Frozen in Flames

di IntoxicaVampire
(/viewuser.php?uid=130606)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno ***
Capitolo 2: *** Oh ma ci sei? (cit. Scarlett) ***
Capitolo 3: *** Almeno stiamo insieme ***
Capitolo 4: *** Nuovi arrivi ***
Capitolo 5: *** Dovrei imparare a tenere la bocca chiusa qualche volta ***
Capitolo 6: *** Il suo lato oscuro ***
Capitolo 7: *** Non avrei dovuto, forse. Ma tu non la passerai liscia ***
Capitolo 8: *** Così posso scusarmi con te come si deve ***
Capitolo 9: *** Per caso vuoi ammazzarmi di tachicardia? Solo per sapere, eh... ***
Capitolo 10: *** Dettagli non trascurabili ***
Capitolo 11: *** Vecchi ricordi ***
Capitolo 12: *** Relazioni ***
Capitolo 13: *** Attacchi d'arte (e di stile) ***
Capitolo 14: *** Privilegi ***
Capitolo 15: *** Come in un film ***
Capitolo 16: *** Sempre più vicini (e io intanto ho sempre più caldo) ***
Capitolo 17: *** --- > C A S T < --- ***
Capitolo 18: *** Tutto ciò che volevi sapere (avrei dovuto spiegarmi prima) ***
Capitolo 19: *** Ci sono ancora tante cose che non sai di me ***
Capitolo 20: *** Non avvicinarti troppo - mi stai facendo impazzire ***
Capitolo 21: *** Tenere le distanze ***
Capitolo 22: *** Gli amici sono come la Nutella: che mondo sarebbe senza! ***
Capitolo 23: *** Together we'll Dance in the Dark ***
Capitolo 24: *** Auguri, Joe! ***
Capitolo 25: *** La parola ''normalità'' non fa parte del mio vocabolario ***
Capitolo 26: *** Mi manchi! ***
Capitolo 27: *** Oh, passami il plico che lo metto nella borsa frigo ***
Capitolo 28: *** Alleanze non disinteressate ***
Capitolo 29: *** Resta con me ***
Capitolo 30: *** Every day and every night ***
Capitolo 31: *** Nuvole di vapore ***
Capitolo 32: *** Sorprese decisamente inaspettate ***
Capitolo 33: *** Take my hand ***



Capitolo 1
*** Ritorno ***


 

PREMESSA:

In un mondo in cui i supereroi sono parte integrante della comunità, a New York c'è in particolare una scuola per giovani con i superpoteri, la famosa Sky High.
Rosalie Frozehart, "Freeze Girl" con il potere del ghiaccio, è una ragazza bella e popolare, a cui piace stare in compagnia degli amici e scherzare con loro.
Ma lei è da sempre innamorata di Warren Peace, il ragazzo più inavvicinabile e misterioso della scuola. Da quando si sono parlati per la prima volta, però, Rose ha capito che lui in realtà è completamente diverso da come appare agli occhi degli altri.
C'è un unico problema: Warren ha il pericoloso potere del fuoco e, come se non bastasse, un passato decisamente oscuro. Ma Rosalie è disposta a tutto pur di poter stare con lui.
Possono Ghiaccio e Fuoco, due Elementi opposti per natura, convivere senza distruggersi l'un l'altro?
Il loro amore così contrastato potrà realizzarsi?
Entrambi soffrono eppure è così difficile resistere a un amore reciproco così intenso...

* * * * *
(Questa storia è ispirata al film "Sky High - Scuola di Superpoteri". Ma, a parte qualche personaggio e qualche scena, l'ho ripreso ben poco. Quindi potete leggere tranquillamente anche se non avete visto il film.)

Buona lettura!
Spero che questa mia storia vi piaccia! :)
* * * * *

 
1. Ritorno

 

...non devi preoccuparti, Rosalie. Io starò sempre con te.

Aaah, sì. Ahah che bello. Davvero starai sempre con me? Tutti i miei sogni diventerebbero realtà...

Dovevo rispondergli. Dirgli qualcosa. Aprii la bocca per parlare, ma non si sa per quale stranissimo motivo dalle mie labbra proveniva soltanto una strana musica anziché le parole che stavo cercando di pronunciare. Cercai di sforzarmi con tutta me stessa per trasformare le note musicali in sillabe, ma quella faticaccia fu inutile. Mi stavo scervellando, ma non riuscii a trovare alcun motivo logico per la sua presenza. Ti prego, ascoltami! Devo dirti una cosa importante! Non ce la facevo, lui non mi capiva. La musica continuava imperterrita. Era estremamente fastidiosa e non riuscivo in nessun modo a farla smettere.

Improvvisamente realizzai. Quello era un sogno, e quella strana musica che vi si era prepotentemente infiltrata proveniva dal mio cellulare: era la sveglia del mattino. Allungai pigramente una mano sul comodino e con un occhio chiuso e l'altro aperto spensi quell'aggeggio infernale.

Accidenti. Aveva rovinato tutto. Era un sogno così meraviglioso, era da non so quanto che non ne facevo di così realistici e così belli... Con molte poche speranze, allungai il braccio sull'altro lato del letto, dove fino a poco fa credevo ci fosse lui, solo per trovare il lenzuolo vuoto e freddo. Che tristezza.

Sospirando, raccolsi tutta la buona volontà che una studentessa di ormai quarta superiore poteva avere alle sette di mattina di lunedì, e mi alzai. Avrei preferito che quel giorno fosse andato in modo diverso, che fosse ancora domenica. Almeno avrei potuto finire il sogno. Warren...

Mi stiracchiai. Gli acciacchi della sera prima si fecero sentire. Era stato organizzato un party di addio all'estate e così avevo festeggiato con i miei amici l'inizio del nuovo anno scolastico. La festa mi era piaciuta molto, ma sarebbe stata ancora più fantastica se solo ci fosse stato anche lui... Sigh. Cercai di distogliere quel pensiero dalla mia mente e focalizzai la mia attenzione sui vestiti da indossare per il primo giorno di scuola.

Beh, primo di quest'anno, il quarto e penultimo anno come studentessa alla Sky High, la scuola per supereroi più famosa della East Coast, a pari livello con la Scuola per Giovani Dotati del Professor Charles Xavier. Alla Sky High ci andavano tutti i figli di supereroi famosi o ragazzi con superpoteri provenienti da famiglie normali. Io personalmente rientravo nella prima categoria: mio padre era Thunder Ray, famoso eroe col potere di creare tuoni e fulmini, e mia madre era Glaciess, la Ragazza di Ghiaccio, come la chiamavano i suoi amici quando ancora studiava alla Sky High. I miei poteri erano simili a quelli di mia madre, ma non uguali: lei diventava di un ghiaccio duro come il diamante, praticamente indistruttibile, io invece potevo crearlo. Avevo il potere del ghiaccio. Una futura super-eroina che trasformava i supercattivi in Polaretti? Mah, non si sapeva mai.

Ridacchiai pensando a che scultura glaciale avrei fatto oggi congelando Lash, mio grande amico e spasimante numero uno, tanto per iniziare l'anno con una mia mossa caratteristica e per far notare la mia presenza. Ormai era tradizione, per inaugurare ogni anno scolastico, giusto per farsi due risate.

Guardai l'orologio e presi un colpo: dovevo sbrigarmi o avrei perso l'autobus, e senza quello non avrei avuto nessunissimo modo per raggiungere la scuola. Per fortuna avevo preparato già il giorno prima i vestiti da indossare per il grande ritorno: una t-shirt bianca con scritto "BAD" in nero tipo a grosse pennellate, dei jeans graffiati, converse nere, bianche e azzurre e infine (dettaglio immancabile) i guanti a rete senza dita, uno nero e uno azzurro, che si abbinavano benissimo alle mie unghie con lo smalto turchese. Aprii la porta della mia camera e andai in bagno a fare la pipì e a sciacquarmi il viso per la solita rinfrescata mattutina. Mi diressi al lavandino e, dopo essermi lavata la faccia, osservai il mio riflesso allo specchio. Forse ieri sera avrei dovuto togliere meglio il trucco, pensai. Afferrai lo struccante e per mia grande fortuna non mi rimasero le occhiaie tipo zombie. Presi matita, ombretto e mascara e ci diedi una ripassata. Anche una linea di eyeliner non era male. Decisi che andava bene. Pettinai i miei capelli biondo platino lunghi fino alla vita, mettendo in mostra le meches azzurre sulla destra, e tornai in camera a prendere il mio Eastpak azzurro pastello. Ok, ero pronta.

Appena misi piede in corridoio, subito mi vennero incontro i miei due gattini, Glitch e Pixel. Avevano entrambi un anno e mezzo. Glitch era tigrato ma prevalentemente nero e il suo pelo era lunghetto, morbidissimo. Il preferito di tutti da prendere in braccio e strapazzare di coccole. L'avevo chiamato così perché aveva un problema agli occhi, e un glitch è un errore grafico, quindi... Pixel invece era tutto nero, un demone dell'ombra che mi attendeva sulla soglia e mi seguiva ovunque andassi, probabilmente sperando che prima o poi gli firmassi un contratto per cedergli la mia anima. Lui invece portava quel nome perché appena portato a casa era minuscolo e tutto spelacchiato (come Glitch, tra l'altro) e anche abbastanza bruttino. Sembrava un sorcio, più che un gatto. Ora era flessuoso ed elegante come una pantera, ma rimaneva pur sempre il mio pixel bruciacchiato. ♥

Diedi ad entrambi una carezza e una grattatina dietro alle orecchie, ma non avevo molto tempo. Di sicuro avevano già fatto colazione: a loro provvedeva mio papà appena si alzava, ancora prima di provvedere a sé stesso. A volte mi veniva il dubbio che fossero i gatti i nostri padroni, e non viceversa... Scesi in salotto, che era attaccato alla cucina, salutai i miei, afferrai al volo un biscotto dal tavolo e presi i miei occhiali da sole sul tavolino vicino all'ingresso, sistemandoli sopra la testa per dare un tocco finale al mio look.

«Ha chiamato Alex» mi annunciò mia madre, alle prese con un pancake ai fornelli. Alex era il mio fratellino ("ino" mica tanto, aveva quasi 16 anni ed era più alto di me). «Mi ha detto di augurarti buon inizio».

«'azie!» dissi, a bocca piena. Inghiottii il boccone e poi chiesi: «Ti ha detto quando torna dall'Europa? Se non sbaglio aveva rimandato la partenza».

«Non hanno ancora deciso, ma sembra che gli zii vengano qui a Natale e quindi lui verrebbe con loro. Almeno così ha detto».

«Mh» bofonchiai, sbafando un altro biscotto. «Niente missioni, oggi?» chiesi a mio padre, che si stava comodamente leggendo il giornale seduto a tavola di fronte a un caffè fumante.

«Al momento no. Abbiamo la mattina libera. Al pomeriggio però siamo in riunione» rispose. Il sorriso che mi rivolse rifletteva il suo stato di relax attuale.

Ero contenta per loro. Essere ambasciatori europei al Consiglio dei Super non è cosa da poco, ed erano più spesso in missione che a casa. Almeno quando potevano se la prendevano con comodo.

Salutai i miei genitori e uscii in giardino. Subito fui accolta da Black, il Terranova di mio fratello. Quel cane era enorme. I miei lo portavano quasi sempre in missione con loro: era stato addestrato sia come guardia del corpo che come rilevatore di aggeggi pericolosi. Feci una fatica bestia per evitare che mi leccasse tutta la faccia, ma lo grattai dietro le orecchie e lui scodinzolò felice. «C'è da portare a spasso Black!» urlai a mio papà in cucina.

«Sì tesoro, non ti preoccupare faccio io! Buona giornata!».

«Ciao, buona giornata anche a voi!».

Accarezzai un'ultima volta il cagnone e mi avviai alla fermata dell'autobus.

 

La riconobbi già da distante, sebbene al momento non indossassi né occhiali né lenti a contatto. La sua chioma blu elettrico era difficile da non individuare, dopotutto. Aveva i capelli lunghi e lisci, con una frangia dritta sulla fronte. Spesso, come oggi, li portava raccolti in due codini morbidi, bassi, lasciati cadere davanti vicino al collo.

Eccola lì, la mia migliore amica Scarlett. La mia migliore amica onnisciente che sapeva leggere nel pensiero.

«Uei vecchiaaa!» mi salutò, sventolando la mano.

Appena le fui vicina mi misi a ridere. I suoi occhi color oro erano contornati da un ombretto blu rimasuglio della sera prima, che quasi sicuramente si era dimenticata di togliere e ormai le aveva impregnato la pelle. «Sei sopravvissuta anche tu al manicomio di ieri sera, vedo!»

«Ahah guarda non me ne parlare. Prima di andare a letto penso di aver bevuto cinque camomille per cercare di calmarmi! Comunque hai poco da dire di me, guarda la tua di faccia piuttosto, l'alba dei morti viventi!»

Scoppiai a ridere. Non le si poteva nascondere proprio niente, anche stavolta aveva letto il mio pensiero e colto la mia osservazione divertita.

«Pronta per ricominciare?» le dissi, fingendomi eccitata e pimpante.

«Ué, altroché!» Alzò una V di vittoria, ironica. «Sono così pronta che mi metterei a studiare già in corriera! Sai no, per prendermi avanti!». Ridemmo.

In quel preciso istante arrivò l'autobus, puntuale come sempre. Il nostro autista di fiducia, Ron Wilson, aprì le porte e ci salutò calorosamente. «Buongiorno, signorine! Ben ritrovate! Siete pronte?»

Rispose Scarlett per entrambe. «Altroché, Ron! Lo stavo proprio dicendo a Rosalie qui: io sono nata pronta per andare a scuola!» rispose sarcastica mentre salivamo i gradini del pullman.

«Questo è lo spirito giusto!» disse Ron ridacchiando, quindi chiuse le porte alle nostre spalle e partì.

Ska ed io avanzammo nel corridoio cercando un posto libero. Notai che c'era un sacco di gente nuova. «Devono essere le matricole» suggerì la mia amica. Finalmente riuscimmo a sederci, giusto in tempo per il decollo: dopo essere entrato in una strada senza uscita che sbucava su un ponte in costruzione, il bus anziché rallentare accelerò. Giusto al momento della caduta nel nulla, Ron con gran prontezza di riflessi fece uscire i razzi e le ali e l'autobus si trasformò in una specie di jet. La nostra scuola, infatti, era sospesa in alto nel cielo e la si poteva raggiungere solo per via aerea, tutto ciò per proteggerla da attacchi di supercattivi o di malintenzionati. Era tenuta lassù grazie ai più moderni propulsori antigravitazionali e cambiava continuamente locazione, la quale era conosciuta solo dal personale autorizzato. Il decollo era la parte più divertente: sembrava di essere sulle montagne russe. Delle cinture automatiche uscivano e si allacciavano per tenerci ben saldi al sedile, e spesso Ron si divertiva a fare acrobazie spericolate. I nuovi studenti stavano urlando come pazzi, sembrava che dovessero morire da un momento all'altro. «Tzh, matricole» bofonchiammo all'unisono io e Scarlett, e ridacchiammo.

Guardai fuori dal finestrino per godermi il panorama, ma il pensiero del sogno di quella mattina non se n'era ancora andato. Dio mio, era così realistico. Sospirai. Cercai di distogliere i miei pensieri da quelle immagini nella mia testa e provai a rilassarmi osservando le forme candide delle nuvole. Quella mattina il cielo era così azzurro da sembrare dipinto digitalmente.

Di sicuro i miei pensieri depressi non erano sfuggiti alla mia amica, che infatti mi si avvicinò. «Ehi Rose. Vedrai che quest'anno andrà meglio. Non scappa mica...» mi rassicurò.

Avevo indovinato, lo sapeva. Si riferiva a Warren. Warren Peace. Il ragazzo per cui avevo una cotta stratosferica da... diciamo da appena ero entrata alla Sky High. Il ragazzo del mio sogno. Era così bello... e, pensate un po', aveva proprio il potere del fuoco.

«Perfetto per te» sussurrò Scarlett con un sorriso.

Era ciò che avevo sempre pensato anch'io: saremmo stati benissimo insieme. Lo dicevano tutti i miei amici. E poi, pensai, mi scioglie ogni volta. Ridacchiai al doppio senso. Fuoco e Ghiaccio... gli opposti si attraggono, dicevano. C'era solo un piccolo problema: per quanto esuberante ed estroversa fossi, ogni santa volta che c'era lui nei paraggi mi trasformavo in un panda obeso che non sapeva da che parte girarsi né dove cavolo si trovasse e non faceva altro che rotolare in giro e mangiare bambù. Beh insomma non proprio ma diventavo un disastro. In ricreazione lo osservavo sempre da un luogo sicuro dove non poteva vedermi, in modo da potermi godere quella visione in tutta tranquillità. Ma c'era anche un altro problema. Anche se aveva un gruppetto di amici con cui si ritrovava nelle pause lì a scuola, lui di fondo era un ragazzo riservato, e non erano mancati episodi di violenza che lo riguardavano, nei confronti di cretini che per "sfidare il leggendario Warren Peace" erano andati ad importunarlo, ritrovandosi solo con tanti rimpianti e un naso rotto. Se ne stava molto tempo per conto suo, la maggior parte delle volte leggendo un libro. Di lui si sapeva poco, ed io ero determinata a scoprire di più. Perché io a lui ci tenevo. Molta gente lo evitava, avendo lui come padre un supercattivo e il potere di incenerire chiunque quando lo desiderava. Anch'io all'inizio avevo avuto un po' di timore nei suoi confronti (sommiamo il timore per il suo retaggio più il panico dato dalla mia gigantesca infatuazione) ma avevo fatto presto a cambiare idea. Qualche mese prima si era verificato un fortuito episodio dettato dall'esperta mano del destino ed eravamo riusciti a parlarci per la prima volta. E la mia cotta per lui aveva fatto presto a salire alle stelle.

E se pensavo che l'avrei rivisto di lì a poco, le farfalle nel mio stomaco iniziavano a vorticare alla velocità di un tornado...

«Rose, sveglia!». Scarlett mi ridestò bruscamente dalle mie fantasie.

«Ah. Scusa Ska, ma sai no... i sogni sono difficili da dimenticare...»

«Dai su, che tragica di prima mattina! Cos'hai sognato stavolta?» mi chiese lei. Sapeva benissimo cosa avevo sognato, poteva leggerlo nella mia mente. Le sue erano domande di cortesia perché sapeva che io amavo raccontare, e parlando forse riuscivo a togliermi un peso dall'animo.

«Ah, lasciamo perdere. No ok ti racconto» mi affrettai ad aggiungere, vedendo l'occhiataccia che mi aveva lanciato. «Hai presente l'ultimo giorno di scuola, quando io e lui ci siamo scontrati in corridoio e ci siamo parlati per la prima volta?»

«Come dimenticarlo...» Era una punta di sarcasmo, quella lì nel suo commento?

«Ecco, ehm... allora... parte da là». Inevitabilmente ripercorsi con la mente l'ultimo giorno del mio terzo anno di liceo.

 

Stavo camminando con il mio ultimo scritto in mano, diretta con passo deciso verso il giardino dove si trovavano Scarlett, Joe e il resto della mia compagnia. Non stavo guardando più di tanto dove andavo, ero solo ansiosa di far leggere a Ska il nuovo capitolo del mio libro. Leggere non era esattamente l'hobby preferito di Scarlett, ma grazie a Dio e con mia immensa gioia il mio libro era uno dei pochi che leggeva volentieri. Ed ora finalmente avevo aggiunto qualche pagina alla mia opera. Ero così fiera di me stessa che avrei potuto mettermi a saltellare!

Infatti di lì a poco mi scontrai con qualcuno. Qualcuno di molto caldo, il cui calore corporeo mi venne addosso come un'onda. Alzai lo sguardo e rimasi di sasso: non ci credevo! Era proprio lui, Warren Peace, il ragazzo che adocchiavo da più di due anni, ora lì di fronte a me! A cui ero andata addosso, perlopiù!

Volevo dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riuscii ad emettere alcun suono. Lui mi stava fissando.

Alla fine fu lui a prendere l'iniziativa: «Scusa, mi dispiace di averti fatto cadere tutti i fogli. Se vuoi ti aiuto a raccoglierli».

Con fatica distolsi lo sguardo dal suo bellissimo viso e lo rivolsi al pavimento. Non mi ero accorta di non avere più il mio block notes fra le braccia, ma ora il contenuto era tutto sparpagliato per terra. Fogli, foglietti, disegni e disegnetti. E anche qualche cartaccia più qualche compito scolastico intruso. Lui si era già chinato a raccoglierli, io mi riscossi e feci altrettanto, quasi automaticamente, senza capire cosa stava succedendo. La sua presenza così vicina a me impediva al mio cervello di funzionare correttamente.

Quando la mia opera fu di nuovo intera, ci alzammo e lui mi porse le carte. «Scrivi?» mi chiese.

Sbattei le ciglia. «Come?»

«Li hai scritti tu questi fogli?» ripeté, paziente.

Ero impacciatissima, non era da me. «Ah, sì, ho cominciato a scrivere una specie di libro, ma sono ancora all'inizio...». Ero abbastanza imbarazzata, e per qualche oscuro (come no) motivo non avevo coraggio di guardarlo in volto.

«Mi piacerebbe leggerlo». I suoi occhi cercavano i miei, e mi sentii in dovere di alzare lo sguardo. Lui sorrise. «Ciao, mi chiamo Warren Peace».

Subito risposi «Lo so» e lui rise.

«Tu sei Rosalie Frozehart.». Non era una domanda.

«Co...come fai a conoscermi?» chiesi stupidamente.

Per tutta risposta lui ridacchiò di nuovo. «Beh, diciamo che sei molto popolare a scuola. O sbaglio?». Mi fece uno sguardo d'intesa. «Io credo di no» aggiunse.

Era vero, a scuola mi conoscevano tutti, e non potevo dire che ciò mi dispiacesse.

Warren era ancora lì che mi sorrideva e io mi decisi ad essere più spontanea. «Sì, lo credo anch'io». Sorrisi.

«Che peccato, però, che siamo riusciti a parlarci solo l'ultimo giorno di scuola» commentò lui. «Sai, ti ho osservata spesso, ma non ho mai avuto occasione di parlarti. Eri, come dire, sfuggente.» Sorrise di nuovo, ma sembrava nascondere una punta di ironia. «Finalmente possiamo conoscerci di persona.»

Come se fosse una cosa naturale. Come se avesse sempre saputo che quella era la cosa che desideravo di più, e che ora avevo l'opportunità di averla.

«Ehi, va tutto bene?» chiese.

Mi distolsi dalle fantasie e cercai di tornare alla realtà.

Lui continuò. «Senti... questa sera, come sicuramente già saprai, hanno organizzato una festa per la fine dell'anno, ma non credo che ci andrò. Però magari se so che ci vieni anche tu potrei farci un pensierino».

Cosa, avevo capito bene?

No, non ci credevo! Era così importante per lui se c'ero io alla festa?

Non volevo dirgli che, avendo un grado nella scala sociale studentesca abbastanza alto, ero una delle prime che era stata invitata dagli organizzatori. Non a lui, sennò mi prendeva per una pazza con manie di egocentrismo (il che forse, ahimè, lo ero). Presi l'occasione al volo.

«Sì, io ci vado! Non ti hanno invitato? Mi sembrava che ieri Chris fosse venuto a parlarti...»

Annuì. «È vero, ma come ti ho detto non ero interessato all'evento. Allora, hai già un accompagnatore o ti va di venirci con me?»

 

Fermai un attimo il ricordo e commentai: «Dritto al punto senza tanti giri di parole. Mi piace, il ragazzo!»

«Questo si era capito» disse Scarlett. «Finisci di rimembrare, che dopo devi raccontarmi il sogno, non so se te lo ricordi».

Tornai dove ero rimasta.

 

No, non era possibile. Lo aveva detto. Oh mio dio.

Mi stava invitando alla festa!!! Lui!!!

Dovevo inventarmi qualcosa. Presto Rosalie, una risposta intelligente! «Ehm, io, veramente...» cercai di dire, ma fui interrotta.

Alzò gli occhi al cielo. Sembrava che se lo fosse aspettato, un rifiuto. «Fa niente, non importa. Pensavo solo che insieme ci potessimo divertire.»

Che cosa? «No, aspetta, non hai capito! Volevo dire che devo avvisare che non farò parte della compagnia, tutto qui, ma non ho un accompagnatore» mi affrettai a spiegare, prima che fosse troppo tardi. Con mio grande sollievo, un'espressione di conquista si distese sul viso di Warren. «Ho già pensato a che vestito indossare» scherzai, sentendomi già più sollevata, e ridemmo assieme.

«Allora ti passo a prendere alle sei e mezza. Andiamo in moto, ti va? Il casco te lo porto io, non ti preoccupare». Wow, già me lo immaginavo su una Harley Davidson, con la sua giacca in pelle, con i capelli al vento... Che sexy. Mi ripetei di stare calma.

Gli spiegai dove abitavo (non posso nascondere che ero molto felice di dirglielo, chissà magari più avanti sarebbe venuto a trovarmi per farmi una sorpresa, ehehe...), quindi ci salutammo, con la promessa di ritrovarci a casa mia puntuali quella sera.

 

Al pomeriggio mi preparai verso le quattro, anche se l'appuntamento era due ore dopo. A me serviva sempre più tempo per sistemarmi, tra doccia, acconciatura e piastra, trucco e scelta dei vestiti.

Quando udii il campanello suonare ero quasi pronta. Guardai l'orologio e notai che Warren era puntualissimo.

«Arrivo, un attimo solo!» gridai dalla camera.

Mi infilai le ciabatte per non stare a piedi nudi ed andai ad aprire la porta.

«Hey» mi salutò Warren con un sorriso.

«Ciao» riuscii solo a dirgli io. Lo feci entrare. Ero in super imbarazzo, ancora incredula che proprio Warren Peace fosse a casa mia e stesse aspettando proprio me per un appuntamento. Anche se non era ufficiale. (Ma, ehi, "regola numero tre: ogni invito è ufficiale!"). Però non volevo assolutamente che l'impaccio rovinasse la mia serata: era un'occasione estremamente speciale e non doveva andare male per nessuna ragione. Doveva essere tutto perfetto.

«A che punto sei?» mi chiese, mentre mi guardava.

Sono sul punto di morire, ma per il resto tutto bene, grazie, pensai ironica. Dovevo trovare il modo di calmarmi e così mi concentrai sulla sua domanda: «Mi mancano solo le scarpe, stavo ancora decidendo. Mi aspetti due minuti?» gli dissi.

«Certo, tanto siamo in anticipo».

Tornai in camera a sceglierle e alla fine optai per dei bei sandali con la zeppa. Si abbinavano molto bene al vestitino estivo che avevo scelto, ed erano entrambi acquamarina. Chissà se gli piacevo... Mi misi anche un coprispalle in pizzo color pesca, stesso colore degli accessori che avevo indossato, per non prendermi un accidente durante la corsa in moto e perché scesa la sera avrebbe fatto più fresco.

Tornai in salotto e Warren subito mi guardò interessato. La gonna arrivava sopra il ginocchio; il fatto che lui stesse osservando le mie gambe nude e il mio corpo con così poca stoffa a nasconderlo, mi fece arrossire. Warren mi rivolse un gran sorriso, segno di approvazione per il mio abbigliamento. Quindi gli piacevo? Oddio. Avrei tanto voluto chiedergli "che te ne pare?" ma lui mi precedette.

«Stai molto bene. Hai voglia di estate, eh?». Mi fece l'occhiolino.

Infatti il mio vestito la richiamava molto. «Sì, hai indovinato!». Ridacchiai, già più rilassata.

Uscimmo di casa e mi chiusi la porta alle spalle.

«Ma i tuoi dove sono?»

Fui sorpresa da questa sua domanda. «Stasera sono fuori a cena, tornano più tardi» spiegai.

Non riuscii ad interpretare l'espressione del suo viso. Mi indicò la moto.

«Accidenti! Che moto è?» esclamai alla vista del veicolo. Sul serbatoio c'era il marchio Harley Davidson, ma era diversa da quelle che ero solita vedere.

«È una Harley XR 1200. Non si vede molto in giro».

Questo spiegava tutto. «Beh, è davvero bella, mi piace!»

«Grazie. La uso per andare in giro in città. Ne ho anche una da cross». Sorrise, ci mettemmo i caschi, poi salì sulla moto. «Siediti qua dietro e stringiti a me» mi istruì con un sorrisetto furbo, poi aggiunse «se non vuoi cadere in corsa e romperti una gamba».

«Wow, che ottimismo ragazzi» commentai sarcastica. Mi sedetti dietro di lui e gli strinsi le mie braccia intorno alla vita, forse un po' troppo forte, perché lui ridacchiò.

Poi partimmo a tutta birra. Anzi, a tutto whisky. Così.

 

La festa fu memorabile: il perfetto saluto alla fine dell'anno scolastico per accogliere l'arrivo dell'estate. Verso l'una Warren mi riportò a casa. Mi fermai sulla porta d'ingresso, titubante, con lui alle mie spalle. Mi feci coraggio e mi girai a guardarlo.

«I miei non sono ancora tornati...» cominciai a dire.

Mi fissava speranzoso.

Proprio in quel momento mi squillò il cellulare. Tempismo perfetto eh? Guardai lo schermo: era mia madre. Risposi, cercando di soffocare un "ma porca miseria" e dissi: «Mamma! Proprio adesso mi dovevi chiamare?! Non potevi aspettare altri cinque minuti-»

«Scusa stella mia, volevo solo avvisarti che fra poco torniamo a casa. Ci siamo fermati dai Greene a bere qualcosa e ci siamo persi in chiacchiere. Tu sei a casa?». Quel "stella mia" mi raddolcì.

«Sì sono appena tornata... ora però ti saluto, non voglio far aspettare Warren ancora molto» le dissi.

«Ma Warr...-»

La interruppi. «Ti spiego tutto dopo mamma ciao!»

Non attesi neanche la sua risposta e riattaccai.

«Allora...» cominciai.

Warren mi guardava interrogativo.«I tuoi stanno tornando, vero?». Non sembrava neanche una domanda.

Sospirai e annuii. Non volevo che la serata finisse lì ma non avevo scelta. Mi avvicinai a lui.

«Beh, suppongo che ora dobbiamo salutarci...» abbozzò.

«Quest'estate ci vedremo?» chiesi speranzosa.

Fece una smorfia che interpretai come dispiacere. «Purtroppo no, non credo, perché a luglio vado via in vacanza e il resto del tempo devo lavorare. Se vuoi ti do il mio numero, così se ti va ci sentiamo qualche volta».

Meglio di qualsiasi altra cosa potessi sperare.

Così ci scambiammo i numeri di telefono e, per me, essere in possesso del suo era come aver vinto un trofeo. Ci salutammo con la promessa che, se non ci saremmo visti, qualche volta ci saremmo scritti o telefonati.

 

«Sì, me lo ricordo bene» disse Ska con una smorfia divertita, quando finii di rimembrare «hai saltellato per una settimana urlando "Ho il numero di Warren Peace!!! Ma ti rendi conto?! Ohmmioddio non ci credooo!"» e imitò me che saltavo sul sedile agitatissima.

Poi si fermò, perché tutti nei posti vicino al nostro cominciarono a guardarci male. Io risi ma poi sospirai al pensiero che io e Warren ci eravamo sentiti solo tre volte, all'inizio delle vacanze, e poi più niente. Guardai altrove.

«E il sogno?» chiese Scarlett, curiosa e impaziente.

«Beh, più che altro era una continuazione alternativa di quella serata».

«Cioè?». Forse si divertiva a farmi soffrire.

«Che quando mi ha riportata a casa, intanto nessun cellulare squillava; poi lui mi accarezzava il viso e mi baciava, io gli dicevo di andare in camera mia e allora ci siamo andati e lui mi ha spinta sul letto e insomma non dirmi che non hai fantasia per immaginarti il resto!». Risi isterica cercando di non dar troppo a vedere che ero diventata tutta rossa, anche se avevo il fiatone perché avevo detto tutto a velocità supersonica. Scarlett scosse la testa sorridendo.

Dopodiché non sentii più niente e mi persi nel ricordo del mio magnifico sogno...

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Oh ma ci sei? (cit. Scarlett) ***


2. Oh ma ci sei? (cit. Scarlett)

 

«Rosalie Frozehart, scendi dalla tua nuvoletta di zucchero filato e ritorna fra i terrestri!»

Eh? Come?

Ah, era Scarlett. Parlava con me. Guardai fuori dal finestrino: eravamo arrivati a scuola e io non me ne ero nemmeno accorta!

L'autobus si era svuotato, eravamo rimaste solo io e lei. Dalla porta della corriera vidi entrare uno strano braccio lunghissimo con la manica a righe bianche e nere, che rubò il cappellino dalla testa di Ron l'autista e uscì velocemente. Corsi fuori dalla corriera assieme a Scarlett seguendo Ron che usciva scocciato, per vedere Lash (il proprietario del braccio) che ora indossava trionfante il cappellino. «Ehi Ron, ti sono mancato?» lo prese in giro, anche se sapevo che dietro ai continui scherzetti che lui e Speed facevano al povero autista si nascondeva amicizia. Infatti sia Lash che Ron risero. «Sempre il solito, Lash!». L'autista si riappropriò del cappellino, salutò me e Scarlett augurandoci una buona giornata, e portò l'autobus al parcheggio assieme alle altre corriere.

Sorrisi vedendo i miei amici. Eccoli là, Speed e Lash, i bulli della scuola. Anche se a dire il vero erano due dei nostri migliori amici. Speed, con la sua super-velocità (il che era davvero un controsenso, dato che lui era un ragazzo abbastanza in carne) corse verso di noi e ci salutò, mentre Lash, che per l'appunto poteva allungarsi quanto voleva, si fermò davanti a me e mi fece l'inchino scherzosamente. «Bella signorina, posso avere l'onore?»

«Ehi Lash» lo salutai «guarda che il ballo della scuola è fra due mesi!» ridacchiai. Eh già, il ballo di novembre. Speravo solo di andarci con Warren...

Speed diede una pacca sulla spalla al suo amico, suggerendogli di lasciar perdere. Tutti sapevano che nel mio cuore c'era spazio solo per una determinata persona...

«Bene, se non avete niente in contrario, noi andremmo a spillare qualche soldo alle matricole» scherzò Speed. «Ci si vede in giro!» Ci salutarono e ci lasciarono.

Li vidi dirigersi verso il gruppo di ragazzi e ragazze appena arrivati a scuola, e dire loro che erano i rappresentanti scolastici e che dovevano ricevere da ognuno quindici dollari come previsto dal regolamento della scuola. Facevano questa sceneggiata ogni anno. Subito arrivò Gwen, la vera rappresentante degli studenti, che mandò via i due furfanti (anche se erano i suoi migliori amici) e introdusse al gruppo la scuola e le regole principali. Gwen era una delle nostre più care amiche; era tecnopatica, cioè controllava la tecnologia con la mente, una figata! Infatti era la ragazza più popolare della scuola, sia perché era molto bella, sia perché aveva questo potere che era uno dei più forti e dei più ricercati in assoluto. Era anche raro trovare persone che lo possedessero: non per niente il professore di Scienza Pazza, Medulla, l'aveva nominata sua assistente personale.

«Oi vecchia, guarda un po' chi c'è» mi disse Scarlett dandomi una gomitata e guardando verso le scale. Volsi lo sguardo in quella direzione e lo vidi. Si stava dirigendo verso di noi, o almeno credevo. I miei occhi velati di cuoricini mi facevano avere le illusioni ottiche. Si fermò sul muretto e si sedette. Argh, pensai, osservandolo. Che figo. Come suo solito stile, indossava una t-shirt nera con un disegno di una band che non conoscevo, una giacca in pelle, jeans strappati e dei guanti in pelle a mezze dita. Portava i capelli lunghi quasi fino alle spalle, castano scuro quasi neri, lisci e con tre meches rosse sul lato destro.

Come me (io però le avevo azzurre), queste meches erano naturali e gli erano di sicuro venute circa all'età di 12 anni: i capelli cominciavano a cambiare colore riflettendo quali erano i tuoi poteri. Lui aveva il potere del fuoco quindi il colore era rosso. Succedeva solo a pochi però, i migliori, diceva mia madre, ma a lei i capelli erano sempre stati biondi platino (come i miei) senza nessuna meche. Ad altri il potere si rifletteva nel colore degli occhi, ma non ne sapevo molto sull'argomento. Poi c'erano i casi particolari come Scarlett, che aveva sia occhi che capelli di colorazioni molto inusuali, e lì la causa era il potere molto forte o inconsueto.

«Dai, vai da lui, stai sbavando così tanto che fra poco devo prendere un secchio» rise Scarlett. Io la fulminai con lo sguardo. Non serviva infierire, sapevo già in che stato patetico ero! Lei salutò quella causa persa che ero io e si diresse dentro la scuola con Speed e Lash al seguito. Io volevo andare a parlare con Warren. Avevo solo bisogno di farmi coraggio. Proprio a fagiolo, sentii come una freccetta arrivare da dietro sul mio fondoschiena e mi girai. Due ragazzi mi avevano lanciato un laser per importunarmi (ne avevo piene le scatole di questi spasimanti idioti) così per ripicca gli lanciai un raggio congelante che li trasformò in sculture di ghiaccio degne di una galleria d'arte. In quel momento passò gruppo di ragazzi che, vista la mia opera, mi stuzzicò «E-hey, Freeze Girl...!», come per complimentarsi. Normalmente avrei fatto qualche commento ironico tipo "accetto anche commissioni!" o "meglio del Guggenheim!" ma in quel momento non ero decisamente dell'umore giusto. Ero troppo nervosa. Quella frecciatina laser mi aveva però dato in qualche modo la spintarella che mi serviva, quindi raccolsi tutti gli stracci malmessi del mio poco coraggio e iniziai a camminare verso la meta.

 

No, non ce la faccio, pensai, ma non feci in tempo a fare dietro-front che lui mi vide e mi salutò dicendomi: «Ehi, ciao punk».

«Io non sono punk» ribattei in automatico, ma poi mi resi conto di chi aveva pronunciato quelle parole (lui, il Sommo) e mi girai di scatto tutta rossa in volto.

Troppo tardi. Ormai la frittata era fatta.

Di sicuro non volevo parlare con lui da distante, quindi mi avvicinai fino ad averlo di fronte a me.

Warren stava ridacchiando. «Ok, allora emo se preferisci».

«Beh... neanche... vabbé lascia perdere». Ero ancora imbarazzata.

«Ehi, non vorrai mica stare in piedi? Siediti, il muretto non è di mia proprietà» mi disse sorridendomi. Oddio, che sorriso magnifico. Non riuscivo a far altro che fissarlo imbambolata.

«Stai bene?» Mi rivolse uno sguardo preoccupato, quindi mi appoggiò la mano sulla fronte per sentire se avevo la febbre. Che magnifico, che mano calda... la febbre me l'avrebbe fatta venire lui se continuava così! Ero completamente scioccata.

«Dio, sei fredda come il ghiaccio!». Rise, ironico. Io ero troppo rincretinita per capire la battuta, così lui cercò di rimediare. «Scusa, tu lo crei il ghiaccio... beh, con questo caldo è un privilegio essere sempre freschi. Pensa che io invece ho la temperatura di 42 gradi sempre costante» aggiunse, tanto per vedere cosa rispondevo.

«A-ha...» fu l'unica cosa che riuscii a dire.

Avevo passato tutti e tre 'sti anni a stalkerarlo in ricreazione, in giardino, in corridoio, al cambio d'ora. Ogni pretesto era buono, trovavo le scuse più assurde per trovarmi nei suoi paraggi. "Ska, vieni, andiamo a farci un giro in ricreazione!", e lei poveretta doveva sorbirsi la mia mente malata da pedinatrice.

E ora me lo trovavo qua davanti a chiacchierarci molto tranquillamente, come se fossimo due persone che si erano incontrate per caso a discutere del tempo.

L'unico problema era che io stavo per impazzire.

Era troppo figo. Troppo.

Non riuscivo a seguire i suoi discorsi. Ero ipnotizzata dalle sue meravigliose labbra carnose, che solo a vederle davano un grande senso di morbidezza. Dio santo. Quanto volevo sentirle sulle mie...

Chissà cosa pensava lui di me.

Per quanto mi riguardava, Warren mi attizzava tantissimo. Risi fra me al pensiero che "attizzare" era la parola perfetta se teniamo in conto che lui aveva il potere del fuoco.

Vogliamo essere sinceri? Mi mandava in calore. Oooh.

«Cavolo, ti stai sciogliendo» ridacchiò ritirando la mano. Che risata ammaliante... erano così rare le volte che lo vedevo ridere... tranne le volte in cui era con me, pensai. A quell'idea diventai ancora più rossa di quanto non fossi già.

«Beh, il fuoco batte il ghiaccio» puntualizzai per non far trapelare che in realtà avrei potuto assalirlo da un momento all'altro.

«Certo. Ehi senti...» mi disse. Sembrava un po' imbarazzato. «La settimana scorsa avevo visto questo, e ho pensato che ti sarebbe piaciuto.». Mi prese dolcemente la mano. Tirò fuori qualcosa dalla tasca, trafficò con questo al mio polso e poi mi lasciò la mano. La portai vicino agli occhi per vedere cos'era.

Al mio polso c'era una catenella con dei pendagli a forma di stella, trasparenti, di varia grandezza. Alla luce brillavano come cristalli. Una catena di stelle scintillanti. Era bellissimo. Non sapevo cosa dire. Come mai mi aveva fatto un regalo, così, dal nulla? «Cavolo, rispecchia perfettamente il mio stile. È... è stupendo! Non so come ringraziarti!». Intanto pensai: Adesso non mi laverò più questa mano.

«Figurati. Sono io che devo ringraziare te.» Alzò le spalle. «Da quando ti ho conosciuta sono più felice. Sto meglio anch'io con me stesso, anche se la gente continua ad evitarmi. Ma è come se mi fossi tolto un peso» disse come se niente fosse.

In quel preciso istante sentimmo il suono della campanella: stavano per cominciare le lezioni. Che cavoli, proprio adesso! Proprio adesso dopo quella frase così inaspettata che poteva spezzarmi il cuore, che mi aveva detto che io ero la causa della sua felicità?! Ma scherziamooo?

«Ci si vede, punk» mi sorrise, poi prese il suo zaino e cominciò a salire le scale.

«No aspetta!» dissi, senza rendermene conto. Ops... pensai. L'ultima cosa che volevo era che la mia impazienza lo innervosisse e che pensasse che ero petulante.

«Si?» mi rispose girandosi.

«Abbiamo la terza ora insieme...» sussurrai io, non sicura che mi avesse sentita.

«Perfetto» aggiunse lui, con il suo magnifico sorriso. Poi salì le scale ed entrò nella scuola. Io feci lo stesso, rischiando di inciampare ad ogni gradino che facevo, dato che ero ancora stordita da questo incontro ravvicinato con il ragazzo dei miei sogni, come tra l'altro succedeva ogni volta che lo vedevo. Ma per grazia divina riuscii ad arrivare in classe incolume.

 

Entrai in aula che la campanella era già suonata, ma per fortuna la maggior parte dei miei compagni doveva ancora arrivare, e perfino il professore mancava all'appello. Cercai con lo sguardo Scarlett e la vidi seduta in un banco in fondo all'aula. Era così agitata che avrebbe potuto cadere dalla sedia da un momento all'altro. Sorrisi divertita e mi diressi verso di lei.

Non feci neanche in tempo a sedermi che lei mi gridò: «Fammi subito vedere!»

Allungai il mio polso nella sua direzione.

«Oddio, che meraviglia!» urlò. Tutta la classe si girò e ci guardò. Per fortuna in quel momento entrò il professore.

«Buongiorno ragazzi» salutò cordiale la classe. Appoggiò la sua borsa sopra la cattedra. «Chiedo scusa per il ritardo. Allora, come va quest'anno? Avete passato delle belle vacanze?»

È stata più bella questa mattinata che tutto il resto delle vacanze, pensai. Scarlett ridacchiò sotto i baffi.

«Bene, vedo che la signorina Nightingale ha passato una buona estate» osservò, riferendosi a Scarlett che ancora stava ridendo.

«Sì, professore, grazie per l'interesse. Pensi che sono andata alle Fiji» disse lei sarcastica. In realtà era venuta in vacanza con me in California. Ma Kaufman non le era mai stato simpatico, credo per la materia che insegnava: Storia dei Supereroi. Neanche a me piaceva molto, in effetti.

Ehi Ska, non esagerare però, pensai in modo che sentisse solo lei. Il prof ha capito che lo vuoi prendere in giro. Lei, per tutta risposta, roteò gli occhi all'indietro.

«Lo so ma chissene, dai voglio sapere tutto su cosa è successo prima!»

Io feci la finta innocente. «Prima quando?» dissi, cercando di non ridere.

«Prima quando?» ripeté lei con una faccia da ebete, imitandomi. «Lo sai benissimo. E sai anche che non riesco a leggere i tuoi pensieri se non li pensi. Quindi devi per forza raccontarmelo. Mi dispiace, non hai scampo». Fece un sorriso vittorioso.

Le raccontai per filo e per segno quello che era successo, specificando anche le espressioni e i gesti di Warren, dettagli di estrema importanza. Arrivata alla conclusione, dissi: «Ti rendi conto che praticamente mi ha ringraziata perché da quando ci siamo conosciuti lui è più felice?!»

Lei pareva euforica quanto me. «Sì cacchio! È un evento memorabile! E finalmente lui si è dichiarato!» Mi fece l'occhiolino.

Cercai di controbattere. «Ma non s...-»

Mi interruppe. «Ha praticamente detto che con te sta bene, e se questa non è una dichiarazione non so cosa sia!» Sembrava risoluta nella sua deduzione.

«Le signorine gradiscono anche un tè e dei biscotti?» ci interruppe il prof, visto che a quanto pare io e Ska non stavamo usando un tono di voce proprio basso... Scarlett però, troppo presa dal mio racconto non si era resa conto di chi aveva parlato. Ed era molto strano, lei che di solito aveva il pieno controllo della situazione!

«Beh, magari...! Sarebbero perfetti!» esclamò, in risposta al prof.

«NIGHTINGALE! FROZEHART! FUORI!!!» urlò il professor Kaufman, infuriato dalla sfacciataggine della mia amica.

Tutti ci stavano guardando. Non è possibile, pensai, non il primo giorno di scuola!. Scarlett mi sussurrò: «Dai, andiamo, tanto qua non avremmo fatto niente lo stesso».

Raccogliemmo le nostre cose e uscimmo dall'aula sotto gli sguardi di tutti.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Almeno stiamo insieme ***


3. Almeno stiamo insieme


Davvero, non era possibile. Venire mandate fuori dall'aula durante la prima lezione del primo giorno di scuola. Non osavo pensare a cosa avrebbero detto i miei genitori non appena l'avessero scoperto.

«Ti diranno "non ti preoccupare, ti capiamo. Era solo il primo giorno". Senti, non devi fartene una paranoia ok? E poi adesso sta per suonare la campanella. Pensa solo che oggi hai di nuovo parlato con Warren. Dai, intanto dirigiamoci verso l'aula della prossima lezione».

«Ska, riesci sempre a tirarmi su il morale... Grazie.» Le sorrisi.

Nella seconda ora, a Scienza Pazza con il professor Medulla, non osammo aprir bocca. Eravamo mute come pesci. La lezione del giorno riguardava i fasci di luce: era anche abbastanza interessante, credo. Conoscendomi, sapevo che non sarei riuscita a seguire più di tanto la lezione, dopo tutto quello che mi ero successo. Anzi, aspettavo impaziente la campanella, perché sapevo che di lì a poco lo avrei rivisto.

Finita l'ora, salutai Scarlett e mi diressi prima in bagno (che dopo aver realizzato di essermi lavata le mani sovrappensiero esclamai un «D'oh!» con la stessa identica intonazione di Homer Simpson), poi in palestra. Era appena finita l'esame di Inquadramento Potere, che si svolgeva all'inizio della scuola ogni anno, in cui le matricole venivano schedate e i loro poteri classificati: in base a cosa erano capaci di fare, il Coach Boomer (l'insegnante di ginnastica) decideva se dovevano frequentare il corso per eroi o quello per le spalle, o meglio, i supporto-eroi. Ovviamente, sia io che Scarlett che tutti i miei amici (e anche Warren, ci mancherebbe altro) eravamo nel primo corso.

Quando arrivai in palestra vidi che tutti i miei compagni erano lì. Ma tutte le mie aspettative crollarono quando realizzai che Warren mancava, e se non era arrivato a quel punto non sarebbe venuto più. Il mio stato emotivo della giornata era già abbastanza instabile di suo, e quella fu la mazzata definitiva che infranse la sottile parete della mia sopportazione. Non avevo più voglia di fare niente. Volevo andare a casa. Tutto quello che mi aveva detto allora era solo un presa in giro. Aveva definito "perfetta" una lezione insieme. Ma ora non c'era. Non potevo immaginarmi delusione più tragica di quella.

Sul più bello dei miei monologhi melodrammatici, qualcuno mi appoggiò una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto e subito la felicità tornò a irradiare nel mio animo. Era lui. Era lì con me.

«Rosalie...» mi disse. «Perché sei triste? Ti hanno picchiata? Dai dimmi chi è stato, che me lo magno».

Riuscii a ridacchiare. «Ah, grazie ma non ce n'è bisogno. A volte mi faccio paranoie terribili. Beh, almeno non le faccio venire anche agli altri...». Un po' mi vergognai dei miei pensieri avventati. Forse la mia vena melodrammatica in certi casi era un po' troppo spiccata.

Lui continuava a fissarmi. Mi asciugai il viso con la mano sperando di non essermi strisciata le guance con l'eyeliner e poi cercai di fare un respiro profondo, senza troppi buoni risultati. Alla fine riuscii a tranquillizzarmi, ma tenevo lo sguardo basso. Senza dire niente, Warren mi prese la mano e io automaticamente lo guardai negli occhi.

«Ah, vedo che lo porti. Allora ti piace». Si riferiva al braccialetto. Fece un mezzo sorriso.

La sua pacatezza mi risollevò lo spirito. «Certo, ti ho detto che è bellissimo. Grazie ancora» Ricambiai il sorriso.

«Va bene, ragazzi. Oggi parliamo di come destreggiarsi in una situazione di pericolo sul tetto di un grattacielo» annunciò l'allenatore. Warren mi lasciò la mano e scendemmo anche noi in campo.

«Volevo inoltre informarvi che uno di questi giorni faremo una prova di "Salva il Cittadino", a cui parteciperà tutta la scuola. In ogni caso non dovete preoccuparvi, sarete avvisati per tempo».

"Salva il Cittadino" era una prova di abilità in cui quattro studenti si affrontavano a squadre di due; due studenti erano gli eroi e gli altri due erano i cattivi. La prova consisteva nello sconfiggere i cattivi per poter salvare un cittadino in pericolo, appeso a una fune sopra degli ingranaggi mortali (ovviamente non usavano persone vere, ma pupazzi a grandezza naturale). Speed e Lash erano imbattuti in questo gioco, e ovviamente loro facevano sempre la parte dei cattivi.

Era molto difficile come prova e la consideravo una cosa più o meno violenta. Si poteva partecipare a partire dal triennio, ma non decidevi tu quando scendere in campo: ogni volta c'erano da battere i vincitori della sfida precedente, e se non erano loro a scegliere gli avversari, li chiamava il coach. Io avevo partecipato solo una volta, e Scarlett aveva avuto il culo pazzesco di non essere mai stata chiamata. La sola idea la terrorizzava. A noi ragazze soprattutto non entusiasmava molto l'idea di prendervi parte. E poi, come scherzavo sempre con le mie amiche, "si suda un sacco e ti si rovina l'acconciatura".

«Adesso dovete mettervi in coppia per poter affrontare questa prova. Svelti, non abbiamo tempo da perdere» ci disse l'allenatore.

Divenni tutta rossa al pensiero di stare in squadra con Warren. Ma, oddio, lui mi stava guardando. Occhio che adesso me lo chiede. Ma no, è impossibile! Rose, calma.

«Rosalie... senti... Vuoi stare con me?» mi chiese lui.

Sbarrai gli occhi.

Nella mia mente ubriaca, la prima cosa che capii fu "vuoi metterti assieme a me?" nel senso se volevo diventare la sua ragazza, e stavo già per saltargli al collo gridando di sì quando realizzai che voleva semplicemente fare quell'esercizio assieme a me.

«...eh?» risposi io. Non ci credevo! Tra tutti i compagni e compagne aveva scelto proprio me! Sul mio volto comparve un sorrisetto ebete, senza che potessi nasconderlo.

Mi guardò strano. «Ehi, ma cos'hai oggi? Sei totalmente assente!». Lo capivo benissimo.

«No scusa è che tu...» stavo per dirgli "mi fai uno strano effetto" ma mi affrettai a cambiare frase «beh, non credevo volessi stare con me. Sì, insomma, hai capito no? Eh.» Non credo avesse capito più di tanto, ma mi rispose: «Capito.» e mi sorrise.

«IN CAMPOOOOOOOOOO» urlò Boomer. Già che aveva il potere di ampliare la voce come se avesse un megafono, in più urlando, i miei timpani erano andati a farsi benedire.

«Siamo i primi» mi annunciò Warren. «Per prima cosa dobbiamo salire in cima a questo edificio».

In palestra era stata posizionata una ricostruzione di un grattacielo. Naturalmente alto pochi piani altrimenti non ci sarebbe stato. Attaccata al muro c'era una corda per arrampicarsi.

«Ma come faccio? Non ci sono le scale, e io non mi so arrampicare». Feci una voce sconsolata.

Warren si girò di schiena. «Dai, salta su». Voleva che gli salissi in spalla. A parte che mi vergognavo da morire, non credevo neanche che ce l'avrebbe fatta a portarmi.

«Non credo che tu ce la faccia, peso cinquantasei chili per uno e sessantacinque di altezza» dissi.

Lui non mi rispose, anzi, mi guardò come se lo avessi insultato. Senza dire niente mi prese e mi caricò in spalla, a mo' di sacco di patate.

«Ahah» rise «sei leggerissima. Cosa credi, che io sia un pappamolla?» mi stuzzicò.

«A dire il vero ti trovo fin troppo muscoloso» risposi io sovrappensiero. Accidenti! Ecco, adesso sapeva di piacermi.

«Certo, mi alleno tutti i giorni. I muscoli non ti vengono solo per pura fortuna».

No, non ci credevo, mi stava prendendo in giro! Non lo avevo mai sentito gasarsi. Però devo ammettere che aveva tutte le ragioni per farlo. Sghignazzai.

«Ehi piccioncini! Dovete mettervi le tute con le protezioni, prima di cominciare la prova» ci informò Boomer.

Eseguimmo agli ordini, poi salii di nuovo in spalla a Warren e cominciammo ad arrampicarci sulla costruzione.

«Sei sicuro di farcela?» dissi. Io non lo ero affatto.

«Oh, ma che poca fiducia che hai in me! Guarda che altrimenti ti lascio qua e ti arrangi».

«No! Starò zitta». E così feci.

Quando arrivammo in cima, trovammo delle sfide pericolose da affrontare: ingranaggi taglienti da passare, ostacoli da saltare... cose così, insomma. Cominciamo bene, per essere il primo giorno di scuola!, pensai.

«Ma per piacere!». Warren era indignato. In effetti aveva ragione.

«Mi sembra di essere nel film di Kung Fu Panda quando Po deve dimostrare il suo kung-fu». Non trovai paragone migliore.

«Dai, facciamolo e finita che sia.» disse Warren.

«Come??». Già, le mie risposte non erano delle più sveglie. Ma quel "facciamolo", che estratto dal contesto era molto ben equivoco, mi aveva subito fatto salire alla mente pensieri perversi. Che stupida che ero. Se ci fosse stata Scarlett mi avrebbe di sicuro tirato una sberla per farmi tornare in qua.

«Non so proprio cosa tu abbia oggi, sei un po' strana! Ho detto: dai andiamo e completiamo questa prova! Guarda, dobbiamo solo attraversare questo percorso. Non sembra difficile» mi ripose. «Tranquilla, non finirai tagliuzzata a fettine.» Sorrise divertito, forse pensava che la mia preoccupazione principale fosse quella. Fortuna che lui non sapeva leggere nel pensiero! Non doveva assolutamente scoprire che sotto sotto ero una pervertita.

Cercai di concentrarmi sulla prova presente: a guardarlo meglio quel percorso mi spaventava un pochetto, ma presto tutti i miei timori si dimostrarono infondati. Le lame erano di plastica (eravamo pur sempre in una scuola!) e si bloccavano al contatto con la pelle. Alla fine non fu difficile. Entrambi riuscimmo nella sfida e addirittura il professore si congratulò con noi, caso eccezionale.

«Molto bene, ragazzi, vedo che siete ancora vivi» disse sarcastico.

«Abbiamo incontrato qualche difficoltà nella terza parte, ma alla fine non è stato difficile» dissi io, fingendomi esperta e sicura di me stessa.

«Avete anche saputo usare molto bene i vostri poteri, anche se ora dovremo cambiare l'attrezzatura». Infatti avevamo dovuto dare fuoco o congelare qualcosa, ma faceva parte della sfida, altrimenti sarebbe stata una scuola per pompieri, non per supereroi!

Warren si stava già dirigendo verso gli spalti per andare ad assistere alle prove degli altri compagni, e sulle scale lo afferrai timidamente dietro la maglietta, come a non farlo allontanare da me. Avevo la testa bassa per l'imbarazzo. Lui si accorse che lo stavo trattenendo e si girò per vedere cosa volevo.

«Ehm... gra... grazie» mormorai, di nuovo impacciatissima.

Ridacchiò sottovoce per non farsi sentire dagli altri, anche se lì non potevano vederci. «Grazie di che?»

«Che hai fatto questa prova con me. Di non avermi abbandonata pensando che fossi un'imbranata.»

«Beh, un po' imbranata lo sei» ridacchiò di nuovo. Mi sfregò le nocche sui capelli. «Tranquilla, scherzo. Di cosa ti vergogni? Ti faccio paura?»

Divenni tutta rossa e lo guardai dritto negli occhi. «No! Per niente! Anzi sono così contenta solo per il fatto che tu mi stai parlando!» Argh, no, di nuovo! Portai immediatamente le mani sopra la mia bocca a sigillarla, prima di farmi scappare qualche altra dichiarazione sconveniente.

Forse lui aveva capito che sotto sotto c'era qualcosa. Come per tranquillizzarmi, mi prese una mano che tenevo saldata alla bocca e la strinse nella sua. Mi accompagnò a sedermi sugli spalti, in disparte dagli altri studenti, in modo da poter avere la nostra privacy. Io lo seguii ancora incredula e con gli occhi fissi su di lui, sognante.

Per il resto dell'ora non ci parlammo più, non ce n'era bisogno. Ci eravamo detti abbastanza per oggi. Cercai di concentrarmi sulle esercitazioni degli altri e la campanella suonò proprio quando l'ultima coppia finì la prova. Finalmente la ricreazione! Potevo tirare un sospiro di sollievo. Guardai Warren per salutarlo e lui mi fece un sorriso. «Buona ricreazione» mi disse.

«Tu non vieni?»

Si alzò in piedi. «No, devo andare da Chris in aula di musica per le prove. Ci si vede in giro». Altro sorriso, poi scese gli scalini e andò in spogliatoio a cambiarsi.

Io mi fiondai nello spogliatoio femminile per cambiarmi anch'io, e poi non aspettai neanche che il prof ci salutasse e corsi in giardino: sapevo che lì vi avrei trovato Scarlett e gli altri.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nuovi arrivi ***


4. Nuovi arrivi


«Ehilà, Rosalie!» mi salutò Scarlett con un ghigno.

«Sssh!» le feci con un'espressione di rimprovero. Non volevo che dicesse niente del mio incontro con Warren agli altri. Non lo avevo ancora assimilato emotivamente, non ero pronta per renderlo pubblico. Doveva rimanere un segreto, almeno per il momento. Soprattutto a Joe, che aveva il potere di controllare le emozioni. «Dove sono tutti?» chiesi.

«Eccoli che arrivano.»

Infatti subito arrivò Joe, il nostro migliore amico (sia mio che di Scarlett). Era da un sacco che non lo vedevo! Con lui arrivarono anche Gwen e Penny.

Come saluto esclamò soddisfatto: «Aaah eccole qua le mie California Gurls!!!» e ci venne incontro a braccia aperte. «Venite qua a darmi un bacetto! Mi siete mancate!»

Mi fiondai fra le sue braccia. «Joeeee! Mi sei mancato un sacco, brutto scemo!» esclamai con le lacrime agli occhi per le risate. Anche lui stava ridendo, felice di rivedermi.

Fu il turno di Scarlett per l'abbraccio. Notai che stranamente, anche se entrambi contenti di rincontrarsi dopo un'estate intera, Joe con lei fu un po' più distaccato, meno euforico. Io sapevo perché: Scarlett era innamorata di lui da un pezzo anche se non gliel'aveva mai detto, ma lui (che controllava le emozioni altrui) sicuramente lo sapeva già. Ma allora perché...? Forse lui aspettava che fosse lei a dichiararsi? O forse lui non era innamorato di lei?? (A quest'ultima alternativa non volevo neanche pensarci. Forse Joe stava ancora elaborando i propri sentimenti, dopotutto.)

Quando si staccarono, lui commentò: «Cavolo, mi è dispiaciuto tantissimo non poter venire alla festa, ieri sera! Scommetto che Rosalie si è ubriacata e si è messa a ballare in reggiseno sopra il tavolo, giusto?». Ridemmo tutti e tre, perché sapevamo benissimo che io non bevevo, quindi la scena da lui descritta era altamente improbabile in tutti i sensi.

«Ah ah, ti piacerebbe! Sempre il solito tu, eh?» scherzai.

«Non si è proprio messa in reggiseno ma ci sei andato vicino!» gli disse Ska, e lei e Joe risero. «Abbiamo ballato la pole dance sopra il tavolo con una scopa, non so se hai presente!» e ridemmo tutti.

Approvai. «Già! Un ridere che non ti dico, e 'sta qua era proprio ubriaca ahah!» Diedi una gomitata amichevole a Scarlett che stava ancora ridendo. «Sì ma cavoli, tu tornare un giorno prima dalle ferie no eh?»

Joe sospirò. «Sai come sono i miei, "gli affari sono affari"!» Il giorno prima era tornato da due settimane di vacanza a Milano, approfittandone che i suoi dovevano andare in Italia per lavoro. Loro erano formalmente i proprietari di una famosa catena di alberghi, ma in realtà (e lo sapevamo solo noi super, sapete, per la cosa dell'identità segreta) possedevano la più importante produzione di tecnologia per super degli Stati Uniti: la Bradford Inc. In poche parole, lui era ricco sfondato. Pensate che la sua villazza si era perfino vista a Teen Cribs! Lui era il ragazzo più popolare alla Sky High ed era anche lui rappresentante degli studenti, diciamo secondo in comanda dopo Gwen, che era la presidentessa. Lui rappresentava l'ITIS, mentre Gwen l'indirizzo Scientifico.

Joe continuò a raccontare delle sue meravigliose vacanze e di tutti gli acquisti che aveva fatto. «Beh, la cosa positiva è che ho comprato un sacco di capi della nuova collezione di Abercrombie, uno più figo dell'altro! Anche questa maglietta!». Ci fece l'occhiolino. Per lui lo stile era molto importante.

«Che bella!» esclamò Scarlett, quando notò la sua nuova t-shirt «l'avevo vista in un catalogo. Ti sta benissimo!»

Non volevo essere da meno. «Guarda? Anch'io ho una maglia nuova! È la mia preferita!» convenni.

«Sempre alternativa tu, eh Rose?» mi stuzzicò Joe, riferendosi al mio abbigliamento.

«Taci va'» gli risposi io. «Mi è già stato fatto notare questa mattina. Comunque a me non sembra di esserlo più di tanto...».

«A me piace come ti vesti» mi disse Gwen con un sorriso.

«Ah beh, grazie. Questa maglia e questi jeans li ho comprati quest'estate da NewYorker. Quel negozio è fantastico, mi ci perdo ogni volta! Hanno tutte cose proprio adatte al mio stile!». NewYorker era una catena di negozi internazionale in cui vendevano abbigliamento e accessori di stile...uhm, come definirlo? Street. Dance. Scene. Sì, forse sì. Insomma, non potevo chiedere di meglio. «E anche questo paio di Carrera».

«Oddio, li adoro» esclamò Gwen, indicando gli occhiali da sole che avevo sopra la testa e che avevo appena nominato. «Io ho un paio nuovo di Ray-Ban bianchi: sono costati una fortuna ma ne è valsa la pena, ma mai come ne sarebbe valsa per i Carrera: però non avevano quelli azzurri, purtroppo!» aggiunse in tono lamentoso.

«Mia madre dice che i Carrera "sono occhiali per ragazzi coi capelli piastrati"» osservai divertita, guardandoli.

«Ah, tipo Joe!». Ridemmo.

«Ah, a proposito!» dissi io. «Allora Joe come si sta in quinta? Ti senti il re del mondo?»

Lui rise. «L'hai detto! Essere all'ultimo anno significa essere i padroni della scuola! È una figata!» Gwen annuiva sorridendo, d'accordo con lui. «Possiamo fare quello che vogliamo! E poi possiamo finalmente sederci in fondo in corriera!»

Io e Scarlett ridemmo, perché era da quando avevamo conosciuto Joe che non vedeva l'ora di essere all'ultimo anno, solo per sentirsi potente.

In quel momento arrivò lì qualcun altro. Era Ashley, colei che completava il trio dell'Ave Maria con me e Scarlett, il pezzo mancante del nostro terzetto sgangherato. Aveva la nostra stessa età e frequentava l'indirizzo linguistico come noi. Lei aveva il fighissimo potere di controllare il suono, e infatti non per niente era una dj (anche di tutte le feste organizzate da noi). Era anche fortunata: suo padre era un produttore discografico, e ciò di certo le era d'aiuto a trovare gli ingaggi per le serate in discoteca; ma non solo: grazie a lui conosceva un sacco di cantanti e dj internazionali! Ashley Reed: una deejay alla perenne ricerca di un nome da deejay. Le avevo promesso che un giorno o l'altro gliene avrei trovato uno. Lei era l'esempio più evidente dopo Scarlett di quanto il potere potesse influenzare il tuo aspetto e, come Scarlett, aveva sia occhi che capelli particolari: la sua chioma era rossiccia con una specie di shatush naturale tendente all'arancione, colori che sembravano una fiamma ardente, ma erano meravigliosi. I suoi iridi erano color ametista. Il taglio di capelli che portava le stava molto bene: erano dritti e voluminosi, scalati fino alle spalle, con il ciuffo davanti. Era una delle ragazze più belle che conoscessi, anche se lei purtroppo non aveva molta autostima. Era alta più o meno come me (Ska era la più bassa, ma non di molto) e i suoi lineamenti erano dolci. Era da un pezzo che diceva di volersi fare un piercing al naso, il classico brillantino, ma ancora non si era decisa.

«Ciao vecchia!» la salutò Scarlett.

Ashley rispose con un'intonazione da zombie: «Zalve a duddi...!»

Sbaglio o non era per niente in forma?

Risi. «Ashley, hai il naso chiuso?»

Lei mi guardò come dire "no guarda". «Do. Dod ho il daso ghiuso.» rispose sarcastica.

Tutti quanti ridemmo.

«Gioè ba dod è bossibile idiziare l'addo sgolasdigo gol raffreddore!» si lamentò, evidentemente esasperata.

«Mi sa che ieri sera hai fatto male a restare in canottiera! Di sicuro hai preso freddo! Non ci avevi pensato prima?» le dissi ridendo ancora. Era troppo divertente quella situazione!

«Doh!» esclamò.

Divertita chiesi: «Era un "d'oh!" o un "no"?»

«Un doh» rispose con la faccia -.- e fece "no" con la testa.

Scoppiammo tutti a ridere.

«Ahaha guadate quelli» rise Penny indicando un gruppo di ragazzini, sicuramente matricole, che erano venuti a scuola indossando una camicia bianca. D'accordo che per il primo giorno bisognava dare una buona impressione (soprattutto se era il primo anno che eri in quella scuola) ma loro non avevano idea di cosa gli aspettasse alla Sky High... Con la disperazione da studio intensivo che ti faceva voglia di stare in pigiama e pantofole tutto il giorno, più le sudate da pazzi dopo un allenamento col coach Boomer, quelle camicie non sarebbero durate neanche mezza giornata!

«Questi non hanno mica capito eh!» ridemmo assieme io e Scarlett. Noi che era da tre anni che eravamo là dentro sapevamo bene come girava! Probabilmente già al secondo giorno avrebbero voluto venire a scuola con la tuta senza neanche pettinarsi alla mattina! :'D

Ma c'erano novità ben più importanti, quest'anno.

«Ehi ehi, guardate un po' là» ci disse Penny, indicando con lo sguardo il porticato. Penny era la cheerleader della scuola. Sì, solo lei: infatti aveva il potere di moltiplicarsi. Era più bassa di me, atletica, molto bella: aveva la pelle scura, i capelli lunghi neri e lisci e la passione per lo stile rap (catene dorate, jeans attillatissimi, leggings in finta pelle, cinturone con fibbie grandi e orecchini grandi). Eravamo buone amiche, anche se certe volte era un po' piena di sé, e questo mi dava un po' fastidio.

Un gruppo di tre ragazzi e due ragazze stava scendendo la gradinata che portava dalla scuola al giardino: fra questi c'era anche Will Stronghold, il figlio dei due supereroi più famosi dei tempi recenti: Commander e Jetstream. Commander era suo padre e aveva il potere della superforza, Jetstream era la madre e sapeva volare veloce, appunto, come un jet. Avevano sconfitto più cattivi loro che Superman, o almeno così si diceva. Ultimamente in città c'erano stati molti attentati alla quiete pubblica, ma loro due riuscivano sempre a riportare la giustizia e la pace. Erano una coppia super!

«Ho sentito dire» ci informò Penny con fare malizioso «che Stronghold è stato messo al corso per le spalle. A quanto pare non ha nessun potere».

Non ci potevo credere! Un figlio con due genitori così, che non ha ereditato neanche un potere? Ah, non vorrei essere stata al suo posto quando lo avrebbe detto a casa.

A mio parere, e anche a quello di tutti, fare la spalla era abbastanza una cosa deprimente, se non umiliante. Io, invece, ero una leader del mio rango.

«Ma dai, è impossibile» intervenne Joe. «Ne sei sicura?»

«Beh, sì» rispose Penny, con fare superiore. «Vedi gli altri vicino a lui? Sono tutte spalle. Non si frequentano persone inferiori a te. Non sarebbe concepibile che un eroe frequentasse gente del genere». E ridacchiò. In effetti aveva ragione: eroi e spalle erano sempre stati "divisi" naturalmente.

«Ma è in prima?» chiesi io guardando Stronghold e i suoi amici.

«No no!» rise Penny. «Anche se sembra un bambinetto. È in terza, anche i suoi amici. Hanno cominciato la scuola direttamente dal triennio eroi».

Ora si spiegava. Molti studenti si iscrivevano alla Sky High per il triennio, perché era da lì che si cominciavano a frequentare lezioni riguardanti i superpoteri.

Rimanemmo lì a chiacchierare per circa altri cinque minuti, ma il tempo della ricreazione era ristretto quindi poi dovemmo tornare in classe.

 

Le due ore seguenti le avevo insieme a Scarlett e Ashley. Alla fine raccontai anche a lei di Warren, perché mi sembrava giusto così, e perché preferivo infinitamente che lo venisse a sapere da me che non da voci di corridoio (cosa che purtroppo succedeva troppo spesso e che odiavo). Entrambe non vedevano l'ora di sapere il trascorso della terza ora con Warren così raccontai loro tutto per filo e per segno.

«Doooo davvero di ha deddo gosì?» fece Ash. Era incredula ed anche emozionata (ma sempre raffreddata).

«Sì sì! Mi fa "dai salta su" e io "guarda che peso eh" e lui sembrava quasi offeso! E allora mi dice che non è mica un pappamolla e allora io gli dico che è fin troppo muscoloso e per questo credo abbia capito che mi piace! Sono terrorizzata». Davvero, lo ero. Ma l'idea che lui sapesse tutto mi andava anche bene. Credo.

«Indagherò, non ti preoccupare» mi rassicurò Scarlett, con fare alla Sherlock. «Piuttosto, lui come ha reagito dopo questa tua affermazione?».

«Beh, non ci crederete, ma mi fa "eh certo!" tutto gasato ma dopo il coach ci ha richiamati perché dovevamo metterci le tute, e poi sono stata zitta perché Warren aveva detto che sennò dovevo arrangiarmi.»

«Wow». Ska era sorpresa. «Beata te, oggi è solo il primo giorno di scuola e ti sono già successe tutte 'ste cose. Io invece... Joe si comporta come al solito, migliori amici forever e stop». Scarlett non era egocentrica come me. Cioè, lo era sì, ma lo dicevamo per scherzo. Non mi parlava quasi mai di Joe, sebbene fosse innamorata di lui dall'estate scorsa. Lasciava semplicemente che io le parlassi della mia cotta ormai ufficiale, anzi quando cercavo di chiederle qualcosa di Joe lei sviava subito il discorso. Come appunto fece adesso. «Ma poi com'è andata la prova?» chiese.

Io e Ashley ci scambiammo un'occhiata, ma decidemmo che non era il caso di chiederle di più.

«Ahem» mi schiarii la voce «mi ha chiesto cosa avevo oggi, che gli sembravo assente, perché gli avevo detto... no, lasciamo perdere». Ska mi rivolse un'occhiataccia. «Beh, alla fine mi ha portata in spalla fin su in cima alla costruzione e lì c'era un percorso da fare, ma non è stato difficile. Boomer si è anche congratulato con noi». Sorrisi.

«Guarda che tanto so quello che pensi di Warren. Ricordati che leggo nel pensiero muahaha... anche se filtri i tuoi pensieri perversi io li colgo lo stesso!» Rise, perfida.

Le lanciai un'occhiataccia.

Lei indietreggiò. «Ehi Rose, però alcuni poteri da tuo padre li hai ereditati: riesci benissimo a fulminare le persone con lo sguardo, fai quasi paura!» mi disse scherzosamente. Tutte e tre ridacchiammo.

Continuammo a parlare sottovoce per altri cinque minuti, finché il professore ci guardò male e allora cercammo di seguire la lezione, senza successo. Io non facevo altro che pensare a Warren (l'avrei rivisto di lì a poco in mensa, urrà!), Scarlett ascoltava i miei pensieri (lo capivo dal suo sguardo assorto), e Ashley era l'unica che cercava di prendere appunti (senza molto successo, dato che sul suo quaderno c'erano più scarabocchi che parole ordinate). Per fortuna le due ore passarono molto velocemente.

 

Capii che era arrivata l'ora di pranzo quando udii il mio stomaco brontolare. Mi diressi verso la mensa e comprai una fetta di pizza, delle patatine fritte, un tè al limone e una fettina di torta. Forse era un po' troppo ma cercai di giustificarmi a me stessa dicendomi che avevo praticamente saltato la colazione. No dai, non mi sentivo in colpa. Avevo anche fatto Educazione Fisica. Eh. Cercai il nostro tavolo - quello "riservato", in cui ci sedevamo io e tutti i miei amici - e mi sedetti. Gli altri non erano ancora arrivati: decisi che li avrei aspettati. Sentii una presenza vicino a me e mi voltai.

«Abbiamo fame?». Era Warren. Avrebbe potuto benissimo avere il potere di diventare invisibile: non lo sentivo mai arrivare. Diventai tutta rossa.

«Ma allora ti diverti a farmi prendere gli infarti, eh? Prima o poi dovranno ricoverarmi!».

Lui ridacchiò. «È che mi diverte, fai di quelle facce... e diventi sempre tutta rossa. Sono ancora convinto che tu abbia la febbre» mi stuzzicò.

«Se avessi la febbre» puntualizzai, credo più per me stessa che per lui «diventerei bianca, non rossa».

«Ma se sei già bianca come una mozzarella, più di così non si può! Quindi diventi rossa» affermò con un fare superiore. Voleva la guerra? E guerra sia!

Non feci in tempo neanche a rispondergli per le rime (tanto non avrei comunque saputo cosa inventarmi) che vidi gli Joe, Scarlett ed Ashley arrivare. Dedussi che a Warren non piaceva molto quella compagnia, perché mi salutò e se ne andò a sedersi su un tavolo da solo.

«Ehilà Rosalie, abbiamo fatto nuove conquiste?» mi stuzzicò Joe.

«Eeeeeh, magaaaari! Quello è duro come un sasso!» dissi sconsolata ma divertita.

«Devi adottare una strategia diversa! Hai provato una trappola per orsi? Quello lì è un orso fatto e finito, dovrebbe funzionare alla grande!» (Era divertente perché lui e Warren si conoscevano benissimo, erano anche in classe assieme!)

«Joe, tu sei pazzo!» scoppiai a ridere. Ecco perché piaceva tanto a Scarlett! Sghignazzai e lei mi guardò male, ma poi mi fece l'occhiolino. Sentii un brontolio provenire dalla mia pancia: non pensai ad altro e mi tuffai nel pranzo per far star zitto il mio stomaco.

Stavo ancora finendo il primo quando Scarlett mi diede una gomitata. La guardai, con la fetta di pizza in mano, e la vidi a bocca piena che mi indicava qualcosa. Guardai nella direzione da lei indicata e vidi Warren seduto su una panchina vicino a un tavolo dove si erano seduti Stronghold e compagnia. Warren stava fissando Will con uno sguardo pieno d'odio.

«Oh no» dissi, e appoggiai la pizza. «Non ci avevo pensato! Cavolo».

«Ba berghé lo sda guardando gosì?» chiese Ashley. Si soffiò il naso.

«Ash, è impossibile che tu non lo sappia: il padre di Stronghold è colui che ha mandato in prigione Baron Battle, il padre di Warren. Quadruplo ergastolo e libertà vigilata solo dopo tre vite. Will qui non resisterà a lungo: credo proprio che Warren voglia vendicarsi. Non hai visto che sguardo minaccioso ha? Come a dire: "me la pagherai, non la passerai liscia"». Di solito io non sapevo mai niente di nessuno, ma potevo dire con orgoglio che su Warren ero abbastanza informata.

«Gavolo, è vero! Sberiamo solo ghe Warren dod lo uggida!»

Ridacchiammo.

Dopo il pranzo andammo in giardino, accomodandoci tutti su una stuoia formato maxi che Penny aveva previdentemente portato con sé, così potemmo sdraiarci tutti e riposarci un po'.

Il pomeriggio passò in fretta e alle quattro salimmo in autobus per tornare a casa. Ero sfinita. Prima di seguire gli altri, però, mi fermai a salutare Warren, che prendeva una corriera diversa dalla mia.

«Beh, ciao allora.... a domani» gli dissi impacciata.

Lui mi sorrise.

«Ehi, domani vieni a scuola, vero?» chiesi.

«Certo, perché non dovrei?».

«Beh, non so...». In effetti avrei fatto bene a star zitta. Warren mi fissava con uno sguardo strano.

«Che c'è?» chiesi io.

«Tanto so che hai anche qualcos'altro da dirmi.» mi rispose lui.

«Sei bravo, eh».

«È per la storia della mensa vero?».

«Sì: volevo dirti che non sono proprio così bianca, quest'estate mi sono abbronzata... un pochino» dissi, fingendomi orgogliosa. In realtà aveva ragione lui ed ero candida come un fiocco di neve, ma non volevo dargliela del tutto vinta. Ero una guerriera, io! (come no)

«Ma sì dai, stavo solo scherzando, non ti preoccupare».

Udii Scarlett che mi chiamava perciò ci salutammo e mi diressi verso il mio autobus.

Durante il viaggio non parlai troppo, ma lasciai che stavolta fosse Ska a chiacchierare.

Quando arrivai a casa feci subito una doccia e mi buttai sul divano, sfinita. Indossai già il pigiama. Mi diressi in cucina per bere un po' di succo e sul tavolo trovai un biglietto lasciato dai miei genitori, in cui dicevano che sarebbero stati in Europa per due settimane a svolgere un'importante missione. Sorrisi all'idea di non dover raccontar loro che mi avevano buttato fuori dalla classe e poi tornai in salotto con un bicchiere di succo in mano. Accesi la tv ma come al solito non trasmettevano niente di decente, e dopo dieci minuti ero già annoiata così telefonai a Scarlett.

«Pronto?»

«Ciao Ska, come stai?»

«Ma che cavolo di inizio di conversazione è?»

Risi. «Ehi, adesso mi freghi anche le battute? Comunque niente, mi mancavi.»

«Ma se ci siamo viste un'ora fa...»

«Dai, vieni a casa mia, ci guardiamo Project X insieme!» proposi speranzosa.

«No dai vecchia non ho voglia, dopo che oggi ci hanno buttate fuori dalla lezione ho deciso di darmi una regolata e dire no alla vita sregolata e sì a Valsoia».

Mi crepai in due dal ridere. L'aveva detto serissima!!! Ahahah. «Ma checcazz ahahah sé sé dai tanto domani hai già cambiato idea!» risi con le lacrime agli occhi.

«Ovvio che sì! Vabbè oh vecc a domani allora»

«Notte scema ahahah ♥ »

Riattaccai un po' delusa e mi buttai di nuovo sul divano. Continuai a guardare cavolate alla tv fino a tardi, inframezzando a qualche battaglia Pokémon sul 3DS, con Pixel da un lato e Glitch dall'altro, che dormivano tranquilli sul divano. Black invece se l'erano portati i miei genitori in missione. Per cena mangiai uno yogurt, riempii la ciotola ai gatti, persi mezz'ora o forse anche di più in bagno a cazzeggiare sul cellulare, e alle undici circa andai in camera e cercai di dormire.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Dovrei imparare a tenere la bocca chiusa qualche volta ***


5. Dovrei imparare a tenere la bocca chiusa qualche volta


A un'ora indefinita, un suono assordante mi svegliò. Era il BIP BIP della sveglia sul comodino, che dopo diversi pugni dati a caso riuscii finalmente a spegnere. Guardai l'ora sul display digitale: segnava le 2.15. Whaddefak??? Perché cavolo suonava a quell'ora?! Madonna che nervoso. Dopo la mattina di ieri che la musica del cellulare aveva rovinato il mio sogno irrompendovi come una palla da demolizione, avevo deciso di provare a usare la sveglia dell'orologio digitale che tenevo sul comodino. Non l'avevo mai utilizzata prima, e ora non l'avrei rifatto mai più, perché non avevo capito un tubo di come programmarla e infatti avevo completamente sbagliato orario. Mi sa che era meglio tornare alla sveglia del telefono. Mi girai dall'altra parte del letto e provai a riaddormentarmi.

Poco più di mezz'ora dopo fui ridestata da Pixel che aveva deciso di mettersi a urlare. Mi ero dimenticata di chiudere la porta della mia camera e, avendola lasciata socchiusa, Pixel era entrato e stava miagolando come un forsennato perché voleva uscire in giardino. Lo intimai di stare zitto. «Shhh, Pixel! Che cavolo! Sono le tre di notte, dormi anche tu ah!»

Lui per tutta risposta saltò sul mio letto, si distese di traverso sopra di me e si mise a fare le fusa così forte che sembrava un trattore. Sì vabbè, col cacchio che dormo, ormai. Tra il casino che stava facendo e il caldo che avevo sotto le coperte e sotto il gatto, non riuscii più a chiudere occhio. Certo che devo abituarmi a questo caldo, se voglio stare con Warren..., mi venne da pensare. Già, Warren... Ancora stentavo a crederci che il giorno prima avessimo passato così tanto tempo assieme. Quei momenti me li ero immaginati innumerevoli volte, eppure stavolta ero sicura che quelli di ieri non fossero prodotto della mia fervida immaginazione ma avvenimenti accaduti realmente.

Già che c'ero, sfruttai le ore notturne ancora a mia disposizione a pensare proprio a Warren, a immaginare diverse situazioni assieme a lui che, speravo, un giorno o l'altro sarebbero accadute realmente. Provai anche a pensare a un ipotetico dialogo con lui per il giorno seguente, anzi, per qualche ora dopo che l'avrei rivisto a scuola, ma solo pensare al suo bellissimo viso mi mandava in tilt. L'unica cosa in cui potevo sperare era di non fare figuracce inutili.

Alle 7.15 scesi dal letto e andai in cucina per fare colazione. Stranamente non ero neanche stanca. Beh, meglio così. Pixel mi seguì e appena aprii il sacchetto di croccantini vidi Glitch arrivare a razzo (probabilmente aveva dormito sul letto dei miei o nella sua cesta) e fiondarsi sulla ciotola. Sorrisi a vedere i miei due micetti che con così poco erano i più felici del mondo e mangiai anch'io qualcosa. Mi preparai per andare a scuola e feci uscire i gatti, quindi uscii anch'io, chiusi a chiave la porta di casa e mi diressi alla fermata dell'autobus.

Quel giorno a scuola non mi successe niente di particolare. Alla prima ora quando arrivai in classe mi resi conto che il giorno prima non avevo neanche salutato le mie compagne come si doveva: in fondo la maggior parte non le vedevo dalla fine dell'anno precedente! Mi salutarono tutte molto calorosamente (alla prima ora avevamo Francese, quindi ero con le mie compagne del Linguistico ed eravamo tutte ragazze), e notai che c'era un po' di subbuglio.

«Cosa succede, ragazze?»

«Siamo alla ricerca dell'orologio perduto!» mi rispose la mia compagna Beatrice.

Mi misi a ridere. Ogni anno era così! Ce lo rubava sempre chissà quale classe! Mi unii alla caccia al tesoro, così intanto chiacchieravamo delle rispettive vacanze; perlustrammo ogni aula a mo' di inquisizione, finché lo trovammo in seconda Turistico e lo appendemmo vittoriose nella nostra classe. Alla fine ci mettemmo tutte a ridere; era bello ritrovare questa alleanza fra di noi. Eravamo un bel gruppo, unito, anche se in ricreazione ognuna stava con la propria compagnia ma eravamo tutte amiche fra di noi.

Insomma non successe granché quel secondo giorno di scuola (solo che stavolta stetti ben attenta a non farmi mandare fuori dall'aula), Warren quasi non lo vidi, tranne in ricreazione che Scarlett mi aveva portata alle macchinette perché ero agitatissima, colpa della notte passata in bianco. Mi aveva comprato un latte caldo per tranquillizzarmi un po', e io mi ero lamentata perché scottava e Scarlett aveva scherzato "Devi abituarti se vuoi stare insieme a Warren!". Io le tirai una gomitata scherzosa e indovinate un po'? In quel momento esatto passò Warren (cavolo, doveva spuntare fuori proprio nei momenti peggiori!), così lasciai andare Scarlett e lo salutai con la mano, facendo un sorriso enorme, come se niente fosse. Lui alzò un sopracciglio ma ricambiò il saluto, poi si comprò un Mars alle macchinette e se ne andò.

Quel giorno sembrava incazzato col mondo, aveva un cipiglio da far paura, quindi decisi che era meglio lasciarlo in pace e guardarlo da distante come avevo sempre fatto.

Al pomeriggio andai a casa di Scarlett, che non si fidava a lasciarmi da sola (diceva che ero troppo agitata, supposizione confermata da Joe che si era sconvolto a sentire quanto esaltata fossi) e voleva tenermi sott'occhio.

Compiti ancora non ne avevamo, grazie a Dio, così decidemmo di farci una maratona di film. Le proposi Hunger Games. Ci venne da ridere ricordando un mio episodio dell'anno precedente, quando una sera mi ero decisa a guardare finalmente il primo film e il giorno dopo ero arrivata a scuola che sembravo la più grande fan della saga da sempre. «Gente, Rosalie ha scoperto Hunger Games!» aveva annunciato Scarlett alla classe dopo che gliel'avevo detto, e tutte avevano esultato «Eeeee!» ed applaudito, divertite, della serie "era ora!". Il giorno dopo avevo anche stampato il simbolo della Ghiandaia Imitatrice e l'avevamo appeso in classe! E da quel momento i riferimenti ad Hunger Games erano continui, tipo prima delle interrogazioni se qualcuna si offriva volontaria aggiungevamo "come tributo", e se qualcuna veniva chiamata alzavamo le tre dita in segno di solidarietà. Chi sapeva farlo, fischiettava anche il motivetto a quattro note. In fondo bastava poco per rendere migliori le noiose giornate scolastiche. Mi ero appassionata così tanto a quella saga che subito avevo letto i tre libri tutti d'un fiato, anche durante le lezioni sotto il banco. Ero così ansiosa di sapere cosa succedeva che preferivo leggere anziché seguire la spiegazione dei prof! E Ashley voleva sapere tutta la storia allora mi ero messa a raccontargliela in ricreazione, ma girando nei corridoi le avevo detto "Devo stare attenta qua, che sfaccio spoiler in giro!", perché ero così infervorata a raccontare che senza accorgermene stavo urlando. E gli spoiler erano una delle cose che odiavo di più, non volevo rovinare le sorprese agli altri. Tuttavia mi sentivo potente a conoscere il finale prima di altre persone, muahaha.

Ritornando al presente, riuscimmo a guardare i primi due film, poi la stanchezza iniziò a farsi sentire. Andai un attimo a casa mia (era a cinque minuti da lì) con la bici di Scarlett per far tornare dentro i gatti e dar loro cibo e acqua sufficienti per quella sera e per la mattina seguente, poi tornai da Ska. Quella sera rimasi a dormire da lei: i suoi genitori erano in viaggio di lavoro, proprio come i miei. Solo che i suoi non facevano i supereroi, ma erano entrambi musicisti d'orchestra e insegnanti privati di musica, lei di pianoforte, lui di violino. Era grazie a loro che Scarlett aveva imparato a suonare il pianoforte così bene. Prima di andare a letto mi intrattenne con molti nuovi pezzi che aveva imparato, più altri improvvisati al momento. Mi sorprendevo ogni volta di fronte al grande talento della mia amica. Io che purtroppo non sapevo suonare niente, non potei fare altro che accompagnarla canticchiando sulle sue note. Mi fece una bellissima sorpresa suonandomi "Eurodancer", uno dei miei brani preferiti, forse la musica più meravigliosa che conoscessi. Improvvisò anche altri brani famosi, tipo "Sound of my dream" (una delle mie preferite da cantare), "Animals" di Martin Garrix (non me lo sarei mai immaginata, ma al pianoforte era stupenda!) e "Fashion!" di Lady Gaga. Alla fine andammo a letto tardissimo perché c'era sempre una canzone che le veniva in mente da provare a "pianofortizzare", e facemmo una fatica bestia ad addormentarci perché non riuscivamo a smettere di chiacchierare. Tuttavia Scarlett non fece fatica a prendere sonno, anzi dormiva come un sasso, mentre io quella notte come la precedente, purtroppo, dormii ben poco.

 

Anche la giornata successiva sembrava normale. Troppo normale. Mi annoiavo quando non succedeva niente di catastrofico -ehm- di interessante.

Scarlett aveva dovuto trascinarmi da casa sua fino alla fermata dell'autobus, e poi per tutto il giardino fino all'entrata della scuola.

Feci una fatica bestia a concentrarmi durante le lezioni, ma almeno provai a prendere qualche straccio di appunto: non volevo andare ad incasinarmi già dall'inizio dell'anno scolastico. Chi ben comincia è già a metà dell'opera, no?

Se veramente era così, allora con Warren avevo buone speranze.

Quel giorno lui sembrava di umore migliore, quindi ne approfittai. In ricreazione mi bevvi un caffè per svegliarmi un po' e per non rischiare di fare altre figuracce inutili davanti a lui. Di solito non assumevo caffeina ma oggi sentivo di averne bisogno. Dopo pranzo mi feci coraggio e andai a sedermi con lui su una panchina in giardino e chiacchierammo di un po' di tutto. Beh, a dire il vero ero io che parlavo, più che altro. Forse il caffè aveva fatto più effetto del dovuto. Lui mi ascoltava (almeno credo) e, se gli lasciavo il tempo di farlo, rispondeva alle mie domande.

Stavo parlando a raffica, non riuscivo a fermarmi. «E tu dove sei andato in vacanza? Sai, io sono andata in California con Scarlett e ci siamo divertite tantissimo! Era la prima volta che ci andavo ma siccome l'anno scorso siamo state promosse tutte e due con ottimi voti, i nostri genitori ci hanno lasciate imbarcarci in questa nuova avventura! Mi sarebbe piaciuto tanto se fosse venuta anche Ashley ma aveva già in programma un viaggio con suo padre, che non so se lo sai ma è un discografico, perché così aveva l'opportunità di conoscere un sacco di gente famosa! Ah che culo che ha sempre Ashley, la invidio un sacco, beata lei! Insomma io e Ska abbiamo passato la maggior parte del tempo a fare shopping o ad ammirare quei superfighi che c'erano in spiaggia... ops scusa forse dovrei parlarti di altro eh? Beh lo so che non ti interessa lo stesso ma ci siamo comprate un sacco di vestiti! Abbiamo trovato di quelle occasioni imperdibili! E ce ne sono successe di tutti i colori, ahaha... pensa che una sera siamo rimaste chiuse fuori dall'albergo perché siamo rientrate troppo tardi e non c'era il portiere di notte per mancanza di personale, e a noi si era smagnetizzata la tessera quindi non avevamo nessun modo di entrare nell'hotel ahaha! A pensarci mi viene un ridere...! Abbiamo dovuto dormire per strada come delle barbone ahaha, ai giardini su una panchina ahaha! Che robe dio mio!» raccontai, ridendo da sola come una cretina.

Lui mi guardava e annuiva, ridacchiando assieme a me. Non sono sicura che avesse seguito tutto il mio monologo (in effetti a un certo punto si era messo a guardare nel vuoto ma io ero tutta presa a raccontare che non mi interessava se mi stava ascoltando o no, a me bastava parlare) ma poi volevo sapere anche qualcosa di più su di lui, così gli feci alcune domande.

«Dove sei andato in vacanza? Mi sono resa conto che non ti ho lasciato il tempo di rispondere, prima» mi scusai, arrossendo.

«Già, mi chiedo come tu faccia ad avere tutto quel fiato per fare un discorso così lungo tutto di seguito!» mi prese in giro.

Gli feci la linguaccia e poi commentai: «No perché ho notato che ti sei abbronzato quest'estate!»

Lui fece una faccia stranissima. «Ma ti sembro il tipo che sta due ore disteso su un asciugamano a prendere il sole?!» fece, indignato. «Comunque sono andato al mare con la mia ragazza» mi disse.

Raggelai.

Cosa.

Avevo capito bene?

Divenni balbuziente. «Ma...tu...quindi...ehm...come dire...MA TU HAI LA FIDANZATA???» gridai, cercando di non fargli capire che ero sconvolta, senza riuscirci.

Warren fece un sorrisetto. «No, volevo solo vedere che faccia facevi» disse.

AAAAHHHH!!!

Ma che scemo!!! Ma lo era sul serio, allora! Sarei potuta morire da un momento all'altro! - avrei voluto rispondergli, ma non ne ebbi il coraggio. Non volevo rovinare tutto facendo la sfrontata. Il nostro rapporto era già abbastanza in bilico per la netta separazione causata dalle mie amicizie. Non poteva continuare così: non avrei resistito ancora per molto. Dovevo assolutamente fargli piacere la mia compagnia.

Ero ancora pietrificata. Lui invece rideva. Mi misi una mano sul cuore e presi fiato, cercando di riprendermi dal mezzo infarto.

Non appena tornai in me stessa, lui mi sorrise, con un sorriso di scuse divertite. Era bellissimo. Sembrava felice.

Chissà a cosa sta pensando... se solo ci fosse qui Scarlett..., pensai, provando una punta d'invidia per il potere della mia amica.

«Ehi Warren...» cominciai.

«Ehi, non te la sarai mica presa vero?» mi chiese lui, ridacchiando.

Lo ignorai. «Senti...posso farti una domanda?».

«Certo, se riesci a non risponderti da sola» rispose sarcastico.

Deglutii, facendomi coraggio per l'argomento delicato che andavo ad affrontare. «Non ti senti mai solo? Voglio dire, non mi sembra tu abbia molti amici qui a scuola... E mi chiedevo: non ti piacerebbe stare con noi? Scarlett e gli altri sono simpatici, sai?» Sorrisi.

Invece capii seduta stante che avevo sbagliato tutto.

Lui cambiò subito espressione: si fece serio. Occhi pieni di rimprovero. «Queste non sono cose che ti riguardano» mi disse freddamente. Poi prese le sue cose e se ne andò senza rivolgermi una parola o uno sguardo.

Mi paralizzai.

Che cattivo. Non era giusto. E non capivo il perché della sua risposta. Dal fare spiritoso che aveva era diventato freddo e distaccato, si era quasi arrabbiato. Gli avevo detto qualcosa che poteva averlo ferito? Ecco, era appena successo ciò che temevo: combinare qualche cavolata. Sommiamo la reazione scortese di Warren più la mancanza di sonno accumulata in due giorni, in quel momento la mia emotività raggiunse il limite. E dire che ero una che non piangeva facilmente. Le lacrime iniziarono a formarsi ai lati dei miei occhi, e la mia vista divenne appannata. Oh no, non proprio ora! Non volevo che gli altri mi vedessero in quello stato.

«Ahh! Warren ha fatto piangere Rosalie!» esclamò Scarlett additandomi. Lei, Ashley, Gwen, Penny e Joe stavano venendo verso di me.

Ecco, appunto. «No... non è niente, tranquilli, sono solo stanca...» cercai di spiegare. Mi asciugai il viso con una mano, attenta a non rovinarmi il make-up.

Gwen mi chiese: «Cos'è successo tra te e lui? Vi abbiamo visti che eravate seduti qui a fare i piccioncini e poi a un certo punto lui ha preso e se ne è andato».

Ska subito intervenne per salvarmi da interviste indesiderate. «Ragazzi, ora Rose viene con me a bersi un po' d'acqua e poi se ne ha voglia ci racconterà, ok?»

La adoravo quando mi tirava fuori da situazioni come queste. Grazie amica, pensai. Lei sapeva sempre cosa fare.

«Sì, tanto tu sai quello che pensa» disse Penny indignata. «Non è giusto!».

«No, ha ragione Scarlett. Se Rose non ha voglia di parlare non possiamo obbligarla» le rispose Joe.

Sorrisi, dispiaciuta. «Grazie ragazzi, vi voglio bene. E scusatemi» aggiunsi io.

Scarlett mi prese sottobraccio e mi portò in bagno, che era il posto più tranquillo per parlare.

 

«Solo non capisco perché abbia fatto così» si chiese lei. Era appoggiata al lavandino, a braccia incrociate, e io mi ero risciacquata il viso. Ora mi stavo sistemando il trucco. La guardai male.

«Woha, non è colpa mia se ho il potere che possiedo. Stavo solo sorvegliando la situazione, dato lo stato emotivo in cui sei oggi.»

«No, non ti preoccupare» la rassicurai «questa giornata è iniziata da schifo e tale non poteva non finire».

Scosse la testa. «Ma tu credi davvero che con noi si troverebbe bene? Con te va d'accordo, ma è perché secondo me tu gli piaci, anche se non se ne è ancora reso conto. I ragazzi a volte sono così stupidi!» e sbuffò.

Risi. «Può essere, ma a me non sembra proprio. Non mi sorprende se non volesse più parlarmi: credo di aver toccato un argomento delicato per lui. Vorrei conoscerlo meglio; in fondo di lui so ben poco!».

«Scommetto che hai intenzione di invitarlo alla festa, vero?» chiese lei, con fare indagatorio, riferendosi alla festa di compleanno di Joe il mese successivo, di cui il nostro amico ci aveva parlato proprio quella mattina.

«Allora adesso sei più brava con la lettura del pensiero! Comunque sì». Feci un gran sorriso. «Se andiamo avanti così -parlandoci più o meno tutti i giorni- a quel punto lo conoscerei già meglio, e lui lo stesso con me, quindi non si sa mai...».

«E se» intervenne lei, euforica «e se alla festa vi baciate? Wow! Ma certo, sarebbe l'occasione perfetta! Sì sì invitalo, voglio esserci quando succederà! Così dopo vi mettete insieme e sarete la coppia più bella della Sky High! Evviva!» esultò, battendo le mani per l'idea eccitante.

«ASPETTA! Stai correndo troppo! Non ti ricordi che Warren è ancora arrabbiato con me? Certo sarebbe bellissimo se succedesse ciò che hai predetto... ehi, tu non hai la capacità di vedere nel futuro, vero?» dissi tanto per sdrammatizzare.

«Purtroppo no! Non sono Alice Cullen, sono solo Edward! Cioè puoi-pensare-tutto-quello-che-vuoi-tanto-non-hai-scampo» rise lei, accompagnata da me.

In quel momento suonò la campanella che segnava la fine pausa post-pranzo, perciò ci dirigemmo verso l'aula della prossima lezione.

 

Quel pomeriggio fui io a invitare Ska a dormire a casa mia.

«E allora» mi disse lei tutto ad un tratto. Eravamo stravaccate sul divano a mangiare patatine e pop corn, in attesa che finisse la pubblicità della "fine primo tempo" del film che stavamo guardando alla tv. «Quando hai intenzione di dichiararti a Warren?».

Avrei voluto pensare una brutta parola per definire questo suo comportamento (in effetti un po' stronza lo era stata), ma poi desistetti dal mio intento. Semplicemente la ignorai e continuai a fissare lo schermo. Ancora non ero sicura di essermi ripresa dalla delusione della mattinata.

Scarlett era decisa a rigirare il coltello nella piaga. Forse si stava divertendo. «Mi hai fatto proprio ridere quando lui ti ha detto che aveva la ragazza. Hai presente nei cartoni quando uno diventa di pietra e poi si rompe tutto? Ecco, eri uguale, potevo quasi sentire il *crack*». Rise. In effetti aveva reso l'idea, ma il suo era comunque sadismo puro. Continuai a sgranocchiare le patatine che avevo in mano.

«Poi quando lo baci mi dici cosa hai provato. Non credo sia la stessa cosa che baciare altri ragazzi: con lui deve essere magnifico. Pensati, tutto quel calore avvolgente... Wow! Quasi quasi te lo frego» e sghignazzò per vedere la mia reazione. Sapevo che lo faceva apposta, quindi rimasi impassibile.

«Ti ricordi Lucas, l'anno scorso? So che era figo, ma eri così depressa per Warren che avevi accettato di uscire con quel tipo solo per pura disperazione. Era così freddo che neanche tu lo battevi! Ahahah dai scherzo eh! Che, ti sei fossilizzata? Guarda che comincio a preoccuparmi».

Decisi che dovevo risponderle, o non l'avrebbe più finita. «No, sono ancora viva. Però hai ragione, quel Lucas era davvero uno stronzo.» Ska indietreggiò per la violenza che avevo messo nell'ultima parola. «Eh beh, scusa per la parola ma quando ci vuole ci vuole eh! Sul serio, appena ha visto una più carina di me mi ha lasciata. Beh, d'accordo, non che mi sia neanche dispiaciuto più di tanto...» riflettei. «Sì ma cavolo mi capitano tutti quelli peggio! Ti ricordi anche Steven in seconda? Quanto siamo stati assieme, due settimane? Uno peggio dell'altro!» dissi scandalizzata al ricordo. «Tutti e due non pensavano altro che a... vabbè si è capito. Lui invece è diverso».

Scarlett sogghignò. Ovviamente lei sapeva qualcosa che invece io ignoravo.

«Ehehe» cominciò, sempre più sadica «su questo hai ragione, ma non è colpa tua se piaci ai ragazzi! Comunque è vero che Warren è diverso dagli altri, ma non poi così tanto» mi confidò.

«Cosa vuoi dire?» chiesi, sospettosa.

«Beh, perché non sapevi che pensieri aveva oggi quando ti ha vista con 'sto top scollato! L'hai messo apposta, vero? Guarda che non vedeva l'ora di metterti le mani addosso. È per questo che, mentre gli raccontavi delle nostre cazzate, a un certo punto si è messo a fissare il vuoto: per concentrarsi su qualcos'altro per ritrovare il controllo!» E rise come una pazza.

Spalancai la bocca. Non me lo sarei mai aspettata! «Ma guarda te questo! Cioè io ero là tutta presa a chiacchierare e lui invece... aahhh!» esclamai, mettendomi le mani nei capelli. Ero indignata. No, ok, non era vero. A lui era permesso.

«Ma dai, ho anche esagerato un po' il tutto no? Comunque non stavo scherzando, se lo vuoi sapere. È solo che lui ha dei pensieri diversi dagli altri ragazzi, e non ti tradirebbe mai». Mi sorrise.

«E come fai a saperlo scusa?». Alzai un sopracciglio.

«Perché sì, lo so e basta; ha una mente pura, che tu ci creda o no, e complicata: è affascinante. Pensieri profondi.»

Mi abbandonai sullo schienale del divano. «Wow» dissi. Poi mi tornò in mente un dettaglio che fin prima avevo ignorato. «Adesso che ci penso... oggi dopo pranzo, quando sono andata lì da lui, gli avevo detto "Ciao Warren!" e lui era arrossito! E non mi stava guardando proprio in viso ma poi ha alzato lo sguardo e ancora imbarazzato mi ha detto "c-ciao..."» riflettei. Poi arrossii.

Scarlett ridacchiò. «Eh grazie! Sei fortunata, con 'ste tette che ti ritrovi!»

Risi anch'io. Ska invidiava la mia quarta di reggiseno, lei che aveva una seconda. «Ma dai scema! Hai appena detto che lui non pensa solo a quello!».

«Sarà, ma ricordati che rimane pur sempre un maschio, e quindi non puoi farci più di tanto!»

Continuammo a scherzare su argomenti simili fino a tardi, tra battutacce idiote e considerazioni sulle nostre relazioni passate. Prima di andare a letto io mi bevvi una camomilla e Scarlett un caffè, raccontandomi che le conciliava il sonno. «Contenta te» le dissi, alzando le spalle. Andammo a lavarci, ci vestimmo per la notte e ci coricammo nel mio letto a una piazza e mezza, anche se con grande sforzo da parte sia mia che sua di non parlare.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il suo lato oscuro ***


6. Il suo lato oscuro


No! Non di nuovo! Adesso basta, eh.

Mi ero svegliata. Erano le due. Ma che palle non me ne andava giusta una! La mia mente stava sclerando. Arrrggghh ma perché??? Non ce la faccio! Dio santissimo, a Scarlett il caffè fa l'effetto che la camomilla avrebbe dovuto fare su di me! Invece ecco il risultato, lei che dorme come un sasso e io che di sonno non ne vedo neanche l'ombra! Basta. Adesso mi incazzo di brutto eh!

«Rose! Finiscila! Non si riesce a dormire!» urlò Scarlett.

Eh?

«Sì! Non hai un linguaggio esattamente "concilia sonno"» mi rimproverò.

«Scusa! Ma non posso resistere un'altra giornata senza aver dormito, o domani salto scuola! Non so più cosa fare, ne ho le palle piene!».

Scarlett era comprensibilmente irritata. «Beh, cerca di non fare l'egoista, pensa anche a me! Conta le pecore e cerca di chiudere gli occhi.»

Sì, le pecore, come no. Avevo un modo migliore per cercare di calarmi nel mondo dei sogni: immaginare una notte passata con Warren...

«Per favore!» sibilò Scarlett. «Ti sembra il caso?»

«Di che?», sussurrai, sorpresa.

«Potresti almeno provare a controllare i tuoi pensieri?».

«Nessuno ti obbliga ad ascoltare», mormorai, imbarazzata. «Continua a dormire».

«Mi piacerebbe poterlo fare, ma non sai quanto casino facciano le tue fantasie! È come se me le stessi urlando in faccia».

«Cercherò di pensare a bassa voce», sussurrai sarcastica.

Ci fu un momento di silenzio.

«Sì hai ragione, scusa, è che tutti i discorsi che abbiamo fatto prima... sai com'è, no? Però ci sono rimasta un po' male da come mi hai risposto...» aggiunsi. Io con lei ero sempre sincera.

«Scusa... è che il caffè ha questo effetto secondario su di me...» rispose.

«Vabbè dai, dormiamo ora. Notte» sussurrai.

Speravo solo di non parlare nel sonno e dire cose imbarazzanti. Ma poco dopo mi addormentai davvero.

 

E l'assordante BIP BIP BIP rovinò tutto come al solito.

«NOOOOO!!!» urlai.

Ska si svegliò di colpo, tutta spaventata. «Eh? Chi ha urlato? Rosalie! Che è successo?»

«QUELLA CAZZO DI SVEGLIA È SUONATA!!!» sbraitai.

Si arrabbiò. «E ti sembra il caso di fare tutto 'sto casino per niente?!? Che cazzo Rose sono le 7 di mattina, abbi pietà!»

«Non mi sembra che questo COSO l'abbia avuta per me!» grugnii. «Insomma, mi ero appena addormentata!» aggiunsi con tono piagnucoloso. Misi la testa sotto il cuscino.

Ska sospirò. «Quanto hai dormito?».

«Dieci minuti».

«Ah». Non sapeva che rispondere.

Io stavo cercando di calmare i bollenti spiriti.

Lei alzò il cuscino e mi guardò con un sorriso, per tirarmi su di morale. «Pensala così: se vai a scuola vedi Warren. Se non ci vai, e resti qui a lamentarti, non lo vedi. Ok?»

Perbacco, aveva ragione! «Se la metti così... OCCHEEEIII!!!» esclamai tutta energica e pimpante, buttando via cuscino e coperta e saltando giù dal letto. Scarlett scoppiò a ridere e scese dal letto con me.

Ci preparammo assieme per la nuova giornata e, dimenticandoci di fare colazione, andammo a scuola.

La giornata fu un vero e proprio disastro: grazie alla mia svegliata notturna Ska non era più riuscita a riprendere un buon sonno e io, beh, si sa com'ero io. Tutta l'energia che avevo fatto finta di avere scesa dal letto era scomparsa appena avevo messo piede fuori dalla porta di casa.

Era giovedì. Non odiavo quel giorno in particolar modo, ma questo credo avesse deciso di fare l'antipatico.

«Nnnnnpssssble....» avevo mugugnato dopo pranzo, sedute al solito posto. Mi ero portata un cuscino ed ero distesa su una coperta, vicino a Scarlett.

«Che?» mi chiese lei, a fatica.

«Ho detto: non è possibile...» risposi.

«Beh, invece a quanto pare lo è, visto che siamo ridotte così» precisò.

Mi girai a pancia in giù e abbracciai il cuscino. «A dire il vero mi stavo riferendo a questa settimana: forse non ce ne rendiamo conto, ma è appena iniziata la scuola e noi siamo già in queste condizioni. Non si può continuare così!!».

«Certo» mormorò. «Hai ragione. L'anno bisogna cominciarlo bene, altrimenti sei fregato».

«Grazie tante» mugugnai, con la faccia sul cuscino.

Un'altra voce chiese: «Va meglio?». Alzai lo sguardo e vidi Gwen che stava venendo da noi. Aveva due gelati in mano.

«No» risposi, tornando a faccia in giù.

«Beh, mi dispiace» disse. «Forse dovresti bere una camomilla. Anzi no, che poi ti addormenti qua e non ti svegli più!» scherzò.

«Grazie ma no. La camomilla mi fa l'effetto contrario. Credo sia per questo che stanotte non ho chiuso occhio. Beh, a dire il vero ho dormito per dieci minuti».

«Mh». Si stava gustando il gelato. «Vuoi?» disse, offrendomi quell'altro. «Sarebbe di Penny, ma non la vedo...».

«SIGGRAZZIE!» intervenne Scarlett. Non appena udì la parola "gelato", sembrò che tutto il sonno fosse sparito nel nulla.

«Ma tu non eri morta?» mugugnai.

Lei mi ignorò e prese in mano il cono con gli occhioni sbarluccicanti e leccandosi i baffi.

«Dopo la causa persa sono io no...» brontolai.

«Rosalie, oggi sei insopportabile!» mi sgridò. «Dormi.»

«Magna e tasi» le risposi.

 

Il resto del pomeriggio fu disastroso come più o meno la mattinata. Warren non lo vidi neanche per sbaglio, forse a scuola non ci era venuto proprio. Come se non bastasse, rischiai più volte di prendere una nota sul libretto, o di farmi mandar fuori a calci dall'aula perché stavo per addormentarmi sul banco. In tutti quegli anni non era mai capitato che infrangessi così tante regole scolastiche tutte in una volta. Colpa della mancanza di sonno, senz'altro.

Quando arrivai a casa avevo deciso.

Avrei dormito tutto il pomeriggio.

E tanti saluti a tutti.

Anche se sapevo già che il giorno dopo, cioè venerdì, sarei stata comunque in coma.

 

Alla mattina mi svegliai.

No, un attimo. Ok, detta così era una frase del tutto normale. Ma non per me, tenendo conto del resto di quella settimana.

Alla mattina?! Come era possibile immaginare, avevo disattivato la sveglia. Infatti mi ero destata solo grazie alla luce del sole che trapelava dalle fessure della persiana. Ma quindi vuol dire che non mi sono svegliata dieci minuti dopo essermi addormentata e nemmeno che ho dormito solo per mia impressione come l'altra notte?! Urrà! Devo festeggiare!

Ad analizzarmi meglio, mi era sembrato di aver dormito un'eternità ma non ero del tutto riposata. Meglio di niente, dopotutto, almeno mi ero riposata occhi e mente.

A scuola andò meglio del giorno precedente. Fino all'ora di pranzo.

Non mi accorsi subito di ciò che stava succedendo, ma capii che era qualcosa di grave quando, dal mio tavolo, guardai a quello di Warren e vidi che era in piedi davanti a Will Stronghold. E lo aveva afferrato per la maglietta, sollevato da terra e lo stava minacciando con uno sguardo assassino.

Oh no.

Porca miseria! Voleva vendicarsi.

Iniziai a preoccuparmi ed osservai la scena, mentre anche gli altri studenti si incuriosivano a vedere cosa stava succedendo.

___________________________________________________________________________________________________________

*Warren's POV*

 

Ero seduto al mio tavolo a leggere, cercando di concentrarmi sul giornale di motori anziché su di lei. Da quando le avevo parlato per la prima volta avevo scoperto un lato di me che non conoscevo, un lato più... sentimentale. Non ero sicuro che mi piacesse, ma non amavo i giudizi affrettati. Non capivo del tutto questo mio sentimento verso Rosalie: mi era nuovo, estraneo. Tempo prima ero stato assieme a qualche ragazza, ma solo per puro divertimento, non perché provassi affetto. Questa volta, però, la cosa sembrava andare diversamente.

Alzai la testa e la vidi, seduta al suo tavolo, circondata da tutti i suoi amici, che rideva. Era bellissima. Mi venne una mezza idea di andare lì da lei, per scusarmi del mio comportamento scortese di mercoledì, episodio dopo il quale non c'eravamo più rivolti la parola. Al suo tavolo c'era anche Joe, il mio migliore amico, ma avevamo litigato qualche settimana prima e lui non si era ancora scusato con me. Forse era questo che mi bloccava ad andare da Rosalie: che c'era anche lui. Solo a pensarci sentivo la collera salire.

Stavo insultando Joe mentalmente, sicuro che lui avrebbe percepito a distanza i miei sentimenti di rabbia, quando un piatto pieno di cibo volò sul mio tavolo e il contenuto si sparpagliò ovunque. Qualcuno cadde a pancia in giù vicino alla mia panchina. Sapevo che era Stronghold senza neanche guardare. Lo sapevo e basta.

Già ero incazzato di mio, ci mancava solo questo coglione, il più grande deficiente mai visto alla Sky High. Mi alzai di scatto, lui capì di averla fatta grossa, si tirò su dal pavimento e subito cercò di scusarsi.

«Ah, mi dispiace...» disse imbarazzato, pulendosi le mani sui pantaloni.

«Vedrai tra un po'» ringhiai io, con una voce molto minacciosa. Una piccola parte del mio cervello stava provando a farmi notare che probabilmente non era stata colpa sua. Lui era una dannata Spalla, tutti lo sapevano; era il fallimento della sua famiglia, e Lash e Speed si divertivano da matti a importunare le Spalle matricole. Ma la maggior parte di me era infuocata dalla rabbia. E sapevo anche perché.

Stronghold assomigliava esattamente a quei stupidi fighetti e figli di papà che usavano additarmi quando ero più piccolo, e lui lo sapeva, doveva saperlo, quello che suo padre aveva fatto al mio. Era un episodio che non avevo mai digerito, sebbene odiassi mio padre con tutto me stesso, ma in quel momento ero troppo furioso per fargliela passare liscia.

«Ah, senti, non è il caso...» cominciò, balbettante. Iniziò ad indietreggiare.

Una nebbia rossa iniziò ad offuscarmi la vista, a quel punto. Lui stava solo cercando di salvarsi le chiappe, pensando di poter essere tutto gentile e moralmente superiore solo per chi era. Cinque anni di soppressione della mia rabbia verso tipi come lui presero il sopravvento, ed io stavo in bilico su un margine veramente sottile di controllo. Cinque perché prima di entrare alla Sky High non mi facevo tanti scrupoli a picchiare un rompipalle.

«Credi di poter fare tutto perché ti chiami Stronghold!?» chiesi, con l'ira che si stava formando nella mia mente e il calore nelle mie mani. Le mie emozioni e il mio potere erano legati a doppio filo: più la mia rabbia cresceva, più il calore delle fiamme aumentava.

«Mi dispiace se mio padre ha mandato il tuo in prigione ma-» iniziò a dire.

Questo è troppo. Lo interruppi prendendolo per la maglietta. «Non osare parlare di mio padre» ringhiai, e le fiamme sulle mie mani avvamparono.

Will si spaventò e balzò all'indietro sfuggendo alla mia presa.

Udii Lash commentare «Adesso lo fa fuori!» e tutta la folla di persone che si era formata lì attorno cominciare a incitare: «Botte! Botte! Botte!».

Bene, avrebbero avuto quello che desideravano.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Non avrei dovuto, forse. Ma tu non la passerai liscia ***


7. Non avrei dovuto, forse. Ma tu non la passerai liscia


In quel momento nella mia mente c'era una sola parola: VENDETTA. La rabbia non lasciava spazio ad altri pensieri. Così spinsi da parte i miei principi morali e lasciai guidare le mie azioni dalla collera.

Una palla infuocata avvampò nella mia mano e la scagliai contro il mio nemico con tutta la forza che possedevo. Non mi sarei trattenuto. Lui nel panico afferrò un vassoio per il pranzo come scudo, che si sciolse come neve al sole non appena ne colpii il centro esatto col mio bolide. Cominciai a lanciare altre palle di fuoco mentre lui si abbassava e cercava di schivarle. I muri cominciarono a divampare, gli studenti scapparono terrorizzati e io distrussi gran parte del bancone del cibo. Will corse verso il pulsante dell'allarme antincendio sul muro. Vidi qualcosa serpeggiare lungo il pavimento: una braccio striato in bianco e nero di lunghezza impossibile. Lash voleva "aiutare", ovviamente. E così ora sapevo chi aveva fatto inciampare Will all'inizio. Ma in quel momento non me ne importava proprio di chi fosse la colpa.

Will venne afferrato per la caviglia e prese una spanciata sul pavimento. Si rigirò e mi guardò. Era terrorizzato, ed ebbi un'improvvisa immagine mentale di me stesso dal suo punto di vista. Dovevo sembrare un demone. Sono tutto ciò che loro dissero che sarei diventato, pensai. Infatti, dopo tutto ciò che mio padre aveva fatto per meritarsi la prigione a vita, tutti dicevano che anch'io avrei finito per diventare come lui.

Rabbia malsana divampò di nuovo e le fiamme si arrampicarono oltre i miei gomiti, quindi lanciai una grande palla di fuoco a due mani verso il tavolo sotto il quale Stronghold si era rifugiato.

Mi precipitai in quella direzione e balzai sopra il tavolo, lanciando fuoco su entrambi i lati per tenere Will confinato, inseguendolo mentre gattonava per cercare di scappare, fin che arrivò alla fine del tavolo senza avere più scampo. Se fosse uscito da lì sotto, l'avrei incenerito.

«Dove sono le tue spalle, Spalla?!» sbraitai.

«Eccoci» «Sì!» esclamarono alcune voci, mi girai in quella direzione e vidi un gruppo di matricole farsi largo tra la folla fino ad arrivare a mostrarsi a noi. Era la sua ghenga di amichetti con cui andava sempre in giro: c'era un ragazzo alto vestito con colori fluorescenti, uno che sembrava un secchione, basso e con la pelle scura, una ragazzina pseudo-punk e un'altra ragazzina hippie con i capelli rossi.

Sembravano determinati a combattere, ma non avevano capito chi si trovavano davanti. Feci avvampare le fiamme lungo le mie braccia, creando una grande palla di fuoco sopra la mia testa, e il secchione si squagliò diventando una pozzanghera. Se la situazione non fosse stata così seria credo che avrei riso.

«Lasciali stare!» gridò Will da sotto il tavolo. Improvvisamente si sollevò con una forza sovrumana, alzando il tavolo sopra di lui, e io mi ritrovai improvvisamente a due metri circa da terra, con il piccolo Will Stronghold che sosteneva sia me che il tavolo senza troppo sforzo. Ero così sorpreso che persi le mie fiamme.

«È forte!» esclamò la hippie.

«Sono forte?!» ripeté Will da sotto il tavolo, sopra il quale ero in bilico io, e lui sembrava sorpreso quanto gli altri.

«È super-forte», corresse Gwen Grayson, in prima fila ad assistere alla rissa.

Vaffanculo, non dirmi che ha scoperto i suoi poteri proprio adesso!, pensai, interdetto.

Questa si stava concretizzando in una replica della storia, il figlio di Baron Battle contro il figlio di Commander. Will scaraventò distante il tavolo, facendo volare anche me. Mi scontrai con una trave e precipitai su un tavolo, rompendolo a metà. Fortunatamente il mio potere secondario era l'indistruttibilità, altrimenti a questo punto sarei stato fortunato ad essere ancora vivo.

Lui non era rivolto verso di me quando mi alzai dalle macerie, e scorsi Lash penzolare dal soffitto e Stronghold congratularsi col suo gruppetto di spalle. Chi si credeva di essere?! Pensava di aver finito con me, e ora voleva conciare per le feste i due bulli che gli avevano fatto lo sgambetto e godersi l'ammirazione dei suoi amici?!

«Stronghold!» sbraitai.

Lui si girò verso me, richiamato dai mormorii spaventati degli altri studenti, e la sua espressione lasciò intendere che non si aspettava che fossi ancora in grado di combattere. Lasciai che le fiamme alimentate dalla rabbia si incendiassero lungo le mie braccia. La folla urlò e sloggiò da intorno a me. Ma dio mio, faccio così paura?!, pensai, leggermente sorpreso, ma non era quello il problema in quel momento. Avevo una questione più urgente da sbrigare.

Will alzò provvisoriamente i pugni come se fosse in una gara di boxe, ma era troppo evidente che non sapeva neanche lui come fare. Io mi lanciai verso di lui e gli sferrai un cazzotto in pieno viso. Will volò a terra, intontito, e io ne approfittai per lanciargli una palla di fuoco che gli bruciò la felpa. Lo alzai da terra, sempre più furioso, afferrandolo per la maglia. Incendiai la mia mano e proprio quando stavo per incenerirgli la faccia lui mi tirò un pugno al centro del mio petto, solo per pura fortuna. Di sicuro non sapeva come combattere ma aveva la superforza, il che era sufficiente: mi sentii come se fossi stato investito da un treno.

Andai di volo lungo tutta la lunghezza della mensa, attraverso due muri e poi contro un pilastro nella sala insegnati. Avevo preso il colpo di schiena, e ora nella colonna dell'aula c'era una grosso ammacco. Sia il Coach Boomer che Mr. Medulla mi guardarono in totale stupore, io mi alzai dalle macerie del pilastro e tornai in mensa con andatura superiore.

«Credi di avermi fatto male?!?» ruggii. Feci scattare le mie braccia e lasciai che le fiamme avvampassero anche lungo la mia schiena. Mi sentivo come se tutto il mio corpo fosse in fiamme, e che se volevo avrei potuto incenerire il mondo. Mi piaceva come sensazione.

La folla scappò terrorizzata, e anche i compagni di Stronghold abbandonarono il loro amichetto. Cominciai a correre verso Will: ora era il mio turno di attaccare. Stavolta non aveva scampo.

Anche il mio avversario probabilmente lo capì, perché mise la braccia davanti a sé per proteggersi. Qualcuno dei suoi amici intervenne e gli lanciò un estintore, l'unico oggetto fra tutti che poteva salvarlo. Stronghold, impanicato, non riuscì ad aprirlo come si doveva, quindi strappò la parte superiore della bombola e mi spruzzò tutto il contenuto addosso.

Caddi a terra, investito dalla schiuma dell'estintore. Le fiamme sulle mie braccia si spensero subito, ma io ero determinato a continuare a combattere. Avrei sempre potuto contare sulla mia forza fisica.

Mi rigirai e mi stavo per alzare in piedi per continuare a lottare, quando venni faccia a faccia con le scarpe della Preside Powers.

Will gettò via l'estintore, cercando stupidamente di nascondere l'evidenza. «S-salve» balbettò.

Mi alzai. Lo sguardo della preside era tutt'altro che contento. E qui capii di averla combinata grossa.

Ora che i miei bollenti spiriti si erano calmati, sopraggiunse in me la consapevolezza che avevo combinato un casino.

Guardandomi attorno vedevo più macerie che altro, e la maggior parte dei tavoli ora erano solo mucchietti inceneriti. E a pensare al motivo di tutto quel macello, mi sentii uno stupido. Infuriarmi così per una cazzata del genere non era da me. Ma quando la rabbia sopraggiungeva, facevo veramente fatica a controllarla. Era per questo che molte persone avevano ancora paura di me.

Però in quel momento la mia preoccupazione maggiore era un'altra.

Ero pienamente cosciente di avere lo sguardo di Rosalie puntato addosso. Chissà cosa stava pensando di me. Di sicuro niente di buono. Se la preside Powers non fosse stata lì in quel momento, avrei fatto fuori Will solo per pura frustrazione.

La preside fece segno ad entrambi di seguirla. Uscimmo dalla mensa sotto gli occhi di tutti, accompagnati da un brusio di sottofondo che alle mie orecchie era come un rumore assordante. Avevo davvero esagerato, questa volta. Nel tragitto cercai di riportare il mio temperamento di nuovo sotto controllo, senza troppo successo.

La preside ci condusse nell'aula di detenzione. Ormai la conoscevo bene, c'ero già stato diverse volte.

Dentro, il posto assomigliava a un laboratorio futuristico, bianco e luminoso.

«Io non ho fatto niente, è lui che ha cominciato» piagnucolò Will mentre la preside ci seguiva nella stanza.

Il mio temperamento irascibile scattò: il velo rosso mi annebbiò di nuovo la vista, e ora non me ne importava un tubo se la preside era lì presente.

«Tuo padre ha cominciato e io finirò il lavoro» ringhiai, e feci scattare le mie braccia per infiammarle. Ci fu uno strano click da qualche parte, come se stessi cercando di accendere un accendino senza gas, ...poi niente. Provando di nuovo, ottenni lo stesso risultato.

«Inutile!» ci disse la preside, compiaciuta. «La Camera di Detenzione neutralizza tutti i superpoteri. Seduti». Ci indicò un paio di banchi, bianchi anche quelli. Mi sedetti, guardando in cagnesco lei, Will e il mondo in generale. Vaffanculo, me lo dimenticavo sempre. Ecco qual era la parte più fastidiosa di quel posto: l'assenza di poteri.

Era il momento della ramanzina. «Qui alla Sky High facciamo tutto il possibile per insegnarvi a usare i vostri poteri. Ma come li usate, sta a voi deciderlo. Tenere alta la reputazione di vostro padre, o cercare di macchiarla, è un triste spreco di talento, il vostro talento. Cercate di non dimenticarlo la prossima volta che state per fare una stupidaggine». Con questo, girò i tacchi e camminò via, lasciandomi da solo con Will.

Quella stanza poteva anche neutralizzare tutti i superpoteri, ma comunque avrei ancora potuto portarlo a una lotta diretta. Lì dentro non avrebbe avuto scampo contro di me, senza la sua superforza. Ero abbastanza alto e muscoloso da intimorire un avversario senza problemi. Anche il mio aspetto contribuiva molto, in questo, per non parlare del mio potere.

Mi stavo già immaginando la faccia di Stronghold spiaccicata sul muro, quando mi tornò in mente lei. E tornò anche la preoccupazione.

Cos'avrebbe pensato ora Rosalie di me? Che ero un mostro? Che avrei potuto quasi uccidere le persone solo per una stupidaggine? Io non ti farei mai del male, Rose, pensai, cercando di convincere anche me stesso. Ma ormai come avrebbe potuto credermi...

L'ultima volta che ci eravamo parlati le avevo risposto freddamente e me ne ero andato. Lei ci era rimasta molto male, si era quasi messa a piangere. Mi sentivo come se avessi commesso un crimine gravissimo. E ora? Non avrebbe voluto più vedermi?

In mensa, comunque, non l'avevo vista tifare per il mio avversario, anzi, la vedevo preoccupata per me quando venivo colpito. Forse la situazione non era così allarmante come sembrava.

Comunque fosse, volevo scusarmi con lei.

L'adrenalina del combattimento semplicemente defluì da me e cominciai a focalizzare la mia mente su cosa sarebbe successo quando sarei uscito da quella stanza.

Poi Will sospirò e batté le sue mani sul banco.

«Ok senti. Il passato dei nostri genitori, lasciamocelo alle spalle. Che ne dici?» mi propose lealmente, tutto contento, tendendomi una mano per stringerla.

La maggior parte della mia rabbia se ne era andata, sostituita dalla meditazione, ma continuavo a essere arrabbiato con lui, soprattutto se pensava di poter sistemare tutto questo casino con poche parole, un gesto e un sorriso.

«Io dico» lo guardai, indignato «che se mi capiti di nuovo fra i piedi ti arrostisco vivo».

La mano di Will rimase sospesa per un lungo momento, con uno sguardo ebete sul suo volto, poi capì che non avevo nessuna intenzione a scendere a patti e ritrasse il suo braccio di nuovo sul suo banco.

L'unica cosa che potevo fare, ora, era aspettare che il tempo passasse in fretta in quella stanza infernale.

______________________________________________________________________________________________________________

*Rosalie's POV*

 

Ero abbastanza scioccata, dopo quello che era successo in mensa.

«Cos... come...» commentai più tardi, in giardino.

Scarlett mi aveva trascinata lì di peso, con me paralizzata, per farmi prendere aria. Non riuscivo a capacitarmi di ciò che avevo visto. Mi aveva fatto paura, molta paura. Si era arrabbiato per niente? Io credevo di sì. Voglio dire, se qualcuno fosse inciampato davanti a me, rovesciandomi addosso tutto il pranzo, non sarei arrivata al quasi ammazzarlo. Forse gliene avrei dette su tante, questo è certo, ma non fargli del male. Anche perché Will, per quanto mi stesse , non aveva fatto apposta, anzi. Era stato Lash a farlo inciampare.

Mi guardai in giro, cercando di togliermi queste lugubri congetture dalla mente, ma notai che i miei amici incontrando il mio sguardo si giravano, facendo finta di osservare qualcos'altro. Accidenti, sembrava che tutti sapessero leggere nel pensiero.

«No, ne sono capace solo io, qui» mi rassicurò Scarlett. Al contrario degli altri, lei cercava il mio sguardo.

«Ska» cominciai «a te non è sembrato strano? Se non... cattivo?»

«Crudele, direi, più che altro» mi corresse.

«Grazie, Ska» dissi sarcastica. Feci una smorfia.

Rimase impassibile. «Guarda che non è colpa sua. Magari imparare a controllare meglio la rabbia, questo sì, ma secondo me ha avuto ragione. Forse non doveva sfogarsi su Will, ma ricordati che Warren ha avuto un'infanzia terribile, e tuttora la gente lo guarda male. Anch'io avrei fatto la stessa cosa al posto suo. Beh, più o meno».

Io non risposi, ma rimasi a riflettere su queste sue parole.

Sapevo del passato di Warren, di cosa aveva fatto suo padre, ma non avevo ancora conosciuto questo suo lato "malvagio", se così si poteva definire. Ma se Scarlett, e lei sì sapeva quello che diceva, mi aveva detto così, allora non dovevo preoccuparmi più di tanto? In effetti lei conosceva i suoi pensieri, e io di Ska mi fidavo. Ma poi mi venne un pensiero orribile. E se, per caso, Warren -una volta che siamo insieme- perde il controllo e mi fa del male? In fondo contro di lui non avevo nessuna, assoluta, chance. Magari dovrei parlargli, ma domani però.

Alla fine di tutte queste supposizioni mi venne un mal di testa incredibile, e decisi che era meglio non pensarci più.

Durante le lezioni mi fu molto difficile seguire i discorsi dei professori, e alla fine della giornata mi pentii di questo perché la professoressa di Francese aveva già fissato una verifica per la settimana successiva e io non sapevo neanche di che argomento si trattasse. Scarlett non parlò per tutto il tempo, e io la ringraziai infinitamente per questo.

Anche il viaggio in corriera fu silenzioso, e quando arrivammo alla nostra fermata ci salutammo e ognuna andò a casa propria senza dire niente.

Tuttavia, quella notte non chiusi occhio. Maledetta camomilla.

__________________________________________________________________________________________________________

*Warren's POV*

 

Quando uscii dall'aula di detenzione mi avviai in classe senza dire né guardare niente o nessuno, ma camminai a testa alta. Al mio passaggio tutti gli studenti se ne andavano terrorizzati o si giravano dall'altra parte, facendo finta di parlare con i loro amici. Avevo già abbastanza pensieri di mio per preoccuparmi dell'opinione degli altri, in quel momento.

L'unico episodio che mi diede fastidio (e, detto tra noi, mi rattristò abbastanza da pentirmi delle mie stesse azioni) fu quando andai in giardino, dopo aver preso le mie cose, per prendere l'autobus e andare a casa. Avevo visto Rosalie fissare il prato con sguardo assorto, alzare la testa solo quando stavo scendendo le scale, e poi girarsi di scatto, mordendosi le labbra. Avevo tradotto la sua espressione come un misto di tristezza, delusione, paura e sorpresa. Non sapevo se una persona potesse provare tutte quelle emozioni insieme, ma supposi di sì, se la mia interpretazione era corretta. O forse mi stavo solo facendo troppe seghe mentali.

Comunque, non mi avvicinai a lei. Non avevo ancora del tutto calmato i bollenti spiriti: non si sapeva mai. E per seconda cosa, Joe era là con lei.

L'unico che riuscì a tirarmi un po' su di morale fu il mio amico Chris, che venne a salutarmi prima che me ne andassi, e che divertito mi raccomandò: «Non incazzarti tanto, la prossima volta, che sennò mi diventi un Super Saiyan!!» E due risate me le strappò. Mi diede una pacca sulla spalla, mi disse "Riguardati!" e mi salutò, tornando dal nostro gruppo.

Diedi un'ultima occhiata a Rose e sospirai, quindi salii in corriera e chiesi all'autista di portarmi a casa. Non me ne fregava un tubo se mancavano ancora tre ore di lezione; volevo solo andarmene da lì. Dirigermi in qualsiasi posto che non fosse la Sky High. O in cui fosse presente Stronghold.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Così posso scusarmi con te come si deve ***


8. Così posso scusarmi con te come si deve


Il giorno dopo avevo l'umore sotto le scarpe e la luna più storta della torre di Pisa. Alla mattina mi venne una mezza idea di non andare a scuola, ma poi mi ricordai che mi ero ripromesso di scusarmi con Rosalie. Così mi feci forza, mi vestii (in modo non-minaccioso per non intimorire la ragazza, altrimenti sarebbe saltato tutto in aria) e mi diressi alla fermata della corriera trascinando i piedi. Almeno Joe aveva avuto il coraggio di scusarsi con me, più o meno.

Era sabato, e quel giorno era stata programmata la gara di "Salva il Cittadino" in palestra. Quel gioco era favorito da insegnanti, studenti, e soprattutto dal Coach Boomer, ma per ragioni differenti. Piaceva agli insegnanti perché era una buona esperienza pratica per lottare contro altre persone con superpoteri, nonostante l'artificiosità dell'ambiente. Piaceva agli studenti perché era un'occasione per darle di santa ragione ai tizi che non sopportavi, perlopiù in un modo autorizzato dalla scuola. Naturalmente, altri la odiavano per la stessa ragione. E piaceva al Coach Boomer perché lui doveva fare la parte del giudice e deteneva tutto il potere.

Speed e Lash erano i campioni in carica ancora dall'anno scorso, ed essendo questa la prima prova dell'anno, erano stati chiamati loro anche per dimostrare alle matricole come funzionava. Quei due avevano una grande varietà di piani d'attacco programmati per vincere e preferivano fare la parte dei cattivi. Quel compito era molto più facile, perché gli eroi dovevano salvare il cittadino (e capire come salvarlo, forse la parte più complicata) da sopra la trinciatrice, mentre i cattivi dovevano solo impedirglielo.

Quel giorno i due bulli erano in forma: avevano già vinto due sfide, entrambe senza fare più di tanta fatica. Dopo che il secondo cittadino della giornata era stato ridotto in segatura, si erano dati il cinque, scontrandosi col petto.

«Ramirez, Hamilton, il vostro cittadino è stato frantumato perché non avete sconfitto i cattivi» annunciò Boomer alla coppia che era stata appena battuta. «Prossimo incontro; Speed, Lash, scegliete: eroi o cattivi?»

«Cattivi!» risposero in coro i due, ridendo.

«Ah, questa è una sorpresa...» commentò sarcastico il coach, segnandoselo sulla cartellina dove annotava tutte le sfide. «E chi altri volete battere?»

«Va bene» disse Speed con un'alzata di spalle. «Vogliamo il piccolo Stronghold!» -con la coda dell'occhio vidi Will alzarsi, preoccupato- «E... vai tu» aggiunse infine rivolto al suo compare.

«E vogliamo Peace!» annunciò Lash indicandomi, in tono deciso, come se mi stesse dichiarando guerra.

Tutti mormorarono «Oooohh» sorpresi e anche un po' impauriti. Ero seduto sugli spalti della palestra, isolato dagli altri, e mi alzai sotto gli occhi di tutti.

Certo, l'idea di dover combattere in coppia con Stronghold non mi rallegrava per niente, ma non mi dispiaceva che mi avessero chiamato: almeno così potevo sfogarmi combattendo, senza finire di nuovo nell'aula di detenzione.

Io e Will ci dirigemmo agli spogliatoi per indossare le tute con le imbracature e le protezioni, che erano d'obbligo in questo gioco.

Appena scendemmo in campo, il coach cominciò a spiegare le regole (più che altro per Will, dato che io ormai le sapevo a memoria): «Testacalda, Stronghold, siete gli eroi». Boomer era l'unica persona a cui permettevo di chiamarmi con un soprannome del genere, e solo perché era un insegnante. Mi girai e vidi Stronghold già distratto, il suo sguardo concentrato su qualcuno sugli spalti dietro di me. Mi voltai e notai Gwen Grayson che lo stava salutando sorridendo, poi tornai a fissare Will e lo vidi ricambiare il saluto tutto contento.

«Ehi» lo minacciai «concentrati sulla partita». Non se lo fece ripetere due volte.

«Avete tre minuti per immobilizzare gli avversari e salvare il cittadino» continuò l'allenatore. Poi sollevò il suo cronometro e noi ci preparammo. «Pronti, ai posti, BATTAGLIAAAAAAA!!!» tuonò infine. Il tempo era partito.

Il campo di battaglia per la sfida era stato allestito con ostacoli per farlo somigliare a un parco cittadino, con lampioni, una panchina, una buca per le lettere, uno stand dei giornali e dei bidoni dei rifiuti, dando la possibilità alle persone di nascondersi, lanciare, bruciare, trasformarsi in quelle cose, o usare altro che sarebbe servito poi nel mondo reale. Però un pavimento in legno, luci al neon e una barriera di plexiglas rinforzata non costruivano esattamente un senso di verosimiglianza.

Capii subito che Lash e Speed avevano architettato un piano. Lash allungò un braccio a dismisura, afferrando un lampione dall'altra parte del campo, e Speed vi si appoggiò come se fosse un'enorme fionda.

Prima ancora che riuscissi a realizzare cosa stavano per fare, Lash fece scattare il suo braccio in avanti e Speed cominciò a sfrecciare per il campo, rimbalzando sugli ostacoli come una pallina in un flipper. Di lui non riuscivo a vedere che una scia sfocata.

Nella sua corsa ci sferzò a causa dell'altissima velocità, ed entrambi volammo per aria. Quando atterrai schiacciai il dispenser dei giornali e poi guardai in su; Stronghold era stato rimbalzato dal muro di sicurezza. Sembrava che stesse scoprendo che né super forza né indistruttibilità ti risparmiassero dal dolore.

Lanciai i pezzi rimanenti del dispenser oltre la barriera, non volendo inciamparci sopra più tardi.

In quel momento vidi Rosalie, in prima fila sotto gli spalti dietro la barriera, che mi guardava. Con lei c'erano anche Gwen Grayson, Penny e l'altra sua amica con i capelli blu, che avevo capito chiamarsi Scarlett.

Purtroppo però questa mia distrazione mi costò: Lash, approfittando della situazione, tese entrambe le braccia attraverso la palestra legandomi come un salame prima che potessi neanche muovermi.

«Hah! E ora, Peace?» chiese, con un ghigno arrogante sul volto.

Non aveva mica capito. Cosa credi, pensai, che io abbia bisogno di essere in grado di muovere le braccia per far uscire le fiamme? Ti sbagli, Lash. Lasciai che il calore crescesse rapidamente e avvampasse lungo le mie braccia, e le fiamme si espansero.

«Ahuuuu!!!» gemette Lash e ritrasse le braccia, facendole tornare alla loro lunghezza naturale.

Gli feci un bel segno di tiè, poi gli voltai le spalle noncurante.

«Ehi coach, questo è fallo! Vuole fischiare o no?!» si lamentò urlando a Boomer, ma quest'ultimo solamente rise in un modo un po' crudele e lasciò che la partita proseguisse.

L'elasticità di Lash lo proteggeva dalla maggior parte dei colpi, perciò ci impiegò poco a rimettersi in sesto.

Dall'altra parte della palestra, Speed stava correndo facendo collisione con Will, sfrecciando da lui ogni pochi secondi, sbattendolo a terra, colpendolo, o facendolo roteare ogni volta che cercava di avvicinarsi agli ingranaggi mortali. Era una mossa abbastanza intelligente da parte di Speed, perché se Will fosse riuscito a mettere un solo dito su di lui, probabilmente avrebbe posto fine a questa partita piuttosto in fretta. Qualcuno stava urlando di come questo era un fallo, ma Boomer li ignorò.

Lash si era allungato a metà strada verso il soffitto, facendosi un obbiettivo obbligatorio, e io lanciai una palla di fuoco verso di lui. Questi però la scansò e così il mio bolide finì addosso a Boomer, che era su una sedia in alto, da cui poteva seguire meglio il match.

«Attento, Testacalda!» mi rimproverò, poi si accorse che era rimasta una fiammetta sulla sua maglia e con sorpresa cominciò a spazzare via le scintille, mentre tutti gli studenti ridevano.

Ringhiai contro Lash, arrabbiandomi con lui perché mi aveva fatto sbagliare obbiettivo.

Stronghold apparentemente ne aveva prese abbastanza delle "corse con attacco" di Speed e stava cercando una scappatoia. Saltando in aria, colpì forte il pavimento con il pugno, facendo sbalzare il terreno come un terremoto.

Io lo schivai arrampicandomi sul muro di plexiglas con un salto, mentre Speed e Lash furono mandati in volo. Speed atterrò bene, appoggiandosi sulle ginocchia, ma Lash si schiantò pesantemente, e Will mise le proprie mani su di lui. Lo vidi usare le braccia di Lash per legarlo ad un lampione, mentre la folla rideva.

«No, fermo, no! Fermo!» cercava di dire Lash, ma ormai Stronghold aveva finito il suo capolavoro. Pensai che per Lash era una cosa abbastanza umiliante, e risi anch'io.

Con la coda dell'occhio scorsi Speed arrivare sfrecciando e cominciai a scaricare una raffica di palle di fuoco su di lui ma nessuna lo colpì, e maledissi il fatto che, in confronto a lui, il mio potere fosse così lento.

Dietro di me Will aveva legato Lash in un nodo e ora sembrava che stesse ammirando la sua opera.

«Ehi!» gli urlai «Salva il cittadino!». Ci erano rimasti solo quaranta secondi e il nostro cittadino era pericolosamente vicino alla trinciatrice.

Will si avvicinò agli ingranaggi mentre Lash lo minacciava («Sei morto, Stronghold!»), ma fui distratto di nuovo alla vista di Rosalie.

Era ancora vicino alla barriera e mi stava guardando; sembrava combattere con sé stessa. Aveva la mano alzata per metà, come se volesse salutarmi, ma poi si mise a farmi dei gesti strani, in ansia, come a farmi segno di voltarmi.

Infatti quella mia deconcentrazione stavolta mi costò caro: Speed mi aveva raggiunto di nuovo, ma stavolta ero pronto. O almeno così pensavo.

Invece di passarmi via, cominciò a correre in cerchio attorno a me, troppo velocemente per vedere qualsiasi cosa tranne uno sfocatura arancione e nera, i colori della tuta.

Volevo iniziare a colpirlo col fuoco, ma cominciai ad annaspare e a sentirmi mancare. Le fiamme mi morirono sulle braccia e mi strinsi la gola quando l'oscurità cominciò a scendere sulla mia vista. Faceva male, molto male, più che essere sbattuto attraverso un muro (e una colonna). Caddi in ginocchio, l'unica cosa che riuscivo ad udire era un rombo assordante.

Pochi secondi dopo il buio iniziò a svanire, e vidi che Will aveva afferrato Speed (che stava ancora muovendo le gambe a velocità supersonica, anche se sospeso da terra) e lo puntava verso un'altra direzione, usandolo come freccia. Lo lasciò andare e quello partì e finì la sua corsa addosso a Lash. Entrambi si schiantarono sulla barriera, scatenando le risate di tutti gli spettatori.

Ora che i cattivi erano fuori gioco, Will si guardò intorno disperatamente, alla ricerca di un modo per salvare il cittadino.

«AVANTI!!!» gli urlò Boomer, e la folla cominciò a contare ad alta voce: «Dieci! Nove! Otto!...».

Apparentemente a Stronghold venne qualche brillante idea, così mi prese per l'imbracatura e mi lanciò attraverso l'aria come un giavellotto, dritto al cittadino sopra la trinciatrice.

Per riflesso afferrai il pupazzo quando passai, e finii rotolando sul pavimento. Proprio in quel momento la sirena suonò.

«Tempo!» urlò Boomer. Alzai il pupazzo della cittadina e realizzai che era finito il gioco. «È salva! Gli eroi vincono!» sentenziò, e gli studenti cominciarono a gridare ed applaudire.

Lanciai il manichino di lato, ma non mi alzai. Il mal di testa non se n'era ancora andato e forse, dopo una bella rinfrescata, sarebbe stato meglio andare in infermeria.

La folla aveva cominciato a riversarsi sul pavimento e stava acclamando Stronghold. Lui era stato la prima matricola che aveva vinto questo gioco, quindi non potevo neanche dar loro torto.

Mi alzai, ignorando la mano di Will, e mi avviai verso gli spogliatoi. Avevo proprio bisogno di una doccia.

 

_________________________________________________________________________________________________________

*Rosalie's POV*

 

Non avevo parole. Era stato semplicemente... magnifico. Vederlo impegnarsi così, vederlo combattere, era semplicemente magnifico.

Durante quella prova non avevo mai prestato attenzione alle mosse di Will. I miei occhi erano stati incollati a Warren. Sapevo che ce l'aveva ancora con me, anche se non ne ero sicura al cento per cento; infatti l'avevo visto che qualche volta guardava nella mia direzione. C'erano gli spalti a scalinata in palestra, e l'area di "combattimento" era circondata da pannelli trasparenti, per evitare che gli altri studenti non in campo si facessero male. Io ero lì, in fondo alle gradinate, insieme a Gwen, Scarlett e Penny. Joe invece era rimasto in cima con Chris, Ashley e altri suoi amici.

Ultimamente Gwen si era interessata a Stronghold, soprattutto dal giorno precedente, in cui lui aveva scoperto di avere la super-forza. Io non capivo questo suo interesse: lo reputavo uno sfigato. E mi era stato antipatico dal primo momento che lo avevo visto.

Gwen, però, mi aveva detto che non le interessava realmente, faceva tutto parte di un piano. Il suo, piano. Non sapevo quali fossero le sue intenzioni, ma avevo solo alzato le spalle senza fare commenti. Non volevo impicciarmi perché non era una cosa che mi riguardava.

Ma ora avevo una missione più urgente, se si poteva definirla così. Dovevo assolutamente parlare con Warren.

Questo pensiero non mi aveva fatta dormire quella notte, come ben si poteva immaginare. Scarlett mi era stata di supporto, ma purtroppo non poteva fare più di tanto per me. Ormai avevo preso la mia decisione.

Quando era finita la prova, tutti gli studenti che erano presenti in palestra avevano applaudito e gridato per congratularsi con gli eroi. Tutti si erano accalcati attorno a Will praticamente ignorando Warren, che si era alzato e se ne era andato verso gli spogliatoi.

Mi diressi da lui. Sapevo che erano gli spogliatoi maschili, cosa che mi imbarazzava un po', ma volevo farlo. Dovevo farlo.

Entrai nella stanza con passo incerto, mentre una vocina codarda nella mia mente mi diceva che forse avrei dovuto tornare indietro. Stavo per girarmi quando Warren alzò lo sguardo su di me.

Cavolo! È come nel primo giorno di scuola. Beh, ormai non ho scampo; devo assolutamente parlargli. Sono qui. Fine. Rimasi a fissarlo senza aprire bocca.

«C'è qualche problema?» mi chiese, alzando un sopracciglio. Oh sì, ce n'erano, eccome...

Non risposi. Lo stavo ancora osservando: sembrava calmo. Almeno mi faciliterà la missione, pensai sarcastica. Mi sentivo come 007. Che stupida che ero.

Ma il problema più grande era un altro: non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Aveva solo i pantaloni della tuta. Oddio, sto sognando. No, sono morta e sono in paradiso. Accidenti che fisicaccio!! Vabbè che è figo, ma non pensavo fino a questo punto!!! Ah, adesso svengo.

La causa di tutti i miei casini mentali era l'assenza di una t-shirt o canottiera su di lui, mettendo in bella mostra i suoi pettorali scolpiti sul suo fisico perfetto. Non avrei mai pensato che fosse possibile che esistesse un ragazzo tanto bello su tutta la terra. Forse stavo esagerando, ma per me era così.

«Beh, ecco, vedi, sì, insomma...» stavo cercando di rispondere alla sua domanda. La risposta più adatta sarebbe stata: sai, siccome sei un gran pezzo di figo... pensavo che magari potremmo metterci insieme, no?

Dopo una profonda inalazione di ossigeno nei miei polmoni riuscii a formulare una frase completa e a dire qualcosa di sensato.

«Senti, lo so che non dovrei essere qui e che probabilmente tu non mi vuoi più vedere...» Parlai a testa bassa, attenta a non farmi distrarre dalla visione di lui -il modello da copertina di un magazine patinato- che mi si parava davanti. «Ma volevo chiederti scusa. Non volevo impicciarmi nei tuoi affari. Credevo solo, pensavo che...» A questo punto lo fissai dritto negli occhi. «Potevamo diventare amici. Sì, lo so che lo siamo già, ma ci conosciamo così poco...! Io ci tengo a te, e non volevo ferirti con le parole». Tornai a guardare il pavimento, parlando più a me stessa che a lui. «Tante volte parlo a sproposito. Io parlo, parlo, e magari a volte dico cose che nemmeno penso... Sono un disastro». Stavo per girarmi e andare via, quando lui mi si avvicinò, mi prese una mano e la strinse dolcemente nella sua, calda, costringendomi ad alzare lo sguardo. I miei occhi azzurri ora lucidi si riflettevano nei suoi, scuri e sinceri, che mi facevano sempre sentire bene quando li vedevo.

«Non ti devi scusare di nulla, Rosalie. Anzi, sono io che devo farlo con te e mi dispiace di essermi comportato così, l'altro giorno. Non volevo. Davvero, mi dispiace». Le sue parole erano dolci e scelte con cura, e il suo sguardo intrappolava il mio, per farmi focalizzare tutta l'attenzione su ciò che mi stava dicendo. «Devo ancora imparare a controllare i miei sbalzi d'umore -che ultimamente sono così frequenti, se devo dirla tutta- e immaginavo che dopo ciò che è successo ieri in mensa tu non mi volessi più parlare, che avessi paura di me e volessi tenerti a distanza. Ma a quanto pare mi sbagliavo, e non sai quanto ne sia felice».

Il sorriso che mi rivolse, caldo e sincero, mi fece sciogliere all'istante. Non credevo che lui ci tenesse così tanto a me. «Io...non so cosa dire. Mi hai lasciata completamente senza parole».

Allora rise, non per prendermi in giro, ma dava proprio l'impressione di essersi liberato di un grande peso. Sentii l'impulso di abbracciarlo. Vederlo così, vederlo ridere, felice, mi faceva sentire benissimo con me stessa, come succedeva ogni volta che stavo con lui: mi sentivo completa, come se tutto il mio mondo fosse a posto. Come se fossimo fatti per stare insieme.

Avevo una mezza idea di avvicinarmi a lui per stringerlo a me, tanto ero su di giri, quando Warren disse leggermente in imbarazzo: «Ah, scusa, adesso però ho proprio bisogno di una doccia. Diciamo che non ho esattamente un ottimo profumo».

«Certo» dissi, combattuta fra il perplesso e il deluso. Però mi tornò in mente un episodio della gara che mi aveva lasciata confusa e leggermente preoccupata. «Scusa se te lo chiedo» cominciai, incerta «ma cos'è successo quando Speed ti ha intrappolato nel vortice? Non sono riuscita a capire che ti ha fatto».

Alzò lo sguardo e rimase perplesso. «Sinceramente non lo so neanch'io. Mi è venuto un gran mal di testa e facevo fatica a respirare. Adesso però mi sento un po' meglio».

Mah, secondo me non sembrava molto convinto. «Mmm, dirò due paroline a Speed» dichiarai.

«Tranquilla, non ce n'è bisogno, davvero mi sento meglio» mi rassicurò con un sorriso. Annuii.

Ebbi un'illuminazione, reduce di una lezione di scienze di qualche anno fa. «Non è che forse il vortice ti togliesse l'aria? Se anche faticavi a respirare, credo sia l'opzione più accreditabile. E poi, il fuoco per ardere ha bisogno di ossigeno; quindi, niente ossigeno, niente fiamme. Almeno credo». Alzai le spalle.

«Sembrerebbe sensato... Devo dirti la verità: io in queste cose proprio non ci so fare. Comunque adesso, dopo la doccia, vado in infermeria. Forse è meglio che prenda un'aspirina» spiegò.

«Ok, a dopo, allora. E... grazie». Sorrisi.

Lui ricambiò. «Ci vediamo dopo pranzo» concluse, poi prese un asciugamano e andò a farsi la doccia. Io corsi dalle mie amiche, euforica. Ero preoccupata per Warren, ma non era una giustificazione plausibile per sotterrare il mio attuale stato di esaltazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Per caso vuoi ammazzarmi di tachicardia? Solo per sapere, eh... ***


9. Per caso vuoi ammazzarmi di tachicardia? Solo per sapere, eh...


«Finalmente! Allora adesso siete insieme?» disse Ashley, a cui sembrava che fosse passato il raffreddore.

Avevo appena raccontato alle mie migliori amiche della "dichiarazione" di Warren.

«Magari! No ma guardate che non credo manchi tanto, eh» riflettei io, sogghignando. «Beh, avreste dovuto vedermi! Cioè, io là tutta contenta e lui che mi fa "ok adesso ti saluto perché devo andare a farmi la doccia, perché, sai, il mio profumo non è esattamente un Chanel n° 5"!». Risi della mia interpretazione delle sue parole.

«Vabèh, comunque resta il fatto che si è dichiarato» aggiunse Ska, mordendo una fetta di pizza. «Ehi, non mangi niente? Dai che dopo hai fame!».

«Ma secondo te» puntai l'indice contro il suo pranzo «riesco ad ingerire qualcosa dopo tutto quello che mi è appena successo??? Che delusione, Scarlett, pensavo che tu mi conoscessi. Non mi parlare più. Addio». Feci la finta offesa, incrociando le braccia e girandomi dall'altra parte.

«Mi scusi, credevo che lei fosse la signora "Non-saprei-cosa-fare-senza-le-mie-amiche" ma ora mi rendo conto che lei è la signora "Egocentrismo". Lieta di non fare la sua conoscenza» scherzò.

«E io credevo di non avere fame ma ora invece ho un languorino...! Ma ciaaaaaao Scarlett, lo sai vero che ti voglio bene??». Mi leccai i baffi, fissando con sguardo famelico la fetta di torta al cioccolato in bella mostra sul suo vassoio.

«Eh no, eh no, se vuoi ti do la macedonia, ma questa no». Si affrettò a nascondere dalla mia vista la preda a cui stavo puntando.

«Ma in quella ci sono i kiwi! E lo sai che non mi piacciono, perché mi fanno venire la pelle verde!».

Alla fine, tra una cavolata e l'altra, giungemmo a un patto: lei mi aveva dato metà della sua torta, ma in cambio io avrei dovuto prestarle un mio vestito per quella sera; mi aveva detto che Joe l'aveva invitata a cena a casa sua, e lei ovviamente era la persona più felice del pianeta. Escludendo la sottoscritta, che di lì a poco avrebbe dichiarato tutta la sua passione a una certa persona col nome iniziante per "W". Sogghignai.

«Oddio, mica devi andare in guerra!». Scarlett mi guardava esasperata, ma poi ridemmo. Stavamo scendendo le scale, dirette in giardino. Non appena scorsi quella "certa persona", cominciai a farmi un sacco di pensieri di ogni tipo. Guardai Scarlett, che in risposta alla mia domanda né detta né pensata strinse le labbra e accennò un lieve “sì” col capo, come conferma di procedere.

«"Sì" a che!?» le chiesi, ridacchiando. Lei alzò un sopracciglio e poi mi spinse verso Warren.

Non credo mi sentì arrivare, perché non alzò la testa dal giornale sportivo che stava leggendo. Era come sempre seduto sul muretto, così io gli arrivai da dietro. Allungai la testa sopra la sua spalla destra e vidi, sul magazine, una pagina riguardante le auto da corsa.

Appena il ragazzo si accorse di me, arretrò, con uno sguardo tra lo spaventato e l'imbarazzato.

«Uh» disse, guardandomi. I miei capelli dondolavano sopra la sua spalla. «Non ero io quello delle apparizioni improvvise? Vuoi sfidarmi?».

«No, a dire il vero» scavalcai il muretto e mi sedetti alla sua destra «volevo vedere se ne ero capace anche io, di farti prender gli infarti. Sai, l'infermeria ha bisogno di pazienti». Arrossii, perché pensai che fra poco uno di quei pazienti sarei stata io, dovuta farmi ricoverare da eccessiva velocità dei battiti cardiaci.

«A proposito di infermerie» dissi «cosa ti ha detto la signora Spex?». La signora Spex era l'infermiera della scuola. Aveva i raggi-x negli occhi, perciò riusciva a trovare le ferite e le fratture in un baleno. Possedeva tutti i rimedi possibili e immaginabili.

«Beh, la tua supposizione era esatta» dichiarò lui. «Questo è quello che mi ha detto: il vortice di Speed succhia via l'ossigeno; una mossa utile per disabilitare tutti, ma particolarmente devastante su chi ha poteri col fuoco; che io uso più ossigeno di una persona normale e che ne accumulo di più nel mio corpo per aiutarmi con i miei poteri. E mi ha spiegato che, quando si è fermato, mi è ritornata abbastanza aria solo per tenermi vivo, non per accendermi. Perciò avevo un mal di testa». Alzò le spalle. «Quindi niente fiamme nel vuoto dello spazio, se mai dovessi andare in una missione intergalattica» aggiunse.

Risi. «Ti ha dato un'aspirina?»

«Sì. Mi ha anche messo in faccia uno di quei cosi per farti respirare ossigeno. Mi sentivo un idiota, ma almeno adesso sto meglio». E, con un'altra alzata di spalle, rise. Anch'io ora ero più sollevata.

«Insomma, episodio ormai passato» dissi.

«Già». Ridemmo di nuovo assieme, entrambi felici che ormai fosse tutto a posto, anche fra di noi.

Mi avvicinai a Warren. Subito mi sentii molto bene. Era caldo, rassicurante, ed era lì vicino a me, cosa che ancora stentavo a credere. Gli presi una mano, guardandola.

«Ma non hai caldo con questi guanti di pelle? In fondo siamo ancora in estate».

«Mettiamola così: io non soffro il caldo come tu non soffri il freddo. O sbaglio?». Parlandomi, aveva intrecciato le sue dita alle mie. Il mio cuore cominciò a battere fortissimo, tanto che lo potevo perfino sentire molto chiaramente. Volevo con tutta me stessa distogliere lo sguardo da quello di Warren, ma non ci riuscii. Ero sicura di avere il viso completamente rosso.

«Credo di no». Sollevò un angolo della sua bocca, continuando a intrappolarmi nella sua presa, sia con la mano che con lo sguardo. «E tu invece non sudi con quei guantini? In fondo, sono sintetici».

Fissai la mia mano, lieta di non essere più magnetizzata dai suoi occhi così belli e profondi. «No no, sono davvero leggeri. Anche se mi piacciono di più quelli in pizzo neri, ma anche questi bianchi non sono niente male». Oggi avevo optato per quelli bianchi in pizzo. Sul sintetico si era sbagliato. Sorrisi divertita. «Non sono sintetici».

Si fece altezzoso. «Oh, mi scusi, ma come vede non sono molto esperto in fatto di abbigliamento».

«Ma no, guarda che mi piace tantissimo come ti vesti, anche se la giacca in pelle con questo caldo stona un po'. Almeno oggi non la porti: mi fai caldo solo a guardarti!».

«Ah, grazie per il complimento, comunque non ti preoccupare: me lo hanno già fatto notare quindi per il momento l'ho rimessa nell'armadio. Ma se vuoi che ti faccia caldo non ci sono problemi...».

Waaaahh oddio ma cosa mi era saltato in mente!! Dovevo stare zitta, altrimenti questo scopriva il mio piano diabolico! E adesso cos'ha intenzione di fare? Mi guardava intensamente, sorridendo, sempre senza lasciare la presa. Poi delle fiamme avvamparono nella sua mano, avvolgendo anche la mia. Erano tiepide, non scottavano, non facevano male. Anzi. Era una sensazione piacevolissima, come non avevo mai provato prima. Stavo così bene...

«Ma... come fai?» gli chiesi, annebbiata da quel tepore. «Non fa male». Fissai il fuoco, che era basso e di un colore rosso intenso.

«Non ti farei mai del male, Rosalie» mi disse serio. Non feci neanche in tempo a pensare alle sue parole che subito cambiò espressione, fissò le nostre mani in fiamme. «Sai, io riesco a controllarne la temperatura, ma di solito cambia in base alle mie emozioni. Ad esempio, se sono incazzato ti conviene starmi distante». Rise. Io in quel momento non ne ero capace; mi sentivo come se mi fossi drogata. Almeno credo ci si sentisse così. Ero leggerissima, come se avessi potuto toccare il cielo con un dito, e stavo molto bene. Eccome.

«Non vuoi?» mi chiese, una nota di dispiacere nel suo tono, vedendo il mio sguardo assente.

«No, no, ti prego, sto da dio così. È una sensazione magnifica». Avevo una voce assonnata. Ora che ci pensavo, non dormivo da tutta la settimana.

Senza riflettere, stanchissima, mi strinsi a lui, appoggiando la mia testa sulla sua spalla. Era molto confortevole. Chiusi gli occhi.

 

«Ehi, Bella Addormentata, guarda che la campanella è suonata da un pezzo! Ma che fai? Dormi?? Ué, sveglia!».

Mi sembrava di conoscere quella voce... tipo... di una migliore amica...

Accidenti! Scarlett! Ma... eravamo a scuola? Avevo l'impressione di essere sul mio letto, tanto bene stavo. Ma poi realizzai. Eravamo a scuola -eh, appunto-, era appena finita la pausa post-pranzo, avevo parlato molto con Warren, mi ero sentita benissimo mano nella mano con lui, e poi... oddio- mi ero addormentata su di lui!!!

Aprii gli occhi, e mi ritrovai abbracciata a nientemeno che Mister "Ti-faccio-caldo-volentieri", le mie braccia intorno al suo petto e la mia testa appoggiata sotto l'incavo del suo collo.

E fra tutto questo popò di roba, Scarlett cosa c'entrava??

«Ma dai, sei peggio di un gatto». Si stava divertendo come una matta. «Scusa Warren, adesso te la tolgo di dosso e dalle scatole» disse, ma non si mosse di un centimetro. Io invece avrei dovuto farlo, ma non ne avevo nessuna voglia. Stavo troppo bene così! Scorsi Ska farmi l'occhiolino.

«Vabbè dai, non mi dà mica fastidio. Almeno non è fredda come pensavo. Beh così va bene, la temperatura» le rispose lui. Come come? Aveva detto così sul serio, oppure ero io che stavo ancora immaginando il tutto?

«Ah no, oddio, sì beh non volevo cioè, credo che... sia il caso...» farfugliai.

Scarlett mi diede man forte. «È da lunedì che non chiude occhio» spiegò. Ehm, grazie, pensai.

«Di niente» rispose ad alta voce, sovrappensiero. Mimò con le labbra un "ops" e stavolta fui io a chiarire le idee. «Scarlett legge nel pensiero» dissi a Warren, liberandolo dalla mia presa e dandomi una sistemata ai capelli. Mi alzai in piedi. «Grazie» gli sorrisi. «Sono stata molto bene, insieme a te. Ora però purtroppo dobbiamo proprio andare. Ehm... vieni anche tu? Le lezioni sono già ricominciate...»

«Giusto». Si alzò in piedi, abbozzando un sorriso. Sembrava deluso per qualcosa.

Scarlett sogghignò. «Che hai?» le chiesi.

«Oh, niente...». Aveva una voce forzatamente innocente. Cercai di ignorarla, ma mi risultò particolarmente difficile, visto che manteneva quel ghigno stampato in faccia. Solo la presa di Warren riuscì a distogliermi lo sguardo da Ska.

«Se non sbaglio abbiamo questa lezione tutti e tre assieme». Intrecciò le sue dita alle mie. «Andiamo?». Era a dir poco euforico.

«C-certo» risposi, disorientata. Avevo totalmente perso la cognizione del tempo.

Ci avviammo verso l'aula con Miss Ghigno alle calcagna, che non mi perdeva d'occhio un minuto.

 

Quando varcammo la soglia, ci si parò davanti uno spettacolo a dir poco fantastico. Tutta l'aula era in subbuglio. C'erano aerei di carta che volavano, gli studenti ridevano e scherzavano, nessuno seduto al proprio posto, la lavagna era piena di scarabocchi e qualcuno si era anche azzardato ad accendere la musica. Anarchia Time?!

«È finita la scuola?» chiesi stupidamente io. Poi realizzai che il professore non c'era: dov'era finito? Mr. Perkins era uno di quegli insegnanti che non si ammalavano mai, che se c'era uno sciopero generale lui era l'unico a venire a scuola, e quindi era impossibile che fosse assente.

«Ehi Ash, che succede?» chiese Ska ad Ashley.

«Ciao Ska! Ci chiedevamo dove eravate finite. Perkins oggi sta male, è andato a casa dopo pranzo ma non so il perché. L'unica cosa di cui sono certa è che mi sto divertendo come una matta!». E si vedeva bene!

«Ma cos'ha Rose? È proprio sulle nuvole!» la sentii chiedere a Scarlett.

«Mah, indovina??». Indicò Warren accanto a me. Lui mi stava guardando, forse pensava che mi fossi fatta di qualche sostanza stupefacente. Non sapeva quanto c'era vicino...! Peccato che la sostanza fosse lui.

Molto stranamente non mi venne la voglia di unirmi ai miei compagni a fare casino in quel momento, preferii starmene seduta su un banco a riflettere sulla mia attuale situazione. E che di solito ero io la più casinista di tutti, quella che si metteva a ballare e gridare "Su le maniii, su le maniii, everybody everybody su le maniiii!" e a trasformare l'aula in una specie di cabaret ogni volta che avevamo un'ora senza professori.

Mi diressi in fondo all'aula, il posto più tranquillo, seguita a ruota da Warren. Raggiunsi un banco vuoto e mi ci sedetti sopra. Misi i piedi sopra la sedia e afferrai la cartella; ne estrassi una penna viola e il mio diario dei Tokidoki. Adoravo quei cosini carinissimi e li disegnavo ovunque, inoltre il loro creatore era italiano, proprio come me! Non potei fare a meno di scrivere sulla pagina del giorno "OGGI GIORNATA FANTASTICA!!! Meglio di così la vita non potrebbe andare!! :D :D" con faccine felici e cuoricini fluttuanti. Annotavo sempre quando succedeva qualcosa di interessante, per non dimenticare.

Sbirciai attraverso la cortina dei miei capelli, che avevo lasciato ricadere alla mia destra per nascondere il diario, e scorsi Warren guardare fuori dalla finestra con uno sguardo assorto. Era appoggiato al muro con le braccia incrociate. Guarda che roba! Quasi quasi gli faccio una foto. In effetti il mio cellulare avrebbe bisogno di un nuovo sfondo... Quello con lo Stregatto mi ha stufata, ormai, e Warren sarebbe il soggetto perfetto!

Il mio piano diabolico avrebbe anche potuto avere buon esito, se non fosse stato che lui si girò verso di me.

Mi affrettai a nascondere il diario in cartella. L'ultima cosa che volevo era che vedesse tutte le pagine che avevo riempito con il suo nome.

Mi spostai il ciuffo di capelli dietro l'orecchio e anch'io lo guardai. Appoggiai una mano sotto il mento mentre lui si avvicinava verso di me. Si accomodò sulla sedia del banco vicino, sedendosi al contrario.

«Era bello il panorama, fuori dalla finestra?» chiesi, scherzosamente.

«Preferisco questo». Si riferiva a me, ovviamente, perché non stava osservando altro. Sentii le mie guance diventare rosse, ma questa volta non abbassai lo sguardo. Ormai l'imbarazzo se ne era andato.

«Wow, grazie». Sorrisi. «Beh, inutile che faccia commenti su di te, lo sai come la penso».

«Uhm, a dire il vero... no. Anche se forse qualcosa ho capito».

Quasi mi arrabbiai. «Ma dai, è così evidente! Cioè, non per dire eh, ma tutte quelle volte che ci siamo parlati... ogni volta che mi guardi, divento rossa. E ti dico sempre che con te sto bene! Per te cosa significa??»

Non rispose a nessuna delle mie domande. Continuava a contemplarmi. Io cercai di calmarmi, facendo un respiro profondo. Fissai il muro.

«Davvero stai bene con me?» mi chiese.

«Certo.»

«Allora Scarlett aveva ragione, dicendo che sei peggio di un gatto: vai in cerca del calore, eh?» mi prese in giro. «Comunque è simpatica, la tua amica. Forse potrei riconsiderare la tua proposta».

«Intendi quella di entrare nella nostra compagnia?». Solo all'idea ero euforica.

«Sì, però non conosco quasi nessuno, a parte Joe, che siamo molto amici» rifletté.

«Davvero?» chiesi io stupidamente, la solita ignorante che non sapeva un tubo del mondo che le girava attorno. «Come non detto, adesso che ci penso lo sapevo. Vi ho visti spesso in giro assieme. Ah ah, adoro quel ragazzo! È anche il mio migliore amico, lo sai? E Scarlett ha una cotta per lui dall'estate scorsa!».

«Ma non mi dire??». Era così evidente?

«Sì sì! E adesso devo prestarle uno dei miei vestiti per stasera: Joe l'ha invitata a casa sua. Dice che cucinerà lui, anche se non credo sia un bene... l'ultima volta ha bruciato tutte le cotolette e alla fine abbiamo dovuto mangiare solo un'insalata!». Feci una smorfia al ricordo. Mentre ridevo, mi girai automaticamente verso la cattedra dove Ashley e Scarlett stavano guardando le foto sul cellulare. Come mi voltai, Ska mi rivolse un'occhiataccia: evidentemente aveva sentito tutto attraverso i miei pensieri. Feci un sorriso enorme e la salutai con la mano e lei, invece che venire a picchiarmi, mi sorrise. Significava che mi aveva perdonata.

«Certo che tu e lei vi divertite tantissimo assieme». Warren si era avvicinato di più a me.

«Sì! Ci conosciamo dalle medie. Sai, mi sono trasferita qui negli USA dall'Italia quando avevo circa undici anni». Amavo raccontare di me stessa agli altri.

«Italia?» chiese lui, sorpreso. «Ma non sei americana?».

«No, e sono molto fiera delle mie origini» Sorrisi. Quanto poco che ci conoscevamo! «L'Italia è, beh... era, un paese fantastico. I miei genitori sono entrambi italiani. Mio nonno paterno era emigrato in America molti anni fa, per trovare lavoro, e si era portato dietro tutta la famiglia. Mio papà è stato cresciuto seguendo la cultura e le tradizioni dell'Italia, come lo sono io, e così, prima di sposarsi, è tornato al suo paese d'origine. Lì ha conosciuto mia mamma e, beh, siamo nati io e mio fratello Alex».

Sembrava affascinato dalle mie parole. «Dev'essere proprio un bel posto. Io non ci sono mai stato, mi piacerebbe andarci un giorno». Fece una pausa, mentre io pensavo a quanto "bene" si viveva lì con quei bellissimi politici che avevamo, con i tagli alla cultura e alla sanità, e all'altissima disoccupazione giovanile. Sì, proprio un bel posto.

Warren mi guardò, fortunatamente non potendo sapere quali pensieri omicidi mi stavano aleggiando nella mente. «Però sapevo che avevi un fratello».

Sorrisi. «Certo, e come faresti a non conoscere Alex...» ridacchiai, perché anche se l'anno scorso era il suo primo anno alla Sky High (lui aveva 15 anni e a Marzo ne avrebbe compiuti 16) era già diventato famoso, sia perché era mio fratello, sia perché era entrato a far parte della band della scuola come batterista, e soprattutto perché era un figo, punto. «Sai, adesso i miei l'hanno mandato in Svizzera da dei nostri zii per un viaggio-studio. Dovrebbe tornare fra qualche mese. È partito all'inizio dell'estate, aveva detto che non voleva stare via un anno intero. Beh, per avere la sua età è molto bravo, è sempre stato indipendente. Lui ha il potere di controllare l'elettricità, circa come mio padre. Gli voglio un bene dell'anima, siamo inseparabili!». Sorrisi. Se pensavo ad Alex, mi veniva un magone che non finiva più. Mi mancava tantissimo. «Ma adesso mi parli un po' di te? Mi piacerebbe davvero tanto conoscerti fino in fondo».

«Ok, se vuoi puoi farmi il terzo grado, sono qui apposta». Rise.

«Ah, l'hai detto eh!». Gli puntai un dito contro. «Va bene, cominciamo allora! Aspetta... posso farti una domanda?»

Warren alzò un sopracciglio come a dire ''ma se è quello che ti ho appena detto''.

«Cosa intendevi prima con "di solito cambia in base alle mie emozioni"? Mi riferisco alle tue fiamme».

«Beh, ecco vedi... mia madre ha il potere di controllare le emozioni e gli stati d'animo».

«Ah, come Joe, allora!»

«Non esattamente. Joe riesce a farti sentire felice, depresso, arrabbiato quando gli pare e piace, mia madre invece riesce ad estendere agli altri il suo stato d'animo. Ad esempio, se lei è triste, può far sentire triste anche te. Mi ha sempre raccontato che i suoi poteri tendevano a correre via da lei se non stava attenta, e per questo si esercitava con tecniche meditative e corsi yoga. Ha cercato di propinarli anche a me, ma per fortuna l'ho convinta che non era il caso». Ridemmo. «Mi ha raccontato un sacco di episodi divertenti che le sono successi. Ad esempio, ancora quando andava a scuola, un giorno era molto depressa perché le era andato male un compito, e si è ritrovata con l'intera mensa che piangeva. Un'altra volta era andata a scuola senza aver dormito abbastanza, e il risultato ottenuto è stato che tutta la sua classe si è addormentata sul banco».

«Ahaha! Che roba!» Era davvero divertente! «Ma quindi è per il potere di tua madre che riesci a regolare la tua temperatura?»

«Credo proprio di sì. Beh, non ci sono molte altre opzioni, no?». Sorrise, e io non potei fare a meno che ricambiare.

Non mi andava di fargli altre domande sulla sua famiglia, sapendo come reagiva quando si nominava suo padre.

«Comunque» cominciai «volevo chiederti scusa lo stesso, per prima». Mi riferivo a quando lo avevo usato come cuscino. «Diciamo che sono stata un po' invadente».

«Solo un po'?» chiese, scettico. Ci rimasi male.

«Ehm, un po' tanto, ok lo ammetto. Beh mi dispiace se ti ho dato fastidio».

Mi guardò strano. «Ma cos'hai capito? Stavo scherzando. D'accordo, è vero che all'inizio mi sono molto sorpreso quando ti sei avvicinata e ti sei appoggiata a me. Solo non me l'aspettavo, tutto qui.»

Le speranze tornarono subito. «Quindi... sei stato bene anche tu?»

«Certo». Lo disse come se fosse una cosa ovvia. «Sei morbida, mi piaceva come sensazione».

Eh? Ero... morbida?

«Wow». Portai le braccia dietro la schiena, appoggiando le mani sul banco. Mi scostai una ciocca di capelli dal viso.

«Cosa c'è?». Mi si era avvicinato di più, guardandomi in volto. Io avevo lo sguardo altrove.

«Mi sembra che sia tutto così strano! Che tutto stia succedendo troppo in fretta. Voglio dire, è solo la prima settimana di scuola!»

«E allora?»

Lo ignorai. «Di questo passo dove andremo a finire?». Davvero, ero abbastanza incredula.

«Beh, magari potremmo...». Lo fissai, curiosa di come avrebbe completato la frase. Ma non fece in tempo a finire che sentimmo Scarlett gridare: «Shhhhhh!!! Dobbiamo fare meno casino, altrimenti ci scoprono! Ehi tu, spegni quella cavolo di radio!». Ma non la ascoltavano. Allora urlò disperata: «Ashley fai qualcosa!!!» e subito la classe calò in un silenzio di tomba, grazie ai suoi poteri. Ska ed Ash si diedero il cinque («Dammi il cinque, sorella!»).

Sospirai. Scesi dal banco e, accomodandomi sulla sedia, con la coda dell'occhio vidi Warren alzarsi e uscire dall'aula. Mah.

Cos'avrei fatto lì, per un'altra ora senza il professore? Avremmo dovuto avere due ore di fila con Perkins, oggi. Due ore di Letteratura Inglese. E non avevo nessuna voglia di fare casino. Divertita, pensai che se Ashley fosse stata un'insegnante durante le sue lezioni non sarebbe volata una mosca. Ridacchiai.

Proprio in quel momento entrò in classe la vicepreside e tutti si alzarono in piedi. Warren rientrò appena in tempo, mantenendosi sulla soglia della porta.

«Allora ragazzi: il signor Perkins sta male, e probabilmente non potrà fare lezione per tutta la prossima settimana. Oggi le vostre lezioni finiscono prima: potete andare a casa!»

Appena pronunciò quelle parole, tutti gli studenti andarono in subbuglio, felici come non mai. Manco fosse l'ultimo giorno di scuola! pensai. Ma ovviamente anch'io ero molto felice!

Ci dirigemmo in massa verso l'uscita, con tutti gli studenti delle altre classi che si affacciavano alle finestre sorpresi, lamentandosi con "Ma uffa!" "Non è giusto!" "Anche noi vogliamo!".

Salutai Ashley, che si diresse da Chris e Joe, e salii in corriera, con Scarlett e Warren che mi seguivano.

«Ma tu non prendevi quell'altro autobus?» chiesi a lui.

«Oggi prendo questo» disse, e mi fece l'occhiolino.

Lo lasciai passare avanti, voltandomi verso Scarlett. «Ehm... Ska, ti dispiace se stavolta mi siedo vicino a Warren?». Ero sicura che mi avrebbe lasciato fare senza problemi.

Ammiccò. «Sono profondamente offesa».

«Grazie amica, ti devo un favore». Le feci un gran sorriso.

«Ma quale favore! Adesso sbrigati, il tuo ragazzo ti sta aspettando!»

«Ma cosa dici! Non è il mio...». Non mi lasciò finire e mi spinse nel corridoio dell'autobus.

Mi accomodai sul posto che Warren mi aveva riservato.

Gli sorrisi: «Ciao».

«Ciao, da quanto tempo che non ci vediamo!» scherzò.

Presi una mentina dalla tasca anteriore del mio zaino e me la appoggiai sulla lingua.

«Vuoi?». Allungai il pacchetto in direzione del ragazzo.

«A cosa sono?»

«Menta». Ne prese una. «Sono molto rinfrescanti» aggiunsi.

La osservò. «Un po' piccole, ma grazie». Se la mise in bocca.

Dopo un po' esclamò: «Cavolo, altro che rinfrescanti! Queste sì che sono davvero potenti! Ho la bocca congelata!». Mi sfilò la scatoletta di mano e la osservò. «È con queste che ti droghi, di solito?»

Gli mollai una sberla sulla spalla scherzosamente. «Spiritoso! Te l'hanno mai detto che sei scemo?»

«Adesso sì». Ridemmo e lui mi restituì il pacchetto di mentine. Ero ancora un po' sorpresa dalla confidenza che avevamo acquisito nel giro di pochi giorni. Ero così felice!

«Comunque ho notato che oggi hai parlato meno.» disse lui, di punto in bianco. «Sei stata abbastanza tranquilla mentre facevi i tuoi discorsi, non ti sei lasciata prendere dall'entusiasmo. Dev'essere stato un lavoro molto duro, per te». Ridacchiò.

«Sì, mi sono impegnata davvero tanto!»

«Apprezzo lo sforzo». Mi sorrise sincero, e io ricambiai il sorriso.

Per il resto del viaggio non parlammo molto, ero impegnata a leggere gli sms isterici di Scarlett, che si era seduta in fondo.

 

Eh no Rose, adesso esageri però!!!

 

Aprii la tastiera del cellulare.

 

Ma che ho fatto?

 

le chiesi, confusa.

 

Dopo ti spiego! Aspettati una bella predica muahahaha >:D

 

Ci stavo capendo sempre meno.

 

"Dopo" quando???

 

E lei mi rispose:

 

Eh, dopo ah! Beh ti devo dire una cosa

 

Misi da parte la sua pazzia e appoggiai la testa sullo schienale del sedile. Ero pronta al peggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Dettagli non trascurabili ***


10. Dettagli non trascurabili


Quando scendemmo, dopo aver salutato Warren, vidi Scarlett che mi seguiva.

«Ehi, che fai?». Di solito prendeva la strada opposta alla mia.

«Vengo da te». Da quando in qua??

«Ué, nessuno ti ha detto che puoi venire a casa mia» dissi sulle difensive, ma in realtà scherzavo.

«Infatti, mi sono auto-invitata».

Tanto per cambiare..., pensai divertita.

Ci dirigemmo verso la mia dimora, che era poco distante dalla fermata. Presi le chiavi dallo zaino e aprii la porta, e subito Glitch e Pixel entrarono alla velocità della luce.

Appoggiammo i bagagli vicino all'entrata e io diedi da mangiare ai gatti prima che decidessero di papparsi me.

«Allora, cosa devi dirmi?» chiesi disinteressata aprendo il frigo.

«Niente» mi rispose lei dal divano. Aveva in mano il suo cellulare. «Hai fatto il budino?»

«Sì, ce ne sono ancora due ciotole in frigo». Le presi e gliene porsi una, insieme a un piattino su cui rovesciare il dolce. Il quale era al cioccolato, ovviamente.

«La Specialità di Rosalie è gratis, per lei». Le sedetti di fianco. Era ovvio che stava temporeggiando. Ripresi subito il discorso. «Ma come niente? Dopo tutto quello sclero mi dici che non devi dirmi niente?!».

«Qualcosa da dirti ce l'ho». Prese una cucchiaiata. «Non credi di stare un po' esagerando?»

«Non mi sembra, perché? Ma intendi con Warren?»

«No, con mio nonno! No dai, siamo serie. Secondo me ti stai prendendo un po' troppa confidenza».

«Tu credi?»

«Forse sì. Comunque non ti voglio mica ostacolare, sia ben chiaro!».

«Ci mancherebbe altro!». Feci una voce sconvolta. «Sì, comunque hai ragione. Aspetta un attimo signorina! Si può sapere cosa c'entravi tu oggi dopo pranzo quando ero lì con Warren?». Quando mi ero svegliata me la ero trovata di fronte come se niente fosse.

«Ero venuta lì per tenerti d'occhio. Ma non ti preoccupare, ero appena arrivata. E a proposito del discorso dell'esagerare, mi riferivo appunto a quello. Non al resto, figurati!»

«Lo so! Ma non potevo farci niente, non l'ho deciso io!»

«Già, ma non sai quanto era felice! Aveva di quei pensieri...!» e mi guardò maliziosa.

«Dai, racconta! Era proprio quello che volevo domandarti.»

«Dunque... comincio dall'inizio, ok? Appena gli hai preso la mano si è sorpreso, e dopo ha deciso che gli andava molto bene come situazione, perciò ha intrecciato le vostre dita. Giusto?»

«Sì sì! Ma non sai che roba! Io che avevo il cuore che batteva a tremila e lui con la sua mano calda...e poi lo hai sentito quando mi ha detto "ma se vuoi che ti faccia caldo non ci sono problemi"??? Là sì che mi sono venuti un sacco di pensieri ma la parte peggiore è stata quando ha avvolto le nostre mani con le fiamme! Stavo da dio, la sensazione più bella dell'universo!»

«Wow! Non avevo colto tutte queste sfumature! Beh, a dire il vero stavo seguendo i pensieri di Warren, più che i tuoi. Anzi non ti ho ascoltata proprio!!»

«Meglio, così posso raccontarti tutto adesso!»

«Continua» mi incitò.

«Era proprio un bel terpore...»

«Guarda che si dice tepore». Fece una pausa. «O torpore».

La guardai. Da quando in qua era lei l'esperta linguistica? «Sì, lo so, infatti questa parola l'ho inventata io. E se fosse un misto fra le due? Hai problemi?» scherzai.

«Cioè, intendi dire che stavi bene al calduccio e allo stesso tempo ti sentivi come se fossi drogata?»

«Più o meno...»

«Lo sapevo che Warren ti avrebbe fatto quest'effetto.»

«Dovevo immaginarlo». Incrociai le braccia, facendo finta di essere arrabbiata. Poi non ce la feci e aggiunsi: «Comunque... anche se mi fa quest'effetto... è UNO STRAFIGO!!»

Ska mi guardò male, ero proprio una causa persa. Sbuffai e le dissi: «Beh, sinceramente non so bene come mi sentivo. L'unica cosa di cui sono sicura e che mai sono stata meglio di così».

«Questo l'ho capito, è tutto adesso che lo ripeti».

Ahah. Aveva ragione. Mi allungai sul mio posto, appoggiando la testa sullo schienale del divano e socchiusi gli occhi, ripensando a tutti i bei momenti che avevo passato oggi.

«A cos'hai pensato quando ti sei appoggiata a lui?»

«Ho pensato: "I am walking on air...! ♫"» canticchiai. «No, sinceramente non te lo so dire. Lui aveva frainteso che non volevo che mi tenesse la mano, credo perché ero assente. E allora mia fa: "Non vuoi?" e io: "No no ti prego sto da dio così, è una sensazione magnifica" perciò in quel momento mi è venuto in mente che è da lunedì che non dormo e, siccome stavo troppo bene, senza pensarci due volte mi sono stretta a lui e ho chiuso gli occhi. Ma dopo cosa è successo?».

Si morse un labbro e cercò di trattenere una risata. «A un certo punto hai cominciato a mugugnare qualcosa come "Mmmm....Warren", hai stretto la sua maglietta e poi lo hai abbracciato e ti sei tipo strusciata su di lui. Ecco, proprio come sta facendo Glitch. Eri uguale!». Indicò Glitch che le si stava strusciando sulla gamba e scoppiò a ridere come una matta.

Mi portai le mani davanti alla bocca. «Noooo sul serio?? Oddio!!! E lui come ha reagito?!»

«All'inizio ha fatto una faccia!!! Dovevi vederlo, era da foto! Ha sbarrato gli occhi ed è indietreggiato, poi, vedendo che non lo mollavi e che avevi un sorriso enorme, senza nessuna intenzione di cambiare espressione, ti ha stretta a sé. E sai cos'ha pensato?»

Non stavo più nella pelle. «Dimmelo ti prego!»

«Ha pensato, testuali, ehm, pensieri: "Finalmente... che bella che è, proprio splendida. Oggi non potrei essere più felice. È fredda, ma non mi dà fastidio, anzi! Vorrei poterla stringere per sempre fra le mie braccia. E lei è felice. Mi sembra tutto impossibile! È così bella anche mentre dorme..."». Scarlett si fermò col racconto e si mise a riflettere. «Devo dire che i suoi pensieri erano abbastanza confusi. Non sai che lavoraccio, tradurli in un discorso comprensibile!».

Ma io ormai non l'ascoltavo più. «Nooooo non ci credo! Lui che mi stringeva a sé e io che non me ne sono neanche resa conto! Ma dov'ero??? Cioè, no, sappiamo entrambe che ero lì. Ma voglio dire: non è una cosa razionalmente possibile!!». Ero abbastanza sconvolta.

«Rose, calma!» mi disse Scarlett.

«E dopo che è successo?»

«Tu l'hai abbracciato più forte e gli hai messo la testa sotto il mento. E poi... ehm...»

«Oddio, che ho combinato?». Panico.

«Gli hai baciato il collo».

Rimasi pietrificata.

Scarlett, vedendo la mia espressione, mi chiese: «Ma scusa, non lo sapevi?».

«No, ah! Ti ho detto che non ero cosciente!»

«Siete rimasti in quella posizione per mezz'ora! E poi lui-»

«Ohssignore, cosa c'è ancora??»

«Voleva baciarti.»

La fissai, con occhi e bocca spalancati. «Mi è caduta la mascella».

«Vedo!» rise.

«Ma lo ha fatto...?». Sperai in un sì.

Lei rideva ancora. «Hah - no!» e giù con un'altra risata.

«Ma...! Perché?»

«Ha pensato: "E se lei non volesse? Magari vuole che rimaniamo solo amici"»

«Sì, proprio amiconi!! Ihihi» ridacchiai.

«Aspetta! Non ho finito! Subito dopo ha riflettuto: "Però da quello che mi ha detto prima potrebbe non essere così"». Mimò le virgolette con le dita, citando le mie parole: «"Io con te sto bene"».

«Chissà cos'ha capito!» aggiunse.

«Va' avanti»

«No, niente, ha continuato ad abbracciarti».

«Mh». Mi venne in mente una cosa. «Hai notato anche tu che quando l'ho lasciato andare e mi sono alzata era deluso?»

«Certo! Ti ho appena detto che avrebbe voluto stare ancora lì con te».

Non potei fare a meno di sorridere. Poi però mi tornò un altro pensiero. «Perché mi hai scritto questo?». Le mostrai il mio cellulare con il messaggio che mi aveva inviato per primo.

«Come "perché"?! Te l'ho detto prima.»

«Voglio dire, perché me l'hai scritto solo dopo, quando ormai tutto era passato ed eravamo in corriera?»

Cercò una spiegazione credibile al suo "eh no però adesso esageri, Rose!". Alla fine optò per: «Perché le pacche sulle spalle si danno solo agli amici che si conoscono bene!»

Alzai un sopracciglio. «Non credi che lo conosca abbastanza da potermi permettere una certa confidenza?»

«Ricordati che è solo la prima settimana. Cosa farai, sennò, per altri nove mesi?». In fondo aveva ragione.

«Quindi dici che dovrei aspettare prima di, ehm... di approfondire la nostra relazione?»

«Secondo me sì» mi consigliò.

La abbracciai. «Non saprei cosa fare senza di te, Ska».

«Eh, già, cosa faresti senza di me?»

Lei mi sorrise e poi ci lasciammo andare ad una risata leggera e spontanea.

«Sarei un animale selvaggio in giro per New York! Mi avrebbero già rinchiusa al canile!» O al manicomio.

«La Stregatta Matta Rosalie ha bisogno di una museruola!» e giù a ridere di nuovo. Mi chiamava con quel soprannome, che era il mio preferito, perché ero innamorata dello Stregatto.

La guardai, ma con sorpresa vidi nel suo volto qualcosa che non andava. Se era vero che "il volto è lo specchio dell'anima", allora il caso era quello.

Stavo ancora cercando di capire come mai aveva un'espressione così strana, quando un'intuizione improvvisa mi baluginò in mente e mi venne un dubbio. «Ehi Ska...» la fissai intensamente, per vedere se la mia supposizione era esatta. «Non è che mi hai mandato tutti i messaggi per distrarmi, vero?». Lei non manteneva il contatto visivo, quindi supposi di sì. «Non sarai mica invidiosa?».

All'inizio lei fece finta di non sentire, poi mugugnò un «nnnnnooo...», ma alla vista del mio sguardo si obbligò a confessare. «Sì ok è vero, sono invidiosa! Ma non di Warren, ma del fatto che ti riserva così tante attenzioni anche se è da poco che vi frequentate! Invece Joe... beh, lo hai visto. Una volta si comportava in modo del tutto naturale sia con me che con te, invece ora te ti tratta come ha sempre fatto, mentre me sembra che sia la prima volta che mi vede in vita sua! Spero proprio che stasera mi spieghi tutto. Non può andare avanti così ancora per molto!»

Capii che Ska era sul piede di guerra. «Sì, l'ho notato anch'io, infatti voglio che tu stasera sia perfetta, così non potrà resisterti e si spiegherà. Hai mai provato a leggere i suoi pensieri?»

Sbuffò. «Sì, ma sai che lui riesce ad impedirmelo. E quelle poche volte che ci riuscivo, lui aveva in mente cavolate, tipo "quanti studenti nuovi" o "era meglio se mi fossi scusato prima con Warren" oppure-»

La interruppi subito: «Come come? Scusarsi con Warren? Ma...-»

«Ah già, dimenticavo di dirtelo: sai no che lui e Joe sono migliori amici; beh, avevano litigato, ma non so per cosa, ed era per questo che Warren, mercoledì, si è arrabbiato e se ne è andato, ti ricordi? Ecco»

«Certo che me lo ricordo» dissi, come cosa ovvia. Tuttavia non volevo impicciarmi ulteriormente negli affari del ragazzo, me l'avrebbe raccontato un'altra volta. Per distrarmi guardai l'orologio e presi paura: erano le cinque e Ska aveva solo tre ore per prepararsi!

«Santo cielo! Guarda che tardi!» esclamai. «Orsù amica, è ora di prepararsi.»

«Ma se l'appuntamento è alle otto!!!»

«Appunto! Sei in ritardo! Dai, vai a farti un bel bagno caldo, per prima cosa. Io intanto posso sceglierti il vestito?»

«Sì sì, fai pure, l'esperta di moda sei tu, qui. Comunque ricordati che non è un ballo di gala, eh...»

«Non importa! Uno o l'altro è la stessa cosa!»

Così dicendo la spinsi in bagno, lanciandole docciaschiuma profumati, saponi vari e asciugamani dalla camera alla stanza, poi aprii il mio armadio e, sfregandomi le mani («Questo è un compito adatto alla sottoscritta!») cominciai a disporre le varie opzioni di vestiario sul mio letto.

 

Alle otto in punto Scarlett era pronta. La pettinatura se l'era fatta lei (che era una maestra con i capelli) e io le avevo propinato un vestitino scollato corto alla coscia, color argento. Avevo sempre pensato che le stesse benissimo, e che si abbinava benissimo ai suoi capelli blu. Le rifilai anche una delle nuove paia di scarpe che avevo acquistato la scorsa estate. Décolleté nere tacco 12, secondo me erano perfette. E Joe di sicuro le avrebbe sbavato dietro. Le prestai anche uno scialle nero intrecciato con dei filamenti argentati per coprirsi le spalle.

Ignorai le sue lamentele («Guarda che non sto andando in discoteca!») dicendole che ogni occasione era speciale, poi la accompagnai fuori per aspettare Joe, che veniva a prenderla in macchina. Dopo un quarto d'ora arrivò (gliene avrei dette su tante per averla fatta aspettare! Ma avrei rovinato loro tutta la serata), li salutai e quando partirono tornai in casa.

Ed eccomi là, tutta sola a fare la zitella. Almeno avevo i miei due gatti a farmi compagnia. Ecco sì, zitella al cento percento.

Cosa potevo fare per tutta la serata?

Era sabato, di solito uscivo a fare festa con le mie amiche, ma dopo tutto quello che era successo nei giorni precedenti volevo concedermi un po' di relax.

Avrei potuto mettermi al computer a continuare la storia. Naah.

Avrei potuto finire quel disegno che avevo cominciato la scorsa settimana su Photoshop. Naah, non avevo l'ispirazione, quindi niente matite e pastelli. E nemmeno tavolette grafiche.

Avrei potuto continuare la maratona di The Big Bang Theory, ma non ero dell'umore giusto.

Mi venne un'idea assolutamente assurda: chiamare Warren e trascorrere insieme a lui le altre tre ore prima di andare a dormire. Che pazza, pazzissima cosa.

Ancora prima di rendermene conto, avevo già acchiappato il mio cellulare e selezionato il suo numero nella rubrica. Dopo qualche secondo di attesa mi rispose una voce registrata che diceva: «Servizio gratuito: il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o irraggiungibile.»

Ecco, ben ti sta, Rosalie. Così imparavo a farmi venire strane idee.

Sospirai, mi diressi in camera e mi distesi sul letto. Presi in mano il mio block notes e scrissi un appunto di un episodio per la mia storia. Poi afferrai il manga che avevo cominciato la settimana scorsa e iniziai a leggere, cercando di immedesimarmi nella liceale protagonista il cui più grande problema era quale dei suoi corteggiatori scegliere (sì lo so, che cavolo di manga avevo comprato, non chiedetemelo perché non lo so neanch'io), ma con molto poco successo. Davvero, era impossibile pensare a qualsiasi altra cosa che non fosse la giornata appena trascorsa.

Alla fine ritrovai me stessa a stilare una lista delle cose da fare il giorno dopo, domenica. La mia camera aveva decisamente bisogno di una ripulita. E, soprattutto, di una messa in ordine.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Vecchi ricordi ***


11. Vecchi ricordi


Quando la mattina dopo mi svegliai, mi sentivo benissimo. Ero riuscita a riposarmi ed ora ero nel pieno delle forze. Beh, per quanto lo si potesse essere di domenica.

Presi in mano il foglio con i compiti della giornata e guardandomi attorno presi paura. Ora che la mia mente era sgombra da qualsiasi pensiero riguardante Warren, mi resi conto che quella settimana non avevo combinato proprio niente: c'erano vestiti dappertutto, maglie fin sopra la scrivania, fogli con appunti anche sotto il cuscino del letto, disegni che ormai erano così tanti che dovevo metterli dentro negli armadi, e il pavimento era pieno di matite, pastelli, pennarelli e di ogni genere di attrezzi da disegno.

Con un sospiro così lungo che mi svuotò i polmoni, mi alzai, mi stiracchiai e mi diressi in bagno, poi in cucina, con i gatti che mi seguivano ovunque. Tornai nella stanza da letto con una tazza di cappuccino in mano e mi vestii con abiti comodi. Mi armai di molta buona volontà e di olio di gomito, e cominciai a fare le pulizie.

Avevo quasi finito quando trovai una cosa, nei cassetti della scrivania, che mi fece fermare.

Era il mio diario. Il mio diario segreto che avevo cominciato a scrivere ancora da quando ero alle medie.

Da quanto lo cercavo? Da anni, probabilmente. L'ultima volta che lo avevo usato era tre anni fa, quando ero in prima superiore.

Le chiavi erano appese al lucchetto, quindi lo aprii e cominciai a sfogliarlo.

 

18 Giungo 200*:

Caro diario,

oggi è il mio dodicesimo compleanno e mi è successa una cosa incredibile! I miei capelli hanno cominciato a diventare azzurri, però solo su dei ciuffi. Questo significa che il mio potere si è formato del tutto! La mamma dice che ora devo cominciare a stare attenta perché potrei fare del male a qualcuno. Il papà è felicissimo! Alex continua a prendermi in giro e dice che sembra che mi sia colato un barattolo di tempera giù per la testa (perché l'azzurro per il momento è solo alla radice dei capelli) ma io non gli bado.

Quando l'ho detto ad Amber anche lei era contentissima e abbiamo festeggiato insieme!

 

Non volli leggere oltre.

Amber era stata la mia migliore amica alle medie. Io e Scarlett avevamo cominciato a frequentarci davvero solo dalle superiori, prima eravamo normali compagne di classe, amiche del gruppetto della ricreazione. Ashley invece l'avevo conosciuta alla Sky High. Alla fine della terza media, Amber mi aveva fatto un tiro davvero meschino e aveva cominciato a cambiare completamente carattere, comportandosi da oca "Io-sono-la-regina-del-mondo" e guardando tutti dall'alto in basso, come a dire «Tu, essere inferiore!». E ora frequentava la mia stessa scuola. Per fortuna non l'avevo ancora rivista quella prima settimana. Anche lei era al corso Eroi e aveva il potere di controllare il tempo atmosferico.

Non volevo ripensare a quell'amicizia persa per delle cavolate (anche se cercavo di convincere me stessa che non me ne importasse più niente, ormai), perciò saltai tutta la parte riguardante i tre anni di scuola media. Però lessi le lettere che mi aveva scritto Amy (diminutivo di Amanda), che in quel periodo era stata la mia seconda migliore amica, anche se era in un'altra classe, e che ora però non frequentava più mia stessa scuola. Purtroppo non ci sentivamo da molto tempo, dopo le medie ci eravamo completamente perse di vista.

Sfogliai il diario e arrivai al primo giorno di superiori. Rileggendo quello che avevo scritto, sorrisi ai bei ricordi.

 

17 Settembre 20**

PRIMO GIORNO DI LICEO! Alé!

Sono così felice! È tutto fighissimo!

Da dove comincio? Ci sono talmente tante novità!

In classe siamo 15, e siamo tutte femmine! Che pacchia, niente maschi rompiscatole :D

Ci si perde nella scuola (non mi ricordo più in che aula sono), ma è bellissima! Tutta nuova...ed è in alto nel cielo! Non per niente si chiama "Sky High" :D

Alla prima ora ci hanno fatto fare il giro della scuola e ho conosciuto la rappresentante degli studenti: si chiama Gwen Grayson ed è in seconda Scientifico. È tecnopatica, cioè controlla la tecnologia con la mente. Questa scuola è piena di gente fighissima! Finita l'esposizione sono andata da lei assieme a Scarlett per fare amicizia. Abbiamo conosciuto anche la sua amica Penny, che è una cheerleader, e due ragazzi simpaticissimi, anche loro amici di Gwen: si chiamano Mike Speed e Fred Lash, ma tutti li chiamano Speed e Lash. Sono tutti e due fuori di testa xD Come Gwen e Penny, anche loro sono già in seconda.

Dopo la presentazione ci hanno fatto il test di "Inquadramento Potere" e io sono stata assegnata al corso Eroi, per fortuna. Gli altri studenti mi hanno già affibbiato il soprannome di "Freeze Girl". Mi piace un sacco!

In ricreazione mi sono ritrovata con Scarlett (come ai vecchi tempi! xD) e ho il presagio che diventeremo grandissime amiche. In classe nostra abbiamo conosciuto una ragazza che si chiama Ashley, è un mito! Ha il potere di controllare il suono e vuole diventare una dj. Io, lei e Ska siamo già il terzetto fortunato! XD Meno male che ho già delle amiche... ero un po' preoccupata, perché oltre a Scarlett non conoscevo nessuno... di Amber non ne voglio più sapere, si è già fatta altre amicizie e fa il Turistico quindi per fortuna non la devo vedere ogni giorno in classe. Invece Amy si è trasferita in Canada, uffa! :'(

 

La parte successiva però mi fece venire una nostalgia che non vi dico...

 

Ah sì... di solito in ricreazione mi fiondavo fuori dalla classe e sfrecciavo nei corridoi fino alla classe di Amy per parlarle, «Amy Amy Amy!!!» e invece d'ora in poi non sarà più così :'(

Se ci penso troppo mi viene un magone così, quindi...

Anche il clima delle medie, la classe, l'aula, la scuola, i compagni, perfino i professori... mi ci ero affezionata e mi sentivo a casa! Che bella la scuola... a fare i giri giù dabbasso e poi su... che bello!

E Manuel... come farò??? Io fuori dall'aula di scienze che facevo «Romeo, perché sei tu Romeo!»

Che bei ricordi! E lui che rideva... non me li dimenticherò mai! Che peccato che siamo stati insieme così poco, se non fosse stato per quella brutta... vabbè dai lasciamo perdere, tanto ormai non posso farci più niente.

Vabbè, con questo ti lascio, sono le 21 e 57 e 36 secondi... se mi addormento sul banco già domani, cosa diranno??

Ciao diario, conserva per sempre i miei ricordi.

 

Anche se nelle ultime righe quando le avevo scritte mi ero messa a piangere, ora non potevo fare a meno che sorridere. Come si cambiava, con il passare del tempo... Sì, le medie per me erano state degli anni bellissimi, il classico periodo di passaggio dalle elementari alle superiori in cui potevi permetterti di fare casino anche in classe. Ovviamente, senza esagerare, ma se non lo facevi là non lo facevi proprio più! Era stato un momento importantissimo della mia vita, essendomi trasferita in America dall'Italia, ma almeno avevo avuto la fortuna di poter cominciare la scuola media dal primo anno.

Nelle pagine successive raccontavo di come cominciassi ad ambientarmi nella nuova scuola e a fare nuove amicizie.

 

Ho conosciuto uno, che si chiama Joe e fa la seconda. È troppo simpatico! E se devo dirla tutta è anche un gran figo! Oggi mi fa: «Se vuoi per capirti meglio nella scuola ti regalo un GPS!» ahaha e anche Ska è diventata sua amica!

Poi oggi avevo provato il lucidalabbra che ho comprato ieri, e ho baciato Joe sulla guancia (perché voleva far ingelosire una che gli correva dietro...io e Ska abbiamo riso come matte a vedere la faccia che quella ha fatto quando mi ha vista!!) e quando mi sono staccata lui si tocca la guancia e fa: «Ma che schifo hai messo su?!» Ahaha un ridere!

Comunque non ho trovato ancora un ragazzo che mi piaccia davvero, qua a scuola. Ce ne sono sì, di carini, ma lo sai che io ho gusti difficili. Prima di farmene piacere uno ce ne vuole...!!!

 

Ovviamente mi contraddicevo qualche pagina dopo.

 

Come non detto!!!

Oggi ho visto il più superfigo, ma che dico, il FIGHEST (superlativo assoluto in inglese) dei fighi!!!

No sul serio, sono rimasta scioccata!

Magari era solo una visione. Esistono gli dei greci? Beh, allora uno è a scuola mia.

Solo che sinceramente non so perché mi sia piaciuto così tanto già alla prima vista... (e che io da lontano non ci vedo tanto bene). Di solito non mi piacciono quelli con i capelli lunghi (ce li ha lunghi quasi fino alle spalle), ma a lui stanno benissimo. Ma sono neri (beh, non proprio, sono castano scuro), e lo sai che la prima cosa che guardo in un ragazzo sono i capelli!!

E il suo viso è bellissimo, ha dei lineamenti semplicemente perfetti. E il fisico poi??? Neanche a parlarne, starei già sbavando e tutto l'inchiostro sarebbe colato e non capirei più niente di quello che ho scritto!!!

Calma Rose. Prendi un respiro. Non mi morire, va'.

 

Risi ancora di più leggendo la pagina successiva, scritta tre giorni dopo.

 

Joe ti odio!!! Smamma dalla mia vista!

Quel brutto cretino sai cosa mi ha detto??? Mi ha detto che Tizio Incognito è in classe sua!!! Cioè, io tutti questi giorni che mi faccio un sacco di casini per capire chi sia, e poi questo che salta fuori a dirmi che sono in classe assieme e sono amici!!!

Ma io non so eh. Beh, tanto mi vendicherò.

(Comunque sembrava restio a darmi ulteriori informazioni... bah...)

Ah! Sai come si chiama quel figo??? Warren Peace!

Quando l'ho scoperto mi è caduta la mascella. Se è quel Warren Peace, allora forse dovrei stargli distante.

Ma secondo te me ne frega??? Ma neanche un po'.

Preparati, caro il mio Ciccio, tanto prima o poi sarai mio. Muahahaha.

 

Non ce la facevo più: avevo i crampi alla pancia a forza di ridere!

Purtroppo nelle pagine seguenti non avevo scritto molto: supposi che di lì a poco dovevo aver perso il diario.

Che ovviamente era in uno degli incasinatissimi cassetti della mia scrivania.

Lo chiusi di nuovo col lucchetto e lo infilai nel comodino. Mi misi a pensare come in certe cose non ero cambiata affatto, ad esempio nell'architettare piani diabolici.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Relazioni ***


12. Relazioni

Alla sera mi addormentai con le cuffie sulle orecchie con la musica Hardstyle. Era da tanto che non l'ascoltavo, chissà perché me ne era tornata la voglia di punto in bianco proprio ora. Era stato il mio genere musicale preferito in prima superiore; simile all'Hardcore, ma un po' più lento, e si ballava con un ballo chiamato Shuffle (sì, quello di ''Party Rock Anthem'').

Mi ero messa la canzone di Katy Perry "Hummingbird Heartbeat" come sveglia, perciò non maledissi niente, sebbene fosse lunedì. Ero riposata.

Decisi di cominciare la settimana vestendomi appunto in stile Hardstyle: mi misi una maglia a maniche corte nera, scollata e aderente, bianca da sotto il seno in giù. Avevo troppo caldo per indossare una felpa. I pantaloni tipici di questo stile erano i Phat Pants: stretti in vita, arrivavano fino ai piedi allargandosi man mano; il colore base era il nero, con strisce o disegni fluorescenti. Un elemento caratteristico erano delle bretelle chiamate "Suspenders" attaccate alla cintura, sempre fluorescenti, che partivano da davanti e si incrociavano dietro, facendo una "U" ai lati delle cosce. I miei Phat Pants avevano le strisce azzurre e verdi, le bretelle azzurre, e una stella grande con una più piccola al centro, su ogni gamba. C'erano anche delle stelle più piccole, bianche.

Mi infilai le converse nere anche se venivano nascoste dai pantaloni, i guanti neri senza dita (non a rete), e una collana con le stelle che, insieme al braccialetto regalatomi da Warren, si intonava benissimo ai disegni sui pantaloni.

Mi piastrai i capelli, che di solito mi ricadevano a dolci onde sulla schiena, e, dettaglio immancabile, mi misi il cappellino nero e bianco in testa.

Stavo per afferrare la mia cartella quando mi venne l'idea di scrivervi con lo Sharpie bianco "No one can stop us – WE ARE HARDSTYLERS". Sì, davvero perfetto, pensai ammirando la mia opera.

Poi mi misi matita nera e ombretto azzurro fluorescente, perfettamente intonati ai miei occhi azzurri, e mi innamorai del mio riflesso nello specchio. Ah ah, scherzavo. Però era da tanto che non mi vestivo così, ed ero contenta di tornare ai vecchi tempi.

Ma tutto quel mio entusiasmo stilistico mi fece arrivare in ritardo a scuola, perché dovetti prendere l'ultima corriera, quella per i ritardatari cronici come me. Ma ne era valsa la pena.

 

Finii sotto i riflettori quando arrivai in classe.

Il professore mi squadrò da capo a piedi («Scusi per il ritardo, prof») e mi fu ancora più difficile raggiungere il mio posto in fondo all'aula senza che tutti mi guardassero come se fossi Lady Gaga vestita di bistecche capitata lì per caso.

Il prof sospirò e si voltò di nuovo verso la lavagna, cominciando la lezione.

Quando mi sedetti mi accorsi che il mio compagno di banco era nientemeno che Warren Peace. Anche lui mi stava squadrando.

«Che c'è?» sussurrai, un po' indignata. Lui mi fece segno di "dopo" con le dita, poi indicò l'insegnante.

Gli scarabocchiai sul banco un "Ok" e questa volta stetti attenta alla lezione (anche se mi risultò davvero un'impresa).

Quando la campanella suonò, mi alzai dal banco e mi diressi agli armadietti in corridoio, seguita da Warren.

«Sì ma dai però!» disse lui divertito. «Avevo appena cominciato a capire qual era il tuo stile e tu mi salti fuori conciata così...!».

«Abituati, mi vesto a seconda di come mi gira» risi.

Feci per prendere su la mia cartella, ma Warren fu più veloce di me.

«"We are hardstylers"?» chiese, alzando un sopracciglio. «Che roba è?»

Lo fulminai con un'occhiata ma risposi: «Sono quelli che ballano l'hardstyle». Lui fece uno sguardo ancora più interrogativo perciò spiegai: «È la musica tipo hardcore, che si balla con il Melbourne Shuffle, ma è un casino da spiegare. Dopo ti faccio vedere» e feci un sorriso furbo.

«E si vestono tutti così?». Mi indicò.

«I pantaloni sì, poi il resto uno si inventa gli abbinamenti. Di solito si usano le felpe larghe, ma con questo caldo...»

«Sì, e poi sennò non potrei più abbracciarti».

Cercai di reprimere l'impulso di saltargli addosso.

In quel momento arrivò Scarlett, che invece di squadrarmi si mise a ridere.

«Noooo da quant'è che non li portavi?» Le erano sempre piaciuti quei pantaloni, perché era un'appassionata di colori fluo.

«Da ere, direi! Ma oggi mi è venuta l'ispirazione, e allora...» Sorrisi.

«Forte il trucco! Mi devi prestare questo ombretto! È da secoli che lo cerco!»

«Ma e tu piuttosto?? Com'è andata sabato sera? Ieri ho provato a chiamarti ma mi diceva che avevi il cellulare spento!»

«Era scarico! E sì, è andato tutto benissimo, ma ti racconto dopo ciao!» e con questo corse via, saltellando euforica.

La guardai piena di domande, ma poi la campanella suonò e dovetti tornare in aula. Seguita da Warren, il che era veramente una buona cosa. Eh eh eh.

Nelle due ore seguenti avevamo Tedesco, perciò stetti attenta a non farmi sgamare dalla prof che disegnavo, come sempre succedeva. Anzi, non toccai proprio la matita.

Un quarto d'ora prima della ricreazione però, afferrai un bigliettino e vi scrissi, senza farmi vedere dalla professoressa:

 

Per caso Joe ti ha detto se lui e Ska si sono messi assieme?

 

Lo passai a Warren sotto il banco. Dopo qualche secondo me lo ritornò con la risposta.

 

No, stamattina non l'ho sentito. Ma credo di sì perché sono sempre assieme da quando sono arrivati.

 

Commentai.

 

Ah! Sabato sera ho provato a telefonarti ma mi diceva "spento o irraggiungibile"...

 

Scusa, mi sono dimenticato di dirtelo. In vacanza mi hanno fregato l'iPhone che mi aveva regalato Joe e non ne ho ancora comprato uno nuovo. Adesso ho un altro numero, se vuoi te lo do.

 

Eh grazie!! Ti credo che tutte quelle volte che ti ho chiamato non ti trovava! Dirlo prima no eh?!

(P.S.: comunque sei sfigato :D)

 

-.- vabbè. È che assieme al mio telefono, ho perso anche la SIM con tutta la rubrica, e di conseguenza anche il tuo numero.

Questo è quello mio attuale:

 

Mi scarabocchiò dei numeri in fondo al pezzo di carta e quando finì lo presi e me lo misi in tasca, per ricopiarli più tardi nel mio cellulare. Mi voltai verso Warren e lo vidi strappare un angolo da un foglio del suo quaderno e scriverci sopra qualcosa. Mi passò la carta e io vi lessi:

 

...e perché mi avresti cercato?

 

Spalancai gli occhi, lo guardai e mi arrabbiai a vedere l'espressione sfacciata che mi rivolse.

 

Beh, perchè tu mi piac...-erebbe conoscere la tua opinione su...oh, lasciamo perdere che è meglio

 

Ehehehe tanto ho capito sai...

 

Uè, non fare il furbo con me!

 

Tanto non mi scappi.

 

E io ti lego alla sedia con una corda!

 

E io ti prendo e ti porto in camera. Scommetto che non opporresti nessuna resistenza.

 

Uè ciccio, ma chi ti credi di essere?

 

Il tuo ragazzo fra un po'.

 

Io non ti ho mica detto niente...

 

Vabbè, se non vuoi... non sai che ti perdi... muahaha

 

IL MUAHAHAH È MIOOOOOO capito?!?

 

Tu sei mia.

 

Non credo proprio.

 

E io ti rubo.

 

E io scappo.

 

E io ti seguo e tu non opponi resistenza.

 

Ecco, bravo, e io non oppongo resistenza. Alla fine l'hai capito xD

 

Lui rise e in quel momento (per nostra salvezza) suonò la campanella. Infilai nel diario quella nostra conversazione memorabile e piena di contenuto e raccolsi le mie cose nello zaino, poi mi avviai con Warren in corridoio. Lui mi prese per mano senza preavviso e io rischiai di cascare per terra.

Me la lasciò solo quando arrivammo alle scale dell'entrata, e si scusò quando dei suoi amici lo chiamarono, perciò mi diressi da sola verso il mio gruppo. Intanto guardai felice Warren chiacchierare con quelli che erano i vecchi membri della band della scuola. C'erano anche Ashley, l'addetta al mixer, e Chris, il cantante. L'anno prima Chris mi aveva fatta salire sul palco insieme a lui durante il concerto di fine anno. Ero piuttosto brava a cantare, o almeno così dicevano tutti. Ok beh detta così forse non sembra una frase molto modesta, ma insomma, facciamo che ci capiamo, dai. Sapevo che Chris stava cercando nuovi membri per la band, dato che quelli vecchi non se la sentivano più perché quest'anno avevano gli esami.

Quando raggiunsi i miei amici, Ska e Joe mi rivolsero un sorriso enorme; notai che si tenevano per mano. Appoggiai la cartella e mi sedetti.

Scarlett intervenne: «È andata bene la mattinata?»

In quel momento mi venne in mente una cosa che era da quando ero entrata a scuola che pensavo: «Ma che cavolo di orario abbiamo?!»

Ska spalancò gli occhi sbalordita. «Ma come, fino adesso non te ne sei mai accorta?»

«No! È per questo che sono arrivata in ritardo! Per fortuna che stamattina mi è arrivato il tuo messaggio dove mi dicevi che lezione avevo la prima ora, e meno male che Warren dopo mi ha detto che avevamo tutte le lezioni assieme! Almeno ho seguito lui, altrimenti non avrei capito più un tubo e sarei rimasta dispersa per la scuola!»

Joe rise. «La proposta del GPS è ancora attiva».

Ridacchiai insieme a Scarlett, poi lei mi spiegò: «Lo so, è un casino, neanche io ci capisco più niente. Ma è con la nuova riforma che abbiamo 'sto cacchio di orario. Vallo te a dire al Ministro dell'Istruzione»

«Sèh, grazie! La settimana scorsa non me ne sono accorta perché grazie al cielo mi avevi consegnato la fotocopia con le mie ore, altrimenti... beh, spero che non rimanga così per molto.»

«No, non credo» intervenne Joe «e poi di professori manca solo quello di matematica. Quello dell'anno scorso è andato in pensione e devono ancora trovarne uno che lo sostituisca. Però i prof per le materie del corso Eroi ci sono tutti. Beh, sono sempre i soliti». Alzò le spalle con noncuranza.

Nell'arco di tempo che trascorse fra la campanella di inizio e fine ricreazione, non feci altro che ripassare Storia per la lezione successiva. Warren si presentò solo quando mi avviai per la classe.

«Dopo però mi fai vedere come si balla l'hardstyle eh, non pensare che mi sia dimenticato» mi disse mentre entravo in classe. Lo salutai, lui si diresse verso la sua aula e io presi posto nella mia, in fondo come al solito.

 

Dopo il pranzo (in cui mi ero seduta al tavolo di Warren, sotto gli occhi di tutti, ma io me ne ero sbattuta altamente) andammo di nuovo in giardino e lui mi disse che Chris voleva chiedermi un favore, perciò ci dirigemmo verso il muretto dove c'erano Chris, Ashley e il bassista, Derrick, l'unico rimasto dei vecchi musicisti.

«Ciao Chris!» gli dissi quando vidi il cantante.

I suoi occhi si illuminarono. Si alzò e mi accolse a braccia aperte. «A' bella! Tutto ok? Senti, dopo l'ultimo giorno non t'ho più sentita!»

«Lo so, ma ho avuto un'estate pienissima, stavolta! E va tutto a meraviglia!»

«Oh prima ho chiesto al tuo ragazzo qua se gli andrebbe di suonare con noi al ballo!»

«Suoni?» chiesi sorpresa a Warren. Sapevo che suonava la chitarra, ma non mi aspettavo che avrebbe accettato di entrare nella band. Divenni tutta rossa alla parola "ragazzo" ma non ci badai.

«Chitarra elettrica. E non me la cavo male neanche col canto». Mi fece l'occhiolino.

«Risparmiamelo, va'!» scherzò Chris. Warren gli diede un pugno amichevole sulla spalla.

«Allora bella! Ti andrebbe di fare qualche canzone con noi?!» mi propose Chris tutto entusiasta.

«Certo!». Il mio viso si illuminò. «Però solo se canti assieme a me!»

«Ehi, era solo una proposta! Dobbiamo ancora decidere tutto, cosa suonare, che canzoni fare, quante farne eccetera. Anzi, dobbiamo ancora reclutare tutti i membri, ci manca qualcuno al pianoforte! Però ho pensato a come allestire il palco, ma volevo una tua opinione visto che sei bravissima in queste cose!»

«Grazie! Oh, potremmo fare una scritta coi graffiti come sfondo! Joe è un mago con le bombolette! Ehi, Joe!» lo chiamai. Lui venne e noi gli spiegammo la proposta. Quando seppe che avrei cantato, scoppiò in una fragorosa risata.

«Beh, se farà proprio schifo puoi sempre creare un campo di forza in modo che nessuno possa sentire!» disse a Chris, sempre ridendo. Tutti si unirono al suo divertimento.

«Te l'ho già detto che ti odio, vero?!». Feci la finta arrabbiata. «Non sai far altro che prendermi in giro, tu!»

«Dai Rose, non essere sempre così permalosa!» si lamentò Joe.

«Eh ti credo, se ho uno come te come migliore amico!». Tutti risero.

Quando finimmo di discutere sul ballo che si sarebbe svolto a metà novembre, mi misi un po' in disparte con Warren, ma sempre lì nei paraggi.

«Dai, ti faccio vedere!» gli dissi entusiasta.

Lui si sedette sul muretto vicino a me e io mi misi in piedi davanti a lui. Cominciai a spiegargli il ballo.

«Allora: metti un piede avanti e uno indietro...»

«Ma non ti incasini con quelle braghe?»

«No. Ti stavo dicendo: ti metti in piedi così e dopo-»

«Ma se scivoli e cadi?»

«Non cado! Dove ero rimasta?»

«Forse è meglio se ti tengo così non rischi di farti male!»

«EH MA INSOMMA MI VUOI ASCOLTARE SÌ O NO???» gli urlai contro.

Lui scoppiò a ridermi in faccia e io mi offesi tantissimo. Poi però, senza togliersi un sorrisetto dalle labbra, mi disse: «Dai ok ok stavo solo scherzando! Mi fai un ridere quando ti arrabbi così!»

«Grazie eh! Adesso fai anche tu come Joe? Voi maschi siete tutti uguali!». Incrociai le braccia, offesa. Furono solo le sue braccia intorno alla mia vita a farmi calmare.

«Dai scherzavo» sussurrò dolce. «Dai, fammi vedere come si balla».

«O-ok» mormorai, stordita dalla nostra improvvisa vicinanza.

Tornai in piedi, allontanandomi dal suo corpo col viso in fiamme, e gli feci vedere. «Dunque: metti un piede avanti e uno indietro. Poi tiri su quello dietro, lo appoggi per terra e intanto con l'altro scivoli all'indietro. Così». Mentre parlavo, gli mostrai i movimenti da me descritti. «E avanti così. Poi vai di lato, avanti, a sinistra, a destra, indietro...»

«Sembra complicato.»

«No no! È una cavolata! Io ho imparato il movimento base in un pomeriggio, e ci ho messo tre giorni per imparare tutti gli altri e coordinarli insieme!».

Quando ballai andando indietro (il passo più difficile), Warren commentò: «Ahah, mi sembri Michael Jackson»

Risi. «No! Michael Jackson fa così!» e gli mostrai la celeberrima "Moonwalk".

In quel momento arrivò Scarlett, che vedendomi ballare, esclamò: «Anch'io voglio!».

E così ci mettemmo a ballare insieme, divertendoci un mondo.

Ska propose: «Ash, metti su un po' di musica!»

Ashley rise. «D'accordo!». Mise un brano hardstyle sul suo cellulare e lo ampliò con il suo potere, facendolo sembrare proveniente da uno stereo.

Così cominciai a ballare con il ritmo coinvolgente della musica hardstyle. Alcuni studenti si erano avvicinati e guardavano interessati.

Mi fermai quando arrivò Amber, sorridente, ma non ci badai molto. Ormai i nostri rapporti erano neutrali.

«Ciao Rosalie, sei brava a ballare! Io so la tecktonik!». E cominciò la sua dimostrazione di quel ballo dance da truzzi. Secondo me non aveva chissà quale talento, ma non dissi niente.

Ska mi tirò la manica e mi indicò le scale. «Guarda! È tornata Britney!»

Stava scendendo dai gradini. Fui felicissima di rivederla: mi piaceva molto come amica, con lei mi divertivo sempre tanto. Finora purtroppo non eravamo mai state molto assieme, forse più che altro per il fatto che aveva un anno in meno di me, quindi era in terza. Frequentava anche lei il linguistico. Era una fan sfegatata di anime e manga, tanto che questa sua passione si rifletteva sul suo aspetto: il suo abbigliamento era sempre simile a un cosplay, e i suoi capelli ocra con due meches verde acqua (una a destra e una a sinistra) avevano due ciuffi ai lati, come moltissimi personaggi manga, e li portava sempre intrecciati in due trecce sulle spalle. Aveva gli occhi color acquamarina e il potere di controllare la luce. Aveva un carattere perennemente euforico e sembrava che non conoscesse neanche il significato della parola "tristezza". Dettaglio non meno importante, era follemente innamorata di mio fratello. Diceva che lo voleva sposare. Lei era anche la mia massaggiatrice personale, ah ah: era bravissima a fare massaggi e grattini, e c'era costantemente un sacco di gente che glieli chiedeva. Io ero sempre in cima alla lista: mi dava la priorità sugli altri sperando che le raccontassi qualche gossip su Alex. E poi poteva parlare con me di manga perché anch'io li leggevo, quindi ci capivamo.

«Briiiiiit!» le urlai entusiasta, andandole incontro a braccia aperte.

Appena mi vide, le sue labbra si aprirono in un sorriso enorme. «Rosalie!!! Da quanto tempo!»

«Perché non sei venuta a salutarmi prima?!» la sgridai, fingendomi arrabbiata.

«Sono appena arrivata! Sono tornata dalla Spagna ieri, e stamattina non ti ho vista!»

Ska rise. «Rose è arrivata in ritardo ovviamente!» le disse, mettendomi una mano sulla spalla.

Ci raccontammo delle rispettive vacanze, e Brit ovviamente iniziò subito a domandarmi di Alex, rimanendo delusa quando le dissi che a scuola non c'era e sarebbe arrivato verso Dicembre. Mi fece anche domande su Warren, contentissima di vedere che ero lì con lui, ma le dissi che per il momento non c'era niente di ufficiale.

In quel momento suonò la campanella e rientrammo a scuola, io e Warren tenendoci per mano. Salutammo Britney sulla porta della sua classe e dirigendoci verso la nostra aula un annuncio della preside passò negli altoparlanti: «Si ricorda agli studenti che è vietato fumare dentro la scuola. È vietato anche congelarsi o prendere fuoco».

«Eh, grazie tante...!!!» esclamai. Warren e Ska risero come matti vedendo la mia faccia ma poi mi spinsero in classe.

 

Quel giorno Warren prendeva l'altra corriera, con Joe, come sempre. Salutai i ragazzi e salii sulla mia.

Quando l'autobus arrivò alla fermata, Ska mi propose di andare a casa sua.

«I miei non ci sono» mi rassicurò.

«No dai, vieni da me, che ho una cosa da farti vedere». Lei concordò.

«Ma i tuoi lo sanno che sei stata da Joe? Ma adesso siete insieme vero?!». Mentre parlavo, entrammo in casa e ci accomodammo sul divano.

«Sì, certo! A tutte e due le domande!» rise lei, stappando una lattina di Coca Cola, che le avevo passato dal frigo.

«Mi dai un sorso?»

«No!» Si affrettò a nascondere la bibita dalla mia vista.

«Ehi! È la mia lattina» protestai.

«Troppo tardi!»

«Daaaaiii»

«No! Tu niente Coca! Che dopo diventi pazza -beh, più di quanto tu lo sia già-, come l'altra volta! Ti ricordi? La prof di Tedesco aveva chiesto a te e ad Ashley se eravate ubriache!»

«Sì beh! Tutto il casino che abbiamo fatto in pizzeria e tutta la gente che ci guardava malissimo! Abbiamo riso per tutta la sera e alla fine avevo un mal di pancia pazzesco!». Era un episodio successo la primavera scorsa e per puro caso avevamo incrociato la nostra prof fuori dal locale. Che figuraccia, noi che urlavamo per strada e lei che ci fissava sbigottita... «Beh, a me interessa di più sapere cos'avete fatto tu e Joe!»

«Giusto! Allora, durante il viaggio sono stata zitta, perché volevo vedere se mi diceva qualcosa per giustificare il suo comportamento della settimana. Beh ti ho detto come mi sentivo. Comunque oh, mi ha fatto quasi paura. Mi stavo facendo un sacco di pensieri, tipo "ma mi inviti così e poi non mi dici niente" oppure "sembra che te ne freghi", e quasi lui mi ha letto nel pensiero! Ha subito sentito il mio stato d'agitazione e ha pensato "Calmati Scarlett, fra poco siamo arrivati e ti chiarirò tutto". È incredibile.»

Ero tutta presa dal racconto. «E poi?»

Le sfuggì un sorriso. «A quel punto mi chiede se mi va bene andare al ristorante. Io, visto che ero tutta tirata -ah, volevo ringraziarti, Rose- gli ho detto che era una magnifica idea e una bellissima sorpresa -anche perché, detto fra noi, l'idea di lui che cucinava mi spaventava alquanto!»

Non potei fare a meno di ridere. «Ahahah già anch'io ero in pensiero per voi! Mi sa che Joe ha capito che in fatto di cucina è meglio che lasci perdere!»

«Credo anch'io! Infatti quando mi ha chiesto del ristorante ha pensato "anche perché è meglio". Ah ah! Comunque, arriviamo, appena entro rimango a bocca aperta: sembrava uno di quei posti che si vedono solo nei film! Tappeto rosso, persone in abito da sera, lampadari enormi... un sogno! E poi era un posto tranquillo, musica rilassante in sottofondo, l'ideale per parlare. Insomma, arriva il cameriere e ci accompagna a un tavolo per due in un posto era abbastanza appartato. Ci sediamo, Joe mi prende le mani, mi guarda intensamente e dice: "Scarlett, è dall'inizio della scuola che percepisco il tuo stato di tensione e agitazione interiore, anche se non lo dai a vedere e cerchi di nasconderlo a te stessa. Questa sera voglio chiarire tutto con te. Quest'estate, che non ci siamo visti, mi sei mancata tantissimo, e questa cosa ha sorpreso anche me stesso. Non credevo che tu fossi così importante per me, e l'ho capito solo quando siamo stati distanti."»

«Wow...». Ero più o meno incantata. Non credevo che Joe pensasse queste cose. Scarlett mi segnò con la mano di aspettare.

«Poi mi ha spiegato tutto a riguardo della scorsa settimana. Mi fa: "Non pensare male di me. Sono stato diffidente perché, sapendo che leggi nel pensiero, ho fatto finta di non interessarmi a te. Inoltre, prima di dichiararmi, ho voluto vedere se anche tu provavi gli stessi sentimenti nei miei confronti. Quando ho capito che era così, ero talmente felice che non vedevo l'ora di dirti ciò che provavo per te. Quindi eccoci qui."». Alzò le spalle, imitando la spontaneità con cui Joe gliel'aveva detto, e sorrise. «Non è fantastico?»

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Attacchi d'arte (e di stile) ***


13. Attacchi d'arte (e di stile)


«Che bello! Ma è fantastico sì, Scarlett! Sono davvero contenta che fra voi sia tutto così meraviglioso! E quand'è che vi siete baciati?»

«Eh eh eh, dopo!» ridacchiò la mia amica, furbetta. «Dopo aver mangiato siamo andati a casa sua e abbiamo guardato un film, di cui sinceramente non ricordo un fotogramma ma comunque... eravamo tutti accoccolati sul suo mega divano, e sai, una cosa tira l'altra... Mi ha attirata a sé e mi ha baciata, come se fosse un gesto del tutto spontaneo. Non mi ero neanche accorta che lo stava pensando!»

«Wow wow wow! Iiiihhh che cariiiiii!» squittii, tutta felice per lei.

«Guarda che la prossima in lista per il "cariiiii" sei tu con Warren, eh!»

«Eh beh ovvio! Ahahah!»

Mi venne in mente una cosa. «Che bello così dopo potremo fare finalmente un Di-A-Di-Emme-A-Ci-Emme-A! Un doppio appuntamento di migliori amiche con migliori amici! È sempre stato il mio sogno!» annunciai, raggiante, saltellando sul posto.

«A dire il vero ti sei impuntata con questa storia da quando hai guardato Diario di una nerd superstar quest'estate!» rise Scarlett, prendendomi in giro perché mi ossessionavo sempre su tutto. Avevo guardato tutte le stagioni in cosa, due settimane?

«Non importa, è comunque una cosa che voglio fare e sarà una figata!» Stavo già pregustando il momento.

In quel momento sentimmo una puzza improvvisa aleggiare nell'aria: guardammo in basso e vedemmo Pixel che era venuto là da noi e si stava strusciando sulle nostre gambe.

«Bleah che schifo ha scoreggiato ahahaha!!!» dissi io tappandomi il naso. Pixel mollava le puzze quando era contento, ma erano potentissime!

«Ahahah scappiamo!» gridò Scarlett ridendo a crepapelle, e ci demmo entrambe alla fuga.

Ancora ridacchianti, ci rifugiammo in corridoio.

«Ah, cos'è che volevi farmi vedere?» chiese Ska, prendendo boccate d'aria non contaminata.

«Ah sì» rimembrai, facendomi aria con la mano.

Aprii la porta della mia camera. Quando entrai, mi girai e vidi Scarlett pietrificata sulla soglia. Stava scrutando la stanza con orrore, o almeno così sembrava.

«Oddio Rose, ma che hai combinato?!» mi chiese sbigottita, incredula della visione a lei presentatasi. In effetti ormai Ska era abituata a vedere il mio habitat naturale simile ad una giungla. Anch'io sarei rimasta paralizzata se l'avessi vista perfettamente in ordine da un giorno all'altro.

«Eh eh, domenica ho fatto un repulisti generale della camera! Guarda? È irriconoscibile!»

«Vedo!» rise, ancora attonita. «Era questa la sorpresa?»

«Anche! Ma la migliore deve ancora venire». Mi avvicinai al computer. «L'ho fatto ieri, avevo l'ispirazione. Dimmi se ti piace.» Dalla scrivania presi il cartoncino formato A3 che avevo usato per farci il disegno. Come lo videro, gli occhi di Ska si illuminarono e la sua bocca si aprì in un gran sorriso.

«Noooooo!» esclamò entusiasta. «Hai disegnato me, te e Ash in versione Tokidoki?! Ma sono bellissimi!»

«Sì, mi sono divertita tanto a farli! Ho usato i pastelli a olio, come su quell'altro del Tokidoki cactus, però prima ovviamente ho fatto gli schizzi a matita! Sai che io non riesco a fare un disegno se prima non ci faccio un milione di righe per riferimento.»

«Sì ma questo è fantastico! Che bello! Ti prego me ne fai uno uguale per la mia camera?» mi supplicò.

«Ma non serve neanche che me lo chiedi! Guarda? L'ho già abbozzato!» Le mostrai l'altro cartoncino, ghignante.

Disegnare era la grande mia passione, assieme alla scrittura: non appena ne avevo l'occasione, prendevo in mano un pezzo di carta e una qualsiasi cosa che scrivesse e facevo degli schizzi, solo per il gusto di farlo, e per non sprecare l'ispirazione che ogni volta mi veniva improvvisamente. Come quando scrivevo: alcune volte mi svegliavo nel bel mezzo della notte per buttare giù un appunto, perché se rimandavo con la classica scusa ''tanto me lo ricordo'', erano idee perse per sempre. Dopo che mi era capitato innumerevoli volte, ora raccoglievo tutta la mia buona volontà e scrivevo l'appunto anche se mancava poco che mi addormentassi. Uhm... forse era per questo che avevo sempre sonno. Eh eh, ops. Ma era meglio così, piuttosto di dover dire ''sì, ciao'' alle mie idee notturne.

Afferrai il mio blocco da disegno con gli ultimi schizzi. «Questi sono Joe e Warren. Opera in cantiere, di prossima realizzazione» dichiarai con un sorriso.

«Mmm...» rimuginò lei. Stava per cominciare con i suoi consigli. «I capelli di Warren hanno qualcosa di strano.»

«Eh, lo so!» sospirai. «Infatti devo cambiarli... perché non sono piatti, ma sono più voluminosi... e poi ce li ha tipo scalati sotto... Insomma, ha i capelli indisegnabili! Ahahaha» risi per la disperazione. Joe invece ce li aveva un po' lunghi, castani, con la cresta in mezzo e la frangia davanti, come erano andati di moda quell'estate. «Ah a proposito, non gliel'ho ancora detto ma Joe è fighissimo con quel nuovo taglio di capelli!»

«Riferirò il messaggio» mi rassicurò Scarlett facendomi l'occhiolino. «Comunque sì, lo penso anch'io» sorrise. Poi sospirò. «E anche lui.»

«Ovvio, me lo aspettavo da lui» dissi divertita.

«Gasato». Lo disse come fosse una causa persa.

«Sì beh» asserii. Intanto rimisi il disegno sulla scrivania. «Oh è fatto così, che ci vuoi fare»

Ska mi guardò con un sorriso e un sopracciglio alzato e mi chiese: «Non eri tu quella a cui piacevano i gasati?»

Risi. Era assolutamente vero. «Sai com'è, andando con lo zoppo s'impara a zoppicare».

La mia amica rise, poi si avvicinò al muro. «Hai tolto i poster?!» mi chiese incredula. Faceva bene ad esserlo: di solito avevo ogni singolo centimetro quadrato di parete o di armadio rivestita con foto o locandine dei miei film e cantanti preferiti.

«Sì, mi ero rotta. Li ho rimpiazzati con i miei disegni.»

«Sì, meritano.» Annuì. «Beh, l'ho sempre detto».

«Grazie! Comunque non li ho tolti tutti, ho lasciato quello bello di Katy Perry e di Lady Gaga, quella foto fantastica di Alex Evans e le foto mie con mio fratello. Ho tolto anche il poster a grandezza naturale di Taylor Lautner con la camicia aperta e il petto nudo, tanto ormai ho Warren e quello non mi serve più...» ridacchiai.

Ska prima guardò il poster con Taylor Lautner che era piegato sopra la scrivania e mormorò qualcosa del tipo «Aspetta solo che lo veda Ashley...», poi si avvicinò agli ultimi due ritratti che avevo nominato e li confrontò. «Certo che Alex Evans e tuo fratello sono proprio uguali...»

Risi. «Ahahah vero? Ah ma non dirglielo che sennò sai che ti rincorre con un forcone! Ahahah»

Ska rise e poi cominciò: «A proposito di foto...»

Alzai lo sguardo su di lei, sospettosa.

«Devo fartene vedere alcune che ho fatto la scorsa settimana». Tirò fuori il cellulare e io mi avvicinai a lei. «Ecco, questa te l'abbiamo fatta io e Ashley sabato alla sesta ora, dopo pranzo, nell'ora di Inglese senza Perkins».

Guardai lo schermo. La foto ritraeva me stessa mentre scrivevo tutta intenta sul diario. Sconcertata dissi: «Ah ma quindi non le stavate guardando, le foto! Le stavate facendo!!»

Ska rise della mia ignoranza. «Ahah, sì! Guarda questa qui, è fantastica: c'è Warren appoggiato al muro e ci sei tu che lo stai guardando con la bava alla bocca a mo' di Homer Simpson quando sente la parola "ciambelle"!»

La sua interpretazione era molto fedele all'immagine. «Ecco chi era la fotografa!» risi.

Ska era appassionata di fotografia: si portava la sua fedelissima Reflex dovunque, ma non era come quei finti fotografi che si definivano tali solo perché possedevano un buon apparecchio: lei era brava davvero, trovava sempre l'inquadratura perfetta. I suoi soggetti preferiti erano le persone, e spesso gli studenti della nostra scuola le chiedevano di farsi immortalare. Era anche l'addetta ufficiale alle foto per l'annuario.

«Dimmi un po', mi hai letto nel pensiero, vero?» chiesi, divertita. «No perché avevo quasi intenzione di fare una foto a Warren quando era lì così, ma poi mi ha vista e ho preferito lasciar perdere... sennò pensava che fossi una maniaca! Ahaha».

«Ma tu sei una maniaca!» Scarlett rise e mi fece l'occhiolino. «E poi lo sai, le amiche servono a questo».

Le sorrisi in risposta. «Ne hai altre?»

«Certo! Questa è bellissima: tu tutta su per Warren e lui che ti abbraccia. Sai, quando ti eri addormentata su di lui. Siete carinissimi insieme, lo ha detto anche Ashley!»

Osservai lo schermo del suo cellulare. «Che bella» non potei fare a meno di commentare. Ritraeva me che lo abbracciavo con un sorriso felicissimo, con gli occhi chiusi, e lui con le sue braccia intorno a me, che mi guardava. Anche lui era molto felice. La fiamma sulla sua mano si era spenta, credo per la sorpresa, nel momento in cui mi ero appoggiata a lui.

«Poi ho questa. Ehm, credo che ti piacerà. Ok, però dopo ridammelo!». Mi sgridò perché appena mi aveva mostrato l'immagine le avevo strappato con foga il cellulare dalle mani. Il display ora mostrava Warren e me mentre ridevamo. Quando l'aveva fatta?

«Sempre sabato in classe» mi spiegò Ska in risposta. Wow, erano successe tutte queste cose in quelle due ore del sabato? Mi ero persa qualcosa?

«Era quando stavate parlando dei vostri genitori. O forse dopo. Boh, non mi ricordo.»

Io non la stavo più ascoltando. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dall'immagine di Warren che rideva. Mamma mia, era da togliere il respiro.

«Sì, è vero, ha un sorriso fantastico. Lo pensano tutte le ragazze. Appunto, tientelo stretto Rose».

«Lo so... oh passami le foto».

«Aspetta che accendo il Bluetooth».

Mi inviò tutte le immagini e subito misi come sfondo quella di me e Warren abbracciati. Ora sì che si ragiona..., pensai vittoriosa, come se avessi conquistato un trofeo.

«Come mai non le hai fatte con la reflex?» le chiesi. «Cioè, sono venute benissimo lo stesso, ma di solito non le fai mai col cellulare.»

«Perché non avrei fatto in tempo; ce l'avevo in zaino, ma dovevo beccarvi esattamente in quell'istante, altrimenti sarebbero stati attimi persi per sempre. Dovevo immortalarli subito. Però quella dove vi abbracciate l'ho fatta con la reflex! E poi me la sono passata nel cellulare per poterla inviare a te.»

La guardai confusa. «Ma la scorsa settimana avevi la reflex a scuola?!»

«Certo!!!» rise. «Ho fatto un sacco di foto! Non potevo mica farmi scappare il primo giorno di scuola?! Solo che tu eri talmente presa da Warren che non te ne sei minimamente resa conto!» E scoppiò a ridere di nuovo.

Le dissi che doveva assolutamente passarmele tutte e le diedi già una chiavetta USB. Non vedevo l'ora di vederle!

«Adesso cosa vuoi che facciamo?» le chiesi, chiudendo il cassetto da dove avevo preso la chiavetta.

«Beh, compiti non ne abbiamo -e non avrei comunque voglia di farli- quindi potremmo...mah...» rimuginò.

«Andiamo di sopra a divertirci?»

Ska mi guardò diffidente ma divertita. «...devo pensare male?»

Scoppiai a ridere. «Ahaha dai scema! Intendevo: andiamo su in mansarda a giocare con la Wii?»

«Sì l'avevo capito!» e ridemmo di nuovo.

Mentre salivamo le scale che portavano al piano superiore mi venne in mente una cosa che avevo pensato domenica: «Mi è venuta in mente una roba che fa stra ridere: hai presente sabato in palestra quando Lash ha chiamato Warren come se gli stesse dichiarando guerra eterna e lui si è alzato? Ahah me lo sono immaginato che si alzava e poi si metteva a fare il ballo dei giocatori di rugby degli All Blacks!» e scoppiammo a ridere tutte e due immaginandoci la scena.

Dopo altre risate arrivammo in mansarda e accesi la console, con dentro il videogioco di Super Mario Bros. Ero totalmente impedita a giocarci. Scarlett invece era una pro. Avete presente il Mondo 7, quello difficilissimo con le nuvole? Lei lo completava tutto saltando da piattaforma a piattaforma come se niente fosse. Io cadevo nel vuoto già al primo cubo rotante, e lei non la smetteva mai di prendermi in giro per quanto scarsa ero. Comunque fosse ci divertivamo un sacco ogni volta, anche se perdevamo sempre per colpa mia. Cominciammo un nuovo file di gioco e, dopo vari tentativi, riuscimmo a completare il Mondo 1. Nel 2 ci bloccammo al primo livello e non riuscivamo più ad andare avanti, perciò dopo quattro tentativi falliti ci rinunciammo e cambiammo gioco. Infilai il cd di Just Dance nella console e ci sfidammo a una gara di ballo all'ultimo sangue. Sia io che Scarlett facevamo Hip Hop, quindi eravamo entrambe brave a ballare. Ci inventavamo sempre nuove coreografie da provare, ma questa volta avevo proprio voglia di una bella sfida (che tra l'altro vinsi) e riuscii anche a battere il mio record personale. Dopotutto, mica si può essere scarsi in tutti i videogiochi, no?

 

La mattina dopo mi venne voglia di provare uno stile nuovo. Indossai una maglia bianca a maniche lunghe, dei jeans rosa tempestati di strass, con la cintura azzurra e gli orecchini grandi dello stesso colore, e gli stivaletti leggeri bianchi col tacco. Sugli occhi misi l'ombretto rosa glitterato. Mancava ancora qualche accessorio, perciò mi riempii il braccio di braccialetti Shokky Bandz. Anche se nella pubblicità dicevano "Non chiamateli braccialetti!", non sapevo come altro chiamarli. Ovviamente avevo al polso anche la catenella con le stelle di Warren: era fantastica, stava bene con qualsiasi cosa indossassi. Non me la toglievo e non me la sarei tolta mai.

Mi guardai allo specchio: con tutti quei colori sgargianti e glitter vari, pensai che avevo fatto davvero un buon lavoro. Forse detta così sembrava più che altro la presentazione per una sfilata di moda, ma in una scuola dove uno è più strampalato dell'altro nessuno bada a come ti vesti. Beh, ok, io ero un caso a parte, ma ero famosa per i miei abbinamenti di capi di vestiario e per inventare nuovi stili. Il mio punto forte erano gli accessori, che adoravo. Forse qualche volta esageravo, ma nell'insieme la composizione veniva molto bella.

Quando arrivai a scuola, non appena mi vide, Scarlett commentò: «Si ritorna al vecchio stile Scene Queen?»

«Beh, più o meno! No ma così è più easy. La prossima volta opterò per lo stile Scene, promesso». Le feci l'occhiolino. «Mi servirà una bomboletta di lacca per capelli!»

«A parte che oggi ti sei vestita come se dovessi andare in discoteca...»

Ridacchiai. «Ehi, la mia vita è, una pista da ballo!»

«Mi scusi, Miss Discoball!» disse, e ridemmo entrambe.

Arrivarono anche gli altri miei amici. Ash mi guardò divertita e commentò: «Questa settimana non sei più in coma?». Joe e Ska risero.

Non potei rispondere perché dietro di me arrivò anche Warren che subito mi chiese, diffidente, osservando il mio abbigliamento del giorno: «...mi sono perso qualcosa?»

«Mah, mi sa di sì» disse Ashley ridacchiando. Poi, rivolta a me esclamò: «Cavolo, quanti Shokky Bandz! Me ne regali uno?»

Allungai le braccia nella sua direzione. «Certo! Quale vuoi?»

«Mmm, mi piace questo qui a forma di nota musicale. Posso?»

«Certo! A casa ne ho altri, ma non mi stavano tutti»

Ashley prese il braccialetto, che era fatto di una strisciolina di silicone colorato. «E poi mi regali anche questo qui, visto che ce l'hai doppio. E anche questo perché tanto ne hai altri dello stesso colore». Ecco, era proprio tipico da Ashley.

In quel momento arrivò Britney, che vedendo il polso ora colorato di Ash esclamò: «Belli! Anche tu con gli Shokky Bandz, adesso? Certo che vanno proprio di moda...». Poi vide il mio braccio e sgranò gli occhi. «Guarda questa!!» esclamò incredula.

«Oh, avete visto su Facebook?» rise Ash, rivolta sia a me che a Britney «"Non chiamateli BRACIALETTI! E allora come li devo chiamare?! Termosifoni? Ciabatta? Antonio?" Ahahah!» rise, facendomi la citazione del post.

«Ahahah, sì l'ho visto!» risi assieme a lei.

Al pomeriggio, dopo la scuola, Ska mi propose di andare al bar.

«Chi viene?» mi informai.

Scarlett contò le persone sulla punta delle dita. «Allora... ci siamo io, te se vieni, Joe, Gwen, Penny, Speed e Lash».

Ebbi un piccolo sussulto sentendo i nomi dei miei amici. Pensandoci bene, dopo i primi giorni non ero mai stata tanto insieme a loro. Soprattutto, dovevo aver deluso Lash. Gli piacevo molto, e io gli volevo davvero bene, ma lui e Speed avevano sempre avuto astio nei confronti di Warren. Chissà come la pensava ora Lash che mi vedeva sempre con lui.

Scarlett dovette intuire le mie preoccupazioni, ma svelta la deviai chiedendole: «E Ashley e Chris non vengono? Hai già chiesto a Warren?»

«Ash e Chris non possono, devono fare le prove con la band. Hanno detto che gli dispiaceva. A Warren invece non ho ancora chiesto».

«E allora cosa aspetti?».

Mi guardò male, alzando un sopracciglio. Io risi, perché era ovvio che era un compito destinato a me. «Ok, lo farò io appena esce dalla classe. Comunque vengo.» Poi mi venne in mente la "minaccia" della professoressa Delacroix. «Aspetta... quand'è la verifica di Francese?»

«Giovedì...»

«Ah, ok allora» sorrisi. Non potevo arrivare impreparata per quel compito. E Francese era sempre stata una nota dolente, per me. Sembrava proprio che il destino avesse deciso che più di un sei e mezzo non riuscivo a prendere...

«No, prendi anche sette e sette e mezzo. E qualche volta anche un otto»

«Sì, verso Natale, quando nevica» dissi sarcastica con una smorfia. Lei non rispose ma rise e si sedette sui gradini delle scale.

Poco dopo Warren scese la scalinata e io gli andai incontro. «Passato bene il pomeriggio?»

«Sarebbe andato meglio se fossi stato con te» rispose. Sentii il sangue salirmi al viso.

Lui se ne accorse, mi accarezzò una guancia e disse: «Certo che arrossisci con niente».

Rimasi a fissarlo, inorridita da quanto aveva capito di me. Ero davvero così facile da decifrare? Dentro di me ridacchiai perché mi sentivo come una codice a barre.

Contemplai gli occhi di Warren e lo vidi spostare velocemente lo sguardo dietro le mie spalle e anch'io mi girai. Scorsi Joe fissare il suo migliore amico per un attimo e poi andarsene alla corriera. Tornai da Warren, che ancora lo squadrava. Non capivo. Alla fine fu lui a parlare. «Comunque, dovevi chiedermi qualcosa?»

Accidenti, ma sapeva tutto. Sul serio sembrava in grado di penetrare i miei pensieri. Poi pensai che Ska mi aveva rassicurata che ne era capace solo lei, e la sentii ridacchiare dal corrimano delle scale.

«Cosa c'è? Ho detto qualcosa di divertente?». Warren era confuso, spostava lo sguardo da me alla mia amica che rideva.

«No, scusa, è che sembra che tu sappia leggermi nel pensiero». Sorrisi.

«Ah ah, no, mi dispiace ma non rientra fra le mie abilità. Solo che è così facile capire le tue intenzioni...»

«Davvero?». Oddio. Era una cosa preoccupante? Misi da parte quegli interrogativi; potevano aspettare. Avevo una questione più urgente. «Comunque volevo chiederti: ti va di venire al bar, adesso? Andiamo al Chocodream, il mio posto preferito, in quanto accanita fan del cioccolato in tutte le sue forme». Ridacchiai.

Warren volse di nuovo lo sguardo verso la porta della corriera, dove il mio e suo migliore amico stava chiacchierando con Lash. «C'è anche Joe?» chiese.

Balbettai un «S-sì...». Lui cercò di nascondere una smorfia. «Comunque non posso. Ho le prove con la band; ormai ne sono ufficialmente entrato a far parte» dichiarò infine, con quella che doveva essere l'ombra di un sorriso.

Mi illuminai. «Ma è magnifico! Beh, me lo aspettavo, visto che il chitarrista dell'anno scorso, Sam, ha finito la scuola.» rimuginai. «Ma davvero non puoi venire?». Rimasi delusa, non mi aspettavo un suo rifiuto, anzi mi ero preparata a passare delle piacevoli ore in sua compagnia.

«Sì, mi dispiace Rosalie, ma non posso proprio. Comunque credo che anche tu faccia parte della band, ora. Ma se Chris non ti ancora chiesto niente, credo pensi che tu lo dia per scontato. Lo avviserò che oggi non ci sei alle prove.»

Non ci capivo più niente. Azzardai un: «Ma non c'era già...?», ricevendo questa risposta: «Sì, ma gli UnderLegs Tea Party si sono ritirati. Non suonano più quest'anno; lasciano spazio a noi. C'è già Scarlett alle tastiere!»

Ero ancora confusa. Lo vidi di fretta, quindi, imbarazzata per la mia ignoranza, bisbigliai un «Allora vengo volentieri...» ma lui mi parlò sopra.

«Ok, bene. Ci vediamo». Si congedò, dando un ultimo sguardo accigliato alla corriera, poi si voltò e cominciò a risalire le scale, per poi scendere in quelle interne che portavano all'aula di musica sotto.

Sentii Scarlett dietro di me. «Cos'è successo? Come mai si è comportato così?»

Scossi il capo. «Non lo so. Però, forse... credo ce l'abbia con Joe. Ho visto che lo guardava male. E appena gli ho detto che dopo c'era anche lui, mi ha subito tirato fuori una scusa per non venire.»

Lo sguardo della mia amica divenne assente per qualche secondo, mentre la sua mente vagava attraverso le aule per leggere i pensieri di Warren. Attesi in silenzio.

«Sì», disse infine «hai ragione. È ancora a causa del loro litigio; Joe non si è scusato del tutto.»

Sospirai: era tipico di Joe. Era molto fiero, non era mai il primo a chiedere scusa. Attendeva che fossero gli altri a fare il primo passo.

«Ma, sai, Warren mi aveva detto che ultimamente aveva molti sbalzi d'umore» rammentai.

«Sì, e ha aggiunto "che ultimamente sono così frequenti, se devo dirla tutta"» completò, frugando nella mia memoria. Doveva aver imparato a leggere anche i ricordi. Rimasi sbalordita di quanto abile era la mia amica. «Sai cosa voleva dire? Che il suo umore cambia bruscamente quando sta con te. "Ultimamente" perché in questi ultimi tempi siete stati un sacco assieme. E questo è quanto. Muoviamoci, o il bus parte senza di noi. Come dice sempre Ron, "l'autobus non aspetta nessuno"! Anche se con noi cause perse ha fatto più volte un'eccezione» sorrise.

Durante il tragitto, cercando di ignorare le brusche virate di Ron l'autista che facevano somigliare così tanto il viaggio di ritorno a una corsa sulle montagne russe, domandai a Scarlett: «...davvero sono così facile da leggere?»

Ska mi guardò, si mise le mani sui fianchi e rifletté: «Sinceramente non c'ho mai fatto caso. Ho sempre letto i tuoi pensieri, non so dirti se...» Mi fissò di sottecchi, studiandomi.

«Manco fossi una copia del New York Times!» esclamai indignata.

Ma ormai lei non mi ascoltava più. «Rose, c'è... un cambiamento di programma».

Rimasi confusa. «Non si va più?»

«No no, andiamo, però... viene anche...»

«Ashley?» chiesi speranzosa.

«No. Viene anche Amber.»

«AMBER?!?» urlai.

Ska mi zittì subito. «Ssshh!!». Mi indicò col pollice gli ultimi posti in fondo, dove Amber, Gwen e Penny stavano chiacchierando concitate. «Sì beh, sai... lei e Gwen sono amiche...»

Sospirai. «Ah. Giusto.» Non è che Amber mi stesse sulle palle, ma non sopportavo quei suoi modi di fare superiori.

In quel momento vidi proprio lei arrivare trottando vicino al sedile mio e di Ska. Io ero vicino al finestrino.

«Cambio di programma, Rose» annunciò, mentre Ska cercava di abbassarsi per non ingoiare i suoi capelli, che le dondolavano sopra la testa.

«Un altro?!»

«Sì, non si va più al Chocodream»

Rimasi spiazzata. Come? Niente frappè alla cioccolata?

«Ah e come m...-»

Mi interruppe, ovviamente (sgrunt). «È chiuso, non lo sapevate?»

Ska disse fra i denti: «Eh... no... altrimenti non decidevamo di andare là...»

Amber la guardò un attimo, poi decise di ignorarla. «Beh, abbiamo pensato di andare al Napoleon. Se volete venire, bene, sennò affari vostri». E con una sventolata ai capelli girò i tacchi e tornò al suo posto.

«Ma dai, è una deficiente totale», commentò Ska.

Scossi la testa. «Perché cavolo si comporta in questo modo?! Lei non è così!»

«Oh beh, dobbiamo sopportarla solo oggi, poi chi si è visto si è visto e tanti saluti».

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Privilegi ***


14. Privilegi


Quando entrammo al bar quasi schiattai da quanto pieno era. Visto così sembrava una scatoletta di sardine.

Il dettaglio che più attirò la nostra attenzione, però, fu l'arredamento: era uno spettacolo.

«A saperlo prima mi portavo la Reflex!» udii Scarlett esclamare. «Bah non importa, tanto non sono comunque dell'umore adatto...»

Anch'io ero incantata. Quel posto era una meraviglia. Il soffitto e il pavimento erano a specchio, così si creava un'illusione di riflessi ripetuti all'infinito, e tutta la mobilia era in stile barocco, con le rifiniture dorate. Il Napoleon era uno dei locali più rinomati, di gran classe; ne avevo sempre sentito parlare ma non avevo mai avuto l'occasione di andarci, appunto perché trovare posto era impresa pressoché impossibile.

Amber però sorrideva.

«Ah, ma lei ovviamente ha il tavolo riservato, vero?» la prese in giro Scarlett, indicandola, senza che lei sentisse. (Perché, non si può avere un tavolo riservato? - direte voi. Ma dai! Quando mai uno riserva un tavolo al bar per merenda?!?)

Commentai: «Vuoi vedere che adesso ci dice che il gestore –che naturalmente è suo amico- le ha tenuto un tavolo libero solo perché era lei?». Sì perché lei era la vip, no, che aveva amici dappertutto e conosceva tutta la gente importante.

In effetti Amber poi ci disse proprio questo, vantandosi e confermando la mia teoria. Dovetti trattenere Scarlett perché non andasse a sbranarla.

Ci dirigemmo verso un grande tavolo circolare, l'unico libero nel locale, e ci sedemmo intorno. La disposizione dei posti era questa: Penny, Gwen, Amber, Audrey e Alison (le sue due amiche bau che la seguivano come cagnolini), Speed, Lash, Joe, Scarlett e io.

Ordinammo delle bibite al cameriere, dopo che Amber lo ebbe salutato molto calorosamente, e proprio quando ce le aveva portate e le stava appoggiando davanti ad ognuno di noi, Scarlett mi annunciò, leggendomi un messaggio sul suo cellulare: «Britney verrebbe qua, dopo. Cosa le dico?». Diede un'occhiata ad Amber, Alison e Audrey.

«Bah, dille che noi saremmo contenti di averla con noi ma che deve sorbirsi le tre oche là, però.»

«Ok. È lecito.»

Britney arrivò dopo circa cinque minuti. Come aveva fatto ad essere così veloce?!

«Che, avevi fretta per caso?» rise Scarlett.

«No è che ero qua in giro...» rispose Britney. Poi la osservò per un minuto. «Scarlett ti piace l'azzurro?»

Ska si guardò e vide che Converse, maglia, sciarpa (accessorio senza il quale lei non viveva senza, anche in estate), orecchini, smalto e perfino orologio erano tutti azzurri. E anche il suo Eastpak. Scosse la testa. «No! Mi fa proprio schifo!» disse ironica. L'azzurro era il suo colore preferito.

Ridemmo e Britney si sedette con noi, vicino a me. Mentre giocherellavo con i pendagli del mio cellulare, lei notò le mie unghie, che erano sempre state oggetto d'invidia da parte delle altre ragazze e ricettrici di un sacco di complimenti. Le tenevo lunghe, cosa che mi era possibile perché erano dure e non si spezzavano, e quando avevo tempo mi piaceva fare dei nail art particolari. La mia collezione di smalti era da paura, ne avevo più di cento!

«Oddio che unghie!» esclamò Britney affascinata, avvicinando la mia mano ai suoi occhi. Le osservò attentamente, sentendo se erano vere, poi mi guardò. «Ma sono tue??»

«Sì» risposi. Ormai non contavo più tutte le volte che mi era stata rivolta quella domanda. Quel giorno avevo lo smalto rosa brillantinato, senza disegni però.

«Ma come fai ad averle così lunghe???»

Ridacchiai. Sempre le solite domande da parte di tutti. «Mah, lascio che crescano...»

Mi lasciò la mano. «Che fortuna! A me si spezzano sempre! Poi ho il bruttissimo vizio di mangiarle!»

«Se vuoi una volta ti faccio un nail art» le proposi.

Penny richiamò l'attenzione di tutti.

«Voi cosa prendete? Io pensavo che era carino mangiare delle pastine» propose.

Ska disse: «Io in realtà volevo un tramezzino! Ma anche un biscotto!»

«Ehi tu, biscottifera» ridacchiai io. Scarlett avrebbe potuto vivere di soli biscotti.

Il cameriere ritornò per chiederci cosa desideravamo. Ognuno scelse qualcosa e il ragazzo se ne andò. Ognuno tranne me.

Infatti quando le merende ci furono distribuite sul tavolo, Gwen, vedendo che ero l'unica con solo il tè, mi domandò: «Rosalie ma tu non prendi niente?»

Tutti mi guardarono, attendendo una mia risposta.

Presi un respiro. «Sono a dieta» dichiarai, con voce solenne.

Ska mi spinse il braccio. «Ma a dieta cosa!!» esclamò. Prese un tòcco del suo tramezzino e me lo ficcò in bocca. «Toh, magna qua».

Risi a bocca piena, mentre Scarlett si gustava anche la sua pastina a biscotto, quella con la marmellata in mezzo. Secondo me pastina più tramezzino (più l'immancabile tè alla pesca) era un po' un misiotto, ma se era contenta lei allora andava bene.

 

Ero convinta che per quel martedì Amber avesse dato la sua dose di stronzaggine giornaliera, ma ahimè mi sbagliavo.

Poco dopo, quando Joe che era seduto vicino a Lash e Speed stava parlando con loro dell'ultimo videogioco di Assasin's Creed appena uscito, entrò nel bar un gruppo di ragazzi che si diresse a un tavolo un po' più in là del nostro.

Britney aveva adocchiato uno di questi ragazzi che le passò di fianco. Sembrava particolarmente interessante.

«Com'è?» le chiesi. «Carino?»

«Mmm... sì dai, diciamo riciclabile.»

«Ah beh, allora non era messo tanto bene!» disse Scarlett. Ridemmo.

Osservai meglio il ragazzo, che ora si era appoggiato al bancone e stava parlando con il nostro cameriere, probabilmente suo amico, quando mi venne un dubbio.

«Ska... ehi, Ska...» la chiamai col gomito e le indicai il ragazzo «Quello lì lo conosciamo? Mi sembra di averlo già visto da qualche parte».

«Quale?»

«Quello lì appoggiato al bancone.»

Lei, che da distante ci vedeva meglio di me, lo squadrò e poi esclamò piano: «Sì! Quello è Matt!»

«Matt?»

«Sì! Te lo ricordi? Quello che si gasava sempre e che alla festa di Capodanno al Disco Palace ci aveva provato sia con me che con te!»

Ah, ma certo! «Sì adesso sì che mi ricordo! Ah ma è simpatico! Dai andiamo a salutarlo!»

Ci alzammo in piedi e lo raggiungemmo al bancone.

Gli toccai una spalla. «Ciao Matt, ti ricordi di noi?»

Si girò e si aprì in un gran sorriso. «Ehilà guarda chi si vede!»

Ci abbracciò.

«Dove sei stato tutto questo tempo? Bazzicavi sempre qua in giro, poi sei sparito!» osservò Scarlett.

«Eh» sospirò «Non ho più tanto tempo da perdere! Ho grandi progetti da realizzare!»

«Ah sì?» chiesi io, prendendolo un po' in giro. Probabilmente si stava solo gasando per niente un'altra volta.

«Sì sì, e questa volta dico sul serio! Sono entrato in politica, sapete!»

«Ah, ecco perché sta andando a scatafascio!» lo derise Scarlett. Matt si offese per finta e poi ridemmo assieme.

«Ma come mai?» chiesi io, cercando di dargli un po' di soddisfazione, mostrandogli curiosità sui suoi grandi progetti che avrebbero rivoluzionato l'umanità.

«Perché credo che i Super debbano avere privilegi in più rispetto alle altre persone normali».

Ecco cosa non mi era mai piaciuto di lui. Aveva lasciato la Sky High tipo due anni fa per andare a lavorare ed era sempre stato razzista sul fronte Super e non. Tante volte era stato ripreso per questa sua mentalità chiusa.

Comunque feci finta di niente. «Beh hai ragione, però questo non comporta la sottomissione!»

Matt fece un gesto con la mano. «Sì sì. Ma io e un mio amico, non so se conoscete Jason... vabbè, io e lui stiamo cercando di entrare nel partito del Powerraising per vedere cosa si può fare per farlo salire al potere.»

Lo stavo ascoltando a malapena. Io di politica ne sapevo ben poco.

Diedi un'occhiata veloce a Scarlett e vidi che si era fatta pensierosa. Aveva un'ombra di preoccupazione in viso.

«Piuttosto» fece Matt poco dopo, come se non avesse appena dichiarato di voler conquistare il mondo «quella seduta al vostro tavolo vicino ad Amber è la Grayson?»

Annuimmo. «Sì, perché?»

«No, è carina. Jason mi aveva chiesto di lei dopo che gliene avevo parlato. Secondo voi ha voglia di fare due chiacchiere con me?»

Scarlett sorrise. «Perché no? E poi sia io che Rosalie siamo impegnate». Mi rivolse un occhiolino e una gomitata ammiccante.

«Ah sì?» si incuriosì Matt.

«Sì, beh, io sono con Joe e fin qua penso ci fossi arrivato. Ma indovina con chi è inciucciata Rosalie?»

Ridacchiai: «Cos'è, il termine tecnico?»

Ska mi fece l'occhiolino.

Matt mi guardò. «Non dirmi che ti sei messa con Warren Peace!»

Sgranai gli occhi. «Come hai fatto ad indovinare?!»

Ghignò. «Non sapevi che siamo amici? A volte ti nominava e dai pettegolezzi che giravano ero venuto a sapere che anche tu ci andavi dietro».

Ma quindi era una cosa già nota tempo addietro! Oh Signùr!

Arrossii. «Spero che fra non troppo tempo diventi più che un semplice inciucciamento! Ehi ma perché sto raccontando 'ste robe a te? Bah, ti mando qua Gwen che è meglio! Ah, a proposito: lei è single quindi vai tranquillo!»

Ridacchiammo e lo salutammo, dicendo a Gwen che "il ragazzo al bancone ti vuole conoscere. Scialla, è simpatico. Si chiama Matt".

Ci sedemmo di nuovo ai nostri posti, guardando Gwen che chiacchierava tranquillamente col nostro amico, quando Amber non se ne stette più zitta e cominciò a scassare le balle. Penny era al bagno, quindi non poté assistere alla scena.

Amber cominciò. «Scusatemi sapete, ma come fate a conoscere Matt? No perché ho sentito che avete detto che ci aveva provato con voi... ops, forse non dovevo dirlo davanti a Joe e Lash!»

Lash mi guardò, poi guardò Amber. «Perché scusa? A me cosa dovrebbe importare? Rosalie può farsi la vita che vuole, io cosa c'entro?»

Joe sorrise: era palese che si trovava pienamente d'accordo con ciò che aveva detto Lash. Caro Lash.

Amber si trovò un po' in difficoltà con questa resistenza mostratasi, ma durò poco. «Beh Rosalie, tu hai già Warren, dovresti accontentarti. Anche perché se non ti va bene sappi che ci sono un sacco di ragazze che gli muoiono dietro, quindi sarebbe lecito che tu lasciassi a loro il posto! Oh, forse non dovevo dire neanche questo, di fronte a Lash!»

Speed a quel punto intervenne, alzandosi in piedi. «Scusa Amber, ma stai dicendo una cazzata dietro l'altra. Tu non parli così con il mio amico!»

«Infatti. Solo perché sei una ragazza, e solo perché sei amica di Gwen e Penny a cui vogliamo veramente bene, non ti picchiamo, sennò te lo meriteresti in pieno! Basta, me ne vado.» aggiunse Lash, uscendo dalla panchina insieme a Speed.

Lash mi guardò un attimo, un po' rattristato, e mi disse: «Rose non ti preoccupare, puoi fare quello che vuoi. Basta che stai distante da Amber perché è una puttana». Quindi se ne andò insieme al suo amico.

Adesso sì che ero incazzata. Guardai Amber, che aveva un brutto ghigno stampato in faccia, e le dissi: «Sì, hai davvero superato i limiti. Me ne vado anch'io. Ciao.»

Io e i miei due amici pagammo il conto e uscimmo dal locale prima di tirare su un casino.

 

Alla terza ora del giorno dopo ero ancora in coma. La sera prima non ero riuscita a dormire bene, forse perché ero ancora scazzata per la storia di Amber.

Ma non era quello il vero motivo. Sapevo che mi mancava qualcosa, come se stessi aspettando un evento che ci metteva troppo tempo ad arrivare. Non era la prima volta che succedeva, anzi, era una situazione che conoscevo fin troppo bene.

No, avevo bisogno di una novità.

Warren si alzò dal suo banco, mentre la campanella della ricreazione suonava e il professor Medulla usciva dal laboratorio. Warren, avvicinandosi a me, prese la sedia del banco a fianco e ci si sedette al contrario.

Alzai la testa dalla mia mano, mi girai verso di lui e incrociai le braccia sul banco per poi appoggiarvi il capo.

Warren mi chiese: «Ehi, hai preso appunti per caso?»

Non so se mi prendeva in giro o cosa (io lì un po' viva e tre quarti morta, che non volevo far altro che dormire, e lui che mi parlava di scuola), ma sembrava serio perciò completamente assonnata gli risposi: «No, ho praticamente dormito tutta la lezione». Girai la testa dall'altra parte.

Ci fu un attimo di silenzio.

«Ma sei bipolare?»

«Che?!» gli chiesi intontita. «Che cavolo vuol dire, scusa?!»

«Che cambi umore facilmente. Un giorno sei tutta euforica e il giorno dopo totalmente depressa».

«Senti chi parla». Feci una smorfia.

«Doppia personalità?» mi chiese con un sorriso fra il tenero e il divertito.

Ci pensai e alla fine mi toccò dargli ragione. «Sì. Mi adatto alle persone che ho intorno, e a seconda dei loro livelli di insanità mentale adeguo il mio livello di esuberanza.»

Una risata riuscii a strappargliela.

Mi tirai su a sedere un po' meglio, ma sempre svogliatamente. «Comunque come mai vuoi gli appunti? È una cazzata l'argomento che stiamo facendo, e poi sul libro c'è tutto.»

Sembrava offeso. Poi però mi disse, sconsolato: «Io... non so, ho un'idea. Sai, io non ci capisco molto di Scienza Pazza, è come arabo per me». Alzai lo sguardo, lui continuò. «Pensavo... ehi, non offenderti... ma visto che non sei molto brava in Educazione Fisica e che non sai arrampicarti...»

Lo interruppi, più sconsolata di lui: «Sì, è vero... e Boomer ci ha detto che quest'anno non si scherza più e che CI ANDRÀ GIÙ PESANTE!». Dissi l'ultima frase tuonando, come faceva il prof con il suo superpotere.

Warren ridacchiò. «Ebbene, io invece me la sono sempre cavata bene in ginnastica, e so che tu sei molto brava in Scienza».

Feci un gesto con la mano, dandomi delle arie. «Beh sì certo, questo è ovvio» ridacchiai, scherzando. «Eh, e quindi?»

Mi guardò come se fossi una perfetta idiota. Quasi aveva stampato in fronte: "Ma oh, non ci sei ancora arrivata?!". Perciò, visto che io avevo i neuroni ancora a dormire e il cervello ormai in vacanza, mi spiegò: «Beh, potremmo studiare insieme, no? Non so, qualcosa del genere... tipo qualche volta io vengo a casa tua e tu vieni a casa mia...»

L'idea di incontrarci già mi piaceva più del dovuto. «Continua», lo incitai.

Un sorriso si stava distendendo in contemporanea su entrambe le nostre bocche.

«Così tu mi potresti aiutare in Scienze e in cambio io ti faccio fare un po' di esercizio fisico».

Esercizio fisico? Se avesse saputo a quale esercizio fisico stavo pensando, credo sarebbe scappato a gambe levate.

Probabilmente dovevo avere un'espressione sogghignante del tipo che mi era appena venuta un'idea malvagia, perché aggiunse lentamente: «Tipo la verticale, addominali... cose così, insomma.»

«E soprattutto flessioni che la forza sulle braccia è una delle poche cose che, modestamente, mi manca» gongolai vanitosa.

«Hey, Miss Vanity» ridacchiò Warren.

Non so bene perché, ma quell'ultimo epiteto che mi attribuì mi fece sorridere più del dovuto e mi rallegrò particolarmente. Mah...

Quando suonò la campanella dell'ora successiva, che era di Filosofia, salutai Warren promettendogli che ci saremmo ritrovati in mensa e mi diressi con Scarlett ed Ashley in classe. Mi fermai sulla porta e vicino agli armadietti vidi Warren passare davanti a Joe, e si fulminarono a vicenda.

Entrai in classe a passo di carica e sbattei la cartella sopra il mio banco.

Ashley non ci fece troppo caso, era intenta a scrivere una lista di non so cosa. Ska invece mi guardò e mi chiese: «Cosa c'è?»

Io le risposi, scazzata: «Senti, mi son rotta. Dimmi perché hanno litigato.»

Scarlett si morse le labbra, si guardò in giro e poi prese un foglio di carta e cominciò a scrivere.

Intanto la professoressa entrò in classe e cominciò a spiegare.

Dopo circa dieci minuti, vidi Ska, che era seduta di fianco a me, strappare un pezzo dal foglio e schiaffarmelo sopra il banco, proprio davanti alla mia visuale. Lo presi in mano.

Sgranai dagli occhi. «Dove l'hai trovato?!» le chiesi sbalordita. Sul biglietto c'era trascritto esattamente tutto il dialogo completo di Joe e Warren della loro litigata.

Ska mi rispose con voce e sguardo lugubre. «Gliel'ho cavato dalle cervellaaaa...!» ululò teatrale. La guardai terrorizzata.

Cominciai a leggere, e mi scandalizzai sempre di più a ogni riga che mi scorreva sotto gli occhi. Avevo un groppo dentro.

 

Perché Warren e Joe hanno litigato, mi chiedi?
Ebbene. Ecco il perché. Warren era geloso della relazione fra te e Joe. Cioè non capiva bene quale fosse la sua posizione, se era interessato a te o se ti considerava solo un'amica, perché con te era sempre troppo espansivo o invadente. Cioè non so bene cosa intendesse... forse che tipo vi abbracciate, vi date baci sulla guancia, queste robe qua.
Comunque, questo è il loro dialogo esatto (voglio un biscotto come ricompensa):

Joe: Di cosa cavolo sei geloso, lei non è tua! Non ti appartiene!
Warren: Lo sai che mi piace!
Joe: E allora mettetevi insieme!
W: Non è mica così semplice, sai?!
Joe: E invece sì! Se solo tu leggessi tra le righe, lei è pazza di te!
W (spiazzato): ...Davvero?
J: Non dirmi che non te ne sei mai accorto. Cosa credevi, che lei stesse sempre lì a fissarti perché aveva paura di te? Non hai capito un cazzo. Avresti dovuto capirlo da subito. Ti guarda nello stesso modo in cui tu guardi lei. Innamorata persa.
W: Quindi questo peggiora le cose. Non cambia assolutamente il mio giudizio sulle tue azioni. Anzi, lo peggiora!
J: Ascolta... ma si può sapere che ho fatto a te?!
W: A me?! A me niente! È con Rosalie che ti comporti in modo ambiguo! Non riesco a capire le tue intenzioni. Sei troppo invadente. Siete solo amici, o c'è qualcosa di più?!
Joe: Ma ti senti?? Stai sparando una cazzata dietro l'altra. Ti credevo più intelligente, caro il mio Warren Peace, ma se parli così sei solo un idiota.
W: Qui di idioti ce n'è solo uno, e sei tu. E comunque non è tutto: la prendi sempre in giro. Forse tu non te ne accorgi, ma alcune volte ci rimane davvero male!
J: Sentilo! Parla quello con due fette di salame sugli occhi!
W: Ma stai zitto.
J: E comunque, visto che la sai tanto lunga, lo faccio solo perché è la mia migliore amica, non con interesse! Lo vuoi capire?! Sto facendo questo per farti aprire gli occhi! Pensi che ormai io non ne abbia le scatole piene, di sentire sempre i tuoi sentimenti di frustrazione?!
W: Di chi stiamo parlando, di Rosalie o di te?! Perché sei sempre così egocentrico...!!!
J: No, qui il problema sei tu, bello. Stai tirando su un casino per niente. Vedi di darti una calmata. E comunque non ho più niente da dirti. Sono affari miei e a te non te ne deve importare.
(si gira e se ne va)
(Warren è incazzato e poi se ne va anche lui)


E adesso non sapevo più come comportarmi n'è con uno né con l'altro.
 

************


Oh no. Il pranzo. Avevo promesso a Warren che mi sarei seduta vicino a lui.

E adesso come facevo? Dopo aver saputo tutto in un colpo come lui la pensava su di me, non sapevo se avrei avuto il coraggio di presentarmi al suo cospetto. Risi di me stessa. Sembrava che dovessi venire ricevuta dal re, se non dall'imperatore.

Alla fine decisi di fare finta di niente. In fondo, lui non sapeva che io ero a conoscenza della sua conversazione con Joe. Quindi, assoluta indifferenza. Anzi, arrivai al tavolo col vassoio in mano canticchiando.

«Ciao, Miss Bipolar.»

«Ciao, Signore dei Soprannomi.» Siccome anche "Miss Bipolar" mi rallegrò particolarmente, gli dissi sospettosa: «Tu sai qualcosa che io non so».

Lui annuì con aria di superiorità. «Eh, sì, io so tante cose che tu non sai, cara la mia bambina».

Sorrisi, divertita dal suo fare così diverso dal solito. Forse dovevo preoccuparmi, ma lasciai perdere.

Alla fine decidemmo che il pomeriggio di venerdì ci saremmo trovati a casa mia subito dopo la scuola.

Così passai tutto il resto della settimana ad aspettare quel momento.

 

Quando entrò a casa mia, la prima cosa che disse fu: «Aaaaah, quanto mi mancava il tuo megaschermo da quarantasei pollici!»

«Cinquanta», lo corressi, come se lo avesse offeso.

«Vabbè, uno in più, uno in meno, il concetto è sempre quello.»

«Lo sapevi che si vede anche in 3D?» gli annunciai entusiasta.

«Forte» sorrise. «Allora il prossimo film vengo a vederlo qui da te, così ci guadagno molte cose». Mi fece l'occhiolino. Appoggiammo le nostre cartelle vicino alla porta e ci sedemmo sul divano.

Mi ero seduta tante volte vicino a lui, prima di quel momento, ma stavolta fu un po' diverso. Era a casa mia, sul mio divano, senza nessunissima fretta di doversi muovere da lì. Avevamo tutto il tempo che volevamo a nostra disposizione e dovevo sfruttarlo al meglio. O almeno non dovevo rovinare quell'occasione con una delle mie stupide cavolate. Ogni minuto era prezioso.

Parlammo un po' dei film che ci piacevano, e gli raccontai che avevo visto un solo film horror nella mia vita (cioè Silent Hill) e che ne ero rimasta completamente terrorizzata, quindi assolutamente niente horror per me. Gli raccontai anche di una volta che ero andata al cinema con Joe e che lui si era quasi strozzato con un popcorn da quanto stava ridendo. Ma non appena nominai il mio migliore amico, Warren si incupì.

Capii il perché e subito mi pentii di aver tirato fuori quell'argomento delicato. Però volevo anche parlargliene perché mi faceva star male, quindi mi avvicinai di più a lui e misi una mia mano sopra le sue.

«Warren, ti prego... ci soffro molto per questa cosa, non mi piace vedere i due ragazzi a cui voglio più bene in assoluto che ogni volta che si vedono vorrebbero sbranarsi. O quasi. Per favore. Lo sai com'è Joe, non è mai lui a chiedere scusa per primo, ma se lo fai tu poi lo fa anche lui. Anche se non so la causa del litigio» mentii «e non voglio obbligarti a dirmela... non potreste cercare di trovare un compromesso?».

Fece una smorfia, girandosi dall'altra parte, poi sostenne il mio sguardo implorante e mi strinse le mani nelle sue. «Va bene, Rosalie, te lo prometto. Ma solo perché me lo chiedi tu.»

A quel punto mi venne da abbracciarlo. E lo feci. Fu una cosa così, spontanea davvero. Gli misi le braccia attorno al collo, commossa dalle sue parole. Warren non disse nulla ma mi abbracciò di rimando.

Quando sciolsi il nostro abbraccio, avevo un gran sorriso sulle labbra. Gli dissi: «Ora però è meglio se ci mettiamo a studiare».

Lui concordò, così prendemmo le nostre cartelle e ci armammo di libri e matite.

E così alla fine Warren era super contento perché Scienza Pazza per lui ora era passata da arabo a tedesco, e lui il tedesco lo sapeva bene perché lo studiava a scuola.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Come in un film ***


15. Come in un film


Il giorno dopo, in ricreazione dopo pranzo, decisi di andare a parlare con Chris.

Al sabato pomeriggio non c'erano mai lezioni (tranne la prima settimana di scuola che era stata un'eccezione, perché l'orario delle lezioni non era ancora stato organizzato), ma la maggior parte degli studenti preferiva comunque rimanere a scuola, per poter frequentare vari laboratori o corsi extra-curricolari. Inoltre, per noi Super era comunque più sicuro stare alla nostra scuola, che era un ambiente protetto, ad esercitare i nostri poteri piuttosto che in luoghi pubblici, con il rischio di venire scoperti dalle persone normali, in confronto alle quali eravamo comunque una notevole minoranza. E, purtroppo, da molti bigotti eravamo ancora visti come una minaccia. Ma non era questo il momento per i discorsi razziali. Morale della favola: quel sabato pomeriggio io ancora non sapevo come l'avrei trascorso, ma intanto sarei andata da Chris. Avevo una comunicazione importante da riferirgli.

Sul corrimano delle scale esterne c'erano Joe e Warren che chiacchieravano sorridenti. Joe diede una pacca amichevole sulla spalla a Warren. Quest'ultimo mi vide, mentre salivo la scalinata di fianco, e mi fece un gran sorriso. Gli inviai un SMS con scritto: "Grazie, ci tengo davvero. È molto importante x me".

Poco dopo lui mi rispose: "Figurati. Comunque stavolta è stato Joe a fare il primo passo. Incredibile, no?"

Mi divertii. "Ooooh, il bambino sta diventando grandeee! Caroooo!". Aggiunsi anche un'emoji con gli occhi a cuore, e vidi Warren da distante che rideva.

 

«Ciao Chris».

Alla fine ce l'avevo fatta, a raggiungere l'aula di musica.

«Toh! Guarda chi si vede! Ehi VIP, per parlare con te devo prendere un appuntamento?!»

«Ma certo che sì! Aspetta che me lo segno sull'agenda. Dunque: "Chris Williams, Sabato 2 Ottobre, ore 13.30". Ehi, ma è adesso! Dimmi». Gli feci un sorriso stregattoso.

Lui ridusse i suoi occhi a due fessure, poi rise e mi disse: «No niente, volevo annunciarti che ci faresti un grande piacere se entrassi nella band, Miss Domanda-su-carta-bollata».

«Questa cosa dei soprannomi comincia a piacermi. Chissà come mai tutto ad un tratto ci avete preso tutti gusto ad assegnarmene uno nuovo per ogni occasione, boh...» alzai le spalle.

«Perché sei una persona da soprannomi» mi spiegò.

«Grazie, lo prendo come un complimento. Comunque ho deciso che sì, ci sto. E da questo momento se proprio volete sono la seconda cantante!»

Chris rimuginò. «Non so, pensavo di metterti al mio stesso livello, sulla scala gerarchica del successo».

«Andiamo a sfondare nel mondo della musica!» annunciai, dirigendomi dentro l'aula con la posizione a Superman.

«Ehi superstar, da quella parte». Mi indicò il corridoio che portava in palestra. «Oggi si va a sfondare in palestra, Boomer ce l'ha l'asciata. Si fanno le prove ufficiali, Rose!». Mi scosse per le spalle perché io ero in catalessi.

Questa roba della catalessi l'avevo presa da Scarlett, che usava quella parola quando il suo sguardo diventava assente e si addormentava praticamente a occhi aperti, assorta nei suoi pensieri. Andava in catalessi soprattutto in classe quando non riusciva a stare attenta (lei faceva così, io disegnavo e/o scrivevo).

«Eh? Ah, sì. Ma non è ancora presto? Insomma, il ballo è quasi a fine novembre!»

«Non è mai troppo presto per la musica» asserì, solenne.

 

La palestra sembrava uno stadio da concerto.

Era stato posizionato un grande palco in fondo, con sopra dei piedistalli con i microfoni, una chitarra elettrica, un basso, le tastiere, la consolle da dj e il pannello di controllo del suono per Ashley, e una batteria.

«Ehi Chris, ma chi la suona?»

L'anno precedente era Alex, mio fratello, il batterista. Ma ora che era via...

«Ah, non me ne parlare» mi rispose sconsolato, sventolando la mano come a dire di lasciar perdere.

«Alla fine hai trovato qualcuno?»

«Sì ma è come se non ci fosse. È un disastro totale! No, devi sentirlo perché è impossibile».

«Ma chi è? Cavolo deve essere pessimo, se me lo dici così». Anche se sapevo che Chris esagerava su tutto.

«Andrew McCoy, di terza Scientifico. Lo conosci?»

«No, non so chi sia. È qui?»

«Sì, è là che cerca di sistemarsi sullo sgabello» sospirò guardandolo. «Abbiamo dovuto prenderlo perché era l'unico disponibile».

Intanto Andrew, appena comparso da dietro la tenda vicino al palco, cominciò a suonare.

«Ehi, non mi sembra così pessimo, anzi mi sembra bravo» commentai.

«Uuuuuaaarrrgghhhhhh COOOOSAA?!?» gridò mettendosi le mani nei capelli. «No ma nell'improvvisazione è anche decente, ma con le canzoni è totalmente fuori tempo! E poi di colpo salta su e si mette in piedi sullo sgabello a battere sui piatti come un forsennato! Secondo me crede di essere a un concerto metal!»

Ridacchiai. Chris era sull'orlo della disperazione, poveretto. «Dai, non importa, vedremo dopo cosa fare. Hai già pensato a che canzoni suonare?»

«Circa. Ashley si era presa l'incarico di fare una lista, me l'ha consegnata prima.»

«Ecco cosa stava scrivendo in classe!»

«Cosa, prima?»

«Sì, ho visto che la scriveva. Posso dare un'occhiata?»

Mi allungò il foglio. «Certo. Pensavamo di farne circa dieci e poi o siamo morti distrutti non-respiranti, oppure potremmo andare secondo le richieste del pubblico».

«Sìììììì belloooooo così poi ci chiedono canzoni che manco so che esistono e perciò iniziano a lanciarci i pomodori», dissi sarcastica, accompagnandolo con quest'espressione: -.-"

Chris rise.

La lista era molto varia, c'erano anche alcune delle canzoni che gli avevo proposto io.

 

  • Blink 182 – All The Small Things

  • Green Day – American Idiot

  • Pink – So What

  • All Time Low – Time Bomb

  • Good Charlotte – The River

  • Hadouken! - Declaration of War/Stop Time

  • Fall Out Boy – Thanks For The Memories

  • Metro Station – Seventeen Forever

  • Avril Lavigne – One Of Those Girls/Skater Boy

  • Katy Perry – Firework/Teenage Dream

  • Black Eyed Peas – I Gotta Feeling

  • Ke$ha – Kiss N Tell

  • Charli XCX – Break The Rules

  • Icona Pop – We Got The World

 

«Va bene dai, cominciamo a provare?» suggerì Chris.

Così prendemmo posto sul palco. Derrick il bassista entrò dalla porta sul retro e iniziò a sistemare il basso. Arrivò anche Ashley, che alzò una mano in segno di saluto e poi collegò lo spinotto alla consolle.

«Ehi, aspetta, ma non c'era anche...» cominciai, chiedendo di Warren a Chris, ma subito dopo il personaggio in questione salì sopra il palco con una chitarra elettrica in mano e si sistemò di fianco a Chris. Io mi avvicinai a lui e lo salutai.

«Ciao Nicknamer! Hai visto che adesso ci sono anche io?» Gli feci un occhiolino.

«Speriamo solo che tu non sia troppo bipolare!» scherzò.

In quel momento arrivò anche Scarlett, che aveva sentito i nostri pensieri e stava ridacchiando. Mi diressi da lei.

«Suono le tastiere» rispose alla mia domanda mentale sul "cosa ci faceva lì", e mi ricordai che me l'aveva già detto Warren.

Tornai alla postazione microfono, e mi sembrava davvero strano essere lì, sul davanti del palco. Ora la palestra era vuota, ma al ballo sarebbe stata pienissima, e tutti ad ascoltare proprio noi... un sogno che diventava realtà! Essere al centro dell'attenzione era una cosa che semplicemente adoravo.

«Allora Rosalie, da dove vuoi che cominciamo?» mi chiese Chris, dopo essere andato a fare delle raccomandazioni al batterista.

Proposi di cominciare dalle prime della lista, visto che erano più "rock" quindi già pronte all'uso; altre come "I Gotta Feeling", che richiedevano un adattamento per essere suonate con chitarra e batteria, le avremmo tenute per ultime.

Visto che eravamo in due a cantare, decidemmo che per tutte le canzoni ci saremmo alternati con voce maschile/femminile. Chris era accompagnato da Warren come seconda voce per le parti maschili, io invece avevo Ashley e Scarlett come coriste.

I primi due brani vennero perfetti, alla fine ci facemmo anche un applauso! Chris aveva una voce fantastica, riusciva ad adattarsi a qualsiasi brano e genere. Quanto a me, stavo cercando di fare del mio meglio. Andrew fu abbastanza bravo alla batteria, o almeno non fece errori troppo grossolani. E Warren... beh, non serve neanche a dirlo. Su "American Idiot" aveva dato del suo meglio, ed era straordinario vederlo suonare con tutta quella grinta. Stavo scoprendo un suo nuovo talento. Inoltre era un figo, ma figo forte... Finite le canzoni ero rimasta a fissarlo un bel po', mordendomi un labbro mentre lo osservavo che si arrotolava le maniche della maglietta, a mettere in bella mostra i suoi bicipiti muscolosi... argh.

«Ok, allora queste le facciamo!» disse Chris, segnando una spunta sulla lista. «Ora cosa proviamo?»

Mi riportò brutalmente alla realtà. «Thanks For The Memories!» buttai lì io, un po' spaesata. Concentrati, Rose. Finite le prove avrai tutto il tempo che vuoi per ammirarlo, ma adesso devi tenere la testa qui. Dimostragli quello che sai fare, mi dissi.

Siccome il ritornello si ripeteva ogni volta due volte, la prima la cantava Chris, la seconda io. Era una cosa davvero forte! Solo che al secondo ritornello Andrew si mise a suonare forsennatamente alla batteria; mi sa che credeva fosse una canzone metal!

Chris urlò di disperazione, perciò io mi avvicinai a lui e lo rassicurai. «Dai, sta' tranquillo, ci parlo io.»

Ad Andrew dissi se per favore cercava di attenersi alla canzone che stavamo suonando, di seguirne il ritmo eccetera, tutto con il più garbo possibile.

Tornai al mio microfono e sussurrai a Chris: «Credo di averlo un po' demoralizzato, ma comunque è d'accordo».

«Deve esserlo» annuì deciso. «Rose, ti prego, quand'è che torna Alex? Lui sì che è davvero un talento alla batteria!»

«Verso la fine di novembre». Lo interruppi appena aprì la bocca: «Ma non ce la farà per il ballo. Mi dispiace.»

Ci rimase male. Poi sospirò rassegnato, dando un'occhiata ad Andrew, quindi tornammo alle nostre canzoni.

 

Alla fine eravamo sfiniti ma soddisfatti. La scelta delle canzoni fu davvero difficile, perciò decidemmo che l'avremmo lasciata a qualche giorno prima del ballo.

Durante le prove alcuni studenti erano venuti ad ascoltarci, aggiungendosene man mano sempre di più. Ora tra la gente sugli spalti, quella in piedi vicino all'ingresso e quella seduta in giro, ci saranno state una trentina di persone.

Mi sedetti al bordo del palco, con i piedi a penzoloni sul parquet, per recuperare un po' di energie. Bevvi metà della mia bottiglietta d'acqua. Sentii dei passi avvicinarsi dietro di me, però non mi girai. Stavo già sorridendo. Warren si accomodò di fianco a me, con in mano la sua chitarra elettrica. Il mio sorriso si allargò ancora di più. Mi girai verso di lui.

«Sei molto brava a cantare» mi disse. «L'avevo già notato l'anno scorso quando eri salita sul palco con Chris, ma non ho mai avuto occasione di dirtelo.»

Io non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi bicipiti.

Prima di rendermene conto, avevo già allungato una mano e l'avevo appoggiata sul suo braccio. Madonna quanto è sodo, pensai, sempre più arrapata. «Tu sei bravissimo a suonare la chitarra» gli dissi, senza però togliere la mano. «Come mai non sei entrato nella band anche gli anni scorsi?»

«Perché c'era già un chitarrista» spiegò. «E poi, lo sai, non mi piace stare al centro dell'attenzione. Però, dato che ci sei anche tu, lo faccio molto volentieri.»

Io sorrisi ancora di più e spontaneamente spostai la mano per intrecciarla con la sua. Mi avvicinai di più a lui, fino ad avere le nostre cosce a contatto, e rimanemmo lì per un po' a guardarci negli occhi teneramente, senza dire una parola. Era bello stare un po' assieme e avere un po' di silenzio dopo tutto il rockeggiare di prima.

Stavo per dirgli qualcosa quando sentimmo un fischio fastidiossimo provenire dagli altoparlanti. Per fortuna durò solo un istante, altrimenti mi sarebbero esplosi i timpani! Io e Warren ci girammo simultaneamente verso la consolle e vedemmo Joe che stava trafficando con gli spinotti, e Ashley che lo stava ricoprendo di botte per cercare di mandarlo via. Non potemmo fare a meno di scoppiare a ridere entrambi.

«Che cavolo fai, Joe! Vuoi far saltare in aria la consolle?!» stava urlando Ash.

«No, ahi! Volevo solo mettere una canzone! Ahia, mi fai male!»

«E chiedere no?!»

Scarlett intervenne, sia per salvare il suo fidanzato dalla furia della nostra amica, sia per scusarsi con lei. «Ash, scusalo! Lo sai che è un idiota!» Lanciò un'occhiataccia a Joe, che intanto si era tirato in parte. «Però non è una cattiva idea: metti su un po' di musica, facciamo una dance session!»

Ashley non sembrò molto d'accordo all'inizio, però dopo una veloce controllata alla consolle vide che era tutto a posto e così fece partire la musica.

«Woooo!!!» gridai io, alzandomi in piedi tutta eccitata. Era "Club Can't Handle Me" di Flo Rida e David Guetta! Una delle canzoni più strafighe da ballare!

Scarlett era già scesa in pista. «Dai Rosalie, vieni qua! Facciamo la nostra coreografia!»

Diedi un'occhiata a Warren, che ridendo mi diede il permesso di unirmi alla mia amica. «Vai, vai!» disse.

Non me lo feci ripetere due volte e iniziai a scatenarmi assieme a Scarlett, con i passi che avevamo studiato insieme per il saggio di Hip Hop dell'anno scorso. Era una figata! Mi stavo divertendo tantissimo e perfino gli spettatori si erano avvicinati di più per vedere meglio e stavano cantando e battendo le mani a ritmo. Mi sembrava di essere in un film di Step Up!

«You know I know how... to make 'em stop and stare as I zone out... the Club can't even handle me right know... watchin' you watchin' me I go all out... the Club can't even handle me right know... Yeeeee yeeee...» cantavamo tutti in coro. Era super coinvolgente, e notai con soddisfazione che qualcuno stava facendo anche un video. Ottima idea, pensai, dopo voglio averlo a tutti i costi! Sarebbe di sicuro finito subito su Facebook!

A metà canzone Joe scese dal palco e si mise in mezzo a noi.

«Fate largo al Maestro!» esclamò, e cominciò subito a ballare con le sue incredibili acrobazie e passi.

Finalmente, pensai. Era da tanto che non lo vedevo ballare, questa era un'occasione speciale! Joe sembrava tanto il tipico fighetto vestito di marca, ma era un freestyler eccezionale. Il suo habitat naturale era la strada, e gli bastava un pavimento e un po' di musica e non lo riconoscevi più.

«Joe sei un figo!» gli urlai, battendo le mani a ritmo insieme agli altri. Continuava a ballare, i riflettori erano puntati su di lui. Era spettacolare, se lo meritava.

Dopo aver fatto qualche passo a terra, si tirò in piedi, mentre la gente lo acclamava e continuava a battere le mani. Si avvicinò a Warren, seduto a bordo del palco, e lui e Chris lo spinsero sulla pista. «Adesso tocca a te!» gli disse Joe, ridacchiando. Lo guardai incuriosita. Cos'aveva intenzione di fare?

La musica intanto cambiava e Warren rivolse una smorfia ai suoi amici. «Questa me la pagate» li minacciò con un'occhiataccia; poi però si abbassò sul pavimento e come se niente fosse iniziò a ballare una breakdance incredibile.

«Non ci credo!» urlai sopra la musica, in preda all'euforia. Lo guardai esterrefatta e con un'espressione di totale sorpresa, ma ero contentissima. La folla intorno esclamava: «Oooooh!» «Aaaaah!». Aveva dei passi pazzeschi, uno più incredibile dell'altro! Non avevo mai visto niente del genere!

Dopo un'ultima giravolta sul pavimento, si alzò in piedi e mi si avvicinò sorridendo.

«Aha! Ecco il perché di tutti i tuoi muscoli!» gli dissi io, battendogli una mano sugli addominali.

«Ti piace, eh?» rispose scherzoso, e si alzò un po' la maglietta per mostrarmi gli addominali scolpiti. Ridacchiai ammirata, più che altro per trattenermi dal saltargli addosso. Sentii qualche ragazza tra la folla dietro di me sospirare un «Oooh, che figo...» insieme alle amiche. Muahaha, ed è tutto mio, pensai soddisfatta. Joe si avvicinò a Warren e, facendogli abbassare la maglia, gli consigliò: «Ok sgasati adesso però, sennò qua svengono tutte», e si mise a ridere, accompagnato da me.

La musica cambiò di nuovo e mi illuminai. «Nooo! Ash, sei un mito!» esclamai tutta contenta ad Ashley che, sapendo che era un'altra delle canzoni che ballavamo sempre, l'aveva messa. L'avevo riconosciuta subito: era "Fancy Footwork" di Chromeo.

«Balliamo?» mi propose Scarlett, tendendomi una mano.

«Certo!» Afferrai la sua mano e scesi di nuovo in pista con lei.

Così cominciammo con i passi della nostra coreografia, seguendo la musica; tutti ci acclamavano e io non mi ero mai sentita così realizzata. Poi però nell'ultimo ritornello c'era un passo in cui incrociavamo le nostre gambe ma perdemmo l'equilibrio e cademmo entrambe a terra, ridendo come matte. Ci tirammo su con una specie di passo di breakdance e poi ci demmo il cinque.

Joe si mise a ridere. «Ahaha cos'era quella schifezza?»

Scarlett ed io sorridemmo, divertite. «Dai! Vediamo cosa sai fare! Forza!» lo esortai.

Joe con aria di sfida si abbassò sul pavimento e, con una nuova canzone in corso, cominciò a ballare. Con la coda dell'occhio vidi Chris afferrare il microfono e iniziare a commentare. «O-ho ragazzi! Questa ha tutta l'aria di essere una vera e propria sfida di ballo! Chi si aggiudicherà il titolo di Re dei Freestylers? Puntate le vostre scommesse!». (Pensai che ci sarebbe stato bene anche un "Scopritelo nella prossima puntata di... A Tutto Reality, l'Isola!", visto che anche lì il presentatore si chiamava Chris...ahah vabbè stendiamo un velo pietoso.)

Io e Ska ci mettemmo a ridere, soprattutto quando Ashley stufa andò lì e gli strappò il microfono di mano, e Chris si lamentò con "Ma daiiii!" perché aveva appena messo fine alla sua mai iniziata carriera di presentatore.

Un'idea fantastica bussò alla porta del mio cervello. «Ragazzi! Che ne dite se facciamo una sfida a coppie, io e Scarlett contro Joe e Warren?»

Coloro che avevo nominato concordarono, divertiti. Ormai che eravamo lì, tanto valeva darci dentro. (Warren fu un po' meno d'accordo, a dire la verità, ma ora che si trovava in gioco non aveva molte alternative...)

«Figo!» esclamai contenta dopo aver ricevuto l'approvazione. «Bene si comincia!»

Ashley dichiarò: «Vediamo come ve la cavate con la musica da rave!»

Disse che voleva mettere su "Drop" di East Clubbers, una canzone hardcore-trance con i bassi potenti, però un po' rallentata rispetto alla versione originale, per poterla ballare.

Iniziai già a canticchiarla. Era una delle mie preferite. «I remember the time of my life...!»

Fin che Ashley "annunciò" nel microfono, come nella canzone: «Once again, drop the bass!» e allora partì la musica potente e io e Scarlett iniziammo a ballare, sfornando i nostri passi migliori.

Warren si lamentò: «Che cavolo, io non la so ballare 'sta roba!»

«Noi sì!» esclamammo insieme noi due, continuando a scatenarci. Mi stavo divertendo un mondo, era da tanto che non ballavo quel brano! Era sempre stato il mio cavallo di battaglia, quindi giocavo in casa. Bene.

Finita la canzone, Joe alzò le mani. «Ok ok, avete vinto voi, ci arrendiamo!»

Andai lì e lo tirai per il braccio. «No, "vi arrendete" col tubo! Ash, metti Whachadoin!»

Come cominciò il primo verso, col suono del cellulare, io e Ska iniziammo il nostro freestyle, fermandoci ad ogni cambio di strofa e lasciando il posto a Warren e Joe. Che figata, ragazzi!

Era una canzone perfetta per la breakdance, aveva dei bassi pazzeschi, e Warren era una cosa incredibile! Tutti ci stavano acclamando, che bello!

A metà canzone ormai era diventata una sfida me contro Warren e Scarlett contro Joe.

Finito il brano, avevo appena terminato il mio pezzo in concomitanza con la fine della musica, non feci neanche in tempo a rendermene conto che Warren mi prese per le ginocchia e mi tirò su sulla sua spalla a mo' di sacco di patate, e mi portò verso la consolle, da Ashley.

Risi moltissimo, mentre invano mi stavo dimenando, e come Ashley ci vide rise anche lei. Mi passò il microfono e io, ancora in braccio a Warren, annunciai: «Yeah guys! Let's dance! Show me your moves!»

Tutti inneggiarono e si riversarono al centro della "pista da ballo".

Ash mise "The Way I Are" di Timbaland. Ska salì sul palco con Joe e iniziarono a ballarla alternandosi: lui ballava le parti dove cantava Timbaland, e lei quelle in cui cantava Keri Hilson. Erano bravissimi, sembrava una coreografia studiata, ma sapevo che stavano improvvisando. La folla li acclamava e c'era anche qualcuno che li stava riprendendo col cellulare.

I brani che Ash mise in seguito erano via via sempre più ritmati, fin che mise "Bloody Pimp", uno dei miei brani hardstyle preferiti, remixandolo. Warren mi si avvicinò e mi chiese: «Ma questo genere è hardcore?»

Gli risposi senza pensarci. «No, l'hardcore è quello che assomiglia al mio battito cardiaco quando sono vicino a te».

Allora lui disse: «Mmmm, vediamo...» Si abbassò, poi appoggiò l'orecchio sul mio cuore. «Sì, hai proprio ragione».

Beh, ovvio, stava battendo a 2000, Warren non poteva continuare a toccarmi così tutto d'un tratto! Lo sapeva che andavo in autocombustione! Glielo feci notare e lui iniziò a ridacchiare, ma quando offesa aggiunsi: «Uè qua non mi si sfotte così, capito??» comprese che forse ero davvero imbarazzata. Quindi per aumentare ancora di più questo mio sentimento mi mise un braccio attorno alla vita e mi condusse attraverso la palestra, mentre osservavo la scena che ci si parava davanti.

Alla fine la palestra si era trasformata in una specie di piccola discoteca. Erano tutti scesi in pista a ballare, e Ashley era tutta contenta che i suoi nuovi remix piacessero.

Mi sedetti vicino a Warren sugli spalti ora vuoti. Eravamo entrambi esausti e ansimanti, sia dalla dance session intensiva di prima, sia perché era stata un'impresa passare in mezzo a tutta quella folla che ballava. Bevvi un po' d'acqua dalla mia bottiglietta e poi l'offrii a Warren. Osservai la sua espressione mentre beveva. Quando finì, si pulì la bocca con la mano, poi rimise il tappo. Io lo stavo ancora fissando, come in attesa di un commento, e dopo un po' scoppiammo entrambi a ridere.

«Cosa c'è?» mi chiese lui ancora ridacchiante.

«Boh... era perché è la mia bottiglietta e avevo appena bevuto io, quindi non sapevo se...»

Warren rise, e per tutta risposta mi attirò a sé, mettendomi un braccio attorno alle spalle. Misi una mano sul suo petto, ancora sorridente.

Alzai gli occhi per guardarlo in viso, e mi accorsi che anche lui mi stava guardando.

«Senti ma com'è che tu sai ballare la breakdance?» chiesi, prima che potessi ripensarci.

Si sistemò dietro l'orecchio sinistro un ciuffo di capelli ribelle. Notai che sul lobo aveva un orecchino argentato. Che figo, pensai, per l'ennesima volta quel giorno. Non la smetteva mai di stupirmi.

«L'ho imparato nella mia crew di strada» disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

«Crew? Tipo una crew di ballo?»

Ridacchiò. «Più o meno. Un gruppo di ragazzi e ragazze, tutta gente di strada, con cui sono cresciuto. È lì che ho conosciuto Joe quando ancora ero alle elementari. E per la breakdance, i più grandi la insegnavano ai più piccoli, roba così. È come una tradizione, che si tramanda di generazione in generazione.»

Fu come se mi avesse appena rivelato la più grande verità. «Ecco dove Joe ha imparato a ballare! Me lo sono sempre chiesta, e lui non me l'ha mai voluto dire.» E capii anche il perché: altrimenti mi avrebbe rivelato troppe cose su Warren, e ora non avrei più nulla da chiedere al diretto interessato. Chissà quante altre cose avevo ancora da scoprire su di lui... Sorrisi all'idea, e alla prospettiva di poter trascorrere assieme a lui un sacco di tempo per poterle scoprire tutte.

«Meglio, così ho potuto raccontartelo io» disse con un sorriso. «Ti spiegherò meglio un'altra volta. Magari se vuoi un giorno potrei presentarteli. È tutta brava gente, anche se un po'... alternativi

Lo guardai con aria interrogativa, mentre lui fissava la palestra assorto, ma in quel momento suonò la campanella che segnava la fine della giornata scolastica. Così dovemmo scendere dagli spalti per andare ad aiutare gli altri a liberare il palco. La gente uscì lentamente dalla palestra, facendo un gran chiasso e un sacco di complimenti ad Ashley per aver reso il sabato pomeriggio una festa, e noi della band raccogliemmo tutta l'attrezzatura e la riportammo in aula di musica.

 

Prima di salire in corriera, Warren mi chiese se il giorno dopo, anche se era domenica, ero libera e poteva venire a casa mia, e io felice come una pasqua gli risposi che lui poteva venire da me quando voleva. Poi lo salutai e salii sull'autobus sedendomi vicina a Scarlett.

Quando scendemmo alla nostra fermata, lei mi disse, continuando il nostro discorso su me e Warren fatto durante il tragitto: «Eravate lì seduti, che ridavate e scherzavate, e dopo quello che è successo oggi pomeriggio...». Si riferiva a quando Warren mi aveva presa in braccio davanti a tutti.

«Oddio, tutti penseranno che stiamo assieme!»

«Cos'hai intenzione di fare?»

Ci riflettei su un minuto. «Mah, credo che la cosa migliore sia aspettare e vedere cosa succede. Attendere il susseguirsi naturale degli eventi.»

Lei annuì. Poi io la informai sul progetto mio e di Warren di studiare assieme. Lei mi guardò di sbieco e mi rammentò: «Rose, ti ricordi vero che lunedì prossimo ricominciano le lezioni di hip-hop?»

Ops. Ehehehe. No, me lo ero completamente dimenticata. Ska mi rivolse uno sguardo ancora peggiore perciò io le dissi, come legittima difesa: «Eh vabbè scusa e che c'entra? Non è che deve venire a casa mia tutti i giorni eh...»

Anche se in realtà speravo nel contrario di ciò che avevo appena detto.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Sempre più vicini (e io intanto ho sempre più caldo) ***


16. Sempre più vicini (e io intanto ho sempre più caldo)


Che caldo.

Caldo caldo caldo.

Che caldo assurdo! Mi stavo sciogliendo.

Ma dai! Non era possibile che a ottobre ci fossero quaranta gradi all'ombra e un sole che cuoceva i sassi. D'accordo, forse stavo esagerando, ma ricordiamoci che io sentivo il caldo molto di più di una persona normale.

Ero distesa sul pavimento fra la cucina e il salotto, in mutande e reggiseno. Almeno le piastrelle erano ancora fresche. Anche i gatti erano distesi poco distante da me, anche loro alla ricerca di un punto fresco.

Stavo soffrendo per davvero. Il caldo atmosferico era il mio più grande nemico. Dopo pranzo mi ero addirittura chiusa nel frigo per cercare di rinfrescarmi. Bevvi un grande sorso dalla bottiglia d'acqua da un litro e mezzo che avevo al mio fianco; era la terza che finivo quel pomeriggio. L'avevo circondata uno spesso strato di ghiaccio perché si mantenesse fresca. Avevo ricoperto anche la mia pelle con uno strato di ghiaccio, ma più sottile, come un velo, per aiutarmi a mantenere una temperatura corporea bassa, anche se più di tanto non potevo fare. Però un po' aiutava.

Non avevo le forze di fare nulla. Di disegnare non se ne parlava, e nemmeno di stare al computer a scrivere. Mi si sarebbero incollate le chiappe alla sedia se solo mi fossi posizionata lì.

Rotolai alla mia destra per cercare una zona di piastrelle ancora fresca.

L'unica cosa che ebbi forza sufficiente per fare fu controllare il cellulare, anche quello posizionato strategicamente nei paraggi, in modo da non dovermi alzare per andare a prenderlo. Mi era appena arrivato un messaggio: era da parte di Ashley, diceva che sarebbe passata di lì fra poco per portarmi il cd che le avevo chiesto. Diceva anche che quel pomeriggio andava a casa di Scarlett, e mi chiedeva se volevo andarci anch'io. Stavo per scrivere la risposta quando qualcuno suonò il campanello.

Già qui? Che velocità, Ash!, pensai.

Raccolsi tutte le briciole di forza che avevo e mi alzai. Con in mano il cellulare, mi diressi alla porta e l'aprii con lo sguardo ancora sullo schermo.

«Ciao Ash» dissi. Alzai gli occhi per salutare la mia amica, ma non mi trovai davanti chi mi aspettavo.

Era Warren. Che mi guardava con due occhi grandi così.

Lo fissai pietrificata.

Cosa.

Non ci stavo capendo niente.

Per la sorpresa mi sfuggì dal palmo un raggio congelante che trasformò il mio cellulare in un blocco di ghiaccio, ma la mia preoccupazione più grande era un'altra.

Lui non aprì bocca, ma percorse con lo sguardo ogni centimetro del mio corpo seminudo.

Contrariamente da ciò che mi spettavo, non si soffermò sul mio seno o sui miei fianchi, ma si concentrò più che altro sulla mia pelle, ancora ricoperta da un sottile velo ghiacciato. Ne sembrava particolarmente attratto.

Mi sembrò di intravedere una fiamma accendersi sulla sua mano destra, ma lui fu più veloce e la nascose dietro la schiena.

Lo guardai negli occhi. Non mi sarei mai aspettata una reazione del genere da parte sua. Forse il mio ghiaccio lo eccitava come il suo fuoco faceva con me? Non era un'opzione da escludere.

«Ciao Rosalie» disse infine. Aveva uno sguardo stranissimo in volto. «È il momento sbagliato?» Adocchiò il mio completino, per farmi capire a cosa si riferiva.

Ohmmiosantissimodio. Mi inventai qualcosa. «Ehm... avevo un caldo...!!!» Mi feci aria con la mano, nervosa. Più imbarazzata di così non potevo essere.

Warren concordò. «Sì, Joe mi ha detto che è stata Amber a far uscire questo sole cocente, perché voleva farsi una nuotata in piscina.»

Ridacchiai lievemente isterica. «Ma io quella lì la meno!!» dissi cercando di sdrammatizzare.

Lui continuò a fissarmi. Stava aspettando qualcosa. Alla fine me lo chiese, dato che io ero ancora scombussolata da quella situazione. «Posso entrare...?»

«Ehm... sì, certo» dissi, spaesata. Mi feci da parte, in modo che lui potesse passare. Misi il cellulare congelato fuori dalla porta, sotto il sole, in modo che potesse scongelarsi. Ci mancava solo questa..., pensai. Improvvisamente realizzai e mi girai verso Warren a chiedergli: «Aspetta, ma tu... cosa ci fai qua?!»

Mi guardò confuso. «Non ti ricordi che dovevamo studiare insieme?»

Buonanotte, Rosalie! «Ah già, è vero! Me ne ero completamente dimenticata!».

Lo osservai mentre andava vicino alla vetrata del salotto che dava sul giardino e si mise a fissare fuori. Notai che non aveva portato niente, né borse ne cartelle, ma in quel momento ero troppo disorientata per chiedermi il perché. Osservai il suo abbigliamento: indossava una canottiera e dei pantaloni da ginnastica lunghi. Aveva i capelli raccolti in un codino, così il suo viso era libero e potevo vedere i suoi bei lineamenti anche da dietro. Mi portai le mani in testa per cercare di concentrarmi: nelle condizioni in cui ero, non era proprio il caso di farsi venire strane idee.

Proprio in quel momento Warren si girò verso di me. Mi guardò un po' in silenzio, mentre io lo fissavo di rimando, poi mi si avvicinò lentamente, fin che si trovò a pochi centimetri da me. Allungò una mano e l'appoggiò sul mio bacino. Al contatto, lo strato di ghiaccio si sciolse ed evaporò all'istante. Warren aveva le mani caldissime in quel momento, sembrava che dovesse scaturirvi una fiamma da un momento all'altro.

«No, non ce la faccio» disse sofferente, e ritirò la mano. «Scusa, Rosalie. Io... devo andare.»

Fece per avviarsi alla porta ma io lo afferrai per il braccio. «No, aspetta!» Si girò a guardarmi. Aveva ancora quello sguardo combattuto in volto. «Se il problema sono i miei, ehm... vestiti, posso andare a cambiarmi!»

«Ma se ti vesti soffrirai per il caldo» controbatté. «Non vorrei che ti sentissi male.»

«Non voglio che tu te ne vada» affermai, più convinta. «Aspettami qui.»

Lui mi rivolse un mezzo sorriso e andò a sedersi sul divano. Feci per avviarmi verso il corridoio che portava alle altre stanze quando il campanello suonò di nuovo. Sempre più confusa, andai ad aprire la porta e mi trovai davanti Ashley.

«Ciao Rose, ho trovato il cd che stavi cercando!» mi salutò. Poi notò il mio abbigliamento chiese: «Che cavolo ci fai "vestita" così?»

«Ehm...» farfugliai, incapace di formare una risposta di senso compiuto, ma lei fu più veloce di me e notò Warren, che si era alzato in piedi, e mormorò un «Uh... oh...» Mi mise il cd fra le mani. «Ops. Ok è imbarazzante. Sono arrivata proprio al momento sbagliato.»

«Ma no, non è come pensi!» cercai di dirle.

«Potevi avvisarmi, però, eh.» Mi lanciò un'occhiata di rimprovero.

Le indicai il mio cellulare vicino alla porta, che pian piano si stava scongelando.

«Ah. Beh inutile che ti chieda se vuoi venire da Scarlett con me, direi che la risposta è abbastanza ovvia. Tieni pure il cd, adesso a me non serve.»

«Non dirlo a Ska, per favore!» la supplicai. Siccome Ash non aveva capito niente di quella situazione, chissà cosa avrebbe potuto inventarsi da raccontare a Scarlett.

Ash mi rivolse uno sguardo divertito. «Non credo che ce ne sarà bisogno: probabilmente i pensieri di Warren sono così rumorosi che Ska li sente fino a casa sua» sussurrò con un sorrisetto, dando un'occhiata a Warren, poi mi fece ciao con la mano e se ne andò.

Per la seconda volta quel pomeriggio, rimasi pietrificata sulla soglia senza capirci niente.

Ad analizzare meglio quella situazione, però, realizzai che molto probabilmente le parole di Ashley erano vere: io cercavo sempre di controllare i miei pensieri quando Warren era nei paraggi, per non rischiare di saltargli addosso, ma chissà cosa stava pensando lui adesso a vedermi quasi nuda. Sicuramente niente di casto.

Divenni tutta rossa al solo pensiero che Warren avesse simili fantasie nei miei confronti, e siccome lui in quell'esatto momento mi guardò negli occhi, l'effetto venne ampliato a dismisura. Corsi in camera mia prima di compiere azioni avventate.

Indossai un top scollato e un paio di pantaloncini corti. So che non era il massimo, ma più stoffa di così proprio non riuscivo a sopportare con quel caldo.

Tornai in salotto e appena varcai la soglia Warren mi guardò.

«Così va meglio?» gli chiesi.

Fece un lieve sorriso. «Come se quei vestiti ti nascondessero» mi fece notare, ironico.

Ridacchiai, sollevata che l'atmosfera si fosse alleggerita e mi sedetti di fianco a lui sul divano.

Fece l'ultima cosa che mi sarei aspettata. Mi sussurrò: «Vieni qui», mi prese per la vita e mi attirò a sé.

Le parole che dolcemente mi disse all'orecchio furono: «Così hai ancora più caldo o resisti? Sei molto fresca.»

Che domande. È ovvio che pur di stare con te mi andrebbe bene anche vivere nel deserto, scemo. «No, sto meglio così, grazie.» A quel punto non resistetti e gli strinsi le braccia al collo. Lui di per sé emanava un sacco di calore, ma in quel momento non me ne importava un tubo.

Warren a quel punto mi chiese: «Ma allora, se soffri così tanto il caldo...perché mi stai così appiccicata?»

Cercai una spiegazione. «No, io soffro il caldo atmosferico, ma mi piace quello corporeo.» Mi strinsi di più a lui, chiudendo gli occhi. «È come se aggiungesse i gradi che mancano in me».

Mi venne un'idea, se così si poteva chiamare: per rinfrescarmi avrei potuto mangiare una delle mie mentine extra-strong. Presi il pacchetto dal tavolino di fronte a noi, ne mangiai una e poi mostrai la scatoletta a Warren. «Vuoi?»

Arretrò. «Oddio, sono quelle dell'altra volta?» mi chiese terrorizzato. Ridacchiai.

Tuttavia ne prese una, più che altro per accontentarmi, dato che lui il caldo non lo soffriva.

«Come mai non hai portato i libri?» gli chiesi, curiosa.

«Perché per Scienze sono a posto, per ora. Oggi tocca a te».

Sospirai, rassegnata. Era arrivato il momento delle mie esercitazioni atletiche. «Va bene. Andiamo di sopra in mansarda, che c'è spazio e c'è il parquet, quindi non rischio di farmi troppo male».

Perciò salimmo al piano superiore.

Warren mi annunciò che "l'argomento" del giorno erano i combattimenti. Visto che a quanto pare Boomer ci aveva preso gusto con "Salva il Cittadino" (infatti ne aveva già programmati altri per i sabati a venire), Warren credeva fosse una buona cosa allenarsi per un'eveniente chiamata sul campo.

Siccome avevo fatto otto anni di corso di karate, quasi mi offesi quando disse che pretendeva di "insegnarmi a combattere".

Gli lanciai uno sguardo di sfida. «Guarda che io sono cintura nera di karate!» lo avvisai. Assunsi la posa da combattimento.

Warren, in piedi davanti a me, mi rivolse un'espressione furba, della serie "mostrami di cosa sei capace".

Non ne ero molto convinta, ma ci provai lo stesso. Cercai di tirargli un pungo indirizzato al suo viso ma lui lo bloccò proprio quando stavo per colpirgli il naso.

Tentai di divincolarmi ma mi girò il braccio e mi serrò i polsi da dietro.

Ecco, ora mi aveva immobilizzata, non potevo fare più niente. Rimanemmo così fermi per un po', lui dietro di me, mentre io meditavo sul da farsi. Improvvisamente, con mia grande sorpresa, lui mi attirò a sé, la mia schiena contro il suo petto, fino a quando sentii il suo respiro sul mio collo, e mi baciò lì.

Un miliardo di emozioni e impulsi arrivarono tutto d'un botto, come se dentro di me fosse esplosa una bomba. Per fortuna che non poteva vedermi in viso. Decisi di non dar a vedere la mia sorpresa e far finta di niente, anche se per compiere ciò mi ci volle uno sforzo enorme. Quello che veramente avrei avuto voglia di fare era girarmi e baciarlo. Sì, avvicinare le mie labbra alle sue e lasciare che il caldo della sua pelle si trasportasse nella mia, assaporare la dolcezza e la morbidezza delle sue labbra bollenti mentre lui mi esplorava il corpo freneticamente, infilare le mie dita nei suoi capelli e lasciarmi trasportare dalla passione...

Va bene, basta. Concentrazione.

«Eh no! Questo è tradimento!» lo accusai mentre ridevo, ma dalle mie risa traspariva il nervosismo che stavo cercando di reprimere.

Scattai e mi liberai dalla sua presa. Per contrattaccare feci un calcio alto ma Warren prontamente mi afferrò la caviglia. Porco cane, il ragazzo aveva dei riflessi spaventosi!

A causa della sua presa persi l'equilibrio e mi aggrappai a lui per non cadere, ma invece lo trascinai con me e atterrammo entrambi sul tappeto.

Ahia, non era stato morbido. Sentivo Warren pesarmi addosso e aprii gli occhi: lui era sopra di me.

Lo sentivo benissimo. Sentivo il calore della sua pelle, il suo profumo così inebriante, i suoi occhi profondi fissi nei miei, tutto insieme era un turbinio di emozioni che mi dava alla testa. Per me era troppo.

Lì in quel modo, così vicini, -e così attratti l'uno dall'altra-, avrei potuto compiere gesti avventati senza rifletterci due volte.

Soprattutto perché Warren aveva uno sguardo dolcissimo, che mi sciolse l'anima, con i miei occhi che si specchiavano nei suoi. Mi accarezzò una guancia e avvicinò il suo viso al mio: stava per baciarmi.

I due lati di me stessa (eh sì, mi sa proprio che ero bipolare) stavano combattendo arduamente fra di loro: uno voleva lasciare che le cose seguissero il corso naturale che ormai avevano preso, l'altro voleva mantenere la lucidità e prestare fede al "programma" che mi ero fatta per la relazione con Warren, affinché tutto fosse perfetto.

Alla fine il secondo prevalse, anche se in realtà avrei preferito di no. Senza quasi volerlo, girai la testa di lato, e Warren finì per darmi un bacio sulla guancia. Ansimai, subito pentendomi del mio gesto.

Lui mi guardò negli occhi, disorientato, ma io non volevo incrociare il suo sguardo. Mi stavo vergognando tantissimo della mia avventatezza, e già mi sentivo un'idiota.

«Rose?» mi chiese. Non risposi. Non volevo, e non sapevo cosa dire. Sospirò, si spostò da sopra di me e si sedette sul tappeto. Anch'io mi tirai su e mi sedetti con le gambe incrociate. Ero mortificata, mantenevo lo sguardo basso per non farmi assalire dai sensi di colpa. Warren era confuso, deluso.

«Ah... scusa...», cercai di rimediare.

«Cosa c'è?» mugugnò dolcemente. «Non vuoi stare con me?»

Non sapevo come spiegarmi. Andai per tentativi. «Non è questo... è solo che... non sono sicura di... ecco...»

Zero. Non mi venivano le parole. Osservai il suo sguardo e, ancora prima di interpretarlo, sentii i miei occhi diventarmi lucidi. Avevo voglia di piangere. E non penso sarei riuscita a resistere ancora per molto.

Warren, senza dirmi né chiedermi niente, mi abbracciò teneramente (sempre da seduti a gambe incrociate quindi era un po' un casino), poi mi prese la testa fra le mani e mi baciò in fronte. Accarezzò i miei capelli e sospirò. «Sei bellissima».

Si alzò in piedi, visto che io ero ancora immobile e che a quanto pare non avevo intenzione di muovermi di lì, e mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi. La presi e mi tirai su.

Warren mi guardò per qualche istante, in silenzio, studiando l'espressione del mio volto. Io cercai di sostenere il suo sguardo con tutte le mie forze, non volevo deluderlo ancora di più di quanto non avessi già fatto. Alla fine lui sospirò e disse: «Forse è meglio che me ne vada.»

Non attese la mia risposta, ma lo seguii mentre scendeva le scale a chiocciola che portavano al piano terra.

Si diresse alla porta e mi salutò. «Ti chiedo scusa se sono stato un po' invadente. Cercherò di stare di più nel mio spazio».

Iniziai a dirgli «No, non hai fatto niente di male, sono io che sono una stup...-» ma lui mi interruppe posandomi una mano sulla guancia. «Non serve che ti scusi. Non ti preoccupare.» Mi rivolse un sorriso. «Ci vediamo» disse, uscì dalla porta e sparì.

Rimasi a fissare la porta chiusa per un bel po', cercando di riordinare la confusione di pensieri che avevo in testa, con pochissimo successo. Avevo bisogno di un po' di tempo per riflettere.

In quel preciso momento suonò il telefono di casa e, dopo aver letto il nome sul display, risposi.

«Pronto? Ciao mamma.»

«Ciao Rosalie, volevo dirti che io e il papà stiamo arrivando a casa. Tu sei lì?»

«Ma mamma! No, guarda! Esco con il telefono fisso appresso» risposi con quest'espressione: -.-"

Rise. «Giusto. Bene, ci vediamo fra poco!»

«Ciao».

Riattaccai. Di solito ero sempre felice di rivedere i miei dopo che erano stati in missione per più giorni, ma questa volta era diverso. Non avevo nessuna voglia di dover rispondere a domande sul perché avevo quella faccia. A quanto pare il mio volto era talmente espressivo che solo dandomi un'occhiata si capiva cosa mi passava per la testa.

Udii una strana musichetta attutita provenire da poco distante, e mi ricordai del mio cellulare. Aprii la porta d'ingresso e lo raccolsi: ormai si era scongelato. Stavo ricevendo una chiamata da Ashley, così risposi. Ad essere sinceri, ero un po' innervosita per quello che stava per dirmi.

«Pronto?»

«Warren è ancora lì?» chiese Ash senza neanche salutarmi.

Mi venne un groppo in gola. Come vorrei poter tornare indietro nel tempo e fare in modo che lui fosse rimasto, pensai. «No» dissi, cercando di mantenere il mio tono di voce più neutro possibile.

«Guarda che con noi puoi parlare, Rose» mi rassicurò Ashley. «Le amiche servono a questo.»

Sorrisi, commossa. «Grazie Ash... però adesso non me la sento, scusami.»

«Ehi» disse, con un tono leggermente preoccupato. «Va tutto bene?»

Stavo per risponderle quando sentii dei rumori dall'altra parte della cornetta, e la voce che parlò dopo fu di Scarlett. «Ashley mi ha raccontato tutto» dichiarò.

Scossi la testa. Proprio come mi aspettavo. «Sì, chissà cos'ha capito! Guarda che non-»

Non mi lasciò finire che mi chiese: «Avete fatto sesso?».

Sgranai gli occhi.

Lei, dato che non rispondevo, fece: «Che c'è?»

Mi ripresi dopo qualche momento di shock. «Ma... ti rendi conto di quello che stai dicendo?!»

Ridacchiò. «Non tanto. Prima ho mangiato quattro pacchetti di biscotti».

Ecco spiegato l'enigma. «Capisco. Passami Ashley.»

«Dimmi» rispose subito. Probabilmente erano in vivavoce.

«Allontana Scarlett dai biscotti, sta straparlando.»

«Ma allora non l'avete fatto?»

Mi esasperai. «Ashley!! Anche tu adesso?!»

Ridacchiò.

«Ma se non ci siamo neanche baciati! Cosa vuoi che arriviamo direttamente ad andare a letto assieme!!!» esclamai, sconvolta.

Scarlett, che evidentemente si stava divertendo più del dovuto, raccontò: «Dai pensieri che urlava Warren fin qua a casa mia sembrava fossero quelle le sue intenzioni!»

Fu come se un fulmine mi squarciasse in due.

Però mi arrabbiai. «Ska, adesso smettila, sono già abbastanza in imbarazzo per oggi! Dai, domani vi racconto sennò non la finite più!»

Ashley mi aiutò. «Va bene dai, Rose, ci racconti domani. Sicura che non vuoi venire qui con noi?»

«Sicura. Anzi, fra poco dovrebbero arrivare i miei, voglio stare un po' con loro stasera.»

«Certo. A domani allora. Buonanotte.»

«'Notte Ash.»

Riattaccai.

Mezz'oretta dopo arrivarono i miei genitori. Li salutai con un abbraccio, e non mi fu difficile sembrare felice, perché lo ero davvero. Dopotutto mi erano mancati. Fui travolta da Black, che si mise ad abbaiare e saltellare tutto contento di rivedermi, mentre io gli sfregavo energicamente il pelo e lo grattavo dietro le orecchie. Era impaziente di entrare in casa e appena aprimmo la porta arrivarono di corsa Glitch e Pixel che fecero le feste al cagnone, che stava scodinzolando come un forsennato. Alla fine andarono tutti e tre in salotto, Black disteso sul tappeto e i gatti comodamente sdraiati su di lui, che facevano il pane sul suo folto pelo. Era una scenetta davvero tenera. Mi stupiva sempre come quei tre andassero d'accordo.

Aiutai i miei a portare in casa i bagagli e disfare le valigie, standomene perlopiù in silenzio. Di solito non avevo problemi a parlare con mia madre, le raccontavo quasi tutto, ma di Warren non mi andava di approfondire l'argomento. Anche perché lui avendo un potere così pericoloso, avevo paura che i miei fossero contrari all'idea che io lo frequentassi. Ma dopo il casino che avevo combinato quel pomeriggio, forse non avrei più dovuto preoccuparmene...

Per cena preparai io un risotto, e a tavola lasciai che i miei genitori mi raccontassero della loro missione.

Almeno quell'argomento mi avrebbe distratto dai miei pensieri pieni di rimorsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** --- > C A S T < --- ***


C A S T


[Riepilogo dei personaggi comparsi finora]
[BF: best friend, migliore amico/a di]
[? = dettaglio che ancora non è stato rivelato]
[Il numero a fianco del potere indica la classe frequentata]

 
PERSONAGGI PRINCIPALI

 
• Rosalie Frozehart [Rose]
- Potere: ghiaccio [4]
- È la protagonista
- BF: Scarlett [BFF], Joe, Ashley
- Warren
- Passioni: disegno e scrittura

 
• Scarlett Nightingale [Ska]
- Potere: lettura del pensiero [4]
- BF: Rosalie [BFF], Ashley
- Joe
- Passioni: fotografia e pianoforte

 
• Warren Peace
- Potere: fuoco [5]
- È un tipo scontroso che molti evitano sia per il suo potere sia perché suo padre è un supercattivo. Si lascia andare solo quando è con Rose.
- BF: Joe
- Rosalie
- Passioni: chitarra e... chissà :P

 
• Joe Bradford
- Potere: controllo delle emozioni [5]
- È rappresentante degli studenti, vice di Gwen. È il ragazzo più popolare della scuola. I suoi sono proprietari della più importante azienda degli USA di congegni per i Super
- BF: Warren, Rosalie
- Scarlett
- Passioni: ?

 
• Ashley Reed [Ash]
- Potere: controllo del suono [4]
- È la dj della scuola. Suo padre è un discografico
- BF: Rosalie e Scarlett
- ?
- Passioni: musica, ovviamente. Fa anche la dj in discoteca e in vari locali

 
• Alex Frozehart
- Potere: elettricità [2]
- fratello di Rosalie, è stato solo nominato per il momento.
- BF: ?
- ?
- Passioni: ?

 
• Chris Williams
- Potere: creazione di campi di forza [5]
- Amico di Joe e Warren, è il cantante della band della scuola
- ?
- Passioni: surf

 
• Britney Lynn Hales [Brit]
- Potere: luce [3]
- BF: Nicole [non è ancora comparsa]
- innamorata persa di Alex
- Passioni: manga/anime e fare i massaggi
 

 
ALTRI PERSONAGGI

 
• Gwen Grayson
- Potere: tecnopatia [controllo della tecnologia con la mente] [5]
- È la presidentessa del consiglio d'istituto
- BF: Penny, ma è anche amica di Amber

 
• Penelope Doublair [Penny]
- Potere: moltiplicazione [5]
- BF: Gwen
- È la cheerleader della scuola [sì, lei da sola, perchè con le sue copie fa un'intera squadra]

 
• Mike Speed [Speed]
- Potere: supervelocità [4]
[dovrebbe essere in quinta ma è stato bocciato in terza]
- Malgrado il suo potere, è ben in carne.
- Bullo della scuola, assieme a Lash
- BF: Lash

 
• Fred Lash [Lash]
- Potere: può allungarsi quanto vuole [4]
[dovrebbe essere in quinta ma è stato bocciato in terza]
- BF: Speed
- Bullo della scuola, assieme a Speed
- Aveva una cotta per Rosalie

 
• Amber Sunray
- Era la migliore amica di Rose alle medie, ora si odiano dopo che Amber le ha fatto un bruttissimo tiro
- Potere: controllare il tempo atmosferico [4]
- BF: Audrey e Alison [solo nominate]
- Si crede la regina della scuola e se la tira un sacco
 
 
• Derrick
- Solo nominato, è il bassista della band [5]

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Tutto ciò che volevi sapere (avrei dovuto spiegarmi prima) ***


17. Tutto ciò che volevi sapere (avrei dovuto spiegarmi prima)


Gli anni scorsi avevo sempre cercato le scuse più assurde per trovarmi nei suoi paraggi, adesso le cercavo per stargli il più distante possibile.

Mi vergognavo troppo di me stessa. Mi sentivo una perfetta idiota. Avrei voluto cadere in una buca e non uscirne mai più.

Lunedì non lo volli proprio vedere. Alla mattina arrivai a scuola all'ultimo minuto apposta, e in ricreazione rimasi in classe per studiare. Cosa che avrei dovuto fare comunque, se volevo arrivare preparata all'interrogazione di Francese. All'ora appena passata, la professoressa Delacroix ci aveva incredibilmente consegnato i compiti svolti il giovedì appena passato. Incredibilmente perché di solito ci metteva circa tre mesi per correggerli, sempre se non li perdeva (o se non moriva, con la salute precaria che si ritrovava, lmao). Ma quelli che avevamo fatto erano un ripasso sulla grammatica, quindi più veloci da controllare. Insomma nel compito alla fine avevo preso un sette. Neanche male, per i miei standard, ma quest'anno volevo impegnarmi di più. In fondo in letteratura andavo anche bene, ma facevo ancora troppi errori di distrazione. Chissà perché, pensai sarcastica.

Al cambio d'ora, Warren passò in corridoio proprio nel momento peggiore. Mi vide mentre sbattevo la testa contro il mio armadietto ripetendomi «Rosalie sei un'idiota, sei un'idiota, sei proprio un'idiota!». Lanciai un grido quando notai lui che mi fissava esterrefatto, e fuggii alla velocità della luce prima che potesse dirmi qualcosa. Che figura di merda. Peggio di così non poteva andare.

Alla sera ricominciarono le lezioni di Hip Hop, come mi aveva per fortuna ricordato Scarlett, e almeno avevo una scusa per distogliere la mente dai miei problemi e concentrarmi sulle coreografie.

Martedì mi andò di culo, perché la professoressa di Filosofia portò tutta la mia classe a una conferenza, "gita" che occupò tutta la giornata, così non dovetti neanche cercare di nascondermi da Warren perché non lo vidi proprio. In corriera con noi vennero anche la quarta e la quinta scientifico, e la quinta linguistico. A quanto pareva, si trattava di una conferenza davvero importante, che come argomento trattava i diritti e i doveri dei Super nei confronti delle persone comuni, o, con termine più corretto, i Sapiens. Noi "Super", o mutanti, se vogliamo usare un termine che molti di noi (compresa me) ritenevano vicino al dispregiativo, appartenevamo alla specie Homo Sapiens Superior, evoluzione dell'Homo Sapiens Sapiens, ovvero i comuni mortali. Era un argomento delicato per noi: di solito cercavamo di evitare i Sapiens, dai quali come ho già accennato eravamo ancora non del tutto ben visti, a meno che non ne fossimo strettamente obbligati, come ad esempio nei luoghi o nei mezzi pubblici.

Ci avevano portato a quella conferenza perché, come ci spiegò la nostra professoressa, sarebbero stati tutti argomenti di cui avremmo parlato più avanti in classe, e che attualmente erano anche ciò su cui stava discutendo la politica.

Ero abbastanza interessata: il tema mi stava particolarmente a cuore, e avevo sempre voluto approfondirlo di più. All'incontro partecipavano molti personaggi illustri, tutti seduti su un lungo bancone con i microfoni. Pensate che, via Skype, intervenne perfino il Professor Charles Xavier. Dopotutto, era un luminare sulla materia.

C'erano molti adulti che vi partecipavano e anche studenti da scuole degli altri Stati. Un cameraman riprendeva tutto l'evento, dato che era in streaming per coloro che non avevano potuto essere lì presenti.

«Guardate» disse divertita la mia compagna di classe seduta vicino a me «abbiamo Jared Leto come cameraman».

Noi ragazze ci girammo a guardare e in effetti aveva la barba e i capelli lunghi e mossi proprio come Jared Leto. Ridemmo sottovoce.

Mi piacque ritrovare quell'alleanza tra ragazze con le mie compagne. Gli anni precedenti ero sempre stata tanto col loro, anche durante i cambi d'ora e in svariate ricreazioni, ma quest'anno era cominciato in modo decisamente diverso. Già dal primo giorno avevo speso la maggior parte del mio tempo con Warren. E adesso avevo rovinato tutto.

Mercoledì mi andò un po' meno bene: avevo la lezione di Tedesco con il professore di madrelingua, alla terza ora, la quale si svolgeva con la classe di Warren. Funzionava così: per queste lezioni di conversazione, sia per Francese che per Tedesco alla mia classe se ne univa un'altra, rispettivamente la terza linguistico (dove c'era Britney) e la quinta Itis, con Warren e Joe. Questo per poterci migliorare tutti nel parlato, il che era veramente una buona opportunità. Le prime due settimane di scuola erano state un casino, non ce n'era una di regolare (tipo che mi ero trovata con Warren ma Joe, Ashley e Scarlett erano a un'altra lezione) perché, sebbene le classi fossero divise in indirizzi, ognuno aveva anche un orario personale. Quindi non sempre mi ritrovavo a frequentare le lezioni con tutte le mie compagne del liceo linguistico. Eravamo tutte quante solo nelle lezioni pertinenti al corso, come Letteratura (Inglese, Tedesca e Francese), Filosofia e Storia. Altre materie come Scienza Pazza o Educazione Fisica erano comuni a tutti i corsi, quindi venivamo smistati singolarmente, e noi di quarta ci trovavamo quasi sempre con studenti di quinta perché i programmi delle lezioni erano a rotazione biennale. Ebbene, le prime due settimane questo smistamento era stato fatto in modo un po' casuale, ma adesso sembrava essersi regolarizzato.

Insomma, a quest'ora di Tedesco con il lettore dovevamo dividerci in coppie, e io fui svelta a girarmi a chiedere di stare in coppia con me al primo ragazzo che trovai. Non lo conoscevo nemmeno, ma non volevo rischiare di ritrovarmi con Warren. Sarebbe stato super imbarazzante e di sicuro non volevo discutere durante quell'ora di lezione. Ashley venne in nostro soccorso e si mise lei in coppia con Warren: aveva capito che io non volevo, e sapevamo entrambe che praticamente tutte le nostre compagne di classe avevano troppa paura di lui anche solo per parlargli. Warren, svogliato, accettò la proposta di Ash e iniziarono a tradurre in tedesco il dialogo che ci era stato assegnato. Io mi girai verso il mio compagno e feci lo stesso.

Comunque dovetti essere grata a Warren, perché era tutto fuorché insistente. Mi era già capitato anni prima di ricevere qualche dichiarazione da parte di spasimanti e io, non sapendo cosa fare, avevo dato un "no" sbrigativo ed ero fuggita. Ottenendo il solo risultato di vedermi questi tizi insistere come non mai i giorni seguenti, e non sapere più come fare a sbarazzarmene.

Se Warren stavolta, anziché lasciarmi i miei spazi per riflettere (e per odiare me stessa, ma tralasciamo) fosse stato insistente con me, tipo aspettandomi fuori dall'aula o rincorrendomi in corridoio per volermi parlare a tutti i costi, credo che mi avrebbe dato parecchio fastidio.

Forse aveva capito che ero pentita e che non avevo davvero voluto agire in quel modo orribile, e che avevo bisogno di rimuginarci sopra per giungere a una decisione.

 

Però non volevo che la settimana finisse così.

Cioè, non volevo lasciarlo con questo dubbio per tutto il weekend. Sarebbe stato crudele, e io ero tutto fuorché sadica.

Giovedì e venerdì non furono diversi: cercai di evitarlo il più possibile, e durante le lezioni non mi sedetti mai vicino a lui.

In realtà volevo tutto tranne che comportarmi così: chissà quanto lo stavo facendo soffrire. Ciò che avrei voluto davvero fare era andare da lui e parlargli, ma non sapevo da che parte cominciare. Non sapevo come rimediare, perché non avevo la minima idea di cosa avrei potuto dirgli. Non avevo scuse per quello che avevo fatto.

Però lui mi precedette.

Passai le lezioni del sabato mattina a raccogliere pian piano tutto il coraggio che avevo, e anziché prendere appunti scrissi un ipotetico discorso che avrei potuto fargli.

In mensa mi sedetti al tavolo con Ashley, Scarlett e Joe, standomene in silenzio, preparandomi mentalmente alla "missione" che mi attendeva non appena avessi finito di mangiare. Era strano, a me non mancava mai l'appetito, ma oggi fissavo il vassoio del pranzo senza alcuna fame. Ero troppo agitata.

Quando ad un tratto sbucò fuori Warren dal nulla e si sedette al tavolo proprio di fronte a me. Lo fissai allibita.

«Non mangi niente?» gli chiese Joe, notando l'assenza di un vassoio del pranzo del suo amico.

«Ho già finito» rispose Warren. Aveva mangiato alla velocità della luce per poter venire lì da me?!

«Rosalie.» disse, con tono risoluto. Dovetti per forza fissarlo negli occhi. Deglutii. «Guarda che io non ce l'ho con te» mi rassicurò, più garbato. «Ho capito sai che ti senti in colpa.»

Istintivamente mi portai le dita davanti alla bocca: primo perché rimanevo sempre allibita da quanto facile fosse capirmi, secondo perché non sapevo come rispondergli.

Lui sospirò e mi guardò per un po'. «Guarda che non me ne vado da qui finché non ti decidi a rivolgermi la parola.»

I miei amici stavano in un silenzio assoluto, anzi avevano anche smesso di mangiare per ascoltare la nostra conversazione, ma in quel momento non mi preoccupavano loro. Mi preoccupava di più Warren.

«Sono una stupida» dissi con voce flebile, per l'ennesima volta quella settimana.

«Sì, lo sei eccome» confermò Warren, duro. Sembrava quasi arrabbiato. «Ma lo sei non per come la pensi tu, ma perché non hai capito un cazzo!»

Indietreggiai, aveva detto quella frase con tono molto severo, se non violento. Mi sembrò di venire investita dalle sue parole.

Lui si sporse in avanti per avvicinarsi di più a me, deciso a non demordere. «Voglio farti una proposta: vieni a cena fuori con me stasera e chiariamo tutto.»

Mi cadde la mascella. Sentii anche i miei amici fare dei versi di sorpresa. Warren però non si lasciò intimidire e continuò a guardarmi negli occhi determinato.

Non sapevo come fare a divincolarmi da quella situazione scomoda. Poi però mi tornò in mente che quella sera avevo già un impegno con Ashley: facevano la serata anni '90 nel locale dove avrebbe suonato lei, e mi aveva invitata procurandomi un'entrata gratuita, sapendo che amavo quella musica.

Rivolsi uno sguardo ad Ashley, che subito capì le mie intenzioni e iniziò a scuotere la testa lentamente ancora prima che io parlassi. «L'hanno annullata.»

«Cosa?» chiesi io, un po' interdetta.

«L'evento di stasera. L'hanno annullato. Non possiamo più uscire assieme.»

Dallo sguardo severo che mi rivolse fui sicura che ciò che aveva appena detto se lo fosse inventata al momento, e io non potei far niente per controbattere. La sua occhiata truce non lasciava via di scampo.

Allora provai a rivolgermi a Joe e Scarlett, sperando che almeno loro mi venissero incontro, ma iniziarono a inventarsi scuse assurde ancora prima che parlassi. Joe disse che doveva andare dal dentista e Scarlett disse che doveva fare i compiti.

«Al sabato sera?» le chiesi io, alzando un sopracciglio.

«Sì, al sabato sera.» rispose lei con un'occhiataccia.

Emisi un gemito. Non mi rimaneva nessunissima alternativa.

Sbirciai verso Warren, che ora aveva un insolente sorrisetto di vittoria stampato in faccia.

Sospirai. «No, va bene. Hai ragione: ti devo delle spiegazioni. Allora, qual è la tua proposta?» Ormai mi ero rassegnata.

«Che ne dici se andiamo al ristorante?»

Lo guardai un po' confusa. «Al ristorante?»

Il suo sorriso si addolcì. «Sì, beh, a mangiare una pizza... Se non è un take away ma una pizzeria, lo considero come ristorante».

Sorrisi divertita. Anch'io la pensavo sempre così.

Warren notò che la mia espressione si era rilassata e ridacchiò. «Sei troppo paranoica. Ti preoccupi troppo per niente.»

Sorrisi di nuovo, perché era uno dei miei più grandi difetti, e Warren aveva notato pure questo.

«Adesso mangia qualcosa.» mi ordinò. Eseguii gli ordini, anche perché adesso mi era venuta fame per davvero.

Il pomeriggio lo trascorremmo in aula assieme, ma senza parlarci; ne approfittammo per prenderci avanti con lo studio. Era un peccato che la sala comune (anche chiamata "caffetteria") non fosse ancora stata riaperta; era in ristrutturazione dalla fine dell'anno scorso. Era una grande sala riservata agli studenti del corso Eroi (ce n'era anche una per le Spalle), piena di tavoli e sedie e perfino un piccolo bar, dove noi studenti potevamo stare in ricreazione, nelle ore buca o al sabato pomeriggio che non avevamo lezioni. Per il momento dovevamo accontentarci di rimanere nelle aule ed organizzarci lì con le nostre cose.

Comunque io e Warren, seduti sul pavimento della mia aula con attorno libri, astucci e foglietti vari, ci rivolgemmo qualche occhiata fugace e qualche sorriso, ma nient'altro. Avremmo serbato le parole per quella sera.

 

Appena tornata a casa da scuola, alle quattro di pomeriggio, mi fiondai subito in bagno per andare a prepararmi. I miei erano usciti, per fortuna, perché non avevo proprio tempo di star là a raccontare del perché ero così agitata. Finita la doccia corsi in camera ancora gocciolante con l'accappatoio addosso e un asciugamano arrotolato sui capelli come turbante. Di solito sceglievo il giorno prima l'abbigliamento adatto all'evento a cui dovevo andare, ma stavolta avevo ricevuto l'invito all'ultimo minuto, quindi andai un po' in crisi perché non avevo la più pallida idea di cosa indossare. Warren mi aveva scritto per messaggio che lui si metteva una maglietta e dei jeans, più "elegante" del solito ma neanche da ristornate vero e proprio. Era divertente perché nel messaggio aveva aggiunto come post-scriptum: "Non serve che mi rispondi. E non elucubrare su cosa metterti. Saremo solo io e te.". Che io avevo interpretato come "ti ho già vista in mutande, puoi indossare anche una tenda se vuoi, tanto per me non fa differenza". E invece no, io volevo stupirlo.

Con questa decisione in testa, non mi fu difficile individuare il capo giusto nell'armadio. Faceva ancora caldo di fuori, quindi l'abbigliamento che avevo in mente non sarebbe stato fuori posto. Indossai un vestitino rosso a pois bianchi stile anni '50, un paio di pumps rosse laccate col tacco 12, una collana con un ciondolo a cuore e degli orecchini argentati pendenti. Mi raccolsi i capelli in una coda alta fermandola con un fiocco della stessa fantasia del vestito, lasciando liberi dei ciuffi ai lati del viso. Mi misi l'eyeliner, il mascara e il rossetto rosso. E anche una leggera spolverata di fard sulle guance. Ero proprio curiosa di vedere se il mio outfit in stile pin-up gli sarebbe piaciuto.

Warren, puntualissimo, mi venne a prendere alle otto meno cinque. Mi aspettavo di trovarlo di nuovo in moto, invece come aprii la porta mi ritrovai, parcheggiata davanti a casa mia, una decapottabile rossa fiammante, lucidissima. E questa da dove salta fuori?!, pensai, sorpresa.

«Andiamo in macchina, Rose» mi disse lui, ancora prima di pronunciare un "Ciao". Però mi rivolse uno sguardo che faceva capire che il mio abbigliamento gli piaceva.

«Wow, che figo» sorrisi io, avvicinandomi alla portiera del passeggero.

Lui mi fermò, mi prese la mano e mi attirò a sé, facendomela appoggiare sul suo petto, poi mise le sue braccia intorno alla mia vita.

«Ehi, ciao». Oh, che voce. Così calda e terribilmente sexy. Aveva uno sguardo soddisfatto.

«Ciao» gli risposi io, stringendo il bavero della sua camicia. Doveva aver cambiato idea: non si era messo una t-shirt, ma una camicia nera aderente, con le maniche arrotolate fino al gomito, che facevano vedere le forme precise che creavano le vene sui suoi avambracci, e i tatuaggi a fiamma sui suoi polsi. Era un po' sbottonata davanti, e lasciava intravedere i suoi pettorali perfetti. Notai che non indossava i guanti in pelle. Anzi, ora che ci pensavo meglio nemmeno domenica a casa mia li aveva, ma quel giorno ero stata troppo ubriaca per rendermene conto.

Warren mi accarezzò i capelli, io lo guardai negli occhi.

«Che bella macchina» dissi, fra le nuvole.

«Grazie. È una Porsche Carrera».

«A-ha» feci io disorientata. Di sicuro non avevo perso la mia immortale voglia di scherzare. E, tra l'altro, di auto io ne sapevo meno di zero. «Guarda, per me le macchine sono tutte uguali, non ne so proprio niente. Se mi chiedi "Che macchina è quella?" io ti dico "Grigia", quindi...» Alzai le spalle, divertita.

Ridemmo.

«Dai, sali». Mi accompagnò fino alla portiera del passeggero con una mano sulla mia schiena. Era così rassicurante...

 

Il tavolo che ci avevano riservato era perfetto. Ci sedemmo e gli rivolsi un gran sorriso. Dopo che il cameriere se ne fu andato con le nostre ordinazioni, Warren domandò: «Ti piace il posto?»

«È perfetto». A dire il vero, non mi interessava affatto in che luogo eravamo, potevamo anche essere nei cartoni della pasta Barilla come i barboni. Mi bastava solo sentire la sua presenza.

Mi prese la mano senza preavviso, sopra il tavolo. «Rosalie», cominciò. Sapevo che quello che stava per dirmi gli stava molto a cuore, e che se lo teneva dentro da un po'. «Tu lo sai di essere davvero importante per me».

Me lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo. A dire il vero me l'aveva fatto capire più volte, ma mi prendeva sempre in contropiede e io ci rimanevo esterrefatta. Ma quello non era il momento di rimanere a fissarlo con la bocca aperta come un pesce lesso.

«Per me è la stessa cosa con te» mormorai.

Non sorrise. Non si arrabbiò. Non fece assolutamente niente. Tanto lo sapeva già, pensai. Semplicemente fece una pausa, analizzando il mio sguardo, poi riprese. «Non riesco a stare senza di te. Ogni momento, ogni istante che ti sono vicino, beh, sono il ragazzo più felice della Terra. Tu sei il tesoro più prezioso, e vorrei poter dire "il mio". Non mi vergogno di dirtelo, non mi vergogno per niente di palesarti ciò che provo; non ce n'è motivo. Però sono confuso, sai. Non ti capisco: prima confermi le mie speranze dicendo di ricambiare i miei sentimenti, poi invece scappi o se cerco di avvicinarmi di più a te, di avere un contatto, ti giri e ti rifiuti. Ma mi cerchi. Eh sì, si vede» rispose al mio allarmarmi improvviso «Ma non c'è niente di male. Io vedo che anche tu stai bene insieme a me... e quindi vorrei una spiegazione. Ti prego. Questa cosa mi fa impazzire. Mi piacerebbe sapere perché "no".»

Arrivò il cameriere: aspettammo che finisse di disporre le nostre bibite sopra il tavolo e, quando se ne andò, mi rassegnai.

Non lo avevo mai sentito parlare così tanto. Warren era un ragazzo di poche parole, diceva solo quello che serviva, scegliendo le parole con cura per arrivare dritto al punto senza tanti arzigogoli intorno. Quel discorso doveva esserselo preparato. No, forse no, mi sa che ero io l'unica che si preparava i discorsi, incapace com'ero di articolare i miei pensieri in frasi sensate senza doverci prima riflettere.

Ora toccava a me parlare. Selezionai attentamente le parole, cosa che di sicuro non ero solita fare. «Warren... Io davvero sono in guerra con me stessa. Vorrei... ma non vorrei. Non fraintendermi», lo bloccai quando aprì la bocca per protestare «Comunque di me hai capito tutto. Sei quasi più bravo di Scarlett. Cos'è? Capacità d'osservazione? Beh, è quella che manca a me. Sai, io mi concentro quasi solo su me stessa, mio grande difetto, quindi non so se andrebbe bene. Capisci cosa voglio dire? Io vorrei, davvero tantissimo, stare insieme a te, ma per questo mio enorme egocentrismo ho paura di rovinare tutto. Con le amicizie me la cavo piuttosto bene, a mantenerle, ma con la nostra non vorrei far saltare tutto in aria. Intendo, metti che ci mettiamo assieme... poi io la prendo come una cosa "sicura" -del tipo, "tanto lui c'è sempre"- e tanti saluti a tutto quello che abbiamo costruito.» Gli strinsi di più le dita, sperando di non averlo fatto arrabbiare.

Lui sospirò e disse: «Quindi non ho nessuna speranza, con te?».

Mi affrettai: «No, no! Non volevo dire questo! Magari... ecco, solo... aspettare un po'. Prima di metterci insieme vorrei conoscerti meglio, capire chi sei esattamente, e vedere come me la cavo io». Sorrisi. Mi sentii in dovere di aggiungere: «E anche perché, sai, con i ragazzi ho ricevuto tante delusioni. Stavano con me solo perché ero carina, e diciamo che questa non è esattamente una bella cosa. Voglio essere sicura di te, che tu non mi lasci.»

Lui ora era molto sollevato. «Non lo farò, te lo prometto».

In quel preciso instante, come Warren aveva appena finito di pronunciare l'ultima sillaba, arrivarono le nostre pizze e, dopo aver riso sentendo i nostri stomaci brontolare, iniziammo a mangiare.

«Buon appetito a lei, Miss Vanity».

«Altrettanto, grazie, Lord of the Nicknames».

Ridemmo.

Chiesi alla cameriera se gentilmente mi portava l'origano. Warren chiese il peperoncino. Quando ce li portò, rimasi esterrefatta a vedere che Warren ce ne mise mezzo tubetto sopra la sua pizza. Non sapevo cosa dire. A me anche un solo granello faceva andare a fuoco la bocca. Poi però ci riflettei bene: in effetti, il fuoco aveva una grande affinità col peperoncino, no? Quindi la cosa, probabilmente, era abbastanza ovvia. Però non sapevo che Warren lo amasse così tanto. Beh, una scoperta in più!

Alla fine della cena lui voleva pagare anche per me, da vero gentleman, ma io insistetti per pagare almeno la mia parte, per scusarmi di tutte le pene che gli avevo fatto soffrire quella settimana. Lui sorrise e accettò, ma disse che la sua parte l'avrebbe pagata lui.

Andammo di fuori e ci sedemmo ad un tavolino, a prendere un po' d'aria fresca. Lui mi fece sedere sulle sue ginocchia e io accettai di buon grado. In fondo ormai avevamo chiarito.

Entrambi eravamo in vena di scherzare.

Warren mi disse, prendendomi per la vita: «Che sexy che sei stasera», con voce calda e affamata.

Ridacchiai e con fare sensuale gli risposi: «Apposta per te.»

Lui mi avvertì, facendo il cretino: «Guarda che ti stupro.»

Ci pensai su qualche secondo. «Mi sa che non mi dispiacerebbe così tanto».

Warren sorrise. «Ma io sono un bravo ragazzo.»

Oh beh, questa poi!!! «Pfffff ceeeerto, come no!» gli dissi io, ridendo.

«Dai che è vero.» Lui si avvicinò a me e mi leccò una guancia.

Lo guardai sconvolta tipo "Oh...!". «Ma sei un porcello!» Risi. «Mangiami» dissi, sempre scherzando.

Warren si portò le mani sullo stomaco. «No, non mi sta più niente, devo ancora digerire la pizza».

Frugai nella mia borsetta e vi estrassi una scatolina. «Tieni, prendi un po' di magnesia».

Quando Warren realizzò di cosa si trattava, terrorizzato disse: «Ma quelle sono le tue mentine congelanti!»

Ridacchiai. «Ti fanno ancora paura?»

Warren annuì, rassegnato. «Mi sa che durerà in eterno». E ne mangiò una, rabbrividendo, esagerando apposta.

Stavo ridendo come una matta, quasi cadendo dalle sue ginocchia. Lui cercò di fare un commento serio. «No dai, sul serio sei sexy».

«Speravo che ti piacesse» confessai, con un sorriso. «Non avevo mai provato questo stile.»

Warren, senza dire una parola, si avvicinò al mio viso, appoggiò la sua guancia contro la mia, e mi morse piano il lobo dell'orecchio.

Mi sfuggì un piccolo gemito. Non me lo sarei mai aspettata.

«Non sai quanto mi è difficile resistere, in questo momento» disse, con voce bassa e quasi roca.

Sotto di me lo sentii molto bene, quanto era affamato.

E dentro di me mi sentii quasi esplodere.

No, no, non potevo. Altrimenti tutto il discorso che gli avevo fatto prima, e che avevo preparato con così tanta cura, non sarebbe servito a niente.

«Warren» dissi, con voce ferma. «Balliamo.»

Mi alzai in piedi, sfuggendo alla sua presa, e lo feci alzare afferrandolo per le mani. Anche lì fuori si sentiva la musica della radio, e in quel momento passò "Roses" dei Chainsmokers. Era uno dei miei brani preferiti, ultimamente ne ero ossessionata. Avrei tanto voluto ballarla con lui. Warren mi rivolse un sorriso, sembrava grato che l'avessi distratto, e mi appoggiò una mano sul fianco mentre io gliene mettevo una al collo, in posizione da ballo. In quel momento quella musica ipnotizzante mi fece immaginare una fuga d'amore con Warren. Io e lui da soli che fuggivamo da tutto e da tutti per andarci a nascondere in un luogo segreto dove avremmo potuto allontanare tutti i problemi e le preoccupazioni e lasciarci andare ai nostri istinti.

"Deep in my bones I can feel you, take me back to a time only we knew, hideaway" diceva la canzone.

Che in quel momento stava creando in me sempre più un sentimento di voglia verso di lui, di sentirlo unito a me.

«Say you'll never let me go...» intonai, sottovoce, assieme alla canzone.

Mi avvicinai a lui sempre di più man mano che la musica proseguiva, fin che mi ritrovai con il viso appoggiato al suo petto, stretta fra le sue braccia. Ormai stavamo dondolando, più che ballando.

Alzai un po' gli occhi, a incrociare il suo sguardo, e venne da sorridere a entrambi. Ci eravamo capiti senza neanche aprire bocca.

«Ti voglio bene» gli dissi, spontanea.

«Ti voglio bene anch'io» rispose lui.

Con i tacchi guadagnavo un notevole vantaggio in altezza, ma ero comunque più bassa di lui, quindi lo afferrai per la camicia perché si abbassasse. Portai il suo viso vicino al mio e gli diedi un bacio sulla guancia.

La sua mano sul mio fianco divenne ancora più calda, ma Warren mi rivolse un sorriso dolce. Gli appoggiai il palmo della mia mano sul viso e, guardandolo negli occhi, gli sorrisi anch'io.

Non aggiungemmo altro e, mano nella mano, ci avviammo verso la sua auto.

Davanti alla porta di casa mia, Warren mi diede un dolce bacio sulla guancia prima di salutarmi, proprio come avevo fatto io con lui, e sussurrò al mio orecchio: «Visto che non era così terribile?», riferito allo stare insieme io e lui. Io sorrisi e annuii, ancora intontita dal calore che le sue labbra avevano lasciato sulla mia pelle. Poi mi diede la buona notte e se ne andò, dicendomi che non vedeva l'ora di rivedermi l'indomani a scuola.

 

Feci un gran casino raccontando la serata alle mie due migliori amiche, che troppo curiose non avevano resistito e mi avevano invitata a una chiamata di gruppo su Skype la mattina dopo, ma quando Ashley mi chiese «E allora com'è?», riferendosi a Warren, trovai le parole perfette. «È uno che sa quello che vuole». Meglio di così non lo si poteva descrivere.

Scarlett concordò. Poi aggiunse: «Te lo dico io cosa c'è: gli hai asportato il cuore».

Ridacchiai divertita. «Accidenti, detta così è proprio brutta. È tanto grave?»

Ska cercò di fare un mezzo sorriso, ma sapevo che voleva dirmi qualcosa. Infatti, si avvicinò di più alla webcam e mi rimproverò senza preavviso.

«Ma dai Rose! Lui è sempre così carino con te! Diventa un angelo! Come fai a non essere sicura di voler stare insieme a lui?!?»

Era sconvolta. Scandalizzata. Schifata. E forse anche arrabbiata con me.

Ashley la appoggiò. «Ska ha ragione. Se io fossi nei panni di Warren, a questo punto credo che non ti sopporterei più.» Evviva Ashley e la sua schiettezza con le parole.

Cercai di spiegare il mio punto di vista, anche a me stessa. «Ma non è questo. È solo che ho paura che poi magari roviniamo la nostra amicizia... magari poi lui non vuole impegnarsi...»

Scarlett continuava a fissarmi truce, e Ashley si batté perfino una mano in fronte, esasperata.

Sbuffai. «Vabbè oh, sentite. Vediamo come si impianta 'sto affare e poi si vedrà» conclusi, poi uscii dalla conversazione prima che le mie amiche mi dicessero su un sacco di parole.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Ci sono ancora tante cose che non sai di me ***


18. Ci sono ancora tante cose che non sai di me

Quella settimana non andò per i versi migliori. Nel senso, non successe niente di brutto per fortuna, ma io e Warren riuscimmo ad avere pochissimi momenti in cui poter stare assieme. Infatti quasi tutti i professori avevano iniziato il primo giro di interrogazioni e fissato svariate verifiche, quindi dovevamo entrambi concentrarci sullo studio se non volevamo finire nella cacca.

Il mercoledì, però, successe una cosa che mi fece tanto ricordare la prima volta che io e Warren ci eravamo parlati.

Ero in aula che era appena finita la lezione di Inglese (Perkins era tornato, con nostra grande nostalgia delle felici ore di supplenza in cui l'anarchia regnava sovrana) e io avevo appena terminato di scrivere un'altra pagina del mio manoscritto; dopo tanto tempo, mi era finalmente tornata l'ispirazione per continuarlo. E va bene, è vero, avrei dovuto concentrarmi sulla spiegazione del prof ma oh, quando l'ispirazione arrivava non potevo ignorarla, dovevo subito scrivere giù le mie idee altrimenti scleravo.

Raccolsi tutte le mie scartoffie dal banco e stavo già uscendo dalla porta, quando Warren si materializzò dal nulla davanti a me e perciò gli andai a sbattere contro. Stavolta però cascammo entrambi a terra.

Ci guardammo e dopo una breve pausa di incredulità scoppiammo a ridere. Guardai in giù e c'erano tutti i miei fogli sparpagliati intorno. Sembrava che fosse nevicata carta sul pavimento.

Mi alzai, cercando di risistemarmi. Iniziammo a raccoglierli e Warren il mago, mentre me li restituiva, mi disse ridacchiando: «Mi sa che questa cosa è un segno del destino, ormai».

Li presi, divertita. «Lascia stare, i miei fogli sono una causa persa. Piuttosto mi sa che ho capito chi sei... un parente di Houdini!»

Rise. «Ahahah bella questa! E chi lo sa... Ti riferisci alle mie apparizioni improvvise?»

Annuii. Lui continuò: «E certo che non mi sembra di essere tanto invisibile... anzi penso di essere abbastanza appariscente...». Gli diedi un colpetto sul petto, ridendo. Non era proprio da lui gasarsi, era troppo divertente quando lo faceva.

Uscii in corridoio, con lui al mio seguito, e misi i miei block notes nell'armadietto. «Come mai sei venuto a trovarmi?» gli chiesi.

«Sono venuto a prenderti per accompagnarti alla lezione di Tedesco» mi spiegò, offrendomi il braccio.

Lo presi a braccetto, proprio come se lui fosse il mio accompagnatore, e ci dirigemmo nell'aula per la prossima lezione, io con un sorrisone stampato in faccia.

Erano passati più di dieci minuti e ancora non si vedeva l'ombra né della professoressa né del lettore. Era successo un sacco di volte che la nostra prof di Tedesco arrivasse in ritardo in classe, ma dopo che furono passati una ventina di minuti ormai in aula regnava il caos. Si era trasformata in una specie di accampamento. C'era gente seduta per terra sotto le finestre, gente che scarabocchiava alla lavagna, gente che chiacchierava ad alta voce rendendo tutti bellamente partecipi alle loro conversazioni, gente che si sporgeva dalle finestre a urlare idiozie... insomma tutto sommato c'era un casino totale.

Per quanto mi riguardava, io ero una di quelli seduti per terra, ma in fondo all'aula. Warren era seduto accanto a me, con la schiena appoggiata al muro e le gambe distese per lungo, rilassatissimo. Stava leggendo un libricino.

«Che cos'è?» chiesi curiosa, sbirciando le pagine e appoggiando il mio mento sulla sua spalla.

Avvicinò il libro ai miei occhi e mi mostrò la copertina. «Una raccolta di poesie. Sono molto belle».

Mi meravigliai molto: non me lo sarei mai aspettato da lui! «Wow! Questa è nuova.» Mi guardò per vedere la mia reazione. «E ne scrivi, anche?»

Warren mi squadrò, come a studiare l'effetto che quella rivelazione aveva avuto su di me, e poi disse: «Qualche volta... Ma non poesie, le leggo perché a volte scrivo delle canzoni, e queste mi danno degli spunti interessanti». Adesso era tutto più chiaro; anzi, pensandoci, non era per nulla strano.

Non glielo dissi, ma dentro di me desiderai ardentemente che un giorno avrebbe composto una canzone dedicata a me.

Guardai le mie compagne aggregate intorno alla cattedra che imitavano la prof di tedesco e mi venne da ridere, perché mi era tornato in mente un episodio assurdo successo due anni fa, quando ero in seconda superiore.

«Cosa c'è?» mi chiese Warren sottovoce, notando che ridacchiavo.

«No è che... mi è tornata in mente una cosa...» iniziai tra una risatina e l'altra.

E così gli raccontai di quella volta in cui la professoressa aveva tardato come sua consuetudine e in classe c'era la situazione più o meno come quella attuale, ma eravamo solo noi ragazze di seconda linguistico perché quella era un'ora normale, non di conversazione. Insomma non so bene come ma la situazione era degenerata in fretta: per quanto ricordavo, stavo canticchiando qualcosa ad alta voce, e Ashley mi aveva trascinata per un braccio dicendomi: «Oh, mettiti sopra la cattedra!». Le mie compagne avevano cominciato a sorridere e a dire: «Sì, dai!» «Sì, sì! Ahaha!». Io mi ero avviata verso la cattedra, mentre le altre mi incitavano con «Vai Roooose!» «Rose!». Così alla fine ero in piedi sopra la cattedra, mentre tutte iniziavamo a ridere. «Sì ma ditemi se tipo arriva...» avevo bisbigliato io. «Stai scialla, ti diciamo noi se arriva qualcuno» mi avevano risposto, impazienti di vedermi in azione. Ash aveva perfino tirato fuori un microfono dalla sua cartella e me l'aveva dato.

Insomma alla fine mi ero messa a cantare di tutto e di più, lassù sul palco (mi sentivo proprio in cima al mondo), tra le risate generali e i video che mi stavano facendo. Mi mettevo in posa molto teatrale, facendo finta di essere una postar, tra chi mi diceva «Tu sei fuoooriiii» ridendo e chi lanciava l'idea: «Dobbiamo fare la folla!».

«Dai, la folla» l'aveva appoggiata un'altra, e così tutte avevano iniziato ad acclamarmi.

«Volete il mio autografo?» chiedevo io, e loro scherzosamente mi porgevano i quaderni.

Alcune mie compagne erano rimaste alla porta a fare da sentinelle, e ci avvisavano quando vedevano arrivare qualcuno in corridoio, e allora noi tutte agitate tornavamo ai nostri posti cercando di fare finta di niente. Io scendevo svelta dalla cattedra e pulivo con la mano le impronte delle scarpe che vi avevo lasciato, ma vi ritornavo subito sopra quando vedevamo che il pericolo "adulto in arrivo" era passato.

«Ti eleggiamo la "Lady Gaga" di questa classe!» mi avevano detto.

Allora io ero tornata a mettermi in posa e avevo detto qualcosa di scemo, tipo «No one seems to be as high as I'm fabulous?» dicendo l'ultima cosa con fare da star.

«Eccola che ricomincia» aveva riso Scarlett, che ben conosceva la mia abitudine di mettermi a fare la superstar da un momento all'altro.

«Yeah! Yeah! Yeah for my yeah!» avevo continuato io, facendo divertire tutte.

Alla fine la professoressa non era più arrivata, e tutte noi eravamo scoppiate in una fragorosa risata pensando all'ora appena trascorsa in assoluta anarchia. «DA RIFAREEEEE» «Ahaha che figata!» «Rose ci hai fatto divertire tutte un casino!» «No anche perché ci vuole coraggio eh!!»

«Tu sei matta!» mi aveva detto una mia compagna, ridendo, e io le avevo risposto citando una frase di Capitan Jack Sparrow e imitando i suoi modi di fare: «Ringraziando il cielo, perché se non lo ero ci provavo col cavolo!» facendo ridere tutte quelle che mi avevano sentita.

Dopo quell'ora di pazzia -mi sa che era proprio giornata- ero perfino andata in giro per i corridoi in calzini tenendo le scarpe in mano (è una storia lunga) per andare verso l'aula della lezione successiva, come se fossi una profuga che scappava, e tutti quelli che mi avevano vista o mi avevano guardato male o si erano uniti alle mie risate, perché io in primis mi stavo divertendo come una cretina.

Guardai Warren e scoppiammo a ridere entrambi. Lui ancora non lo sapeva, ma io ero una pazza. Ecco perché mi chiamavano Stregatta Matta.

«Ti avevo vista» mi disse Warren.

«Cosa?»

«Mentre scendevi le scale in calzini.» Mi rivolse un sorriso divertito. «I calzini con Hello Kitty.»

Io esplosi in una fragorosa risata. Fantastico!!! Il ragazzo che mi piaceva da matti mi aveva vista fare la scema in giro per la scuola, ma non solo, si ricordava perfino del disegno che avevano i miei calzini! Ma che cavolo ahahah!

Warren mi mise un braccio attorno alle spalle e mi attirò a se, stringendomi al suo petto. Stava ridendo. «Non ti preoccupare: mi piace anche questo tuo lato pazzoide.»

Ridacchiai anch'io, accoccolandomi fra le sue braccia. Per fortuna che gli piaceva, altrimenti si sarebbe fregato da solo, ahaha.

Rimanemmo così per un po'. Io avevo l'orecchio appoggiato al suo petto, e stavo ascoltando i suoi battiti cardiaci regolari. Era molto rassicurante.

Warren parlò. «Ho pensato una cosa.»

Mi raddrizzai, allontanandomi dal suo petto per poterlo guardare in volto.

«Sai, quel sabato sera quando siamo usciti... Mi sono reso conto di una cosa che non posso trascurare...» iniziò.

Io stavo fissando le sue labbra che si muovevano mentre parlava, e mi ricordai di quando le aveva appoggiate alla mia guancia lasciandovi un'impronta di fuoco...

Non so bene come, ma senza neanche pensarci allungai una mano verso il suo volto e con l'indice iniziai ad accarezzargli il labbro inferiore lentamente, senza nemmeno rendermene conto. Dio com'erano morbide...

Warren mi afferrò dolcemente la mano. «Rose» mormorò. «Non puoi fare così con me. Mi fai venire voglia».

Allora io improvvisamente realizzai cosa stavo facendo e allontanai la mano. Lo guardai negli occhi e provai a giustificarmi. «Oddio... scusami... non me ne ero neanche accorta...»

Ma davvero gli faceva quell'effetto? Anche se lo stavo solo sfiorando?

Probabilmente lui lesse nei miei occhi la mia confusione e, come per farmi capire che effetto gli faceva, appoggiò la mano sul mio viso e imitò il mio gesto. In effetti, a sentire il suo pollice caldo che sfiorava le mie labbra così, e il suo palmo sulla mia guancia, mi faceva un effetto stranissimo. Stavo iniziando a eccitarmi e non andava per niente bene.

Capendo cosa aveva provato, mi sentii in dovere di scusarmi. «No ok scusa, hai ragione, non è proprio il caso. E poi siamo in aula sotto lo sguardo di tutti.»

Warren però non stava guardando me. Indugiò col dito sul mio labbro, si avvicinò di più come per vedere meglio e mi chiese: «Avevi un piercing?»

«Oh» feci, capendo che aveva notato il buchetto appena visibile. Lui allontanò la mano. «Sì. Io e Alex siamo andati a farcelo lo stesso giorno, sullo stesso punto. Era il giorno del mio compleanno. Vedi? Ho ancora il buco». Gli mostrai meglio la parte destra del mio labbro inferiore, dove ancora sentivo il calore delle sue dita, ma cercai di ignorarlo. «Qualche volta porto ancora il piercing ad anello. Alex lo ha a pallino e lo porta sempre. Poi vabbè, ho i buchi alle orecchie...»

Warren disse: «Anch'io ho l'orecchino qui». Mi fece vedere il lobo sinistro.

Sorrisi. «L'avevo visto. Mi piace un sacco» Avevo tipo gli occhi luccicanti. «Lo sai, io amo i "bad guys", con i piercing, gli orecchini e i tatuaggi! Però non troppi». Scossi la testa.

Warren sorrise, io osservai i tatuaggi a fiamma che aveva sui polsi e sorrisi anch'io.

Lui continuò. «Comunque sai? Anch'io avevo un piercing, qui sulla lingua» aggiunse indicandosela.

Osservai il buchetto che si vedeva a malapena. «Sì è vero... ma poi l'hai tolto perché... hai fatto infezione?» tirai ad indovinare.

Sembrava leggermente imbarazzato. «Ehm... beh, a dire il vero ho dovuto toglierlo perché...» Mi guardò, come incerto se dirmelo o no. «Si è fuso.»

I miei occhi divennero grandi come due palline da tennis.

Oh. Mio. Dio.

Lui aggiunse, non accorgendosi in che stato ero: «E ho fatto infezione per quello. Comunque...»

Ero completamente scioccata. Nell'espressione e nei pensieri. Ma... e allora... cosa succede se... se lo bacio? Se riesce a fondere un piercing in metallo, a me cosa succede, evaporo? Ahahah..., pensai, leggermente isterica. Mi portai le mani sulle guance, per nascondere il rossore improvviso del mio volto.

Forse Warren intuì almeno la natura dei miei pensieri, perché si affrettò a spiegare: «Ah! Ma era perché lo tenevo sempre no, quindi pian piano... è andato... cioè, hai capito?»

Adesso sì che era nervoso.

E io non avevo mai visto Warren così in imbarazzo. Era allo stesso tempo tenero e divertente.

Alla fine io gli scoppiai a ridere in faccia e lui si offese tantissimo.

«Eddai stavo scherzando!» gli dissi, ma non riuscivo a smettere di ridacchiare. Warren mi squadrò per un po' e alla fine rise anche lui. Per farmi perdonare gli diedi un bacetto sulla guancia e lui per tutta risposta mi mise un braccio attorno al collo e affondò la mia testa nel suo petto, strofinandomi le nocche sui capelli, mentre ridevamo entrambi. Rimanemmo in silenzio per un po', mentre ci calmavamo dalle risate, e poi io mi staccai lentamente da lui ricordandomi che non dovevo esagerare coi contatti.

Dopo un po' Warren si alzò perché doveva andare in bagno. Lo seguii con lo sguardo mentre usciva dall'aula, e in quel momento la mia compagna di classe Beatrice si avvicinò a me.

«Ciao Bea» la salutai.

Si sedette sulla sedia del banco di fronte a dove ero seduta io, girandola verso di me. «Posso farti una domanda?»

«Dimmi».

«Ma Warren non ti fa paura?»

Un po' sorrisi. Non mi sorprese quella domanda. Mi aspettavo che prima o poi qualcuna delle mie compagne me l'avrebbe fatta.

Gli anni scorsi, la "relazione" fra me e Warren era sempre stata uno degli argomenti principali di gossip in classe. "Relazione" tra virgolette perché fra me e lui non c'era nessun tipo di contatto, né fisico né verbale, ma tutte sapevano benissimo che io ero innamorata persa di Warren. Mi inventavo sempre soprannomi assurdi con cui chiamarlo (tipo "Brioche" o "Cotoletta" o ancora "Tacos"... non chiedetemi il motivo della scelta di proprio queste parole fra tutte, perché non lo so), per non farmi capire dalle altre quando parlavo di lui tipo con Ashley o Scarlett. Ma alla fine tutte avevano capito che lui mi piaceva, e devo ammettere che io per prima non è che mi fossi impegnata tanto a nasconderlo... Da quando lo fissavo per tutta la ricreazione cercando di non farmi notare da lui, o quando lo guardavo dalla finestra quelle volte che nella pausa rimanevo in classe, a quando lo pedinavo per i corridoi facendomi trovare in postazioni strategiche proprio dove sapevo che passava lui di solito... Tanto che le mie compagne avevano iniziato a chiamarlo "mio moroso", tipo mi dicevano «Guarda Rosalie c'è tuo moroso!» quando lo vedevano dalla finestra, o «E alla festa c'era anche tuo moroso...», e io non potevo fare a meno di scoppiare a ridere. All'inizio la cosa mi aveva imbarazzata non poco, ma poi ci avevo fatto l'abitudine.

«Bea... devo confessarti una cosa. Sai perché gli anni scorsi non mi sono mai avvicinata a lui?»

Lei scosse la testa e mi si avvicinò di più, interessata. «No. Non l'ha mai capito nessuna. Cioè se ti piaceva così tanto perché non gli hai mai parlato?»

Sorrisi amaramente, ripensando a tutte le occasioni sprecate gli anni precedenti. «Perché faceva paura anche a me.»

Lei sgranò gli occhi. Era una cosa di cui erano a conoscenza solo i miei amici più stretti. «Ma adesso state assieme no?»

Stavo per risponderle quando iniziarono ad aggregarsi attorno a me anche le altre mie compagne. Siccome quell'argomento interessava a tutte (c'erano talmente pochi gossip in classe nostra, che quello era il più succoso) e iniziarono a farmi un sacco di domande e commenti.

«Vi siete già baciati?»

«Oddio no che bello!»

«Sarai pur contenta... dopo tutti questi anni che gli corri dietro»

«A me fa paura»

«Però Kelly devi ammettere che è figo.»

«Sì è proprio bello però mi fa paura lo stesso»

«Invece a te, Rose, lui è sempre piaciuto»

«E poi ha un fisico...»

«Sì beh! L'avete visto durante Salva il Cittadino??»

«Mamma mia...!»

«Ragazze, io sono ancora qui!» avevo cercato di dire io divertita, alzando un po' la mano per farmi notare. Volevo ricordare loro che stavano parlando di quanto fosse figo il ragazzo che amavo io, ma loro non mi badavano neanche e continuavano con le loro considerazioni.

«Io non avrei avuto il coraggio di parlargli»

«Però voi due state benissimo assieme!»

«Sì, lui con te diventa un'altra persona»

«È vero, quando è con te non fa più paura»

«Sai un po' ti invidio...»

«La vostra storia d'amore è così romantica»

«È vero, due Elementi opposti come i vostri non possono che essere ancora più meravigliosi assieme»

«Lui è il fuoco fatto persona, secondo me devi stare attenta!»

«Ma Emily cosa dici! Ma saprà lei no?!»

«No ma Rose veramente»

«Macché...»

«Rosalie non ascoltarla»

«Warren con te è sempre così gentile!»

Non potei fare a meno di sorridere a tutti quei loro commenti. Avevano ragione: Warren con me diventava un'altra persona. Veniva fuori il meglio di lui, e io mi sentii lusingata al pensiero di ciò. Mi sentivo privilegiata. Potevo vedere un lato di lui che agli altri era celato.

Le mie compagne si dispersero rapidamente quando videro Warren rientrare in classe. Lui tornò a sedersi di fianco a me sul pavimento in fondo all'aula. Beatrice però era rimasta sulla sedia, forse non accorgendosi che Warren era tornato, e ora lo stava fissando un po' impaurita.

Lui guardò un attimo lei, con sguardo interrogativo, poi si rivolse a me. «Perché c'era la folla attorno a te?»

Non sapevo come rispondergli. Di certo non potevo dirgli che tutte le mie compagne avevano paura di lui... Così gli risposi semplicemente: «Stavamo parlando di te.»

«Di me?»

Annuii con un sorriso. «Alle mie compagne piacerebbe conoscerti.»

Guardammo entrambi Beatrice seduta di fronte a noi, che spalancò la bocca interdetta. Spostò lo sguardo da me a Warren, non sapendo cosa fare.

Allora lui, dopo averla squadrata per un po', le disse: «Ciao». Sembrava quasi una domanda.

Bea si stava già alzando in piedi per andare via prima di trovarsi in una situazione imbarazzante, ma al saluto di Warren si bloccò. Allora tutta timida (non era da lei essere timida!) gli fece «C-ciao...», poi si girò e andò via, unendosi al gruppetto vicino alla cattedra.

Warren spostò lo sguardo a me, confuso, e io ridacchiai. «Lascia perdere» gli dissi, scuotendo la testa divertita.

Trascorremmo il resto dell'ora lì seduti a parlare del più e del meno, facendo molta attenzione a non toccarci, anche se non mancava molto al suono della campanella. Alla fine i professori non arrivarono proprio a quella lezione, e senza tanto chiederci il perché, noi studenti ci mettemmo a esultare e ridere per l'ora di libertà appena trascorsa.

Prima di uscire per andare in ricreazione, Warren mi chiese se poteva venire da me quella domenica e io, senza pensarci due volte, gli dissi di sì.

Forse sperava di trovarmi di nuovo in mutande.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Non avvicinarti troppo - mi stai facendo impazzire ***


19. Non avvicinarti troppo – mi stai facendo impazzire


Domenica Warren stette lì dalle tre del pomeriggio fino alle cinque, ed era abbastanza per quel giorno, quindi non mi aspettavo niente alle dieci e mezza di sera, quando andai a farmi la doccia. Ci misi anche poco, per i miei standard. Forse perché i capelli li avevo già lavati ieri.

Andai in camera, avvolta nell'asciugamano, e sentii una leggera vibrazione. Guardai le coperte del mio letto e notai che si era illuminato lo schermo del mio cellulare.

Mi sedetti e lessi il messaggio.

 

Affacciati alla finestra.

 

Era da parte di Warren. Cosa voleva dire? Piena di confusione eseguii: la persiana era ancora alta, perciò sbirciai oltre il vetro.

Warren era in piedi nel giardino, a qualche metro dalla finestra della mia camera. Con una mano reggeva il cellulare, con l'altra mi stava salutando, il suo volto illuminato da quel suo magnifico sorriso che mi piaceva così tanto.

Ma non aprii. Anzi, con un sorrisetto compiaciuto gli risposi con un sms:

 

A cosa devo l'onore di questa visita notturna?

 

Warren mi fissò per un attimo, poi il mio cellulare vibrò di nuovo.

 

Se mi fai entrare, magari capirai.

 

Aprii la finestra e tesi la mano al ragazzo, che si arrampicò e con un balzo si mise in piedi sul pavimento.

Gli risposi con un altro messaggio, anche se lui era lì davanti a me.

 

Sai, potrei farti causa per violazione di proprietà privata.

 

Lui seguì il mio gioco.

 

Puoi anche farlo, tanto io da qui non me ne vado.

 

Abbassai il cellulare e lo guardai. «Non mi piace messaggiare».

«Neanche a me».

Lanciammo i nostri telefonini sul letto, che atterrarono con un lieve tonfo, e ci abbracciammo.

Lo avvicinai a me, le sue mani scivolarono lungo i miei fianchi, io gli misi le braccia intorno al collo. Il nodo dell'asciugamano cominciava a sciogliersi, e mi allarmai.

«Ah... scusa...» mugugnai.

Mi affrettai a stringere l'asciugamano, mentre Warren seguiva le mie operazioni.

«Forse è meglio se vado a mettermi il pigiama» dissi. «Se, ehm, se vuoi stare qua... allora... beh, aspettami qui».

Mi avviai in bagno. Afferrai dal portasciugamani gli slip puliti e la camicia da notte e mi vestii. Mi pettinai e tornai in camera.

Warren era seduto sul letto che mi aspettava. Mi avvicinai e mi sedetti sulle sue ginocchia. Mi cinse i fianchi.

Gli chiesi: «Non mi hai ancora detto come mai sei qui.»

Ridacchiò. «Niente, volevo vederti. Sono venuto a trovarti, sentivo la tua mancanza».

Mi voltai, in modo che non vedesse il rossore improvviso delle mie guance. «Ci siamo visti sei ore fa... come farai quando non ci vedremo per un giorno intero?». Forse avrei dovuto dire "come faremo", e intuii che lui l'avesse capito.

«Beh» rifletté «semplice: andiamo a farci un giro assieme o andiamo da qualche parte».

«Mmm... sì...» mugugnai. Mi avvicinai di più a lui e gli strinsi le braccia intorno al collo. Chiusi gli occhi, respirando il profumo della sua pelle, che mi piaceva così tanto. «Mmmm... che buono... che profumo è?»

Lo sentii sorridere, la sua bocca vicino al mio orecchio. «Ma cosa vuoi che ne sappia io... Me lo sono messo in profumeria».

«Ma va, non ci credo» ridacchiai contro la sua pelle.

«Neanche io». Si girò e mi spinse sul letto.

Come lui fu sopra di me, un'ondata di emozioni fortissime mi travolse come uno tsunami.

Era caldo, forse troppo, e cominciavo a sudare, conseguenza inevitabile di quella situazione (quasi) del tutto nuova insieme a lui. Mi baciò sul collo, sulle guance, e sfiorò le mie labbra con le sue. Quando le dischiuse, e le premette più forte, un'emozione nuova, più forte di qualunque altra, talmente potente da oscurarmi la mente e i pensieri, rischiò di farmi perdere la ragione e di spingermi oltre quella soglia che ancora non ero pronta a varcare. Però la mia forza di volontà si fece avanti e mi fermò.

Girai la testa, lui aprì gli occhi e mi guardò. «Cosa c'è?» mugugnò. «Non ti piace?». Si riavvicinò a me e mi baciò sul collo.

«No certo – che mi piace...» ansimai. «E non sai – quanto vorrei...» Feci un respiro cercando di recuperare un po' di fiato e lo guardai negli occhi. Gli presi il viso fra le mani. «Le tue labbra sulle mie... Un oceano di emozioni che mi fai provare ogni volta, che si espande come un sole in me...» Chiusi gli occhi. «Baciarti è la cosa che più desidero, non sai quanto ne abbia voglia...! E se ti sento così vicino, mi è difficile, molto difficile, resistere. Credimi.»

«Ma allora» mi domandò «cosa c'è che non va?»

Sospirai. Lui si tirò su e si sedette. Mi accomodai sulle sue ginocchia, mentre la sua presa intorno alla vita mi stringeva salda a lui.

«È che...» cominciai a spiegare. «Siccome ogni volta che mi tocchi, che sto vicino a te, provo delle emozioni e voglie più forti di qualsiasi altre, ho paura che, se ti bacio, voglia spingermi oltre... capisci? Non ho la forza di volontà sufficiente per questo. E poi, scusa eh, ma se sento il tuo corpo sul mio come prima e le nostre labbra incollate, cosa credi che mi venga voglia di fare?!».

Warren ridacchiò, la sua bocca sulla pelle del mio collo. «Va bene, se proprio insisti...»

Stava per baciarmi di nuovo quando sentimmo un "bip bip" di una sveglia provenire dalla camera dei miei.

«Cos'è?» mi chiese Warren.

«Ah... oh no, proprio ora...» dissi, non riuscendo a nascondere il mio dispiacere. «No niente, è l'allarme. I miei sono appena stati chiamati. Sai, qualche incarico da supereroi. Oddio! Ma non possono trovarci qui così...» riflettei con orrore, facendo una smorfia di rammarico.

Con voce delusa disse: «Va bene. Forse è meglio che vada». Prese il suo cellulare dal pavimento e se lo mise in tasca. Si avvicinò a me e mi sussurrò nell'orecchio: «Buonanotte Rosalie, fai sogni d'oro. Il mio pensiero è sempre con te. Dormi tranquilla, io ti penso». Lo disse con una voce così dolce e rassicurante che mi sciolse.

Mi baciò sulla guancia e, con un ultimo sorriso, aprì la finestra e saltò giù sull'erba, poi sparì nella notte, lasciandomi sola nella mia camera.

Le sue parole, la sua voce calda e profonda, risuonavano ancora nella mia testa e lacrime calde cominciarono a rigarmi il viso, che il suo saluto, che sentivo come non completo, aveva portato un vuoto nel mio cuore. In quel momento sentii la sua mancanza come non mi era mai accaduto prima, e la stanza, ora vuota, sembrava troppo fredda e buia per essere stata prima circondata da tutto quel nostro amore reciproco.

Mi alzai mesta per tirare giù la persiana e chiudere le ante della finestra, però prima diedi un'ultima sbirciata fuori e sì, verificai che se n'era andato davvero. Non potei fare a meno di rimanerci un po' delusa, quasi mi aspettavo di trovarlo ancora lì fuori ad attendermi. Mi infilai sotto le coperte, ancora calde e impregnate del suo profumo, e chiusi gli occhi, quando una piccola fiamma, che mi diceva che lo avrei rivisto di lì a poche ore il giorno dopo a scuola, si riaccese dentro di me.

 

Da quando Warren aveva posato le sue labbra sulle mie, anche se solo sfiorandole e per un tempo breve, non riuscivo a smettere di pensare a lui. Sia da sveglia che da dormiente.

Durante le ore scolastiche non riuscivo a concentrarmi: dovunque mi girassi vedevo lui, sentivo il suo profumo, percepivo il suo calore corporeo anche se lui non era nei paraggi, e non riuscivo a trascorrere un'ora di lezione senza che mi tornasse in mente quando lui era sul letto sopra di me. Come se non bastasse, di notte nei miei sogni c'era sempre lui, e che sogni... Credevo di impazzire da un momento all'altro.

Davvero, ormai non ce la facevo più neppure io. Iniziavo a capire come si sentiva Warren.

Perciò tre giorni dopo, cioè mercoledì, quando lo vidi là sul suo muretto intento a leggere concentratissimo, non resistetti. Già quel giorno ero abbastanza su di giri, in più mi era venuta un'ideona per uno scherzetto coi fiocchi...

Andai lì di soppiatto, da dietro, mi sedetti vicino a lui silenziosamente senza che se ne accorgesse. Appena alzò gli occhi dopo essersi reso conto che ero lì, immediatamente gli schiaffai una mano sulla bocca e vi posai sopra le mie labbra ancora prima che lui potesse rendersi conto di quello che stavo facendo.

Era come se gli avessi dato un bacio in bocca indiretto.

Appena capì, sgranò gli occhi e si alzò in piedi di scatto. «Ma che cazzo!» esclamò. Era agitato. Proprio non se l'era aspettato. «Deciditi ah!!!» urlò, chiuse il suo libro con un tonfo sonoro, prese il suo zaino e se ne andò. Io rimasi lì sul muretto, ridendo così tanto che rischiavo di cadere. Avevo perfino le lacrime agli occhi dalle risate!

A pranzo Warren non si sedette vicino a me: lo vidi seduto su un tavolo in disparte, che si teneva la testa fra le mani come se cercasse di concentrarsi sul pranzo anziché su qualcos'altro. E io sapevo bene cosa. Perché lui probabilmente stava cercando di reprimere chissà quali istinti verso di me e io l'avevo colto in fallo.

Un po' mi sentii in colpa, ma non potevo nascondere che mi fossi divertita tantissimo. Perciò chiesi a Ska se mi faceva un grossissimo favore.

«Ma non puoi andare a parlarci te?! Perché devo andare io scusa?!». Era irritata.

La supplicai. «Dai Ska, ti prego, io non ce la faccio! Gli scoppierei a ridere in faccia! Per favoreeeeeee». Le feci gli occhi da Gatto con gli Stivali di Shrek: funzionava sempre.

Mi guardò di sottecchi, ma alla fine cedette. «E va bene! Ma solo per stavolta».

«Sì!». Alzai il pugno in segno di vittoria.

Quando finimmo di mangiare, Scarlett con un sospiro si alzò e cercò Warren in giardino. Mi nascosi dietro una siepe per seguire l'episodio da vicino.

Lei gli si piantò davanti mentre lui stava salendo le scale e gli disse: «Ciao».

Lui senza alcuna particolare emozione rispose: «Ciao. Spostati.»

Warren cercò di passare alla destra di Ska ma lei gli si parò davanti.

Lui si irritò. «Si può sapere che vuoi??»

«Rosalie voleva sapere se te l'eri presa tanto per prima».

«Ma a te che ti frega scusa??»

«Non è per me, è per Rosalie!»

Warren in effetti sembrava davvero arrabbiato. «Beh, allora dille che si decida perché sto diventando matto!». Poi lasciò lì Scarlett che poveretta non sapeva più cosa fare e se ne andò.

Vi giuro che non mi rivolse la parola per tutto il resto del giorno.

 

La mattina dopo mi svegliai di soprassalto.

«Mamma mia...» sussurrai, cercando di riacquistare una respirazione regolare.

Ero tutta sudata. Allungai una mano verso il comodino, presi la bottiglietta d'acqua che previdentemente avevo riempito la sera prima e la bevvi tutta d'un fiato.

Avevo fatto un sogno talmente realistico, e talmente bollente, che ancora faticavo a rendermi conto di dove mi trovassi in quel momento. Neanche a dirlo, il protagonista del mio sogno era stato Warren. Che mi aveva fatto provare delle sensazioni che mamma mia ragazzi...

Eseguii la solita preparazione mattutina in uno stato di trance, che mi portai fino a scuola.

«Tutto bene, Rose?» mi chiese Ashley in giardino prima dell'inizio delle lezioni, notando che quella mattina non saltellavo come un coniglietto come facevo ultimamente.

«No ragazze, non potete capire...»

Scarlett però la sapeva lunga. «Hai fatto un sogno bello, vero?»

«Anch'io lo voglio sapere!» disse Ash.

Sgranai gli occhi. Di sicuro non potevo raccontar loro dei miei sogni erotici su Warren, così cercai di inventarmi una trama alternativa, ma siccome non mi veniva in mente niente decisi semplicemente di smorzare i dettagli hard. «Allora, ho sognato che...» feci loro segno di avvicinarsi e sussurrai al loro orecchio: «che baciavo Warren in classe davanti a tutti! Di ieri, che era il nostro turno per esporre il dialogo di tedesco, e siamo andati alla cattedra, ma anziché fare quello ci siamo baciati con la lingua! Per sacco di tempo! Ma era così reale, sembrava vero! Vi giuro... E poi lui mi ha spinta sulla cattedra e... oddio». Mi portai le mani sul viso per cercare di tornare alla realtà e non pensare al fatto che stavo iniziando ad eccitarmi.

Non mi ero accorta che anche Joe si era avvicinato e aveva ascoltato tutto. A voce alta esclamò: «Ahpperò!!»

Noi tre ci girammo in contemporanea e lo guardammo con gli occhi sbarrati. Nemmeno Scarlett, tutta presa dal mio racconto, si era accorta che lui era lì.

Joe perfido si sfregò le mani. «Ehehehe... glielo vado subito a raccontare...»

Io spaventatissima urlai: «Nuò!!!». Lo presi per i capelli mentre lui stava per camminare via e lo tirai indietro.

Si lamentò di dolore. «Ahi, ahi, mi fai male!»

Guardai in giro in cerca di Warren e vidi con sollievo che era sul suo muretto, quindi non poteva aver sentito. E nemmeno visto, dato che stava leggendo. Anzi, stava scrivendo su un foglietto. Chissà cosa.

Mollai Joe e lui si tastò la testa. «Aaaah...dai!! I capelli!! Cavolo Rose, ci ho messo mezz'ora stamattina per sistemarli!!!»

Ridacchiai insolente. «...E su chi volevi fare colpo?»

Joe diventò tutto rosso e si irrigidì. Spalancò gli occhi, poi Ska capì che voleva fare colpo su di lei e scoppiò a ridere. Poi gli saltò al collo e lo baciò. Io e Ashley facemmo un «Awwww...!» in contemporanea, intenerite, perché erano carinissimi quei due assieme.

Poco prima del suono della campanella, Ash era già entrata a scuola, mentre io e Scarlett stavamo ancora chiacchierando lì fuori, lei che mi diceva: «Iiiiih Joe, è proprio un ammöööööriii» e io che ridevo per il modo tutto carino e coccoloso in cui lo diceva sempre. Presi un foglio vi trascrissi quello che aveva detto e glielo feci leggere. «Ecco, questo è il modo in cui lo dici tu» le dissi divertita. Sotto scrissi anche "carüüüüüüüü" e ridemmo perché in effetti lei lo diceva con l'umlaut.

Nel frattempo con la coda dell'occhio vidi Joe che sgattaiolava via ed andava da Warren. Ero troppo divertita per accorgermi di quello che stava facendo, di ciò che gli stava raccontando. Infatti poco dopo Warren si presentò davanti a me con un sorriso sulle labbra. Quando Scarlett non stava ascoltando ma stava picchiando Joe mentre urlava «"Ammoööriiiii" un tubo!!», Warren mi sussurrò, riferito a quello che gli aveva raccontato il mio migliore amico: «Beh... se vuoi puoi provarci adesso...».

Io spalancai gli occhi inorridita, poi guardai Joe. Oh no, non il mio sogno!! Gliel'aveva raccontato, 'sto idiota! «Ma io ti...!» lo minacciai, troppo sconvolta per formulare una frase completa. Lui ridacchiava perfidamente sotto i baffi e io decisi di lasciar perdere, tanto ormai il disastro era fatto.

Riportai la mia attenzione su Warren e lo osservai. Sorrideva, forse mi aveva perdonata.

Fu lui a parlare, dato che io non sapevo cosa dire. «Scusa per ieri. Mi hai colto di sorpresa, niente di che, rischiavo solo di morire di crepacuore».

Esagerato! «Una cosa da nulla, insomma» annuii, divertita.

«Proprio. Ah, volevo informarti che sono disponibile e concordo con te molto volentieri, se cambi idea». Ovviamente si riferiva al mio rifiuto di baciarlo.

Feci un sorrisetto malvagio. «Credo che ti farò soffrire ancora un po'» e gli dieci un bacetto sulla guancia. Lui però sorrise e mi strinse un braccio attorno alla vita.

Non potevo di certo rivelargli che, se veramente l'avessi baciato in quel momento, di sicuro non mi sarei fermata solamente alle sue labbra. Ero ancora troppo infervorata da quel mio sogno proibito, e dovevo calmarmi prima di arrivare a prendere Warren e rinchiudermi in uno sgabuzzino con lui.

 

Quando finì la prima ora, andai in corridoio per prendere gli altri libri dall'armadietto, e come lo aprii vi cascò fuori un bigliettino.

Mi abbassai per raccoglierlo e lessi:

 

Un amore sincero, ma non dichiarato, è l'anticamera di un cuore triste.

 

Oh mamma, era stupenda. Capii senza sforzo che era da parte di Warren, era la sua scrittura. Ecco cosa stava scrivendo prima!

L'autore in questione si presentò dietro di me proprio in quel momento. Ovviamente doveva aver previsto tutto. Sorrideva. «Allora?» mi chiese un parere sulle sue perle di saggezza.

Io scoppiai a ridere, sventolandogli davanti il biglietto. «Sèèèèè, "non dichiarato"? Ma se è così palese che se ne accorgono anche i sassi!»

«Ehi, stavo solo filosofando!» Rise. «Le frasi poetiche mi vengono abbastanza bene.»

Sincera gli dissi, con sguardo e voce dolci: «È bellissima».

«L'ho scritta pensando a te» mi rivelò, avvicinandosi di più a me. Arrossii. Lui non ci fece caso e avanzò una delle sue fantastiche proposte no-privacy. «Oggi tu vieni a casa mia. Ok? Bene».

Aveva fatto la domanda e si era risposto da solo.

In una situazione normale avrei risposto con una delle mie solite battute, tipo "Ma tu pensi che io debba per forza avere il pomeriggio libero per te?", ma in quel momento stavo pensando ben ad altro. Apprezzai la sua convinzione, la sua fermezza nell'invitarmi a casa sua ancora prima di chiedermi se ero libera, come a dire "non m'importa di niente e nessuno, io oggi voglio a tutti i costi stare con te". Però c'era ben altro che mi preoccupava, e cioè se fossi riuscita a controllarmi mentre ero da sola con lui, a casa sua e magari anche nella sua camera.

No, me la vedevo brutta. Anzi, bruttissima.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Tenere le distanze ***


20. Tenere le distanze


Alla fine delle lezioni quindi presi la sua stessa corriera e per chissà quale intervento divino riuscii ad arrivare a casa sua senza sclerare.

La sua abitazione era molto accogliente, minimalista, però non ne vidi gran parte. Al contrario di come facevamo da me, non ci fermammo sul divano in salotto, ma mi portò direttamente in camera sua.

Ed ecco che i miei incubi peggiori rischiavano di avverarsi. Non sapevo cosa aspettarmi.

La prima cosa che notai fu il suo letto enorme. Anche il mio era grande (una piazza e mezza) ma il suo era proprio un letto a due piazze.

Sorrisi. «Anche tu hai il lettone??»

«Sì! Perché a me piace dormire così» disse. Si buttò sul letto e vi si spaparanzò tutto stravaccato, con braccia e gambe larghe.

Una risatina divertita scappò dalle mie labbra.

A vederlo così tranquillo, che di sicuro non si aspettava uno dei miei attacchi, non potei farne a meno. Presi la rincorsa, gridando «Uaaaaaa...HIHI!» come l'uccellino di Angry Birds, e mi tuffai sopra di lui.

Warren, come lo colpii, esclamò: «HOLL!» mettendosi le mani in grembo per il contraccolpo, e io scoppiai a ridere così tanto che caddi per terra.

Era lo stesso identico verso dei maialini verdi del gioco quando un Angry Bird li colpiva ed esplodevano! Ahahah ma non era possibile!

Warren, che stava ridendo come un matto anche lui, mi allungò una mano e mi aiutò a tirarmi su dal pavimento. Mi tirò sopra il letto, mettendomi di nuovo sopra di lui. Entrambi stavamo ancora ridacchiando, facendo respiri profondi per cercare di calmarci.

Approfittando di quel momento di tregua, mi guardai in giro per esplorare la sua stanza, cosa che non ero riuscita a fare appena entrata. Era abbastanza spoglia, al contrario della mia che stavo già ricominciando a tappezzare di disegni; c'erano solo due tre poster di automobili, e anche qualche foto di acrobazie su snowboard e su moto da cross. Quasi sicuramente quello nelle foto era lui, dato che sapevo che praticava entrambi gli sport. Però in quel momento non mi venne da pensare quanto lui fosse figo, come sempre, ma notai un altro particolare.

Alla fine decisi di dirgli, sfuggendogli il mio sguardo: «Mi sembra strano che tu non abbia neanche un giornaletto tipo Playboy». In effetti, lui poteva sembrare benissimo il tipo da ragazze facili. Questo perché due anni fa era stato molti mesi assieme a una certa Chantal di quarta turistico, una puttana tutta tette famosa per le sue relazioni che più di un mese non duravano. Di solito si scommetteva sulle settimane che lei ci metteva prima di lasciare il suo ragazzo. Quello di Warren era stato un record, e tutti sapevano che era perché lei non voleva a nessun costo lasciarselo scappare (perché, beh, Warren è pur sempre Warren) ma alla fine lui l'aveva lasciata perché di lei non ne poteva più. Sicuramente si era messo con una del genere solo perché gliela dava. L'anno scorso lei era stata bocciata e aveva cambiato scuola, finalmente, lasciando campo libero ad Amber di fare la reginetta della scuola e a me di attirare l'attenzione di Warren.

Mi riscossi dai miei pensieri quando mi accorsi che Warren mi aveva preso per i fianchi e mi aveva risistemata su di lui, facendomi avvicinare ancora di più.

Rispose alla mia osservazione sull'assenza di giornaletti osé facendo scivolare le sue mani più in basso, fino ad arrivare al mio sedere. «Non ne ho bisogno. Io ho te. La mia bambolina personale».

Oddèo.

Non sapevo cosa fare. Forse avrei dovuto indignarmi? Non era ciò che provavo in quel momento.

«E io cosa dovrei rispondere?!» dissi, presa in contropiede.

Fece un'alzata di spalle. «Bah, niente, se vuoi puoi semplicemente startene a guardarmi così oppure prendermi a schiaffi, vedi te.»

Feci per alzare una mano, -forse la seconda era la cosa giusta- ma lui prontamente me la prese, stringendola nelle sue.

«Ma perché mi hai portata qui??» chiesi, a disagio.

«Chissà...»

Teneva ancora una mano sul mio sedere e la strinse, guardandomi con uno sguardo che la faceva intendere lunga.

Poi però si tirò su, mettendosi a sedere, e io con lui. Sembrò cambiare repentinamente idea e parlò più a sé stesso che a me. «No no, che cazzo sto facendo, non va bene.»

Lo guardai confusa. Sembrava in lotta con sé stesso e con chissà quali istinti. Non mi era per niente dispiaciuto quel suo tocco infuocato sul mio fondoschiena, anzi avrei voluto volentieri che continuasse...

«Rose, parliamo.» disse, con voce ferma.

«Eh?»

Annuì, ora che si era tranquillizzato, e fece un sorriso. «Sì, parliamo. Raccontami di te.»

Davvero, ci stavo capendo sempre meno. «Ma a me sembra di averti già detto tutto di me, ormai...»

«Ho saputo che sei un'artista!» esclamò, tutto contento che gli fosse venuto in mente un argomento. Probabilmente quel tratto di me gliel'aveva detto Joe. Comunque Warren sembrava come ansioso di parlare.

Gli raccontai che appunto disegnare era la mia più grande passione assieme alla scrittura, che avevo la tavoletta grafica e che a volte mi piaceva fare vignette o brevi fumetti, soprattutto di situazioni divertenti che capitavano a scuola. Gli raccontai anche che un mio zio aveva un negozio di abbigliamento lì a Brooklyn che si chiamava "Cotton Candy Clothing" e che dall'estate precedente mi aveva ingaggiata come disegnatrice di magliette, vestiti e accessori vari. Soprattutto creare i disegni da poi stampare sulle magliette era una delle cose che più adoravo fare.

Warren sembrava davvero interessato al mio racconto. Gli piaceva sapere di me, come a me di lui. «Qual è l'ultima cosa che hai disegnato?»

Senza pensarci gli risposi: «Pensavo di fare una linea di magliette un po' particolare, tipo tutte su uno stesso tema un po' creepy e un po' futurista, e stavo pensando a come interpretare a modo mio un Absol».

Mi bloccai immediatamente con una faccia orripilata non appena mi accorsi di cosa mi ero lasciata scappare. Porca paletta. Era la fine. L'Armageddon.

Ora, come accadeva ogni maledettissima volta, sarebbe arrivata la fatidica domanda "cos'è un Absol?" e io non potevo certo dirgli "È un Pokémon" senza che poi mi ridesse in faccia dicendo "Ma ti piacciono i Pokémon?!?" come ben sapevo sarebbe capitato.

E tanti saluti a tutta la nostra quasi relazione.

Invece Warren sorrise. Era come un po' divertito, ma non in senso negativo da presa in giro, no... sembrava tipo... compiaciuto?

«Ti piace Absol?»

Lo guardai per un po', facendomi piccola piccola. Infine dissi a bassa voce: «...è il mio preferito.»

Ci fu un momento di silenzio, in cui io già sentivo il mio imbarazzo crescere e mi preparavo a ricevere un rifiuto.

Infine Warren parlò, sembrava calmo. «Sai cosa?»

«Cosa» dissi io, sempre più sconsolata.

«Il mio preferito è Typhlosion.» mi rivelò lui.

E a me cadde la mascella.

Rimasi a fissarlo in silenzio per qualche secondo, decidendo se era sincero o cosa, ma dal sorriso che aveva non mi lasciò dubbi.

Mi illuminai. Assurdo! Warren non mi aveva mal giudicata come avevano fatto tutti i ragazzi a cui prima di lui avevo confessato questa mia passione, scaricandomi immediatamente dopo, anzi c'era ben di più! Anche a lui piacevano i Pokémon!

«Non ci credo!!» esclamai entusiasta. Ero in paradiso. Gli saltai al collo e lo strinsi forte. Avrei voluto tantissimo lanciargli addosso una Pokéball gridando "Scelgo te!" e tenerlo sempre con me, senza lasciarlo mai scappare.

Lui rise divertito dalla mia reazione. «Ci gioco fin da Pokémon Argento! Typhlosion è stato il mio primo starter!»

«Non mi dire!» Ero sempre più euforica.

Allora ci raccontammo un po' di come avevamo iniziato a giocare, di quanti Pokédex avevamo completato, di quale era la nostra versione del gioco preferita eccetera. Infine scoppiammo entrambi in una grossa risata. Mi sentivo veramente sollevata, come se mi fossi tolta di dosso un grosso peso.

Warren mi prese per la vita e mi attirò a sé. Mi parlò con voce calma e rassicurante, dolcissimo. «Rosalie tu non devi avere paura di parlare con me. Puoi dirmi qualsiasi cosa. Io non ti giudico. Mi piaci sempre e comunque, anche se tu fossi un'aliena».

Ridacchiai. «No, non lo sono. Almeno quello no!»

Mi prese il viso fra le mani e mi guardò negli occhi. «Niente paranoie con me, Rose, ok?»

Sorrisi. «Ok.» Era una promessa che avrei cercato con tutta me stessa di mantenere.

Gli portai le braccia attorno al collo, appoggiando la mia testa sulla sua spalla, e chiusi gli occhi, felice. «Non sai quante volte ho sognato di potere stare così con te gli anni scorsi» gli rivelai. Ormai non aveva più senso nascondersi.

Lui sospirò e fece un sorrisetto. «Pensi che non mi sia mai accorto di tutte le volte che mi spiavi, in ricreazione?»

Mi staccai da lui e lo guardai sconvolta.

Ma allora l'aveva sempre saputo?!

E tutti i miei sotterfugi per non farmi scoprire? E tutti i soprannomi che gli davo per non farmi capire? E tutti i piani d'attacco che mi facevo per poterlo seguire nei suoi spostamenti?

Insomma tutte quelle volte che avevo usato Scarlett come Donna Schermo come faceva Dante (cioè che facevo finta di guardare lei invece guardavo la persona dietro, in questo caso Warren) non erano servite proprio a niente, ma pensa te... Mi tornò in mente un episodio in cui in una ricreazione io stavo fissando da chissà quanto Warren, lì nei paraggi con degli amici, poco distante dagli scalini su cui ero seduta io con le mie compagne di classe. Ero tipo imbambolata, e non mi ero neanche accorta che mi stava fissando anche lui quando improvvisamente me ne ero resa conto e avevamo entrambi distolto lo sguardo immediatamente super imbarazzati. Oppure quella volta l'anno scorso che ero andata a chiedere alla bidella dove si trovasse la professoressa di Tedesco perché dovevo chiederle una cosa urgente per la certificazione di lingua, e guarda caso si trovava proprio in quarta Itis. E allora ero rientrata nella mia classe ridendo come una scema e avevo annunciato: «Devo andare in quarta Itis ahahah!» e tutte le mie compagne avevano esclamato in coro «Noooo» ed eravamo tutte scoppiate a ridere. E così ero entrata in quell'aula mezza traumatizzata, con Joe che mi aveva salutato sventolando la mano e tutto il resto dei suoi compagni di classe che mi fissava con due occhi così (erano tutti maschi). Avevo visto anche Warren, che mi guardava curioso, e io rossa come un peperone avevo chiesto alla prof l'informazione che mi serviva e poi mi ero subito dileguata alla velocità della luce. Ah, e rientrata nella mia aula le mie compagne mi avevano applaudito, ahahaha. Che robe assurde. Certo che le figuracce con Warren non mi erano di certo mancate... Già, mi aveva beccata svariate volte che lo fissavo, adesso che ci riflettevo.

Ma allora probabilmente mi aveva sentita anche qualche volta quando parlavo di lui con le mie compagne... Oh no! Non poteva assolutamente venire a sapere che fino all'anno prima gli avevo affibbiato il nome in codice di "Bruschetta"!

Un po' mi arrabbiai. «E perché non mi hai mai parlato?? Tu che almeno non sei cagasotto come me!»

Warren fece un sorriso mesto. «Perché pensavo tu mi fissassi perché avevi paura. Tipo che mi tenessi d'occhio. Invece ho capito solo di recente che mi guardavi per un altro motivo...»

E mi tornò in mente il dialogo-litigata fra lui e Joe, quello che Scarlett mi aveva trascritto. Infatti lì Warren diceva che pensava io avessi timore nei suoi confronti... Però non potevo dirgli che sapevo di quel dialogo, l'avrei tenuto un segreto.

E ora che ero lì con lui, volevo farglielo ben vedere il motivo per cui lo stalkeravo sempre.

Mi avvicinai a lui, lentamente, mantenendo il contatto fra i nostri occhi. Gli circondai il collo con le mie braccia e mi sedetti a cavalcioni su di lui. Lui portò le sue mani sui miei fianchi e le fece scivolare più giù, di nuovo sul mio fondoschiena, e mi spinse su di lui.

Appoggiai le mie mani sul suo viso, cercando di controllare la mia respirazione, e gli portai indietro i capelli. Lo ammirai mentre glieli tenevo a codino con le mie mani e gli diedi un bacio sulla guancia. Mi piaceva quando si legava i capelli. Lui sorrise e mi baciò vicinissimo alle labbra. Lasciai i suoi capelli e scorsi con una mano lungo il suo petto sodo, e gliela misi sotto la maglia per accarezzare i suoi addominali perfetti. Sì, mi piaceva, per riprendere la domanda che scherzosamente mi aveva fatto lui quel famoso sabato delle prove in palestra.

Mi avvicinai di più al suo viso e posai le mie labbra sulle sue. Piano, molto delicatamente, senza dischiuderle.

Warren mi spinse ancora di più addosso a lui. Aprii un attimo gli occhi per guardarlo e così fece anche lui. Ci fissammo per un momento breve, ma ci capimmo al volo. Lui si avvicinò e mi baciò di nuovo, come avevo fatto io. Una, due, tre volte. Piccoli bacetti a stampo, senza fare rumore. Quella era una prova.

La morbidezza delle sue labbra era incredibile. Avrei potuto molto facilmente perdere il controllo, e mi stavo sforzando con tutta me stessa per fare in modo che ciò non accadesse. Ancora mi sembrava impossibile di essere lì con lui in quel modo, e così vicini l'uno all'altra. Era lì tutto per me, solo per me. Non so quante volte me l'ero sognata gli anni scorsi un momento così, e ora accadeva nella realtà. Mi sentivo incredibilmente fortunata. Soprattutto per il fatto che lui ricambiasse il mio amore... Ormai era da più di un mese che ci frequentavamo, e non mi sarei mai immaginata che saremmo arrivati a questo punto. Mi sembrava ancora una specie di miracolo, un sogno, una chimera. L'unica cosa in cui potevo sperare era di non svegliarmi da un momento all'altro e scoprire che mi ero immaginata tutto.

Ma le labbra calde di Warren sulle mie lasciavano cadere ogni dubbio: era tutto reale. Stava accadendo davvero.

Warren mormorò, fra un bacio e l'altro: «Se i nostri amici... sapessero quello che stiamo facendo...» mi portò una mano sotto il mento e riavvicinò le nostre labbra «verrebbero qui con un estintore, perché in questo momento... sono tutto un fuoco».

All'inizio mi venne da ridere a immaginarmi Joe vestito da pompiere che faceva irruzione in casa di Warren, ma poi riflettei meglio sulle sue parole e lo bloccai allontanandolo un po' da me, per poterlo guardare negli occhi.

«Warren... cosa intendi?»

Mi guardò un attimo senza parlare: nei suoi occhi leggevo una lieve sofferenza. Poi mi prese le mani nelle sue, come per farmi verificare quello che aveva detto, e mi spaventai. Erano bollenti.

«Rosalie, tu... hai detto che volevi aspettare, no...?» Sembrava che si stesse sforzando di parlare, come se parlare gli pesasse. Perché ovviamente avrebbe voluto usare le labbra per fare qualcos'altro... «Beh sai ho pensato che forse hai ragione... già da quel sabato sera che siamo usciti assieme, sai, se penso a come mi sono sentito quando ti sei seduta su di me, già da lì ho capito che c'era qualcosa che non andava.»

E ora che ero a cavalcioni su di lui, allora? Che effetto gli facevo? Mi diedi della stupida: non dovevo provocarlo così. Ma ora nessuno dei due sembrava intenzionato a cambiare posizione...

Warren continuò, deciso a spiegarmi come si sentiva. «E quella sera in camera tua, sai perché ero venuto? Perché non ce la facevo più a stare senza di te. Se non mi avesse fermato la sveglia dei tuoi, non so se sarei riuscito a fermarmi.»

Portai una mano sul suo collo, scendendo lenta e accarezzandogli il petto.

«Quando sono con te mi è difficilissimo controllarmi» disse lui, il suo tono di voce sempre più basso. «Prima non mi succedeva, ma ultimamente... con i nostri contatti che aumentano ogni giorno di più...»

Lo fermai. «Non serve che spieghi oltre. Ho capito esattamente cosa vuoi dire. Perché è lo stesso per me». Sospirai. Certo che eravamo entrambi presi male, eh... «Quindi vuoi aspettare anche tu?»

Warren sembrava non saper neanche lui bene cosa fare. «Vorrei, razionalmente, perché ho paura di farti male, ma non ce la faccio. Non ce la faccio più. Però andiamoci piano. Devi aiutarmi.»

Annuii. «Andiamoci piano» concordai.

Posai di nuovo le mie labbra sulle sue, delicatamente come prima.

Ma senza volerlo stavamo iniziando entrambi ad eccitarci davvero tanto.

«Rose, hai le labbra umide...» mugugnò lui, sofferente.

Non potevo farci niente. Nascosi le mie mani che senza volerlo si stavano ricoprendo di un velo ghiacciato, ma Warren me le prese nelle sue e il ghiaccio si sciolse all'immediato contatto con la sua pelle bollente. Sembrava che Warren si stesse trattenendo per non farvi scaturire delle fiamme. Ero sicura che, se fossi entrata in contatto col suo fuoco in quel momento, mi sarei scottata. Sarebbe stato l'esatto opposto di quella volta che mi aveva preso la mano il primo sabato di scuola e mi aveva fatto sentire il fuoco: stavolta non avrebbe potuto controllarlo, ne ero certa.

«Rosalie, tu finirai con l'ammazzarmi.»

Lo guardai, rattristata. «Non dire così...»

Lui scosse la testa, come per dire che quella era la verità e non potevamo farci niente né io né lui, ma sorrise.

«Ora non pensiamoci, però. Abbiamo i compiti da fare» disse infine, sforzandosi con tutto sé stesso di cambiare argomento. «Dai che Medulla vuole la pistola a raggi luminosi entro domani».

Annuii, dispiaciuta che non potevamo continuare a coccolarci, ma lui aveva ragione. Si alzò per prendere il materiale e il libro dal suo zaino e tornò a sedersi sul letto. Mi fece segno di avvicinarmi, perciò mi accomodai di fianco a lui. Mi abbracciò da dietro, io intanto aprii il libro di Scienze sulle mie ginocchia.

Era tutto rassicurante, anche le sue parole. «Faremo presto. Me la cavo bene a far su le cose, e anche a ripararle.»

Sorrisi e aprii la pagina sulle istruzioni per il compito da consegnare.

Verso le sette di sera gli dissi che dovevo andare a casa. Warren sembrò mormorare qualcosa del tipo "Resta qui..." ma quando mi girai per chiedergli se ripeteva perché non avevo sentito bene, lui disse «Non importa.»

Anch'io avrei tanto voluto rimanere lì, ma al momento era una cosa che proprio non potevo fare.

Gli assicurai che avrei preso l'autobus senza problemi, ma Warren insistette per riaccompagnarmi a casa in moto. E io sotto sotto ero anche contenta, perché quando andavamo in moto dovevo per forza abbracciarlo strettissimo.

«A proposito» mi disse sulla soglia, prima di salutarmi. «Domani c'è sciopero: andiamo a fare la spesa per la festa di sabato?»

Della festa sapevo: domenica 24 ottobre era il compleanno di Joe ed era da tutta la settimana che ci chiedeva "Pronti per la festa??" che avrebbe fatto, appunto, sabato sera. Aveva invitato tutto il corso eroi. Ma dello sciopero... «Ahn? Quale sciopero?»

Warren sospirò, ma gli sfuggì un sorrisetto divertito. Forse se l'aspettava. «Domani c'è lo sciopero degli studenti, non lo sapevi?»

Scossi la testa. «No. Lo sai che io vivo fuori dal mondo».

Annuì comprensivo. Si vedeva che si era messo il cuore in pace su questo fronte. «Beh insomma, si protesta contro il nuovo sistema scolastico deciso dal Ministro dell'Istruzione. Non si può andare avanti così.»

Concordai. «Secondo me alla politica sta succedendo qualcosa: non è normale».

«Lo penso anch'io. Comunque, Joe ci ha chiesto se andiamo tutti a fare la spesa, per aiutarlo con i preparativi. Sei dei nostri?»

Annuii. «Che figo» sorrisi. «Ci sarà da divertirsi.»

Warren ridacchiò, immaginandosi già il disastro che avremo combinato, più o meno trasportando la festa direttamente al supermercato. Mi attirò per la vita e mi baciò, sempre appoggiando delicatamente le sue labbra sulle mie, come avevamo fatto quel pomeriggio. Avrei voluto tanto dischiuderle e approfondire quel bacio, ma ci eravamo parlati e non potevo farlo. Dovevamo aiutarci a vicenda.

Warren mi sorrise. Si vedeva distante un miglio che quella giornata per lui era stata perfetta. Gli sorrisi di rimando per fargli capire che anche per me era così.

Mi salutò con la mano e se ne andò, e io dovetti trattenermi con tutte le mie forze per non mettermi a saltellare in giro per casa per non destare sospetti. Andai in camera mia, trovai Glitch che sonnecchiava sul mio letto e lo presi in braccio. Era così pelliccioso e morbidoso che non resistetti: lo strinsi forte forte e lo riempii di bacini. Lui stette fermo e si lasciò coccolare, perché io dovevo sfogarmi in qualche modo. Se i miei mi avessero chiesto qualcosa sul "misterioso ragazzo", io avrei detto loro che era Warren Peace, ma non sarei scesa nei dettagli. Di sicuro non avrei rivelato loro che ci eravamo più o meno baciati. Non lo dissi neanche alle mie amiche. Avrei aspettato che le cose fra noi si sistemassero, prima di renderle ufficiali. Ma non ero sicura che sarei riuscita a mantenere le distanze ancora per molto.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Gli amici sono come la Nutella: che mondo sarebbe senza! ***


21. Gli amici sono come la Nutella: che mondo sarebbe senza!


Udii il clacson proprio quando finii di infilarmi le scarpe. Warren però entrò in casa, dato che la porta era aperta.

«Stavolta sono puntuale» gli dissi con un'aria di sfida.

«Miracolo!» esclamò lui, rivolgendo occhi e mani al cielo.

Gli feci la linguaccia, poi uscimmo e chiusi a chiave la porta.

Mi girai e, vedendo la sua macchina, dissi sorridendo, tutta contenta: «Ferrari».

«È una Porsche!!» sospirò lui esasperato.

«Stessa cosa» replicai, stregattosa.

«Dai sali, prima che cambi idea e ti lasci qui».

Mi aprì la portiera e io salii tutta felice e saltellante.

«Hai una lista?» gli chiesi quando eravamo fermi al semaforo.

«No, Joe ci ha dato campo libero».

«Ahi ahi ahi, me la vedo brutta».

Ridemmo.

«Rose, ricordati che non dobbiamo comprare solo cioccolate, eh» mi ammonì, divertito.

«Non ti preoccupare! Facciamo metà cioccolato e metà patatine, ci so fare con queste cose! Yeah!». Alzai entrambi i pugni al cielo, e lui ripartì scuotendo la testa divertito.

Arrivati al supermercato, dopo aver tirato matto Warren lungo il tragitto cantandogli tutta la discografia di Kesha, trovammo Joe e Scarlett all'entrata, che ci stavano aspettando, tenendosi per mano. Ora la riunione poteva avere inizio!

Siccome stavo fissando i miei due migliori amici con uno sguardo adorante (per quanto cari erano assieme) ma stavo anche pensando alla cioccolata, Joe mi guardò con un misto di terrore e divertimento (forse credeva che volessi mangiarli) e mi spinse dentro al supermercato tra le risate di tutti.

Ero già al reparto dei dolciumi ancora prima che gli altri si accorgessero che ero sparita. Sentii le loro voci attraverso gli scaffali.

«Ma dove cavolo è Rose?!» stava dicendo Joe.

«Dove vuoi che sia se non dalle cioccolate??» gli rispondeva Scarlett.

Io, dal mio nascondiglio, risi. Mi conosceva fin troppo bene.

Quando mi raggiunsero, vidi solo Joe e Warren. «Dov'è Scarlett?» chiesi.

«È andata a vedere delle patatine, ha detto che noi due bastiamo e avanziamo per prenderti e portarti via di peso da qui» mi spiegò il mio migliore amico.

«D'accordo» sospirai. «Un attimo però... devo gustarmi gli occhi con questa visione paradisiaca chiamata "Marshmellows"...»

Qualche minuto più tardi, quando Joe se ne era già andato, Warren sbuffò e mi disse: «Ok dai Rosalie, adesso però vieni ad aiutarci.»

«No no aspetta! Guarda, la Lindor è in offerta...»

Diversi minuti dopo ero ancora lì. E sapete cosa ebbe il coraggio di fare Warren? Siccome vedeva che non mi muovevo più e che a quanto pare non avevo nessuna intenzione di farlo, mi prese per la vita sulle sue spalle di peso e mi buttò nel carrello, entrambe le cose come se fossi una borsa di patate.

«Ehi! Non sono un sacco delle scoasse!» protestai, ma lui fece orecchie da mercante e iniziò a spingere il carrello verso un'altra corsia.

Raggiungemmo Joe che ci vide, rise e poi sentenziò: «Bene, io direi che adesso possiamo anche andare a pagare, visto che il carrello è pieno» divertito.

Io contrariata replicai: «Non sono mica a pagamento!!»

Warren ridacchiò. «Ah no?». Poi sospirò e aggiunse: «Dai, quanto vuoi all'ora?»

Joe si mise a ridere. Io però ero rimasta scioccata dalla risposta di Warren. Sconvolta. «Ma che stronzo!!!»

Saltai fuori dal carrello e per ripicca gli saltai addosso e assunsi la posizione Eastpak sulle sue spalle, obbligandolo a portarmi in giro così.

«Vabbè» si rassegnò. «Joe, portalo tu il carrello che io ho questa qua da trasportare».

Andammo in giro per il supermercato, prendendo dagli scaffali tutto ciò che ci sembrava avere un aspetto invitante, fino a raggiungere Ska che ora era al reparto dolci. Io subito avvicinai Joe e buttai dentro al carrello un sacco di scatole per il budino, sacchetti di caramelle, pacchetti maxi di biscotti e scatole di cioccolatini.

«Ma cosa faiii!!!» mi sgridò Joe, inorridito.

Ska si avvicinò al carrello. «No, allora, i biscotti vanno benissimo, li teniamo; del resto possiamo anche fare a meno».

«Guardate che non ho intenzione di sperperare tutto il mio patrimonio!»

Gli diedi una pacca sulla spalla. «Eeeeeh dai dai! Che così è più divertente!»

Joe sconsolato disse: «E vabbè...» e ci fece un gesto come a dire che avevamo campo libero.

Quindi io e Scarlett, a braccetto saltellanti, iniziammo a girare per gli scaffali e a fermare Warren, che spingeva il carrello, ogni volta che vedevamo degli snack invitanti o delle bibite in offerta.

«Dunque» cominciò Ska, controllando il carrello «con le cose preconfezionate siamo a posto. Ci mancano i preparati per torte, gli affettati, le pizzette, il pane e l'insalata russa. Ah! Devo andare a prendere il necessario per i tramezzini! Scusate». Detto questo ci lasciò una lista dove aveva trascritto il suo elenco, poi partì a cercare il pan carré.

Io, approfittando della distrazione di Joe e Warren, di soppiatto ritornai al banco dei dolci per ammirare tutto quel ben di dio.

Ci misero meno di mezzo secondo per trovarmi.

«Ehi» ridacchiai «il mio contributo l'ho dato, perché non posso avere un po' di soddisfazione?»

«Dai Rosalie, guida tu il carrello» propose Warren, tanto per tenermi occupata prima che combinassi altri disastri.

Con una faccia mezza sconvolta dissi: «Ma io non ho la patente C!»

«C?»

«Sì, la patente C, "Carrello".»

Warren dopotutto ridacchiò, buon segno. Presi il carrello, commentando: «Spero di non prendere una multa» e continuammo il giro turistico.

Alla fine arrivammo alla cassa con il carrello così pieno che era difficilissimo da spingere e a momenti si rompevano le ruote. Pensate che Joe spese 370 $, ma dopotutto più spendi più la festa è un successo no? Alla fine ci eravamo divertiti un mondo a fare la spesa tutti assieme, proprio come Warren aveva predetto!

Prima di salutare i miei amici, però, mi venne un dubbio grande come una casa.

«Senti Joe ma... e gli alcolici?!» Che razza di festa era senza alcol? Prima mi stavo divertendo così tanto che non mi ero neanche accorta che non li avevamo presi.

Joe sorrise. «Tranquilla! Cosa credi, che non ci abbia pensato? Ho fatto le cose in grande! Ho chiamato l'Alchimista a fare da barman, sai! Ha detto che si arrangia con tutto lui!»

Rimasi a fissarlo per un bel po', con le braccia incrociate e una mano sotto il mento, cercando di non scoppiare a ridere.

Joe iniziò già a ridacchiare, rassegnato. Aveva capito tutto. «Non hai la più pallida idea di chi sia, vero?»

Io iniziai a scuotere la testa lentamente, poi scoppiai a ridere. Ero proprio un caso disperato. «L'ho già sentito nominare, però non ho ben capito chi sia...»

Warren mi guardò perplesso. «No ma davvero non sai chi sia?» Scossi la testa di nuovo, alzando le spalle, sincera. «Alchie è una delle persone più famose della nostra scuola! Però sta sempre chiuso in laboratorio, quindi è probabile che tu non l'abbia mai visto...»

Joe continuò a spiegare. «Lui è famosissimo per i suoi intrugli e pozioni, non per niente viene chiamato "l'Alchimista"! Pensa che nessuno sa il suo vero nome. È stata Gwen, che è in classe con lui, a suggerirmi di ingaggiarlo come barista. Nessuno ci ha mai pensato prima, forse perché è un personaggio un po' ambiguo... Gwen ha detto che i suoi drink sono leggendari e originalissimi!»

Scarlett annuì. «Sono proprio curiosa di vedere cosa si inventerà!»

Adesso che mi avevano rinfrescato la memoria, mi tornò in mente chi era costui. «Aspetta, Alchie era quello che ha fatto i drink l'anno scorso alla festa di chiusura dell'anno a scuola?»

Joe rispose affermativamente, e io ero tutta contenta di conoscere la persona di cui stavano parlando, anche se non l'avevo mai visto di persona. Sarei proprio stata curiosa di sapere che bevande si sarebbe inventato stavolta: era famoso per proporne di nuove a ogni festa, ogni volta con un "tema" diverso.

Alla fine salutammo Scarlett e Joe, che sarebbero andati da lui per mettere via la spesa, e Warren mi riaccompagnò a casa. Il giorno dopo ci saremmo trovati tutti da Joe per fare il making-of di quella che, ero sicura, sarebbe stata una festa leggendaria.

 

Alla mattina mi alzai alle nove, riposata e anche molto contenta, pensando che quel giorno c'era ponte e quindi si stava a casa da scuola.

Feci colazione coi miei, che quel giorno non avevano missioni, tutti e tre rilassatissimi. Verso le dieci mi preparai per andare da Joe: mi vestii con una maglietta da combattimento, che era così scrausa che si sarebbe sciolta se l'avessi bagnata, e delle braghe in condizioni non molto migliori. Non mi sentivo neanche in dovere di protestare contro Joe, che aveva assunto me e i miei amici come troupe di schiavi per i preparativi per la sua festa. Tanto qualsiasi cosa avessi fatto con loro, ci saremmo divertiti comunque, dalla spesa al bungee jumping.

Scarlett passò a prendermi dieci minuti dopo. (Vi ricordo che in America si fa la patente a 16 anni. Anche io l'avevo, ma guidavo di rado. E poi non aveva senso prendere una macchina in più).

Dopo circa quindici minuti eravamo arrivate. Ska percorse con l'auto il lunghissimo viale che conduceva dal cancello alla villa di Joe. La posteggiò nel parcheggio, scendemmo e andammo a suonare il campanello.

Venne il suo maggiordomo ad aprirci. «Buongiorno mademoiselle» disse a me, facendomi entrare. Ska mi seguì, e il saluto che ricevette fu «Mademoiselle Nightingale, mi giova molto vederla nella dimora del signorino».

Soffocai una risata. Signorino. Pfff.

Il maggiordomo chiuse la porta e si mise in disparte, tutto composto.

Arrivò Joe, che ci venne incontro con uno swiffer in mano, e Warren con addosso un grembiule da cucina e con una scopa in una mano e un mestolo nell'altra.

Rimasi interdetta per qualche secondo. «Ma... mi sono persa qualcosa? Warren, tu cucini?»

«So fare la Sacher» mi informò, alzando le spalle. «E la grigliata. Altrimenti no, non cucino.»

«SACHEEEEEERRR!!!» partì alla carica Scarlett, che come sentiva profumo da torte o biscotti aveva una reazione peggiore della mia davanti al cioccolato.

Scoppiammo a ridere. Però Joe dovevo proprio prenderlo un po' in giro.

Feci la riverenza e parlai con tono solenne. «Signorino Bradford, sono molto onorata di venire accolta nel vostro umile palazzo.»

Lui rise.

Andò alla porta, dove ancora il maggiordomo era impettito, e gli disse: «Grazie, Reginald. Per oggi può bastare, hai il giorno libero. E anche domani.»

Reginald fece un inchino. «La ringrazio di cuore, signorino.» Prese dall'appendiabiti la bombetta, la giacca e l'ombrello, tutti e tre neri. «Arrivederla. Le auguro una buona giornata, e le faccio ancora tanti auguri per i suoi diciotto anni.» Fece un altro inchino a noi e uscì dalla porta.

Lo indicai col pollice, non potendo non notare gli oggetti che aveva preso con sé: «Ma è inglese?»

Joe ridacchiò. «Si nota tanto?»

«Beh, sì!» risi io. «Ogni volta Ambrogio qua mi fa morire». Non mi ricordavo mai il suo nome, ma quando andavo a casa di Joe lo prendevo sempre in giro per i modi estremamente composti del suo maggiordomo.

Joe allargò le braccia esasperato perché era l'ennesima volta che sbagliavo il nome, ma non disse niente, ormai ci aveva rinunciato. Anzi, ridemmo tutti quanti.

Mi avvicinai a Joe, volevo cominciare con i lavori per non prendermi in ritardo. «Vabbè dai, dammi qua». Sfilai lo swiffer dalle sue mani e mi avviai verso il salotto. Mi bloccai davanti al comò. «Scusa ma tu non avevi le signore delle pulizie?»

«Sì, infatti è tutto lindo e splendente, cosa credi?» Scosse la testa, guardandomi crucciato come a dire "come ti permetti". «Dobbiamo solo tirare fuori le tavole dallo sgabuzzino e quelle sì che hanno bisogno di una pulita».

«Ah.»

In quel momento esatto arrivò lì la governate, una vecchia signora pacioccona dai modi molto gentili e premurosi, proprio da nonna. «È davvero sicuro che non abbiate bisogno del mio aiuto?» chiese a Joe.

Lui le prese le mani per rassicurarla. Aveva un rapporto molto stretto con lei, proprio come se fosse sua nonna. «Beth cara, oggi può bastare così. Vai a casa ora, riposati, ti vedo stanca.»

Lei, accorata, riprese: «Ne è sicuro, signorino? Posso ancora essere d'aiuto se ce n'è bisogno.»

«Tranquilla Beth, oggi ci sono qui i miei amici, tutti pimpanti che non vedono l'ora di mettersi al lavoro. Non è vero, amici carissimi?»

Ci guardò, con gli occhioni tutti affettuosi. A-ha, pimpanti. Convinto lui. Warren si era addormentato appoggiato col braccio in bilico sulla scopa, Scarlett aveva le borse sotto gli occhi così grandi che ormai erano valigie e io sembravo uscita da una catastrofe nucleare. Risposi io per tutti: «Sì, Joe. Certo. Siamo molto entusiasti di essere i tuoi schiavi oggi.»

Joe guardò di nuovo Beth con un sorriso a trentadue denti. «Visto?»

Beth fece «Mh» non molto convinta. Lo guardò un po' preoccupata, poi prese le sue cose e si diresse alla porta. «Allora... ci vediamo lunedì, signorino Bradford». Fece un cenno di saluto anche a noi, poi disse «Arrivederci» e uscì dalla porta.

Andai da Warren e lo riscossi dall'abbiocco. «Ehi Warren, ci sei?»

«Mh» fece lui, aprendo un occhio. Mi guardò con la testa piegata da un lato, appoggiata sul braccio in bilico sulla scopa, e sorrise. «Rose ma non è che perdi i vestiti per strada? Cioè, sono tutti consumati, mi sa che più di due orette non resistono! Forse fai prima a toglierli subito!» Si tirò su e mi mise un braccio attorno al petto, stringendomi da dietro.

«Eh, ti piacerebbe!» scherzai, ridendo assieme a lui. Gli feci una linguaccia affettuosa, tenendo con le mani il braccio che aveva attorno a me.

Scarlett e Joe ci stavano osservando mentre ridevamo e ci abbracciavamo, e Scarlett mi chiese curiosa: «Rose ma... come sono i rapporti fra di voi?»

Io e Warren alzammo gli occhi su di lei. Cercai con tutta me stessa di non pensare a quello che avevamo fatto giovedì a casa sua, non volevo farglielo sapere. Ska strinse gli occhi come per concentrarsi per leggere i miei pensieri, ma non sembrava riuscire a trovare l'informazione che cercava. Bene, ci stavo riuscendo. «Tutto ok» risposi semplicemente, che poi era vero. «Ehi ma Ashley dov'è?» chiesi guardandomi in giro, per cambiare discorso.

Joe e Scarlett si scambiarono un'occhiata, lei alzò le spalle e io nascosi un ghigno. Joe mi rispose: «Arriva dopo, doveva sistemare un po' di robe. Però ieri sera è venuta qui e abbiamo già iniziato a sistemare la consolle.»

«Perfetto, un lavoro in meno.» Lasciai che Warren mi stringesse un'ultima volta, gli rivolsi un sorriso e poi tornammo ognuno ai propri compiti.

«Perché non me lo vuoi far sapere?» mi domandò Scarlett sottovoce mentre stavamo pulendo le tavole. Sembrava un po' offesa.

«Non voglio dirlo a nessuno. Ci siamo fatti una promessa, sai. Voglio vedere come vanno le cose, e poi vi racconto.»

«Non l'hai detto nemmeno ad Ash?!»

«No.»

«E Joe lo sa?»

«No!» La guardai male, stufa delle sue domande. Lei roteò gli occhi. «E non credo che nemmeno Warren gliel'abbia detto.»

«No, altrimenti lo saprei anch'io» confermò.

Sorrisi vittoriosa. Però non volevo litigare con la mia migliore amica. «Dai, appena posso te lo racconto, ok?»

Lei mi sorrise. «Andata.» Ci stringemmo la mano in accordo e continuammo a spolverare.

Ad un certo punto vidi una cosa che mi fece rizzare i capelli sulla testa e sbiancare per lo spavento. «AAAAAAAAAHH!! UN RAGNO!» strillai terrorizzata, facendo un salto indietro e additando la gamba del tavolo dove si trovava quell'essere orribile.

«Dove??» chiese allarmato Warren, raggiungendoci di corsa.

«Lì!!!». Indicai il punto.

«Non lo vedo!!!». Ad ogni frase ognuno era sempre più agitato, sembrava una cosa da sitcom.

«Ma sì, è là!!»

«DOVE!!!»

Joe intervenne pronto. «Aspettate!». Piombò lì come uno che doveva risolvere tutti i problemi, con un sorrisone sulle labbra e una lente d'ingrandimento tirata fuori da chissà dove. «Ecco!». La porse a Warren, che si avvicinò al ragno con questa.

Dopo un'analisi approfondita, cioè dopo averlo trovato, proferì: «Ma è minuscolo!!»

«Non è vero! È enorme! È una tarantola, guardalo!» protestai io terrorizzata.

«Eddai Rose» cercò di convincermi Warren. «Non ti fa niente! È invisibile!»

Cercai di difendere il mio punto come meglio potei. «Beh io ho paura! Ho l'aracnofobia, sai!»

«Oddio santo anche questa adesso...» disse esasperato.

Io continuai a gesticolare come un'ossessa, in preda al terrore, allontanandomi sempre di più dal tavolo ma tenendo d'occhio quel mostro prima che sparisse dalla mia vista e andasse a nascondersi chissà dove. Alla fine Warren lo bruciò in un millisecondo e io gli saltai al collo, abbracciando sollevata il mio salvatore. «Grazie, grazie!». Gli ero davvero riconoscente. Warren sbuffò ma sembrava che mi avesse perdonata, grazie all'abbraccio che gli diedi.

Scarlett si assunse il compito di finire di pulire i tavoli, mentre Joe spostava i mobili e Warren appendeva gli addobbi. Io invece mi offrii di andare a preparare i budini, primo perché era la mia specialità e secondo perché così avremmo mangiato qualcosa di buono e leggero.

Quando i primi furono pronti, li raffreddai congelando le mie mani in modo che avessimo potuto mangiarli subito. Ne portai uno a Joe e uno a Ska, che mi ringraziarono, poi andai da Warren che in questo momento era in cima ad una scala ad appendere una palla da discoteca sul soffitto.

«Ehi Joe» lo chiamai. «Ma non si era rotta? Durante l'ultima festa, quando Lash si era ubriacato sopra il tavolo?»

«Eh? Ah, sì. Questa è nuova.»

«Ah ok. Warren? Vuoi un budino?»

«Scusa piccola adesso non posso».

Iiiiiih mi aveva chiamata piccola!!! ♥ ♥ ♥

Tutta adorante gli proposi: «Se vuoi ti aiuto».

«Ma sulla scala non ci stiamo tutti e due...»

Sorrisi. «Intendevo col budino».

Mi guardò perplesso, io intanto preparai una cucchiaiata del dolce e mi alzai sulle punte, avvicinando il cucchiaio alla sua bocca. Lui confuso e sorpreso assaggiò il dolce. Poi ridemmo. Troppo bello imboccarlo! Ahaha, era così divertente! Andammo avanti così finché tutto il budino non fu finito, poi Warren mi ringraziò e tornò alla disco ball.

Io e Scarlett ci divertimmo un mondo a fare le torte, anche perché andò a finire tutto con una battaglia a suon di impasto e cacao in polvere. Le nostre facce ora non erano più rosa ma marroni! Comunque riuscimmo ad infornare due torte e a metterne una in frigo, il tiramisù, il che era un ottimo risultato.

Verso le due però arrivò il grande dilemma: cosa avremmo mangiato a pranzo?

Joe propose di ordinare delle pizze, io invece gli dissi che le avrei fatte io, con l'impasto comprato il giorno prima. Vennero molto buone e i miei amici si complimentarono con me. Me la cavavo abbastanza bene in cucina. Diedi a Joe il permesso di guarnire la torta con la panna, tanto non avrebbe potuto fare più di tanti danni. Visto che per la parte dove il cucinare prevaleva c'eravamo già io e Scarlett e Joe non era assolutamente ben accetto, si mise ad imbandire i tavoli con le patatine, i pop corn, le bibite e tutto ciò di già pronto. Warren ci aiutò a fare i tramezzini e i panini, infine addobbammo la tavola con dei coriandoli glitterati e metallizzati e gonfiammo dei palloncini. Ammirammo la nostra opera: era tutto perfetto e favoloso!

«Joe, questa sarà la migliore festa di compleanno che tu abbia mai avuto!»

Ridacchiò. «Lo spero! Diciott'anni si compiono una volta sola!»

Scarlett gli scompigliò i capelli. «Ed ecco che anche il bambino diventa grande!! Carüüüü!!! Che ammöööriiiiii!»

Risi per il modo in cui lo diceva sempre Scarlett. «Ahahah con l'umlaut».

«Ahahah ammöööö....anche la i con l'umlaut». Ridemmo.

Guardai l'ora sul cellulare. Erano le 18: gli invitati sarebbero cominciati ad arrivare alle 21. Bene, tre orette per prepararmi ce le avevo. Doccia, capelli, trucco e parrucco. Vestiti fortunatamente scelti già la mattina. Scarlett si era portata una borsa con tutto il kit di bellezza, compresi gli indumenti. Pensai che era un'idea fantastica, peccato che non fosse venuta in mente anche a me.

«Ehm... io dovrei andare a casa a sistemarmi».

Joe si offrì. «Dai, ti porto io visto che hai fatto la pizza e il budino».

Così lascio la casa nelle mani di Scarlett e Warren (non so se era una buona idea) e mi accompagnò a casa mia in macchina.

Lo feci entrare e si accomodò sul divano.

«Ma resti qui?»

Si girò a guardarmi. «Quanto hai intenzione di impiegarci?»

«Non so... forse in un'ora e mezza ce la faccio»

«Allora sì dai. Intanto guardo la partita, se non ti dispiace».

Sorrisi. «No no, fai pure. Ok vado a farmi la doccia».

Feci più veloce che potei: ci misi venti minuti, un record, se dobbiamo contare anche lo shampoo e il balsamo. Mi asciugai i capelli col phon e poi li piastrai, lasciandoli però belli voluminosi.

Mi venne un'ideona: quella sera andavo per lo stile Scene. Quindi dovevo cambiare la scelta dei vestiti. Ma non c'era problema, avevo già tutto in mente. Presi dall'armadio una maglia lunga aderente, argento metallizzato, senza maniche e con le fasce nere sopra il seno e sotto i fianchi, che metteva in bella mostra le mie forme. Perfetta. Leggings fucsia brillantinati, stivali col tacco alto, azzurri come le mie meches naturali, e misi anche quegli scaldamuscoli bianchi pelosi che mi piacevano così tanto, lunghi da sotto il ginocchio alla caviglia. Come accessori mi misi una collana col pendaglio a forma di diamante, a specchio, e degli orecchini uguali. Sulle unghie avevo già lo smalto rosa shocking che avevo messo il giorno prima (all'inizio l'idea era per un vestito rosa fluo) e dello stesso colore anche l'ombretto, assieme al mascara e all'eyeliner neri (dopo essermi messa le lenti a contatto). Ora dovevo ultimarmi i capelli: usai una mollettina fucsia per tenere di lato il ciuffo e dietro la testa me li cotonai. Avevo mantenuto la promessa: mi ero comprata una bomboletta di lacca per capelli. Misi la lacca in modo che sopra mi stessero alti, cosa che mi riusciva semplice dato che erano molto scalati.

Mancava il tocco finale. In testa mi misi la coroncina da Scene Queen che indossavo sempre alle feste. Era argento con gli strass e un cuore in mezzo. Non troppo appariscente (ehm).

Mi sporsi dalla porta della camera e urlai: «Joe, non ti dispiace vero se alla festa ti rubo un po' la scena?»

«Cosa? No no, fai pure. Tanto ormai sono abituato, lo fai sempre» rispose divertito.

Con un sorriso presi la mia borsetta fucsia a caramella, in vernice lucida, con una catenella come manico. Guardai il cellulare: erano le 19.23. Oh ma stavo diventando bravissima!

Andai in salotto, scendendo i tre scalini che lo collegavano con il corridoio delle camere con una camminata altezzosa. Joe mi vide e si sorprese. Poi rise. «Ok ma non proprio tutta tutta la scena, eh!»

«È troppo?»

«No, stavo scherzando. Beh farai contento Warren» ridacchiò.

«Dici?» chiesi, con un sorriso enorme.

«Certo. Ah, sei stata veloce per il tuo solito! Quasi quasi ti meriti un passaggio fino a casa mia». Mi fece l'occhiolino.

«Ehi grazie, signor taxista».

Lo presi a braccetto e uscimmo da casa, io tutta contenta per quello che mi aveva detto su Warren.

 

Allora era stato sincero!

Appena entrai a casa di Joe, che andò subito in camera sua a cambiarsi, c'erano Warren e Scarlett che ci attendevano in entrata. Warren come mi vide sgranò gli occhi e diventò tutto rosso, cosa che non gli avevo mai visto fare. Scarlett mi fece i complimenti, parlando anche per Warren, che al momento non ne era in grado (lol). «Che bella vèz!! Sei strafiga stasera! Ah, Amber morirà d'invidia, te lo dico io!»

Anche loro si erano cambiati: Warren aveva indossato una camicia nera aderente e un paio di jeans neri stranamente integri (non strappati come li aveva di solito), ma per non tradire proprio del tutto il suo stile da ragazzaccio aveva appeso una catenella ai jeans. Che figo mamma mia... Sarebbe stata un'impresa non saltargli addosso, quella sera. E da come mi stava guardando, capii che anche lui stava pensando la stessa cosa. Ci scambiammo un'occhiata e ad entrambi scappò una risatina. Scarlett invece aveva un vestitino nero aderente, tutto luccicante, che metteva in bella mostra il suo sedere perfetto. Era senza calze, ai piedi aveva dei tacchi blu col plateau e aveva i capelli sciolti. «Ma sei tu quella bellissima, Scarlett! Stai vicino a Joe prima che qualcuno ti si avvinghi addosso! Guarda che culo che ti fa questo vestito!» Ci mettemmo a ridere e scherzare e a fare battute, da vere amiche.

Pochi minuti dopo arrivò anche Ashley, la quale ovviamente sarebbe stata la nostra DJ per la serata. Non ci salutò neanche, andò in salotto sotto i nostri sguardi allibiti, buttò la borsa sul divano e sbuffando chiese: «Ok dov'è la mia consolle?»

Noi quattro ci guardammo in faccia uno ad uno, chiedendoci come mai Ashley fosse così scazzata.

Parlò Scarlett. «Ehm.... "ciao", magari??»

Ash la guardò come dire "Ma che cacchio vuoi?" e rispose: «Senti non sono dell'umore giusto ok? Meglio che mi sistemi subito le attrezzature prima che cambi idea e me ne vada».

«Senti ma... cos'hai??» le chiesi io, interdetta.

«Mio padre si è incazzato perché ho preso quattro in Chimica» disse, buttandola lì così.

Scarlett però non ci cascò e la rimproverò. «Non raccontare balle, Ashley.»

Ash la incenerì con lo sguardo.

Joe le mise una mano sulle spalle. «Ashley.» le disse. «Primo: non voglio che tu stia qui se proprio ti dà così fastidio. Secondo: un po' di rispetto non fa mai male a nessuno».

Lei ci guardò uno ad uno. La sua espressione cambiò, sembrava triste. Sospirò. «Hai ragione Joe, scusami. Chiedo scusa a tutti». Ci sorrise. «Non volevo essere così antipatica. È solo che...» Fece un lungo respiro, come per calmarsi.

Ska però sapeva quello che diceva. «Gli amici servono anche come sostegno morale, ricordatelo.»

Ashley a quel punto si decise ad aprirsi con noi. «E va bene. Ho di nuovo litigato con mio padre» sentenziò.

Oh no, quello era un argomento delicato. Suo padre, dotato del super udito, sapeva riconoscere subito se un musicista o un cantante avevano talento. E capiva al volo le tendenze di mercato del momento, anzi spesso le anticipava. Era per questo che era un così bravo e rinomato discografico. Ashley però si rifiutava di seguire le mode commerciali, lei voleva rimanere fedele al suo stile, e spesso e volentieri si scontrava con suo padre su questo fronte, il quale invece voleva che sua figlia si conformasse alla massa per vendere di più. Ash non ne parlava spesso, ma sapevamo tutti che ci soffriva molto.

«Non credo di essere dell'umore giusto per suonare, stasera» disse, sconsolata.

Mi avvicinai a lei e la abbracciai. «Ehi Ash, non dire così, ricordati che qui nessuno ti giudica, ok? E poi lo sai benissimo, noi amiamo la tua musica! Vedrai che ti sentirai meglio. Senza di te la festa non si fa!»

Ashley non poté fare a meno di sorridere. «Sono proprio indispensabile, eh?»

«Eh certo!» le assicurammo noi in coro. Alla fine ridemmo tutti e Ash ora era sollevata. «Grazie ragazzi, cosa farei senza di voi!» Ci scambiammo un abbraccio di gruppo, dopodiché lei andò a sistemare computer e spinotti vari alla postazione consolle.

«Ma Alchie non arriva più?» borbottò Joe controllando l'orologio.

Aveva appena fatto in tempo di finire la frase che il campanello suonò. Andò ad aprire e vedemmo entrare un tizio stranissimo, con i capelli azzurri tutti per aria tipo scienziato pazzo (cosa che più o meno era), con addosso un camice bianco pieno di macchie di colori diversi, come se gli fossero esplose addosso bombe arcobaleno. Sull'occhio destro aveva una specie di monocolo, tipo Malocchio Moody ma con una lente al posto del bulbo oculare finto. Insomma questo Alchimista era uno scienziato pazzo fatto e finito, bene. E quella sera avrebbe fatto da bere per tutti, ancora meglio. Con i sudori freddi lo osservai mentre entrava in casa, trascinandosi dietro un carretto cigolante pieno di provette, becher e alambicchi fumanti, ognuno contenente un liquido di colore diverso.

«'Sera, Alchie! Tutto bene?» lo salutò Joe, tenendogli aperta la porta in modo che potesse entrare con più facilità.

«A tutti, buonasera!» ci salutò. Aveva una voce stranamente normale. Forse la mia fantasia aveva galoppato un po' troppo nel vederlo. «È pronto il tavolo? Posso andare dove, posso?»

«È tutto pronto! Seguimi, ti mostro io la tua postazione» disse Scarlett e gli fece segno di seguirla.

«Mamma mia...» bisbigliai io sottovoce, non appena si furono allontanati.

Joe ridacchiò. «Eccentrico, eh?»

Annuii, fissando Alchie da distante, inquietata. «Ma sei sicuro che i suoi drink si possano bere? Non è che mi spuntano le orecchie verdi da Shrek, vero? O i corni tipo drago?»

Sia Joe che Warren risero. «Vedi tu stessa!» disse il mio migliore amico e mi spinse attraverso la stanza fin che mi ritrovai davanti al bancone dove Alchie stava disponendo tutta la sua attrezzatura.

«La mia amica Rosalie non si fida» gli spiegò Joe, che subito fulminai con un'occhiataccia. «Le faresti provare qualcosa così si leva i dubbi una volta per tutte?»

L'Alchimista fece un sorriso che risultò molto inquietante, anche se molto probabilmente non voleva ottenere quell'effetto. Si tolse il monocolo dall'occhio e osservai il suo viso. Aveva dei bei lineamenti, un po' androgini a dire il vero, ma aveva gli occhi strabuzzati da pazzo, tipo schizzato, come se fosse sotto effetto costante di stupefacenti (il che probabilmente lo era, con tutte le robe strane che creava e tutti i vapori che salivano da quegli intrugli). Prese un becher immerso in un contenitore pieno di azoto liquido da cui usciva del fumo bianco, per raffreddarlo. Vi aggiunse altri liquidi da altre provette, poi mescolò con una bacchetta in vetro. In un bicchiere a cilindro versò un po' del contenuto del becher, un liquido azzurrino. Era molto bello da vedere, e se devo dirla tutta anche invitante, ma non mi fidavo.

Alchie mi allungò il bicchiere e io lo presi un po' incerta. Era freddo e anche se non era vicino al mio naso potevo sentire benissimo un forte profumo di menta.

Non volevo essere la solita paranoica che si faceva un milione di problemi per tutto, non volevo far rimanere male Alchie che aveva preparato un drink apposta per me e che sicuramente era già visto male da un sacco di persone, e non volevo neanche far arrabbiare Joe.

Però un problema ce l'avevo lo stesso: io di solito non bevevo molti alcolici, solo quando uscivo alla sera con le mie amiche e pochi, però ubriacarmi era una delle mie paure più grandi. Questo perché non volevo dimenticarmi le serate, le feste, i dialoghi, e volevo essere presente in ogni momento per non perdermi nulla. (evviva l'ansia). No comunque, a dirla tutta, io ero già un'ubriaca di mio, lol.

Così all'Alchimista chiesi: «C'è alcol in questo drink?»

Non volevo bere alcolici ancora prima che iniziasse la festa: avrei aspettato il clou della serata.

Lui scosse la testa. «Zero, zero» mi assicurò apprensivo. «Zero, sai. Anche non c'è.»

Parlava in modo strano.

«Sì ok ho capito» dissi io, prima che si ripetesse di nuovo.

Avvicinai il bicchiere alle mie labbra. Annusai un'altra volta il contenuto e l'intenso aroma di menta mi investì, facendomi sbilanciare un attimo. Però era troppo invitante e presi un sorso. E andai in trance.

«Ehi Rose, tutto bene?» chiese Joe dopo qualche secondo, vedendo che da me non giungeva risposta.

Mi ripresi ed esclamai: «Porca miseria! 'Sta roba è una meraviglia!!!» Davvero, era squisito, non avevo mai bevuto niente di così buono! «Warren, assaggialo ti prego! È un'esperienza mistica!» Andai da Warren e gli passai il bicchiere.

Alchie parve illuminarsi. Fece un gran sorriso (ancora più inquietante di quello di prima) e si mise a trafficare tutto indaffarato sul bancone, preparando altri bicchieri, ognuno di colori diversi. «Sai, prova questo, quello, anche. Sono speciali, strambi sai. Strambi.»

Presi un altro bicchiere e lo annusai. Questo sapeva da limone ed era curiosamente diviso in due colori: lo strato più in basso era giallo, quello sopra verde. Assurdo.

Siccome il mio sguardo doveva essere ancora un po' preoccupato, e anche Scarlett stava fissando le bevande non del tutto convinta, Alchie si affrettò a rassicurarci di nuovo. «Pentirvene no, zero. Sono speciali. Non vi fanno male, zero, sono molto buoni, molto buoni. Commestibili sai». Annuì, per dare più credito alla sua frase.

«Guarda che roba questo!» esclamò Ashley, venuta lì anche lei a vedere questi leggendari drink. Si abbassò, avvicinando gli occhi ai bicchieri posati in fila sul tavolo, e ne toccò uno con la punta del dito. «Sembra una galassia!»

Ci avvicinammo anche noi per vedere meglio e rimasi incantata. C'erano tre bicchieri, uno vicino all'altro, il cui contenuto come aveva detto Ashley sembravano galassie in movimento. Erano tutti e tre con sfumature fucsia, viola e azzurre, ognuno con un colore prevalente. Avevano anche come una specie di brillantini che creavano un effetto meraviglioso, proprio come se fossero delle stelle. Alchie tutto contento ci spiegò che quelli erano la sua nuova creazione, ideata apposta per la serata; erano appunto a tema galassia e avevano ognuno un nome diverso, rispettivamente Milky Way, Andromeda e Magellan. C'erano anche degli shottini simili, chiamati Quasar, Black Hole e Nebula. Solo i nomi mi facevano venire voglia di berli tutti.

Warren aveva finito tutto il bicchiere che gli avevo dato prima e ora stava già ispezionando il tavolo alla ricerca di qualcos'altro da provare. Io andai vicino a uno dei tavoli a prendere un brownie e lo offrii ad Ashley; lei lo accettò volentieri, ricambiando il mio sorriso. Chissà, almeno così si tirava un po' su di morale. In quel momento notai anche il suo abbigliamento, cosa che non ero riuscita a fare quando era arrivata, dato che era entrata in casa come un tornado e stava ululando incacchiata col mondo. Era bellissima anche lei, ma meno elegante, più festaiola: indossava un paio di leggings in finta pelle tutti graffiati, una canottiera molto scollata che cadeva larga sotto il seno, ricoperta di pailettes argentate, dei braccialetti con le borchie e le immancabili cuffie attorno al collo. Le dissi che era una figa e lei rise, però era vero, stava benissimo e Chris le avrebbe fatto la corte tutta la sera. (Lei forse non se ne era mai accorta ma io avevo notato da subito che Chris aveva messo gli occhi su di lei da tempo.) Scarlett ed io finimmo di disporre le ultime cose sui tavoli, mentre Joe andava in bagno a pettinarsi (dato che se non aveva i capelli perfetti per lui era una tragedia).

Ashley andò alla consolle e iniziò già a mixare, in modo da creare il clima di festa ancora prima che arrivassero gli invitati. La guardai mentre scratchava un piatto e sorrisi: a lei bastava immergersi nel suo mondo fatto di note musicali sintetizzate e subito il suo umore cambiava e tutte le preoccupazioni volavano via. Ero felice per lei: anche lei doveva godersi la festa e sarebbe stato brutto se l'avesse passata di cattivo umore. Invece potevamo divertirci tutti assieme ancora una volta.

Dopo circa un quarto d'ora cominciarono a suonare il campanello e la gente arrivò praticamente tutta assieme. C'era veramente tutto il corso eroi, comprese le prime e le seconde.

Non sapevo cosa aspettarmi da quella festa, ma prometteva benissimo, però una cosa era certa: sarebbe stata epica e me la sarei ricordata per moooolto tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Together we'll Dance in the Dark ***


22. Together we'll Dance in the Dark

 

La festa procedeva per il meglio. La casa era affollatissima, e laddove gli invitati non riempivano gli angoli ci pensava la musica a farlo. Sebbene fosse appena cominciata sentivo già un rimbombo sordo nelle orecchie. L'atmosfera era di pura dance, tra luci psichedeliche e beats potenti, esattamente come quelle feste perfette, quelle a cui partecipavi una volta nella vita e ti sembrava di essere dentro un film strafigo. Dovunque mi girassi c'era gente con il bicchiere in mano, che ballava a ritmo delle note come in una trance che prendeva mente e corpo. Le pareti tremavano al ritmo pompante di Ode to Oi. Era tutto perfetto.

Avevamo disposto i divanetti in posizione strategica attorno al televisore, dove si trovavano anche le consolle per i videogiochi, e c'era già gente che stava giocando a Wii Party. A me venne un'idea geniale e cercai il festeggiato, ma non riuscivo a trovarlo in mezzo a quella folla. «Joe! Joe! Dove cavolo è? Scarlett! Dov'è tuo moroso?» Per fortuna individuai Scarlett lì vicino.

«Mio moroso? Èèèèèè... là, che si sbafa un panino al prosciutto...»

Guardai dove mi stava indicando, e vidi divertita Joe che veniva incitato da alcuni ragazzi a mangiare il mega paninazzo ("Dai! Dai! Dai! Dai!") come se fosse una sfida. Risi e andai da lui.

«Oi, paninaro» attirai la sua attenzione, giocando sul doppio senso della parola, perché stava mangiando panini ma anche perché era un tamarro da competizione. «Tira fuori il Dance Dance Revolution, voglio una sfida!»

Tirò fuori i due tappeti quadrati del gioco, nel quale si ballava seguendo le frecce sullo schermo della TV, uno dei miei passatempi preferiti. Infatti i tappeti erano miei, li avevo prestati a Joe apposta per la festa.

Li collegammo al televisore e Joe fece partire il gioco. Si sentì la voce potente dell'intro ("Welcome to... DANCE DANCE REVOLUTION!") e molta gente si avvicinò a vedere, curiosa.

«Allora!» annunciai. «Chi vuole sfidare la grande campionessa?»

Si fece avanti Amber, sorridente. Oh dio, no...! Fra tutti proprio lei!

«Io, Rosalie!». Si mise in piedi sopra uno dei due dance pad con le frecce direzionali fucsia e azzurre. «Un'altra cosa: che bella che sei stasera! Quasi più di me! Mi piaci, con lo stile Scene! Complimenti!»

Decisi che un sorriso potevo concedermelo. In fondo lei era fatta così, non aveva cattive intenzioni. Dopotutto in seguito all'episodio del bar non aveva più rotto le scatole; magari in quell'occasione aveva solo voluto fare la stronza. E poi chi mi faceva i complimenti guadagnava sempre un punto in più seduta stante. «Grazie, Amber! Bene, sei pronta? Cominciamo!»

Scegliemmo la sfida in doppio. Su "Select your difficult", stavo per scegliere "Normal" ma pensai di chiedere se le andava bene. «Facciamo... Light o Normal?»

«Oh, Normal, Normal! Anche a me piace questo gioco, mi alleno sempre in sala giochi!» disse battendo le mani, tutta eccitata.

«Io ce l'ho a casa! Bene allora, Normal!»

Ora dovevamo scegliere la canzone, ma dato che il gioco era mio sapevo già cos'avremmo ballato. Orion.78 Civilization Megamix. Ero imbattuta con quel brano. Scorsi le canzoni finché non trovai quella che cercavo. La feci partire. Era una delle più veloci che conoscevo, ma ormai la sapevo a memoria perciò per me era facile. Come musica non era un granché ed era in giapponese, ma aveva dei bassi pazzeschi ed era bellissima da ballare sul DDR.

Vinsi io, neanche a dirlo; Amber si era trovata in difficoltà.

«Oh oh! Ho vinto!» esultai gradassa. Avevo battuto la mia nemica giurata, che ora stava scappando con la coda fra le gambe, ma non ne avevo abbastanza. «Chi vuole sfidarmi ora?»

Scarlett si mise sopra il dance pad. Le rivolsi un ghigno competitivo e le dissi: «Non ci risparmiamo. Stavolta niente cose semplici. Con te si fa Afronova. Andiamo sul veramente difficile!»

Ballammo diverse canzoni, ma niente da fare, vinsi di nuovo io. Ero davvero stanca: con canzoni come Orion.78 si sudava un sacco. Ballammo come ultima Shima Uta trance remix e poi lasciammo il campo libero ad altri, sfinite. Andammo al tavolo del buffet seguite dagli applausi del nostro pubblico.

Dopo un tramezzino prosciutto e funghi e qualche patatina, andammo a vedere Ashley nella sala grande di fianco. Mi venne da ridere vedendo la gente: in quel momento di musica c'era Rock 'n' Roll di Skrillex e la gente, senza neanche mettersi d'accordo, la stava ballando con la coreografia del Just Dance! Io e Scarlett divertite ci unimmo alle danze e finito il brano ci facemmo tutti un applauso. Era stata una figata! Ballare tutti assieme allo stesso modo, improvvisando, che figo!

Andammo da Ashley, che si vedeva distante un chilometro che si stava godendo un mondo.

«Ehi DJ! Come procede?»

«Tutto a posto, sorella! Dai, vieni su sul palco! Ho una canzone da farti cantare»

Salii sulla pedana di fianco a lei, mentre Scarlett era andata a cercare Joe, e fece partire la musica. Era Dance in the Dark di Lady Gaga, perfetta per quell'occasione. Amavo quella canzone, aveva una musica particolarissima, ed era la mia preferita fra tutti i brani di Lady Gaga. Ovviamente sapevo il testo a memoria.

«Baby loves to dance in the dark! 'Cause when he's lookin' she falls apart! Baby loves to dance, loves to dance in the dark...»

Fu un successone. Mi accorsi che in pubblico mi veniva facile da cantare, e mi piacque moltissimo farlo. La musica di Ashley era semplicemente perfetta, un remix delicato ma che rendeva il brano quasi meglio dell'originale!

Quando vidi Scarlett che portava lì Joe trascinandolo per il braccio, sussurrai alla dj di mettere la base per Party at a Rich Dude's House di Kesha. L'avrei dedicata a Joe, ovviamente. Era la canzone ideale per quella sera: c'era il party ed era a casa di un "rich dude". Meglio di così! :D

Come iniziò la musica Joe la riconobbe subito (era una delle canzoni che cantavo più spesso) e mi guardò come dire "Ma daiiiii!!!" «Uooooh Rose! Ti prego!» disse esasperato, facendo mollare la presa a Ska, guardandomi con le braccia aperte. Non lo badai, ma ridendo iniziai a cantare. Ora tutti gli invitati erano lì a ballare, motivo in più per darci dentro!

«Whooooa oooh, there's a party at a rich dude's house! Whooooa oooh, there's a party at a rich dude's house! If you wanna go, then you know oh, we're gonna fight till we do it right! So let's whoooa ooooh, tonight...!»

Mi godei il mio meritato applauso alla fine della mia performance e mi avvicinai a Joe mentre tutti mi acclamavano, e gli dissi: «Dai che ti è piaciuta, inutile che fai il bugiardo». Gli feci l'occhiolino e la linguaccia.

Rise. «Ma sì, lo sai».

Lasciai di nuovo la scena ad Ashley, che era già tutta intenta col brano successivo. Cercai con lo sguardo Warren e fortunatamente lo trovai quasi subito: stava chiacchierando con qualcuno vicino al tavolo del buffet. La mia felicità arrivò al massimo.

Warren mi vide e mi si avvicinò tutto sorridente, dopo esser stato a parlare con quelli che ora mi accorsi essere Speed e Lash (Speed e Lash, vi rendete conto?!? Che fino a pochi giorni fa non facevano altro che guardarsi in cagnesco!), con una manciata di patatine in mano e, dopo avermi fatto i complimenti per l'esibizione, mi disse: «Ehi, hai notato che da quando sto con te la gente non mi evita più?»

«Sì! Sei diventato stra popolare!! Beh anche prima lo eri...». Mi rivolse uno sguardo amareggiato, quindi mi affrettai a rimediare: «Ma ora lo sei in modo positivo! Evviva mi sento realizzata!»

Sorrise. «Cosa posso dire... grazie Rosalie».

«Figurati. Io non ho fatto niente. Beh, forse... ho solo tirato fuori la parte migliore di te e l'ho messa in primo piano, niente di che». Ridacchiai facendogli un occhiolino.

«Ora se picchio qualcuno mi sa che mi acclamerebbero!»

Concordai, ridendo. «Probabile!»

Finimmo le sue patatine e poi ci unimmo ai nostri amici che si scatenavano sulla pista da ballo. I faretti colorati facevano un effetto meraviglioso con la palla da discoteca che roteava lenta appesa al soffitto, e le luci bianche che facevano vedere la scena circostante a scatti erano le mie preferite.

Ballammo assieme qualche canzone, poi Ashley mi chiamò di nuovo a tornare a cantare, e così salutai Warren. Gli dieci un bacio sulla guancia e vidi che gli piacque, e anche a me, troppo se devo ammetterlo. Per non impazzire, gli diedi un ultimo sguardo e poi mi girai, tornandomene sul palco, che era il posto in cui dovevo stare.

Io ed Ashley ci mettemmo d'accordo: avremmo suonato e cantato I don't like the vibe in the VIP delle Electrovamp, penso una delle canzone più truzze-poser che conoscevo. Non era niente di che come canzone né musica, anzi era proprio stupida, ma era divertente e carina (per farmi capire, era una canzone adatta ad Amber, ecco). In più mi ricordava troppo l'estate della prima superiore, che la ballavamo di sera in spiaggia nelle discoteche all'aperto.

Mi faceva morire dal ridere, il ritornello diceva: «Cause baby you are the greatest! Yeah yeah! The moves you got are the latest! Yeah yeah! I'll be your schoolgirl dream, I'll shake my peaches and cream, I'll make you scream like you ain't done it in ages...! Uuuuih uuuih!» Ci divertimmo tantissimo, sia io a cantarla, sia Ashley a mixarla che la gente a ballarla.

Dopo di quella non ce la facevo più, mi ero scatenata abbastanza. In effetti il mio outfit da Scene Queen aveva ottenuto anche molto più successo di quello che avevo sperato, e andai al tavolo del buffet per bere un po' d'acqua. Mi venne da ridere quando sentii due ragazzini di seconda lì di fianco che dicevano: «Guarda quella! È la Frozehart di quarta linguistico! Certo che è proprio una figa!»

«Lo so! Quasi quasi ci provo».

«Ma sei scemo? Guarda che è insieme a Warren Peace! Faresti solo la figura dell'imbecille! E poi è tanto più grande!»

«Ma se conosco suo fratello! Alex, te lo ricordi? Era in classe con noi l'anno scorso!»

«Ah, sì! Quanto mi manca! Eravamo grandi amici! Ma in teoria dovrebbe tornare dall'Europa a novembre, ho sentito sua sorella che lo diceva a Chris qualche settimana fa!»

Feci finta di niente, sorseggiando la mia acqua naturale, ridendo sotto i baffi perché quei due ragazzi credevano che non li stessi sentendo.

Poco dopo vidi Warren che chiacchierava tutto contento con Joe, forse stava pensando a me. Anch'io stavo pensando a me. Cioè no, a lui (maledetto egocentrismo). Ero stra euforica!

Cercai Scarlett e la trovai con Britney vicino a un divano. Aveva in mano un bicchiere con dentro uno dei drink assurdi dell'Alchimista (che, a proposito, stava facendo faville e la gente non gli lasciava un momento di tregua, volevano tutti assaggiare le sue creazioni strambe e originalissime).

«Rose!» mi chiamò. Mi mise un braccio intorno alle spalle: non sembrava proprio del tutto lucida. «Vieni a brindare insieme a noi! Alla bellissima festa di stasera! È una cosa EPICA! Verrà ricordata in eterno! Toh, prendi anche tu un bicchiere!»

«Brindo volentieri ma non so se sia il caso che io prenda alcolici stasera, sono già abbastanza su di giri!»

Rise. «Ahahah sei già pazza, a vedere come hai ballato prima mentre cantavi le Electrovamp!»

«Io sono un'ubriaca cronica! Visto che in un giorno bevo più o meno tre litri d'acqua, mi sa che è l'ossigeno che a me non fa bene! Oddio, non devo respirare!»

«Ahahah! Sì, tu sei un pesce! Non ho mai capito come fai a bere tutta quell'acqua! Vabbè che vai sempre in bagno ad ogni cambio dell'ora!» Mi imitò che alzavo la mano. «"Prof, posso...?" "Sì, vai Rosalie"! Ahahah».

In effetti ormai non serviva neanche che lo chiedessi, i professori mi dicevano che potevo andare in bagno appena alzavo la mano. «Sei la Dea dell'Incontinenza! Ahahah!»

«Parla lei, la Dea della Catalessi!»

Ridemmo.

«Dai, prendi. È tipo un Pesca Lemon, è buonissimo. Assaggialo, Alchie mi ha promesso che non è forte». Mi offrì il suo bicchiere.

Non ne ero molto convinta, ma lo provai. Non era male, sapeva di pesca. Anzi, era così buono che senza rendermene conto l'avevo bevuto tutto. Però c'era qualcosa che non andava.

Appena ingoiai la bibita, subito sentii uno strano calore propagarsi lungo tutto il mio corpo, dalla gola fino al basso ventre. Mi girò un po' la testa, ma non faceva male. Soprattutto, ormai ero abituata a vivere in uno stato di ebbrezza naturale tutti i giorni.

Mi girai, e vidi Warren appoggiare un drink sul tavolino e poi sedersi sul divano. Oh, com'è sexy!, pensai. Iniziai ad eccitarmi solo alla vista di lui. Non ce la facevo più. Quella sera lui sarebbe stato mio. Avevo deciso.

Posai il bicchiere sulla tavolata del buffet e con sguardo voglioso mi diressi verso Warren. Lui mi fissò, con i suoi occhi così belli e profondi, e mi fece venire una voglia irrefrenabile di sentirlo unito a me, di poter respirare il profumo della sua pelle da vicino. Non ci pensai due volte. Mi avvicinai a lui, sporgendomi in avanti, allargai le gambe e mi sedetti sopra di lui. Gli presi il viso fra le mani e avvicinai le mie labbra alle sue, e al contatto sentii un'ondata di calore attraversarmi come una scarica elettrica. Lo sentii sorpreso, ma non mi fermò e mi serrò le braccia ai fianchi e la sua bocca alla mia. All'inizio muovemmo le nostre labbra lentamente, entrambi assaporando la dolcezza e la morbidezza di quelle dell'altro, ma poi la passione ebbe il sopravvento e ci lasciammo andare con ardore a un lungo bacio. Lo sentivo eccitato sotto di me, e un'altra ondata di piacere mi travolse.

Quando mi staccai per riprendere fiato, mi sussurrò all'orecchio, con voce suadente: «Rosalie, finalmente...». Lo guardai. Vidi i suoi occhi guardarmi famelici e non resistetti neanche stavolta. Gli infilai le dita fra i capelli e lo baciai, gustandomi quei momenti di piacere e calore. Lui mi avvolse nelle sue braccia e io gli strinsi le braccia al collo, senza mai lasciare le sue labbra, che erano così morbide, molto più di quello che pensavo, e così calde e confortanti... Lui non mi lasciava mai, e non mi importava se dovevamo riprendere fiato.

Poi però la sua presa divenne un po' troppo forte e gemetti piano. La allentò un po' e mi disse: «Scusa, non volevo farti male».

Risi, appoggiandogli la testa fra il mento e la clavicola. «No, non ti preoccupare. Accidenti, ho lasciato cadere tutti i miei buoni propositi».

Warren mi guardò divertito. «Prima o poi doveva succedere. Sai, non mi dispiace che tu abbia cambiato idea.»

«Neanche a me» mugugnai, riavvicinando le nostre bocche.

Il casino della festa attorno a noi non ci riguardava, ormai eravamo una cosa sola, isolati nel nostro angolino di paradiso. E non m'importava di essere su un divano al centro di un salotto di una casa che non era neanche la mia, fissata da chissà quante persone che ballavano al ritmo della musica di Ashley. Niente da fare, ma io da lì non mi muovevo.

Le sue labbra così morbide erano come droga per me; non riuscivo a staccarmi da esse, tanto meno dal suo corpo, e non m'importava da quanto tempo eravamo in quella posizione. Fosse stato per me, avremmo potuto rimanere così per tutta la sera.

Warren dischiuse ulteriormente le labbra, e sentii la sua lingua sulla mia, accompagnata da un impeto di eccitamento come non avevo mai provato prima.

Sinceramente, nessuno dei ragazzi con cui ero stata mi aveva fatto provare emozioni così forti, o sapeva baciare così bene.

Il mio amore per lui mi inondò come un sole, sensazione accompagnata dal forte calore della sua pelle, e delle sue mani che mi abbracciavano. Le nostre labbra incollate mi facevano sentire benissimo, mi sentivo una cosa sola con lui, e muovendole con le sue tutto il mio mondo sembrava finalmente aver acquistato un senso. Ormai era certo: non avrei potuto più stare senza di lui. Questa era la conferma di una sensazione che avevo provato dentro me di fin dalla prima volta che le nostre mani si erano sfiorate.

Quando sentii il divano cedere ulteriormente sotto il nostro peso, all'inizio non mi insospettii subito. Poi però Warren allentò la presa sui miei fianchi e smise di baciarmi. Mi allontanai un po' da lui per vedere la sua espressione ma lo vidi voltato verso il posto a fianco al nostro. Feci lo stesso e con orrore vidi che qualcuno si era seduto di fianco a noi e stava bevendo tranquillissimo un drink come se niente fosse.

Quando il tipo finalmente si accorse della nostra presenza, si ritirò vedendo il nostro sguardo truce. Io gli ringhiai contro, indignata, e lui spaventato si alzò e se ne andò, balbettando scuse.

Warren sospirò e fece per alzarsi ma io ero ancora seduta su di lui. Gli serrai le braccia al collo. «Io non avevo finito di baciarti» dissi contrariata.

«Neanch'io. Ma è meglio se andiamo in un posto più appartato. Cazzo, non ci si può neanche più baciare in pace! Vieni, andiamo in camera».

Si alzò e, tenendomi con le braccia sulla schiena e sotto le ginocchia, mi mise in piedi.

«Ma...» cominciai, confusa. «Siamo a casa di Joe... se non vuole...». Mentre parlavo, intrecciai le mie dita alle sue, portandole vicino al mio viso, e gli misi l'altra mano sul collo.

Lui mi baciò sul naso. «No no» mi rassicurò «Non preoccuparti. Gliel'avevo già chiesto per, ehm... l'evenienza. E lui mi ha detto di non preoccuparmi. Ci sono tantissime stanze, qui. Quale vuoi?»

«Ma... ma io...». Ero imbarazzata, e non sapevo cosa dire. Mi stava chiedendo di farlo?

«Ehi, non ti preoccupare, non ti sto chiedendo di andare a letto insieme. Ormai ti conosco». Le sue labbra si aprirono in un sorriso caldo e rassicurante. «Volevo solo un po' di privacy e tranquillità, tutto qui». Avvicinò la sua bocca al mio orecchio e mi sussurrò: «Anche se non facciamo sesso non vuol dire che non possiamo distenderci su un letto...». Si allontanò un po' e mi rivolse un sorriso talmente sincero che cancellò le mie ansie all'istante.

Ricambiai il sorriso. «Giusto» annuii e, trasportata dalla sua presa, mi diressi con lui nella prima stanza degli ospiti che trovammo.

 

Quando Warren chiuse la porta alle nostre spalle, tutte le insicurezze di poco prima se ne andarono. Mi tolsi gli stivali e mi sedetti sul letto. Ora che eravamo appartati in una camera, la musica si sentiva molto attutita.

Warren buttò le sue sneakers ai piedi del letto e si avvicinò a me. Si appoggiò al mio corpo, sigillò di nuovo le sue labbra con le mie e mi spinse indietro. Mi ritrovai distesa sul letto e lui era sopra di me.

Si teneva per non pesarmi addosso ma, sinceramente, non me ne importava. Lo strinsi forte fra le mie braccia e lui mi infilò una mano fra i capelli. Con l'altra mi teneva la schiena e me la accarezzava delicatamente, sotto la maglia, provocandomi brividi di piacere ogni volta che le sue mani sfioravano la mia pelle.

Feci scivolare le mie mani sul suo collo e raggiunsi i bottoni della sua camicia. Feci per slacciarne uno, ma lui mi prese delicatamente la mano e interpose qualche centimetro di distanza fra i nostri corpi.

«Rosalie...» sussurrò dolce «Hai detto che non volevi...»

Gli accarezzai il viso. «Infatti. Per adesso non voglio, non mi sento pronta. E con te voglio avere una relazione seria. Ma tu sei così bello... e caldo, e rassicurante... se mi metto in mutande e reggiseno non è un crimine gravissimo...»

Non rispose, ma mi baciò di nuovo. «Già, e nemmeno per averti visto mezza nuda non è successo niente, quindi...».

E stavolta mi lasciò sbottonargli la camicia.

Vederlo a petto nudo era come vedere il paradiso. Era perfetto. Lo accarezzai, seguendo il profilo dei suoi addominali scolpiti, lentamente, e lasciai scendere la mia mano fino ad arrivare al bottone dei suoi jeans. Stavolta però mi fermò prendendomi saldamente il polso.

«Ma...» cominciai.

«No, aspetta, c'è qualcuno dietro la porta.» mi spiegò lui, con due fessure al posto degli occhi.

«COOOOSA???» gridai. Ma insomma! Ma che razza di casa! Chiunque ci fosse dietro la porta l'avrei ucciso seduta stante non appena fosse entra-

I miei istinti omicidi furono bloccati dalla persona che si presentò all'uscio, che era nientemeno che Joe.

Gli urlai contro. «COSA CI FAI QUA???». Per fortuna ero ancora vestita e vidi che Warren si era rimesso la camicia, appena in tempo.

«Ehm...io...a dire il vero...stavo cercando Scarlett...l'avete vista, per caso? E-he...». Era molto imbarazzato.

«Ma vai a farti fottere!!!». Gli lanciai contro uno stivale, che lui parò chiudendo la porta e scappando.

«Ma dai» rise Warren «non dovevi mandarlo via così. In fondo la casa è sua».

«Sì lo so, però...!! Cioè...!». Ero indignata. Ed ero sicura di avere il fumo che usciva dalle orecchie.

Lui si avvicinò a me. Appoggiò le sue labbra al mio collo e mi baciò. Tutto il mio sdegno se ne andò non appena ci fu il contatto. L'eccitazione di prima ritornò forte, quasi palpabile, e lui mi prese in braccio, incrociando le mie gambe intorno alla sua vita. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla mentre continuava a darmi baci sul collo e ad accarezzarmi la schiena.

«Ti amo, Rosalie. Mi hai preso il cuore.»

Accidenti. Me lo disse così, tutto d'un colpo. Non mi sarei mai abituata alla sua sincera spontaneità, ma era una cosa che avevo imparato ad adorare. Avvicinai le mie labbra alle sue e lo baciai con foga. Mi infilò le dita fra i capelli, stringendomi più forte e inondandomi con il suo calore, sia corporeo che spirituale.

Allora gli esternai tutto ciò che provavo per lui, anche se le parole non erano abbastanza per descriverlo. «Warren, sei tutta la mia vita. Non mi sono mai sentita così bene vicino a qualcuno. Senza di te il mio mondo crollerebbe su sé stesso. Mi sentirei persa.»

«Lo so» rise.

«Ok, Miss e Mister Modestia stanno benissimo insieme» scherzai.

Concordò. «Sì, credo proprio di sì».

Mi fece quel suo magnifico sorriso che ogni volta mi toglieva il respiro. «Ooh, Warren... il tuo sorriso mi lascia sempre senza fiato! Non è che vuoi farmi morire, vero?» scherzai infine.

«Sì così poi dovrei suicidarmi anch'io!! E dopo la star...chi è?»

La porta si aprì di nuovo. «Ma sarei io no??» disse Joe.

«Ancora qua???» gli chiesi. Tuttavia ero abbastanza divertita per arrabbiarmi ancora. Warren rideva come un matto. Mi diede un bacio sulla guancia. «Rose, ti adoro, sei fantastica».

Ska spuntò da dietro la spalla di Joe. «Oh ma siete dolcissimi!!!» ci disse, incrociando le mani e portandosele vicino al viso, osservandoci con due cuori al posto degli occhi.

Joe ci propose: «Dai, venite di là adesso, poi stanotte dormite assieme. La festa non è la stessa senza di voi!»

Sorrisi. «Ok, grazie Joe. Ti odio dal profondo, ma grazie.» Lui mi sorrise e mi fece l'occhiolino. «Andiamo?» domandai, rivolta a Warren.

«Certo». Ci rinfilammo le scarpe e uscimmo dalla stanza. Io ero l'ultima e chiusi la porta. Ska rimase indietro con me e mi sussurrò: «Te l'avevo detto che gli avevi preso il cuore».

«Sì» annuii. «È così dolce...! Chi l'avrebbe mai detto?»

«Io!»

«Oh, Onniscienza...!!» la presi in giro.

Lei rise. «Eh beh sì. Dai, andiamo, Ash ha messo su un pezzo fantastico». La seguii.

 

Appena prima di arrivare in salotto Ska mi fermò e mi disse: «Aspetta».

Mi guardò per qualche secondo, poi mi sistemò i capelli. Ah, giusto, visto che erano cotonati e avevano la lacca, a stare sul letto dovevano essersi schiacciati tutti.

«Fatto».

Mi guardai sullo specchio sopra il mobile lì di fianco e vidi che erano ritornati a posto. «Perfetto». Mi girai, Warren mi aspettava e lo presi per mano tutta contenta.

Quando arrivammo in salotto tutti ci applaudirono. Divenni tutta rossa. Ci fecero i complimenti perché era sempre stato evidente che eravamo persi l'uno per l'altra e finalmente ci eravamo decisi a darci una mossa, esternandoci i nostri sentimenti. Io sorrisi contenta: sì, era proprio giunta l'ora per noi due di diventare una coppia. Anche se Warren non me l'aveva chiesto, potevo prenderlo per un sì...? Ahaha.

Non ero proprio del tutto lucida: tra l'effetto che mi faceva Warren e lo strambo alcolico che avevo bevuto prima, era comprensibile in che stato mi trovavo.

Stavo ridendo come una matta, mentre chiacchieravo con Joe e Scarlett di cavolate. Poi mi rivolsi a quello che finalmente era il mio ragazzo: «Ehiiiii dai andiamo in piscina, guarda che bella...». Indicai la piscina in giardino, attraverso la vetrata della parete di fronte. Iniziai a saltellare e per poco non inciampai, Warren mi afferrò appena in tempo.

Scarlett mi disse un po' imbarazzata: «Sai, ho chiesto all'Alchimista cos'era il drink che ti ho dato prima e... ho scoperto...» Sembrava refrattaria a continuare.

La incitai, mentre Warren mi tratteneva per la vita prima che prendessi e andassi fuori a nuotare nella piscina. «Dimmi, dimmi! Che ne voglio un altro!»

Scarlett scoppiò a ridere. «Direi proprio che è meglio di no! Era sì un Pesca Lemon ma fatto apposta per favorire l'eccitamento sessuale, ahahah!» Rideva così tanto che barcollò e dovette sorreggersi a una colonna per non cadere. Probabilmente era mezza ubriaca pure lei.

«Nooooo ahahah cosaaaa» risi anch'io sguaiatamente «adesso si spiega tutto!»

Anche Warren si unì al coro. «E adesso ho capito cos'era quello sguardo che avevi prima mentre ti avvicinavi a me, mi hai fatto quasi paura!»

Ridemmo ancora per ben cinque minuti, senza riuscire a fermarci, poi presi un altro drink e tornai sopra il palco, rispondendo alla chiamata di Ashley, a cantare Last Friday Night di Katy Perry. Non era Friday ma andava bene lo stesso.

«Last Friday night! Yeah we danced on tabletops, and we took too many shots, think we kissed but I forgot...!»

In effetti, avevamo ballato sul tabletop, avevamo preso too many shots (magari io non avevo fatto a gara con gli altri di chi buttava giù più shottini, però un fià ubriaca lo ero), e c'eravamo anche kissed, però speravo che non l'avrei forgot.

Scarlett, sebbene fosse un po' brilla pure lei, stava facendo e aveva fatto un sacco di foto. Non vedevo l'ora di vederle! C'era un sacco di gente che faceva anche video, il che era comprensibile: di feste così non ne capitano tante nella vita.

Gli invitati se ne andarono tardi, verso le due. Non potevamo tirarla tanto lunga perché ci sarebbe stata una festa anche il giorno dopo, sempre lì da Joe, perché era il 24 ottobre e lui passava finalmente alla maggiore età. Però per il suo compleanno aveva invitato solo le quarte e le quinte.

Gli ospiti ci salutarono, mentre li accompagnavamo alla porta, tutti contenti e soddisfatti. Scarlett aveva ragione: quella festa strepitosa sarebbe stata ricordata per mooooolto tempo. Mi preparai già a sentirne parlare il lunedì a scuola.

Rimanemmo solo Joe (ovviamente), noi tre (io, Warren e Scarlett) e Ashley. Noi saremo rimasti lì a dormire, però vidi che Ash stava per andare anche lei, perciò le domandai: «Ehi, non resti qui con noi?»

«Sorry amica, proprio non ce la faccio. Sembra che stasera la consolle abbia assorbito tutte le mie energie!»

Risi. «Ahaha, ok. Oh ma domani ci sei vero?»

«Certo che sì! Per questo ho bisogno di riposarmi. Ci vediamo domani».

Quando anche lei se ne fu andata, Joe ci disse: «So che avete portato i pigiami e i cuscini... però io sarei un po' stanco per un pigiama party. Insomma, dico, domani mattina dobbiamo essere freschi per preparare il barbecue e tutto per il pranzo, ci sarà anche lì molta gente. Quindi proporrei di andare a dormire e rimandarlo ad un'altra volta, che ne dite?».

Gli diedi una pacca sulla spalla. «Ma bravo il mio amicone! Vedo che con i diciott'anni hai acquistato anche responsabilità, eh?». Ridemmo tutti.

Dopo esserci lavati i denti, ci salutammo davanti alle porte delle due camere da letto: su una io e Warren, sull'altra Joe e Scarlett. Joe si avvicinò al mio ragazzo e con un ghigno insolente gli sussurrò: «Ehi Warren, non andarci troppo pesante con Rosalie, eh?»

Warren rise. «E nemmeno tu con Scarlett, altrimenti saremo costretti a cambiare idea sulla tua acquisizione di responsabilità!»

Ci salutammo, io e la mia migliore amica con un sorrisone in faccia. Comunque quella notte non avremo fatto niente di strano, primo perché non era il caso, secondo perché eravamo brave ragazze (ceeeerto) e terzo perché avevamo davvero bisogno di dormire. Però non avrei di sicuro rinunciato a qualche coccola con Warren, dato che ora potevamo concedercele.

Chiusi la porta, tentata di girare anche la chiave ma mi sembrava un gesto un po' eccessivo. Mi diressi verso il letto, dove Warren si era appena seduto.

«Stavolta nessuno verrà a rompere le scatole» mi garantì.

«Ne sei sicuro?»

Annuì. «Joe me l'ha promesso».

«Bene».

Mi spinsi verso di lui. Fui subito circondata dalle sue braccia e iniziai a bacargli il collo, lentamente e in modo molto dolce.

Le sue mani stavano diventando sempre più calde; forse quello non era il modo migliore per tenerlo in controllo dei suoi poteri.

Infatti si staccò e mi guardò preoccupato. «Scusa, non voglio farti del male».

«Smettila» lo sgridai, le mie mani sul bavero della sua camicia. «Non dirmelo più. Non mi interessa. Voglio solo stare con te. Voglio sentirti con tutta me stessa». Iniziai a sbottonare la sua camicia e lui mi lasciò fare.

«Piccola» mi disse dolcemente, «ti amo. Finalmente posso dirtelo.»

Come io finii il mio lavoro, lui si mise a petto nudo togliendosela e mi baciò.

E tanti saluti a tutti i miei buoni propositi.

Non ne avrei mai avuto abbastanza della morbidezza delle sue labbra. Le muoveva lentamente, perché era alle prese con la mia maglia, che alla fine fui io a togliermi. Premetti le mie labbra sulle sue e intanto lui si spinse giù sul letto. Si distese sopra di me, e fece scivolare le sue mani fino a raggiungere la mia schiena. La inarcai, e lui mi slacciò il reggiseno (con una sola mano! Cioè ragazzi. Capiamoci.). Non lo fermai, non mi importava. Me lo tolse e mi guardò, dicendomi: «Sei bellissima, Rosalie».

Lasciai che le mie dita si infilassero fra i suoi capelli, mentre le sue labbra scendevano sul mio petto fino a baciarmi il seno. Sospirai di piacere e gli incrociai le mie gambe alla vita. Tornò alla mia bocca e io lo strinsi più forte, per sentirlo il più possibile vicino a me. Gli accarezzavo il corpo sodo e muscoloso, caldo, confortante. Infilò la lingua fra le mie labbra, facendomi ansimare.

Mi guardò, sorridendo in modo dolcissimo, mi diede un ultimo bacio e capii che per oggi dovevamo fermarci lì, perché di quel passo io ero sull'orlo sottilissimo di perdere il controllo. Per fortuna che lui era una persona seria e sapeva quello che faceva, perché io non ne ero capace. Io ero avventata, partivo in quarta e non sapevo mai quando dovevo fermarmi, lui invece era il freno a mano che mi salvava quando stavo per spingermi troppo in là. Eravamo proprio perfetti assieme, c'era poco da fare.

Ci spogliammo, stanchissimi tutti e due da quella giornata super intensiva, tra la preparazione per la festa e la festa stessa. Ci spogliammo, ma anche se ci eravamo portati il pigiama non lo indossammo. Io mi rimisi il reggiseno. Di solito dormivo con la canottiera e la maglia del pigiama, ma avrei avuto troppo caldo con lui vicino. Però non potevo stare anch'io a petto nudo. Perlomeno, non ancora.

Vedendolo in boxer mi venne da pensare: Non riesco a immaginare una cosa più sexy di questa.

«Mai pensato di fare il modello?» gli dissi invece, abbracciandolo, mentre ci infilavamo sotto le coperte.

Ridacchiò. «Io e te assieme, in un catalogo di biancheria intima.» Che immagine meravigliosa.

«Perfetto». Lo baciai con foga, infilando la mia lingua nella sua bocca, lui mi prese per i fianchi e mi mise sopra di sé. Mossi le labbra sulle sue con ardore e dolcezza, in quello che fu un momento in cui il nostro amore era come palpabile, attorno a noi.

Mi abbracciava, e questo mi faceva sentire sicura, sicura di me stessa e certa della sua presenza, certa che non mi avrebbe mai lasciata. Infine, entrambi ansimanti, ci distendemmo uno di fianco all'altra, con le sue braccia che ancora mi proteggevano. «Ti amo» gli sussurrai baciandolo delicatamente.

«Io di più» rispose lui.

Alla fine, sfinita sia fisicamente che psicologicamente, mi addormentai, rannicchiata contro il suo petto così caldo e rassicurante, e quella notte fu tranquilla e la migliore della mia vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Auguri, Joe! ***


23. Auguri, Joe!


Mi svegliai con un gran mal di testa.

Mi tirai su, appoggiandomi con una mano sul materasso e passandomi l'altra fra i capelli. Non ricordavo assolutamente niente della sera precedente, ma il mal di testa se ne stava andando.

Guardai l'orologio sulla parete, che aveva la lancetta delle ore puntata sulle nove. D'accordo, era ora di alzarsi.

Avevo uno strano presentimento: infatti appena mi girai a destra vidi Warren disteso al mio fianco, che dormiva beato.

Oh. Mio. Dio.

Ma che cavolo....

Cosa era successo?

Decisi che la cosa migliore da fare era andare a darsi una rinfrescata in bagno, che era in una stanza propria della camera. Mi guardai allo specchio: avevo un aspetto orribile! Tutti i capelli per aria, spettinatissimi, e il trucco tutto sbavato. Per prima cosa mi tolsi il trucco con lo struccante (per fortuna che ieri sera mi ero tolta almeno le lenti a contatto!), poi mi diedi una bella sciacquata al viso con l'acqua fredda.

Sentii dei passi che venivano verso di me e poco dopo anche Warren entrò in bagno. Aveva addosso solo i boxer. Mi guardai: io ero in mutande e reggiseno. Oddio, non sarà che...

Sussurrai: «Sai, non ricordo niente di ieri sera...». Osservai la mia immagine riflessa nello specchio. Sospirando, gli chiesi (non allo specchio, a Warren): «È la prima volta che mi vedi senza trucco?»

Ci pensò un attimo. «Uhm... no, quella domenica che sono venuto a trovarti tu eri senza, e...-»

Non lo lasciai finire. Sconsolata dissi: «Come ti sembro? Proprio inguardabile?»

Warren non rispose. Mi si avvicinò e mi prese il viso fra le mani. «Io vedo solo una ragazza bellissima».

Poi mi baciò.

La morbidezza delle sue labbra, il calore della sua pelle... niente di tutto ciò mi era nuovo.

Quando si staccò, sorrise. «Adesso ti ricordi?»

Per tutta risposta lo abbracciai forte, felicissima di essere lì con lui. Sì, ora ricordavo tutto. Dunque era vero che "think we kissed but I forgot". Ah ah. Avevo previsto il futuro senza neanche saperlo.

Sentimmo i nostri stomaci brontolare e partimmo a ridere. Ci infilammo le magliette e i pantaloni dei nostri pigiami, che la sera prima non avevamo indossato, e uscimmo dalla porta. Ci saremmo pettinati dopo, anche se entrambi eravamo in condizioni pietosissime.

Infatti, quando raggiungemmo Joe e Scarlett in cucina per fare colazione, lui ci guardò e ci chiese: «Buongiorno! Avete fatto baruffa?»

Io e Warren ci osservammo a vicenda. Se lui aveva i capelli tutti per aria in quel modo, chissà come ero io agli occhi degli altri, che avevo ancora residui di lacca! Osservai i miei due migliori amici e dissi loro: «Sì beh non è che voi siate messi tanto meglio di noi eh!!!». Ridemmo tutti.

Per colazione mangiammo le pastine. Joe evidentemente si aspettava gli auguri, ma noi tre facevamo finta di niente.

Dopo un po' che mangiavamo nel più assoluto silenzio, Joe fece: «....beh?»

Lo guardai a bocca piena. «Cofa fè?»

«Mah, non so... oggi è un giorno come gli altri...?!»

Alzai le spalle. «Eh, appunto, e allora?»

E calò di nuovo il silenzio, ognuno concentrato sulla propria colazione. Poi senza preavviso ci avventammo su di lui e lo abbracciamo fortissimo, spettinandogli i capelli più di quanto già lo fossero. «AUGURI JOEEEEE! Banano che non sei altro! Pensavi che ce ne fossimo davvero dimenticati?!»

Scoppiammo tutti a ridere. Mangiammo un'altra pastina (dopo il bignè al cioccolato volevo la francesina, quella morbida con la marmellata rossa in mezzo), con il mio commento: «Ah, che bella colazione! Altro che quella di ieri mattina, che ho bevuto un tè e mangiato qualche cereale!» che fece ridere tutti, poi andammo a pettinarci e a vestirci. Previdentemente ci eravamo portati tutti dei vestiti puliti, appunto perché sapevamo che la festa sarebbe continuata anche oggi. Dopo che ci fummo sistemati, consegnammo il nostro regalo a Joe, che consisteva in una scorta di bombolette spray per fare i graffiti. Questi infatti erano la sua passione più grande, era un writer da paura! Fu felicissimo del regalo, anche se ci disse che non serviva (anche se sapevamo che quei colori gli servivano eccome), dato che lo avevamo aiutato un sacco con i preparativi per la festa. Ma lui era il nostro migliore amico e di certo non potevamo presentarci a mani vuote! Gli dicemmo che era anche da parte di Ashley, la quale arrivò verso le dieci per darci una mano. Ci guardò tutti per un minuto, poi si mise a ridere, vedendo che era l'unica single. «Ah beh! Qua mi sa che è ora che mi dia da fare!»

Anche noi ridemmo e io mi avvicinai a lei con un ghigno. «Però Ash... Chris è un buon partito, eh?»

Avevamo tutti notato che fra quei due c'era qualcosa. Lei però non arrossì, non era nel suo stile. «Ma cosa dici! Va là! No no, non ho tempo per 'ste sciocchezze».

La guardai confusa per un bel pezzo, con un'espressione che era un misto di perplessità e di "Ash sei sempre la solita". «Ma se hai appena detto che devi darti da fare...»

Ashley fece finta di non sentirmi e lesta chiese a Joe: «E allora che si fa?»

Alzai una mano. «Io mi propongo per fare le bruschette».

«E allora io mi occupo del contorno» disse Scarlett.

«Dunque anch'io devo fare qualcosa» aggiunse Warren. Andò in cucina a mettersi il grembiule.

Ashley ne approfittò per chiedermi: «Allora siete insieme? Vi vedo tutti felici e contenti...!»

«Sì! Ieri è stata proprio una bella serata!». Sogghignai. Warren intanto era tornato in salotto con addosso il grembiule da cucina e una spatola in mano. Mi piaceva un sacco vestito così, faceva molto "bravo ragazzo". Volevo prenderlo un po' in giro, affettuosamente. «Guardalo, che amoriiiiii! Il mio tesoruccio che fa la pappa! Ma è bellisshimoooo!»

Warren mi fece uno sguardo stranissimo e anche i miei amici, ridendo, presero parte allo scherzo.

«È dolce come un bignè!» disse Joe.

Scarlett commentò: «Ma che carüüüüüü!!!»

Ashley fece un gesto con la mano della serie "Pfff...!!". «Bad guy un tubo!»

A quel punto Warren si arrabbiò, puntandoci la spatola contro, mentre noi ridevamo come dei perfetti idioti. «Basta, smettetela! O dopo non mangiate al barbecue!»

Scarlett lo corresse, divertita. «Forse intendevi "o vi mangio al barbecue"».

Warren rise. «Beh, potrei pensarci!»

Ridemmo tutti.

Però mi venne un dubbio. «Ma cucini davvero?»

«Sì».

«Ma avevi detto che non cucinavi!»

Allora lui sospirò e si costrinse a confessare. «No ok faccio solo alla griglia, e questo è tutto. Fine della storia, ciao.»

Mi spaventai un attimo, immaginando Warren che arrostiva qualcuno coi suoi poteri, ma fui distratta da Scarlett che mi lanciò contro un grembiule e mi trascinò in cucina. Ognuno andò a fare qualcosa: Joe aiutò Warren a preparare il grill per cucinare la carne, Ashley aiutò Scarlett a preparare le salsicce e le bistecche, io invece mi misi a fare il pomodoro per le bruschette: ehi, cucina italiana, la mia specialità.

Mentre tagliuzzavo le erbe aromatiche Joe venne lì per prendersi una lattina di Pepsi dal frigo e ne approfittai per chiedergli: «Ieri non ti sei ubriacato, o sbaglio? Voglio dire, di solito ai party dei diciotto il festeggiato è quello più spolpo! E un animale da festa come te, in che modo è riuscito a trattenersi?? Me lo spieghi?»

Rise. «È vero, lo confesso: non è stato per niente facile! Soprattutto con Chris che continuava a sventolarmi la bottiglia di Vodka sotto il naso! Però sai, essendo la MIA casa, dovevo controllare la situazione. Mi sono trattenuto apposta per oggi! E poi una Rosalie ubriaca fa per tre» e rise di nuovo. «Però mi hanno fatto mangiare talmente tanti panini che sembrava stessi cercando di battere il Guinness World Record!»

«Cos'era, una gara?»

«Più o meno...»

Ridemmo.

Quando mancava circa mezz'ora a mezzogiorno, l'ora in cui sarebbero arrivati gli invitati, Joe e Warren si misero a preparare i tavoli sotto il gazebo in giardino. Il giardino di Joe era veramente enorme, talmente grande che era addirittura diviso in aree ognuna decorata con un tema diverso. Oggi avremmo utilizzato la porzione di terreno vicino alla piscina all'aperto. Ashley andò a sistemare la consolle di fuori e mise già la musica, che si sentiva anche dentro in cucina, dato che tenevamo aperta la porta che dava di fuori (era molto pratica, così non dovevamo fare tutto il giro per portare fuori i piatti, ma potevamo arrivarci direttamente). Io e Scarlett andammo a sistemare sui tavoli le pietanze che avevamo preparato, così che gli ospiti potessero servirsi già da subito. Oggi non avremmo più avuto l'Alchimista a preparare le bevande (ieri sera era stato l'ultimo ad andare via e Joe lo aveva ringraziato tantissimo, e Alchie fu felice come una pasqua del successo che aveva riscosso. «Sono io a dover ringraziare te» disse a Joe, più o meno «questa sera mi sono fatto un sacco di amici!». Era bello vederlo così felice, anche se, devo ammettere, un po' inquietante). Così anche al bere dovemmo provvedere noi: avevamo già in frigo un sacco di birre, per tenerle al fresco, e ne portammo fuori alcune in delle casse riempite di ghiaccio da me. Portammo anche le caraffe con acqua e bibite, tutte con dentro cubetti di ghiaccio. Oggi era un bellissima giornata: c'era un sole fantastico e nemmeno una nuvola in cielo. Faceva caldo, ma non afoso, il caldo giusto per andare in piscina senza sentire freddo. Un tempo a dir poco perfetto.

Verso mezzogiorno arrivarono gli invitati, tutte le quarte e quinte del Corso Eroi. C'erano anche Amber e le sue due vallette, le fedelissime Audrey e Alison.

Mentre gli ospiti si gustavano gli stuzzichini e antipasti al buffet, con nostra grande soddisfazione nel vedere che i nostri manicaretti avevano così tanto successo, noi cinque ci davamo da fare a preparare il pranzo.

Secondo me le bruschette fatte con i pomodorini freschi, un po' di cipolla ed erbe aromatiche erano le più buone. Il condimento era pronto, ma andava gustato fresco. Siccome volevo servirlo in tavola subito, lo raffreddai con il mio potere (ma quanto utile era in cucina??) e stavo per servirlo in tavola quando mi venne in mente una cosa. Mi diedi della stupida per non averlo fatto ieri, il pomodoro. Aveva bisogno di rimanere una notte in frigo per marinarsi bene col sale e il condimento. Cosa potevo fare ora?

Mi guardai intorno in cerca di un'illuminazione. Questa arrivò quando notai un ragazzo di nome Prince della classe di Warren che chiacchierava con gli amici sotto il porticato. Andai da lui e lo chiamai.

«Prince! Ehi Prince!». Mi si avvicinò, curioso. «Ciao: senti, avrei bisogno del tuo potere un secondo. Devo marinare questi pomodori: mentre io li raffreddo, tu credi di riuscire ad accelerarne il tempo? Otto ore dovrebbero bastare». Sapevo che lui riusciva a rallentare o accelerare il tempo sugli oggetti, quindi su aree circoscritte. Era molto potente.

Lui alzò le spalle. «Certo, nessun problema».

Misi le mie mani intorno alla terrina mentre lui mise le sue sopra e sotto essa. Io cominciai a raffreddarla, mentre lui ne accelerava il tempo. Finita la nostra opera lo ringraziai di cuore. «Grazie mille! Senza di te non avrei saputo cosa fare!»

Prince ridacchiò. «Di niente, figurati».

Alzai il coperchio del recipiente e ne osservai il contenuto. «Aaah, proprio un bel lavoro» dissi soddisfatta. Lo avvicinai al mio aiutante. «Lo senti questo? È il profumo del Mediterraneo».

Prince rise. «Dopo però lo voglio assaggiare!»

«Ma certo, sarai il primo!»

Lo salutai con un sorriso e portai i pomodorini in tavola. Mancava una cosa. Le fette di pane abbrustolito. Mi rivolsi a Warren. «Ehi, amoreeeee...»

Già che lo chiamavo così, mi sa che capì che mi serviva un favore. «Dimmi, "amoreeee"». Imitò il mio tono sdolcinato, e mi venne da ridere. Gli diedi un bacio sulla guancia. «Ho fatto il pomodoro, però mi serve il pane. Tu potresti abbrustolirlo per me?»

«Sicuro, piccola. Due secondi ed è pronto».

Prese le fette che avevo in mano, infuocò il suo palmo, ci mise sopra il pane e me lo restituì perfettamente croccante ma non bruciato. Ottimo!

Rimasi sbalordita. «E io che ho appena pensato che il mio potere era utile in cucina... adesso mi sento veramente superflua!».

Warren rise. «No, ha solo funzionalità diverse. Basta scoprirne la potenzialità! Potremmo mettere su un ristorante!»

Sorrisi all'idea di io e Warren che mettevamo su qualcosa insieme, ma non era il momento di fantasticare sul nostro futuro, così gli diedi un bacio per ringraziarlo. Mi diressi alle tavolate sotto il gazebo, vicino alla piscina, e vi depositai il pane vicino al pomodoro. Della gente iniziò già a accorrere lì per assaggiare, rimanendo veramente soddisfatta. Alcune ragazze mi chiesero la ricetta e io gliela rivelai di buon grado. Era più che altro un piatto estivo, ma col sole caldissimo che era uscito oggi anziché ottobre sembrava piena estate! Il che era positivo, così avremmo potuto utilizzare la piscina!

Warren aveva acceso il fuoco sulla griglia con il suo potere. Per il momento avevo finito tutti i compiti, e non mi andava di starmene con le mani in mano, così andai ad infastidirlo un po'. Lo osservai mentre era tutto intento a vedere che la legna prendesse bene le fiamme, in modo da fare un bel caldo per cuocere poi la carne. I capelli gli ricadevano sul viso e pensai che gli dessero un po' fastidio. Mi sfilai dal polso un elastico per capelli che vi avevo messo prima. «Aspetta» gli dissi. Si fermò e io gli presi i capelli ai lati del viso e glieli raccolsi in cima con un codino tipo quello che si fanno alle bambine piccole. Lo osservai e scoppiai a ridere.

«Awwww che carino!!» dissi con le mani a cuore mentre non riuscivo a smettere di ridere. Anche lui rise, poi sospirò perché non cambiavo mai e si tirò via quel coso ridicolo. Si risistemò i capelli e li raccolse dietro la testa con un codino. Stavolta però era figo. Sì, con il viso scoperto e i capelli raccolti stava proprio bene. Lo abbracciai. «Il mio uomo». Warren mi diede un bacio in testa, poi io me ne andai saltellando e lui tornò alla griglia.

Stavo andando da Joe per chiedergli se dovevo fare anche una pastasciutta, dopo averlo individuato vicino alla porta della cucina, ma notai che non era solo. Stava parlando con qualcuno. Oggi però non avevo le lenti a contatto quindi da distante non riconoscevo bene il viso del suo interlocutore, ma quei vestiti da baldracca non potevano che essere di Amber. E infatti avvicinandomi non mi sbagliai.

«Oh, ciao Rosalie» mi salutò Amber quando mi vide.

«Ciao Amber» risposi, molto diplomaticamente.

«Non sei più vestita vistosa come ieri? Bene così, oggi non credo che tutta la scena sarà per te».

«Non è quello che voglio, infatti». Dio santo che insopportabile.

Non mi badò neanche. «Insomma, dico, è il compleanno di Joe, deve essere lui il re, oggi». Dicendo questo gli accarezzò una guancia sorridendo, come si fa con i bambini. O con i morosi.

La guardai sbalordita. Sapevo che Scarlett era in cucina, non poteva aver visto la scena, né sentita con la mente perché era troppo concentrata. Provai a chiamarla col pensiero. Scarlett... ehi Ska...

Intanto ricacciai indietro il ribrezzo e domandai a Joe: «Ehi. Secondo te devo fare anche la pasta?»

Amber si intromise, tutta entusiasta. «La pasta?? Ooooh, io so farla benissimo, mi viene deliziosa! Non è mica semplice, sapete? Mi si è incollata solo due volte, sono davvero brava! Se volete posso farla io!»

A quel punto prese parola Joe, accorgendosi che a me ormai stavano uscendo i fumi dalle orecchie. «Grazie Amber, non è necessario. Rilassati, sei un'invitata. Qui facciamo noi».

Lei alzò le spalle. «Ok, ciao allora». Sventolò la mano per salutarci, poi se ne andò a parlare con un gruppo di ragazzi, tutta smorfie e finti sorrisetti e vocette stridule e altro schifo che mi saliva l'avadakedavra solo a guardare.

Scarlett. Devi. Assolutamente. Venire. Qui. SUBITO!

La mia migliore amica sentì il mio urlo mentale: si presentò dietro di me, mentre strofinava una spatola appena lavata con uno straccio.

Era seria. Aveva capito la gravità della situazione.

«Amber. Ha. Accarezzato. Joe.» le dissi, cercando di non sembrare troppo sconvolta. «Ma non si fa! Lui è già impegnato!»

«Infatti, sono già impegnato!» ribatté Joe.

Scarlett in due secondi lesse le nostre menti e venne a conoscenza dell'infausto accaduto, mentre io trafiggevo Amber con lo sguardo, e strillò: «Adesso mi sente!!»

Iniziò ad avanzare su tutte le furie nella direzione della nemica, ma Joe la trattenne per un braccio. «No aspetta! Dobbiamo tenercela buona per oggi, guarda che bella giornata! Manca mai che lei per ripicca faccia venire un temporale!».

Sospirammo. Joe aveva ragione. Lui lasciò andare il braccio della sua ragazza, e sorrise dicendole tenero «Mi piace quando fai la gelosa» e le diede un bacio. Mi intenerii a vederli, erano davvero belli assieme. Io e Ska tornammo in cucina e Joe andò dagli invitati, era pur sempre il festeggiato.

Mettendo su l'acqua per la pasta dissi guerrigliera brandendo un mestolo, riferendomi alle parole antipatiche di Amber: «Ti faccio vedere io come si cuoce una pastasciutta!!!»

Scarlett rise.

Dopo circa cinque minuti venne da noi Joe per vedere come andava, pretendendo di darci una mano. «Dovete essere stanche, ragazze».

Io ero ancora arrabbiata per Amber. Strillai: «GIÙ LE MANIIIIII!!!»

«Ma dai che avete bisogno di aiuto...»

Mi inorridii, vedendo che stava per prendere in mano il condimento per la pastasciutta. Con tutta l'abilità che Joe aveva con le arti culinarie, come minimo avrebbe bruciato l'acqua dentro la pentola! Sì, lui ne sarebbe stato capace!

Gli urlai, quasi picchiandolo col mestolo: «Vuoi che ti trasformi in uno scolapasta?!?»

Joe arretrò. «Uah! No, aiuto! Vi lascio, addio!». Corse in giardino a gambe levate. Scarlett rideva come una matta, aveva perfino le mani sullo stomaco, e io mi unii alle sue risate.

Alla fine Joe si accontentò di guardarci sconsolato dalla porta col vetro, e mi fece pena quindi lo chiamai dentro. «Dai, aiuta Scarlett con l'insalata di riso».

«Sì, puoi aprirmi le scatolette del tonno» disse lei.

Joe sorrise tutto contento. «Questo credo di riuscire a farlo senza troppi disastri».

Mentre la pastasciutta si cuoceva, dissi alla mia amica: «Dai fammi vedere le foto che hai fatto ieri!».

Prese dal divano la macchina fotografica e cominciò a mostrarmele.

Erano fantastiche, una più bella dell'altra, non avrei saputo scegliere la mia preferita! «Oh, che figo l'effetto che fa la palla da discoteca! Hai visto? Stra bello!»

Lei concordò. «Sì! Ah, mi sa che le metterò su DeviantArt!»

DeviantArt era il sito per gli artisti, dove ogni forma d'arte era apprezzata. Lì si mettevano le proprie opere da mostrare al mondo. Anch'io ovviamente vi ero iscritta, ma per i miei disegni. Ska per le sue foto.

Quando la pasta fu pronta, io la condii con olio e semi di papavero (in bianco, era un contorno), Scarlett e Ashley portarono le carni e i peperoni a Warren da grigliare, e Joe servì in tavola l'insalata di riso che io avevo prontamente raffreddato.

Il pranzo era buonissimo. Ci divertimmo tutti un mondo, con tutta quella gente e con una così bella giornata. Sembrava estate, invece eravamo in pieno autunno. Ashley aveva messo su una playlist di tropical house che era una meraviglia da avere in sottofondo. Chiacchierai con tutti, anche con gente con cui non avevo mai parlato prima. A un certo punto qualcuno disse: «Mi è piaciuto tantissimo ieri quando abbiamo ballato tutti assieme Gangnam Style!»

«Che ridere, è stato divertentissimo!»

Mi si drizzarono le orecchie. «Cosa cosa?? Me lo sono persa? Quando è successo??» Se c'era da ballare Gangnam Style ero sempre in prima fila, non era possibile che me lo fossi persa!

La ragazza che aveva parlato, che ora che avevo alzato gli occhi dal mio piatto vidi che era una mia compagna di classe (in mezzo alla confusione della gente che chiacchierava non avevo riconosciuto la sua voce), mi disse: «A quanto pare in quel momento avevi di meglio da fare, Rose» e mi fece l'occhiolino.

Scoppiammo tutti a ridere. Ah beh, se dovevo scegliere fra PSY e Warren, beh, non c'è bisogno che lo dica xD

Come dessert avevamo ordinato una torta gigante all'insaputa di Joe, alla frutta e con la crema pasticcera. Era buonissima. Appena la posammo in tavola tutti urlarono «WOOOO» e poi ci mettemmo a cantare in coro: «TANTI AUGURI A TEEEEEE, TANTI AUGURI A TEEEEE...» Joe spense le diciotto candeline e scoppiò a ridere, era felicissimo!

Mentre Chris tagliava le fette, io andai in cucina con Warren per tagliare un po' di fragole da mettere nelle coppette assieme alla panna, perché non tutti volevano la torta. Ero un po' sovrappensiero, stavo già pregustando la torta, e sbadatamente mi feci un taglietto a un dito. Per fortuna non era niente di grave. Warren andò subito a prendere un cerotto in bagno, osservò la mia ferita me la medicò col disinfettante, poi me la fasciò. Lo guardai con diffidenza e gli chiesi seria: «Non sei un vampiro, vero?»

Lui si mise a ridere, scuotendo la testa. Dopo aver realizzato cosa gli avevo chiesto, mi diedi della stupida e risi anch'io. Forse avevo letto troppe volte la saga di Twilight.

Portammo fuori le fragole e la panna montata sul tavolo, Chris e Scarlett distribuirono la torta, e tutti facemmo un brindisi a base di scivolo a Joe. «Cin cin! Al nostro amico Joe che ha organizzato la festa più bella mai vista alla Sky High!» brindammo tutti assieme, bevemmo il drink e ci gustammo la torta. Che bello, ero felicissima, ragazzi!

Finito il dolce Ashley tornò a prendere il controllo della consolle e subito mise Sorry for Party Rocking. Tutti acclamarono «WOOO!!!» e assieme ci mettemmo a cantare sulla musica festaioli.

Chris andò alla consolle, prese un microfono e presentò, scherzosamente: «E direttamente da Miami Beach... DJ Ultrastatic!!!»

Ashley protestò: «Non ho mai detto di chiamarmi così!»

Chris cercò di convincerla. «Ma dai che questo è bello!».

Lei sospirò. «Va bene dai». Di solito usava semplicemente "DJ Ashley" come nome d'arte, perché era da sempre che ne cerava uno originale e non era mai convinta.

Avevamo avvisato gli inviati di portarsi il costume da bagno ed ora era il momento di un bel tuffo in piscina! Joe vi fu buttato vestito, ma per fortuna lo aveva previsto e quindi sotto aveva il costume. Io me ne ero comprato uno strafigo: era un bikini argentato metallizzato, con gli spaghi rosa intrecciati ad X davanti al seno e sugli slip sui fianchi. Glielo avevo visto addosso a Kiki Kannibal, una delle scene queen più famose, e subito me ne ero innamorata. Avevo scoperto dove lei l'aveva comprato e ora ce l'avevo anche io.

Mi tuffai in piscina insieme a Warren e ai miei amici. Anche gli altri invitati lo fecero, alcuni invece si stesero sugli sdrai a prendere il sole, altri stavano sul bordo con le gambe in acqua a chiacchierare... Sembrava di essere in vacanza in qualche hotel di lusso!

Io e Warren ci divertivamo a spruzzarci l'acqua, e lui facendo lo scemo disse: «Ondaaaa... Eeee...neee... rgeee...tiii...caaaa!!!» e mi lanciò addosso un'onda gigantesca, sommergendomi. Scoppiai a ridere, e per ripicca andai sul fondo in apnea, lo presi per una caviglia e lo feci cadere, creando schizzi d'acqua ovunque. Scoppiammo a ridere, ora entrambi coi capelli bagnati fradici, nuotammo fino a un angolo della piscina e ci scambiammo qualche bacio.

Dopo qualche canzone invitammo Ashley ad unirsi a noi in piscina. Lei disse che l'avrebbe fatto, prima però doveva proporci qualche altro brano di "fondamentale importanza" (parole sue). Per prima mise Pursuit of Happiness, la canzone epicissima di Project X, e non c'era brano migliore per fare da colonna sonora a quella festa epica che durava fin dal giorno precedente! Al beat caratteristico della canzone tutti acclamarono alzando in alto il loro drink, acclamando. Che figataaaaa!!! Io e Scarlett uscimmo dall'acqua e andammo alla consolle per ballarla assieme alla nostra mitica deejay.

La seconda canzone da festa che mise fu Gettin' Over You di David Guetta. Mi fecero ridere tantissimo Warren, Joe e Chris che si erano messi davanti alla consolle e cantavano a squarciagola sopra la canzone. «And Imma party, and party, and party, and pa-, and pa-, and party!». Intanto saltavano sul posto, ognuno con un braccio intorno al collo dell'altro, Chris con una bottiglia nella mano libera. Mi sa che avevano bevuto qualche birretta di troppo! Erano divertentissimi da guardare, festaioli al 100%, e alla fine ci ritrovammo tutti a cantare insieme a loro.

Quella scena ispirò Ash, che come ultimo brano mise Drinking From The Bottle. Appena partì il ritornello tutti quanti iniziammo a cantare in coro: «I'm in here busy looking for the next top model. Who's wearing something new and something old and something borrowed. I know this crazy life can be a bitter pill to swallow so forget about tomorrow, tonight, we're drinking from the bottle!» Tutti ci mettemmo a saltare e a battere le mani sull'epica musica del ritornello, inneggiando e acclamando quella festa pazzesca.

«WOOOO!!!» urlavano tutti, alzando le loro bottiglie al cielo.

E giù a darsi alla pazza gioia e scatenarsi come se non ci fosse stato un domani.

La festa si protrasse fino alla sera. Nessuno voleva andare via, era troppo bello stare lì.

Avevo sempre saputo che Joe avrebbe celebrato il suo diciottesimo in grande, ma non mi sarei mai aspettata che sarebbe stata una festa così epica. Non c'era altro modo con cui descriverla.

Era di sicuro il party più bello a cui fossi mai stata, e non solo per la musica, la gente e l'atmosfera, ma anche perché era stata una festa di due giorni e soprattutto perché, non dimentichiamocelo, finalmente avevo baciato Warren.

Ed ora potevamo esprimere il nostro amore apertamente senza avere paura di noi stessi, senza temere un rifiuto che non sarebbe mai arrivato, come pensavamo stupidamente nei mesi precedenti di continuo ed estenuante tira e molla. Ora tutto aveva finalmente acquistato un senso.

Sì.

Era stato il weekend più bello della mia vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** La parola ''normalità'' non fa parte del mio vocabolario ***


24. La parola "normalità" non fa parte del mio vocabolario


La settimana seguente fu stranamente normale.

"Stranamente" perché nel weekend era successo di tutto ma ora sembrava quasi che fosse tutto come sempre.

Lunedì mattina mi alzai e preparai in fretta e furia perché non avevo sentito la sveglia e quasi rischiai di arrivare in ritardo per la prima corriera (volevo arrivare presto per stare più tempo possibile con Warren). Mia madre commentò divertita: «Il tempo di fare colazione non ce l'hai ma quello di truccarti sì però, eh?». Per non deluderla presi una fetta con la Nutella dal tavolo, diedi un bacio sulla guancia a lei e a papà e sventolai la mano libera come saluto.

Scarlett era già alla fermata dell'autobus e vedendomi arrivare tutta trafelata commentò: «Sempre senza tempo tu, eh Rose?». Allargai le braccia senza fiato, e ancora prima di rendermene conto lei mi fregò il cappellino dalla testa, dicendo: «Ah, mio!» e se lo mise. Lo adorava perché aveva le scritte fluo, e ogni volta che lo indossavo alla fine finiva inspiegabilmente sulla tua testa. L'avevo messo per la prima volta in un dj contest all'aperto e lei non aveva fatto altro che fregarmelo per tutta la serata. Almeno iniziavamo entrambe la settimana di buonumore.

Arrivata a scuola, andai subito a cercare Warren e gli saltai al collo, scambiandoci un lungo bacio. «Mi sei mancato» gli dissi, scherzando, e ridemmo entrambi. Lo abbracciai e stemmo assieme a chiacchierare fino all'inizio delle lezioni.

Appena entrai in classe le mie compagne mi applaudirono, facendomi scoppiare a ridere. Mi fecero i complimenti perché finalmente mi ero messa assieme a Warren ed ora eravamo una coppia ufficiale. Durante la festa non avevano avuto occasione di congratularsi con me, quindi lo fecero ora.

Per il resto però, davvero sembrava tutto normale.

La situazione generale non era cambiata molto. Non che me l'aspettassi, anzi era meglio così. Quello di cui avevo avuto paura era infatti rovinare la nostra amicizia, ma ora vedevo che andava tutto bene. Intendo, già da prima stavamo quasi sempre assieme, ci sedevamo vicini, chiacchieravamo del più e del meno. Anche ora stavamo col resto del gruppo senza problemi e frequentavamo le lezioni assieme senza distrarci troppo. Per questo mi sentivo ancora più a mio agio con lui. Perché sembrava che così era e così fosse stato per sempre. Tutto questo mi piaceva un sacco.

Mercoledì finalmente arrivò il fantomatico professore di matematica, che era dalla prima settimana di scuola che continuavano a ripeterci che lo avremmo incontrato di lì a poco. Certo, come no, era arrivato a fine ottobre, fate un po' voi.

Quando iniziò a farci il ripasso del programma dell'anno scorso già mi demoralizzai. Ci diede degli esercizi da fare, e Ashley strinse i pugni battagliera. Era il momento di mettersi alla prova per lei, visto che aveva studiato tutta l'estate per non venire bocciata. Sospirai e le dissi: «Ti lascio il palco, sorella». Poi incrociai le braccia sul banco e cercai di capirci qualcosa di tutto quel casino di formule ed equazioni scritte alla lavagna.

 

Tutti aspettavamo la domenica. Perché? Che discorsi, era Halloween!

Quest'anno non era stata organizzata la festa in palestra come al solito perché c'era il ballo a novembre, così ci saremmo trovati noi del gruppo in città da qualche parte. Anche i miei *sigh* vecchi amici, cioè Gwen, Lash, Speed e Penny. Britney invece non sarebbe venuta perché andava già con la sua classe.

Il giorno prima Warren mi disse, prima di andare ognuno a casa propria: «Allora vengo a prenderti in moto, d'accordo?» e io tutta contenta risposi: «Sì! Come l'altra volta, che bello!». Mi avrebbe fatto ricordare la prima volta che mi ero stretta a lui. Sì, un ricordo a cui tenevo particolarmente.

Quel sabato pomeriggio Ska era andata al supermercato a comprare i dolcetti di Halloween; anch'io avrei voluto andarci, ma ero rimasta a casa perché volevo cambiarmi lo smalto: l'avrei fatto a tema con un disegnetto spettrale diverso su ogni unghia. Stava venendo davvero bene! Era una situazione divertente: io a casa che le telefonavo mentre mi facevo le unghie e lei al supermercato che mi faceva la telecronaca live delle caramelle che c'erano quest'anno. «No ma guarda sull'altro scaffale: che cosa c'è?» «Sì ci sono quelle che ti piacciono» «Beh allora compramene un pacchetto, non posso passare Halloween senza!» «Va bene! Aspetta ci sono quelle frizzanti nuove! Sono a forma di teschio!» «Prendi prendi!» Sì, facevamo decisamente ridere, sembravamo due disperate! Ahah.

Ci mettemmo d'accordo che, come ogni anno, ci saremmo travestiti. Halloween e Carnevale erano due delle mie feste preferite, appunto perché ci si poteva vestire a tema. Qualche giorno prima io e Joe avevamo mandato a mio fratello Alex un video dove dicevamo: «Alex, è quasi l'ora!» e poi ballavamo tutti cacciati Spooky Scary Skeletons con una zucca finta in testa. Era tradizione che ogni anno quando stava per giungere Halloween noi tre mettessimo a palla quella canzone tipo ogni giorno, in attesa del grande evento. Alex ci inviò un video di risposta dove stava morendo dal ridere e ballava anche lui. Mi mancava un sacco, quasi mi commossi a vederlo nel video, ma ora dovevo pensare ai preparativi per arrivare al giorno fatidico in grande stile.

Avevo già progettato dall'estate il costume da indossare: lo avevo fatto io, con un grande aiuto da parte della mia cara nonnina, bravissima con ago e filo. Data la mia grandissima passione per i Pokémon, avevo deciso di prenderne uno come riferimento: Mismagius, che era una specie di fantasma-stregone rosa e viola, uno dei miei preferiti. Il costume era formato da un grande cappello con degli avanzi di stoffa su punta e lati, un mantello lungo fino ai piedi, una maglia-vestitino tagliata a punte in fondo, con le maniche lunghe, larghe e ondulate alla fine; leggings neri e stivali con il tacco sempre tagliati con punte sul polpaccio. Sul petto avevo una collana larga fatta da tre grandi pietre ovali rosso chiaro. Mi piastrai i capelli e mi feci un trucco pesante, sbizzarrendomi con l'eyeliner e l'ombretto viola. Purtroppo non avevo le lenti a contatto colorate per avere il look completo al 100%, quindi dovetti mettermi quelle normali da vista.

Stavolta ero in orario: quando Warren suonò il campanello io mi presentai alla porta totalmente pronta per andare. Ci osservammo a vicenda: lui si era travestito da vampiro, con un maglione grigio scuro, dei pantaloni neri e un mantello fuori nero e dentro rosso, con una fibbia dorata che lo teneva chiuso sulla spalla, con il colletto alto.

Mi disse contrariato indicando il mio vestito: «Cos'è sta roba!!»

Scoppiai a ridere. «Ahaha perché??»

«È tanto elaborato! Io ho preso due cose a caso dall'armadio e un mantello...!»

Gli feci un gesto con la mano, divertita, come a dire che andava bene. «Sei già un vampiro di tuo, non ti serve altro».

Ridemmo.

Lo osservai con sguardo esperto. «Forse però manca qualcosa... stai fermo».

Tirai fuori dalla mia borsetta la matita nera per gli occhi, e Warren appena capì cosa avevo intenzione di fare fece un passo indietro. «Cosa vorresti fare con quella?!»

«I vampiri hanno le occhiaie. Solo un ritocchino, per farti il contorno degli occhi nero. Non ti preoccupare non ti trasformo in Lady Gaga!»

Prima si passò le mani sulla faccia facendo un lungo sospiro di esasperazione, poi chiuse gli occhi con un'espressione totalmente sofferente, mentre io ci passavo sopra la matita e la sfumai coi polpastrelli. Osservai la mia opera. «Perfetto! Ora sì che sembri un vampiro vero!»

Si guardò nello specchietto che gli passai e poi sospirò. «Va bene dai, non è così terribile. Beh, ehm, grazie allora?»

Sorrisi. «Non sembri gay, non preoccuparti. Anzi sei molto figo così.» Gli feci l'occhiolino.

Ridacchiò, perché avevo capito cosa lo terrorizzava della matita, poi mi fece strada alla sua vettura.

Era venuto in macchina, non in moto: in effetti sarebbe stato impossibile salirci agghindati così. Era stato previdente. Ma che bravo, il mio uomo.

 

Durante il tragitto in macchina telefonai a Gwen per sapere cosa avevano deciso di fare.

Siccome era lei l'organizzatrice per tutto, anche a scuola, le avevamo affidato il compito di scegliere il programma per la serata.

«Andiamo alla Shock Reloaded, va bene? Così abbiamo pizzeria e discoteca tutto assieme».

«Oh, perfetto! D'accordo, ci vediamo lì. In cinque minuti arriviamo». Riattaccai.

«Allora dove si va?» chiese Warren.

«Alla Shock. Dai che si balla».

Rispettammo i tempi promessi. Arrivati, tutti ci osservammo a vicenda i costumi: Joe si era vestito da Elvis Presley e Scarlett da Marilyn Monroe, entrambi con i vestiti tutti insanguinati. Ashley sembrava una specie di deejay-zombie, con tanto di cuffie e vestiti logori, mentre Chris, grande appassionato di surf, aveva una tuta da surfista insanguinata e strappata, come se fosse stato morso da uno squalo. Un lavoro davvero ben fatto.

Penny si era travestita da diavoletta, con un vestitino rosso corto e aderente che le metteva in mostra il fisico atletico, delle scarpe col tacco dello stesso colore e i corni e la coda. Aveva anche un forcone. Gwen invece aveva indossato una specie di armatura da guerriera-robot, perfetta per lei che controllava la tecnologia. Molto probabilmente quel costume l'aveva costruito con le sue mani.

Lash si era travestito da mummia e Speed dal Mostro di Frankenstein. Mi facevano davvero ridere ma in quei costumi erano perfetti. Soprattutto Lash, il mio amico allungabile. Ahah.

Joe notò il trucco nero sugli occhi di Warren. «Fammi indovinare...» gli disse. «Quella è opera di Rosalie!»

Risi. «Ahahah, azzeccato in pieno!»

Joe scosse la testa divertito. «Dimmi, quanto hai dovuto lottare per riuscire a metterglielo?»

Warren fece per dire qualcosa, ma io gli strinsi la mano e parlai al suo posto. «Ahah, non tanto dai.» Sorrisi. «È stato bravo»

Warren annuì. «Sì, sono proprio bravo, io». Ridemmo tutti.

Dopo esserci scambiati i complimenti sui travestimenti vari e altre risate (il mio costume piacque moltissimo alle ragazze e mi fecero un sacco di lodi per il mio lavoro), mentre entravamo nel locale e ci sedavamo al tavolo riservato per noi da Gwen, chiacchierai con Scarlett sul suo costume.

Quell'estate, in California, avevamo trovato in un negozio un vestitino bianco carinissimo che era preciso identico a quello famoso caratteristico di Marilyn. L'avevamo comprato intenzionate a fare un set fotografico su di me. In quell'occasione io avevo pensato al trucco, con il rossetto rosso e il neo disegnato a fianco delle labbra; Ska si era occupata della mia acconciatura, raccogliendo i miei capelli biondi in modo che sembrassero corti e ondulati come quelli della diva. Poi mi aveva fatto le foto, messe in seguito su deviantArt, le quali avevano riscosso un bel successo.

Le stavo dicendo: «Ska oddio quello è il vestito delle foto!»

E lei: «Sì! Ci sta bene per stasera, no?». Si era anche messa la parrucca bionda.

«Certo! Con Joe che fa Elvis, poi... Anche se mi sembra un sacco Tony Manero per le pose che fa!». Ridemmo.

Warren si incuriosì. «Quali foto?»

Gli raccontai del set fotografico. «Ah, aspetta, dovrei avercene due nel telefono».

Sfogliai la galleria nel mio cellulare finché non trovai ciò che cercavo, e gliele mostrai. Gli piacquero molto. «Sei splendida» mi sussurrò dolcemente, poi mi diede un bacio. Sorrisi, lusingata. Mi chiese di inviargliele col Bluetooth e così feci. «Me le metto come sfondo» mi disse con un occhiolino.

Joe si intromise, ovviamente. «Ma oh Rose, certo che sei proprio egocentrica se vuoi perfino stare sullo sfondo degli altri!!»

Ridacchiai. «Oi, Febbre del Sabato Sera! Vogliamo parlare di te? In fatto di egocentrismo mi sembra che siamo abbastanza alla pari, quindi ssshh. ZÌTTATI.»

Joe scoppiò a ridere per la coniugazione del mio verbo e mi rispose per le rime. «Ahahah. SILENZIATI.»

Ridemmo e ci concentrammo sulla scelta delle pizze.

 

Dopo che avemmo ordinato, mentre il cameriere se ne andava, vedemmo qualcuno avvicinarsi al nostro tavolo.

«Buonasera carissimi, anche voi qui?»

Era Amber. E chi sennò?

L'unica in tutto il locale (escluse le sue amichette del cuore Audrey e Alison) senza costume a tema. Cosa credeva di fare? Aveva addosso un vestitino rosso aderente e un paio di leggings neri, e stivali alti rossi col tacco. Ma dove voleva andare conciata così?

Visto che mi stava guardando con malizia (molto probabilmente aveva intenzione di fare qualche commento acido nei miei confronti) la stuzzicai. «Ehi Amber, mi sa che hai sbagliato festa. Siamo ad Halloween, non a Carnevale. Lo sai, vero?»

Tutti i miei amici ridacchiarono sotto i baffi. Amber se ne accorse ma fece finta di niente. «Certo che lo so, carissima» mi disse «ma non ho voluto indossare un costume così mi distinguevo da tutti gli altri e mi si poteva ammirare più facilmente. Così quando cammino non passo inosservata. L'unica senza costume in una festa in maschera. Originale, vero?». Fece un sorrisetto pieno di malizia acida come un limone.

Avrei tanto voluto risponderle: «Oh, peccato, pensavo fossi vestita da prostituta» con tutta la cattiveria di cui ero capace, ma preferii lasciar perdere, tanto era un vicolo cieco.

Come se la sua presenza lì non bastasse a rovinare l'atmosfera e l'umore a tutti, lei chiese al tavolo di fianco se poteva prendere una sedia che era libera, quindi si accomodò nel posto davanti al mio, ora vuoto perché Joe era scappato non appena aveva scorso Amber.

«Allora Rosalie, ho visto che tu e Warren vi siete messi assieme».

Ma cosa voleva da me??? Lasciami vivere in santa pace, dio mio!!

Rispose Warren, seduto alla mia destra a capotavola. «Sì, sabato scorso. Perché?»

«No, niente... beh, è stata solo una perdita per tutte le altre ragazze della scuola. Sai, piacevi a molte» gli disse.

Scarlett, a cui ora Amber era accomodata di fianco, stava per saltarle al collo e strozzarla. Oh no, non proprio ora che Joe non c'è! Almeno lui con il suo potere poteva calmarla...!

Ashley, alla mia sinistra, mi strinse la mano sotto al tavolo. Mi girai verso di lei e mi rivolse uno sguardo di ammonimento. Forse aveva capito che non ero presa molto meglio di Scarlett.

Warren non parlava. Anche lui mi strinse una mano sotto il tavolo. Però, al contrario di Ashley, lo faceva per assicurarsi della mia presenza lì con lui.

D'accordo, in quelle condizioni non avevo nessuna chance di picchiare Amber. Poco male, me la sarei risparmiata per la prossima lotta a scuola.

Lei continuava a blaterare assurdità. «Dico io, guarda! Se tu fossi libero sarebbe meglio per tutte! Per esempio potresti stare con me. Ecco! Questa sì che sarebbe una soluzione! Vedi? Stare vicino a te mi fa anche venire idee geniali... dovremmo vederci qualche volta... Magari al lunedì, che ho il giorno libero. Perché, sai, al martedì sono occupata con lo shopping... non ho mai avuto così bisogno di un mascara come adesso! Spero di ritrovare il nuovo Haute & Naughty da MAC perché sarebbe quello perfetto!». E così via.

Chiusi gli occhi, trassi un respiro profondisssssssssss[...]sssssssimo e, quando pensai di essermi calmata almeno momentaneamente, le dissi: «Ascolta Amber. Non lo so cosa tu voglia da me, o da Warren, o da qualsiasi altro essere vivente su questo pianeta, eccetto estirpargli tutta l'anima finché l'hai lasciato in fin di vita. Ecco, ti starebbe benissimo un costume da Dissennatore. Non solo stasera, ma tipo, tutto l'anno. Quindi, PER FAVORE, -e già chiedertelo in questo modo mi costa uno sforzo gigantesco- non è che potresti lasciarci cenare in santa pace e tornare al tuo tavolo con Audrey, Alison, e la vostra compagnia? In fondo quel posto dove sei ora è già occupato da Joe. Insomma, non mi sembra di domandare molto».

Amber sorrise, ma capii che era rimasta scioccata dal mio coraggio nel dirle quelle cose. «Massì, figurati, ero solo venuta qui per darvi un saluto, niente di che. Io e le Triple A ci divertiamo già abbastanza. Ok, allora ci si vede, ragazzi, baci». Ci lanciò un bacio, sventolò la mano in saluto e s'incamminò al suo tavolo.

Dunque aveva scelto il nome "Triple A" per il suo gruppo. Audrey, Amber, Alison. Tutte con la A. Non ci potevo credere. Che cavolata stratosferica.

Ora che il posto di Joe era libero, potevamo tutti tornare a respirare. Anche se avevo notato che quando era arrivata lì, né a Penny né a Gwen era dato fastidio. Infatti erano rimaste impassibili, avevano solo continuato a chiacchierare fra loro come se niente fosse. A un certo punto, pur di non stare a sentire i farfuciarbugli di Amber, anche Ashley si era unita a loro.

In quel momento il proprietario della sedia tornò al nostro tavolo.

«Hai visto cos'è successo?» gli dissi a bassa voce, allungandomi sopra il tavolo.

«Sì. Ho seguito tutta la scena da laggiù in fondo. Ma quanto è scema?!?»

Parlò Gwen. «Lo fa solo per mettersi in mostra, non credo che sia così antipatica in realtà, anche se si comporta da stupida».

«Sì ma lei è stupida dentro!!!»

«O stronza, dentro» lo corressi.

«Rosalie» mi chiamò Scarlett. Mi fece segno col dito di avvicinarmi. Mi alzai e feci il giro del tavolo, quindi mi disse sotto voce: «Lo sai vero cosa ha intenzione di fare Amber?»

Scossi la testa. «Come faccio a saperlo? E comunque, come mai ti sei arrabbiata così tanto? Nessuno di noi l'ha mai sopportata, ma non ti ho mai vista così insofferente nei suoi confronti come prima».

Il suo sguardo s'incupì. «Sta pensando di metterti i bastoni tra le ruote con Warren. Non so esattamente perché, ma ha pensato "Ce la rifaccio". Oh, forse ho capito...» aggiunse infine, vedendo la mia espressione.

Quello che mi aveva appena detto mi fece incazzare più di qualsiasi altra cosa. Cercai di misurare le parole; in fondo stavo parlando con Ska. «Sì. Esatto. Come alle medie. Ma questa volta non ci riuscirà di nuovo, non glielo permetterò.»

Era per questo che la nostra amicizia si era sgretolata tutta d'un tratto. Alle medie a me piaceva Manuel, il ragazzo più popolare della scuola, diciamo che era tipo Joe (un truzzo da competizione, anche se Joe si dedicava alla street dance ed era più per il tamarrismo che per la truzzaggine), e lui non solo ricambiava, ma voleva addirittura che ci mettessimo assieme. Era lì che Amber aveva iniziato a rompere le scatole. Non ho mai capito perché, ma a quanto pare voleva dimostrare la sua superiorità. Alla fine era riuscita a farci allontanare. Ancora ora cercavo di non pensare a quello che aveva fatto esattamente, ma se devo raccontarla tutta, beh... Aveva sparso la voce che io ero andata a letto con il migliore amico di Manuel. Teniamo conto che avevo 13 anni, era una cosa gravissima. Ero stata bollata come "troia" da praticamente tutta la scuola e quasi tutti avevano creduto ad Amber perché lei era una delle ragazze popolari e sapeva sempre i gossip di tutti, quindi doveva per forza avere ragione. E poi, io ero bella e piacevo ai ragazzi, era un fatto molto credibile. Manuel non aveva più voluto parlarmi da quel momento e anzi si era perfino messo assieme ad Amber (cosa che aveva aggravato la situazione ancora di più e non mi aveva mai fatto passare l'offesa ricevuta). Io non ero riuscita a ritrovare la mia reputazione ed ero uscita dalle medie con l'etichetta di troietta, anche se a dire il vero non avevo mai avuto un ragazzo. Non vedevo l'ora di cominciare la nuova scuola per lasciarmi il passato alle spalle, e mi ero ritrovata con Amber alla stessa scuola. Fantastico. Certo, a parte questo come vi ho già detto ricordavo le medie come un bel periodo, avevo conosciuto persone interessanti e mi ero divertita molto, e mi ero fatta anche buone amiche. Rimaneva però questo angolino buio del mio passato che cercavo sempre di dimenticare, ma ora Amber me l'aveva fatto ricordare ed aveva fatto riaffiorare il mio odio per lei.

Scarlett capì che ero triste. Mi rassicurò. «Ti prometto che ti aiuteremo: non deve averla vinta. In nessun modo. Stai tranquilla vecchia, ci siamo qui noi». Mi sorrise e mi diede un'amichevole pacca sulla spalla.

Sorrisi e feci per tornare al mio posto, ma mi accorsi di un fatto piuttosto strano. «Ah, un'altra cosa: hai notato che non ha detto niente sui nostri costumi? Almeno le critiche ce le ha risparmiate, stavolta».

Scarlett scosse la testa. «No, se ne è solo dimenticata. Ha intenzione di farcele dopo, mentre mangiamo il dessert. Ritornerà al nostro tavolo.»

Più che i gesti che avrebbe fatto Amber, i quali non mi sorprendevano affatto dato che da lei un comportamento simile c'era da aspettarselo, mi sbalordiva il fatto che Scarlett avesse fatto una previsione del futuro, così sicura di sé.

«Ma Ska, non dirmi che adesso prevedi il futuro!»

Non vidi la sua espressione, perché si girò dall'altra parte a prendere qualcosa dalla borsa, forse apposta. «Ma va. Ho solo indovinato, perché tanto so che lo farà. E poi ci stava rimuginando sopra mentre tornava dalle sue amiche.»

Non ne ero del tutto convinta, comunque mi sedetti di nuovo tra Warren e Ashley e cominciai a mangiare la mia pizza che era appena arrivata. L'avevo presa con la mozzarella di bufala e i pomodorini freschi, la mia preferita, che delizia! Warren l'aveva ordinata al salamino piccante e come al solito ci mise sopra mezzo quintale di peperoncino. Robe da mandare a fuoco la bocca all'istante... però era una buona strategia per evitare che gli altri ti chiedessero di assaggiarla. Warren era proprio appassionato del piccante.

Sentimmo Penny lamentarsi. «Oooh, ma che dura! Non riesco a tagliarla! Speed, me la tagli tu?». Gli fece gli occhi dolci. Lui non seppe resisterle e si mise a tagliarle la pizza.

Noi ragazze ci guardammo l'un l'altra. Poi, come se ci fossimo tutte lette nel pensiero, contemporaneamente ci mettemmo a fare gli occhioni ai ragazzi. Io a Warren, Ska a Joe, Ash a Chris e Gwen a Lash.

Loro ci osservarono tutte quante, vedendo che stavamo tutte facendo la stessa cosa, poi si guardarono fra loro e, ridendo, si misero a tagliarci le pizze. Noi ragazze ci demmo il cinque.

«Ma che gentiluomo» dissi ghignante a Warren quando ebbe finito.

«Sì grazie tante, non mi hai dato scelta!»

Risi e lo ringraziai. Poi tutti ci augurammo a vicenda buon appetito e ci gustammo la cena.

 

La previsione di Scarlett non si smentì. Infatti dopo, quando andammo sulla pista da ballo, Amber ci raggiunse. Non era venuta al nostro tavolo ma comunque stava ritornando da noi a rompere le balle a tutti. Cominciò subito con le critiche sui nostri costumi, elencando quanto vistosi e ingombranti erano (a dire il vero nel locale ce n'erano anche di molto peggio) e via dicendo. A parte un «E non credi che siano vistosi proprio perché vogliamo metterci in mostra?» da parte mia, per il resto fu ignorata. Dopo qualche minuto se ne andò, seguita a ruota dalle sue due fedelissime A&A che la rincorrevano dappertutto come il chihuahua di Paris Hilton, vedendo che non aveva riscosso grande successo.

Ashley mi complimentò. «È la prima volta che la vedo andar via con la coda fra le gambe!»

Le spiegai: «Farei di tutto pur di non averla fra i piedi, oggi. Non ho nessuna intenzione di farmi rovinare la serata da una pantegana come quella!!!»

Lei e Ska risero. Quest'ultima mi disse: «Certo che prima le hai dato di quelle risposte oh!!! Se fossi stata al suo posto mi sarei messa a piangere. Quando inizi sei un bulldozer, Rose!». Anch'io risi.

«Ma secondo te perché proprio stasera ha cominciato con la tiritera?» mi chiese Ashley.

Ci pensai su un secondo. Poi, inorridita, realizzai. «No, cazzo! Quella volta sul Dance Dance Revolution ho sbagliato a darle confidenza!»

Scarlett e Ash sgranarono gli occhi e io raccontai loro come alla festa di Joe ci eravamo sfidate amichevolmente. Sospirai, poi lasciammo stare sperando che le cose sarebbero andate meglio.

Il resto della sera fu perfetto. Amber non si fece più vedere (era troppo impegnata a farsi ammirare da alcuni ragazzi con cui aveva fatto amicizia) e Warren sulla pista da ballo mi reclamò tutta per sé. Ci scatenammo, aggiungendo anche passi di freestyle, poi ballai anche con Joe e con i miei amici. Fu divertentissimo quando due ragazzi più grandi di qualche anno si avvicinarono ballando a me, Ashley e Ska, in un momento in cui i maschi erano andati a bersi qualche drink, e marpioni ci fecero: «Dolcetto o Scherzetto?»

Ashley con molta non-calanche rispose: «Nessuno dei due, siamo in tempo di crisi.»

Quei due sgranarono gli occhi dando per palese che ci erano rimasti di merda! Io ed Ska non riuscivamo a smettere di ridere, e anche i nostri amici risero tantissimo quando gli raccontammo cosa aveva risposto Ash!

Continuammo a ballare fino alle quattro di notte, alla chiusura del locale. Eravamo così euforici e su di giri che avremmo potuto continuare fino al giorno dopo!

Era strano per essere Halloween, ma era perfetto per essere una festa.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Mi manchi! ***


25. Mi manchi!

 

Il giorno dopo era Tutti i Santi quindi si stava a casa.

Era da un sacco di tempo che non sentivo Alex e anche i miei avevano voglia di vederlo su Skype. Al pomeriggio gli telefonai, ad un orario in cui sapevo che in Europa era tarda mattinata e mi avrebbe risposto sicuramente.

Lo chiamai con WhatsApp così nessuno avrebbe speso nulla.

«Ehilà, Cipiglia!» mi rispose lui, usando uno degli infiniti soprannomi che mi affibbiava (questo se l'era inventato ancora quando era piccolo).

«ALEEEEEXXX!!!» gridai euforica. Era così bello sentire di nuovo la sua voce!

«Bene grazie tanto non avevo bisogno dei timpani, fa niente.»

Risi. «Ahah. Ascolta, sei a casa? Ti va di sentirci su Skype? Anche la mamma e il papà vorrebbero vederti! Gli ho fatto vedere il video di Halloween che mi hai inviato e sono scoppiati a ridere! Ci manchi un sacco! Allora puoi?»

«Sì sono a casa, dammi cinque minuti che accendo il computer. Passo e chiudo.»

«Chiamami tu quando sei pronto», e misi giù.

Mia mamma intanto aveva acceso il portatile sul tavolo della cucina e ci sedemmo tutti in attesa che mio fratello chiamasse.

Poco dopo arrivò la chiamata e risposi subito (ero io al controllo del mouse).

«Ciao Trash!» mi salutò, usando un altro vecchio soprannome. «Salve famiglia!» salutò poi mamma e papà.

Black, che fino a pochi istanti prima era comodamente sdraiato sul tappeto del salotto, arrivò di corsa non appena sentì la voce del suo padrone. Puntò il muso sullo schermo del computer, iniziò a respirare affannosamente e a scodinzolare tutto contento. «Ciao bello! Mi manchi tu più di tutti!» disse Alex al suo terranova, facendo finta di coccolarlo dall'altra parte dello schermo, tutto carino e coccoloso come non faceva con nessun altro.

«Ah grazie eh!!» esclamammo noi in coro, poi ridemmo.

«Ti trovo bene!» gli dissi divertita. Lì in Svizzera erano circa le dieci e mezza di mattina e lui era lì seduto a tavola che faceva colazione in pigiama. Dettaglio immancabile, la sua fedelissima palla da basket appoggiata di fianco a lui sul tavolo. Rispose alzando la tazza di latte come per farmi un brindisi e intingendovi una Gocciola.

Ah, mio fratello. Quanto mi mancava. Mi aveva fatto molto piacere vederlo nel video, ma ora che potevo parlarci mentre lo vedevo in volto era un'altra cosa. Era diventato ancora più bello (era sempre stato figo) e mi immaginavo già la strage di cuori che avrebbe fatto al suo rientro alla Sky High. Mi mancavano tutte le risate che ci facevamo a tavola, o le gare a chi arrivava per primo in bagno per fare la doccia, o le battaglie alla Play che tanto io perdevo sempre perché ero scarsa ma che mi divertivo comunque a giocare. Non mi ero mai resa conto di quanto bene gli volessi davvero, finché non ero stata così tanti mesi lontana da lui. Non so cosa avrei fatto se l'avessi perso, non riuscivo ad immaginare la mia vita senza di lui. D'accordo sì adesso stavo andando sul drammatico ma il non averlo più intorno cominciava a pesarmi. Però ora non ci pensai e mi godetti la sua presenza più che potei.

Parlammo un sacco, ci raccontammo di tutto quello che era successo dall'inizio dell'anno scolastico: lui mi disse che la scuola che faceva lì aveva corsi specializzati per chi aveva un potere particolare come il suo, che creava e controllava l'elettricità, e che l'aveva migliorato moltissimo: ora era molto più potente e sapeva anche controllarlo meglio. Quando disse ciò, mia madre fece un'espressione molto preoccupata, ma mio padre (che aveva un potere simile a quello di mio fratello) la rassicurò, dicendole che Alex era responsabile e sapeva controllarsi. Poi si rivolse a mio fratello nello schermo, rivolgendogli un'occhiata che sembrava dire "Io ho fiducia in te ma tu stai attento". Mio fratello annuì, serio. Questa non era una questione su cui si poteva scherzare. Il suo potere era molto pericoloso se gli sfuggiva di mano. Detto tra noi, forse era addirittura più pericoloso di quello di Warren; il fuoco lo puoi spegnere, l'elettricità, beh, no.

Mi venne in mente una cosa che era venuta a riferirmi la preside quella settimana. «Ah sì, quasi me ne dimenticavo! Alex, la preside è venuta a dirmi che la tua richiesta è stata approvata dal Consiglio d'Istituto, e così quando torni potrai frequentare anche lezioni del terzo anno, nel corso avanzato! Sai, dato che il tuo potere è molto potente hanno pensato che è meglio che tu lo migliori subito, così è meglio sia per te che per tutti! Sei contento?». Feci un gran sorriso.

I miei fecero in coro «Wow!» contentissimi, era da molto che lo speravano, e Alex improvvisò un balletto per mostrare la sua felicità, mentre esultava. Ci mettemmo tutti a ridere, ma quella era davvero una bella notizia.

Ad Alex raccontai un po' di cose che erano successe dall'inizio dell'anno, come della festa epica di Joe, del suo fidanzamento con Scarlett, del party di Halloween, del ballo fra qualche settimana, della presenza di Will Stronghold a scuola... gli parlai di tutto ma non di Warren. Quella per lui sarebbe stata una sorpresa.

«Ho visto su Facebook le foto della festa, porca miseria quanto avrei voluto essere lì! Sì ma tu queste cose scriverle su WhatsApp no eh?!»

«Ma se quando ti mando le immagini divertenti non mi rispondi mai, so già che se ti scrivo cosa succede mi risponderesti tipo "sì" "ok" "ah" "bello" eccetera come fai di solito!!» controbattei. Lui era molto... conciso, nei messaggi.

«Cosa cavolo dovrei rispondere a un'immagine di un orso quadrato??» disse contrariato, e scoppiammo a ridere entrambi.

«Ahaha dai era bellissima quella!»

«Sì vabbé ahaha! Tra questa, quelle dei face swap Disney o quella del fiberian hufky non so quale sia peggio!!» e ridemmo di nuovo di gusto.

Lui mi raccontò di altre cose che aveva fatto da quando era lì: aveva imparato nuovi trick sullo skateboard, si era continuato ad esercitare con la batteria e andava quasi tutti i pomeriggi a giocare a basket con i ragazzi della squadra della scuola. Non poteva partecipare alle partite ma almeno si allenava, per non ritornare proprio fuori forma quando avrebbe dovuto partecipare al campionato qui. Mi raccontò anche che due settimane fa era andato in Italia con gli zii e che erano rimasti lì per qualche giorno (i miei zii oltre che in Svizzera avevano una casa anche in Italia) e lui era andato a una fiera del fumetto e aveva incontrato Sio, il nostro fumettista preferito; aveva fatto tipo due ore di coda ma era riuscito a farsi autografare il libro! Esultai alla notizia, era da tanto che volevo incontrarlo, ed ero felicissima che mio fratello ci fosse riuscito!

«Vi siete fatti anche un selfie?»

«Sì! Ma non avevi visto la foto su Instagram?»

Scossi la testa, dispiaciuta di essermi persa un evento così importante. «No ah! Lo sai che io lo uso pochissimo!»

«Sì, e quelle poche foto che carichi le metti tutte col Nashville!». Scoppiammo a ridere perché in effetti usavo sempre lo stesso filtro per tutti i miei scatti.

«Cosa posso farci se stanno bene con quello!» mi difesi, divertita.

«Dai la metto come foto profilo su WhatsApp, così la vedi» disse, venendomi incontro.

«Perfetto!» esultai. «Comunque quand'è che torni, alla fine?»

«Alla fine di novembre, tipo l'ultima settimana! Mi sa che non faccio in tempo per il ballo... oh ma cavolo quest'anno mi perdo tutte le feste!!»

Risi. «Eh oh, l'hai voluto tu!»

Scambiammo le ultime chiacchiere, poi lo salutai dicendogli che non vedevo l'ora di riabbracciarlo (lui sospirò, cercava sempre di sfuggire ai miei abbracci) poi lasciai il posto a mia mamma che voleva fargli le solite domande e raccomandazioni che le mamme fanno sempre ai figli. Io e papà ridacchiammo di nascosto, dicendoci "la mamma è sempre la solita", ma alla fine la sua era una dimostrazione di affetto. Anche mio papà parlò un po' con mio fratello, chiedendogli se era pronto per mettersi gli scarponi da sci (loro due erano sciatori esperti, facevano anche gare) e iniziarono a parlare di sci e montagna e altre cose da maschi che a me interessavano ben poco, così li lasciai in privato.

Alex mi mancava davvero tantissimo ed era tutto diverso senza di lui. Si era perso un sacco di eventi più o meno importanti e doveva recuperare al più presto. Non vedevo l'ora che tornasse. L'unica cosa che potevo fare per ammazzare l'attesa era continuare a inviargli immagini assurde e condividergli link su WhatsApp.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Oh, passami il plico che lo metto nella borsa frigo ***


26. Oh, passami il plico che lo metto nella borsa frigo

 

«Non credo proprio che quella sia una buona idea.»

No, quella non era decisamente una buona idea.

Eravamo in laboratorio di Scienza Pazza, e Warren sembrava davvero deciso a voler far esplodere la scuola.

Teneva in bilico un tocco enorme di sodio sopra un becher pieno d'acqua, e sappiamo la reazione che provocavano questi due elementi messi assieme. Ma negli esperimenti di laboratorio scolastici, i pezzettini di sodio usati erano davvero piccoli, giusto per far vedere agli studenti la curiosa reazione dell'acqua che prendeva fuoco. Se Warren avesse buttato quel pezzo gigantesco nel becher, avremmo dovuto tutti fuggire a gambe levate per evitare l'esplosione atomica. Ora quando a scuola facevamo quell'esperimento, ci mandavano fuori in cortile, dopo che qualche anno prima uno studente aveva fatto quello che stava per fare Warren e c'era stato un botto nero fino al soffitto. C'era ancora l'alone.

Io cercavo di concentrarmi più che potevo per fare la soluzione che mi era stata assegnata.

Warren non la smetteva di fare il cretino e continuava a sabotare i miei passaggi per portare a termine l'esperimento.

«Che roba è?» mi chiese sbirciando dentro il mio becher.

«La pozione polisucco» gli risposi seria, allontanandolo da lui.

«Dai fammi fare una piccola modifica!» mi supplicò, ridendo come un matto.

«Ma ti sei bevuto l'ossido di bromuro?!» gli chiesi sconvolta. Non l'avevo mai visto così su di giri.

Lui per tutta risposta continuò a ridere cercando di prendersi il mio becher. Quello scemo voleva buttarmi dentro il sodio. Se la stava spassando di gusto, e dovetti spingerlo via sullo sgabello per evitare l'esplosione nucleare.

Adesso Warren si era messo a girare sullo sgabello. Feci finta di non aver visto niente e mi concentrai sulla soluzione che stavo preparando.

Poco dopo udii il rollio delle ruote del suo sgabello avvicinarsi e alzai gli occhi al cielo.

Guardai Warren. In mano aveva una beuta con un composto azzurro. Avevo paura.

Lui stava ancora ridendo. «Hai bisogno di aiuto?»

Strabuzzai gli occhi. «Assolutamente no.» Indicai la beuta, terrorizzata. «Cos'è quella roba?!»

Warren sghignazzando rispose: «Un preparato liquidificante.»

«Scherzi?!?»

«No. Guarda». Versò il liquido azzurro su un foglio, che dopo pochi secondi si trasformò in una pozza d'acqua trasparente.

Arretrai. «Dove l'hai trovata?!»

Warren sorrise. Non aspettava altro. «L'ho presa da quel tavolo laggiù.» Indicò il tavolo e... con orrore notai che era quello dove c'era anche Scarlett.

«Allora c'è tutto tranne che da fidarsi!»

Presi la beuta col la massima attenzione a non toccarne il contenuto, e andai a restituirla al tavolo di provenienza.

«Avete subito un furto» dissi a Scarlett ed Ashley, che sembrano molto incasinate con il loro lavoro.

«Ah ecco dov'era finito!» rispose Ash a bocca piena. Stava molto tranquillamente mangiando un panino. Lei mangiava sempre in classe, cosa che non approvavo molto perché mi faceva venire fame e non offriva mai.

Scarlett (che aveva una repulsione naturale per tutto ciò che riguardava Scienza Pazza) sembrava abbastanza sul disperato, perché stava facendo tutto tranne che lavorare sull'esperimento assegnato: stava girando sullo sgabello dicendo di essere un Beyblade, spingeva Ashley sul posto sostenendo di aver costruito il pendolo come aveva chiesto il prof e dicendole «Ash, sei pendolare!», beccava il sale sulla bilancia come gli uccellini e commentava negativamente qualsiasi spiegazione che il prof stava facendo ad alta voce per tutta la classe.

Ma quando lui disse: «...che si chiamano QUANTI», e lei esclamò ridendo: «Quanti?!», io risposi divertita: «Tanti!», e scoppiammo tutte e tre a ridere.

Alla fine la mia soluzione la concluse Warren (ora che ero io quella andata fuori di testa, lui sembrava tornato in sé e desistette dal suo intento di distruzione) e io rimasi al tavolo dove c'erano Ashley e Scarlett a fare la scema con loro. Non combinammo assolutamente niente di produttivo ma ci divertimmo un casino a fare esperimenti a caso.

 

Le cose non migliorarono alla lezione seguente di Storia con Kaufman.

Ci portò in aula computer per fare una ricerca a gruppi da tre, sempre sul tema del rapporto fra Sapiens e Super che ormai era l'argomento principale in quasi tutte le materie.

Non c'è neanche da chiedere con chi ero in gruppo io (ovviamente Ashley e Scarlett). Eravamo partite con buone intenzioni, ma dopo mezz'ora stavamo già dando i numeri. Ci eravamo messe noi a scrivere articoli legislativi assurdi, cose tipo "Ai sensi dell’articolo 0.9 sopra riportato, si promulga la distribuzione gratuita di panini al salame in classe da parte della suddetta Signora Ashley Reed. Sì perché io che ce l’ho come vicina di banco e che ho una fame pazzesca e con lei che mi mangia il panino sotto il naso non è proprio che il mio stomaco mi ringrazi. Detto ciò, distinti saluti."

L'apice della follia lo raggiungemmo quando, leggendo ad alta voce la frase "I cittadini americani residenti all'estero devono inviare un plico...", Scarlett commentò adirata: «Che cazzo è 'sto plico?!?»

Partii a ridere come una stupida per il sincero sdegno della mia amica e presi il mouse del suo computer. «Ti faccio vedere io cos'è un plico».

Aprii Paint e iniziai a disegnare una specie di animaletto rotondo peloso, con gli occhi arrabbiati e la bocca storta.

Ska si illuminò, divertita. «Faccio io i piedi!»

Lo colorammo di arancione sul pelo e di giallo chiaro su occhi e piedi.

E così avevamo disegnato un Plico. Decidemmo che sarebbe diventata la nostra nuova mascotte.

Come successivo livello di demenza, loro due iniziarono a darmi soprannomi a caso.

Scarlett disse: «Comunque è vero che è bello darti soprannomi».

Ashley iniziò a fare un elenco. «Rosalie, Rosa, Rosetta, Scatola».

«E questi da dove vengono?» chiesi divertita.

Ska continuò. «Scatolone, Beauty Case. Borsa Frigo.»

Risi un sacco. Ma quando mai!!!

Andai su Risorse del Computer e cambiai subito il nome della mia chiavetta USB in "Borsa Frigo". Poi Scarlett ci copiò dentro il disegno del Plico e disse: «Oh Rosalie, ho messo il Plico nella Borsa Frigo!»

E scoppiammo a ridere tutte tre assieme.

Tirammo fuori le bottigliette d'acqua dai nostri zaini e facemmo un brindisi alla giornata della non-produttività.

 

Nemmeno quel pomeriggio successe qualcosa di particolarmente interessante, e io per ammazzare il tempo durante la pausa dopo pranzo in cortile mi misi a cantare Alejandro di Lady Gaga a Joe, canzone che lui ormai non sopportava più e che io usavo come arma segreta quando volevo infastidirlo.

Iniziai con fare molto teatrale e tutto sospirante: «I know that we are young, and I know that you may love me...»

Infatti Joe sospirò disperato: «Oddio no...» mettendosi una mano in faccia.

«But I just can't be with you like this anymore! Hhhhhh, Alejandro...!!!»

Joe scappò a gambe levate prima che gli cantassi tutta la canzone intera, anche se stava ridendo.

Ero talmente di buonumore oggi che nemmeno la presenza di Amber lì con noi mi dava fastidio. Non era vicino a me per fortuna, ma un po' in disparte, stava chiacchierando con Gwen e Penny. Gwen il giorno prima era andata a casa di Stronghold per farsi invitare da lui al ballo. A quanto pare, e non capivo per quale assurdo motivo, si era interessata a lui. Bella com'era, non poteva che aver avuto successo. Aveva perfino cenato con la sua famiglia.

Orecchiai la loro conversazione, tanto per curiosità. Amber le chiedeva della serata. «E come è andata?»

«Bene, gli ho raccontato di quella volta che ci siamo trovate in mezzo al nulla e tu che hai detto: "Non so cambiare una ruota di scorta, so solo cambiare il tempo!" e io: "Almeno fai smettere di piovere!"»

Risero, divertite.

Beh, fin che Amber non dava rogne a me, poteva fare quello che voleva. Intanto io mi alzai e andai dal mio uomo a reclamare un po' di coccole. Per una volta, volevo essere io quella che dava fastidio ad Amber. Muahaha.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Alleanze non disinteressate ***


27. Alleanze non disinteressate

 

L'indomani, a scuola, Warren mi raggiunse in mensa poco prima dell'ora di pranzo e si sedette vicino a me. Ero arrivata lì in anticipo così intanto tenevo il posto per noi e i nostri amici, in attesa che la cucina aprisse, e ne stavo approfittando per continuare un libro che avevo iniziato a leggere la sera prima.

«Non ti ho mai vista con gli occhiali» disse, osservandomi.

Alzai gli occhi dalla pagina che stavo leggendo. «Ah, è vero». Me li tolsi, ero così presa dalla lettura che non mi ero accorta di averli ancora addosso. «Perché alle feste metto le lenti a contatto. Li uso per vedere da distante, tipo alla lavagna o quando guardo la tv».

Warren sorrise. «Ti stanno bene».

Arrossii, ancora incapace di assimilare i suoi complimenti così spontanei e disinteressati. Nessuno mi aveva mai detto che stavo bene con gli occhiali, anzi mi trovavo abbastanza brutta anch'io. Ma forse era solo un'altra delle mie stupide, ennesime paranoie. «Grazie.»

Warren mi prese la mano. «Oggi pomeriggio vengo da te? Ho una sorpresa».

Lo guardai incuriosita, ma lui non proferì altra parola e continuò semplicemente a sorridere. Ero curiosa di sapere cos'aveva da propormi, ma avrei dovuto aspettare la fine della scuola per scoprirlo. Ero già impaziente. Warren aveva sempre idee stupende e così romantiche...

Insomma finite le lezioni lui venne a casa mia, portandosi la sua chitarra acustica, e mi suonò un sacco di canzoni romantiche una più bella dell'altra. Alcune le cantò anche, e così scoprii che aveva una voce bellissima. A pensarci meglio, mi aveva accennato che se la cavava col canto a inizio anno, ma non pensavo così tanto! Nella band se serviva faceva da seconda voce a Chris, ma si meritava più attenzione!

«Perché non canti come solista? Licenziamo Chris!» scherzai, accoccolata a lui seduti sul tappeto del salotto.

Lui rise. «Chris è molto più bravo di me, la sua voce si adatta a qualunque brano, e con le manie di protagonismo che ha, non credo sarebbe molto contento di venire scalzato via così». Ridemmo entrambi.

Finita la fase "romanticherie", Warren (che sadico) mi propose una sfida. Mi avrebbe suonato delle canzoni e io avrei dovuto indovinarle. Il che era un grosso problema, perché di brani di rock classico ne conoscevo ben pochi, se non zero ç__ç

«Partiamo da quelle semplici» disse. Beh, almeno un po' di cuore ce l'aveva.

Dalle prime tre note la riconobbi subito. Quasi mi commossi da quanto stupenda era suonata da lui in quel modo. Senza dirgli niente, appena finì l'intro iniziai a cantare, lasciandolo stupito e ammirato allo stesso tempo. «The last time ever she saw him, carried away by a moonlight shadow...»

Come potevo non riconoscerla? Moonlight Shadow era stata una delle canzoni della mia infanzia, assieme a Skies the Limit dei Fleetwood Mac e What's Up dei Four Non Blondes. Per non parlare dei Pink Floyd, la band preferita di entrambi i miei genitori, di cui avevano tipo tutti i cd. Beh, se avessimo continuato su questa linea, forse ne avrei indovinata qualcun'altra di canzone.

Infatti superai le mie aspettative. Alcune non le avevo mai sentite, ma più della metà le indovinai quasi subito, ricevendo un bel pollice in su da Warren. Per ultima me ne suonò una un po' diversa dalle altre, forse cercando di mettermi in difficoltà, ma sorprendendo perfino me stessa dopo poche note esclamai: «Sì che la conosco!! È Thunderstruck degli AC/DC!»

Warren, veramente ammirato, non poté che depositare la chitarra, arrendendosi. «Wow. Ti ho sottovalutata».

Non potevo di certo rivelargli che conoscevo quella canzone solo per via di un remix dei Crookers che Ashley aveva messo su a una qualche festa la scorsa estate. Se avessi confessato, probabilmente Warren mi avrebbe declassata fino al livello di "fatti una cultura musicale valà".

Warren appoggiò la chitarra sul divano, io lo presi per mano e lo trascinai in camera mia. Ci buttammo sul letto, lui sopra di me, e ci scambiammo un lungo bacio denso di passione. Era dalla festa di Joe che non avevamo occasione di rimanere un po' da soli a coccolarci come stavamo facendo ora.

«Non sai quanto ho sognato di poter stare così con te, gli anni scorsi» mormorò Warren, guardandomi dolcemente negli occhi.

«Intendi così disteso sopra di me?» scherzai, accarezzandogli il viso.

«Beh...» rispose lui, con uno sguardo furbetto, facendomi intendere che quello faceva parte delle sue fantasie. Arrossii, ma non potevo negare che anch'io l'avevo desiderato spesso.

E ora potevamo finalmente realizzare questo nostro desiderio.

 

La mattina dopo, appena alla prima lezione, il mio umore scese ventimila leghe sotto il mare a causa di un manifesto affisso sulla bacheca all'entrata. Mi lamentai liberamente ad alta voce. «Oddio no! Non un altro "Salva il Cittadino"!»

Warren sospirò. Anche lui non sembrava molto entusiasta della cosa. «Già, e sai cosa mi ha detto Boomer? Che oggi sarà il turno mio e di Stronghold di fare i cattivi.»

«Insieme a Stronghold?!»

«Se lui accetta, sì.» Fece una smorfia. «Altrimenti potrei chiedere a Speed... o a Lash...» Si mise ad ispezionare le bacheca, per leggere se c'era qualche altro annuncio importante.

Gli battei sulla spalla con un dito per richiamare la sua attenzione. «Scusa ma... non ti stavano entrambi sulle palle?»

Warren fece spallucce e rispose: «Mah, adesso non tanto, dopo che ci ho chiacchierato alla festa di Joe. Non mi danno più fastidio, ho visto che non sono poi così male dopotutto».

«Già! Anzi, sono simpatici sai? Basta saperli prendere per il verso giusto».

Si avvicinò a me. «Scusa se te lo chiedo, ma Lash non era innamorato di te?»

Sospirai. «Sì. Beh, più che innamorato penso fosse una cotta. Ma poi ha capito che io lo consideravo solo un amico... e dopotutto sapeva che a me piacevi tu.»

«Dovrebbe avercela con me, no? Essere invidioso...?»

«Ti piacerebbe, eh?» risi, dandogli una gomitata amichevole. «No sai cosa? Ha visto che io voglio stare con te, e lui ci tiene che io sia felice».

Sì, Lash era proprio un bravo ragazzo. Faceva tanto il bulletto con i ragazzetti più piccoli, ma era un buon amico. E tra l'altro era da un bel po' che non dimostrava interesse romantico nei miei confronti, quindi questo rinforzava la mia teoria della cotta passeggera (cosa che, se devo raccontarla tutta, avevo avuto anch'io per Joe nei primi tempi che l'avevo conosciuto, ma questa è un'altra storia). Quindi alla fine a Lash andava bene rimanere semplici amici. Inoltre da qualche giorno avevo notato che lanciava occhiate ad Audrey... Ad Halloween avevano perfino ballato assieme. L'unica cosa che potevo sperare era che non si mettessero insieme. Qualunque ragazza andava bene, ma non Audrey. Tutte tranne lei. Signore, fa' che Audrey non ricambi, ti prego. Sarebbe una disgrazia gigante, pregai, rivolgendo le mani giunte al cielo. Non avrei potuto farci niente se si mettevano assieme, ma l'idea di avere lei, Amber e Alison fra i piedi ogni giorno nel nostro gruppo non mi entusiasmava per niente. Brrrrr.

 

Dagli spalti guardai Warren scendere in campo insieme a Will Stronghold, dopo essere andati a mettersi le tute.

Alla fine Will aveva deciso di partecipare, forse voleva mettersi in mostra? Bah, probabilmente Boomer l'aveva obbligato, minacciandolo di scaraventarlo attraverso una finestra con la sua voce super-sonica.

Notai Speed e Lash, seduti davanti a me, guardare sconsolati quelli che ora erano i "cattivi" e Lash sussurrare al suo amico: «Vedrai che la prossima volta torneremo noi sul trono». Speed gli batté il pugno di risposta, complice.

«Bene! Abbiamo una nuova coppia di cattivi» annunciò Boomer. «Chi volete battere?»

Vidi Warren fare uno sguardo perfido e poi rivolgerlo nella mia direzione.

Mioddio, non sarà che... no, non può essere... guarda che sennò ce l'ho su con lui in eterno!!

«Intanto... Rosalie» comunicò Warren, molto sicuro di quello che stava facendo, con un ghigno insolente stampato in faccia.

No! Io questo lo uccido! Saltai su e arrabbiata urlai: «Ma daaaaaaiiiiiii!!!» e scesi gli scalini degli spalti a passo di carica, incazzatissima e, con Warren che se la rideva proprio di gusto, mi diressi verso lo spogliatoio per infilarmi la tuta con rammarico.

Intanto sentii che Will chiamava un certo Edward Sullivan: sapevo chi era, ma solo di vista. Era di terza, probabilmente in classe con Stronghold, era nuovo e aveva il potere dello sputo acido. Un bel ragazzo: alto, con la pelle scura e muscoloso. Lui e Joe erano amici. (ma Joe era amico tipo di tutti quindi non so se contava.)

Scendemmo in campo e io lo salutai. Lui ricambiò sorridendo, poi Boomer disse: «Bene ragazzi, le regole le sapete. Ah, Testacalda» aggiunse poi rivolto a Warren «Non andarci troppo pesante con la Frozehart. La voglio ancora viva per la fine dell'incontro!». Ghignò.

Io mi avvicinai a Warren e, puntandogli un dito sul petto, lo minacciai: «Questa me la paghi».

Lui rise, mi prese il dito e mi diede uno strattone attirandomi a sé. Affettuosamente mi sussurrò all'orecchio: «Prometto che non ti rovinerai l'acconciatura».

«Lo spero per te, altrimenti sei un uomo morto» soffiai.

Poi, sempre ridendo e con me che lo guardavo indignata, andò da Will e quasi ringhiando gli propose un piano d'attacco.

Io feci qualche passo verso Edward. «Ehi Ed, ascolta». Mi guardò curioso, forse perché senza nemmeno conoscerci gli davo già confidenza e diminutivi. «Tu hai lo sputo acido, giusto?» Annuì. Ripresi: «Bene: io avrei già un piano». Avrei potuto aggiungere per annientarli, ma vabbè.

Mi era venuta un'idea secondo me grandiosa: io avrei potuto congelare gli ingranaggi della trinciatrice, lui con lo sputo avrebbe tagliato la corda che teneva sospeso il manichino e io, prontamente, con un "Geloraggio" avrei spinto via il pupazzo per farlo cadere sul pavimento.

«E con Peace e Stronghold?»

«Dunque: Stronghold sinceramente non mi sembra molto sveglio... comunque l'importante è non avvicinarsi a lui. In questo siamo avvantaggiati perché né io né te abbiamo poteri per i quali serve un contatto fisico. Per Warren...»

«Ma non siete assieme?» mi chiese curioso.

Annuii. «Sì perché?»

«E allora come mai ti ha chiamata in campo?»

Ringhiai, guardando il mio ragazzo che fra un po' prendeva Will per la maglietta e lo menava. «Guarda non lo so. Forse sotto sotto in realtà mi odia, o è semplicemente un sadico senza scrupoli. Ma me la pagherà, questo è sicuro. La mia vendetta sarà crudeleeeeee!!!» gridai, dichiarando guerra aperta a Warren.

Edward rise a crepapelle, poi Boomer tuonò: «Pronti, ai posti, BATTAGLIAAAAA!!!»

«Coach! Sono già senza timpani all'inizio del match, secondo lei come dovrei arrivare alla fine?!?» urlai al prof, tappandomi le orecchie. Lui in risposta rise e fece finta di niente.

Mi diressi subito alla trinciatrice, vedendo da che parte cominciare. Pensai di partire dalla base e lanciai un raggio congelante lì, ma venne subito annullato da una palla di fuoco che vi piombò sopra. Mi girai a destra e vidi che Warren sghignazzava, con le mani ancora infuocate, pronto per un altro attacco.

«Ma oh! Dai lasciami un po' di gloria!» mi lamentai, aprendo le braccia.

«Neanche per sogno, dolcezza!» rispose lui, sempre con quel ghigno maligno. Non l'avevo mai visto così competitivo.

Allora io riprovai col Geloraggio ma successe la stessa cosa di prima. Andammo avanti così per un po' e alla fine, visto che non giungevo a niente, riuscii a cogliere Warren di sorpresa, deviando il raggio e indirizzandolo ai suoi piedi, congelandoli.

«A-ha! Vediamo se così riuscirai a muoverti! Questo ghiaccio è più freddo e spesso del normale, non si scioglierà molto facilmente!!».

In realtà sapevo che non avevo molto tempo, ma almeno mi ero guadagnata qualche secondo di vantaggio.

«ED!» gli urlai. «LA PRIMA PARTE DEL PIANO NON FUNZIONA! DOBBIAMO TROVARE UN'ALTRA SOLUZIONE!»

Mi fece segno di ok con la mano, mentre schivava un pugno di Will, e saltò appena in tempo quando questi creò un terremoto colpendo il pavimento.

È agile!, pensai, osservando Edward. Probabilmente la super agilità era il suo potere secondario.

Decisi che in ogni caso era meglio aiutarlo: lanciai un raggio congelante proprio sotto i piedi di Will che ghiacciò il pavimento e Will vi scivolò sopra.

«EDWARD! È CORROSIVO! SCIOGLILO!». Gli indicai la trinciatrice e lui prontamente lanciò uno sputo che sciolse tute le punte degli ingranaggi. Io congelai il resto, ma Warren nel frattempo si era liberato e sciolse tutto il ghiaccio con una palla di fuoco.

«Rosalie, non vincerai questa sfida!» dichiarò lui, ergendosi in piedi col petto in fuori e i pugni infuocati, mostrando tutta la sua potenza.

Devo ammettere che, con quell'espressione, quel tono e in quella posizione, un po' mi fece paura, ma non mi feci intimidire troppo. Mi ripresi e tornai in posizione da combattimento.

Sapevo che se avessi anche solo provato a lanciare un Geloraggio sugli ingranaggi Warren mi avrebbe subito bloccata con uno dei suoi bolidi. Perciò pensai che l'unica cosa da fare era distrarlo, o almeno stancarlo, per poi arrivare all'ultima parte del mio piano in sicurezza e vincere la sfida.

Guardai il timer: avevamo ancora due minuti. Beh, mi bastavano.

Salii sopra una panchina che era stata piazzata in palestra e da lì saltai agilmente sopra il dispenser dei giornali, e vidi che Warren seguiva i miei movimenti con lo sguardo. Da lì sopra gli lanciai contro un raggio congelante, e lui fece proprio ciò che mi aspettavo. Lo bloccò con un "lanciafiamme", che si scontrò con il mio raggio e creò molto vapore. Per fortuna che oggi non mi sono piastrata i capelli, sennò a quest'ora sarebbero già andati!, pensai, ridacchiando fra me e me.

Entrambi mantenemmo i nostri raggi, nessuno dei due desisteva. Sapevo che questa cosa l'avrebbe stancato molto: infatti Warren era solito lanciare palle di fuoco, non raggi, altrimenti l'ossigeno nel suo corpo sarebbe finito troppo in fretta. In questo ero avvantaggiata.

Alla fine però il suo fuoco ebbe il sopravvento: avanzò verso di me, e mi avrebbe colpita se io non me lo fossi aspettato e non avessi già architettato uno stratagemma d'attacco.

Mi abbassai immediatamente, per schivare il fuoco, e saltai giù sul pavimento. Warren si appoggiò sulle ginocchia, ansimante. Anch'io ero stanca, ma non così tanto come lui.

«EDWARD! ORA! SCIOLGI LA CORDA!»

Il mio alleato subito gettò uno sputo acido che tagliò la corda in cima e io lanciai un raggio di ghiaccio appena in tempo prima che il cittadino cadesse sugli ingranaggi. Anche se non erano più taglienti, a causa della corrosione avvenuta sulle lame grazie al mio compagno di squadra, erano ancora in funzione e se il cittadino vi fosse finito sopra di sicuro avremmo perso un sacco di punti.

Il pupazzo cadde sul pavimento e proprio lì suonò la sirena.

«Tempo!» urlò Boomer.

Tutti gli studenti esultarono: avevamo vinto!

Boomer però disse: «Aspettate ad esultare! Gli eroi vincono, ma non avete sconfitto i cattivi. Questo incontro finisce in parità! Siete stati bravi!»

«Yeeeee!!!» gioii, e corsi ad abbracciare Edward per congratularmi con lui. «Sei stato mitico, fratello!»

«Anche tu sorella!» rise, battendomi il cinque.

Will non provò neanche a fare la stessa cosa con Warren e, guardandolo incerto e mezzo terrorizzato, sia avviò direttamente agli spogliatoi. Edward invece si fece accogliere dalla folla esultante che si era riversata nel campo.

Io corsi da Warren, felicissima, gli saltai in braccio e lui mi circondò con le sue braccia.

«Mi perdoni?» mi chiese, notando la mia evidente gioia.

«Sì perché ho vinto». Gli feci la linguaccia, scherzosamente.

Mi alzai per arrivare al suo viso e lo baciai, assaporando la mia ricompensa per tutta quella fatica che avevo fatto nella sfida.

«Ho mantenuto la mia promessa» mormorò, accarezzando i miei capelli, che per sua fortuna non si erano scompigliati troppo.

«Hai visto che ho vinto io?»

«Sì, sei stata brava». Sorrise e mi baciò di nuovo.

Qualcuno gli batté sulla spalla. Era Joe, che gli disse: «Non so, qua tipo c'è qualcuno che vorrebbe congratularsi con voi».

Sorrisi a Stregatto, divertita. L'abitudine di dire sempre "tipo" l'avevo presa da lui. «Tipo».

Annuì. «Tipo.»

Dopo aver ricevuto i complimenti da tutti, dissi a Warren: «Allora per il prossimo incontro facciamo, ad esempio, io e te in squadra assieme?»

«Bella idea! Chiedi a Edward se gli va bene.»

Questi mi rispose di sì, quindi annunciai a Warren: «Fire Boy e Freeze Girl in squadra assieme».

«Come cattivi». Mi fece l'occhiolino.

Concordai. «Beh è molto più semplice e anche più divertente». Poi mi venne in mente una scena che avevo immaginato prima della sfida. Iniziai già a ridere. «Ahahah Warren senti questa! Prima di iniziare la sfida, quando tu ti stavi mettendo d'accordo con Will, ho avuto una visione: tu che lo prendevi per la maglietta e gli urlavi: "ALLORA DOBBIAMO ESSERE UNA SQUADRA CAPITO?!?"»

Scoppiammo a ridere entrambi: infatti era una scena molto realistica. Dopodiché andammo ognuno nei rispettivi spogliatoi a farci la doccia e cambiarci, tra le acclamazioni e gli applausi della folla.

Alla fine non era stato così terribile come mi ero immaginata, anzi a dire il vero mi ero anche divertita. Ma la presenza di Warren rendeva qualsiasi cosa migliore dopotutto. ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Resta con me ***


28. Resta con me

 

Ieri sera avevo combinato un casino. Ora che ero da sola in camera mia con il silenzio attorno a me, me ne rendevo conto molto bene.

Ieri, cioè sabato, dopo la partita di Salva il Cittadino ero talmente contenta che ero stata assieme a Warren tutto il resto della giornata, io e lui da soli a farci le coccole ogni momento possibile.

Alla sera Ashley ci aveva invitati ad andare in discoteca, che finalmente facevano quella famosa serata anni '90 a cui non ero più andata (forse alla fine l'avevano annullata davvero l'altra volta).

Ma "Rosalie Frozehart" e "Italodance" erano parole che messe assieme creavano solo casini.

Non potevo farci niente. Già dal momento in cui avevo varcato la soglia del locale e avevo iniziato ad udire la musica. C'era L'Amour Toujours che rimbombava per tutta la sala, e io già non ci capivo più niente.

Warren mi aveva guardato sorpreso, vedendomi così euforica che saltellavo dappertutto. «Non sapevo ti piacesse così tanto questo genere!»

Allora Scarlett gli aveva spiegato: «Rosalie è una fan dell'Happy Hardcore con un'enorme passione per la dance anni '90». Ridacchiò. Scarlett sapeva meglio di chiunque altro che non potevo resistere quando sentivo canzoni come Tell Me Why, Voglio Vederti Danzare o Eins Zwei Polizei. Era più forte di me. Dovevo buttarmi in pista. E il ritmo così coinvolgente di Le Delire era un richiamo tribale potentissimo.

Ashley non suonava, ma era comunque alla consolle perché il dj della serata era un suo grande amico e lei gli faceva compagnia, e mixavano qualche brano assieme. Stavano mettendo canzoni una più bella dell'altra.

Senza se né ma avevo preso Scarlett per il polso e l'avevo trascinata sul cubo assieme a me. E mi ero scatenata sulle note di quella musica meravigliosa che mi entrava prepotentemente nella testa e dava ordine a tutto il mio corpo di ballare con tutte le mie energie.

Mi ero accorta troppo tardi che Warren mi stava guardando allibito con la bocca aperta. Ma la sua era un'espressione di sconcerto, a differenza di tutti gli altri ragazzi che mi stavano fissando con due occhi così, acclamando le mie movenze sul cubo. I miei abiti provocanti di certo non aiutavano. Non era la prima volta che mi capitava, anzi ero abituata ad avere tutti questi ammiratori quando andavo a ballare in discoteca e ormai non ci facevo più caso, ma era la prima volta che Warren mi vedeva sotto quest'aspetto, e chissà cosa pensava ora di me.

Finita la serata mi aveva riaccompagnata a casa, senza dire una parola durante il tragitto. Non sembrava arrabbiato, solo... pensoso. Come se dovesse riflettere sulla situazione. Io non avevo osato proferire parola, non volevo peggiorare la situazione, non avevo scuse per come mi ero comportata. Avrei dovuto controllarmi e non lasciarmi prendere troppo dal momento. Warren non era neanche sceso dall'auto per accompagnarmi fino alla porta di casa, ma mi aveva dato un bacio veloce dicendomi «Ci vediamo lunedì».

E infatti oggi, cioè domenica, non mi aveva mai scritto né telefonato. Quindi davvero l'avrei rivisto domani...

Ripensandoci meglio, non avevo fatto nulla di male (tipo andare a imbucarmi col primo che capitava che comunque non avrebbe avuto nessun senso), ma per lui non era stato sicuramente piacevole vedermi guardata così da tutti. E ora che stavo riascoltando la stessa musica di ieri sera, per rievocare i ricordi della serata per capire com'era successo tutto ciò, alle note de La Regina del Celebrità improvvisamente capii come Warren doveva avermi vista in quel momento; bellissima e disponibile per tutti, ma irraggiungibile da chiunque. Mioddio.

Lunedì non avemmo molte occasioni di stare assieme perché avevamo entrambi verifiche e interrogazioni, ma nella pausa dopo pranzo riuscimmo a stare un po' in compagnia l'uno dell'altra. Di sabato non disse niente, anzi non sembrava arrabbiato. Mi tenne per mano dolcemente come faceva sempre, mi diede qualche bacio quando gli altri non guardavano e io stetti al suo fianco in silenzio, godendomi quei momenti. Volevo comunque parlare con lui di sabato sera, capire se era tutto a posto o cosa, ma non con gli altri lì.

Quella sera sapevo che lui andava ad allenarsi in palestra, così pensai di fargli una sorpresa ed andare a trovarlo. Ma quando arrivai lì non trovai ciò che mi aspettavo.

Era nella stanza dove faceva l'allenamento di muay thai, ormai era tardi e lui era l'ultimo lì. C'era una grande vetrata che permetteva di vedere all'interno della stanza. E un sacco di ragazze erano lì con gli occhi incollati al vetro a fissare Warren. Rimasi indietro per non farmi vedere da lui, che comunque stava tirando pugni a un sacco da boxe tutto concentrato e non prestava minimamente attenzione a tutte quelle ragazze, probabilmente il vetro era anche a specchio dall'interno, ma non mi faceva comunque piacere. Vederlo così, alla mercé di tutte come se fosse un'attrazione pubblica, disponibile per chiunque. «Quanto è figo» «Cazzo se gli salterei addosso» «Certo che ispira sesso, ma sesso forte» dicevano quelle ragazze, senza mezzi termini, ammirandolo mentre i suoi muscoli si contraevano mostrando tutta la sua forza mentre tirava pugni, mentre sudava. Capivo benissimo cosa pensassero quelle ragazze, condividevo appieno, ma soprattutto capivo come si era sentito Warren a vedermi ballare in discoteca. Gelosia, forse era questa la parola giusta. E io non mi ero mai sentita così tanto a disagio in vita mia. Me ne andai in silenzio, prima che lui si accorgesse di me, come se non fossi mai stata lì.

 

Da quella sera, in me iniziarono ad emergere insicurezze che non sapevo nemmeno di avere. Warren avrebbe potuto prendersi chiunque di quelle ragazze, perché stava con me? Non ero molto diversa da loro.

I giorni seguenti furono uno peggio dell'altro. Ero nervosa, tutto era cominciato dall'episodio della palestra anche se ero l'unica a saperlo (Warren non mi aveva vista e non avevo detto a nessuno di essere stata lì) e in più c'era quella maledetta interrogazione di Storia incombente che era la causa maggiore dei miei affanni. Storia era una delle materie che temevo di più, perché avevo la memoria di una ricotta e non riuscivo a visualizzare consecutivamente i vari eventi. Per me era solo un grande ammasso di date e nomi messi a caso.

Sarei stata interrogata venerdì, quindi avevo ancora qualche giorno per prepararmi, ma volevo riuscire a prendere almeno la sufficienza altrimenti non sarei più riuscita a rialzarmi dalla voragine di un cinque o peggio.

Come se non bastasse, ritrovare il mio block notes con i miei scritti e i miei schizzi fu causa di altre ansie. Da quanto tempo non scrivevo? Da un mese? Forse anche di più. Avevo un rapporto strano con la scrittura: ero sempre inspiegabilmente restia a mettermi al computer per scrivere, perdevo sempre un sacco di tempo a fare altro prima di decidermi ad aprire il documento di OpenOffice, ma quando finalmente iniziavo a digitare non mi fermava più nessuno e non erano rare le volte in cui all'una di notte ero ancora lì a riempire la pagina di parole. E il disegno? Avevo ancora da cominciare una commissione per mio zio, quello che aveva il negozio di vestiti a cui io consegnavo i miei disegni da stampare su maglie e accessori, e la scadenza era fra pochi giorni.

Morale della storia? Ero passata dal trascurare le mie passioni al trascurare i miei amici.

La sequenza dei fatti era semplice: mi ero rimboccata le maniche e sfruttavo tutti i momenti in cui non stavo studiando e li dedicavo al disegno e alla scrittura. Mi stavano venendo anche buone idee, per quanto non avessi la mente per niente libera. Anche a scuola, sfruttavo tutte le pause; trovavo che andare in giro in ricreazione a non fare un cazzo di niente fosse un'enorme perdita di tempo, perciò me ne stavo in classe a fare le mie cose. Quando lo dissi a Scarlett ed Ashley, si arrabbiarono un sacco, comprensibilmente, e non mi rivolsero la parola per tutto il resto della giornata. E avevo ragione. Stavo anche diventando cattiva, da quanto nervosa ero. Mi stavo scavando la fossa da sola.

E Warren? Poveretto. Lui lo stavo trascurando più di tutti. Se mi chiedeva di venire a casa mia declinavo senza tanti preamboli perché avevo un sacco di cose da fare, e se mi invitava lui a casa sua facevo lo stesso. A vedere la sua faccia la seconda volta che rifiutai, però, mi impietosii e mi dissi che ero una stronza, quindi misi da parte i miei impegni e le ricreazioni seguenti stetti sempre assieme a lui, noi due da soli, per sfruttare al massimo il poco tempo che avevamo.

Ma a lui, giustamente, questo non bastava. Non eravamo comunque soli, eravamo a scuola con gli occhi di tutti addosso, e lui voleva della privacy. Ma io non potevo concedergliela. E si stava stufando anche lui. E io ero sempre più acida.

Sia Scarlett che Ashley che Joe si erano lamentati che si sentivano trascurati. Giovedì sera dopo l'allenamento di Hip Hop mi avevano invitata ad uscire con loro per vedere un film al cinema e io avevo rifiutato perché dovevo a tutti i costi finire un lavoro per il negozio.

Così venerdì appena arrivata a scuola Scarlett mi prese in disparte e mi disse: «Rosalie, ti devo parlare».

«Ti ascolto» risposi, già nervosa. Dal suo sguardo capii che non era per niente contenta.

«Spiegami che cazzo stai facendo. Non so se l'hai notato, ma ti stai allontanando da tutti. Ad esempio con Gwen, Penny, Lash e Speed: dimmi, a parte ad Halloween, quante altre volte sei stata con loro? Non dimenticarti dei tuoi vecchi amici. Perché cavolo ti comporti così? E tutti i tuoi momenti liberi li dedichi a Warren, a lui soltanto.» Fece una pausa. «...Quindi sono queste le tue priorità». Dopo aver letto il mio pensiero, incrociò le braccia.

Allora io mi arrabbiai. Già ero super tesa perché quello era il fatidico giorno dell'interrogazione, ma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. «Eh certo! Ti sembra una cosa così aliena? Ti credo, per te è facile! Tu sei sempre con Joe anche quando sei con me, perché lui è il mio migliore amico! Beh, sappi che Warren si sta lamentando che invece non sto abbastanza tempo con lui, quindi dimmi tu cosa dovrei fare perché io proprio non lo so». Senza attendere la sua risposta, mi girai e camminai via. Non avevo nessuna voglia di una ramanzina di prima mattina.

Forse era la giornata, o una qualche non ben definita congiunzione astrale a mio sfavore, ma in mensa litigai anche con Warren. Bene, che giornata meravigliosa. Non bastava che la mia interrogazione fosse andata uno schifo, no, ci voleva anche lui adesso.

Mi stava dicendo: «Sono abbastanza stufo di questa situazione, Rosalie. Da te vorrei qualcosa di più. Ultimamente mi tratti come se fossi un tuo amico anziché il tuo ragazzo! Ma vuoi stare con me sì o no?!»

Io ero sull'orlo dell'isteria. «Ma tu sei scemo! Io non lo so cosa avete tutti oggi. Prendetevi una camomilla, santoddio!!». In realtà quella che aveva bisogno di calmarsi ero io, ma non volevo ammettere che stavo sclerando. «Ti va bene come sono io? No? Beh, allora cercati qualcun'altra perché io proprio più di così non ce la faccio! Se sto con te non va bene ai miei amici perché li trascuro, se sto con i miei amici non va bene perché trascuro te... ma va', va'». Lo mandai a quel paese senza tanti complimenti e mi sedetti al tavolo di Chris, insieme alla sua crew di fricchettoni surfisti, snowboardisti e skater vari. Joe non era con loro perché stava al tavolo con Ska. Gwen e Penny poi, erano sedute con le pantegane e con Stronghold, quindi MANCO MORTA.

«Allora Chris! Pare che tu sia l'unico intelligente su questa terra! Cosa mi racconti?»

Chris mi guardò strano, poi però alzò le spalle. Stava per parlare ma il suo vicino fu più veloce di lui. «Ehi, Frozehart! Come sta Alex? Spero che torni presto, mi deve ancora una sfida sullo skateboard!»

Risi, iniziando una chiacchierata piacevole con quella gentaglia. Sì, i tipi così mi piacevano un botto. Anche Warren stava spesso con loro, dato che anche lui faceva snowboard e a volte frequentava lo skate park, però in quel momento proprio non lo volevo fra i piedi. Voleva fare il single? Che facesse pure, avrebbe sicuramente trovato subito qualcuna meglio di me e che l'avrebbe soddisfatto di più.

Lo vidi seduto da solo a un tavolo più in là, che mi fissava seguendo ogni mio movimento. Non riuscii a decifrare il suo sguardo, forse era di odio, o di fastidio, boh. Distolsi lo sguardo prima di ripensarci e andare da lui a chiedergli scusa in ginocchio, poi tornai a seguire la conversazione di Chris.

 

_____________________________________________________________________________________

*Warren's POV*

 

Ero abbastanza arrabbiato con Rosalie. Non ci stavo capendo più niente di quella situazione né di perché si stava comportando in quel modo. A giudicare dai fatti, nemmeno i suoi amici ne erano contenti. O forse ormai dovevo dire i nostri amici; ebbene sì, avevo stretto amicizia anche con Scarlett ed Ashley. E dopotutto non mi dispiaceva, mi stavano simpatiche entrambe.

Almeno era venerdì, e quella sera avevo il turno di lavoro al Sakura, il ristorante giapponese dove facevo il cameriere, così avrei potuto distrarre un po' la mia mente dai problemi.

Mi sbagliavo. Non mi tranquillizzai per niente. La serata era stata agitatissima, la sala era sempre stata piena fin dall'orario di apertura e non avevo avuto un singolo momento di pausa. Non c'era neanche Hinata quella sera, il figlio dei proprietari e mio grande amico d'infanzia, che lavorava lì come itamae (ovvero uno sushi chef) e all'occorrenza cameriere. Quindi avevamo dovuto arrangiarci io e la padrona col servizio ai tavoli. E proprio stasera sembrava che tutta Brooklyn avesse deciso di venire a cenare al nostro ristorante.

Per fortuna era tardi ormai, fra poco il mio turno finiva e il ristorante chiudeva. Notai però che c'era ancora un cliente a un tavolo, e la padrona mi chiese se potevo andare a parlargli. Mi diressi lì e dissi: «Mi scusi se la disturbo, ma noi dovremmo chiudere». Alzai lo sguardo sul cliente e notai che seduta al tavolo c'era una ragazzina con i capelli rossi. Aveva una faccia vagamente familiare. Dove l'avevo già vista?

«Ciao» mi salutò sorpresa.

«Ciao...» ricambiai.

Capì che non sapevo chi fosse e mi disse: «Siamo alla stessa scuola...?»

Allora mi venne in mente. «Tu sei l'amica di Stronghold».

Mi spiegò che doveva vedersi lì con Will ma lui non era ancora arrivato. E grazie al cazzo, pensai, sta già con la Grayson.

Rosalie mi aveva raccontato che Will aveva invitato Gwen Grayson al ballo. La hippie però, che avevo capito chiamarsi Layla, era innamorata di lui e la cosa era palese. Iniziò a raccontarmi un sacco di cavoli suoi che io non stetti neanche ad ascoltare perché di problemi ne avevo già abbastanza, finché tutta contenta mi chiese se volevo sedermi. Oh bella questa. Stufissimo, mi venne da pensare: Certo, come no. Guarda ci manca solo questa. Ho avuto una giornata di merda, ho litigato con la mia ragazza, ho sonno e non posso andare a dormire, tu sei qua come una sfigata che non mi lasci andare a casa e io dovrei sedermi qui con te?!

Avrei potuto sbraitare liberamente da quanto nervoso ero, ma non volevo rovinarmi la buona reputazione che dopo tanti anni ero riuscito a conquistare. La guardai meglio, era lì da sola ed evidentemente triste che il suo innamorato non fosse lì con lei. Mi impietosii, quindi mi stravaccai dall'altra parte tavolo sul divanetto, dopo essermi accertato che i padroni del ristorante non mi stessero vedendo.

Layla mi raccontò che lei e Will erano miglior amici fin dall'asilo, ma io la smontai dicendole che era evidente che era innamorata di lui.

Sospirò. «Volevo invitarlo al ballo della scuola ma ci sono due problemi: a lui piace un'altra e lei è perfetta».

«Mh.» Annuii, distratto. Avevo cose più importanti a cui pensare. Cercai comunque di darle un qualche consiglio per tirarla almeno un po' su di morale, non volevo sembrare troppo cattivo e menefreghista. «Sai cosa penso? Che, se ci credi davvero, non devi mollare. Ora scusa, ma devo proprio andare». Infatti la padrona mi richiamò (in giapponese) e io le risposi che stavo andando. «Ci si vede hippie» dissi alla ragazzina, poi andai a sbrigare le ultime faccende, mi tolsi il grembiule e me ne tornai a casa.

Mi sentivo un po' uno scemo, ma quella sera avevo proprio voglia di una camomilla calda. Così prima di coricarmi me la bevvi. Almeno dormivo tranquillo e il giorno dopo a scuola non avrei ammazzato nessuno.

 

Il giorno dopo a scuola VOLEVO ammazzare qualcuno.

Insomma: ecco come stava la situazione.

Rosalie mi aveva snobbato per tutta la mattinata, quasi mi sbatteva la porta dell'aula di chimica in faccia mentre entravo, e sedendomi al tavolo con lei come sempre fui io ad erigere una barriera fra di noi impilando tutti i libri che avevo dentro in cartella. Dovetti toglierla quando Medulla mi richiamò dicendo che "quelle erano cose da bambini dell'asilo".

Così in mensa ero seduto al mio tavolo, tutto tranquillo a leggermi il giornale di moto che avevo comprato ieri pomeriggio prima del turno di lavoro, quando qualcuno arrivò lì e si sedette davanti a me. Alzai lo sguardo. Era la ragazzina rossa di ieri sera.

«Ciao Warren!» disse la hippie tutta contenta. Era lì col vassoio del pranzo.

La guardai stranito e infastidito. «Ieri ho detto qualcosa che ti fa pensare di poterti sedere qui?»

Ridacchiò. «Ahah, divertente, ma tu non sai che è successo! Ero sul punto di invitare Will al ballo quando... pensa un po'? Gli ho detto che ci sarei andata con te!»

La guardai di sottecchi. «Non mi sembra che questo fosse il piano».

Poi arrivò anche la sua amica che si credeva punk. «Fatto i compiti di storia?» le chiese.

Ma cosa cavoli...

«Che stai facendo??»

Mi guardò. «Si chiama sedersi».

Replicai. «Questo tavolo è riservato!»

Mi ignorarono.

Cercai di mantenere a bada il mio carattere mentre loro chiacchieravano sui compiti. Poi qualcun altro si sedette di fianco a me.

Le salutò, era il nerd loro amico, quello che sapeva sciogliersi. «Ciao! Ma ora mangiamo al tavolo di Warren?? Ooh, mi sento molto pericoloso!»

«Woha, woha» lo frenai, minaccioso. Ma cosa volevano tutti da me???

Come se non bastasse, alla mia sinistra arrivò il biondino e si accomodò. Parlò alla punk, indicandomi. «Ti dà fastidio, Magenta?»

«O magari è il contrario» soffiai fra i denti. Poi chiesi, sarcastico: «Qualcun altro cerca compagnia per il ballo?»

Il nerd alzò la mano.

Il quel momento Layla partì a ridere isterica ed esclamò: «Ahahah Warren tu sei pazzo!!!»

La fissai malissimo.

Abbassò gli occhi, capendo di aver esagerato. «Ti prego, ti prometto che sarà il più indolore possibile!» sussurrò.

Guardai dietro di lei e vidi Stronghold che era appena passato, assieme a Gwen, e guardava confuso i suoi amici seduti con me.

«Quindi» dissi alla hippie «non lo stai facendo perché ti piaccio, ma per far ingelosire Stronghold».

Lei annuì, cauta. «Sì...»

Ah, MENO MALE!, pensai sollevato. Un problema in meno. Sfoderai il mio sorriso migliore. «Allora accetto». Mi guardò sbalordita, poi ritornai serio. «Ma non noleggio lo smoking».

Detto questo, mi alzai, presi le mie cose e me ne andai da lì. Sentii Ethan, il nerd, che chiedeva: «Senza Warren è comunque il tavolo dei duri?»

Mi venne da sorridere.

Sapevo di aver combinato un casino, ma almeno così Rosalie era contenta. Era stata lei a dirmi di cercarmi qualcun'altra. Ora era stata accontentata. Bene, doppio risultato: Layla faceva ingelosire il suo caro Will, io facevo ingelosire Rosalie. Però in fondo mi dispiaceva, e a dirla tutta mi sentivo anche un bambino capriccioso. Ora come ora, non sapevo proprio come sistemare la situazione. L'unica cosa da fare era vedere come procedevano i fatti, sperando solo che non si trasformasse tutto in un casino irrisolvibile. Staremo a vedere.

 

________________________________________________________________________________

*Rosalie's POV*

 

Sabato non ce la feci più. L'interrogazione di storia del giorno prima era andata un vero e proprio schifo, probabilmente avevo preso quattro o forse anche meno, i miei amici mi odiavano e il mio ragazzo mi aveva abbandonata.

Alla fine, cercando di organizzare meticolosamente i miei impegni e cercando di concentrarmi solo sui miei doveri, non avevo fatto altro che peggiorare le cose e il risultato era stato un grande, grosso, schifosissimo casino.

E scoppiai.

Non ce la facevo più, non sopportavo più quella situazione disastrosa.

Mi ero messa nei casini più enormi con le mie stesse mani e ora non avevo la più pallida idea di come fare per uscirne.

Nemmeno quel giorno mi ero seduta al tavolo con Warren. Che facesse quel cavolo che gli pareva. Anzi, l'avevo visto disperato mentre tutti gli sfigati amici di Stronghold si sedevano al suo tavolo, e poi lui se n'era andato. Su questo niente da ridire, aveva fatto più che bene. Chissà cosa volevano da lui.

Dopo il pranzo ero seduta sul prato insieme a Scarlett e Joe, miracolo dei miracoli. Ashley era lì poco distante con Chris: si stavano accordando sull'organizzazione della band per il ballo imminente.

Anche se Scarlett era ancora arrabbiata con me e non lasciava a Joe di parlarmi finché non mi sarei scusata per il mio comportamento, mi aveva concesso di sedermi lì con loro. Ero troppo nervosa e agitata per ammettere i miei errori in quel momento, così sorvolai sull'argomento e ne approfittai per prendermi avanti con lo studio e ripassare Filosofia.

Dopo un po' però, inspiegabilmente, arrivarono lì Amber, Audrey e Alison. Perché non ne bastava una, no, dovevamo avere l'offerta tre-per-uno. Che bellezza.

Con il loro solito fare di credersi chissà chi, annunciarono in coro: «Sono venute a farvi visita le Triple A!»

Io sottovoce, girandomi per non farmi sentire, le corressi a denti stetti: «Triple Baka...»

Amber chiese: «Come, scusa?»

La guardai innocente. «Eh? Io non ho detto niente. Faresti bene a visitare l'ottorino, qualche volta».

Scarlett e Joe sghignazzarono. Ebbi la soddisfazione di vedere Amber indignarsi. Tuttavia, si riprese in fretta e mi disse: «Sai Rosalie, volevo solo informarti che il tuo ragazzo ti ha fatto le corna, non so se mi spiego. Ho saputo che va al ballo con un'altra, e sono venuta ad avvisarti in caso non lo sapessi. Ci vediamo». E con una sventolata ai suoi capelli girò i tacchi e se ne andò, ma non prima che Alison mi avesse detto con ribrezzo «E mi hai copiato le scarpe». Poi sia lei che Audrey imitarono Amber (sventolandosi i capelli e andandosene).

Io avevo il fumo che mi usciva dal naso. «Basta! Non la sopporto proprio più, quella brutta vacca troia figlia di...»

Joe esclamò: «Rose, calmati!». Non mi aveva mai vista così cattiva.

Cercò di usare i suoi poteri per tranquillizzarmi ma io gli pestai un piede, quindi lasciò perdere.

Non ci credevo a quello che mi aveva detto la pantegana. Non volevo crederci, non aveva nessun senso. Non poteva essere vero. Poi però vidi il trio passare vicino a Warren, che stava scendendo le scale per arrivare in giardino, e fargli: «Ciao Warren!» all'unisono come facevano sempre loro e poi passare oltre, tipo scenetta di uno di quei stupidi filmetti adolescenziali. Ma quelle lì avevano seri problemi, eh.

Amber stava salendo le scale tutta ridacchiante a altezzosa, e io a quel punto mi incazzai sul serio. Come si permetteva. Non gliel'avrei fatta passare liscia un'altra volta. Non più.

«Ok adesso ha davvero sorpassato il limite!!!» sbraitai, su tutte le furie. Feci per andare verso il trio ma Joe e Scarlett mi trattennero, mentre ringhiavo: «Io quella lì la trasformo in un Polaretto seduta stante!! Non resisterà un minuto di più su questo pianeta!!!».

Amber si girò verso di me e anche se era distante intuii che mi stava dicendo: «Ciao ciao!» sventolando la mano col suo modo di fare frivolo e altezzoso, e io come risposta le feci il celeberrimo segno del dito.

Ska mi prese la mano e se la nascose sotto il braccio. «Rose, non darle soddisfazione! Sai che è questo che vuole!»

Ringhiai.

Anche se io e Scarlett non avevamo fatto ancora pace, non voleva abbandonarmi nella questione di Amber. Non la sopportava nemmeno lei quindi in questo mi dava e mi avrebbe sempre dato man forte. E Joe uguale, dopo come era stato trattato da Amber al suo compleanno.

Mi girai verso Scarlett per dirle di lasciarmi andare, quando la vidi fare una smorfia sofferente e mi lasciò la mano.

«Cosa c'è?» le chiesi cauta. Quando faceva così non c'era da aspettarsi nulla di buono.

La mia migliore amica mi fissò per un minuto, come se mi stesse studiando, poi prese fiato. «Amber non ha mentito. Warren va davvero al ballo con un'altra».

Rimasi di sasso. Non ci potevo credere. Ma, se lo diceva Scarlett, era per forza la verità. «COSA?!»

Annuì, seria. «Sì. Ha preso le tue parole alla lettera. Gli hai detto di cercarsi un'altra e lui l'ha fatto». Anche lei era molto sorpresa, perfino addolorata.

A me invece si erano frantumate tutte le mie certezze e speranze in quell'esatto momento. In fin dei conti, dopotutto ero ancora abbastanza ottimista che le cose fra noi si risolvessero presto. Cosa dovevo fare ora?

Non ragionai. Corsi da Warren, che era sul marciapiede ai piedi delle scale, e gli urlai contro, incazzata ma dentro di me disperata. Il mio cuore era a pezzi e quella era stata la crepa decisiva che l'aveva distrutto. Prima i miei amici, adesso anche lui. «STRONZO! Come hai potuto?? Senza neanche dirmi niente! Dovevi venire al ballo con me! Stronzo, stronzo, ti odio!!». Gli sbattei i pugni sul petto, ma lui rimase impassibile. A parte che non avrei mai potuto fargli niente, dato che era mille volte più forte di me, inoltre in quel momento mi mancavano tutte le forze. Mi afferrò i polsi, come per cercare di calmarmi, e io mi divincolai dalla sua presa. Non volevo avere niente a che fare con lui. Non gli importava più di nulla di me, no?

Lui mantenne il sangue freddo e mi afferrò con più decisione, non lasciandomi possibilità di liberarmi dalla stretta stavolta. Ci provai lo stesso, con poca convinzione, ma ero troppo debole, ed ero disperata, e le mie emozioni ormai erano così confuse che non ci stavo capendo più nulla. Lo odiavo ma volevo che lui continuasse a tenermi, a sentire che in fondo ci teneva, che malgrado tutto lui era lì con me... Venni sopraffatta dai miei sentimenti e dopo un po' non ce la feci più. Iniziai a piangere, lasciando cadere tutte le mie difese appoggiando la mia fronte sul suo petto, inerme, indifesa. Se fino a qualche momento prima avevo rivelato il mio lato più cattivo ed egoista, ora venne fuori il lato più debole di me, quello che nessuno aveva mai visto prima. Quello in cui racchiudevo tutte le mie incertezze e paure.

Cercai di dirgli, con voce rotta: «Io... credevo che... dopotutto, alla fine... A TE IMPORTASSE COMUNQUE QUALCOSA DI ME!». Scoppiai in lacrime, disperata.

Warren forse aveva capito che ero a pezzi, perché cercò di consolarmi. Mi strinse forte a sé, mi accarezzò la testa molto dolcemente. «Sssh Rose, amore, adesso calmati. Ma certo che ti amo, se è questo che ti preoccupa. C'è solo stata una grossa incomprensione. Tutto si risolverà, però adesso è meglio se ti accompagno in bagno a rinfrescarti il viso».

Non dissi niente, ero troppo stanca. Di quella situazione, di Amber, di me stessa. Le sue braccia attorno a me però mi rassicurarono molto. Era così bello sentirlo di nuovo vicino a me...

Warren mi portò nei bagni stringendomi a sé, mentre io tremavo ancora per i singulti.

Stava per varcare la soglia quando la preside ci vide. «Mi dispiace, signor Peace, ma questo è il bagno delle ragazze. Temo che lei non potrà entrare».

Warren la supplicò. «Per favore signora preside, questo è un caso particolare. Per favore, mi lasci starle accanto». Mi guardò, che ancora tremavo e avevo tutti gli occhi arrossati. Anche la preside mi osservò, quindi sospirò. «E va bene, ma solo per questa volta! Questo è un caso eccezionale, la prossima volta non chiuderò un occhio» e camminò via.

Warren mi accompagnò dentro, con tutti in corridoio che ci guardavano. Chiuse la porta.

Lui aprì il rubinetto e mi passò un po' d'acqua sulle guance.

Tentai di giustificarmi. «S-scusa, è tutta colpa mia... non ce la faccio più! Ho fatto u-un casino e non so più c-come uscirne... S-ska non mi vuole - più parlare... Joe sembra fare lo stesso... perfino Ashley ce l'ha con me! P-pensavo che a-almeno tu m-mi rimanessi accanto, m-ma a quanto pare n-non è così!» e scoppiai di nuovo a piangere, coprendomi il viso con le mani. Non volevo che lui mi vedesse in quello stato.

Lui mi avvicinò a se, stringendomi fra le sue braccia, facendomi capire che invece era realmente al mio fianco in quel momento così difficile. Mi asciugò le lacrime baciandomi le guance.

«Piccola, non devi preoccuparti... Hai sbagliato e questo può capitare a tutti. Ho appena fatto un errore anch'io, accettando l'invito di un'altra al ballo solo perché ero arrabbiato, facendomi sopraffare dall'orgoglio. È stata una brutta settimana ma ora è passato tutto. Spiega agli altri cos'è successo, sono sicuro che ti perdoneranno. Ti voglio bene, non ti hanno abbandonata. E io per te ci sarò sempre, Rosalie, perché io ti amo. E non lo dico tanto per dire. Ti amo più di quanto abbia mai amato me stesso. Quando ho capito che tu provavi gli stessi sentimenti per me ero la persona più felice dell'universo. Devi credermi». Mi sorrise sincero. Quelle parole venivano dritte dal suo cuore.

Ne fui folgorata. Mi tolsi le mani dal viso e lo guardai negli occhi, come a cercare conferma. «D-davvero?»

Sorrise di nuovo, ora più sollevato. «Ma certo! Su ora basta piangere. Sei bellissima anche quando piangi, ma perché rovinare tanta bellezza con le lacrime?»

Risi un po', asciugandomi il viso con la mano. «Scommetto che ho tutte le righe nere del trucco giù per le guance».

«Sì, sembri uno dei Kiss».

«Fantastico» dissi io, sarcastica.

Poi io e Warren ci guardammo e scoppiammo entrambi a ridere.

Sospirai felice e lo abbracciai fortissimo, come non facevo da troppi giorni. Mi era mancato un sacco sentirlo così vicino a me. «Grazie... Grazie amore mio, che mi sopporti, che ogni volta che ho qualcosa tu sei lì ad ascoltarmi. Non ti ringrazierò mai abbastanza.»

Mi sollevò il mento con una mano, guardandomi negli occhi. «Un bacio basta e avanza».

Gli circondai il collo con le mie braccia e posai le mie labbra sulle sue. In quel momento la loro morbidezza e dolcezza erano proprio quello che ci voleva. Erano come un tranquillante per me.

Mi spinse contro il lavandino e mi alzò per farmi sedere sul bordo. Gli incrociai le gambe alla vita e gli infilai le dita fra i capelli, mentre le nostre lingue giocavano fra di loro. Ora sì che ci capivamo di nuovo. Avevo ritrovato me stessa in quella situazione così disastrata.

Quando ci staccammo mi abbracciò e mi fece scendere dal lavandino. «Ti amo» mi sussurrò in un orecchio, ancora ansimante.

«Ti amo anch'io» risposi, sorridendo sincera ora che mi ero calmata ed ero ritornata in me.

Prima di tornare dagli altri, mi diressi allo specchio e cercai di levarmi il trucco colato con un po' di carta igienica bagnata. Il risultato non fu dei migliori, ma non avendo la mia trousse a portata di mano era l'unico in cui potevo sperare.

Uscimmo dal bagno tenendoci per mano, e trovammo Ska, Joe e Ashley in mezzo al corridoio che ci aspettavano.

Ska sorrise, leggendo i miei pensieri. Io arrossii e lei rise. «Non si fanno queste cose, Rosalie».

Anch'io risi e puntai un dito contro Warren, accusandolo. «Eh, porcello». Tutti risero.

Feci un sospiro di sollievo: finalmente avevo ritrovato quella tranquillità e stabilità che in quei giorni mi era tanto mancata. Ed era il momento di risolvere tutto. «Ragazzi, vi devo delle scuse. Mi dispiace un sacco per come vi ho trattati in questi giorni, non ve lo meritate, non era mia intenzione. Ho creato un susseguirsi di eventi disastrosi generati dalla buona intenzione di studiare in anticipo! Cioè ma ditemi voi: per una volta che cerco di organizzarmi con tutte le mie robe, scateno l'Apocalisse!»

Scoppiammo tutti a ridere. Joe disse: «Rosalie, non organizzarti mai più! Fai le cose a caso come hai sempre fatto che va bene!»

«Sì ma infatti!» risposi. «Mai più buoni propositi, abbiamo visto che non funziona!»

Ci furono altre risate.

Era proprio bello ritrovare quella complicità perduta, tutto era tornato come prima. Anzi, a dirla tutta forse i rapporti fra me e Warren erano addirittura migliorati.

Tornando in giardino, lui mi spiegò cos'era successo con l'invito al ballo indesiderato e che lui praticamente era stato incastrato. Fui enormemente sollevata a sapere che invitare un'altra non gli fosse mai passato per la mente, e soprattutto che l'idea non fosse stata sua. Per l'invito in sé, non sarebbe stato un problema, avremmo risolto in qualche modo.

C'era ancora una questione spinosa da chiarire: quella della discoteca. Gli dissi che mi ero resa conto di come avevo potuto apparigli in quel momento, e lui annuì confermando in miei sospetti. «Non mi piaceva che ti mettessi in mostra così.»

Appunto. «Io non ballo per nessuno. Io ballo solo per me stessa» gli spiegai.

«Beh, l'impressione che davi era leggermente diversa...». Mi diede un'occhiata velata di rimprovero, ma che lasciava intendere che mi aveva perdonata.

Abbassai lo sguardo. «Lo so. E di questo ti chiedo scusa, davvero. Finora non ci ho mai pensato perché andavo a ballare da, ehm, da single, ma ora che vieni con me devo rendermi conto che non posso fare più come prima. Ma non fraintendermi, non è che mi dispiaccia. Solo, anziché sopra il cubo, ballerò in quel modo addosso a te.» Gli feci l'occhiolino. Però sentivo che mancava un pezzo al mio discorso, così andai a sentimento e aggiunsi senza pensare: «Mi sono resa conto come ti sei sentito tu da quando ti ho visto in palestra con quelle ragazze che ti guardavano, e-»

«Ragazze?» mi interruppe, confuso.

Ops. Lesta mi coprii la bocca con le mani. La mia presenza lì doveva rimanere un segreto, e me l'ero lasciata sfuggire.

Allora lui capì. «Oh, ho capito. Ti avevo vista, sai. Lunedì sera.»

«Ah.» No vabbè, questa proprio non me l'aspettavo. Altro che vetro a specchio...

Mi guardò. «È esatto, mi sono proprio sentito così. Hai fatto un'associazione molto azzeccata.» Mi sorrise.

Gli presi la mano. «Allora facciamo un patto: tu ti allenerai distante dal vetro così che quelle ragazze affamate non possano sbavarti dietro, e io in cambio prometto di ballarti sempre addosso appiccicata come una ventosa, ok?» Gli feci un sorriso da Stregatto e ridemmo entrambi.

«Accordo fatto» rispose, stringendomi la mano.

Lo baciai, sentendomi finalmente serena e con la certezza che ogni problema che sarebbe sorto in futuro l'avremmo risolto assieme, perché lui sarebbe sempre rimasto accanto a me.

Lo amavo davvero tanto.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Every day and every night ***


29. Every day and every night

Sapevo come sdebitarmi con loro.

Proprio quella sera facevano un altro evento anni '90 nella stessa discoteca dell'altra volta, e quale migliore occasione di questa per riscattarmi? Avrei potuto rimediare alla disastrosa serata dell'altra volta e farla andare come avrebbe dovuto.

Warren era da me, stava aspettando che finissi di prepararmi per poi andare assieme alla discoteca.

Sebbene avessi terminato sia di vestirmi che di truccarmi, non ero ancora pronta psicologicamente. Non mi sentivo ancora del tutto preparata per affrontare quella prova. Perché sotto sotto avevo ancora paura di ricadere nell'errore dell'altra volta.

Stare lì a fissarmi davanti allo specchio a contemplare la mia esistenza non avrebbe risolto nulla. Uscii in corridoio titubante, con la borsetta fra le mani, cercando di camminare a passo più sicuro che potevo. Ma tra i tacchi alti, Pixel che mi gironzolava attorno e le gambe che mi tremavano, inciampai sull'ultimo gradino che portava dal corridoio al salotto e quasi caddi per terra.

«Ehi» disse Warren, afferrandomi prontamente. Mi obbligò ad alzare lo sguardo. «Che c'è, piccola?»

Scossi la testa, serrando le labbra.

Mi studiò un attimo, poi sorrise lievemente, rassicurandomi. «Non serve essere nervosi.»

Lo guardai negli occhi, cercando di rimanere più calma possibile e di non fargli notare che stavo tremando. «Ho paurissima di fare come l'altra volta. Non voglio. Non so se sia una buona idea andare.»

Lui teneva le mani sulle mie spalle, quindi sicuramente aveva notato i miei lievi tremiti. Mi accarezzò un braccio. «Non succederà. Abbi fiducia in te stessa. Io mi fido di te.»

Abbassai di nuovo lo sguardo. Lui aveva sempre le parole giuste per ogni occasione, ma in quel momento mi era molto difficile applicarle alla realtà. Sapevo come andava a finire con i miei buoni propositi...

Vedendo che non sembravo migliorare e che continuavo a stare a testa bassa, Warren infine sospirò. Ma sembrava un sospiro non che fosse stufo, ma più che altro che significasse "non mi lasci altra scelta". E così cominciò a cantare a bassa voce, molto dolcemente: «I still believe in your eyes. I just don't care what you've done in your life. Baby I'll always be here by your side... There is no choice I belong to your life, and I'll fly with you...»

Lo guardai sbalordita. Non ci potevo credere! Quelle erano le meravigliose parole di L'amour Toujours, e capii subito il perché della sua scelta. Avevano un doppio significato in quel momento: rappresentavano i suoi sentimenti e la sua fiducia nei miei confronti, ed erano l'emblema della musica anni novanta, che aveva rischiato di distruggere il nostro rapporto e che ora invece avrebbe rimesso in sesto. Era un modo per dirmi che mi aveva perdonata, che credeva in me e che non mi avrebbe mai abbandonata qualunque cosa sarebbe successa, usando proprio quella che forse era in assoluto la mia canzone preferita. Che meraviglia.

Mi vennero le lacrime agli occhi, lo guardai senza riuscire a dire una parola, e lo baciai per fargli capire cosa pensavo di quello che aveva appena fatto per me. Grazie alle sue parole avevo riacquistato la fiducia in me stessa, ed ora ero sicura al cento percento di potercela fare. Per noi.

Prima di uscire da casa, Warren mi fermò sulla soglia e mi parlò. «Ah, un'ultima cosa.»

Lo guardai curiosa, stringendo la mia borsetta.

«So che ti preoccupa il fatto di non riuscire a gestire la nostra relazione, le amicizie e i tuoi impegni. E che hai bisogno di stare da sola. Ma, se ti va... possiamo stare da soli insieme.» Mi fece un sorriso così sincero che venne da sorridere anche a me.

Gli chiesi di spiegarsi meglio. «In che senso?»

«Beh...» Afferrò dolcemente la mia mano e la strinse nella sua. «Se hai bisogno di silenzio e calma per scrivere e disegnare, possiamo stare vicini. Senza parlarci. Io faccio le mie cose e tu fai le tue. E intanto ci facciamo compagnia. Non è necessario parlare per stare bene assieme, no?»

Le sue parole mi commossero. Nessuno prima di lui aveva mai capito che io avevo bisogno proprio di questo. Stare da soli insieme... ma certo, così intanto avremmo passato del tempo assieme, sfruttandolo per gestire i nostri impegni. Era l'idea perfetta. E aveva ragione: ci bastava la presenza l'uno dell'altra per essere felici e sentirci bene. Anziché stare da soli isolati dal resto del mondo, saremmo stati isolati con la nostra dolce metà.

«Tu hai capito tutto di me» gli dissi, con un sorriso quasi divertito da quanto ero sorpresa, poi lo baciai di nuovo e ci avviammo per presentarci alla festa.

 

Ero stata fedele a me stessa. Avevo mantenuto le mie promesse e la serata era andata come dovuto. Ed era stata meravigliosa. Ero talmente felice che quasi mi venne l'impulso di invitare Warren a dormire da me quella notte, ma mi trattenni pensando che era meglio di no. Non avevo cattive intenzioni eh, sia ben chiaro (l'importante è essere convinti), ma eravamo così innamorati che non ero sicura che saremmo riusciti a pensare lucidamente... e poi i miei erano a casa, quindi niente da fare in ogni caso. Volevo comunque passare del tempo in sua compagnia, così lo invitai il giorno dopo, domenica, a venire in passeggiata con me al pomeriggio dopo pranzo. I miei erano andati a pranzo con i Bradford, i genitori di Joe, e con i Nightingale, i genitori di Scarlett. Essendo noi tre amici, lo erano diventati anche le nostre famiglie, e non erano rare le volte in cui si trovavano a mangiare assieme e poi per una partita a golf. Così, avendo il pomeriggio libero e voglia di stare all'aria aperta, ne volevo approfittare per portare in passeggiata Black e magari anche schiudere un uovo da dieci chilometri su Pokémon Go... ehehe. (ovviamente era questa la mia intenzione principale, ma shhh che rimanga un segreto fra di noi.)

Warren mi raggiunse verso le due. Era la prima volta che vedeva Black, il quale dopo un'attenta analisi olfattiva, gli saltò addosso e gli fece un sacco di feste.

«Gli piaci» dissi a Warren, ridendo.

Lui grattò la testa al Terranova. «Mi sono fatto un nuovo amico!»

Risistemai la pettorina a Black, afferrai il guinzaglio e ci avviammo tutti e tre per la nostra passeggiata quotidiana.

Durante il tragitto Warren mi raccontò un bel po' di cose su di lui, cose che io ancora non sapevo. Informazioni personali sul suo passato. E su suo padre.

Non so come fossimo arrivati a parlare di questo argomento così delicato, ma sembrava che Warren fosse determinato a parlarmene. Forse pensava che fosse arrivato il momento giusto.

Barron Battle era un famoso scienziato, il migliore alla Bradford Inc., l'azienda dei genitori di Joe. La Porsche e anche la moto, ora passate a Warren, erano entrambi regali ricevuti da loro proprio perché era il loro miglior dipendente, nonché amico di famiglia. Andava tutto bene, finché un giorno lui impazzì per motivi ancora ignoti e iniziò a compiere azioni crudeli, trasformandosi in breve tempo nel più pericoloso supercattivo che minacciava New York. Il resto era storia: sconfitto dal Commander e Jetstream, i genitori di Will Stronghold, e rinchiuso in isolamento all'Arkham Asylum. Warren non lo vedeva da quando aveva sei anni, e non voleva nemmeno sapere nulla di lui. Sua madre, reduce dall'orribile esperienza col marito, aveva iniziato a lavorare come psicologa nelle carceri, con i peggiori cattivi e pazzi in circolazione, con la speranza che almeno loro potessero redimersi, e con gli ex-cattivi che si erano pentiti, aiutandoli a reinserirsi in società. E ancora oggi lei serbava, in fondo al suo cuore, il desiderio di capire cos'avesse scatenato l'improvvisa follia distruttiva del padre di Warren.

Così lei era spesso via da casa per il lavoro, e Warren trascorreva i pomeriggi assieme a dei vecchi amici di sua madre. Dopo la scuola andava da loro e ormai erano diventati come una seconda famiglia per lui. Erano giapponesi, i proprietari del Sakura, ristorante dove Warren lavorava tutt'ora come cameriere qualche sera a settimana. Quando era piccolo, al pomeriggio faceva i compiti assieme a Hinata, il loro figlio, che ormai era come un fratello per Warren. I genitori di Hinata, essendo lui nato e cresciuto negli Stati Uniti, gli facevano lezioni di giapponese, e così l'aveva imparato anche Warren. All'età di dodici anni Warren aveva voluto iniziare a dare una mano col ristorante, e i proprietari lo aiutavano economicamente dandogli un salario. Era poco, ma essendo solo lui e sua madre in famiglia, era meglio di niente. Almeno così Warren poteva provvedere a sé stesso.

Mi commossi a sentirmi raccontare tutte queste cose. Era come se Warren volesse farmi entrare a far parte totalmente della sua vita, voleva farmi sapere tutto su di lui, che lo conoscessi a fondo. Lui era molto misterioso, raccontava poco o niente di sé in giro, quindi queste cose le sapevano sicuramente pochissime persone. Anzi, forse solo Joe. Strinsi di più la mia mano nella sua mentre camminavamo, e mi accoccolai al suo avambraccio.

«Che c'è, amore?» mi chiese, accarezzandomi il dorso della mano col pollice.

«Mi piace tanto che mi racconti queste cose di te. Che mi rendi partecipe, che vuoi che io sappia tutto. Non sai quanto mi faccia piacere». Lo strinsi ancora di più.

Warren si fermò dalla camminata, mi fece girare verso di lui e mi baciò. In un bacio così intenso che barcollai e dovetti reggermi a lui per non cadere.

«Madonna...» commentai quando mi lasciò le labbra, senza fiato. Black alzò il muso verso di me e inclinò la testa, per vedere se era tutto a posto.

Warren mi prese il mento, magnetizzando i suoi occhi con i miei. Che sguardo sexy. «Certo che lo voglio. Niente segreti fra di noi, no?»

«Ti amo» gli dissi, dandogli un altro bacio. Prima di staccarmi, gli morsi il labbro inferiore, poi risi.

Mi girai in avanti per continuare la camminata. Warren mi diede una pacchetta sul culo, rise, poi mi mise un braccio attorno al collo e mi diede un bacio sulla guancia.

Intanto che passeggiavamo, mi tornò in mente che avevo nella borsetta il cellulare in standby. Prima bevvi un sorso d'acqua, poi presi il telefono e riattivai lo schermo, controllando i progressi su Pokémon GO. L'uovo si era quasi schiuso, mancava poco meno di un chilometro.

«Oh, stai giocando?» chiese Warren curioso, sbirciando lo schermo.

«Ne ho approfittato» ridacchiai.

«Cavolo, almeno ci pensavo anch'io! Aspetta che apro la app.»

Rimisi il cellulare in standby nella borsetta, nei dintorni non c'era alcuna creatura interessante. «Se vuoi te lo tengo io in borsa». Lo mise accanto al mio. «Alla fine che squadra hai scelto?»

«Rossa, ovviamente.»

Io ero della squadra blu. E la rivalità fra i blu e i rossi era leggendaria. «Rossooooo...» soffiai minacciosa, guardandolo velenosa e allontanandomi repentinamente da lui. Poi risi. «Però che domanda stupida, era ovvio.»

Infatti, la squadra rossa era rappresentata da Moltres, uccello leggendario di tipo fuoco, mentre la blu da Articuno, di tipo ghiaccio. E rossi e blu erano alleati nella rivalità contro la squadra gialla, rappresentati da Zapdos di tipo elettro.

Arrivati al parco, acchiappammo i nostri cellulari e facemmo a gara per chi riusciva a conquistare per primo la palestra gialla lì presente, ma la competizione era abbastanza ridicola perché nessuno dei due riusciva a batterla e alla fine ci arrendemmo, scoppiando entrambi a ridere.

«Che cavolo però ahahah» rise lui, sedendosi su una panchina dopo che tutti i suoi Pokémon più forti erano andati KO.

«Certo che...» iniziai, sedendomi vicino a lui «un appuntamento così io me lo sognavo da una vita! Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei andata in giro a caccia di Pokémon assieme a Warren Peace?!». Ridemmo di nuovo. Già, era proprio un appuntamento romantico ♥. Non convenzionale, ma romantico.

Ci comprammo un gelato al chiosco del parco (sì, lo so che eravamo a novembre, ma noi volevamo un gelato, ok?) poi tornammo a sederci sulla panchina. A Black diedi alcuni snack che mi ero portata dietro apposta per lui. Warren tornò a raccontarmi del suo rapporto con Hinata. Trovavo strano che non mi avesse mai parlato di lui, essendo una persona così importante nella sua vita, ma finora non avevamo mai avuto proprio un momento in cui raccontarci questa cose personali, quindi ero contenta che me ne stesse parlando ora.

Mi disse che lui gli aveva fatto scoprire un sacco di anime e manga, e che spesso guardavano assieme dei film giapponesi particolari. Suicide Club, Audition, Battle Royale. Tutti horror che solo accennandomene la trama mi stavano venendo i brividi. Lui capì che era meglio cambiare argomento, e mi parlò di alcuni film d'animazione. Ovviamente conoscevo già Hayao Miyazaki, che era uno dei miei registi preferiti, anche se a dire il vero molti film dello Studio Ghibli non li avevo ancora visti. Mi parlò anche di Satoshi Kon, altro regista d'animazione, e mi disse che dovevamo assolutamente guardare assieme Paprika – Sognando un Sogno.

Io gli raccontai che assieme a Joe avevo visto un sacco di film di fantascienza. Siccome eravamo entrambi appassionati del genere, gli anni scorsi ci eravamo trovati spesso dei pomeriggi a casa di uno o dell'altra per vedere le pellicole che ci intrigavano di più. Dai classici Matrix, Blade Runner, Tron, ai più moderni Inception, Limitless, Lucy, In Time, Pacific Rim e molti altri. Contro la mia volontà, mi aveva fatto guardare anche Donnie Darko, che mi aveva provocato gli incubi per circa una settimana. Ma di recente, spinta da non so quale istinto suicida, avevo voluto rivederlo, perché l'avevo capito molto poco, e ora era diventato uno dei miei film preferiti. I viaggi nel tempo, i paradossi spazio-temporali, i wormhole... erano cose che mi affascinavano un sacco. Ma la cosa che mi affascinava più di tutte erano proprio i sogni.

«Parlami di Paprika» dissi a Warren. Già il titolo mi ispirava.

«È troppo complicato da raccontare». Rise. «Devi vederlo. Sono sicuro che diventerà uno dei tuoi film preferiti.»

Annuii. Intanto avevamo finito il gelato, così ci alzammo e ci incamminammo per tornare a casa.

«A proposito, sai che molte scene di Inception sono ispirate proprio a Paprika? Come quella in cui la ragazza rompe lo specchio».

Cercai di ricordare la scena, ma proprio non ci riuscii. «Ho visto Inception troppo tempo fa, non mi ricordo quasi niente! Devo rivederlo.»

Warren mi sorrise. «Beh, potremmo guardarlo adesso, no?»

«Ce l'hai?»

«Joe lo ha, no? L'avete guardato assieme. Torniamo da te, intanto. Io vado un attimo da Joe a chiedergli il film, poi ti raggiungo, ok?»

E così facemmo.

Dopo mezz'oretta che ero tornata a casa e che Warren era andato via, suonò il campanello. Andai ad aprire e trovai Warren con un'espressione ben poco contenta in volto.

«Ho portato delle patatine» disse.

In mano aveva due sacchetti di patatine fritte.

«Perché quella faccia?» gli chiesi, confusa.

Lui sospirò, si spostò di lato e dietro di lui spuntò Joe.

«Ehilàààààà!!! Rosalie! Come va la vita??» esultò, come se non mi vedesse da un mese.

Lo ignorai e guardai di nuovo Warren. «E lui cosa ci fa qui?»

Sospirò una seconda volta. «Quando gli ho detto che volevamo guardare Inception, ha voluto a tutti i costi venire a vederlo anche lui. Non sono riuscito a farlo desistere. Sai com'è...»

Sì, avevo capito tutto. Il potere persuasivo di Joe era proprio una rottura di scatole.

E desistetti anch'io. «E vabbè... ormai non c'è modo di farlo tornare indietro, e non posso mica chiuderlo fuori di casa... e poi il film è suo... Dai, entrate». Feci un passo indietro in modo che potessero passare.

Black, che si era accoccolato sul tappeto del salotto, appena vide Joe gli corse incontro per fargli le feste, abbaiandogli felice.

«Ho fatto i popcorn» dissi, portando la terrina sul tavolino davanti al divano.

«È sempre un piacere venire a casa tua, Rose» fece Joe con un sorrisone «hai sempre cose buone da mangiare». Beh, tra questi e le patatine che aveva portato Warren, non potevo dargli torto.

Mi sedetti sul divano. Warren si avvicinò per accomodarsi ma Joe fu più veloce di lui e si sedette in mezzo, fra me e Warren. Si prese la terrina tutto contento.

Alzai gli occhi al cielo e con tutta la calma di cui ero capace dissi: «Joe... Penso che tu percepisca nell'aria l'istinto omicida che mi sta salendo nei tuoi confronti».

Lui con la bocca piena di popcorn fece: «...ah?» Mandò giù il boccone e mi rispose: «Ah no no tranquilla a me non dà fastidio!»

Lo guardai con lo sguardo più assassino di cui ero capace. Warren intanto stava ridendo.

Joe mise un braccio attorno alle mie spalle e l'altro attorno a quelle di Warren. «Che bello passare il tempo con i propri migliori amici!»

Io lo fulminai ma lui continuava a sorridere beato, così alla fine gli saltai addosso e lo picchiai per farlo spostare. Stavamo ridendo a crepapelle.

«Va bene va bene mi arrendo!» disse lui con le lacrime agli occhi a furia di subire il mio solletico. Si spostò e fece sedere Warren in mezzo, così potevo stare vicino a lui. Mettemmo su il film e ce lo guardammo gustando i popcorn e le patatine fritte.

Finita la proiezione, mi assentai per andare in bagno. Quando tornai trovai Joe e Warren impegnati in una discussione molto accesa riguardo al film.

«No cosa anch'io voglio sapere!» Mi affrettai a raggiungerli: mi intrippavano un sacco quel genere di discussioni. «Di cosa state parlando?»

Mi rispose Joe. «Del vero utilizzo dei totem. Secondo me nel film non hanno specificato bene l'utilizzo nei propri sogni... perché lo usano per capire se sei in un sogno o nel mondo reale, ma anche se sei nel sogno tuo o in quello di un altro! Ma allora qual è la differenza?»

Sgranai gli occhi, seduta a gambe incrociate sul mio posto sul divano. «Hai ragione! Non ci avevo mai pensato. Siete già giunti a una conclusione?»

Warren disse: «Secondo me, nel sogno di un'altra persona non funziona, invece nel proprio sogno e nella realtà sì. Quindi nel finale del film il totem funzionerebbe in ogni caso, sia che lui stia sognando oppure no. Quindi c'è un lieve plothole.»

Lo guardai ammirata. «Osservazione interessante. Mi tocca darti ragione.»

«Sì, anch'io» disse Joe «Non trovo altra spiegazione.»

Restituii il dvd a Joe e lui e Warren si diressero alla porta per tornare a casa, dato che Joe era venuto lì assieme a Warren. Sulla soglia, quest'ultimo mi disse: «Ti voglio fare una proposta. Dato che Joe mi ha privato del privilegio di guardare i film di fantascienza con te, ti va di guardare assieme tutti i film dello Studio Ghibli? Anche quelli che hai già visto, ce li rivediamo tutti. Che ne dici?»

Lo guardai con gli occhi a cuore. «Dico che è un'idea stupenda!!! Che bello! Sai che volevo proporti una cosa del genere anch'io?»

Mi baciò in fronte. «Siamo proprio fatti l'uno per l'altra».

«L'hai detto.» Mi alzai sulle punte e lo baciai sulle labbra, assaporando quel breve momento di intimità prima di salutarci.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Nuvole di vapore ***


30. Nuvole di vapore

Lunedì all'ora di Scienza Pazza mi sedetti fra Warren e Scarlett, scelta che si rivelò a breve essere una pessima idea. Tra Ska in preda alla catalessi per tutta l'ora, Warren che creava una scultura futuristica impilando cubi di carta fatti con gli origami e io che, finiti i fogli bianchi, avevo iniziato a disegnare sul mio braccio, nessuno stava prendendo appunti né seguendo la lezione. Mi fece morire dal ridere Scarlett che a un certo punto si risvegliò improvvisamente e alzò la testa dal banco, guardò il suo libro, guardò il mio e ci rimproverò sottovoce: «Potevate dirmelo che avevamo cambiato pagina!». Scrisse un appunto. «Bene, torno alla catalessi», e tornò a fissare il vuoto, reggendosi la testa con la mano.

Io cercai di dirle, divertita: «Guarda che non so nemmeno io di cosa stia parlando!» ma ormai era troppo tardi, era già persa nel vuoto cosmico.

Ritornai a concentrarmi sull'opera d'arte sul mio braccio. Mi rimaneva spazio sulla mano, quindi pensai a cosa potevo fare. Presi il pennarello nero fino dal mio astuccio strapieno di robe che, come diceva Scarlett, «Non serve neanche che gli altri si portino gli astucci perché il tuo basta per tutta la classe!» e iniziai a disegnarmi le ossa sulla mano, così senza motivo.

Ska girò la testa, vide la mia mano e si allontanò inorridita. Era sconvolta. «Ma Rosalie! Ma cosa combini!!»

«Non ti piace?» le chiesi io, già ridendo. «Perché?»

Scarlett aveva la faccia disperata. «Perché non ha senso!!!»

Ahaha. Giusto. Per lei se una cosa non aveva senso non era degna d'attenzione.

Sentimmo il prof che stava parlando di decomposizione.

«La decomposizione» ripeté Ska, indicando la mia mano.

E il prof: «La suddivisione».

Ska rise. «Ti sei suddivisa».

Io mi divertii e continuai a tracciare i segni col pennarello, passando sopra al polso, perché sapevo che Scarlett mi stava osservando. Attendevo la sua reazione, che arrivò ancora prima che finissi la linea.

Infatti fece: «Bbbbhhhh...!» schifatissima. «Che schifo! Mi fa impressione! Sul polso, bleah!»

Io risi. «Oh, scusa se sono un essere umano»

Scarlett allungò il braccio dietro di me e chiamò Warren, afferrandolo per la manica e scuotendolo. «Warreeen!»

«Cosa?!» chiese lui sorpreso. Fino a un secondo fa stava fissando con sguardo assente una fiammella che aveva accesso sul suo dito indice, probabilmente per passare il tempo, dato che a lui piaceva guardare il fuoco. Ora però per la sorpresa abbassò la mano e sbadatamente la poggiò sopra il libro, che prese fuoco.

Lanciai un grido e subito ci misi sopra la mia mano ghiacciata, che spense le fiamme in una nuvola di vapore. Io e Warren ci guardammo increduli, ancora sorpresi. Il suo libro ora era tutto umido.

Il prof però sentì il mio grido e chiese: «Cosa succede là in fondo?»

Tutti e tre rispondemmo all'unisono: «NIENTE!»

Il prof scosse la testa e tornò a scrivere alla lavagna.

Warren sussurrò a Scarlett: «Santoddio cosa c'è? Guarda che casino hai combinato!»

La mia migliore amica rifece la faccia disperata di prima. «Guarda cosa combina Rosalie!!!». Prese il mio braccio e glielo mise sotto gli occhi.

«Scusa sai se ho una mano» le dissi.

«Che schifo hai un polso» disse schifata ma anche divertita, lanciando via il mio braccio «Come ti permetti ad avere un polso. Dovresti vergognarti, vai a nasconderti».

Io mi misi a ridere, soprattutto quando la mia compagna di classe seduta di fronte a noi si girò per chiedermi qualcosa. «Rosalie?»

Stavo ancora ridendo. «Ahahah scusa ma ho un polso». Mi guardò confusa e io risi ancora di più.

Warren si alzò per andare ad appoggiare il suo libro sopra il termosifone, così che si asciugasse. Io e Scarlett stavamo ancora ridacchiando.

Medulla a metà lezione ci diede un compito: costruire una pistola a raggio congelante. Bene, era arrivato il momento di qualcosa di interessante!

Passò tra i banchi a distribuire le schede con le istruzioni. Quando arrivò a noi mi disse: «Signorina Frozehart, lei non avrebbe bisogno di costruirla dato il Potere che possiede, ma un po' di pratica non fa mai male. E poi potrebbe dare una mano alla signorina Nightingale, che sembra proprio averne bisogno».

Ska lo guardò intontita, con gli occhi assonnati, mentre lui se ne andava. Risi.

Solo in quel momento notai Stronghold seduto nel primo banco vicino a Gwen, che era l'assistente personale di Medulla. Mi salì il nervoso. Ma bene, ora gli fanno frequentare anche le lezioni del corso avanzato, naturalmente solo perché si chiama STRONGHOLD. Questa cosa mi indispettì parecchio: a nessun altro era mai stato riservato un privilegio tale, non era giusto che lui lo avesse solo grazie al suo cognome e non per meriti personali, come avrebbe dovuto essere. Mi concentrai sul compito per evitare di innervosirmi ulteriormente.

Ska stava seguendo la costruzione di Warren con attenzione, addirittura tenendo la matita in bocca. Poi però vide che faceva tutto lui quindi lo lasciò fare. Seguì il mio sguardo e vide che stavo osservando Gwen.

Mi disse: «Comunque Rose è vero che ti stai allontanando da loro», indicandola con la matita.

Sospirai. «Dagli anni scorsi sono cambiate tante cose. L'amicizia con Chris, la relazione con Warren, Alex a scuola con noi...» Guardai Ska. «Gli amici cambiano. I fratelli restano». Mi riferivo a lei, a Joe e ad Ashley. Le sorrisi e poi aggiunsi: «In ogni caso, secondo me più che altro sono Gwen e Penny che si stanno allontanando. Unirsi alla cricca di Amber è stata una mossa pessima». Scossi la testa. «E stare con Stronghold, poi! Ancora peggio!»

Ska concordò. «Comunque hai notato che in questi giorni Gwen, Penny, Lash e Speed sono sempre là a confabulare fra loro?»

Mi accorsi che era vero. «Adesso che ci penso hai ragione. Chissà cosa hanno in mente. Tu non lo sai?»

Scosse la testa. «Non sono riuscita a capirlo. Sai, sembra quasi che non me lo vogliano far capire. Mah... sarà Amber che contagia tutti con i suoi influssi malefici».

Risi.

Warren mi punse il fianco sinistro con una matita, per attirare la mia attenzione. Un po' troppo forte però.

«Ahi!» mi lamentai, massaggiandomi. «Non hai modi un po' migliori di richiamarmi?»

Mi ignorò ma vidi che ridacchiava. «Ho finito» ci annunciò, mostrandoci tutto fiero la sua creazione.

«Porca zozza» disse Ska, ammirando la pistola appena costruita. «È perfetta!»

Stavamo già sogghignando pensando che Warren avrebbe potuto costruire anche le nostre, così da risparmiarci la fatica visto che lui era tanto bravo, ma ci bloccammo quando sentimmo Medulla rimproverare un nostro compagno pochi banchi più in là. «Male!» stava dicendo a quel poveretto. «Ha confuso i raggi con i fasci! Due! Meno... Le darei zero, ma poi sarei costretto a vederla anche ai corsi di recupero!»

Oddio. Scarlett ed io ci rivolgemmo uno sguardo d'assenso, preoccupate, pensando che era meglio costruirsela da sole la pistola, prima che Medulla ci desse uno zero in pagella.

Stavamo cominciando ad assemblarla quando il prof arrivò lì da noi. «Come procede qui?»

Io e Ska rispondemmo quasi all'unisono, tutte agitate. «Ehm! Stiamo facendo!» «Warren ci ha insegnato come dobbiamo fare e ora le stiamo costruendo!»

Medulla prese la pistola già finita e la provò, congelando in un baleno il ragazzo di prima. «Magnifico, signor Peace. Davvero magnifico. D'altronde lei in meccanica non ha mai avuto problemi. Dato che la signorina Frozehart lo ha aiutato nella teoria, ora potrebbe ricambiare visto che non sembra cavarsela molto bene». Mi rivolse uno sguardo eloquente e camminò via.

Per fortuna che c'era lì Warren con noi, che almeno ci capiva qualcosa di tutte quelle viti e cavi vari. «Grazie amore» sussurrai a Warren nell'orecchio. Mi circondò la vita col braccio e aiutò me e la mia amica nel compito.

 

Già da quel pomeriggio Layla cominciò a farsi vedere da Will con Warren. Lui mi aveva spiegato di essere stato incastrato dal piano di quella lì, che non era stata una sua idea (ci mancava altro) e che comunque era tutta una messinscena, non sarebbe veramente andato al ballo con lei. Era solo uno stratagemma per far ingelosire Will Stronghold, anche se dubitavo della riuscita del piano, dato che lui sembrava avere occhi solo per Gwen.

La prima volta che Layla andò da Warren mi diede veramente tanto fastidio. Warren era seduto in mensa e lei era di fianco a lui, mentre io ero in fila per il cibo e avevo appena preso il mio vassoio. Guardandola quasi ringhiai. «Spero proprio che quella lì si tenga a distanza di sicurezza, altrimenti domani vengo a scuola con un badile».

Scarlett e Ashley scoppiarono a ridere, poi ci procurammo il pranzo e andammo da Warren. Layla ci vide e se ne andò prima che scatenassi un inferno. Dico io, era evidente che io e Warren stavamo assieme, eravamo la coppia più pettegolata della scuola. Se lei non lo sapeva, era veramente idiota. E lo stesso per Will.

Con il passare della settimana però ci feci più o meno l'abitudine. Era divertente vedere come Layla faceva la finta ragazza di Warren proprio quando arrivava Will, poi quando lui se ne andava arrivavo io e la rossa toglieva le tende. Lo faceva perché Will andava quasi sempre in giro per mano con Gwen. Devo essere sincera? Erano ridicoli. Dico sul serio, non si poteva proprio vedere.

Un episodio particolarmente divertente fu quello di mercoledì, dopo la mensa.

Warren era come sempre seduto sul suo muretto a leggere, da solo perché io stavo ancora in cima alle scale.

Will e Gwen stavano passando poco distante, Layla li vide e subito si fiondò da Warren.

Si sedette di fianco a lui e gli prese una mano, togliendogliela dal libro e chiudendola nelle sue. Vidi lo sguardo sorpreso di Warren. Sembrava pensare: "Ma che strano... questa non è Rosalie, la sua mano è più fredda..."

Guardò Layla, mentre questa blaterava a gran voce, facendosi sentire da Will dietro di loro: «Ciaaaaao tesoro! Stavo proprio pensando a te. Non vedo l'ora di andare al ballo, sono così emozionata! E voglio...-» Si fermò perché Will e Gwen erano ormai distanti, continuando però a osservarli in lontananza. Warren guardava Layla senza dire una parola, ma di sicuro non era contento.

A un certo punto dalle loro mani cominciò a salire del fumo, poi quelle di Layla vennero scottate da una vampata e gemette. «Ahu!!»

Warren indispettito le disse: «Non chiamarmi "tesoro"». Poi prese le sue cose, si alzò e ne andò. Layla tornò a fissare Will, massaggiandosi la mano.

Mi veniva troppo da ridere. Raggiunsi di corsa Warren in fondo alle scale. Lui come mi vide mi prese il braccio e mi trascinò via. «Dai, andiamo, prima che ritorni quella lì e mi si accalappi come ha appena fatto».

Io con un sorrisetto insolente gli chiesi: «Neanche io vuoi che ti chiami tesoro?»

«Solo perché sei tu.»

Alzai le spalle. «Ok, se non vuoi...»

«No, detto da te mi piace.» Mi attirò a sé, prendendomi per la vita, e mi baciò. Sì, anche a me piaceva. Eccome.

 

Riuscii a passare la settimana almeno per metà incolume.

Amber trovava qualsiasi pretesto per venirci a rompere le scatole, ma ogni volta subiva il trattamento extra-lusso chiamato IGNORARE. Avevo altro di più fastidioso di cui occuparmi.

Layla si faceva vedere con Warren ogni singola volta che Stronghold le passava di fianco, per poi perdersi a guardarlo quando questi si allontanava con Gwen.

Warren non ne poteva più del comportamento di Layla. Infatti giovedì, dopo che lei aveva scorto Will e perciò si era presa Warren, lui la strattonò bruscamente appena dopo il passaggio di Will, e se ne andò via irato raggiungendo me e Ska, sedute su una panchina.

Guardai Warren, che stava ancora fissando la rossa in lontananza che si stava appostando dietro un albero per spiare Stronghold, e disse: «Sono stufo marcio di questo teatrino. Vorrei sapere cosa pensa di fare, cosa diavolo le passa per la mente!»

Scarlett scattò sull'attenti. «Edward Cullen al tuo servizio!»

Warren la guardò confuso. «Eh?»

Sospirai, ridacchiando. Scarlett amava farsi paragonare ad Edward Cullen, data l'uguaglianza di poteri della lettura del pensiero. «Lascia perdere. Piuttosto...» Mi avvicinai a lui. «Io credo che lei sia triste. Immagino che fra poco parlerà con Will, o insomma almeno lo spero. Te lo prometto amore, non ci romperà più le scatole, altrimenti provvederò personalmente a risolvere questa situazione». Quindi lo baciai sulla guancia, ignorando i ripetuti colpi di tosse di Ska per farci notare che anche lei era presente, poi ridemmo.

Un episodio che non mi piacque, però, fu quello di venerdì in mensa.

Gwen e Penny erano sedute di nuovo al tavolo con le Tre A-ustralopiteche e Stronghold, proprio di fronte a dove eravamo noi quindi sentivo tutto quello che dicevano. Poco dopo arrivarono lì anche gli amici di lui (Layla, il nerd, il fosforescente e la finta punk) ma Penny fu più svelta e creò immediatamente delle copie di sé stessa, riempendo gli altri sei posti a sedere liberi.

«Mi dispiace, è tutto occupato» disse maliziosa una di queste a Layla.

La rossa rispose, dispiaciuta: «Non importa, prima ho visto un tavolo vuoto lì... andiamo. Ciao Will» e se ne andarono.

Penny spiegò a Will: «Scusa Will, ma noi non frequentiamo un corso di socialità estrema». Le sue copie si misero a ridere e si diedero il cinque.

Ok, qui aveva esagerato. Quel comportamento non lo approvavo nemmeno io. Ma non dissi niente perché tanto non mi interessava.

Quel weekend rimasi a casa con i miei genitori, dato che li vedevo davvero poco, e sabato sera uscii con Warren dopo che finì di lavorare, giusto per stare un po' assieme e bere qualcosa.

La settimana seguente per fortuna era corta, dato che giovedì era festa, ma per me fu estenuante: non riuscivo mai a trovare un momento tranquillo con Warren, c'era sempre la rossa fra i piedi, e non ne potevo davvero più. Fu una fortuna avere verifica di Inglese mercoledì, così passai ogni momento che potevo a studiare e non pensavo al nervoso che mi faceva venire quell'altra. E finalmente quel sabato ci sarebbe stato il ballo, così sarebbe tutto finito.

 

Giovedì 25 Novembre era il Ringraziamento. Non vedevo l’ora che arrivasse questo giorno, ne avevo proprio bisogno, per fare una pausa dal casino di quei giorni e distogliere la mente da quella brutta routine. Lo so che, essendo italiana, la mia famiglia non avrebbe neanche dovuto festeggiare il Ringraziamento, ma vivendo in America da tanti anni era ormai diventata un’usanza ed era un peccato non organizzare qualcosa; era pur sempre un giorno di festa. Quest’anno i suoi di Joe avevano deciso di fare le cose in grande e di invitare le nostre famiglie, dato che i nostri genitori erano diventati tutti amici fra di loro. Ci ritrovammo tutti alla sua villa per l’ora di pranzo. C’eravamo io e i miei, Ska e i suoi, Ashley con suo padre e la compagna di lui (i suoi erano separati). Warren invece era venuto da solo, dato che sua madre era in missione, purtroppo, anche in un giorno di festa come quello. Mi dispiaceva molto per lui, che era dovuto venire lì da solo, ma lui non sembrava farci caso. Era abituato. Probabilmente notò la mia espressione mortificata, perché mi mise un braccio attorno ai fianchi e mi sorrise, per farmi capire che andava tutto bene.

Joe aveva invitato anche Chris, dato che erano molto amici. Anche Chris aveva una situazione familiare difficile, anche se non ne conoscevo i dettagli, ma Joe mi aveva confidato che se non l’avesse invitato lui quel giorno, si sarebbe trovato a casa da solo. Ah, c’era anche la sorella maggiore di Joe, che aveva 24 anni, col suo fidanzato. Ci presentammo tutti, era la prima volta che la vedevo dal vivo, poi ci sedemmo tutti a tavola e iniziammo a banchettare. I miei avevano portato una bottiglia di Prosecco in dono e la stappammo, versandone un po’ a ciascuno e facemmo un brindisi. Anch’io ne bevvi un sorso, giusto per assaggiare, e devo ammettere che mi non mi dispiacque, anche se non ero amante del vino. Dopotutto ad un brindisi in compagnia non si può non prendere parte.

Inutile dire che i cuochi di Joe avevano preparato delle prelibatezze divine; il problema era che avevamo mangiato talmente tanto cibo (era tutto così buono! Come dire di no?!) che ci sarebbe bastano un mese e ci alzammo da tavola rotolando. Gli adulti rimasero lì a chiacchierare e degustare liquori (col doppio fine di digestivi) mentre noi ragazzi ce ne andammo in salotto a divertirci.

Siccome la nostra capacità motoria allo stato attuale era pari a quella delle foche sulla terraferma, non potevamo fare granché ma Joe era stato lungimirante ed aveva già preparato il Monopoly. Così avevamo la scusa di stare seduti mentre digerivamo.

Non tutti giocarono e soprattutto non tutti si divertirono. Chris fece il telecronista per tutta la partita, tirando fuori un’energia misteriosa che nessuno capiva come faceva ad avere dopo quel pasto pantagruelico; Ashley rimase a pregare per noi, più che altro che non finissimo col tirare fuori i coltelli e i mitra, cosa che rischiava di accadere ad ogni partita di Monopoly che si rispetti: Warren era finito almeno sei volte in prigione e non trovava mai lui i lasciapassare quindi ci doveva rimanere per forza, se non voleva pagare la cauzione; Joe per una volta nella sua vita era quello più povero, sorte che era andato a cercarsi dato che da subito aveva iniziato ad acquistare qualsiasi proprietà su cui capitasse, totalmente a caso. Aveva finito i soldi quasi subito e si stava disperando da un’ora per questo motivo, mentre quelle ricche eravamo io e Scarlett che giocavamo in squadra ed eravamo così piene di soldi che ci lanciavamo addosso le banconote con assoluta superiorità e disprezzo per i povery come Joe, per farlo disperare ancora di più. Insomma la partita era durata tre ore (non sto scherzando) e non so se eravamo più vivi o più morti di prima, ma diciamo che era andata abbastanza bene dato che nessuno aveva picchiato nessun altro e tutto sommato ci eravamo fatti delle belle risate. Era davvero un peccato che Alex non fosse lì con lui: quel gioco gli piaceva tanto quanto me anche se finiva le partite sempre prosciugato a terra senza più energia, contemplando il tabellone e la sua vita in generale. Era proprio questo il bello del Monopoly, no?

Mi alzai dal pavimento ed andai a sedermi sul divano, tutto ciò con una fatica che non vi potete immaginare. Proprio in quel momento Chris tornò dalla sala da pranzo con in mano una bottiglia di liquore e dei bicchierini da shots.

«E quella come l'hai rubata?» gli chiese Ashley, incredula. Di sicuro non gliel'avevano lasciata prendere gli adulti, figuriamoci se ci lasciavano bere alcol così forte.

«Me l'ha passata il fidanzato della sorella di Joe. Quel tipo è un grande, sta dalla nostra parte!»

Joe rise. «Sapevo io. E bravo Joseph che ruba gli alcolici per noi!»

Versò un po' di liquore nei bicchierini e ognuno ne prese uno. Li alzammo e facemmo un brindisi «A Joseph!» e li piombammo. Sì, un digestivo ci voleva proprio. Speravo solo di non ritrovarmi ubriaca...

Scarlett intanto aveva acceso la Wii e lei, Ashley e Chris si stavano organizzando per giocare a Super Mario. Oh beh, dovevo aggregarmi assolutamente!

Li raggiunsi di corsa sul divano. «Posso giocare anch'io a Super Mario??»

Scarlett rise e mi corresse, prendendomi in giro: «Tu non giochi a Super Mario, tu muori a Super Mario!!»

Io scoppiai a ridere perché aveva assolutamente ragione. La mia scarsità era leggendaria ma era direttamente proporzionale al divertimento che i miei epic fails provocavano. Giocare in quattro era già di per sé un disastro, figuriamoci con me che cadevo in ogni minuscolo burrone e mi facevo uccidere dai più insulsi Goomba; l'unica brava a giocare era Scarlett e alla fine facevamo avanzare sempre lei, noi ci rinchiudevamo nelle bolle e la raggiungevamo volando sopra tutti i nemici e ostacoli come dei veri niubbi. Ed eravamo solo nel primo Mondo! Tipo nell'ultimo livello, quello del boss, c'era Scarlett che avanzava spaccando i culi a tutti e noi o morti o nelle bolle che la incitavamo «Vai Ska!» ridendo come degli scemi, e lei che ci insultava in aramaico perché doveva fare tutto il lavoro da sola. Riuscì anche a sconfiggere il boss e noi ci complimentammo l'un l'altro per l'ottimo lavoro di squadra, quando in realtà non avevamo contribuito di una mazza, mentre Scarlett ci guardava con sguardo omicida minacciandoci che se nel Mondo 2 ci fossimo ancora chiusi nelle bolle, ci avrebbe uccisi lei afferrandoci e buttandoci giù per i precipizi. Io non la smettevo di ridere.

Inutile dire che a metà del livello avevo già perso tutte le vite, quindi mi ritirai dalla partita e lasciai giocare loro tre che almeno riuscivano a giocare sul serio. Andai a vedere cosa stavano facendo Warren e Joe: erano seduti sul pavimento attorno al tavolinetto di vetro lì vicino e avevano delle carte da gioco sparse sulla superficie. «A cosa state giocando?»

«A pseudo-poker» rispose Joe.

«Perché "pseudo"?»

«Perché nessuno dei due sa giocare veramente quindi ci stiamo inventando».

Ah beh questa non avrei potuto perdermela per nessuna ragione.

Li osservai pescare carte e buttarle sul tavolo a caso senza un'apparente logica, chiamando semi senza motivo e facendo finta di avere mano vincenti quando in nessuno gioco di carte esistenti sarebbe stata tale.

«Almeno avete smistato le carte che volevate usare?» chiesi a Joe, che sembrava così concentrato, come se davvero sapesse quello che stava facendo.

«Boh, credo di sì...»

Ma proprio in quel momento Warren esclamò indignato: «E questa cos'è?!» dopo aver pescato la carta con le regole e mostrandola a Joe.

Mi misi a ridere come una stupida. «Vedo io che avete scelto le carte!!!»

Joe si batté una mano in fronte palesemente divertito e lanciò le proprie carte sul tavolo. «Ammetto che non è stata una buona idea e non so proprio cosa sto facendo!»

Warren scoppiò a ridere. «Sapevo dall'inizio che stavi improvvisando e volevo vedere fin dove riuscivi ad arrivare con le scemenze!»

Si alzarono entrambi, dopo aver risistemato il mazzo. «Cosa stanno facendo quelli lì?» mi chiese Joe, indicando gli altri seduti sul divano.

«Stanno giocando a Super Mario. Se vuoi aggregati pure, tanto fa tutto Scarlett!» Mi girai a guardare la mia amica per vedere se aveva sentito la mia frase, le feci l'occhiolino e lei mi guardò di sottecchi.

Joe andò a giocare con loro, quindi rimanemmo lì io e Warren. Stavo già sorridendo... Lo guardai. Sapevo io cos'avrei voluto fare adesso che eravamo rimasti noi due da soli...

Lui si avvicinò a me, mi prese la mano e la baciò. «Ehi baby. Siamo stati esclusi a quanto pare.»

Il mio sorriso si allargò di più. «Vieni con me. Ti porto in un posto magico».

Lo presi per mano e lo trascinai lontano da lì, nel corridoio in fondo al salotto dove saremmo stati lontani da occhi e orecchie indiscreti.

Appena fummo soli, Warren si avventò sulle mie labbra e mi diede un bacio focoso, carico di passione, caldo come il tacchino ripieno al forno che avevamo mangiato a pranzo... Ahaha. Scoppiai a ridere pensando al tacchino, staccandomi da lui.

«Cosa c'è piccola? Perché ridi?» Era un po' dispiaciuto, ma anche divertito nel vedermi ridere. Mi diceva sempre che amava la mia risata e vedermi felice.

«Scusa, lascia stare, è l'effetto dell'alcol. Forse era un pochino forte...» Risi di nuovo abbassandomi sempre di più, con la testa che mi girava. Warren mi afferrò prima che barcollassi e mi riportò ai sensi con un altro bacio. Dio com'era sexy. Gli circondai il collo con le mie braccia in un impeto di passione e risposi al suo bacio. Mi stava salendo una voglia assurda. Lui aprì gli occhi come se ci fossimo letti nel pensiero e mi guardò facendomi capire che non gli bastava. Aprì la prima porta che trovò alle sue spalle, che si rivelò essere un bagno, mi trascinò dentro e chiuse a chiave. Mi sollevò per i fianchi appoggiandomi al lavandino e mi baciò ancora, sempre più voglioso, esplorando il mio corpo sotto i vestiti, facendomi sentire il suo tocco infuocato sulla mia pelle. Gli morsi il labbro, lui scese sul mio collo e mi mordicchiò lì, facendomi sentire brividi di eccitamento lungo tutto il corpo e un calore nuovo in mezzo alle gambe. Non avevo mai provato una sensazione così intensa... Mi era estranea, eppure i miei movimenti sembravano venirmi talmente spontanei da non doverli nemmeno pensare. Scesi con la mano lungo il suo corpo fino ad arrivare ai jeans. La portai lentamente davanti, titubante. Non lo avevo mai toccato lì. Oddio. No, cos'era... Oh dio. Lo sentii per la prima volta. Non me lo stavo immaginando... Era duro. Per me. Tenni la mano ferma lì, incredula; era tutto nuovo per me, stava accadendo così velocemente, mi girava la testa. Warren si staccò e mi guardò, studiando la mia espressione. «L'hai sentito» disse. Annuii, incapace di proferire parola. Lui appoggiò la sua fronte alla mia, magnetizzando i nostri occhi e parlando con voce bassa e rassicurante. «È il mio amore per te. Non devi essere spaventata. Va tutto bene, amore?».

Non riuscii a rispondere subito. «S-sì. È che... è la prima volta che lo sento. E sapere che provi questo per me, così... intensamente, mi destabilizza, non mi è mai successo, capisci? Però è bellissimo.» Lo baciai di nuovo, tenendo la mia mano lì, percependo tutta la sua voglia di me e il suo calore.

Stavo per spingermi oltre e slacciare il bottone dei suoi jeans quando sentimmo delle voci provenire dalla sala dilà che dicevano che era l'ora del dolce. I ragazzi riposero «Arriviamo!» e poi non sentimmo più nulla. Io e Warren ci bloccammo subito e ci guardammo inquieti, colti alla sprovvista.

«E ora che facciamo?» chiesi io agitata. Non volevo fermarmi così: proprio sul più bello, ero talmente presa che non stavo neanche più controllando le mie azioni. Mi stavo facendo guidare dal desiderio.

Warren era visibilmente scocciato. «Dobbiamo per forza andare, non possiamo essere gli unici assenti, sarebbe troppo sospetto. Però cazzo io non posso uscire così...» Si guardò , dove era evidente che aveva un'erezione. Aveva ragione, non poteva uscire in quelle condizioni poverino. «Fai così, tu esci e io sto qui aspettando che mi passi... Digli che sono in bagno e che arrivo subito».

«E se mi chiedono dov'ero io?» Mi imbarazzava troppo l'idea che gli altri sapessero che eravamo andati ad imbucarci.

«Tanto Joe e Scarlett lo sapranno già. E poi che male c'è?» Notò il mio sguardo supplichevole nell'aiutarmi a trovare una scusa plausibile e mi suggerì: «E va bene, digli che tu mi avevi accompagnato e ci eravamo persi mentre cercavamo il bagno. Mi sembra abbastanza sensata come cosa, no?» Annuii ed uscii dal bagno, lasciandolo lì da solo a "calmarsi". Sorrisi, non potevo nascondere di essere leggermente divertita della cosa ma soprattutto lusingata: provocare quell'effetto a Warren era... gratificante. Sì, perché mi faceva capire quanto gli piacessi. Il problema era che ora non riuscivo a smettere di sorridere e forse avrei dovuto stare in bagno anch'io a calmarmi, ma se ci fossi entrata con lui lì avremmo fatto ben altro rispetto a calmarsi... Mi misi le mani sulle guance cercando di riportare la mia mente a pensieri meno zozzi (l'alcol non aiutava) e corsi in sala da pranzo, prima di far passare troppo tempo dalla mia assenza. Sul tavolo c'era ogni ben di dio di dolci, dalle torte ai pasticcini ai biscotti. Magicamente come li vidi il mio stomaco liberò un posto per potermi godere quelle leccornie (il famoso "stomaco da dessert"). Comunque ormai stavo digerendo il pranzo, anche grazie al liquore, quindi potei assaggiare un po' di tutto. Warren arrivò dopo circa una decina di minuti e si sedette al tavolo nella sedia che gli avevo tenuto apposta, senza proferire parola. Gli passarono un piatto e delle posate e lui si servì.

«Ci hai messo così tanto??» gli chiesi sottovoce, non facendomi sentire dagli altri, mentre gli passavo un biscotto a forma di foglia d'acero con la glassa arancione.

«È più complicato di quello che pensi» sussurrò, e con uno sguardo sofferente mi fece capire che non era piacevole. Si avvicinò al mio orecchio per dirmi: «È difficile farsi passare la voglia dopo una cosa del genere, anzi ne ho ancora un po', per oggi stiamo tranquilli che non vorrei fare azioni avventate». Mi guardò per vedere se avevo capito cosa intendeva, e annuii in risposta. Ci prendemmo altri dolci e ce li gustammo senza parlare oltre, ascoltando le chiacchiere festive degli altri commensali.

Finita la festa verso sera, dopo un altro giro di liquori a cui stavolta fecero partecipare anche noi ragazzi ma io saggiamente mi astenni, andammo tutti a casa, salutando Joe e la sua famiglia e ringraziandoli immensamente per la bellissima festa. Facemmo i complimenti allo staff che aveva preparato tutte quelle prelibatezze, e ci salutammo tra noi invitati prima di andarcene. Non sapevo come salutare Warren: i miei erano lì di fianco e dire la verità a loro ancora non l'avevo presentato ufficialmente. Sì, era imbarazzante come cosa, diciamo che non avevo calcolato bene i tempi e avrei dovuto presentarglielo prima del Ringraziamento visto che ci sarebbe stato anche lui, ma d'altro canto lui era lì presente come amico di Joe e non come mio fidanzato, quindi non era così messa male la situazione. Decidemmo, scambiandoci sguardi d'intesa, che era meglio non baciarci, anche perché la voglia di entrambi non si era ancora assopita del tutto; ci tenemmo per mano per un po', guardandoci negli occhi senza dire nulla. Lui mi strinse le dita, un gesto d'affetto incondizionato, facendomi capire che mi aspettava. I miei finirono i saluti agli altri e io e Warren lasciammo le nostre mani. I miei lo salutarono con «Ciao Warren, è stato un piacere conoscerti, speriamo che una volta verrai a trovarci e faremo le presentazioni come si deve». «Certo signori Frozehart» rispose lui, educato. Mia madre gli sorrise, mio padre gli diede una pazza sulla spalla e io lo salutai con la mano, come in sospeso, come se sentissi che mancava qualcosa. Ed era proprio così, c'era qualcosa di non concluso, ma non potevamo fare in altro modo. «Ciao Warren... buonanotte» gli dissi. Mi sentivo un po' un'idiota.

Lui sorrise, rassicurante. «Ciao Rose, dormi bene.» Feci per scendere gli scalini seguendo i miei quando mi sentii afferrare la mano. Mi girai verso di lui e mimò con le labbra «Ti amo».

Sentii un brivido caldo lungo il corpo. «Anch'io ti amo» risposi sottovoce. Ci sorridemmo a vicenda in segno di saluto e mi voltai, lasciando la sua mano, raggiungendo i miei e allontanandomi da lui. Sapevo che quella notte l'avrei sognato, e che per parecchi giorni a seguire non sarei riuscita a pensare ad altro che non fosse lui e quello che era successo.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Sorprese decisamente inaspettate ***


31. Sorprese decisamente inaspettate

Quel venerdì, il giorno dopo del Ringraziamento, non c'era scuola. E domani ci sarebbe stato il ballo. E io ancora non avevo il vestito.

«Come ho fatto a non pensarci prima?!» urlai disperata, mettendomi le mani nei capelli. Avevo telefonato a Scarlett impanicata, in vivavoce, mentre giravo per la mia camera sudando freddo e non riuscendo a pensare lucidamente.

«Ehi, ehi, Rosalie. Calmati. Ascoltami» disse, con tono serio.

«Ti ascolto.»

«Andiamo a fare shopping.»

Mi illuminai. «Davvero mi accompagneresti?!»

«Sì. Aspettami lì che arrivo.»

Arrivò dopo una decina di minuti, in macchina con Joe. «Ha detto che anche lui ha bisogno del vestito» mi spiegò Scarlett. «Anch'io devo ancora comprarlo. E sai perché? Perché avevo calcolato che oggi avremmo avuto il giorno libero per andare a sceglierlo! Tu come facevi a non ricordartelo?»

Arrossii. «Ehm, ho avuto altri pensieri ultimamente... Ma non importa!» tagliai corto. «Meno male che ci sei tu che mi riporti alla realtà! Andiamo!». E partimmo per il nostro centro commerciale di fiducia.

Joe e Scarlett furono un prezioso aiuto per la scelta dell'abito: fosse stato per me, sarei potuta rimanere lì per ore senza riuscire a decidermi. Dopo aver setacciato tutti i negozi del centro commerciale, ne riuscimmo a trovare uno dove scovai uno stupendo prom dress bianco senza maniche, con la gonna in tulle corta davanti che si allungava dietro. Il corpetto era tutto cosparso di brillantini che gli donavano un effetto scintillante quasi magico. A casa avevo già un paio di scarpe argentate col tacco alto che si abbinavano alla perfezione; come ultimo dettaglio comprai una collana con un pendente a forma di fiocco di neve cosparso di glitter azzurri e argento. Era a dir poco perfetto. E il mio outift era completo. Mi sarei lasciata i capelli mossi e raccolti dietro, e li avrei cosparsi di fiocchi di neve creati da me. Non mi sarei sorpresa se gli altri mi avrebbero chiamata "Elsa", la Regina di Ghiaccio di Frozen: d'altro canto, non erano rare le volte in cui lo facevano, e a me non dispiaceva affatto. D'altronde Elsa era una gran figa, ero fiera di assomigliarle.

Scarlett si trovò un vestito stupendo dorato, lo stesso colore dei suoi occhi, tutto scintillante, con la gonna lunga che le nascondeva i piedi e la faceva assomigliare ad una sirena. Sulla schiena aveva la stoffa trasparente con degli intrecci d'oro stile rococò.

«Ska, non sembri nemmeno tu, sei una visione divina!» le dissi ammirandola. «Sei una dea.»

Lei arrossì. «Grazie amica! Meno male, adoro questo vestito! Non ho voglia di doverne cercare altri».

Joe non riusciva a proferire parola, era incantato a vedere la sua ragazza così splendida ed era andato in tilt. Riuscì a riscuotersi quando ci cambiammo e andammo a pagare per uscire dal negozio, per poi andare a cercare il completo per Joe.

Fatti tutti gli acquisti necessari, soddisfatti di ciò che avevamo trovato, ci concedemmo una tappa da Starbucks. Ci andavamo spesso gli anni scorsi: quando avevamo occasione di farci un giro assieme in relax, era una tappa obbligatoria. Ci divertivamo a dire ai baristi di scrivere nei nostri bicchieri i nomi più assurdi, tipo "Contessa Edwina Worthington dal Middleshire", o ad ordinare le combinazioni di bevande più improbabili, facendo smadonnare quei poveri baristi. Il genio delle combo era Joe, secondo me se le studiava prima. Infatti adesso come entrammo lui stava già ridendo. Neanche a dirlo, ordinò un "Triplo Frappuccino al cioccolato bianco, aromatizzato alla cannella con gocce di cioccolato e panna montata alla vaniglia".

Il barista lo guardò sgranando gli occhi. Poi si girò e iniziò a prepararlo.

«Ma come te le inventi, si può sapere?» chiesi a Joe divertita e ammirata dalla sua fantasia.

«Mah, guardo il menù e faccio un mix di tutti gli elementi che mi ispirano».

«Sei un genio» scossi la testa, ridendo.

Io ordinai un mocaccino con panna e scaglie di cioccolato, e Scarlett un caffè freddo con menta, tipo After Eight. Ce li scambiavamo sempre per assaggiarli, infatti ogni volta prendevamo qualcosa di diverso. Ah, sui nostri bicchieri avevano scritto Jone, Sharlet, Rocsi. Ottimo, sarebbero diventati i nostri soprannomi ufficiali da quel momento in poi.

Uscimmo con le nostre bevande e borse degli acquisti fra le risate e le prese in giro per i nomi stupidi che ci avevano affibbiato, quando proprio di fronte e me fra un negozio e l'altro vidi un'enorme parete a specchio. Era un gioco che io e Joe facevamo sempre, specchiarci con fare vanitoso appena ne vedevamo uno, tipo egocentrismo puro.

«Uno specchio!» gridai, indicando il fondo del corridoio dove questo si trovava.

«O mio dio uno specchio!!!» rispose Joe, notandolo. Corremmo alla velocità della luce in quella direzione, ci fermammo proprio di fronte alla parete, appoggiamo le borse a terra e ci mettemmo a sistemarci e a fare pose assurde, ammirando il nostro riflesso, come se fossimo dei top model famosi. Ci stavamo divertendo come scemi.

Scarlett ci raggiunse correndo appena si accorse che eravamo scappati. «Non dovete scappare via così! Oh santo cielo!» esclamò quando capì il perché della nostra fuga. «Io devo tenervi lontani dagli specchi!». Ci afferrò per la maglia e cercò di tirarci via con la forza, ottenendo solo pose ancora più assurde da parte nostra, mentre ci passavamo le mani nei capelli e lanciavamo baci al nostro riflesso. Alla fine scoppiammo a ridere tutti e tre, finimmo il nostro giro di shopping mentre ci gustavamo le bevande e poi tornammo a casa. Mi erano mancati i pomeriggi così con loro, passati al centro commerciale a non fare niente di importante ma solo a girare per i negozi, anche senza necessariamente acquistare qualcosa. Era uno dei miei passatempi preferiti. Mi appuntai che una volta avrei dovuto andarci con Warren. Quella sera lui lavorava al ristorante giapponese quindi non potevamo vederci, ma meglio così, ero ancora imbarazzata per la cosa successa ieri da Joe. Ci saremmo visti domani, avevo tempo per riuscire a non pensarci più così intensamente. Non sapevo se lui ci stava ancora pensando però, e non posso negare che avrei tanto voluto scoprirlo. E il ballo era l'occasione giusta per farlo.

 

Il giorno dopo, sabato, non c'era scuola. Io e il mio gruppo facevamo parte del comitato per il ballo, che si sarebbe svolto quella sera stessa: eravamo stati costretti a partecipare da Gwen, l'organizzatrice. Non potevo neanche dire che mi dispiacesse: avrei colorato cartelloni e appeso addobbi. Risultato di tutto: saremmo dovuti andare a scuola lo stesso. Gwen si era organizzata con Ron l'autista per farci portare tutti lì la mattina per sistemare la palestra per la sera. Il gruppo era composto da: io, Scarlett, Ashley, Warren, Joe, Chris, Gwen, Lash, Penny e Speed. I soliti dell'Ave Maria insomma. Il materiale l'avevano già comprato: io bastava che portassi il mio culo lì e lasciato la mia voglia di dormire a casa, ed eravamo a posto.

Il sonno costante che mi accompagnava per tutta la mia vita (forse avevo bisogno di qualche integratore) stranamente non era un problema quel giorno: ero tutta euforica a causa di un motivo piuttosto insolito per una persona normale ma non per me.

«RAGAZZI! CE L'HO!» gridai, piombando in palestra tenendo il pugno in aria. Tutti sollevarono lo sguardo dagli allestimenti che stavano preparando.

«Hai cosa?» chiese Joe.

«Il nome per la band! Ce l'ho! Me lo sono sognato stanotte!»

Ashley fece una smorfia sarcastica. «Ah beh, in questo caso...»

Era da un paio di settimane che cercavamo un nome adatto al nostro gruppo, senza riuscire a trovarne uno che mettesse tutti d'accordo.

Mi guardarono curiosi e quindi io, soddisfatta di me stessa, annunciai: «Take Berries To Die!». Feci una pausa d'effetto per far sì che tutti registrassero l'informazione. «Non è fighissimo?!».

Scarlett stava ridendo, Warren era rimasto senza parole per le assurdità che riuscivo a concepire e gli altri erano più che altro confusi.

Commentai: «Sì, non ha molto senso ma suona bene, no?»

Ashley, dato che era lei "il capo" e quindi le spettava decidere, cercò dei segni di approvazione: chi annuì, chi alzò le spalle e chi stava ancora cercando di trovare un senso in tutto ciò. Alla fine si arrese. «Va bene dai... un nome dobbiamo per forza averlo per il ballo, e mi sembra che altre idee non ne abbiamo avute, quindi vada per questo. E poi se diciamo che l'hai inventato tu, nessuno avrà da ridire, dato che tutti sono a conoscenza dei tuoi problemi mentali».

«Va' sta stronza!» le dissi sconvolta, ridendo. «Ehi, il nome non sarà strafigo come quello degli Underlegs Tea Party degli anni scorsi ma non mi sembra proprio male, no?»

«Rosalie vieni ad aiutarmi a colorare!» mi chiamò Joe, seduto per terra poco più in là. Stava disegnando su dei fogli bianchi.

Presi dei pennarelli dal tavolo ed andai da lui. «Cosa scrivi?»

«Beh, il nome della band che ti sei inventata. Ti piace così?» Mi mostrò lo schizzo che aveva fatto in piccolo su un foglio A4, scritto in stile graffiti come solo lui sapeva fare.

«È stupendo così! Viene stra d'effetto! Figata. Vado a prendere dei cartelloni e lo facciamo in grande da appendere sotto il palco».

Mi alzai dal pavimento e andai al tavolo dove c'era tutto il materiale che potevamo usare. Portai tre cartelloni a Joe e mentre lui scriveva osservai cosa stavano facendo gli altri. Era stata un'impresa titanica decidere chi faceva cosa: durante la settimana Gwen aveva compilato una tabella con i rispettivi ruoli richiesti e noi dovevamo inserire il nostro nome in base a ciò che volevamo fare, solo che veniva continuamente modificata e uscivano cose assurde tipo ruoli come "cubista" dove Lash aveva simpaticamente scritto il mio nome, "soldi" scritto da me e compilato col nome di Joe, "PR" dove era stato inserito il nome di Chris, ah poi il mio nome era stato cancellato dal ruolo di cubista e sostituito con quello del coach Boomer... Qualcuno aveva anche inserito il ruolo di "Martin Garrix", affidandolo ad Ashley, "Steve Jobs" a Gwen, quello di "asociale" a Warren rischiandosi una bella cottura a puntino al barbecue, e quello di "piazzaiola" a Penny dato che il suo hobby preferito era stare in centro a fare aperitivi a qualsiasi ora del giorno. Alla fine Gwen si era infuriata con noi perché lei stava cercando di fare le cose seriamente e noi invece perdevamo tempo a fare gli stupidi, e a suon di insulti e minacce era riuscita a coordinarci tutti e definire dei ruoli "seri" per ognuno di noi.

Erano tutti all'opera: Ashley era tutta intenta col sound check; Warren che si era offerto di sistemare le luci sceniche e i riflettori sul palco, operazione in cui era stato aiutato da Chris, e ora era in cima ad una scala a fissare una disco ball a luce sopra il palco. Gwen si stava occupando degli addobbi sul soffitto, facendosi aiutare da dei droni da lei stessa costruiti. Aveva appeso un sacco di festoni coi colori caratteristici della nostra scuola (arancione e azzurro), luci stroboscopiche e una palla da discoteca a specchi gigante, che avrei tanto voluto rubare per appenderla in camera mia. Penny la stava aiutando a decidere la disposizione dei vari addobbi e, assieme a tutte le sue copie, li stavano appendendo in giro. Osservando meglio lei e Gwen, erano entrambe strane: avevano lo sguardo perso nel vuoto, come se stessero agendo in automatico. In più di tre anni che le conoscevo, non le avevo mai viste così silenziose. Lash e Speed erano rimasti per tutto questo tempo appoggiati allo stipite della porta d'entrata della palestra ad osservare in silenzio i preparativi. Tutto ciò mi sembrava un po' inusuale: di solito loro erano iperattivi, non stavano mai fermi! Lanciai un'occhiata a Scarlett che mi guardò di rimando, chiedendole mentalmente se c'era qualcosa che non andava. Lei scosse la testa, segno che quei quattro non stavano pensando a nulla di particolare. Mah, forse ero io che mi immaginavo cose. Scarlett intanto stava facendo foto a tutti con la sua Reflex; ogni tanto saliva sul palco vicino ad Ashley e suonava qualcosa alle tastiere giusto per rallegrare l'atmosfera.

Tornai da Joe per vedere a che punto era. Aveva finito di scrivere sui cartelloni ed ora era tutto intento a disegnare un mega-graffito sullo sfondo del palco come d'accordo, con scritto il nome della scuola. Era da tutta la settimana che ci lavorava sopra: aveva consumato così tanti fogli con gli schizzi che mi aveva finito un block-notes. La versione finale, però, ripagava tutti gli sforzi. Joe era decisamente un writer professionista.

Salii anch'io sul palco per stare vicino agli altri, portandomi i cartelloni e i colori che dovevo usare. Mentre coloravo la scritta fatta prima da Joe, stavo canticchiando "Alejandro" di Lady Gaga. Sbirciai Joe e vidi che stava facendo del suo meglio per ignorarmi. No, era troppo concentrato, dovevo rimediare.

Siccome proprio faceva finta di niente, lo osservai per un secondo, decidendo cosa fare.

Poi mi avvicinai un po' a lui e gli urlai: «ALEJANDRO!»

Lui quasi cadde per terra. «CHECCAZZO!» strillò per lo spavento, e con risultato uno striscio di vernice spray su mezza parete.

Oddio che scena assurda! Scoppiai a ridere di gusto, tenendomi le mani sulla pancia. Avevo perfino le lacrime! Joe si alzò, guardò il muro e strillò di nuovo per l'orrore. «GUARDA COSA MI HAI FATTO FARE!»

Risi ancora di più. «Dai eri troppo finto a concentrarti! Mi facevi stra ridere ahaha!»

Mi incenerì con lo sguardo, ma sapevo che avrebbe trovato subito il modo di sistemare il danno. Poi rise anche lui con me. In fondo non era così grave, stava facendo solo la base, doveva ancora colorarlo.

«Piuttosto» cominciò Joe, accovacciato a terra, colorando la prima fascia di azzurro. «Passami il blu che fra poco mi serve».

Il mio occhio cadde sulle cinque bombolette di colore che aveva lì di fianco. «Ma...» le indicai «Solo cinque colori? Con tutti i verdoni che hai?»

Il mio migliore amico ridacchiò, cercando però di rimanere serio. «No, non è vero, io sono povero».

Risi. «Che bastardo. Vuoi un soldo, ti serve?»

Lui rise assieme a me e continuammo con il lavoro. I preparativi dovevano essere ultimati a breve e per quella sera doveva essere tutto perfetto.

 

Sentii il campanello suonare.

Eccolo, il mio accompagnatore puntualissimo come sempre.

Certo che...

Aprire la porta e trovarmi davanti Warren vestito di tutto punto con lo smoking.... mi tolse il fiato.

Era bellissimo.

Era da quando avevano organizzato il ballo che non vedevo l'ora di vedere Warren con indosso giacca e cravatta, sia che ci fossimo andati assieme oppure no, anche se non fossimo stati fidanzati.

Lui mi stava guardando estasiato, innamoratissimo. «Sei bellissima» disse sottovoce, come se vedermi l'avesse privato della parola.

«Anche tu amore mio!» risposi, e gli saltai al collo per baciarlo.

Era arrivato a casa mia verso le nove e aveva parcheggiato lì la sua Ferrari. Un po' mi dispiaceva che i miei non fossero a casa quella sera (erano in riunione d'emergenza), avrei voluto che mi vedessero con l'abito del ballo addosso e sicuramente ci avrebbero fatto tantissime foto. Ma tanto per le foto non c'era problema: Scarlett era ovviamente la fotografa ufficiale della serata, ce le avrebbe fatte lei e così anche i miei genitori avrebbero potuto vedere quanto eravamo belli.

Ero già pronta, mi mancavano solo la borsetta e il coprispalle che presi dalla poltrona su cui li avevo appoggiati mentre aspettavo Warren. Chiusi a chiave la porta d'ingresso e ci incamminammo assieme a braccetto fino alla fermata dell'autobus a pochi passi da casa mia, dove incontrammo alcuni dei nostri compagni di scuola che abitavano nel quartiere. Scarlett era andata lì in anticipo per sistemare il set fotografico. La corriera partì poco dopo diretta alla Sky High.

La palestra era già piena. Gwen, Penny, Lash e Speed avevano fatto un ottimo lavoro nell'allestire le tavolate con il buffet gentilmente offerto dalla ditta dei genitori di Joe, che sponsorizzavano la scuola). Non riuscivo a contare i vassoi col cibo da quanti erano, una varietà pazzesca: tramezzini a non finire, pizzette, stuzzichini di affettati e formaggi, piramidi di mini-panini, ciotole con popcorn e patatine, salatini dovunque, muffin, torte salate e dolci, cake pops, dolcetti al cioccolato... avevo l'acquolina in bocca. Per non avventarmi sul buffet e spazzare via tutto come un uragano, distolsi lo sguardo e osservai la palestra: la gente stava passeggiando con bicchieri rossi di carta in mano, chiacchierando felice. Le luci soffuse e colorate roteavano lente, creando la classica atmosfera da ballo della scuola, prima che si aprissero le danze. Il palco era già allestito con gli strumenti per la nostra esibizione di dopo; Ashley era alla consolle e stava mixando musica da sottofondo.

Warren mi prese per mano e mi portò verso un tavolo per prendere da bere. Ci bloccammo a metà strada quando udimmo una voce che lo chiamava. Warren cercò la provenienza della voce sopra la musica e individuò Layla vicino ai tavoli più in fondo che lo stava cercando. Sospirò. «Dai, via il dente via il dolore» disse, per nulla entusiasta, quindi si diresse la lei. Mi avvicinai anch'io per vedere cosa succedeva.

C'era il professore delle Spalle, Mister Boy, dall'altra parte del tavolo che stava offrendo alla rossa un bicchiere di punch, quando Lash da distante allungò a dismisura un braccio per fare uno scherzo all'insegnate e rovesciargli addosso la bibita. Lash e Speed risero della marachella e camminarono via.

«I ragazzi della scuola sono degli immaturi!» disse Layla al professore.

Warren arrivò proprio in quel momento dietro di lei. «Grazie tante» rispose all'osservazione di Layla, sarcastico.

Lei si girò accorgendosi di lui e lo osservò. «Avevi detto che non noleggiavi lo smoking!»

Warren si avvicinò a lei per farsi sentire sopra la musica. «È di mio padre! A lui non serve molto, in isolamento».

Oh, argomento delicato. Layla capì subito, forse era un po' più intelligente di quel che credevo. Difatti, per cambiare l'oggetto della discussione, prese dal tavolo dietro di lei un cubetto di formaggio e l'offrì a Warren. «Formaggio?» gli chiese tutta contenta. Lui lo prese con un sopracciglio alzato.

Mi venne da ridere.

Layla si scusò con Warren per il disturbo, dicendogli che le dispiaceva di averlo incasinato con la sua ragazza, cioè me.

Warren le domandò dov'era Will, dato che in palestra non c'era.

«Ieri sera lui e Gwen hanno litigato» spiegò Layla «per come lei trattava noi, i suoi migliori amici. Will non voleva venire al ballo.»

Bene, meglio per me: se Will e Gwen non erano più assieme, Layla aveva più possibilità di accalappiarselo, e quindi di lasciarmi stare Warren.

Individuai Ska e i miei amici e li raggiunsi con Warren. Ci complimentammo l'un l'altro per i vestiti, eravamo tutti bellissimi, poi chiesi alla mia migliore amica: «Allora, siete andati a vedere il film ieri sera? Era bello?» Mentre addobbavamo la palestra, Joe aveva proposto a tutti noi di andare al cinema, ma avevamo tutti degli impegni, e alla fine ci erano andati solo lui e Scarlett. Non che la cosa dispiacesse a nessuno, if you know what I mean...

Ska rispose: «A dire il vero avrò visto tre fotogrammi in tutto perché, ehm... c'era Joe che mi distraeva.»

Joe si offese. «Oh, sempre colpa mia!»

Io e Ska assieme gli dicemmo: «È perché sei egocentrico!»

Joe rise. «No dai, a parte questo sono riuscito abbastanza a seguire il film ma non ci ho capito un cazzo! E non finiva più, sarà durato tre ore!»

Scarlett scoppiò a ridere. «Forse è perché a metà ti sei addormentato!» Ridemmo tutti quanti. Ska aggiunse, più dolce: «Mi è piaciuto lo stesso andare al cinema con te» e diede un bacio a Joe per rincuorarlo. Che cariniiii! Feci il cuore con le mani e loro due risero. Poi Scarlett afferrò la sua fedelissima Reflex che aveva appesa al collo e ci invitò tutti a spostarci in fondo alla palestra dove aveva allestito il set fotografico. Andai subito a prelevare Warren dalle grinfie della rossa, usando la scusa della foto, quindi tornai da Ska di corsa per farmi fotografare con il mio fidanzato con i nostri meravigliosi vestiti, prima che trucco e acconciatura si rovinassero una volta iniziato a scatenarci. Gli altri studenti si accorsero di noi e subito corsero tutti lì per farsi fare le foto, e non passò molto tempo prima che si formasse una fila. Scarlett era al settimo cielo, adorava fotografare le persone, non le sembrava vero di essere così richiesta. Aveva fatto foto a me e Warren da soli, a lei assieme a Joe, a me, lei ed Ashley (il terzetto indivisibile ♥), ad Ashley e Chris (Ash era riluttante ma Chris l'aveva costretta, felice come una pasqua), a Warren, Chris e Joe, e a tutti noi assieme, usando l'autoscatto sul cavalletto. Aveva fatto diversi scatti ogni volta, alcuni con pose "serie" ed altri con facce stupide. Mi fece ridere quando disse, guardando il display della Reflex: «Questa foto è orribile, quindi finirà su Facebook.» Ottimo, così sapevo che negli album sarebbero finite anche le foto inguardabili, anziché essere cancellate per mantenere un minimo di decoro pubblico. Mi piacque la risolutezza con cui lo disse. Grazie, Scarlett. Non osavo immaginare quali foto oscene sarebbero state scattate nel corso della serata. Anzi, non volevo proprio saperlo. Ma non importava! Il bello delle feste è anche questo, no? Riguardare le foto più orribili dopo la festa, a mente lucida, e riderci su. Ora che eravamo stati immortalati perfetti e bellissimi, potevamo andare a scatenarci! Ashley tornò sul palco e iniziò a mixare la musica vera; la gente esultò e ci riversammo tutti al centro della palestra a ballare.

Un'ora dopo la preside salì sopra il palco, interrompendo le danze, per fare un annuncio. «Un attimo di attenzione, prego! Diamo il benvenuto a Commander e Jetstream!»

Un proiettore illuminò l'entrata della palestra, dove c'erano due persone con la divisa da paladini della giustizia: erano proprio loro, i due supereroi più famosi dei nostri tempi!

«Ed ora» continuò la preside Powers «accogliamo il presidente del comitato del ballo, la ragazza che ha reso possibile tutto questo: Gwen Grayson!»

Ci fu un fragoroso applauso. Se lo meritava, Gwen era stata davvero bravissima. Era lei che si era occupata di tutta l'organizzazione, del catering, di procurarsi le luci da discoteca, dei volantini da distribuire per la scuola, di raccogliere le firme di partecipazione, e di coordinare noi per sistemare la palestra. La preside lasciò il posto a Gwen, che salì sul palco. «Grazie preside Powers» disse con un sorriso, appoggiando la statuetta-premio sul leggio. «E un ringraziamento speciale ai nostri ospiti d'onore, che vincono la prima edizione del premio "Eroi dell'Anno". Commander e Jetstream!» Altro applauso generale.

Gwen continuò. «Per celebrare l'occasione è previsto un tributo speciale al più potente super-essere che abbia mai varcato la soglia della Sky High. Io!»

Detto questo girò su se stessa, coprendosi con un mantello nero, poi se lo portò alle spalle. Era stata vestita automaticamente da un'armatura super-tecnologica: assomigliava moltissimo al costume che aveva indossato ad Halloween, solo che quello era argento e azzurro, questo invece era nero e oro.

Gwen allargò le braccia, chiamando a sé con dei raggi elettrici che le partivano dalle dita due enormi pannelli da destra e sinistra, con sopra delle lettere a neon luminose. C'era scritto "Royal Pain".

Da dietro di lei sbucò anche un omuncolo che sembrava il Goblin dell'Uomo Ragno, per vestiti e aspetto, risata da clown malvagio incorporata, che le porse un'arma, una specie di fucile spaziale.

La gente cominciava ad essere molto inquieta: Royal Pain era stato uno dei supercattivi più temuti circa vent'anni fa ed era stato sconfitto per sempre dai genitori di Will, l'avevano disintegrato con la sua stessa arma quando questa era esplosa nelle mani del cattivo. Cosa ci faceva ora lì il suo nome? E cosa c'entrava Gwen con lui? Cosa diavolo stava succedendo?!?

Fu Commander a parlare. «Fammi capire bene. Royal Pain... è una ragazza?!»

«Sì che lo sono!» rispose Gwen con una voce modificata: sembrava quella di un robot gigante.

Commander rise. «Tu davvero credi di potermi uccidere con quell'arma giocattolo che ti ritrovi?!»

«Mio caro Commander» specificò Gwen «Chi ha mai parlato di ucciderti?»

Puntò il fucile sul supereroe, e subito un raggio azzurro lo colpì in pieno petto. Commander cadde a terra senza forze e sua moglie subito urlò: «Che gli hai fatto?!»

«Ho ricostruito il Power Blaster con le mie stesse mani! Quest'arma è programmata per risucchiare i poteri di chiunque ne venga colpito!»

Jetstream fece per lanciarsi in volo verso Royal Pain ma questi la colpì con il raggio e anche lei cadde a terra.

Era vero terrore fra la folla: tutti si diressero in massa verso le uscite, ma lì si erano piazzati Speed, Lash e Penny con varie copie di sé stessa, che sbarrarono ogni via di fuga abbassando delle saracinesche dal soffitto.

«E quelle da dove saltano fuori?!?» urlai io, in preda al panico.

«Non lo so! Devono averle piazzate prima della festa, ieri non c'erano! Muoviamoci, dobbiamo scappare!» strillò Scarlett, prendendomi per mano e trascinandomi lontano da un raggio che ci sfiorò per un pelo.

Warren arrivò da noi assieme a Joe ed Ashley, trafelati. Il coach Boomer ci raggiunse e urlò a Warren: «Testacalda, cerca un'uscita! Portane fuori più che puoi! Io cerco di rallentare...AAAAAHHHH!!!». Non riuscì a finire la frase che venne colpito anche lui dal raggio succhia-poteri.

Warren si guardò in giro e notò una grata bassa del condotto dell'aria. «State indietro!» ci avvisò, poi lanciò una palla di fuoco contro la grata che la fece saltare via. Entrammo tutti e tre nel condotto e camminammo a gattoni nel buio fino alla fine di esso. Non si vedeva niente! Joe disse: «Warren accendi una torcia» ma lui le rispose: «Per caso vuoi finire alla griglia?» e allora io, malgrado tutto, risi. All'uscita c'era un'altra grata e il mio ragazzo fece saltare pure quella.

Quando fummo di nuovo alla luce, abbracciai Warren saltandogli al collo, contenta che non ci fosse accaduto nulla di male. Se non ci fosse stato lui, probabilmente saremmo stati ancora bloccati in palestra.

Nel corridoio trovammo Will Stronghold che era appena arrivato con l'autobus e noi ci sentimmo in dovere di spiegargli l'accaduto, dato che i suoi genitori erano stati i primi ad essere sconfitti.

«So tutto» rispose lui «Gwen è la figlia di Royal Pain. Ho visto una foto sull'annuario di mio padre di una certa Sue Tenny nel laboratorio di Scienza Pazza che teneva in mano il Power Blaster: la sua faccia era uguale a quella di Gwen. Forse vuole vendicarsi perché i miei hanno ucciso sua madre!»

In quel momento arrivarono anche Layla e gli altri suoi amici tutti di corsa, seguiti da Penny, Speed e Lash. Questi tre avevano uno sguardo strano, cattivo, come perso nel vuoto; non li avevo mai visti così. E di sicuro non avrebbero mai fatto azioni tanto malvagie. Che cavolo succedeva?!

Will abbracciò Layla e Penny sarcastica li derise. «Ooooh, non sono commoventi? Io odio commuovermi!». Lash e Speed risero e cominciarono a fare dei passi verso di noi.

Warren si tolse la giacca e la buttò a terra, pronto a combattere. «Tu occupati di Gwen, noi sistemiamo i pagliacci» disse risoluto a Will, e questi si diresse verso la palestra sfondando il muro per arrivarci prima. Nella parete rimase un buco con la sua sagoma.

Penny si moltiplicò e inseguì Layla, Lash afferrò Ethan per la camicia e Speed corse via inseguito da un Warren incazzato nero come un toro, con le mani infuocate. Zack (il fosforescente) e Magenta si infilarono nel condotto d'areazione e scapparono, perché non avevano nessun potere utile. Joe, Ashley e Scarlett seguirono Will in palestra per dargli una mano e io decisi di andare ad aiutare Layla.

Arrivata nell'aula dove si era rifugiata, mi si parò davanti uno spettacolo sorprendente: una pianta rampicante enorme era cresciuta su tutta la parete e aveva legato come un salame ogni singolo doppione di Penny più l'originale.

Quindi la hippie aveva il potere di controllare le piante?! Cavolacci!!! Cosa ci stava a fare nel corso per le spalle?!? Con un controllo degli Elementi come quello, era di sicuro adattissima a fare l'eroina!

Ma non c'era tempo di perdersi in divagazioni mentali. Ascoltai cosa stavano dicendo i doppioni di Penny a Layla.

«Non lasciarci qui!» piagnucolavano. «Royal Pain ha sabotato il dispositivo antigravitazionale!» «Tra poco la scuola precipiterà!!» «Abbiamo solo dieci minuti!!!».

Layla corse fuori e la fermai. «Tu vai da Will, io vado ad avvisare gli altri». Così corse in palestra.

Io andai da Zack e Magenta per spiegare loro come stavano le cose. Arrivò anche Ethan con una mappa dei condotti della scuola. Lasciai loro il lavoro e corsi da Warren. Era un po' complicato correre con la gonna lunga e voluminosa del vestito, ma il pensiero di vedere la scuola precipitare nel vuoto faceva passare in secondo piano tutti gli altri problemi.

Trovai il mio ragazzo nel corridoio degli armadietti, mentre cercava di colpire Speed che sfrecciava di fianco a lui avanti e indietro, beffandosene. Era la stessa scena successa a Salva il Cittadino. Stavolta però doveva vincere Warren.

Speed non stava giocando pulito; perché Warren avrebbe dovuto fare il contrario? Volevo dargli una mano; in fondo eravamo una squadra. Ghiacciai il pavimento ai piedi di Speed, che scivolò e andò a conficcarsi nel muro di cartongesso, per l'alta velocità ma anche per la spinta provocata dal bolide di fuoco che gli aveva lanciato Warren. Ora Speed era incapace di muoversi e con le chiappe che andavano a fuoco.

Warren venne da me, fiero di sé stesso. Ora che potevo osservarlo mi venne da ridere. A causa della foga della battaglia, il suo completo elegante ormai era andato a quel paese. Aveva la camicia mezza dentro mezza fuori dai pantaloni, le maniche arrotolate fin sotto il gomito e la giacca era in giro per i corridoi della scuola chissà dove. Ora che era senza giacca potei notare che non era riuscito a rinunciare a mettersi un polsino in pelle e la cintura con le borchie. Sebbene in smoking stesse proprio bene, Warren non era fatto per quei vestiti eleganti. Troppa formalità per lui. Il suo spirito rock era e sarebbe prevalso sempre, ahah.

Abbracciai Warren e lo baciai, dopo quel nostro bel lavoro di squadra. Appena mi staccai da lui, però, perdemmo entrambi l'equilibrio e con nostro grande spavento fummo schiacciati per terra dalla forza gravitazionale. Stavamo cadendo nel vuoto! La scuola stava precipitando ad una velocità pazzesca, altro che "The Hollywood Tower Hotel", l'attrazione di Disneyland dove salivi su un'ascensore fuori uso in un hotel abbandonato (molto in stile Silent Hill, solo che quello ti portava dritto all'inferno) e arrivati in cima precipitavi giù di colpo ad una velocità rizza-capelli! Non riuscivamo nemmeno a capacitarci di ciò che stava succedendo, talmente grande era la nostra sorpresa e lo spavento da quella improvvisa caduta.

Però molto stranamente, proprio come se fossimo su una giostra, tutto finì nel giro di circa due minuti. Non poteva essere, doveva essere accaduto qualcosa per fermarsi così all'improvviso. Io e Warren ci scambiammo degli sguardi confusi (entrambi eravamo spettinati come spaventapasseri) e corremmo subito in palestra a vedere cosa era successo.

I nostri amici, tutti riuniti lì tipo Congresso dei Supereroi, ci spiegarono che Magenta (la finta punk, per capirci) si era trasformata in un porcellino d'india (il suo utilissimo potere) e così era riuscita ad infilarsi nel condotto dei cavi elettrici, troppo stretto per una persona, fino a raggiungere il congegno messo da Gwen. Poi aveva rosicchiato i fili che lo collegavano a quello antigravitazionale della scuola. Will aveva scoperto di avere anche il potere del volo, dopo aver ricevuto un super-pugno da Royal Pain potenziato dalla forza data dall'armatura, che lo aveva fatto volare fuori dalla finestra e precipitare dal cielo. Era riuscito a volare, così aveva sconfitto Gwen arrivandole di spalle dall'alto. Lei però era riuscita ad attivare il congegno, causando la discesa della scuola. Magenta lo aveva disattivato appena in tempo e Will con la sua super-forza aveva bloccato la scuola poco prima che si schiantasse a terra, riportandola poi in alto nel cielo.

Dovetti dire che erano stati veramente bravi. Lui con l'aiuto di Scarlett e dei miei amici, che erano arrivati appena in tempo, avevano messo fuori gioco Royal Pain, o meglio Gwen, poi avevano chiamato Medulla (l'unico professore ancora in forze, che anche se senza super poteri aveva ancora la sua enorme intelligenza) il quale aveva rinchiuso lei e i suoi complici nell'aula di detenzione (infatti solo i professori potevano aprirne la porta con la password vocale).

Alla fine il premio "Eroi dell'Anno" fu dato alle Spalle amici di Stronghold, per essersi comportati da eroi anche se erano Spalle. Niente da ridire, era meritato. L'arma fu riprogrammata e i poteri furono restituiti ai rispettivi proprietari. Il ballo poteva finalmente svolgersi nel meglio, anche se lo spavento provato era stato molto grande. Mi complimentai con tutti i miei amici e li abbracciai.

Tutti gli ospiti della serata si diedero da fare per riordinare la palestra, che dopo la fuga generale delle persone era abbastanza sottosopra. Il buffet era fortunatamente integro, bastava risistemare un po' gli addobbi e i tavoli e sedie. C'era la fila per i bagni perché tutti avevano bisogno di darsi un po' una sistemata, ma io per fortuna avevo il mio immancabile specchietto in borsetta e ci aiutammo a vicenda per tornare presentabili. I nostri vestiti per fortuna erano solo in disordine ma non si erano rovinati. Quando eravamo pronti, tornammo in palestra. Tutto era tornato normale, la gente dopo mezz'oretta si era calmata, e la festa poteva procedere.

Ero seduta in braccio a Warren a un tavolino, chiacchierando con Chris seduto lì con noi. Poco dopo arrivò Scarlett portando con sé due bicchieri rossi, uno per me e uno per lei. Senza dubbio era qualcosa di alcolico, conoscendola. Lo rifiutai divertita, scuotendo la mano; ne avevo appena bevuto uno assieme a Warren, non era il caso che ne prendessi subito un altro. «No grazie, basta drink! Guarda l'altra volta cosa ho combinato!» e indicai Warren con la mano, dalla testa ai piedi, riferendomi alla festa di Joe quando l'avevo baciato mezza ubriaca.

Ridemmo entrambe, anche per l'espressione che fece il mio ragazzo, poi subito dopo il professor Medulla salì sul palco per fare l'annuncio ufficiale. Ci alzammo in piedi e ci avvicinammo, per vedere meglio.

«Ben ritrovati. Spero stiate tutti bene. Chi avrebbe mai immaginato che il ballo scolastico sarebbe andato così? Ma ora non c'è più nulla da temere. Ho restituito tutti i poteri ai loro possessori, e ho distrutto quell'orribile arma per sempre

Ci fu un grande applauso di felicità e fischi che inneggiavano a Medulla. Aveva davvero salvato tutti quanti. Poi il prof disse: «E ora... MUSICA!», quindi Ashley, già alla consolle, la fece partire.

Io ero in fondo alla sala, in piedi vicino a Warren. La serata aveva bisogno di un po' di romanticismo. Ora che Layla era fuori dai piedi e potevo avere il mio uomo come partner per il ballo, dovevo approfittarne.

Ghiacciai la mia mano con un sottile strato di ghiaccio, come se fosse un guanto, e la avvicinai alla sua lungo il suo fianco destro, offrendogliela. Lui se ne accorse, la infuocò e intrecciò le sue dita alle mie. Il freddo della mia mano si intensificò molto non appena il calore ne fu a contatto. Fuoco e ghiaccio si fusero assieme in un'unica realtà, e risplendettero nell'atmosfera con bagliori davvero affascinanti. Poi entrambi si annullarono a vicenda e dalle nostre mani unite salì un filo di vapore chiaro. Lentamente, molto lentamente, esse tornarono al loro stato naturale, facendoci trattenere il respiro. Che meraviglia...!, pensai, incantata. Era la prima volta che i nostri poteri venivano a contatto diretto, ma devo dire che mi aveva fatto sentire davvero molto, molto bene.

Warren sorrise e mi fece cenno con la testa come a dire "dai andiamo".

(n.d.a.: questa è la scena del film che mi ha ispirato tutto questo libro.)

Dopo qualche passo mi guardò con un sopracciglio alzato e mi chiese: «Serviva tutta questa scena?» divertito. Mi diede un bacio in fronte.

Io risi e lo trascinai sulla pista da ballo.

 

★☆★☆★

 

Verso le undici era ora del concerto.

Noi della band ci riunimmo dietro il palco. Appena prima di salire sul palco arrivò Andrew, il batterista, che contento ci informò: «Ragazzi, mi sono esercitato! Vedrete che sarà un successone!». Sorrisi e prendemmo posto sul palco.

Lasciai a Chris il piacere di annunciare, dato che era il suo hobby preferito subito dopo il surf.

«Bella a tutti, gente! Siete pronti per scatenarvi?! Noi siamo i Take Berries To Die!!!»

Dalla folla si levò un'ovazione. Quindi il nome da me proposto piaceva!

«Questa sera avremo Andrew come batterista, ma a dicembre tornerà Alex e sarà di nuovo lui alla batteria! E ora... PARTY ON!»

Warren fece una prima schitarrata d'effetto e la folla acclamò.

Come prima canzone eseguimmo "Starstrukk" dei 3OH!3 con Katy Perry: io cantavo la parte di Katy, Chris quella maschile. Insieme cantavamo il ritornello. I bassi di quella canzone erano pazzeschi, rimbombava tutta la palestra! Andrew non aveva mentito: stava suonando bene. L'ottimo lavoro di Ashley sul controllo del suono era supportato anche dalle indiscutibili abilità di Warren e Scarlett nel suonare i propri strumenti. In più le voci mia e di Chris insieme facevano davvero un bell'effetto vocale. Ed era solo la prima canzone, gente!

Proseguimmo poi con altri brani, compresi "Control" e "Disco" dei Metro Station. Quest'ultima era sempre stata nella mia classifica personale di "Best Songs Ever"; in più, ogni volta che la cantavo, ad Alex quasi cadevano i capelli perché ormai non la sopportava più.

Diciamo che rispettammo la lista di brani prefissataci. Ce ne furono due di Avril Lavigne che eseguimmo assieme. La prima era "Skater Boy", che infatti dedicai a Warren.

Era bello perché io e Chris ci alternavamo a cantare a seconda se la frase parlava dello skater boy o della sua ragazza. Ad esempio Chris diceva «She said» e io completavo la frase: «See ya later boy!», facendo anche un "Ciao ciao" malizioso a Warren con la mano.

Ripetemmo la stessa cosa con la canzone seguente, "One of Those Girls", segretamente da me dedicata a quella stronza di Amber. Ehehe, una piccola rivincita personale. Penso che lei lo capì, perché aveva una faccia abbastanza scocciata per tutta la canzone, e vidi che si allontanò infastidita trascinando con sé Audrey ed Alison e portandole lontano, vicino al buffet in fondo alla palestra.

Io da sola cantai poi "Teenage Dream", molto adatta per quella serata.

«You make me! Feel like I'm living a... TEENAGE DREAM! The way you turn me on. I can't sleep! Let's run away and don't ever look back, don't ever look back! My heart stops! When you look at me. Just one touch! Now baby I believe. This is real! So take a chance and don't ever look back, don't ever look back!». Poi la mia parte preferita, che accompagnai ballando. «I'ma get your heart racing, in my skin-tight jeans, be your teenage dream tonight! Let you put your hands on me, in my skin-tight jeans, be your teenage dream tonight! Tonight, tonight...» La folla acclamava e ballava sulle note della musica, sembrava davvero di essere in un sogno adolescenziale.

Un'altra di Katy Perry fu "Firework" (con Ash e Ska come coriste), la cui esecuzione fu accompagnata dai coloratissimi e splendentissimi fuochi d'artificio creati da Britney. Infatti lei aveva il potere di manipolare la luce, quindi potete immaginarvi quale effetto spettacolare si creò: il pubblico era estasiato, praticamente in delirio!

«'Cause baby you're a FIREWORK! Come on let your colors burst! Make 'em go OH OH OH! As you shoot across the SKY-Y-Y!!! Boom boom boom, even brighter than the moon moon moon... BOOM BOOM BOOM, even brighter than the MOON MOON MOON!»

Che bello, sembrava di stare dentro un sogno! Un sogno un po' discotecaro, ma pur sempre un bellissimo sogno.

Finita la nostra esibizione ricevemmo due interi minuti di applausi ed ovazioni dalla folla, era stato un successone! Ero esausta, non ero abituata a cantare così tanto. Ashley no: si mise a mixare di brutto, accompagnata dalle luci stroboscopiche. Noialtri musicisti poggiammo giù i nostri strumenti e scendemmo sul dance floor a ballare con tutti gli altri.

La serata finì alle 2 passate, ci stavamo divertendo tantissimo! Forse io avevo bevuto un po' troppo, perché stavo ridendo come una cretina e sparando cavolate a manetta, tra Warren, Scarlett e Joe che continuavano a portarmi un alcolico nuovo appena finivo quello che avevo nel bicchiere. Scarlett però mi stava dietro, non era presa tanto meglio di me. Però era riuscita a fare foto di tutti, anche perché tutti volevano farsi fare foto con tutti e con i propri vestiti per la serata, anche durante il ballo. Magari fare queste feste più spesso...!

Gli autobus ci riportarono tutti alle fermate da cui eravamo partiti. Salutai i miei amici e anche tutta l'altra gente sul pullman, poi camminai fino alla mia dimora (un po' barcollando) con Warren che mi circondava i fianchi con il suo braccio, come se non volesse che me ne andassi. I miei genitori non erano ancora tornati. Di colpo realizzai che avevo la casa libera e arrossi violentemente. Warren lo notò, perché mi prese le guance fra le mani. «Tutto bene amore?» mi chiese.

Un po' per l'alcol, un po' perché lui era bellissimo, e soprattutto perché non volevo ancora dirgli ciao, lo trascinai nel vialetto dicendogli «Vieni dentro un attimo, fa freddo, beviamo un tè, non andare a casa è troppo presto». Barcollai cercando le chiavi nella mia borsetta, cercai di infilarle nella serratura senza riuscirci; Warren me le sfilò di mano, fece luce infuocando una mano e girò le chiavi nella toppa. Ci fissammo intensamente per qualche istante, poi entrammo lentamente in casa e chi chiudemmo la porta alle spalle.

«Vieni con me ti faccio vedere una cosa» gli dissi ridendo, per niente lucida. Nemmeno lui lo era del tutto perché mi rispose: «Ho già visto tante cose bella questa sera, e ho deciso che la più bella sei tu. Hai già vinto». La sua frase non aveva senso, anche se ne sembrava convinto perché la disse con tono serio. Lo portai in camera mia. «Togliamoci le scarpe, perché sennò cammino a piedi nudi sul pavimento e...» non riuscii a completare la frase, mi girava la testa. Per tutta risposta, risi. «La porta l'hai chiusa?»

«Hai girato tu la chiave, amore» disse Warren, mentre mi sedevo sul bordo del letto. Mi ricordai che dovevo togliermi le scarpe e le appoggiai sul comodino. Warren lasciò le sue da qualche parte e mi afferrò appena in tempo prima che scivolassi a terra, talmente ero sul bordo. Scoppiò a ridere, vedendomi indaffarata a rialzarmi tra tutti i tulle del vestito. Mi trascinò sul letto distendendomi di fianco a lui e divertito mi disse: «È bellissimo ubriacarsi con te, ti prego facciamolo più spesso! Ti amo così tanto!». Scoppiammo a ridere assieme e lo baciai come potei. In quel momento mi resi conto del perché della mia fatica a orientarmi nello spazio della camera: avevo dimenticato di accendere la luce. L'unica illuminazione presente era offerta dai raggi lunari che entravano dalla finestra, essendo la persiana alzata. «Hai visto che buio?» dissi a Warren.

«Sì è vero. Però un po' ti vedo».

Lo fissai intensamente. «Sei bellissimo» affermai convinta. «Mi dai un bacino?»

Sorrise, potevo vedere i suoi lineamenti e i denti bianchi nella poca luce che c'era, e mi baciò.

L'ultima cosa che mi ricordo furono le sue braccia calde attorno a me e il suo profumo che mi avvolgeva come una carezza, facendomi sentire amata e protetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Take my hand ***


32. Take my hand

 

La mattina io e Warren ci risvegliammo a mezzogiorno, con un mal di testa da record e con ancora addosso i vestiti del ballo. Avevo male ovunque, chissà in quale posizione scomoda avevo dormito. Warren aprì gli occhi lentamente e la prima cosa che fece fu darmi un bacio. Ero ancora fra le sue braccia, ecco spiegato il perché dell'intorpidimento muscolare. Era la seconda volta che dormivamo assieme, stavolta però in condizioni impronunciabili ahaha. Mi alzai dolorante, mentre Warren si stiracchiava, notando le mie scarpe sul comodino e chiedendomi perché accidenti si trovassero lì, e corsi in bagno perché mi scappava tantissimo la pipì. Ero in uno stato pietoso, avevo ancora il trucco in faccia, tutto sbavato e rovinato.

«E tu hai avuto il coraggio di baciarmi così???» strillai inorridita, o meglio cercai di strillare, ma mai accorsi di essere senza voce. Dovevo aspettarmelo, dopo l'esibizione di ieri sera.

Sentii Warren ridere in camera. «Sei bellissima amore». Poi sbadigliò sonoramente.

Lentamente ci sistemammo e facemmo brunch insieme, con quello che trovai in frigo. Meno male che mia mamma si era premurata di fare la spesa prima di partire per la missione. C'erano affettati, uova, waffles, marmellate varie, frutta a volontà, pane da tostare... avevamo ampia scelta. Per non sbagliare prendemmo tutto e lo mettemmo sopra il tavolo.

Passammo tutto il pomeriggio assieme, a bere ettolitri d'acqua e rimetterci in sesto, dopo esserci fatti una bella doccia calda (non insieme ovviamente!!). Warren per chissà quale illuminazione divina si era portato un cambio in macchina («Sono tornato da certe feste in condizioni che non ti dico... L'esperienza insegna») quindi riuscimmo entrambi a vestirci con abiti normali; sarebbe stato un problema passare tutta la giornata solo coi vestiti della festa. Per una volta che potevo approfittare dell'avere casa libera, potevamo concederci il lusso di stare sul divano tutto il tempo che volevamo e ci guardammo ben tre film dello Studio Ghibli, per quell'accordo che avevamo fatto. Warren per tutto il tempo non fece altro che coccolarmi, sotto la mia bella coperta morbidosa al calduccio. Avevo fatto anche due belle cioccolate calde con panna, e ce le stavamo gustando rilassati accompagnandole con qualche biscotto glassato. Era il mio pomeriggio ideale, avrei voluto passarli tutti così, stavo da dio e Warren pure. Continuava a darmi bacini e a stringermi a sé, si vedeva distante un miglio che era innamoratissimo. Non era da lui lasciarsi andare così, infatti mi sorprese molto; ubriacarsi e dormire con me doveva aver "liberato" qualcosa in lui, forse aveva capito che con me poteva essere se stesso al cento percento. Mi rendeva immensamente felice e sperai che sarebbe sempre stato così. Mi strinsi di più nelle sue braccia e continuai a guardare il film, non prima di aver preso un biscotto fra le labbra e averlo avvicinato alle sue, dividendolo assieme. Ci sorridemmo a vicenda innamorati e ci scambiammo un bacio al sapore di cioccolato.

Alla sera tristemente Warren doveva andare a lavorare; mi depressi parecchio quando me lo comunicò, verso le 19, ma mi promise che avremmo recuperato la cena assieme che ora non potevamo fare. Lo strinsi in un lungo abbraccio, non volevo che andasse via, finché lui mi disse: «Dai Rose, amore, devo proprio andare» e allora io lo lasciai andare. Il dovere chiamava. Mi diede un lungo bacio appassionato e mi promise: «Sarai tutta la sera nei miei pensieri. Oggi ho passato la giornata più bella della mia vita» e io arrossi troppo per essere capace di rispondere. Ridacchiò nel vedermi così emozionata, mi diede un bacio in fronte e mi disse «Ciao piccola, a domani».

«Ciao amore mio» risposi a bassa voce. Lui sorrise e salì in auto. Lo salutai con la mano mentre lo guardavo allontanarsi. Rimasi sulla soglia di casa per un po', cercando di riprendermi, e quando ne fui capace tornai in casa e mi feci un'altra cioccolata calda e mi avvolsi nella coperta sul divano. Mi sarei guardata un altro film, che non c'entrava niente con quelli di Miyazaki, per non rimanere tutta la sera imbambolata a fissare il vuoto a pensare a Warren e al suo calore. Non so come avrei fatto il giorno dopo a scuola a non saltargli addosso e a non stargli appiccicata tutto il giorno stretti come due sardine, ma avrei fatto del mio meglio.

 

Lunedì quando arrivai a scuola trovai la preside che parlava al mio gruppo di amici. Mi avvicinai per vedere cosa succedeva. Si erano messi nei casini una buona volta?

«Bene, ora ci siete tutti!» disse la preside quando li raggiunsi. «Volevo rassicurarvi su Gwen, Penelope, Mike e Fred.» Sì, esatto, "Speed" e "Lash" erano cognomi. I loro veri nomi erano Mike Speed e Fred Lash. Solo che tutti li chiamavano per cognome. «Subito dopo il ballo sono stati condotti in infermeria: erano sotto shock. Non riusciamo bene a capire cosa sia loro successo, ma pare che le loro menti fossero controllate. Quindi non dovete preoccuparvi: i vostri amici sono quelli di sempre, non sono diventati "malvagi". Per ora sono stati allontanati dalla scuola e portati un'area sicura affinché possano riposarsi e si dimentichino di ciò che è accaduto. Ritorneranno fra qualche settimana. Ah, un'ultima cosa, prima che mi dimentichi: se vi dovessero chiedere qualcosa riguardo a ciò a loro accaduto, sviate il discorso, rispondete che non sapete. Non vogliamo che si scateni il panico generale, siamo intesi?».

Noi ci guardammo l'un l'altro, poi parlò Joe per tutti, dato che era rappresentante d'istituto. «Sarà fatto. Grazie, signora Preside».

Questa ci fece un cenno col capo ed entrò a scuola.

Noi non parlammo, ognuno era immerso nei suoi pensieri. Warren mi prese per mano e mi condusse fino alla panchina, facendomi accomodare sulle sue ginocchia. Mi appoggiai a lui e le sue braccia mi avvolsero rassicuranti: sapeva che ero in pensiero per i miei vecchi amici. Non riuscivo neanche a pensare al nostro pomeriggio di ieri, ero troppo preoccupata. La situazione era grave. Qualsiasi cosa fosse successo loro non era di sicuro nulla di buono. Era strano, non avevo notato presenze sospette a scuola. E l'unico posto dove un malintenzionato avrebbe potuto colpirli tutti e quattro assieme era proprio la scuola. Controllo della mente poi? Ma stavamo scherzando?! Era un fatto gravissimo, non era strano che la preside volesse tenerlo confidenziale.

Da lontano vidi Scarlett girare il capo e allontanarsi, probabilmente dopo aver letto i miei pensieri, e sedersi sull'erba vicino a Joe, per poi prendergli l'iPad dallo zaino e accenderlo. Voleva fare una ricerca su internet? Ma cosa cercare, poi?

Decisi che ci avrei riflettuto più approfonditamente quando Gwen e compagnia sarebbero tornati. Magari la mia migliore amica avrebbe trovato qualcosa di insolito nei loro ricordi anche se, come ci aveva appena avvisati la preside, probabilmente avrebbero dimenticato tutto l'accaduto, come succede sempre ad una persona quando la sua mente viene posseduta. Ecco perché il possesso era uno dei poteri proibiti alla Sky High, assieme alla manipolazione della realtà, al tocco mortale e all'auto-detonazione. Se un bambino aveva uno di questi poteri, i genitori erano obbligati a non farglielo usare, quindi piano piano lo perdeva. Tranne ovviamente se era una famiglia di super-cattivi.

Un'altra novità di cui venni a conoscenza fu che Will Stronghold e Layla vennero spostati definitivamente al corso eroi, dopo che avevano salvato la scuola. Niente da ridire, se lo meritavano. Non era mai successo che una spalla salisse di "classe sociale", ma per dei poteri così importanti i professori erano stati disposti più che volentieri a fare un'eccezione. Will e Layla si erano anche fidanzati, quindi ora era tutto a posto, e io potevo godermi il mio Warren in santa pace.

 

Siccome alla terza ora Kaufman ci ricordò della ricerca sui Sapiens-Super che doveva essere pronta per metà dicembre e non oltre, quel pomeriggio io ed Ashley andammo a casa di Scarlett per continuarla: eravamo un po' indietro, non avendo combinato quasi niente nelle ore in aula computer a parte emanare decreti legislativi assurdi e alquanto improbabili e disegnare animaletti pulciosi e pelosi chiamati Plichi.

La cosa che mi piaceva di più della casa di Scarlett era l'inconfondibile profumo di lavanda che ti accoglieva non appena aprivi la porta d'ingresso. Donava alle stanze un'atmosfera molto rilassante e faceva sentire a proprio agio in una maniera incredibile, quasi come se tutti i problemi e pensieri negativi che avevi prima di entrare svanissero nel nulla. Per Scarlett quello era un santuario della pace interiore, probabilmente l'unico luogo dove poteva concentrarsi sulla propria voce interiore, anziché quelle degli altri che continuamente le assillavano la testa.

Chissà che ora avrebbe aiutato tutte e tre a concentrarsi sul lavoro da svolgere.

Andammo in salotto, dove c'era più spazio. Da un lato del tavolo si sedette Scarlett con un portatile, per organizzare bene il lavoro da noi svolto finora, di fronte a lei si sedette Ashley con del materiale cartaceo. Io mi distesi a pancia in giù sul tappeto sopra due cuscini enormi, dopo averli allineati a calci mentre tenevo in mano una penna, un evidenziatore, matita e gomma, nell'altra mano l'immancabile bottiglietta d'acqua e in bocca i fogli da controllare.

«Si sta comodi?» mi chiese Ska divertita, seguendo le mie operazioni.

«Non sai quanto!» risposi ironica. «Così mi concentro meglio». A dire il vero non sapevo bene nemmeno io cosa stavo facendo, ma non importava.

Poi ci buttammo a capofitto sulla ricerca.

Due ore dopo avevamo ormai il cervello evaporato.

Il foglio col plico non eravamo ancora riuscite a decifrarlo, quindi alla fine decidemmo di censurarlo del tutto. Le pagine di giornale dateci da Kaufman che secondo lui "ci potevano essere utili" erano completamente inutili e scritte in un linguaggio a noi più o meno alieno. In più su internet non si trovava un accidente patentato del nostro argomento sul sistema legislativo. Comunque riuscimmo a estrapolare qualche informazione un po' da là e un po' da qua e a metterle insieme tipo patchwork.

Con grande sforzo eravamo riuscite ad ottenere qualcosa di produttivo da quel pomeriggio insieme: decidemmo che la ricerca era finita ed andava bene così, l'avremmo consegnata alla prossima lezione. Mettemmo via tutto il materiale e buttammo via i fogli che non ci servivano più (quasi tutti, in pratica) e non si sa come ci ritrovammo a giocare con i Lego sul tappeto del salotto, che Scarlett era andata a prendere non appena avevamo spento il computer e stava sparpagliando a terra annunciando tutta decisa con voce da bimbetta: «Faremo una casetta indistruttibile!». Io e Ashley scoppiammo a ridere e la aiutammo a cercare la base per costruire la super-casetta.

 

Il giorno dopo a scuola ci fu una grossa novità.

La preside chiamò tutti gli studenti delle classi dal terzo anno in su in aula magna. C'erano anche tutti i professori e i rappresentanti degli studenti, tranne Alex e Gwen. Joe rappresentava le quinte quindi salì anche lui sul palco sul posto riservato.

Dopo vari discorsi noiosi di introduzione, la preside giunse a dire che si sarebbe studiata una nuova materia, chiamata Psico-Fisica. «Con ciò che è successo sabato, non possiamo permetterci che un simile avvenimento accada di nuovo. Quindi dobbiamo consolidare al massimo i vostri poteri, potenziarli, dovete tirare fuori il meglio di voi stessi».

Non ci fu spiegato granché sulla materia. La prima lezione fu quello stesso pomeriggio dopo pranzo.

Stavamo attendendo il professore in palestra. Eravamo tutti seduti per terra in cerchio, io ero vicino a Warren.

«Spero sarà interessante» stava dicendo lui.

«Io credo di sì, se tutto ciò che dobbiamo usare sono la mente e i poteri. Psico, fisica. Sarà qualcosa del genere, no?»

Warren infuocò la sua mano e la osservò. Io ghiacciai la mia e curiosa provai ad avvicinarla alla sua. Concentrandomi e sorprendendomi, realizzai che il ghiaccio non si scioglieva.

Stavamo ancora confrontando la potenza dei nostri poteri quando il professore entrò nella palestra. Era giovane, e a dirla tutta pure carino. Sorrise e si presentò. «Ok ragazzi, io sarò il professore di Psico-Fisica. Mi chiamo Brian Williams, anch'io sono stato uno studente della Sky High».

Aveva qualcosa di familiare... possibile che fosse il fratello maggiore di Chris? Gli assomigliava così tanto! E avevano lo stesso cognome.

«Oggi cominceremo a spiegare come controllare i vostri poteri con la mente. Dovrete allenarvi molto, magari meglio in coppia, per correggervi e migliorarvi a vicenda. Cominciamo! Ho bisogno di una dimostrazione da chi ha poteri visibili. Signor Peace, per esempio! Le dispiacerebbe venire a dare una dimostrazione ai suoi compagni?».

«Ok, non c'è problema» rispose Warren, mi lasciò la mano e si alzò.

Lo guardai mentre si sistemava al centro della palestra, pochi metri distante da me, quando il professore mi chiamò. «Anche lei, signorina Frozehart!». Mi fece segno con la mano di andare vicino a Warren. Eseguii.

Quando ci trovammo una di fronte all'altro, a circa tre metri, l'insegnante ci lanciò una specie di guanti da indossare. Si allacciavano attorno al polso e attorno alle dita, ma lasciavano scoperto il palmo della mano. Stavo ancora trafficando con quei cosi quando Warren preoccupato si rivolse al prof: «Prof, ma se le faccio male? Non potrebbe venire qualcun altro al posto suo?»

«Non si preoccupi» lo rassicurò con un sorriso. «È solo una cosa semplice e se qualcuno dovesse farsi male, interverrei per evitarlo».

Anche Warren si sistemò i guanti.

«Siete a posto?» ci domandò il prof. Annuimmo.

«Cosa dobbiamo fare?» chiese Warren.

«Beh, questa è solo un'esercitazione, quindi non pretendo chissà che. Voglio solo spiegarvi le basi della Psico-Fisica e farvi provare ad applicarla. Fate un respiro profondo, cercate di svuotare la mente, di concentravi solo sul vostro potere. Lasciate che la forza vi scorra dentro, e cercate di controllarla». Mentre parlava, raffreddai lentamente le mie mani, fino a ricoprirle di ghiaccio, e vidi delle fiamme cominciare a lambire quelle di Warren. «Provate a combattere, contrastando i poteri dell'altro per proteggevi, non lasciate che vi raggiunga. Signor Peace, cominci lei».

Avevo capito per intuizione cosa dovevo fare. Strinsi i pugni, Warren fece lo stesso, e con un gran sorriso cominciammo l'esercitazione.

Warren infuocò completamente i suoi avambracci, poi portò le mani vicino al petto come se tenesse in mano una sfera invisibile, e una palla di fuoco conciò a ingrandirsi lentamente.

«Molto bene!» esclamò il professore. «Dovete imparare a maneggiare il vostro potere, non farlo scivolare via da voi, controllare l'intensità, la velocità e la potenza. Ora lei, signorina Frozehart, cerchi di proteggersi!»

Nello stesso momento in cui Warren mi lanciò contro la palla di fuoco, portai avanti le mani e congelai l'aria fino a formare un muro di ghiaccio. Lo feci molto freddo, e funzionò alla grande, perché il bolide vi si spense sopra.

«Eccellente, ottimo lavoro! Ora tocca a lei difendersi, signor Peace»

Guardai Warren e ghignai, poi gli lanciai contro un raggio congelante. Lui portò avanti le mani e lo contrastò con un "Lanciafiamme". Quanto mi divertivo ad assegnare i nomi delle mosse Pokémon ai nostri poteri.

Il mio "Geloraggio" ebbe la meglio, forse perché volevo far vedere a Warren che sapevo difendermi, e il professore e la classe applaudirono.

«Bravi! Bravi! Come potenza ci siamo! Ora la parte più difficile: il controllo "a distanza"».

«E significa?» chiese una ragazza dal pavimento.

«Vi faccio un esempio: se io avessi il potere dell'acqua, e un'onda mi stesse travolgendo, io dovrei essere in grado di deviarla. Ma su questo ci arriveremo più avanti; per ora vi insegnerò a controllare le cose che create voi».

Warren lo guardò perplesso perciò l'insegnante si affrettò a spiegare: «Ad esempio lei, signor Peace. Se ha lanciato un raggio di fuoco, dovrebbe essere in grado di deviarlo o fargli prendere la forma che vuole lei. Non è molto difficile: basta solo un po' di concentrazione».

«Ah...!» esclamò Warren quando capì cosa intendeva per "controllo a distanza".

«Cominci di nuovo lei; cerchi di prendere la sua avversaria di sorpresa».

Le fiamme tornarono ad avvampare nelle mani di Warren e poi vennero scagliate contro di me. Mi preparai, ma non abbastanza. Infatti la scia di fuoco non arrivò da dove me l'aspettavo, ma si divise e mi colpì sulla schiena e sul petto. Mi protessi appena in tempo: avvolsi il mio corpo con una nebbia ghiacciata che però non fu sufficiente a contrastare del tutto l'attacco. Le fiamme mi colpirono forte, persi l'equilibrio e caddi a terra.

«Rose!» urlò Warren allarmato; mi corse incontro e si accucciò vicino a me. «Tutto bene? Non volevo farti male! Ti sei scottata? Ti porto in infermeria?»

Ridacchiai, non avevo mai visto Warren così in ansia. «Ahah, no, non mi sono fatta niente. Sono rimasta solo un po' sorpresa, tutto qui. Sto benissimo». Warren mi aiutò ad alzarmi, mi strinse un attimo la mano guardandomi negli occhi per vedere se stavo dicendo bugie, poi la lasciò e tornò al suo posto.

«Va tutto bene, signorina Frozehart? È in grado di continuare?» mi chiese apprensivo il prof.

«Sì sì, non si preoccupi», risposi con un sorriso. Poi dissi decisa: «Bene, tocca a me!»

"Geloscheggia", mi venne in mente. Mi portai le mani davanti al petto, incrociando i polsi. Chiusi gli occhi e, concentrandomi, cominciai a formare del ghiaccio nei miei palmi, facendogli assumere la forma di schegge. Concentrati, Rose. Alzai le braccia sopra la testa, facendo levitare i frammenti in alto. Questi rotearono sempre più velocemente, poi feci scattare le braccia in avanti e le schegge si scagliarono verso Warren a tutta velocità, come avevo comandato loro mentalmente.

Warren si protesse appena in tempo: alzò in alto un braccio infuocato, poi lo tirò giù di colpo, passandoselo davanti orizzontalmente, e ciò andò a formare un muro di fuoco davanti a lui. Le schegge ghiacciate si sciolsero quando gli arrivarono vicino, ma solo per un pelo, e capii che i suoi riflessi non erano stati abbastanza pronti: qualcuna gli aveva colpito il braccio. Le altre ormai non c'erano più.

Però una gli vorticava ancora sopra la testa, e lui non se ne era accorto, ma il mio obbiettivo era questo. Quando le fiamme sulle sue braccia si spensero, probabilmente sentì il "Ziiin ziiii" che la rotazione velocissima della scheggia provocava, perché guardò in su. Con la mente lasciai cadere il pezzetto di ghiaccio, che gli cadde in testa. Lui si lamentò («Ahu!») e io scoppiai a ridere come una matta, assieme al resto della classe e al professore. Anche Warren rise, poi si avvicinò a me e mi sussurrò divertito: «Questa non me l'aspettavo».

La classe e il professore applaudirono stupiti. «Complimenti, bravissimi a tutti e due!» si congratulò Williams. «Per essere la prima volta non è niente male! E come avete visto, è più semplice provare di persona anziché ascoltare la spiegazione».

La prossima coppia furono due ragazzi di quarta. Io e Warren ritornammo al nostro posto sul pavimento e osservammo la loro prova.

«Siamo stati bravissimi» scherzò Warren con me fra le sue braccia.

«Proprio bravissimi. Mi merito un premio al "Miglior Eroe dell'Anno"».

Rise.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3330635