Nella moderna Verona

di fra_dreamingoutloud
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Terra e il Mare ***
Capitolo 2: *** L'invidiosa Luna ***



Capitolo 1
*** La Terra e il Mare ***


Capitolo 1 
La Terra e il Mare.


Gregorio e Sansone passeggiavano per le vie della città di Verona, in quel momento velata da una leggera nebbia mattutina. Discutevano animatamente mentre con calma si recavano dal signor Capuleti, loro capo in affari, per riferirgli qualche notizia importante. 
"Se qualcuno mi insulta lo ammazzo." affermava con voce aggressiva Sansone mentre stringeva i pugni al solo pensiero.
"Saresti più maturo se facessi finta di niente e lasciassi tutto com'è, fidati." rispose contrariato Gregorio appoggiandogli la mano sulla spalla.
"Ma scherzi? Immaginati un Montecchi qui, che ti grida che sei un cagasotto. Te ne andresti?" chiese incredulo dell'indifferenza dell'amico innanzi a un argomento che invece faceva infuriare Sansone. "Sei un pappa molle."
Per affascinante coincidenza, i due soci scorsero in lontananza in Piazza Brà due collaboratori dei Montecchi che portavano una cassa molto grande sulle spalle. Camminavano rasentando l'Arena in modo da evitare di essere spintonati dai passanti e rischiare di far cadere la cassa. 
"Sansone, stai calmo, mi raccomando." disse prevenuto Gregorio, consapevole di ciò che stava per accadere. Quando i quattro incrociarono inevitabilmente il proprio cammino, Sansone andò a sbattere con la spalla, quella su cui Gregorio aveva riposto con la sua mano il suo saggio consiglio, contro uno di loro. La cassa traballò e il contenuto tintinnò. Si sentì un verso di rabbia provenire dalla gola di Abramo, il collaboratore colpito dalla spalla di Sansone. La cassa fu appoggiata per terra e la rissa scoppiò coinvolgendo anche Gregorio e Benvolio, nipote del Montecchi, che era venuto, attirato dalle grida, per placare gli animi. 


Il salone della villa pullulava di gente e i suoi muri pulsavano come arterie a ritmo di musica. Le giovani teste si muovevano alternativamente in una danza frenetica che agli occhi di Romeo rammentava l'ondeggiare dolce dei fiori mossi dal vento. A lui piaceva molto osservare e trovare metafore e paragoni per qualsiasi fenomeno, anche del minimo interesse. Stava lì seduto, con i primi bottoni della camicia slacciati a causa del caldo soffocante emanato dai corpi che danzavano davanti a lui. La sua postura era scomposta, tanto come i suoi capelli ricci sudati, e nella mano destra reggeva un bicchiere di vetro riempito per metà di Malibù Cola. In piedi accanto a Romeo vi era il suo migliore amico Mercuzio, il quale non faceva altro che incitarlo ad alzarsi e a darsi al ballo con la speranza di abbordare qualche donzella.
"Insomma, Romeo, alzati." lamentava sbuffando. "Tutta quella fatica per infiltrarci a questa festa e neanche vuoi staccare il tuo culo dalla sedia. Tutto perché pensi ancora a quella Rosalina."
Romeo gli rivolse lo sguardo, alzò il sopracciglio con fare dispregiativo e disse: "Mercuzio, non hai più bisogno di me per provarci con una ragazza, ormai dovresti aver imparato a farlo da solo."
Gli ricordava tanto un piccolo uccellino che non riusciva a prendere il volo da solo una volta per tutte. Romeo aveva sempre dovuto fargli da spalla nel momento dell'approccio e, spudoratamente, fingere di essere interessato all'amica della ragazza adocchiata da Mercuzio. L'amico sbuffò un'altra volta, lo ringraziò sarcasticamente con un inchino e si fece spazio tra la folla. Romeo scosse la testa e insieme tutti i suoi boccoli castani che prontamente sistemò pettinandoli con le dita affusolate. Non è che non gli piacesse ballare o fosse un guastafeste, il motivo vero per il quale Romeo non voleva alzarsi erano gli occhi infiammati di Tebaldo, un parente dei proprietari della villa che la mattina stessa era stato coinvolto in una rissa con alcuni soci di suo padre. Se ne stava appoggiato sulla ringhiera delle scale a guardare tutti dall'alto, com'era abituato a fare. Romeo lo paragonò mentalmente al dio Zeus, pronto a lanciare fulmini a suo piacimento. Aveva perlustrato ogni singolo capo preservando ad ognuno la fulminazione, fino a quando i suoi occhi non si precipitarono su Romeo, il quale sì, rischiava la folgorazione diretta. Tebaldo aveva intenzione di tenerlo d'occhio tutto il tempo di durata della festa e la ragione risiedeva nel cognome di Romeo, ovvero Montecchi. Per lui quel cognome rappresentava infinito odio e disprezzo poiché apparteneva alla famiglia nemica della propria: i Capuleti. 
Romeo sfidava il suo sguardo, non lo temeva. Sapeva di avere tante persone dalla sua parte quante ne avesse Tebaldo. Sarebbe stata una battaglia alla pari. I suoi occhi neri e minacciosi penetravano quelli cristallini e genuini di Romeo. 
A distrarlo dai suoi pensieri fu Benvolio, suo cugino, che accorse da lui per invitarlo ad andarsene dalla festa.
"Romeo, ci hanno scoperti, dobbiamo andarcene o qui non usciamo vivi. C'è un'altra festa a casa di un amico di Gregorio e ho sentito dire che ci sia pure Rosalina." disse tutto d'un fiato.
"Non la voglio vedere." rispose Romeo. "O meglio, lei non vuole vedere me. Non ho intenzione di starmene lì a guardare come lei ci prova con te, Benvolio. Quindi vai e fattela pure."
Benvolio rimase sconvolto dalle parole del cugino: "Non ho idea di che cosa tu stia dicendo", disse scuotendo la testa con fare innocente. Romeo sbuffò profondamente annoiato da molti pensieri dolorosi che il nome Rosalina gli generava. 
"Vai via." ordinò. Benvolio cercò di controbattere ma Romeo lo bloccò ripetendo: "Vai via."
Così il ragazzo sospirando si arrese e sconsolato raggiunse Gregorio all'ingresso. 
Romeo non aveva accettato la proposta del cugino perché sapeva che andare ad una festa con Rosalina presente sarebbe stato più rischioso che rimanere rinchiusi nella casa dei Capuleti per sempre. Lei non faceva altro che strusciarsi sugli altri ragazzi tutto il tempo e, una volta ubriaca, gettarsi tra le braccia di Romeo implorando perdono per ciò che era accaduto tra di loro.
Il nome di Romeo venne pronunciato da una voce proveniente dall'ammasso di gente e intuì che si trattasse del suo amico Mercuzio. Preoccupato che avesse bisogno di aiuto, finalmente si mise in piedi e, senza appoggiare il bicchiere, iniziò a cercarlo. Si fece difficilmente strada tra i corpi sudati e ingombranti degli invitati e intravide Mercuzio. Stava discorrendo con due ragazze dai seni prorompenti; di sicuro vorrà aiuto, pensò. Scocciato dall'idea di dover fare da spalla per la milionesima volta, si allontanò cercando di nascondersi il più possibile. Camminava velocemente guardandosi i piedi, per la paura di inciampare e di ritrovarsi per terra calpestato da decine di scarpe elegantemente pungenti. Arrivò con successo al balcone, dove una dolce fanciulla si affacciava appoggiandosi con i gomiti sul parapetto. Sospirò mentalmente: Romeo voleva solo essere lasciato in pace con i il suo Malibù Cola e i suoi stessi pensieri. Fu tentato di voltare i tacchi e tornare a sedersi al suo posto originale ma avrebbe dovuto attraversare un'altra volta la sala e tirare gomitate alla gente per farsi spazio. Così si avviò verso il balcone e una leggera brezza estiva gli accarezzò le guance regalandogli un brivido di sollievo. La ragazza non sembrò accorgersi della sua presenza, era assorta nelle sue riflessioni, la leggera ruga tra le sue sopracciglia ne dava la prova. Romeo si avvicinò al parapetto e si appoggiò imitando la posizione della sua compagna silenziosa, la quale si voltò e lo esaminò dal capo alle Nike. 
"Jeans e Nike ad una festa galante, curioso." esordì sorprendendo Romeo, il quale rivolse di colpo lo sguardo verso di lei, che era già tornata a contemplare la piccola piazzetta. 
"Isolata da tutti su un balcone ad una festa da sballo, curioso." ribatté il giovane sorridendo soddisfatto della sua risposta. 
"Almeno io sono sobria."
"Be', non più." controbatté Romeo porgendole il bicchiere di vetro con un sorriso smagliante. La ragazza lo osservò per qualche secondo e chiese sospetta:
"Cosa ti fa pensare che berrò da quel bicchiere? Magari vuoi solo farmi ubriacare e approfittarti di me nelle stanze ai piani superiori." 
"O magari voglio solo offrirti il mio drink perché non mi va più." rispose alzando le spalle con fare innocente e allora la ragazza afferrò il bicchiere mandando giù il contenuto tutto d'un fiato. Romeo la guardò con ammirazione e lei sorrise compiaciuta. I suoi boccoli color caramello gli ricordavano i nastri arricciati con la lama della forbice per impacchettare i regali di compleanno e i suoi occhi le immense e variopinte praterie del Veneto. Ci avrebbe corso dentro fino a raggiungere la linea dell'orizzonte che separa la Terra dall'universo. Romeo si sorprese che la sua mente stesse producendo pensieri a dir poco romantici, così, dopo essersi reso conto di starla spudoratamente osservando, spostò lo sguardo su una pianta arrampicante che ricopriva gran parte del palazzo parallelo. Il silenzio cominciava a diventare imbarazzante, così infilò una mano nella tasca dei jeans e ne tirò fuori un pacchetto di sigarette.
"Vuoi favorire?" 
La ragazza annuì e allungò la mano per afferrare una sigaretta ma venne interrotta da una voce squillante che rimbombò in tutta la piazzetta su cui si affacciava il balcone:
"Romeo! Eccoti qui!" gridò Mercuzio alzando al cielo vittorioso una bottiglia di birra. Quando si accorse che accanto all'amico vi era una dolce fanciulla aggiunse: "E in buona compagnia." 
Mercuzio li invitò ad unirsi a lui e ad altra gente gù nel giardino della villa. Dopo che accettarono chiese il nome alla ragazza dai lunghi boccoli, la quale rispose: "Giulietta."
Romeo ridacchiò e commentò: "Cos'è, un vezzeggiativo?"
Giulietta sorrise e s'incamminò verso Mercuzio che la prese a braccetto con fare nobile e accompagnò i due nello sconfinato giardino decorato all'italiana. Le siepi prendevano le sembianze umane e animali e costellavano il cortile formando ogni tanto qualche piccolo labirinto o conducendo a delle piccole piazzole riconoscibili da lontano dall'acqua delle fontane. Fu proprio in una di quelle piazzole che Romeo e Giulietta furono portati da Mercuzio, dove un gruppo di ragazzi sedeva sparso immerso in una nebbia di fumo. L'odore era molto intenso e facilmente riconoscibile. Si sederono a gambe incrociate sull'erba fresca e respirarono l'aria tossica. 
La serata passò molto velocemente tra drink, canne e risate isteriche ed esagerate dalla marijuana. Giulietta si sentiva la testa e le braccia pesanti ma allo stesso tempo una voglia improvvisa di ballare attraversò tutto il suo corpo e lo comandò come una marionetta. Si alzò e cominciò ad ondeggiare al ritmo della musica che proveniva dall'interno della casa. La sentiva nei vasi sanguigni, scorrerle nel sangue e farle esplodere il cuore in mille urla di gioia. Romeo contemplò dal basso il vestito color panna che le accarezzava le gambe ogni volta che piroettava. Era come incantato mentre il fumo appannava sempre di più la sua mente e ritardava i suoi riflessi. Una cosa così semplice come un ballo spensierato gli sembrava la cosa più interessante e straordinaria del mondo. Ad unirsi alla danza fu un giovanotto dai capelli rossi che Romeo riconobbe come Paride, uno degli amici di Tebaldo, chiaramente la persona da cui si sentiva più odiato al mondo. Paride prese le mani di Giulietta e la fece girare come il pianeta Terra che ruota attorno al proprio asse, leggermente inclinato e sorretto da qualche forza sconosciuta e misteriosa. Come la Terra lei girava, girava e girava e migliaia di stelle, l'altra gente, la stavano a guardare, incantate. Le mani di Paride si posarono sui suoi fianchi e la portarono più vicina a lui. A questo punto Romeo scattò in piedi d'impulso perdendo l'equilibrio per una buona manciata di secondi. Guardò Giulietta negli occhi senza motivo apparente e in modo abbastanza invasivo, tanto che la ragazza cessò la sua danza e gli sorrise a trentadue denti. Lui la prese per mano e insieme si misero a correre per il giardino mentre le loro risa risuonavano nell'aria fino a quando non inciamparono e caddero sull'erba. Romeo batté la testa ma quasi non percepì il dolore. Rimasero immobili per qualche minuto a guardare le stelle poco visibili a causa dell'inquinamento luminoso della città di Verona. 
"Ti rendi conto che lì..." Giulietta indicò il cielo. "C'è l'infinito?"
Romeo, colpito profondamente dalla domanda retorica della fanciulla, per un attimo si perse con lo sguardo nella notte stellata immaginandosi miliardi di altre galassie incombere unicamente su di lui. Sentì il peso di tutta l'esistenza, di tutta l'imprevedibile armonia che stava alla base dei principi della Natura, tutta concentrata sul suo petto. Si girò verso di lei e, non essendosi preparato, rimase folgorato dal suo sguardo. Gli occhi verdi di Giulietta invasero quelli blu di Romeo, proprio come le placche terrestri incontrano l'oceano e proprio come le loro labbra qualche secondo dopo. La passione li avvolse e rese il bacio più avventato. Romeo la strinse forte contro di sé in una maniera che era sicuramente più sensuale di come aveva fatto in precedenza Paride, pensò. Le guance di Giulietta arrossirono violentemente e un desiderio profondo pervase le sue membra.
"Ho voglia di te." sussurrò il ragazzo. "Adesso", aggiunse scandendo bene la parola. Giulietta gli accarezzò la guancia liscia e si morse il labbro inferiore. Tutto d'un tratto una voce profonda risuonò nelle orecchie dei due ragazzi che si misero immediatamente a sedere.
"Montecchi, ti conviene uscire da questa casa a meno che tu non voglia ritrovarti con il naso rotto." Romeo alzò lo sguardo e si ritrovò la figura di Tebaldo stagliarsi davanti a lui, coprendo le stelle, l'infinito e tutte quelle banalità che fino a un istante prima erano sembrate essenziali. Gulietta sussultò e si alzò in piedi spaventata.
"Sei un Montecchi." affermò sconvolta. Romeo comprese tutto. Ma certo, come aveva fatto a non arrivarci? Giulietta Capuleti, lei era Giulietta Capuleti, la figlia del proprietario della casa e cugina di Tebaldo, il suo peggior nemico. Si portò le mani sul viso e si strofinò gli occhi come per risvegliarsi da quello che sembrava essere un incubo. 
"Non pensavo." riuscì a dire alzando le spalle. Giulietta girò i tacchi e si mise a correre dirigendosi verso la sua abitazione. Romeo si alzò con fatica e, dopo esserci riuscito con successo, si ritrovò di nuovo con la faccia per terra a seguito di un pugno da parte di Tebaldo, dritto sulla tempia. Per un momento vide nero ma poi si rimise in piedi e alla velocità della luce ricambiò l'offesa, precisamente nello stomaco. Tebaldo si piegò in due e vomitò tutto l'alcole il buffet che aveva ingerito.

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Capitolo 2
*** L'invidiosa Luna ***


Capitolo 2
L'invidiosa Luna.


Il nome di Romeo risuonava nella notte profonda che si era ormai calata su Verona. Veniva pronunciato invano, poiché Mercuzio e Benvolio non ricevevano risposta e iniziavano a stancarsi e a voler tornarsene a casa.
"Romeo!" urlava Benvolio facendo appello a tutta la sua forza vocale aiutandosi con le mani appoggiate ai lati della bocca. I due amici avevano percorso tutto il perimetro della villa Capuleti rischiando di essere scoperti dagli stessi proprietari della casa che, però, era talmente grande che l'eco delle loro voci non riusciva a raggiungere ogni sua parte. Inoltre il rumore delle auto che sfrecciavano sulla strada provinciale poco distante da lì rendeva ancora più invana la ricerca dell'amico sperduto.
"Romeo è furbo," commentò Mercuzio, "di sicuro se ne sarà andato a letto senza dirci niente" concluse realistico.
"Secondo me invece è corso da questa parte" Benvolio indicò il vialetto che conduceva al grande cancello del cortile, "e ha scavalcato."
"Sì, e come avrebbe fatto, con la magia? Ci saranno almeno dieci telecamere installate in tutto il giardino, non immagino quante ce ne siano in casa!" rispose sarcastico Mercuzio mentre finiva di sorseggiare la sua birra, guadagnandosi un'occhiataccia da parte di Benvolio.
"Quando mi hai chiamato per raggiungerti e aiutarti a cercarlo la festa non era ancora finita del tutto, la gente stava uscendo, avrà approfittato della confusione e sarà sgattaiolato dentro." immaginò Benvolio, conoscendo bene la scaltrezza del cugino. Romeo era furbo, diceva bene Mercuzio, ma di sicuro non per azioni ragionevoli e responsabili. Era sempre stato uno che si fa trasportare dalle emozioni, il suo animo era irrimediabilmente romantico, anche se non voleva mai ammetterlo. "Non ricordi le follie che faceva per Rosalina?" chiese cercando di far ragionare Mercuzio. "Perché non dovrebbe farle per questa fantastica Giulietta?"
Mercuzio ci rifletté un po' su e infine disse: "Hai ragione, Benvolio. Probabilmente se ne starà seduto da qualche parte nel giardino ad aspettare che qualcosa accada o che qualche idea geniale gli illumini la mente." ridacchiò nel pronunciare queste ultime parole.
"Peccato che se Tebaldo lo vede non penso che esiterà nel dargliene di nuovo e Romeo sarà ancora sotto effetto dell'alcol." osservò Benvolio preoccupato.
"Che facciamo allora?" chiese Mercuzio laconico. "Io non ho intenzione di rimanere qui tutta la notte."
"Neanche io, andiamocene. È inutile cercare chi non vuole essere trovato." rispose filosoficamente Benvolio e così, stanchi e ancora un po' ubriachi, si avviarono barcollando verso le rispettive abitazioni.


L'erba del giardino era fredda al tatto del giovane Romeo che sedeva sotto un nespolo ed era in preda ad una pesante sbornia. Rifletteva su tutto ciò che era accaduto durante la serata appena finita, sostituita dall'oscura e tenebrosa notte punteggiata da poche stelle. Malediva sé stesso e pure Tebaldo che gli aveva procurato un dolore assurdo alla testa. Sentiva il sangue pulsare nei vasi proprio nel punto in cui le nocche di Tebaldo l'avevano colpito e tutto ciò aumentava il suo odio e il suo disprezzo nei suoi confronti. Romeo aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre la sua mente raffigurava la sagoma di Giulietta che si muoveva leggiadra nell'aria opaca e soffocante, quasi accarezzando con un movimento ogni nota musicale di cui la canzone era composta. Cercava di ricordarsi il titolo ma proprio non ci riusciva. Doveva essere qualche canzone dei Coldplay o di Calvin Harris. Insomma, uno degli ultimi successi pop che in ogni festa veniva sparato a tutto volume. Ricordava i suoi occhi verdi, accompagnati da un sorriso sornione, guardarlo in un modo talmente irresistibile che in quel momento si era ritrovato lì, nel suo giardino, seduto sotto un nespolo ad aspettare chissà che cosa. Si sentiva come Odisseo attratto dal canto seducente delle sirene e sapeva di essersi dimenticato di una cosa, ovvero di farsi legare dai compagni all'albero maestro dell'imbarcazione. Ma non voleva paragonare Giulietta ad una di quelle sirene malefiche e figlie del Diavolo. Se Dio esiste, pensò Romeo, lei deve essere sicuramente di natura angelica. 
Passò circa un'ora e mezza e l'ubriachezza cominciò a svanire. Le sue nubi si scostarono lentamente lasciando spazio alla luminosità della ragione e del buonsenso. Romeo si risvegliò come da un lunghissimo ed impegnativo sogno esplorando meglio lo spazio che lo circondava. 
"Sono un coglione," sussurrò fra sé e sé quando si accorse di essere completamente solo nel giardino dei Capuleti. Recuperò il suo iPhone dalla tasca dei jeans sporchi di terra e di erba e controllò l'orario. Spalancò gli occhi quando lesse sul blocco schermo che la batteria era arrivata al 6% e che erano esattamente le 5:14 di mattina. Si alzò con difficoltà da terra destandosi quasi completamente. Fece qualche passo e continuò a guardarsi attorno nel tentativo disperato di trovare una via d'uscita. Qualsiasi suo movimento ai bordi del giardino e vicino al cancello avrebbero fatto scattare l'allarme. Certo, sarebbe potuto scappare subito ma l'allarme era munito di telecamere e l'avrebbero riconosciuto immediatamente. Si portò le mani ai capelli mentre sbuffò energicamente. Perché devo sempre cacciarmi in situazioni del genere?, si chiese lasciando cadere le braccia lungo i fianchi in segno di resa al destino. Mentre rifletteva fissava la Luna che emanava deboli raggi di luce. All'improvviso un altro tipo di luce attirò la sua attenzione: una luce artificiale proveniente da una delle finestre della grande villa. Il panico scosse i suoi nervi facendogli tremare leggermente le mani e le ginocchia. Rimase immobile mentre cercava mentalmente ogni genere di soluzione possibile senza trovarne nemmeno una perché l'avrebbero scoperto di sicuro. L'ombra di una figura femminile fu proiettata sulla tenda che copriva la grande finestra. Si nascose dietro il tronco del nespolo e aspettò con il cuore che picchiava come un martello contro il suo petto. La tenda venne aperta e subito dopo la finestra. Ne uscì una ragazza che, con un atteggiamento familiare, si appoggiò al parapetto del piccolo balcone reggendosi la testa con la mano destra. Romeo la riconobbe immediatamente e chiuse gli occhi per riprendersi dallo spavento. Poi li riaprì e la osservò. Giulietta era silenziosa e di tanto in tanto sospirava malinconica guardando in lontananza verso il fiume Adige. 
"Mio dio..." la sentì dire accompagnata da un sospiro.
Romeo rabbrividì al suono di quella voce dolce e leggera che arrivò con facilità alle sue orecchie e per un momento scordò il pericolo. Si ritrovò a desiderare di essere un guanto infilato in quella piccola e delicata mano solo per riuscire a toccare la sua guancia illuminata dai flebili raggi lunari. Poi desiderò incosciamente che parlasse ancora perché qualsiasi parola sarebbe suonata perfetta se pronunciata dalle labbra di Giulietta. 
"Romeo..." proferì la ragazza scandendo il nome in un debole sussurro. Romeo, intenerito, sorrise automaticamente e rispose, senza pensarci su due volte:
"Eccomi qua." allargò le braccia per farsi notare. Giulietta spalancò gli occhi quando si accorse che c'era qualcuno in giardino. "Purtroppo sono io", aggiunse ridendo. La ragazza riconobbe immediatamente i suoi ricci scomposti e il suo timbro vocale basso. Il panico aumentò e lasciarono Giulietta con gli occhi e la bocca spalancata per qualche secondo.
"Cosa cazzo ci fai qui? Ma sei impazzito per caso?" sbraitò cercando di tenere la voce abbastanza bassa in modo da non svegliare le persone all'interno della casa. La presenza di quel ragazzo faceva sì che l'adrenalina prendesse il sopravvento in lei e provocasse l'aumento progressivo della frequenza cardiaca e respiratoria.
"Probabilmente sì, sono impazzito." rispose Romeo umilmente. "In realtà non è che ricordi molto, so solo che ero ubriaco e adesso mi ritrovo qua." Per un momento Giulietta ebbe il dubbio che fosse tutto un sogno e che, sonnambula, avesse raggiunto il balcone e ora si stesse immaginando tutta la situazione. Ma lei percepiva alla perfezione l'ambiente che la circondava, sentiva l'aria sfiorarle il viso e spettinarle i capelli, sentiva lo sciabordio lontano dell'Adige e il respiro irregolare di Romeo Montecchi ma, soprattutto, il suo sguardo magnetico addosso. Realizzò tutto in un secondo e il suo stomaco si contorse per l'agitazione e l'ansia.
"Devi andartene assolutamente." ordinò la ragazza indicando il cancello del giardino. "Se ti vedono sei nella merda."
"Lo so bene ma so anche che se provassi a varcare l'uscita farei la stessa fine che farei se mi beccassero direttamente nel giardino, solo che me la andrei letteralmente a cercare." Alzò le spalle semplificando il ragionamento in due frasi. "Sarei stupido come lo è don Abbondio ad andare incontro ai bravi che lo stanno palesemente aspettando."
"Wow, ma come sei colto." commentò Giulietta fingendo ammirazione mentre roteava gli occhi.
"Questo giardino mi sembra tanto un posto in cui se entri, e in qualche modo sei peccatore nei confronti dei padroni, non esci più. Dì a tuo padre di mettere qualche insegna all'ingresso, qualcosa come Lasciate ogne speranza voi ch'intrate." sorrise sotto i baffi e fece infuriare ancora di più Giulietta. 
"Ti ho detto che te ne devi andare," ripeté con determinazione, "ora."
"E va bene, allora ti aspetto domani alle 9:00 al bar in Piazza delle Erbe," decise Romeo.
"No. Adesso disattivo l'allarme e tu esci, va bene?" lui trovava così affascinante la freddezza con la quale Giulietta cercava di cacciarlo. Le si formava una ruga profonda tra le sopracciglia, proprio come quando l'aveva trovata isolata e pensierosa alla festa conclusa solo qualche ora prima. Era consapevole del fatto che niente di tutto quello che stava facendo o dicendo fosse la cosa giusta e appropriata ma Romeo adorava le sfide. Era attratto dalle avventure, dalle situazioni impossibili ed enigmatiche, dalle persone apparentemente irraggiungibili, dalle notti passate in bianco a causa delle emozioni che prendono il sopravvento.  Giulietta in quel momento, incorniciata dalla luce favorita dall'abat-jour all'interno della stanza, faceva un baffo alla bellezza della Luna, umile sostituta del Sole, che poco più in là fluttuava nel cielo solitaria e invidiosa illuminando a fatica ciò che poteva. Romeo sentiva che Giulietta, invece, era capace di illuminare qualsiasi cosa regalandole un proposito e uno scopo. 
"Mi hai capito?" chiese lei spazientita riportando il suo corteggiatore alla realtà. 
"Ma certo." Rispose Romeo rimanendo immobile in attesa. Giulietta si precipitò dentro e in punta di piedi scese la lunga scalinata raggiungendo il soggiorno. Cercò il telecomando con cui disattivò immediatamente l'allarme di sicurezza e premette il pulsante del citofono aprendo il grande cancello del giardino. Scorse la sagoma statica di Romeo nel giardino attraverso le grandi finestre che davano sulla veranda. Anche lui la vide e la guardò aspettando un segnale. Giulietta gli fece cenno frettolosamente con una mano per dargli il via libera e Romeo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni, si diresse verso l'uscita mentre il cielo cominciava a rischiarirsi. Giulietta non riuscì a comprendere se fosse l'ansia e la fretta del momento che faceva sembrare qualsiasi cosa più lenta o se Romeo nel tragitto verso il cancello se la stesse prendendo con calma di sua spontanea volontà. Probabilmente, per quel poco che lo conosceva, lo stava facendo di proposito e si innervosì al solo pensiero. Quando il giovane raggiunse finalmente la destinazione, ovvero il momento tanto atteso dalla sua dolce osservatrice, il cancello fu chiuso e l'allarme reimpostato. Giulietta si sentì profondamente sollevata ma, allo stesso tempo, piena di pensieri  e pulsioni controversi nella testa.

La mattina seguente Romeo Montecchi si trovava seduto al bar Caffè Veronese situato in Piazza delle Erbe. Reggeva una sigaretta consumata per metà tra le labbra carnose mentre scorreva annoiato la bacheca di Instagram. Portava gli occhiali da sole in modo da riuscire a camuffare le occhiaie dovute alle poche ore di sonno. Tornato a casa dopo il breve dialogo con Giulietta, Romeo si era fatto velocemente una doccia e si era appisolato qualche ora per poi svegliarsi, vestirsi e dirigersi come un automa in Piazza delle Erbe. Era consapevole che Giulietta non si sarebbe mai presentata. Ma se lo avesse fatto, lui sarebbe dovuto essere lì, ad aspettarla. A distrarlo dalle sue tristi riflessioni fu il rumore della tazza di caffè che il cameriere appoggiò al tavolino accanto a Romeo.
"Nottata in bianco, Montecchi?" chiese il cameriere notando la stanchezza del ragazzo. Romeo alzò gli occhi blu, che il cameriere non poté vedere perché mascherati dagli occhiali da sole, e lo guardò senza dire niente.
"Scommetto che deve c'entrare una bellissima ragazza." azzardò. Romeo sorrise tradendo sé stesso e facendo saltare la copertura.
"Eh sì, Lorenzo. Proprio una bellissima ragazza." rispose Romeo dopo aver fatto un tiro dalla sua sigaretta ed aver buttato fuori il fumo grigio. 
"Rosalina?" chiese Lorenzo. "Non ci credo che sei finalmente riuscito a portartela a letto."
"No, non Rosalina." rispose Romeo accorgendosi che l'incantesimo, che prima teneva ancorato il suo cuore a quello di Rosalina, era svanito, lasciando spazio a un nuovo sentimento più profondo e tremendamente sbagliato. Lorenzo guardò l'amico con un'espressione sorpresa.
"Aspetta, ho capito. Quella rossa che ti ballava accanto alla festa dei Capuleti?" Romeo scosse la testa.
"Non mi sono portato a letto nessuna, purtroppo." confessò con una leggera risata.
"Ah ecco perché sei così affranto. Ora capisco tutto." rise Lorenzo. Stava per porre un'ulteriore domanda all'amico Romeo ma qualcuno da dentro il bar lo chiamò e lo interruppe.
"Devo lavorare. Stasera ci troviamo tutti al solito posto vicino al fiume, ti unisci?" chiese frettoloso.
"Ci devo pensare." rispose Romeo. Lorenzo scappò dentro l'edificio lasciando Romeo di nuovo da solo con la sua sigaretta che ormai stava per estinguersi. La spense nel portacenere e ne accese subito un'altra. Erano le 9:13 e la piazza era affollata da turisti che riempivano l'aria di parole in lingue straniere e catturavano immagini della città nei loro cellulari. Erano le 9:14 e un artista di strada sistemò un cappellino da baseball per terra al contrario iniziando a suonare una versione col violino di If I Lose Myself degli OneRepublic. Erano le 9:15 e a Romeo saltò letteralmente il cuore quando riconobbe Giulietta tra la folla. Bevette il caffè tutto d'un sorso mentre si alzava, lasciò i soldi sotto il portacenere e raggiunse la ragazza.

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Ehi, ciao a tutti!
Grazie mille alle persone che hanno recensito il primo capitolo della mia fanfiction, spero che anche questo sia stato di vostro gradimento!
Fatemelo sapere in una recensione.
Ci tengo a sottolineare che non seguirò scrupolosamente la storia originale ma semplicemente mi ispiro ad essa. Il motivo è che, essendo ambientata al giorno d'oggi, Romeo e Giulietta si comportano come due normali adolescenti innamorati l'uno dell'altro ma che, per motivi di forza maggiore, devono trattenersi e inibire le proprie passioni. Non ci saranno né frati né balie né matrimoni. 
Ci tenevo a dirlo!
Un bacio,
Fra.

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