Il miracolo della vita

di Chiara32
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - ultimo ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
 
Edward stava facendo il suo solito giro pomeridiano intorno al parco, i suoi passi  erano molto  veloci e riecheggiavano nel silenzio di quel luogo vuoto e
così misterioso.
Era  una splendida  giornata di settembre e l’autunno si stava già inoltrando, infatti, le prime foglie avevano già cominciato a cadere ricoprendo tutti i lati delle strade dandone un’immagine  quasi pittoresca.
Tutte le strade che percorreva erano piene di sfumature, di bambini che continuavano a giocare a pallone mentre le bambine giocavano ad essere anche loro, piccole madri con i neonati nel passeggino e chi cercava di calmarli.
Era fortunato ad abitare lì vicino, poteva passare ogni giorno assaporando la qualità della vita, i bambini che correvano nei prati, gli adolescenti che uscivano da scuola, gli anziani che passeggiavano nel parco con il loro bastone.
Non aveva mai odiato queste cose, da bambino ricordava che anche lui giocava felice e che crescendo aveva scoperto quale cosa straordinaria era il cambiamento,
come diventare ragazzo senza chiedere il perché, ma soltanto, viverla come un compito facile da affrontare.
Adulto e consapevole, delle sue scelte seguiva il suo cammino senza guardarsi mai indietro, oltrepassando ogni ostacolo insofferente dei suoi studi  universitari.
Era fiero di aver intrapreso questa strada e niente lo avrebbe fermato, tranne alcune insidie velenose che facevano parte della vita che amava.
Non sapeva che qualcosa stava capitando alla sua famiglia, ma  una sorpresa lo attendeva dietro l’angolo colpendo le persone a cui teneva di più.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           Ricordava ancora sua madre ammalata nel suo letto, il viso non più giovane pieno
di dolore, la fronte sudata e le sue mani come ogni altra parte del suo corpo orribilmente pallida come un lenzuolo ormai logoro.
Le labbra spaccate in una smorfia di sofferenza, e la voce sempre più bassa e profonda che metteva paura oltre che malinconia..
Suo padre dopo un anno morì  di depressione, non solo per il disagio e la solitudine che gli attanagliava  il respiro, ma perché non poteva più vivere senza di lei.
Concluse edward che l’amore non era un sentimento da poco, era assai forte e complicato allo stesso tempo, a suo parere, che poteva cambiare la vita rendendola
piena di sorrisi, di  tristezza e anche tragicamente vuota e aspra.
Il dio aveva creato il mondo per mettere alla prova tutti e quelli che si sentivano buoni e amavano tutto della vita sembravano chiamati per raggiungere il loro
nuovo mondo dove potevano vivere in armonia ed essere se stessi.             
Quel pomeriggio era tornato a casa prima del solito e non capiva perché fosse
 così stanco, può darsi che era il ricordare sua madre e suo padre a causargli
quello strano malessere che lo faceva sentire stanco di tutto.
Per dimenticare quel brutto periodo si era gettato in una storia che credeva fosse inequivocabile ma amaramente scoprì quanto nutriva di giorno in giorno una cosa che non c’era.
Si rese conto subito di rimembrare cose passate, così decise di darci un taglio e di pensare unicamente a se stesso e al suo caro presente.
Trattenne un sospiro, tutto sbiadiva ai suoi occhi e  pensare spesso a Jenny,
con quel viso ipocrita e quegli occhi che pensava  fossero sinceri, risvegliavano
in lui la voglia di cancellare quel rapporto, pieno di bugie.
Convinto e straziato, non si perdonava per essere stato uno sciocco ad aver condiviso la perdita dei suoi genitori con una persona che non conosceva abbastanza.
Non lo confortava, rievocava  solitamente dubbi che lo tenevano per giorni ad odiarsi per la sua inutile sensibilità.
Nella mente si offuscava  ogni piccolo ricordo di lei e ciò gli permise di tornare a
sognare su nuovi avvenimenti lavorativi e naturalmente amorosi.
Non vedeva l’ora di farsi una doccia  calda, a questo punto, si spogliò e messosi l’accappatoio si ricordò che l’acqua non c’era a causa di un guasto temporaneo.
Nulla funzionava di quello che aveva, anch’essa gli rendeva la vita impossibile,
in una casa piena di ogni occorrenza era strano che non funzionasse.
Nonostante le continue richieste che aveva fatto per telefono, ancora nessuno gli aveva  fatto visita ed era stanco di continuare a lavarsi a casa di amici.
Stufo ed esausto, raggiunse  di corsa il corridoio che portava al salotto  dove su di
un tavolino accanto al divano color crema, c’era un l’elenco del telefono.
Con calma  sfogliò quelle pagine rileggendo per bene tutto quello che vi era dentro, fin quando trovò il numero dell’idraulico.
Il telefono si mise a squillare mentre  lui s’immaginava già sotto l’acqua  che gli scorreva addosso scivolandogli da parte a parte.
Qualcuno rispose e la voce femminile dall’accento maturo lo riportò alla realtà.
La sua voce si tranquillizzò e  dopo  che quella signora gentile ebbe appuntato il suo nome e l’indirizzo su di un foglio davanti a lei, lo salutò con un sorriso e riagganciò.
Capitava a volte che s’incantava dinnanzi ai vari oggetti posti sugli scaffali
e riconosceva che vi era ordine ed eleganza.
Chiunque entrato sarebbe rimasto sorpreso che un uomo adulto e in carriera avesse tempo a disposizione anche per esporre in quel modo splendido statuette e porcellane di ciascun genere dipinte a mano che appartenevano a sua madre e di suo padre non vi era rimasto che  un  vecchio fermacarte nella stanza accanto sulla scrivania e un libro sull’ecologia e sugli ambienti.                
Si rabbuiò, bastava ben poco per riportarlo nel proprio buco nero in cui vi cadeva,  senza alcun appiglio sprofondando senza più una  fissa meta.
Edward attese a lungo in accappatoio, per un momento pensò che sarebbe venuta una donna, ma sicuramente si sbagliava.
Non ragionava più come un tempo, pochi mesi fa avrebbe preannunciato il futuro
ma ora i suoi pensieri erano speranze senza luce.
In poche parole, non si avveravano, la fortuna gli aveva voltato le spalle levando
fino all’ultimo residuo del suo passato quand’era felice.       
Suonarono alla porta e con un balzo si precipitò, con calma girò la maniglia e
 il suo sguardo si posò in basso.
Le scarpe erano da uomo, salì ancora a guardare e il suo volto cambiò del tutto espressione, era certamente un uomo, non poteva essere altro.
Si scansò per farlo passare e dopo un sospiro d’assenso, chiuse lentamente la
porta deluso.
Si sedette sul divano e di lì a poco si addormentò, si vedeva da lontano che aveva bisogno di riposo e di un bel bagno rilassante.
Senza immaginare quali pensieri aveva in testa, quali ricordi gli stavano dando il tormento, ma lui faceva solo il suo lavoro e quindi non si preoccupava vedendo
la favolosa casa in cui abitava.
Dopo un paio d’ore, si sentì scuotere e al risveglio davanti ai suoi occhi vide l’idraulico che gli sorrideva e ancora assonnato anche lui rispose con un sorriso.
Raccolse le sue cose  e uscì di casa  lasciandogli il conto su un piccolo tavolo nell’ingresso e dopo un ultimo cenno sparì  dietro la porta ormai chiusa.
Eddy  era ancora  seduto, appoggiato allo schienale tenendo le braccia
incrociate sul petto, che cosa aveva sognato?
Questa era una domanda alla quale non si poteva rispondere, non si ricordava
che cosa aveva visto, ma era certo che non rappresentava nulla bi buono.
Si decise a controllare che tutto fosse a posto nel bagno, girò piano la manopola  della doccia e quasi si sorprese a sentire l’acqua  che scendeva  bagnandogli le dita.
Tolse l’accappatoio ormai convinto e lo poggiò al muro entrando così nella doccia.
S’insaponò il petto liscio e abbronzato e  mentre gli scendeva l’acqua sul viso
stava sorridendo, qualunque cosa lo avesse spaventato poco fa, l’acqua che
bagnava il suo corpo lo rendeva  felice.
Bagnato e  fresco si rimise indosso l’accappatoio  e andò in camera, dove il suo
 letto sembrava attirarlo verso di sé.
Si sdraiò senza pensarci due volte, stranamente quel bagno aveva avuto su di lui anche il potere di dargli la serenità che desiderava  e di farlo sentire a suo agio anche nella sua grande casa da solo.
Dopo essersi  voltato verso il muro cadde in un sonno più profondo.
I suoi occhi nocciola  si aprirono e nel alzarsi  si passò una mano tra i folti
capelli neri.
La stanza era buia e difficilmente si poteva vedere  bene, ma niente gli faceva paura,   tranne alcuni oggetti della sua camera da letto che accennavano qualche movimento.
Ogni tanto si guardava attorno  e percepiva altri rumori che poi stranamente
tornavano al silenzio.
Si allontanò dal letto e ad ogni singolo passo cercava di stare attento, poteva
cadere inciampando in qualcosa perché quei rumori  erano proprio lì, come se fossero unicamente, accanto a lui.      
Arrivò al piano di sotto, in cucina dove qualcosa ancora si muoveva, scrutò nel vuoto, di nuovo in cerca  del rumore e subito capì da dove proveniva.
Fissò  in lontananza  l’anta  di  un armadietto  che si aprì piano e continuandolo
ad  osservare ad un tratto cominciò a sbattere  sempre più forte finché si fermò
di colpo.      
Si avvicinò con cautela, con decisione  aprì  del tutto l’armadietto e non vide
nulla, ma bastò qualche secondo per distrarsi  e senza sospettare il benché minimo movimento quella cosa  gli saltò addosso graffiandolo al petto e facendolo urlare  come un pazzo.
Non riuscì a liberarsi di quella cosa finché non si accorse che egli era un animale, preso coraggio e guardò in faccia il suo aggressore, assomigliava ad un gatto nero, era grande come una tigre e in più, cosa fondamentale, aveva  gli occhi scarlatti
come il sangue.
Lo colpì parecchie  volte  senza causargli nessuna ferita mentre invece quel gatto
lo graffiava in pieno petto, mentre cercava  qualcosa da tirargli, l’animale si allontanò per poco e prendendo la rincorsa fece un salto su di lui e  gli diede un gran morso alla spalla  inducendolo ad urlare, più di prima.
Indebolito e straziato, quell’essere lo acchiappò scaraventandolo su di un tavolo di marmo rosso dove vi erano posti dei bicchieri.
Atterrato di botto, si ritrovò a soffrire ancora di più, quei pezzi di vetro si erano incastrati nelle ferite.
Quell’animale aveva cominciato a muoverlo su e giù per fargli sentire ogni pezzo di vetro rotto sotto la sua schiena.
In quel modo poté notare dietro di lui  qualcosa con la coda dell’occhio,  che luccicava grazie alla luna,  che mandava alcuni raggi di luce.
Era un coltello, cercò di allungarsi all’indietro come poteva e nel momento che fu
ben saldo nella sua mano glielo conficcò  nel petto e con un calcio  lo spinse via attendendo la sua eventuale  mossa.
Il gatto dagli occhi  spaventosi  emise un grido ma non di dolore, arrabbiato e
ferito piegò il muso in una smorfia ridendo e sparì  dietro il muro vicino a
pochi passi da lui.
Eddy non capì  cos’era successo realmente, ma nel muoversi  sanguinò dalla
spalla  e tutto gli fu quasi  chiaro perché era debole e stava soffrendo per il dolore.
Faceva fatica a mettere a fuoco e nel giro  di un attimo cadde sul pavimento della cucina dove svenne.
Era ancora a terra, si era svegliato da poco  e cercava di alzare il braccio dove portava l’orologio nuovo, era passata solo mezz’ora e non  poteva rimanere
seduto  sulle mattonelle fredde.
La temperatura era scesa e stranamente fu sorpreso nel sentire freddo, tanto da coprirsi con le proprie braccia e salire  le scale il più  presto possibile.
Poco prima di  tornare a letto, pensò  per un attimo di medicarsi  la spalla e non avendo cerotti adatti alla ferita si mise intorno una garza.
Dopo averla chiusa  si posò sul letto programmando che il giorno seguente sarebbe andato da un dottore.
Si strinse addosso alla coperta, dopo di che ritrovò la pace e il silenzio totale.
Per la prima volta nella sua vita ebbe paura, anche l’aria che respirava era ghiacciata come si sentiva lui anche se era  pienamente avvolto in un plaid.

 

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
 
Era  giorno da un pezzo e tutto regnava nella tranquillità, il sole non si era ancora alzato e  sia il petto che la spalla gli dolevano  ancora.
Non sopportava più quel dolore, così prese qualcosa dall’armadio della sua bella camera grande,  piena di luce e colore maschile.
Prese un paio di  jeans e una camicia abbastanza scura da nascondere le bende.
Quella mattina era in forma smagliante, se non fosse stato per l’episodio della sera prima, si sarebbe sentito ancora meglio.
Prese la sua auto, oltre a tutto anche il traffico ci si metteva e lui non voleva arrivare in ritardo, altrimenti avrebbe dovuto aspettare per essere visitato come ultimo.
Appena si trovò la strada libera, ingranò la quarta e corse più che poteva controllandosi sempre attorno per non causare problemi sulla strada.
Ci mise una quindicina di minuti per arrivare a destinazione e correndo per i corridoi capitò in una saletta dove c’erano poche persone.
In quella sala d’attesa, ebbe una strana sensazione di disorientamento e non era affatto un buon segno, almeno così credeva.
Tutto era silenzio, a parte una vecchietta di fronte a lui che faceva  l’uncinetto e
che neanche sembrava vedere bene, alla sua  sinistra un uomo che stava  leggendo
il suo quotidiano e infine alla sua destra, una donna che leggeva il suo  libro senza mai levare lo sguardo.
Accortasi che la stava fissando, la donna lentamente abbassò il libro e guardandolo ancora si sentì come in trappola senza capire per quale ragione.
Quando incontrò i suoi occhi capì il suo turbamento  e  riconobbe quel colore che aveva già visto.
Improvvisamente lo fissò, aveva gli occhi rossi  e la sua bocca assunse una strana  smorfia, lei gli sorrise.
Edward si arrampicò sulla sedia e cominciò a gridare come se qualcosa  lo
avesse spaventato.
La porta  accanto alla finestra si aprì, una ragazza giovane ne uscì e  vide quel ragazzo terrorizzato.
Era una donna  attraente, capelli rossi  e alcuni riccioli  che le cadevano 
sulle spalle.
Lo fece accomodare  dentro, insieme con lei nel suo studio, era uno splendore la
luce che filtrava dalla finestra, dandole al suo viso un aspetto incantevole come una sirena, ma le sue gambe invece era da svenire.
Con quegli occhi verde smeraldo che facevano venir voglia di essere visitati anche
se  naturalmente non si era per niente malato.
Dopo essersi accertata che egli era un paziente che lei doveva visitare ruppe il silenzio e  si udì  per  la prima volta la sua voce.

i sentì chiamare per nome    il suo cuore inizio a battere più forte, era una bella sensazione sentirla parlare con calore. pos“Il signor Phoebe?”
“Si, sono io”
“Signor Phoebe…”
“Edward….”le suggerì lui
“Lei soffre d'allucinazioni?”
“No, perché questa domanda?”
“Beh, a mio parere, una persona che sale su una sedia spaventato e grida per una cosa che non è nella stanza in cui si trova, per me, soffre di allucinazioni”
“C’era davvero qualcosa di là”
“Che cosa?”
“ Mi dirà anche che di là non c’e nessuno oltre a me, vero?
“signor Phoebe, fuori non c’era nessuno…”
“Non riesco a crederci!”
“Io meno di lei”
“Allora, cosa posso fare per lei?” chiese gentilmente la dottoressa rassicurandolo.
“Mi fa male il petto e anche la spalla" indicando quella sinistra.
“Quindi non è venuto qui perché ha le allucinazioni?”
“No, solo per le mie ferite!”
“Ok,  annuì, mi faccia vedere, si sieda sul lettino e si sbottoni la camicia” disse
con tono serio e distaccato.
Eddy lentamente si spogliò  e posò la camicia di fianco, senza mai toglierle gli
occhi di dosso.
Anche se le sembrava insopportabile, era una creatura dolcissima dall’aspetto.
Quante domande si stavano creando  su di lei, la guardava affascinato dai suoi movimenti e nel modo silenzioso in cui faceva il suo lavoro.
Combattendo contro quelle domande che volevano delle risposte.
C’era un uomo nella sua vita?
Cosa faceva oltre che fare il medico?
Le piaceva la compagnia maschile?
Viveva da sola?
Queste e altre ancora si affollavano nella sua testa;
Si riscosse nel sentirla sfiorargli il petto, quel tocco gentile e premuroso gli scatenava piacevoli brividi che non sapeva controllare.
Finché d’un tratto gli scappò un gridolino di dolore involontario.
“Le ho fatto male?”
“No, non si preoccupi”
La dottoressa finì di fasciargli il petto, passando con la massima calma a vedere  anche le sue spalle.
 Era scioccante credere che un uomo come lui con quel torace che faceva capire lontano un miglio che si allenava spesso, credere che si fosse procurato quei graffi anche dietro.
Ma dentro di sé lei sospettava che le stesse nascondendo qualcosa.
“Come ha fatto a ferirsi così anche qui?”
Non potendole dire la verità le mentì senza riflettere;
“Sono scivolato nel buio all’indietro cadendo sui bicchieri…”

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
 
“E’sicuro di quello che mi dice?”
“Certo”
“Non oso chiederle della spalla, perché se non riesco a crederle per le altre ferite figuriamoci se..., si fermo di colpo, e senza proseguire col discorso finì;
mi limiterò a fare solamente il mio lavoro!”
“Non mi era mai capitato un caso come questo!” Disse incredula vedendo quei
graffi profondi in pieno petto e  la spalla  che continuava a sanguinare.
Era inconcepibile pensare a come si poteva essersi  graffiato e lei ebbe per un
attimo paura di saperlo.
Cambiò idea e prese tutto il coraggio a due mani facendogli quella domanda
che lui si stava aspettando.
“C…come si è fatto quei graffi?” Pronunciò tenendo le mani attaccate ai bordi 
della scrivania dietro di sé.
“È difficile dirle…”
“Devo saperlo!” Lo interruppe lei.
“Ok, se è quello che vuole!”
“ Mi risponda…”
Eddy prese fiato e guardandola  dritto negli occhi  le raccontò quello che era accaduto  la sera   precedente cercando di  stare calmo e di non omettere
nessun particolare.
“Mi sono svegliato durante la notte e degli  sentendo degli strani rumori in casa
sono sceso in cucina dove il rumore continuava  di passo in passo.
 Mi sono avvicinato all’armadietto che sbatteva…”
“C’era il vento? Lo interruppe di nuovo con voce fredda”
“No, la finestra era chiusa, era buio e non ho potuto vedere quel…si bloccò per qualche secondo, quel gatto nero enorme e con quegli occhi rosso sangue”
“Per caso lei ha bevuto ieri notte?” Chiese senza nessun riguardo alla sua paura.       
“Come posso bere se… se sono astemio!”
A quella risposta, la dottoressa lo studiò attentamente  e vide la paura aumentare
 sul suo volto e quasi tremava al ricordo di ciò che gli era accaduto.
Era difficile aiutarlo senza aver fiducia in lui, pensare al tremito che aveva le mandava strani brividi lungo la schiena a pensare quale cosa spaventosa avesse incontrato la sera precedente. 
“In questo caso, io sono anche psichiatra” disse senza cambiare opinione.
“Mi ha già dato prova di avere un problema da risolvere”
“Io non sono pazzo!”
“Non ho detto che lei lo sia, ho chiesto di poter capire insieme  il suo stato d’animo
e perché è così  spaventato”
“Lei ha bisogno di farsi curare, ma da uno bravo!”
Voleva usare questa tattica per spingerlo a dirle la verità e non fece che fargli aumentare l’insicurezza per quello che gli dimostrava senza risultati.                        
Edward scosse la testa, guardava  in basso senza riuscire a capire perché lei
non voleva credergli.
 
“Perché non mi vuole credere?” Le chiese stanco e dolorante.
“Come faccio a crederle, quello che mi dice è impossibile, sicuro di non aver guardato un brutto film o di voler inventare storielle per farmi perdere tempo?”
“Ha visto le mie ferite!” Le indicò la spalla.
“Si, le ho viste e non mi sembrano affatto normali!” Rispose quasi spaventata
“Appunto, come posso essermi fatto delle ferite così?”
“Me  lo dica lei con cosa mi sono ferito!”
La dottoressa rimase paralizzata, iniziava a credergli e si sentiva confusa,
piena di paure che non aveva  ancora provato.
Lei si sbloccò da quella posizione e  all’improvviso prese la cornetta in mano e mantenendo la   calma  formulò un numero di telefono.
“Che cosa sta facendo?” Chiese in tono preoccupato.
“Sto cercando di mettermi in contatto con  un mio amico, anche lui è medico e magari mi potrà spiegare come si è procurato quei graffi”
“Preferirei che non lo facesse dottoressa”    
“Perché no?” Chiese curiosa mentre lo ascoltava.
Eddy abbassò la testa  e prima  che lei  si voltasse dalla parte opposta a bassa
voce  le rivelò il motivo  per il quale lei non poteva dirlo a nessuno.                            
“Mi creda, anche io ho paura!”                               
“In che senso?” Gli domandò incerta.
Lui alzò  il viso e la guardò negli occhi, cercando di restare tranquillo per non
farla agitare più di quello che era già..
“Se lei lo farà mi useranno  come oggetto da studiare, il mio corpo, la mia mente, non potrò più vivere come prima  perché mi ricorderei  il motivo e lei…”       
“E io invece?”
“Lei invece proverà  sulla sua pelle cosa vuoldire essere vittima di qualcosa   d’oscuro, senza poter capire perché, a che scopo, lei  si sentirà così male  che
più nessuno la potrà aiutare!  Solamente io”
Le parole del ragazzo  bastarono per convincerla del tutto.
Sconcertata e dubbiosa aveva una strana paura che la spinse a riflettere sul
caso strano di cui stavano parlando e anche su di lui.                                                                                                                                                                                     
“Che cosa posso fare per te, Edward?” Finalmente gli sorrise.
Appena si sentì chiamare per nome  il suo cuore inizio a battere più forte, era
una bella sensazione sentirla parlare con un po’ di calore.
Sorridendo a sua volta, si riprese e nel guardarla per un secondo gli sembrava  d’aver visto un’ombra passarle attraverso e poi svanì.
“Vorrei che lei non rimanesse sola…”si sorprese anche lui d’averlo detto.
“Non sono sola, ho la mia casa e i miei pazienti e inoltre…”si fermò a pensare
se dovesse dirgli la verità, ma si rese conto che non doveva nascondere nulla.
C’era già qualcosa che occupava già da tempo la sua vita e quindi  senza
continuare a girarci intorno finì la frase.
“Sto bene da sola!”
Edward rimase incollato alla sedia dove era seduto, quelle parole ebbero su di lui
il potere di farlo sentire di troppo, così preferì cambiare  discorso e lasciar perdere.
Una risposta l’aveva avuta, era da sola per scelta e quel motivo lo mandava in bestia
che un angelo come lei non riempisse la vita di un uomo come lui.
Ma dopo qualche secondo pensò che forse avrebbe potuto provarci senza il
pericolo di un ragazzo geloso.
“Bene, allora  se non  dobbiamo dirci più nulla io torno a casa, ho migliaia di cose da fare e non posso perdere più tempo qui”
“Stia attento per favore” la voce della dottoressa sembrò quasi  preoccuparsi
molto della sua salute e lui prima di chiudere la porta alle sue spalle gli fece
una sola domanda.
“Qual è il suo nome?” si permise lui.
“Eveline Tasker”
“Arrivederci  Eveline”
“Aspetta un momento! Cercò di fermarlo.
Lui si voltò sorpreso che avesse chiamato in quel modo un paziente.
“Prendi  questo biglietto, se ti senti male o hai voglia di sfogarti  chiamami
a questo numero”                                                                                                                       
“E se fossi tu ad avere bisogno di me?”    
“Sono una dottoressa, perché dovrei  star male?”
“Però sei una donna e anche tu potresti avere problemi”
“Ti ho detto poco fa che so badare a me stessa,  la mia vita non rischia nulla”
 Eddy prese un foglietto e con una penna cominciò a scrivere dei numeri.
 “Questo è il mio numero, se hai problemi gravi   di cui non puoi parlare a
nessuno chiamami, e  se ti senti sola, chiamami”
Eddy era uscito, ed Eveline teneva quel numero ancora stretto fra le mani 
finché si era decisa a buttarlo nella sua borsa  e a fare entrare  un altro paziente.
 Al ritorno della sua visita avuta con la dottoressa Eddy si buttò di piombo sul
divano e non sapendo cosa fare, in quel momento prese un libro  dallo scaffale accanto al divano e ne scelse uno che non parlasse d’amore.
La sua ultima storia risaliva a quattro mesi prima; non era stato facile farsi dimenticare quel giorno in cui era rientrato presto dal lavoro.
Erano quattro anni che stava con Susan  ed era felice perché per quell’occasione
le aveva fatto come regalo un ciondolo  d’oro bianco  e un cuore con una scritta piccola incisa sopra.
 
“Ringrazio il signore  per avermi fatto nascere uomo e per aver fatto te  donna, perché il sole e la luna  non possono amarsi come noi”
 
 
 
 
 
 
Era nel salotto e non aveva udito altro che versi, pensò subito  che stesse dormendo
e piano senza far rumore aprì la porta avvicinata e alzò gli occhi.
“Amore sono tornato, buon anniversario!”
 Lei non stava dormendo affatto, era a letto con un altro, di botto la sua faccia s’incupì mentre quella di lei  somigliava ad  una statua terrorizzata  e imbarazzata.
 Non ci volle molto perché lui si arrabbiasse, senza più alcun  rispetto di lei
la cacciò così com’era insieme al suo amante.
 Sbatté la porta e in preda alla furia lanciò in aria il suo regalo.
 Edward si precipitò a cercare nel cassetto  del comodino uno scrigno, quando lo aprì il ciondolo luccicava  in un modo speciale, quasi come se dicesse;
 
 
“Vorrei non essere dimenticato”
 
 
Chiuse lo scrigno con dentro il ciondolo e si sdraiò sul divano a leggere un libro
 di fantascienza.
Troppi pensieri aveva nella testa, non poteva leggere senza pensare a lei, Eveline
era una ragazza davvero carina e i suoi occhi gli trasmettevano  pace e speranza, facendolo sogni  faceva un tempo.
 Non si accorse d’essere stanco e che il  libro era cambiato, al posto di una pietra
scientificamente detta aliena sulla copertina, c’era  disegnata l’immagine di una donna, era magra, capelli rossi  e occhi verdi che parevano essere veri.
 Ad un tratto si mosse, gli fece l’occhiolino e uscì  dal libro materializzandosi
davanti a lui, aveva un abito bianco e i suoi capelli erano sciolti.
 Emanava una luce meravigliosa, tanto da attirarlo con i suoi occhi smeraldo e lui
si sentì prigioniero di quella strana magia.
La donna gli venne vicino e lui poteva sentire il suo corpo, però non voleva sognare la desiderava  veramente così le venne vicino e quando i loro corpi furono attaccati la sensazione di  benessere cambiò e si trasformò in qualcosa d’orrendo.
 Aprì gli occhi, non vi era più quella luce chiara che  vedeva, solo un gran corpo peloso e nero, decise di scansarsi perché lo stringeva troppo, ritrovandosi occhi negli occhi.
Grandi occhi rossi e cattivi lo guardavano a pochi centimetri dalla sua faccia;
Eddy si fece scappare un urlo di terrore, la bestia lo acchiappò  per la spalla e cominciò a spremergliela senza nessuna pietà.
Inutile dire che stava soffrendo, i suoi occhi erano quasi chiusi dal pianto, la sua bocca era aperta  per lasciare che almeno la sua voce si liberasse nell’aria
da quel mostro.
Non aveva mai provato tanto dolore fisico in vita sua, almeno non così.
Davanti agli occhi vedeva tutta la sua vita, le sue esperienze dolorose e nessuna
 si poteva confrontare con quello che provava in quegli istanti.      
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


Il mostro fece di nuovo una smorfia e rise nuovamente, vedendolo prigioniero fra i suoi artigli e dal suo stesso dolore. Eddy non aveva più molte possibilità di vivere se non si ribellava, quindi nel gridare fece un ultimo sforzo pregando di farcela, tirò fuori dalla tasca la sua penna e gliela conficcò nell’occhio sinistro. Il mostro lasciò quasi la presa, perdendo sangue dal suo occhio cadde quasi all’indietro e lui n’approfittò per allontanarsi, coprendosi con la zampa con l’ultimo grido mentre svaniva sentì udire piano un nome conosciuto. “E v e l i n e…” “Oh no, eveline!” Edward cercò nelle tasche il biglietto che lei gli aveva dato e dopo vari tentativi riuscì a trovarlo, compose subito il numero e il telefono si mise a squillare. Eveline era entrata da poco nel bagno, immergendosi completamente nella vasca e si era appisolata un momento e non poteva sentire il telefono che suonava. Eddy posò la cornetta, indossò una giacca e uscì in fretta di casa. Salì in auto, mise in moto e fece retromarcia, continuando a pensare ad una cosa sola, anzi, qualcuno Eveline Tasker, la sua dottoressa nonché la ragazza per la quale il suo cuore aveva un record di seimila battiti al minuto. Eveline si era svegliata infreddolita, aveva la bocca che le tremava, la schiena che le faceva male e le gambe addormentate. Aveva freddo anche se l’acqua era abbastanza calda, più rimaneva a pensarci e più il freddo aumentava, così pensò di stringersi più dentro l’acqua ma non cambiò niente. Aveva ancora sonno, inoltre le piaceva stare lì dentro perché mentre si rilassava poteva liberare la mente dai suoi pensieri. Udì delle gocce cadere e lentamente aprì gli occhi, dal rubinetto di fronte a lei cominciavano a scendere lente una dopo l’altra, rompendo il silenzio che la calmava. Si guardò intorno e non vide nessuno, anche se era sicura di non essere sola. Ritornò a fissare le gocce che avevano smesso di cadere, poi dopo pochi secondi di silenzio dal basso proprio sotto di lei, sentì un solletico dietro la schiena che cresceva formando forti bolle d’aria. Sparirono così com’erano venute, confusa e intimorita, rimase ferma ad aspettare. Senza nessun avvertimento, qualcosa la tirò giù lasciando visibili solo le braccia. Eveline stava lottando con tutte le sue forze contro una forza oscura e sconosciuta che la stava tenendo sott’acqua. Difatti, quel che non concepiva era che le stava assorbendo la sua linfa vitale. Doveva risalire fuori dell’acqua, ma quella cosa invisibile ai suoi occhi continuava a tenerla, n quel momento ripensò a quello strano ragazzo e ammise che aveva ragione, era sola e aveva bisogno di aiuto. Però adesso come faceva a chiamarlo in una situazione così, la porta del bagno era anche chiusa a chiave, nessuno poteva trovarla e nessuno poteva sentirla. La porta del bagno si aprì, qualcuno entrò e la chiamò; “Eveline! Eveline!” Eveline riuscì a sentirlo, sembrava lontanissimo e con una nuova speranza, raccolse tutte le forze e si allungò fino a risalire in superficie, Eddy vide la sua mano uscire dall’acqua e la tirò su appena svenuta. La prese in braccio e la poggiò sul pavimento, mentre le metteva l’asciugamano sopra per coprirla, l'alzò tenendola in braccio fino alla camera da letto. Con tutto il rispetto che aveva per lei, mise qualcosa per coprire il letto e la lasciò sul letto cercando di asciugare tutto quello che poteva senza guardarla e senza toccarla mentre era priva di sensi. Era un uomo intelligente e rispettoso, non era il tipo da approfittarsi di un momento come questo, anche se la donna che desiderava tanto era nuda. Eveline rinvenne solo dopo mezz’ ora, al primo impatto vide il soffitto bianco, poi si sentì asciutta e calda, aveva indosso un asciugamano che la copriva e l’accappatoio che la scaldava. Si mise a sedere sul letto, si spogliò e dall’armadio tirò fuori un abitino semplicissimo, dopo averlo indossato seguì quel profumino delizioso che proveniva dalla cucina. Ovvio che c’era un estraneo che l’aveva salvata e ora stava cucinando, ma chi poteva essere? Seguendo la scia arrivò fino a lui ed ebbe una sorpresa quando lo vide con i suoi stessi occhi. “Che stai cucinando?” chiese lei felice “Ah, finalmente ti sei svegliata!”si voltò verso di lei e le sorrise. “Che ci fai tu qui!”domandò delusa “Stai bene Evy?” le chiese dolcemente senza badare alla sua domanda. “Veramente…, stava per dire qualcosa ma poi gli rispose semplicemente, si, sto bene Eddy, grazie” “Sei stato tu che mi hai salvato?” “Certo, solo io potevo cercarti anche dove non potevi essere…” “Avevi ragione…” “Su che cosa?” “Quando hai detto che avevo bisogno di non stare sola…” “L’importante è che stai bene, sai se la mia dottoressa preferita” Eveline rise divertita, mentre Eddy scopriva che aveva un bel sorriso. “Sapevi di essere bellissima quando sei felice?” “No, sei l’unico che me lo abbia detto” Eddy finì di mettere una piccola tavola per loro e posato l’ultimo piatto la invitò a sedersi. “Prego, accomodati” “Come sei gentile?” “Perché sono un gentiluomo” “Ho visto!” “Senti, che hai preparato, sento un profumino meraviglioso?” Nel frattempo, in una delle stanze c’era qualcosa che non restava calmo e sereno, Eveline si zittì e localizzò il punto d’origine dei rumori che sentiva da una delle stanze. Scattò dalla sedia seguita da Eddy che le era alle spalle, corse nel corridoio fino alla porta che non riusciva ad aprire e qualche attimo dopo, anche con il suo aiuto sentirono uno scatto e si aprì da sola mostrandole oggetti preziosi e ricordi a terra distrutti, i vestiti strappati e alcuni solamente a terra. “Chi può aver fatto una cosa simile?” disse sconcertata. “C’e qualcuno che t’invidia o con cui hai litigato?” chiese per capire. “Nessuno ce l’ha con me” rispose sinceramente. “Ora qualcuno c’è” le rivolse certo di quello che vedeva. Eveline iniziò a raccogliere alcune cose e edward la copiava, non ci misero molto per liberare il pavimento della sua stanza. Intanto nella mente di Evy c’era una confusione che le offuscava la ragione, dover sopportare degli avvenimenti successi da un giorno all’altro. Quante domande voleva fare, quante risposte voleva sapere, non conosceva la causa di tutto ma doveva finire, scosse la testa per un attimo e poi le venne un'unica idea, forse la giusta da prendere in considerazione. Forse era sbagliato chiedersi se fosse proprio lui la causa di tutto, ma non aveva idea di chi fosse quell’uomo e senza pensarci più decise che cosa doveva fare, sperando di non pentirsene. Alzò il capo da terra e seduta sul letto senza guardarlo negli occhi con un sospiro disse ciò che la opprimeva. “Sarà meglio che vai a casa tua” gli disse con aria ostile. Edward si voltò verso di lei e la osservò con improvviso stupore. “Che hai detto?”le chiese quasi confuso e incerto. “Ho detto che è meglio che tu te ne vada”gli rispose senza guardarlo in faccia. “Perché dici così?”continuò lui spaventato. “Perchè sei tu la causa di tutto!”sicura senza alcun rimpianto Lui si avvicinò e prendendole la mano nelle sue le chiese con calma. “Sei sicura che vuoi che me ne vada?” “Si, vattene non ti voglio più in casa mia!”annuì irritata dalla sua presenza. “Che ti è successo?” “Succede che ho capito! Le ferite, il tuo numero, non devi stare sola!” “Che…” cercò di dire qualcosa. “Era un piano, anche quando ero nella vasca!” “Aspetta tu non hai capito….” “Hai approfittato mentre ero svenuta per vedermi nuda!” “Non potrei mai…” “La cenetta, tutto per portarmi al letto, vero?” “Beh, il tuo piano non ha funzionato!” “E ora sparisci non sopporto più di vederti davanti a me!” “Credi quello che vuoi, ma attenta, chi vuole farti del male non sono io e tu senza di me sei finita!” “Va via!”grido quasi isterica. Prima di andarsene, la salutò calorosamente e chiudendo la porta ogni traccia di lui sparì. “Abbi cura di te” All’improvviso scoppiò a piangere, si coprì il volto con entrambe le mani e dopo un paio d’ore fu chiamata per un’emergenza al suo studio. Scese di casa e raggiunse lo studio dove la sua segretaria dava i numeri,spaventata per un biglietto che era sulla sua scrivania . Presto morirai, piccola puttana! Capitolo 4 Il mostro fece di nuovo una smorfia e rise nuovamente, vedendolo prigioniero fra i suoi artigli e dal suo stesso dolore. Eddy non aveva più molte possibilità di vivere se non si ribellava, quindi nel gridare fece un ultimo sforzo pregando di farcela, tirò fuori dalla tasca la sua penna e gliela conficcò nell’occhio sinistro. Il mostro lasciò quasi la presa, perdendo sangue dal suo occhio cadde quasi all’indietro e lui n’approfittò per allontanarsi, coprendosi con la zampa con l’ultimo grido mentre svaniva sentì udire piano un nome conosciuto. “E v e l i n e…” “Oh no, eveline!” Edward cercò nelle tasche il biglietto che lei gli aveva dato e dopo vari tentativi riuscì a trovarlo, compose subito il numero e il telefono si mise a squillare. Eveline era entrata da poco nel bagno, immergendosi completamente nella vasca e si era appisolata un momento e non poteva sentire il telefono che suonava. Eddy posò la cornetta, indossò una giacca e uscì in fretta di casa. Salì in auto, mise in moto e fece retromarcia, continuando a pensare ad una cosa sola, anzi, qualcuno Eveline Tasker, la sua dottoressa nonché la ragazza per la quale il suo cuore aveva un record di seimila battiti al minuto. Eveline si era svegliata infreddolita, aveva la bocca che le tremava, la schiena che le faceva male e le gambe addormentate. Aveva freddo anche se l’acqua era abbastanza calda, più rimaneva a pensarci e più il freddo aumentava, così pensò di stringersi più dentro l’acqua ma non cambiò niente. Aveva ancora sonno, inoltre le piaceva stare lì dentro perché mentre si rilassava poteva liberare la mente dai suoi pensieri. Udì delle gocce cadere e lentamente aprì gli occhi, dal rubinetto di fronte a lei cominciavano a scendere lente una dopo l’altra, rompendo il silenzio che la calmava. Si guardò intorno e non vide nessuno, anche se era sicura di non essere sola. Ritornò a fissare le gocce che avevano smesso di cadere, poi dopo pochi secondi di silenzio dal basso proprio sotto di lei, sentì un solletico dietro la schiena che cresceva formando forti bolle d’aria. Sparirono così com’erano venute, confusa e intimorita, rimase ferma ad aspettare. Senza nessun avvertimento, qualcosa la tirò giù lasciando visibili solo le braccia. Eveline stava lottando con tutte le sue forze contro una forza oscura e sconosciuta che la stava tenendo sott’acqua. Difatti, quel che non concepiva era che le stava assorbendo la sua linfa vitale. Doveva risalire fuori dell’acqua, ma quella cosa invisibile ai suoi occhi continuava a tenerla, in quel momento ripensò a quello strano ragazzo e ammise che aveva ragione, era sola e aveva bisogno di aiuto. Però adesso come faceva a chiamarlo in una situazione così, la porta del bagno era anche chiusa a chiave, nessuno poteva trovarla e nessuno poteva sentirla. La porta del bagno si aprì, qualcuno entrò e la chiamò; “Eveline! Eveline!” Eveline riuscì a sentirlo, sembrava lontanissimo e con una nuova speranza, raccolse tutte le forze e si allungò fino a risalire in superficie, Eddy vide la sua mano uscire dall’acqua e la tirò su appena svenuta. La prese in braccio e la poggiò sul pavimento, mentre le metteva l’asciugamano sopra per coprirla, l'alzò tenendola in braccio fino alla camera da letto. Con tutto il rispetto che aveva per lei, mise qualcosa per coprire il letto e la lasciò sul letto cercando di asciugare tutto quello che poteva senza guardarla e senza toccarla mentre era priva di sensi. Era un uomo intelligente e rispettoso, non era il tipo da approfittarsi di un momento come questo, anche se la donna che desiderava tanto era nuda. Eveline rinvenne solo dopo mezz’ora, al primo impatto vide il soffitto bianco, poi si sentì asciutta e calda, aveva indosso un asciugamano che la copriva e l’accappatoio che la scaldava. Si mise a sedere sul letto, si spogliò e dall’armadio tirò fuori un abitino semplicissimo, dopo averlo indossato seguì quel profumino delizioso che proveniva dalla cucina. Ovvio che c’era un estraneo che l’aveva salvata e ora stava cucinando, ma chi poteva essere? Seguendo la scia arrivò fino a lui ed ebbe una sorpresa quando lo vide con i suoi stessi occhi. “Che stai cucinando?” chiese lei felice “Ah, finalmente ti sei svegliata!”si voltò verso di lei e le sorrise. “Che ci fai tu qui!”domandò delusa “Stai bene Evy?” le chiese dolcemente senza badare alla sua domanda. “Veramente…, stava per dire qualcosa ma poi gli rispose semplicemente, si, sto bene Eddy, grazie” “Sei stato tu che mi hai salvato?” “Certo, solo io potevo cercarti anche dove non potevi essere…” “Avevi ragione…” “Su che cosa?” “Quando hai detto che avevo bisogno di non stare sola…” “L’importante è che stai bene, sai se la mia dottoressa preferita” Eveline rise divertita, mentre Eddy scopriva che aveva un bel sorriso. “Sapevi di essere bellissima quando sei felice?” “No, sei l’unico che me lo abbia detto” Eddy finì di mettere una piccola tavola per loro e posato l’ultimo piatto la invitò a sedersi. “Prego, accomodati” “Come sei gentile?” “Perché sono un gentiluomo” “Ho visto!” “Senti, che hai preparato, sento un profumino meraviglioso?” Nel frattempo, in una delle stanze c’era qualcosa che non restava calmo e sereno, Eveline si zittì e localizzò il punto d’origine dei rumori che sentiva da una delle stanze. Scattò dalla sedia seguita da Eddy che le era alle spalle, corse nel corridoio fino alla porta che non riusciva ad aprire e qualche attimo dopo, anche con il suo aiuto sentirono uno scatto e si aprì da sola mostrandole oggetti preziosi e ricordi a terra distrutti, i vestiti strappati e alcuni solamente a terra. “Chi può aver fatto una cosa simile?” disse sconcertata. “C’e qualcuno che t’invidia o con cui hai litigato?” chiese per capire. “Nessuno ce l’ha con me” rispose sinceramente. “Ora qualcuno c’è” le rivolse certo di quello che vedeva. Eveline iniziò a raccogliere alcune cose e edward la copiava, non ci misero molto per liberare il pavimento della sua stanza. Intanto nella mente di Evy c’era una confusione che le offuscava la ragione, dover sopportare degli avvenimenti successi da un giorno all’altro. Quante domande voleva fare, quante risposte voleva sapere, non conosceva la causa di tutto ma doveva finire, scosse la testa per un attimo e poi le venne un'unica idea, forse la giusta da prendere in considerazione. Forse era sbagliato chiedersi se fosse proprio lui la causa di tutto, ma non aveva idea di chi fosse quell’uomo e senza pensarci più decise che cosa doveva fare, sperando di non pentirsene. Alzò il capo da terra e seduta sul letto senza guardarlo negli occhi con un sospiro disse ciò che la opprimeva. “Sarà meglio che vai a casa tua” gli disse con aria ostile. Edward si voltò verso di lei e la osservò con improvviso stupore. “Che hai detto?”le chiese quasi confuso e incerto. “Ho detto che è meglio che tu te ne vada”gli rispose senza guardarlo in faccia. “Perché dici così?”continuò lui spaventato. “Perchè sei tu la causa di tutto!”sicura senza alcun rimpianto Lui si avvicinò e prendendole la mano nelle sue le chiese con calma. “Sei sicura che vuoi che me ne vada?” “Si, vattene non ti voglio più in casa mia!”annuì irritata dalla sua presenza. “Che ti è successo?” “Succede che ho capito! Le ferite, il tuo numero, non devi stare sola!” “Che…” cercò di dire qualcosa. “Era un piano, anche quando ero nella vasca!” “Aspetta tu non hai capito….” “Hai approfittato mentre ero svenuta per vedermi nuda!” “Non potrei mai…” “La cenetta, tutto per portarmi al letto, vero?” “Beh, il tuo piano non ha funzionato!” “E ora sparisci non sopporto più di vederti davanti a me!” “Credi quello che vuoi, ma attenta, chi vuole farti del male non sono io e tu senza di me sei finita!” “Va via!”grido quasi isterica. Prima di andarsene, la salutò calorosamente e chiudendo la porta ogni traccia di lui sparì. “Abbi cura di te” All’improvviso scoppiò a piangere, si coprì il volto con entrambe le mani e dopo un paio d’ore fu chiamata per un’emergenza al suo studio. Scese di casa e raggiunse lo studio dove la sua segretaria dava i numeri,spaventata per un biglietto che era sulla sua scrivania . Presto morirai, piccola puttana

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
 
Si sedette sulla poltroncina che era alle sue spalle e seduta alla scrivania, fece un numero  dal suo telefono, quando sentì la voce d’Edward  rispondere, lei incominciò a dirgli quello che le passava per la testa.
“Pronto?”
“Sentimi bene, razza di maniaco la devi finire di darmi fastidio e soprattutto se ti azzardi ancora a lasciarmi messaggi così offensivi nel mio studio e provi ad entrarmi in casa, chiamerò la polizia, così non sarò sola!” 
Eveline riattaccò subito per non udire la sua voce, in passato l’aveva colpita la sua gentilezza e la sua voce così dolce che le esprimeva protezione, ma doveva voltare pagina il più presto possibile.   
Si era promessa di dedicarsi solo a se stessa e ai suoi pazienti, ma chi l’avrebbe detto che si sarebbe innamorata di un o di loro.
Si asciugò le lacrime e rimase nel suo studio per tutta la notte, si svegliò che erano le due di notte e aveva dolori per tutto il corpo.
Ancora stanca salì sulla sua auto  e cercò di ritrovare la strada per tornare a casa, le strade erano buie   e non era il momento giusto di guidare.
Aveva iniziato anche a piovere, avviò i tergicristalli per poter vedere meglio anche se già non vedeva bene, le macchine sfrecciavano così forte  che dava l’impressione di venirle addosso e dopo qualche chilometro sbagliò strada e la macchina incontrò un sacco di buche, era un luogo con  erba alta e la macchina aveva perso il controllo, infine i freni non funzionavano più e si scaraventò contro un albero.
Era in coma, in un ospedale vicino al luogo dell’incidente e il suo dottore aveva chiamato gli unici familiari che erano rimasti.
Sua madre e sua sorella, la madre era una signora abbastanza attraente anche per la sua età, aveva i capelli quasi bianchi e gli occhi chiari.
 
Aveva ancora un bell’aspetto ed era molto sensibile come sua figlia che stava in un letto sprecando la sua vita...
La sorella invece era ben diversa da lei, aveva i capelli biondi e gli occhi scuri,
 era più alta di sua madre e di eveline, insomma somigliava tutta al padre.
Neanche la televisione ne parlava, tutti si erano dimenticati di lei, tranne la sua piccola famiglia e Edward che non faceva che chiamarla a casa e al suo studio.
Era scomparsa, insieme con lei il mostro che lo perseguiva, ed era arrivato alla conclusione che il mostro non voleva che stessero insieme.
Ma cosa poteva significare?
Continuò le sue ricerche finché un raggio di sole gli indicò la strada da seguire la notte seguente.
Fece un sogno strano, eveline era appena salita in macchina e dopo poco che pioveva  la macchina perse il controllo e nel momento in cui andò a sbattere contro l’albero si svegliò di soprassalto.
“Eveline!”
Saltò giù dal letto e s’infilò i primi pantaloni che trovò in giro e una camicia che s’intonava benissimo, prese le chiavi della macchina e scese le scale senza inciampare.
Il suo cuore batteva forte all’idea di immaginare quello che le era successo,
mentre era alla guida ebbe una visione, stavano raccogliendo il suo corpo dalla macchina schiacciata e la posavano su di un lettino dell’ambulanza.
Si sforzò di far durare quella visione perché doveva trovare a tutti i costi l’ospedale dove si trovava, ritornò a vedere la strada e per poco non causò un incidente.
Capitò sul luogo dell’incidente e sentì che presto l’avrebbe rivista, ma prima di tutto doveva cercarla per bene e senza farsi prendere dall’angoscia.
La madre d’eveline le stava parlando della sua infanzia, di com’era felice  quando era andata all’asilo, con tutti quei bambini che volevano giocare con lei.
Da piccola le piaceva controllare che tutti stessero bene, era altruista allora e nel crescere aveva avverato il suo più grande  desiderio, aiutare gli altri.
In particolare, le stava ricordando anche quando tornò a casa e seppe che Artur,
il cane del suo  vicino si era incastrato  in una rete di ferro rotta.
Lei aveva solamente  sei anni, ma tranquillizzò quel cane a tal punto da poterlo liberare anche da sola.
Tutti erano fieri di lei, anche il suo povero papà, che la lasciò all’età di dodici anni, ma lei era forte e capì che quando una cosa finisce nulla si può fare.
Un altro episodio della sua vita da bambina è che quando andava dal dottore si fidava anche se non lo conosceva, pensava dei dottori che esistono per aiutare le persone deboli, malate e per lei era una gioia fare una visita.
Sua madre lo sapeva che sua figlia era buona e le piaceva vivere perché poteva dare agli altri, sarebbe stata capace di voler vivere non per se stessa ma per le persone che curava.
 
La strada sembrava allungarsi ogni chilometro che faceva ma ben presto giunse sotto l’ospedale dove lei era stata ricoverata.
Parcheggiò l’auto in un punto dove poteva vederla,  appena entrato ebbe qualche problema  nel trovarla.
Girò per tutto il primo piano e per il secondo, continuava a cercarla per tutte le stanze e le infermiere spaventate credevano fosse un pazzo, così chiamarono
 la polizia.
Gridava il suo nome però non capivano chi stava cercando, finché lo bloccarono davanti ad una stanza.
Le grida erano talmente forti  che disturbavano una donna che stava pregando  
 A fermarsi per calmare quel casino fuori della stanza.
“Che sta succedendo qui?”
“Ci scusi signora Tasker, ma questo ragazzo sta entrando in tutte le stanze di questo ospedale e stavamo cercando di fermarlo.”
“Lei è la signora Tasker?”
“Si, ci conosciamo per caso?”
“Lei no, ma sua figlia si!”
“Tu conosci Eveline?”
“Si, è lei che sto cercando!”
“Lasciatelo!”
“La posso vedere?”
“Certo ragazzo, come ti chiami?”
“Edward  Phoebe, signora, lo sa che le somiglia tanto?”
“Si, se vuoi vederla entra pure”
Eddy entrò piano nella stanza, raggiunse il letto e la  vide con una flebo nel braccio
e un tubo che le permetteva di respirare, che sensazione tremenda provò nel
vederla così.
Cercò di mantenersi calmo, non doveva piangere la doveva guardare e doveva fare di tutto perché lei non morisse.
Sua madre era appoggiata allo stipite e guardava con curiosità quel ragazzo che aveva fatto tanto per trovarla e ora che le stava accanto la guardava con aria triste.                   
Con tanta cura le aveva preso la mano avvicinandola alla sua guancia per poter avere almeno un piccolo contatto.
“Oh, Evy ricordi il nostro primo incontro nel tuo studio, eri davvero bella con quel viso sereno e pieno d’affetto per il prossimo, i tuoi occhi mi erano rimasti impressi nella mente   e ti sognavo accanto a me, che stupido eh?”
Edward si asciugò gli occhi con le dita e continuò a parlarle, ora che aveva l’occasione di farlo doveva farle sapere la verità, anche gran parte della sua vita.
“Eveline, non puoi sapere cosa ho passato prima di incontrarti, quando mia madre si è ammalata di cancro, le sono rimasto vicino giorno e notte sperando che guarisse.
Le asciugavo la fronte, mentre lei moriva io soffrivo perché avevo le mani legate e quando se n’è andata anche mio padre si è ammalato, ha sofferto di depressione perché non accettava di restare senza di lei.
 
Hanno vissuto la loro vita ogni giorno amandosi  e mio padre si è mai sentito solo,
per un anno gli sono stato dietro,  poi un giorno è morto.
Tutti quelli che amavo se ne sono andati e ora che ho conosciuto te avevo ritrovato la voglia di vivere, i tuoi occhi mi hanno ridato quella gioia che da tempo non avevo più provato e i tuoi capelli che ti facevano essere bella anche quando eri arrabbiata e ora non ti lascerò sola, non permetterò che tu muoia, a costo di darti la mia vita e il mio sangue.
Basterebbe che tu aprissi gli occhi, ti prego fallo per me, aprili!”
Eddy scoppiò a piangere e nascondendo  il suo viso con le mani, la madre d’Eveline, lo abbracciò come se fosse stato suo figlio.
“Non ti affliggere così!”
“Come posso stare calmo!”
“”veline è in coma e può salvarsi se noi le restiamo vicino”
“Ci proverò” 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - ultimo ***


Capitolo 6
 
Durante la notte, eveline fece un sogno strano, la notte dell’incidente rivedeva il suo scontro con l’albero e ora sentiva anche una voce di donna..
Uscì dalla macchina e lei apparve dietro di sé, era vestita di rosso e il suo viso era coperto da un velo per non farle vedere i suoi occhi.
“Sono qui, dietro di te, Eveline!”
Lentamente si girò dalla sua parte e fu sorpresa di vedere una donna bellissima, ma non si spiegava la ragione per cui nascondeva il  suo volto.
“Chi sei tu?”
“Io sono la donna che ti vuole morta”
“Perché ce l’hai tanto con me?”
“Perché mi piace la morte e soprattutto quella delle persone come te e il
tuo stupido ragazzo!”
“Sarà facile ora avere la tua anima!”
“Invece ti deluderò perché non l’avrai tanto facilmente!”
“Vedremo”
 
 
Un’infermiera  che stava passando di lì per il suo solito controllo,
notò che stava avendo una crisi, il suo corpo tremava mentre il suo cuore
diminuiva i battiti.
Chiamarono sua madre e Edward che era a meno di cinquanta metri dalla
stanza e dovettero assistere a quella scena piena di tensione.
 
 
Eveline continuava ad essere colpita da quella donna, era molto forte ma presto sarebbe morta davvero se non l’annientava.
“Non hai più scampo Eveline, arrenditi!”
“No, mai!”
“Ti prometto che morirai indolore se ti arrenderai, tanto è inutile!”
“Non mi fermerò finché tu non scomparirai!”
“Peggio per te!”
 
 
I battiti erano arrivati a quaranta al minuto e a poco a poco scendevano
 sempre di più.
Edward era paralizzato e terrorizzato, era di nuovo con le mani legate e anche
lei lo stava lasciando, come i suoi genitori.
Cominciò a prendersela con se stesso, se fosse rimasto con lei quel giorno,
se l’avesse chiamata, se avesse avuto il coraggio di guardarla negli occhi e dirle
che l’amava..
 
 
Ora non poteva più farlo, a meno che gli fosse stata data l’opportunità di farlo,
ma i dottori dovevano rimanere fermi finché  non si fosse fermato del tutto il
suo cuore e darle una scossa.
E se non fossero riusciti a farlo battere nuovamente?
A quella domanda c’era una sola ed unica risposta e al solo pensiero gli occhi si riempirono di lacrime disperate.
I battiti erano arrivati ormai a dieci al minuto, Edward si mise a urlare impazzito;
“Fate qualcosa non restate fermi!”
“Che aspettate!”
“Perché non mi date ascolto!”
“Vi prego, salvatela!”
“Lei sta morendo!”mormorò lui. 
Si accasciò per terra distrutto dal dolore, mentre la signora Tasker cercava
di tranquillizzarlo anche se, anche lei non era d’accordo sui loro metodi.
 
 
Eveline cadde a terra senza più forze, dopo di lei anche la donna vestita di rosso cadde quasi senza forze e l’ultima cosa che udì di lei, fu il respiro strano che
emise ridendo.
Il velo gli cadde mentre eveline aveva ancora gli occhi aperti, i suoi occhi erano rossi e  nel morire si tramutava in continuazione  in un gatto gigantesco nero come
 la notte, in acqua potente e succhia vita, poi morì ridendo.
Eveline chiuse gli occhi e si sentì precipitare nel vuoto anche se era per terra mentre 
scompariva da quel sogno di morte.
 
 
“ Il suo cuore si è fermato, presto libera!”aspettarono qualche secondo.
La luce se n’era andata per un attimo, spegnendo la macchina  a cui vi era attaccata, dopo averla ricollegata al suo cuore cominciò a darle alcune scosse.
Quella notte, come nel sogno di Eveline pioveva, la pioggia era così forte che sbatteva contro i vetri della stanza.
La furia di quel temporale aveva mandato in  corto circuito alcune lampadine dentro l’ospedale, facendo spegnere  di botto la macchina  nello stesso momento in cui si era fermato il suo cuore.    
“Presto accendi la macchina!”
"Allora, è pronta?”
“Si, dottor Lang, è pronta!”
“Forza, libera!”
“Di nuovo, libera!”
“Ancora, libera!”
Dopo vari tentativi, spensero la macchina e il medico si avvicinò a lui posandogli una mano sulla spalla;
“Mi dispiace”
“Le dispiace, lei l’ha lasciata  morire!”
“Non ho potuto fare altrimenti”
“Se non fosse stato per il temporale….”
“Ho fatto tutto quello che potevo per salvarla”disse con aria dispiaciuta.
“Lei ora è morta, brutto figlio di puttana!”lo insultò con il volto furente
Prendendolo per i lati del camice come se volesse mettergli le mani addosso.
“Mi lasci subito!”
“Lei mi ha portato via la vita!”
Edward lo lasciò poco dopo senza vedere dove fu andato, ma restando immobile
a guardarsi le mani.
Era arrivato fino a commettere un gesto simile per lei, l’amore lo aveva reso violento,  anche la signora Tasker era rimasta di stucco dinnanzi a quella scena.
Il medico uscì dalla stanza senza dire alcuna parola, nel frattempo Edward
 tratteneva  le lacrime che non gli permettevano di vederla.
Edward si accucciò accanto al suo letto e si chinò su di lei, la tenne stretta
 fra le sue braccia mentre le parlava anche se sapeva che non poteva più sentirlo.
“Eveline, amore mio, perché te ne sei andata, quando stringevo la tua mano
poche ore fa  eri ancora viva e il tuo cuore batteva, avevo rimosso il ricordo
di mia madre che stava morendo davanti ai miei occhi e mi ha amato tanto.
È sempre stata accanto a me nei momenti in cui avevo bisogno di qualcuno,
mi ha spiegato  che ci sono tanti tipi di amore per ognuno di noi.
Esiste quello falso, quello in cui si crede d’amare, quello breve,
quello lungo, quello programmato, quello eterno che segue all’ultimo
che ti fa capire che lei fa parte di te senza mai averla toccata, senza mai averla baciata nessun ricordo ti lega a lei.
Ma l’amore vero è  quello istantaneo in cui basta guardarla  negli occhi per sentire che dentro di te una piccola mela è tagliata a metà.
Io la mia la sento ogni volta che ti ho accanto, ogni volta che vorrei tu mi guardassi….anche mio padre  l’aveva trovata  e quando se n’è andata  una parte
di lui è morta  perché erano profondamente legati.
Ora anche io mi sento vuoto senza futuro, ti ho amato dal primo momento in cui
I tuoi occhi mi hanno trasmesso la pace interiore che avevi racchiuso dentro di te.
Immaginavo di poterti sfiorare i capelli, il collo morbido, le tue mani  nelle mie strette per non farti andar via.
Ma che servirebbe farlo ora, dimostrarti quanta voglia ho di vivere ogni istante
della giornata, creare insieme un rapporto pieno di sincerità e
divertimento reciproco.
Ti avrei amato come ogni donna merita di esserlo, svegliarmi al mattino
e scoprire che tu sei lì, a sognare serena fra le mie braccia.
Sentirti stringere a me come una bimba sperduta, se solo….avevo sperato che
almeno tu non  mi lasciassi…”
Aveva la  testa appoggiata sul suo seno e d’improvviso si sentì sfiorare i capelli,
una piccola mano femminile si poggiò sulla sua testa.
Non capiva cosa fosse finché non  udì una voce conosciuta.
“Non ti ho lasciato…”
Eddy alzò il capo incredulo e  senza cercare una ragione a tutto ciò n’approfittò
per stringerla a sé pensando che ora avesse la possibilità di vivere la sua vita
come voleva insieme al suo unico amore.
“Se tu sapessi  quanto ti amo!” le confessò lui
“Lo so amore, più di quanto tu creda!” rispose sorridendo
                                              
          
                                        FINE

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