Non puoi cambiare le favole di Il corsaro nero (/viewuser.php?uid=1011945)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nel buio più fitto ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** La rabbia di Vegeta ***
Capitolo 4: *** Un finale diverso ***
Capitolo 5: *** Frammenti di vita ***
Capitolo 6: *** Il silenzio dei disperati ***
Capitolo 7: *** Il male nascosto ***
Capitolo 8: *** Incontri nella tempesta ***
Capitolo 9: *** L'angelo nell'ombra ***
Capitolo 10: *** L'ultima speranza ***
Capitolo 11: *** Segreti ***
Capitolo 12: *** Vieni con me ***
Capitolo 13: *** Il ricordo di un sorriso ***
Capitolo 14: *** Ricordi e segreti ***
Capitolo 15: *** Il rosso e il nero ***
Capitolo 16: *** La decisione di Bulma ***
Capitolo 17: *** Il calore di una famiglia ***
Capitolo 18: *** La furia di Bra ***
Capitolo 19: *** Nonno e nipote ***
Capitolo 20: *** Il muro del silenzio e dell'orgoglio ***
Capitolo 21: *** Un padre e un figlio ***
Capitolo 22: *** L'incidente di Tarble ***
Capitolo 23: *** Il segreto nella valigia ***
Capitolo 24: *** L'ultimo segreto ***
Capitolo 25: *** Il figlio dello stupro ***
Capitolo 26: *** Preparativi ***
Capitolo 27: *** Un ponte fra due mondi ***
Capitolo 28: *** Il matrimonio di Trunks ***
Capitolo 29: *** Ritrovarsi davvero ***
Capitolo 30: *** Una nuova favola per il Lupo Cattivo ***
Capitolo 1 *** Nel buio più fitto ***
CAPITOLO
1: NEL BUIO PIU'
FITTO...
Stava
succedendo di nuovo.
I
suoi genitori stavano
litigando.
“DOVE
DIAMINE SEI
STATO?!” “TE L'HO GIA' DETTO... SONO ANDATO FUORI
CITTA' PER
AFFARI!” “NON MENTIRE! ORMAI LO SANNO TUTTI CHE MI
TRADISCI! ABBI
ALMENO IL BUON SENSO DI AMMETTERLO!”
Erano
tre mesi che andava
avanti quella storia.
Suo
padre alcuni giorni
spariva e tornava solo a tarda notte.
In
città si mormorava
alle loro spalle che suo padre li tradiva con qualche bella ragazza
giovane.
“PERCHE'
DOVREI
AMMETTERE UNA COSA CHE NON E' VERA?!” “PERCHE' LA
FIGLIA DELLA
COMMESSA DEL SUPERMERCATO TI HA VISTO IN CITTA'! HA DETTO CHE ERI IN
UN BAR E GUARDAVI IN CONTINUAZIONE L'OROLOGIO!” “E'
VERO, SONO
ANDATO IN UN BAR A BERE UN CAFFE' MA NON PUOI PENSARE CHE TI TRADISCA
PER COSI' POCO...” “MA MI HAI FATTO FARE UNA FIGURA
DEL CAVOLO!
LEI E QUELLE OCHE DELLE SUE AMICHE CONTINUAVANO A RIDERE E MI DAVANO
DELLA POVERA STUPIDA! HAI LA PIU' PALLIDA IDEA DI COME MI SONO
SENTITA?!” “CREDI A ME O A QUELLO CHE DICONO DELLE
SCEME?!” “E
ALLORA DIMMI DOVE SEI STATO!”
Silenzio.
Suo
padre non voleva
rispondere alla domanda.
Per
sua madre, quel
silenzio significava che aveva ragione.
“TI
ODIO! TI DETESTO!
VORREI VEDERTI MORTO! VOGLIO CHE TU TE NE VADA DA QUESTA
CASA!”
“SUCCEDERA' MOLTO PRIMA DI QUANTO TU CREDA!”
Di
nuovo silenzio.
Si
sentì sbattere la
porta.
Evidentemente,
uno dei
suoi genitori se n'era andato dalla sala.
Rigirandosi
nel letto, si
chiese come si era arrivati a quel punto.
Fino
a quattro mesi fa
andava tutto alla grande.
Certo,
anche allora i suoi
genitori litigavano, come tutte le coppie normali, ma alla fine
facevano pace.
Adesso,
invece, c'era
sempre quel clima di tensione...
Il
piccolo ripensò a
quando era cambiato tutto.
Sua
madre era venuto a
prenderlo all'asilo in anticipo e gli aveva detto che suo padre aveva
avuto un malore al lavoro e che, pertanto, era stato portato in
ospedale dal suo migliore amico.
Sua
madre l'aveva portato
in ospedale e si erano ricongiunti a lui.
Alla
domanda del motivo di
quel malore, lui aveva detto che si era solo trattato di un semplice
calo di zuccheri.
Poi
erano tornati a casa e
la cosa era finita lì.
Ma,
una settimana dopo il
malore, suo padre aveva chiesto un giorno di permesso in ufficio.
La
cosa aveva insospettito
molto sua madre.
Suo
padre non aveva mai
chiesto un giorno di permesso.
Perfino
quand'era malato
voleva andarci a tutti i costi e lei doveva fare una faticaccia per
tenerlo a letto.
Almeno
una volta alla
settimana, chiedeva un giorno di permesso e poi spariva senza dir
niente a nessuno.
Di
conseguenza,
cominciarono a girare delle storie che dicevano che suo padre,
quand'era stato ricoverato in ospedale, aveva conosciuto una bella e
giovane infermiera e i due erano diventati amanti.
Sua
madre non poteva
sopportare tutto ciò.
Lei
lo amava con tutta sé
stessa, per lui aveva rinunciato alla sua libertà... e lui
la
ripagava andando a letto con un'altra?!
Il
piccolo era sempre più
terrorizzato da quell'aria.
Temeva
che i suoi
dicessero la terribile parola, quella temuta da ogni bambino...
DIVORZIO.
Era
vero che, in quei
giorni, molte coppie divorziassero ma non voleva che accadesse anche
alla sua famiglia.
Avrebbe
preferito che uno
dei suoi genitori morisse piuttosto che divorziasse.
Il
divorzio significava
che i suoi genitori non si amavano più... e quale tortura
peggiore
per un bambino di soli tre anni che sapere che i propri genitori non
si amavano più?!
Nel
bagno della piccola
villa, una donna dai capelli neri era seduta sul pavimento mentre
piangeva in silenzio, tenendo in mano un piccolo coso rosa.
I
segni su di esso erano
inequivocabili.
Positivo.
Era
incinta.
Sapeva
quand'era successo.
La
notte prima che suo
marito avesse quel maledetto calo di zuccheri.
Ricordava
benissimo quando
le sue forti e possenti braccia l'avevano stretta, i loro baci
roventi, le sue mani abbronzate che gli accarezzavano il volto e la
schiena, eccitandolo ancora di più...
Stava
male ripensandoci.
Lei
lo amava.
Aveva
scelto lui invece di
altri... perché le aveva fatto questo?! Perché
l'aveva tradita?!
A
scuola era una delle
ragazze più libere e indipendenti ma poi l'aveva
conosciuto... quel
suo carisma e quel suo lato misterioso l'avevano attratta e, senza
nemmeno rendersene bene conto, si era innamorata di lui.
Sentiva
che per lui poteva
rinunciare alla libertà.
Ricordava
ancora la loro
prima volta... erano a casa sua a guardare la tv e, ad un tratto,
l'aveva baciato.
Dopo
un attimo di stupore,
lui aveva ricambiato il bacio e, nessuno dei due aveva mai capito
bene come, si erano ritrovati nudi sul suo letto.
Ricordava
bene che lui
voleva completamente dominarla ma lei sapeva il fatto suo ed era
riuscita a tenergli testa.
I
loro rapporti erano
sempre stati così: una vera e propria battaglia di fuoco
sotto le
coperte.
Ma
non ci sarebbero stati
mai più.
Presto,
lei e suo marito
avrebbero divorziato.
Non
lo avevano ancora
deciso ma era ovvio che, ormai, il loro matrimonio era naufragato...
entrambi dovevano prendere strade diverse...
Ma
la cosa più tremenda
era che lo amava ancora.
Sarebbe
stato terribile
per suo figlio e anche per quello che portava dentro di sé
vivere
lontani dal padre... ma era la decisione giusta per tutti.
Ormai
suo marito non
l'amava più... aveva preferito un'altra donna, di sicuro
molto più
giovane... e, poi, le terribili parole che le aveva detto:
“SUCCEDERA' MOLTO PRIMA DI QUANTO TU CREDA!”
Il
cuore le sanguinava
ancora di dolore!
Appena
il loro bambino
sarebbe andato all'asilo, lei gli avrebbe detto quelle ripugnanti
parole che, quando si era sposata, non si sarebbe mai sognata di
dire: “Voglio divorziare!”
Dopo
gli avrebbe dovuto
rivelare del piccolo che portava in grembo...
Poteva
sempre abortire, ma
non l'avrebbe mai fatto!
Era
sempre una vita,
quella!
Era
sempre una parte di
lui...
Il
piccolo aprì un
occhio, poi entrambi.
Gli
era sembrato di
sentire il rumore della porta di casa che si chiudeva... ma non era
possibile...
Si
alzò dal letto e,
sbadigliando, andò a guardare alla finestra.
Vide
suo padre, con una
valigia in mano, sul prato di casa che guardava la loro casa con uno
strano sguardo.
Il
piccolo uscì dalla
camera in tutta fretta.
Non
gli piaceva il fatto
che suo padre uscisse di casa nel cuore della notte.
Scese
le scale in tutta
fretta e aprì la porta rumorosamente.
“PAPA'!”
urlò con
tutto il fiato che aveva in gola.
Lo
vide voltarsi e
guardarlo ma poi, senza alcuna esitazione, salì sulla sua
macchina e
avviò il motore.
“PAPA'!
PAPA'! TORNA
QUI, TI PREGO! NON ANDARTENE!” continuò a gridare,
inseguendo la
macchina che si allontanava sempre di più.
Sentiva
le lacrime
scendere dalle sue guance ma non gli importava.
Il
buio si stava portando
via suo padre.
Ad
un tratto, inciampò e
cadde disteso sulla strada mentre l'auto si allontanava sempre di
più, fino a sparire completamente nel buio più
fitto.
“Papà...”
sussurrò,
disperato, il bambino.
Ad
un tratto, sentì
qualcuno sollevarlo e abbracciarlo.
Non
dovette nemmeno alzare
la testa per sapere chi era.
“Mamma...”
chiese
mentre l'abbracciava “Dov'è andato
papà?”
Sua
madre fece una lunga
pausa, prima di rispondergli: “Non lo so...”
“Tornerà?” “Non
lo so...”
Furono
queste le ultime
parole che madre e figlio si dissero per il resto della notte.
Mentre
il bambino
continuava a piangere senza sosta in silenzio, sua madre gli
accarezzava dolcemente la testa, guardando la strada.
Il
piccolo non vide mai la
piccola lacrima scendere dal viso perfetto della madre, per poi
cadere sulla strada. |
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Capitolo 2 *** Primo giorno ***
CAPITOLO
2: PRIMO GIORNO
“E
ricorda di non
accettare mai niente dagli sconosciuti.” “Vegeta,
glielo hai già
detto venti volte!” “Voglio solo essere sicuro che
non se lo
dimentichi.”
La
bimba di tre anni dai
capelli turchini, sorrise divertita.
Suo
padre era un musone di
prima categoria ma le voleva bene.
“E
comunque, ci stanno
solo mezz'ora al parco. Cosa vuoi che succeda?”
continuò sua madre
mentre suo padre Vegeta ribatté: “Di tutto! Il
parco è il ritrovo
degli alcolizzati, dei drogati e dei falliti! Non voglio che mia
figlia abbia a che fare con quella gentaglia!”
“Rilassati, una
buona volta. Non è mica la prima volta che l'asilo porta i
bambini
al parco. Vedrai che andrà tutto bene!”
“Se succederà qualcosa
a mia figlia, li denuncio, quelli!”
Bulma
sospirò.
Quando
si parlava di sua
figlia Bra, Vegeta diventava, se era possibile, ancora più
irascibile.
Non
voleva essere nei
panni di quel povero disgraziato che avrebbe voluto sposarsi con sua
figlia.
Lei
e Vegeta erano sposati
da anni, ormai, eppure l'irascibilità del marito non finiva
mai di
stupirla.
Dal
loro matrimonio erano
nati due figli: Trunks di diciotto anni e la piccola Bra di soli tre
anni.
Trunks
frequentava il suo
quinto anno di scuola superiore mentre Bra stava per affrontare il
suo primo giorno d'asilo.
Quando
Vegeta aveva saputo
che i bambini andavano a passare mezz'ora al parco gli era venuto un
colpo e per poco non aveva disfatto l'iscrizione di Bra.
Lei
e Trunks avevano
dovuto fare una faticaccia per convincerlo a mandare lo stesso Bra
all'asilo.
Finalmente,
il terzetto
parcheggiò davanti all'asilo e uscì dalla
macchina.
Vari
genitori si erano già
radunati davanti alla porta dell'asilo per accompagnare i propri
bambini.
“Ma
guarda quanta
gente!” sbuffò Vegeta e Bulma gli
ricordò: “Qualcuno dovrà
portare i figli all'asilo.”
Mentre
aspettavano, Bra
chiese: “Mammina, è vero che ceniamo dalla nonna
Echalotte per
festeggiare il mio primo giorno?” “Certo, tesoro.
Ci sarà anche
lo zio Tarble.” la rassicurò Bulma.
Tarble
era il fratello
minore di Vegeta ma aveva un carattere completamente opposto a quello
del maggiore: era sempre gentile e sorrideva sempre, a differenza del
fratello serio e scorbutico.
Era
molto più basso e
mingherlino di Vegeta, che era più alto e robusto.
Il
giovane non era mai
stato fidanzato, in quanto era molto timido con le donne, ma Vegeta
sperava sempre che un giorno trovasse la donna giusta e la sposasse.
Finalmente,
una maestra
aprì la porta e chiamò i bambini.
Bra,
con un po' di
esitazione, lasciò andare la mano dei suoi genitori e, dopo
aver
dato un'ultima occhiata ai suoi genitori, corse dentro l'asilo.
Dopodiché,
marito e
moglie si diressero verso la macchina.
Mentre
Bulma metteva in
moto l'auto, si accorse che Vegeta osservava in silenzio un bambino
che piangeva disperato, in quanto era spaventato dal suo primo
giorno, e padre gli accarezzava la testa, dicendogli le parole, che
dal finestrino aperto si sentiva benissimo:
“Tornerò, promesso.”
“Così
Bra ha cominciato
l'asilo, chissà che emozione.”
Il
ragazzo con i capelli
lilla camminava di fianco a una ragazza dai lunghi capelli neri e gli
occhi dello stesso colore.
La
giovane non era vestita
all'ultima moda ma il ragazzo la trovava lo stesso bellissima.
Trunks
si sentiva al
settimo cielo.
Con
Mai, la sua fidanzata,
si sentiva sempre bene.
Aveva
una famiglia e una
ragazza fantastica... non avrebbe potuto desiderare di più
dalla
vita...
Ad
un tratto, sentì un
dolore atroce.
D'istinto,
portò una mano
allo stomaco e si mise ad ansimare forte.
Mai,
accorgendosi di
quello che stava succedendo al suo fidanzato, si avvicinò a
lui e,
portandogli una mano sulla spalla, gli domandò:
“Ti senti bene?”
“Sì... non preoccuparti... è stato solo
un attimo... magari sto
per prendermi l'influenza.” la tranquillizzò lui.
Mai
stava per aggiungere
qualcosa quando si sentì una voce:
“Ehilà, ragazzi. Come va?” e
un ragazzo coi capelli lunghi fino alle spalle neri e ribelli
comparve alle loro spalle.
Trunks
gli rammentò, con
un sorriso divertito: “Goten. Dovresti crescere, sai?
Altrimenti
tua madre te le suona.” “Adesso non c'è.
E poi, se non mi
comporto così adesso, quando lo farò?”
“Sei senza speranza,
amico... mi domando quale donna vorrà mai
sposarti...”
“Mi
raccomando. Non
allontanatevi troppo.” “Sì,
signorina.”
I
bambini cominciarono a
disperdersi da tutte le parti come uno sciame di locuste.
Solo
una bimba coi capelli
turchini rimase immobile.
Bra
si stava annoiando.
Le
piacevano quei giochi,
ma le sarebbero piaciuti molto di più se ci fosse stato
qualcuno con
cui giocare.
Lei
aveva già un'amica
del cuore.
Si
chiamava Pan ed era la
nipote del migliore amico di suo fratello ma, sfortunatamente, lei
aveva un anno in più di lei e sarebbe andata al parco in
un'altra
ora, in modo che non ci fossero troppi bambini da sorvegliare.
Annoiata,
cominciò a fare
due passi nel parco.
Tutti
i bambini giocavano
sui giochi e tutte le panchine del parco erano vuote...
Ad
un tratto, si accorse
che una panchina era occupata.
Si
trovava in fondo al
parco, sotto un enorme quercia, e su di essa c'era seduto un uomo che
leggeva il giornale.
Bra,
incuriosita, gli si
avvicinò, sorridendo.
Una
volta che gli fu
vicina, si accorse che il giornale era così grande che gli
copriva
il volto.
Con
un po' di fatica, Bra
si arrampicò sullo spazio libero alla sinistra dell'uomo e
si mise a
fissarlo, in silenzio.
Ad
un tratto, l'uomo girò
un attimo la testa e si accorse, con stupore, della bambina dai
capelli turchesi seduta di fianco a lui che lo guardava.
Fece
una faccia un po'
stupita ma decise di far finta di niente e ritornò a leggere
il suo
giornale.
Dopo
un po', la guardò di
nuovo ma ritornò subito al giornale.
Per
ben dieci minuti,
l'uomo continuò a voltarsi e a vedere Bra che continuava a
fissarlo.
Alla
fine, non ne poté
più.
“Insomma,
ragazzina,
perché mi stai fissando?! Va a giocare con gli altri
bambini!”
sbottò, all'improvviso, l'uomo, abbassando il giornale e
guardandola
in malo modo.
Bra
sorrise d'istinto.
Quell'uomo
così burbero
le ricordava tanto il suo papà...
“Si
può sapere perché
sorridi?” le domandò, incredulo, l'uomo e Bra
rispose: “Perché
lei assomiglia tanto al mio papà! Anche lui direbbe queste
cose!”
L'uomo
la fissò,
arrossendo, e poi, con una faccia seccata, le chiese: “E
sentiamo,
te l'ha mai detto il tuo papà di non parlare con gli
sconosciuti?”
“Mi ha detto di non accettare niente ma non sul
parlare.” “Sono
sicuro che il tuo papà intendeva anche sul parlare. Quindi
adesso
vai con gli altri bambini e mi lasci in pace!”
dichiarò lui mentre
riprendeva il giornale e ricominciò a leggere.
Bra,
però, non aveva
nessuna intenzione di andarsene.
Quando
l'altro se ne
accorse, la guardò malissimo e le chiese:
“Perché non te ne vai?
Non ti faccio paura?” “No.”
“Sicura? Potrei mettere la mia
grande mano sul tuo esile collo e poi spezzartelo come uno
stuzzicadenti. E poi, portarti nel mio rifugio, cucinarti al vapore e
mangiarti viva. Sarà divertente...”
“Tanto lo so che non lo
farà.” “Ah sì? E
perché non dovrei farlo?”
“Perché lei è
proprio come il mio papà. Fa solo finta di essere cattivo
mentre in
realtà è buono.” rispose, con orgoglio,
Bra.
L'uomo
la guardò un
attimo, in silenzio, e poi, distogliendo lo sguardo dalla bambina,
sussurrò: “Io non sono buono...” |
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Capitolo 3 *** La rabbia di Vegeta ***
CAPITOLO
3: LA RABBIA DI
VEGETA
“Allora,
siamo
arrivati?” “No, Bra. Ci vuole ancora un
po'...”
Era
la decima volta, da
quando erano partiti, che Bra domandava se erano arrivati a casa
della nonna paterna e, per la decima volta, sua madre Bulma le aveva
risposto che ci voleva ancora un po'.
La
piccola si rannicchiò
sul sedile.
Voleva
arrivare il prima
possibile a casa della nonna.
Andava
a trovare la nonna
paterna Echalotte e lo zio Tarble solo alcune volte all'anno, i nonni
materni e la zia Tights, sorella maggiore di sua madre, vivevano
nella loro stessa città, e, pertanto, voleva cercare di
passare lo
stesso tempo che dedicava alla famiglia della madre con quella del
padre.
Trunks,
invece, era
immerso nei suoi pensieri.
Il
dolore che aveva
avvertito a scuola non l'aveva mai provato prima... cosa significava?
Forse
era stata solo una
mancanza di vitamine...
“Eccoci
arrivati, Bra!
Così sei contenta!” esclamò, ad un
tratto, Vegeta, fermandosi
davanti alla villa della madre.
La
piccola famiglia uscì
dalla macchina e Vegeta suonò il campanello.
La
porta si aprì e
comparve un ragazzo basso e mingherlino, con i capelli a spazzola
neri e un piccolo ciuffo sulla fronte.
“Fratellone!”
gridò
Tarble, abbracciandolo con forza.
Vegeta,
imbarazzato, gli
sibilò: “Tarble, ti ho detto mille volte di non
abbracciarmi
davanti a tutti e di non chiamarmi fratellone!”
Bulma
e Trunks soffocarono
a stento le risate.
Entrambi
sapevano
benissimo che, in fondo, Vegeta adorava quelle manifestazioni
d'affetto del fratello ma non l'avrebbe mai ammesso.
La
piccola Bra, invece,
stava guardando la scena in silenzio.
Tarble
fece accomodare il
fratello, la cognata e i nipoti nella villa.
“Finalmente
siete
arrivati...” disse una voce femminile proveniente dalle scale.
Una
donna piuttosto bassa
e minuta, con capelli e occhi neri e il viso incredibilmente perfetto
e giovane, nonostante avesse superato la mezz'età da un
pezzo,
sorrise da sopra le scale e scese velocemente da essa.
Era
vestita con una
semplice maglietta a maniche corte blu e dei lunghi pantaloni grigi.
“Ciao,
mamma.” la
salutò Vegeta, vedendola, mentre Bra gridava, andandole
incontro:
“Nonna!”
Echalotte
s'inginocchiò
davanti alla giovane nipotina e le accarezzò i capelli
turchesi
ritti in testa da un codino.
“Allora,
com'è andata,
oggi? Ho saputo che oggi è stato il tuo primo giorno
d'asilo...”
le disse la donna, sorridendo, e Bra annuì: “Oh
sì, è stato
bellissimo... siamo andati al parco dopo pranzo!”
“E ti sei
divertita?” “Un po'... cosa si mangia?”
“Lasagne per primo e
arrosto di vitello per secondo... vuoi darmi una mano?”
“Oh sì!”
acconsentì la nipote e, prendendo la mano della nonna, la
seguì in
cucina.
Mentre
Bra e sua nonna
andavano in cucina, Tarble si avvicinò al fratello e gli
annunciò:
“Sai che sono diventato insegnante di ruolo?”
“Davvero? E
dove?” “Nel liceo di scienze umane della tua
città.” “Ma
davvero? E quando ti trasferirai?” “Fra una
settimana. Ho già
trovato un appartamento.” “Se me l'avessi detto, ti
avrei dato
una mano...” “Lo so... ma a me piace fare le cose
da solo... mi
da la sensazione che io stia diventando un uomo...”
“Beh, almeno
avrò la possibilità di vederti più
spesso...”
Nel
frattempo, Echalotte
stava finendo di cucinare l'arrosto di vitello.
Seduta
su una sedia, Bra
guardava sua nonna mettere, con un'incredibile naturalezza, salse e
condimenti.
Quando
sarebbe stata
grande, sarebbe diventata una grande cuoca come sua nonna.
“Nonna...”
la
interruppe, ad un tratto, la bambina “Sai che al parco ho
conosciuto un uomo che mi ha detto una frase strana?”
“Quale
frase strana?” le chiese sua nonna, voltandosi.
Non
voleva che si
trattasse di qualche maniaco...
“Io
gli avevo detto che
anche se sembrava cattivo, in realtà era buono, ma lui mi ha
risposto che non era buono... tu sai cosa significa?” le
domandò
ed Echalotte tirò un sospiro di sollievo.
Poi
guardando la nipote,
le rispose: “Evidentemente ha fatto qualcosa di cattivo in
passato
e sa di averlo fatto, dato che lo ha ammesso.” “E
cosa nonna?”
“Questo non lo so, Bra. Ma se dovessi incontrarlo di nuovo,
non
chiedergli che cosa ha combinato. A nessuno fa piacere ricordare dei
brutti ricordi.” “Tu hai dei brutti ricordi,
nonna?”
Echalotte
rimase di sasso.
Sì,
ne aveva uno e le
faceva ancora male...
“No.”
mentì, mentre
tornava all'arrosto.
“Era
tutto buonissimo,
nonna. Sei una cuoca fantastica.” esclamò,
soddisfatta, Bra a fine
cena.
Le
sue nonne e la sua
mamma erano proprio delle cuoche insuperabili.
“Grazie,
Bra.” la
ringraziò Echalotte mentre Bulma si alzava e diceva:
“Sarà meglio
se ci prepariamo per tornare a casa... ormai è tardi e i
ragazzi
hanno la scuola, domani.” “Oh, mamma, aspetta.
Voglio sentire una
storia sulla famiglia di papà, prima di tornare a casa. So
così
poco...” la pregò Bra.
Vedendo
i grandi occhioni
blu della figlia, Bulma non seppe resistere.
“E
va bene. Ma che sia
breve.” acconsentì la madre e la nonna si
avvicinò alla nipotina,
chiedendole: “Quale storia vuoi sentire?”
La
piccola rimuginò un
attimo e poi decise: “Una sul nonno. Non l'ho mai visto
nemmeno in
fotografia e nessuno parla mai di lui... vorrei sapere che tipo
era.”
Immediatamente,
tutti
sbiancarono.
Da
sempre, il padre di
Vegeta e Tarble era un argomento tabù in famiglia... non lo
si
doveva accennare neppure per sbaglio...
Sentendo
la nomina del
padre, Vegeta si voltò verso la figlia e le
sibilò, infuriato:
“Vuoi sapere che tipo era tuo nonno? Te lo dirò
io! Era una
carogna, un verme schifoso, un traditore appartenente alla peggior
feccia del mondo! Un miserabile che non ha esitato a tradire tua
nonna andando a letto con un'altra donna, per poi abbandonare la sua
famiglia come se niente fosse, lasciando mia madre sola e pure
incinta. Ha dovuto crescere, completamente da sola, due bambini
mentre lui se la spassava da qualche parte nel mondo con qualche
bella ragazza! Questo era tuo nonno! E spero con tutto il cuore che
sia morto da un pezzo!”
Dopodiché,
se ne andò
dalla stanza, sbattendo rumorosamente la porta.
Bra
fissò la porta,
mentre calde lacrime le rigavano le guance.
“Cosa
ho fatto...”
sussurrò, sconvolta, la piccola e, poi, cominciare a
piangere a
dirotto come una fontana: “BUAAAAHHH! Mio nonno era cattivo!
Cattivo! Pensavo che nella mia famiglia fossero tutti buoni! E adesso
ho fatto arrabbiare il mio papà... non mi vorrà
più bene! E cosa
farò se il mio papà non mi vorrà
più bene?!”
Trunks
ed Echalotte le si
avvicinarono subito per consolarla: “Ma no, ma no...
papà era solo
di cattivo umore... non voleva dire quelle cose sul serio...”
“Vedrai che il tuo papà continuerà a
volerti bene...”
Bulma,
invece, era livida
di rabbia.
Quello
stupido di suo
marito si era, di nuovo, fatto prendere dalla rabbia!
Si
era forse dimenticato
che Bra aveva solo tre anni?!
Che
accidenti gli era
saltato in mente di dirle quelle cose?!
Tarble,
intuendo i
pensieri omicidi della cognata, le disse: “Vado a
parlargli.”
“Avvisa quel disgraziato che con lui farò i conti
più tardi!”
gli ordinò Bulma, andando a consolare la figlia.
Tarble
uscì dalla porta
di casa e vide suo fratello guardare le stelle sul prato della casa
della madre.
Si
avvicinò e gli
sussurrò: “Vegeta...” “Non
farmi la predica!” “Tua moglie
ha intenzione di farti la festa più tardi e ammetto che ha
ragione.
Cosa ti è saltato in testa di dire quelle tremende parole a
tua
figlia?! Ha tre anni. Era solo curiosa...” “Adesso
non sarà più
curiosa su suo nonno!” “Però le hai
lasciato una brutta
immagine...” “E cosa avrei dovuto dirle?! Tarble,
avevo la sua
età quando nostro padre se ne è andato! Mi
ricordo tutto quello che
è successo a memoria! Io l'ho visto uscire dalla finestra
della mia
camera con una valigia in mano, gli ho urlato di non andarsene ma lui
è salito sulla sua macchina e l'ha messa in moto! Avevo solo
tre
anni e avevo assistito alla sua fuga!” “E da
allora, l'hai odiato
con tutto te stesso e non vuoi più sentirlo nominare.
Vegeta, è
nostro padre! Un giorno dovrai accettare questa cosa e prima lo
farai, meglio sarà per tutti.” “Tarble,
tu hai avuto la fortuna
di non conoscerlo ma io sì! E ti assicuro, che
finché sarò vivo,
non accetterò mai che quell'essere schifoso sia mio padre e
non lo
perdonerò mai! Se potessi, lo ucciderei con le mie stesse
mani!”
concluse Vegeta, mettendosi a guardare il cielo stellato. |
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Capitolo 4 *** Un finale diverso ***
CAPITOLO
4: UN FINALE
DIVERSO
Finalmente,
era arrivata
l'ora che Bra agognava con tutta sé stessa dal giorno prima.
Quella
di andare al parco.
Perché
poteva rivedere
l'uomo del parco.
Ovviamente,
la piccola
sapeva che c'era la possibilità di non rivederlo, ma sperava
tanto
che ci fosse.
Mentre
si dirigeva al
parco, Bra si accorse che stava tremendo per la tensione.
Ma,
una volta arrivata, si
accorse, con sollievo che l'uomo era seduto alla solita panchina del
parco e stava leggendo un giornale.
Si
avvicinò a lui, di
corsa, e si sedette di nuovo di fianco a lui.
Appena
l'uomo si accorse
di lei, le gridò: “ANCORA TU?!”
“Già, è contento di
rivedermi?” “No.” “Sa che oggi
è nuvoloso?” “Sei forse
un bollettino meteorologo? Lo so anch'io che clima c'è
oggi.” “Se
fosse stato brutto non sarei potuta venire al parco e non l'avrei
rivista. Mi sarebbe dispiaciuto molto non rivederla.”
“Saresti
stata dispiaciuta di non rivedermi?” “Certo. Lei
è tanto
buono...” “Ti ho già detto che non sono
buono, Cappuccetto
Rosso. Io sono il Lupo Cattivo.” “Perché
dice in continuazione
che è cattivo?” “Perché lo
sono. A causa mia, delle persone che
amavo hanno sofferto. Io sono e resterò per sempre un Lupo
Cattivo.”
“Non voglio che sia un Lupo Cattivo!” “E
perché, Cappuccetto
Rosso?” “Perché i Lupi Cattivi fanno
sempre una brutta fine e
non voglio che anche lei la faccia!” “E' la fine
giusta per uno
come me.” “Lo impedirò a qualunque
costo!” “Non puoi
cambiare le favole, Cappuccetto Rosso.”
“Perché mi chiama sempre
Cappuccetto Rosso?” “Perché sei vestita
di rosso dalla testa ai
piedi.” “Signor... posso chiamarla Signor Lupo
Cattivo?”
“Chiamami come ti pare...” “Va bene.
Signor Lupo Cattivo,
scriverò un finale alternativo per il lupo della favola di
Cappuccetto Rosso!” “Sei solo una bambina
dell'asilo. Non sai
ancora scrivere.” “Allora la
disegnerò!” concluse Bra, con
orgoglio.
Poi,
vedendo che la
maestra chiamava i bimbi a raccolta per tornare all'asilo, scese
dalla panchina ma, si girò per salutare, con un sorriso,
l'uomo.
Fu
al settimo cielo quando
l'uomo, un po' titubante, allungò la mano e la
salutò.
“D'accordo,
Mai. Ci
vediamo al bar tra un quarto d'ora.” concluse Trunks,
chiudendo la
telefonata.
In
realtà, il bar era
solo un diversivo, dato che in quella casa c'erano occhi e orecchie
ovunque.
Se
suo padre avesse saputo
le vere intenzioni del figlio, probabilmente l'avrebbe scorticato
vivo seduta stante.
Si
stava incamminando per
il corridoio quando, ad un tratto, un foglio di carta arrotolato lo
colpì sulla testa.
Si
voltò e vide la stanza
della sorellina lasciata aperta e Bra intenta a scarabocchiare
qualcosa su un pezzo di carta.
Ad
un tratto, con
un'espressione scocciata, disse: “No! Neanche questo va
bene!” e,
con decisione, strappò il foglio, lo arrotolò e
lo buttò per
terra, ormai il pavimento era completamente ricoperto di fogli.
Da
quando era tornata a
casa, Bra si era rintanata in camera sua, usando tutti i fogli del
suo quaderno.
Lo
strano comportamento di
Bra aveva insospettito anche i suoi genitori che, pochi minuti dopo,
si affacciarono sulla soglia della sua camera.
“Bra,
cosa stai
facendo?” le domandò la madre e la figlia, senza
nemmeno alzare la
testa, rispose: “Disegno un finale alternativo per il Lupo
Cattivo
della favola di Cappuccetto Rosso.” “Che razza
d'idea! Non puoi
cambiare le favole, Bra.” le disse Vegeta e, prima che Bulma
gli
pestasse il piede, si sentì la matita rosa coi brillantini
di Bra
cadere per terra.
Immediatamente,
Bulma
dimenticò Vegeta e le chiese: “Tutto ok,
tesoro?” “Sì, è
stato solo un momento di distrazione...” la
rassicurò la piccola
mentre raccoglieva la matita.
Vegeta,
un po'
incuriosito, le chiese: “Come mai ti è venuta
questa idea?”
“Perché voglio che il Lupo Cattivo abbia un finale
più felice!”
“Perché?” “Perché
ho incontrato il Lupo Cattivo.”
Mentre
Bra riprendeva a
disegnare, i suoi familiari uscirono, senza parole, dalla stanza.
Una
volta chiusa la porta,
Vegeta disse a Bulma: “Tua figlia a volte è
davvero strana.”
“Sarà perché è anche tua
figlia,
Vegeta.”
gli ricordò la moglie.
Trunks
guidava con abilità e destrezza la sua macchina.
Aveva
preso la patente qualche mese prima e gli piaceva un sacco guidare
sulla sua macchina.
Gli
dava un senso di libertà...
Ad
un tratto, Trunks ripensò alla scena avvenuta qualche minuto
prima.
Certo
che sua sorella aveva proprio una bella fantasia... cambiare il
finale della favola di Cappuccetto Rosso perché diceva di
aver
conosciuto il Lupo Cattivo, non era certo una di quelle cose che
facevano le bambine di solito...
Si
era appena fermato per un semaforo arancione che, ad un tratto, si
sentì di nuovo male al ventre.
Quel
dolore era ancora più forte di quello che aveva sentito a
scuola...
che caspita gli stava succedendo?!
Stavolta,
il dolore fu più lungo ma anche quello, finalmente,
cessò.
Trunks
si era appena ripreso dal dolore che il semaforo diventò
verde e una
macchina dietro di lui gli suonò il clacson per spingerlo a
muoversi.
Trunks
obbedì prontamente ma mentre continuava a guidare si sentiva
strano...
Perché
continuava a sentire male al ventre? Eppure aveva mangiato molta
frutta e verdura...
Quando
si accorse di essere arrivato al bar dove Mai lo aspettava,
parcheggiò la macchina e si diresse verso di esso.
Davanti
all'ingresso, c'era Mai che indossava un grande maglione bianco,
pantaloni marroni e scarpe aperte col tacco.
“Trunks!”
lo salutò la ragazza andandogli incontro e il ragazzo
l'abbracciò,
felice.
In
un attimo, tutti i suoi problemi svanirono all'istante.
“Ci
prendiamo qualcosa prima di andare a casa mia?” gli
domandò la
ragazza mentre lo conduceva all'interno del bar e Trunks le chiese:
“Ma sei sicura che in casa tua non c'è
nessuno?” “Rilassati, i
miei coinquilini sono andati al cinema e quando torneranno noi avremo
già finito.” “Ti avverto che potremo
trascorrere solo un'ora
insieme. E' il massimo che i miei mi hanno dato.”
“Pur di stare
con te, sarei disposta ad accettare solo cinque minuti...” lo
rassicurò la ragazza prima di baciarlo con passione sulle
labbra.
Bra
giocherellava, nervosa, con la sua matita.
Presto
sarebbe stata ora di andare a nanna e lei non aveva ancora trovato
nessun bel finale per il Lupo Cattivo.
Se
il giorno dopo fosse andata al parco senza nessun finale alternativo,
avrebbe dimostrato che per i Lupi Cattivi non esisteva nessun altro
finale se non la... morte.
No!
Avrebbe
impedito al suo Lupo Cattivo di fare une fine tragica!
Ma
cosa poteva inventarsi?!
Tutti
i finali che inventava le sembravano banali...
Sentì
la porta della sua stanza aprirsi.
Subito,
esclamò: “Ancora cinque minuti, mamma!”
“Non sono venuta qui
per dirti di andare a letto, Bra.” le disse la voce di sua
madre.
Bra
si girò e fissò il bel viso della sua mamma,
domandandole: “Cosa
c'è?” “Mi sembra che lavori
ininterrottamente da ore... perché
non ti riposi un po'?” “Perché se non
invento un bel finale
entro domani, dimostrerò che i Lupi Cattivi devono morire
per
forza!” “Perché proprio entro
domani?”
Bra
rimase in silenzio.
Alla
fine le raccontò: “Ho conosciuto un signore ieri
al parco. Se ne
sta sempre, tutto solo, in una panchina a leggere il giornale. E' un
po' scorbutico e dice sempre che è cattivo, per questo lo
chiamo il
Lupo Cattivo, però... mi sembra così solo... e,
poi, ho notato che
ha sempre un velo di tristezza negli occhi... mi capisci,
mamma?”
“Certo, tesoro. Ti capisco perfettamente.” le disse
Bulma, mentre
le accarezzava i capelli.
Era
vero, capiva sua figlia meglio di chiunque altro... questo,
perché
anche Vegeta era così quando l'aveva conosciuto per la prima
volta.
Un
uomo scontroso e asociale che, in realtà, nascondeva una
grande
tristezza nel cuore.
L'uomo
lavorava come insegnante di arti marziali in una palestra in centro
città assieme a Son Goku, amico d'infanzia di Bulma.
Goku
era da sempre un uomo allegro, solare ed estroverso, anche se,
purtroppo, era terribilmente ingenuo, l'esatto opposto di Vegeta.
Era
stato lui il primo a far breccia nella barriera di Vegeta.
Fin
dal primo giorno, quell'uomo così solo aveva attirato la sua
attenzione e aveva cominciato, a detta di Vegeta, a rompergli le
scatole!
Vegeta
non lo reggeva proprio e, pur di levarselo dai piedi, ricorreva a
tutti gli insulti che gli venivano in mente ma fu tutto inutile.
Goku
era tenace.
Così,
alla fine, si era arreso e i due avevano cominciato a frequentarsi,
scoprendo che i loro stessi padri era stati amici in passato ed
erano, pure, colleghi di lavoro.
Quando
Vegeta aveva scoperto che era stato proprio il padre di Goku,
Bardack, a portare suo padre in ospedale quando aveva avuto il malore
al lavoro, aveva avuto la tentazione di chiudere con lui ma, alla
fine, ci aveva ripensato.
Il
colpevole era solo suo padre, non chi l'aveva portato all'ospedale, e
poi, in fondo al cuore, Vegeta voleva un amico.
Così,
aveva cominciato a frequentarlo e, tra i vari amici di Goku, c'era
Bulma, colei che un giorno sarebbe diventata sua moglie.
Si
era interessata subito a quell'uomo misterioso, al pari di Goku, ma
Vegeta non voleva che qualcun altro facesse breccia nella sua
barriera.
Aveva
dovuto faticare un bel po', ma alla fine ci era riuscita, tanto che
Vegeta le aveva raccontato della fuga di suo padre, cosa che non
aveva fatto nemmeno con Goku.
Bra,
nel frattempo, continuò: “Sai, mammina, lui
è convinto che farà
una brutta fine perché è un Lupo Cattivo. Ma io
non voglio che la
faccia perciò voglio inventare un finale felice.”
“E' una cosa
molto bella, Bra, vuoi che ti dia una mano?” “No,
voglio fare
tutto da sola.” “Prova a sfogliare dei libri. Puoi
trovare
l'ispirazione...” le consigliò Bulma, prima uscire
dalla stanza.
Bra
prese un libro e cominciò a sfogliare le pagine con molta
attenzione
e, ad un tratto, mentre sfogliava le pagine, le venne l'ispirazione.
Ora
sapeva cosa doveva disegnare!
Trunks
diede un dolce bacio alla guancia di Mai mentre con una mano le
accarezzava i lunghi capelli.
Nonostante
fosse stata la prima volta per entrambi, doveva ammettere che se
l'erano cavata piuttosto bene.
Con
le sue precedenti fidanzate non si era mai spinto così
lontano...
certo, c'erano gli abbracci e i baci, ma non c'era stato il vero atto
fisico... almeno fino a quel momento...
Mai
si avvicinò a lui e gli sussurrò nell'orecchio:
“Sei stato
fantastico, Trunks... è stata la serata più bella
della mia
vita...”
I
due si misero a baciarsi con passione finché, ad un tratto,
non si
sentì uno strano suono.
“Accidenti,
la sveglia!” imprecò il ragazzo mentre usciva dal
letto e si
rivestiva.
Aveva
inserito la sveglia del cellulare per impedirsi di tornare a casa
troppo tardi e di far insospettire i suoi.
Mai
rimase sdraiata sul letto, guardandolo in silenzio.
Ad
un tratto sussurrò, con una voce che tradiva la sua
inquietudine:
“Non mi lascerai, Trunks?”
Il
ragazzo smise all'istante di vestirsi e si avvicinò alla sua
fidanzata, chiedendole: “Cosa intendi, Mai?”
“Di solito, quando
un uomo fa l'amore con una donna l'abbandona senza
scrupoli...”
Trunks
si avvicinò dolcemente a lei e le baciò la
fronte, rassicurandola:
“Tranquilla, piccola. Io non ti abbandonerei mai.”
“Me lo
giuri?” “Te lo giuro. Qualunque cosa accada io ti
starò
accanto.”
Mai,
felice, abbracciò il suo ragazzo e gli disse:
“Trunks, sei il
ragazzo più dolce che abbia mai conosciuto... se non ti
avessi
più... credo che impazzirei di dolore...”
“Anch'io, amore.”
“Signor
Lupo Cattivo!”
L'uomo
seduto sulla panchina, abbassò il giornale e, con
un'espressione
esasperata, alzò gli occhi al cielo e sussurrò a
sé stesso:
“Eccola...”
Sapeva
fin troppo bene chi stava arrivando...
“Cos'altro
vuoi, Cappuccetto Rosso?” le disse e la bimba, felice come
una
pasqua, gli mostrò un foglio pieno di scarabocchi infantili.
“Cos'è?”
le domandò il Lupo Cattivo e Bra rispose: “E' il
finale
alternativo per il Lupo Cattivo. Adesso glielo racconto.”
L'uomo
stava per protestare, quando Bra cominciò a raccontare:
“Quando
Cappuccetto Rosso incontrò nel bosco il Lupo Cattivo,
capì che il
Lupo nascondeva qualcosa così chiese a un suo amico
scoiattolo di
recarsi da sua nonna e dalla sua mamma per avvisarle e seguì
il
Lupo. Una volta arrivata nella sua tana, Cappuccetto Rosso
scoprì
che il Lupo era stato maledetto da una Strega Cattiva. Lui un tempo
era un Lupo Buono e aveva il pelo bianco come la neve, aiutando le
fate a portare la felicità e la gioia ai bambini. Ma la
Strega era
gelosa e così trasformò il Lupo Buono in un Lupo
Cattivo con il
pelo nero come la notte. C'era solo un modo per salvare il povero
lupo: fargli bere l'Acqua dei Miracoli, nascosta in una grotta sulle
Grandi Montagne Innevate. Cappuccetto Rosso salì in groppa
al lupo e
partirono insieme per le montagne. Grazie all'aiuto di un cacciatore
che viveva nei paraggi, i due trovarono l'Acqua dei Miracoli e il
lupo ritornò a essere un Lupo Buono dal pelo bianco. Il lupo
si
trasferì a casa della nonna di Cappuccetto Rosso e vissero
tutti
felici e contenti. Fine.”
L'uomo
la fissò un attimo in silenzio e poi, accarezzandole la
testa
azzurra, commentò: “Certo che hai proprio una
bella fantasia,
Cappuccetto Rosso...”
Bra
sorrise soddisfatta e disse, porgendogli il foglio: “Glielo
regalo.
Così ogni volta che crede che i Lupi Cattivi sono destinati
a
morire, non dovrà far altro che guardare questo foglio e
cambiare
idea.”
Dopo
aver detto quelle parole, la bambina scese dalla panchina e si
diresse verso i suoi compagni di classe, in quanto la maestra li
stava chiamando a rapporto.
L'uomo
la guardò allontanarsi in silenzio e, una volta che fu
completamente
sparita, si mise a guardare il foglio che la piccola gli aveva
regalato.
Certo
che quella bambina era un vulcano d'idee... cambiare il tragico
finale della favola di Cappuccetto Rosso per impedire al lupo di
morire...
L'uomo
fece un sospiro di tristezza e si mise a guardare il cielo, nuvoloso
e cupo come il suo animo.
Quella
ragazzina credeva che cambiare il finale di una storia potesse
cambiare il mondo.
Beata
innocenza.
Fin
dall'inizio, il Lupo Cattivo aveva il destino segnato, era inutile
cercare di cambiarlo.
Tutti
i Lupi Cattivi dovevano morire mentre le persone buone erano
destinate a vivere per sempre felici e contenti.
Lui
era e sarebbe rimasto per sempre un Lupo Cattivo, forse il peggiore
di tutta la specie.
E,
come tale, doveva morire... |
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Capitolo 5 *** Frammenti di vita ***
CAPITOLO
5: FRAMMENTI DI
VITA
Gure
se ne stava davanti
alla porta della classe.
Come
tutti i suoi compagni
di classe, aspettava con ansia l'arrivo del nuovo insegnante
d'italiano.
Da
quello che aveva detto
la professoressa d'inglese, l'uomo aveva ottenuto il posto di ruolo e
quindi era molto probabile che l'avrebbero avuto anche l'anno
prossimo.
La
ragazza guardò di
nuovo a destra e a sinistra.
Nonostante
avesse quindici
anni, era alta come una bambina piccola e, perciò, era,
spesso, e
volentieri, presa in giro dai compagni.
Gure
amava stare fuori
dalla classe perché nella classe si sentiva soffocare: urla,
insulti... e poi era meglio stare lontana dai guai...
Ad
un tratto, Gure vide un
uomo alto come un ragazzino che non aveva mai visto prima che
guardava sopra le porte come per cercare qualcosa.
“Mi
scusi...” lo
chiamò timidamente Gure e l'uomo si girò verso di
lei.
Gure
notò che era molto
carino: aveva un bel viso gentile e i capelli neri a spazzola con un
ciuffo nero.
La
ragazza disse,
indicandogli la sua classe: “Se sta cercando la 2A, sappia
che è
questa.”
L'uomo
le sorrise e la
seguì.
Quindi
era lui il nuovo
insegnante d'italiano...
Gure
si sedette al suo
posto davanti alla cattedra mentre il prof si avvicinava alla
cattedra.
“Buongiorno,
sono Tarble
Prince, il vostro nuovo insegnante d'italiano. Per cominciare, vorrei
conoscervi un po' tutti, in modo da ricordarmi i vostri nomi.
Cominciamo da te, signorina.” si presentò l'uomo,
indicando Gure.
La
ragazza arrossì e
rispose: “Mi chiamo Gure Tech, professor Prince, ho quindici
anni...”
“Signor
Lupo Cattivo!”
Bra
si diresse e si
arrampicò sulla solita panchina del parco.
Per
tutta risposta, l'uomo
borbottò qualcosa da dietro al giornale.
“Non
mi dice niente? Di
solito quando arrivo, mi dice sempre qualcosa...” gli fece
notare,
incredula, Bra e il Lupo Cattivo le rispose: “Vedi,
Cappuccetto
Rosso, nella settimana in cui mi scocciato, ho imparato un'arte molto
importante...” “E quale?”
“Quella della rassegnazione.”
Bra
fece una piccola
risatina e poi gli chiese: “Viene sempre al parco?”
“Sì.”
“Legge sempre il giornale?”
“Sì.” “Che notizie ci
sono?”
“Notizie che non sono per bambine.” “E'
sposato?”
Quest'ultima
domanda fece
trasalire il Lupo Cattivo ma si ricompose in fretta:
“Sì...” “E
ha dei figli?” “Ne ho uno... ma con lui non parlo
più da molti
anni...” “Avete litigato?”
“Qualcosa del genere...”
“Vedrà
che un giorno farete la pace. Anch'io litigo con la mia mamma,
però
poi facciamo pace!” “Io e mio figlio non faremo mai
pace... ho
fatto una cosa troppo spregevole per sperare di essere perdonato...
e, poi, siamo entrambi troppi orgogliosi...” “Anche
le persone
più orgogliose mettono da parte l'orgoglio quando capiscono
di aver
sbagliato.”
L'uomo
si mise a fissarla,
in completo silenzio.
“L'hai
sul serio fatto
con Mai?!”
Nel
liceo linguistico era
suonata da qualche minuto la campanella per l'intervallo.
Trunks
e Goten si
trovavano nel cortile dell'edificio per chiacchierare, come al
solito.
Trunks,
rosso per
l'imbarazzo, tentava di far abbassare il volume della voce di Goten,
in modo che nessuno potesse sentirli.
“Abbassa
la voce! Vuoi
che qualcuno senta?!” lo rimproverò l'amico e
Goten ridacchiò,
divertito: “Scusa, ma è stata troppo divertente la
tua faccia!”
“Spiritoso... com'è andato il tuo appuntamento
invece?” “Mi ha
mollato. Mi ha detto che io e lei siamo troppo diversi.”
“Accipicchia. Se continui così dovrai iscriverti
al club dei
single a vita.” e scoppiarono entrambi a ridere.
“Senti
Vegeta, cos'hai
deciso di comprare per il compleanno di tua madre?”
Quel
sabato pomeriggio,
lei e Vegeta erano andati a fare spese al supermercato, come al
solito.
Mentre
riempivano il
carrello, Bulma non aveva potuto fare a meno di domandare quella cosa
a Vegeta.
Vegeta
la guardò,
inarcando un sopracciglio e le domandò: “Guarda
che ho già in
mente cosa fare...” “Andiamo, Vegeta! Non puoi
sempre telefonare
a tua madre il giorno del suo compleanno per farle gli auguri!
Dovresti farle almeno un piccolo regalo...” “E'
Tarble quello che
fa i regali a ogni festa del creato! Fa' i regali per tutti e due! E,
poi, a mia madre non piacciono queste cose! Lei è come me.
Se non
esistessimo, si sarebbe dimenticata che giorno è il suo
compleanno
già da un pezzo!”
Bulma
sospirò.
Era
vero, Vegeta aveva
ereditato tutto il suo adorabile carattere dalla madre.
Non
poteva certo
dimenticarsi lo sguardo indagatore di Echalotte quando Vegeta l'aveva
presentata come la sua fidanzata.
Era
come se esistesse una
controparte femminile di Vegeta: stesso carattere, stesso
comportamento... persino stesso modo di camminare!
Eppure,
aveva notato negli
occhi della suocera, un profondo velo di tristezza.
Bulma
sapeva che era
perché il marito l'aveva abbandonata, lasciandola, per di
più,
incinta di Tarble.
Allevare
completamente da
sola due bambini piccoli, per giunta uno appena nato, non era certo
stato facile per lei, ma Bulma era certo che non avrebbe mai ammesso
le sue fatiche, per orgoglio.
Eppure,
Bulma era certa
che nel cuore di Echalotte c'era più tristezza verso il
marito che
rabbia.
Questo
perché lei amava
ancora il marito.
Echalotte
non aveva mai
ammesso una cosa simile, ma Bulma sapeva che era così.
Da
quando aveva imparato a
decifrare il complesso mondo interiore di Vegeta, Bulma era stata in
grado di decifrare anche quello di Echalotte.
Divertita
da quella
somiglianza pazzesca, Bulma commentò: “Hai
ereditato molte cose da
tua madre...” “Già... peccato che
c'è una cosa che non ho
ereditato da lei... qualcosa che, invece, ho ereditato da lui...
e che non posso ignorare...” le rispose, guardando con
profondo
disgusto il suo riflesso sul vetro della porta automatica del
supermercato.
DRIIIN
Era,
finalmente, suonata la campanella di fine lezione.
Immediatamente,
tutti i ragazzi cominciarono a chiacchierare tra loro, tutti tranne
una...
Gure
si avvicinò alla cattedra del professore.
Ogni
volta che suonava la campanella, Gure amava scambiare due parole con
gli insegnanti.
Le
sembravano più seri e
maturi dei suoi compagni.
E,
poi, il prof Prince era
sempre molto gentile e beneducato, sapeva un sacco di cose ed era un
piacere parlare con lui.
“Buongiorno,
professore.” lo salutò allegramente, come al
solito, e il prof le
rispose, sorridendo: “Ciao.” “Mi
è piaciuta molto la poesia
che abbiamo analizzato oggi. Sa, mentre la leggevo, mi sembrava di
trovarmi lì, in mezzo alla natura e di sentirmi parte di
essa.”
“Sono contento che tu abbia trovato la pura essenza della
poesia,
Gure. Hai grandi doti come poetessa. Dopotutto, hai preso il voto
più
alto nell'ultima verifica.” “A me è
sempre piaciuta molto la
poesia. A volte, scrivo ciò che provo in un
quaderno.” “Magari
un giorno, se ti fa piacere, ne leggerò qualcuna.”
“O-ok...”
Mentre
il prof usciva
dall'aula, Gure si sentiva rossa come un peperone.
Perché
la prospettiva di
far vedere le sue poesie al professore la imbarazzava così
tanto?!
Forse,
perché temeva che
lui leggesse nel suo cuore...
DRIIIINNN
La
sveglia.
Mai
si alzò a sedere su
letto.
Mentre
si stiracchiava,
avvertì un profondo senso di stanchezza.
L'ennesima
conseguenza per
essere rimasta in piedi fino alle undici per vedersi un film in tv ma
almeno lei, a differenza di molte sue coetanee, non passava le serate
in discoteca a bere alcolici e a prendere innumerevoli schifezze.
Non
osava pensare a
com'erano ridotte quelle al mattino...
Sbadigliando,
si alzò dal
letto e si diresse verso la cucina.
Quella
mattina aveva una
fame...
In
cucina vi erano già i
due sue coinquilini: Pilaf un tipo molto basso con un cappello di
lana in testa e vestito con abiti dai colori sgargianti e Shu, un
altro individuo basso vestito con un kimono da ninja viola con tanto
di Katana.
“Buongiorno.”
li
salutò, sbadigliando, Mai mentre Pilaf la sgridava:
“Sei di nuovo
andata a letto tardi. Non devi guardare la tv fino a tardi. Ti rovini
gli occhi.” “Pilaf, ti ricordo che sono
maggiorenne.” “E,
comunque, ieri sera non ti sei lavata i denti. Se non ti lavi i
denti, ti verranno le carie e sarai costretta a portarti la dentiera,
così Trunks ti mollerà.” “Non
dire sciocchezze, Pilaf. Trunks
mi ama con tutto sé stesso. Starebbe con me anche se fossi
una
vecchia racchia con tre anni in più di sua madre!”
protestò la
ragazza, mentre apriva il frigo per prendere una bottiglia di cartone
con dentro il latte.
Dopo
aver svuotato gran
parte del contenuto nel bicchiere, Mai si mise a berlo e a
riflettere.
Lei
amava con tutta sé
stessa Trunks ed era assolutamente certa che anche lui la
ricambiasse.
Se
lui non ci fosse stato
più... sarebbe morta di dolore.
“Andiamo,
Vegeta, non
fare quella faccia, ci stanno guardando tutti...”
“Sta' zitto,
Tarble! Io odio quando vengo fregato, soprattutto da mia
moglie!”
Vegeta
e Tarble stavano
camminando nei lunghi corridoi con scaffali pieni zeppi di vari
oggetti.
Vegeta
era di umore più
nero del solito e Tarble cercava, inutilmente, di farlo rilassare.
Quando
sua cognata Bulma
si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea e
pur di ottenerla, ricorreva a mille diavolerie, una più
perfida
dell'altra.
Stavolta,
pur di
convincere di marito ad accompagnarlo a comprare un regalo per la
madre, aveva organizzato un piano tanto semplice quanto diabolico.
Aveva
chiamato Tarble al
cellulare, dicendogli che Vegeta voleva aiutarlo e aveva spedito il
marito in giardino con la scusa di cercare una bambola che Bra aveva
dimenticato.
Quando
Vegeta aveva visto
il fratello minore raggiungerlo, chiedendogli se era pronto, aveva
sentito puzza di pericolo ma, ormai era troppo tardi.
Bulma
aveva chiuso la
porta di casa, Vegeta, non immaginando il trucco, aveva lasciato le
chiavi in casa, e gli aveva intimato di aiutare il fratello
altrimenti sarebbe rimasto fuori casa per tutto il resto del giorno e
per tutta la notte.
Vedendosi
in una
situazione senza alcuna via d'uscita, Vegeta si era rassegnato ad
aiutare il fratello nella ricerca, sperando di finire il prima
possibile.
“Pensi
che questo le
piaccia?” domandò, ad un tratto, Tarble,
mostrandogli un foulard
viola.
“Ma
non sei tu quello
che fa i regali?” sbottò Vegeta e Tarble
spiegò: “Sì, ma visto
che tu hai lo stesso carattere della mamma, se trovo qualcosa che
piaccia a te, di sicuro piacerà anche a lei.”
“Povero me...”
“Allora?” “No. Troppo femminile. E lo
direi anche se fossi una
donna.” “Se tu fossi una donna, allora, cosa
vorresti come
regalo?” “Un bel paio di guanti da signora del
secolo scorso.
Elegante e raffinato.” “Credo di aver visto
qualcosa in quello
scaffale in alto...” esclamò il giovane cercando
di alzarsi in
tutta la sua altezza.
Purtroppo,
perse
l'equilibrio e avrebbe sicuramente sbattuto sul pavimento se Vegeta
non l'avesse preso per un braccio.
“E
sta' un po' più
attento!” lo sgridò mentre il fratello,
imbarazzato, si scusava:
“Sì, scusami.”
Era
sempre stato così.
Vegeta
aveva sempre dovuto
proteggerlo dai pericoli.
Quando
la madre, una
settimana dopo che il padre era fuggito, gli aveva detto che presto
avrebbe avuto un fratellino, gli aveva fatto promettere che si
sarebbe preso cura di lui, proteggendolo da tutti i pericoli del
mondo visto che il padre se n'era andato.
Da
quando suo padre era
scappato, la sua vita era diventata un inferno.
Gli
altri bambini lo
evitavano, in quanto i loro genitori gli avevano detto che dentro di
lui scorreva il sangue di un degenerato, e i bulletti ne
approfittavano per canzonarlo e per umiliarlo.
Perciò,
aveva cominciato
a chiudersi in sé stesso e a crearsi quella barriera che poi
si
sarebbe stata rotta anni dopo per via di Goku e Bulma.
In
più, aveva cominciato
a prendere lezioni di arti marziali.
Tarble,
invece, nonostante
la sua dose giornaliera di umiliazioni, era sempre sereno e
sorridente.
Un
giorno, però, Tarble,
all'epoca frequentava la prima media, era tornata a casa con un sacco
di cartone in testa.
Insospettita,
Echalotte
glielo aveva tolto ed era rimasta sconvolta.
Il
volto di suo figlio era
pieno di graffi e di lividi viola mentre l'occhio destro era
diventato completamente nero.
Il
ragazzino, mentre
tornava a casa da scuola era stato circondato da una banda di bulli
che frequentava la terza media, che l'avevano preso a calci e a
pugni.
Sentendo
il racconto del
figlio, Echalotte lo aveva abbracciato ed era scoppiata a piangere.
Nessuno
dei due figli
aveva mai visto la donna piangere...
Il
giorno seguente, Vegeta
era partito alla ricerca dei bulli che avevano picchiato Tarble e,
una volta trovati, gliele aveva date di santa ragione.
La
madre di uno di quei
teppisti, era immediatamente corsa a casa loro e aveva minacciato di
portarli in tribunale.
Echalotte
si era difesa
con calma affermando che in tribunale avrebbe detto a tutti com'era
stato conciato suo figlio minore e degli insulti molto pesanti che
aveva ricevuto.
Era
stato quando la
signora aveva affermato che nei suoi figli scorreva il sangue di un
padre svergognato, che Echalotte aveva perso la calma.
Si
era avventata su di lei
come una furia e le aveva sibilato che suo marito non era affatto uno
svergognato e se avesse osato dirglielo di nuovo, quello che aveva
ricevuto suo figlio non sarebbe stato nulla rispetto a quello che
avrebbe ricevuto da lei.
Solo
Tarble aveva
assistito a quella scena, Vegeta era a lezione di arti marziali, e
vedendo la devozione con cui sua madre continuava a difendere suo
padre anche se li aveva abbandonati, aveva cominciato a pensare che,
forse, suo padre non era l'essere cattivo e senza scrupoli che tutti
pensavano.
Ma
quando ne aveva parlato
con Vegeta, il fratello maggiore aveva dichiarato che il padre era
solo una schifosa carogna traditrice e che era da idioti pensare che
non era così!
Da
allora, Tarble non
aveva più nominato il padre in presenza di Vegeta ma
continuava a
pensare che magari anche lui possedeva un cuore e che aveva avuto un
valido motivo per andarsene.
Vegeta
e Tarble cercarono
per un quarto d'ora tra i guanti ma non trovarono nulla.
“Senti,
Tarble, lasciamo
perdere e torniamocene a casa! Ormai è tardi, ho una fame da
lupi e
posso entrare in casa mia visto che ti ho dato una mano!”
esclamò
Vegeta e Tarble annuì.
In
effetti, non avevano
trovato proprio niente.
Tarble
si fermò un attimo
per ammirare un filo d'oro con appesa una chiave di ferro e, quando
si girò per chiedere al fratello se quella collana andasse
bene si
accorse che Vegeta si era allontanato.
Preoccupato,
si mise a
cercarlo in mezzo alla gente e, all'improvviso vide una capigliatura
a fiamma simile a quella del fratello avvicinarsi alla zona dei vini.
Tarble
stava per seguirlo
quando qualcuno lo afferrò per un braccio.
Si
voltò e vide Vegeta
che si mise subito a dirgli: “Possibile che devo sempre
tenerti
d'occhio?” “Ma... allora non sei appena entrato
nella zona dei
vini!” “E che cosa avrei dovuto farci?”
“Lascia stare, mi
sarò sbagliato con tutta la gente che
c'è...” “Su, andiamo alla
cassa.”
Mentre
si avvicinavano
alla cassa, Tarble esclamò: “Guarda, Vegeta,
c'è una zona con i
fiori!” “E allora?” “Potremmo
comprarne uno per la mamma.”
“Che idiozia! A me i fiori non piacciono!”
“Ma se il tuo
giardino ne è pieno...” “Ce li regala
mia suocera. Prima li
compra e poi non sa dove metterli!” “Dai, diamo
un'occhiata!”
“Uff... d'accordo, ragazzino!”
I
due fratelli
cominciarono a guardare i vari tipi di fiori.
O,
meglio, Tarble cominciò
a guardare i vari tipi di fiori mentre Vegeta lo seguiva con la
solita aria imbronciata.
“Che
peccato che non ci
siano dei cactus... potevamo comprare quelli...”
commentò Tarble
mentre Vegeta sbuffava: “Chi se ne importa, Tarble. Su, diamo
un'occhiata veloce al resto...” “Ehi, Vegeta,
guarda quei fiori!”
C'era
una piccola pianta
con dei fiori molto belli di colore rosso.
“Però,
non sono
male...” ammise Vegeta mentre Tarble gli chiese:
“Pensi che le
piaceranno?” “Piacciono a me quindi direi che la
mamma li
adorerà.” “Allora la
prendiamo!” esclamò il giovane mentre
afferrava con delicatezza il vaso.
Tarble
notò il cartello
in cui c'era scritto il nome e lesse: Anemone.
“Ehi,
Trunks. Ti stai
ammalando?”
Era
suonata da qualche
minuto la campana dell'intervallo e Goten e Trunks si erano, come al
solito, recati in giardino per chiacchierare indisturbati.
Stupito
da quella strana e
inaspettata richiesta, Trunks smise di bere il suo succo di frutta e
gli chiese: “No. Perché me lo chiedi?”
“Perché da un po' di
tempo mi sembri incredibilmente pallido...” “E' la
stagione delle
malattie.”
In
realtà, anche Trunks
era seriamente preoccupato.
Ormai,
erano due mesi che
si nutriva di continuo di frutta e verdura eppure continuava a essere
colto da quello strano dolore al ventre.
Che
diamine gli stava
succedendo?!
Non
ne aveva ancora
parlato con nessuno, a causa del suo orgoglio, ma se fossero
continuati ne avrebbe parlato al più presto con sua madre.
“Ehi,
guarda. Laggiù
c'è Mai.” esclamò, ad un tratto, Goten,
indicando la ragazza.
Appena
si accorse dei due,
fece una faccia strana e andò in un'altra direzione in
fretta e
furia.
“Avete
litigato?”
domandò, sorpreso di quello strano comportamento, Goten a
Trunks ma
l'amico negò: “No... però, in
effetti... è da un po' che mi
evita...” “Allora hai fatto qualcosa che l'ha fatta
arrabbiare.”
“Non mi pare proprio...”
“Gure,
sbrigati, o farai
tardi a scuola.” “Ho quasi finito, mamma.”
Gure
bevve la sua
camomilla e mangiò i biscotti al cioccolato.
Era
un lunedì mattina,
l'inizio di una nuova, entusiasmante, settimana scolastica.
Almeno,
alla prima ora
aveva letteratura e avrebbe rivisto il professor Prince.
Quanto
gli era mancato in
quel week-end...
La
ragazza arrossì,
imbarazzata.
Ma
cosa gli saltava in
testa?!
Il
professor Prince era
più grande di lei e, di sicuro, era anche fidanzato.
Come
invidiava la
fortunata...
Dandosi
dei colpetti in
testa, Gure uscì dalla porta e per poco non si
scontrò con l'uomo
che abitava nell'appartamento davanti al suo.
“Mi...
mi scusi...!”
balbettò, imbarazzata, la ragazza e l'uomo le rispose,
scocciato:
“Sta più attenta, ragazzina.”
Nessuno,
nel palazzo,
sapeva niente di lui.
Non
sapeva quand'era
arrivato, dato che l'uomo abitava in quell'appartamento fin da quando
lei e la sua famiglia si erano trasferiti lì, ovvero sette
anni
prima, ed era sempre molto scontroso, silenzioso e cupo.
Ogni
mattina, l'uomo
usciva dal suo appartamento e tornava solo di sera.
Per
un attimo, Gure le
sembrò che i capelli di quell'uomo assomigliassero molto a
quelli
suo amato prof...
Ma
che diamine le stava
succedendo?!
Quella
stessa mattina,
alla giovane era sembrato che il sorriso di suo padre fosse lo stesso
di quello del prof e la sera prima aveva creduto che il volto del
portiere assomigliava molto a quello del prof Prince!
Prince...
Tarble Prince...
Tarble...
Aveva
scritto mille volte
quel nome su tutti i fogli che possedeva e, adesso, tutti gli uomini
che vedeva, li paragonava a lui!
E
se... si stesse
innamorando di lui?!
“Signor
Lupo Cattivo!”
“Cosa c'è?”
Bra,
con un po' di fatica,
si arrampicò sulla panchina ed esclamò, tutta
contenta: “Oggi la
maestra ha detto che sono stata la studentessa migliore di questa
settimana!” “Congratulazioni.”
“Lo sa che è il primo a cui
lo dico?” “Immagino.” “Non vedo
l'ora di dirlo alla mia
mamma, al mio papà e al mio fratellone!”
“Saranno orgogliosi di
te.” “Sa che fra una settimana è il
compleanno di mia nonna?”
Il
Lupo Cattivo fece una
faccia sconvolta e nervosa ma, poi, recuperò la sua solita
calma e
disse: “Ah...” “Andremo a mangiare da
lei, assieme allo zio,
che è il fratello di mio padre, e papà le
darà il regalo che hanno
comprato insieme cinque giorni fa.” “Guarda che so
che cos'è uno
zio.” “Vuole sapere che cosa le
regalano?” “No.” “Beh,
glielo dico lo stesso: un vaso di fiori di anemoni.”
“Ah.” “Lei
sa cos'è un anemone?” “Certo. Non sono
mica nato ieri.” “E
cosa sono?” “Dei fiori. Il loro nome deriva dal
greco anemos, che
significa vento. Per questo è chiamato il fiore del vento.
Sono dei
fiori molto fragili e di breve durata. E, infatti, il loro
significato è quello dell'abbandono.” “I
fiori possiedono un
significato?” “Certo. Nei tempi antichi, quando non
esisteva il
cellulare, si usavano proprio i fiori per comunicare un sentimento a
una persona.” “Però è molto
triste se un fiore significa
abbandono...” “Però questo fiore, per
via della sua singolare
bellezza, significa anche attesa e speranza.”
“Davvero?!” “Sì.
Si può usarlo per dire a una persona a cui vuoi bene: -Mi
manchi da
morire, torna da me-” “Che forza! Lei sa proprio
tutto!”
commentò la bambina mentre appoggiava la testa sul braccio
dell'uomo.
Subito,
l'uomo si scostò
come se avesse avuto una scottatura, dicendole: “Ma che
fai?!”
“Faccio le fusa come i gatti.” “Tu non
sei un gatto ma una
ragazzina.” “Però mi piace strofinarmi
sulle persone a cui
voglio bene...”
L'uomo
la fissò un
attimo, poi sussurrò: “Faresti meglio a non
affezionarti troppo a
me, Cappuccetto Rosso... perché io ti farò
soffrire.”
Echalotte
diede l'ultima
innaffiata del giorno alla pianta di anemone e poi si mise a
fissarla, in completo silenzio.
Per
la prima volta da
anni, Vegeta e Tarble le avevano fatto un regalo di compleanno
insieme, anche se la donna sospettava che il figlio maggiore si era
messo d'accordo col fratello sotto insistenza di Bulma.
Era
felice di averli come
figli... ormai anche il suo piccolo Tarble stava spiccando il volo...
Le
sembrava soltanto ieri
che lo prendeva in braccio e gli cantava una ninna nanna, per farlo
addormentare, sotto un luminoso cielo notturno d'estate.
Era
molto piccolo ma era
lo stesso un bel bambino...
Da
quando suo marito se
n'era andato, aveva dovuto sudare sette camicie per mantenerli ma era
orgogliosa di quei due.
Con
delicatezza, accarezzò
il petalo rosso di un fiore della pianta...
L'anemone...
il fiore
dell'abbandono...
Echalotte
sospirò,
ricordando il periodo successivo all'abbandono del marito.
I
primi tempi, l'aveva
odiato con tutta sé stessa, per averla lasciata
così su due piedi
senza neanche parlarle, ma, col tempo, la rabbia si era un po'
attenuata.
La
stessa cosa non si
poteva certo dire di Vegeta.
Lui
odiava ancora
profondamente il padre.
Dopotutto,
aveva solo tre
anni quando aveva assistito alla fuga del padre.
Da
allora, non voleva più
sentirlo nominare e aveva fatto sparire tutte le sue foto per non
vedere l'essere che gli faceva tanto schifo eppure, per pura ironia
della sorte, suo figlio non poteva non vedere l'immagine di suo padre
ogni volta che si specchiava.
Vegeta,
infatti, era
identico a suo padre.
Avevano
gli stessi capelli
a fiamma, anche se quelli del marito erano castani e quelli del
figlio neri, e la stessa espressione.
Anche
Tarble aveva
ereditato varie cose da suo padre ma non al livello di Vegeta.
Suo
figlio maggiore
sembrava la fotocopia giovanile del padre!
Echalotte
fece un sospiro.
Non
l'avrebbe mai ammesso,
però... in fondo al cuore... suo marito le mancava.
“Mi
manchi da morire,
torna da me.” sussurrò la donna e sperò
con tutta sé stessa che
quell'idiota traditore di suo marito, dovunque fosse, la sentisse. |
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Capitolo 6 *** Il silenzio dei disperati ***
CAPITOLO
6: IL SILENZIO
DEI DISPERATI
L'uomo
dal pesante
cappotto e l'ombrello, uscì dall'enorme edificio bianco.
Alzò
lo sguardo e fissò
quel cielo nero e freddo di Novembre.
Stava
peggiorando, ormai
gli restava poco tempo.
Qualche
mese prima,
sarebbe stato al settimo cielo di sapere che, finalmente, tra poco
avrebbe potuto abbandonare una volta per tutte quella valle di
lacrime.
Negli
anni precedenti, il
rimorso per ciò che aveva fatto, l'aveva logorato senza
dargli un
attimo di tregua.
C'era
una soluzione per
fargli mettere fine a tutte quelle atroci sofferenze, ma non
l'avrebbe mai compiuta.
Non
era ancora così
disperato da uccidersi...
E
poi, all'improvviso, era
arrivata lei.
Quella
piccola peste coi
capelli turchini, tutta vestita di rosso... per qualche strano
motivo, aveva cominciato a ronzargli intorno e a tormentarlo un
giorno sì e l'altro pure.
Aveva
cercato di mandarla
via con le cattive, facendo la voce e i gesti di un cattivo dei
cartoni animati, ma, invece di scappare via a gambe levate, come la
maggior parte delle coetanee avrebbe fatto, quella mocciosa non si
era per nulla spaventata e aveva continuato ad avvicinarsi sempre di
più a lui.
Siccome
pioveva a dirotto,
l'uomo aprì il suo ombrello nero e cominciò a
camminare senza metà
per le vie della città.
Non
sapeva più cosa fare.
Aveva
cercato di non avere
nuovi legami ma non ci era decisamente riuscito.
Quella
bambina era
riuscita a dargli un senso alla sua stupida vita... aveva avuto il
coraggio di provare a guardare dove altri non volevano guardare...
gli aveva dato un piccolo spiraglio di luce nella sua cupa
esistenza...
Si
fermò quando vide un
semaforo rosso.
Quella
bambina era un dono
del cielo ma allo stesso tempo una condanna...
Finalmente,
il semaforo
diventò verde e l'uomo attraversò la striscia
pedonale.
Non
poteva darle una
notizia del genere... le avrebbe fatto perdere quel piccolo ma
luminoso sorriso che riusciva a scaldargli quel suo cuore di
ghiaccio, ne era sicuro.
Non
aveva altra scelta.
Doveva
rifarlo.
Per
la seconda volta,
nella sua stupida e vuota esistenza doveva rifarlo.
Dopotutto,
era un mago
nello sparire...
Entrò
in un bar e si
sedette a un tavolo.
“Un
cappuccino, per
favore.” ordinò quando il cameriere venne a
prendere la sua
ordinazione, con la massima calma e normalità.
Sembrava
un normale
signore calmo e rilassato quando, in realtà, mille emozioni
contrastanti lo stavano logorando.
Infatti,
era un mago anche
nel mentire e a nascondere ciò che provava.
Quando
il cameriere gli
portò il cappuccino, l'uomo osservò con
intensità il liquido
marrone all'interno della tazza.
Non
riuscì a trattenere
un sospiro.
Perché
quando sembrava
che, finalmente, la sua vita non sarebbe stata l'esistenza amara,
cupa e di solitudine che era sempre stata, era arrivata quella
dannata notizia?!
Sembrava
che la vita ce
l'avesse a morte con lui.
Mentre
beveva il suo
cappuccino, pensò, con una punta di dolore e tristezza: Mi
dispiace, Cappuccetto Rosso... ma non deluderò anche te!
C'era
qualcosa che non
andava.
Trunks,
ormai, ne era
certo.
Ormai,
era da parecchie
settimane che non riceveva notizie di Mai.
Ma
la cosa strana era che
non avevano litigato e lui non aveva fatto qualcosa di riprovevole.
Cosa
accidenti stava
succedendo?!
Proprio
in quel momento,
il suo cellulare squillò.
Trunks
lo prese e vide che
era Mai che lo chiamava.
“Pronto,
Mai? Che
succede?” le domandò, preoccupato, e
sentì la voce della ragazza
sussurrare: “Trunks... mi dispiace... ma devo dirti
addio...”
Per
poco, al ragazzo non
cadde il telefono sul letto.
Dopo
un attimo di
smarrimento, Trunks le domandò: “Ma cosa
significa?! Che succede,
Mai?!”
Ci
fu un lungo silenzio,
poi si sentì ancora la voce di Mai: “Perdonami...
ma io ti amo
troppo e non voglio rovinarti da vita...” “Mai,
cosa dici?! Dove
sei?!” “E' inutile che tu mi cerchi. Adesso mi
trovo su un aereo
che mi porterà in un paese straniero molto lontano... siamo
appena
decollati.” “Che significa, Mai?! Perché
mi abbandoni così di
colpo?!” “Mi dispiace...”
Quella
piccola parola fu
sufficiente a far trasalire Trunks.
Il
suo tono era roco e
sentiva un singhiozzo trattenuto di sottofondo.
“Mi
dispiace, Trunks...
perdonami se puoi... anch'io soffro per questa decisione... ma
è
quella migliore, credimi. Sappi che sono stata molto felice con te.
Promettimi solo che sarai felice, che ti rifarai una vita e che mi
dimenticherai. Addio.” CLICK.
Trunks
provò subito a
ritelefonarle ma fu tutto inutile.
La
ragazza aveva già
spento il cellulare.
Trunks
chiuse gli occhi
con forza e sentì le lacrime calde uscirgli dagli occhi.
Lui
amava Mai con tutto sé
stesso e anche lei lo amava, lo sentiva... perché, allora,
se ne era
andata così all'improvviso?!
Trunks
non lo sapeva ma
non gli importava.
L'unica
cosa che voleva
era chiudere gli occhi e versare tutte le sue lacrime.
E
un'intera cartella di
verifiche in una classe era stata corretta.
Tarble
guardò l'orologio
appeso al muro del suo appartamento.
Le
nove di sera.
Aveva
il tempo di
correggere un'altra cartella.
La
prese dalla sua borsa e
cominciò a correggere le varie verifiche.
Ad
un tratto, si bloccò.
Gli
era capitata tra le
mani la sua
verifica.
Solo
leggerne il nome lo rendeva nervoso.
Gure
Tech.
Era
la studentessa più in gamba che avesse mai avuto.
Aveva
un'incredibile sensibilità e leggeva sempre molti libri.
Anche
lui amava i libri, e, infatti, più di una volta l'aveva
incrociata
nella biblioteca della scuola.
Era
orgoglioso di quell'allieva e non si sarebbe stupito se, un giorno,
fosse diventata una scrittrice o una poetessa famosa, eppure negli
ultimi tempi, ogni volta che la vedeva, si sentiva strano.
Ogni
volta che i loro sguardi s'incrociavano, si sentiva il cuore battere
all'impazzata e più di una volta, quando si trovava al
centro
commerciale o vedeva un film, si era messo a pensare a quella
ragazza.
Gure...
Gure... Gure... Gure... Gure...
Abbassò
lo sguardo e sbiancò.
Aveva
di nuovo scritto mille volte il suo nome sul foglio con cui valutava
i voti da dare agli studenti!
Il
suo presentimento si stava rivelando fondato!
Il
cuore che batteva all'impazzata a ogni suo sguardo, il pensiero che
si soffermava sempre sulla stessa persona, scrivere il suo nome
dappertutto... erano tutti i sintomi dell'innamoramento.
Si
era innamorato di Gure.
Sapeva
già che il suo era un amore folle, perverso e senza speranza.
Lui
era un adulto e lei una ragazzina.
Lui
era un prof e lei una sua allieva.
Non
poteva assolutamente funzionare!
E,
poi, sarebbe stato un egoista a iniziare una storia con una ragazza
così giovane: lei aveva il diritto di trovarsi un fidanzato
della
sua età.
L'avrebbe
di sicuro rovinata, facendola passare per una ragazza facile o una
che seduceva i prof per ottenere dei bei voti, se avesse cominciato a
frequentarla.
Tarble
sospirò.
Avrebbe
soffocato quel suo sentimento d'amore a senso unico per il bene e la
felicità della fanciulla che amava... anche se avesse
significato
soffrire in un modo atroce...
BRROOUUUMMM
Un
altro tuono.
L'arrivo
dell'ennesimo temporale.
E
pensare che quella mattina e buona parte del pomeriggio era stato
bello...
Bulma
cominciò a chiudere le imposte della casa, in modo da
impedire
all'acqua di entrare.
Bulma
entrò nella stanza della piccola Bra, con l'obiettivo di
chiudere le
finestre, ma vide, con stupore, che la sua bambina stava piangendo.
Era
impossibile non capirlo: la piccola era seduta sul suo lettino, con
la testa in giù e le lacrime che le rigavano le guance rosse.
Adesso
che ci pensava, quando era venuta a prenderla, le era sembrato che la
sua bambina fosse profondamente triste e, una volta tornata a casa,
si era barricata in camera sua senza uscire.
Bulma
si sedette accanto alla figlia e, accarezzandole dolcemente la testa,
le chiese: “Cucciola, cosa succede? Hai per caso litigato
oggi con
qualche tua amica all'asilo?” “Neanche oggi
è venuto...”
Bulma
fece una faccia sorpresa.
Non
capiva a chi si stesse riferendo la figlia.
“Ma
di chi parli, Bra?” le chiese e Bra le rivelò:
“Del signor Lupo
Cattivo...”
In
un lampo, Bulma si ricordò di chi parlava la figlia.
Di
quel signore che aveva conosciuto al parco, un uomo cupo e scorbutico
convinto di morire a breve e che era cattivo...
“Mi
dici cos'è successo?” le domandò
dolcemente e la piccola le
raccontò: “E' da una settimana che non viene
più al parco... ogni
giorno vado al parco con la speranza di rivederlo e ogni giorno trovo
la nostra panchina vuota... lo aspetto ma lui non viene mai... ho
tanta paura, mamma... temo che sia morto veramente o che... non
voglia più venire al parco!” “E
perché non dovrebbe più venire
al parco?” “Per causa mia! Forse... gli sto
antipatica...
pensavo... o forse speravo... che si fosse un po' affezionato a me,
ma magari mi sbagliavo...” “Io credo che, invece,
si sia proprio
affezionato a te, Bra.”
La
figlia la guardò, incredula, e Bulma le spiegò:
“Anche tuo padre
ha fatto la stessa cosa in passato. Sai, quando ci siamo conosciuti,
si era creato una barriera attorno a sé, per impedire alla
gente di
sapere quello che lui provava...” “Ma allora anche
il signor Lupo
Cattivo si è creato una barriera! Cerca sempre di evitare
che io
sappia troppo di lui...” “Ecco, e per tuo padre era
la stessa
cosa! Perciò, per paura che la sua barriera venisse
infranta,
cominciò a evitarmi! Conosceva i miei orari e i posti che
frequentavo, così fu facile evitarmi. In quel periodo stavo
malissimo. Non riuscivo a capire perché mi stesse
evitando... tutte
le notti tormentavo tua zia Tights perché non sapevo
più cosa fare
con lui!” “Povera zia... e come vi siete
ritrovati?” “Forse
per uno strano disegno del destino... una notte mi addormentai sul
treno della metropolitana e scesi alla fermata sbagliata. Non sapevo
più dove fossi, ero disperata... e, ad un tratto,
sentì qualcuno
che mi toccava dolcemente la spalla. Indovina chi era?”
“Papà!”
“Esatto, per puro caso, stava tornando a casa dal lavoro e
abitava
nei paraggi. Così m'invitò a trascorrere la notte
a casa sua e, il
giorno dopo, mi aiutò a ritrovare casa mia.”
“Il mio papà è
davvero un eroe!” “Sì... qualche giorno
dopo, comprai un mazzo
di fiori per ringraziarlo di ciò che aveva fatto per me. Il
portinaio mi disse che si era beccato l'influenza e che era meglio
non avvicinarsi troppo a lui ma non gli diedi retta. Tuo padre si
trovava in camera sua con la febbre alta. Per un quarto d'ora siamo
rimasti in completo silenzio perché non sapevamo cosa dirci.
Alla
fine, tuo padre mi chiese che cosa ci trovavo in un tipo come lui e
io gli dissi tutto quello che pensavo di lui, i suoi pregi e i suoi
difetti. Alla fine, non ce l'ho fatta e gli ho confessato tutto
l'amore che provavo per lui. Tuo padre era stupito, non si aspettava
una così improvvisa e appassionata dichiarazione e
cercò di
mandarmi via. Fu in quel momento che lo abbracciai, pregandolo di non
mandarmi via, in quanto io avevo bisogno di lui, come lui di me. Fu
allora che scoppiò a piangere.” “Il mio
papà pianse?” “Sì...
non mi accorsi di niente finché non gli vidi le lacrime
uscirgli
dagli occhi. Dopodiché, mi strinse a sua volta, facendomi
capire che
avevamo unito per sempre i nostri due destini. Mi beccai la febbre
alta per un'intera settimana ma, in compenso, riuscì a
rompere la
barriera di tuo padre e a legarlo a me.” “Che
storia romantica...
pensi che anch'io ritroverò il signor Lupo Cattivo e
romperò la
barriera che si è creato?”
“Sì, piccola mia... ne sono certa.” |
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Capitolo 7 *** Il male nascosto ***
CAPITOLO
7: IL MALE NASCOSTO
Finalmente,
era arrivato uno dei due momenti che gli studenti aspettavano con
ansia da quando erano entrati.
La
ricreazione.
Eppure,
c'era uno studente che non era affatto contento della ricreazione e
che non vedeva l'ora che arrivasse il secondo momento atteso da
tutti: la campanella di fine lezione dell'ultima ora.
Trunks,
infatti, non vedeva l'ora di tornarsene a casa per un motivo molto
semplice: ogni cosa, in quella scuola, gli ricordava Mai.
Era
passato un mese da quando la ragazza, per qualche oscuro motivo,
l'aveva lasciato.
Anche
se sembrava il solito, dentro di sé si sentiva morire.
Mai
gli mancava troppo.
“A
cosa pensi, amico?” gli domandò, all'improvviso,
una voce che
Trunks conosceva fin troppo bene.
“Al
nulla, Goten.” rispose in fretta il ragazzo ma Goten, che,
ormai,
conosceva fin troppo bene l'amico, non ci cascò.
“Trunks,
ormai ti conosco. Stavi di nuovo pensando a Mai.” gli disse
l'amico
e Trunks sospirò.
Il
suo amico, ormai, lo conosceva troppo bene...
Goten
lo prese per un braccio e, mentre lo trascinava fuori dalla scuola,
propose: “Che ne dici se mi racconti tutto nel nostro solito
posto?”
Trunks
annuì.
Aveva
un disperato bisogno di sfogarsi e Goten, anche se non lo sembrava,
era la persona giusta.
I
due si recarono al solito posto e Trunks cominciò a parlare:
“Mai
mi manca... e da un mese che mi ha lasciato... non riesco nemmeno a
capire il motivo... ho provato a chiedere informazioni a Pilaf e a
Shu, i suoi coinquilini, ma non ho saputo niente... mi ha chiesto di
dimenticarla ma non ci riesco! I suoi capelli lisci corvini, la sua
pelle bianca come la neve e i suoi occhi stupendi... mi manca tutto
di lei...” “Anche le sue parti intime?”
“GOTEN!” “Stavo
scherzando, amico! Piuttosto... quando sei andato a parlare con quei
due, come ti sono sembrati?” “Ora che ci penso, mi
sono sembrati
un po' nervosi e agitati... però non ne sono tanto sicuro...
sai,
ero in ansia per Mai...” “Forse, Mai ti ha lasciato
perché si è
innamorata di un altro.”
Sentendo
quelle parole, Trunks lo fissò e si mise a protestare:
“Cosa?! Mai
non farebbe una cosa del genere! Non sarebbe da lei!”
“Però la
conosci, Trunks. E' una ragazza molto solitaria e cupa...”
“E
questo cosa c'entra? Ti ricordo che anche mio padre è
così, forse
anche di più...” “Appunto. Tuo padre
preferirebbe morire
piuttosto che ammettere i suoi sentimenti. Forse, si vergognava di
essersi innamorata di un altro nonostante fosse fidanzata con te e
allora ha preferito andarsene per evitarti questa umiliazione,
amico.”
Trunks
rimase zitto un attimo.
Era
vero, Mai, per certi versi, assomigliava molto a suo padre.
Forse,
Goten aveva ragione: si era innamorata di un altro e per non
deluderlo aveva preferito andarsene, eppure...
Qualcosa
dentro di lui gli diceva che non era vero, che Mai lo amava ancora...
anche se era andata via...
Goten,
indovinando i pensieri del amico, sospirò: “Sei
proprio innamorato
di Mai...” “Già...”
“Su, è meglio tornare in classe, la
campanella sta per suonare...”
Trunks
seguì l'amico ma, ad un tratto, si fermò.
Quando
Goten si accorse che Trunks non lo seguiva più, si
voltò e gli
domandò: “Trunks, che succede?”
Rimase
sconvolto da ciò che vide.
Trunks
era caduto per terra, il respiro affannato e gli occhi chiusi, con la
mano sul ventre.
“TRUNKS!
TRUNKS! MA CHE TI PRENDE?!” urlò Goten, correndo
verso di lui.
Non
sembrava soffocare ma ansimava molto forte, come se sentisse un
dolore atroce.
In
quel momento, una bidella uscì dalla scuola.
Immediatamente,
Goten la chiamò: “SIGNORA! MI AIUTI, LA PREGO! IL
MIO AMICO STA
MALE!”
La
bidella si avvicinò a Trunks e, mentre lo esaminava, Goten
le
raccontò cos'era successo.
Dopo
che Goten ebbe finito di raccontare, la donna esclamò:
“Sarà
meglio chiamare l'ospedale. Non so cosa abbia ma temo che sia
qualcosa di grave...”
“...Non
si preoccupi, ho analizzato attentamente le prove contro di lei e
credo proprio che ce la faremo. Ci vediamo in aula la settimana
prossima, arrivederci.”
Bulma,
dopo aver riagganciato il telefono, fece un profondo sospiro.
Fare
l'avvocato difensore era veramente faticoso.
Era
terribile tutta quella responsabilità ma cercava sempre di
impegnarsi al massimo.
Per
fortuna, fra due ore poteva, finalmente, tornarsene a casa.
Avrebbe
preparato da mangiare per i suoi due pozzi senza fondo e, prima di
tornare al lavoro, avrebbe fatto un pisolino di un'ora.
Proprio
in quel momento, il telefono squillò di nuovo.
Più
per la forza dell'abitudine che per via del suo compito, Bulma
sollevò distrattamente la cornetta e rispose:
“Pronto?” “Mi
scusi, parlo con la signora Bulma Brief?”
“Sì, sono io.” “Sono
la preside del liceo che frequenta suo figlio Trunks.”
“E'
successo qualcosa?” “Vede signora, durante
l'intervallo suo
figlio ha avuto uno strano malore ed è svenuto.”
“DOV'E'?!”
“L'ambulanza l'ha portato in ospedale... mi dispiace, ma
dovevo
avvertirla...” “NON IMPORTA, GRAZIE
INFINITE!”
Bulma
riagganciò la cornetta e corse a prendere il cappotto e la
borsetta.
Non
aveva un istante da perdere!
“Annulli
tutti i miei appuntamenti per oggi!” ordinò alla
segretaria e uscì
in fretta e furia dal palazzo.
Una
volta in macchina, afferrò il cellulare e compose il numero
di
Vegeta.
In
quel momento, suo marito si trovava al lavoro ma era certa che avesse
lasciato il cellulare acceso.
Infatti,
dopo qualche squillo, sentì la voce del marito:
“Pronto?”
“Vegeta, sono io, Bulma!” “Bulma?! Cosa
diavolo è successo?!”
le domandò immediatamente.
Conosceva
troppo bene sua moglie e se si era messa a telefonargli durante il
suo orario di lavoro, significava che era accaduto qualcosa di molto
brutto.
Il
suo primo pensiero corse subito a Bra.
Doveva
essere successo qualcosa al parco!
Lo
sapeva che quel postaccio era troppo pericoloso per la sua bambina!
Poteva
essere stata picchiata da dei bulli o, peggio ancora, un maniaco si
era avvicinato a lei e...
Vegeta,
all'improvviso, si ricordò che non era possibile una cosa
del
genere: erano solo le undici e Bra si recava al parco solo un'ora
dopo.
Bulma
gli raccontò: “Si tratta di Trunks... a scuola ha
avuto un malore
e l'hanno portato all'ospedale!” “Non preoccuparti!
Arrivo
subito!” la rassicurò Vegeta prima di riattaccare.
Bulma
stava per avviare il motore quando si ricordò di una cosa
molto
importante.
Doveva
andare a prendere sua figlia all'asilo.
Non
sapeva quanto l'avrebbero trattenuta e non poteva rischiare che, nel
frattempo, le succedesse qualcosa.
Così,
avviò il motore e partì alla volta dell'asilo.
E,
per quella settimana, la visita di controllo era finita.
Da
quando era peggiorato, le visite erano diventate una volta alla
settimana e non una volta al mese.
Si
domandò perché le faceva.
Sapeva
che sarebbe successo presto e sapeva benissimo che non sarebbe
cambiato niente.
Non
era ancora stato trovato... l'unica cosa al mondo che poteva
salvarlo... e se doveva proprio essere sincero, non gliene importava
granché di essere salvato.
Ne
aveva fatte troppe per sperare di essere salvato...
Con
la solita aria tranquilla, uscì dal portone e si
fermò.
Il
cielo stava cominciando a rannuvolarsi.
Secondo
il meteo, quella notte ci sarebbe stata una tempesta coi fiocchi, con
un bel concerto di fulmini inclusi nel prezzo.
Chissà
se lei aveva paura dei fulmini...
Ma
cosa stava pensando?!
Doveva
dimenticarsi di quella mocciosa!
Sospirò,
sconsolato.
Si
era sentito malissimo durante quel mese.
Anche
quando era successo il fatto si era sentito male per un mese intero,
e non gli era ancora sparito del tutto, ma stavolta era diverso.
Si
sentiva male perché aveva deluso quella bambina.
La
mocciosa dai grandi occhi azzurri... quella che aveva voluto a tutti
i costi conoscerlo, infischiandosene del fatto che era un uomo
cattivo... chissà per quale motivo si era messa in testa
che, in
realtà, era buono...
Se
avesse scoperto che cosa aveva fatto in passato, si sarebbe convinta
del fatto che lui, in realtà, era un vero Lupo Cattivo, il
peggiore
di tutti...
A
volte, era stato preso dalla tentazione di tornare in quel parco e
sedersi sulla loro panchina.
L'avrebbe
aspettata, fingendo di leggere il giornale ma, come al solito,
avrebbe l'avrebbe abbassato per vedere se stesse per arrivare.
All'inizio
aveva sperato che quella mocciosa lo lasciasse in pace, aveva
già i
suoi mille problemi senza bisogno che una nanerottola di tre anni
gliene aggiungesse, ma quando aveva capito che quella peste non aveva
nessuna intenzione di cedere, si era rassegnato all'inevitabile.
In
poco tempo, si era affezionato a quella peste e non vedeva l'ora di
andare al parco solo per rivederla.
Per
rivedere i suoi grandi occhi blu.
Per
rivedere il suo sorriso.
Ma,
poi, era arrivata la notizia.
Non
sarebbe mai riuscito a dirglielo ma non sarebbe nemmeno riuscito ad
andare al parco e a parlarle sapendo che presto si sarebbe separati.
Per
sempre.
E,
poi, come avrebbe potuto tornare al parco, dopo che se n'era andato,
senza nemmeno salutarla?
Era
sicuro che l'avrebbe odiato per sempre, per averla delusa in quella
maniera.
Certo
che era proprio un asso nel farsi odiare...
In
quel momento, sentì una sirena dell'ambulanza entrare dal
cancello e
fermarsi di fianco all'entrata.
Un
gruppo di medici tirò fuori da essa un lettino su cui era
seduto un
giovane dai capelli lilla, che stava respirando grazie a una
bomboletta.
L'uomo
si spostò e si diresse verso il parcheggio.
La
vista di quel giovane era stata tremenda per lui.
Gli
aveva fatto ricordare quello che presto sarebbe toccato a lui...
Guardò
l'orologio.
Le
undici e mezza.
Poteva
ancora farcela.
Si
diresse verso il parcheggio ed entrò in macchina.
Avrebbe
provato a raggiungere la piccola peste al parco.
Per
una volta, avrebbe detto al suo orgoglio di andare a farsi un bel
giro.
L'avrebbe
trovata e gli avrebbe chiesto scusa per come si era comportato.
Poi,
avrebbe dovuto dirglielo.
Sarebbe
stato terribile, ma doveva farlo.
Le
avrebbe raccontato tutta la verità.
La
vista di quel povero ragazzo che l'ambulanza aveva portato, gli aveva
fatto capire che non aveva tempo da perdere.
Non
si sarebbe fatto odiare anche da lei.
Una
volta avviata la macchina, uscì dal parcheggio.
Aveva
appena girato a destra che una macchina entrò a sua volta
nel
parcheggio.
Dopo
aver girato un po', la macchina individuò il posto che lui
aveva
appena lasciato libero e parcheggiò.
Poi,
da essa, uscì una donna con i capelli corti che fece uscire
da essa
una bimba di tre anni con i capelli turchini.
Poi,
la donna prese per mano la piccola e corsero verso l'ospedale.
“CHE
SIGNIFICA CHE MIO FIGLIO STA PER MORIRE?!”
La
potente voce di Vegeta si era sentita per tutta la corsia, facendo
girare pazienti e dottori.
Il
povero dottore non sapeva così dire: “Vede,
signore... le analisi
hanno stabilito che vostro figlio ha un problema al fegato...
dev'essersi cominciato a creare da due anni ma quest'anno ha
cominciato a peggiorare, provocandogli malori e svenimenti, come
quello accaduto a scuola... e continuerà a peggiorare sempre
di più,
fino a che non morirà.”
Bulma
e Vegeta rimasero in silenzio dal tanto che erano sconvolti.
Il
loro bambino, il loro splendido bambino di soli diciotto anni,
sarebbe morto a breve.
Diciotto
anni... solo diciotto anni di vita... una vita troppo breve.
Avrebbe
potuto frequentare l'università, conoscere una bella
ragazza, che,
magari, sarebbe riuscita a fargli dimenticare Mai, con cui si sarebbe
sposato e avrebbe avuto dei figli, avrebbe realizzato i suoi sogni...
e, invece, l'unico desiderio che tutti volevano che venisse
realizzato adesso, era quello che Trunks sopravvivesse.
Solo
la piccola Bra ebbe il coraggio di chiedere: “C'è
un modo per
salvare il mio fratellone?” “Effettivamente uno
c'è, ma...”
“Mi dica qual'è! Non m'importa se il costo
è esorbitante! Voglio
salvare mio figlio!” lo pregò Bulma.
Il
dottore fece un sospiro e rivelò: “Non si tratta
del costo,
signora. Suo figlio potrà salvarsi solo se si
riuscirà a trovare un
pezzo di fegato compatibile che sostituisca la parte danneggiata. Ma,
purtroppo, è difficile, se non addirittura impossibile,
trovare un
pezzo di fegato compatibile.”
Erano
le sette e mezzo di sera e lei non era venuta.
Ormai,
il parco era deserto e i lampi cominciavano ad apparire, squarciando
il cielo notturno e lasciandosi dietro un bel rumore assordante.
L'uomo
si alzò dalla sua panchina e uscì da esso.
Non
si diresse verso la sua macchina ma cominciò a girare, a
casaccio,
per le vie della città, senza una meta.
Che
idiota era stato a pensare che qualcosa nella sua sporca e inutile
vita potesse cambiare!
Lui
era un cattivo e il destino di tutti i cattivi era quello di vivere
per sempre un'esistenza cupa e di solitudine.
Come
diavolo aveva fatto a credere che una bambina piccola potesse
cambiare il suo destino?!
Sentì
una goccia di pioggia cadergli sulla testa e si affrettò ad
aprire
l'ombrello.
In
poco tempo, si sviluppò un tremendo acquazzone e tutti si
affrettarono a ripararsi.
Solo
lui rimase fuori.
A
parte qualche passante e macchina, grazie alla pioggia, la
città era
diventata deserta, come se nessuno ci abitasse da secoli.
Ma
lui non si lamentava di certo.
Da
sempre aveva amato la solitudine.
La
solitudine era sempre una stata una delle sue più fedeli
compagne.
Forse,
perché quando si è soli, non si corre il rischio
di deludere
qualcuno...
“Bra,
la cena è pronta!”
Bulma
tirò fuori dal forno la pizza.
A
volte, la preparava quando si festeggiava qualcosa, ad esempio, la
domenica sera prima di guardare un bel film tutti insieme davanti
alla tv.
Eppure,
quel giorno non si festeggiava proprio niente.
Bulma
aveva in programma di fare la pizza per pranzo e, così,
l'aveva
lasciata fuori a scongelare e, così, quando erano tornati
mezz'ora
prima, non aveva avuto altra scelta che prepararla.
Lei,
il marito e la figlia aveva mangiato qualcosa al bar dell'ospedale e,
poi, erano rimasti accanto a Trunks, che era rimasto sotto
osservazione per tutto il pomeriggio.
Finalmente,
i controlli erano finiti e lei, Vegeta, Bra e Trunks erano potuti
tornarsene a casa.
Ma
l'umore della famiglia non era per nulla allegro.
Il
pensiero che Trunks potesse avere un improvviso attacco e morire
faceva star male tutti, persino Vegeta, anche se non lo ammetteva.
Bra,
poi, era disperata.
Per
tutto la durata del viaggio si era strofinata sul fratello e a ogni
minimo cambiamento trasaliva.
Quand'erano
tornati a casa, poi, era corsa in camera sua.
Bulma
aspettò per cinque minuti che la figlia rispondesse ma, non
sentendo
nulla, la richiamò, perché magari non aveva
sentito, ma neanche
stavolta la bambina rispose.
La
donna la chiamò un altro paio di volte ma non sentiva nulla.
Insospettita,
Bulma si diresse nella camera della figlia e aprì la porta.
Per
poco, la donna non si mise a urlare.
Bra
non era nella sua camera e le imposte e la finestra della sua camera
era stata aperta.
Bulma
vide sulla scrivania un foglio con su disegnato una specie di bambina
con i capelli blu e con in mano un pacco regalo che donava a una
figura molto più grande di lei.
Bulma
capì all'istante il significato del disegno.
Bra
era scappata per trovare un fegato per Trunks e salvarlo. |
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Capitolo 8 *** Incontri nella tempesta ***
CAPITOLO
8: INCONTRI NELLA TEMPESTA
Intorno
a lei regnava il buio più totale e la pioggia le inzuppava i
vestiti.
Sapeva
che era stata una stupidaggine ma doveva tentare.
Doveva
trovare un fegato per salvare suo fratello.
Il
signore dell'ospedale le aveva detto che era difficile trovarne uno,
ma lei doveva tentare.
Suo
fratello maggiore era sempre stato uno dei suoi idoli e pensare che,
presto, lui non ci sarebbe stato più, l'aveva fatta
disperare.
Perciò
aveva preso quella decisione.
Una
volta tornata a casa, era corsa in camera sua e, dopo aver disegnato
un messaggio per la sua famiglia, aveva aperto imposta e finestra ed
era scappata.
Purtroppo,
aveva lasciato a casa l'impermeabile e, di conseguenza, era bagnata
fradicia, ma non le importava.
Doveva
salvare suo fratello.
A
qualunque costo.
“CHE
COSA?! BRA E' SCAPPATA?!”
Vegeta
non riusciva a credere alle sue orecchie.
La
sua bambina... era scappata di casa nel bel mezzo della notte... con
un tremendo temporale... e, per di più, di notte c'erano
sempre un
branco di criminali nascosti nell'ombra pronti a fare del male...
Ma
cosa diamine era saltato in testa a sua figlia?!
Tutta
colpa di Bulma... aveva ereditato troppi geni da lei, ne era sicuro!
“Quando
l'ho chiamata per la cena non mi rispondeva, così sono
andata in
camera sua e l'ho trovata vuota. Credo che sia andata a cercare un
fegato per Trunks. Devi trovarla, Vegeta. Lo sai che ha paura dei
fulmini!” lo pregò la moglie e Vegeta le promise,
prima di uscire
dalla porta di casa: “Tranquilla, non tornerò a
casa fino a quando
non l'avrò trovata.”
Ormai
erano le nove di sera ma la pioggia non aveva alcuna intenzione di
smettere.
Non
solo vedeva chiaramente le gocce di pioggia dalla finestra del bar
nel quale era entrato per bersi una bella tazza di caffè
nero
fumante, ma sentiva il frastuono dell'acqua che scendeva.
Un
clima davvero pessimo.
Si
mise a fissare le gocce che rigavano il vetro della finestra.
Gli
erano sempre piaciute le gocce di pioggia.
Quando
era ragazzo, mentre viaggiava in macchina immaginava che quelle gocce
fossero delle stelle comete oppure seguiva il percorso che esse
tracciavano sul finestrino, sperando che arrivassero in fondo.
Anche
adesso si divertiva con quello strano passatempo che aveva fin da
quando era ragazzo... fin da quando era ancora buono...
Ad
un tratto, per poco non si ustionò la lingua.
Gli
era sembrato di vedere, in mezzo alla bufera...
Ma
no, non poteva essere...
Eppure,
quella capigliatura era inconfondibile...
Bevve
quello che restava del caffè in un sorso, bruciandosi la
lingua, e,
dopo aver pagato il caffè, corse fuori dal locale.
La
figura si stava allontanando ma, fortunatamente, era ancora visibile.
Doveva
raggiungerla.
Doveva
sapere se era davvero lei...
Bra
si alitò sulle manine congelate.
Aveva
freddo.
Troppo
freddo.
La
pioggia l'aveva inzuppata completamente e, la cosa più
terribile,
era che non aveva trovato un fegato per suo fratello.
Dopo
aver cercato un po', si era accorta di essere stanca morta e di avere
sempre più freddo, così aveva deciso di
rinunciare per quella
notte.
Il
problema era che si era accorta che si era completamente persa.
E,
per di più, i fulmini e il buio la stavano spaventando a
morte.
Voleva
solo tornarsene a casa sua, nel suo lettino, ma non sapeva dove
andare.
Ad
un tratto, si accorse di essere arrivata nel parco dove lei si recava
insieme agli altri bambini dell'asilo.
Per
istinto, si recò nella panchina dove lei e il suo Lupo
Cattivo si
erano incontrati e avevano chiacchierato fino al mese prima.
Si
sedette, stremata, sulla panchina.
Aveva
freddo, paura e pure fame.
Anche
se su quella panchina si sentiva un po' più al sicuro, era
distrutta
e la pioggia continuava a bagnarla.
Non
ce la faccio più... Ho freddo, fame... voglio tornare a
casa...
pensò la piccola mentre le sue guance arrossate venivano
rigate da
delle lacrime Questa
città,
di notte, fa' così paura... qualcuno mi aiuti...
Aveva
appena finito di pronunciare queste parole, che si accorse che la
pioggia non la stava più bagnando.
Alzò
la testa e si accorse, con stupore, che un grande ombrello nero la
stava coprendo.
Si
voltò e lo vide.
Il
suo Lupo Cattivo.
Era
tornato.
Era
tornato per salvarla.
L'uomo,
con il suo solito tono da sufficienza, le chiese: “Cosa ci
fai qui
da sola a quest'ora, Cappuccetto Rosso? Non lo sai che la notte
è il
regno dei Lupi Cattivi?”
Bra
lo fissò con stupore prima di abbracciarlo con forza mentre
singhiozzava.
L'uomo
le avvicinò un braccio.
Bra
sapeva che l'avrebbe spostata ma non gli importava.
Lui
era lì.
Sapeva
di essere al sicuro.
Ma,
invece, di allontanarla, il braccio l'avvolse in un goffo ma sicuro
abbraccio.
Evidentemente,
non abbracciava molto spesso ma a Bra non importava.
Con
quell'abbraccio, le aveva fatto capire che le voleva bene e che
l'avrebbe protetta, a qualunque costo!
Ad
un tratto, sentì qualcosa di morbido cadere in testa.
Alzò
la testa e vide il cappotto dell'uomo.
Se
l'era tolto, nonostante il freddo pungente, per riscaldarla.
Infatti,
l'uomo le ordinò: “Indossalo, sei gelida.
Dov'è casa tua?” “Non
lo so... mi sono persa e ho tanta paura e freddo...” rispose
la
bambina e, una volta che ebbe detto quelle parole, l'uomo la
sollevò
e la prese in braccio.
“Scusa
se ti prendo in braccio così, ma ho un po'
fretta.” si giustificò
l'uomo.
Attraversò
il parco velocemente e aprì una macchina nera vicino
all'entrata di
esso.
Aprì
la portiera davanti, dove c'era il posto per il passeggero, e mise
lì
dentro Bra, mettendole persino la cintura di sicurezza.
Una
volta che si fu occupato della bambina, si mise al posto del
guidatore.
“Signor
Lupo Cattivo, dove stiamo andando?” domandò Bra,
mentre si
avvolgeva il più possibile nel cappotto, e l'uomo le
rispose: “A
casa mia. Hai bisogno di calore e io abito qui vicino.”
Mentre
guidava l'uomo si mise a pensare.
Quello
strano e inaspettato incontro gli aveva fatto ricordare il suo
passato.
Il
suo passato da brava persona...
Una
volta, aveva litigato con suo figlio, che all'epoca aveva solo due
anni, in quanto non voleva mangiare il minestrone e, per punirlo, lo
aveva spedito a letto senza cena.
Alle
nove, sua moglie era entrata in camera sua per vedere come stava e
aveva scoperto che il bambino era scappato.
Lui
e sua moglie avevano preso la macchina e l'avevano cercato per
mezz'ora.
Finalmente,
l'avevano trovato e l'avevano riportato a casa.
Il
piccolo era rimasto così traumatizzato che, per quella
notte,
avevano lasciato che dormisse nel loro letto.
Suo
figlio...
Era
passato molto, troppo, tempo, da l'ultima volta che l'aveva visto...
Chissà
cosa stava facendo in quel momento...
Vegeta
era sempre più nervoso.
Non
trovava la sua piccola Bra da nessuna parte.
Ormai
era da parecchio tempo che la cercava ma non era ancora riuscita a
trovarla.
“BRA!
BRA!” continuò a chiamarla, senza ottenere alcuna
risposta.
Ad
un tratto, vide una sagoma nera tra due grossi alberi.
Qualcosa
dentro di lui, lo spinse a muoversi in quella direzione e quando
illuminò la sagoma con la sua torcia, si accorse che era il
castello
del parco giochi.
La
sua parte cosciente voleva andarsene seduta stante, ma le sue gambe
si diressero verso una piccola porta del castello.
La
illuminò ma non vide nessuno.
Stava
per andarsene quando, all'improvviso, ricordò qualcosa.
Un
ricordo...
La
pioggia non intendeva ancora smettere.
Vegeta
si rannicchiò ancora di più su stesso.
Era
stata proprio una pessima idea... ma la colpa era di suo padre!
Suo
padre non lo capiva!
Non
l'aveva mai capito e nemmeno in futuro l'avrebbe fatto!
BROOOUUUM
Vegeta
si tappò le orecchie.
I
fulmini erano sempre più vicini.
Temeva
che uno di loro colpisse quel castello, spezzandolo in due e
colpendolo in pieno.
Un
brivido gli percorse il collo e si mise a battere i denti.
Aveva
troppo freddo e, per di più, era bagnato fradicio, a causa
della
tempesta.
BRROOUUUMMM
Un
altro!
Senza
nemmeno rendersene bene conto, Vegeta scoppiò a piangere.
Che
stupido che era stato!
Non
avrebbe mai dovuto farlo!
Voleva
solo tornare a casa...
All'improvviso,
un fascio di luce lo illuminò.
Vegeta,
coprendosi gli occhi, guardò da dove proveniva quel fascio.
Proveniva
da una torcia, tenuta in mano da suo padre!
Non
era mai stato così felice di rivederlo!
Vedendolo,
suo padre si mise a gridare: “ECHALOTTE!! L'HO
TROVATO!”
Quindi
c'era anche la mamma!
Ma...
allora non erano arrabbiati con lui...
Sua
madre raggiunse suo padre in un lampo e gli disse, con dolcezza:
“Vieni qui, Vegeta, non aver paura...”
Si
fiondò su sua madre, abbracciandola.
Lei
l'avvolse in una calda e morbida coperta e, poi, lo prese in braccio
mentre suo padre metteva l'ombrello sopra le loro teste.
S'incamminarono
verso la macchina ma, ad un tratto, Vegeta non riuscì a
trattenersi
dal dire: “Papà...”
Suo
padre si fermò e, voltandosi leggermente e, fissandolo con
un
occhio, gli chiese: “Cosa c'è, Vegeta?”
“Volevo... volevo
chiederti scusa, papà. Ho fatto un'enorme stupidaggine, lo
so!”
Suo
padre rimase un attimo in silenzio, poi disse: “Siamo esseri
umani,
Vegeta. Le stupidaggini le facciamo tutti.”
Vegeta
rimase immobile, dal tanto che era sconvolto.
Quel
ricordo... era ovvio che fosse suo... eppure non voleva che fosse
suo!
Non
lo voleva!
Lui
non era mai stato contento di rivedere suo padre e nemmeno si era mai
scusato con lui.
Anche
perché, fino a quando quel verme non se n'era andato, lui
non aveva
mai combinato guai...
Eppure,
ciò che aveva appena ricordato, diceva tutt'altra cosa...
Gure
si fermò sul marciapiede, aspettando che il semaforo
diventasse
rosso.
Quella
tempesta non ci voleva proprio.
Fortunatamente
si era portata l'ombrello da casa, altrimenti si sarebbe bagnata
tutta.
Stava
tornando a casa dalla sua lezione serale di francese.
Normalmente
si sarebbe spaventata a morte a girare da sola in quella grande
città
di notte, ma la casa della sua insegnante si trovava proprio di
fronte al palazzo dove abitava la sua famiglia.
Una
volta attraversata la striscia pedonale sarebbe entrata di corsa nel
suo palazzo...
Ad
un tratto, una mano le bloccò la spalla.
La
ragazzina, spaventata, si voltò e vide un energumeno che
puzzava
terribilmente di alcool e che le disse: “Ehi, pulcino. Che ci
fai
qui tutta sola? Che ne dici di venire con noi a fare un
giro?” “Ti
sei proprio ubriacato!” commentò un altro bestione
avvicinandosi a
lui “Ma dico, l'hai vista?! Non è per niente una
bella ragazza,
anzi è parecchio bruttina e insignificante! Non ha curve,
è piatta
come una tavola, è bassa come una mocciosa e ha i capelli
così fini
da sembrare pelata! Solo un cieco potrebbe sposarsela, brutta
com'è!”
Gure
abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Era
vero, non era proprio l'immagine perfetta di un'affascinante ragazza.
Che
sciocca che era, a credere che il suo prof l'amasse.
Lui
era troppo bello per innamorarsi di una ragazza bruttina come lei.
Queste
assurdità accadevano solo nelle fiabe...
“Ah,
eccoti! Ti ho cercata dappertutto!” esclamò una
voce alle spalle
del duo.
Gure
si girò e vide proprio il suo prof.
Con
il suo solito sorriso, si avvicinò a quei due bestioni e le
disse,
mentre la prendeva per un braccio: “Ma si può
sapere dov'eri
finita, Gure? Eppure te l'avevo detto che ti avrei raggiunta
subito... non è colpa mia se c'era tutta quella fila al
bagno...”
Poi,
si rivolse a quei due energumeni e li ringraziò, mentre si
allontanava assieme alla ragazza: “Non so davvero come
ringraziarvi
per aver ritrovato la mia ragazza. Sapete, si perde abbastanza spesso
in questa grande città...”
Una
volta che i due attraversarono la strada, Gure, tutta rossa in viso,
si staccò da lui e balbettò: “G-grazie
mille, professore. Ci
vediamo a lezione.”
Dopodiché,
corse all'interno del suo palazzo.
Una
volta entrata, Gure ansimò pesantemente, ancora rossa in
viso.
Il
suo amato prof l'aveva appena salvata.
Nonostante
non fosse orario di lezione, e quindi non era responsabile nei suoi
confronti, l'aveva salvata da dei brutti ceffi.
Ma,
allora, forse anche lui teneva a lei...
Quasi
subito, Gure cancellò quei pensieri!
Che
assurda sciocchezza!
Il
suo prof aveva sempre avuto un animo gentile e sensibile, era ovvio
che salvasse tutta le ragazze che finivano nei guai, anche quelle
bruttine e insignificanti come lei.
Però,
ammise a sé stessa, sorridendo e arrossendo, non le era
affatto
dispiaciuto essere definita la fidanzata del professor Prince...
Proprio
in quel momento, dalla porta del garage, uscì un uomo.
Gure
lo riconobbe subito: era quello che abitava nell'appartamento davanti
al suo.
Ma
la cosa più strana era che aveva in mano il suo cappotto.
Gure
non riuscì proprio a capire come una persona potesse
togliersi il
cappotto col freddo pungente che c'era.
Lo
vide correre, stranamente molto agitato, verso l'ascensore.
Fu
solo quando le porte dell'ascensore stavano per chiudersi che vide
uscire dal cappotto un piccolo ma paffuto visino, circondato da
capelli turchini.
“Su,
indossa questa camicia. E' un po' larga ma è meglio di
niente.”
Bra
indossò la camicia bianca che il Lupo Cattivo aveva preso
dal suo
armadio.
Effettivamente,
era parecchio grande ma non c'erano altri bambini della sua
età, e
quell'uomo aveva già fatto tanto per lei...
Una
volta che entrati nell'appartamento, l'uomo aveva acceso il
riscaldamento e l'aveva portata nel piccolo bagno.
L'aveva
spogliata e le aveva fatto un bel bagno caldo, in modo da
riscaldarla.
Dopodiché,
le aveva asciugato i capelli turchini e l'aveva portata in camera
sua, dove le aveva dato quella camicia e un paio di calze, in modo da
non prendere freddo ai piedi.
Mentre
il Lupo Cattivo cercava quegli indumenti, Bra aveva visto, sul suo
comodino, un foglio di carta che lei aveva riconosciuto il finale che
aveva inventato per il Lupo Cattivo della favola di Cappuccetto
Rosso.
Sua
madre aveva proprio ragione.
Quell'uomo,
in realtà, era affezionato a lei e le voleva bene.
Proprio
come suo padre...
Bra
sospirò.
Chissà
se la sua famiglia aveva scoperto la sua fuga...
Una
volta vestita, Bra ispezionò la casa del Lupo Cattivo.
Era
parecchio grande ma anche molto silenziosa.
Non
ci dovevano abitare altre persone a parte lui...
Quella
casa era così triste... non si stupiva affatto che il suo
Lupo
Cattivo fosse sempre così triste e solitario... ma dov'era
la sua
famiglia?!
Quando
sarebbe tornata a casa, avrebbe fatto in modo che il Lupo Cattivo
trascorresse un po' di tempo con la sua, in modo da non essere
più
triste e solo e da avere una nuova famiglia, di cui avrebbe fatto
parte anche lei.
Timidamente,
si avvicinò all'uomo che stava mescolando qualcosa in una
pentola e
domandò: “Cosa sta preparando?”
“Minestrone. Non voglio scene
perché non ti piace, sono stato chiaro?”
l'avvertì lui,
puntandole l'enorme cucchiaio di legno che stava usando per
mescolare.
Quando
ebbe finito di preparare il minestrone, l'uomo preparò la
tavola e
l'aiutò a salire su una sedia.
Mentre
il Lupo Cattivo mangiava, Bra fissava, in completo silenzio, il
liquido verde.
“Perché
non mangi?” le domandò, seccato, l'uomo e la
piccola rispose:
“Perché scotta troppo. Quando un piatto scottava,
la mia mamma ci
soffiava sopra.” “Ho capito dove vuoi arrivare. Da'
qua!”
l'interruppe l'uomo, prendendole il cucchiaio e soffiandoci sopra.
La
bimba, vedendo quanto l'uomo faceva per lei, lo ringraziò:
“Grazie.
Lei è l'uomo più buono del mondo, dopo il mio
papà, mio zio e il
mio fratellone.”
Sentendo
quelle parole, il Lupo Cattivo rimise il cucchiaio nel suo piatto e
le chiese, con un sussurro: “Pensi davvero che ci sia
qualcosa di
buono in me?” “Certo!” “Se
sapessi cosa ho fatto in passato,
non credo che tu mi considererai ancora uno degli uomini più
buoni
del mondo...”
Bra
sentì una profonda nota di malinconia nella sua voce e,
pertanto,
scese dalla sedia e si avvicinò a lui.
Afferrò
un lembo della sua camicia e lo strattonò, chiedendogli:
“Signor
Lupo Cattivo, può prendermi in braccio come
prima?” “E perché?”
“Lo faccia, per favore.”
L'uomo
l'accontentò e una volta lì, lo
abbracciò.
Il
Lupo Cattivo sembrava tranquillo ma, dentro di sé, si
sentiva
confuso e agitato.
Era
da tanto che non veniva abbracciato... era una sensazione strana...
avvertiva, dentro di sé, una specie di calore...
Bra,
nel frattempo, continuava ad abbracciarlo, per quanto le fosse
possibile, e, ad un tratto, disse: “Non m'importa di quello
che ha
fatto in passato. Lei adesso è buono e gentile.”
L'uomo
non le disse niente.
Si
limitò a guardare le gocce di pioggia sulla finestra. |
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Capitolo 9 *** L'angelo nell'ombra ***
CAPITOLO
9: L'ANGELO NELL'OMBRA
“Dormirai
qui, stanotte.” disse il Lupo Cattivo mentre finiva di
sistemare il
cuscino e le coperte del suo letto.
Bra
lo osservò in silenzio mentre finiva di preparare il letto.
Quando
finì, l'uomo la prese e la mise sotto le coperte.
Dopodiché,
prese dal sua armadio un cuscino e delle coperte piuttosto pesanti.
Prima
che l'uomo uscisse dalla stanza, Bra gli domandò:
“Lei dove
dorme?” “Sul divano-letto del salotto.”
le rispose, prima di
spegnere la luce e di chiudere la porta.
Era
quasi mezzanotte e non c'era ancora nessuna notizia di Bra.
Vegeta
era sempre più disperato.
Non
trovava la sua bambina da nessuna parte.
Se
avesse saputo che la sua piccola Bra era in ottime mani, sarebbe
stato più tranquillo.
Oltretutto,
la pioggia non accennava a diminuire...
Nonostante
fosse bagnato fradicio e stanco morto, Vegeta non poteva far altro
che continuare a cercarla e sperare in bene...
L'uomo
si stiracchiò leggermente.
Ormai
doveva essere mattina ma non sapeva che ore erano...
Spostò
leggermente il volto e scorse una sagoma vicino a lui.
Non
ci volle molto per capire chi era.
Era
lei.
Cappuccetto
Rosso.
Doveva
essere salita quand'era nel mondo dei sogni, dato che non si era
accorto di nulla fino a quel momento.
Certo
che quella ragazzina era incredibile... rinunciare al letto per stare
accanto a lui...
Sollevò
con delicatezza, in modo da non svegliarla, la coperta e la
coprì
fino al mento.
Gli
sembrò di essere tornato indietro nel tempo.
Quando
lui aveva ancora una famiglia...
I
suoi genitori erano morti quando lui era ancora un bambino e aveva
vissuto la sua infanzia e adolescenza in un istituto, la casa degli
scarti la chiamava lui, dato che solo i migliori venivano adottati.
Perciò,
aveva cominciato a pretendere il meglio da sé stesso.
Se
sbagliava qualcosa, anche se di piccolo conto, doveva assolutamente
migliorare.
Lui
non era uno scarto!
Poi,
però, era arrivata lei.
Si
era trasferita da poco nella sua città e aveva incominciato
a
interessarsi a lui e a studiarlo.
Non
come Cappuccetto Rosso, dubitava fortemente che qualcuno riuscisse a
superare il suo livello di dar tormento al prossimo, il suo modo era
più sofisticato e semplice: lo seguiva con discrezione,
faceva in
modo di trovarsi, per puro caso, nei posti frequentati da lui.
Non
aveva capito che era un modo per corteggiarlo fino a quando non
glielo aveva detto lei, quando stavano insieme da ormai tre mesi.
Nel
frattempo, anche lui cominciava ad interessarsi a quella ragazza
affascinante ed enigmatica ma, per orgoglio, si teneva lontano da
lei.
Sei
si fosse saputo che il duro della scuola si era innamorato...
Poi,
un giorno, la prof li aveva messi in coppia per un compito e, lontani
da sguardi e orecchi indiscreti, avevano in comune l'orgoglio, si
erano confessati, a modo loro, ovviamente, il loro amore.
In
seguito si era sposati ed era nato il loro bambino.
Lui
non era mai stato un padre dolce e affettuoso, il suo orgoglio glielo
impediva, ma teneva a suo figlio.
Di
notte, quando quei due dormivano, si alzava dal letto e andava a
controllare come stava.
Gli
rimboccava le coperte e, poi, si sedeva per terra e lo guardava, in
completo silenzio.
Si
vergognava troppo per comportarsi così di giorno e,
perciò,
preferiva compiere quel suo piccolo rito di notte, quando nessuno lo
vedeva...
Forse,
non era la famiglia più perfetta del mondo ma, finalmente,
ne aveva
una da quando era finito alla casa degli scarti.
Una
famiglia a cui teneva...
L'uomo
sospirò.
Purtroppo,
quel bel ricordo apparteneva al passato.
Ormai,
lui non aveva più una famiglia.
Non
la meritava...
D'istinto,
avvicinò la mano alla fronte della bambina e, spostandole la
frangetta turchina, gliela toccò.
Anche
quel gesto, in realtà, faceva parte del suo rito notturno
segreto.
Infatti,
prima di andarsene, aveva l'abitudine di toccare la fronte di suo
figlio.
Nemmeno
lui sapeva con precisione perché facesse un simile gesto.
Forse,
era un modo per dirgli che gli voleva bene...
“PAPA'!”
L'uomo
trasalì e allontanò la mano dalla fronte della
bambina, come se si
fosse preso una scottatura.
Ansimò
profondamente.
Quella
bambina... gli ricordava troppo suo figlio... e anche cosa aveva
fatto...
Si
alzò dal divano-letto e si recò in bagno.
Aprì
il rubinetto e si bagnò il viso, come per risvegliarsi.
Dopodiché,
osservò la sua immagine riflessa nello specchio sopra al
lavandino,
mentre le gocce sul suo viso scendevano dal suo volto, bagnandoli la
camicia.
Era
ridotto proprio male... il rimorso non accennava a lasciarlo in pace
un attimo... cosa poteva fare?!
Gure
uscì in punta di piedi dal suo appartamento e chiuse piano
la porta.
In
punta di piedi si avvicinò alla porta dell'appartamento
davanti al
suo.
Sapeva
che quello che stava per fare era una stupidaggine e che sarebbe
finita nei guai, e di quelli grossi, ma lei doveva assolutamente
sapere.
Voleva
sapere chi era il bambino che il suo vicino di casa aveva portato nel
palazzo.
Certo,
poteva essere un parente, ma le sembrava così assurdo...
Quell'uomo
non aveva mai detto a nessuno di avere dei fratelli e si ignorava
persino se fosse sposato!
Temeva
che quel tipo rapisse bambini per ricattare famiglie o per fargli
delle diavolerie...
Avvicinò
l'orecchio alla porta e si mise ad ascoltare.
Non
sentiva alcun rumore... lui e il bambino stavano ancora dormendo...
Proprio
in quel momento, la porta dell'appartamento si aprì e la
ragazza,
alzando la testa, vide il vicino che la guardava.
“Non
lo sai, ragazzina, che è da maleducati origliare nelle
abitazioni
altrui?” le domandò.
Gure
rimase in silenzio, rossa per l'imbarazzo.
Ma
come diamine aveva fatto a stanarla?!
Eppure
era certa di aver fatto piano...
Fu
proprio l'uomo a spiegarle cos'era successo: “Ho un udito
molto
fine. Di solito, quando esci dal tuo appartamento hai un passo molto
felpato e la domenica te ne stai sempre rintanata in casa tua. Invece
oggi, non solo ti sei svegliata alle otto ma sei uscita con un passo
molto piano. Non mi sembri il tipo che scappa di casa,
perciò ho
seguito i tuoi movimenti e ho capito che ti eri fermata davanti alla
mia porta. Posso sapere come mai mi stavi spiando?”
Gure
lo guardò dritto negli occhi e lo affrontò:
“L'ho vista ieri con
un bambino. Lei non ha mai detto di avere figli o nipoti. Voglio
sapere dov'è quel bambino e cosa gli ha fatto. E anche se mi
uccidesse sarebbe tutto inutile. In camera mia ho lasciato un
messaggio in cui dico cosa facevo. Quindi adesso mi dica: chi
è quel
bambino e cosa ne ha fatto!”
Il
vicino la fissò in silenzio, poi disse: “Per prima
cosa, il
bambino è, in realtà, una bambina. E, infine,
seconda cosa... hai
fegato, ragazzina. Non conosco altre mocciose, a parte la mia
Cappuccetto Rosso, che hanno il coraggio di affrontare, completamente
da sole, il Lupo Cattivo.”
Gure
rimase spiazzata da quella strana risposta.
L'uomo
si fece da parte, invitandola a entrare: “Se vuoi vedere
dov'è la
piccola, entra pure in casa mia. Tranquilla, non ti faccio niente.
Come non ho fatto niente alla bambina.”
Un
po' titubante, Gure entrò nell'appartamento perfettamente
pulito e
ordinato dell'uomo.
Dopo
qualche metro, vide un divano-letto su cui, avvolta in pesanti
coperte, era addormentata una bimba di pochi anni.
“Su
una cosa, però, hai ragione.” affermò,
ad un tratto, l'uomo,
facendola trasalire “Quella bambina non è una mia
parente. L'ho
trovata ieri sera, al parco. La conoscevo già ma non so
niente sulla
sua famiglia, per questo non l'ho riportata a casa sua. Stava
congelando, per questo ho deciso di portarla qui. Pensavo di portarla
alla centrale di polizia, stamattina, ma mi è venuta un'idea
migliore: tu dirai di averla trovata in quel vecchio capanno per gli
attrezzi abbandonato e la porterai, assieme alla tua famiglia, alla
centrale.” “COSA?! E PERCHE' PROPRIO
IO?!” “Pensi che solo
perché non parlo con nessuno, non sappia niente delle
persone che mi
circondano?”
Gure
lo guardò, allibita.
Cosa
intendeva dire?
“Ho
avuto varie occasioni di osservarti. Forse non sei la più
bella
ragazza del pianeta ma sei molto sveglia e intelligente, non come
certe tue coetanee cretine. Sei anche una ragazza molto dolce e
sensibile e se dovessi affidare a qualcuno la vita della bambina non
esiterei ad affidarla a te.” le raccontò, senza
troppi mezzi
termini.
Gure
arrossì.
Non
si aspettava che il suo burbero vicino di casa avesse una
così alta
considerazione per lei.
Tuttavia,
la ragazza ebbe la forza di domandargli: “Perché
non vuole
consegnarla lei alla polizia?”
L'uomo
stette zitto un attimo, poi, avvicinandosi alla finestra, le
spiegò:
“Se un uomo della mia età portasse una bambina
così piccola alla
polizia, la gente comincerebbe a farsi strane idee. Penserebbero che
io sia un maniaco, che va in giro ad adescare bambine piccole per far
sesso con loro. Nessuno penserebbe che noi due siamo amici e che io
non le farei mai del male. La gente è fatta così.
Pensa sempre che
ogni strana azione di una persona sia per forza maligna. Per loro,
l'amicizia tra un adulto e un bambino è qualcosa di
scandaloso e
assurdo. Pensano che l'adulto abbia adescato il povero piccolo per
seviziarlo e torturarlo. Dopotutto... è quello che hai
pensato anche
tu.” “Ma... non è vero! Io... io volevo
solo assicurarmi che
fosse solo una sua parente...” “E' inutile. Nessuno
potrebbe
capire cos'è l'amicizia tra noi due...”
“Invece io la capisco
benissimo! Perché anch'io provo queste stesse identiche
sensazioni!
Perché mi sono innamorata del mio prof di letteratura, di un
adulto!” sbottò la ragazza “Non
m'importa se gli altri mi dicono
che il mio è un amore perverso solo perché sono
una ragazzina. Lui
non mi ha mai corteggiata. Mi sono innamorata perché
è sensibile e
buono. Non voglio aumentare i miei voti. Io voglio solo che lui mi
ami per quella che sono!”
I
due rimasero in silenzio, poi Gure disse: “Comunque... se
è questo
che vuole, porterò io la piccola alla centrale.”
“Grazie. Fra
quindici minuti vai nel capanno. La bambina sarà
lì. E ricordati,
se dovesse accadere qualcosa alla piccola quando è sotto la
tua
responsabilità, e lo saprò, te la farò
pagare molto cara!”
Prima
di chiudere la porta, però, l'uomo le sussurrò:
“Sta' attenta
alle malelingue, ragazzina. Hanno un'abilità diabolica nel
distruggere le famiglie e la vita. E io ne so qualcosa...”
“Sei
sicura che riuscirà a trovarla? Lo sai che è un
vero incapace...”
“Sorellina, è la nostra unica
possibilità per ritrovare Bra. Lo
so che Jaco è incline a commettere errori grossolani, ma
è la
nostra unica speranza per ritrovarla.”
Bulma
era seduta nella macchina della sorella Tights, diretta alla centrale
di polizia della città.
In
quel posto lavorava Jaco, un agente della sezione persone scomparse,
amico di lunga data di Tights.
Purtroppo,
era anche parecchio stupido, vigliacco e tendente a far stupidate.
Bulma
si chiedeva come avesse fatto quel citrullo a diventare agente di
polizia della sezione persone scomparse.
Fosse
dipeso da lei, non l'avrebbe fatto diventare nemmeno ausiliare del
traffico.
Le
due donne, entrarono nella centrale e chiesero alla reception dove si
trovasse Jaco.
Lo
trovarono intento a bersi un bel bicchiere di latte.
Appena
le vide, sbottò: “Tights, cosa ci fai qui?! Sto
lavorando!”
“Senti un po', tu...” sibilò Bulma, che
era di pessimo umore
perché era in pensiero per la figlia: “Ieri notte
mia figlia è
scappata. Sotto una tempesta coi fiocchi. Mio marito è
uscito di
casa e sta ancora continuando a cercarla, senza fermarsi.
Perciò,
adesso, ti alzi, ti metti la giacca e VAI SUBITO A CERCARLA!”
Jaco,
che da sempre aveva paura di Bulma, le ubbidì all'istante,
dopo aver
preso una fotografia di Bra.
Prima
di iniziare le ricerche, però, decise di recarsi alla
reception per
vantarsi con la segretaria: “Ehi bambola,
indovina?” “Cosa?”
“Mi hanno appena assegnato un incarico.”
“Davvero? E'
l'ennesima vecchia befana che ti chiede di ritrovarle il gatto
scomparso?” “No. Devo ritrovare una bimba di tre
anni che si è
smarrita.”
Sentendo
quelle parole, la segretaria smise di lavorare al computer e
fissò
Jaco, domandandogli: “Una bimba di tre anni, hai
detto?” “Sì.”
“Per caso hai capelli turchini?” “Certo,
ma tu come lo sai?”
“Jaco... quella bambina è qui in centrale da
mezz'ora.”
Jaco
sgranò gli occhi e la segretaria gli raccontò:
“L'ha portata qui
una piccola famigliola. La figlia di quindici anni l'ha trovata nel
capanno degli attrezzi del loro palazzo. Si è rintanata
là dentro
durante la notte e si è addormentata. Pensa che sta ancora
dormendo...”
Jaco,
però, cominciò a correre verso il suo ufficio.
Doveva,
assolutamente, avvisare Tights e Bulma.
Tarble
sorseggiò la sua tazza di tè mentre guardava la
strada dal balcone
del suo appartamento.
Lo
aveva sempre rilassato.
Spesso,
infatti, fantasticava le vite delle persone che camminavano per
strada...
La
sua vita era sempre stata molto complessa.
Suo
padre aveva abbandonato lui, sua madre e suo fratello quando lui era
ancora un embrione nella pancia di sua madre.
Non
l'aveva mai visto, non sapeva niente di lui...
A
Tarble sarebbe piaciuto conoscere qualcosa di quell'uomo, in fondo
era pur sempre suo padre, ma Vegeta diventava tremendamente
suscettibile quando si parlava di lui...
In
più, come se non bastasse, era sorto un altro problema,
ancora più
tragico.
Si
era innamorato di una ragazza di quindici anni.
Tarble
sapeva che per queste cose si poteva rischiare un processo.
Era
da pervertiti amare delle minorenni.
Ma
lui non voleva mica portarsela a letto!
Lui
voleva solo tenerla per mano, parlarle, passeggiare insieme, andare
insieme al cinema, mangiare qualcosa...
Gli
sembrava una cosa innocente ma, purtroppo, niente in quel mondo era
innocente.
Se
un insegnante l'avesse visto con Gure, lui avrebbe rischiato di
perdere il lavoro e di far passare Gure per una poco di buono.
Se
Gure avesse avuto diciotto anni sarebbe stato tutto molto
più
facile: avrebbe aspettato che la ragazza finisse la scuola prima di
frequentarla.
Ci
sarebbe stata comunque la differenza di età, ma in quel caso
la
ragazza sarebbe stata maggiorenne.
Invece,
Gure non aveva diciotto anni ma quindici...
Bulma
non smetteva mai di baciare le guance della figlia addormentata.
Povera
piccola, che paura tremenda doveva aver avuto quella notte ma,
fortunatamente, non le era successo niente e presto sarebbe stata al
calduccio nel suo lettino.
Nel
frattempo, Tights stava telefonando a Vegeta per dirgli di smettere
di cercare Bra perché l'avevano trovata.
Una
volta chiusa la telefonata, Bulma le domandò:
“Allora?” “Mi è
sembrato distrutto ma allo stesso tempo felice che Bra sia sana e
salva.” “Povero caro. E' stata una nottataccia
anche per lui...
ci raggiungerà a casa?” “Ha detto che
è troppo stanco per
guidare ma di non preoccuparci perché conosce un posto
vicino dove
poter dormire tranquillamente...”
“VEGETA!”
urlò, felice e sorpreso, Tarble quando aprì la
porta, trovandosi
davanti a un individuo alto e muscoloso con gli occhi chiusi e
bagnato fradicio.
Mentre
il fratello entrava nell'appartamento, Tarble gli domandò,
preoccupato: “E' successo qualcosa? Cosa ci fai
qui?” “Scusa,
Tarble, ma ne possiamo parlare più tardi?” lo
interruppe Vegeta e,
prima di sdraiarsi sul divano del salotto, aggiunse: “Ho
l'impressione che se non mi sdraio all'istante mi addormento in
piedi...”
E
si addormentò, mentre Tarble lo guardava con aria sorpresa e
incredula.
“Per
fortuna l'abbiamo trovata...” “Già... ma
appena si risveglierà,
mia figlia dovrà affrontare una colossale
punizione!” “Dai,
Bulma, mi sa che tua figlia si è spaventata anche fin
troppo, ieri
notte. E meno male che ha trovato quel capanno!”
Bulma
e Tights uscirono dalla centrale con la piccola Bra e si diressero
verso il parcheggio.
Bulma
si avvicinò alla macchina ma stava per aprirla quando le
chiavi le
caddero per terra.
Si
chinò a raccoglierle e fu allora che la vide.
Vi
era una sagoma grande, nera nascosta in un vicolo... e stava
guardando proprio loro.
Appena
si accorse di essere stata scoperta, la sagoma s'intrufolò
nel
vicolo.
“TIGHTS!
OCCUPATI DI BRA!” urlò Bulma mentre correva
all'inseguimento.
Suo
marito le avrebbe dato dell'incosciente a vita, ma lei doveva farlo!
Doveva
capire cosa voleva quella sagoma dalla sua famiglia.
S'intrufolò
anche lei nel vicolo ma si accorse, con sgomento, che la sagoma era
già quasi arrivata alla fine del vicolo.
Ma
come diamine faceva a essere così veloce?!
Conosceva
poche persone con una simile velocità...
“FERMATI!”
urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Inaspettatamente,
la sagoma si fermò, si voltò verso di lei e Bulma
rimase sconvolta.
La
luce che proveniva dalla fine del vicolo, illuminava completamente il
suo volto.
Un
volto che lei non poteva dimenticare...
Approfittando
della confusione della donna, l'uomo uscì dal vicolo,
scomparendo in
mezzo alla folla.
“BULMA!”
La
voce di Tights la riscosse.
La
sorella maggiore prese per le spalle Bulma e la portò fuori
dal
vicolo.
“Si
può sapere che cos'è successo?! Sembra che tu
abbia visto un
fantasma!” le chiese Tights e Bulma rispose:
“Forse...”
Una
cosa del genere non poteva accadere, era assurda!
Quell'uomo
aveva il suo stesso sguardo, i suoi occhi... sembrava lui!
Eppure
non lo era!
Ma
cosa diamine stava succedendo?! |
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Capitolo 10 *** L'ultima speranza ***
CAPITOLO
10: L'ULTIMA
SPERANZA
Bulma
parcheggiò la
macchina nel vialetto di casa, seguita a ruota da Trunks.
“Eccovi.”
li salutò
Vegeta, uscendo dalla casa.
Una
volta vicino a Bulma
le domandò: “Allora?”
Bulma
stava per rispondere
quando una testolina azzurra fece capolino dalla porta e una piccola
vocina esclamò: “Fratellone, sei
tornato!”
Bra
prese Trunks per una
mano e, mentre lo trascinava in casa, raccontò:
“All'asilo abbiamo
disegnato i gatti. Vieni a vedere quelli che ho fatto sulla
lavagna.”
Quando
i figli furono
entrati in casa, Vegeta guardò Bulma e lei
confessò tutto,
scoppiando a piangere, disperata: “Il fegato di Trunks sta
peggiorando sempre di più! Ormai gli restano solo poche
settimane e
potrebbe anche morire prima a causa di un attacco! I dottori stanno
cercando da tutte le parti un fegato compatibile ma è tutto
inutile!
Il mio povero bambino...”
Vegeta
le prese dolcemente
la testa e la fece appoggiare sulla spalla.
Quella
situazione faceva
star male entrambi.
Trunks
era sempre stato un
bambino vivace e disubbidiente ma sapeva anche essere dolce e
gentile... Vegeta aveva l'impressione che se suo padre non se ne
fosse andato, rovinandogli la vita, sarebbe diventato proprio come il
figlio...
Vegeta
aveva sempre voluto
bene a Trunks ma era troppo orgoglioso per dedicargli attenzioni.
Eppure,
era certo che
Trunks capisse perfettamente lo strano affetto del padre e che a lui
andasse bene così.
La
sua famiglia non aveva
bisogno delle parole per dimostrare che si volevano bene...
Adesso,
però, era
arrivata la malattia a distruggere quella piccola ma serena e unita
famiglia.
Se
Vegeta avesse potuto,
avrebbe sconfitto quella malattia, l'avrebbe spedita ai miserabili
del mondo, come suo padre, in modo che provassero sulla propria pelle
il dolore e la paura della morte, quelle canaglie meritavano questo e
altro!
Ma,
purtroppo, Vegeta era
solo un essere umano.
E
come tale non poteva
fare niente se non sperare in bene...
Non
poteva credere a
quello che stava per fare!
Stava
impazzendo!
Non
poteva tornare dopo
quello che era successo!
“Signorina,
non vuole
togliersi quella giacca? Fa' molto caldo qui...” le
domandò,
gentilmente, una signora del personale di servizio e lei,
imbarazzata, rispose: “No, no. Non si preoccupi. E' tutto a
posto.”
La
donna la fissò un
attimo, poi si diresse ad aiutare gli altri passeggeri.
La
giovane sospirò.
Era
così imbarazzante
andare in giro sapendo benissimo che tutti le lanciavano, a causa
della sua situazione, occhiate divertite e di scherno.
Tanto,
la povera stupida
era lei...
Che
idioti!
Come
potevano pensare che
era lei la stupida?!
Lei,
almeno, aveva avuto
il coraggio di rischiare.
Sacrificando
la cosa che
aveva di più caro...
La
ragazza si mise i suoi
auricolari negli orecchi, in attesa della partenza, e mentre
ascoltava la musica si abbracciò.
Non
poteva tornare, non
doveva, però... non poteva nemmeno infischiarsene di quello
che gli
stava accadendo.
Allora
era vero che per
amore si fanno un mucchio di stupidaggini...
DLIN
DLON
Mentre
aspettava che
qualcuno gli aprisse la porta, Goten si alimentò la mano
congelate.
Faceva
freddo quel
pomeriggio e, come se non bastasse, aveva persino cominciato a
nevicare.
Finalmente,
la porta si
aprì e comparve la figura di Bulma.
Appena
lo vide, ridacchiò:
“Goten, ma cosa ci fai con quei fiori? Bra non è
un po' troppo
piccola per essere corteggiata?”
Goten,
rosso per
l'imbarazzo, tentò di spiegare: “Q-questi fiori
sono per Trunks e
non per Bra...” “Tranquillo, l'avevo capito.
Considerati
fortunato se sono stata io ad aprire e non Vegeta. Se ti avesse visto
con essi, avremmo dovuto portarli sulla tua tomba.” lo
avvisò
Bulma mentre lo lasciava passare.
Il
ragazzo, che conosceva
quella casa da quando aveva sette anni, si diresse senza troppi
problemi verso la camera dell'amico.
I
loro genitori erano
amici da sempre, il padre di Goten era infatti Goku, il migliore
amico di Bulma, e, perciò, non era stato troppo difficile
conoscersi
e frequentarsi.
Inoltre,
entrambi avevano
sviluppato un amore per le arti marziali, ereditato dai padri, e
magari per Goten anche dalla madre, visto che prima di sposarsi con
Goku, Chichi, la moglie di Goku e madre di Goten, era un'esperta di
arti marziali ma aveva le aveva lasciate quando si era sposata.
Trunks
e Goten, una volta
diventati molto abili ed esperti, si erano pure sfidati.
Era
stata una battaglia
molto dura ma, alla fine, Trunks aveva sconfitto Goten.
Purtroppo,
col passare del
tempo, Trunks e Goten avevano abbandonato le arti marziali per
dedicarsi ad altri interessi, Trunks le macchine e Goten le ragazze.
Goten
aprì la porta della
stanza e fu contento di vedere l'amico al suo interno, sdraiato sul
letto con gli auricolari nelle orecchie.
Aveva
gli occhi chiusi e
Goten gli vide delle lacrime agli occhi.
Stava
pensando a Mai, ci
avrebbe scommesso la testa.
“Ehi...”
lo chiamò
Goten, toccandogli la spalla.
Trunks
trasalì, si alzò
a sedere sul letto e, vedendolo, si sbrigò a togliersi le
lacrime
dagli occhi e a chiedergli: “Goten?! Ma... sei in anticipo di
un'ora!” “Ho pensato di venire prima... e a quanto
vedo ho fatto
bene...”
Trunks
si spostò un po'
sul letto per permettere a Goten di sedersi di fianco a lui.
“A
cosa pensavi?” gli
domandò Goten e Trunks sospirò: “Alla
mia vita...” “Che
intendi?” “Fino a qualche mese fa, credevo di aver
ricevuto tutto
dalla mia vita. Avevo una bella ragazza, degli amici, una famiglia
unita e una vita perfetta. Poi, Mai mi ha lasciato e ho scoperto di
avere una grave malattia al fegato.”
“Però hai ancora la tua
famiglia e gli amici.” “Sì,
però... non so come spiegarlo ma...
mi sento impotente.” “Capita a tutti di sentirsi
così quando ci
si trova in queste situazioni...”
Trunks
stette zitto un
attimo, poi domandò: “Goten... secondo te,
l'immortalità è una
cosa bella o brutta?” “Perché fai queste
domande?” “Me lo
sono sempre chiesto... secondo te, qual'è la
risposta?” “Secondo
me è un bene che non esista. L'immortalità
è solo una grossa
fregatura. Che senso ha vivere per sempre? Vedere gli altri che
cambiano e tu no, farebbe impazzire.” “Tutta hanno
sempre cercato
di raggiungerla...” “Perché hanno paura
della morte. Si tende
sempre a temere ciò che non si conosce e questo porta l'uomo
a fare
un mucchio di stupidaggini.” “Questa vena
filosofica non me la
sarei mai aspettata da te...” “Allora si vede che
non mi conosci
affatto!” “Non te la prendere, credevo che tu
ragionassi solo con
lo stomaco...” “Questo perché lo stomaco
è un secondo cervello,
sai?”
I
due scoppiarono a
ridere, divertiti.
Dopodiché,
Goten passò
al compagno il suo piccolo mazzo di fiori rossi: “Si chiamano
Stella di Natale. Significa augurio sincero.”
Trunks
li guardò e poi
sussurrò: “L'unica cosa che vorrei che mi si
augurasse di trovare
un fegato...” “Vedrai che lo troveremo
amico...” “Come fai a
essere così sereno?! Sto peggiorando, Goten! Ormai non mi
restano
che poche settimane! Non siamo nelle favole! Non troveremo mai quel
fegato e io morirò!” e dopo aver detto
ciò, scoppiò a piangere,
sussurrando: “Non voglio morire... non voglio...”
Goten,
capendo lo stato
d'animo dell'amico, lo abbracciò e lo lasciò
sfogare.
Quella
situazione era
tremenda.
Il
pensiero che presto
sarebbe morto abbandonando i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi
amici e la sua sorellina doveva farlo impazzire.
“Vedrai
che ce la
faremo, Trunks.” lo consolò Goten “Poche
settimane sono comunque
parecchie lunghe. Potrebbe succedere qualcosa... ma se ti arrendi di
già non ce la farai mai. Devi combattere, amico. Per la tua
famiglia.”
Trunks
sorrise, fiducioso.
Aveva
proprio un amico
speciale...
Goten,
vedendolo di nuovo
felice, si alzò dal letto e dichiarò:
“Su, andiamo in cucina. Tua
madre sta preparando la merenda e io non la voglio certo
saltarla.”
Goten
stava per aprire la
porta quando, ad un tratto, sentì un tonfo alle sue spalle.
Si
voltò e vide Trunks
che era svenuto.
“TRUNKS!
TRUNKS!”
urlò, disperato, mentre correva a soccorrerlo.
Echalotte
si svegliò di
soprassalto.
Le
era sembrato che
qualcuno le stesse accarezzando il ventre...
La
donna si guardò da
tutte le parti ma non vide nessuno.
Aveva
fatto il solito
sogno.
Non
c'era altra
spiegazione.
La
donna prese la sveglia
sul comodino e lesse l'ora.
Le
otto e mezza.
Si
sdraiò sul letto.
Avrebbe
potuto
dimenticarsi tutto... ma non quel gesto.
Quel
gesto così intimo e
segreto... quel suo
gesto...
Suo
marito era sempre
stato un uomo solitario, a cui importavano poco i legami.
Durante
la sua prima
gravidanza, era lei quella che faceva i controlli e che comprava le
cose che sarebbero servite per il bambino.
Suo
marito si limitava a
seguirla scocciato oppure si rintanava in casa per leggere il
giornale.
Il
giorno in cui gli aveva
annunciato che avrebbero avuto un maschio, suo marito aveva fatto le
spallucce e aveva continuato a leggere il giornale.
Si
era ritirata in camera
e, una volta sola, aveva cominciato a piangere disperata.
Evidentemente,
a suo
marito non importava niente del bambino... se fosse morto non avrebbe
fatto una piega...
Era
così triste che
quella notte non era riuscita a dormire.
Fu
così che scoprì il
lato nascosto di suo marito.
Quando
il pendolo della
casa aveva fatto dodici rintocchi per indicare la mezzanotte, suo
marito aveva cominciato a toccarla con un dito.
Echalotte
avrebbe potuto
chiedergli che cavolo volesse a quell'ora di notte ma rimase zitta,
in quanto aveva intuito che, in realtà, voleva solo
accertarsi che
dormisse.
Quando
suo marito si era
convinto che era addormentata, si era avvicinato a lei e con una mano
aveva cominciato ad accarezzarle il ventre gonfio.
Echalotte
per poco non
aveva trasalito.
Suo
marito la stava
accarezzando... stava accarezzando lei e il bambino... quindi gli
voleva bene...
La
sua gioia aveva
raggiunto l'apice quando l'aveva sentito avvicinarsi al ventre e
sussurrare: “Quindi sei un maschio...”
Stava
parlando al bambino.
E
pensare che, di giorno,
non gli parlava mai, nonostante lei avesse provato a convincerlo.
Diceva
sempre che era da
idioti parlare con qualcuno che non poteva sentirti.
Suo
marito si vergognava
troppo per mostrare il suo affetto davanti a tutti e,
perciò,
preferiva mostrarlo di notte, quando tutti dormivano e nessuno lo
vedeva.
Fino
al termine della
gravidanza, aveva continuato ad accarezzarle il ventre quando la
credeva addormentata.
Quel
gesto le aveva fatto
capire che anche suo marito possedeva un cuore... nascosto dietro un
muro d'orgoglio.
In
seguito, durante la
seconda gravidanza, che lei aveva affrontato completamente da sola,
le era sembrato, a volte, di sentire qualcuno che le accarezzava il
ventre proprio come lui.
La
notte in cui aveva
scoperto che il suo secondo figlio sarebbe stato un altro maschio,
non solo le era sembrato di sentire le carezze al ventre ma di
sentire anche la frase del marito: “Quindi sei un
maschio...”
Istintivamente,
aveva
afferrato la mano che la stava accarezzando, tenendola sul ventre
mentre le lacrime bagnavano il cuscino.
Il
mattino dopo, quando si
era svegliata, non aveva trovato nessuno.
Prima
di andare a
svegliare Vegeta, era scoppiata a piangere, capendo che suo marito
non era mai tornato e che era stato solo un sogno...
DRRIIINNN
Echalotte
si alzò dal
letto e prese la cornetta: “Pronto?”
“Mamma, sono io.”
“Vegeta, cosa succede?” “Trunks ha avuto
un attacco...”
“Misericordia! E' ancora vivo, vero?!”
“Sì... ma lo sarà
ancora per poco! Il medico ha detto che le sue condizioni sono gravi
e che probabilmente non ce la farà...”
“Ti raggiungo
all'ospedale.” lo assicurò la madre ma, prima di
chiudere la
telefonata, gli sussurrò quella frase che gli diceva sempre,
quand'era bambino, per fargli coraggio: “Non temere,
cucciolo,
andrà tutto bene.”
Goten
era seduto nella
sala d'aspetto bianca, in attesa di ricevere notizie.
Era
l'unico membro non
appartenente alla famiglia di Trunks a trovarsi lì ma,
forse, andava
bene così.
In
fondo, per Trunks era
il fratello che non aveva mai avuto...
Prima
di partire per
l'ospedale, aveva avvisato i genitori che l'avevano assicurato che
l'avrebbero raggiunto subito.
Dopodiché
era salito in
macchina assieme a Vegeta, Bulma e Bra erano salite sull'ambulanza
per restare accanto a Trunks, e si erano diretti all'ospedale.
Goten
si diede un'occhiata
intorno, a parte loro quattro, c'era solo un'altra coppia.
Da
quello che aveva capito
dai discorsi fatti dal medico, avevano un'unica figlia che, proprio
in quel momento, stava facendo un trapianto di cuore.
La
ragazza era stata
fortunata, dato che erano riusciti a trovarle un cuore compatibile,
ma la sua operazione era la più rischiosa di tutte e se si
fosse
sbagliato qualcosa sarebbe morta.
Goten
si alzò e disse:
“Vado un attimo in bagno...”
In
realtà, il bagno era
solo una scusa per muoversi.
Era
troppo nervoso per
stare fermo...
Passò
di fianco a
un'infermiera che stava dicendo a un paziente su una sedia a rotelle:
“Non so davvero come ringraziarla per aver donato una parte
del suo
fegato... se non l'avesse fatto quel paziente sarebbe morto.”
Goten
si bloccò di colpo.
L'infermiera
aveva appena
ringraziato un paziente vivo
per aver donato una parte del suo fegato!
Ma
allora...
“Mi
scusi, signorina!” la chiamò Goten, raggiungendola.
La
donna, con un sorriso gentile, gli domandò:
“Sì? Mi dica.”
“Scusi se m'intrometto... ma il signore aveva donato una
parte del
suo fegato?” “Certo, giovanotto. L'ho donato due
giorni fa.”
“Ma... allora si possono donare organi vitali anche se si
è
vivi?!” “Certo, ma si possono fare solo per
trapianti di reni o
fegato. Per gli altri trapianti non è possibile.”
Goten
si mangiucchiò l'unghia del pollice, come faceva sempre
quand'era
nervoso.
Era
un azzardo, ma se era l'unico modo per salvare Trunks doveva tentare!
“C'è
un mio caro amico che ha un problema al fegato... ed è in
condizioni
critiche! Vorrei... vorrei che venisse analizzato il mio fegato per
vedere se è compatibile!” dichiarò, con
coraggio, il ragazzo.
L'infermiera
gli disse: “A-aspetti un attimo! Porto il paziente in camera
sua e
poi l'accompagno dal medico.” “Non si preoccupi, so
dov'è la mia
stanza.” “E' sicuro di farcela?”
“Certo. Lei accompagni il
ragazzo a farsi analizzare il fegato. E' in gioco la vita del suo
amico.” le disse l'uomo e, prima di allontanarsi, sorrise a
Goten,
come per dargli un piccolo incoraggiamento.
“Venga
con me.” gli disse l'infermiera, una volta che furono soli, e
il
giovane seguì la giovane donna nel lungo corridoio
dell'ospedale.
Doveva
ammetterlo, era proprio il clima peggiore per mettersi a viaggiare in
macchina!
Echalotte
faceva molta fatica a vederci qualcosa con tutta quella neve che
stava scendendo e, per di più, il sole era tramontato da un
pezzo.
Un
momento proprio pessimo per viaggiare, ma suo nipote era in
condizioni critiche all'ospedale...
Proprio
in quel momento, si accorse di una figura che correva in mezzo alla
strada.
Frenò
di scatto e, fortunatamente, riuscì a non investirla.
Echalotte
uscì dalla macchina di corsa e domandò:
“Tutto ok?”
Si
accorse che la persona che aveva quasi investito era inginocchiata
per terra, che dava le spalle alla macchina, con le braccia strette
attorno a sé.
La
figura indossava una lunga e larga giacca invernale e il viso era
nascosto dal cappuccio.
La
figura, capendo di non essere stata investita, si rialzò e
ringraziò: “Mi scusi, ero distratta.”
Echalotte
capì che doveva trattarsi di una giovane donna e la cosa la
insospettì molto.
Era
troppo strano che una giovane donna se ne andasse in giro di notte e,
per di più, sotto una tremenda tempesta di neve, senza
temere i
malintenzionati.
Pertanto,
si avvicinò a lei e le domandò: “Dove
stai andando?” “A... a
trovare un amico... abita qui nei dintorni.”
“Potresti andarci
domani. Sai che è una pessima idea andare in giro di
notte?” “Sì,
ma... è una cosa un po' urgente...”
“Senti un po', se speri di
infinocchiarmi, hai sbagliato persona. O mi dici subito cosa stai
facendo in giro a quest'ora o non ti lascio andare.”
La
ragazza, sospirò, capendo che non poteva far altro che
arrendersi:
“Sto cercando la casa di un mio amico, Trunks Brief. Ho
saputo che
ha una grave malattia al fegato e volevo sapere delle sue
condizioni.”
Echalotte
alzò un sopracciglio.
Quindi
era un'amica di Trunks... però era assurdo che si stesse
accertando
delle sue condizioni adesso quando si era scoperta la malattia del
nipote qualche settimana prima.
“Ha
avuto un attacco qualche ora fa e l'hanno portato all'ospedale. Lo so
perché è mio nipote.” le
raccontò e la giovane parve sconvolta.
Echalotte
si avvicinò e le propose: “Senti, io sto andando
all'ospedale e se
vuoi puoi venire con me.” “Io non so...”
“Se sei tanto
preoccupata per lui dovresti raggiungerlo in ospedale, non
credi?”
La
giovane fece un sospiro e si diresse verso la macchina.
Erano
le nove di sera e Gure era sempre più nervosa.
Suo
padre era in ritardo di un quarto d'ora.
Non
aveva mai tardato così tanto al lavoro e, se lo faceva,
avvisava
sempre lei e sua madre.
Temeva
di ricevere una telefonata in cui una voce metallica le avrebbe detto
che suo padre aveva avuto un brutto incidente o qualcosa di simile e
non sarebbe mai più tornato.
Sua
madre le aveva detto di non preoccuparsi che suo padre sarebbe
arrivato presto, anche se era lei stessa molto nervosa e preoccupata.
DLIN
DLON
Era
il campanello.
Gure
aprì la porta e, con suo grande sollievo, vide suo padre, un
po'
affannato.
“Scusate
il ritardo, ma il capo mi ha trattenuto per un quarto d'ora e non ho
potuto avvertirvi.” si scusò l'uomo e la moglie,
una volta che lo
ebbe raggiunto, gli domandò: “Come mai il tuo capo
ti voleva?”
L'uomo
fece una strana faccia poi, dirigendosi verso il divano, disse:
“Devo
parlarvi di una cosa molto importante...”
“Papà, non mi dire che
ti hanno licenziato! Non è giusto! Io...”
“Rilassati, Gure, non
mi hanno licenziato, sta tranquilla. E' una cosa un po'
diversa...”
I
tre si sedettero sul divano in pelle e l'uomo cominciò:
“Sapete
che l'impresa presso cui lavoro si è ingrandita e adesso si
sono
create altre sedi in altre parti del mondo... perciò si
è scelto di
nominare alcuni membri soddisfacenti rappresentanti di
essa...”
Gure
rimase in silenzio.
Temeva
di sapere cosa sarebbe successo...
Infatti,
il padre diede vita ai suoi più tremendi sospetti:
“...E io sono
uno di loro. Perciò, a Giugno, quando Gure avrà
finito l'anno,
traslocheremo.”
Il
tempo sembrava non passare mai.
Vegeta
teneva, come al solito, le braccia incrociate e gli occhi chiusi.
Chiunque
l'avesse visto avrebbe pensato che forse calmo e rilassato ma, in
realtà, era il contrario.
Non
riusciva assolutamente a essere tranquillo sapendo che suo figlio
stava compiendo un'operazione molto delicata.
Almeno
erano riusciti, all'ultimo momento, a trovare un fegato compatibile.
Chi
avrebbe mai immaginato che la salvezza del figlio si trovava a pochi
passi da loro, nel corpo del suo migliore amico?!
Lui
non aveva mai retto troppo Goten, questo perché era il
figlio di
quell'idiota che l'aveva tormentato, ma, in quel momento, gli fu
grato di essere così amico del figlio.
Non
aveva esitato a sacrificare una parte del suo fegato...
Ora,
bisognava solo sperare in bene... |
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Capitolo 11 *** Segreti ***
CAPITOLO
11: SEGRETI
Era
passata un'ora da quando era cominciata l'operazione di Trunks.
Tutta
la famiglia del ragazzo si trovava in sala d'attesa, per aspettare il
responso.
In
più, con loro, c'erano altre tre persone: i genitori di
Goten, Goku
e Chichi, e una misteriosa ragazza con il viso nascosto da un
cappuccio che diceva di essere un'amica di Trunks.
Era
venuta lì assieme ad Echalotte e nessuno le aveva chiesto di
più,
dato che erano tutti nervosi per la sorte di Trunks.
Goku,
sapendo quando Vegeta era preoccupato per la sorte del figlio, anche
se non lo dava a vedere, lo rassicurò: “Vedrai che
andrà tutto
bene, Vegeta. Almeno si è trovato un fegato compatibile...
pensa se
non si fosse mai trovato...” “Ti rammento che
Trunks è in sala
operatoria da ore, ormai.” “Beh, anche mio figlio
è in sala
operatoria.” “Ma non sta rischiando la
vita!” “Adesso basta,
Vegeta! Datti una calmata o te ne vai fuori!” lo
minacciò Bulma,
spazientita.
Quella
situazione stava facendo diventare matti tutti e non c'era
assolutamente bisogno che quell'irascibile di suo marito peggiorasse
ulteriormente la situazione!
La
minaccia di Bulma ebbe l'effetto sperato, dato che Vegeta si sedette,
sbuffando, sulla sedia.
Ad
un tratto, la luce della sala operatoria si spense e un chirurgo
uscì
dalla porta.
Immediatamente,
Bulma si alzò e domandò, preoccupata:
“Allora, dottore?! Com'è
andato l'intervento?!” “L'operazione si
è rivelata più
difficile del previsto, il fegato era parecchio danneggiato ma,
fortunatamente, il fegato che abbia trapiantato a suo figlio ha
sistemato tutto. Suo figlio è salvo, signora.”
Bulma
era così felice che non riuscì a trattenere le
lacrime mentre suo
marito correva a sostenerla per evitarle di svenire.
Tutti
i presenti fecero un sospiro di sollievo, per buttar fuori la
terribile tensione che avevano avuto per tutto quel tempo.
La
piccola Bra si avvicinò lentamente al dottore e
domandò, con un
filo di voce: “Il mio fratellone può tornare a
casa?” “Ma
certo, piccola. Fra qualche settimana il tuo fratellone sarà
dimesso
e potrà tornare a casa.”
Gure
era seduta sul letto della sua stanza.
Era
triste al pensiero che a Giugno, si sarebbe trasferita in un altro
paese.
Il
motivo era molto semplice: avrebbe dovuto dire addio al prof Prince,
di cui si era follemente innamorata.
Sapeva
già come sarebbe andata a finire: era troppo timida per
confessare
il suo grande amore al prof, senza contare che lui l'avrebbe
considerata solo una ragazzina, ma non poteva nemmeno tenersi tutta
quella disperazione dentro di sé.
Doveva
parlarne con qualcuno ma a chi?!
Non
poteva raccontare ai suoi genitori che si era innamorata di un uomo
molto più vecchio di lei perché avrebbe fatto
venire un gigantesco
colpo ad entrambi.
Doveva
parlarne con qualcuno che la capiva meglio di chiunque altro... e
c'era solo una persona al mondo...
Si
alzò dal letto in punta di piedi ed uscì dalla
stanza.
Fortunatamente,
i suoi erano scesi giù per parlare con il portinaio del loro
prossimo trasferimento e ne avrebbero avuto ancora per un po'.
La
ragazza aprì la porta del suo appartamento e, dopo aver
guardato in
tutte le direzioni, uscì da esso e suonò il
campanello
dell'appartamento davanti al suo.
L'uomo
che abitava lì le aprì quasi subito e, per poco,
Gure non cacciò
un urlo.
Era
tremendamente pallido e sembrava avere l'aria distrutta.
“Si
può sapere che cavolo vuoi, ragazzina?! Sai, vero, che sono
le nove
e mezza?!” le domandò, adirato, quando la vide.
Almeno
il carattere non era cambiato...
Gure
sussurrò: “Io... avrei bisogno di sfogarmi... ma
posso farlo solo
con lei, perché è l'unico che mi
capisce.”
Non
appena finì di parlare, l'uomo aprì la porta e le
fece cenno di
entrare.
Gure
obbedì e, una volta dentro, si accorse che sul tavolo vi era
un
foglio di carta e una penna.
“Stavo
scrivendo a un... amico... comunichiamo così da sempre.
Personalmente, preferisco scrivere delle lettere che telefonare.
Perché con le lettere puoi dimostrare la tua
innocenza...” le
spiegò, frettolosamente, l'uomo mentre metteva da parte la
lettera e
si metteva in tasca una scatola.
Dopodiché,
l'uomo la fece sedere e le domandò: “Vuoi un
bicchiere d'acqua?
Sembri parecchio sconvolta...”
Gure
annuì col capo.
Non
riusciva nemmeno a parlare...
Dopo
che ebbe bevuto, cominciò a sfogarsi: “Io e la mia
famiglia ci
trasferiamo in un altro paese a Giugno. Io sono troppo piccola per
prendere delle mie decisioni e so che farei perdere il lavoro a mio
padre, ma... io vorrei restare qui! Se partissi non potrei mai
più
rivedere l'uomo che amo! So che è una cosa assurda, lui
molto
probabilmente non mi ama, eppure non voglio perderlo! Se me ne
andassi, lui potrebbe fidanzarsi e sposarsi con una donna molto
più
bella di me! A me starebbe anche bene, tutto ciò che vorrei
per lui
sarebbe la felicità, e solo che... ho paura che nessuno mi
ami. Per
tutti io sono solo una ragazzina bruttina e insignificante ma lui...
lui mi considerava una ragazza sensibile per la mie
capacità. Tutti
mi hanno sempre evitata per il mio aspetto fisico ma lui no... io...
io ho paura che nessuno mi ami per come sono fatta!”
L'uomo
la lasciò sfogarsi, poi le disse: “Le donne solo
belle non durano
mai a lungo.”
Gure
lo guardò, incredula.
Vedendola
interessata, continuò: “La bellezza è
come un fiore reciso. Prima
o poi appassisce, anche se tu gli dai l'acqua. Una donna, per far
colpo su un uomo, deve avere cervello, coraggio o bontà. E
anche un
pizzico di irascibilità.”
Gure
si accorse che l'ultima frase l'aveva detta sospirando e che aveva
assunto uno sguardo triste.
Ciò
nonostante, l'uomo riprese il suo solito sguardo e disse:
“Questo è
per dirti, ragazzina, che a volte non è necessario essere la
più
bella del mondo per attirare un uomo. E te ne parlo per
esperienza.”
“Che intende dire?” “Una volta mi
innamorai di una donna. Anche
lei mi amava, lo so. Così ci sposammo. Purtroppo, alla fine
la
lasciai.” “Come mai?”
“Perché ebbi paura.”
Gure
non riusciva a capire le parole dell'uomo.
Cosa
intendeva?
“Questo
è per dirti, ragazzina, di non avere paura. La paura
può fare molto
male. Ho lasciato mia moglie per paura... e me ne sono pentito per
tutta la vita. Non aver paura di non riuscire ad attirare un uomo
perché ci riuscirai di sicuro. E anche in futuro ricordati
di non
averla. Perché potresti pentirtene per sempre...”
l'avvisò mentre
giocherellava con la sua scatola.
Gure
si sentì sollevata e ringraziò l'uomo:
“Grazie mille per le sue
parole. Le prometto che cercherò di aver più
fiducia in me stessa!”
TUMP
La
ragazza aveva appena finito di parlare che sentì qualcosa
cadere per
terra.
Gure
si voltò in direzione del rumore e si accorse che il rumore
era
dovuto alla scatolina, che era caduta per terra.
Ma
la sua attenzione fu attirata da qualcos'altro.
Il
suo vicino stava ansimando pesantemente, mentre con la mano destra si
aggrappava alla maglia che indossava e con la sinistra era aggrappato
al tavolo per impedirsi di cadere per terra.
“Si
sente bene?! Cosa le prende?!” gli domandò,
preoccupata, Gure ma
la giovane aveva appena finito di dire quelle parole che l'uomo
lasciò la presa sul tavolo e cadde violentemente sul
pavimento.
Fu
solo quando tutti i familiari di Trunks furono usciti dalla stanza,
che la giovane ebbe il coraggio di uscire dal suo nascondiglio e di
entrare.
Trunks
era steso su un letto, addormentato.
La
giovane si avvicinò e lo guardò.
Quanto
gli era mancato e quando era stata in pensiero per lui quando aveva
ricevuto la notizia...
Avrebbe
tanto voluto abbracciarlo o dargli un bacio ma temeva di
svegliarlo...
La
ragazza fece un sospiro di tristezza e si diresse verso la porta
quando, ad un tratto, una mano le afferrò il braccio.
La
giovane si voltò e vide Trunks che le aveva afferrato il
braccio.
“Mai...”
sussurrò il ragazzo.
La
ragazza sussultò.
L'aveva
riconosciuta, ma come aveva fatto?!
Aveva
cercato di non svegliarlo e di non essere riconosciuta...
“So
che sei tu, Mai...” continuò Trunks
“Tu... sei tornata da me...”
“Io...” balbettò Mai, impacciata
“Ho saputo delle tue
condizioni e volevo accertarmi che stessi bene... ma ora devo
andare...” “No.”
Mai
rimase immobile.
Non
sapeva più cosa fare...
“Ascolta...
non voglio costringerti a stare con me... io voglio soltanto capire
perché te ne sei andata. Se ti piace un altro, io non mi
opporrò
alla tua scelta ma voglio solo sapere che cos'è successo e
se ti ho
fatta soffrire in qualche modo. Perché se ti ho fatto
qualcosa di
brutto... scusami, non era mia intenzione.” le disse il
ragazzo,
guardandola negli occhi.
Mai
abbassò lo sguardo e sussurrò:
“Trunks... io non amo nessun altro
e non mi hai mai fatta soffrire, anzi, mi hai dato una cosa
bellissima che al solo pensiero mi fa emozionare... io... me ne sono
andata perché non volevo rovinarti la vita.”
“Cosa intendi? Ti
prego, basta con i segreti, Mai.” la pregò Trunks.
Mai
lo guardò e disse: “Vuoi sul serio conoscere la
verità?” “Sì.”
“Potresti pentirtene per sempre e io non lo
vorrei...” “Io sono
pronto. Ma dimmi... è una cosa che mi riguarda?”
“Sì... è una
cosa che ti riguarda allo stesso modo di come riguarda me...”
l'avvisò la giovane mentre si toglieva la giacca invernale
che fece
cadere in un leggero tonfo sul pavimento.
Trunks
rimase stupefatto da ciò che vide.
Il
ventre di Mai era leggermente rigonfio.
La
giovane, imbarazzata, spiegò: “Mi sono dimenticata
di prendere la
pillola quando l'abbiamo fatto... all'inizio non ho capito quello che
mi stava accadendo, dato che avevo solo dei mal di testa... ma, poi,
sono cominciate le nausee e il ciclo non mi veniva. Ho capito tutto
quando ho visto la scatola ancora chiusa nella sua confezione e
quando sono andata in ospedale ne ho avuto la certezza...”
“Perché
non mi hai detto niente?” “Mi vergognavo troppo a
dirti che ero
rimasta incinta perché avevo dimenticato la pillola. E
poi... avevo
troppo paura che tu mi abbandonassi!” confessò
Mai, scoppiando a
piangere.
Trunks
l'avvicinò a sé e l'abbracciò,
sussurrandole nell'orecchio: “Ti
avevo detto che non ti avrei mai abbandonata, qualunque cosa fosse
successa, piccola.”
Mai
lo guardò nei suoi grandi occhi blu.
“Trunks,
tu... mi perdoni?! Dopo tutto quello che ti ho fatto mi
perdoni?”
“Certo, Mai. Io ti amo e qualunque cosa tu faccia ti
amerò lo
stesso.” “Ma tu... ti senti pronto a prenderti cura
di un
bambino? Pensi che lo amerai? Dimmi la verità.”
“Mai... io lo
amo già il nostro bambino. Lo amo nello stesso modo in cui
lo ami
tu, visto che, in tutto questo tempo non hai abortito.”
“Sì...
in tutto questo tempo... mi sono presa cura del piccolo. Ho studiato
mille libri per prendermi cura al meglio di lui... di mio figlio... e
dell'uomo che ho sempre amato...”
Mai
si strinse al petto di Trunks, mentre le lacrime continuavano a
scendere senza sosta, e sussurrò: “Mi dispiace, mi
dispiace... che
stupida che sono stata ad andarmene!”
Trunks
l'avvolse in un caldo e morbido abbraccio mentre il suo naso sentiva
il profumo di fragola della ragazza, un profumo che avrebbe
riconosciuto dappertutto.
Echalotte
si staccò dalla parete e si diresse verso le scale.
Le
cose tra suo nipote e la sua fidanzata si erano sistemate in meglio.
Aveva
capito subito che quella ragazza era incinta.
Quando
una donna si mette di schiena prima di venire investita, è
evidente
che lo fa per impedire che succeda qualcosa al piccolo che porta
dentro di sé.
Dopotutto,
lei era rimasta incinta due volte e riconosceva subito una donna in
dolce attesa quando la vedeva.
Per
Trunks sarebbe stato molto imbarazzante raccontare alla sua famiglia
cos'era successo ma ce l'avrebbe fatta.
Passò
davanti alla zona parto e quando sentì uno strillo di
bambino,
sussultò.
Non
tanto per la paura ma per il ricordo che quel grido aveva
rievocato...
“Ecco
il bambino, signora.” dichiarò un'ostetrica mentre
le passava un
piccolo fagotto bianco.
Echalotte
lo strinse al petto.
Il
suo primo figlio...
Lo
guardò e rimase a bocca aperta
“Ehi,
Vegeta, vieni a vedere.” esclamò Echalotte,
facendo cenno al
marito di avvicinarsi.
Lui
la raggiunse, sbuffando come al solito: “Cosa
c'è?” “Guarda
come ti assomiglia.” disse la donna mostrando al marito il
piccolo.
Nel
vederlo, anche Vegeta aveva fatto una faccia stupita.
“E'
incredibile! Ha i tuoi stessi capelli e la tua stessa
espressione!”
aveva esclamato Echalotte mentre Vegeta aveva, come al solito,
puntualizzato: “Guarda che i suoi capelli sono neri come i
tuoi
mentre io li ho castani.” “Lascia perdere! Sono
senza parole.
Sarà come prendersi cura di un piccolo te.”
“Ci mancherebbe solo
questa...”
Nel
frattempo, il bambino aveva cominciato a tastare, con le piccole
manine, il volto della madre.
“Buono,
come sei vivace...” aveva ridacchiato Echalotte,
allontanandolo,
per poi chiedere: “Gli altri stanno arrivando?”
“Certo, ho
appena sentito Bardack e...”
“UUUUUAAAAAHHHHH!!!!!!”
Il
bambino aveva cominciato a urlare a pieni polmoni, facendo tappare le
orecchie ai due coniugi.
“Buono,
buono. Non piangere...” lo cullò Echalotte
sperando di calmarlo
mentre Vegeta le domandava: “Ma che gli piglia?!”
“Non ne ho
idea...”
In
quel momento, una giovane infermiera entrò di corsa nella
stanza,
chiedendo: “E' successo qualcosa?” “Mio
figlio si è messo a
piangere a squarciagola.” “Non si preoccupi, i
bambini fanno
sempre così... vado a chiamare il dottor
Kakaroth...”
“UUUUUUUUUAAAAAAAAAAHHHHHH!!!!!!!!”
Sentendo
quegli strilli sempre più acuti e forti, la povera
infermiera scappò
via a gambe levate.
“Fa'
qualcosa!” ordinò Echalotte al marito e Vegeta
rispose: “E
cosa?” “Non ne ho idea. Sei suo padre,
Vegeta!”
Aveva
appena finito di parlare che il bambino, di colpo, si calmò.
Marito
e moglie si guardarono negli occhi, stupiti.
Ma
cos'era successo?
“Hai
idea del perché si è calmato?”
“No.” “Neanch'io, Vegeta.”
“Gh...” fece il bambino.
Echalotte
lo guardò e disse: “Vegeta.”
“Gh gh gh.” fece di nuovo il
piccolo.
“Ho
capito!” esclamò la donna e Vegeta le chiese:
“Cosa?” “Ha
scelto il suo nome. Strillava quando sentiva un nome che non gli
piaceva e temeva che fosse il suo. Credo che il nome Vegeta gli
piaccia e, perciò, lo voglia.” “Ma
è il mio nome! Oltre
all'aspetto devo condividere con mio figlio il nome?!”
“Mi sa di
sì...” “Se lo può scordare,
il moccioso se ne dovrà scegliere
un altro...” “UUUUUAAAAHHH!!!”
Il
piccolo aveva appena cominciato a piangere che sua madre
esclamò:
“Buono, Vegeta.” e subito si calmò.
“Visto,
zuccone? Solo il tuo nome lo fa' star buono!” lo
avvisò Echalotte
e Vegeta commentò: “Vorrei proprio sapere cos'ha
contro i nomi
Kakaroth e...”
“UUUUUUUAAAAAAAAHHHHHH!!!!!” strillò di
nuovo
il piccolo.
Tra
tutti i nomi, Kakaroth era quello che odiava di più.
“D'accordo,
Vegeta sarà il tuo nome!” sbuffò l'uomo
mentre il piccolo Vegeta
smetteva all'istante di urlare.
Echalotte
sorrise al ricordo di come lei e il marito avevano scelto il nome del
loro primogenito.
Ovviamente,
ciò era un segreto custodito solo da lei.
Vegeta
non avrebbe sopportato la scoperta che era stato lui a scegliere il
suo nome.
Suo
figlio non riusciva proprio a sopportare che dall'essere che tanto
odiava doveva condividere l'aspetto e il nome.
Era
meglio che non sapesse niente...
Echalotte
sospirò.
Non
sarebbe mai riuscita a spezzare il filo che la legava a suo marito.
Fin
dall'inizio, erano destinati a stare insieme.
Nonostante
le litigate e le sfide, si amavano.
Poi,
le cose, per qualche oscuro motivo, erano precipitate e lui se n'era
andato.
Ripensò
a suo nipote e alla sua fidanzata.
Loro
due, alla fine, erano riusciti a ritrovarsi e a rimettersi insieme
mentre lei e suo marito non si sarebbero mai ritrovati e non si
sarebbero mai rimessi insieme...
Prese
dalla borsa il cellulare e scrisse velocemente un sms al figlio, che
in quel momento stava mangiando qualcosa al bar dell'ospedale per
festeggiare la salvezza di Trunks, dicendogli che tornava a casa.
Una
volta inviato, la donna aprì il portone e uscì
dall'ospedale mentre
nevicava fitto fitto.
Dopo
qualche metro, venne superata da un'ambulanza che entrava a tutta
velocità.
Mentre
la donna si allontanava, l'ambulanza si fermò davanti al
portone,
cercando di non scivolare sul ghiaccio che si stava formando a causa
della neve, e dei paramedici fecero uscire una barella su cui c'era
un uomo che respirava affannosamente ed essi entrarono velocemente
dentro l'ospedale, seguiti da una ragazzina incredibilmente bassa.
“D'accordo,
Bulma. Glielo chiederò.” “Grazie, Goku.
Mi raccomando, non dire
niente a Vegeta.” “Fidati di me.”
Bulma
alzò un sopracciglio.
Goku,
tra tutti i suoi amici, era, di sicuro, l'ultima persona a cui
avrebbe potuto parlare di una cosa di cui nessuno doveva saperne
niente.
Non
riusciva a tenere un segreto nemmeno se gli tappava la bocca con lo
scotch!
Purtroppo,
era l'unico a cui poteva chiedere una cosa del genere.
“Però
non riesco a capire perché vuoi proprio una
foto...” “ZITTO PER
CARITA'!” lo zittì Bulma, guardandosi in giro.
Per
fortuna, Vegeta stava chiacchierando con Tarble.
Se
Vegeta avesse saputo cosa stava per fare...
“Vedi
di non farti scappare niente con Vegeta, intesi?! Lo sai
com'è
suscettibile...” “Lo so, voglio solo capire
perché vuoi averla.”
“Perché... sono curiosa di sapere com'era
fatto...” “Sì,
ma... come mai t'interessa proprio adesso? Tu e Vegeta siete sposati
da quasi vent'anni...” “Goku, ti prego. Un giorno
ti spiegherò
ogni cosa... ma non adesso! Per ora, trovami quello che ti ho
chiesto.”
Goku
si limitò a sorriderle.
“Non
preoccuparti. Ti aiuterò.” l'assicurò
l'amico prima di
raggiungere la moglie.
Bulma
rimase un attimo da sola nel corridoio.
Da
quando aveva incontrato quell'uomo nel vicolo vicino al
commissariato, quel volto così somigliante al suo... l'aveva
sconvolta e aveva deciso di andare a fondo alla cosa.
Quell'uomo
poteva solo una persona ma doveva averne la certezza.
Se
i suoi sospetti si fossero rivelati, come avrebbe fatto a dirlo a
Vegeta?!
E,
poi, perché stava spiando lei, sua figlia e sua sorella?!
Sperava
solo che non avesse cattive intenzioni...
Raggiunse
la sua famiglia e, dopo aver pagato il conto, si diresse verso
l'ascensore.
“Mamma
è tornata a casa.” annunciò Vegeta,
guardando il cellulare.
Bulma
stava per cliccare il pulsante del piano terra quando sentì,
qualcosa sfiorarle la gamba.
Abbassò
lo sguardo e vide Bra guardare, con aria sconvolta, fuori
dall'ascensore.
“Che
succede, Bra?” le domandò Bulma prima che la
figlia corresse fuori
dall'ascensore, dirigendosi verso un corridoio.
“BRAAA!!!!”
le urlò la madre mentre anche lei, Vegeta e Tarble uscivano
dall'ascensore.
“Ma
cosa le prende?!” sbuffò Vegeta mentre correva
all'inseguimento
della figlia fuggitiva.
I
tre la videro ferma a parlare con un'infermiera.
Sembrava
proprio sul punto di piangere...
“Bra!”
La chiamò suo padre, avvicinandosi, per poi sgridarla:
“Non lo
fare mai più, signorina! Hai idea della paura che ho
avuto?!”
“Scusa, papà... ma il signor Lupo
Cattivo...” “Ma di quale
signor Lupo Cattivo stai parlando?!”
“Ehm...” fece una voce
femminile dietro alla bambina.
Vegeta
alzò lo sguardo e fissò il volto dell'infermiera,
la quale disse:
“Credo che vostra figlia si stia riferendo all'uomo che
l'ambulanza
ha appena portato...” “Cos'è successo a
quell'uomo? Ha avuto un
incidente?” “A dire la verità... si
tratta di un problema ai
reni...” “Ai reni?”
La
donna si avvicinò a Vegeta e, a bassa voce, gli
rivelò: “Pare che
ne soffra da moltissimi anni... i medici dicono che solo un trapianto
potrebbe salvarlo... ma non si riesce a trovare da nessuna parte un
rene compatibile... stanotte, mentre era a casa sua assieme a una
vicina, le sue condizioni sono peggiorate all'improvviso...”
Bra,
col volto scuro, sussurrò: “L'ho visto
sull'ascensore su una
barella che respirava a fatica... la prego, mi dica,
sopravvivrà?”
L'infermiera
abbassò lo sguardo, come se non sapesse che cosa rispondere.
“La
prego, risponda a mia figlia!” la pregò Vegeta e
la donna
sussurrò: “E' così grave che i medici
dubitano persino che riesca
a passare la notte.”
Per
Bra fu come se un fulmine avesse squarciato tutto.
La
piccola rimase perfettamente immobile mentre Bulma, intuendo il suo
stato d'animo, l'abbracciava, sussurrandole:
“Cucciola...”
La
piccola si strinse forte a lei e, scoppiando a piangere, disse:
“Allora era questo che intendeva quando diceva che presto
sarebbe
morto... cosa farò senza di lui, mamma?! Anche se era
parecchio
burbero, mi voleva bene! Si è sempre preso cura di me... mi
ha
insegnato un sacco di cose... era il mio migliore amico! Volevo tanto
aiutarlo perché era così triste e solo... e,
invece, non potrò mai
aiutarlo!”
Vegeta
osservò, in silenzio, la disperazione della figlia e, poi,
si voltò
verso l'infermiera e, senza mezzi termini, le ordinò:
“Analizzi i
miei reni.”
Tutti,
persino Bra, lo fissarono esterrefatti.
L'infermiera
non sapeva che cosa rispondere.
“N-ne
è veramente sicuro, signore?” gli
domandò la donna e Vegeta
annuì: “Sì, voglio che i miei reni
siano analizzati e se
risultassero compatibili voglio donarne uno a quell'uomo. Voglio
salvare il migliore amico di mia figlia.”
L'ultima
frase l'aveva detta guardando Bra.
La
bambina gli sorrise e lo ringraziò: “Grazie,
papà.”
La
donna fece cenno a Vegeta di seguirlo e gli disse: “Venga con
me.
La porto dal medico...”
“Se
volete, in attesa della risposta, potete sedervi nella sala d'aspetto
in fondo all'aula.” li avvisò un'altra infermiera.
Tarble
seguì la cognata e la nipote.
Era
orgoglioso del suo fratellone.
Tutti
lo consideravano un eremita parecchio irascibile ma lui sapeva che il
suo fratellone aveva un lato nascosto, un lato che solo pochi
conoscevano e che lui aveva appena mostrato...
Fin
da piccolo, il suo più grande sogno era quello di rendere
orgoglioso
il suo fratellone.
Perciò,
quando quella banda di bulli lo aveva malmenato in prima media, lui
aveva preso tutti quei calci e quei pugni senza piangere o strillare
perché Vegeta non sarebbe stato contento se si fosse
comportato
così.
“Eh?
Ma tu sei...”
La
voce di sua cognata lo riportò nel mondo dei vivi.
Incuriosito,
Tarble si avvicinò e riconobbe immediatamente la ragazzina
di
quindici anni con cui stava parlando Bulma.
“Gure?”
“Professor Prince!”
Tra
i due cadde un silenzio imbarazzante, finché Bulma non lo
interruppe
dicendo: “Scusa, Tarble, ma tu la conosci?”
“Certo, si chiama
Gure ed è una mia studentessa. Tu come la
conosci?” “Ti ricordi
di quando Bra è scappata sotto quel tremendo temporale? Il
giorno
dopo a quella tempesta, questa ragazza ritrovò mia figlia
nel
capanno abbandonato del suo palazzo e, assieme ai suoi genitori, la
portò al commissariato, dove mezz'ora dopo arrivai
io.”
Nel
frattempo, Gure guardava, incredula, la scena.
Aveva
riconosciuto immediatamente la donna e la bambina... non era
possibile...
“Sarà
meglio fare le presentazioni: Bulma, questa è Gure, una mia
studentessa. Gure queste sono mia cognata Bulma e mia nipote
Bra.”
le presentò Tarble e la ragazzina, sorridendo, si
alzò in piedi e
le salutò, sorridendo: “Buongiorno, signora. Come
sta? Lieta di
conoscerla.” “Piacere. Come mai ti trovi in
ospedale?” “E'
per il mio vicino di casa...” “Vicino di
casa?” “Sì. Ha un
problema ai reni e mentre ero con lui è stato male. Ho
deciso di
seguirlo in ospedale perché volevo che qualcuno gli stesse
accanto
durante l'operazione...” “In che senso?”
“Il mio vicino è
praticamente solo al mondo. Nessuno viene mai trovarlo e nessuno, nel
palazzo in cui abito, sa niente di lui.” “Ma
avrà una famiglia!
Non può essere così solo...”
“So soltanto che era sposato in
passato ma temo che dopo la separazione lui e sua moglie non si siano
più visti o sentiti.”
Bulma
era esterrefatta.
Non
riusciva a credere che una persona potesse essere così
sola...
“Però...
c'è una persona a cui è molto
legato...” continuò Gure e Bulma
domandò: “Chi?” “Vostra
figlia, signora.”
Bulma
fece una faccia stupita e guardò la figlia e la ragazza.
“Ma
allora...” fece Bulma, prima che Bra l'interrompesse:
“Il signor
Lupo Cattivo mi vuole bene!” “Sì...
è molto legato a te e se ti
succedesse qualcosa sarebbe molto triste.” ammise la giovane.
In
quel momento, giunse l'infermiera con cui Tarble, Bulma e Bra avevano
parlato poco prima.
“Allora,
signorina?” le domandò, preoccupata, Bulma e la
donna le rispose,
con un grande sorriso sulle labbra: “E'... è un
miracolo! I reni
di suo marito sono compatibili con quelli del paziente! Possiamo
tentare un trapianto!” |
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Capitolo 12 *** Vieni con me ***
CAPITOLO
12: VIENI CON ME
L'operazione
stava per
avere inizio e le quattro persone presenti era tutte molto agitate.
La
bambina di tre anni dai
lunghi capelli turchini era quella più nervosa.
Continuava
a guardare di
qua e di là e a mangiucchiarsi le pellicine vicino alle
dita, come
faceva sempre quand'era nervosa.
La
madre, una donna con i
capelli corti dello stesso colore della figlia, le disse:
“Bra, se
continui a massacrarti le dite non le avrai più.”
La
bimba smise all'istante
di mangiucchiarsele.
“Ascolta,
Bra. Io non so
se il tuo amico ce la farà ma sappi che ti vorrà
sempre bene.
Dovunque sarà.” le raccontò Bulma e Bra
le chiese: “Pensi che
papà continuerà a volermi bene?”
“Ma certo, tesoro. Perché
pensi una cosa così?” “Perché
per colpa mia ha rinunciato a un
rene. Se papà mi odiasse... non credo che lo
sopporterei...”
“Bra... papà non potrà mai odiarti. Ha
rinunciato a un rene per
poter salvare il tuo amico e farti felice. Sta' tranquilla, stellina.
Qualunque cosa accada, lui non potrebbe mai odiarti.”
Anche
gli altri due
presenti erano molto tesi, ma per motivi completamente diversi.
Entrambi,
infatti, erano
molto nervosi per il fatto di trovarsi vicino alla persona che
amavano profondamente senza nemmeno poter confessare il loro
sentimento.
Fu
Bulma a interrompere
quell'imbarazzante silenzio che si era creato: “Ma i tuoi
genitori
dove sono?” “A casa mia. Prima di partire, gli ho
chiesto se
potevo andare da sola e loro hanno acconsentito. Quando l'operazione
sarà finita, li chiamerò e loro verranno a
prendermi.” raccontò
la ragazza.
Una
volta che Gure ebbe
finito di parlare, Tarble si alzò e disse: “Vado a
prendere
qualcosa al bar.”
Dopo
qualche minuto che si
era allontanato, Gure si alzò anche lei e
dichiarò: “Devo andare
un attimo in bagno.”
Invece
di andare verso il
bagno, la ragazzina si diresse verso il bar dell'ospedale.
Era
l'occasione giusta per
dirglielo.
Eppure,
Gure si sentiva
tremendamente tesa.
Come
avrebbe potuto dire
al suo prof che si era innamorata di lui?!
Gure
si fermò, indecisa
sul da farsi.
Era
una stupidata.
Il
suo prof non l'amava e
l'avrebbe trattata come una bambina capricciosa.
Era
meglio lasciar
perdere...
“Non
avere paura.”
La
voce seccata del suo
vicino le rimbombò nella testa.
“Questo
è per dirti, ragazzina, di non avere paura. La paura
può fare molto
male. Ho lasciato mia moglie per paura... e me ne sono pentito per
tutta la vita. Non aver paura di non riuscire ad attirare un uomo
perché ci riuscirai di sicuro. E anche in futuro ricordati
di non
averla. Perché potresti pentirtene per sempre...”
Gure
fece un bel respiro e
si diresse verso il bar.
Doveva
trovarlo e dirgli
che lo amava.
Forse
avrebbe avuto una
delusione, ma almeno ci aveva provato...
Lo
trovò che stava per
uscire.
“Professore!”
lo
chiamò, con voce affannata, tutta rossa in viso.
Lui
si girò e, con una
faccia stupita, le domandò: “E' tutto a posto,
Gure?” “Io
dovrei parlarle di una cosa importante e privata!”
“Ok...”
I
due si diressero in un
angolo dove non c'era nessuno.
“Cosa
succede, Gure?”
le domandò, con la sua solita voce gentile, e lei, con tutto
il
coraggio che aveva, gli disse: “Io... io la amo,
professore!”
Tra
i due calò un
profondo silenzio, che venne subito interrotto da Gure: “Non
mi
consideri come una studentessa che vuole solo aumentare i suoi voti,
io le parlo come una semplice ragazza innamorata! Se lei facesse un
altro lavoro le direi le stesse cose! Io la amo perché
è sensibile
e dolce! Ho voluto dirglielo adesso perché a Giugno mi
trasferisco
in un altro paese e... e volevo dirglielo!”
La
ragazza rimase
immobile, con la testa china e le guance rosse.
Il
prof le si avvicinò
e... l'abbracciò.
Un
abbraccio dolce ma allo
stesso tempo sicuro.
Un
abbraccio che nemmeno
il vento più forte del mondo avrebbe potuto dividere.
“Anch'io
ti amo, Gure.”
le sussurrò dolcemente all'orecchio “Ti amo da
mesi. E non perché
sei giovane o bella, ma per la tua sensibilità, purezza e
innocenza.
Le parole che scrivevi nei tuoi temi erano stupende. Raccoglievano
sentimenti che mi facevano emozionare... non volevo rovinarti, per
questo non mi sono fatto avanti per tutto questo tempo.”
La
ragazza ricambiò
l'abbraccio dell'uomo, scoppiando a piangere: “Non voglio
andare
via... voglio restare accanto a te...” “No, Gure.
E' meglio che
tu parti.” “Ma perché?! Non mi
vuoi?!” “No... ma gli altri
non capirebbero il nostro amore... vedendo un adulto che gira con una
ragazza giovane come te, si metterebbero a parlare male di noi...
infangherebbero la nostra reputazione ingiustamente! E io non voglio
che questo ti accada... per questo li prenderemo tutti in
giro!”
“Cosa vuoi fare?” “Partirai con i tuoi
genitori e quando avrai
finito la scuola e sarai maggiorenne, tornerai qui. Poi partiremo,
noi due, insieme, verso una nuova vita.”
Gure
sorrise.
Era
orgogliosa del suo
uomo...
“Tarble...”
sussurrò,
chiudendo gli occhi, mentre le lacrime continuavano a scenderle.
“Ora
le praticheremo
l'anestesia. Si rilassi e chiuda gli occhi.” lo
avvisò
un'infermiera, mentre gli metteva una mascherina sulla bocca.
Vegeta
inspirò il gas e
sentì le palpebre farsi molto pesanti.
Subito
si addormentò e
gli sembrò di vedere qualcosa tra gli occhi chiusi.
Un
campo di girasoli, un
picnic, un albero, una caduta...
Correva
senza sosta nell'immenso campo di girasoli.
I
petali gli volavano intorno e divertendolo come pochi.
Quello
era un giorno molto speciale.
Era
il suo terzo compleanno e i suoi genitori, per festeggiare, l'avevano
portato a fare un picnic.
Non
era una festa di compleanno come tutte le altre ma era divertente.
“Vegeta!
E' pronto!”
La
voce di sua madre si sentì per tutto il campo.
“Arrivo,
mamma!” le gridò il bambino, correndo verso di lei.
Si
precipitò verso una tovaglia, dove la sua mamma e il suo
papà
stavano finendo di mettere i piatti.
“Allora,
ti diverti?” gli domandò la mamma e il piccolo
rispose: “Certo!”
Suo
padre rimase in silenzio, come al solito.
Non
era mai stato molto loquace...
“Ho
visto che in fondo al campo c'è un albero, posso
salire?” domandò
Vegeta e la madre gli rispose, prontamente: “Levatelo dalla
testa,
Vegeta!” “Eddai!” “Obbedisci
alla mamma, Vegeta.” rispose
suo padre con il suo tono di voce annoiato, mentre prendeva una fetta
di pane.
Vegeta
fece una faccia scocciata.
I
grandi... chi li capisce è bravo!
Mangiò
il suo pasto e ritornò a correre in mezzo al campo.
In
realtà voleva solo avvicinarsi all'albero per poi salire di
nascosto.
Solo
i mocciosi obbedivano ai genitori!
Una
volta arrivato, cominciò a salire.
Era
piuttosto dura, dato che aveva solo tre anni, ma doveva provarci.
Ad
un tratto, il ramo su cui stava salendo si ruppe e cominciò
a
cadere.
Vegeta
si aspettava di cadere pesantemente per terra ma, inaspettatamente,
qualcosa lo afferrò.
Alzò
gli occhi e vide suo padre.
Doveva
aver intuito cosa stava per fare e l'aveva seguito, evitandogli una
brutta caduta.
Suo
padre non gli disse niente.
Si
limitò a posarlo per terra, per poi dirigersi verso il
campo,
dicendogli: “Torniamo dalla mamma, Vegeta.”
“Va bene.” annuì
il figlio.
Avrebbe
voluto ringraziarlo e chiedergli scusa per quello che era successo...
ma era troppo orgoglioso per farlo...
Respirava
sempre più
affannosamente.
L'uomo
nella sala
operatoria stava sempre più male.
“Allora?”
domandò il
medico a un'infermiera vicino a lui ed essa rispose: “Hanno
appena
fatto l'anestesia al donatore. Il rene dovrebbe arrivare a
momenti.”
“Va bene... intanto pratichiamo l'anestesia al paziente. E'
ridotto
molto male, speriamo che la donazione possa fare qualcosa.”
La
donna, prontamente,
prese la mascherina collegata al gas soporifero e la mise sulla bocca
del paziente.
L'uomo
cominciò a
respirare più piano fino ad addormentarsi del tutto, mentre,
attorno
a lui, tutto diventava nero.
Quell'immenso
corridoio buio e gelido sembrava non finire mai.
Camminava
con passo calmo, senza alcuna fretta.
L'unica
cosa che voleva era smettere di soffrire.
Più
di una volta, si era domandato dove sarebbe finito una volta morto.
Tutti
pensavano alle cose più strane dell'aldilà ma lui
voleva solo una
cosa da essa.
La
pace interiore.
Continuò
a guardarsi intorno.
Non
c'era nessuno.
Solo
il buio e il freddo.
Come
la sua esistenza.
Perfettamente
identica.
Almeno,
non c'era nessuno che lo condannava per i suoi sbagli...
“Signor
Lupo Cattivo!”
Quella
voce...
L'uomo
si voltò e vide una bambina dai capelli turchini e con
grandi occhi
blu.
Una
bambina che avrebbe riconosciuto dappertutto...
Si
voltò e fece per andarsene, ma la bimba corse verso di lui e
lo
afferrò per la mano, chiedendogli: “Dove sta
andando?” “In un
posto orribile che non è per te, Cappuccetto
Rosso.” “Non
andartene. Resta con me, ti prego.” “Non posso. Io
sono un Lupo
Cattivo e i Lupi Cattivi vanno tutti in quel brutto posto.”
“Vieni
con me!”
Lui
la guardò.
Lei,
accorgendosi che era riuscita a farsi ascoltare da lui, gli
sussurrò:
“Vieni con me...” “Io... non
so...” “La prego, signor Lupo
Cattivo. La porterò in un mondo nuovo. Un mondo pieno di
luce. Un
mondo dove i lupi cattivi e soli come lei sono felici.”
Dopo
aver detto quelle parole, gli allungò una mano.
“Vieni
con me.” gli sussurrò.
L'uomo
sospirò.
Un
mondo così bello non esisteva per lui... esisteva solo nelle
favole...
Senza
esitazione, prese la mano della bambina che, sorridendo, si
alzò in
volo assieme a lui.
Certo
quelle cose esistevano solo nelle favole... eppure, una volta tanto,
sognare un mondo migliore per lui non costava nulla...
Per
ore, non accadde
niente.
Fu
solo quando il grande
orologio della sala d'attesa segnò la mezzanotte, che la
scritta
Operazione in corso
si spense e un chirurgo uscì dalla sala.
Appena
lo vide, Bra gli corse incontro e domandò:
“Allora? Si è
salvato?”
L'uomo
si tolse la mascherina che aveva in viso, che per la piccola Bra
equivalse a tre secoli di attesa, e, con calma, dichiarò:
“E'
stata un'operazione molto lunga e faticosa. A volte il paziente
sembrava migliorare per poi peggiorare... ma sono felice di
annunciare che l'operazione è riuscita. Il paziente
è salvo.” |
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Capitolo 13 *** Il ricordo di un sorriso ***
CAPITOLO
13: IL RICORDO DI UN SORRISO
“Questi
biscotti li ho
fatti per te, fratellone.” dichiarò Bra mostrando,
tutta
orgogliosa, un pacchettino legato con un fiocco rosso.
Trunks
sorrise mentre
prendeva il pacchetto della sorella.
Era
bello sapere che la
propria sorellina pensava a te...
Lo
aprì e prese un
biscotto dalla strana forma.
Ma
cosa accidenti era?
“Scusa,
Bra, ma cos'è?”
le domandò, un po' nervoso, Trunks e la bambina,
prontamente,
rispose, sorridendo: “Un micio. L'ho fatto all'asilo. E'
carino,
non è vero?” Questo
sarebbe un gatto?! Sembra più il mostro peloso di quel libro
per
bambini.
Commentò,
mentalmente, Trunks ma non disse nulla alla bambina.
Ci
sarebbe rimasta male e non era una cosa carina dopo quel pensiero
gentile...
Trunks
si mise in bocca il biscotto e se lo mangiò.
Non
era ai livelli di quelli dei più grandi chef mondiali... ma
almeno
era commestibile.
La
bimba sorrise tutta contenta, poi richiuse la sua borsetta rosa piena
di fiocchi e gatti.
Trunks
riuscì a vedere altri due pacchetti dentro di essa.
“Ehi,
Bra. Per chi sono quei pacchetti?” le domandò,
incuriosito, e la
sorellina rispose: “Uno è per papà e
l'altro per il Lupo
Cattivo.” “E per Goten non hai preparato
niente?” “Pensavo
che avreste condiviso i biscotti.”
Trunks
sospirò.
Sua
madre era andata a prendere Bra prima all'asilo per permetterle di
stare accanto ai suoi tre uomini speciali.
Il
primo turno era toccato a lui, poi sarebbe stata la volta di
papà e,
infine, del migliore amico di Bra, che lei chiamava il Lupo Cattivo e
a cui papà aveva donato un rene per salvargli la vita.
Sapeva
tutte quelle cose perché sua madre gliele aveva raccontate
quella
mattina.
Mentre
lui doveva ancora raccontarle una cosa molto importante.
La
gravidanza di Mai.
Appena
Bra sarebbe andata da papà, lui avrebbe raccontato tutto
alla mamma.
Sapeva
già che avrebbe fatto prendere un grosso colpo a tutti ma
doveva
farlo...
Per
un bel pezzo, Bra continuò a raccontare, senza sosta, tutto
quello
che aveva fatto quel giorno all'asilo, poi, la bambina
guardò
l'orologio e dichiarò: “Devo andare da
papà! E' il suo turno.
Ciao, fratellone, ci vediamo dopo.” e uscì in
fretta e furia dalla
stanza.
Bulma
ridacchiò per la vivacità della figlia ma Trunks
rimase in
silenzio.
Era
il momento!
“Mamma...”
sussurrò con un filo di voce “Ti devo dire una
cosa...”
Bra
aprì la stanza dove suo padre era stato ricoverato.
Suo
padre era seduto sul letto con una rivista in mano.
“Papà!
Ti ho portato un regalo!” esclamò la bambina
entrando nella
stanza.
Vegeta
smise di leggere la rivista e le sorrise.
“Ciao,
Bra. Com'è andata oggi all'asilo?” le
domandò e la figlia, con
gran sorriso sulle labbra, raccontò: “Benissimo,
papà. Oggi la
maestra ci ha fatto fare i biscotti e io ho preparato questa
confezione per te.”
La
bimba aprì la sua borsa e tirò fuori il piccolo
sacco col nastro
rosso.
“Questo
l'ho fatto per te.” dichiarò la bambina mentre
glielo passava.
Vegeta
lo aprì e cominciò a mangiarli.
“Senti,
papà...” domandò, ad un tratto, Bra e
il padre le domandò: “Cosa
c'è, Bra?” “Non mi odi, vero?”
“E perché dovrei odiarti?”
“Perché per colpa mia hai rinunciato a un rene. Mi
sono comportata
da egoista... ho pensato al bene del mio amico invece che a te, che
sei il mio papà, e ci hai rimesso tu. Mi
dispiace...”
Suo
padre le allungò un braccio e con esso le
accarezzò la testa
turchina, sussurrandole: “Non ti odio per nulla, Bra. Anzi,
dovrei
ringraziarti. Prima di conoscere tua madre, per anni ho pensato solo
a me stesso. Non m'importava niente di ciò che mi
circondava. Niente
aveva senso per me. Credevo che la vita fosse soltanto una grossa
fregatura. Poi, è arrivata tua madre e ho capito che stavo
sbagliando. Così, è iniziato il mio risveglio. Di
colpo, tutto
cominciava ad avere un senso. Poi siete arrivati tu e Trunks. I
vostri sorrisi mi facevano sentire felice. Mi riscaldavano il cuore.
Ieri notte, ho sentito qualcosa dentro di me, che mi ha spinto a
donare il mio rene al tuo amico. Non so come spiegarlo... ma ho
sentito il dovere di farlo... non so cosa riserverà il
futuro a me o
al tuo amico... ma so di aver fatto la cosa giusta. Lo sento.”
“...E
questo è tutto, mamma. Ti prego, non arrabbiarti con me o
con Mai.
Ti giuro che non l'abbiamo fatto apposta!”
Trunks
era nervoso.
Aveva
appena raccontato tutto a sua madre.
Adesso,
doveva solo aspettare la reazione della donna, che di certo sarebbe
stata tremenda.
Sperava
solo che non si arrabbiasse con Mai...
“Lo
sai, Trunks, che prendersi cura di un bambino è molto
dura?” gli
domandò, ad un tratto, Bulma e il ragazzo ammise:
“Lo so... ti
giuro che non era nostra intenzione...” “Cosa
intendete fare?”
“Pensiamo di sposarci appena mi sarò dimesso
dall'ospedale...”
“Mi auguro che non volete sposarvi solo per il
bambino.” “No...
su questo puoi stare tranquilla, mamma. Prima ancora che succedesse
tutto questo, volevo chiederle di sposarmi.”
Bulma
rimase in silenzio un attimo, poi lo rimproverò:
“Avreste dovuto
fare più attenzione.” “Lo so, mamma,
scusaci.” “Beh, ormai
quel che fatto è fatto. Sii un padre responsabile, figliolo,
e non
combinare altri pasticci.” “Grazie,
mamma.” “Sentirsi
chiamare mamma sapendo che fra qualche mese diventerò nonna
fa un
certo effetto...”
I
due risero per un po', poi Bulma commentò: “Certo
che è proprio
un'abitudine nella famiglia di tuo padre combinare queste
cose...”
“Cosa intendi?”
Bulma
si accorse di aver parlato troppo e, capendo che non poteva tirarsi
indietro, lo pregò: “Ti prego, Trunks, non
raccontare quello che
sto per dirti a papà.”
“Perché? Lo saprà già, dato
che è una
cosa che lo riguarda...” “No... vedi...
è una cosa di cui
nemmeno lui è a conoscenza... lo so solo io
perché me l'ha
confidato una volta tua nonna.” “Che cosa,
mamma?” “Trunks...
tuo padre è stato concepito prima del matrimonio tra i tuoi
nonni.”
La
risposta fece restare di sasso Trunks.
Suo
padre era stato concepito prima del matrimonio?!
“Accade
quando i tuoi nonni avevano ventun anni e studiavano entrambi
all'università. Una sera, dopo aver studiato insieme, si
lasciarono
trasportare della passione che li dominava e... fecero quello che tu
e Mai avete fatto, con lo stesso identico risultato. Con una
differenza: alla notizia della gravidanza, tua nonna avvisò
tuo
nonno e decisero di sposarsi.” raccontò Bulma e
Trunks commentò:
“Allora è per questo che mio nonno se
n'è andato... forse, per
lui, la nonna non era altro che l'amore di una notte e si sentiva
intrappolato in una gabbia senza via d'uscita...”
“Io non credo.”
Trunks
guardò sua madre, incredulo.
La
donna continuò: “Io non credo affatto che per tuo
nonno la nonna
sia stato l'amore di una notte... io credo che l'amasse, come tu ami
Mai... non so per quale motivo se ne sia andato, ma sento che
è
così. In più, ho come la sensazione che, in
realtà, quei due
cercassero solo qualcosa che li spingesse a sposarsi... qualcosa di
concreto e indissolubile... come un figlio.”
“Mamma, è assurdo.
Se fosse come dici, allora perché il nonno se ne
è andato con
un'altra donna? Lo sanno tutti che aveva un'amante.”
“Te l'ho
detto, Trunks. Non so perché il nonno se ne sia andato di
casa, ma
sento che amava sinceramente tua nonna. Non so come spiegarlo ma me
lo sento.” concluse la donna.
Trunks
rimase in silenzio un attimo, poi le disse: “Mamma, queste
cose
accadono solo nelle favole. Nella vita reale queste cose non
succedono...” “Chi lo sa, Trunks. Chi lo
sa...”
Uno,
due, tre, quattro, cinque...
Stava
contando i fiocchi di neve che finivano sulla finestra della sua
stanza.
Nevicava
fitto fitto da un paio di giorni e, secondo il meteo alla radio, la
neve sarebbe continuata ancora per qualche giorno.
Per
qualche altro giorno della sua sporca esistenza.
Nemmeno
il suo desiderio di morire era stato esaudito.
All'ultimo
momento, un misterioso donatore gli aveva dato ciò che a lui
serviva
per salvarsi: un rene.
Così,
adesso, era salvo, con una nuova vita davanti.
Ma
la voleva davvero?
In
tutti quegli anni, non aveva fatto altro che vivere nel suo silenzio,
nella sua colpa, nel suo dolore e, soprattutto, nella sua solitudine,
aspettando, finalmente, di morire a causa della sua malattia.
Anche
prima di scoprire la malattia, aveva sempre vissuto così.
Poi
aveva conosciuto lei e, in un attimo, la sua vita aveva preso una
piega decisamente diversa.
Accanto
a lei, prendeva vita un nuovo mondo, un mondo che voleva conoscere.
Con
lei, aveva deciso di rischiare, di trovare la felicità che
per anni
gli era stata negata... così, avevano deciso di creare una
famiglia,
composta da lui, lei e il loro bambino.
Poi
aveva fatto una stupidaggine e la sua famiglia si era distrutta come
un vaso caduto.
Che
sciocco che era stato... non avrebbe mai dovuto farlo...
Così,
era tornato in quello stato, quello dell'uomo solo, senza alcuna
speranza per il futuro.
Tanto,
la vita non aveva alcun senso.
L'aveva
capito a tre anni...
CRIC
CRIC
Un
passo leggero si fermò davanti alla sua porta.
Strano,
non era ancora l'ora della medicina...
Nonostante
la stranezza, rimase a fissare i fiocchi di neve dalla sua finestra.
La
porta si aprì e una voce allegra e vivace
esclamò: “Signor Lupo
Cattivo!”
Non
era necessario voltarsi per capire chi era.
“Ma
guarda chi c'è. Sembra proprio che tu non riesca a starmi
lontana,
eh, Cappuccetto Rosso?” le domandò, guardandola.
La
bambina più rompiscatole di tutte... ma anche quella
più
adorabile... l'unica capace di dare un senso alla sua vita e
spingerlo a vivere...
Bra
spinse una sedia vicino al suo letto e tentò di salire ma,
essendo
troppo piccola, faceva molta fatica.
Ad
un tratto, la piccola sentì qualcuno sollevarla e posarla
sulla
sedia.
Non
doveva nemmeno voltarsi per capire chi era stato...
“Grazie,
signor Lupo Cattivo.” lo ringraziò, con entusiasmo
la bimba,
sedendosi.
Per
un po', i due non si dissero niente ma, poi, Bra espresse quella
domanda che le ronzava in testa dalla sera prima: “Signor
Lupo
Cattivo, perché non mi ha detto niente della sua
malattia?”
Lui,
per un attimo, rimase in silenzio, poi confessò:
“Perché non
volevo perdere il tuo sorriso. Volevo ricordarti con quel tuo piccolo
e caldo sorriso mentre ero in punto di morte.”
Lei
lo ascoltò in silenzio e poi chiese: “Signor Lupo
Cattivo... dove
sono sua moglie e suo figlio? Perché non sono venuti in
ospedale?”
“Abbiamo chiuso i contatti molti anni fa. Non so dove sono,
dove
vivono e cosa fanno... come loro non hanno mai saputo della mia
malattia...” “Ma è una cosa tremenda!
Una famiglia non
dev'essere così divisa! Lei... a rischiato di morire da
solo...
senza nessuno... nessuno merita di morire da solo.”
“Io sono il
Lupo Cattivo, Cappuccetto Rosso. E, come tutti i cattivi devo morire
da solo...” le sussurrò mentre si voltava.
Non
appena si voltò, sussultò.
Lei
stava piangendo.
Delle
calde lacrime le rigavano il viso paffuto.
“Ehi...
perché piangi?” le domandò, cercando di
avere più tatto
possibile e lei rispose: “Piango perché penso a
come dev'essere
stato solo in tutti questi anni... io, se avessi avuto un figlio,
sarei stata malissimo a vederlo così lontano da me... lei
non si
merita questa solitudine, questo dolore... vorrei fare qualcosa per
aiutarla...”
L'uomo
rimase in silenzio.
Aveva
troppa paura di parlare e dire qualcosa di sbagliato.
Le
avvicinò un dito al viso e, con esso, le asciugò
le lacrime.
La
piccola lo guardò, incredula, e lui le disse:
“Sai... in fondo al
mio cuore, io ho sempre desiderato che qualcuno piangesse per
me...”
Bra
era felice perché sentiva di aver fatto qualcosa di bello
per il suo
Lupo Cattivo.
Qualcosa
che l'aveva fatto sentire meno solo...
La
bambina era così felice che sorrise.
Non
si accorse che l'uomo aveva sussultato.
Perché
quel sorriso era identico a un sorriso che apparteneva al suo
passato.
Un
sorriso che apparteneva a una persona che per lui era stata molto
speciale...
“37
e mezzo... ti sei beccato proprio una bella influenza...”
dichiarò
la donna, dopo aver dato un'occhiata al termometro.
Il
piccolo sollevò la testa e la fissò, in completo
silenzio.
La
madre si alzò dalla sedia e disse: “Vado a
prepararti una bella
camomilla calda col miele.”
Inaspettatamente,
però, sentì qualcosa afferrarle con forza il
polso.
Si
voltò e vide il piccolo che le teneva il braccio.
Non
disse niente ma i suoi occhi parlavano per lui.
“Ho
capito, resto qui.” si arrese, risedendosi sulla sedia.
Il
bambino si risistemò nel letto, tutto contento, mentre lei
accarezzava i suoi capelli.
L'ultima
cosa che vide, prima di crollare nel mondo dei sogni, fu il tenero e
dolce sorriso di sua madre.
L'uomo
richiuse gli occhi, sperando di ricordare qualcos'altro, ma, come al
solito, non ci riuscì.
Era
più che naturale.
Sua
madre, assieme a suo padre, era morta quando lui aveva compiuto tre
anni.
Non
ricordava assolutamente niente di lei, il suo viso o il tono della
sua voce, l'unica cosa che ricordava era il suo sorriso.
Quando
si era ammalato, aveva solo due anni e mezzo, eppure ricordava tutto
alla perfezione.
Perché
quello era stato uno degli ultimi momenti con sua madre.
Quando
era finito alla casa degli scarti, non voleva assolutamente che
qualcuno prendesse il posto di sua madre e di suo padre.
Per
questo, non parlava con i genitori venuti in visita e, soprattutto,
non voleva che qualche assistente sociale gli stesse accanto durante
le malattie.
Quel
gesto era di sua madre!
Nessuna
donna al mondo si sarebbe mai sostituita a lei.
Eppure,
per la prima volta, aveva trovato qualcuno che poteva, in qualche
modo, sostituirla.
Una
bambina di soli tre anni, con i capelli turchini, i grandi occhi
azzurri, vestita di rosso dalla testa ai piedi, scocciatrice come
poche che sorrideva proprio come sua madre.
Nello
stesso identico modo. |
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Capitolo 14 *** Ricordi e segreti ***
CAPITOLO
14: RICORDI E SEGRETI
Goten
camminava nei bianchi e immacolati corridoi dell'ospedale.
Erano
passati tre giorni da quando aveva donato il pezzo di fegato a Trunks
e aveva ottenuto il permesso dalla terribile infermiera, il cane da
guardia la chiamava quand'era con Trunks, di farsi un giretto, a
patto che si trovasse in camera sua al momento dalla solita,
schifosa, medicina.
Mentre
camminava si accorse di una giovane ragazza seduta su una sedia a
rotelle che guardava qualcosa all'interno di una macchinetta.
Aveva
i lunghi capelli mossi castani che le arrivavano fino alla schiena e
grandi occhi marroni.
Era
davvero molto graziosa eppure sembrava un po' triste.
“Mi
scusi, signorina...” la chiamò Goten e lei,
subito, si girò e lo
guardò con due dolci e profondi occhi.
Sperando
di essere arrossito come un idiota, le domandò:
“E' tutto a posto?
Mi sembra un po' preoccupata.” “Beh... ecco...
avrei un piccolo
problema... è solo che non vorrei disturbala...”
“Non si
preoccupi, lo faccio volentieri.” “Il fatto
è che... avevo
comprato una bottiglia d'acqua da questa macchinetta ma... si
è
bloccata all'improvviso, senza darmi l'acqua.” “Ah,
capisco.
Questo scherzetto me l'hanno fatto tante di quelle volte le
macchinette della mia scuola che ho imparato il trucco. Non si
preoccupi, signorina, gliela recupero in un attimo.” la
rassicurò
Goten mentre metteva una moneta nella macchinetta e digitava il
numero di una barretta di cioccolato sopra alla bottiglia della
giovane.
Lo
sportello mentre si dirigeva verso la barretta, sfiorò la
bottiglia,
facendola cadere.
La
ragazza era così contenta, che si mise ad applaudire,
complimentandosi: “Bravissimo! E' stato fantastico!”
Goten
passò la bottiglia alla ragazza e anche la barretta.
La
giovane fece una faccia un po' stupita e poi domandò:
“Mi scusi,
ma perché mi dà anche la sua barretta?”
“Per scusarmi a nome
della macchinetta che le ha quasi rubato i soldi.” le rispose
prontamente Goten.
La
ragazza ridacchiò divertita e il giovane fece una faccia un
po'
sorpresa.
Prima
di allora, nessuna ragazza aveva riso alle sue battute idiote, anzi
la maggior parte lo considerava soltanto un povero scemo.
Quando
la ragazza smise di ridere, Goten fece per passarle la barretta ma
lei, timidamente, rifiutò: “Quella barretta
è sua, l'ha comprata
con i suoi soldi. Non la posso proprio accettare, mi dispiace. Mi
sembrerebbe di approfittarmi di lei e della sua gentilezza.”
Vedendo
che la ragazza non cedeva, aprì la confezione e divise la
barretta
in due.
“Questo
pezzo è mio mentre questo è suo. Così
non si sarà approfittata
dei miei soldi e della mia gentilezza, che ne dice?” le
propose e
la giovane, finalmente, accettò.
Mentre
mangiavano il proprio pezzo di barretta, Goten non riuscì a
trattenersi dal domandarle: “Scusi, signorina, ma come mai
è stata
ricoverata in ospedale? Le è per caso successo un
incidente?”
“No... vede... per anni ho sofferto di una grave malattia al
cuore.
Per farmi stare meglio, i miei genitori mi hanno portata a vivere in
campagna per la mia salute ma, purtroppo, il mio cuore ha continuato
a peggiorare e per salvarmi ho dovuto ricorrere a un trapianto di
cuore.”
Goten
la fissò allibito.
Ma
allora quella ragazza era...
“Mi
scusi, ma quando ha fatto l'operazione?” le
domandò, incredulo, e
lei rispose: “Tre giorni fa.” “Verso le
otto e mezza di sera?”
“Sì... ma lei come lo sa?”
“Ero in sala d'attesa con i suoi
genitori. Un mio amico stava facendo un'operazione al fegato proprio
in quel momento.” “Ma allora è lei il
ragazzo che ha donato una
parte del suo fegato all'amico per poterlo salvare!”
esclamò la
giovane, guardandolo con due occhi che brillavano per l'ammirazione.
“Lei
come lo sa?” le domandò, incredulo Goten e lei
spiegò: “I miei
genitori l'hanno sentita mentre raccontava alla famiglia del suo
amico cosa voleva fare. Sono rimasti entrambi molto colpiti dal suo
gesto coraggioso e altruistico. A proposito, è andata bene
l'operazione? Il suo amico si è salvato?”
“Sì. Grazie a me si è
salvato.” “Come sono contenta. Il suo amico
è stato proprio
fortunato a trovare un grande amico come lei.” “Eh
già...”
Goten
si sentiva teso.
Non
voleva dire qualche cretinata che avrebbe solo allontanato quella
dolce e sensibile ragazza.
Eppure
era felice.
Anche
se era distante da lei solo di un metro, si sentiva l'uomo
più
felice del mondo.
Le
parole di quella ragazza lo facevano volare.
Volare
nel cielo blu.
Libero
e felice.
Quando
Goten alzò lo sguardo e vide l'ora nel grande orologio sul
muro, per
poco non ebbe un infarto.
Doveva
muoversi a tornare in camera se non voleva fare i conti con il cane
da guardia!
Con
dispiacere, gli doleva separarsi da lei, si alzò e la
salutò: “Mi
dispiace, signorina, ma devo andare o dovrò fare i conti col
cane da
guardia.” “Il cane da guardia?” gli
domandò allibita e Goten
spiegò: “E' così che chiamo
l'infermiera. Dopotutto, perlustra
sempre i corridoi come un pitbull e alla prima cosa strana si mette
ad abbaiare come i cani. Scommetto che le piace un mondo e che a
colazione mangia biscottini a forma d'osso.”
La
ragazza rise divertita da quella battuta.
La
sua risata era chiara e cristallina come l'acqua.
Qualcun
altro, però, non la trovò affatto divertente.
“Signor
Son!” tuonò una voce alle sue spalle “La
pianti subito di darsi
tante arie davanti alle ragazze e torni subito nella sua stanza, che
l'aspetta la medicina!”
Goten
fece un sorriso forzato davanti all'ordine dell'infermiera.
Evidentemente
aveva sentito tutto fin dall'inizio...
Così
si affrettò a salutare la giovane: “Spero di
rivederla presto in
giro.” “Anch'io.” “Comunque, io
mi chiamo Goten.” “Che
bel nome. Io mi chiamo Valese.”
“L'infermiera
ha detto che potrai uscire tra quattro giorni, sei contento,
Vegeta?”
“Certo, perché la prima cosa che farò,
non appena potrò scendere
da questo dannato letto, sarà quella di ammazzare
Trunks!”
Bulma
sospirò.
Suo
marito non aveva preso per niente bene la notizia che la fidanzata di
Trunks aspettava un figlio da lui...
“Eddai,
non puoi prenderla così male. Bra è felicissima
al pensiero che
presto diventerà zia.” tentò di
rasserenarlo la moglie ma Vegeta
era irremovibile: “Io la prendo come mi pare! Trunks avrebbe
dovuto
stare più attento! Così, adesso,
arriverà un altro moccioso
urlante in famiglia.” “Guarda che sei tu l'unico
che la prende
male. Tutti gli altri sono al settimo cielo. E, poi... non sei felice
al pensiero che presto diventerai nonno?” “E Trunks
si sposa alla
bellezza di diciotto anni e Bra diventa zia a tre anni!”
“Adesso
fai così, ma scommetto che quando vedrai tuo nipote, ti
innamorerai
subito perché sarà un bellissimo bambino dato che
erediterà dalla
nonna e non dal nonno bisbetico.” “Eh no, mio
nipote assomiglierà
anche a me!”
Bulma
ridacchiò.
Vegeta
adorava già il futuro nipotino ma non l'avrebbe mai ammesso.
La
donna prese la sua borsa e prima di uscire dalla stanza, lo
avvisò:
“Vado a vedere come sta Trunks. Torno subito.”
La
donna s'incamminò nel corridoio ma, invece di dirigersi
verso la
stanza del figlio, si diresse verso l'ascensore e digitò il
primo
piano.
Una
volta scesa, si diresse verso il bar.
Lo
trovò subito.
Era
impossibile non riconoscere quella capigliatura e, in più,
si stava
ingozzando a più non posso, come al solito.
“Goku.”
lo chiamò Bulma e l'uomo la salutò con la mano,
dato che aveva la
bocca piena di cibo.
La
donna si sedette al tavolo e, senza mezzi termini, gli chiese:
“Allora, sei riuscito a procurartela?”
“Certo. Eccola qui.”
annuì Goku, passandole una busta.
“Mi
ha pregato di non rovinarla perché l'hanno scattata quando
hanno
festeggiato capodanno e gli ho promesso di restituirgliela.”
la
pregò Goku mentre Bulma apriva la busta con le mani che
tremavano.
Finalmente
avrebbe saputo...
Quando
la vide, non dovette nemmeno chiedere a Goku.
Lo
riconobbe subito.
Era
identico.
I
suoi sospetti si erano rivelati fondati.
Era
lui l'uomo che le aveva spiate al commissariato.
Ne
aveva la certezza.
Goku
le disse: “Sai, anch'io ho preso un bel colpo quando l'ho
visto. E'
proprio identico a lui, non trovi?” “Eh
già...” sospirò
Bulma.
Adesso
che sapeva chi era quell'uomo, si sentiva ancora molto confusa.
Perché
le aveva spiate?
E
se... no, non era possibile!
Inconsciamente,
Bulma spostò lo sguardo sugli altri tavoli presenti e, ad un
tratto,
l'occhio si posò su un tavolo i cui occupanti erano...
Bulma
fece una faccia sconvolta.
“Bulma,
che succede? Qualcosa non va?” le domandò Goku,
voltandosi per
vedere cosa aveva fatto sconvolgere l'amica.
Bulma,
prontamente, gli disse: “Ehi, Goku, hai mai assaggiato questo
dolce? Dicono che sia molto buono.” “Davvero?
Qual'è?” le
domandò l'uomo, guardando con l'acquolina in bocca il
menù che
l'amica gli mostrava.
Mentre
Goku guardava il semplice menù dell'ospedale, Bulma
continuò a
guardare l'uomo seduto a quel tavolo.
Non
c'era dubbi, era proprio lui!
Aveva
più volte riguardato la foto che aveva ancora in mano e non
c'erano
dubbi.
Ma
cosa ci faceva in ospedale e, soprattutto... cosa ci faceva con lei?!
Ad
un tratto, un pensiero le attraversò la testa.
Possibile
che... ma allora...
“Vedi
di non prendere troppo, Cappuccetto Rosso! Ho accettato solo
perché
hai insistito!” l'avvisò l'uomo mentre Bra
continuava a guardare
con attenzione il menù.
Era
tutto troppo buono...
“Ho
scelto due tortini ai frutti di bosco e un succo di frutta
all'albicocca!” trillò alla fine e lui
sbuffò: “Uno no, eh?”
Cominciò
a spingere la sedia a rotelle e quando li ebbe, tornò al
tavolo.
“Ecco
qua, piccola ingorda.” le disse mentre glieli dava.
Bra
ne prese uno e lo mangiò in un lampo e, poi, bevve tutto il
suo
succo di frutta.
“E
l'altro? T'avverto che non ce ne andiamo finché non l'hai
mangiato.
Odio gli sprechi.” l'avvertì il Lupo Cattivo ma la
piccola gli
rivelò, sorridendo: “Quel tortino non è
per me. E' per lei.”
“Per me?!” ripeté, incredulo, l'uomo e
la bimba annuì: “Sì.
Lei è troppo orgoglioso per comprare una cosa per
sé davanti a
tutti, così l'ho presa io per lei.”
L'uomo
fece un piccolo sorriso.
Ormai
lo conosceva.
Lo
prese e se lo mangiò.
“Ha
visto quant'è buono? Ho fatto proprio bene a comprarli, non
è
vero?” gli domandò e lui ammise:
“Sì, sei stata brava. Ora
torniamo in camera. Se l'infermiera non mi vede, finisco nei
guai.”
Il
Lupo Cattivo, seguito da Bra, si diresse verso l'ascensore e
digitò
il numero del suo piano.
Poi
si diresse verso la sua camera e, senza troppe difficoltà,
si rimise
nel letto.
Bra
si avvicinò al suo letto e gli chiese: “Potrei
salire sul letto?”
“Basta che ti togli le scarpe, Cappuccetto Rosso. Altrimenti
non è
igenico.”
Bra
si tolse velocemente le scarpe e, poi, l'uomo la prese e la
portò
sul letto.
La
piccola rimase incredula nel vedere quando quel letto era grande e
morbido.
“Mi
ricorda molto il letto della mia nonna. E' grande e morbido proprio
come questo. Le ricorda anche a lei un letto in particolare?”
domandò Bra, senza sapere che aveva risvegliato il ricordo
della sua
famiglia.
Quando
non aveva ancora fatto nessuna cretinata...
Si
stiracchiò dolcemente.
Era
mattina e, quel giorno, anche se era domenica, aveva un mucchio di
cose da fare.
Ad
un tratto, si accorse che nel letto c'era un piccolo intruso che lui,
purtroppo, conosceva molto bene: suo figlio.
Era
di nuovo entrato nel letto mentre lui dormiva.
“Piccola
peste...” sibilò, facendo svegliare sua moglie.
La
donna si accorse subito del piccolo e ridacchiò divertita:
“Hai
visto chi c'è?”
“Sì.” “Eddai, non fare quella
faccia, è
solo un bambino che sente la mancanza della sua mamma... e anche del
suo papà, anche se burbero.” “Ha
compiuto tre anni da una
settimana e si intrufola ancora nel letto dei suoi genitori?”
“Che
ci vuoi fare? Certe abitudini sono dure a morire.”
“Bah... vado a
far colazione.” “Aspetta.”
Gli
afferrò il braccio e lui la guardò nei suoi
grandi occhi neri:
“Cosa c'è?” “Resta a dormire
ancora un po'... resta con noi.”
“Non se ne parla, ho un mucchio di cose da fare...”
“Facciamo
così: tu dormi ancora un po' e stanotte festeggiamo fino a
notte
fonda. Io e te. Da soli. Con la porta chiusa a chiave.” gli
propose, con un sorrisetto malizioso.
Lui
si rimise nel letto e le disse: “Stanotte ti farò
vedere i fuochi,
attenta a non bruciarti.” “Attento a non bruciarti
tu.”
Dopo
pochi minuti, lei si addormentò.
Rimase
a osservare, in silenzio, la moglie e il figlio.
La
sua famiglia...
Si
distese sul letto e, prima di addormentarsi, notò che il
letto era
morbido e caldo...
“Allora,
signor Lupo Cattivo?”
La
vocina acuta e squillante di Cappuccetto Rosso lo riportò
tra i
vivi.
Lui
fece le spallucce e disse: “Bah... tutti i letti sono
uguali.”
Bra
continuò a gironzolare sul letto, poi disse: “Sa
che fra poco
diventerò zia?” “Non sei un po' troppo
piccola?” “La
fidanzata del mio fratellone aspetta un bambino e quando
verrà
dimesso, la sposerà.” “Augurargli buona
fortuna.” “Perché?”
“I bambini piccoli sono delle pesti: urlano a tutto volume
nel
cuore della notte, sporcano dappertutto e quando devi fargli fare il
bagno è un incubo.”
“Perché?” “Perché
si nascondono pur di
non farlo, urlano e quando sono in acqua la muovono così
tanto che,
alla fine, c'è più acqua fuori dalla vasca che al
suo interno.”
“Anche suo figlio era così, non è
vero?”
Lui
la guardò stupito.
Ma
come l'aveva capito?!
“L'ho
letto nei suoi occhi. Quando parla di sua moglie o di suo figlio i
suoi occhi sono ancora più tristi.” gli
rivelò Bra e l'uomo
sussurrò: “Perché mi hai
scelto?”
La
bambina lo guardò, stupita.
Non
riusciva a capire.
“Perché,
tra tutte le persone del parco... hai scelto proprio me?” le
domandò di nuovo e Bra sussurrò: “Non
lo so... non l'ho mai
capito. Forse, era perché mi sembrava così
solo... o forse perché
lei mi ha sempre ricordato il mio papà.”
“Io sono un pessimo
padre, Cappuccetto Rosso. Il tuo papà è di gran
lunga un papà
molto migliore di me... come tutti.” “Come
può dirlo?” “Perché
mio figlio mi odia. Lo so. Sarebbe felice di vedermi morto. Un padre
non dovrebbe farsi odiare dal proprio figlio e io ci sono
riuscito.”
“L'odio non dura mai per sempre. Sono sicura che riuscirete a
far
pace.” “Bah... io non credo.”
“La aiuterò io.” “Sono
proprio messo bene. Ho come alleata una bimba di tre anni.”
“Ci
aiuterà anche la mia mamma. Lei è furba. Riesce
sempre a ottenere
quello che vuole da papà.” “Non credo
che tua madre sarà felice
di vedermi.” “Perché?”
“Ti ricordi quando ti ho trovata
sotto quella tempesta e ti ho portata a casa mia?”
“Certo.”
Beh... mi sono messo d'accordo con una vicina per far in modo che tu
fossi trovata in un capanno... solo che l'ho seguita di nascosto, per
assicurarmi che non ti succedesse niente... mi sono nascosto in un
vicolo per aspettare l'arrivo dei tuoi genitori... solo che tua madre
deve avermi scambiato per una specie di maniaco perché mi ha
inseguito. Tua madre ha proprio un bel caratterino e ti somiglia
molto.” “Non si preoccupi, signor Lupo Cattivo. Le
racconterò
quanto ha fatto per me e vedrà che non la
considererà più un
maniaco.” lo rassicurò Bra e mentre si appoggiava
al petto
dell'uomo, sussurrò: “Vedrà...
riuscirò a farle fare pace con la
sua famiglia.”
L'uomo
avrebbe voluto dirle che era da pazzi credere che presto avrebbe
riavuto la sua famiglia ma non parlò.
Per
una volta, voleva credere che si poteva cambiare le favole.
Bulma
non riusciva più a trattenere le lacrime.
Si
allontanò dalla porta e s'incamminò nel
corridoio, continuando a
piangere.
Si
fermò solo quando si trovò davanti a una finestra.
Aveva
avuto la conferma dei suoi sospetti.
Non
appena l'aveva visto con sua figlia al bar dell'ospedale, aveva
intuito che potesse essere lui il signor Lupo Cattivo, l'amico tanto
solo quanto disperato, di Bra ma fino all'ultimo non aveva voluto
crederci.
Sarebbe
stato troppo assurdo e pazzesco!
Quando
aveva intuito che stavano per andarsene, aveva liquidato Goku in
fretta e furia.
Sapeva
dov'era la stanza dell'uomo, glielo aveva detto l'infermiera, e,
quindi, non aveva avuto troppi problemi a rintracciare la stanza.
Una
volta trovata, aveva aperto leggermente la porta e aveva ascoltato i
loro discorsi.
Bulma
guardò fuori dalla finestra.
Il
dolore e la solitudine di un padre nel vivere lontano dalla sua
famiglia l'avevano commossa.
Sentiva
che non era una bugia e che lui si era veramente pentito per quello
che aveva fatto.
Avrebbe
tanto voluto aiutarlo... ma sapeva che era impossibile.
“Bra...”
sussurrò, guardando la neve che continuava a scendere
“Vorrei
aiutarti, credimi, ma è impossibile. Lo sai che lo odia con
tutto sé
stesso... e allo stesso tempo non lo sai. Povera piccola mia... come
posso dirti che il tuo amico, il Lupo Cattivo, è tuo
nonno?”
Echalotte
spense la tv.
Ormai,
era ora di andare a letto.
Si
diresse verso la sua stanza e, come al solito, guardò a
lungo il
letto vuoto.
Da
quando suo marito se n'era andato, sperava sempre di addormentarsi su
quel letto e di ritrovarlo accanto a sé al suo risveglio.
Quel
letto era stato il testimone di tre meravigliosi anni di matrimonio
e, proprio su di esso era stata concepita una piccola vita...
Vegeta
aprì la porta e trovò la moglie sdraiata supina
sul letto.
Indossava
il vestito rosso scollato che lo faceva bruciare di passione e lo
sapeva benissimo.
“Ce
ne hai messo di tempo. Credevo che te ne fossi dimenticato.”
lo
provocò lei, divertita, ma lui, mentre chiudeva a chiave la
porta le
rispose: “Grazie alla tua assurda idea mi sono svegliato a
mezzogiorno. Non mi saresti scappata.”
Lei
si alzò e gli porse un bicchiere: “Ti avevo
promesso che stanotte
avremmo festeggiato fino a notte fonda e io mantengo sempre le
promesse.” “Già... come mi avevi
promesso le tue mutandine al
nostro primo incontro...”
Lei
sorrise e gli riempì il bicchiere di champagne.
Vegeta
lo bevve mentre la guardava.
I
suoi capelli neri, i suoi occhi seducenti, il suo vestito rosso...
avrebbe tanto voluto fiondarle addosso per farla sua.
“Una
fragola?” gli chiese Echalotte porgendogli un vassoio colmo
di
appetitose e seducenti fragole... proprio come lei.
Lui
ne prese una e se la mangiò mentre la moglie faceva lo
stesso.
Una
volta che ebbero finito le fragole e lo champagne, Vegeta la stese.
Ora
non gli sarebbe scappata.
Stava
per spogliarla quando lei lo fermò: “Non
scherzare. Più che
togliermi i vestiti me li strappi e io a questo vestito tengo. Se mi
spogli strappandolo, ti mollo.”
L'aveva
di nuovo preso in trappola.
Ormai,
doveva assolutamente farla sua e, così, la
spogliò facendo in modo
di non sciuparle l'abito.
Una
volta che fu nuda, cominciò a baciarla: bocca, collo,
ventre...
niente gli sfuggiva.
Echalotte
stava per cedere alla passione ma si ricordò che doveva fare
una
cosa.
Con
le mani, cominciò a sbottonare la camicia del marito.
“Ma
cosa fai?” le domandò lui, smettendo di baciarla,
e lei,
prontamente rispose: “Ti spoglio, no? Tu mi hai spogliata e
io
spoglio te, così siamo pari. Ti spoglio io altrimenti me ne
vado e
per un bel pezzo di lascio a bocca asciutta, intesi?”
Fregato
di nuovo.
Sua
moglie era proprio una strega, ma era la strega più bella e
seducente di tutte...
Echalotte
gli tolse la camicia e i pantaloni e, una volta nudo, le
domandò:
“Desideri qualcos'altro oppure posso, finalmente,
festeggiare?”
“Va bene... ma sappi che la maggior parte della torta me la
prendo
io.” “Questo è da vedere,
bambolina.” “Ehi, non
chiamarmi...” stava per protestare la moglie ma il bacio,
seducente
e passionale di Vegeta la fecero zittire.
Echalotte
non riuscì a trattenere le lacrime.
Quel
ricordo la faceva ancora soffrire.
Perché
quella era stata la sua ultima notte di sesso assieme a Vegeta.
Il
giorno dopo, lui aveva avuto il calo di zuccheri ed era stato
l'inizio della fine della loro famiglia, terminata con la sua fuga e
abbandono.
Eppure,
in quella notte di passione, qualcosa di magico e speciale era nato:
suo figlio Tarble.
Vegeta
non sapeva nemmeno della sua esistenza.
Se
n'era andato prima che riuscisse a dirglielo.
Si
buttò sul letto, mentre continuava a piangere disperata.
Quanto
gli mancava... gli mancava come l'ossigeno... e pensare che
all'inizio non lo sopportava...
Echalotte
correva come una furia per le strade della città.
Maledetta
stupida sveglia che non aveva suonato!
Era
in ritardo cronico!
Bella
figura al suo primo giorno all'università!
Era
così impegnata a correre che non si accorse di una grossa
moto nera
e ci andò a sbattere.
“Ma
che diavolo...?! La mia moto!” urlò una voce
maschile dietro di
lei.
Un
ragazzo la oltrepassò furibondo e andò a
controllare le condizioni
della sua amata moto.
Doveva
avere la sua stessa età, indossava una giacca di pelle nera,
jeans
strappati, stivali neri e sulla testa portava un enorme casco nero.
Era
proprio fissato col nero...
“Meno
male. Non c'è nessun graffio.” sbottò
lui mentre saliva in groppa
a essa.
Se
c'era una cosa che Echalotte non poteva proprio sopportare era di
venire ignorata in quel modo.
Perciò
si rialzò in piedi e disse: “Senti un po',
tu!” “Che cavolo
vuoi, ragazzina?! Non ti basta aver quasi rischiato di graffiare la
mia moto?” le domandò, scocciato, lui.
“Potresti
chiedermi scusa! Hai messo la tua moto in mezzo alla strada!”
“E
allora tu sta' più attenta, no? Comunque, dovrei essere io
quello
che si lamenta! Hai idea di quanto abbia dovuto lavorare per
comprarmela? Se me la graffiavi doveva ripagarmela tu con i tuoi
soldi!” “Un teppista come te deve lavorare per
comprare una moto?
Credevo la rubasse.” “Spiacente di deluderti,
bambolina.” “Ehi,
non chiamarmi bambolina!” “Ah sì? E chi
me lo impedisce?” “Te
lo impedisco io! Pratico le arti marziali!” “Ma che
paura.”
“Invece ce l'hai, eccome! Altrimenti, non ti nasconderesti
sotto
quel casco!”
Aveva
appena finito di parlare, che il ragazzo si tolse il suo casco da
motociclista.
Echalotte
rimase a bocca aperta.
Non
si aspettava di certo che quel teppista fosse così...
così...
bello!
Aveva
i capelli castani rivolti verso l'alto, come una fiamma, occhi neri
come le tenebre e la pelle bianca come la luna.
“Ti
ho spiazzata, eh, bambolina? Non ti aspettavi di certo una bellezza
simile sotto il casco, vero?” la sfidò, con un
ghigno, lui ma
Echalotte ribatté: “Bah, ho visto centinaia di
ragazzi più belli
di te.” “Ma se non riesci a vedere una moto in
bella vista.
Sicura di non aver bisogno di un paio di occhiali?”
“Cretino.
Almeno io sono più forte di te.” “Allora
perché non me lo
dimostri?” la provocò lui, scendendo dalla moto,
“Prova a
colpirmi.” “Ok! Ma se vinco dovrai darmi un
passaggio
all'università di storia. Sono già in ritardo per
la lezione...”
“Puoi anche far con comodo. Tanto il prof non
c'è.” “E tu come
lo sai?” “E' molto semplice: anch'io frequento
l'università di
storia.” “Un teppista come te va ancora a
scuola?” “Io sono
diverso...” le disse con una voce seducente, tanto da
incantarla
per un istante.
Echalotte,
però, si riprese e gli chiese: “Tu non chiedi
niente in caso di
vittoria?” “No. Sono un gentiluomo e non mi va di
chiedere cose
assurde ai miei avversari.” “Sembra che tu abbia la
certezza di
vincere.” “Ce l'ho, infatti.”
“MA COME TI PERMETTI?! Fammi
una richiesta qualsiasi e, in caso di vittoria, la
esaudirò!”
“Posso chiederti tutto quello che voglio?”
“Qualunque cosa.”
“D'accordo. Se vinco... dovrai darmi le mutandine che stai
indossando in questo preciso istante.”
Echalotte
diventò rossa come un peperone.
Ma
come si permetteva quel pervertito...?!
“E
va bene! Però potrai averle solo in caso di
vittoria!” acconsentì
lei e si mise in posizione.
Ora
aveva un motivo in più per non perdere!
Si
avventò su di lui ma il teppista la scansò
facilmente e con una
mano, le afferrò il polso e la bloccò.
“Anch'io
pratico le arti marziali, bambolina.” le sussurrò
all'orecchio,
con la solita voce sensuale.
Echalotte
desiderò che la tenesse bloccata per sempre ma,
sfortunatamente, lui
la lasciò andare.
Echalotte
non perse tempo e cominciò a tirargli dei pugni ma lui li
parava
tutti con abilità.
Alla
fine, le tirò un pugno alla spalla che la fece cadere per
terra e,
con un ghigno, dichiarò: “Ho vinto.”
Echalotte
gli lanciò uno sguardo di pura rabbia ma il teppista si
diresse alla
sua moto e le passò il suo casco, dicendole:
“Salta a bordo, ti do
un passaggio all'università.”
La
ragazza, esterrefatta, lo indossò e salì sulla
moto.
Sulla
moto, le sembrava di volare.
Le
sembrava di essere nel cielo blu e di volare... lontano da tutto e da
tutti... sola con lui...
L'incanto
durò troppo poco.
Infatti,
il teppista si fermò in parco e le disse:
“Scendi.” “Che
scherzo è questo?! Non siamo
all'università.” “Rilassati, siamo
nel parco dietro a essa. Se segui quel sentiero ci arrivi.”
“Allora
perché mi hai portato qui?!” “Volevi
toglierti i pantaloni e le
mutandine davanti a tutti?”
Echalotte
arrossì.
Se
lo ricordava ancora.
“Oppure
preferisci lasciar perdere?” la provocò lui ed
Echalotte esclamò:
“Fossi matta! Ti ho promesso che te le avrei date e te le
do!”
Si
diresse verso un cespuglio e cominciò a togliersi i
pantaloni.
Nessuna
l'aveva mai umiliata così...
Ma
gliela avrebbe fatta pagare, altroché!
Sarebbe
diventata più forte e l'avrebbe preso a calci.
Era
una questione d'orgoglio.
Quando
si tolse le sue mutandine bianche arrossì.
Chissà
cosa ci avrebbe fatto quel pervertito...
Si
rimise i pantaloni e, con in mano le mutandine, tornò da
lui,
sibilandogli: “Eccole! E adesso sparisci!”
“Grazie, bambolina.”
la ringraziò mentre le metteva nella tasca della giacca.
“Almeno
piantala di chiamarmi così! Io mi chiamo
Echalotte!” gli disse e
lui rispose, mentre si avvicinava pericolosamente a lei: “E
io sono
Vegeta.”
Echalotte
non trovava la forza di muoversi.
Vegeta
le si avvicinò all'orecchio e le sussurrò:
“La prossima volta ti
chiederò il reggiseno, quindi vedi di allenarti duramente o
ti
porterò via tutto l'intimo.”
Poi,
saltò sulla sua moto e, prima di andarsene, la
salutò: “Ciao,
ciao, bambolina.”
Echalotte
fece un sospiro triste
Il
loro primo incontro non era certo stato come tutti gli altri.
Chissà
come aveva capito che voleva sfidarlo di nuovo... purtroppo non
l'avrebbe mai saputo.
Quando
aveva messo le mani nella tasca della giacca si era accorta che c'era
un biglietto.
Molto
probabilmente glielo aveva scritto mentre si toglieva le mutandine
per poi infilarlo nella sua tasca mentre le diceva quelle parole
all'orecchio.
Un
biglietto che conservava ancora.
Prese
dal comodino un pezzo di carta e guardò con aria triste quel
foglietto dove c'era scritto un numero di telefono e la frase: Nel
caso volessi sfidarmi di nuovo, bambolina.
“Che
ne pensi di questo pigiama? Pensi che andrà bene per il
bambino?”
gli chiese Mai, mostrandogli l'ennesima fotografia di un vestitino
per neonati di una rivista.
Trunks
guardò a lungo quel piccolo pigiama bianco con degli allegri
motivi
e immaginò un bambino appena nato dentro di esso.
Suo
figlio...
Ancora
non riusciva a credere che presto lui e Mai sarebbero diventati
genitori...
“Sì,
è perfetto.” le rispose e la fidanzata
esclamò: “Anche a me è
piaciuto molto.”
I
due rimasero in silenzio un attimo, ma poi la giovane espresse quella
domanda che le frullava in testa da giorni: “La tua famiglia
come
ha preso la notizia?” “A parte la nonna, dubito che
qualcosa
possa sconvolgerla, si sono beccati tutti un bel colpo all'inizio ma
hanno accettato in fretta la cosa. Mio padre è l'unico che
fa ancora
il difficile.” “Trunks... e se per caso continuasse
a odiare il
bambino anche dopo la sua nascita?” gli domandò,
preoccupata, Mai
ma Trunks la rassicurò, abbracciandola: “Non
preoccuparti, Mai.
Mio padre fa sempre così. Scommetto che quando
vedrà il suo
nipotino si innamorerà subito di lui. Anzi, qualcosa mi dice
che
spera di avere un nipote interessato alle arti marziali così
da
farlo diventare il suo allievo.”
“Oggi
è l'ultimo giorno che è ricoverato, Signor Lupo
Cattivo, come si
sente?” “Mezzo morto congelato per il freddo che
c'è qua fuori.”
Era,
finalmente, passata una settimana da quando c'era stata l'operazione,
e, presto, suo fratello, suo padre e il suo amico sarebbero potuti
tornare a casa.
“Non
so cosa mi abbia spinto a venir qui! C'è il rischio che mi
possa
ammalare gravemente col freddo che c'è!”
borbottò l'uomo mentre
incrociava le braccia come al solito, nel tentativo di scaldarsi
“Mi
dici perché diavolo hai voluto andare fuori?”
“Così... a me la
neve piace tanto tanto...” sussurrò lei mentre
appoggiava la testa
sul suo braccio.
L'uomo
sospirò.
Maledetta
piccola peste... ormai riusciva a fargli fare tutto quello che
voleva... entro un certo limite!
“Lo
sa che la mia mamma sta organizzando il trasloco di mio
fratello?”
gli domandò e lui rispose: “Lo so, Cappuccetto
Rosso, me l'hai già
detto cento volte.” “Guardi che erano
novantanove.” “E' la
stessa identica cosa.” “Purtroppo non
prenderà tutto con sé...
la sua bella moto, per esempio, la lascia a casa. Mamma dice che
è
troppo pericoloso.” “Tua madre ha perfettamente
ragione.” “Ha
mai avuto una moto?” “Ce l'avevo da
ragazzo.” “E che fine ha
fatto?” “Me l'hanno rubata.”
Bra,
però, si era accorta che il suo sguardo si era fatto ancora
più
triste e capì che doveva essere una bugia.
“Non
è vero. Non gliel'hanno rubata.” gli disse e lui
negò: “Invece
sì! E se becco quegli idioti...!”
“Guardi, signor Lupo Cattivo,
che ho capito che sta dicendo una bugia! Lei sa perfettamente
dov'è!”
“Ti sbagli, Cappuccetto Rosso, è di sicuro
già stata...” fece
lui ma subito s'interruppe, capendo che la piccola l'aveva messo in
una trappola.
“Già
stata cosa?” gli domandò Bra e lo
pregò: “La prego, mi dica che
cosa ne ha fatto. Prometto che non lo dico a nessuno.”
L'uomo
sbuffò.
Ormai
non poteva più scappare.
Avvicinò
il suo mignolo davanti ai grandi occhi azzurri di Bra e
l'avvisò:
“Giura che non lo dirai a nessuno!” “Lo
giuro!” promise la
bimba mentre univa il suo piccolo mignolo a quello grande del Lupo
Cattivo.
Un
po' titubante, l'uomo cominciò a raccontare: “Io e
mia moglie ci
eravamo appena sposati e stavamo aspettando l'arrivo di nostro
figlio. Purtroppo avevamo bisogno di soldi... nessuno di noi due
aveva più i genitori da molti anni e non sapevamo come
ottenerli...
io potevo lavorare ma quello che guadagnavo... era troppo poco per la
mia famiglia. Così... un giorno presi la moto e la
vendetti.”
“Davvero?!” “Sì... a lei
raccontai che me l'avevano rubata e
convinsi un mio amico a fingere che doveva restituirmi dei
soldi.”
“Ma non poteva dirle quello che aveva fatto?”
“Ti sembro il
tipo che dice alla propria moglie che ha venduto la moto per ottenere
i soldi per il marmocchio che sarebbe arrivato? Era una questione
d'orgoglio! Per anni ho creato l'immagine di un uomo apatico ai
sentimenti e non avrei mai confessato una cosa simile! E guai a te se
scopro che hai raccontato questa storia in giro!”
Bra
non disse nulla.
Si
avvicinò all'uomo e strinse con le sue piccole e minute
braccia il
suo braccio, sussurrando: “Lei è sempre stato
buono...”
Lui
la guardò, sconvolto.
“L'ho
sempre saputo che non era cattivo... nonostante le sue parole, la sua
faccia scontrosa e i suoi atteggiamenti... io ho sempre saputo che,
in realtà, faceva solo finta di essere cattivo e che era
buono...
come vorrei che mio nonno fosse una brava e buona persona come
lei...” sospirò la bambina e l'uomo le chiese:
“Tuo... nonno?”
“Sì, era una persona molto cattiva e malvagia che
ha fatto
soffrire mia nonna, il mio papà e mio zio. Non l'ho mai
conosciuto
perché se n'è andato quando papà era
un bambino... non so dov'è o
cosa sta facendo... io spero solo che si sia pentito di tutto il male
che ha fatto al mio papà...” sussurrò
la bambina prima di
scoppiare a piangere.
L'uomo
si avvicinò a lei e l'abbracciò.
Per
un po', attorno a loro non ci fu che il silenzio, spezzato solo dai
loro respiri, finché, l'uomo non sussurrò:
“Cappuccetto Rosso...
devo rivelarti una cosa... io... io ho abbandonato la mia famiglia.
Una notte me ne andai senza nemmeno salutarli... con mio figlio di
soli tre anni che mi urlava di restare con lui... e non l'ho
ascoltato. Come vedi, io sono veramente cattivo. Ma sappi che non
sono mai stato felice della mia azione. Ogni giorno... non faccio
altro che pensare al mio gesto e al supplizio che mi sono dato con le
mie stesse mani... perché so che loro mi odiano.”
Bra
sgranò gli occhi.
Il
signor Lupo Cattivo le aveva rivelato il suo segreto... quello che
impediva ai suoi occhi di brillare di felicità...
Si
strinse ancora di più su di lui e lo rassicurò:
“Io non la odio.”
“Sei sicura? Anche adesso che ti ho mostrato il Lupo Cattivo
dentro
di me?” “Sì... perché so che
si è pentito... si è pentito
della sua azione il giorno stesso in cui l'ha compiuta.”
Lui
sorrise.
Per
la prima volta da anni, sorrise veramente.
Finalmente,
si era liberato di un peso che lo martoriava da anni...
“Sai
una cosa, Cappuccetto Rosso?” commentò, alla fine,
mentre le
accarezzava i capelli turchini: “Credo di essermi affezionato
a te
perché mi hai sempre ricordato mio figlio. Sei
disubbidiente,
scocciatrice e adorabile tanto quanto lui...”
Una
cosa era certa: sua figlia era una vera peste!
Vegeta
stava cercando Bra in tutto il reparto da un quarto d'ora buono.
Bulma
aveva ricevuto una telefonata urgente dal suo ufficio e, pertanto, se
n'era andata.
Tanto
lui e Trunks stava benissimo e sarebbero tutti usciti fra qualche
ora...
Dopo
qualche minuto, Vegeta si era alzato dal letto, ormai era in perfette
condizioni per muoversi, ed era entrato nella stanza di Trunks.
Lui,
vedendolo, aveva fatto un sorriso imbarazzo, per via della storia
della gravidanza della sua ragazza, ma Vegeta gli aveva chiesto,
senza mezzi termini, dove fosse Bra.
Trunks
aveva fatto una faccia stupita e gli aveva detto che, molto
probabilmente, la bambina si trovava nella stanza del Lupo Cattivo.
Peccato
che in quella stanza non ci fosse proprio nessuno.
Così,
adesso, stava cercando in tutto il reparto una bambina dai capelli
turchini di soli tre anni.
Anche
se quel tizio possedeva un suo rene, avrebbe passato un mare di guai
se fosse capitato qualcosa a sua figlia.
Si
diresse verso la reception e domandò all'infermiera di
turno: “Mi
scusi, ha per caso visto una bambina di tre anni con i capelli
turchini?” “Ma... non eravate usciti nel parco
dell'ospedale
cinque minuti fa?” esclamò la donna, sorpresa.
Vegeta
alzò gli occhi al cielo: ci mancava solo l'infermiera scema!
“Non
sono mai uscito dall'ospedale. Potrebbe dirmi da che parte è
andata?” le domandò seccato e quella, sempre
fissandolo come se
avesse visto un fantasma, rispose: “E' nel parco
dell'ospedale...
assieme a un uomo che...” “La ringrazio.”
la liquidò, seccato,
Vegeta e uscì.
La
neve, ormai, aveva ricoperto tutto: panchine, viali, portici...
Aveva
smesso di nevicare ma il meteo aveva annunciato che presto avrebbe
ricominciato.
I
bambini sarebbero stati al settimo cielo...
Mentre
camminava, Vegeta guardava da tutte le parti, con la speranza di
vedere la chioma inconfondibile della figlia ma inutilmente.
Ma
dove si sarà cacciata?!
Commentò, scocciato, Vegeta.
Ad
un tratto, notò la sagoma di una panchina dietro a un
cespuglio che
era occupata da un uomo.
Vegeta
gli si avvicinò e, mentre si sporgeva dal cespuglio, disse:
“Mi
scusi...” “Sì?” fece l'altro,
girandosi.
I
loro occhi si incrociarono.
Vegeta
non riusciva a parlare dal tanto che era sconvolto.
Non
era possibile...
Cosa
ci faceva lui
lì?!
Cosa
voleva ancora?!
Anche
lui doveva averlo riconosciuto in quanto, con un filo di voce,
sussurrò: “Vegeta...”
“Tu...” sibilò Vegeta mentre la sua
espressione s'induriva rivelando un odio feroce che aveva conservato
in tutti quegli anni. |
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Capitolo 15 *** Il rosso e il nero ***
CAPITOLO
15: IL ROSSO E IL NERO
Bra
prese in mano il suo piccolo pupazzo di neve a forma di gatto e si
diresse verso la panchina dove il Lupo Cattivo la stava aspettando.
Si
era allontanata dicendogli che voleva fargli vedere una cosa e, di
nascosto, aveva creato un piccolo pupazzo.
Chissà
come sarebbe stato contento di vederlo...
Mentre
si avvicinava alla panchina, si accorse di una seconda figura vicino
al Lupo Cattivo.
La
guardò attentamente e riconobbe il suo papà.
Sorrise
felice al pensiero che avrebbe fatto conoscere la persona che aveva
salvato al padre.
Stava
per chiamarlo, quando suo padre afferrò il colletto della
giacca
dell'uomo e gli gridò, con una voce così
arrabbiata da far paura:
“MALEDETTA CAROGNA SCHIFOSA! COSA CI FAI TU QUI?!”
Bra
era sconvolta.
Non
aveva mai visto suo padre così arrabbiato...
Ma
cos'era successo?
Cosa
aveva fatto il suo amico perché suo padre lo odiasse in quel
modo?!
Che
fosse perché suo padre aveva rinunciato a un rene per
salvarlo?!
Eppure
le aveva assicurato che era felice di avergli donato un rene...
Il
Lupo Cattivo, tuttavia, non perse la calma e, con la voce
più serena
e tranquilla del mondo, spiegò: “Ho fatto
un'operazione.”
“TU...!” sibilò suo padre, guardandolo
con due occhi carichi
d'odio.
Il
Lupo Cattivo spostò un attimo lo sguardo e si accorse di lei.
La
vide immobile, confusa e sconvolta da quello che stava succedendo.
L'uomo
tornò a guardare suo padre negli occhi e gli propose:
“C'è un
parco abbandonato qua dietro. Andiamo là. Potrai dirmi tutto
quello
che vorrai senza essere disturbato.”
“Andiamo!” acconsentì suo
padre, prendendolo per un braccio e trascinandolo via in malo modo.
Prima
di sparire, però, il Lupo Cattivo si voltò verso
di lei e le fece
segno di restare lì.
Il
Signor Lupo Cattivo mi ha fatto cenno di restare qui,
però... quello
è mio padre e io non l'ho mai visto così
infuriato... devo scoprire
cosa sta succedendo... pensò la bimba mentre
seguiva di
nascosto i due, sperando di non farsi vedere.
Fortunatamente,
suo padre era più concentrato a raggiungere il parco mentre
il Lupo
Cattivo cercava di restare in equilibrio, dato che Vegeta non pensava
minimamente a farlo camminare tranquillamente.
Finalmente,
il gruppo raggiunse il parco e Bra si nascose dietro a un enorme
albero spoglio.
Suo
padre, nel frattempo, lasciò andare la mano dell'uomo e si
mise a
fissarlo con odio.
SCIAFF
Suo
padre aveva dato, con una forza e una rabbia sovrumana, un tremendo
schiaffo sulla guancia del Lupo Cattivo.
Bra
guardò la scena, sconvolta.
Perché
suo padre aveva picchiato il suo amico?
E
con una tale violenza...
“DANNATO
VERME! VORREI CHE QUELL'OPERAZIONE FOSSE ANDATA MALE PERCHE' TU NON
MERITI ASSOLUTAMENTE DI VIVERE!” urlò suo padre
con tutto il fiato
in gola.
L'uomo
lo fissò un attimo in silenzio e poi rivelò:
“Anch'io avrei
voluto che andasse male ma sfortunatamente non è andata
così.”
“GIA', SFORTUNATAMENTE PER ME! PER QUANTO ANCORA HAI
INTENZIONE DI
ROVINARMI LA VITA?!” “Non ho intenzione di
rovinarti la vita! Non
sapevo nemmeno che eri in ospedale!” tentò di
difendersi lui ma
Vegeta lo interruppe, mentre gli tirava un pugno, prontamente
schivato: “SEI SOLO UN BUGIARDO!”
Nonostante
il fatto che avesse schivato un suo pugno, Vegeta continuò
ad
attaccarlo con violenza e a insultarlo: “IL SOLO FATTO CHE TU
SIA
ANCORA VIVO MI ROVINA LA VITA! HO VISSUTO UN'INFANZIA DEL CAVOLO
GRAZIE A TE E AL TUO EGOISMO! GLI ALTRI BAMBINI MI HANNO EVITATO PER
ANNI PERCHE' POSSEDEVO I TUOI GENI MALEDETTI!”
Ad
un tratto, l'uomo mise il piede su una superficie ghiacciata e
scivolò per terra, tra la neve bianca e gelida.
Vegeta,
ancora furente, si avvicinò a lui e, afferrandogli la
giacca, gli
sibilò: “Se non fosse che finirei in prigione, ti
ucciderei.”
L'uomo
continuò a fissarlo in silenzio, poi gli disse:
“Anche se tu mi
uccidessi, io farei sempre parte della tua vita, Vegeta. Non puoi
spezzare il legame che ci lega. Dopotutto... io sono tuo padre e tu
sei mio figlio.”
Bra
rimase sconvolta.
Il
signor Lupo Cattivo... il suo più caro amico... era il
papà del suo
papà e, quindi, suo nonno?!
Il
nonno cattivo... il nonno di cui suo padre non voleva nemmeno sentire
nominare...
Non
poteva essere lui!
Lui
era buono...
“NON
PRENDERMI IN GIRO!” gli urlò, adirato, Vegeta
“TU TE NE SEI
ANDATO QUANDO AVEVO SOLO TRE ANNI! TI HO PREGATO DI NON FARLO MA NON
MI HAI ASCOLTATO! NON HAI ASCOLTATO TUO FIGLIO! TU NON PUOI
ASSOLUTAMENTE ESSERE MIO PADRE! UN PADRE NON ABBANDONEREBBE MAI IL
PROPRIO FIGLIO!”
Riprese
un attimo fiato e, poi, gli sibilò: “E non hai
abbandonato
soltanto me... anche mia madre... e mio fratello!”
L'uomo
fece una faccia sorpresa e sconvolta.
Per
anni si era preparato a quell'incontro.
Si
era preparato a ricevere pugni, schiaffi, urla, rabbia, odio...
Era
pronto ad affrontare tutto... tranne quella notizia.
“Di...
di quale fratello stai parlando?” gli domandò, con
un filo di
voce, e Vegeta gli urlò: “MIA MADRE ASPETTAVA UN
BAMBINO QUANDO
L'HAI ABBANDONATA! L'HA ALLEVATO COMPLETAMENTE DA SOLA! E NON SOLO
QUEL BAMBINO E' CRESCIUTO SENZA UN PADRE, MA E' SEMPRE STATO PRESO IN
GIRO PIU' VOLTE PER COLPA TUA! IN PRIMA MEDIA, POI, E' STATO
PICCHIATO COSI' TANTO CHE MIA MADRE APPENA L'HA VISTO E' SCOPPIATA A
PIANGERE! TU CI HAI ABBANDONATI! CI HAI ROVINATO LA VITA! NON MERITI
DI VIVERE!” “SMETTILA!”
Il
piccolo grido fece bloccare, di colpo, Vegeta.
Aveva
riconosciuto la voce di chi aveva urlato.
Infatti,
non appena girò la testa, la vide.
Una
bambina con i capelli turchini, vestita di rosso e con due grandi
occhi azzurri che stavano diventando rossi per via di tutte le
lacrime che la bambina faceva uscire.
Vegeta
rimase immobile.
Si
era così concentrato a sfogare tutta la rabbia e l'odio che
aveva
provato per anni per suo padre, che non aveva più pensato a
Bra.
Doveva
averlo visto nel parco e l'aveva seguito... però non
riusciva a
capire perché fosse così disperata... eppure
glielo aveva detto
quanto suo nonno fosse malvagio ed egoista...
L'uomo,
però, non si accorse che anche suo padre stava guardando Bra.
“Tu...
che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di non seguirmi.” le
disse, ad
un tratto.
Vegeta
lo sentì e ritornò a guardarlo negli occhi,
urlandogli: “COME
CONOSCI MIA FIGLIA?!”
Ancora
una volta, suo padre fece una faccia sconvolta.
“Che
cosa... CHE COSA HAI DETTO?!” urlò, sconvolto.
Con
lentezza, si voltò verso la bambina che per quattro mesi gli
era
stata accanto, che aveva imparato a leggere nel suo cuore e nei suoi
occhi, che lo riempiva di domande, che era convinta che lui fosse
buono, che l'aveva perdonato di essersene andato come un codardo, che
scocciava come poche, che non se n'era andata quando le aveva
mostrato il suo Lupo Cattivo, che aveva cambiato il finale di una
favola solo per lui, che comprava il doppio delle cose al bar solo
per darle anche a lui, che aveva dato un senso alla sua vita, che
aveva rinunciato al suo letto solo per poter stare accanto a lui, che
lo abbracciava, che piangeva per la sua solitudine, che sorrideva
come sua madre, che amava fare le fusa come i gatti, che gli
ricordava suo figlio, che aveva seguito di nascosto per controllare
che non le succedesse niente, che gli raccontava i suoi progressi
all'asilo, che aveva trovato gelida e smarrita sotto la tempesta, che
faceva una confezione di biscotti a forma di gatto solo per lui, che
faceva di tutto pur di stare con lui, che gli aveva insegnato a
ritrovare la felicità e un senso alla sua vita, che voleva
aiutarlo
a far pace con la sua famiglia, che gli aveva fatto credere che si
poteva sul serio cambiare le favole: “Lei... è tua
figlia?!”
“SI'!
COME L'HAI CONOSCIUTA, DANNATA SANGUISUGA?!” gli
domandò,
infuriato, Vegeta e lui rispose: “L'ho conosciuta quattro
mesi fa
al parco... non sapevo che era tua figlia!” “Lui
è il signor
Lupo Cattivo, papà.” gli rivelò Bra,
con una vocina triste.
Stavolta
fu Vegeta a rimanere sconvolto.
Il
più caro amico di sua figlia, quello che aveva rinunciato a
un rene
pur di salvarlo... era suo padre?!
Non
era possibile...
Ma
come aveva fatto Bra a non riconoscerlo?!
Non
aveva visto quanto gli assomigliava?!
Cominciava
a temere che sua figlia avesse bisogno di un paio di occhiali...
Guardò
suo padre, un uomo identico nell'aspetto a lui e che odiava con tutta
l'anima, e fece una smorfia al pensiero che sarebbe dovuto morire una
settimana prima e, invece, proprio grazie a lui si era salvato!
Che
beffa!
“Stammi
bene a sentire, tu...” sibilò Vegeta, guardandolo
dritto nei suoi
occhi neri “Non ti azzardare ad avvicinarti di nuovo a lei!
Sta'
lontano da mia figlia! Sta' lontano dalla mia famiglia! Fallo e io ti
denuncio! Tu non rovinerai ancora la mia famiglia.”
Dopo
avergli sputato quelle parole di puro odio e rancore, Vegeta lo
spintonò e suo padre cadde di faccia nella neve gelida.
“Andiamo,
Bra.” disse semplicemente, mentre si rialzava in piedi,
dirigendosi
verso l'uscita del parco.
La
bambina, invece, rimase immobile a guardare l'uomo che, fino a
qualche minuto fa, era il suo Lupo Cattivo e che aveva scoperto solo
in quel momento essere suo nonno.
Vegeta,
vedendo che sua figlia non si decideva a seguirlo, la
richiamò: “Mi
hai sentito?! Bra!”
Bra,
però, non volle ascoltarlo.
Si
avvicinò lentamente a lui, mentre gli occhi si misero a
bruciare,
come le succedeva ogni volta che voleva piangere, ma la voce seccata
e infastidita di suo nonno la bloccò: “Va' da tuo
padre.”
“Signor Lupo Cattivo...” “UBBISCI!
VATTENE VIA! NON TI VOGLIO
MAI PIU' VEDERE! VA' DA TUO PADRE, BRA!”
Fu
come se un fulmine le fosse caduto addosso.
Il
suo amico, suo nonno... non le voleva più bene... adesso che
aveva
scoperto che era sua nipote non era più felice di rivederla,
non che
glielo avesse mai detto... adesso, lui la odiava... lei, per lui, non
era più la piccola Cappuccetto Rosso...
L'aveva
persino chiamata col suo vero nome, Bra.
Rimase
immobile mentre lacrime calde le rigavano il viso.
Suo
nonno, ignorandola completamente, si rialzò faticosamente in
piedi e
si diresse, sotto lo sguardo infastidito di Vegeta, all'uscita del
piccolo parco abbandonato.
“Non
so come ringraziarti, Bulma.” “Ma figurati,
Echalotte. Ormai a
Trunks e a Vegeta non serve più quella moto. Te la do'
tranquillamente.” “Grazie. Chiamami quando Trunks
annuncia la
data del suo matrimonio.” “Senz'altro,
ciao.” CLICK
Echalotte
alzò gli occhi sul soffitto.
Finalmente,
quella moto sarebbe tornata nel suo garage.
Per
Bulma e gli altri, quella era moto come tante altre ma per lei non lo
era affatto...
Echalotte
aprì la portiera della macchina e mise Tarble nel seggiolino
della
macchina, mettendogli le protezioni.
Il
bambino si lasciò mettere le protezioni tranquillamente,
guardandola
con i suoi occhi neri e sorridendo.
Era
incredibile come quel bambino non assomigliasse per niente a suo
fratello maggiore.
Quando
metteva Vegeta nel seggiolino quando aveva solo un anno, il bambino
strillava sempre e si lamentava perché non voleva stare
lì,
spaccando i timpani a lei e al marito.
Echalotte
si domandò da chi Tarble avesse ereditato tutta la sua
tranquillità.
Lei
era da sempre un'anima violenta e ribelle.
Grazie
al cielo, il suo bambino non aveva ereditato proprio nulla nemmeno da
quei due grandi menefreghisti dei suoi genitori, che ognuno di loro
pensava solo per sé.
Restava
suo marito ma ne dubitava fortemente... lui aveva sempre avuto un
carattere troppo simile al suo...
Non
riusciva proprio a capire da chi avesse ereditato Tarble...
Quando
Echalotte finì, si spostò ma appena si
girò, vide il suo
primogenito che la fissava.
“No,
Vegeta. Ne abbiamo già parlato. Sei ancora troppo piccolo
per stare
sul sedile davanti. Finché non sarai grande, tu stai dietro
con tuo
fratello.” disse prontamente la donna.
Erano
mesi, ormai, che suo figlio la tormentava per stare davanti dato che
i grandi stanno sempre davanti.
Vegeta
sbuffò e si sedette di fianco al fratello.
“Vegeta.”
lo chiamò Tarble, vedendo che si era seduto di fianco a lui
e Vegeta
lo guardò malissimo: “Ma con tutte le parole che
esistono nel
mondo, proprio il mio nome dovevi sceglierti come prima
parola?”
“Dovresti essere contento, Vegeta. Significa che ti vuole
bene.”
gli disse sua madre mentre metteva in moto la macchina.
Il
viaggio durò mezz'ora, come al solito, e mentre si
avvicinavano in
città, Echalotte era sempre più nervosa.
La
gente si divertiva ancora a sparlare alle sue spalle: dopotutto, era
rimasta incinta fuori dal suo matrimonio e, poi, suo marito se n'era
andato con un'altra donna, abbandonandola incinta e con un figlio di
tre anni.
Una
cosa del genere mandava in estasi le vecchie comari pettegole del
paese.
La
giovane donna parcheggiò la macchina in un parcheggio e,
dopo aver
tirato fuori il passeggino per Tarble, si diresse verso il centro.
Doveva,
assolutamente, comprare dei vestiti nuovi per Vegeta, che stava
crescendo a vista d'occhio.
Fortunatamente,
quel traditore di suo marito, quando se n'era andato, aveva lasciato
gran parte dei soldi nel conto.
Quando,
il giorno dopo la fuga di suo marito, era corsa in banca, era
terrorizzata al pensiero di scoprire che suo marito le aveva portato
via tutti i soldi, lasciandola al verde.
Era
rimasta a bocca aperta quando, invece, il banchiere le aveva rivelato
che aveva ancora un mucchio di soldi da parte.
Certo,
suo marito aveva prelevato dei soldi proprio due giorni prima ma era
poca cosa, in confronto a tutti i soldi che avevano in banca.
Anche
se erano ancora piuttosto ricchi, Echalotte aveva capito che
bisognava fare economia, dato che avrebbe avuto presto un altro
figlio.
La
piccola famiglia entrò in un negozio e la donna disse al
figlio: “Mi
raccomando, non prendere troppo.” gli raccomandò
la madre e Vegeta
sbuffò: “Va bene, mamma...”
Nel
frattempo, il piccolo Tarble guardava estasiato tutto ciò
che lo
circondava.
Non
aveva mai visto un posto così grande e luminoso...
Echalotte
diede al figlio un paio di magliette e pantaloni e si sedette,
mettendo il passeggino di fianco a sé, su una sedia ad
aspettare che
Vegeta finisse.
Mentre
aspettava, sentì una voce femminile dietro uno scaffale che
la fece
gelare: “Ti assicuro che è così. Ha
abbandonato quella povera
stupida tre mesi dopo essere finito in ospedale.”
Echalotte
si irrigidì.
Sapeva
benissimo chi era la povera stupida di cui quelle due oche
parlavano...
“Da
non credere... che razza di marito!” commenta un'altra donna
e la
prima aggiunge: “Già... ma quella là
doveva aspettarsi che quello
svergognato l'abbandonasse! Dopotutto, si sono sposati solo
perché
si sono dimenticati le precauzioni e lei è rimasta
incinta.” “Ma
guarda che roba! Le giovani d'oggi non hanno più
dignità! Pensano
solo al sesso e poi restano incinte e siamo noi che ci dobbiamo
prenderci cura del risultato delle loro cavolate!”
“Ma, aspetta,
non ti ho detto ancora tutto! Quando lui se n'è andato, lei
aspettava un altro figlio!” “Visto? Le ragazze di
oggi sono
praticamente delle prostitute che pensano solo al sesso.”
Echalotte
rimase immobile, con lo sguardo spento, mentre le due donne si
allontanavano.
Era
passato solo un anno da quando suo marito se n'era andato...
Per
quanto ancora la gente intendeva parlare male della sua famiglia?!
Guardò
Tarble che, nel frattempo, si era addormentato sul seggiolino e gli
accarezzò dolcemente la testa.
Per
ora, a quel piccolino non importava nulla di suo padre... ma un
giorno si sarebbe fatto delle domande, soprattutto vedendo i suoi
compagni con un padre mentre lui non l'aveva mai avuto... cosa
avrebbe dovuto dirgli?
Echalotte
non si accorse che Vegeta la stava guardando, in completo silenzio.
Aveva
sentito tutto il discorso di quelle comari e, anche se non aveva
capito gran parte delle parole, come prostitute o precauzioni, aveva
afferrato che quelle due donne parlavano della sua mamma... e di lui.
Di
suo padre.
Quella
vecchia canaglia... era da un anno che li aveva abbandonati eppure,
con la sua presenza nelle parole degli altri, faceva star male la
mamma.
Strinse
forte un pugno, fino a farsi male.
Non
poteva dimenticarsi di quella notte in cui se n'era andato...
infischiandosene di lui, della mamma e di Tarble... se solo l'avesse
rivisto... l'avrebbe picchiato così tanto da ucciderlo...
facendo
provare sulla sua pelle il dolore che aveva inflitto alla sua
famiglia!
Intanto,
sentendo le carezze della madre, il piccolo Tarble aprì gli
occhi e
voltò la testa.
“Vegeta!”
lo chiamò, tutto contento, quando lo vide.
Echalotte,
si voltò e vide suo figlio, a cinque metri di distanza da
lei, che
la fissava in silenzio.
La
donna era nervosa al pensiero che Vegeta avesse sentito tutto...
“Ho
scelto questi vestiti, mamma.” disse, semplicemente, il
figlio
maggiore, avvicinandosi e dandole i vestiti.
In
completo silenzio, Echalotte andò a pagare e tutti e tre
uscirono
dal negozio.
Mentre
camminava, Vegeta vide una cosa alla vetrina di un negozio che lo
fece emozionare.
“Uao,
mamma! Guarda che bella moto!” esclamò,
avvicinandosi alla vetrina
per poterla vedere meglio.
Echalotte
si avvicinò, ringraziando il cielo che Vegeta, essendo
ancora un
bambino, si distrasse per piccole cose, ma quando vide la moto
sbiancò.
Quella
moto... non poteva essere...
La
donna entrò, emozionata, nel negozio seguita, incredula, da
Vegeta.
Alla
cassa vi era un vecchietto che, appena la vide, le sorrise e disse:
“Buongiorno, signora, desidera?” “Vorrei
chiederle qualcosa
sulla moto in vetrina...” “Mi dispiace, ma non
è in vendita.”
“Non voglio comprarla... voglio solo sapere quando l'ha
avuta.”
L'uomo
la fissò, incredulo.
“Mamma,
posso dare un'occhiata alle moto?” le domandò
Vegeta ed Echalotte
rispose: “Basta che tieni d'occhio tuo fratello.”
Sbuffando,
Vegeta ubbidì.
“Quando
l'ha avuta?” domandò lei, con una punta di
emozione, e lui
rispose: “Quattro o cinque anni fa.” “E
mi dica... chi gliel'ha
venduta?” “Un ragazzo piuttosto
giovane...” “Me lo può
descrivere?” “Dunque... se la memoria non
m'inganna... aveva i
capelli a fiamma castani e uno sguardo serio ma anche molto
triste.”
Echalotte
sgranò gli occhi.
Ma
quella... era la descrizione di suo marito!
Che
significava?!
Lui
le aveva raccontato che gli avevano rubato la moto, non che l'aveva
venduta...
“Ne
è proprio sicuro?!” domandò, allibita,
e il vecchio confermò:
“Ma certo, signora. Non potrò mai dimenticare quel
ragazzo... un
pomeriggio venne nella mia officina e mi chiese quanto valesse quella
moto perché voleva venderla. Però,
intuì subito che per quel
ragazzo era una tortura separarsi da quella moto... continuava a
toccarla con molta delicatezza e sospirava sempre. Mi sembrò
strano
che volesse separarsi da quella moto, visto che era lampante che ci
era molto affezionato. Fu molto difficile, ma alla fine seppi la
verità: mi raccontò che sua moglie aspettava un
bambino e sapeva
che il suo stipendio era troppo poco per il piccolo. Così
decise di
venderla. Gliela comprai... ma anche se era superba e in ottimo
stato, non volli assolutamente venderla. Quella moto era la
testimonianza di un grande amore... sarebbe stato un oltraggio alla
memoria di quel ragazzo venderla a uno di quei teppisti di strada o a
una coppia falsa...”
Echalotte
rimase in silenzio.
Quindi
a suo marito non era stata rubata quella moto... l'aveva venduta per
avere i soldi che sarebbero serviti per Vegeta...
Provò
odio per la donna che le aveva portato via il suo Vegeta... lui
l'amava veramente ma poi era arrivata quell'arpia e lui se n'era
andato...
“Forse,
il suo amore non era poi così grande... so per certo che
quel
ragazzo ha abbandonato la moglie e il figlio per andarsene con
un'altra...” gli rivelò e il vecchio disse:
“Mi creda, lui amava
tantissimo la moglie e il figlio. Anche se sono vecchio, ne ho viste
di tutti i colori e credo di conoscere le persone. Si fidi di me, suo
marito l'ama veramente, anche se andato via.”
Echalotte
sgranò gli occhi.
Come
aveva capito che era sua moglie?!
Il
vecchio le sorrise: “Visto? Ormai conosco la
gente...”
Echalotte
non fece in tempo a dire qualcosa che arrivò Vegeta assieme
al
piccolo Tarble, esclamando: “Mamma, in questa bottega ci sono
un
sacco di belle moto!”
“Davvero?”
fece il vecchio e gli domandò: “Qual'è
la tua preferita?”
“Quella in vetrina.” “Quando sarai
più grande, se la tua mamma
è d'accordo, te la regalerò.”
“Davvero?!” “Certo.”
“Mamma, ti prego, la posso avere?”
Echalotte
guardò il figlio maggiore.
Vedere
suo figlio interessato a un oggetto appartenuto al padre che odiava
era incredibile.
Vegeta
aveva ereditato buona parte del carattere dal padre, oltre
all'aspetto.
“Va
bene... però potrai averla solo a diciotto anni.”
si arrese la
donna e Vegeta esultò: “Evvai!”
“Però, se ti comporti male,
la moto te la sogni, sono stata chiara?”
“Sì, mamma.”
La
donna prese il passeggino e, prima di uscire dal negozio,
sentì la
voce del proprietario dirle: “Se per caso dovesse
rivederlo... dia
retta al suo cuore e non al suo orgoglio.”
Erano
passati anni da quel giorno, eppure non riusciva a dimenticare quella
frase.
Nel
frattempo, i suoi figli erano cresciuti e Vegeta, una volta compiuti
diciotto anni, era corso all'officina e l'aveva comprata, ignorando
che apparteneva a suo padre.
Quando,
poi, suo nipote Trunks era cresciuto, la moto era passata a lui e
adesso che stava per sposarsi, quella moto sarebbe tornata da lei...
La
donna alzò lo sguardo e sospirò.
Il
suo orgoglio le diceva che se l'avrebbe rivisto, avrebbe dovuto
ignorarlo, comportarsi come se non fosse nulla di speciale... fargli
provare sulla sua pelle la sofferenza dell'abbandono... ma il suo
cuore le urlava di non farlo!
La
implorava di perdonarlo, di baciarlo e di riportarlo a casa, assieme
a lei...
Ma
come poteva perdonarlo, dopo tutto quello che le aveva fatto?!
Era
davanti a un bivio e, purtroppo, non sapeva quale strada prendere...
“Perché
l'hai trattato così male?!”
Vegeta
si voltò e guardò la figlia che lo fissava con i
suoi grandi occhi
azzurri.
Dopo
che suo padre se n'era andato dal parco, Vegeta aveva preso per un
braccio Bra, che sembrava essere sotto shock, e l'aveva portata nella
sua stanza.
Dopo
un po', la bambina si era ripresa e, adesso, voleva una risposta.
Per
colpa sua, suo nonno la odiava!
Vegeta
si voltò verso di lei.
Adesso
stava facendo la parte del cattivo quando, il vero cattivo, era suo
padre... tutto perché sua figlia non aveva capito che
l'essere che
tanto adorava era quel verme di suo padre!
Il
pensiero che era stato proprio lui a salvarlo, donandogli un rene...
“Non
sono cose che ti riguardano, Bra.” sbottò lui ma
Bra ribatté: “Mi
riguardano, invece! Lui è un mio amico!”
Camminava
piano tra i corridoi dell'ospedale, evitando infermiere e pazienti.
Desiderava
che nessuno lo fermasse.
Voleva
solo andarsene da lì...
“IL
TUO AMICO E' SOLO UNA SCHIFOSA CAROGNA TRADITRICE!”
Si
voltò verso la porta.
Non
poteva non riconoscere la voce della persona che, qualche minuto
prima, gli aveva detto parole d'odio.
La
voce di una persona che avrebbe dovuto amarlo ma che, invece, lo
odiava e lo disprezza.
La
voce di suo figlio.
“LUI
E' SOLTANTO UN ESSERE SPREGIEVOLE CHE FA DEL MALE ALLA SUA
FAMIGLIA... E SI COMPIACE DI FARLO! NON POTRA' MAI CAPIRE COSA
SIGNIFICA AMARE QUALCUNO PERCHE' IL SUO CUORE E' ARIDO COME IL
DESERTO! E' SOLTANTO UN UOMO EGOISTA E SENZA SCRUPOLI! PENSA SOLO A
SE' STESSO! LUI, QUAND'ERO PICCOLO, NON MI HA MAI FATTO UN SOLO GESTO
D'AFFETTO! SE GLI DICEVO QUALCOSA, SE NE FREGAVA! E' SOLO UNA MISERA
SANGUISUGA! SE AVESSI SAPUTO CHE ERA LUI IL TUO AMICO, NON GLI AVREI
DONATO IL MIO RENE! L'AVREI LASCIATO MORIRE!”
Appoggiò,
disperato, la testa sulla porta, mettendo i pugni sopra di essa.
Quindi,
per suo figlio era solo un mostro... se fosse morto, sarebbe stato al
settimo cielo...
Così,
era suo figlio il misterioso donatore che l'aveva salvato... un
donatore che non era per niente contento di averlo salvato...
Perché
la vita doveva martoriarlo in quel modo?!
Ok,
aveva sbagliato, si era comportato da codardo... ma si era pentito!
Perché
doveva subire in quel modo atroce?!
Ad
un tratto, sentì un rumore vicino alla porta e, temendo che
suo
figlio stesse per aprire la porta, corse verso le scale.
Era
così impegnato a controllare che suo figlio non uscisse
dalla camera
di quell'ospedale, che non si accorse di una donna che stava salendo
le scale e si scontrò con lei.
Quasi
subito, tuttavia, l'uomo si rialzò e, dopo averle detto un
semplice
“Mi scusi.”, corse come furia verso le scale.
Scese
e corse a tutta velocità fuori dell'edificio.
Nel
frattempo, la donna con cui l'uomo si era scontrato, si
passò una
mano tra i corti capelli turchini per vedere se c'erano tracce di
bernoccoli, e, poi, guardò con i suoi grandi occhi azzurri,
le scale
dove l'uomo era sceso a tutta velocità.
Anche
se l'aveva visto solo di sfuggita, l'aveva riconosciuto.
Non
le sembrava il tipo che corresse all'impazzata in ospedale...
Ma
cos'era successo?! |
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Capitolo 16 *** La decisione di Bulma ***
CAPITOLO
16: LA DECISIONE DI BULMA
“Sono
tornata.” disse Bulma, aprendo la porta della stanza del
marito.
La
tensione là dentro era lampante.
Bra
se ne stava seduta su una sedia lontana dal letto del padre a
disegnare qualcosa mentre Vegeta leggeva, infastidito, una rivista.
Ma
cosa diamine era successo?!
Aveva
un brutto presentimento...
“Cos'è
successo?” chiese, pregando che non fosse successo quello che
temeva fosse successo.
“Papà
ha trattato male il Lupo Cattivo!” le rivelò,
adirata, la bambina,
indicando il padre.
Oh
no, è successo!
Si lamentò,
mentalmente, Bulma mentre Vegeta alzava gli occhi dalla rivista e
ribatteva: “Ha tutto il diritto di essere trattato
così!” “Non
è vero! Tu non lo conosci! Tu non lo conosci!”
“Bra, va da tuo
fratello!” le ordinò Bulma, prima che la
situazione degenerasse.
Non
appena Bra fu uscita, Bulma si girò verso il marito e, anche
se
sapeva benissimo la risposta, domandò: “Mi dici
cos'è successo?”
“E' successo che il caro amico di tua figlia, a cui ho donato
il
mio rene, è mio padre.” sbottò lui,
innervosito.
Bulma
si avvicinò al suo letto e chiese: “E l'hai
trattato male davanti
a Bra?” “Non sapevo che era lì. E,
comunque, gli ho vietato di
vederla altrimenti lo denuncio.” “Non pensi di
essere stato un
po' troppo duro? Bra è affezionata a lui e se li separi non
la farai
affatto contenta!” “E tu come lo sai?”
Bulma
si mordicchiò il labbro.
Ormai
non poteva più tacere.
“Per
mesi Bra mi ha parlato del suo amico. Da quel che ho capito, pare che
si sia pentito di quello che ha fatto. E, inoltre, ti assomiglia
molto anche mentalmente.” gli raccontò e Vegeta
rimase in
silenzio.
Suo
padre pentito delle sue azioni?
Che
sciocchezza!
Lui
era solo un mostro che giocava con la vita degli altri... si era
divertito con sua madre e, una volta stanco, si era trovato un'altra
donna, abbandonando senza alcun rispetto la sua famiglia.
“Bah...
lei, comunque, gli deve stare lontana!” sbottò
lui, tornando a
leggere la rivista, ma la voce di Bulma lo fece trasalire:
“Fai
così solo per impedirle di soffrire. Non vuoi che Bra soffra
come
hai sofferto tu alla sua stessa età.”
Vegeta
alzò la testa dalla rivista, guardandola in completo
silenzio.
Era
vero... lui voleva solo impedire a sua figlia di soffrire... suo
padre era una persona orrenda che avrebbe solo fatto soffrire la sua
bambina... e lui l'avrebbe impedito! A qualsiasi costo!
Bulma
si avvicinò al marito e disse: “Ascolta, Vegeta...
le cose non
rimangono mai le stesse per sempre. Tutto cambia... è la
vita. Io
sono convinta che, in tutto questo tempo, tuo padre sia cambiato...
un po' come sei cambiato tu nel corso del tempo...”
Vegeta
rimase in silenzio a guardarla.
Bulma
gli sorrise, ricordando com'era Vegeta al loro primo incontro...
“Accidenti,
accidenti, accidenti. Che ritardo!” si lamentò
Bulma, mentre
correva all'impazzata, guardando, in continuazione, l'orologio.
Era
in ritardo stratosferico.
Aveva
perso tempo a farsi bella, come al solito, e, adesso, era in ritardo.
Fortunatamente,
Goku era Goku e, pertanto, gli avrebbe perdonato il ritardo.
Maledizione,
ma con tutti i giorni che c'erano, Yamcha si doveva ammalare proprio
quel giorno?!
Quella
mattina era andata a vedere come stava, per sincerarsi che stesse
male sul serio.
L'aveva
trovato sul suo letto con gli occhi lucidi, il naso rosso, che sudava
come una fontana e la febbre a 38°.
Non
c'erano dubbi, stava malissimo.
Così,
visto che il suo fidanzato non era più disponibile, Bulma si
era
trovata costretta ad andare da sola alla festa di Goku.
Era
così impegnata a correre che attraversò la strada
senza notare che
il semaforo era rosso.
SKRREEEEKKK
La
giovane donna si voltò alla sua sinistra e vide una moto,
con in
sella un uomo, frenare bruscamente.
Appena
riprese il controllo della moto, l'uomo le urlò:
“Ma guarda dove
vai, stupida ragazzina!”
Bulma
lo guardò in malo modo.
“Non
mi ero accorta del rosso! E' colpa mia ma lei non ha il diritto
d'insultarmi!” ribatté Bulma e l'uomo rispose:
“Ne ho il
diritto, eccome! Hai idea di quanto ho dovuto aspettare per averla?!
Se le accadeva qualcosa, avresti dovuto ripagare i danni,
sai?” “E
tu sai che non parlo con i teppisti che si nascondono sotto il
casco?” lo provocò Bulma e lui, raccogliendo la
sfida, se lo
tolse.
Aveva
la pelle bianca come la luna, i capelli a fiamma neri e occhi grandi
e profondi come le tenebre.
Era
bellissimo.
Bulma
non riuscì a non arrossire.
“Non
ti aspettavi di certo che fossi così carino, eh?”
la provocò lui
ma Bulma fece le spallucce: “Bah... voi uomini siete tutti
uguali...” “E voi donne siete tutte uguali... ti
decidi o no a
spostarti?” rispose lui.
Bulma
si spostò e il ragazzo, dopo essersi rimesso il casco,
sfrecciò via
mentre la donna gli faceva una linguaccia.
Solo
quando se ne fu andato, Bulma si ricordò della festa di
compleanno
di Goku e corse verso il bar dove si teneva la festa.
“Eccomi
qui!” esclamò Bulma entrando nel locale dove si
teneva la festa.
“Ciao,
Bulma.” la salutò Crilin, un ragazzo basso, pelato
e senza naso,
mentre Muten, il vecchio proprietario della palestra in cui Goku,
Crilin, Yamcha e un nuovo collega assunto da poco, insegnavano le
arti marziali, la salutava.
“Ho
portato dei dolci per la festa.” esclamò, tirando
fuori dalla
borsa un pacchetto e Muten disse: “Che pensiero gentile,
Bulma, ma
non dovevi disturbarti... a me bastava darti una palpatina al
seno!”
GAN
Bulma
gli aveva tirato, infuriata, il pacco in testa.
“C-come
al solito non capisci gli scherzi...” si lamentò
il vecchio,
massaggiandosi la testa mentre Bulma sibilava: “E tu, come al
solito, resti un maiale...”
Il
vecchio maestro Muten era un brav'uomo, molto saggio e forte...
peccato che fosse un grande maniaco... sempre a caccia di qualche
bella donna da tormentare!
“Su,
non litigate... è una festa.” li calmò
Goku, con in braccio suo
figlio Gohan di soli quattro anni.
Bulma
sorrise.
Come
al solito, l'energia e la spensieratezza di Goku la faceva sorridere
e dimenticare le perversioni di Muten e la maleducazione di quello
stupido motociclista.
Ad
un tratto, lo sguardo di Goku fece un'espressione stupita e, dando il
figlio in braccio alla moglie Chichi, uscì dal bar, dicendo:
“Scusate, torno subito.”
Bulma,
che da sempre aveva avuto un carattere curioso, seguì di
nascosto
l'amico.
Si
nascose dietro a un lampione e lo sentì chiamare:
“Vegeta!”
“Kakaroth?! Che ci fai tu qui?!” “Sto
festeggiando il mio
compleanno con tutti i miei amici. Vieni con noi, dai.”
“Non se
ne parla. Lasciami in pace, una buona volta!”
“Andiamo, non fare
il musone come al solito... ci stiamo divertendo da matti!”
“Kakaroth, ho voglia di stare da solo! Credimi, oggi non ho
voglia
di festeggiare...”
Bulma
si allontanò in punta di piedi e ritornò nel bar.
Per
quanto avesse opposto resistenza, quel tipo non sarebbe riuscito a
sfuggire alla determinazione di Goku.
Infatti,
sentì la porta del locale aprirsi e Goku esclamare:
“Ehi, Crilin,
Muten, guardate chi ho trovato.”
Goku
trascinò, con un po' di fatica, un uomo all'interno del
locale.
Appena
lo vide, Bulma per poco non fece cadere il bicchiere.
Era
quel motociclista maleducato che aveva incontrato qualche ora prima.
Anche
lui si accorse di lei, e le fece un sorrisetto divertito.
Intanto,
Goku lo presentò agli altri: “Lui è il
nostro nuovo collega alla
palestra. Si chiama Vegeta.”
Erano
passati tanti anni da quel piccolo, strano, incontro che le aveva
cambiato la vita.
All'inizio,
non si sopportavano proprio e ogni momento era buono per litigare.
Ma,
poi, qualcosa era cambiato.
Si
era accorta di amarlo, nonostante il suo carattere freddo e
distaccato.
Così,
aveva rotto con Yamcha, il suo fidanzato da una vita, e, dopo una
lunga e faticosa sfida per attirare la sua attenzione, si era messa
con lui.
Yamcha,
a modo suo, era un caro ragazzo e si trovava molto bene con lui ma
Vegeta... le provocava brividi su tutto il corpo, la faceva
emozionare per piccole cose e, soprattutto, la faceva volare.
Le
era dispiaciuto rompere con Yamcha, ma sentiva che era la cosa
migliore da fare... tuttavia erano rimasti buoni amici, semplicemente
avevano preso strade diverse.
Aveva
persino, fatto da testimone quando si era sposato.
Sfortunatamente,
Yamcha, tre anni prima, era stato investito da una macchina ed era
morto.
Era
stato proprio durante il funerale di Yamcha, che aveva capito quanto
Vegeta fosse cambiato...
La
pioggia continuava a scendere, battendo con furia sui tanti ombrelli
neri presenti nel cimitero.
Bulma
cercava di restare composta ma le lacrime continuavano a scenderle
con furia.
Anche
se, ormai, era felicemente sposata con Vegeta ed era in attesa del
loro secondo figlio, non poteva non trattenere le lacrime.
Yamcha...
era stato qualcosa di più di un semplice amico... era stato
il suo
ragazzo da quando aveva sedici anni... e ora che non c'era
più...
Si
asciugò le lacrime.
Anche
quando l'aveva lasciato per mettersi con Vegeta, erano rimasti in
contatto... l'aveva sempre aiutata nel momento del bisogno... era
stato come un fratello per lei.
Guardò
la moglie di Yamcha, che continuava a piangere e a tremare.
Per
quella poveretta, il dolore era anche maggiore.
Anche
lei, nonostante la tempesta e il fatto che fosse al quinto mese di
gravidanza, aveva voluto partecipare al funerale.
Vegeta
le mise un braccio intorno al ventre, senza dire nulla.
Sapeva
quanto soffriva la moglie... nemmeno lui poteva negare di soffrire...
Yamcha
era morto per un idiota che si era ubriacato troppo e non si era
accorto che il semaforo era rosso...
Era
morto così, senza alcun motivo, lasciando da sola la moglie
e il
figlio... proprio come nella sua famiglia...
Ma,
almeno, Yamcha non aveva scelto di andarsene, al contrario di suo
padre... era stato contro la sua volontà...
Quando
la funzione fu finita, si avvicinò alla giovane vedova e le
sussurrò: “Se avesse bisogno di aiuto... anche per
una cosa di
poco conto... mi chiami pure e io e la mia famiglia l'aiuteremo... so
cosa significa crescere senza un padre...”
La
donna lo guardò, incredula.
Durante
le rimpatriate con gli amici di suo marito, Vegeta era sempre quello
serio e scorbutico che se ne stava in disparte... e, adesso, le stava
offrendo aiuto.
Vegeta
non si accorse che Bulma lo stava guardando in silenzio, sorridendo.
“Io
non lo perdonerò mai, Bulma! Mai!” le rispose,
seccato Vegeta e
Bulma gli disse: “Nessuno ti chiede di perdonarlo, Vegeta. E'
una
cosa che dipende da te. Ma, ti prego, permetti a Bra di vederlo. Ci
tiene a lui...” “Non se ne parla! Ho detto no e la
risposta resta
no!”
Bulma
sbuffò.
Suo
marito era proprio uno zuccone... ma anche lei non era da meno!
Sua
figlia teneva troppo a lui, proprio come a suo padre... se solo
avesse saputo dove abitasse...
Un'idea
le balenò in testa.
Sì...
ma certo... forse, una persona che poteva dirgli dove abitasse il
padre di Vegeta esisteva...
Entrò
nel suo appartamento e chiuse con furia la porta.
Poi,
si tolse le scarpe e la giacca, ancora piene di neve, e se ne
andò
in camera sua.
Una
volta entrato, si buttò sul letto, a faccia in
giù.
Si
sentiva da cani... aveva sperato fino all'ultimo di non rivedere
più
la sua famiglia... eppure era successo!
Anche
se aveva rotto tutti i ponti col suo passato, questo era riuscito a
ritrovarlo.
Una
volta, aveva sentito che non si poteva sfuggire dall'amore e dalla
morte perché esse ti troveranno sempre.
Avrebbe
voluto trovare quello che aveva detto quella frase per dirgli che
sbagliava.
Non
dubitava che non si potesse scappare dall'amore e dalla morte, lui lo
sapeva meglio di chiunque, ma c'era un'altra cosa a cui non saresti
mai riuscito a scappare.
Il
tuo passato.
Sospirò.
Il
suo passato non solo l'aveva ritrovato, ma gli aveva rivelato due
verità sconvolgenti.
La
prima era che aveva un altro figlio.
Doveva
essere successo quando lui e sua moglie avevano fatto sesso l'ultima
volta.
Quell'ultima
notte...
Ora
che ci pensava meglio, durante quei tre mesi prima che se ne andasse,
Echalotte stava sempre male ma lui non ci aveva curato tanto, dato
che aveva i suoi problemi.
Aveva
dei mal di testa e sveniva spesso.
Aveva
pensato a una malattia ma, invece, era incinta.
E
lui l'aveva abbandonata in quelle condizioni!
Si
sentì un mostro... esattamente quello che era.
Il
suo secondo figlio doveva odiarlo al pari di Vegeta... dopotutto, era
cresciuto senza un padre e, in base ai racconti di Vegeta, era sempre
stato preso in giro e picchiato proprio per questo...
Ad
un tratto, si ricordò una frase che Vegeta, adirato, gli
aveva
rivelato.
Suo
figlio, quand'era in prima media, era stato picchiato così
tanto che
sua moglie, la sua Echalotte, appena l'aveva visto era scoppiata a
piangere.
La
sua Echalotte...
Lui
non l'aveva mai vista piangere.
Era
troppo orgogliosa per farlo, proprio come lui.
Eppure,
scoprire che suo figlio era stato picchiato a causa del marito,
l'aveva fatta piangere... e chissà quante volte era stata
male
perché lui se n'era andato o perché la gente
parlava male della sua
famiglia...
Era
proprio un vero Lupo Cattivo...
Di
colpo, si ricordò della seconda cosa che il suo passato gli
aveva
rivelato.
La
sua Cappuccetto Rosso, la sua piccola amica che gli aveva insegnato a
voler di nuovo bene a qualcuno, era sua nipote.
La
figlia del suo primo figlio, Vegeta, il figlio che lo odiava per
averlo abbandonato.
Era
rimasto sempre in contatto con la sua famiglia senza nemmeno saperlo.
Però
Bra, il vero nome della sua Cappuccetto Rosso, doveva aver bisogno di
un paio di occhiali.
Ma
come aveva fatto a non vedere che era identico a suo padre e, quindi,
suo nonno?!
Il
nonno molto cattivo e malvagio che aveva fatto soffrire suo padre...
Eppure,
nonostante la scoperta, Bra aveva provato ad avvicinarsi a lui... e
l'aveva respinta.
Perché
quella bambina gli faceva ricordare il suo fallimento.
Il
suo fallimento come uomo, marito, padre e nonno.
Alzò
lo sguardo verso l'orologio sul comodino.
Le
sette e mezza.
Ormai
la farmacia era chiusa.
Fece
le spallucce.
Poteva
andarci domani pomeriggio, non aveva alcuna fretta.
Nessuno
glielo avrebbe impedito.
Si
mise il pigiama e, dopo essersi coricato, spense la luce.
Dopotutto,
non sarebbe cambiato niente ingoiare un pacco intero di sonniferi e
farla finita quella notte stessa o la prossima...
La
macchina parcheggiò nel garage della piccola villa e, per la
prima
volta da una settimana, a bordo vi erano tutti i membri della
famiglia.
Eppure,
si avvertiva una piccola aria di tensione.
Dopo
la loro litigata, Vegeta e Bra non si erano più parlati.
Da
sempre, padre e figlia erano molto legati... ma le rare volte in cui
litigavano era un macello.
Ci
voleva una settimana perché, pian pianino, i due si
avvicinassero,
erano entrambi parecchio orgogliosi, e facessero pace... ma Bulma
sentiva che ci sarebbe voluto molto di più di una settimana
perché
cominciassero ad avvicinarsi...
Perché,
stavolta, l'argomento del loro litigio non era il rifiuto di Vegeta a
comprare una bambola per la figlia... si trattava del padre di
Vegeta.
A
causa del suo abbandono, Vegeta era convinto che suo padre fosse solo
un essere spregevole che non meritava comprensione mentre Bra, che
aveva conosciuto per puro caso senza conoscere la parentela e di cui
era diventata una grande amica, lo difendeva con tutta sé
stessa.
Sembrava
di trovarsi in uno di quei film western nella scena precedente alla
grande sparatoria.
Una
volta entrato in casa, Vegeta dichiarò, mentre si dirigeva
verso il
bagno: “Vado a farmi una doccia.”
Non
appena fu entrato, Bra gli fece una linguaccia.
“Bra,
non si fanno le linguacce.” la riprese la madre, in fondo
divertita
per il carattere piccante della figlia.
Per
smorzare la tensione, Trunks propose alla sorellina: “Che ne
dici
se ti racconto una bella storia in camera mia?”
“Sì, sì, che
bello. Una storia.” esclamò, tutta contenta, Bra
mentre seguiva il
fratello.
Una
volta che i due furono spariti, Bulma aguzzò le orecchie.
Sentì
il suono dell'acqua della doccia.
Suo
marito era impegnato a far la doccia mentre i figli erano in un'altra
stanza a giocare.
Era
il momento.
Prese
il telefono e digitò un numero in fretta e furia.
Mentre
sentiva il telefono squillare, Bulma era nervosa.
Pregò
che lui fosse in casa.
Un'altra
occasione simile non si sarebbe ripetuta tanto presto...
Finalmente,
sentì cornetta alzarsi e una voce maschile allegra e gentile
dire:
“Pronto?” “Tarble, devi
aiutarmi!”
“...Fu
solo quando notai una ragazza con la sacca da ginnastica che mi
accorsi di averla dimenticata sul treno. Mi fiondai come una furia in
stazione. Fortunatamente, eravamo al capolinea e il treno era ancora
lì. Corsi subito dentro al treno, recuperai la sacca e scesi
di
nuovo.” “Meno male che te la sei ricordata,
fratellone.”
I
due fratelli risero a crepapelle.
Erano
settimane che non ridevano così serenamente.
Quando
si era scoperta la malattia di Trunks, i due non erano riusciti a
ritrovare quella spensieratezza che li aveva sempre legati... ma,
adesso che era tutto finito, il loro rapporto era tornato tale e
quale a prima.
Ad
un tratto, Bra smise di ridere e domandò al fratello:
“Fratellone...
potrei vedere cosa c'è all'interno della tua scatola dei
tesori, per
favore?” “Ma certo, Bra. Aspetta solo un
secondo.” la rassicurò
Trunks, scendendo dal letto e prendendo una scatola dall'armadio.
Una
volta, Trunks avrebbe litigato con sorella per quella scatola.
Da
quando Bra aveva saputo che suo fratello maggiore possedeva una
scatola dove ci metteva tutte le sue cose preziose, l'aveva pressato
molte volte per vedere cosa c'era, sperando che, tra le tante cose,
ci fosse qualcosa legato a lei ma Trunks non voleva perché
erano
cose private e le sorelle ci dovevano stare lontane.
Eppure,
essere così vicino alla morte, gli aveva insegnato molte
cose... che
bisognava sempre vivere come se l'ultimo giorno fosse l'ultimo... e
apprezzare le piccole cose che la vita ci offriva... come le sorelle
minori rompiscatole.
“Ecco
la scatola.” esclamò suo fratello, posando sul
letto una vecchia
scatola per le scarpe.
All'interno
vi erano un sacco di oggetti buffi e curiosi: macchinine, molte delle
quali senza una ruota, fumetti, giocattoli, vecchie figurine e strane
carte con su disegnati dei mostri.
Fu
proprio una di quelle carte ad attirare l'attenzione di Bra.
Vi
era disegnati due ragazzi: uno grande e muscoloso con la barba,
vestito come un cavaliere del Medioevo, mentre un'aggraziata
fanciulla con un dolce sorriso, vestita con un abito nero, gli volava
accanto.
“Ti
piacciono? Erano i protagonisti di un vecchio cartone animato, di cui
non ricordo il nome. Erano due fratelli che, a causa di una grande
guerra, combattevano in eserciti nemici. Nonostante questo, si sono
sempre voluti bene e hanno continuato a cercarsi fino alla
fine.”
raccontò Trunks, nascondendo un piccolo particolare: era il
ragazzo
che aveva continuato a cercare la sorella minore per aiutarla, dato
che la giovane, a causa di un incantesimo, si era dimenticata di lui
e lo considerava solo un nemico.
Durante
l'ultima, epica, battaglia, tuttavia, la ragazza, per un istante, si
era ricordata di lui e si era messa in mezzo a un potente attacco
destinato al fratello, sacrificandosi al suo posto.
“Che
bella storia. Senti, fratellone, come l'hai avuta questa
carta?”
domandò Bra, guardandola con vivo interesse, e Trunks le
rivelò:
“L'ha persa un signore... la conservo perché
voglio
restituirgliela quando lo rivedrò.” “E
quand'è successo?” “In
un cimitero. Tu eri ancora nella pancia della mamma e si stava
svolgendo un funerale per un amico della mamma... durante la funzione
mi sono allontanato e...”
Le
gocce di pioggia non accennavano a scendere.
Anche
se non poteva vederle, sentiva il tremendo rumore delle gocce che
picchiava sulla grondaia.
Proprio
il giorno perfetto per un funerale...
Trunks
continuò a camminare tra i nomi e i visi di persone
sconosciute...
Ad
un tratto si fermò, incredulo.
Era
convinto che, a parte lui, i suoi genitori e gli invitati al
funerale, non ci fosse nessuno... e, invece, si sbagliava.
In
mezzo alle lapidi nel giardino, inginocchiato per terra e incurante
della pioggia battente, vi era un signore incappucciato che stava
cambiando i fiori a una tomba.
La
pioggia lo bagnava completamente, ma lui importava solo cambiare quei
fiori.
Tolse
i vecchi fiori, ormai appassiti, e mise quelli nuovi.
Congiunse
le mani come una preghiera e, dopo qualche minuto di silenzio, si
rialzò.
Appena
si voltò, notò un ragazzino di quindici anni con
i capelli lilla
che lo fissava, in silenzio.
“Che
hai da guardare?” gli domandò, furibondo, l'uomo e
aggiunse: “Non
dovrei sembrarti strano, visto che sto cambiando i fiori a una
tomba.” “M-mi scusi...” si
scusò Trunks, voltandosi di lato e
arrossendo, imbarazzato, mentre l'uomo commentava:
“Ragazzini...”
Si
allontanò dalle lapidi e dalla bufera e si diresse verso il
portico,
passando di fianco a Trunks.
Mentre
gli passava accanto, i loro sguardi s'incrociarono.
I
grandi occhi azzurri e vivaci di Trunks si fusero in quelli neri e
tenebrosi dell'uomo.
Il
grande cappuccio della giacca verde gli copriva i capelli ma Trunks
vide chiaramente che quell'uomo possedeva una barba scura.
Mentre
l'uomo si allontanava, Trunks rimase immobile.
Si
sentiva strano... era come qualcosa dentro di lui lo stesse
chiamando...
“Trunks!”
La
voce infuriata di sua madre lo fece girare.
La
vide in fondo al portico, con i corti capelli turchini e l'abito nero
che metteva in risalto la sua gravidanza.
La
donna, adirata, si diresse a tutta velocità verso il figlio
ma si
scontrò col signore incappucciato che stava camminando.
“Mi
scusi. Io...” si scusò subito Bulma ma l'uomo
l'interruppe, prima
di riprendere il suo cammino verso l'uscita: “Non importa,
non
importa...”
Una
volta che il signore se ne fu andato, Bulma si diresse verso il
figlio e lo sgridò: “Trunks, ti ho detto mille
volte di non
allontanarti, senza avvisare!” “Scusa,
mamma...” “Comincia a
dirigerti verso la macchina che io e tuo padre ti
raggiungiamo.”
“Va bene...”
Mentre
camminava, ad un tratto, l'occhio gli si posò per terra e
notò una
cosa.
La
raccolse e capì che era una di quelle carte dei cartoni
animati con
la foto dei personaggi.
In
quella carta vi erano un uomo che sembrava un guerriero medievale e
una ragazza che pareva una fata.
Non
li riconosceva... il che era strano, dato che era un grande esperto
di cartoni animati...
Magari
erano i protagonisti di un cartone che si vedeva quando i suoi erano
piccoli...
Trunks
si guardò intorno, inutilmente.
Il
signore incappucciato di prima era sparito.
La
carta non poteva che appartenere a lui.
Quello
era il punto dove lui e sua madre si erano scontrati e quando prima
era passato non l'aveva vista.
Se
la mise in tasca.
Avrebbe
conservato quella carta e, se per puro caso, l'avesse rivisto, gliela
avrebbe restituita.
“...Purtroppo,
non rividi più quel signore. Un giorno, portai quella carta
dalla
nonna e lei mi disse che erano i personaggi di un cartone animato che
vedeva da bambina e che aveva riscosso un grande successo, tanto che
ci fecero un sequel. Anche lei amava molto quella serie e, come tanti
suoi coetanei, faceva di tutto per vederlo in tv e collezionava le
carte. Mi disse che quella carta era rarissima ed era ambita da
tutti, tanto che si scatenavano pure delle risse.”
finì di
raccontarle Trunks.
Bra
ascoltava, ammaliata.
Era
incredibile sapere che c'erano così tanti Lupi Solitari e
Tristi nel
mondo... proprio come il suo Lupo Cattivo...
Bra
non riuscì a trattenere le lacrime.
Gli
mancava tantissimo... e non poteva vederlo perché lui,
adesso, la
odiava...
Trunks,
che era a conoscenza dei fatti, accarezzò la testa alla
sorellina e
le chiese: “Pensi al nonno?”
“Sì... vorrei parlargli ed
essergli di nuovo amica... ma lui non mi vuole...”
“Era solo un
po' sconvolto. Scoprire dal nulla che la sua piccola amica
è, in
realtà, sua nipote, l'ha spiazzato... non prendertela se ti
ha
trattata male... vedrai che presto sarà di nuovo contento di
rivederti.” “Ma quanto presto, Trunks?! Io voglio
che sia di
nuovo il mio Lupo Cattivo. Voglio che sia di nuovo mio
amico.” “Da'
tempo al tempo, Bra. Se gli darai un po' di tempo, lui si
abituerà
all'idea che siete parenti e sarete di nuovo amici.” la
rassicurò
il fratello mentre Bra si asciugava le lacrime, tornando a sorridere.
“Fammi
capire bene, Bulma. Mio padre era l'amico di Bra che soffriva di
quella malattia ai reni a cui Vegeta gli ha donato il rene per
salvarlo, senza sapere che era lui. Quando l'ha scoperto è
andato,
ovviamente, fuori dai gangheri e ha impedito a Bra di vederlo. E'
questo il succo della storia?” domandò, incredulo,
Tarble mentre
Bulma confermava.
Tarble
non riusciva a crederci.
Suo
padre, l'uomo misterioso che se n'era andato quando lui era ancora
nella pancia di sua madre, viveva nella sua stessa città...
Finalmente,
avrebbe potuto conoscerlo e sapere chi egli era veramente... e la
cosa lo terrorizzava non poco.
Temeva
che suo padre fosse come Vegeta l'avesse descritto, cattivo e
insensibile, e che lo rifiutasse...
Tuttavia,
Tarble si ricordò che suo padre non doveva essere proprio
così,
dato che aveva fatto amicizia con Bra, una bimba di soli tre anni,
ignorando che fosse sua nipote.
Eppure,
il pensiero che suo padre non accettasse che fosse suo figlio e che
lo prendesse solo per un bugiardo, lo tormentava...
“Comunque...”
continuò la cognata “Ho intenzione di permettere a
Bra di vederlo.
Malgrado tutto, loro due si vogliono bene e non voglio che quel
testone di mio marito si metta in mezzo. Ma per far ciò ho
bisogno
del tuo aiuto.” “Certo, Bulma, dimmi pure. Ti
aiuterò
senz'altro.” “Devi darmi il numero di telefono di
Gure.”
Tarble
sgranò gli occhi.
Bulma
voleva sapere il numero di telefono di Gure, di una sua allieva?!
“Come
mai?” le domandò e Bulma rispose: “E' la
vicina di casa di
vostro padre. Saprà dove abita e i suoi spostamenti. Mi
serve come
alleata.” “Bulma, non posso dartelo. Non ce l'ho e
non posso
nemmeno chiedere alla didattica di darmi quello di casa sua o il suo
indirizzo. Rischierei di passare per un maniaco e di perdere il
posto...” “Tarble... io so che hai il suo numero di
telefono nel
tuo cellulare.”
Il
giovane sbiancò.
Ma
come lo sapeva?!
Eppure
era stato attento a non lasciare il suo cellulare in giro...
“Lo
so come so che tu ami lei e che lei ama te.”
continuò la donna
“L'ho capito quando, mentre aspettavamo la fine
dell'operazione a
tuo padre, vi siete allontanati entrambi. Prima che vi allontanaste
eravate tesi e nervosi e, poi, non appena vi siete allontanati, siete
diventati più sereni.”
Tarble
tremava dal nervoso.
Sua
cognata aveva scoperto tutto.
E
adesso cosa poteva succedere?!
Avrebbe
rivelato a tutti il suo segreto o l'avrebbe denunciato?!
Per
una cosa del genere potevi finire in carcere...
“Ma
non preoccuparti. Non lo dirò a nessuno.”
La
semplice frase della donna riuscì a farlo respirare di nuovo.
“Ormai
ti conosco.” gli rivelò Bulma “E so che
non corteggeresti mai
una ragazzina. Anche Gure mi sembra una brava ragazza. Voi due vi
amate sinceramente, anche se avete molti anni di differenza.”
“Sì... io e lei ci amiamo veramente. Abbiamo
tentato di soffocarlo
perché temevamo di rovinare l'altro... ma non ce l'abbiamo
fatta.”
“Spero solo che starete attenti. Potreste finire nei guai, e
di
quelli grossi.” “Non preoccuparti. Comunichiamo a
notte fonda con
degli sms che cancelliamo subito mentre in pubblico ci comportiamo
normalmente, e poi... a Giugno lei si trasferisce.”
Tra
i due calò il silenzio.
“Tarble...
mi dispiace...” sussurrò Bulma ma Tarble le disse:
“Non
preoccuparti. Anzi, è meglio così per entrambi.
Così nessuno saprà
mai niente...”
“Ma
dovete per forza andare a fare shopping con questo freddo?”
“Certo
che sì, Vegeta. In questo periodo dell'anno ci sono un sacco
di
saldi da urlo e io non me li voglio perdere.”
Bulma
finì di abbottonarsi la giacca, cercando di essere
più naturale
possibile.
Era
dura mentire al proprio marito... ma come facevano certe donne a
mentire regolarmente?!
“E
perché porti Bra con te? Ha solo tre anni...”
Certo
che a volte, Vegeta era più impiccione di sua madre Panchy...
“E'
bene che Bra si alleni con lo shopping per quando sarà
più
grande... vedendo una professionista all'opera capirà molte
cose...
e, poi, è meglio che voi due stiate lontani per un po',
visto come
hai trattato un certo suo amico.” rispose Bulma, sperando che
la
nomina al litigio per il padre di Vegeta non lo facesse indagare
oltre.
Come
previsto, Vegeta fece un mugugnò qualcosa di seccato e
ritornò a
leggere il suo giornale.
“Eccomi,
mamma!” gridò Bra quando ebbe finito di mettersi
le scarpe.
Madre
e figlia uscirono dalla casa e salirono in macchina.
Bulma
sospirò.
Il
peggio era passato.
La
donna mise in moto la macchina e partì.
“Mamma,
dove stiamo andando? Questa non è la strada per il centro
commerciale.” dichiarò, ad un tratto, Bra mentre
guardava fuori
dal finestrino.
Se
n'era accorta...
D'altronde
era pur sempre sua figlia e anche lei, quando aveva la sua
età era
incredibilmente sveglia.
“Stiamo
andando dal signor Lupo Cattivo.” dichiarò Bulma,
sapendo che
bastava solo quella frase per farle capire tutto.
Infatti,
la bambina urlò, entusiasta: “DAVVERO?!”
“Certo, Bra. Ma non
devi dirlo a nessuno. E' un segreto.”
“Mamma...” “Cosa c'è,
Bra?” “Tu pensi che mi vuole ancora bene?
Sarà contento di
rivedermi?” “Certamente. Scommetto che
farà come tuo padre:
prima sembrerà il solito musone insensibile e arrabbiato ma
poi,
alla fine, si scioglierà...”
Bra
sorrise: sua madre e suo fratello le avevano detto che lui le voleva
ancora bene, quindi doveva per forza essere così.
Ad
un tratto, vide un piccolo negozio e una piccola idea le
balenò in
testa.
“Mamma,
puoi fermarti un attimo, per favore?” chiese subito alla
madre e
Bulma, incredula, le domandò:
“Perché?” “Perché
voglio fare
un regalo speciale al signor Lupo Cattivo. Qualcosa che significa
amicizia.”
Fece
un grosso sbadiglio, prima di spegnere la tv.
Mai
una volta che ci fosse qualcosa di decente...
Una
volta sì che c'erano dei programmi interessanti ed educativi
in
tv... ma niente è eterno... il passato era il passato e il
futuro...
il suo era già segnato e deciso.
Guardò
l'orologio.
La
farmacia era aperta, poteva cominciare a muoversi.
S'infilò
la giacca.
Un
tempo, l'idea del suicidio la considerava solo un'azione da
codardi... e tempo dopo aveva dimostrato a sé stesso di
essere solo
un codardo.
Perciò,
non aveva nessun rimpianto.
In
tv la gente, prima di compiere il gesto estremo, faceva un sacco di
cose... le solite baggianate televisive per attirare gli idioti.
Lui
aveva trascorso quella domenica come tutte le domeniche precedenti,
senza alcuna novità.
Una
volta sveglio, aveva fatto colazione, poi aveva letto il giornale e,
dopo aver pranzato, aveva finito di leggere un libro, prima di morire
voleva almeno finirlo, odiava lasciare le cose a metà.
Dopodiché,
si era messo a guardare la tv fino a quel momento.
Indossò
le scarpe senza alcun timore o dubbio.
Perché
doveva averlo, poi?
Era
evidente che da vivo combinava solo danni e che nessuno l'amava.
Dopotutto,
chi poteva amare un simile mostro?!
Si
fermò ma non per l'indecisione.
Forse,
lei l'aveva amato... ma cosa stava pensando?!
Lei
lo odiava più di chiunque altro... doveva
odiarlo... se per gli altri lo era, perché non doveva
esserlo per
lei?!
Ma
allora, perché, ricordava sempre il suo sorriso e la sua
voce
gentile?
Perché
non aveva abortito quand'era ancora in tempo?
Perché
l'aveva tenuto... anche se era un mostro?!
Si
guardò la mano.
Per
lui, sua madre era sempre stata un essere unico e speciale... ma lei
cosa aveva pensato, veramente di lui?!
Lui,
fin da quando era nato, apparteneva a una razza maledetta...
Ma,
presto, grazie a un'enorme quantità di sonniferi, non
avrebbe più
sofferto.
Che
importava se fosse finito all'inferno?!
Dopo
l'inferno che aveva vissuto in vita, quello della morte gli sembrava
poca cosa.
Si
maledì di non averci pensato prima!
Doveva
suicidarsi da quando se n'era andato!
Così,
non avrebbe conosciuto Bra e, soprattutto, suo figlio Vegeta non
avrebbe mai sacrificato un rene per salvare un uomo che odiava...
Aprì
la porta ma la piccola bambina con i grandi occhi azzurri, i capelli
turchini e con un vestito rosso che vide davanti alla porta del suo
appartamento, lo bloccò.
Ma...
cosa ci faceva lei qui?!
Come
aveva avuto il suo indirizzo?!
Vedendola,
tutti i suoi piani e i suoi progetti che aveva architettato con tanta
cura s'infransero.
Per
la prima volta, da quando se n'era andato, era preso dai dubbi.
La
presenza di quella bambina lo rendeva nervoso e agitato.
Cosa
doveva fare?! |
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Capitolo 17 *** Il calore di una famiglia ***
CAPITOLO
17: IL CALORE DI UNA FAMIGLIA
Per
vari minuti, nessuno dei due disse niente.
I
grandi occhi blu di Bra si mescolavano in quelli neri di suo nonno.
Alla
fine fu lui, a braccia incrociate e con il solito tono seccato e
infastidito, a chiederle: “Tu cosa ci fai qui?”
La
bimba fece un bel respiro.
Sua
madre l'aveva avvisata che suo nonno avrebbe reagito così
nel
vederla... eppure la paura che lui continuasse a odiarla era forte...
La
bambina strinse con forza il piccolo regalo nascosto dietro alla sua
schiena.
Non
doveva aver paura!
“Sono
per te!” esclamò la bambina mostrandogli i rami
con degli
splendidi fiori dai colori viola e azzurro.
Lui
non disse niente ma sgranò gli occhi dalla sorpresa.
In
completo silenzio, s'inginocchiò e prese il piccolo regalo
della
nipotina.
“Mi
fai entrare, nonno?” domandò la bambina con un
filo di voce,
guardando il pavimento per l'ansia.
Suo
nonno la fissò in silenzio, senza dire una sola parola.
Poi
si alzò e, mentre apriva di più la porta, le fece
cenno di entrare.
Una
volta chiusa la porta, suo nonno le domandò: “Tuo
padre sa che sei
qui?” “No.” “Capisco.”
Bra
fissò a lungo l'appartamento di suo nonno.
L'aveva
visto soltanto una volta in passato... nella notte di quella tremenda
tempesta in cui si era persa... quando lui era solo il suo Lupo
Cattivo e lei solo la sua Cappuccetto Rosso.
Ricordò
che in quella notte, quando ignoravano di essere nonno e nipote,
aveva parlato moltissimo, almeno secondo il livello di chiacchiere
del nonno... invece, adesso, non riuscivano nemmeno a salutarsi.
“Se
vuoi toglierti le scarpe e la giacca...” le disse, ad un
tratto,
suo nonno.
La
bambina si tolse velocemente le scarpe e passò la giacca
all'uomo,
che la mise su un appendiabiti.
Mentre
Bra si accomodava sul divano, suo nonno si tolse il cappotto pesante
che indossava.
Da
quello che sapeva, la gente indossava il cappotto quando usciva.
Quindi,
quand'era arrivata, suo nonno aveva intenzione di andarsene... ma
dove?
Una
volta che ebbe messo il suo regalo in una caraffa piena d'acqua, suo
nonno si sedette sul divano.
Nonno
e nipote rimasero in silenzio per molti minuti.
Nessuno
dei due sapeva cosa dire.
L'uomo
non riusciva proprio a capire perché Bra fosse venuta...
credeva che
lei l'odiasse per come l'aveva, ingiustamente, trattata al parco...
non si era accorto di quello che aveva detto o fatto... gli era
venuto così... era stato più forte di lui... era
fuori di sé dalla
rabbia e dal dolore...
Bra,
dal canto suo, non parlava perché temeva di dire qualcosa di
sbagliato... qualcosa che lo facesse di nuovo arrabbiare e che la
buttasse fuori dal suo appartamento, ordinandole di non farsi mai
più
vedere.
Eppure,
quel silenzio era troppo... doveva dire qualcosa...
“Nonno...”
riuscì a sussurrare alla fine, sperando di non dire una cosa
sbagliata “Perché quando sono arrivata indossavi
la giacca?”
Il
cuore dell'uomo sobbalzò.
Non
poteva di certo raccontarle che si stava recando alla farmacia per
comprare una confezione di sonniferi per uccidersi.
Decise
di raccontarle una mezza verità...
“Cosa
succede ai cattivi delle fiabe quando non muoiono?” le
domandò,
evitando di guardarla negli occhi.
Bra
rimase incredula.
Cosa
significava quella strana domanda?
Tuttavia,
decise di rispondere: “Finiscono in una cella buia e umida
per il
resto della loro vita... oppure partono e nessuno li vede mai
più.”
“Esatto. E io sto per andarmene.” le
rivelò suo nonno.
“COSA?!
E PERCHE'?!” urlò Bra, non riuscendo a trattenersi.
Suo
nonno... voleva sul serio andarsene?! Ma perché?!
Sentì
le lacrime rigarle le guance.
Perché
continuava a odiarla e a evitarla?!
Avrebbe
dovuto ascoltarlo quando le aveva fatto cenno di restare dov'era
mentre affrontava suo padre... ma la curiosità aveva
prevalso... e,
così, avevano scoperto di essere parenti e, da quel momento,
suo
nonno la odiava...
Perché
non era rimasta lì?!
Suo
nonno avrebbe sempre sofferto ma lei sarebbe riuscita subito ad
avvicinarsi a lui e ad aiutarlo... adesso, invece, non poteva
più...
Dopo
un attimo di silenzio, suo nonno le rivelò:
“Perché non esiste un
posto per me. Non è mai esistito un posto per i
cattivi.” “Ma...
ci sono io... e, poi, c'è la nostra famiglia...”
“Bra... quella
è la tua
famiglia. Ho smesso di farne parte da quando me ne sono
andato.”
“Non pensare a quello che ti ha detto il mio
papà... era
nervoso...” “Bra...”
La
voce triste e sofferente di suo nonno la fece zittire di colpo.
Non
l'aveva sentito con quel tono di voce... sembrava distrutto... e,
inoltre, aveva appoggiato le braccia sul bracciolo del divano e la
testa sopra di esse... come fosse triste...
Dopo
un sospiro triste, suo nonno continuò: “Io e te
abbiamo solo dei
geni in comune... ma ti sbagli di grosso se pensi che questo basti
per creare una famiglia. Una famiglia... è un luogo dove
tutti si
vogliono bene e si aiutano a vicenda. Io me ne sono andato. Ho
abbandonato la mia famiglia. Tuo padre aveva la tua stessa
età
quando sono fuggito in una buia e fredda notte. Ho distrutto la mia
famiglia con le mie stesse mani. Io non merito assolutamente di
riavere la mia famiglia e nemmeno la felicità. Io merito
solo una
cosa... la solitudine.”
Bra
rimase in silenzio, mentre le lacrime le rigavano le piccole guance.
Suo
nonno stava male.
Soffriva
per il fatto di non avere più la sua famiglia...
Suo
nonno... il signor Lupo Cattivo...
Si
avvicinò a suo nonno e, con le lacrime che non smettevano di
scendere, abbracciò la sua schiena, per fargli sentire il
suo
affetto e la sua vicinanza, e sussurrò: “Ci sono
io, nonno. Tu non
sei solo perché... noi due siamo amici.”
L'uomo
alzò la testa, guardandola in silenzio.
Perché
Bra continuava a considerarlo un amico?
Lui
l'aveva fatta soffrire... lui era un mostro... lui era cattivo...
Con
un gesto fulmineo, si voltò e mise le sue grandi mani sulle
spalle
piccole della bimba, allontanandola un po' ma continuando a guardarla
nei suoi grandi e immensi occhi azzurri.
Per
qualche minuto, tra i due vi fu solo il silenzio ma, alla fine, il
nonno di Bra le domandò: “Toglimi una
curiosità... perché,
nonostante tutti i danni che ho fatto e le orribili parole che ti
detto, mi vuoi ancora bene?” “Perché tu
sei il mio Lupo
Cattivo... e io so che sei buono.” gli spiegò la
bambina,
sorridendo, prima di abbracciare il più possibile il petto
dell'uomo.
Mentre
le lacrime ricominciarono a scendere senza fermarsi, Bra lo
implorò:
“Nonno, ti prego... non andartene! Resta con me! Io ti voglio
bene!”
PLING
Una
goccia d'acqua cadde, all'improvviso, sulla testa turchina della
bambina e la piccola, sorpresa e incredula, alzò la testa,
rimanendo
senza parole quando capì da dove proveniva la goccia.
Suo
nonno stava piangendo.
Grosse
lacrime gli uscivano dagli occhi.
“Nonno,
tu... stai piangendo...” sussurrò Bra e suo nonno
parve come
risvegliarsi di soprassalto.
Si
era lasciato commuovere da quella bambina così pura e
innocente...
l'unica capace di continuare volergli bene nonostante tutto il male
che provocare... l'unica capace di non farlo sentire più
solo...
Si
sbrigò, rosso in volto per essersi lasciato così
trasportare e per
essersi messo a piangere davanti a una bambina, a togliersi le
lacrime dagli occhi e a dire: “Anche i Lupi Cattivi piangono,
Cappuccetto Rosso.”
Bra
sgranò gli occhi e, poi, disse: “Nonno... per la
prima volta, da
quando ho scoperto che sono tua nipote... mi hai chiamato Cappuccetto
Rosso...” “E allora?” fece lui, chiudendo
gli occhi e
incrociando le braccia come al solito, e la bambina, sorridendo gli
domandò: “Significa che noi due siamo di nuovo
amici?”
Aveva
appena finito di dire quelle parole, che suo nonno si
avvicinò a lei
e l'abbracciò.
Un
abbraccio forte... ma allo stesso tempo sicuro.
Bra
sorrise.
Quell'abbraccio
equivaleva a un sì.
Che
importava se a suo nonno non piaceva molto parlare?
Quell'abbraccio,
quel gesto... valeva molto di più di mille parole.
“Sì...”
sussurrò, ad un tratto, suo nonno “Noi due,
nonostante la
lontananza, saremo sempre amici...” “Vuoi proprio
andartene?”
gli chiese Bra, con una voce triste, ma suo nonno, invece di
rispondere, le domandò a sua volta: “Sai
qual'è il significato
del fiore che mi hai regalato?”
Bra
negò con la testa.
Lo
sapeva benissimo, invece, dato che aveva fatto perdere un'ora intera
alla commessa dal negozio di fiori, per trovare un fiore col
significato dell'amicizia, ma voleva sentire la voce di suo nonno.
Le
era sempre piaciuto quando lui raccontava le cose...
Dopo
un minuto di silenzio, suo nonno cominciò a raccontare:
“Si chiama
Glicine... il suo significato è quello dell'affetto tenero e
profondo. Serve per indicare una forte e tenera amicizia che dura nel
tempo. Perciò, anche se io dovessi andarmene... io non
potrei mai
dimenticarti...”
I
loro occhi s'incrociarono di nuovo e, stavolta, suo nonno sorrise.
Non
un sorrisetto divertito... era un vero sorriso, di quelli felici.
Dopo
una pausa, suo nonno aggiunse: “Perché tu sei e
resterai per
sempre la mia Cappuccetto Rosso. Nessun'altra bambina potrà
mai
sostituirti.”
Bra
si sentiva al settimo cielo.
Suo
nonno non l'odiava... le voleva ancora bene... per lui, lei era
ancora la sua piccola Cappuccetto Rosso...
“Davvero
non mi dimenticherai mai, nonno?” chiese la piccola,
sorridendo, e
suo nonno, con un sorrisetto divertito, si mise a grattarle la
testolina turchina e a commentare: “Certo! Come potrei
dimenticarmi
di una piccola peste con i capelli turchini, tutta vestita di rosso,
come te?” “AAAHHAHAHA” rise, divertita,
la piccola Bra mentre
la sua risata cristallina si sentiva in tutte le stanze.
Per
la prima volta da anni, l'appartamento e l'anima di un uomo solo, si
riempì della risata di un bambino.
L'uomo
guardò il soffitto... gli era mancato il suono della risata
di un
bambino... così pura e innocente... una specie di balsamo
per le
ferite dell'anima.
Ripensò
a Vegeta, il suo primogenito.
Lo
ricordò quand'era appena nato, un bambino piccino
incredibilmente
somigliante a lui, tranne per il colore dei capelli, un bambino di
pochi mesi irrequieto e ribelle che urlava a squarciagola quando
succedeva una cosa che non gli piaceva, il bagno o, peggio ancora,
quando qualcuno nominava il nome Kakaroth, Vegeta non l'aveva mai
tollerato e non lo voleva nemmeno sentire nominare, se succedeva
strillava a squarciagola per delle ore, tanto che lui ed Echalotte
tappavano immediatamente la bocca a quel povero diavolo che stava per
nominarlo, non appena avvertivano il pericolo, la sua prima parola,
quando faceva quei capitomboli nel disperato tentativo di stare in
piedi come gli adulti, quando giocava con le macchinine o i
soldatini, immaginando di essere un grande e vittorioso comandante,
quando era caduto dalla bicicletta sbucciandosi un ginocchio, la sua
prima vacanza al mare, quando aveva raccolto tante di quelle
conchiglie da non saper più dove metterle e le aveva messe
tutte
nella sua valigia, tutte le magliette che mettevano da lavare dopo i
pasti, dato che mangiava così di fretta da sporcarsi in
continuazione, i capricci, gli enormi buchi nei suoi pantaloni, i
dispetti che faceva a tutti quei poveri disgraziati che gli
capitavano a tiro, la sua fuga notturna a due anni, le notti in cui,
silenzioso, entrava nella sua stanza e, dopo avergli rimboccato le
coperte, era vivace anche di notte e faceva sempre cadere per terra
le coperte, si sedeva sul pavimento per poi guardarlo in silenzio, le
mattine in cui si svegliava trovandolo nel letto, anche se sapeva
benissimo che non doveva salirci, i suoi occhi neri che cercavano i
suoi per trovare un po' di ammirazione di suo padre per lui...
Quello
era il piccolo Vegeta prima che lui se ne andasse e, il giorno prima,
l'aveva rivisto completamente cambiato.
I
suoi occhi che da bambino lo ammiravano, adesso, nei suoi confronti
erano freddi e pieni d'odio... un odio che niente avrebbe mai potuto
cancellare.
Inoltre,
aveva scoperto, dal nulla, di avere un secondo figlio.
Un
figlio che non aveva mai visto nascere, di cui ignorava il carattere,
che non aveva mai visto, di cui ignorava la prima parola o con cosa
amasse giocare o quali fossero i suoi interessi, con cui non aveva
mai fatto una vacanza e nemmeno un regalo di compleanno... di cui non
sapeva niente.
Era
proprio il peggior padre della storia...
Solo
in quel momento, l'uomo si accorse di quanto aveva perso davvero.
In
fondo al suo cuore, aveva sempre saputo che la sua famiglia gli
mancava troppo... ma solo adesso si era reso conto di quanto aveva
perduto.
L'amore
dei suoi figli, vederli crescere, con i loro litigi e le loro
alleanze, i loro matrimoni, la nascita dei suoi nipoti ma,
soprattutto... l'amore di sua moglie.
Della
sua Echalotte.
Echalotte
era sempre stata un'anima solitaria e complessa e, forse, era proprio
per questo che si era innamorato di lei.
Aveva
mille sfumature: orgogliosa, testona, irascibile, volgare, imbranata,
intelligente, coraggiosa, sensuale, triste, romantica, solitaria,
dolce, intraprendente, aggressiva, candida, violenta, innocente...
Come
aveva potuto farla soffrire?! E in quel modo, poi...
Se
avesse potuto riavvolgere il nastro della sua vita...
“Nonno,
cos'hai? Stai pensando a papà?”
La
voce di sua nipote Bra, lo fece risvegliare dal suo passato, dolce e
amaro, proprio come un caffè.
Lui
guardò a lungo la piccola testa turchina che teneva stretta
tra le
sue possenti braccia.
Quando
aveva abbandonato la sua famiglia, era stato come se avesse fatto
cadere un vaso stupendo, che si era frantumato in tanti piccoli
frammenti che si erano sparsi per il mondo.
Lui
non aveva mai voluto andare a cercarli, dopotutto quello che aveva
fatto, era il minimo che potesse fare, eppure, per puro caso, il
giorno prima ne aveva trovato uno... un frammento che, ora, si
trovava stretto tra le sue braccia e che non avrebbe mai più
perduto.
In
quella notte, grazie a Bra, la sua unica e insostituibile Cappuccetto
Rosso, aveva capito cosa significava possedere una famiglia e quel
poco che era rimasto, non l'avrebbe perso!
Non
avrebbe perso di nuovo quel calore che aveva sentito per la prima
volta da molti anni!
“Sto
pensando a com'è stata vuota la mia vita...” le
rivelò, mentre si
metteva a guardare i fiocchi di neve che scendevano dalle dense e
nere nuvole invernali come una misteriosa e carismatica danza dalla
finestra “Prima di conoscerti, io ho vissuto la mia vita con
noia e
trascuratezza... un giorno, per me, era uguale a un altro... poi sei
arrivata tu... è stato come risvegliarsi da un lungo
sonno... io...
volevo ringraziarti per avermi fatto ritrovare, anche solo per una
notte... il calore di una famiglia.”
Mentre
le diceva quelle parole, le accarezzava con dolcezza i suoi capelli
turchini.
Ad
un tratto, Bra vide un luccichio negli occhi di suo nonno e due
lacrime, grandi e brillanti come due perle, scesero dai suoi occhi. |
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Capitolo 18 *** La furia di Bra ***
CAPITOLO
18: LA FURIA DI BRA
Bulma
guardò l'elegante orologio da polso.
Le
sette e mezza.
Aveva
ancora mezz'ora di svago con lo shopping prima di andare a prendere
sua figlia dal suocero.
All'inizio,
non aveva intenzione di andare a far shopping veramente, l'unica cosa
che voleva era che quei due si ritrovassero e che ritornassero amici,
ma, poi, durante il tragitto, si era ricordata che suo marito era
incredibilmente sospettoso, e che, pertanto, se non l'avesse vista
con i pacchi si sarebbe insospettito, perciò aveva detto
alla figlia
che sarebbe stata con suo nonno fino alle otto di sera.
Suo
nonno era identico a suo padre, non solo nell'aspetto ma anche nella
mentalità: all'inizio avrebbe fatto il difficile che amava
la
solitudine e che non voleva nessuno tra i piedi, ma, poi, si sarebbe
lasciato trasportare...
Comunque,
per sicurezza, era rimasta nel parcheggio ad aspettare che la sua
bambina tornasse per un mezz'ora ma, vedendo che Bra non usciva dal
palazzo, era salita in macchina ed era partita alla volta del centro
commerciale.
Dopo
aver guardato l'ora, Bulma prese le tante borse piene di vestiti di
tutti i tipi e ritornò al suo sport preferito: la ricerca di
un
nuovo vestito da urlo.
Bra
appoggiò la testa sul braccio del nonno.
I
due stavano guardando la tv in completo silenzio.
“Nonno...”
domandò, mentre guardava la pubblicità di un
nuovo dentifricio “Ma
tu ami la nonna?”
Suo
nonno guardò la piccola testolina turchina e, poi,
rivelò, con un
filo di voce: “Sì...” “Come
gli innamorati in tv?” “Forse
anche di più...” “Allora
perché te ne sei andato?”
Lui
sospirò.
Era
una di quelle domande a cui non poteva sfuggire... ma a cui non
avrebbe potuto dire la verità... perché nessuno
avrebbe potuto
capire...
“E'
difficile da spiegare, Bra... l'amore... è una cosa troppo
complessa
e assurda... se ti raccontassi perché me ne sono andato...
non
potresti mai capire... perché nemmeno io riesco ancora a
capire
perché diavolo l'ho fatto...” sussurrò
suo nonno, tornando a
guardare la tv.
Per
un po' di tempo, i due non si dissero altro, poi Bra
domandò:
“Nonno... ma dov'è la donna con cui te ne sei
andato? Papà dice
che te ne sei andato con un'altra donna, però... fin da
quando ti
conosco... non ti ho mai visto con nessuna donna... e non è
nemmeno
venuta in ospedale quando stavi male...”
Il
suo cuore perse un battito.
Se
n'era accorta...
Cosa
doveva fare?!
Non
poteva nemmeno raccontarle com'erano andate, veramente, le cose... ma
non poteva nemmeno mentire!
Aveva
capito fin troppo bene qual'era il prezzo della menzogna...
“Anche
questa domanda è una di quelle difficili da
rispondere...” le
disse lui, sperando che Bra non facesse altre domande.
Sfortunatamente,
quella bambina era così curiosa da far paura:
“Nonno... quando
hai capito che amavi la nonna?”
Doveva
aver preso da sua madre... lui ed Echalotte erano sempre stati
discreti con tutti... per il motivo che, in questo modo, la gente
smettesse d'impicciarsi dei fatti loro.
Ma
la gente moderna non conosceva il concetto della privacy?!
Evidentemente
no...
“Allora,
nonno?” domandò la piccola.
Lui,
ormai, sapeva che Bra, se si metteva in testa una cosa, non c'era
verso di farle cambiare idea... in questo, però, aveva preso
dai
suoi nonni paterni...
Così,
decise di risponderle: “In un pomeriggio estivo... ero andato
a
casa sua per... restituirle una cosa... e capì che
l'amavo...”
In
realtà, le cose si erano svolte in modo molto diverso... e
lui lo
sapeva bene...
Accarezzò
la testolina turchina della nipote mentre, con la mente, tornava a
quel pomeriggio... il pomeriggio in cui aveva capito che si era
innamorato della sua Echalotte...
Svitò
con facilità il tappo ancora sigillato della bottiglietta e,
una
volta aperto, bevve il contenuto.
La
lezione di arti marziali, quel giorno, era stata davvero molto
faticosa...
Mentre
si puliva la bocca umida col dorso della mano, la porta della
palestra si spalancò con furia e una giovane donna, con una
borsa in
mano, entrò.
Vegeta
la riconobbe subito e ridacchiò.
Era
Echalotte.
Certo
che quella era proprio testarda! Non voleva proprio rassegnarsi alla
sconfitta...
Beh,
meglio per lui!
Dopotutto...
oltre alle sue morbide mutandine bianche, ora possedeva anche il suo
morbido e profumato reggiseno bianco...
Si
avvicinò a lei, sorridendo, e la chiamò:
“Ehilà, bambolina. Come
stai?” “Per favore, Vegeta... almeno tu lasciami in
pace!”
rispose lei, evitando di guardarlo.
Quella
risposta spiazzò il ragazzo.
Quando
l'aveva rincontrata in quella palestra, il giorno dopo aver vinto le
sue mutandine, l'aveva chiamata sogghignando e lei si era infuriata.
Adesso,
invece, la ragazza sembrava... quasi triste...
“Cosa
ti è successo?”
La
domanda gli venne così spontanea che nemmeno lui si rese
bene conto
di averla.
“Fatti
gli affari tuoi!” sbottò Echalotte,
allontanandosi, ma lui,
istintivamente, le prese un braccio.
I
loro immensi occhi neri s'incrociarono e Vegeta sentì
qualcosa di
strano dentro di lui... una specie di miscuglio tra l'ansia e la
gioia...
Entrambi,
imbarazzati, interruppero il contatto, voltando la testa da un'altra
parte, e Vegeta la lasciò andare.
Echalotte,
tuttavia, gli propose: “Se vuoi sapere cos'è
successo...
troviamoci dietro agli spalti del campo da calcio... non c'è
mai
nessuno...”
Vegeta
uscì dalla palestra e, una volta fuori, si mise ad ansimare
profondamente.
Quando
quei magnetici occhi neri si erano uniti ai suoi... gli era sembrato
di non riuscire più a respirare...
Colpa
dello sforzo della precedente lezione... si sentiva persino bollente.
Andò
al bar dietro alla palestra e ordinò una granita alla coca
cola.
Si
sedette a un tavolo e si mise a riflettere...
Chissà
per quale motivo aveva voluto sapere perché quella ragazza
manesca
era così triste...
Diede
un'occhiata alla sua granita e sbiancò.
Quella
granita era di colore nera.
Come
i suoi capelli... ribelli e indomabili come le onde del mare...
O
come i suoi occhi... dallo stesso colore della notte, meravigliosa e
distante...
Quel
colore... il nero... gli ricordava tanto lei...
Echalotte...
Finì
la sua granita e, poi, nervoso e agitato come mai prima di allora,
fece un piccolo giro intorno alla palestra.
Quella
donna, Echalotte... era comparsa nel nulla nella sua vita... e gliela
aveva stravolta completamente, come un uragano!
Ogni
cosa che faceva, ogni frase che diceva, ogni pensiero che creava...
riusciva sempre a collegarlo a lei.
Quella
giovane così testarda ed orgogliosa...
Quando,
il giorno prima, gli aveva consegnato, furente, il reggiseno, come
pegno per la sua seconda sconfitta, aveva sentito uno strano calore
al tocco delle loro mani.
Quando
era tornato nel suo appartamento, aveva guardato a lungo quell'affare
bianco ed elastico, immaginando il seno di Echalotte ed era stato
colto dal desiderio di vederlo nudo e di toccarlo.
Quella
notte, poi, quando aveva sognato di vederla nuda per intero e di far
sesso con lei...
Un
pensiero gli attraversò la mente e lo fece fermare, di colpo.
E
se... si stesse innamorando di lei?!
Non
poteva! Non doveva!
“Io
non devo innamorarmi! Non devo!” si sussurrò,
sperando che, in
qualche modo, quelle parole potessero fare qualcosa.
Se
Echalotte avesse saputo il suo segreto...
“Ehi!”
La
sua voce lo fece sobbalzare.
Anche
se il suo corpo era fermo immobile, dentro di sé si sentiva
nervoso
e agitato.
Questo
perché lei era accanto a lui.
Avrebbe
tanto voluto toccarla... ma era troppo orgoglioso per farlo...
“Allora?”
fu l'unica cosa che riuscì a dire e la ragazza, dopo un
sospiro,
raccontò: “Un teppista di strada mi ha rubato il
mio braccialetto
di perle. Mi è corso addosso e si è scontrato con
me... così me
l'ha rubato.” “E per te era molto
importante?” “Ovvio... era
l'ultimo regalo di mia nonna... l'unica persona nella mia schifosa
famiglia che mi abbia mai amata. I miei hanno sempre pensato al loro
stupido lavoro. Per loro, io non contavo niente. Era la nonna che si
prendeva cura di me. Quando stavo male o ero triste, lei c'era...
purtroppo, due anni fa, un cancro se l'è portata via... mi
aveva
regalato quel braccialetto... e, adesso, un dannato me l'ha
rubato!”
Aveva
appena finito di lamentarsi, che un braccio possente e muscoloso, le
abbracciò la vita.
Echalotte
guardò Vegeta.
Lui
voltò la testa dall'altra parte e non disse niente.
Echalotte
sorrise, mentre appoggiava la testa sul petto di Vegeta.
Adesso,
stava meglio.
Molto
molto meglio...
Vegeta
diede un'altra occhiata all'orologio.
Erano
tre ore che aspettava...
Ma
perché quell'imbecille non veniva?!
Una
superba moto, con una semplice lucchetto, con nessuno tra i piedi...
Ormai,
il sole stava tramontando ma, se fosse stato necessario, avrebbe
aspettato tutta la notte...
Finalmente,
sentì un rumore di passi.
Si
acquattò nel suo angolo e aspettò che il tizio
passasse.
Vide
un ragazzo piccolo e pallido con un sorriso sadico, superarlo.
Non
c'erano dubbi!
Era
lui!
Se
fosse caduto nella sua trappola, avrebbero fatto i conti...
Infatti,
quel nanetto, si fermò davanti al lucchetto della moto e
cominciò a
scassinarlo.
Vegeta
lo lasciò fare...
Voleva
che provocasse più danni alla sua moto...
Quando
pensò che quello stupido avesse fatto abbastanza,
lasciò il suo
nascondiglio e lo afferrò per un braccio, sibilandogli:
“Che
cavolo fai con la mia moto?”
Lui,
colto di sorpresa, gli sferrò un pugno che venne prontamente
parato
da Vegeta.
Tuttavia,
quel pugno gli aveva fatto male.
Una
cosa era certa, quel tizio era forte.
Sarebbe
stato difficile sconfiggerlo.
Finalmente,
aveva trovato un avversario degno di lui...
Echalotte
guardò con tristezza la vecchia e logora fotografia, in cui
vi erano
una vecchia e una bambina.
Lei
e sua nonna...
Quanto
le mancava...
DLIN
DLON
Echalotte,
posò su un comodino la foto e chiese: “Chi
è?” “Sono Vegeta.”
“Lasciami in pace. Oggi non ho voglia di
sfidarti...” “Aprimi e
basta.”
Echalotte
sospirò e aprì il portone.
Che
cavolo voleva quello lì, adesso?
Quando
aprì la porta del suo appartamento, fece fatica a trattenere
un
grido.
Il
ragazzo era pieno di lividi, graffi e aveva un orribile occhio nero.
“Cosa
cavolo ti è successo?!” gli domandò,
preoccupata, la ragazza e
lui, per tutta risposta, le mostrò un braccialetto di perle
e le
domandò: “E' tuo? Era nella tasca di un idiota che
ha cercato di
rubarmi la moto...”
Echalotte
strabuzzò gli occhi.
Era
quello di sua nonna...
“Sì...”
fu tutto quello che riuscì a dire e lui le prese la mano e
le mise
il braccialetto.
Dopodiché,
fece per girarsi e togliere il disturbo ma Echalotte lo
bloccò per
un braccio.
“Aspetta,
Vegeta!”
I
loro occhi s'incrociarono di nuovo, provocando le stesse emozioni e
sensazioni.
“E'
meglio se ti curo un po'... sembri appena uscito da un incontro di
boxe...” disse la ragazza ma Vegeta rifiutò:
“No, grazie.”
“Scusa, ma ti sei visto?! Dire che sei conciato per le feste
è il
minimo...” continuò la ragazza, ma quando
abbassò la testa, per
poco non si mise a urlare.
Il
palmo della sua mano e la mano di Vegeta erano completamente rosse.
Stava
sanguinando.
“Cribbio!
Ma il tuo braccio sta' sanguinando!” urlò la
ragazza, preoccupata,
e Vegeta tentò di minimizzare: “E' soltanto un
piccolo graffio...”
ma non proseguì oltre perché Echalotte lo prese e
lo trascinò nel
suo appartamento.
Lo
fece sedere in malo modo sul divano e, poi, gli ordinò:
“Togliti
la maglietta! Mi auguro che non si sia troppo infettata...”
Echalotte
prese da un armadio il disinfettante, cerotti, bende... poi, quando
si girò verso Vegeta, rimase a bocca aperta.
Era
lì, a petto nudo, con lo sguardo fisso da un'altra parte.
Cercando
di trattenere i violenti battiti del suo cuore, che sembrava volerle
uscire, si avvicinò a lui e, prendendogli il braccio
sanguinante,
cominciò a pulire la ferita.
I
due non si dissero niente, dato che erano entrambi immersi nei loro
pensieri.
Vegeta
guardava di nascosto quella stupenda e orgogliosa ragazza, che varie
volte l'aveva affrontato e che, adesso, per qualche oscura ragione,
stava medicando le sue ferite.
Non
era la prima volta che faceva rissa con qualcuno, nella Casa degli
Scarti succedeva sempre... ma quella era la prima volta che una
ragazza gli curava le ferite, come se fosse un bambino.
Aveva,
infatti, imparato a curarsi da solo le ferite.
Da
quando la sua mamma e il suo papà erano morti, aveva capito
che era
solo al mondo e, pertanto, doveva cavarsela da solo se voleva
sopravvivere.
Eppure,
quella ragazza... non era riuscito a rifiutare il suo aiuto, come non
era riuscito a evitare di cercare il deficiente che l'aveva derubata
per riprendersi il suo braccialetto.
Inspirò
il suo profumo.
Vaniglia...
il suo gusto di gelato preferito...
Echalotte
cominciò a bendargli il braccio.
Dentro
di sé, Vegeta sentì uno strano formicolio.
Avrebbe
tanto voluto baciarla e toccarla.
Avvicinò,
lentamente, la sua mano al corpo di Echalotte e stava quasi per
toccarla quando un pensiero lo bloccò.
E
se lei non avesse voluto che lui la toccasse?!
Ritirò
immediatamente la mano.
Non
doveva
toccarla.
Si
sarebbe comportato come lui
se l'avesse fatto... e lui non era lui...
Echalotte,
intanto, finì di bendargli il braccio.
Mentre
lo curava, Vegeta era rimasto completamente immobile e indifferente,
e per il suo orgoglio era qualcosa di intollerabile.
Non
poteva sopportare che per quello non fosse niente di speciale...
dopotutto quello che provava per lui!
Avrebbe
tanto voluto che la baciasse o, almeno, la toccasse...
Echalotte
alzò lo sguardo.
Ora
toccava al viso, la parte più malridotta di tutto.
Intinse
un fazzoletto di disinfettante e si avvicinò con cautela al
viso.
Visto
da vicino, era ancora più bello e seducente: gli occhi neri
come le
tenebre, i suoi capelli castani, la sua pelle bianca, le sue labbra
rosse...
Avrebbe
tanto voluto baciare ogni cosa del suo viso... ma era troppo
orgogliosa.
I
pensieri di Vegeta erano praticamente identici... ma, oltre al bel
viso di bambola della ragazza, si concentrò sulle altre
forme,
piacenti, di Echalotte.
I
piccoli seni, il suo bel fianco... da qualunque angolatura, lei era
perfetta.
Quanto
avrebbe voluto farla sua...
Poi,
si ricordò di una cosa.
Aveva
sentito dire in giro, che Echalotte aveva avuto il suo primo rapporto
a sedici anni con l'assistente di diciotto anni del suo maestro di
Karate e che, da quel momento in poi, tutte le relazioni che aveva
avuto, erano state con uomini che prendevano lezioni di arti marziali
e tutte quelle relazioni ruotavano intorno al sesso...
Un
nuovo sentimento prevalse in lui.
Un
odio puro verso tutti quei ragazzi che avevano avuto un rapporto
sessuale con Echalotte prima di lui.
Ma
come si erano permessi?!
Nessuno
si sarebbe mai più dovuto avvicinare ad Echalotte e a
permettersi di
penetrare in lei!
Echalotte
era e sarebbe stata per sempre sua!
L'uomo
non riuscì a trattenere un sorriso.
Si
era ingelosito di persone che credeva avessero fatto una cosa che,
invece, non era mai successa.
Infatti,
quando aveva penetrato Echalotte per la prima volta, in quella magica
e indimenticabile notte, aveva fatto una scoperta che l'aveva
eccitato e sollevato.
Echalotte
era vergine.
Aveva
lasciato correre quelle storie sui suoi rapporti immaginari, soltanto
perché si vergognava troppo a dire a tutti che, nonostante
avesse
già ventun anni, non aveva mai avuto un rapporto sessuale
con un
uomo.
Era
stato lui il suo primo rapporto... e la cosa l'aveva da sempre
lusingato.
Era
stato il primo uomo che era penetrato dentro di lei... il primo a
entrare nella sua porta segreta... nella porta segreta della donna
che amava...
“Ehi,
nonno, ma quei personaggi sono gli stessi che si trovano in una carta
che ha il mio fratellone!” esclamò, ad un tratto,
Bra.
Era
così concentrato nei suoi ricordi, da non essersi accorto
che la
pubblicità era finita e che erano iniziati i cartoni animati.
Guardò
il televisore.
Gli
ci volle un secondo per riconoscere il cartone animato che da bambino
l'aveva fatto emozionare...
Ad
un tratto, Bra chiese: “Nonno, quand'eri bambino ti piaceva
questo
cartone?” “Moltissimo, Bra. Facevo di tutto per
guardare gli
episodi in tv e collezionavo le carte da gioco.” “E
qual'era la
tua preferita?” “Quella in cui c'erano i due
protagonisti
insieme... era molto rara, ma a me piaceva perché mostrava
il
rapporto tra i due fratelli... sai, avrei tanto voluto avere una
sorellina...” le rivelò suo nonno, con un sospiro
triste mentre le
accarezzava i capelli.
Bra
stette zitta un attimo, poi ripartì con la sua raffica di
domande:
“Dov'è quella carta, nonno?”
“L'ho persa tre anni fa... in un
piovoso pomeriggio d'autunno ero andato, come al solito, a cambiare i
fiori alla tomba dei miei genitori... sai, sono morti da tanto
tempo... quando mi voltai, vidi un ragazzino che mi fissava.”
Bra
lo fissò, incredula.
“Nonno,
com'era fatto quel ragazzino?” domandò Bra e
l'uomo rispose:
“Doveva avere tra i quattordici e i quindici anni... aveva i
capelli lilla e gli occhi azzurri... ora che ci penso, quel ragazzino
ti assomigliava molto...” “Per caso, mentre te ne
andavi, ti sei
scontrato con la madre del ragazzino?”
“Certo...” “E
aspettava un bambino quella donna?” “Tu come fai a
sapere tutte
queste cose?” “Quel ragazzino era il mio fratellone
e nella
pancia della mamma c'ero io!”
Lui
alzò un sopracciglio.
Quindi
il ragazzino che aveva visto tre anni fa era suo nipote... adesso
capiva perché quel suo sguardo l'aveva sconvolto
così tanto... era
lo stesso sguardo di suo figlio.
Inoltre,
quando gli era passato accanto, aveva sentito uno strano richiamo...
Accarezzò
dolcemente la testa di sua nipote...
Quando
la madre della bambina l'aveva visto nel vicolo, si era messo a
scappare, dato che sarebbe stato duro spiegarle le sue intenzioni...
non si sarebbe mai fermato, eppure la sua voce aveva bloccato, di
colpo, le sue gambe.
“Fermati!”
Quella
voce... l'aveva già sentita...
Adesso,
ricordava quando l'aveva sentita.
Quando
i due si erano scontrati al cimitero.
Una
donna dai corti capelli turchini, vestita di nero e con la pancia
grande.
Con
al suo interno, un piccolo e prezioso tesoro.
Un
piccolo e prezioso tesoro che gli aveva salvato la vita...
“Vedo
che ci avete dato dentro con lo shopping...”
commentò Vegeta,
guardando tutte le borse piene zeppe di vestiti che la moglie
continuava a portare in casa.
“Già.”
annuì Bulma mentre si toglieva la giacca.
Bra
si avvicinò a suo padre e gli domandò:
“Cosa hai fatto di bello,
papà?”
Per
un attimo, alla bambina sembrò che il suo papà la
stesse guardando
in modo strano ma Vegeta, con il suo solito tono brusco, le rispose:
“Ho letto il giornale e guardato la gara di formula uno in
tv.”
Bra
sorrise e, saltellando, si diresse verso la stanza di Trunks.
Appena
aprì la porta, la bambina rimase stupita nel vedere che la
camera
era in gran parte vuota, con scatoloni e valigie.
Trunks
era intento a mettere delle camicie in una valigia ma quando
sentì
la porta aprirsi, alzò la testa e sorrise alla sorellina.
“Ciao,
Bra. Ti sei divertita con la mamma?” la salutò e
Bra rispose con
un semplice “Sì...”
Trunks
si accorse subito che c'era qualcosa che rendeva triste la sorella e
non gli ci volle molto per capire cosa aveva...
“Sei
triste perché presto me ne vado?” le
domandò il fratello,
lasciando perdere i bagagli e avvicinandosi a lei.
“Sì...
temo che tu te ne vada per sempre e che ti dimentichi di
me...”
rivelò la bambina, con una voce roca, come se stesse per
piangere.
Trunks
si avvicinò a Bra e le accarezzò i capelli,
rassicurandola: “Non
temere, sorellina. Anche se andrò via da questa casa, ti
vorrò
sempre bene e mi ricorderò sempre di te... dopotutto, come
si fa a
dimenticarsi di te?”
La
bimba sorrise.
Quelle
parole... erano le stesse che le aveva rivelato suo nonno.
D'istinto,
si portò le mani sul petto e toccò, che
sentì anche se era coperto
dal suo vestito, il ciondolo che suo nonno le aveva dato prima che
lei se ne andasse...
“Che
cavolo guardi?” le domandò suo nonno
all'improvviso, notando che
la bambina continuava a fissarlo e Bra, indicandogli il ciondolo che
portava sempre al collo, disse: “E' bellissimo!”
“Era di mia
madre... è tutto quello che mi resta di lei...” le
confessò
l'uomo, toccandosi il ciondolo con aria triste.
Dopo
averlo toccato, se lo tolse e lo mise al collo della nipote,
dicendole: “Ora è tuo... stacci molto attenta... e
mi raccomando,
non farlo vedere a tuo padre...”
“Promesso!” promise subito la
piccola e poi gli domandò: “Ho qualcosa della tua
mamma?”
Lui
aspettò un attimo, prima di risponderle: “Hai il
suo stesso
sorriso.”
“Ti
senti meglio?” le domandò Trunks e la bimba
annuì.
“Bene,
allora dammi una mano con i bagagli... se facciamo gioco di squadra,
forse, riusciamo a finire prima di cena.” le propose suo
fratello e
la piccola, prendendo uno scatolone, esclamò, prima di
sgattaiolare
via dalla camera: “Va bene. Porto giù le valigie e
gli scatoloni,
così ci si muove meglio.”
Trunks
sospirò.
Sua
sorella cercava il lavoro che richiedeva meno impegno... ma almeno,
aveva, deciso di aiutarlo, non come suo padre che aveva passato tutto
il giorno a leggere il giornale e a guardare la tv senza aiutarlo,
visto che si era cacciato in quel guaio da solo che si occupasse lui
dei bagagli!
Bra,
intanto, si diresse verso il salotto, dove di solito mettevano i
bagagli quando andavano in vacanza.
Forse
non era stata una grande idea, prendere quella scatola.
Non
riusciva a vedere dove stesse andando e, in più, la scatola
pesava
molto...
Ad
un tratto la bambina, inciampò sui suoi piedi e cadde per
terra
mentre i libri all'interno della scatola andavano da tutte le parti.
Sentendo
quello strano tonfo, Vegeta si diresse in direzione del suono e
quando vide la figlia per terra, circondata da vari libri, corse
verso di lei, gridando: “BRA!”
La
sollevò e le chiese: “Ti sei fatta
male?” “No, è tutto a
posto, papà.” lo rassicurò la bambina.
Vegeta
fece un sospiro di sollievo ma, proprio in quel momento, l'occhio si
posò su una strana catenina che Bra portava al collo.
Non
gliela aveva mai vista...
Tirò
su la catenina ed essa rivelò un ciondolo con un sole.
Vegeta
rimase senza fiato.
Quel
ciondolo... non era possibile...
Vegeta
aprì la porta della camera da letto dei suoi e
s'intrufolò dentro.
Nonostante
avesse solo due anni, era già incredibilmente sveglio e
amava
curiosare dappertutto.
Ovviamente,
la stanza da letto dei suoi genitori non faceva eccezione.
Ma
quel giorno non aveva voglia di curiosare in giro.
Doveva
nascondersi.
Da
sua madre e dalla cosa che gli toccava subire e che lui, invece,
odiava con tutto sé stesso.
Il
bagno.
Ma
perché la mamma insisteva tanto per farlo?!
A
lui non piaceva...
Aprì
la porta dell'armadio e si nascose in fondo, tra i vari vestiti.
Lì,
la mamma non l'avrebbe mai beccato di sicuro!
La
porta, ad un tratto, si aprì e il piccolo sentì
un passo pesante
entrare.
Non
era il passo della mamma, doveva essere papà.
Evidentemente,
era tornato a casa dal lavoro... meglio, se non l'avesse visto,
papà
avrebbe detto alla mamma che non c'era nessuno lì e lei non
l'avrebbe cercato.
Ad
un tratto, l'armadio si aprì e Vegeta si ritrovò
faccia a faccia
con suo padre.
Il
bambino lo fissò a lungo.
Fissò
a lungo quello sguardo fiero e orgoglioso e il ciondolo col sole che
portava sempre al collo... avrebbe tanto voluto essere come lui...
Suo
padre, senza dire niente, lo prese per un braccio e lo
trascinò
fuori dall'armadio.
Una
volta fuori dalla stanza, vide sua madre con le braccia incrociate e
suo padre, mentre portava davanti a sé, disse:
“Cercavi questo?”
“Grazie.” lo ringraziò lei mentre
prendeva il bambino.
Mentre
lo trascinava verso il bagno, sua madre disse: “Andiamo,
signorino.
C'è un bel bagno che ti aspetta.”
“Come
l'hai avuto?” sibilò suo padre, guardando con odio
il ciondolo.
Bra
sentì il cuore smettere di battere.
Suo
padre aveva capito di chi era il ciondolo che indossava...
L'uomo,
adirato, si allontanò da lei.
“BULMA!”
urlò, adirato, Vegeta e sua moglie, mentre lo raggiungeva,
domandò:
“Che c'è, Vegeta? Perché
urli?” “L'HAI PORTATA DA LUI, NON E'
VERO?!”
Bulma
sbiancò.
Vegeta
aveva scoperto tutto.
Ma
come aveva fatto?!
Aveva
fatto molta attenzione a non farsi scoprire...
“LO
SO CHE L'HAI PORTATA DA LUI! INDOSSAVA SEMPRE UN CIONDOLO CHE BRA
PORTA PROPRIO ADESSO AL COLLO! L'HAI LASCIATA DA LUI MENTRE ANDAVI A
FARE SHOPPING, NON E' VERO?!” le domandò furente
Vegeta e Bulma
ammise: “Sì.” “TI AVEVO DETTO
CHE NON VOLEVO CHE LUI SI
AVVICINASSE A BRA! PERCHE' DIAMINE L'HAI PORTATA DA LUI?!”
“Perché
non volevo che Bra stesse male per colpa tua! Lei gli vuole
bene!”
“NON ME NE FREGA NIENTE! BRA DOVEVA STARGLI
LONTANO!” “BRA E'
COME TE! SE NON L'AVESSI PORTATA IO DA TUO PADRE CI AVREBBE PENSATO
DA SOLA!” “CERTO, PERCHE' E' UNA MALEDETTA ZUCCONA
COME TE, CHE
NON CAPISCE CHE DEVE STARE LONTANA DA QUEL MOSTRO!”
“ALLORA,
ANCH'IO HO FATTO LA STESSA COSA IN PASSATO! TUTTI MI DICEVANO DI
STARE LONTANA DA TE PERCHE' ERI PERICOLOSO MA IO HO DECISO DI
ASCOLTARE IL MIO CUORE! E HO PRESO LA DECISIONE MIGLIORE DELLA MIA
VITA!” “CIO' NON VALE PER MIO PADRE!”
“INVECE SI', VEGETA!
PERCHE' VOI DUE SIETE IDENTICI!” “NO! ABBIAMO SOLO
L'ASPETTO
FISICO IN COMUNE MA IL NOSTRO CARATTERE E' COMPLETAMENTE DIVERSO! LUI
E' MALVAGIO ED EGOISTA!” “NON E' VERO!”
Il
piccolo urlo fece, immediatamente, bloccare il litigio.
Marito
e moglie si girarono e videro la piccola Bra che li fissava.
“Bra,
non sono questioni che ti riguardano!” le disse Vegeta,
cercando di
mandarla via, ma la bambina non voleva saperne: “Stai
parlando di
mio nonno, di un mio amico! Quindi la cosa mi riguarda!”
“Sei
solo una bambina di tre anni, Bra. Non puoi capire certe
cose!”
“Però ne capisco altre!” “Non
puoi capire le cose che sono
legate a tuo nonno!” “Invece
sì!” “E cosa te lo fa
credere?!” “Il fatto che io lo conosca molto
più di te!”
Il
silenzio cadde nella stanza.
Vegeta
strinse forte un pugno.
Sua
figlia aveva maledettamente ragione... era lei, in quella casa che lo
conosceva meglio di tutti!
Bra,
capendo di aver colpito nel segno, continuò: “Ma
anche se lo
conosco... ci sono ancora tante cose che non so di lui! E io voglio
conoscerle tutte! Perché è mio nonno! Se vuoi non
vuoi provare a
parlargli, nessuno te lo impedirà, ma non impedirmi
più di vederlo!
Altrimenti la storia della nostra famiglia si ripeterà di
nuovo, con
un figlio che odia il proprio padre!”
Vegeta
rimase in silenzio.
Sua
figlia aveva ragione: aveva rischiato di far ripetere quell'orribile
storia d'odio anche alla sua famiglia... per soddisfare il suo odio e
il suo orgoglio.
Si
voltò e, mentre si dirigeva verso la sua camera da letto,
disse: “Va
bene... se proprio ci tieni, puoi andare a trovarlo e stare con
lui... basta che me lo tieni lontano!” |
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Capitolo 19 *** Nonno e nipote ***
CAPITOLO
19: NONNO E NIPOTE
BRIIIPP
L'uomo
si avvicinò al citofono e domandò:
“Sì?” “Nonno, sono
io.”
Sorrise
d'istinto.
Era
arrivata.
Schiacciò
un pulsante che fece aprire la porta all'ingresso, poi aprì
la porta
del suo appartamento e si mise ad aspettare.
Ad
un tratto, la porta dell'ascensore si aprì e una bambina con
i
capelli turchini corse verso di lui, dicendo:
“Nonno!”
Lui
si mise ad accarezzarle la testa e quando alzò la testa si
accorse
di un secondo individuo.
Era
alto, con gli occhi azzurri e i capelli a caschetto lilla.
Doveva
essere Trunks, il figlio maggiore di Vegeta, quello che si stava per
sposare con la fidanzata incinta... proprio come lui ed Echalotte
avevano fatto...
“Tu
devi essere Trunks...” fu tutto quello che riuscì
a dire.
L'imbarazzo
tra i due era palese.
“Sì...”
annuì il ragazzo e suo nonno chiese: “Vuoi
entrare?” “Solo per
pochi minuti... dopo devo organizzare alcune cose per il mio
matrimonio...”
Trunks
entrò e l'uomo, aprendo il suo frigorifero
domandò: “Cosa vuoi?
Acqua, coca, succo di frutta...” “Solo un bicchiere
d'acqua.”
rispose Trunks.
Mentre
il ragazzo beveva, l'uomo gli domandò: “A che ora
pensi di venire
a prendere Bra?” “Credo che verrà mia
madre a prenderla...
comunque penso verso le otto... cosa avete intenzione di
fare?”
“Magari la porto alla fiera che c'è in
piazza...” “Ottima
idea. A Bra piacciono le fiere... quando arrivano le giostre vuole
provare tutte le attrazioni... fa' attenzione ai soldi.”
I
due ridacchiarono, divertiti.
Anche
se vi era ancora un po' di tensione tra i due, si stava lentamente
sciogliendo.
“Tieni.”
disse, ad un tratto, Trunks tirando fuori dalla tasca una carta.
L'uomo
la prese e la riconobbe subito.
Era
la sua carta, quella che aveva perso tre anni prima.
“L'ho
conservata per restituirla al suo legittimo proprietario...”
disse
Trunks “E quel proprietario sei tu... nonno...”
L'uomo
lo fissò a lungo, in silenzio.
L'aveva
chiamato nonno...
Quel
ragazzo... aveva accettato il fatto che fosse suo nonno... proprio
come Bra...
Con
amarezza, si accorse che, mentre i suoi nipoti l'avevano accolto
nelle loro vite quasi subito, i suoi figli, soprattutto Vegeta, non
accettavano il fatto che fosse ritornato.
Come
dare loro torto?
Loro
avevano vissuto il suo abbandono in prima persona.
Trunks
e Bra avevano solo sentito quella storia ma loro... loro l'avevano
provato sulla propria pelle.
Avevano
affrontato, completamente da soli, gente che li prendeva in giro,
solitudine e dolore... non poteva di certo biasimarli.
Più
volte, in quei giorni, era stato preso dalla tentazione di chiedere a
Bra il nome del suo secondo figlio, quello che lui non conosceva, ma
alla fine aveva rinunciato.
L'avrebbe
solo fatto soffrire di più...
E,
poi, non poteva presentarsi davanti a suo figlio dopo essersene
andato quando non era nemmeno nato...
Il
rumore della sedia spostata da Trunks lo riportò tra i vivi.
“Io
vado... ci vediamo...” disse il ragazzo, prima di uscire.
L'uomo
si voltò e guardò di nascosto la bambina di tre
anni che si era
messa a disegnare qualcosa sul pavimento con le matite colorate.
Due
giorni prima, la bambina gli aveva detto che le sarebbe piaciuto
molto avere delle matite colorate così da disegnare tutte le
cose
belle che faceva assieme al nonno e, quello stesso giorno, non appena
se n'era andata, era corso all'edicola per comprarle.
Così,
adesso, la bambina si dedicava anima e corpo a quei piccoli
scarabocchi infantili.
“Ehi.”
le disse, ad un tratto “Rimettiti le scarpe che andiamo
fuori.”
“Andiamo alla fiera, vero?”
“Certo.” “Grazie, nonno.”
“Mi
raccomando, copriti bene, sennò tuo padre mi
uccide...”
“Grazie
per tutto l'aiuto che ci stai dando, nonna.” “Ma
figurati,
Trunks, lo sai che mi fa molto piacere aiutarti.”
Trunks,
assieme a sua madre e a Mai, si trovava nella soffitta della vecchia
casa di sua nonna.
Echalotte
aprì un vecchio e logoro baule e tirò fuori un
lungo abito da sposa
bianco.
“Allora?
Che ve ne pare?” domandò la donna e Bulma e i due
fidanzati
annuirono.
Poteva
andare.
“E'
molto carino...” sussurrò Mai mentre Trunks
aggiungeva: “In
confronto al vestito che ci ha proposto mia nonna Panchy...”
Tutti
i presenti scoppiarono a ridere.
Era
impossibile dimenticare quell'enorme abito tutto pieno di fiocchi,
che faceva assomigliare una donna più a un pacco regalo che
a una
sposa.
Nascondeva
la pancia di Mai, però... era troppo imbarazzante!
“Ho
cercato di tenere mia madre lontana da questa storia, ma non
c'è
stato nulla da fare! Persino quando io mi sono sposata, ha voluto a
tutti i costi costringermi a indossare il suo abito da
sposa...”
raccontò Bulma, mentre sospirava per i bizzarri e svampiti
comportamenti di sua madre.
Echalotte
prese il vestito e si diresse verso la porta, dicendo:
“Sarà
meglio che lo indossi. Bisogna vedere quanto rivela la
pancia.”
Il
gruppo scese le scale e raggiunse la camera da letto della donna.
Una
volta arrivati, Echalotte passò il vestito a Mai e fece
uscire tutti
dalla stanza.
Dopo
un po', Echalotte domandò alla nuora e al nipote:
“Dov'è Bra?”
Bulma
e Trunks sbiancarono.
Non
potevano raccontarle che Bra era casa di suo marito, l'uomo che
l'aveva abbandonata...
“E'
a casa nostra, assieme a Vegeta.” le mentì Bulma,
con una rapidità
incredibile.
Non
le piaceva per niente mentirle, aveva subito abbastanza dalla vita,
ma era ancora troppo presto per rivelarle che suo marito era
tornato...
Echalotte
fece un semplice “Ok.” e si mise ad aspettare Mai.
Ricordava
ancora quando aveva indossato lei quell'abito, il giorno in cui
avrebbe dovuto legare per sempre la sua vita a quella del suo
Vegeta...
Quel
giorno era stata così felice... si stava per unire in
matrimonio
all'uomo che amava e aspettava già il loro bambino...
Allora
aveva creduto che sarebbero stati insieme per sempre ma, poi, lui
aveva preferito un'altra donna e se n'era andato... per sempre...
Gli
altri dicevano che era naturale che se ne fosse andato, dato che si
erano sposati solo perché era incinta... ma ciò
che loro non
sapevano, era che, in realtà, volevano solo un motivo per
sposarsi.
Erano
entrambi troppo orgogliosi per dire davanti a tutti che si amavano,
perciò speravano che succedesse qualcosa che, all'opinione
pubblica,
il loro matrimonio apparisse più come un dovere piuttosto
che a
un'unione d'amore.
Mentre
guardava fuori dalla finestra, Echalotte ricordò il momento
in cui
aveva rivelato a Vegeta che era incinta di lui...
Echalotte
si mordicchiò un'unghia con nervosismo.
Ma
quanto ci metteva?!
Eppure
l'aveva pregato di arrivare subito!
Quell'attesa
la rendeva nervosa perché voleva solo finirla in fretta.
Si
diede un'occhiata in giro.
Il
parco dietro all'università era, come al solito, vuoto e
nessuno
avrebbe sentito niente.
Che
figura ci avrebbe fatto se si fosse saputo che la sera in cui loro
due dovevano fare la relazione di storia era rimasta incinta?!
Ma
come aveva potuto essere così stupida da dimenticarsi il
preservativo?!
Per
istinto, guardò verso un cespuglio che lei avrebbe
riconosciuto
dappertutto.
Quello
in cui, un anno prima, si era tolta i pantaloni per consegnare a
Vegeta le sue mutandine, dato che questo era il prezzo della sua
sconfitta.
Echalotte
si accarezzò il grembo.
Allora
non avrebbe mai immaginato che si sarebbe innamorata perdutamente di
quel teppista pervertito e che avrebbe aspettato un bambino da lui...
VROOOUUUMMM!
Echalotte
alzò la testa, sconvolta.
Il
rombo di una moto.
Lui
era arrivato.
Infatti,
Vegeta si avvicinò con passo calmo e sereno verso di lei e
le aveva
chiesto, con tranquillità: “Che è
successo? Perché mi hai
chiamato?” “Sono incinta.” gli disse,
puntando dritto al sodo.
Aveva
sempre odiato perdere tempo...
Mentre
si allontanava, aggiunse: “Ho intenzione di tenere il
bambino. Se
non vuoi prenderti le tue responsabilità non ha alcuna
importanza.
Volevo solo avvertirti.” “Aspetta un
momento!” esclamò Vegeta,
afferrandola per un braccio.
I
loro occhi neri s'incrociarono, creando un effetto magico e
misterioso.
“Stammi
bene a sentire. Pensi che ti molli così?! Quello che porti
in grembo
è anche mio figlio, sai?” le disse, continuando a
guardarla e
lasciando Echalotte senza parole.
“Come
sto?” domandò Mai mentre apriva la porta.
Era
un abito molto lungo e senza maniche.
Nonostante
ciò, era molto semplice e carino.
“Ti
sta molto bene.” le disse Bulma, sorridendo, e Mai
arrossì.
“Tuttavia...”
fece notare Echalotte “Il ventre è molto
visibile... bisognerà
fargli dei ritocchi... e, poi, è un po' troppo fuori
moda.”
Prese
per un braccio la ragazza e la ricondusse in camera e, prima di
chiudere la porta, avvisò: “Mi occupo io del
vestito. Vedrete,
sarà così bello che tutte creperanno
dall'invidia.”
Bra
strinse con più forza la gigantesca mano di suo nonno.
C'era
un sacco di gente e, poi, c'erano molti rumori forti e odori di tutti
i tipi che si mescolavano con l'aria fredda e frizzantina.
“Tutto
ok?” le domandò suo nonno e la piccola
annuì con la testa.
Si
mise a guardare, con molta attenzione, tutte le bancarelle che
c'erano: una vendeva articoli per cucinare, un'altra pianta, alcune
giocattoli...
Ad
un tratto, la bambina notò un posto dove facevano gli hot
dog e
altri tipi di panini.
“Nonno,
ho fame.” gli disse subito “Mi compri un hot
dog?” “No.” fu
l'immediata risposta ma Bra, cominciando a saltellare attorno a lui,
continuò a insistere: “Eddai, per
favore.” “Ho detto di no.
Non insistere.” “Ti preeeego.”
“Falla finita, Bra! Non cederò
per due occhi azzurri!”
“Desidera,
signore?” “Due hot dog, uno col ketchup e l'altro
senza niente,
una vaschetta con le patatine fritte e due bottigliette di acqua
frizzante.”
Il
signore del chiostro, prima di cominciare a preparare,
guardò a
lungo quello strano uomo che teneva per mano una bambina coi capelli
turchini di pochi anni.
Sembrava
che fosse imbarazzato nell'ordinare...
Comunque,
di gente strana nel mondo ne aveva vista anche fin troppa...
l'importante era che pagavano...
L'uomo
continuò a essere rosso per un bel pezzo.
Aveva
detto a sua nipote che non avrebbe ceduto eppure, alla fine, era
successo.
Che
tremenda figura per il suo orgoglio...
Una
volta che il signore del chiostro ebbe preparato tutto, l'uomo si
sedette, assieme a Bra, in uno dei posti liberi attorno al chiostro e
cominciarono a mangiare.
I
due mangiarono in silenzio.
Bra
perché voleva assaporare il cibo, e anche perché
sua madre le aveva
detto che le bambine beneducate non parlano con la bocca piena,
mentre suo nonno perché era ancora confuso su tutto quello
che gli
stava succedendo.
Per
tanti anni, aveva vissuto da solo, senza nessuno, evitando di
riprendere i contatti con la sua famiglia... eppure, adesso, era
tornato di nuovo in contatto con essa.
O,
almeno, in parte...
In
parte era felice di quello che stava accadendo e che la sua vita
stava smettendo di essere buia e fredda... ma aveva paura.
Paura
di combinare di nuovo qualcosa e di distruggere la sua
felicità e,
soprattutto quella di Bra...
Avrebbe
impedito che Bra soffrisse a causa sua...
Lei
era stata l'unica a perdonarlo...
Quando
i due finirono di mangiare, l'uomo si accorse che Bra lo stava
guardando sorridendo.
Sentiva
puzza di guai...
“Mi
porti al parco giochi?” domandò la bambina e, poi,
si mise a
pregarlo “Ti prego, ti prego, ti prego.”
Lui
sbuffò e, prima di alzarsi, commentò:
“Tuo padre ti ha viziata
troppo.”
Il
parco giochi era deserto e pieno zeppo di neve.
“Sta
lontana dal lago ghiacciato. Potrebbe rompersi.” si
raccomandò
l'uomo e la nipote annuì.
Una
volta che ebbe promesso, Bra si mise a correre verso il castello e
cominciò ad arrampicarsi su di esso, per poi scendere
giù dallo
scivolo.
Suo
nonno, nel frattempo, si sedette su una panchina del parco e si mise
a osservarla, in silenzio.
Con
la mente, pensò all'unica volta in cui aveva visto suo
figlio Vegeta
giocare in un parco giochi.,,
Dopo
aver guardato mille volte se c'erano delle macchine
attraversò la
strada.
Mentre
camminava verso casa sua, vide il sentiero che portava al parco.
Da
lì avrebbe fatto molto più in fretta...
Mentre
camminava, vide il parco giochi e notò un bambino che stava
cercando
di salire.
Non
gli ci volle molto per riconoscere suo figlio Vegeta.
Nonostante
avrebbe compiuto tre anni tra un mese, quel piccoletto voleva fare
tutto quello che facevano i grandi.
L'osservò
in silenzio, mentre il bambino si arrampicava sulla scala di corda
del castello.
Nonostante
fosse troppo duro per lui, non intendeva arrendersi.
Era
proprio suo figlio...
Finalmente,
Vegeta riuscì a raggiungere la cima e si mise a saltellare,
contento
della sua vittoria.
Mentre
saltava, si girò e si accorse di lui.
Emozionato,
Vegeta lo salutò, sperando di ottenere da lui un sorriso o,
almeno,
un gesto che gli facesse capire che era fiero di lui...
Rimase
immobile, indeciso sul da farsi.
Era
fiero e orgoglioso di suo figlio, che nonostante fosse ancora
piccolo, si era arrampicato, completamente da solo, su un castello
del parco, ma si vergognava troppo per dirglielo.
Alla
fine, si voltò e si allontanò, sotto lo sguardo
amareggiato e
triste del figlio.
“Scusa,
ma tu...”
L'uomo
si voltò, stupito da quella improvvisa interruzione.
Davanti
a lui, c'era un uomo con i capelli neri a palma, gli occhi neri e uno
sguardo molto ingenuo che teneva per mano una bambina di quattro anni
con i capelli a caschetto neri e grandi e vivaci occhi dello stesso
colore.
“Lei...
è il padre di Vegeta?” domandò,
allibito, l'uomo e l'altro
rispose: “Sì.” “Mi chiamo
Kakaroth, ma tutti mi chiamano
Goku.” “Ah, ho capito. Sei il figlio di Bardack...
assomigli
molto a tuo padre.”
In
effetti, era rimasto molto sorpreso quando l'aveva visto.
Quell'uomo,
Kakaroth, era identico a Bardack da giovane, quando non aveva ancora
nessuna cicatrice sulla guancia.
Ora
che ci pensava meglio, prima che se ne andasse, Bardack aveva avuto
un altro figlio e sua moglie Gine aveva pensato di chiamarlo Kakaroth
in quanto Bardack le aveva raccontato del tremendo odio che suo
figlio Vegeta provava per quel nome e lei aveva pensato che fosse un
nome bellissimo e perfetto per il figlio che stava per nascere.
“Pan!”
urlò la vocina di Bra e l'uomo vide la nipote correre verso
la
bambina che Kakaroth teneva per mano.
“Ciao,
Bra.” rispose la bambina coi capelli neri di nome Pan mentre
Bra le
raccontava: “Sono in giro con mio nonno... andiamo a
giocare?”
“Sì.” annuì Pan e insieme si
misero a fare un pupazzo di neve.
“Posso
sedermi?” domandò Kakaroth indicando il lato della
panchina
lasciato libero e lui rispose, seccato: “Fa come
vuoi...”
I
due fissarono in completo silenzio, le due bambine che giocavano.
“Sono
carine insieme, non trova?” domandò, ad un tratto,
Kakaroth e
l'uomo, evitando il suo sguardo, annuì:
“Sì...” “Il legame
tra me e mia nipote si è creato subito.”
Si
voltò a guardarlo, incredulo.
Cosa
intendeva?
Quasi
ad avergli letto nel pensiero, Kakaroth spiegò:
“Fin da quando Pan
è nata... io e lei non riuscivamo a stare lontani. E' stato
amore a
prima vista. Io... farei qualunque cosa per vedere il suo
sorriso.”
L'uomo
rimase a guardarlo, in silenzio.
Non
l'avrebbe mai ammesso ma... era la stessa cosa che era successa a lui
con Bra.
All'inizio
non aveva voluto ammetterlo ma... tra lui e Bra era stato amore a
prima vista.
Non
erano mai riusciti a stare lontani l'uno dall'altra... erano legati
da un filo sottile e resistente... lo stesso filo che lo legava a sua
moglie Echalotte.
In
più, la sua più grande paura era di perdere il
sorriso di Bra.
Avrebbe
fatto di tutto per impedire alla nipote di non soffrire a causa sua.
Aveva
già fatto soffrire troppe persone...
“Nonnino!”
La
piccola Pan aveva smesso di fare il pupazzo di neve assieme a Bra e
si era diretta a tutta velocità verso suo nonno.
La
bambina si fermò davanti a suo nonno e gli
raccontò: “Bra mi ha
raccontato che a volte suo nonno la chiama Cappuccetto
Rosso.”
“Quindi, tesoro?” domandò, stupito,
Goku, grattandosi la testa,
mentre il padre di Vegeta alzava gli occhi al cielo.
Aveva
capito dove voleva arrivare la bambina...
“Quindi
vuole che anche tu le dia un soprannome.” gli
rivelò, seccato,
l'uomo e Goku, un po' imbarazzato, balbettò:
“Ah... capisco...
grazie...”
Goku
si mise a rimuginare per molti minuti, finché non
esclamò: “Ho
trovato! Che ne dici di Peter Pan?” “Eh?”
si lasciò scappare
l'altro, esterrefatto.
Ma
gli sembrava il soprannome per una bambina?!
Tuttavia,
Pan sembrò non farci affatto caso: “Bello, Peter
Pan... e tu come
ti chiamerai nonno?” “Io proporrei Spugna dato che
avete entrambi
la stessa intelligenza.” propose il padre di Vegeta e Goku
esultò:
“Mi piace come nome. Grazie mille.”
L'uomo
rimase in silenzio.
Kakaroth
poteva essere identico a Bardack nell'aspetto ma in quanto ad
intelligenza... era un altro paio di maniche!
Ad
un tratto, Kakaroth guardò l'orologio che aveva al polso e
sussultò:
“Oh mamma mia, è tardi, tardissimo! Beh... alla
prossima!” e,
dopo aver preso per mano la nipote, uscì dal parco a tutta
velocità.
L'uomo
si mise a fissare, in silenzio, sua nipote, che era davanti a lui, e,
mentre si alzava dalla panchina, le disse: “Su, andiamo anche
noi.
Ormai è tardi.” “Aspetta!” lo
fermò Bra, prendendogli la
mano.
Lui
la guardò e le domandò, sentendo già
puzza di guai: “Cos'altro
c'è, Bra?” “C'è un peluche
che vorrei tanto avere...” rispose
la bambina un po' timidamente e suo nonno, alzando gli occhi al
cielo, sbuffò: “Tu mi farai finire sul
lastrico.”
“La
prossima volta che desideri un peluche, fammi il piacere di avvisarmi
che è il premio di una bancarella!”
Bra
fece un sorrisetto da furbetta e poi disse: “Pan al parco mi
ha
raccontato che suo nonno ha vinto un enorme orso di peluche solo per
lei...” “E immagino che tu non volevi essere un
passo indietro
alla tua amichetta, non è vero?” “Per
favore, nonno... ci tengo
tanto...”
L'uomo
sospirò, poi si avvicinò al bancone e disse
all'uomo: “Desidero
giocare.” “Quante partite, signore?”
“Una e basta.”
Mentre
pagava la partita, Bra si avvicinò a lui e gli fece notare:
“Ma
nonno... se fai una sola partita non c'è molta speranza che
tu
vinca... Trunks, quando giocava alla fiera, doveva giocare ben cinque
partite prima di colpire almeno un omino...”
“Aspetta e vedrai,
Cappuccetto Rosso.”
L'uomo
prese in mano la pistola che il venditore gli diede e rimase immobile
finché il tizio del bancone non fece partire il gioco.
BANG
BANG BANG BANG BANG BANG BANG
C'era
sette omini che si muovevano e, in appena sette secondi, non ce n'era
più neanche uno.
Il
venditore e Bra, come tutti i presenti, fissarono ammutoliti,
quell'uomo che con destrezza e agilità aveva eliminato in
poco tempo
tutti gli omini del gioco.
Il
nonno della bambina, infischiandosene della folla, posò la
pistola
sul banco e domandò alla nipote: “Allora, Bra?
Quale peluche
vuoi?”
“Tieni.
Fa attenzione che scotta.” “Grazie,
nonno!”
La
prese la tazza di cioccolata calda della mani del nonno e la mise di
fianco a sé mentre finiva di colorare il suo disegno, con in
braccio
sempre l'enorme peluche a forma di tigre col pelo bianco e gli occhi
azzurri.
Suo
nonno si sedette all'altro lato del tavolo e, mentre beveva la sua
cioccolata calda, si mise a guardarla mentre la bambina disegnava
tutta contenta.
Gli
sarebbe tanto piaciuto allungarle la mano e accarezzarle la testa...
ma era troppo orgoglioso per farlo...
“Nonno...”
gli domandò all'improvviso Bra, come se gli avesse letto nel
pensiero “Mi accarezzi la testa?” “Se
proprio ci tieni...”
commentò lui, allungando la sua grande mano e cominciando ad
accarezzarle i capelli turchini.
Era
morbidi e setosi... inoltre, avevano lo stesso colore del mare... e a
lui il mare era sempre piaciuto...
Aprì
la stuoia e, dopo averla sistemata, si sedette su di essa e si mise a
guardare il mare.
Quel
giorno, il cielo era nuvoloso e il mare era grigio e mosso.
Tirò
fuori dallo zaino il suo quaderno e cominciò a disegnare
quel mare
su una pagina bianca.
“Cosa
disegni?”
La
sua voce lo fece sobbalzare.
Lei
era lì.
Come
poteva evitarla se continuava ad apparire nella sua vita?!
“Non
sono cose che ti riguardano, bambolina.” sbottò
lui, evitando di
guardarla negli occhi.
Quando
la guardava si sentiva strano... fragile...
Ma
perché diavolo si era innamorato?!
Per
tutta risposta, Echalotte gli prese dalle mani il suo quaderno e si
mise a sfogliare le pagine.
“Ehi,
chi ti ha dato il permesso di guardarlo?!”
protestò, seccato,
Vegeta e la ragazza gli rispose, prontamente:
“Nessuno.” “Brava.
E allora ridammelo!” “Scordatelo! Così
impari a chiamarmi
bambolina!”
Ad
un tratto, Echalotte smise di sfogliare le pagine e cominciò
a
guardare, con molta attenzione un disegno.
Vegeta
impallidì.
L'aveva
visto...
“Ehi,
Vegeta, ma chi è questa donna?” domandò
la ragazza mostrandogli
il disegno che l'aveva colpita.
Rappresentava
una giovane donna bellissima, con i capelli lunghi e il corpo coperto
da lunghe ali bianche.
Ma
la cosa che attirava l'attenzione era il suo sorriso.
Un
sorriso dolce, gentile e pieno d'amore.
“E'
mia madre...” confessò Vegeta, abbassando lo
sguardo, mentre
Echalotte commentava: “Davvero?! Uao, è
bellissima! A giudicare da
questo sorriso doveva essere una donna molto dolce...”
“Già...
peccato che con lei, la vita sia stata ingiusta e crudele...”
sussurrò Vegeta ed Echalotte, notando lo strano tono di
Vegeta,
decise di cambiare discorso.
Echalotte
continuò a sfogliare le pagine finché non
trovò un altro disegno
particolare.
C'era
un uomo con delle grandi ali bianche che voleva in un mondo pieno di
luce mentre, dall'altra parte del disegno, un bambino, che riconobbe
essere Vegeta per via della capigliatura, con delle grandi ali nere,
volava a testa bassa verso un regno di tenebre.
“Ehi,
Vegeta, ma questo è tuo padre?” chiese la ragazza
mostrando al
giovane il disegno.
“Sì...”
ammise lui ed Echalotte continuò con le sue domande:
“E questo
bambino sei tu?” “Ovvio...”
“Perché non sei vicino a tuo
padre?” “Non posso stare accanto a mio
padre...” “Come mai?”
“Perché gli ho fatto una cosa orribile... una cosa
che nessuno
potrà mai perdonarmi... soprattutto lui...”
sussurrò lui,
sedendosi sulla stuoia e guardando, in silenzio, il mare.
Echalotte
si sedette accanto a Vegeta.
Una
volta accortosi di lei, tentò di scacciarla:
“Voglio stare da
solo...” “Non potrai mai stare da solo.”
“E come mai?”
“Perché noi umani abbiamo bisogno dei nostri
simili. Adesso, tu
hai bisogno di me.”
Vegeta
sospirò e si mise a fissare il mare con accanto Echalotte,
una donna
meravigliosa e profonda proprio come il mare...
BRIIIPP
L'uomo
si risvegliò dai suoi ricordi al suono del citofono.
Doveva
essere Bulma che era venuta a prendere Bra...
Si
avvicinò al citofono e domandò:
“Sì?” “Ciao...”
Sgranò
gli occhi e per poco non fece cadere il telefono del citofono.
Aveva
riconosciuto benissimo quella voce... |
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Capitolo 20 *** Il muro del silenzio e dell'orgoglio ***
CAPITOLO
20: IL MURO DEL SILENZIO E DELL'ORGOGLIO
Vegeta
rimase immobile davanti alla porta, aspettando la risposta di suo
padre.
Ma
perché diavolo aveva avuto quell'assurda idea?!
Avrebbe
tanto voluto mordersi la lingua per quella proposta, tanto cretina
quanto improvvisa, che aveva fatto a Bulma quando gli aveva
telefonato...
Vegeta
diede alzò la testa dal suo giornale e guardò
l'ora.
Le
otto meno un quarto.
Fra
un po', Bulma, Trunks e Bra sarebbero ritornati a casa...
DRIIIINNN
Il
telefono squillò e Vegeta, prontamente, lo prese.
“Pronto?”
domandò e sentì la voce di Bulma:
“Ciao, Vegeta. Ascolta, io e
gli altri faremo un po' più tardi del previsto...”
“Come mai?”
“Siamo andati al ristorante per prenotare il banchetto...
solo che
c'era anche mia madre e...” “Non aggiungere altro.
Ho capito.”
la interruppe Vegeta.
Non
poteva certo dimenticarsi di quella matta della madre di Bulma...
molto probabilmente aveva costretto la figlia e il nipote a fare un
giro di tutti gli organizzatori di matrimonio della contea... quando
Trunks desiderava solo un matrimonio semplice per lui e Mai...
“Molto
probabilmente torneremo alle nove e mezza.”
continuò Bulma e
Vegeta le domandò: “E con Bra che cosa
farai?” “Beh...
ecco...” balbettò Bulma e poi, abbassando la voce,
gli rispose:
“Pensavo di chiamare tuo padre e di dirgli di tenerla ancora
un
po'...”
Vegeta
non si stupì del fatto che Bulma parlasse sottovoce.
Sua
madre era venuta con loro... ed era meglio che non sapesse che
l'aveva trovato... anche perché nessuno sapeva come avrebbe
reagito
Echalotte alla notizia del ritorno di suo marito...
“Posso
andare a prenderla io.”
Le
parole gli uscirono dalla bocca prima che avesse il tempo di
bloccarle.
Il
telefono rimase muto un attimo e, poi, si sentì di nuovo la
voce di
Bulma: “Vegeta... ti senti bene?” “Certo
che sì! Voglio solo
andare a prendere mia figlia! Conosco tua madre e so già
che, come
minimo, finirete a mezzanotte!” “Sì,
ma... il fatto e che... sai
bene chi c'è con lei...” “Andiamo,
Bulma. Vado lì, lui me la fa
uscire e me ne torno a casa. Non dovrò subire la sua
presenza per
molto!” “Se ne sei proprio sicuro,
Vegeta...”
Adesso
lui era lì.
Davanti
alla porta del palazzo in cui suo padre abitava.
Quando
aveva fatto quell'inaspettata proposta, non aveva nessuna ansia e
preoccupazione... ma adesso, si sentiva strano.
Era
come se... fosse in ansia perché lo stava per rivedere...
L'ultima
volta che l'aveva visto, gli aveva dato uno schiaffo e gli aveva
urlato contro... aveva ceduto alla rabbia che aveva covato in tutti
quegli anni per suo padre... e glielo aveva fatto provare...
Col
passare del tempo, tuttavia, si era un po' abituato al fatto che lui
fosse tornato nella sua vita... e sopportava di più il fatto
che Bra
passasse del tempo con suo padre...
Suo
padre aveva ragione.
Non
riusciva a spezzare il legame che li univa.
In
più, dentro a suo padre, c'era il rene che aveva donato per
salvarlo, anche se lui non sapeva all'epoca che era lui il
ricevente...
Dopo
un attimo di silenzio, riuscì a dire: “Sono venuto
a prendere Bra.
Bulma e Trunks sono più impegnati del previsto.”
TRRRIIIINNN
Vegeta
fece un sospiro e aprì la porta, incamminandosi verso
l'ascensore.
Era
meglio se nessuno lo vedeva.
Dopo
aver digitato il piano, Vegeta si appoggiò alla parete,
aspettando
di arrivare alla sua destinazione.
Era
nervoso.
Il
pensiero di rivedere, anche solo per un attimo, suo padre, lo rendeva
nervoso e agitato...
DING
L'ascensore
si bloccò e la porta si aprì.
Era
arrivato.
Uscì
dall'ascensore e lo vide.
Era
davanti alla porta del suo appartamento, con le braccia incrociate
che lo fissava in silenzio.
Vegeta
si avvicinò a lui e rimase in completo silenzio.
Non
sapeva cosa dirgli...
Suo
padre si voltò verso il suo appartamento e disse:
“Bra! C'è tuo
padre.”
Immediatamente,
una chioma turchina fece capolino dalla porta e mostrando un'enorme
tigre bianca, esclamò, tutta contenta:
“Papà! Guarda cosa mi ha
regalato il nonno!” “Carino... vestiti, che
torniamo a casa.”
“Oh no! Ti prego, papà. Voglio restare ancora un
po'...” “Non
se ne parla! Si torna a casa!”
Vedendo
che era inutile insistere con suo padre, Bra gli domandò:
“Puoi
aspettare un attimo? Devo finire una cosa.” “Va
bene, ma che sia
breve!” acconsentì, seccato, Vegeta e Bra
scomparve da qualche
parte.
Vegeta
e suo padre rimase lì, immobili, nel corridoio del palazzo.
“In
attesa che Bra torni, puoi entrare.” propose suo padre
aprendogli
molto di più la porta e Vegeta, entrando nell'appartamento,
disse:
“Grazie.”
Vegeta
si sedette sul lato sinistro del divano mentre suo padre in quello
destro.
I
due fingevano di non notarsi ma di nascosto non facevano altro che
guardarsi.
Ad
un tratto, Vegeta sentì suo padre chiedergli: “Sai
che a Bra
piacciono i gatti?” “Ne ha sempre avuto la
passione.” fu la sua
risposta, troncando sul nascere la conversazione.
La
verità era che nessuno dei due sapeva bene che cosa dire.
Vegeta
continuava a darsi mentalmente dello stupido.
Non
sarebbe mai dovuto venire... era stata una pessima idea!
Anche
suo padre rimase zitto per un attimo, poi tentò un nuovo
approccio:
“Capisco... hai la macchina?” “Certo.
Perché?” “Perché il
meteo ha previsto che continuerà a nevicare per un bel
po'... non
vorrei che accadesse qualcosa...” “Non
accadrà!” fu la secca
risposta di Vegeta.
Era
troppo orgoglioso per provare a parlare con l'uomo che l'aveva
profondamente deluso...
Suo
padre rimase in silenzio, capendo che non c'era niente da fare.
Vegeta
era troppo orgoglioso e deluso per provare a creare un approccio con
lui...
Tra
loro due, era stato eletto un muro.
Un
muro di silenzio e di orgoglio.
Mentre
se ne stava in silenzio, l'uomo rifletté sulle ultime parole
di
Vegeta... due parole che per gli altri non sembravano nulla di
ché
ma per lui, avevano tanto significato...
“Sei
pronta?” “Certo!”
I
due avversari si guardarono un attimo, in quel vecchio e buio, dato
che ormai era notte fonda, capanno per gli attrezzi abbandonato,
pronti ad un feroce combattimento di arti marziali.
Vegeta
rimase un attimo in silenzio, prima di far ricordare una cosa ad
Echalotte: “Lo sai che se perdi dovrai spogliarti e mostrarti
nuda
davanti a me?” “Non accadrà!”
lo interruppe, rossa in volto e
adirata, Echalotte, prima di provare a tirargli un calcio.
Vegeta
lo parò prontamente, come i successivi e violenti pugni
della
ragazza.
Si
doveva essere allenata molto... doveva ammettere che era molto
più
forte e agile di quando l'aveva affrontata la prima volta...
Tuttavia,
non era ancora alla sua altezza.
Infatti,
con un rapido e fulmineo movimento delle gambe e delle mani la fece
cadere per terra.
Entusiasta
per la sua terza vittoria di fila, Vegeta si chinò davanti
al suo
viso e le disse, sorridendo: “Battuta di nuovo,
bambolina.”
Stranamente,
vedere quel suo bel viso da vicino lo fece emozionare.
Erano
mesi che provava a smettere di amarla ma era tutto inutile.
Non
riusciva a starle lontano e nemmeno a smettere di pensarla.
Finalmente,
avrebbe visto il superbo corpo nudo di Echalotte... una visione che
continuava a ossessionarlo da mesi...
La
ragazza, rossa in volto, gli sibilò, mentre si toglieva la
maglietta: “Prima o poi ti sconfiggerò! Fosse
l'ultima cosa che
faccio!”
Lentamente,
tutto il vestiario di Echalotte, pantaloni, calze, reggiseno e
mutandine, venne tolta e la giovane rimase, completamente nuda,
davanti a Vegeta.
Echalotte
gli lanciò uno sguardo di sfida mentre il giovane guardava
affascinato quel corpo.
Tutte
le sue migliori fantasie erotiche non le facevano onore: la sua pelle
bianca, i suoi capelli sciolti, i suoi seni, il suo corpo... tutto in
lei era perfetto!
D'istinto,
cominciò ad avvicinarsi a lei, sussurrandole, estasiato:
“Sei
divina...”
Echalotte,
vedendolo avvicinarsi a lei, gli urlò: “MI AVEVI
PROMESSO CHE NON
MI AVRESTI TOCCATA!” “Con le mani e il mio
membro...” le
ricordò lui, fermandosi proprio davanti a lei.
Echalotte
rimase immobile.
Temeva
che lui, nonostante la sua promessa, l'avrebbe posseduta...
Era
pronta a difendersi, il più possibile, da lui.
Inaspettatamente,
Vegeta si chinò su di lei e le baciò la spalla.
Echalotte
sussultò.
L'aveva...
baciata...
Un
bacio dolce ma allo stesso tempo passionale...
Vegeta
continuò a baciarla in varie parti del suo corpo, con
dolcezza ed
Echalotte si lasciò cullare dai movimenti della sua bocca...
Vegeta
si fermò e diede un'occhiata alle labbra di Echalotte.
Era
così belle e rosse... sembravano disegnate da un pittore.
La
voglia di baciarle e di assaporarle c'era, tuttavia...
Con
amarezza si allontanò da esse.
Anche
se l'amava... non si sentiva pronto a congiungere le sue labbra con
quelle di Echalotte.
Se
l'avesse fatto, avrebbe dimostrato ad Echalotte che l'amava e il suo
orgoglio...
Echalotte
chiuse gli occhi, sperando che Vegeta la baciasse sulle labbra.
Moriva
dalla voglia di sentirle... ma era troppo orgogliosa.
Avrebbe
fatto fare il primo passo a Vegeta.
Vegeta
cominciò a chinarsi.
La
ragazza fu colta da un fremito.
E
se stesse per baciarle quella parte?
Una
parte desiderava ardentemente che lo facesse ma l'altra...
Ad
un tratto, sentì il fiato caldo di Vegeta avvicinarsi al suo
corpo e
baciarle il ventre.
Una
parte di lei fu grata a Vegeta per non essersi spinto a tanto ma
l'altra... voleva avere di più da lui... anche se sentiva
che, così
facendo, Vegeta avrebbe scoperto il suo segreto...
Dopo
averle dato quel bacio al ventre, Vegeta si avvicinò al suo
orecchio
e le sussurrò: “Non dare a nessun altro la tua
biancheria e non
farti vedere nuda a uno che non sono io...”
Poi,
si voltò e mentre si allontanava aggiunse: “Oppure
tutti sapranno
che hai i fianchi larghi e i seni piccoli.”
Echalotte,
furibonda, si coprì i seni con le braccia e gli
urlò: “MA COME TI
PERMETTI?! PRIMA O POI TI AMMAZZERO'!”
“Papà!
Nonno!”
La
vocina allegra e spensierata di Bra spezzò quell'opprimente
silenzio.
La
bambina, sempre sorridendo, si avvicinò a loro con due righe
di
carta in mano.
“Cos'è?”
domandò Vegeta e Bra esclamò: “Un
braccialetto di fiori di carta.
Ce l'ha insegnato la maestra. Allunga la mano.”
Vegeta
obbedì e Bra, con un po' di fatica, riuscì a
mettergliene uno al
polso.
“Ora
tocca al nonno.” dichiarò poi la bambina e rifece
quello che aveva
fatto prima con suo padre.
Dopo
aver messo a entrambi un braccialetto di fiori di carta al polso, si
voltò verso di loro e disse: “Ecco fatto! Vi
piace?”
I
due uomini fissarono, in completo silenzio, il regalo di Bra.
Alla
fine, Vegeta si alzò in piedi e, prendendo la figlia per
mano,
sussurrò: “Torniamo a casa, Bra.”
Padre
e figlia uscirono dall'appartamento mentre l'uomo che viveva
lì li
guardava allontanarsi in silenzio.
Prima
di raggiungere l'ascensore, però, Bra si voltò e,
muovendo la mano,
lo salutò: “Ciao nonno, ci vediamo
presto.” “Ciao...” fu
tutto quello che riuscì a dirle suo nonno prima di ritornare
nel suo
appartamento e di chiudere la porta. |
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Capitolo 21 *** Un padre e un figlio ***
CAPITOLO
21: UN PADRE E UN FIGLIO
Tarble
ansimò profondamente mentre se ne stava immobile davanti
alla porta
del palazzo.
Era
una mattina fredda d'inverno e nessuno usciva da quel palazzo.
Dopotutto...
chi usciva con un clima del genere?!
Continuò
a intrecciarsi nervosamente le dite.
Adesso
che era lì... cosa doveva fare?
Si
guardò intorno.
Temeva
che arrivasse qualche amica di Gure e lo riconoscesse...
Sarebbe
stato molto imbarazzante spiegare che non stava molestando quella
ragazzina ma che stava cercando di trovare il coraggio di citofonare
al padre che se n'era andato quando lui non era nemmeno nato!
TRRRIIIINNN
Tarble
sussultò per lo spavento e si nascose dietro a un lampione.
Ma
perché mi sto nascondendo come un ladro?!
Pensò, sconsolato, il giovane.
Non
si sarebbe di certo stupito se qualcuno l'avesse scambiato per un
maniaco...
La
porta del palazzo si aprì e un uomo uscì.
Tarble
sgranò gli occhi, sorpreso.
Quell'uomo...
era identico a Vegeta.
Stessi
capelli a fiamma, stessi occhi neri e stesso sguardo orgoglioso ma
allo stesso tempo triste...
Le
uniche differenze erano il colore dei capelli, suo fratello li aveva
neri mentre quelli di quell'uomo erano castani, e, inoltre,
quell'uomo era più alto di Vegeta e aveva la barba.
Non
c'era alcun dubbio.
Quell'uomo
doveva essere suo padre!
Finalmente,
avrebbe avuto l'occasione di conoscerlo...
Col
cuore che continuava a battere forte per l'emozione, Tarble si
avvicinò a suo padre e sussurrò:
“Scusa...”
L'uomo
si voltò e si mise a fissare in silenzio quel ragazzo basso,
mingherlino, con gli occhi neri e i capelli a spazzola neri, con un
piccolo ciuffo sulla fronte.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Tarble gli domandò:
“Ti... ti chiami
Vegeta?” “Sì.” “E...
e hai un figlio che ha il tuo stesso
nome che ha una figlia di tre anni con i capelli turchini di nome
Bra?” “Sì.” “E
questa bambina... ti chiama il signor Lupo
Cattivo?” “Sì...”
annuì suo padre e, senza smettere di
fissarlo, gli chiese: “Chi sei?” “Io...
sono tuo figlio... mi
chiamo Tarble...” si presentò il ragazzo.
Per
tanti minuti, tra padre e figlio vi fu il completo silenzio.
Nessuno
dei due sapeva che cosa dire.
Tarble
era nervoso al pensiero della risposta di suo padre...
Suo
padre, dal canto suo, continuava a fissarlo in silenzio.
Per
giorni si era domandato quale fosse il nome che Echalotte aveva
deciso di dare al loro secondo figlio.
Aveva
pensato a tantissimi nomi eppure, non aveva assolutamente pensato a
quel nome.
Non
si sarebbe mai aspettato che sua moglie decidesse di usarlo...
L'onda
si allungò ancora un po' sulla sabbia bagnata e, poi, si
asciugò
del tutto.
La
fredda brezza marina scompigliò i capelli neri della ragazza
con la
pancia enorme seduta sul vecchio asciugamano azzurro.
“Fa
molto freddo oggi, eh?” domandò Echalotte al
marito, che era a sua
volta seduto su un asciugamano, e che leggeva il giornale, nonostante
il vento gli facesse muovere le pagine.
Vegeta,
prontamente e senza nemmeno alzare la testa dal giornale, le rispose:
“Siamo in autunno, Echalotte. E' naturale che fa freddo anche
se
siamo al mare!”
Echalotte
si alzò in piedi e, respirando più aria marina
possibile, disse:
“Ho letto su una rivista che l'aria marina fa bene ai polmoni
e
voglio che nostro figlio abbia il meglio!” “Non
iniziare a
viziarlo o è la fine.” sbuffò lui da
dietro il giornale.
Echalotte
si avvicinò a lui e, sorridendo, esclamò:
“Ma ci pensi? Fra due
mesi diventiamo genitori.” “Lo so, Echalotte.
Credimi, che lo
so.” “Sai... voglio essere una madre migliore della
mia.”
Per
un attimo, il silenzio, rotto soltanto dal rumore del mare, si mise
tra i due coniugi.
Poi,
Echalotte continuò: “A mia madre non è
mai importato niente di
me... come a mio padre...” “Ci riuscirai di
certo.” le disse,
all'improvviso, Vegeta.
Echalotte
si voltò e si accorse, con stupore, che Vegeta non stava
più
leggendo il giornale ma che la stava guardando.
Dopo
un po', però affermò, ridacchiando:
“Anche perché, una madre
peggiore della tua...” “Grazie, Vegeta. E bello
poter contare
sulla tua sensibilità.” ribatté,
seccata, Echalotte e Vegeta,
mentre tornava a leggere il suo giornale, le rispose, divertito:
“Prego.”
Echalotte,
decisa a riavere la sua rivincita, gli propose:
“Perché, invece,
non mi racconti di tua madre?”
Vegeta
smise di leggere il giornale e, girando la testa da un lato,
sussurrò: “Ti ho già detto tutto su di
lei.” “Mi hai solo
raccontato come è morta e le informazioni che hai letto sul
tuo
fascicolo quando eri in istituto... ma ci dev'essere qualcosa che ti
ricordi di lei...” insistette la moglie ma l'uomo la
interruppe:
“Avevo tre anni quand'è morta... non posso
ricordarla.”
Echalotte,
capendo che suo marito non si sentiva ancora pronto a ricordare sua
madre, si sedette sul telo accanto a lui e gli chiese: “E di
tuo
padre che mi dici?”
Vegeta
alzò gli occhi nel cielo e guardò il volo di
alcuni gabbiani.
Ad
un tratto, sussurrò: “L'unica cosa che ricordo di
lui è il
nome...” “E qual'era?” “Non te
lo dico.” “E perché?!”
“Non voglio che mio figlio porti il suo nome.”
Echalotte
rimase in silenzio.
Vegeta,
nonostante le avesse raccontato tutto, si sentiva ancora in colpa per
quello che era successo anni fa...
Ma
non era stata colpa sua! Era stata una cosa orribile, certo, ma lui
non aveva nessuna colpa...
Purtroppo,
Vegeta non riusciva a perdonarsi... e chiamare suo figlio col nome di
suo padre dopo tutto quello che era successo... l'avrebbe fatto
sentire in colpa nei suoi confronti...
Purtroppo,
lei non poteva fare niente.
Era
una cosa che Vegeta doveva affrontare da solo.
Tuttavia,
lei gli sarebbe stata accanto fino alla fine.
Lei
e il loro bambino.
“Prometto
che non lo chiamerò così... ma tu
dimmelo.” promise la donna,
guardando.
Dopo
qualche minuto di silenzio, Vegeta si decise e sussurrò:
“Si
chiamava Tarble.”
E,
adesso, si trovava davanti al figlio che non conosceva e che aveva lo
stesso nome di suo padre.
Si
domandò per quale motivo Echalotte aveva deciso di chiamarlo
come
suo padre.
Forse,
per vendicarsi di lui e del suo abbandono...
Alla
fine, trovò il coraggio di dire a suo figlio:
“Vegeta mi ha
parlato di te.” “Già... ecco... io...
volevo... volevo un po'
conoscerti.” rispose Tarble, terribilmente teso e nervoso.
Fortunatamente,
Vegeta sembrava avergli rivelato della sua esistenza e ciò
rendeva
le cose un po' più facili...
Però...
in tutta quella storia c'era qualcosa di strano...
Vegeta
non aveva nessuna intenzione di creare un approccio con suo padre,
sua cognata Bulma glielo aveva detto chiaramente... ma allora...
quando e come Vegeta aveva detto a suo padre che esisteva?!
Suo
padre, intanto, si voltò e gli disse:
“Seguimi.”
Tarble
non credeva alle sue orecchie... suo padre gli aveva detto di
seguirlo... questo significava... che volesse tentare un approccio
con lui?!
Erano
lì, faccia a faccia, nella sala di un elegante ristorante.
Nel
frattempo, il cameriere aveva preso le loro ordinazioni e, dopo un
quarto d'ora d'attesa, glieli aveva portati.
Tarble
e suo padre non riuscivano ancora a dirsi qualcosa per tentare un
approccio...
Entrambi
erano molto tesi e non sapevano cosa dirsi.
L'uomo
guardava suo figlio in silenzio.
Cosa
poteva dirgli?
Non
sapeva niente di lui!
Qualsiasi
cosa gli avrebbe detto, molto probabilmente, avrebbe fatto pesare a
entrambi la sua fuga e avrebbe rovinato tutto.
Tarble,
dal canto suo, non riusciva ancora a credere di essere in un
ristorante e di essere davanti a suo padre... l'uomo che se n'era
andato quando non era nemmeno nato... l'uomo che, fin da quando era
bambino desiderava conoscere...
“Tarble,
nella prossima ora ti porto a vedere un film.”
Il
bambino alzò la testa dal disegno che stava colorando e,
stupito,
domandò: “Signora maestra... perché da
settimana, nella sua ora,
mi porta a vedere un film senza gli altri?”
La
donna impallidì.
Se
n'era accorto...
Per
cercare di non rivelare al piccolo la verità, gli disse:
“Così...
per premiarti, in quanto sei un bravo bambino.”
Tarble
continuò a guardarla, silenzioso, poi chiese:
“Signora maestra,
posso andare in bagno?” “Va bene, ma fa in
fretta.”
Una
volta che ebbe finito, il bambino si lavò le mani e
sentì due
bambini più grandi fare una strana conversazione:
“Quest'anno, per
la festa del papà facciamo i sassi colorati.”
“Nel mio ci
disegno i razzi.” “Io, invece, faccio i
fulmini.” “Ciao, di
cosa parlate?” domandò Tarble, intromettendosi
nella
conversazione.
Sapeva
che non era una cosa molto educata da fare... però stavano
parlando
di una festa e a lui le feste piacevano tanto...
I
due lo guardarono malissimo, poi gli dissero: “Di cose che
non ti
riguardano, nanerottolo.” “Tu non ce l'hai neanche
il papà.”
“Cos'è il papà?” chiese
Tarble e i due scoppiarono a ridere.
Ma
cosa avevano da ridere?!
Se
non lo sapeva, non lo sapeva.
“Chiedilo
alla tua mamma, salame.” gli rispose uno dei due prima di
uscire
dal bagno e l'altro, prima di seguirlo, aggiunse: “Lei lo
saprà di
sicuro e anche molto bene...”
“Mamma,
cos'è il papà?”
Tarble
era seduto sulla macchina accanto a Vegeta.
Sua
madre fece un sospiro.
Era
giunto il momento...
Cercando
di trovare più forza possibile per quel tremendo momento, la
donna
cominciò: “Tarble... il papà...
è un uomo che dovrebbe stare
accanto alla mamma...”
Tarble
si mise a riflettere sulle strane parole della madre.
Se
un papà doveva stare accanto alla mamma, questo significava
che
anche lui aveva un papà... ma dov'era il suo papà?
Non
aveva mai visto nessuno accanto alla sua mamma, a parte Vegeta, ma
lui era un fratello e non un papà...
“Allora
anch'io ho un papà. Dov'è il mio
papà?” domandò il bambino e
Vegeta, senza smettere di guardare fuori dal finestrino, gli rispose:
“Se n'è andato.” “E dove?
Voglio conoscerlo.” gli chiese,
emozionato, Tarble e Vegeta, fissandolo con uno sguardo di fuoco, gli
urlò: “NON SI SA! CI HA ABBANDONATI! NON GLIENE
FREGA NIENTE DI
NOI!” “NON E' VERO! LA MAMMA AMA I PROPRI FIGLI E
SE IL PAPA' STA
ACCANTO A LEI, SIGNIFICA CHE ANCHE LUI LI AMA!”
“NEI FILM E NELLE
FAVOLE! NELLA VITA REALE I PADRI ODIANO I PROPRI FIGLI E LI
ABBANDONANO!”
Tarble
sentì le lacrime scendergli.
Il
suo papà... non lo amava?! Lo odiava?! Al suo
papà non importava
niente della mamma, di Vegeta e di lui e li aveva abbandonati?!
“BUAAAHHAAHA!”
si mise a piangere, disperato, il bambino e sua madre, mentre fermava
la macchina per andarlo a consolare, urlò:
“VEGETA!”
Adesso
era lì, davanti a suo padre.
Non
avrebbe mai creduto possibile questa cosa...
Eppure,
non riusciva a parlare...
Doveva
trovare qualcosa da dire, in modo da tentare un approccio con lui e
conoscere il padre di cui non sapeva niente.
“Che...
che lavoro fai?” domandò ad un tratto.
Suo
padre posò la forchetta e il coltello.
Tarble
sussultò a quel rumore improvviso, alzò gli occhi
e vide che suo
padre lo stava guardando.
Ad
un tratto, l'uomo rispose: “Lavoro in un negozio dove si
vendono
quadri.” “A me piacciono i quadri... mi farebbe
molto piacere se
potessi vederli.” “Possiamo andarci più
tardi, tanto ho le
chiavi.” rivelò suo padre, tirando fuori da una
tasca un mazzo di
chiavi.
Tarble
annuì.
Era
solo un piccolo minuscolo passo ma, con un po' di fatica e pazienza,
sarebbero riusciti a conoscersi un po' più a fondo. |
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Capitolo 22 *** L'incidente di Tarble ***
CAPITOLO
22: L'INCIDENTE DI TARBLE
L'uomo
premette l'interruttore del piccolo locale e subito la luce
mostrò
un'enorme quantità di quadri.
Tarble
si perse nel contemplare quei quadri di tutte le dimensioni e con
tanti soggetti diversi.
Erano
superbi...
“Là
c'è il laboratorio.” disse, ad un tratto, suo
padre mentre metteva
la giacca in un appendiabiti dietro al bancone.
Tarble
aprì la piccola porta di legno che suo padre gli aveva
indicato.
Era
molto piccolo con fotografie di paesaggi di tutti i tipi, tempere,
pennelli, quadri appena iniziati oppure quasi finiti.
Ad
un tratto, Tarble si accorse che, in fondo al laboratorio vi era un
grande lenzuolo bianco che copriva qualcosa...
“Non
toccare niente.” l'avvertì la voce di suo padre.
Tuttavia,
il giovane era preso dal terribile desiderio di toccare quel velo e
di guardare cosa nascondesse...
Lo
prese e lo tolse con forza.
Tarble
sgranò gli occhi.
Il
velo nascondeva tre quadri e i soggetti dei quadri li conosceva molto
bene...
In
uno, c'era una donna bellissima che stava ferma davanti al mare,
mentre il vento le scompigliava i capelli neri, nel secondo c'era un
bambino di pochi anni che correva in un enorme campo di girasoli e
nell'ultimo c'era una bambina piccola tutta vestita di rosso che
dormiva tranquilla con un dolce sorriso sulle labbra accanto a un
enorme lupo col pelo tutto nero e gli occhi rossi.
La
donna con i capelli neri era sua madre, il bambino tra i girasoli era
Vegeta e la piccola addormentata era Bra.
Anche
se era andato via, suo padre non aveva mai dimenticato la sua
famiglia.
Quei
due dipinti erano la prova che lui aveva sempre cercato di tenere
vivo il loro ricordo...
Anche
per Bra, anche se suo padre non sapeva che era sua nipote, era stato
dedicato un quadro... un quadro che descriveva la piccola e profonda
amicizia che c'era tra di loro...
“Lo
sai che non si devono guardare le cose degli altri senza
permesso?”
Tarble
sobbalzò e guardò suo padre, appoggiato con le
braccia incrociate
alla porta.
Il
giovane, rosso in volto, decise di cambiare discorso: “Li hai
dipinti tu?” “Sì.”
“Sono molto belli.” “Disegno da
quando avevo sei anni.” gli rivelò suo padre.
Aveva
sviluppato quella passione e quella bravura in modo molto
particolare...
Quando
andava alle elementari, nell'ora d'arte, la maestra faceva fare a
tutti gli alunni un disegno e il migliore di questi veniva mostrato a
tutta la classe.
Tutti
i suoi compagni lo guardavano con diffidenza e alcuni anche con
pietà, dato che viveva in un istituto.
E
se c'era una cosa che lui odiava, era la pietà!
Così
aveva cominciato a disegnare in continuazione, in modo da migliorare.
Voleva
essere veramente qualcuno e non, soprattutto, quella che aveva perso
la mamma e il papà e che viveva in un istituto.
Finalmente,
dopo tanti sforzi, aveva fatto un disegno stupendo e, non solo era
stato mostrato davanti a tutta la classe, ma il preside in persona
aveva deciso di mostrarlo all'annuale mostra dei disegni dei bambini!
Ricordava
ancora la gioia di non essere più il bambino della Casa
degli Scarti
che nessuno voleva... adesso, era il prodigio della pittura...
Per
qualche minuto, i due rimasero in silenzio, poi Tarble
sussurrò:
“Sei molto bravo... papà...”
L'uomo
sgranò gli occhi.
Era
da tempo che nessuno lo chiamava papà... e pensare che a
dirgli
quella parola era stato proprio Tarble, il figlio che non aveva mai
conosciuto...
Forse,
lui e Tarble sarebbero riusciti a creare un rapporto... che riuscisse
a colmare gli anni della sua assenza...
“Grazie...”
riuscì a dire, mentre il suo cuore batteva ancora
dall'emozione, e
Tarble, sorridendo, gli disse: “Sai che anche a me piace
molto
disegnare?” “Davvero?”
“Sì, inoltre mi piace molto leggere.”
“Se non rammento male, c'è una libreria qui
vicino... se vuoi
farci un salto...” “Ottimo. Che ne dici,
papà, ci andiamo
adesso?” propose il giovane e, quasi immediatamente, si
pentì
della sua proposta.
Forse...
era ancora un po' presto per fare una cosa del genere... e anche
chiamare suo padre in quel modo... temeva di averlo offeso e di aver
rovinato tutto.
Inaspettatamente,
suo padre si voltò e gli disse: “Va bene... ma
è meglio muoversi
adesso, fra poco sarà buio...”
Tarble
sorrise contento mentre con la mano teneva il sacchetto contente i
libri che aveva appena comprato.
Ma
la cosa che lo rendeva più felice era che la tensione, tra
lui e suo
padre, si stava lentamente sciogliendo.
Mentre
sceglieva i libri, avevano chiacchierato un sacco sui vari libri,
autori e personaggi.
Era
stato fantastico scambiarsi quelle opinioni... ma la cosa
più bella
era che, finalmente, stava conoscendo suo padre.
E
la cosa non poteva renderlo più felice...
Mentre
camminavano, ad un tratto, suo padre gli domandò:
“Che lavoro
fai?”
Tarble
fu entusiasta nel vedere suo padre iniziare a fargli delle domande
sulla sua vita.
Significava
che stavano cominciando ad aprirsi.
“Insegno
letteratura al liceo di scienze umane.” raccontò,
con orgoglio, e
suo padre commentò: “Sei proprio fissato con la
letteratura.”
“Sai che conosci una mia allieva?” “E chi
è?” “E' Gure, la
ragazza che abita nell'appartamento davanti al tuo. E' stata lei a
darmi il tuo indirizzo.”
Suo
padre, senza tradire alcuna sorpresa, si mise a guardarlo.
Dunque
era lui il prof di letteratura che Gure amava tanto... e dal tono
della sua voce, intuì che anche Tarble condivideva gli
stessi
sentimenti della ragazza...
Tarble
tornò a guardare la strada e notò una macchina
che andava in modo
un po' strano... sembrava come se traballasse... fosse stato un
vigile avrebbe fermato quel guidatore e gli avrebbe rifilato una
bella multa...
Inoltre,
il veicolo non procedeva in modo dritto ma sembrava che volesse
uscire di strada... e fu proprio quello che accadde.
La
macchina uscì di strada e si diresse, a tutta
velocità... verso di
lui!
Tarble
avrebbe voluto muoversi ma le sue gambe erano come bloccate.
Tuttavia,
qualcosa lo spinse violentemente dall'altro lato...
CRASH
L'uomo
fissò quella macchina che era andata a sbattere contro un
albero.
Il
tizio al volante doveva essere ubriaco fradicio... maledetto
imbecille... per poco non aveva investito suo figlio... per poco la
storia non si era ripetuta...
Ma,
stavolta, lui l'aveva cambiata... spostando suo figlio...
Si
voltò verso Tarble e impallidì.
Suo
figlio aveva gli occhi chiusi e, come se non bastasse, la testa
sanguinava.
Doveva
avergliela fatta sbattere mentre lo salvava...
Aveva
cercato di salvarlo... eppure non era riuscito a impedire a Tarble di
farsi male.
“TARBLE!
TARBLE!” urlò, disperato, con tutto il fiato che
aveva in gola,
sperando che suo figlio riuscisse a sentirlo e aprisse gli occhi.
“TARBLE!”
urlò Echalotte, svegliandosi di soprassalto.
Le
era sembrato come se... suo figlio stesse male...
Ansimò
profondamente.
Ma
no, doveva essere stato uno degli incubi che le mamme avevano
sempre...
Si
alzò a sedere sul letto e prese dal comodino una foto in cui
c'era
lei con i suoi due bambini di otto e cinque anni.
Quanto
tempo era passato...
Rimise
la foto al suo posto e pensò al figlio più
piccolo...
Ricordava
benissimo quand'era nato e cosa aveva detto Vegeta non appena l'aveva
visto...
La
donna accarezzò con dolcezza la guancia del piccolo.
Anche
se era nato un po' prematuro, per lei, era il bambino più
bello del
mondo.
Lei
lo amava così com'era... con quei suoi grandi e dolci occhi
neri,
con i corti capelli a spazzola e il ciuffo e con quelle sue piccole
manine.
Echalotte
lo cullò mentre veniva sommersa dai suoi pensieri.
Non
aveva nessun rimpianto per la sua scelta!
Sapeva
di aver fatto la cosa giusta!
Quel
bambino, era stato l'ultimo regalo d'amore di suo marito... in quel
piccolo c'era una parte di Vegeta... di suo marito... del suo
più
grande amore...
La
porta si spalancò ed Echalotte guardò chi era
entrato.
Davanti
alla porta, c'era suo figlio Vegeta.
Con
un sorriso, Echalotte gli disse: “Ehi, Vegeta. Vieni a vedere
il
tuo fratellino.”
Vegeta
si avvicinò a lei e prese in braccio il piccolo.
Nonostante
avesse tre anni, lo tenne saldo e senza paura.
Vegeta
fissò a lungo il fratellino, poi disse: “Bello...
lo lasciamo
qui?”
Echalotte
non seppe trattenere una risatina divertita a quel ricordo.
Erano
passati tanti anni, eppure quel ricordo continuava a farla sorridere.
Il
suo piccolo Tarble...
Nessuno,
nemmeno Vegeta, sapeva che era il nome del nonno paterno...
Quando
il bambino era nato, aveva deciso di chiamarlo così.
Perché
così, il legame con il suo Vegeta sarebbe stato ancora
più forte...
In
quella strada vi erano molte auto della polizia, un'ambulanza e
centinaia di curiosi.
Come
degli idioti, se ne stavano lì a guardare cosa stesse
succedendo...
senza rendersi utili...
Due
dottori trainarono a tutta velocità una barella su cui vi
era un
giovane uomo svenuto verso l'ambulanza.
Una
volta che lo misero a bordo, i due si preparano a salire per portarlo
di corsa all'ospedale quando un uomo alto, con i capelli a fiamma
castani, gli occhi neri e la barba, si avvicinò a loro,
annunciando:
“Vorrei salire anch'io.” “E' un
parente?” domandò uno dei
due e lui rispose: “Sono suo padre.”
DRIIIN
DRIIIN
Vegeta
si avvicinò al telefono e, una volta presa la cornetta,
domandò:
“Pronto?” “Vegeta...”
L'uomo
sgranò gli occhi.
Cos'era
successo?!
Perché
gli aveva telefonato?!
Sapeva
benissimo che lui non lo voleva nemmeno vedere...
“Perché
mi hai chiamato?” gli domandò, seccato, e suo
padre spiegò:
“Tarble ha avuto un incidente. E' finito
all'ospedale.” “COSA?!”
urlò Vegeta, prima di chiudere violentemente la telefonata.
Si
mise la giacca in fretta e furia e, prima di uscire di casa,
avvisò
la moglie: “BULMA, VADO ALL'OSPEDALE! TARBLE HA AVUTO UN
INCIDENTE!”
Rimase
immobile a guardarlo sul letto dell'ospedale.
Era
stata di nuovo colpa sua se suo figlio si era fatto male... se non
avesse avuto quell'assurda idea di andare con lui in quella
libreria... se non fossero mai stati insieme...
Si
avvicinò a Tarble e, d'istinto, cominciò ad
accarezzargli i
capelli.
Aveva
appena ritrovato un figlio che rischiava di perderlo di nuovo!
Non
faceva altro che combinare danni e di far soffrire le persone che
amava...
In
quel momento entrò l'infermiera che, dispiaciuta nel
disturbarlo,
sussurrò: “Mi scusi... il dottore è
arrivato...” “Capisco...”
disse lui, uscendo dalla stanza per poi dirigersi verso la sala
d'attesa.
Mentre
usciva l'infermiera, per dargli più fiducia, aggiunse:
“Vedrà che
andrà tutto bene.”
Lui
si limitò a guardarla, ma non disse niente.
Si
sedette su una sedia della sala d'attesa e si mise ad aspettare, in
silenzio.
Ad
un tratto, sentì un rumore di passi dietro di lui.
Si
voltò e vide il suo primogenito fissarlo in silenzio con
odio.
Aveva
capito che c'entrava lui nell'incidente di suo fratello...
“Cos'è
successo?” domandò Vegeta, con un tono che
dimostrava odio e
disgusto nei suoi confronti, e suo padre spiegò:
“Una macchina è
uscita di strada perché il guidatore era ubriaco fradicio...
stava
per travolgerlo ma è riuscito a scansarla... ha sbattuto la
testa e
ha perso conoscenza... il medico lo sta visitando proprio in questo
momento.” “Come sai tutte queste cose?”
“C'ero anch'io con
lui, quand'è successo.” “Cosa ci facevi
assieme a mio fratello?”
“Volevamo conoscerci.” “L'avresti
conosciuto meglio di tutti se
non te ne fossi andato.”
SCIAFF
Un
violento schiaffo colpì la guancia di Vegeta, facendogli
persino
perdere l'equilibrio e cadere a terra.
“ASCOLTAMI
BENE, UNA BUONA VOLTA!” urlò, adirato, suo padre
e, poi, continuò:
“SO DI AVER FATTO UNA COSA SPREGEVOLE, SONO IL PRIMO AD
AMMETTERLO!
MA TARBLE E' ANCHE MIO FIGLIO, PROPRIO COME TE! HO IL DOVERE DI
CONOSCERLO E DI STARGLI ACCANTO!”
Dopo
un attimo di silenzio, l'uomo aggiunse: “E farei la stessa
cosa
anche con te, se tu smettessi di odiarmi.”
Vegeta
rimase immobile a fissarlo.
Suo
padre si voltò e sussurrò: “Ma sei
troppo orgoglioso per farlo...
proprio come me.”
Vegeta
si rialzò in piedi e suo padre, senza voltarsi, gli
passò una
busta, dicendogli: “Consegnali a Tarble. Sono suoi.”
Poi
si allontanò, in silenzio.
Vegeta
si sedette e guardò il contenuto della busta: dei libri.
Si
mise a pensare, in silenzio, alle parole di suo padre.
Forse,
Bulma aveva ragione...
Forse,
suo padre era davvero cambiato...
Improvvisamente,
una giovane infermiera con un grande sorriso e disse: “Buone
notizie, signore, suo figlio sta...” ma si bloccò
non appena lo
guardò meglio.
Evidentemente,
lei, prima, aveva parlato con suo padre...
“Sono
suo fratello maggiore. Nostro padre se n'è
andato.” si presentò
Vegeta e, poi, chiese: “Posso far visita a mio
fratello?”
“Certo...” annuì l'infermiera e lo
condusse in una stanza.
Tarble
era sdraiato su un letto, che dormiva serenamente...
D'istinto,
Vegeta si mise ad accarezzargli la testa.
Mentre
lo faceva, tornò indietro con la mente... quando aveva solo
tre
anni...
Vegeta
aprì silenziosamente la porta.
Per
lui non era una grossa difficoltà... dopotutto, entrava
sempre nel
cuore della notte nella camera dei suoi genitori... anche quando suo
padre viveva ancora con loro.
Si
diresse verso il lettone e ci salì sopra, avvicinandosi al
corpo di
sua madre.
Quando
c'era ancora suo padre, quel letto gli sembrava molto piccolo ma da
quando lui se n'era andato... quel letto sembrava grande... e vuoto.
Guardò
la sagoma di sua madre.
Era
bellissima... per quale motivo suo padre aveva preferito un'altra
donna?!
S'inginocchiò
e, con la manina, cominciò ad accarezzare il ventre gonfio
di sua
madre.
Era
da mesi che entrava nella camera per salutare il suo fratellino.
Povero
piccolino... non era nemmeno nato e non aveva più un padre
da ben
due mesi...
Proprio
quel giorno, la sua mamma, gli aveva rivelato che avrebbe avuto un
fratellino...
Si
ricordò di quella voce che, a volte, sentiva nei suoi
sogni...
Quindi sei
un
maschio...
Forse,
qualcuno gli aveva detto quella frase in passato... ma lui non se lo
ricordava.
Tutto
ciò che ricordava era che la voce che diceva quelle parole
era
calda, felice e piena d'amore per lui... gli sarebbe tanto piaciuto
sapere chi era...
Per
dare onore a quella voce, si avvicinò al ventre della madre
e
sussurrò: “Quindi sei un maschio...”
Aveva
appena detto quella frase che sua madre gli afferrò la mano.
Vegeta
sussultò, temendo di essere stato scoperto.
Invece,
sua madre non alzò la testa.
Mise
la sua mano sul suo grande ventre.
Vegeta
continuò a fissare Tarble.
Anche
se l'infermiera e il dottore gli avevano assicurato che il ragazzo
stava bene, Vegeta non poteva fare a meno di preoccuparsi.
Prese
una sedia e la mise accanto al suo letto.
Poi
prese la mano di suo fratello, sperando con tutto il cuore che quella
stretta potesse risvegliarlo...
L'uomo
entrò nel suo appartamento e, dopo essersi tolto la giacca e
le
scarpe si preparò un caffè.
Mentre
guardava il liquido nella tazza, non poté fare a meno di
pensare che
il suo ritorno avesse provocato solo dolore e odio nei suoi figli...
Era
stato un errore! Un gigantesco errore!
Nelle
loro vite andava tutto a meraviglia, fino a quando non era tornato...
Per
colpa sua, Vegeta aveva rinunciato a un rene per salvarlo, per
salvare un uomo che odiava e con cui non voleva avere niente a che
fare, mentre Tarble aveva avuto un brutto incidente mentre era con
lui...
Non
aveva saputo far altro che far soffrire le persone che amava...
Mise
l'ennesima camicia nella valigia ma, stavolta, si bloccò.
Forse,
quello che stava per fare era una cretinata... forse, quello che
stava per fare era l'errore più stupido della sua vita...
Tuttavia,
scacciò quasi subito quei pensieri e chiuse violentemente la
valigia.
Non
poteva andare avanti così... stava solo facendo soffrire la
sua
famiglia con la sua presenza... era molto meglio sparire per sempre,
con le sue bugie e i suoi segreti!
Si
mise la giacca e, dopo aver preso la valigia, aprì la porta
della
sua casa per poi uscire.
La
luna limpida brillava nel cielo notturno.
Si
voltò e diede un'ultima occhiata alla sua casa.
Gli
dispiaceva doversene andare così... ma non aveva altra
scelta...
Mise
la valigia nel bagagliaio della sua macchina e aprì la
portiera,
pronto ad entrare e a sparire per sempre nella notte, quando la porta
di casa sua si aprì violentemente e una piccola voce lo
bloccò:
“PAPA'!”
Si
voltò lentamente e lo vide davanti alla porta, con indosso
un
semplice pigiama che lo guardava, implorando una spiegazione del suo
comportamento.
Rimase
un attimo in silenzio e, poi, entrò in macchina e
avviò il motore.
Mentre
partiva a tutto gas, vide nello specchietto retrovisore che Vegeta,
con le lacrime agli occhi, lo seguiva disperato.
Gli
stava urlando qualcosa ma non sentiva niente, anche se sapeva
benissimo cosa voleva...
Ad
un tratto, il bambino cadde per terra.
L'uomo
fu colto dal dubbio.
Doveva
premere l'acceleratore oppure frenare e andarlo a soccorrerlo?
Spostò
il piede verso il freno e lo tenne sospeso in aria per qualche
secondo.
Aveva
pochi secondi per decidere cosa fare...
Alla
fine, prese la sua decisione.
Spostò
il piede sull'acceleratore e si allontanò sempre di
più dalla sua
casa e da suo figlio, che era ancora per terra.
Se
si fosse fermato, avrebbe dovuto continuare a mentire o, peggio
ancora, avrebbe dovuto dire la verità alla sua famiglia...
Se
si fosse fermato, avrebbe solo rovinato e deluso ancora di
più la
sua famiglia.
Continuò
a guidare, in completo silenzio, per mezz'ora, poi, poco prima
dell'autostrada, trovò un luogo dove potersi fermare per
qualche
minuto.
Una
volta fermo, appoggiò la testa sul volante e
cominciò a versare
senza sosta tutte le sue lacrime.
Mentre
l'uomo ricordava quel tremendo e atroce ricordo, una lacrima gli
scese da un occhio e cadde nel suo caffè ma lui non ci fece
caso.
Mentre
sorseggiava il suo caffè, diede un'occhiata alla sua
finestra, dove
si vedevano i fiocchi di neve cadere dal cielo.
Una
volta, poco prima che Echalotte rimasse incinta di Vegeta e
decidessero di sposarsi, aveva passato una fredda giornata d'inverno
a casa sua.
Anche
quell'anno aveva nevicato fitto fitto e loro due erano stato tutto il
tempo seduti sul divano, coperti da una gigantesca coperta rossa, a
guardare i fiocchi di neve mentre bevevano una bella tazza fumante di
cioccolata calda.
Era
un ricordo così bello... ma, purtroppo, apparteneva al
passato.
Una
volta che ebbe finito di bere il caffè, lavò la
tazza e, poi, si
diresse verso la sua camera da letto.
Aprì
l'armadio e dal ripiano più alto prese una valigia.
Era
un po' logora, dato che erano passati molti anni dall'ultima volta
che l'aveva usata, ma poteva essere ancora usata un'altra volta... |
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Capitolo 23 *** Il segreto nella valigia ***
CAPITOLO
23: IL SEGRETO NELLA VALIGIA
“Grazie,
papà, per avermi portato con te.” “Non
sono mica stato io a
chiederti di venire. Non appena hai saputo che andavo a casa del
padre di quello scemo del nonno della tua migliore amica, dove c'era
anche lei, hai usato la mamma per convincermi a portarti a
trovarla!”
Bra
fece un sorrisetto malizioso.
Dopotutto,
non faceva nulla di male a voler andare a trovare un attimo Pan...
peccato che per suo padre era l'esatto opposto!
La
sua intenzione iniziale era quella di andare a casa di Bardack, il
padre di Goku, chiedergli la sua sfera portafortuna che aveva in casa
e, poi, andarsene via.
Peccato
che quando Bra aveva saputo che Pan, la sua amica del cuore, era in
vacanza proprio a casa sua, aveva fatto fuoco e fiamme per venire
assieme a lui finché non aveva ceduto.
Così,
adesso, chissà quando tornava a casa...
“BUONGIORNO,
PARLA LA SEGRETERIA DEL NUMERO CHE AVETE APPENA CHIAMATO. LASCIATE UN
MESSAGIO DOPO IL BIP E VERRETE RICHIAMATI.”
Tarble
sospirò.
Erano
giorni, ormai, che c'era sempre la segreteria telefonica...
Dopo
l'incidente, aveva provato mille volte a contattarlo... era persino
andato sotto casa sua per provare a parlargli...
BRIIIPP
“Sì?” “Papà, sono
io. Tarble.” CLUNK
Aveva
chiuso il ricevente del citofono.
Tuttavia,
se c'era una cosa che Tarble aveva ereditato dalla sua famiglia era
la testardaggine.
Suonò
di nuovo il citofono ma, stavolta, suo padre non rispose.
Tarble
riprovò una seconda volta, una terza, una quarta...
finché una voce
sgradevole non lo riproverò: “Che hai da suonare
tanto, ragazzino?
Se non ti risponde nessuno significa che non c'è
nessuno!”
Tarble
si girò e vide una vecchia vestita elegantemente che aveva
molti
gioielli, tanti quanti le rughe sul viso.
Tarble
la guardò e tentò di spiegare: “Sto
cercando di parlare con mio
padre!” “Beh, allora puoi lasciar perdere.
Evidentemente, tuo
padre non è in casa!” “Invece
c'è, mi ha persino parlato!”
“Te lo sarai sognato, ragazzino! Piuttosto...” la
donna si mise a
scrutarlo con molta attenzione e gli disse: “E' da un pezzo
che ti
vedo ronzare davanti a questo palazzo.” “Le ho
già detto che sto
cercando di parlare con mio padre! C'è stato un piccolo
incidente e
da allora non mi vuole più vedere!”
“Questo non ti autorizza a
strimpellare con il citofono e a stare sempre appollaiato davanti
all'ingresso di questo palazzo! Stai spaventando a morte gli
inquilini!” “Mi dispiace... ma io voglio solo
vedere mio padre!”
“Evidentemente, tuo padre non ti vuole tra i piedi! Quindi,
adesso,
alza i tacchi e sparisci, ragazzino. E se ti vedo ancora qui in giro,
chiamo la polizia!” lo minacciò la donna, prima di
entrare nel
palazzo.
Tarble,
dopo aver fatto un sospiro, si allontanò dal palazzo e da
suo
padre...
Ma
se quella megera sperava che sia arrendesse con suo padre, si
sbagliava, e di grosso!
Si
era recato nel negozio dove suo padre lavorava e aveva chiesto al
vecchio commesso informazioni.
Erano
rimasto di sasso, quando aveva detto di essere suo figlio... ignorava
persino che fosse sposato.
Tuttavia,
il commesso l'avevano preso in simpatia e gli avevano rivelato alcune
cose sul passato di suo padre: era entrato nella loro bottega una
piovosa mattina d'inverno e aveva chiesto di lavorare, come pittore,
nel negozio.
La
sua bravura aveva conquistato tutti, sia il proprietario sia i
clienti, infatti le vendite del negozio erano incredibilmente salite
da quando c'era lui...
Qualche
giorno prima, aveva telefonato al proprietario per chiedergli una
settimana di permesso e l'uomo gliela aveva concessa.
Il
commesso gli aveva promesso che se suo padre fosse tornato, lo
avrebbe chiamato di sicuro.
Tuttavia,
in quella conversazione aveva notato dei particolari molto strani...
il commesso sapeva già della malattia ai reni che aveva
colpito suo
padre, infatti, tre volte alla settimana lui non veniva per fare la
dialisi, dato che aveva avvertito sia lui che il proprietario fin dal
momento in cui si era presentato per cercare lavoro ma suo padre si
era presentato in quel negozio lo stesso inverno in cui se n'era
andato da casa, quindi... quando aveva scoperto della malattia?!
Inoltre,
il commesso era rimasto molto stupito quando Tarble gli aveva
confessato che suo padre se n'era andato con un'altra donna.
Nessuno
l'aveva mai visto girare con una donna... anzi, faceva di tutto per
evitarle!
In
tutta quella storia c'era qualcosa di poco chiaro... cominciava a
sospettare che suo padre avesse molti più segreti di quanti
sembrava.
Doveva
assolutamente parlargli e cercare di capire...
Ma
lui non lo voleva...
Riattaccò
il telefono, sperando che, prima o poi, suo padre decidesse di
richiamarlo e di parlargli...
“Ciao,
Bra!” “Ciao, Pan! Andiamo a giocare?”
“Certo.”
Le
due bambine si misero a correre per tutto l'edificio mentre il
proprietario, un uomo con i capelli a palma neri, una fascia rossa e
una vistosa cicatrice sulla guancia, si raccomandava: “Vedete
di
non mettermi a soqquadro la casa, voi due, intesi?”
“Bardack,
lasciale in pace!” lo redarguì una donna bassa,
con i capelli neri
lunghi fino alle spalle e mossi e con gli occhi neri grandi e dolci.
Vedendola,
Bardack si arrese: “Va bene, Gine. Va bene.”
“Bene, vado a
finire di preparare il tè!” gli disse la moglie,
prima di
tornarsene in cucina.
Vegeta
si mise a guardare, in silenzio, quella piccola e intensa scena di
vita quotidiana.
Forse,
se suo padre non se ne fosse andato, il rapporto tra i suoi genitori
sarebbe stato identico a quello che c'era tra Bardack e Gine, i
genitori di Kakaroth... a parte, ovviamente, il carattere dei suoi...
“Al
telefono mi avevi detti che volevi la mia sfera
portafortuna.” gli
disse, ad un tratto, Bardack, togliendolo dai suoi pensieri.
Vegeta
si voltò verso di lui e spiegò:
“Sì... Bulma ha scoperto che,
secondo un'antica leggenda, se si radunano sette pietre dalla
perfetta forma sferica, esse esaudiscono il desiderio che la maggior
parte delle persone presenti pensano contemporaneamente.”
“Interessante questa leggenda... quindi vuoi raccogliere
queste
pietre?” “Sì... mi piacerebbe che,
durante il matrimonio di
Trunks, facessimo questo gioco... chi lo sa... potrebbe anche
avverarsi un desiderio...” “Va bene... te la presto
senz'altro...” “Aspetta, c'è una cosa
che devi sapere su quella
leggenda...” “E cosa?”
Vegeta,
un po' titubante, raccontò la seconda parte della leggenda:
“Una
volta che il desiderio viene espresso, bisogna che le sfere debbano
essere messe in una scatola e, poi, lasciate in sette luoghi vicini
al luogo in cui è stato espresso un desiderio... luoghi che
formano
sulla cartina un cerchio intorno al punto in cui è stato
espresso il
desiderio... e il suo precedente proprietario non può
tornare a
prenderla...”
Bardack
stette zitto un attimo, poi disse: “Ormai, quella sfera non
mi
serve più... ho già avuto la mia dose di fortuna
nella vita... è
tempo che qualcun altro ce l'abbia e abbia la sua...”
“Quindi me
la darai?” “Certamente... chi lo sa, forse, in un
modo o
nell'altro tornerà da me...”
“Grazie.”
Mentre
si dirigevano verso la camera di Bardack, dove c'era la sfera,
entrarono nel salotto dove c'era Goten, seduto sul divano, che
chiacchierava a più non posso al telefono: “...Ero
sicuro che ti
sarebbe piaciuta questa sorpresa... ma no, tranquilla, i fantasy mi
piacciono molto... sai, ti devo confessare che non me l'aspettavo
proprio che ti piacesse quel genere... ma non è una critica,
anzi,
mi piaci ancora di più... prego. Ti vengo a prendere
domenica
prossima alle due, così non avrai nessun problema col
coprifuoco...”
“Invece, Goten, credo proprio che avrai tu dei grossi
problemi se
non spegni subito quel cellulare e non cominci a studiare, come ti
aveva ordinato tua madre prima di portarti qui!” lo
interruppe
Bardack, seccato.
Era
la quarta volta, da quando era arrivato, che Bardack lo beccava al
cellulare e non a studiare.
Goten,
fece un sorriso imbarazzato e poi capì che era giunto di
chiudere la
telefonata: “Scusa Valese, ma mio nonno, con un abile gioco
di
parole, mi ha fatto capire che devo chiudere la telefonata. Comunque,
ti richiamo stasera, in modo da organizzarci meglio con il nostro
appuntamento di domenica. Ciao.”
Nel
frattempo, Pan e Bra entrarono nella stanza da letto di Bardack e
Gine.
“Certo
che questa camera è davvero molto graziosa.”
commentò Bra mentre
sedeva sul letto mentre Pan annuiva: “Già... il
nonno mi ha
raccontato che, quando era piccolo, giocava spesso a nascondino in
questa casa assieme al suo fratellone... uno dei suoi nascondigli
preferiti era l'armadio nella camera da letto della sua mamma e del
suo papà.”
Nel
raccontare quella storia, Pan aprì il gigantesco armadio
della
camera da letto e aggiunse: “Spostava tutti i vestiti e si
nascondeva in fondo in fondo...” “Che ne dici, Pan?
Facciamo come
faceva tuo nonno?” “Sì!”
Le
due bambine si entrarono silenziosamente nell'armadio e cominciarono
a dirigersi verso il fondo.
Mentre
camminavano, facevano attenzione agli oggetti che erano conservati
all'interno dell'armadio.
Tuttavia,
a causa del pugno, Bra non si accorse di una valigia e
c'inciampò.
Sentendo
il rumore, Pan corse subito a soccorrerla: “Tutto ok,
Bra?”
“Sì... non avevo visto questa valigia...”
Le
due amiche si avvicinarono alla sagoma della valigia e si misero, per
quanto fosse possibile a causa del buio.
“Secondo
te, che cosa contiene?” domandò Bra, che tra le
due, era quella
più curiosa, e Pan rispose: “Non ne ho idea...
magari un tesoro
oppure una gran quantità di caramelle e dolci.”
“Portiamola
fuori e vediamo cosa nasconde!”
Le
due bambine presero il manico della valigia e si diressero verso
l'uscita dell'armadio, aiutate dalla luce che si vedeva dalle porte
aperte.
Nonostante
la luce visibile, Bra e Pan non vedevano gli oggetti attorno a loro,
infatti, Pan inciampò su una vecchia pila di riviste.
Mentre
cadeva, trascinò con sé Bra e la valigia.
“AAAAAHHH!”
urlarono le due bambine, cadendo fuori dall'armadio.
La
valigia scivolò via dalle mani delle due piccole amiche e
cadde, con
un sonoro tonfo, sul pavimento.
Una
volta caduta, la valigia si aprì e un mucchio di fogli
uscirono da
essa, volando nella stanza.
In
quel preciso istante, la porta si aprì e Vegeta
domandò: “Bra,
cos'è successo?! Cos'era quel tonfo?!”
Aveva
appena finito di dire quelle parole che vide uno di quei fogli volare
proprio davanti a lui.
Vegeta
lo prese e ci diede un'occhiata, rimanendo sconvolto.
Era
una fotografia e raffigurava lui da piccolo tenuto in braccio da sua
madre e di fianco a loro c'era suo padre.
Prendendo
e guardando alcuni dei fogli che volavano, Vegeta ebbe la conferma
dei suoi sospetti...
In
quel preciso istante, Bardack entrò nella stanza e
sgridò Pan e
Bra: “Ehi, voi due! Cosa state combinando con le mie
cose?!”
Tuttavia,
si bloccò non appena vide Vegeta tremare davanti alla
fotografia che
aveva in mano.
“Bardack...”
domandò, ad un tratto, Vegeta con un filo di voce
“Cosa ci fanno
le foto di mio padre in casa tua.”
Dopo
un attimo di silenzio, Bardack raccontò: “Qualche
giorno dopo che
tuo padre se ne andò, tua madre venne a casa nostra e mi
pregò di
conservarle.”
Vegeta
continuò a guardare le foto che rappresentavano suo padre.
Era
passato tanto tempo da quando le aveva viste l'ultima volta... eppure
le aveva riconosciute subito...
Vegeta
aprì con violenza la porta di casa, tenendo ben stretta la
scatola
che aveva in mano.
Si
diresse verso la pattumiera e, una volta aperto il bidone,
aprì la
scatola che aveva in modo e buttò dentro, senza nessun
rimpianto, il
contenuto della scatola.
Non
provò assolutamente niente mentre buttava via quelle foto.
Quelle
foto erano rovinate per sempre.
Perché
in quelle foto c'era suo padre.
L'uomo
che l'aveva abbandonato e deluso.
Una
volta che ebbe finito, fissò un'ultima volta il volto di suo
padre
e, poi, sibilò: “Ti auguro di crepare presto,
traditore!”
Poi
rientrò in casa, sbattendo forte la porta.
Non
si accorse di una donna che, mentre il vento le muoveva i capelli
neri, guardava, in silenzio, la porta da dove il piccolo Vegeta era
appena rientrato.
Vegeta
guardò con amarezza quelle fotografie.
Le
stesse che aveva buttato via a tre anni.
C'era
solo un motivo per cui quelle fotografie erano lì.
Sua
madre aveva visto tutto.
L'aveva
visto mentre le buttava via.
Adesso
capiva perché non aveva fatto domande sulla misteriosa
sparizione
delle foto.
Mentre
lasciava andare quelle foto sul pavimento, non poté fare a
meno di
chiedersi per quale motivo sua madre le avesse recuperate.
Aveva
messo le mani nella spazzatura pur di riprendere le foto di suo
padre... dell'uomo che l'aveva tradita e abbandonata...
Le
avevo buttate via tutte... eppure lei le ha raccolte di nuovo...
perché? Si
domandò,
mentalmente, Vegeta.
Intanto,
la piccola Bra aveva preso un foglio per terra, in quanto desiderava
vedere il suo papà da bambino col nonno, ma quella che prese
non era
affatto una fotografia ma era un foglio pieno di lettere e frasi.
“Signor
Bardack, questa non è una fotografia. Perché l'ha
conservata?”
domandò la bambina, sventolando il foglio come una bandiera,
e suo
padre, prendendola in mano, disse: “Fammi vedere,
Bra.” “No,
aspetta, Vegeta...!” tentò di fermarlo Bardack, ma
era troppo
tardi.
Vegeta
la lesse e, più la leggeva, più restava sconvolto.
Caro
Bardack.
Stanotte
ho sognato di nuovo Vegeta ed Echalotte che continuavano a odiarmi.
Come
dare loro torto?
Mi
sono comportato da deficiente!
Non
so più come andare avanti!
Vorrei
non aver mai detto quella bugia!
Vorrei
aver detto ad Echalotte la verità!
Se
l'avessi fatto, forse, in questo momento, sarei felice, con accanto
mia moglie e mio figlio... ma, purtroppo, non succederà mai!
Io
non potrò più felice... non dopo le terribili
cose che ho fatto
alla mia famiglia.
Come
ho potuto essere tanto stupido?!
La
ferita che mi sono auto-inflitto in passato non si rimargina, non ci
riesce!
Non
ce la faccio più!
Vorrei
tornare indietro per dire la verità a Echalotte...
Lo
vorrei tanto... ma non posso!
Ma
la cosa di cui non mi perdonerò mai, è di aver
deluso mio figlio...
Quella
notte, quando me ne sono andato, l'ho visto nel mio specchietto
retrovisore... quando l'ho visto cadere, avrei voluto fermare la
macchina e andare a soccorrerlo... ma, poi, ho avuto paura di
deludere nuovamente la mia famiglia.
Se
avessi detto loro la verità, probabilmente mi avrebbero
trattato con
odio e rancore... e io non sarei mai riuscito a sopportarlo...
Nella
stanza calò il silenzio.
Bardack,
approfittando della lettura della lettera di Vegeta, aveva mandato
via Pan e Bra e, dopo averlo fatto, rimase nella stanza, in silenzio.
Sapeva
cosa passava per la testa del ragazzo e sapeva già che cosa
gli
avrebbe domandato tra poco.
Infatti,
dopo dieci minuti di silenzio, Vegeta trovò la forza di
domandare a
Bardack: “L'ha scritta mio padre, non è
vero?” “Sì.” “Di
quale bugia parla nella lettera?” “Te la senti di
conoscere la
verità?” “Sono pronto.”
Dopo
un attimo di silenzio, Bardack, finalmente, rivelò:
“Tuo padre non
è mai svenuto per un calo di zuccheri... quel malore che
l'aveva
colpito al lavoro era dovuto alla sua malattia ai reni.”
Per
un attimo, si sentì solo il suono del vento, poi, Bardack
continuò:
“Lo scoprimmo solo quando il medico lo visitò. Gli
disse che se
non trovava un nuovo rene sarebbe morto. Gli proposi di restargli
accanto quando ve l'avrebbe detto ma rifiutò. Purtroppo, non
riuscì
a dirvi la verità e non poté più
tornare indietro. Tre volte alla
settimana doveva recarsi in ospedale per fare la dialisi e, siccome
non aveva rivelato di avere un problema, cominciarono a circolare
delle voci secondo cui tuo padre vi tradiva e la vostra situazione
familiare precipitò finché tuo padre, disperato,
non se ne andò.”
Una
volta finito il racconto di Bardack, Vegeta sussurrò:
“E' la
verità?” “Sì.”
Il
giovane uomo stette in silenzio un attimo, poi disse: “Una
bugia...
UNA SEMPLICE BUGIA HA DISTRUTTO LA MIA FAMIGLIA!”
“Ti sbagli,
Vegeta... anche la gelosia, la paura e le malelingue l'hanno
distrutta.” gli disse Bardack ma Vegeta lo interruppe:
“Non
importa chi sia stato... ormai la mia famiglia è distrutta!
Anch'io
l'ho distrutta... avrei dovuto parlargli e chiedergli spiegazioni,
non cedere al mio odio! Ormai, non potrò mai più
riparare la mia
famiglia! E' stata tutta colpa mia! Mia e del mio orgoglio!”
Bardack
lo lasciò sfogare e, poi, mettendogli una mano sulla spalla,
gli
sussurrò: “Ascolta, Vegeta... forse non
è troppo tardi. Raggiungi
tuo padre e parlagli. Sono sicuro che saprai cosa dirgli. Se vuoi
riparare la tua famiglia, va. Ricordati: non è mai troppo
tardi per
perdonare.”
Mise
dentro la valigia e, poi, chiuse il bagagliaio.
Gli
sembrò di essere tornato indietro nel tempo... in quella
tremenda
notte in cui aveva deciso di andarsene... in quanto non ce la faceva
più...
Quella
maledetta bugia gli aveva solo rovinato la vita... se avesse potuto
tornare indietro e dire la verità sulla sua malattia ad
Echalotte...
Anche
adesso se ne stava andando per sempre... ma, stavolta, per un motivo
diverso...
Perché
la sua presenza rovinava la vita ai suoi figli...
Vegeta
aveva rinunciato a un rene per salvarlo eppure non avrebbe mai smesso
di odiarlo per il suo abbandono...
Al
contrario di Tarble... nonostante l'avesse abbandonato quando non era
nemmeno nato, aveva voluto conoscerlo e parlargli... come se non
fosse mai successo niente... anche quando si era fatto male a causa
sua, Tarble non l'aveva odiato... aveva persino provato a parlargli e
gli telefonava in continuazione.
Tuttavia,
lui non riusciva ad accontentarlo... perché aveva paura di
deludere
nuovamente suo figlio...
Si
diresse verso la macchina e aprì la portiera.
Ma,
proprio quando stava per entrare, una mano gli prese il braccio e gli
disse: “Fermati!”
L'uomo,
sorpreso, si girò.
Davanti
a lui, c'era il suo figlio più grande, Vegeta, rosso in
volto e con
il fiatone, come se avesse corso a perdifiato.
L'uomo
fissò in silenzio suo figlio.
Perché
Vegeta era lì?
Il
vento, da sempre portatore di novità, avvolse padre e figlio.
Qualcosa
stava per cambiare... per sempre... |
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Capitolo 24 *** L'ultimo segreto ***
CAPITOLO
24: L'ULTIMO SEGRETO
Padre
e figlio rimasero lì, immobili, per un po',
finché, alla fine,
Vegeta non sussurrò: “Non... non andartene di
nuovo... ti
prego...”
Suo
padre non disse niente ma continuò a guardarlo mentre forti
emozioni
esplodevano in lui.
“So
perché te ne sei andato...” continuò
Vegeta “E voglio sapere
com'è stato per te vivere con il peso del tuo segreto... ti
prego...”
Per
qualche minuto, tra padre e figlio calò un silenzio di
tomba, poi
l'uomo gli domandò: “Vuoi davvero saperlo,
Vegeta?” “Sì...”
fu la risposta di Vegeta.
Padre
e figlio erano seduti su una panchina del parco.
Intorno
a loro, la neve bianca copriva tutto, erba, giochi, sentieri...
Intorno
a loro, vi era il silenzio, fitto come quella neve...
Dopo
un lungo momento di silenzio, finalmente, suo padre cominciò
a
parlare: “Quando seppi della mia malattia... provai rabbia e
disperazione... verso me stesso. Sai, ho sempre cercato di non essere
uno scarto... e sapere che avevo una grave malattia... mi faceva
sentire lo scarto che avevo sempre cercato di non essere... lo scarto
guardato da tutti con pietà...”
Vegeta,
immediatamente, ribatté: “Per la mamma non eri uno
scarto... e se
glielo avessi detto, non ti avrebbe trattato con
pietà...” “Ho
avuto paura di farla soffrire.” l'interruppe la voce di suo
padre.
Vegeta
vide suo padre abbassare la testa e sussurrare: “Avevo paura
di far
soffrire lei... e anche te.”
L'uomo
rimase in silenzio, mentre con la mente tornava al ricordo
più
doloroso di tutti... il ricordo della stupidaggine più
grande della
sua esistenza...
I
due uomini rimasero, immobili e silenziosi, nell'immenso corridoio
bianco.
Alla
fine Bardack, con tatto, domandò a Vegeta: “Vuoi
che ti stia
accanto quando glielo dirai?”
Vegeta
si mise a riflettere.
Una
parte di sé, voleva averlo accanto, in modo da trovare la
forza di
dire quella cosa a sua moglie... ma l'altra, quella che dava retta al
suo orgoglio, gli diceva che se si fosse presentato a sua moglie con
un appoggio sarebbe stato troppo imbarazzante...
“Non
ho bisogno di te... comunque grazie.” gli disse, prima
d'incamminarsi nel corridoio.
Era
fuori dall'ospedale e guardava il volo di alcuni uccelli.
Uccelli
sereni che volavano senza alcuna preoccupazione, al contrario di
lui...
“Vegeta!”
Si
girò, lentamente, verso la voce, che sapeva benissimo a chi
apparteneva...
Infatti,
sua moglie Echalotte era lì che teneva per mano il piccolo
Vegeta.
Anche
se sembrava tranquilla, capì, dai suoi occhi, che era
tremendamente
preoccupata per lui.
La
donna domandò, con un lieve cenno d'ansia: “Mi
dici cos'è
successo? Per quale motivo sei svenuto?”
Lui
spostò lo sguardo.
Come
poteva dirle che aveva una grave malattia ai reni e molto presto
sarebbe morto?!
Quando
aveva parlato prima con Bardack, era sicuro che ce l'avrebbe fatta
ma, adesso, non era più tanto sicuro...
“Allora?”
insistette sua moglie e, prima che riuscisse a bloccare le parole,
sussurrò: “Era solo un calo di
zuccheri.” “Eh?” fece,
sorpresa, sua moglie e lui continuò: “Stamattina
non ho mangiato
niente... e così sono svenuto.”
Echalotte
rimase zitta un attimo poi, seccata, protestò:
“Sei proprio un
idiota, Vegeta! Mi sono preoccupata a morte per niente! Ho avuto il
presentimento che stessi per morire!”
Vegeta
rimase in silenzio, mentre il vento gli muoveva i capelli.
“Quando
mi resi conto di ciò che avevo fatto era troppo tardi. Non
potei far
altro che continuare a mentire.”
Vegeta
non disse niente, in quanto era sconvolto dalla confessione di suo
padre...
Non
si sarebbe mai aspettato di scoprire un lato così distrutto,
disperato e triste di suo padre...
Dopo
una pausa, suo padre continuò: “Se avessi
raccontato la verità...
l'avrei delusa... ma quando non ce la feci più a vivere in
quell'inferno di bugie e segreti che mi ero creato, dovetti
andarmene... e vissi per anni da solo con il dolore e il
rimpianto...”
Dopo
un attimo di silenzio, Vegeta esclamò:
“Ehi...”
Suo
padre si voltò e una piccola palla di neve lo
colpì in faccia.
“Ti
ho colpito.” esclamò, divertito, Vegeta ma aveva
appena finito di
parlare che un'altra palla di neve colpì stavolta lui in
faccia.
“Credi
di battermi con una misera palla di neve?” lo
provocò, divertito,
suo padre e aggiunse: “Sono un campione a palla di
neve.” “Una
volta, forse, ma ora non più.” lo sfidò
Vegeta, mentre preparava
una palla di neve da lanciargli.
Per
vari minuti, padre e figlio si lanciavano senza sosta delle palle di
neve.
A
volte le schivavano ma ce n'erano altre in cui uno dei due riusciva a
colpire l'avversario.
Nessuno
dei due, aveva intenzione di cedere.
Vegeta
era così concentrato a lanciare le palle e a rincorrere suo
padre,
che non si accorse di una lunga lastra di ghiaccio e ci mise il piede
sopra.
Scivolò
si di essa e cadde dalla piccola zolla di terra su cui era e
sbatté
violentemente su un pezzo di ghiaccio.
Vegeta
fece appena in tempo ad accorgersi che si trovava proprio sul lago
ghiacciato che sentì il ghiaccio scricchiolare e, poi,
rompersi.
“AAAAAHHHH!!!!!”
urlò Vegeta tentando di aggrapparsi al bordo con una mano.
Stava
per cedere la presa e precipitare completamente nelle gelide e buie
acque del lago quando una mano lo afferrò.
Vegeta
alzò gli occhi e i suoi occhi neri si fusero in quelli di
suo padre.
“NON
MOLLARMI!” lo pregò, disperato, Vegeta e suo padre
rispose: “COL
CAVOLO CHE TI MOLLO!”
Dopo
avergli detto quelle parole, avvicinò a lui l'altro braccio
e
ordinò: “CORAGGIO! ALLUNGA L'ALTRA MANO!”
Vegeta
allungò la mano, che tremava per il freddo, e suo padre, con
forza e
decisione, l'afferrò.
Poi,
con tutta la forza che possedeva, cominciò a tirarlo fuori
dalla
trappola di ghiaccio in cui era finito.
Finalmente,
dopo cinque minuti, che ai due parvero secoli, l'uomo riuscì
a
liberare il figlio.
Ansimando
profondamente, i due si guardarono negli occhi.
Nei
loro grandi e profondi occhi neri.
Alla
fine, l'uomo si tolse in fretta e furia il cappotto che indossava e
coprì il figlio con esso.
Poi,
lo aiutò a sollevarsi e, camminando il più
velocemente possibile,
lo condusse fuori dal parco.
Sfortunatamente,
non aveva portato con sé la macchina, dato che si erano
diretti in
quel parco a piedi, e se non lo portava subito al caldo sarebbe
congelato.
In
più, come se non bastasse, stava scendendo la notte e la
temperatura
si sarebbe abbassata.
Ad
un tratto, vide un veicolo che poteva permettere ad entrambi di
arrivare a casa sua in fretta...
“TAXI!”
urlò l'uomo, agitando la mano e facendolo fermare.
Dopo
aver aperto la porta del suo appartamento, entrò in fretta e
furia.
Assieme
a Vegeta, che si era avvolto il più possibile nel cappotto
del padre
per potersi scaldare, si diresse verso la sua camera da letto.
Una
volta lì, lo fece sedere sul letto e, una volta tirato fuori
dall'armadio un suo pigiama, cominciò a spogliarlo.
Vegeta
avrebbe voluto ribellarsi e dirgli che ce la faceva da solo ma
qualcosa, dentro di lui, lo bloccava.
Mentre
suo padre gli toglieva i vestiti bagnati, si sentiva tornato un
bambino...
Un
bambino che ammirava suo padre e che avrebbe fatto di tutto per farsi
notare da lui e renderlo orgoglioso...
Fino
ad allora, aveva creduto che il bambino dentro di lui fosse morto da
tempo... ma, invece, non era vero.
Quel
bambino si era semplicemente nascosto... in attesa che suo padre
tornasse...
Una
volta che suo padre l'ebbe svestito e fatto indossare il suo pigiama,
gli ordinò, prima di uscire dalla stanza: “Va
sotto le coperte.”
Vegeta,
immediatamente, obbedì a suo padre.
Per
vari minuti rimase lì sotto, a riflettere su tutto quello
che gli
stava accadendo.
Si
sentiva strano.
Dentro
di sé, avvertiva un'emozione e uno strano calore che
crescevano
sempre di più.
Ad
un tratto, la porta si aprì e suo padre entrò in
camera.
Vegeta
si girò e vide che l'uomo aveva in mano un cucchiaio con una
strana
sostanza liquida.
“Bevi
questa medicina... ha un pessimo sapore ma ti farà
bene.” gli
disse, avvicinando la medicina alla sua bocca, e lui obbedì.
Era
proprio uno schifo... sembrava la bava di una lumaca...
La
deglutì a fatica e, poi, commentò:
“Bleah... che saporaccio...”
Suo
padre non rispose.
Si
diresse verso la porta e si raccomandò: “Adesso
resta lì sotto e
non ti muovere, chiaro?”
Vegeta
rimase lì, sdraiato e immobile, a guardare il buio nella
stanza...
BIP
BIP BIP BIP
Lo
strano rumore squarciò il silenzio.
Incuriosito,
Vegeta si alzò dal letto e aprì la porta.
Vide
la sagoma di suo padre dargli le spalle con un telefono in mano.
Ad
un tratto, lo udì: “Sono io... Vegeta è
caduto nel lago
ghiacciato che c'è al parco... no, tranquilla, sta bene...
stanotte
dormirà a casa mia.”
Ad
un tratto voltò la testa e Vegeta si sbrigò ad
allontanarsi dalla
porta e a infilarsi sotto le coperte, sperando che suo padre non
l'avesse visto.
Erano
le undici e mezzo.
La
maggior parte degli inquilini del palazzo dormiva già da un
pezzo...
tranne un uomo solo.
Si
diresse verso una porta e l'aprì.
Lo
vide rannicchiato su un fianco come un gatto, con gran parte delle
coperte giù e con un'espressione serena e tranquilla.
Prese
le coperte e le rimase sul corpo.
CLICK
La
luce della lampada sul comodino si accese di colpo e vide guardarlo.
L'uomo
rimase immobile.
Da
quanto tempo era sveglio?!
Cosa
poteva dirgli per giustificare il suo gesto?!
Aveva
troppa paura di dirgli che gli voleva bene... perché aveva
paura di
soffrire di nuovo.
Inaspettatamente,
Vegeta si spostò un po' sul letto, come se volesse dargli
dello
spazio dove sedere.
L'uomo,
un po' titubante, accontentò il figlio.
Vari
minuti di silenzio passarono ma, alla fine, Vegeta sussurrò:
“Senti... è passato tanto tempo... noi due...
potremmo
ricominciare da capo. Insieme.” “Ti senti, sul
serio, pronto a
perdonarmi?” gli domandò suo padre e il figlio,
con un sorriso
sulle labbra, annuì: “Sì. Ora che mi
hai rivelato tutti i tuoi
segreti, sono pronto.” “Ti sbagli,
Vegeta.” lo interruppe,
all'improvviso, l'uomo e, poi, aggiunse: “C'è
ancora un segreto
che non ti ho detto...” “Te la senti di
raccontarmelo?” “Sì.”
Padre
e figlio rimasero a guardarsi per un lungo attimo, poi l'uomo
domandò
al figlio: “Vegeta... tu cosa sai dei miei
genitori?” “Niente...”
ammise il ragazzo e suo padre, spostando lo sguardo,
cominciò a
raccontare: “Mia madre... era da sempre una ragazza molto
dolce e
gentile. Aveva un sorriso così bello che ti faceva
dimenticare tutti
i problemi. Quando finì l'università,
incontrò un uomo e
s'innamorò, ricambiata, di lui. Dopo un po' di tempo, si
sposarono.
Sfortunatamente, un giorno accade qualcosa che rovinò per
sempre le
loro vite e che, per poco, non fece perdere per sempre il sorriso a
mia madre. Una mattina, un uomo entrò nell'appartamento dove
vivevano... e la stuprò. Venne ritrovata da suo marito in
condizioni
critiche quando tornò dal lavoro, in quanto quel maledetto
aveva
tentato di ucciderla per non essere denunciato, e venne portata
subito all'ospedale. Miracolosamente, sopravvisse e riuscì a
far
arrestare l'uomo che aveva abusato di lei. Sembrava tutto finito ma,
invece, non lo era affatto. Perché, alcuni mesi dopo, si
scoprì che
era incinta. Aspettava un bambino da quel criminale.”
Vegeta
era sconvolto.
Aveva
capito chi era il bambino di cui suo padre parlava...
Infatti,
l'uomo si voltò verso di lui e, guardandolo negli occhi,
rivelò: “E
quel bambino ero io.” |
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Capitolo 25 *** Il figlio dello stupro ***
CAPITOLO
25: IL FIGLIO DELLO STUPRO
I
minuti passarono lentamente, nel corso dei quali, i due non smisero
di guardarsi negli occhi, poi, finalmente, suo padre
ricominciò a
raccontare: “Non so e non capisco perché mia madre
ha voluto
tenermi... io non ero stato concepito in un rapporto consenziente...
io ero nato con la violenza. Tuttavia... i miei parvero amarmi
veramente anche se io... avvertivo un'aria di ostilità in
tutti...”
Il
bambino con i capelli castani fissò a lungo gli altri
bambini
giocare a calcio.
Gli
sarebbe tanto piaciuto giocare con loro, ma gli altri non
l'invitavano mai a giocare.
Se
ne stava sempre lì a fissarli giocare in silenzio e le poche
volte
che chiedeva di partecipare, loro lo mandavano via.
Eppure,
a lui sarebbe tanto piaciuto giocare a calcio... tutti i maschi
dell'asilo giocavano a calcio... e se giocavi a calcio assieme a loro
facevi parte a tutti gli effetti del gruppo.
Pertanto
decise di riprovare di nuovo: “Ehi, posso giocare
anch'io?”
Il
gioco si fermò immediatamente.
Gli
altri bambini lo fissarono a lungo con uno strano sguardo, poi uno
disse: “Vattene via, non giochiamo con te!”
“Scusa, Vegeta, ma
i miei genitori mi hanno vietato di giocare con te.”
provò a
scusarsi un altro.
I
bambini ricominciarono a giocare mentre Vegeta li fissava in completo
silenzio.
“Nonostante
quegli strani comportamenti... i miei genitori continuavano a volermi
bene... e ciò mi bastava.”
Vegeta
ascoltava suo padre in completo silenzio.
La
sua infanzia per lui, era stata un tremenda, visto che lui li aveva
abbandonati da piccoli, ma anche suo padre aveva patito le pene
dell'inferno da bambino.
Alla
fine, con un filo di voce, sussurrò: “Che fine ha
fatto... lui?”
“Morì in una rissa in carcere.” fu la
sua semplice risposta e,
poi aggiunse: “Ma per me, lui non è mai stato mio
padre... quello
che per me era davvero mio padre era il marito di mia madre... anche
se non ero suo figlio, mi trattava come gli altri bambini... ma non
ho mai saputo cosa provasse veramente per me... perché il
giorno del
mio terzo compleanno morirono entrambi... per causa mia...”
Il
bambino guardava con incredulità gli enormi palazzi e tutta
la gente
che c'era in città.
Non
ne era per niente abituato, visto che abitava in una piccola
cittadina e quella era un'immensa metropoli, ma, tuttavia, lo
affascinava, e molto...
Guardò
la sua mamma e il suo papà ed esclamò:
“Mamma, papà. Questa
città è fantastica! E' il più bel
regalo di compleanno che abbia
mai avuto!” “Ne sono contento,
scimmietta.” gli disse suo padre
e il piccolo sorrise sentendo il suo soprannome.
Per
pranzo avevano mangiato in un MacDonald e nella confezione dei bimbi
aveva trovato nientemeno la carta leggendaria del suo programma
preferito.
Chissà
che faccia avrebbero fatto, domani, i suoi compagni d'asilo quando
l'avrebbero visto con quella... finalmente, l'avrebbero trattato
bene.
Finalmente,
avrebbe avuto un amico...
Ad
un tratto, la carta gli scivolò via dalla tasca dei
pantaloni.
Quella
carta era rarissima e se l'avesse persa...
“Mamma,
papà, mi è caduta la carta. Vado a
riprenderla.” dichiarò il
piccolo, lasciando la mano di entrambi i suoi genitori e correndo a
recuperarla.
Raggiunse
il punto dov'era volata e la prese, tutto contento nel vedere che non
si era sciupata.
Si
girò per raggiungere i suoi genitori... e accadde.
Una
macchina uscì di strada e travolse in pieno i suoi genitori,
generando un rumore molto forte ma che il bambino, a causa dello
shock, non udì.
Per
un attimo, il bambino rimase immobile, sperando, con tutto il cuore,
che i suoi si rialzassero illesi, come i personaggi dei cartoni
animati.
Ma
i secondi passarono, la gente si avvicinava per vedere meglio e loro
due non si muovevano.
“MAMMA!
PAPA'!” urlò con tutto il fiato che aveva in
corpo, dirigendosi
verso di loro, evitando tutti i presenti.
Una
volta che fu davanti ai loro corpi immobili li toccò ma
subito
trasse la mano.
Erano
entrambi gelidi come il ghiaccio...
“MAMMA,
PAPA'! SVEGLIATEVI, VI PREGO!” li implorò il
bambino, continuando
a scuoterli con forza e piangendo a più non posso, mentre le
sue
piccole mani bianche si macchiavano di sangue...
“Se
io non li avessi fermati per poter raccogliere la carta... o se non
fossi mai nato... i miei genitori non sarebbero mai morti...”
confessò, con un sussurrò, suo padre mentre
Vegeta continuava ad
ascoltarlo in silenzio.
Dopo
un sospiro, suo padre continuò il suo racconto:
“Venni portato in
un istituto e anche lì gli altri bambini mi evitavano... ma,
stavolta, non c'erano più i miei genitori...”
“Quando hai capito
il perché?” “A causa di una rissa a
sette anni. Un gruppo di
bulli mi circondò e cominciò a canzonarmi... mi
chiamavano il
figlio dello stupro e ridevano... io persi la testa e li picchiai...
poi cercai il significato della parola stupro e...”
Non
riuscì a finire la frase.
Dopo
un attimo di silenzio, suo padre continuò: “Quando
scoprì il
significato della parola... ne parlai con la direttrice... e lei mi
raccontò tutto.” “La mamma lo
sa?” “Sì... glielo dissi...”
I
due fissarono con profonda noia il presentatore in tv.
Nessuno
di loro prestava la minima attenzione al suo discorso.
Entrambi
erano emozionati al pensiero di trovarsi a pochi passi della persona
che amavano... ma, come al solito, erano troppo orgogliosi per dirlo
e speravano ardentemente che fosse l'altro a fare la prima mossa.
Ad
un tratto, Echalotte, per far placare il tremendo silenzio nella
stanza, domandò: “Ehi, cosa intendi fare
domani?”
Vegeta
la fissò un attimo, poi rispose: “Penso che
andrò in palestra ad
allenarmi.” “Ancora?! Ma ci sei andato ieri e
l'altro ieri!”
gli fece notare, incredula, Echalotte e il ragazzo rispose, in tono
abbastanza secco: “Devo allenarmi.”
“Pensi di star lì tutto il
giorno?” gli domandò e lui rispose:
“Ovvio, perché?”
Aveva
appena finito di rispondere alla domanda che Echalotte si
avvicinò
al suo volto e lo baciò sulle labbra.
Vegeta
sgranò gli occhi, incredulo.
Echalotte...
la donna che amava... l'aveva baciato...
Echalotte
continuò a premere le sue labbra su quelle di Vegeta.
Non
riusciva ancora a credere a quello che stava facendo.
Alla
fine, era stata lei la prima a iniziare.
Era
un grave smacco per il suo orgoglio... eppure era contenta lo stesso.
Se
avesse lasciato che fosse Vegeta il primo a iniziare, molto
probabilmente non l'avrebbe mai baciata nemmeno a novant'anni!
I
due continuarono a baciarsi appassionatamente, rivelando le emozioni
che da sempre avevano provato per l'altro.
Ma
Echalotte voleva di più.
Con
la mano prese la maglia di Vegeta e cominciò a toglierla.
Vegeta
sussultò.
Echalotte
voleva spingersi più in là.
Anche
lui lo voleva, lo desiderava ardentemente, solo che... doveva
dirglielo.
Se
lo voleva, doveva sapere la verità su di lui... anche se
avrebbe
significato farsi odiare da lei...
“Fermati!”
la pregò lui, afferrandola la bianca mano.
Lei
sgranò gli occhi, stupita da quello strano comportamento
poi, indurì
lo sguardo e sibilò: “Sei uno stupido! Sono una
stupida! Vai al
diavolo e restaci!”
La
ragazza, adirata si alzò in piedi e si diresse verso la
porta ma
Vegeta le afferrò il braccio, dicendole:
“Aspetta!” “E adesso
che cavolo vuoi?! Se ti sei pentito è troppo
tardi!” lo avvisò
lei ma Vegeta rispose: “C'è una cosa che ti devo
confessare se
vuoi far sesso con me!”
Dopo
aver fatto un respiro, il ragazzo rivelò: “Sono
stato concepito da
un criminale che stuprò mia madre! Sono nato da una violenza
sessuale! Sono il figlio di uno stupro!”
Echalotte
rimase ferma un attimo, poi, appoggiò di nuovo le sue labbra
su
quelle di Vegeta.
Vegeta,
dopo un iniziale stupore, rispose al bacio con passione.
Con
quel bacio, lei gli aveva detto tutto.
Gli
aveva detto che, anche se era nato da uno stupro, lo amava e che
voleva far sesso con lui.
E
lui l'avrebbe accontentata.
“Fu
in quella notte che venni concepito, non è vero?”
Il
silenzio cadde nella stanza.
L'uomo
guardò il figlio.
Come
lo sapeva?
Dubitava
fortemente che sua moglie gliene avesse parlato...
“Non
me l'ha detto la mamma.” confermò Vegeta, come se
leggesse nei
suoi pensieri “Lo scoperto da solo, un po' come quando hai
scoperto
com'eri stato concepito... ti ricordi quando ti parlai per la prima
volta di Tarble e ti dissi che in prima media era stato picchiato da
dei bulli?” “Certo.” “Io volli
vendicarlo per tutte le botte
e gli insulti che aveva avuto... così, il giorno dopo mi
misi a
cercarli e quando li trovai li massacrai di botte...”
Vegeta
guardò divertito, quella banda di idioti da quattro soldi,
ormai
tutti a pezzi.
Così
imparavano a picchiare suo fratello...
Ad
un tratto, si accorse che uno della banda, un ciccione pelato,
cercava di rialzarsi in piedi e di scappare.
“Dove
credi di andare? Non ho ancora finito con te!” lo
avvisò Vegeta,
raggiungendolo.
Il
bullo sbiancò trovandosi davanti a Vegeta e lo
implorò: “T-ti
prego! Non mi picchiare!” “Avresti dovuto pensarci
prima di
massacrare di botte mio fratello! Ora proverai tu stesso tutto il
dolore che ha avuto Tarble!” “A-aspetta, Vegeta!
S-se mi lascerai
andare, t-ti rivelerò un segreto! S-si tratta di tua
madre... e di
tuo padre!” “COSA?!”
Vegeta
smise subito di picchiarlo.
“Cosa
sai sui miei genitori?! Avanti, parla!” lo
minacciò il bambino,
fissandolo con due occhi di fuoco.
Il
ragazzo ansimò profondamente e, poi, domandò:
“Mi prometti che se
te lo dico smetterai di picchiarmi?” “Se non me lo
dirai
immediatamente, ti ammazzerò subito, quindi sputa il
rospo!”
Il
bullo, capendo che era meglio rivelare ciò che sapeva,
raccontò: “I
tuoi genitori non si sono sposati perché si
amavano...” “Cosa
intendi dire?” “Devi sapere che quando i tuoi
genitori studiavano
all'università, il loro insegnante li mise insieme per una
ricerca,
e si ritrovarono a casa di tuo padre... e quella stessa notte tua
madre rimase incinta di te.”
Vegeta
rimase in silenzio.
Quindi
era così che erano andate le cose.
I
suoi genitori non si erano affatto sposati perché si
amavano, come
succedeva nelle favole.
Si
erano sposati per lui.
Per
questo suo padre se n'era andato con un'altra donna.
Lui,
molto probabilmente, non era mai stato innamorato di sua madre.
Lui
non l'aveva mai amato, era stato solo un incidente durante un
rapporto.
Lui
non avrebbe mai dovuto nascere.
Doveva
aver sposato sua madre solo per salvarsi la faccia, per dimostrare al
mondo che era un uomo che si prendeva le sue responsabilità
ma
quando avevano smesso di essergli utili, li aveva abbandonati senza
alcun rimpianto.
In
quel momento, dentro di lui, si sviluppò un odio feroce.
Un
odio feroce per suo padre.
“Attraverso
quelle parole, credetti di capire tutto di te... credetti che tu te
n'eri andato solo perché non mi amavi... perché,
per colpa mia, ti
eri sposato e rovinato la vita... fu da quel momento che ti odiai con
tutto me stesso. Anche prima di quelle parole ti odiavo... ma se
fossi tornato, alla fine ti avrei perdonato e sarei ritornato ad
ammirarti, come quando ero bambino. Quando scoprì la
verità sulla
tua fuga... fui confuso come non mai e ti ho cercato perché
tu
rispondessi a due domande che mi ossessionano, a cui ti prego di
rispondere sinceramente: tu mi ami? O per te sono solo uno
sbaglio?”
Suo
padre rimase in silenzio un attimo, poi rispose:
“Sì... fu in
quella notte che tu venni concepito... non l'avevamo previsto
né io
né lei... nella mia vita, Vegeta, ho fatto molti sbagli, ma
tu...
sei stato lo sbaglio più bello di tutti. Sei l'unico sbaglio
che mi
ha permesso, per tre anni, di essere felice... e sei l'unico sbaglio
che, se potessi tornare indietro, rifarei non una ma cento
volte.”
Si
voltò verso di lui e, guardandolo negli occhi, sorrise:
“Grazie,
Vegeta. Grazie per tutto.”
Vegeta
sentì le lacrime rigargli le guance ma non fece nulla per
fermarle.
Suo
padre... l'aveva ringraziato... per essere nato... anche se per
sbaglio...
“Papà...”
sussurrò Vegeta, per la prima volta da tanti anni, poi si
fiondò su
di lui, urlando: “PAPA'!”
Con
la faccia sul suo petto e con le lacrime che non riuscivamo a
fermarsi, gli disse: “Scusami, papà! Ho dato retta
al mio odio e
al mio orgoglio... avrei dovuto parlarti, cercare di capire! Che
stupido che sono stato!”
Suo
padre lo fissò, in silenzio.
Vegeta
l'aveva abbracciato tra le lacrime.
Non
solo, gli aveva chiesto scusa per aver ceduto alla sua rabbia e al
suo orgoglio... è l'aveva chiamato papà... era
passato tanto tempo
dall'ultima volta che Vegeta l'aveva chiamato così... come
la prima
volta...
Nella
stanza, vi era il più completo silenzio, ad eccezione del
continuo
rumore della tastiera.
Ormai,
erano ore che continuava a scrivere ininterrottamente e, fra poco,
avrebbe finito.
SDENG
Lui
sbuffò, scocciato, e si voltò per vedere il
piccolo responsabile di
quel baccano che lui, purtroppo, conosceva molto bene...
Infatti
vide Vegeta, suo figlio, che si divertiva a lanciare contro il muro i
suoi giochi.
“Ti
diverti tanto a fare rumore, non è vero?” gli
disse, mentre lo
prendeva per le ascelle “Allora lascia che ti mostri un nuovo
gioco: tu te ne stai nel box fino al ritorno della mamma e guai a te
se ti metti a piangere.”
L'uomo
mise il figlio nel box nell'altra stanza e, poi, fece per andarsene
quando una voce piccola e acuta lo fermò:
“Papà!”
Lui
si girò a fissarlo, in silenzio.
Il
piccolo Vegeta, vedendo che suo padre lo guardava, continuò
a
chiamarlo: “Papà! Papà!”
Era
la sua prima parola... lui era la sua prima parola...
Il
cuore gli batté forte per l'emozione.
Suo
figlio gli aveva dedicato la sua prima parola...
L'istinto
gli diceva di tornare da lui e di abbracciarlo ma il suo orgoglio gli
diceva di non farlo...
Alla
fine, decise di dar retta al suo orgoglio.
Si
voltò e uscì dalla stanza.
Vegeta
sentì le braccia di suo padre avvicinarsi a lui.
Sapeva
cosa sarebbe successo.
Suo
padre l'avrebbe mandato via ma non gli importava.
Non
gli importava assolutamente.
Inaspettatamente,
le braccia di suo padre l'avvolsero in un caldo abbraccio.
Vegeta
sgranò gli occhi, incredulo da quello che stava succedendo.
Suo
padre l'aveva abbracciato.
Nemmeno
nei suoi sogni di bambino di due anni aveva mai sperato tanto.
Il
massimo che sperava di ottenere da lui, per dimostrargli il suo
affetto, era uno sguardo o che lui gli rivolgesse la parola... ma un
abbraccio... sapeva che era troppo, ma, in fondo al suo cuore, aveva
sempre sperato che lui lo facesse...
E,
adesso, stava accadendo.
Non
sapeva come sentirsi.
Era
un mix di stupore e gioia.
Si
strinse ancora di più sul petto di suo padre.
Per
vari minuti, nessuno dei due disse niente, in quanto temevano di
rompere quel silenzio, ma, alla fine, Vegeta sentì suo padre
sussurrare: “Vegeta... mi dispiace.”
L'uomo,
per un attimo, si sentì mancare il respiro.
Aveva
riconosciuto quella voce.
La
voce che, per anni, durante le sue ore di dolore e solitudine gli
avevano scaldato il cuore...
“Allora
eri tu...” rispose Vegeta, guardando suo padre negli occhi
“Sei
tu che mi hai detto -quindi sei un maschio...-”
“Allora mi hai
sentito...” ammise l'uomo poi, stringendo ancora di
più il figlio,
confessò: “Ti dissi quella frase quando eri ancora
nella pancia
della mamma... il giorno in cui scoprì che eri un maschio...
ti ho
amato fin da quando tua madre mi ha detto di essere incinta... ma ero
troppo orgoglioso per dirlo, così... ti accarezzavo e ti
parlavo
solo di notte.” “Credo che la mamma lo
sapesse...” rivelò il
figlio, ricordando di quando sua madre l'aveva preso per il braccio
mentre accarezzava il suo ventre gonfio...
L'aveva
scambiato per suo padre... inconsciamente, doveva aver sperato che
suo marito fosse tornato...
Sentì
le dita calde di suo padre avvicinarsi al suo viso e asciugargli le
lacrime.
“Papà...”
sussurrò, imbarazzato “Io non riesco a smettere di
piangere...
sono solo uno stupido...” “Allora mi sa che siamo
entrambi due
stupidi perché nemmeno io riesco a trattenere le
lacrime.”
Vegeta
alzò lo sguardo e vide gli occhi di suo padre, di solito
orgogliosi,
distanti e tristi, lucidi e che buttavano fuori molte lacrime.
Non
riusciva a credere che proprio suo padre stesse piangendo... aveva
sempre pensato che solo i deboli si mettono a piangere... ma, per
quella notte, l'orgoglio poteva anche andarsene!
“Sono
stato tremendo, non è vero?” domandò
Vegeta e suo padre,
chiudendo gli occhi e sorridendo, senza smettere di piangere,
rispose: “Lo siamo stati entrambi.”
Padre
e figlio si sdraiarono sul letto, senza smettere di abbracciarsi.
Ad
un tratto, nel buio della notte, si sentirono i dodici rintocchi
della mezzanotte.
Mentre
suonavano, l'uomo guardò negli occhi il proprio figlio e gli
disse:
“Senti, Vegeta... mi puoi perdonare, per favore? Lo so che mi
sono
comportato da stupido...”
Il
figlio rimase in silenzio un attimo, poi rispose: “Siamo
esseri
umani, papà. Le stupidaggini le facciamo tutti.” |
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Capitolo 26 *** Preparativi ***
CAPITOLO
26: PREPARATIVI
L'uomo,
sempre sorseggiando la sua tazza di caffè, si mise a
guardare il
cielo.
Il
cielo era pieno zeppo di nuvole nere e, secondo la radio, presto
sarebbe giunta una tempesta di neve coi fiocchi.
Suo
nipote e la sua fidanzata avevano proprio scelto un bel periodo per
convolare a nozze...
Dopo
un leggero sospiro, si voltò e guardò l'orologio:
le sette e mezza.
Posò
la tazza sul tavolo e aprì una stanza.
Stava
ancora dormendo, raggomitolato come un gatto, sotto alle coperte
mentre sul suo viso vi era un'espressione tranquilla e sognante.
Erano
passati anni dall'ultima volta che l'aveva visto dormire...
“Papà...”
sussurrò, ad un tratto, e, per un attimo, l'uomo prese un
colpo.
Temeva
di essere stato visto...
Ma
si rilassò non appena notò che gli occhi di suo
figlio Vegeta erano
ancora chiusi.
“Papà...”
continuò, mentre delle grosse lacrime cominciarono a
scendere dagli
occhi chiusi “Papà... torna qui, ti prego... non
andartene...”
A
sentir quelle parole, rimase sconvolto.
Stava
sognando quando lui se n'era andato, abbandonando la sua famiglia...
chissà quante volte doveva averlo invocato, inutilmente, nel
sonno... ma, stavolta, le cose sarebbero andate in maniera molto
diversa!
Salì
sul letto e lo abbracciò, sussurrandogli: “Vegeta,
sono qui. Non
piangere. Ti prometto che, da adesso in poi, non me ne andrò
mai
più.”
Non
si accorse che Vegeta, sentendo la sua voce, inconsciamente, si era
messo a sorridere.
“PAPA'!
PAPA'! TORNA QUI, TI PREGO! NON
ANDARTENE!”continuò a gridare,
inseguendo la macchina che si allontanava sempre di più.
Sentiva
le lacrime scendere dalle sue guance ma non gli importava.
Il
buio si stava portando via suo padre.
Ad
un tratto, inciampò e cadde disteso sulla strada mentre
l'auto si
allontanava sempre di più.
“Papà...”
sussurrò, disperato, il bambino.
SKRREEEKKK
Il
piccolo alzò gli occhi, incredulo e vide l'auto di suo padre
fermarsi e lui scendere dalla macchina.
“PAPA'!”
urlò, contento, il bambino, scordandosi di asciugarsi le
lacrime.
Il
suo papà si era fermato solo per lui... allora, per suo
padre, era
qualcosa d'importante.
Suo
padre si fermò davanti a lui e s'inginocchiò, per
poi abbracciarlo
con forza.
Vegeta
diventò rosso.
Papà
l'aveva abbracciato... il suo eroe, il suo mito... stentava ancora a
crederci...
“Papà,
c-che hai? Piantala! Mi vergogno...!” protestò il
bambino anche
se, in cuor suo, sperò che quel primo abbraccio di suo padre
durasse
il più a lungo possibile...
Ad
un tratto, suo padre sussurrò: “Vegeta, sono qui.
Non piangere. Ti
prometto che, da adesso in poi, non me ne andrò mai
più.” “Io
non sto affatto piangendo!” si difese il piccolo,
asciugandosi, in
fretta e furia le lacrime.
Ad
un tratto, un leggero movimento li fece voltare entrambi.
Davanti
a loro, in vestaglia e in silenzio, c'era Echalotte.
Dalla
sua espressione era ovvio che pretendeva dal marito una spiegazione
per il suo gesto.
L'uomo
sospirò.
Era
in trappola, non poteva scappare.
Doveva
dirle la verità...
Prese
un bel respiro e sussurrò: “Echalotte... devo
confessarti una
cosa... io... io sono malato.”
Sua
moglie rimase in completo silenzio, senza dir niente, mentre il vento
notturno le scompigliava i capelli e la vestaglia.
“Quando
sono stato ricoverato in ospedale... il medico mi ha detto che soffro
di una grave malattia ai reni e se non ne trovo uno nuovo...
morirò... non sono riuscito a dirtelo perché...
non volevo farti
soffrire! Mi dispiace!”
La
donna si avvicinò a lui.
I
loro occhi neri si fusero.
L'uomo
rimase in silenzio, aspettandosi la rabbia della moglie.
Inaspettatamente,
Echalotte gli diede un colpetto sulla fronte con le dita.
“Sceeeemo!”
dichiarò la donna, senza smettere di fissarlo.
Vegeta
rimase incredulo da quel gesto e riuscì solo a dirle:
“Ehi, ma che
fai?!” “Ti punisco per non avermi detto subito la
verità,
cretino. Hai idea ti quanto mi sono preoccupata? Io... temevo di
perderti...”
Nonostante
l'ultima frase fosse stata un sussurro, Vegeta la sentì
perfettamente.
“Scusami,
sono stato uno stupido...” ammise l'uomo ma la donna
l'interruppe:
“Di più.” “Uno stupido
deficiente?” “Di più.”
“Uno
stupido deficiente cretino?” “Di
più.” “Uno stupido
deficiente cretino idiota?” “Di
più.” “Adesso basta,
Echalotte. Ti ricordo che c'è un bambino.”
“D'accordo. Vorrà
dire che mi accontenterò di uno stupido deficiente cretino
idiota...
se tu mi giuri che non hai mai avuto un'amante.”
“Tranquilla, nei
giorni che sparivo andavo solo a fare la dialisi e a cercare un rene
compatibile...” “Il dottore cosa ti ha
detto?” “Che è solo
al primo stadio... col passare degli anni dovrebbe peggiorare... un
giorno, se non troverò un rene compatibile, avrò
un malore e
morirò...”
Il
silenzio scese sulla piana.
Vegeta
fissò suo padre abbassare lo sguardo.
Suo
padre sembrava triste...
Aveva
sempre pensato che suo padre non provasse alcun tipo di emozione ma,
invece, anche lui soffriva...
Sua
madre si avvicinò al viso di suo padre e
sussurrò: “Non
importa... l'affronteremo tutti insieme.”
Poi,
premette le sue labbra su quelle di suo padre.
Vegeta
sapeva cos'era.
Era
una cosa che i grandi chiamavano -bacio-.
Più
di una volta aveva visto i suoi genitori darsi un bacio.
All'inizio,
li aveva visti baciarsi solo per puro caso, facendo entrambi
diventare rossi come peperoni, finché non aveva detto loro
che se il
risultato di beccarli a baciarsi di nascosto era quello, che si
baciassero tranquillamente davanti a lui!
A
lui non dispiaceva se i suoi genitori si baciavano.
Da
quello che aveva capito dai cartoni animati, se due si baciavano
voleva dire che si amavano.
Quando
i suoi smisero, suo padre guardò negli occhi sua madre e le
disse,
mentre le accarezzava i capelli: “Hai ragione, Echalotte...
Scusami, sono stato uno schiocco... da adesso in poi, resteremo
insieme e, qualsiasi cosa ci accadrà, l'affronteremo...
tutti e
tre.” “No.” l'interruppe sua madre.
Padre
e figlio sgranarono gli occhi.
Cosa
intendeva?!
“Non
affronteremo in tre questa cosa...” disse sua madre,
prendendo una
mano di suo padre e posandola sul suo ventre “Ma in
quattro.”
Il
piccolo guardò sua madre dubbioso.
Cosa
intendeva la mamma?
Non
c'era nessun altro a parte loro...
E
poi perché aveva messo la mano di papà sul ventre?
Evidentemente,
si trattava di un codice segreto tra lei e papà
perché, ad un
tratto, l'uomo spalancò gli occhi e sussurrò:
“Tu... stai...”
“Sì, le mie congratulazioni, papà. Di
nuovo.” ridacchiò lei,
felice.
L'uomo
l'abbracciò la moglie e disse, disperato: “Mi
dispiace. Mi
dispiace. Stavo per abbandonarti... in queste condizioni, per
giunta!” “Ma non l'hai fatto. Siamo solo esseri
umani, Vegeta. Le
stupidaggini le facciamo tutti.” rispose la moglie e lui,
guardandola in malo modo, protestò: “Questa era
mia, me l'hai
rubata.” “E tu hai rubato il mio cuore.”
ribatté la donna,
prima di tornare a baciarlo.
Vegeta
aprì entrambi gli occhi di scatto.
Aveva
fatto un sogno... un sogno particolare...
Uscì
dalla stanza e si diresse verso la sala da pranzo.
Vide
che il tavolo era pieno di cibo e suo padre era seduto su una sedia a
guardare fuori dalla finestra, bevendo un caffè.
“Ciao,
papà.” lo salutò Vegeta, sedendosi, e
suo padre rispose:
“Ciao...”
Il
silenzio calò nella sala.
Tutti
sentimenti e le emozioni che erano state svelate quella notte,
sembravano essere sparite con la luce del sole... eppure, qualcosa
avevano lasciato...
“Papà...”
sussurrò, ad un tratto, Vegeta e suo padre, sempre bevendo
il suo
caffè, fece: “Hm?” “Stanotte
ho fatto un sogno...” “Che
sogno?” “Ho sognato cosa sarebbe successo se quella
notte ti
fossi fermato...”
TAC
Vegeta
vide suo padre appoggiare la tazza sul tavolo, anche se continuava a
guardare la finestra.
“Nel
tuo sogno, la mamma mi ha perdonato per la fuga?”
domandò, ad un
tratto, e Vegeta rispose: “Sì... ti ha perdonato
quasi subito...”
“Ah...”
Vegeta
sapeva cosa tormentava suo padre.
Voleva
sapere se sua moglie avrebbe mai potuto perdonarlo...
“Io
penso che dovresti parlarle.” sussurrò Vegeta e
suo padre,
voltandosi a guardarlo negli occhi, rivelò: “Non
credo...”
“Sbagli a dire così... forse... sta ancora
aspettando che tu torni
da lei... forse, ti ama ancora.”
Suo
padre rimase in silenzio, poi sussurrò: “Non lo
so, Vegeta... io
l'ho abbandonata incinta, senza nemmeno spiegarle perché...
l'ho
lasciata sola a crescere due bambini piccoli... per come l'ho
trattata, è già tanto se non mi
prenderà a sassate non appena mi
rivedrà... ne avrebbe tutte le ragioni.”
Vegeta
rimase in silenzio, capendo che per suo padre era molto difficile
parlarne.
Si
alzò e disse: “Vado a cambiarmi e poi torno a
casa.” “Ok...”
“Ah... papà...”
“Cosa?” “Grazie... per avermi mostrato
chi
eri veramente e quanto hai sofferto in tutti anni...”
Tra
padre e figlio calò il silenzio.
Vegeta
vide suo padre guardarlo e, poi, sorridere.
“Grazie
mille per l'acquisto, signora.” “Prego...”
Bulma
e il marito uscirono dal vecchio negozio d'antiquariato e, una volta
fuori, la donna cominciò a lamentarsi, come al solito:
“Quella
vecchia megera! Mi ha fatto spendere un mucchio di soldi per una
semplice sfera! Giuro che, se potessi, la denuncerei.”
“Però
puoi sempre mandarla alla casa di riposo. Ha così tante
rughe che mi
domando come cavolo faccia a non sbriciolarsi.” le
ricordò,
ridacchiando, il marito.
Bulma
sorrise.
Vegeta,
nonostante fosse più cupo e solitario di un orso, era
l'unico capace
di farla divertire.
“Certo
che Baba potrebbe anche farci un prezzo di favore... dopotutto sono
amica di suo fratello...” protestò Bulma mentre
Vegeta commentava:
“Quando quel vecchio sporcaccione ci prova con te, non credo
che lo
consideri un amico.” “Muten sarà anche
un brav'uomo ma quando si
tratta di belle donne...” sospirò, poi, guardando
la sfera
arancione con una stella al suo interno, disse: “Comunque, a
parte
il prezzo esorbitante, finalmente le abbiamo tutte.”
“E quale
desiderio vorresti esprimere?” “Ecco...
io...” “Avanti,
Bulma, dimmelo pure.” “Il mio desiderio sarebbe
quello che i tuoi
genitori si rincontrassero e tornassero insieme.”
Moglie
e marito rimasero in silenzio un attimo, poi Bulma disse: “Lo
so
che lo desideri anche tu.” “Infatti lo desidero. E'
solo che...”
“Hai paura della reazione di tua madre quando lo
rivedrà?”
Vegeta
rimase in silenzio.
Era
impressionante come Bulma sapesse sempre tutto senza che lui dicesse
mai niente.
“Sì.”
ammise il marito “Non ho reagito molto bene quando l'ho
rivisto per
la prima volta... temo che lei si infurierebbe molto di più
di
me...” “Sono certa che, alla fine, riuscirebbe a
perdonarlo.”
gli sussurrò, fiduciosa, Bulma e Vegeta, sospirando, disse:
“Lo
spero tanto, Bulma... lo spero tanto...”
Mise
il pennello nell'acqua per pulirlo.
Mentre
il blu si scioglieva nell'acqua facendola diventare blu, diede
un'occhiata al suo nuovo dipinto.
Rappresentava
un mare notturno in tempesta... esattamente come il suo animo...
SLAM
L'uomo
si voltò, sentendo la porta aprirsi di scatto, e
sgranò gli occhi
quando riconobbe la figura che era appena entrata.
Era
suo figlio Tarble.
Ansimava
profondamente, come se avesse fatto una corsa tremenda, eppure
riuscì
a sussurrare, con un filo di voce:
“Papà...”
Lui
si alzò, in completo silenzio, e, avvicinandosi al figlio,
lo
abbracciò.
Tarble
rimase sorpresa da quell'improvvisa, quanto strana, dimostrazione
d'affetto.
Non
si sarebbe mai aspettato che proprio suo padre l'abbracciasse, dato
che era tale e quale a Vegeta e lui non abbracciava nemmeno sotto
tortura.
“Scusami...
per averti fatto finire all'ospedale...” sussurrò
l'uomo e Tarble,
intuendo quanto fosse stata dura per suo padre scusarsi, Vegeta aveva
ereditato molte più cose dal padre di quanto credesse,
rispose,
sorridendo: “Non preoccuparti, papà. Non
è successo niente. E'
tutto a posto.”
Suo
padre rimase in silenzio un attimo, guardandolo con molta attenzione.
“Qualcosa
non va, papà?” domandò, stupito, Tarble
e l'uomo gli domandò:
“Ti sei mai chiesto da chi hai ereditato il tuo
carattere?” “In
effetti me lo sono chiesto varie volte... è così
diverso da quello
della mamma e di Vegeta...” “L'hai ereditato da
me.” “Cosa?!
Ma papà... tu non hai il mio carattere... il tuo
è simile a quello
di Vegeta...” “Infatti non l'hai ereditato
direttamente da me...
ma da mia madre. Sei identico a lei nel carattere.”
“Davvero?”
esultò il ragazzo.
Era
felice di sapere che il suo carattere non era poi così
strano in
famiglia... inoltre, aveva ereditato qualcosa dalla nonna paterna di
cui la mamma non aveva mai accennato...
Ora
che ci pensava meglio, sua madre non aveva mai parlato della famiglia
di suo padre... molto probabilmente perché non voleva avere
nulla a
che fare con la famiglia dell'uomo che l'aveva abbandonata...
Magari,
suo padre gli avrebbe raccontato qualcosa di loro... dopotutto, erano
parenti e ora che suo padre era tornato...
“Mi
parli della tua famiglia, papà, per favore?” gli
domandò, curioso
il ragazzo e suo padre, dopo un sospiro, acconsentì:
“Va bene...
se mi segui ti racconterò tutto sulla mia vita... ma prima
sarà
meglio che ti sistemi quel colletto e quei capelli. Si vede lontano
un miglio che ti sei appena svegliato e che ti sei vestito in fretta
e furia.”
“Allora?
Come sto?” “Sei divina.”
Mai,
arrossì, imbarazzata mentre Trunks era estasiato.
La
sua ragazza era così bella con quell'abito... sua nonna
aveva fatto
un ottimo lavoro col vestito.
L'abito
era stato allargato, per permettere al bambino di non soffocare, ed
era stato abbellito con varie rose di stoffa blu e con un lungo
nastro.
Tra
i capelli neri, Mai portava una piccola spilla di pietre preziose a
forma di farfalla.
Apparteneva
ad Echalotte, in quanto, secondo lei, Mai sarebbe stata molto
più
carina con qualcosa tra i capelli, ma la giovane non possedeva niente
per i capelli.
Alle
mani, Mai portava dei fini guanti bianchi, comprati proprio per
l'occasione.
Era
così bella... Trunks temeva di toccarla perché
altrimenti si
sarebbe dissolta come un'illusione...
Mai
si sedette su una sedia mentre Trunks le si sedeva accanto,
dicendole: “Allora, Mai, sei pronta? Fra tre giorni
è il grande
giorno.” “Lo so... sono così
emozionata... se penso che ci sarà
tutta quella gente...” “Rilassati, ci saranno solo
la mia
famiglia e i loro amici.” “E' vero,
però... ho un po' paura.”
“Penso che tutte le spose hanno paura quando si avvicina il
giorno
del loro matrimonio... però, alla fine, tutto va per il
meglio, o
quasi...” “E' vero, però... ho paura di
quanto diventerò
mamma.” “So che posso sembrare ripetitivo ma anche
questa è una
paura che hanno tutte le donne quando sono in dolce attesa.”
“Senti, Trunks... ma tu pensi che sarò una brava
mamma per il
bambino?” “Ma certo, Mai. Sarai una delle
più brave mamme del
mondo.” “Io non mi sento così
brava...” “Mai, non si nasce
genitori, lo si diventa crescendo i propri figli. L'unica cosa che
conta, quando si cresce un figlio, è dargli la giusta
quantità di
amore. Né troppo né troppo poco. Il troppo
storpia, mia nonna lo
dice sempre.”
Mai
ridacchiò, con una punta di nervosismo.
Trunks
la notò e, prendendole delicatamente la mano, la
rassicurò: “Non
aver paura, Mai. Qualunque cosa ci accadrà, l'affronteremo
insieme.”
Tarble
non riusciva a dire nemmeno una parola.
Suo
padre gli aveva appena rivelato tutto, da com'era stato concepito
alla scoperta della sua malattia.
Non
si sarebbe mai aspettato che la vita per suo padre fosse stata
così
tremenda...
“Sono
l'unico a sapere tutto questo?” domandò, con un
filo di voce, e
suo padre rispose: “No... anche Vegeta lo sa.”
“Cosa intendi
fare con la mamma?” “Non lo so, Tarble...
francamente, non lo so.
E odio quando non so cosa fare.” “Dovresti
parlarle. Dille la
verità, magari ti perdonerà per essertene
andato.” “Ne dubito
altamente, Tarble.” “Almeno diglielo. La mamma ha
sofferto troppo
in tutti questi anni e credo che dovrebbe sapere la
verità.”
“Averla fatta soffrire, sarà la cosa di cui non mi
perdonerò
mai... non se troverò la forza per bussare alla porta di
casa e
raccontarle la verità. Inoltre, credo che quando mi
vedrà mi
sbatterà la porta in faccia.” “Vieni al
matrimonio di Trunks.”
Suo
padre si mise a fissarlo, incredulo.
“E'
tra tre giorni...” raccontò il giovane
“Potrai rivederla in un
posto neutrale... e non dovrai temere che la mamma ti sbatta la porta
in faccia.” “Non so...” “Devi
farlo, papà. Per la mamma, per
Bra, per Vegeta... e anche per me.”
Goten
camminava con passo felpato per le strade della città, in
modo da
non congelare con la tremenda aria gelida che c'era.
Se
c'era una cosa che Goten odiava con tutto sé stesso, era
l'inverno.
Non
c'era stagione più inutile a parer suo.
Faceva
solo freddo e clima a dir poco orrendo.
Ma
perché non era sempre estate?!
Proprio
in quel momento, si accorse di una chioma bruna ondulata in mezzo
alla folla.
Con
un sorriso, la chiamò: “Ehi, Valese!”
La
ragazza, sentendo il suo nome, si girò e sorrise quando
riconobbe
Goten.
“Ciao,
Goten.” lo salutò allegramente e il ragazzo disse:
“Lo sai che
sei il primo raggio di sole che vedo da stamattina? Col cielo cupo
così, il tuo vestito giallo è l'unica cosa che
brilla.”
Valese
arrossì e Goten le domandò: “Cosa ci
fai in città?” “Faccio
un giro.” “Posso unirmi o preferisci stare da
sola?” “Sei il
benvenuto.” “Se alla signorina fa piacere posso
portarla in uno
dei miei posti preferiti... e, dopo, la accompagno in un luogo che
piace a lei.” “Ma non devi
disturbarti...” “Non preoccuparti.
A me piace un sacco andare dove ci sei anche tu. Dopo che sono stato
con te, quel luogo diventa speciale. E' successa la stessa cosa
quando siamo andati insieme al cinema.”
Valese
sorrise e, prendendo la mano di Goten, lo seguì.
Goten
si sentì emozionato a prenderla per mano.
Sembrava
che, in tutto il mondo, esistessero solo loro, nessun altro e nessun
problema, di qualunque tipo.
Ad
un tratto, Goten individuò il suo posto preferito e disse
alla
giovane: “Miss, siamo arrivati alla prima tappa del tour: il
miglior MacDonald di tutta la città.”
“Perché è il migliore?”
“Perché ci vado io.”
I
due entrarono nel locale: era pieno di gente seduta a tutti i tavoli
e la fila davanti al bancone era a dir poco tremenda.
Tuttavia,
i due non si lasciarono andare allo sconforto.
Si
misero in fila e, mentre aspettavano il proprio turno, Goten,
indicandole i cartelloni con i cibi e i prezzi, disse a Valese:
“Prendi pure tutto quello che vuoi. Offro io.”
“Ma Goten...
sono i tuoi soldi...” “Non preoccuparti. Se li
spendo per te,
sono l'uomo più felice del mondo.” “Ti
restituirò tutto,
promesso!” “Non pensarci e scegli qualcosa. Dai che
fra poco
tocca noi.”
Quando,
finalmente, toccò ai due, Valese chiese solo un hamburger,
il meno
costoso, un bicchiere di coca cola e delle patatine come contorno.
Anche
se le parole di Goten l'avevano commossa, non aveva alcuna intenzione
di fargli spendere troppo.
Una
volta che Goten e Valese furono serviti, i due ragazzi salirono al
piano di sopra e, al primo tavolo libero, si sedettero.
Mentre
mangiavano, Valese commentò: “Sai che è
la prima volta che mangio
in un posto del genere?” “Immagino, dopotutto
quello hai dovuto
affrontare a causa della malattia.” “Sai, la
città è un posto
così bello... voglio esplorarla tutta e conoscere posti
nuovi... e
voglio farlo con te, Goten.”
Per
poco, a Goten non andò di traverso l'hamburger.
La
proposta di Valese... era la cosa più bella che potesse
desiderare!
Adorava
andare dove andava lei... non gliene importava niente del posto,
voleva solo che ci fosse lei.
Lei
e nessun'altra.
Per
le sue precedenti ragazze, Goten era solo un idiota immaturo...
Valese era stata l'unica a vederlo come un ragazzo dolce ma allo
stesso tempo coraggioso.
Se
doveva scegliere una donna da sposare... avrebbe scelto Valese, poco
ma sicuro.
Tra
una chiacchiera e una patatina, i due finirono e uscirono.
“Allora,
miss, qual'è la prossima tappa del tour?” le
domandò il ragazzo
ma la giovane, con un sorriso, rispose: “Stavolta, guido io
il
tour. Il luogo in cui siamo diretti è una
sorpresa.”
Goten
seguì la ragazza, sempre tenendola per mano, tra le varie
vie e i
vari incroci finché, ad un tratto, Valese disse:
“Siamo arrivati.”
Davanti
a loro, si estendeva un grande parco, pieno di alberi e di statue.
“Uao...”
si lasciò scappare Goten e Valese gli domandò:
“Ti piace?”
“Altroché! E' bellissimo! Non immaginavo di certo
che ci fossero
simili meraviglie in città!” “E non
è ancora finita.”
La
ragazza lo condusse all'interno del parco.
Goten
rimase affascinato dagli alberi spogli, con vari uccelli che volavano
tra i loro rami nudi o che camminavano tra l'immensa neve bianca, e
il silenzio che c'era dentro di esso.
I
due camminarono fino in fondo al parco dove c'era un grosso lago
circolare con anatre e oche che nuotavano tranquille nelle acque
grigie, ignorando il freddo polare attorno ad esse e la neve che
copriva tutto il parco.
“Caspita...”
si lasciò sfuggire Goten, sedendosi su una panchina, seguito
a ruota
da Valese.
La
giovane, sorridendo, gli chiese: “Bello, vero?”
“Altroché!”
“Quando avevo due anni, mia mamma mi portava sempre in questo
parco
il sabato. Prendevamo il treno alla mattina, giravamo per la
città
e, prima di prendere il treno per il ritorno, ci fermavamo in questo
parco per vedere le anatre. Poi, si è scoperto della mia
malattia al
cuore e non ci sono più potuta tornare. Oggi è la
prima volta, dopo
tanto tempo, che ci ritorno.” “E hai voluto
ritornarci assieme a
me?” “Sì, Goten. Vedi tu... mi piaci
molto. Io... quando sono
con te...è difficile da spiegare ma... mi sento veramente
viva e
forte. Vicino a te, sento di poter affrontare senza paura qualunque
cosa... io... io ti amo!”
Goten
restò incredulo davanti a quell'inaspettata confessione.
Valese,
invece, era rossa come un peperone e si dava mentalmente della
stupida.
Cosa
le era saltato in mente di fare quell'improvvisa e insensata
confessione?!
Aveva
rovinato tutto...
Dopo
un po', Goten sorrise e, avvicinandosi al viso della ragazza, la
baciò.
Valese
rimase incredula davanti a quel gesto, anche perché quello
era il
suo primo bacio.
Quindi,
anche Goten l'amava?
“Anch'io
ti amo, Valese.” confessò, sorridendo, il giovane
“Sei la
migliore ragazza che abbia mai incontrato, non solo perché
non mi
hai preso per un idiota ma, perché, quello che sento per te
è la
stessa identica cosa che tu senti per me. Se non fosse per mia madre,
ti sposerei subito.”
Valese,
sempre con le guance rosse, sorrise dolcemente.
Non
s'immaginava di certo di essere così importante per Goten...
Poi,
timidamente, chiese: “Goten... potresti baciarmi di nuovo? E'
stato
così bello...”
Aveva
appena finito di parlare, che le labbra di Goten si congiunsero di
nuovo con le sue.
“Gli
hai detto proprio così?” “Beh...
sì. Volevo solo fargli capire
quant'era importante per tutti noi che parlasse con la mamma.”
Vegeta
sorrise divertito della timida intraprendenza del fratello, sapendo
benissimo che Tarble non potava vederlo...
“Papà,
perché sorridi?” gli domandò,
incuriosita, una piccola vocina
femminile dietro di lui.
In
effetti, Tarble non poteva vederlo ma sua figlia sì.
“Bra!”
le rispose, scocciato “Va' a giocare da un'altra parte! Non
vedi
che sto telefonando?!”
Bra,
sbuffando, obbedì e se ne andò in camera sua per
giocare con le sue
bambole e i suoi peluche.
“Scusa,
ho avuto qualche problema con mia figlia.” spiegò,
sbuffando,
Vegeta, pregando che Tarble non avesse sentito la bambina
“Certe
volte è peggio di sua madre...”
“Però le vuoi un mucchio di
bene... proprio come nostro padre...”
Per
un attimo, nella linea telefonica calò il silenzio, poi, ad
un
tratto, Tarble domandò: “Pensi che potremo mai
tornare ad essere
una famiglia?” “Ma che domande, Tarble, certo che
sì!” “Sai,
io ho paura della reazione della mamma non appena rivedrà
papà...”
“Vuoi che ti dica la verità? Anch'io ho paura, ma
dobbiamo
affrontarla. Sappiamo entrambi a cosa può portare la
paura...”
Era
notte fonda e un uomo stava dormendo ma il suo sonno non era per
niente sereno.
Si
muoveva senza sosta tra le coperte, ansimando profondamente e con
varie gocce di sudore che scendevano senza sosta nel suo volto caldo.
Aveva
paura.
Il
giorno seguente, sarebbe stato il matrimonio di suo nipote e avrebbe
dovuto rivedere lei.
La
donna che amava e che aveva abbandonato.
La
sua più grossa paura era la sua reazione.
Di
sicuro, non sarebbe di certo stata contenta di rivederlo, ma sperava
che lei gli lasciasse il tempo di raccontarle la verità...
L'uomo
aprì gli occhi di scatto.
Mentre
continuava ad ansimare profondamente, prese la sveglia dal comodino e
guardò l'ora.
Le
due e mezza.
Aveva
ancora un sacco di ore da aspettare...
Ore
d'angoscia...
Allungò
la mano sul comodino e prese due pillole da un cofanetto.
Ultimamente,
l'unico modo per poter dormire, era prendersi dei sonniferi.
Infatti,
dopo qualche minuto d'attesa, sentì le palpebre diventare
sempre più
pesanti...
Camminava
senza sosta in quello strano posto che non aveva mai visto prima.
Non
sapeva da quanto camminasse ma una cosa era certa.
Non
era per niente stanco, nonostante fosse solo un bambino...
“Vegeta...”
sussurrò, ad un tratto, una voce dietro di lui.
Sconvolto,
il ragazzino si fermò e si voltò di scatto ma
vide che non c'era
nessuno.
Era
stato solo uno stupido scherzo della sua immaginazione.
Per
un attimo, aveva sperato che fosse lei...
Sospirò,
chiudendo gli occhi, e si voltò, in modo da riprendere il
suo
cammino senza meta...
“Vegeta...”
lo richiamò di nuovo la voce.
Stavolta
ebbe la certezza.
Non
se l'era immaginata!
Era
la sua voce!
Ma
lei dov'era?
Ad
un tratto, delle piccole scie di luce d'oro lo superarono e
cominciarono ad avvolgersi a vicenda, come onde del mare.
Le
onde cominciarono, poi a creare delle mani, dei piedi, delle braccia,
delle gambe...
Infine,
apparve un stupendo corpo femminile, avvolto in una luce dorata come
una fiamma, che il ragazzino conosceva molto bene...
“Ciao,
Vegeta. E' da tanto che non ci vediamo.” gli disse,
sorridendo, la
giovane donna.
Il
piccolo Vegeta non trovava la forza per dire anche una sola sillaba.
Alla
fine, con fatica, sussurrò: “Mamma...” |
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Capitolo 27 *** Un ponte fra due mondi ***
CAPITOLO
27: UN PONTE FRA DUE MONDI
Vegeta
rimase immobile a osservare la figura di sua madre.
Sembrava
così felice di rivederlo... ma non poteva essere...
Lui
era stato concepito da un dannato che l'aveva violentata in casa
sua... sul suo letto... come poteva anche solo sperare che lei gli
volesse bene, dopo tutto quello che aveva portato alla sua dannata
nascita?!
La
figura, tuttavia, si avvicinò silenziosamente a lui,
leggiadra come
il volo di una farfalla e, una volta davanti a lui,
s'inginocchiò e,
accarezzandogli dolcemente la guancia sussurrò, felice:
“Sei molto
cresciuto dall'ultima volta che ti ho visto.”
Il
bambino abbassò lo sguardo, tristemente.
“Mamma...
io... io so come sono stato concepito...” sussurrò
Vegeta, sempre
con lo sguardo basso.
Per
un attimo, cadde il silenzio.
Approfittando
di esso, il ragazzino continuò: “Fin da quando
sono nato... non ho
saputo far altro che causare dei problemi... ho fatto soffrire troppe
persone... tu, papà, i miei figli, Bra... e, soprattutto, la
mia
Echalotte.”
Vegeta
fece un lungo sospiro prima di continuare: “Mi dispiace,
averti
fatta soffrire, mamma.”
Aveva
appena finito di dire quelle parole, che sua madre lo
abbracciò.
Vegeta
arrossì mentre sua madre gli accarezzava i capelli a fiamma
castani.
“Non
pensarci, Vegeta.” sussurrò la donna
“Non hai nessuna colpa per
quello che è successo.” “Ma io sono nato
da una violenza, mamma!
Ho solo rovinato la tua vita e quella di papà!”
“Questo non è
affatto vero, Vegeta...” rivelò una voce maschile
alle loro
spalle.
Vegeta
si girò, incredulo.
Aveva
riconosciuto quella voce...
Infatti,
delle scintille di luce cominciarono a unirsi, proprio come era
accaduto prima con sua madre, fino a formare una figura maschile.
A
Vegeta mancò il respiro.
Come
temeva, era lui...
“Papà...”
sussurrò il piccolo, con una punta di agitazione nella voce,
mentre
l'uomo lo salutava, con un sorriso, mentre gli accarezzava la testa:
“Ciao, scimmietta. E' passato tanto tempo dall'ultima volta.
Sei
incredibilmente cresciuto.”
Vegeta
sentì le lacrime scorrergli e chiudendo gli occhi, chiese:
“Ascolta,
papà... cosa provi, veramente, per me? Io non solo non sono
il tuo
vero figlio ma, in più, sono nato da un criminale...
immagino che
per te dev'essere stato tremendo allevare il figlio di un
criminale... tuttavia, tu mi hai sempre trattato come se io fossi il
tuo vero figlio... cosa provi, veramente, per me,
papà?”
L'anima
stette zitta un attimo, poi sussurrò: “Vuoi
davvero saperlo,
Vegeta?” “Sì.”
“Potresti soffrire...” “Lo so... ma
voglio sapere la verità... per favore...”
L'uomo
sospirò, poi disse: “Quando seppi che la mamma era
incinta di
te... ti odiai con tutto me stesso.”
Vegeta
sospirò, chiudendo gli occhi.
Anche
se si aspettava una confessione del genere... la notizia gli aveva
fatto perdere un battito del cuore.
“Vedi,
tu, per me, eri il figlio di un criminale che aveva fatto del male a
mia moglie, la donna che amavo.” continuò l'uomo
“Quando si
scoprì che ti aspettava, le chiese di abortire ma lei non ne
volle
sapere. Il rapporto tra noi due, si fece sempre più teso e,
alla
fine, me ne andai di casa.”
Vegeta
si mosse il labbro.
Sapeva
che la sua nascita aveva solo provocato danni alla sua famiglia ma
non immaginava di certo che suo padre se ne fosse andato per colpa
sua.
“Ma
sei stato proprio tu a farmi tornare a casa.” gli
rivelò,
inaspettatamente, l'uomo, accarezzandogli i capelli.
Vegeta
alzò lo sguardo e lo guardò, incredulo.
Cosa
intendeva suo padre?
Leggendo
sul suo volto la muta domanda del figlio, l'uomo disse: “E'
stato
subito dopo che la mamma ti ha dato alla luce... non potrò
mai
spiegare quello che è accaduto, ma posso sempre
mostrartelo.”
Allungò
la mano verso il ragazzino e disse: “Prendi la mia mano,
Vegeta...
così vedrai con i tuoi stessi occhi cos'è
successo.”
Il
bambino, un po' titubante, la prese.
Ebbe
come l'impressione che tutto fosse diventato buio e che stava
viaggiando a tutta velocità finché, ad un tratto,
non tutto ciò
che lo circondava si fermò e s'illuminò...
La
donna accarezzò i lunghi capelli rivolti verso l'alto, come
una
fiamma, del piccolo corpicino addormentato.
Erano
state delle ore molto lunghe e faticose per lei ma, alla fine, ce
l'aveva fatta.
Guardò
il piccolo che continuava a dormire tra le sue braccia.
Fortunatamente,
non aveva preso niente da quello che era il suo padre biologico.
Incredibilmente,
era la goccia d'acqua di suo padre, che era morto di un tumore quando
lei aveva solo quattro anni e mezzo.
Fece
un sospiro.
Avrebbe
tanto voluto che lui fosse accanto a lui ma, purtroppo, erano mesi
che si erano separati... non per il bambino ma, almeno, per lei...
Proprio
in quel momento la porta si aprì e si girò,
pensando che fosse
l'infermiera.
Sgranò
gli occhi quando riconobbe suo marito.
“Tarble...”
sussurrò, incredula, e l'uomo, imbarazzato,
sussurrò: “Ho saputo
che hai avuto una complicazione mentre stavi partorendo...”
“Sì...
ma fortunatamente è andato tutto bene...”
Entrambi
rimasero in silenzio, senza guardarsi negli occhi.
Era
così imbarazzante rivedersi così, dopo tanti mesi
lontani...
“Cosa
ti ha detto l'avvocato?” disse la donna e lui rispose:
“Fra poco
mi chiamerà per chiedermi se vogliamo andare avanti col
divorzio...”
“Immagino che sia la scelta migliore...”
Rimasero
ancora un po' in silenzio, poi Tarble si accorse del bambino che
dormiva tra le braccia: “E' identico a tuo
padre...” “Sì...
penso di chiamarlo Vegeta... proprio come lui...”
“E' proprio un
bel nome...”
Proprio
in quel momento, il bambino aprì gli occhi.
Il
piccolo si accorse subito dell'uomo che era appena entrato e
allungò
le mani verso di lui.
D'istinto,
l'uomo si avvicinò al bambino e lui, con dolcezza, gli
toccò il
viso.
Quel
semplice e delicato tocco, lo fece emozionare.
In
quel momento, lui vide solo un bambino.
Un
bambino piccolo e innocente.
“Sai...
quanto ho saputo che stavi male... ho mollato il lavoro e mi sono
precipitato da te...” le confessò l'uomo,
continuando a guardare
il bambino che non smetteva un attimo di toccarlo, e la donna lo
guardò, incredula.
Cosa
intendeva dire suo marito?
“In
tutti questi mesi, lontano da te... sono stato malissimo
perché mi
mancavi però mi vergognavo troppo a tornare da te... mentre
i medici
cercavano di salvarti... ho avuto modo di riflettere...”
continuò
l'uomo “Tu... avevi ragione. Solo perché
è il figlio di un
criminale... non aveva la minima colpa di quello che è
successo.
Scusami per tutto. Mi dispiace... per favore, perdonami. Io... vorrei
ricominciare tutto da capo. Noi tre. Insieme.”
La
giovane donna rimase molto colpita da quella confessione.
Suo
marito, il suo Tarble... le stava chiedendo di dimenticare il passato
e di tornare a essere una famiglia.
Loro
due e il piccolo Vegeta.
“Ma...
sei proprio sicuro, Tarble? Pensi che potrai amarlo?” gli
domandò
la moglie e Tarble, con un sorriso, annuì:
“Sì... è il figlio
della donna che amo. Non ha alcuna importanza il resto.”
La
donna sentì le lacrime rigarle il volto e, prima di
fiondarsi ad
abbracciare il marito, urlò: “TARBLE!!”
La
visione sparì di colpo, così com'era apparsa.
Vegeta
si posò le mani sulla fronte.
Non
riusciva a credere a quello che aveva visto...
“Vegeta,
c'è una cosa che devo confessarti.” disse, ad un
tratto, suo padre
“Io sono sterile. Non avrei mai potuto dare dei figli alla
mamma.
Per me, sei stato il figlio che avrei tanto voluto avere... per
questo ti ho amato.”
Vegeta
rimase in silenzio, poi domandò: “Mamma...
papà... perché siete
apparsi?”
I
due spiriti rimasero in silenzio, poi sua madre disse: “Siamo
qui
per indicarti qual'è la strada giusta che devi compiere
domani.”
“La strada giusta?” “Sì...
domani dovrai andare da Echalotte e
chiederle perdono.”
Il
ragazzino la guardò, incredulo.
“Il
tuo animo è agitato e confuso...”
continuò l'anima “Non sai
quale decisione devi prendere.” “Ovvio... ho
abbandonato la mia
Echalotte... non so se troverò la forza per farmi rivedere e
chiederle perdono...” “Lo sappiamo... per questo
siamo venuti
qui...” “Sentite... posso sapere che posto
è questo? L'aldilà?”
“No, Vegeta... questo è il ponte.”
“Il ponte?! E che cos'è?”
“Il ponte che collega il mondo dei vivi con quello dei
morti.”
spiegò suo padre “Questi due mondi non sono
separati del tutto. A
volte entrano in contatto tra loro. Quando gli abitanti dei
rispettivi mondi si vogliono incontrare, anche solo per un istante,
si ritrovano qui.” “E com'è
l'aldilà?” domandò Vegeta ma la
madre disse: “Mi dispiace, Vegeta. Ma non te lo possiamo
dire. E'
un segreto che i vivi non devono sapere. Anche se ti dimenticherai di
questo posto, ne conserverai un ricordo vago e in essa non ci
dev'essere alcuna traccia dell'aldilà.”
“Mi state dicendo che io
mi dimenticherò di voi?!” “Purtroppo
è così...” “Allora
per quale motivo siete venuti a trovarmi se mi dimenticherò
di voi?”
“Per farti trovare il coraggio per domani... senza il
coraggio che
solo noi due possiamo trasmetterti, non potrai mai trovare il
coraggio, domani, per tornare da Echalotte.”
Il
ragazzino sorrise.
Era
vero... se i suoi genitori non fossero andati da lui, probabilmente
non avrebbe mai trovato il coraggio di tornare da Echalotte...
Si
mise a guardare il luogo dove si trovava e affermò:
“Questo posto
mi sembra familiare...” “E' naturale, Vegeta. Ci
sei già stato.”
rivelò suo padre.
Il
bambino si voltò di scatto verso di lui e disse:
“Cosa?! E
quando?!” “Quando stavi facendo quell'operazione in
cui tuo
figlio ti ha salvato donandoti un rene, tua nipote era molto
preoccupata per te e sperava fino all'ultimo che tu ti salvassi. Tu
eri in condizioni disperate e, ormai, avevi preso la voglia di
vivere. Così, ti stavi letteralmente lasciando morire. Per
recarti
nell'aldilà si deve per forza passare in questo corridoio e
quando
stavi per recarti nell'aldilà e morire definitivamente, lei
ti ha
raggiunto. Mentre tu combattevi contro la malattia, si è
addormentata perché, dopotutto, era solo una bambina ma
continuava
ad essere preoccupata per te. Ma mentre dormiva è riuscita a
raggiungere questo posto e a convincerti a tornare con lei. Nel mondo
dei vivi. Così, hai riacquistato la voglia di vivere e ti
sei
salvato.”
Vegeta
rimase in silenzio.
Quella
era la seconda volta che Bra lo salvava.
Non
solo aveva impedito che si suicidasse, ma l'aveva salvato quando,
ormai aveva perso la voglia di vivere.
Era
stato grazie a lei se aveva potuto far pace con i suoi figli... Bra
aveva fatto così tanto per lui senza nemmeno saperlo...
Ora
sapeva che cosa fare!
“Tornerò
da Echalotte! Le racconterò la verità!”
disse il piccolo mentre i
suoi genitori sorrisero.
Ad
un tratto, un pensiero gli venne in mente.
“Mamma,
papà...” domandò “Ma
Echalotte mi perdonerà per quello che ho
fatto?”
Le
due anime, dopo un attimo di silenzio, dissero: “E' una cosa
che
scoprirai da solo, Vegeta.”
Il
bambino sospirò.
In
fondo si aspettava quella risposta.
Tuttavia,
non perse la sua decisione.
L'avrebbe
raggiunta, anche in capo al mondo e le avrebbe detto la
verità.
“Come
si fa a tornare nel mondo dei vivi?” domandò e la
madre, indicando
la luce dietro di lui, disse: “Raggiungi quella luce e poi
chiudi
gli occhi. Una volta che li avrai chiusi, ti sveglierai.”
“Va
bene. Ciao mamma, ciao papà. E' stato bello rivedervi.
Grazie di
tutto.” “Ciao Vegeta. Buona fortuna.” lo
salutarono le due
anime.
Il
bambino cominciò a correre verso la luce, senza smettere di
guardare
le anime dei suoi genitori.
Quando
raggiunse la luce, li guardò per l'ultima volta.
Li
sarebbero mancati molto... ma doveva farlo!
Doveva
tornare nel mondo dei vivi e parlare con Echalotte!
Voleva
ritrovare la sua famiglia!
Voleva
cambiare le favole.
Con
dolcezza, chiuse gli occhi.
Vegeta
aprì gli occhi.
Si
sentiva strano...
Si
voltò e si accorse che era giorno.
Prese
l'orologio sul comodino e sbiancò.
Erano
le nove.
Il
matrimonio di Trunks era iniziato da un pezzo!
Per
un attimo, fu colto dal dubbio: ma doveva farlo? Aveva paura della
terribile reazione di sua moglie...
Ad
un tratto, sentì di nuovo la stessa strana sensazione che
l'aveva
colto appena sveglio.
Era
una sensazione che gli diceva di andare, di raggiungere sua moglie e
di dirle la verità... perché lui lo voleva e,
soprattutto, perché
voleva ritrovare la sua famiglia... inoltre gli parve di ricordare
qualcosa... qualcosa legato a un sogno.
Si
alzò dal letto.
Avrebbe
dato retta a quella sensazione.
L'ultima
volta che l'aveva fatto, ossia quando se n'era andato, era stato male
per tanti, troppi, anni...
Stavolta,
avrebbe ascoltato il suo cuore per, sperò con tutto
sé stesso,
ritrovare sua moglie.
La
sua amata Echalotte. |
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Capitolo 28 *** Il matrimonio di Trunks ***
CAPITOLO
28: IL MATRIMONIO DI TRUNKS
“Lo
vedi?” “No, non ancora.”
Vegeta
e Tarble se ne stavano vicino alla strada, controllando chi
parcheggiava davanti alla chiesa e chi usciva dalle macchine.
“Non
riesco a capire perché tarda così tanto... manca
mezz'ora
all'inizio della cerimonia...” disse, agitato, Tarble e
Vegeta gli
rispose: “Vedrai che arriverà... o almeno lo
spero...” “Deve
arrivare, me l'ha promesso!” “Che state facendo,
voi due?”
domandò una voce alle loro spalle.
I
due sbiancarono e si voltarono.
Echalotte,
vestita in maniera impeccabile, li guardava, appoggiata ad una parete
e con le braccia incrociate, in completo silenzio.
“Ma
niente, mamma... aspettavamo l'arrivo di Mai...”
balbettò Tarble
ma la donna, avvicinandosi a loro, disse: “Non crediate che
caschi
alle vostre bugie da strapazzo... lo so che mi state nascondendo
qualcosa, lo sento!” “Ecco, diciamo che dovrebbe
arrivare una
sorpresa per te, mamma... solo che la macchina con la sorpresa non
è
ancora arrivata.” le disse Vegeta e la donna si
limitò a
lanciargli una lunga occhiata poco convinta.
Era
da giorni che aveva come la sensazione che i suoi familiari le
stessero nascondendo qualcosa...
Tutto
era cominciato durante i preparativi per il matrimonio di suo
nipote... le era sembrato che Bulma e Trunks fossero sempre un po'
nervosi quando parlavano con lei, come se temessero qualcosa...
In
più, si domandava con chi passasse il tempo sua nipote Bra...
Una
settimana fa, Bulma le aveva detto che quel pomeriggio sarebbe andata
assieme a Trunks e a Mai, a comprare gli addobbi floreali mentre la
piccola Bra sarebbe rimasta a casa con suo padre.
Così,
aveva pensato che poteva essere l'occasione migliore per andare a
comprare il regalo di nozze ma quando si era recata al centro
commerciale aveva visto, con incredulità, suo figlio che
faceva la
spesa e non c'era alcuna traccia di Bra.
Aveva
capito che c'era qualcosa di strano in tutta quella storia ma aveva
deciso di far finta di niente e comportarsi come al solito.
Prima
o poi, qualcuno avrebbe fatto un passo falso e scoperto tutto.
In
più, era da giorni che si sentiva strana...
Aveva
come la sensazione che stesse per succedere qualcosa...
Qualcosa
che avrebbe cambiato tutto...
Echalotte
guardò per un attimo i figli, poi disse: “Va bene,
farò finta di
credervi, per stavolta. La voglio proprio vedere la sorpresa...
comunque, Vegeta, Bra sta parlando con un bambino suo
coetaneo.”
“COSA?!” urlò Vegeta, dirigendosi come
una furia alla ricerca
della figlia, mentre Tarble lo seguiva, preoccupato, dicendogli:
“Vegeta, ti prego, calmati! Non fare
così!”
Era
meglio se lo fermava alla svelta altrimenti quel giorno, invece di un
matrimonio, si sarebbe celebrato un funerale!
Finalmente,
Vegeta individuò sua figlia che stava parlando con un altro
bambino
della sua età.
L'uomo
si accorse che era Yamcha, il figlio dell'ex di sua moglie, morto tre
anni prima a causa di un idiota ubriaco che l'aveva investito.
In
ogni caso, quel moccioso, se voleva campare doveva stare alla larga
da sua figlia!
“Ti
prego, Vegeta, non farlo! Sono solo dei bambini...” lo
pregò
Tarble, prendendolo per il braccio, ma Vegeta ribatté:
“Fra
qualche anno saranno grandi!” “Andiamo, non fare
così...”
Nel
frattempo, la piccola Bra stava parlando tranquillamente col bambino.
Quando
lei e la sua famiglia andavano a trovare Yamcha e sua madre cercava
sempre di giocare con lui ma, purtroppo, era troppo timido nei
confronti delle bambine.
Forse,
se si fosse lasciato un po' andare...
Ad
un tratto, sentì degli strani rumori provenire dietro di lei.
Si
girò e vide suo padre trattenuto a fatica da suo zio.
Evidentemente,
non gli piaceva molto che parlasse con Yamcha...
Si
girò per continuare il discorso ma si accorse che il bambino
era
sparito.
Succedeva
sempre così, alla sua prima distrazione, scappava a gambe
levate e
si nascondeva nei luoghi più impensabili.
Una
volta che era andata, assieme alla sua famiglia, a una festa a casa
di quel vecchio con gli occhiali da sole che lasciava sempre in giro
strane riviste di donne che erano nude ma che, stranamente, non
stavano facendo il bagno, perché lo facessero, poi, non
riusciva
proprio a capirlo, lei quand'era nuda prima di farsi il bagno sentiva
freddo e non capiva come quelle donne potessero sopportarlo, misteri
dei grandi, e Yamcha si era nascosto nel posto doveva vivevano le
tartarughe del vecchio sporcaccione, come lo chiamava la mamma, un
altro assoluto mistero, perché quell'uomo sporco non lo era
affatto.
Comunque,
si mise tranquillamente alla ricerca di Yamcha.
Adorava
giocare a nascondino, e grazie alle lunghe ore trascorre a cercarlo
nei nascondigli più impensabili, era diventata una vera
campionessa
a trovare i vari bambini nascosti.
Mentre
camminava, si avvicinò al parco dove Pan, col suo vestitino
da
festa, stava giocando a rincorrersi con un gruppo di bambini.
Bra
restò senza parole.
La
parte bassa del vestito era tutta sporca di terra, Pan, come al
solito, non ci era stata affatto attenta.
Lei,
invece, aveva ancora il suo bel vestitino pulito, non solo
perché
era il matrimonio del suo fratellone e ci teneva a fare bella figura,
ma perché il solo pensiero di rovinare il suo bel vestito la
faceva
rabbrividire.
Peccato
che alla sua amica non importasse affatto...
Sarebbe
stata, di sicuro, una delle bambine più carine dell'asilo se
non
avesse avuto comportamenti così maschiacci...
“Ehi,
Bra! Perché non vieni a giocare con noi?” la
chiamò Pan ma Bra,
per niente intenzionata a sporcarsi, disse: “No,
grazie...”
“Potresti fare la principessa prigioniera dietro allo
steccato che
ci incita a combattere per salvarti.” le propose l'amica,
avendo
capito che l'amica non voleva sporcarsi il vestito, e la bimba
immediatamente accettò.
“Avanti,
uomini! Dobbiamo superare i tremendi pericoli di questo parco per
poter salvare la nostra principessa!” l'incitò Pan
e gli altri
bambini la seguirono divertiti.
Il
gruppo conquistò il castello dello scivolo, poi affrontarono
l'enigma dell'altalena e altri giochi.
I
bambini che ci davano dentro col gioco erano Pan, ovviamente, e un
bambino biondo e gli occhi azzurri che Bra non aveva mai visto prima.
Finalmente,
Pan e il gruppo arrivarono allo steccato e Pan, dopo aver combattuto
con un terribile guerriero invisibile, si avvicinò a Bra e
le disse:
“Siete salva, mia principessa. Premiate l'uomo più
coraggioso.”
Bra
diede un'occhiata al gruppo di bambini e, ad un tratto, si accorse
che dietro alla castello si vedeva un'ombra.
Sorridendo,
fece un segno a Pan di avvicinarsi e le sussurrò qualcosa
nell'orecchio.
Pan,
ridacchiando, si diresse in punta di piedi vicino al castello e, una
volta lì, gridò: “BU!”
“AAAHHH!!!” fece una voce,
terrorizzata.
Un
bambino con i capelli neri uscì terrorizzato dal suo
nascondiglio.
Bra
ridacchiò divertita.
Ecco
dove si era cacciato Yamcha...
“Ehi,
Yamcha, perché non vieni a giocare anche tu?” lo
chiamò la
bambina con i capelli turchini e il bambino, imbarazzato,
balbettò:
“M-ma io... io...” “Su, non fare il
timido. C'è posto per
tutti.” gli disse, allegramente, Pan e una voce dietro di lei
disse: “Quindi c'è posto anche per me?”
Pan
alzò la testa e, sorridendo, riconobbe il suo amato nonnino,
col suo
solito sorriso sulle labbra, anche se era vestito in maniera molto
elegante, cosa che, tra parentesi, gli stava proprio male, come a lei
stava male indossare il vestito pieno di fiocchi e trine che la nonna
le aveva fatto indossare per l'occasione.
“Certo,
nonnino.” affermò la bambina e Goku con un grosso
sorriso sulle
labbra, raggiunse la nipote e i suoi compagni, gridando:
“Aspettami,
Peter Pan! Arrivo!”
Il
gruppo continuò a giocare tranquillo finché
un'acuta voce
femminile, non urlò: “GOKU!!!!”
L'uomo
e la nipote si voltarono e videro una signora vestita elegantemente e
con i capelli neri raccolti, raggiungerli furente.
“Ehm...
cosa c'è, Chichi?” domandò,
preoccupato, Goku e la donna,
adirata, gli disse: “Guarda come siete conciati tu e Pan! Vi
sembra
il modo di presentarvi per un matrimonio?!” “Mi
dispiace,
Chichi... ma a me e a Pan non piace vestirci in maniera così
elegante...” tentò di giustificarti l'uomo,
continuando a spostare
la cravatta.
La
moglie se ne accorse e urlò: “Cosa diavolo fai con
quella
cravatta?!” “Mi da' fastidio...”
“Piantala con queste
assurdità! Fila subito in chiesa che la sposa è
già arrivata!
Inoltre, smettila di chiamare Pan con un nome tanto assurdo!”
“Vuoi
dire Peter Pan? Ma a lei piace...” “E' una
signorina! Non puoi
chiamare una signorina con un nome da maschio...!”
Mentre
i due continuavano a parlare, Bra si ricordò che doveva
correre
subito in chiesa, dato che era la damigella.
Mentre
l'amica correva in chiesa seguita da Yamcha, Pan salutò i
suoi nuovi
amici.
Il
bambino biondo si avvicinò a lei e le domandò:
“Tornerai ancora
qui? E' bello giocare con te, Peter Pan.” “Grazie,
lo farò
senz'altro.” “Io vengo qui a giocare tutte le
domeniche.”
“Allora lo farò anch'io... come ti
chiami?” “Bish. Chiamami
Bish.” si presentò il bambino e, mentre la nonna
la prendeva per
una mano per condurla in chiesa, gli promise: “Domenica
prossima ci
sarò, Bish. Così finiremo la nostra
avventura!”
Silenzio.
Il
parco era immerso nel più grande silenzio.
L'uomo
si camminava in completo silenzio, circondato da tanta neve bianca.
Si
sedette su una panchina e cominciò a riflettere.
Come
doveva comportarsi con Echalotte?
Non
poteva mica raggiungerla come se niente fosse e dire:
“Tesoro, sono
a casa.”
Doveva
trovare un modo...
Presentarsi
davanti a tutti era imbarazzante, e poi, ormai, il matrimonio era
finito... forse, avrebbe dovuto recarsi a casa sua...
Però,
in ogni caso, cosa doveva dirle?
Come
doveva presentarsi dopo essersene andato così su due piedi?
Era
così terribilmente confuso...
“VIVA
GLI SPOSI!!” “CONGRATULAZIONI!!”
Le
urla di gioia si sentivano dappertutto.
Trunks
e Mai si muovevano felici e sereni, tra la gioia e il riso che i loro
amici li lanciavano.
Erano
innamorati pazzi l'uno dell'altra e fra qualche mese sarebbe nato il
loro bambino...
Bra
guardava con gioia i due novelli sposi.
Era
così felice che il fratellone e la sorellona si fossero
sposati... e
presto si sarebbe occupata del loro bambino come una sorella
maggiore.
Il
mazzo che la sorellona teneva tra le braccia era bellissimo, pieno
zeppo di splendidi gigli bianchi, suo nonno le aveva raccontato che
il giglio rappresentava la purezza e la nobiltà d'animo,
nato da una
goccia di latte caduta da Giunone, moglie di Giove, il dio romano che
comandava su tutti, mentre allattava il piccolo Ercole, emblema di
perfetta purezza e candore ma anche segno di nobiltà d'animo
e
fierezza, proprio come la sua sorellona.
Inoltre,
il giglio faceva diventare ogni donna, soprattutto le spose, delle
regine.
Ad
un tratto, Mai lo lanciò.
Bra
rimase senza parole.
Ma
perché lo lanciava?! Era così bello... lei,
quando si sarebbe
sposata, non l'avrebbe mai fatto...
Il
mazzo per un po', poi due mani delicate lo presero al volo.
Valese
guardò con stupore quel mazzo.
Lei
non aveva alcuna intenzione di prenderlo.
Non
voleva certo farsi notare in quel matrimonio... non ce non le
piacessero, anzi.
Era
venuta alla celebrazione solo perché Goten aveva tanto
insistito,
dicendole di volerle farle conoscere i suoi amici.
Semplicemente,
il mazzo le era proprio arrivato davanti e lei, per istinto, aveva
allungato le mani.
Arrossì
imbarazzata, soprattutto quando Goku, il padre di Goten, un tipo
simpatico ed esuberante, applaudì e disse:
“Caspita, i miei
complimenti! Ottima presa!” “G-grazie...”
sussurrò Valese,
cercando di nascondersi dietro al mazzo.
Bulma,
la madre di Trunks, il migliore amico di Goten e lo sposo, un tipo
molto pepe, disse: “Ma allora sei tu la prossima che si
sposa.
Congratulazioni.” “B-beh...”
“Se tu sei la sposa, scommetto
che il sposo sarà Goten.”
Immediatamente,
Goten e Valese divennero rossi come peperoni mentre Chichi, la madre
di Goten, un tipo decisamente all'antica, urlò:
“COOOOSA?!?!?!”
La
donna si avvicinò alla giovane coppia, furente e
avvisò, puntando
il dito contro Goten: “Se speri che ti dia il permesso di
sposarti,
signorino, caschi male! E guai a te se scopro che voi due siete
diventati troppo intimi!” “M-ma mamma... cosa
dici?!” tentò di
calmarla Goten ma Chichi non ne voleva sapere: “Mi ha sentita
benissimo! Dovrai finire la scuola e trovarti un lavoro decente,
prima che ti conceda il matrimonio!”
“Suvvia...” “Niente
suvvia, Goten! E se scopro che avete passato la notte
insieme...”
Alla
fine, fu Bulma, tra mille difficoltà, a convincerla a
calmarsi,
anche perché il pranzo era pronto.
Come
al solito, Goku, Vegeta, Trunks, Goten e i loro relativi parenti
razzolarono tutto quello che c'era in pochi minuti, tra lo sgomento
generale degli altri invitati.
Una
volta che ebbero tutti finito, Bulma si voltò verso Vegeta e
lo vide
guardare fuori dalla finestra con ansia.
Sapeva
già cosa stava cercando: sperava di vedere suo padre che
voleva dire
la verità a sua madre sul suo abbandono...
Lo
prese per una mano e sussurrò: “Vedrai che
arriverà...” “Ormai
è inutile, Bulma... per un attimo... mi sono illuso che lui
arrivasse...” fu la risposta del marito.
Bulma
rimase in silenzio un attimo, poi prese la sua borsa e la mise sul
tavolo.
“Cosa
succede, Bulma?” le domandò Goku, mentre mangiava
una coscia di
pollo, con Chichi, imbarazzata, che gli diceva: “Goku, non si
parla
con la bocca piena!”
Bulma
aprì la borsa e mostrò a tutti le sette sfere che
aveva raccolto.
“Ho
trovato questa leggenda su internet un po' di tempo fa...”
cominciò
a raccontare la donna “Si riuniscono sette sfere e poi si
esprime,
mentalmente, un desiderio. Il desiderio espresso da più
persone si
avverrà.” “Urca, che storia incredibile!
Facciamolo!”
“Goku...” “Andiamo, Chichi.
Sarà interessante. E, poi, pensa
se magari apparisse un genio.” “Perché
non ci metti un drago,
già che ci sei?” fu la domanda di Vegeta.
Bulma
tolse le sfere dalla borsa e le mise al centro del tavolo.
Tutti
si avvicinarono e pensarono al proprio desiderio.
Ma
vi fu un desiderio in comune per alcune persone.
Che
due cuori innamorati e distanti, potessero ritrovarsi.
L'uomo
continuava a girare in tondo per il parco.
Forse,
aveva trovato il modo per potersi ripresentare a sua moglie.
Si
sarebbe recato a casa loro, ad aspettarla per la fine della
cerimonia.
Già
immaginava che Echalotte gli avrebbe fatto una scenata, ma avrebbe
aspettato davanti alla porta di casa finché lei non
l'avrebbe
ascoltato, anche per tutta la notte se fosse stato necessario!
Echalotte,
da come ricordava lui, era fatta così: faceva sempre la dura
ma, in
fondo al cuore, era dolce e sensibile.
Sperò
solo che il suo abbandono non l'avesse cambiata...
Si
appoggiò ad una quercia e si mise a guardare il parco
deserto e
innevato.
Dopotutto,
col freddo che c'era, la maggior parte delle famiglie preferiva
starsene al calduccio in casa propria, infischiandosene del fatto che
proprio quell'aria fredda faceva bene alla salute.
Solo
lui ed Echalotte lo sapevano...
La
donna dai capelli neri spingeva senza alcun problema la carrozzina
dove c'era un bambino di soli sette mesi.
La
giovane donna si girò verso il marito, che procedeva con
passo lento
e seccato, e gli urlò: “Beh, ti muovi? Guarda che
ti lasciamo
indietro.” “Bah...” fu la risposta
dell'uomo, anche se, di
nascosto, accelerò il passo, in quanto sapeva che Echalotte
non
scherzava affatto.
La
donna si voltò verso di lui e disse, ridacchiando:
“Se penso che
sette mesi fa non portavi la barba...” “E che
dovevo fare? Quel
moccioso mi assomiglia come una goccia d'acqua! Anche se abbiamo il
colore dei capelli diversi, dovevamo differenziarci subito! Non ho
alcuna intenzione di essere scambiato per lui quando
diventerà
grande!”
Echalotte
fece fatica a trattenere una risata mentre, al contrario, Vegeta
guardava da un'altra parte, imbarazzato.
“Comunque...”
continuò la donna “La barba ti sta bene, anche se
così sembri
molto più vecchio...” “Molto spiritosa,
Echalotte. Davvero molto
spiritosa.” fu la risposta del marito, mentre diventava rosso
come
un peperone.
Echalotte
continuò a ridere, finché non si sentì
la voce del bambino:
“Mamma.” “Bravo Vegeta. Io sono la mamma
e questo brontolone è
papà.”
Il
piccolo rimase in silenzio.
“Che
strano.” notò Echalotte “Mamma lo dice
sempre ma papà no... mi
domando perché...” “Ma secondo te so
cosa passa nella mente dei
marmocchi di sette mesi?”
I
due continuarono a camminare in completo silenzio, finché,
ad un
tratto, Vegeta si sedette su una panchina e disse: “Io mi
fermo
qui. Tu va pure avanti.” “Come vuoi, Vegeta. Vorrai
che noi due
prenderemo molta più aria buona rispetto a noi.”
“Pensa quello
che vuoi. Io mi fermo.”
Echalotte
ridacchiò divertita, poi, sempre spingendo la carrozzina, si
allontanò.
Il
vento gelido le accarezza i capelli e le guance ma a lei non dava per
niente fastidio, anzi.
Era
felice.
Il
suo matrimonio con Vegeta stava andando alla grande e il loro piccolo
Vegeta era un bel bambino sano, anche se un po' troppo vivace...
Madre
e figlio continuarono a camminare per un po', finché non
arrivarono
davanti al lago del parco.
Ad
un tratto vide una sagoma appoggiata ad una quercia davanti al lago.
Non
le ci volle molto per riconoscere suo marito.
Anche
se non ne aveva mezza voglia, li aveva preceduti.
Si
avvicinò a lui e domandò: “Ma non avevi
detto che ti fermavi?”
“Ci ho ripensato. Se si fosse rotta una ruota della
carrozzina ce
l'avresti avuta a morte con me per l'eternità.” fu
la risposta del
marito.
Echalotte
sorrise: sapeva che, in realtà, suo marito era preoccupato
per lei e
per il bambino solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo.
“Ehi...”
disse ad un tratto “Che ne dici se un giorno dessimo un
fratellino
o una sorellina a Vegeta?” “Stai scherzando,
vero?” le domandò,
agitato, il marito, voltandosi a guardarla “Devo ancora
abituarmi
all'idea di essermi sposato e di aver avuto un figlio...”
“Almeno
ci penserai?” “Magari ci
penserò...” le disse Vegeta, mentre
in cuor suo pensava: ...O
magari
no...
Echalotte
ridacchiò, divertita.
Suo
marito faceva tanto il duro irascibile ma al suo primo ordine,
esaudiva tutti i suoi desideri, anche quelli più assurdi.
Era
solo questione di tempo... fra qualche anno, Vegeta avrebbe avuto un
fratello o una sorella con cui giocare.
Si
avvicinò al corpo di suo marito e rimasero immobili a
guardare il
lago.
Ad
un tratto, la donna sentì delle lunghe dita accarezzarle
dolcemente
il corpo.
Anche
se non si girava sapeva benissimo che era suo marito.
Chiuse
gli occhi, facendosi cullare dal morbido tocco di Vegeta e dall'amore
che provava per lui...
Mentre
si faceva cullare dal dolce sapore dei ricordi, l'uomo sentì
qualcosa toccargli il piede.
Guardò
per terra e rimase stupito nel vedere una sfera arancione con incise
quattro stelle.
Rimase
incredulo nel riconoscere in quella palla la sfera portafortuna di
Bardack.
L'aveva
vista così tante volte quando si recava a casa sua ma non
riusciva
proprio a spiegarsi come mai si trovasse in quel posto.
Bardack
ci era affezionato da sempre, era l'ultimo ricordo di suo padre, e
non riusciva proprio a capire come diavolo facesse a trovarsi
lì, in
quanto Bardack avrebbe preferito di gran lunga crepare sotto atroci
sofferenze che perdere quella sfera.
Si
voltò per vedere se c'era qualcun altro nei paraggi, che gli
spiegasse come era finita la sfera del suo migliore amico in quel
parco innevato, e fu allora che la vide.
Il
vento gelido le muoveva i capelli neri e il suo sguardo era incredulo
e confuso.
Non
si aspettava di certo che fosse lì, come non se l'aspettava
lui.
Aveva
passato tutta la mattina a pensare a come comportarsi se si fosse
imbattuto in lei ma ora che era successo, non sapeva più
come
comportarsi.
Dopotutto,
non si aspettava di certo di rivederla così, all'improvviso.
Si
concentrò sul suo viso.
Nonostante
fossero passati tanti anni dall'ultima volta che l'aveva vista, non
era affatto cambiata.
Era
rimasta giovane e bella come sempre.
Aveva
troppa paura di muoversi, temendo che essa sparisse nel nulla...
Così,
rimase immobile mentre il vento rumoroso muoveva a lui e a sua moglie
i capelli. |
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Capitolo 29 *** Ritrovarsi davvero ***
CAPITOLO
29: RITROVARSI DAVVERO
Fu
lei la prima a muoversi.
Si
voltò di scatto, allontanandosi da lui.
Vedendola
andarsene, sussurrò: “Echalotte...”
Lei
non si fermò, continuò a camminare.
“ECHALOTTE!!!”
le urlò, disperato.
Le
sue gambe si mossero da sole e il suo braccio afferrò quello
della
moglie.
Lei
si voltò e il suo sguardo fece restare sconvolto l'uomo.
Era
uno sguardo furibondo e arrabbiato.
Lui
tremò.
Quello
sguardo muto e adirato lo stava accusato della sua fuga, di averla
abbandonata da sola con dei bambini e, soprattutto, di averla
tradita.
Di
aver tradito il suo amore.
Nonostante
il silenzio, quello sguardo d'odio puro gli faceva più male
di tutte
le urla del mondo.
Sua
moglie lo odiava.
Avrebbe
voluto che lui non fosse mai riapparso nella sua vita.
Abbassò
lo sguardo, non trovando la forza per opporsi a quell'odio.
“Lasciami.”
sibilò, ad un tratto, Echalotte e lui obbedì.
Non
se la sentiva di bloccarla...
Lei
si girò e se ne andò.
Una
volta che fu sparita, l'uomo si diresse verso la più vicina
panchina
e si sedette pesantemente su di essa.
Non
l'aveva neanche voluto ascoltare... non poteva fare niente contro il
suo odio...
Mise
le mani sulla faccia.
Quel
suo sguardo... gli aveva lacerato quel poco della sua anima ancora
intatto... aveva visto in quello sguardo tutto il dolore che aveva
vissuto per anni per colpa sua... e l'odio che provava per lui...
Non
poteva niente... per un attimo... si era illuso che potesse
riappacificarsi con sua moglie e cambiare le favole...
Tarble
si guardò intorno, dubbioso.
Non
trovava un buon posto dove mettere quella sfera dalle sette stelle.
“Tarble...”
sussurrò una voce alle sue spalle.
Si
voltò e la riconobbe subito.
Gure
era lì, a pochi passi da lui.
Lui
sorrise e la salutò.
Lei
era il raggio di sole caldo di quella giornata così fredda.
La
ragazza, timidamente, si avvicinò a lui e disse, tutta
rossa: “E'
bello vederti...” “Anch'io sono contento di
rivederti... mi sei
mancata così tanto...” “Se penso che
sono costretta a nascondere
i miei sentimenti d'amore per te nonostante ci amiamo
entrambi...”
“Non abbiamo altra scelta... finché non sarai
maggiorenne non
possiamo fare niente se non nasconderlo...” “Ho
paura.” “Paura
di che cosa?” “Ho paura di dimenticarmi di te e di
innamorarmi di
un altro... è un incubo che da giorni mi perseguita! Sono
agitata al
pensiero che succeda... tu... tu non meriteresti una sofferenza del
genere! Non so più cosa fare...”
“Gure...”
Lei
alzò lo sguardo e i loro occhi neri si fusero.
“Sono
contento che tu mi abbia raccontato cosa provi.” disse lui
“Tu
sei una ragazza innamorata ed è normale che tu provi questa
paura.”
“Ma Tarble... cosa succederebbe se m'innamorassi davvero di
un
altro?!” “A me, l'unica cosa che conta è
che tu sia felice.
Accetterò qualsiasi cosa pur di farti felice. Qualsiasi cosa
accada,
io ti aspetterò. Sempre.”
Lei
sorrise anche se in cuor suo era presa ancora dai dubbi.
Temeva
di poter infrangere quella promessa da un momento all'altro... e non
avrebbe mai tollerato che Tarble stesse male per causa sua!
Il
giovane, tuttavia, capì i suoi pensieri dallo sguardo e,
d'istinto,
le mostrò la sfera che aveva in mano.
“Che
cos'è?” domandò Gure, incuriosita, e il
giovane rispose: “Una
sfera magica. Grazie ad essa, tutti i desideri si avverano. Non solo
ci permetterà di ritrovarci ma farà in modo che
il nostro amore non
si spenga mai.”
La
ragazza sorrise timidamente poi, prese la sfera dalle mani dell'amato
e se l'appoggiò al cuore.
“Direi
che il gioco ha funzionato bene...”
“Già...”
Bulma
sospirò.
Suo
marito, per tutta la durata del ricevimento non aveva smesso di
guardare fuori dalla finestra, sperando che suo padre arrivasse ma
non era servito a niente e i due sposi erano partiti per il viaggio
di nozze, e con loro gran parte degli invitati.
Bulma
vide Echalotte avvicinarsi a loro e dire: “Io devo
andare...”
“Certo.” “Mamma...” fece Vegeta.
Bulma
sapeva che il marito voleva raccontare alla madre del padre, tornato
all'improvviso nelle loro vite.
Tuttavia,
spostò lo sguardo e sussurrò:
“Niente.” “Capisco. Ci
vediamo.” “A presto, mamma.”
“Comunque... è stata davvero
indimenticabile la vostra sorpresa...”
Faceva
sempre più freddo e il vento gelido non smetteva di ululare
minaccioso.
Tuttavia,
non voleva andarsene.
Dentro
di sé si sentiva a pezzi... non era riuscito a parlare ad
Echalotte
ma la cosa che più lo tormentava era che Echalotte non aveva
neanche
voluto ascoltarlo.
Dopotutto,
come poteva darle torto?!
L'aveva
abbandonata senza nemmeno spiegarsi...
Se
lo meritava, eccome, il risentimento di sua moglie...
Guardò
la sfera portafortuna di Bardack.
Aveva
sempre invidiato il suo amico... lui era quello che lo superava
sempre... quello più coraggioso di lui... più
felice di lui...
Lui,
fin da quando era piccolo, era cresciuto con una famiglia che l'aveva
sempre amato... quando viveva nella Casa degli Scarti l'aveva scorto
più di una volta con suo padre... così felici...
mentre il suo
padre biologico era solo un mostro che aveva abusato della sua
mamma...
Il
marito di sua madre, si era avvicinato, e molto, a quello di Bardack
ma era morto per colpa sua...
Di
nascosto, osservava i due di nascosto, sognando che quelle carezze,
quelle parole fossero per lui...
Una
volta, Bardack si era accorto di lui che l'osservava dalla finestra
della sua camera in istituto e l'aveva salutato con la mano ma lui
aveva voltato la testa.
Poi
se n'era andato dalla Casa degli Scarti e l'aveva ritrovato, per puro
caso, nella palestra dove aveva cominciato a lavorare per guadagnarsi
i soldi per una moto, il suo sogno più realizzabile e anche
nel
appartamento vicino al suo.
All'inizio,
Bardack gli aveva rotto le scatole fino all'inverosimile ma, alla
fine, aveva ceduto e aveva trovato la cosa che non aveva mai avuto
persino quando c'erano i suoi genitori.
Un
amico.
Erano
diventati inseparabili e Bardack l'aveva aiutato in così
tante
occasioni, persino quando aveva deciso di abbandonare la sua famiglia
a causa della disperazione di non aver detto la verità.
Non
era stato pienamente d'accordo, ma sapeva che il suo amico non ce la
faceva più, quindi avevano deciso di tenersi in contatto.
La
sfera, a causa del forte vento, rotolò fino a lui e la prese
in
mano.
La
guardò e sperò, con tutto sé stesso,
di trovare anche lui lo
stesso amore e la stessa fortuna che aveva avuto Bardack.
Ad
un tratto, sentì un rumore dietro di sé.
Si
voltò e rimase incredulo quando rivide Echalotte appoggiata
ad un
albero.
Era
confuso... non riusciva a capire...
Da
quanto tempo era lì?! Ma, soprattutto, perché
era lì?!
Credeva
che lei non avesse più intenzione di rivederlo...
La
donna fece un segno al marito e disse: “Seguimi.”
L'uomo
si alzò dalla panchina e seguì la moglie in
silenzio.
Lei
continuò a camminare, veloce e senza voltarsi,
finché non
arrivarono ad una macchina che l'uomo intuì appartenere alla
moglie.
“Sali
in macchina.” fece Echalotte mentre entrava al suo interno e
il
marito sussurrò: “Echalotte...”
“Sali in macchina!”
l'interruppe, adirata, la donna.
Vegeta
le obbedì e una volta dentro, Echalotte mise in moto la
macchina e
partirono.
Il
marito osservò in silenzio il paesaggio che cambiava.
Era
inquieto.
Per
quale motivo sua moglie era tornata al parco e gli aveva ordinato di
seguirla?
Dove
lo stava portando?!
Aveva
così paura...
Strinse
con forza la sfera che non aveva mai smesso di tenere in mano e
sperò
che sua moglie potesse ascoltarlo, prima di ucciderlo.
Goten
osservava in silenzio sua madre mentre chiacchierava a tutto gas con
Bulma.
Come
cavolo facesse ad avere tutte quelle energie anche se erano solo
undici, non ne aveva la più pallida idea.
“Ti
vedo pensieroso, Goten.” disse all'improvviso una voce
maschile che
lui conosceva benissimo.
“E'
tutto a posto, Gohan.” rispose il ragazzo ma l'uomo rispose:
“Goten, sei mio fratello. Capisco quando c'è
qualcosa che ti
frulla in testa.” “La verità
è che io mi sto annoiando e voglio
tornarmene a casa...” “Sicuro che sia solo
questo?”
Goten
sospirò.
Suo
fratello capiva sempre tutto quello che gli passava per la testa...
“Il
fatto è che... vorrei passare del tempo, da solo, con
Valese.”
rivelò il ragazzo, amareggiato “Ma la mamma non
vuole... credo che
pensi che faccia cose stupide...” “Lei è
fatta così, non
pensarci... comunque, Goten, mi sembra che la mamma, in questo
momento, sia più impegnata a chiacchierare a tutto gas con
Bulma che
a prestarti attenzione...” gli fece notare Gohan.
Goten
sgranò gli occhi, incredulo.
Era
vero, sua madre era troppo impegnata a chiacchierare per prestargli
attenzione... poteva sparire per un attimo assieme a Valese...
“Grazie,
Gohan. Ti devo un favore.” esclamò, contento, il
ragazzo,
alzandosi e il fratello rispose: “Divertitevi e fate
attenzione.”
“Tranquillo.”
Il
giovane si avvicinò a Valese e le prese una mano.
La
ragazza si voltò e Goten le sussurrò:
“Che ne dici se andiamo un
attimo fuori? Tanto mia madre è distratta...”
“O-ok...”
balbettò la ragazza, dubbiosa ma allo stesso tempo eccitata
per
quell'inaspettata avventura notturna assieme a Goten.
I
due uscirono in punta di piedi dal locale e si misero ad osservare in
silenzio, la grande luna piena dai colori dell'oro e le stelle
luminose.
“E'
bellissimo...” commentò Valese e Goten, mentre le
passava il
braccio attorno alla vita, sussurrò: “Ma tu sei
ancora più
bella...”
Era
tornato in quella che un tempo era casa sua.
Ecco
qual'era stata la loro destinazione.
Sua
moglie fermò la macchina e scese dall'auto.
L'uomo
restò seduto immobile, indeciso sul da farsi.
Per
tutta la durata del viaggio, in macchina tra lui e sua moglie c'era
stato un silenzio gelido, tuttavia, aveva capito benissimo che lei
era infuriata con lui per averla abbandonata senza darle alcuna
spiegazione tanti anni fa.
Tuttavia,
aveva deciso di non essere mai più in codardo... e lo
avrebbe
dimostrato proprio alla sua Echalotte.
Aprì
la portiera della macchina e, una volta uscito, si diresse verso di
lei.
Lei
era appoggiata ad un albero, con le braccia incrociate, aspettandolo
in silenzio nel gelido buio di quella notte invernale.
Si
avvicinò a lei, in silenzio.
Per
un attimo, i due si osservarono in silenzio, poi Echalotte disse:
“Sai, Vegeta, non mi sarei mai aspettata di rivederti dopo
tutti
questi anni.” “Nemmeno io, fino a tre giorni fa...
però... prima
che io esca di nuovo dalla tua vita, se lo vorrai, dovevo rivelarti
una cosa.” “E cosa?”
L'uomo
fece un sospiro poi, veloce come il lampo, s'inginocchiò
davanti a
lei e le disse: “Echalotte, io... io ti ho mentito!”
La
donna rimase impassibile e il marito continuò: “Il
malore che mi
ha colpito quella volta al lavoro... non era dovuto a un calo di
zuccheri... in realtà, avevo una grave malattia ai reni! Non
sono
riuscito a dirti la verità! Ho avuto troppa paura! Tre volte
alla
settimana dovevo sparire per farmi la dialisi, in modo da allungarmi
la vita! Così, la gente ha cominciato a dire che io ti
tradivo e io
non potevo dire la verità perché, altrimenti,
avrei dovuto
ammettere che ti avevo detto una bugia! E alla fine me ne sono andato
perché non ce la facevo più!”
L'uomo
continuò a mantenere lo sguardo basso mentre calde lacrime
gli
uscivano dagli occhi e scioglievano la neve sotto di lui.
Ad
un tratto, disse: “Non voglio il perdono, perché
so che non lo
merito. Fammi tutto quello che vuoi. Puoi insultarmi, picchiarmi o
mandarmi via per sempre. Non farò una piega
perché so che lo
merito.”
Per
un attimo, tra i due si sentì solo il silenzio, poi l'uomo
la sentì
camminare verso di lui.
Si
fermò davanti a lui e inginocchiandosi, sibilò:
“Guardami negli
occhi.”
Lui
obbedì prontamente e i loro occhi neri si fusero.
“Posso
farti tutto quello che voglio?” domandò lei, senza
smettere di
guardarlo, e lui annuì: “Sì.
Tutto.” “Bene.”
L'uomo
chiuse gli occhi, aspettando tutto l'odio e il rancore di sua moglie
ma quello che accadde lo lasciò spiazzato.
Infatti,
la donna lo baciò.
Lui
la guardò, incredulo.
Tra
tutte le cose che Echalotte poteva fargli, quella era l'ultima che si
sarebbe mai aspettata.
Ad
un tratto, si accorse che dagli occhi chiusi della moglie, stavano
uscendo delle grosse lacrime.
Senza
più alcuna esitazione, il marito l'abbracciò e
rispose al suo
bacio.
“Allora,
ti piace questa stanza, Mai?” “Moltissimo,
Trunks...”
La
ragazza stava guardando, affascinata, la stanza dell'albergo dove lei
e Trunks avevano prenotato per la notte.
“Ne
sono contento... sai, volevo che la nostra stanza fosse perfetta per
la nostra prima notte di nozze.” confessò Trunks
mentre si metteva
il pigiama e la sua giovane moglie, mentre guardava fuori dalla
finestra, domandò: “Ancora non mi hai detto dove
andiamo per il
viaggio di nozze.” “In un'isola deserta
nell'oceano.” “Eh?!”
“Ha organizzato tutto mia madre. Ha detto che per una giovane
coppia appena sposata la tranquillità è l'unica
cosa di cui hanno
bisogno... e, poi, ha te è sempre piaciuto il
mare.” “Trunks...
è fantastico...” “Pensa che è
stato mio padre a offrircela.”
“Tuo padre?!” “Certo. Ha detto che, ormai
che era in barca
tanto valeva remare... così ha pagato lui il viaggio e la
vacanza.”
“Incredibile...” “Lo so. Ma ormai lo
conosco e so che fa sempre
così... comunque, è meglio se andiamo a letto.
Domani dobbiamo
alzarci presto per raggiungere l'aeroporto.”
“Ok.”
La
giovane s'infilò sotto le coperte e Trunks spense la luce.
Ad
un tratto, tuttavia, Mai cominciò a strattonare il marito e
lui
domandò: “Cosa succede, Mai?”
“Il bambino si sta muovendo.”
“Cosa?! Davvero?! Voglio sentirlo!”
Si
avvicinò alla moglie e mise il suo orecchio sulla pancia
della
ragazza.
Sentì
il piccolo muoversi nel grembo della madre con vivacità.
Era
una sensazione così stupenda, meravigliosa, unica!
Avrebbe
tanto voluto accarezzarlo quel piccolo così vivace che
l'aveva già
conquistato.
“Sento
che questo piccoletto sarà un po' troppo vivace.”
rise Trunks e
Mai disse: “E' sempre stato così... credo che ci
darà molto da
fare.” “Vorrà dire che lo terremo
d'occhio... però credo che
papà sarà felice di sapere che il suo nipotino ha
già un bel
carattere.”
Trunks,
poi, avvicinò la bocca alla pancia e disse: “Ciao,
piccolino. Sono
il tuo papà.”
Aveva
appena detto quelle parole, che gli parve di sentire un colpo.
“Mi
ha risposto!” annunciò, emozionato, il ragazzo.
Il
suo bambino gli aveva risposto.
Il
bambino suo e di Mai.
La
baciò dolcemente sulle labbra prima di stendersi al suo
fianco.
Echalotte
si sentì, dopo tanto tempo, completamente felice.
Suo
marito era tornato da lei ma la cosa più bella era sapere
che lui
non se n'era mai andato per un'altra donna, anche se il fatto che le
avesse mentito non la riempiva di gioia... ma aveva deciso di lasciar
perdere.
Inoltre,
il suo Vegeta aveva sofferto tremendamente in tutti quegli anni
proprio a causa di quella bugia.
Si
voltò verso di lui e disse: “Considerando che
è da un pezzo che
non lo facciamo, direi che sei stato davvero niente male.”
“Come
sarebbe a dire che sono stato solo niente male?!”
protestò lui,
adirato, voltandosi a guardarla.
Lei
ridacchiò.
Come
al solito, bastava davvero poco per far arrabbiare Vegeta.
Su
questo non era proprio cambiato.
L'uomo
si mise davanti a lei e le disse: “Se proprio ci tieni, lo
rifaccio, così vedremo se sarò ancora niente
male!” “Lascia
perdere, scherzavo. Sei stato bravo, lo ammetto.”
“Ecco, brava,
ammettilo.”
L'uomo
si sdraiò di nuovo di fianco a lei si mise a fissarlo in
silenzio.
Anche
se era buio pesto, vedeva la sagoma della sua schiena nuda.
Non
ricordava bene com'era andata e come lei e suo marito fossero finiti
lì...
Ricordava
solo che i suoi baci travolgenti e, ad un tratto, si erano ritrovati
nella loro stanza, nel loro letto, entrambi rossi e sudati...
Era
da tanto che non lo facevano, come era da tanto che non lo vedeva di
nuovo di fianco a sé nel loro letto... aveva paura che, da
un
momento all'altro, sparisse perché lui non era stato altro
che
un'illusione...
“La
smetti di fissarmi?” le domandò, ad un tratto
“Lo so che mi stai
fissando.” “Ti do' fastidio?”
“Non immagini quanto,
bambolina.” “La smetti di darmi quel ridicolo
soprannome?! Lo sai
che non mi è mai piaciuto!” “Lo so... ma
sei proprio sicura che
in tutti questi anni non ti sia un po' mancato?” “E
va bene, lo
ammetto... mi è mancato... proprio come mi sei mancato
tu...”
Per
un attimo, si sentì solo il silenzio, poi suo marito si
voltò a
guardarla e ammise: “Anche tu mi sei mancata...”
Nel
buio della stanza, le prese, con delicatezza, la mano sinistra e ad
un tratto, sussultò.
L'aveva
sentita.
Aveva
sentito la fede che sua moglie teneva all'anulare.
Nonostante
il suo abbandono... lei non solo l'aveva conservata ma la teneva
ancora al dito come dal giorno in cui si erano sposati.
La
donna, capendo cosa stava provando il marito, rivelò:
“Non ho mai
smesso di portarla... dov'è la tua fede, Vegeta? Non la
sento da
nessuna parte...”
Dopo
un secondo di silenzio, l'uomo ammise: “Mi vergognavo troppo
a
portarla... dopo tutto quello che ti avevo fatto... così
l'ho
tolta...” “Dov'è?”
“Nella tasca della mia giacca... a parte
quando mi hanno portato in ospedale, la tenevano sempre con me, non
riuscivo a stare lontano... in un certo senso, anch'io non ho mai
smesso di portarla...” “Dammela.”
Lui
accese la luce sul comodino e, poi, allungò la mano sul
pavimento
per prendere la giacca e da una tasca interna tirò fuori una
scatolina blu.
L'aprì,
rivelando la presenza di un anello nuziale che passò alla
moglie.
Lei
lo prese e, poi, prese la mano del marito e gliela mise all'anulare
sinistra, dicendogli: “Questo è il suo posto...
non toglierla mai
più, Vegeta.”
Lui
l'abbracciò e sussurrò: “Grazie,
Echalotte...”
Tuttavia,
gli sembrò che sua moglie fosse inquieta, quindi
domandò: “Cosa
c'è?” “Ho paura.”
“Paura di cosa?” “Di addormentarmi e
di svegliarmi domattina... non trovandoti più accanto a
me... se tu
te ne andassi di nuovo... io morirei...”
Le
vide delle grosse lacrime uscire dagli occhi e l'abbracciò
più
forte che poté.
Entrambi
sentirono i propri cuori battere con violenza.
Ad
un tratto, l'uomo sussurrò, prima di baciarla di nuovo con
passione:
“Ora sono qui. Ho sbagliato in passato ma ho capito i miei
errori e
ho deciso di ricominciare tutto da capo. Con la nostra famiglia, i
nostri figli ma soprattutto... con te. Non me ne andrò mai
più,
Echalotte... te lo prometto.”
Gli
unici testimoni di quella promessa d'amore e del successivo bacio,
furono una pianta di anemone e una sfera arancione con al suo interno
quattro stelle.
“Non
riesco proprio a capire perché non sia venuto...”
“Lascia
perdere, Tarble, ormai è andata così...
avrà avuto di nuovo
paura...”
Vegeta
sospirò.
Quel
giorno aveva pensato che suo padre avrebbe potuto ritrovare il
coraggio per recarsi da sua madre e dirle la verità... ma,
evidentemente, era stata solo un'illusione...
“Io
ho provato a chiamarlo a casa sua...” continuò
Tarble, dall'altra
parte della cornetta “Ma mi ha risposto la segreteria
telefonica.”
“Capisco... in fondo, dovevamo aspettarci che sarebbe finita
così...” “Cosa pensi di fare?”
“Penso che domani mattina
telefonerò dalla mamma e le racconterò ogni
cosa... papà non ha
trovato il coraggio di andare da lei ma la mamma ha diritto di
sapere.”
Echalotte
aprì dolcemente gli occhi e la prima cosa che vide fu il
volto di
suo marito.
Dopo
un'iniziale smarrimento, si ricordò tutto.
Aveva
passato tanti anni a svegliarsi e a non trovandolo accanto a
sé,
perciò era ancora un po' confusa ma quasi subito sorrise
felice.
Suo
marito era rimasto accanto a lei.
Non
se n'era andato.
Il
suo ritorno non era stato un sogno che sarebbe svanito al mattino.
Quel
desiderio che aveva avuto in fondo al cuore per anni, si era
avverato.
Lui
era tornato.
Sarebbero
rimasti insieme.
Per
sempre.
Lo
strinse ancora più forte mentre chiudeva gli occhi.
Entrambi
avevano dormito abbracciati, come se temessero di non ritrovare
l'altro al risveglio.
Vegeta
aprì gli occhi lentamente e, sbadigliando, scese dal letto.
Erano
solo le sei ma anche se era davvero presto, doveva fare quella
telefonata.
Doveva
raccontare a sua madre che suo padre era tornato, all'improvviso,
nelle loro vite, che aveva mentito sulla sua malattia, che era
dispiaciuto per tutto... e doveva farlo adesso, che le due femmine,
le uniche rimaste della sua famiglia, dopo che Trunks se n'era andato
perché si era sposato, si svegliassero...
Fece
un paio di respiri profondi.
Era
terribilmente agitato per quello che stava per fare...
Tuttavia,
prese coraggio, e cliccò i tasti del telefono.
BRIIIPP
BRIIIPP BRIIIPP
L'odioso
suono del telefono lo svegliò.
Tra
tutti i rumori che odiava, dopo la sveglia, naturalmente, quello era
il peggiore!
Soprattutto
se sostituiva la sveglia!
Distrattamente,
allungò la mano sul comodino e, non appena trovò
quel dannato
apparecchio, lo prese e, dopo averlo accesso, fece, soffocando uno
sbadiglio: “Pronto?”
“Papà?!”
L'uomo
sbiancò e si sentì come se avesse appena ricevuto
una bella
secchiata d'acqua gelida in testa.
La
persona dall'altra parte della cornetta era suo figlio Vegeta.
Rimase
zitto un attimo, rosso per l'imbarazzo, poi chiese, sperando di
apparire il meno agitato possibile: “Cosa c'è,
Vegeta? Perché mi
hai chiamato?” “A dire la verità, stavo
telefonando a casa della
mamma... ma devo aver sbagliato numero...” “Vegeta,
puoi chiudere
quello stupido telefono?! Sto cercando di dormire!”
l'interruppe
Echalotte, mettendo la testa sotto al cuscino.
Per
un attimo, tra l'uomo e il figlio calò un silenzio
imbarazzante, poi
il primo disse: “Invece hai composto il numero
giusto...” “Non
ci posso credere... cosa ci fai a casa della mamma?!”
“Beh...
ieri mi sono svegliato tardi e mentre vi raggiungevo alla cerimonia
ho incontrato la mamma, la quale mi ha portato a casa e le ho
rivelato tutto...” “Credo di sapere come
è andata a finire...”
Anche
se non lo vedeva, era lampante che suo figlio era diventato rosso
come un pomodoro e che stava morendo dall'imbarazzo... proprio come
lui in quello stesso momento!
Facendosi
forza, l'uomo disse: “Comunque... io e la mamma abbiamo
deciso di
rimetterci insieme.” “Davvero?! Non stai
scherzando?!” “No,
dico sul serio. Da adesso in poi non ci separeremo mai
più.”
Mentre
diceva quelle parole, avvicinò la mano a quella di sua
moglie e lei,
d'istinto, la prese e la strinse forte.
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Capitolo 30 *** Una nuova favola per il Lupo Cattivo ***
CAPITOLO
30: UNA NUOVA FAVOLA PER IL LUPO CATTIVO
Aveva
i capelli neri a fiamma del nonno ma gli occhi azzurri erano del
padre.
Fu
questo che notò Mai mentre guardava il figlio appena nato
dormirle
tra le braccia.
Trunks
si avvicinò ai due e guardò con profonda dolcezza
suo figlio.
Era
un bambino così dolce...
Allungò
la mano per accarezzarlo ma il piccolo gli afferrò la mano.
Evidentemente
non gradiva che qualcuno si avvicinasse a lui o a sua madre...
“Guarda
che sono tuo padre...” disse Trunks e il bambino, dopo
avergli
rifilato un'occhiata, un po' troppo simile a quella di suo padre
Vegeta, lo lasciò andare, ma non smise di tenerlo sotto
osservazione.
“Certo
che è proprio un bel tipo...” commentò
Trunks e Mai ammise: “Eh
già...” “Proprio come mio
padre...”
Marito
e moglie risero divertiti ma, ad un tratto, la porta si aprì
e
apparve la faccia di Bulma che disse: “Scusate, ma voglio
avvertirvi che non riuscirò a trattenere mia madre ancora
per
molto.” “Capito. Falli pure entrare,
mamma.”
Aveva
appena detto quelle parole che la porta si aprì con violenza
ed
entrò una donna, vestita molto elegantemente, con i capelli
biondi
vaporosi e gli occhi chiusi, che urlò: “Allora,
dov'è il
piccolo?”
Il
bambino, sentendo quel baccano, cominciò a urlare e Bulma si
voltò
verso la donna e disse, adirata: “Mamma, l'hai fatto
piangere!”
“Ci penso io.” rispose una donna bassa e coi
capelli neri che,
dopo essere entrata nella stanza, disse, con calma e
tranquillità:
“Vegeta.”
Subito,
il bambino smise di piangere.
Bulma
guardò, incredula, Echalotte e domandò, sorpresa:
“Incredibile,
ha smesso di piangere. Ma come hai fatto?!”
La
donna si limitò a fare le spallucce e a dire:
“Segreti di
famiglia. D'ora in poi, chiamatelo così quando
comincerà a urlare
ed evitate i nomi che non gli piacciono.”
Trunks
e Mai si guardarono un istante e poi Mai disse: “Che ne dici,
Trunks? lo chiamiamo Vegeta?” “Certo che
sì! Che domande!”
esclamò, seccata, una voce alle loro spalle.
Vegeta,
col suo solito passo sicuro e deciso, entrò nella stanza e
dichiarò:
“L'unico nome degno per lui è Vegeta... inoltre se
quel bambino è
identico a me, adorerà le arti marziali... lo
farò diventare il mio
allievo e lo renderò più forte di te,
Trunks!” “Gh gh gh.”
gioì, tutto contento, il piccolo e Trunks
commentò: “Sono messo
proprio bene... mio figlio preferisce già suo nonno a me che
sono
suo padre...”
Tutti
i presenti risero divertiti e, poi, Bulma si avvicinò alla
giovane
coppia e domandò: “Posso prenderlo in
braccio?” “Ma certo,
Bulma.” acconsentì Mai, sorridendo e passandole il
bambino.
Bulma
lo guardò e, poi, disse: “Oh che tesoro...
scommetto che anche tuo
nonno era un bel bambino dolce come te... prima che imparasse a
parlare.” “Molto spiritosa, Bulma. Davvero molto
spiritosa.”
commentò il marito, guardandola in malo modo.
Ad
un tratto, l'uomo si accorse che suo fratello stava scrivendo
qualcosa al cellulare e disse: “Tarble, smettila di scrivere
e
vieni subito qui! Non vorrai mica perderti i primi minuti di vita di
mio nipote?” “Arrivo, Vegeta...”
balbettò il giovane e digitò
in fretta: Il bambino
è un
maschio. Mio nipote e sua moglie hanno deciso di chiamarlo Vegeta.
Appena posso, ti mando le foto, Gure. Ciao, Tarble. P.S. I love you.
“Tarble!!!”
“E-eccomi!”
Imbarazzato,
il giovane ragazzo raggiunse il fratello e osservò il
piccolo.
Se
non era per gli occhi azzurri, era la fotocopia di Vegeta...
“Vuoi
tenerlo in braccio?” gli domandò, ad un tratto, il
fratello
maggiore e Tarble, imbarazzato, annuì.
Il
piccolino rimase buono e tranquillo per tutto il tempo in cui il
giovane lo tenne tra le braccia, poi lo passò ad Echalotte.
La
donna rimase in silenzio ad osservare quella piccola e tenera copia
del figlio maggiore e del marito, nascondendo la forte emozione che
provava dentro di sé.
Proprio
in quel momento, la porta della stanza si aprì e comparvero,
ansimanti, Goten e Valese.
“Dov'è
mio nipote?” fu la prima cosa che il ragazzo
domandò e venne
immediatamente corretto da Vegeta: “Trunks non è
tuo fratello e
sei in ritardo.” “Colpa dei mezzi di
trasporti.”
Ignorando
le parole dell'uomo, Goten prese il piccolo Vegeta dalle braccia di
Echalotte e, guardandolo, disse: “Ciao, piccolo.”
“BUUUUUAAAAAAHHHHHHH!!!!!!!!!”
Era
bastato guardare la faccia di Goten per farlo piangere.
D'istinto,
Valese prese il piccolo dalle braccia del suo ragazzo e il bambino
smise di piangere.
“Mi
sa che non vuole essere preso in braccio da te...”
sospirò Bulma e
Goten bofonchiò: “Ma questa è
discriminazione.” “Io adoro già
mio nipote.” fu il commentò di Vegeta.
Goten
sospirò mentre Valese continuava a cullare il piccolo.
Mentre
cullava il bambino, la ragazza si accorse di Bra che li osservava.
“Vuoi
tenerlo in braccio?” domandò Valese e la piccola
annuì.
“Fa'
molto attenzione a non farlo cadere perché è
delicato.” si
raccomandò Valese mentre glielo passava, e Bra chiese:
“Come un
bicchiere?” “Esatto.”
Bra
prese in mano il piccolo Vegeta e gli disse, sorridendo:
“Ciao,
piccolino. Sono la zia Bra ma puoi chiamarmi sorellona. Mi
prenderò
cura di te. Mi raccomando, non far disperare il mio fratellone e la
mia sorellona.”
Tutti
s'intenerirono davanti alla dolcezza di Bra ma solo Vegeta si accorse
del fatto che Bra guardava da tutte le parti, come se stesse cercando
qualcuno...
“Vuoi
farglielo vedere?” le domandò e lei ammise:
“Sì...”
“Dammelo... glielo darò io.”
Una
volta che ebbe in braccio il bambino, Vegeta uscì dalla
stanza
dell'ospedale e si diresse verso la sala d'attesa, sapendo che lui
era lì.
Infatti,
lo vide seduto sulla sedia a fissare il vuoto.
Ad
un tratto, però, suo padre si voltò e rimase
stupito nel trovarsi
davanti il figlio con un bambino tra le braccia.
“Perché
non raggiungi gli altri?” domandò Vegeta e suo
padre, dopo un
attimo di silenzio, confessò: “Non sono stato
presente a molte
nascite... quella di Tarble, di Trunks e di Bra...”
Dopo
un attimo di silenzio, Vegeta mostrò al padre il piccolo e
domandò:
“Ti ho portato il bambino. Chi ti ricorda?”
Suo
padre fissò il bambino poi, girando lo sguardo dall'altra
parte,
sussurrò: “Gli occhi sono di Trunks...”
“Vuoi prenderlo in
braccio?”
Sentendo
l'inaspettata domanda del figlio, l'uomo voltò la testa ma
la spostò
di nuovo, rispondendo: “No...” “L'abbiamo
preso tutti in
braccio, persino Bra. Manchi solo tu.” insistette il figlio e
l'uomo acconsentì con un debole: “Va
bene...”
Padre
e figlio rimasero a guardare per vari minuti quella loro copia
così
piccola e fragile finché Vegeta ruppe di nuovo il silenzio:
“E'
impressionante a come ci assomigli.”
“Già...” “Trunks e Mai
hanno deciso di chiamarlo Vegeta... come noi due.”
Dopo
che il figlio ebbe detto quelle parole, l'uomo abbassò lo
sguardo e
sussurrò: “Sai, Vegeta, nonostante siamo simili ci
sono alcune
cose che ci rendono diversi... i particolari... e le nostre
vite...”
Vegeta
si accorse, dallo sguardo e dal tono del padre, che era triste e
domandò: “Cos'hai papà?”
“Non potrò mai essere un bravo
nonno dopo tutto quello che ho fatto... ho paura di rovinare anche la
sua vita...” fu la risposta dell'uomo.
Vegeta
rimase in silenzio.
Suo
padre non si era ancora perdonato il fatto di essersene andato quando
lui e Tarble erano ancora piccoli, e non se lo sarebbe mai perdonato.
Per
suo padre, quella vicenda sarebbe rimasta per sempre una cicatrice
nella sua anima.
D'istinto,
gli prese la mano che aveva lasciato libera.
Suo
padre si voltò a fissarlo, incredulo.
Vegeta
dopo aver preso un bel respiro, disse: “Io e gli altri ti
staremo
accanto, papà... Vedrai che non rovinerai la sua vita. E'
ora che il
Lupo Cattivo cominci una nuova favola... una favola con la sua
famiglia.”
Suo
padre lo fissò un attimo e, poi, sorrise.
Un
sorriso felice e pieno di speranza.
“Papà!
Nonno!”
La
voce di Bra si sentì per tutto il corridoio e i due uomini,
d'istinto, lasciarono la mano dell'altro.
Sarebbe
stato troppo imbarazzante per l'orgoglio di entrambi farsi vedere in
famiglia mentre si tenevano per mano.
“Cosa
c'è, Bra?” domandò Vegeta, guardando la
figlia, e la piccola
rispose: “La mamma e la nonna vi ordinano di riportare
indietro il
Vegeta più piccolo. Vogliono vederlo anche loro. Le signore
hanno la
precedenza e voi uomini avrete tutta la vita per vederlo.”
Padre
e figlio si guardarono un istante, poi Vegeta domandò:
“Le
accontentiamo?” “Ovvio... non ho certo intenzione
di affrontare
la tremenda furia di quelle due.” fu la risposta del padre e
Vegeta
disse: “Lo porto io.”
“D'accordo.”
Una
volta che Vegeta ebbe in braccio il piccolo si allontanò e
nel
corridoio rimasero solo Bra e suo nonno.
“Dai,
raggiungiamo tuo padre e gli altri.” le disse l'uomo
prendendola
per la mano e la piccola, con una vocina timida, domandò:
“Nonno...”
“Cosa c'è, Bra?” “Alla fine ci
sono riuscita, non è vero?”
L'uomo
rimase a fissarla in silenzio poi, sorridendo di nuovo, ammise:
“Sì,
Bra, ci sei riuscita. Sei davvero riuscita a cambiare le
favole.” |
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