Non puoi cambiare le favole

di Il corsaro nero
(/viewuser.php?uid=1011945)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nel buio più fitto ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** La rabbia di Vegeta ***
Capitolo 4: *** Un finale diverso ***
Capitolo 5: *** Frammenti di vita ***
Capitolo 6: *** Il silenzio dei disperati ***
Capitolo 7: *** Il male nascosto ***
Capitolo 8: *** Incontri nella tempesta ***
Capitolo 9: *** L'angelo nell'ombra ***
Capitolo 10: *** L'ultima speranza ***
Capitolo 11: *** Segreti ***
Capitolo 12: *** Vieni con me ***
Capitolo 13: *** Il ricordo di un sorriso ***
Capitolo 14: *** Ricordi e segreti ***
Capitolo 15: *** Il rosso e il nero ***
Capitolo 16: *** La decisione di Bulma ***
Capitolo 17: *** Il calore di una famiglia ***
Capitolo 18: *** La furia di Bra ***
Capitolo 19: *** Nonno e nipote ***
Capitolo 20: *** Il muro del silenzio e dell'orgoglio ***
Capitolo 21: *** Un padre e un figlio ***
Capitolo 22: *** L'incidente di Tarble ***
Capitolo 23: *** Il segreto nella valigia ***
Capitolo 24: *** L'ultimo segreto ***
Capitolo 25: *** Il figlio dello stupro ***
Capitolo 26: *** Preparativi ***
Capitolo 27: *** Un ponte fra due mondi ***
Capitolo 28: *** Il matrimonio di Trunks ***
Capitolo 29: *** Ritrovarsi davvero ***
Capitolo 30: *** Una nuova favola per il Lupo Cattivo ***



Capitolo 1
*** Nel buio più fitto ***


CAPITOLO 1: NEL BUIO PIU' FITTO...


Stava succedendo di nuovo.

I suoi genitori stavano litigando.

DOVE DIAMINE SEI STATO?!” “TE L'HO GIA' DETTO... SONO ANDATO FUORI CITTA' PER AFFARI!” “NON MENTIRE! ORMAI LO SANNO TUTTI CHE MI TRADISCI! ABBI ALMENO IL BUON SENSO DI AMMETTERLO!”

Erano tre mesi che andava avanti quella storia.

Suo padre alcuni giorni spariva e tornava solo a tarda notte.

In città si mormorava alle loro spalle che suo padre li tradiva con qualche bella ragazza giovane.

PERCHE' DOVREI AMMETTERE UNA COSA CHE NON E' VERA?!” “PERCHE' LA FIGLIA DELLA COMMESSA DEL SUPERMERCATO TI HA VISTO IN CITTA'! HA DETTO CHE ERI IN UN BAR E GUARDAVI IN CONTINUAZIONE L'OROLOGIO!” “E' VERO, SONO ANDATO IN UN BAR A BERE UN CAFFE' MA NON PUOI PENSARE CHE TI TRADISCA PER COSI' POCO...” “MA MI HAI FATTO FARE UNA FIGURA DEL CAVOLO! LEI E QUELLE OCHE DELLE SUE AMICHE CONTINUAVANO A RIDERE E MI DAVANO DELLA POVERA STUPIDA! HAI LA PIU' PALLIDA IDEA DI COME MI SONO SENTITA?!” “CREDI A ME O A QUELLO CHE DICONO DELLE SCEME?!” “E ALLORA DIMMI DOVE SEI STATO!”

Silenzio.

Suo padre non voleva rispondere alla domanda.

Per sua madre, quel silenzio significava che aveva ragione.

TI ODIO! TI DETESTO! VORREI VEDERTI MORTO! VOGLIO CHE TU TE NE VADA DA QUESTA CASA!” “SUCCEDERA' MOLTO PRIMA DI QUANTO TU CREDA!”

Di nuovo silenzio.

Si sentì sbattere la porta.

Evidentemente, uno dei suoi genitori se n'era andato dalla sala.

Rigirandosi nel letto, si chiese come si era arrivati a quel punto.

Fino a quattro mesi fa andava tutto alla grande.

Certo, anche allora i suoi genitori litigavano, come tutte le coppie normali, ma alla fine facevano pace.

Adesso, invece, c'era sempre quel clima di tensione...

Il piccolo ripensò a quando era cambiato tutto.

Sua madre era venuto a prenderlo all'asilo in anticipo e gli aveva detto che suo padre aveva avuto un malore al lavoro e che, pertanto, era stato portato in ospedale dal suo migliore amico.

Sua madre l'aveva portato in ospedale e si erano ricongiunti a lui.

Alla domanda del motivo di quel malore, lui aveva detto che si era solo trattato di un semplice calo di zuccheri.

Poi erano tornati a casa e la cosa era finita lì.

Ma, una settimana dopo il malore, suo padre aveva chiesto un giorno di permesso in ufficio.

La cosa aveva insospettito molto sua madre.

Suo padre non aveva mai chiesto un giorno di permesso.

Perfino quand'era malato voleva andarci a tutti i costi e lei doveva fare una faticaccia per tenerlo a letto.

Almeno una volta alla settimana, chiedeva un giorno di permesso e poi spariva senza dir niente a nessuno.

Di conseguenza, cominciarono a girare delle storie che dicevano che suo padre, quand'era stato ricoverato in ospedale, aveva conosciuto una bella e giovane infermiera e i due erano diventati amanti.

Sua madre non poteva sopportare tutto ciò.

Lei lo amava con tutta sé stessa, per lui aveva rinunciato alla sua libertà... e lui la ripagava andando a letto con un'altra?!

Il piccolo era sempre più terrorizzato da quell'aria.

Temeva che i suoi dicessero la terribile parola, quella temuta da ogni bambino... DIVORZIO.

Era vero che, in quei giorni, molte coppie divorziassero ma non voleva che accadesse anche alla sua famiglia.

Avrebbe preferito che uno dei suoi genitori morisse piuttosto che divorziasse.

Il divorzio significava che i suoi genitori non si amavano più... e quale tortura peggiore per un bambino di soli tre anni che sapere che i propri genitori non si amavano più?!


Nel bagno della piccola villa, una donna dai capelli neri era seduta sul pavimento mentre piangeva in silenzio, tenendo in mano un piccolo coso rosa.

I segni su di esso erano inequivocabili.

Positivo.

Era incinta.

Sapeva quand'era successo.

La notte prima che suo marito avesse quel maledetto calo di zuccheri.

Ricordava benissimo quando le sue forti e possenti braccia l'avevano stretta, i loro baci roventi, le sue mani abbronzate che gli accarezzavano il volto e la schiena, eccitandolo ancora di più...

Stava male ripensandoci.

Lei lo amava.

Aveva scelto lui invece di altri... perché le aveva fatto questo?! Perché l'aveva tradita?!

A scuola era una delle ragazze più libere e indipendenti ma poi l'aveva conosciuto... quel suo carisma e quel suo lato misterioso l'avevano attratta e, senza nemmeno rendersene bene conto, si era innamorata di lui.

Sentiva che per lui poteva rinunciare alla libertà.

Ricordava ancora la loro prima volta... erano a casa sua a guardare la tv e, ad un tratto, l'aveva baciato.

Dopo un attimo di stupore, lui aveva ricambiato il bacio e, nessuno dei due aveva mai capito bene come, si erano ritrovati nudi sul suo letto.

Ricordava bene che lui voleva completamente dominarla ma lei sapeva il fatto suo ed era riuscita a tenergli testa.

I loro rapporti erano sempre stati così: una vera e propria battaglia di fuoco sotto le coperte.

Ma non ci sarebbero stati mai più.

Presto, lei e suo marito avrebbero divorziato.

Non lo avevano ancora deciso ma era ovvio che, ormai, il loro matrimonio era naufragato... entrambi dovevano prendere strade diverse...

Ma la cosa più tremenda era che lo amava ancora.

Sarebbe stato terribile per suo figlio e anche per quello che portava dentro di sé vivere lontani dal padre... ma era la decisione giusta per tutti.

Ormai suo marito non l'amava più... aveva preferito un'altra donna, di sicuro molto più giovane... e, poi, le terribili parole che le aveva detto: “SUCCEDERA' MOLTO PRIMA DI QUANTO TU CREDA!”

Il cuore le sanguinava ancora di dolore!

Appena il loro bambino sarebbe andato all'asilo, lei gli avrebbe detto quelle ripugnanti parole che, quando si era sposata, non si sarebbe mai sognata di dire: “Voglio divorziare!”

Dopo gli avrebbe dovuto rivelare del piccolo che portava in grembo...

Poteva sempre abortire, ma non l'avrebbe mai fatto!

Era sempre una vita, quella!

Era sempre una parte di lui...


Il piccolo aprì un occhio, poi entrambi.

Gli era sembrato di sentire il rumore della porta di casa che si chiudeva... ma non era possibile...

Si alzò dal letto e, sbadigliando, andò a guardare alla finestra.

Vide suo padre, con una valigia in mano, sul prato di casa che guardava la loro casa con uno strano sguardo.

Il piccolo uscì dalla camera in tutta fretta.

Non gli piaceva il fatto che suo padre uscisse di casa nel cuore della notte.

Scese le scale in tutta fretta e aprì la porta rumorosamente.

PAPA'!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Lo vide voltarsi e guardarlo ma poi, senza alcuna esitazione, salì sulla sua macchina e avviò il motore.

PAPA'! PAPA'! TORNA QUI, TI PREGO! NON ANDARTENE!” continuò a gridare, inseguendo la macchina che si allontanava sempre di più.

Sentiva le lacrime scendere dalle sue guance ma non gli importava.

Il buio si stava portando via suo padre.

Ad un tratto, inciampò e cadde disteso sulla strada mentre l'auto si allontanava sempre di più, fino a sparire completamente nel buio più fitto.

Papà...” sussurrò, disperato, il bambino.

Ad un tratto, sentì qualcuno sollevarlo e abbracciarlo.

Non dovette nemmeno alzare la testa per sapere chi era.

Mamma...” chiese mentre l'abbracciava “Dov'è andato papà?”

Sua madre fece una lunga pausa, prima di rispondergli: “Non lo so...” “Tornerà?” “Non lo so...”

Furono queste le ultime parole che madre e figlio si dissero per il resto della notte.

Mentre il bambino continuava a piangere senza sosta in silenzio, sua madre gli accarezzava dolcemente la testa, guardando la strada.

Il piccolo non vide mai la piccola lacrima scendere dal viso perfetto della madre, per poi cadere sulla strada.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Primo giorno ***


CAPITOLO 2: PRIMO GIORNO


E ricorda di non accettare mai niente dagli sconosciuti.” “Vegeta, glielo hai già detto venti volte!” “Voglio solo essere sicuro che non se lo dimentichi.”

La bimba di tre anni dai capelli turchini, sorrise divertita.

Suo padre era un musone di prima categoria ma le voleva bene.

E comunque, ci stanno solo mezz'ora al parco. Cosa vuoi che succeda?” continuò sua madre mentre suo padre Vegeta ribatté: “Di tutto! Il parco è il ritrovo degli alcolizzati, dei drogati e dei falliti! Non voglio che mia figlia abbia a che fare con quella gentaglia!” “Rilassati, una buona volta. Non è mica la prima volta che l'asilo porta i bambini al parco. Vedrai che andrà tutto bene!” “Se succederà qualcosa a mia figlia, li denuncio, quelli!”

Bulma sospirò.

Quando si parlava di sua figlia Bra, Vegeta diventava, se era possibile, ancora più irascibile.

Non voleva essere nei panni di quel povero disgraziato che avrebbe voluto sposarsi con sua figlia.

Lei e Vegeta erano sposati da anni, ormai, eppure l'irascibilità del marito non finiva mai di stupirla.

Dal loro matrimonio erano nati due figli: Trunks di diciotto anni e la piccola Bra di soli tre anni.

Trunks frequentava il suo quinto anno di scuola superiore mentre Bra stava per affrontare il suo primo giorno d'asilo.

Quando Vegeta aveva saputo che i bambini andavano a passare mezz'ora al parco gli era venuto un colpo e per poco non aveva disfatto l'iscrizione di Bra.

Lei e Trunks avevano dovuto fare una faticaccia per convincerlo a mandare lo stesso Bra all'asilo.

Finalmente, il terzetto parcheggiò davanti all'asilo e uscì dalla macchina.

Vari genitori si erano già radunati davanti alla porta dell'asilo per accompagnare i propri bambini.

Ma guarda quanta gente!” sbuffò Vegeta e Bulma gli ricordò: “Qualcuno dovrà portare i figli all'asilo.”

Mentre aspettavano, Bra chiese: “Mammina, è vero che ceniamo dalla nonna Echalotte per festeggiare il mio primo giorno?” “Certo, tesoro. Ci sarà anche lo zio Tarble.” la rassicurò Bulma.

Tarble era il fratello minore di Vegeta ma aveva un carattere completamente opposto a quello del maggiore: era sempre gentile e sorrideva sempre, a differenza del fratello serio e scorbutico.

Era molto più basso e mingherlino di Vegeta, che era più alto e robusto.

Il giovane non era mai stato fidanzato, in quanto era molto timido con le donne, ma Vegeta sperava sempre che un giorno trovasse la donna giusta e la sposasse.

Finalmente, una maestra aprì la porta e chiamò i bambini.

Bra, con un po' di esitazione, lasciò andare la mano dei suoi genitori e, dopo aver dato un'ultima occhiata ai suoi genitori, corse dentro l'asilo.

Dopodiché, marito e moglie si diressero verso la macchina.

Mentre Bulma metteva in moto l'auto, si accorse che Vegeta osservava in silenzio un bambino che piangeva disperato, in quanto era spaventato dal suo primo giorno, e padre gli accarezzava la testa, dicendogli le parole, che dal finestrino aperto si sentiva benissimo: “Tornerò, promesso.”


Così Bra ha cominciato l'asilo, chissà che emozione.”

Il ragazzo con i capelli lilla camminava di fianco a una ragazza dai lunghi capelli neri e gli occhi dello stesso colore.

La giovane non era vestita all'ultima moda ma il ragazzo la trovava lo stesso bellissima.

Trunks si sentiva al settimo cielo.

Con Mai, la sua fidanzata, si sentiva sempre bene.

Aveva una famiglia e una ragazza fantastica... non avrebbe potuto desiderare di più dalla vita...

Ad un tratto, sentì un dolore atroce.

D'istinto, portò una mano allo stomaco e si mise ad ansimare forte.

Mai, accorgendosi di quello che stava succedendo al suo fidanzato, si avvicinò a lui e, portandogli una mano sulla spalla, gli domandò: “Ti senti bene?” “Sì... non preoccuparti... è stato solo un attimo... magari sto per prendermi l'influenza.” la tranquillizzò lui.

Mai stava per aggiungere qualcosa quando si sentì una voce: “Ehilà, ragazzi. Come va?” e un ragazzo coi capelli lunghi fino alle spalle neri e ribelli comparve alle loro spalle.

Trunks gli rammentò, con un sorriso divertito: “Goten. Dovresti crescere, sai? Altrimenti tua madre te le suona.” “Adesso non c'è. E poi, se non mi comporto così adesso, quando lo farò?” “Sei senza speranza, amico... mi domando quale donna vorrà mai sposarti...”


Mi raccomando. Non allontanatevi troppo.” “Sì, signorina.”

I bambini cominciarono a disperdersi da tutte le parti come uno sciame di locuste.

Solo una bimba coi capelli turchini rimase immobile.

Bra si stava annoiando.

Le piacevano quei giochi, ma le sarebbero piaciuti molto di più se ci fosse stato qualcuno con cui giocare.

Lei aveva già un'amica del cuore.

Si chiamava Pan ed era la nipote del migliore amico di suo fratello ma, sfortunatamente, lei aveva un anno in più di lei e sarebbe andata al parco in un'altra ora, in modo che non ci fossero troppi bambini da sorvegliare.

Annoiata, cominciò a fare due passi nel parco.

Tutti i bambini giocavano sui giochi e tutte le panchine del parco erano vuote...

Ad un tratto, si accorse che una panchina era occupata.

Si trovava in fondo al parco, sotto un enorme quercia, e su di essa c'era seduto un uomo che leggeva il giornale.

Bra, incuriosita, gli si avvicinò, sorridendo.

Una volta che gli fu vicina, si accorse che il giornale era così grande che gli copriva il volto.

Con un po' di fatica, Bra si arrampicò sullo spazio libero alla sinistra dell'uomo e si mise a fissarlo, in silenzio.

Ad un tratto, l'uomo girò un attimo la testa e si accorse, con stupore, della bambina dai capelli turchesi seduta di fianco a lui che lo guardava.

Fece una faccia un po' stupita ma decise di far finta di niente e ritornò a leggere il suo giornale.

Dopo un po', la guardò di nuovo ma ritornò subito al giornale.

Per ben dieci minuti, l'uomo continuò a voltarsi e a vedere Bra che continuava a fissarlo.

Alla fine, non ne poté più.

Insomma, ragazzina, perché mi stai fissando?! Va a giocare con gli altri bambini!” sbottò, all'improvviso, l'uomo, abbassando il giornale e guardandola in malo modo.

Bra sorrise d'istinto.

Quell'uomo così burbero le ricordava tanto il suo papà...

Si può sapere perché sorridi?” le domandò, incredulo, l'uomo e Bra rispose: “Perché lei assomiglia tanto al mio papà! Anche lui direbbe queste cose!”

L'uomo la fissò, arrossendo, e poi, con una faccia seccata, le chiese: “E sentiamo, te l'ha mai detto il tuo papà di non parlare con gli sconosciuti?” “Mi ha detto di non accettare niente ma non sul parlare.” “Sono sicuro che il tuo papà intendeva anche sul parlare. Quindi adesso vai con gli altri bambini e mi lasci in pace!” dichiarò lui mentre riprendeva il giornale e ricominciò a leggere.

Bra, però, non aveva nessuna intenzione di andarsene.

Quando l'altro se ne accorse, la guardò malissimo e le chiese: “Perché non te ne vai? Non ti faccio paura?” “No.” “Sicura? Potrei mettere la mia grande mano sul tuo esile collo e poi spezzartelo come uno stuzzicadenti. E poi, portarti nel mio rifugio, cucinarti al vapore e mangiarti viva. Sarà divertente...” “Tanto lo so che non lo farà.” “Ah sì? E perché non dovrei farlo?” “Perché lei è proprio come il mio papà. Fa solo finta di essere cattivo mentre in realtà è buono.” rispose, con orgoglio, Bra.

L'uomo la guardò un attimo, in silenzio, e poi, distogliendo lo sguardo dalla bambina, sussurrò: “Io non sono buono...”

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La rabbia di Vegeta ***


CAPITOLO 3: LA RABBIA DI VEGETA


Allora, siamo arrivati?” “No, Bra. Ci vuole ancora un po'...”

Era la decima volta, da quando erano partiti, che Bra domandava se erano arrivati a casa della nonna paterna e, per la decima volta, sua madre Bulma le aveva risposto che ci voleva ancora un po'.

La piccola si rannicchiò sul sedile.

Voleva arrivare il prima possibile a casa della nonna.

Andava a trovare la nonna paterna Echalotte e lo zio Tarble solo alcune volte all'anno, i nonni materni e la zia Tights, sorella maggiore di sua madre, vivevano nella loro stessa città, e, pertanto, voleva cercare di passare lo stesso tempo che dedicava alla famiglia della madre con quella del padre.

Trunks, invece, era immerso nei suoi pensieri.

Il dolore che aveva avvertito a scuola non l'aveva mai provato prima... cosa significava?

Forse era stata solo una mancanza di vitamine...

Eccoci arrivati, Bra! Così sei contenta!” esclamò, ad un tratto, Vegeta, fermandosi davanti alla villa della madre.

La piccola famiglia uscì dalla macchina e Vegeta suonò il campanello.

La porta si aprì e comparve un ragazzo basso e mingherlino, con i capelli a spazzola neri e un piccolo ciuffo sulla fronte.

Fratellone!” gridò Tarble, abbracciandolo con forza.

Vegeta, imbarazzato, gli sibilò: “Tarble, ti ho detto mille volte di non abbracciarmi davanti a tutti e di non chiamarmi fratellone!”

Bulma e Trunks soffocarono a stento le risate.

Entrambi sapevano benissimo che, in fondo, Vegeta adorava quelle manifestazioni d'affetto del fratello ma non l'avrebbe mai ammesso.

La piccola Bra, invece, stava guardando la scena in silenzio.

Tarble fece accomodare il fratello, la cognata e i nipoti nella villa.

Finalmente siete arrivati...” disse una voce femminile proveniente dalle scale.

Una donna piuttosto bassa e minuta, con capelli e occhi neri e il viso incredibilmente perfetto e giovane, nonostante avesse superato la mezz'età da un pezzo, sorrise da sopra le scale e scese velocemente da essa.

Era vestita con una semplice maglietta a maniche corte blu e dei lunghi pantaloni grigi.

Ciao, mamma.” la salutò Vegeta, vedendola, mentre Bra gridava, andandole incontro: “Nonna!”

Echalotte s'inginocchiò davanti alla giovane nipotina e le accarezzò i capelli turchesi ritti in testa da un codino.

Allora, com'è andata, oggi? Ho saputo che oggi è stato il tuo primo giorno d'asilo...” le disse la donna, sorridendo, e Bra annuì: “Oh sì, è stato bellissimo... siamo andati al parco dopo pranzo!” “E ti sei divertita?” “Un po'... cosa si mangia?” “Lasagne per primo e arrosto di vitello per secondo... vuoi darmi una mano?” “Oh sì!” acconsentì la nipote e, prendendo la mano della nonna, la seguì in cucina.

Mentre Bra e sua nonna andavano in cucina, Tarble si avvicinò al fratello e gli annunciò: “Sai che sono diventato insegnante di ruolo?” “Davvero? E dove?” “Nel liceo di scienze umane della tua città.” “Ma davvero? E quando ti trasferirai?” “Fra una settimana. Ho già trovato un appartamento.” “Se me l'avessi detto, ti avrei dato una mano...” “Lo so... ma a me piace fare le cose da solo... mi da la sensazione che io stia diventando un uomo...” “Beh, almeno avrò la possibilità di vederti più spesso...”

Nel frattempo, Echalotte stava finendo di cucinare l'arrosto di vitello.

Seduta su una sedia, Bra guardava sua nonna mettere, con un'incredibile naturalezza, salse e condimenti.

Quando sarebbe stata grande, sarebbe diventata una grande cuoca come sua nonna.

Nonna...” la interruppe, ad un tratto, la bambina “Sai che al parco ho conosciuto un uomo che mi ha detto una frase strana?” “Quale frase strana?” le chiese sua nonna, voltandosi.

Non voleva che si trattasse di qualche maniaco...

Io gli avevo detto che anche se sembrava cattivo, in realtà era buono, ma lui mi ha risposto che non era buono... tu sai cosa significa?” le domandò ed Echalotte tirò un sospiro di sollievo.

Poi guardando la nipote, le rispose: “Evidentemente ha fatto qualcosa di cattivo in passato e sa di averlo fatto, dato che lo ha ammesso.” “E cosa nonna?” “Questo non lo so, Bra. Ma se dovessi incontrarlo di nuovo, non chiedergli che cosa ha combinato. A nessuno fa piacere ricordare dei brutti ricordi.” “Tu hai dei brutti ricordi, nonna?”

Echalotte rimase di sasso.

Sì, ne aveva uno e le faceva ancora male...

No.” mentì, mentre tornava all'arrosto.


Era tutto buonissimo, nonna. Sei una cuoca fantastica.” esclamò, soddisfatta, Bra a fine cena.

Le sue nonne e la sua mamma erano proprio delle cuoche insuperabili.

Grazie, Bra.” la ringraziò Echalotte mentre Bulma si alzava e diceva: “Sarà meglio se ci prepariamo per tornare a casa... ormai è tardi e i ragazzi hanno la scuola, domani.” “Oh, mamma, aspetta. Voglio sentire una storia sulla famiglia di papà, prima di tornare a casa. So così poco...” la pregò Bra.

Vedendo i grandi occhioni blu della figlia, Bulma non seppe resistere.

E va bene. Ma che sia breve.” acconsentì la madre e la nonna si avvicinò alla nipotina, chiedendole: “Quale storia vuoi sentire?”

La piccola rimuginò un attimo e poi decise: “Una sul nonno. Non l'ho mai visto nemmeno in fotografia e nessuno parla mai di lui... vorrei sapere che tipo era.”

Immediatamente, tutti sbiancarono.

Da sempre, il padre di Vegeta e Tarble era un argomento tabù in famiglia... non lo si doveva accennare neppure per sbaglio...

Sentendo la nomina del padre, Vegeta si voltò verso la figlia e le sibilò, infuriato: “Vuoi sapere che tipo era tuo nonno? Te lo dirò io! Era una carogna, un verme schifoso, un traditore appartenente alla peggior feccia del mondo! Un miserabile che non ha esitato a tradire tua nonna andando a letto con un'altra donna, per poi abbandonare la sua famiglia come se niente fosse, lasciando mia madre sola e pure incinta. Ha dovuto crescere, completamente da sola, due bambini mentre lui se la spassava da qualche parte nel mondo con qualche bella ragazza! Questo era tuo nonno! E spero con tutto il cuore che sia morto da un pezzo!”

Dopodiché, se ne andò dalla stanza, sbattendo rumorosamente la porta.

Bra fissò la porta, mentre calde lacrime le rigavano le guance.

Cosa ho fatto...” sussurrò, sconvolta, la piccola e, poi, cominciare a piangere a dirotto come una fontana: “BUAAAAHHH! Mio nonno era cattivo! Cattivo! Pensavo che nella mia famiglia fossero tutti buoni! E adesso ho fatto arrabbiare il mio papà... non mi vorrà più bene! E cosa farò se il mio papà non mi vorrà più bene?!”

Trunks ed Echalotte le si avvicinarono subito per consolarla: “Ma no, ma no... papà era solo di cattivo umore... non voleva dire quelle cose sul serio...” “Vedrai che il tuo papà continuerà a volerti bene...”

Bulma, invece, era livida di rabbia.

Quello stupido di suo marito si era, di nuovo, fatto prendere dalla rabbia!

Si era forse dimenticato che Bra aveva solo tre anni?!

Che accidenti gli era saltato in mente di dirle quelle cose?!

Tarble, intuendo i pensieri omicidi della cognata, le disse: “Vado a parlargli.” “Avvisa quel disgraziato che con lui farò i conti più tardi!” gli ordinò Bulma, andando a consolare la figlia.

Tarble uscì dalla porta di casa e vide suo fratello guardare le stelle sul prato della casa della madre.

Si avvicinò e gli sussurrò: “Vegeta...” “Non farmi la predica!” “Tua moglie ha intenzione di farti la festa più tardi e ammetto che ha ragione. Cosa ti è saltato in testa di dire quelle tremende parole a tua figlia?! Ha tre anni. Era solo curiosa...” “Adesso non sarà più curiosa su suo nonno!” “Però le hai lasciato una brutta immagine...” “E cosa avrei dovuto dirle?! Tarble, avevo la sua età quando nostro padre se ne è andato! Mi ricordo tutto quello che è successo a memoria! Io l'ho visto uscire dalla finestra della mia camera con una valigia in mano, gli ho urlato di non andarsene ma lui è salito sulla sua macchina e l'ha messa in moto! Avevo solo tre anni e avevo assistito alla sua fuga!” “E da allora, l'hai odiato con tutto te stesso e non vuoi più sentirlo nominare. Vegeta, è nostro padre! Un giorno dovrai accettare questa cosa e prima lo farai, meglio sarà per tutti.” “Tarble, tu hai avuto la fortuna di non conoscerlo ma io sì! E ti assicuro, che finché sarò vivo, non accetterò mai che quell'essere schifoso sia mio padre e non lo perdonerò mai! Se potessi, lo ucciderei con le mie stesse mani!” concluse Vegeta, mettendosi a guardare il cielo stellato.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Un finale diverso ***


CAPITOLO 4: UN FINALE DIVERSO


Finalmente, era arrivata l'ora che Bra agognava con tutta sé stessa dal giorno prima.

Quella di andare al parco.

Perché poteva rivedere l'uomo del parco.

Ovviamente, la piccola sapeva che c'era la possibilità di non rivederlo, ma sperava tanto che ci fosse.

Mentre si dirigeva al parco, Bra si accorse che stava tremendo per la tensione.

Ma, una volta arrivata, si accorse, con sollievo che l'uomo era seduto alla solita panchina del parco e stava leggendo un giornale.

Si avvicinò a lui, di corsa, e si sedette di nuovo di fianco a lui.

Appena l'uomo si accorse di lei, le gridò: “ANCORA TU?!” “Già, è contento di rivedermi?” “No.” “Sa che oggi è nuvoloso?” “Sei forse un bollettino meteorologo? Lo so anch'io che clima c'è oggi.” “Se fosse stato brutto non sarei potuta venire al parco e non l'avrei rivista. Mi sarebbe dispiaciuto molto non rivederla.” “Saresti stata dispiaciuta di non rivedermi?” “Certo. Lei è tanto buono...” “Ti ho già detto che non sono buono, Cappuccetto Rosso. Io sono il Lupo Cattivo.” “Perché dice in continuazione che è cattivo?” “Perché lo sono. A causa mia, delle persone che amavo hanno sofferto. Io sono e resterò per sempre un Lupo Cattivo.” “Non voglio che sia un Lupo Cattivo!” “E perché, Cappuccetto Rosso?” “Perché i Lupi Cattivi fanno sempre una brutta fine e non voglio che anche lei la faccia!” “E' la fine giusta per uno come me.” “Lo impedirò a qualunque costo!” “Non puoi cambiare le favole, Cappuccetto Rosso.” “Perché mi chiama sempre Cappuccetto Rosso?” “Perché sei vestita di rosso dalla testa ai piedi.” “Signor... posso chiamarla Signor Lupo Cattivo?” “Chiamami come ti pare...” “Va bene. Signor Lupo Cattivo, scriverò un finale alternativo per il lupo della favola di Cappuccetto Rosso!” “Sei solo una bambina dell'asilo. Non sai ancora scrivere.” “Allora la disegnerò!” concluse Bra, con orgoglio.

Poi, vedendo che la maestra chiamava i bimbi a raccolta per tornare all'asilo, scese dalla panchina ma, si girò per salutare, con un sorriso, l'uomo.

Fu al settimo cielo quando l'uomo, un po' titubante, allungò la mano e la salutò.


D'accordo, Mai. Ci vediamo al bar tra un quarto d'ora.” concluse Trunks, chiudendo la telefonata.

In realtà, il bar era solo un diversivo, dato che in quella casa c'erano occhi e orecchie ovunque.

Se suo padre avesse saputo le vere intenzioni del figlio, probabilmente l'avrebbe scorticato vivo seduta stante.

Si stava incamminando per il corridoio quando, ad un tratto, un foglio di carta arrotolato lo colpì sulla testa.

Si voltò e vide la stanza della sorellina lasciata aperta e Bra intenta a scarabocchiare qualcosa su un pezzo di carta.

Ad un tratto, con un'espressione scocciata, disse: “No! Neanche questo va bene!” e, con decisione, strappò il foglio, lo arrotolò e lo buttò per terra, ormai il pavimento era completamente ricoperto di fogli.

Da quando era tornata a casa, Bra si era rintanata in camera sua, usando tutti i fogli del suo quaderno.

Lo strano comportamento di Bra aveva insospettito anche i suoi genitori che, pochi minuti dopo, si affacciarono sulla soglia della sua camera.

Bra, cosa stai facendo?” le domandò la madre e la figlia, senza nemmeno alzare la testa, rispose: “Disegno un finale alternativo per il Lupo Cattivo della favola di Cappuccetto Rosso.” “Che razza d'idea! Non puoi cambiare le favole, Bra.” le disse Vegeta e, prima che Bulma gli pestasse il piede, si sentì la matita rosa coi brillantini di Bra cadere per terra.

Immediatamente, Bulma dimenticò Vegeta e le chiese: “Tutto ok, tesoro?” “Sì, è stato solo un momento di distrazione...” la rassicurò la piccola mentre raccoglieva la matita.

Vegeta, un po' incuriosito, le chiese: “Come mai ti è venuta questa idea?” “Perché voglio che il Lupo Cattivo abbia un finale più felice!” “Perché?” “Perché ho incontrato il Lupo Cattivo.”

Mentre Bra riprendeva a disegnare, i suoi familiari uscirono, senza parole, dalla stanza.

Una volta chiusa la porta, Vegeta disse a Bulma: “Tua figlia a volte è davvero strana.” “Sarà perché è anche tua figlia, Vegeta.” gli ricordò la moglie.


Trunks guidava con abilità e destrezza la sua macchina.

Aveva preso la patente qualche mese prima e gli piaceva un sacco guidare sulla sua macchina.

Gli dava un senso di libertà...

Ad un tratto, Trunks ripensò alla scena avvenuta qualche minuto prima.

Certo che sua sorella aveva proprio una bella fantasia... cambiare il finale della favola di Cappuccetto Rosso perché diceva di aver conosciuto il Lupo Cattivo, non era certo una di quelle cose che facevano le bambine di solito...

Si era appena fermato per un semaforo arancione che, ad un tratto, si sentì di nuovo male al ventre.

Quel dolore era ancora più forte di quello che aveva sentito a scuola... che caspita gli stava succedendo?!

Stavolta, il dolore fu più lungo ma anche quello, finalmente, cessò.

Trunks si era appena ripreso dal dolore che il semaforo diventò verde e una macchina dietro di lui gli suonò il clacson per spingerlo a muoversi.

Trunks obbedì prontamente ma mentre continuava a guidare si sentiva strano...

Perché continuava a sentire male al ventre? Eppure aveva mangiato molta frutta e verdura...

Quando si accorse di essere arrivato al bar dove Mai lo aspettava, parcheggiò la macchina e si diresse verso di esso.

Davanti all'ingresso, c'era Mai che indossava un grande maglione bianco, pantaloni marroni e scarpe aperte col tacco.

Trunks!” lo salutò la ragazza andandogli incontro e il ragazzo l'abbracciò, felice.

In un attimo, tutti i suoi problemi svanirono all'istante.

Ci prendiamo qualcosa prima di andare a casa mia?” gli domandò la ragazza mentre lo conduceva all'interno del bar e Trunks le chiese: “Ma sei sicura che in casa tua non c'è nessuno?” “Rilassati, i miei coinquilini sono andati al cinema e quando torneranno noi avremo già finito.” “Ti avverto che potremo trascorrere solo un'ora insieme. E' il massimo che i miei mi hanno dato.” “Pur di stare con te, sarei disposta ad accettare solo cinque minuti...” lo rassicurò la ragazza prima di baciarlo con passione sulle labbra.


Bra giocherellava, nervosa, con la sua matita.

Presto sarebbe stata ora di andare a nanna e lei non aveva ancora trovato nessun bel finale per il Lupo Cattivo.

Se il giorno dopo fosse andata al parco senza nessun finale alternativo, avrebbe dimostrato che per i Lupi Cattivi non esisteva nessun altro finale se non la... morte.

No!

Avrebbe impedito al suo Lupo Cattivo di fare une fine tragica!

Ma cosa poteva inventarsi?!

Tutti i finali che inventava le sembravano banali...

Sentì la porta della sua stanza aprirsi.

Subito, esclamò: “Ancora cinque minuti, mamma!” “Non sono venuta qui per dirti di andare a letto, Bra.” le disse la voce di sua madre.

Bra si girò e fissò il bel viso della sua mamma, domandandole: “Cosa c'è?” “Mi sembra che lavori ininterrottamente da ore... perché non ti riposi un po'?” “Perché se non invento un bel finale entro domani, dimostrerò che i Lupi Cattivi devono morire per forza!” “Perché proprio entro domani?”

Bra rimase in silenzio.

Alla fine le raccontò: “Ho conosciuto un signore ieri al parco. Se ne sta sempre, tutto solo, in una panchina a leggere il giornale. E' un po' scorbutico e dice sempre che è cattivo, per questo lo chiamo il Lupo Cattivo, però... mi sembra così solo... e, poi, ho notato che ha sempre un velo di tristezza negli occhi... mi capisci, mamma?” “Certo, tesoro. Ti capisco perfettamente.” le disse Bulma, mentre le accarezzava i capelli.

Era vero, capiva sua figlia meglio di chiunque altro... questo, perché anche Vegeta era così quando l'aveva conosciuto per la prima volta.

Un uomo scontroso e asociale che, in realtà, nascondeva una grande tristezza nel cuore.

L'uomo lavorava come insegnante di arti marziali in una palestra in centro città assieme a Son Goku, amico d'infanzia di Bulma.

Goku era da sempre un uomo allegro, solare ed estroverso, anche se, purtroppo, era terribilmente ingenuo, l'esatto opposto di Vegeta.

Era stato lui il primo a far breccia nella barriera di Vegeta.

Fin dal primo giorno, quell'uomo così solo aveva attirato la sua attenzione e aveva cominciato, a detta di Vegeta, a rompergli le scatole!

Vegeta non lo reggeva proprio e, pur di levarselo dai piedi, ricorreva a tutti gli insulti che gli venivano in mente ma fu tutto inutile.

Goku era tenace.

Così, alla fine, si era arreso e i due avevano cominciato a frequentarsi, scoprendo che i loro stessi padri era stati amici in passato ed erano, pure, colleghi di lavoro.

Quando Vegeta aveva scoperto che era stato proprio il padre di Goku, Bardack, a portare suo padre in ospedale quando aveva avuto il malore al lavoro, aveva avuto la tentazione di chiudere con lui ma, alla fine, ci aveva ripensato.

Il colpevole era solo suo padre, non chi l'aveva portato all'ospedale, e poi, in fondo al cuore, Vegeta voleva un amico.

Così, aveva cominciato a frequentarlo e, tra i vari amici di Goku, c'era Bulma, colei che un giorno sarebbe diventata sua moglie.

Si era interessata subito a quell'uomo misterioso, al pari di Goku, ma Vegeta non voleva che qualcun altro facesse breccia nella sua barriera.

Aveva dovuto faticare un bel po', ma alla fine ci era riuscita, tanto che Vegeta le aveva raccontato della fuga di suo padre, cosa che non aveva fatto nemmeno con Goku.

Bra, nel frattempo, continuò: “Sai, mammina, lui è convinto che farà una brutta fine perché è un Lupo Cattivo. Ma io non voglio che la faccia perciò voglio inventare un finale felice.” “E' una cosa molto bella, Bra, vuoi che ti dia una mano?” “No, voglio fare tutto da sola.” “Prova a sfogliare dei libri. Puoi trovare l'ispirazione...” le consigliò Bulma, prima uscire dalla stanza.

Bra prese un libro e cominciò a sfogliare le pagine con molta attenzione e, ad un tratto, mentre sfogliava le pagine, le venne l'ispirazione.

Ora sapeva cosa doveva disegnare!


Trunks diede un dolce bacio alla guancia di Mai mentre con una mano le accarezzava i lunghi capelli.

Nonostante fosse stata la prima volta per entrambi, doveva ammettere che se l'erano cavata piuttosto bene.

Con le sue precedenti fidanzate non si era mai spinto così lontano... certo, c'erano gli abbracci e i baci, ma non c'era stato il vero atto fisico... almeno fino a quel momento...

Mai si avvicinò a lui e gli sussurrò nell'orecchio: “Sei stato fantastico, Trunks... è stata la serata più bella della mia vita...”

I due si misero a baciarsi con passione finché, ad un tratto, non si sentì uno strano suono.

Accidenti, la sveglia!” imprecò il ragazzo mentre usciva dal letto e si rivestiva.

Aveva inserito la sveglia del cellulare per impedirsi di tornare a casa troppo tardi e di far insospettire i suoi.

Mai rimase sdraiata sul letto, guardandolo in silenzio.

Ad un tratto sussurrò, con una voce che tradiva la sua inquietudine: “Non mi lascerai, Trunks?”

Il ragazzo smise all'istante di vestirsi e si avvicinò alla sua fidanzata, chiedendole: “Cosa intendi, Mai?” “Di solito, quando un uomo fa l'amore con una donna l'abbandona senza scrupoli...”

Trunks si avvicinò dolcemente a lei e le baciò la fronte, rassicurandola: “Tranquilla, piccola. Io non ti abbandonerei mai.” “Me lo giuri?” “Te lo giuro. Qualunque cosa accada io ti starò accanto.”

Mai, felice, abbracciò il suo ragazzo e gli disse: “Trunks, sei il ragazzo più dolce che abbia mai conosciuto... se non ti avessi più... credo che impazzirei di dolore...” “Anch'io, amore.”


Signor Lupo Cattivo!”

L'uomo seduto sulla panchina, abbassò il giornale e, con un'espressione esasperata, alzò gli occhi al cielo e sussurrò a sé stesso: “Eccola...”

Sapeva fin troppo bene chi stava arrivando...

Cos'altro vuoi, Cappuccetto Rosso?” le disse e la bimba, felice come una pasqua, gli mostrò un foglio pieno di scarabocchi infantili.

Cos'è?” le domandò il Lupo Cattivo e Bra rispose: “E' il finale alternativo per il Lupo Cattivo. Adesso glielo racconto.”

L'uomo stava per protestare, quando Bra cominciò a raccontare: “Quando Cappuccetto Rosso incontrò nel bosco il Lupo Cattivo, capì che il Lupo nascondeva qualcosa così chiese a un suo amico scoiattolo di recarsi da sua nonna e dalla sua mamma per avvisarle e seguì il Lupo. Una volta arrivata nella sua tana, Cappuccetto Rosso scoprì che il Lupo era stato maledetto da una Strega Cattiva. Lui un tempo era un Lupo Buono e aveva il pelo bianco come la neve, aiutando le fate a portare la felicità e la gioia ai bambini. Ma la Strega era gelosa e così trasformò il Lupo Buono in un Lupo Cattivo con il pelo nero come la notte. C'era solo un modo per salvare il povero lupo: fargli bere l'Acqua dei Miracoli, nascosta in una grotta sulle Grandi Montagne Innevate. Cappuccetto Rosso salì in groppa al lupo e partirono insieme per le montagne. Grazie all'aiuto di un cacciatore che viveva nei paraggi, i due trovarono l'Acqua dei Miracoli e il lupo ritornò a essere un Lupo Buono dal pelo bianco. Il lupo si trasferì a casa della nonna di Cappuccetto Rosso e vissero tutti felici e contenti. Fine.”

L'uomo la fissò un attimo in silenzio e poi, accarezzandole la testa azzurra, commentò: “Certo che hai proprio una bella fantasia, Cappuccetto Rosso...”

Bra sorrise soddisfatta e disse, porgendogli il foglio: “Glielo regalo. Così ogni volta che crede che i Lupi Cattivi sono destinati a morire, non dovrà far altro che guardare questo foglio e cambiare idea.”

Dopo aver detto quelle parole, la bambina scese dalla panchina e si diresse verso i suoi compagni di classe, in quanto la maestra li stava chiamando a rapporto.

L'uomo la guardò allontanarsi in silenzio e, una volta che fu completamente sparita, si mise a guardare il foglio che la piccola gli aveva regalato.

Certo che quella bambina era un vulcano d'idee... cambiare il tragico finale della favola di Cappuccetto Rosso per impedire al lupo di morire...

L'uomo fece un sospiro di tristezza e si mise a guardare il cielo, nuvoloso e cupo come il suo animo.

Quella ragazzina credeva che cambiare il finale di una storia potesse cambiare il mondo.

Beata innocenza.

Fin dall'inizio, il Lupo Cattivo aveva il destino segnato, era inutile cercare di cambiarlo.

Tutti i Lupi Cattivi dovevano morire mentre le persone buone erano destinate a vivere per sempre felici e contenti.

Lui era e sarebbe rimasto per sempre un Lupo Cattivo, forse il peggiore di tutta la specie.

E, come tale, doveva morire...

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Frammenti di vita ***


CAPITOLO 5: FRAMMENTI DI VITA


Gure se ne stava davanti alla porta della classe.

Come tutti i suoi compagni di classe, aspettava con ansia l'arrivo del nuovo insegnante d'italiano.

Da quello che aveva detto la professoressa d'inglese, l'uomo aveva ottenuto il posto di ruolo e quindi era molto probabile che l'avrebbero avuto anche l'anno prossimo.

La ragazza guardò di nuovo a destra e a sinistra.

Nonostante avesse quindici anni, era alta come una bambina piccola e, perciò, era, spesso, e volentieri, presa in giro dai compagni.

Gure amava stare fuori dalla classe perché nella classe si sentiva soffocare: urla, insulti... e poi era meglio stare lontana dai guai...

Ad un tratto, Gure vide un uomo alto come un ragazzino che non aveva mai visto prima che guardava sopra le porte come per cercare qualcosa.

Mi scusi...” lo chiamò timidamente Gure e l'uomo si girò verso di lei.

Gure notò che era molto carino: aveva un bel viso gentile e i capelli neri a spazzola con un ciuffo nero.

La ragazza disse, indicandogli la sua classe: “Se sta cercando la 2A, sappia che è questa.”

L'uomo le sorrise e la seguì.

Quindi era lui il nuovo insegnante d'italiano...

Gure si sedette al suo posto davanti alla cattedra mentre il prof si avvicinava alla cattedra.

Buongiorno, sono Tarble Prince, il vostro nuovo insegnante d'italiano. Per cominciare, vorrei conoscervi un po' tutti, in modo da ricordarmi i vostri nomi. Cominciamo da te, signorina.” si presentò l'uomo, indicando Gure.

La ragazza arrossì e rispose: “Mi chiamo Gure Tech, professor Prince, ho quindici anni...”


Signor Lupo Cattivo!”

Bra si diresse e si arrampicò sulla solita panchina del parco.

Per tutta risposta, l'uomo borbottò qualcosa da dietro al giornale.

Non mi dice niente? Di solito quando arrivo, mi dice sempre qualcosa...” gli fece notare, incredula, Bra e il Lupo Cattivo le rispose: “Vedi, Cappuccetto Rosso, nella settimana in cui mi scocciato, ho imparato un'arte molto importante...” “E quale?” “Quella della rassegnazione.”

Bra fece una piccola risatina e poi gli chiese: “Viene sempre al parco?” “Sì.” “Legge sempre il giornale?” “Sì.” “Che notizie ci sono?” “Notizie che non sono per bambine.” “E' sposato?”

Quest'ultima domanda fece trasalire il Lupo Cattivo ma si ricompose in fretta: “Sì...” “E ha dei figli?” “Ne ho uno... ma con lui non parlo più da molti anni...” “Avete litigato?” “Qualcosa del genere...” “Vedrà che un giorno farete la pace. Anch'io litigo con la mia mamma, però poi facciamo pace!” “Io e mio figlio non faremo mai pace... ho fatto una cosa troppo spregevole per sperare di essere perdonato... e, poi, siamo entrambi troppi orgogliosi...” “Anche le persone più orgogliose mettono da parte l'orgoglio quando capiscono di aver sbagliato.”

L'uomo si mise a fissarla, in completo silenzio.


L'hai sul serio fatto con Mai?!”

Nel liceo linguistico era suonata da qualche minuto la campanella per l'intervallo.

Trunks e Goten si trovavano nel cortile dell'edificio per chiacchierare, come al solito.

Trunks, rosso per l'imbarazzo, tentava di far abbassare il volume della voce di Goten, in modo che nessuno potesse sentirli.

Abbassa la voce! Vuoi che qualcuno senta?!” lo rimproverò l'amico e Goten ridacchiò, divertito: “Scusa, ma è stata troppo divertente la tua faccia!” “Spiritoso... com'è andato il tuo appuntamento invece?” “Mi ha mollato. Mi ha detto che io e lei siamo troppo diversi.” “Accipicchia. Se continui così dovrai iscriverti al club dei single a vita.” e scoppiarono entrambi a ridere.


Senti Vegeta, cos'hai deciso di comprare per il compleanno di tua madre?”

Quel sabato pomeriggio, lei e Vegeta erano andati a fare spese al supermercato, come al solito.

Mentre riempivano il carrello, Bulma non aveva potuto fare a meno di domandare quella cosa a Vegeta.

Vegeta la guardò, inarcando un sopracciglio e le domandò: “Guarda che ho già in mente cosa fare...” “Andiamo, Vegeta! Non puoi sempre telefonare a tua madre il giorno del suo compleanno per farle gli auguri! Dovresti farle almeno un piccolo regalo...” “E' Tarble quello che fa i regali a ogni festa del creato! Fa' i regali per tutti e due! E, poi, a mia madre non piacciono queste cose! Lei è come me. Se non esistessimo, si sarebbe dimenticata che giorno è il suo compleanno già da un pezzo!”

Bulma sospirò.

Era vero, Vegeta aveva ereditato tutto il suo adorabile carattere dalla madre.

Non poteva certo dimenticarsi lo sguardo indagatore di Echalotte quando Vegeta l'aveva presentata come la sua fidanzata.

Era come se esistesse una controparte femminile di Vegeta: stesso carattere, stesso comportamento... persino stesso modo di camminare!

Eppure, aveva notato negli occhi della suocera, un profondo velo di tristezza.

Bulma sapeva che era perché il marito l'aveva abbandonata, lasciandola, per di più, incinta di Tarble.

Allevare completamente da sola due bambini piccoli, per giunta uno appena nato, non era certo stato facile per lei, ma Bulma era certo che non avrebbe mai ammesso le sue fatiche, per orgoglio.

Eppure, Bulma era certa che nel cuore di Echalotte c'era più tristezza verso il marito che rabbia.

Questo perché lei amava ancora il marito.

Echalotte non aveva mai ammesso una cosa simile, ma Bulma sapeva che era così.

Da quando aveva imparato a decifrare il complesso mondo interiore di Vegeta, Bulma era stata in grado di decifrare anche quello di Echalotte.

Divertita da quella somiglianza pazzesca, Bulma commentò: “Hai ereditato molte cose da tua madre...” “Già... peccato che c'è una cosa che non ho ereditato da lei... qualcosa che, invece, ho ereditato da lui... e che non posso ignorare...” le rispose, guardando con profondo disgusto il suo riflesso sul vetro della porta automatica del supermercato.


DRIIIN

Era, finalmente, suonata la campanella di fine lezione.

Immediatamente, tutti i ragazzi cominciarono a chiacchierare tra loro, tutti tranne una...

Gure si avvicinò alla cattedra del professore.

Ogni volta che suonava la campanella, Gure amava scambiare due parole con gli insegnanti.

Le sembravano più seri e maturi dei suoi compagni.

E, poi, il prof Prince era sempre molto gentile e beneducato, sapeva un sacco di cose ed era un piacere parlare con lui.

Buongiorno, professore.” lo salutò allegramente, come al solito, e il prof le rispose, sorridendo: “Ciao.” “Mi è piaciuta molto la poesia che abbiamo analizzato oggi. Sa, mentre la leggevo, mi sembrava di trovarmi lì, in mezzo alla natura e di sentirmi parte di essa.” “Sono contento che tu abbia trovato la pura essenza della poesia, Gure. Hai grandi doti come poetessa. Dopotutto, hai preso il voto più alto nell'ultima verifica.” “A me è sempre piaciuta molto la poesia. A volte, scrivo ciò che provo in un quaderno.” “Magari un giorno, se ti fa piacere, ne leggerò qualcuna.” “O-ok...”

Mentre il prof usciva dall'aula, Gure si sentiva rossa come un peperone.

Perché la prospettiva di far vedere le sue poesie al professore la imbarazzava così tanto?!

Forse, perché temeva che lui leggesse nel suo cuore...


DRIIIINNN

La sveglia.

Mai si alzò a sedere su letto.

Mentre si stiracchiava, avvertì un profondo senso di stanchezza.

L'ennesima conseguenza per essere rimasta in piedi fino alle undici per vedersi un film in tv ma almeno lei, a differenza di molte sue coetanee, non passava le serate in discoteca a bere alcolici e a prendere innumerevoli schifezze.

Non osava pensare a com'erano ridotte quelle al mattino...

Sbadigliando, si alzò dal letto e si diresse verso la cucina.

Quella mattina aveva una fame...

In cucina vi erano già i due sue coinquilini: Pilaf un tipo molto basso con un cappello di lana in testa e vestito con abiti dai colori sgargianti e Shu, un altro individuo basso vestito con un kimono da ninja viola con tanto di Katana.

Buongiorno.” li salutò, sbadigliando, Mai mentre Pilaf la sgridava: “Sei di nuovo andata a letto tardi. Non devi guardare la tv fino a tardi. Ti rovini gli occhi.” “Pilaf, ti ricordo che sono maggiorenne.” “E, comunque, ieri sera non ti sei lavata i denti. Se non ti lavi i denti, ti verranno le carie e sarai costretta a portarti la dentiera, così Trunks ti mollerà.” “Non dire sciocchezze, Pilaf. Trunks mi ama con tutto sé stesso. Starebbe con me anche se fossi una vecchia racchia con tre anni in più di sua madre!” protestò la ragazza, mentre apriva il frigo per prendere una bottiglia di cartone con dentro il latte.

Dopo aver svuotato gran parte del contenuto nel bicchiere, Mai si mise a berlo e a riflettere.

Lei amava con tutta sé stessa Trunks ed era assolutamente certa che anche lui la ricambiasse.

Se lui non ci fosse stato più... sarebbe morta di dolore.


Andiamo, Vegeta, non fare quella faccia, ci stanno guardando tutti...” “Sta' zitto, Tarble! Io odio quando vengo fregato, soprattutto da mia moglie!”

Vegeta e Tarble stavano camminando nei lunghi corridoi con scaffali pieni zeppi di vari oggetti.

Vegeta era di umore più nero del solito e Tarble cercava, inutilmente, di farlo rilassare.

Quando sua cognata Bulma si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea e pur di ottenerla, ricorreva a mille diavolerie, una più perfida dell'altra.

Stavolta, pur di convincere di marito ad accompagnarlo a comprare un regalo per la madre, aveva organizzato un piano tanto semplice quanto diabolico.

Aveva chiamato Tarble al cellulare, dicendogli che Vegeta voleva aiutarlo e aveva spedito il marito in giardino con la scusa di cercare una bambola che Bra aveva dimenticato.

Quando Vegeta aveva visto il fratello minore raggiungerlo, chiedendogli se era pronto, aveva sentito puzza di pericolo ma, ormai era troppo tardi.

Bulma aveva chiuso la porta di casa, Vegeta, non immaginando il trucco, aveva lasciato le chiavi in casa, e gli aveva intimato di aiutare il fratello altrimenti sarebbe rimasto fuori casa per tutto il resto del giorno e per tutta la notte.

Vedendosi in una situazione senza alcuna via d'uscita, Vegeta si era rassegnato ad aiutare il fratello nella ricerca, sperando di finire il prima possibile.

Pensi che questo le piaccia?” domandò, ad un tratto, Tarble, mostrandogli un foulard viola.

Ma non sei tu quello che fa i regali?” sbottò Vegeta e Tarble spiegò: “Sì, ma visto che tu hai lo stesso carattere della mamma, se trovo qualcosa che piaccia a te, di sicuro piacerà anche a lei.” “Povero me...” “Allora?” “No. Troppo femminile. E lo direi anche se fossi una donna.” “Se tu fossi una donna, allora, cosa vorresti come regalo?” “Un bel paio di guanti da signora del secolo scorso. Elegante e raffinato.” “Credo di aver visto qualcosa in quello scaffale in alto...” esclamò il giovane cercando di alzarsi in tutta la sua altezza.

Purtroppo, perse l'equilibrio e avrebbe sicuramente sbattuto sul pavimento se Vegeta non l'avesse preso per un braccio.

E sta' un po' più attento!” lo sgridò mentre il fratello, imbarazzato, si scusava: “Sì, scusami.”

Era sempre stato così.

Vegeta aveva sempre dovuto proteggerlo dai pericoli.

Quando la madre, una settimana dopo che il padre era fuggito, gli aveva detto che presto avrebbe avuto un fratellino, gli aveva fatto promettere che si sarebbe preso cura di lui, proteggendolo da tutti i pericoli del mondo visto che il padre se n'era andato.

Da quando suo padre era scappato, la sua vita era diventata un inferno.

Gli altri bambini lo evitavano, in quanto i loro genitori gli avevano detto che dentro di lui scorreva il sangue di un degenerato, e i bulletti ne approfittavano per canzonarlo e per umiliarlo.

Perciò, aveva cominciato a chiudersi in sé stesso e a crearsi quella barriera che poi si sarebbe stata rotta anni dopo per via di Goku e Bulma.

In più, aveva cominciato a prendere lezioni di arti marziali.

Tarble, invece, nonostante la sua dose giornaliera di umiliazioni, era sempre sereno e sorridente.

Un giorno, però, Tarble, all'epoca frequentava la prima media, era tornata a casa con un sacco di cartone in testa.

Insospettita, Echalotte glielo aveva tolto ed era rimasta sconvolta.

Il volto di suo figlio era pieno di graffi e di lividi viola mentre l'occhio destro era diventato completamente nero.

Il ragazzino, mentre tornava a casa da scuola era stato circondato da una banda di bulli che frequentava la terza media, che l'avevano preso a calci e a pugni.

Sentendo il racconto del figlio, Echalotte lo aveva abbracciato ed era scoppiata a piangere.

Nessuno dei due figli aveva mai visto la donna piangere...

Il giorno seguente, Vegeta era partito alla ricerca dei bulli che avevano picchiato Tarble e, una volta trovati, gliele aveva date di santa ragione.

La madre di uno di quei teppisti, era immediatamente corsa a casa loro e aveva minacciato di portarli in tribunale.

Echalotte si era difesa con calma affermando che in tribunale avrebbe detto a tutti com'era stato conciato suo figlio minore e degli insulti molto pesanti che aveva ricevuto.

Era stato quando la signora aveva affermato che nei suoi figli scorreva il sangue di un padre svergognato, che Echalotte aveva perso la calma.

Si era avventata su di lei come una furia e le aveva sibilato che suo marito non era affatto uno svergognato e se avesse osato dirglielo di nuovo, quello che aveva ricevuto suo figlio non sarebbe stato nulla rispetto a quello che avrebbe ricevuto da lei.

Solo Tarble aveva assistito a quella scena, Vegeta era a lezione di arti marziali, e vedendo la devozione con cui sua madre continuava a difendere suo padre anche se li aveva abbandonati, aveva cominciato a pensare che, forse, suo padre non era l'essere cattivo e senza scrupoli che tutti pensavano.

Ma quando ne aveva parlato con Vegeta, il fratello maggiore aveva dichiarato che il padre era solo una schifosa carogna traditrice e che era da idioti pensare che non era così!

Da allora, Tarble non aveva più nominato il padre in presenza di Vegeta ma continuava a pensare che magari anche lui possedeva un cuore e che aveva avuto un valido motivo per andarsene.

Vegeta e Tarble cercarono per un quarto d'ora tra i guanti ma non trovarono nulla.

Senti, Tarble, lasciamo perdere e torniamocene a casa! Ormai è tardi, ho una fame da lupi e posso entrare in casa mia visto che ti ho dato una mano!” esclamò Vegeta e Tarble annuì.

In effetti, non avevano trovato proprio niente.

Tarble si fermò un attimo per ammirare un filo d'oro con appesa una chiave di ferro e, quando si girò per chiedere al fratello se quella collana andasse bene si accorse che Vegeta si era allontanato.

Preoccupato, si mise a cercarlo in mezzo alla gente e, all'improvviso vide una capigliatura a fiamma simile a quella del fratello avvicinarsi alla zona dei vini.

Tarble stava per seguirlo quando qualcuno lo afferrò per un braccio.

Si voltò e vide Vegeta che si mise subito a dirgli: “Possibile che devo sempre tenerti d'occhio?” “Ma... allora non sei appena entrato nella zona dei vini!” “E che cosa avrei dovuto farci?” “Lascia stare, mi sarò sbagliato con tutta la gente che c'è...” “Su, andiamo alla cassa.”

Mentre si avvicinavano alla cassa, Tarble esclamò: “Guarda, Vegeta, c'è una zona con i fiori!” “E allora?” “Potremmo comprarne uno per la mamma.” “Che idiozia! A me i fiori non piacciono!” “Ma se il tuo giardino ne è pieno...” “Ce li regala mia suocera. Prima li compra e poi non sa dove metterli!” “Dai, diamo un'occhiata!” “Uff... d'accordo, ragazzino!”

I due fratelli cominciarono a guardare i vari tipi di fiori.

O, meglio, Tarble cominciò a guardare i vari tipi di fiori mentre Vegeta lo seguiva con la solita aria imbronciata.

Che peccato che non ci siano dei cactus... potevamo comprare quelli...” commentò Tarble mentre Vegeta sbuffava: “Chi se ne importa, Tarble. Su, diamo un'occhiata veloce al resto...” “Ehi, Vegeta, guarda quei fiori!”

C'era una piccola pianta con dei fiori molto belli di colore rosso.

Però, non sono male...” ammise Vegeta mentre Tarble gli chiese: “Pensi che le piaceranno?” “Piacciono a me quindi direi che la mamma li adorerà.” “Allora la prendiamo!” esclamò il giovane mentre afferrava con delicatezza il vaso.

Tarble notò il cartello in cui c'era scritto il nome e lesse: Anemone.


Ehi, Trunks. Ti stai ammalando?”

Era suonata da qualche minuto la campana dell'intervallo e Goten e Trunks si erano, come al solito, recati in giardino per chiacchierare indisturbati.

Stupito da quella strana e inaspettata richiesta, Trunks smise di bere il suo succo di frutta e gli chiese: “No. Perché me lo chiedi?” “Perché da un po' di tempo mi sembri incredibilmente pallido...” “E' la stagione delle malattie.”

In realtà, anche Trunks era seriamente preoccupato.

Ormai, erano due mesi che si nutriva di continuo di frutta e verdura eppure continuava a essere colto da quello strano dolore al ventre.

Che diamine gli stava succedendo?!

Non ne aveva ancora parlato con nessuno, a causa del suo orgoglio, ma se fossero continuati ne avrebbe parlato al più presto con sua madre.

Ehi, guarda. Laggiù c'è Mai.” esclamò, ad un tratto, Goten, indicando la ragazza.

Appena si accorse dei due, fece una faccia strana e andò in un'altra direzione in fretta e furia.

Avete litigato?” domandò, sorpreso di quello strano comportamento, Goten a Trunks ma l'amico negò: “No... però, in effetti... è da un po' che mi evita...” “Allora hai fatto qualcosa che l'ha fatta arrabbiare.” “Non mi pare proprio...”


Gure, sbrigati, o farai tardi a scuola.” “Ho quasi finito, mamma.”

Gure bevve la sua camomilla e mangiò i biscotti al cioccolato.

Era un lunedì mattina, l'inizio di una nuova, entusiasmante, settimana scolastica.

Almeno, alla prima ora aveva letteratura e avrebbe rivisto il professor Prince.

Quanto gli era mancato in quel week-end...

La ragazza arrossì, imbarazzata.

Ma cosa gli saltava in testa?!

Il professor Prince era più grande di lei e, di sicuro, era anche fidanzato.

Come invidiava la fortunata...

Dandosi dei colpetti in testa, Gure uscì dalla porta e per poco non si scontrò con l'uomo che abitava nell'appartamento davanti al suo.

Mi... mi scusi...!” balbettò, imbarazzata, la ragazza e l'uomo le rispose, scocciato: “Sta più attenta, ragazzina.”

Nessuno, nel palazzo, sapeva niente di lui.

Non sapeva quand'era arrivato, dato che l'uomo abitava in quell'appartamento fin da quando lei e la sua famiglia si erano trasferiti lì, ovvero sette anni prima, ed era sempre molto scontroso, silenzioso e cupo.

Ogni mattina, l'uomo usciva dal suo appartamento e tornava solo di sera.

Per un attimo, Gure le sembrò che i capelli di quell'uomo assomigliassero molto a quelli suo amato prof...

Ma che diamine le stava succedendo?!

Quella stessa mattina, alla giovane era sembrato che il sorriso di suo padre fosse lo stesso di quello del prof e la sera prima aveva creduto che il volto del portiere assomigliava molto a quello del prof Prince!

Prince... Tarble Prince... Tarble...

Aveva scritto mille volte quel nome su tutti i fogli che possedeva e, adesso, tutti gli uomini che vedeva, li paragonava a lui!

E se... si stesse innamorando di lui?!


Signor Lupo Cattivo!” “Cosa c'è?”

Bra, con un po' di fatica, si arrampicò sulla panchina ed esclamò, tutta contenta: “Oggi la maestra ha detto che sono stata la studentessa migliore di questa settimana!” “Congratulazioni.” “Lo sa che è il primo a cui lo dico?” “Immagino.” “Non vedo l'ora di dirlo alla mia mamma, al mio papà e al mio fratellone!” “Saranno orgogliosi di te.” “Sa che fra una settimana è il compleanno di mia nonna?”

Il Lupo Cattivo fece una faccia sconvolta e nervosa ma, poi, recuperò la sua solita calma e disse: “Ah...” “Andremo a mangiare da lei, assieme allo zio, che è il fratello di mio padre, e papà le darà il regalo che hanno comprato insieme cinque giorni fa.” “Guarda che so che cos'è uno zio.” “Vuole sapere che cosa le regalano?” “No.” “Beh, glielo dico lo stesso: un vaso di fiori di anemoni.” “Ah.” “Lei sa cos'è un anemone?” “Certo. Non sono mica nato ieri.” “E cosa sono?” “Dei fiori. Il loro nome deriva dal greco anemos, che significa vento. Per questo è chiamato il fiore del vento. Sono dei fiori molto fragili e di breve durata. E, infatti, il loro significato è quello dell'abbandono.” “I fiori possiedono un significato?” “Certo. Nei tempi antichi, quando non esisteva il cellulare, si usavano proprio i fiori per comunicare un sentimento a una persona.” “Però è molto triste se un fiore significa abbandono...” “Però questo fiore, per via della sua singolare bellezza, significa anche attesa e speranza.” “Davvero?!” “Sì. Si può usarlo per dire a una persona a cui vuoi bene: -Mi manchi da morire, torna da me-” “Che forza! Lei sa proprio tutto!” commentò la bambina mentre appoggiava la testa sul braccio dell'uomo.

Subito, l'uomo si scostò come se avesse avuto una scottatura, dicendole: “Ma che fai?!” “Faccio le fusa come i gatti.” “Tu non sei un gatto ma una ragazzina.” “Però mi piace strofinarmi sulle persone a cui voglio bene...”

L'uomo la fissò un attimo, poi sussurrò: “Faresti meglio a non affezionarti troppo a me, Cappuccetto Rosso... perché io ti farò soffrire.”


Echalotte diede l'ultima innaffiata del giorno alla pianta di anemone e poi si mise a fissarla, in completo silenzio.

Per la prima volta da anni, Vegeta e Tarble le avevano fatto un regalo di compleanno insieme, anche se la donna sospettava che il figlio maggiore si era messo d'accordo col fratello sotto insistenza di Bulma.

Era felice di averli come figli... ormai anche il suo piccolo Tarble stava spiccando il volo...

Le sembrava soltanto ieri che lo prendeva in braccio e gli cantava una ninna nanna, per farlo addormentare, sotto un luminoso cielo notturno d'estate.

Era molto piccolo ma era lo stesso un bel bambino...

Da quando suo marito se n'era andato, aveva dovuto sudare sette camicie per mantenerli ma era orgogliosa di quei due.

Con delicatezza, accarezzò il petalo rosso di un fiore della pianta...

L'anemone... il fiore dell'abbandono...

Echalotte sospirò, ricordando il periodo successivo all'abbandono del marito.

I primi tempi, l'aveva odiato con tutta sé stessa, per averla lasciata così su due piedi senza neanche parlarle, ma, col tempo, la rabbia si era un po' attenuata.

La stessa cosa non si poteva certo dire di Vegeta.

Lui odiava ancora profondamente il padre.

Dopotutto, aveva solo tre anni quando aveva assistito alla fuga del padre.

Da allora, non voleva più sentirlo nominare e aveva fatto sparire tutte le sue foto per non vedere l'essere che gli faceva tanto schifo eppure, per pura ironia della sorte, suo figlio non poteva non vedere l'immagine di suo padre ogni volta che si specchiava.

Vegeta, infatti, era identico a suo padre.

Avevano gli stessi capelli a fiamma, anche se quelli del marito erano castani e quelli del figlio neri, e la stessa espressione.

Anche Tarble aveva ereditato varie cose da suo padre ma non al livello di Vegeta.

Suo figlio maggiore sembrava la fotocopia giovanile del padre!

Echalotte fece un sospiro.

Non l'avrebbe mai ammesso, però... in fondo al cuore... suo marito le mancava.

Mi manchi da morire, torna da me.” sussurrò la donna e sperò con tutta sé stessa che quell'idiota traditore di suo marito, dovunque fosse, la sentisse.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il silenzio dei disperati ***


CAPITOLO 6: IL SILENZIO DEI DISPERATI


L'uomo dal pesante cappotto e l'ombrello, uscì dall'enorme edificio bianco.

Alzò lo sguardo e fissò quel cielo nero e freddo di Novembre.

Stava peggiorando, ormai gli restava poco tempo.

Qualche mese prima, sarebbe stato al settimo cielo di sapere che, finalmente, tra poco avrebbe potuto abbandonare una volta per tutte quella valle di lacrime.

Negli anni precedenti, il rimorso per ciò che aveva fatto, l'aveva logorato senza dargli un attimo di tregua.

C'era una soluzione per fargli mettere fine a tutte quelle atroci sofferenze, ma non l'avrebbe mai compiuta.

Non era ancora così disperato da uccidersi...

E poi, all'improvviso, era arrivata lei.

Quella piccola peste coi capelli turchini, tutta vestita di rosso... per qualche strano motivo, aveva cominciato a ronzargli intorno e a tormentarlo un giorno sì e l'altro pure.

Aveva cercato di mandarla via con le cattive, facendo la voce e i gesti di un cattivo dei cartoni animati, ma, invece di scappare via a gambe levate, come la maggior parte delle coetanee avrebbe fatto, quella mocciosa non si era per nulla spaventata e aveva continuato ad avvicinarsi sempre di più a lui.

Siccome pioveva a dirotto, l'uomo aprì il suo ombrello nero e cominciò a camminare senza metà per le vie della città.

Non sapeva più cosa fare.

Aveva cercato di non avere nuovi legami ma non ci era decisamente riuscito.

Quella bambina era riuscita a dargli un senso alla sua stupida vita... aveva avuto il coraggio di provare a guardare dove altri non volevano guardare... gli aveva dato un piccolo spiraglio di luce nella sua cupa esistenza...

Si fermò quando vide un semaforo rosso.

Quella bambina era un dono del cielo ma allo stesso tempo una condanna...

Finalmente, il semaforo diventò verde e l'uomo attraversò la striscia pedonale.

Non poteva darle una notizia del genere... le avrebbe fatto perdere quel piccolo ma luminoso sorriso che riusciva a scaldargli quel suo cuore di ghiaccio, ne era sicuro.

Non aveva altra scelta.

Doveva rifarlo.

Per la seconda volta, nella sua stupida e vuota esistenza doveva rifarlo.

Dopotutto, era un mago nello sparire...

Entrò in un bar e si sedette a un tavolo.

Un cappuccino, per favore.” ordinò quando il cameriere venne a prendere la sua ordinazione, con la massima calma e normalità.

Sembrava un normale signore calmo e rilassato quando, in realtà, mille emozioni contrastanti lo stavano logorando.

Infatti, era un mago anche nel mentire e a nascondere ciò che provava.

Quando il cameriere gli portò il cappuccino, l'uomo osservò con intensità il liquido marrone all'interno della tazza.

Non riuscì a trattenere un sospiro.

Perché quando sembrava che, finalmente, la sua vita non sarebbe stata l'esistenza amara, cupa e di solitudine che era sempre stata, era arrivata quella dannata notizia?!

Sembrava che la vita ce l'avesse a morte con lui.

Mentre beveva il suo cappuccino, pensò, con una punta di dolore e tristezza: Mi dispiace, Cappuccetto Rosso... ma non deluderò anche te!


C'era qualcosa che non andava.

Trunks, ormai, ne era certo.

Ormai, era da parecchie settimane che non riceveva notizie di Mai.

Ma la cosa strana era che non avevano litigato e lui non aveva fatto qualcosa di riprovevole.

Cosa accidenti stava succedendo?!

Proprio in quel momento, il suo cellulare squillò.

Trunks lo prese e vide che era Mai che lo chiamava.

Pronto, Mai? Che succede?” le domandò, preoccupato, e sentì la voce della ragazza sussurrare: “Trunks... mi dispiace... ma devo dirti addio...”

Per poco, al ragazzo non cadde il telefono sul letto.

Dopo un attimo di smarrimento, Trunks le domandò: “Ma cosa significa?! Che succede, Mai?!”

Ci fu un lungo silenzio, poi si sentì ancora la voce di Mai: “Perdonami... ma io ti amo troppo e non voglio rovinarti da vita...” “Mai, cosa dici?! Dove sei?!” “E' inutile che tu mi cerchi. Adesso mi trovo su un aereo che mi porterà in un paese straniero molto lontano... siamo appena decollati.” “Che significa, Mai?! Perché mi abbandoni così di colpo?!” “Mi dispiace...”

Quella piccola parola fu sufficiente a far trasalire Trunks.

Il suo tono era roco e sentiva un singhiozzo trattenuto di sottofondo.

Mi dispiace, Trunks... perdonami se puoi... anch'io soffro per questa decisione... ma è quella migliore, credimi. Sappi che sono stata molto felice con te. Promettimi solo che sarai felice, che ti rifarai una vita e che mi dimenticherai. Addio.” CLICK.

Trunks provò subito a ritelefonarle ma fu tutto inutile.

La ragazza aveva già spento il cellulare.

Trunks chiuse gli occhi con forza e sentì le lacrime calde uscirgli dagli occhi.

Lui amava Mai con tutto sé stesso e anche lei lo amava, lo sentiva... perché, allora, se ne era andata così all'improvviso?!

Trunks non lo sapeva ma non gli importava.

L'unica cosa che voleva era chiudere gli occhi e versare tutte le sue lacrime.


E un'intera cartella di verifiche in una classe era stata corretta.

Tarble guardò l'orologio appeso al muro del suo appartamento.

Le nove di sera.

Aveva il tempo di correggere un'altra cartella.

La prese dalla sua borsa e cominciò a correggere le varie verifiche.

Ad un tratto, si bloccò.

Gli era capitata tra le mani la sua verifica.

Solo leggerne il nome lo rendeva nervoso.

Gure Tech.

Era la studentessa più in gamba che avesse mai avuto.

Aveva un'incredibile sensibilità e leggeva sempre molti libri.

Anche lui amava i libri, e, infatti, più di una volta l'aveva incrociata nella biblioteca della scuola.

Era orgoglioso di quell'allieva e non si sarebbe stupito se, un giorno, fosse diventata una scrittrice o una poetessa famosa, eppure negli ultimi tempi, ogni volta che la vedeva, si sentiva strano.

Ogni volta che i loro sguardi s'incrociavano, si sentiva il cuore battere all'impazzata e più di una volta, quando si trovava al centro commerciale o vedeva un film, si era messo a pensare a quella ragazza.

Gure... Gure... Gure... Gure... Gure...

Abbassò lo sguardo e sbiancò.

Aveva di nuovo scritto mille volte il suo nome sul foglio con cui valutava i voti da dare agli studenti!

Il suo presentimento si stava rivelando fondato!

Il cuore che batteva all'impazzata a ogni suo sguardo, il pensiero che si soffermava sempre sulla stessa persona, scrivere il suo nome dappertutto... erano tutti i sintomi dell'innamoramento.

Si era innamorato di Gure.

Sapeva già che il suo era un amore folle, perverso e senza speranza.

Lui era un adulto e lei una ragazzina.

Lui era un prof e lei una sua allieva.

Non poteva assolutamente funzionare!

E, poi, sarebbe stato un egoista a iniziare una storia con una ragazza così giovane: lei aveva il diritto di trovarsi un fidanzato della sua età.

L'avrebbe di sicuro rovinata, facendola passare per una ragazza facile o una che seduceva i prof per ottenere dei bei voti, se avesse cominciato a frequentarla.

Tarble sospirò.

Avrebbe soffocato quel suo sentimento d'amore a senso unico per il bene e la felicità della fanciulla che amava... anche se avesse significato soffrire in un modo atroce...


BRROOUUUMMM

Un altro tuono.

L'arrivo dell'ennesimo temporale.

E pensare che quella mattina e buona parte del pomeriggio era stato bello...

Bulma cominciò a chiudere le imposte della casa, in modo da impedire all'acqua di entrare.

Bulma entrò nella stanza della piccola Bra, con l'obiettivo di chiudere le finestre, ma vide, con stupore, che la sua bambina stava piangendo.

Era impossibile non capirlo: la piccola era seduta sul suo lettino, con la testa in giù e le lacrime che le rigavano le guance rosse.

Adesso che ci pensava, quando era venuta a prenderla, le era sembrato che la sua bambina fosse profondamente triste e, una volta tornata a casa, si era barricata in camera sua senza uscire.

Bulma si sedette accanto alla figlia e, accarezzandole dolcemente la testa, le chiese: “Cucciola, cosa succede? Hai per caso litigato oggi con qualche tua amica all'asilo?” “Neanche oggi è venuto...”

Bulma fece una faccia sorpresa.

Non capiva a chi si stesse riferendo la figlia.

Ma di chi parli, Bra?” le chiese e Bra le rivelò: “Del signor Lupo Cattivo...”

In un lampo, Bulma si ricordò di chi parlava la figlia.

Di quel signore che aveva conosciuto al parco, un uomo cupo e scorbutico convinto di morire a breve e che era cattivo...

Mi dici cos'è successo?” le domandò dolcemente e la piccola le raccontò: “E' da una settimana che non viene più al parco... ogni giorno vado al parco con la speranza di rivederlo e ogni giorno trovo la nostra panchina vuota... lo aspetto ma lui non viene mai... ho tanta paura, mamma... temo che sia morto veramente o che... non voglia più venire al parco!” “E perché non dovrebbe più venire al parco?” “Per causa mia! Forse... gli sto antipatica... pensavo... o forse speravo... che si fosse un po' affezionato a me, ma magari mi sbagliavo...” “Io credo che, invece, si sia proprio affezionato a te, Bra.”

La figlia la guardò, incredula, e Bulma le spiegò: “Anche tuo padre ha fatto la stessa cosa in passato. Sai, quando ci siamo conosciuti, si era creato una barriera attorno a sé, per impedire alla gente di sapere quello che lui provava...” “Ma allora anche il signor Lupo Cattivo si è creato una barriera! Cerca sempre di evitare che io sappia troppo di lui...” “Ecco, e per tuo padre era la stessa cosa! Perciò, per paura che la sua barriera venisse infranta, cominciò a evitarmi! Conosceva i miei orari e i posti che frequentavo, così fu facile evitarmi. In quel periodo stavo malissimo. Non riuscivo a capire perché mi stesse evitando... tutte le notti tormentavo tua zia Tights perché non sapevo più cosa fare con lui!” “Povera zia... e come vi siete ritrovati?” “Forse per uno strano disegno del destino... una notte mi addormentai sul treno della metropolitana e scesi alla fermata sbagliata. Non sapevo più dove fossi, ero disperata... e, ad un tratto, sentì qualcuno che mi toccava dolcemente la spalla. Indovina chi era?” “Papà!” “Esatto, per puro caso, stava tornando a casa dal lavoro e abitava nei paraggi. Così m'invitò a trascorrere la notte a casa sua e, il giorno dopo, mi aiutò a ritrovare casa mia.” “Il mio papà è davvero un eroe!” “Sì... qualche giorno dopo, comprai un mazzo di fiori per ringraziarlo di ciò che aveva fatto per me. Il portinaio mi disse che si era beccato l'influenza e che era meglio non avvicinarsi troppo a lui ma non gli diedi retta. Tuo padre si trovava in camera sua con la febbre alta. Per un quarto d'ora siamo rimasti in completo silenzio perché non sapevamo cosa dirci. Alla fine, tuo padre mi chiese che cosa ci trovavo in un tipo come lui e io gli dissi tutto quello che pensavo di lui, i suoi pregi e i suoi difetti. Alla fine, non ce l'ho fatta e gli ho confessato tutto l'amore che provavo per lui. Tuo padre era stupito, non si aspettava una così improvvisa e appassionata dichiarazione e cercò di mandarmi via. Fu in quel momento che lo abbracciai, pregandolo di non mandarmi via, in quanto io avevo bisogno di lui, come lui di me. Fu allora che scoppiò a piangere.” “Il mio papà pianse?” “Sì... non mi accorsi di niente finché non gli vidi le lacrime uscirgli dagli occhi. Dopodiché, mi strinse a sua volta, facendomi capire che avevamo unito per sempre i nostri due destini. Mi beccai la febbre alta per un'intera settimana ma, in compenso, riuscì a rompere la barriera di tuo padre e a legarlo a me.” “Che storia romantica... pensi che anch'io ritroverò il signor Lupo Cattivo e romperò la barriera che si è creato?” “Sì, piccola mia... ne sono certa.”

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Il male nascosto ***


CAPITOLO 7: IL MALE NASCOSTO


Finalmente, era arrivato uno dei due momenti che gli studenti aspettavano con ansia da quando erano entrati.

La ricreazione.

Eppure, c'era uno studente che non era affatto contento della ricreazione e che non vedeva l'ora che arrivasse il secondo momento atteso da tutti: la campanella di fine lezione dell'ultima ora.

Trunks, infatti, non vedeva l'ora di tornarsene a casa per un motivo molto semplice: ogni cosa, in quella scuola, gli ricordava Mai.

Era passato un mese da quando la ragazza, per qualche oscuro motivo, l'aveva lasciato.

Anche se sembrava il solito, dentro di sé si sentiva morire.

Mai gli mancava troppo.

A cosa pensi, amico?” gli domandò, all'improvviso, una voce che Trunks conosceva fin troppo bene.

Al nulla, Goten.” rispose in fretta il ragazzo ma Goten, che, ormai, conosceva fin troppo bene l'amico, non ci cascò.

Trunks, ormai ti conosco. Stavi di nuovo pensando a Mai.” gli disse l'amico e Trunks sospirò.

Il suo amico, ormai, lo conosceva troppo bene...

Goten lo prese per un braccio e, mentre lo trascinava fuori dalla scuola, propose: “Che ne dici se mi racconti tutto nel nostro solito posto?”

Trunks annuì.

Aveva un disperato bisogno di sfogarsi e Goten, anche se non lo sembrava, era la persona giusta.

I due si recarono al solito posto e Trunks cominciò a parlare: “Mai mi manca... e da un mese che mi ha lasciato... non riesco nemmeno a capire il motivo... ho provato a chiedere informazioni a Pilaf e a Shu, i suoi coinquilini, ma non ho saputo niente... mi ha chiesto di dimenticarla ma non ci riesco! I suoi capelli lisci corvini, la sua pelle bianca come la neve e i suoi occhi stupendi... mi manca tutto di lei...” “Anche le sue parti intime?” “GOTEN!” “Stavo scherzando, amico! Piuttosto... quando sei andato a parlare con quei due, come ti sono sembrati?” “Ora che ci penso, mi sono sembrati un po' nervosi e agitati... però non ne sono tanto sicuro... sai, ero in ansia per Mai...” “Forse, Mai ti ha lasciato perché si è innamorata di un altro.”

Sentendo quelle parole, Trunks lo fissò e si mise a protestare: “Cosa?! Mai non farebbe una cosa del genere! Non sarebbe da lei!” “Però la conosci, Trunks. E' una ragazza molto solitaria e cupa...” “E questo cosa c'entra? Ti ricordo che anche mio padre è così, forse anche di più...” “Appunto. Tuo padre preferirebbe morire piuttosto che ammettere i suoi sentimenti. Forse, si vergognava di essersi innamorata di un altro nonostante fosse fidanzata con te e allora ha preferito andarsene per evitarti questa umiliazione, amico.”

Trunks rimase zitto un attimo.

Era vero, Mai, per certi versi, assomigliava molto a suo padre.

Forse, Goten aveva ragione: si era innamorata di un altro e per non deluderlo aveva preferito andarsene, eppure...

Qualcosa dentro di lui gli diceva che non era vero, che Mai lo amava ancora... anche se era andata via...

Goten, indovinando i pensieri del amico, sospirò: “Sei proprio innamorato di Mai...” “Già...” “Su, è meglio tornare in classe, la campanella sta per suonare...”

Trunks seguì l'amico ma, ad un tratto, si fermò.

Quando Goten si accorse che Trunks non lo seguiva più, si voltò e gli domandò: “Trunks, che succede?”

Rimase sconvolto da ciò che vide.

Trunks era caduto per terra, il respiro affannato e gli occhi chiusi, con la mano sul ventre.

TRUNKS! TRUNKS! MA CHE TI PRENDE?!” urlò Goten, correndo verso di lui.

Non sembrava soffocare ma ansimava molto forte, come se sentisse un dolore atroce.

In quel momento, una bidella uscì dalla scuola.

Immediatamente, Goten la chiamò: “SIGNORA! MI AIUTI, LA PREGO! IL MIO AMICO STA MALE!”

La bidella si avvicinò a Trunks e, mentre lo esaminava, Goten le raccontò cos'era successo.

Dopo che Goten ebbe finito di raccontare, la donna esclamò: “Sarà meglio chiamare l'ospedale. Non so cosa abbia ma temo che sia qualcosa di grave...”


...Non si preoccupi, ho analizzato attentamente le prove contro di lei e credo proprio che ce la faremo. Ci vediamo in aula la settimana prossima, arrivederci.”

Bulma, dopo aver riagganciato il telefono, fece un profondo sospiro.

Fare l'avvocato difensore era veramente faticoso.

Era terribile tutta quella responsabilità ma cercava sempre di impegnarsi al massimo.

Per fortuna, fra due ore poteva, finalmente, tornarsene a casa.

Avrebbe preparato da mangiare per i suoi due pozzi senza fondo e, prima di tornare al lavoro, avrebbe fatto un pisolino di un'ora.

Proprio in quel momento, il telefono squillò di nuovo.

Più per la forza dell'abitudine che per via del suo compito, Bulma sollevò distrattamente la cornetta e rispose: “Pronto?” “Mi scusi, parlo con la signora Bulma Brief?” “Sì, sono io.” “Sono la preside del liceo che frequenta suo figlio Trunks.” “E' successo qualcosa?” “Vede signora, durante l'intervallo suo figlio ha avuto uno strano malore ed è svenuto.” “DOV'E'?!” “L'ambulanza l'ha portato in ospedale... mi dispiace, ma dovevo avvertirla...” “NON IMPORTA, GRAZIE INFINITE!”

Bulma riagganciò la cornetta e corse a prendere il cappotto e la borsetta.

Non aveva un istante da perdere!

Annulli tutti i miei appuntamenti per oggi!” ordinò alla segretaria e uscì in fretta e furia dal palazzo.

Una volta in macchina, afferrò il cellulare e compose il numero di Vegeta.

In quel momento, suo marito si trovava al lavoro ma era certa che avesse lasciato il cellulare acceso.

Infatti, dopo qualche squillo, sentì la voce del marito: “Pronto?” “Vegeta, sono io, Bulma!” “Bulma?! Cosa diavolo è successo?!” le domandò immediatamente.

Conosceva troppo bene sua moglie e se si era messa a telefonargli durante il suo orario di lavoro, significava che era accaduto qualcosa di molto brutto.

Il suo primo pensiero corse subito a Bra.

Doveva essere successo qualcosa al parco!

Lo sapeva che quel postaccio era troppo pericoloso per la sua bambina!

Poteva essere stata picchiata da dei bulli o, peggio ancora, un maniaco si era avvicinato a lei e...

Vegeta, all'improvviso, si ricordò che non era possibile una cosa del genere: erano solo le undici e Bra si recava al parco solo un'ora dopo.

Bulma gli raccontò: “Si tratta di Trunks... a scuola ha avuto un malore e l'hanno portato all'ospedale!” “Non preoccuparti! Arrivo subito!” la rassicurò Vegeta prima di riattaccare.

Bulma stava per avviare il motore quando si ricordò di una cosa molto importante.

Doveva andare a prendere sua figlia all'asilo.

Non sapeva quanto l'avrebbero trattenuta e non poteva rischiare che, nel frattempo, le succedesse qualcosa.

Così, avviò il motore e partì alla volta dell'asilo.


E, per quella settimana, la visita di controllo era finita.

Da quando era peggiorato, le visite erano diventate una volta alla settimana e non una volta al mese.

Si domandò perché le faceva.

Sapeva che sarebbe successo presto e sapeva benissimo che non sarebbe cambiato niente.

Non era ancora stato trovato... l'unica cosa al mondo che poteva salvarlo... e se doveva proprio essere sincero, non gliene importava granché di essere salvato.

Ne aveva fatte troppe per sperare di essere salvato...

Con la solita aria tranquilla, uscì dal portone e si fermò.

Il cielo stava cominciando a rannuvolarsi.

Secondo il meteo, quella notte ci sarebbe stata una tempesta coi fiocchi, con un bel concerto di fulmini inclusi nel prezzo.

Chissà se lei aveva paura dei fulmini...

Ma cosa stava pensando?!

Doveva dimenticarsi di quella mocciosa!

Sospirò, sconsolato.

Si era sentito malissimo durante quel mese.

Anche quando era successo il fatto si era sentito male per un mese intero, e non gli era ancora sparito del tutto, ma stavolta era diverso.

Si sentiva male perché aveva deluso quella bambina.

La mocciosa dai grandi occhi azzurri... quella che aveva voluto a tutti i costi conoscerlo, infischiandosene del fatto che era un uomo cattivo... chissà per quale motivo si era messa in testa che, in realtà, era buono...

Se avesse scoperto che cosa aveva fatto in passato, si sarebbe convinta del fatto che lui, in realtà, era un vero Lupo Cattivo, il peggiore di tutti...

A volte, era stato preso dalla tentazione di tornare in quel parco e sedersi sulla loro panchina.

L'avrebbe aspettata, fingendo di leggere il giornale ma, come al solito, avrebbe l'avrebbe abbassato per vedere se stesse per arrivare.

All'inizio aveva sperato che quella mocciosa lo lasciasse in pace, aveva già i suoi mille problemi senza bisogno che una nanerottola di tre anni gliene aggiungesse, ma quando aveva capito che quella peste non aveva nessuna intenzione di cedere, si era rassegnato all'inevitabile.

In poco tempo, si era affezionato a quella peste e non vedeva l'ora di andare al parco solo per rivederla.

Per rivedere i suoi grandi occhi blu.

Per rivedere il suo sorriso.

Ma, poi, era arrivata la notizia.

Non sarebbe mai riuscito a dirglielo ma non sarebbe nemmeno riuscito ad andare al parco e a parlarle sapendo che presto si sarebbe separati.

Per sempre.

E, poi, come avrebbe potuto tornare al parco, dopo che se n'era andato, senza nemmeno salutarla?

Era sicuro che l'avrebbe odiato per sempre, per averla delusa in quella maniera.

Certo che era proprio un asso nel farsi odiare...

In quel momento, sentì una sirena dell'ambulanza entrare dal cancello e fermarsi di fianco all'entrata.

Un gruppo di medici tirò fuori da essa un lettino su cui era seduto un giovane dai capelli lilla, che stava respirando grazie a una bomboletta.

L'uomo si spostò e si diresse verso il parcheggio.

La vista di quel giovane era stata tremenda per lui.

Gli aveva fatto ricordare quello che presto sarebbe toccato a lui...

Guardò l'orologio.

Le undici e mezza.

Poteva ancora farcela.

Si diresse verso il parcheggio ed entrò in macchina.

Avrebbe provato a raggiungere la piccola peste al parco.

Per una volta, avrebbe detto al suo orgoglio di andare a farsi un bel giro.

L'avrebbe trovata e gli avrebbe chiesto scusa per come si era comportato.

Poi, avrebbe dovuto dirglielo.

Sarebbe stato terribile, ma doveva farlo.

Le avrebbe raccontato tutta la verità.

La vista di quel povero ragazzo che l'ambulanza aveva portato, gli aveva fatto capire che non aveva tempo da perdere.

Non si sarebbe fatto odiare anche da lei.

Una volta avviata la macchina, uscì dal parcheggio.

Aveva appena girato a destra che una macchina entrò a sua volta nel parcheggio.

Dopo aver girato un po', la macchina individuò il posto che lui aveva appena lasciato libero e parcheggiò.

Poi, da essa, uscì una donna con i capelli corti che fece uscire da essa una bimba di tre anni con i capelli turchini.

Poi, la donna prese per mano la piccola e corsero verso l'ospedale.


CHE SIGNIFICA CHE MIO FIGLIO STA PER MORIRE?!”

La potente voce di Vegeta si era sentita per tutta la corsia, facendo girare pazienti e dottori.

Il povero dottore non sapeva così dire: “Vede, signore... le analisi hanno stabilito che vostro figlio ha un problema al fegato... dev'essersi cominciato a creare da due anni ma quest'anno ha cominciato a peggiorare, provocandogli malori e svenimenti, come quello accaduto a scuola... e continuerà a peggiorare sempre di più, fino a che non morirà.”

Bulma e Vegeta rimasero in silenzio dal tanto che erano sconvolti.

Il loro bambino, il loro splendido bambino di soli diciotto anni, sarebbe morto a breve.

Diciotto anni... solo diciotto anni di vita... una vita troppo breve.

Avrebbe potuto frequentare l'università, conoscere una bella ragazza, che, magari, sarebbe riuscita a fargli dimenticare Mai, con cui si sarebbe sposato e avrebbe avuto dei figli, avrebbe realizzato i suoi sogni... e, invece, l'unico desiderio che tutti volevano che venisse realizzato adesso, era quello che Trunks sopravvivesse.

Solo la piccola Bra ebbe il coraggio di chiedere: “C'è un modo per salvare il mio fratellone?” “Effettivamente uno c'è, ma...” “Mi dica qual'è! Non m'importa se il costo è esorbitante! Voglio salvare mio figlio!” lo pregò Bulma.

Il dottore fece un sospiro e rivelò: “Non si tratta del costo, signora. Suo figlio potrà salvarsi solo se si riuscirà a trovare un pezzo di fegato compatibile che sostituisca la parte danneggiata. Ma, purtroppo, è difficile, se non addirittura impossibile, trovare un pezzo di fegato compatibile.”


Erano le sette e mezzo di sera e lei non era venuta.

Ormai, il parco era deserto e i lampi cominciavano ad apparire, squarciando il cielo notturno e lasciandosi dietro un bel rumore assordante.

L'uomo si alzò dalla sua panchina e uscì da esso.

Non si diresse verso la sua macchina ma cominciò a girare, a casaccio, per le vie della città, senza una meta.

Che idiota era stato a pensare che qualcosa nella sua sporca e inutile vita potesse cambiare!

Lui era un cattivo e il destino di tutti i cattivi era quello di vivere per sempre un'esistenza cupa e di solitudine.

Come diavolo aveva fatto a credere che una bambina piccola potesse cambiare il suo destino?!

Sentì una goccia di pioggia cadergli sulla testa e si affrettò ad aprire l'ombrello.

In poco tempo, si sviluppò un tremendo acquazzone e tutti si affrettarono a ripararsi.

Solo lui rimase fuori.

A parte qualche passante e macchina, grazie alla pioggia, la città era diventata deserta, come se nessuno ci abitasse da secoli.

Ma lui non si lamentava di certo.

Da sempre aveva amato la solitudine.

La solitudine era sempre una stata una delle sue più fedeli compagne.

Forse, perché quando si è soli, non si corre il rischio di deludere qualcuno...


Bra, la cena è pronta!”

Bulma tirò fuori dal forno la pizza.

A volte, la preparava quando si festeggiava qualcosa, ad esempio, la domenica sera prima di guardare un bel film tutti insieme davanti alla tv.

Eppure, quel giorno non si festeggiava proprio niente.

Bulma aveva in programma di fare la pizza per pranzo e, così, l'aveva lasciata fuori a scongelare e, così, quando erano tornati mezz'ora prima, non aveva avuto altra scelta che prepararla.

Lei, il marito e la figlia aveva mangiato qualcosa al bar dell'ospedale e, poi, erano rimasti accanto a Trunks, che era rimasto sotto osservazione per tutto il pomeriggio.

Finalmente, i controlli erano finiti e lei, Vegeta, Bra e Trunks erano potuti tornarsene a casa.

Ma l'umore della famiglia non era per nulla allegro.

Il pensiero che Trunks potesse avere un improvviso attacco e morire faceva star male tutti, persino Vegeta, anche se non lo ammetteva.

Bra, poi, era disperata.

Per tutto la durata del viaggio si era strofinata sul fratello e a ogni minimo cambiamento trasaliva.

Quand'erano tornati a casa, poi, era corsa in camera sua.

Bulma aspettò per cinque minuti che la figlia rispondesse ma, non sentendo nulla, la richiamò, perché magari non aveva sentito, ma neanche stavolta la bambina rispose.

La donna la chiamò un altro paio di volte ma non sentiva nulla.

Insospettita, Bulma si diresse nella camera della figlia e aprì la porta.

Per poco, la donna non si mise a urlare.

Bra non era nella sua camera e le imposte e la finestra della sua camera era stata aperta.

Bulma vide sulla scrivania un foglio con su disegnato una specie di bambina con i capelli blu e con in mano un pacco regalo che donava a una figura molto più grande di lei.

Bulma capì all'istante il significato del disegno.

Bra era scappata per trovare un fegato per Trunks e salvarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Incontri nella tempesta ***


CAPITOLO 8: INCONTRI NELLA TEMPESTA


Intorno a lei regnava il buio più totale e la pioggia le inzuppava i vestiti.

Sapeva che era stata una stupidaggine ma doveva tentare.

Doveva trovare un fegato per salvare suo fratello.

Il signore dell'ospedale le aveva detto che era difficile trovarne uno, ma lei doveva tentare.

Suo fratello maggiore era sempre stato uno dei suoi idoli e pensare che, presto, lui non ci sarebbe stato più, l'aveva fatta disperare.

Perciò aveva preso quella decisione.

Una volta tornata a casa, era corsa in camera sua e, dopo aver disegnato un messaggio per la sua famiglia, aveva aperto imposta e finestra ed era scappata.

Purtroppo, aveva lasciato a casa l'impermeabile e, di conseguenza, era bagnata fradicia, ma non le importava.

Doveva salvare suo fratello.

A qualunque costo.


CHE COSA?! BRA E' SCAPPATA?!”

Vegeta non riusciva a credere alle sue orecchie.

La sua bambina... era scappata di casa nel bel mezzo della notte... con un tremendo temporale... e, per di più, di notte c'erano sempre un branco di criminali nascosti nell'ombra pronti a fare del male...

Ma cosa diamine era saltato in testa a sua figlia?!

Tutta colpa di Bulma... aveva ereditato troppi geni da lei, ne era sicuro!

Quando l'ho chiamata per la cena non mi rispondeva, così sono andata in camera sua e l'ho trovata vuota. Credo che sia andata a cercare un fegato per Trunks. Devi trovarla, Vegeta. Lo sai che ha paura dei fulmini!” lo pregò la moglie e Vegeta le promise, prima di uscire dalla porta di casa: “Tranquilla, non tornerò a casa fino a quando non l'avrò trovata.”


Ormai erano le nove di sera ma la pioggia non aveva alcuna intenzione di smettere.

Non solo vedeva chiaramente le gocce di pioggia dalla finestra del bar nel quale era entrato per bersi una bella tazza di caffè nero fumante, ma sentiva il frastuono dell'acqua che scendeva.

Un clima davvero pessimo.

Si mise a fissare le gocce che rigavano il vetro della finestra.

Gli erano sempre piaciute le gocce di pioggia.

Quando era ragazzo, mentre viaggiava in macchina immaginava che quelle gocce fossero delle stelle comete oppure seguiva il percorso che esse tracciavano sul finestrino, sperando che arrivassero in fondo.

Anche adesso si divertiva con quello strano passatempo che aveva fin da quando era ragazzo... fin da quando era ancora buono...

Ad un tratto, per poco non si ustionò la lingua.

Gli era sembrato di vedere, in mezzo alla bufera...

Ma no, non poteva essere...

Eppure, quella capigliatura era inconfondibile...

Bevve quello che restava del caffè in un sorso, bruciandosi la lingua, e, dopo aver pagato il caffè, corse fuori dal locale.

La figura si stava allontanando ma, fortunatamente, era ancora visibile.

Doveva raggiungerla.

Doveva sapere se era davvero lei...


Bra si alitò sulle manine congelate.

Aveva freddo.

Troppo freddo.

La pioggia l'aveva inzuppata completamente e, la cosa più terribile, era che non aveva trovato un fegato per suo fratello.

Dopo aver cercato un po', si era accorta di essere stanca morta e di avere sempre più freddo, così aveva deciso di rinunciare per quella notte.

Il problema era che si era accorta che si era completamente persa.

E, per di più, i fulmini e il buio la stavano spaventando a morte.

Voleva solo tornarsene a casa sua, nel suo lettino, ma non sapeva dove andare.

Ad un tratto, si accorse di essere arrivata nel parco dove lei si recava insieme agli altri bambini dell'asilo.

Per istinto, si recò nella panchina dove lei e il suo Lupo Cattivo si erano incontrati e avevano chiacchierato fino al mese prima.

Si sedette, stremata, sulla panchina.

Aveva freddo, paura e pure fame.

Anche se su quella panchina si sentiva un po' più al sicuro, era distrutta e la pioggia continuava a bagnarla.

Non ce la faccio più... Ho freddo, fame... voglio tornare a casa... pensò la piccola mentre le sue guance arrossate venivano rigate da delle lacrime Questa città, di notte, fa' così paura... qualcuno mi aiuti...

Aveva appena finito di pronunciare queste parole, che si accorse che la pioggia non la stava più bagnando.

Alzò la testa e si accorse, con stupore, che un grande ombrello nero la stava coprendo.

Si voltò e lo vide.

Il suo Lupo Cattivo.

Era tornato.

Era tornato per salvarla.

L'uomo, con il suo solito tono da sufficienza, le chiese: “Cosa ci fai qui da sola a quest'ora, Cappuccetto Rosso? Non lo sai che la notte è il regno dei Lupi Cattivi?”

Bra lo fissò con stupore prima di abbracciarlo con forza mentre singhiozzava.

L'uomo le avvicinò un braccio.

Bra sapeva che l'avrebbe spostata ma non gli importava.

Lui era lì.

Sapeva di essere al sicuro.

Ma, invece, di allontanarla, il braccio l'avvolse in un goffo ma sicuro abbraccio.

Evidentemente, non abbracciava molto spesso ma a Bra non importava.

Con quell'abbraccio, le aveva fatto capire che le voleva bene e che l'avrebbe protetta, a qualunque costo!

Ad un tratto, sentì qualcosa di morbido cadere in testa.

Alzò la testa e vide il cappotto dell'uomo.

Se l'era tolto, nonostante il freddo pungente, per riscaldarla.

Infatti, l'uomo le ordinò: “Indossalo, sei gelida. Dov'è casa tua?” “Non lo so... mi sono persa e ho tanta paura e freddo...” rispose la bambina e, una volta che ebbe detto quelle parole, l'uomo la sollevò e la prese in braccio.

Scusa se ti prendo in braccio così, ma ho un po' fretta.” si giustificò l'uomo.

Attraversò il parco velocemente e aprì una macchina nera vicino all'entrata di esso.

Aprì la portiera davanti, dove c'era il posto per il passeggero, e mise lì dentro Bra, mettendole persino la cintura di sicurezza.

Una volta che si fu occupato della bambina, si mise al posto del guidatore.

Signor Lupo Cattivo, dove stiamo andando?” domandò Bra, mentre si avvolgeva il più possibile nel cappotto, e l'uomo le rispose: “A casa mia. Hai bisogno di calore e io abito qui vicino.”

Mentre guidava l'uomo si mise a pensare.

Quello strano e inaspettato incontro gli aveva fatto ricordare il suo passato.

Il suo passato da brava persona...

Una volta, aveva litigato con suo figlio, che all'epoca aveva solo due anni, in quanto non voleva mangiare il minestrone e, per punirlo, lo aveva spedito a letto senza cena.

Alle nove, sua moglie era entrata in camera sua per vedere come stava e aveva scoperto che il bambino era scappato.

Lui e sua moglie avevano preso la macchina e l'avevano cercato per mezz'ora.

Finalmente, l'avevano trovato e l'avevano riportato a casa.

Il piccolo era rimasto così traumatizzato che, per quella notte, avevano lasciato che dormisse nel loro letto.

Suo figlio...

Era passato molto, troppo, tempo, da l'ultima volta che l'aveva visto...

Chissà cosa stava facendo in quel momento...


Vegeta era sempre più nervoso.

Non trovava la sua piccola Bra da nessuna parte.

Ormai era da parecchio tempo che la cercava ma non era ancora riuscita a trovarla.

BRA! BRA!” continuò a chiamarla, senza ottenere alcuna risposta.

Ad un tratto, vide una sagoma nera tra due grossi alberi.

Qualcosa dentro di lui, lo spinse a muoversi in quella direzione e quando illuminò la sagoma con la sua torcia, si accorse che era il castello del parco giochi.

La sua parte cosciente voleva andarsene seduta stante, ma le sue gambe si diressero verso una piccola porta del castello.

La illuminò ma non vide nessuno.

Stava per andarsene quando, all'improvviso, ricordò qualcosa.

Un ricordo...


La pioggia non intendeva ancora smettere.

Vegeta si rannicchiò ancora di più su stesso.

Era stata proprio una pessima idea... ma la colpa era di suo padre!

Suo padre non lo capiva!

Non l'aveva mai capito e nemmeno in futuro l'avrebbe fatto!

BROOOUUUM

Vegeta si tappò le orecchie.

I fulmini erano sempre più vicini.

Temeva che uno di loro colpisse quel castello, spezzandolo in due e colpendolo in pieno.

Un brivido gli percorse il collo e si mise a battere i denti.

Aveva troppo freddo e, per di più, era bagnato fradicio, a causa della tempesta.

BRROOUUUMMM

Un altro!

Senza nemmeno rendersene bene conto, Vegeta scoppiò a piangere.

Che stupido che era stato!

Non avrebbe mai dovuto farlo!

Voleva solo tornare a casa...

All'improvviso, un fascio di luce lo illuminò.

Vegeta, coprendosi gli occhi, guardò da dove proveniva quel fascio.

Proveniva da una torcia, tenuta in mano da suo padre!

Non era mai stato così felice di rivederlo!

Vedendolo, suo padre si mise a gridare: “ECHALOTTE!! L'HO TROVATO!”

Quindi c'era anche la mamma!

Ma... allora non erano arrabbiati con lui...

Sua madre raggiunse suo padre in un lampo e gli disse, con dolcezza: “Vieni qui, Vegeta, non aver paura...”

Si fiondò su sua madre, abbracciandola.

Lei l'avvolse in una calda e morbida coperta e, poi, lo prese in braccio mentre suo padre metteva l'ombrello sopra le loro teste.

S'incamminarono verso la macchina ma, ad un tratto, Vegeta non riuscì a trattenersi dal dire: “Papà...”

Suo padre si fermò e, voltandosi leggermente e, fissandolo con un occhio, gli chiese: “Cosa c'è, Vegeta?” “Volevo... volevo chiederti scusa, papà. Ho fatto un'enorme stupidaggine, lo so!”

Suo padre rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Siamo esseri umani, Vegeta. Le stupidaggini le facciamo tutti.”


Vegeta rimase immobile, dal tanto che era sconvolto.

Quel ricordo... era ovvio che fosse suo... eppure non voleva che fosse suo!

Non lo voleva!

Lui non era mai stato contento di rivedere suo padre e nemmeno si era mai scusato con lui.

Anche perché, fino a quando quel verme non se n'era andato, lui non aveva mai combinato guai...

Eppure, ciò che aveva appena ricordato, diceva tutt'altra cosa...


Gure si fermò sul marciapiede, aspettando che il semaforo diventasse rosso.

Quella tempesta non ci voleva proprio.

Fortunatamente si era portata l'ombrello da casa, altrimenti si sarebbe bagnata tutta.

Stava tornando a casa dalla sua lezione serale di francese.

Normalmente si sarebbe spaventata a morte a girare da sola in quella grande città di notte, ma la casa della sua insegnante si trovava proprio di fronte al palazzo dove abitava la sua famiglia.

Una volta attraversata la striscia pedonale sarebbe entrata di corsa nel suo palazzo...

Ad un tratto, una mano le bloccò la spalla.

La ragazzina, spaventata, si voltò e vide un energumeno che puzzava terribilmente di alcool e che le disse: “Ehi, pulcino. Che ci fai qui tutta sola? Che ne dici di venire con noi a fare un giro?” “Ti sei proprio ubriacato!” commentò un altro bestione avvicinandosi a lui “Ma dico, l'hai vista?! Non è per niente una bella ragazza, anzi è parecchio bruttina e insignificante! Non ha curve, è piatta come una tavola, è bassa come una mocciosa e ha i capelli così fini da sembrare pelata! Solo un cieco potrebbe sposarsela, brutta com'è!”

Gure abbassò lo sguardo, imbarazzata.

Era vero, non era proprio l'immagine perfetta di un'affascinante ragazza.

Che sciocca che era, a credere che il suo prof l'amasse.

Lui era troppo bello per innamorarsi di una ragazza bruttina come lei.

Queste assurdità accadevano solo nelle fiabe...

Ah, eccoti! Ti ho cercata dappertutto!” esclamò una voce alle spalle del duo.

Gure si girò e vide proprio il suo prof.

Con il suo solito sorriso, si avvicinò a quei due bestioni e le disse, mentre la prendeva per un braccio: “Ma si può sapere dov'eri finita, Gure? Eppure te l'avevo detto che ti avrei raggiunta subito... non è colpa mia se c'era tutta quella fila al bagno...”

Poi, si rivolse a quei due energumeni e li ringraziò, mentre si allontanava assieme alla ragazza: “Non so davvero come ringraziarvi per aver ritrovato la mia ragazza. Sapete, si perde abbastanza spesso in questa grande città...”

Una volta che i due attraversarono la strada, Gure, tutta rossa in viso, si staccò da lui e balbettò: “G-grazie mille, professore. Ci vediamo a lezione.”

Dopodiché, corse all'interno del suo palazzo.

Una volta entrata, Gure ansimò pesantemente, ancora rossa in viso.

Il suo amato prof l'aveva appena salvata.

Nonostante non fosse orario di lezione, e quindi non era responsabile nei suoi confronti, l'aveva salvata da dei brutti ceffi.

Ma, allora, forse anche lui teneva a lei...

Quasi subito, Gure cancellò quei pensieri!

Che assurda sciocchezza!

Il suo prof aveva sempre avuto un animo gentile e sensibile, era ovvio che salvasse tutta le ragazze che finivano nei guai, anche quelle bruttine e insignificanti come lei.

Però, ammise a sé stessa, sorridendo e arrossendo, non le era affatto dispiaciuto essere definita la fidanzata del professor Prince...

Proprio in quel momento, dalla porta del garage, uscì un uomo.

Gure lo riconobbe subito: era quello che abitava nell'appartamento davanti al suo.

Ma la cosa più strana era che aveva in mano il suo cappotto.

Gure non riuscì proprio a capire come una persona potesse togliersi il cappotto col freddo pungente che c'era.

Lo vide correre, stranamente molto agitato, verso l'ascensore.

Fu solo quando le porte dell'ascensore stavano per chiudersi che vide uscire dal cappotto un piccolo ma paffuto visino, circondato da capelli turchini.


Su, indossa questa camicia. E' un po' larga ma è meglio di niente.”

Bra indossò la camicia bianca che il Lupo Cattivo aveva preso dal suo armadio.

Effettivamente, era parecchio grande ma non c'erano altri bambini della sua età, e quell'uomo aveva già fatto tanto per lei...

Una volta che entrati nell'appartamento, l'uomo aveva acceso il riscaldamento e l'aveva portata nel piccolo bagno.

L'aveva spogliata e le aveva fatto un bel bagno caldo, in modo da riscaldarla.

Dopodiché, le aveva asciugato i capelli turchini e l'aveva portata in camera sua, dove le aveva dato quella camicia e un paio di calze, in modo da non prendere freddo ai piedi.

Mentre il Lupo Cattivo cercava quegli indumenti, Bra aveva visto, sul suo comodino, un foglio di carta che lei aveva riconosciuto il finale che aveva inventato per il Lupo Cattivo della favola di Cappuccetto Rosso.

Sua madre aveva proprio ragione.

Quell'uomo, in realtà, era affezionato a lei e le voleva bene.

Proprio come suo padre...

Bra sospirò.

Chissà se la sua famiglia aveva scoperto la sua fuga...

Una volta vestita, Bra ispezionò la casa del Lupo Cattivo.

Era parecchio grande ma anche molto silenziosa.

Non ci dovevano abitare altre persone a parte lui...

Quella casa era così triste... non si stupiva affatto che il suo Lupo Cattivo fosse sempre così triste e solitario... ma dov'era la sua famiglia?!

Quando sarebbe tornata a casa, avrebbe fatto in modo che il Lupo Cattivo trascorresse un po' di tempo con la sua, in modo da non essere più triste e solo e da avere una nuova famiglia, di cui avrebbe fatto parte anche lei.

Timidamente, si avvicinò all'uomo che stava mescolando qualcosa in una pentola e domandò: “Cosa sta preparando?” “Minestrone. Non voglio scene perché non ti piace, sono stato chiaro?” l'avvertì lui, puntandole l'enorme cucchiaio di legno che stava usando per mescolare.

Quando ebbe finito di preparare il minestrone, l'uomo preparò la tavola e l'aiutò a salire su una sedia.

Mentre il Lupo Cattivo mangiava, Bra fissava, in completo silenzio, il liquido verde.

Perché non mangi?” le domandò, seccato, l'uomo e la piccola rispose: “Perché scotta troppo. Quando un piatto scottava, la mia mamma ci soffiava sopra.” “Ho capito dove vuoi arrivare. Da' qua!” l'interruppe l'uomo, prendendole il cucchiaio e soffiandoci sopra.

La bimba, vedendo quanto l'uomo faceva per lei, lo ringraziò: “Grazie. Lei è l'uomo più buono del mondo, dopo il mio papà, mio zio e il mio fratellone.”

Sentendo quelle parole, il Lupo Cattivo rimise il cucchiaio nel suo piatto e le chiese, con un sussurro: “Pensi davvero che ci sia qualcosa di buono in me?” “Certo!” “Se sapessi cosa ho fatto in passato, non credo che tu mi considererai ancora uno degli uomini più buoni del mondo...”

Bra sentì una profonda nota di malinconia nella sua voce e, pertanto, scese dalla sedia e si avvicinò a lui.

Afferrò un lembo della sua camicia e lo strattonò, chiedendogli: “Signor Lupo Cattivo, può prendermi in braccio come prima?” “E perché?” “Lo faccia, per favore.”

L'uomo l'accontentò e una volta lì, lo abbracciò.

Il Lupo Cattivo sembrava tranquillo ma, dentro di sé, si sentiva confuso e agitato.

Era da tanto che non veniva abbracciato... era una sensazione strana... avvertiva, dentro di sé, una specie di calore...

Bra, nel frattempo, continuava ad abbracciarlo, per quanto le fosse possibile, e, ad un tratto, disse: “Non m'importa di quello che ha fatto in passato. Lei adesso è buono e gentile.”

L'uomo non le disse niente.

Si limitò a guardare le gocce di pioggia sulla finestra.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L'angelo nell'ombra ***


CAPITOLO 9: L'ANGELO NELL'OMBRA


Dormirai qui, stanotte.” disse il Lupo Cattivo mentre finiva di sistemare il cuscino e le coperte del suo letto.

Bra lo osservò in silenzio mentre finiva di preparare il letto.

Quando finì, l'uomo la prese e la mise sotto le coperte.

Dopodiché, prese dal sua armadio un cuscino e delle coperte piuttosto pesanti.

Prima che l'uomo uscisse dalla stanza, Bra gli domandò: “Lei dove dorme?” “Sul divano-letto del salotto.” le rispose, prima di spegnere la luce e di chiudere la porta.


Era quasi mezzanotte e non c'era ancora nessuna notizia di Bra.

Vegeta era sempre più disperato.

Non trovava la sua bambina da nessuna parte.

Se avesse saputo che la sua piccola Bra era in ottime mani, sarebbe stato più tranquillo.

Oltretutto, la pioggia non accennava a diminuire...

Nonostante fosse bagnato fradicio e stanco morto, Vegeta non poteva far altro che continuare a cercarla e sperare in bene...


L'uomo si stiracchiò leggermente.

Ormai doveva essere mattina ma non sapeva che ore erano...

Spostò leggermente il volto e scorse una sagoma vicino a lui.

Non ci volle molto per capire chi era.

Era lei.

Cappuccetto Rosso.

Doveva essere salita quand'era nel mondo dei sogni, dato che non si era accorto di nulla fino a quel momento.

Certo che quella ragazzina era incredibile... rinunciare al letto per stare accanto a lui...

Sollevò con delicatezza, in modo da non svegliarla, la coperta e la coprì fino al mento.

Gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo.

Quando lui aveva ancora una famiglia...

I suoi genitori erano morti quando lui era ancora un bambino e aveva vissuto la sua infanzia e adolescenza in un istituto, la casa degli scarti la chiamava lui, dato che solo i migliori venivano adottati.

Perciò, aveva cominciato a pretendere il meglio da sé stesso.

Se sbagliava qualcosa, anche se di piccolo conto, doveva assolutamente migliorare.

Lui non era uno scarto!

Poi, però, era arrivata lei.

Si era trasferita da poco nella sua città e aveva incominciato a interessarsi a lui e a studiarlo.

Non come Cappuccetto Rosso, dubitava fortemente che qualcuno riuscisse a superare il suo livello di dar tormento al prossimo, il suo modo era più sofisticato e semplice: lo seguiva con discrezione, faceva in modo di trovarsi, per puro caso, nei posti frequentati da lui.

Non aveva capito che era un modo per corteggiarlo fino a quando non glielo aveva detto lei, quando stavano insieme da ormai tre mesi.

Nel frattempo, anche lui cominciava ad interessarsi a quella ragazza affascinante ed enigmatica ma, per orgoglio, si teneva lontano da lei.

Sei si fosse saputo che il duro della scuola si era innamorato...

Poi, un giorno, la prof li aveva messi in coppia per un compito e, lontani da sguardi e orecchi indiscreti, avevano in comune l'orgoglio, si erano confessati, a modo loro, ovviamente, il loro amore.

In seguito si era sposati ed era nato il loro bambino.

Lui non era mai stato un padre dolce e affettuoso, il suo orgoglio glielo impediva, ma teneva a suo figlio.

Di notte, quando quei due dormivano, si alzava dal letto e andava a controllare come stava.

Gli rimboccava le coperte e, poi, si sedeva per terra e lo guardava, in completo silenzio.

Si vergognava troppo per comportarsi così di giorno e, perciò, preferiva compiere quel suo piccolo rito di notte, quando nessuno lo vedeva...

Forse, non era la famiglia più perfetta del mondo ma, finalmente, ne aveva una da quando era finito alla casa degli scarti.

Una famiglia a cui teneva...

L'uomo sospirò.

Purtroppo, quel bel ricordo apparteneva al passato.

Ormai, lui non aveva più una famiglia.

Non la meritava...

D'istinto, avvicinò la mano alla fronte della bambina e, spostandole la frangetta turchina, gliela toccò.

Anche quel gesto, in realtà, faceva parte del suo rito notturno segreto.

Infatti, prima di andarsene, aveva l'abitudine di toccare la fronte di suo figlio.

Nemmeno lui sapeva con precisione perché facesse un simile gesto.

Forse, era un modo per dirgli che gli voleva bene...

PAPA'!”

L'uomo trasalì e allontanò la mano dalla fronte della bambina, come se si fosse preso una scottatura.

Ansimò profondamente.

Quella bambina... gli ricordava troppo suo figlio... e anche cosa aveva fatto...

Si alzò dal divano-letto e si recò in bagno.

Aprì il rubinetto e si bagnò il viso, come per risvegliarsi.

Dopodiché, osservò la sua immagine riflessa nello specchio sopra al lavandino, mentre le gocce sul suo viso scendevano dal suo volto, bagnandoli la camicia.

Era ridotto proprio male... il rimorso non accennava a lasciarlo in pace un attimo... cosa poteva fare?!


Gure uscì in punta di piedi dal suo appartamento e chiuse piano la porta.

In punta di piedi si avvicinò alla porta dell'appartamento davanti al suo.

Sapeva che quello che stava per fare era una stupidaggine e che sarebbe finita nei guai, e di quelli grossi, ma lei doveva assolutamente sapere.

Voleva sapere chi era il bambino che il suo vicino di casa aveva portato nel palazzo.

Certo, poteva essere un parente, ma le sembrava così assurdo...

Quell'uomo non aveva mai detto a nessuno di avere dei fratelli e si ignorava persino se fosse sposato!

Temeva che quel tipo rapisse bambini per ricattare famiglie o per fargli delle diavolerie...

Avvicinò l'orecchio alla porta e si mise ad ascoltare.

Non sentiva alcun rumore... lui e il bambino stavano ancora dormendo...

Proprio in quel momento, la porta dell'appartamento si aprì e la ragazza, alzando la testa, vide il vicino che la guardava.

Non lo sai, ragazzina, che è da maleducati origliare nelle abitazioni altrui?” le domandò.

Gure rimase in silenzio, rossa per l'imbarazzo.

Ma come diamine aveva fatto a stanarla?!

Eppure era certa di aver fatto piano...

Fu proprio l'uomo a spiegarle cos'era successo: “Ho un udito molto fine. Di solito, quando esci dal tuo appartamento hai un passo molto felpato e la domenica te ne stai sempre rintanata in casa tua. Invece oggi, non solo ti sei svegliata alle otto ma sei uscita con un passo molto piano. Non mi sembri il tipo che scappa di casa, perciò ho seguito i tuoi movimenti e ho capito che ti eri fermata davanti alla mia porta. Posso sapere come mai mi stavi spiando?”

Gure lo guardò dritto negli occhi e lo affrontò: “L'ho vista ieri con un bambino. Lei non ha mai detto di avere figli o nipoti. Voglio sapere dov'è quel bambino e cosa gli ha fatto. E anche se mi uccidesse sarebbe tutto inutile. In camera mia ho lasciato un messaggio in cui dico cosa facevo. Quindi adesso mi dica: chi è quel bambino e cosa ne ha fatto!”

Il vicino la fissò in silenzio, poi disse: “Per prima cosa, il bambino è, in realtà, una bambina. E, infine, seconda cosa... hai fegato, ragazzina. Non conosco altre mocciose, a parte la mia Cappuccetto Rosso, che hanno il coraggio di affrontare, completamente da sole, il Lupo Cattivo.”

Gure rimase spiazzata da quella strana risposta.

L'uomo si fece da parte, invitandola a entrare: “Se vuoi vedere dov'è la piccola, entra pure in casa mia. Tranquilla, non ti faccio niente. Come non ho fatto niente alla bambina.”

Un po' titubante, Gure entrò nell'appartamento perfettamente pulito e ordinato dell'uomo.

Dopo qualche metro, vide un divano-letto su cui, avvolta in pesanti coperte, era addormentata una bimba di pochi anni.

Su una cosa, però, hai ragione.” affermò, ad un tratto, l'uomo, facendola trasalire “Quella bambina non è una mia parente. L'ho trovata ieri sera, al parco. La conoscevo già ma non so niente sulla sua famiglia, per questo non l'ho riportata a casa sua. Stava congelando, per questo ho deciso di portarla qui. Pensavo di portarla alla centrale di polizia, stamattina, ma mi è venuta un'idea migliore: tu dirai di averla trovata in quel vecchio capanno per gli attrezzi abbandonato e la porterai, assieme alla tua famiglia, alla centrale.” “COSA?! E PERCHE' PROPRIO IO?!” “Pensi che solo perché non parlo con nessuno, non sappia niente delle persone che mi circondano?”

Gure lo guardò, allibita.

Cosa intendeva dire?

Ho avuto varie occasioni di osservarti. Forse non sei la più bella ragazza del pianeta ma sei molto sveglia e intelligente, non come certe tue coetanee cretine. Sei anche una ragazza molto dolce e sensibile e se dovessi affidare a qualcuno la vita della bambina non esiterei ad affidarla a te.” le raccontò, senza troppi mezzi termini.

Gure arrossì.

Non si aspettava che il suo burbero vicino di casa avesse una così alta considerazione per lei.

Tuttavia, la ragazza ebbe la forza di domandargli: “Perché non vuole consegnarla lei alla polizia?”

L'uomo stette zitto un attimo, poi, avvicinandosi alla finestra, le spiegò: “Se un uomo della mia età portasse una bambina così piccola alla polizia, la gente comincerebbe a farsi strane idee. Penserebbero che io sia un maniaco, che va in giro ad adescare bambine piccole per far sesso con loro. Nessuno penserebbe che noi due siamo amici e che io non le farei mai del male. La gente è fatta così. Pensa sempre che ogni strana azione di una persona sia per forza maligna. Per loro, l'amicizia tra un adulto e un bambino è qualcosa di scandaloso e assurdo. Pensano che l'adulto abbia adescato il povero piccolo per seviziarlo e torturarlo. Dopotutto... è quello che hai pensato anche tu.” “Ma... non è vero! Io... io volevo solo assicurarmi che fosse solo una sua parente...” “E' inutile. Nessuno potrebbe capire cos'è l'amicizia tra noi due...” “Invece io la capisco benissimo! Perché anch'io provo queste stesse identiche sensazioni! Perché mi sono innamorata del mio prof di letteratura, di un adulto!” sbottò la ragazza “Non m'importa se gli altri mi dicono che il mio è un amore perverso solo perché sono una ragazzina. Lui non mi ha mai corteggiata. Mi sono innamorata perché è sensibile e buono. Non voglio aumentare i miei voti. Io voglio solo che lui mi ami per quella che sono!”

I due rimasero in silenzio, poi Gure disse: “Comunque... se è questo che vuole, porterò io la piccola alla centrale.” “Grazie. Fra quindici minuti vai nel capanno. La bambina sarà lì. E ricordati, se dovesse accadere qualcosa alla piccola quando è sotto la tua responsabilità, e lo saprò, te la farò pagare molto cara!”

Prima di chiudere la porta, però, l'uomo le sussurrò: “Sta' attenta alle malelingue, ragazzina. Hanno un'abilità diabolica nel distruggere le famiglie e la vita. E io ne so qualcosa...”


Sei sicura che riuscirà a trovarla? Lo sai che è un vero incapace...” “Sorellina, è la nostra unica possibilità per ritrovare Bra. Lo so che Jaco è incline a commettere errori grossolani, ma è la nostra unica speranza per ritrovarla.”

Bulma era seduta nella macchina della sorella Tights, diretta alla centrale di polizia della città.

In quel posto lavorava Jaco, un agente della sezione persone scomparse, amico di lunga data di Tights.

Purtroppo, era anche parecchio stupido, vigliacco e tendente a far stupidate.

Bulma si chiedeva come avesse fatto quel citrullo a diventare agente di polizia della sezione persone scomparse.

Fosse dipeso da lei, non l'avrebbe fatto diventare nemmeno ausiliare del traffico.

Le due donne, entrarono nella centrale e chiesero alla reception dove si trovasse Jaco.

Lo trovarono intento a bersi un bel bicchiere di latte.

Appena le vide, sbottò: “Tights, cosa ci fai qui?! Sto lavorando!” “Senti un po', tu...” sibilò Bulma, che era di pessimo umore perché era in pensiero per la figlia: “Ieri notte mia figlia è scappata. Sotto una tempesta coi fiocchi. Mio marito è uscito di casa e sta ancora continuando a cercarla, senza fermarsi. Perciò, adesso, ti alzi, ti metti la giacca e VAI SUBITO A CERCARLA!”

Jaco, che da sempre aveva paura di Bulma, le ubbidì all'istante, dopo aver preso una fotografia di Bra.

Prima di iniziare le ricerche, però, decise di recarsi alla reception per vantarsi con la segretaria: “Ehi bambola, indovina?” “Cosa?” “Mi hanno appena assegnato un incarico.” “Davvero? E' l'ennesima vecchia befana che ti chiede di ritrovarle il gatto scomparso?” “No. Devo ritrovare una bimba di tre anni che si è smarrita.”

Sentendo quelle parole, la segretaria smise di lavorare al computer e fissò Jaco, domandandogli: “Una bimba di tre anni, hai detto?” “Sì.” “Per caso hai capelli turchini?” “Certo, ma tu come lo sai?” “Jaco... quella bambina è qui in centrale da mezz'ora.”

Jaco sgranò gli occhi e la segretaria gli raccontò: “L'ha portata qui una piccola famigliola. La figlia di quindici anni l'ha trovata nel capanno degli attrezzi del loro palazzo. Si è rintanata là dentro durante la notte e si è addormentata. Pensa che sta ancora dormendo...”

Jaco, però, cominciò a correre verso il suo ufficio.

Doveva, assolutamente, avvisare Tights e Bulma.


Tarble sorseggiò la sua tazza di tè mentre guardava la strada dal balcone del suo appartamento.

Lo aveva sempre rilassato.

Spesso, infatti, fantasticava le vite delle persone che camminavano per strada...

La sua vita era sempre stata molto complessa.

Suo padre aveva abbandonato lui, sua madre e suo fratello quando lui era ancora un embrione nella pancia di sua madre.

Non l'aveva mai visto, non sapeva niente di lui...

A Tarble sarebbe piaciuto conoscere qualcosa di quell'uomo, in fondo era pur sempre suo padre, ma Vegeta diventava tremendamente suscettibile quando si parlava di lui...

In più, come se non bastasse, era sorto un altro problema, ancora più tragico.

Si era innamorato di una ragazza di quindici anni.

Tarble sapeva che per queste cose si poteva rischiare un processo.

Era da pervertiti amare delle minorenni.

Ma lui non voleva mica portarsela a letto!

Lui voleva solo tenerla per mano, parlarle, passeggiare insieme, andare insieme al cinema, mangiare qualcosa...

Gli sembrava una cosa innocente ma, purtroppo, niente in quel mondo era innocente.

Se un insegnante l'avesse visto con Gure, lui avrebbe rischiato di perdere il lavoro e di far passare Gure per una poco di buono.

Se Gure avesse avuto diciotto anni sarebbe stato tutto molto più facile: avrebbe aspettato che la ragazza finisse la scuola prima di frequentarla.

Ci sarebbe stata comunque la differenza di età, ma in quel caso la ragazza sarebbe stata maggiorenne.

Invece, Gure non aveva diciotto anni ma quindici...


Bulma non smetteva mai di baciare le guance della figlia addormentata.

Povera piccola, che paura tremenda doveva aver avuto quella notte ma, fortunatamente, non le era successo niente e presto sarebbe stata al calduccio nel suo lettino.

Nel frattempo, Tights stava telefonando a Vegeta per dirgli di smettere di cercare Bra perché l'avevano trovata.

Una volta chiusa la telefonata, Bulma le domandò: “Allora?” “Mi è sembrato distrutto ma allo stesso tempo felice che Bra sia sana e salva.” “Povero caro. E' stata una nottataccia anche per lui... ci raggiungerà a casa?” “Ha detto che è troppo stanco per guidare ma di non preoccuparci perché conosce un posto vicino dove poter dormire tranquillamente...”


VEGETA!” urlò, felice e sorpreso, Tarble quando aprì la porta, trovandosi davanti a un individuo alto e muscoloso con gli occhi chiusi e bagnato fradicio.

Mentre il fratello entrava nell'appartamento, Tarble gli domandò, preoccupato: “E' successo qualcosa? Cosa ci fai qui?” “Scusa, Tarble, ma ne possiamo parlare più tardi?” lo interruppe Vegeta e, prima di sdraiarsi sul divano del salotto, aggiunse: “Ho l'impressione che se non mi sdraio all'istante mi addormento in piedi...”

E si addormentò, mentre Tarble lo guardava con aria sorpresa e incredula.


Per fortuna l'abbiamo trovata...” “Già... ma appena si risveglierà, mia figlia dovrà affrontare una colossale punizione!” “Dai, Bulma, mi sa che tua figlia si è spaventata anche fin troppo, ieri notte. E meno male che ha trovato quel capanno!”

Bulma e Tights uscirono dalla centrale con la piccola Bra e si diressero verso il parcheggio.

Bulma si avvicinò alla macchina ma stava per aprirla quando le chiavi le caddero per terra.

Si chinò a raccoglierle e fu allora che la vide.

Vi era una sagoma grande, nera nascosta in un vicolo... e stava guardando proprio loro.

Appena si accorse di essere stata scoperta, la sagoma s'intrufolò nel vicolo.

TIGHTS! OCCUPATI DI BRA!” urlò Bulma mentre correva all'inseguimento.

Suo marito le avrebbe dato dell'incosciente a vita, ma lei doveva farlo!

Doveva capire cosa voleva quella sagoma dalla sua famiglia.

S'intrufolò anche lei nel vicolo ma si accorse, con sgomento, che la sagoma era già quasi arrivata alla fine del vicolo.

Ma come diamine faceva a essere così veloce?!

Conosceva poche persone con una simile velocità...

FERMATI!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola.

Inaspettatamente, la sagoma si fermò, si voltò verso di lei e Bulma rimase sconvolta.

La luce che proveniva dalla fine del vicolo, illuminava completamente il suo volto.

Un volto che lei non poteva dimenticare...

Approfittando della confusione della donna, l'uomo uscì dal vicolo, scomparendo in mezzo alla folla.

BULMA!”

La voce di Tights la riscosse.

La sorella maggiore prese per le spalle Bulma e la portò fuori dal vicolo.

Si può sapere che cos'è successo?! Sembra che tu abbia visto un fantasma!” le chiese Tights e Bulma rispose: “Forse...”

Una cosa del genere non poteva accadere, era assurda!

Quell'uomo aveva il suo stesso sguardo, i suoi occhi... sembrava lui!

Eppure non lo era!

Ma cosa diamine stava succedendo?!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** L'ultima speranza ***


CAPITOLO 10: L'ULTIMA SPERANZA


Bulma parcheggiò la macchina nel vialetto di casa, seguita a ruota da Trunks.

Eccovi.” li salutò Vegeta, uscendo dalla casa.

Una volta vicino a Bulma le domandò: “Allora?”

Bulma stava per rispondere quando una testolina azzurra fece capolino dalla porta e una piccola vocina esclamò: “Fratellone, sei tornato!”

Bra prese Trunks per una mano e, mentre lo trascinava in casa, raccontò: “All'asilo abbiamo disegnato i gatti. Vieni a vedere quelli che ho fatto sulla lavagna.”

Quando i figli furono entrati in casa, Vegeta guardò Bulma e lei confessò tutto, scoppiando a piangere, disperata: “Il fegato di Trunks sta peggiorando sempre di più! Ormai gli restano solo poche settimane e potrebbe anche morire prima a causa di un attacco! I dottori stanno cercando da tutte le parti un fegato compatibile ma è tutto inutile! Il mio povero bambino...”

Vegeta le prese dolcemente la testa e la fece appoggiare sulla spalla.

Quella situazione faceva star male entrambi.

Trunks era sempre stato un bambino vivace e disubbidiente ma sapeva anche essere dolce e gentile... Vegeta aveva l'impressione che se suo padre non se ne fosse andato, rovinandogli la vita, sarebbe diventato proprio come il figlio...

Vegeta aveva sempre voluto bene a Trunks ma era troppo orgoglioso per dedicargli attenzioni.

Eppure, era certo che Trunks capisse perfettamente lo strano affetto del padre e che a lui andasse bene così.

La sua famiglia non aveva bisogno delle parole per dimostrare che si volevano bene...

Adesso, però, era arrivata la malattia a distruggere quella piccola ma serena e unita famiglia.

Se Vegeta avesse potuto, avrebbe sconfitto quella malattia, l'avrebbe spedita ai miserabili del mondo, come suo padre, in modo che provassero sulla propria pelle il dolore e la paura della morte, quelle canaglie meritavano questo e altro!

Ma, purtroppo, Vegeta era solo un essere umano.

E come tale non poteva fare niente se non sperare in bene...


Non poteva credere a quello che stava per fare!

Stava impazzendo!

Non poteva tornare dopo quello che era successo!

Signorina, non vuole togliersi quella giacca? Fa' molto caldo qui...” le domandò, gentilmente, una signora del personale di servizio e lei, imbarazzata, rispose: “No, no. Non si preoccupi. E' tutto a posto.”

La donna la fissò un attimo, poi si diresse ad aiutare gli altri passeggeri.

La giovane sospirò.

Era così imbarazzante andare in giro sapendo benissimo che tutti le lanciavano, a causa della sua situazione, occhiate divertite e di scherno.

Tanto, la povera stupida era lei...

Che idioti!

Come potevano pensare che era lei la stupida?!

Lei, almeno, aveva avuto il coraggio di rischiare.

Sacrificando la cosa che aveva di più caro...

La ragazza si mise i suoi auricolari negli orecchi, in attesa della partenza, e mentre ascoltava la musica si abbracciò.

Non poteva tornare, non doveva, però... non poteva nemmeno infischiarsene di quello che gli stava accadendo.

Allora era vero che per amore si fanno un mucchio di stupidaggini...


DLIN DLON

Mentre aspettava che qualcuno gli aprisse la porta, Goten si alimentò la mano congelate.

Faceva freddo quel pomeriggio e, come se non bastasse, aveva persino cominciato a nevicare.

Finalmente, la porta si aprì e comparve la figura di Bulma.

Appena lo vide, ridacchiò: “Goten, ma cosa ci fai con quei fiori? Bra non è un po' troppo piccola per essere corteggiata?”

Goten, rosso per l'imbarazzo, tentò di spiegare: “Q-questi fiori sono per Trunks e non per Bra...” “Tranquillo, l'avevo capito. Considerati fortunato se sono stata io ad aprire e non Vegeta. Se ti avesse visto con essi, avremmo dovuto portarli sulla tua tomba.” lo avvisò Bulma mentre lo lasciava passare.

Il ragazzo, che conosceva quella casa da quando aveva sette anni, si diresse senza troppi problemi verso la camera dell'amico.

I loro genitori erano amici da sempre, il padre di Goten era infatti Goku, il migliore amico di Bulma, e, perciò, non era stato troppo difficile conoscersi e frequentarsi.

Inoltre, entrambi avevano sviluppato un amore per le arti marziali, ereditato dai padri, e magari per Goten anche dalla madre, visto che prima di sposarsi con Goku, Chichi, la moglie di Goku e madre di Goten, era un'esperta di arti marziali ma aveva le aveva lasciate quando si era sposata.

Trunks e Goten, una volta diventati molto abili ed esperti, si erano pure sfidati.

Era stata una battaglia molto dura ma, alla fine, Trunks aveva sconfitto Goten.

Purtroppo, col passare del tempo, Trunks e Goten avevano abbandonato le arti marziali per dedicarsi ad altri interessi, Trunks le macchine e Goten le ragazze.

Goten aprì la porta della stanza e fu contento di vedere l'amico al suo interno, sdraiato sul letto con gli auricolari nelle orecchie.

Aveva gli occhi chiusi e Goten gli vide delle lacrime agli occhi.

Stava pensando a Mai, ci avrebbe scommesso la testa.

Ehi...” lo chiamò Goten, toccandogli la spalla.

Trunks trasalì, si alzò a sedere sul letto e, vedendolo, si sbrigò a togliersi le lacrime dagli occhi e a chiedergli: “Goten?! Ma... sei in anticipo di un'ora!” “Ho pensato di venire prima... e a quanto vedo ho fatto bene...”

Trunks si spostò un po' sul letto per permettere a Goten di sedersi di fianco a lui.

A cosa pensavi?” gli domandò Goten e Trunks sospirò: “Alla mia vita...” “Che intendi?” “Fino a qualche mese fa, credevo di aver ricevuto tutto dalla mia vita. Avevo una bella ragazza, degli amici, una famiglia unita e una vita perfetta. Poi, Mai mi ha lasciato e ho scoperto di avere una grave malattia al fegato.” “Però hai ancora la tua famiglia e gli amici.” “Sì, però... non so come spiegarlo ma... mi sento impotente.” “Capita a tutti di sentirsi così quando ci si trova in queste situazioni...”

Trunks stette zitto un attimo, poi domandò: “Goten... secondo te, l'immortalità è una cosa bella o brutta?” “Perché fai queste domande?” “Me lo sono sempre chiesto... secondo te, qual'è la risposta?” “Secondo me è un bene che non esista. L'immortalità è solo una grossa fregatura. Che senso ha vivere per sempre? Vedere gli altri che cambiano e tu no, farebbe impazzire.” “Tutta hanno sempre cercato di raggiungerla...” “Perché hanno paura della morte. Si tende sempre a temere ciò che non si conosce e questo porta l'uomo a fare un mucchio di stupidaggini.” “Questa vena filosofica non me la sarei mai aspettata da te...” “Allora si vede che non mi conosci affatto!” “Non te la prendere, credevo che tu ragionassi solo con lo stomaco...” “Questo perché lo stomaco è un secondo cervello, sai?”

I due scoppiarono a ridere, divertiti.

Dopodiché, Goten passò al compagno il suo piccolo mazzo di fiori rossi: “Si chiamano Stella di Natale. Significa augurio sincero.”

Trunks li guardò e poi sussurrò: “L'unica cosa che vorrei che mi si augurasse di trovare un fegato...” “Vedrai che lo troveremo amico...” “Come fai a essere così sereno?! Sto peggiorando, Goten! Ormai non mi restano che poche settimane! Non siamo nelle favole! Non troveremo mai quel fegato e io morirò!” e dopo aver detto ciò, scoppiò a piangere, sussurrando: “Non voglio morire... non voglio...”

Goten, capendo lo stato d'animo dell'amico, lo abbracciò e lo lasciò sfogare.

Quella situazione era tremenda.

Il pensiero che presto sarebbe morto abbandonando i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi amici e la sua sorellina doveva farlo impazzire.

Vedrai che ce la faremo, Trunks.” lo consolò Goten “Poche settimane sono comunque parecchie lunghe. Potrebbe succedere qualcosa... ma se ti arrendi di già non ce la farai mai. Devi combattere, amico. Per la tua famiglia.”

Trunks sorrise, fiducioso.

Aveva proprio un amico speciale...

Goten, vedendolo di nuovo felice, si alzò dal letto e dichiarò: “Su, andiamo in cucina. Tua madre sta preparando la merenda e io non la voglio certo saltarla.”

Goten stava per aprire la porta quando, ad un tratto, sentì un tonfo alle sue spalle.

Si voltò e vide Trunks che era svenuto.

TRUNKS! TRUNKS!” urlò, disperato, mentre correva a soccorrerlo.


Echalotte si svegliò di soprassalto.

Le era sembrato che qualcuno le stesse accarezzando il ventre...

La donna si guardò da tutte le parti ma non vide nessuno.

Aveva fatto il solito sogno.

Non c'era altra spiegazione.

La donna prese la sveglia sul comodino e lesse l'ora.

Le otto e mezza.

Si sdraiò sul letto.

Avrebbe potuto dimenticarsi tutto... ma non quel gesto.

Quel gesto così intimo e segreto... quel suo gesto...

Suo marito era sempre stato un uomo solitario, a cui importavano poco i legami.

Durante la sua prima gravidanza, era lei quella che faceva i controlli e che comprava le cose che sarebbero servite per il bambino.

Suo marito si limitava a seguirla scocciato oppure si rintanava in casa per leggere il giornale.

Il giorno in cui gli aveva annunciato che avrebbero avuto un maschio, suo marito aveva fatto le spallucce e aveva continuato a leggere il giornale.

Si era ritirata in camera e, una volta sola, aveva cominciato a piangere disperata.

Evidentemente, a suo marito non importava niente del bambino... se fosse morto non avrebbe fatto una piega...

Era così triste che quella notte non era riuscita a dormire.

Fu così che scoprì il lato nascosto di suo marito.

Quando il pendolo della casa aveva fatto dodici rintocchi per indicare la mezzanotte, suo marito aveva cominciato a toccarla con un dito.

Echalotte avrebbe potuto chiedergli che cavolo volesse a quell'ora di notte ma rimase zitta, in quanto aveva intuito che, in realtà, voleva solo accertarsi che dormisse.

Quando suo marito si era convinto che era addormentata, si era avvicinato a lei e con una mano aveva cominciato ad accarezzarle il ventre gonfio.

Echalotte per poco non aveva trasalito.

Suo marito la stava accarezzando... stava accarezzando lei e il bambino... quindi gli voleva bene...

La sua gioia aveva raggiunto l'apice quando l'aveva sentito avvicinarsi al ventre e sussurrare: “Quindi sei un maschio...”

Stava parlando al bambino.

E pensare che, di giorno, non gli parlava mai, nonostante lei avesse provato a convincerlo.

Diceva sempre che era da idioti parlare con qualcuno che non poteva sentirti.

Suo marito si vergognava troppo per mostrare il suo affetto davanti a tutti e, perciò, preferiva mostrarlo di notte, quando tutti dormivano e nessuno lo vedeva.

Fino al termine della gravidanza, aveva continuato ad accarezzarle il ventre quando la credeva addormentata.

Quel gesto le aveva fatto capire che anche suo marito possedeva un cuore... nascosto dietro un muro d'orgoglio.

In seguito, durante la seconda gravidanza, che lei aveva affrontato completamente da sola, le era sembrato, a volte, di sentire qualcuno che le accarezzava il ventre proprio come lui.

La notte in cui aveva scoperto che il suo secondo figlio sarebbe stato un altro maschio, non solo le era sembrato di sentire le carezze al ventre ma di sentire anche la frase del marito: “Quindi sei un maschio...”

Istintivamente, aveva afferrato la mano che la stava accarezzando, tenendola sul ventre mentre le lacrime bagnavano il cuscino.

Il mattino dopo, quando si era svegliata, non aveva trovato nessuno.

Prima di andare a svegliare Vegeta, era scoppiata a piangere, capendo che suo marito non era mai tornato e che era stato solo un sogno...

DRRIIINNN

Echalotte si alzò dal letto e prese la cornetta: “Pronto?” “Mamma, sono io.” “Vegeta, cosa succede?” “Trunks ha avuto un attacco...” “Misericordia! E' ancora vivo, vero?!” “Sì... ma lo sarà ancora per poco! Il medico ha detto che le sue condizioni sono gravi e che probabilmente non ce la farà...” “Ti raggiungo all'ospedale.” lo assicurò la madre ma, prima di chiudere la telefonata, gli sussurrò quella frase che gli diceva sempre, quand'era bambino, per fargli coraggio: “Non temere, cucciolo, andrà tutto bene.”


Goten era seduto nella sala d'aspetto bianca, in attesa di ricevere notizie.

Era l'unico membro non appartenente alla famiglia di Trunks a trovarsi lì ma, forse, andava bene così.

In fondo, per Trunks era il fratello che non aveva mai avuto...

Prima di partire per l'ospedale, aveva avvisato i genitori che l'avevano assicurato che l'avrebbero raggiunto subito.

Dopodiché era salito in macchina assieme a Vegeta, Bulma e Bra erano salite sull'ambulanza per restare accanto a Trunks, e si erano diretti all'ospedale.

Goten si diede un'occhiata intorno, a parte loro quattro, c'era solo un'altra coppia.

Da quello che aveva capito dai discorsi fatti dal medico, avevano un'unica figlia che, proprio in quel momento, stava facendo un trapianto di cuore.

La ragazza era stata fortunata, dato che erano riusciti a trovarle un cuore compatibile, ma la sua operazione era la più rischiosa di tutte e se si fosse sbagliato qualcosa sarebbe morta.

Goten si alzò e disse: “Vado un attimo in bagno...”

In realtà, il bagno era solo una scusa per muoversi.

Era troppo nervoso per stare fermo...

Passò di fianco a un'infermiera che stava dicendo a un paziente su una sedia a rotelle: “Non so davvero come ringraziarla per aver donato una parte del suo fegato... se non l'avesse fatto quel paziente sarebbe morto.”

Goten si bloccò di colpo.

L'infermiera aveva appena ringraziato un paziente vivo per aver donato una parte del suo fegato!

Ma allora...

Mi scusi, signorina!” la chiamò Goten, raggiungendola.

La donna, con un sorriso gentile, gli domandò: “Sì? Mi dica.” “Scusi se m'intrometto... ma il signore aveva donato una parte del suo fegato?” “Certo, giovanotto. L'ho donato due giorni fa.” “Ma... allora si possono donare organi vitali anche se si è vivi?!” “Certo, ma si possono fare solo per trapianti di reni o fegato. Per gli altri trapianti non è possibile.”

Goten si mangiucchiò l'unghia del pollice, come faceva sempre quand'era nervoso.

Era un azzardo, ma se era l'unico modo per salvare Trunks doveva tentare!

C'è un mio caro amico che ha un problema al fegato... ed è in condizioni critiche! Vorrei... vorrei che venisse analizzato il mio fegato per vedere se è compatibile!” dichiarò, con coraggio, il ragazzo.

L'infermiera gli disse: “A-aspetti un attimo! Porto il paziente in camera sua e poi l'accompagno dal medico.” “Non si preoccupi, so dov'è la mia stanza.” “E' sicuro di farcela?” “Certo. Lei accompagni il ragazzo a farsi analizzare il fegato. E' in gioco la vita del suo amico.” le disse l'uomo e, prima di allontanarsi, sorrise a Goten, come per dargli un piccolo incoraggiamento.

Venga con me.” gli disse l'infermiera, una volta che furono soli, e il giovane seguì la giovane donna nel lungo corridoio dell'ospedale.


Doveva ammetterlo, era proprio il clima peggiore per mettersi a viaggiare in macchina!

Echalotte faceva molta fatica a vederci qualcosa con tutta quella neve che stava scendendo e, per di più, il sole era tramontato da un pezzo.

Un momento proprio pessimo per viaggiare, ma suo nipote era in condizioni critiche all'ospedale...

Proprio in quel momento, si accorse di una figura che correva in mezzo alla strada.

Frenò di scatto e, fortunatamente, riuscì a non investirla.

Echalotte uscì dalla macchina di corsa e domandò: “Tutto ok?”

Si accorse che la persona che aveva quasi investito era inginocchiata per terra, che dava le spalle alla macchina, con le braccia strette attorno a sé.

La figura indossava una lunga e larga giacca invernale e il viso era nascosto dal cappuccio.

La figura, capendo di non essere stata investita, si rialzò e ringraziò: “Mi scusi, ero distratta.”

Echalotte capì che doveva trattarsi di una giovane donna e la cosa la insospettì molto.

Era troppo strano che una giovane donna se ne andasse in giro di notte e, per di più, sotto una tremenda tempesta di neve, senza temere i malintenzionati.

Pertanto, si avvicinò a lei e le domandò: “Dove stai andando?” “A... a trovare un amico... abita qui nei dintorni.” “Potresti andarci domani. Sai che è una pessima idea andare in giro di notte?” “Sì, ma... è una cosa un po' urgente...” “Senti un po', se speri di infinocchiarmi, hai sbagliato persona. O mi dici subito cosa stai facendo in giro a quest'ora o non ti lascio andare.”

La ragazza, sospirò, capendo che non poteva far altro che arrendersi: “Sto cercando la casa di un mio amico, Trunks Brief. Ho saputo che ha una grave malattia al fegato e volevo sapere delle sue condizioni.”

Echalotte alzò un sopracciglio.

Quindi era un'amica di Trunks... però era assurdo che si stesse accertando delle sue condizioni adesso quando si era scoperta la malattia del nipote qualche settimana prima.

Ha avuto un attacco qualche ora fa e l'hanno portato all'ospedale. Lo so perché è mio nipote.” le raccontò e la giovane parve sconvolta.

Echalotte si avvicinò e le propose: “Senti, io sto andando all'ospedale e se vuoi puoi venire con me.” “Io non so...” “Se sei tanto preoccupata per lui dovresti raggiungerlo in ospedale, non credi?”

La giovane fece un sospiro e si diresse verso la macchina.


Erano le nove di sera e Gure era sempre più nervosa.

Suo padre era in ritardo di un quarto d'ora.

Non aveva mai tardato così tanto al lavoro e, se lo faceva, avvisava sempre lei e sua madre.

Temeva di ricevere una telefonata in cui una voce metallica le avrebbe detto che suo padre aveva avuto un brutto incidente o qualcosa di simile e non sarebbe mai più tornato.

Sua madre le aveva detto di non preoccuparsi che suo padre sarebbe arrivato presto, anche se era lei stessa molto nervosa e preoccupata.

DLIN DLON

Era il campanello.

Gure aprì la porta e, con suo grande sollievo, vide suo padre, un po' affannato.

Scusate il ritardo, ma il capo mi ha trattenuto per un quarto d'ora e non ho potuto avvertirvi.” si scusò l'uomo e la moglie, una volta che lo ebbe raggiunto, gli domandò: “Come mai il tuo capo ti voleva?”

L'uomo fece una strana faccia poi, dirigendosi verso il divano, disse: “Devo parlarvi di una cosa molto importante...” “Papà, non mi dire che ti hanno licenziato! Non è giusto! Io...” “Rilassati, Gure, non mi hanno licenziato, sta tranquilla. E' una cosa un po' diversa...”

I tre si sedettero sul divano in pelle e l'uomo cominciò: “Sapete che l'impresa presso cui lavoro si è ingrandita e adesso si sono create altre sedi in altre parti del mondo... perciò si è scelto di nominare alcuni membri soddisfacenti rappresentanti di essa...”

Gure rimase in silenzio.

Temeva di sapere cosa sarebbe successo...

Infatti, il padre diede vita ai suoi più tremendi sospetti: “...E io sono uno di loro. Perciò, a Giugno, quando Gure avrà finito l'anno, traslocheremo.”


Il tempo sembrava non passare mai.

Vegeta teneva, come al solito, le braccia incrociate e gli occhi chiusi.

Chiunque l'avesse visto avrebbe pensato che forse calmo e rilassato ma, in realtà, era il contrario.

Non riusciva assolutamente a essere tranquillo sapendo che suo figlio stava compiendo un'operazione molto delicata.

Almeno erano riusciti, all'ultimo momento, a trovare un fegato compatibile.

Chi avrebbe mai immaginato che la salvezza del figlio si trovava a pochi passi da loro, nel corpo del suo migliore amico?!

Lui non aveva mai retto troppo Goten, questo perché era il figlio di quell'idiota che l'aveva tormentato, ma, in quel momento, gli fu grato di essere così amico del figlio.

Non aveva esitato a sacrificare una parte del suo fegato...

Ora, bisognava solo sperare in bene...

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Segreti ***


CAPITOLO 11: SEGRETI


Era passata un'ora da quando era cominciata l'operazione di Trunks.

Tutta la famiglia del ragazzo si trovava in sala d'attesa, per aspettare il responso.

In più, con loro, c'erano altre tre persone: i genitori di Goten, Goku e Chichi, e una misteriosa ragazza con il viso nascosto da un cappuccio che diceva di essere un'amica di Trunks.

Era venuta lì assieme ad Echalotte e nessuno le aveva chiesto di più, dato che erano tutti nervosi per la sorte di Trunks.

Goku, sapendo quando Vegeta era preoccupato per la sorte del figlio, anche se non lo dava a vedere, lo rassicurò: “Vedrai che andrà tutto bene, Vegeta. Almeno si è trovato un fegato compatibile... pensa se non si fosse mai trovato...” “Ti rammento che Trunks è in sala operatoria da ore, ormai.” “Beh, anche mio figlio è in sala operatoria.” “Ma non sta rischiando la vita!” “Adesso basta, Vegeta! Datti una calmata o te ne vai fuori!” lo minacciò Bulma, spazientita.

Quella situazione stava facendo diventare matti tutti e non c'era assolutamente bisogno che quell'irascibile di suo marito peggiorasse ulteriormente la situazione!

La minaccia di Bulma ebbe l'effetto sperato, dato che Vegeta si sedette, sbuffando, sulla sedia.

Ad un tratto, la luce della sala operatoria si spense e un chirurgo uscì dalla porta.

Immediatamente, Bulma si alzò e domandò, preoccupata: “Allora, dottore?! Com'è andato l'intervento?!” “L'operazione si è rivelata più difficile del previsto, il fegato era parecchio danneggiato ma, fortunatamente, il fegato che abbia trapiantato a suo figlio ha sistemato tutto. Suo figlio è salvo, signora.”

Bulma era così felice che non riuscì a trattenere le lacrime mentre suo marito correva a sostenerla per evitarle di svenire.

Tutti i presenti fecero un sospiro di sollievo, per buttar fuori la terribile tensione che avevano avuto per tutto quel tempo.

La piccola Bra si avvicinò lentamente al dottore e domandò, con un filo di voce: “Il mio fratellone può tornare a casa?” “Ma certo, piccola. Fra qualche settimana il tuo fratellone sarà dimesso e potrà tornare a casa.”


Gure era seduta sul letto della sua stanza.

Era triste al pensiero che a Giugno, si sarebbe trasferita in un altro paese.

Il motivo era molto semplice: avrebbe dovuto dire addio al prof Prince, di cui si era follemente innamorata.

Sapeva già come sarebbe andata a finire: era troppo timida per confessare il suo grande amore al prof, senza contare che lui l'avrebbe considerata solo una ragazzina, ma non poteva nemmeno tenersi tutta quella disperazione dentro di sé.

Doveva parlarne con qualcuno ma a chi?!

Non poteva raccontare ai suoi genitori che si era innamorata di un uomo molto più vecchio di lei perché avrebbe fatto venire un gigantesco colpo ad entrambi.

Doveva parlarne con qualcuno che la capiva meglio di chiunque altro... e c'era solo una persona al mondo...

Si alzò dal letto in punta di piedi ed uscì dalla stanza.

Fortunatamente, i suoi erano scesi giù per parlare con il portinaio del loro prossimo trasferimento e ne avrebbero avuto ancora per un po'.

La ragazza aprì la porta del suo appartamento e, dopo aver guardato in tutte le direzioni, uscì da esso e suonò il campanello dell'appartamento davanti al suo.

L'uomo che abitava lì le aprì quasi subito e, per poco, Gure non cacciò un urlo.

Era tremendamente pallido e sembrava avere l'aria distrutta.

Si può sapere che cavolo vuoi, ragazzina?! Sai, vero, che sono le nove e mezza?!” le domandò, adirato, quando la vide.

Almeno il carattere non era cambiato...

Gure sussurrò: “Io... avrei bisogno di sfogarmi... ma posso farlo solo con lei, perché è l'unico che mi capisce.”

Non appena finì di parlare, l'uomo aprì la porta e le fece cenno di entrare.

Gure obbedì e, una volta dentro, si accorse che sul tavolo vi era un foglio di carta e una penna.

Stavo scrivendo a un... amico... comunichiamo così da sempre. Personalmente, preferisco scrivere delle lettere che telefonare. Perché con le lettere puoi dimostrare la tua innocenza...” le spiegò, frettolosamente, l'uomo mentre metteva da parte la lettera e si metteva in tasca una scatola.

Dopodiché, l'uomo la fece sedere e le domandò: “Vuoi un bicchiere d'acqua? Sembri parecchio sconvolta...”

Gure annuì col capo.

Non riusciva nemmeno a parlare...

Dopo che ebbe bevuto, cominciò a sfogarsi: “Io e la mia famiglia ci trasferiamo in un altro paese a Giugno. Io sono troppo piccola per prendere delle mie decisioni e so che farei perdere il lavoro a mio padre, ma... io vorrei restare qui! Se partissi non potrei mai più rivedere l'uomo che amo! So che è una cosa assurda, lui molto probabilmente non mi ama, eppure non voglio perderlo! Se me ne andassi, lui potrebbe fidanzarsi e sposarsi con una donna molto più bella di me! A me starebbe anche bene, tutto ciò che vorrei per lui sarebbe la felicità, e solo che... ho paura che nessuno mi ami. Per tutti io sono solo una ragazzina bruttina e insignificante ma lui... lui mi considerava una ragazza sensibile per la mie capacità. Tutti mi hanno sempre evitata per il mio aspetto fisico ma lui no... io... io ho paura che nessuno mi ami per come sono fatta!”

L'uomo la lasciò sfogarsi, poi le disse: “Le donne solo belle non durano mai a lungo.”

Gure lo guardò, incredula.

Vedendola interessata, continuò: “La bellezza è come un fiore reciso. Prima o poi appassisce, anche se tu gli dai l'acqua. Una donna, per far colpo su un uomo, deve avere cervello, coraggio o bontà. E anche un pizzico di irascibilità.”

Gure si accorse che l'ultima frase l'aveva detta sospirando e che aveva assunto uno sguardo triste.

Ciò nonostante, l'uomo riprese il suo solito sguardo e disse: “Questo è per dirti, ragazzina, che a volte non è necessario essere la più bella del mondo per attirare un uomo. E te ne parlo per esperienza.” “Che intende dire?” “Una volta mi innamorai di una donna. Anche lei mi amava, lo so. Così ci sposammo. Purtroppo, alla fine la lasciai.” “Come mai?” “Perché ebbi paura.”

Gure non riusciva a capire le parole dell'uomo.

Cosa intendeva?

Questo è per dirti, ragazzina, di non avere paura. La paura può fare molto male. Ho lasciato mia moglie per paura... e me ne sono pentito per tutta la vita. Non aver paura di non riuscire ad attirare un uomo perché ci riuscirai di sicuro. E anche in futuro ricordati di non averla. Perché potresti pentirtene per sempre...” l'avvisò mentre giocherellava con la sua scatola.

Gure si sentì sollevata e ringraziò l'uomo: “Grazie mille per le sue parole. Le prometto che cercherò di aver più fiducia in me stessa!”

TUMP

La ragazza aveva appena finito di parlare che sentì qualcosa cadere per terra.

Gure si voltò in direzione del rumore e si accorse che il rumore era dovuto alla scatolina, che era caduta per terra.

Ma la sua attenzione fu attirata da qualcos'altro.

Il suo vicino stava ansimando pesantemente, mentre con la mano destra si aggrappava alla maglia che indossava e con la sinistra era aggrappato al tavolo per impedirsi di cadere per terra.

Si sente bene?! Cosa le prende?!” gli domandò, preoccupata, Gure ma la giovane aveva appena finito di dire quelle parole che l'uomo lasciò la presa sul tavolo e cadde violentemente sul pavimento.


Fu solo quando tutti i familiari di Trunks furono usciti dalla stanza, che la giovane ebbe il coraggio di uscire dal suo nascondiglio e di entrare.

Trunks era steso su un letto, addormentato.

La giovane si avvicinò e lo guardò.

Quanto gli era mancato e quando era stata in pensiero per lui quando aveva ricevuto la notizia...

Avrebbe tanto voluto abbracciarlo o dargli un bacio ma temeva di svegliarlo...

La ragazza fece un sospiro di tristezza e si diresse verso la porta quando, ad un tratto, una mano le afferrò il braccio.

La giovane si voltò e vide Trunks che le aveva afferrato il braccio.

Mai...” sussurrò il ragazzo.

La ragazza sussultò.

L'aveva riconosciuta, ma come aveva fatto?!

Aveva cercato di non svegliarlo e di non essere riconosciuta...

So che sei tu, Mai...” continuò Trunks “Tu... sei tornata da me...” “Io...” balbettò Mai, impacciata “Ho saputo delle tue condizioni e volevo accertarmi che stessi bene... ma ora devo andare...” “No.”

Mai rimase immobile.

Non sapeva più cosa fare...

Ascolta... non voglio costringerti a stare con me... io voglio soltanto capire perché te ne sei andata. Se ti piace un altro, io non mi opporrò alla tua scelta ma voglio solo sapere che cos'è successo e se ti ho fatta soffrire in qualche modo. Perché se ti ho fatto qualcosa di brutto... scusami, non era mia intenzione.” le disse il ragazzo, guardandola negli occhi.

Mai abbassò lo sguardo e sussurrò: “Trunks... io non amo nessun altro e non mi hai mai fatta soffrire, anzi, mi hai dato una cosa bellissima che al solo pensiero mi fa emozionare... io... me ne sono andata perché non volevo rovinarti la vita.” “Cosa intendi? Ti prego, basta con i segreti, Mai.” la pregò Trunks.

Mai lo guardò e disse: “Vuoi sul serio conoscere la verità?” “Sì.” “Potresti pentirtene per sempre e io non lo vorrei...” “Io sono pronto. Ma dimmi... è una cosa che mi riguarda?” “Sì... è una cosa che ti riguarda allo stesso modo di come riguarda me...” l'avvisò la giovane mentre si toglieva la giacca invernale che fece cadere in un leggero tonfo sul pavimento.

Trunks rimase stupefatto da ciò che vide.

Il ventre di Mai era leggermente rigonfio.

La giovane, imbarazzata, spiegò: “Mi sono dimenticata di prendere la pillola quando l'abbiamo fatto... all'inizio non ho capito quello che mi stava accadendo, dato che avevo solo dei mal di testa... ma, poi, sono cominciate le nausee e il ciclo non mi veniva. Ho capito tutto quando ho visto la scatola ancora chiusa nella sua confezione e quando sono andata in ospedale ne ho avuto la certezza...” “Perché non mi hai detto niente?” “Mi vergognavo troppo a dirti che ero rimasta incinta perché avevo dimenticato la pillola. E poi... avevo troppo paura che tu mi abbandonassi!” confessò Mai, scoppiando a piangere.

Trunks l'avvicinò a sé e l'abbracciò, sussurrandole nell'orecchio: “Ti avevo detto che non ti avrei mai abbandonata, qualunque cosa fosse successa, piccola.”

Mai lo guardò nei suoi grandi occhi blu.

Trunks, tu... mi perdoni?! Dopo tutto quello che ti ho fatto mi perdoni?” “Certo, Mai. Io ti amo e qualunque cosa tu faccia ti amerò lo stesso.” “Ma tu... ti senti pronto a prenderti cura di un bambino? Pensi che lo amerai? Dimmi la verità.” “Mai... io lo amo già il nostro bambino. Lo amo nello stesso modo in cui lo ami tu, visto che, in tutto questo tempo non hai abortito.” “Sì... in tutto questo tempo... mi sono presa cura del piccolo. Ho studiato mille libri per prendermi cura al meglio di lui... di mio figlio... e dell'uomo che ho sempre amato...”

Mai si strinse al petto di Trunks, mentre le lacrime continuavano a scendere senza sosta, e sussurrò: “Mi dispiace, mi dispiace... che stupida che sono stata ad andarmene!”

Trunks l'avvolse in un caldo e morbido abbraccio mentre il suo naso sentiva il profumo di fragola della ragazza, un profumo che avrebbe riconosciuto dappertutto.


Echalotte si staccò dalla parete e si diresse verso le scale.

Le cose tra suo nipote e la sua fidanzata si erano sistemate in meglio.

Aveva capito subito che quella ragazza era incinta.

Quando una donna si mette di schiena prima di venire investita, è evidente che lo fa per impedire che succeda qualcosa al piccolo che porta dentro di sé.

Dopotutto, lei era rimasta incinta due volte e riconosceva subito una donna in dolce attesa quando la vedeva.

Per Trunks sarebbe stato molto imbarazzante raccontare alla sua famiglia cos'era successo ma ce l'avrebbe fatta.

Passò davanti alla zona parto e quando sentì uno strillo di bambino, sussultò.

Non tanto per la paura ma per il ricordo che quel grido aveva rievocato...


Ecco il bambino, signora.” dichiarò un'ostetrica mentre le passava un piccolo fagotto bianco.

Echalotte lo strinse al petto.

Il suo primo figlio...

Lo guardò e rimase a bocca aperta

Ehi, Vegeta, vieni a vedere.” esclamò Echalotte, facendo cenno al marito di avvicinarsi.

Lui la raggiunse, sbuffando come al solito: “Cosa c'è?” “Guarda come ti assomiglia.” disse la donna mostrando al marito il piccolo.

Nel vederlo, anche Vegeta aveva fatto una faccia stupita.

E' incredibile! Ha i tuoi stessi capelli e la tua stessa espressione!” aveva esclamato Echalotte mentre Vegeta aveva, come al solito, puntualizzato: “Guarda che i suoi capelli sono neri come i tuoi mentre io li ho castani.” “Lascia perdere! Sono senza parole. Sarà come prendersi cura di un piccolo te.” “Ci mancherebbe solo questa...”

Nel frattempo, il bambino aveva cominciato a tastare, con le piccole manine, il volto della madre.

Buono, come sei vivace...” aveva ridacchiato Echalotte, allontanandolo, per poi chiedere: “Gli altri stanno arrivando?” “Certo, ho appena sentito Bardack e...” “UUUUUAAAAAHHHHH!!!!!!”

Il bambino aveva cominciato a urlare a pieni polmoni, facendo tappare le orecchie ai due coniugi.

Buono, buono. Non piangere...” lo cullò Echalotte sperando di calmarlo mentre Vegeta le domandava: “Ma che gli piglia?!” “Non ne ho idea...”

In quel momento, una giovane infermiera entrò di corsa nella stanza, chiedendo: “E' successo qualcosa?” “Mio figlio si è messo a piangere a squarciagola.” “Non si preoccupi, i bambini fanno sempre così... vado a chiamare il dottor Kakaroth...” “UUUUUUUUUAAAAAAAAAAHHHHHH!!!!!!!!”

Sentendo quegli strilli sempre più acuti e forti, la povera infermiera scappò via a gambe levate.

Fa' qualcosa!” ordinò Echalotte al marito e Vegeta rispose: “E cosa?” “Non ne ho idea. Sei suo padre, Vegeta!”

Aveva appena finito di parlare che il bambino, di colpo, si calmò.

Marito e moglie si guardarono negli occhi, stupiti.

Ma cos'era successo?

Hai idea del perché si è calmato?” “No.” “Neanch'io, Vegeta.” “Gh...” fece il bambino.

Echalotte lo guardò e disse: “Vegeta.” “Gh gh gh.” fece di nuovo il piccolo.

Ho capito!” esclamò la donna e Vegeta le chiese: “Cosa?” “Ha scelto il suo nome. Strillava quando sentiva un nome che non gli piaceva e temeva che fosse il suo. Credo che il nome Vegeta gli piaccia e, perciò, lo voglia.” “Ma è il mio nome! Oltre all'aspetto devo condividere con mio figlio il nome?!” “Mi sa di sì...” “Se lo può scordare, il moccioso se ne dovrà scegliere un altro...” “UUUUUAAAAHHH!!!”

Il piccolo aveva appena cominciato a piangere che sua madre esclamò: “Buono, Vegeta.” e subito si calmò.

Visto, zuccone? Solo il tuo nome lo fa' star buono!” lo avvisò Echalotte e Vegeta commentò: “Vorrei proprio sapere cos'ha contro i nomi Kakaroth e...” “UUUUUUUAAAAAAAAHHHHHH!!!!!” strillò di nuovo il piccolo.

Tra tutti i nomi, Kakaroth era quello che odiava di più.

D'accordo, Vegeta sarà il tuo nome!” sbuffò l'uomo mentre il piccolo Vegeta smetteva all'istante di urlare.


Echalotte sorrise al ricordo di come lei e il marito avevano scelto il nome del loro primogenito.

Ovviamente, ciò era un segreto custodito solo da lei.

Vegeta non avrebbe sopportato la scoperta che era stato lui a scegliere il suo nome.

Suo figlio non riusciva proprio a sopportare che dall'essere che tanto odiava doveva condividere l'aspetto e il nome.

Era meglio che non sapesse niente...

Echalotte sospirò.

Non sarebbe mai riuscita a spezzare il filo che la legava a suo marito.

Fin dall'inizio, erano destinati a stare insieme.

Nonostante le litigate e le sfide, si amavano.

Poi, le cose, per qualche oscuro motivo, erano precipitate e lui se n'era andato.

Ripensò a suo nipote e alla sua fidanzata.

Loro due, alla fine, erano riusciti a ritrovarsi e a rimettersi insieme mentre lei e suo marito non si sarebbero mai ritrovati e non si sarebbero mai rimessi insieme...

Prese dalla borsa il cellulare e scrisse velocemente un sms al figlio, che in quel momento stava mangiando qualcosa al bar dell'ospedale per festeggiare la salvezza di Trunks, dicendogli che tornava a casa.

Una volta inviato, la donna aprì il portone e uscì dall'ospedale mentre nevicava fitto fitto.

Dopo qualche metro, venne superata da un'ambulanza che entrava a tutta velocità.

Mentre la donna si allontanava, l'ambulanza si fermò davanti al portone, cercando di non scivolare sul ghiaccio che si stava formando a causa della neve, e dei paramedici fecero uscire una barella su cui c'era un uomo che respirava affannosamente ed essi entrarono velocemente dentro l'ospedale, seguiti da una ragazzina incredibilmente bassa.


D'accordo, Bulma. Glielo chiederò.” “Grazie, Goku. Mi raccomando, non dire niente a Vegeta.” “Fidati di me.”

Bulma alzò un sopracciglio.

Goku, tra tutti i suoi amici, era, di sicuro, l'ultima persona a cui avrebbe potuto parlare di una cosa di cui nessuno doveva saperne niente.

Non riusciva a tenere un segreto nemmeno se gli tappava la bocca con lo scotch!

Purtroppo, era l'unico a cui poteva chiedere una cosa del genere.

Però non riesco a capire perché vuoi proprio una foto...” “ZITTO PER CARITA'!” lo zittì Bulma, guardandosi in giro.

Per fortuna, Vegeta stava chiacchierando con Tarble.

Se Vegeta avesse saputo cosa stava per fare...

Vedi di non farti scappare niente con Vegeta, intesi?! Lo sai com'è suscettibile...” “Lo so, voglio solo capire perché vuoi averla.” “Perché... sono curiosa di sapere com'era fatto...” “Sì, ma... come mai t'interessa proprio adesso? Tu e Vegeta siete sposati da quasi vent'anni...” “Goku, ti prego. Un giorno ti spiegherò ogni cosa... ma non adesso! Per ora, trovami quello che ti ho chiesto.”

Goku si limitò a sorriderle.

Non preoccuparti. Ti aiuterò.” l'assicurò l'amico prima di raggiungere la moglie.

Bulma rimase un attimo da sola nel corridoio.

Da quando aveva incontrato quell'uomo nel vicolo vicino al commissariato, quel volto così somigliante al suo... l'aveva sconvolta e aveva deciso di andare a fondo alla cosa.

Quell'uomo poteva solo una persona ma doveva averne la certezza.

Se i suoi sospetti si fossero rivelati, come avrebbe fatto a dirlo a Vegeta?!

E, poi, perché stava spiando lei, sua figlia e sua sorella?!

Sperava solo che non avesse cattive intenzioni...

Raggiunse la sua famiglia e, dopo aver pagato il conto, si diresse verso l'ascensore.

Mamma è tornata a casa.” annunciò Vegeta, guardando il cellulare.

Bulma stava per cliccare il pulsante del piano terra quando sentì, qualcosa sfiorarle la gamba.

Abbassò lo sguardo e vide Bra guardare, con aria sconvolta, fuori dall'ascensore.

Che succede, Bra?” le domandò Bulma prima che la figlia corresse fuori dall'ascensore, dirigendosi verso un corridoio.

BRAAA!!!!” le urlò la madre mentre anche lei, Vegeta e Tarble uscivano dall'ascensore.

Ma cosa le prende?!” sbuffò Vegeta mentre correva all'inseguimento della figlia fuggitiva.

I tre la videro ferma a parlare con un'infermiera.

Sembrava proprio sul punto di piangere...

Bra!” La chiamò suo padre, avvicinandosi, per poi sgridarla: “Non lo fare mai più, signorina! Hai idea della paura che ho avuto?!” “Scusa, papà... ma il signor Lupo Cattivo...” “Ma di quale signor Lupo Cattivo stai parlando?!” “Ehm...” fece una voce femminile dietro alla bambina.

Vegeta alzò lo sguardo e fissò il volto dell'infermiera, la quale disse: “Credo che vostra figlia si stia riferendo all'uomo che l'ambulanza ha appena portato...” “Cos'è successo a quell'uomo? Ha avuto un incidente?” “A dire la verità... si tratta di un problema ai reni...” “Ai reni?”

La donna si avvicinò a Vegeta e, a bassa voce, gli rivelò: “Pare che ne soffra da moltissimi anni... i medici dicono che solo un trapianto potrebbe salvarlo... ma non si riesce a trovare da nessuna parte un rene compatibile... stanotte, mentre era a casa sua assieme a una vicina, le sue condizioni sono peggiorate all'improvviso...”

Bra, col volto scuro, sussurrò: “L'ho visto sull'ascensore su una barella che respirava a fatica... la prego, mi dica, sopravvivrà?”

L'infermiera abbassò lo sguardo, come se non sapesse che cosa rispondere.

La prego, risponda a mia figlia!” la pregò Vegeta e la donna sussurrò: “E' così grave che i medici dubitano persino che riesca a passare la notte.”

Per Bra fu come se un fulmine avesse squarciato tutto.

La piccola rimase perfettamente immobile mentre Bulma, intuendo il suo stato d'animo, l'abbracciava, sussurrandole: “Cucciola...”

La piccola si strinse forte a lei e, scoppiando a piangere, disse: “Allora era questo che intendeva quando diceva che presto sarebbe morto... cosa farò senza di lui, mamma?! Anche se era parecchio burbero, mi voleva bene! Si è sempre preso cura di me... mi ha insegnato un sacco di cose... era il mio migliore amico! Volevo tanto aiutarlo perché era così triste e solo... e, invece, non potrò mai aiutarlo!”

Vegeta osservò, in silenzio, la disperazione della figlia e, poi, si voltò verso l'infermiera e, senza mezzi termini, le ordinò: “Analizzi i miei reni.”

Tutti, persino Bra, lo fissarono esterrefatti.

L'infermiera non sapeva che cosa rispondere.

N-ne è veramente sicuro, signore?” gli domandò la donna e Vegeta annuì: “Sì, voglio che i miei reni siano analizzati e se risultassero compatibili voglio donarne uno a quell'uomo. Voglio salvare il migliore amico di mia figlia.”

L'ultima frase l'aveva detta guardando Bra.

La bambina gli sorrise e lo ringraziò: “Grazie, papà.”

La donna fece cenno a Vegeta di seguirlo e gli disse: “Venga con me. La porto dal medico...”


Se volete, in attesa della risposta, potete sedervi nella sala d'aspetto in fondo all'aula.” li avvisò un'altra infermiera.

Tarble seguì la cognata e la nipote.

Era orgoglioso del suo fratellone.

Tutti lo consideravano un eremita parecchio irascibile ma lui sapeva che il suo fratellone aveva un lato nascosto, un lato che solo pochi conoscevano e che lui aveva appena mostrato...

Fin da piccolo, il suo più grande sogno era quello di rendere orgoglioso il suo fratellone.

Perciò, quando quella banda di bulli lo aveva malmenato in prima media, lui aveva preso tutti quei calci e quei pugni senza piangere o strillare perché Vegeta non sarebbe stato contento se si fosse comportato così.

Eh? Ma tu sei...”

La voce di sua cognata lo riportò nel mondo dei vivi.

Incuriosito, Tarble si avvicinò e riconobbe immediatamente la ragazzina di quindici anni con cui stava parlando Bulma.

Gure?” “Professor Prince!”

Tra i due cadde un silenzio imbarazzante, finché Bulma non lo interruppe dicendo: “Scusa, Tarble, ma tu la conosci?” “Certo, si chiama Gure ed è una mia studentessa. Tu come la conosci?” “Ti ricordi di quando Bra è scappata sotto quel tremendo temporale? Il giorno dopo a quella tempesta, questa ragazza ritrovò mia figlia nel capanno abbandonato del suo palazzo e, assieme ai suoi genitori, la portò al commissariato, dove mezz'ora dopo arrivai io.”

Nel frattempo, Gure guardava, incredula, la scena.

Aveva riconosciuto immediatamente la donna e la bambina... non era possibile...

Sarà meglio fare le presentazioni: Bulma, questa è Gure, una mia studentessa. Gure queste sono mia cognata Bulma e mia nipote Bra.” le presentò Tarble e la ragazzina, sorridendo, si alzò in piedi e le salutò, sorridendo: “Buongiorno, signora. Come sta? Lieta di conoscerla.” “Piacere. Come mai ti trovi in ospedale?” “E' per il mio vicino di casa...” “Vicino di casa?” “Sì. Ha un problema ai reni e mentre ero con lui è stato male. Ho deciso di seguirlo in ospedale perché volevo che qualcuno gli stesse accanto durante l'operazione...” “In che senso?” “Il mio vicino è praticamente solo al mondo. Nessuno viene mai trovarlo e nessuno, nel palazzo in cui abito, sa niente di lui.” “Ma avrà una famiglia! Non può essere così solo...” “So soltanto che era sposato in passato ma temo che dopo la separazione lui e sua moglie non si siano più visti o sentiti.”

Bulma era esterrefatta.

Non riusciva a credere che una persona potesse essere così sola...

Però... c'è una persona a cui è molto legato...” continuò Gure e Bulma domandò: “Chi?” “Vostra figlia, signora.”

Bulma fece una faccia stupita e guardò la figlia e la ragazza.

Ma allora...” fece Bulma, prima che Bra l'interrompesse: “Il signor Lupo Cattivo mi vuole bene!” “Sì... è molto legato a te e se ti succedesse qualcosa sarebbe molto triste.” ammise la giovane.

In quel momento, giunse l'infermiera con cui Tarble, Bulma e Bra avevano parlato poco prima.

Allora, signorina?” le domandò, preoccupata, Bulma e la donna le rispose, con un grande sorriso sulle labbra: “E'... è un miracolo! I reni di suo marito sono compatibili con quelli del paziente! Possiamo tentare un trapianto!”

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Vieni con me ***


CAPITOLO 12: VIENI CON ME


L'operazione stava per avere inizio e le quattro persone presenti era tutte molto agitate.

La bambina di tre anni dai lunghi capelli turchini era quella più nervosa.

Continuava a guardare di qua e di là e a mangiucchiarsi le pellicine vicino alle dita, come faceva sempre quand'era nervosa.

La madre, una donna con i capelli corti dello stesso colore della figlia, le disse: “Bra, se continui a massacrarti le dite non le avrai più.”

La bimba smise all'istante di mangiucchiarsele.

Ascolta, Bra. Io non so se il tuo amico ce la farà ma sappi che ti vorrà sempre bene. Dovunque sarà.” le raccontò Bulma e Bra le chiese: “Pensi che papà continuerà a volermi bene?” “Ma certo, tesoro. Perché pensi una cosa così?” “Perché per colpa mia ha rinunciato a un rene. Se papà mi odiasse... non credo che lo sopporterei...” “Bra... papà non potrà mai odiarti. Ha rinunciato a un rene per poter salvare il tuo amico e farti felice. Sta' tranquilla, stellina. Qualunque cosa accada, lui non potrebbe mai odiarti.”

Anche gli altri due presenti erano molto tesi, ma per motivi completamente diversi.

Entrambi, infatti, erano molto nervosi per il fatto di trovarsi vicino alla persona che amavano profondamente senza nemmeno poter confessare il loro sentimento.

Fu Bulma a interrompere quell'imbarazzante silenzio che si era creato: “Ma i tuoi genitori dove sono?” “A casa mia. Prima di partire, gli ho chiesto se potevo andare da sola e loro hanno acconsentito. Quando l'operazione sarà finita, li chiamerò e loro verranno a prendermi.” raccontò la ragazza.

Una volta che Gure ebbe finito di parlare, Tarble si alzò e disse: “Vado a prendere qualcosa al bar.”

Dopo qualche minuto che si era allontanato, Gure si alzò anche lei e dichiarò: “Devo andare un attimo in bagno.”

Invece di andare verso il bagno, la ragazzina si diresse verso il bar dell'ospedale.

Era l'occasione giusta per dirglielo.

Eppure, Gure si sentiva tremendamente tesa.

Come avrebbe potuto dire al suo prof che si era innamorata di lui?!

Gure si fermò, indecisa sul da farsi.

Era una stupidata.

Il suo prof non l'amava e l'avrebbe trattata come una bambina capricciosa.

Era meglio lasciar perdere...

Non avere paura.”

La voce seccata del suo vicino le rimbombò nella testa.

Questo è per dirti, ragazzina, di non avere paura. La paura può fare molto male. Ho lasciato mia moglie per paura... e me ne sono pentito per tutta la vita. Non aver paura di non riuscire ad attirare un uomo perché ci riuscirai di sicuro. E anche in futuro ricordati di non averla. Perché potresti pentirtene per sempre...”

Gure fece un bel respiro e si diresse verso il bar.

Doveva trovarlo e dirgli che lo amava.

Forse avrebbe avuto una delusione, ma almeno ci aveva provato...

Lo trovò che stava per uscire.

Professore!” lo chiamò, con voce affannata, tutta rossa in viso.

Lui si girò e, con una faccia stupita, le domandò: “E' tutto a posto, Gure?” “Io dovrei parlarle di una cosa importante e privata!” “Ok...”

I due si diressero in un angolo dove non c'era nessuno.

Cosa succede, Gure?” le domandò, con la sua solita voce gentile, e lei, con tutto il coraggio che aveva, gli disse: “Io... io la amo, professore!”

Tra i due calò un profondo silenzio, che venne subito interrotto da Gure: “Non mi consideri come una studentessa che vuole solo aumentare i suoi voti, io le parlo come una semplice ragazza innamorata! Se lei facesse un altro lavoro le direi le stesse cose! Io la amo perché è sensibile e dolce! Ho voluto dirglielo adesso perché a Giugno mi trasferisco in un altro paese e... e volevo dirglielo!”

La ragazza rimase immobile, con la testa china e le guance rosse.

Il prof le si avvicinò e... l'abbracciò.

Un abbraccio dolce ma allo stesso tempo sicuro.

Un abbraccio che nemmeno il vento più forte del mondo avrebbe potuto dividere.

Anch'io ti amo, Gure.” le sussurrò dolcemente all'orecchio “Ti amo da mesi. E non perché sei giovane o bella, ma per la tua sensibilità, purezza e innocenza. Le parole che scrivevi nei tuoi temi erano stupende. Raccoglievano sentimenti che mi facevano emozionare... non volevo rovinarti, per questo non mi sono fatto avanti per tutto questo tempo.”

La ragazza ricambiò l'abbraccio dell'uomo, scoppiando a piangere: “Non voglio andare via... voglio restare accanto a te...” “No, Gure. E' meglio che tu parti.” “Ma perché?! Non mi vuoi?!” “No... ma gli altri non capirebbero il nostro amore... vedendo un adulto che gira con una ragazza giovane come te, si metterebbero a parlare male di noi... infangherebbero la nostra reputazione ingiustamente! E io non voglio che questo ti accada... per questo li prenderemo tutti in giro!” “Cosa vuoi fare?” “Partirai con i tuoi genitori e quando avrai finito la scuola e sarai maggiorenne, tornerai qui. Poi partiremo, noi due, insieme, verso una nuova vita.”

Gure sorrise.

Era orgogliosa del suo uomo...

Tarble...” sussurrò, chiudendo gli occhi, mentre le lacrime continuavano a scenderle.


Ora le praticheremo l'anestesia. Si rilassi e chiuda gli occhi.” lo avvisò un'infermiera, mentre gli metteva una mascherina sulla bocca.

Vegeta inspirò il gas e sentì le palpebre farsi molto pesanti.

Subito si addormentò e gli sembrò di vedere qualcosa tra gli occhi chiusi.

Un campo di girasoli, un picnic, un albero, una caduta...


Correva senza sosta nell'immenso campo di girasoli.

I petali gli volavano intorno e divertendolo come pochi.

Quello era un giorno molto speciale.

Era il suo terzo compleanno e i suoi genitori, per festeggiare, l'avevano portato a fare un picnic.

Non era una festa di compleanno come tutte le altre ma era divertente.

Vegeta! E' pronto!”

La voce di sua madre si sentì per tutto il campo.

Arrivo, mamma!” le gridò il bambino, correndo verso di lei.

Si precipitò verso una tovaglia, dove la sua mamma e il suo papà stavano finendo di mettere i piatti.

Allora, ti diverti?” gli domandò la mamma e il piccolo rispose: “Certo!”

Suo padre rimase in silenzio, come al solito.

Non era mai stato molto loquace...

Ho visto che in fondo al campo c'è un albero, posso salire?” domandò Vegeta e la madre gli rispose, prontamente: “Levatelo dalla testa, Vegeta!” “Eddai!” “Obbedisci alla mamma, Vegeta.” rispose suo padre con il suo tono di voce annoiato, mentre prendeva una fetta di pane.

Vegeta fece una faccia scocciata.

I grandi... chi li capisce è bravo!

Mangiò il suo pasto e ritornò a correre in mezzo al campo.

In realtà voleva solo avvicinarsi all'albero per poi salire di nascosto.

Solo i mocciosi obbedivano ai genitori!

Una volta arrivato, cominciò a salire.

Era piuttosto dura, dato che aveva solo tre anni, ma doveva provarci.

Ad un tratto, il ramo su cui stava salendo si ruppe e cominciò a cadere.

Vegeta si aspettava di cadere pesantemente per terra ma, inaspettatamente, qualcosa lo afferrò.

Alzò gli occhi e vide suo padre.

Doveva aver intuito cosa stava per fare e l'aveva seguito, evitandogli una brutta caduta.

Suo padre non gli disse niente.

Si limitò a posarlo per terra, per poi dirigersi verso il campo, dicendogli: “Torniamo dalla mamma, Vegeta.” “Va bene.” annuì il figlio.

Avrebbe voluto ringraziarlo e chiedergli scusa per quello che era successo... ma era troppo orgoglioso per farlo...


Respirava sempre più affannosamente.

L'uomo nella sala operatoria stava sempre più male.

Allora?” domandò il medico a un'infermiera vicino a lui ed essa rispose: “Hanno appena fatto l'anestesia al donatore. Il rene dovrebbe arrivare a momenti.” “Va bene... intanto pratichiamo l'anestesia al paziente. E' ridotto molto male, speriamo che la donazione possa fare qualcosa.”

La donna, prontamente, prese la mascherina collegata al gas soporifero e la mise sulla bocca del paziente.

L'uomo cominciò a respirare più piano fino ad addormentarsi del tutto, mentre, attorno a lui, tutto diventava nero.


Quell'immenso corridoio buio e gelido sembrava non finire mai.

Camminava con passo calmo, senza alcuna fretta.

L'unica cosa che voleva era smettere di soffrire.

Più di una volta, si era domandato dove sarebbe finito una volta morto.

Tutti pensavano alle cose più strane dell'aldilà ma lui voleva solo una cosa da essa.

La pace interiore.

Continuò a guardarsi intorno.

Non c'era nessuno.

Solo il buio e il freddo.

Come la sua esistenza.

Perfettamente identica.

Almeno, non c'era nessuno che lo condannava per i suoi sbagli...

Signor Lupo Cattivo!”

Quella voce...

L'uomo si voltò e vide una bambina dai capelli turchini e con grandi occhi blu.

Una bambina che avrebbe riconosciuto dappertutto...

Si voltò e fece per andarsene, ma la bimba corse verso di lui e lo afferrò per la mano, chiedendogli: “Dove sta andando?” “In un posto orribile che non è per te, Cappuccetto Rosso.” “Non andartene. Resta con me, ti prego.” “Non posso. Io sono un Lupo Cattivo e i Lupi Cattivi vanno tutti in quel brutto posto.” “Vieni con me!”

Lui la guardò.

Lei, accorgendosi che era riuscita a farsi ascoltare da lui, gli sussurrò: “Vieni con me...” “Io... non so...” “La prego, signor Lupo Cattivo. La porterò in un mondo nuovo. Un mondo pieno di luce. Un mondo dove i lupi cattivi e soli come lei sono felici.”

Dopo aver detto quelle parole, gli allungò una mano.

Vieni con me.” gli sussurrò.

L'uomo sospirò.

Un mondo così bello non esisteva per lui... esisteva solo nelle favole...

Senza esitazione, prese la mano della bambina che, sorridendo, si alzò in volo assieme a lui.

Certo quelle cose esistevano solo nelle favole... eppure, una volta tanto, sognare un mondo migliore per lui non costava nulla...


Per ore, non accadde niente.

Fu solo quando il grande orologio della sala d'attesa segnò la mezzanotte, che la scritta Operazione in corso si spense e un chirurgo uscì dalla sala.

Appena lo vide, Bra gli corse incontro e domandò: “Allora? Si è salvato?”

L'uomo si tolse la mascherina che aveva in viso, che per la piccola Bra equivalse a tre secoli di attesa, e, con calma, dichiarò: “E' stata un'operazione molto lunga e faticosa. A volte il paziente sembrava migliorare per poi peggiorare... ma sono felice di annunciare che l'operazione è riuscita. Il paziente è salvo.”

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Il ricordo di un sorriso ***


CAPITOLO 13: IL RICORDO DI UN SORRISO


Questi biscotti li ho fatti per te, fratellone.” dichiarò Bra mostrando, tutta orgogliosa, un pacchettino legato con un fiocco rosso.

Trunks sorrise mentre prendeva il pacchetto della sorella.

Era bello sapere che la propria sorellina pensava a te...

Lo aprì e prese un biscotto dalla strana forma.

Ma cosa accidenti era?

Scusa, Bra, ma cos'è?” le domandò, un po' nervoso, Trunks e la bambina, prontamente, rispose, sorridendo: “Un micio. L'ho fatto all'asilo. E' carino, non è vero?” Questo sarebbe un gatto?! Sembra più il mostro peloso di quel libro per bambini. Commentò, mentalmente, Trunks ma non disse nulla alla bambina.

Ci sarebbe rimasta male e non era una cosa carina dopo quel pensiero gentile...

Trunks si mise in bocca il biscotto e se lo mangiò.

Non era ai livelli di quelli dei più grandi chef mondiali... ma almeno era commestibile.

La bimba sorrise tutta contenta, poi richiuse la sua borsetta rosa piena di fiocchi e gatti.

Trunks riuscì a vedere altri due pacchetti dentro di essa.

Ehi, Bra. Per chi sono quei pacchetti?” le domandò, incuriosito, e la sorellina rispose: “Uno è per papà e l'altro per il Lupo Cattivo.” “E per Goten non hai preparato niente?” “Pensavo che avreste condiviso i biscotti.”

Trunks sospirò.

Sua madre era andata a prendere Bra prima all'asilo per permetterle di stare accanto ai suoi tre uomini speciali.

Il primo turno era toccato a lui, poi sarebbe stata la volta di papà e, infine, del migliore amico di Bra, che lei chiamava il Lupo Cattivo e a cui papà aveva donato un rene per salvargli la vita.

Sapeva tutte quelle cose perché sua madre gliele aveva raccontate quella mattina.

Mentre lui doveva ancora raccontarle una cosa molto importante.

La gravidanza di Mai.

Appena Bra sarebbe andata da papà, lui avrebbe raccontato tutto alla mamma.

Sapeva già che avrebbe fatto prendere un grosso colpo a tutti ma doveva farlo...

Per un bel pezzo, Bra continuò a raccontare, senza sosta, tutto quello che aveva fatto quel giorno all'asilo, poi, la bambina guardò l'orologio e dichiarò: “Devo andare da papà! E' il suo turno. Ciao, fratellone, ci vediamo dopo.” e uscì in fretta e furia dalla stanza.

Bulma ridacchiò per la vivacità della figlia ma Trunks rimase in silenzio.

Era il momento!

Mamma...” sussurrò con un filo di voce “Ti devo dire una cosa...”


Bra aprì la stanza dove suo padre era stato ricoverato.

Suo padre era seduto sul letto con una rivista in mano.

Papà! Ti ho portato un regalo!” esclamò la bambina entrando nella stanza.

Vegeta smise di leggere la rivista e le sorrise.

Ciao, Bra. Com'è andata oggi all'asilo?” le domandò e la figlia, con gran sorriso sulle labbra, raccontò: “Benissimo, papà. Oggi la maestra ci ha fatto fare i biscotti e io ho preparato questa confezione per te.”

La bimba aprì la sua borsa e tirò fuori il piccolo sacco col nastro rosso.

Questo l'ho fatto per te.” dichiarò la bambina mentre glielo passava.

Vegeta lo aprì e cominciò a mangiarli.

Senti, papà...” domandò, ad un tratto, Bra e il padre le domandò: “Cosa c'è, Bra?” “Non mi odi, vero?” “E perché dovrei odiarti?” “Perché per colpa mia hai rinunciato a un rene. Mi sono comportata da egoista... ho pensato al bene del mio amico invece che a te, che sei il mio papà, e ci hai rimesso tu. Mi dispiace...”

Suo padre le allungò un braccio e con esso le accarezzò la testa turchina, sussurrandole: “Non ti odio per nulla, Bra. Anzi, dovrei ringraziarti. Prima di conoscere tua madre, per anni ho pensato solo a me stesso. Non m'importava niente di ciò che mi circondava. Niente aveva senso per me. Credevo che la vita fosse soltanto una grossa fregatura. Poi, è arrivata tua madre e ho capito che stavo sbagliando. Così, è iniziato il mio risveglio. Di colpo, tutto cominciava ad avere un senso. Poi siete arrivati tu e Trunks. I vostri sorrisi mi facevano sentire felice. Mi riscaldavano il cuore. Ieri notte, ho sentito qualcosa dentro di me, che mi ha spinto a donare il mio rene al tuo amico. Non so come spiegarlo... ma ho sentito il dovere di farlo... non so cosa riserverà il futuro a me o al tuo amico... ma so di aver fatto la cosa giusta. Lo sento.”


...E questo è tutto, mamma. Ti prego, non arrabbiarti con me o con Mai. Ti giuro che non l'abbiamo fatto apposta!”

Trunks era nervoso.

Aveva appena raccontato tutto a sua madre.

Adesso, doveva solo aspettare la reazione della donna, che di certo sarebbe stata tremenda.

Sperava solo che non si arrabbiasse con Mai...

Lo sai, Trunks, che prendersi cura di un bambino è molto dura?” gli domandò, ad un tratto, Bulma e il ragazzo ammise: “Lo so... ti giuro che non era nostra intenzione...” “Cosa intendete fare?” “Pensiamo di sposarci appena mi sarò dimesso dall'ospedale...” “Mi auguro che non volete sposarvi solo per il bambino.” “No... su questo puoi stare tranquilla, mamma. Prima ancora che succedesse tutto questo, volevo chiederle di sposarmi.”

Bulma rimase in silenzio un attimo, poi lo rimproverò: “Avreste dovuto fare più attenzione.” “Lo so, mamma, scusaci.” “Beh, ormai quel che fatto è fatto. Sii un padre responsabile, figliolo, e non combinare altri pasticci.” “Grazie, mamma.” “Sentirsi chiamare mamma sapendo che fra qualche mese diventerò nonna fa un certo effetto...”

I due risero per un po', poi Bulma commentò: “Certo che è proprio un'abitudine nella famiglia di tuo padre combinare queste cose...” “Cosa intendi?”

Bulma si accorse di aver parlato troppo e, capendo che non poteva tirarsi indietro, lo pregò: “Ti prego, Trunks, non raccontare quello che sto per dirti a papà.” “Perché? Lo saprà già, dato che è una cosa che lo riguarda...” “No... vedi... è una cosa di cui nemmeno lui è a conoscenza... lo so solo io perché me l'ha confidato una volta tua nonna.” “Che cosa, mamma?” “Trunks... tuo padre è stato concepito prima del matrimonio tra i tuoi nonni.”

La risposta fece restare di sasso Trunks.

Suo padre era stato concepito prima del matrimonio?!

Accade quando i tuoi nonni avevano ventun anni e studiavano entrambi all'università. Una sera, dopo aver studiato insieme, si lasciarono trasportare della passione che li dominava e... fecero quello che tu e Mai avete fatto, con lo stesso identico risultato. Con una differenza: alla notizia della gravidanza, tua nonna avvisò tuo nonno e decisero di sposarsi.” raccontò Bulma e Trunks commentò: “Allora è per questo che mio nonno se n'è andato... forse, per lui, la nonna non era altro che l'amore di una notte e si sentiva intrappolato in una gabbia senza via d'uscita...” “Io non credo.”

Trunks guardò sua madre, incredulo.

La donna continuò: “Io non credo affatto che per tuo nonno la nonna sia stato l'amore di una notte... io credo che l'amasse, come tu ami Mai... non so per quale motivo se ne sia andato, ma sento che è così. In più, ho come la sensazione che, in realtà, quei due cercassero solo qualcosa che li spingesse a sposarsi... qualcosa di concreto e indissolubile... come un figlio.” “Mamma, è assurdo. Se fosse come dici, allora perché il nonno se ne è andato con un'altra donna? Lo sanno tutti che aveva un'amante.” “Te l'ho detto, Trunks. Non so perché il nonno se ne sia andato di casa, ma sento che amava sinceramente tua nonna. Non so come spiegarlo ma me lo sento.” concluse la donna.

Trunks rimase in silenzio un attimo, poi le disse: “Mamma, queste cose accadono solo nelle favole. Nella vita reale queste cose non succedono...” “Chi lo sa, Trunks. Chi lo sa...”


Uno, due, tre, quattro, cinque...

Stava contando i fiocchi di neve che finivano sulla finestra della sua stanza.

Nevicava fitto fitto da un paio di giorni e, secondo il meteo alla radio, la neve sarebbe continuata ancora per qualche giorno.

Per qualche altro giorno della sua sporca esistenza.

Nemmeno il suo desiderio di morire era stato esaudito.

All'ultimo momento, un misterioso donatore gli aveva dato ciò che a lui serviva per salvarsi: un rene.

Così, adesso, era salvo, con una nuova vita davanti.

Ma la voleva davvero?

In tutti quegli anni, non aveva fatto altro che vivere nel suo silenzio, nella sua colpa, nel suo dolore e, soprattutto, nella sua solitudine, aspettando, finalmente, di morire a causa della sua malattia.

Anche prima di scoprire la malattia, aveva sempre vissuto così.

Poi aveva conosciuto lei e, in un attimo, la sua vita aveva preso una piega decisamente diversa.

Accanto a lei, prendeva vita un nuovo mondo, un mondo che voleva conoscere.

Con lei, aveva deciso di rischiare, di trovare la felicità che per anni gli era stata negata... così, avevano deciso di creare una famiglia, composta da lui, lei e il loro bambino.

Poi aveva fatto una stupidaggine e la sua famiglia si era distrutta come un vaso caduto.

Che sciocco che era stato... non avrebbe mai dovuto farlo...

Così, era tornato in quello stato, quello dell'uomo solo, senza alcuna speranza per il futuro.

Tanto, la vita non aveva alcun senso.

L'aveva capito a tre anni...

CRIC CRIC

Un passo leggero si fermò davanti alla sua porta.

Strano, non era ancora l'ora della medicina...

Nonostante la stranezza, rimase a fissare i fiocchi di neve dalla sua finestra.

La porta si aprì e una voce allegra e vivace esclamò: “Signor Lupo Cattivo!”

Non era necessario voltarsi per capire chi era.

Ma guarda chi c'è. Sembra proprio che tu non riesca a starmi lontana, eh, Cappuccetto Rosso?” le domandò, guardandola.

La bambina più rompiscatole di tutte... ma anche quella più adorabile... l'unica capace di dare un senso alla sua vita e spingerlo a vivere...

Bra spinse una sedia vicino al suo letto e tentò di salire ma, essendo troppo piccola, faceva molta fatica.

Ad un tratto, la piccola sentì qualcuno sollevarla e posarla sulla sedia.

Non doveva nemmeno voltarsi per capire chi era stato...

Grazie, signor Lupo Cattivo.” lo ringraziò, con entusiasmo la bimba, sedendosi.

Per un po', i due non si dissero niente ma, poi, Bra espresse quella domanda che le ronzava in testa dalla sera prima: “Signor Lupo Cattivo, perché non mi ha detto niente della sua malattia?”

Lui, per un attimo, rimase in silenzio, poi confessò: “Perché non volevo perdere il tuo sorriso. Volevo ricordarti con quel tuo piccolo e caldo sorriso mentre ero in punto di morte.”

Lei lo ascoltò in silenzio e poi chiese: “Signor Lupo Cattivo... dove sono sua moglie e suo figlio? Perché non sono venuti in ospedale?” “Abbiamo chiuso i contatti molti anni fa. Non so dove sono, dove vivono e cosa fanno... come loro non hanno mai saputo della mia malattia...” “Ma è una cosa tremenda! Una famiglia non dev'essere così divisa! Lei... a rischiato di morire da solo... senza nessuno... nessuno merita di morire da solo.” “Io sono il Lupo Cattivo, Cappuccetto Rosso. E, come tutti i cattivi devo morire da solo...” le sussurrò mentre si voltava.

Non appena si voltò, sussultò.

Lei stava piangendo.

Delle calde lacrime le rigavano il viso paffuto.

Ehi... perché piangi?” le domandò, cercando di avere più tatto possibile e lei rispose: “Piango perché penso a come dev'essere stato solo in tutti questi anni... io, se avessi avuto un figlio, sarei stata malissimo a vederlo così lontano da me... lei non si merita questa solitudine, questo dolore... vorrei fare qualcosa per aiutarla...”

L'uomo rimase in silenzio.

Aveva troppa paura di parlare e dire qualcosa di sbagliato.

Le avvicinò un dito al viso e, con esso, le asciugò le lacrime.

La piccola lo guardò, incredula, e lui le disse: “Sai... in fondo al mio cuore, io ho sempre desiderato che qualcuno piangesse per me...”

Bra era felice perché sentiva di aver fatto qualcosa di bello per il suo Lupo Cattivo.

Qualcosa che l'aveva fatto sentire meno solo...

La bambina era così felice che sorrise.

Non si accorse che l'uomo aveva sussultato.

Perché quel sorriso era identico a un sorriso che apparteneva al suo passato.

Un sorriso che apparteneva a una persona che per lui era stata molto speciale...


37 e mezzo... ti sei beccato proprio una bella influenza...” dichiarò la donna, dopo aver dato un'occhiata al termometro.

Il piccolo sollevò la testa e la fissò, in completo silenzio.

La madre si alzò dalla sedia e disse: “Vado a prepararti una bella camomilla calda col miele.”

Inaspettatamente, però, sentì qualcosa afferrarle con forza il polso.

Si voltò e vide il piccolo che le teneva il braccio.

Non disse niente ma i suoi occhi parlavano per lui.

Ho capito, resto qui.” si arrese, risedendosi sulla sedia.

Il bambino si risistemò nel letto, tutto contento, mentre lei accarezzava i suoi capelli.

L'ultima cosa che vide, prima di crollare nel mondo dei sogni, fu il tenero e dolce sorriso di sua madre.


L'uomo richiuse gli occhi, sperando di ricordare qualcos'altro, ma, come al solito, non ci riuscì.

Era più che naturale.

Sua madre, assieme a suo padre, era morta quando lui aveva compiuto tre anni.

Non ricordava assolutamente niente di lei, il suo viso o il tono della sua voce, l'unica cosa che ricordava era il suo sorriso.

Quando si era ammalato, aveva solo due anni e mezzo, eppure ricordava tutto alla perfezione.

Perché quello era stato uno degli ultimi momenti con sua madre.

Quando era finito alla casa degli scarti, non voleva assolutamente che qualcuno prendesse il posto di sua madre e di suo padre.

Per questo, non parlava con i genitori venuti in visita e, soprattutto, non voleva che qualche assistente sociale gli stesse accanto durante le malattie.

Quel gesto era di sua madre!

Nessuna donna al mondo si sarebbe mai sostituita a lei.

Eppure, per la prima volta, aveva trovato qualcuno che poteva, in qualche modo, sostituirla.

Una bambina di soli tre anni, con i capelli turchini, i grandi occhi azzurri, vestita di rosso dalla testa ai piedi, scocciatrice come poche che sorrideva proprio come sua madre.

Nello stesso identico modo.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Ricordi e segreti ***


CAPITOLO 14: RICORDI E SEGRETI


Goten camminava nei bianchi e immacolati corridoi dell'ospedale.

Erano passati tre giorni da quando aveva donato il pezzo di fegato a Trunks e aveva ottenuto il permesso dalla terribile infermiera, il cane da guardia la chiamava quand'era con Trunks, di farsi un giretto, a patto che si trovasse in camera sua al momento dalla solita, schifosa, medicina.

Mentre camminava si accorse di una giovane ragazza seduta su una sedia a rotelle che guardava qualcosa all'interno di una macchinetta.

Aveva i lunghi capelli mossi castani che le arrivavano fino alla schiena e grandi occhi marroni.

Era davvero molto graziosa eppure sembrava un po' triste.

Mi scusi, signorina...” la chiamò Goten e lei, subito, si girò e lo guardò con due dolci e profondi occhi.

Sperando di essere arrossito come un idiota, le domandò: “E' tutto a posto? Mi sembra un po' preoccupata.” “Beh... ecco... avrei un piccolo problema... è solo che non vorrei disturbala...” “Non si preoccupi, lo faccio volentieri.” “Il fatto è che... avevo comprato una bottiglia d'acqua da questa macchinetta ma... si è bloccata all'improvviso, senza darmi l'acqua.” “Ah, capisco. Questo scherzetto me l'hanno fatto tante di quelle volte le macchinette della mia scuola che ho imparato il trucco. Non si preoccupi, signorina, gliela recupero in un attimo.” la rassicurò Goten mentre metteva una moneta nella macchinetta e digitava il numero di una barretta di cioccolato sopra alla bottiglia della giovane.

Lo sportello mentre si dirigeva verso la barretta, sfiorò la bottiglia, facendola cadere.

La ragazza era così contenta, che si mise ad applaudire, complimentandosi: “Bravissimo! E' stato fantastico!”

Goten passò la bottiglia alla ragazza e anche la barretta.

La giovane fece una faccia un po' stupita e poi domandò: “Mi scusi, ma perché mi dà anche la sua barretta?” “Per scusarmi a nome della macchinetta che le ha quasi rubato i soldi.” le rispose prontamente Goten.

La ragazza ridacchiò divertita e il giovane fece una faccia un po' sorpresa.

Prima di allora, nessuna ragazza aveva riso alle sue battute idiote, anzi la maggior parte lo considerava soltanto un povero scemo.

Quando la ragazza smise di ridere, Goten fece per passarle la barretta ma lei, timidamente, rifiutò: “Quella barretta è sua, l'ha comprata con i suoi soldi. Non la posso proprio accettare, mi dispiace. Mi sembrerebbe di approfittarmi di lei e della sua gentilezza.”

Vedendo che la ragazza non cedeva, aprì la confezione e divise la barretta in due.

Questo pezzo è mio mentre questo è suo. Così non si sarà approfittata dei miei soldi e della mia gentilezza, che ne dice?” le propose e la giovane, finalmente, accettò.

Mentre mangiavano il proprio pezzo di barretta, Goten non riuscì a trattenersi dal domandarle: “Scusi, signorina, ma come mai è stata ricoverata in ospedale? Le è per caso successo un incidente?” “No... vede... per anni ho sofferto di una grave malattia al cuore. Per farmi stare meglio, i miei genitori mi hanno portata a vivere in campagna per la mia salute ma, purtroppo, il mio cuore ha continuato a peggiorare e per salvarmi ho dovuto ricorrere a un trapianto di cuore.”

Goten la fissò allibito.

Ma allora quella ragazza era...

Mi scusi, ma quando ha fatto l'operazione?” le domandò, incredulo, e lei rispose: “Tre giorni fa.” “Verso le otto e mezza di sera?” “Sì... ma lei come lo sa?” “Ero in sala d'attesa con i suoi genitori. Un mio amico stava facendo un'operazione al fegato proprio in quel momento.” “Ma allora è lei il ragazzo che ha donato una parte del suo fegato all'amico per poterlo salvare!” esclamò la giovane, guardandolo con due occhi che brillavano per l'ammirazione.

Lei come lo sa?” le domandò, incredulo Goten e lei spiegò: “I miei genitori l'hanno sentita mentre raccontava alla famiglia del suo amico cosa voleva fare. Sono rimasti entrambi molto colpiti dal suo gesto coraggioso e altruistico. A proposito, è andata bene l'operazione? Il suo amico si è salvato?” “Sì. Grazie a me si è salvato.” “Come sono contenta. Il suo amico è stato proprio fortunato a trovare un grande amico come lei.” “Eh già...”

Goten si sentiva teso.

Non voleva dire qualche cretinata che avrebbe solo allontanato quella dolce e sensibile ragazza.

Eppure era felice.

Anche se era distante da lei solo di un metro, si sentiva l'uomo più felice del mondo.

Le parole di quella ragazza lo facevano volare.

Volare nel cielo blu.

Libero e felice.

Quando Goten alzò lo sguardo e vide l'ora nel grande orologio sul muro, per poco non ebbe un infarto.

Doveva muoversi a tornare in camera se non voleva fare i conti con il cane da guardia!

Con dispiacere, gli doleva separarsi da lei, si alzò e la salutò: “Mi dispiace, signorina, ma devo andare o dovrò fare i conti col cane da guardia.” “Il cane da guardia?” gli domandò allibita e Goten spiegò: “E' così che chiamo l'infermiera. Dopotutto, perlustra sempre i corridoi come un pitbull e alla prima cosa strana si mette ad abbaiare come i cani. Scommetto che le piace un mondo e che a colazione mangia biscottini a forma d'osso.”

La ragazza rise divertita da quella battuta.

La sua risata era chiara e cristallina come l'acqua.

Qualcun altro, però, non la trovò affatto divertente.

Signor Son!” tuonò una voce alle sue spalle “La pianti subito di darsi tante arie davanti alle ragazze e torni subito nella sua stanza, che l'aspetta la medicina!”

Goten fece un sorriso forzato davanti all'ordine dell'infermiera.

Evidentemente aveva sentito tutto fin dall'inizio...

Così si affrettò a salutare la giovane: “Spero di rivederla presto in giro.” “Anch'io.” “Comunque, io mi chiamo Goten.” “Che bel nome. Io mi chiamo Valese.”


L'infermiera ha detto che potrai uscire tra quattro giorni, sei contento, Vegeta?” “Certo, perché la prima cosa che farò, non appena potrò scendere da questo dannato letto, sarà quella di ammazzare Trunks!”

Bulma sospirò.

Suo marito non aveva preso per niente bene la notizia che la fidanzata di Trunks aspettava un figlio da lui...

Eddai, non puoi prenderla così male. Bra è felicissima al pensiero che presto diventerà zia.” tentò di rasserenarlo la moglie ma Vegeta era irremovibile: “Io la prendo come mi pare! Trunks avrebbe dovuto stare più attento! Così, adesso, arriverà un altro moccioso urlante in famiglia.” “Guarda che sei tu l'unico che la prende male. Tutti gli altri sono al settimo cielo. E, poi... non sei felice al pensiero che presto diventerai nonno?” “E Trunks si sposa alla bellezza di diciotto anni e Bra diventa zia a tre anni!” “Adesso fai così, ma scommetto che quando vedrai tuo nipote, ti innamorerai subito perché sarà un bellissimo bambino dato che erediterà dalla nonna e non dal nonno bisbetico.” “Eh no, mio nipote assomiglierà anche a me!”

Bulma ridacchiò.

Vegeta adorava già il futuro nipotino ma non l'avrebbe mai ammesso.

La donna prese la sua borsa e prima di uscire dalla stanza, lo avvisò: “Vado a vedere come sta Trunks. Torno subito.”

La donna s'incamminò nel corridoio ma, invece di dirigersi verso la stanza del figlio, si diresse verso l'ascensore e digitò il primo piano.

Una volta scesa, si diresse verso il bar.

Lo trovò subito.

Era impossibile non riconoscere quella capigliatura e, in più, si stava ingozzando a più non posso, come al solito.

Goku.” lo chiamò Bulma e l'uomo la salutò con la mano, dato che aveva la bocca piena di cibo.

La donna si sedette al tavolo e, senza mezzi termini, gli chiese: “Allora, sei riuscito a procurartela?” “Certo. Eccola qui.” annuì Goku, passandole una busta.

Mi ha pregato di non rovinarla perché l'hanno scattata quando hanno festeggiato capodanno e gli ho promesso di restituirgliela.” la pregò Goku mentre Bulma apriva la busta con le mani che tremavano.

Finalmente avrebbe saputo...

Quando la vide, non dovette nemmeno chiedere a Goku.

Lo riconobbe subito.

Era identico.

I suoi sospetti si erano rivelati fondati.

Era lui l'uomo che le aveva spiate al commissariato.

Ne aveva la certezza.

Goku le disse: “Sai, anch'io ho preso un bel colpo quando l'ho visto. E' proprio identico a lui, non trovi?” “Eh già...” sospirò Bulma.

Adesso che sapeva chi era quell'uomo, si sentiva ancora molto confusa.

Perché le aveva spiate?

E se... no, non era possibile!

Inconsciamente, Bulma spostò lo sguardo sugli altri tavoli presenti e, ad un tratto, l'occhio si posò su un tavolo i cui occupanti erano...

Bulma fece una faccia sconvolta.

Bulma, che succede? Qualcosa non va?” le domandò Goku, voltandosi per vedere cosa aveva fatto sconvolgere l'amica.

Bulma, prontamente, gli disse: “Ehi, Goku, hai mai assaggiato questo dolce? Dicono che sia molto buono.” “Davvero? Qual'è?” le domandò l'uomo, guardando con l'acquolina in bocca il menù che l'amica gli mostrava.

Mentre Goku guardava il semplice menù dell'ospedale, Bulma continuò a guardare l'uomo seduto a quel tavolo.

Non c'era dubbi, era proprio lui!

Aveva più volte riguardato la foto che aveva ancora in mano e non c'erano dubbi.

Ma cosa ci faceva in ospedale e, soprattutto... cosa ci faceva con lei?!

Ad un tratto, un pensiero le attraversò la testa.

Possibile che... ma allora...


Vedi di non prendere troppo, Cappuccetto Rosso! Ho accettato solo perché hai insistito!” l'avvisò l'uomo mentre Bra continuava a guardare con attenzione il menù.

Era tutto troppo buono...

Ho scelto due tortini ai frutti di bosco e un succo di frutta all'albicocca!” trillò alla fine e lui sbuffò: “Uno no, eh?”

Cominciò a spingere la sedia a rotelle e quando li ebbe, tornò al tavolo.

Ecco qua, piccola ingorda.” le disse mentre glieli dava.

Bra ne prese uno e lo mangiò in un lampo e, poi, bevve tutto il suo succo di frutta.

E l'altro? T'avverto che non ce ne andiamo finché non l'hai mangiato. Odio gli sprechi.” l'avvertì il Lupo Cattivo ma la piccola gli rivelò, sorridendo: “Quel tortino non è per me. E' per lei.” “Per me?!” ripeté, incredulo, l'uomo e la bimba annuì: “Sì. Lei è troppo orgoglioso per comprare una cosa per sé davanti a tutti, così l'ho presa io per lei.”

L'uomo fece un piccolo sorriso.

Ormai lo conosceva.

Lo prese e se lo mangiò.

Ha visto quant'è buono? Ho fatto proprio bene a comprarli, non è vero?” gli domandò e lui ammise: “Sì, sei stata brava. Ora torniamo in camera. Se l'infermiera non mi vede, finisco nei guai.”

Il Lupo Cattivo, seguito da Bra, si diresse verso l'ascensore e digitò il numero del suo piano.

Poi si diresse verso la sua camera e, senza troppe difficoltà, si rimise nel letto.

Bra si avvicinò al suo letto e gli chiese: “Potrei salire sul letto?” “Basta che ti togli le scarpe, Cappuccetto Rosso. Altrimenti non è igenico.”

Bra si tolse velocemente le scarpe e, poi, l'uomo la prese e la portò sul letto.

La piccola rimase incredula nel vedere quando quel letto era grande e morbido.

Mi ricorda molto il letto della mia nonna. E' grande e morbido proprio come questo. Le ricorda anche a lei un letto in particolare?” domandò Bra, senza sapere che aveva risvegliato il ricordo della sua famiglia.

Quando non aveva ancora fatto nessuna cretinata...


Si stiracchiò dolcemente.

Era mattina e, quel giorno, anche se era domenica, aveva un mucchio di cose da fare.

Ad un tratto, si accorse che nel letto c'era un piccolo intruso che lui, purtroppo, conosceva molto bene: suo figlio.

Era di nuovo entrato nel letto mentre lui dormiva.

Piccola peste...” sibilò, facendo svegliare sua moglie.

La donna si accorse subito del piccolo e ridacchiò divertita: “Hai visto chi c'è?” “Sì.” “Eddai, non fare quella faccia, è solo un bambino che sente la mancanza della sua mamma... e anche del suo papà, anche se burbero.” “Ha compiuto tre anni da una settimana e si intrufola ancora nel letto dei suoi genitori?” “Che ci vuoi fare? Certe abitudini sono dure a morire.” “Bah... vado a far colazione.” “Aspetta.”

Gli afferrò il braccio e lui la guardò nei suoi grandi occhi neri: “Cosa c'è?” “Resta a dormire ancora un po'... resta con noi.” “Non se ne parla, ho un mucchio di cose da fare...” “Facciamo così: tu dormi ancora un po' e stanotte festeggiamo fino a notte fonda. Io e te. Da soli. Con la porta chiusa a chiave.” gli propose, con un sorrisetto malizioso.

Lui si rimise nel letto e le disse: “Stanotte ti farò vedere i fuochi, attenta a non bruciarti.” “Attento a non bruciarti tu.”

Dopo pochi minuti, lei si addormentò.

Rimase a osservare, in silenzio, la moglie e il figlio.

La sua famiglia...

Si distese sul letto e, prima di addormentarsi, notò che il letto era morbido e caldo...


Allora, signor Lupo Cattivo?”

La vocina acuta e squillante di Cappuccetto Rosso lo riportò tra i vivi.

Lui fece le spallucce e disse: “Bah... tutti i letti sono uguali.”

Bra continuò a gironzolare sul letto, poi disse: “Sa che fra poco diventerò zia?” “Non sei un po' troppo piccola?” “La fidanzata del mio fratellone aspetta un bambino e quando verrà dimesso, la sposerà.” “Augurargli buona fortuna.” “Perché?” “I bambini piccoli sono delle pesti: urlano a tutto volume nel cuore della notte, sporcano dappertutto e quando devi fargli fare il bagno è un incubo.” “Perché?” “Perché si nascondono pur di non farlo, urlano e quando sono in acqua la muovono così tanto che, alla fine, c'è più acqua fuori dalla vasca che al suo interno.” “Anche suo figlio era così, non è vero?”

Lui la guardò stupito.

Ma come l'aveva capito?!

L'ho letto nei suoi occhi. Quando parla di sua moglie o di suo figlio i suoi occhi sono ancora più tristi.” gli rivelò Bra e l'uomo sussurrò: “Perché mi hai scelto?”

La bambina lo guardò, stupita.

Non riusciva a capire.

Perché, tra tutte le persone del parco... hai scelto proprio me?” le domandò di nuovo e Bra sussurrò: “Non lo so... non l'ho mai capito. Forse, era perché mi sembrava così solo... o forse perché lei mi ha sempre ricordato il mio papà.” “Io sono un pessimo padre, Cappuccetto Rosso. Il tuo papà è di gran lunga un papà molto migliore di me... come tutti.” “Come può dirlo?” “Perché mio figlio mi odia. Lo so. Sarebbe felice di vedermi morto. Un padre non dovrebbe farsi odiare dal proprio figlio e io ci sono riuscito.” “L'odio non dura mai per sempre. Sono sicura che riuscirete a far pace.” “Bah... io non credo.” “La aiuterò io.” “Sono proprio messo bene. Ho come alleata una bimba di tre anni.” “Ci aiuterà anche la mia mamma. Lei è furba. Riesce sempre a ottenere quello che vuole da papà.” “Non credo che tua madre sarà felice di vedermi.” “Perché?” “Ti ricordi quando ti ho trovata sotto quella tempesta e ti ho portata a casa mia?” “Certo.” Beh... mi sono messo d'accordo con una vicina per far in modo che tu fossi trovata in un capanno... solo che l'ho seguita di nascosto, per assicurarmi che non ti succedesse niente... mi sono nascosto in un vicolo per aspettare l'arrivo dei tuoi genitori... solo che tua madre deve avermi scambiato per una specie di maniaco perché mi ha inseguito. Tua madre ha proprio un bel caratterino e ti somiglia molto.” “Non si preoccupi, signor Lupo Cattivo. Le racconterò quanto ha fatto per me e vedrà che non la considererà più un maniaco.” lo rassicurò Bra e mentre si appoggiava al petto dell'uomo, sussurrò: “Vedrà... riuscirò a farle fare pace con la sua famiglia.”

L'uomo avrebbe voluto dirle che era da pazzi credere che presto avrebbe riavuto la sua famiglia ma non parlò.

Per una volta, voleva credere che si poteva cambiare le favole.


Bulma non riusciva più a trattenere le lacrime.

Si allontanò dalla porta e s'incamminò nel corridoio, continuando a piangere.

Si fermò solo quando si trovò davanti a una finestra.

Aveva avuto la conferma dei suoi sospetti.

Non appena l'aveva visto con sua figlia al bar dell'ospedale, aveva intuito che potesse essere lui il signor Lupo Cattivo, l'amico tanto solo quanto disperato, di Bra ma fino all'ultimo non aveva voluto crederci.

Sarebbe stato troppo assurdo e pazzesco!

Quando aveva intuito che stavano per andarsene, aveva liquidato Goku in fretta e furia.

Sapeva dov'era la stanza dell'uomo, glielo aveva detto l'infermiera, e, quindi, non aveva avuto troppi problemi a rintracciare la stanza.

Una volta trovata, aveva aperto leggermente la porta e aveva ascoltato i loro discorsi.

Bulma guardò fuori dalla finestra.

Il dolore e la solitudine di un padre nel vivere lontano dalla sua famiglia l'avevano commossa.

Sentiva che non era una bugia e che lui si era veramente pentito per quello che aveva fatto.

Avrebbe tanto voluto aiutarlo... ma sapeva che era impossibile.

Bra...” sussurrò, guardando la neve che continuava a scendere “Vorrei aiutarti, credimi, ma è impossibile. Lo sai che lo odia con tutto sé stesso... e allo stesso tempo non lo sai. Povera piccola mia... come posso dirti che il tuo amico, il Lupo Cattivo, è tuo nonno?”


Echalotte spense la tv.

Ormai, era ora di andare a letto.

Si diresse verso la sua stanza e, come al solito, guardò a lungo il letto vuoto.

Da quando suo marito se n'era andato, sperava sempre di addormentarsi su quel letto e di ritrovarlo accanto a sé al suo risveglio.

Quel letto era stato il testimone di tre meravigliosi anni di matrimonio e, proprio su di esso era stata concepita una piccola vita...


Vegeta aprì la porta e trovò la moglie sdraiata supina sul letto.

Indossava il vestito rosso scollato che lo faceva bruciare di passione e lo sapeva benissimo.

Ce ne hai messo di tempo. Credevo che te ne fossi dimenticato.” lo provocò lei, divertita, ma lui, mentre chiudeva a chiave la porta le rispose: “Grazie alla tua assurda idea mi sono svegliato a mezzogiorno. Non mi saresti scappata.”

Lei si alzò e gli porse un bicchiere: “Ti avevo promesso che stanotte avremmo festeggiato fino a notte fonda e io mantengo sempre le promesse.” “Già... come mi avevi promesso le tue mutandine al nostro primo incontro...”

Lei sorrise e gli riempì il bicchiere di champagne.

Vegeta lo bevve mentre la guardava.

I suoi capelli neri, i suoi occhi seducenti, il suo vestito rosso... avrebbe tanto voluto fiondarle addosso per farla sua.

Una fragola?” gli chiese Echalotte porgendogli un vassoio colmo di appetitose e seducenti fragole... proprio come lei.

Lui ne prese una e se la mangiò mentre la moglie faceva lo stesso.

Una volta che ebbero finito le fragole e lo champagne, Vegeta la stese.

Ora non gli sarebbe scappata.

Stava per spogliarla quando lei lo fermò: “Non scherzare. Più che togliermi i vestiti me li strappi e io a questo vestito tengo. Se mi spogli strappandolo, ti mollo.”

L'aveva di nuovo preso in trappola.

Ormai, doveva assolutamente farla sua e, così, la spogliò facendo in modo di non sciuparle l'abito.

Una volta che fu nuda, cominciò a baciarla: bocca, collo, ventre... niente gli sfuggiva.

Echalotte stava per cedere alla passione ma si ricordò che doveva fare una cosa.

Con le mani, cominciò a sbottonare la camicia del marito.

Ma cosa fai?” le domandò lui, smettendo di baciarla, e lei, prontamente rispose: “Ti spoglio, no? Tu mi hai spogliata e io spoglio te, così siamo pari. Ti spoglio io altrimenti me ne vado e per un bel pezzo di lascio a bocca asciutta, intesi?”

Fregato di nuovo.

Sua moglie era proprio una strega, ma era la strega più bella e seducente di tutte...

Echalotte gli tolse la camicia e i pantaloni e, una volta nudo, le domandò: “Desideri qualcos'altro oppure posso, finalmente, festeggiare?” “Va bene... ma sappi che la maggior parte della torta me la prendo io.” “Questo è da vedere, bambolina.” “Ehi, non chiamarmi...” stava per protestare la moglie ma il bacio, seducente e passionale di Vegeta la fecero zittire.


Echalotte non riuscì a trattenere le lacrime.

Quel ricordo la faceva ancora soffrire.

Perché quella era stata la sua ultima notte di sesso assieme a Vegeta.

Il giorno dopo, lui aveva avuto il calo di zuccheri ed era stato l'inizio della fine della loro famiglia, terminata con la sua fuga e abbandono.

Eppure, in quella notte di passione, qualcosa di magico e speciale era nato: suo figlio Tarble.

Vegeta non sapeva nemmeno della sua esistenza.

Se n'era andato prima che riuscisse a dirglielo.

Si buttò sul letto, mentre continuava a piangere disperata.

Quanto gli mancava... gli mancava come l'ossigeno... e pensare che all'inizio non lo sopportava...


Echalotte correva come una furia per le strade della città.

Maledetta stupida sveglia che non aveva suonato!

Era in ritardo cronico!

Bella figura al suo primo giorno all'università!

Era così impegnata a correre che non si accorse di una grossa moto nera e ci andò a sbattere.

Ma che diavolo...?! La mia moto!” urlò una voce maschile dietro di lei.

Un ragazzo la oltrepassò furibondo e andò a controllare le condizioni della sua amata moto.

Doveva avere la sua stessa età, indossava una giacca di pelle nera, jeans strappati, stivali neri e sulla testa portava un enorme casco nero.

Era proprio fissato col nero...

Meno male. Non c'è nessun graffio.” sbottò lui mentre saliva in groppa a essa.

Se c'era una cosa che Echalotte non poteva proprio sopportare era di venire ignorata in quel modo.

Perciò si rialzò in piedi e disse: “Senti un po', tu!” “Che cavolo vuoi, ragazzina?! Non ti basta aver quasi rischiato di graffiare la mia moto?” le domandò, scocciato, lui.

Potresti chiedermi scusa! Hai messo la tua moto in mezzo alla strada!” “E allora tu sta' più attenta, no? Comunque, dovrei essere io quello che si lamenta! Hai idea di quanto abbia dovuto lavorare per comprarmela? Se me la graffiavi doveva ripagarmela tu con i tuoi soldi!” “Un teppista come te deve lavorare per comprare una moto? Credevo la rubasse.” “Spiacente di deluderti, bambolina.” “Ehi, non chiamarmi bambolina!” “Ah sì? E chi me lo impedisce?” “Te lo impedisco io! Pratico le arti marziali!” “Ma che paura.” “Invece ce l'hai, eccome! Altrimenti, non ti nasconderesti sotto quel casco!”

Aveva appena finito di parlare, che il ragazzo si tolse il suo casco da motociclista.

Echalotte rimase a bocca aperta.

Non si aspettava di certo che quel teppista fosse così... così... bello!

Aveva i capelli castani rivolti verso l'alto, come una fiamma, occhi neri come le tenebre e la pelle bianca come la luna.

Ti ho spiazzata, eh, bambolina? Non ti aspettavi di certo una bellezza simile sotto il casco, vero?” la sfidò, con un ghigno, lui ma Echalotte ribatté: “Bah, ho visto centinaia di ragazzi più belli di te.” “Ma se non riesci a vedere una moto in bella vista. Sicura di non aver bisogno di un paio di occhiali?” “Cretino. Almeno io sono più forte di te.” “Allora perché non me lo dimostri?” la provocò lui, scendendo dalla moto, “Prova a colpirmi.” “Ok! Ma se vinco dovrai darmi un passaggio all'università di storia. Sono già in ritardo per la lezione...” “Puoi anche far con comodo. Tanto il prof non c'è.” “E tu come lo sai?” “E' molto semplice: anch'io frequento l'università di storia.” “Un teppista come te va ancora a scuola?” “Io sono diverso...” le disse con una voce seducente, tanto da incantarla per un istante.

Echalotte, però, si riprese e gli chiese: “Tu non chiedi niente in caso di vittoria?” “No. Sono un gentiluomo e non mi va di chiedere cose assurde ai miei avversari.” “Sembra che tu abbia la certezza di vincere.” “Ce l'ho, infatti.” “MA COME TI PERMETTI?! Fammi una richiesta qualsiasi e, in caso di vittoria, la esaudirò!” “Posso chiederti tutto quello che voglio?” “Qualunque cosa.” “D'accordo. Se vinco... dovrai darmi le mutandine che stai indossando in questo preciso istante.”

Echalotte diventò rossa come un peperone.

Ma come si permetteva quel pervertito...?!

E va bene! Però potrai averle solo in caso di vittoria!” acconsentì lei e si mise in posizione.

Ora aveva un motivo in più per non perdere!

Si avventò su di lui ma il teppista la scansò facilmente e con una mano, le afferrò il polso e la bloccò.

Anch'io pratico le arti marziali, bambolina.” le sussurrò all'orecchio, con la solita voce sensuale.

Echalotte desiderò che la tenesse bloccata per sempre ma, sfortunatamente, lui la lasciò andare.

Echalotte non perse tempo e cominciò a tirargli dei pugni ma lui li parava tutti con abilità.

Alla fine, le tirò un pugno alla spalla che la fece cadere per terra e, con un ghigno, dichiarò: “Ho vinto.”

Echalotte gli lanciò uno sguardo di pura rabbia ma il teppista si diresse alla sua moto e le passò il suo casco, dicendole: “Salta a bordo, ti do un passaggio all'università.”

La ragazza, esterrefatta, lo indossò e salì sulla moto.

Sulla moto, le sembrava di volare.

Le sembrava di essere nel cielo blu e di volare... lontano da tutto e da tutti... sola con lui...

L'incanto durò troppo poco.

Infatti, il teppista si fermò in parco e le disse: “Scendi.” “Che scherzo è questo?! Non siamo all'università.” “Rilassati, siamo nel parco dietro a essa. Se segui quel sentiero ci arrivi.” “Allora perché mi hai portato qui?!” “Volevi toglierti i pantaloni e le mutandine davanti a tutti?”

Echalotte arrossì.

Se lo ricordava ancora.

Oppure preferisci lasciar perdere?” la provocò lui ed Echalotte esclamò: “Fossi matta! Ti ho promesso che te le avrei date e te le do!”

Si diresse verso un cespuglio e cominciò a togliersi i pantaloni.

Nessuna l'aveva mai umiliata così...

Ma gliela avrebbe fatta pagare, altroché!

Sarebbe diventata più forte e l'avrebbe preso a calci.

Era una questione d'orgoglio.

Quando si tolse le sue mutandine bianche arrossì.

Chissà cosa ci avrebbe fatto quel pervertito...

Si rimise i pantaloni e, con in mano le mutandine, tornò da lui, sibilandogli: “Eccole! E adesso sparisci!” “Grazie, bambolina.” la ringraziò mentre le metteva nella tasca della giacca.

Almeno piantala di chiamarmi così! Io mi chiamo Echalotte!” gli disse e lui rispose, mentre si avvicinava pericolosamente a lei: “E io sono Vegeta.”

Echalotte non trovava la forza di muoversi.

Vegeta le si avvicinò all'orecchio e le sussurrò: “La prossima volta ti chiederò il reggiseno, quindi vedi di allenarti duramente o ti porterò via tutto l'intimo.”

Poi, saltò sulla sua moto e, prima di andarsene, la salutò: “Ciao, ciao, bambolina.”


Echalotte fece un sospiro triste

Il loro primo incontro non era certo stato come tutti gli altri.

Chissà come aveva capito che voleva sfidarlo di nuovo... purtroppo non l'avrebbe mai saputo.

Quando aveva messo le mani nella tasca della giacca si era accorta che c'era un biglietto.

Molto probabilmente glielo aveva scritto mentre si toglieva le mutandine per poi infilarlo nella sua tasca mentre le diceva quelle parole all'orecchio.

Un biglietto che conservava ancora.

Prese dal comodino un pezzo di carta e guardò con aria triste quel foglietto dove c'era scritto un numero di telefono e la frase: Nel caso volessi sfidarmi di nuovo, bambolina.


Che ne pensi di questo pigiama? Pensi che andrà bene per il bambino?” gli chiese Mai, mostrandogli l'ennesima fotografia di un vestitino per neonati di una rivista.

Trunks guardò a lungo quel piccolo pigiama bianco con degli allegri motivi e immaginò un bambino appena nato dentro di esso.

Suo figlio...

Ancora non riusciva a credere che presto lui e Mai sarebbero diventati genitori...

Sì, è perfetto.” le rispose e la fidanzata esclamò: “Anche a me è piaciuto molto.”

I due rimasero in silenzio un attimo, ma poi la giovane espresse quella domanda che le frullava in testa da giorni: “La tua famiglia come ha preso la notizia?” “A parte la nonna, dubito che qualcosa possa sconvolgerla, si sono beccati tutti un bel colpo all'inizio ma hanno accettato in fretta la cosa. Mio padre è l'unico che fa ancora il difficile.” “Trunks... e se per caso continuasse a odiare il bambino anche dopo la sua nascita?” gli domandò, preoccupata, Mai ma Trunks la rassicurò, abbracciandola: “Non preoccuparti, Mai. Mio padre fa sempre così. Scommetto che quando vedrà il suo nipotino si innamorerà subito di lui. Anzi, qualcosa mi dice che spera di avere un nipote interessato alle arti marziali così da farlo diventare il suo allievo.”


Oggi è l'ultimo giorno che è ricoverato, Signor Lupo Cattivo, come si sente?” “Mezzo morto congelato per il freddo che c'è qua fuori.”

Era, finalmente, passata una settimana da quando c'era stata l'operazione, e, presto, suo fratello, suo padre e il suo amico sarebbero potuti tornare a casa.

Non so cosa mi abbia spinto a venir qui! C'è il rischio che mi possa ammalare gravemente col freddo che c'è!” borbottò l'uomo mentre incrociava le braccia come al solito, nel tentativo di scaldarsi “Mi dici perché diavolo hai voluto andare fuori?” “Così... a me la neve piace tanto tanto...” sussurrò lei mentre appoggiava la testa sul suo braccio.

L'uomo sospirò.

Maledetta piccola peste... ormai riusciva a fargli fare tutto quello che voleva... entro un certo limite!

Lo sa che la mia mamma sta organizzando il trasloco di mio fratello?” gli domandò e lui rispose: “Lo so, Cappuccetto Rosso, me l'hai già detto cento volte.” “Guardi che erano novantanove.” “E' la stessa identica cosa.” “Purtroppo non prenderà tutto con sé... la sua bella moto, per esempio, la lascia a casa. Mamma dice che è troppo pericoloso.” “Tua madre ha perfettamente ragione.” “Ha mai avuto una moto?” “Ce l'avevo da ragazzo.” “E che fine ha fatto?” “Me l'hanno rubata.”

Bra, però, si era accorta che il suo sguardo si era fatto ancora più triste e capì che doveva essere una bugia.

Non è vero. Non gliel'hanno rubata.” gli disse e lui negò: “Invece sì! E se becco quegli idioti...!” “Guardi, signor Lupo Cattivo, che ho capito che sta dicendo una bugia! Lei sa perfettamente dov'è!” “Ti sbagli, Cappuccetto Rosso, è di sicuro già stata...” fece lui ma subito s'interruppe, capendo che la piccola l'aveva messo in una trappola.

Già stata cosa?” gli domandò Bra e lo pregò: “La prego, mi dica che cosa ne ha fatto. Prometto che non lo dico a nessuno.”

L'uomo sbuffò.

Ormai non poteva più scappare.

Avvicinò il suo mignolo davanti ai grandi occhi azzurri di Bra e l'avvisò: “Giura che non lo dirai a nessuno!” “Lo giuro!” promise la bimba mentre univa il suo piccolo mignolo a quello grande del Lupo Cattivo.

Un po' titubante, l'uomo cominciò a raccontare: “Io e mia moglie ci eravamo appena sposati e stavamo aspettando l'arrivo di nostro figlio. Purtroppo avevamo bisogno di soldi... nessuno di noi due aveva più i genitori da molti anni e non sapevamo come ottenerli... io potevo lavorare ma quello che guadagnavo... era troppo poco per la mia famiglia. Così... un giorno presi la moto e la vendetti.” “Davvero?!” “Sì... a lei raccontai che me l'avevano rubata e convinsi un mio amico a fingere che doveva restituirmi dei soldi.” “Ma non poteva dirle quello che aveva fatto?” “Ti sembro il tipo che dice alla propria moglie che ha venduto la moto per ottenere i soldi per il marmocchio che sarebbe arrivato? Era una questione d'orgoglio! Per anni ho creato l'immagine di un uomo apatico ai sentimenti e non avrei mai confessato una cosa simile! E guai a te se scopro che hai raccontato questa storia in giro!”

Bra non disse nulla.

Si avvicinò all'uomo e strinse con le sue piccole e minute braccia il suo braccio, sussurrando: “Lei è sempre stato buono...”

Lui la guardò, sconvolto.

L'ho sempre saputo che non era cattivo... nonostante le sue parole, la sua faccia scontrosa e i suoi atteggiamenti... io ho sempre saputo che, in realtà, faceva solo finta di essere cattivo e che era buono... come vorrei che mio nonno fosse una brava e buona persona come lei...” sospirò la bambina e l'uomo le chiese: “Tuo... nonno?” “Sì, era una persona molto cattiva e malvagia che ha fatto soffrire mia nonna, il mio papà e mio zio. Non l'ho mai conosciuto perché se n'è andato quando papà era un bambino... non so dov'è o cosa sta facendo... io spero solo che si sia pentito di tutto il male che ha fatto al mio papà...” sussurrò la bambina prima di scoppiare a piangere.

L'uomo si avvicinò a lei e l'abbracciò.

Per un po', attorno a loro non ci fu che il silenzio, spezzato solo dai loro respiri, finché, l'uomo non sussurrò: “Cappuccetto Rosso... devo rivelarti una cosa... io... io ho abbandonato la mia famiglia. Una notte me ne andai senza nemmeno salutarli... con mio figlio di soli tre anni che mi urlava di restare con lui... e non l'ho ascoltato. Come vedi, io sono veramente cattivo. Ma sappi che non sono mai stato felice della mia azione. Ogni giorno... non faccio altro che pensare al mio gesto e al supplizio che mi sono dato con le mie stesse mani... perché so che loro mi odiano.”

Bra sgranò gli occhi.

Il signor Lupo Cattivo le aveva rivelato il suo segreto... quello che impediva ai suoi occhi di brillare di felicità...

Si strinse ancora di più su di lui e lo rassicurò: “Io non la odio.” “Sei sicura? Anche adesso che ti ho mostrato il Lupo Cattivo dentro di me?” “Sì... perché so che si è pentito... si è pentito della sua azione il giorno stesso in cui l'ha compiuta.”

Lui sorrise.

Per la prima volta da anni, sorrise veramente.

Finalmente, si era liberato di un peso che lo martoriava da anni...

Sai una cosa, Cappuccetto Rosso?” commentò, alla fine, mentre le accarezzava i capelli turchini: “Credo di essermi affezionato a te perché mi hai sempre ricordato mio figlio. Sei disubbidiente, scocciatrice e adorabile tanto quanto lui...”


Una cosa era certa: sua figlia era una vera peste!

Vegeta stava cercando Bra in tutto il reparto da un quarto d'ora buono.

Bulma aveva ricevuto una telefonata urgente dal suo ufficio e, pertanto, se n'era andata.

Tanto lui e Trunks stava benissimo e sarebbero tutti usciti fra qualche ora...

Dopo qualche minuto, Vegeta si era alzato dal letto, ormai era in perfette condizioni per muoversi, ed era entrato nella stanza di Trunks.

Lui, vedendolo, aveva fatto un sorriso imbarazzo, per via della storia della gravidanza della sua ragazza, ma Vegeta gli aveva chiesto, senza mezzi termini, dove fosse Bra.

Trunks aveva fatto una faccia stupita e gli aveva detto che, molto probabilmente, la bambina si trovava nella stanza del Lupo Cattivo.

Peccato che in quella stanza non ci fosse proprio nessuno.

Così, adesso, stava cercando in tutto il reparto una bambina dai capelli turchini di soli tre anni.

Anche se quel tizio possedeva un suo rene, avrebbe passato un mare di guai se fosse capitato qualcosa a sua figlia.

Si diresse verso la reception e domandò all'infermiera di turno: “Mi scusi, ha per caso visto una bambina di tre anni con i capelli turchini?” “Ma... non eravate usciti nel parco dell'ospedale cinque minuti fa?” esclamò la donna, sorpresa.

Vegeta alzò gli occhi al cielo: ci mancava solo l'infermiera scema!

Non sono mai uscito dall'ospedale. Potrebbe dirmi da che parte è andata?” le domandò seccato e quella, sempre fissandolo come se avesse visto un fantasma, rispose: “E' nel parco dell'ospedale... assieme a un uomo che...” “La ringrazio.” la liquidò, seccato, Vegeta e uscì.

La neve, ormai, aveva ricoperto tutto: panchine, viali, portici...

Aveva smesso di nevicare ma il meteo aveva annunciato che presto avrebbe ricominciato.

I bambini sarebbero stati al settimo cielo...

Mentre camminava, Vegeta guardava da tutte le parti, con la speranza di vedere la chioma inconfondibile della figlia ma inutilmente.

Ma dove si sarà cacciata?! Commentò, scocciato, Vegeta.

Ad un tratto, notò la sagoma di una panchina dietro a un cespuglio che era occupata da un uomo.

Vegeta gli si avvicinò e, mentre si sporgeva dal cespuglio, disse: “Mi scusi...” “Sì?” fece l'altro, girandosi.

I loro occhi si incrociarono.

Vegeta non riusciva a parlare dal tanto che era sconvolto.

Non era possibile...

Cosa ci faceva lui lì?!

Cosa voleva ancora?!

Anche lui doveva averlo riconosciuto in quanto, con un filo di voce, sussurrò: “Vegeta...” “Tu...” sibilò Vegeta mentre la sua espressione s'induriva rivelando un odio feroce che aveva conservato in tutti quegli anni.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Il rosso e il nero ***


CAPITOLO 15: IL ROSSO E IL NERO


Bra prese in mano il suo piccolo pupazzo di neve a forma di gatto e si diresse verso la panchina dove il Lupo Cattivo la stava aspettando.

Si era allontanata dicendogli che voleva fargli vedere una cosa e, di nascosto, aveva creato un piccolo pupazzo.

Chissà come sarebbe stato contento di vederlo...

Mentre si avvicinava alla panchina, si accorse di una seconda figura vicino al Lupo Cattivo.

La guardò attentamente e riconobbe il suo papà.

Sorrise felice al pensiero che avrebbe fatto conoscere la persona che aveva salvato al padre.

Stava per chiamarlo, quando suo padre afferrò il colletto della giacca dell'uomo e gli gridò, con una voce così arrabbiata da far paura: “MALEDETTA CAROGNA SCHIFOSA! COSA CI FAI TU QUI?!”

Bra era sconvolta.

Non aveva mai visto suo padre così arrabbiato...

Ma cos'era successo?

Cosa aveva fatto il suo amico perché suo padre lo odiasse in quel modo?!

Che fosse perché suo padre aveva rinunciato a un rene per salvarlo?!

Eppure le aveva assicurato che era felice di avergli donato un rene...

Il Lupo Cattivo, tuttavia, non perse la calma e, con la voce più serena e tranquilla del mondo, spiegò: “Ho fatto un'operazione.” “TU...!” sibilò suo padre, guardandolo con due occhi carichi d'odio.

Il Lupo Cattivo spostò un attimo lo sguardo e si accorse di lei.

La vide immobile, confusa e sconvolta da quello che stava succedendo.

L'uomo tornò a guardare suo padre negli occhi e gli propose: “C'è un parco abbandonato qua dietro. Andiamo là. Potrai dirmi tutto quello che vorrai senza essere disturbato.” “Andiamo!” acconsentì suo padre, prendendolo per un braccio e trascinandolo via in malo modo.

Prima di sparire, però, il Lupo Cattivo si voltò verso di lei e le fece segno di restare lì.

Il Signor Lupo Cattivo mi ha fatto cenno di restare qui, però... quello è mio padre e io non l'ho mai visto così infuriato... devo scoprire cosa sta succedendo... pensò la bimba mentre seguiva di nascosto i due, sperando di non farsi vedere.

Fortunatamente, suo padre era più concentrato a raggiungere il parco mentre il Lupo Cattivo cercava di restare in equilibrio, dato che Vegeta non pensava minimamente a farlo camminare tranquillamente.

Finalmente, il gruppo raggiunse il parco e Bra si nascose dietro a un enorme albero spoglio.

Suo padre, nel frattempo, lasciò andare la mano dell'uomo e si mise a fissarlo con odio.

SCIAFF

Suo padre aveva dato, con una forza e una rabbia sovrumana, un tremendo schiaffo sulla guancia del Lupo Cattivo.

Bra guardò la scena, sconvolta.

Perché suo padre aveva picchiato il suo amico?

E con una tale violenza...

DANNATO VERME! VORREI CHE QUELL'OPERAZIONE FOSSE ANDATA MALE PERCHE' TU NON MERITI ASSOLUTAMENTE DI VIVERE!” urlò suo padre con tutto il fiato in gola.

L'uomo lo fissò un attimo in silenzio e poi rivelò: “Anch'io avrei voluto che andasse male ma sfortunatamente non è andata così.” “GIA', SFORTUNATAMENTE PER ME! PER QUANTO ANCORA HAI INTENZIONE DI ROVINARMI LA VITA?!” “Non ho intenzione di rovinarti la vita! Non sapevo nemmeno che eri in ospedale!” tentò di difendersi lui ma Vegeta lo interruppe, mentre gli tirava un pugno, prontamente schivato: “SEI SOLO UN BUGIARDO!”

Nonostante il fatto che avesse schivato un suo pugno, Vegeta continuò ad attaccarlo con violenza e a insultarlo: “IL SOLO FATTO CHE TU SIA ANCORA VIVO MI ROVINA LA VITA! HO VISSUTO UN'INFANZIA DEL CAVOLO GRAZIE A TE E AL TUO EGOISMO! GLI ALTRI BAMBINI MI HANNO EVITATO PER ANNI PERCHE' POSSEDEVO I TUOI GENI MALEDETTI!”

Ad un tratto, l'uomo mise il piede su una superficie ghiacciata e scivolò per terra, tra la neve bianca e gelida.

Vegeta, ancora furente, si avvicinò a lui e, afferrandogli la giacca, gli sibilò: “Se non fosse che finirei in prigione, ti ucciderei.”

L'uomo continuò a fissarlo in silenzio, poi gli disse: “Anche se tu mi uccidessi, io farei sempre parte della tua vita, Vegeta. Non puoi spezzare il legame che ci lega. Dopotutto... io sono tuo padre e tu sei mio figlio.”

Bra rimase sconvolta.

Il signor Lupo Cattivo... il suo più caro amico... era il papà del suo papà e, quindi, suo nonno?!

Il nonno cattivo... il nonno di cui suo padre non voleva nemmeno sentire nominare...

Non poteva essere lui!

Lui era buono...

NON PRENDERMI IN GIRO!” gli urlò, adirato, Vegeta “TU TE NE SEI ANDATO QUANDO AVEVO SOLO TRE ANNI! TI HO PREGATO DI NON FARLO MA NON MI HAI ASCOLTATO! NON HAI ASCOLTATO TUO FIGLIO! TU NON PUOI ASSOLUTAMENTE ESSERE MIO PADRE! UN PADRE NON ABBANDONEREBBE MAI IL PROPRIO FIGLIO!”

Riprese un attimo fiato e, poi, gli sibilò: “E non hai abbandonato soltanto me... anche mia madre... e mio fratello!”

L'uomo fece una faccia sorpresa e sconvolta.

Per anni si era preparato a quell'incontro.

Si era preparato a ricevere pugni, schiaffi, urla, rabbia, odio...

Era pronto ad affrontare tutto... tranne quella notizia.

Di... di quale fratello stai parlando?” gli domandò, con un filo di voce, e Vegeta gli urlò: “MIA MADRE ASPETTAVA UN BAMBINO QUANDO L'HAI ABBANDONATA! L'HA ALLEVATO COMPLETAMENTE DA SOLA! E NON SOLO QUEL BAMBINO E' CRESCIUTO SENZA UN PADRE, MA E' SEMPRE STATO PRESO IN GIRO PIU' VOLTE PER COLPA TUA! IN PRIMA MEDIA, POI, E' STATO PICCHIATO COSI' TANTO CHE MIA MADRE APPENA L'HA VISTO E' SCOPPIATA A PIANGERE! TU CI HAI ABBANDONATI! CI HAI ROVINATO LA VITA! NON MERITI DI VIVERE!” “SMETTILA!”

Il piccolo grido fece bloccare, di colpo, Vegeta.

Aveva riconosciuto la voce di chi aveva urlato.

Infatti, non appena girò la testa, la vide.

Una bambina con i capelli turchini, vestita di rosso e con due grandi occhi azzurri che stavano diventando rossi per via di tutte le lacrime che la bambina faceva uscire.

Vegeta rimase immobile.

Si era così concentrato a sfogare tutta la rabbia e l'odio che aveva provato per anni per suo padre, che non aveva più pensato a Bra.

Doveva averlo visto nel parco e l'aveva seguito... però non riusciva a capire perché fosse così disperata... eppure glielo aveva detto quanto suo nonno fosse malvagio ed egoista...

L'uomo, però, non si accorse che anche suo padre stava guardando Bra.

Tu... che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non seguirmi.” le disse, ad un tratto.

Vegeta lo sentì e ritornò a guardarlo negli occhi, urlandogli: “COME CONOSCI MIA FIGLIA?!”

Ancora una volta, suo padre fece una faccia sconvolta.

Che cosa... CHE COSA HAI DETTO?!” urlò, sconvolto.

Con lentezza, si voltò verso la bambina che per quattro mesi gli era stata accanto, che aveva imparato a leggere nel suo cuore e nei suoi occhi, che lo riempiva di domande, che era convinta che lui fosse buono, che l'aveva perdonato di essersene andato come un codardo, che scocciava come poche, che non se n'era andata quando le aveva mostrato il suo Lupo Cattivo, che aveva cambiato il finale di una favola solo per lui, che comprava il doppio delle cose al bar solo per darle anche a lui, che aveva dato un senso alla sua vita, che aveva rinunciato al suo letto solo per poter stare accanto a lui, che lo abbracciava, che piangeva per la sua solitudine, che sorrideva come sua madre, che amava fare le fusa come i gatti, che gli ricordava suo figlio, che aveva seguito di nascosto per controllare che non le succedesse niente, che gli raccontava i suoi progressi all'asilo, che aveva trovato gelida e smarrita sotto la tempesta, che faceva una confezione di biscotti a forma di gatto solo per lui, che faceva di tutto pur di stare con lui, che gli aveva insegnato a ritrovare la felicità e un senso alla sua vita, che voleva aiutarlo a far pace con la sua famiglia, che gli aveva fatto credere che si poteva sul serio cambiare le favole: “Lei... è tua figlia?!”

SI'! COME L'HAI CONOSCIUTA, DANNATA SANGUISUGA?!” gli domandò, infuriato, Vegeta e lui rispose: “L'ho conosciuta quattro mesi fa al parco... non sapevo che era tua figlia!” “Lui è il signor Lupo Cattivo, papà.” gli rivelò Bra, con una vocina triste.

Stavolta fu Vegeta a rimanere sconvolto.

Il più caro amico di sua figlia, quello che aveva rinunciato a un rene pur di salvarlo... era suo padre?!

Non era possibile...

Ma come aveva fatto Bra a non riconoscerlo?!

Non aveva visto quanto gli assomigliava?!

Cominciava a temere che sua figlia avesse bisogno di un paio di occhiali...

Guardò suo padre, un uomo identico nell'aspetto a lui e che odiava con tutta l'anima, e fece una smorfia al pensiero che sarebbe dovuto morire una settimana prima e, invece, proprio grazie a lui si era salvato!

Che beffa!

Stammi bene a sentire, tu...” sibilò Vegeta, guardandolo dritto nei suoi occhi neri “Non ti azzardare ad avvicinarti di nuovo a lei! Sta' lontano da mia figlia! Sta' lontano dalla mia famiglia! Fallo e io ti denuncio! Tu non rovinerai ancora la mia famiglia.”

Dopo avergli sputato quelle parole di puro odio e rancore, Vegeta lo spintonò e suo padre cadde di faccia nella neve gelida.

Andiamo, Bra.” disse semplicemente, mentre si rialzava in piedi, dirigendosi verso l'uscita del parco.

La bambina, invece, rimase immobile a guardare l'uomo che, fino a qualche minuto fa, era il suo Lupo Cattivo e che aveva scoperto solo in quel momento essere suo nonno.

Vegeta, vedendo che sua figlia non si decideva a seguirlo, la richiamò: “Mi hai sentito?! Bra!”

Bra, però, non volle ascoltarlo.

Si avvicinò lentamente a lui, mentre gli occhi si misero a bruciare, come le succedeva ogni volta che voleva piangere, ma la voce seccata e infastidita di suo nonno la bloccò: “Va' da tuo padre.” “Signor Lupo Cattivo...” “UBBISCI! VATTENE VIA! NON TI VOGLIO MAI PIU' VEDERE! VA' DA TUO PADRE, BRA!”

Fu come se un fulmine le fosse caduto addosso.

Il suo amico, suo nonno... non le voleva più bene... adesso che aveva scoperto che era sua nipote non era più felice di rivederla, non che glielo avesse mai detto... adesso, lui la odiava... lei, per lui, non era più la piccola Cappuccetto Rosso...

L'aveva persino chiamata col suo vero nome, Bra.

Rimase immobile mentre lacrime calde le rigavano il viso.

Suo nonno, ignorandola completamente, si rialzò faticosamente in piedi e si diresse, sotto lo sguardo infastidito di Vegeta, all'uscita del piccolo parco abbandonato.


Non so come ringraziarti, Bulma.” “Ma figurati, Echalotte. Ormai a Trunks e a Vegeta non serve più quella moto. Te la do' tranquillamente.” “Grazie. Chiamami quando Trunks annuncia la data del suo matrimonio.” “Senz'altro, ciao.” CLICK

Echalotte alzò gli occhi sul soffitto.

Finalmente, quella moto sarebbe tornata nel suo garage.

Per Bulma e gli altri, quella era moto come tante altre ma per lei non lo era affatto...


Echalotte aprì la portiera della macchina e mise Tarble nel seggiolino della macchina, mettendogli le protezioni.

Il bambino si lasciò mettere le protezioni tranquillamente, guardandola con i suoi occhi neri e sorridendo.

Era incredibile come quel bambino non assomigliasse per niente a suo fratello maggiore.

Quando metteva Vegeta nel seggiolino quando aveva solo un anno, il bambino strillava sempre e si lamentava perché non voleva stare lì, spaccando i timpani a lei e al marito.

Echalotte si domandò da chi Tarble avesse ereditato tutta la sua tranquillità.

Lei era da sempre un'anima violenta e ribelle.

Grazie al cielo, il suo bambino non aveva ereditato proprio nulla nemmeno da quei due grandi menefreghisti dei suoi genitori, che ognuno di loro pensava solo per sé.

Restava suo marito ma ne dubitava fortemente... lui aveva sempre avuto un carattere troppo simile al suo...

Non riusciva proprio a capire da chi avesse ereditato Tarble...

Quando Echalotte finì, si spostò ma appena si girò, vide il suo primogenito che la fissava.

No, Vegeta. Ne abbiamo già parlato. Sei ancora troppo piccolo per stare sul sedile davanti. Finché non sarai grande, tu stai dietro con tuo fratello.” disse prontamente la donna.

Erano mesi, ormai, che suo figlio la tormentava per stare davanti dato che i grandi stanno sempre davanti.

Vegeta sbuffò e si sedette di fianco al fratello.

Vegeta.” lo chiamò Tarble, vedendo che si era seduto di fianco a lui e Vegeta lo guardò malissimo: “Ma con tutte le parole che esistono nel mondo, proprio il mio nome dovevi sceglierti come prima parola?” “Dovresti essere contento, Vegeta. Significa che ti vuole bene.” gli disse sua madre mentre metteva in moto la macchina.

Il viaggio durò mezz'ora, come al solito, e mentre si avvicinavano in città, Echalotte era sempre più nervosa.

La gente si divertiva ancora a sparlare alle sue spalle: dopotutto, era rimasta incinta fuori dal suo matrimonio e, poi, suo marito se n'era andato con un'altra donna, abbandonandola incinta e con un figlio di tre anni.

Una cosa del genere mandava in estasi le vecchie comari pettegole del paese.

La giovane donna parcheggiò la macchina in un parcheggio e, dopo aver tirato fuori il passeggino per Tarble, si diresse verso il centro.

Doveva, assolutamente, comprare dei vestiti nuovi per Vegeta, che stava crescendo a vista d'occhio.

Fortunatamente, quel traditore di suo marito, quando se n'era andato, aveva lasciato gran parte dei soldi nel conto.

Quando, il giorno dopo la fuga di suo marito, era corsa in banca, era terrorizzata al pensiero di scoprire che suo marito le aveva portato via tutti i soldi, lasciandola al verde.

Era rimasta a bocca aperta quando, invece, il banchiere le aveva rivelato che aveva ancora un mucchio di soldi da parte.

Certo, suo marito aveva prelevato dei soldi proprio due giorni prima ma era poca cosa, in confronto a tutti i soldi che avevano in banca.

Anche se erano ancora piuttosto ricchi, Echalotte aveva capito che bisognava fare economia, dato che avrebbe avuto presto un altro figlio.

La piccola famiglia entrò in un negozio e la donna disse al figlio: “Mi raccomando, non prendere troppo.” gli raccomandò la madre e Vegeta sbuffò: “Va bene, mamma...”

Nel frattempo, il piccolo Tarble guardava estasiato tutto ciò che lo circondava.

Non aveva mai visto un posto così grande e luminoso...

Echalotte diede al figlio un paio di magliette e pantaloni e si sedette, mettendo il passeggino di fianco a sé, su una sedia ad aspettare che Vegeta finisse.

Mentre aspettava, sentì una voce femminile dietro uno scaffale che la fece gelare: “Ti assicuro che è così. Ha abbandonato quella povera stupida tre mesi dopo essere finito in ospedale.”

Echalotte si irrigidì.

Sapeva benissimo chi era la povera stupida di cui quelle due oche parlavano...

Da non credere... che razza di marito!” commenta un'altra donna e la prima aggiunge: “Già... ma quella là doveva aspettarsi che quello svergognato l'abbandonasse! Dopotutto, si sono sposati solo perché si sono dimenticati le precauzioni e lei è rimasta incinta.” “Ma guarda che roba! Le giovani d'oggi non hanno più dignità! Pensano solo al sesso e poi restano incinte e siamo noi che ci dobbiamo prenderci cura del risultato delle loro cavolate!” “Ma, aspetta, non ti ho detto ancora tutto! Quando lui se n'è andato, lei aspettava un altro figlio!” “Visto? Le ragazze di oggi sono praticamente delle prostitute che pensano solo al sesso.”

Echalotte rimase immobile, con lo sguardo spento, mentre le due donne si allontanavano.

Era passato solo un anno da quando suo marito se n'era andato...

Per quanto ancora la gente intendeva parlare male della sua famiglia?!

Guardò Tarble che, nel frattempo, si era addormentato sul seggiolino e gli accarezzò dolcemente la testa.

Per ora, a quel piccolino non importava nulla di suo padre... ma un giorno si sarebbe fatto delle domande, soprattutto vedendo i suoi compagni con un padre mentre lui non l'aveva mai avuto... cosa avrebbe dovuto dirgli?

Echalotte non si accorse che Vegeta la stava guardando, in completo silenzio.

Aveva sentito tutto il discorso di quelle comari e, anche se non aveva capito gran parte delle parole, come prostitute o precauzioni, aveva afferrato che quelle due donne parlavano della sua mamma... e di lui.

Di suo padre.

Quella vecchia canaglia... era da un anno che li aveva abbandonati eppure, con la sua presenza nelle parole degli altri, faceva star male la mamma.

Strinse forte un pugno, fino a farsi male.

Non poteva dimenticarsi di quella notte in cui se n'era andato... infischiandosene di lui, della mamma e di Tarble... se solo l'avesse rivisto... l'avrebbe picchiato così tanto da ucciderlo... facendo provare sulla sua pelle il dolore che aveva inflitto alla sua famiglia!

Intanto, sentendo le carezze della madre, il piccolo Tarble aprì gli occhi e voltò la testa.

Vegeta!” lo chiamò, tutto contento, quando lo vide.

Echalotte, si voltò e vide suo figlio, a cinque metri di distanza da lei, che la fissava in silenzio.

La donna era nervosa al pensiero che Vegeta avesse sentito tutto...

Ho scelto questi vestiti, mamma.” disse, semplicemente, il figlio maggiore, avvicinandosi e dandole i vestiti.

In completo silenzio, Echalotte andò a pagare e tutti e tre uscirono dal negozio.

Mentre camminava, Vegeta vide una cosa alla vetrina di un negozio che lo fece emozionare.

Uao, mamma! Guarda che bella moto!” esclamò, avvicinandosi alla vetrina per poterla vedere meglio.

Echalotte si avvicinò, ringraziando il cielo che Vegeta, essendo ancora un bambino, si distrasse per piccole cose, ma quando vide la moto sbiancò.

Quella moto... non poteva essere...

La donna entrò, emozionata, nel negozio seguita, incredula, da Vegeta.

Alla cassa vi era un vecchietto che, appena la vide, le sorrise e disse: “Buongiorno, signora, desidera?” “Vorrei chiederle qualcosa sulla moto in vetrina...” “Mi dispiace, ma non è in vendita.” “Non voglio comprarla... voglio solo sapere quando l'ha avuta.”

L'uomo la fissò, incredulo.

Mamma, posso dare un'occhiata alle moto?” le domandò Vegeta ed Echalotte rispose: “Basta che tieni d'occhio tuo fratello.”

Sbuffando, Vegeta ubbidì.

Quando l'ha avuta?” domandò lei, con una punta di emozione, e lui rispose: “Quattro o cinque anni fa.” “E mi dica... chi gliel'ha venduta?” “Un ragazzo piuttosto giovane...” “Me lo può descrivere?” “Dunque... se la memoria non m'inganna... aveva i capelli a fiamma castani e uno sguardo serio ma anche molto triste.”

Echalotte sgranò gli occhi.

Ma quella... era la descrizione di suo marito!

Che significava?!

Lui le aveva raccontato che gli avevano rubato la moto, non che l'aveva venduta...

Ne è proprio sicuro?!” domandò, allibita, e il vecchio confermò: “Ma certo, signora. Non potrò mai dimenticare quel ragazzo... un pomeriggio venne nella mia officina e mi chiese quanto valesse quella moto perché voleva venderla. Però, intuì subito che per quel ragazzo era una tortura separarsi da quella moto... continuava a toccarla con molta delicatezza e sospirava sempre. Mi sembrò strano che volesse separarsi da quella moto, visto che era lampante che ci era molto affezionato. Fu molto difficile, ma alla fine seppi la verità: mi raccontò che sua moglie aspettava un bambino e sapeva che il suo stipendio era troppo poco per il piccolo. Così decise di venderla. Gliela comprai... ma anche se era superba e in ottimo stato, non volli assolutamente venderla. Quella moto era la testimonianza di un grande amore... sarebbe stato un oltraggio alla memoria di quel ragazzo venderla a uno di quei teppisti di strada o a una coppia falsa...”

Echalotte rimase in silenzio.

Quindi a suo marito non era stata rubata quella moto... l'aveva venduta per avere i soldi che sarebbero serviti per Vegeta...

Provò odio per la donna che le aveva portato via il suo Vegeta... lui l'amava veramente ma poi era arrivata quell'arpia e lui se n'era andato...

Forse, il suo amore non era poi così grande... so per certo che quel ragazzo ha abbandonato la moglie e il figlio per andarsene con un'altra...” gli rivelò e il vecchio disse: “Mi creda, lui amava tantissimo la moglie e il figlio. Anche se sono vecchio, ne ho viste di tutti i colori e credo di conoscere le persone. Si fidi di me, suo marito l'ama veramente, anche se andato via.”

Echalotte sgranò gli occhi.

Come aveva capito che era sua moglie?!

Il vecchio le sorrise: “Visto? Ormai conosco la gente...”

Echalotte non fece in tempo a dire qualcosa che arrivò Vegeta assieme al piccolo Tarble, esclamando: “Mamma, in questa bottega ci sono un sacco di belle moto!”

Davvero?” fece il vecchio e gli domandò: “Qual'è la tua preferita?” “Quella in vetrina.” “Quando sarai più grande, se la tua mamma è d'accordo, te la regalerò.” “Davvero?!” “Certo.” “Mamma, ti prego, la posso avere?”

Echalotte guardò il figlio maggiore.

Vedere suo figlio interessato a un oggetto appartenuto al padre che odiava era incredibile.

Vegeta aveva ereditato buona parte del carattere dal padre, oltre all'aspetto.

Va bene... però potrai averla solo a diciotto anni.” si arrese la donna e Vegeta esultò: “Evvai!” “Però, se ti comporti male, la moto te la sogni, sono stata chiara?” “Sì, mamma.”

La donna prese il passeggino e, prima di uscire dal negozio, sentì la voce del proprietario dirle: “Se per caso dovesse rivederlo... dia retta al suo cuore e non al suo orgoglio.”


Erano passati anni da quel giorno, eppure non riusciva a dimenticare quella frase.

Nel frattempo, i suoi figli erano cresciuti e Vegeta, una volta compiuti diciotto anni, era corso all'officina e l'aveva comprata, ignorando che apparteneva a suo padre.

Quando, poi, suo nipote Trunks era cresciuto, la moto era passata a lui e adesso che stava per sposarsi, quella moto sarebbe tornata da lei...

La donna alzò lo sguardo e sospirò.

Il suo orgoglio le diceva che se l'avrebbe rivisto, avrebbe dovuto ignorarlo, comportarsi come se non fosse nulla di speciale... fargli provare sulla sua pelle la sofferenza dell'abbandono... ma il suo cuore le urlava di non farlo!

La implorava di perdonarlo, di baciarlo e di riportarlo a casa, assieme a lei...

Ma come poteva perdonarlo, dopo tutto quello che le aveva fatto?!

Era davanti a un bivio e, purtroppo, non sapeva quale strada prendere...


Perché l'hai trattato così male?!”

Vegeta si voltò e guardò la figlia che lo fissava con i suoi grandi occhi azzurri.

Dopo che suo padre se n'era andato dal parco, Vegeta aveva preso per un braccio Bra, che sembrava essere sotto shock, e l'aveva portata nella sua stanza.

Dopo un po', la bambina si era ripresa e, adesso, voleva una risposta.

Per colpa sua, suo nonno la odiava!

Vegeta si voltò verso di lei.

Adesso stava facendo la parte del cattivo quando, il vero cattivo, era suo padre... tutto perché sua figlia non aveva capito che l'essere che tanto adorava era quel verme di suo padre!

Il pensiero che era stato proprio lui a salvarlo, donandogli un rene...

Non sono cose che ti riguardano, Bra.” sbottò lui ma Bra ribatté: “Mi riguardano, invece! Lui è un mio amico!”


Camminava piano tra i corridoi dell'ospedale, evitando infermiere e pazienti.

Desiderava che nessuno lo fermasse.

Voleva solo andarsene da lì...

IL TUO AMICO E' SOLO UNA SCHIFOSA CAROGNA TRADITRICE!”

Si voltò verso la porta.

Non poteva non riconoscere la voce della persona che, qualche minuto prima, gli aveva detto parole d'odio.

La voce di una persona che avrebbe dovuto amarlo ma che, invece, lo odiava e lo disprezza.

La voce di suo figlio.

LUI E' SOLTANTO UN ESSERE SPREGIEVOLE CHE FA DEL MALE ALLA SUA FAMIGLIA... E SI COMPIACE DI FARLO! NON POTRA' MAI CAPIRE COSA SIGNIFICA AMARE QUALCUNO PERCHE' IL SUO CUORE E' ARIDO COME IL DESERTO! E' SOLTANTO UN UOMO EGOISTA E SENZA SCRUPOLI! PENSA SOLO A SE' STESSO! LUI, QUAND'ERO PICCOLO, NON MI HA MAI FATTO UN SOLO GESTO D'AFFETTO! SE GLI DICEVO QUALCOSA, SE NE FREGAVA! E' SOLO UNA MISERA SANGUISUGA! SE AVESSI SAPUTO CHE ERA LUI IL TUO AMICO, NON GLI AVREI DONATO IL MIO RENE! L'AVREI LASCIATO MORIRE!”

Appoggiò, disperato, la testa sulla porta, mettendo i pugni sopra di essa.

Quindi, per suo figlio era solo un mostro... se fosse morto, sarebbe stato al settimo cielo...

Così, era suo figlio il misterioso donatore che l'aveva salvato... un donatore che non era per niente contento di averlo salvato...

Perché la vita doveva martoriarlo in quel modo?!

Ok, aveva sbagliato, si era comportato da codardo... ma si era pentito!

Perché doveva subire in quel modo atroce?!

Ad un tratto, sentì un rumore vicino alla porta e, temendo che suo figlio stesse per aprire la porta, corse verso le scale.

Era così impegnato a controllare che suo figlio non uscisse dalla camera di quell'ospedale, che non si accorse di una donna che stava salendo le scale e si scontrò con lei.

Quasi subito, tuttavia, l'uomo si rialzò e, dopo averle detto un semplice “Mi scusi.”, corse come furia verso le scale.

Scese e corse a tutta velocità fuori dell'edificio.

Nel frattempo, la donna con cui l'uomo si era scontrato, si passò una mano tra i corti capelli turchini per vedere se c'erano tracce di bernoccoli, e, poi, guardò con i suoi grandi occhi azzurri, le scale dove l'uomo era sceso a tutta velocità.

Anche se l'aveva visto solo di sfuggita, l'aveva riconosciuto.

Non le sembrava il tipo che corresse all'impazzata in ospedale...

Ma cos'era successo?!

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La decisione di Bulma ***


CAPITOLO 16: LA DECISIONE DI BULMA


Sono tornata.” disse Bulma, aprendo la porta della stanza del marito.

La tensione là dentro era lampante.

Bra se ne stava seduta su una sedia lontana dal letto del padre a disegnare qualcosa mentre Vegeta leggeva, infastidito, una rivista.

Ma cosa diamine era successo?!

Aveva un brutto presentimento...

Cos'è successo?” chiese, pregando che non fosse successo quello che temeva fosse successo.

Papà ha trattato male il Lupo Cattivo!” le rivelò, adirata, la bambina, indicando il padre.

Oh no, è successo! Si lamentò, mentalmente, Bulma mentre Vegeta alzava gli occhi dalla rivista e ribatteva: “Ha tutto il diritto di essere trattato così!” “Non è vero! Tu non lo conosci! Tu non lo conosci!” “Bra, va da tuo fratello!” le ordinò Bulma, prima che la situazione degenerasse.

Non appena Bra fu uscita, Bulma si girò verso il marito e, anche se sapeva benissimo la risposta, domandò: “Mi dici cos'è successo?” “E' successo che il caro amico di tua figlia, a cui ho donato il mio rene, è mio padre.” sbottò lui, innervosito.

Bulma si avvicinò al suo letto e chiese: “E l'hai trattato male davanti a Bra?” “Non sapevo che era lì. E, comunque, gli ho vietato di vederla altrimenti lo denuncio.” “Non pensi di essere stato un po' troppo duro? Bra è affezionata a lui e se li separi non la farai affatto contenta!” “E tu come lo sai?”

Bulma si mordicchiò il labbro.

Ormai non poteva più tacere.

Per mesi Bra mi ha parlato del suo amico. Da quel che ho capito, pare che si sia pentito di quello che ha fatto. E, inoltre, ti assomiglia molto anche mentalmente.” gli raccontò e Vegeta rimase in silenzio.

Suo padre pentito delle sue azioni?

Che sciocchezza!

Lui era solo un mostro che giocava con la vita degli altri... si era divertito con sua madre e, una volta stanco, si era trovato un'altra donna, abbandonando senza alcun rispetto la sua famiglia.

Bah... lei, comunque, gli deve stare lontana!” sbottò lui, tornando a leggere la rivista, ma la voce di Bulma lo fece trasalire: “Fai così solo per impedirle di soffrire. Non vuoi che Bra soffra come hai sofferto tu alla sua stessa età.”

Vegeta alzò la testa dalla rivista, guardandola in completo silenzio.

Era vero... lui voleva solo impedire a sua figlia di soffrire... suo padre era una persona orrenda che avrebbe solo fatto soffrire la sua bambina... e lui l'avrebbe impedito! A qualsiasi costo!

Bulma si avvicinò al marito e disse: “Ascolta, Vegeta... le cose non rimangono mai le stesse per sempre. Tutto cambia... è la vita. Io sono convinta che, in tutto questo tempo, tuo padre sia cambiato... un po' come sei cambiato tu nel corso del tempo...”

Vegeta rimase in silenzio a guardarla.

Bulma gli sorrise, ricordando com'era Vegeta al loro primo incontro...


Accidenti, accidenti, accidenti. Che ritardo!” si lamentò Bulma, mentre correva all'impazzata, guardando, in continuazione, l'orologio.

Era in ritardo stratosferico.

Aveva perso tempo a farsi bella, come al solito, e, adesso, era in ritardo.

Fortunatamente, Goku era Goku e, pertanto, gli avrebbe perdonato il ritardo.

Maledizione, ma con tutti i giorni che c'erano, Yamcha si doveva ammalare proprio quel giorno?!

Quella mattina era andata a vedere come stava, per sincerarsi che stesse male sul serio.

L'aveva trovato sul suo letto con gli occhi lucidi, il naso rosso, che sudava come una fontana e la febbre a 38°.

Non c'erano dubbi, stava malissimo.

Così, visto che il suo fidanzato non era più disponibile, Bulma si era trovata costretta ad andare da sola alla festa di Goku.

Era così impegnata a correre che attraversò la strada senza notare che il semaforo era rosso.

SKRREEEEKKK

La giovane donna si voltò alla sua sinistra e vide una moto, con in sella un uomo, frenare bruscamente.

Appena riprese il controllo della moto, l'uomo le urlò: “Ma guarda dove vai, stupida ragazzina!”

Bulma lo guardò in malo modo.

Non mi ero accorta del rosso! E' colpa mia ma lei non ha il diritto d'insultarmi!” ribatté Bulma e l'uomo rispose: “Ne ho il diritto, eccome! Hai idea di quanto ho dovuto aspettare per averla?! Se le accadeva qualcosa, avresti dovuto ripagare i danni, sai?” “E tu sai che non parlo con i teppisti che si nascondono sotto il casco?” lo provocò Bulma e lui, raccogliendo la sfida, se lo tolse.

Aveva la pelle bianca come la luna, i capelli a fiamma neri e occhi grandi e profondi come le tenebre.

Era bellissimo.

Bulma non riuscì a non arrossire.

Non ti aspettavi di certo che fossi così carino, eh?” la provocò lui ma Bulma fece le spallucce: “Bah... voi uomini siete tutti uguali...” “E voi donne siete tutte uguali... ti decidi o no a spostarti?” rispose lui.

Bulma si spostò e il ragazzo, dopo essersi rimesso il casco, sfrecciò via mentre la donna gli faceva una linguaccia.

Solo quando se ne fu andato, Bulma si ricordò della festa di compleanno di Goku e corse verso il bar dove si teneva la festa.

Eccomi qui!” esclamò Bulma entrando nel locale dove si teneva la festa.

Ciao, Bulma.” la salutò Crilin, un ragazzo basso, pelato e senza naso, mentre Muten, il vecchio proprietario della palestra in cui Goku, Crilin, Yamcha e un nuovo collega assunto da poco, insegnavano le arti marziali, la salutava.

Ho portato dei dolci per la festa.” esclamò, tirando fuori dalla borsa un pacchetto e Muten disse: “Che pensiero gentile, Bulma, ma non dovevi disturbarti... a me bastava darti una palpatina al seno!”

GAN

Bulma gli aveva tirato, infuriata, il pacco in testa.

C-come al solito non capisci gli scherzi...” si lamentò il vecchio, massaggiandosi la testa mentre Bulma sibilava: “E tu, come al solito, resti un maiale...”

Il vecchio maestro Muten era un brav'uomo, molto saggio e forte... peccato che fosse un grande maniaco... sempre a caccia di qualche bella donna da tormentare!

Su, non litigate... è una festa.” li calmò Goku, con in braccio suo figlio Gohan di soli quattro anni.

Bulma sorrise.

Come al solito, l'energia e la spensieratezza di Goku la faceva sorridere e dimenticare le perversioni di Muten e la maleducazione di quello stupido motociclista.

Ad un tratto, lo sguardo di Goku fece un'espressione stupita e, dando il figlio in braccio alla moglie Chichi, uscì dal bar, dicendo: “Scusate, torno subito.”

Bulma, che da sempre aveva avuto un carattere curioso, seguì di nascosto l'amico.

Si nascose dietro a un lampione e lo sentì chiamare: “Vegeta!” “Kakaroth?! Che ci fai tu qui?!” “Sto festeggiando il mio compleanno con tutti i miei amici. Vieni con noi, dai.” “Non se ne parla. Lasciami in pace, una buona volta!” “Andiamo, non fare il musone come al solito... ci stiamo divertendo da matti!” “Kakaroth, ho voglia di stare da solo! Credimi, oggi non ho voglia di festeggiare...”

Bulma si allontanò in punta di piedi e ritornò nel bar.

Per quanto avesse opposto resistenza, quel tipo non sarebbe riuscito a sfuggire alla determinazione di Goku.

Infatti, sentì la porta del locale aprirsi e Goku esclamare: “Ehi, Crilin, Muten, guardate chi ho trovato.”

Goku trascinò, con un po' di fatica, un uomo all'interno del locale.

Appena lo vide, Bulma per poco non fece cadere il bicchiere.

Era quel motociclista maleducato che aveva incontrato qualche ora prima.

Anche lui si accorse di lei, e le fece un sorrisetto divertito.

Intanto, Goku lo presentò agli altri: “Lui è il nostro nuovo collega alla palestra. Si chiama Vegeta.”


Erano passati tanti anni da quel piccolo, strano, incontro che le aveva cambiato la vita.

All'inizio, non si sopportavano proprio e ogni momento era buono per litigare.

Ma, poi, qualcosa era cambiato.

Si era accorta di amarlo, nonostante il suo carattere freddo e distaccato.

Così, aveva rotto con Yamcha, il suo fidanzato da una vita, e, dopo una lunga e faticosa sfida per attirare la sua attenzione, si era messa con lui.

Yamcha, a modo suo, era un caro ragazzo e si trovava molto bene con lui ma Vegeta... le provocava brividi su tutto il corpo, la faceva emozionare per piccole cose e, soprattutto, la faceva volare.

Le era dispiaciuto rompere con Yamcha, ma sentiva che era la cosa migliore da fare... tuttavia erano rimasti buoni amici, semplicemente avevano preso strade diverse.

Aveva persino, fatto da testimone quando si era sposato.

Sfortunatamente, Yamcha, tre anni prima, era stato investito da una macchina ed era morto.

Era stato proprio durante il funerale di Yamcha, che aveva capito quanto Vegeta fosse cambiato...


La pioggia continuava a scendere, battendo con furia sui tanti ombrelli neri presenti nel cimitero.

Bulma cercava di restare composta ma le lacrime continuavano a scenderle con furia.

Anche se, ormai, era felicemente sposata con Vegeta ed era in attesa del loro secondo figlio, non poteva non trattenere le lacrime.

Yamcha... era stato qualcosa di più di un semplice amico... era stato il suo ragazzo da quando aveva sedici anni... e ora che non c'era più...

Si asciugò le lacrime.

Anche quando l'aveva lasciato per mettersi con Vegeta, erano rimasti in contatto... l'aveva sempre aiutata nel momento del bisogno... era stato come un fratello per lei.

Guardò la moglie di Yamcha, che continuava a piangere e a tremare.

Per quella poveretta, il dolore era anche maggiore.

Anche lei, nonostante la tempesta e il fatto che fosse al quinto mese di gravidanza, aveva voluto partecipare al funerale.

Vegeta le mise un braccio intorno al ventre, senza dire nulla.

Sapeva quanto soffriva la moglie... nemmeno lui poteva negare di soffrire...

Yamcha era morto per un idiota che si era ubriacato troppo e non si era accorto che il semaforo era rosso...

Era morto così, senza alcun motivo, lasciando da sola la moglie e il figlio... proprio come nella sua famiglia...

Ma, almeno, Yamcha non aveva scelto di andarsene, al contrario di suo padre... era stato contro la sua volontà...

Quando la funzione fu finita, si avvicinò alla giovane vedova e le sussurrò: “Se avesse bisogno di aiuto... anche per una cosa di poco conto... mi chiami pure e io e la mia famiglia l'aiuteremo... so cosa significa crescere senza un padre...”

La donna lo guardò, incredula.

Durante le rimpatriate con gli amici di suo marito, Vegeta era sempre quello serio e scorbutico che se ne stava in disparte... e, adesso, le stava offrendo aiuto.

Vegeta non si accorse che Bulma lo stava guardando in silenzio, sorridendo.


Io non lo perdonerò mai, Bulma! Mai!” le rispose, seccato Vegeta e Bulma gli disse: “Nessuno ti chiede di perdonarlo, Vegeta. E' una cosa che dipende da te. Ma, ti prego, permetti a Bra di vederlo. Ci tiene a lui...” “Non se ne parla! Ho detto no e la risposta resta no!”

Bulma sbuffò.

Suo marito era proprio uno zuccone... ma anche lei non era da meno!

Sua figlia teneva troppo a lui, proprio come a suo padre... se solo avesse saputo dove abitasse...

Un'idea le balenò in testa.

Sì... ma certo... forse, una persona che poteva dirgli dove abitasse il padre di Vegeta esisteva...


Entrò nel suo appartamento e chiuse con furia la porta.

Poi, si tolse le scarpe e la giacca, ancora piene di neve, e se ne andò in camera sua.

Una volta entrato, si buttò sul letto, a faccia in giù.

Si sentiva da cani... aveva sperato fino all'ultimo di non rivedere più la sua famiglia... eppure era successo!

Anche se aveva rotto tutti i ponti col suo passato, questo era riuscito a ritrovarlo.

Una volta, aveva sentito che non si poteva sfuggire dall'amore e dalla morte perché esse ti troveranno sempre.

Avrebbe voluto trovare quello che aveva detto quella frase per dirgli che sbagliava.

Non dubitava che non si potesse scappare dall'amore e dalla morte, lui lo sapeva meglio di chiunque, ma c'era un'altra cosa a cui non saresti mai riuscito a scappare.

Il tuo passato.

Sospirò.

Il suo passato non solo l'aveva ritrovato, ma gli aveva rivelato due verità sconvolgenti.

La prima era che aveva un altro figlio.

Doveva essere successo quando lui e sua moglie avevano fatto sesso l'ultima volta.

Quell'ultima notte...

Ora che ci pensava meglio, durante quei tre mesi prima che se ne andasse, Echalotte stava sempre male ma lui non ci aveva curato tanto, dato che aveva i suoi problemi.

Aveva dei mal di testa e sveniva spesso.

Aveva pensato a una malattia ma, invece, era incinta.

E lui l'aveva abbandonata in quelle condizioni!

Si sentì un mostro... esattamente quello che era.

Il suo secondo figlio doveva odiarlo al pari di Vegeta... dopotutto, era cresciuto senza un padre e, in base ai racconti di Vegeta, era sempre stato preso in giro e picchiato proprio per questo...

Ad un tratto, si ricordò una frase che Vegeta, adirato, gli aveva rivelato.

Suo figlio, quand'era in prima media, era stato picchiato così tanto che sua moglie, la sua Echalotte, appena l'aveva visto era scoppiata a piangere.

La sua Echalotte...

Lui non l'aveva mai vista piangere.

Era troppo orgogliosa per farlo, proprio come lui.

Eppure, scoprire che suo figlio era stato picchiato a causa del marito, l'aveva fatta piangere... e chissà quante volte era stata male perché lui se n'era andato o perché la gente parlava male della sua famiglia...

Era proprio un vero Lupo Cattivo...

Di colpo, si ricordò della seconda cosa che il suo passato gli aveva rivelato.

La sua Cappuccetto Rosso, la sua piccola amica che gli aveva insegnato a voler di nuovo bene a qualcuno, era sua nipote.

La figlia del suo primo figlio, Vegeta, il figlio che lo odiava per averlo abbandonato.

Era rimasto sempre in contatto con la sua famiglia senza nemmeno saperlo.

Però Bra, il vero nome della sua Cappuccetto Rosso, doveva aver bisogno di un paio di occhiali.

Ma come aveva fatto a non vedere che era identico a suo padre e, quindi, suo nonno?!

Il nonno molto cattivo e malvagio che aveva fatto soffrire suo padre...

Eppure, nonostante la scoperta, Bra aveva provato ad avvicinarsi a lui... e l'aveva respinta.

Perché quella bambina gli faceva ricordare il suo fallimento.

Il suo fallimento come uomo, marito, padre e nonno.

Alzò lo sguardo verso l'orologio sul comodino.

Le sette e mezza.

Ormai la farmacia era chiusa.

Fece le spallucce.

Poteva andarci domani pomeriggio, non aveva alcuna fretta.

Nessuno glielo avrebbe impedito.

Si mise il pigiama e, dopo essersi coricato, spense la luce.

Dopotutto, non sarebbe cambiato niente ingoiare un pacco intero di sonniferi e farla finita quella notte stessa o la prossima...


La macchina parcheggiò nel garage della piccola villa e, per la prima volta da una settimana, a bordo vi erano tutti i membri della famiglia.

Eppure, si avvertiva una piccola aria di tensione.

Dopo la loro litigata, Vegeta e Bra non si erano più parlati.

Da sempre, padre e figlia erano molto legati... ma le rare volte in cui litigavano era un macello.

Ci voleva una settimana perché, pian pianino, i due si avvicinassero, erano entrambi parecchio orgogliosi, e facessero pace... ma Bulma sentiva che ci sarebbe voluto molto di più di una settimana perché cominciassero ad avvicinarsi...

Perché, stavolta, l'argomento del loro litigio non era il rifiuto di Vegeta a comprare una bambola per la figlia... si trattava del padre di Vegeta.

A causa del suo abbandono, Vegeta era convinto che suo padre fosse solo un essere spregevole che non meritava comprensione mentre Bra, che aveva conosciuto per puro caso senza conoscere la parentela e di cui era diventata una grande amica, lo difendeva con tutta sé stessa.

Sembrava di trovarsi in uno di quei film western nella scena precedente alla grande sparatoria.

Una volta entrato in casa, Vegeta dichiarò, mentre si dirigeva verso il bagno: “Vado a farmi una doccia.”

Non appena fu entrato, Bra gli fece una linguaccia.

Bra, non si fanno le linguacce.” la riprese la madre, in fondo divertita per il carattere piccante della figlia.

Per smorzare la tensione, Trunks propose alla sorellina: “Che ne dici se ti racconto una bella storia in camera mia?” “Sì, sì, che bello. Una storia.” esclamò, tutta contenta, Bra mentre seguiva il fratello.

Una volta che i due furono spariti, Bulma aguzzò le orecchie.

Sentì il suono dell'acqua della doccia.

Suo marito era impegnato a far la doccia mentre i figli erano in un'altra stanza a giocare.

Era il momento.

Prese il telefono e digitò un numero in fretta e furia.

Mentre sentiva il telefono squillare, Bulma era nervosa.

Pregò che lui fosse in casa.

Un'altra occasione simile non si sarebbe ripetuta tanto presto...

Finalmente, sentì cornetta alzarsi e una voce maschile allegra e gentile dire: “Pronto?” “Tarble, devi aiutarmi!”


...Fu solo quando notai una ragazza con la sacca da ginnastica che mi accorsi di averla dimenticata sul treno. Mi fiondai come una furia in stazione. Fortunatamente, eravamo al capolinea e il treno era ancora lì. Corsi subito dentro al treno, recuperai la sacca e scesi di nuovo.” “Meno male che te la sei ricordata, fratellone.”

I due fratelli risero a crepapelle.

Erano settimane che non ridevano così serenamente.

Quando si era scoperta la malattia di Trunks, i due non erano riusciti a ritrovare quella spensieratezza che li aveva sempre legati... ma, adesso che era tutto finito, il loro rapporto era tornato tale e quale a prima.

Ad un tratto, Bra smise di ridere e domandò al fratello: “Fratellone... potrei vedere cosa c'è all'interno della tua scatola dei tesori, per favore?” “Ma certo, Bra. Aspetta solo un secondo.” la rassicurò Trunks, scendendo dal letto e prendendo una scatola dall'armadio.

Una volta, Trunks avrebbe litigato con sorella per quella scatola.

Da quando Bra aveva saputo che suo fratello maggiore possedeva una scatola dove ci metteva tutte le sue cose preziose, l'aveva pressato molte volte per vedere cosa c'era, sperando che, tra le tante cose, ci fosse qualcosa legato a lei ma Trunks non voleva perché erano cose private e le sorelle ci dovevano stare lontane.

Eppure, essere così vicino alla morte, gli aveva insegnato molte cose... che bisognava sempre vivere come se l'ultimo giorno fosse l'ultimo... e apprezzare le piccole cose che la vita ci offriva... come le sorelle minori rompiscatole.

Ecco la scatola.” esclamò suo fratello, posando sul letto una vecchia scatola per le scarpe.

All'interno vi erano un sacco di oggetti buffi e curiosi: macchinine, molte delle quali senza una ruota, fumetti, giocattoli, vecchie figurine e strane carte con su disegnati dei mostri.

Fu proprio una di quelle carte ad attirare l'attenzione di Bra.

Vi era disegnati due ragazzi: uno grande e muscoloso con la barba, vestito come un cavaliere del Medioevo, mentre un'aggraziata fanciulla con un dolce sorriso, vestita con un abito nero, gli volava accanto.

Ti piacciono? Erano i protagonisti di un vecchio cartone animato, di cui non ricordo il nome. Erano due fratelli che, a causa di una grande guerra, combattevano in eserciti nemici. Nonostante questo, si sono sempre voluti bene e hanno continuato a cercarsi fino alla fine.” raccontò Trunks, nascondendo un piccolo particolare: era il ragazzo che aveva continuato a cercare la sorella minore per aiutarla, dato che la giovane, a causa di un incantesimo, si era dimenticata di lui e lo considerava solo un nemico.

Durante l'ultima, epica, battaglia, tuttavia, la ragazza, per un istante, si era ricordata di lui e si era messa in mezzo a un potente attacco destinato al fratello, sacrificandosi al suo posto.

Che bella storia. Senti, fratellone, come l'hai avuta questa carta?” domandò Bra, guardandola con vivo interesse, e Trunks le rivelò: “L'ha persa un signore... la conservo perché voglio restituirgliela quando lo rivedrò.” “E quand'è successo?” “In un cimitero. Tu eri ancora nella pancia della mamma e si stava svolgendo un funerale per un amico della mamma... durante la funzione mi sono allontanato e...”


Le gocce di pioggia non accennavano a scendere.

Anche se non poteva vederle, sentiva il tremendo rumore delle gocce che picchiava sulla grondaia.

Proprio il giorno perfetto per un funerale...

Trunks continuò a camminare tra i nomi e i visi di persone sconosciute...

Ad un tratto si fermò, incredulo.

Era convinto che, a parte lui, i suoi genitori e gli invitati al funerale, non ci fosse nessuno... e, invece, si sbagliava.

In mezzo alle lapidi nel giardino, inginocchiato per terra e incurante della pioggia battente, vi era un signore incappucciato che stava cambiando i fiori a una tomba.

La pioggia lo bagnava completamente, ma lui importava solo cambiare quei fiori.

Tolse i vecchi fiori, ormai appassiti, e mise quelli nuovi.

Congiunse le mani come una preghiera e, dopo qualche minuto di silenzio, si rialzò.

Appena si voltò, notò un ragazzino di quindici anni con i capelli lilla che lo fissava, in silenzio.

Che hai da guardare?” gli domandò, furibondo, l'uomo e aggiunse: “Non dovrei sembrarti strano, visto che sto cambiando i fiori a una tomba.” “M-mi scusi...” si scusò Trunks, voltandosi di lato e arrossendo, imbarazzato, mentre l'uomo commentava: “Ragazzini...”

Si allontanò dalle lapidi e dalla bufera e si diresse verso il portico, passando di fianco a Trunks.

Mentre gli passava accanto, i loro sguardi s'incrociarono.

I grandi occhi azzurri e vivaci di Trunks si fusero in quelli neri e tenebrosi dell'uomo.

Il grande cappuccio della giacca verde gli copriva i capelli ma Trunks vide chiaramente che quell'uomo possedeva una barba scura.

Mentre l'uomo si allontanava, Trunks rimase immobile.

Si sentiva strano... era come qualcosa dentro di lui lo stesse chiamando...

Trunks!”

La voce infuriata di sua madre lo fece girare.

La vide in fondo al portico, con i corti capelli turchini e l'abito nero che metteva in risalto la sua gravidanza.

La donna, adirata, si diresse a tutta velocità verso il figlio ma si scontrò col signore incappucciato che stava camminando.

Mi scusi. Io...” si scusò subito Bulma ma l'uomo l'interruppe, prima di riprendere il suo cammino verso l'uscita: “Non importa, non importa...”

Una volta che il signore se ne fu andato, Bulma si diresse verso il figlio e lo sgridò: “Trunks, ti ho detto mille volte di non allontanarti, senza avvisare!” “Scusa, mamma...” “Comincia a dirigerti verso la macchina che io e tuo padre ti raggiungiamo.” “Va bene...”

Mentre camminava, ad un tratto, l'occhio gli si posò per terra e notò una cosa.

La raccolse e capì che era una di quelle carte dei cartoni animati con la foto dei personaggi.

In quella carta vi erano un uomo che sembrava un guerriero medievale e una ragazza che pareva una fata.

Non li riconosceva... il che era strano, dato che era un grande esperto di cartoni animati...

Magari erano i protagonisti di un cartone che si vedeva quando i suoi erano piccoli...

Trunks si guardò intorno, inutilmente.

Il signore incappucciato di prima era sparito.

La carta non poteva che appartenere a lui.

Quello era il punto dove lui e sua madre si erano scontrati e quando prima era passato non l'aveva vista.

Se la mise in tasca.

Avrebbe conservato quella carta e, se per puro caso, l'avesse rivisto, gliela avrebbe restituita.


...Purtroppo, non rividi più quel signore. Un giorno, portai quella carta dalla nonna e lei mi disse che erano i personaggi di un cartone animato che vedeva da bambina e che aveva riscosso un grande successo, tanto che ci fecero un sequel. Anche lei amava molto quella serie e, come tanti suoi coetanei, faceva di tutto per vederlo in tv e collezionava le carte. Mi disse che quella carta era rarissima ed era ambita da tutti, tanto che si scatenavano pure delle risse.” finì di raccontarle Trunks.

Bra ascoltava, ammaliata.

Era incredibile sapere che c'erano così tanti Lupi Solitari e Tristi nel mondo... proprio come il suo Lupo Cattivo...

Bra non riuscì a trattenere le lacrime.

Gli mancava tantissimo... e non poteva vederlo perché lui, adesso, la odiava...

Trunks, che era a conoscenza dei fatti, accarezzò la testa alla sorellina e le chiese: “Pensi al nonno?” “Sì... vorrei parlargli ed essergli di nuovo amica... ma lui non mi vuole...” “Era solo un po' sconvolto. Scoprire dal nulla che la sua piccola amica è, in realtà, sua nipote, l'ha spiazzato... non prendertela se ti ha trattata male... vedrai che presto sarà di nuovo contento di rivederti.” “Ma quanto presto, Trunks?! Io voglio che sia di nuovo il mio Lupo Cattivo. Voglio che sia di nuovo mio amico.” “Da' tempo al tempo, Bra. Se gli darai un po' di tempo, lui si abituerà all'idea che siete parenti e sarete di nuovo amici.” la rassicurò il fratello mentre Bra si asciugava le lacrime, tornando a sorridere.


Fammi capire bene, Bulma. Mio padre era l'amico di Bra che soffriva di quella malattia ai reni a cui Vegeta gli ha donato il rene per salvarlo, senza sapere che era lui. Quando l'ha scoperto è andato, ovviamente, fuori dai gangheri e ha impedito a Bra di vederlo. E' questo il succo della storia?” domandò, incredulo, Tarble mentre Bulma confermava.

Tarble non riusciva a crederci.

Suo padre, l'uomo misterioso che se n'era andato quando lui era ancora nella pancia di sua madre, viveva nella sua stessa città...

Finalmente, avrebbe potuto conoscerlo e sapere chi egli era veramente... e la cosa lo terrorizzava non poco.

Temeva che suo padre fosse come Vegeta l'avesse descritto, cattivo e insensibile, e che lo rifiutasse...

Tuttavia, Tarble si ricordò che suo padre non doveva essere proprio così, dato che aveva fatto amicizia con Bra, una bimba di soli tre anni, ignorando che fosse sua nipote.

Eppure, il pensiero che suo padre non accettasse che fosse suo figlio e che lo prendesse solo per un bugiardo, lo tormentava...

Comunque...” continuò la cognata “Ho intenzione di permettere a Bra di vederlo. Malgrado tutto, loro due si vogliono bene e non voglio che quel testone di mio marito si metta in mezzo. Ma per far ciò ho bisogno del tuo aiuto.” “Certo, Bulma, dimmi pure. Ti aiuterò senz'altro.” “Devi darmi il numero di telefono di Gure.”

Tarble sgranò gli occhi.

Bulma voleva sapere il numero di telefono di Gure, di una sua allieva?!

Come mai?” le domandò e Bulma rispose: “E' la vicina di casa di vostro padre. Saprà dove abita e i suoi spostamenti. Mi serve come alleata.” “Bulma, non posso dartelo. Non ce l'ho e non posso nemmeno chiedere alla didattica di darmi quello di casa sua o il suo indirizzo. Rischierei di passare per un maniaco e di perdere il posto...” “Tarble... io so che hai il suo numero di telefono nel tuo cellulare.”

Il giovane sbiancò.

Ma come lo sapeva?!

Eppure era stato attento a non lasciare il suo cellulare in giro...

Lo so come so che tu ami lei e che lei ama te.” continuò la donna “L'ho capito quando, mentre aspettavamo la fine dell'operazione a tuo padre, vi siete allontanati entrambi. Prima che vi allontanaste eravate tesi e nervosi e, poi, non appena vi siete allontanati, siete diventati più sereni.”

Tarble tremava dal nervoso.

Sua cognata aveva scoperto tutto.

E adesso cosa poteva succedere?!

Avrebbe rivelato a tutti il suo segreto o l'avrebbe denunciato?!

Per una cosa del genere potevi finire in carcere...

Ma non preoccuparti. Non lo dirò a nessuno.”

La semplice frase della donna riuscì a farlo respirare di nuovo.

Ormai ti conosco.” gli rivelò Bulma “E so che non corteggeresti mai una ragazzina. Anche Gure mi sembra una brava ragazza. Voi due vi amate sinceramente, anche se avete molti anni di differenza.” “Sì... io e lei ci amiamo veramente. Abbiamo tentato di soffocarlo perché temevamo di rovinare l'altro... ma non ce l'abbiamo fatta.” “Spero solo che starete attenti. Potreste finire nei guai, e di quelli grossi.” “Non preoccuparti. Comunichiamo a notte fonda con degli sms che cancelliamo subito mentre in pubblico ci comportiamo normalmente, e poi... a Giugno lei si trasferisce.”

Tra i due calò il silenzio.

Tarble... mi dispiace...” sussurrò Bulma ma Tarble le disse: “Non preoccuparti. Anzi, è meglio così per entrambi. Così nessuno saprà mai niente...”


Ma dovete per forza andare a fare shopping con questo freddo?” “Certo che sì, Vegeta. In questo periodo dell'anno ci sono un sacco di saldi da urlo e io non me li voglio perdere.”

Bulma finì di abbottonarsi la giacca, cercando di essere più naturale possibile.

Era dura mentire al proprio marito... ma come facevano certe donne a mentire regolarmente?!

E perché porti Bra con te? Ha solo tre anni...”

Certo che a volte, Vegeta era più impiccione di sua madre Panchy...

E' bene che Bra si alleni con lo shopping per quando sarà più grande... vedendo una professionista all'opera capirà molte cose... e, poi, è meglio che voi due stiate lontani per un po', visto come hai trattato un certo suo amico.” rispose Bulma, sperando che la nomina al litigio per il padre di Vegeta non lo facesse indagare oltre.

Come previsto, Vegeta fece un mugugnò qualcosa di seccato e ritornò a leggere il suo giornale.

Eccomi, mamma!” gridò Bra quando ebbe finito di mettersi le scarpe.

Madre e figlia uscirono dalla casa e salirono in macchina.

Bulma sospirò.

Il peggio era passato.

La donna mise in moto la macchina e partì.

Mamma, dove stiamo andando? Questa non è la strada per il centro commerciale.” dichiarò, ad un tratto, Bra mentre guardava fuori dal finestrino.

Se n'era accorta...

D'altronde era pur sempre sua figlia e anche lei, quando aveva la sua età era incredibilmente sveglia.

Stiamo andando dal signor Lupo Cattivo.” dichiarò Bulma, sapendo che bastava solo quella frase per farle capire tutto.

Infatti, la bambina urlò, entusiasta: “DAVVERO?!” “Certo, Bra. Ma non devi dirlo a nessuno. E' un segreto.” “Mamma...” “Cosa c'è, Bra?” “Tu pensi che mi vuole ancora bene? Sarà contento di rivedermi?” “Certamente. Scommetto che farà come tuo padre: prima sembrerà il solito musone insensibile e arrabbiato ma poi, alla fine, si scioglierà...”

Bra sorrise: sua madre e suo fratello le avevano detto che lui le voleva ancora bene, quindi doveva per forza essere così.

Ad un tratto, vide un piccolo negozio e una piccola idea le balenò in testa.

Mamma, puoi fermarti un attimo, per favore?” chiese subito alla madre e Bulma, incredula, le domandò: “Perché?” “Perché voglio fare un regalo speciale al signor Lupo Cattivo. Qualcosa che significa amicizia.”


Fece un grosso sbadiglio, prima di spegnere la tv.

Mai una volta che ci fosse qualcosa di decente...

Una volta sì che c'erano dei programmi interessanti ed educativi in tv... ma niente è eterno... il passato era il passato e il futuro... il suo era già segnato e deciso.

Guardò l'orologio.

La farmacia era aperta, poteva cominciare a muoversi.

S'infilò la giacca.

Un tempo, l'idea del suicidio la considerava solo un'azione da codardi... e tempo dopo aveva dimostrato a sé stesso di essere solo un codardo.

Perciò, non aveva nessun rimpianto.

In tv la gente, prima di compiere il gesto estremo, faceva un sacco di cose... le solite baggianate televisive per attirare gli idioti.

Lui aveva trascorso quella domenica come tutte le domeniche precedenti, senza alcuna novità.

Una volta sveglio, aveva fatto colazione, poi aveva letto il giornale e, dopo aver pranzato, aveva finito di leggere un libro, prima di morire voleva almeno finirlo, odiava lasciare le cose a metà.

Dopodiché, si era messo a guardare la tv fino a quel momento.

Indossò le scarpe senza alcun timore o dubbio.

Perché doveva averlo, poi?

Era evidente che da vivo combinava solo danni e che nessuno l'amava.

Dopotutto, chi poteva amare un simile mostro?!

Si fermò ma non per l'indecisione.

Forse, lei l'aveva amato... ma cosa stava pensando?!

Lei lo odiava più di chiunque altro... doveva odiarlo... se per gli altri lo era, perché non doveva esserlo per lei?!

Ma allora, perché, ricordava sempre il suo sorriso e la sua voce gentile?

Perché non aveva abortito quand'era ancora in tempo?

Perché l'aveva tenuto... anche se era un mostro?!

Si guardò la mano.

Per lui, sua madre era sempre stata un essere unico e speciale... ma lei cosa aveva pensato, veramente di lui?!

Lui, fin da quando era nato, apparteneva a una razza maledetta...

Ma, presto, grazie a un'enorme quantità di sonniferi, non avrebbe più sofferto.

Che importava se fosse finito all'inferno?!

Dopo l'inferno che aveva vissuto in vita, quello della morte gli sembrava poca cosa.

Si maledì di non averci pensato prima!

Doveva suicidarsi da quando se n'era andato!

Così, non avrebbe conosciuto Bra e, soprattutto, suo figlio Vegeta non avrebbe mai sacrificato un rene per salvare un uomo che odiava...

Aprì la porta ma la piccola bambina con i grandi occhi azzurri, i capelli turchini e con un vestito rosso che vide davanti alla porta del suo appartamento, lo bloccò.

Ma... cosa ci faceva lei qui?!

Come aveva avuto il suo indirizzo?!

Vedendola, tutti i suoi piani e i suoi progetti che aveva architettato con tanta cura s'infransero.

Per la prima volta, da quando se n'era andato, era preso dai dubbi.

La presenza di quella bambina lo rendeva nervoso e agitato.

Cosa doveva fare?!

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Il calore di una famiglia ***


CAPITOLO 17: IL CALORE DI UNA FAMIGLIA


Per vari minuti, nessuno dei due disse niente.

I grandi occhi blu di Bra si mescolavano in quelli neri di suo nonno.

Alla fine fu lui, a braccia incrociate e con il solito tono seccato e infastidito, a chiederle: “Tu cosa ci fai qui?”

La bimba fece un bel respiro.

Sua madre l'aveva avvisata che suo nonno avrebbe reagito così nel vederla... eppure la paura che lui continuasse a odiarla era forte...

La bambina strinse con forza il piccolo regalo nascosto dietro alla sua schiena.

Non doveva aver paura!

Sono per te!” esclamò la bambina mostrandogli i rami con degli splendidi fiori dai colori viola e azzurro.

Lui non disse niente ma sgranò gli occhi dalla sorpresa.

In completo silenzio, s'inginocchiò e prese il piccolo regalo della nipotina.

Mi fai entrare, nonno?” domandò la bambina con un filo di voce, guardando il pavimento per l'ansia.

Suo nonno la fissò in silenzio, senza dire una sola parola.

Poi si alzò e, mentre apriva di più la porta, le fece cenno di entrare.

Una volta chiusa la porta, suo nonno le domandò: “Tuo padre sa che sei qui?” “No.” “Capisco.”

Bra fissò a lungo l'appartamento di suo nonno.

L'aveva visto soltanto una volta in passato... nella notte di quella tremenda tempesta in cui si era persa... quando lui era solo il suo Lupo Cattivo e lei solo la sua Cappuccetto Rosso.

Ricordò che in quella notte, quando ignoravano di essere nonno e nipote, aveva parlato moltissimo, almeno secondo il livello di chiacchiere del nonno... invece, adesso, non riuscivano nemmeno a salutarsi.

Se vuoi toglierti le scarpe e la giacca...” le disse, ad un tratto, suo nonno.

La bambina si tolse velocemente le scarpe e passò la giacca all'uomo, che la mise su un appendiabiti.

Mentre Bra si accomodava sul divano, suo nonno si tolse il cappotto pesante che indossava.

Da quello che sapeva, la gente indossava il cappotto quando usciva.

Quindi, quand'era arrivata, suo nonno aveva intenzione di andarsene... ma dove?

Una volta che ebbe messo il suo regalo in una caraffa piena d'acqua, suo nonno si sedette sul divano.

Nonno e nipote rimasero in silenzio per molti minuti.

Nessuno dei due sapeva cosa dire.

L'uomo non riusciva proprio a capire perché Bra fosse venuta... credeva che lei l'odiasse per come l'aveva, ingiustamente, trattata al parco... non si era accorto di quello che aveva detto o fatto... gli era venuto così... era stato più forte di lui... era fuori di sé dalla rabbia e dal dolore...

Bra, dal canto suo, non parlava perché temeva di dire qualcosa di sbagliato... qualcosa che lo facesse di nuovo arrabbiare e che la buttasse fuori dal suo appartamento, ordinandole di non farsi mai più vedere.

Eppure, quel silenzio era troppo... doveva dire qualcosa...

Nonno...” riuscì a sussurrare alla fine, sperando di non dire una cosa sbagliata “Perché quando sono arrivata indossavi la giacca?”

Il cuore dell'uomo sobbalzò.

Non poteva di certo raccontarle che si stava recando alla farmacia per comprare una confezione di sonniferi per uccidersi.

Decise di raccontarle una mezza verità...

Cosa succede ai cattivi delle fiabe quando non muoiono?” le domandò, evitando di guardarla negli occhi.

Bra rimase incredula.

Cosa significava quella strana domanda?

Tuttavia, decise di rispondere: “Finiscono in una cella buia e umida per il resto della loro vita... oppure partono e nessuno li vede mai più.” “Esatto. E io sto per andarmene.” le rivelò suo nonno.

COSA?! E PERCHE'?!” urlò Bra, non riuscendo a trattenersi.

Suo nonno... voleva sul serio andarsene?! Ma perché?!

Sentì le lacrime rigarle le guance.

Perché continuava a odiarla e a evitarla?!

Avrebbe dovuto ascoltarlo quando le aveva fatto cenno di restare dov'era mentre affrontava suo padre... ma la curiosità aveva prevalso... e, così, avevano scoperto di essere parenti e, da quel momento, suo nonno la odiava...

Perché non era rimasta lì?!

Suo nonno avrebbe sempre sofferto ma lei sarebbe riuscita subito ad avvicinarsi a lui e ad aiutarlo... adesso, invece, non poteva più...

Dopo un attimo di silenzio, suo nonno le rivelò: “Perché non esiste un posto per me. Non è mai esistito un posto per i cattivi.” “Ma... ci sono io... e, poi, c'è la nostra famiglia...” “Bra... quella è la tua famiglia. Ho smesso di farne parte da quando me ne sono andato.” “Non pensare a quello che ti ha detto il mio papà... era nervoso...” “Bra...”

La voce triste e sofferente di suo nonno la fece zittire di colpo.

Non l'aveva sentito con quel tono di voce... sembrava distrutto... e, inoltre, aveva appoggiato le braccia sul bracciolo del divano e la testa sopra di esse... come fosse triste...

Dopo un sospiro triste, suo nonno continuò: “Io e te abbiamo solo dei geni in comune... ma ti sbagli di grosso se pensi che questo basti per creare una famiglia. Una famiglia... è un luogo dove tutti si vogliono bene e si aiutano a vicenda. Io me ne sono andato. Ho abbandonato la mia famiglia. Tuo padre aveva la tua stessa età quando sono fuggito in una buia e fredda notte. Ho distrutto la mia famiglia con le mie stesse mani. Io non merito assolutamente di riavere la mia famiglia e nemmeno la felicità. Io merito solo una cosa... la solitudine.”

Bra rimase in silenzio, mentre le lacrime le rigavano le piccole guance.

Suo nonno stava male.

Soffriva per il fatto di non avere più la sua famiglia...

Suo nonno... il signor Lupo Cattivo...

Si avvicinò a suo nonno e, con le lacrime che non smettevano di scendere, abbracciò la sua schiena, per fargli sentire il suo affetto e la sua vicinanza, e sussurrò: “Ci sono io, nonno. Tu non sei solo perché... noi due siamo amici.”

L'uomo alzò la testa, guardandola in silenzio.

Perché Bra continuava a considerarlo un amico?

Lui l'aveva fatta soffrire... lui era un mostro... lui era cattivo...

Con un gesto fulmineo, si voltò e mise le sue grandi mani sulle spalle piccole della bimba, allontanandola un po' ma continuando a guardarla nei suoi grandi e immensi occhi azzurri.

Per qualche minuto, tra i due vi fu solo il silenzio ma, alla fine, il nonno di Bra le domandò: “Toglimi una curiosità... perché, nonostante tutti i danni che ho fatto e le orribili parole che ti detto, mi vuoi ancora bene?” “Perché tu sei il mio Lupo Cattivo... e io so che sei buono.” gli spiegò la bambina, sorridendo, prima di abbracciare il più possibile il petto dell'uomo.

Mentre le lacrime ricominciarono a scendere senza fermarsi, Bra lo implorò: “Nonno, ti prego... non andartene! Resta con me! Io ti voglio bene!”

PLING

Una goccia d'acqua cadde, all'improvviso, sulla testa turchina della bambina e la piccola, sorpresa e incredula, alzò la testa, rimanendo senza parole quando capì da dove proveniva la goccia.

Suo nonno stava piangendo.

Grosse lacrime gli uscivano dagli occhi.

Nonno, tu... stai piangendo...” sussurrò Bra e suo nonno parve come risvegliarsi di soprassalto.

Si era lasciato commuovere da quella bambina così pura e innocente... l'unica capace di continuare volergli bene nonostante tutto il male che provocare... l'unica capace di non farlo sentire più solo...

Si sbrigò, rosso in volto per essersi lasciato così trasportare e per essersi messo a piangere davanti a una bambina, a togliersi le lacrime dagli occhi e a dire: “Anche i Lupi Cattivi piangono, Cappuccetto Rosso.”

Bra sgranò gli occhi e, poi, disse: “Nonno... per la prima volta, da quando ho scoperto che sono tua nipote... mi hai chiamato Cappuccetto Rosso...” “E allora?” fece lui, chiudendo gli occhi e incrociando le braccia come al solito, e la bambina, sorridendo gli domandò: “Significa che noi due siamo di nuovo amici?”

Aveva appena finito di dire quelle parole, che suo nonno si avvicinò a lei e l'abbracciò.

Un abbraccio forte... ma allo stesso tempo sicuro.

Bra sorrise.

Quell'abbraccio equivaleva a un sì.

Che importava se a suo nonno non piaceva molto parlare?

Quell'abbraccio, quel gesto... valeva molto di più di mille parole.

Sì...” sussurrò, ad un tratto, suo nonno “Noi due, nonostante la lontananza, saremo sempre amici...” “Vuoi proprio andartene?” gli chiese Bra, con una voce triste, ma suo nonno, invece di rispondere, le domandò a sua volta: “Sai qual'è il significato del fiore che mi hai regalato?”

Bra negò con la testa.

Lo sapeva benissimo, invece, dato che aveva fatto perdere un'ora intera alla commessa dal negozio di fiori, per trovare un fiore col significato dell'amicizia, ma voleva sentire la voce di suo nonno.

Le era sempre piaciuto quando lui raccontava le cose...

Dopo un minuto di silenzio, suo nonno cominciò a raccontare: “Si chiama Glicine... il suo significato è quello dell'affetto tenero e profondo. Serve per indicare una forte e tenera amicizia che dura nel tempo. Perciò, anche se io dovessi andarmene... io non potrei mai dimenticarti...”

I loro occhi s'incrociarono di nuovo e, stavolta, suo nonno sorrise.

Non un sorrisetto divertito... era un vero sorriso, di quelli felici.

Dopo una pausa, suo nonno aggiunse: “Perché tu sei e resterai per sempre la mia Cappuccetto Rosso. Nessun'altra bambina potrà mai sostituirti.”

Bra si sentiva al settimo cielo.

Suo nonno non l'odiava... le voleva ancora bene... per lui, lei era ancora la sua piccola Cappuccetto Rosso...

Davvero non mi dimenticherai mai, nonno?” chiese la piccola, sorridendo, e suo nonno, con un sorrisetto divertito, si mise a grattarle la testolina turchina e a commentare: “Certo! Come potrei dimenticarmi di una piccola peste con i capelli turchini, tutta vestita di rosso, come te?” “AAAHHAHAHA” rise, divertita, la piccola Bra mentre la sua risata cristallina si sentiva in tutte le stanze.

Per la prima volta da anni, l'appartamento e l'anima di un uomo solo, si riempì della risata di un bambino.

L'uomo guardò il soffitto... gli era mancato il suono della risata di un bambino... così pura e innocente... una specie di balsamo per le ferite dell'anima.

Ripensò a Vegeta, il suo primogenito.

Lo ricordò quand'era appena nato, un bambino piccino incredibilmente somigliante a lui, tranne per il colore dei capelli, un bambino di pochi mesi irrequieto e ribelle che urlava a squarciagola quando succedeva una cosa che non gli piaceva, il bagno o, peggio ancora, quando qualcuno nominava il nome Kakaroth, Vegeta non l'aveva mai tollerato e non lo voleva nemmeno sentire nominare, se succedeva strillava a squarciagola per delle ore, tanto che lui ed Echalotte tappavano immediatamente la bocca a quel povero diavolo che stava per nominarlo, non appena avvertivano il pericolo, la sua prima parola, quando faceva quei capitomboli nel disperato tentativo di stare in piedi come gli adulti, quando giocava con le macchinine o i soldatini, immaginando di essere un grande e vittorioso comandante, quando era caduto dalla bicicletta sbucciandosi un ginocchio, la sua prima vacanza al mare, quando aveva raccolto tante di quelle conchiglie da non saper più dove metterle e le aveva messe tutte nella sua valigia, tutte le magliette che mettevano da lavare dopo i pasti, dato che mangiava così di fretta da sporcarsi in continuazione, i capricci, gli enormi buchi nei suoi pantaloni, i dispetti che faceva a tutti quei poveri disgraziati che gli capitavano a tiro, la sua fuga notturna a due anni, le notti in cui, silenzioso, entrava nella sua stanza e, dopo avergli rimboccato le coperte, era vivace anche di notte e faceva sempre cadere per terra le coperte, si sedeva sul pavimento per poi guardarlo in silenzio, le mattine in cui si svegliava trovandolo nel letto, anche se sapeva benissimo che non doveva salirci, i suoi occhi neri che cercavano i suoi per trovare un po' di ammirazione di suo padre per lui...

Quello era il piccolo Vegeta prima che lui se ne andasse e, il giorno prima, l'aveva rivisto completamente cambiato.

I suoi occhi che da bambino lo ammiravano, adesso, nei suoi confronti erano freddi e pieni d'odio... un odio che niente avrebbe mai potuto cancellare.

Inoltre, aveva scoperto, dal nulla, di avere un secondo figlio.

Un figlio che non aveva mai visto nascere, di cui ignorava il carattere, che non aveva mai visto, di cui ignorava la prima parola o con cosa amasse giocare o quali fossero i suoi interessi, con cui non aveva mai fatto una vacanza e nemmeno un regalo di compleanno... di cui non sapeva niente.

Era proprio il peggior padre della storia...

Solo in quel momento, l'uomo si accorse di quanto aveva perso davvero.

In fondo al suo cuore, aveva sempre saputo che la sua famiglia gli mancava troppo... ma solo adesso si era reso conto di quanto aveva perduto.

L'amore dei suoi figli, vederli crescere, con i loro litigi e le loro alleanze, i loro matrimoni, la nascita dei suoi nipoti ma, soprattutto... l'amore di sua moglie.

Della sua Echalotte.

Echalotte era sempre stata un'anima solitaria e complessa e, forse, era proprio per questo che si era innamorato di lei.

Aveva mille sfumature: orgogliosa, testona, irascibile, volgare, imbranata, intelligente, coraggiosa, sensuale, triste, romantica, solitaria, dolce, intraprendente, aggressiva, candida, violenta, innocente...

Come aveva potuto farla soffrire?! E in quel modo, poi...

Se avesse potuto riavvolgere il nastro della sua vita...

Nonno, cos'hai? Stai pensando a papà?”

La voce di sua nipote Bra, lo fece risvegliare dal suo passato, dolce e amaro, proprio come un caffè.

Lui guardò a lungo la piccola testa turchina che teneva stretta tra le sue possenti braccia.

Quando aveva abbandonato la sua famiglia, era stato come se avesse fatto cadere un vaso stupendo, che si era frantumato in tanti piccoli frammenti che si erano sparsi per il mondo.

Lui non aveva mai voluto andare a cercarli, dopotutto quello che aveva fatto, era il minimo che potesse fare, eppure, per puro caso, il giorno prima ne aveva trovato uno... un frammento che, ora, si trovava stretto tra le sue braccia e che non avrebbe mai più perduto.

In quella notte, grazie a Bra, la sua unica e insostituibile Cappuccetto Rosso, aveva capito cosa significava possedere una famiglia e quel poco che era rimasto, non l'avrebbe perso!

Non avrebbe perso di nuovo quel calore che aveva sentito per la prima volta da molti anni!

Sto pensando a com'è stata vuota la mia vita...” le rivelò, mentre si metteva a guardare i fiocchi di neve che scendevano dalle dense e nere nuvole invernali come una misteriosa e carismatica danza dalla finestra “Prima di conoscerti, io ho vissuto la mia vita con noia e trascuratezza... un giorno, per me, era uguale a un altro... poi sei arrivata tu... è stato come risvegliarsi da un lungo sonno... io... volevo ringraziarti per avermi fatto ritrovare, anche solo per una notte... il calore di una famiglia.”

Mentre le diceva quelle parole, le accarezzava con dolcezza i suoi capelli turchini.

Ad un tratto, Bra vide un luccichio negli occhi di suo nonno e due lacrime, grandi e brillanti come due perle, scesero dai suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** La furia di Bra ***


CAPITOLO 18: LA FURIA DI BRA


Bulma guardò l'elegante orologio da polso.

Le sette e mezza.

Aveva ancora mezz'ora di svago con lo shopping prima di andare a prendere sua figlia dal suocero.

All'inizio, non aveva intenzione di andare a far shopping veramente, l'unica cosa che voleva era che quei due si ritrovassero e che ritornassero amici, ma, poi, durante il tragitto, si era ricordata che suo marito era incredibilmente sospettoso, e che, pertanto, se non l'avesse vista con i pacchi si sarebbe insospettito, perciò aveva detto alla figlia che sarebbe stata con suo nonno fino alle otto di sera.

Suo nonno era identico a suo padre, non solo nell'aspetto ma anche nella mentalità: all'inizio avrebbe fatto il difficile che amava la solitudine e che non voleva nessuno tra i piedi, ma, poi, si sarebbe lasciato trasportare...

Comunque, per sicurezza, era rimasta nel parcheggio ad aspettare che la sua bambina tornasse per un mezz'ora ma, vedendo che Bra non usciva dal palazzo, era salita in macchina ed era partita alla volta del centro commerciale.

Dopo aver guardato l'ora, Bulma prese le tante borse piene di vestiti di tutti i tipi e ritornò al suo sport preferito: la ricerca di un nuovo vestito da urlo.


Bra appoggiò la testa sul braccio del nonno.

I due stavano guardando la tv in completo silenzio.

Nonno...” domandò, mentre guardava la pubblicità di un nuovo dentifricio “Ma tu ami la nonna?”

Suo nonno guardò la piccola testolina turchina e, poi, rivelò, con un filo di voce: “Sì...” “Come gli innamorati in tv?” “Forse anche di più...” “Allora perché te ne sei andato?”

Lui sospirò.

Era una di quelle domande a cui non poteva sfuggire... ma a cui non avrebbe potuto dire la verità... perché nessuno avrebbe potuto capire...

E' difficile da spiegare, Bra... l'amore... è una cosa troppo complessa e assurda... se ti raccontassi perché me ne sono andato... non potresti mai capire... perché nemmeno io riesco ancora a capire perché diavolo l'ho fatto...” sussurrò suo nonno, tornando a guardare la tv.

Per un po' di tempo, i due non si dissero altro, poi Bra domandò: “Nonno... ma dov'è la donna con cui te ne sei andato? Papà dice che te ne sei andato con un'altra donna, però... fin da quando ti conosco... non ti ho mai visto con nessuna donna... e non è nemmeno venuta in ospedale quando stavi male...”

Il suo cuore perse un battito.

Se n'era accorta...

Cosa doveva fare?!

Non poteva nemmeno raccontarle com'erano andate, veramente, le cose... ma non poteva nemmeno mentire!

Aveva capito fin troppo bene qual'era il prezzo della menzogna...

Anche questa domanda è una di quelle difficili da rispondere...” le disse lui, sperando che Bra non facesse altre domande.

Sfortunatamente, quella bambina era così curiosa da far paura: “Nonno... quando hai capito che amavi la nonna?”

Doveva aver preso da sua madre... lui ed Echalotte erano sempre stati discreti con tutti... per il motivo che, in questo modo, la gente smettesse d'impicciarsi dei fatti loro.

Ma la gente moderna non conosceva il concetto della privacy?!

Evidentemente no...

Allora, nonno?” domandò la piccola.

Lui, ormai, sapeva che Bra, se si metteva in testa una cosa, non c'era verso di farle cambiare idea... in questo, però, aveva preso dai suoi nonni paterni...

Così, decise di risponderle: “In un pomeriggio estivo... ero andato a casa sua per... restituirle una cosa... e capì che l'amavo...”

In realtà, le cose si erano svolte in modo molto diverso... e lui lo sapeva bene...

Accarezzò la testolina turchina della nipote mentre, con la mente, tornava a quel pomeriggio... il pomeriggio in cui aveva capito che si era innamorato della sua Echalotte...


Svitò con facilità il tappo ancora sigillato della bottiglietta e, una volta aperto, bevve il contenuto.

La lezione di arti marziali, quel giorno, era stata davvero molto faticosa...

Mentre si puliva la bocca umida col dorso della mano, la porta della palestra si spalancò con furia e una giovane donna, con una borsa in mano, entrò.

Vegeta la riconobbe subito e ridacchiò.

Era Echalotte.

Certo che quella era proprio testarda! Non voleva proprio rassegnarsi alla sconfitta...

Beh, meglio per lui!

Dopotutto... oltre alle sue morbide mutandine bianche, ora possedeva anche il suo morbido e profumato reggiseno bianco...

Si avvicinò a lei, sorridendo, e la chiamò: “Ehilà, bambolina. Come stai?” “Per favore, Vegeta... almeno tu lasciami in pace!” rispose lei, evitando di guardarlo.

Quella risposta spiazzò il ragazzo.

Quando l'aveva rincontrata in quella palestra, il giorno dopo aver vinto le sue mutandine, l'aveva chiamata sogghignando e lei si era infuriata.

Adesso, invece, la ragazza sembrava... quasi triste...

Cosa ti è successo?”

La domanda gli venne così spontanea che nemmeno lui si rese bene conto di averla.

Fatti gli affari tuoi!” sbottò Echalotte, allontanandosi, ma lui, istintivamente, le prese un braccio.

I loro immensi occhi neri s'incrociarono e Vegeta sentì qualcosa di strano dentro di lui... una specie di miscuglio tra l'ansia e la gioia...

Entrambi, imbarazzati, interruppero il contatto, voltando la testa da un'altra parte, e Vegeta la lasciò andare.

Echalotte, tuttavia, gli propose: “Se vuoi sapere cos'è successo... troviamoci dietro agli spalti del campo da calcio... non c'è mai nessuno...”

Vegeta uscì dalla palestra e, una volta fuori, si mise ad ansimare profondamente.

Quando quei magnetici occhi neri si erano uniti ai suoi... gli era sembrato di non riuscire più a respirare...

Colpa dello sforzo della precedente lezione... si sentiva persino bollente.

Andò al bar dietro alla palestra e ordinò una granita alla coca cola.

Si sedette a un tavolo e si mise a riflettere...

Chissà per quale motivo aveva voluto sapere perché quella ragazza manesca era così triste...

Diede un'occhiata alla sua granita e sbiancò.

Quella granita era di colore nera.

Come i suoi capelli... ribelli e indomabili come le onde del mare...

O come i suoi occhi... dallo stesso colore della notte, meravigliosa e distante...

Quel colore... il nero... gli ricordava tanto lei...

Echalotte...

Finì la sua granita e, poi, nervoso e agitato come mai prima di allora, fece un piccolo giro intorno alla palestra.

Quella donna, Echalotte... era comparsa nel nulla nella sua vita... e gliela aveva stravolta completamente, come un uragano!

Ogni cosa che faceva, ogni frase che diceva, ogni pensiero che creava... riusciva sempre a collegarlo a lei.

Quella giovane così testarda ed orgogliosa...

Quando, il giorno prima, gli aveva consegnato, furente, il reggiseno, come pegno per la sua seconda sconfitta, aveva sentito uno strano calore al tocco delle loro mani.

Quando era tornato nel suo appartamento, aveva guardato a lungo quell'affare bianco ed elastico, immaginando il seno di Echalotte ed era stato colto dal desiderio di vederlo nudo e di toccarlo.

Quella notte, poi, quando aveva sognato di vederla nuda per intero e di far sesso con lei...

Un pensiero gli attraversò la mente e lo fece fermare, di colpo.

E se... si stesse innamorando di lei?!

Non poteva! Non doveva!

Io non devo innamorarmi! Non devo!” si sussurrò, sperando che, in qualche modo, quelle parole potessero fare qualcosa.

Se Echalotte avesse saputo il suo segreto...


Ehi!”

La sua voce lo fece sobbalzare.

Anche se il suo corpo era fermo immobile, dentro di sé si sentiva nervoso e agitato.

Questo perché lei era accanto a lui.

Avrebbe tanto voluto toccarla... ma era troppo orgoglioso per farlo...

Allora?” fu l'unica cosa che riuscì a dire e la ragazza, dopo un sospiro, raccontò: “Un teppista di strada mi ha rubato il mio braccialetto di perle. Mi è corso addosso e si è scontrato con me... così me l'ha rubato.” “E per te era molto importante?” “Ovvio... era l'ultimo regalo di mia nonna... l'unica persona nella mia schifosa famiglia che mi abbia mai amata. I miei hanno sempre pensato al loro stupido lavoro. Per loro, io non contavo niente. Era la nonna che si prendeva cura di me. Quando stavo male o ero triste, lei c'era... purtroppo, due anni fa, un cancro se l'è portata via... mi aveva regalato quel braccialetto... e, adesso, un dannato me l'ha rubato!”

Aveva appena finito di lamentarsi, che un braccio possente e muscoloso, le abbracciò la vita.

Echalotte guardò Vegeta.

Lui voltò la testa dall'altra parte e non disse niente.

Echalotte sorrise, mentre appoggiava la testa sul petto di Vegeta.

Adesso, stava meglio.

Molto molto meglio...


Vegeta diede un'altra occhiata all'orologio.

Erano tre ore che aspettava...

Ma perché quell'imbecille non veniva?!

Una superba moto, con una semplice lucchetto, con nessuno tra i piedi...

Ormai, il sole stava tramontando ma, se fosse stato necessario, avrebbe aspettato tutta la notte...

Finalmente, sentì un rumore di passi.

Si acquattò nel suo angolo e aspettò che il tizio passasse.

Vide un ragazzo piccolo e pallido con un sorriso sadico, superarlo.

Non c'erano dubbi!

Era lui!

Se fosse caduto nella sua trappola, avrebbero fatto i conti...

Infatti, quel nanetto, si fermò davanti al lucchetto della moto e cominciò a scassinarlo.

Vegeta lo lasciò fare...

Voleva che provocasse più danni alla sua moto...

Quando pensò che quello stupido avesse fatto abbastanza, lasciò il suo nascondiglio e lo afferrò per un braccio, sibilandogli: “Che cavolo fai con la mia moto?”

Lui, colto di sorpresa, gli sferrò un pugno che venne prontamente parato da Vegeta.

Tuttavia, quel pugno gli aveva fatto male.

Una cosa era certa, quel tizio era forte.

Sarebbe stato difficile sconfiggerlo.

Finalmente, aveva trovato un avversario degno di lui...


Echalotte guardò con tristezza la vecchia e logora fotografia, in cui vi erano una vecchia e una bambina.

Lei e sua nonna...

Quanto le mancava...

DLIN DLON

Echalotte, posò su un comodino la foto e chiese: “Chi è?” “Sono Vegeta.” “Lasciami in pace. Oggi non ho voglia di sfidarti...” “Aprimi e basta.”

Echalotte sospirò e aprì il portone.

Che cavolo voleva quello lì, adesso?

Quando aprì la porta del suo appartamento, fece fatica a trattenere un grido.

Il ragazzo era pieno di lividi, graffi e aveva un orribile occhio nero.

Cosa cavolo ti è successo?!” gli domandò, preoccupata, la ragazza e lui, per tutta risposta, le mostrò un braccialetto di perle e le domandò: “E' tuo? Era nella tasca di un idiota che ha cercato di rubarmi la moto...”

Echalotte strabuzzò gli occhi.

Era quello di sua nonna...

Sì...” fu tutto quello che riuscì a dire e lui le prese la mano e le mise il braccialetto.

Dopodiché, fece per girarsi e togliere il disturbo ma Echalotte lo bloccò per un braccio.

Aspetta, Vegeta!”

I loro occhi s'incrociarono di nuovo, provocando le stesse emozioni e sensazioni.

E' meglio se ti curo un po'... sembri appena uscito da un incontro di boxe...” disse la ragazza ma Vegeta rifiutò: “No, grazie.” “Scusa, ma ti sei visto?! Dire che sei conciato per le feste è il minimo...” continuò la ragazza, ma quando abbassò la testa, per poco non si mise a urlare.

Il palmo della sua mano e la mano di Vegeta erano completamente rosse.

Stava sanguinando.

Cribbio! Ma il tuo braccio sta' sanguinando!” urlò la ragazza, preoccupata, e Vegeta tentò di minimizzare: “E' soltanto un piccolo graffio...” ma non proseguì oltre perché Echalotte lo prese e lo trascinò nel suo appartamento.

Lo fece sedere in malo modo sul divano e, poi, gli ordinò: “Togliti la maglietta! Mi auguro che non si sia troppo infettata...”

Echalotte prese da un armadio il disinfettante, cerotti, bende... poi, quando si girò verso Vegeta, rimase a bocca aperta.

Era lì, a petto nudo, con lo sguardo fisso da un'altra parte.

Cercando di trattenere i violenti battiti del suo cuore, che sembrava volerle uscire, si avvicinò a lui e, prendendogli il braccio sanguinante, cominciò a pulire la ferita.

I due non si dissero niente, dato che erano entrambi immersi nei loro pensieri.

Vegeta guardava di nascosto quella stupenda e orgogliosa ragazza, che varie volte l'aveva affrontato e che, adesso, per qualche oscura ragione, stava medicando le sue ferite.

Non era la prima volta che faceva rissa con qualcuno, nella Casa degli Scarti succedeva sempre... ma quella era la prima volta che una ragazza gli curava le ferite, come se fosse un bambino.

Aveva, infatti, imparato a curarsi da solo le ferite.

Da quando la sua mamma e il suo papà erano morti, aveva capito che era solo al mondo e, pertanto, doveva cavarsela da solo se voleva sopravvivere.

Eppure, quella ragazza... non era riuscito a rifiutare il suo aiuto, come non era riuscito a evitare di cercare il deficiente che l'aveva derubata per riprendersi il suo braccialetto.

Inspirò il suo profumo.

Vaniglia... il suo gusto di gelato preferito...

Echalotte cominciò a bendargli il braccio.

Dentro di sé, Vegeta sentì uno strano formicolio.

Avrebbe tanto voluto baciarla e toccarla.

Avvicinò, lentamente, la sua mano al corpo di Echalotte e stava quasi per toccarla quando un pensiero lo bloccò.

E se lei non avesse voluto che lui la toccasse?!

Ritirò immediatamente la mano.

Non doveva toccarla.

Si sarebbe comportato come lui se l'avesse fatto... e lui non era lui...

Echalotte, intanto, finì di bendargli il braccio.

Mentre lo curava, Vegeta era rimasto completamente immobile e indifferente, e per il suo orgoglio era qualcosa di intollerabile.

Non poteva sopportare che per quello non fosse niente di speciale... dopotutto quello che provava per lui!

Avrebbe tanto voluto che la baciasse o, almeno, la toccasse...

Echalotte alzò lo sguardo.

Ora toccava al viso, la parte più malridotta di tutto.

Intinse un fazzoletto di disinfettante e si avvicinò con cautela al viso.

Visto da vicino, era ancora più bello e seducente: gli occhi neri come le tenebre, i suoi capelli castani, la sua pelle bianca, le sue labbra rosse...

Avrebbe tanto voluto baciare ogni cosa del suo viso... ma era troppo orgogliosa.

I pensieri di Vegeta erano praticamente identici... ma, oltre al bel viso di bambola della ragazza, si concentrò sulle altre forme, piacenti, di Echalotte.

I piccoli seni, il suo bel fianco... da qualunque angolatura, lei era perfetta.

Quanto avrebbe voluto farla sua...

Poi, si ricordò di una cosa.

Aveva sentito dire in giro, che Echalotte aveva avuto il suo primo rapporto a sedici anni con l'assistente di diciotto anni del suo maestro di Karate e che, da quel momento in poi, tutte le relazioni che aveva avuto, erano state con uomini che prendevano lezioni di arti marziali e tutte quelle relazioni ruotavano intorno al sesso...

Un nuovo sentimento prevalse in lui.

Un odio puro verso tutti quei ragazzi che avevano avuto un rapporto sessuale con Echalotte prima di lui.

Ma come si erano permessi?!

Nessuno si sarebbe mai più dovuto avvicinare ad Echalotte e a permettersi di penetrare in lei!

Echalotte era e sarebbe stata per sempre sua!


L'uomo non riuscì a trattenere un sorriso.

Si era ingelosito di persone che credeva avessero fatto una cosa che, invece, non era mai successa.

Infatti, quando aveva penetrato Echalotte per la prima volta, in quella magica e indimenticabile notte, aveva fatto una scoperta che l'aveva eccitato e sollevato.

Echalotte era vergine.

Aveva lasciato correre quelle storie sui suoi rapporti immaginari, soltanto perché si vergognava troppo a dire a tutti che, nonostante avesse già ventun anni, non aveva mai avuto un rapporto sessuale con un uomo.

Era stato lui il suo primo rapporto... e la cosa l'aveva da sempre lusingato.

Era stato il primo uomo che era penetrato dentro di lei... il primo a entrare nella sua porta segreta... nella porta segreta della donna che amava...

Ehi, nonno, ma quei personaggi sono gli stessi che si trovano in una carta che ha il mio fratellone!” esclamò, ad un tratto, Bra.

Era così concentrato nei suoi ricordi, da non essersi accorto che la pubblicità era finita e che erano iniziati i cartoni animati.

Guardò il televisore.

Gli ci volle un secondo per riconoscere il cartone animato che da bambino l'aveva fatto emozionare...

Ad un tratto, Bra chiese: “Nonno, quand'eri bambino ti piaceva questo cartone?” “Moltissimo, Bra. Facevo di tutto per guardare gli episodi in tv e collezionavo le carte da gioco.” “E qual'era la tua preferita?” “Quella in cui c'erano i due protagonisti insieme... era molto rara, ma a me piaceva perché mostrava il rapporto tra i due fratelli... sai, avrei tanto voluto avere una sorellina...” le rivelò suo nonno, con un sospiro triste mentre le accarezzava i capelli.

Bra stette zitta un attimo, poi ripartì con la sua raffica di domande: “Dov'è quella carta, nonno?” “L'ho persa tre anni fa... in un piovoso pomeriggio d'autunno ero andato, come al solito, a cambiare i fiori alla tomba dei miei genitori... sai, sono morti da tanto tempo... quando mi voltai, vidi un ragazzino che mi fissava.”

Bra lo fissò, incredula.

Nonno, com'era fatto quel ragazzino?” domandò Bra e l'uomo rispose: “Doveva avere tra i quattordici e i quindici anni... aveva i capelli lilla e gli occhi azzurri... ora che ci penso, quel ragazzino ti assomigliava molto...” “Per caso, mentre te ne andavi, ti sei scontrato con la madre del ragazzino?” “Certo...” “E aspettava un bambino quella donna?” “Tu come fai a sapere tutte queste cose?” “Quel ragazzino era il mio fratellone e nella pancia della mamma c'ero io!”

Lui alzò un sopracciglio.

Quindi il ragazzino che aveva visto tre anni fa era suo nipote... adesso capiva perché quel suo sguardo l'aveva sconvolto così tanto... era lo stesso sguardo di suo figlio.

Inoltre, quando gli era passato accanto, aveva sentito uno strano richiamo...

Accarezzò dolcemente la testa di sua nipote...

Quando la madre della bambina l'aveva visto nel vicolo, si era messo a scappare, dato che sarebbe stato duro spiegarle le sue intenzioni... non si sarebbe mai fermato, eppure la sua voce aveva bloccato, di colpo, le sue gambe.

Fermati!”

Quella voce... l'aveva già sentita...

Adesso, ricordava quando l'aveva sentita.

Quando i due si erano scontrati al cimitero.

Una donna dai corti capelli turchini, vestita di nero e con la pancia grande.

Con al suo interno, un piccolo e prezioso tesoro.

Un piccolo e prezioso tesoro che gli aveva salvato la vita...


Vedo che ci avete dato dentro con lo shopping...” commentò Vegeta, guardando tutte le borse piene zeppe di vestiti che la moglie continuava a portare in casa.

Già.” annuì Bulma mentre si toglieva la giacca.

Bra si avvicinò a suo padre e gli domandò: “Cosa hai fatto di bello, papà?”

Per un attimo, alla bambina sembrò che il suo papà la stesse guardando in modo strano ma Vegeta, con il suo solito tono brusco, le rispose: “Ho letto il giornale e guardato la gara di formula uno in tv.”

Bra sorrise e, saltellando, si diresse verso la stanza di Trunks.

Appena aprì la porta, la bambina rimase stupita nel vedere che la camera era in gran parte vuota, con scatoloni e valigie.

Trunks era intento a mettere delle camicie in una valigia ma quando sentì la porta aprirsi, alzò la testa e sorrise alla sorellina.

Ciao, Bra. Ti sei divertita con la mamma?” la salutò e Bra rispose con un semplice “Sì...”

Trunks si accorse subito che c'era qualcosa che rendeva triste la sorella e non gli ci volle molto per capire cosa aveva...

Sei triste perché presto me ne vado?” le domandò il fratello, lasciando perdere i bagagli e avvicinandosi a lei.

Sì... temo che tu te ne vada per sempre e che ti dimentichi di me...” rivelò la bambina, con una voce roca, come se stesse per piangere.

Trunks si avvicinò a Bra e le accarezzò i capelli, rassicurandola: “Non temere, sorellina. Anche se andrò via da questa casa, ti vorrò sempre bene e mi ricorderò sempre di te... dopotutto, come si fa a dimenticarsi di te?”

La bimba sorrise.

Quelle parole... erano le stesse che le aveva rivelato suo nonno.

D'istinto, si portò le mani sul petto e toccò, che sentì anche se era coperto dal suo vestito, il ciondolo che suo nonno le aveva dato prima che lei se ne andasse...


Che cavolo guardi?” le domandò suo nonno all'improvviso, notando che la bambina continuava a fissarlo e Bra, indicandogli il ciondolo che portava sempre al collo, disse: “E' bellissimo!” “Era di mia madre... è tutto quello che mi resta di lei...” le confessò l'uomo, toccandosi il ciondolo con aria triste.

Dopo averlo toccato, se lo tolse e lo mise al collo della nipote, dicendole: “Ora è tuo... stacci molto attenta... e mi raccomando, non farlo vedere a tuo padre...” “Promesso!” promise subito la piccola e poi gli domandò: “Ho qualcosa della tua mamma?”

Lui aspettò un attimo, prima di risponderle: “Hai il suo stesso sorriso.”


Ti senti meglio?” le domandò Trunks e la bimba annuì.

Bene, allora dammi una mano con i bagagli... se facciamo gioco di squadra, forse, riusciamo a finire prima di cena.” le propose suo fratello e la piccola, prendendo uno scatolone, esclamò, prima di sgattaiolare via dalla camera: “Va bene. Porto giù le valigie e gli scatoloni, così ci si muove meglio.”

Trunks sospirò.

Sua sorella cercava il lavoro che richiedeva meno impegno... ma almeno, aveva, deciso di aiutarlo, non come suo padre che aveva passato tutto il giorno a leggere il giornale e a guardare la tv senza aiutarlo, visto che si era cacciato in quel guaio da solo che si occupasse lui dei bagagli!

Bra, intanto, si diresse verso il salotto, dove di solito mettevano i bagagli quando andavano in vacanza.

Forse non era stata una grande idea, prendere quella scatola.

Non riusciva a vedere dove stesse andando e, in più, la scatola pesava molto...

Ad un tratto la bambina, inciampò sui suoi piedi e cadde per terra mentre i libri all'interno della scatola andavano da tutte le parti.

Sentendo quello strano tonfo, Vegeta si diresse in direzione del suono e quando vide la figlia per terra, circondata da vari libri, corse verso di lei, gridando: “BRA!”

La sollevò e le chiese: “Ti sei fatta male?” “No, è tutto a posto, papà.” lo rassicurò la bambina.

Vegeta fece un sospiro di sollievo ma, proprio in quel momento, l'occhio si posò su una strana catenina che Bra portava al collo.

Non gliela aveva mai vista...

Tirò su la catenina ed essa rivelò un ciondolo con un sole.

Vegeta rimase senza fiato.

Quel ciondolo... non era possibile...


Vegeta aprì la porta della camera da letto dei suoi e s'intrufolò dentro.

Nonostante avesse solo due anni, era già incredibilmente sveglio e amava curiosare dappertutto.

Ovviamente, la stanza da letto dei suoi genitori non faceva eccezione.

Ma quel giorno non aveva voglia di curiosare in giro.

Doveva nascondersi.

Da sua madre e dalla cosa che gli toccava subire e che lui, invece, odiava con tutto sé stesso.

Il bagno.

Ma perché la mamma insisteva tanto per farlo?!

A lui non piaceva...

Aprì la porta dell'armadio e si nascose in fondo, tra i vari vestiti.

Lì, la mamma non l'avrebbe mai beccato di sicuro!

La porta, ad un tratto, si aprì e il piccolo sentì un passo pesante entrare.

Non era il passo della mamma, doveva essere papà.

Evidentemente, era tornato a casa dal lavoro... meglio, se non l'avesse visto, papà avrebbe detto alla mamma che non c'era nessuno lì e lei non l'avrebbe cercato.

Ad un tratto, l'armadio si aprì e Vegeta si ritrovò faccia a faccia con suo padre.

Il bambino lo fissò a lungo.

Fissò a lungo quello sguardo fiero e orgoglioso e il ciondolo col sole che portava sempre al collo... avrebbe tanto voluto essere come lui...

Suo padre, senza dire niente, lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall'armadio.

Una volta fuori dalla stanza, vide sua madre con le braccia incrociate e suo padre, mentre portava davanti a sé, disse: “Cercavi questo?” “Grazie.” lo ringraziò lei mentre prendeva il bambino.

Mentre lo trascinava verso il bagno, sua madre disse: “Andiamo, signorino. C'è un bel bagno che ti aspetta.”


Come l'hai avuto?” sibilò suo padre, guardando con odio il ciondolo.

Bra sentì il cuore smettere di battere.

Suo padre aveva capito di chi era il ciondolo che indossava...

L'uomo, adirato, si allontanò da lei.

BULMA!” urlò, adirato, Vegeta e sua moglie, mentre lo raggiungeva, domandò: “Che c'è, Vegeta? Perché urli?” “L'HAI PORTATA DA LUI, NON E' VERO?!”

Bulma sbiancò.

Vegeta aveva scoperto tutto.

Ma come aveva fatto?!

Aveva fatto molta attenzione a non farsi scoprire...

LO SO CHE L'HAI PORTATA DA LUI! INDOSSAVA SEMPRE UN CIONDOLO CHE BRA PORTA PROPRIO ADESSO AL COLLO! L'HAI LASCIATA DA LUI MENTRE ANDAVI A FARE SHOPPING, NON E' VERO?!” le domandò furente Vegeta e Bulma ammise: “Sì.” “TI AVEVO DETTO CHE NON VOLEVO CHE LUI SI AVVICINASSE A BRA! PERCHE' DIAMINE L'HAI PORTATA DA LUI?!” “Perché non volevo che Bra stesse male per colpa tua! Lei gli vuole bene!” “NON ME NE FREGA NIENTE! BRA DOVEVA STARGLI LONTANO!” “BRA E' COME TE! SE NON L'AVESSI PORTATA IO DA TUO PADRE CI AVREBBE PENSATO DA SOLA!” “CERTO, PERCHE' E' UNA MALEDETTA ZUCCONA COME TE, CHE NON CAPISCE CHE DEVE STARE LONTANA DA QUEL MOSTRO!” “ALLORA, ANCH'IO HO FATTO LA STESSA COSA IN PASSATO! TUTTI MI DICEVANO DI STARE LONTANA DA TE PERCHE' ERI PERICOLOSO MA IO HO DECISO DI ASCOLTARE IL MIO CUORE! E HO PRESO LA DECISIONE MIGLIORE DELLA MIA VITA!” “CIO' NON VALE PER MIO PADRE!” “INVECE SI', VEGETA! PERCHE' VOI DUE SIETE IDENTICI!” “NO! ABBIAMO SOLO L'ASPETTO FISICO IN COMUNE MA IL NOSTRO CARATTERE E' COMPLETAMENTE DIVERSO! LUI E' MALVAGIO ED EGOISTA!” “NON E' VERO!”

Il piccolo urlo fece, immediatamente, bloccare il litigio.

Marito e moglie si girarono e videro la piccola Bra che li fissava.

Bra, non sono questioni che ti riguardano!” le disse Vegeta, cercando di mandarla via, ma la bambina non voleva saperne: “Stai parlando di mio nonno, di un mio amico! Quindi la cosa mi riguarda!” “Sei solo una bambina di tre anni, Bra. Non puoi capire certe cose!” “Però ne capisco altre!” “Non puoi capire le cose che sono legate a tuo nonno!” “Invece sì!” “E cosa te lo fa credere?!” “Il fatto che io lo conosca molto più di te!”

Il silenzio cadde nella stanza.

Vegeta strinse forte un pugno.

Sua figlia aveva maledettamente ragione... era lei, in quella casa che lo conosceva meglio di tutti!

Bra, capendo di aver colpito nel segno, continuò: “Ma anche se lo conosco... ci sono ancora tante cose che non so di lui! E io voglio conoscerle tutte! Perché è mio nonno! Se vuoi non vuoi provare a parlargli, nessuno te lo impedirà, ma non impedirmi più di vederlo! Altrimenti la storia della nostra famiglia si ripeterà di nuovo, con un figlio che odia il proprio padre!”

Vegeta rimase in silenzio.

Sua figlia aveva ragione: aveva rischiato di far ripetere quell'orribile storia d'odio anche alla sua famiglia... per soddisfare il suo odio e il suo orgoglio.

Si voltò e, mentre si dirigeva verso la sua camera da letto, disse: “Va bene... se proprio ci tieni, puoi andare a trovarlo e stare con lui... basta che me lo tieni lontano!”

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Nonno e nipote ***


CAPITOLO 19: NONNO E NIPOTE


BRIIIPP

L'uomo si avvicinò al citofono e domandò: “Sì?” “Nonno, sono io.”

Sorrise d'istinto.

Era arrivata.

Schiacciò un pulsante che fece aprire la porta all'ingresso, poi aprì la porta del suo appartamento e si mise ad aspettare.

Ad un tratto, la porta dell'ascensore si aprì e una bambina con i capelli turchini corse verso di lui, dicendo: “Nonno!”

Lui si mise ad accarezzarle la testa e quando alzò la testa si accorse di un secondo individuo.

Era alto, con gli occhi azzurri e i capelli a caschetto lilla.

Doveva essere Trunks, il figlio maggiore di Vegeta, quello che si stava per sposare con la fidanzata incinta... proprio come lui ed Echalotte avevano fatto...

Tu devi essere Trunks...” fu tutto quello che riuscì a dire.

L'imbarazzo tra i due era palese.

Sì...” annuì il ragazzo e suo nonno chiese: “Vuoi entrare?” “Solo per pochi minuti... dopo devo organizzare alcune cose per il mio matrimonio...”

Trunks entrò e l'uomo, aprendo il suo frigorifero domandò: “Cosa vuoi? Acqua, coca, succo di frutta...” “Solo un bicchiere d'acqua.” rispose Trunks.

Mentre il ragazzo beveva, l'uomo gli domandò: “A che ora pensi di venire a prendere Bra?” “Credo che verrà mia madre a prenderla... comunque penso verso le otto... cosa avete intenzione di fare?” “Magari la porto alla fiera che c'è in piazza...” “Ottima idea. A Bra piacciono le fiere... quando arrivano le giostre vuole provare tutte le attrazioni... fa' attenzione ai soldi.”

I due ridacchiarono, divertiti.

Anche se vi era ancora un po' di tensione tra i due, si stava lentamente sciogliendo.

Tieni.” disse, ad un tratto, Trunks tirando fuori dalla tasca una carta.

L'uomo la prese e la riconobbe subito.

Era la sua carta, quella che aveva perso tre anni prima.

L'ho conservata per restituirla al suo legittimo proprietario...” disse Trunks “E quel proprietario sei tu... nonno...”

L'uomo lo fissò a lungo, in silenzio.

L'aveva chiamato nonno...

Quel ragazzo... aveva accettato il fatto che fosse suo nonno... proprio come Bra...

Con amarezza, si accorse che, mentre i suoi nipoti l'avevano accolto nelle loro vite quasi subito, i suoi figli, soprattutto Vegeta, non accettavano il fatto che fosse ritornato.

Come dare loro torto?

Loro avevano vissuto il suo abbandono in prima persona.

Trunks e Bra avevano solo sentito quella storia ma loro... loro l'avevano provato sulla propria pelle.

Avevano affrontato, completamente da soli, gente che li prendeva in giro, solitudine e dolore... non poteva di certo biasimarli.

Più volte, in quei giorni, era stato preso dalla tentazione di chiedere a Bra il nome del suo secondo figlio, quello che lui non conosceva, ma alla fine aveva rinunciato.

L'avrebbe solo fatto soffrire di più...

E, poi, non poteva presentarsi davanti a suo figlio dopo essersene andato quando non era nemmeno nato...

Il rumore della sedia spostata da Trunks lo riportò tra i vivi.

Io vado... ci vediamo...” disse il ragazzo, prima di uscire.

L'uomo si voltò e guardò di nascosto la bambina di tre anni che si era messa a disegnare qualcosa sul pavimento con le matite colorate.

Due giorni prima, la bambina gli aveva detto che le sarebbe piaciuto molto avere delle matite colorate così da disegnare tutte le cose belle che faceva assieme al nonno e, quello stesso giorno, non appena se n'era andata, era corso all'edicola per comprarle.

Così, adesso, la bambina si dedicava anima e corpo a quei piccoli scarabocchi infantili.

Ehi.” le disse, ad un tratto “Rimettiti le scarpe che andiamo fuori.” “Andiamo alla fiera, vero?” “Certo.” “Grazie, nonno.” “Mi raccomando, copriti bene, sennò tuo padre mi uccide...”


Grazie per tutto l'aiuto che ci stai dando, nonna.” “Ma figurati, Trunks, lo sai che mi fa molto piacere aiutarti.”

Trunks, assieme a sua madre e a Mai, si trovava nella soffitta della vecchia casa di sua nonna.

Echalotte aprì un vecchio e logoro baule e tirò fuori un lungo abito da sposa bianco.

Allora? Che ve ne pare?” domandò la donna e Bulma e i due fidanzati annuirono.

Poteva andare.

E' molto carino...” sussurrò Mai mentre Trunks aggiungeva: “In confronto al vestito che ci ha proposto mia nonna Panchy...”

Tutti i presenti scoppiarono a ridere.

Era impossibile dimenticare quell'enorme abito tutto pieno di fiocchi, che faceva assomigliare una donna più a un pacco regalo che a una sposa.

Nascondeva la pancia di Mai, però... era troppo imbarazzante!

Ho cercato di tenere mia madre lontana da questa storia, ma non c'è stato nulla da fare! Persino quando io mi sono sposata, ha voluto a tutti i costi costringermi a indossare il suo abito da sposa...” raccontò Bulma, mentre sospirava per i bizzarri e svampiti comportamenti di sua madre.

Echalotte prese il vestito e si diresse verso la porta, dicendo: “Sarà meglio che lo indossi. Bisogna vedere quanto rivela la pancia.”

Il gruppo scese le scale e raggiunse la camera da letto della donna.

Una volta arrivati, Echalotte passò il vestito a Mai e fece uscire tutti dalla stanza.

Dopo un po', Echalotte domandò alla nuora e al nipote: “Dov'è Bra?”

Bulma e Trunks sbiancarono.

Non potevano raccontarle che Bra era casa di suo marito, l'uomo che l'aveva abbandonata...

E' a casa nostra, assieme a Vegeta.” le mentì Bulma, con una rapidità incredibile.

Non le piaceva per niente mentirle, aveva subito abbastanza dalla vita, ma era ancora troppo presto per rivelarle che suo marito era tornato...

Echalotte fece un semplice “Ok.” e si mise ad aspettare Mai.

Ricordava ancora quando aveva indossato lei quell'abito, il giorno in cui avrebbe dovuto legare per sempre la sua vita a quella del suo Vegeta...

Quel giorno era stata così felice... si stava per unire in matrimonio all'uomo che amava e aspettava già il loro bambino...

Allora aveva creduto che sarebbero stati insieme per sempre ma, poi, lui aveva preferito un'altra donna e se n'era andato... per sempre...

Gli altri dicevano che era naturale che se ne fosse andato, dato che si erano sposati solo perché era incinta... ma ciò che loro non sapevano, era che, in realtà, volevano solo un motivo per sposarsi.

Erano entrambi troppo orgogliosi per dire davanti a tutti che si amavano, perciò speravano che succedesse qualcosa che, all'opinione pubblica, il loro matrimonio apparisse più come un dovere piuttosto che a un'unione d'amore.

Mentre guardava fuori dalla finestra, Echalotte ricordò il momento in cui aveva rivelato a Vegeta che era incinta di lui...


Echalotte si mordicchiò un'unghia con nervosismo.

Ma quanto ci metteva?!

Eppure l'aveva pregato di arrivare subito!

Quell'attesa la rendeva nervosa perché voleva solo finirla in fretta.

Si diede un'occhiata in giro.

Il parco dietro all'università era, come al solito, vuoto e nessuno avrebbe sentito niente.

Che figura ci avrebbe fatto se si fosse saputo che la sera in cui loro due dovevano fare la relazione di storia era rimasta incinta?!

Ma come aveva potuto essere così stupida da dimenticarsi il preservativo?!

Per istinto, guardò verso un cespuglio che lei avrebbe riconosciuto dappertutto.

Quello in cui, un anno prima, si era tolta i pantaloni per consegnare a Vegeta le sue mutandine, dato che questo era il prezzo della sua sconfitta.

Echalotte si accarezzò il grembo.

Allora non avrebbe mai immaginato che si sarebbe innamorata perdutamente di quel teppista pervertito e che avrebbe aspettato un bambino da lui...

VROOOUUUMMM!

Echalotte alzò la testa, sconvolta.

Il rombo di una moto.

Lui era arrivato.

Infatti, Vegeta si avvicinò con passo calmo e sereno verso di lei e le aveva chiesto, con tranquillità: “Che è successo? Perché mi hai chiamato?” “Sono incinta.” gli disse, puntando dritto al sodo.

Aveva sempre odiato perdere tempo...

Mentre si allontanava, aggiunse: “Ho intenzione di tenere il bambino. Se non vuoi prenderti le tue responsabilità non ha alcuna importanza. Volevo solo avvertirti.” “Aspetta un momento!” esclamò Vegeta, afferrandola per un braccio.

I loro occhi neri s'incrociarono, creando un effetto magico e misterioso.

Stammi bene a sentire. Pensi che ti molli così?! Quello che porti in grembo è anche mio figlio, sai?” le disse, continuando a guardarla e lasciando Echalotte senza parole.


Come sto?” domandò Mai mentre apriva la porta.

Era un abito molto lungo e senza maniche.

Nonostante ciò, era molto semplice e carino.

Ti sta molto bene.” le disse Bulma, sorridendo, e Mai arrossì.

Tuttavia...” fece notare Echalotte “Il ventre è molto visibile... bisognerà fargli dei ritocchi... e, poi, è un po' troppo fuori moda.”

Prese per un braccio la ragazza e la ricondusse in camera e, prima di chiudere la porta, avvisò: “Mi occupo io del vestito. Vedrete, sarà così bello che tutte creperanno dall'invidia.”


Bra strinse con più forza la gigantesca mano di suo nonno.

C'era un sacco di gente e, poi, c'erano molti rumori forti e odori di tutti i tipi che si mescolavano con l'aria fredda e frizzantina.

Tutto ok?” le domandò suo nonno e la piccola annuì con la testa.

Si mise a guardare, con molta attenzione, tutte le bancarelle che c'erano: una vendeva articoli per cucinare, un'altra pianta, alcune giocattoli...

Ad un tratto, la bambina notò un posto dove facevano gli hot dog e altri tipi di panini.

Nonno, ho fame.” gli disse subito “Mi compri un hot dog?” “No.” fu l'immediata risposta ma Bra, cominciando a saltellare attorno a lui, continuò a insistere: “Eddai, per favore.” “Ho detto di no. Non insistere.” “Ti preeeego.” “Falla finita, Bra! Non cederò per due occhi azzurri!”


Desidera, signore?” “Due hot dog, uno col ketchup e l'altro senza niente, una vaschetta con le patatine fritte e due bottigliette di acqua frizzante.”

Il signore del chiostro, prima di cominciare a preparare, guardò a lungo quello strano uomo che teneva per mano una bambina coi capelli turchini di pochi anni.

Sembrava che fosse imbarazzato nell'ordinare...

Comunque, di gente strana nel mondo ne aveva vista anche fin troppa... l'importante era che pagavano...

L'uomo continuò a essere rosso per un bel pezzo.

Aveva detto a sua nipote che non avrebbe ceduto eppure, alla fine, era successo.

Che tremenda figura per il suo orgoglio...

Una volta che il signore del chiostro ebbe preparato tutto, l'uomo si sedette, assieme a Bra, in uno dei posti liberi attorno al chiostro e cominciarono a mangiare.

I due mangiarono in silenzio.

Bra perché voleva assaporare il cibo, e anche perché sua madre le aveva detto che le bambine beneducate non parlano con la bocca piena, mentre suo nonno perché era ancora confuso su tutto quello che gli stava succedendo.

Per tanti anni, aveva vissuto da solo, senza nessuno, evitando di riprendere i contatti con la sua famiglia... eppure, adesso, era tornato di nuovo in contatto con essa.

O, almeno, in parte...

In parte era felice di quello che stava accadendo e che la sua vita stava smettendo di essere buia e fredda... ma aveva paura.

Paura di combinare di nuovo qualcosa e di distruggere la sua felicità e, soprattutto quella di Bra...

Avrebbe impedito che Bra soffrisse a causa sua...

Lei era stata l'unica a perdonarlo...

Quando i due finirono di mangiare, l'uomo si accorse che Bra lo stava guardando sorridendo.

Sentiva puzza di guai...

Mi porti al parco giochi?” domandò la bambina e, poi, si mise a pregarlo “Ti prego, ti prego, ti prego.”

Lui sbuffò e, prima di alzarsi, commentò: “Tuo padre ti ha viziata troppo.”


Il parco giochi era deserto e pieno zeppo di neve.

Sta lontana dal lago ghiacciato. Potrebbe rompersi.” si raccomandò l'uomo e la nipote annuì.

Una volta che ebbe promesso, Bra si mise a correre verso il castello e cominciò ad arrampicarsi su di esso, per poi scendere giù dallo scivolo.

Suo nonno, nel frattempo, si sedette su una panchina del parco e si mise a osservarla, in silenzio.

Con la mente, pensò all'unica volta in cui aveva visto suo figlio Vegeta giocare in un parco giochi.,,


Dopo aver guardato mille volte se c'erano delle macchine attraversò la strada.

Mentre camminava verso casa sua, vide il sentiero che portava al parco.

Da lì avrebbe fatto molto più in fretta...

Mentre camminava, vide il parco giochi e notò un bambino che stava cercando di salire.

Non gli ci volle molto per riconoscere suo figlio Vegeta.

Nonostante avrebbe compiuto tre anni tra un mese, quel piccoletto voleva fare tutto quello che facevano i grandi.

L'osservò in silenzio, mentre il bambino si arrampicava sulla scala di corda del castello.

Nonostante fosse troppo duro per lui, non intendeva arrendersi.

Era proprio suo figlio...

Finalmente, Vegeta riuscì a raggiungere la cima e si mise a saltellare, contento della sua vittoria.

Mentre saltava, si girò e si accorse di lui.

Emozionato, Vegeta lo salutò, sperando di ottenere da lui un sorriso o, almeno, un gesto che gli facesse capire che era fiero di lui...

Rimase immobile, indeciso sul da farsi.

Era fiero e orgoglioso di suo figlio, che nonostante fosse ancora piccolo, si era arrampicato, completamente da solo, su un castello del parco, ma si vergognava troppo per dirglielo.

Alla fine, si voltò e si allontanò, sotto lo sguardo amareggiato e triste del figlio.


Scusa, ma tu...”

L'uomo si voltò, stupito da quella improvvisa interruzione.

Davanti a lui, c'era un uomo con i capelli neri a palma, gli occhi neri e uno sguardo molto ingenuo che teneva per mano una bambina di quattro anni con i capelli a caschetto neri e grandi e vivaci occhi dello stesso colore.

Lei... è il padre di Vegeta?” domandò, allibito, l'uomo e l'altro rispose: “Sì.” “Mi chiamo Kakaroth, ma tutti mi chiamano Goku.” “Ah, ho capito. Sei il figlio di Bardack... assomigli molto a tuo padre.”

In effetti, era rimasto molto sorpreso quando l'aveva visto.

Quell'uomo, Kakaroth, era identico a Bardack da giovane, quando non aveva ancora nessuna cicatrice sulla guancia.

Ora che ci pensava meglio, prima che se ne andasse, Bardack aveva avuto un altro figlio e sua moglie Gine aveva pensato di chiamarlo Kakaroth in quanto Bardack le aveva raccontato del tremendo odio che suo figlio Vegeta provava per quel nome e lei aveva pensato che fosse un nome bellissimo e perfetto per il figlio che stava per nascere.

Pan!” urlò la vocina di Bra e l'uomo vide la nipote correre verso la bambina che Kakaroth teneva per mano.

Ciao, Bra.” rispose la bambina coi capelli neri di nome Pan mentre Bra le raccontava: “Sono in giro con mio nonno... andiamo a giocare?” “Sì.” annuì Pan e insieme si misero a fare un pupazzo di neve.

Posso sedermi?” domandò Kakaroth indicando il lato della panchina lasciato libero e lui rispose, seccato: “Fa come vuoi...”

I due fissarono in completo silenzio, le due bambine che giocavano.

Sono carine insieme, non trova?” domandò, ad un tratto, Kakaroth e l'uomo, evitando il suo sguardo, annuì: “Sì...” “Il legame tra me e mia nipote si è creato subito.”

Si voltò a guardarlo, incredulo.

Cosa intendeva?

Quasi ad avergli letto nel pensiero, Kakaroth spiegò: “Fin da quando Pan è nata... io e lei non riuscivamo a stare lontani. E' stato amore a prima vista. Io... farei qualunque cosa per vedere il suo sorriso.”

L'uomo rimase a guardarlo, in silenzio.

Non l'avrebbe mai ammesso ma... era la stessa cosa che era successa a lui con Bra.

All'inizio non aveva voluto ammetterlo ma... tra lui e Bra era stato amore a prima vista.

Non erano mai riusciti a stare lontani l'uno dall'altra... erano legati da un filo sottile e resistente... lo stesso filo che lo legava a sua moglie Echalotte.

In più, la sua più grande paura era di perdere il sorriso di Bra.

Avrebbe fatto di tutto per impedire alla nipote di non soffrire a causa sua.

Aveva già fatto soffrire troppe persone...

Nonnino!”

La piccola Pan aveva smesso di fare il pupazzo di neve assieme a Bra e si era diretta a tutta velocità verso suo nonno.

La bambina si fermò davanti a suo nonno e gli raccontò: “Bra mi ha raccontato che a volte suo nonno la chiama Cappuccetto Rosso.” “Quindi, tesoro?” domandò, stupito, Goku, grattandosi la testa, mentre il padre di Vegeta alzava gli occhi al cielo.

Aveva capito dove voleva arrivare la bambina...

Quindi vuole che anche tu le dia un soprannome.” gli rivelò, seccato, l'uomo e Goku, un po' imbarazzato, balbettò: “Ah... capisco... grazie...”

Goku si mise a rimuginare per molti minuti, finché non esclamò: “Ho trovato! Che ne dici di Peter Pan?” “Eh?” si lasciò scappare l'altro, esterrefatto.

Ma gli sembrava il soprannome per una bambina?!

Tuttavia, Pan sembrò non farci affatto caso: “Bello, Peter Pan... e tu come ti chiamerai nonno?” “Io proporrei Spugna dato che avete entrambi la stessa intelligenza.” propose il padre di Vegeta e Goku esultò: “Mi piace come nome. Grazie mille.”

L'uomo rimase in silenzio.

Kakaroth poteva essere identico a Bardack nell'aspetto ma in quanto ad intelligenza... era un altro paio di maniche!

Ad un tratto, Kakaroth guardò l'orologio che aveva al polso e sussultò: “Oh mamma mia, è tardi, tardissimo! Beh... alla prossima!” e, dopo aver preso per mano la nipote, uscì dal parco a tutta velocità.

L'uomo si mise a fissare, in silenzio, sua nipote, che era davanti a lui, e, mentre si alzava dalla panchina, le disse: “Su, andiamo anche noi. Ormai è tardi.” “Aspetta!” lo fermò Bra, prendendogli la mano.

Lui la guardò e le domandò, sentendo già puzza di guai: “Cos'altro c'è, Bra?” “C'è un peluche che vorrei tanto avere...” rispose la bambina un po' timidamente e suo nonno, alzando gli occhi al cielo, sbuffò: “Tu mi farai finire sul lastrico.”


La prossima volta che desideri un peluche, fammi il piacere di avvisarmi che è il premio di una bancarella!”

Bra fece un sorrisetto da furbetta e poi disse: “Pan al parco mi ha raccontato che suo nonno ha vinto un enorme orso di peluche solo per lei...” “E immagino che tu non volevi essere un passo indietro alla tua amichetta, non è vero?” “Per favore, nonno... ci tengo tanto...”

L'uomo sospirò, poi si avvicinò al bancone e disse all'uomo: “Desidero giocare.” “Quante partite, signore?” “Una e basta.”

Mentre pagava la partita, Bra si avvicinò a lui e gli fece notare: “Ma nonno... se fai una sola partita non c'è molta speranza che tu vinca... Trunks, quando giocava alla fiera, doveva giocare ben cinque partite prima di colpire almeno un omino...” “Aspetta e vedrai, Cappuccetto Rosso.”

L'uomo prese in mano la pistola che il venditore gli diede e rimase immobile finché il tizio del bancone non fece partire il gioco.

BANG BANG BANG BANG BANG BANG BANG

C'era sette omini che si muovevano e, in appena sette secondi, non ce n'era più neanche uno.

Il venditore e Bra, come tutti i presenti, fissarono ammutoliti, quell'uomo che con destrezza e agilità aveva eliminato in poco tempo tutti gli omini del gioco.

Il nonno della bambina, infischiandosene della folla, posò la pistola sul banco e domandò alla nipote: “Allora, Bra? Quale peluche vuoi?”


Tieni. Fa attenzione che scotta.” “Grazie, nonno!”

La prese la tazza di cioccolata calda della mani del nonno e la mise di fianco a sé mentre finiva di colorare il suo disegno, con in braccio sempre l'enorme peluche a forma di tigre col pelo bianco e gli occhi azzurri.

Suo nonno si sedette all'altro lato del tavolo e, mentre beveva la sua cioccolata calda, si mise a guardarla mentre la bambina disegnava tutta contenta.

Gli sarebbe tanto piaciuto allungarle la mano e accarezzarle la testa... ma era troppo orgoglioso per farlo...

Nonno...” gli domandò all'improvviso Bra, come se gli avesse letto nel pensiero “Mi accarezzi la testa?” “Se proprio ci tieni...” commentò lui, allungando la sua grande mano e cominciando ad accarezzarle i capelli turchini.

Era morbidi e setosi... inoltre, avevano lo stesso colore del mare... e a lui il mare era sempre piaciuto...


Aprì la stuoia e, dopo averla sistemata, si sedette su di essa e si mise a guardare il mare.

Quel giorno, il cielo era nuvoloso e il mare era grigio e mosso.

Tirò fuori dallo zaino il suo quaderno e cominciò a disegnare quel mare su una pagina bianca.

Cosa disegni?”

La sua voce lo fece sobbalzare.

Lei era lì.

Come poteva evitarla se continuava ad apparire nella sua vita?!

Non sono cose che ti riguardano, bambolina.” sbottò lui, evitando di guardarla negli occhi.

Quando la guardava si sentiva strano... fragile...

Ma perché diavolo si era innamorato?!

Per tutta risposta, Echalotte gli prese dalle mani il suo quaderno e si mise a sfogliare le pagine.

Ehi, chi ti ha dato il permesso di guardarlo?!” protestò, seccato, Vegeta e la ragazza gli rispose, prontamente: “Nessuno.” “Brava. E allora ridammelo!” “Scordatelo! Così impari a chiamarmi bambolina!”

Ad un tratto, Echalotte smise di sfogliare le pagine e cominciò a guardare, con molta attenzione un disegno.

Vegeta impallidì.

L'aveva visto...

Ehi, Vegeta, ma chi è questa donna?” domandò la ragazza mostrandogli il disegno che l'aveva colpita.

Rappresentava una giovane donna bellissima, con i capelli lunghi e il corpo coperto da lunghe ali bianche.

Ma la cosa che attirava l'attenzione era il suo sorriso.

Un sorriso dolce, gentile e pieno d'amore.

E' mia madre...” confessò Vegeta, abbassando lo sguardo, mentre Echalotte commentava: “Davvero?! Uao, è bellissima! A giudicare da questo sorriso doveva essere una donna molto dolce...” “Già... peccato che con lei, la vita sia stata ingiusta e crudele...” sussurrò Vegeta ed Echalotte, notando lo strano tono di Vegeta, decise di cambiare discorso.

Echalotte continuò a sfogliare le pagine finché non trovò un altro disegno particolare.

C'era un uomo con delle grandi ali bianche che voleva in un mondo pieno di luce mentre, dall'altra parte del disegno, un bambino, che riconobbe essere Vegeta per via della capigliatura, con delle grandi ali nere, volava a testa bassa verso un regno di tenebre.

Ehi, Vegeta, ma questo è tuo padre?” chiese la ragazza mostrando al giovane il disegno.

Sì...” ammise lui ed Echalotte continuò con le sue domande: “E questo bambino sei tu?” “Ovvio...” “Perché non sei vicino a tuo padre?” “Non posso stare accanto a mio padre...” “Come mai?” “Perché gli ho fatto una cosa orribile... una cosa che nessuno potrà mai perdonarmi... soprattutto lui...” sussurrò lui, sedendosi sulla stuoia e guardando, in silenzio, il mare.

Echalotte si sedette accanto a Vegeta.

Una volta accortosi di lei, tentò di scacciarla: “Voglio stare da solo...” “Non potrai mai stare da solo.” “E come mai?” “Perché noi umani abbiamo bisogno dei nostri simili. Adesso, tu hai bisogno di me.”

Vegeta sospirò e si mise a fissare il mare con accanto Echalotte, una donna meravigliosa e profonda proprio come il mare...


BRIIIPP

L'uomo si risvegliò dai suoi ricordi al suono del citofono.

Doveva essere Bulma che era venuta a prendere Bra...

Si avvicinò al citofono e domandò: “Sì?” “Ciao...”

Sgranò gli occhi e per poco non fece cadere il telefono del citofono.

Aveva riconosciuto benissimo quella voce...

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Il muro del silenzio e dell'orgoglio ***


CAPITOLO 20: IL MURO DEL SILENZIO E DELL'ORGOGLIO


Vegeta rimase immobile davanti alla porta, aspettando la risposta di suo padre.

Ma perché diavolo aveva avuto quell'assurda idea?!

Avrebbe tanto voluto mordersi la lingua per quella proposta, tanto cretina quanto improvvisa, che aveva fatto a Bulma quando gli aveva telefonato...


Vegeta diede alzò la testa dal suo giornale e guardò l'ora.

Le otto meno un quarto.

Fra un po', Bulma, Trunks e Bra sarebbero ritornati a casa...

DRIIIINNN

Il telefono squillò e Vegeta, prontamente, lo prese.

Pronto?” domandò e sentì la voce di Bulma: “Ciao, Vegeta. Ascolta, io e gli altri faremo un po' più tardi del previsto...” “Come mai?” “Siamo andati al ristorante per prenotare il banchetto... solo che c'era anche mia madre e...” “Non aggiungere altro. Ho capito.” la interruppe Vegeta.

Non poteva certo dimenticarsi di quella matta della madre di Bulma... molto probabilmente aveva costretto la figlia e il nipote a fare un giro di tutti gli organizzatori di matrimonio della contea... quando Trunks desiderava solo un matrimonio semplice per lui e Mai...

Molto probabilmente torneremo alle nove e mezza.” continuò Bulma e Vegeta le domandò: “E con Bra che cosa farai?” “Beh... ecco...” balbettò Bulma e poi, abbassando la voce, gli rispose: “Pensavo di chiamare tuo padre e di dirgli di tenerla ancora un po'...”

Vegeta non si stupì del fatto che Bulma parlasse sottovoce.

Sua madre era venuta con loro... ed era meglio che non sapesse che l'aveva trovato... anche perché nessuno sapeva come avrebbe reagito Echalotte alla notizia del ritorno di suo marito...

Posso andare a prenderla io.”

Le parole gli uscirono dalla bocca prima che avesse il tempo di bloccarle.

Il telefono rimase muto un attimo e, poi, si sentì di nuovo la voce di Bulma: “Vegeta... ti senti bene?” “Certo che sì! Voglio solo andare a prendere mia figlia! Conosco tua madre e so già che, come minimo, finirete a mezzanotte!” “Sì, ma... il fatto e che... sai bene chi c'è con lei...” “Andiamo, Bulma. Vado lì, lui me la fa uscire e me ne torno a casa. Non dovrò subire la sua presenza per molto!” “Se ne sei proprio sicuro, Vegeta...”


Adesso lui era lì.

Davanti alla porta del palazzo in cui suo padre abitava.

Quando aveva fatto quell'inaspettata proposta, non aveva nessuna ansia e preoccupazione... ma adesso, si sentiva strano.

Era come se... fosse in ansia perché lo stava per rivedere...

L'ultima volta che l'aveva visto, gli aveva dato uno schiaffo e gli aveva urlato contro... aveva ceduto alla rabbia che aveva covato in tutti quegli anni per suo padre... e glielo aveva fatto provare...

Col passare del tempo, tuttavia, si era un po' abituato al fatto che lui fosse tornato nella sua vita... e sopportava di più il fatto che Bra passasse del tempo con suo padre...

Suo padre aveva ragione.

Non riusciva a spezzare il legame che li univa.

In più, dentro a suo padre, c'era il rene che aveva donato per salvarlo, anche se lui non sapeva all'epoca che era lui il ricevente...

Dopo un attimo di silenzio, riuscì a dire: “Sono venuto a prendere Bra. Bulma e Trunks sono più impegnati del previsto.”

TRRRIIIINNN

Vegeta fece un sospiro e aprì la porta, incamminandosi verso l'ascensore.

Era meglio se nessuno lo vedeva.

Dopo aver digitato il piano, Vegeta si appoggiò alla parete, aspettando di arrivare alla sua destinazione.

Era nervoso.

Il pensiero di rivedere, anche solo per un attimo, suo padre, lo rendeva nervoso e agitato...

DING

L'ascensore si bloccò e la porta si aprì.

Era arrivato.

Uscì dall'ascensore e lo vide.

Era davanti alla porta del suo appartamento, con le braccia incrociate che lo fissava in silenzio.

Vegeta si avvicinò a lui e rimase in completo silenzio.

Non sapeva cosa dirgli...

Suo padre si voltò verso il suo appartamento e disse: “Bra! C'è tuo padre.”

Immediatamente, una chioma turchina fece capolino dalla porta e mostrando un'enorme tigre bianca, esclamò, tutta contenta: “Papà! Guarda cosa mi ha regalato il nonno!” “Carino... vestiti, che torniamo a casa.” “Oh no! Ti prego, papà. Voglio restare ancora un po'...” “Non se ne parla! Si torna a casa!”

Vedendo che era inutile insistere con suo padre, Bra gli domandò: “Puoi aspettare un attimo? Devo finire una cosa.” “Va bene, ma che sia breve!” acconsentì, seccato, Vegeta e Bra scomparve da qualche parte.

Vegeta e suo padre rimase lì, immobili, nel corridoio del palazzo.

In attesa che Bra torni, puoi entrare.” propose suo padre aprendogli molto di più la porta e Vegeta, entrando nell'appartamento, disse: “Grazie.”

Vegeta si sedette sul lato sinistro del divano mentre suo padre in quello destro.

I due fingevano di non notarsi ma di nascosto non facevano altro che guardarsi.

Ad un tratto, Vegeta sentì suo padre chiedergli: “Sai che a Bra piacciono i gatti?” “Ne ha sempre avuto la passione.” fu la sua risposta, troncando sul nascere la conversazione.

La verità era che nessuno dei due sapeva bene che cosa dire.

Vegeta continuava a darsi mentalmente dello stupido.

Non sarebbe mai dovuto venire... era stata una pessima idea!

Anche suo padre rimase zitto per un attimo, poi tentò un nuovo approccio: “Capisco... hai la macchina?” “Certo. Perché?” “Perché il meteo ha previsto che continuerà a nevicare per un bel po'... non vorrei che accadesse qualcosa...” “Non accadrà!” fu la secca risposta di Vegeta.

Era troppo orgoglioso per provare a parlare con l'uomo che l'aveva profondamente deluso...

Suo padre rimase in silenzio, capendo che non c'era niente da fare.

Vegeta era troppo orgoglioso e deluso per provare a creare un approccio con lui...

Tra loro due, era stato eletto un muro.

Un muro di silenzio e di orgoglio.

Mentre se ne stava in silenzio, l'uomo rifletté sulle ultime parole di Vegeta... due parole che per gli altri non sembravano nulla di ché ma per lui, avevano tanto significato...


Sei pronta?” “Certo!”

I due avversari si guardarono un attimo, in quel vecchio e buio, dato che ormai era notte fonda, capanno per gli attrezzi abbandonato, pronti ad un feroce combattimento di arti marziali.

Vegeta rimase un attimo in silenzio, prima di far ricordare una cosa ad Echalotte: “Lo sai che se perdi dovrai spogliarti e mostrarti nuda davanti a me?” “Non accadrà!” lo interruppe, rossa in volto e adirata, Echalotte, prima di provare a tirargli un calcio.

Vegeta lo parò prontamente, come i successivi e violenti pugni della ragazza.

Si doveva essere allenata molto... doveva ammettere che era molto più forte e agile di quando l'aveva affrontata la prima volta...

Tuttavia, non era ancora alla sua altezza.

Infatti, con un rapido e fulmineo movimento delle gambe e delle mani la fece cadere per terra.

Entusiasta per la sua terza vittoria di fila, Vegeta si chinò davanti al suo viso e le disse, sorridendo: “Battuta di nuovo, bambolina.”

Stranamente, vedere quel suo bel viso da vicino lo fece emozionare.

Erano mesi che provava a smettere di amarla ma era tutto inutile.

Non riusciva a starle lontano e nemmeno a smettere di pensarla.

Finalmente, avrebbe visto il superbo corpo nudo di Echalotte... una visione che continuava a ossessionarlo da mesi...

La ragazza, rossa in volto, gli sibilò, mentre si toglieva la maglietta: “Prima o poi ti sconfiggerò! Fosse l'ultima cosa che faccio!”

Lentamente, tutto il vestiario di Echalotte, pantaloni, calze, reggiseno e mutandine, venne tolta e la giovane rimase, completamente nuda, davanti a Vegeta.

Echalotte gli lanciò uno sguardo di sfida mentre il giovane guardava affascinato quel corpo.

Tutte le sue migliori fantasie erotiche non le facevano onore: la sua pelle bianca, i suoi capelli sciolti, i suoi seni, il suo corpo... tutto in lei era perfetto!

D'istinto, cominciò ad avvicinarsi a lei, sussurrandole, estasiato: “Sei divina...”

Echalotte, vedendolo avvicinarsi a lei, gli urlò: “MI AVEVI PROMESSO CHE NON MI AVRESTI TOCCATA!” “Con le mani e il mio membro...” le ricordò lui, fermandosi proprio davanti a lei.

Echalotte rimase immobile.

Temeva che lui, nonostante la sua promessa, l'avrebbe posseduta...

Era pronta a difendersi, il più possibile, da lui.

Inaspettatamente, Vegeta si chinò su di lei e le baciò la spalla.

Echalotte sussultò.

L'aveva... baciata...

Un bacio dolce ma allo stesso tempo passionale...

Vegeta continuò a baciarla in varie parti del suo corpo, con dolcezza ed Echalotte si lasciò cullare dai movimenti della sua bocca...

Vegeta si fermò e diede un'occhiata alle labbra di Echalotte.

Era così belle e rosse... sembravano disegnate da un pittore.

La voglia di baciarle e di assaporarle c'era, tuttavia...

Con amarezza si allontanò da esse.

Anche se l'amava... non si sentiva pronto a congiungere le sue labbra con quelle di Echalotte.

Se l'avesse fatto, avrebbe dimostrato ad Echalotte che l'amava e il suo orgoglio...

Echalotte chiuse gli occhi, sperando che Vegeta la baciasse sulle labbra.

Moriva dalla voglia di sentirle... ma era troppo orgogliosa.

Avrebbe fatto fare il primo passo a Vegeta.

Vegeta cominciò a chinarsi.

La ragazza fu colta da un fremito.

E se stesse per baciarle quella parte?

Una parte desiderava ardentemente che lo facesse ma l'altra...

Ad un tratto, sentì il fiato caldo di Vegeta avvicinarsi al suo corpo e baciarle il ventre.

Una parte di lei fu grata a Vegeta per non essersi spinto a tanto ma l'altra... voleva avere di più da lui... anche se sentiva che, così facendo, Vegeta avrebbe scoperto il suo segreto...

Dopo averle dato quel bacio al ventre, Vegeta si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò: “Non dare a nessun altro la tua biancheria e non farti vedere nuda a uno che non sono io...”

Poi, si voltò e mentre si allontanava aggiunse: “Oppure tutti sapranno che hai i fianchi larghi e i seni piccoli.”

Echalotte, furibonda, si coprì i seni con le braccia e gli urlò: “MA COME TI PERMETTI?! PRIMA O POI TI AMMAZZERO'!”


Papà! Nonno!”

La vocina allegra e spensierata di Bra spezzò quell'opprimente silenzio.

La bambina, sempre sorridendo, si avvicinò a loro con due righe di carta in mano.

Cos'è?” domandò Vegeta e Bra esclamò: “Un braccialetto di fiori di carta. Ce l'ha insegnato la maestra. Allunga la mano.”

Vegeta obbedì e Bra, con un po' di fatica, riuscì a mettergliene uno al polso.

Ora tocca al nonno.” dichiarò poi la bambina e rifece quello che aveva fatto prima con suo padre.

Dopo aver messo a entrambi un braccialetto di fiori di carta al polso, si voltò verso di loro e disse: “Ecco fatto! Vi piace?”

I due uomini fissarono, in completo silenzio, il regalo di Bra.

Alla fine, Vegeta si alzò in piedi e, prendendo la figlia per mano, sussurrò: “Torniamo a casa, Bra.”

Padre e figlia uscirono dall'appartamento mentre l'uomo che viveva lì li guardava allontanarsi in silenzio.

Prima di raggiungere l'ascensore, però, Bra si voltò e, muovendo la mano, lo salutò: “Ciao nonno, ci vediamo presto.” “Ciao...” fu tutto quello che riuscì a dirle suo nonno prima di ritornare nel suo appartamento e di chiudere la porta.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Un padre e un figlio ***


CAPITOLO 21: UN PADRE E UN FIGLIO


Tarble ansimò profondamente mentre se ne stava immobile davanti alla porta del palazzo.

Era una mattina fredda d'inverno e nessuno usciva da quel palazzo.

Dopotutto... chi usciva con un clima del genere?!

Continuò a intrecciarsi nervosamente le dite.

Adesso che era lì... cosa doveva fare?

Si guardò intorno.

Temeva che arrivasse qualche amica di Gure e lo riconoscesse...

Sarebbe stato molto imbarazzante spiegare che non stava molestando quella ragazzina ma che stava cercando di trovare il coraggio di citofonare al padre che se n'era andato quando lui non era nemmeno nato!

TRRRIIIINNN

Tarble sussultò per lo spavento e si nascose dietro a un lampione.

Ma perché mi sto nascondendo come un ladro?! Pensò, sconsolato, il giovane.

Non si sarebbe di certo stupito se qualcuno l'avesse scambiato per un maniaco...

La porta del palazzo si aprì e un uomo uscì.

Tarble sgranò gli occhi, sorpreso.

Quell'uomo... era identico a Vegeta.

Stessi capelli a fiamma, stessi occhi neri e stesso sguardo orgoglioso ma allo stesso tempo triste...

Le uniche differenze erano il colore dei capelli, suo fratello li aveva neri mentre quelli di quell'uomo erano castani, e, inoltre, quell'uomo era più alto di Vegeta e aveva la barba.

Non c'era alcun dubbio.

Quell'uomo doveva essere suo padre!

Finalmente, avrebbe avuto l'occasione di conoscerlo...

Col cuore che continuava a battere forte per l'emozione, Tarble si avvicinò a suo padre e sussurrò: “Scusa...”

L'uomo si voltò e si mise a fissare in silenzio quel ragazzo basso, mingherlino, con gli occhi neri e i capelli a spazzola neri, con un piccolo ciuffo sulla fronte.

Dopo qualche minuto di silenzio, Tarble gli domandò: “Ti... ti chiami Vegeta?” “Sì.” “E... e hai un figlio che ha il tuo stesso nome che ha una figlia di tre anni con i capelli turchini di nome Bra?” “Sì.” “E questa bambina... ti chiama il signor Lupo Cattivo?” “Sì...” annuì suo padre e, senza smettere di fissarlo, gli chiese: “Chi sei?” “Io... sono tuo figlio... mi chiamo Tarble...” si presentò il ragazzo.

Per tanti minuti, tra padre e figlio vi fu il completo silenzio.

Nessuno dei due sapeva che cosa dire.

Tarble era nervoso al pensiero della risposta di suo padre...

Suo padre, dal canto suo, continuava a fissarlo in silenzio.

Per giorni si era domandato quale fosse il nome che Echalotte aveva deciso di dare al loro secondo figlio.

Aveva pensato a tantissimi nomi eppure, non aveva assolutamente pensato a quel nome.

Non si sarebbe mai aspettato che sua moglie decidesse di usarlo...


L'onda si allungò ancora un po' sulla sabbia bagnata e, poi, si asciugò del tutto.

La fredda brezza marina scompigliò i capelli neri della ragazza con la pancia enorme seduta sul vecchio asciugamano azzurro.

Fa molto freddo oggi, eh?” domandò Echalotte al marito, che era a sua volta seduto su un asciugamano, e che leggeva il giornale, nonostante il vento gli facesse muovere le pagine.

Vegeta, prontamente e senza nemmeno alzare la testa dal giornale, le rispose: “Siamo in autunno, Echalotte. E' naturale che fa freddo anche se siamo al mare!”

Echalotte si alzò in piedi e, respirando più aria marina possibile, disse: “Ho letto su una rivista che l'aria marina fa bene ai polmoni e voglio che nostro figlio abbia il meglio!” “Non iniziare a viziarlo o è la fine.” sbuffò lui da dietro il giornale.

Echalotte si avvicinò a lui e, sorridendo, esclamò: “Ma ci pensi? Fra due mesi diventiamo genitori.” “Lo so, Echalotte. Credimi, che lo so.” “Sai... voglio essere una madre migliore della mia.”

Per un attimo, il silenzio, rotto soltanto dal rumore del mare, si mise tra i due coniugi.

Poi, Echalotte continuò: “A mia madre non è mai importato niente di me... come a mio padre...” “Ci riuscirai di certo.” le disse, all'improvviso, Vegeta.

Echalotte si voltò e si accorse, con stupore, che Vegeta non stava più leggendo il giornale ma che la stava guardando.

Dopo un po', però affermò, ridacchiando: “Anche perché, una madre peggiore della tua...” “Grazie, Vegeta. E bello poter contare sulla tua sensibilità.” ribatté, seccata, Echalotte e Vegeta, mentre tornava a leggere il suo giornale, le rispose, divertito: “Prego.”

Echalotte, decisa a riavere la sua rivincita, gli propose: “Perché, invece, non mi racconti di tua madre?”

Vegeta smise di leggere il giornale e, girando la testa da un lato, sussurrò: “Ti ho già detto tutto su di lei.” “Mi hai solo raccontato come è morta e le informazioni che hai letto sul tuo fascicolo quando eri in istituto... ma ci dev'essere qualcosa che ti ricordi di lei...” insistette la moglie ma l'uomo la interruppe: “Avevo tre anni quand'è morta... non posso ricordarla.”

Echalotte, capendo che suo marito non si sentiva ancora pronto a ricordare sua madre, si sedette sul telo accanto a lui e gli chiese: “E di tuo padre che mi dici?”

Vegeta alzò gli occhi nel cielo e guardò il volo di alcuni gabbiani.

Ad un tratto, sussurrò: “L'unica cosa che ricordo di lui è il nome...” “E qual'era?” “Non te lo dico.” “E perché?!” “Non voglio che mio figlio porti il suo nome.”

Echalotte rimase in silenzio.

Vegeta, nonostante le avesse raccontato tutto, si sentiva ancora in colpa per quello che era successo anni fa...

Ma non era stata colpa sua! Era stata una cosa orribile, certo, ma lui non aveva nessuna colpa...

Purtroppo, Vegeta non riusciva a perdonarsi... e chiamare suo figlio col nome di suo padre dopo tutto quello che era successo... l'avrebbe fatto sentire in colpa nei suoi confronti...

Purtroppo, lei non poteva fare niente.

Era una cosa che Vegeta doveva affrontare da solo.

Tuttavia, lei gli sarebbe stata accanto fino alla fine.

Lei e il loro bambino.

Prometto che non lo chiamerò così... ma tu dimmelo.” promise la donna, guardando.

Dopo qualche minuto di silenzio, Vegeta si decise e sussurrò: “Si chiamava Tarble.”


E, adesso, si trovava davanti al figlio che non conosceva e che aveva lo stesso nome di suo padre.

Si domandò per quale motivo Echalotte aveva deciso di chiamarlo come suo padre.

Forse, per vendicarsi di lui e del suo abbandono...

Alla fine, trovò il coraggio di dire a suo figlio: “Vegeta mi ha parlato di te.” “Già... ecco... io... volevo... volevo un po' conoscerti.” rispose Tarble, terribilmente teso e nervoso.

Fortunatamente, Vegeta sembrava avergli rivelato della sua esistenza e ciò rendeva le cose un po' più facili...

Però... in tutta quella storia c'era qualcosa di strano...

Vegeta non aveva nessuna intenzione di creare un approccio con suo padre, sua cognata Bulma glielo aveva detto chiaramente... ma allora... quando e come Vegeta aveva detto a suo padre che esisteva?!

Suo padre, intanto, si voltò e gli disse: “Seguimi.”

Tarble non credeva alle sue orecchie... suo padre gli aveva detto di seguirlo... questo significava... che volesse tentare un approccio con lui?!


Erano lì, faccia a faccia, nella sala di un elegante ristorante.

Nel frattempo, il cameriere aveva preso le loro ordinazioni e, dopo un quarto d'ora d'attesa, glieli aveva portati.

Tarble e suo padre non riuscivano ancora a dirsi qualcosa per tentare un approccio...

Entrambi erano molto tesi e non sapevano cosa dirsi.

L'uomo guardava suo figlio in silenzio.

Cosa poteva dirgli?

Non sapeva niente di lui!

Qualsiasi cosa gli avrebbe detto, molto probabilmente, avrebbe fatto pesare a entrambi la sua fuga e avrebbe rovinato tutto.

Tarble, dal canto suo, non riusciva ancora a credere di essere in un ristorante e di essere davanti a suo padre... l'uomo che se n'era andato quando non era nemmeno nato... l'uomo che, fin da quando era bambino desiderava conoscere...


Tarble, nella prossima ora ti porto a vedere un film.”

Il bambino alzò la testa dal disegno che stava colorando e, stupito, domandò: “Signora maestra... perché da settimana, nella sua ora, mi porta a vedere un film senza gli altri?”

La donna impallidì.

Se n'era accorto...

Per cercare di non rivelare al piccolo la verità, gli disse: “Così... per premiarti, in quanto sei un bravo bambino.”

Tarble continuò a guardarla, silenzioso, poi chiese: “Signora maestra, posso andare in bagno?” “Va bene, ma fa in fretta.”

Una volta che ebbe finito, il bambino si lavò le mani e sentì due bambini più grandi fare una strana conversazione: “Quest'anno, per la festa del papà facciamo i sassi colorati.” “Nel mio ci disegno i razzi.” “Io, invece, faccio i fulmini.” “Ciao, di cosa parlate?” domandò Tarble, intromettendosi nella conversazione.

Sapeva che non era una cosa molto educata da fare... però stavano parlando di una festa e a lui le feste piacevano tanto...

I due lo guardarono malissimo, poi gli dissero: “Di cose che non ti riguardano, nanerottolo.” “Tu non ce l'hai neanche il papà.” “Cos'è il papà?” chiese Tarble e i due scoppiarono a ridere.

Ma cosa avevano da ridere?!

Se non lo sapeva, non lo sapeva.

Chiedilo alla tua mamma, salame.” gli rispose uno dei due prima di uscire dal bagno e l'altro, prima di seguirlo, aggiunse: “Lei lo saprà di sicuro e anche molto bene...”


Mamma, cos'è il papà?”

Tarble era seduto sulla macchina accanto a Vegeta.

Sua madre fece un sospiro.

Era giunto il momento...

Cercando di trovare più forza possibile per quel tremendo momento, la donna cominciò: “Tarble... il papà... è un uomo che dovrebbe stare accanto alla mamma...”

Tarble si mise a riflettere sulle strane parole della madre.

Se un papà doveva stare accanto alla mamma, questo significava che anche lui aveva un papà... ma dov'era il suo papà?

Non aveva mai visto nessuno accanto alla sua mamma, a parte Vegeta, ma lui era un fratello e non un papà...

Allora anch'io ho un papà. Dov'è il mio papà?” domandò il bambino e Vegeta, senza smettere di guardare fuori dal finestrino, gli rispose: “Se n'è andato.” “E dove? Voglio conoscerlo.” gli chiese, emozionato, Tarble e Vegeta, fissandolo con uno sguardo di fuoco, gli urlò: “NON SI SA! CI HA ABBANDONATI! NON GLIENE FREGA NIENTE DI NOI!” “NON E' VERO! LA MAMMA AMA I PROPRI FIGLI E SE IL PAPA' STA ACCANTO A LEI, SIGNIFICA CHE ANCHE LUI LI AMA!” “NEI FILM E NELLE FAVOLE! NELLA VITA REALE I PADRI ODIANO I PROPRI FIGLI E LI ABBANDONANO!”

Tarble sentì le lacrime scendergli.

Il suo papà... non lo amava?! Lo odiava?! Al suo papà non importava niente della mamma, di Vegeta e di lui e li aveva abbandonati?!

BUAAAHHAAHA!” si mise a piangere, disperato, il bambino e sua madre, mentre fermava la macchina per andarlo a consolare, urlò: “VEGETA!”


Adesso era lì, davanti a suo padre.

Non avrebbe mai creduto possibile questa cosa...

Eppure, non riusciva a parlare...

Doveva trovare qualcosa da dire, in modo da tentare un approccio con lui e conoscere il padre di cui non sapeva niente.

Che... che lavoro fai?” domandò ad un tratto.

Suo padre posò la forchetta e il coltello.

Tarble sussultò a quel rumore improvviso, alzò gli occhi e vide che suo padre lo stava guardando.

Ad un tratto, l'uomo rispose: “Lavoro in un negozio dove si vendono quadri.” “A me piacciono i quadri... mi farebbe molto piacere se potessi vederli.” “Possiamo andarci più tardi, tanto ho le chiavi.” rivelò suo padre, tirando fuori da una tasca un mazzo di chiavi.

Tarble annuì.

Era solo un piccolo minuscolo passo ma, con un po' di fatica e pazienza, sarebbero riusciti a conoscersi un po' più a fondo.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** L'incidente di Tarble ***


CAPITOLO 22: L'INCIDENTE DI TARBLE


L'uomo premette l'interruttore del piccolo locale e subito la luce mostrò un'enorme quantità di quadri.

Tarble si perse nel contemplare quei quadri di tutte le dimensioni e con tanti soggetti diversi.

Erano superbi...

Là c'è il laboratorio.” disse, ad un tratto, suo padre mentre metteva la giacca in un appendiabiti dietro al bancone.

Tarble aprì la piccola porta di legno che suo padre gli aveva indicato.

Era molto piccolo con fotografie di paesaggi di tutti i tipi, tempere, pennelli, quadri appena iniziati oppure quasi finiti.

Ad un tratto, Tarble si accorse che, in fondo al laboratorio vi era un grande lenzuolo bianco che copriva qualcosa...

Non toccare niente.” l'avvertì la voce di suo padre.

Tuttavia, il giovane era preso dal terribile desiderio di toccare quel velo e di guardare cosa nascondesse...

Lo prese e lo tolse con forza.

Tarble sgranò gli occhi.

Il velo nascondeva tre quadri e i soggetti dei quadri li conosceva molto bene...

In uno, c'era una donna bellissima che stava ferma davanti al mare, mentre il vento le scompigliava i capelli neri, nel secondo c'era un bambino di pochi anni che correva in un enorme campo di girasoli e nell'ultimo c'era una bambina piccola tutta vestita di rosso che dormiva tranquilla con un dolce sorriso sulle labbra accanto a un enorme lupo col pelo tutto nero e gli occhi rossi.

La donna con i capelli neri era sua madre, il bambino tra i girasoli era Vegeta e la piccola addormentata era Bra.

Anche se era andato via, suo padre non aveva mai dimenticato la sua famiglia.

Quei due dipinti erano la prova che lui aveva sempre cercato di tenere vivo il loro ricordo...

Anche per Bra, anche se suo padre non sapeva che era sua nipote, era stato dedicato un quadro... un quadro che descriveva la piccola e profonda amicizia che c'era tra di loro...

Lo sai che non si devono guardare le cose degli altri senza permesso?”

Tarble sobbalzò e guardò suo padre, appoggiato con le braccia incrociate alla porta.

Il giovane, rosso in volto, decise di cambiare discorso: “Li hai dipinti tu?” “Sì.” “Sono molto belli.” “Disegno da quando avevo sei anni.” gli rivelò suo padre.

Aveva sviluppato quella passione e quella bravura in modo molto particolare...

Quando andava alle elementari, nell'ora d'arte, la maestra faceva fare a tutti gli alunni un disegno e il migliore di questi veniva mostrato a tutta la classe.

Tutti i suoi compagni lo guardavano con diffidenza e alcuni anche con pietà, dato che viveva in un istituto.

E se c'era una cosa che lui odiava, era la pietà!

Così aveva cominciato a disegnare in continuazione, in modo da migliorare.

Voleva essere veramente qualcuno e non, soprattutto, quella che aveva perso la mamma e il papà e che viveva in un istituto.

Finalmente, dopo tanti sforzi, aveva fatto un disegno stupendo e, non solo era stato mostrato davanti a tutta la classe, ma il preside in persona aveva deciso di mostrarlo all'annuale mostra dei disegni dei bambini!

Ricordava ancora la gioia di non essere più il bambino della Casa degli Scarti che nessuno voleva... adesso, era il prodigio della pittura...

Per qualche minuto, i due rimasero in silenzio, poi Tarble sussurrò: “Sei molto bravo... papà...”

L'uomo sgranò gli occhi.

Era da tempo che nessuno lo chiamava papà... e pensare che a dirgli quella parola era stato proprio Tarble, il figlio che non aveva mai conosciuto...

Forse, lui e Tarble sarebbero riusciti a creare un rapporto... che riuscisse a colmare gli anni della sua assenza...

Grazie...” riuscì a dire, mentre il suo cuore batteva ancora dall'emozione, e Tarble, sorridendo, gli disse: “Sai che anche a me piace molto disegnare?” “Davvero?” “Sì, inoltre mi piace molto leggere.” “Se non rammento male, c'è una libreria qui vicino... se vuoi farci un salto...” “Ottimo. Che ne dici, papà, ci andiamo adesso?” propose il giovane e, quasi immediatamente, si pentì della sua proposta.

Forse... era ancora un po' presto per fare una cosa del genere... e anche chiamare suo padre in quel modo... temeva di averlo offeso e di aver rovinato tutto.

Inaspettatamente, suo padre si voltò e gli disse: “Va bene... ma è meglio muoversi adesso, fra poco sarà buio...”


Tarble sorrise contento mentre con la mano teneva il sacchetto contente i libri che aveva appena comprato.

Ma la cosa che lo rendeva più felice era che la tensione, tra lui e suo padre, si stava lentamente sciogliendo.

Mentre sceglieva i libri, avevano chiacchierato un sacco sui vari libri, autori e personaggi.

Era stato fantastico scambiarsi quelle opinioni... ma la cosa più bella era che, finalmente, stava conoscendo suo padre.

E la cosa non poteva renderlo più felice...

Mentre camminavano, ad un tratto, suo padre gli domandò: “Che lavoro fai?”

Tarble fu entusiasta nel vedere suo padre iniziare a fargli delle domande sulla sua vita.

Significava che stavano cominciando ad aprirsi.

Insegno letteratura al liceo di scienze umane.” raccontò, con orgoglio, e suo padre commentò: “Sei proprio fissato con la letteratura.” “Sai che conosci una mia allieva?” “E chi è?” “E' Gure, la ragazza che abita nell'appartamento davanti al tuo. E' stata lei a darmi il tuo indirizzo.”

Suo padre, senza tradire alcuna sorpresa, si mise a guardarlo.

Dunque era lui il prof di letteratura che Gure amava tanto... e dal tono della sua voce, intuì che anche Tarble condivideva gli stessi sentimenti della ragazza...

Tarble tornò a guardare la strada e notò una macchina che andava in modo un po' strano... sembrava come se traballasse... fosse stato un vigile avrebbe fermato quel guidatore e gli avrebbe rifilato una bella multa...

Inoltre, il veicolo non procedeva in modo dritto ma sembrava che volesse uscire di strada... e fu proprio quello che accadde.

La macchina uscì di strada e si diresse, a tutta velocità... verso di lui!

Tarble avrebbe voluto muoversi ma le sue gambe erano come bloccate.

Tuttavia, qualcosa lo spinse violentemente dall'altro lato...

CRASH

L'uomo fissò quella macchina che era andata a sbattere contro un albero.

Il tizio al volante doveva essere ubriaco fradicio... maledetto imbecille... per poco non aveva investito suo figlio... per poco la storia non si era ripetuta...

Ma, stavolta, lui l'aveva cambiata... spostando suo figlio...

Si voltò verso Tarble e impallidì.

Suo figlio aveva gli occhi chiusi e, come se non bastasse, la testa sanguinava.

Doveva avergliela fatta sbattere mentre lo salvava...

Aveva cercato di salvarlo... eppure non era riuscito a impedire a Tarble di farsi male.

TARBLE! TARBLE!” urlò, disperato, con tutto il fiato che aveva in gola, sperando che suo figlio riuscisse a sentirlo e aprisse gli occhi.


TARBLE!” urlò Echalotte, svegliandosi di soprassalto.

Le era sembrato come se... suo figlio stesse male...

Ansimò profondamente.

Ma no, doveva essere stato uno degli incubi che le mamme avevano sempre...

Si alzò a sedere sul letto e prese dal comodino una foto in cui c'era lei con i suoi due bambini di otto e cinque anni.

Quanto tempo era passato...

Rimise la foto al suo posto e pensò al figlio più piccolo...

Ricordava benissimo quand'era nato e cosa aveva detto Vegeta non appena l'aveva visto...


La donna accarezzò con dolcezza la guancia del piccolo.

Anche se era nato un po' prematuro, per lei, era il bambino più bello del mondo.

Lei lo amava così com'era... con quei suoi grandi e dolci occhi neri, con i corti capelli a spazzola e il ciuffo e con quelle sue piccole manine.

Echalotte lo cullò mentre veniva sommersa dai suoi pensieri.

Non aveva nessun rimpianto per la sua scelta!

Sapeva di aver fatto la cosa giusta!

Quel bambino, era stato l'ultimo regalo d'amore di suo marito... in quel piccolo c'era una parte di Vegeta... di suo marito... del suo più grande amore...

La porta si spalancò ed Echalotte guardò chi era entrato.

Davanti alla porta, c'era suo figlio Vegeta.

Con un sorriso, Echalotte gli disse: “Ehi, Vegeta. Vieni a vedere il tuo fratellino.”

Vegeta si avvicinò a lei e prese in braccio il piccolo.

Nonostante avesse tre anni, lo tenne saldo e senza paura.

Vegeta fissò a lungo il fratellino, poi disse: “Bello... lo lasciamo qui?”


Echalotte non seppe trattenere una risatina divertita a quel ricordo.

Erano passati tanti anni, eppure quel ricordo continuava a farla sorridere.

Il suo piccolo Tarble...

Nessuno, nemmeno Vegeta, sapeva che era il nome del nonno paterno...

Quando il bambino era nato, aveva deciso di chiamarlo così.

Perché così, il legame con il suo Vegeta sarebbe stato ancora più forte...


In quella strada vi erano molte auto della polizia, un'ambulanza e centinaia di curiosi.

Come degli idioti, se ne stavano lì a guardare cosa stesse succedendo... senza rendersi utili...

Due dottori trainarono a tutta velocità una barella su cui vi era un giovane uomo svenuto verso l'ambulanza.

Una volta che lo misero a bordo, i due si preparano a salire per portarlo di corsa all'ospedale quando un uomo alto, con i capelli a fiamma castani, gli occhi neri e la barba, si avvicinò a loro, annunciando: “Vorrei salire anch'io.” “E' un parente?” domandò uno dei due e lui rispose: “Sono suo padre.”


DRIIIN DRIIIN

Vegeta si avvicinò al telefono e, una volta presa la cornetta, domandò: “Pronto?” “Vegeta...”

L'uomo sgranò gli occhi.

Cos'era successo?!

Perché gli aveva telefonato?!

Sapeva benissimo che lui non lo voleva nemmeno vedere...

Perché mi hai chiamato?” gli domandò, seccato, e suo padre spiegò: “Tarble ha avuto un incidente. E' finito all'ospedale.” “COSA?!” urlò Vegeta, prima di chiudere violentemente la telefonata.

Si mise la giacca in fretta e furia e, prima di uscire di casa, avvisò la moglie: “BULMA, VADO ALL'OSPEDALE! TARBLE HA AVUTO UN INCIDENTE!”


Rimase immobile a guardarlo sul letto dell'ospedale.

Era stata di nuovo colpa sua se suo figlio si era fatto male... se non avesse avuto quell'assurda idea di andare con lui in quella libreria... se non fossero mai stati insieme...

Si avvicinò a Tarble e, d'istinto, cominciò ad accarezzargli i capelli.

Aveva appena ritrovato un figlio che rischiava di perderlo di nuovo!

Non faceva altro che combinare danni e di far soffrire le persone che amava...

In quel momento entrò l'infermiera che, dispiaciuta nel disturbarlo, sussurrò: “Mi scusi... il dottore è arrivato...” “Capisco...” disse lui, uscendo dalla stanza per poi dirigersi verso la sala d'attesa.

Mentre usciva l'infermiera, per dargli più fiducia, aggiunse: “Vedrà che andrà tutto bene.”

Lui si limitò a guardarla, ma non disse niente.

Si sedette su una sedia della sala d'attesa e si mise ad aspettare, in silenzio.

Ad un tratto, sentì un rumore di passi dietro di lui.

Si voltò e vide il suo primogenito fissarlo in silenzio con odio.

Aveva capito che c'entrava lui nell'incidente di suo fratello...

Cos'è successo?” domandò Vegeta, con un tono che dimostrava odio e disgusto nei suoi confronti, e suo padre spiegò: “Una macchina è uscita di strada perché il guidatore era ubriaco fradicio... stava per travolgerlo ma è riuscito a scansarla... ha sbattuto la testa e ha perso conoscenza... il medico lo sta visitando proprio in questo momento.” “Come sai tutte queste cose?” “C'ero anch'io con lui, quand'è successo.” “Cosa ci facevi assieme a mio fratello?” “Volevamo conoscerci.” “L'avresti conosciuto meglio di tutti se non te ne fossi andato.”

SCIAFF

Un violento schiaffo colpì la guancia di Vegeta, facendogli persino perdere l'equilibrio e cadere a terra.

ASCOLTAMI BENE, UNA BUONA VOLTA!” urlò, adirato, suo padre e, poi, continuò: “SO DI AVER FATTO UNA COSA SPREGEVOLE, SONO IL PRIMO AD AMMETTERLO! MA TARBLE E' ANCHE MIO FIGLIO, PROPRIO COME TE! HO IL DOVERE DI CONOSCERLO E DI STARGLI ACCANTO!”

Dopo un attimo di silenzio, l'uomo aggiunse: “E farei la stessa cosa anche con te, se tu smettessi di odiarmi.”

Vegeta rimase immobile a fissarlo.

Suo padre si voltò e sussurrò: “Ma sei troppo orgoglioso per farlo... proprio come me.”

Vegeta si rialzò in piedi e suo padre, senza voltarsi, gli passò una busta, dicendogli: “Consegnali a Tarble. Sono suoi.”

Poi si allontanò, in silenzio.

Vegeta si sedette e guardò il contenuto della busta: dei libri.

Si mise a pensare, in silenzio, alle parole di suo padre.

Forse, Bulma aveva ragione...

Forse, suo padre era davvero cambiato...

Improvvisamente, una giovane infermiera con un grande sorriso e disse: “Buone notizie, signore, suo figlio sta...” ma si bloccò non appena lo guardò meglio.

Evidentemente, lei, prima, aveva parlato con suo padre...

Sono suo fratello maggiore. Nostro padre se n'è andato.” si presentò Vegeta e, poi, chiese: “Posso far visita a mio fratello?” “Certo...” annuì l'infermiera e lo condusse in una stanza.

Tarble era sdraiato su un letto, che dormiva serenamente...

D'istinto, Vegeta si mise ad accarezzargli la testa.

Mentre lo faceva, tornò indietro con la mente... quando aveva solo tre anni...


Vegeta aprì silenziosamente la porta.

Per lui non era una grossa difficoltà... dopotutto, entrava sempre nel cuore della notte nella camera dei suoi genitori... anche quando suo padre viveva ancora con loro.

Si diresse verso il lettone e ci salì sopra, avvicinandosi al corpo di sua madre.

Quando c'era ancora suo padre, quel letto gli sembrava molto piccolo ma da quando lui se n'era andato... quel letto sembrava grande... e vuoto.

Guardò la sagoma di sua madre.

Era bellissima... per quale motivo suo padre aveva preferito un'altra donna?!

S'inginocchiò e, con la manina, cominciò ad accarezzare il ventre gonfio di sua madre.

Era da mesi che entrava nella camera per salutare il suo fratellino.

Povero piccolino... non era nemmeno nato e non aveva più un padre da ben due mesi...

Proprio quel giorno, la sua mamma, gli aveva rivelato che avrebbe avuto un fratellino...

Si ricordò di quella voce che, a volte, sentiva nei suoi sogni... Quindi sei un maschio...

Forse, qualcuno gli aveva detto quella frase in passato... ma lui non se lo ricordava.

Tutto ciò che ricordava era che la voce che diceva quelle parole era calda, felice e piena d'amore per lui... gli sarebbe tanto piaciuto sapere chi era...

Per dare onore a quella voce, si avvicinò al ventre della madre e sussurrò: “Quindi sei un maschio...”

Aveva appena detto quella frase che sua madre gli afferrò la mano.

Vegeta sussultò, temendo di essere stato scoperto.

Invece, sua madre non alzò la testa.

Mise la sua mano sul suo grande ventre.


Vegeta continuò a fissare Tarble.

Anche se l'infermiera e il dottore gli avevano assicurato che il ragazzo stava bene, Vegeta non poteva fare a meno di preoccuparsi.

Prese una sedia e la mise accanto al suo letto.

Poi prese la mano di suo fratello, sperando con tutto il cuore che quella stretta potesse risvegliarlo...


L'uomo entrò nel suo appartamento e, dopo essersi tolto la giacca e le scarpe si preparò un caffè.

Mentre guardava il liquido nella tazza, non poté fare a meno di pensare che il suo ritorno avesse provocato solo dolore e odio nei suoi figli...

Era stato un errore! Un gigantesco errore!

Nelle loro vite andava tutto a meraviglia, fino a quando non era tornato...

Per colpa sua, Vegeta aveva rinunciato a un rene per salvarlo, per salvare un uomo che odiava e con cui non voleva avere niente a che fare, mentre Tarble aveva avuto un brutto incidente mentre era con lui...

Non aveva saputo far altro che far soffrire le persone che amava...


Mise l'ennesima camicia nella valigia ma, stavolta, si bloccò.

Forse, quello che stava per fare era una cretinata... forse, quello che stava per fare era l'errore più stupido della sua vita...

Tuttavia, scacciò quasi subito quei pensieri e chiuse violentemente la valigia.

Non poteva andare avanti così... stava solo facendo soffrire la sua famiglia con la sua presenza... era molto meglio sparire per sempre, con le sue bugie e i suoi segreti!

Si mise la giacca e, dopo aver preso la valigia, aprì la porta della sua casa per poi uscire.

La luna limpida brillava nel cielo notturno.

Si voltò e diede un'ultima occhiata alla sua casa.

Gli dispiaceva doversene andare così... ma non aveva altra scelta...

Mise la valigia nel bagagliaio della sua macchina e aprì la portiera, pronto ad entrare e a sparire per sempre nella notte, quando la porta di casa sua si aprì violentemente e una piccola voce lo bloccò: “PAPA'!”

Si voltò lentamente e lo vide davanti alla porta, con indosso un semplice pigiama che lo guardava, implorando una spiegazione del suo comportamento.

Rimase un attimo in silenzio e, poi, entrò in macchina e avviò il motore.

Mentre partiva a tutto gas, vide nello specchietto retrovisore che Vegeta, con le lacrime agli occhi, lo seguiva disperato.

Gli stava urlando qualcosa ma non sentiva niente, anche se sapeva benissimo cosa voleva...

Ad un tratto, il bambino cadde per terra.

L'uomo fu colto dal dubbio.

Doveva premere l'acceleratore oppure frenare e andarlo a soccorrerlo?

Spostò il piede verso il freno e lo tenne sospeso in aria per qualche secondo.

Aveva pochi secondi per decidere cosa fare...

Alla fine, prese la sua decisione.

Spostò il piede sull'acceleratore e si allontanò sempre di più dalla sua casa e da suo figlio, che era ancora per terra.

Se si fosse fermato, avrebbe dovuto continuare a mentire o, peggio ancora, avrebbe dovuto dire la verità alla sua famiglia...

Se si fosse fermato, avrebbe solo rovinato e deluso ancora di più la sua famiglia.

Continuò a guidare, in completo silenzio, per mezz'ora, poi, poco prima dell'autostrada, trovò un luogo dove potersi fermare per qualche minuto.

Una volta fermo, appoggiò la testa sul volante e cominciò a versare senza sosta tutte le sue lacrime.


Mentre l'uomo ricordava quel tremendo e atroce ricordo, una lacrima gli scese da un occhio e cadde nel suo caffè ma lui non ci fece caso.

Mentre sorseggiava il suo caffè, diede un'occhiata alla sua finestra, dove si vedevano i fiocchi di neve cadere dal cielo.

Una volta, poco prima che Echalotte rimasse incinta di Vegeta e decidessero di sposarsi, aveva passato una fredda giornata d'inverno a casa sua.

Anche quell'anno aveva nevicato fitto fitto e loro due erano stato tutto il tempo seduti sul divano, coperti da una gigantesca coperta rossa, a guardare i fiocchi di neve mentre bevevano una bella tazza fumante di cioccolata calda.

Era un ricordo così bello... ma, purtroppo, apparteneva al passato.

Una volta che ebbe finito di bere il caffè, lavò la tazza e, poi, si diresse verso la sua camera da letto.

Aprì l'armadio e dal ripiano più alto prese una valigia.

Era un po' logora, dato che erano passati molti anni dall'ultima volta che l'aveva usata, ma poteva essere ancora usata un'altra volta...

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Il segreto nella valigia ***


CAPITOLO 23: IL SEGRETO NELLA VALIGIA


Grazie, papà, per avermi portato con te.” “Non sono mica stato io a chiederti di venire. Non appena hai saputo che andavo a casa del padre di quello scemo del nonno della tua migliore amica, dove c'era anche lei, hai usato la mamma per convincermi a portarti a trovarla!”

Bra fece un sorrisetto malizioso.

Dopotutto, non faceva nulla di male a voler andare a trovare un attimo Pan... peccato che per suo padre era l'esatto opposto!

La sua intenzione iniziale era quella di andare a casa di Bardack, il padre di Goku, chiedergli la sua sfera portafortuna che aveva in casa e, poi, andarsene via.

Peccato che quando Bra aveva saputo che Pan, la sua amica del cuore, era in vacanza proprio a casa sua, aveva fatto fuoco e fiamme per venire assieme a lui finché non aveva ceduto.

Così, adesso, chissà quando tornava a casa...


BUONGIORNO, PARLA LA SEGRETERIA DEL NUMERO CHE AVETE APPENA CHIAMATO. LASCIATE UN MESSAGIO DOPO IL BIP E VERRETE RICHIAMATI.”

Tarble sospirò.

Erano giorni, ormai, che c'era sempre la segreteria telefonica...

Dopo l'incidente, aveva provato mille volte a contattarlo... era persino andato sotto casa sua per provare a parlargli...


BRIIIPP “Sì?” “Papà, sono io. Tarble.” CLUNK

Aveva chiuso il ricevente del citofono.

Tuttavia, se c'era una cosa che Tarble aveva ereditato dalla sua famiglia era la testardaggine.

Suonò di nuovo il citofono ma, stavolta, suo padre non rispose.

Tarble riprovò una seconda volta, una terza, una quarta... finché una voce sgradevole non lo riproverò: “Che hai da suonare tanto, ragazzino? Se non ti risponde nessuno significa che non c'è nessuno!”

Tarble si girò e vide una vecchia vestita elegantemente che aveva molti gioielli, tanti quanti le rughe sul viso.

Tarble la guardò e tentò di spiegare: “Sto cercando di parlare con mio padre!” “Beh, allora puoi lasciar perdere. Evidentemente, tuo padre non è in casa!” “Invece c'è, mi ha persino parlato!” “Te lo sarai sognato, ragazzino! Piuttosto...” la donna si mise a scrutarlo con molta attenzione e gli disse: “E' da un pezzo che ti vedo ronzare davanti a questo palazzo.” “Le ho già detto che sto cercando di parlare con mio padre! C'è stato un piccolo incidente e da allora non mi vuole più vedere!” “Questo non ti autorizza a strimpellare con il citofono e a stare sempre appollaiato davanti all'ingresso di questo palazzo! Stai spaventando a morte gli inquilini!” “Mi dispiace... ma io voglio solo vedere mio padre!” “Evidentemente, tuo padre non ti vuole tra i piedi! Quindi, adesso, alza i tacchi e sparisci, ragazzino. E se ti vedo ancora qui in giro, chiamo la polizia!” lo minacciò la donna, prima di entrare nel palazzo.

Tarble, dopo aver fatto un sospiro, si allontanò dal palazzo e da suo padre...


Ma se quella megera sperava che sia arrendesse con suo padre, si sbagliava, e di grosso!

Si era recato nel negozio dove suo padre lavorava e aveva chiesto al vecchio commesso informazioni.

Erano rimasto di sasso, quando aveva detto di essere suo figlio... ignorava persino che fosse sposato.

Tuttavia, il commesso l'avevano preso in simpatia e gli avevano rivelato alcune cose sul passato di suo padre: era entrato nella loro bottega una piovosa mattina d'inverno e aveva chiesto di lavorare, come pittore, nel negozio.

La sua bravura aveva conquistato tutti, sia il proprietario sia i clienti, infatti le vendite del negozio erano incredibilmente salite da quando c'era lui...

Qualche giorno prima, aveva telefonato al proprietario per chiedergli una settimana di permesso e l'uomo gliela aveva concessa.

Il commesso gli aveva promesso che se suo padre fosse tornato, lo avrebbe chiamato di sicuro.

Tuttavia, in quella conversazione aveva notato dei particolari molto strani... il commesso sapeva già della malattia ai reni che aveva colpito suo padre, infatti, tre volte alla settimana lui non veniva per fare la dialisi, dato che aveva avvertito sia lui che il proprietario fin dal momento in cui si era presentato per cercare lavoro ma suo padre si era presentato in quel negozio lo stesso inverno in cui se n'era andato da casa, quindi... quando aveva scoperto della malattia?!

Inoltre, il commesso era rimasto molto stupito quando Tarble gli aveva confessato che suo padre se n'era andato con un'altra donna.

Nessuno l'aveva mai visto girare con una donna... anzi, faceva di tutto per evitarle!

In tutta quella storia c'era qualcosa di poco chiaro... cominciava a sospettare che suo padre avesse molti più segreti di quanti sembrava.

Doveva assolutamente parlargli e cercare di capire...

Ma lui non lo voleva...

Riattaccò il telefono, sperando che, prima o poi, suo padre decidesse di richiamarlo e di parlargli...


Ciao, Bra!” “Ciao, Pan! Andiamo a giocare?” “Certo.”

Le due bambine si misero a correre per tutto l'edificio mentre il proprietario, un uomo con i capelli a palma neri, una fascia rossa e una vistosa cicatrice sulla guancia, si raccomandava: “Vedete di non mettermi a soqquadro la casa, voi due, intesi?” “Bardack, lasciale in pace!” lo redarguì una donna bassa, con i capelli neri lunghi fino alle spalle e mossi e con gli occhi neri grandi e dolci.

Vedendola, Bardack si arrese: “Va bene, Gine. Va bene.” “Bene, vado a finire di preparare il tè!” gli disse la moglie, prima di tornarsene in cucina.

Vegeta si mise a guardare, in silenzio, quella piccola e intensa scena di vita quotidiana.

Forse, se suo padre non se ne fosse andato, il rapporto tra i suoi genitori sarebbe stato identico a quello che c'era tra Bardack e Gine, i genitori di Kakaroth... a parte, ovviamente, il carattere dei suoi...

Al telefono mi avevi detti che volevi la mia sfera portafortuna.” gli disse, ad un tratto, Bardack, togliendolo dai suoi pensieri.

Vegeta si voltò verso di lui e spiegò: “Sì... Bulma ha scoperto che, secondo un'antica leggenda, se si radunano sette pietre dalla perfetta forma sferica, esse esaudiscono il desiderio che la maggior parte delle persone presenti pensano contemporaneamente.” “Interessante questa leggenda... quindi vuoi raccogliere queste pietre?” “Sì... mi piacerebbe che, durante il matrimonio di Trunks, facessimo questo gioco... chi lo sa... potrebbe anche avverarsi un desiderio...” “Va bene... te la presto senz'altro...” “Aspetta, c'è una cosa che devi sapere su quella leggenda...” “E cosa?”

Vegeta, un po' titubante, raccontò la seconda parte della leggenda: “Una volta che il desiderio viene espresso, bisogna che le sfere debbano essere messe in una scatola e, poi, lasciate in sette luoghi vicini al luogo in cui è stato espresso un desiderio... luoghi che formano sulla cartina un cerchio intorno al punto in cui è stato espresso il desiderio... e il suo precedente proprietario non può tornare a prenderla...”

Bardack stette zitto un attimo, poi disse: “Ormai, quella sfera non mi serve più... ho già avuto la mia dose di fortuna nella vita... è tempo che qualcun altro ce l'abbia e abbia la sua...” “Quindi me la darai?” “Certamente... chi lo sa, forse, in un modo o nell'altro tornerà da me...” “Grazie.”

Mentre si dirigevano verso la camera di Bardack, dove c'era la sfera, entrarono nel salotto dove c'era Goten, seduto sul divano, che chiacchierava a più non posso al telefono: “...Ero sicuro che ti sarebbe piaciuta questa sorpresa... ma no, tranquilla, i fantasy mi piacciono molto... sai, ti devo confessare che non me l'aspettavo proprio che ti piacesse quel genere... ma non è una critica, anzi, mi piaci ancora di più... prego. Ti vengo a prendere domenica prossima alle due, così non avrai nessun problema col coprifuoco...” “Invece, Goten, credo proprio che avrai tu dei grossi problemi se non spegni subito quel cellulare e non cominci a studiare, come ti aveva ordinato tua madre prima di portarti qui!” lo interruppe Bardack, seccato.

Era la quarta volta, da quando era arrivato, che Bardack lo beccava al cellulare e non a studiare.

Goten, fece un sorriso imbarazzato e poi capì che era giunto di chiudere la telefonata: “Scusa Valese, ma mio nonno, con un abile gioco di parole, mi ha fatto capire che devo chiudere la telefonata. Comunque, ti richiamo stasera, in modo da organizzarci meglio con il nostro appuntamento di domenica. Ciao.”

Nel frattempo, Pan e Bra entrarono nella stanza da letto di Bardack e Gine.

Certo che questa camera è davvero molto graziosa.” commentò Bra mentre sedeva sul letto mentre Pan annuiva: “Già... il nonno mi ha raccontato che, quando era piccolo, giocava spesso a nascondino in questa casa assieme al suo fratellone... uno dei suoi nascondigli preferiti era l'armadio nella camera da letto della sua mamma e del suo papà.”

Nel raccontare quella storia, Pan aprì il gigantesco armadio della camera da letto e aggiunse: “Spostava tutti i vestiti e si nascondeva in fondo in fondo...” “Che ne dici, Pan? Facciamo come faceva tuo nonno?” “Sì!”

Le due bambine si entrarono silenziosamente nell'armadio e cominciarono a dirigersi verso il fondo.

Mentre camminavano, facevano attenzione agli oggetti che erano conservati all'interno dell'armadio.

Tuttavia, a causa del pugno, Bra non si accorse di una valigia e c'inciampò.

Sentendo il rumore, Pan corse subito a soccorrerla: “Tutto ok, Bra?” “Sì... non avevo visto questa valigia...”

Le due amiche si avvicinarono alla sagoma della valigia e si misero, per quanto fosse possibile a causa del buio.

Secondo te, che cosa contiene?” domandò Bra, che tra le due, era quella più curiosa, e Pan rispose: “Non ne ho idea... magari un tesoro oppure una gran quantità di caramelle e dolci.” “Portiamola fuori e vediamo cosa nasconde!”

Le due bambine presero il manico della valigia e si diressero verso l'uscita dell'armadio, aiutate dalla luce che si vedeva dalle porte aperte.

Nonostante la luce visibile, Bra e Pan non vedevano gli oggetti attorno a loro, infatti, Pan inciampò su una vecchia pila di riviste.

Mentre cadeva, trascinò con sé Bra e la valigia.

AAAAAHHH!” urlarono le due bambine, cadendo fuori dall'armadio.

La valigia scivolò via dalle mani delle due piccole amiche e cadde, con un sonoro tonfo, sul pavimento.

Una volta caduta, la valigia si aprì e un mucchio di fogli uscirono da essa, volando nella stanza.

In quel preciso istante, la porta si aprì e Vegeta domandò: “Bra, cos'è successo?! Cos'era quel tonfo?!”

Aveva appena finito di dire quelle parole che vide uno di quei fogli volare proprio davanti a lui.

Vegeta lo prese e ci diede un'occhiata, rimanendo sconvolto.

Era una fotografia e raffigurava lui da piccolo tenuto in braccio da sua madre e di fianco a loro c'era suo padre.

Prendendo e guardando alcuni dei fogli che volavano, Vegeta ebbe la conferma dei suoi sospetti...

In quel preciso istante, Bardack entrò nella stanza e sgridò Pan e Bra: “Ehi, voi due! Cosa state combinando con le mie cose?!”

Tuttavia, si bloccò non appena vide Vegeta tremare davanti alla fotografia che aveva in mano.

Bardack...” domandò, ad un tratto, Vegeta con un filo di voce “Cosa ci fanno le foto di mio padre in casa tua.”

Dopo un attimo di silenzio, Bardack raccontò: “Qualche giorno dopo che tuo padre se ne andò, tua madre venne a casa nostra e mi pregò di conservarle.”

Vegeta continuò a guardare le foto che rappresentavano suo padre.

Era passato tanto tempo da quando le aveva viste l'ultima volta... eppure le aveva riconosciute subito...


Vegeta aprì con violenza la porta di casa, tenendo ben stretta la scatola che aveva in mano.

Si diresse verso la pattumiera e, una volta aperto il bidone, aprì la scatola che aveva in modo e buttò dentro, senza nessun rimpianto, il contenuto della scatola.

Non provò assolutamente niente mentre buttava via quelle foto.

Quelle foto erano rovinate per sempre.

Perché in quelle foto c'era suo padre.

L'uomo che l'aveva abbandonato e deluso.

Una volta che ebbe finito, fissò un'ultima volta il volto di suo padre e, poi, sibilò: “Ti auguro di crepare presto, traditore!”

Poi rientrò in casa, sbattendo forte la porta.

Non si accorse di una donna che, mentre il vento le muoveva i capelli neri, guardava, in silenzio, la porta da dove il piccolo Vegeta era appena rientrato.


Vegeta guardò con amarezza quelle fotografie.

Le stesse che aveva buttato via a tre anni.

C'era solo un motivo per cui quelle fotografie erano lì.

Sua madre aveva visto tutto.

L'aveva visto mentre le buttava via.

Adesso capiva perché non aveva fatto domande sulla misteriosa sparizione delle foto.

Mentre lasciava andare quelle foto sul pavimento, non poté fare a meno di chiedersi per quale motivo sua madre le avesse recuperate.

Aveva messo le mani nella spazzatura pur di riprendere le foto di suo padre... dell'uomo che l'aveva tradita e abbandonata...

Le avevo buttate via tutte... eppure lei le ha raccolte di nuovo... perché? Si domandò, mentalmente, Vegeta.

Intanto, la piccola Bra aveva preso un foglio per terra, in quanto desiderava vedere il suo papà da bambino col nonno, ma quella che prese non era affatto una fotografia ma era un foglio pieno di lettere e frasi.

Signor Bardack, questa non è una fotografia. Perché l'ha conservata?” domandò la bambina, sventolando il foglio come una bandiera, e suo padre, prendendola in mano, disse: “Fammi vedere, Bra.” “No, aspetta, Vegeta...!” tentò di fermarlo Bardack, ma era troppo tardi.

Vegeta la lesse e, più la leggeva, più restava sconvolto.


Caro Bardack.

Stanotte ho sognato di nuovo Vegeta ed Echalotte che continuavano a odiarmi.

Come dare loro torto?

Mi sono comportato da deficiente!

Non so più come andare avanti!

Vorrei non aver mai detto quella bugia!

Vorrei aver detto ad Echalotte la verità!

Se l'avessi fatto, forse, in questo momento, sarei felice, con accanto mia moglie e mio figlio... ma, purtroppo, non succederà mai!

Io non potrò più felice... non dopo le terribili cose che ho fatto alla mia famiglia.

Come ho potuto essere tanto stupido?!

La ferita che mi sono auto-inflitto in passato non si rimargina, non ci riesce!

Non ce la faccio più!

Vorrei tornare indietro per dire la verità a Echalotte...

Lo vorrei tanto... ma non posso!

Ma la cosa di cui non mi perdonerò mai, è di aver deluso mio figlio...

Quella notte, quando me ne sono andato, l'ho visto nel mio specchietto retrovisore... quando l'ho visto cadere, avrei voluto fermare la macchina e andare a soccorrerlo... ma, poi, ho avuto paura di deludere nuovamente la mia famiglia.

Se avessi detto loro la verità, probabilmente mi avrebbero trattato con odio e rancore... e io non sarei mai riuscito a sopportarlo...


Nella stanza calò il silenzio.

Bardack, approfittando della lettura della lettera di Vegeta, aveva mandato via Pan e Bra e, dopo averlo fatto, rimase nella stanza, in silenzio.

Sapeva cosa passava per la testa del ragazzo e sapeva già che cosa gli avrebbe domandato tra poco.

Infatti, dopo dieci minuti di silenzio, Vegeta trovò la forza di domandare a Bardack: “L'ha scritta mio padre, non è vero?” “Sì.” “Di quale bugia parla nella lettera?” “Te la senti di conoscere la verità?” “Sono pronto.”

Dopo un attimo di silenzio, Bardack, finalmente, rivelò: “Tuo padre non è mai svenuto per un calo di zuccheri... quel malore che l'aveva colpito al lavoro era dovuto alla sua malattia ai reni.”

Per un attimo, si sentì solo il suono del vento, poi, Bardack continuò: “Lo scoprimmo solo quando il medico lo visitò. Gli disse che se non trovava un nuovo rene sarebbe morto. Gli proposi di restargli accanto quando ve l'avrebbe detto ma rifiutò. Purtroppo, non riuscì a dirvi la verità e non poté più tornare indietro. Tre volte alla settimana doveva recarsi in ospedale per fare la dialisi e, siccome non aveva rivelato di avere un problema, cominciarono a circolare delle voci secondo cui tuo padre vi tradiva e la vostra situazione familiare precipitò finché tuo padre, disperato, non se ne andò.”

Una volta finito il racconto di Bardack, Vegeta sussurrò: “E' la verità?” “Sì.”

Il giovane uomo stette in silenzio un attimo, poi disse: “Una bugia... UNA SEMPLICE BUGIA HA DISTRUTTO LA MIA FAMIGLIA!” “Ti sbagli, Vegeta... anche la gelosia, la paura e le malelingue l'hanno distrutta.” gli disse Bardack ma Vegeta lo interruppe: “Non importa chi sia stato... ormai la mia famiglia è distrutta! Anch'io l'ho distrutta... avrei dovuto parlargli e chiedergli spiegazioni, non cedere al mio odio! Ormai, non potrò mai più riparare la mia famiglia! E' stata tutta colpa mia! Mia e del mio orgoglio!”

Bardack lo lasciò sfogare e, poi, mettendogli una mano sulla spalla, gli sussurrò: “Ascolta, Vegeta... forse non è troppo tardi. Raggiungi tuo padre e parlagli. Sono sicuro che saprai cosa dirgli. Se vuoi riparare la tua famiglia, va. Ricordati: non è mai troppo tardi per perdonare.”


Mise dentro la valigia e, poi, chiuse il bagagliaio.

Gli sembrò di essere tornato indietro nel tempo... in quella tremenda notte in cui aveva deciso di andarsene... in quanto non ce la faceva più...

Quella maledetta bugia gli aveva solo rovinato la vita... se avesse potuto tornare indietro e dire la verità sulla sua malattia ad Echalotte...

Anche adesso se ne stava andando per sempre... ma, stavolta, per un motivo diverso...

Perché la sua presenza rovinava la vita ai suoi figli...

Vegeta aveva rinunciato a un rene per salvarlo eppure non avrebbe mai smesso di odiarlo per il suo abbandono...

Al contrario di Tarble... nonostante l'avesse abbandonato quando non era nemmeno nato, aveva voluto conoscerlo e parlargli... come se non fosse mai successo niente... anche quando si era fatto male a causa sua, Tarble non l'aveva odiato... aveva persino provato a parlargli e gli telefonava in continuazione.

Tuttavia, lui non riusciva ad accontentarlo... perché aveva paura di deludere nuovamente suo figlio...

Si diresse verso la macchina e aprì la portiera.

Ma, proprio quando stava per entrare, una mano gli prese il braccio e gli disse: “Fermati!”

L'uomo, sorpreso, si girò.

Davanti a lui, c'era il suo figlio più grande, Vegeta, rosso in volto e con il fiatone, come se avesse corso a perdifiato.

L'uomo fissò in silenzio suo figlio.

Perché Vegeta era lì?

Il vento, da sempre portatore di novità, avvolse padre e figlio.

Qualcosa stava per cambiare... per sempre...

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** L'ultimo segreto ***


CAPITOLO 24: L'ULTIMO SEGRETO


Padre e figlio rimasero lì, immobili, per un po', finché, alla fine, Vegeta non sussurrò: “Non... non andartene di nuovo... ti prego...”

Suo padre non disse niente ma continuò a guardarlo mentre forti emozioni esplodevano in lui.

So perché te ne sei andato...” continuò Vegeta “E voglio sapere com'è stato per te vivere con il peso del tuo segreto... ti prego...”

Per qualche minuto, tra padre e figlio calò un silenzio di tomba, poi l'uomo gli domandò: “Vuoi davvero saperlo, Vegeta?” “Sì...” fu la risposta di Vegeta.


Padre e figlio erano seduti su una panchina del parco.

Intorno a loro, la neve bianca copriva tutto, erba, giochi, sentieri...

Intorno a loro, vi era il silenzio, fitto come quella neve...

Dopo un lungo momento di silenzio, finalmente, suo padre cominciò a parlare: “Quando seppi della mia malattia... provai rabbia e disperazione... verso me stesso. Sai, ho sempre cercato di non essere uno scarto... e sapere che avevo una grave malattia... mi faceva sentire lo scarto che avevo sempre cercato di non essere... lo scarto guardato da tutti con pietà...”

Vegeta, immediatamente, ribatté: “Per la mamma non eri uno scarto... e se glielo avessi detto, non ti avrebbe trattato con pietà...” “Ho avuto paura di farla soffrire.” l'interruppe la voce di suo padre.

Vegeta vide suo padre abbassare la testa e sussurrare: “Avevo paura di far soffrire lei... e anche te.”

L'uomo rimase in silenzio, mentre con la mente tornava al ricordo più doloroso di tutti... il ricordo della stupidaggine più grande della sua esistenza...


I due uomini rimasero, immobili e silenziosi, nell'immenso corridoio bianco.

Alla fine Bardack, con tatto, domandò a Vegeta: “Vuoi che ti stia accanto quando glielo dirai?”

Vegeta si mise a riflettere.

Una parte di sé, voleva averlo accanto, in modo da trovare la forza di dire quella cosa a sua moglie... ma l'altra, quella che dava retta al suo orgoglio, gli diceva che se si fosse presentato a sua moglie con un appoggio sarebbe stato troppo imbarazzante...

Non ho bisogno di te... comunque grazie.” gli disse, prima d'incamminarsi nel corridoio.


Era fuori dall'ospedale e guardava il volo di alcuni uccelli.

Uccelli sereni che volavano senza alcuna preoccupazione, al contrario di lui...

Vegeta!”

Si girò, lentamente, verso la voce, che sapeva benissimo a chi apparteneva...

Infatti, sua moglie Echalotte era lì che teneva per mano il piccolo Vegeta.

Anche se sembrava tranquilla, capì, dai suoi occhi, che era tremendamente preoccupata per lui.

La donna domandò, con un lieve cenno d'ansia: “Mi dici cos'è successo? Per quale motivo sei svenuto?”

Lui spostò lo sguardo.

Come poteva dirle che aveva una grave malattia ai reni e molto presto sarebbe morto?!

Quando aveva parlato prima con Bardack, era sicuro che ce l'avrebbe fatta ma, adesso, non era più tanto sicuro...

Allora?” insistette sua moglie e, prima che riuscisse a bloccare le parole, sussurrò: “Era solo un calo di zuccheri.” “Eh?” fece, sorpresa, sua moglie e lui continuò: “Stamattina non ho mangiato niente... e così sono svenuto.”

Echalotte rimase zitta un attimo poi, seccata, protestò: “Sei proprio un idiota, Vegeta! Mi sono preoccupata a morte per niente! Ho avuto il presentimento che stessi per morire!”

Vegeta rimase in silenzio, mentre il vento gli muoveva i capelli.


Quando mi resi conto di ciò che avevo fatto era troppo tardi. Non potei far altro che continuare a mentire.”

Vegeta non disse niente, in quanto era sconvolto dalla confessione di suo padre...

Non si sarebbe mai aspettato di scoprire un lato così distrutto, disperato e triste di suo padre...

Dopo una pausa, suo padre continuò: “Se avessi raccontato la verità... l'avrei delusa... ma quando non ce la feci più a vivere in quell'inferno di bugie e segreti che mi ero creato, dovetti andarmene... e vissi per anni da solo con il dolore e il rimpianto...”

Dopo un attimo di silenzio, Vegeta esclamò: “Ehi...”

Suo padre si voltò e una piccola palla di neve lo colpì in faccia.

Ti ho colpito.” esclamò, divertito, Vegeta ma aveva appena finito di parlare che un'altra palla di neve colpì stavolta lui in faccia.

Credi di battermi con una misera palla di neve?” lo provocò, divertito, suo padre e aggiunse: “Sono un campione a palla di neve.” “Una volta, forse, ma ora non più.” lo sfidò Vegeta, mentre preparava una palla di neve da lanciargli.

Per vari minuti, padre e figlio si lanciavano senza sosta delle palle di neve.

A volte le schivavano ma ce n'erano altre in cui uno dei due riusciva a colpire l'avversario.

Nessuno dei due, aveva intenzione di cedere.

Vegeta era così concentrato a lanciare le palle e a rincorrere suo padre, che non si accorse di una lunga lastra di ghiaccio e ci mise il piede sopra.

Scivolò si di essa e cadde dalla piccola zolla di terra su cui era e sbatté violentemente su un pezzo di ghiaccio.

Vegeta fece appena in tempo ad accorgersi che si trovava proprio sul lago ghiacciato che sentì il ghiaccio scricchiolare e, poi, rompersi.

AAAAAHHHH!!!!!” urlò Vegeta tentando di aggrapparsi al bordo con una mano.

Stava per cedere la presa e precipitare completamente nelle gelide e buie acque del lago quando una mano lo afferrò.

Vegeta alzò gli occhi e i suoi occhi neri si fusero in quelli di suo padre.

NON MOLLARMI!” lo pregò, disperato, Vegeta e suo padre rispose: “COL CAVOLO CHE TI MOLLO!”

Dopo avergli detto quelle parole, avvicinò a lui l'altro braccio e ordinò: “CORAGGIO! ALLUNGA L'ALTRA MANO!”

Vegeta allungò la mano, che tremava per il freddo, e suo padre, con forza e decisione, l'afferrò.

Poi, con tutta la forza che possedeva, cominciò a tirarlo fuori dalla trappola di ghiaccio in cui era finito.

Finalmente, dopo cinque minuti, che ai due parvero secoli, l'uomo riuscì a liberare il figlio.

Ansimando profondamente, i due si guardarono negli occhi.

Nei loro grandi e profondi occhi neri.

Alla fine, l'uomo si tolse in fretta e furia il cappotto che indossava e coprì il figlio con esso.

Poi, lo aiutò a sollevarsi e, camminando il più velocemente possibile, lo condusse fuori dal parco.

Sfortunatamente, non aveva portato con sé la macchina, dato che si erano diretti in quel parco a piedi, e se non lo portava subito al caldo sarebbe congelato.

In più, come se non bastasse, stava scendendo la notte e la temperatura si sarebbe abbassata.

Ad un tratto, vide un veicolo che poteva permettere ad entrambi di arrivare a casa sua in fretta...

TAXI!” urlò l'uomo, agitando la mano e facendolo fermare.


Dopo aver aperto la porta del suo appartamento, entrò in fretta e furia.

Assieme a Vegeta, che si era avvolto il più possibile nel cappotto del padre per potersi scaldare, si diresse verso la sua camera da letto.

Una volta lì, lo fece sedere sul letto e, una volta tirato fuori dall'armadio un suo pigiama, cominciò a spogliarlo.

Vegeta avrebbe voluto ribellarsi e dirgli che ce la faceva da solo ma qualcosa, dentro di lui, lo bloccava.

Mentre suo padre gli toglieva i vestiti bagnati, si sentiva tornato un bambino...

Un bambino che ammirava suo padre e che avrebbe fatto di tutto per farsi notare da lui e renderlo orgoglioso...

Fino ad allora, aveva creduto che il bambino dentro di lui fosse morto da tempo... ma, invece, non era vero.

Quel bambino si era semplicemente nascosto... in attesa che suo padre tornasse...

Una volta che suo padre l'ebbe svestito e fatto indossare il suo pigiama, gli ordinò, prima di uscire dalla stanza: “Va sotto le coperte.”

Vegeta, immediatamente, obbedì a suo padre.

Per vari minuti rimase lì sotto, a riflettere su tutto quello che gli stava accadendo.

Si sentiva strano.

Dentro di sé, avvertiva un'emozione e uno strano calore che crescevano sempre di più.

Ad un tratto, la porta si aprì e suo padre entrò in camera.

Vegeta si girò e vide che l'uomo aveva in mano un cucchiaio con una strana sostanza liquida.

Bevi questa medicina... ha un pessimo sapore ma ti farà bene.” gli disse, avvicinando la medicina alla sua bocca, e lui obbedì.

Era proprio uno schifo... sembrava la bava di una lumaca...

La deglutì a fatica e, poi, commentò: “Bleah... che saporaccio...”

Suo padre non rispose.

Si diresse verso la porta e si raccomandò: “Adesso resta lì sotto e non ti muovere, chiaro?”

Vegeta rimase lì, sdraiato e immobile, a guardare il buio nella stanza...

BIP BIP BIP BIP

Lo strano rumore squarciò il silenzio.

Incuriosito, Vegeta si alzò dal letto e aprì la porta.

Vide la sagoma di suo padre dargli le spalle con un telefono in mano.

Ad un tratto, lo udì: “Sono io... Vegeta è caduto nel lago ghiacciato che c'è al parco... no, tranquilla, sta bene... stanotte dormirà a casa mia.”

Ad un tratto voltò la testa e Vegeta si sbrigò ad allontanarsi dalla porta e a infilarsi sotto le coperte, sperando che suo padre non l'avesse visto.


Erano le undici e mezzo.

La maggior parte degli inquilini del palazzo dormiva già da un pezzo... tranne un uomo solo.

Si diresse verso una porta e l'aprì.

Lo vide rannicchiato su un fianco come un gatto, con gran parte delle coperte giù e con un'espressione serena e tranquilla.

Prese le coperte e le rimase sul corpo.

CLICK

La luce della lampada sul comodino si accese di colpo e vide guardarlo.

L'uomo rimase immobile.

Da quanto tempo era sveglio?!

Cosa poteva dirgli per giustificare il suo gesto?!

Aveva troppa paura di dirgli che gli voleva bene... perché aveva paura di soffrire di nuovo.

Inaspettatamente, Vegeta si spostò un po' sul letto, come se volesse dargli dello spazio dove sedere.

L'uomo, un po' titubante, accontentò il figlio.

Vari minuti di silenzio passarono ma, alla fine, Vegeta sussurrò: “Senti... è passato tanto tempo... noi due... potremmo ricominciare da capo. Insieme.” “Ti senti, sul serio, pronto a perdonarmi?” gli domandò suo padre e il figlio, con un sorriso sulle labbra, annuì: “Sì. Ora che mi hai rivelato tutti i tuoi segreti, sono pronto.” “Ti sbagli, Vegeta.” lo interruppe, all'improvviso, l'uomo e, poi, aggiunse: “C'è ancora un segreto che non ti ho detto...” “Te la senti di raccontarmelo?” “Sì.”

Padre e figlio rimasero a guardarsi per un lungo attimo, poi l'uomo domandò al figlio: “Vegeta... tu cosa sai dei miei genitori?” “Niente...” ammise il ragazzo e suo padre, spostando lo sguardo, cominciò a raccontare: “Mia madre... era da sempre una ragazza molto dolce e gentile. Aveva un sorriso così bello che ti faceva dimenticare tutti i problemi. Quando finì l'università, incontrò un uomo e s'innamorò, ricambiata, di lui. Dopo un po' di tempo, si sposarono. Sfortunatamente, un giorno accade qualcosa che rovinò per sempre le loro vite e che, per poco, non fece perdere per sempre il sorriso a mia madre. Una mattina, un uomo entrò nell'appartamento dove vivevano... e la stuprò. Venne ritrovata da suo marito in condizioni critiche quando tornò dal lavoro, in quanto quel maledetto aveva tentato di ucciderla per non essere denunciato, e venne portata subito all'ospedale. Miracolosamente, sopravvisse e riuscì a far arrestare l'uomo che aveva abusato di lei. Sembrava tutto finito ma, invece, non lo era affatto. Perché, alcuni mesi dopo, si scoprì che era incinta. Aspettava un bambino da quel criminale.”

Vegeta era sconvolto.

Aveva capito chi era il bambino di cui suo padre parlava...

Infatti, l'uomo si voltò verso di lui e, guardandolo negli occhi, rivelò: “E quel bambino ero io.”

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Il figlio dello stupro ***


CAPITOLO 25: IL FIGLIO DELLO STUPRO


I minuti passarono lentamente, nel corso dei quali, i due non smisero di guardarsi negli occhi, poi, finalmente, suo padre ricominciò a raccontare: “Non so e non capisco perché mia madre ha voluto tenermi... io non ero stato concepito in un rapporto consenziente... io ero nato con la violenza. Tuttavia... i miei parvero amarmi veramente anche se io... avvertivo un'aria di ostilità in tutti...”


Il bambino con i capelli castani fissò a lungo gli altri bambini giocare a calcio.

Gli sarebbe tanto piaciuto giocare con loro, ma gli altri non l'invitavano mai a giocare.

Se ne stava sempre lì a fissarli giocare in silenzio e le poche volte che chiedeva di partecipare, loro lo mandavano via.

Eppure, a lui sarebbe tanto piaciuto giocare a calcio... tutti i maschi dell'asilo giocavano a calcio... e se giocavi a calcio assieme a loro facevi parte a tutti gli effetti del gruppo.

Pertanto decise di riprovare di nuovo: “Ehi, posso giocare anch'io?”

Il gioco si fermò immediatamente.

Gli altri bambini lo fissarono a lungo con uno strano sguardo, poi uno disse: “Vattene via, non giochiamo con te!” “Scusa, Vegeta, ma i miei genitori mi hanno vietato di giocare con te.” provò a scusarsi un altro.

I bambini ricominciarono a giocare mentre Vegeta li fissava in completo silenzio.

Nonostante quegli strani comportamenti... i miei genitori continuavano a volermi bene... e ciò mi bastava.”

Vegeta ascoltava suo padre in completo silenzio.

La sua infanzia per lui, era stata un tremenda, visto che lui li aveva abbandonati da piccoli, ma anche suo padre aveva patito le pene dell'inferno da bambino.

Alla fine, con un filo di voce, sussurrò: “Che fine ha fatto... lui?” “Morì in una rissa in carcere.” fu la sua semplice risposta e, poi aggiunse: “Ma per me, lui non è mai stato mio padre... quello che per me era davvero mio padre era il marito di mia madre... anche se non ero suo figlio, mi trattava come gli altri bambini... ma non ho mai saputo cosa provasse veramente per me... perché il giorno del mio terzo compleanno morirono entrambi... per causa mia...”


Il bambino guardava con incredulità gli enormi palazzi e tutta la gente che c'era in città.

Non ne era per niente abituato, visto che abitava in una piccola cittadina e quella era un'immensa metropoli, ma, tuttavia, lo affascinava, e molto...

Guardò la sua mamma e il suo papà ed esclamò: “Mamma, papà. Questa città è fantastica! E' il più bel regalo di compleanno che abbia mai avuto!” “Ne sono contento, scimmietta.” gli disse suo padre e il piccolo sorrise sentendo il suo soprannome.

Per pranzo avevano mangiato in un MacDonald e nella confezione dei bimbi aveva trovato nientemeno la carta leggendaria del suo programma preferito.

Chissà che faccia avrebbero fatto, domani, i suoi compagni d'asilo quando l'avrebbero visto con quella... finalmente, l'avrebbero trattato bene.

Finalmente, avrebbe avuto un amico...

Ad un tratto, la carta gli scivolò via dalla tasca dei pantaloni.

Quella carta era rarissima e se l'avesse persa...

Mamma, papà, mi è caduta la carta. Vado a riprenderla.” dichiarò il piccolo, lasciando la mano di entrambi i suoi genitori e correndo a recuperarla.

Raggiunse il punto dov'era volata e la prese, tutto contento nel vedere che non si era sciupata.

Si girò per raggiungere i suoi genitori... e accadde.

Una macchina uscì di strada e travolse in pieno i suoi genitori, generando un rumore molto forte ma che il bambino, a causa dello shock, non udì.

Per un attimo, il bambino rimase immobile, sperando, con tutto il cuore, che i suoi si rialzassero illesi, come i personaggi dei cartoni animati.

Ma i secondi passarono, la gente si avvicinava per vedere meglio e loro due non si muovevano.

MAMMA! PAPA'!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, dirigendosi verso di loro, evitando tutti i presenti.

Una volta che fu davanti ai loro corpi immobili li toccò ma subito trasse la mano.

Erano entrambi gelidi come il ghiaccio...

MAMMA, PAPA'! SVEGLIATEVI, VI PREGO!” li implorò il bambino, continuando a scuoterli con forza e piangendo a più non posso, mentre le sue piccole mani bianche si macchiavano di sangue...


Se io non li avessi fermati per poter raccogliere la carta... o se non fossi mai nato... i miei genitori non sarebbero mai morti...” confessò, con un sussurrò, suo padre mentre Vegeta continuava ad ascoltarlo in silenzio.

Dopo un sospiro, suo padre continuò il suo racconto: “Venni portato in un istituto e anche lì gli altri bambini mi evitavano... ma, stavolta, non c'erano più i miei genitori...” “Quando hai capito il perché?” “A causa di una rissa a sette anni. Un gruppo di bulli mi circondò e cominciò a canzonarmi... mi chiamavano il figlio dello stupro e ridevano... io persi la testa e li picchiai... poi cercai il significato della parola stupro e...”

Non riuscì a finire la frase.

Dopo un attimo di silenzio, suo padre continuò: “Quando scoprì il significato della parola... ne parlai con la direttrice... e lei mi raccontò tutto.” “La mamma lo sa?” “Sì... glielo dissi...”


I due fissarono con profonda noia il presentatore in tv.

Nessuno di loro prestava la minima attenzione al suo discorso.

Entrambi erano emozionati al pensiero di trovarsi a pochi passi della persona che amavano... ma, come al solito, erano troppo orgogliosi per dirlo e speravano ardentemente che fosse l'altro a fare la prima mossa.

Ad un tratto, Echalotte, per far placare il tremendo silenzio nella stanza, domandò: “Ehi, cosa intendi fare domani?”

Vegeta la fissò un attimo, poi rispose: “Penso che andrò in palestra ad allenarmi.” “Ancora?! Ma ci sei andato ieri e l'altro ieri!” gli fece notare, incredula, Echalotte e il ragazzo rispose, in tono abbastanza secco: “Devo allenarmi.” “Pensi di star lì tutto il giorno?” gli domandò e lui rispose: “Ovvio, perché?”

Aveva appena finito di rispondere alla domanda che Echalotte si avvicinò al suo volto e lo baciò sulle labbra.

Vegeta sgranò gli occhi, incredulo.

Echalotte... la donna che amava... l'aveva baciato...

Echalotte continuò a premere le sue labbra su quelle di Vegeta.

Non riusciva ancora a credere a quello che stava facendo.

Alla fine, era stata lei la prima a iniziare.

Era un grave smacco per il suo orgoglio... eppure era contenta lo stesso.

Se avesse lasciato che fosse Vegeta il primo a iniziare, molto probabilmente non l'avrebbe mai baciata nemmeno a novant'anni!

I due continuarono a baciarsi appassionatamente, rivelando le emozioni che da sempre avevano provato per l'altro.

Ma Echalotte voleva di più.

Con la mano prese la maglia di Vegeta e cominciò a toglierla.

Vegeta sussultò.

Echalotte voleva spingersi più in là.

Anche lui lo voleva, lo desiderava ardentemente, solo che... doveva dirglielo.

Se lo voleva, doveva sapere la verità su di lui... anche se avrebbe significato farsi odiare da lei...

Fermati!” la pregò lui, afferrandola la bianca mano.

Lei sgranò gli occhi, stupita da quello strano comportamento poi, indurì lo sguardo e sibilò: “Sei uno stupido! Sono una stupida! Vai al diavolo e restaci!”

La ragazza, adirata si alzò in piedi e si diresse verso la porta ma Vegeta le afferrò il braccio, dicendole: “Aspetta!” “E adesso che cavolo vuoi?! Se ti sei pentito è troppo tardi!” lo avvisò lei ma Vegeta rispose: “C'è una cosa che ti devo confessare se vuoi far sesso con me!”

Dopo aver fatto un respiro, il ragazzo rivelò: “Sono stato concepito da un criminale che stuprò mia madre! Sono nato da una violenza sessuale! Sono il figlio di uno stupro!”

Echalotte rimase ferma un attimo, poi, appoggiò di nuovo le sue labbra su quelle di Vegeta.

Vegeta, dopo un iniziale stupore, rispose al bacio con passione.

Con quel bacio, lei gli aveva detto tutto.

Gli aveva detto che, anche se era nato da uno stupro, lo amava e che voleva far sesso con lui.

E lui l'avrebbe accontentata.


Fu in quella notte che venni concepito, non è vero?”

Il silenzio cadde nella stanza.

L'uomo guardò il figlio.

Come lo sapeva?

Dubitava fortemente che sua moglie gliene avesse parlato...

Non me l'ha detto la mamma.” confermò Vegeta, come se leggesse nei suoi pensieri “Lo scoperto da solo, un po' come quando hai scoperto com'eri stato concepito... ti ricordi quando ti parlai per la prima volta di Tarble e ti dissi che in prima media era stato picchiato da dei bulli?” “Certo.” “Io volli vendicarlo per tutte le botte e gli insulti che aveva avuto... così, il giorno dopo mi misi a cercarli e quando li trovai li massacrai di botte...”


Vegeta guardò divertito, quella banda di idioti da quattro soldi, ormai tutti a pezzi.

Così imparavano a picchiare suo fratello...

Ad un tratto, si accorse che uno della banda, un ciccione pelato, cercava di rialzarsi in piedi e di scappare.

Dove credi di andare? Non ho ancora finito con te!” lo avvisò Vegeta, raggiungendolo.

Il bullo sbiancò trovandosi davanti a Vegeta e lo implorò: “T-ti prego! Non mi picchiare!” “Avresti dovuto pensarci prima di massacrare di botte mio fratello! Ora proverai tu stesso tutto il dolore che ha avuto Tarble!” “A-aspetta, Vegeta! S-se mi lascerai andare, t-ti rivelerò un segreto! S-si tratta di tua madre... e di tuo padre!” “COSA?!”

Vegeta smise subito di picchiarlo.

Cosa sai sui miei genitori?! Avanti, parla!” lo minacciò il bambino, fissandolo con due occhi di fuoco.

Il ragazzo ansimò profondamente e, poi, domandò: “Mi prometti che se te lo dico smetterai di picchiarmi?” “Se non me lo dirai immediatamente, ti ammazzerò subito, quindi sputa il rospo!”

Il bullo, capendo che era meglio rivelare ciò che sapeva, raccontò: “I tuoi genitori non si sono sposati perché si amavano...” “Cosa intendi dire?” “Devi sapere che quando i tuoi genitori studiavano all'università, il loro insegnante li mise insieme per una ricerca, e si ritrovarono a casa di tuo padre... e quella stessa notte tua madre rimase incinta di te.”

Vegeta rimase in silenzio.

Quindi era così che erano andate le cose.

I suoi genitori non si erano affatto sposati perché si amavano, come succedeva nelle favole.

Si erano sposati per lui.

Per questo suo padre se n'era andato con un'altra donna.

Lui, molto probabilmente, non era mai stato innamorato di sua madre.

Lui non l'aveva mai amato, era stato solo un incidente durante un rapporto.

Lui non avrebbe mai dovuto nascere.

Doveva aver sposato sua madre solo per salvarsi la faccia, per dimostrare al mondo che era un uomo che si prendeva le sue responsabilità ma quando avevano smesso di essergli utili, li aveva abbandonati senza alcun rimpianto.

In quel momento, dentro di lui, si sviluppò un odio feroce.

Un odio feroce per suo padre.


Attraverso quelle parole, credetti di capire tutto di te... credetti che tu te n'eri andato solo perché non mi amavi... perché, per colpa mia, ti eri sposato e rovinato la vita... fu da quel momento che ti odiai con tutto me stesso. Anche prima di quelle parole ti odiavo... ma se fossi tornato, alla fine ti avrei perdonato e sarei ritornato ad ammirarti, come quando ero bambino. Quando scoprì la verità sulla tua fuga... fui confuso come non mai e ti ho cercato perché tu rispondessi a due domande che mi ossessionano, a cui ti prego di rispondere sinceramente: tu mi ami? O per te sono solo uno sbaglio?”

Suo padre rimase in silenzio un attimo, poi rispose: “Sì... fu in quella notte che tu venni concepito... non l'avevamo previsto né io né lei... nella mia vita, Vegeta, ho fatto molti sbagli, ma tu... sei stato lo sbaglio più bello di tutti. Sei l'unico sbaglio che mi ha permesso, per tre anni, di essere felice... e sei l'unico sbaglio che, se potessi tornare indietro, rifarei non una ma cento volte.”

Si voltò verso di lui e, guardandolo negli occhi, sorrise: “Grazie, Vegeta. Grazie per tutto.”

Vegeta sentì le lacrime rigargli le guance ma non fece nulla per fermarle.

Suo padre... l'aveva ringraziato... per essere nato... anche se per sbaglio...

Papà...” sussurrò Vegeta, per la prima volta da tanti anni, poi si fiondò su di lui, urlando: “PAPA'!”

Con la faccia sul suo petto e con le lacrime che non riuscivamo a fermarsi, gli disse: “Scusami, papà! Ho dato retta al mio odio e al mio orgoglio... avrei dovuto parlarti, cercare di capire! Che stupido che sono stato!”

Suo padre lo fissò, in silenzio.

Vegeta l'aveva abbracciato tra le lacrime.

Non solo, gli aveva chiesto scusa per aver ceduto alla sua rabbia e al suo orgoglio... è l'aveva chiamato papà... era passato tanto tempo dall'ultima volta che Vegeta l'aveva chiamato così... come la prima volta...


Nella stanza, vi era il più completo silenzio, ad eccezione del continuo rumore della tastiera.

Ormai, erano ore che continuava a scrivere ininterrottamente e, fra poco, avrebbe finito.

SDENG

Lui sbuffò, scocciato, e si voltò per vedere il piccolo responsabile di quel baccano che lui, purtroppo, conosceva molto bene...

Infatti vide Vegeta, suo figlio, che si divertiva a lanciare contro il muro i suoi giochi.

Ti diverti tanto a fare rumore, non è vero?” gli disse, mentre lo prendeva per le ascelle “Allora lascia che ti mostri un nuovo gioco: tu te ne stai nel box fino al ritorno della mamma e guai a te se ti metti a piangere.”

L'uomo mise il figlio nel box nell'altra stanza e, poi, fece per andarsene quando una voce piccola e acuta lo fermò: “Papà!”

Lui si girò a fissarlo, in silenzio.

Il piccolo Vegeta, vedendo che suo padre lo guardava, continuò a chiamarlo: “Papà! Papà!”

Era la sua prima parola... lui era la sua prima parola...

Il cuore gli batté forte per l'emozione.

Suo figlio gli aveva dedicato la sua prima parola...

L'istinto gli diceva di tornare da lui e di abbracciarlo ma il suo orgoglio gli diceva di non farlo...

Alla fine, decise di dar retta al suo orgoglio.

Si voltò e uscì dalla stanza.


Vegeta sentì le braccia di suo padre avvicinarsi a lui.

Sapeva cosa sarebbe successo.

Suo padre l'avrebbe mandato via ma non gli importava.

Non gli importava assolutamente.

Inaspettatamente, le braccia di suo padre l'avvolsero in un caldo abbraccio.

Vegeta sgranò gli occhi, incredulo da quello che stava succedendo.

Suo padre l'aveva abbracciato.

Nemmeno nei suoi sogni di bambino di due anni aveva mai sperato tanto.

Il massimo che sperava di ottenere da lui, per dimostrargli il suo affetto, era uno sguardo o che lui gli rivolgesse la parola... ma un abbraccio... sapeva che era troppo, ma, in fondo al suo cuore, aveva sempre sperato che lui lo facesse...

E, adesso, stava accadendo.

Non sapeva come sentirsi.

Era un mix di stupore e gioia.

Si strinse ancora di più sul petto di suo padre.

Per vari minuti, nessuno dei due disse niente, in quanto temevano di rompere quel silenzio, ma, alla fine, Vegeta sentì suo padre sussurrare: “Vegeta... mi dispiace.”

L'uomo, per un attimo, si sentì mancare il respiro.

Aveva riconosciuto quella voce.

La voce che, per anni, durante le sue ore di dolore e solitudine gli avevano scaldato il cuore...

Allora eri tu...” rispose Vegeta, guardando suo padre negli occhi “Sei tu che mi hai detto -quindi sei un maschio...-” “Allora mi hai sentito...” ammise l'uomo poi, stringendo ancora di più il figlio, confessò: “Ti dissi quella frase quando eri ancora nella pancia della mamma... il giorno in cui scoprì che eri un maschio... ti ho amato fin da quando tua madre mi ha detto di essere incinta... ma ero troppo orgoglioso per dirlo, così... ti accarezzavo e ti parlavo solo di notte.” “Credo che la mamma lo sapesse...” rivelò il figlio, ricordando di quando sua madre l'aveva preso per il braccio mentre accarezzava il suo ventre gonfio...

L'aveva scambiato per suo padre... inconsciamente, doveva aver sperato che suo marito fosse tornato...

Sentì le dita calde di suo padre avvicinarsi al suo viso e asciugargli le lacrime.

Papà...” sussurrò, imbarazzato “Io non riesco a smettere di piangere... sono solo uno stupido...” “Allora mi sa che siamo entrambi due stupidi perché nemmeno io riesco a trattenere le lacrime.”

Vegeta alzò lo sguardo e vide gli occhi di suo padre, di solito orgogliosi, distanti e tristi, lucidi e che buttavano fuori molte lacrime.

Non riusciva a credere che proprio suo padre stesse piangendo... aveva sempre pensato che solo i deboli si mettono a piangere... ma, per quella notte, l'orgoglio poteva anche andarsene!

Sono stato tremendo, non è vero?” domandò Vegeta e suo padre, chiudendo gli occhi e sorridendo, senza smettere di piangere, rispose: “Lo siamo stati entrambi.”

Padre e figlio si sdraiarono sul letto, senza smettere di abbracciarsi.

Ad un tratto, nel buio della notte, si sentirono i dodici rintocchi della mezzanotte.

Mentre suonavano, l'uomo guardò negli occhi il proprio figlio e gli disse: “Senti, Vegeta... mi puoi perdonare, per favore? Lo so che mi sono comportato da stupido...”

Il figlio rimase in silenzio un attimo, poi rispose: “Siamo esseri umani, papà. Le stupidaggini le facciamo tutti.”

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Preparativi ***


CAPITOLO 26: PREPARATIVI


L'uomo, sempre sorseggiando la sua tazza di caffè, si mise a guardare il cielo.

Il cielo era pieno zeppo di nuvole nere e, secondo la radio, presto sarebbe giunta una tempesta di neve coi fiocchi.

Suo nipote e la sua fidanzata avevano proprio scelto un bel periodo per convolare a nozze...

Dopo un leggero sospiro, si voltò e guardò l'orologio: le sette e mezza.

Posò la tazza sul tavolo e aprì una stanza.

Stava ancora dormendo, raggomitolato come un gatto, sotto alle coperte mentre sul suo viso vi era un'espressione tranquilla e sognante.

Erano passati anni dall'ultima volta che l'aveva visto dormire...

Papà...” sussurrò, ad un tratto, e, per un attimo, l'uomo prese un colpo.

Temeva di essere stato visto...

Ma si rilassò non appena notò che gli occhi di suo figlio Vegeta erano ancora chiusi.

Papà...” continuò, mentre delle grosse lacrime cominciarono a scendere dagli occhi chiusi “Papà... torna qui, ti prego... non andartene...”

A sentir quelle parole, rimase sconvolto.

Stava sognando quando lui se n'era andato, abbandonando la sua famiglia... chissà quante volte doveva averlo invocato, inutilmente, nel sonno... ma, stavolta, le cose sarebbero andate in maniera molto diversa!

Salì sul letto e lo abbracciò, sussurrandogli: “Vegeta, sono qui. Non piangere. Ti prometto che, da adesso in poi, non me ne andrò mai più.”

Non si accorse che Vegeta, sentendo la sua voce, inconsciamente, si era messo a sorridere.


PAPA'! PAPA'! TORNA QUI, TI PREGO! NON ANDARTENE!”continuò a gridare, inseguendo la macchina che si allontanava sempre di più.

Sentiva le lacrime scendere dalle sue guance ma non gli importava.

Il buio si stava portando via suo padre.

Ad un tratto, inciampò e cadde disteso sulla strada mentre l'auto si allontanava sempre di più.

Papà...” sussurrò, disperato, il bambino.

SKRREEEKKK

Il piccolo alzò gli occhi, incredulo e vide l'auto di suo padre fermarsi e lui scendere dalla macchina.

PAPA'!” urlò, contento, il bambino, scordandosi di asciugarsi le lacrime.

Il suo papà si era fermato solo per lui... allora, per suo padre, era qualcosa d'importante.

Suo padre si fermò davanti a lui e s'inginocchiò, per poi abbracciarlo con forza.

Vegeta diventò rosso.

Papà l'aveva abbracciato... il suo eroe, il suo mito... stentava ancora a crederci...

Papà, c-che hai? Piantala! Mi vergogno...!” protestò il bambino anche se, in cuor suo, sperò che quel primo abbraccio di suo padre durasse il più a lungo possibile...

Ad un tratto, suo padre sussurrò: “Vegeta, sono qui. Non piangere. Ti prometto che, da adesso in poi, non me ne andrò mai più.” “Io non sto affatto piangendo!” si difese il piccolo, asciugandosi, in fretta e furia le lacrime.

Ad un tratto, un leggero movimento li fece voltare entrambi.

Davanti a loro, in vestaglia e in silenzio, c'era Echalotte.

Dalla sua espressione era ovvio che pretendeva dal marito una spiegazione per il suo gesto.

L'uomo sospirò.

Era in trappola, non poteva scappare.

Doveva dirle la verità...

Prese un bel respiro e sussurrò: “Echalotte... devo confessarti una cosa... io... io sono malato.”

Sua moglie rimase in completo silenzio, senza dir niente, mentre il vento notturno le scompigliava i capelli e la vestaglia.

Quando sono stato ricoverato in ospedale... il medico mi ha detto che soffro di una grave malattia ai reni e se non ne trovo uno nuovo... morirò... non sono riuscito a dirtelo perché... non volevo farti soffrire! Mi dispiace!”

La donna si avvicinò a lui.

I loro occhi neri si fusero.

L'uomo rimase in silenzio, aspettandosi la rabbia della moglie.

Inaspettatamente, Echalotte gli diede un colpetto sulla fronte con le dita.

Sceeeemo!” dichiarò la donna, senza smettere di fissarlo.

Vegeta rimase incredulo da quel gesto e riuscì solo a dirle: “Ehi, ma che fai?!” “Ti punisco per non avermi detto subito la verità, cretino. Hai idea ti quanto mi sono preoccupata? Io... temevo di perderti...”

Nonostante l'ultima frase fosse stata un sussurro, Vegeta la sentì perfettamente.

Scusami, sono stato uno stupido...” ammise l'uomo ma la donna l'interruppe: “Di più.” “Uno stupido deficiente?” “Di più.” “Uno stupido deficiente cretino?” “Di più.” “Uno stupido deficiente cretino idiota?” “Di più.” “Adesso basta, Echalotte. Ti ricordo che c'è un bambino.” “D'accordo. Vorrà dire che mi accontenterò di uno stupido deficiente cretino idiota... se tu mi giuri che non hai mai avuto un'amante.” “Tranquilla, nei giorni che sparivo andavo solo a fare la dialisi e a cercare un rene compatibile...” “Il dottore cosa ti ha detto?” “Che è solo al primo stadio... col passare degli anni dovrebbe peggiorare... un giorno, se non troverò un rene compatibile, avrò un malore e morirò...”

Il silenzio scese sulla piana.

Vegeta fissò suo padre abbassare lo sguardo.

Suo padre sembrava triste...

Aveva sempre pensato che suo padre non provasse alcun tipo di emozione ma, invece, anche lui soffriva...

Sua madre si avvicinò al viso di suo padre e sussurrò: “Non importa... l'affronteremo tutti insieme.”

Poi, premette le sue labbra su quelle di suo padre.

Vegeta sapeva cos'era.

Era una cosa che i grandi chiamavano -bacio-.

Più di una volta aveva visto i suoi genitori darsi un bacio.

All'inizio, li aveva visti baciarsi solo per puro caso, facendo entrambi diventare rossi come peperoni, finché non aveva detto loro che se il risultato di beccarli a baciarsi di nascosto era quello, che si baciassero tranquillamente davanti a lui!

A lui non dispiaceva se i suoi genitori si baciavano.

Da quello che aveva capito dai cartoni animati, se due si baciavano voleva dire che si amavano.

Quando i suoi smisero, suo padre guardò negli occhi sua madre e le disse, mentre le accarezzava i capelli: “Hai ragione, Echalotte... Scusami, sono stato uno schiocco... da adesso in poi, resteremo insieme e, qualsiasi cosa ci accadrà, l'affronteremo... tutti e tre.” “No.” l'interruppe sua madre.

Padre e figlio sgranarono gli occhi.

Cosa intendeva?!

Non affronteremo in tre questa cosa...” disse sua madre, prendendo una mano di suo padre e posandola sul suo ventre “Ma in quattro.”

Il piccolo guardò sua madre dubbioso.

Cosa intendeva la mamma?

Non c'era nessun altro a parte loro...

E poi perché aveva messo la mano di papà sul ventre?

Evidentemente, si trattava di un codice segreto tra lei e papà perché, ad un tratto, l'uomo spalancò gli occhi e sussurrò: “Tu... stai...” “Sì, le mie congratulazioni, papà. Di nuovo.” ridacchiò lei, felice.

L'uomo l'abbracciò la moglie e disse, disperato: “Mi dispiace. Mi dispiace. Stavo per abbandonarti... in queste condizioni, per giunta!” “Ma non l'hai fatto. Siamo solo esseri umani, Vegeta. Le stupidaggini le facciamo tutti.” rispose la moglie e lui, guardandola in malo modo, protestò: “Questa era mia, me l'hai rubata.” “E tu hai rubato il mio cuore.” ribatté la donna, prima di tornare a baciarlo.


Vegeta aprì entrambi gli occhi di scatto.

Aveva fatto un sogno... un sogno particolare...

Uscì dalla stanza e si diresse verso la sala da pranzo.

Vide che il tavolo era pieno di cibo e suo padre era seduto su una sedia a guardare fuori dalla finestra, bevendo un caffè.

Ciao, papà.” lo salutò Vegeta, sedendosi, e suo padre rispose: “Ciao...”

Il silenzio calò nella sala.

Tutti sentimenti e le emozioni che erano state svelate quella notte, sembravano essere sparite con la luce del sole... eppure, qualcosa avevano lasciato...

Papà...” sussurrò, ad un tratto, Vegeta e suo padre, sempre bevendo il suo caffè, fece: “Hm?” “Stanotte ho fatto un sogno...” “Che sogno?” “Ho sognato cosa sarebbe successo se quella notte ti fossi fermato...”

TAC

Vegeta vide suo padre appoggiare la tazza sul tavolo, anche se continuava a guardare la finestra.

Nel tuo sogno, la mamma mi ha perdonato per la fuga?” domandò, ad un tratto, e Vegeta rispose: “Sì... ti ha perdonato quasi subito...” “Ah...”

Vegeta sapeva cosa tormentava suo padre.

Voleva sapere se sua moglie avrebbe mai potuto perdonarlo...

Io penso che dovresti parlarle.” sussurrò Vegeta e suo padre, voltandosi a guardarlo negli occhi, rivelò: “Non credo...” “Sbagli a dire così... forse... sta ancora aspettando che tu torni da lei... forse, ti ama ancora.”

Suo padre rimase in silenzio, poi sussurrò: “Non lo so, Vegeta... io l'ho abbandonata incinta, senza nemmeno spiegarle perché... l'ho lasciata sola a crescere due bambini piccoli... per come l'ho trattata, è già tanto se non mi prenderà a sassate non appena mi rivedrà... ne avrebbe tutte le ragioni.”

Vegeta rimase in silenzio, capendo che per suo padre era molto difficile parlarne.

Si alzò e disse: “Vado a cambiarmi e poi torno a casa.” “Ok...” “Ah... papà...” “Cosa?” “Grazie... per avermi mostrato chi eri veramente e quanto hai sofferto in tutti anni...”

Tra padre e figlio calò il silenzio.

Vegeta vide suo padre guardarlo e, poi, sorridere.


Grazie mille per l'acquisto, signora.” “Prego...”

Bulma e il marito uscirono dal vecchio negozio d'antiquariato e, una volta fuori, la donna cominciò a lamentarsi, come al solito: “Quella vecchia megera! Mi ha fatto spendere un mucchio di soldi per una semplice sfera! Giuro che, se potessi, la denuncerei.” “Però puoi sempre mandarla alla casa di riposo. Ha così tante rughe che mi domando come cavolo faccia a non sbriciolarsi.” le ricordò, ridacchiando, il marito.

Bulma sorrise.

Vegeta, nonostante fosse più cupo e solitario di un orso, era l'unico capace di farla divertire.

Certo che Baba potrebbe anche farci un prezzo di favore... dopotutto sono amica di suo fratello...” protestò Bulma mentre Vegeta commentava: “Quando quel vecchio sporcaccione ci prova con te, non credo che lo consideri un amico.” “Muten sarà anche un brav'uomo ma quando si tratta di belle donne...” sospirò, poi, guardando la sfera arancione con una stella al suo interno, disse: “Comunque, a parte il prezzo esorbitante, finalmente le abbiamo tutte.” “E quale desiderio vorresti esprimere?” “Ecco... io...” “Avanti, Bulma, dimmelo pure.” “Il mio desiderio sarebbe quello che i tuoi genitori si rincontrassero e tornassero insieme.”

Moglie e marito rimasero in silenzio un attimo, poi Bulma disse: “Lo so che lo desideri anche tu.” “Infatti lo desidero. E' solo che...” “Hai paura della reazione di tua madre quando lo rivedrà?”

Vegeta rimase in silenzio.

Era impressionante come Bulma sapesse sempre tutto senza che lui dicesse mai niente.

Sì.” ammise il marito “Non ho reagito molto bene quando l'ho rivisto per la prima volta... temo che lei si infurierebbe molto di più di me...” “Sono certa che, alla fine, riuscirebbe a perdonarlo.” gli sussurrò, fiduciosa, Bulma e Vegeta, sospirando, disse: “Lo spero tanto, Bulma... lo spero tanto...”


Mise il pennello nell'acqua per pulirlo.

Mentre il blu si scioglieva nell'acqua facendola diventare blu, diede un'occhiata al suo nuovo dipinto.

Rappresentava un mare notturno in tempesta... esattamente come il suo animo...

SLAM

L'uomo si voltò, sentendo la porta aprirsi di scatto, e sgranò gli occhi quando riconobbe la figura che era appena entrata.

Era suo figlio Tarble.

Ansimava profondamente, come se avesse fatto una corsa tremenda, eppure riuscì a sussurrare, con un filo di voce: “Papà...”

Lui si alzò, in completo silenzio, e, avvicinandosi al figlio, lo abbracciò.

Tarble rimase sorpresa da quell'improvvisa, quanto strana, dimostrazione d'affetto.

Non si sarebbe mai aspettato che proprio suo padre l'abbracciasse, dato che era tale e quale a Vegeta e lui non abbracciava nemmeno sotto tortura.

Scusami... per averti fatto finire all'ospedale...” sussurrò l'uomo e Tarble, intuendo quanto fosse stata dura per suo padre scusarsi, Vegeta aveva ereditato molte più cose dal padre di quanto credesse, rispose, sorridendo: “Non preoccuparti, papà. Non è successo niente. E' tutto a posto.”

Suo padre rimase in silenzio un attimo, guardandolo con molta attenzione.

Qualcosa non va, papà?” domandò, stupito, Tarble e l'uomo gli domandò: “Ti sei mai chiesto da chi hai ereditato il tuo carattere?” “In effetti me lo sono chiesto varie volte... è così diverso da quello della mamma e di Vegeta...” “L'hai ereditato da me.” “Cosa?! Ma papà... tu non hai il mio carattere... il tuo è simile a quello di Vegeta...” “Infatti non l'hai ereditato direttamente da me... ma da mia madre. Sei identico a lei nel carattere.” “Davvero?” esultò il ragazzo.

Era felice di sapere che il suo carattere non era poi così strano in famiglia... inoltre, aveva ereditato qualcosa dalla nonna paterna di cui la mamma non aveva mai accennato...

Ora che ci pensava meglio, sua madre non aveva mai parlato della famiglia di suo padre... molto probabilmente perché non voleva avere nulla a che fare con la famiglia dell'uomo che l'aveva abbandonata...

Magari, suo padre gli avrebbe raccontato qualcosa di loro... dopotutto, erano parenti e ora che suo padre era tornato...

Mi parli della tua famiglia, papà, per favore?” gli domandò, curioso il ragazzo e suo padre, dopo un sospiro, acconsentì: “Va bene... se mi segui ti racconterò tutto sulla mia vita... ma prima sarà meglio che ti sistemi quel colletto e quei capelli. Si vede lontano un miglio che ti sei appena svegliato e che ti sei vestito in fretta e furia.”


Allora? Come sto?” “Sei divina.”

Mai, arrossì, imbarazzata mentre Trunks era estasiato.

La sua ragazza era così bella con quell'abito... sua nonna aveva fatto un ottimo lavoro col vestito.

L'abito era stato allargato, per permettere al bambino di non soffocare, ed era stato abbellito con varie rose di stoffa blu e con un lungo nastro.

Tra i capelli neri, Mai portava una piccola spilla di pietre preziose a forma di farfalla.

Apparteneva ad Echalotte, in quanto, secondo lei, Mai sarebbe stata molto più carina con qualcosa tra i capelli, ma la giovane non possedeva niente per i capelli.

Alle mani, Mai portava dei fini guanti bianchi, comprati proprio per l'occasione.

Era così bella... Trunks temeva di toccarla perché altrimenti si sarebbe dissolta come un'illusione...

Mai si sedette su una sedia mentre Trunks le si sedeva accanto, dicendole: “Allora, Mai, sei pronta? Fra tre giorni è il grande giorno.” “Lo so... sono così emozionata... se penso che ci sarà tutta quella gente...” “Rilassati, ci saranno solo la mia famiglia e i loro amici.” “E' vero, però... ho un po' paura.” “Penso che tutte le spose hanno paura quando si avvicina il giorno del loro matrimonio... però, alla fine, tutto va per il meglio, o quasi...” “E' vero, però... ho paura di quanto diventerò mamma.” “So che posso sembrare ripetitivo ma anche questa è una paura che hanno tutte le donne quando sono in dolce attesa.” “Senti, Trunks... ma tu pensi che sarò una brava mamma per il bambino?” “Ma certo, Mai. Sarai una delle più brave mamme del mondo.” “Io non mi sento così brava...” “Mai, non si nasce genitori, lo si diventa crescendo i propri figli. L'unica cosa che conta, quando si cresce un figlio, è dargli la giusta quantità di amore. Né troppo né troppo poco. Il troppo storpia, mia nonna lo dice sempre.”

Mai ridacchiò, con una punta di nervosismo.

Trunks la notò e, prendendole delicatamente la mano, la rassicurò: “Non aver paura, Mai. Qualunque cosa ci accadrà, l'affronteremo insieme.”


Tarble non riusciva a dire nemmeno una parola.

Suo padre gli aveva appena rivelato tutto, da com'era stato concepito alla scoperta della sua malattia.

Non si sarebbe mai aspettato che la vita per suo padre fosse stata così tremenda...

Sono l'unico a sapere tutto questo?” domandò, con un filo di voce, e suo padre rispose: “No... anche Vegeta lo sa.” “Cosa intendi fare con la mamma?” “Non lo so, Tarble... francamente, non lo so. E odio quando non so cosa fare.” “Dovresti parlarle. Dille la verità, magari ti perdonerà per essertene andato.” “Ne dubito altamente, Tarble.” “Almeno diglielo. La mamma ha sofferto troppo in tutti questi anni e credo che dovrebbe sapere la verità.” “Averla fatta soffrire, sarà la cosa di cui non mi perdonerò mai... non se troverò la forza per bussare alla porta di casa e raccontarle la verità. Inoltre, credo che quando mi vedrà mi sbatterà la porta in faccia.” “Vieni al matrimonio di Trunks.”

Suo padre si mise a fissarlo, incredulo.

E' tra tre giorni...” raccontò il giovane “Potrai rivederla in un posto neutrale... e non dovrai temere che la mamma ti sbatta la porta in faccia.” “Non so...” “Devi farlo, papà. Per la mamma, per Bra, per Vegeta... e anche per me.”


Goten camminava con passo felpato per le strade della città, in modo da non congelare con la tremenda aria gelida che c'era.

Se c'era una cosa che Goten odiava con tutto sé stesso, era l'inverno.

Non c'era stagione più inutile a parer suo.

Faceva solo freddo e clima a dir poco orrendo.

Ma perché non era sempre estate?!

Proprio in quel momento, si accorse di una chioma bruna ondulata in mezzo alla folla.

Con un sorriso, la chiamò: “Ehi, Valese!”

La ragazza, sentendo il suo nome, si girò e sorrise quando riconobbe Goten.

Ciao, Goten.” lo salutò allegramente e il ragazzo disse: “Lo sai che sei il primo raggio di sole che vedo da stamattina? Col cielo cupo così, il tuo vestito giallo è l'unica cosa che brilla.”

Valese arrossì e Goten le domandò: “Cosa ci fai in città?” “Faccio un giro.” “Posso unirmi o preferisci stare da sola?” “Sei il benvenuto.” “Se alla signorina fa piacere posso portarla in uno dei miei posti preferiti... e, dopo, la accompagno in un luogo che piace a lei.” “Ma non devi disturbarti...” “Non preoccuparti. A me piace un sacco andare dove ci sei anche tu. Dopo che sono stato con te, quel luogo diventa speciale. E' successa la stessa cosa quando siamo andati insieme al cinema.”

Valese sorrise e, prendendo la mano di Goten, lo seguì.

Goten si sentì emozionato a prenderla per mano.

Sembrava che, in tutto il mondo, esistessero solo loro, nessun altro e nessun problema, di qualunque tipo.

Ad un tratto, Goten individuò il suo posto preferito e disse alla giovane: “Miss, siamo arrivati alla prima tappa del tour: il miglior MacDonald di tutta la città.” “Perché è il migliore?” “Perché ci vado io.”

I due entrarono nel locale: era pieno di gente seduta a tutti i tavoli e la fila davanti al bancone era a dir poco tremenda.

Tuttavia, i due non si lasciarono andare allo sconforto.

Si misero in fila e, mentre aspettavano il proprio turno, Goten, indicandole i cartelloni con i cibi e i prezzi, disse a Valese: “Prendi pure tutto quello che vuoi. Offro io.” “Ma Goten... sono i tuoi soldi...” “Non preoccuparti. Se li spendo per te, sono l'uomo più felice del mondo.” “Ti restituirò tutto, promesso!” “Non pensarci e scegli qualcosa. Dai che fra poco tocca noi.”

Quando, finalmente, toccò ai due, Valese chiese solo un hamburger, il meno costoso, un bicchiere di coca cola e delle patatine come contorno.

Anche se le parole di Goten l'avevano commossa, non aveva alcuna intenzione di fargli spendere troppo.

Una volta che Goten e Valese furono serviti, i due ragazzi salirono al piano di sopra e, al primo tavolo libero, si sedettero.

Mentre mangiavano, Valese commentò: “Sai che è la prima volta che mangio in un posto del genere?” “Immagino, dopotutto quello hai dovuto affrontare a causa della malattia.” “Sai, la città è un posto così bello... voglio esplorarla tutta e conoscere posti nuovi... e voglio farlo con te, Goten.”

Per poco, a Goten non andò di traverso l'hamburger.

La proposta di Valese... era la cosa più bella che potesse desiderare!

Adorava andare dove andava lei... non gliene importava niente del posto, voleva solo che ci fosse lei.

Lei e nessun'altra.

Per le sue precedenti ragazze, Goten era solo un idiota immaturo... Valese era stata l'unica a vederlo come un ragazzo dolce ma allo stesso tempo coraggioso.

Se doveva scegliere una donna da sposare... avrebbe scelto Valese, poco ma sicuro.

Tra una chiacchiera e una patatina, i due finirono e uscirono.

Allora, miss, qual'è la prossima tappa del tour?” le domandò il ragazzo ma la giovane, con un sorriso, rispose: “Stavolta, guido io il tour. Il luogo in cui siamo diretti è una sorpresa.”

Goten seguì la ragazza, sempre tenendola per mano, tra le varie vie e i vari incroci finché, ad un tratto, Valese disse: “Siamo arrivati.”

Davanti a loro, si estendeva un grande parco, pieno di alberi e di statue.

Uao...” si lasciò scappare Goten e Valese gli domandò: “Ti piace?” “Altroché! E' bellissimo! Non immaginavo di certo che ci fossero simili meraviglie in città!” “E non è ancora finita.”

La ragazza lo condusse all'interno del parco.

Goten rimase affascinato dagli alberi spogli, con vari uccelli che volavano tra i loro rami nudi o che camminavano tra l'immensa neve bianca, e il silenzio che c'era dentro di esso.

I due camminarono fino in fondo al parco dove c'era un grosso lago circolare con anatre e oche che nuotavano tranquille nelle acque grigie, ignorando il freddo polare attorno ad esse e la neve che copriva tutto il parco.

Caspita...” si lasciò sfuggire Goten, sedendosi su una panchina, seguito a ruota da Valese.

La giovane, sorridendo, gli chiese: “Bello, vero?” “Altroché!” “Quando avevo due anni, mia mamma mi portava sempre in questo parco il sabato. Prendevamo il treno alla mattina, giravamo per la città e, prima di prendere il treno per il ritorno, ci fermavamo in questo parco per vedere le anatre. Poi, si è scoperto della mia malattia al cuore e non ci sono più potuta tornare. Oggi è la prima volta, dopo tanto tempo, che ci ritorno.” “E hai voluto ritornarci assieme a me?” “Sì, Goten. Vedi tu... mi piaci molto. Io... quando sono con te...è difficile da spiegare ma... mi sento veramente viva e forte. Vicino a te, sento di poter affrontare senza paura qualunque cosa... io... io ti amo!”

Goten restò incredulo davanti a quell'inaspettata confessione.

Valese, invece, era rossa come un peperone e si dava mentalmente della stupida.

Cosa le era saltato in mente di fare quell'improvvisa e insensata confessione?!

Aveva rovinato tutto...

Dopo un po', Goten sorrise e, avvicinandosi al viso della ragazza, la baciò.

Valese rimase incredula davanti a quel gesto, anche perché quello era il suo primo bacio.

Quindi, anche Goten l'amava?

Anch'io ti amo, Valese.” confessò, sorridendo, il giovane “Sei la migliore ragazza che abbia mai incontrato, non solo perché non mi hai preso per un idiota ma, perché, quello che sento per te è la stessa identica cosa che tu senti per me. Se non fosse per mia madre, ti sposerei subito.”

Valese, sempre con le guance rosse, sorrise dolcemente.

Non s'immaginava di certo di essere così importante per Goten...

Poi, timidamente, chiese: “Goten... potresti baciarmi di nuovo? E' stato così bello...”

Aveva appena finito di parlare, che le labbra di Goten si congiunsero di nuovo con le sue.


Gli hai detto proprio così?” “Beh... sì. Volevo solo fargli capire quant'era importante per tutti noi che parlasse con la mamma.”

Vegeta sorrise divertito della timida intraprendenza del fratello, sapendo benissimo che Tarble non potava vederlo...

Papà, perché sorridi?” gli domandò, incuriosita, una piccola vocina femminile dietro di lui.

In effetti, Tarble non poteva vederlo ma sua figlia sì.

Bra!” le rispose, scocciato “Va' a giocare da un'altra parte! Non vedi che sto telefonando?!”

Bra, sbuffando, obbedì e se ne andò in camera sua per giocare con le sue bambole e i suoi peluche.

Scusa, ho avuto qualche problema con mia figlia.” spiegò, sbuffando, Vegeta, pregando che Tarble non avesse sentito la bambina “Certe volte è peggio di sua madre...” “Però le vuoi un mucchio di bene... proprio come nostro padre...”

Per un attimo, nella linea telefonica calò il silenzio, poi, ad un tratto, Tarble domandò: “Pensi che potremo mai tornare ad essere una famiglia?” “Ma che domande, Tarble, certo che sì!” “Sai, io ho paura della reazione della mamma non appena rivedrà papà...” “Vuoi che ti dica la verità? Anch'io ho paura, ma dobbiamo affrontarla. Sappiamo entrambi a cosa può portare la paura...”


Era notte fonda e un uomo stava dormendo ma il suo sonno non era per niente sereno.

Si muoveva senza sosta tra le coperte, ansimando profondamente e con varie gocce di sudore che scendevano senza sosta nel suo volto caldo.

Aveva paura.

Il giorno seguente, sarebbe stato il matrimonio di suo nipote e avrebbe dovuto rivedere lei.

La donna che amava e che aveva abbandonato.

La sua più grossa paura era la sua reazione.

Di sicuro, non sarebbe di certo stata contenta di rivederlo, ma sperava che lei gli lasciasse il tempo di raccontarle la verità...

L'uomo aprì gli occhi di scatto.

Mentre continuava ad ansimare profondamente, prese la sveglia dal comodino e guardò l'ora.

Le due e mezza.

Aveva ancora un sacco di ore da aspettare...

Ore d'angoscia...

Allungò la mano sul comodino e prese due pillole da un cofanetto.

Ultimamente, l'unico modo per poter dormire, era prendersi dei sonniferi.

Infatti, dopo qualche minuto d'attesa, sentì le palpebre diventare sempre più pesanti...


Camminava senza sosta in quello strano posto che non aveva mai visto prima.

Non sapeva da quanto camminasse ma una cosa era certa.

Non era per niente stanco, nonostante fosse solo un bambino...

Vegeta...” sussurrò, ad un tratto, una voce dietro di lui.

Sconvolto, il ragazzino si fermò e si voltò di scatto ma vide che non c'era nessuno.

Era stato solo uno stupido scherzo della sua immaginazione.

Per un attimo, aveva sperato che fosse lei...

Sospirò, chiudendo gli occhi, e si voltò, in modo da riprendere il suo cammino senza meta...

Vegeta...” lo richiamò di nuovo la voce.

Stavolta ebbe la certezza.

Non se l'era immaginata!

Era la sua voce!

Ma lei dov'era?

Ad un tratto, delle piccole scie di luce d'oro lo superarono e cominciarono ad avvolgersi a vicenda, come onde del mare.

Le onde cominciarono, poi a creare delle mani, dei piedi, delle braccia, delle gambe...

Infine, apparve un stupendo corpo femminile, avvolto in una luce dorata come una fiamma, che il ragazzino conosceva molto bene...

Ciao, Vegeta. E' da tanto che non ci vediamo.” gli disse, sorridendo, la giovane donna.

Il piccolo Vegeta non trovava la forza per dire anche una sola sillaba.

Alla fine, con fatica, sussurrò: “Mamma...”

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Un ponte fra due mondi ***


CAPITOLO 27: UN PONTE FRA DUE MONDI


Vegeta rimase immobile a osservare la figura di sua madre.

Sembrava così felice di rivederlo... ma non poteva essere...

Lui era stato concepito da un dannato che l'aveva violentata in casa sua... sul suo letto... come poteva anche solo sperare che lei gli volesse bene, dopo tutto quello che aveva portato alla sua dannata nascita?!

La figura, tuttavia, si avvicinò silenziosamente a lui, leggiadra come il volo di una farfalla e, una volta davanti a lui, s'inginocchiò e, accarezzandogli dolcemente la guancia sussurrò, felice: “Sei molto cresciuto dall'ultima volta che ti ho visto.”

Il bambino abbassò lo sguardo, tristemente.

Mamma... io... io so come sono stato concepito...” sussurrò Vegeta, sempre con lo sguardo basso.

Per un attimo, cadde il silenzio.

Approfittando di esso, il ragazzino continuò: “Fin da quando sono nato... non ho saputo far altro che causare dei problemi... ho fatto soffrire troppe persone... tu, papà, i miei figli, Bra... e, soprattutto, la mia Echalotte.”

Vegeta fece un lungo sospiro prima di continuare: “Mi dispiace, averti fatta soffrire, mamma.”

Aveva appena finito di dire quelle parole, che sua madre lo abbracciò.

Vegeta arrossì mentre sua madre gli accarezzava i capelli a fiamma castani.

Non pensarci, Vegeta.” sussurrò la donna “Non hai nessuna colpa per quello che è successo.” “Ma io sono nato da una violenza, mamma! Ho solo rovinato la tua vita e quella di papà!” “Questo non è affatto vero, Vegeta...” rivelò una voce maschile alle loro spalle.

Vegeta si girò, incredulo.

Aveva riconosciuto quella voce...

Infatti, delle scintille di luce cominciarono a unirsi, proprio come era accaduto prima con sua madre, fino a formare una figura maschile.

A Vegeta mancò il respiro.

Come temeva, era lui...

Papà...” sussurrò il piccolo, con una punta di agitazione nella voce, mentre l'uomo lo salutava, con un sorriso, mentre gli accarezzava la testa: “Ciao, scimmietta. E' passato tanto tempo dall'ultima volta. Sei incredibilmente cresciuto.”

Vegeta sentì le lacrime scorrergli e chiudendo gli occhi, chiese: “Ascolta, papà... cosa provi, veramente, per me? Io non solo non sono il tuo vero figlio ma, in più, sono nato da un criminale... immagino che per te dev'essere stato tremendo allevare il figlio di un criminale... tuttavia, tu mi hai sempre trattato come se io fossi il tuo vero figlio... cosa provi, veramente, per me, papà?”

L'anima stette zitta un attimo, poi sussurrò: “Vuoi davvero saperlo, Vegeta?” “Sì.” “Potresti soffrire...” “Lo so... ma voglio sapere la verità... per favore...”

L'uomo sospirò, poi disse: “Quando seppi che la mamma era incinta di te... ti odiai con tutto me stesso.”

Vegeta sospirò, chiudendo gli occhi.

Anche se si aspettava una confessione del genere... la notizia gli aveva fatto perdere un battito del cuore.

Vedi, tu, per me, eri il figlio di un criminale che aveva fatto del male a mia moglie, la donna che amavo.” continuò l'uomo “Quando si scoprì che ti aspettava, le chiese di abortire ma lei non ne volle sapere. Il rapporto tra noi due, si fece sempre più teso e, alla fine, me ne andai di casa.”

Vegeta si mosse il labbro.

Sapeva che la sua nascita aveva solo provocato danni alla sua famiglia ma non immaginava di certo che suo padre se ne fosse andato per colpa sua.

Ma sei stato proprio tu a farmi tornare a casa.” gli rivelò, inaspettatamente, l'uomo, accarezzandogli i capelli.

Vegeta alzò lo sguardo e lo guardò, incredulo.

Cosa intendeva suo padre?

Leggendo sul suo volto la muta domanda del figlio, l'uomo disse: “E' stato subito dopo che la mamma ti ha dato alla luce... non potrò mai spiegare quello che è accaduto, ma posso sempre mostrartelo.”

Allungò la mano verso il ragazzino e disse: “Prendi la mia mano, Vegeta... così vedrai con i tuoi stessi occhi cos'è successo.”

Il bambino, un po' titubante, la prese.

Ebbe come l'impressione che tutto fosse diventato buio e che stava viaggiando a tutta velocità finché, ad un tratto, non tutto ciò che lo circondava si fermò e s'illuminò...


La donna accarezzò i lunghi capelli rivolti verso l'alto, come una fiamma, del piccolo corpicino addormentato.

Erano state delle ore molto lunghe e faticose per lei ma, alla fine, ce l'aveva fatta.

Guardò il piccolo che continuava a dormire tra le sue braccia.

Fortunatamente, non aveva preso niente da quello che era il suo padre biologico.

Incredibilmente, era la goccia d'acqua di suo padre, che era morto di un tumore quando lei aveva solo quattro anni e mezzo.

Fece un sospiro.

Avrebbe tanto voluto che lui fosse accanto a lui ma, purtroppo, erano mesi che si erano separati... non per il bambino ma, almeno, per lei...

Proprio in quel momento la porta si aprì e si girò, pensando che fosse l'infermiera.

Sgranò gli occhi quando riconobbe suo marito.

Tarble...” sussurrò, incredula, e l'uomo, imbarazzato, sussurrò: “Ho saputo che hai avuto una complicazione mentre stavi partorendo...” “Sì... ma fortunatamente è andato tutto bene...”

Entrambi rimasero in silenzio, senza guardarsi negli occhi.

Era così imbarazzante rivedersi così, dopo tanti mesi lontani...

Cosa ti ha detto l'avvocato?” disse la donna e lui rispose: “Fra poco mi chiamerà per chiedermi se vogliamo andare avanti col divorzio...” “Immagino che sia la scelta migliore...”

Rimasero ancora un po' in silenzio, poi Tarble si accorse del bambino che dormiva tra le braccia: “E' identico a tuo padre...” “Sì... penso di chiamarlo Vegeta... proprio come lui...” “E' proprio un bel nome...”

Proprio in quel momento, il bambino aprì gli occhi.

Il piccolo si accorse subito dell'uomo che era appena entrato e allungò le mani verso di lui.

D'istinto, l'uomo si avvicinò al bambino e lui, con dolcezza, gli toccò il viso.

Quel semplice e delicato tocco, lo fece emozionare.

In quel momento, lui vide solo un bambino.

Un bambino piccolo e innocente.

Sai... quanto ho saputo che stavi male... ho mollato il lavoro e mi sono precipitato da te...” le confessò l'uomo, continuando a guardare il bambino che non smetteva un attimo di toccarlo, e la donna lo guardò, incredula.

Cosa intendeva dire suo marito?

In tutti questi mesi, lontano da te... sono stato malissimo perché mi mancavi però mi vergognavo troppo a tornare da te... mentre i medici cercavano di salvarti... ho avuto modo di riflettere...” continuò l'uomo “Tu... avevi ragione. Solo perché è il figlio di un criminale... non aveva la minima colpa di quello che è successo. Scusami per tutto. Mi dispiace... per favore, perdonami. Io... vorrei ricominciare tutto da capo. Noi tre. Insieme.”

La giovane donna rimase molto colpita da quella confessione.

Suo marito, il suo Tarble... le stava chiedendo di dimenticare il passato e di tornare a essere una famiglia.

Loro due e il piccolo Vegeta.

Ma... sei proprio sicuro, Tarble? Pensi che potrai amarlo?” gli domandò la moglie e Tarble, con un sorriso, annuì: “Sì... è il figlio della donna che amo. Non ha alcuna importanza il resto.”

La donna sentì le lacrime rigarle il volto e, prima di fiondarsi ad abbracciare il marito, urlò: “TARBLE!!”


La visione sparì di colpo, così com'era apparsa.

Vegeta si posò le mani sulla fronte.

Non riusciva a credere a quello che aveva visto...

Vegeta, c'è una cosa che devo confessarti.” disse, ad un tratto, suo padre “Io sono sterile. Non avrei mai potuto dare dei figli alla mamma. Per me, sei stato il figlio che avrei tanto voluto avere... per questo ti ho amato.”

Vegeta rimase in silenzio, poi domandò: “Mamma... papà... perché siete apparsi?”

I due spiriti rimasero in silenzio, poi sua madre disse: “Siamo qui per indicarti qual'è la strada giusta che devi compiere domani.” “La strada giusta?” “Sì... domani dovrai andare da Echalotte e chiederle perdono.”

Il ragazzino la guardò, incredulo.

Il tuo animo è agitato e confuso...” continuò l'anima “Non sai quale decisione devi prendere.” “Ovvio... ho abbandonato la mia Echalotte... non so se troverò la forza per farmi rivedere e chiederle perdono...” “Lo sappiamo... per questo siamo venuti qui...” “Sentite... posso sapere che posto è questo? L'aldilà?” “No, Vegeta... questo è il ponte.” “Il ponte?! E che cos'è?” “Il ponte che collega il mondo dei vivi con quello dei morti.” spiegò suo padre “Questi due mondi non sono separati del tutto. A volte entrano in contatto tra loro. Quando gli abitanti dei rispettivi mondi si vogliono incontrare, anche solo per un istante, si ritrovano qui.” “E com'è l'aldilà?” domandò Vegeta ma la madre disse: “Mi dispiace, Vegeta. Ma non te lo possiamo dire. E' un segreto che i vivi non devono sapere. Anche se ti dimenticherai di questo posto, ne conserverai un ricordo vago e in essa non ci dev'essere alcuna traccia dell'aldilà.” “Mi state dicendo che io mi dimenticherò di voi?!” “Purtroppo è così...” “Allora per quale motivo siete venuti a trovarmi se mi dimenticherò di voi?” “Per farti trovare il coraggio per domani... senza il coraggio che solo noi due possiamo trasmetterti, non potrai mai trovare il coraggio, domani, per tornare da Echalotte.”

Il ragazzino sorrise.

Era vero... se i suoi genitori non fossero andati da lui, probabilmente non avrebbe mai trovato il coraggio di tornare da Echalotte...

Si mise a guardare il luogo dove si trovava e affermò: “Questo posto mi sembra familiare...” “E' naturale, Vegeta. Ci sei già stato.” rivelò suo padre.

Il bambino si voltò di scatto verso di lui e disse: “Cosa?! E quando?!” “Quando stavi facendo quell'operazione in cui tuo figlio ti ha salvato donandoti un rene, tua nipote era molto preoccupata per te e sperava fino all'ultimo che tu ti salvassi. Tu eri in condizioni disperate e, ormai, avevi preso la voglia di vivere. Così, ti stavi letteralmente lasciando morire. Per recarti nell'aldilà si deve per forza passare in questo corridoio e quando stavi per recarti nell'aldilà e morire definitivamente, lei ti ha raggiunto. Mentre tu combattevi contro la malattia, si è addormentata perché, dopotutto, era solo una bambina ma continuava ad essere preoccupata per te. Ma mentre dormiva è riuscita a raggiungere questo posto e a convincerti a tornare con lei. Nel mondo dei vivi. Così, hai riacquistato la voglia di vivere e ti sei salvato.”

Vegeta rimase in silenzio.

Quella era la seconda volta che Bra lo salvava.

Non solo aveva impedito che si suicidasse, ma l'aveva salvato quando, ormai aveva perso la voglia di vivere.

Era stato grazie a lei se aveva potuto far pace con i suoi figli... Bra aveva fatto così tanto per lui senza nemmeno saperlo...

Ora sapeva che cosa fare!

Tornerò da Echalotte! Le racconterò la verità!” disse il piccolo mentre i suoi genitori sorrisero.

Ad un tratto, un pensiero gli venne in mente.

Mamma, papà...” domandò “Ma Echalotte mi perdonerà per quello che ho fatto?”

Le due anime, dopo un attimo di silenzio, dissero: “E' una cosa che scoprirai da solo, Vegeta.”

Il bambino sospirò.

In fondo si aspettava quella risposta.

Tuttavia, non perse la sua decisione.

L'avrebbe raggiunta, anche in capo al mondo e le avrebbe detto la verità.

Come si fa a tornare nel mondo dei vivi?” domandò e la madre, indicando la luce dietro di lui, disse: “Raggiungi quella luce e poi chiudi gli occhi. Una volta che li avrai chiusi, ti sveglierai.” “Va bene. Ciao mamma, ciao papà. E' stato bello rivedervi. Grazie di tutto.” “Ciao Vegeta. Buona fortuna.” lo salutarono le due anime.

Il bambino cominciò a correre verso la luce, senza smettere di guardare le anime dei suoi genitori.

Quando raggiunse la luce, li guardò per l'ultima volta.

Li sarebbero mancati molto... ma doveva farlo!

Doveva tornare nel mondo dei vivi e parlare con Echalotte!

Voleva ritrovare la sua famiglia!

Voleva cambiare le favole.

Con dolcezza, chiuse gli occhi.


Vegeta aprì gli occhi.

Si sentiva strano...

Si voltò e si accorse che era giorno.

Prese l'orologio sul comodino e sbiancò.

Erano le nove.

Il matrimonio di Trunks era iniziato da un pezzo!

Per un attimo, fu colto dal dubbio: ma doveva farlo? Aveva paura della terribile reazione di sua moglie...

Ad un tratto, sentì di nuovo la stessa strana sensazione che l'aveva colto appena sveglio.

Era una sensazione che gli diceva di andare, di raggiungere sua moglie e di dirle la verità... perché lui lo voleva e, soprattutto, perché voleva ritrovare la sua famiglia... inoltre gli parve di ricordare qualcosa... qualcosa legato a un sogno.

Si alzò dal letto.

Avrebbe dato retta a quella sensazione.

L'ultima volta che l'aveva fatto, ossia quando se n'era andato, era stato male per tanti, troppi, anni...

Stavolta, avrebbe ascoltato il suo cuore per, sperò con tutto sé stesso, ritrovare sua moglie.

La sua amata Echalotte.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Il matrimonio di Trunks ***


CAPITOLO 28: IL MATRIMONIO DI TRUNKS


Lo vedi?” “No, non ancora.”

Vegeta e Tarble se ne stavano vicino alla strada, controllando chi parcheggiava davanti alla chiesa e chi usciva dalle macchine.

Non riesco a capire perché tarda così tanto... manca mezz'ora all'inizio della cerimonia...” disse, agitato, Tarble e Vegeta gli rispose: “Vedrai che arriverà... o almeno lo spero...” “Deve arrivare, me l'ha promesso!” “Che state facendo, voi due?” domandò una voce alle loro spalle.

I due sbiancarono e si voltarono.

Echalotte, vestita in maniera impeccabile, li guardava, appoggiata ad una parete e con le braccia incrociate, in completo silenzio.

Ma niente, mamma... aspettavamo l'arrivo di Mai...” balbettò Tarble ma la donna, avvicinandosi a loro, disse: “Non crediate che caschi alle vostre bugie da strapazzo... lo so che mi state nascondendo qualcosa, lo sento!” “Ecco, diciamo che dovrebbe arrivare una sorpresa per te, mamma... solo che la macchina con la sorpresa non è ancora arrivata.” le disse Vegeta e la donna si limitò a lanciargli una lunga occhiata poco convinta.

Era da giorni che aveva come la sensazione che i suoi familiari le stessero nascondendo qualcosa...

Tutto era cominciato durante i preparativi per il matrimonio di suo nipote... le era sembrato che Bulma e Trunks fossero sempre un po' nervosi quando parlavano con lei, come se temessero qualcosa...

In più, si domandava con chi passasse il tempo sua nipote Bra...

Una settimana fa, Bulma le aveva detto che quel pomeriggio sarebbe andata assieme a Trunks e a Mai, a comprare gli addobbi floreali mentre la piccola Bra sarebbe rimasta a casa con suo padre.

Così, aveva pensato che poteva essere l'occasione migliore per andare a comprare il regalo di nozze ma quando si era recata al centro commerciale aveva visto, con incredulità, suo figlio che faceva la spesa e non c'era alcuna traccia di Bra.

Aveva capito che c'era qualcosa di strano in tutta quella storia ma aveva deciso di far finta di niente e comportarsi come al solito.

Prima o poi, qualcuno avrebbe fatto un passo falso e scoperto tutto.

In più, era da giorni che si sentiva strana...

Aveva come la sensazione che stesse per succedere qualcosa...

Qualcosa che avrebbe cambiato tutto...

Echalotte guardò per un attimo i figli, poi disse: “Va bene, farò finta di credervi, per stavolta. La voglio proprio vedere la sorpresa... comunque, Vegeta, Bra sta parlando con un bambino suo coetaneo.” “COSA?!” urlò Vegeta, dirigendosi come una furia alla ricerca della figlia, mentre Tarble lo seguiva, preoccupato, dicendogli: “Vegeta, ti prego, calmati! Non fare così!”

Era meglio se lo fermava alla svelta altrimenti quel giorno, invece di un matrimonio, si sarebbe celebrato un funerale!

Finalmente, Vegeta individuò sua figlia che stava parlando con un altro bambino della sua età.

L'uomo si accorse che era Yamcha, il figlio dell'ex di sua moglie, morto tre anni prima a causa di un idiota ubriaco che l'aveva investito.

In ogni caso, quel moccioso, se voleva campare doveva stare alla larga da sua figlia!

Ti prego, Vegeta, non farlo! Sono solo dei bambini...” lo pregò Tarble, prendendolo per il braccio, ma Vegeta ribatté: “Fra qualche anno saranno grandi!” “Andiamo, non fare così...”

Nel frattempo, la piccola Bra stava parlando tranquillamente col bambino.

Quando lei e la sua famiglia andavano a trovare Yamcha e sua madre cercava sempre di giocare con lui ma, purtroppo, era troppo timido nei confronti delle bambine.

Forse, se si fosse lasciato un po' andare...

Ad un tratto, sentì degli strani rumori provenire dietro di lei.

Si girò e vide suo padre trattenuto a fatica da suo zio.

Evidentemente, non gli piaceva molto che parlasse con Yamcha...

Si girò per continuare il discorso ma si accorse che il bambino era sparito.

Succedeva sempre così, alla sua prima distrazione, scappava a gambe levate e si nascondeva nei luoghi più impensabili.

Una volta che era andata, assieme alla sua famiglia, a una festa a casa di quel vecchio con gli occhiali da sole che lasciava sempre in giro strane riviste di donne che erano nude ma che, stranamente, non stavano facendo il bagno, perché lo facessero, poi, non riusciva proprio a capirlo, lei quand'era nuda prima di farsi il bagno sentiva freddo e non capiva come quelle donne potessero sopportarlo, misteri dei grandi, e Yamcha si era nascosto nel posto doveva vivevano le tartarughe del vecchio sporcaccione, come lo chiamava la mamma, un altro assoluto mistero, perché quell'uomo sporco non lo era affatto.

Comunque, si mise tranquillamente alla ricerca di Yamcha.

Adorava giocare a nascondino, e grazie alle lunghe ore trascorre a cercarlo nei nascondigli più impensabili, era diventata una vera campionessa a trovare i vari bambini nascosti.

Mentre camminava, si avvicinò al parco dove Pan, col suo vestitino da festa, stava giocando a rincorrersi con un gruppo di bambini.

Bra restò senza parole.

La parte bassa del vestito era tutta sporca di terra, Pan, come al solito, non ci era stata affatto attenta.

Lei, invece, aveva ancora il suo bel vestitino pulito, non solo perché era il matrimonio del suo fratellone e ci teneva a fare bella figura, ma perché il solo pensiero di rovinare il suo bel vestito la faceva rabbrividire.

Peccato che alla sua amica non importasse affatto...

Sarebbe stata, di sicuro, una delle bambine più carine dell'asilo se non avesse avuto comportamenti così maschiacci...

Ehi, Bra! Perché non vieni a giocare con noi?” la chiamò Pan ma Bra, per niente intenzionata a sporcarsi, disse: “No, grazie...” “Potresti fare la principessa prigioniera dietro allo steccato che ci incita a combattere per salvarti.” le propose l'amica, avendo capito che l'amica non voleva sporcarsi il vestito, e la bimba immediatamente accettò.

Avanti, uomini! Dobbiamo superare i tremendi pericoli di questo parco per poter salvare la nostra principessa!” l'incitò Pan e gli altri bambini la seguirono divertiti.

Il gruppo conquistò il castello dello scivolo, poi affrontarono l'enigma dell'altalena e altri giochi.

I bambini che ci davano dentro col gioco erano Pan, ovviamente, e un bambino biondo e gli occhi azzurri che Bra non aveva mai visto prima.

Finalmente, Pan e il gruppo arrivarono allo steccato e Pan, dopo aver combattuto con un terribile guerriero invisibile, si avvicinò a Bra e le disse: “Siete salva, mia principessa. Premiate l'uomo più coraggioso.”

Bra diede un'occhiata al gruppo di bambini e, ad un tratto, si accorse che dietro alla castello si vedeva un'ombra.

Sorridendo, fece un segno a Pan di avvicinarsi e le sussurrò qualcosa nell'orecchio.

Pan, ridacchiando, si diresse in punta di piedi vicino al castello e, una volta lì, gridò: “BU!” “AAAHHH!!!” fece una voce, terrorizzata.

Un bambino con i capelli neri uscì terrorizzato dal suo nascondiglio.

Bra ridacchiò divertita.

Ecco dove si era cacciato Yamcha...

Ehi, Yamcha, perché non vieni a giocare anche tu?” lo chiamò la bambina con i capelli turchini e il bambino, imbarazzato, balbettò: “M-ma io... io...” “Su, non fare il timido. C'è posto per tutti.” gli disse, allegramente, Pan e una voce dietro di lei disse: “Quindi c'è posto anche per me?”

Pan alzò la testa e, sorridendo, riconobbe il suo amato nonnino, col suo solito sorriso sulle labbra, anche se era vestito in maniera molto elegante, cosa che, tra parentesi, gli stava proprio male, come a lei stava male indossare il vestito pieno di fiocchi e trine che la nonna le aveva fatto indossare per l'occasione.

Certo, nonnino.” affermò la bambina e Goku con un grosso sorriso sulle labbra, raggiunse la nipote e i suoi compagni, gridando: “Aspettami, Peter Pan! Arrivo!”

Il gruppo continuò a giocare tranquillo finché un'acuta voce femminile, non urlò: “GOKU!!!!”

L'uomo e la nipote si voltarono e videro una signora vestita elegantemente e con i capelli neri raccolti, raggiungerli furente.

Ehm... cosa c'è, Chichi?” domandò, preoccupato, Goku e la donna, adirata, gli disse: “Guarda come siete conciati tu e Pan! Vi sembra il modo di presentarvi per un matrimonio?!” “Mi dispiace, Chichi... ma a me e a Pan non piace vestirci in maniera così elegante...” tentò di giustificarti l'uomo, continuando a spostare la cravatta.

La moglie se ne accorse e urlò: “Cosa diavolo fai con quella cravatta?!” “Mi da' fastidio...” “Piantala con queste assurdità! Fila subito in chiesa che la sposa è già arrivata! Inoltre, smettila di chiamare Pan con un nome tanto assurdo!” “Vuoi dire Peter Pan? Ma a lei piace...” “E' una signorina! Non puoi chiamare una signorina con un nome da maschio...!”

Mentre i due continuavano a parlare, Bra si ricordò che doveva correre subito in chiesa, dato che era la damigella.

Mentre l'amica correva in chiesa seguita da Yamcha, Pan salutò i suoi nuovi amici.

Il bambino biondo si avvicinò a lei e le domandò: “Tornerai ancora qui? E' bello giocare con te, Peter Pan.” “Grazie, lo farò senz'altro.” “Io vengo qui a giocare tutte le domeniche.” “Allora lo farò anch'io... come ti chiami?” “Bish. Chiamami Bish.” si presentò il bambino e, mentre la nonna la prendeva per una mano per condurla in chiesa, gli promise: “Domenica prossima ci sarò, Bish. Così finiremo la nostra avventura!”


Silenzio.

Il parco era immerso nel più grande silenzio.

L'uomo si camminava in completo silenzio, circondato da tanta neve bianca.

Si sedette su una panchina e cominciò a riflettere.

Come doveva comportarsi con Echalotte?

Non poteva mica raggiungerla come se niente fosse e dire: “Tesoro, sono a casa.”

Doveva trovare un modo...

Presentarsi davanti a tutti era imbarazzante, e poi, ormai, il matrimonio era finito... forse, avrebbe dovuto recarsi a casa sua...

Però, in ogni caso, cosa doveva dirle?

Come doveva presentarsi dopo essersene andato così su due piedi?

Era così terribilmente confuso...


VIVA GLI SPOSI!!” “CONGRATULAZIONI!!”

Le urla di gioia si sentivano dappertutto.

Trunks e Mai si muovevano felici e sereni, tra la gioia e il riso che i loro amici li lanciavano.

Erano innamorati pazzi l'uno dell'altra e fra qualche mese sarebbe nato il loro bambino...

Bra guardava con gioia i due novelli sposi.

Era così felice che il fratellone e la sorellona si fossero sposati... e presto si sarebbe occupata del loro bambino come una sorella maggiore.

Il mazzo che la sorellona teneva tra le braccia era bellissimo, pieno zeppo di splendidi gigli bianchi, suo nonno le aveva raccontato che il giglio rappresentava la purezza e la nobiltà d'animo, nato da una goccia di latte caduta da Giunone, moglie di Giove, il dio romano che comandava su tutti, mentre allattava il piccolo Ercole, emblema di perfetta purezza e candore ma anche segno di nobiltà d'animo e fierezza, proprio come la sua sorellona.

Inoltre, il giglio faceva diventare ogni donna, soprattutto le spose, delle regine.

Ad un tratto, Mai lo lanciò.

Bra rimase senza parole.

Ma perché lo lanciava?! Era così bello... lei, quando si sarebbe sposata, non l'avrebbe mai fatto...

Il mazzo per un po', poi due mani delicate lo presero al volo.

Valese guardò con stupore quel mazzo.

Lei non aveva alcuna intenzione di prenderlo.

Non voleva certo farsi notare in quel matrimonio... non ce non le piacessero, anzi.

Era venuta alla celebrazione solo perché Goten aveva tanto insistito, dicendole di volerle farle conoscere i suoi amici.

Semplicemente, il mazzo le era proprio arrivato davanti e lei, per istinto, aveva allungato le mani.

Arrossì imbarazzata, soprattutto quando Goku, il padre di Goten, un tipo simpatico ed esuberante, applaudì e disse: “Caspita, i miei complimenti! Ottima presa!” “G-grazie...” sussurrò Valese, cercando di nascondersi dietro al mazzo.

Bulma, la madre di Trunks, il migliore amico di Goten e lo sposo, un tipo molto pepe, disse: “Ma allora sei tu la prossima che si sposa. Congratulazioni.” “B-beh...” “Se tu sei la sposa, scommetto che il sposo sarà Goten.”

Immediatamente, Goten e Valese divennero rossi come peperoni mentre Chichi, la madre di Goten, un tipo decisamente all'antica, urlò: “COOOOSA?!?!?!”

La donna si avvicinò alla giovane coppia, furente e avvisò, puntando il dito contro Goten: “Se speri che ti dia il permesso di sposarti, signorino, caschi male! E guai a te se scopro che voi due siete diventati troppo intimi!” “M-ma mamma... cosa dici?!” tentò di calmarla Goten ma Chichi non ne voleva sapere: “Mi ha sentita benissimo! Dovrai finire la scuola e trovarti un lavoro decente, prima che ti conceda il matrimonio!” “Suvvia...” “Niente suvvia, Goten! E se scopro che avete passato la notte insieme...”

Alla fine, fu Bulma, tra mille difficoltà, a convincerla a calmarsi, anche perché il pranzo era pronto.

Come al solito, Goku, Vegeta, Trunks, Goten e i loro relativi parenti razzolarono tutto quello che c'era in pochi minuti, tra lo sgomento generale degli altri invitati.

Una volta che ebbero tutti finito, Bulma si voltò verso Vegeta e lo vide guardare fuori dalla finestra con ansia.

Sapeva già cosa stava cercando: sperava di vedere suo padre che voleva dire la verità a sua madre sul suo abbandono...

Lo prese per una mano e sussurrò: “Vedrai che arriverà...” “Ormai è inutile, Bulma... per un attimo... mi sono illuso che lui arrivasse...” fu la risposta del marito.

Bulma rimase in silenzio un attimo, poi prese la sua borsa e la mise sul tavolo.

Cosa succede, Bulma?” le domandò Goku, mentre mangiava una coscia di pollo, con Chichi, imbarazzata, che gli diceva: “Goku, non si parla con la bocca piena!”

Bulma aprì la borsa e mostrò a tutti le sette sfere che aveva raccolto.

Ho trovato questa leggenda su internet un po' di tempo fa...” cominciò a raccontare la donna “Si riuniscono sette sfere e poi si esprime, mentalmente, un desiderio. Il desiderio espresso da più persone si avverrà.” “Urca, che storia incredibile! Facciamolo!” “Goku...” “Andiamo, Chichi. Sarà interessante. E, poi, pensa se magari apparisse un genio.” “Perché non ci metti un drago, già che ci sei?” fu la domanda di Vegeta.

Bulma tolse le sfere dalla borsa e le mise al centro del tavolo.

Tutti si avvicinarono e pensarono al proprio desiderio.

Ma vi fu un desiderio in comune per alcune persone.

Che due cuori innamorati e distanti, potessero ritrovarsi.


L'uomo continuava a girare in tondo per il parco.

Forse, aveva trovato il modo per potersi ripresentare a sua moglie.

Si sarebbe recato a casa loro, ad aspettarla per la fine della cerimonia.

Già immaginava che Echalotte gli avrebbe fatto una scenata, ma avrebbe aspettato davanti alla porta di casa finché lei non l'avrebbe ascoltato, anche per tutta la notte se fosse stato necessario!

Echalotte, da come ricordava lui, era fatta così: faceva sempre la dura ma, in fondo al cuore, era dolce e sensibile.

Sperò solo che il suo abbandono non l'avesse cambiata...

Si appoggiò ad una quercia e si mise a guardare il parco deserto e innevato.

Dopotutto, col freddo che c'era, la maggior parte delle famiglie preferiva starsene al calduccio in casa propria, infischiandosene del fatto che proprio quell'aria fredda faceva bene alla salute.

Solo lui ed Echalotte lo sapevano...


La donna dai capelli neri spingeva senza alcun problema la carrozzina dove c'era un bambino di soli sette mesi.

La giovane donna si girò verso il marito, che procedeva con passo lento e seccato, e gli urlò: “Beh, ti muovi? Guarda che ti lasciamo indietro.” “Bah...” fu la risposta dell'uomo, anche se, di nascosto, accelerò il passo, in quanto sapeva che Echalotte non scherzava affatto.

La donna si voltò verso di lui e disse, ridacchiando: “Se penso che sette mesi fa non portavi la barba...” “E che dovevo fare? Quel moccioso mi assomiglia come una goccia d'acqua! Anche se abbiamo il colore dei capelli diversi, dovevamo differenziarci subito! Non ho alcuna intenzione di essere scambiato per lui quando diventerà grande!”

Echalotte fece fatica a trattenere una risata mentre, al contrario, Vegeta guardava da un'altra parte, imbarazzato.

Comunque...” continuò la donna “La barba ti sta bene, anche se così sembri molto più vecchio...” “Molto spiritosa, Echalotte. Davvero molto spiritosa.” fu la risposta del marito, mentre diventava rosso come un peperone.

Echalotte continuò a ridere, finché non si sentì la voce del bambino: “Mamma.” “Bravo Vegeta. Io sono la mamma e questo brontolone è papà.”

Il piccolo rimase in silenzio.

Che strano.” notò Echalotte “Mamma lo dice sempre ma papà no... mi domando perché...” “Ma secondo te so cosa passa nella mente dei marmocchi di sette mesi?”

I due continuarono a camminare in completo silenzio, finché, ad un tratto, Vegeta si sedette su una panchina e disse: “Io mi fermo qui. Tu va pure avanti.” “Come vuoi, Vegeta. Vorrai che noi due prenderemo molta più aria buona rispetto a noi.” “Pensa quello che vuoi. Io mi fermo.”

Echalotte ridacchiò divertita, poi, sempre spingendo la carrozzina, si allontanò.

Il vento gelido le accarezza i capelli e le guance ma a lei non dava per niente fastidio, anzi.

Era felice.

Il suo matrimonio con Vegeta stava andando alla grande e il loro piccolo Vegeta era un bel bambino sano, anche se un po' troppo vivace...

Madre e figlio continuarono a camminare per un po', finché non arrivarono davanti al lago del parco.

Ad un tratto vide una sagoma appoggiata ad una quercia davanti al lago.

Non le ci volle molto per riconoscere suo marito.

Anche se non ne aveva mezza voglia, li aveva preceduti.

Si avvicinò a lui e domandò: “Ma non avevi detto che ti fermavi?” “Ci ho ripensato. Se si fosse rotta una ruota della carrozzina ce l'avresti avuta a morte con me per l'eternità.” fu la risposta del marito.

Echalotte sorrise: sapeva che, in realtà, suo marito era preoccupato per lei e per il bambino solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo.

Ehi...” disse ad un tratto “Che ne dici se un giorno dessimo un fratellino o una sorellina a Vegeta?” “Stai scherzando, vero?” le domandò, agitato, il marito, voltandosi a guardarla “Devo ancora abituarmi all'idea di essermi sposato e di aver avuto un figlio...” “Almeno ci penserai?” “Magari ci penserò...” le disse Vegeta, mentre in cuor suo pensava: ...O magari no...

Echalotte ridacchiò, divertita.

Suo marito faceva tanto il duro irascibile ma al suo primo ordine, esaudiva tutti i suoi desideri, anche quelli più assurdi.

Era solo questione di tempo... fra qualche anno, Vegeta avrebbe avuto un fratello o una sorella con cui giocare.

Si avvicinò al corpo di suo marito e rimasero immobili a guardare il lago.

Ad un tratto, la donna sentì delle lunghe dita accarezzarle dolcemente il corpo.

Anche se non si girava sapeva benissimo che era suo marito.

Chiuse gli occhi, facendosi cullare dal morbido tocco di Vegeta e dall'amore che provava per lui...


Mentre si faceva cullare dal dolce sapore dei ricordi, l'uomo sentì qualcosa toccargli il piede.

Guardò per terra e rimase stupito nel vedere una sfera arancione con incise quattro stelle.

Rimase incredulo nel riconoscere in quella palla la sfera portafortuna di Bardack.

L'aveva vista così tante volte quando si recava a casa sua ma non riusciva proprio a spiegarsi come mai si trovasse in quel posto.

Bardack ci era affezionato da sempre, era l'ultimo ricordo di suo padre, e non riusciva proprio a capire come diavolo facesse a trovarsi lì, in quanto Bardack avrebbe preferito di gran lunga crepare sotto atroci sofferenze che perdere quella sfera.

Si voltò per vedere se c'era qualcun altro nei paraggi, che gli spiegasse come era finita la sfera del suo migliore amico in quel parco innevato, e fu allora che la vide.

Il vento gelido le muoveva i capelli neri e il suo sguardo era incredulo e confuso.

Non si aspettava di certo che fosse lì, come non se l'aspettava lui.

Aveva passato tutta la mattina a pensare a come comportarsi se si fosse imbattuto in lei ma ora che era successo, non sapeva più come comportarsi.

Dopotutto, non si aspettava di certo di rivederla così, all'improvviso.

Si concentrò sul suo viso.

Nonostante fossero passati tanti anni dall'ultima volta che l'aveva vista, non era affatto cambiata.

Era rimasta giovane e bella come sempre.

Aveva troppa paura di muoversi, temendo che essa sparisse nel nulla...

Così, rimase immobile mentre il vento rumoroso muoveva a lui e a sua moglie i capelli.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Ritrovarsi davvero ***


CAPITOLO 29: RITROVARSI DAVVERO


Fu lei la prima a muoversi.

Si voltò di scatto, allontanandosi da lui.

Vedendola andarsene, sussurrò: “Echalotte...”

Lei non si fermò, continuò a camminare.

ECHALOTTE!!!” le urlò, disperato.

Le sue gambe si mossero da sole e il suo braccio afferrò quello della moglie.

Lei si voltò e il suo sguardo fece restare sconvolto l'uomo.

Era uno sguardo furibondo e arrabbiato.

Lui tremò.

Quello sguardo muto e adirato lo stava accusato della sua fuga, di averla abbandonata da sola con dei bambini e, soprattutto, di averla tradita.

Di aver tradito il suo amore.

Nonostante il silenzio, quello sguardo d'odio puro gli faceva più male di tutte le urla del mondo.

Sua moglie lo odiava.

Avrebbe voluto che lui non fosse mai riapparso nella sua vita.

Abbassò lo sguardo, non trovando la forza per opporsi a quell'odio.

Lasciami.” sibilò, ad un tratto, Echalotte e lui obbedì.

Non se la sentiva di bloccarla...

Lei si girò e se ne andò.

Una volta che fu sparita, l'uomo si diresse verso la più vicina panchina e si sedette pesantemente su di essa.

Non l'aveva neanche voluto ascoltare... non poteva fare niente contro il suo odio...

Mise le mani sulla faccia.

Quel suo sguardo... gli aveva lacerato quel poco della sua anima ancora intatto... aveva visto in quello sguardo tutto il dolore che aveva vissuto per anni per colpa sua... e l'odio che provava per lui...

Non poteva niente... per un attimo... si era illuso che potesse riappacificarsi con sua moglie e cambiare le favole...


Tarble si guardò intorno, dubbioso.

Non trovava un buon posto dove mettere quella sfera dalle sette stelle.

Tarble...” sussurrò una voce alle sue spalle.

Si voltò e la riconobbe subito.

Gure era lì, a pochi passi da lui.

Lui sorrise e la salutò.

Lei era il raggio di sole caldo di quella giornata così fredda.

La ragazza, timidamente, si avvicinò a lui e disse, tutta rossa: “E' bello vederti...” “Anch'io sono contento di rivederti... mi sei mancata così tanto...” “Se penso che sono costretta a nascondere i miei sentimenti d'amore per te nonostante ci amiamo entrambi...” “Non abbiamo altra scelta... finché non sarai maggiorenne non possiamo fare niente se non nasconderlo...” “Ho paura.” “Paura di che cosa?” “Ho paura di dimenticarmi di te e di innamorarmi di un altro... è un incubo che da giorni mi perseguita! Sono agitata al pensiero che succeda... tu... tu non meriteresti una sofferenza del genere! Non so più cosa fare...” “Gure...”

Lei alzò lo sguardo e i loro occhi neri si fusero.

Sono contento che tu mi abbia raccontato cosa provi.” disse lui “Tu sei una ragazza innamorata ed è normale che tu provi questa paura.” “Ma Tarble... cosa succederebbe se m'innamorassi davvero di un altro?!” “A me, l'unica cosa che conta è che tu sia felice. Accetterò qualsiasi cosa pur di farti felice. Qualsiasi cosa accada, io ti aspetterò. Sempre.”

Lei sorrise anche se in cuor suo era presa ancora dai dubbi.

Temeva di poter infrangere quella promessa da un momento all'altro... e non avrebbe mai tollerato che Tarble stesse male per causa sua!

Il giovane, tuttavia, capì i suoi pensieri dallo sguardo e, d'istinto, le mostrò la sfera che aveva in mano.

Che cos'è?” domandò Gure, incuriosita, e il giovane rispose: “Una sfera magica. Grazie ad essa, tutti i desideri si avverano. Non solo ci permetterà di ritrovarci ma farà in modo che il nostro amore non si spenga mai.”

La ragazza sorrise timidamente poi, prese la sfera dalle mani dell'amato e se l'appoggiò al cuore.


Direi che il gioco ha funzionato bene...” “Già...”

Bulma sospirò.

Suo marito, per tutta la durata del ricevimento non aveva smesso di guardare fuori dalla finestra, sperando che suo padre arrivasse ma non era servito a niente e i due sposi erano partiti per il viaggio di nozze, e con loro gran parte degli invitati.

Bulma vide Echalotte avvicinarsi a loro e dire: “Io devo andare...” “Certo.” “Mamma...” fece Vegeta.

Bulma sapeva che il marito voleva raccontare alla madre del padre, tornato all'improvviso nelle loro vite.

Tuttavia, spostò lo sguardo e sussurrò: “Niente.” “Capisco. Ci vediamo.” “A presto, mamma.” “Comunque... è stata davvero indimenticabile la vostra sorpresa...”


Faceva sempre più freddo e il vento gelido non smetteva di ululare minaccioso.

Tuttavia, non voleva andarsene.

Dentro di sé si sentiva a pezzi... non era riuscito a parlare ad Echalotte ma la cosa che più lo tormentava era che Echalotte non aveva neanche voluto ascoltarlo.

Dopotutto, come poteva darle torto?!

L'aveva abbandonata senza nemmeno spiegarsi...

Se lo meritava, eccome, il risentimento di sua moglie...

Guardò la sfera portafortuna di Bardack.

Aveva sempre invidiato il suo amico... lui era quello che lo superava sempre... quello più coraggioso di lui... più felice di lui...

Lui, fin da quando era piccolo, era cresciuto con una famiglia che l'aveva sempre amato... quando viveva nella Casa degli Scarti l'aveva scorto più di una volta con suo padre... così felici... mentre il suo padre biologico era solo un mostro che aveva abusato della sua mamma...

Il marito di sua madre, si era avvicinato, e molto, a quello di Bardack ma era morto per colpa sua...

Di nascosto, osservava i due di nascosto, sognando che quelle carezze, quelle parole fossero per lui...

Una volta, Bardack si era accorto di lui che l'osservava dalla finestra della sua camera in istituto e l'aveva salutato con la mano ma lui aveva voltato la testa.

Poi se n'era andato dalla Casa degli Scarti e l'aveva ritrovato, per puro caso, nella palestra dove aveva cominciato a lavorare per guadagnarsi i soldi per una moto, il suo sogno più realizzabile e anche nel appartamento vicino al suo.

All'inizio, Bardack gli aveva rotto le scatole fino all'inverosimile ma, alla fine, aveva ceduto e aveva trovato la cosa che non aveva mai avuto persino quando c'erano i suoi genitori.

Un amico.

Erano diventati inseparabili e Bardack l'aveva aiutato in così tante occasioni, persino quando aveva deciso di abbandonare la sua famiglia a causa della disperazione di non aver detto la verità.

Non era stato pienamente d'accordo, ma sapeva che il suo amico non ce la faceva più, quindi avevano deciso di tenersi in contatto.

La sfera, a causa del forte vento, rotolò fino a lui e la prese in mano.

La guardò e sperò, con tutto sé stesso, di trovare anche lui lo stesso amore e la stessa fortuna che aveva avuto Bardack.

Ad un tratto, sentì un rumore dietro di sé.

Si voltò e rimase incredulo quando rivide Echalotte appoggiata ad un albero.

Era confuso... non riusciva a capire...

Da quanto tempo era lì?! Ma, soprattutto, perché era lì?!

Credeva che lei non avesse più intenzione di rivederlo...

La donna fece un segno al marito e disse: “Seguimi.”

L'uomo si alzò dalla panchina e seguì la moglie in silenzio.

Lei continuò a camminare, veloce e senza voltarsi, finché non arrivarono ad una macchina che l'uomo intuì appartenere alla moglie.

Sali in macchina.” fece Echalotte mentre entrava al suo interno e il marito sussurrò: “Echalotte...” “Sali in macchina!” l'interruppe, adirata, la donna.

Vegeta le obbedì e una volta dentro, Echalotte mise in moto la macchina e partirono.

Il marito osservò in silenzio il paesaggio che cambiava.

Era inquieto.

Per quale motivo sua moglie era tornata al parco e gli aveva ordinato di seguirla?

Dove lo stava portando?!

Aveva così paura...

Strinse con forza la sfera che non aveva mai smesso di tenere in mano e sperò che sua moglie potesse ascoltarlo, prima di ucciderlo.


Goten osservava in silenzio sua madre mentre chiacchierava a tutto gas con Bulma.

Come cavolo facesse ad avere tutte quelle energie anche se erano solo undici, non ne aveva la più pallida idea.

Ti vedo pensieroso, Goten.” disse all'improvviso una voce maschile che lui conosceva benissimo.

E' tutto a posto, Gohan.” rispose il ragazzo ma l'uomo rispose: “Goten, sei mio fratello. Capisco quando c'è qualcosa che ti frulla in testa.” “La verità è che io mi sto annoiando e voglio tornarmene a casa...” “Sicuro che sia solo questo?”

Goten sospirò.

Suo fratello capiva sempre tutto quello che gli passava per la testa...

Il fatto è che... vorrei passare del tempo, da solo, con Valese.” rivelò il ragazzo, amareggiato “Ma la mamma non vuole... credo che pensi che faccia cose stupide...” “Lei è fatta così, non pensarci... comunque, Goten, mi sembra che la mamma, in questo momento, sia più impegnata a chiacchierare a tutto gas con Bulma che a prestarti attenzione...” gli fece notare Gohan.

Goten sgranò gli occhi, incredulo.

Era vero, sua madre era troppo impegnata a chiacchierare per prestargli attenzione... poteva sparire per un attimo assieme a Valese...

Grazie, Gohan. Ti devo un favore.” esclamò, contento, il ragazzo, alzandosi e il fratello rispose: “Divertitevi e fate attenzione.” “Tranquillo.”

Il giovane si avvicinò a Valese e le prese una mano.

La ragazza si voltò e Goten le sussurrò: “Che ne dici se andiamo un attimo fuori? Tanto mia madre è distratta...” “O-ok...” balbettò la ragazza, dubbiosa ma allo stesso tempo eccitata per quell'inaspettata avventura notturna assieme a Goten.

I due uscirono in punta di piedi dal locale e si misero ad osservare in silenzio, la grande luna piena dai colori dell'oro e le stelle luminose.

E' bellissimo...” commentò Valese e Goten, mentre le passava il braccio attorno alla vita, sussurrò: “Ma tu sei ancora più bella...”


Era tornato in quella che un tempo era casa sua.

Ecco qual'era stata la loro destinazione.

Sua moglie fermò la macchina e scese dall'auto.

L'uomo restò seduto immobile, indeciso sul da farsi.

Per tutta la durata del viaggio, in macchina tra lui e sua moglie c'era stato un silenzio gelido, tuttavia, aveva capito benissimo che lei era infuriata con lui per averla abbandonata senza darle alcuna spiegazione tanti anni fa.

Tuttavia, aveva deciso di non essere mai più in codardo... e lo avrebbe dimostrato proprio alla sua Echalotte.

Aprì la portiera della macchina e, una volta uscito, si diresse verso di lei.

Lei era appoggiata ad un albero, con le braccia incrociate, aspettandolo in silenzio nel gelido buio di quella notte invernale.

Si avvicinò a lei, in silenzio.

Per un attimo, i due si osservarono in silenzio, poi Echalotte disse: “Sai, Vegeta, non mi sarei mai aspettata di rivederti dopo tutti questi anni.” “Nemmeno io, fino a tre giorni fa... però... prima che io esca di nuovo dalla tua vita, se lo vorrai, dovevo rivelarti una cosa.” “E cosa?”

L'uomo fece un sospiro poi, veloce come il lampo, s'inginocchiò davanti a lei e le disse: “Echalotte, io... io ti ho mentito!”

La donna rimase impassibile e il marito continuò: “Il malore che mi ha colpito quella volta al lavoro... non era dovuto a un calo di zuccheri... in realtà, avevo una grave malattia ai reni! Non sono riuscito a dirti la verità! Ho avuto troppa paura! Tre volte alla settimana dovevo sparire per farmi la dialisi, in modo da allungarmi la vita! Così, la gente ha cominciato a dire che io ti tradivo e io non potevo dire la verità perché, altrimenti, avrei dovuto ammettere che ti avevo detto una bugia! E alla fine me ne sono andato perché non ce la facevo più!”

L'uomo continuò a mantenere lo sguardo basso mentre calde lacrime gli uscivano dagli occhi e scioglievano la neve sotto di lui.

Ad un tratto, disse: “Non voglio il perdono, perché so che non lo merito. Fammi tutto quello che vuoi. Puoi insultarmi, picchiarmi o mandarmi via per sempre. Non farò una piega perché so che lo merito.”

Per un attimo, tra i due si sentì solo il silenzio, poi l'uomo la sentì camminare verso di lui.

Si fermò davanti a lui e inginocchiandosi, sibilò: “Guardami negli occhi.”

Lui obbedì prontamente e i loro occhi neri si fusero.

Posso farti tutto quello che voglio?” domandò lei, senza smettere di guardarlo, e lui annuì: “Sì. Tutto.” “Bene.”

L'uomo chiuse gli occhi, aspettando tutto l'odio e il rancore di sua moglie ma quello che accadde lo lasciò spiazzato.

Infatti, la donna lo baciò.

Lui la guardò, incredulo.

Tra tutte le cose che Echalotte poteva fargli, quella era l'ultima che si sarebbe mai aspettata.

Ad un tratto, si accorse che dagli occhi chiusi della moglie, stavano uscendo delle grosse lacrime.

Senza più alcuna esitazione, il marito l'abbracciò e rispose al suo bacio.


Allora, ti piace questa stanza, Mai?” “Moltissimo, Trunks...”

La ragazza stava guardando, affascinata, la stanza dell'albergo dove lei e Trunks avevano prenotato per la notte.

Ne sono contento... sai, volevo che la nostra stanza fosse perfetta per la nostra prima notte di nozze.” confessò Trunks mentre si metteva il pigiama e la sua giovane moglie, mentre guardava fuori dalla finestra, domandò: “Ancora non mi hai detto dove andiamo per il viaggio di nozze.” “In un'isola deserta nell'oceano.” “Eh?!” “Ha organizzato tutto mia madre. Ha detto che per una giovane coppia appena sposata la tranquillità è l'unica cosa di cui hanno bisogno... e, poi, ha te è sempre piaciuto il mare.” “Trunks... è fantastico...” “Pensa che è stato mio padre a offrircela.” “Tuo padre?!” “Certo. Ha detto che, ormai che era in barca tanto valeva remare... così ha pagato lui il viaggio e la vacanza.” “Incredibile...” “Lo so. Ma ormai lo conosco e so che fa sempre così... comunque, è meglio se andiamo a letto. Domani dobbiamo alzarci presto per raggiungere l'aeroporto.” “Ok.”

La giovane s'infilò sotto le coperte e Trunks spense la luce.

Ad un tratto, tuttavia, Mai cominciò a strattonare il marito e lui domandò: “Cosa succede, Mai?” “Il bambino si sta muovendo.” “Cosa?! Davvero?! Voglio sentirlo!”

Si avvicinò alla moglie e mise il suo orecchio sulla pancia della ragazza.

Sentì il piccolo muoversi nel grembo della madre con vivacità.

Era una sensazione così stupenda, meravigliosa, unica!

Avrebbe tanto voluto accarezzarlo quel piccolo così vivace che l'aveva già conquistato.

Sento che questo piccoletto sarà un po' troppo vivace.” rise Trunks e Mai disse: “E' sempre stato così... credo che ci darà molto da fare.” “Vorrà dire che lo terremo d'occhio... però credo che papà sarà felice di sapere che il suo nipotino ha già un bel carattere.”

Trunks, poi, avvicinò la bocca alla pancia e disse: “Ciao, piccolino. Sono il tuo papà.”

Aveva appena detto quelle parole, che gli parve di sentire un colpo.

Mi ha risposto!” annunciò, emozionato, il ragazzo.

Il suo bambino gli aveva risposto.

Il bambino suo e di Mai.


La baciò dolcemente sulle labbra prima di stendersi al suo fianco.

Echalotte si sentì, dopo tanto tempo, completamente felice.

Suo marito era tornato da lei ma la cosa più bella era sapere che lui non se n'era mai andato per un'altra donna, anche se il fatto che le avesse mentito non la riempiva di gioia... ma aveva deciso di lasciar perdere.

Inoltre, il suo Vegeta aveva sofferto tremendamente in tutti quegli anni proprio a causa di quella bugia.

Si voltò verso di lui e disse: “Considerando che è da un pezzo che non lo facciamo, direi che sei stato davvero niente male.” “Come sarebbe a dire che sono stato solo niente male?!” protestò lui, adirato, voltandosi a guardarla.

Lei ridacchiò.

Come al solito, bastava davvero poco per far arrabbiare Vegeta.

Su questo non era proprio cambiato.

L'uomo si mise davanti a lei e le disse: “Se proprio ci tieni, lo rifaccio, così vedremo se sarò ancora niente male!” “Lascia perdere, scherzavo. Sei stato bravo, lo ammetto.” “Ecco, brava, ammettilo.”

L'uomo si sdraiò di nuovo di fianco a lei si mise a fissarlo in silenzio.

Anche se era buio pesto, vedeva la sagoma della sua schiena nuda.

Non ricordava bene com'era andata e come lei e suo marito fossero finiti lì...

Ricordava solo che i suoi baci travolgenti e, ad un tratto, si erano ritrovati nella loro stanza, nel loro letto, entrambi rossi e sudati...

Era da tanto che non lo facevano, come era da tanto che non lo vedeva di nuovo di fianco a sé nel loro letto... aveva paura che, da un momento all'altro, sparisse perché lui non era stato altro che un'illusione...

La smetti di fissarmi?” le domandò, ad un tratto “Lo so che mi stai fissando.” “Ti do' fastidio?” “Non immagini quanto, bambolina.” “La smetti di darmi quel ridicolo soprannome?! Lo sai che non mi è mai piaciuto!” “Lo so... ma sei proprio sicura che in tutti questi anni non ti sia un po' mancato?” “E va bene, lo ammetto... mi è mancato... proprio come mi sei mancato tu...”

Per un attimo, si sentì solo il silenzio, poi suo marito si voltò a guardarla e ammise: “Anche tu mi sei mancata...”

Nel buio della stanza, le prese, con delicatezza, la mano sinistra e ad un tratto, sussultò.

L'aveva sentita.

Aveva sentito la fede che sua moglie teneva all'anulare.

Nonostante il suo abbandono... lei non solo l'aveva conservata ma la teneva ancora al dito come dal giorno in cui si erano sposati.

La donna, capendo cosa stava provando il marito, rivelò: “Non ho mai smesso di portarla... dov'è la tua fede, Vegeta? Non la sento da nessuna parte...”

Dopo un secondo di silenzio, l'uomo ammise: “Mi vergognavo troppo a portarla... dopo tutto quello che ti avevo fatto... così l'ho tolta...” “Dov'è?” “Nella tasca della mia giacca... a parte quando mi hanno portato in ospedale, la tenevano sempre con me, non riuscivo a stare lontano... in un certo senso, anch'io non ho mai smesso di portarla...” “Dammela.”

Lui accese la luce sul comodino e, poi, allungò la mano sul pavimento per prendere la giacca e da una tasca interna tirò fuori una scatolina blu.

L'aprì, rivelando la presenza di un anello nuziale che passò alla moglie.

Lei lo prese e, poi, prese la mano del marito e gliela mise all'anulare sinistra, dicendogli: “Questo è il suo posto... non toglierla mai più, Vegeta.”

Lui l'abbracciò e sussurrò: “Grazie, Echalotte...”

Tuttavia, gli sembrò che sua moglie fosse inquieta, quindi domandò: “Cosa c'è?” “Ho paura.” “Paura di cosa?” “Di addormentarmi e di svegliarmi domattina... non trovandoti più accanto a me... se tu te ne andassi di nuovo... io morirei...”

Le vide delle grosse lacrime uscire dagli occhi e l'abbracciò più forte che poté.

Entrambi sentirono i propri cuori battere con violenza.

Ad un tratto, l'uomo sussurrò, prima di baciarla di nuovo con passione: “Ora sono qui. Ho sbagliato in passato ma ho capito i miei errori e ho deciso di ricominciare tutto da capo. Con la nostra famiglia, i nostri figli ma soprattutto... con te. Non me ne andrò mai più, Echalotte... te lo prometto.”

Gli unici testimoni di quella promessa d'amore e del successivo bacio, furono una pianta di anemone e una sfera arancione con al suo interno quattro stelle.


Non riesco proprio a capire perché non sia venuto...” “Lascia perdere, Tarble, ormai è andata così... avrà avuto di nuovo paura...”

Vegeta sospirò.

Quel giorno aveva pensato che suo padre avrebbe potuto ritrovare il coraggio per recarsi da sua madre e dirle la verità... ma, evidentemente, era stata solo un'illusione...

Io ho provato a chiamarlo a casa sua...” continuò Tarble, dall'altra parte della cornetta “Ma mi ha risposto la segreteria telefonica.” “Capisco... in fondo, dovevamo aspettarci che sarebbe finita così...” “Cosa pensi di fare?” “Penso che domani mattina telefonerò dalla mamma e le racconterò ogni cosa... papà non ha trovato il coraggio di andare da lei ma la mamma ha diritto di sapere.”


Echalotte aprì dolcemente gli occhi e la prima cosa che vide fu il volto di suo marito.

Dopo un'iniziale smarrimento, si ricordò tutto.

Aveva passato tanti anni a svegliarsi e a non trovandolo accanto a sé, perciò era ancora un po' confusa ma quasi subito sorrise felice.

Suo marito era rimasto accanto a lei.

Non se n'era andato.

Il suo ritorno non era stato un sogno che sarebbe svanito al mattino.

Quel desiderio che aveva avuto in fondo al cuore per anni, si era avverato.

Lui era tornato.

Sarebbero rimasti insieme.

Per sempre.

Lo strinse ancora più forte mentre chiudeva gli occhi.

Entrambi avevano dormito abbracciati, come se temessero di non ritrovare l'altro al risveglio.


Vegeta aprì gli occhi lentamente e, sbadigliando, scese dal letto.

Erano solo le sei ma anche se era davvero presto, doveva fare quella telefonata.

Doveva raccontare a sua madre che suo padre era tornato, all'improvviso, nelle loro vite, che aveva mentito sulla sua malattia, che era dispiaciuto per tutto... e doveva farlo adesso, che le due femmine, le uniche rimaste della sua famiglia, dopo che Trunks se n'era andato perché si era sposato, si svegliassero...

Fece un paio di respiri profondi.

Era terribilmente agitato per quello che stava per fare...

Tuttavia, prese coraggio, e cliccò i tasti del telefono.


BRIIIPP BRIIIPP BRIIIPP

L'odioso suono del telefono lo svegliò.

Tra tutti i rumori che odiava, dopo la sveglia, naturalmente, quello era il peggiore!

Soprattutto se sostituiva la sveglia!

Distrattamente, allungò la mano sul comodino e, non appena trovò quel dannato apparecchio, lo prese e, dopo averlo accesso, fece, soffocando uno sbadiglio: “Pronto?” “Papà?!”

L'uomo sbiancò e si sentì come se avesse appena ricevuto una bella secchiata d'acqua gelida in testa.

La persona dall'altra parte della cornetta era suo figlio Vegeta.

Rimase zitto un attimo, rosso per l'imbarazzo, poi chiese, sperando di apparire il meno agitato possibile: “Cosa c'è, Vegeta? Perché mi hai chiamato?” “A dire la verità, stavo telefonando a casa della mamma... ma devo aver sbagliato numero...” “Vegeta, puoi chiudere quello stupido telefono?! Sto cercando di dormire!” l'interruppe Echalotte, mettendo la testa sotto al cuscino.

Per un attimo, tra l'uomo e il figlio calò un silenzio imbarazzante, poi il primo disse: “Invece hai composto il numero giusto...” “Non ci posso credere... cosa ci fai a casa della mamma?!” “Beh... ieri mi sono svegliato tardi e mentre vi raggiungevo alla cerimonia ho incontrato la mamma, la quale mi ha portato a casa e le ho rivelato tutto...” “Credo di sapere come è andata a finire...”

Anche se non lo vedeva, era lampante che suo figlio era diventato rosso come un pomodoro e che stava morendo dall'imbarazzo... proprio come lui in quello stesso momento!

Facendosi forza, l'uomo disse: “Comunque... io e la mamma abbiamo deciso di rimetterci insieme.” “Davvero?! Non stai scherzando?!” “No, dico sul serio. Da adesso in poi non ci separeremo mai più.”

Mentre diceva quelle parole, avvicinò la mano a quella di sua moglie e lei, d'istinto, la prese e la strinse forte.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Una nuova favola per il Lupo Cattivo ***


CAPITOLO 30: UNA NUOVA FAVOLA PER IL LUPO CATTIVO


Aveva i capelli neri a fiamma del nonno ma gli occhi azzurri erano del padre.

Fu questo che notò Mai mentre guardava il figlio appena nato dormirle tra le braccia.

Trunks si avvicinò ai due e guardò con profonda dolcezza suo figlio.

Era un bambino così dolce...

Allungò la mano per accarezzarlo ma il piccolo gli afferrò la mano.

Evidentemente non gradiva che qualcuno si avvicinasse a lui o a sua madre...

Guarda che sono tuo padre...” disse Trunks e il bambino, dopo avergli rifilato un'occhiata, un po' troppo simile a quella di suo padre Vegeta, lo lasciò andare, ma non smise di tenerlo sotto osservazione.

Certo che è proprio un bel tipo...” commentò Trunks e Mai ammise: “Eh già...” “Proprio come mio padre...”

Marito e moglie risero divertiti ma, ad un tratto, la porta si aprì e apparve la faccia di Bulma che disse: “Scusate, ma voglio avvertirvi che non riuscirò a trattenere mia madre ancora per molto.” “Capito. Falli pure entrare, mamma.”

Aveva appena detto quelle parole che la porta si aprì con violenza ed entrò una donna, vestita molto elegantemente, con i capelli biondi vaporosi e gli occhi chiusi, che urlò: “Allora, dov'è il piccolo?”

Il bambino, sentendo quel baccano, cominciò a urlare e Bulma si voltò verso la donna e disse, adirata: “Mamma, l'hai fatto piangere!” “Ci penso io.” rispose una donna bassa e coi capelli neri che, dopo essere entrata nella stanza, disse, con calma e tranquillità: “Vegeta.”

Subito, il bambino smise di piangere.

Bulma guardò, incredula, Echalotte e domandò, sorpresa: “Incredibile, ha smesso di piangere. Ma come hai fatto?!”

La donna si limitò a fare le spallucce e a dire: “Segreti di famiglia. D'ora in poi, chiamatelo così quando comincerà a urlare ed evitate i nomi che non gli piacciono.”

Trunks e Mai si guardarono un istante e poi Mai disse: “Che ne dici, Trunks? lo chiamiamo Vegeta?” “Certo che sì! Che domande!” esclamò, seccata, una voce alle loro spalle.

Vegeta, col suo solito passo sicuro e deciso, entrò nella stanza e dichiarò: “L'unico nome degno per lui è Vegeta... inoltre se quel bambino è identico a me, adorerà le arti marziali... lo farò diventare il mio allievo e lo renderò più forte di te, Trunks!” “Gh gh gh.” gioì, tutto contento, il piccolo e Trunks commentò: “Sono messo proprio bene... mio figlio preferisce già suo nonno a me che sono suo padre...”

Tutti i presenti risero divertiti e, poi, Bulma si avvicinò alla giovane coppia e domandò: “Posso prenderlo in braccio?” “Ma certo, Bulma.” acconsentì Mai, sorridendo e passandole il bambino.

Bulma lo guardò e, poi, disse: “Oh che tesoro... scommetto che anche tuo nonno era un bel bambino dolce come te... prima che imparasse a parlare.” “Molto spiritosa, Bulma. Davvero molto spiritosa.” commentò il marito, guardandola in malo modo.

Ad un tratto, l'uomo si accorse che suo fratello stava scrivendo qualcosa al cellulare e disse: “Tarble, smettila di scrivere e vieni subito qui! Non vorrai mica perderti i primi minuti di vita di mio nipote?” “Arrivo, Vegeta...” balbettò il giovane e digitò in fretta: Il bambino è un maschio. Mio nipote e sua moglie hanno deciso di chiamarlo Vegeta. Appena posso, ti mando le foto, Gure. Ciao, Tarble. P.S. I love you.

Tarble!!!” “E-eccomi!”

Imbarazzato, il giovane ragazzo raggiunse il fratello e osservò il piccolo.

Se non era per gli occhi azzurri, era la fotocopia di Vegeta...

Vuoi tenerlo in braccio?” gli domandò, ad un tratto, il fratello maggiore e Tarble, imbarazzato, annuì.

Il piccolino rimase buono e tranquillo per tutto il tempo in cui il giovane lo tenne tra le braccia, poi lo passò ad Echalotte.

La donna rimase in silenzio ad osservare quella piccola e tenera copia del figlio maggiore e del marito, nascondendo la forte emozione che provava dentro di sé.

Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì e comparvero, ansimanti, Goten e Valese.

Dov'è mio nipote?” fu la prima cosa che il ragazzo domandò e venne immediatamente corretto da Vegeta: “Trunks non è tuo fratello e sei in ritardo.” “Colpa dei mezzi di trasporti.”

Ignorando le parole dell'uomo, Goten prese il piccolo Vegeta dalle braccia di Echalotte e, guardandolo, disse: “Ciao, piccolo.”

BUUUUUAAAAAAHHHHHHH!!!!!!!!!”

Era bastato guardare la faccia di Goten per farlo piangere.

D'istinto, Valese prese il piccolo dalle braccia del suo ragazzo e il bambino smise di piangere.

Mi sa che non vuole essere preso in braccio da te...” sospirò Bulma e Goten bofonchiò: “Ma questa è discriminazione.” “Io adoro già mio nipote.” fu il commentò di Vegeta.

Goten sospirò mentre Valese continuava a cullare il piccolo.

Mentre cullava il bambino, la ragazza si accorse di Bra che li osservava.

Vuoi tenerlo in braccio?” domandò Valese e la piccola annuì.

Fa' molto attenzione a non farlo cadere perché è delicato.” si raccomandò Valese mentre glielo passava, e Bra chiese: “Come un bicchiere?” “Esatto.”

Bra prese in mano il piccolo Vegeta e gli disse, sorridendo: “Ciao, piccolino. Sono la zia Bra ma puoi chiamarmi sorellona. Mi prenderò cura di te. Mi raccomando, non far disperare il mio fratellone e la mia sorellona.”

Tutti s'intenerirono davanti alla dolcezza di Bra ma solo Vegeta si accorse del fatto che Bra guardava da tutte le parti, come se stesse cercando qualcuno...

Vuoi farglielo vedere?” le domandò e lei ammise: “Sì...” “Dammelo... glielo darò io.”

Una volta che ebbe in braccio il bambino, Vegeta uscì dalla stanza dell'ospedale e si diresse verso la sala d'attesa, sapendo che lui era lì.

Infatti, lo vide seduto sulla sedia a fissare il vuoto.

Ad un tratto, però, suo padre si voltò e rimase stupito nel trovarsi davanti il figlio con un bambino tra le braccia.

Perché non raggiungi gli altri?” domandò Vegeta e suo padre, dopo un attimo di silenzio, confessò: “Non sono stato presente a molte nascite... quella di Tarble, di Trunks e di Bra...”

Dopo un attimo di silenzio, Vegeta mostrò al padre il piccolo e domandò: “Ti ho portato il bambino. Chi ti ricorda?”

Suo padre fissò il bambino poi, girando lo sguardo dall'altra parte, sussurrò: “Gli occhi sono di Trunks...” “Vuoi prenderlo in braccio?”

Sentendo l'inaspettata domanda del figlio, l'uomo voltò la testa ma la spostò di nuovo, rispondendo: “No...” “L'abbiamo preso tutti in braccio, persino Bra. Manchi solo tu.” insistette il figlio e l'uomo acconsentì con un debole: “Va bene...”

Padre e figlio rimasero a guardare per vari minuti quella loro copia così piccola e fragile finché Vegeta ruppe di nuovo il silenzio: “E' impressionante a come ci assomigli.” “Già...” “Trunks e Mai hanno deciso di chiamarlo Vegeta... come noi due.”

Dopo che il figlio ebbe detto quelle parole, l'uomo abbassò lo sguardo e sussurrò: “Sai, Vegeta, nonostante siamo simili ci sono alcune cose che ci rendono diversi... i particolari... e le nostre vite...”

Vegeta si accorse, dallo sguardo e dal tono del padre, che era triste e domandò: “Cos'hai papà?” “Non potrò mai essere un bravo nonno dopo tutto quello che ho fatto... ho paura di rovinare anche la sua vita...” fu la risposta dell'uomo.

Vegeta rimase in silenzio.

Suo padre non si era ancora perdonato il fatto di essersene andato quando lui e Tarble erano ancora piccoli, e non se lo sarebbe mai perdonato.

Per suo padre, quella vicenda sarebbe rimasta per sempre una cicatrice nella sua anima.

D'istinto, gli prese la mano che aveva lasciato libera.

Suo padre si voltò a fissarlo, incredulo.

Vegeta dopo aver preso un bel respiro, disse: “Io e gli altri ti staremo accanto, papà... Vedrai che non rovinerai la sua vita. E' ora che il Lupo Cattivo cominci una nuova favola... una favola con la sua famiglia.”

Suo padre lo fissò un attimo e, poi, sorrise.

Un sorriso felice e pieno di speranza.

Papà! Nonno!”

La voce di Bra si sentì per tutto il corridoio e i due uomini, d'istinto, lasciarono la mano dell'altro.

Sarebbe stato troppo imbarazzante per l'orgoglio di entrambi farsi vedere in famiglia mentre si tenevano per mano.

Cosa c'è, Bra?” domandò Vegeta, guardando la figlia, e la piccola rispose: “La mamma e la nonna vi ordinano di riportare indietro il Vegeta più piccolo. Vogliono vederlo anche loro. Le signore hanno la precedenza e voi uomini avrete tutta la vita per vederlo.”

Padre e figlio si guardarono un istante, poi Vegeta domandò: “Le accontentiamo?” “Ovvio... non ho certo intenzione di affrontare la tremenda furia di quelle due.” fu la risposta del padre e Vegeta disse: “Lo porto io.” “D'accordo.”

Una volta che Vegeta ebbe in braccio il piccolo si allontanò e nel corridoio rimasero solo Bra e suo nonno.

Dai, raggiungiamo tuo padre e gli altri.” le disse l'uomo prendendola per la mano e la piccola, con una vocina timida, domandò: “Nonno...” “Cosa c'è, Bra?” “Alla fine ci sono riuscita, non è vero?”

L'uomo rimase a fissarla in silenzio poi, sorridendo di nuovo, ammise: “Sì, Bra, ci sei riuscita. Sei davvero riuscita a cambiare le favole.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3705514