The Amazing Spiderman 3 - Ultimate Edition

di Marvel Architect
(/viewuser.php?uid=47354)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Spettri del passato ***
Capitolo 3: *** Pezzi mancanti ***
Capitolo 4: *** I Sinistri Sei ***
Capitolo 5: *** Lo scontro ***
Capitolo 6: *** THE AMAZING SPIDERMAN 3 2.0 ***
Capitolo 7: *** Film Noir ***
Capitolo 8: *** Il ragno e il cacciatore ***
Capitolo 9: *** La gatta e il cacciatore ***
Capitolo 10: *** La mafia della giungla ***
Capitolo 11: *** Scontro alla Oscorp ***
Capitolo 12: *** Annuncio ***
Capitolo 13: *** Scacco matto ***
Capitolo 14: *** One last time ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
DISCLAIMER
L'INTERA STORIA VIENE POSTATA A PUNTATE SUL MIO BLOG CHE POTETE TROVATE A QUESTO INDIRIZZO: http://ilmioquadernodegliappunti.blogspot.it
QUI VERRANNO POSTATI I VARI CAPITOLI APPENA SARANNO COMPLETATI
 
Dopo aver volteggiato più volte prima per il suo quartiere e poi per tutta la città, Peter finalmente si fermò su un palazzo.
Il ragazzo si sedette in bilico, tra la vita e la morte come aveva sempre fatto, e rimase li a pensare.
Quella sera faceva freddo, davvero tanto freddo, ma questo non gli importava, anzi gli faceva piacere: il freddo lo aiutava a riflettere.
Era passato un anno da quando Gwen era morta, da quando Harry l'aveva uccisa e lui non era riuscito a salvarla.
Era passato un anno da quando aveva deciso di mettere la maschera in un cassetto, salvo poi ricredersi subito quando tutti invocavano il suo nome e addirittura un bambino coraggioso era stato messo in pericolo.
Era passato da essere uno zero ad essere qualcuno, un qualcuno con una maschera, ma a Peter questo non importava: lui poteva aiutare chiunque ne avesse bisogno, solo che non sentiva più la forza di prima.
Non amava definirsi un eroe, non dopo quello che non era riuscito ad evitare ma doveva, quantomeno, far finta: la città ne aveva bisogno.
Peter scosse la testa, fece un gran respiro e saltò giù.
Ogni volta era come se lo facesse da sempre ma il tutto era così folle che il suo stomaco continuava a rivoltarsi: sembrava impossibile trovare una soluzione a quel problema.
Prima di toccare il suolo Peter alzò la mano, sparò la sua ragnatela e iniziò a volteggiare come ormai faceva da tempo.
Il vento lo colpiva in faccia e su tutto il corpo, in qualche modo lo stordiva ma questo poco gli importava: librarsi sulla città lo faceva davvero sentire vivo.
Poco dopo, Peter arrivò a destinazione e non appena atterrò gli si strinse il cuore: lì era dove lei era morta.
In quella dannata torre Harry aveva ucciso Gwen e una parte di lui era morta con lei: la parte che lo rendeva un eroe.
Tutto ciò che era accaduto da quel momento in poi era stato uno squallido tentativo per farsi perdonare e per perdonarsi: doveva riscattarsi.
Aveva sventato rapine in banca, salvato adulti e bambini e consegnato alla giustizia quanti più 
criminali potesse ma non era abbastanza.
Nulla era abbastanza.
La gente comune non era Gwen e lui non era riuscito a trovar pace.
Tutto ciò che faceva gli sembrava profondamente inutile e ogni volta che sentiva un grazie, urlato da qualcuno appena fuori pericolo, qualcosa si incrinava dentro di lui.
Peter si tolse la maschera, la strinse tra le mani e le lacrime iniziarono a rigarghi il volto: quanto gli mancava.
Mentre pensava a Gwen e al fatto che non era riuscito a salvarla iniziò a pensare anche a suo zio: allo zio Ben.
Peter rise amaramente: non era riuscito a salvare neanche lui.
Aveva promesso che avrebbe trovato il suo assassino ma invece aveva finito per dimenticarsene e questo non era giusto.
Non era riuscito neanche a fare quello.
Ben l'aveva cresciuto al posto di suo padre, l'aveva aiutato e gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Lui aveva fatto tutto ciò che poteva per il giovane Peter e lui come l'aveva ripagato?
Aveva tradito suo zio non una, ma ben due volte, e questo non poteva sopportarlo.
No!
Dannazione no!
Non l'avrebbe permesso!
Magari non si sentiva un eroe ma poteva esserlo per suo zio.
Se non poteva farsi perdonare da Gwen allora avrebbe vendicato zio Ben: avrebbe trovato l'uomo che l'aveva ucciso.
Avrebbe mantenuto la sua promessa.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Spettri del passato ***


Non era passato molto dall'anniversario della morte di Gwen, dal momento in cui Peter stesso si era ripromesso che avrebbe trovato l'assassino di zio Ben di cui si era dimenticato.
Aveva abbandonato la sua vita quotidiana e si era messo alla ricerca di ogni possibile indizio, qualsiasi cosa che potesse aiutarlo nella sua impresa: doveva metterci una pietra sopra.
Inizialmente fu colto dallo sconforto perché non riusciva a trovare una via d'uscita ma poi si ricordò di un particolare: in realtà la soluzione era a portata di mano.
Peter aveva un vantaggio: lui conosceva il suo volto.
Peter aveva visto il criminale in faccia quella maledetta sera.
Gli ci volle una settimana intera ma alla fine ci riuscì: entrò nel database della polizia e trovò il profilo che stava cercando.
Peter fece un bel respiro, si mise la maschera e uscì nella notte: era arrivato il momento.
Mentre era in volo, con le sue ragnatele, iniziò a ripensare a suo zio e al giorno della sua morte, al funerale e alle lacrime di sua zia.
D' un tratto, iniziò a piangere sotto la maschera. 
Il palazzo di Mac Gargan, questo era il suo nome, era una squallida palazzina della periferia e il suo appartamento all'interno non era da meno: triste dentro e triste fuori.
Non sembrava passarci troppo tempo o quantomeno, se lo faceva, decideva di non renderlo piacevole: piatti sporchi e buste della spazzatura erano in ogni angolo.
Una delle finestre era anche rotta così Peter non ebbe molta difficoltà ad entrare.
L'uomo ragno si guardò in giro sospettoso, cercando un qualcosa di indefinito che chiaramente non riusciva a trovare.
Dopo poco sentì il rumore della chiave nella serratura e decise di nascondersi attaccandosi al soffitto: Mac era finalmente arrivato.
Il criminale entrò mezzo ubriaco, con una bottiglia di birra in mano insultando chiunque e qualsiasi cosa, spinto di più dall'alcol che dall'odio vero.
Peter, guardando quello spettacolo, scoprì di provare pena per lui e, per la prima volta, pensò di andarsene e lasciarlo li, senza spaventarlo o attuare la sua vendetta: l'avrebbe lasciato nelle mani dell'autodistruzione.
Mac aveva quasi evitato un incontro ravvicinato con il supereroe di New York, ce l'aveva quasi fatta ma poi decise di ricordare a Peter chi era davvero.
Si sedette sul divano e si tolse dalle tasche del giubbotto più di un portafoglio con foto e carte d'identità che chiaramente non erano sue.
Mac Gargan ricordò a Peter Parker che lui era un ladro.
Il ladro che aveva ucciso suo zio.
 Mac si alzò per prendere un'altra birra dal suo sudicio frigo ma non fece in tempo: Peter si calò dal soffitto e lo afferrò per il colletto della camicia.
 " Che-che-chi sei? 
Che sta succedendo? "
chiese Mac balbettando.
 " Un uomo anziano.
L'hai ucciso tempo fa.
Ti ricordi di lui? 
Lui non aveva fatto niente, stava solo cercando un ragazzo che era scappato di casa.
Ti ricordi di lui? "
Peter ora stava urlando e le lacrime tornarono a rigargli le guance.
Mac sbiancò e dopo aver deglutito disse: " Io, io non mi ricordo ".
Peter strinse i pugni, qualcosa scattò nel suo cervello  e urlando spinse Gargan contro le finestre che si spaccarono subito.
Mac urlò cadendo nel vuoto.
Peter, senza pensarci un attimo, provò ad attutire la caduta tramite le sue ragnatele ma il tutto evitò solo i danni peggiori: Mac toccò comunque il suolo e si sentì una serie infinita di crack che segnalavano la rottura di altrettante ossa.
Peter scappò subito mentre delle persone trovavano il corpo e chiamavano i soccorsi: Gargan era salvo ma probabilmente non sarebbe mai stato più lo stesso.

Gustav Fiers, ormai, passava da un ospedale all'altro senza soluzioni di continuità anche se era a capo di una grandissima azienda.
Da quando Harry era finito a Ravencroft, per colpa del ragno, Gustav non si era dato più pace e anche se la Osborn e tutto ciò che il ragazzo possedeva era passato nelle sue mani aveva un giuramento da rispettare: un giuramento fatto allo stesso uomo che lo aveva nominato tutore di Harry, suo padre Norman.
Norman Osborn l'aveva salvato, l'aveva messo sotto la sua ala e prima della sua morte gli aveva affidato il suo bene più prezioso, suo figlio, facendogli promettere che, in qualsiasi modo, l'avrebbe reso felice.
Per Norman, Gustav, aveva fatto cose tremende e non sarebbe stato un problema farle anche per Harry.
Ecco perchè, ora, lui si trovava nell'ospedale centrale di New York City: per fare cose tremende o, quantomeno, per prepararsi a fare cose tremende.
Il Dr. Kafka aveva lavorato per anni al Ravencroft, con metodi discutibili per qualcuno ma, anche, estremamente soddisfacenti per altri.
Poi, d'un tratto, erano iniziati a spuntare dovunque quei cosiddetti metaumani come quel tizio in costume chiamato Spiderman e il tizio blu, quello che sparava elettricità, era stato portato da lui per tenerlo sotto osservazione e per analizzarlo.
Così, lui aveva iniziato a fare il suo solito lavoro, giusto per capire, ma poi quel moccioso di Harry Osborn si era messo in mezzo e lui ora si trovava in ospedale attaccato ad una serie di macchine senza le quali non sarebbe sopravvissuto.
Lui odiava Harry e anche tutti quei dannati mostri.
Il suo compito consisteva nell'andare dal Dr. Kafka e convincerlo ad entrare in un gruppo con a capo Harry, ma Gustav se ne accorse subito vedendolo lì, steso su quel letto: difficilmente, senza un regalo, Kafka avrebbe accettato di mettersi dalla parte di colui che l'aveva ridotto così.
Fiers stava per fare dietrofront quando sentì provenire distintamente da una stanza i lamenti e le urla di un uomo " Ucciderò quel maledetto ragno,o ucciderò! ".
Gustav Fiers sorrise e capì di essere sempre più vicino a finire il suo lavoro.

Strano a dirsi ma Peter, quel giorno, sentiva di avere il cuore più leggero.
La città non era libera dai malvagi, il domani poteva essere la fine del mondo ma oggi aveva deciso di non pensarci.
Oggi sarebbe stata una bella giornata: l'assassino di suo zio avrebbe affrontato la giustizia.
Si era svegliato presto, si era messo il suo costume e era arrivato in tutta fretta davanti all'ospedale dove Mac Gargan era stato ricoverato dopo il loro incontro: una camionetta della polizia l'avrebbe prelevato e finalmente l'avrebbe portato in prigione.
Finalmente tutto avrebbe trovato una sua conclusione.
Tutto stava per concludersi per il meglio se solo l'auricolare di Peter, collegato con la radio della polizia, non l'avesse avvertito di un problema nel centro cittadino.
" Un uomo con una tuta da volatile sta seminando il terrore nel centro cittadino ".
Queste le scioccanti parole che continuavano a risuonare nella testa di Peter mentre si sforzava di andare il più veloce possibile.
Che cosa stava succedendo davvero?
Peter non lo sapeva ma era disposto a scoprirlo.
Così arrivò più in fretta che poté in centro e lo vide, per davvero, un uomo vestito con una tuta da volatile che stava seminando il terrore nel centro cittadino.
Il Dr Kafka era stato colpito da un fulmine da quel pazzo di Electro per colpa di quello stupido ragazzino e ora il suo uomo migliore gli aveva chiesto se voleva partecipare ad un progetto particolare.
Lui li odiava, li odiava tutti ma la proposta era interessante quindi perchè non approfittarne?
Avrebbe trovato una soluzione, si sarebbe svincolato dal loro controllo, e quindi avrebbe approfittato della loro offerta e si sarebbe messo quella strana tuta.
L'uomo di Osborn gliel'aveva lasciata, lui l'aveva provata e solo dopo averla attivata e aver risucchiato l'energia vitale di un'infermiera, come gli era stato spiegato, si era sentito bene: lui non aveva più possibilità di vivere autonomamente ma poteva assorbire la vita dagli altri.
Cercare qualcuno da mangiare era proprio quello che stava facendo quando il ragno lo chiamò e la lotta iniziò.
" Dr Kafka? "
Peter aveva saputo di lui dai notiziari ma quelli avevano detto che era in fin di vita e che sarebbe dovuto stare sempre attaccato alle macchine che gli permettevano di vivere; perché era lì, con quella tuta, allora?
Il dottore non rispose a nessuna delle sue domande, gli si buttò contro e lo spinse contro una parete.
Peter cercò subito di levarselo di dosso e lo colpì con un pugno ben assestato sul volto.
I due caddero a terra, sul tetto del palazzo vicino e mentre Peter fu il primo a rialzarsi, Kafka lo fece molto più lentamente.
Il dottore sentiva le poche forze che aveva acquisito svanire dal suo corpo, possibile che il suo tempo stava già svanendo?
Si rimise in piedi con fatica, guardò il ragno, le ali della sua tuta si ritrassero e digrignando i denti gli si buttò contro accendendo la sua tuta: avrebbe risucchiato la sua vita.
Peter vide l'uomo andargli contro e, per la sorpresa, non riuscì a bloccarlo in nessun modo: Kafka lo fece cadere a terra, colpendolo con tutto il suo peso, e gli mise le mani, coperte dai guanti, in faccia.
In un singolo istante sentì la vita e le sue forze risucchiate via.
Cosa stava succedendo?
Questa fu l'ultima domanda che si fece prima di cadere in un sonno profondo.
Gustav aspettava da un po' il camion in strada e stava iniziando a spazientirsi ma, come per miracolo, le sue preghiere furono esaudite: la polizia e il suo prezioso carico si facevano largo in lontananza.
Gustav schioccò le dita e di fianco a lui si presentò Rhino, pronto a fare il suo lavoro.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pezzi mancanti ***


Gustav entrò nell'ascensore, premette il pulsante e, mentre l'ascensore scendeva, si pulì la giacca dalla polvere con una secca scrollata.
L'ascensore arrivò al piano stabilito, nel rifugio creato dal padre di Harry, e Gustav uscì sorridendo dal mezzo andando incontro ai suoi nuovi uomini.
Mac Gargan, quello che a breve sarebbe diventato qualcos'altro, era in difficoltà, su un letto, aiutato dall'uomo migliore che Gustav aveva in quel momento: Rhino.
Russo, criminale di piccolo taglio, e completamente pazzo ma fedele se eri capace di garantirgli qualcosa che gli serviva.
Gustav gli aveva dato l'armatura e gli aveva promesso che insieme avrebbero schiacciato il ragno: l'accordo era concluso.
I due scagnozzi stavano ancora litigando quando Gustav li fermò battendo le mani: " Buoni ragazzi, state buoni e mettetevi i vostri costumi: è arrivato il momento di prendere l'ultimo uomo che ci manca ".

Da quando Peter si era scontrato con il Dr. Kafka era diventato estremamente debole e tutti i suoi riflessi erano rallentati.
L'uomo l'aveva avvicinato, l'aveva toccato e utilizzando i suoi guanti sembrava che gli avesse succhiato via l'energia vitale.
Peter si era alzato frastornato, aveva ritrovato l'equilibrio a tentoni e appena ci era riuscito si era rimesso subito in marcia seppur debole.
Peter non era riuscito a fare nulla di particolare, per via della stanchezza, e così, appena aveva visto una figura in nero entrare in una finestra di un appartamento, aveva deciso di intervenire: doveva levarsi la stanchezza di dosso in un modo o nell'altro.
Al buio il ragazzo iniziò a muoversi in silenzio, per fare un sopralluogo, e appena trovò la figura in nero china su dei cassetti di una camera da letto, iniziò subito con i suoi soliti sfottò: " Hai perso la chiave per entrare, amico? ".
La figura in nero istintivamente alzò la testa e poi attaccò subito il ragno con un calcio alle gambe.
Peter saltò all'indietro e, ricaduto sui suoi piedi, attaccò con una serie di pugni l'avversario.
Quello, in poche mosse, schivò i pugni dell'eroe e con una singola mossa lo buttò a terra: Peter non si era ancora ripreso dall'attacco di Kafka.
Il ragazzo, ancora frastornato, si rivolge alla figura: " Chi diavolo sei? ".
Quella rispose: " Chiamami Gatta Nera, tigrotto ".
Con un occhiolino la figura in nero si svelò essere una donna e con un singolo calcio in faccia mise a dormire l'Uomo ragno.
Peter, con tutte le difficoltà del caso, appena ripresosi uscì dalla casa e ritornò nella sua tana scoprendo, tramite la televisione, che Gargan era appena stato liberato da una serie di personaggi "bizzarri" a detta della giornalista che si stava occupando del servizio.
Qualcuno si era messo contro di lui, questo fu l'ultimo pensiero di Peter prima di cadere in un sonno profondissimo.
 
Felicia è stanca ma soddisfatta.
Felicia torna a casa e si leva la maschera.
Felicia si riempie un bicchiere di vino e, seduta sul divano, decide di ripensare a tutto quello che è successo.
Non era passato molto tempo da quando il suo datore di lavoro, il giovane Harry Osborn, per colpa di una qualche malattia, almeno così dissero i giornali, era impazzito e, tramite un siero sperimentale, era diventato un mostro.
Non era passato molto tempo da quando l'uomo ragno, sempre colpa dei giornali, aveva deciso di metterlo in gabbia.
Felicia non sapeva da che parte stare, non l'aveva ancora capito: Harry si era sempre comportato bene con lei ma non si poteva negare che era impazzito; inoltre, aveva fatto una cosa imperdonabile.
Aveva ucciso una povera ragazza.
Anche lei lavorava alla Osborn e Harry aveva comunque deciso di ucciderla.
Perchè?
Felicia avrebbe deciso come muoversi quando sarebbe arrivato il momento: lo sapeva.
Lei, in qualche modo, sapeva sempre qualcosa del domani.
Da prima di entrare alla Osborn, da prima di aver compiuto la maggiore età, sapeva che avrebbe fatto qualcosa di grande, sapeva che sarebbe stata grande.
Suo padre, oh lo sapeva di suo padre: l'aveva sempre saputo.
Probabilmente era proprio per suo padre che lei aveva ficcanasato nella Osborn, in quella sala segreta e si era appropriata di quella tuta speciale.
Non aveva idea di che cosa potesse fare ma, in qualche modo, era attratta da essa in maniera particolare.
In breve tempo Felicia scoprì le caratteristiche della tuta, scoprì che poteva diventare invisibile e che poteva scalare i muri dei palazzi senza problemi.
Felicia scoprì che poteva fare tanto, davvero tanto solo indossandola.
Felicia Hardy non era più solo Felicia Hardy: aveva deciso di chiamarsi la Gatta Nera.
Da li il passo per diventare una ladra di appartamenti fu molto breve.
Felicia finì di sorseggiare il suo vino e, d'un tratto, le luci si spensero.
Tutte le luci della città fecero lo stesso.
 
Le luci si spensero in tutta la città e Gustav sorrise come non aveva mai sorriso prima: Harry poteva anche essere pazzo ma non aveva sbagliato un colpo da quando aveva ideato il suo piano.
Tutto ciò che aveva detto aveva funzionato così come quest'ultima mossa: per svegliare un mostro bastava pungolarlo con un bastone abbastanza grande.
Electro dormiva da quando si era scontrato con il Ragno.
Il ragazzo era riuscito a metterlo k.o., pensava di averlo eliminato ma nessuno può eliminare l'energia vera e propria: si può solo fermare, per poco.
Electro era stanco, spossato, ma un movimento giusto l'avrebbe potuto svegliare in qualsiasi momento: Gustav riuscì proprio in quell'intento.
Il braccio destro di Harry Osborn fu l'unico a non muoversi quando il mostro in blu uscì fuori dalle rovine della centrale elettrica distrutta qualche tempo prima.
Tutti gli altri indietreggiarono ed Electro ruggì come un leone tenuto per troppo tempo in gabbia.
I Sinistri sei avevano finalmente preso forma.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** I Sinistri Sei ***


Peter non riusciva a capire.
Peter non riusciva proprio a trovare un senso a tutto quello che, sino a quel momento, era successo.
Non perché non fosse un ragazzo intelligente, questo no, ma perché non riusciva a trovare uno schema comune o una possibile connessione tra tutti i vari avvenimenti capitati negli ultimi tempi.
Chi aveva dato al dottor Kafka quella tuta?
Chi aveva liberato Mark dal camion della polizia?
Cosa aveva causato il completo black out della città qualche giorno prima?
Tutti episodi diversi, senza nessun vero collegamento che però facevano pizzicare il suo senso di ragno: erano tutti collegati in qualche modo, di questo ne era certo.
Aveva bisogno di lavorare, aveva bisogno di spazio per pensare così prese le sue cose e le spostò tutte nel vecchio laboratorio del padre, nella metropolitana della città: quella sarebbe diventata la sua nuova base.
Ci mise un giorno intero, dovette stare attento alle sostanze chimiche lasciate nell'aria ma, alla fine, ripulì il laboratorio e lo fece diventare la sua nuova base.
Bastò poco, un muro più grande e la possibilità di guardare tutto lo schema da lontano per rendersi conto che se tutti quegli avvenimenti erano collegati, solo una persona poteva esserne il centro: Harry Osborn.
Peter decise che avrebbe visto, il giorno dopo, il suo vecchio amico.

Harry mise un piede dopo l'altro e, piano piano, come se fossero i primi passi di un bambino, Harry uscì dalla sua cella.
Non avrebbe voluto, non era una cosa che gli faceva piacere ma il piano richiedeva un altro uomo, un uomo in più: doveva provarci.
Le pedine erano tutte al loro posto, non aveva dubbi sul suo successo futuro tuttavia doveva provare a segnare l'ultimo canestro da tre punti: voleva mettere in cassaforte il risultato.
Harry Osborn si fece avanti, superò pazzi urlanti e pazzi silenziosi e, durante il pranzo, si avvicinò all'uomo che gli serviva: Curt Connors.
Il dottor Connors non si faceva la barba da mesi, puzzava e sembrava quasi denutrito.
Aveva gli occhi persi nel vuoto, come molti dei pazienti nel manicomio, ma non era impazzito: era sanissimo, semplicemente non riusciva a non odiarsi.
Tutto ciò che aveva fatto sarebbe dovuto servire a migliorare la sua vita ma in realtà l'aveva solo peggiorata.
Aveva venduto l'anima al diavolo ma non aveva ricevuto davvero nulla in cambio, nulla.
Aveva perso un braccio, uno dei suoi migliori amici, il suo unico amico, e appena aveva trovato una sorta di figlio era riuscito ad allontanarlo.
Il dottor Connors non era più niente, più nulla e non riusciva a non odiarsi.
Il dottor Connors più di tutti, più di lui stesso, odiava solo una persona: Norman Osborn.
Non aveva mai conosciuto Harry Osborn ma gli bastava sapere il cognome per odiarlo.
" La vedo male, Doc. " disse Harry.
" Sicuramente non interessa a te e né hai qualche possibilità di aiutarmi: sei qui, con me e come me. " risposte l'uomo.
Harry rise ma dovette controllarsi per non aggredire l'uomo: quanto gli sarebbe piaciuto.
" No, forse non dovrebbe interessarmi ma sto cercando un aiuto per uscire da qui e per far del male ad un certo ragno che ci ha sbattuti qui.
Non ci vorrà molto per uscire: si preoccupi di stare dalla parte giusta quando accadrà. ".
Harry rise, per l'ultima volta, si alzò e se ne andò.
Connors continuò a mangiare, in silenzio, e si costrinse a pensare alla fiala di siero lasciata dal ragazzo: era una trappola o era il siero che l'avrebbe trasformato in Lizard? 

Harry Osborn e Peter Parker per la prima volta dopo tanto, per la prima volta dalla morte di Gwen, si ritrovavano seduti allo stesso tavolo.
Harry era sorpreso, terribilmente sorpreso.
Peter era furioso, davvero furioso.
Prima erano amici, fratelli e ora non erano nulla.
Ora erano solo un ragazzo e un altro ragazzo.
Un supereroe e un supercattivo.
Il Green Goblin e Spiderman.
" Non ti aspettavo " disse Harry a Peter.
" No, certo che non mi aspettavi.
Credevi che non me ne sarei accorto vero?
Credevi che non sarei riuscito a tracciare una linea che portasse sino a te? " chiese Peter, stringendo i pugni.
" Non so di cosa tu stia parlando " Harry sorrise " Guardia?! Guardia questo ragazzo mi sta dando fastidio. ".
" No, non è vero e lo sai anche tu.
Sai che mi hai tolto tutto e anche di più quindi fammi un piacere Harry chiudi quella dannata bocca da idiota e dimmi la verità ".
Harry alzò la mano, fermò la guardia che si allontanò e dopo si rivolse con un sorriso velenoso e ferito a Peter.
" è già finita Peter.
è finita ancora prima di iniziare.
Ho vinto io e tu hai perso. ".
" Di che cosa stai parlando Harry?
Dimmelo! ".
Harry sorrise ancora e un fulmine colpì il muro della stanza interrogatorio dando finalmente il via allo scontro tra i Sinistri Sei e Spiderman.  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lo scontro ***


L'esplosione colpì tutti nella stanza.
Poliziotti, carcerati, Harry e Peter.
I due ragazzi si ritrovarono per terra, tra mattoni e briciole, entrambi un po' storditi e confusi.
Harry fu il primo ad alzarsi, lo fece con eleganza e tranquillità, non si girò neanche a guardare Peter, si mosse pian piano verso le braccia aperte del suo maggiordomo che, finalmente, aveva risolto il suo problema.
Harry però non fu abbastanza veloce e ancora prima di mettersi la tuta Peter uscì allo scoperto e salutò il gruppo: " Hey ragazzi, vi sono mancato?
Non ve l'hanno detto che non si deve mai far esplodere le pareti di una prigione? ".
Harry rise, schioccò le dita, e Scorpione partì alla carica senza battere ciglio: lo scontro era iniziato.
Peter però non si fece prendere alla sprovvista, fece un salto e cadde alle spalle dell'uomo, più che pronto a colpirlo, ma una scossa lo supera in velocità e lo manda al tappeto violentemente.
Le sue gambe tremavano ma Spiderman non voleva far vincere i cattivi, così si rimise in piedi solo per pochi secondi, giusto per evitare una carica di Rhyno e per farsi prendere alle spalle e sbattere al muro da Kafka.
Peter non era mai stato così in pericolo prima d'ora.

Nascosto tra le macerie Connor era preoccupato per Spiderman, ma sapeva che non poteva salvarlo nel suo stato attuale, sapeva che non poteva fare nulla a meno che non usasse ciò che Harry gli aveva dato nella vana speranza di averlo dalla sua.
Connor chiuse gli occhi e decise di fare la cosa giusta: basta un secondo per trasformarsi in Lizard.
Completata la metamorfosi, l'enorme lucertola urlò, attaccò Rhyno e diede il tempo per respirare a Peter che, in pochissimo tempo, fu costretto a vedersela con Kafka e lo Scorpione.

" Dobbiamo andarcene ora Harry, adesso ". 
" Perchè dovrei? 
Finalmente il ragno sta ricevendo ciò che si merita ".
Mysterio scosse la testa, prese il ragazzo per il braccio e lo portò via con se facendosi scortare da un riluttante Electro: non importava cosa si dovesse fare per portare a termine il lavoro.
Il trio però venne fermato subito da una voce femminile: " Mi spiace Harry ma non posso lasciarti andare: devi farti curare ".
Tutti si girarono e la Gatta Nera si fece avanti, sorridente ma comunque minacciosa.
" Mi dispiace Felicia ma devo andarmene, lasciami passare ".
" Non credo sia possibile " rispose la ragazza.
Fu Electro a muoversi questa volta, iniziando a sparare dei fulmini dalle dita che, però, la giovane riuscì a schivare con estrema agilità.
Harry sorrise, assaporò la libertà, prima di essere fermato da una ragnatela e una battuta familiare: " Non andare così di fretta, folletto ".

I buoni sono alle strette.
I cattivi sono di più.
Peter è stato colpito alle spalle dallo Scorpione e frontalmente da Harry.
Lizard non riesce a sopportare i colpi di Rhyno.
Felicia non può evitare tutti i colpi di Electro.
I tre eroi si avvicinarono, spalla contro spalla, fecero quadrato per proteggersi le spalle e finalmente Peter prese le redini del comando e diventò ciò che era destinato ad essere: un eroe.
" Dottor Connor con me, Felicia cerca di portare Electro dove vuoi tu.
Forza ragazzi, possiamo farcela ".
I tre eroi si guardarono e si mossero all'unisono: come una vera squadra.

Connors corse verso Rhyno, Peter si mise alle spalle del mostro e con la sua ragnatela, aiutato dalla spinta della luceretola gigante, buttò giù l'animale.
Felicia tornò a schivare i colpi del pazzo colpito dal fulmine, più veloce di prima, ora che ci credeva davvero, e riuscì a mettere in mezzo Kafka per usarlo da scudo contro mostro lanciafulmini.
Il prestigiatore del gruppo, Mysterio, fece alzare una nebbia per nascondersi che però, in breve tempo, divenne la sua condanna: venne colpito da uno Scoprione confuso e poi messo, quasi subito, k.o. dalla Gatta e dal Ragno.
Electro era il peggiore e così Connors decise di sacrificarsi buttandoglisi contro e facendo svenire entrambi: uno per l'impatto e l'altro per lo shock.
Harry era finito e così anche quello scontro.

" Grazie Dottor Connors, mi dispiace di non essere venuto prima ".
Peter guardò Connors negli occhi, ormai tornato normale, e l'uomo gli sorrise in risposta.
" Non preoccuparti Peter: mi merito di stare qui, vieni quando puoi ".
Peter sorrise e si avvicinò alla ragazza: " Quindi non rubi solo negli appartamenti? ".
Felicia sorrise e dopo aver dato un'occhiata al ragazza disse: " Non l'ho fatto per te, ma lavoriamo bene in squadra quindi se mai avrai bisogno fammi un fischio ".
" Riuscirai a sentire il mio fischio dovunque tu sia? "
" Solo se tu sentirai il mio ". Felicia sorrise e scappò via.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** THE AMAZING SPIDERMAN 3 2.0 ***


Piccolo stop editoriale sino al prossimo Lunedì. Qui il perchè: https://ilmioquadernodegliappunti.blogspot.it/2017/07/the-amazing-spiderman-3-20-da-qui.html

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Film Noir ***


Notte fonda.
La luna è alta nel cielo e non si sente volare una mosca.
Silenzio assoluto sino a che due uomini iniziano a correre.
Hanno il fiatone, i loro polmoni stanno per scoppiare ma non vogliono minimamente fermarsi: non possono.
Hanno paura, hanno bisogno di aiuto ma non c'è nessuno che può dare loro una mano.
Svoltano una, due volte e vorrebbero continuare a farlo ma non possono: si trovano davanti ad un vicolo cieco.
I due non fanno in tempo a girarsi che una serie infinita di colpi li attraversa e li uccide.
Torna il silenzio.
Notte fonda. 
Passano le settimane e i due morti non sono più solo due.
Aumentano, senza sosta e senza mai fermarsi.
Peter se ne accorge pian piano, quando ormai non può evitare di vedere la notizia sul giornale.
è ora di mettersi in azione.

Seguire più di un criminale e spacciatore non era mai stato il sogno di Peter ma aveva imparato, con il tempo, che chi calcava le strade sapeva sempre chi era il nuovo capo: così da non pestare le scarpe a nessuno di importante.
Gli bastò scegliere le sue " prede ", seguirle per qualche giorno e in poco tempo capì dove si sarebbero tutti ritrovati qualche giorno più tardi: in uno dei palazzi più in vista della città.
Peter si nascose, si vestì e iniziò a scalare la grande torre curioso e attento a non farsi scoprire come non mai.
Criminali.
Tantissimi criminali, tutti insieme in una sola stanza davanti ad un solo uomo.
Peter non aveva mai visto tutti quegli sfigati e non aveva mai visto quell'uomo. 
Sapeva, però, che doveva fare qualcosa e anche in fretta: sembrava un esercito sul piede di guerra.
Prima però di fare qualsiasi cosa il suo senso di ragno scattò e il vetro su cui si era messo per guardare la stanza dall'alto si ruppe facendolo cadere su un tavolo.
Spiderman era da solo in una stanza piena di criminali.
L'uomo alto e statuario, in completo, si alzò e dopo aver battuto sarcasticamente le mani disse, mentre Peter pian piano si rialzava: " Sparategli ".
Tutti i criminali tirarono fuori le pistole e iniziarono a fare fuoco sul supereroe della città cercando di ucciderlo.
 
Proiettili.
Proiettili dovunque senza una vera via di scampo.
Chiunque sarebbe morto ma Peter no, lui non era chiunque: lui era Spiderman.
Tramite il suo senso di ragno, che già tante volte gli aveva salvato la vita, iniziò a schivare tutti i vari colpi di pistola.
Saltando, abbassandosi e scivolando di lato.
Peter Parker sarebbe sopravvissuto ma non sapeva ancora bene per quanto.
Se infatti, bene o male, riusciva ad evitare i colpi questi erano troppi e, appena commise uno sbaglio, uno centrò il bersaglio e entrò nella spalla del nostro eroe.
Peter cadde al suolo e d'un tratto i criminali si fermano.
L'uomo a capo dell'esercito, perché questo era, si alzò dalla sua sedia e pian piano, senza battere ciglio, iniziò ad avvicinarsi a Peter.
" Sai ragazzo, io non voglio ucciderti: infondo devo a te la mia libertà.
Se tu e la tua amica vestita da gatto non foste venuti nella mia prigione insieme a quel gruppo di pazzi travestiti io non sarei mai riuscito ad evadere e ora non mi troverei qui.
In poco tempo non avrei messo in piedi questo mini impero e non avrei quasi in mano questa città.
Quindi no, non voglio ucciderti ma devo sicuramente impedirti di fare ciò che hai fatto al ragazzo verde ".
Detto questo, l'uomo iniziò a correre e piegandosi colpì Peter con una testata come se fosse un ariete facendo schiantare l'eroe al muro.
Peter aveva il respiro pesante, la spalla gli faceva un male cane, ma non poteva perdere: semplicemente non avrebbe potuto fare le sue solite battute perché troppo occupato a sopprimere le urla per via del proiettile.
" Non dici più nulla bambino? "
Sorrise il criminale, prima di tirargli un pugno facendolo volare fuori dalla porta a vetri sull'enorme balcone della stanza d'albergo.
" Andiamo, fammi vedere qualcosa, fammi vedere perché mi sto sporcando le mani.
Mmm, magari ti serve un po' di motivazione.
Vediamo un po', sai perché ero nel manicomio criminale?
Ho ucciso una madre e sua figlia: la donna mi aveva visto fare qualcosa che non dovevo fare, stava per chiamare la polizia quindi ho deciso di far vedere ciò che stavo facendo anche alla figlia, per poi ucciderla.
Per avere una pena minore è bastato dimostrare di essere pazzo: che bello avere dei soldi da parte ".
L'uomo sorrise e Peter sentì la rabbia salire in tutto il suo corpo.
Fece uno scatto e si avventò contro il mostro che aveva davanti.
Quest'ultimo fu preso di sorpresa, finì a terra e in pochissimo tempo tutti i suoi uomini si fecero avanti alle sue spalle sfoderando le pistole e puntandole su Peter che, solo, non poté fare altro che indietreggiare.
" Mi chiamo Testa di Martello, ragazzo, e questa è la mia città.
Oggi non ti ucciderò, ma rimettiti in qualsiasi altro modo sulla mia strada e non tornerai mai a casa.
Lasciatelo andare ragazzi ".
Testa di Martello si girò, tutti i suoi " ragazzi " pian piano abbassarono le pistole e Peter, con le lacrime agli occhi, poté fare solo una cosa: voltarsi e andare via, perché per la prima volta era stato sconfitto.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Il ragno e il cacciatore ***



Mentre Peter tornava, di nascosto e molto lentamente, a casa un uomo era entrato in città.
Un uomo mai visto prima, che aveva fatto in modo di essere invisibile sino a quel momento aveva finalmente deciso di rivelarsi.
In giacca e cravatta, come un uomo normale cosa che lui non era.
Il gorno dopo, entrò alla Oscorp, alla riunione dei maggiori azionisti, strinse la mano a tutti con un sorriso e si sedè alla poltrona a capo del tavolo.
Lui era il nuovo capo dell'azienda, lui, ora, era il secondo maggior azionista della società insieme al suo socio in affari lontano per lavoro in quel momento.
Si fece dare le ultime notizie sull'azienda, guardò il mercato azionario e, firmati alcuni documenti, prese delle decisioni.
Nessuno obiettò, nessuno disse niente, era come se lo sguardo tranquillo dell'uomo avesse messo tutti a tacere in pochissimo tempo.
Finiti i " convenevoli " si mise più comodo sulla sedia, unì le mani in una piramide, sorrise ancora una volta e disse: " Vorrei vedere tutti i progetti scientifici dell'azienda passati e presenti senza nessuna distinzione ".
Alcuni si guardano negli occhi, altri si mossero subito per eseguire l'ordine.
L'uomo sorrise perchè nessuno aveva ancora capito quanto fosse pericoloso Kraven il cacciatore.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La gatta e il cacciatore ***


Felicia si mosse veloce.
Senza far rumore, senza destare sospetti di nessun tipo.
Si cambiò d'abito e entrò in azione.
Ormai veniva a queste feste per ricchi solo per approfittarsene, solo per potersi mettere la maschera e fare quello che ormai faceva da un po': diventare ricca.
Non sapeva se era per il brivido dell'atto, per la paura di essere scoperta o semplicemente per la refurtiva.
Sapeva soltanto che si divertiva tantissimo e le andava bene.
Aveva aiutato il ragazzo ragno qualche tempo fa e questo, in qualche modo, le dava la possibilità, si diceva lei, di fare un po' quello che voleva.
Infondo che cos'era un furto rispetto alla cattura di una serie di criminali?
Che cos'era una collana o un anello o un diamante rispetto alla vita del supereroe di New York?
Nulla, quindi ora lei poteva fare quello che voleva.
Aveva salvato il ragno, rimesso in gabbia Harry che aveva evidentemente bisogno d'aiuto e ora poteva godersi il suo meritato bottino.
Questi furono i suoi ultimi pensieri prima di essere colpita alle spalle con una forza inaudita.
 
"Ma che cav" Felicia non riuscì a finire la frase che ricevette un pugno dritto allo stomaco.
La ragazza non era riuscita neanche ad aprire gli occhi o a girare la testa.
Lo sconosciuto la prese e la spinse con la parete iniziando a soffocarla.
Ora Felicia poteva vederlo: era un uomo di mezza età, di bell'aspetto e vestito bene.
Un uomo con una forza inaudita e uno sguardo che non lasciava dubbi: era un animale.
Prima che l'aria nei polmoni di Felicia finisse l'uomo la lasciò cadere a terra.
 
"Ah bambina mia" disse lui chinandosi e accarezzando la ragazza in seria difficoltà.
"Tu non ti ricordi di me ma io mi ricordo di te.
Tuo padre ti pensa sempre, parliamo continuamente di te.
Adesso non c'è però, non è qui a proteggerti ma ci sono io quindi ascoltami: basta con questa sceneggiata, basta con la maschera e basta con il ragno.
Altrimenti finirà male, molto male ".
Kraven finì la frase e colpì la ragazza con un calcio allo stomaco.
Si pulì le mani, sorrise e se ne andò chiudendo la porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La mafia della giungla ***


 Testa di martello non era tranquillo.
Non era tranquillo quanto Kraven sperasse ma doveva arrangiarsi: Kraven voleva solo un vantaggio, anche se piccolo, e almeno quello era riuscito ad averlo.
I due "mostri" si trovavano per la prima volta uno davanti all'altro, tra di loro c'era un tavolo ma poco importava: erano nella stessa stanza.
Testa di martello aveva saputo dopo pochi giorni della presenza di Kraven in città mentre il cacciatore sapeva dell'esistenza del mafioso ancora prima di mettere piede nel suo appartamento a New York.
Ognuno sapeva dell'esistenza dell'altro e, per via dei loro affari, erano costretti ad incontrarsi.
Kraven aveva fatto la prima mossa, come il cacciatore che era, chiedendo un incontro con Testa di martello.
Il re del crimine era stato colto di sorpresa e aveva deciso di rispondere usando il suo appartamento come sede dell'incontro.
Ognuno sapeva cosa fare e come rispondere per le rime: era come se fosse una partita a scacchi mortale.
"Vorrei sapere il perché di questo incontro" chiese il padrone di casa all'ospite.
Kraven sorrise.
"Non prendiamoci in giro: io so chi sei e tu sai chi sono io. 
Ognuno sa chi è l'altro e che cosa fa.
Ho deciso di chiederti un incontro perché sto per mettere le mani su questa città in qualche modo e so che la cosa potrebbe disturbarti quindi ti avviso: stammi lontano o sarà peggio per te".
Questa volta fu Testa di martello a sorridere.
"Perché dovrei? 
No, spiegami perché dovrei ascoltare un uomo di cui pochi sanno qualcosa, perché dovrei dare retta ad una persona che non ha minimamente dimostrato di essere una possibile minaccia?
Spiegamelo e allora, solo allora, se la tua risposta sarà sufficiente ti ascolterò".
Kraven questa volta prima di rispondere si fermò, chiuse gli occhi e abbassato il capo rivoltò il tavolo che divideva i due uomini andando dritto alla gola d Testa di martello.
"Credi davvero che non sono una minaccia?
Credi che non possa uccidere te e tutti i tuoi uomini?"
Senza minimamente rispondere, dopo essersi velocemente ripreso dalla sorpresa, Testa di martello diede una testata fortissima all'uomo che lo teneva per la gola liberandosi così dalla presa.
Kraven si appoggiò al suo ginocchio per non cadere.
"Non farlo mai, non minacciarmi mai più".
Mentre i due uomini avevano iniziato a squadrarsi i vari sgherri che si erano portati dietro si puntarono subito le pistole contro: un gruppo contro l'altro.
Prima della fine, prima del momento peggiore i due capi banda fecero segno di abbassare le armi: avevano preso una decisione.
"Non ostacolerò le tue attività, tranquillo.
Sono solo venuto a dirti che qualcosa si muoverà e tu non potrai controllarla" disse Kraven.
"Fai quello che vuoi ma se solo proverai ad avvicinarti scoppierà una guerra: sei avvertito".
Kraven sorrise e prese la via per la porta.
Per ora la storia tra i due era chiusa, doveva occuparsi del ragno e della sua amica, ma prima o poi avrebbe rimesso le mani su quell'animale e allora sarebbe stato suo.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Scontro alla Oscorp ***


 Kraven si alzò dalla sedia del suo ufficio e si mise a guardare la città dall'enorme parete a vetri del suo studio: era bellissima.
Kraven ne aveva viste di città ma quella, come aveva sempre pensato, le superava tutte nel bene o nel male.
Il cacciatore sorrise e mentre accarezzava lo specchio si mise a ripensare ai suoi ultimi successi: la Gatta e il boss mafioso della città.
Erano bastati due incontri per mettere al loro posto due persone pericolosissime per i suoi piani.
Era riuscito a fare tutto ciò che doveva fare quando lo doveva fare senza sbagliare un colpo.
La caccia era iniziata il giorno in cui aveva messo piede all'areoporto e da quel momento in poi non si era più fermata.
Kraven annusò l'aria e disse:"Ci hai messo tanto ad arrivare".
 
Peter aveva visto Felicia, aveva visto quanto era ridotta male e sapeva che doveva fare qualcosa.
Normalmente si sarebbe preparato meglio, avrebbe pensato prima di agire ma non poteva rimanere con le mani in mano: nessuno avrebbe potuto farlo.
Aveva salvato la città da Lizard, aveva fermato Electro e poi Harry: non poteva permettere che una singola persona, per quanto particolare e misteriosa fosse, lo spaventasse.
Gli eroi non si spaventano e lui aveva dimostrato di essere un eroe.
Fu quell'idea, fissa nella sua testa, a portarlo alle spalle di Kraven, nel suo stesso ufficio, a notte fonda: lui era un eroe.

Eccoli lì, fermi, uno davanti all'altro.
Kraven sapeva di Peter.
Peter voleva solo far male a Kraven.
Questo era il loro primo incontro e, per entrambi, sarebbe anche stato l'ultimo.

Il ragazzo ormai aveva qualche anno di esperienza e si sentiva sicuro di sé.
Forse aveva perso alcuni colpi, con Gwen o con Testa di martello, ma dopo ciò che aveva visto, dopo Felicia non poteva fare altrimenti.
La ragazza era arrivata nella sua tana sanguinante e mezza morta.
Peter non glie l'aveva mai mostrata e non sapeva come la giovane ci fosse arrivata ma che altro poteva fare se non aiutarla?
Che altro poteva fare se non vendicarla, ora come ora?

Kraven non fece nulla, non si mosse.
Non ne aveva bisogno perché tanto sapeva che l'avrebbe fatto l'altro.
Meglio avere un vantaggio che farsi dominare dalla rabbia come il giovane.
Mancava poco alla fine.
Davvero poco. 
 Peter scattò contro Kraven.
In un secondo, però, il cacciatore si girò e lo colpì al volto con un destro perfetto.
Il senso di ragno scatto ma non ci fu la minima possibilità per Peter di salvarsi.
Non se l'aspettava e non era minimamente pronto per tutta quella forza.
Kraven rise e in un secondo fu sopra il ragazzo riempendolo di pugni al volto e allo stomaco.
Peter cercò di bloccare i pugni e non ci riuscì, cerco di divincolarsi ma Kraven lo teneva fermo a terra.
D'un tratto una ragnatela si attaccò al volto di Kraven e lo accecò.
L'uomo sorrise e assecondò il ragazzo che riuscì a liberarsi salvo poi colpirlo alla testa e rendendolo innocuo.
Ancora una volta Peter aveva sottovalutato il suo avversario.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Annuncio ***


Aprofitto di questo piccolo spazio tra più articoli, domani arriverà lo speciale di Halloween, per parlare un secondo di questa enorme fanfiction che sto scrivendo. In primis, è già stata tutta scritta. Questa storia che state seguendo, per chi la sta seguendo, ha un inizio ed avrà anche una fine. Non so se sarà la fine originale, non so se sarà la fine originale con una drastica velocizzazione ma questa storia avrà una fine. Detto questo, tutto quello che avevo programmato per il futuro di questa storia, un continuo più grande diviso in più parti, non vedrà mai la luce o, quantomeno, non vedrà la luce per come l'ho progettato inizialmente. Mi sono accorto che scrivere questa fanfiction è comunque un certo peso e vorrei fare altre cose nel frattempo, proprio per questo probabilmente questa storia finirà prima del previsto, così ho deciso di non darle un seguito nel breve termine. Questa mia scelta però non mi bloccherà nel futuro, se vorrò, a scrivere altre storie in questo mondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Scacco matto ***


Testa di martello sembrava dormire profondamente pensò Felicia.
Per questo gli si avvicinò lentamente ma anche con poca cura.
Anche lei sottovalutò il nemico.
Testa di martello infatti, non aveva mai dormito profondamente in vita sua o, quantomeno, serenamente.
La prigione gli aveva insegnato a stare sempre con le orecchie tese e aperte.
Così non solo sentì la giovane arrivare ma la fermò prima che questa si potesse accorgere di qualsiasi cosa.
Fu un secondo ed entrambi iniziarono a combattere.
L'uomo prese la ragazza per la gola salvo poi mollare subito la presa per un calcio al cavallo: Felicia non era pronta ad arrendersi ancora una volta.
Scesa a terra, la giovane saltò graffiando il boss della città al volto e allontanandosi.
Testa si toccò il volto, sorrise e si mosse per partire all'attacco salvo fermarsi quando Felicia aprì la bocca: "Voglio parlare".
L'uomo si fermò, guardò la ragazza e dopo averci pensato su prese posto sulla sua poltrona: "Che cosa vuoi?".
"Ho una proposta per te".
Testa di martello sorrise e si mise comodo.

Peter fece fatica ad aprire gli occhi.
Stava male, stava davvero male: gli girava la testa.
Il colpo di Kraven continuava a farsi sentire.
Peter stesso però non ci pensò neanche un secondo perchè capì subito di essere stato legato ad un tavolo operatorio e di essere in pericolo: il suo senso di ragno  non voleva fermarsi.
"Che cos" il ragazzo non fece in tempo a finire che Kraven uscì dall'ombra e iniziò a ridere come un matto.
"Forza ragazzo, liberati così avrò di nuovo il piacere di stenderti.
Salta via da quel tavolo così mi darai l'occasione di stenderti e di prelevati il sangue dal braccio dopo averti rimesso ko".
Kraven sorrideva perchè per lui tutto questo era un gioco.
Kraven sorrideva perchè aveva progettato tutto e aveva già dimostrato di poter battere Peter in un singolo duello.
Peter usò tutti i muscoli del suo corpo e riuscì a liberarsi dalle corde che lo tenevano legato.
Il giovane spiccò un salto e si mise subito in posizione per continuare a combattere: non era ancora finita.
 In pochissimo tempo Kraven si avventò sulla gola di Peter senza nessun rimorso.
Come un animale ferito in cerca della salvezza il cacciatore non dava segni di cedimento ed aveva gli occhi inniettati di sangue.
Peter invece non era mai stato così provato in vita sua e in breve, seppur prima si era liberato, ora si ritrovava con le mani dell'uomo chiuse sulla sua gola: ancora una volta non era stato in grado di vincere o di difendersi.
Il respiro si faceva sempre più faticoso e la vista iniziava ad annebbiarsi.
Mancava davvero poco quando..
 Spiderman, Peter Parker stava per morire, stava per soffocare e non avrebbe mai detto che proprio l'uomo che qualche tempo fa aveva cercato di ucciderlo, Testa di Martello, l'avrebbe salvato.
Non fu propriamente Testa di Martello ma furono i suoi uomini che irruppero nella stanza di Kraven e iniziarono a sparare senza un obiettivo preciso.
Il cacciatore si rese subito conto della situazione e in breve si diede alla fuga.
Peter svenì e l'unico volto che vide prima di chiudere gli occhi era quello di Felicia Hardy.
"Mi dispiace se la cosa non ti fa piacere ma non c'era altro modo per salvarti.
Io non sarei stata in grado: mi aveva già battuto".
Felicia mise una mano sulla spalla di Peter che la scostò subito.
"Ti sei fidata di Testa di martello, gli hai assicurato che non ci saremmo messi in mezzo nel futuro.
Gli hai consegnato la città!".
Peter era arrabbiato, Felicia lo sapeva ma non avrebbe potuto fare altro.
"Io.." la ragazza non sapeva cosa dire e, infatti, non disse nulla: si voltò e scappò via.
La loro storia sarebbe finita qui?  

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** One last time ***


 
"Devi cercare di tenerlo a freno ragazza: continua a minacciare i miei uomini" disse Testa di Martello a Felicia, sorseggiando un bicchiere di scotch.
"Non è sempre facile: non è sotto il mio controllo" rispose la ragazza.
Testa sorrise e disse:"Allora morirà: il nostro patto era chiaro.
Io l'avrei salvato ma tu avresti dovuto tenerlo a freno, non ci stai riuscendo quindi toccherà a me metterlo a tacere per sempre.
So che mi odi, so che lo aiuteresti a farmi fuori ma so anche che hai paura di me e che lo tieni sotto controllo perché hai paura che io lo sconfigga: fai bene".
Felicia strinse i pugni e senza neanche rispondere all'uomo davanti a lei se ne andò.
A Testa non importava come sarebbe finita: lui teneva in vita i due ragazzi solo per divertirsi, solo per farsi due risate e per non annoiarsi.
Fu un attimo e quella risata sparì: senza neanche accorgersene, un uomo si avvicino alle sue spalle e in poche mosse lo spinse in ginocchio.
ll criminale non riuscì neanche a guardare il suo avversario dritto negli occhi perché questo lo prese subito per la gola e lo uccise buttandolo dal balcone.
Lo scotch, ora, era finito per terra.
 
Felicia non era ancora riuscita a riprendersi dalle parole di Testa di Martello quando, entrata in casa, vide Kraven, ferito e ansimante, sul suo divano.
"Tuo padre è tornato" disse l'uomo.
Bastarono quattro parole per farlo svenire.
 
Peter ormai ci aveva fatto l'abitudine: era un po' che andava a trovare ogni giorno Connors.
Arrivava alla prigione in costume, si cambiava di nascosto e, entrato nella struttura, i due iniziavano a parlare.
Connors si era redento, l'aveva aiutato ed era la cosa più vicina ad un padre che aveva.
Come ogni giorno, quindi, stavano parlando quando, senza essere avvertita dal suo senso di ragno,  la prigione esplose.

Peter riaprì gli occhi a fatica.
La polvere portata dall'esplosione rendeva l'aria pesantissima e difficile vedere qualsiasi cosa.
Il giovane tentò di rimettersi in piedi senza molta convinzione: non riusciva minimamente a formulare un pensiero coerente.
Per la prima volta dopo tanto Peter si ricordò che cosa volesse dire "confusione".
Le poche forze che aveva lo abbandonarono e si ritrovò in un lampo per terra vicino a Connors completamente incosciente.
"Dottore..." Peter riuscì solo a dire questa parola prima di vedere dei piedi sconosciuti avvicinarsi.
"Ah eccoci qui: Peter Parker.
Mia figlia non ci ha mai presentato ma io so già tutto di te ragazzino.
Io sono il padre di Felicia, Walter e spero che questo ti insegnerà a non intrometterti nei miei affari".
Dopo queste parole conficcò un coltello nel cuore di Connors davanti agli occhi di Peter che, senza forze, non poteva fare nulla se non piangere.
"Non sforzarti: ad esplodere è stato Electro e l'impulso elettrico ti ha messo fuori gioco.
Povero povero mostro: non voleva morire in fin dei conti".
Walter Hardy fece dietro front e se ne andò lasciando Peter Parker a guardare il corpo senza vita di una delle persone più care che aveva.


"Io di lui non so davvero nulla sai?
Se ne è andato via quando ero una ragazzina, ricevevamo i soldi e mia madre mi faceva fare quello che lui ordinava, come i corsi di autodifesa, ma non ho mai davvero visto il suo volto.
Come fai a conoscerlo?" chiese Felicia a Kraven il Cacciatore.
"Ci siamo conosciuti in guerra o meglio: è lui che è venuto a conoscere me.
Io ero un ottimo soldato, gli insegnamenti di mio padre mi sono stati utili sul campo di battaglia, e lui era un agente segreto americano.
Non so bene da che agenzia venisse tuttavia andava cercando soldati pronti a tutto per combattere, capaci di fare qualsiasi cosa e mi trovò.
In poco tempo creammo qualcosa di diverso e di fuori dalla legge e io divenni uno dei suoi più cari amici o, quantomeno, lo pensavo.
Commerciavamo e investivamo su qualsiasi cosa potesse essere utile in guerra come il piccolo scherzo che ha reso il tuo amico l'eroe che è adesso.
Tuo padre non mi ha mai perso di vista e ha sempre finto: non ha mai abbassato la guardia e mi ha tenuto vicino come si tengono vicini i nemici.
Io ero solo il suo secondo e allo stesso tempo un suo avversario: io credevo di essere al suo stesso livello ma non lo sono mai stato.
Prima di venire qui, prima di cercare di prendere il sangue di Peter, io e lui abbiamo avuto una discussione.
Voleva che venissi qui per farti tornare sotto controllo e per prendere il sangue di Spiderman, io non volevo essere trattato come un semplice soldato e mi sono rifiutato.
Non mi ha lasciato scelta: non avevo mai capito quanto fosse pericoloso.
Immagina Felicia, se voi avete perso contro di me che cosa vi fa pensare di essere in grado di sconfiggerlo?
Sono venuto da te perché l'unico modo per non farmi uccidere per il mio fallimento è sconfiggerlo". 
 Felicia entrò nell'ufficio che era stato di Norman Osborn poi del figlio Harry poi di Kraven il Cacciatore e che ora era di suo padre.
Lei aveva lavorato in quell'azienda per un po' di tempo, proprio perché suo padre l'aveva mandata lì.
Quell'azienda era la Oscorp e, ora, aveva un nuovo nome: Hardy.
Suo padre si era messo davanti alle telecamere, aveva fatto un bel discorso per il pubblico che lui stesso aveva portato e aveva annunciato che l'azienda che teneva in mano la città avrebbe preso il suo nome.
Walter però, il padre di Felicia, non era un semplice uomo d'affari: era un ex agente segreto a capo di uno dei più grandi imperi criminali al mondo.
Loro avevano mosso le fila della Oscorp per molto tempo, erano loro che avevano finanziato la ricerca che aveva reso Peter ciò che era e che avevano ucciso i suoi genitori.
A Felicia bastarono pochi passi per ritrovarsi davanti a quel mostro con cui condivideva il sangue e che faceva terribilmente fatica a ricordare.
"Sei venuta alla fine" disse Walter fissando la finestra, senza girarsi per vedere la figlia.
"Certo che sono venuta: sei comunque mio padre" rispose Felicia.
"Mi fermerai comunque però vero? Ti ho osservata Felicia. Anche se non sono stato vicino a te ti ho osservata per anni e ti ho visto crescere. Ho visto ogni tua scelta e so che cosa farai adesso.
Tu rubi ma lo fai solo a chi aveva già rubato. Sei una bella persona e cercherai di fermarmi" Walter finalmente si voltò.
Felicia lo guardò dritto negli occhi e se ne andò: era arrivato il momento.
 
"Come stai?" chiese Felicia, in costume, sul tetto dell'ospedale in cui Peter era stato per una giornata intera.
"Tuo padre ha ucciso l'unica persona che conosceva i miei genitori davanti ai miei occhi e mi ha anche minacciato. Come pensi che stia?" Peter si voltò e Felicia, per la prima volta, vide la tristezza sul suo volto.
"Mi dispiace" rispose la ragazza.
"La colpa non è tua e lo sai.
Che cosa ci fa lui qui?" chiese Peter riferendosi a Kraven che, in quel momento, si fece avanti.
"Ci aiuterà: dobbiamo eliminare mio padre". disse Felicia.
 Kraven, Felicia e Peter si mossero nell'ombra.
Veloci, velocissimi.
Senza mai fermarsi, senza mai parlare come se sapessero, a memoria, ognuno i movimenti dell'altro.

Felicia usò le sue abilità per aprire un varco dove Kraven aveva indicato, infondo lui conosceva il posto, e, insieme a Peter, tutti entrarono nella Hardy pronti per portare a termine la loro missione.
 
Purtroppo però, il padre di Felicia non si faceva mai trovare impreparato e, in mattina e di nascosto, aveva fatto entrare un buon numero dei suoi uomini nell'azienda.
Tutto accade in un secondo e con estrema violenza: gli eroi si trovarono accerchiati e furono costretti a dividersi.
Ognuno ne prese una parte, ognuno con il proprio stile.
Felicia iniziò a volteggiare tra un nemico e l'altro, Kraven rimase fermo a subire e a tirare colpi mentre Peter univa entrambe le cose.

Più ne buttavano giù più ne arrivavano: non sembrava esserci una fine.
In poco tempo le forze del trio vennero a mancare e gli uomini di Walter, in breve, riuscirono a bloccarli e a portarli dal loro capo.
È lì che si svegliarono: davanti alla loro fine.
 
"Sapete, non siete stati affatto male semplicemente i miei erano troppi.
Succede sempre così in queste cose no?" chiese, ridendo, il padre di Felicia ai tre eroi inermi davanti a lui.
"Comunque" continuò l'uomo passeggiando "fate come se foste a casa vostra, anzi faccio io gli onori di casa: vieni Kraven mettiti comodo".
Walter prese il Cacciatore e lo sbattè al muro all'altro capo della stanza.
 
Felicia, approfittando della cosa, si buttò sul padre senza però riuscire a toccarlo: l'uomo la prese al volo e la tenne ferma per il volto guardandola dal basso verso l'alto.
"Mi hai deluso figlia mia ma sapevo che avresti fatto questa scelta" senza pensarci due volte anche Felcia venne scagliata contro un altro muro della stanza battendo la testa.
 
"E ora parliamo di te ragazzino" disse Walter avvicinandosi a Peter.
"Ti avevo avvisato, ti avevo promesso che ti avrei fatto male se avresti provato a fermarmi ed è quello che farò: prima di tutto ucciderò i tuoi amici e poi mi occuperò di tua zia.
Allora, solo allora ti ucciderò".
 
In quel singolo istante, per via di quelle parole, Peter scattò.
Aveva perso un amico, aveva perso la ragazza che amava e aveva perso una figura paterna.
Non era riuscito, da solo a sconfiggere Kraven o i Sinistri Sei.
Sino a quel momento, lui, da solo, non era stato in grado di fare nulla ma si promise, in quel singolo momento, che avrebbe risolto, almeno questo problema, da solo. 
 Iniziò con un pugno e poi un altro e poi un altro ancora.
Senza mai fermarsi senza mai cedere terreno.
Ormai non c'era più nulla che potesse fermarlo.
Walter cercò di farlo cadere a terra ma Peter schivò il suo attacco e gliene restituitì uno con altrettanta forza.
Per la prima volta il padre di Felicia si trovò a terra, incapace di rispondere e, probabilmente, impaurito: non pensava che il ragazzo potesse svegliarsi dal torpore, potesse farcela da solo.
Le informazioni che aveva su di lui erano molto chiare: sino a quel momento aveva sempre avuto bisogno d'aiuto con chi era più forte di lui e ora..
 
Walter non fece in tempo a finire il pensiero che Peter lo colpì ancora una vola e lo prese per il collo per finire la questione.
"Peter!" disse Felicia.
"Peter so che eravamo d'accordo ma non possiamo, non puoi farlo: non sei quel genere di persona".
Peter guardò la ragazza, un lato della maschera era completamente venuto via così da permettergli una visione più chiara, e poi l'uomo che l'aveva fatto sentire debole come non mai.
 
Con un tonfo per terra, Walter capì di essere stato risparmiato e Felicia tirò un sospiro di sollievo.
Nella mente di suo padre iniziarono a passare una serie infinita di pensieri bloccati però da un colpo di pistola alla testa.
Peter e Felicia si girarono sorpresi e videro Kraven davanti al corpo di Walter soddisfatto.
"Tu non potevi farlo ragazzo, ma io si".
L'uomo guardò Peter e Felicia e, in un lampo, se ne andò.
Era finita.
Avevano vinto. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3661148