psichiatria, attestazione di frequenza agli stage della Scuola di Psicopatologia di Harvard e una tesi in Criminologia forense interamente dedicata a… Il Clown di Gotham City: deviazione comportamentale di una personalità estrema e multisfaccettata-

-Ha fatto la tesi sul Joker?

-Sì, e vuole anche scrivere una monografia su di lui-

-Incredibile- esclamò Rogers, il Pubblico Ministero -Come si può scrivere una tesi sul Joker?-

-Ognuno ha le proprie ossessioni, vostro onore- lo liquidò il direttore, ridacchiando -Ma vedrà, con lui non durerà più di una settimana, proprio come gli altri-

-La faccia entrare, sentiamo cos’ha da dire-

-Come vuole. Rebecca?-

Una segretaria sottile e dai capelli perfetti entrò in ufficio -Sì, dottor Arkham?-

-Vada a chiamare la dottoressa Quinzel, per cortesia-

-Certo, dottore-

Rebecca uscì, facendo ticchettare i tacchi alti sul pavimento.

Davanti a lei, seduta a gambe strette in sala d’attesa, c’era una ragazza occhialuta col capo chino. Costei indossava un sobrio tailleur grigio sotto il camice bianco e aveva i capelli acconciati in un rigido chignon, il che le conferiva un aspetto tanto professionale quanto severo. In realtà, la dottoressa Quinzel non era affatto severa o compunta, era semplicemente molto tesa. Stava facendo finta di leggere il pesante tomo che aveva sulle ginocchia, facendo finta perché era troppo nervosa anche solo per poter leggere.

-Dottoressa Quinzel?- la voce acuta della segretaria la fece trasalire -Oh, scusi, l’ho spaventata?-

-No, no, si figuri- rispose con un sorriso imbarazzato, alzandosi goffamente in piedi e facendo quasi cadere il libro -Ero immersa nella lettura e non l’ho sentita arrivare. Sa, Psicofarmacologia è così interessante!-

-Immagino…- proferì la segreteria con una punta di disgusto, guardandola dall’alto al basso -Prego, può accomodarsi-

La ragazza con gli occhiali le sorrise appena e la seguì nell’ufficio, dandosi ripetutamente dell’idiota. 

-Vuole darmi il libro?-

-Forse è meglio, grazie, così evito di farlo cadere davanti a tutti- scherzò, ma l'altra la guardò quasi con beffarda commiserazione.

-Gliel’ho chiesto proprio per questo- 

-Grazie…- rispose ferita, senza reagire. Solo glielo porse, e si trovò di fronte alla porta in linoleum del direttore, con la targhetta placcata in oro che recitava Dott. Antony Arkham.

“Respira, Harleen. Tu sai cosa dire, sai cosa devi fare… l’hai ripetuto trenta volte, lo sai bene…”

Con le mani sudate e tremanti aprì la porta, trovandosi subito due paia d’occhi intenti a fissarla.

“Respira, Harleen, respira”.

-Buongiorno- esclamò ai suoi superiori, entrando con le spalle dritte ma incassate.

-Buongiorno a lei- le rispose bonariamente il direttore -Prego, si segga. Dunque, dottoressa Quinzel, abbiamo esaminato sommariamente il suo curriculum e non si stupirà se le dico che è accademicamente impeccabile, lei non ha proprio nulla da invidiare a nessuno dei suoi colleghi-

La ragazza abbassò gli occhi e fece un sorriso umile. Non era una novità per lei, era sempre stata la più brava e la più diligente del suo corso.

-Tuttavia, c’è una cosa che francamente ci lascia un po’ perplessi e riguarda proprio la natura della sua richiesta, ovvero sia affidarle in cura un criminale internazionale delle proporzioni del Joker. Lei è ancora così giovane, dottoressa, e costui è tra i soggetti più pericolosi e mefistofelici di questo pianeta, non crede che sia troppo prematuro assegnarle un caso del genere?-

Harleen ispirò aria, si era aspettata quella domanda.

-No- rispose Harleen, stringendosi forte la gonna del tailleur -Non lo credo, direttore. Conosco la sua personalità, so perfettamente cosa ha fatto e come l’ha fatto, ma sono formata a questo scopo e non ho alcuna paura di lui. E poi è per il mio libro, ho davvero bisogno di fargli qualche domanda-

-Qualche domanda?- ripeté Arkham, beffardo -E lei crede davvero che Joker sia disposto a collaborare e a rispondere a qualche domanda?-

-Sono realista, ma confido nelle mie capacità di psichiatra-

I due uomini si guardarono in viso, uno scettico e l’altro soddisfatto, e la dottoressa Harleen Frances Quinzel in quel momento sarebbe anche potuta svenire, da quanto era angosciata. Non lo dava a vedere, in famiglia le avevano insegnato l’autocontrollo e il contenimento di sé, ma quando aveva scoperto dai giornali e telegiornali di tutto il mondo che il suo caso umano preferito era stato catturato e rinchiuso per l’ennesima volta nell’Arkham Asylum, qualcosa di molto simile all’entusiasmo era scattato in lei e l’aveva indotta a partire subito da Manhattan, sua terra natia.

Lei desiderava intensamente conoscere quell’uomo, ne era da sempre stata misteriosamente attratta e aveva dedicato a lui tutta la sua vita accademica e sociale, dato che non ne aveva propriamente una. Inutile dire che quella era l’unica occasione che aveva di incontrarlo, di sentirlo almeno parlare. 

Da sopra gli occhiali guardò nervosamente gli uomini che confabulavano fra loro, il dottor Arkham pareva contrario mentre il magistrato sembrava ben disposto.

-Siamo d’accordo?-

-Va bene- esclamò Arkham, arreso -Glielo dica pure…-

-Dottoressa Quinzel?-

-Sì?- cinguettò Harleen, mai stata più nervosa in vita sua.

-Inizia domani-

 

 

L’indomani mattina, Harleen Frances Quinzel si presentò in anticipo, sempre nel suo impeccabile tailleur grigio. Leggermente truccata, malgrado la stanchezza non aveva il viso particolarmente 

provato, era solo silenziosa e chiusa in se stessa, come sempre. 

Come tutte le mattine, si era svegliata alle sei, era uscita a fare jogging, aveva pulito casa, aveva fatto mezz’ora di joga, si era lavata i capelli e infine aveva fatto una colazione scarsa ma salutare, per mantenere la sua linea sottile.

E tutto questo in sole tre ore. Era molto disciplinata, Harleen Quinzel, talmente tanto che aveva soffocato nella disciplina il vero significato della vita. Non che fosse triste, diciamo leggermente apatica. A parte il caso Joker, infatti, non c’era niente che avesse il potere di coinvolgerla emotivamente o di farla sorridere.

Tutto le sembrava noioso e frutto della costrizione. Tutto tranne quello che stava per intraprendere.

Joker! Ancora stentava a crederlo.

Naturalmente, non aveva chiuso occhio dall’agitazione. Aveva passato tutta la notte a pensare a cosa gli avrebbe chiesto, a come avrebbe impostato il discorso, a come si sarebbe posta con lui, se seria, se autorevole, se accomodante, se comprensiva, se, se, se, mille, duemila se!

Ma l’idea di avere lui come paziente le faceva ribollire il sangue dall’entusiasmo, e non è una cosa che le capita spesso. Aveva curato molti infermi mentali prima di lui, per diversi anni affiancando un altro psichiatra formatore, e poi, da tre anni a questa parte, da sola.

E ora Joker era diventato il suo paziente ufficiale. Il mitico criminale coi capelli verdi e le macchine sportive… Un pezzo da novanta, lo sapeva. Ed era totalmente e rovinosamente folle che l’avesse in cura lei.

Follia pura.

Non sarebbe mai riuscita a cavargli una sola parola di bocca, ma almeno l’avrebbe visto, avrebbe visto i suoi occhi, che in foto sembrano così azzurri da parere anormali, finti.

Finalmente avrebbe fatto qualcosa di folle anche lei.

-È lei la dottoressa Quinzel?-

Una guardia armata le si parò davanti. Aveva un fucile ad alto calibro in braccio e un espressione strafottente.

-Sono io- rispose costei, alzando subito in piedi.

-Mi segua per favore. Il capo vuole dirle due parole-

“Il capo?” si chiese Harleen con un certo affanno, pensando subito al Presidente degli Stati Uniti d’America.

La guardia grande quanto un guardaroba la scortò in una camera assembleare grigia e vuota, con un lungo tavolo al centro e un enorme monitor appeso sul muro. Appena entrarono, il monitor si accese e fece comparire una donna afroamericana, con le braccia conserte e un’espressione seria e solenne al tempo stesso.

-Buon pomeriggio dottoressa Quinzel- esordì la donna con una voce profonda e priva di inflessioni -Mi chiamo Amanda Waller e sono qui per darle qualche consiglio procedurale. Ho saputo chi le hanno affidato in cura, perciò ritengo opportuno che sia resa edotta su un paio di punti. Primo, il cosiddetto Joker è vivo perché è stato dichiarato incapace di intendere e di volere, ma intende e vuole meglio di tutti noi messi assieme, non lo dimentichi mai. Secondo, le sedute sono controllate a distanza da impianti audiovisivi, ma per non violare le norme sindacali abbiamo dovuto togliere l’audio, perciò, purtroppo, voi sarete ripresi ma non ascoltati. Ma sappia che io so leggere il labiale. Terza cosa e più importante, sappia che noi la controlliamo, e se dovesse insorgere anche un minimo dubbio sulla sua lealtà, verrà automaticamente accusata di favoreggiamento personale ai danni dello stato, con relativa interdizione perpetua alla professione di psichiatra. Sono stata abbastanza chiara?-

Harleen annuì, con la bocca aperta.

-Bene. Non sono qui per fare del terrorismo, dottoressa, ma per metterla in guardia. Quell’uomo coglie i punti deboli e sa manipolarli a proprio vantaggio, ricordi sempre con chi ha a che fare-

-Sì, signore… ehm, signora-

-Buon lavoro, dottoressa-

E detto questo, il monitor si spense.

Harleen rimase seduta immobile, con il fiato corto.

Probabilmente, pensò, ci avrebbe rimesso la pelle. Joker l’avrebbe ammazzata, come ha fatto con tre dei sei psichiatri con cui ha dovuto confrontarsi.

Ma a lei di morire, in fin dei conti, non importava poi tanto. La sua vita non era tutto sto granché.

-Questo è un telecomando d’allarme- disse un’altra guardia, un tenente a giudicare dalla divisa, mentre percorrevano il lungo corridoio dell’ala sinistra -Per qualsiasi cosa, anche solo un minimo, vago sospetto, mi raccomando, spinga il pulsante e cinque delle nostre migliori guardie correranno in suo soccorso. Quell’uomo è pericoloso, dottoressa, non si esima dal cautelarsi-

E tre. Quante volte dovevano ripeterle che era pericoloso?

-G-grazie- esclamò Harleen, afferrando il piccolo telecomandino e mettendoselo nella tasca del camice -Siete molto gentili-

-Non siamo gentili, siamo umani. Buona fortuna, dottoressa-

E detto questo, con il riconoscimento digitale prima e tre chiavi dopo, aprì le quattro serrature della camera blindata n. 237. 

 

 

 

 

 

Lo vide lì, seduto scomodamente in una sedia di ferro, con le braccia attaccate al corpo da una camicia di sicurezza. Era di spalle ma aveva il profilo rivolto verso sinistra, con lo sguardo fisso e un vago sorriso sulle labbra pallide e sottili. I capelli tinti di verde erano spettinati e dalle radici si intravedeva già una vaga ricrescita scura.

Pareva serenamente perso nei suoi pensieri.

La dottoressa rimase per un attimo ferma sulla soglia, le sue mani erano sudate e la mancava l’aria dall’emozione.

Quanto aveva desiderato conoscere quell’uomo? Dopo aver passato mille giorni e mille notti a studiare i suoi omicidi efferati e a tentare di capire la sua personalità così rara e controversa, sentiva quasi il bisogno di vederlo, di conoscere di persona colui che era stato per più di due anni il protagonista principale dei suoi giorni e dei suoi pensieri.

Il famigerato Joker, un grattacapo affascinante per ogni medico della mente come lei.

-Salve- esordì, sentendosi vagamente imbarazzata. E poi cos’era quel Salve? Si può dire “salve” a un super criminale??

-Chi c’è?- esclamò l’uomo con voce curiosa, ciondolando col capo -Un angioletto è caduto dal cielo? Che cosa fa in manicomio un piccolo adorabile angioletto?-

-Non sono un angioletto, signor… Joker- rispose freddamente la donna, ma con la voce leggermente incrinata -Sono la dottoressa Harleen Frances Quinzel, e sono venuta qui per passare un po' di tempo con lei, se non le dispiace-

Si fece coraggio e avanzò di qualche passo, fino a che non gli fu esattamente alle spalle. Poteva vedergli la fronte e la punta del naso, ma per uno strano motivo, non aveva il coraggio di fronteggiarlo e palesarsi, malgrado la curiosità di vederlo finalmente dal vivo e non per foto la stesse bruciando dentro.

Ma senza che lei potesse prevederlo, Joker ribaltò la testa di scatto e la guardò alla rovescia, facendole il suo classico sorriso spalancato e grottesco.

La ragazza fece quasi un balzo indietro dalla sorpresa.

-Ahh- esclamò deliziato, incatenandola nei suoi occhi chiari e spiritati -Dunque sei tu la Strizza-cervelli che vuole scrivere un libro su di me? O sei davvero un angioletto?-

La dottoressa arrossì e indietreggiò di molti passi -Lei come… Chi l’ha informato?-

-Il re di Gotham city ha i suoi informatori, madame- soggiunse sempre a testa in giù, mostrandole di nuovo tutti i denti argentati -E lei è un bellissimo regalo di compleanno-

Peccato solo che oggi non era il suo compleanno. Harleen sapeva tutto di lui, perfino l’orario indicativo in cui era nato.

-Non faccia lo spiritoso-

-Per una volta che non lo faccio… Lei è un adorabile regalo, dottoressa-

Harleen si sedette di fronte a lui, tirandosi nervosamente indietro una ciocca di capelli.

“Mi sta fissando” pensò mentre tirava fuori le analisi, il suo taccuino, la penna, e qualsiasi altra cosa che volesse il Cielo per temporeggiare.

Alzò un attimo lo sguardo verso sinistra, una telecamera piuttosto grande e minacciosa era puntata verso di lei e la stava riprendendo. Guardò verso destra, tre paia d’occhi la stavano fissando dalla finestrella sulla porta blindata.

Guardò in avanti, Joker le stava sorridendo.

-Sa? Non si vedono tanto spesso dottori come lei-

-Intende dottori donne?

-No, no, no, no- sussurrò e scosse la testa ripetutamente, sembrava davvero matto -Non sono un… come si dice… quella parola non mi viene…-

-Un retrogrado?-

-BRAVA! Sì! Non lo sono- esclamò entusiasta -Intendevo dire che non si vedono tanto spesso dottori bellissime-

Le fece un sorriso ammiccante, e Harleen abbassò subito gli occhi, cercando di fare finta di nulla. Riteneva cosa ovvia che Joker la stesse prendendo in giro, non si sentiva il tipo di donna sexy o spigliata che poteva piacere a uno come lui, benché fosse oggettivamente bella. Era infatti bionda, snella e molto delicata, ma aveva un’espressione talmente seria e malinconica che rendeva il suo aspetto complessivamente grigiastro e deprimente.

-Grazie- disse solo, senza neanche alzare lo sguardo dalla sua cartella clinica. La quantità di sedativi e di analgesici che gli avevano prescritto era follemente esagerata, pensò. Lo guardò di nuovo e lui le sorrise ancora, sembrava che cercasse di sorriderle ogni volta che poteva.

-Bene- esordì Harleen con fare discorsivo, appoggiando il plico delle analisi e incrociando le mani sul tavolo -Signor Joker, per me è un onore poterla conoscere, qualsiasi psichiatra vorrebbe essere al mio posto per sentire cosa ha da dire, soprattutto alla luce… -

-Mi dai un bacio?- la interruppe, con un sorriso a ventiquattro denti -Unbaciobaciobacio, piccolino?-

Harleen lo guardò, scioccata. 

-Cos… No, affatto, non… non è opportuno- balbettò, arrossendo come un papavero -Insomma, che razza di domanda è? È impazzito?-

Chiedere a un pazzo se è impazzito. Certo.

-Ha ragione, dottoressa, mi cospargo il capo di cenere- esclamò con finto pentitismo, abbassando il capo e la voce di due toni -Impazzisco quando vedo una bella donna, ma sono un gentiluomo, non le imporrei niente contro la sua casta volontà-

La ragazza inspirò dal naso, per una strana ragione aveva le mani che le tremavano.

“Ti sta prendendo in giro, Harleen, è Joker, non fare l’idiota”

Lui le fece un sorriso talmente aperto e sincero che quasi le venne voglia di ridere.

-D’accordo… Riprendiamo da dove stavo dicendo- esclamò imponendosi di non guardare di nuovo quegli occhi azzurri.

-Riprendiamo, riprendiamo-

-Sappia che non sono qui per giudicarla, Mr. J, si senta libero di dirmi tutto quello che vuole. Il mio compito è quello di capire e aiutarla a capire, anche nell’ottica di rieducarla e farla uscire da qua-

-Lo sa qual è il colmo per un angioletto?- le domandò lui a bruciapelo, studiandola attentamente. 

Harleen scosse la testa e iniziò a scrivere rigidamente nel suo taccuino: Primo giorno. Il soggetto non collabora. Si scherma inconsapevolmente dietro i suoi manierismi e le sue stereotipie, ma cerca il contatto visivo. Escluderei la schizofrenia di tipo paranoide, i disturbi paiono inoltre associati a un leggero maschilismo apparentemente… Poi cancellò tutto, tesa come un fil di ferro.

-Dottoressa Quinzel? Qual è il colmo per un angioletto!?-

-Avere un diavolo per capello?- gli rispose a tono, desiderosa di metterlo in buca.

Lui ridacchiò -Carina, ma no…-

-Avere la testa tra le nuvole?-

Sta volta il detenuto rise di gusto, così apertamente da farla sorridere -No, no, dottoressa! È lontana…-

-E allora me lo dica lei-

-È un segreto- ammiccò -Se farà la brava, glielo dirò più avanti-

Harleen sorrise e alzò gli occhi al cielo, anche se la curiosità iniziò ad accenderla -Come vuole. Possiamo cominciare la seduta?-

-Non l’abbiamo già cominciata?-

-Beh, non esattamente…-

-Esattamente sì, invece. L’ho già fatta sorridere, quando è stata l’ultima volta che l’ha fatto?-

Harley fece un sorriso tanto imbarazzato quanto sorpreso -Stiamo sconfinando, questi non sono affari suoi-

-Oh, sì che lo sono. Tutto ciò che riguarda il divertimento è affare mio. Lei si diverte qualche volta?-

-No- rispose sinceramente -Il divertimento non serve a niente-

-È la vita che non serve a niente senza divertimento, dottoressa- le rispose lui, con quelle sue espressioni tanto buffe quanto ipnotiche -Di cosa mi vuole parlare?-

 

Occhi azzurri, chiari ma incredibilmente profondi, folli ma limpidi. Può un’anima così sporca avere gli occhi limpidi?

 

La giovane si disincantò e schiarì la voce -Sono io lo psichiatra, Joker, è lei che deve parlare-

-Eppure non sono io quello che ha il visino depresso, dico bene?-

Harleen si abbassò di nuovo a scrivere nel suo taccuino, irritata.

Il paziente cerca di psicanalizzare il medico. Alla personalità schizofrenica si aggiunga la sindrome narcisistica della personalità, egli si sente perfettamente sano e rifiuta inconsciamente il suo stato problematico. Buon osservatore, coglie gli stati d’animo

-Io non sono affatto depressa- cercò di ribattere, celando la sua insicurezza dietro al taccuino -Comunque, che cosa mi sa dire della sua infanzia?-

Il delinquente rise.

-La mia infanzia!- esclamò, scuotendo la testa -Questo non è molto divertente, dottoressa Quiiiinzelll-

-Ha dei brutti ricordi?- domando Harleen, ferocemente curiosa. Sull’infanzia del Joker e su ogni aspetto della sua vita privata, come il suo vero nome, c’era un grande buco nero. Nessuno sapeva niente, pareva quasi che fosse nato così, coi capelli verdi e i tatuaggi.

-Mi trattavano male. Nessuno rideva mai alle mie battute- fece un’espressione imbronciata e si piegò su di lei -E la cosa mi rendeva molto, molto, molto triste, dottoressa-

A ogni molto lui si era proteso verso di lei, fino ad arrivarle poco lontano dal viso. La sua espressione attenta e concentrata si rilassò in un sorriso aperto, quasi dolce. Abbacinata, Harleen si allontanò subito e si schiarì la voce, allacciandosi inconsapevolmente il camice fin sopra il collo.

-D’accordo. Mi…Mi dispiace, questo sicuramente ha inciso nella sua formazione fisica… Cioè, psicologica! Volevo dire psicologica- arrossì come un pomodoro, maledicendosi mentalmente e facendolo ridacchiare -E poi mi dica, come lo chiamavano i suoi genitori? Gli avevano dato un nome, vero?-

Ma all’improvviso, il perenne sorriso dell’uomo sfumò dalle sue labbra e lasciò il posto a una stretta lama rabbiosa. Gli occhi erano fermi e minacciosi su di lei, tanto che la ragazza si sentì cogliere da un panico accecante.

Costei si alzò in piedi, terrificata, mentre  lui continuava a guardarla con la stessa espressione raggelante, senza muovere un muscolo.

Avvertimento. Ecco cosa le stava comunicando con lo sguardo.

Senza pensare e con le mani tremanti di paura Harleen mise la mano in tasca e spinse subito il pulsante d’allarme, cosicché nel giro di un secondo la porta blindata si aprì ed entrarono a cascata cinque grosse guardie e due medici, i primi impugnavano enormi manganelli, i secondi delle siringhe colme fino all’orlo.

-Dottoressa Quinzel?- gridò uno; -Che cosa ha fatto il bastardo!?- gridò un altro; -Si sposti, gli do una bella lezione!-

-No, n-no, sto bene!- balbettò Harleen, parandosi davanti al suo potenziale assalitore -Va… Va tutto bene, non mi ha fatto niente, ho solo spinto il pulsante per sbaglio, davvero-

-Ne è sicura?-

Alle sue spalle, la ragazza sentì la testa di lui colpirla dolcemente sulla schiena

-S-sì, sono sicura- rispose, arrossendo -E non voglio vedere atti di violenza contro il mio paziente, peggiorano solo le cose-

-Come vuole-

Detto questo, tre guardie robuste e ben piazzate aggirarono il Joker e  lo liberarono dai mille lacci di sicurezza che lo inchiodavano alla sedia, giusto per permettergli di alzarsi e camminare. Costui si alzò, era alto e atletico, e aveva ripreso il suo consueto sorriso grottesco.

-Spero di rivederla al più presto, dottoressa Quinzel- le disse gentilmente, rivolgendole un breve inchino mentre veniva scortato malamente dentro.

Le guardie e i medici la guardarono come se fosse un alieno e Harleen, finalmente, riprese a respirare.



Note
Ciao, sono consapevole che sono state pubblicate almeno una trentina di fanfiction come questa, ma la storia della trasformazione di Harleen mi ha talmente colpito che ho voluto anche io dire la mia. Poi il Joker e l'Harley di Suicide Squad mi sono piaciuti da morire, la classica coppia "pane per i miei denti" :D
Spero che qualcuno leggerà, a presto!

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Capitolo 2
*** Purple Lamborghini ***


Purple Lamborghini



 

Quando Harleen tornò a casa sulla sua Chevrolet, aveva ancora la testa persa nei meandri dell’Arkham Asylum, precisamente nella cella n. 237.

Quella faccia matta e grottescamente bella tamburellava le sue meningi come un tamburo. Per distrarsi accese la radio, ma purtroppo c’era il telegiornale. Questo annunciava a suon di tromba che il famigerato Capitan Boomerang era stato arrestato nei pressi del Kentucky e condannato alla pena complessiva di  ben tre ergastoli e sessanta cinque anni.

-Sono innocente!- smaniava follemente contro i giornalisti -Non stato io! Io e Pinky e non abbiamo fatto niente di male! Sono innocenteeee!!!!-

Harleen spense la radio e scosse la testa. Se non fosse stata nella città più oscura e pericolosa degli Stati Uniti, avrebbe anche parcheggiato e fatto volentieri una passeggiata chiarificatrice. Ma uscire di sera a Gotham City senza neanche una pistola equivaleva a suicidarsi, soprattutto per una ragazza sola e attraente come era lei.

Andò quindi direttamente a casa, ma appena svoltò l’angolo, notò una lussuosa Lamborghini viola parcheggiata proprio accanto al suo posto auto, nel vialetto riservato al suo condominio. La guardò incredula, possibile che i signori Rivera, di rispettivamente 72 e 79 anni, avessero cambiato auto? 

Guardò gli interni dal finestrino oscurato: la pelle dei sedili sembrava bianca e ricamata, sul cruscotto c’era in bella vista un display sottilissimo e un paio di manette pelose erano agganciate al cambio.

-Dottoressa Quinzel?-

La ragazza si voltò subito, talmente in fretta da farsi quasi male al collo. Davanti a lei un imponente uomo di colore le accennò un sorriso.

-È lei la dottoressa Marleen Frances Quinzel?-

-Harleen- precisò con un fil di voce, terrorizzata.

-Ci siamo capiti. Questi sono per lei- le disse, dandole un girasole fresco e un bigliettino -Buona serata-

-Ah, grazie ma… Scusi, lei chi è?-

Ma il tizio non rispose.

Lo guardò fare dietro front ed entrare nella Lamborghini come se niente fosse, ma invece di sedersi dalla parte del volante, si sedette nel posto del passeggero.

-Entra in casa, bellezza- le disse l’uomo, sporgendosi dal finestrino -Non è saggio per te restare così esposta-

“Chi c’è con lui?” pensò agghiacciata, mentre una terribile consapevolezza le inondò il cervello.

Subito prese a sentirsi osservata. Si guardò intorno, ma il buio imperante le impediva di aguzzare la vista. Possibile che…?

La ragazza fece una corsa fino alla porta, armeggiando disperatamente dentro la borsa per cercare le chiavi di casa. Il panico iniziò ad assalirla nuovamente, proprio come qualche ora prima, quando il Joker l’aveva letteralmente uccisa con lo sguardo. Finalmente trovò le chiavi ed entrò, si catapultò in ascensore e spinse il bottone del quarto piano.

“Ragiona, Harleen” si disse, tenendo stretto il girasole da una parte e il biglietto dall’altra “Non può essere qui. Va tutto bene. Sarà un ammiratore… Magari una delle guardie armate, sì?”

No. 

Sapeva chi era. Eccome se lo sapeva, e ora l’istinto le diceva che era in casa sua ad aspettarla.

Ma il guaio non stava tanto in quello, ma nel fatto che costei si sentiva più elettrizzata che spaventata all’idea di saperlo vicino. Davvero un guaio grosso e molto stupido.

Finalmente uscì dall’ascensore e, sempre col cuore in gola e quei due regali inaspettati tra le dita, entrò nel suo appartamento.

Accese subito la luce e si guardò intorno, ma tutto sembrava normale. Andò in camera da letto, tutto era in ordine e perfettamente a posto come l’aveva lasciato la mattina prima di partire. Stessa cosa valeva per la cucina, il bagno e il salotto. Non c’erano stanze a soqquadro, cassetti ribaltati o tende divelte… Niente di niente.

“La terrazza!” si illuminò, carica di adrenalina. Aprì la porta finestra e si fiondò fuori con il respiro mozzato, ma non vide nessuno. Si guardò intorno, girò su sé stessa più volte, guardò perfino verso il cielo, come se Joker potesse volare come Superman.

-Mr. J?- sussurrò verso il nulla, ma nessuno rispose. Perfino la Lamborghini viola non c’era più.

Harleen rientrò in casa con un’espressione allibita. Si sedette sul divano e lì rimase per cinque minuti, ammutolita.

Non sapeva cosa le fosse preso.

Era come se qualcuno avesse preso il suo posto nella centralina del suo cervello, perché aveva davvero sperato di trovarsi in casa un criminale sadico e pluriomicida.

“Che mi sia venuta la sindrome di Burnout?”  si auto psicanalizzò “Ma no, non ho un calo della soddisfazione lavorativa…” 

Ma come scorse il biglietto e il girasole che giacevano dimenticati sul tavolo, corse subito da loro e smise di pensare. Scartò il biglietto, più curiosa che mai.

 

 


 Mia dolce Dott.ssa Quinzel,
 le dispiacerebbe prepararmi  un pudding e portarmelo  domani? Sono stanco di  mangiare guano di  pipistrello.
 Sogni d'oro,
 J.

 

 

“Oh, mio Dio” pensò, coprendosi la bocca con la mano.

 

                       
                                                                             
                                                                                                             ***





-Non è possibile- esclamò il PM, incredulo -Ha scritto davvero così?-

-Sì, sì, testuali parole- esclamò Antony Arkham, con in mano il breve referto - Sono piuttosto sgomento anch’io-

-Ma come ha fatto a indurlo a parlare? Nessuno ci era mai riuscito prima…-

-La vado a chiamare-

Fuori, seduta nervosamente di fronte all’ufficio del suo neo direttore, Harleen disegnava delle piccole spirali sul suo taccuino di pelle, tesa.

Nessuno si era accorto di niente, nessuno le aveva fatto il terzo grado quando era entrata in ufficio e ancora nessuno pareva essersi accorto che si era truccata un po’ più del dovuto. In realtà, per lei indossare il rossetto rosso era come indossare un completino di pelle panterato, dato che non era abituata a certe simili esternazioni.

Infatti, da quando il suo primo e strano incontro con lui era terminato, lei non riusciva più a pensare ad altro. Pensava ai suoi occhi azzurri, ai segreti che celavano e alla facilità con cui le avevano scavato dentro durante quei brevi minuti. In una sola  seduta, lui aveva indovinato molte più cose di lei che lei di lui in anni di studio. 

Perchè Harleen, all’apparenza, era conscia di sembrare perfetta. Era bella, era intelligente, aveva alle spalle una buona famiglia ed era sempre stata la prima, in tutto. Era la prima nei corsi universitari, nelle gare di ginnastica ritmica, nel corso di spagnolo, nella carriera… In tutto.

Giusto nel campo sentimentale e sociale aveva qualche lacuna, che lei minimizzava con un semplice “Non ho tempo, non mi piace nessuno”.

Eppure, malgrado tutto questo oro apparente, dentro di lei c’era un profondo grigiore, la rigidità del senso del dovere e della solitudine.

Depressa” aveva detto Joker dopo solo una volta che l’aveva vista e diavolo, ci aveva preso. Nessuno si era mai accorto di come si sentiva realmente, né i suoi genitori, troppo impegnati a vantarsi della loro figlia impeccabile, né le sue “amiche”, troppo invidiose per volerle bene.

Possibile che ci volesse un criminale schizofrenico per capirla?

A pensare a lui le veniva da sorridere. L’aveva divertita, incuriosita, innervosita, spaventata ed entusiasmata, il tutto legato a una sedia e in meno di mezz’ora.

Chissà cosa le avrebbe fatto provare se lui fosse stato libero e se avessero avuto più tempo a disposizione… Il pensiero la fece arrossire rovinosamente.

-Dottoressa? Può accomodarsi-

Harleen scattò in piedi e ringraziò la segretaria con un cenno freddo. Entrò nell’ufficio del direttore e per la seconda volta si trovò davanti anche il Pubblico Ministero; con loro c’era anche una guardia che aveva scortato Joker al fresco.

-Buongiorno, dottoressa, prego si accomodi pure- iniziò il direttore con tono discorsivo -Ho letto il suo primo referto, l’ho sottoposto all’autorevole attenzione del dottor Rogers e sarò franco, siamo tutti abbastanza sconcertati da quello che ha scritto-

-Sconcertati?- si allarmò Harleen, pensando subito al peggio.

Il direttore aprì il plico e si schiarì la voce -Da bambino mi trattavano male. Nessuno rideva alle mie battute e la cosa mi rendeva molto, molto, molto e molto triste- 

L’uomo alzò gli occhi su di lei e la guardò da sopra gli occhiali, in attesa.

-Ehm, qualcosa va?-

-Dottoressa, credo che lei non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Nessuno, nemmeno il nipote di Sigmund Freud in persona, è mai riuscito a carpirgli una parola, e lei in venti minuti gli ha fatto dire un concetto basilare e personalissimo della sua infanzia-

Harleen aprì la bocca, non ci aveva pensato…

-Beh, ecco, forse aveva voglia di parlare?- tentò, incredula lei per prima -A me non è parso così criptico o sfuggente. Mi sembrava un paziente come gli altri-

Che bugia atomica.

-Il Joker un paziente come gli altri!- ghignò infatti il direttore -Le sembra normale uno che ha eluso per tre volte le nostre più stringenti misure di sicurezza? Le sembra normale un paziente che per tre volte è uscito da qui passando dalla porta principale come se niente fosse?-

-Beh, in realtà quattro, anzi cinque, se non contiamo… No, niente- la ragazza si interruppe, beccandosi un’occhiataccia.

-Ora, io sono consapevole della sua bravura e professionalità, ma capisce bene che mi risulta un po' difficile credere nella della bontà della sua dichiarazione-

-Mi sta accusando di aver falsificato un documento medico?- esclamò Harleen con un filo di voce, sgomenta.

-‘Falsificato’, che parola grossa… Al massimo di averlo un po’ pompato-

La volpe e l’uva. Chissà quante volte Antony Arkam aveva tentato di psicanalizzare Mr. Joker…

-Io non ho pompato proprio niente- sentenziò a denti stretti -Ho riportato esattamente quello che lui mi ha detto, e lei non si deve permettere di muovermi accuse simili, ha capito?-

-Cerchiamo di mantenere la calma, per cortesia- intervenne il Pubblico Ministero, alzandosi in piedi  con imponenza -Nessuno sta accusando nessun altro, perché, come saprete bene, per formulare un’imputazione occorrono dei mezzi di prova fondati, e non delle presunzioni mosse dalla sfiducia e prive di qualsivoglia requisito di gravità, precisione e concordanza. Dico bene, Dottor Arkham?-

-Sì, vostro onore…-

-Bene. Ha qualche prova sulla malafede della dottoressa da sottopormi?-

-No, ma...-

-Ottimo. Torni pure dal suo paziente, dottoressa Quinzel. E mi raccomando continui a lavorare con la stessa passione e sollecitudine che sta dimostrando, farà molta strada-

Se quell'uomo le era stato fin da subito simpatico, ora Harleen lo adorava. Gli sorrise riconoscente -Grazie mille, dottore- esclamò la ragazza rincuorata e, accennando un saluto al viso fiammeggiante del direttore, uscì finalmente da quell’ufficio soffocante.

Non si era resa conto che un energumeno la stava seguendo…

-Dottoressa? Salve- la guardia, una montagna di muscoli con i capelli rasati e l'espressione un po' ottusa, le prese la mano -Io sono Arnold, la tua guardia del corpo. Sappi che non devi temere niente qui, io ti proteggerò da qualsiasi male, compreso quello stronzo che hai in cura-

-Ah, grazie…- esclamò la donna, ritraendo subito la mano -Ma non ce ne sarà bisogno-

-Se vuoi ti do il mio numero, così rimaniamo sempre in contatto?-

-Ehm… Magari dopo, non ho con me il cellulare-

-Dammi il tuo numero, lo registro io nel mio e ti faccio uno squillo?- insistette, testardo come un mulo.

-Wilson, stai al tuo posto- esclamò alle loro spalle un uomo, con la faccia antipatica e i capelli biondicci -Tenente Griggs, al suo servizio dottoressa- esclamò tronfio, porgendole la mano.

-Harleen Quinzel- rispose, stringendogli la mano.

-Allora è vero- disse, guardandola meravigliato -Hanno davvero affidato il Joker a una ragazza?-

-Che cosa assurda, eh?- gli domandò, sarcastica.

-Beh, sa, quelli come lui le ragazze se la mangiano a colazione, e non è un modo di dire- ghignò, ammiccando verso le altre guardie -Comunque siamo qui per proteggerla, dottoressa, le garantisco che Joker non le torcerà neanche un capello finché ci sarò io-

-Allora sono in una botte di ferro- esclamò Harleen con un mezzo sorriso, prendendo la sua valigetta e iniziando a camminare.

Griggs forzò una risata -La biondina fa la spiritosa... Andiamo-

E dopo l’inizio un po' disastroso, la giornata per la dott.ssa Harleen Frances Quinzel si concluse nel migliore dei modi: in compagnia del suo super criminale.

Dopo aver atteso pazientemente che il suo paziente fosse inchiodato alla sedia coi lacci e la camicia di forza, la dottoressa arrivò alla porta, scortata come sempre da Arnold, che la guardava come se volesse mangiarla, Griggs e da altri tre uomini armati e ben piantati.

-Bene, dottoressa, valgono sempre le raccomandazioni dell’altra volta. Appena si accorge che lui…-

-Spingo il pulsante- lo anticipò lei, impaziente di entrare.

-Esatto, e se ritiene opportuno…-

-Gli pratico un’iniezione di benzodiazepine, lo so-

-Perfetta- esclamò Griggs, facendole il segno dell’okay.

-Sono laureata, tenente, conosco il mio lavoro-

Ma, malgrado questo, Harleen entrò nella camera n. 237 senza neanche una siringa nella valigetta.

 

 

-È arrivato il mio triste amore?-

La ragazza arrossì e sorrise spontaneamente. Con un moto di coraggio e il cuore che batteva forte, avanzò e si sedette di fronte a lui.

-Che cos’è quello!?- esordì Joker di punto in bianco, con una faccia stralunata

-Che cosa?- Harleen si spaventò

-Quello che ha nella bocca… Quello lì…-

-Il rossetto?

-Un sorriso?-

E il sorriso della dottoressa Quinzel si ampliò, adornato dalle sue gote rosse.

“Scemo” scarabocchiò nel suo taccuino.

-Vedo che non ha portato il mio pudding- disse, guardandole le mani -Perché non ha portato il mio pudding, dottoressa? Non le è piaciuto il girasole?-

Lui aveva la bocca dischiusa e la ispezionava con occhi attenti, come se avesse il potere di leggerle nel pensiero. 

-No, non è quello…- rispose, sentendosi quasi in trappola, con le spalle al muro.

-E allora?-

-Come fa a sapere il mio indirizzo? Come fa a comunicare con l’esterno? Chi guidava la macchina ieri sera? Non era il tizio con cui ho parlato, vero?-

-Dio, quante domande! Mi fa venire il mal di testa, dottoressa Quinzel- soggiunse con un’esasperata espressione di sofferenza -E, comunque, no, non lo dica neanche. Già è molto che gli abbia permesso di salirci, non gli farei mai montare Violet o un’altra delle mie ragazze. Sono molto geloso, può scriverlo nel referto-

-C’era lei su quella macchina?- insistette la dottoressa con un filo di voce, ma Joker ribaltò la testa.

-Quella macchina ha un nome! Le piacerebbe se io mi riferissi a lei dicendo “quella donna” o “quella pollastrella”?- le domandò con tono ovvio -No, ovvio che no. Io mi riferirei a lei chiamandola dottoressa Quinzel, o Harleen se fossimo in confidenza-

La dolcezza con cui aveva pronunciato il suo nome la fece rabbrividire. Ma lei sapeva che lui stava recitando, anche lo sguardo di velluto con cui la carezzava, i suoi sorrisi eloquenti e i complimenti sporadici erano finti.

“Tutto finto”  pensava, peccato solo che la passione che destavano in lei era vera e autentica.

-Sta di fatto che non ha risposto alla mia domanda, mr. J- continuò lei senza demordere, cercando di mantenere il contatto visivo -Si trovava in quell’auto sì o no?-

Ma l’uomo scoppiò a ridere, di nuovo.

-Ma secondo lei, se fossi stato là dopo sarei tornato qui ad auto rinchiudermi!?-

-No, ma…-

-No, infatti- le sorrise ampiamente, avvicinandosi col busto verso di lei -Se fossi stato là, sarei salito in casa sua e mi sarei infilato nel suo letto a farle il solletico, fino a farla tremare per le risate… Lei soffre il solletico, dottoressa?-

-No- rispose la ragazza in automatico, senza pensarci sul serio.

-Ah, beh, allora avremmo dovuto fare qualcos’altro- sorrise, facendole l’occhiolino.

Ma Harleen impugnò forte la penna e arrossì, a quel punto poteva anche chiedergli qualsiasi cosa.

-Sa dove abito, sa come arrivare a casa mia, sa che sono sola, che non so difendermi… Mi ucciderà quando uscirà da qui?-

-Oh, no, mia cara. Le ho già detto cosa farò- si sporse con il busto, inclinando il capo -Mi infilerò nel suo lettino caldo e la farò ridere a crepapelle...-

 

Tum tum tum tum…

 

Harleen sentiva il suo cuore sul punto di scoppiare. Ma non era la paura quella che animava le sue emozioni, era un altro sentimento, ugualmente forte da mozzare il fiato.

-Non ho paura di lei, mr. J-

-Certo, perchè non vede l’ora che accada-

-Si crede così irresistibile?-

-Sì- rispose e sorrise di nuovo, mostrandole la fila di denti argentati

Harleen guardò l’orologio, avevano solo venti minuti di tempo, dato che i primi dieci li avevano persi a parlare di niente. Cercò di schiarirsi le idee e rimanere lucida, cercando di razionalizzare il lavoro.

-Ora le faccio una domanda, e per favore mi risponda sinceramente. Che cosa prova quando fa del male alle persone?-

Joker inclinò il capo e ci pensò su, alzando appena un po' lo sguardo -Potere, pace e piacere-

“Interessante” pensò Harleen.

-E il potere le sembra che venga dal didentro o da fuori, come se le fosse conferito da qualcuno?-

-Da fuori-

“Ma certo. Non lo trova in se stesso e perciò lo cerca all’esterno”

-Capisco- gli disse solo, senza cambiare espressione.

-Sono molto grave, dottoressa?- 

-Un po’- gli rispose sorridendo -Giusto perché sfoga il suo malessere facendo del male alla gente. Quindi, se io ora le togliessi la camicia di forza e la slegassi dalla sedia, lei mi assalirebbe?-

Lui la guardò fissamente, inspirando aria dal naso.

-Sì, ma non nel senso che crede lei-

-E in che senso?-

-Sono tre mesi che sono chiuso qua dentro in completa solitudine, non so se mi spiego-

-Ah, certo- rispose Harleen, con tono severo -Ma si contraddice, l’altra volta mi aveva detto che era un gentiluomo, si ricorda?-

-E infatti lo sono, perché non coarterei la volontà di nessuna qui… Dico bene, Harleen?- 

Le fece un sorriso pungente che degradò presto in una risata maligna e spezzata. 

La ragazza lo guardò ridere, indignata e offesa. 

Lo odiava. Era superbo, pieno di sé, iroso, prepotente e maschilista. Senza contare che era un assassino pericoloso. Lo odiava.

Ma era anche simpatico, brillante, intelligente e dannatamente sexy.

Ecco la verità, pensò incredula, perfino con i capelli verdi e i denti incapsulati le appariva fisicamente attraente. Com’era possibile? Harleen non si riconosceva, non aveva mai provato un tale trasporto per un uomo, figuriamoci poi per uno così, che a rigor di logica doveva essere agli antipodi del suo tipo ideale.

E invece…

No. Basta” gridò a se stessa “Ti stai rendendo ridicola, Harleen, reagisci!”

-Io credo che più che il divertimento, sia il controllo il suo obbiettivo, mr. J- esclamò con voce irritata -Lei distrugge tutto, vuole creare il caos perché nel caos riesce a rifugiarsi e a trovare il controllo di sé e degli altri che tanto brama. Perché nel suo mondo, mr. J, tutto può spezzarsi al di fuori di lei, non è vero? Si è corazzato così bene nella sua maschera che ha dimenticato se stesso e si è lasciato sopraffare dalle sue paure. Si è imprigionato con le sue stesse mani e non se ne rende neanche conto-

Joker fischiò e rise -MI PIACE QUESTA DOTTORESSA!- gridò alle guardie, torcendo il collo all’indietro tra mille risate -Molto meglio di quei poveri eunuchi che mi affibbiate ogni volta! Potrei anche innamorarmi di lei se continua così, lo sa dottoressa?-

-Ho colto nel segno?- gli domandò Harleen, rimanendo seria.

Joker rise ancora, scuotendo la testa -No, no, no, no- sussurrò appena, talmente piano e veloce che quasi si mangiò le parole -No, no, no, ha travisato tutto, ma mi dia tempo, riuscirò a farle capire che chi si lascia sopraffare è lei, mia adorata dottoressa Quinzel, non io. Io sono felice- le scoccò un sorriso ampio -Sono libero. È lei che alimenta l’ipocrisia del mondo indossando una maschera che non le appartiene e vivendo come un’automa. Io non ho corde nel collo, non ho paura di sbagliare, di non sentirmi all’altezza… Lei non si sente all’altezza di tante cose, eppure è più in gamba di tante persone che ho conosciuto. E perché permette che ciò accada? Perché sostiene il sistema e si lascia sopraffare da se stessa. Una volta che si libererà dalle sue catene mentali e smetterà di seguire le regole, otterrà la libertà e il potere che è dentro di lei, ma prima di allora rimarrà l’impeccabilmente depressa dottoressa Harleen Frances Quinzel, che cerca ristoro nei criminali internati come me-

Harleen l’aveva ascoltato, persa negli occhi trasparenti di lui. Senza rendersene conto, si era sporta con il busto, e la distanza che li separava era diventata davvero minima. Joker sorrise e le guardò fissamente le labbra, ciondolando con la testa prima a destra e poi a sinistra. Le sue intenzioni erano chiare, voleva baciarla, e quando Harleen si sporse appena verso di lui, il suo sorriso si ampliò inumanamente. 

-Io non sono depressa…- gli sussurrò angosciata, ma lui inclinò lentamente la testa verso destra e le stampò un bacio leggero e molto delicato; dopo si fermò un attimo e ripeté la stessa cosa verso sinistra.

Harleen rimase ferma, svuotata di ogni pensiero. C’erano solo quelle labbra fresche e sottili, la cui dolcezza mal si confaceva con la brutalità del loro proprietario.

-Dottoressa Quinzel, si sta innamorando di me?- le domandò sulla bocca, ghignando.

-E lei?-

-Io sì, gliel’ho detto…-

Harleen, che stava quasi riprendendo conoscenza, lo guardò negli occhi, e poi con la coda dell’occhio notò un piccolo particolare che la fece rabbrividire: la telecamera puntata contro di lei come un cane da caccia sulla preda e la scritta in lettere cubitali che recitava “area videosorvegliata”.

“Merda” pensò, mentre lui si leccava le labbra “Merda!”

-Portami il pudding la prossima volta che torni. Posso darti del tu, vero?-

-Non se ne parla-

-Di che cosa? Del pudding o del tu?-

Ma la ragazza uscì e sbatté la porta alle spalle, appena in tempo prima di scoppiare in lacrime.

Si lasciò scivolare sul muro, coprendosi gli occhi piangenti con le mani. Le guardie armate accorsero subito verso di lei, ma era come se Harleen avesse la testa dentro a una bolla.

“Dottoressa! Dottoressa, cosa le è successo!?”, “Chiamate un medico! Sta male…”

 

 

 

 

 
Note
Ops, non credo che la Waller ne sarà molto contenta, che ne dite? ;)
Quanto mi diverto a scrivere queste cose! Forse vado un po' veloce, ma per me il gioco di seduzione di Joker si è consumato in poche sedute... Come vedete infatti lui è molto diretto, non lascia nulla al caso ;)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che i personaggi siano coerenti con quelli del film, sappiate che sono sempre pronta ad accettare critiche e consigli! Un bacio e grazie in anticipo.

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Capitolo 3
*** I Started a Joke ***



I started a Joke

 



 

Arkham Asylum, sala di controllo per la videosorveglianza.

 

“Vuoi prendermi per il culo!?”

 

Un uomo grassoccio e con una ciambella in mano saltò sulla sua sedia girabile.

-ROB!- gridò alle sue spalle, agitando un braccio -Rob vieni a vedere Joker! CORRI!-

L’uomo di nome Rob uscì dal bagno riservato al personale, con la camicia azzurra della divisa sgraziatamente fuori dai pantaloni.

-Ero al cesso Morris, che vuoi?-

-Guarda!- abbaiò quest’ultimo, sempre più euforico -Vedi anche tu quello che vedo io?-

Rob inforcò gli occhiali e guardò con noia uno dei dieci schermi che aveva di fronte, ma quello che vide lo lasciò di stucco. 

-Ma che… Ma si sta baciando la psichiatra!?- domandò incredulo al collega, con un’espressione stralunata nel viso. 

-Hai capito che figlio di puttana?- ghignò il ciccione, godendosi lo spettacolo -Joker è un genio, non c’è che dire. Quando il capo lo verrà a sapere la biondina avrà i minuti contati-

-Anche noi avremo i minuti contati se non la chiamiamo subito. Dettami il numero-

-Aspetta, aspetta- lo bloccò, sempre più infervorato -Lasciali continuare, magari ci vediamo un film porno in diretta!-

-Morris, dammi il numero-

-Va bene…-

Ma a poche miglia di distanza, Amanda Waller stava già guardando su un maxi schermo la scena in diretta dall’Arkham Asylum. Con il suo bicchiere di whiskey in mano, si godeva lo spettacolo in tenebroso silenzio, senza mostrare il minimo cenno di un’emozione.

All’improvviso il suo telefono cellulare squillò, e dopo aver bevuto un goccio dell’alcolico, la donna rispose.

-So già tutto- esordì spiccia, senza staccare gli occhi dalla TV -Prenotami due biglietti per Gotham city, domani sono lì-

-Va bene, signora- esclamò Rob -Vuole che dica qualcosa alla dottoressa Quinzel?-

-No, sarà già abbastanza scossa, le parlerò io. Dovevo aspettarmelo che sarebbe finita così-


Nel frattempo, Harleen era stata portata in un ambulatorio. Distesa supina in un lettino d’ospedale, era stata visitata da un medico del posto, il quale le aveva sparato una luce prima su un occhio e poi su un altro, e dopo di che le aveva misurato la pressione sanguigna.

-Sto bene- continuava a sussurrare Harleen, senza sosta -Sto bene, davvero-

Le lacrime le imperlavano le ciglia, i suoi occhi grandi erano vitrei e persi sul soffitto. Non riusciva a guardare in faccia nessuno, Harleen, si sentiva talmente esausta e preoccupata che il respiro le si era bloccato all’altezza del petto.

-Soffre di tachicardia?- le domandò il collega.

-No, dottore-

“Avranno già visto? Magari stanno venendo a prendermi per buttarmi fuori”

-Il suo cuore sta battendo un po' troppo velocemente… Le consiglio, se vuole, di prendere un calmante. Joker fa sempre questo effetto all’inizio, non si preoccupi-

“Fa innamorare gli psichiatri?”

-Ah, sì?-

-Eccome. Ha fatto piangere uomini molto più anziani di lei. Riesce ad alzarsi?-

-Certo- Harleen si alzò subito a sedere sul lettino. La testa le girava, e sulle labbra secche le pareva di avvertire ancora la presenza fresca e leggermente umida di Joker. Senza volerlo, le sfiorò con le dita.

-Prescriverle dei farmaci antiaritmici mi sembra esagerato- continuò il medico, completamente all’oscuro di tutto -Secondo me è sufficiente che vada a casa a riposarsi un po'. Le firmo il permesso per uscire prima?-

-No, non serve, sto bene- precisò Harleen, alzandosi in piedi e lisciandosi il camice -Ho solo avuto un momento di crisi, tutto qui-

-Beh, si rilassi pensando che adesso il momento di crisi lo sta avendo lui-

Harleen gli puntò gli occhi addosso.

-Che cosa intende dire?- gli domandò inquieta e vagamente minacciosa.

-Voglio dire che Griggs non è il tipo che si risparmia quanto a manganellate. L’avranno conciato per le feste-

-No… Cioè, perché?- gli domandò angosciata -Non mi ha fatto niente, loro non devono…Non devono fargli del male, lui non mi ha fatto niente, non… Non è giusto!-

-Dottoressa, non si agiti-

Ma Harleen scattò in piedi dal lettino e scappò fuori dall’ambulatorio, esagitata.

-Dottoressa! Dottoressa Quinzel dove va! Torni qui!-

La voce del medico non la sfiorava neanche, sembrava un'eco lontana e trascurabile. Col cuore in gola, sfrecciò nei corridoi grigiastri, oltrepassando alcuni pazienti legati su una sedia a rotelle, ridotti in stato vegetativo.

Poi vide Griggs. Appoggiato sullo stipite della porta, con le braccia conserte e un sorriso insolente e divertito sulle labbra. Guardava dentro la stanza, dove senza dubbio stavano picchiando l’unico uomo che l’aveva fatta sentire viva.

-Cosa state facendo?- domandò con un filo di voce, trascinandosi piena di paura verso di lui.

-Oh, dottoressa- esclamò Girggs, guardandola dalla testa ai piedi -È venuta a godersi lo spettacolo?-

Ma Harleen lo fulminò con lo sguardo e lo spinse via, rabbiosa. Davanti a lei, c’erano quattro uomini in cerchio che si stavano accanendo su un altro, disarmato e sdraiato per terra.

-BASTA! SMETTETELA-  gridò a gran voce, aggrappandosi con tutte le sue forze alla guardia che lo stava picchiando -ANDATE VIA! FUORI!-

-Cosa?- si voltò uno; - Ma tu non stavi male?- domandò un altro, con aria canzonatoria.

-FUORI!- gridò lei istericamente, prendendo una sedia e scaraventandola contro di loro. In sottofondo, sentì una risatina inconfondibile che la rassicurò.

-Va bene, va bene, andiamo! Questa è scema…-

-Datti una calmata, eh, bellezza?-

-Uscite immediatamente- ordinò la ragazza, tremante di rabbia.

-Dai ragazzi, circolare- esclamò Griggs dalla porta, che si stava godendo la scena come uno spettatore esterno -Lasciamo un po' di privacy al paziente e alla sua terapeuta… Le avanzano i dieci minuti della seduta, dottoressa-

-Lo so, e li voglio usare tutti-

-Come vuole- ghignò Griggs -Ma non credo che il signorino sarà in grado di comunicarle qualcosa-

“Bastardo, fetente, muori male”

-Voglio comunque provarci. Ora se non le dispiace, chiudo la porta- 

Ma invece di chiuderla, Harleen la sbatté forte. E poi si girò verso Joker, che era sdraiato a terra e la fissava dal basso con una strana espressione.

-Hai proprio delle belle mutandine, dottoressa- le sorrise, con i denti sporchi di sangue.

-Mr. J!- esclamò Harleen, gettandosi a terra da lui -Oddio, Mr. J, mi dispiace, mi dispiace tanto-

Con mani tremanti lo sollevò per il busto e lo appoggiò su di sé, in modo che la sua testa fosse adagiata sulla propria spalla. Era in condizioni pietose.

-Mmmh, piano- mugugnò lui -Paparino è tutto rotto-

Lei gli stampò un bacio sui capelli -Mi dispiace tanto, non credevo, non pensavo che ti facessero questo… Sarei rimasta se l’avessi saputo, non immaginavo neanche…-

-Sei venuta a salvarmi, piccolo angioletto?- le sussurrò affaticato, cingendole i fianchi con un braccio. Malgrado tutto, aveva sempre il sorriso sulle labbra.

-Sì, tesoro, sono venuta a salvarti- gli sorrise, con gli occhi lucidi di lacrime -Dove ti fa male?-

-Un po' ovunque, baby-

-Dopo ti porto un antidolorifico, ma ora riesci a sentirmi? Ti devo dire una cosa… Mr. J, la telecamera ci ha ripreso, ci hanno visto prima, come facciamo?-

Harleen sperava, Joker era uno dei migliori criminali internazionali attualmente esistenti, avrebbe saputo senz’altro risolvere un problemino come quello, no?

Ma costui cominciò a ridere, col il sangue che gli colava dalla fronte -Divertente! Domani raccontami le loro facce!-

-Non credo che mi permetteranno di vederti di nuovo- 

-Oh, no, io voglio vederti di nuovo- le disse, sfiorandole appena il labbro inferiore -Sei la mia dottoressa, come faccio a guarire altrimenti?- 

-Sì, ma se vedono quel nastro…-

-Farò un paio di telefonate, non ti preoccupare-

La ragazza gli sorrise allietata, senza chiedergli ulteriori spiegazioni. Continuava solo ad accarezzargli il viso con due dita e l’addome granitico con la mano sinistra. La sua pelle, oltre a essere molto bianca, era anche molto liscia. Sembrava quella di una statua… Una bellissima statua sporca di sangue e piena di tatuaggi. 

Lei, Harleen, sarebbe rimasta così per sempre, seduta con lui disteso tra le sue braccia. Era come se non fosse più nell’Arkham Asylum, si sentiva sollevata, al posto giusto, leggera sia dentro che fuori. In altri termini, si sentiva felice. E non era una felicità lieve, quasi dovuta, come quella che aveva provato il giorno della sua laurea o della vittoria alle gare di ginnastica. Era esaltazione, incanto, incredulità che tutto questo stesse accadendo proprio a lei… E di fronte a tutti questi sentimenti positivi, Harleen era come se si fosse dimenticata di chi ci fosse realmente tra le sue braccia, ossia un criminale assassino.

-Mr. J?- gli sussurrò sui capelli, con la gola riarsa come sabbia -Temo di essermi innamorata di te-

L’uomo ridacchiò.

-Anch’io, cuoricino- le rispose, con un sorriso artefatto sulle labbra -E quando uscirò da qui, ti porterò via da questo schifo. Andremo in giro per il mondo sul mio Jet privato, io e te insieme… Dove ti piacerebbe andare?-

La ragazza trattenne il fiato dall’emozione. Un sorriso colmo di gioia le scaturì dritto dall’animo.

-In Europa- gemette, sorridendo di cuore.

-In Europa, che bell’idea, pumpkin pie!- esclamò lui con voce esaltata, toccandole le fossette del sorriso -Prima però tu mi devi aiutare a uscire da qui, non posso fare tutto da solo-

-Sì, certo- gli rispose sicura, sorridente, felice.

-Aiuti paparino a uscire da qui?-

-Aiuto paparino a uscire da qui- ripeté Harleen come una bambina, piegandosi per dargli un bacio sulle labbra.

-Toc, toc?- Griggs entrò nella stanza, appena in tempo per non vederli -La riunione di famiglia è finita, dottoressa- esclamò, sempre con quell’aria beffarda -Mammina vuole indietro il suo pupo-

Harleen strinse forte il suo nuovo amore -No, andatevene subito. Gli avete procurato fin troppi danni per oggi-

Il tenente guardò Harleen con una smorfia, e poi si rivolse i suoi soldati -Ci vedo male, o lo dottoressa sta tenendo Joker senza la camicia di forza?- domandò a voce alta, anche se sapeva già la risposta.

-Ehm, temo che tu ci veda benissimo, capo- esclamò una guardia al suo fianco.

-No, dico, perché cerchi di ammazzare noi e lei no, Jolly? Mi sento molto discriminato-

Harleen non fece in tempo a controbattere che Joker intervenne -Ma perché sono innamorato di questa dottoressa, reietto- esclamò con voce plateale, per poi dare ad Harleen due veloci baci sulla guancia e uno sul mento -Visto!?-

-Siamo tutti innamorati di lei, amico- rise Griggs, ammiccando verso le guardie -Va bene, allora dalla via che è qui dottoressa Quinzel, metta al suo nuovo spasimante la camicia di forza, così ci risparmia un lavoro-

La ragazza guardò quell’orribile busto bianco, sporco e pieno di cinghie corte.

-Non ce ne sarà bisogno, lo accompagnerò io nella sua cella così-

Griggs rise -Sì, come no, così in cella ci finisce il tuo cadavere. Odio voi medici e i vostri metodi da guanti bianchi, mi fate cadere le palle-

Joker rise di gusto.

-È ferito- ribatte Harleen, dura come il ghiaccio.

-Me ne frego. O gliela metti tu o gliela metteranno i miei uomini a suon di manganellate-

Harleen lo fulminò con lo sguardo e afferrò con tutto l’odio possibile quell’indumento di costrizione.

Griggs fece per passarle la pistola, ma lei non la guardò neanche, si avvicinò al criminale come se niente fosse, a mani nude. Il tenente rimase quindi sbalordito alla vista di Joker che si lasciava vestire come un bambino, anche perché i suoi uomini dovevano almeno puntargli tre pistole contro per riuscirci. Che Joker avesse qualche interesse per lei, a suo avviso era comunque inconcepibile. Conosceva le sue puttane, non avevano niente in comune con quella santarellina bionda dal viso angelico.

-Fatto- disse Harleen, sempre fredda e dura.

-Manca il laccio più importante…- Griggs fece un cenno con la pistola a due lunghe cinghie che penzolavano verso il basso, come due code opposte -Impediscono al malato di strapparsi via la camicia-

La ragazza capì e arrossì. Si piegò in ginocchio di fronte ai pantaloni arancioni da detenuto di Joker, ma come lo fece, costui le diede un inequivocabile colpo di bacino sul viso...

-Mr. J!-

-Cazzo- ridacchio Griggs, girandosi dall’altra parte

-Scusi, dottoressa, riflesso incondizionato!-

Harleen gli fece un mezzo sorriso, riprendendo ad allacciargli la cinghia all’altezza del cavallo. Si sarebbe offesa in altre circostanze, ma evidentemente con lui tutto prendeva una piega diversa, tutto era lecito e divertente.

-Attenta ai gioielli, tesoro- esclamò Joker, divertito, poi si rivolse al tenente -Scommetto che te la sogni una dottoressa come la mia, Griggs-

-Stai zitto-

-È così delicata, Griggs… Mi può fare anche il bagnetto?-

-Cammina-

 


  ________________________                                                                                  

 


Dopo essere rientrata a casa, Harleen iniziò a sbattere energicamente in una scodella per dolci lo zucchero, il burro e le uova, con un sorriso a mezz’asta sulle labbra.

Dalla televisione il notiziario annunciava che il famigerato El Diablo si era consegnato spontaneamente alle autorità per farsi processare, ma lei non gli stava prestando alcuna reale attenzione. Scuoteva la testa senza motivo, si dava della pazza, della stupida, ma non riusciva a togliersi dalla bocca quel sorrisetto inopportuno.

Tutto quello che riusciva a pensare era “Sono pazza ed Europa”

E poi ricordava lui, i suoi bellissimi occhi azzurri incastonati in un viso dai lineamenti regolari, il naso perfetto, gli zigomi alti, le labbra sottili e sempre tese in un sorriso pazzo ma simpatico…

“Respira, Harleen, stai calma. Oddio no, ha detto che mi ama!”

No, Harleen non riusciva a stare calma. Fece una giravolta sul posto, coi capelli finalmente sciolti che volarono graziosamente intorno al suo viso. Poi posò la ciotola, si sedette e sprofondò la testa sul grande libro di ricette, aperto alla pagina “Pudding inglese”.

Ripensava a quei tre baci che le aveva stampato a tradimento sulla guancia, al modo possessivo con cui le aveva cinto il fianco, forte ma senza farle male, proprio come un uomo deve stringere la propria donna, e infine al colpo di bacino…

Harleen si tirò su dal libro, col viso tutto stropicciato e imbarazzato. Riprese a mescolare con forza il composto per non pensare che sì, gli avrebbe fatto anche quello.

Guardò il ricettario: il pudding descritto era al cioccolato… Chiuse il libro, lo avrebbe fatto di un gusto diverso, speciale come era lui.

Poi all’improvviso il suo telefono cellulare squillò. La suoneria era quella adibita ai messaggi, e la prima persona a cui pensò Harleen fu sua madre, che era solita a chiamarla a quell’ora.

“Strano però che mi mandi un messaggio, a momenti non li sa neanche scrivere”

Prese il cellulare, ma nel display era comparso un numero sconosciuto che non aveva in rubrica… Lesse il messaggio.

 

Per domani tutto risolto, fragolina.

I <3 U

 

Dopo un primo momento di incredulità, Harleen scoppiò a ridere e si tuffò letteralmente sul divano. -Oddio, ha pure il cellulare! È in cella di isolamento e ha un cellulare che prende!- parlò da sola, divertita all’idea di quanto lui si burlasse di loro -Come è possibile? Ma come fa?-

Scrisse e cancellò la risposta una ventina di volte prima di inviargliela, e alla fine si fece coraggio e optò per quella che aveva scritto per prima, quella che sentiva di più.

 

Ok, ti amo.

 

E così andò a letto, senza nemmeno lavare i piatti o dare lo straccio ai pavimenti come era solita fare ogni sera. Solo il pudding era pronto e perfetto, e aveva un insolito, vivace, color verde.


 


 

Mattina dopo, sala di consiglio dell’Arkham Asylum, ore 9:00.


 

-Volete che vi forniamo anche un talamo per la prossima seduta?-

-Signora Waller, mi lasci spiegare…-

-Oh, no, cara. È tutto molto chiaro- disse Amanda Waller, rigidamente -Sei una giovane donna, ingenua, innamorata dell’amore… È normale che sia capitato, ma Il caso Joker per lei può considerarsi chiuso-

-Cosa?- Harleen si sentì mancare il respiro -La prego, la scongiuro, mi dia un’altra possibilità

-Io non do altre possibilità- le rispose con un sorriso di fiele -Da domani le sarà affidato Capitan Boomerang insieme al dottor Harris-

-No, no, per piacere- la implorò sull’orlo delle lacrime 

-Se posso permettermi- esclamò Rogers, il P.M. -Mi sento in dovere di spezzare una lancia a favore della dottoressa Quinzel-

-Ma davvero?- esclamò la Waller, alzando un sopracciglio.

-Sì. Io ho avuto modo di sentire quello che si sono detti, e le posso assicurare che non c’è niente di sconveniente fra di loro, anzi. La dottoressa sta facendo un ottimo lavoro, Joker con lei collabora e le ha rivelato delle informazioni di sé come non aveva mai fatto con nessun altro. Interrompere il suo lavoro sarebbe deleterio sia per il paziente che per le mie indagini-

-Ma sarebbe più deleterio continuarle. La dottoressa ha infranto alcune delle più importanti regole deontologiche della sua professione, e chi infrange le regole deve assumersi le responsabilità e pagare-

-La dottoressa non ha infranto nessuna regola. È stato lui a baciarla-

-Ma lei lo ha ricambiato-

-Scusi, e cosa avrebbe dovuto fare con un soggetto come Joker? Rifiutarlo? Lo sa cosa sarebbe capace di fare un uomo come lui a fronte di un rifiuto?-

La Waller rise -Ah, quindi sta dicendo che la dottoressa l’ha fatto solo per difendersi? Sta dicendo che non c’è nessun coinvolgimento emotivo da parte sua?-

-Nella maniera più assoluta- rispose Rogers, sicuro -L’ha visto due volte, che coinvolgimento vuole che ci sia? Dottoressa Quinzel?-

-Sì?- pigolò Harleen, che li stava ascoltando preoccupata come se stessero discutendo sulla sua condanna a morte. 

-Si sente emotivamente coinvolta con il paziente che ha in cura? Ritiene di non poter svolgere più il suo lavoro in modo distaccato e imparziale?-

Lei li guardò entrambi, non era mai stata brava a dire le bugie.

-No- mentì con un filo di voce -Io non… Non sono emotivamente coinvolta, anzi, credo di aver intrapreso una linea terapeutica efficace, cerco di assecondarlo e… Non gli impongo di parlare o di restare concentrato-

-Giustamente, dottoressa! Joker è un soggetto abituato a comandare, qualsiasi tipo di imposizione sortirebbe l’effetto opposto- insistette il magistrato -Amanda, lui non è mai stato così aperto come con lei. Sarebbe un errore madornale impedire alla dottoressa di vederlo di nuovo, e lei lo sa, vero?-

Amanda Waller alzò gli occhi al cielo, pericolosamente irritata. 

Rogers le si avvicinò e le mise il braccio destro intorno alle spalle, per poterle parlare in modo più intimo.

-E poi ci pensi bene, cosa potrebbe mai succedere? Se Joker si invaghisse davvero di lei, noi potremmo uscirne solo avvantaggiati. Lui le sussurra i suoi segreti, la dottoressa ce li riferisce e noi finalmente vinciamo questa guerra una volta per tutte-

-È lei che si è invaghita di lui, non il contrario- rispose la Waller, duramente.

-Mmh, non ne sia così sicura, ha detto espressamente a Griggs di amarla, e abbiamo le registrazioni che lo confermano- disse Rogers, e Harleen alle sue spalle non poté fare a meno di sorridere -È risaputo che Joker sia molto sensibile al fascino femminile-

-Senz’altro, ma stiamo anche parlando di uno che conosce i nomi di tutte le puttane di Gotham City, non crederà certo che quella dichiarazione sia vera?-

Ad Harleen, questa volta, il sorriso morì letteralmente sulle labbra.

-E perché non dovrebbe esserlo, scusi?- le disse lui, senza un briciolo di insicurezza -È una bellissima ragazza, è pura- sussurrò piano per non farsi sentire -Cosa ci può essere di più allettante per lui?-

-Non sono convinta-

-Ma non la vede? È un pulcino bagnato che ha paura della sua stessa ombra- continuò il P.M. con voce persuasiva, e Amanda lanciò uno sguardo scettico verso Harleen -Che male potrebbe mai fare una ragazza come lei?-

La Waller cambiò direzione e riprese a fissarlo.

-Se anche si scambiano qualche bacino, che importa?- continuò Rogers, con un sorriso ammiccante -La cosa importante è che Joker parli, che ci riveli le sue informazioni, e chi meglio di una bella ragazza per convincerlo?-

-Così sta condannando a morte la dottoressa, però-

-Nah, non la ucciderà, conosco il suo modus operandi. Per le belle ragazze ha sempre avuto un occhio di riguardo-

Lei sospirò, odiava essere contraddetta…

-E poi diciamocelo, le informazioni di Joker valgono ben più di una vita umana, no?

Finalmente il Pubblico Ministero aveva colto nel segno: era esattamente ciò che bisognava dire a una donna machiavellica come Amanda Waller.

-Dottoressa Quinzel?- esclamò quest’ultima, con voce ferma e solenne. Harleen si alzò subito in piedi, con gli occhi sbarrati e le orecchie tese dal nervosismo.

-Per questa volta, e sottolineo questa volta, farò finta di non avere visto- decretò la Waller, provocando il sollievo generale di tutti -Ma sia chiaro, se le sue sedute perdono di efficacia o peggio, se scopro che lei nasconde qualcosa, verrà immediatamente radiata dall’albo, se non processata in sede penale. Sono stata chiara?-

-Sì, signora- rispose prontamente la dottoressa, ma senza riuscire a non sorridere.

Rogers le fece l’occhiolino e Harleen Quinzel sorrise: aveva ufficialmente iniziato il suo primo scherzo.






 

 
 
 
Note
Ciao, eccomi finalmente! Scusate tanto per il ritardo e grazie di cuore per le recensioni e per chi si è inserito nelle liste, per me è molto importante! :)
Che dire, Jokerino così innamorato ci lascia tutti un po’ perplessi, vero? Ma prendete sempre con le pinze quello che dice, è un furbacchione…
Ah, la camicia di forza dei detenuti ha veramente un laccio sul cavallo, non me lo sono inventato… andate a vedere su wikipedia e lo vedete subito xD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto (malgrado le innumerevoli parolacce, scusate per tutte le volgarità), io nel frattempo vado a tinteggiarmi i capelli di rosa ;D

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Capitolo 4
*** Wreak Havoc! ***


 

WREAK HAVOC!

 

 

Naturalmente, ciò che era successo nella camera 237 tra la dottoressa Quinzel e il Joker era cosa segretissima, che solo le autorità e i diretti interessati potevano sapere.

Per questo motivo, altrettanto naturalmente, tutto il personale dell’Arkham Asylum ne era venuto a conoscenza all'incirca un minuto dopo.

Infatti, quando Harleen uscì dalla sala di consiglio con un sorriso sollevato, si trovò di fronte agli sguardi increduli e biasimevoli degli inservienti, dei medici, delle guardie armate e delle segretarie. Soprattutto delle segretarie...

Ma per la prima volta nella sua vita, non badò al parere degli altri e procedette con la schiena dritta e lo sguardo alto verso il suo ufficio, non senza un mezzo sorriso orgoglioso. D’altronde cosa se ne faceva dell’opinione di quegli scartini quando aveva tra le mani l'Asso di briscola, il Poker d'Assi e Mr. Vince tutto?

Andò nel suo ufficio con un sorriso luminoso e mise fuori dalla finestra il contenitore termico che conteneva il pudding fatto la sera prima.

Guardò l’orologio dal cellulare, e constatò che mancavano ancora due ore prima che iniziasse la sua terza seduta con Joker.

Normalmente, avrebbe fruito di quelle ore buche per studiare, ma in quel momento non ne aveva proprio voglia…

Anche perché, malgrado l’incontro con Amanda Waller fosse andato nel migliore dei modi, c’era una piccola frase che l’aveva lasciata con l’amaro in bocca.

 

“Stiamo parlando di uno che conosce i nomi di tutte le puttane di Gotham City, non crederà certo che la sua dichiarazione sia vera?”

 

Già.

Quella frase l’aveva ferita più del dovuto e sotto più punti di vista. 

Intanto perché c’era la possibilità concreta che lui le avesse mentito, e conoscendo il soggetto l’ipotesi non era poi così remota. Le aveva detto che l’amava, ma magari per lui innamorarsi equivaleva a un vago sentimento di fiducia, simpatia e perché no, di attrazione sessuale. Che fosse attratto da lei in quel senso, Joker gliel’aveva fatto capire molto chiaramente.

Ma la domanda a ben vedere era un’altra.

“E tu, Harleen? Sei innamorata di lui? Faresti davvero l’amore con lui se potessi?”

Alla prima domanda si disse di sì, senza esitazioni. Pensava sempre a lui, non vedeva l’ora di vederlo, di parlargli, ma anche di baciarlo e di stringerlo forte fino a stritolarlo come un pupazzetto. Per quanto riguardava la seconda, invece..

La psichiatra chiuse gli occhi, mettendosi inavvertitamente l’unghia del pollice in bocca. L’idea la impauriva per molti motivi, anche perché lei non era esattamente disinibita e lui non era esattamente raccomandabile, ma il calore che aveva sentito quando l’aveva stretto e il modo rassicurante con cui lui minimizzava tutto, prendendo tutto in ridere e facendo apparire tutto facile, naturale, non poteva che dare una risposta affermativa anche in questo.

Sorrise, e con la sedia girabile si diede una spinta e si allontanò dalla sua scrivania piena zeppa di fogli e libri per appoggiare la fronte al vetro della finestra. Fuori c’era il giardinetto adibito agli internati meno pericolosi, che dovevano svolgere parte della terapia all’aria aperta.

Harleen si accoccolò vicino al vetro, immaginandosi di fare una passeggiata mano nella mano con Joker, magari per le vie di Roma o i quartieri di Berlino… Fremette all’idea e un gradevolissimo, improvviso profumo penetrò le sue narici e la fece rilassare completamente.

“Cos’è questo buono odore?” si chiese distrattamente, inspirando quel delizioso aroma di primavera e fiori freschi “Sa di verde… Come i capelli di Mr. J e come i suoi occhi. Ma ha gli occhi verdi o azzurri?- pensò sognante, perdendosi sorridente tra i rami di un albero “Sembrano azzurri, ma potrebbero essere verdi. Magari dopo posso…”

Ma proprio mentre pensava ciò, in mezzo alla natura intravide due occhi color bosco che la stavano fissando con interesse, contornati da una grintosa, folta chioma rossa.

Harleen sobbalzò e si alzò subito in piedi, mentre quella bellissima creatura in bilico su un ramo le fece un sorriso malizioso e come se niente fosse si lanciò nell’albero opposto, e poi ancora in un altro, il tutto sopra le teste degli psichiatri e dei loro pazienti. Un paziente indicò col dito verso il cielo, ma fu subito rimproverato dal suo dottore.

“Ma quella è…!?” pensò euforicamente Harleen, affacciandosi fuori dalla finestra e guardando con grande ammirazione la Meta-umana che sfrecciava via “Oddio, ma che bella! Cosa pagherei per essere come lei… E come Mr. J”

Effettivamente, essere un banale essere umano in un mondo di supereroi non era affatto facile. A Gotham poi c’era la creme de la creme, i migliori fantaumani di tutto il mondo. C’erano Batman, Catwoman, Deadshot, Superman quando non scorrazzava per Metropolis, Capitan Boomerang e poi, dulcis in fundo, c’era Joker. Sulla natura di Joker le voci non erano unanimi. C’era chi diceva che fosse un Meta-umano, chi lo riteneva un uomo geniale, chi un pazzo, chi un magnate simile a Lex Luthor e infine c’era chi lo ammirava segretamente, come aveva fatto Harleen durante gli ultimi dieci anni.

-Toc, toc, dottoressa Quinzel?- Rebecca, la segretaria, era entrata improvvisamente nel suo ufficio -Ma si sente bene? Sembra che abbia appena visto un fantasma-

“No, solo Poison Ivy”

-No, sto perfettamente. Dimmi pure, Rebecca-

-Volevo solo informarla che oggi dovrà visitare il Joker direttamente dentro alla sua cella di isolamento-

-Per quale motivo?- scattò Harleen, eccitata e preoccupata al contempo

-Non me l’hanno detto-

-Ma sta bene, vero? Gli hanno somministrato gli antidolorifici come avevo prescritto?-

-Oddio, dottoressa, non lo so- 

-E hanno diminuito le dosi dei sedativi? Rebecca, se io dico che devono diminuire le dosi, è bene che mi ascoltino, non ho due lauree in medicina per niente-

Rebecca sbottò -Senti, lascia che ti dia un consiglio da amica- esclamò pungente, passando dal lei al tu senza motivo -Se sei così disperata da cercare quel genere di attenzioni in un criminale assassino, posso presentarti uno dei miei amici, così almeno non rischi di lasciarci le penne, eh?-

Tutto regolare, Harleen se lo aspettava.

-Almeno io non vado a letto con il mio capo. Vai pure, Rebecca, grazie-


***

 

 

 

Finalmente, dopo aver passato gli ultimi quaranta minuti a truccarsi e a farsi bella il più possibile, Harleen finalmente fu chiamata dal telefono interno.

Uscì dal suo studio con le labbra rosse e il camice aperto sul tailleur nero e aderente che aveva scelto per l’occasione.

-Buongiorno, Griggs-

-Ammazza… Buongiorno, dottoressa Quinzel, vedo che siamo in ottima forma- esclamò il tenente, viscido.

-Lo prendo come un complimento. Andiamo?-

Griggs scosse la testa e lanciò uno sguardo ai suoi uomini -Quanta fretta… Perché non si ferma a prendere un caffè con noi?-

Ma Harleen si era già spinta a passo di marcia verso il padiglione di massima sicurezza, senza nemmeno voltarsi. 

-Ah, già… Lei preferisce la compagnia del clown psicopatico- continuò Griggs, mentre la seguiva  -Ma perché non dai un bacino anche a me? Guarda che mi offendo…-

Harleen naturalmente non gli rispose. Odiava gli uomini come Griggs, la facevano sentire sminuita e mortificata nel suo essere donna e malgrado cercasse di tenere le distanze, i suoi sguardi e i risolini erano come pugnalate dritte nella schiena. Per fortuna, però, stavano andando da lui e Harleen sapeva già che di fronte a lui Griggs ci avrebbe pensato due volte prima di fare il donnaiolo da quattro soldi quale era.

Si stavano infatti dirigendo nelle celle d’isolamento, che si trovavano in un padiglione separato dalla struttura, a cui lei non era mai acceduta. Ne aveva sentite di voci su quel padiglione, c’erano i più inquietanti e pericolosi criminali psichiatrici che avessero mai messo piede sulla terra.

Le loro celle, poi, erano congegnate in modo diverso. Le porte erano trasparenti, di un materiale simile al plexiglass ma molto più resistente, in modo che costoro fossero costantemente controllati a vista. Le luci restavano accese anche di notte e i viveri venivano somministrati nella cella da un sottile tubo d’acciaio che era collegato all’esterno.

Harleen e gli addetti alla sorveglianza scesero le scale, e già da quel momento la ragazza poteva sentire i versi disumani di quei pazzi assassini. Passarono davanti alla cella di uno che aveva la faccia premuta schiacciata sul vetro, un altro simulava il verso del cane con dei “wolf” intermittenti e inquietanti, un tizio minacciava di morte un bicchiere, uno era disteso sotto la branda… E poi, in fondo in fondo, c’era Joker, sdraiato sopra la branda con le gambe incrociate come se fosse a casa sua.

-Dottoressa Quinzel! Aspettavo con ansia il suo arrivo- soggiunse a voce alta, alzando la testa dalla branda a cui era legato -Mi raccomando, togliti le scarpe prima di entrare, non mi rovinare il parquet-

Harleen lo salutò con la mano dal vetro, dimenticandosi di Griggs che la stava guardando. La guardia al suo fianco appoggiò il palmo aperto della mano su un display per il riconoscimento tattile e poi digitò velocemente un codice alfanumerico piuttosto lungo, e così la spessa porta di vetro scivolò aperta verso destra.

Harleen entrò subito e si precipitò da lui. Costui aveva ancora un occhio arrossato e del sangue rappreso sotto il naso, ma malgrado tutto il suo aspetto risultava comunque molto gradevole.

-Ciao, tesoro, come stai?- gli sussurrò Harleen dolcemente, prendendo una sedia per sedersi di fianco a lui, il più possibile vicino.

-Legato. Ma ora che ti vedo sto bene-

Joker era infatti legato alla branda da due cinture di sicurezza: una altezza dello sterno che gli  premeva sui bicipiti e un’altra sopra le ginocchia, ma agli occhi di lei la pressione dei lacci non faceva altro che mettere in mostra i suoi muscoli. 

“Posso baciarlo subito o devo aspettare?” si chiese impaziente, voltandosi per vedere se le guardie si erano davvero girate di spalle come promesso “Basta, lo bacio subito”

Si piegò col collo su di lui e dischiuse le labbra, ma come lo fece, incontrò i suoi occhi azzurri sbarrati all’inverosimile. Harleen virò subito a sinistra con finta disinvoltura, anche se si sarebbe volentieri sotterrata dall’imbarazzo. Una cosa che tutti sapevano di Joker era che non amava essere toccato, soprattutto all’improvviso. In verità vigeva un vero e proprio divieto ferreo contro i contatti fisici, nessuno dei suoi poteva stingergli la mano o sfiorarlo, figuriamoci gli estranei…

Harleen annuì, cercando di riprendere controllo di se stessa. 

-Mr. J, sai che prima mi è sembrato di aver visto Poison Ivy su un albero del cortile?-

Lui tornò sorridente -Davvero?-

-Sì. È incredibile, volava da una pianta all’altra come se avesse le ali-

-Eh, già, incredibile. Un po' velenosa, ma molto, molto carina-

A vedere il suo sguardo trasognato, il sorriso di Harleen si incrinò lievemente. Poison Ivy sarebbe stata perfetta per lui.

Joker spostò gli occhi su di lei e le fece un enorme sorriso d’argento -Sei diventata più bella, dottoressa-

-Grazie- rispose Harleen, cercando di non guardarlo -Allora, che dici se cominciamo? Oggi vorrei proporti un gioco-

-Un gioco!?-  si accese lui, e come lo disse uno degli internati iniziò a gridare -Io sono molto bravo nei giochi, posso sceglierlo io?-

-In realtà il gioco che ho in testa non è molto divertente, farebbe parte della terapia. Io ti dico una lettera e tu devi dirmi le prime parole che ti vengono in mente, di getto-

-Ah… Dottoressa, mi aspettavo di meglio da te- esclamò deluso, girandosi con fare annoiato dall'altra parte -Comunque, anche se non è proprio il mio stile, si può fare. Ma solo perché me l’hai chiesto tu-

“Dottoressa!? Perché è così freddo?” si domandò Harleen, preoccupata “Oddio, no, non essere freddo Mr. J, io ti amo…”

-Bene, ti ringrazio- rispose preoccupata, con le dita che bruciavano dalla voglia di toccarlo  -Cominciamo con A-

-Alcool, automobili, ammazzare- rispose annoiato, con gli occhi chiusi.

-P-

-Pistola, pipistrello, puttane, psichiatra, parco giochi, poker, pagliaccio, pudding-

-Però!- esclamò Harleen, annotando tutte le parole con soddisfazione -Proviamo con… B-

-Batman, ballare, bomba, buffone, bazooka, bambola, bionda, bellissima, bacio, bocca- 

La ragazza trascrisse le ultime parole alzando gli occhi per fargli un sorriso furtivo. -S- gli disse, con voce più calda.

-Sorriso, sesso, signorina-

“Cosa sono? Messaggi cifrati?” pensò Harleen, col volto accaldato nascosto dietro il taccuino. Poi aggiunse, con falsa nonchalance -Ehm... F?-

Joker esitò. La guardò con la bocca aperta e poi scoppiò a ridere -Non si può dire!!-

Harleen arrossì e lo colpì scherzosamente sulla testa col block notes -Mr. J! Allora!-

-Dottoressa Quinzel, mi cospargo…-

-…Il capo di cenere, lo so- continuò lei, ma sempre con il sorriso sulle labbra.

-A mia discolpa, posso dirti che sono tre mesi che non vedo una donna nuda neanche per foto. E poi mi perdonerai, ma averti qui di fronte così bella non aiuta-

Bene, pensò rincuorata, i loro discorsi erano tornati alla fisiologica sfumatura equivoca e inopportuna. Dalla via che c’era, Harleen colse la palla al balzo.

-Non credevo di essere il tuo tipo- soggiunse con un sorriso imbarazzato, stringendosi forte le mani -Insomma, non assomiglio a quelle che frequenti di solito-

-Oddio, quanto sei... buona!- esclamò, con uno sorriso dolce che la fece rabbrividire -A Dubai varresti almeno cento cammelli-

-Cento cammelli?- ripeté, sorridendo. Un tempo avrebbe ritenuto quel commento offensivo e maschilista, un tempo.

Joker le si avvicinò col viso e le fece un sorriso smagliante -Da parte mia anche duecento, per averti qui e ora- La ragazza non resse il contatto visivo, prese una bottiglietta d’acqua dalla borsa e si girò per bere un bel sorso.

“Respira, Harleen, respira. Duecento cammelli… Con un fisico così, gliene basterebbe anche mezzo. Ma cosa sto dicendo?-

-Ma dimmi angioletto, ce l’hai un fidanzato a New York?-

-No- rispose lei, mentre percepiva i suoi occhi famelici addosso.

-Come è possibile, una bellissima ragazza come te? Allora immagino che ne starai cercando uno?-

Un tempo, la ragazza avrebbe risposto un no secco. Ma ora che l’aveva conosciuto, ora che aveva scoperto il suo incanto, tutte le sue priorità erano magicamente cambiate.

-Sì… Mi piacerebbe- gli sussurrò, raccattando coraggio e alzando lo sguardo su di lui -Solo che è molto difficile trovare qualcuno che mi capisca e che sia capace di farmi dimenticare tutto, come riesci a fare tu-

Joker le sorrise con la bocca chiusa, cosa piuttosto insolita per uno come lui.

-Bene, bene, zuccherino, ti va se approfondiamo questo discorso quando saremo a Parigi?-

Ad Harleen luccicò lo sguardo, ormai le facevano male le guance da quanto sorrideva.

-Ci sto-

-Magari in una suite sulla Champs Elysèes, dopo averlo fatto per tutta la notte fino alle prime luci dell’alba… Come la vedi?-

-Bene- sussurrò lei, col cuore mille. “Bene”, per quanto riduttivo fosse, era il massimo che poteva dire in quel momento.

-Allora considerati già là, fragolina- le ammiccò -Però prima io devo uscire da qui, se no come facciamo a partire?-

-Certo, sì, dimmi cosa devo fare e la farò-

-Ti dirò tutto a tempo debito. Per adesso posso avere un assaggino di Parigi?- ghignò sfacciatamente, senza tenere ferma la testa. 

Di fronte a una proposta così esplicita, un tempo, quando non era profondamente innamorata e poneva se stessa al centro del mondo, Harleen avrebbe trovato il modo di svignarsela… Perché si sa, gli uomini distraggono dal lavoro e procurano solo problemi.

-Cioè?- gli domandò invece, con un sorriso imbarazzato.

-Fai tu. Como tu quieres- rispose, enfatizzando la “s” spagnoleggiante.

Non se lo fece ripetere due volte, gli prese il viso tra le mani e gli baciò con ardore il sorriso aperto, saggiando la superficie dei suoi denti ricoperti d’argento, liscissimi e lucidi come specchi.

Quei denti con cui Joker durante un bacio aveva strappato la lingua a una donna e soffocato fino alla morte un’altra. Quei denti che con lei si fecero da parte e le permisero di ricevere il bacio più sensuale e incantevole di tutta la sua vita. Le labbra di lui succhiavano appena e la sua lingua gentile si muoveva e accarezzava quella di lei in un modo che lei prima non avrebbe ritenuto possibile. Quando la passione fu troppa e minacciò di esplodere, la ragazza si staccò da lui ma come lo guardò in viso, scoppiò in una schietta, sonora, irrazionale risata, che naturalmente fu ricambiata all’istante dal suo interlocutore.

Entrambi avevano la bocca imbrattata del rossetto rosso di Harleen, come due pagliacci mal truccati. Si guardavano e ridevano come due invasati, Joker poi più di lei. La indicava e rideva in modo esagerato, ribaltando la testa come se avesse le convulsioni, ma anche Harleen rideva come non aveva mai fatto in vita sua, fino a piangere per lo sforzo. Col respiro tremulo costei prese uno specchietto dalla borsa e si guardò, come immaginava il rossetto rosso che aveva messo era ovunque fuorché al suo posto, ma ciò la fece divertire ancora di più.

-Oddio, Mr. J, cosa sembro?-

-Fammi vedere me! Fammi vedere me!- ghignò lui come un bambino, e come Harleen girò lo specchietto dalla sua parte, Joker emise un urlo acuto e rise più forte di prima.

Era un circolo vizioso, si guardavano e ridevano, non riuscivano a smettere.

-Dottoressa? Va tutto bene lì dentro?- domandò una guardia da fuori, perplessa.

-Sì, sì- bonfichiò Harleen, cercando di ricomporsi -Tutto bene, grazie-

-Ne è sicura?- 

-Sì, sì, sì! Tutto bene- rispose, chiudendo gli occhi e facendo dei respiri profondi. Dalle lacrime le era colato perfino un po’ di mascara sotto le palpebre inferiori

“Respira, respira, non guardarlo se no ridi di nuovo”

Lui continuava a ridacchiare, seppur più piano e in modo più posato -Sei bellissima così, pumpkin pie-

Harleen gli fece un sorriso languido -Grazie J, anche tu-

-Ce l’hai il rossetto nella borsetta?-

-Sì- rispose Harleen, sorridendo maliziosa -Perché? Vuoi che te lo metta per caso?-

Joker le sorrise invasato e annuì vigorosamente, col naso arricciato come un bambino -Renderesti un uomo felice-

Harleen iniziò ad armeggiare dentro la borsa, e dopo un certo tempo passato a rovistare tra mille cose sotto gli occhi basiti del clown, il piccolo lipstick firmato saltò fuori. Lo aprì e glielo stese con attenzione, fino a che le labbra di lui non furono completamente truccate e rosse come il sangue. Aveva gli occhi chiusi, Joker, sembrava enormemente rilassato.

-Fatto. Hai delle bellissime labbra…-

-Specchietto, por favor- disse lui, continuando a tenere gli occhi chiusi.

Harleen glielo aprii subito e lui si specchiò con occhi critici e curiosi, girandosi di profilo prima a destra e poi a sinistra.

-Che goduria- sentenziò, annuendo -Joker è tornato. E sono un bel figo, non c’è che dire… ALT, dottoressa!- sbottò, dato che lei si era piegata per baciarlo -Non rovinare il capolavoro-

-D’accordo, scusa, è che…-

-È che, È che!? È cosa, bellezza? Lo sai che qui non c’è la telecamera, hm? Possiamo fare tutto quello che vogliamo… O almeno, tu puoi fare tutto quello che vuoi, perché io ho le mani legate. Sai cosa farei io, se fossi tu legata nel letto?-

All’improvviso aveva cambiato tono di voce ed espressione, come se il fatto di avere il rossetto facesse scattare in lui la valvola della disumanità.

-Beh, credo di immaginarlo- 

-Io dico di no- le rispose con occhi allucinati, facendo un sorriso che le fece accapponare la pelle -Non mi dare così per scontato, Harleen, sono un giovanotto pieno di sorprese-

Ma invece di provare paura, la psichiatra percepì un brivido caldo all’altezza del basso ventre. I suoi occhi azzurri la fissavano colmi di ispirazione, e nel suo sguardo si poteva chiaramente cogliere l’ombra dell’assassino psicopatico quale era. Col respiro tremulo e le cosce ben chiuse, Harleen cercò di dire la cosa più sensata. 

-Mi faresti del male?-

Lui sorrise ed esitò più del dovuto -Hmm, Male… No… O forse sì, non lo so. Se mi sleghi, lo scopriamo-

I due rimasero a fissarsi per un momento, lui sorrideva speranzoso e la incitava con lo sguardo, mentre lei, pur essendo profondamente spaventata, non poteva fare a meno di guardarlo, come una lepre abbagliata dai fari che corre verso la macchina invece di scappare.

-Credo che non sia il caso-

Lui fece una smorfia -Come sei giudiziosa, dottoressa-

-Non sono giudiziosa, semplicemente non devo-

-Oh, sì che devi- ribatté l’altro, con la voce bassa -Lo vuoi, quindi devi. Tu prima devi e poi vuoi, invece qua prima bisogna volere e poi dovere, se no è come vivere in galera. Tu vivi in galera?-

-Da che pulpito- gli rispose sulle difensive -Non mi sembra di avere la camicia di forza-

-E invece a me pare il contrario, perché io avrò la camicia di forza nelle braccia, ma tu ce l’hai nel cervello, mia piccola fragolina. Cosa vorresti fare ora?-

“L’amore con te”

-Vorrei…- Harleen quasi inghiottì un rospo -Vorrei capirti. Ci siamo appena baciati, perché fai così?-

-Non provare a capirmi, impazziresti se ci riuscissi. Io invece ho capito te, e so cosa vorresti fare realmente in questo momento-

 -Ah, sì?-

Joker annuì, sollevandosi con gli addominali dal letto.

-Fallo, Harley. Non avere paura di divertirti, è così piacevole… E io sono un mago del divertimento, ti farei scoprire lidi inesplorati-

Alla ragazza mancava il respiro dall’agitazione, guardò verso la porta, al di là del vetro c’erano le imponenti schiene delle guardie che stavano in vedetta. Non capiva più niente, si sentiva stupida, quella che fra i due aveva bisogno dello psichiatra. Sedersi su di lui e aprirgli i pantaloni… No, non avrebbe mai potuto farlo, neanche nei suoi sogni più spinti, era impensabile, non sarebbe stata lei altrimenti.

-Non farti prendere dal panico, fragolina. Ascolta bene me- le sussurrò lui con pazienza e una lucidità disarmante -Adesso tu mi liberi, dici alle guardie che vuoi uscire prima e stai un secondino sulla porta, giusto il tempo perché io possa prendere i loro fucili, farli fuori e uscire da qui. Va bene? Hai capito tutto, sì?- 

Respiro affannoso, mente confusa, vista annebbiata. Ora Harleen capiva cosa si provava durante una crisi di panico di tipo uno.

-Io… Ma dopo come faccio a rivederti?-

-Ho il tuo numero di cellulare, ti chiamo io- la rassicurò, con un sorriso dolce che faceva a cazzotti col suo sguardo infervorato.

-Davvero?-

-Naturalmente-

Harleen guardò di nuovo le guardie, che stavano parlottando fra loro con tranquillità, completamente ignare di ciò che stava scucendo alle loro spalle.

-Zuccherino, guarda me, andrà tutto bene-

Come sotto ipnosi, la ragazza mise le mani sopra le robuste cinghie che legavano Joker al letto, e iniziò ad aprirle tra i tremori.

-Oh, sì, sì, sì, brava, così… Che bravissimo angioletto la mia Harleen, bravissima- blaterava lui con un sorriso malato, ma quando mancavano solo le ultime due cinghie, il timer che decretava la fine della visita suonò come una sirena.

Le guardie si girarono subito -Dottoressa, è finito il suo temp… Ma cosa sta facendo!?-

Joker ringhiò un’imprecazione e sbatté tre volte la testa sulla branda, pieno di frustrazione; Harleen, invece, allontanò subito le mani da lui.

-Ah, niente, sapevo che il tempo era finito quindi stavo già slegando il paziente- mentì lei in preda al panico.

-Ma dico è impazzita!?- domandò uno, guardandola atterrito -Ma se lo avesse liberato prima che aprissimo la porta?! Ha idea di che pericolo poteva correre?-

-Ah, sì… Forse avete ragione, è che Mr. Joker non si sentiva bene, vero signor Joker?-

Ma costui non le rispose. Aveva gli occhi chiusi e i denti serrati furiosamente in una morsa ferrea. Le guardie lo guardarono stranite, in effetti sembrava che stesse male sul serio.

-Comunque sia, le è andata molto bene. Prego esca pure-

-Grazie- rispose Harleen, lanciando un’ultima occhiata al suo paziente -Ciao, Mr. J- sussurrò appena, ma lui non la guardò nemmeno.

Dopo, la ragazza divenne una larva. Non si accorse nemmeno dei borbottii e delle facce sconvolte con cui i colleghi e gli inservienti la fissavano, dato che si trascinava per i corridoi del manicomio con un’espressione funerea e il rossetto sbavato fino al naso come se niente fosse.

A dire il vero, più che una dottoressa Harleen Quinzel sembrava un’internata.

 

 

 

 

 

Note
Ciao, grazie per essere arrivati fin qui! ;)
Qui tra le altre cose ho enfatizzato una delle peculiarità caratteriali di Mr. J, ossia, tra le altre mille cose, la vanità. Ho letto da fonti attendibili che è molto vanitoso e che tiene tanto alla cura del suo aspetto e dei suoi abiti, lo sapevate? (… Quanto a bellezza, la performance di Jared Leto è stata impeccabile xD). Harleen invece sta partendo per la tangente, nel caso non ve ne foste accorti.
A presto e grazie a tutti per i riscontri del capitolo precedente :*

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Capitolo 5
*** Know Better ***




KNOW BETTER

 

 

 

Harleen Frances Quinzel è sempre stata una ragazza molto educata e disciplinata.

Alle elementari era la classica bambina tranquilla che non disturbava, quel tipo di bambina che durante la ricreazione stava seduta a colorare e a fare i braccialetti con le perline.

Alle medie il suo carattere dolce e remissivo rimase lo stesso, ma la sua autostima cominciò a vacillare. Dapprima a causa degli occhiali, e poi a causa delle sue compagne, che presero a prenderla in giro a casua del suo aspetto poco curato e troppo composto. Harleen non indossava i vestitini modaioli, non usciva alla sera, non si truccava come una baby squillo, la sua famiglia di professionisti intellettuali non glielo permetteva. Iniziò a sentirsi sbagliata, fuori luogo, mai all’altezza della situazione e delle sue compagne, che le sembravano tutte più simpatiche, più belle e più sofisticate di lei. Complici il suo carattere insicuro, gli occhiali che gli avevano diagnosticato a soli undici anni e il rigidismo famigliare, Harleen già da bambina venne etichettata come la classica nerd della scuola, da evitare come la peste e prendere in giro. E si sa che le etichette sono peggio di un marchio infamante, se te le affiabbiano da bambino rischi di tenertele per tutta la vita.

Al liceo la situazione infatti non cambiò, anche se la sua bellezza cominciò timidamente a sbocciare. Il senso di inadeguatezza che provava verso se stessa non diminuì, e anzi la metteva nella condizione di dover sempre dimostrare di valere, di essere brava e di non deludere le alte aspettative che tutti serbavano su di lei.

In classe stava sempre in primo banco, i suoi voti erano altissimi, la condotta era impeccabile e quando non stava nelle aule scolastiche, spendeva i pomeriggi tra i corsi di ginnastica ritmica, quelli di spagnolo e i compiti da fare in biblioteca. D’altronde i suoi genitori pretendevano da lei solo il meglio, non potevano accettare errori dallo loro figlia perfetta. Suo padre, Humbert Quinzel, era infatti il rinomato primario di cardiologia nell’ospedale maggiore di New York, famoso in tutto il mondo per i suoi delicatissimi interventi a cuore aperto, mentre sua madre Margaret era solo un neurochirurgo che viaggiava da uno stato all’altro, indaffarata e sempre assente.

Harleen quindi passava maggior parte delle sue serate con Consuelo, la governante latino americana con cui doveva, obbligatoriamente, parlare in spagnolo per esercitarsi. 

Una giovinezza molto triste quella di Harleen. Lei era bella ma non si sentiva tale, era dolce e simpatica ma non aveva mai occasioni di dimostrarlo, e nessuno si rendeva conto di quanto soffrisse e si sentisse profondamente sola.

Un giorno però, durante i suoi diciassette anni, Harleen vide al telegiornale una notizia destinata a cambiare per sempre il corso della sua esistenza.

 

“Un nuovo mostro terrorizza Gotham City”  lesse la scritta in sovrimpressione “Si fa chiamare Joker, allertati Batman e Superman”

 

-Mira qué loco!- gridò Consuelo, indicando col dito la TV accesa.

Harleen le sorrise e guardò meglio lo schermo. Un giovanissimo Joker, con i capelli verdi sparati in alto e qualche tatuaggio di meno, seminava il panico con un enorme bazooka in braccio e un paio di uomini mascherati alle sue spalle, ridendo e salutando verso la telecamera della banca che aveva appena rapinato.

-Ma ha i capelli verdi?- domandò Harleen con voce tremula, talmente incantata da dimenticarsi di palare in spagnolo -Hai visto? Quello ha i capelli…-

-Senorita, più dei suoi capelli io mi preoccuperei dei poveretti che ha appena derubato!- le rispose Consuelo in americano, ma con un accento spiccatamente spagnolo.

-Oh… Sì, giusto-

-Tutto ok, cara? Sei rossa in viso-

La giovane Harleen si girò verso di lei per rincuorarla, ma invece di trovarsi davanti Consuelo, incontrò il viso sorridente di Joker a due centimetri di distanza dal suo.

-Tutto ok, Harley?-

 

 

La dottoressa Quinzel si svegliò di soprassalto, col cuore che batteva a mille.

Si guardò subito intorno, con suo grande sconcerto era in ufficio nell’Arkham Asylum, seduta nella sua poltrona. Si prese il viso tra le mani e fece un lungo, profondo respiro. Si era addormentata con la faccia premuta sopra i referti che doveva analizzare, ma va bene, si disse, niente di grave.

Guardò l’orario, erano già le 18:30 e il suo orario lavorativo finiva alle 17. Alzò le spalle e si alzò in piedi, sentendosi fastidiosamente intorpidita. Tanto non le importava di andare a casa presto, non c’era mai nessuno ad aspettarla… Anzi, più stava ad Arkham e più si sentiva vicina a lui, l'uomo più pazzo del mondo che le aveva rubato il cuore.

“Chissà cosa sta facendo adesso” pensò, mentre radunava le sue cose “Povero amore mio, chiuso in quel buco da dieci metri quadri, sempre con la luce accesa, senza un minimo di privacy… Sfido chiunque a non impazzire”

Scosse la testa sconsolata e si girò verso la finestra per chiudere le imposte, ma come lo fece notò il pudding che aveva appoggiato sul davanzale la mattina stessa.

“Il pudding!” pensò sgomenta, destandosi completamente “Oddio, che stupida! Dovevo darlo a Mr. J!”

Harleen si prese la testa tra le mani, guardando il dolce placidamente abbandonato sulla finestra.

“E adesso come faccio?” pensò impanicata, per la seconda volta in un giorno “Penserà che mi sono scordata di lui, che non lo penso, che non so cucinare, che sono una pessima fidanzata… Devo andare da lui, glielo devo portare”

Prese il dolce e, sicura come un pompiere, iniziò a marciare verso il padiglione di massima sicurezza. Sfrecciò per i corridoi ospedalieri, intossicandosi del tipico puzzo di lattice, mentolo e medicine, cercando di nascondere sotto il camice il budino verde.

“Oddio, mi stanno guardando tutti. Respira, Harleen,va tutto bene, Tra poco rivedrai Mr. J. Pensa a quanto sarà contento di avere il pudding…” sorrise all’idea di vederlo sorridere “Sarà felice per merito tuo”

Uscì come se niente fosse dal padiglione e attraversò il giardino per dirigersi nell’altra palazzina adibita alle celle d’isolamento. Davanti ai portoni blindati c’erano però due guardie armate.

Harleen sorrise e mostrò loro il tesserino di riconoscimento che aveva appeso al camice

-Quinzel- disse con finta disinvoltura -Devo un attimo raggiungere il mio paziente-

Si stava già precipitando dentro, ma la presa possente della guardia la fermò.

-L’autorizzazione, prego- esclamò questa, aprendo in modo esigente il palmo della mano.

-Quale autorizzazione?- chiese lei, col viso falsamente sorridente.

-Quella necessaria ad accedere. Mi dispiace dottoressa, ma senza autorizzazione non possiamo farla entrare-

-Come sarebbe, scusi?- ribatté Harleen, cercando di essere un minimo intimidatoria -Sono una psichiatra, lavoro qui, non potete impedirmelo-

-Noi no, ma il regolamento sì. In questo padiglione si accede solo con autorizzazione firmata dal direttore. Non sono ammesse eccezioni-

Harleen avrebbe voluto urlare -Ma io sono l’affidataria del Joker, non so se vi rendete conto…-

-Mi dispiace, dottoressa- gli rispose il gorilla, risoluto -Qui si accede o con autorizzazione del direttore o al limite con decreto motivato del PM-

“Rogers!” pensò subito Harleen, e il suo cuore riprese a battere -Va bene, allora ci vediamo fra dieci minuti con il decreto firmato-

Le guardie si scambiarono un sorriso d’intesa -L’aspettiamo, dottoressa-

 

————————————-


 

-Rogers! Mi deve aiuta…-

La ragazza era piombata come una freccia nello studio del magistrato ma, appena lo vide si bloccò all’istante, ammutolendo. L’uomo infatti era piegato sulla scrivania, con la testa protesa su una sottile striscia di polvere bianca…

-Dottoressa Quinzel!- sussultò con un sorrisone, colto nel fatto -Non si usa bussare a New York, per caso!?-

Harleen era senza parole.

-Sì… Scusi, è che avevo un bisogno urgente di parlargli- esclamò lei con voce imbarazzata, guardando incredula la partita di droga che svettava sul legno -Riguarda Mr. J, cioè… Il Joker, io…-

-Che è successo a J?-

-No, niente, è che io ho bisogno di… Aspetti- Harleen socchiuse gli occhi -Come l’ha chiamato? J?-

L’uomo trattenne un sorriso e sbuffò, togliendosi gli occhiali per stropicciarsi gli occhi.

-Rogers, lei mi sta nascondendo qualcosa, non è vero?- lo incalzò, sentendosi sempre più trepidante e agitata -Lei lavora per Mr. J, è uno dei suoi uomini?-

-Alleluja!- ridacchiò, facendole infine un sorriso storto -Ormai avevo perso ogni speranza. E dire che di segnali te ne avevo mandati… Perché credi che ti abbia difeso di fronte alla Waller? Perché mi stavi simpatica? No, perché me l’ha chiesto lui-

Harleen era sbiancata, ma non per la paura. Era ufficialmente coinvolta in una situazione talmente illegale che il suo cervello faticava perfino a elaborarla. Ma invece di essere terrorizzata e di correre subito dalla polizia, si sentiva viva, parte integrante di un gruppo talmente proibito, talmente pazzo da renderla euforica.

-D’accordo, quindi tu sei uno dei suoi uomini, sì-

-No, bella, non sono uno dei tanti, io sono l’uomo, il suo uomo…- esclamò compiaciuto, per poi correggersi subito alla vista della sua espressione scioccata -No, non in quel senso, purtroppo, nel senso che Joker a me serba più fiducia che a chiunque altro. Chi credi che abbia guidato la sua Lamborghini l’altra sera? Chi credi che abbia spedito gli SMS sul tuo cellulare? Chi credi che abbia convinto Arkham a farti assumere? Io, Gagsworth Gagsworthy- esclamò, alzandosi in piedi e facendole un inchino dal sapore teatrale -Braccio armato del Joker, suo consigliere in tempo di guerra, palo ufficiale per le rapine in banca nonché…- fece una pausa tattica per enfatizzare il momento -Suo affezionato e instancabile barzellettiere e perditore di fiducia-

-Perditore?- ripeté Harleen, talmente scioccata che quasi faticava a respirare.

-Lei vincerebbe una partita contro il Joker?-

Harleen non dovette neanche a pensarci -No…-

-Brava-

Ma Harleen era rimasta alla seconda frase, con una stretta allo stomaco -Ma quindi non me li ha scritti lui? I messaggini sul cellulare, intendo, non li ha scritti lui?-

L’uomo la guardò e scosse la testa con fare compassionevole. La dottoressa era più cotta di quello che credeva… E Joker sempre più affascinante. “Un quarto d’ora” gli aveva detto sghignazzando, il giorno in cui era andato ad informarlo di questa Harleen Quinzel “Dammi un quarto d’ora e la piccola psichiatra cadrà ai miei piedi”

“È una in gamba, capo, non sottovalutarla così”

“Lascia fare a Joker, Gaggy, lascia fare a Joker…”

L’uomo si disincantò e tornò sulla terra -No, li ho scritti io- rispose ad Harleen -Ma l’ho fatto su suo ordine, è lui che mi ha dettato le parole, cuoricino compreso-

-Ah, okay- esclamò la ragazza, con un sorriso sollevato -No, perché mi piaceva l’idea di poter comunicare con lui anche al di fuori delle sedute psichiatriche, sa com’è-

-So com’è-

-Quindi, in definitiva lei non è il Pubblico Ministero Rogers?- continuò eccitata, e anche se sapeva già la risposta, voleva sentirselo dire nuovamente.

-Non so manco cosa sia un Pubblico Ministero- le rispose con semplicità, facendola ridere -Il povero John Rogers è passato a miglior vita, pace all’anima sua-

-Allora mi presento ufficialmente anch’io, sono Harleen e sono una vera psichiatra ma…- arrossì e sorrise al solo pensiero -Beh, forse è un po' prematuro per dirlo, ma credo di essere la fidanzata di Mr. J-

Al barzellettiere gli si cristallizzò il sorriso sulle labbra.

-Ah- disse solo, annuendo forzatamente come si fa davanti a un matto -La sua fidanzata. Certo. Congratulazioni, e ora che abbiamo terminato le presentazioni, posso sapere cosa è successo al mio capo per averti fatto accorrere in questo modo nel mio finto ufficio?-

-Ah, giusto- esclamò Harleen, che si sentiva davvero troppo felice per ragionare -No, in  realtà niente di grave, è che ho una cosa da dargli, solo che le guardie non mi permettono di accedere senza un decreto motivato dell’autorità-

-Che sarei poi io l’autorità, vero?-

-Esatto-

-Sì, ecco, Dottoressa…-

-Harleen- lo corresse la ragazza, con un sorriso dolce.

-Harleen, lascia che ti spieghi una cosa. Il nostro capo- esordì, aprendo le mani in un cinque -È un soggetto un po' particolare, bisogna avere qualche accortezza quando si ha a che fare con lui. Una di queste è non fargli mai, ma proprio mai, delle sorprese. Egli non ama ricevere visite inaspettate, ama farle, ma non riceverle. E questo vale sia quando è in galera che quando è fuori, mai fare sorprese al Joker se non vuoi diventare trippa per iene, e te lo dico col cuore in mano, davvero-

“Come immaginavo. È fuori controllo e cerca di colmare questa mancanza di stabilità con comportamenti ossessivi” pensò l’Harleen psichiatra, compiaciuta “Povero il mio amore… Lo aiuterò io, con me guarirà completamente”

-È ancora il mio paziente, so com’è fatto- gli rispose sicura -Ma ti assicuro che con me sarà diverso-

-No, Harleen, lui non è diverso con nessuno-

-Con me sì. La prego, Gagsworth-

-Chiamami Gaggy-

-Gaggy, ho davvero bisogno di vederlo-

-Te lo consiglio come amico, lascia perdere-

-No, non lascio perdere, non questa volta- gli rispose risoluta, sull’orlo delle lacrime -Ho sempre lasciato perdere, ho sempre lasciato che gli altri decidessero per me, che mi imponessero di vivere una vita che non era la mia e di essere una persona diversa da ciò che mi sono sempre sentita in realtà… Ma ora basta, io voglio andare da lui e ci voglio andare subito, è stato l’unico al mondo ad avermi capito e… accettato per quella che sono. Io lo amo-

-Emozionante, ma no. Ci sono delle regole che vanno rispettate, perfino da te che sei la sua ‘fidanzata’- sentenziò duro, facendo le virgolette con le dita -Ora se vuoi scusarmi, ho una partita di eroina che attende di essere sniffata-

-Come vuoi. Sappi solo che sniffare droga può provocare un infarto del miocardio, un arresto cardiaco e anche un ictus cerebrale: dopo soli sessanta minuti dall’assunzione il rischio di infarto aumenta di ben ventiquattro volte- gli disse con un sorriso forzato, annuendo di fronte alla sua espressione annoiata -Scusami ma sono un medico, certe cose sono tenuta a dirle per contratto-

-Lascia il pudding qui, glielo porto dopo- le disse sbrigativo -E, dottoressa, datti una sistemata. Hai il rossetto completamente sbavato-


 

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Come ogni secondo giovedì sera del mese, Gaggy usava la scusa del mandato di perquisizione per informare Joker di tutte le novità che stavano succedendo durante il suo soggiorno forzato ad Arkham.

Costui, dopo essere stato sottoposto a tutti i controlli col metal detector e alle perquisizioni fisiche, poté accedere nel padiglione di massima sicurezza, dove erano detenuti i dieci criminali più pericolosi al mondo. Pur non avendo la chiave tattile e la password per aprire la porta delle camere blindate, poteva comunque interloquire con i detenuti, anche se, di fatto, l’unico con cui interloquiva era sempre e soltanto uno. E mentre tutti gli altri detenuti deliravano e si comportavano da pazzi, costui stava facendo le flessioni sulle braccia.

-Buonasera, capo, porto buone nuove- esordì il barzellettiere appoggiandosi alla porta di vetro, ma il clown continuò imperterrito col suo allenamento.

-196, 197, 198… Fatti questa carrozzeria, Gaggy- boccheggiò dallo sforzo, continuando a pompare i muscoli -Quanto sono… figo… le pollastre…-

-Cadranno tutte ai tuoi piedi, capo, come sempre-

-199 e… 200!-

Joker si accasciò per terra e rotolò supino per fronteggiarlo, con un sorriso esausto e un po’ ebete. Era a torso nudo e lucido di sudore, ma la prima cosa che Gaggy notò erano le sue labbra, di nuovo e minacciosamente tinte di rosso.

-Prima ne ho fatte altre duecento- continuò, ammirandosi compiaciuto gli addominali e i bicipiti tesi -Le signore faranno la fila per farsi un giro su questo carro armato-

-Assolutamente, non fanno altro che chiedermi di te- gli rispose Gaggy per compiacerlo, con le mani dietro la schiena come un maggiordomo -Irina minaccia perfino di scioperare se non ritorni al più presto-

-HAHAH, una puttana che sciopera! Irina è sempre stata la mia preferita…- poi si bloccò, come se fosse colto da un malore improvviso. I suoi occhi si persero nel vuoto e la sua bocca si aprì leggermente.

-J? Tutto bene?-

Il clown agitò la mano come per scacciare una mosca fastidiosa e si alzò in piedi.

-Voglio un carro armato- sentenziò, allargando le potenti braccia -Segna: Giallo canarino con dodici mitragliatori interni, un lancia fiamme sul davanti e quattrocentododici motoseghe nella stiva. Se sono quattrocentoundici, sopporterò… Ma solo se mi danno il portachiavi a forma di Pikachu-

Gaggy ormai era diventato più paziente di un monaco buddista. Prese il tablet dalla tasca e segnò i soliti e improvvisi capricci del re di Gotham City.

-Carro armato, giallo canarino, motoseghe… Sì- concluse, annuendo -I cinesi ne avranno senz’altro uno. A proposito di cinesi- ghignò, ammiccando verso il suo capo -Qual è il colmo per un pasticcere cinese, J?!-

Joker si animò e gli fece un piccolo applauso, preparandosi già a ridere -Non lo so Gaggy!-

-Sicuro?-

-Sì, sì, dimmelo tu, ti prego- gli rispose fremente, impaziente come un bambino irrequieto.

-Il colmo per un pasticcere cinese è… Avere una moglie glassa!-

Boom.

Il super criminale quasi si buttò per terra. 

Iniziò a ridere come un matto, in modo esagerato e totalmente incontrollato, blaterando cose senza senso come “Musi gialli”, “r” e “cicciona”, non per forza in quest’ordine. Quando si riprese e tornò serio, Gaggy gli fece un sorriso spontaneo.

-Passando agli affari, J, ieri ha chiamato Monster. Ti augura di uscire al più presto e non vede l’ora di incontrarti di persona. Gli affari con le sue petroliere stanno andando a gonfie vele e gli Emirati Arabi ci sono apertamente riconoscenti. Inoltre il ricettatore siciliano ha appena venduto metà degli ori che abbiamo rubato nella rapina 213. Se i miei calcoli sono esatti, abbiamo diritto al 70% per dei ricavi-

-80- precisò Joker severamente, e subito l’altro corresse.

-Poi che altro, abbiamo ammazzato l’ubriacone che proclamava di essere Batman, io ho parlato con la psichiatra, Jonny Frost ha finalmente…-

Ma Joker alzò la mano e si girò a guardarlo, con gli occhi che baluginavano. -Ah, sì?- domandò, con un sorriso disumano -Hai parlato con il mio angioletto? E cosa dice il mio piccolo angioletto?-

Gagsworth si schiarì la voce -Solite cose. Ti aveva preparato un pudding e ci teneva molto a dartelo- esclamò, guardando perplesso Joker che gongolava -Te l’ho messo nel tubo, ti arriverà un po' spiaccicato-

-È adorabile…- esclamò il detenuto con un sorriso aperto -Quanto è adorabile, Gaggy?-

-È bellissima- concordò l’altro, più freddamente -Un po' rigida ma bellissima-

-Non è rigida, è solo un po' bloccata. Mi chiedo solo perché me l’abbia portato tu e non lei. Perché non c'è lei, qui? -

Gagsworth deglutì. Joker gli si avvicinò come una tigre in gabbia e un sorriso mefistofelico. -Ti ho fatto una domanda, Gaggy love-

-Perché so che… Ecco, mi avevi detto che non volevi ricevere visite inaspettate o improvvise, eri stato molto chiaro sul punto, credevo…-

-Cosacosacosa?- lo interruppe con gli occhi chiusi, porgendogli l’orecchio con la mano.

-J…-

-Cosa ODONO le mie orecchie!?- ringhiò brutale, dando tre manate contro la porta -La ragazza voleva parlarmi e tu non gliel’hai permesso?-

-Capo, per piacere…- balbettò spaventato, indietreggiando -Sei tu che mi avevi detto…-

-COLPA MIA, VERO? COLPA DI JOKER SE HA UN CRETINO TRA I PIEDI!?-

-Vi vedete domani mattina…-

-NO, GAGSWORTH, OGGI! NON DOMANI MATTINA, OGGI- gridò furioso, dando un pugno così forte alla porta da far tremare il vetro rinforzato -Ora tu chiami la ragazza e la porti qui. La voglio qui, ora, ora, ora-

-Non è possibile, è già andata via… La Waller la controlla a vista, e anche lui…- Il clown chiuse gli occhi e digrignò i denti, l’altro continuò -Batsy la sta spiando J, presto capirà tutto. Dovresti smetterla di flirtare con lei, attiri le attenzioni degli sbirri e la poveretta si illude inutilmente-

Joker inspirò dal naso e espirò con la bocca, profondamente. 

-Punto uno- cominciò con gli occhi chiusi, facendo l'uno con l’indice -Basty in queste cose non ci arriva e non capirà un accidente di niente, come sempre. Punto due, non dirmi che cosa devo o non devo fare, perché posso farti esplodere il culo anche da qui dentro. Punto tre…- concluse, aprendo gli occhi chiari -Che cosa ti ha detto lei di preciso su di me?- 

La paura che stava provando il barzellettiere in quel momento non è descrivibile a parole. Le sbarre di vetro che li separavano erano, senza esagerare, provvidenziali.

-Ha detto che ti ama e che è convinta di essere la tua fidanzata-

Ma il clown, invece di reagire male come si sarebbe aspettato Gagsworth, scoppiò a ridere e si mise una mano sul petto -Oh, la mia fidanzata! Ma quanto è carina?! Mi piace da impazzire, non posso negarlo. Se penso che non potrò portarmela a letto mi si spezza il cuore, anche se… Mmmh, a Parigi c’è quel bel museo d’arte, vero? Potremmo sempre farci un salto e prendere in prestito la Gioconda- ghignò da solo, apparentemente senza motivo.

-La ucciderai?- gli chiese gravemente Gaggy, ignorando le sue elucubrazioni

-La Gioconda?-

-No, Harleen Quinzel. La ucciderai alla fine di tutto questo, vero?-

Il criminale cessò di sorridere. Alzò lo sguardo su di lui e poi lo ribassò lentamente.

-Ovvio- rispose freddo, ma senza entusiasmo.

-Capo? Non è che…- ma vedendo il suo sguardo feroce, Gaggy tacque. Di errori ne aveva commessi fin troppi per quella sera.

 

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Chiusa a chiave in casa, anche Harleen stava facendo ginnastica.

Aveva appeso un nastro da acrobata sulla tromba delle scale, ed ora era appesa per il bacino con le gambe e le braccia abbandonate nel vuoto, la testa ribaltata e i capelli sparsi in aria come le fronde di un salice.

E mentre era appesa lì, pensava a lui e a quanto fosse incredibile il fatto che lei gli piacesse.

“Harleen, smettila. Sei intelligente, sei bella, certo che gli piaci…- ma dopo neanche trenta secondi -No, è impossibile. Chi vuoi prendere in giro, Harleen? Ci prova solo perché è disperato. Ma io ora lo amo, chiedo solo di stare con lui, come faccio se non… ”

L’ansia l’agitò e le fece perdere l’equilibrio. Cadde al suolo con un tonfo e per non sbattere forte fece perno con i piedi sul laccio e ribaltò il tavolino, con annessi vaso di fiori rinsecchiti da una settimana e foto di famiglia.

Lo schianto fu notevole, ma per fortuna la ragazza non si fece niente di grave.

Ogni volta era la stessa storia, non appena tornava a casa si lasciava assalire da mille dubbi e il suo pessimismo patologico l’aggrediva come un mare in tempesta.

Ma d’altronde una vita passata a sentirsi sbagliata e a auto punirsi non si poteva cancellare così, in un batter d’occhio. Solo quando stava col Joker non si preoccupava più della sua imperfezione, era come se entrasse in una bolla e tutti i suoi ricordi fossero archiviati in una scheda remota del suo cervello. C’era solo lui, il suo viso e il senso di attrazione e pericolo che esso incuteva. Desiderare toccarlo era come desiderare accarezzare la criniera di un leone: le probabilità di sopravvivere erano pari a una su un milione, ma quando ci si riusciva il senso di vittoria era elettrizzante e totalizzante. 

Perché Joker si era lasciato toccare da lei, le aveva dato un bacio mozzafiato che andava al di là di ogni sua più ardita speranza… E quello che le diceva, il modo in cui la guardava, i suoi sorrisi, i nomignoli fantasiosi che le affibbiava ogni volta che la vedeva “Fragolina, Cuoricino, Zuccherino, Pumpkin pie, Harley…”

“Dovrei trovargli un nome carino anch’io…” pensò sorridendo, ma all’improvviso qualcuno bussò alla porta. Harleen si catapultò in piedi e col cuore in gola dall’entusiasmo corse ad aprire, senza curarsi di essere praticamente in vestaglia. Aprì la porta piena di aspettativa, sperando di trovare Gaggy, il famigerato Frost o qualche altro alleato di Mr. J, ma davanti a lei si palesò un rigido ma rassicurante signore sulla trentina, molto alto, molto muscoloso e con la mascella prominente.

-Buonasera, signorina- esclamò costui, cordialmente -Perdoni il disturbo, ma ho appena sentito un tonfo notevole proveniente dai suoi appartamenti, volevo solo accertarmi che andasse tutto bene-

Harleen arrossì -Sì, scusi è che… Stavo facendo ginnastica e sono caduta, chiedo scusa per il baccano, di solito sono più silenziosa-

-Capisco…- lo sconosciuto guardò un attimo dentro la casa di Harleen: era talmente a soqquadro che sembrava fossero entrati i ladri, con tanto di nastro ginnico che penzolava in salotto.

-Lei abita qui?- gli domandò Harleen, insinuandosi tra lui e la porta in modo che non vedesse -Non l’ho mai vista nel condominio-

-Ehm…Sì, mi sono appena trasferito- esclamò con un sorriso, tendendole la mano -Bruce Wayne, molto lieto-

-Harleen Quinzel-

-È un vero piacere, dottoressa Quinzel. E mi raccomando, per qualsiasi cosa non esiti a contattarmi. Gotham è piena di brutta gente che si finge amica, bisogna stare molto attenti-

-Grazie, ma so riconoscere la brutta gente quando la vedo- disse sbrigativa, forzando un sorriso -Ora se vuole scusarmi, torno al mio casino. Buona serata-

Harleen chiuse la porta, seccata. Scavalcò il mobiletto e ciò che rimaneva del vaso come se niente fosse, gettandosi sul divano.

“Come fa a sapere che sono una dottoressa?” pensò stranita, prendendo il pupazzo di un gattino e stringendolo forte “Quel tizio è inquietante… Voglio Mr. J…”



______________________________




La mattina seguente, Harleen e Joker ridevano divertiti nell'ambulatorio delle sedute psichiatriche.

-MA COME MI ASSOMIGLIA!- esclamò il clown, ridendo a perdifiato -Ma è un pudding, è brutto!-

-Non è vero che è brutto, è carino- ribatté Harleen, mettendosi le mani sopra la bocca per coprire le risate

-No, dottoressa, è brutto. Lui è brutto ma buono, io sono bello ma cattivo. Scusa ma c’è una bella differenza-

Harleen rideva e gli faceva gli occhi dolci, era incredibile quanto Joker la facesse divertite e stare bene. Erano nel loro solito tavolo, seduti uno di fronte all’altra con un orso di peluche come centro tavola. Se non ci fosse stata la telecamera costantemente accesa, Harleen sarebbe corsa a baciarlo.

-Ti è piaciuto almeno?- gli domandò con voce speranzosa, allungando una mano verso di lui.

-Molto, quasi quanto questo orsacchiotto. Che bel regalo, grazie pumpkin pie-

-Prego, tesoro- gli disse dolcemente, incantata dal suo sorriso. Chissà se poteva chiamarlo anche ‘amore’… Forse avrebbe osato troppo, pensò, d’altronde lui era sempre il sadico e crudele Joker, anche se a lei pareva più dolce del budino che gli aveva preparato.

-Ma dimmi, come mai mi hai portato Teddy Bear e non i biscotti?-

-Quali biscotti?- gli chiese Harleen, ridestandosi subito.

-Ti avevo chiesto dei biscotti, non ti hanno mandato il biglietto ieri sera?-

-No, non mi è arrivato niente- gli rispose preoccupata, senza tirare indietro la mano -Perché mi avevi spedito un biglietto?-

-Sì, baby, te l’avevo spedito- annuì lui vigorosamente, con i denti stretti dall’ira -Si vede che c’è qualcuno là fuori che mi sta boicottando…-

-Chi può essere?- gli chiese lei, ma lui non le rispose.

Il criminale abbassò la testa e si mise a ridere, e poi, di punto in bianco, diede una forte testata contro il banco. Harleen scattò in piedi, e neanche il tempo di dire una parola che Joker l'aveva rifatto, talmente forte che fece muovere il tavolo. La dottoressa sapeva che in quei casi bisognava mantenere la lucidità e il sangue freddo, nelle aule di psichiatria criminale gliel'avevano ribadito mille volte, ma lei si precipitò da lui in preda al panico, tutt’altro che lucida.

-No, ti fai male, ti fai male- lo fermò tremante, mettendogli una mano sulla fronte e un’altra sulla guancia, per impedirgli di sbattere di nuovo la testa -Calmati- gli sussurrò vicino, più dolcemente che poteva -Va tutto bene, ci sono io qui, amore... Calmati-

Joker la guardò dritta negli occhi, e in quel momento intenso Harleen colse in lui un bagliore di profonda tristezza. 

-Oh- esclamò sorpreso, come se la vedesse per la prima volta -Sei uguale a…-

-A chi?-

-A Jeannie- rispose lui, perso a contemplarla.

-E chi è Jeannie?-

-Lei era… Oh, lei era…- ma Joker non completò la risposta, allontanò lo sguardo da lei e assunse nuovamente un’espressione dura, seppur segnata dal dolore -Dobbiamo sbrigarci, Harley. Entro questa settimana si fa il colpo-

-Questa settimana?- domandò, scossa dal suo repentino cambiamento di umore

-Sì, baby, entro questa settimana liberiamo paparino- le sussurrò con un sorriso malato -Sei contenta?-

-Sì… Certo che sono contenta, però tu prima mi stavi dicendo…- 

-Shh!  Non pensare, non parlare. Ora facciamo di nuovo il giochino delle lettere, eh, dottoressa cuoricino? Non è così male come credevo-

Harleen annuì, bruciante dal desiderio di amarlo e di conoscerlo meglio.

 

 

“Ma chi è Jeannie?”

 

 

 

 

 

 

Note

Già, chi è Jeannie? ;)
Scommetto che la conoscete… E anche Gagsworth non è frutto della mia fantasia, era il ‘Robin’ di Joker prima che arrivasse Harley Quinn. Sappiate comunque che questo sarà l’ultimo momento di debolezza di Mr. J (o forse il penultimo? Non lo so), anche se la bomba è stata sganciata e la psichiatra è molto, molto sveglia…
Niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non abbia deluso le vostre aspettative. Chiedo scusa per il grave ritardo, cerco almeno di scrivere capitoli più lunghi… Grazie in anticipo a tutti e ringrazio in anticipo per ogni eventuale osservazione, sia positiva che negativa, che vorrete fare alla storia. Un bacio

P.s come avrete notato, ho mandato a quel paese gli asterischi che erano sempre impaginati storti e ho messo le linette, così vado sul sicuro xD

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Capitolo 6
*** Gangsta ***




Gangsta

 

 

 

“Jeannie, Joker cronaca nera”  

“Joker e Jeannie"

“Joker uccide Jeannie"

 

Cerca con Google.  

 

 

Era l’una di notte e Harleen ancora non dormiva. Distesa sopra le coperte sgualcite, erano ore che stava facendo ricerche sui variegati crimini commessi dal clown, sia quelli che lui aveva rivendicato che quelli che gli avevano affibbiato più o meno ingiustamente, attraverso il riesame di tutto il materiale che nel tempo aveva racimolato su di lui. 

Aveva grossi faldoni sul copriletto, fogli volanti, raccoglitori per terra e qualche foto segnaletica, ma in tutto quello non aveva trovato riferimenti, nemmeno accenni, sulla misteriosa Jeannie.

Harleen era una psichiatra, sapeva meglio di chiunque altro cosa succedeva quando riaffioravano i grandi dolori del passato, quelli che i pazienti si rifiutano di affrontare e che, archiviati in un cassetto dell’inconscio, costituiscono la chiave di volta per la guarigione mentale.

Jeannie, forse, avrebbe guarito Mr. J, ma Harleen non era del tutto sicura di volerlo curare. 

Insomma, lui era perfetto così. Sempre sorridente, sempre allegro, simpatico, corteggiatore al punto giusto… Certo era un criminale ed era pure violento, ma con lei non lo era mai stato, o no?

No, certo che no. Lui era l’unico che l’aveva capita, l’unico che aveva conquistato il suo cuore intirizzito.

Però

Sì, nel suo ragionamento c’era un grande però. Non era compito suo salvarlo dai suoi incubi? Non era compito suo permettergli di iniziare una nuova vita, senza l’orrore della morte, degli sbirri alle calcagna e delle fughe continue? Lui le aveva migliorato la vita senza neanche rendersene conto, e lei cosa gli aveva dato in cambio? Niente. Anzi, per colpa sua era stato malmenato diverse volte, per non parlare di tutte le angherie che doveva subire quando lei non c’era. Magari stava succedendo anche in questo momento, magari lo stavano picchiando, o affamando…

No, si disse, non ci doveva pensare. Lei lo avrebbe salvato e gli avrebbe dato tutto l’amore di cui aveva bisogno, ma per riuscirci doveva assolutamente farlo uscire da lì. E capire chi fosse Jeannie, possibilmente.

Magari era sua madre, magari sua sorella… Molti uomini cercano nella loro compagna le caratteristiche della figura materna o le tenerezze dell’infanzia, assomigliare a loro sarebbe stato di ottimo auspicio. 

Ma se Jeannie fosse una sua ex? E se fosse ancora viva? Sarebbe un bel problema, perché significherebbe che “lui è ancora innamorato di lei, e se è innamorato di lei non può anche esserlo di me, a meno che non soffra di una strana forma di fragilità emotivo-sentimentale, tale per cui sarebbe minata in radice la sua capacità di scelta di un partner. Ciò spiegherebbe anche il ricorso alla prostituzione e il desiderio di… Di…”

Harleen si prese il cuscino e se lo premette in faccia. Tutta questa psicanalisi avrebbe finito per darle alla testa, prima o poi. 

Senza pensarci due volte, prese il cellulare dal comodino.

“Ciao, Mr. J…” digitò nello schermo dello smartphone “Dormi?”

“Sono Gaggy, genio. E sì, dormivo”

Harleen per poco non gettò il cellulare contro al muro. Pur sapendo che quello non era il vero numero di Joker, continuava imperterrita ad usarlo come se lo fosse. Ma dopo cinque minuti le arrivò un altro messaggio dal contenuto decisamente bizzarro…

“La follia è come la gravità, Harleen Quinzel, basta solo una piccola spinta!”

La ragazza rimase a guardare lo schermo a bocca aperta, e il cuore iniziò a batterle all’impazzata.

“Che vuoi dire?” scrisse velocemente, mentre un barlume di speranza iniziò a farsi strada in lei.

Voglio dire che la spinta posso dartela io. Ti piace l’altalena? Va su e giù, su e giù…

“Mr. J, sei tu??” scrisse subito colma di emozione, e già il sorriso le era riaffiorato sulle labbra.

“No, Pumpkin pie, sono Gaggy”

Harleen fece un urletto eccitato e si alzò a sedere con le ginocchia sul letto. Era lui! Non sapeva come fosse possibile, ma era lui, lui! Proprio lui.

“Invece sei tu!”

Non sono io…”

“Sì!”

“No”

“Sì!!!”

“Nein ù_ù”

“Sì, sì e ancora sì!” scrisse Harleen, piena di entusiasmo “Ti amo da morire. Vorrei tanto essere lì con te”

Ma dopo quel messaggio, l’interlocutore non le rispose più.

“Mr. J? Ci sei ancora?” gli scrisse la ragazza, preoccupata “Perché non mi rispondi?”

Passarono altri dieci minuti, ma non comparve alcuna risposta.

“Mr. J? Ho detto qualcosa di sbagliato?

1:45:  Ti prego, mi dici qualcosa?”

1:58:  Ok, allora ci vediamo martedì… Io non vedo l’ora.

2:01:  Ma sei arrabbiato?

2:05:  Ok, non ti disturbo più, buonanotte.

2:20:   :(

2:23 ….Vuoi che ti porti qualcosa da mangiare? 

2.29  Non sei simpatico. Se non mi rispondi, scriverò nel referto che sei antipatico e che non hai senso dell’umorismo.

2:30  BANG! Morta.

2:30  <3 <3 <3 <3

 

Chiunque fosse questa fantomatica Jeannie, doveva rimanere dov’era: nel dimenticatoio.

Peccato che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

 

 

 

 

 

 

Gotham City è una città magica. Ciò che accade di notte tra le sue vie rimane sigillato nella notte, e di giorno è come se niente fosse successo.

La vita riprende il suo corso, gli uomini vanno a lavorare, i bambini vanno a scuola, i bar sono affollati e la metropolitana ritarda. Tutto nella norma, insomma.

Peccato solo che quello stato di apparente normalità sia solo uno schermo, una tenda che cela il reale palcoscenico. Perché la notte ritorna, e con lei tutti i mostri e le loro atrocità. Il teatro degli orrori si riapre, si leva il sipario e la famigerata macelleria notturna riprende il suo corso.

Amanda Waller lo sa bene, e non si stupisce del fatto che la microcriminalità sia rifiorita da quando non c’è più Joker a dirigere la compagine delinquenziale. Con Joker i ladruncoli non esistono: muoiono ancora prima di varcare i confini dell’isola. Ironia della sorte, anche lui contribuisce a mantenere l’ordine.

Ma se nel teatro di guerra manca il registra, il caos è una conseguenza inevitabile.

Lo sa bene anche Harleen, che sul far della sera era tornata a casa, più confusa che mai. Dopo che Mr J. aveva pronunciato il nome di quella donna, le cose fra loro erano leggermente cambiate. Lui sorrideva sempre e scherzava, ma la sua mente era diventata un muro insondabile, più enigmatica del solito.

Harleen aveva chiesto a Gaggy chi fosse Jeannie, ma costui di tutta risposta le disse che non l’aveva mai sentita nominare e aggiunse una frase che la dottoressa avrebbe preferito non sentire “Chiedi a Irina, la sua puttana. Sa più cose lei di Joker che il Pentagono e la CIA messi insieme”.

Altra cosa che fece letteralmente imbestialire Harleen. Che Joker andasse a puttane ormai l’aveva accettato, per quanto dolore -e ansia- la cosa le procurasse. Ma che ne avesse una preferita con la quale si confidava non poteva sopportarlo. Lei doveva essere la sua unica confidente e la sua unica donna, e presto lo sarebbe diventata.

 

Dopo averci pensato più e più volte, parcheggiò la macchina difronte a un gruppo di ragazze ferme sul marciapiede. Sembravano vivacemente allegre ed erano variopinte, nessuna di loro aveva lo stesso colore di capelli o gli stessi vestiti. Harleen aveva sentito spesso parlare di loro e del loro lavoro, ma era uno di quegli argomenti scomodi che aveva sempre cercato di evitare. 

Quelle classiche cose che tutti sanno ma che fingono di non sapere per comodità morale e per non sentirsi in colpa, come la fame nel mondo, la corruzione e la condizione della donna in certi paesi.

E quello era già il terzo gruppo di ragazze con cui si apprestava a parlare. Si avvicinò loro cautamente, perché un’altra cosa che bisogna sapere su Gotham City è che le sue prostitute, per un motivo o per un altro, sono più armate di un esercito di contrabbandieri russi. Massima cautela sempre, se non vuoi ritrovarti con un buco in testa prima ancora di affacciarti dall’auto.

La ragazza uscì quindi dalla sua macchina e si avvicinò a quel gruppetto chiacchiericcio. Appena la videro, le donzelle smisero subito di parlare e le puntarono gli occhi addosso, squadrandola dall’alto al basso.

-E questa chi è?- domandò una, con un’espressione disgustata.

-Sembra mia nonna- disse un’altra, una transessuale a giudicare dal fisico imponente.

-Tesoro, se sei qui per un servizio va bene, ma se vuoi aprire la tua attività, mi dispiace ma siamo al completo-

-No, io…- Harleen inspirò, si sentiva come se fosse tornata al liceo -Volevo sapere se fra voi c’era una ragazza di nome Irina-

-Irina… Conosci una certa Irina, Ramona?- 

-Irina, Irina… No, Cindy, forse questo caso umano si è sbagliato. Prova in convento, cocca, sicuramente la tua amica sarà lì-

-E Joker?- sparò Harleen, in un impeto di coraggio dato dall'indignazione - Conoscete il Joker o neanche lui avete mai sentito nominare!?-

Come Harleen pronunciò il suo nome, accadde ciò che era già successo con i primi due gruppi: le prostitute tacquero subito, i loro visi si fecero allarmati e un gelo generale scese sul marciapiede. Ma questa volta Harleen non fu scacciata, perché fra di loro si fece largo una donna minuta e di media bellezza, con le lenti a contatto gialle e due micro codini sulla testa mora. Indossava con disinvoltura un paio di pantaloncini a scacchi e una maglietta attillata con su scritto Kill the monster, al di sotto la quale si intravedeva tatticamente il tatuaggio di una pistola. Quella pettinatura da bambina era ridicola, ma il look nel complesso appariva agli occhi della psichiatra stranamente bello, tanto che ne rimase affascinata.

-Conosci Jolly?- le chiese, con il viso semi oscurato dal buio.

-Sei tu Irina?- rimbeccò Harleen stringendo lo sguardo, infastidita da quel nomignolo.

-Preferisco Darla, Irina è il mio nome da lavoro- le rispose con voce vellutata, restando ancora semi nascosta -Come conosci il mio Jolly?-

-Il tuo Jolly?

-Il mio ragazzo, sì- la prostituta avanzò fino alla luce del lampione -Come lo conosci?-

Harleen arrossì e ammutolì. Il volto di Irina era completamente sfigurato da cicatrici e bruciature, tanto da rendere la sua bellezza irriconoscibile. “Lui le ha fatto questo!?” pensò subito la psichiatra, inorridita.

-Che ti prende, biondina? Il gatto ti ha mangiato la lingua?-

-Io lavoro per l’Arkham Asylum- cominciò Harleen, riprendendosi -Mi hanno detto che tu lo conosci bene e…-

-Certo che lo conosco bene, è il mio ragazzo-

E due. Harleen la fulminò con lo sguardo, una sensazione sgradevole di rabbia mista ad invidia e frustrazione le pervase il petto.

-Lui non è il tuo ragazzo- le disse solo, con un sorriso forzato.

-Sì, che lo è, gioia. Come scopa con me non lo fa con nessun’altra- la provocò, avvicinandosi spudoratamente -Tu quindi chi saresti? L’infermiera innamorata che vuole darsi al malaffare? Mi basta guardarti per capire che non fa per te. Lascialo perdere, tesoro, te lo consiglio caldamente-

Più che un consiglio, quelle parole suonavano come una minaccia. Anche lo sguardo giallo di Darla aveva un che di inquietante, ma Harleen non si lasciò intimidire. 

-Non sono un’infermiera, sono il suo medico psichiatra- le rispose, inacidita -Ma probabilmente non sai neanche che differenza ci sia-

-Sono una puttana, non sono stupida- 

-Beh, da come parli sembra di sì- ribatté Harleen, sostenendo il suo sguardo -E sappi che abbiamo raggiunto una certa intimità durante le nostre sedute, e senza neanche il bisogno che io mi prostituissi-

Irina le fece un sorriso malevolo, e alle loro spalle si levò un coro beffardo di “Uhhh!” da parte delle altre ragazze. Harleen le ignorò.

-Una certa intimità?- le domandò, alzando un sopracciglio disegnato ad arte.

-Sì, ma prima ho bisogno di sapere una cosa da te. Mr. J ha parlato di una certa Jeannie durante un nostro incontro, ma nessuno sa chi sia né ci sono riferimenti sul suo nome. Se la conosci o sai qualcosa, ti prego di riferirmelo, per il suo bene-

Ma Darla inaspettatamente ridacchiò -Il suo bene? Merda, ti ha fatto proprio il lavaggio del cervello-

-Puoi rispondermi, per cortesia?-

-Se anche sapessi chi fosse, non te lo direi- ghignò, con una vocetta dispettosa.

-Quindi non lo sai?-

-Non ho detto che non lo so. Ho detto che non lo dico a te, che è diverso-

-Non capisci che io lo voglio aiutare? Che sto dalla sua parte!?- 

-E io sto nel suo letto, quale delle due parti è meglio?- le rispose, sempre più odiosa -Ma dimmi una cosa, quante volte te lo sei fatto per asserire di avere avuto un’intimità con lui?- fece le virgolette con le dita alla parola “intimità” -No, perché la cosa mi incuriosisce, non sei esattamente il suo tipo…-

“Non esiste solo l’intimità sessuale” avrebbe voluto rispondere, ma per ovvi motivi preferì non farlo.

-Come immaginavo, niente di niente. Che ingiustizia… C’è chi riceve tutto e chi non prende neanche un dito- 

Le donne dietro ridacchiarono, ma lei cercò con tutta se stessa di mantenere il contatto visivo e di non accogliere l’ennesima umiliazione supinamente, come aveva sempre fatto fino a un mese fa. Se voleva essere davvero la donna di Joker, doveva dimostrare al mondo di esserne degna, ma prima di tutto doveva dimostrarlo a se stessa. Irina aveva una pistola appesa al fianco: sarebbe bastato uno scatto veloce mentre lei era voltata e il gioco era fatto, l’inversione dei ruoli vittima/carnefice compiuta. Sembrava facile, Mr. J ce l’avrebbe fatta sicuramente. 

-Ve lo immaginate Jolly che si fa questa?- continuava la mora, ignara -Me lo immagino meglio con uomo che con questa sfigata-

Con una velocità che non credeva di avere, Harleen le strappò la sottile pistola dalla fondina di pizzo. 

-Ma, ehi!- gridò Darla per la sorpresa, ma non fece in tempo a dire nient’altro. La psichiatra le puntò sulla fronte la revolver e e sparò. Il tonfo fu sordo, Darla cadde pesantemente a terra, a faccia in giù.

Subito si levò il panico, le prostitute gridarono e sfoderarono le loro armi, chi stiletti, chi pistole, ma Harleen fu più furba e le precedette.

-Sparatemi e Joker e i suoi uomini vi verranno a cercare!- gridò loro minacciosa, con una voce che non si riconobbe neanche  -Fatemi del male e ne risponderete a lui-

Le donne si guardarono allarmate, tre di loro abbassarono le armi e Harleen si girò verso la sua prima vittima, che giaceva a terra in una pozza di sangue.

-Così impari a chiamarlo Jolly- sussurrò al cadavere, lanciandogli la rivoltella “Lui è Puddin’ “ pensò con un sorriso soddisfatto, voltandosi con la schiena dritta per tornare alla macchina.

 

Di solito, a Gotham, uno sparo in piena notte non crea scalpore, gli abitanti sono talmente abituati da non farci più caso. Ma questa volta il delitto di Harleen non passò in osservato: nascosto nel buio sopra a un’impalcatura, Gaggy aveva osservato la scena dall’alto. Prese il cellulare, compose il numero e chiamò l’Arkham Asylum.

 

___________________________________

 

 

-Giovane prostituta trovata morta di fianco allo di Starbucks della quarta strada. Gli inquirenti indagano: “Era in rapporti con Joker”. Ancora una volta, il timore che Joker abbia dei contatti con l’esterno si acuisce, l’FBI conferma che la vittima…-

 

Harleen spense subito l’autoradio, irritata. Era incredibile, Gotham pullulava di morti e persone scomparse, ma i casi trattati dai media riguardavano sempre e solo quelli che coinvolgevano il Joker.

-Non è sempre colpa sua!- rimbeccò all’apparecchio -Non è che se accade qualcosa di brutto è sempre e solo colpa di Mr. J, che cavolo-

Mentre parlava così, per poco non sbandò contro l’automobile nella careggiata opposta.

-E stai attento, idiota!- gli gridò dal finestrino, mentre questi suonava il clacson all’impazzata.

“Sto idiota. Questa è una città di idioti, ha ragione Mr. J”

Giunta al parcheggio, Harleen arrivò in ufficio con mezz’ora di ritardo, circostanza mai successa in dieci anni di studio e carriera. Aveva i capelli sciolti e la camicetta fuori dalla gonna, ma malgrado l’aspetto trasandato e la nottata in bianco, non era mai stata così affascinante come ora.

-Sei in ritardo- la salutò Rebecca, ma lei neanche rispose. Si sentiva potente e leggera, come se si fosse appena liberata da un pesante fardello e il sorriso che le aleggiava sulle labbra ne testimoniava l’euforia. 

E il motivo era uno solo: tra poco avrebbe visto lui

-Portami gli archivi su Mr. J- ordinò alla segretaria con tono esigente, sedendosi di fronte al computer -Ho bisogno di vedere una cosa-

-Come, prego?-

-Cosa non capisci di ‘portami gli archivi relativi a Mr. J?’- sbottò all’improvviso -Devo farti lo spelling?-

Rebecca rimase esterrefatta, tanto che Harleen se ne rese conto e corresse il tiro.

-Oh, certo- sorrise, chiudendo gli occhi in segno di sfinimento -Cara Rebecca, saresti così gentile da portarmi l’elenco delle vittime di Joker, per cortesia?-

-Tu stai male, ma veramente male. Volevo solo dirti che oggi la seduta con Joker è annullata-

-Come sarebbe annullata?- domandò la ragazza, scattando in piedi -Ma gli devo parlare, non è opportuno interrompere la cura, ha troppi effetti collaterali!-

-Io riferisco solo le decisioni che vengono prese, se mi dicono...-

Ma Harleen non lasciò terminare, uscì e si precipitò subito nell’ufficio del direttore Arkham.

Oltrepassò Griggs, che le fece l’occhiolino, e spalancò la porta del direttore senza neanche preoccuparsi di bussare, ma seduta al posto di Arkham con le mani incrociate, c’era la Waller.

-Oh, dottoressa Quinzel, qual buon vento- le disse con voce pericolosamente gioviale, accennando perfino un sorriso. Harleen ammutolì per un istante. 

-La vedo piuttosto provata. Nottata difficile?-

-Dov’è il direttore?- le chiese con tono che tradiva un’evidente preoccupazione -Voglio parlare con lui-

-Il direttore oggi non c’è, puoi parlare con me- le rispose sorridendo -Ha qualche recriminazione da fare alla struttura?-

-No, nessuna- rispose Harleen, impassibile -Vorrei solo lavorare in pace-

-Direi che il suo lavoro l’ha già sufficientemente svolto via chat l’altra notte-

La Waller la guardò fissamente sotto le sue palpebre pesanti, talmente ferme che sembrano quelle di un serpente. La ragazza, invece, non ebbe il coraggio di replicare.

-Sa? Quando l’ho conosciuta mi sarei aspettata tutto meno che questo. Amoreggiare con un criminale psicopatico… In quel momento ho provato una forte compassione nei suoi confronti, rasentai perfino il dispiacere, e le garantisco che non sono il tipo che si lascia intenerire, dottoressa. Ma poi questa storia si è protratta, e io mi sono detta: sopporta ancora un po’, Amanda, magari la ragazza scopre qualcosa di interessante, magari quel pazzo è realmente bendisposto verso di lei… Ma alla fine mi sono sbagliata. Ho solo assistito all’ennesima, fosca trovata del Joker-

-Signora…-

-No, lasciami finire, cara. Avrei almeno cinque capi d’accusa per metterti in galera e buttare via la chiave, ma sai cosa c’è? Me ne vergogno. Cosa direbbero di me i giornalisti se sapessero che ho permesso una simile buffonata? Perderei la credibilità che mi sono faticosamente costruita in tutto questo tempo, senza contare che quel delinquente l'avrebbe vinta anche questa volta… No, meglio tenercelo per noi, sarà il nostro piccolo segreto, va bene, dottoressa?-

Harleen non rispose, stava sudando freddo. 

-Non ha niente da dirmi?-

-Io stavo solo facendo il mio lavoro, non credevo che…- ma la ragazza si interruppe. Dalla porta entrò come se niente fosse un uomo imponente e alto quasi due metri, vestito di nero e con il viso parzialmente coperto da una maschera: Batman. 

-Oh, la prego non faccia caso a me- le disse quest’ultimo, leggendo lo sconcerto nel viso di Harleen -Vada pure avanti-

La ragazza cercò di ignorarlo e di continuare a parlare, puntando tutte le sue attenzioni sulla Waller, ma il cavaliere oscuro non era certo un tipo d'uomo che passava in osservato. Si mise di fianco alla Waller, con le braccia conserte e il suo solito contegno austero. A dire il vero la sorpresa di Harleen era più che giustificata, non capita tutti i giorni di vedere soggetti come Batman o come Poison Ivy per la strada. I Meta-umani sono delle autentiche celebrità, visibili solo in televisione o nelle foto di qualche bravo giornalista.

-Sì… Ehm, dicevo… Io non avevo preventivato che, ecco… Raggiungessimo un’intimità tale per cui lui si confidasse realmente con me- continuò Harleen, cercando di mantenere la lucidità -Ma non avete motivo di preoccuparvi. Questo non costituirà per voi alcun pericolo o minaccia-

Batman si piegò e disse due parole alla Waller, la quale annuì con fare pensieroso.

-Io non sono affatto preoccupata dottoressa- precisò quest’ultima- L’unica reale minaccia che c’è qui dentro sono io, non voi. Dico bene, B.?-

Batman forzó un sorriso e annuì, poi aggiunse -Posso scambiare due parole in privato con la dottoressa, per cortesia?-

-Ma certo, tanto poi sai che mi dovrai dire tutto- gli disse con sincera gentilezza, appoggiandogli la mano sul braccio -Ti do cinque minuti, non ho ancora finito con lei-

-Cinque minuti, parola mia- le garantì il supereroe. Doveva esserle molto amico per aver raggiunto una tale confidenza con quel muro di donna, pensò Harleen.

Ma, soprattutto, si diede della pazza per aver accettato un colloquio privato con lui, il nemico giurato del suo aspirante fidanzato. Peccato che non si fosse tenuta la revolver di Darla… 

-Dunque hai fatto amicizia col Joker?- le disse Batman, non appena rimasero soli.

-È un ragazzo socievole- gli rispose gelidamente.

-Certo, e scommetto che mi dirai che è anche molto simpatico, non è vero?- il suo tono era amichevole.

-Cosa vuole da me?

-Intanto che tu mi dia del tu e poi… Null’altro. Voglio solo aiutarti, che tu ci creda o no, non sono tuo nemico né sono venuto qui per minacciarti- le disse, con voce gentile ma sostenuta. 

-Non ho bisogno del tuo aiuto-

-A me sembra di sì, invece. Sai quanti psichiatri ha ucciso il Joker in tutta la sua carriera?-

-Tre- rispose subito Harleen

-Quattordici. E sai quanti ne ha avuti? Sedici. Due sono riuscito a salvarli- le rispose pacatamente Batman -Ma questo nessuno lo sa. Sai, cercare di racimolare informazioni su di lui è fondamentale, e gli psichiatri sono i migliori in questo campo, gli unici che possono farlo… Se sapessero che averlo in cura è una condanna a morte, non accetterebbe più la carica nessuno-

Harleen rimase sgomenta, ma celò bene l’orrore che stava provando.

-Vattene da qui, scappa da questo inferno- continuò Batman, persuasivo -Sei così giovane, meriti di vivere una vita degna di questo nome. Non condannarti con le tue mani, lascia che ti aiuti, potrei non esserci quando avrai bisogno di me-

-Morirei se me ne andassi- ribatté Harleen, sull’orlo delle lacrime -Ho effettivamente bisogno d’aiuto, ma non del tuo. Con permesso-

E detto questo, uscì e si recò nel bagno delle donne più vicino.

 

________________

 

-Lui non è pazzo-

-Questo gliel’ho detto io la prima volta che ci siamo viste. L’unica pazza qui mi sembra lei. Lo sa come tratta le donne? Ha visto dai suoi archivi come le riduce?-

Subito il volto di Irina comparve nella visuale di Harleen, e un brivido di terrore le scivolò sulla schiena.

-Dottoressa, io capisco che qualche volta si ha bisogno anche di… Sognare, ma devi riprenderti, non siamo in una favola. Inizia a preparare le tue cose, consegnerai le tue dimissioni spontanee domani mattina-

-No, la prego!-

-Sono stata fin troppo generosa con te, te lo assicuro-

-Mi ha parlato di una certa Jeannie- le rivelò Harleen angosciata, e la Waller si fermò sulla porta -Sembrava affranto, ho notato per la prima volta un’emozione reale in lui-

-Hai detto Jeannie?-

-Lei sa chi è?-

La Waller la guardò negli occhi prima di risponderle, come a volerla soppesare e intimidire a un tempo.

-Il nome Jack Napier le dice qualcosa, dottoressa?-

Harleen tacque, ma il battito forte del suo cuore parlava per lei, tanto che sentii il bisogno di sedersi.

-No. Come immaginavo- continuò la donna più anziana, tornando indietro a versarsi dello scotch -Brevemente, Jeannie Napier era la moglie di questo Jack Napier. Formavano una coppietta felice, di quelle che si incontrano al college e che si sposano subito dopo, sa, le solite cose… Solo che un bel giorno accadde la tragedia. Jeannie perse la vita a causa di un impensabile incidente domestico, un episodio tragico e comico al tempo stesso- la Waller si fermò, Harleen aveva un’espressione sofferente, come se la disgrazia l’avesse riguardata personalmente -Costei- riprese, guardandola dal basso -Rimase folgorata dall’esplosione di uno scalda biberon mentre stava aspettando il suo primo figlio, durante il settimo mese di gravidanza-

-È uno scherzo?- le chiese la ragazza con un filo di voce, scioccata.

-No-

-E dopo cos’è successo a Jack?-

-È ciò che tutto il mondo vorrebbe sapere, dottoressa- le rispose la Waller, calma -Jack Napier, o altrimenti conosciuto come ‘il Joker’, è diventato qualcosa che nessuno di noi sa spiegarsi. Non è né umano né Meta-umano, perché possiede abilità fisiche e intellettuali largamente superiori a quelle di un uomo, ma allo stesso tempo non ha alcun gene mutante nel suo DNA. Come è possibile, secondo lei?-

Harleen abbassò lo sguardo e istintivamente si portò una ciocca dietro all’orecchio. Lei sapeva come rispondere, lui era il Joker, il suo splendido e meraviglioso Joker, e tanto bastava per giustificare quanto fosse straordinario.

-Non lo so- rispose semplicemente, cercando di mantenersi impassibile.

-Ecco, facciamo un patto. Io ti consento di averlo in cura per un altro paio di settimane a costo che tu mi dica qual è il suo segreto e la sua natura. Che ne dici?-

Harleen non ci dovette pensare neanche un momento.

-Ci sto- disse solo, stringendole la mano.

Avrebbe fatto tutto pur di rivederlo, perfino mentire a una delle figure più potenti degli Stati Uniti d’America.

 

 

_________________

 

 

-Mai cominciare dalla testa, Harley, se no la vittima rimane confusa. La comicità sta anche nei tempi, dov’è il divertimento se la fai fuori subito?-

Seduta di fronte al suo paziente con sguardo sognante, la dottoressa Quinzel sentiva di aver trovato la sua dimensione.

-Pensavo ti saresti arrabbiato per la morte di Irina- gli disse, cercando di guardarlo più dolcemente possibile.

-Nah, non mi sono arrabbiato, mi sono solo rovinosamente eccitato. Il che è ugualmente pericoloso, soprattutto quando ho la camicia di forza… Fa un male… Mi presti una mano?-

La ragazza arrossì e fece una risata argentina -Mr. J, preferisco tenermi le mani attaccate ai polsi, se non ti spiace-

-Zuccherino…-

-Cominciamo? Questa recente perdita che tipo sentimenti ha destato in te?-

-Nessun sentimento. Solo una pazzesca voglia di vodka e di portarti a letto-

La ragazza annuì e fece finta di scrivere, teatrino inscenato per la telecamera. Le mancava il respiro, la testa era pesante e il calore tra le gambe sempre più umido e scomodo.

-E che cosa ne pensa a riguardo, signor Joker?-

-Penso che tra poco mi toglierò questa camicia di forza e ti aprirò in due come un limone- rise della sua stessa battuta.

-Interessante, ma non credo che ne sia capace- 

-Metti alla prova il Joker, signorina?- le domandò, cambiando pericolosamente tono. In quel momento Harleen non sapeva se stesse scherzando o meno.

-No- gli rispose subito.

-Ahi, ahi, ahi, conosco quello sguardo…- ridacchiò, arricciando il naso - Hai tanta paura, vero? Ti sto facendo paura?-

-No- mentì la psichiatra, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Non aveva paura, era terrorizzata.

 

 

 

 

 

Note

Scusate, scusate, scusate. Non ho parole per descrivere quanto mi dispiaccia di aver tardato così.

Spero che ci sia ancora qualcuno che legga e che abbia voglia di farmi sapere. Un bacio e a presto (ve lo garantisco).

Ecate

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Capitolo 7
*** Heathens. ***


 

H e a t h e n s.






 

Un’altra cosa che c’è da sapere su Gotham City, è che tutti gli eroi e i meta-umani sono ben inseriti e immischiati tra la gente comune...Tutti, tranne Bruce Wayne.

Costui vive in una villa plurimiliardaria e fa di tutto per restare isolato dal mondo. Scorbutico e leggermente asociale, odia la gente ma passa la vita a salvarla, odia Joker ma è stato colui con cui si è più assiduamente frequentato negli ultimi dieci anni. Se non fossero nemici giurati, si potrebbe dire che ormai si conoscono come due fratelli. C’è chi insinua perfino che si siano più volte risparmiati a vicenda per non porre fine alle loro continue scorribande notturne… Ma naturalmente sono solo voci, Gotham è piena di voci.

Certo è che le uniche e sporadiche visite che riceve Bruce sono -fatta eccezione per quelle femminili- da una parte l’abile detective James Gordon, suo alleato storico contro la criminalità di Gotham, e dall’altra la famigerata Amanda Waller, che insieme al primo conosce la sua vera identità.

Inutile dire che il supereroe fatica a sopportarli entrambi, ma dopotutto vederlo sorridere è raro quanto vedere Joker non farlo...



-Le ha parlato di Jeannie, hai una vaga idea di che cosa significhi?-

-Non mi interessa, devi assolutamente mandarla via. È troppo coinvolta e non mi convince-

Amanda Waller alzò le spalle e, come al solito, si versò da bere. Si era auto invitata nella villa del cavaliere oscuro per discutere con lui della novità più succulente e inattesa del momento: Harleen Quinzel.

-Se dovessi mandare via tutti quelli che non mi convincono, probabilmente rimarrei solo io in quest’isola-

-È troppo vicina a Joker- insistette Batman, dando un colpo indignato sul tavolo -Potrebbe crearci grossi problemi-

-Che tipo di problemi, scusa?- gli chiese, guardandolo con le sopracciglia alzate -È adulta e vaccinata, se desidera farsi ammazzare sono affari suoi-

-Ho un pessimo presentimento-

-Finiscila di annoiarmi con le tue paranoie, Bruce. La ragazza mi serve- esclamò, con tono che non ammetteva repliche -È l’unico modo che ho per scoprire che cos’è Joker e sai come funziona quando io voglio una cosa, no?-

-Hai ancora la mania di diventare una meta-umana, non è vero?- le domandò Batman, con voce piatta -Vuoi scoprire cos’è Joker per diventare come lui?- 

La Waller si limitò a sorridere.

-Amanda, questa cosa deve finire, io non posso permetterlo-

-Sai cosa deve finire? La tua mania di ficcare il naso nelle faccende che non ti riguardano- gli rispose, compassata -Io non voglio diventare come lui, voglio diventare meglio di lui, e sapere da dove cominciare sarebbe già un buon inizio-

-Stai sprecando il tuo tempo. Ti si ritorcerà tutto contro-

-Vedremo chi dei due avrà ragione- gli disse diplomatica, poi guardò l’ora -Toh, si è fatto tardi per te. La gente in pericolo aspetta di essere salvata-

-C’è Superman in città, ci penserà lui-

“Io ho un’altra faccenda da sbrigare…”



____________________________



Casa di Harleen, ore 20:00


 

-Buonasera, signorina! Ho ordinato cinese, vuoi favorire?-

Per la seconda volta, Harleen si ritrovò alla porta il tizio di nome Bruce che si era appena trasferito nel suo condomino. Pareva gentile ed era pure un bell’uomo, ma alla psichiatra non piaceva… A pelle.

Costei perciò si schiarì la voce e si inventò una scusa, abituata com'era a rifiutare gli uomini non le risultava troppo difficile.
 -Sei molto gentile, ma stasera devo lavorare, mi dispiace-

-Lavorare? Al venerdì sera?- ripeté l’altro, fingendosi scandalizzato -Dai, è contro la legge-

-Se fosse così, avrebbero dovuto rinchiudermi molto tempo fa…-

-Perché, che lavoro fai se posso chiedere?-

-Pensavo lo sapessi- gli rispose Harleen, assottigliando gli occhi -La prima volta che ci siamo visti ti sei rivolto a me chiamandomi dottoressa-

-L’ho letto sul campanello- si affrettò a rispondere Bruce/Batman, sorpreso dalla sua sagacia.

-Ah…-

-Quindi, dottoressa in cosa?- le domandò, facendole un bel sorriso

-Psichiatria- gli rispose con una punta di orgoglio, ma la fretta di terminare la conversazione c’era sempre e si notava.

-Psichiatria? Però! Quindi hai a che fare con persone disturbate, immagino? Tipo matti, dementi, criminali…-

Le labbra di Harleen sorrisero al pensiero di Joker: finalmente domani l’avrebbe rivisto dopo quasi otto giorni di lontananza.

 -Più o meno, sì- gli disse sbrigativa, continuando a stare tra il muro e la porta -Ora, scusami ma devo proprio andare, il dovere mi chiama-

-Ma hai già una tua clinica privata? No, perché mi sembri molto giovane, complimenti-

-Grazie, ma no, non ancora. Lavoro nell’Arkham Asylum-

-Nell’Arkham Asylum?- le rispose, con tono d’ammirazione -Dov’è rinchiuso Joker!?-

Questa volta il sorriso di Harleen fu evidente -Proprio così-

-Accidenti, e non hai paura?-

-Beh, i nostri sistemi di sicurezza sono all’avanguardia però… Sì, a dirla tutta- esclamò lei, con un sorriso impacciato -Ma qualche volta bisogna anche rischiare-

-Dipende sempre da cosa che c’è in ballo. Io col Joker non rischierei a prescindere-

-Forse perché tu hai qualcosa da perdere-

Batman ne rimase colpito e la guardò intensamente negli occhi -E tu no? Pensi di non avere niente da perdere, Harleen?-

-Se anche fosse, non sarebbero comunque affari tuoi. Ora scusa ma devo andare sul serio-

-Aspetta un momento…- infilò un piede tra la porta e il muro -Come può non avere niente da perdere una ragazza bella e intelligente come te?-

Harleen si sentì arrossire.

-Grazie ma… Ecco, io sono fidanzata- mentì, molto imbarazzata -Perciò puoi anche smetterla di provarci perché amo molto il mio ragazzo e… Potrebbe arrivare da un momento all’altro…-

-Non sapevo che avessi un ragazzo- soggiunse, guardandola in modo penetrante.

“Certo che ce l’ho: Il mio ragazzo immaginario chiuso in manicomio”

-Ora lo sai-

-E lui sa dei rischi che corri ogni santo giorno là dentro? Sa di cosa è capace il Joker?-

-Perché vuoi spaventarmi a ogni costo?-

-Perché mi sembri troppo poco spaventata- le disse sinceramente -Io purtroppo l’ho conosciuto, sono uno di quei miracolati che Batman ha salvato-

La maschera dura di Harleen cedette. Costei per un attimo spalancò gli occhi, e spinta dall’interesse aprì di più la porta.

-Davvero?-

-Sì, l’ho visto all’opera e ti assicuro che c’è una differenza abissale tra vedere gli orrori con i propri occhi e leggerli nei libri- le rispose con serietà -E la cosa più brutta, è che lui si diverte a cercare i parenti delle sue vittime. Non è mai pago del male che arreca-

-Cosa?- gli rispose Harleen, angosciata -Questo non l’ho mai letto nei suoi fascicoli-

-Molte cose vengono censurate. Ma di cosa ti stupisci, scusa? Joker è il peggiore criminale mai esistito. Si vede che non sai di chi stai parlando-

Harleen abbassò lo sguardo, senza la forza di ribattere. Bruce accennò un sorriso.

-Che cosa ti ha fatto?- gli domandò, corrucciata.

-A me niente. Però ha ammazzato un bambino davanti ai miei occhi e agli occhi della madre per il solo gusto di farlo. È stato terribile-

-Un bambino? Ma non ci sono…-

-Non ci sono bambini nei suoi fascicoli?- l’anticipò lui -È un’altra bugia. Lo so perché lavoro per il commissario James Gordon, in centrale. Le sue vittime predilette sono le donne e i bambini, è un vero bastardo- detto questo, Batman/Bruce abbassò lo sguardo e scosse la testa con aria funerea, per accrescere la tensione emotiva della situazione. Dopodiché le sorrise, dicendo -Ma sei sicura di non volere un po' di involtini? Ne ho presi per quattro persone-

-Magari un paio, grazie- gli rispose Harleen con voce tremula, aprendogli la porta -Ma cos’altro sai su Joker, per curiosità?-

-Vediamo, da dove cominciare…-

 

 

 

 

Dopo quella funesta serata, Harleen passò una notte da incubo, scandita tra l’angoscia e la disperazione. L’angoscia per il timore che Joker facesse del male a lei e ai suoi cari, la disperazione all’idea di doverlo lasciare e di porre fine a quei momenti di complicità unica che le avevano fatto tornare la voglia di vivere. 

Ma appena cercava di calmarsi e di chiudere gli occhi, nella sua testa si palesavano delle immagini terribili. Rivedeva il volto sfigurato di Irina e veniva assalita dai rimorsi e dai sensi di colpa per averla uccisa, vedeva un bambino frutto della sua immaginazione morire atrocemente per mano di Joker, e poi la sua famiglia, i suoi genitori, sua sorella… Tutti morti… Per un momento, fu quasi sul punto di andare dalla polizia a costituirsi, ma poi cambiò idea: la disperazione ebbe la meglio.

La verità era che Harleen non si era mai innamorata prima, non aveva mai nemmeno sfiorato l’intensità del sentimento che stava provando per Joker, e per quanto incredibile potesse sembrare, non si era mai sentita così felice come quando stava insieme a lui. 

Rinunciare alla felicità per vivere una vita lunga ma vuota non ne valeva la pena, ma per proteggere le persone che amava, sì, ne valeva eccome. Ammesso e non concesso che non fossero già condannati. Joker l’avrebbe cercata sicuramente per vendicarsi… La vendetta era il movente più frequente dei suoi crimini.

Si nascose meglio sotto la coperta, come se questa fosse un baluardo capace di proteggerla. Che cosa diavolo aveva fatto? Era forse impazzita? Cosa pensava di ottenere con un comportamento del genere, l’amore di un criminale assassino? E perché quando era a casa da sola ragionava, e quando stava con lui smetteva di farlo all’improvviso?

Queste erano solo alcune delle domande che avevano tormentato Harleen in quella notte infinita.

Domani, promise a se stessa, avrebbe chiuso con Joker.

 

 

 

 

 

Arkham Asylum, mattina seguente

 

 

 

Appena vide la sua dottoressa entrare, Joker fece un bel fischio d’apprezzamento.          

-Avete visto che schianto!?- esclamò vivacemente alle guardie, mentre lei gli si sedeva di fronte -Di questo passo, più che una psichiatra mi servirà un cardiologo!-

Harleen arrossì, ma cercò faticosamente di rimanere seria. Il suo aspetto era effettivamente migliorato, ma lei non se ne rendeva neanche conto. Dalla fretta aveva lasciato i capelli sciolti e non aveva messo il camice bianco, cosa che rendeva il suo look meno ingessato e molto più attraente.

-Buongiorno, Joker- 

-Sei una visione celestiale, zuccherino- continuò lui, sporgendosi sul tavolo -Come faccio a concentrarmi se ti presenti così?-

Ma lei non lo guardò nemmeno, prese le analisi e iniziò a esaminarle con fare professionale. Le mani le sudavano e le tremavano insieme.

-Ti ho pensato per tutta la notte, lo sai?-

-Grazie- gli disse solo.

-Grazie? Cosa vuol dire ‘grazie’?- le fece il verso -Non mi fai neanche un sorriso?-

-Sì, beh… Oggi la nostra seduta durerà meno, purtroppo ho impegno improrogabile e…-

-Comecomecome?- esclamò Joker, con un’espressione incredula -Aspetta, che sta succedendo? Sono in uno di quegli scherzi che fanno in TV? Spero di no, perché con i miei capelli verdi e questo completo arancione mi sento più simile a una carota che a un super criminale, non vorrei sfigurare-

Harleen dovette fare appello a tutte le sue forze per non scoppiare a ridere. Come era difficile mantenersi fredda con lui… Joker se ne accorse e rise al posto suo.

-Non siamo in TV- cercò di spiegargli, senza guardarlo ridere -Avevo preso un impegno da prima-

-Un impegno, certo. E tu rimandi il Joker per un impegno? C’è qualcosa di più importante di me in questa città?-

-No, è che…-

-NO! BRAVA!- sbottò, improvvisamente adirato -Ma ci mancherebbe, fisserò un appuntamento. Prendi pure l’agenda… Dove mi metti? Tra la parrucchiera e il compleanno della nonna?-

Harleen ridacchiò, ma lo fece tristemente. Sentiva un grosso squarcio nel petto, c’era dentro di lei una matassa di paura, angoscia e tristezza le annodava le viscere e le troncava il respiro. Doveva allontanarlo, lui era un mostro, un assassino della peggior specie, poco importava se le piaceva o la faceva ridere… Ma la sola idea di farlo le procurava dolore.

-Cosa c’è che non va, mio piccolo cuoricino?- le disse il clown, che aveva colto il suo cruccio.

-Niente…- gli disse, al limite delle lacrime

-Oh, suvvia, dottoressa Quinzel! Ascolta, a me puoi dire tutto, sono tuo amico, sì? Siamo amici, vero?-

-È che ho conosciuto una persona che… - ma si bloccò, stringendo spasmodicamente i pugni. Stava sbagliando di nuovo e lo sapeva.

-Sì?- la incalzò lui, con gli occhi ridotti a due fessure -Una persona, chi? Di chi e di cosa stiamo parlando?-

-Questa persona mi ha aperto gli occhi e… Mi sono pentita di tutto questo, e ora è finita- buttò fuori, con la stessa velocità con cui si era innamorata -Io non ci sto più-

Joker rimase per un attimo immobile, fermo a fissarla con la bocca aperta. Si guardarono entrambi, e davvero non si capiva chi dei due fosse il più stupito o dispiaciuto.

-È finita cosa, di preciso?- le disse tra i denti, guardandola in modo minaccioso -Piccola, non farmi arrabbiare anche tu, almeno tu in questo mondo depresso continua a essere motivo di gioia per me, te ne prego… Chi hai conosciuto? Dillo a paparino…-

Batman e un tizio e gli assomiglia.

-Non lo conosci-

Joker rise di gusto, la sua risata spezzata e inquietante -Io conosco tutti, sono il re di quest’isola… Dimmi chi è, così gli mando i ringraziamenti a casa-

-Non è divertente-

-Sì che lo è- la corresse -Tu ora non sei molto divertente, ma sono sicuro che, se collabori, risolveremo anche questo piccolo inconveniente. Dimmi chi ti ha detto cosa-

-Batman- gli rivelò Harleen, per salvaguardare colui che riteneva solo un povero condomino -Mi ha detto alcune cose di te che mi hanno sconvolto, sui bambini e le donne… I miei parenti-

A sentire il nome del suo nemico giurato, Joker per un attimo spalancò gli occhi e poi li richiuse subito, facendo un bel sospiro col naso.

-Ma certo, che banale ovvietà- sussurrò stancamente -Batsy è invidioso perché io ho la ragazza e lui no. Molto bene, davvero, molto bene. Il suo affetto nei miei confronti non si smentisce, è commovente. Manderò le felicitazioni a lui nella sua villa rubata… Perché lui non è così ricco, lo sai? È tutta apparenza la sua, pure i suoi muscoli sono di plastica, nel caso non te ne fossi accorta. Ma non divaghiamo… Cosa avrebbe detto Batsy alla mia ragazza?-

-Non sono la tua ragazza…-

-Oh, sì che lo sei. Sei troppo bella per non essere la mia ragazza. E per la cronaca, il reggiseno nuovo ti sta d’incanto e scommetto che la stessa cosa vale per le mutandine. Se sapessi quante… No, forse è meglio che non lo sai- ridacchiò, facendole l’occhiolino -Ma sai cosa? Mi hai reso più piacevole la permanenza qui dentro, e per questo motivo non mi arrabbierò con te, ma solo con lui. Va bene, pasticcino? Ora raccontami le storie del terrore che ti ha detto su di me, sono sempre molto avvincenti… La storia dei 101 cagnolini dalmata c’è? O ha puntato tutto sull’orfanello con la stampella?-

Harleen si sentì arrossire, maledicendosi per la fatica che faceva a rimanere seria -Mi ha detto che hai ucciso quattordici psichiatri-

Joker rise, ciondolando col capo -Ah, questo è vero! Il mio obbiettivo è arrivare a cinquanta prima dei cinquant’anni… Dici che è fattibile?-

-Ucciderai anche a me?- gli chiese, trovando il coraggio di alzare lo sguardo e guardarlo in faccia. Lui le fece subito un bel sorriso.

-Tanto puoi anche dirmelo- continuò lei -Non so difendermi, non potrò certo opporre resistenza, ma ti scongiuro, ti supplico, non far del male alla mia famiglia, perchè loro non c’entrano niente-

-Che tristezza… Baby, perché dici queste cose?-

-Perché li hai uccisi tutti, J!-

-Ma loro non erano dottori bellissime…- 

-Tu mi terrorizzi- gli disse sinceramente, senza più riuscire a trattenere le lacrime -Io sono spaventata a morte da te, ma l’idea di… Oddio, non ce la faccio- 

Joker la stava fissando, con un mezzo sorriso sulle labbra. Normalmente, l’idea di terrorizzare qualcuno l’avrebbe divertito, ma questa volta, questa unica volta, c’era qualcosa che non andava, qualcosa che minava in radice il lato comico della situazione.

-Harleen, rispondi a questa domanda- la chiamò appositamente con il suo nome di battesimo, sporgendosi verso di lei -Dà più soddisfazione pestare un foglia secca che fra crak! o un fiorellino appena sbocciato?-

-Non è questo il punto…-

-Rispondi alla domanda! È meglio calpestare una croccante distesa di foglie secche o l’unico fiore della città?-

-Le foglie secche, ma…-

-Brava- la interruppe, inchiodandola con lo sguardo -Ed ha più senso dar fuoco a una vecchia carretta o a una Ferrari extra lusso?-

-Mr. J…- lo chiamò, sorridendo tra le lacrime

-Parlaparlaparlaparla!-

-Una vecchia carretta?-

-Vedi? Ti sei risposta da sola. Io la Ferrari me la tengo, e ci faccio anche un bel giro- le disse col suo solito, enorme sorriso argentato -Batsy fa il suo lavoro, ossia sabotarmi la vita e rompermi le palle, ma tu non devi credere a quello che dice lui, tu devi credere a quello che dico io. Io sono tuo amico, sono io che ti porterò a Parigi, non lui-

Harleen si asciugò le lacrime con la manica e si tolse gli occhiali, il cuore le batteva forte, anzi fortissimo, e sentiva come sempre lo sguardo penetrante di lui addosso. Non credeva a quello che diceva, ma era così bello sentirsi rassicurare da lui che il suo cuore palpitava di gioia ogni volta. 

-Sei bellissima- le disse, con tono convincente.

-Non lo pensi sul serio-

-Infatti, sei bellissimissima-

La ragazza ridacchiò ma scosse la testa.

-Har-lee-een…- canticchiò giocosamente, proteso al massimo verso di lei -Lo sai che la mia capacità di fare male è direttamente proporzionale a quella che ho di fare godere?- continuò in un sussurro -Mi piaci un bel po', e ti assicuro che sarai felice con me, ti darò tutto quello che vorrai e anche di più-

-Prometti che non farai del male alla mia famiglia?-

Joker alzò gli occhi al cielo, ma lo fece sorridendo -Voi buoni e la vostra fissazione con la famiglia non la capirò mai. Lo prometto, Pumpkin Pie, non torcerò un capello a nessuno dei tuoi consanguinei. Va bene così?-

Harleen trovò la forza di sorridere -Se mantieni la promessa, sì-

-Io sono un signore, mantengo sempre la parola data. E tu, invece, prometti che verrai a letto con me quando uscirò da qui?-

-Non lo so…- rispose evasiva, disegnando un paio di cuori sulla carta del taccuino.

-Oh, questo però è ingiusto. È peggio di una pugnalata, perché non lo sai?-

-Perché sono letteralmente terrorizzata da te- 

-E io sono letteralmente eccitato da te, lo troviamo un compromesso?-

La psichiatra gli sorrise e ci pensò su, stentava ancora a credere di piacergli, ma in fondo tutto ciò che le stava succedendo non sembrava reale, sembrava solo uno scherzo. Tanto valeva stare al gioco.

 -Niente coltelli, né armi, né torture, né fuoco, né pistole- gli elencò con le dita, come se stessero parlando di fare la spesa -E nessun oggetto contundente-

-Andata. Liberami che ti stringo la mano-

-Aspetta, Mr. J, non ho ancora finito- gli disse sorridendo -Non ci deve essere nessun altro oltre a noi. Nessuna puttana o guardoni o cose del genere. Solo io e te-

Per sempre.

-Nessun problema, bellezza. Altro?-

Eccome se c’era altro, Harleen aveva come minimo altre tremila condizioni da appuntargli, ma scosse la testa.

-Direi di no-

-Fantastico… Quindi? Promesso? Giurin giuretto?-

-No!- scherzò, e lui simulò uno svenimento: si accasciò sul tavolo come un peso morto, chiudendo gli occhi segnati.

-Addirittura?- ridacchiò Harleen, allungando una mano verso di lui -Mr J? Guarda che non mi lascio intenerire…-

Col pollice gli sfiorò la scritta “damaged” sulla fronte e poi passò ai suoi capelli, dapprima con cautela e poi con più sicurezza. Glieli pettinò con le dita, saggiando con piacere la loro consistenza liscia e fina. Lui intanto continuava a tenere gli occhi chiusi.

“Ma come può essere così cattivo?”  pensò, accarezzandogli dolcemente la nuca “È così… Tenero”

-Mr J?- lo chiamò dolcemente, ma il clown non rispose né si mosse di un millimetro. 

-Mr, J, dai, tirati su- esclamò -Lo so che stai fingendo-

Ancora nessuna risposta, Harleen ne approfittò per sfiorarlo ancora.

-Non mi riconosco più- gli disse a voce bassa, lambendogli la guancia glabra -Sto facendo cose che non farei mai, che esulano completamente da quello che sono sempre stata… E mi contraddico, penso in un modo e agisco in un altro. Cosa mi sta succedendo, secondo te? Sto diventando matta?-

Ancora nessuna risposta. Harleen avvicinò per caso una mano al suo naso, ma si accorse con sorpresa che lui non stava respirando.

-Mr J!?- lo chiamò, in allerta -Mr J, se è uno scherzo non è divertente-

Ma lui era pallido, immobile come una statua di cera. 

-Joker? -

-Oddio- si alzò in piedi, in preda al panico -Oddio, ma non respira. Non… Oddio!-

Si inginocchiò di fronte a lui e in preda panico lo slegò dalla sedia a cui era legato, ma come se lo girò di fronte, lui aprì gli occhi e le balzò addosso con un’irruenza tale da ribaltarla. 

Caddero uno sopra l’altro, lui sopra e lei schiacciata sotto il suo peso. 

 

La telecamera, adesso, stava riprendendo due sedie vuote.

 

 

 

 

 

 

 

 
Note
Ciao a tutti ragazzi! :) 
Eccomi qui, incredibilmente puntuale. Verrà a nevicare… 
Allora, saranno vere le cose ‘brutte’ che Batman ha detto su Joker? No, perché non è detto… Mi rendo conto che qui l’inversione dei ruoli si vede anche da questo punto di vista: i buoni diventano i villain e i cattivi diventano gli eroi, ma in fondo è questo il bello delle FF, no? Cambiare punto di vista :)
Mi sono poi documentata sull’universo DC, sui personaggi (vedi il commissario James Gordon, che tra poco farà la sua comparsa) e sul rapporto che hanno fra loro. Ad es. il carattere di Batman/Bruce Wayne è, da quello che ho capito, veramente brutto, del tipo che mal sopporta Superman e che preferisce starsene da solo piuttosto che con qualcuno… Vi risulta?
Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto e che in generale vi stia piacendo l’andamento della storia. Ho notato che ci sono state meno recensioni, e se il motivo è -giustamente- dato dal fatto che sono sparita dalla faccia della terra per tre mesi, vi do solo ragione. Se invece è perché il capitolo non vi è piaciuto, mi dispiace! :(
Comunque tra poco ci saranno succulenti novità, un bacio e grazie a chi legge ^^

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Capitolo 8
*** Heathens, parte seconda. ***


 

H e a t h e n s,  parte seconda.



 

 

Arkham Asylum, sala di controllo per la video sorveglianza.

 

 

L’Elisabeth Arkham Asylum per i pazzi criminali è una vasta struttura posta su un acro di terra poco a nord di Gotham City, nel distretto del Sommerset, isolata da tutto e da tutti. Al contrario della maggior parte delle istituzioni moderne, che di solito sono sobrie costruzioni in acciaio e cemento, l’Arkham Asylum è un ex-castello dal carattere gotico e spettrale, che si compone di tre edifici collegati: uno è dedicato al trattamento intensivo, in cui sono rinchiusi alcuni fra i criminali più pericolosi del pianeta, uno ai pazienti socialmente pericolosi e un altro, più piccolo, ai malati di mente privi di una famiglia disposta ad accudirli.

Per quanto riguarda la sua struttura interna, nell’ampio piano sotterraneo ci sono i parcheggi riservati al personale, le cucine e i sofisticati impianti di sicurezza, con le rispettive sale di controllo a distanza e i pannelli dell’elettricità.
Tutti pensano che quello sia il piano più basso, le fondamenta terrene dell’Arkham, ma così non è. C’è un ulteriore piano sotterraneo, che nessuno conosce e che nei tempi passati formava le segrete e le prigioni del castello. Questo piano, sconosciuto al pubblico scandalo, è frequentato solo da pochi e costituisce una e vera e propria sala degli orrori, in cui i pazienti sono sottoposti all’elettroshock e vengono usati per esperimenti violenti, dichiarati illegittimi ormai da un secolo. Inutile dire che Joker era di casa in quelle stanze, come veniva torturato lui non accedeva per nessun altro. 

Ritornando comunque in superficie, al piano terra si trova l’austero androne di accoglienza e infine negli ultimi due ci sono rispettivamente gli uffici del personale medico, gli ambulatori e i dormitori dei reclusi.

Malgrado la sua grandezza, però, il personale interno scarseggia, soprattutto quello medico. Le guardie armate invece sono tante, anche troppe in verità, molte delle quali sono lì al solo scopo di guadagnare qualcosa in attesa di trovare un lavoro migliore. “Tanto c’è Batman” era il loro motto ispiratore.

Nelle grandi sale per la videosorveglianza, invece, in cui sono ripresi a distanza quasi tutte le stanze e le prigioni dell’edificio, da un po’ di tempo alleggiava una certa gaiezza.

-Ragazzi, correte, è arrivata la biondina!- esclamò con voce euforica Morris, il poliziotto sovrappeso con la fedele lattina di Coca Cola di fianco.

Oramai, le sedute tra il super criminale Joker e la bella dottoressa Quinzel erano diventate un cinema. Perfino gli inservienti si fermavano davanti agli schermi, quando potevano.

-Guardate quanto è bella senza il camice…-

-Zitto, fammi sentire!- lo rimproverò subito una cleaning lady, colpendolo con lo straccio.

-Ma cosa vuoi sentire, befana! Non c’è l’audio!-

-Si sono baciati!?- chiese un’altra ficcanaso, sull’uscio della porta.

-Non ancora, Ina… Se succede ti chiamo!-

-Certo che la pupa bionda è proprio sexy- sentenziò Morris -Ci credo che Joker ci prova-

-Nah, secondo me ha in mente qualcosa- obiettò un ragazzotto dall’aspetto nerd, concentrato davanti allo schermo -Quello è furbo, non fa nulla senza uno scopo…-

-No, ascolta chi ne sa più di te… Anche io mi farei rinchiudere da una così-

-Aspetta, ma lei sta piangendo?- osservò la cleaning lady

-È vero, diamine! Sta piangendo! ROB! Joker ha fatto piangere la psichiatra, corri!-

-Vuoi scherzare?- esclamò un'altra guardia, avvicinandosi agli schermi -Miss cubetto di ghiaccio che piange?-

Dopo poco, videro Joker crollare sul tavolo. Un coro di ohh! accompagnò la scena.

-Che gli è successo?-

-Sta fingendo!?-

-È svenuto!? Ma cosa fa lei? Lo accarezza?-

-ROB! La psichiatra lo sta accarezzando come un gattino! Non sai cosa ti stai perdendo!- gridò Morris, divertito -Mmmh, accarezza anche i miei capelli, dottoressa sexy…- 

Quando giunse Rob, il capo sala, dallo schermo in bianco nero si poteva vedere Harleen che si era alzata velocemente e si era piegata in ginocchia di fronte a Joker. E poi accadde il tutto nel giro di cinque secondi: Joker che si getta pesantemente sopra di lei, lei che cade a terra con lui e fuoriesce inevitabilmente dall'inquadratura. Nella sala si levarono varie grida di vario genere e natura.

-La telecamera, idiota! Metti a posto la telecamera!!- gridarono in quattro, esagitati.

-Ci sto provando!- esclamò Morris in estrema difficoltà, cercando di spostare il cursore per riprenderli. Ma la telecamera girava come impazzita sia a destra che a sinistra, ma non accennava ad abbassarsi sul pavimento. 

-Muoviti, cazzo!-

-Non va giù!!-

Morris in preda al panico, alle imprecazioni e agli insulti rabbiosi dei colleghi continuava a far girare a destra e sinistra collo della telecamera in modo veloce, troppo veloce, tanto che alla fine questa si surriscaldò e lo schermo si spense all’improvviso. Come ciò accadde, il telefono di servizio squillò.

-Merda, la Waller-

 

___________________________

 

 

 

Il Robinson Park è il cuore verde dell’umida e grigiastra isola di Gotham e, se non fosse la dimora segreta di Poison Ivy, lo si potrebbe ritenere perfino un luogo sicuro. Si estende per circa trecento ettari ed è attraversato dal Finger River, un fiumiciattolo sporco e melmoso, con più topi che pesci al suo interno. Ma d’altronde non c’è da stupirsi, perfino il mare ha assunto il colore degli edifici, tanto sono ingenti le emissioni atmosferiche e i traffici via nave. 

In questo giardino dalla flora ricca e variegata è presente anche un parco giochi per bambini, l’unico della città, nel quale genitori, figli e forze dell’ordine si riuniscono per passare un po’ di tempo di qualità insieme. La presenza dei poliziotti non deve stupire, a Gotham city costituisce una costante imprescindibile, specialmente dove ci sono bambini o altri soggetti indifesi. Naturalmente offre una garanzia piuttosto limitata, per non dire nulla contro certi tipi di delinquenti… Ha il solo scopo di rassicurare la gente e indurla ad uscire, e in questo funziona.

Nel caso di Harleen Quinzel, però, gli sbirri furono solo un motivo in più per restarsene a casa e non andare. Da quando aveva ucciso Irina si sentiva severamente a disagio in loro presenza, e l’unica fonte di conforto e sicurezza che trovava risiedeva proprio in lui. 

Joker le aveva tirato proprio un bello scherzo. Stamattina era partita con l’idea di lasciarlo e chiedere in cura un altro paziente, mentre adesso era seduta al parco a fare esattamente ciò che lui le aveva chiesto di fare.

 

 

Adagiato sopra il suo corpo con le braccia legate ma le gambe libere, Joker le aveva infatti sussurrato all’orecchio una frase che solo lei aveva potuto sentire.

-Stasera alle 18:30 un tizio ti consegnerà una borsa, tu prendila e lasciala in macchina. Fai no se hai capito-

A stento Harleen riuscì a scuotere la testa, era come pietrificata. Sentiva i capelli verdi di lui che le solleticavano la fronte e il suo respiro caldo sul viso. 

-Non dirlo a nessuno, dottoressina- continuò a dirle, fissandola con i suoi occhi chiari e spalancati  -Per far uscire il tuo Mr. J devi essere molto cauta, okay?-

-Okay, s-sì- gli rispose prontamente -Ho capito-

-Sì, sì, sei brava, lo so- continuò a sussurrarle con tono deliziato, sorridendole a un centimetro di distanza  -Sei il mio zuccherino intelligente, paparino si fida tanto di te. Non lo deluderai, vero?-

La ragazza scosse subito la testa, abbacinata da lui, dalla sua vicinanza e dal suo bacino eccitato che le premeva sulle gambe.

-Allora stasera alle 18:30 vai al parco giochi e indossa il camice bianco, così i miei bambini capiranno subito chi sei e ti daranno la borsa. E mi raccomando, cherì, trattala bene perché quello che c’è dentro mi è costato parecchi bigliettoni-

-Sì, certo- riuscì a rispondergli, tra un sospiro e l’altro. Non le importava chiedergli cosa contenesse o perché, vicino a lui non le importava più di niente. 

-Quanto ti adoro! Sei così buona, anche da mangiare, scommetto…-

-Dottoressa!?- gridò una voce da fuori, e qualcuno bussò forte alla porta blindata -Ha altri dieci minuti, va bene?-

-No!- gridò lei in risposta, mentre il clown le stava succhiando il collo -Alla fine prendo tu-tutta l’ora… grazie-

Harleen aprì i gomiti e cessò di auto proteggersi, facendolo aderire meglio al suo petto per farsi baciare con più trasporto. 

-Ma si sente bene? Ha sempre il telecomando d’allarme con sé, vero?-

Sì!- ansimò, stringendo forte il Joker con le braccia e le gambe per tenerlo in equilibrio su di sé -Grazie…-

-Piccola birichina, non si dicono le bugie alle guardie!- le sussurrò lui all’orecchio, ridendo sulla sua pelle -Però è tutto molto eccitante, non trovi?- continuò, dondolandosi su di lei col bacino -Non è eccitante, Harley?- ridacchiò -Qualcuno sta bussando alla tua porticina… Toc toc…-

 

 

 

 

Harleen aprii subito gli occhi e strinse forte le cosce. Si guardò intorno con fare ansioso, vedeva bambini che giocavano, vecchiette che chiacchieravano, poliziotti, cani al guinzaglio… E l’aria fresca e pungente di Gotham per una volta non le risultava fastidiosa… Poi in lontananza scorse un tizio nerboruto con gli occhiali da sole e i capelli tirati indietro. Stava passeggiando per il parco con un bel passeggino bianco dalle ruote alte, nel cui porta pacchi inferiore giaceva un grosso borsone di Louis Vuitton.

 

“Recati al parco giochi e mettiti il camice bianco, così i miei bambini capiranno subito chi sei”

 

Nell’unico parco giochi della città c’era andata, il camice bianco l’aveva ed erano le 18:30 in punto.

E ora?

Con la coda dell’occhio, Harleen vide un secondo soggetto sospetto, seduto a braccia conserte nella panchina opposta alla sua, col viso tutto tatuato e un cocker spaniel al guinzaglio. Guardò a sinistra, appoggiato a un albero ce n’era un terzo, che fumava una sigaretta e pareva guardingo, e vicino a lui un altro ancora, con un pallone da basket sotto braccio e l’espressione tutt’altro che amichevole.

Harleen quindi si girò appena di spalle, tra la gente comune scorse subito un grosso uomo di colore che leggeva tranquillamente il giornale seduto su una panchina. Lo riconobbe, era quello che le aveva dato il girasole la sera che vide la Lamborghini viola parcheggiata nel vialetto del suo appartamento.

Detto in altri termini, Harleen Quinzel era letteralmente circondata dagli uomini del Joker.
Iniziò ad avere paura… Ma non potevano farle del male, si disse. Per quanto fosse incedibile, quei criminali erano dalla sua stessa parte e Mr. J non avrebbe mai permesso che la colpissero, però saperli così vicini era comunque inquietante, come buttarsi in mare pensando agli squali.

La ragazza prese quindi il cellulare e iniziò a fare finta di guardarlo, ma poté percepire chiaramente che l’uomo con la carrozzina si era avvicinato e le era passato davanti e dietro almeno tre volte. Harleen si mise a posto il camice e gli lanciò un paio di sguardi, e alla fine costui si decise e si sedette di fianco a lei.

-La favolosa dottoressa Harleen Quinzel?- chiese l'uomo a bassa voce, continuando a guardare dritto davanti a sé.

La psichiatra sorrise e annuì. 

-Ti ho portato la bambina- continuò lo sconosciuto, accennando uno sguardo verso di lei.

-La borsa?- sussurrò Harleen, con gli occhi fissi sul cellulare.

Lo scagnozzo del Joker annuì -Sì, ma non sballottarla troppo. È tutto molto carico, lì dentro-

Per poco ad Harleen non cadde il cellulare per terra.

-Okay, e ora cosa devo fare?- gli domandò con un filo di voce, tesa come una corda di violino.

-Quello che t’ha detto J- le rispose subito l’uomo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo -Ti ricordi che ti ha detto J, vero?-

“Oddio, che mi ha detto J?” pensò Harleen in preda al panico, tanto che l’uomo al suo fianco si girò a guardarla, preoccupato “Ah, sì!”

-Sì! Mi ha detto di metterla in macchina-

-Ottimo, allora fallo. Fai sempre quello che dice lui e vedrai che nessuno si farà male. Digli che Jonny Frost gli manda i suoi saluti e che ha sistemato tutto- concluse, alzandosi in piedi -Ci si vede per il colpo-

E detto questo si allontanò, lasciando la carrozzina lì con Harleen. Costei deglutì a vuoto, il colpo, ossia l’evasione di Joker dall’Arkham.

Aspettò che il famigerato Jonny Frost (“Jonny Frost!”) e gli altri scagnozzi se ne furono andati prima di alzarsi e andarsene con il passeggino. Una giovane donna con un passeggino non poteva certo dare nell'occhio, e infatti filò tutto liscio. Alcuni poliziotti le sorrisero e accennarono un saluto, poi intravide una coppietta sdraiata sull'erba che si baciava.

 

-E chi è che non voleva venire a letto con me? Ti sto praticamente scopando, lo sai?-

 

Harleen strinse forte i manici della carrozzina, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo. Non doveva pensarci, no, no, no.

Per fortuna stava uscendo dal parco e presto sarebbe arrivata alla macchina, ormai era mezz’ora che stava camminando con quella borsa carica di esplosivo vicino ai piedi, si sentiva leggermente in ansia. Però era strano, all’andata il tragitto non le era parso così lungo e, soprattutto, era sicura di non aver visto tutti quei fiori grandi e colorati che stava guardando adesso.

Sicuramente non potevano essere sbocciati nel corso di un’ora…

“Basta, Harleen, stai esagerando” si disse, imponendosi di stare calma “Si vede che prima non li hai visti, smettila di essere paranoica” ma proprio nel momento in cui lo stava pensando, vide un bellissimo ibisco rosso sbocciare alla velocità della luce proprio davanti ai suoi occhi. “Questo non è normale…”

Harleen si girò di spalle, e quello che vide la lasciò di stucco. La strada che aveva appena tracciato si era trasformata in una sorta di enorme serra, piena di fiori esotici e colorati, edere e farfalle.

E poi un profumo fresco e delizioso impregnò l’aria, lo stesso profumo sublime che aveva sentito nell’Arkham Asylum quegli attimi in cui vide…

-Peccato che tu sia nata umana- esclamò alle sue spalle una voce femminile, morbida e suadente -Saresti stata un bellissimo fiore-

Harleen rabbrividì e si girò di scatto -Chi ha parlato!?- domandò allarmata, guardandosi intorno in quella specie di foresta incantata comparsa dal nulla.

-Un bellissimo girasole con il capolino rivolto verso un sole sbagliato-

-Chi sei?- riprovò Harleen, anche se poteva ben immaginare la risposta. E  per fortuna che incontrare i meta umani era cosa più unica che rara…

-Chi sei tu- continuò la voce -Hai una borsa piena di armi da fuoco e chiedi a me chi sono?-

-Non è vero- mentì Harleen, continuando a guardarsi intorno.

Poison Ivy fece una risata argentina, comparendo alla sua vista. Malgrado la pelle verdognola, era la donna più bella e seducente che Harleen avesse mai visto in vita sua. Alta e con un fisico a clessidra, era vestita di un corpetto di foglie che le copriva a mala pena il seno e valorizzava il rosso dei suoi bellissimi capelli. Trasudava sensualità da tutti i pori, era il ritratto perfetto della femme fatale: bellissima e senza scrupoli.

La psichiatra aveva sentito spesso parlare di lei, le voci che circolavano erano molteplici e talvolta contraddittorie, ma su un punto concordavano tutte: Poison Ivy era crudele.

-Ma se hai ancora l’odore di lui addosso… Che delitto, lo sento perfino da qui- affermò, con un’espressione inorridita -Polvere da sparo, bombe, fuoco, smog… Tutto ciò che serve per distruggere le mie piante-

-Non so di cosa parli- mentì nuovamente Harleen, indietreggiando per la paura. Prese di nascosto il cellulare e se lo portò dietro la schiena.

-Oh, io dico di sì. Stai facendo un grosso errore- le disse, lanciandole a terra la revolver con cui aveva ucciso Irina -Ma d’altronde ci sono passata anch’io, ricordo cosa si prova…Torna da me quando sarà successo-

-Ribadisco che non so di cosa parli- esclamò Harleen, cercando di chiamare il numero di Gaggy-Joker da dietro la schiena -Quando sarà successo cosa?-

-Quando il clown ti avrà strappato il cuore e lo avrà gettato in pasto alle sue iene-

La mano di Harleen si fermò.

-Potrebbe anche non succedere- le rispose, colpita nel vivo.

-Succederà…-

-Tu che ne sai?-

La meta umana rise per la seconda volta e con uno scatto felino balzò sopra un ramo, che al contatto coi suoi piedi si riempì subito di fiori e di muschio.

-Lo conosco bene, fidati- le sorrise maliziosamente -Come so che presto tornerai a cercarmi-

-Presto sarò con lui in un altro continente. Dubito che verrò a cercarti, un Meta umano mi basta e mi avanza-

-Quel coso non è un Meta umano- le rispose la rossa, vagamente offesa.

-E allora cos’è?-

-Un ridicolo pagliaccio con una bella innamorata. Adieu!-

E detto questo, Ivy scomparve. Non nel senso letterale del termine, fece solo un salto acrobatico su un ramo distante, e più si allontanava, più il verde rigoglioso, i fiori e il profumo svanivano con lei. Rimase Harleen, col naso all’insù nell’insulso giardino di Gotham City.

 

 

________________

 

 

“È tutta invidia. Sicuramente hanno avuto una storia e lui l’ha piantata… Piantata?”  Harleen rise da sola “Questa è bella, domani la dirò a Mr. J!”

Arrivò alla macchina e aprì il baule. Come immaginava, nel lettino della carrozzina c’era un bambolotto (a forma di Batman) che gettò senza cura nei sedili posteriori, e poi arrivò il momento di prendere il borsone di lusso. Afferrò entrambi i manici con una mano, ma questo era talmente pesante che non riuscì a sollevarlo.

Piantata. Rise di nuovo. 

Con uno sforzo sovrumano, lo sollevò con entrambe le braccia e altrettanto faticosamente riuscì a metterlo nel baule della sua Chevrolet. Ovviamente, fu colta dalla curiosità di vedere cosa contenesse di preciso e perciò, con estrema delicatezza, aprì la cerniera. Dentro alla borsa c’era tutt’una serie di armi, mitragliatori, pistole, bombe a mano e perfino mazze da baseball.

Harleen serrò subito la borsa, chiuse il baule della macchina e con più indifferenza possibile si recò nel suo appartamento.

Entrò nell’ascensore, ma proprio mentre le porte stavano per chiudersi, un uomo con un papillon fucsia entrò dentro con lei.

-Gaggy!- esclamò Harleen, saltandogli addosso 

-Shhh! Zitta squinternata!- la rimproverò in modo buffo -C’è qualcuno in casa con te? Ho bisogno di parlarti-

-No, nessuno- gli rispose, sollevata alla vista una persona amica -Ma cosa hai fatto? Sei diverso…-

-Ho tolto il naso finto. Sai, questa non è la mia vera faccia, è un calco del volto di Alfred Rogers, il vero Alfred Rogers-

-Davvero? E perché non lo togli?-

-Perché se lo tolgo si spacca. Fatta eccezione per il naso, quello posso toglierlo- le disse, prendendo dalla tasca la perfetta sagoma di un naso umano.

-Wow…- esclamò Harleen, sinceramente meravigliata

-Ma ciancio alle bande. La borsa?-

-Nel mio bagagliaio- 

-Super, tesoro. Jonny mi ha detto che è andato tutto bene- esclamò, ammirandosi per bene nello specchio dell’ascensore -Devo dedurne che per una volta quel cristiano ha detto la verità-

Harleen sorrise, possibile che non si fosse mai accorta di quanto fosse omosessuale questo qui?

-Sì, eccetto il fatto che ho incrociato Poison Ivy per strada, tutto è andato per il meglio-

Gaggy la guardò dallo specchio con gli occhi sbarrati -Come, scusa!? Hai incrociato Poison Ivy?-

La porta dell’ascensore si aprì e i due uscirono, continuando a chiacchierare a voce alta.

-È grave?-

-Mmh, no, sei viva... Di solito non si fa in tempo a raccontarlo in giro-

-È già la seconda volta che la vedo- esclamò Harleen, aprendo con le chiavi la porta di casa -Ma si è risolto tutto per il meglio-  

-Prima vedi Batman, poi Poison Ivy… Ma cosa sei? Una calamita per supereroi?-

Harleen ridacchiò -Hai dimenticato il più importante…-

-Non l’ho dimenticato, non l’ho detto apposta-

-E perchè?-

-Per evitare di vederti con quell’espressione da oca giuliva- le rispose pungente, mentre lei chiudeva la porta -Lo dico per il tuo bene, smettila di farti i viaggi mentali su di lui. Non è il principe azzurro con cui ti puoi sbaciucchiare quando ti pare, è il Joker, con tutte le implicazioni del caso-

-Come sai che ci sbaciucchiamo?- gli chiese maliziosa, sorridendo al solo pensiero. Il suo avvertimento le era entrato da una parte e uscito dall’altra.

-Lo so, lo so… So anche del filmino porno che avete inscenato stamattina sul pavimento. Ma ehi! È carino il tuo appartamento-

Harleen rise e avvampò -Filmino porno? Dai, non esagerare, eravamo completamente vestiti…-

-Sì, sì, dicono tutti così- tagliò corto, accomodandosi nel divanetto senza fare complimenti -Tornando seri, smettila di sperarci o ne rimarrai profondamente delusa. Non nascondo che forse un po’ gli piaci, anzi senz’altro, però… J non è mai stato un tipo monogamo, fa così con tutte, non solo con te. Ti è chiaro questo, vero?-

Le sue parole dure e sintetiche ferirono Harleen, ma non la sconvolsero. La ragazza non aveva bisogno di fare un bagno nella realtà, sapeva benissimo da sola a cosa sarebbe andata incontro ma, malgrado tutto, non voleva darsi per vinta. Era speranzosa, una vocina dentro il suo cuore la incoraggiava e le sussurrava di non demordere, perché quella era la strada giusta e lui l’uomo giusto. D’altronde l’amore viene e non si può scegliere.

-Non mi importa, voglio comunque provarci. E sono consapevole di chi è lui, di chi sono io e di tutti i rischi che corro- gli disse Harleen, con fermezza -Ieri ho passato l’intera notte a piangere dalla paura, ma la realtà è che non mi sono mai sentita così felice in vita mia. Ero depressa prima di incontrarlo e non me ne rendevo neanche conto! Pensavo che quella vita buia, insulsa e triste che conducevo ogni giorno fosse la normalità, ma non è così. È tutto molto meglio, tutto molto più eccitante, più intenso… E ora che lo so, non posso più farne a meno-

-Corbezzoli. Sei grave- 

-Molto- concordò, sorridendogli -Credo di amarlo sul serio-

-Benvenuta nel club- le rispose cupamente Gaggy, facendole la ‘v’ con le dita -Abbiamo le tessere-

-Cioè? Anche tu…?-

-Anche io- 

-Ma…-

-No, non abbiamo mai giocato a tennis in doppio, se era questo che intendevi-

Harleen rise di gusto -Sei divertente sul serio, lo sai?-

-Lo so- le rispose Gaggy, senza entusiasmo -Ma adesso veniamo al punto, cioè al motivo per cui sono venuto qui-

-Il colpo?- lo anticipò la ragazza, consapevole.

-Esatto. Ora apri bene le orecchie, dottoressa Quinzel, perché ci sono un paio di cose che devi sapere-

 

 

 

 

 

Note
Pronti al colpo? ;)
Tra poco J uscirà dal manicomio e finalmente non avremo più la rottura delle telecamere! Non vi nascondo che non vedo l’ora che accada, ahaha! Per quanto riguarda questo capitolo, ho cercato di mettere le basi all’evasione di Joker. Per quanto io sia una pippa nelle scene d’azione, ho pensato che Harleen non avesse potuto fare tutto da sola, e anzi, che fosse solo la pedina di un piano attentamente architettato da mesi. 
Spero di non aver fatto troppa confusione e che il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacio e grazie come sempre,
Ecate



 

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Capitolo 9
*** Super Freak ***


 

“The most attractive character in Suicide Squad is definitely Harley Quinn. I think Joker just has his eyes for Harley, the other girls are cute but Harley has that special taste. Harley or Margot are absolutely perfect for the Joker, and for me too.”
Jared Leto

 



 

Super Freak

 

 

Arkham Asylum, ore 11:00

 

 

-Dottoressa Quinzel, ormai vivo per questi momenti insieme a te… Ma cosa mi hai portato?-

Joker quel giorno era particolarmente attraente. Aveva i capelli pettinati all’indietro e le labbra tinte di rosso acceso, ma come si fosse procurato la lacca e il rossetto, per Harleen restava un mistero. Comunque, costei gli mostrò timidamente il suo regalino.

-Un peluche, un gattino- gli disse dolcemente, avvicinandogli il pupazzetto sul tavolo.

-Un gattino! Che bel pensiero!- gli rispose lui, sporgendosi bene sul tavolo. Lei fece lo stesso, ammaliata come sempre dal suo fascino.

-Ora vorrei che facessi un’altra cosa per me-

-Qualsiasi cos… Cioè, sì, dimmi-

-Il mitragliatore- le sussurrò tra i denti, divenendo improvvisamente serio -Voglio il mitragliatore-

Harleen lo guardò scombussolata -Il mitragliatore?- 

Come risposta le fece il sorriso migliore del suo repertorio: alienato, ampio e argentato.

Harleen cercò di fare un sospiro, ma l’ansia e l’entusiasmo glielo ingolfò nel petto. Si portò una ciocca dietro l’orecchio, guardò di sbieco la telecamera e poi osservò di nuovo lui.

-Quando?- gli chiese, coprendosi la bocca con la mano

-Domani- le disse -Tesorino- aggiunse

 

Due ore dopo…

 

-Sentiamo, perché vuole spostare la seduta con Joker a domani?-

-Temo che abbia in mente qualcosa- mentì Harleen, seduta rigidamente di fronte a lui -Ho bisogno di parlargli-

-Giusto la scorsa settimana- iniziò il direttore, massaggiandosi la barba -Giusto qualche giorno fa, quel mostro ha tentato di aggredirla e lei non solo non vuole prendersi qualche giorno di ferie, ma mi chiede perfino di ravvicinare le sedute. Comincio a dubitare della sua integrità mentale, dottoressa-

-Non mi ha aggredito, si è sentito male-

Arkham rise, spiacevolmente -Seh, Joker che si sente male! Questa è bella… Io non so perché lei si ostina a difenderlo così… O meglio, lo so, ormai siamo tutti al corrente della simpatia che c’è fra di voi, ma questo non significa che lei sia autorizzata a fare quello che vuole. Avrà anche un ottimo curriculum ma resta sempre una mia dipendente, e perciò deve sottostare alle mie direttive-

-Non mi sembra di violare nessuna direttiva chiedendo di anticipare una seduta con il mio assistito- gli rispose indignata, guardandolo bene negli occhi -Faccio solo quello che ritengo più opportuno per l’intero percorso di guarigione-

La tensione si tagliava col coltello. Harleen sapeva benissimo quali erano le voci che circolavano su di lei, tutti la ritenevano una gatta morta, la finta santarellina che si approfitta del suo aspetto gradevole per ingraziarsi i pazienti grossi e fare carriera. Il caso Joker ne era l’esempio calzante.

-D’accordo, dottoressa, lo farò presente alle forze di sicurezza e al PM- gli disse stancamente -Adesso mi dia gli ultimi due referti che ha scritto, che devo mostrarli a lei sa chi-

Naturalmente si riferiva alla Waller. Con malavoglia, Harleen gli consegnò due plichi sigillati, contenenti i resoconti scritti delle ultime tre sedute.

-Prega che siano soddisfacenti, dottoressa, altrimenti rivedrà Joker direttamente al telegiornale…-

-Sono certa che la signora ne rimarrà piacevolmente sorpresa-

 

 

The Waller Jet, il giorno seguente alla stessa ora.

 

 

Seduta comodamente sulla poltrona del suo aereo privato, Amanda Waller scartò il dettagliato referto della dottoressa Quinzel e iniziò a leggere con avidità.

 

Dott.ssa H. F. Quinzel
Nono incontro, 30/10/18

 

Come sempre, entro in ambulatorio e trovo il paziente zero già seduto e legato sulla sedia ad aspettarmi. Come vado a ripetere da quasi un mese, ritengo opportuno cambiare questo dettaglio che aumenta inutilmente il sapore terapeutico e il senso di costrizione delle nostre sedute. Se il paziente potesse almeno alzarsi dalla sedia, si sentirebbe più libero di esprimersi: non si può pretendere un sentimento di fiducia reciproca e, quindi, di collaborazione, se una delle parti è trattata alla stregua di una bestia pericolosa.

Inoltre, in mia presenza non ha mai dimostrato manifestazioni di aggressività tali da giustificare un simile eccesso di cautela. 

Fatta questa doverosa premessa, il cd. Joker mi è sembrato sinceramente felice di vedermi. Mi fa il consueto sorriso, il suo sguardo è come sempre vigile e la sua postura leggermente inclinata in avanti. 

Omissis.


La Waller si accese una sigaretta, annoiata. Per fortuna che la traversata Gotham-Metropolis non era lunga…


Parliamo a lungo, si dimostra disponibile e aperto al dialogo. 

Omissis.

Come sempre è molto attento ai dettagli. A titolo di esempio, oggi mi ha rimproverato per non aver messo la gonna più corta che avevo l’ultima volta, ma l’ha fatto senza essere inopportuno o sgradevole. Non è mai parco di complimenti nei miei riguardi.


La Waller alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, le pareva di vedere la dottoressa sorridere mentre scriveva. E chissà quante altre stupidaggini aveva omesso, come se Joker potesse avere un interesse diverso da quello di ucciderla o di portarsela a letto. O magari entrambe le cose, conoscendolo.


Omissis.

Omissis.

Omissis.

Il ricordo di Jeannie lo agita. Sortisce in lui emozioni forti di rabbia e incomprensione. L’unica nota positiva è che lo induce a parlare di sè. Riporto parte di ciò che mi ha detto.

“…Perché mi guardi con quegli occhioni tristi? Hai avuto una giornata storta, Harl? (n.d.r: la sottoscritta). Sai le giornate storte capitano a tutti, e per rimediare c’è chi ammazza le puttane e chi si veste da ‘topo volante’ (lett.). Ma non guardarmi così, io non ho bisogno della tua pietà! (è concitato, io mi alzo dalla sedia per calmarlo, ma il paziente fraintende). Cosa fai lì in piedi? Oh, aspetta, lo so: ti sei tradita da sola. Succede sempre così. La gente si tradisce da sola, fa tutto da sola. Arrivo io e cosa fa? Scappa e grida, dando per scontato il fatto che io non abbia nient’altro di meglio da fare che preoccuparmi di ucciderla. Ti sembra un comportamento intelligente, questo? Secondo me no, francamente mi sembra più un’istigazione a delinquere. Andiamo, scappano e gridano con le zampe all’aria, come faccio a non tirare neanche un colpo? E non guardarmi così… Non siamo forse tutti pazzi qui? Devo esserlo solo io?”

Omissis.

“…E per quanto riguarda Jeannie (calca bene il nome della defunta moglie), non c’è bisogno che inventi degli stratagemmi per parlare di lei. Sono il Joker, mia cara, io attraverso l’inferno a testa alta!”

Ritengo quest’ultima frase una chiave di lettura interessante, vorrei soffermarmi un attimo sullo studio delle sue parole…

 

Ma la Waller smise di leggere e mise da parte con malagrazia il foglio scritto a macchina dalla psichiatra.

No, non erano questi i piani. Non le interessava il fatto che lui ricordasse Jeannie o che si dimostrasse collaborativo, lei voleva sapere che genere di creatura fosse e come diavolo avesse fatto a ridursi così, soprattutto perché sapeva com’era Jack Napier prima di rovinarsi: Un brillante laureato in ingegneria chimica con due occhi angelici e l’aria da bravo ragazzo, esattamente l’opposto di ciò che era Joker adesso. 

Pensierosa, accese il suo portatile privato ed entrò in una cartella segreta, digitando l’apposita password. Visualizzò in grande una delle poche foto rimaste di Jack e Jeannie Napier, ma per quanto si sforzasse a guardarla, per quanto cercasse in quel ragazzo moro e bello qualche dettaglio che rimandasse al Joker di oggi, lei non riusciva a trovarlo.

Eppure, il clown non poteva essere sorto dal nulla… Il dolore gioca brutti scherzi, ma non poteva essere stato il solo e unico fattore determinante di una così incredibile trasformazione. 

All’improvviso, il suo telefono cellulare squillò. La donna rimase sorpresa, non aspettava chiamate.

-Pronto?-

-Amanda, devi tornare subito indietro. All’Arkham è codice rosso-

La Waller chiuse gli occhi -Cosa è successo?- 

-Joker. È scappato-

 

 

 

Tre ore prima, Arkham Asylum

 

-Ci son due coccodrilli e un orangotango, due piccoli serpenti, un’aquila reale…-

-Hai una bella voce Mr. J- ridacchiò Harleen, muovendo sotto il tavolo un piede verso lui -Come mai sei così di buon umore?-

-Batman, il panda e l’elefante, non manca più nessuno…-

Harleen gli accarezzò la caviglia col piede.

-Solo non si vedono…-

-Voglio fare l’amore con te- gli sussurrò appena, arrossendo. Joker la guardò con la bocca dischiusa e piegò il capo di lato.

-I due liocorni- finì la filastrocca, ma lo fece senza cantare -Harley, tu…- poi si bloccò, sembrava indeciso -Tu… Devi metterti sotto al tavolo-

La ragazza alzò le sopracciglia scherzosamente -Signor Joker, le sembra una cosa carina da dire a una ragazza?- 

-Mettiti sotto il tavolo- le ordinò Joker severamente, mentre la luce del neon sopra alle loro teste aveva iniziato a vacillare in maniera inquietante. La dottoressa alzò la testa verso il soffitto, infastidita da quella luce a intermittenza, ma nel momento in cui lo fece, uno sparo da arma da fuoco la fece trasalire.

-Cosa è stat…?-

-GIÙ, ORA!-

All’improvviso, con la stessa irruenza di una secchiata d’acqua gelata, Harleen Quinzel fu travolta dalla consapevolezza. Si gettò a terra, giusto in tempo per evitare uno sparo che colpì proprio lo schienale delle sua sedia.

Dunque, il grande giorno era arrivato. 

Dopotutto non le avevano comunicato quale fosse la data, né cosa sarebbe accaduto di preciso… Lei doveva solo lasciare la borsa piena d’armi nella sua macchina e parcheggiarla nel posteggio più vicino alla porta d’ingresso dell’Arkham, lasciandola possibilmente aperta e con le chiavi attaccate al cruscotto. Il problema infatti non era entrare nell’Arkham Asylum, che bene o male era un luogo aperto al pubblico, il problema era entrarci armati di bombe a mano, mitragliatori e pistole. E gli uomini della security non sottoponevano più Harleen a nessun controllo, la salutavano gentilmente e la facevano entrare con l’auto senza preoccuparsi del resto. Che male poteva fare una ragazza carina e impacciata come lei…?

Senza esitare, Harleen si nascose sotto al tavolo e si coprì le orecchie con le mani per proteggersi da due esplosioni spacca timpani, equiparabili allo scoppio di due grossi petardi, e dalla raffica di spari contro la porta blindata che chiudeva la loro stanza. Gridò istintivamente e si aggrappò forte alle gambe di Joker, che aveva iniziato a ridere come un pazzo. 

L’aria era già satura di polvere e di odore di bruciato, e fuori le grida delle persone erano agghiaccianti.

-MUOVETEVI, IDIOTI!- gridò il clown esagitato, mentre i mercenari fuori continuavano a sparare contro la porta per aprirla. 

Intanto, la sirena dall’allarme dell’Arkham aveva iniziato a suonare, ma ci furono talmente tante esplosioni, grida e spari che il suo suono squillante passò in secondo piano. 

Dopo una serie di spari la porta blindata finalmente crollò, e Harleen da sotto al tavolo vide i piedi e le caviglie di tre uomini correre verso di loro. Accadde tutto in un attimo.

Trascinarono indietro la sedia di Joker fuori dal tavolo e iniziarono a liberarlo, mentre un uomo mascherato da gorilla sollevò Harleen di peso e la immobilizzò per le braccia.

-Capo, sono felice di vederti- gli disse uno vestito da panda, continuando a tagliare con un pugnale i lacci che lo legavano. Fuori intanto imperversavano gli spari, le sirene e le esplosioni.

-Io no. Quanti proiettili mi hai consumato per aprire una cazzo di porta!?- lo rimproverò Joker, alzandosi dalla sedia e afferrando subito il mitragliatore -Jonny, così cominciamo male-

-Era blindata, J…- 

-Capo, cosa faccio con la ragazza? È sopravvissuta- gli chiese l’uomo mascherato da gorilla, riferendosi ad Harleen che continuava a dimenarsi e a scalciare per liberarsi.

-La ragazza?? Oh! La dottoressa Quinzel, vorrai dire!- esclamò Joker, dirigendosi verso di lei col mitragliatore carico in mano -È stato un piacere fare affari con lei, madame, il Joker te ne sarà eternamente grato-

-Che cosa? No, tu… Tu devi portarmi con te!- lo pregò subito lei, angosciata a morte.

-Portami con te, fai l’amore con me, e il gattino qui e il bacetto là…- le disse beffardo -Quante pretese avete voi donne!-

-Ma avevi detto…-

-Ma avevi detto!- imitò la sua voce in falsetto, piegandosi con la schiena per arrivare alla sua altezza -Avevo detto, cosa Pumpkin pie!? I ragazzi come me non dicono, i ragazzi come me scherzano e ci ridono sopra! Non è difficile da capire!-

-Non mi lasciare- continuò Harleen, con gli occhi lucidi

-Oddio, mi si scioglie il cuore…-

-J, non c’è tempo- lo spronò Jonny Frost, confuso dal suo atteggiamento. In altre circostanze così urgenti, Joker le avrebbe sparato direttamente senza fare tutta quella sceneggiata.

-Jonny ha ragione, baby, non c’è tempo…- le disse, allontanandosi da lei e togliendosi la camicia arancione da detenuto -Gorilla, chiudila dentro l’armadio, possibilmente senza fare il pervertito- 

-NO! No, voglio venire con te!- gridò Harleen disperata, scalciando e cercando di liberarsi -Portami con te, ti prego… Joker, portami con te!-

Ma lei non poteva fare nulla contro la forza bruta di quell’uomo, che la sollevò e la trascinò verso l’armadio come se niente fosse.

-Non piangere, dolcezza, dopo paparino ti verrà a prendere!- le disse sbrigativo, ormai fuori dalla porta -Fanno tutte così quando vedono il carro armato- aggiunse più piano, facendo ridacchiare Frost e l’altro compare mascherato da capra.

L’uomo gorilla con una sola manata distrusse i due scaffali dell’armadio e ci spinse dentro Harleen, che mai avrebbe creduto di poterci entrare.

-No, fammi uscire! Ha bisogno di me, fammi uscire!-

Ma l’uomo scosse la testa e rise -il Joker ti ha appena risparmiato la vita e tu hai ancora il coraggio di lamentarti? Resta qui a baciarti il culo, bellezza, non puoi neanche immaginare che cosa hai scampato-

E detto questo, chiuse forte le ante dell’armadio e le bloccò dall’esterno con una spranga.

Harleen passò circa dieci minuti dentro quel cubicolo angusto prima di riuscire a uscire, e li trascorse a tirare pugni, calci e spallate, senza darsi mai per vinta. Ormai aveva male alle mani e a furia di gridare “aiuto” e “fatemi uscire” aveva perso la voce. Ma d’altronde nessuno poteva sentirla, non con il frastuono delle esplosioni e delle urla in sottofondo. Si stava consumando una vera e propria guerra là fuori, e qualche volta le sembrava di sentire la risata inconfondibile di Joker spiccare sopra a tutto e a tutti…

Finalmente, con un calcio ben assortito sui punti di chiusura dell’armadio, la psichiatra riuscì a uscire.

Corse subito fuori, ma ciò che vide la lasciò senza fiato.

Tutto il manicomio era a soqquadro, completamente irriconoscibile. I vetri delle finestre erano infranti, le porte sfasciate, le pareti divelte e l’odore di mentolo e medicine era stato sostituto dall’odore di bruciato, della polvere da sparo e del sangue. Non c’era più nessuna luce, solo penombra e polvere che cadeva dai calcinacci. Ma la cosa peggiore, che quasi indusse Harleen a vomitare, erano i cadaveri disseminati nei corridoi, i lamenti dei sopravvissuti e i pianti agonizzanti.

Sembrava di essere all’inferno.

Iniziò a camminare a passo svelto, e più camminava più le mancava l’aria. Le orecchie le fischiavano a causa del blitz, l’odore era nauseante e il panorama certo non aiutava, ma in cuor suo Harleen sapeva che non doveva demordere, sapeva che Joker era ancora lì. Non poteva essersene già andato…

-Har… leen-

La ragazza si girò e vide Gaggy agonizzante per terra, con una profonda ferita all’altezza dello stomaco. Si chinò su di lui e gli afferrò la mano.

-Accidenti. Perché non sei… Morta?- le chiese

Harleen sorrise -È quello che si stanno chiedendo tutti-

-Ah… Chi lo capisce è bravo. Me lo sentivo che sarebbe finita così-

-Dove si trova adesso?-

-Sicuramente al piano -2 a vendicarsi contro gli infermieri dell’elettroshock… Ma tu scappa finché puoi, se non vuoi fare una brutta fine-

Harleen ammutolì, non sapeva né che esistesse un piano -2, né tanto meno che i pazienti venissero sottoposti alla pratica brutale e illegale dell’elettroshock. Ma non era quello il momento per pensarci, tanto Joker ormai era libero.

-Non posso, non più ormai-

-Ah, tesoro…Tutto tempo sprecato. Lui non ti amerà mai, fidati di me, so quello che dico- 

-Voglio almeno provarci-

-Sarà la fine-

-O un nuovo inizio- gli disse Harleen, più dolcemente

-Sei matta da legare-

 

________________________________

 

Trovare il piano -2 non fu difficile come pensava. La luce non era ancora saltata e l’ascensore funzionava, ma l’atmosfera era lugubre e simile a quella di un garage sotterraneo: l’aria era stantia e c’era puzza di chiuso. In lontananza, però, riecheggiava chiaramente la voce multitonale di Joker, e con essa degli inquietanti schiocchi di frusta.

Harleen fece solo qualche passo prima di essere assalita nuovamente. Un uomo la colse alle spalle e la tappò la bocca con una mano, e con l’aiuto di un altro la trascinò dentro una stanza e la legò sopra a un lettino di costrizione stretto e spoglio, ben diverso dai letti che si usano ai piani alti. A poco valsero le sue grida e le sue proteste, perché gli uomini del Joker erano troppo forti e troppo numerosi. 

Un panico feroce cominciò ad assalirla. A sinistra notò una vecchia macchina per l’elettroshock, a destra un paziente dell’Arkham ancora in pigiama, tutto tremebondo. 

-Oh, ma che cosa abbiamo qui!- 

Harleen capovolse la testa sul lettino: Joker era dietro di lei, a torso nudo, senza scarpe e con un guanto di lattice viola nella mano destra. Costui prese la lampada e gliela puntò malamente sul viso, abbagliandola.

-Ho fatto tutto quello che mi hai detto- gli disse subito, spaventata -Ti ho aiutato-

Joker le sorrise follemente -Tu mi hai aiutato… CANCELLANDOMI LA MENTE E SFRUTTANDO TUTTI I RICORDI LATENTI CHE AVEVO!- esclamò in un crescendo schizofrenico, dando tre furiosi e improvvisi pugni ai lati della testa di Harleen -Tu mi hai lasciato in un buco nero di rabbia e confusione! È così che pratichi la medicina, dottoressa Quinzel!?- A ogni pugno che scagliava il suo viso si faceva sempre più vicino, tanto che il suo ciuffo verde arrivò a solleticarle la fronte.

-Che cosa vuoi fare? Vuoi uccidermi, Mr. J?- gli chiese Harleen con voce ferma 

-Oh, no, non ti ucciderò- le disse, con lo sguardo spiritato -Voglio solo farti male, molto, molto male…-

-Mi hai convinto. Io so resistere-

E detto questo, lui le ficcò una cinghia di cuoio in bocca.

-Non voglio che si spezzino quelle magnifiche capsule di porcellana quando la corrente ti arriverà in testa!- le disse esagitato, applicandole sulle tempie due elettrodi. Senza smetterla di guardarla, roteò la manovella, e subito una violenta scossa elettrica le trapassò per pochi secondi il cervello.

In quegli istanti di dolore, una raffica di immagini incoerenti e psichedeliche aggredì il cervello imbizzarrito di Harleen. Sogni, ricordi, desideri e fantasie, tutti mescolati insieme per dare una forma e un nome alla felicità. L’ultima scena che vide in quel momento di incoscienza fu ciò che aveva sognato neanche una settimana fa: Se stessa con un ridicolo vestitino da giullare nero e rosso mentre ballava un lento con Joker, elegantissimo nel suo smoking bianco e nero. Dopo quell’immagine, Harleen perse i sensi col sorriso sulle labbra, davanti al viso attento di Joker. Quest’ultimo le tolse delicatamente la cinghia dalla bocca e le sfiorò appena una tempia, leggermente bruciata a causa dei due elettrodi dell’elettroshock.

-È morta?- gli domandò un tizio alle sue spalle, che il clown naturalmente ignorò. 

-Vuoi che la uccida io, capo?-

Ma come l’uomo gli propose così Joker, senza nemmeno girarsi a prendere la mira, sparò e lo freddò. 

-Qualcun altro ha una domanda?- domandò con voce inespressiva, girandosi verso i suoi uomini -Tu!- puntò il mitra contro uno di loro -Hai per caso una domanda da fare?-

-No, J, nessuna- balbettò costui, scuotendo la testa in preda al panico, mentre Joker fingeva di mirarlo col laser.

-Sicuro, Freddy? Hai tanto la faccia di uno che ha una domanda…-

-No, capo, c-cioè, sì, sì, sono sicuro di non avere d-domande!- affermò il poveretto, senza specificare di non chiamarsi Freddy.

-Bene, bravo Freddy- gli disse dolcemente Joker, dandogli due schiaffetti affettuosi sul il viso -Ora leviamo le tende, hm? Ho proprio voglia di tornare a casa-

Il falso Freddy annuì vigorosamente e si avviò verso l'uscita, in procinto di avere un infarto. Con lui tutti gli uomini cominciarono ad allontanarsi rumorosamente, tutti fuorché Jonny Frost, che guardò perplesso Joker mentre si piegava a baciare la fronte della psichiatra.

Ma, come era intuibile, Jonny seguì il suo capo super pazzo, senza fare domande. 

 

 

 

 
Note
Ce l’ho fatta, scusate il ritardo ma oltre a essere disgraziatamente impedita nelle scene di azione (azione? Quale azione?) pure il mio amore si è messo a farmi degli scherzi, e ho dovuto portarlo dal dottore. Pare non sia niente di grave, un problemino curabile alla tastiera. 
Comunque, di questo capitolo mi sono rifatta molto su Suicide Squad. Come avrete notato nel film, gli scagnozzi che arrivano a liberare Joker sono mascherati da animali, e il tizio che si vede durante la scena dell’elettroschok (quell’omarello strano che nessuno sa chi è), ho pensato che fosse un matto dell’Arkham Asylum, che i medici avevano portato lì proprio per sottoporlo alla brutale pratica.
Detto questo vi saluto e se avete qualsiasi cosa da dirmi, anche una boiata pour parlè, io sono contenta. A presto :)

P.S Sotto trovate una foto di Jack e Jeannie Napier... Non è proprio quella che guardava la Waller, però, per farvi un'idea la trovo perfetta...
                                                                         

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Capitolo 10
*** Standing in the rain ***



Standing in the rain

 

 

Batman procedette cautamente per il corridoio, stando ben attento a ogni minimo rumore o odore sospetto. Si guardò il polso, il suo captatore  informatico segnava indefesso la presenza di una vita umana, finalmente a pochi metri di distanza da dove si trovava lui. Ormai stava cercando da mezz’ora quell’isolata forma di vita, l’unica rimasta nel cimitero desolato di quel manicomio.

Chiunque fosse quel sopravvissuto, buono o cattivo che fosse, aveva senza dubbio bisogno di cure.

Ma quando arrivò a destinazione e vide di chi si trattava, ne rimase alquanto sorpreso: la dottoressa Quinzel, svenuta su un lettino con lo stampo di due labbra rosse sulla fronte.

Batman le toccò il collo con le dita inguantate, il battito cardiaco era debole ma c’era eccome. Incredulo e stupefatto, prese il corpo di Harleen in braccio e uscì, chiedendosi a che cosa fosse dovuta tanta clemenza da parte del Joker.




________________________________________

 

 

Una luce accecante le abbagliò gli occhi. Harleen cercò di chiudere le palpebre, ma le dita di un uomo glielo impedirono.

-Mi sente, dottoressa?- udì una voce maschile, lontana e sconosciuta

-Dottoressa Quinzel? Mi riesce a sentire?-

Piano piano, le immagini iniziarono a prendere fuoco. Vide una piccola televisione appesa al muro, scese con lo sguardo e notò un tavolino di linoleum con sotto una sedia dello stesso colore.

-Sta cominciando a riprendere conoscenza- esclamò la voce maschile e sconosciuta -Dottoressa Quinzel? Riesce a vedermi?-

Harleen cercò di guardare davanti a sé. Un uomo col camice bianco e una mini torcia tra le dita le stava sorridendo bonariamente… Un medico, registrò la sua mente, e di fianco a lui c’era un’infermiera e ancora, in secondo piano, un altro soggetto con un impermeabile da detective.

-Ben tornata tra noi, Harleen- le disse il medico -Riesce a muovere la mano?-

Harleen, che si rese conto di essere sdraiata su un letto di ospedale, obbedì e mosse le cinque dita della mano destra.

-Molto bene, molto bene. Ho buone notizie, sa?- le disse -Lo shock cerebrale non ha riportato particolari danni, due giorni e potremo dimetterla-

-Cosa è successo?- riuscì a chiedere, stupendosi del tono bassissimo della sua voce

-È stata coinvolta in un grave incidente, ma starà bene, tornerà come nuova-

“Un grave incidente? In… macchina?” si sforzò di ricordare “Mi hanno aggredita?”

Poi, del tutto all’improvviso, nella sua mente balenò un sorriso argentato.

Harleen strizzò gli occhi e si toccò subito le tempie. Solo ora che stava rinsavendo si era accorta di quanto le facesse assurdamente male la testa. 

-Sente molto male, dottoressa?- le chiese il medico, ma quella parola, male, le suscitò un’altra visione lampo. Vide chiaramente due grandi occhi azzurri e udì una voce echeggiante, persa nell’inconscio della sua mente “Voglio solo farti male, molto, molto male…”

 -Mr J!- esclamò a voce alta, cercando subito di sedersi sul letto. L’uomo con l’impermeabile si alzò dalla sedia di cortesia e si avvicinò.

-Si calmi, Harleen, va tutto bene- le dissero in coro sia il medico l’infermiera, cercando di distenderla sul materasso.

-No, devo… Mi serve il cellulare, devo chiamarlo- esclamò, esagitata -Devo partire per l’Europa…-

-Ma certo, appena starà meglio partirà, ne siamo sicuri- la liquidò il medico -Joan, inserisci nella flebo due dosi di tranquillante, per cortesia-

-Sì, dottore-

Il cuore di Harleen batteva troppo in fretta. Ora ricordava, ricordava tutto! Joker, la fuga, gli spari, gli uomini con le maschere da animali… Ricordava tutto. Doveva assolutamente uscire dall’ospedale e andare da Joker. Magari i suoi uomini la stavano cercando, magari lui la stava chiamando proprio in quel momento…

-Devo andarmene- esclamò, cercando di apparire il più possibile lucida e perentoria -Sto bene, giuro che sto bene-

-Dottoressa, non può uscire adesso, non è nelle condizione adatte…-

-Invece sì- protestò Harleen -Sto bene e voglio andarmene!!-

-Non prima di aver scambiato due parole con me-

Hareen si voltò, l’uomo misterioso con l’impermeabile si fece avanti. Era un signore sulla cinquantina, mediamente alto, con due grossi baffi e un paio di occhiali squadrati sul naso.

-Mi presento, dottoressa. Mi chiamo James Gordon, sono un alto ufficiale della polizia di Gotham City- le mostrò il distintivo -Sono venuto qui per scambiare due parole con lei, se me lo consente-

-Gordon, la signorina è ancora troppo provata per essere sottoposta a un interrogatorio- lo rimproverò il medico, stancamente 

-A me sembra in perfetta salute- lo contraddisse, alzando le spalle.

Il dottore alzò gli occhi al cielo, c’era poco da contrattare con quel soggetto.

-Se vede che queste due linee scendono sotto il limite- gli disse il medico, indicandogli il monitor sanitario collegato tramite cavi ad Harleen -Mi chiami-

-Senza alcun dubbio-

Appena i due sanitari uscirono, il commissario prese la sedia di cortesia e si sedette accanto al letto di Harleen.

-Allora, dottoressa Quinzel- esordì -Come ci si sente a essere la sola sopravvissuta all’assalto dell’Arkham Asylum? È diventata famosa, lo sa?-

-Famosa?- ripeté lei, alzandosi a sedere come poteva sul letto. La testa le faceva un male insopportabile.

-Sì. Joker nel suo percorso verso l’uscita si è lasciato alle spalle una lunga lista di morti, ma ha incredibilmente risparmiato lei. Questo è bastato per renderla famosa in tutto il mondo… - le accennò un sorriso

Harleen deglutì a vuoto, stringendosi forte le mani sotto il lenzuolo.

-Sono morti tutti?- gli chiese, con un filo di voce.

-Tutti quelli che erano di turno quel pomeriggio, sì. Eccetto lei- enfatizzò, sistemandosi gli occhiali -Un miracolo, eh?-

Era chiaro come sole il fatto che lo sbirro nutriva dei sospetti su di lei. D’altronde, essere risparmiati dal Joker non è esattamente una cosa che capita tutti i giorni.

-Già…- esclamò, cercando di non sorridere. Si sentiva inopportunamente felice e orgogliosa.

-In che rapporti era con Joker?- esordì nuovamente il commissario.

-In buoni rapporti-

-Questo l’avevo immaginato, ma cosa intende per buoni rapporti?-

-Buoni rapporti- ripeté lei, restando sul vago -Amichevoli-

-Amichevoli, però- esclamò, incrociando le braccia -Egli si confidava con lei?-

-Ero la sua psichiatra, certo che si confidava-

-Naturalmente. E il fatto che vi siete baciati durante una seduta fa parte dei rapporti amichevoli o delle normali implicazioni terapeutiche della sua cura?-

Il suo tono era pungente, quasi beffardo, ma Harleen non si lasciò intimidire. Si mise una mano alla testa dolente, cercando di riflettere.

-Non dovevamo parlare dell’assalto?- gli chiese, affaticata

-Sono io che decido le domande, dottoressa Quinzel- le rispose a tono, sorridendo -Dunque, può rispondermi?-

-Entrambe le cose…- soggiunse, arrossendo

-Entrambe le cose- ripeté l’uomo, fingendosi sorpreso -E lo dice così, con tanta tranquillità? Non prova neanche un minimo di vergogna?-

-No- gli rispose calma, guardandolo negli occhi -Se sono viva è anche per questo motivo-

-Anche? Ci sono altri motivi?- la interruppe lui, senza battere ciglio. Il suo sguardo penetrante la metteva a disagio

-Beh, sì… Io, ecco… Gli ho reso la permanenza all’Arkham più piacevole, sì. Gli ho prescritto degli antidolorifici, gli portavo qualcosa di buono da mangiare e cose così-

-Cose così. Quindi ritiene che Joker l’abbia risparmiata per spirito di riconoscenza?-

-Più o meno- gli rispose, cercando di apparire sicura

-Mi può dire cosa intende per il più e cosa per il meno?-

La sua calma era proverbiale. Harleen sospirò, sapeva che doveva stare attenta a ogni singola parola, quel segugio intercettava ogni minima traccia o risvolto inespresso.

-Gli piacevo, forse- gli rispose sentendosi in imbarazzo. Gordon invece sorrise soddisfatto.

-Ah, ecco, quindi fondamentalmente è questo l’aspetto focale, catalizzante. Non lo spirito di riconoscenza, bensì una tresca nel luogo di lavoro-

-Non ho parlato di tresche-

-Beh, l’ha lasciato intendere, dottoressa- le disse, quieto -Ma guardi, non sono certo qui per giudicarla, ognuno ha le proprie perversioni e io non sono mai stato il tipo d’uomo che si scandalizza… Certo, mi sorprende il fatto che una signorina per bene come lei abbia potuto provare interesse per un conclamato delinquente psicopatico. Evidentemente i casi sono due. O Joker ha giocato bene le sue carte, o lei è scesa a compromessi con se stessa-

-Non sono scesa a nessun compromesso- gli rispose Harleen, in difficoltà. Riusciva a stento a negare quello che lui diceva, non era un buon segno.

-Quindi, Joker ha giocato bene le sue carte-

-No, neanche- gli rispose, sentendosi arrossire.

-Dottoressa, non era una domanda, questo lo so io senza bisogno di chiederle conferma. Resta solo da capire quali sono state le mosse che ha fatto-

“Non ha fatto nessuna mossa, ci piacevamo e basta” avrebbe voluto ribattere, ma preferì tacere. Anche perché, sinceramente, non era ancora così sicura di piacergli.

-Personalmente, mi sono già fatto un’idea- disse Gordon in conclusione, alzandosi dalla sedia -E credo di non sbagliarmi. Per me è sufficiente, la ringrazio per la collaborazione e mi permetto di darle un consiglio spassionato: non vada a cercare Joker quando uscirà da qui. Le ha già risparmiato la vita una volta, non lo farà di nuovo. Arrivederci-

Harleen abbassò lo sguardo, senza rispondere. Se c’era una cosa di cui era sicura, quella era che presto avrebbe cercato Puddin’.

 

______________________________


 

Ritrovare il cellulare non fu difficile per Harleen.

A differenza della sua macchina, che era andata completamente distrutta, il cellulare era rimasto incolume e completamente scarico nel cassetto della sua scrivania. L’ufficio oggetti scomparsi gliel’aveva consegnato dentro una busta trasparente, e prima di arrivare al suo, le aveva mostrato almeno altri dieci cellulari andati persi durante l’assalto… Tutti appartenenti a delle vittime, evidentemente.

Molti però non erano di turno quel giorno, pensò Harleen, mentre tornava a casa sulla metro. La segretaria Rebecca e il tenente Griggs, ad esempio, l’avevano scampata, e Harley non poteva dirsi particolarmente entusiasta. I reclusi del manicomio invece erano rimasti nelle loro camere, ma gli unici sopravvissuti erano, guarda caso, i sottoposti al reparto intensivo di massima sicurezza.
Comunque, appena il cellulare fu sufficientemente carico, Harleen chiamò subito il numero di Joker, o presunto tale. Ma invece del clown le rispose una voce metallica.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

Harleen sorrise nervosamente, sicuramente doveva esserci stato un errore, non era possibile. Riprovò a chiamare.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

-Non può essere- sussurrò, iniziando a preoccuparsi -Non è possibile, ci siamo parlati una settimana fa…-

Riprovò a chiamare, una, due, tre volte, ma la voce metallica diceva sempre lo stessa cosa.

La ragazza in preda a un raptus lanciò il suo cellulare a terra, che si aprì in due perdendo la batteria.

Fu invasa dal panico. E adesso come faceva a trovarlo, a comunicare con lui?

-Respira, Harleen- si impose, prendendosi la testa pulsante fra le mani -Respira, va tutto bene, tutto bene-

Con mani tremanti cercò di rimontare il cellulare, lo accese e provò a richiamare. Ma di nuovo, ottenne la stessa identica risposta.

“Attenzione: Il numero da lei chiamato è inesistente”.

-No, oddio, no…- gemette, angosciata -Come faccio adesso?-

Il cuore iniziò a pomparle forsennatamente. Per riprendere fiato, si diresse nel balcone di casa sua, sotto la pioggia battente e nella coltre di quel freddo anomalo. Harleen si sporse e guardò verso il basso, la minacciosa e oscura città di Gotham.

Il paesaggio erano nero, bagnato e nuvoloso. Numerosi elicotteri, macchine della polizia a sirene spiegate, ambulanze, vigili del fuoco e auto private inquinavano l’atmosfera con la loro cacofonia di rumori, e malgrado fosse stato impartito l’ordine di restare in casa, le persone erano quasi tutte uscite. Oramai, infatti, gli abitanti di Gotham si erano abituati alla presenza di Joker. Si poteva dire perfino che la sua ennesima evasione avesse creato molto più scalpore mediatico all’estero che nell’isola stessa.

Joker dopotutto era introvabile. Se la CIA, L’FBI e, non ultimo, Batman, lo stavano cercando da giorni, come poteva trovarlo lei da sola? Era impossibile… A meno che lui non volesse farsi trovare, naturalmente.

“Sa dove abito, forse devo solo restare qui” si disse, cercando di auto calmarsi “Forse deve sistemare le sue cose, è uscito due giorni fa dal manicomio, sarebbe normale…”

Doveva solo aspettare, Puddin’ presto sarebbe tornato da lei...

 

 

 

 

Dieci giorni dopo. 

Crime Alley, periferia di Gotham City

 

 

Harleen scese dal taxi e iniziò a camminare a passo svelto. Era buio in quel quartiere, c’era puzza di alcool, di acqua stantia e non volava una mosca. A destra, due auto della polizia giacevano semi distrutte e ricoperte di graffiti, a sinistra un vecchio cinema abbandonato aveva due grosse spranghe di legno sulla porta e all’insegna del supermarket erano state rubate almeno tre lettere.

Crime Alley Sembrava un quartiere fantasma, e forse lo era. 

Nessuno ci metteva piede e ciò che le avevano detto appena sbarcata sull’isola fu proprio di evitare, per quanto possibile, quel famigerato quartiere. Lo stesso Joker evitava di andarci, non tanto per il pericolo naturalmente, quanto perché lui, da buon amante del lusso, ne era altezzosamente disgustato. In compenso, giocare all’allegro chirurgo non gli faceva affatto schifo…

Harleen cercò di non pensare a lui e continuò a camminare per le vie più pericolose e buie di tutta Gotham City. Aveva bellamente ignorato tutti gli avvertimenti del tassista “Non puoi andarci da sola, è troppo pericoloso, ti farai ammazzare…”

Non che lei volesse suicidarsi, teneva infatti nascosta la revolver di Irina sotto la maglietta, ma non aveva più lacrime per piangere e il suo livello di disperazione aveva raggiunto dei picchi talmente alti che l’idea di farla finita le era balenata alla mente un paio di volte. 

Perché Joker, naturalmente, non si era fatto vivo. Harleen aveva perfino dormito con la porta e la finestra aperta, ma del super criminale di Gotham nessuna traccia. 

Ma la ragazza non si diede per vinta. Il clown l’aveva usata e piano piano stava iniziando a capirlo, ma lei e la sua tenacia non avevano alcuna intenzione di rinunciare a lui, non senza combattere.

Decise quindi di agire e cercarlo, e l’idea che aveva era tanto folle quanto geniale.

Camminare da sola, di notte, nel quartiere più pericoloso dello stato più pericoloso del mondo. Non poteva non incontrare qualcuno che conoscesse il Joker.

E infatti, puntuale come la morte arrivò il primo apprezzamento volgare e non richiesto.

-Ehi bambola, dove te ne vai?-

Harleen si voltò, con la coda dell’occhio notò un uomo con una bottiglia di birra che si stava avvicinando. Sorrise e velocizzò il passo, era esattamente quello che sperava.

-Ehi, Ashim, hai visto che bel bocconcino solitario?-

Il tizio di nome Ashim, un uomo basso e dai tratti marocchini, fischiò -Ma che spettacolo. Possiamo unirci a lei, signorina?-

Harleen continuò a camminare a passo svelto. Iniziava a sentire paura, molta paura, ma d’altronde era un risvolto negativo che aveva messo in conto.

-Ehi, topolino, fermati! Perché tanta fretta?- le disse l’uomo, prendendola per un braccio.

-Non mi toccare- gli ordinò gelida. L’uomo fischiò di nuovo.

-E perché non dovrei? Chi me lo impedisce? Tu?-

-Io no, ma Joker sì-

-Joker?- ripeté questi, esterrefatto -Quel Joker che l’anno scorso mi ha fottuto cinquanta mila bigliettoni?-

-Direi che è lui- concordò Harleen, compiaciuta.

I due ceffi la guardarono increduli. Ashim, il più basso, si fece subito indietro.

-Sei una delle sue puttane?- le domandò, alzando le mani in alto in segno di resa, ma ad Harleen questa domanda non piacque affatto

-Non sono una puttana, sono la sua ragazza- gli rispose, indignata - E voi state commettendo un grosso errore a prendervela con me-.

-Seeeh, e io sono Cat Woman!- rise il più grasso, a differenza di Ashim che aveva una faccia decisamente preoccupata.

-È la verità. Chiedeteglielo se non mi credete-

-Hart, io lascerei perdere…- gli suggerì Ashim, intelligentemente -Quello ci ammazza-

-Ma figurati, ti pare che questa sia la sua fidanzata?- la offese l’uomo, guardandola da capo a piedi -Lo sai che lui è molto peggio di noi, vero? Se è una balla, ti taglia in due come un limone-

-Portatemi da lui- ordinò loro, semplicemente -Portatemi da lui se non mi credete. Anzi, mi starà cercando, se lo fate ve ne sarà riconoscente. E se io ho mentito, allora potrete farmi tutto quello che volete-

Hart esitò un attimo a pensare, poi sorrise. 

-Ci sto- le disse, tendendole la mano.

-Io non vengo- decise invece Ashim -Joker mi mette i brividi-


 

_____________________________
 


 

Luci bluastre intermittenti, fumo che non lasciava respiro, canzoni dance e techno mischiate insieme a un volume assordante e soprattutto puzza di alcool, di canne e di sudore.

Ecco dove si trovava Joker in quel momento, in una discoteca di basso livello nella periferia della città. Mai Harleen avrebbe pensato a un posto del genere, nel suo immaginario vedeva Joker vincere a una partita di Black Jack nel casinò di Monte Carlo oppure lo immaginava disteso a prendere il sole… O meglio, l’ombra, su uno lussuoso yacht a Portofino. 

Niente a che vedere con quella bettola di ultima categoria, che oltretutto la faceva sentire terribilmente fuori luogo. A parte il suo abbigliamento casual che cozzava inesorabilmente con tutti i micro vestitini e i maxi tacchi che vedeva in giro, le discoteche non erano mai stati luoghi adatti a lei.

Non si sentiva a suo agio dentro di esse, non le trovava particolarmente divertenti né, soprattutto, aveva mai avuto amici con cui andarci.

Velocemente, lei e l’uomo oltrepassarono i cubi con le ballerine e scesero una rampa di scale dai gradini illuminati, e più si allontanavano, più la musica si faceva ovattata e il cattivo odore diminuiva.

Harleen strinse forte la pistola di Irina, caso mai quel lurido mostro avesse cercato di metterle le mani addosso.

Davanti a una porta bianca c’era possente un afro americano in smoking, serio e immobile come una statua.

-Questa è un’ala riservata- disse loro con voce profonda, calma. 

-Sono qui parlare con lui- spiegò Hart, facendo un cenno verso la porta.

-Non è possibile. Il Joker non vuole essere disturbato-

Joker! Lì dentro c’era davvero Joker!

-Riguarda lei- continuò Hart, spingendo Harleen in avanti come se fosse un trofeo -La sua “fidanzata”- fece le virgolette con le dita.

-Marleen- la salutò l'afro.

-Harleen, prego-

-La conosci!?- gli chiese subito Hart, preoccupato

-Di vista- rispose lui.

-Mi ha chiuso dentro un armadio- chiarì tranquillamente la ragazza, senza rancore.

-Ti ho anche portato un bigliettino con i fiori…-

-Allora, possiamo entrare o no?-

-Attendete un attimo- gli rispose il guardiano, entrando dentro la sala.

Harleen allungò subito il collo oltre alla porta, sempre nella morsa ferrea del suo aguzzino. Quel privè era decisamente più esclusivo, sembrava quasi un altro locale. La musica c’era ma era tenuta a un volume piacevole che permetteva di conversare, le luci soffuse avevano un colore sofisticato che andava dal bluette al viola e le poltroncine trapuntate erano di pelle bianca. Soprattutto, le persone dentro erano poche ed erano radunate intorno un uomo con una sorta di corona sulla testa.

Fu così che vide Joker, comodamente seduto con un flute di champagne in mano, in mezzo a due bellissime ragazze in bikini. Indossava una camicia alla coreana, una giacca nera e un paio di pantaloni argentati a sigaretta. Gesticolava e raccontava sicuramente qualcosa di molto avvincente, perché tutti avevano gli occhi puntati su di lui. 

L’uomo con la pelle scura comunque entrò e sussurrò qualcosa nell’orecchio a Jonny Frost, il quale lo comunicò a sua volta al Joker.

-LA MIA FIDANZATA?- lo sentì gridare e ridere, divertito -E chi sarebbe la mia fidanzata!?-

-Mi sa che qualcuno ha detto una bugia…- le sussurrò Hart, ridacchiando. In quel momento, Harleen avrebbe voluto scappare.

Vide Jonny piegarsi di nuovo sull’orecchio di Joker, e fu allora che quest’ultimo puntò subito gli occhi in avanti, verso di lei. Come la vide, il suo tipico sorriso folle gli allargò le labbra.

Si alzò in piedi e spalancò le braccia, come un re che riceve i suoi sudditi.

-Prego, prego, signori! Accomodatevi!- esclamò loro, facendo a lei l’occhiolino -Qual è il problema, buon uomo?-

L’uomo di nome Hart si schiarì la voce -Questa qui va a dire in giro di essere la tua ragazza, signor Joker. L’abbiamo beccata che girovagava tutta sola per Crime Alley e te l’ho portata per sapere se diceva la verità. Perché se ha mentito…- lasciò cadere la frase a metà e gli lanciò un’inequivocabile occhiata d’intesa, che Joker non ricambiò.

-Se ha mentito? Continua pure- dispose tranquillamente, incrociando le braccia.

-Beh, se ha mentito… Lo sai, insomma…- Hart continuava a lanciargli delle occhiate maliziose.

Joker si guardò intorno con aria interrogativa.

-Signor Joker…-

-Jonny, tu capisci a cosa si sta riferendo questo signore?-

-No, capo, non riesco proprio a capirlo- gli rispose subito lo scagnozzo, tenendogli il gioco -Credo che il nostro ospite debba spiegarsi un po' meglio-

-Ehm… Forse c’è stato un equivoco, signor Joker- si corresse subito Hart, con un sorriso intimorito -Io non farei niente di male a questa ragazza-

-Ahh…- gli sorrise il clown -E perché non l’hai detto subito, allora? Ci voleva tanto? Lo sai che mi infastidiscono le persone che mi fanno perdere tempo?-

Nel locale piombò un silenzio assoluto, il poveretto iniziò a sudare.

-Certo, hai… Hai ragione- balbettò, mentre Joker lo guardava senza battere ciglio, facendo roteare la pistola sul pollice come se fosse un giocattolo -Ho avuto solo un momento di… Di vuoto-

-I momenti di vuoto capitano a chi ha la testa vuota!- lo prese in giro, puntandosi la sua stessa pistola sulla tempia.

-Non è certo il suo caso, signor Joker-

-Lo so. La chica, gracias- gli ordinò in spagnolo, e quello subito gli lanciò Harleen tra le braccia.

-Eccola, tutta tua- ansimò Hart, ormai in un bagno di sudore -Abbiamo risolto, vero?-

Joker gli sorrise dolcemente, già circondato dalle braccia di Harleen -Ma certo, amico, tutto apposto-

-Davvero?-

-Perbacco-

-Bene… Io allora me ne andrei…-

-Conosci la strada-

Hart si girò di schiena e fece subito qualche metro, ma come si voltò un secondo a guardare, Joker gli sparò in pieno petto. Molti urlarono, alcuni applaudirono e altri ancora scapparono.

Harleen si era tappata forte le orecchie, il frastuono dello sparo fu come uno squarcio sul suo cervello ancora provato dall’elettroshock. Senza rendersene conto aveva nascosto la testa nell’incavo de suo collo. Non poté fare a meno di sentire quanto fosse profumato… Un’ acqua di colonia molto fresca, pensò.

-Chiedo scusa a tutte le signorine per il disguido! Mi perdoni, Frou Frou?- lo sentì parlare, in modo ovattato -Ragazzi! Pulite il pavimento, su, su!-

-La mia testa…- sussurrò Harleen, addolorata -Non ci sento…-

-La prima volta è sempre la peggiore. I mal di testa iniziano a passare dopo un mese o due…- le disse Joker, togliendole le mani dalle orecchie -Ti ha importunato, baby?-

Parlava e sembrava dannatamente normale, nessuna inflessione nella voce e nessuna luce folle nello sguardo.

-Non troppo- gli rispose imbarazzata, faticando perfino a guardarlo -Grazie-

-Hmm, e tu cosa ci facevi lì?-

-Ti stavo cercando. Perché non ti sei fatto più vivo?- gli domandò, cominciando a dare sfogo all’angoscia -Ho provato a chiamarti mille volte, a cercarti… Ho girato tutta Gotham City e mi sono quasi fatta ammazzare, e ora che ti trovo, sei con due…-

-Matilde, Frou Frou- la interruppe Joker -Vi presento Harley, la vostra nuova amichetta!-

Le due bellissime ragazze la salutarono con la mano e poi risero tra loro. Harleen scosse la testa.

-Sono tanto carine, sicuramente diventerete grandi amiche- fece l’atto di sistemarle i capelli, ma lei gli scacciò la mano. Le veniva da piangere.

-Eh, no, dottoressa Quinzel! Questo è il ringraziamento per non averti fatto stuprare da quel ciccione, hm?- esclamò insinuante, stringendole la vita.

-Avevamo detto niente puttane- gli sussurrò appena, in modo che solo lui potesse sentirla. Joker annuì e schioccò le dita, sempre con il sorriso stampato in faccia.

Subito, Frost fu da lui. 

-J-

-Ascolta, dai ad Harley…- la voce del clown fu un diminuendo tonale, tanto che la ragazza non riuscì a sentire la fine. Vide Jonny Frost sorridere e annuire, poi estrarre dalla tasca una tessera dorata, simile a una lunga carta di credito. 

Gliela porse.

Quando Harleen capì che non era una carta di credito bensì la chiave di una camera d’albergo di lusso, avvampò e guardò Joker, che ricambiò subito il suo sguardo con un sorriso malizioso.

-A casa mia vale la regola del chi rompe paga, dottoressa- le spiegò a voce alta, sempre con quel suo modo teatrale -Irina necessita di essere sostituita…-

E detto questo, infilò rapidamente una mano sotto la sua maglietta e le sfilò la pistola dai pantaloni, solleticandole la pancia con le dita.

Appena gli uomini videro l’arma, presero a ridere e a fischiare, uno applaudì. Le ragazze invece si guardarono fra loro con un’espressione incredula.

-Non sono una puttana, Mr. J- chiarì freddamente Harleen, mentre lui sventolava la pistola con un sorriso esultante.

-Infatti non saresti una puttana qualunque, saresti la mia puttana! C’è una bella differenza-

Harleen si guardò intorno, gli uomini del locale la guardavano e ridevano fra loro, mentre le ballerine e le spogliarelliste la stavano letteralmente fulminando con lo sguardo. Di nuovo, guardò Joker. La sua testa annuiva leggermente e i suoi occhi verdi la fissavano speranzosi, quasi volessero incoraggiarla a dire di sì.

-No- gli disse con tono inflessibile, guardandolo dritto negli occhi -Mi dispiace, ma la risposta è no.Trovatene un’altra-

E detto questo, gettò la tessera dell’albergo di lusso per terra. Subito, la musica smise di suonare e nel locale piombò un totale, inquietante silenzio assoluto.

Tutti gli occhi erano puntati su Joker, che guardava Harleen andare via, con lo sguardo fisso e la bocca semi aperta, offeso e scandalizzato all’inverosimile. Senza cambiare espressione, aprì il palmo della mano e subito qualcuno ci mise sopra una revolver.

Serrò forte la mascella e strinse l’impugnatura compatta, puntando contro all’unica donna che aveva osato rifiutarlo. Nel locale non volava una mosca, tutti fissavano la scena rapiti e spaventati.

Joker premette il grilletto. Il proiettile di adamantio colpì in pieno un calice di champagne, a mezzo centimetro di distanza da lei.

-L’ho mancata- esclamò con nonchalance, ma come si voltò, si trovò davanti le facce biasimevoli e deluse dei suoi uomini.

 

 

 

 
 
 
 
 
Note
Hola chicas y chicos! Scusate il ritardo, il fatto è che mi sono occupata più del capitolo successivo che di questo (quando lo leggerete, capirete perché…) e perciò sono rimasta indietro, tanto per cambiare. 
Volevo solo dirvi che rispetto alla trama di Suicide Squad, ho pensato che prima delle scena inedita con la moto, Harleen e Joker avessero avuto altri incontri interessanti anche fuori dall’Arkham, non tanti, ma significativi…  ;)
Grazie come sempre a chi recensisce e a chi si è aggiunto nelle liste!
Un bacio, Ecate

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Capitolo 11
*** Up in the Air ***


 

 

Up in the Air 

 

 



 

-Jonny?-

-J-

-Prepara la Ferrari. Devo arrivare prima di lei-

-Dove?-

Il Joker sorrise -Nella sua umile dimora…-

 

 

 

 

Dopo un pericoloso viaggio in metro passato di fianco al controllore, Harleen finalmente arrivò nel suo condominio, non senza aver pagato un costosissimo taxi notturno.

Salì in ascensore ed entrò in casa sua bagnata fradicia, con le lacrime che minacciavano di scendere. Fuori, il fragore dei tuoni si infrangeva in ruggiti rabbiosi e mandava bagliori sul suo viso, pallido e stremato. Il tempo, almeno, si confaceva perfettamente al suo umore.

I tremori e la paura di morire, infatti, non l’avevano ancora abbandonata, basti pensare che il proiettile sparato da Joker l’aveva quasi colpita di striscio, ma era soprattutto la cocente delusione d’amore ad averle creato una voragine incolmabile nel petto.

La mia puttana, aveva detto schiettamente il clown, senza alcuna remora. Se lei voleva stare con lui e tentare l’ardua impresa di amarlo, quello sarebbe stato il suo ruolo, oltretutto condiviso con altre donne… Joker era stato cristallino.

Ma lei gli aveva detto di no, malgrado il desiderio bruciante di amarlo e stare con lui. Perché per lui era disposta a rinunciare a tutto, al suo lavoro, alla famiglia e perfino alla sua vita, ma non alla sua dignità e al rispetto reciproco, elemento fondante di ogni rapporto di coppia. Se poi, di sua spontanea e incorrotta volontà, avesse deciso di abbassarsi a qualsiasi pratica amorosa per farlo felice, quello era un altro discorso, perché comunque l’avrebbe scelto lei, o meglio, loro due, insieme.

Ma la parola “insieme” Joker evidentemente non la comprendeva. E questo bastava per rendere un ipotetico futuro con lui impossibile.

Harleen si disfò la coda e si ravvivò senza cura i capelli umidi, si tolse le scarpe e andò nel bagno. Accese la luce e si guardò svogliatamente allo specchio, ma come lo fece, vide alle sue spalle il riflesso di un uomo vestito di viola…

-Sorpresa!-

La ragazza urlò e si girò di scatto, indietreggiando fino a sbattere contro il lavandino. Joker era proprio dietro di lei, nel suo bagno, senza camicia di forza, senza uomini alle spalle e con l’impugnatura zigrinata di una revolver che sbucava dalla fondina dei pantaloni, neri e aderenti.

-Felice di rivedermi, baby?- iniziò lui, facendole un sorriso torbido -Ho pensato: lei non vuole venire da me? Bene, sarò io a venire da lei!- poi si guardò intorno -In fondo non è male qui, potrei anche abituarmi- disse, afferrando una boccetta di profumo e fermandosi a guardarla.

Harleen non riusciva a parlare, la paura la stava paralizzando. Indietreggiò fino a finire con le spalle al muro, mentre Joker continuava a guardarsi intorno.

-Certo, non è la mia deluxe suite, però…-

-Cosa…- cercò di sussurrargli -Che cosa…-

-Ah, credo che alla nonnina del terzo piano sia venuto un infarto- esclamò Joker, continuando a guardare le sue cose -E dire che avevo bussato solo per chiederle in che piano abitasse la dottoressa Quinzel… Le persone sono sempre così schive con me- fece un’espressione triste ma si coprì subito la bocca con la mano destra, quella che aveva un sorriso smagliante tatuato sul dorso… 

Harleen notò che la sua piastra per i capelli era ancora sul mobiletto del bagno, a portata di mano. Era spenta, però poteva comunque tirargliela contro e tentare la fuga… Ma poi? No, sarebbe stata la mossa più stupida del mondo. Anche Joker le sorrise, come se avesse intuito i suoi pensieri.

-No, lascia perdere, la piega l’ho già fatta prima di uscire… Ma dimmi, ti piaccio così?- le domandò, sistemandosi il suo iconico blazer viola a due code -Mi sono messo tutto elegante per te-

-Perché sei qui?- gli rispose invece lei, continuando ad aderire al muro. Joker si lisciò i capelli verdi già perfettamente pettinati, e avanzò di due passi. Era più affascinante che mai, il suo fisico atletico non era più mortificato dalla tuta larga dell’Arkham e le sue braccia erano libere di muoversi indisturbate, ma se questo giovava alla sua figura, lo stesso non poteva dirsi rispetto alla sua connaturata minacciosità, che ne usciva incrementata.

-Volevo essere ricevuto privatamente dalla mia psichiatra- le disse, facendole un sorriso aperto -Ho un piccolo problema… Mentale- si roteò la pistola sulla tempia, continuando a sorridere.

-Ah, quindi adesso sono la psichiatra?- gli rispose, strisciando contro il muro verso destra -Non sono più la puttana?-

Joker alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, continuando a maneggiare la pistola carica -Che bambina capricciosa- sussurrò a se stesso -Questa bambina mette a dura prova la pazienza di paparino…-

-Capricciosa? I o  t i  a m o- gli scandì esasperata, mentre lui si scricchiolava rumorosamente il collo -Ti amo come non ho mai amato nessuno prima d’ora, ma non puoi pretendere che io accetti di dividerti con delle altre o che ti permetta di trattarmi come se fossi una cosa da usare ogni tanto e gettare via subito dopo. Tu devi capire…-

-Iodevocapire iodevocapire iodevocapire cosa, angioletto!?- le sussurrò Joker, agitando la testa -Sei tu che devi capire, dottoressa Quinzel, che qui le decisioni le prendo io, non tu, io- si colpì il petto e le fece un sorriso commiserevole -E non me ne importa niente se feriscono il tuo piccolo cuoricino sensibile, anche perché non mi sembri nella posizione adatta per dettare regole… Tu sei la bambina e io sono l’uomo nero appena uscito dall’armadio, tu sei cappuccetto rosso e io il lupo cattivo che ti vuole mangiare- rise aspramente, abbassando lo sguardo sulla sua scollatura -Hai paura del lupo, Harleen?-

-Ho più paura di te- gli rispose, sinceramente.

Joker applaudì e annuì come un pazzo -BRAVA! Risposta esatta, dottoressa, ha appena vinto … Un bacio dal sottoscritto!- 

Joker fece l’atto di baciarla ma lei lo fermò. Il clown era visibilmente irritato, troppo, e con quei denti rivestiti d’argento perfino un bacio poteva trasformarsi in tragedia.

-Non sfidare il Joker, piccola, perdono sempre tutti quando ci provano-

-Non ti sto sfidando-

-Ma lo stai facendo, anzi l’hai già fatto. Prima, nel locale, davanti a tutti… L’hai già fatto!- cantilenò minacciosamente, prendendole il viso tra le mani -E il Joker accetta sempre le sfide che gli vengono proposte. Sai in quante siete a desiderare il diritto di esclusiva su di me? Te lo dico io: l’isola di Gotham non basterebbe per ospitarvi tutte, anzi, tutti, dato che ci sono anche diversi maschioni sotto mentite spoglie... Ma sai cosa? Nessuno ha mai osato sperarci perché tutti sanno che io sono semplicemente irraggiungibile. Sono un quid pluris evanescente, una forma concreta di paura, un archetipo, un INCUBO che per qualcuno può diventare realtà- le bloccò talmente forte il mento tra il pollice e l’indice che Harleen temette si fratturasse -E tu, ragazza, avevi il poker d’assi tra le mani e l’hai sprecato miseramente buttandolo per terra. Non posso fare finta di niente-

Quanto diavolo era forte…

-Ti prego, aspetta- lo supplicò, pur sapendo che con lui le suppliche sortivano l’effetto contrario -L’ho fatto perché ti amo troppo! Nessuno ti ha mai amato come ti amo io-

-Sì, vallo a dire a Irina. Secondo te la pagavo per le colazioni che facevo tra le sue gambe?- scosse la testa e rise, leccandosi le labbra -Tra un po’ era lei che pagava me, e pensa che tu potevi prendere il suo posto... Potevamo scopare come dei conigli-

Finalmente, le lasciò andare la mascella. La ragazza gemette di dolore e si piegò sulla schiena, fissando lo sguardo sui suoi pantaloni neri e aderenti. 

Che Joker fosse lussurioso non era una novità. Che fosse inquietante, imprevedibile, pericoloso e vendicativo, nemmeno. Ma che avesse delle gambe così lunghe e ben fatte, come se uno scultore gliele avesse cesellate direttamente dal marmo, quella sì che era una novità.

-Cosa c’è, doc?- le chiese lui con tono preoccupato, seguendo la direzione del suo sguardo -Si è caricato il bazooka?-

La ragazza alzò subito lo sguardo e lui scoppiò a ridere, di nuovo. 

-Mi fa questi scherzi, si carica sempre nei momenti sbagliati! Ma tu ne sai qualcosa… Per fortuna che all’Arkham dovevo stare seduto, se no sai che imbarazzo?- si mise la pistola all’altezza delle parti basse e gliela puntò contro -Bang, bang!

Harleen arrossì ma sul suo viso, malgrado tutto, si formò l'ombra di un sorriso. 

-Credo che non esista niente capace di metterti in imbarazzo, Mr. J-

-Sbagli, baby, ora sono molto in imbarazzo. Potevamo farci una bella scopata e invece guarda qui- esclamò, tristemente -Mi tocca ammazzarti-

Harleen osò avvicinarsi -Aspetta, lo so che sei arrabbiato ma parliamone un attimo-

-Parlarne…- ridacchiò, per poi sbottare come una belva inferocita -HAI IDEA DI CHE  FIGURA MI HAI FATTO FARE?- le gridò contro, appoggiando la pistola e sollevandola per la braccia come se fosse una piuma -Io ora ti devo ammazzare, zuccherino, lo capisci, sì?-

La sbatté forte contro al muro, strappandole un gemito di dolore.

-Aspetta, aspetta, ti prego…-

-Aspetta!?! Mi stai davvero chiedendo di aspettare? Ma lo sai chi sono io?- ridacchiò, sbattendola nuovamente contro al muro.

-Sì che lo so…-

-No, non lo sai, perché altrimenti non mi avresti rifiutato davanti… Oh, che dolore- chiuse gli occhi e inspirò col naso -Ricordarlo mi dà alla testa. Non va bene, mi ero ripromesso che non ti avrei fatto troppo male… Ma poi, non le vedevi le mie ragazze!? Ti sembravano infelici!? O magari depresse come lo eri tu prima di incontrare me?- le domandò, furibondo. La ragazza gemette di dolore, le stava stringendo così forte le braccia da stritolarle la carne.

-Ho visto quello che hai fatto a Irina- trovò la forza di rispondergli -Era tutta sfigurata-

-Non sono stato io, era già così quando l’ho presa-

Il cuore di Harleen si gonfiò -Non ci credo-

Joker le mollò le braccia e le accarezzò il collo, imprigionandola con il suo corpo contro al muro.

-Senti che bel collo da cigno- esclamò poi con dolcezza, sorridendole in modo inquietante -Sarebbe un peccato spezzarlo, non è vero?-

-Mr. J…-  

-Sì, sarebbe un peccato grave, uno spreco colossale!- continuò sconclusionato, scuotendo la testa -E io non lo vorrei fare, piccola, ma devo! Ascolta, qui a Gotham io ho un potere di vita e di morte su tutti voi, e sai cosa vuol dire? Vuol dire che se smetto di usarlo, qualcuno comincerà a insospettirsi, la paura nei miei confronti scemerà, si creeranno dei gruppi di ribelli tra i miei uomini e poi… Puf! Ciao, ciao Joker-

-Ma tu non hai bisogno di dimostrare chi sei- si affrettò a dire Harleen, livida in volto -Ti sei creato una nomea, tutto il mondo ti conosce e i qui i muri tremano al solo sentire il tuo nome. Non hai bisogno di… di dimostrare altro-

Il clown scosse la testa -È più difficile di così, zuccherino. Arrivare al potere è una cosa, mantenerlo è un’altra. Soprattutto in un postaccio come questo dove tutti vorrebbero spodestarmi dal trono- le fece un sorriso argentato e inquietante -Ehi, ma adesso non mi guardare con quegli occhioni da cerbiatto ferito, non mi rendere il lavoro più difficile di come lo è già -

Harleen era scossa da mille brividi, la stessa sensazione di panico e adrenalina che aveva provato il giorno dell’elettroshock la pervase, solo che questa volta l’intensità della paura era amplificata al massimo.

-E per questo motivo, rinunceresti alla seconda donna che vuole passare la vita con te?- gli disse con gli occhi lucidi, puntando sul ricordo straziante di Jeannie.

Ma Joker era un muro di gomma: sorrise e alzò le spalle.

-Ho rinunciato anche a una Porsche 918 e a una bomba atomica- aggiunse, salace  -Sopravviverò anche a questo-

-Una Porsche, certo. In fondo sapevo che sarebbe finita così- esclamò lei, arresa -Ma non importa, Mr. J, come vuoi tu-

-In effetti non ci voleva una laurea per immaginarlo- esclamò lui, con la fronte imperlata di sudore -Faccio presto, sai Harleen, non ti farò male… Ho maturato una certa esperienza a riguardo, so come fare e non fare male... Ora stai ferma così, non ti muovere- 

Joker mosse le mani, cercando di racimolare tutta la rabbia e l’odio che covava dentro. Conosceva più di dieci modi diversi per spezzare il collo alle persone, e lei era solo una ragazza. Le sue ossa erano sottili, delicate, senza contare che la paura l’aveva praticamente congelata… Sarebbe stato facile come bere un bicchier d’acqua. 

Gliele poggiò sulle spalle contratte. Diavolo, pensò, quella ragazza era davvero un fascio di nervi... Chissà a quando risaliva l'ultima volta che era stata con un uomo, sempre che ci fosse mai stata un'ultima volta, si intende.
Forse ucciderla a mani nude non era stata esattamente una buona idea. E forse, pensare di portarsela a letto mentre cercava di farlo non era esattamente una cosa intelligente.
Strinse appena la presa, sarebbe bastato uno scatto di entrambi i polsi, una leggera pressione con le dita e il suo bel corpo promettente sarebbe caduto tra le sue braccia… Ma di nuovo, nella sua testa, intervennero altri pensieri inopportuni accompagnati da quella solita, famigliare sensazione disagevole. La stessa emozione fastidiosa che lo indusse a spegnere la macchina dell’elettroshock prima che fosse troppo tardi, lo stesso sentimento che gli impedì di spararle nel night club davanti alle facce incredule dei suoi uomini, la stessa vocina che nel suo inconscio visionario aveva assunto le sembianze di una bella pagliaccetta con i codini… 

-Stai zitta, stupida!- ruggì senza un apparente motivo, facendo dei tic nervosi col capo -Taci, taci, taci!-

Harleen aprì gli occhi e lo guardò, senza capire. Joker la fissava ma sembrava perso, assente. Continuava a a indugiare sul suo collo con la mascella contratta e la fronte sudata, non stringeva ma le sua mani erano abbastanza calde e avvolgenti da toglierle il fiato. Poi, del tutto inaspettatamente, il clown abbandonò la presa e le afferrò i capelli, stringendoli in due codini laterali. Si guardarono entrambi negli occhi, uno più sconvolto dell’altra.

-Oh...- sospirò lui, contemplandola come se fosse un miracolo -Ohh... Quale meraviglia celi…

- J, cosa…?-

-No, non mi va di ammazzarti, no,no,no,no,no!- sentenziò esagitato, parlando sempre piano e veloce -Non mi va, non mi va, proprio non mi va. Facciamo pace, okay, splendore?- si chinò e le baciò  il collo arrossato, ma Harleen non reagì, era ancora tramortita per la paura -Non è giusto che io debba ucciderti solo per compiacere il mondo, non è vero, zuccherino? No, non lo farò… Sai cosa voglio fare con te? Qual è il vero e unico motivo per cui sono qui?-

Harleen scosse la testa.

-Ti voglio portare a letto!- le rivelò divertito, aprendo le braccia -Dai, è così ovvio! Sono venuto qui solo ed esclusivamente per questo! Se no non mi sarei cambiato e messo così in tiro…- continuò a ridere, mentre Harleen avvampava miseramente -Avete ragione voi pollastrelle, noi uomini pensiamo solo a una cosa-

-Tu sei pazzo. Vattene via subito-

-Di te, zuccherino! Sono pazzo di te!- ribatté agitato, sfiorandole le guance con due dita -E se collabori, ti mostrerò cosa vuol dire perdere il senno sulla Luna-

Cercò di baciarla ma Harleen scivolò fuori dalla sua portata, sgomenta -No, assolutamente no- gli gridò contro, mentre lui si stava già riavvicinando -Hai appena tentato di uccidermi! Toglitelo dalla testa!-

-Mmmh, ma come siamo difficili- ridacchiò lui, libidinoso -Ascolta ho un'idea, facciamo un gioco. Tu adesso inizi a correre più veloce che puoi, scappi lontano da me, vai dove vuoi tu, e io ti do un margine di … Facciamo di sessanta secondi, finiti i quali parto anch'io e cerco di acciuffarti! Ok, hai capito?-

Il suo entusiasmo era tangibile e la frenesia eccitata che lo contraddistingueva trapelava perfino dal suo corpo, teso e trepidante come quello di un predatore.

-No- gli rispose lei con voce perentoria, arrossendo a picco -C-cioè sì, ho capito, ma no. Non ci sto-

-Dai, zuccherino, sarà divertente- replicò, talmente eccitato che non riusciva a stare fermo -1, 2, 3… Inizia a correre, guarda che io sono molto veloce… 4, 5, 6, 7…-

-Ma a-aspetta… E se mi prendi?- gli domandò Harley, anche se già si prospettava la risposta.

Joker fece un sorrisone -8, 9… 9 e mezzo, 9 e tre quarti... Corri, cappuccetto...-

La ragazza lo guardò impacciata e poi, senza pensare razionalmente, si diede sul serio alla fuga. Attraversò casa sua più veloce che poté, facendo lo slalom tra le sue cose orgogliosamente lasciate in disordine, e si precipitò giù per le scale, senza neanche chiudersi la porta alle spalle.

Joker fece un sorriso esultante, guardandola mentre sfrecciava via fuori dalla porta. Contò velocemente -troppo velocemente- fino a sessanta e poi partì anche lui, scattando veloce come un razzo.

Harleen intanto, dopo aver praticamente saltato per le scale come una matta e svegliato due increduli condomini “Dottoressa Quinzel! Ma dico, è impazzita!?”, uscì dalla porta e prese verso destra, dato che a sinistra c’era una volante della polizia di pattuglia.

“Ma cosa diavolo sto facendo!?” si domandò, mentre correva a perdifiato per il viale del suo appartamento “Neanche con la macchina riuscirei a seminarlo!”

Rallentò il passo e girò un attimo la testa, ma proprio in quel momento vide Joker uscire a tutta velocità fuori dal portone.

Harleen strillò come una ragazzina e riprese a correre, ma le veniva da ridere, per una qualche ragione si stava divertendo sul serio. Non aveva mai sentito tanta adrenalina in corpo come in quel momento, e malgrado l’ora tarda e la stanchezza, un’energia nuova e mai sperimentata affiorò in lei e le fece aumentare il ritmo della corsa. Correva a più non posso con il vento che le sferzava sul viso e le scompigliava i capelli, liberi finalmente di svolazzare dove volevano, ed era veramente una bellissima sensazione di libertà e spensieratezza... Se non fosse per Joker che stava recuperando terreno ogni secondo di più, avrebbe corso così per un'ora intera.

-Ti prendo, baby!-

Harley fece uno scatto a sinistra, ma con il fisico atletico e le falcate ghepardine di Joker non c’era alcuna competizione: la ragazza durò solo qualche metro prima che lui riuscisse a prenderla per la vita e sollevarla di peso. Appena sentì le sue mani afferrarla, Harleen si lasciò andare a uno strillo acuto, un altro, e scoppiò a ridere.

-Presa!!- gridò, imprigionandola saldamente tra le sue braccia -Ho vinto io, ho vinto io!-  

-No, lasciami! Hai barato!- strillò lei, cercando di liberarsi -Non hai contato fino a sessanta! Lasciamiii!-

-Invece sì… E adesso tu sei diventata la mia prigioniera!-

-No, Puddin' non è giusto!-

Ma Joker curvò la testa e la baciò, insinuando la lingua tra le sue labbra. Purtroppo o per fortuna, non aveva sentito il suo nuovo soprannome. 

Iniziarono a baciarsi con foga, con i bacini incollati che spingevano uno contro l’altro. Harleen per la prima volta nella sua vita smise di pensare e lasciò che l’istinto prendesse il sopravvento. 

Ricambiò dolcemente quelle labbra sottili e quella lingua che si dimenava allegramente fuori di essa. Non aveva mai baciato un uomo con tanto trasporto, la sua unica esperienza a diciannove anni era infinitesimale in confronto alla meraviglia che stava provando con lui. 

-Mi hai fatto venire un infarto- gli sussurrò sulla bocca -Credevo volessi uccidermi sul serio, Mr J…-

Ma lui non le rispose, ormai era partito per la tangente del sesso. Le arpionò il fondoschiena e la sollevò contro il muro, e per aiutarlo lei si aggrappò alle sue spalle e incrociò le gambe sui suoi fianchi, senza staccarsi dalle sue labbra. Adesso non toccava più terra con i piedi, sentiva solo il cemento contro la schiena e il corpo di lui, duro come il primo ma molto più caldo. 

-Finalmente- ridacchiò lui, eccitato -È dalla prima volta che ti ho visto che volevo scoparti per bene- avvicinò faticosamente una mano tra le sue gambe -Mmmh, mi sembra che anche tu, però…-

Harleen proruppe in un gemito

-…Ti sia commossa!-

Malgrado l’eccitazione e l’imbarazzo, la ragazza riuscì a ridere. Cercò di coprirsi la risata con le mani, ma il fatto che anche lui avesse cominciato a ridere la incoraggiò non poco…  

-Saresti un perfetto terapeuta, Mr J.- gli sussurrò, innamorata -Come mi metti a mio agio tu, non ci riesce nessuno-

-Sì, sì, ma mi si stanno addormentando le braccia, zuccherino, non perdiamoci in chiacchiere. Ti faccio fare un giro sulla Ferrari nuova?-

-Credevo che volessi salire da me-

La sua intraprendenza lo sorprese piacevolmente -Dove vuoi tu piccola, basta che apri le gambe ti seguo anche all'inferno-

Harleen lo guardò male -Puoi almeno fingere di essere romantico, per piacere?-

-Guarda che ho detto una cosa molto romantica- le sorrise, mettendola giù -Ma come vuoi tu, ripropongo la domanda... Dottoressa Quinzel, posso salire a bere qualcosa da lei?-

-Non ho alcolici, signor Joker. Va bene il latte di soia?-

-Io adoro il latte di soia-

Harleen rise di cuore.

 

 

__________________________________

 




 

Villa Wayne, la mattina prima

 

 

James Gordon camminava avanti e indietro nel salone ottocentesco di villa Wayne, cercando di ricostruire mentalmente la fuga di Joker. Il proprietario Bruce, invece, stava seduto e ascoltava le elucubrazioni del commissario in silenzio. Quel giorno era particolarmente intrattabile.

D’altronde Joker era evaso per l’ennesima volta dall’Arkham e lui, Batman, era arrivato giusto in tempo per beccarsi un gestaccio e vederlo fuggire da sopra un elicottero.

Non poté neanche rincorrerlo, il manicomio stava andando a fuoco e lui aveva l’obbligo morale di salvare il salvabile, i civili che in quel momento potevano avere un disperato bisogno d'aiuto. Peccato però che l’unica civile sopravvissuta era la dottoressa Quinzel, che era stata evidentemente baciata dalla fortuna…

-Bruce, mi gioco il distintivo che Harleen Quinzel l’ha aiutato a scappare-

-Certo che l’ha aiutato a scappare- rispose Bruce con ovvietà, stringendo nervosamente il bicchiere -Io è da un mese che lo sto dicendo-

-Dobbiamo solo trovare le prove per dimostrarlo- continuò Gordon, perso a ragionare -Lei è innamorata, mi è bastata quella breve conversazione per capirlo. Certo che Joker ha avuto fortuna, se gli capitava una cozza…-

Bruce mosse le pupille è lo fulminò con lo sguardo.

-Beh, che c'è? È molto carina la psichiatra- si difese il commissario, sorridendo -Non deve averci speso troppe fatiche-

“Infatti non ha fatto nessuna fatica, gliel’abbiamo data noi su un piatto d’argento” avrebbe voluto aggiungere, accecato dall’ira. E poi, un’altra cosa che gli bruciava era che la ragazza, di fatto, aveva preferito il pagliaccio a lui. Cosa inaudita, visto che lui, Bruce, era molto più attraente, più forte, più intelligente e più divertente di quel fenomeno da baraccone con i capelli verdi…

-Ma dimmi, Bruce, il Muro* come ha reagito?-

Batman si riscosse, non era certo il momento adatto per pensare a cose stupide, anche se con il clown di mezzo era difficile non farlo.

-Male- rispose, spiccio -Sta già meditando una vendetta. Ah, Superman mi ha chiesto se ho bisogno di una mano… Puoi mandarlo al diavolo da parte mia?-

James Gordon rise e aspirò una bella boccata di sigaretta.

-Questi supereroi che non si fanno i fatti propri… Ma lo sai che anche Poison Ivy si sta comportando in modo strano?-

Bruce non ne rimase stupito, anche Ivy era un pericolo pubblico che gli toglieva il sonno… Ma almeno lei, a differenza di Joker, se ne stava più o meno tranquilla nel parco che il comune di Gotham le aveva condonato come pegno di un armistizio di pace.

-Cosa ha fatto?- chiese Batman

-Due agenti dell’FBI l’hanno vista chiacchierare con una ragazza bionda…-

Bruce si raddrizzò sulla sedia -Sul serio?-

-Sì, però…-

-Potrebbe essere lei- lo interruppe lui, meditabondo -La domanda è, perché-

-Bruce, la ragazza però aveva una carrozzina con un bambino. La Quinzel ha dei figli piccoli?-

Batman scosse la testa, concentrato a pensare.

 


 

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Harleen aprì la bocca ma non le uscì alcun suono, solo un sospiro tramortito dal piacere. Guardò Joker con impazienza e si specchiò nei suoi occhi, talmente dilatati da sembrare scuri. Lui le sorrise ma continuava a stare fermo sul posto, sudava ma non muoveva un muscolo. 

Perché non si muoveva!? La ragazza iniziò ad agitarsi e gli afferrò forte i fianchi, con un’espressione sofferente.

-Si sta comodi dentro di te, zuccherino. Potrei anche addormentarmi- 

Harleen non ce la faceva più, quel clown la voleva tormentare fino all’ultimo.

-Dai!- gemette lei, cercando di muovere il bacino contro il suo -Ti prego, Mr. J…-

-Vedi cosa vuol dire? Quando venivi da me tutta bella e mi guardavi in quel modo che diceva ‘scopami, Joker!’ e io ero legato sulla sedia… Vedi cosa vuol dire?-

-Mi… Mi dispiace- 

-Scuse accettate- le rispose all’istante, iniziando subito oscillare -Come potrei non perdonarti? Sei così… Oh… Sei così stretta, ti perdono qualsiasi cosa, Harley Quinn-

“Harley Quinn?” pensò lei in estasi, iniziando a ridere. Mentre i loro fluidi iniziavano a mescolarsi e il suo corpo veniva sospinto in quel letto che sembrava essere diventato un vortice, Harley rideva e gemeva allo stesso tempo, trattenendo forte il suo uomo per la schiena. E quando la corda del piacere si spezzò, nel suo corpo esplose per la prima, vera volta l’orgasmo. E questa volta non dovette fingere.

 

 

Qualche ora dopo...

 

Harleen giaceva ancora sul letto. Guardava in alto, sul soffitto, senza realmente vedere alcunché. Il suo viso rilassato era illuminato da un sorriso raggiante, che occupava le sue labbra ormai da mezz’ora. Alzò un attimo la testa, Joker era ancora in camera sua, seduto a torso nudo nella sua scrivania. Era illuminato dalla luce del computer di lei e pareva estremamente concentrato, non si muoveva né batteva ciglio ormai da quaranta minuti. 

Quando Harleen si era svegliata e non l’aveva trovato nel letto a fianco a lei le era venuto un colpo al cuore, un momento di panico tanto grande quanto lo fu il sollievo di vederlo lì, chino sul suo vecchio Macbook.

Era ormai mattina inoltrata e Joker era ancora lì con lei, in casa sua. Harleen era convinta che si sarebbe dileguato come suo solito, e invece no, non solo era rimasto in camera sua, ma non sembrava neanche tanto intenzionato ad andarsene. Solo questo bastava per riempirla di gioia. 

Si alzò dal letto sfatto, prese il primo capo che trovò -una felpa rossa con il logo dell’università di Harvard- e se lo mise addosso.

-Cosa guardi, amore?- gli chiese, accarezzandogli dolcemente la nuca e le spalle.

Joker corrugò la fronte e si girò lentamente verso di lei -Chi?-

-Cosa stai guardando sul computer- formulò per bene la domanda, appoggiandosi con un fianco su di lui.

-Ah. I nuovi impianti di sicurezza della banca di Gotham- le rispose con tono inespressivo, senza neanche guardarla -Sono entrato nel loro database, ora devo vedere se è possibile disinnescarli a distanza-

-Wow- esclamò Harleen, guardando lo schermo del suo pc pieno di dati infinitesimali, linee orizzontali e codici sorgenti. E dire che lei lo usava al massimo per navigare su Google e per parlare con Skype…

-Io di queste cose non ci capisco niente- gli disse, accarezzandogli un braccio -Quel numero lì cosa vuol dire?-

Joker alzò pericolosamente gli occhi al cielo, lei lo vide e si pentì subito.

-Scusami, ti sto disturbando- gli disse imbarazzata -Sono una frana, adesso taccio, promesso-

Lui non rispose né staccò lo sguardo dallo schermo, però restava il fatto che Harleen aveva voglia di tutto fuorché di tacere. Si sentiva gioiosa, impaziente e innamorata, e il sorriso scemo che non riusciva a togliersi dal viso ne era una conferma. 

Continuò ad accarezzarlo con una mano, e cautamente percorse un sentiero dai bicipiti fino alla spalla, e poi scese giù ad accarezzargli il petto, soffermandosi sul tatuaggio del teschio. La sua pelle era liscia, lattea e completamente glabra, anche se era colorata da numerosi tatuaggi e solcata da altrettante cicatrici. A tradimento, gli cinse un capezzolo tra le dita…

-Baby!- trasalì -Papino sta lavorando-

-Torni a letto?- gli sussurrò lei timidamente, contenta finalmente di aver catturato la sua attenzione.

-Ne vuoi ancora?-

-Sì- sorrise

-La donzella ne vuole ancora- brontolò Joker fra sé, facendola sorridere -E va bene- chiuse il portatile -Per quest’ultima volta…-

-Cosa vuol dire ultima?-

-Ho detto ultima?- chiese lui, fingendosi sorpreso -Mi sarò sbagliato-

-Dopo mi ucciderai?-

Joker la guardò male e le puntò contro un dito -Se me lo chiedi un’altra volta…-

-Scusa, è che mi fai un po' paura- gli rispose sinceramente -Devo ancora abituarmi all’idea di te-

-Non mi sembra di averti fatto tanta paura, prima- le rispose a tono -E comunque no, non ti ci abituare-

-Prima però è stato il momento il più bello della mia vita- gli rivelò, con gli occhi che brillavano -Non ho mai provato sensazioni del genere, e ci tenevo a dirti che ti amo e che sono pronta a lasciare tutto e a seguirti ovunque vorrai andare-

-Hm, lasceresti tutto per me?-

-Sì- esclamò, alzandosi sulle punte dei piedi

-Hmm… Si vede che sono stato davvero bravo-

Harleen sorrise e lo baciò sulla bocca, mettendogli dolcemente braccia intorno al collo. Era già pronta per amarlo ancora, ma qualcuno inaspettatamente suonò al campanello.

Joker e Harley si guardarono stupiti, il primo fece un sorriso entusiasta 

-Vado io!- esclamò felice, divincolandosi come un’anguilla

-No, no, no!- squittì subito Harleen, fermandolo per un braccio -Aspetta, potrebbe essere mia madre o mia nonna! Ti prego Mr J, le viene un infarto, sul serio-

Lui alzò palesemente gli occhi al cielo, insofferente -Che barba...-

-Ti prego, ti prego!-

-Faccio venire gli infarti alle nonne…-

-Resta qui, non ti muovere da qui- lo pregò Harleen, con un sorrisone -Okay?-

Lui aprì le braccia e si sedette svogliatamente sul letto. Sembrava un bambino costretto a guardare il telegiornale.

La ragazza gli sorrise e chiuse subito la porta. Molto bene, il super criminale di Gotham era chiuso nella sua camera da letto e lei stava ricevendo una visita… Se gliel’avessero detto solo un anno fa, probabilmente le sarebbe venuto un infarto. 

Ma quando Harleen aprì la porta, tutta scarmigliata e sorridente, non si trovò davanti sua madre o sua nonna: si trovò davanti Bruce Wayne.

 

 

 

 

 

 

*Il Muro sarebbe la Waller, il cui soprannome in inglese è, appunto, "the Wall"

 

Note

Ciao a tutti! :)
Due cose due: come avrete notato, il titolo di questo capitolo non fa parte della playlist di Suicide Squad ma l’ho preso da una canzone dei Thirty Seconds to Mars -Up in the Air- a cui sono molto affezionata.
Spero che questo capitolo d’amore vi sia piaciuto e non abbia deluso le vostre aspettative… Joker è imprevedibile e spesso impulsivo, ho pensato che cambiare idea repentinamente fosse abbastanza confacente ai canoni della sua personalità. 
Come sempre vi ringrazio del vostro importante supporto, e mi raccomando, let me know! :)
Un bacio, Ecate


 

 

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Capitolo 12
*** You don't own me ***


 

 

You don’t own me

 

 

 

Bruce Wayne aveva un pessimo presentimento. Si trascinò su per le scale del condomino di Harleen Quinzel come se avesse una palla di ghisa attaccata alla caviglia, esausto e sopraffatto dagli eventi. Sembrava quasi in stato di hangover pur non avendo bevuto neanche un goccio di alcool… Aveva passato tutta la notte fuori a combattere e non era neanche tornato a casa a riprendersi. Si era solo tolto la maschera e la sua armatura era nascosta sotto una divisa improvvisata.

Inutile dire che stava patendo un caldo pazzesco e che i doppi vestiti rendevano la sua stazza ancora più imponente del solito. Come diavolo facesse Superman a stare sempre con il costume sotto la giacca e la cravatta, per lui era un mistero… Ad ogni modo, la questione era urgente: Joker era sparito. Inoltre, a Bruce premeva molto parlare con Harleen: voleva capire sia com’erano andati realmente i fatti il giorno dell’assalto sia, soprattutto, capire che cosa avesse spinto Joker a risparmiarla. Perché Bruce ormai lo conosceva, tutto ciò che il clown faceva era dettato da un valido motivo di convenienza, che non poteva ridursi a un semplice capriccio sessuale…

“O forse lo sto sopravvalutando”

Chissà poi dove era stato quel pagliaccio da strapazzo. Batman trovò alquanto strano il fatto di aver passato tutta la notte a perlustrare le vie di Gotham e di non averlo incontrato neanche una volta… Le sue assenze dal teatro di guerra non erano mai foriere di buone notizie. L’ultima volta che era successo, Joker aveva progettato l’ennesima bomba venefica che lui, Batman, aveva disinnescato appena in tempo per evitare uno sterminio.

Oppure, più semplicemente, Mr. Happy si era solo strafatto in qualche locale trash pieno zeppo di droga e prostitute.

“Forse lo sopravvaluto sul serio”

Guardò l’ora: mancavano due minuti alle dieci, due minuti e avrebbe suonato al campanello di casa Quinzel. Voleva parlare con lei per chiarire una volta per tutte la sua situazione, ma, soprattutto, voleva evitare che la psichiatra morisse per mano di Joker. D’altronde, era solo una ragazza che si era innamorata dell’uomo sbagliato, e se anche l’avesse aiutato a fuggire, una morte brutale sarebbe stata comunque una pena troppo severa.

Suonò il campanello e rimase in attesa, ma quando un’irriconoscibile Harleen Quinzel gli aprì, raggiante e tutta scarmigliata, stentò quasi a riconoscerla.

-Harleen?-

La psichiatra fece un grosso e buffo sospiro di sollievo.

-Oddio, grazie al cielo sei tu, Bob!- esclamò, mettendosi una mano sul petto -Credevo fosse mia madre!-

Rise, senza motivo. Bruce la guardò da cima a fondo, il suo aspetto era dir poco impresentabile: aveva le gambe nude e piene di brutti disegnini, il trucco sbavato e lo sguardo acceso da uno strano entusiasmo.

-Hai bevuto?- la domanda gli sorse spontanea.

Harleen ridacchiò -Come no, due litri di latte di soia! Sono completamente brilla! No, dai, scherzo… Sono solo felice che tu non sia mia madre o mia nonna-

-Certo- Bruce forzò un sorriso -Posso entrare?-

-NO!- rispose subito la ragazza, con enfasi sospetta -Ehm, cioè… Mi dispiace, ma no, assolutamente no-

Come si aspettava. Sicuramente nascondeva un numero spropositato di armi e di altre diavolerie del Joker… Quello stupido pagliaccio da quattro soldi.

Adesso era giunto il momento di porre fine a quella pagliacciata. Aveva sopportato anche troppo.

-Harleen, in nome della legge sei pregata di seguirmi in questura-

La ragazza sbarrò gli occhi azzurri e fece un sorriso incredulo -Come prego?-

-Mi dispiace ma devi venire con me-

La prese per un polso e la sbilanciò come se fosse una piuma, e Harleen si stupì di quanto fosse ferrea la sua presa

-Cosa? NO, lasciami andare!- urlò spaventata, mentre lui praticamente la stava spostando di peso -No, lasciami subito! LASCIAMI, BRUTTO SCIMMIONE, LASCIAMI!-

Bruce fece appello a tutto il suo autocontrollo -Non ti sarà fatto alcun male, signorina Quinzel. Devi solo seguirmi in centrale-

-No, non voglio!- si ribellò lei, girandosi disperata -PUDDIN' AIUTO!!-

Bruce la guardò stranito e poi guardò dentro la casa con tanto d’occhi. Con le sue speciali lenti a contatto ad infrarossi, attivò il decodificatore biometrico e vide attraverso le pareti la sagoma di un uomo che si stava calando fuori dalla finestra del quarto piano con l'agilità di un gatto…

Serrò la mascella. D’impulso scaraventò via la ragazza e corse immediatamente dentro l’ascensore, scomparendo così, come se niente fosse. Harleen lo guardò confusa e stranita.

“Oddio. Questo sì che avrebbe bisogno di uno psichiatra” pensò, ridacchiando -Mr J, era un tizio che ha cercato di rapirmi- esclamò agitata, andando verso la camera da letto -È fuori come un balcone, stava per…-

Ma come aprì la porta, si interruppe. Le ante della finestra erano spalancate e le tende bianche volteggiavano sospinte dal vento mattutino.

Joker era sparito e con lui anche il suo Macbook. Camera sua non era mai stata così vuota.

-Puddin’?- sussurrò lei desolata, ma nessuno rispose -Mr J?-

Andò a vedere in salone e poi in bagno senza alcuna speranza, e infatti non c’era nessuno. Sul mobiletto, però, giaceva ancora la sua pistola con l’impugnatura d’argento zigrinato. Harleen l’afferrò come se fosse un tesoro e la strinse forte al petto. Ed ecco tornate le famigliari sensazioni di tristezza, abbattimento e solitudine che la avvilupparono come un pesante mantello doloroso. E adesso? Era tornata al punto di partenza: non aveva il suo numero, non sapeva dove rintracciarlo e ora non aveva neanche un computer.

Addolorata, si sedette sul letto dove solo poche ore prime avevano giaciuto uno accanto all’altra. Tra le lenzuola sfatte, però, notò un biglietto.

Lo afferrò subito e lo aprì con smania ed emozione, sperando nel miracolo di leggere un recapito, un numero di cellulare, un qualsiasi cosa che…

 

 


 Adesso hai capito  qual è il colmo per  un angioletto? :)

 

  

 

Harleen guardò dritto davanti a sé, delusa e perplessa. Joker si riferiva al loro primo incontro, alla fine non gliel’aveva mai detto quale fosse il colmo per un angioletto… Iniziò quindi a pensare. Cadere dalle nuvole e avere un diavolo per capello no, li aveva già detti lei. “Passare una giornata infernale?” pensò, scettica “Ma cosa c’entra con me?” poi l’illuminazione la colse “Avere un fidanzato infernale… Avere un diavolo per fidanzato!”

Sorridendo, si immaginò di vedere le facce delle sue conoscenti alla vista di lei mano nella mano con il super criminale di Gotham… Sarebbe stata una rivincita favolosa. Lei, la brava ragazza timida e presa di mira che riesce a conquistare il famigerato Joker di Gotham City. Era esaltante solo pensarlo.

Perché per lei ormai la loro storia era diventata ufficiale. Se le avessero chiesto: “Sei fidanzata?”, Harleen avrebbe risposto subito di sì, senza alcuna esitazione. Avevano fatto l’amore ed era stato bellissimo, lui era rimasto fino a tardi e aveva perfino dimenticato la pistola a casa sua… Più fidanzati di così!

Harleen si sdraiò nella parte del letto in cui era stato lui, racimolando i dettagli della notte passata insieme. Aveva temuto di venire umiliata, ferita, costretta a fare cose che non voleva fare o comunque traumatizzata per altri motivi, ma invece non è stato così. Puddin’ era stato un amante molto normale, se normale si può definire la perfezione.

Le battutine costanti riuscivano a spezzare il ghiaccio, i suoi baci la allietavano e il modo con cui chiudeva gli occhi e sospirava, anche solo per una semplice carezza sull’addome, l’aveva incoraggiata a spingersi oltre il limite, a osare, a essere spregiudicata…

Harleen chiuse gli occhi e sollevò una mano, iniziando a dipingere le sue fantasie nell’aria. Immaginò di nuovo di tracciare un percorso sui suoi addominali scolpiti, di sentirlo sospirare, flettere la schiena e poi di stringergli forte la pulsante…

La ragazza aprì gli occhi, con il lenzuolo tra le gambe e la mano chiusa a pugno davanti al naso. Si stava disgraziatamente eccitando da sola.

“No, così non va” si disse, sollevando il viso stropicciato dal cuscino e alzandosi a fatica. Prese la pistola, la baciò e se la infilò nella tasca della felpa, poi di nuovo uscì nel balcone a prendere un po’ d’aria.

Guardò malinconicamente in lontananza, verso il mare.

Mr J era scomparso di nuovo, ma questa volta lei aveva un indizio molto efficace da cui partire: il nome dell’albergo che aveva letto fugacemente nella chiave automatica.

Quella sera, sarebbe andata per la prima volta nei quartieri alti di Gotham City. O magari non proprio quella stessa sera, per non dargli l’idea della ragazza appiccicosa che non riesce a stare lontana dal suo Puddin’ neanche per un giorno.

-Ma mi manca tanto…-  lagnò fra sè, sporgendo il labbro.

 

 

________________________________________

 


 

Intanto, a quattro piani di distanza, dall’ascensore era uscito Batman, con tanto di maschera e Batcintura. Si era cambiato alla velocità della luce, non poteva certo rischiare di insospettire Joker… Naturalmente, appena arrivò al piano terra Bruce si imbatté in una vecchietta con il carretto della spesa che stava andando nella direzione opposta.

-Buongiorno...- la salutò come se niente fosse, senza fare caso alla sua espressione sbigottita.

-È andato da quella parte!-

Il supereroe si girò, la nonnina gli stava indicando col bastone verso sinistra -Di là, ti dico!- insistette con voce rauca e tono spazientito -L’ho visto con i miei occhi!-

-Ah… Grazie?-

-Fallo nero- gracchiò, zoppicando verso l’ascensore - Questi giovani maleducati, fosse capitato ai miei tempi, vedevi quante bastonate si beccava…-

Batman sorrise, per quanto fosse divertente ascoltarla, aveva qualcosa di molto più impellente da fare. Velocemente uscì e iniziò quell’inusuale inseguimento delle dieci di mattina… Era molto strano incontrare quel delinquente alla luce del sole, ora che ci pensava non l’aveva mai visto prima di mezzanotte. Sicuramente non avrebbe faticato a trovarlo, con quei colori ridicoli e quelle tenute carnevalesche non passava certo inosservato. Arrivò a un bivio, non ebbe il tempo di scegliere quale direzione prendere che qualcuno gridò a pieni polmoni…

-MAMMA, GUARDA! C’È JOKER!-

Sia Batman che Joker si girarono di scatto verso quel bambino con il logo di Superman sulla maglietta.

Bruce spalancò gli occhi, Joker in persona aveva deviato la sua direzione e stava andando tutto contento verso quel bambino che lo indicava freneticamente.

-Ciao, campione, vuoi un autografo?- gli domandò, con il suo enorme sorriso.

Una donna, probabilmente la madre, gridò disperata e si portò il figlio dietro alla schiena.

-Ho già mangiato, signora- sghignazzò il clown -Può stare tranquilla!-

-JOKER!- al bambino brillarono gli occhi, era arrivato anche Batman! -Allontanati subito da quelle persone!- 

-BATSY?! Oddio, amico, sei proprio tu?- esclamò Joker, aprendo le braccia -Amico, da quanto non ci vediamo?-

Ma Batman gli tirò contro un Batarang, che Joker schivò per un pelo.

-Siamo già nervosi di prima mattina, eh vecchio mio?- ridacchiò, iniziando a tastarsi le tasche -Posso consigliarti uno dei miei trattamenti per la buonanotte?-

Con un gesto fulmineo si toccò la fondina, pronto per estrarre la pistola e sparargli tutti i proiettili che aveva. Peccato solo che la fondina fosse vuota.

Joker si raggelò, aveva dimenticato la pistola a casa della psichiatra! Batman sorrise.

-Allora?- lo schernì -Sto aspettando il mio trattamento…-

-Ehehe, sì, beh…- gli sorrise nervoso, mentre Batman gli si avvicinava minacciosamente con quattro Batarang in mano -Ascolta, ma perchè non ci prendiamo una pausa? Sono le dieci di mattina… Ti offro un caffè?-

-Dì le tue ultime preghiere-

-Ma, ma…Via, Batsy, non vorrai mica dare il brutto esempio al bambino?- esclamò, riferendosi al piccolo spettatore che li fissava a bocca aperta -Colpire un uomo disarmato, così, senza neanche preoccuparti di un gesto tanto ignobile? Non è da te, Batsy, non è da te. Tu queste cose non le fai. Vero, ragazzino?-

-È vero!- rispose subito il bambino.

Bruce alzò gli occhi al cielo -Non credo che tu ti porresti tutti questi problemi se fossi al mio posto-

-Ma io sono il cattivo!- gli rispose allegramente -Certo che non me li pongo, figurati!-

-Ho già sentito abbastanza-

-Aspetta,aspetta,aspetta… Mi concedi un ultimo desiderio?- gli chiese Joker, con un ghigno malevolo -Mi fai un bel sorriso?-

Batman fece per lanciargli uno dei suoi affilatissimi boomerang, ma Joker fu più veloce e tirò loro una delle sue famose bombolette di Smilex, il gas tossico che aggredisce il sistema nervoso, provocando incontrollabili risate fino alla morte per soffocamento.

-ANDATE VIA! TRATTENETE IL FIATO!- gridò Batman, mentre la micidiale cappa verdognola iniziava a propagarsi nell’aria. In apnea, si buttò coraggiosamente dentro la nebbia velenosa e lanciò tre Batarang nel punto in cui provenivano le risate del clown, ma invano. Queste infatti non cessarono e si allontanarono sempre di più, fino a svanire del tutto.

Quando finalmente la neurotossina si era diradata, Joker era ormai a più di un chilometro di distanza. Batman gli lanciò l’ultimo Batarang a tutta forza, ma il clown con un balzo agile aveva scavalcato una ringhiera e riuscì a evitarlo, continuando a correre a tutta velocità.

Sospirò di impazienza, sentendo che dietro di lui qualcuno gli stava trattenendo il mantello. Si girò e vide il bambino di prima con una penna e il diario in mano, i suoi occhioni infantili brillavano come due stelline. Batman alzò gli occhi al cielo e lo omaggiò con uno scarabocchio.

-E mi raccomando- gli disse, restituendogli il diario -Cambia subito quella maglietta-

 

 

 

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The Royal Hotel of Gotham City, due ore dopo

 

 

 

Nell’ultimo piano del lussuosissimo albergo a sette stelle, c’erano quattro uomini seduti a un tavolo nel bel mezzo del corridoio, tutti con le carte da poker in mano. Alcuni erano in canottiera, altri avevano la sigaretta in bocca e ognuno di loro aveva una bottiglia chi di vino, chi di birra di fianco. Ma la cosa più evidente erano le banconote sparse sul tavolo, i muscoli e i tatuaggi.

Appena videro Joker, smisero subito di giocare e si alzarono in piedi.

-J!- lo salutò Jonny, andandogli incontro -Va tutto bene?-

Joker infatti zoppicava, con la gamba sinistra parzialmente insanguinata. Malgrado tutto, due Batarang avevano colpito a segno.

-Non dire niente, amico, non dire niente- lo zittì, muovendo la mano come se volesse scacciare una mosca -Non posso neanche firmare gli autografi che quel pipistrello… - si staccò l’arma conficcata nel polpaccio, mugugnando di dolore -Avevo passato una serata così piacevole, in buona compagnia… Mi rovina tutto, rovina sempre tutto!-

-Dici con la psichiatra? Allora, l’hai uccisa alla fine?-

Joker lo guardò male, ma poi ridacchiò.

-Uccisa! Oh, no, no, no, no vecchio mio- sghignazzò Joker, mentre l’altro gli toglieva la giacca come se fosse un maggiordomo -Mooolto meglio, me la sono portata a letto-

Jonny ridacchiò, ma un uomo affianco a loro osò protestare.

-Cosa? Andiamo J! Dopo quello che ti ha fatto, l’hai lasciata in vita? Se ci fossi stato io…-

Joker gli sparò un proiettile dritto in bocca, troncando sul nascere la conversazione. Il sangue schizzò come un petardo e colpì gli uomini che erano seduti affianco alla vittima.

-Signori, chiariamo subito una cosa- si rivolse agli altri uomini, che lo guardavano intimoriti -Chi è che comanda qui?- li guardò uno ad uno con i denti stretti, ma nessuno osava rispondere -Chi è che decide, chi è che fa procedere gli affari? CHI È CHE VI HA SALVATO DALLA FORCA DELL’INDIGENZA E DELL’INSUCCESSO? IO, maledizione, IO!- ringhiò, furibondo, mentre si avvicinavano altri dei suoi uomini -Sì, venite pure anche voi, la cosa vi riguarda direttamente. Stavo giusto dicendo ai vostri colleghi che se non vi va bene quello che faccio, potete dirlo apertamente, così vi spacco la testa subito e non ci pensiamo più- continuò a voce alta -Perché io non vi devo delle spiegazioni. Devo forse dirvi che cosa mi spinge a… Sparare o non sparare?-

Detto questo, sparò nel piede a uno di loro, che gridò dal dolore, gettandosi a terra.

-Ops! Scusa, Toby, mi è sfuggito- ridacchiò, grattandosi la testa -Ma proprio non riesco a trovare un motivo per non spaccarvi la testa. Alzi la mano chi ha qualche domanda da farmi-

Gli uomini rimasero muti e immobili, eccetto per il poveretto che gemeva e piangeva con il piede sporco di sangue. Solo due prostitute sedute in un angolo osarono alzare la mano, ma lo fecero sorridendo e scherzando. Joker fece finta di non vederle.

-Nessuno?- esclamò, con finta sorpresa -Ma davvero? Sono esterrefatto. Mi sembravate tutti così… Maldisposti, ieri sera-

-Non io. Io avrei fatto la stessa cosa che hai fatto tu, J- esclamò un uomo nerboruto, mentre Joker si girava lentamente a guardarlo -Anche io l’avrei sfondata per bene, capo!-

Il tizio, convinto di aver detto la cosa giusta, ridacchiò, ma Joker sparò in testa anche a lui.

-Ma chi ti ha chiesto niente?- gli domandò con una smorfia annoiata, poi si rivolse di nuovo agli altri uomini, agghiacciati -Bene, abbiamo finito? Tutto apposto? E tu, piccolo, vuoi smettere di soffrire?-

-NOO!- gridò l’uomo con il piede ferito -NO, ti scongiuro, nooo-

-Prometti che non mi guarderai più male?- gli chiese Joker, trattandolo come se fosse un bambino.

-Sì, te lo prometto, te lo giuro!-

-Va bene, Toby- esclamò Joker, sparandogli anche all’altro piede -Abbiamo sigillato la nostra promessa!-

Le urla dell’uomo furono strazianti, Joker ridacchiò e fece segno a Jonny Frost di seguirlo. Entrambi si isolarono in una sala privata dell’albergo, lasciando la consorteria criminale a dir poco sgomenta.

Sul tavolo arabescato di quella stanza da riunione c’era già una bottiglia di Champagne con i rispettivi calici. Jonny la stappò e gliene verso una discreta quantità.

-Questi inutili esseri mi faranno diventare matto- esclamò Joker, stancamente.

-Ti capisco, J… Ah, ho una notizia parzialmente buona da darti. Gaggy è uscito dal coma ma due giorni fa è stato rimandato a giudizio. Temo che lo metteranno dentro-

-Hm, che tristezza… Chi mi racconterà le barzellette, adesso? Avrei proprio bisogno di un giullare-

-Un giullare?-

“O una giullarina…” pensò Joker, tristemente.

-Ehm…Te ne cerco uno?-

-No-

-D’accordo. Quindi con la psichiatra è finita? Non la vedrai mai più?- Joker lo guardò negli occhi con stizza, e il mercenario corresse subito il tiro -Te lo chiedo solo per capire come comportarmi. Se dovesse venire a cercarti, cosa faccio? La faccio passare? Dimmi tu-

-Falla passare-

-Perfetto…-

-Sì, perfetto. Ma tu non puoi capire, Jonny. Era da una vita che non assaporavo una tale pace dei sensi… Lei era così stretta, sembrava una reattiva guaina di velluto- soggiunse con lo sguardo remoto, perso nel vuoto -Avevo quasi dimenticato che le ragazze potessero essere così… Come dire… -

Jonny si schiarì la voce -Beh, le puttane si sa che sono…-

-Usurate? Assuefatte? Eh sì, eh sì- lo interruppe il clown, con un’espressione grave -Bisogna accontentarsi-

-Presumo di sì, capo- concordò Frost, guardandolo negli occhi. Joker aveva assunto un’aria luttuosa, cosa molto rara da parte sua, che aveva fatto del sorriso una scelta di vita.

-Toc, toc? Disturbo?-

Lupus in fabula, una bella ragazza con i capelli ricci e una mini gonna jeans aprì la porta e giunse verso di loro. Joker cambiò subito espressione.

-Ciao, bellissima- forzò un sorriso, allargando le braccia per permetterle di sedersi su di lui.

-Ciao, Jolly. Ti piace il mio nuovo completino?- gli chiese, riferendosi a quella sorta di top che le copriva a stento il seno esplosivo.

-Oh, mi piace un sacco, Frou Frou…-

La ragazza fece una risatina -Sono qui perché avevo una recriminazione da farti- gli disse, sistemandogli il papillon nero.

-Hmm… Sentiamo-

-Dove sei stato ieri? Dovevi stare con me-

-Sono stato da un’amichetta-

-La bionda con gli occhiali che ha ammazzato Irina?- gli chiese, vagamente risentita.

Joker ridacchiò verso Frost -Queste fanciulle ne sanno una più del diavolo! Sì, bambola, proprio lei-

-Non potevi stare con me?-

-Ci sto tutto il tempo che vuoi con te…- le rispose a tono. La ragazza lo baciò sulle labbra, ma Joker interruppe il bacio prima che lei potesse approfondirlo.

-Ascolta, piccola, perché adesso non fai fare un giretto a Jonny? Guardalo, è tutto triste, poverino-

La prostituta fece una smorfia e Frost sobbalzò -Ehm, grazie capo, ma non ce n’è bisogno…-

-Dai, amico, offro io- gli fece l’occhiolino

-Ma Jolly…- protestò la ragazza

-In piedi, tu! Su, su!- le diede una pacca sul sedere e si alzò anche lui -Io ora vado a dormire. Non me la consumare troppo, eh, bestione!-

-Grazie, J…-

-Ma che gli prende?- domandò lei a Frost, amareggiata.

-Non lo so- rispose Frost, anche se una vaga idea l’aveva…

 

 

Qualche ora più tardi nella deluxe suite…

 

 

Pensava a lei.

E anche al polpaccio, che faceva male.

Ma soprattutto a lei.

Gli tornava in mente.

Harleen Quinzel… O meglio, Harley Quinn.

Finalmente era riuscito a portarsela a letto, e se anche aveva aspettato dolorosamente per un secolo, ne era valsa la pena.

Certo che all’inizio Harley l’aveva un po' disorientato. Il suo modo di approcciarsi all’amore fisico era totalmente diverso da quello a cui era abituato, sembrava quasi avulso dal contesto. Tutta baci e sorrisi timidi, poche carezze ma decisive.

Forse, erano semplicemente i canoni di Joker ad essere incongrui a causa della professionalità delle meretrici. E forse, il fatto che Harley fosse stata così parca di iniziativa aveva contribuito a rendere i suoi tocchi sporadici dannatamente eccitanti, agognati.

Perché altrimenti non si spiega. Un orgasmo pazzesco con la ragazza normale e un orgasmo normale con la escort pazzesca. Gli veniva da ridere, non aveva alcun senso!

Evidentemente, c’era solo una cosa da fare per sopire ogni dubbio: tornare da lei e rifarlo due, tre, quattro, mille volte e vedere cosa succedeva. Fece un ghigno, non era male come idea.

Lei tanto ci sarebbe stata e avrebbe riso per tutto il tempo, trillando come un campanellino. E poi gli avrebbe detto che lo ama e altri bla bla bla romantici, fino a stringerlo forte, in quel modo possessivo che gli ricordava… Joker spalancò gli occhi con fare alienato.

“Oh, no” si impose, scuotendo la testa come se servisse a cacciare i pensieri “No,no,no,no…NO!”

Ma era troppo tardi, il suo cervello gli aveva già fatto quell'orribile regalo. Il viso di Jeannie era entrato nel suo campo visivo. Chiuse gli occhi e strizzò le palpebre, cercando di scacciare via il ricordo.

Non doveva soffrire per quella donna, lui non era Jack… Quel perdente era annegato nell’acido dieci anni fa!

Rise, ma quel dolore viscerale e straziante lo fendeva senza pietà, come un pugnale conficcato nel petto che qualche volta si rigirava su sé stesso.

Appoggiò la pistola e afferrò una bottiglia stappata di champagne, abbandonata sul tavolo accanto ai computers.

-Lo champagne è sgasato!- gridò verso la porta, indignato -Perché rubo per delle bollicine che non esistono?-

-Provvediamo, capo!- rispose una voce fuori dalla porta. Ma appena entrò il cameriere, Joker gli puntò contro la pistola. Il poveretto dalla paura rovesciò il cabaret con il calice e la bottiglia.

-AH! Ti prego, no!- lo supplicò, spaventato -Ti prego, non uccidermi-

-Dammi tre buoni motivi per non farlo- lo fulminò Joker.

-Mi… Mi sono appena laureato in economia e… e mi serviva questo lavoro, io sono solo un ragazzo come tanti, n-non…-

Joker fece un’espressione colpita -Aspetta. Non mi stai propinando la tiritera della moglie e dei due bambini?-

-Ehm, non ho figli, signore- gli rispose angosciato -Ho solo… Ho quattro fratelli, sono un volontario per la protez…-

Ma lo sventurato non poté terminare la sua perorazione, perchè qualcuno gli sparò inaspettatamente alle spalle.

Joker scattò in piedi, e dietro al cadavere che cadeva plasticamente al suolo comparve Harleen, con la sua pistola nella destra e il braccio teso. Appena la vide, Joker le fece un sorrisone.

-Harley!?- esclamò, profondamente sorpreso -Ma che ci fai qui?-

Ma la ragazza non gli rispose, entrò dentro a passo svelto e lo baciò, scavalcando il cameriere come se niente fosse. Le punte delle loro lingue si toccarono, e di nuovo lei percepì tutta la superficie liscia e pericolosa dei suoi denti rinforzati. Preferì staccarsi.

-Hai… Hai dimenticato questa a casa mia- gli disse con le guance rosse, passandogli l’arma come se fosse un giocattolo. Joker se la mise nella tasca, in quel momento indossava solo l’accappatoio bianco dell’albergo, maliziosamente aperto sul petto tatuato.

-Grazie, angioletto- le sorrise, cingendole i fianchi.

Dietro di lui, Harleen notò che il tavolino da salotto era pieno di pillole e di siringhe. E poi c’era un intenso odore di tabacco… Ma a parte questo, la camera era il ritratto della sontuosità. Le sembrava di aver preso un corridoio sbagliato e di essere finita a Buckingham Palace.

-Posso entrare?- gli chiese, abbagliata.

-Sei già entrata- osservò lui, con un ghigno.

-Sì, giusto…-

Joker ridacchiò e la guardò da capo a piedi, Harley era davvero uno schianto. Sempre con le mani sui suoi fianchi, iniziò a girarle intorno come un avvoltoio.

-Quindi tu vivi in un hotel?- gli chiese, girandosi anche lei per fronteggiarlo.

-Per qualche giorno, in attesa di trovare un nascondiglio migliore-    

-Potevi restare da me- gli propose, insicura -Certo, il mio appartamento non è favoloso come questo posto, però… Potevamo stare bene lo stesso-

-Sì, sarebbe stato molto divertente, baby- le slacciò il bottone dei jeans -Ma sei troppo sotto tiro. Hanno aperto un’inchiesta anche su di te, lo sai?-

-L’ho immaginato, ma tanto non mi interessa, non hanno le prove- gli disse cercando vanamente di mantenere un tono fermo. Ma Joker comunque non ci fece caso, era troppo impegnato a divorarla con lo sguardo…

-Senti, ma… Posso offrirti qualcosa da bere? Un po' di champagne, del latte di soia?-

Harleen represse un brivido. Le stava abbassando la zip dei pantaloni…

-Mr J, non sono venuta qui per questo-

-No, macché. Sei solo venuta nella mia camera da letto alle… - guardò il rolex d’oro -Undici di sera-

-Hai ragione- gli sussurrò imbarazzata, e lui subito sorrise e annuì vigorosamente

-Volevo aspettare domani ma il fatto è che mi mancavi e sapevo che tu eri qui e… Insomma, sei sparito di nuovo e senza il tuo numero né altri recapiti ho avuto paura di non trovarti più-

-Non mi sembra che tu abbia molti problemi a trovarmi- le rispose gentilmente -Ma se ti interessa, la mia proposta è ancora valida. Puoi restare con me quanto vuoi, ma fintanto che resti, fai tutto quello che dico io-

La ragazza sospirò -Cioè, faccio la puttana?-

Joker rise -Tu subito vai a pensare a quello, eh birichina!?- la derise, mostrandole i denti scintillanti -In realtà io parlavo in termini più generali, ma se tu vuoi fare solo la puttana non sarò certo io a impedirtelo!-

Harleen gli sorrise, non sapeva perché ma a volte lo trovava più buffo e carino che irritante e pericoloso.

-E fare tutto quello che dici tu, comporta…-

-Venire con me alle feste, seguirmi in tutti i miei spostamenti, accompagnarmi nei locali tutta carina, cosa che comunque non ti risulterebbe troppo difficile, dato che sei già carina da impazzire…-

-E poi?- lo incitò, con gli occhi che le brillavano.

-E poi altre cose, non lo so… Qualche bacetto qua e là, un po' di compagnia…- Le prese l’elastico delle mutande e lo tirò verso di sé -Blondie-

Naturalmente, il clown stava omettendo le peggio cose che gli umani normali non possono neanche immaginare, ed Harleen ne era consapevole ma non spaventata. Aveva già dimostrato che era disposta a uccidere, per lui.

-Mi piacerebbe da morire- gli rivelò infatti, prendendogli la mano -Ma se ti dico di sì, posso chiederti solo un’unica condizione?-

-No- le rispose tranchant, alzando le spalle e togliendo subito la mano -Nessuna conditio sine qua non nei miei accordi, zuccherino-

-Che ci sia solo io- tentò comunque Harleen.

-No!-

-Io e nessun’altra ragazza- insistette, testarda

-No!- cantilenò lui, allargando il sorriso.

-E che tu mi sia fedele sempre, come io lo sarò con te-

-Amen!- ridacchiò Joker -No, no e no! Non rinuncio a tre ragazze per averne una sola… Ho per caso scritto ‘scemo’ in fronte?-

-E allora scordati di me- si ribellò Harleen, liberandosi bruscamente dalla sua presa. Andò verso la porta e gli diede le spalle ma Joker la bloccò, tirandola per i capelli.

-Come, come, come? Ma dove credi di andare, riccioli d’oro?- sghignazzò, forzandole la nuca verso il basso -Mi sembrava di avere chiarito che qui le decisioni le prendo io, non tu-

La ragazza fece una smorfia di dolore -Lasciami…-

-Oh, no, non ti lascio. Sei entrata tu nella tana del lupo, cappuccetto, tu adesso sei mia-

-Non sono tua! Lasciami!- ribattè Harleen, cercando di liberarsi.

Ma lui infilò una mano dentro i suoi jeans aperti e la fece scivolare verso il basso. Harleen sobbalzò e gli afferrò il polso, ma malgrado i suoi buoni propositi non riuscì a scansarlo.

-Sei tutta bagnata, dì la verità-

-No- rispose lei, col viso purpureo e il corpo eccitato.

-Invece sì… Senti qui che bel laghetto!- la schernì divertito, flettendo le dita nel suo corpo -Come l’altra volta- le sussurrò all’orecchio -Pensavo di annegare lì dentro…-

-Sei uno stronzo-

Joker spalancò gli occhi e le tirò uno schiaffo in pieno viso, talmente forte che gli bastò mollarle i capelli per vederla cadere sul pavimento come un peso morto.

-No,no,no,no, così non ci siamo…- la rimproverò, impugnandole di nuovo la chioma con forza -Chiedi scusa a papino, Harley-

Harleen mugolò dal dolore, sentiva la testa scoppiare e un rossore patologico già le stava gonfiando l’angolo destro delle labbra.

-Perché non mi spari un colpo e la facciamo finita?- gli domandò addolorata, con le lacrime che minacciavano di scendere.

-In effetti me lo sto chiedendo anch’io. Ma credo sia perché non lo troverei troppo divertente. Insomma io uccido solo quando fa ridere o quando la mia reputazione me lo impone… Chiedi scusa a papino, Harley-

Harleen esitò, orgogliosa. Voleva tanto tacere, ma lo sguardo fisso e minaccioso di Joker era agghiacciante… Pupille immobili, labbra tese e sottili come due lame insanguinate. Lei lo conosceva, sapeva cosa era in grado di fare e soprattutto come, la sua anima brutale, sadica e violenta non conosceva limiti… venire brutalmente torturata per una parola inespressa non aveva alcun senso.

-Scusa- gli sussurrò, vinta.

Il viso di Joker si rilassò -Brava, baby-

Le tese la mano ma lei rifiutò il suo aiuto e si alzò da sola, guardando ovunque fuorché verso di lui.

-Posso andarmene, adesso?- gli chiese lei, sopraffatta e umiliata.

-Non finisco il lavoretto?-  le domandò, facendo un cenno verso i suoi pantaloni ancora aperti.

Harleen lo fulminò con lo sguardo e chiuse subito il bottone; poi, girandosi verso la porta, notò che c’erano sull’uscio tre bellissime ragazze accanto al cadavere del cameriere. Due di loro erano le stesse che aveva visto nel locale, e poi ce n’era una terza, bionda e vestita da infermiera, che le assomigliava non poco…

-Perfetto- esclamò Harleen, con tono piatto -Giusto in tempo per togliere il disturbo. divertiti, Mr J-

-Penserò tutto il tempo a te, Harley Quinn-

Harleen si fermò di soprassalto e chiuse gli occhi, inspirò aria… Quel nome… Corse giù per le scale, non poteva resistere un secondo di più.

Joker si limitò a guardarla andare via, portandosi l’indice in bocca.

Le tre prostitute intanto gli si erano avvicinate, con sguardo insinuante e andatura cauta lo avevano accerchiato. La più rodata delle tre gli sciolse il nodo dell’accappatoio e fece sparire la mano al suo interno.

-Tu- ordinò a Frou Frou, senza cambiare espressione -Molla l’osso e mettiti in ginocchio. Tu- si rivolse alla seconda -Spogliati. Mentre tu…-

La bionda vestita da Harleen gli sorrise -Cosa devo fare, Jolly?-

-Tu…- esitò e sospirò -Tu fatti due codini-

-Coi capelli?-

-No, cretina, con le tue budella-








Note
Ciao ragazzi! Come va? Siete già in vacanza? Spero proprio di sì!
Scusate l'attesa ma tra esami di fine anno, feste di fine anno e compleanni ho avuto dei giorni davvero intensi e zero tempo per scrivere... Ora che le acque si sono calmate avrò senza dubbio più tempo! ^^
Niente, in questo capitolo ho cercato di mostrare il lato violento di Joker, anche se temo di aver fatto un pasticcio. In realtà c'è molta confusione sul suo personaggio, in alcuni fumetti è un sadico della peggior specie, in altri è il classico villain buffo e combina guai. Io opterei per una versione 'raddolcita' della prima... Niente, spero che mi facciate sapere se vi è piaciuto. Un bacio, Ecate



 

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Capitolo 13
*** Bohemian Rhapsody ***


BOHEMIAN RHAPSØDY

 

 

L’alta società di Gotham era senza dubbio la più sicura e tutelata: lì erano concentrate le questure e le caserme, gli aeromobili perlustravano via cielo le strade e in genere la criminalità era pressoché assente.

È la ragione è evidente: più il valore del bene da tutelare è alto, più i controlli sono -presumibilmente- rigidi e sofisticati.

Ma a dispetto dell’ovvio, Joker aveva deciso di nascondersi proprio nei quartieri alti, occupando un albergo che era paradossalmente di fronte alla centrale di polizia. D’altronde, chi mai penserebbe di fare un’ispezione nel famoso Royal Hotel dove albergavano solitamente politici, ambasciatori e ricchi industriali? Il clown non aveva sbagliato i suoi conti. Inoltre conosceva molto bene il vero proprietario della struttura, un boss della mafia russa con il quale aveva costituito una società occulta poco tempo addietro. Costui gli doveva dei soldi e Joker dovette ammettere che si stava sdebitando egregiamente, dato che gli aveva riservato l’intero hotel e l’intero personale gestante.

Certo, non si aspettava di rivedere Harley così presto.

Si rigirò nel letto. Era incredibile, quella ragazza riusciva sempre a trovarlo. Neanche Batsy era così solerte nelle sue ricerche… Ma ancora più incredibile era il fatto che fosse ancora viva. Non trovava ragioni per ucciderla, l’idea non lo divertiva, anzi era disturbante come uccidere… “Come uccidere chi?”

Joker iniziò a pensare, ma i suoi sensi sovra sviluppati captarono un sospiro, la presenza di qualcuno proprio al capezzale del suo letto. Impugnò la pistola nascosta sotto il cuscino e sbarrò gli occhi, ma ciò che vide fu solo la prostituta Frou Frou, che sussultò. Era disarmata, non aveva cattive intenzioni.

-Che stai facendo?- le domandò con tono esigente, alzandosi a sedere.

-Scusa, credevo dormissi- gli rispose lei, intimorita.

-E sarebbe un buon motivo per spiarmi?-

-Non ti stavo spiando- mentì, imbarazzata -Aspettavo solo che ti svegliassi per darti il buon giorno-

-Il tuo turno- cominciò Joker, spazientito -È finito due ore fa, Francisca mia cara. Ora fammi la cortesia di uscire-

-Ma perché non facciamo qualcosa fuori dal contratto?- gli propose ammiccante, mordendosi il labbro -Sento la tua mancanza, Jolly, prima non mi hai degnato di uno sguardo-

-No, ho già dato- le rispose semplicemente, poi si guardò le parti basse -Non voglio che mi rimangano due noccioline al posto delle palle-

Frou Frou rise sinceramente, coprendosi la bocca -No, non lo voglio neanch’io-

-Bene, la porta è dietro di te

Frou Frou smise di ridere e lo salutò senza allegria. Si era perfino fatta i codini nei capelli come aveva fatto Annette, e stavano bene entrambe, ma non abbastanza.

Colei che popolava i suoi sogni rasentava la perfezione.

 

 

 

Due ore prima

 

 

 

Harleen uscì da quell’albergo con i conati di vomito e il viso bagnato di lacrime.

Corse via il più lontano possibile, sperando con tutto il cuore di non incontrare nessuno.

Che bastardo.

Non riusciva a pensare ad altro. Era a dir poco furiosa, umiliata e furiosa. La mascella le doleva ed era certa che fosse già comparso un enorme ematoma violaceo, ma mai quel dolore poteva eguagliare lo strazio che stava provando dentro, oltre la sua gabbia toracica. Sentiva come degli spasmi che le rendevano difficoltoso il respiro e le davano l’impressione di soffocare, e il suo equilibrio era precario, le sembrava di stare per cadere da un momento all’altro.

Harleen si auto diagnosticò subito un attacco di panico. D’altronde, quella dei disturbi da ansia generalizzata era una materia che conosceva fin troppo bene.

Aveva conseguito il massimo cum laude durante l’esame universitario, e se non ci fosse stata l’affascinante criminologia forense, l’avrebbe sicuramente scelta come materia per la tesi di specializzazione…O meglio, se non ci fosse stato l’affascinante Joker, avrebbe scelto ‘disturbi da ansia generalizzata’ come materia per la tesi.

Harleen si disperò, perfino la sua tesi di laurea era dipesa da lui! Tutti quei giorni passati a studiarlo, a guardare le sue foto e a sorridere di fronte ai suoi video grotteschi avevano sortito delle conseguenze inevitabili, che ora stava pagando con gli interessi.

Aveva ucciso due persone. Irina e il cameriere, due ragazzi che probabilmente erano più giovani di lei, e il guaio era che non gliene importava assolutamente niente. Sembrava che la sua coscienza fosse scomparsa, bruciata dal medesimo incendio verde che era divampato nel suo cuore. Non sentiva rimorso o dispiacere, tutti i suoi sentimenti ruotavano intorno a lei e all’uomo che era diventato il leitmotiv della sua esistenza.

Lei voleva Joker, e lo voleva a tutti i costi.

Lo sentiva suo, una sua estensione, una parte fisica e morale del suo io senza la quale non poteva vivere.

E lui, adesso, stava dando tutto sé stesso a tre prostitute. Non l’aveva rincorsa per le scale, non si era scusato con un bacio, quel bastardo aveva solo intimato a una delle puttane di chiudere la porta.

Che stronzo.

Ma Harleen non poteva accettare una fine così, neanche per sogno.

Si sedette un attimo su una panchina, cercando come possibile di calmarsi e fermare le palpitazioni.

No, quella non era la fine, anche se stava piangendo a dirotto e la mascella le doleva per lo schiaffo, sapeva che presto le cose si sarebbero sistemate.

A  costo di uccidere quelle tre puttane davanti ai suoi occhi. Strinse forte i pugni, preda di una rabbia feroce e quasi istintiva.

Nessuna doveva osare toccarlo, quello era il suo uomo, il suo Puddin’, diavolo!

Per fortuna era sera tardi e non c’era nessuno in giro, perché Harleen non avrebbe davvero sopportato le attenzioni ipocrite e buoniste dei ricchi signori di passaggio. Inoltre l’aria fresca coadiuvava la respirazione, e c’era davvero una vegetazione florida, bizzarra per una cittadina. Un fiore azzurro era perfino comparso nel bracciolo della panchina.

“Ma questo c’era quando sono arrivata?” si domandò, guardandolo con sguardo preoccupato “Sto perdendo il senno!”

Si prese la testa tra le mani, cercando di fare respiri profondi “Respira, stai calma, Harleen, resp… Ma la figuraccia del laghetto?”

La ragazza singhiozzò e gemette, imbarazzata a morte. Joker era stato davvero offensivo, e per fortuna che solo poche ore prima si era rallegrata del contrario… Iniziò a piangere dirottamente.

Poi, all’improvviso, sentì una mano esterna insinuarsi tra i capelli.

Harley si girò di scatto e si trovò improvvisamente faccia a faccia con il volto splendido di Poison Ivy.

-Te l’avevo detto che era uno stronzo, cara-

Harleen gridò e perse l'equilibrio dallo spavento. Si gettò a terra nel prato curato, trascinandosi il più lontano possibile dal secondo pericolo pubblico della città.

-Perdonami, non ho resistito- ammiccò Ivy con voce suadente, tendendole la mano verdognola -Dovevi essere tu a venire da me e a supplicarmi di ucciderlo, ma non potevo davvero aspettare un secondo di più. Avanti, cosa ti ha fatto il buffone verde e viola?-

Il cuore di Harleen, già sotto stress dopo l’incontro con Joker, riprese la sua corsa frenetica verso l’infarto.

-Che cosa vuoi da me?- le chiese sulle difensive, cercando di strisciare indietro col sedere.

L’espressione della Meta-umana però era tutt’altro che minacciosa. Il suo sguardo color bosco era vellutato e il suo sorriso aveva una strana dolcezza.

-Fammi indovinare, è venuto a letto con te e poi si è dileguato- azzardò, guardandosi le unghie perfette.

-No, non è vero- mentì subito Harleen, arrossendo. Ivy ridacchiò.

-Allora, è rimasto il tempo necessario per rubarti il computer e prosciugarti il conto in banca-

La psichiatra impallidì “Merda, il conto…”

Poison Ivy sorrise compiaciuta e si sdraiò a pancia in giù sulla panca, sembrava proprio un felino adagiato su un ramo -Dalla tua espressione deduco che non hai controllato-

Harleen scosse la testa, dandosi mille volte della stupida. Ecco cosa aveva tratto dalla serata di ieri, il niente, la povertà più assoluta sia dentro che fuori. E non aveva neanche più un lavoro, dato che era stata temporaneamente interdetta dall’esercizio della professione.

Scoppiò quindi in lacrime. Un pianto fragoroso e disperato, ed Harleen era certa che se Joker si fosse affacciato dalla finestra del suo lussuoso attico, l’avrebbe senz’altro sentita.

-Se vuoi uccidermi, fai pure- singhiozzò verso la rossa, che piegò il capo con fare stranito -Tanto peggio di così non potrebbe andare…-

-Cara, non c’è mai un limite al peggio- le disse Ivy, con un sorriso inopportuno -Su vieni qui, non piangere… Te l’avevo detto che ti avrebbe strappato il cuore-

Con i suoi poteri, issò un ramo di glicine che spinse dolcemente Harleen nella schiena, inducendola a sedersi nuovamente accanto a lei. Ivy le prese la testa e gliela adagiò sul seno prosperoso, iniziando ad accarezzarle i capelli.

-Meriti di meglio, Harley- continuò a dirle dolcemente, inebriandola con il suo profumo -Non vale la pena soffrire così tanto per quel maiale-

-Puddin’ non è un maiale…-  singhiozzò la bionda, col viso schiacciato tra i suoi seni.

-Ti garantisco che lo è. Esperienza personale-

-No, è solo colpa mia, sono io che come al solito sbaglio e pretendo troppo. Forse dovrei solo fare come quelle ragazze e non pensarci più-

-Quali ragazze?- ripeté la Meta-umana, con tono allibito -Non ti starai certo riferendo a quelle tre puttane che si porta dietro?-

Harleen tacque ma sollevò la testa e assentì con lo sguardo.

-Non dirai sul serio, honey!- protestò Ivy, scandalizzata.

-Non lo so- farneticò come una bambina in lacrime.

-Oh, andiamo!- sbottò irritata -Ma che cos’ha di così speciale, si può sapere?-

Harleen sorrise tra le lacrime -È difficile a dirsi… Da quando mi sono laureata non faccio altro che ascoltare i problemi degli altri, poi ho conosciuto Mr. J. Lui è stato il primo che ha ascoltato i miei problemi e che mi ha reso la vita divertente-

-Ti ha cosa?-

-… E io lo amo-

Ivy fece una smorfia disgustata e scosse la testa. La biondina piangeva ancora come una fontana, la sua sofferenza era tangibile e sapeva di ingiustizia. Quanta bellezza sprecata, quanto amore puro e incontaminato… Una mente raffinata come la sua meritava un partner migliore di quel pagliaccio sadico e bavoso. Ma in fondo nessuno meglio di lei la poteva capire.

-Oh, in fondo ti capisco, tanti anni fa ho sperimentato il tuo stesso dolore- le disse Ivy con un velo di cinismo -Sembrano dei salvatori, e invece sono tutti degli stronzi. E Joker, mia cara, è il peggiore di tutti- continuò, visibilmente irritata -Scarica le sue scorie chimiche nel mio parco solo per farmi un dispetto, mi distrugge le piante, calpesta i fiori ed è perfino immune alle mie tossine! L’ho baciato tre volte per niente-

-L’hai baciato?- le domandò Harleen, atterrita al solo pensiero -Vi-vi siete baciati? Quando?-

Ivy sventolò una mano con fare annoiato -Ho solo tentato di avvelenarlo, purtroppo senza alcun risultato-

-Avvelenarlo? Con un bacio?-

-È il mio marchio di fabbrica- le fece l’occhiolino, ancheggiando per sedersi più vicino a lei -Ma puoi stare tranquilla, posso baciare anche senza iniettare veleno-

-Ah…- esclamò, allontanandosi per converso. Poi rimembrò. Durante il viaggio da New York verso Gotham, ricordava di aver letto nel depliant “Guida alla sopravvivenza nella città di Gotham: cosa evitare, chi non frequentare” che Poison Ivy soleva uccidere in modo lento e doloroso le persone proprio con un bacio. Inoltre, rimembrava che era, subito dopo Joker e Mr. Due Facce, in cima alla lista delle persone da non frequentare assolutamente.

E ora la supercriminale sedeva accanto a lei, e si avvicinava sempre di più, con quello sguardo insinuante sotto le palpebre pesanti.

-Harl, ascolta me, stai puntando tutto sul cavallo sbagliato. Io capisco che il tuo puppy sia importante e che tu ti senta persa senza di lui, lo capisco bene, ma devi sapere che è una sensazione illusoria, è tutto nella tua testa. Il dolore che provi, le lacrime che versi… Dipende tutto da te, e io posso darti il potere di state meglio- le sussurro, persuasiva -Di porre fine a questo dolore una volta per tutte-

-Ma come?-

La rossa fece un ghigno pericoloso -Semplice, uccidendo il clown-

-Io non voglio fare del male a Mr. J- ribatté subito Harleen, resa insicura a causa delle capacità suasorie dell’altra.

-Oh sì che lo vuoi. Guarda dentro te stessa, abbi il coraggio di ammettere ciò che sai già. Lui ti ha usata, Harl, e tu lo sai. Dapprima per scappare dal manicomio, e poi… Beh, sappiamo entrambe cosa è successo dopo. Lui è venuto da te, ti ha detto qualche frase carina, avete bevuto qualcosa e poi, puf. Ti ha messo le mani addosso-

Con un ramo le voltò gentilmente il viso verso di sé, continuando a tessere la sua ragnatela di inganno e persuasione.

-Ma d’altronde come dargli torto- continuò con voce calda, sbattendo le lunghe ciglia -Per una volta mi trovo d’accordo con quel buffone, sei talmente bella-

La incatenò a sé con il suo sguardo, drogandola con i suoi profumi seducenti, e quando fu abbastanza vicina le diede un bacio. Ma non un bacio normale o fine a se stesso, un bacio ricco di magia. Ivy soffiò sulle labbra di Harley alcuni poteri e altre immunità, per infonderle coraggio, forza e velocità fisica.

D’altronde uccidere Joker non era un’impresa facile. Il clown aveva molti assi nella manica, senza contare che era dotato di una resistenza fisica sovrumana e di un’altissima soglia del dolore. Corazzare a questo scopo la ragazza di cui si era stupidamente invaghito poteva risultare una soluzione tanto micidiale quanto infallibile…

Peccato solo che Harleen fosse meno influenzabile di quello che sembrava. Si staccò da lei e la guardò con occhi disorientati e storditi.

-Scusa, ma non è il caso- iniziò a balbettare, scuotendo la testa con imbarazzo -Sei una bellissima ragazza e sono certa che chiunque vorrebbe essere al mio posto, ma io proprio non… Non ce la faccio, mi dispiace-

La bellissima Meta-umana fece una risata argentina, quasi beffarda.

-Va bene, Harl, ma cambierai idea. Capirai che non siamo noi ad avere bisogno degli uomini, ma che sono loro ad avere un disperato bisogno di noi. Quando avrai aperto gli occhi e ti sarai stufata di fare da schiava a quello psicopatico, chiamami. Non voglio perdermi lo spettacolo di Joker che le prende dalla sua ragazza-

Harleen sorrise senza capire fino in fondo il discorso. “La sua ragazza” aveva distolto ogni attenzione dalle altre parole…

Con lo sguardo ancora velato di fantasia, guardò Ivy innalzarsi verso l’alto, col suo potente fisico giunonico e statuario. Ella si ravvivò con grazia i capelli rossi e pieni di morbide foglioline, imbevendo l’aria della loro fragranza profumata.

Per un attimo, Harleen si pentì di non aver ceduto alle sue avances. D’altronde, la sua pelle verde chiara le ricordava tanto i capelli di Mr J, che solo ventiquattro ore prima aveva goduriosamente accarezzato con le dita.

-Fra due giorni il tuo buffone rapinerà il ristorante italiano a Hightown, nella sesta strada. Lo troverai lì-

-Come fai a saperlo?- le domandò Harleen, compiaciuta.

-Me l’ha detto Jonny- le rispose la meta umana con semplicità.

-Jonny? Vorresti dire Jonny Frost?-

-Ha una cotta per me- le fece l’occhiolino -Ora scusami, ma ho due cavie umane che mi attendono in serra-

Harleen le sorrise, tranquillizzata -Grazie-

-Prego-

-Ah, Ivy?-

-Sì?-

-Secondo te, qual è il colmo per un angioletto?-

La bella Meta-umana non ci pensò neanche, sorrise e spiccò un balzo sui due rami portanti di un tiglio.

-È ovvio, no? Avere le corna- le rispose, sorridendo -Ci vedremo presto, Harley-

Harleen la guardò andare via, atterrita.

Avere le corna… La meta umana non poteva scegliere battuta più azzeccata, dato che lui gliele stava facendo proprio in quel momento con tre prostitute.

Senza alcuna speranza, prese il cellulare e controllò. Nessuna chiamata, nessun messaggio interessante… Dalla via che c’era diede una sbirciatina anche al suo conto corrente online, e com’era prevedibile, nella schermata del suo status bancario lampeggiava un segnale di divieto con un bello 0,000 $ vicino. La ragazza rabbrividì e chiuse gli occhi, Joker le aveva veramente prosciugato il conto. Si diede di nuovo della deficiente, dare il proprio computer a Joker era come dare le chiavi di un caveau ad Arsenio Lupin.

Guardò pertanto il portafoglio, e constatò che le erano rimasti solo cinquantadue dollari e quaranta centesimi. Doveva farseli bastare solo per un giorno e una notte, fino alla prossima tappa: il ristorante italiano di Hightown.

 

“Quello che è mio è tuo e quello che è tuo è mio, Puddin’”

 

 

 

Pomeriggio seguente, Royal Hotel

 

 

 

Joker aprì gli occhi con un peso sullo stomaco. La luce di mezzogiorno era riuscita a filtrare dagli scuri e l’aveva svegliato prima del previsto. I raggi avevano un buffo riverbero bicolore che andava dal celeste al rosa, e anche la suite era profondamente diversa. Tutto, dai muri alle coperte, era stato diviso a metà e colorato da una parte di nero e dall’altra di rosso. Sullo specchio invece spiccava in rosso acceso una scritta con un cuoricino vicino. Un bel “Good Night! <3” scritto col rossetto.

Joker ridacchiò, divertito. Chi era la puttanella che aveva osato imbrattargli lo specchio?  L’avrebbe presa a sculacciate…

Che fosse stata la biondina nuova vestita da infermiera, quell’Amelie… Angelique… o come diavolo si chiamava?

Guarda il caso! A-non so chi giaceva dormiente proprio sopra il suo inguine. Ecco cos’era quel peso ingombrante! E gli stava pure sbavando sullo stomaco…

“Ma che schifo!” pensò il clown, ridacchiando. Diede un colpo di bacino per svegliarla, ma la fanciulla non si mosse di una virgola.

-Piccola porcellina, ma dove ti sei addormentata…- sussurrò divertito, dandole un secondo colpo, e poi un terzo, finché non la vide muoversi.

La ragazza sollevò lentamente la testa e mosse le mani, solleticandogli i fianchi. Joker la osservò con un sorriso curioso. Il suo viso era misteriosamente coperto da un copricapo da giullare a due punte, anch’esse per metà rosse e nere, che le erano ricadute in avanti. C’era qualcosa di molto strano in lei, qualcosa di entusiasmante che gli fece ribollire il sangue nelle vene…

Appena le scostò i pompom dal viso, il clown trasalì: Non era la prostituta nuova come pensava, era Harley Quinn.

Un sorriso spontaneo, sincero e colmo di meraviglia stirò le labbra di Joker.

-Harley- la chiamò, ammirando il suo viso -Allora sei rimasta, non te ne sei andata?-

-Come potevo andarmene dal mio clown principe del crimine?- gli sussurrò con voce passionale, poi piegò la testa e gli leccò voluttuosamente l’addome. Joker rabbrividì e inarcò le sopracciglia rasate.

-Ohh-ho… Beh, puoi restare quanto vuoi, piccola giullarina selvatica…-

Harley gli sorrise e lo rifece, con voracità sempre più crescente, lambendogli tutta la pelle che poteva, suscitandogli bollenti fremiti di piacere all’altezza del bassoventre.

Lui tese gli addominali e allargò le gambe, cercando di dirigere la lingua di lei più in basso. Ma come le prese la testa, sentì due orecchie morbide e pelose…

 

 

Joker si svegliò di soprassalto, aprendo gli occhi verdi come se gli avessero tirato un secchio di ghiaccio addosso. Bud, la sua iena maschio, si era sdraiato sopra di lui e gli stava leccando senza motivo la pancia.

-Bud, per Mefistofele…- esclamò Joker, disgustato -Ma che diavolo… PERCHÈ LE IENE SONO FUORI DALLA SALA TV!? Chi le ha fatte uscire?- gridò, constatando che la cassettiera e il tavolo non erano più a bloccaggio della seconda porta a sinistra. Furente, prese la pistola dal comodino e sparò subito due colpi in aria, ottenendo l’effetto desiderato. Il carnivoro spelacchiato balzò via, spaventato a morte, e anche le tre prostitute nella camera comunicante si svegliarono bruscamente e gridarono intimorite. In fin dei conti, non sarebbe la prima volta che il loro sonno fosse interrotto da una sparatoria improvvisa…

-Jolly, che succede?- esclamò Frou Frou, mezza nuda e allarmata.

-Non lo vedi da sola?- Joker si mise a sedere sul letto con la pistola stretta nella destra e l’amara consapevolezza che Harley non c’era. L’impatto con la realtà fu crudele, si sentiva come se fosse appena stato investito dalla Batmobile.

La sua espressione, un misto tra incredulità, turbamento e indignazione, la diceva lunga su quello che stava provando in quel momento.

-Tutto bene, playboy?- gli chiese Frou Frou con tono morbido, avvicinandosi cautamente. Gli mise le mani sulle spalle e tentò di fargli un massaggio, ma lui la scacciò bruscamente.

-No, niente di bene, pasticcino. Ho un cerchio alla testa. Basta donne, basta, basta donne… Andatevene via, non vi voglio più vedere. Fuori dai piedi-

Frou Frou fece un’espressione triste, mentre le altre due presero a vestirsi in fretta e furia.

-Jolly di denari, me lo dici cos’è successo?- insistette lei, aderendo coi seni e il ventre alla sua schiena -Potrei consolarti ancora un po’...-

Joker ridacchiò e le puntò la pistola su un fianco -Di preciso, cos’è che non capisci di ‘fuori dai piedi?’- le domandò con tono insolente -Te lo devo dire in spagnolo?Vediamo… Fuera de mi camino? Così ti è più chiaro?-

La ragazza portoricana indietreggiò fino a sbattere contro il guardaroba -Ma cosa ti prende? Sei strano…-

-Oh, no. Non sono strano, sono solo stufo di voi e di tutte le vostre assurdità- si alzò dal letto tutto nudo e si infilò un paio di pantaloni dell’Adidas, verdi come i suoi capelli -Esci e vai a divertirti, sei bella, sai lavorare… Trovi tutti i protettori che vuoi-

-Cosa?-

-Aria-

-Jolly…- lo chiamò lei con un’ espressione incredula, ma Joker continuò ad ignorarla.

Prese dal frigobar un pezzo di carne cruda e chiamò con un fischio le iene, che accorsero saltellando come due cani di grossa taglia. Lanciò loro la bistecca, le bestie la presero al volo e cominciarono a litigarsela.

-È buono il cameriere, non è vero, Lou?- esclamò dolcemente, mentre Frou Frou continuava a guardarlo con la stessa espressione addolorata.

-Non mi puoi cacciare- decretò angosciata, mentre lui accarezzava il tronco sporco di sangue della femmina.

-L’ho già fatto-

-Ti prego, io… io ti amo!- gli rivelò, ormai con le lacrime agli occhi.

-E io sono allergico alle olive- rispose Joker, incantandosi a guardare il vuoto -In realtà non ho mai capito se è il Martini a darmi alla testa o se sono le olive. Dovrei sottopormi a delle analisi. Forse la dottoressa lo capirebbe?-

-È per Harleen Quinzel, vero?- gli domandò, irritata. Al nome della psichiatra, Joker smise di pensare e la guardò negli occhi -È quella puttana che ti ha reso… Così. Perché? Che cos’ha lei che io non ho?- osò Frou Frou, bruciante di gelosia.

Il clown alzò le spalle -Tanto per cominciare, non è una puttana-

-Ma…-

Bang.

Joker le sparò in pieno petto. La fu Francisca Santiago cadde a terra con gli occhi aperti e l’espressione congelata in una smorfia indignata. Era un vero peccato averla uccisa, ma andava fatto. D'altronde non poteva rischiare che costei sfregiasse il viso di Harley come aveva fatto con quello di Irina… È sempre stata così gelosa, la dolce Frou Frou!

Sorpassò il cadavere nudo e andò verso il balcone vista mare. Non c’era una gran bella vista, a dire il vero. La costa era un enorme porto commerciale, e il mare non ospitava più pesci da quanto era inquinato.

Joker inspirò aria col naso e di nuovo pensò ad Harley. Era andata a casa da sola, di notte, per le strade fosche di Gotham City.

No buono.

Iniziò a sentire una strana preoccupazione per quel goloso zuccherino indifeso. La lista delle cose brutte che potevano succederle era pressoché infinita… Cosa avrebbe fatto lui se l’avesse trovata tutta sola per la strada? Ci pensò su e rispose con un sorriso “Ci sarei andato a letto e le avrei rubato tutti i soldi! Un momento… L’ho già fatto! Hahahah!”

Joker rientrò in camera tutto e contento e prese il suo cellulare personale. Magari poteva spedirle un messaggino, giusto per placare la curiosità di sapere se fosse viva o morta…

Non era certo preoccupato!

 

Sei viva o sei morta?

 

Digitò nella tastiera.

 

:)
 

Aggiunse anche uno smile, il sorriso doveva esserci sempre.

Attese dieci minuti, ma dalla futura arlecchina non arrivò nessuna risposta. Il perenne sorriso del clown iniziò a incrinarsi.

Passarono altri cinque minuti, ma il cellulare rimase ancora muto.

Joker aggrottò le sopracciglia inesistenti, non era abituato ad aspettare e la pazienza non era certo tra i suoi cavalli di battaglia.

Iniziò a passeggiare per l’enorme camera, si rimirò sorridendo allo specchio, si pettinò il ciuffo verde, si rimboccò i guanti senza dita…  Poi, quando non riuscì più a resistere, corse a guardare avidamente lo schermo. Niente.

“Perché non risponde!?” sbottò spazientito, stringendo così forte lo smartphone da polverizzarlo “Fa l’offesa? Hahahahah! E se fosse morta veramente? Se qualcuno l’avesse…”

Si ricordò di Hart, l’uomo che l’aveva stupidamente portata nel suo nightclub. Le sue intenzioni torbide trapelavano dal suo sguardo infoiato e dal modo in cui le stringeva il braccio, violento e pieno di impazienza. Joker fece un sorriso furibondo: se fosse successo davvero, il colpevole per punizione avrebbe tracannato l’intero mare di Gotham in un sorso solo… Con un mitra ficcato nel culo.

Premette il numero 9 del telefono dell’albergo, ma invece del servizio in camera gli rispose Jonny Frost.

-J, pronto- esclamò diligentemente Frost dall’altro capo del telefono.

-Jonny… Chi ha accompagnato a casa Harley ieri sera?- esordì, tagliente come un pugnale. In realtà non aveva mai dato ordine di scortarla a casa, e infatti Frost fu preso in contropiede.

-Accompagnato a casa?-

-Avete accompagnato a casa la ragazza, vero?- ripeté il clown, con finta dolcezza. Jonny esitò e Joker poteva immaginare quanto fosse sconvolto il suo viso in quel momento.

-Ma certo che sì, capo…- mentì il mercenario, con voce riluttante.

-Ottimo! Chi?-

-Bobby- sputò a caso Frost -È stato Bobby, l’ha accompagnata a casa lui-

-Bene, bene. Manda su Bobby e portami un mit…-

Ma poi, proprio quando il clown non ci sperava più, il cellulare squillò. Joker mollò la cornetta e afferrò subito il piccolo marchingegno. Guardò lo schermo e fece un sorriso sollevato.


Te ne importa?


-Pronto, capo?- continuò la voce di Frost -Ci sei ancora?-

-Lascia stare, Jonny. Mi sono già dimenticato-

-Ti sei dimenticato?-

Joker riagganciò, con gli occhi fissi sullo schermo.

-Sì che me ne importa, zuccherino- sussurrò, guardando lo schermo. Ripose il cellulare sul tavolino senza scriverle più niente.

Harley era viva, e stava presumibilmente bene, quanto meno fisicamente. Lei stava sicuramente aspettando una risposta, ma d'altronde il ruolo che si era scelto non consentiva comportamenti gentili o rassicuranti. Eppure, per la prima volta, Joker si sentiva sfiorato da un sentimento diverso, sepolto dentro se stesso, che gli procurava uno strano senso di solitudine.

Aveva voglia di vedere lei, di baciare e parlare proprio con lei, e non con una bella ragazza purchessia, con lei.

E questo non era affatto un bene. 

 

_____________________

 

 

 

Due sere dopo

 

 

Harleen è sempre andata controcorrente. Non era mai stata una ragazza come le altre, i doveri verso lo studio, lo sport e la famiglia avevano soffocato la sua personalità e le avevano impedito di vivere di appieno una giovinezza felice e spensierata.

Proprio ora se ne stava rendendo conto, mentre marciava verso la cappa di fumo e la cacofonia di grida provenienti dal ristorante italiano di Hightown. Le persone fuggivano tutte dalla parte opposta, colme di paura e disperazione: padri che correvano a perdifiato con bambini in braccio, coppie che scappavano tenendosi per mano, poliziotti sporchi di fumo che aiutavano gli anziani… Harley era l’unica che stava andando controcorrente, verso la fonte di quel male.

Non sapeva cosa gli avrebbe detto, l’ultima volta che l’aveva visto gli era corsa incontro e l’aveva baciato, ed era stato così semplice, un’azione ovvia e naturale come bere un bicchier d’acqua quando si ha sete. Ma questa volta non poteva placare la sua sete, non prima di avere risolto una volta per tutte la questione. Parlare con Poison Ivy, da questo punto di vista, le era stato molto utile e chiarificatore. Avrebbe accettato qualsiasi cosa pur di stargli vicino, e ora si sentiva abbastanza forte e coraggiosa per affrontare questa scomoda presa di coscienza.

Entrò nel locale semi distrutto, la porta le cadde praticamente tra le mani, ma con suo grande sconvolgimento, in mezzo a quel fumo nero non vide nessuno. Avanzò, sentendo i cocci di vetro che si spezzavano sotto le suole.

-Joker?- lo chiamò a voce alta, guardandosi intorno -Lo so che sei qui, ti prego, fatti vedere-

Infine, sentì la canna di una pistola puntata contro la schiena.

-Hai chiamato, madame?-

Harleen chiuse gli occhi e sorrise -non poteva proprio farne a meno!- e si girò subito verso di lui.

-Ciao- gli disse con una punta di imbarazzo, senza preoccuparsi della pistola che ora le puntava il centro dello stomaco -Come stai?-

Joker le sorrise, e a lei venne di nuovo l’inarrestabile voglia di baciarlo.

-Sorpreso. O la mia fama mi precede, o tu sei dotata di qualche potere soprannaturale atto a trovarmi-

-Trovo sempre ciò che amo, Mr J-

Lui ridacchiò -Che frase romantica, in quale cioccolatino l’hai letta?-

Harleen sorrise e gli si fece più vicina, gli sfiorò i bottoni d'argento della giacca damascata e poi lo guardò negli occhi.

-Noto con piacere che apprezzi la mia giacca-

-Ti posso baciare?- gli domandò lei, mandando al diavolo le sue buone intenzioni.


-Ti ho mai impedito di farlo?-

Harleen lo baciò con gioia, premendo forte le labbra sulle sue. Baciarlo era sempre meraviglioso, le infondeva ogni migliore sensazione di speranza e vittoria. Stranamente lui era più refrattario del solito nel muovere la lingua, manteneva le labbra semichiuse, tanto che lei aprì gli occhi. Lo guardò e gli stampò un altro bacio, ma qualcuno alle loro spalle si schiarì rumorosamente la voce. Joker la scansò bruscamente.

-Chiedo scusa- esclamò Jonny Frost, con un sorrisetto consapevole -Ma abbiamo compagnia-

Fece loro segno di guardare in alto. I due sollevarono la testa verso il tetto scoperchiato e videro tra le nuvole il luminoso Bat-segnale che avevano proiettato gli agenti di polizia per chiamare Batman. Harleen sbuffò, Joker sorrise.

-Il dovere mi chiama- esclamò compiaciuto -Sta per arrivare il mio migliore amico… Senza offesa, eh, Jonny. È stato bello salutarti, baby. Adios-

Veloce come il vento, Joker si allontanò rapidamente e si diresse verso porta sul retro del locale.

-Adios? Salutarmi? No, no, no aspetta, io vengo con te!- esclamò lei, iniziando a seguirlo piena di agitazione.

-Troppo tardi, la proposta che ti ho fatto è scaduta-

Harleen si bloccò, angosciata. Ora che l’aveva persa, percepiva quanto fosse stata preziosa quell’opportunità che le aveva dato. In fondo le aveva semplicemente chiesto di stare con lui, e se anche c’erano altre due donne, poteva sempre cercare di diventare la sua preferita, di surclassarle e di assicurarsi un posto nel suo cuore.

Harley Quinn ci sarebbe sicuramente riuscita.

-Ma io voglio accettare- decise, correndogli praticamente dietro -Ho avuto paura, avevo bisogno di pensarci ma ora ho preso la mia decisione e sì, voglio prendere il posto di Irina. Anche se non sarò mai una puttana-

-Nessuno ti avrebbe trattata come tale. Vedi, è qui che sbagli, non ti fidi di me. E fai bene, neanch'io mi fido di me stesso, però, malgrado questo, dalle mie ragazze pretendo lo stesso un minimo di ardore, oserei dire di fiducia. Credi che ti avrei costretto a fare sesso se non ti andava? Che ti avrei, non lo so… Inchiodato sul letto con le gambe aperte?- l’immagine lo fece ridacchiare -Certo, l’idea non mi farebbe schifo-

Harley sorrise -No, so che sei…-

-ALT, non dire quella parola riferita a me-

“Amabile”

-Un gentiluomo-

Joker sghignazzò -Sì, beh… Ho detto una bugia- le sorrise, poi si piegò a sussurrarle nell’orecchio -Non lo sono affatto!-

Harleen approfittò di quella vicinanza per cingergli forte le spalle marmoree, ma lui si divincolò e riprese a camminare. Erano nella stradina sul retro del ristorante, una viuzza buia e desolata, ma più avanti, nell’unico punto dove la Luna riusciva a illuminare il terreno, era parcheggiata la Lamborghini viola con due uomini che facevano la guardia.

-Aspetta, Mr. J-

Ma lui non aspettò, arrivò alla macchina e salutò allegramente i due scagnozzi armati fino ai denti. Iniziò a parlare sottilmente con loro di altre faccende, al solo scopo di ignorarla e di farla sentire esclusa. Riuscì nell’intento.

-Mr. J!- lo chiamò Harleen, disperata -Joker!-

Ma quest’ultimo entrò nella macchina e si sedette nel posto del guidatore; Harleen allora fece uno scatto fulmineo e cercò di aprire lo sportello del passeggero per salire con lui, ma gli uomini la fermarono.

-No, lasciatemi!- si disperò lei, cercando di divincolarsi -Mr. J, ti supplico, dì loro di lasciarmi-

-Scusate, ho una fan fastidiosa- esclamò il clown dal finestrino, mentre si preparava per partire -Mi capita così spesso ultimamente-

-Mi hai anche rubato tutti i soldi!- singhiozzò lei, con le lacrime agli occhi. Il suddetto si girò lentamente a guardarla.

-Era il minimo che potessi farti, dottoressa Quinzel, te lo garantisco- 

-Io mi chiamo Harley- lo corresse, tenace -E li puoi tenere, non me ne importa niente-

-Meno male, mi sento sollevato- le rispose sarcastico, facendo l'occhiolino agli uomini.

-...Ma non puoi escludermi dalla tua vita. Noi due ci amiamo, dobbiamo stare insieme!-

Joker rise sguaiatamente e mise in moto il motore ruggente -È impazzita, signori, non fateci caso- esclamò ai due uomini, che si scambiavano delle occhiate divertite.

-ASPETTA!-

-Addio, baby-

-Mi butterei nel vuoto per te!- 

Questa dichiarazione parve fermarlo. Joker esitò solo un istante, ma per Harleen fu sufficiente. Costei si accorse del suo sguardo colpito, era come se avesse detto ciò che voleva sentirsi dire, una parola magica.

La forza di quella frase però non bastò, perché il super criminale partì a tutta velocità.

-NOO!!- ringhiò frustata, guardando disperata la Lamborghini che sfrecciava via.

-Mi dispiace, Marleen- le disse l’uomo gorilla, con il quale ormai aveva fatto amicizia -Ma quando lui dice di no, è no. Devi fartene una ragione-

-Mi chiamo Harley- esclamò tra i denti, dandogli un potente strattone per liberarsi -E non accetterò un no come risposta. Non questa volta-

Detto questo, marciò piena di coraggio e determinazione verso l'entrata del locale. In mezzo alla confusione generale dovuta dalla recente rapina, scorse subito un uomo seduto su una grossa moto da città, con ben due tubi di scappamento sul retro. Egli stava parlando con foga al cellulare, evidentemente per rassicurare famigliari e amici sulle sue condizioni di salute.

-Scusa- lo interruppe Harley, e costui si girò subito verso di lei con aria preoccupata.

-Hai bisogno di qualcosa?- le chiese con tono premuroso, ancora molto concitato.

-Mi serve la tua moto- ordinò Harleen, secca.

-Cosa?-

Ma lei come risposta gli scagliò un pugno dritto in faccia, facendolo cadere dolorosamente al suolo. Si guardò la mano con ammirazione e confusione, da quando sferrava dei pugni così forti? Alzò le spalle e montò sulla moto agilmente, le chiavi per fortuna erano già attaccate al cruscotto.

-Grazie- gli disse semplicemente, prima di partire a tutto gas.

-EHI!!- lo sentì gridare alle spalle -EHI! LA MIA MOTO!-

Harleen accelerò a tutto gas, il potente veicolo a due ruote sfrecciò tra le auto arrivando a sfiorare i duecento chilometri orari.

Non aveva mai guidato una moto prima, figurarsi una grossa cilindrata come quella che aveva appena rubato. Eppure, si sentiva piena di inspiegabile coraggio e di sicurezza, e l’inseguimento della Lamborghini viola procedeva a gonfie vele.

Che fossero i poteri che le aveva trasmesso Poison Ivy?

Senza esitare, superò i 200 km/h e sorpassò due auto con una manovra pericolosa, per affiancare finalmente la Lamborghini di Joker. Appena vide la ragazza dal finestrino, il clown alzò gli occhi al cielo e si massaggiò una tempia.

“Fa perfino lo scocciato!” pensò Harleen, lasciandosi sfuggire un gemito di frustrazione. Accelerò fino a mandare fuorigiri il motore e lo sorpassò, furiosa. Con un balzo degno del più esperto motociclista, ribaltò la moto sull'asfalto e rimase in bilico sulla fiancata illesa. Il mezzo sfregò il suolo, l'attrito mandò fumo e scintille ma pose anche fine a quella corsa frenetica. Harleen scese e senza alcuna paura si piazzò in mezzo alla strada statale, con le braccia sopra ai fianchi. In lontananza vide la macchina di Joker sopraggiungere, ma non per questo si spostò. Fu lui a frenare a tutta forza, riuscendo a inchiodare proprio a un centimetro di distanza dalla piccola rompiscatole.

-IO NON VOGLIO CHE MI LASCI!- sbottò lei, dando due pugni disperati sul cofano della macchina. Joker uscì dall’auto, con un’espressione annoiata.

-Ho fatto tutto quello che mi hai detto- continuò la ragazza, impetuosa -Ogni prova, ogni iniziazione, ho fatto ogni cosa per te, ti ho dimostrato che ti amo e ora tu devi accettarlo!-

-Sì, sì, capito,capito,capito,capito- le rispose, infastidito dal suo amore conclamato -Ma io non sono qualcuno che si può amare- iniziò a dirle, girandole intorno -Sono un’idea, uno stato d’animo!- mosse le mani in aria -Io realizzerò i miei desideri secondo il mio piano e tu, dottoressa, non sei parte del mio piano-

Intanto, un camionista alle loro spalle suonava il clacson a tutto spiano.

-E allora permettimi di farne parte- lo supplicò, prendendogli amorevolmente il viso tra le mani -Ti devi fidare di me, ti prometto che ti aiuterò!-

-Prometti, prometti, prometti!- canticchiò Joker, prendendola in giro, ma proprio in quel momento il camionista uscì dal furgone e sbottò.

-Ehi, testa di cazzo!- gridò, senza rendersi conto che stava insultando proprio il famigerato criminale -Vai a litigare con la tua puttana da un’altra parte, stai bloccando il traffico!-

Joker si voltò sorridendo, ma non fece in tempo a reagire perché Harley, con uno scatto sorprendente, gli sfilò la pistola dalla fondina e freddò l’uomo senza alcuna esitazione. Joker fece un’espressione ammirata e si voltò verso di lei.

-Stavo giusto per dirti di non…- si ritrovò la sua stessa pistola puntata alla fronte -…Farlo-

Si guardarono negli occhi, quelli di lei erano lucidi di lacrime.

-Non farmi male!- la prese in giro, sporgendo il labbro -Sono tuo amico, siamo amici, vero?-

Rise e schiocco la lingua -Fallo- le sussurrò, guardandola negli occhi senza alcun timore -Fallo,fallo,fallo,fallo, FALLO!-

-Il mio cuore ti terrorizza e una pistola puntata alla fronte no?-

Joker approfittò di quel momento per strapparle la pistola di mano, ridendo nel suo tono inconfondibile -Se non fossi pazza penserei che sei folle!- esclamò, riponendo la pistola nel fodero. Poi si piegò con la testa verso di lei, per una volta senza sorriderle -V a t t e n e . V i a - scandì a chiare lettere -Vi-a. Scappa da qui, fuggi prima che io cambi idea e ti avverto, succede spesso-

Harleen scosse la testa, la sua disperazione era perentoria -Non vado da nessuna parte senza di te-

-E io non vado da nessuna parte con te, dottoressa- le rispose con tono pungente, ridacchiando.

-E allora restiamo qui!- continuò lei, prendendogli disperatamente i lembi della giacca -Anche io non me voglio andare. Gotham mi piace, tu mi piaci, mi sento a casa qui… Per la prima volta nella mia vita mi sembra di essere nel posto giusto con le persone giuste, sento di essere me stessa. Capisci cosa voglio dire? Ti prego, Mr. J-

-No, non lo capisco affatto- scherzò, sorridendo -Pretendi un po' troppo dal tuo ex paziente-

-Allora non mi lasci altra scelta-

Per la seconda volta, gli sfilò la pistola dal fodero di pelle ma invece di puntarla contro di lui, la puntò contro se stessa.

-Ma che bel teatrino!- esclamò Joker, ridacchiando -Ora dammi la pistola- le ordinò, porgendole il palmo della mano -Paparino si arrabbia, Harley-

Ma la ragazza lo sfidò con lo sguardo, restando con l’arma puntata alla testa.

-Tanto non ne hai il coraggio- cantilenò lui, nascondendo per bene il timore che provava realmente.

Di tutta risposta, Harleen caricò la pistola -Conto fino a tre. Dimmi di non farlo o sparo-

-Cos’è, una minaccia?- Joker smise di sorridere.

-Uno-

-Minacci il Joker?-

-Due-

-Harley!- ringhiò, rabbioso.

-Tre-

Harleen sparò sul serio, ma Joker nell’ultimo istante riuscì a spostarle il braccio e a deviare il colpo a sinistra. Il proiettile fu così vicino che quasi le scompigliò i capelli, e loro due rimasero per un attimo nella stessa posizione: lui le strinse forte il polso, costringendola a mollare la revolver.

Prese la pistola e la rimise per la terza volta a posto e poi, senza neanche guardarla, tornò alla macchina e montò a bordo. Harleen rimase impalata, con il cuore che batteva a mille dall’ansia. Joker aveva acceso il motore, se fosse partito piantandola in asso un’altra volta, la ragazza si sarebbe tolta la vita in un altro modo, magari buttandosi giù dal ponte o ingerendo del veleno.

Ma alla fine non ce ne fu bisogno, perché la lucida portiera del passeggero si aprì.










Toh, Ecate ha aggiornato. (note)
Allora, non mi scuserò più per il ritardo perché la cosa potrebbe diventare ridicola, posso solo dire che 1) sono stata al mare 2) ho iniziato Once Upon a Time (non l'avessi mai fatto, è una droga). 
Riguardo a questo capitolo, immagino che tutti voi abbiate riconosciuto la scena della moto presente nel film e immagino sappiate tutti cosa succede dopo... Ragazzi, ormai è ufficiale, ci stiamo avviando verso l'epilogo! Ma non temete, non coinciderà banalmente con la trasformazione di Harleen, c'è ancora una cosa in sospeso... :)
Per quanto riguarda la scena iniziale con Poison Ivy, il fatto che quest'ultima abbia dato dei poteri ad Harleen non è cosa nuova nella DC, in alcune versioni succede, e dato che l'idea mi piaceva ho voluto inserirla. Anche perché, diciamocelo, neanche Valentino Rossi riuscirebbe a saltare giù da una moto in corsa con la stessa maestria e agilità della nostra dottoressa H. F. Quinzel, quindi ho ritenuto plausibile che ci fosse un aiutino in più... Una cosa infatti che sostengo e che ho cercato di dimostrarvi (spero non vanamente) capitolo dopo capitolo è che l'evoluzione di Harleen in Harley è stata progressiva, un processo graduale, culminante sì nella scena dell'acido ma iniziato molto prima, e cioè dal primo incontro con Mr. J.
Niente, credo di aver detto tutto! Un bacione e grazie di cuore per il vostro meraviglioso supporto!
Ecate



 

 

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Capitolo 14
*** Daddy's Lil Monster ***


                                                                

 

In un discopub di periferia due uomini stavano chiacchierando amichevolmente davanti a una birra. All’improvviso si unì a loro un terzo soggetto, moro e dall’aspetto da duro, con una giacca di pelle e la barbetta sul mento. Appena egli entrò, molti abbandonarono il locale.

-Ciao, Ashim- esclamò il nuovo arrivato -Come te la passi?-

-Frost?- esclamò il giovane marocchino, allarmato -Jonny Frost? Ma che ci fai qui? Oddio, non mi dirai che sta arrivando…-

-No, lui non verrà. È impegnato- lo liquidò, velocemente -Un Jagermeister senza ghiaccio, per cortesia- chiese alla ragazza del bar.

-A fare cosa, se posso chiedere?- gli domandò Ashim, preoccupato -Anzi, no, aspetta. Non me lo dire, non lo voglio sapere-

Frost sorrise e si aprì la giacca di pelle, in quelle topaie da manigoldi faceva sempre un caldo infernale.

-Tranquillo, amico, non ci sono particolari… Ecatombi in programma, ha solo trovato un nuovo passatempo-

Il marocchino deglutì. I passatempi di Joker non erano mai qualcosa per cui stare tranquilli.

-Un passatempo, del tipo…?-

-Una ragazza-

-Oh, per fortuna- disse, tirando un sospiro di sollievo. Senz’altro le ragazze dovevano essere qualcosa di molto importante per il clown, dato che per una di loro aveva ucciso il suo amico Hart, nonché il più temuto usuraio di Gotham City.

-Una puttana?- continuò, sgranocchiando patatine.

-Una regina- lo corresse Jonny, facendogli l’occhiolino -È una novità difficile anche per me, non credere-

-Tieni il tuo Jager… Oh, mio Dio! Tu sei Jonny Frost?- esclamò la barista appena lo vide in faccia, indietreggiando con fare sconvolto -Ti prego, non vogliamo guai qui, mi sono appena licenziata dall’Arkham, non voglio rischiare di morire un’altra volta-

-Come ti chiami?- le chiese Jonny, appoggiando i gomiti sul bancone.

-Rebecca- rispose prontamente quest’ultima.

-Bene, Rebecca, parlerò di te ad Harley. Magari ti concede… La grazia-

-Harley?- ripeté quest’ultima, impallidendo dalla paura -Chi è Harley?-

 

 

 

________________________________________

 

 

 

 

-Non puoi dire sul serio!- sbottò James Gordon, incollerito -Dieci uomini. Ho appena perso dieci uomini e tu osi dirmi che è stata una ragazzina con i codini rosa e blu!?-

Griggs deglutì -Commissario, mi rendo conto che è strano e… E improbabile, ma io l’ho vista! L’ho vista con i miei occhi! Aveva una mazza da baseball e li ha colpiti tutti sulla testa!-

-Sciocchezze-

-Invece è la verità. Li ha uccisi tutti! Con una mazza!- esclamò Griggs, esasperato -I testimoni oculari…-

-I testimoni possono sbagliare. Che cosa diavolo dirò ai giornalisti? Che c’è una nuova Meta-umana che si diverte a spaccare le teste dei civili con una mazza?-

-Risparmia il fiato, Gordon. Il tuo sottoposto sta dicendo la verità-

James Gordon si girò e vide sopraggiungere la Waller, tutta vestita di nero con la sua solita espressione ostile. Aveva due occhiaie profonde sotto gli occhi pesti ed era anche dimagrita parecchi chili.

-Amanda? Ma cosa…-

-Cosa faccio qui? Il mio lavoro: fermare questi luridi esseri prima che combinino altri guai- disse, per poi tirare fuori dalla borsa un cd e caricarlo nel computer -Sono le telecamere della gioielleria- spiegò con voce inespressiva - Guarda tu stesso-

Il monitor del PC si accese e mostrò a tutto schermo le immagini in bianco nero della gioielleria. Erano divise in quattro riquadri, ognuno dei quali mostrava una diversa angolazione del negozio. Nel riquadro in alto a sinistra comparve una ragazza bionda con due codini e una mazza adagiata sulle spalle. Calzava un paio di Converse rosse e indossava con disinvoltura delle calze a rete…

L’espressione di Gordon divenne confusa, ma la Waller mise avanti veloce la registrazione e la portò nel momento in cui entravano i poliziotti. Il commissario osservò basito la rissa che si consumò tra la ragazza misteriosa e i poliziotti, e la facilità impietosa con cui costei li mise tutti al tappeto, uno dopo l’altro, come se fossero birilli.

-Bontà Divina…- sussurrò il commissario, stanco e preoccupato -Amanda, questo è… È terribile. Prima di allarmare la collettività credo che sia meglio approfondire, sapere chi è questa donna e soprattutto cosa vuole. Di solito i Meta Umani pretendono qualcosa, se scopriamo cosa vuole, magari lascia l’isola-

-No- lo liquidò la Waller, perentoria -Le minacce vanno estirpate con la forza e annientate alla radice. Porta questi video ai giornalisti-

-I gotamiti sono già abbastanza stressati dai mali locali- protestò il poliziotto -Aggiungere altri pericoli pubblici sarebbe deleterio-

-Ma questo è un male locale, Gordon, made in Gotham City- lo corresse la Waller, cinica -E indovina? Pare ci sia lo zampino di Joker-

-Joker? Cosa c’entra Joker con questa donna?-

-È quello che voglio sapere anch’io- gli disse la Waller, riguardando per la decima volta il video dall’inizio -Rifletti. Se costei fosse una straniera, significherebbe che ha varcato i confini dell’isola, e sai cosa vuol dire?-

-Che Joker gliel’ha lasciato fare- la precedette Gordon -Cosa alquanto improbabile, dato che mira a ottenere il monopolio criminale dell’isola-

Amanda fece un cenno d’assenso. Se c’era una cosa positiva nell’avere Joker a Gotham, era che la piccola delinquenza era stata completamente annientata… Permanevano solo i pesci grossi, pochi ma sufficienti per fare dell’isola il luogo più pericoloso al mondo.

Le immagini della telecamera comunque erano molto sgranate e la risoluzione era bassa, non si riusciva a individuare bene il volto della fuorilegge misteriosa, soprattutto se si metteva lo zoom come stava facendo la Waller.

“Eppure, sento che qualcosa mi sfugge”  pensò la donna, pervasa da un profondo senso di frustrazione  “Devo averla già vista, non è possibile che mi sia sfuggita…”

-Ferma l’immagine- ordinò, assottigliando lo sguardo -Metti lo zoom sul suo viso-

Gordon obbedì.

-Ancora di più- continuò la Waller, con gli occhi fissi sullo schermo. Il viso sorridente di Harley era molto sgranato, quasi irriconoscibile, ma la donna rimase quasi un minuto intero a guardarlo, profondamente concentrata. E quando la riconobbe e la consapevolezza illuminò il suo sguardo assorto, Amanda Waller impallidì all’improvviso.

-Non può essere- sussurrò spaventata, alzandosi in piedi.

-Amanda?- la chiamò Gordon, allarmato -Hai capito qualcosa?-

Il bicchiere di liquore le cadde dalle mani e si infranse al suolo con tonfo, mandando schegge di vetro in ogni dove. Il suo viso, la cui mimica era già naturalmente ostile, si contrasse in una smorfia pura furia.

-È lei- decretò, con voce tremante di rabbia -È… LEI! LEI! CHIAMA SUBITO BATMAN!-

-Amanda! Lei chi?- domandò il commissario, preoccupato -Di chi diavolo stiamo parlando?-

-Di Harleen Quinzel- sussurrò tra i denti, il suo viso scuro era contratto in una maschera di odio.

Gordon strabuzzò gli occhi, la scoperta lo lasciò senza fiato -La dottoressa bionda che ho interrogato in ospedale? - esclamò, incredulo -Non può essere lei, deve esserci un errore-

-Chiama Batman. Ora-

Gordon lo fece. Pieno di agitazione chiamò il numero privato di Bruce, che gli rispose con un secco “Sto arrivando” prima ancora che lui, Gordon, ebbe il tempo di salutarlo.

Pochi minuti dopo, Batman entrò in centrale.

-Come mai sei tutto bagnato?- gli domandò subito Gordon, ma il Cavaliere Oscuro lo fulminò con lo sguardo.

-Non sono venuto qui per rendere conto a voi delle mie azioni- rispose, gelido. Poi guardò la Waller con la stessa carica di odio glaciale con cui aveva risposto.

-Ciao, B.- lo salutò lei, per nulla intimorita dal suo sguardo. Non era chiaro chi dei due fosse il più furioso con l’altro.

Bruce si rivolse al commissario -Gordon, puoi lasciarci soli un momento, per cortesia?-

James Gordon sbuffò ma uscì dal proprio studio, non voleva rischiare di inimicarsi due soggetti così potenti. 

-Allora, Cavaliere? Da quanto lo sai?-

-Da quanto so che la dottoressa Quinzel è diventata la signora Joker? Da oggi pomeriggio- si guardò rabbiosamente il mantello, completamente bagnato per via di un gavettone -Ho appena avuto un incontro ravvicinato con loro due, e devo dire che sono molto affiatati. Grazie a te, Amanda, formano una coppia di criminali perfetta; Il clown mi ha chiesto espressamente di ringraziarti per il… Com’è che ha detto? Ah, sì. Per il bellissimo regalo di compleanno che tu gli hai fatto-

-Bruce, non sono in vena di scherzare-

-Oh, io sono proprio il tipo che ama scherzare, invece!- sbottò Batman, sarcastico -E ti faccio i miei complimenti. Il tuo piano per diventare come Joker ha proprio dato i suoi frutti- continuò a beffeggiarla  -Vedi dove porta la sete di potere, Amanda? Porta a perdere, alla dannazione! E ora tu vivrai con la consapevolezza che quella ragazza è diventata esattamente ciò che volevi essere tu, ed è solo colpa tua. Tu per prima hai permesso ad Harleen Quinzel di diventare Harley Quinn, lasciandola sola con Joker e facendoti beffa di tutti i miei avvertimenti!-

-Bruce…-

-No, lasciami finire. Io adesso conto un nemico in più ed è solo colpa tua. Vivi con questo pungolo nel cervello-

-Oh, no. Una cosa che tu non sai di me, Bruce, è che io ottengo sempre quello che voglio- gli sorrise, malefica -Io avrò Harley Quinn. Costi quel che costi, i suoi poteri saranno miei… Seppure indirettamente. E ti mostro anche come-

Estrasse da una busta segnata con l’avvertimento “top secret” un cd, sulla cui etichetta era scritto “Task Force X- Squadra Suicida”.

-Che cosa hai in mente?- le domandò il Cavaliere Oscuro, serrando la mascella.

-L’idea migliore che potessi mai avere- gli sorrise perfidamente -Mettiti comodo, Bruce, sarà un lungo pomeriggio-

 

 

 

Qualche tempo prima, sulla Purple Lamborghini

 

 

 

 

Harleen Quinzel guardava il paesaggio al di là del finestrino oscurato. Le conifere correvano via immerse nel buio, e più la Lamborghini procedeva, più aveva la sensazione che non sarebbe tornata mai più.

Il suo ultimo viaggio verso l’ignoto.

Non sapeva dove Joker la stesse portando, a giudicare dagli impianti e dall’aria viziata sembrava la zona industriale dell’isola o qualcosa del genere. Ma qualunque posto fosse, a lei andava bene: era insieme a Joker. Osservò il suo profilo riflesso nel finestrino dell’auto. Era taciturno e non sorrideva, guardava solo la strada. Harley si sedette più comodamente nell’ampio sedile di pelle, appoggiando piacevolmente la testa nell’imbottitura. Gli interni di quell’auto erano qualcosa di psichedelico. Bianchi con un luce azzurrina che ricordava molto quella dei night club… E poi c’erano varie mazzette di banconote e delle pillole sparse in ogni dove, insieme a un paio di preservativi incartati.

-Non ero mai salita su una macchina sportiva- iniziò con fare discorsivo, per stemperare la tensione -È davvero favolosa-

-Tutto ciò che possiedo, è favoloso- le rispose lui, secco. Aveva la mano sinistra adagiata sul cambio, con tre grossi anelli d’oro sulle dita. Harleen la guardò, Poteva sfiorargliela, magari afferrarla…

-Grazie per avermi portato con te- gli disse dolcemente, sfiorandogli finalmente il dorso della mano -Dove stiamo andando?-

-Dove tutto ha avuto inizio- le rispose atono, mettendosi la mano in tasca. I gesti affettuosi non erano mai stati il suo forte, constatò Harleen. Joker aveva innalzato un muro intorno a sé, ma col tempo lei era sicura che l’avrebbe abbattuto. Per adesso l’aveva già scalfito.

-Tutto cosa, se posso chiedere?-

-Lo vedrai-

“Com’è misterioso…” pensò Harleen, sorridendo -La parte del bel tenebroso non ti si addice, Mr. J. Sei troppo simpatico e colorato per quel ruolo-

Anche lui accennò un sorriso -Mi si addice solo quella del bello-

-Quella ti calza a pennello-

-Ti va se ci imboschiamo da qualche parte?- le chiese di getto, continuando a guidare ben al di sopra dei limiti di velocità.

Harleen lo guardò sorpresa e arrossì, accendendosi di voglie alla sola idea.

-Okay…- sussurrò con un sorriso imbarazzato, giocherellando con i lembi della propria camicetta blu.

Ma Joker scoppiò a ridere, appoggiando la fronte sul volante -Hai detto veramente di sì? Lo faresti all’aperto sul ciglio della strada?-

-Perché, cosa c’è di strano?- si difese, scocciata

-Oh, niente,niente,niente! È solo che ricordo com’eri prima. Bastava che ti guardassi un secondino di più per farti arrossire come un semaforo-

-Perché ero già innamorata di te- gli rispose senza imbarazzo -E poi ero sicura di non piacerti… Non ti piacevo, vero? Cos’hai pensato la prima volta che mi hai visto?-

-Ho pensato… Troppo facile!-

Harley gli sorrise e abbassò lo sguardo -Già. Immagino che sedurmi non sia stata esattamente un’impresa impossibile per te- si autocommiserò, mentre lui scuoteva il capo con il naso arricciato -Ma cosa ti ha fatto cambiare idea? Insomma, il giorno del colpo io dovevo morire, vero? Era questo il piano originale? Usarmi per scappare e alla fine uccidermi-

-Hm, forse…- le rispose evasivo, ma Harleen sapeva perfettamente di avere ragione. E ciò la fece sorridere.

-Ma tu hai voluto salvarmi- continuò dolcemente, prendendogli la mano e guardandolo con tutto l’amore possibile -Perché sono ancora qui, Mr. J? Ti sei innamorato di me?-

Bastava solo un sì, un piccolo cenno d’assenso e lui l’avrebbe resa la donna più felice del mondo. Ma il Joker non era certo il tipo d’uomo capace di dispensare felicità. Infatti sobbalzò e fece un'espressione inorridita.

-Che piccola rompiscatole- disse a sé stesso, a denti stretti -Quanti gnègnègnè… Ma per piacere, zuccherino! È la domanda più ridicola che mi abbiano mai fatto… E ti assicuro che i tuoi colleghi psichiatri avevano un talento, in questo-

Harleen rise e poi si raddrizzò nel sedile -Mmmh, mi dica, signor Joker, che cosa rappresenta per lei il verde?- recitò con voce grave -Quali sensazioni le ha evocato questo colore?-

-Ecco! Vedi, vedi!?- scherzò, ridendo insieme a lei -Voi siete una categoria da abolire! E prima o poi ci riuscirò, vi ucciderò tutti-

-Carino da parte tua prendertela con gli psichiatri, però devi ammettere che con me non ti è andata tanto male, non ti ho mai fatto domande di questo tipo-

-Eccoti spiegato il motivo della tua sopravvivenza- le rispose Joker con ovvietà.

Harley gli sorrise e guardò di nuovo fuori. Ormai si erano allontanati di parecchi chilometri dal centro cittadino e non c’era neanche più l’illuminazione pubblica sulla strada. La Lamborghini sfrecciava e loro si stavano isolando…  La ragazza rifletté, era da sola, lontana da tutti, in macchina con una tra le persone più pericolose del mondo.

Si sentiva una favola.

-Lo sai, ho sempre sognato di incontrarti- gli rivelò, continuando a guardare fuori -Sei sempre stato il mio eroe-

-Hm, e per fortuna che quello che ha bisogno dello psichiatra sono io-

-Dai sono seria adesso- continuò lei, dolcemente -Io non so che cosa tu abbia in serbo per me o che cosa hai sofferto… prima di diventare così, ma sappi che io ti amerò per sempre, qualunque cosa accada-

-E io invece no- le rispose Joker, velocemente -Così è la vita, te ne farai una ragione-

-Non mi ami?-

-No, neanche un po’! Guarda! Guarda come mi gratto quando sento quelle due parole messe insieme!- scherzò, fingendo di grattarsi dappertutto -Mi fanno venire l’orticaria-

Harleen lo osservò con un sorriso furbetto. Puddin’ stava mentendo… A conti fatti, non è così facile mentire al proprio psichiatra.

-Va bene, Mr. J, me ne farò una ragione-

-Perché sorridi?- le chiese agitato, lanciandole delle occhiate infastidite -Guarda che ho detto di no, Harley, no!-

-D’accordo, d’accordo, l’ho appurato- gli rispose tranquilla, ma sempre con lo stesso sorrisino furtivo tra le labbra -Non te lo chiederò mai più-

Joker scosse la testa, facendola sorridere più del dovuto -Per mille diavoli, quanto odio gli psichiatri-

-Non hai niente da temere, Mr. J. Ciò che si ottiene in cambio quando si ama qualcuno, supera di gran lunga ogni rischio- gli disse dolcemente, col cuore in mano -Io non farò la fine di Jeannie, te lo giuro-

-Siamo arrivati, Cenerentola- le disse duramente, sollevando il freno a mano con una certa furia -Scendi dalla carrozza-

Harleen annuì, scese dall’auto e si guardò intorno. C’era una fabbrica abbandonata, che emetteva ancora dei fumi di colore verde.

Lui iniziò a camminare con la sua solita andatura veloce e nervosa verso quel luogo scuro e abbandonato, e lei lo seguì.

Harleen non poteva immaginare che da quella fabbrica sarebbe uscita una nuova lei, la versione più felice e sfrenata di se stessa…

 

 

_________________________

 

 

La Waller si soffermò a delibare la lista degli aspiranti candidati al progetto Suicide Squad.

Se Batman non voleva collaborare per la cattura di Harley Quinn, avrebbe trovato il modo per farlo da sola, magari con l’aiuto di qualche essere speciale… Era un piano perfetto, prendeva due piccioni con una fava: metteva alla prova uno e catturava l’altra.

Aprì il fascicolo, la prima che vide era Katana. Era l’unica pedina della sua scacchiera a non trovarsi chiusa in prigione, era senza dubbio la più fidata ma anche la meno adatta per quel ruolo: non aveva bisogno di metterla alla prova.

Capitan Boomerang… La Waller storse il naso. Bastava dargli uno zuccherino che quel lanciatore d’oggetti avrebbe abboccato. Era l’ultima spiaggia.

Killer Croc era un tantino troppo violento per quella prova, le avrebbe consegnato il cadavere dilaniato di Harley Quinn, non Harley Quinn.

Stessa cosa con El Diablo, solo che al posto di un’ Harley Quinn dilaniata, si sarebbe presentato con un’ Harley Quinn incenerita.

Continuò a scorrere tra i plichi e a scartare ipotesi, finché non arrivò a lui, Deadshot, la mossa vincente. Mira eccezionale, migliore cecchino del mondo, astuto, intelligente, con una certa morale… Floyd Lawton era perfetto. Bastava condonargli cinque anni di reclusione, dirgli di mettere un sonnifero nella pistola e il gioco era fatto.

L’unico rischio, non piccolo, era che Joker lo scoprisse e lo rispedisse pezzettino per pezzettino con posta raccomandata, ma Floyd non era un debole o uno sprovveduto, anzi, sapeva il fatto suo.

E non essendo stato dichiarato incapace di intendere e di volere, era stato rinchiuso nella prigione di Belle Rave, l’istituto alternativo all’Arkham Asylum deputato a ospitare i criminali sani di mente… O presunti tali.

Ovviamente, dopoché la recente evasione del Joker aveva reso l’Asylum inagibile, tutti i criminali erano stati trasferiti a Belle Rave, dando luogo a un improbabile sovraffollamento penitenziario…

La Waller allora prese il cellulare e chiamò una sua vecchia e fidata conoscenza.

-Amanda- rispose una voce seria, dopo qualche secondo d’attesa.

-Buonasera, colonnello Flag- lo salutò lei -Avrei proprio bisogno del tuo aiuto… In quali condizioni versa, Deadshot? Ho un lavoro perfetto per lui-

 

 

 

 

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Royal Hotel of Gotham City

 

 

Jonny Frost bussò cautamente alla porta della Deluxe Suite. Sul pomello dorato pendeva l’avviso “Do not disturb”.

-J? Ehm, appena sei libero c’è il signor Monster che vorrebbe discutere con te. È arrivato appositamente da Casablanca e ti sta aspettando da ieri notte… Chiamami, appena puoi-

Ma nessuno rispose. La camera inoltre era insonorizzata e non consentiva alcun tipo di spionaggio esterno.

-Sta ancora lì dentro?- gli domandò l’uomo di nome Monster, impaziente -Sono due giorni che è chiuso lì, si può sapere cosa sta facendo?-

-È con la sua nuova ragazza. Prova a ripassare domani-

L’uomo dal volto nero e tatuato rise. Era un soggetto massiccio, molto serio e dall’aria composta, di quelli che mettono in soggezione solo con uno sguardo.

-È quello che mi hai detto ieri sera, Jonny, non posso passare tutta la mia vita qui ad aspettarlo-

-Ascolta, facciamo così- lo accontentò Frost, stancamente -Giovedì prossimo andiamo al Krystal, quel locale fuori Gotham… Fatti trovare là verso le due di notte. Ti introdurrò io-

-Va bene, allora a giovedì- gli sorrise -E comunque sarei proprio curioso di conoscere quella puttana che lo tiene occupato da ieri sera- scherzò, indicando un cenno la porta chiusa.

-Fidati, amico, non lo sei- gli consigliò cautamente. Dopotutto, uomo avvisato, mezzo salvato.

-E invece lo sono eccome. Ci vediamo Frost-

Jonny lo salutò e guardò un’ultima volta quella porta chiusa a chiave. Almeno, adesso che era arrivata la neo proclamata regina di Gotham, Frost poteva finalmente vantare del tempo libero per uscire e prendersi qualcosa da bere in santa pace.

Decise che l’avrebbe fatto, tanto Joker prima di domani mattina non si sarebbe presentato…

 

J, vado a bere qualcosa. Tengo il cellulare acceso.

 

Gli scrisse sul cellulare, per precauzione. Dubitava che Joker avrebbe mai letto il messaggio: Harley Quinn l’aveva completamente monopolizzato.

 

E infatti, non si poteva certo dire che la presenza della nuova arrivata non si fosse sentita. La Deluxe Suite di Joker era diventata improvvisamente un campo di battaglia, un soqquadro cubista di lenzuola strappate, mobili ribaltati e tende divelte. Senza contare le macchie di acido e la puzza di inquinamento chimico in ogni dove. La televisione almeno era incolume, anche se era accesa sul canale dei cartoni animati da circa quarantotto ore.

E per fortuna che la Jacuzzi nella camera di Joker era abbastanza grande da ospitare tre persone.

Loro adesso erano lì, a inaugurare il decimo bagno della giornata.

L’acqua era calda e leggermente schiumosa a causa dei residui di acido -sostanze invero difficili da sciacquare via- ma a parte questo e le iene che ogni tanto grattavano sulla porta per poter entrare, tutto era una meraviglia.

Harley però non riusciva quasi a respirare. Il sesso, il caldo opprimente e l’odore di acido ancora raffermo nelle sue narici le stavano ubriacando i sensi, spedendola in uno stato semi incoscienza simile a uno strano nirvana, in bilico tra la vita e la morte, tra la realtà e l’ultraterreno.

-Puddin’ non mordere…- gemette, mentre si dondolava sul suo bacino con lentezza estenuante.

-Ti ho già detto che non mi devi chiamare così- la sgridò Joker, che sembrava più vigile di lei. Quest’ultimo divaricò le proprie gambe, facendo in modo che anche le sue, già disgiunte, si spalancassero a squadra.

-Sei molto snodata- constatò, spingendole in avanti la schiena sudata.

-Ginnastica artistica e… e ri… Ritmica…Oh, Mistah’ J!-

Lo sentì dare un forte strattone, e una massiccia quantità d’acqua fuoriuscì oltre i bordi della vasca. Lo attirò a sé alla ricerca disperata di un bacio, stringendo di nuovo le gambe intorno al suo corpo. Sentiva ormai che stava per cedere, l’orgasmo stava di nuovo per esplodere.

-Vero,vero,vero…- continuò lui al suo posto -Eri la super campionessa di qualsiasi cosa ma dicevi che il divertimento non serviva a niente, te lo ricordi?-

-No, Puddin’…- mentì la ragazza, guizzando contro di lui alla ricerca disperata della sua bocca.

-Io dico di sì- le sussurrò all’orecchio, sfiorandoglielo con i denti -Mi senti, Harleen? Ti diverti ora a cavalcare il tuo Mr. J?-

La ragazza non riuscì più a rispondere. Sentì le sue mani bollenti abbandonarle i seni e ghermirle i fianchi, spingendola talmente tanto in basso che le loro ossa pelviche sbatterono una contro l’altra. La violenza di quella spinta costrinse Harley ad aprire gli occhi e a tornare nella realtà. Ella boccheggiò, sussultò, si irrigidì tutta… E venne, afflosciandosi su se stessa e ribaltando la testa.

-Sei già arrivata- constatò lui con un sorriso gratificato, stringendole forte i fianchi -Scusa ma io ho ancora due o tre fermate… -

Con la forza delle sue braccia la sollevò e la fece sprofondare giù con la stessa violenza di prima per altre tre volte, e quando sentì l’estasi sopraggiungere impetuosa, scostò la ragazza e scaricò tutto il suo piacere nell’acqua, per stroncare sul nascere eventuali scocciature col pannolino.

Joker si appoggiò al muretto della vasca, mugolando e godendosi il suo meritato rilassamento psicofisico, mentre Harley adagiò la schiena contro il suo petto.

-Ho inseminato la vasca- scherzò dopo un po', allontanando l’acqua contaminata -Cresceranno dei piccoli rubinetti verdi-

Harley rise all’idea “Che carini!”, ma assunse subito dopo un’espressione colpevole, girandosi per guardarlo negli occhi.

-Che succede?-

-Puddin’… Io invece ho fatto pipì-

Joker si dimenò nell’acqua -Ma che schifo! Harley!-

La ragazza rise rumorosamente e lo abbracciò forte -Scusa, Puddin’, mi scappava!-

-Dimmi almeno che non l’hai fatta mentre ti scopavo-

-Macché! Non si può mica in quel momento!-

-E che ne so io, non ho mica…- le fece un cenno verso il basso.

Harley gli stampò un bacetto -Fidati di me, Puddin’- gli sussurrò sicura, e il clown di tutta risposta alzò gli occhi al cielo. Il volto di lui sembrava più che mai qualcosa di alieno, così pallido e bagnato, privo di sopracciglia a incorniciargli gli occhioni azzurri e femminei… Ma manteneva comunque una bellezza obiettiva. Il recente bagno nell’acido, poi, gli aveva schiarito ulteriormente i colori, rendendogli ancora più bianca la pelle e ancora più verdi i capelli.

“Non dovrò più tingerli per due mesi” aveva pensato soddisfatto, mentre trasportava in braccio la sua nuova amica, svenuta “E tu, Harley Quinn, di che colore ti fai i codini?” pensò in quel momento, eccitato “VIOLA! No, ma il viola è il mio coloreRosa? SÌ! Rosa come una bambolina! No, forse… Azzurri! Rosa e Azzurri?”

-Puddin’… Quando mi porti a Parigi?-

Joker si ridestò dai suoi ricordi -Mmh, fammi pensare. Sei libera nell’anno del mai?-

-Ma Mistah’J! Me l’avevi promesso!-

-L’avevo promesso a Harleen Quinzel, non a te- le sorrise come un bambino insolente, piegando il capo di lato -E se esistesse ancora, ci porterei lei. Non mi ha mai fatto la pipì addosso-

-Ma io sono Harleen Quinzel!- protestò Harley, piegando il viso come aveva fatto lui.

-No, tu sei Harley Quinn- la corresse con il suo sorriso argentato, modellando sui suoi capelli bagnati due codini -E vuoi sapere finalmente qual è il colmo per un angioletto?-

Harley ricambiò il suo sorriso -Sì, Puddin’!-

-Avere le corna… Tra i riccioli d’oro!- rise e le indicò il suo riflesso nell’acqua, ormai diventata stagnante. Harley si guardò i codini sbilenchi e sorrise.

-Da oggi ti voglio vedere sempre così- le ordinò Joker, soffiandole nell’orecchio -Con le corna da diavoletto-

-Va bene, Puddin’- concordò l’arlecchina -Te lo prometto-

 

 

 

 

 

Note

Eccomi qui ragazzi! Sono sopravvissuta a questo capitolo, e come avrete notato, ho saltato a pie’ pari la scena dell’acido. Non perché non mi piaccia (figurarsi, è una delle poche volte in cui Joker dimostra di amarla) ma perché credo che la conosciamo già tutti abbastanza bene (non so voi, io a furia di leggerle in ogni dove so le battute a memoria) xD
Ho optato perciò per il prima e per il dopo ‘acido’, cercando di fare qualche anticipazione sul film (per chi non l’avesse capito, Monster è il tipo ucciso da Joker nella scena del night club).
Niente, vi ringrazio di cuore per tutto l’appoggio che mi state dando e che mi avete dato.
Ci vediamo all’epilogo… Au revoir <3

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Capitolo 15
*** Epilogo: Suicide Squad ***


 

                                                              

 








Nascondiglio del Joker.

Due settimane dopo la sconfitta di Incantatrice.

 

 

 

 

“198, 199…” con un ultimo, estenuante sforzo Joker si sollevò con le braccia oltre sbarra di ferro. Indossava solo un paio di pantaloni verdi sportivi e il girocollo di pelle con la scritta ‘PUDDIN’ che era appartenuto a Harley. L’aveva trovato per terra poco dopo il drammatico incidente in aereo: sicuramente Harl l’aveva perso per sbaglio.

“200!”

Atterrò al suolo con un tonfo, i palmi delle mani erano dolorosamente segnati e quasi faticava a stare in piedi dallo sforzo. Ma non per l’allenamento, quello lo faceva da sempre… Batman continuava a essere doppiamente più grosso di lui, non poteva certo regredire in massa muscolare.

No, non era il workout, c’era ben altro che lo stava logorando e gli stava togliendo il sonno, l’appetito e la sua imperitura voglia di sorridere.

Era Harley Quinn.

Due settimane. Aveva passato solo due settimane insieme ad Harley prima che gliela strappassero via, ed erano stati quindici giorni divertentissimi, tra i più divertenti della sua vita. Certo, qualche volta l’aveva fatto arrabbiare e l’aveva distratto dai suoi esperimenti con delle continue, moleste richieste di attenzioni, ma niente in confronto al piacere e alla squisitezza che aveva tratto dalla sua compagnia… Era incredibilmente perfetta, la sua sagoma al femminile, la degna regina di Gotham che non si era mai concesso di cercare.

E ora era lontana, tenuta prigioniera chissà dove da quel diavolo di donna africana.

Ormai era diventata una questione di principio, voleva indietro la sua donna e la voleva subito. Ne aveva già persa una in passato, non poteva succedergli di nuovo… Dove si trovava questa fottuta “ruota che gira”?

Era sempre stato restio a mostrarsi debole, perfino con se stesso non era mai del tutto sincero, ma quel famigliare senso di vuoto e impotenza che si era ripresentato, lo opprimeva di ira da un lato e di paura dall’altro.

“Io non farò la fine di Jeannie, te lo giuro” gli aveva promesso Harleen la sera della sua ‘trasformazione’ ed egli era stato riluttante, ma aveva voluto crederle, e alla fine tutto era andato splendidamente. Si era abituato molto presto a convivere con lei, aveva diviso con lei il letto, il cibo, i tre bagni (che invero si erano dimostrati pochi) e le aveva perfino fatto confezionare dei vestitini, ove la scritta “Property of Joker” risaltava efficacemente come ammonimento rivolto a tutti gli uomini.

Chissà se Deadshot e company avevano colto la portata di quell’avvertimento… La sola idea che ci avessero provato con Harley lo faceva impazzire dalla gelosia. D’altronde come potevano resisterle? Harley era favolosa, e con quei pantaloncini inguinali il suo sex appeal puntava dritto alle stelle. Joker quasi si pentì di aver scelto per lei un outfit così provocante… Ma una cosa lo rassicurava: lei in realtà non era una ragazza facile. Ammiccava e faceva la maliziosetta più o meno con tutti, ma non l’avrebbe mai tradito sul serio, c’era come un limite non scritto, una linea maginot che segnava i confini tra il flirt innocente e l’eccesso di complicità.

Di nuovo, richiamò alla mente le parole della dottoressa Quinzel.

“Promettimi che ci sarò solo io, che tu mi sarai fedele sempre, come io lo sarò con te”

Buffo che gli venissero sempre in mente le sviolinate della psichiatra durante quegli istanti di incertezza… Perché, alla fine, era andata proprio come voleva lei. Harleen l’aveva avuta vinta su tutti i campi, Joker aveva cacciato le prostitute e l’aveva presa con sé, gettandosi dentro a una cisterna d’acido solo per salvarla.

E alla fine il compromesso raggiunto era stato accettabile, vantavano un diritto di esclusiva l’uno sul corpo dell’altra, un’obbligazione reciproca che si compensava alla perfezione.

Solo che ora lei non c’era e i loro ruoli si erano come ribaltati: prima era lei quella che lo rincorreva, lo cercava e lo trovava in qualunque posto e a qualunque rischio, ora toccava a lui. E Joker stava adempiendo a questo nuovo compito con grande determinazione: non aveva altro obiettivo, altro scopo, altra aspirazione all’infuori di salvare Harley Quinn; Batman, il potere e il dio denaro potevano anche attendere. Ma più passavano i giorni, più l’impresa si dimostrava difficile e la sua impazienza degradava in frustrazione. Inoltre, non aveva nemmeno Jonny e Gaggy su cui contare: il primo era in ospedale dal giorno dell’incidente aereo, in attesa di essere processato, mentre il secondo stava scontando in carcere la bellezza di quattro ergastoli e sessantacinque anni.

In definitiva, gli era rimasto solo Batsy. Il Pipistrello era l’unico che poteva distrarlo un po’, l’unico che poteva alleviare le sue pene… Si mise a ridere, Batman era una delle poche certezze che aveva nella vita. Gli aveva portato via Harley, è vero, ma gli aveva accennato di quella diavoleria walleriana chiamata Suicide Squad.

“Come farei senza di lui? Peccato che non sia nato donna”

Quasi provvidenzialmente, sentì un rumore sospetto. La sua bocca si curvò in un ghigno malefico e, ancora sudato, spalancò le braccia lunghe e pallidissime.

-Amore mio, stavo giusto pensando a te-

Ma non comparve chi si aspettava. Al posto del Cavaliere Oscuro c’era una bellissima donna coperta solo di un leggero ma intricato busto di foglie e fiori...

-Ma quale onore!- esclamò Joker con enfasi, facendo un inchino alla nuova arrivata -Madre Natura che viene a fare visita a un comune mortale!-

Poison Ivy fece un sorriso tirato e scese le scale, ancheggiando in modo vistoso. Se non fosse stato per la carnagione verde e i capelli mossi, avrebbe potuto incarnare la perfetta rappresentazione di Jessica Rabbit.

-Sai, ero qui che mi domandavo perché quel pagliaccio squattrinato non fosse ancora andato a salvare la sua ragazza- esclamò con tono interrogativo e una sottile linea di disgusto -Che cosa diavolo starà facendo di così importante da dimenticarsi di Harley Quinn? E poi lo trovo qui, in questo buco, a imbottirsi di steroidi anabolizzanti come un sedicenne-

Joker le fece un sorriso tanto ampio quanto minaccioso -Non ricordo di aver telefonato al giardiniere- scherzò, beccandosi un’occhiataccia -A cosa devo la graditissima visita? Disinfestazione di pipistrelli?-

-Te l’ho detto perché sono qui, buffone. Dov’è Harley? Che cosa aspetti a salvarla?-

-Ci sto laaaavorando- le rispose con una smorfia, facendole segno di guardare verso la fila di computers accesi sul tavolo.

Ivy guardò con scettica superiorità la quindicina di Macbook, tutti con gli schermi pieni di dati e simboli illeggibili, e poi si rivolse a lui.

-Credi che giocare a fare l’Hacker dispettoso ti possa portare indietro Harley Quinn?-

-L’Hacker dispettoso- ridacchiò Joker, scuotendo la testa come un matto -In effetti tu non sai che cosa sono capace di fare con questi meravigliosi meccanismi… L’ho già rintracciata una volta e ho disinnescato il chip che le avevano iniettato nel cervello, a distanza, senza nemmeno toccarla con un dito. La tua amichetta presto tornerà a casa-

-Sarà…- Ivy alzò le spalle con noncuranza e lo squadrò da capo a piedi, senza imbarazzo -Quindi, peso paglia? Cosa aspetti a offrirmi da bere?-

Se avesse avuto le sopracciglia, Joker le avrebbe corrugate.

-Nel senso che ti devo… Annaffiare?-

Ivy roteò gli occhi e lo guardò sghignazzare pazientemente, anche se avrebbe voluto trapassarlo con un grosso ramo colmo di spine. Ma d’altronde non era quello il reale motivo della sua visita.

-Sei in forma, Joker- continuò infatti con voce suadente, avvicinandosi -Non sembri molto afflitto per la sua lontananza-

-Non sono il tipo d’uomo che si piange addosso-

-Mmh, neanch’io, sai?- gli sorrise, scrollandosi indietro i capelli rosso fuoco -E questa è una delle tante cose che abbiamo in comune: Siamo vendicativi ma non serbiamo rancore-

Joker si fece attento, ma senza smettere di sorridere. La pericolosa Meta-umana era in avvicinamento…

-Ah, no?-

-Guarda me e te, ad esempio. Ci sono stati molti alti e bassi tra di noi. Tu hai inquinato il mio parco, io ho mandato all’aria molti dei tuoi piani diabolici…-

-Troppi- precisò il clown.

-…Però alla fine abbiamo sempre fatto pace- continuò Ivy, facendogli l’occhiolino.

-Anche su questo avrei qualcosina da ridire-

-Oh, suvvia, J… Non eri tu quello a cui piacciono gli scherzi?- gli domandò con aria innocente. Ormai gli si era avvicinata talmente tanto che i suoi seni gonfi gli sfioravano il petto.

-Beh, in genere preferisco farli piuttosto che riceverli- le rispose il clown, cercando di guardarla negli occhi -Anche se per te, mia verdognola divinità, posso sempre fare un’eccezione-

-Così ti voglio- gli sussurrò Ivy, incrociando le braccia sopra le sue spalle. Lui fece la stessa cosa però sul suo punto vita. Flirtava con lei, ma aveva i riflessi pronti e i cinque sensi in allerta: era pronto a scattare come un giaguaro al primo passo falso della donna. In fondo conosceva bene Poison Ivy e il suo modo d’agire, era già successo che lei avesse tentato di sedurlo con il malcelato fine di ucciderlo. Ciò non toglie però che ogni occasione era buona per toccarla o per strapparle un bacio… O almeno fino a quando non aveva conosciuto Harley.

-Mmh…- gemette, umettandosi le labbra -Non ti dispiace se testo un nuovo veleno su di te?-

-Sono immune alle tue secrezioni da coccinella-

-Lo so- gli sussurrò guardandolo dritto negli occhi, il volto leggermente piegato a sinistra. Sporse le labbra rosse e carnose e tentò di baciarlo, ma proprio quando stava per riuscirci, lui la fermò.

-Alt,alt,alt,alt!- la allontanò Joker col sorriso intatto -Mia carissima, adorata Poison Ivy, sei stata il mio sogno erotico più ricorrente, uno dei miei primi pensieri il pomeriggio quando mi svegliavo con… Beh, puoi immaginare con cosa, e per quanto la tua proposta si prospetti allettante e rosea di aspettative, devo declinare- la umiliò aspramente, liberandosi dalla sua stretta -Questo pagliaccio è già impegnato. Non lo vedi?- continuò, indicandosi il collo -Ho anche il collare-

La bella Meta-umana fece un’espressione sbalordita, quasi inorridita.

-Non è possibile… Allora è vero?- esclamò con un filo di voce, sempre più incredula -Ti sei innamorato sul serio di lei?-

-LO SAPEVO!- gridò Joker, additandola -Era una stupida prova di fedeltà, tipo quelle che fanno le fighette al liceo, non è vero? Il prossimo step quale sarà? Mi chiamate sul cellulare e mettete giù prima che io risponda?-

L’amazzone verde arrossì e lo fulminò con lo sguardo.

-Certo che era una prova, lurido parassita- ringhiò con un’espressione disgustata, gli occhi color bosco dardeggianti come i capelli -Credi davvero che io possa essere minimamente interessata a te o al tuo inutile tirapiedi?-

-Jonny?-

-Sì, lui. Volevo solo trovare un pretesto per indurre Harley a lasciarti… Ma per questa volta ti è andata bene, buffone, sei stato fortunato-

-Un momento… Ti sei presa una cotta per il mio cupcake, è così?- la sua risata diabolica la fece montare su tutte le furie

-Harley presto si renderà conto di che razza di idiota tu sia, e quando accadrà, io sarò qui ad aspettarla-

-Sì, sì. Aspetta e spera, bellezza- la irritò ulteriormente, sorridendo maligno -Ma se intanto vuoi inserirti nel nostro talamo per ingannare l’attesa, sappi che sei la benvenuta-

-Due parole- gli rispose Ivy -Neanche- sollevò l’indice -Morta- sollevò il medio -È guerra aperta, Joker- concluse, dandogli le spalle.

 

 

________________________

 

 

-Trenta giorni a novembre, con aprile, giugno e settembre…-

 

In una prigione di massima sicurezza con doppie sbarre, una ragazza bionda canticchiava e sorseggiava del caffè preparato dalla sua macchinetta per espresso nuova di zecca. Aveva anche un banale romanzo d’amore aperto sulla branda, ma non lo stava leggendo realmente.

 

-Di Puddin’ ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno!-

 

Fece un sorriso soddisfatto e finì la nona tazzina della giornata. Cercò poi di guardare le pagine, ma senza gli occhiali da vista non riusciva a leggere granché. “Maledetta Harleen!”

-Scusate, non si può avere un libro con le figure?- domandò a voce alta verso il signor nessuno -Ehiii? Mi sentite? Mi sto annoiando tanto!-

Ma nessuno le rispose.

L’ergastolo con l’isolamento diurno era la tortura delle torture, la peggiore pena che potessero infliggere a un essere umano. Harley Quinn sospirò tristemente, cercando di rifugiarsi nei suoi ricordi.

Quante cose erano capitate in quei pochi mesi... Era evasa finalmente da Belle Rave, aveva incontrato dei nuovi amici simpaticissimi, aveva sconfitto come una vera eroina la strega Incantatrice e poi… E poi aveva perso Puddin'. Harley strinse forte il libro tra le mani, diamine quanto le faceva male il cuore quando ci pensava! Era come se fosse chiuso dentro una trappola che si rimpiccioliva ogni volta che si fermava a pensarlo, ma non per questo l’Arlecchina si lasciava andare alle lacrime.

Non poteva piangere, Harley Quinn non piange, Harley Quinn ride e sorride, proprio come le aveva insegnato Puddin’.

Ma c’erano dei momenti bui in cui Harley non riusciva proprio a sorridere. C’erano dei momenti in cui la speranza si occultava e il timore che Joker fosse morto sul serio in quell’aeromobile la soffocava, togliendole quel poco di lucidità che era rimasto nel suo inconscio, quel poco di Harleen Quinzel vagante in lei.

“Non può essere morto, vero Harleen?” domandava alla sua alter ego, che reputava molto più affidabile di lei. E la risposta che immaginava nelle sua testa, ripeteva sempre la stessa parola: No.

No, non poteva essere morto.

Non Joker.

Non il suo Puddin’.

Non ora che l’aveva finalmente accettata, non ora che avevano trovato un loro equilibrio, tanto strambo quanto idilliaco, fatto di notti insonni, bravate e lunghi riposini pomeridiani.

Quanto le mancava dormire accanto a lui alle quattro del pomeriggio, e se anche Joker era sempre girato sul fianco opposto e aveva una pistola calibro 22 tra le coperte di pelliccia, era come un sogno averlo vicino. A lei bastava allungare una mano e sfiorargli la schiena per sentirsi subito felice, per sentirsi a casa. Mentre adesso…

No, non poteva essere morto. È il Joker di Gotham! Anche i suoi nuovi amici gliel’avevano ricordato…

-Ci vuole ben altro che un incidente aereo per far fuori il tuo amico- le aveva sussurrato Deadshot, impietosito -Sai quante volte gli ho sparato, io? Oramai ho perso il conto… Nah, Harley, quelli come lui non tirano le cuoia così facilmente-

Perfino Capitan Boomerang aveva trovato una parola di conforto…

-Non ti offro una birra solo perché il tuo ragazzo è un autentico psicopatico…Potrebbe essere anche qui, dietro quel cespuglio…- le aveva detto, guardandosi intorno con fare sospettoso -Se è morto però chiamami, Pinky vorrebbe tanto vederti nuda!-

E anche El Diablo, nel suo mutismo protratto, era riuscito a dirle qualcosa di carino…

-Il cane bastardo è vivo. Ci scommetto un tatuaggio-

 

Harley sorrise allietata, aveva conosciuto degli amici davvero fantastici! A Puddin’, continuò a pensare, sarebbero sicuramente piaciuti.

Ciò non toglieva, comunque, che la possibilità che fosse sopravvissuto in quell’incidente aereo era una su un milione. Harley aveva visto l’aereo schiantarsi contro un palazzo e prendere fuoco, l’aveva visto con i suoi occhi, solo un miracolo avrebbe potuto salvare il suo Puddin’….

 

 

 

Joker faticava a respirare, non sentiva più le gambe e la sua vista era appannata a causa del fumo. Cercò di sollevare con tutta la forza che aveva i resti di quel veicolo che lo tenevano dolorosamente imprigionato, ma il loro peso era esagerato e lui, da sdraiato com’era, non riusciva a dare il meglio di sé. Ringhiò e non demorse, l’aereo caduto era in fiamme e nel giro di pochi secondi sarebbe esploso. Non poteva morire così banalmente!

Cercò di nuovo di liberarsi, e proprio quando arrivò a perdere ogni speranza, si sentì afferrare da due braccia grosse e possenti, che lo trascinarono fuori da quella carcassa di ferro elettrico. Cadde poco lontano da loro un pezzo di ala arroventata, ma chi lo stava trasportando con così tanta forza sembrava non temere il pericolo. L’aria pulita aiutò Joker ad affilare lo sguardo e malgrado il dolore nelle membra, riconobbe subito il suo salvatore: mantello nero, spalle larghissime, due metri di altezza. Fece un sorriso genuino.

-L’eroe è venuto a salvare… La principessina in pericolo…- esclamò faticosamente, con la voce arrochita -Cominciavo a temere… Che non saresti venuto-

-Taci, sciagura dell’umanità- gli rispose Batman, duramente -Non farmi cambiare idea-

-Ammettilo, Batsy, non puoi fare a meno di me-

-Sto solo ricambiando il favore. Una vita per una vita, dopo saremo pari-

Joker capì, il Cavaliere Oscuro si riferiva a quella volta in cui lui lo aveva risparmiato. In realtà il super criminale aveva esitato a sparargli solo perché voleva realizzare la sua brama più grande, ossia spogliarlo della maschera e scoprire finalmente la sua vera identità. Non chiedeva altro, ucciderlo era l’ultimo dei suoi pensieri.

Intanto, con un boato, l’aereo esplose del tutto. Batman si fermò e si protesse sotto il suo mantello, fatto di uno speciale materiale anti proiettile e resistente al fuoco, e senza volerlo riparò anche il criminale che giaceva tramortito sotto di lui. Il suo indebolimento fisico non gli impedì comunque di allungare le mani e di afferrargli a tradimento la maschera da pipistrello, col proposito di sfilargliela via. Batman si difese e gli scagliò un pugno ben assestato nel viso, facendogli sbattere la testa al suolo. Ma malgrado tutto il dolore, il criminale iniziò a ridere.

-Accidenti, Batboy- ridacchiò Joker, col volto bruciato e tumefatto -Scommetto che sarebbe più facile toglierti le mutande-

-Ma perché non vi ho lasciato morire là dentro…-

-Vi?-

Joker sentì un gemito di dolore alla sua sinistra. Il supereroe aveva trascinato in salvo anche Jonny Frost, precedentemente alla guida del mezzo. Costui si trovava accasciato per terra, in gravi condizioni.

-Porta Jonny in ospedale- gli ordinò il clown, e poi aggiunse con un ghigno -Mio eroe-

-No feccia, porto te all’inferno, dove meriti di stare: all’Arkham Asylum, in una cella grande quanto una noce- poi accennò un sorriso -E stai certo che questa volta sceglierò io la tua psichiatra, e la sceglierò bene-

-Questa però è una minaccia- gli disse il criminale, atterrito dall’idea di trovarsi davanti una befana con i baffi.

-Puoi dirlo forte-

-Amico… Se ora porti via me, un uomo morirà- insistette Joker, riferendosi a Frost -Vuoi davvero avere una vita umana sulla tua illibata coscienza? Pensi di riuscire a sopportarne il peso?-

-Se è per risparmiarne altre mille, sì-

-No, Batsy, no, no, no… Io sono venuto in pace, voglio solo riavere indietro il mio zuccherino. È una richiesta lecita-

Ma Batman non lo ascoltò neanche e, continuando a tenerlo ben stretto, digitò un tasto per mettersi direttamente in contatto con la centrale.

- Gordon, ho preso Joker. Raduna le forze speciali-

Il clown fece una smorfia, quante volte aveva sentito il Cavaliere Oscuro pronunciare quella frase? E ora ritornare all’Arkham senza Gaggy, Jonny o una deliziosa psichiatra da sedurre poteva diventare un serio problema.

-Batsy, andiamo, sono uscito due mesi fa- lo supplicò, mentre l’altro dava le coordinate del luogo in cui si trovavano.

-È anche troppo tempo di libertà- gli disse, per poi concludere compiaciuto -Puddin’-

Joker gli mostrò i denti rabbiosamente, sentendo per la prima volta qualcosa molto simile all’imbarazzo.

-D’accordo, pipistrello, ma sappi che sarò mooooolto arrabbiato con te quando uscirò-

-Sto tremando di paura- gli rispose Batman con aspra ironia, senza nemmeno guardarlo. Osservava Jonny Forst, sdraiato in una pozza di sangue che diventava sempre più grande. L’istinto di prenderlo e portarlo subito in salvo era forte e pungente.

-Ascolta, non lo capisci che in questa battaglia siamo dalla stessa parte?-  continuò Joker, agitato -Vogliamo entrambi porre fine a questa follia della Squadra Suicida, io per un motivo e tu per un altro. Hai idea di che cosa potrebbero fare quelle belle personcine se unissero SUL SERIO le loro forze? Diventerebbero imbattili e di Gotham non resterebbe che un misero mucchietto di polvere e calcinacci…-

-E allora che cosa proponi di fare, Joker?- sbottò Batman, guardandolo dall’alto come se fosse la più misera delle creature -Di combattere insieme? Hai davvero il coraggio di concepire una cosa del genere?-

Il clown ridacchiò -No, caro, solo di lasciarmi fare. Lasciami andare e mi occuperò io in persona dei Suicidi. Parola di scout-

-A-aiutami…- esalò Jonny Frost verso il supereroe, interrompendoli -Ti prego, aiutami-

-Fidati del tuo vecchio amico, Batsy, non hai altra scelta- continuò subdolamente il clown -Loro sono in troppi e scommetto che da quando il tuo collega Superman è morto, il lavoro per te si è triplicato, vero?

-Non ho bisogno di te, Joker- esclamò Batman senza esitazioni, liberandolo bruscamente dalla sua stretta -Ma non voglio lasciar morire il tuo amico. Riprenditi presto, perché non appena avrò fermato quel gruppo di scalmanati, verrò a cercare te. Parola di scout-

 

 

 

 

-Signoore guaaaardieee? Potrei avere un po’ di zucchero per il caffè?- gridò l’arlecchina, con il naso rivolto all’insù -Il caffè è buono, ma senza zucchero mi sembra un po’ amaro…- Harley sorrise e si guardò intorno, ma come sempre nessuno la degnò di una risposta -No, è? Va be’, non importa! Amici come prima-

Ma in quella cella non c’era anima viva, non un suono, non un sospiro, niente. Solo due guardie lontane e costantemente girate di spalle.

La ragazza si morse il labbro, la solitudine l’opprimeva, le veniva da piangere. Ormai sospirava in continuazione e insieme ai sospiri esalava parte delle sue speranze. Si sedette quindi sulla branda a gambe incrociate e riprese in mano il romanzo rosa. Lesse tre pagine, la scrittura era scorrevole ma il contenuto era talmente pieno di cliché è banalità che persino a lei risultava insipido. Dopotutto, fino a pochi mesi prima leggeva riviste scientifiche, quotidiani e trattati di medicina psichiatrica… Il suo cervello, per quanto martoriato, continuava a essere molto più istruito della media. Cosa avrebbe dato per un bel manuale di anatomia! Almeno lì c’erano le figure.

-Beh, forse è arrivato il momento di bere un bel caffè!- esclamò vivacemente -Chi di voi maschietti vuole bere un caffè con Harley? Non siate timidi, non lo dirò a Puddin’!-

Ma dato che nessuno le rispondeva, la ragazza fece un bel sospiro e si avvicinò nuovamente alla macchinetta, premendo il pulsante d’avvio. Il liquido nero e caldo cominciò a fluire copiosamente da due beccucci, lasciando un leggero strato di schiuma sulla tazzina. Harley lo guardò incantata, calma e senza pensare a niente, ma proprio in quell’istante un boato fece letteralmente esplodere il muro alla sua sinistra.

Harley gridò e trasalì, guardando scossa un gruppo di soldati in divisa riversarsi a cascata dentro la prigione. Spararono contro i loro colleghi senza alcuna esitazione e imbracciavano armi da fuoco che non erano certo permesse nell’istituto penitenziario: fucili di precisione, mitragliatori, bazooka… Harley si protesse gli occhi con un braccio, uno di loro aveva addirittura un’enorme ruota elettrica, che utilizzò per segare la porta blindata della sua prigione, provocando una marea di scintille.

I casi erano due, pensò la ragazza, tesa. O erano venuti a salvarla, o erano venuti a ucciderla e la seconda ipotesi era molto più plausibile della prima.

Poi i soldati si fecero subito da parte per far passare un uomo. All’apparenza era come loro, vestito sempre da guardia penitenziaria con il viso completamente coperto da un casco, ma la sua figura era diversa dalle altre, incuteva un certo timore, era strano a dirsi.

Costui entrò dentro alla cella ed esitò un momento a guardare la reclusa e Harley lo ricambiò, spalancando gli occhi. Il suo cuore iniziò a galoppare, le sue gambe a tremare e la testa a girare.

L’avrebbe riconosciuto fra mille.

Joker si tolse la visiera e le sorrise, incredulo lui stesso di averla finalmente ritrovata.

-PUDDIN!- gridò Harley senza fiato, lanciandosi contro di lui per abbracciarlo, senza poter credere ai suoi occhi.

-Torniamo a casa- le sussurrò, stringendola possessivamente, talmente forte da farle male. Mai l’aveva abbracciata così, l’ultima volta che era successo era stato nella cisterna d’acido, quando lui l’aveva afferrata e sorretta forte per riportarla in superficie. I baci fra loro erano sempre stati frequenti, ma l’abbraccio no… Quello era off limits. Era un gesto troppo affettuoso, implicava una condivisione d’amore troppo alta per gli standard del clown.

-Ti amo tanto, Puddin’- sussurrò Harley sull’orlo delle lacrime, baciandolo disperatamente. Si scambiarono un bacio senza sincronia, le loro bocche si muovevano alla cieca senza attendere la reazione dell’altra, spinte da un bisogno ignorato per troppo tempo.

-Puddin’ sapevo che non eri morto!- esultò colma di gioia, stritolandolo tra le sue braccia -Puddin,Puddin,Puddiiiin!-

-Così però mi rompi le costole, Pumpkin pie-

-Scusa- gli rispose lei, troppo felice per sentirsi imbarazzata.

-Ora andiamocene da qui… Ti ricordi quella pelliccia d’orso? È ancora là che ci sta aspettando, ma prima, c’è una cosa che devo darti-

Tirò fuori dalla divisa rubata il girocollo di pelle bianca con la scritta “PUDDIN” e glielo allacciò sul collo.

-Ecco, molto meglio-

-Come hai fatto a trovarmi?- gli domandò lei, continuando ad aderire sul suo corpo per la paura che sparisse nel nulla. Lui la guardò negli occhi e le fece un sorriso d’argento.

-Anch'io trovo sempre ciò che amo, Harley Quinn-

 

 

 

 

_________________________

 

 

 

 

Qualche tempo dopo…

 

 

-Signorino Bruce, ha sentito cosa è successo in Europa?-

Batman si voltò verso Alfred Pennyworth, il suo fedele maggiordomo tuttofare.

-No, cosa è successo?- gli rispose con tono preoccupato, interrompendo il suo rigoroso allenamento quotidiano. Non era da Alfred presentarsi nella sua palestra alle prime luci dell’alba… Qualunque cosa fosse, doveva essere grave.

-Si tratta della Gioconda di Leonardo da Vinci, signore- iniziò il maggiordomo, guardandolo di sottecchi -Pare che sia scomparsa nel nulla-

Bruce strabuzzò lo sguardo -Che cosa!?-

-Sì, davvero sconvolgente. Tra qualche ora i notiziari ci informeranno meglio, ma secondo la procura di Parigi si è trattato di un furto epocale, congegnato da menti criminali esperte. Pensi che hanno trafugato il dipinto senza nemmeno scassinare il portone di ingresso-

-Emozionante. Sono certo che la Gendarmerie risolverà la questione- esclamò Batman, con l’intento di chiudere il discorso.

-Ergo? Non intende intervenire in soccorso di Parigi?-

-Ma certo che no- gli rispose l’altro con tono scontroso, appendendosi di nuovo agli anelli ginnici -Alfred, non posso occuparmi anche dei ladri d’oltre oceano. Sorvegliare il perimetro di Gotham è già un lavoro più che sufficiente per una persona sola… E tu lo sai bene. Ci penseranno gli eroi europei-

-Oh, che sbadato. Confidiamo pure nell’intervento sollecito di Zorro e di Harry Potter- gli rispose con quel suo tipico, sottile sarcasmo -Mi sembra un’ottima politica di sopravvivenza-

Bruce sorrise, mentre due grosse gocce di sudore gli scivolarono sul viso -Zorro comunque sarebbe californiano…-

-Oh, avrei giurato che fosse spagnolo. Beh, è una ragione in più per adoperarsi in soccorso dell’Europa, signorino-

Batman temporeggiò. Ci mancava solo che Alfred si mettesse a fare il grillo parlante, come se Bruce non si instillasse già abbastanza sensi di colpa da solo.

-E Joker? E Poison Ivy? E Harley Quinn? Chi penserà a loro mentre sarò via?-

-Ho come il sospetto che non ce ne sarà bisogno…-

-Che vuoi dire?-

-Nulla, signore, sono solo un povero maggiordomo che cerca di essere utile al suo committente- esclamò con innocenza -Ma non posso fare a meno di notare che il furto di Parigi è stato una mirabile opera criminosa, degna di un vero professionista. Ci pensi, chi può essere così folle da credere di poter rubare il quadro più custodito del mondo e di riuscire perfino nell’impresa?-

Batman si lasciò cadere a terra, fece un sospiro, chiuse gli occhi e imprecò mentalmente.

-Alfred…-

Il maggiordomo gli sorrise -Vado a preparare il Batcottero?-

-Vai-  concordò il più giovane, con il brio di un condannato a morte -Partenza prevista per oggi alle undici-

Il maggiordomo fece un compiaciuto cenno d’assenso e lasciò il suo povero e indaffarato supereroe.

Poi, come colto da un’illuminazione indefinibile, Bruce prese il suo accessoriatissimo smart phone e guardò nella casella delle mail. Come immaginava, c’era una missiva non letta, firmata ‘utente sconosciuto’. La aprì e nel display comparve a tutto schermo una foto che ritraeva due sorridenti Joker e Harley Quinn, che stringevano bramosamente l’opera d’arte più famosa del mondo. Sotto la didascalia in verde acido recitava una frase per nulla confortante.

 

…E se le facessimo i baffi? :)

 

 

Che razza di idioti” pensò Bruce, ma lo fece sorridendo.

 

 

 

 







 

Note
 
*Nessun dipinto Leonardesco è stato maltrattato durante la realizzazione di questo capitolo*
 
Eheh, ciao ragazzi! ;)
Quindi eccoci qui, siamo arrivati alla fine… Spero che l’epilogo vi sia piaciuto, come avete notato abbiamo fatto un bel salto temporale e siamo finiti direttamente alla fine del film ‘Suicide Squad’. Spero che come idea vi sia piaciuta e che non abbia deluso le vostre importanti aspettative... Vi dirò, la mia idea dell'epilogo era diversa, originariamente dovevano comparire tutti i 'Suicidi' e Harley doveva pregare Joker di aiutarla a farli evadere una volta rincontratolo, però alla fine ho preferito accentuare la loro storia d'amore, che è poi il fulcro di questa storia.
Niente, se devo tirare le somme di questa storia, posso ritenermi soddisfatta, ma non tanto per la storia in sé, che comunque revisionerò per bene (anzi, vi chiedo umilmente scusa ora per tutti gli errori/orrori/distrazioni che avete notato nei capitoli precedenti) ma per le attenzioni, davvero incredibili, e per l’incoraggiamento che mi avete dimostrato malgrado i miei insopportabili ritardi e difetti. Davvero, probabilmente non sarei arrivata fino qui senza il vostro supporto, e per questo voglio ringraziare chi mi ha seguito dall’inizio alla fine, e in particolare
 
hera85
The Mystic
dolcetta_forever
Sitter

Ma anche…

Gessi199512
Rabù darkevil
Bella Riddle51
 
E poi a a tutti voi, presenti o silenziosi, che mi avete accompagnato, GRAZIE!
Un bacione a tutti,
 
Ecate


 

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