Redemption

di sofimblack
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Caramella ***
Capitolo 3: *** Death ***
Capitolo 4: *** Istinto ***
Capitolo 5: *** Passi ***
Capitolo 6: *** Out in the open ***
Capitolo 7: *** Io sono Elle ***
Capitolo 8: *** Incontri ***
Capitolo 9: *** Light ***
Capitolo 10: *** Tame ***
Capitolo 11: *** Il secondo Kira ***
Capitolo 12: *** Sincerità ***
Capitolo 13: *** Risk taking ***
Capitolo 14: *** Esperimento ***
Capitolo 15: *** Segni, sogni, realtà ***
Capitolo 16: *** Carte da decifrare ***
Capitolo 17: *** Scacco matto ***
Capitolo 18: *** Le bugie risiedono negli occhi ***
Capitolo 19: *** Help ***
Capitolo 20: *** Trial ***
Capitolo 21: *** The end ***
Capitolo 22: *** Epilogo pt.1 ***
Capitolo 23: *** Epilogo pt.2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Per la serie “Boh, io ce provo”, ecco a voi il mio personalissimo contributo a Death Note… argh. Perché mi sono lanciata in questa cosa folle e masochista?! Bella domanda. Beh, in ogni caso per me - come per tipo tutto il fandom o quasi, immagino - la morte di Elle è stata un brutto colpo, perciò ho voluto provare a rielaborare tutta la vicenda sin dai suoi inizi… anche se le storie (si sa) ad un certo punto fanno un po’ come vogliono, perciò staremo a vedere. La mia ff si svilupperà seguendo due filoni principali: il caso Kira e le relative indagini (a partire dal capitolo 3) e lo strano rapporto L/Rae, cercando una specie di equilibrio tra le due cose che già so che non troverò mai T_T. 

Ok, ora la smetto perché, giustamente, vi avrò già annoiati con tutte ‘ste ciance e non è carino tormentare la gente in questo modo. Buona lettura ^^ ~

Un ringraziamento particolare va a Ram92 (anche lei è autrice qui su EFP!) che mi ha aiutata con un luuuungo consulto investigativo, utile soprattutto dal capitolo 8 in poi. Thank you my dear!

 

 

I
Prologo

 

 



 

Novembre


 

 

R

 

Un sottile filo di fumo danzava pigro verso il cielo, lasciandosi dietro quel che restava di una sigaretta spenta male. Il cielo era coperto come sempre… d’altronde aspettarsi una giornata di sole a Novembre, nello Hampshire, era da veri ingenui. Rae era tornata dentro al negozio in fretta, nonostante non ci fosse alcun cliente: era un tardo mercoledì mattina, molti erano ovviamente a lavoro o a scuola. Scostò rapidamente una ciocca di capelli che col vento le era finita sulle labbra, appiccicandosi al burrocacao, mentre con l’altra mano si tormentava una pellicina del pollice. Si avvicinò ad una delle tante cassette di legno colme di vinili scegliendo senza alcuna esitazione uno dei suoi preferiti, Ummagumma. Le piaceva il progressive anni ’70, ma più in generale amava la musica tutta: adorava ascoltarla, suonarla, studiare le copertine dei vari album, scoprire nuovi artisti; trovare lavoro in un negozio di musica era stato un vero colpo di fortuna. Quando ci pensava quasi le scappava da ridere: coi suoi jeans grigi stretti ed il sapore del tabacco ancora in bocca lei era un cliché fatto e finito. “Ragazza abbandona tutto e tutti va a vivere da sola, trova un lavoro nel negozio di dischi della città e passa lì le sue giornate leggendo, fumando e bevendo tè.” Fine. Tutto molto British, Indie, Alternative eccetera.
A dire il vero, se davvero fosse stata la protagonista di un qualche film, il regista avrebbe dovuto impegnarsi decisamente di più: al momento conduceva una vita piuttosto monotona… anche se in realtà le andava bene così. Anzi, le andava decisamente bene così. Aveva scelto di trasferirisi proprio in quella cittadina tranquilla e non, ad esempio, a Londra o Liverpool per un motivo preciso: ne aveva passate fin troppe e, probabilmente, anche solo per combattere e gestire tutto quello che aveva dentro non le sarebbe bastata una vita intera. Ne aveva abbastanza di qualsiasi cosa, della gente, del “dover fare” e soprattutto dei ricordi.
Lo sapeva benissimo, la sua era stata una fuga bella e buona, una vigliaccata in piena regola: se ne era andata lasciandosi alle spalle le brutte compagnie e tutto quello che ne derivava, i suoi pochi amici, perfino suo padre. Già, suo padre. Portò il pollice alle labbra, iniziando a mangiucchiarsi nervosamente l’unghia. In realtà pensare a lui, dopo tutto quello che era successo… impossibile. Era una specie di tabù nella sua testa. Non era ancora pronta per rifletterci su, nonostante fossero passati degli anni... anzi, forse non lo sarebbe mai stata: sentiva che era un qualcosa di più grande di lei. Erano ferite profondissime che non si sarebbero cicatrizzate mai.


Pochi minuti prima, come faceva ogni singola mattina, era uscita fuori dal negozio e si era appoggiata allo stipite della porta, accanto al posacenere. Con calma aveva tirato fuori il tabacco, si era girata una sigaretta, l’aveva accesa e semplicemente se ne era stata lì, ad osservare. 
Faceva proprio parte di lei, la faccenda dell’osservare. Fin da bambina, nonostante fosse molto socievole, capitava spesso che passasse ore intere per conto suo persa nei propri pensieri, nel proprio mondo, mentre guardava quello che aveva attorno con un’intensità quasi insostenibile. Guardava le persone, le guardava negli occhi notando ogni particolare, immaginando qualcosa ed intuendo molto, spesso mettendole a disagio. Lo aveva sempre fatto. Tutto la incuriosiva, la cosa più impensabile poteva scatenarle qualcosa dentro… ed inoltre le piaceva capire. Magari le sfuggivano le cose più ovvie e lampanti, eppure Rae aveva un modo di guardare dentro le persone quasi inquietante. Era una sorta di sesto senso, una profondità intrinseca che non le si scollava mai di dosso, unita ad un'intuitività fuori dal comune.
Kathelyn, una delle sue pochissime amiche, le diceva sempre che nel mondo esistono due categorie di persone, quelle leggere e quelle pesanti. E non c’entravano nulla l’intelligenza, la pedanteria o l’effettivo peso corporeo… semplicemente era un modo di vedere ed affrontare le cose. E lei, aggiungeva Kathelyn ogni volta, era la persona più "pesante" che conoscesse; dicendolo, quasi non sapeva quanto effettivamente avesse ragione.


Dunque, come stavamo dicendo, quella mattina prima di rientrare in tutta fretta nel suo negozio Rae se ne era rimasta lì, a fumare come sempre, assorta nel suo mondo ma comunque attenta. Un tizio di fretta, circa trent’anni addosso e l’aria sciupata, un accenno di calvizie e scarpe che scricchiolavano. Una coppia di amiche di almeno quarant’anni, una troppo impegnata a ridere per accorgersi dello sguardo preoccupato dell’altra… ma no, per fortuna quella macchina aveva inchiodato all’ultimo, facendo attraversare incolume una ragazza disattenta, accompagnata dal proprio cane ma troppo distratta dalla musica per notare di aver rischiato la vita. Tre distinti signori in giacca e cravatta discutevano animatamente tra loro in attesa di un taxi, la cameriera del bar di fronte le fece un cenno di saluto mentre serviva un gruppetto di sporadici turisti.
Un ragazzo alto all'incirca della sua stessa età, i folti capelli di un nero impossibile che, spettinati, gli erano finiti davanti agli occhi, le spalle curve e le mani in tasca.
Lui fu il solo ad accorgersi di lei e del suo silenzioso studio dell’umanità. E quando incontrò il suo sguardo, Rae sentì una stranissima sensazione nello stomaco, improvvisamente ipnotizzata da due occhi profondi e scuri. Era uno sguardo diverso dagli altri. Uno sguardo di quelli che mai aveva incontrato in tutta la sua vita, che non esprimeva il minimo disagio davanti al suo esame attento ma che bruciava, bruciava quanto il suo.

 

L

 

Novembre. Mercoledì. Cielo pesante.
Lui se ne stava tornando alla Wammy’s House, camminando in modo apparentemente distratto ma in realtà costantemente vigile. Ad ogni passo la sua mente incamerava un nuovo dettaglio, memorizzando ogni particolare in modo così naturale che ormai non ci faceva quasi più caso.
Era abituato a gestire enormi quantità di informazioni contemporaneamente e, se anche non stava lavorando a qualche caso, faceva ormai parte di lui notare tutto. In verità, più che una deformazione professionale, quello era il motivo per cui lui era il detective migliore in circolazione. Anzi, i tre migliori. Una lieve folata di vento lo sfiorò, facendolo rabbrividire per l’ennesima volta dentro la sua maglia bianca di cotone, troppo leggera per la stagione. Non se ne era curato granché prima di uscire, troppo preso dai suoi pensieri… ma a dire il vero era molto strano anche solo il fatto stesso che fosse uscito, di nascosto, quasi come un ladro. Aveva letto che camminare attivava alcune aree del cervello che aumentavano le sue capacità logiche, ma la verità è che gli piaceva passeggiare per la cittadina, le poche volte che poteva farlo.
Da una delle tasche dei jeans tirò fuori un lecca lecca. Arancia. Lo scartò con cura, piegando l’involucro ormai vuoto a metà e poi di nuovo a metà prima di buttarlo via, lo mise in bocca e sospirò soddisfatto, mentre sentiva il sapore di frutta e zucchero sciogliersi sulla sua lingua.
Fu in quel momento che, sentendosi osservato, incrociò uno sguardo strano… uno sguardo diverso dagli altri, eppure non pericoloso. Sentì una stranissima sensazione nello stomaco. Vide degli occhi in cui non c’era disagio, non c’erano imbarazzo o curiosità morbosa, o magari pregiudizio… o anche solo aspettativa, quella con cui tutti lo ascoltavano alla Wammy’s. Non c’era nulla di tutto quello che ormai si era abituato a leggere sui volti della gente nella quale si imbatteva.
No, lì c’era un qualcosa di profondo, di inesplorato, e la cosa lo incuriosì. Passò oltre strascicando i piedi nelle scarpe consumate, continuando per la sua strada con noncuranza, interrompendo quel contatto durato poco più di qualche secondo e analizzando ogni dettaglio nella sua mente.
Lei era una ragazza giovane, doveva avere all’incirca la sua età e lavorare nel negozio di dischi. Non era lì per comprare né per aspettare qualcuno che se ne stava dentro: era senza giacca e non prestava la minima attenzione all’interno del negozio - segno che doveva essere vuoto. Fumatrice, unghie mangiate, inquieta. Quindi doveva esserci qualcosa che la logorava da un po’, nonostante l’aria tranquilla e quella sensazione di sicurezza che emanava. Non era propriamente bella, non somigliava al prototipo di donna che film e riviste proponevano… eppure aveva uno strano fascino, con quei lineamenti particolari ed il mondo negli occhi.
Analizzò con metodo e curiosità ogni nuova sensazione che si era scatenata in lui, come se stesse affrontando un esperimento scientifico. Poi, per quel giorno, non ci pensò più.

 

 

Eccoci qua, dopo questa specie di prologo… in realtà la storia sarà molto più complessa di così -ho già paura/ansia da prestazione sigh - ed i capitoli decisamente più lunghi. Scrivere di Elle cercando di restare IC sarà mega difficile, così come rendere la trama che ho in mente in modo sensato… non avendo mai scritto storie investigative/gialli/ecc credo sia un bel banco di prova! Comunque se state ancora leggendo i miei discorsi paranoici… beh, grazie! ^^ Spero di non deludere le aspettative (ma magari invece vi fa già schifo e allora nulla)… insomma, la smetto, a presto ~

 

sofimblack

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Capitolo 2
*** Caramella ***


II
Caramella



 

Novembre


 

 

R

 

Quel giorno Rae non doveva lavorare: il negozio era chiuso e poteva permettersi di fare ciò che voleva. Si era svegliata decisamente tardi, le lenzuola attorcigliate alle gambe e la testa in subbuglio. Ultimamente i suoi sogni erano piuttosto agitati. Aveva rimandato pigramente il momento di alzarsi, presa com’era dalle pagine di una raccolta di racconti di un qualche autore nordico, ma alla fine dovette per forza alzarsi per mangiare qualcosa e andare in bagno. Viveva in un piccolo bilocale, forse un po’ caotico ma accogliente, illuminato da ampie finestre in stile vittoriano. Il bollitore scaldò l’acqua in un minuto, mentre lei già si pregustava una fumante tazza di tè. Tuffò una bustina di English Breakfast nella tazza, osservando l’acqua scurirsi sempre di più; il tè le piaceva molto forte e molto zuccherato. Gettò un’occhiata distratta fuori dalla finestra e, con gioia, si accorse che un flebile raggio di sole si faceva strada tra la coltre grigia che copriva il cielo. Improvvisamente esaltata finì rapidamente il contenuto della tazza ustionandosi la lingua e si infilò un paio di jeans scuri, un maglione sbrindellato di almeno due taglie più grandi della sua e le solite vans consumate. Cappotto, sciarpa, tabacco e accendino, telefono, chiavi, caramelle, fazzoletti, libro. Era già in strada, quasi felice, diretta al parco… in realtà non faceva poi così caldo, non era tempo da parco quello, eppure a lei non importava. Era fatta così, quando le prendevano quegli -ormai rari - sprazzi di entusiasmo li assecondava sempre, senza stare a pensarci sopra. Scelse una panchina appena illuminata dal sole sotto un grande albero, spoglio e nodoso, e tirò fuori la sua copia sgualcita di Guida Galattica per Autostoppisti, pensando che un po’ di nonsense ci stesse sempre bene. Si girò beata una sigaretta e iniziò a leggere, chiudendosi nella sua bolla di tranquillità.

 

 

L

 

Stavolta si era messo una maglia più pesante, ma Watari* non poté fare a meno di dirgli comunque qualcosa. C’era sempre la medesima quantità di affetto e di ammonimento nella sua voce, quando si rivolgeva a lui.

«Elle. Noto che esci spesso ultimamente… Dovresti coprirti di più».

«L’aria fresca aumenta le mie capacità intellettive del 20%» rispose lui sbrigativo, accettando però di buon grado la giacca che quel distinto signore - che in realtà era tutta la sua famiglia - gli stava gentilmente porgendo. Stava quasi per varcare la porta quando si sentì apostrofare da una voce strafottente, ma comunque piena di ammirazione.

«Ehi Elle, dimmi, riesci a risolvere questo indovinello?». Appoggiato al muro, una mano in tasca e l’altra che portava una stecca di cioccolato alla bocca c’era Mello, uno dei due ragazzini che - nel caso gli fosse accaduto qualcosa - avrebbe dovuto designare come erede. Elle si fermò sulla soglia, attento.

«In una città alcune persone, durante le notti di luna piena, si trasformano in lupi mannari. Si può quindi pensare che almeno uno degli abitanti di questo luogo sia un lupo mannaro. Per fare fronte a questa situazione il sindaco della cittadina emette un’ordinanza, che prevede che ogni cittadino che sappia di essere un lupo mannaro, si debba uccidere appena lo scopre. Dato che gli abitanti del luogo sono tutti dei cittadini rispettosi delle leggi, si può dare per certo che effettivamente ogni abitante che scopra di essere un lupo mannaro si uccida. Purtroppo però, un lupo mannaro non si accorge di esserlo e quindi lo può solo capire dall’osservazione di quello che gli sta intorno. A questo punto occorre ricordare che durante tutte (e sole) le notti di plenilunio, ogni cittadino incontra tutti gli altri, e pertanto è in grado di vedere i lupi mannari anche se non può comunicare con loro. Dopo la terza notte di luna piena vengono ritrovati i cadaveri di alcuni lupi mannari. Quanti sono i lupi ritrovati? Perché sono stati ritrovati soltanto dopo la terza notte, mentre nelle due precedenti non si è avuto alcun ritrovamento?»

Elle, che aveva ascoltato con estrema concentrazione, fece un sorrisetto.

«La mia risposta è …sì. Sono in grado di risolverlo. Ma sarà sicuramente un esercizio che vi ha dato l’insegnate, perciò non ti dirò nulla. Anzi, mi stupisco che tu non sia riuscito a risolverlo… è estremamente facile, evidentemente hanno abbassato gli standard da quando seguivo io le lezioni.»

Mello fece un sorrisetto ammirato e piccato insieme, scostandosi la frangetta bionda dagli occhi.

«Non ti si può proprio fregare eh?»

«Dovresti saperlo».

«In realtà, c’ero già arrivato da solo alla soluzione. Il mio era più che altro un esperimento» affermò lui con presunzione, quasi in tono di sfida.

«Lo supponevo. Pure il mio.»

Senza più prestargli attenzione si avviò verso il parco, diventato ormai uno dei suoi luoghi preferiti. Come sperava era quasi deserto, c’erano veramente poche persone che passeggiavano per i sentieri ricoperti di foglie secche. Il sole tentava di fare capolino tra le nuvole, filtrando attraverso i rami spogli degli alberi, ma non riusciva a riscaldare davvero quell’aria fresca invernale. Lui continuò a camminare senza una vera e propria meta fino a quando, seguendo con lo sguardo una sottile scia di fumo che portava ad una panchina, riconobbe una massa di lunghi capelli arruffati. Era la ragazza del negozio di dischi. Si fermò poco distante per osservarla, curioso e discreto, ma lei dopo pochi istanti alzò la testa di scatto verso di lui, come se l’avesse chiamata per nome. E gli sorrise.

 

 

R

 

Era sempre stata una ragazza… intuitiva, ecco. Molto intuitiva. E questa era la versione ufficiale dei fatti; in realtà il suo poteva essere considerato un vero e proprio “potere”, ma ci arriviamo tra poco. Rae percepì all’istante la presenza di qualcuno. Alzò la testa. Fuoco.

Era quel ragazzo dall’aria stramba che, da circa tre settimane, ogni tanto passava davanti al suo negozio con un’aria di totale indifferenza. Qualche volta capitava che incrociassero nuovamente gli sguardi; in quei momenti le si riaccendevano dentro le stesse assurde sensazioni della prima volta, ma questo non le aveva impedito di osservarlo attentamente. Per prima cosa, sembrava del tutto incapace di vestirsi in maniera adeguata rispetto al clima, come se la cosa non lo riguardasse perché aveva di meglio da pensare. In effetti, vederlo per una volta con una giacca, era una novità assoluta… inoltre, nonostante il freddo umido dell’Inghilterra, pareva che non portasse mai calzini, come se quelli gli avessero arrecato una qualche offesa personale. Camminava sempre ricurvo su se stesso, con calma, guardandosi attorno con aria quasi spenta… eppure, Rae poteva quasi sentire il costante macchinare del suo cervello. Aveva notato anche che spesso mangiucchiava qualcosa, rigorosamente dolce, magari un muffin al cioccolato o un lecca lecca. 

E ora se ne stava lì, in piedi davanti a lei, palesemente colto in flagrante nello studiarla ma per niente in imbarazzo, visto che continuava a fissarla anche adesso. Doveva essere molto sicuro di sé.

«Ciao».

Spavalda, coraggiosa. Lei era sempre stata così.

«Ciao…».
Lui aveva una voce bassa e morbida, che la sorprese; poneva sempre un’attenzione particolare alle voci e - pensò distrattamente - quella era estremamente piacevole, ma nonostante ciò si riprese rapidamente.

«Vuoi una caramella?»

 

L

 

Lui la guardò con attenzione ancora maggiore. Non si erano mai presentati, non si conoscevano, eppure lei non si non si era mostrata nè spaventata nè stranita, e nemmeno gli aveva chiesto il suo nome. Non aveva tentato di condurre una conversazione di cortesia come si usa fare tra sconosciuti. Non aveva avuto una reazione normale, insomma. No. Lei gli aveva semplicemente sorriso, offrendogli una caramella. Una caramella. Anche lei studiava le persone, non si era sbagliato, ma aveva l’impressione che i loro studi si muovessero su due piani diversi.

«Non si accettano caramelle dagli sconosciuti…?».

 

 

R

 

L'aveva posta quasi come una domanda, la testa lievemente inclinata. Si aspettava forse che lei si presentasse? 

«Beh, se non la vuoi me la mangio io. Sono buonissime». 

E mentre diceva così se ne mise una in bocca, soddisfatta.

«Visto? Non sono avvelenate e ti assicuro che non ho intenzione di rapirti. Del resto non saprei proprio dove metterti, casa mia non è poi così grande».

Un’ombra vagamente divertita comparve sul volto del ragazzo, o almeno così le parve.

«In tal caso ne prendo una».

Quando però lei gliela porse, e lui allungò la mano per prenderla, accaddero due cose contemporaneamente.

Si sfiorarono appena, e una lieve scossa attraversò entrambi. Probabilmente pure questo è un cliché, eppure  tramite quel tocco leggero presero effettivamente la scossa, era decisamente così, non ci si poteva sbagliare.

La seconda cosa fece invece cadere Rae nello sgomento. L’atmosfera, da tranquilla e rilassata, si era fatta tesissima per lei. Una sensazione terribile, sconvolgente e in qualche modo triste la attraversò, velandole per un momento gli occhi di panico. 5 novembre, 5 novembre, 5 novembre. Improvvisamente nella sua testa rimbombava quella data. 5 novembre. Si alzò bruscamente dalla panchina, abbandonando distrattamente la caramella nella mano tesa di lui.

«Scusami, devo proprio andare» mormorò appena, letteralmente scappando via. Sperò che lui non si fosse accorto dello sgomento che l’aveva colta ma certo una fuga del genere non sarebbe passata inosservata a nessuno, figurarsi a lui. Cosa cavolo sarebbe accaduto il cinque novembre?





*Watari, vero nome Quillsh Wammy. In realtà non credo che lui lo chiamasse Watari a quei tempi, ma Quillish mi stonava un po' e pure Wammy, perciò ho deciso di risolverla lasciandogli il nome del manga.


Ciao a tutti ^^ 
Questo era il primo capitolo vero e proprio e...aiuuuto! Spero di essere riuscita ad incuriosirvi con Rae... a breve avrete delucidazioni, lo ggggiuro, ma magari lo avete già capito cosa nasconde eheheh.
Per quanto riguarda Elle... paaaanico! Già sapevo che sarebbe stato un personaggio difficile da gestire, spero di non aver fatto uno scempio ^^' ho introdotto l'indovinello perché ce li vedevo, alla Wammy's House, a sfidarsi a colpi di logica... [ se volete la soluzione basta chiedere! ma magari ci siete già arrivati...?] e non potevo non far fare una piccola apparizione pure a Mello! 
Beh, spero che vi sia piaciuto... grazie mille a chi ha letto e un doppio grazie a chi ha messo la storia tra le seguite o le ricordate... GRAZIEEEE!! :')

A presto ~
sofimblack

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Capitolo 3
*** Death ***


III
Death

 



 

Novembre
 

 

R

 

Senza neppure essersi resa conto di come ci fosse arrivata, Rae si ritrovò davanti alla porta del suo appartamento. Aveva percorso tutta la strada verso casa come in trance, la mente totalmente scollegata dalla realtà. Cosa sarebbe accaduto il 5 novembre? Si tolse rapidamente il cappotto e lanciò le scarpe in un angolo, buttandosi finalmente sul letto. Fece un paio di respiri per tranquillizzarsi. Perché proprio quella data? Eppure era passata da poco… forse a quello strano ragazzo era accaduto qualcosa di significativo il 5 novembre? No, era impossibile,perché lei...
Affondò la faccia nel cuscino. Ok, doveva decisamente darsi una calmata. Eppure il suo intuito non si era mai sbagliato... anche se, lo sapeva, chiamarlo "intuito" era davvero un eufemismo. Quando si soffermava a pensarci - ed accadeva piuttosto spesso, in realtà -ancora non se ne capacitava del tutto, nonostante fossero passati anni. Era una cosa che era iniziata in modo impercettibile e che poi col tempo si era sviluppata. Era una sorta di sesto senso, talmente preciso da potersi chiamare... ma no, era ridicolo. Eppure, era così che si chiamava: preveggenza. Lei riusciva a sapere in anticipo alcune delle cose che sarebbero accadute in futuro e sì, era una cosa totalmente irrazionale e difficile da accettare. In realtà, non era un fenomeno che riusciva a controllare. Non aveva le visioni - nonostante a volte pure i suoi sogni rientrassero tra queste “premonizioni”, anche se più confuse - ma era come se le arrivassero ondate di consapevolezza improvvisa ed assoluta riguardo alle cose future. Aveva notato che in parte dipendeva dalla vicinanza - affettiva o fisica - della persona in questione e, tendenzialmente, non riguardavano lei in primissima persona. Inizialmente erano state delle vaghe sensazioni ma col tempo si erano acuite, diventando di una precisione quasi inquietante. Finché si trattava di cose piacevoli ci aveva fatto meno caso, ma si era accorta che erano soprattutto le sensazioni di morte quelle più esatte. Ovviamente non poteva andare in giro a dire tutte quelle cose, l’avrebbero internata… e, di nuovo ovviamente, si era chiesta più volte se non avesse davvero qualche problema mentale. Beh, poteva essere assolutamente plausibile considerato suo padre, aveva avuto davvero paura di una terribile eredità genetica, per questo si era sottoposta a numerosi test ed esami medici… ma dentro di sé sapeva di non essere pazza, per il semplice fatto che tutto ciò che coglieva aveva poi un riscontro con la realtà. La prima volta accadde col cane che aveva quando vivevano ancora tutti insieme: lei, la mamma, suo padre ed il cane appunto, praticamente un orso nero di 60 chili di circa 4 anni, al quale era terribilmente affezionata. Lei aveva solamente 8 anni. Un pomeriggio le era presa una spiacevole sensazione allo stomaco che non l’aveva più abbandonata, come di imminente tragedia, e così, per una settimana, lo aveva coccolato e straviziato più del solito, passando tutto il proprio tempo libero con lui. Una settimana dopo era morto. Torsione di stomaco. Qualcosa di improvviso, di imprevedibile, che ogni tanto poteva capitare, in modo del tutto casuale. Eppure lei… lei lo sapeva. E, a quindici anni da quell’episodio, ormai aveva imparato a convivere con quel “dono”.

Comunque sia, nonostante tutta l’autoconsapevolezza, non le era mai presa una sensazione di panico così forte a causa di una persona che nemmeno conosceva… perché? Le uniche due cose certe erano il chi, ovvero il ragazzo strano, ed il quando. Fin lì ci arrivava. Ma il cosa, ovvero la parte più importante, le era ancora oscura. Nonostante fosse ancora pomeriggio si addormentò sul suo letto, spossata ed inquieta.

 

10 dicembre

Era passato almeno un mese dal loro incontro al parco. Non aveva più rivisto quel ragazzo, si era come volatilizzato… con un vago imbarazzo lo aveva pure cercato in giro, da vera stalker, eppure nulla, sparito. Nel frattempo, la TV non faceva altro che parlare del caso Kira. C’era chi lo considerava un eroe o addirittura un dio, sceso sulla terra per ripulirla dalla malvagità; c’era chi lo considerava un pazzo assassino, e Rae propendeva di più per la seconda posizione. Ma, che si fosse favorevoli o contrari a questo Kira, non si poteva fare a meno di seguirne le azioni, soprattutto perché adesso era entrato in scena pure il famigerato detective Elle. Geniale. Era riuscito a localizzarlo con una velocità ed una semplicità spaventose. Kira si trovava nel Kanto, in Giappone. 

«…forze di tutto il mondo per acciuffare questo pericoloso criminale chiamato Kira. Non sappiamo ancora come riesca ad uccidere, ma certo la distanza non lo ferma. Nonostante Elle, il celebre e misterioso investigatore che si occupa del caso, lo abbia localizzato in Giappone, sappiamo che è riuscito ad uccidere pure in altre nazioni. Nessun criminale è al sicuro e viene da chied…».

Il telegiornale l’aveva assorbita talmente tanto che lo squillo del telefono la fece sobbalzare. Il telefono. Eccola, un’altra sensazione terribile, di quelle che la immobilizzavano prendendola alla gola. Cosa poteva essere? Era tentata di non rispondere, timorosa di parlare chiunque ci fosse dall’altra parte e soprattutto terrorizzata da cosa le avrebbe detto… era però conscia che le cose non cambiavano certo in base a lei e, come sempre, la volontà di sapere ebbe la meglio. Mentre premeva il tasto verde ebbe come un flash, ed il pensiero andò rapido a suo padre. Kira. Suo padre.

«Pronto?»

La voce le era uscita più ferma di quanto non si aspettasse. 

«Chiamo dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Scunthorpe. Parlo con la signorina Milton Rae?».

Era il carcere di suo padre, o meglio, la clinica di detenzione nella quale venivano spediti i criminali affetti da qualche disturbo psichico  - e che quindi non potevano essere messi in una normale cella. 

«Sì, sono io». Stavolta era stato molto più difficile rispondere; il panico, quello vero, già si faceva strada dentro di lei. Ogni tanto ci sperava ancora che le sue sensazioni si sbagliassero… che inguaribile e stolta ottimista. Stava stringendo un cuscino con forza disumana, le nocche bianche come se da quel gesto dipendesse la sua intera vita, mentre un tremore le saliva piano alle gambe.

«Siamo davvero costernati ma suo padre è morto poco fa. Purtroppo è stato colto da un improvviso attacco cardiaco. L’intera struttura le porge sentite condoglianze e pe…» ma lei non ascoltava più.

Morto.

Era morto. Anche lui era morto.

 



Aveva imparato all’età di 14 anni cosa fosse la morte. La morte era la consapevolezza del mai più, consapevolezza spaventosa che però non arrivava mai fino in fondo, fino a farsi comprendere davvero. Ancora oggi aveva quasi la stupida speranza di incontrare sua madre di nuovo, col suo sorriso dolce e le mani delicate, per andare a fare una passeggiata assieme a lei, dando una forma alle nuvole e parlando come avevano sempre fatto. E adesso… adesso pure lui non c’era più. Suo padre. Un improvviso senso di solitudine la assalì, ma lei non lo riconobbe. In quel momento non capiva nulla, era frastornata, piangeva senza accorgersene. Il caos in testa. In un angolo remoto della mente si rese vagamente conto di aver lasciato cadere il telefono e di essere crollata sul tappeto, spenta. 

Attacco cardiaco.

Kira.


*****************************************************************************

 

Sirene spiegate. Ambulanza. Notte. Il freddo che precede l’alba. Una coperta datale distrattamente. Mani di persone, sballottolata qua e là. Voci, urla, brusio. Dov’era sua mamma? L’avevano portata sull’ambulanza. Dov’era suo papà? Non lo sapeva. Cosa ci faceva, lei, lì? Appoggiare la fronte sull’erba fresca le donava sollievo. Non è colpa mia. Non è colpa mia. NON È COLPA MIA. Sollevata di peso, portiera che sbatte, odore di auto e di sigarette. Dormire. Svegliarsi. Stanza troppo illuminata. Sedia scomoda. Troppa troppa luce.

«Può dirci cosa è successo?»

No, non posso. È troppo orribile, è troppo inconcepibile, è… troppo. Lasciatemi stare, andate via via via. Silenzio. Ho bisogno di silenzio.

 

Suo padre era affetto da schizofrenia. In realtà, aveva cominciato a manifestarne i sintomi anni dopo essersi sposato ed avere avuto Rae, che all’epoca era appena una ragazzina. Inizialmente era stata una cosa impercettibile, facile da camuffare, ma poi era diventata talmente evidente che non erano più riusciti a nasconderglielo. Soffriva di allucinazioni, a volte aveva difficoltà nel coordinare i propri movimenti e gli era diventato sempre più difficile relazionarsi col mondo esterno, perché credeva che tutti lo odiassero e volessero fargli del male. Avevano passato anni a farlo rimbalzare tra casa loro e qualche clinica. In quel periodo sua madre soffriva molto, era evidente, ma aveva cercato di camuffarlo perché doveva essere forte per lui e per Rae, che nel frattempo non era più la bambina socievole e sorridente che era stata un tempo. La malattia continuava a peggiorare, manifestandosi in degli scatti di violenza imprevedibili ma, almeno fino ad allora, piuttosto gestibili. Accadde tutto in una notte di Febbraio. Rae aveva 14 anni e da un po’ di tempo frequentava una compagnia di ragazzi più grandi, il genere di persone dalle quali ci si dovrebbe tenere bene alla larga. Quella sera c’era una festa a casa di qualcuno e lei aveva un’orribile sensazione addosso. Sentiva che non avrebbe dovuto lasciare sua madre da sola con suo padre, ma ancora le era difficile gestire tutte quelle sensazioni e consapevolezze, perciò alla fine c’era andata alla festa, con l’intento di affogare ogni inquietudine nella vodka. Era rientrata ore dopo, la casa silenziosa, la testa finalmente leggera. Poi però aveva visto suo padre, e qualcosa aveva cominciato ad incrinarsi in lei. Lui se ne stava in salotto, raggomitolato in un angolo. Tremava, mormorando cose senza senso. Era accaduto qualcosa di terribile, lo sentiva nonostante lo stordimento provocato dall’alcol. Panico. Col cuore il gola era corsa in camera dei suoi. E l’aveva vista, sul letto sfatto... sua madre. La faccia gonfia e violacea, un cuscino vicino a lei, i segni di una lotta disperata… non respirava più. Qualcosa le si era spezzato dentro, quella notte.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Istinto ***


IV
Istinto

 



 

Metà Dicembre


 

 

R

 

Era appena tornata a Winchester in seguito al funerale di suo padre, celebrato nel paesino dal quale se ne era andata un paio di anni prima. Erano passati quattro giorni da quella telefonata spaventosa.
Da quando le avevano detto che suo padre era morto, Rae aveva vissuto come in automatico. Aveva chiamato il proprietario del negozio nel quale lavorava, prendendo un congedo. Aveva fatto la valigia, era salita sul treno ed infine era tornata in quel luogo per lei insostenibile chiamato casa.
Ogni cosa era esattamente come la ricordava, come congelata nei suoi ricordi. Kathelyn era andata da lei, l’aveva abbracciata e non aveva detto niente, perché non c’era niente da dire. In qualche modo era riuscita ad apprezzare la sua presenza, anche se in realtà era ormai indifferente a tutto ciò che la circondava. Vedere il corpo di suo padre le aveva fatto capire ancora di più quanto tutta quella situazione fosse reale. Dopo che sua mamma era morta anche il solo guardarlo in faccia le era sempre rimasto difficile: lui era stato rinchiuso in quella clinica, prigione o quel che era e lei, talvolta, era andata a trovarlo, comunque incapace di parlargli. Nonostante fosse passato molto tempo era una situazione in cui non aveva mai saputo che fare e dalla quale era sempre scappata, da vera codarda.
Rae aveva combattuto per anni col senso di colpa per essersene andata quella sera, per avere abbandonato sua madre... certo, alla fine era riuscita in qualche modo a capire che non era stata colpa sua e, razionalmente, poteva pensare anche che non era colpa nemmeno di suo padre. Che era stata la malattia a fargli perdere la testa, a fargli vedere cose che non c’erano, e quando si era accorto di ciò che aveva fatto qualcosa in lui si era spento per sempre, distruggendolo per il dolore… eppure il ricordo di sua mamma, di quella notte, era rimasto marchiato a fuoco nella sua mente. Nella parte più recondita ed ignobile di se stessa aveva sempre saputo che non lo avrebbe perdonato mai, addossandogli la colpa di ciò che era accaduto.
Eppure adesso nemmeno lui c’era più, ed il mondo le era come crollato addosso. Incredibile quanto la morte di una persona ti stravolga le prospettive di una vita, lasciandoti ad annaspare, con la sensazione del terreno che si sbriciola sotto i tuoi piedi e nessun appiglio. Era caduta in una specie di trance apatica, insensibile a qualsiasi impulso esterno… eppure, durante il funerale, un’emozione si era fatta strada dentro di lei. Mentre il prete parlava dentro il suo cuore e la sua mente era germogliato un pensiero, che aveva messo rapidamente radici. Non era esattamente rabbia. No, quella era vendetta.


 

Ok, no. In realtà era una follia punto e basta.
Era quello che si stava ripetendo da almeno otto ore, e ne aveva quasi altrettante davanti a sé su quell’aereo per rimuginare e torturarsi. La sua impulsività era sempre stata un problema. Ma sul serio aveva mollato tutto e aveva preso il primo aereo disponibile per il Giappone? E se anche avesse trovato Kira? Se fosse riuscita in ciò che nemmeno il grande Elle stava riuscendo? Cosa voleva fare esattamente? Vendicare suo padre? Fare giustizia? Kira era un assassino senza il minimo scrupolo, l’avrebbe uccisa immediatamente! Sentiva però che doveva farlo, per se stessa, per i suoi genitori, per il mondo in generale… inoltre ormai era sola al mondo, la sua morte non avrebbe certo sconvolto chissà quante persone, perciò tanto valeva provare. Infine, era un po’ troppo tardi per i ripensamenti, considerato che era sospesa sopra un qualche punto imprecisato dell’Asia, incastrata tra il finestrino ed una tipa grassoccia che non aveva fatto altro che mangiare patatine o guardare commedie di dubbio gusto. La tizia aveva tentato ogni tanto di fare conversazione con lei ma Rae, che certo non era nello stato d'animo ideale per farsi quattro chiacchiere superficiali e di cortesia, aveva deciso di fingersi addormentata per le ore restanti. Continuava a rimuginare su quella specie di piano, che in realtà piano non era, per vendicarsi di Kira. Se non altro aveva un vantaggio di cui quasi sicuramente il famigerato Elle era sprovvisto: lei sapeva che quelle morti non erano morti normali. Che c’era qualcosa che andava al di là del concreto e del razionale, qualcosa di sovrumano… e quello, nel bene o nel male, ormai era il suo campo.

 

La prima cosa che la colpì appena si ritrovò a Henada* fu la folla. C’era veramente troppa gente, quasi le mancava il respiro. Aveva i sensi all’erta e si sentiva frastornata, come se l’energia di tutta quella gente la stesse prosciugando; a tutto ciò si aggiungeva il jet leg, che sicuramente non le facilitava le cose. Nonostante indossasse una maglietta a mezze maniche aveva la schiena sudata e si sentiva ribollire dal caldo, mentre trascinava a fatica dietro di sé la valigia appena recuperata e si guardava attorno alla disperata ricerca di un’indicazione utile. Infine notò il cartello della salvezza: “smoking area”. Era una tabagista incallita e non poteva farci niente, inoltre sapeva che all’estero non si poteva fumare ovunque, quindi tanto valeva approfittare di quell’occasione. Facendosi strada tra la gente raggiunse la stanza fumatori e si abbandonò su una poltroncina. Rapidamente si girò una sigaretta, aspirò una boccata di fumo e finalmente si rilassò un poco. Doveva fare il punto della situazione. A Tokyo c’era arrivata, il passo successivo era raggiungere l’hotel e poi iniziare la sua ricerca. Sarebbe andata in giro e avrebbe prestato molta attenzione ai telegiornali - sperando nei sottotitoli in inglese -  ma essenzialmente avrebbe dovuto affidarsi ad un bel colpo di fortuna. Non poter controllare le proprie percezioni era davvero fastidioso, ma contava molto sul suo istinto che, nonostante le sue varie perplessità, l’aveva guidata fino a quel punto. Spense la sigaretta nel portacenere e si avviò fuori, fiera e determinata.

 

*Henada: è l’aeroporto internazionale di Tokyo, come forse si sarà in effetti intuito ^^’
 

 

 

L

 

Quella sera aveva ricevuto la conferma dei suoi sospetti: Kira, per uccidere, aveva bisogno di conoscere il volto della persona in questione. Oltretutto aveva trovato un modo per sfruttare le informazioni della polizia. Dannazione. Adesso doveva capire chi, tra gli agenti, era collegato in qualche modo a lui; poter sfruttare le forze dell’FBI gli era di grande aiuto in questo senso. I suoi occhi scuri scrutarono pensosamente la lista che aveva davanti a sé, quella che conteneva ogni informazione su ogni singolo agente della polizia giapponese. Non poteva precludersi nessuna pista, eppure era convinto che si dovesse cercare tra i ragazzi in età scolastica, probabilmente non troppo piccoli… uno studente delle scuole superiori, il figlio di qualcuno magari. Era rimasto sul vago per far sì che le indagini non fossero svolte con negligenza, ma per aver accesso a quelle informazioni doveva trattarsi di qualcuno davvero molto vicino alla polizia giapponese, e qualcuno che oltretutto sapesse trafficare con i computer. Certo, non poteva escludere l’opzione che uno degli agenti magari si fosse lasciato sfuggire qualcosa, ma quella era una possibilità con percentuali molto basse. A piedi nudi - come sempre -  si avvicinò alla finestra, contemplando la città sotto di sé. Tra quelle migliaia di luci c’era Kira, lo sapeva; era ad un soffio da lui eppure così inafferrabile. E nonostante tutto, la cosa lo intrigava. Voleva scoprire la sua identità, avere prove, incastrarlo, ma al contempo non poteva fare a meno di godersi quella partita entusiasmante. Era un caso davvero molto difficile e, per questo, molto stimolante. Una vera e propria sfida, come non gli capitava da tempo. Non poteva impedirsi di pensare che finalmente aveva trovato un degno avversario. In fondo stavano giocando, anche se era un gioco spietato in cui la posta in ballo era la vita delle persone… più lui era lento, più gente moriva. Si portò un dito al labbro inferiore, continuando a macinare dati ed informazioni. Come faceva ad uccidere? Chi era Kira? Doveva assolutamente venire a capo di quel caso, con ogni mezzo. Si avvicinò lentamente al computer portatile su cui campeggiava una W a caratteri gotici.

«Watari.»

«Dimmi Ryuzaki.»

«Vorrei una torta con la panna.»





Hi everybody! :) 
Nello scorso capitolo non ho messo "l'angolo dell'autore" solo perché mi pareva stonasse un po' col finale ma tranquilli, non vi siete liberati di me ^^. Dunque, informazioni pratiche: sto cercando di aggiornare con costanza, tendenzialmente di giovedì (ovviamente lo dico oggi che è mercoledì... vabbe .-.) e quindi cercherò di continuare così... INOLTRE, ATTENZIONE ATTENZIONE, siccome questo è un capitolo imperdonabilmente corto e mi sento magnanima -ohohohoh- domani ho intenzione di pubblicare il prossimo capitolo, quindi in via del tutto eccezionale questa settimana ve ne beccate due (che poi magari vi interessa pure il giusto e allora vabe).
Informazioni meno pratiche: bo niente, vi risparmio i miei soliti momenti di panico ed insicurezza nella speranza di scrivere una roba decente... in realtà, volevo solo RINGRAZIARVI. Grazie grazie grazie a chi ha messo questa storia tra le preferite, le seguite o le ricordate; grazie anche ai lettori silenziosi e GRAZIE a chi ha recensito, ma anche a chi recensirà... conoscere i vostri pensieri, consigli, insulti (xD) in realtà è una cosa sempre bella, perciò sentitevi liberi di condividerli, se vi va :)  Detto ciò vi saluto ~

 sofimblack

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Capitolo 5
*** Passi ***


V

Passi


 

Gennaio, II settimana
 

 

 

R

 

Alla televisione avevano passato la notizia di quelle insolite morti avvenute in diverse carceri del paese. Alcuni detenuti, prima di morire, avevano lasciato un messaggio, un simbolo. Altri avevano compiuto delle azioni strane. Era fin troppo orribile da pensare, ma probabilmente Kira poteva controllare le persone, o almeno il modo in cui quelle morivano. Come faceva? Entrava nella loro mente? Come diavolo riusciva ad ucciderle? Rae dedicava tutto il suo tempo ed i suoi pensieri a Kira. Andava in giro per le strade di Tokyo, lasciandosi guidare dall’istinto. Un paio di volte si era ritrovata davanti a delle scuole superiori… qualcosa le diceva che era la pista giusta, ma era praticamente impossibile indagare da sola in quel modo. Al momento era chiusa nella sua anonima camera di hotel, sdraiata sul letto ed illuminata soltanto dagli schermi della TV e del pc accesi, mentre rifletteva sui messaggi lasciati dai detenuti; peccato non sapesse il giapponese. Un sospiro di frustrazione le scivolò dalle labbra. Avrebbe dovuto comprarsi almeno un dizionario, era stata proprio una scema a non essersene ancora procurato uno. Rifletté ancora sulle strane morti dei carcerati. In realtà un’idea le era sorta in mente, ma ancora doveva verificarla: essendo in fin dei conti un’occidentale in piena regola le era venuto quasi spontaneo leggere i messaggi dei detenuti da sinistra verso destra, su un’unica riga, perciò aveva deciso di ricopiarli in quel senso su un foglietto- tracciando oltretutto dei kanji terribili - ma, ovviamente, non aveva la più pallida idea di cosa dicessero. Sempre se avevano un senso, anche se il suo intuito le diceva che era così. Colta da un’ispirazione improvvisa, afferrò il telefono dell’hotel e compose un numero; qualche minuto più tardi bussavano alla sua porta per il servizio in camera e lei andò ad aprire immediatamente, uno strano sorriso sul volto. Dietro al carrello con la sua cena c’era un ragazzo indubbiamente giapponese, che dopo averle rivolto un piccolo inchino entrò per appoggiare il vassoio in camera. Era abbastanza giovane, nonostante per lei fosse difficile definire l’età degli asiatici… forse era un po’ razzista da pensare eppure, a meno che non avessero evidenti segni di età come rughe e capelli bianchi, le sembravano tutti incredibilmente giovani. Provò a rivolgergli qualche parola e per fortuna il ragazzo - Naoki Katamura, come recitava la sua targhetta - capiva piuttosto bene l’inglese e si mostrò molto disponibile. Prima che potesse andarsene Rae si fece coraggio e, sperando con tutta se stessa che la propria idea funzionasse, chiese a Naoki se quel che aveva scritto sul foglietto avesse un senso. Lo vide grattarsi distrattamente il mento, mentre cercava con vago imbarazzo di tradurle ciò che aveva letto.

«Yeah, it does make sense… the meaning is… “L do you know that” …uhm, how can I translate it? This word… Shinigami, it means… gods of death…».*

Rae si immobilizzò, senza neppure ascoltare il resto. Le era bastato quel termine, la parola shinigami, per smuovere finalmente una delle sue percezioni. Ringraziò Naoki più e più volte, ma si concesse di pensarci davvero soltanto quando quello se ne fu andato. Adesso dentro di sé tuonava un qualcosa che si sarebbe potuto esplicare in “un volto, un nome”. Quella era la risposta alla sua domanda. Kira uccideva con un volto ed un nome. Ma che voleva dire? O meglio, in che modo una persona poteva ucciderne un'altra conoscendone il nome ed il volto? E oltretutto, in che modo poteva avere quel potere…? Sentiva di essere sulla strada giusta… l’esistenza degli Shinigami avrebbe spiegato molte cose ma era davvero difficile da credere. Shinigami, dèi della morte… nessuno al mondo avrebbe mai avuto uno straccio di possibilità, se era di questo che si trattava. Erano spacciati.

 

*Sì, ha senso… il significato è… “L lo sai che”… uhm, come posso tradurlo? Questa parola… Shinigami, vuol dire… dei della morte…”

 

 

 

Doveva riuscire a contattare Elle. Ci aveva pensato a lungo ed era infine giunta a quella soluzione. Aveva trascorso da sola il giorno di Natale e Capodanno, ormai diventate date insignificanti ai suoi occhi, smaniosa com’era di trovare Kira. A dire la verità la notte del 24 dicembre si era regalata una “serata libera”: si era diretta nel quartiere di Asakusa concedendosi una passeggiata tra le sue strade illuminate e terribilmente pittoresche fino al tempio di Sensō-ji, cenando in un piccolo ristorante dove lavorava un vecchietto simpatico che le aveva offerto del saké, nonostante non capisse una parola di inglese. Per qualche momento si era dimenticata di tutto, delle preoccupazioni, di Kira, della vita in generale, e si era sentita leggera… l’avrebbe quasi chiamata felicità. Riguardo al caso, Rae era sempre più convinta che la chiave per ottenere ciò che voleva fosse il lavoro di squadra con Elle e la polizia, l’unico modo per avere giustizia dato che probabilmente solo loro avevano i mezzi per catturare quel pazzo assassino… no, non “pazzo”. Quello che lo guidava era una sorta di follia lucida, un senso della giustizia distorto e megalomane, non la pazzia. Ad ogni modo, per ottenere quella collaborazione di cui tanto aveva bisogno, poteva offrire “in cambio” le sue percezioni; il punto non trascurabile era capire se le avrebbero creduto e quanto lei in primis fosse disposta a rivelare. Ovviamente e avrebbe fatte passare come informazioni, ma doveva pensare ad un motivo sensato per cui lei potesse avere tali informazioni. Beh, ci avrebbe pensato a tempp debito.
Quella sera alla tv era passata una notizia flash, ovvero che più di mille agenti dell’FBI erano giunti in Giappone per acciuffare Kira. Rae aveva preso l’abitudine di trascriversi tutto ciò che trasmettevano a proposito di Kira o di Elle -ormai sapeva riconoscere I kanji dei loro nomi - ed il ragazzo del servizio in camera era sempre disponibile nell’aiutarla a tradurre; addirittura alcune volte la informava lui per primo se c’era stato qualcosa che le era sfuggito. D’altronde quello era un caso dalla risonanza internazionale, non c’era da stupirsi che la gente fosse aggiornata sugli avvenimenti e volesse saperne di più. Quella notizia flash però era l’evidente segnale di quanto “i buoni” fossero disperati; era palesemente falsa, lo avrebbe capito anche senza le conferme del suo istinto. In effetti, considerata la pericolosità di Kira, era prevedibile che in pochi volessero lavorare al caso, perciò quello era uno specchietto per le allodole, per far credere a Kira di essere molto più numerosi e mettergli pressione… ma Rae sapeva che Kira era molto più furbo di così. Come lo aveva capito lei lo avrebbe sicuramente colto pure lui.  Però, se al distretto erano così disperati, magari avrebbero accettato di coinvolgerla senza fare troppe domande… Inoltre c’era una cosa che la turbava. Erano notti che faceva sempre lo stesso sogno, incredibilmente vivido: un quaderno nero. Perché cavolo doveva sognarsi la cosa più noiosa al mondo, ovvero un banale articolo di cancelleria, per di più con una copertina totalmente neutra…? Sapeva che doveva esserci un motivo, che i suoi sogni spesso nascondevano significati reconditi eccetera, eppure non poteva evitare di svegliarsi tutte le mattine piuttosto infastidita. Ok, doveva concentrarsi. Il problema adesso era soltanto uno: come riuscire a comunicare con la persona più sfuggente al mondo? Sapeva che la polizia ed Elle collaboravano, ma immaginava anche che in un clima come quello tutti volessero parlare con Elle, inventando cose, magari immaginandosi di aver visto Kira dietro l’angolo o altro. Era normale che fosse così. Dunque, come mettersi in contatto con lui? Decise di fare comunque un tentativo con la polizia, visto che al momento era l’unica cosa che le fosse venuta in mente. 

 

 

Per una settimana di fila andò ogni giorno alla centrale, per chiedere di essere messa in contatto con Elle. E ogni giorno, le dicevano che non era possibile. Aveva provato a dire di essere un'investigatrice venuta dall'Inghilterra, aveva cercato di giocare sul loro senso di pietà. Si era messa quasi a supplicare, fregandosene di sembrare patetica.
Infine, dopo tutti quei tentativi vani, mentre ancora si trovava alla centrale, ebbe un momento di sconforto. Nonostante si odiasse per quella “debolezza” -che era semplicemente un qualcosa di umano e naturale - stava iniziando a crollare pure lei. Che senso aveva continuare a provare? Arrivare a Elle era impossibile. Cos'era venuta a fare in Giappone? Era tutto inutile, avrebbe fatto meglio a tornarsene in Inghilterra...
Se ne stava nella Hall, seduta su una poltroncina scura con la testa tra le mani, il volto nascosto dai capelli e lo sguardo spento: il ritratto della disperazione.  

«Ogenki desu ka?*»

Rae alzò lo sguardo di scatto, vergognandosi del fatto che qualcuno l’avesse vista in quel modo, l’espressione confusa.

Era un ragazzo non troppo alto, il sorriso incoraggiante stampato sul volto, tutto sommato ordinario. Doveva essere un poliziotto, una giovane recluta ancora entusiasta del proprio mestiere, ed ancora una volta il suo istinto le salvò le chiappe. Rae, appena lo vide, capì infatti che lui era in contatto con Elle. Forse, se si giocava bene le sue carte, sarebbe riuscita a parlarci...

«Scusa, non parlo giapponese…»

Il ragazzo ripeté la domanda, stavolta in inglese.
«Sì …grazie» rispose lei, facendo tremolare la voce al punto giusto. Era probabilmente meschino da parte sua, ma avrebbe fatto leva sul binomio donzella indifesa - uomo facilmente manovrabile. Il fine giustificava i mezzi, senza ombra di dubbio.

«Mi chiamo Emily.»

Ovviamente non avrebbe mai dato il suo vero nome ad uno sconosciuto… il suo nome, assieme alla sua faccia, valevano la sua stessa vita; ormai questo le era chiaro.

«Taro Matsui, piacere» disse lui, stringendole la mano affabile. Seppe all’istante che anche lui le aveva dato un nome falso. Parlava un inglese dalla pessima pronuncia, ma Rae ormai si stava quasi abituando al modo in cui il popolo giapponese distruggeva la sua lingua natale.

«Come mai sei qui? Devi fare una denuncia?»

«No, non proprio.»

Matsui la guardò interrogativo, invitandola con un cenno a continuare.

«Immagino che la polizia adesso abbia di meglio da fare invece di ascoltare me, non so neppure se dovrei essere qui... sicuramente tutti si staranno impegnando per trovare Kira, però…».

Matsui la interruppe, accalorandosi.

«Ah figurati… “tutti”!» sbottò «Siamo talmente pochi che…» non concluse la frase, come se si fosse fatto scappare qualcosa di troppo. Per sua fortuna lei non era Kira: uno che si lasciava sfuggire così facilmente delle informazioni che dovevano essere top secret era una vera mina vagante. Quello però confermava le sue ipotesi. Sperò che gli altri agenti fossero meno superficiali.

«Davvero? Io credevo che fosse un caso dalla massima importanza… alla TV parlavano di millecinquecento agenti dell’FBI! Effettivamente però immagino ci voglia molto coraggio per affrontare Kira... dunque tu sei tra quelli che lo combattono?»
«Beh ecco, io...»
Non gli diede il tempo di rispondere ma anzi, cercò di sfoggiare un'espressione colma di ammirazione.
«Uau, se siete così pochi dovete essere sicuramente tutti persone scelte ed efficienti. Mi sento più tranquilla a pensare che ci sono persone come te che ci proteggono! Dev'essere davvero pauroso...»

Quasi lo vide implodere dall’orgoglio, mentre la guardava con tutta la fierezza di cui fosse in possesso.

«Oh no, è solamente il nostro dovere. Proteggere la gente a costo della nostra stessa vita.»

Quella falsa modestia le fece capire che ormai era fatta.

«È comunque una cosa ammirevole…»

Lo lasciò a crogiolarsi nei complimenti ancora un po’, poi decise di passare all’attacco.

«Senti, lo so che sono soltanto una ragazza senza distintivi o altro, per di più non sono nemmeno di qui ma… credo di poter dare una mano anche io nelle indagini.»

Matsui la guardò, sorpreso.

«In che modo? Hai delle informazioni?»

«Beh in realtà… preferirei parlarne direttamente con Elle.»

Il volto di Matsui si adombrò improvvisamente. 

«Mi dispiace, non puoi parlare con lui. Top secret.»

Ah, adesso se ne ricordava!?

«Lo capisco… ma pensavo che tu potessi trovare un modo per mettermi in contatto con lui. Se sei tra i pochi che lavorano al caso vuol dire che sicuramente sei anche tra i pochi che possono farlo. Immagino che lui non si farebbe mai vedere, ma mi basterebbe anche solo parlargli al telefono o qualcosa di simile… ti sarei infinitamente grata se tu fossi in grado di farmi questo immenso favore!»

Poteva quasi vedere dentro la testa di Matsui mentre si arrovellava sulla questione, in evidente difficoltà. Si vedeva che voleva aiutarla, lei aveva fatto leva su tutti i punti giusti, ma si rendeva anche conto che non sarebbe stato professionale. Le scappò quasi da ridere.

«Ve - vedrò cosa riesco a fare.»

Rae rovistò nella sua borsa di tela fino a trovare una penna; sul retro di uno scontrino che aveva in tasca scrisse il suo numero.

«Tieni, se ci sono novità fammi sapere e... grazie.»

Ce l’aveva fatta. Un altro passettino verso Elle e, di conseguenza, verso Kira.

 

*Stai bene?

 

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Capitolo 6
*** Out in the open ***


VI
Out in the Open



 

L   


«Matsuda, sei un vero idiota» commentò Elle con un sospiro, mentre impilava una sull’altra delle zollette di zucchero. Era accovacciato nella solita posizione sulla sedia davanti al computer, quasi senza osservare gli schermi davanti a sé; le sue occhiaie erano più marcate del solito. Il resto della squadra era in giro portando avanti le indagini.

«D’altronde però…»

I suoi occhi si assottigliarono, mentre portava un dito al labbro inferiore come era solito fare quando rifletteva. Iniziò a trafficare col computer, intrufolandosi nel sistema di telecamere di sorveglianza della centrale di polizia. Tornò indietro sino alle registrazioni di quella mattina, finché finalmente trovò il momento in cui Matsuda parlava con una ragazza. L’immagine era in bianco e nero e con una pessima risoluzione, oltretutto lei aveva il volto nascosto dai capelli. Dannazione, quelle riprese non gli erano di alcuna utilità… eppure, chissà perché, quella ragazza aveva un che di conosciuto... Ad ogni modo quell’idiota di Matsuda le aveva rivelato informazioni riservate, perciò non poteva certo ignorare la questione: quella ragazza adesso sapeva che erano in difficoltà, e soprattutto conosceva il volto di uno dei pochissimi agenti che erano al corrente del suo aspetto e - almeno in parte - dei suoi piani. Kira poteva controllare le azioni delle persone prima di ucciderle e, se lei fosse stata un’alleata di Kira o addirittura Kira stesso… no, non poteva permettersi di sottovalutare la questione, doveva capire quali erano le sue intenzioni e, oltretutto, era vagamente incuriosito da quel che lei pareva avesse da dirgli di così importante.

«Ok, chiamala col vivavoce.»

Matsuda lo guardò perplesso, un po’ disorientato a causa del repentino cambiamento del suo tono di voce.

«M-ma Ryuzaki, adesso? È tardi…»

Elle non gli rispose nemmeno e l’altro sospirò, rassegnandosi a comporre il numero e mettendo la chiamata in vivavoce. Dopo un paio di squilli una voce femminile, quasi roca, quasi familiare, invase la stanza.

«Pronto?»

«Ciao Emily, sono Matsui!»

«Matsui…! Sono felice che tu mi abbia chiamata. Ha accettato?»

«Sì.»

Nel frattempo Elle stava scrivendo rapidamente su un foglio alcune istruzioni.

«Dovrai farti trovare domani mattina alle 9.30 nella Hall della centrale, senza parlare con nessuno. Elle si farà vivo solo allora.»

«Bene. Ti ringrazio molto Matsui.»

«Figurati, è stato un piacere!»

Ma lei non lo sentì perché aveva già riattaccato.



 

R

 

Un senso di trionfo germogliò prepotentemente dentro di lei. Evviva! Elle aveva accettato di starla a sentire! Era stato davvero più facile del previsto… 

Se ne stava sdraiata sul letto avvolta in un asciugamano bianco, i lunghi capelli ancora umidi dopo la doccia bollente che si era concessa. Si alzò dal letto e iniziò a vestirsi con gesti automatici, folgorata da un pensiero: era adesso che cominciava la parte difficile. Fino a quel momento se l’era cavata tramite le sue intuizioni e qualche decisivo colpo di fortuna, ma ora avrebbe dovuto convincere Elle a crederle e sicuramente quello sarebbe stato enormemente complicato. Non poteva certo andare da lui - probabilmente la razionalità fatta persona - e dirgli “ciao Elle, senti un po’, io sono una preveggente e ti informo che Kira uccide grazie a dei poteri che trascendono lo scibile. Oh, e credo che gli Shinigami esistano davvero, pensa un po’. Inoltre c’entrano nomi, volti e quaderni neri”. Decisamente no. 

La mattina seguente si presentò in centrale, puntualissima, ostentando una calma che non le apparteneva. Aveva deciso di farsela tutta a piedi, non avrebbe sopportato di starsene rinchiusa in metropolitana, smaniosa com’era. Si era fumata almeno cinque sigarette nel mentre che camminava, sveglissima nonostante la sera prima non avesse chiuso occhio. Una volta arrivata si era seduta su una delle poltroncine, cercando di non mostrarsi tesa.

9.30. 9.40. 9.45.

Iniziò a pensare di essere stata presa in giro: era lì da almeno 15 minuti ed ancora nessuno si faceva vivo. Probabilmente Matsui non era davvero in contatto con Elle, magari le aveva solamente voluto fare uno scherzo idiota per farla desistere. Si guardò intorno, quasi aspettandosi di scorgerlo nascosto da qualche parte a prendersi gioco di lei. Il telefono le vibrò in tasca. 

Sala congressi, terzo piano. Non farti seguire. Usa le scale antincendio.

Una scarica di adrenalina le percorse la schiena. Deglutì, eccitata ed ansiosa al contempo: il suo istinto le diceva di abbandonare il buonsenso e seguire delle istruzioni ricevute da un numero sconosciuto. Ok, forse il suo istinto aveva tendenze masochiste, oppure si era ubriacato di recente. 

Uscì fuori alla ricerca delle scale antincendio, trovandole poco dopo. Silenziosamente iniziò a salirle, un gradino di acciaio dopo l’altro. Arrivò in cima col fiatone; tutte le sigarette che fumava cominciavano a farsi sentire, forse avrebbe fatto bene a ridurle almeno un po’. Scivolò di soppiatto dentro l’edificio attraverso la porta di emergenza, il cuore in gola e le orecchie tese. Non c’era nessuno. Ma che diavolo stava facendo? Se l’avessero beccata… non era neppure il suo paese quello! Si chiese cosa avrebbero potuto farle se qualcuno si fosse accorto della sua intrusione… Ormai però era lì, tanto valeva proseguire. Dannata impulsività. 

Trovò la Sala Congressi con facilità ma si prese un secondo prima di entrare.

“Ok Rae, mantieni la calma. Stai tranquilla. Rilassati. Smettila di parlare da sola come un'idiota.”

Con un gran sospiro abbassò la maniglia ed aprì la porta con cautela, assicurandosi che la Sala Congressi fosse effettivamente vuota. Varcata la soglia si ritrovò ad osservare una stanza enorme e deserta. C’erano delle poltrone dall’aria comoda, disposte ordinatamente attorno ad un ampio tavolo di vetro. Una lavagna elettronica, un proiettore.

«Buongiorno, Emily.»

Rae si voltò di scatto, notando un pc portatile sul quale compariva solamente una grande L nera, un semplice carattere gotico su sfondo bianco. La voce era stata distorta da qualche effetto elettronico. Era ovvio che lui non si sarebbe mai fatto vedere, chissà che s’aspettava.

«Elle.»

 

 

L   

 

Non appena l’aveva vista Elle aveva spalancato gli occhi, sorpreso. Era la ragazza di Winchester, quella del negozio di dischi con lo sguardo penetrante, quella che era fuggita via dopo avergli offerto una caramella. Ecco perché gli era parsa vagamente familiare… Doveva ammettere di essere rimasto molto sorpreso. Cosa ci faceva lei lì? Aveva fatto installare ulteriori videocamere di sorveglianza nella Hall poco prima che lei arrivasse, in modo da poterla valutare prima di compiere qualsiasi mossa, ma non si sarebbe mai aspettato di vedere lei. Si era quasi dimenticato della sua esistenza. L’aveva osservata a lungo starsene seduta su una delle poltroncine, dando segni sempre più evidenti di impazienza; la sua gestualità pareva rivelare soltanto un grande nervosismo, unito ad una spiccata introversione… il tutto era piuttosto lontano dal profilo psicologico di Kira che aveva tracciato. Certo, questo non provava assolutamente nulla. Vedendola guardarsi intorno, sul punto di andarsene, si era infine affrettato a mandarle un messaggio con le istruzioni. Che lei avesse capito che lui era Elle? Scartò l’ipotesi: era un’eventualità dalla percentuale quasi nulla. 

Aveva poi seguito le sue mosse mentre si intrufolava nell’edificio dalle scale antincendio; purtroppo aveva dovuto rinunciare all’alta definizione delle proprie videocamere ed affidarsi di nuovo a quelle scadenti della polizia giapponese. Davvero seccante. Finalmente, dopo una breve esitazione sulla porta, era entrata.

«Buongiorno, Emily.»

«Elle.»

Aveva la voce risoluta, nemmeno una traccia di sorpresa o delusione sul volto.

«Hai un documento con te?»
La vide alzare un sopracciglio, quasi sarcastica e, per qualche motivo, vagamente in imbarazzo.

«Sì.»

«Avvicinati alla webcam e mostramelo.»

Lei trafficò un po’ con la borsa fino a trovare ciò che cercava ed infine fece come gli era stato chiesto.

«Rae Milton eh? Beh, che tu usassi un nome falso era quasi scontato perciò il tuo imbarazzo è del tutto inutile. Attendi un momento… puoi sederti, se lo desideri.»

La vide andare verso una delle pareti della stanza e lasciarsi scivolare per terra, le gambe al petto e la schiena contro il muro, ignorando bellamente le poltrone vuote che la circondavano.

Nel frattempo, digitando a velocità spaventosa tutti i dati necessari, fece una rapida ricerca sul suo conto. Rae Milton. Era arrivata in Giappone a metà dicembre, dunque Kira non era lei. Semplice. Su questo dato non avrebbe perso ulteriore tempo. Un’altra notizia catturò la sua attenzione. Figlia di Goddard Milton, deceduto in data 10 dicembre per arresto cardiaco. Arresto cardiaco. Kira. 10 dicembre. Era il giorno in cui aveva ucciso 23 persone a distanza di un’ora l’una dall’altra. Continuò a leggere. Clinica di detenzione, schizofrenia… omicidio. I suoi occhi correvano veloci sullo schermo, assimilando in pochi minuti la vita di Rae, o almeno parte di essa: la parte dolorosa, quella che teneva nascosta agli altri ma anche a se stessa. Quando finì di leggere la osservò di nuovo. Era ancora appoggiata alla parete, come se non riuscisse a sopportare di stare in mezzo a quella stanza, allo scoperto. La studiò minuziosamente incamerando dettagli ed incastrando pezzi con estrema facilità mentre lei, a sua volta, osservava lui. O meglio, lei se ne stava lì per terra a guardare nella webcam, ma Elle aveva la fastidiosa sensazione che pure lei riuscisse a vederlo. 

«Ho controllato. Non c’è niente di sospetto sul tuo conto. Puoi parlare.»

Rae ebbe un sussulto. La vide riflettere, come se stesse scegliendo le parole da utilizzare con estrema cura. Quando parlò, la sua voce era ferma e determinata.

«Elle. Io voglio arrivare a Kira tanto quanto lo vuoi tu. So che non hai motivo di fidarti di me ma io da sola non ho i mezzi sufficienti per stanarlo e a voi manca qualcosa che io invece ho. Qualcosa che, se non collaboriamo, vi farà rimanere in svantaggio. Se siete arrivati a passare quella falsa notizia in televisione vuol dire che non ve la state cavando troppo bene e, più tempo passa, più gente muore, più tutti si fanno contagiare dalla follia di Kira. Per il momento posso dirti che, per uccidere, lui ha bisogno di un volto e di un nome, e che può manipolare la morte delle persone, ma forse già lo sai. Non aggiungerò altro, non adesso. Non mi crederesti ed è essenziale che tu lo faccia per davvero.»

Questo aveva definitivamente catturato la sua attenzione. Non mentiva, Elle era in grado di dirlo con sicurezza, e non soltanto perché glielo suggeriva l’istinto: è il corpo stesso che tradisce un bugiardo e quello di Rae, per quanto a disagio nei confronti del mondo, gridava sincerità da ogni gesto. Sapeva inoltre quali erano le motivazioni che la spingevano a cercarlo, era lampante dopo aver appreso la sua storia. Lei aveva capito della televisione, del volto e del nome, della manipolazione… probabilmente gli aveva detto tutte quelle cose per mostrargli di essere sveglia.  Sapeva che erano in difficoltà e diceva di avere qualcosa che loro non avevano e che li avrebbe tenuti sempre in svantaggio. Cosa poteva essere? Era forse una trappola? Eppure… “Non mi crederesti”. Poteva fidarsi? Lei non aveva più famiglia, aveva mollato tutto per trovare Kira… lui ovviamente le aveva hackerato la casella postale ed i vari account che possedeva, controllando scrupolosamente. Nulla di sospetto… ma ciò non provava niente.

«Sei disposta a morire pur di scoprire la verità?»

Lei rispose senza esitare, lo sguardo duro.

«Non lo sto già facendo? Dopotutto, per quanto ne so, potresti benissimo non essere il vero Elle… non ti pare? Potrebbe essere tutto un tranello, magari Kira ha degli infiltrati nella polizia e Matsui - sempre che questo sia il suo vero nome - mi ha portata qui per farmi uccidere da Kira, perché è un suo complice. Ti ho mostrato il mio volto ed il mio nome. Praticamente ho consegnato la mia vita nelle tue mani senza sapere chi tu sia… vero è che a quest’ora sarei già morta se tu fossi Kira, ma magari sei effettivamente Kira e ti interessa prima capire quanto io in effetti sappia.»

La vide farsi sempre più pensierosa man mano che parlava, mentre con le dita si tormentava una ciocca di capelli.

«Tutto questo mostra che sei solo molto stupida o molto avventata, il che è quasi la stessa cosa. Perché dovrei prendere in considerazione l’aiuto di una persona così, che mostra i propri dati ad uno schermo senza sapere chi ci sia dall’altra parte?»

«Perché io so che tu sei Elle… se così non fosse stato lo avrei capito.»

Era talmente sicura delle sue parole che lui iniziò a chiedersi se davvero lei non avesse saputo tutto già dai tempi di Winchester.
«In che modo?»

«Questo te lo dirò solo quando avrai stabilito di poterti fidare di me.»

Elle rimase in silenzio per un po’. Fidarsi di lei. Perché mai avrebbe dovuto farlo? Effettivamente era vero, lei aveva messo la propria vita nelle sue mani. Aveva parlato con sincerità. Ma fidarsi… Impossibile. Però voleva indagare più a fondo sulla questione. Forse poteva mostrarsi a lei, senza dire nulla a nessuno… supponeva che quello fosse l’unico modo per ottenere le informazioni che lei poteva dargli. Ma era rischioso, soprattutto perché non sapeva se ne sarebbe valsa la pena oppure no. Dopotutto parte del suo successo nel campo investigativo era basato su quanto fosse in grado di conservare la propria identità. Eppure lei aveva detto di sapere con certezza che dietro quello schermo c'era lui, Elle... come aveva fatto? Stava bluffando? E lui, davvero si sarebbe fatto vedere da lei...? Distrattamente pensò al paradosso della situazione: il giorno seguente decine di studenti lo avrebbero effettivamente visto in faccia, agli esami di ammissione per l’Università.

«Bene. Riceverai mie notizie quando lo riterrò opportuno.»






 

Ciao a tutti! ^^ Dico subito che questo capitolo è stato una cosa impossibile: l'ho scritto, riscritto, cancellato e tutt'ora è fonte di dubbi di varia natura MA (!) siccome ho fatto il fioretto di pubblicare ogni giovedì - nonostante sia quasi mezzanotte, ehm ^^' - alla fine mi son decisa a mostrarvelo... spero vi sia piaciuto, nonostante le mie paranoie T_T    [E qui c'è UN SACCO di L, ansiansiansia]
Ovviamente mi farebbe molto piacere sapere quel che ne pensate, perciò recensite senza timori!!!
Grazie mille a chi ha messo questa storiella che mi causa forti dilemmi tra le seguite, le ricordate e addirittura le preferite *-* GRAAAAZIE! <3  
Un ulteriore ringraziamento - tanto per ribadirlo - pure a Ram92 che si becca una dose di dubbi e perplessità almeno triplicata e che mi fornisce utili suggerimenti ---- Danke!
A giovedì, miei cari ~

sofimblack

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Capitolo 7
*** Io sono Elle ***


VII
Io sono Elle




 

Gennaio, III e IV settimana


 



R

 

Era come se stessero giocando una partita a scacchi, tentando di interpretare le intenzioni dell’altro senza svelare le proprie. Lei non era disposta a dire proprio tutto-tutto ad Elle, ma solo quanto poi le sarebbe tornato utile dire. Lui probabilmente pensava la stessa cosa. In fin dei conti quella era diventata una mera questione di fiducia; in un caso come quello, così fuori da qualsiasi schema o binario tradizionale, era essenziale fidarsi - e guadagnarsi la fiducia - delle persone giuste. Un solo errore, un solo passo falso e ci si rimetteva la vita; non fidarsi però equivaleva ad isolarsi e a non andare da nessuna parte. Sapeva bene che ogni passo che faceva verso Kira metteva sempre più a repentaglio la propria vita, eppure era stata lei stessa ad insistere per entrare in quel gioco pericoloso… dopotutto, poteva benissimo essersene rimasta nel suo comodo bilocale a Winchester passando le giornate a vendere dischi, e tanti cari saluti.

Rae sospirò, quasi esasperata da se stessa. Ma che problemi aveva? Oltre alla preveggenza, un passato da incubo ed un’estrema impulsività, s’intende. Negli ultimi giorni si era chiusa nella propria stanza d’hotel, macerandosi incessantemente nei propri pensieri. Al di là del caso Kira -che comunque non era cosa da poco- la preoccupavano anche questioni pratiche: banalmente, stava finendo i soldi. Quando se ne era andata dall’Inghilterra aveva portato con sé tutti i suoi risparmi e la liquidazione del lavoro, ma non sarebbero durati a lungo. Certo, poteva sempre vendere la casa della sua famiglia in Inghilterra, ma fare questo - soprattutto a distanza - avrebbe richiesto tanto di quel tempo che lei non aveva. Avrebbe perciò dovuto trovarsi un lavoro, sperando di riuscire comunque a dedicarsi al caso Kira, la ragione effettiva per la quale si trovava a Tokyo. Chissà, magari c’era un luna park da qualche parte in cui sentivano il bisogno di assumere una chiaroveggente… cercò di immaginarsi col turbante, avvolta da uno scialle di perline mentre con tono mistico sussurrava alle persone se e quando avrebbero trovato il vero amore. Divertente, agghiacciante, infattibile. Ripensò con affetto nostalgico al negozio di dischi nell’Hampshire, poi decise di smetterla di rimuginare e di darsi una mossa. Si vestì con cura, cercando di indossare gli abiti migliori che avesse: un paio di jeans stretti ed un semplice maglione bordeaux, quasi della sua taglia e senza alcun buco. Sulle scarpe non poteva farci nulla, si era portata dietro solamente le sue vecchie vans sdrucite. Tentò allora di truccarsi un po’, cercando di non esagerare con l’eye-liner e la matita nera, infine diede una qualche forma ai propri capelli. Erano davvero molto lunghi ormai, liscissimi se solo li avesse pettinati e curati con costanza.

Si sentiva decisamente più che presentabile. Per prima cosa andò in un internet point per stampare il proprio curriculum, che fortunatamente teneva in una chiavetta usb che portava sempre con sé. Tutto il resto della giornata se ne andò rimbalzando tra i vari negozi, ristoranti, bar-karaoke, pasticcerie, insomma ovunque. Tutti erano molto gentili con lei, continuavano ad inchinarsi e a blaterare scuse, ma il problema fondamentale era che lei non sapeva il giapponese, stava imparando giusto le formule base di cortesia e certo quello non era sufficiente per lavorare a contatto col pubblico. Maledizione. L’ultima cosa che fece prima di tornare nella sua stanza fu andare in una libreria internazionale.

Quando ne uscì in tasca aveva 28.000 yen in meno e sotto il braccio un libro voluminoso: “Come imparare il giapponese”.

 


 

 

Shinichi Hotel. Stasera. Ore 22.30. Stanza 2039, chiedere di  Mr. Loyd. NON FARTI SEGUIRE DA NESSUNO, NON DIRE A NESSUNO DOVE VAI. DA QUESTO MOMENTO ENTRERAI IN CONTATTO CON INFORMAZIONI STRETTAMENTE RISERVATE.
 

Quando Rae lesse quel messaggio, un paio di settimane dopo che lei ed Elle avevano parlato, sentì il cuore in gola. Le cose si stavano smuovendo, finalmente anche lui aveva fatto la sua mossa. Guardò il telefono per controllare l’ora. 18.43. Si informò minuziosamente sulla zona in cui si trovava l’hotel, su come raggiungerlo e quale linea metropolitana prendere, e ovviamente si presentò lì con esagerato anticipo. Non che lei fosse una persona estremamente puntuale, semplicemente fremeva dalla voglia di sapere cosa sarebbe accaduto… inoltre lo abbiamo già detto che era molto impulsiva, sì? Dunque Rae si trovava lì davanti all’hotel, lo stomaco vuoto e quasi due ore da passare a girarsi i pollici. Che idiota, avrebbe potuto almeno cenare prima di andare lì! Ebbe tutto il tempo per girovagare un po’, trovare un posticino in cui facevano il ramen più buono del mondo, girarsi (e fumarsi) tre o quattro sigarette, osservare i passanti… piano piano si stava rilassando.

Era tornata sotto l’hotel, sedendosi su una provvidenziale panchina nella piazzetta davanti all’edificio. Come spesso le capitava si chiuse nella sua bolla dalla quale guardava il mondo, senza accorgersi dello scorrere del tempo; fu solo dopo un bel po’ che le venne in mente di controllare che ore fossero. 22.37. Dannazione! Perché diavolo riusciva sempre a fare tardi nonostante partisse con ORE di anticipo? Si precipitò dentro l’hotel, sperando che Elle non avesse cambiato idea - qualsiasi fosse la sua idea. 

«Buonasera, stanza 2039 a nome Loyd, grazie.»

L’addetto della lussuosa reception la squadrò perplesso dalla punta dei capelli spettinati fino alla suola sdrucita delle sue scarpe, ma non fece commenti. Le diede le indicazioni per raggiungere il ventesimo piano e la chiave della stanza. La chiave? Strano… in effetti però un computer non avrebbe certo potuto andare ad aprirle la porta. Ma qualcuno ce lo avrebbe dovuto portare… Meditando ad una velocità vorticosa entrò nell'ascensore ed in men che non si dica era davanti alla porta. Cercò di calmarsi. Una sensazione curiosa la colse all’improvviso; sentì che qualunque cosa ci fosse stata dall’altra parte non era pericolosa, ma le avrebbe irrimediabilmente cambiato la vita. Oh beh, le sue predizioni cominciavano proprio ad essere scadenti e banali. Forse l’idea del luna park era da tenere in considerazione, dopotutto. Il tempo di un lungo respiro, poi girò la chiave nella toppa ed entrò. 

 

Ciò che vide la lasciò completamente esterrefatta, la bocca aperta in una buffa “o”.

«Buonasera Rae, sei in ritardo.»

Davanti a lei, mentre la fissava con occhi di fuoco che ricordava fin troppo bene, c’era il ragazzo strambo, quello sul quale si era arrovellata a proposito del 5 novembre, quello dai capelli nerissimi e che non si metteva mai la giacca… quello che, a quanto pareva, era il famigerato Elle, o comunque qualcuno che evidentemente stava collaborando con lui. Bella entrata in scena, complimenti. Annaspò un attimo; non le capitava spesso di essere presa completamente in contropiede, perciò fu con un certo sforzo che tentò di articolare un qualche suono sensato. In tutto ciò lui se ne stava al centro della stanza, scalzo, ad osservare con vivo interesse ogni emozione che le attraversava il volto. Aveva tutta l’aria di essere un test.

«Tu…?!». Ok, poteva uscirsene con qualcosa di migliore. Fece un altro respiro. Si calmò un poco. «Beh, se non altro almeno con te posso parlare in inglese, e meno male! Sono negata per il giapponese.»

«In realtà ci siamo già parlati… lo realizzi solamente adesso che con me puoi parlare in inglese?»

Il suo tono canzonatorio la indispettì, facendola arrossire. Aveva ragione, ovviamente, ma al momento il suo senso logico se ne era andato chissà dove, lasciandola a dire cose stupide.

«Comunque, di tutte le tue possibili reazioni che avevo calcolato questa è decisamente la più sorprendente» commentò infine lui, vagamente divertito. 

«Sì, “sorprendente” credo sia una parola calzante al momento. Assurdo…» mormorò lei tra sé, ancora sconvolta. Poi, come recuperando il filo del discorso, chiese finalmente qualcosa di sensato:

«Quindi …sei tu Elle?».

Lui annuì, facendosi estremamente serio.

«Io sono Elle.» 

Sapeva che era così, sapeva di potergli credere perché stava dicendo la verità. Però era una coincidenza veramente troppo incredibile, come era possibile che…? Non ebbe tempo di rifletterci sopra. Senza neppure accorgersene si immobilizzò, sopraffatta da un’ondata di cose che le si riversarono dentro, paralizzandola. Aveva capito qualcosa di nuovo, o forse più semplicemente unito tutti i tasselli. 5 novembre. Lui era Elle. C’era Kira di mezzo. Elle sarebbe morto il 5 novembre. E sapeva un’altra cosa. Elle aveva già incontrato Kira. Dunque Kira aveva già il suo volto… gli serviva solo il nome. Cominciò a sudare freddo. Però il 5 novembre era lontano… forse c’era qualche speranza.

Tutto ciò durò per nemmeno un paio di secondi, mentre Elle la studiava con particolare intensità, senza chiederle niente, senza offrirle una sedia o un po’ d’acqua. La stava letteralmente analizzando, e fu soltanto quando si fu ripresa un poco che le parlò, apparentemente ignorando quel che era accaduto.

«Ti ho fatta venire qui perché tu mi vedessi. Perché anche tu vedessi chi sono, riconoscendomi come io ho riconosciuto te. Parlare di coincidenze è assolutamente inutile, sotto ogni punto di vista. Con questo intendo dire che siamo pari: sai che io ho riposto fiducia in te.»

«Beh, non siamo esattamente pari. Tu sai il mio nome».

La voce stentava a tornarle normale.

«Non ti ritengo tanto ingenua da pensare che io ti riveli il mio nome; a proposito, da questo momento in poi dovrai chiamarmi Ryuzaki. Ora che hai ottenuto quel che volevi, ovvero la mia attenzione e la mia fiducia, voglio sapere tutto quello che mi devi dire.»

La sua voce era incredibilmente calma, ma al tempo stesso tagliente, determinata. Non l’avrebbe mollata finché non sarebbe stato soddisfatto. D'altronde era lei che era voluta arrivare a questo punto... com'è che adesso quasi vacillava? Da dove cominciare?

«Non penso proprio che tu mi crederai e, soprattutto, smettila di dire che ti fidi di me. So che non è vero, è una bugia bella e buona perciò falla finita. È irritante» disse infine, a denti stretti.

Lui si limitò a sorridere, senza negare. Beh, non poteva certo aspettarsi che lui le avrebbe creduto a cuor leggero solamente perché gli aveva offerto una caramella circa una vita prima. Adesso doveva concentrarsi su cosa dire. Ugh.

«Ci ho pensato a lungo ma in realtà non so bene da dove cominciare… al momento non ho prove tangibili di quel che ti dirò… anzi, mi prenderai per pazza. Sì, mi prenderai sicuramente per pazza! In effetti forse è stato un errore contattarti… anche se io ho bisogno del tuo aiuto…»

Rae in quel momento stava entrando nel panico e aveva cominciato a straparlare, cosa che le capitava di rado ma che probabilmente in quel momento era inevitabile. Si zittì. Elle andò a sedersi - o meglio, ad accovacciarsi - su uno dei due divanetti verdi che erano nella stanza; lì accanto, su un tavolino basso, c’era una confezione aperta di cioccolatini. Ne prese uno con studiata lentezza, lo scartò e se lo mise in bocca, assaporandolo. Ripeté l’operazione con altri due cioccolatini, senza minimamente accennare ad offrirgliene uno, poi finalmente fissò lo sguardo su di lei, concentrato.

«Bene, se tu non vuoi dire nulla vorrà dire che lo capirò da solo. Dunque, posso affermare senza ombra di dubbio che tu non sei Kira e che non cerchi di uccidermi. Anzi, deduco che pure tu voglia punire Kira, vendicandoti. D’altronde ha ucciso tuo padre e, nonostante quello che aveva fatto a tua madre e nonostante i tuoi sentimenti a riguardo siano sicuramente confusi, tu non puoi certo perdonare una cosa dal genere. Posso capirlo.»

Rae se l’era aspettato che lui avrebbe controllato il suo passato, ma non credeva che glielo avrebbe spiattellato in faccia così, senza il minimo tatto.

«Quindi mi è chiaro perché tu abbia bisogno di me e, più in generale, della polizia giapponese. Tuttavia l’unica maniera che hai per collaborare con me è di convincermi che anche tu possa essere utile alle indagini. Ma in che modo? Hai dimostrato di sapere delle cose, alcune perfettamente logiche per una mente abbastanza attenta, altre però erano informazioni che non potevi avere né ricavare. Ne deduco che tutta la questione stia in quante cose sai ed in che modo tu le sappia. Da quale parte vuoi cominciare?»

Sorprendente. Le aveva detto tutto ciò con una calma quasi irreale, quasi noncurante, ma Rae era senza parole… ora capiva perché la prima cosa che l’aveva colpita di lui fosse stato lo sguardo. Lei credeva di saper vedere ed osservare, ma lui era avanti anni luce: non solo vedeva ed osservava, ma riusciva a capire la psiche umana ed a fare collegamenti esatti con estrema facilità e precisione. D’altronde non per nulla era “l’investigatore migliore del mondo”, come lo definiva la televisione. Chissà, se lui avesse avuto tutte le sue premonizioni magari avrebbe già risolto il caso… A quel punto decise di vuotare il sacco, almeno in parte.

«Partendo dal presupposto che tutto ciò che ti dirò potrà sembrarti una follia… come hai detto tu alcune cose che so non avrei avuto modo di averle né ricavarle. Il punto è che… io le so e basta. Chiamala intuitività, sesto senso, preveggenza. Lo so che è tutto assurdo ed illogico e le prime volte che mi capitava credevo di essere pazza… però, come avrai già capito, anche in tutto il caso Kira ci sono cose assurde ed illogiche. Stai combattendo con la razionalità qualcosa di irrazionale e tutto ciò non ti porterà a nulla, almeno sul piano concreto. Io… so che in qualche modo c’entra un quaderno. In realtà però quello l’ho sognato quindi non è esattamente…»

Si interruppe all’improvviso e lentamente le spuntò sulla faccia un sorriso soddisfattto. Forse sapeva come acquisire un minimo di credibilità: in tutto quel groviglio di percezioni che le erano piombate addosso nonappena lo aveva visto ce n’era stata una che lì per lì aveva ignorato, sconvolta da tutto il resto. Però magari…

«Ecco una “prova”. So che non sei qui da solo. C’è una persona con te, che ti ha cresciuto e che consideri come la tua famiglia, anche se non lo ammetteresti mai… probabilmente l’unica, al momento, con la quale tu abbia un legame che possa dirsi affettivo. È qualcuno la cui apparenza inganna, che ha molte più abilità di quanto non mostri. Non ho percepito altro ma credo che per il momento questo possa bastarti come prova. Non sono pazza… io, semplicemente, so

Decisamente, in un luna park avrebbe fatto faville.

 

L

 

No, impossibile. Tutto quello era… oltre. Oltre le sue capacità di comprensione. Chi diavolo era quella ragazza che aveva davanti? Come aveva fatto? Sapeva di Wammy, del loro rapporto… sapeva cose private, personali, che nessuno poteva conoscere o aver capito anche se per caso li avesse visti insieme. Non c’era alcun modo logico in cui lei potesse saperle. Forse aveva cercato informazioni sul suo conto? Impossibile, aveva fatto sparire ogni traccia del suo passaggio alla Wammy’s House. Doveva davvero credere che esistessero quelle cose? Quante erano le probabilità che lei stesse bluffando e avesse tirato a caso, indovinando? Molto basse, vicine al 9%. Ancora più basse considerato tutto ciò che aveva detto finora e confrontato con le poche cose riscontrabili con la realtà. Un quaderno nero. C’era di mezzo un quaderno nero. Kira. Volti e nomi. Forse Kira utilizzava un quaderno per appuntarsi i nomi delle sue vittime… il che poteva essere considerato come una prova per incastrarlo. Tutto questo dando per certo ciò che Rae gli aveva detto. Eppure non aveva motivo per non crederle… non era pazza, d’altronde aveva pure visto i numerosi referti medici. Evidentemente non mentiva quando diceva di averlo pensato pure lei, ecco perché si era fatta così tanti esami: non soltanto, come aveva ipotizzato, per accertarsi di non avere la stessa malattia del padre. No, era perché aveva iniziato ad avere queste “percezioni”. Kira. Light Yagami. Come faceva ad uccidere? Tramite la logica riusciva sempre ad arrivare alle giuste conclusioni ma stavolta… non è che aveva ragione lei? Stava davvero combattendo contro l’illogico? E non era forse vero che, nella sua convinzione che Kira fosse Light Yagami, stava seguendo puramente l’istinto data la totale assenza di prove concrete? Si riprese in fretta. Dunque, doveva analizzare la situazione; ponendo per vera l’ipotesi che Rae avesse capacità sovrannaturali, quali elementi aveva? Decise di assecondare il discorso almeno per il momento per poi rifletterci con calma in seguito, a mente fredda.

«Come funziona questa tua facoltà?»

 

 

R

 

Lei lo guardò quasi sorpresa, forse stupita di essere presa sul serio con così tanta facilità. Si adeguò senza sforzo a quel piacevole cambiamento.

«Beh, non è una cosa molto precisa. A volte sono delle vaghe intuizioni o sensazioni, altre delle vere e proprie consapevolezze. Non sono visioni, a meno che non si tratti dei sogni, ma quelli sono più confusi e simbolici, spesso li comprendo davvero solo in un secondo momento. Tendenzialmente se sono vicina ad una persona - ed intendo in senso fisico ma anche in senso affettivo, empatico o, come nel caso Kira, con la mente - si amplificano. Ho capito di avere manovra di intervento: quello che vedo è ciò che accadrà se non faccio nulla, se invece mi intrometto tutto può cambiare.»

Elle si alzò ed andò verso di lei, che per tutto il tempo era rimasta in piedi al centro della stanza; le si avvicinò moltissimo, scrutandola nel profondo, cercando di entrarle nella testa. Lei fu presa dal familiare nodo allo stomaco che le veniva quando si guardavano, che non c’entrava nulla con visioni e percezioni e che nonostante fossero passate settimane era rimasto immutato. Si chiese distrattamente se Elle dormisse a sufficienza: aveva delle profonde occhiaie a solcargli il viso, più marcate rispetto a quando l’aveva visto in Inghilterra. Probabilmente il caso Kira lo stava logorando ancora di più di quanto non facesse con lei.

«E cosa hai scoperto su di me a Winchester?» chiese a quel punto lui noncurante, inchiodandola con lo sguardo e con quella domanda apparentemente innocente. Merda. Avrebbe decisamente dovuto aspettarsi una cosa del genere da lui. Stava commettendo troppe volte l’errore inconscio di sottovalutarlo. Lui continuava a guardarla, aspettando una sua risposta. “Tu morirai il 5 novembre”. No, non poteva dirglielo… e comunque, non avrebbe mai permesso l’avverarsi di quella premonizione. 

«Niente.»

Elle le sorrise, quasi dolcemente, e lei per un momento credette di averla fatta franca. Per un solo microscopico secondo fu convinta di essere riuscita a mentire "al grande Elle". Che ingenua.

«Stai mentendo.»

Appunto. Il sorriso che le aveva rivolto non era affatto dolce, in realtà aveva dietro un “credi di potermi ingannare così facilmente?” grande come una casa. Per la prima volta ebbe serie difficoltà a sostenere il suo sguardo.

«Qualsiasi cosa io abbia percepito su di te… farò di tutto affinché non accada…»

«…ma non me la dirai.»

«No.»

«Seccante.»

Lo vide adombrarsi un poco, allontanandosi da lei.

«Stai omettendo fin troppe cose, che aiuto puoi darmi se non mi riveli niente? Sai che, volendo, potrei costringerti a dirmi tutto? Non mi mancano i mezzi, né la pazienza.»

«Non potresti, sarebbe inutile… io ti dirò comunque ogni cosa necessaria alle indagini, non una parola di più, ma è esattamente ciò che ti serve no? Inoltre so già che non mi costringerai …e lo sai pure tu. Credi che bluffare con me ti darà qualche risultato?»

«A questo punto sospetto di no» rispose lui semplicemente, ancora valutando ed elaborando. Mangiò un altro cioccolatino. 

«Parlando di cose pratiche… che lavoro pensavi di trovarti?» chiese infine.

«Cosa?»

Rae rimase nuovamente spiazzata a causa del brusco cambio di argomento. Adesso voleva per caso perdersi in convenevoli?

«Sei qui da un po’ e, come emerge dal tuo conto in banca, a breve finirai i soldi. Risolvere il caso Kira probabilmente richiederà un lasso di tempo molto più lungo di quello che puoi permetterti e tu sei determinata a restare in Giappone. Ti servono soldi e dunque ti serve un lavoro. Perciò ripeto, che lavoro pensavi di trovarti?»

Ecco. Iniziava ad essere quasi snervante quella sua sorta di onniscienza.

«La cosa ti riguarda…?» 

Parlare con lui l’aveva sfiancata, non tentò di negare né si curò di essere gentile… tanto lui non lo era mai.

«Ovviamente. Voglio verificare quanto di ciò che hai detto è vero, se hai mentito e in che modo - nel caso tu abbia le capacità che dici - mi sarai utile. Se vuoi collaborare con me allora ho bisogno che tu sia sempre reperibile ed a mia disposizione, se tu lavorassi perderei un sacco di tempo prezioso. I soldi non sono un problema. Se davvero vuoi aiutarmi allora domani ti trasferirai in un appartamento nel quartiere di Kichijoji e se sarà necessario potrai comunicare con me tramite Watari, il mio assistente personale. Di qualsiasi cosa avrai bisogno potrai chiedere a lui… anche se sospetto che non gli chiederai mai alcunché. Non provare a cercarmi di persona perché sarebbe inutile: la sede del quartiere generale cambia continuamente. Ovviamente non dovrai dire niente a nessuno, né di quello che fai per me né di altro. Il fatto che tu qui non abbia legato con nessuno ci risparmierà ulteriori scocciature.» 

Rae sul momento non disse nulla, colta da un’ondata di irritazione. Tutto ciò che la riguardava era stato controllato, analizzato e poi sbattutole in faccia senza il minimo riguardo. Sospirò. In fondo se l’era cercata.

«Te l’hanno mai detto che sei un megalomane ossessivo con manie di controllo?» 

Elle ignorò la domanda.

«Watari verrà a prenderti alle 9.00. Almeno domani sii puntuale.» 



AAAAAAAAAAAAAAH!
Ciao a tutti ^^ 
Finalmente, dopo averli (avervi) fatti penare per 7 capitoli... eccoci all'incontro! Adesso sì che le cose si fanno interessanti... eheheheh. Sono super esaltata (non so se si nota ^^') anche se in realtà ciò vuol dire che sarà ancora più complesso per me visto che in qualche modo dovrò farli interagire T_T... ma, giustamente, voi direte "ok, ma a me che me ne frega?". Nulla! Infatti voi dovete soltanto mettervi comodi e godervi l'andare delle cose :) 
Come sempre vi invito a lasciare una recensione se vi va di farlo e ringrazio tutti voi lettori che, silenziosi o meno, mi state accompagnando in questa avventura!
Bye~

sofimblack

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Capitolo 8
*** Incontri ***


VIII
Incontri




 

Febbraio


 


 

R

Watari si era rivelato essere un gentile e distinto signore, garbato nei modi e terribilmente british, in tutto e per tutto. Quasi le sembrava di essere tornata nella sua cara vecchia Inghilterra mentre lo osservava dal sedile posteriore dell’auto. Era passato a prenderla sotto il suo hotel con un’elegante Rolls Royce nera, dandole una mano con i pochi bagagli che aveva. Quel giorno indossava jeans strappati e le solite scarpe sdrucite, occhiali da sole alla John Lennon ed una maglietta dei Nirvana sotto al cappotto scuro. Salire su quell’auto di classe vestita a quel modo sembrava quasi un ossimoro… Rae ridacchiò tra sé al pensiero, poi le venne in mente che - se Watari portava in giro con quella macchina pure Elle - probabilmente lei non dava poi così tanto nell’occhio rispetto a lui. 

Elle. 

Stava ancora elaborando tutto ciò che era successo e che si erano detti la sera precedente… il ragazzo di Winchester era Elle. Quello del quale sapeva la data di morte. Quante probabilità c’erano?

Watari, dopo che l’ebbe accompagnata nel piccolo appartamento all’occidentale destinato a lei, al quinto piano di una graziosa palazzina, e le ebbe fatto fare il giro della casa - un soggiorno accogliente con angolo cottura, un piccolo ma funzionale bagno, una camera da letto spoglia ma con al centro un lettone matrimoniale dall’aria comodissima - si congedò.

La prima cosa che fece Rae quando rimase da sola fu prendere tabacco, cartine e filtri e girarsi una sigaretta. Aveva a disposizione un piccolo balcone che si affacciava su una stradina tranquilla, lontana dal caos del traffico. Accese la sigaretta e fece un tiro, quasi soddisfatta. Non era la sola a starsene sul balcone in quella tiepida mattina di febbraio: un paio di palazzi più in là c’era una signora sulla sessantina, che dava da mangiare agli uccelli. Rae la osservò con attenzione mentre tirava fuori manciate di briciole e le gettava ai pennuti, circondata da un turbine di piume e di cinguettii. Dovevano essere abituati alla presenza della donna, alcuni le si posavano addirittura sul palmo della mano aperto per becchettare qualche pezzetto di mangime e poi volare via, liberi e spensierati. Quell’immagine così normale ma al contempo così intima la colpì molto, ipnotizzandola, mentre la signora non diede il minimo segno di essersi accorta di essere osservata.

Rae, dopo aver spento la sigaretta, rientrò in casa e si buttò sul divano che campeggiava nel soggiorno, senza minimamente accennare a disfare le valigie. Dunque. 

Elle ed il ragazzo di Winchester erano la stessa persona. Tendenzialmente non credeva nelle coincidenze, ma sulla questione non c’era granché da aggiungere, perciò doveva smetterla di ossessionarsi con quel pensiero. 

Inoltre, Elle sarebbe morto il 5 novembre se lei non avesse fatto qualcosa, dunque doveva elaborare un piano di azione… vendicare suo padre era la priorità, ma non riusciva a starsene senza far nulla in una situazione del genere, soprattutto non con la sua consapevolezza.

Poi, non avrebbe dovuto più preoccuparsi di lavorare o di pagare un affitto perché - nonostante la cosa la irritasse un po’ a causa del suo grande spirito di indipendenza - era tutto pagato. Vero è che praticamente era alle dipendenze di Elle e quello poteva considerarsi il suo pagamento, ma comunque la cosa la faceva sentire un po’ a disagio. Comunque, niente da fare o da aggiungere neppure lì.

Quarto punto: aveva confessato tutto delle sue facoltà ad un semi sconosciuto ed ancora non era stata internata. Beh, quella poteva quasi considerarsi una vittoria in effetti… ma anche se Elle l’aveva ascoltata non era detto che le credesse al 100%.

Lei dal canto suo avrebbe continuato a girovagare per la città, ad informarsi e a seguire ogni sua percezione per andare avanti nel caso Kira; la seconda priorità era ottenere credibilità e fiducia. La terza era imparare quel dannato giapponese. Sospirò e decise di cominciare da quest’ultima, ormai rassegnata.

 

L       


Elle osservò ancora un po’ lo schermo che mostrava Rae mentre tracciava qualche kanji incerto su un quaderno. Ovviamente aveva fatto installare un paio di telecamere nell’appartamento per tenerla d’occhio. Ripensò a quello che gli aveva detto lei il giorno prima: “megalomane ossessivo con manie di controllo”. Beh, era perfettamente normale in una situazione come quella. Non poteva permettersi alcuna leggerezza. Al momento comunque le indagini si erano piuttosto arenate: Kira non commetteva passi falsi, continuando ad uccidere criminali sparsi per il mondo ma senza più tentare di “giocare” con lui. La gente cominciava a dargli man forte, magari senza sostenerlo apertamente ma pubblicando su internet foto e nomi di criminali, truffatori e malfattori, suggerendo a Kira nuovi bersagli. Pure la televisione pareva volesse aiutare Kira in qualche modo, continuando a mandare in onda foto e nomi di persone che, puntualmente, venivano in seguito colte da attacchi cardiaci. Così non andava. Aveva provato a far interrompere la trasmissione di quel tipo di notizie, fallendo miseramente. Attualmente ogni suo sospetto era incentrato su Light Yagami… ogni tentativo di coglierlo in flagrante si rivelava fallimentare, eppure questo non faceva che rafforzare la sua ipotesi. Troppo perfetto, troppo attento. Inoltre c’era la faccenda di Ray Pemberley, non poteva essere una coincidenza. Aveva osservato a lungo Yagami durante il test di ingresso per l’Università. Le domande erano di una noia mortale, fin troppo semplici per i suoi standard, perciò aveva avuto molto tempo per studiarlo… studente modello, bel ragazzo, movimenti precisi. Nessun passo falso. Era un tipo metodico e determinato, deciso ad eccellere. Era arrivato pochi minuti prima dell’inizio della prova, estremamente rilassato, segno che nei momenti cruciali non si lasciava prendere dal panico ma anzi, dava prova di grande concentrazione e rendimento. Quel sommario profilo psicologico poteva benissimo applicarsi a Kira, o a un qualsiasi studente diligente… non poteva accanirsi troppo su quella pista, sia perché al momento non aveva uno straccio di prova, sia perché era sciocco precludersi altre teorie solo perché si era intestardito su Light Yagami. Eppure non riusciva a togliersi dalla mente che fosse lui. Il figlio del capo della polizia, lo studente modello, il bravo primogenito ed il fratello maggiore responsabile. Quando sarebbero cominciate le lezioni avrebbe avuto modo di osservarlo più da vicino ed in maniera prolungata, così da smascherarlo. Adesso doveva solo pazientare e nel frattempo cercare eventuali altre piste da seguire.

 

 

 

R

 

Quella notte i suoi sogni cambiarono. Finalmente il quaderno nero era sparito, ma al suo posto era comparsa una ragazza. Era molto carina, il viso dai lineamenti proporzionati, lunghi capelli biondi con due codini sulla sommità, il corpo snello valorizzato da vestiti in stile gothic lolita. Che strano, chi era lei? Nel sogno Rae voleva avvicinarsi alla bella ragazza, ma non ci riusciva: qualcosa la proteggeva, impedendole di raggiungerla. Ma cos’era? Non riusciva a capirlo, nemmeno se fosse qualcosa di cattivo oppure no. Alla fine la ragazza misteriosa parve accorgersi di lei e, finalmente, si girò per guardarla dritto negli occhi. Rae si svegliò di soprassalto, sudando freddo e colta da improvvisi spasmi di panico. L’ultima immagine del sogno le si era impressa nella mente, nitida ed inquietante; la ragazza aveva gli occhi rossi, e Rae riusciva a vederci dentro una cosa sola: morte.

 

Ancora scossa andò in bagno, tremando come una foglia, credendo che fosse notte fonda e trovando invece il sole del primo pomeriggio a salutarla. 

Che fosse lei Kira? Eppure c’era qualcosa che non le tornava… un tassello mancante che le impediva di capire il quadro completo. Cosa doveva fare? Qualcosa le suggeriva di non farne ancora parola con Elle e non fidarsi del proprio istinto sarebbe stata una sciocchezza, a maggior ragione dopo che l’aveva guidata fino a lì. Per il momento avrebbe semplicemente studiato e nel frattempo si sarebbe documentata sulla ragazza, in segreto, certa che avrebbe detto tutto ad Elle nel caso in cui il suo istinto le avesse suggerito di farlo. Quella faccia, in fondo, le sembrava quasi familiare… forse l’aveva vista da qualche parte. Ma dove? Ci rimuginò sopra intensamente mentre faceva colazione, persa nei propri pensieri. Forse si stava semplicemente autosuggestionando. Era passata più di una settimana dall’ultima volta che aveva visto Elle. Lei durante il giorno se ne stava perlopiù a guardare il telegiornale oppure girava per Tokyo, alla ricerca di nuove intuizioni, ma soprattutto studiava il giapponese. Quando lui si presentò alla sua porta un paio di ore dopo - con un tempismo quasi inquietante vista la notte/mattina agitata che aveva trascorso e sulla quale stava ancora riflettendo- decise di sfruttare la lezione n.3 del suo corso di giapponese, “I Saluti”.

«Irasshaimase! Ogenki desu ka?*»

Elle non si scompose per quell’accoglienza, entrando nell’appartamento e togliendosi le scarpe all’istante.

«Genki desu**. Hai biscotti?»

«Hai!***» rispose lei, andando a prendere i cookies al cioccolato che erano ancora sul tavolo. «Serviti pure.»

Lui ne prese uno con la punta delle dita, studiandolo. Tirò fuori tutti gli altri biscotti dalla confezione e poi si mise ad impilarli l’uno sull’altro sul tavolino che era davanti al divano.

«Non vuoi sapere come vanno le indagini?»

Glielo chiese quasi noncurante, senza guardarla, impegnato a formare una torre pericolante, ma il tono era lievemente canzonatorio. Che fosse un test?

«Presumo che se stessero andando bene tu non avresti avuto il tempo per venire qui, al massimo avresti mandato Watari.»

«Sei più sveglia del previsto.»

Rae stava quasi per ribattere, piccata. Più sveglia del previsto? La credeva una stupida? Sbuffò. Sapeva essere davvero irritante alle volte… se anche poteva aver avuto la tentazione di dirgli qualcosa del suo sogno, era svanita all’istante.

«C’è qualcosa che vuoi dirmi o devo credere che tu sia qui perché ti fa piacere la mia compagnia?» chiese infine, effettivamente incuriosita dalla sua presenza.

Elle la guardò mentre la sua torre crollava, seminando briciole ovunque. Con calma si mise a mangiare uno dei biscotti sparpagliati sul tavolino.

«Semmai c’è qualcosa che tu devi dirmi.»

Impossibile descrivere lo sguardo che le aveva rivolto. Era lo sguardo del detective, dell’investigatore senza scrupoli. Dritto al punto… ma come faceva? Come sapeva quello che le passava per la testa? Sbalorditivo. Inquietante. 

«Inoltre sì, mi fa piacere la tua compagnia.» aggiunse infine, con un mezzo sorriso.

Rae cercò di ignorare quest’ultimo commento, sicuramente una bugia per confonderla. Doveva concentrarsi per sviare l’attenzione dal suo sogno, ma era come non pensare agli elefanti rosa quando qualcuno ti dice di non farlo.

«Tu hai già incontrato Kira» gli disse infine, scegliendo con cura le parole e giocandosi l’unica carta che le fosse venuta in mente, sperando di farla franca.

 

 

*Benvenuto. Come stai?

** Sto bene.

*** Sì!

 

 

 

L    

 

«Tu hai già incontrato Kira.» 

Sul volto di Elle spuntò un sorrisetto soddisfatto. Sapeva di aver fatto bene ad essere andato da lei. L’aveva vista agitarsi durante il sonno - doveva aver avuto uno dei sogni premonitori di cui gli aveva parlato -  e anche il suo comportamento in generale denotava una chiara tensione. Era sicuro che parlare con lei gli avrebbe dato ulteriori spunti e conferme, ma era anche vero che sul serio la sua compagnia non gli dispiaceva affatto. “Tu hai già incontrato Kira”. Tornava tutto. Se Light Yagami era Kira allora certo che lo aveva già incontrato. 

«Tu probabilmente già sai di averlo incontrato.» 

Il sorriso gli si allargò. Sorprendente.

«È vero, ma non potevi saperlo.» 

«Voglio vederlo.» 

Elle alzò un sopracciglio, improvvisamente serio, incontrando un’espressione altrettanto seria sul volto di Rae.

«Questo è fuori questione.» 

«Perché? Io ti sto aiutando perché tu mi porti a lui e risolva il caso, punendolo, e per ora invece ci sono solo io che ti dico cosa riesco a percepire e tu che non mi dici nulla… la nostra - in teoria -sarebbe una collaborazione, non sfruttamento.» 

Era vero, avevano un accordo, ma lei non aveva ancora capito quanto lui fosse disonesto e bugiardo quando c’era di mezzo un caso da risolvere.

«Non vedo che utilità potresti trarne.» 

«Io…»
La vide esitare, mentre cercava le parole adatte.
«Non si tratta di utilità o di logica. Ho solo bisogno di vederlo in faccia, coi miei occhi. Non farò assolutamente nulla te lo assicuro, non sono così stupida da voler finire nel mirino di Kira, non gli parlerò né mi farò vedere, perciò puoi stare tranquillo. Quando avremo le prove ci penserete voi ad incastrarlo e tutto il resto. Ma io voglio vederlo. Inoltre, vedendolo, potrei confermarti se è realmente lui». 

La osservò con attenzione e lesse una grande determinazione nel suo sguardo. Rapidamente vagliò le poche opzioni che aveva: opzione numero uno, negarglielo. Rischiando che lei smettesse di rivelargli cose potenzialmente utili o che si mettesse in contatto con Kira da sola. O probabilmente entrambe le cose. Avrebbe potuto compiere un qualsiasi passo falso ed allora la sua vita, le indagini e tutto il resto sarebbero stati in pericolo. Era estremamente impulsiva, ma abbastanza sveglia da riuscire ad ottenere ciò che voleva, e questo lo inquietava. In fondo era riuscita ad arrivare a lui - a Elle!- con fin troppa facilità. Opzione numero due, consentirle di vedere Kira ed accompagnarla, controllando personalmente che non si lanciasse in mosse azzardate. Inoltre era vero, sarebbe stata un’ulteriore conferma… e magari la vicinanza con Light Yagami, se era davvero Kira, le avrebbe potuto scatenare qualche “previsione”…

Si alzò dal divano e si infilò le scarpe.

«Va bene. Andremo insieme. Tu non farai niente se non guardare, mi sono spiegato?» 

«A-adesso?!»

«No. Domani, all’ora di pranzo.»
E detto questo uscì, senza voltarsi indietro né salutarla.

Domani. L’indomani Rae avrebbe finalmente visto Kira. 

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Capitolo 9
*** Light ***


IX
Light

 

Febbraio

R

 

L’auto scura di Watari l’aspettava giù in strada. Rae si era già vestita, i soliti jeans stretti, la solita felpa oversize, il tutto rigorosamente nero. Quale fantasia… Si era messa lo smalto nel tentativo di smetterla di mangiucchiarsi le unghie; tentativo inutile visto che comunque continuava a portarsele alla bocca. Forse avrebbe dovuto scegliere un momento più tranquillo per combattere col suo vizio. Quando salì in macchina quasi si stupì di trovarci Elle; è vero, le aveva detto che sarebbero andati insieme, eppure con lui tutto risultava essere imprevedibile e degno di stupore. Watari la salutò con un sorriso gentile che le scaldò il cuore e che ricambiò con gioia. Quell’uomo discreto e sempre presente aveva il potere di confortarla e, seppure non avesse modo di averci a che fare troppo spesso, iniziava a capire l’essenza del suo rapporto con Elle; probabilmente era l’unico in grado di stargli accanto in quel modo, supportandolo in silenzio ma con fermezza. A proposito di Elle, lui era accovacciato sul sedile nella sua solita posizione, scalzo, una tazza di tè caldo in mano ed i cadaveri di almeno otto bustine di zucchero impilati su un tavolino che spuntava dal sedile di fronte. Le rivolse un cenno con la testa e lei lo guardò quasi esasperata.

«Possibile che mangi sempre e solo dolci? Spero tu ti renda conto di avere un problema…»

«Essendo la mia mente molto sviluppata ho bisogno del 61% di zuccheri in più rispetto ad una persona normale. Serve a migliorare le mie prestazioni logiche… inoltre i dolci mi piacciono molto.» 

«Oh beh, puoi rifilarmi tutte le cifre che ti pare riguardo all’incremento dell’attività cerebrale provocata dal glucosio eccetera, ma resto dell’idea che niente batta un bell’hamburger fumante col formaggio ed il bacon croccante, magari accompagnato da una birra fresca e degli onion rings…» 

Nonostante stesse per incontrare quello che in teoria era Kira, Rae era di umore piuttosto giocoso (probabilmente quello era il suo modo di somatizzare lo stress); per di più iniziava a sentire la mancanza di quei piatti super calorici che in Inghilterra si concedeva quando aveva un po’ più di soldi, andando a mangiare in qualche pub. Ok, forse era meglio concentrarsi sul presente invece di pensare a purè fumanti e salse varie. Si fermarono davanti all’entrata di un’anonima scuola superiore, la stessa davanti alla quale era stata un paio di volte, guidata dall’istinto, quando conduceva le ricerche per conto proprio. Questo le fece definitivamente abbandonare il buon umore, riportandola con i piedi per terra. Adesso sì che era tesa.

La campanella era suonata da poco e gli studenti iniziavano a riversarsi a frotte nel cortile, disperdendo nell’aria risate e saluti. Era una giornata tranquillissima, l’aria tersa e fresca, il sole che aveva deciso di mostrarsi. Non ci fu bisogno che Elle le indicasse il suo sospettato: lei stava già scrutando ogni singola persona che usciva dal cancello, allungando il collo e quasi tentando di attraversare il vetro scuro del finestrino, quando il suo sguardo si poso su un ragazzo dai capelli perfettamente in ordine e l’espressione seria. Si immobilizzò.

Light Yagami. 

Quel nome le rimbombò in testa facendola impallidire, accompagnato da mille altre consapevolezze talmente prepotenti che non seppe individuarle pienamente tutte, erano troppe da gestire. Era lui, era evidente. Ogni fibra del suo essere sapeva che era lui.

Kira.

 

Per la prima volta il filtro tra le sue emozioni e tutto il resto si incrinò. Stava per cedere. Odio, rabbia, confusione, vendetta… non poteva sopportare di vedere lui starsene lì, pacato, a vivere una vita da normale adolescente mentre in realtà ammazzava centinaia di persone. Persone come suo padre. Persone con una storia, una vita… spazzate via dalla megalomania di un ragazzino delle superiori che giocava a fare Dio. Oltretutto c’era qualcosa di veramente strano ed inquietante attorno a lui, come un’ombra o un qualcosa che lo seguiva, ricoprendolo con la sua influenza negativa. Le venne la nausea; era una fortuna che fosse seduta perché era praticamente certa che le gambe non l’avrebbero sorretta. Elle, che la stava osservando come sempre, ovviamente se ne era accorto. 

«Se non te la senti di continuare con le indagini puoi sempre chiuderla qui.» 

Lei gli rifilò un’occhiataccia, ancora troppo sopraffatta dalle sue intuizioni e dall’ira per avere la forza di ribattere.  

Lui allora cambiò espressione e le si avvicinò con esasperante lentezza, raccogliendo delicatamente con la punta del dito una delle lacrime che - senza che lei se ne fosse neppure accorta - le stavano solcando le guance. Come quella volta al parco, appena la toccò una lieve scossa attraversò entrambi. Nonostante tutto le guance di lei si arrossarono, le pupille di lui si dilatarono impercettibilmente. 

«Sì, l’ho sentita anche io, come l’altra volta… curioso» commentò infine, leccandosi il dito ed assaggiando quella sua lacrima salatissima, la testa piegata di lato. «Tendenzialmente riesco a capire le persone, la logica che le guida. Ne analizzo le reazioni, le espressioni, i piccoli tic che magari neppure loro sanno di avere e che invece rivelano fin troppi dettagli per un osservatore allenato… d’altronde questo è il mio lavoro. A seconda di dove spostano gli occhi posso affermare con certezza se stanno mentendo oppure no, posso con uno sguardo capire gran parte di quello che mi circonda. Eppure non riesco a capire te. Ad essere più precisi, analizzo e riesco a capire tante cose di te, ma sento che mi sta come sfuggendo l’essenziale. E non mi riferisco alle tue facoltà. È come se mi stessi facendo ingannare da una maschera, da una superficie riflettente che mi impedisce di vedere con chiarezza.» 

 Adesso appariva leggermente frustrato. 

«Sei sveglia, ma in un modo del tutto diverso dal mio. Io devo capire le persone, per lavoro, per sopravvivenza, per inclinazione… tu invece vuoi e puoi farlo. Oltretutto ogni volta che ci sfioriamo o che siamo vicini avverto sempre questa costante elettricità, una cosa per me del tutto nuova. È estremamente irritante, ma quando si tratta di te è come se non riuscissi a pensare in modo totalmente razionale. A volte mi chiedo come… »

Ma non aggiunse altro, sovrappensiero, il pollice appoggiato sul labbro inferiore. Gli occhi di Rae, che fino a quel momento erano stati incollati a quelli di Elle, andarono automaticamente allo specchietto del conducente. Incrociò per un attimo lo sguardo bonario di Watari… con imbarazzo si rese conto che ovviamente lui aveva visto e sentito ogni cosa. Si sforzò di spostare nuovamente la propria attenzione su di Elle e sul suo modo di affrontare le cose. Analizzava tutto, anche quella cosa strana che c’era tra loro - e che turbava pure lui!?- con un’incredibile sicurezza. Quasi la affascinava quel suo modo di porsi nei confronti della questione, totalmente aperto e curioso davanti a quella nuova esperienza. Se non altro era riuscito a calmarla, allontanando per un momento il pensiero di Kira. E bravo Elle, aveva capito di lei più di quanto non le avesse detto… lei sapeva che era stato un modo per distrarla, anche se non avrebbe saputo dire se per una qualche sorta di sensibilità nei suoi confronti o perché, una volta calmata, avrebbero potuto parlare di Kira con maggiore lucidità. Comunque sia si era effettivamente ripresa, il risultato non cambiava, perciò decise di affrontare il discorso immediatamente, come per togliersi il pensiero.

«È Light Yagami. Senza ombra di dubbio, Kira è lui.» 

«Ah! Lo sapevo!»

Elle si concesse un momento di trionfo, una luce vittoriosa negli occhi. 

«Allora mi credi?!»

Lui soppesò la domanda un attimo, come incerto su quanto rivelare.

«Io non ti ho mai rivelato il nome del mio sospettato principale e tu non potevi saperlo. Non te l’ho mostrato né ti ho influenzata in alcun modo… quindi, per quanto le tue percezioni non costituiscano una prova vera e propria, e per quanto io non riesca a capirle e debba ancora “accettarle” del tutto, ritengo che mi saranno molto utili. Che tu sia arrivata a Light Yagami in altri modi è impossibile, ti ho volontariamente negato qualsiasi informazione in questo senso. Perciò ho deciso di non soffermarmi troppo sul come fai, almeno per il momento… devo invece sfruttare ogni elemento a mio vantaggio.»

“Almeno per il momento”

«Ho capito. E adesso come facciamo ad incastrarlo?»

«Come ti ho detto, tutto ciò non costituisce una prova, mi dà solo il grande vantaggio di confermare a me stesso la mia ipotesi.»

Non lo aveva mai visto così determinato.

«Porta pazienza e fidati di me. Io sono la giustizia e Light Yagami pagherà per ogni singola morte che ha provocato. Mi ha sfidato, ed io non ho mai perso una sfida».

 

 

Tornare nell’appartamento fu un sollievo.

Si gettò sul letto ancora vestita e gridò con la faccia affondata dentro al cuscino. Aveva un mal di testa incredibile e sicuramente una doccia calda le avrebbe fatto bene, ma non aveva la forza di alzarsi. Finalmente poteva sfogarsi, lasciando andare tutto ciò che aveva trattenuto in macchina, cercando di scacciare quella orribile forza negativa che sentiva gravarle addosso. Light Yagami. Chissà perché se lo era immaginato come un uomo di mezza età, chiuso ad ammuffire in uno squallido appartamento da qualche parte… un essere ignobile anche esteriormente. Invece quel suo aspetto curato e quasi ordinario - seppure per un certo verso quasi attraente - che in realtà nascondeva un grande marcio, la disgustava ancora di più. Nessuno le avrebbe creduto se avesse detto a tutti che lui era Kira. Eppure Elle già sospettava di lui… ancora una volta fu presa da un forte senso di ammirazione. Poteva pure essere un ragazzo strano e sociopatico, ma il suo lavoro lo sapeva fare egregiamente. Non osava pensare alle spaventose capacità deduttive di cui doveva essere in possesso e che lo avevano portato a quella deduzione esatta. Avere la sua fiducia, o quantomeno risultare credibile ai suoi occhi, era una grande conquista. Cercò di mettersi nei suoi panni, analizzando la situazione con un metodo logico di qualche sorta. Riemerse dal cuscino e si sdraiò supina in mezzo a quell’enorme letto, a braccia aperte. Sicuramente aveva ricevuto una piccola conferma: la ragazza del sogno non poteva essere Kira, visto che Kira era lui. Restava da capire perché l’avesse sognata e perché la turbasse a tal punto, ma al momento non poteva farci nulla, perciò si concentrò su altro. Nonostante tutto, era certa di una cosa: quando aveva visto Light Yagami c’era una specie di ombra con lui. Non era qualcosa di visibile ed al contempo non aveva mai provato nulla del genere; lo avrebbe chiamato terrore puro, ma non era così semplice da definire. Forse era perché non aveva mai incontrato qualcuno di così malvagio e corrotto nell’animo? O forse c’entrava qualcosa coi poteri omicidi di Kira? Un pensiero le si affacciò nella mente ma lei tentò di ricacciarlo indietro. Tutto inutile. Non è che c’entravano davvero… gli Shinigami?

 

 

 

AVVISI IMPORTANTI! ^^ 

1. Lo so, questo capitolo è un po’ cortino, solo che mi sembrava giusto concluderlo così… semmai, se nel week end avrò del tempo libero (cosa non semplice visto i miei mille impegni universitari, “lavorativi” e familiari T_T) vedrò di pubblicare pure il capitolo 10, in via del tutto eccezionale… eheheh, poi non dite che non vi voglio bene! A tal proposito… ringrazio ancora una volta coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, le ricordate e le preferite! *-* Graaaazie, non sapete quanto questo mi dia la giusta motivazione per continuare a scrivere!! ^^ <3

 

2. Forse avrete notato che questo capitolo ha un’indicazione temporale… in realtà ho modificato anche i capitoli precedenti con la stessa indicazione, poiché mi è stato esplicitamente richiesto di dare qualche coordinata in tal senso. In questo modo eventuali salti temporali forse saranno più comprensibili ^^ Se avete altri appunti/richieste/critiche/ecc non esitate a dirmelo, cercherò di accontentarvi! :)

Detto ciò… auguro a tutti una splendida giornata!
sofimblack

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Capitolo 10
*** Tame ***


X
Tame

 

 

Metà Febbraio



R

 

Era tornata verso la palazzina barcollando, con la testa leggera e ridacchiando tra sé. Era certa che Elle si sarebbe arrabbiato moltissimo. In realtà non c'era niente di male in quello che aveva fatto, era più che maggiorenne, consapevole e soprattutto non era la prima volta che si ubriacava a quel modo... eppure, chissà perché, sapeva che lui non avrebbe apprezzato. Combatté con le chiavi per quello che le parve un tempo infinito prima di riuscire ad entrare nell’appartamento. Ondeggiando paurosamente si tolse le scarpe ed il cappotto, gettandoli da qualche parte per poi buttarsi sul divano. Provò a chiudere gli occhi. Pessima idea. All’improvviso, nonostante i sensi appannati, ebbe la consapevolezza che lui la stesse osservando. Si girò di scatto (di nuovo, pessima idea) fissando un punto preciso dettatole dall’istinto e, per la prima volta, notò qualcosa di strano… si alzò per controllare. Ah! C’era una minuscola telecamera ben nascosta in uno degli scaffali. Avrebbe dovuto immaginarselo... da quando era diventata così sciocca? O forse lo era sempre stata, ma essendo circondata da persone più sciocche di lei non se n’era mai accorta… 

«Ehi Elle. Sei un vero maniaco del controllo sai!? Forse non te l’hanno mai detto ma esiste una cosa chiamata privacy». 

Lo aveva detto guardando dritto nella telecamera, divertita e baldanzosa, come una bambina beccata a compiere qualche marachella ma abbastanza sfacciata da non lasciarsi intimidire. Era davvero molto tardi - quasi le 5 del mattino - ma lei era sicura che lui fosse da qualche parte nel suo hotel e la stesse guardando. Rise tra sé, chiedendosi che espressione potesse avere in quel momento. Avrebbe pagato per vederla.

Dopo un po’ uscì a maniche corte sul balcone; l’aria fresca la fece rabbrividire ma le schiarì un poco la mente, mentre tentava maldestramente di girarsi una sigaretta. Il buio pesto della notte iniziava vagamente a schiarirsi, anche se era più una percezione che non un vero e proprio cambiamento visivo. In realtà quella di ubriacarsi doveva essere stata una sorte di azione inconscia per spegnere il cervello, per impedirle di pensare a Kira, agli shinigami, alla strana ragazza del sogno… aveva cominciato con una birra durante la cena in un localino dove suonavano musica dal vivo, poi aveva continuato con un paio di cocktail e alla fine si era ritrovata a parlare con una coppia di inglesi in vacanza, coi quali aveva bevuto un numero imprecisato di shot brindando ai Beatles e al tè delle cinque. Non aveva ben chiaro neppure come fosse riuscita a tornare a casa… Era davvero un bel po’ che non beveva, non era più abituata a reggere l’alcool - e certo non aveva bevuto poco. Per un momento si adombrò, riportata ad un passato che ormai pareva lontanissimo, nel quale frequentava brutte compagnie, si ubriacava tutte le sere, giravano droghe, andava a letto con persone di cui a malapena ricordava il nome… Scacciò i ricordi dalla mente, inspirando una boccata di fumo. Senza una reale motivazione pensò ad Elle, ma non con l’irritazione che a volte le provocava o con l’ammirazione per le sue deduzioni, e nemmeno con lo strano senso di fiducia e protezione che inspiegabilmente riusciva ad infonderle. Per la prima volta lo pensò nel modo in cui una ragazza può pensare ad un ragazzo, soffermandosi con la mente sulle sue mani mai ferme, i capelli arruffati e così neri, i pantaloni larghi, le labbra che dovevano essere dolcissime come tutte le caramelle ed il cioccolato che ingurgitava, magari zuccherate… e i suoi occhi, quegli occhi che l’avevano colpita fin da subito. Il campanello suonò, riscuotendola dalle fantasie sconnesse e discutibili che quel mix letale di bevute le stava provocando.

Quando aprì rimase sorpresa: come materializzato dai suoi pensieri davanti a lei c’era proprio Elle, che senza dire niente entrò nell’appartamento togliendosi le scarpe e si accovacciò sul divano, guardandola. Rae chiuse la porta ed andò a sedersi a gambe incrociate accanto a lui, lo sguardo attratto - per un qualche inspiegabile motivo - dalle labbra di lui, ovviamente prive di quello zucchero che si era immaginata.

«Gradirei che tu non facessi uso di alcool o di sostanze, almeno non durante il caso Kira» disse infine lui, tagliente.

«Beh, ha parlato Mr Glucosio… lo sai vero che lo zucchero dà assuefazione?» 

Elle non raccolse, non era venuto lì per scherzare con lei.

«Questo non è un gioco. Se non sei in grado di capirlo puoi tornartene in Inghilterra, posso prenotarti un volo per domani.» 
Glaciale.
«Non ho fatto niente di male, sai? Inoltre sono perfettamente in grado badare a me stessa» rispose lei, piccata. 
No, non sarebbe mai tornata in Inghilterra, non prima di aver ottenuto la sua vendetta incastrando Kira. Tuttavia lo sguardo che Elle le lanciò, carico di delusione e di un qualcosa che non seppe riconoscere, la fece ammutolire.
«Ho bisogno che le persone attorno a me siano totalmente concentrate sul caso, non posso mettermi a preoccuparmi anche per te.» 


Preoccuparsi per lei? Le parole di Elle avevano infine sortito l’effetto per il quale erano state pronunciate, ovvero quello di farla vergognare e, forse, di farla tornare almeno un po’ lucida. Era vero, non poteva comportarsi come una bambina. Osservandolo con attenzione poteva vedere quanto fossero sempre più profonde le sue occhiaie, quanto quel caso lo stesse impegnando giorno e notte… e lei che faceva? Si ubriacava. Che idiota.

«Scusami.» 

Era sincera, nonostante l’annebbiamento della sua mente; anzi, a maggior ragione proprio per quello: aveva letto da qualche parte che i pochi davvero sinceri sono i matti, i bambini e gli ubriachi. Continuò ad osservarlo mentre se ne stava zitto accanto a lei, presa da uno strano bisogno… qualcosa che aveva sotterrato dentro di sé da tanto, troppo tempo.

«C’è qualcos’altro che vuoi dirmi, lo vedo. A questo punto credo che tu possa dire quel che ti pare.» 
Lei esitò, incerta.
«Non mi arrabbierò, davvero… A cosa pensi, Rae?» 

«Io…»

Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, quasi dolcemente, lontano anni luce dalla freddezza con cui l’aveva apostrofata poco prima, sbriciolò definitivamente ogni sua eventuale remora. 

Sciolse con qualche difficoltà la posizione delle gambe, mettendosi a quattro zampe sul divano come un gatto curioso ed avvicinandosi a lui, scrutandolo mentre si irrigidiva nella sua posizione. Lei si muoveva con cautela, come se avesse avuto a che fare con un animale selvatico, poi avvicinò lentamente il naso al suo collo e lo annusò, sfiorandogli appena i capelli e la pelle. 

Sentì profumo di bucato fresco, di fiori e di buono, con una nota stranamente esaltante di… non sapeva esattamente di cosa, probabilmente poteva definirsi soltanto come “Elle”. 

In tutto ciò lui era rimasto lì, perfettamente immobile, senza scostarsi. Una statua.

«Vorrei abbracciarti» disse lei dopo un po’, persa dietro a tutte le emozioni che le affollavano la mente e lo stomaco e il cuore e tutto quanto.

Lui la guardò e basta, restando in silenzio. Rae allora, temeraria ed impulsiva come sempre - e soprattutto ancora sbronza - , lo interpretò come un tacito assenso e gli si avvicinò ancora di più, inginocchiandosi sul divano e mettendogli le braccia attorno al collo con cautela, stringendolo a sé, affondando infine il viso tra i suoi capelli ed il suo odore. Si era scoperta desiderosa di un contatto fisico e affettivo dopo così tanti mesi - forse anni - che non ne sperimentava uno, sorprendendosi da sola. Era lontana migliaia di chilometri da casa, suo padre era morto, Kira era reale e probabilmente esistevano gli dei della morte. Forse aveva semplicemente bisogno di un gesto rassicurante, un impulso del tutto naturale ed umano. Dopo un lasso di tempo che le parve infinito percepì un movimento appena accennato da parte sua; pensò che volesse scostarsi da lei, che avesse osato troppo, ed invece - dopo un attimo di esitazione - sentì le braccia di Elle che si stringevano lente ed incerte attorno alla sua schiena, le mani aggrapparsi alla sua felpa, il mento di lui appoggiato sulla sua spalla. Gli ci volle un altro po’ di tempo per rilassarsi completamente ed abbandonarsi a lei, che a quel punto si era ormai totalmente assuefatta al suo odore, un lieve sorriso che le aleggiava sulle labbra, il cuore che tamburellava con insolita intensità. Forse, per una volta, aveva semplicemente bisogno che quello strano ragazzo la stringesse a sé, tenendo insieme la miriade di pezzi in cui rischiava di sbriciolarsi.

 

 

 

La ragazza bionda tornava a trovarla tutte le notti nei suoi sogni. Detta così sembrava quasi una cosa romantica; nella realtà Rae non riusciva mai ad abituarsi alle spiacevoli sensazioni che le trasmetteva. Erano vagamente simili a quelle che aveva provato vedendo Kira, anche se senz’altro meno intense. Ogni notte cercava di rimandare il più possibile il momento di addormentarsi, finché non crollava esausta ed incontrava di nuovo quei terribili occhi rossi. Sperava di non dare nell’occhio: sapeva che Elle la controllava e che non si lasciava sfuggire nessun dettaglio, perciò lei tentava sempre di mostrarsi naturale e rilassata. Era sfiancante però, erano passate più di due settimane dalla prima volta che l’aveva sognata e tenersi dentro costantemente una roba così, col pensiero di non lasciarsi sfuggire nulla neppure mentre dormiva, certo non diminuiva il suo stress. Eppure, il suo dannato istinto continuava a suggerirle di non dire ancora nulla… certe volte si sarebbe mandata a quel paese da sola. Le sue dita martoriate chiedevano pietà. Decise di concedersi una passeggiata per trovare un po’ di pace mentale ed un caffè di quelli giganti; ormai riusciva a mettere in fila qualche parola di giapponese e iniziavano a venirle spontanei pure i piccoli inchini in risposta a quelli di commessi, camerieri e quant’altro. Cominciava ad apprezzare quell’antica cultura nella quale si era catapultata così, da un giorno all’altro… Arrivò nel quartiere di Ikebokuro, un caos di strade e di negozi, e soprattutto di giapponesi smaniosi di fare shopping. Si infilò dentro ad uno Starbuck’s per ordinare un frappuccino gigante [nda disonore e vergogna! Bah, ‘sti stranieri e la loro assurda concezione di “caffè”.-. e lo dico da teinomane eh!]; anche in queste occasioni forniva sempre un nome falso, misura forse eccessiva ma che aveva il potere di infonderle sicurezza. Inoltre “Emily” era un nome che le piaceva, le ricordava una canzone… Quando uscì di nuovo in strada, pensando di tornarsene a casa, quasi le venne un colpo. Si bloccò, del tutto dimentica del caffè che teneva in mano. Davanti a lei c’era la ragazza del sogno, i codini biondi, un sorriso sulle labbra. Rae era rimasta lì a fissarla, ferma, in mezzo di strada, mentre i passanti la scansavano un po’ infastiditi. No, non era lì in carne ed ossa, in tal caso probabilmente le sarebbe venuto un colpo: la sua immagine a grandezza naturale campeggiava su un cartellone pubblicitario, ammiccante e seducente mentre, in bikini, pubblicizzava una bevanda energetica; aveva ovviamente occhi normalissimi - niente a che vedere col rosso inquietante del sogno- eppure era lei, non c’erano dubbi. Ecco perché aveva un’aria familiare! Doveva averla vista su qualche cartellone ma semplicemente, essendo poco interessata alle pubblicità, non le aveva prestato molta attenzione. Col suo giapponese stentato chiese a qualche passante chi fosse, ma nessuno seppe risponderle. Decise di farsi furba ed aspettò un po’, finché non adocchiò un gruppetto di ragazzine ridacchianti passare di là: magari era una di quelle teen-idol che in Giappone erano tanto popolari, perciò perché non chiedere direttamente a delle “teen”?

«Scusate… sono inglese e vorrei un’informazione (lezione 5, “Formule utili”). Sapete dirmi chi è lei?» chiese loro, indicando il cartellone.

Le ragazzine la guardarono con espressioni a metà tra il divertito ed il sorpreso.

«Ma certo! È Misa Misa! È così bella…»

Si fece scrivere il nome sia in kanji che in caratteri occidentali - fortunatamente a scuola insegnavano le lingue straniere - e le ringraziò con un inchino. Finì il frappuccino in pochi sorsi, incendiata da una nuova determinazione. Adesso che aveva un nome sarebbe stato tutto più semplice, soprattutto perché questa Misa Misa pareva avere una certa fama tra le adolescenti. Le serviva un computer, ma non poteva certo usare quello che aveva in casa; sospettava che Elle le controllasse pure quello, e la sensazione di non dovergli rivelare nulla si faceva sempre più forte ad ogni passetto che compiva nelle sue indagini “segrete”.

Entrò in un internet point e si prese un’altra tazza di caffè gigante, piazzandosi davanti allo schermo di un pc libero. Google. Misa Amane. Davanti a lei comparve la ragazza che aveva sognato, stavolta però in mille pose e vestiti diversi, seducente o ingenua, allegra o drammatica. Come aveva sospettato era una teen-idol, attrice e modella, e al momento viveva a Osaka. Scorrendo la sua pagina di Wikipedia apprese che era stata scoperta da un talent scout quando era appena una ragazzina di 12 anni, e che i genitori erano morti entrambi l’anno precedente. Aprì un’altra pagina per calcolare quanto Osaka fosse distante da lì. Col treno ci volevano quasi quattro ore, per un totale di otto tra andata e ritorno. Senza contare il tempo necessario per rintracciarla. Un’assenza del genere non sarebbe certo passata inosservata. Rae, tormentandosi distrattamente una ciocca di capelli e sorseggiando il suo caffè, era totalmente presa dai propri ragionamenti. Cosa poteva avere a che fare una teen-idol col caso Kira? Che si fosse sbagliata? Impossibile, l’aveva sognata troppe volte di fila. Forse, se l’avesse incontrata, avrebbe avuto nuove percezioni. In fondo, quando aveva visto Kira, era stato come se un fiume in piena di sensazioni l’avesse travolta… Ma che scusa avrebbe potuto inventarsi per andare a cercarla? Un giretto turistico? Improbabile, inoltre non aveva molti soldi. Magari però Misa sarebbe potuta venire a Tokyo per lavoro, doveva solo informarsi sui suoi spostamenti con discrezione, stando bene attenta a non far capire i propri piani. Sì, avrebbe fatto così.

 

 

Aprile, seconda settimana


L

 

Andare all’Università era una gran bella seccatura. Le lezioni erano del tutto superficiali e generiche, prive di stimoli o di nozioni che già non sapesse, inoltre stare in mezzo a così tanta gente lo sfiancava… eppure la sua era stata un’ottima mossa, perciò avrebbe continuato su quella strada. Svelare la propria identità a Light Yagami, sapendo che aveva bisogno del nome per uccidere, oltre che del volto, gli aveva garantito una sorta di protezione, almeno per un po’; se anche fosse riuscito ad ucciderlo tutti i sospetti sarebbero ricaduti su di lui. Inoltre aveva scelto appositamente il nome di Hideki Ryuga, una famosa star la cui morte non sarebbe certo passata inosservata nel caso in cui Kira avesse tentato di usare quel nome… ma era sicuro che Kira non era uno sciocco e non avrebbe mai azzardato una mossa del genere. Probabilmente si sarebbe preso questo rischio anche senza la conferma da parte di Rae sugli elementi che servivano a Kira per uccidere ma, siccome era ancora vivo, quello era un ulteriore elemento a favore della credibilità delle premonizioni di Rae. La sua prossima mossa sarebbe stata semplice: aveva deciso di chiedere a Yagami di aiutarlo con le indagini a proposito di Kira, mettendo apparentemente tutte le carte in tavola e rivelando i suoi sospetti. La tattica migliore era precedere tutte le sue mosse, in modo da non fargli prendere l’iniziativa. In realtà, sapendo che Kira era lui, quello era un ulteriore modo per incastrarlo: averlo costantemente sott’occhio gli avrebbe permesso di capire meglio come ragionava la mente Kira, possibilmente permettendogli di capire come fregarlo. Lo avrebbe dovuto dire a Rae però, e probabilmente quella sarebbe stata la parte più difficile, soprattutto considerando la reazione che lei aveva avuto semplicemente nel vederlo passeggiare per strada. L’idea di una loro collaborazione l’avrebbe sconvolta di certo… 

No, non glielo avrebbe detto per confidarsi o perché sentisse di doverle alcunché, e neppure aveva intenzione di farle incontrare Yagami: semplicemente, se lei lo fosse venuto a sapere - e c’era un 87% di possibilità che ciò accadesse - molto probabilmente lo avrebbe considerato come un tradimento e avrebbe smesso di aiutarlo. Elle sospirò, vagamente turbato. Relazionarsi in modo così stretto con una persona, preoccupandosi dei suoi sentimenti, era una cosa del tutto nuova per lui. Anche interessante per certi versi, almeno finché non andava ad influire sul suo modo di ragionare. Solitamente quando lavorava ad un caso mentiva, raggirava, ricorreva a mezzi discutibili… ma con Rae non poteva né doveva fare niente di tutto ciò, lo sapeva bene. 

«Devo dirti qualcosa che non ti piacerà.»

Rae alzò gli occhi al cielo, sbuffando sarcastica.

«Ah, perché invece solitamente mi dici cose carine o piacevoli?»

Come sempre erano accoccolati sul divano nell’appartamento di Rae, lui nella sua solita posizione accovacciata e lei a gambe incrociate, tra di loro un pacchetto di merendine al cioccolato. A lui sarebbe piaciuto fare una passeggiata, magari in un qualche parco nei dintorni, ma non poteva assolutamente rischiare di farsi vedere in giro con lei. Già il mostrarsi in pubblico a scuola, nonostante nessuno sapesse chi lui fosse in realtà, era stata una mossa azzardata… ma se qualcuno degli agenti lo avesse visto, o peggio, se Light Yagami fosse venuto a conoscenza dell’esistenza di Rae… no, dovevano starsene chiusi in quell’appartamento, uscire era fuori discussione. La osservò guardarlo con curiosità e lieve preoccupazione, immersa in una felpa di almeno tre taglie più grande di lei. Elle ovviamente lo aveva notato subito: pareva non volesse mettersi in mostra come le altre ragazze della sua età, che si curavano nell’abbigliamento in modo da far risaltare il proprio corpo; lei sembrava cercasse di passare inosservata, nascondendosi in maglioni oversize o dietro occhiali da sole scuri, che impedivano a chiunque di vedere quel suo sguardo penetrante… Rae studiava tutti, tentando però di non dare nell’occhio, di non essere lei stessa oggetto di analisi… e sembrava riuscire nel suo intento, nonostante a Elle sembrasse un’assurdità. Lei aveva il fascino discreto delle cose tristi, ma a giudicare da quanto era sola pareva che nessuno lo notasse. “Il fascino discreto delle cose tristi”? Da quando in qua faceva certi pensieri smelensi? Basta. Concentrazione.

«Ho intenzione di chiedere a Light Yagami di aiutarmi nelle indagini, quando sarà il momento.»

Se le avesse detto che aveva intenzione di mollare tutto e andare a fare lo spogliarellista probabilmente lei avrebbe reagito con meno stupore.

«Cosa!? CHE COSA??? Hai intenzione di farti aiutare da un assassino - che sai essere colpevole - a risolvere il caso di cui lui stesso è l’artefice?»

«Esatto.»

Calmo, serafico, quasi disinteressato mentre addentava la sua terza merendina. In realtà le avrebbe volentieri riso in faccia, divertito dall’espressione incredula che aveva in quel momento. Lei si prese qualche istante per riflettere, osservandolo sottecchi, cercando di tranquillizzarsi. Poi…

«Va bene, ti ringrazio di avermi informata.»

Lui alzò appena un sopracciglio, sorpreso. Si arrendeva così facilmente? Quella ragazza era davvero curiosamente imprevedibile. Rae dovette capire ciò che lui stava pensando, perché si affrettò ad aggiungere «Tanto farai lo stesso come ti pare, che io disapprovi o meno. Oltretutto sono tranquilla, non ho percezioni negative riguardo alla vostra collaborazione». Assunse un tono meditabondo, come riflettendo tra sé mentre si appoggiava al bracciolo del divano. 

«Anche perché ancora…».

Si zittì subito, mordicchiandosi il labbro inferiore e guardandolo preoccupata. L’espressione che assumeva ogni volta che temeva di essersi lasciata sfuggire qualcosa di troppo. Cosa diamine aveva visto, di preciso, su di lui? Sicuramente gli sarebbe accaduto qualcosa di brutto… forse lo aveva visto morire? Forse avrebbe fallito nel risolvere le indagini? Forse sarebbe stato Kira ad ucciderlo? Lei aveva detto che si sarebbe impegnata affinché ciò che aveva visto non si sarebbe realizzato. Beh, che ciò comprendesse la sua morte o qualcos’altro di terribile, lui non si sarebbe certo opposto ai suoi piani. Eppure, era incredibilmente frustrante non sapere, ed era conscio del fatto che non avrebbe potuto costringerla a dirgli nulla in alcun modo. Le probabilità che Rae avesse visto la sua morte erano almeno del 73%. 

Lasciarono cadere il discorso, avvolti da un silenzio denso che però piano piano si fece rilassante, entrambi chiusi ognuno dentro i propri pensieri, finché non la sentì appisolarsi accanto a lui, rannicchiata su se stessa con la testa sul bracciolo. Elle dopo un po’ si alzò rimettendosi le scarpe e le si avvicinò, studiandola incuriosito. Da quella distanza poteva osservare le vaghe occhiaie che le adombravano lo sguardo, la pelle screpolata delle labbra, le lievi lentiggini che le coprivano il volto; tutte cose che aveva già notato ma che adesso poteva letteralmente studiare in tutta calma. Aveva un odore buono, rassicurante e delicato, un odore che aveva già respirato quando si erano abbracciati ma che, si rese conto, gli era mancato… le si avvicinò ancora di più, sfiorandole i lunghi capelli con la punta delle dita, assorto nell’analizzare tutto ciò che gli passava per la testa. Qualcosa si agitava dentro di lui, tra il petto e lo stomaco. Perché si sentiva così? Era questo quello che la gente chiamava “attrazione”? O era qualcos’altro? Si riscosse dai propri pensieri, non del tutto sicuro di voler trovare una risposta, e si allontanò bruscamente uscendo dall’appartamento e chiudendo la porta dietro di sé, senza far rumore.

 

 

 

 

OOOOk, spero di aver compensato col capitolo precedente, direi che questo sia di una lunghezza più che dignitosa!Giusto? Comunque ^^’…ehm. Dunque. Che dire. In realtà questa storia nella mia mente ha una direzione ben precisa (più o meno), eppure realizzarla… AIUTO! In questo capitolo ci sono un sacco di momenti fluff, lo so, e vi assicuro che è strano cercare di immaginare Elle in queste vesti… spero quindi di non essere andata troppo OC (al di là del fatto che probabilmente già la situazione in sé è un po’ OC… uhm)… comunque, as always, sono aperta a suggerimenti e critiche! Il fatto che continuiate a leggere questa storia un po’ mi rassicura, ma come ormai avrete capito non posso evitare di farmi sempre un sacco di viaggioni mentali ansiosi… gaaaah! Bene, basta, chiedo scusa. Come sempre ringrazio sia i lettori silenziosi che quelli che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite *-* graziegraziegrazie!
Love ~

sofimblack 

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Capitolo 11
*** Il secondo Kira ***


PREMESSA: Hello my dears! Chiedo scusa in anticipo, probabilmente la prima parte di questo capitolo sarà un po’ pesante… d’altronde ci sono degli episodi in Death Note che non posso ignorare o tralasciare perché mi sono utili alla trama, perciò devo riproporveli (tentando di alleggerirli il più possibile). Spero che questo non vi faccia desistere dal proseguire la lettura! ^^ Ho messo anche una specie di recap tra parentesi quadre, se però vi ricordate tutto potete semplicemente saltarle!
ps. Questi avvenimenti sono in DN 3, cap.23, “Corsa” e cap.24, “Scudo”.
Love ~ 

sofimblack

 

XI
Il secondo Kira

 

18 Aprile


R

 

Era tardo pomeriggio e Rae aveva deciso di uscire a farsi una passeggiata e, magari, a procacciarsi la cena. Si fermò in un ristorantino tipico, nel quale entrò togliendosi le scarpe. Per un istante pensò che il Giappone fosse il luogo ideale per Elle, visto che se ne andava in giro sempre scalzo... chissà perché la cosa la fece ridacchiare tra sé. La fecero accomodare ad un tavolino basso con al centro una piastra bollente e lei, dopo essersi seduta su un cuscino, ordinò circa quattro portate tra frittatine, verdure e carne. Adesso che il problema dei soldi era risolto poteva concedersi qualche lusso di tanto in tanto… Certo, aveva il sospetto che - se solo l’avesse chiesto - Watari le avrebbe fatto recapitare la cena più buona della sua vita, o magari uno chef in persona pronto a cucinare per lei tutti i giorni, ma a Rae non piaceva granché sentirsi in debito verso gli altri. Era estremamente orgogliosa e con un forte senso di indipendenza, quindi anche soltanto il fatto di vivere in quell’appartamento le creava un po’ di disagio. Capiva però che al momento era la soluzione migliore e soprattutto che Elle, dispotico e maniaco del controllo come era, non le avrebbe mai permesso di farle fare come le pareva, perciò si era rassegnata a convivere con quella situazione per lei insolita, cercando per una volta di non intestardirsi. Inoltre lui sapeva essere davvero irritante, perciò nella sua testa tentava di considerare il tutto come una sorta di “risarcimento danni”. Sospirò, inghiottendo con gusto un boccone di carne e guardandosi attorno, come sempre. Nel ristorante non c’era molta gente: un paio di coppie di mezza età, qualche mangiatore solitario come lei ed una tavolata di sei ragazzi, dalla quale ogni tanto le giungeva qualche risata. Doveva essere un locale a conduzione familiare, almeno a giudicare dalla giovane età della cameriera e dal signore brizzolato dietro la cassa, anche se le era sempre difficile formulare ipotesi del genere quando si parlava di giapponesi. L’unica pecca del luogo consisteva nell’enorme televisione attaccata alla parete, che trasmetteva programmi ai quali non fece neppure caso. Tendenzialmente odiava i posti dove c’era la TV: se si era in compagnia magari ci si distraeva, perdendo il senso di mangiare insieme ad altre persone; se si era da soli rubava tempo ad attività a lei più congeniali, ad esempio lo studio delle persone attorno a lei oppure la lettura di un libro. Quella sera si era portata dietro 1984, consumato da quante volte lo aveva riletto, uno dei pochi libri che aveva avuto modo di portarsi dietro dall’Inghilterra. Gli altri riposavano in qualche scatolone nella casa di famiglia, dove li aveva messi il giorno del funerale di suo padre. Stava dunque mangiando e leggendo, cercando di ignorare il blaterare sintetico della televisione, quando qualcosa la distolse da queste due nobili attività: il silenzio. Prolungato, irreale. Tutti stavano guardando la TV, ascoltando un presentatore che parlava. Alcuni tizi si accasciarono, immobili. Poi sullo schermo comparve una scritta, accolta da un silenzio irreale e seguita da un gran frastuono. “Kira”. Cosa stava succedendo?

Una voce distorta iniziò a dire qualcosa; purtroppo non era ancora così fluente col giapponese da afferrare ogni parola, ma vedere quelle morti in diretta non avrebbe potuto farle arrivare il messaggio più chiaramente di così. Gli altri avventori osservavano la TV ipnotizzati e colmi di sgomento, mentre Kira continuava a parlare. Eppure, c’era qualcosa che non tornava. Non sapeva dire che diamine fosse ma… le pareva di avere la soluzione ad un soffio e di non riuscire ad afferrarla. Cosa cavolo…?

 

L

 

Cosa cavolo…? La sua attenzione era totalmente catturata dallo schermo. C’era qualcosa di profondamente sbagliato. 

Kira seguiva una linea di pensiero ben precisa, e voleva che la gente ne fosse al corrente: in una sorta di distorto senso della giustizia lui puniva i “cattivi”, i delinquenti o chiunque tentasse di mettergli i bastoni tra le ruote. Non avrebbe mai ucciso qualcuno a caso per puro spirito dimostrativo, era assolutamente contro i suoi principi… perciò, che stava accadendo?

«Hanno detto che Kira avrebbe mandato un messaggio rivolto a tutto il mondo. Dobbiamo assolutamente fermare la trasmissione prima che ciò accada!»

Gli altri della squadra provarono a chiamare la Sakura TV, invano.

«Merda. Vado sul posto e li fermo io!»

Nessuno fece in tempo a trattenerlo; Ukita era già corso via, determinato ad interrompere quella follia. Kira iniziò a parlare.

«Signore e signori, ascoltatemi bene. Non ho alcuna intenzione di uccidere persone innocenti. Io odio il male e amo la giustizia. Non considero la polizia mia nemica, ma mia alleata…»

Bastardo. Elle si sentiva totalmente impotente, mentre quelle parole venivano pronunciate dalla voce distorta di questo Kira, in una sorta di imitazione di pessimo gusto dei suoi messaggi. Non poté fare altro se non assistere al momentaneo trionfo del suo avversario, le cui parole ed idee distorte continuavano ad uscire dalla televisione. Nel frattempo teneva d’occhio il telegiornale; in quel momento stavano mandando in onda delle immagini in diretta della sede della Sakura TV. Un momento. C’era qualcosa davanti alle porte… o meglio, qualcuno…

Fu come se un blocco di ghiaccio gli fosse piombato improvvisamente nello stomaco. 

Ukita.

Sdraiato a terra, la pistola ancora in mano.

Era morto. 

No, non era possibile… com’era potuto accadere? Non c’erano segni di lotta o di sangue… quello era sicuramente opera di Kira. Eppure come era riuscito ad ucciderlo? Non poteva sapere il suo nome… Elle ci mise meno di mezzo secondo a realizzare il passaggio logico successivo. Kira poteva uccidere anche senza conoscere il nome, soltanto vedendo il volto. Il pensiero lo fece rabbrividire. Forse si era sbagliato ed aveva sempre potuto farlo? No, quell’ipotesi era da scartare, altrimenti Yagami l’avrebbe già fatto fuori. Ma se a tutto ciò aggiungeva la stranezza delle morti che già lo aveva insospettito… era inevitabile dedurre che ci fosse un secondo Kira. Il vero Kira quando uccideva lo faceva seguendo una sorta di morale distorta, non ammazzava a caso. Questo invece no, era come una mina vagante, molto più pericoloso ma, probabilmente, anche molto più stupido. Molto più facile da incastrare. Inoltre le vittime questa volta erano personaggi dello spettacolo secondari, il tipo di persone che tutt’al più compaiono sulle riviste per ragazzine… non riusciva ad immaginarsi Light Yagami leggere cose del genere. In realtà non riusciva ad immaginarsi Yagami fare niente del genere… probabilmente era furioso. E probabilmente, se la pista del secondo Kira era esatta, avrebbe sicuramente voluto trovarlo. Aveva elaborato tutti quei pensieri in pochi secondi mentre Aizawa, sconvolto, si precipitava verso la porta. Lo fermò. Non poteva permettere la morte di qualcun altro. Basta, doveva assolutamente fermare quella follia.

 

[Soichiro Yagami irrompe nella Sakura TV con un furgone blindato, interrompendo il messaggio di Kira. Elle chiama il capo della polizia per procurare una via d’uscita sicura a Soichiro, che poi lo raggiunge al Quartier Generale. Gli consegna la busta con le varie cassette contenenti le altre registrazioni. Kira aveva chiesto che Elle venisse consegnato e perciò, dopo aver analizzato le altre registrazioni, la polizia comunica la propria risposta negativa e manda in onda il messaggio che Kira aveva detto di trasmettere in tal caso.]

 

 

 

 

«Uno degli agenti che collaborano con me è morto.»

Il suo tono di voce era freddo, quasi distaccato, ma Rae riusciva a leggergli negli occhi un turbamento nuovo, mischiato ad una feroce determinazione. Dalla porta finestra che dava sul balcone faceva mostra di sé una tiepida giornata primaverile, ma nessuno dei due ci stava facendo particolarmente caso.

«È stato ucciso perché ha mostrato il volto… eppure Kira non poteva certo conoscere il suo nome, inoltre ha agito in un modo eccessivamente diverso dal solito. Per questo motivo sospetto che si tratti di un secondo Kira, con poteri diversi e più pericolosi, e che Yagami sia interessato a lui. Dunque lo includerò ufficialmente nel caso Kira: devo controllare le sue mosse ed impedire che si metta in contatto col secondo Kira. »

Disse tutto ciò quasi con indifferenza, eppure Rae non si lasciò ingannare nemmeno per un momento: riusciva ad indovinare la tempesta che si nascondeva dentro di lui. Non disse nulla, intuiva che lui avrebbe odiato se lei gli avesse chiesto qualcosa. Comunque sia con le sue deduzioni si era rivelato ingegnoso e astuto - come sempre del resto; poter assistere ai passaggi logici della mente di Elle e alle soluzioni che tirava fuori era davvero affascinante… un secondo Kira. Non era ovvio? Un campanello le risuonò in testa, andando a sistemare un ulteriore tassello: lei sapeva chi era il secondo Kira. Misa Amane. Semplice, tornava tutto. Probabilmente il suo volto rispecchiava fin troppo bene quello che le stava passando per la testa perché Elle si soffermò ad osservarla, evidentemente incuriosito.

«Ti fa sorridere il fatto che ci sia un secondo Kira? O che una persona sia morta?» chiese tagliente mormorando tra sé, quasi sovrappensiero. Lei stava quasi per ribattere, indignata per quell’accusa di superficialità, ma poi lui si contraddisse da solo quasi immediatamente: «No, non è questo, tu non sei fatta così. Deduco che abbia a che fare con una delle tue premonizioni.»

Possibile che riuscisse a farla sentire ogni volta come una bambina colta in flagrante mentre cerca di rubare le caramelle? Lei non rispose, ritenendola la mossa più saggia: quando apriva bocca rischiava di lasciarsi sfuggire qualcosa di apparentemente insignificante, ma sicuramente più che sufficiente per la mente agile di Elle.

«Iniziano ad essere molte le cose che non vuoi dirmi. Lo trovo decisamente irritante. Ci sono volte in cui vorrei aprire la testa della gente per guardarci dentro, per capire…»

«Lo fai fin troppo spesso sai? Inoltre è quasi imbarazzante il tuo totale disinteresse per la privacy delle persone.»

Rae quasi sbuffò, pensando alle sue manie di controllo e a come lui invece non si sbottonasse mai su niente. Lui invece fece un sorrisetto, ricacciando i pensieri pesanti da qualche parte dentro di sé.

«Asseconderò questa tua voglia di cambiare argomento osservando che non ti sei lamentata delle telecamere in alcun modo.»

Perché cavolo le era sembrato che ci fosse qualcosa di malizioso nella sua voce? Se lo era immaginato, di sicuro.

«Se serve a farti fidare di me mi sta bene… alla fine sono io che sono venuta a cercarti. Inoltre penso che quello che faccio non sia così interessante da essere oggetto di osservazione continua da parte tua. E - cosa più importante - so che hai avuto almeno la decenza di non metterne in bagno» concluse, in parte scherzando ed in parte no.

«In realtà ti sorprenderebbe sapere quanto tu sia un soggetto affascinante da studiare.»

Rae arrossì. E questo cosa cavolo significava? Quel commento così diretto l’aveva messa in imbarazzo, anche se probabilmente avrebbe dovuto sentirsi invece offesa o indignata. Era diventata forse una cavia da laboratorio? Eppure non riuscì a prendersela, iniziava capire il modo di vedere le cose che aveva Elle e sapeva che la stava solo provocando. Per quanto probabilmente pensasse veramente quello che aveva detto, quel ragazzo aveva una faccia tosta non indifferente. A quel punto lei avrebbe volentieri tagliato la corda - stava quasi per farlo - ma poi realizzò che erano nel suo appartamento… dove credeva di poter andare? Quasi leggendole per davvero nel pensiero fu Elle ad alzarsi, infilandosi le scarpe consumate. 

«Dal momento che non vuoi dirmi niente è inutile che io resti qua. Devo tornare al Quartier Generale per portare avanti le indagini.»

Che strano, sicuramente lui sapeva già dal principio che lei non gli avrebbe detto niente, allora perché era venuto lo stesso, se quello era lo scopo della sua visita?

«Allora… ciao.»

Lui se ne andò chiudendo la porta dietro di sé, senza salutare, come sempre.

 

Quasi se lo aspettava quando era andata a dormire. Il suo sogno era cambiato, facendosi più confuso di quelli precedenti: era sul tetto di un grattacielo, ai suoi piedi però non c’era una città, solo un campo di grano immenso. Sembrava un mare dorato, increspato dal vento che formava delle onde pigre. Piano piano il grano iniziò a crescere, come fosse stato veramente un oceano pronto ad inghiottirla, le onde di grano sempre più alte. Fu colta da un senso di panico e per istinto si raggomitolò su se stessa, mentre le onde superavano il grattacielo. Quando aprì gli occhi, tutto era bianco. Per terra il quaderno nero, quello che l’aveva ossessionata per settimane. Cosa ci faceva lì? Come guidata da una forza esterna si alzò, raccolse il quaderno da terra e se lo mise al petto. Davanti a lei comparve uno specchio e così si vide lì, in piedi, stretta al quaderno. Gli occhi rossi.




Ciao a tutti ^^ Come state? Non so voi, ma io credo di essere diventata in questi giorni una palletta semovente di cibo... ghghgh.
Comunque sia vi chiedo umilmente scusa, giovedì non ho pubblicato nulla T_T ...ho avuto problemi organizzativi/personali e non ho potuto aggiornare ma tranquilli, da questa settimana si riparte come sempre :)
In realtà tutto quello che dovevo dire l'ho messo nella premessa quindi niente, ringrazio as always tutti voi che mi leggete... grazie, davvero <3

sofimblack

 

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Capitolo 12
*** Sincerità ***


XII

Sincerità

 

R

 

Aveva controllato con pazienza e metodo gli impegni di Misa, che fortunatamente si era di recente trasferita proprio a Tokyo. In realtà Rae dubitava fosse un colpo di fortuna: Misa Amane era il secondo Kira, perciò era ovvio che si fosse spostata nella capitale, al centro di tutto. Certo, se avesse avuto a disposizione un computer per tenerla d’occhio dal suo appartamento o - ancora meglio - un hacker che le procurasse la sua agenda lavorativa… beh, a dire il vero sarebbe bastato chiedere a Elle e avrebbe ottenuto qualsiasi informazione possibile; escluderlo da quella ricerca era davvero faticoso, sotto una grande quantità di punti di vista. Ma chi cavolo glielo aveva fatto fare? Rae sospirò. Come ulteriore precauzione cercava di non tornare mai per due volte di fila nello stesso internet point, ma ciò voleva dire che doveva spostarsi ulteriormente, alla ricerca costante di nuovi computer. Un lavoro ingrato, che però finalmente iniziava a dare i suoi frutti. Sul sito del fanclub di Misa era comparsa una notizia: la idol avrebbe girato uno spot pubblicitario, incontrando i propri fan in quell’occasione. Perfetto. Ovviamente non sarebbe andata durante l’incontro coi fan ma avrebbe tentato di intrufolarsi sul set, contando sulla sua fortuna e sul suo speciale sesto senso. Probabilmente non le sarebbe mai ricapitata un’occasione del genere, perciò ne avrebbe approfittato: doveva prendere in mano quel cavolo di quaderno. Quel sogno, che ogni tanto tornava a farle visita, la mattina la lasciava sempre con la stessa consapevolezza: era cruciale che lei riuscisse a toccarlo, perciò così avrebbe fatto. Oltretutto era l’unica pista che aveva.
 

21 Aprile

 

Intrufolarsi sul set era stato fin troppo semplice, molto più di quanto non avesse preventivato. Le era bastato esibire un cartellino falso e mostrarsi sicura di sé per passare i controlli… E pensare che aveva trascorso giorni interi ad elaborare complessi piani di riserva! Certo, Misa non era una star a livello internazionale - altrimenti le sarebbe stato impossibile avvicinarsi a lei - ma le pareva assurdo che i giapponesi fossero così poco intransigenti. Le riprese si giravano nel parco di Suginami Jido Kotsu, nella zona di Naritanishi, fortunatamente non troppo lontano da dove abitava. Si avvicinò noncurante alla zona allestita per trucco e cambio abito, una sorta di camerino a cielo aperto, mentre in lontananza intravide le telecamere, gli addetti, le luci e… lei, Misa. Vederla in carne ed ossa acuì il suo disagio - lei era il secondo Kira! - ma non le provocò la reazione esagerata che aveva avuto con Light Yagami. Forse perché l’aveva già vista nei suoi sogni molte volte e quindi si era abituata a lei o forse, più banalmente, perché lei non aveva ucciso suo padre. La sua borsa se ne stava lì incustodita, nei pressi del set ma abbastanza defilata da permetterle di avvicinarsi senza farsi notare. Sul fatto che fosse proprio la borsa di Misa non c’erano dubbi: era un pezzo vintage molto particolare, di stoffa nera, l’accessorio perfetto per una gothic lolita, e soprattutto era su una sedia contrassegnata da un cartello col suo nome. Quali grandi capacità deduttive…
Rae continuava a tenere d’occhio Misa e tutta quanta la troupe; doveva stare molto attenta. Con circospezione aprì la zip e sbirciò dentro, alla ricerca del quaderno nero che aveva tanto sognato, sapendo già che lo avrebbe trovato lì. Infatti, eccolo. Sentendosi un po’ scema ma col cuore a mille prese in mano quel semplice quadernino, lo strinse al petto per qualche secondo ed infine lo rimise al suo posto, esattamente come si era vista fare nel sogno. Per un attimo ebbe paura che i suoi occhi fossero diventati rossi per davvero ma poi rise di se stessa, dandosi della sciocca… Richiuse la cerniera con cura ed alzò lo sguardo, pronta ad andarsene rapidamente di lì. Quello che vide la lasciò senza fiato dal terrore. Trattenne un urlo a stento, ricordandosi per un pelo che non poteva dare nell’occhio, tappandosi la bocca con una mano.

Accanto a Misa era apparso qualcosa di… mostruoso, non c’erano altre parole per definirlo. Una figura enorme dalle vaghe sembianze umane, alta più di due metri, le ossa bianche sporgenti che la ricoprivano come una seconda pelle. Proprio in quel momento quell’essere agghiacciante si voltò verso di lei e la fissò dritto negli occhi, quasi con curiosità, facendola sentire incredibilmente esposta ed inerme. Lui sapeva che lei lo stava guardando. 
A quel punto Rae non poté trattenersi dal fare l’unica cosa possibile da fare: scappò via, più veloce che poté.


 

L

 

Con la coda dell’occhio vide Rae entrare in casa di corsa. Curioso… perché tanta fretta? Girò la poltrona verso lo schermo che la mostrava, rivolgendo la sua completa attenzione alla ragazza. La vide lanciare distrattamente la borsa sul divano per poi mettersi a camminare per tutto il piccolo appartamento, senza riuscire a stare ferma. Quando tirò fuori il tabacco Elle notò che le tremavano le mani. Era evidentemente molto turbata, ma perché? Era uscita circa un paio di ore prima, apparentemente tranquilla, perciò non poteva essere andata molto lontana. Che avesse di nuovo incontrato Kira? Impossibile. Forse aveva avuto una nuova percezione… eppure non aveva mai reagito così, che lui sapesse. Nei giorni precedenti era stata appena più pensierosa del solito, l’aveva osservata starsene ore intere sul letto a rimuginare, ma non era un comportamento così insolito da parte sua; l'aveva attribuito allo stress crescente per le indagini. Ormai si era abituato a guardarla, aveva catalogato nella sua mente tutte le sue abitudini, le sue stranezze, quando era più facile che si mettesse a fumare, quanto zucchero metteva nel tè, in che posizione preferiva starsene a leggere… quello che era partito come un semplice controllo era finito per diventare un qualcosa di rilassante, come se il vederla compiere determinate azioni sullo schermo volesse dire che andava tutto bene - e in quel preciso istante no che non andava tutto bene. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso, ma iniziava a provare una sorta di familiarità nei confronti di Rae. Il caso Kira stava impegnando tutte le sue energie, più di quanto non fosse mai accaduto con altre indagini, ed aveva scoperto che avere quella piccola valvola di distrazione lo aiutava a concentrarsi meglio. Ok, forse "distrazione" era una parola grossa considerato che pure lei, a modo suo, gli impegnava la mente... ma tant’è. Adesso poteva vederla mentre se ne stava sul balcone a fumare, ritta in piedi come una sentinella, di spalle e, anche se immobile, in evidente stato di agitazione. La curiosità lo divorava, ma non sapeva neppure lui dire con esattezza quanto si trattasse di preoccupazione per le indagini, quanto di curiosità puramente scientifica e quanto invece di vero e proprio interesse personale. Basta, doveva scoprire cosa era successo.

 

 

 

R

 

«Ciao Elle» disse lei poco dopo, la voce più ferma di quanto non si aspettasse, senza neppure voltarsi a guardarlo. Aveva lasciato la porta d’ingresso accostata, in modo da restarsene sul divano mentre lui entrava, come aveva previsto. No, in questo caso non c’entravano le sue intuizioni: si aspettava una sua visita perché era consapevole del fatto che lui la controllasse, e che lei non si era minimamente curata di nascondere il proprio turbamento come invece faceva di solito. Era ovvio che sarebbe venuto ad indagare; sarebbe rimasta quasi delusa da lui se non l’avesse fatto. Lui come sempre si sfilò le scarpe ed andò ad accucciarsi accanto a lei; sul tavolino c’era una confezione di muffin, messi lì appositamente per lui. Erano al cioccolato.

«Deduco che tu mi stessi aspettando, visto che mi hai lasciato tutti questi “indizi”» disse infine, addentandone uno.

«Beh, stai diventando quasi prevedibile» ribatté lei, beffarda e provocatoria. Era pronta alla battaglia.

«Allora visto che sai perché sono qui possiamo evitare i convenevoli, non trovi?»

Lei gli lanciò un’occhiata scettica: quando mai loro due si erano persi in convenevoli!?

«Non ti dirò nulla. Diciamo che potrei aver visto qualcosa che mi ha turbata… ma non è niente che riguardi il caso Kira, tranquillo.»

Bum. Aveva lanciato la bomba, guardandolo negli occhi ma senza sembrare troppo spavalda, controllando ogni singolo muscolo del corpo, ogni respiro. Calibrando la voce al punto giusto, quasi credendoci lei per prima.

«Uhm… Stai migliorando sai? Adesso riesci a mentire in modo piuttosto convincente» commentò Elle, il tono di voce morbido e divertito. Ecco, appunto. «Comunque non ho intenzione di costringerti a dire nulla se non vuoi, ne abbiamo già parlato.»

«Bene.»

Anche perché non sapeva neppure lei cosa pensare. Stava ancora elaborando ciò che aveva visto poco prima. Elle scartò un secondo muffin, andando ad appoggiarne la carta sopra a quella del primo, con grande criterio. Prima di addentarlo, spostò nuovamente la sua attenzione su di lei, anche se probabilmente non l’aveva mai distolta veramente.

«Come stai?»

Rae strabuzzò gli occhi, in una buffa espressione a metà tra l’incredulo ed il divertito.

«Ti stai preoccupando per me!?»

Lui mangiò con calma il secondo dolcetto, si pulì la bocca con un tovagliolo e solo a quel punto si decise a risponderle.

«Ho notato dei comportamenti insoliti recentemente. Sei sempre più stanca, sempre più tesa. Hai aumentato il numero delle sigarette giornaliere, da quattro a nove, senza contare quelle che sicuramente fumi mentre sei fuori casa. A volte ti sanguinano le dita da quanto spesso ti mangi le unghie e la notte ti agiti di più.»

Accidenti, non gli sfuggiva proprio niente eh?

«Non mi stai rispondendo.»

«Neanche tu.»

Rae sospirò, arrendendosi.

«Sai, a volte credo di essere andata ad in infilarmi in un qualcosa di davvero troppo grande per me.» 

Le parole iniziarono a sgorgare come un fiume in piena, senza alcun filtro tra bocca e cervello. 

«Ormai sono sola, davvero sola… è morto anche mio padre ed io a quanto pare non ero pronta, a quanto pare sono rimasta colpita più di quanto pensassi. Sicuramente non si è mai pronti ma… mi sembra di aver lasciato qualcosa a metà. Non credevo che la sua morte mi avrebbe turbata così, non dopo quello che ha fatto… non dopo mia mamma. Sono sempre stata combattuta, è… era pur sempre mio padre, gli ho voluto bene, e lo so che è stata quella malattia del cazzo a spingerlo a fare certe cose, però… io l’ho vista, capisci? L’ho vista dopo che lui…» 

Si interruppe un attimo. Perché mai aveva iniziato a parlargli di tutte quelle cose? Era così strano e così liberatorio dirle ad alta voce a qualcuno di cui - si accorse - poteva inspiegabilmente fidarsi.

«Comunque ancora una volta, invece di soffermarmi e riflettere mettendo a posto il caos perenne che ho dentro, sono scappata dall’altra parte del mondo, in un luogo totalmente estraneo dove non conosco nessuno, non capisco la lingua e tutto il resto. Mi sono intestardita nel voler entrare in questo caso per vendetta, per curiosità, per istinto… ma non so che fare. A volte mi sento davvero impotente ed inutile…»

Si prese la testa tra le mani, svuotata. Elle l’aveva osservata intensamente mentre parlava, ascoltandola con le mani che tormentavano il bordo della maglietta bianca. Si prese qualche momento prima di risponderle.

«Io ritengo che tu abbia le capacità per affrontare tutto questo. Nonostante tu mi ometta molte cose e quindi io possa essere sicuro di questo solamente, diciamo, al 90%, e non al 100% come vorrei, credo che tu non abbia motivo di non riuscire ad ottenere ciò che vuoi. Inoltre sei sufficientemente sveglia per muoverti in questo ambiente, lo hai già dimostrato. Mi stai dando un grande aiuto nelle indagini. Non con delle prove, certo, ma facendomi orientare, spingendomi a seguire determinate piste, sicuramente permettendomi di risparmiare tempo prezioso… e poi…» le parole gli morirono sulle labbra e per la prima volta Rae, che soltanto adesso aveva alzato la testa per guardarlo, lo vide in difficoltà. Scioccamente lo aveva sempre identificato come una sorta di essere intoccabile, geniale e totalmente impermeabile ai sentimenti, che dall'alto della sua razionalità non pensava ad altro se non ai casi che doveva risolvere. Mai si sarebbe immaginata che potesse mostrarsi così... umano. Si vergognò un po' per questa cosa. Certo che era un essere umano, certo che era una persona che provava emozioni! Notando come le sue mani stringessero ancora convulsamente il bordo della maglietta, Rae delicatamente gliene sollevò una avvicinandola a sé, senza fare più di tanto caso alla solita scossa. Sotto il suo sguardo incuriosito se la mise in grembo e con tocco leggero iniziò a passarci sopra la punta del proprio indice, prima sul dorso e poi sul palmo, in un movimento gentile e al contempo rilassante. Dopo un po’ Elle riprese a parlare, senza guardarla - come se quella non fosse stata effettivamente la sua mano - eppure un po’ meno teso. 

«Posso capire la sensazione di solitudine. I miei genitori sono morti quando ero bambino ed io sono cresciuto alla Wammy’s House.» Rae aveva ben presente l’elegante edificio in mattoni rossi, col suo bel giardino e la serra, raffinata struttura in ferro battuto bianco e vetro. «Certo, non posso sapere nulla di cosa tu possa avere provato e provi tutt’ora nei confronti di tuo padre ma… io alla fine sono riuscito ad accettare la morte dei miei genitori, in gran parte grazie a Watari, e credo che pure tu riuscirai ad andare avanti. L’uomo è una creatura terribilmente complessa, difficilmente dimentica il dolore, ma impara a conviverci. Inoltre, per rispondere infine alla tua domanda di prima, diciamo che è stato un misto di curiosità, di dovere verso le indagini e sì, anche di preoccupazione nei tuoi confronti a farmi venire qua.»

Il cuore di Rae le rimbombava in testa, mentre continuava a passare la punta del dito sul profilo della mano di Elle ed il silenzio cadeva sopra di loro. Era un silenzio rilassato, non avevano bisogno di riempirlo di futilità… in fondo non lo avevano mai fatto. Lui non le aveva rivolto vuote parole di conforto, non era stato gentile o educato, né l’aveva compatita o aveva mostrato imbarazzo, come invece di solito accadeva quando la gente veniva a sapere della sua storia. Semplicemente, le aveva detto quello che pensava, come faceva sempre, e soprattutto, per la prima volta, aveva parlato di se stesso… a lei. Rae aveva visto quanto sforzo gli ci era voluto e poteva soltanto immaginare quanti muri avesse eretto attorno a sé, col tempo. Probabilmente erano molto più alti e spessi dei suoi. Lui era un detective, conduceva una vita nella quale sicuramente non gli era permesso stringere legami, farsi degli amici… oltre a Watari non aveva nessuno. La sua mente rapida doveva essere stata motivo di invidia, di esclusione… sicuramente la gente doveva sentirsi in soggezione nel parlare con lui, coi suoi modi di fare strani e quell’aspetto bizzarro. Certo, lui sapeva essere spesso irritante e dispotico, inoltre sentirsi continuamente analizzati era sfiancante… ma com’è che a lei non importava? Com’è che lei riusciva ad andare oltre a quello che faceva allontanare qualsiasi persona ragionevole, com’è che voleva riuscire a capirlo ed a conoscerlo, invece di essere intimorita da lui? Tutte le cose che le aveva detto quel giorno le erano scese dentro, dove pensò che le avrebbe conservate per sempre, come un inestimabile tesoro. Doveva assolutamente impedire ciò che sarebbe dovuto accadere il 5 novembre.

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Capitolo 13
*** Risk taking ***


XIII
Risk taking

 

 

22 Aprile

 

R

Quella mattina si svegliò tremendamente risoluta ed implacabile. La creatura che aveva visto doveva essere uno Shinigami: aveva messo in conto la loro esistenza, perciò doveva smetterla di essere così turbata ed iniziare a pensare lucidamente. Il quaderno, Misa… doveva capirci di più. Dopo averlo toccato era stata in grado di vedere quell’essere mostruoso, perciò erano senz’altro collegati... inoltre sapeva che era proprio il quaderno a donarle poteri omicidi, ne aveva la certezza assoluta. E dunque, seguendo il sillogismo, lo Shinigami doveva essere la fonte dei poteri di Kira. Certo, era necessario accertarsi di quest’ultima cosa, e capire come materialmente riuscisse ad uccidere. Anche se Misa non era il vero Kira doveva cominciare a tenerla d’occhio; d’altronde era pur sempre il secondo Kira, era molto probabile che fosse in contatto con “l’originale”. Scoprire dove viveva - probabilmente in un qualche hotel lussuoso - sarebbe stato un utile passo avanti. Ma come fare? Non aveva i mezzi per sperare di riuscirci, almeno non entro un tempo utile.
Un’idea folle le balenò in testa, dettatale da una strana urgenza. Chissà, forse poteva azzardarsi a chiedere a Elle, dopotutto lui riusciva ad accedere a qualsiasi informazione con una facilità spaventosa… e un curioso istinto tutto nuovo le diceva che era l’unica via da percorrere, mandando più o meno a quel paese tutta la segretezza con cui aveva condotto le proprie ricerche fino a quel momento. Guardò verso il punto in cui sapeva che c’erano le telecamere, incerta. Sentiva di essere sospesa su un filo fragilissimo.

«Elle. Ho bisogno di un favore ma… rientra ancora tra le cose che non posso dirti. Devo sapere dove abita Misa Amane e - lo so, è una richiesta assurda - non devi indagare a riguardo.»

Per tutta risposta dopo qualche minuto, con sua grande sorpresa, le arrivò un sms con il nome di un hotel e l’indirizzo. Com’è che aveva ceduto così facilmente?

«Grazie» mormorò, sperando con tutto il cuore che non provasse a farla seguire o a scoprire cosa avesse in mente. La sensazione di procedere su del ghiaccio sottile era sempre più persistente.

 

 

Maggio

 

Stava molto attenta a non farsi sorprendere da Misa, pedinandola da lontano e osservandola durante le riprese, oppure stando sempre in fondo alla folla, durante gli incontri con la stampa o con i fan. Quel giorno però era stata poco fortunata e, mentre come sempre si dirigeva verso Inokashira per andare a controllarla, se l’era ritrovata davanti nello svoltare l’angolo. Dannazione. Rae si immobilizzò trattenendo il fiato, l’espressione più colpevole del mondo spiaccicata in faccia, mentre l’altra la schivava all’ultimo momento.

«Scusami» trillò Misa senza nemmeno guardarla, impegnata nel frattempo in una telefonata. Rae non disse niente, passandole oltre e nascondendosi dietro una fragile maschera di noncuranza, ma non poté fare a meno di lanciare un’occhiata a quell’essere mostruoso che la seguiva sempre, come una sorta di perverso angelo custode. Quello ricambiò lo sguardo, incuriosito, e lei volse rapidamente la testa da un’altra parte continuando per la sua strada, sperando di non aver compiuto alcun passo falso, improvvisamente inquieta. Andò nel caffè in cui si recava ormai tutti i giorni da una settimana, sedendosi al solito tavolino che affacciava sull’enorme vetrina, ancora in agitazione; da una certa angolazione riusciva ad intravedere il set dove lavorava Misa. Fortunatamente erano all’aperto, vicino ad una fontana, e ciò le permetteva di osservare la situazione senza doversi preoccupare di intrufolarsi da nessuna parte. Aveva ordinato un tè nero ed un pezzo di torta alle carote, quasi troppo carina per essere mangiata, ma comunque buonissima. Finalmente iniziava a calmarsi, anche se l’idea di aver compiuto un passo falso continuava a tormentarla. Stava girando lo zucchero nella bevanda, lanciando occhiate furtive al di là della vetrina e leggiucchiando distrattamente il libro che si era portata dietro - una raccolta di racconti di Borges - quando qualcuno le rivolse la parola interrompendo la sua concentrazione, e poco ci mancò che lei si mettesse ad urlare dalla sorpresa; l’unica cosa che l’aveva trattenuta dal farlo era stato lo shock, che fortunatamente le aveva fatto perdere la voce per qualche momento.

«Perché ci stai seguendo? Rispondi a bassa voce, nessun altro può vedermi o sentirmi.»

Accanto a lei, silenziosa, era comparsa quella spaventosa creatura bianca, che a quanto pareva per una volta aveva smesso di seguire Misa decidendo di rivolgere le proprie terrificanti attenzioni su di lei. Rae ci mise qualche momento per riprendersi, ancora turbata per lo spavento. Ok, calma. Non poteva perdere tempo prezioso così, avrebbe sfruttato quell’incontro per ottenere delle informazioni. Respirò a fondo, raccogliendo tutto il coraggio che aveva.

«Tu… tu sei… uno shinigami?» chiese infine in un sussurro, esitando sull’ultima parola. E questo doveva essere il suo "sfruttare l'incontro per ottenere informazioni"?!

«Sì, voi umani ci chiamate anche in questo modo. E tu chi sei, Rae Milton?» 

Rae si agitò ancora di più. Merda, conosceva il suo nome, avrebbe potuto ucciderla in qualsiasi istante! Poi si rese conto di ciò che aveva appena pensato ...che idiota. Quello era uno Shinigami, un dio della morte: avrebbe potuto ucciderla comunque in qualsiasi momento. Iniziò a sudare freddo, forse rendendosi conto per la prima volta del reale pericolo che stava correndo da quando si era infilata in quella storia.

«Io… sono un’amica, credo». Decise che la via della sincerità fosse la più saggia da seguire. «Ho avuto delle premonizioni su Misa.»

La fissava con un paio di occhi gialli insopportabilmente penetranti. 

«Ti ho vista sul set quel giorno. Hai toccato il quaderno, perché?»

Quello strano essere, quello shinigami, non si era affatto scomposto alla notizia che lei avesse delle premonizioni. Beh, essendo esso stesso una creatura sovrannaturale perché mai avrebbe dovuto stupirsi? Tutta quella situazione le stava mandando in tilt il cervello.

«Sentivo di doverlo fare.» Altro tassello. «Probabilmente per essere in grado di parlare con te.»

Mentre lo diceva ad alta voce capì che era proprio così.

«E perché volevi parlarmi?»

«Perché io so che Misa è il secondo Kira. Lo so, e non mi interessa… il mio obiettivo è di incastrare Light Yagami. È lui che voglio ma non posso farcela da sola. So che c’è un forte legame tra te e Misa…».

Rae blaterava parole a caso, cercando di riordinare i pensieri e dicendo tutto ciò che le passava per la testa, senza filtri. Lo shinigami la interruppe.

«È così. Voglio solo che lei sia felice, ma forse lei non è in grado di capire dove risieda la vera felicità. Non mi fido di quel Yagami. Ha qualcosa in mente.» disse lentamente, con voce profonda.

Lei, finalmente zitta, si prese qualche momento per pensarci; poi sussultò, fulminata da un’idea improvvisa. Capì perché il suo istinto l’avesse guidata fino a lì, a piccoli passi ciechi; da quel momento non ci sarebbe stata più possibilità di fuga o di ripensamento.

«Shinigami. Ti propongo un patto. Io ti aiuterò a proteggere Misa, senza però che tu le dica nulla di me o del mio intervento. In cambio, dovrai aiutarmi a vendicarmi di Light Yagami.»

«E in che modo potresti proteggerla?»

«Beh, sono in contatto con Elle e - in minima parte - ciò che gli dico influenza le sue indagini. Come ti ho detto, il mio unico obiettivo è incastrare Light Yagami, non mi interessa applicare la giustizia anche su Misa… cosa che invece la polizia farà, se la scopre - ed in Giappone esiste la pena di morte. Perciò posso aiutarla sfruttando le mie intuizioni ed il mio ascendente su Elle.»
Ok, forse stava un filo esagerando.

«E come vorresti che ti aiutassi con Yagami? Non posso intervenire direttamente, e comunque non ho intenzione di farlo a meno che non sia in pericolo la vita stessa di Misa».

«Ho solo bisogno che tu mi dica quello tutto quello che riesci a scoprire su di lui. So che Misa e Yagami sono in contatto ed è importante per me sapere cosa ha in mente.»

Lo shinigami stette un po’ a pensarci, riflettendo su ogni implicazione di quella proposta. Rae lo osservava sudando freddo, sapendo di essersi giocata tutto. O bene bene o male male.

«Va bene, accetto.» Lei sentì i muscoli tesi delle braccia rilassarsi. «Non credo che tu sia una minaccia, ma ti controllerò… e ricordati che io conosco il tuo nome. Ricordalo sempre.»

Rae cercò di tenere a bada il battito del suo cuore, impazzito. Era un misto di inquietudine per lo sguardo che lo shinigami le aveva lanciato, la consapevolezza di aver stretto un patto con un dio della morte, l’adrenalina, il rischio e qualcos’altro, di incredibilmente confuso. Quell’essere continuò a guardarla, perforandole il cervello. «Comunque, io sono Rem.»

 

 

L

 

Dopo la strana richiesta di Rae aveva ovviamente indagato su Misa Amane. Il primo pensiero era stato che lei fosse il secondo Kira, ed avrebbe avuto pure senso. Le percezioni di Rae erano totalmente concentrate sul caso ed il tempismo tra la richiesta e l’apparizione dell’altro Kira non poteva essere una semplice coincidenza… inoltre Misa, idol capricciosa e volubile, poteva benissimo essere capace di uccidere delle persone in modo del tutto casuale. Eppure, perché Rae non gli aveva detto nulla se il suo scopo era di aiutarlo nelle indagini?
Come sospettava non era totalmente sincera con lui… d’altronde però, neppure lui lo era nei suoi confronti. Si chiese perché stesse coprendo Misa, se in realtà lei non fosse effettivamente dalla parte di Kira. Improbabile, c’era solamente il 0,32% di possibilità che fosse così, una percentuale troppo bassa per essere anche solo presa in considerazione. Però se Misa Amane era il secondo Kira perché non farla arrestare? Forse cercava delle prove… ma perché non dirgli niente? Cosa c’era sotto? Inoltre se davvero voleva nascondergli l’intera questione, perché chiedere il suo indirizzo proprio a lui? Si aspettava davvero che non avrebbe indagato? 

Domande, ipotesi, supposizioni. La sua naturale capacità di assimilare e gestire grandi quantità di informazioni contemporaneamente era davvero utile, ma sfiancante. Aveva incaricato gli agenti di andare ad indagare su alcune persone - tra cui ovviamente anche Misa Amane -, dicendo di cercare elementi che combaciassero con quelli trovati nella busta mandata dal secondo Kira. Doveva tentare di mantenere un basso profilo, per non destare sospetti inutili nei suoi confronti. Però, se davvero Misa era il secondo Kira, avrebbe ostacolato con tutte le sue forze una qualsiasi alleanza tra lei e Yagami.

 

 

27 maggio

 

R

 

Mentre lui se ne stava come sempre appollaiato sul divano, in una sorta di ritualità quasi esasperante, Rae preparò il tè, forte come piaceva a lei, senza curarsi di offrirgliene un po’. Si sedette su una delle due sedie attorno al tavolo, versando dello zucchero nella bevanda bollente e girando col cucchiaino, osservando quasi ipnotizzata il vortice scuro che si era formato nella sua tazza. Lui era stato in silenzio per tutto il tempo, rendendola sempre più inquieta… 

«Misa Amane è il secondo Kira.» 

Non era una domanda e, si rese conto, nemmeno una richiesta di conferma. Elle sapeva benissimo che lei già lo sapeva. Rae capì che in realtà la stava mettendo alla prova. Cercò di bere un sorso di tè per prendere tempo ma finì solo con l’ustionarsi la lingua.

«Perché me lo stai dicendo?» chiese con difficoltà, le lacrime agli occhi dal dolore.

Elle sfoderò uno strano sorriso sghembo.

«Domani la arresterò, ho trovato un sufficiente numero di prove per poterlo fare.» Parlava lentamente, calibrando le parole, mettendola sotto pressione mentre studiava ogni suo impercettibile movimento. «Inoltre sospetto fortemente che lei e Yagami si tengano in contatto scambiandosi informazioni, perciò andrò in facoltà per indagare di persona.» 

A quel punto Rae si irrigidì, senza neppure accorgersene. Perse per un attimo il contatto con la realtà e vide Elle e Misa insieme, circondati da persone, vide gli occhi rossi di lei e la risata cattiva di Yagami ed una sensazione terribile le scivolò nel petto.

«No.» 

Era la prima volta che le capitava una cosa del genere… era stato come uno dei suoi sogni confusi, eppure stavolta era perfettamente sveglia. Che fosse stata una vera e propria visione? Rae aveva notato che da quando seguiva il caso Kira le sue premonizioni erano aumentate, come se fosse diventata sempre più sensibile a qualsiasi cambiamento o intuizione. Ad ogni modo, nonostante fosse ancora turbata da quanto appena accaduto, una cosa le era chiara: Elle non doveva incontrare Misa. 

«Non devi andare.» 

Fu solo quando lo mise nuovamente a fuoco che notò la sua espressione compiaciuta, per niente sorpresa. Lo guardò interrogativa. Cosa…? Aspetta un attimo, quindi…

«Tu volevi che io ti dicessi questo!» 

L’improvviso lampo di consapevolezza la fece quasi cascare dalla sedia. Perché era così tarda quando si trattava di prevedere le mosse di Elle? Tutto si fece incredibilmente ovvio.

«Tu mi hai detto dei tuoi piani per capire se avrei avuto qualche previsione, per controllare che tutto andasse bene! E siccome le mie premonizioni non sono a comando hai pensato bene di provocarmene una, come una sorta di esperimento, in una catena di causa-effetto di cui hai capito la chiave…» 

Suo malgrado, Rae era colpita. Geniale. Nonostante in sostanza la stesse usando come una sorta di antenna-capta-sfighe lei non riusciva a sentirsi indignata in alcun modo… era riuscito a capire meglio e più in fretta di lei come sfruttare e gestire i suoi stessi “poteri”.

«Te l'ho detto, non ti forzerò a dirmi nulla... ciò però non vuol dire che io non possa osservare e trarre delle conclusioni.» 

«Sei davvero sorprendente.» 

Elle sorrise appena.

«Ti ringrazio.» 

«Non era un complimento.»

«Beh, se dici così mi spezzi il cuore…»

Rae si alzò dalla sedia ed andò a sedersi accanto a lui sul divano, improvvisamente seria, abbandonando la sua tazza ancora fumante sul tavolo. Lo guardò negli occhi con un’intensità ancora maggiore rispetto al solito, ignorando il consueto nodo allo stomaco e cercando di trasmettergli tutta la sua preoccupazione, mentre lui la fissava di rimando perforandole la testa, incuriosito. Una ciocca di capelli le scivolò davanti agli occhi ma lei mantenne comunque quel contatto visivo, con un’urgenza quasi disperata.

«Ci andrai lo stesso, vero?» chiese diversi secondi dopo, triste. 

Elle per tutta risposta avvicinò le dita al volto di lei con estrema lentezza, come a voler toccare qualcosa di estremamente fragile o di proibito, sistemandole infine la ciocca di capelli dietro l’orecchio. Il cuore di Rae iniziò a battere in modo incontrollato, tanto che pensò che Elle potesse sentirlo, in tutto quel silenzio. Arrossì. E che cavolo. Lui esitò prima di ritirare la mano, passandola sulla sua guancia infuocata e tracciando il profilo del suo zigomo, senza staccare gli occhi dai suoi. No, in quei momenti Elle non era affatto “dolce”, piuttosto lo avrebbe definito …intenso, sì. Terribilmente intenso. Maledetto, come era possibile che riuscisse a metterla in difficoltà con così poco!?

«No, non ci andrò. Mi fido di te. Inoltre, come hai detto tu, ho voluto appositamente provocarti una "visione", "premonizione" o quel che è, per capire come muovermi. Sarebbe estremamente stupido ignorare le tue parole, non trovi?»

Rae distolse lo sguardo allontanandosi appena da lui, per rompere l’incredibile tensione che si era creata… cercò di concentrarsi sulla cosa più importante: per la prima volta, le aveva detto che si fidava di lei! Di lei! Era agitata da sensazioni che non aveva mai provato, delle quali sospettava l’origine anche se non aveva voglia di ammetterla.
Non era solamente attrazione, quella fisicità pura e semplice che era sempre riuscita a gestire e ad affrontare, forse con una certa dose di superficialità. Il suo vero problema stava nel relazionarsi con le persone su un piano più profondo, troppo spaventata e ferita a causa del suo passato, delle compagnie discutibili, della sua naturale riservatezza. Per lei il sesso era solamente sesso, ed i sentimenti una cosa terribilmente dolorosa da evitare accuratamente. A volte pensava di essere totalmente arida, incapace di amare o di ricevere amore in un qualsiasi tipo di relazione umana, e questo aveva rafforzato i muri dietro i quali si era barricata. Eppure, quel rapporto strano che si era instaurato tra lei ed Elle… aveva il potere di turbarla, e avrebbe giurato di vedere lo stesso turbamento anche negli occhi di lui. Erano due piccoli disadattati sociali che si erano avvicinanti, girandosi intorno, studiandosi, come due animali selvatici che si annusavano l’un l’altro da lontano, diffidenti. Erano entrambi nascosti dietro le loro fortezze private, eppure col tempo ed in punta di piedi avevano creato una finestrella attraverso la quale guardarsi a vicenda.

«Devo chiederti un favore.»
«E non tenti neppure di corrompermi con un po’ di torta o di gelato?»

Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di non mostrarsi divertita. Ma Elle, con quella battuta, era riuscito a mitigare la tensione che lui stesso aveva creato. Sembrava un abile burattinaio o un regista, faceva quasi paura il modo che aveva di tenere tutto sotto controllo. 

«Senti, se anche la arresterai… non devi farle del male. Devi fare in modo che né tu né nessun altro le facciate alcunché, capito?»

Lui ci pensò un po’ su abbandonando ogni ombra di divertimento, sicuramente valutando ogni singola implicazione di quella richiesta.

«Va bene.»

«Davvero?»
Impossibile nascondere il sollievo e l'incredulità della sua voce.

«Sì.»

Silenzio. Pesante, vischioso. Lunghissimo. Rae si alzò per prendere il suo tè dimenticato, finalmente tiepido come piaceva a lei. Si sedette di nuovo, bevve il suo Earl Grey, appoggiò la tazza sul tavolino di fronte a loro.

«Cosa ne pensi degli shinigami? Secondo te esistono?»

Non c’era un modo meno diretto per porgli la domanda, ma neppure un momento meno adatto. Un penoso tentativo di cambiare argomento che in realtà non lo cambiava affatto… cosa le passava per la testa?

«Perché me lo chiedi?» 

Lui la osservava impassibile con la testa piegata di lato, il pollice sul labbro inferiore, evidentemente facendo 2+2. Gli stava regalando davvero troppi indizi, tanto valeva dirgli tutto… No. L’unica certezza che aveva era che doveva seguire il suo istinto, e il suo istinto le stava dicendo che ancora non doveva dirgli niente, che non era il momento giusto… ma perché?

«Sono solo curiosa… ho sentito che qui in Giappone alcuni credono nella loro esistenza.»

«Ok, farò finta di crederti solo perché mi interessa capire dove tu voglia arrivare a parare, anche se già lo immagino.»

 

 

L

Shinigami eh? E così era davvero quello ciò che lei stava tentando di dirgli? Ma poteva realmente credere negli dei della morte? Forse quello era un suo limite: l’incapacità di andare oltre i fatti e la logica, il rifiuto totale per quelle cose; eppure sapeva che solo gli stupidi non cambiano mai idea. Inoltre quella parola sembrava tormentarlo… il messaggio in codice, il secondo Kira e adesso pure Rae. Decisamente, non poteva essere una coincidenza, ma non era neppure una prova. La vera questione era… quanto si fidava veramente di lei? Per lui contavano i fatti ma Rae viaggiava su tutt’altri schemi di pensiero, del tutto intangibili e, inspiegabilmente, del tutto esatti... normalmente avrebbe dubitato, però... Questa cosa continuava a confonderlo. Eppure ormai lui aveva accettato quei suoi strani "poteri", perché dunque non accettare anche questo? Inoltre, perché non glielo diceva chiaro e tondo? Probabilmente pensava che lui non le avrebbe mai creduto… no, non era questo il motivo, o magari non del tutto. Era proprio perché non aveva prove che non gli diceva nulla. Ma certo, lui doveva proseguire le indagini come se non avesse alcun indizio "speciale" da parte sua, e ciò spiegava anche tutta la segretezza su Misa Amane… infatti a cosa gli sarebbe servito sapere che effettivamente esistevano gli shinigami? Non era qualcosa che lo avrebbe aiutato ad incastrare materialmente Kira; già era difficile motivare il suo “accanimento” su Light Yagami. Sapeva che Rae stava seguendo quel suo strano, infallibile istinto - anche se probabilmente neppure lei sapeva dove tutto ciò l'avrebbe portata - e dunque per il momento si sarebbe limitato ad osservare.

 

«Penso che “shinigami” sia una parola in cui mi sono imbattuto fin troppo spesso recentemente… ma che no, non ho motivi tangibili per cui crederci.»
La vide rilassare impercettibilmente le spalle.
Interessante. Aveva dato "la risposta giusta" e, per una volta, dicendo la verità.

 

 

 

ATTENZIONE attenzione gente! Cioè, per prima cosa… ciao ^^
Dunque, giovedì prossimo la pubblicazione purtroppo dovrà saltare… sarò a Londra per una settimana perciò non avrò il tempo materiale per scrivere/aggiornare. Vi chiedo scusa però dai, ho una "giustificazione" abbastanza valida no? :) …comunque sia per il prossimo capitolo ho in mente un paio di cose che spero ripagheranno l’attesa, eheheh!
Detto ciò voglio dire un GRAZIE immenso a chi legge, segue, recensisce (<3), a chi ha messo la storia tra le ricordate o addirittura le preferite… mi aiuta davvero molto, graziegraziegrazie!
Un ringraziamento speciale anche a Ram92, che mi ha aiutata a sistemare un paio di punti dell'ultimo paragrafo.
Love ~

sofimblack 

 

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Capitolo 14
*** Esperimento ***


 

XIV

Esperimento

 

 

31 maggio

 

R

 

La musica arrivava fino in strada entrando nelle case, inondando le orecchie dei pochi passanti e colmando l’anima di Rae. Era sdraiata al centro del letto, i capelli sparsi sul cuscino e gli occhi chiusi, assolutamente persa nel suo mondo. D’un tratto un ronzio fastidioso interruppe quel momento perfetto: il suo telefono vibrava, abbandonato sul comodino, senza desistere. Rispose distrattamente senza neppure guardare il numero, abbassando la musica sulla quale in realtà era ancora concentrata.

«Sì…?»

«Hai intenzione di prendere una multa per disturbo della quieta pubblica?»

La voce di Elle al telefono aveva mille sfaccettature - dall’infastidito, al pacato, al divertito - e la riportò alla realtà. Spalancò gli occhi.

«Ad ogni modo, apri la porta.»

Rae si alzò dal letto controvoglia, spegnendo lo stereo ed andando ad aprire. Sorpresa, si ritrovò davanti Watari, che la salutò con un lieve inchino.

«Buongiorno, miss»

Rae ebbe la decenza di arrossire, sentendosi in colpa per averlo fatto aspettare chissà quanto.

«Buongiorno Watari… chiedo scusa, non avevo sentito il campanello e…»

«Nessun problema, miss. Quand’è pronta ho istruzione di portarla al Quartier Generale.»

Rae strabuzzò gli occhi: questa sì che era una vera novità! Si infilò le scarpe al volo e seguì Watari sulla solita Rolls Royce nera.

«Perché Elle vuole che sia io ad andare da lui? Di sicuro non si addice all’aura di mistero a cui tiene tanto…» bofonchiò aprendo la portiera, vagamente ironica.

Watari le lanciò uno sguardo consapevole ma bonario, quasi divertito, dallo specchietto retrovisore.

«Difficile a dirsi. Presumo ci sia più di un motivo.»

Non aggiunse altro, enigmatico come sempre. Rae, nonostante la curiosità, non fece ulteriori domande: evidentemente Watari era al corrente di ciò che passava per la mente di Elle, ma non le avrebbe detto nulla. Era inutile insistere, lo sapeva bene. Decise di cambiare argomento, e per i venti minuti successivi Watari le parlò di alcuni spettacoli teatrali che aveva visto in gioventù.

Arrivarono infine davanti ad un hotel cinque stelle, dove persino le guardie che sorvegliavano l’ingresso parevano celebrità hollywoodiane. E così era quello il Quartier Generale? Chissà perché s’era immaginata qualcosa di più losco, magari uno scantinato buio o la stanza segreta di un bar malfamato. Salirono fino all’ultimo piano, entrando in una suite schifosamente lussuosa con tanto di salottino. Elle stava davanti a dei monitor spenti, seduto nella sua solita posizione accartocciata. Per una volta non stava mangiando niente, ma aveva una torre pericolante di zollette di zucchero accanto a sé. Watari si congedò dopo aver parlottato a bassa voce per un po’ con Elle; a quel punto Rae liberò la raffica di domande che stava covando.

«Perché sono qui? E tutta la tua segretezza? E se mi vede qualcuno? E se… incontrassi Kira? Non credi che…»

Elle alzò un dito, interrompendola.

«Dunque. Sposterò il Quartier Generale domani mattina, quindi non ha importanza se adesso sai dov’è. Ho proibito a chiunque di venire in questo luogo - e se anche qualcuno ci provasse verrebbe fermato prima di aprire quella porta - ed infine ti ho fatta portare qui perché non ho il tempo per venire io da te. Ho soddisfatto la tua curiosità? Adesso posso avere tutta la tua attenzione e concentrazione?»

Rae annuì in silenzio, mettendosi a sedere sul tappeto.

«Cos’è che vuoi dirmi?»

Elle, sino a quel momento impegnato ad osservare la torre di zollette, finalmente si girò a guardarla, tremendamente serio. Aveva negli occhi un qualcosa di pericoloso ma al contempo di estremamente irresistibile.

«Non potrei semplicemente avere voglia di vederti?»

Il cuore di Rae perse un battito (ma anche più di uno) mentre cercava di ricordarsi come fare a respirare. Per un momento ci credette davvero ma poi, con un devastante effetto-doccia-fredda, si ricordò di chi aveva davanti. 

«Improbabile. Tu non hai tempo

Elle si concesse un rapido sorrisetto, quasi soddisfatto.

«Già. Ho fatto arrestare Misa Amane. Voglio farla confessare.»

I pensieri di Rae - che fino a quel momento andavano in tutt’altra direzione - iniziarono a correre rapidi, mentre Elle continuava ad osservarla, in attesa di una sua reazione.

«Perché me lo stai dicendo? Ne avevamo già parlato no? Inoltre se anche avessi visto qualcosa - e non è così - non te lo direi mai. Non è ancora il momen…»

In quell’istante una voce femminile, acuta e disperata, irruppe nella stanza.

«Uccidimi!»

Vide Elle irrigidirsi e lei fu colta da una terribile sensazione.

«Uccidimi!»

Le urla si interruppero. Tra di loro cadde un silenzio sgradevole, pesante. Rae ci mise un po’ per dar voce a ciò che pensava.

«Elle… cosa hai fatto esattamente a Misa Amane?» chiese infine incerta, come se non volesse saperlo, o come se lo sapesse fin troppo bene.

Lui parve combattuto per un po’ ma poi, con un sospiro, accese i monitor a cui aveva dato le spalle per tutto il tempo. In realtà si era arreso piuttosto in fretta… come se avesse voluto fin dal principio essere scoperto. Quello che vide la sconcertò: sugli schermi campeggiava Misa completamente immobilizzata, gli occhi coperti e la bocca tappata, il corpo imprigionato ad una barella da delle cinghie e da una specie di camicia di forza. Rae si alzò dal tappeto avvicinandosi agli schermi per vedere meglio, come se uno sguardo ravvicinato rendesse più reale la cosa. Avevano parlato del fatto che la avrebbe arrestata, ma Rae ovviamente credeva che si sarebbe trattato della cella di un carcere… era del tutto impreparata a quello spettacolo raccapricciante.

«Sei… sei…». Annaspò per un po’, senza riuscire a trovare l’aggettivo giusto. «Sai che lei non è il vero Kira!» Una furia cieca iniziò ad infiammarsi dentro di lei. «Lo sai che non lo è, che bisogno c’è di tenerla lì in questo modo, legata e bendata?! Quanto a lungo hai intenzione di lasciarla così?! Non puoi semplicemente chiuderla in una cella?» 

Lo prese per le spalle e lo scrollò, indignata, sconvolta. Lui spalancò appena gli occhi, incredibilmente consapevole di quel contatto così improvviso, ma lei non ci fece caso. Per una volta il suo sguardo era appannato.

«Rispondimi!» gli gridò contro, già sapendo di non poter fare nulla per cambiare la situazione.

«Hai finito?» chiese lui tagliente, impassibile.

Lei aveva ancora le mani sulle sue spalle ma non lo ascoltava quasi mentre, ancora turbata dalla scoperta, cercava di venire a patti con la situazione e con se stessa. Elle allora, forse stanco di osservarla al culmine della sua irrazionalità o forse no, non fece altro che sporgersi verso di lei, coprire quella distanza tra loro che era appena un soffio ed appoggiare le labbra sulle sue. Delicato, deciso, curioso... così rapido che lei non ebbe neppure il tempo di chiudere gli occhi e già si era allontanato.

«Oh.»

Cosa? COSA?!

«Questo, se non altro, dovrebbe averti fatta calmare.»

COOOSA? Rae si sentì improvvisamente stordita. La stava prendendo in giro forse? Calmare? Pensava che baciarla avrebbe fermato tutto quel turbine di emozioni? In verità l’aveva fatta agitare ancora di più, nonostante la sorpresa l’avesse in parte distolta dalla rabbia. Questo pensiero la fece adirare nuovamente. Pensava davvero di poter risolvere tutto con un bacio? Eppure suo malgrado qualcosa le si agitava dentro, qualcosa che la fece arrossire. Il suo cuore, quel traditore, faceva le fusa soddisfatto.

«Sei uno sleale.» 

Così non andava bene, doveva riuscire a recuperare un tono di voce normale.

«Dovresti averlo capito ormai.»

Come diavolo faceva? Rae si disprezzava per essere caduta come una scema nelle spire di quel serpente, infinitamente più abile e pericoloso di lei, che prendeva tutto con distacco e razionalità. Decise di far finta di niente.

«Non mi piace che tu la tenga così. Non è giusto.»

«Lei è il secondo Kira. Non posso rischiare di farle vedere in faccia nessuno, lei stessa non si è opposta alla cattura. Ha ucciso delle persone, Rae, e potenzialmente per quanto ne sappiamo può farlo di nuovo. Tu mi hai detto di fidarmi di te ed io, come ti ho promesso, non le farò niente. Ma dovrò agire come se non sapessi nulla, ovvero fare come farebbe Elle se si ritrovasse per le mani il secondo Kira… ti ricordo che non lavoro da solo. È proprio per questo che aspetto. Oltretutto qui è più al sicuro, ne abbiamo già discusso.»

“È proprio per questo che aspetto”… che voleva dire?

«Non c’è bisogno che tu mi parli come se fossi una bambina.»

«Evidentemente sì.»

Rae si morse un labbro. Che razza di arrogante! Eppure capiva le sue ragioni, del tutto logiche ovviamente… combattere contro di lui su quel piano era fatica sprecata, davvero. Adesso era un po’ più calma. Riteneva ignobile il trattamento riservato a Misa - quasi le dispiaceva per quella ragazza che però, in effetti, era un’assassina - ma probabilmente non c’era altro modo di gestire la situazione. Lei non aveva detto a Elle degli shinigami, di Rem e del patto che avevano stretto… Che in parte fosse pure colpa sua…?

«Per caso hai qualcosa da dirmi?»

«Non ancora.»

Su questo era assolutamente risoluta, anche se probabilmente si era già lasciata sfuggire una miriade di cose… aveva l’impressione che la sua fosse stata una semplice domanda rituale, come se non si aspettasse per davvero una risposta.

«Va bene. Allora puoi anche andare. Volevo solamente metterti al corrente della situazione ed informarti che sto rispettando la mia parola. Non le farò nulla, ma ti consiglio di sbrigati a fare qualsiasi cosa tu abbia in mente.»

Per un momento Elle le osservò le labbra con occhi di pece, profondissimi, esitando impercettibilmente. Poi si allungò bruscamente verso il telefono, chiamò Watari e la fece riportare a casa, mentre lei doveva ancora assimilare bene il tutto e capire cos’era accaduto.

 

 

L

 

Fu solo quando rimase nuovamente da solo che si permise di pensarci. Che cosa diavolo era appena successo? Per un momento la sua mente, sempre perfettamente logica e funzionante, era andata in tilt. Era sempre stato un bugiardo, ma mentire a se stesso era perfettamente inutile, lo aveva capito da tempo. Quel bacio… non l’aveva fatto semplicemente per farla tornare in sé, ma perché era da qualche tempo che voleva farlo. Semplice. D’altronde non sfruttava qualsiasi occasione per andarla a trovare, per parlarle…? A volte andava da lei senza un vero e proprio motivo, giustificandosi col fatto che comunque ogni sua visita gli dava nuovi spunti di riflessione ed informazioni. Se avesse osservato la situazione dall’esterno l’avrebbe chiamata attrazione, eppure non era così facile, non per lui almeno. Se l’aveva fatta venire lì era perché in fondo sperava di essere scoperto… forse perché sentiva che ciò che stava facendo a Misa Amane era effettivamente troppo e aveva bisogno di qualcuno che lo sgridasse, impedendogli di perdere la sua umanità? Si rese conto che lei stava diventando il suo appiglio alla parte migliore di se stesso. Che gli stava succedendo? Da quando in qua gli interessavano le relazioni umane o gli importava di essere eticamente migliore? Perché non riusciva a mantenersi razionale e lucido? Era una vera seccatura. Avrebbe dovuto risolvere la questione oppure non sarebbe riuscito a concentrarsi sul caso.

 

 

8 giugno

R

 

Era quasi ora di cena quando Rem comparve nel suo soggiorno attraversando la parete.

«Hanno arrestato Misa.»

Questa volta Rae fu più discreta nelle sue reazioni. Aprì il frigo, finse di essersi dimenticata di comprare qualcosa. Mise le scarpe. Chiavi, telefono, portafoglio. Borsa. Ripeté meccanicamente i gesti che faceva di solito, poi uscì senza fretta.

«Ho delle telecamere in casa.»

«Lo immaginavo.»

Ah! Finalmente poteva parlare liberamente! Beh, in realtà doveva comunque bisbigliare - altrimenti sarebbe stata presa per una pazza che parla da sola - ma non avere la pressione dello sguardo di Elle puntato addosso era decisamente rinfrescante.

«Sapevo che la avrebbero arrestata, ma Elle mi ha promesso che non le farà del male…»

«E credi di poterti fidare?»
Fiducia, fiducia… era davvero un’arma a doppio taglio, ed un concetto sul quale si era ritrovata a riflettere molto spesso di recente. Forse era un’ingenua, una sconsiderata… ma sì, si fidava. Si fidava di un bugiardo e di un dio della morte. Ok, era decisamente una sconsiderata.

«Sì, lo credo. Anzi, lo so.»

«A dire il vero quando sono andata da Mis...»
« “Andata?” Dunque sei una femmina?»

Certe volte avrebbe fatto bene a tapparsi la bocca, anzi, a cucirsela. Probabilmente non avrebbe dovuto chiedere una cosa del genere così bruscamente, soprattutto non interrompendola, ma ne era rimasta talmente sorpresa che le era scappato… D’altronde non aveva idea di come funzionasse l’educazione tra gli dei della morte. Rem tuttavia non mostrò segni di fastidio.
«No. In realtà gli shinigami non hanno un sesso definito, diciamo che alcuni di noi mantengono determinate caratteristiche e per abitudine ci distinguiamo così…»

«Capisco. Scusa se sono stata invadente.»

Rem la guardò sorpresa. Probabilmente era la prima volta che qualcuno si scusava con lei. Camminavano fianco a fianco - o meglio, Rem fluttuava a mezz’aria accanto a lei - mentre i lampioni si accendevano. Rae era realmente diretta al supermercato per comprare qualcosa (erano dettagli del genere che potevano compromettere la riuscita della sua “copertura”) e le fece uno strano effetto aggirarsi tra i familiari scaffali sotto le luci asettiche mentre al suo fianco c’era uno shinigami che nessuno vedeva tranne lei. 

«Noi uccidiamo tramite i death note - sì, come quello che hai toccato tu - per ottenere anni di vita sottraendoli a voi umani. Basta scriverci sopra il nome del diretto interessato ed il gioco è fatto. Può utilizzarlo anche un umano, a patto che conosca, oltre al nome, pure il volto della sua vittima e senza però allungare la propria esistenza… Certo, l'umano in questione può anche scegliere di fare uno scambio di occhi con lo shinigami, così da riuscire a vedere il nome delle persone con uno sguardo, ma ciò dimezza la durata della sua vita. Io avevo due quaderni ed il secondo l’ho dato a Misa. Light invece è entrato in possesso di quello che Ryuk, un altro shinigami, ha abbandonato sulla terra. Ci sono numerose regole in realtà, ma Yagami si è mostrato molto interessato a quelle riguardanti il possesso e la memoria… se si rinuncia al quaderno si dimentica tutto ciò che gli è connesso, fin quando eventualmente non si rientra di nuovo in contatto col death note o almeno con una parte di esso.»

Erano davvero un sacco di informazioni da assimilare tutte insieme, e per Rae era difficile comportarsi normalmente mentre le ascoltava. Si accorse di essersene rimasta imbambolata davanti ad uno scaffale di salse pronte per almeno cinque minuti buoni. Si voltò di scatto, diretta verso un altro corridoio pieno di prodotti che non avrebbe nemmeno visto. Finse di studiare attentamente l’etichetta di un pacco di biscotti.

«Ho detto a Misa di rinunciare al suo quaderno cedendolo a Yagami, così ha perso tutti i ricordi, rendendo più facile la sua scarcerazione. Quando ho visto Yagami lui ha rinunciato al quaderno di Misa, lo ha dato a me e poi me lo ha fatto dare a Ryuk, che a sua volta lo ha gettato a terra, “riportandolo nel mondo degli umani” dove Yagami lo ha raccolto, riappropriandosene. Infine mi ha dato il suo quaderno originario e mi ha detto di consegnarlo tra un mese ad una persona abbastanza potente ed avida del mondo degli affari, a patto però che continui a scriverci pure i nomi dei criminali. A quel punto me ne sono andata… sai, mi ha detto di fidarmi di lui. In realtà sono sicura che stia facendo in modo di salvarla. Yagami è vincolato ad una condizione che gli ho imposto: se non salverà Misa lo ucciderò.» 

A quelle ultime parole Rae non poté fare a meno di voltarsi a guardarla. Negli occhi dello shinigami c’era un chiaro avvertimento e lei pensò che la sua vita era davvero appesa ad un filo… o meglio, alla sequenza di lettere che formavano il suo nome e che non dovevano essere scritte su nessun quaderno, oppure sarebbe morta. Incredibile con quanta leggerezza ci avesse pensato, come ad una cosa di secondaria importanza.

«Tuttavia non riesco a fidarmi, so che in qualche modo vuole liberarsi di lei.»

All’improvviso la vista le si appannò e lei ebbe una specie di flash. Vide Yagami che seppelliva qualcosa, in un parco. La visione era distorta ed un ormai familiare senso di nausea la assalì, tanto forte che dovette appoggiarsi ad uno scaffale per non cadere.

«Subete ga junchōdesu ka?*»

Una delle commesse le si era avvicinata, guardandola con preoccupazione.

«Hai… arigatō.**»

Afferrò a caso una confezione di yogurt e si affrettò ad andare alla cassa per pagare. Quando uscì accolse con gratitudine l’arietta fresca della sera che le si infranse sul viso. Si incamminò, seguita dallo shinigami che non la perdeva di vista neppure per un attimo.

«Rem… dov’è che tu e Yagami vi siete separati?»

«Era un parco, non ne conosco il nome ma se vuoi posso dirti la strada.»

Un parco eh? Forse…

«E in tutto ciò quest’altro shinigami, questo… Ryuk? Che fine ha fatto?»

«Non so cosa sia successo dopo che me ne sono andata. Credo però che Yagami volesse disfarsi di lui, in qualche modo. Probabilmente rischia troppo… comunque so che Ryuk non gli ha rivelato tutte le regole del death note.» Rem fece una specie di smorfia. «Ha preso tutta la faccenda come un divertimento personale e si comporta da spettatore imparziale, ridendosela come un matto da vero incosciente, perciò non ha favorito Yagami più di tanto.»

Uhm, quella sì che era un’informazione interessante.

«Un’ultima domanda.»

Erano arrivate davanti alla palazzina; la strada era deserta perciò Rae poté permettersi di guardarla apertamente in faccia.

«Se mai dovessi incontrare Ryuk come potrei portarlo dalla mia parte, o almeno attirare la sua attenzione?»

«Mele.»

Rae guardò lo shinigami lievemente confusa. Quella proprio non se l’aspettava.

«…Mele?!»

«Sì, mele. Ne va matto.»

 

 

* Va tutto bene?

** Sì… grazie.





Hello everybody! Vi sono mancata? (tutti: no!) ^^'
Spero che il capitolo vi sia piaciuto... devo dire che Londra ha contribuito a darmi la giusta ispirazione! Che dire, i dettagli e l'attinenza agli avvenimenti del manga sono sempre più difficili da incastrare e far coincidere, io cerco di essere il più esatta possibile ma se ci sono imprecisioni non esitate a segnalarmele e provvederò a rimediare (o almeno ci provo)!
Come sempre vi ringrazio di leggere/seguire/preferire/ecc la mia storia, è bello sapere che a qualcuno interessa ciò che scrivo :') 
Beh, see you on Thursday ~
sofimblack

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Capitolo 15
*** Segni, sogni, realtà ***


XV

Segni, sogni, realtà

 

 

Metà giugno

 

R
 

Era una giornata nuvolosa, di quelle che ogni tanto in estate arrivano spezzando il caldo, soffiando un vento sorprendentemente tagliente. Rae si strinse nel suo maglione leggero mentre camminava nel parco semivuoto, rabbrividendo per il fresco. 

«Pfff… Quanto cavolo manca?!»

“Dopo la fontana svolta a destra, abbandonando il sentiero principale. In uno spiazzo tra le querce. È lì.”

L’immagine di Rem che le spiegava la strada era precisa e dettagliata nella sua mente, ma sarebbe stato senz’altro più comodo se fosse venuta con lei. Dannati shinigami. Finalmente raggiunse e superò la fontana, procedendo spedita tra gli alberi come se avesse percorso quella strada migliaia di volte. Ad un certo punto la assalì la stessa strana sensazione di nausea che la coglieva quando aveva delle premonizioni su Yagami. Doveva essere vicina. Percepiva chiaramente di essere osservata.

Tirò fuori una piccola pala da giardinaggio che si era saggiamente portata dietro ed iniziò a scavare in un punto preciso, imbattendosi poco dopo in qualcosa di duro… in casi come quello avere le sue intuizioni era una vera pacchia. Si trattava di una scatola avvolta dalla plastica, che aprì con mani tremanti. Dentro c’erano un quaderno dalla copertina nera e una lettera. Rae sospirò. Era il momento. Sfiorò appena la copertina col polpastrello, quasi timorosa, quasi insicura delle proprie azioni. Chiuse gli occhi. Fruscio di foglie. Li riaprì.

«So che sei lì, Ryuk .»

«Uffa. Non sei per nulla divertente.»

Lo shinigami che le si parò davanti era diverso da Rem: era vestito di nero, con un paio di spaventose ali scure ed un’immensa bocca piena di denti aguzzi curva in un sorriso inquietante. Rae aveva dato per scontato che fossero tutti uguali, ma a quanto pareva si era sbagliata. Ryuk se ne stava sospeso a mezz’aria osservandola, senza essere più di tanto preoccupato dal fatto che lei sapesse il suo nome, o che non avesse fatto una piega quando le era comparso davanti.

«Sai, credo invece di essere la cosa più divertente che ti sia capitata ultimamente. Non è noioso starsene tutto il giorno tra gli alberi?»

«Forse. Però ogni tanto vengono da queste parti umani interessanti…»

Rae rabbrividì pensando a che genere di persone potessero frequentare quel luogo isolato del parco, soprattutto visto che un dio della morte le riteneva interessanti.

«Ryuk. Ho qualcosa per te.»

A quelle parole lo vide farsi improvvisamente serio.

«Per caso è una mela?»

Con un sorrisetto soddisfatto tirò fuori dalla borsa il frutto in questione, rosso ed invitante. 

«Lo è.»

Lo vide agitarsi, improvvisamente attento, mentre faceva un paio di capriole per aria.

«Oh, Rae, meravigliosa Rae, dammela, dammela! È così tanto che non ne mangio una, quella polpa così succosa, così saporita…»

E così quello era davvero il suo punto debole. Troppo facile.

«Che ne dici di fare un patto, Ryuk?»

Lo shinigami si immobilizzò, gli occhi fissi sulla mela.

«Un patto?»

«Esattamente. Ciò che ti chiedo è davvero poca cosa, te lo assicuro… E se sarai così gentile da aiutarmi ti darò tutte le mele che vuoi.»

«Tu-tutte quelle che voglio? Cominci a starmi simpatica, umana.»

«Allora ci stai?»

 «Sì. Credo che sarà divertente.»

Il ghigno che le riservò, prima di addentare il frutto del peccato, la fece sentire avventata, come una Eva che non aveva imparato proprio niente dai propri sbagli.

 

 

Era notte e Rae dormiva, perduta in mezzo a quel letto enorme. Si stava agitando tra le lenzuola che le restavano impigliate alle gambe, quasi a volerla imprigionare… o proteggere, chissà. I muscoli tesi, le dita ancorate al cuscino. Dopo uno scatto aprì gli occhi, respirando affannosamente. Aveva fatto un sogno strano, che già iniziava a sfuggirle dalla mente. Fluttuava in una specie di dimensione sospesa, circondata da orologi di ogni tipo, come una sorta di Alice caduta nel suo personalissimo tunnel ticchettante. Ad un certo punto un orologio da polso, semplicissimo, le si avvicinò sospeso a mezz’aria. Lei portò la punta delle dita verso l’oggetto ma prima di poterlo anche solo sfiorare, senza produrre alcun suono, si aprì al suo interno una specie di scomparto segreto, con dentro un foglietto. Subito fu colta da una sensazione orribile, e gli orologi iniziarono ad incrinarsi e a cadere. Apparve una scala a chiocciola che scendeva e scendeva verso il buio, e lei si gettò a capofitto per gli scalini. In fondo alla scala c’era una foresta tropicale. Corse a perdifiato fino ad arrivare in riva al mare. Sul bagnasciuga, in controluce, c’era una persona. Non l’avrebbe confusa con nessun altro… era Elle.

 

La mattina seguente alla sua porta comparve Watari, gentile ed impassibile come sempre, evidentemente pronto ad accompagnarla da Elle. Lei era ancora per metà addormentata: aveva passato una notte agitata ed era stanca morta. Aveva fatto dei sogni strani, ma ricordava poco… c’entravano degli orologi però, di quello era sicura. Si vestì in fretta e quando tornò in cucina vide che Watari le aveva preparato il caffè.

«Watari… ti ringrazio, non dovevi.»

«Non si preoccupi, miss, è un piacere.»

Mentre beveva il caffè capì all’improvviso che in realtà l’uomo aveva una certa fretta, nonostante non avesse fatto nulla per farglielo intuire. Come sempre, lo sapeva e basta. Finì rapidamente il caffè, ustionandosi la lingua.

«Sono pronta, andiamo!»

L’hotel, sempre super lussuoso, era diverso dall’altro, così come lo era la camera, ma Elle fissava i soliti schermi e come sempre se ne stava rannicchiato su una sedia, concentrato. Yagami. Misa. Yagami. Non si era neppure voltato quando erano entrati.

«Qualcosa è cambiato. Prima Misa, adesso Yagami. Cos’è che mi sfugge? Sembra che non abbiano idea del perché siano lì…»

Continuava a rimuginare tra sé, evidentemente frustrato. Watari se ne andò e Rae si sedette su uno dei divani che c’erano, aspettando che le dicesse qualcosa. Era ancora sorpresa dal fatto di essere lì, alla nuova sede del segretissimo quartier generale, e che Elle stesse piano piano abbassando le sue difese con lei, mostrando di fidarsi almeno un po'. Tuttavia, dopo cinque minuti buoni in silenzio, si spazientì.

«Perché sono qui?»

«Perché volevo vederti.»

Oh uau, grazie tante...

«Ci sono delle cose che non capisco: perché Misa e Yagami si comportano come se non fossero Kira? Come se non fosse successo niente? Perché sembra davvero che non ricordino più nulla?»

Ecco cos’era. Beh, la risposta era semplicissima: entrambi avevano rinunciato al quaderno… già, peccato che non potesse dirglielo. In tutto ciò lui continuava a darle le spalle, assorto nell’osservare i suoi prigionieri.

«C’è un motivo.»

Alle sue parole lo vide irrigidire appena la schiena.

«Ma come sempre non mi dirai nulla.»

Lei si morse un labbro.

«Non posso, non ancora.»

«E quando?»

«Presto.»

Silenzio. Cinque secondi. Dieci. Venti.

«Sai, inizio ad essere stufo. Non voglio forzare i tempi, ma questa situazione è davvero snervante per me.»

Lo aveva detto col suo solito tono di voce calmo, eppure quell’ultima frase l’aveva colpita dentro. Aveva temuto che prima o poi si sarebbe stancato di lei, coi suoi silenzi e tutti i segreti… Inoltre a dirla tutta rivederlo dopo l’ultima volta le faceva uno strano effetto. Potevano pure evitare l’argomento, eppure lui l’aveva baciata, era accaduto, e la cosa, almeno in lei, aveva smosso qualcosa. Era stato un esperimento? O qualcosa di più? No… non doveva illudersi, non doveva dimenticare perché era lì, dopotutto se l’aveva chiamata era solo per le indagini. Lei doveva vendicarsi in qualche modo di Kira, punto e basta, e tutti quei pensieri futili e superficiali erano del tutto fuori luogo, soprattutto in quel momento. Eppure voleva sapere, voleva capire… perché? 
No, doveva concentrarsi. Sospirò. 
Impossibile. 
Prima doveva risolvere quella questione, o ne sarebbe uscita matta.

 

L

 

«Elle io…»

Fu quello strano tono di voce che finalmente lo fece voltare verso di lei, portandolo a staccare gli occhi dagli schermi perennemente accesi che gli mostravano i tre prigionieri. Rae era seduta sul divano, lo sguardo basso mentre si tormentava le pellicine delle dita ed un’espressione che gli fece quasi -quasi - dimenticare, per la prima volta dopo giorni, il caso Kira. 

«Sì?»

«…no, niente. Sono una stupida, lascia perdere. Mi dispiace non poterti dire nulla per aiutarti con le indagini…»

Ormai la sua curiosità si era risvegliata, non sarebbe bastato quel debole cambio di argomento per farlo desistere. Rae se ne stava lì, l’indecisione stampata in fronte ed un lieve rossore sulle guance. Vederla in quel modo gli fece intuire cosa le stesse passando per la mente… forse perché era una cosa alla quale, nonostante avesse cercato di impedirselo e nonostante le numerose questioni che gli affollavano la mente, pensava pure lui.

«Non ti facevo così codarda, sai? Avanti, dillo.»

Lei gli lanciò un’occhiata di fuoco, proprio come si era aspettato: il suo orgoglio la rendeva almeno in questo prevedibile.

«Perché mi hai baciata?»

Già. Perché? Ci rifletté un momento, passandosi un dito sul labbro inferiore in una sorta di riflesso automatico. Ripensò a quel suo gesto, a come lei lo avesse preso per le spalle, a come lui avesse seguito un istinto che non credeva di possedere. La risposta la sapeva già da un po’, stava solo chiedendosi quanta sincerità potesse permettersi.

«Perché volevo. Per curiosità. Perché, nel caso in cui ti fosse sfuggito, sono un ragazzo anche io.» 

La vide ammutolire davanti a tanta schiettezza, mentre finalmente posava i propri occhi in quelli di lei. 

«Perché voglio capire.»

 

 

R

 

Seriamente riusciva a dirle tutte quelle cose con una noncuranza del genere? La mente di Rae era andata in tilt per qualche secondo, mentre cercava di afferrare qualche parola per sistemarla in modo sensato all’interno di una frase. Panico. Beh, se l’era cercata dopotutto no? Non bisogna mai fare domande delle quali non si è pronti a sentire la risposta.

«E… cosa vuoi capire?»

Cercava di prendere tempo, impantanandosi sempre di più.

«Quello che vuoi capire pure tu. Quello che ti fa tanta paura ammettere.»

Lei rimase in silenzio per un po’. Davvero voleva affrontare quel discorso?

«Perché, a te non fa paura?!»

«No.»

Diamine, doveva smetterla di usare quel tono così sicuro di sé. Era una cosa nuova per lui, no? Per come si comportava, per come aveva imparato a conoscerlo e anche dalle sue parole… era evidente che neppure lui avesse mai provato nulla di simile. Forse analizzare in maniera “obiettiva” le proprie reazioni ed i propri pensieri era il suo modo di affrontare la cosa…?

«Sei il solito bugiardo.»

Lui sorrise impercettibilmente, in una sorta di tacita ammissione, e si alzò dalla sedia, avvicinandosi. Cosa cavolo aveva in mente adesso?

Si accucciò davanti a lei, fissandola a lungo come faceva sempre, pensieroso e magnetico. Come se volesse entrarle nella testa, rubarle ogni pensiero. Rae era immobile. Lui, con una lentezza esasperante, le prese delicatamente il volto con entrambe le mani, per poi attirarla verso di sé. Lei smise per qualche secondo di respirare, sopraffatta dalla quantità di sensazioni che le si stavano scagliando addosso.

Poi. 

La baciò.

Le sue labbra, morbide e fresche, avevano il tocco gentile di chi sta scoprendo qualcosa di nuovo, ma anche una sorta di sicurezza che destabilizzò Rae, annullando qualsiasi sua resistenza, qualsiasi dubbio o paura. Non aveva mai baciato - né era mai stata baciata - così. Divenne un bacio sempre più profondo, sempre più intenso e disperato; lei si era aggrappata alla sua maglia senza neppure rendersene conto e lui, per una volta, pareva del tutto a suo agio col contatto fisico.


Quando si allontanarono Rae si sentì quasi esausta, sopraffatta, come quando fai indigestione di un cibo buonissimo e allora non ne vuoi più sapere nulla, anche se forse è solo perché hai paura che ne vorresti ancora ed ancora ma il tuo corpo non reggerebbe. Aveva le labbra leggermente gonfie ed il suo sapore incastrato nella lingua.
«Interessante. Dunque è questo che vuol dire baciare una persona?»

La guardava dritto negli occhi, sinceramente interessato alla sua risposta. Incredibile, come sospettava quello era stato il suo primo bacio - e a quel pensiero la pervase un certo compiacimento, un sentimento di soddisfazione nell'essere stata proprio lei la prima - eppure com'è che era lui quello più sicuro di sé tra i due? Beh, d'altronde non poteva aspettarsi nulla di diverso... lui era Elle, niente di ciò che lo riguardava poteva essere in alcun modo prevedibile.

«D-dipende.»
«Da cosa?» la incalzò lui, una strana espressione sul volto.
«Beh… da chi è quella persona. Da chi è per te
Lui ci rifletté sopra per qualche momento, perforandola con lo sguardo.

«Già. Sospettavo fosse così…» mormorò poi, un'ombra di tristezza negli occhi.

«E dunque, che hai capito?» chiese lei, riallacciandosi al discorso di prima, fingendo disinvoltura ma già sapendo che non le avrebbe risposto in modo totalmente onesto.
«Ti ho baciata per soddisfare la mia curiosità - capire cosa si prova - e poter tornare a concentrarmi sul caso Kira senza alcun tipo di distrazione. Perciò grazie, e ti assicuro che non capiterà mai più.»

Si era alzato per tornare a sedere davanti agli schermi, senza più degnarla di uno sguardo. Lei quasi se lo era aspettato quel tono freddo, quel cambiamento repentino nel suo modo di fare, eppure non riuscì a non sentirsi ferita. Era come se lei sapesse perfettamente quello che passava per la testa di Elle, ogni pensiero e sentimento, il vero motivo che stava dietro a quelle sue parole… ma questo, invece che essere una sorta di giustificazione, la fece arrabbiare ancora di più. 

«Beh, prego. Adesso devo andare, non voglio “distrarti” oltre.»

E detto questo fu lei, per la prima volta, ad andarsene senza salutare.

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Capitolo 16
*** Carte da decifrare ***


XVI
Carte da decifrare


 

Terza settimana di giugno

R

 

Quando Rae concedeva a se stessa di pensare a tutta la situazione che stava vivendo - ed intendo pensarci davvero, cercando di osservare il tutto da un punto di vista esterno e vagamente obiettivo - le sembrava una cosa totalmente assurda. Forse era davvero pazza. Forse si stava immaginando ogni cosa: gli shinigami, le sue premonizioni, Elle… Forse tutto quello non era reale. Ma in fondo cos’è la realtà? Ogni volta che si permetteva di rifletterci la coglieva un forte senso di vertigine, finché non si appigliava ai punti di riferimento sicuri che aveva e, di certezza in certezza, riusciva a ritrovare la propria lucidità. Suo padre era morto. Kira lo aveva ucciso. Kira uccideva tramite un death note. I death note appartenevano al mondo degli shinigami. “Eh già cara Rae, sarebbe bello se fosse solamente nella tua testa.” E invece no. Tutto ciò era davvero reale. Spaventosamente, disgustosamente reale. 

Seduta sul divano, la finestra del balcone aperta, se ne stava semplicemente lì, immersa nel fumo e nei pensieri. Era notte fonda e lei non riusciva a dormire. Poteva quasi percepire sulla pelle la presenza del death note nella borsa abbandonata sulla sedia… a causa delle telecamere non poteva certo mettersi a sfogliarlo come nulla fosse, ma forse era meglio così. Quell’oggetto le dava i brividi e non soltanto perché riusciva a percepirne il potere maligno. Non aveva osato leggerlo neppure fuori casa e sapeva benissimo il perché: lì sopra c’era scritto il nome di suo padre. La calligrafia ordinata di Yagami aveva tracciato le linee che componevano il suo nome in quella che era una vita fa, provocandogli un arresto cardiaco. Già, “l’arma del delitto” che lo aveva ammazzato era nel suo soggiorno, a pochi metri da lei. Più ci pensava e più rischiava di andare in iperventilazione.
Rabbrividì. Ciò che restava della sigaretta le cadde dalle dita, formando un piccolo foro bruciacchiato sul tappeto per poi spegnersi definitivamente.

 

 

 

L

 

 

Le uccisioni erano ricominciate. Com’era possibile? Forse il potere di Kira era in qualche modo passato da Yagami e Misa ad un terzo Kira? Ovviamente gli agenti avrebbero voluto liberare subito i due prigionieri ma lui non l’aveva permesso. Voleva continuare a studiare Yagami e le sue reazioni, nonostante ormai sembrasse totalmente estraneo al caso Kira e nonostante fosse quasi illogico tenerlo lì. Ma lui era Kira, Elle lo sapeva e dunque certo non poteva liberarlo così facilmente. Pensò a suo padre, l’ispettore Yagami, l’unico in tutta quella storia per cui provasse un insolito sentimento di dispiacere. Lui non si faceva mai coinvolgere personalmente dai casi che seguiva, eppure osservare ogni giorno l’integrità morale di quell’uomo, il suo credere fermamente in valori quali l’onestà e la famiglia, e soprattutto la sua innegabile purezza, avevano inevitabilmente fatto sì che Elle iniziasse a provare una sorta di simpatia nei suoi confronti. Erano molto diversi tra loro ma si rispettavano a vicenda, e collaborare con lui era stato davvero interessante; quando lo osservava starsene nella propria cella in silenzio, logorato dall’idea che suo figlio potesse essere Kira, pensava che quello era lo stesso uomo che si era precipitato alla Sakura TV nonostante fosse in ospedale per impedire che Kira diffondesse il proprio messaggio, e allora quella sensazione tornava a trovarlo. Assisteva ogni giorno al personale dramma di Soichiro Yagami, sentendosi in qualche modo sbagliato per questo; non poteva rispettare la sua privacy, non poteva provargli l’innocenza di suo figlio. Non poteva farci nulla. O meglio, sì che poteva far qualcosa: risolvere il caso, ed in fretta.
Era innegabile che le indagini lo stessero logorando più di qualsiasi altra volta ma al contempo, in una sorta di strana perversione masochista, lo esaltavano. Ogni volta gli pareva di esserci quasi, ed ogni volta tutto gli scivolava via tra le dita, costringendolo a cambiare linea di pensiero, a riaggiustare il tiro. Sorrise tra sé. Tutto ciò era estremamente stimolante, senza dubbio il caso più difficile che gli fosse mai capitato… Il telegiornale passò in quel momento la notizia di altre persone morte per mano di Kira. Il vago sorrisetto gli si spense sul viso e la solita pressione rinnovò il proprio peso sulle sue spalle. Nuove morti. Merda. Lui pensava a quanto fosse eccitante aver trovato un degno avversario e nel frattempo c’era gente che veniva ammazzata perché lui era lento… se solo avesse avuto delle prove. Se solo Rae avesse smesso di tenere per sé tutti i suoi segreti.
Afferrò uno dei biscotti che aveva davanti a sé e lo sbriciolò, senza mangiarne neppure un boccone. Rae. Ovviamente cercava di pensare a lei soltanto in termini puramente razionali e strettamente legati al caso Kira, però… poteva ricordare con esattezza millimetrica ogni singola lentiggine che aveva sulle guance, ogni respiro che avevano condiviso, il suo sapore, lo sguardo ferito ed arrabbiato che gli aveva rivolto l’ultima volta che si erano visti. Si soffermò volutamente su quell’ultimo ricordo. Baciarla era stato un errore. Aveva capito con sorpresa di sentirsi in colpa per le parole che le aveva rivolto, di odiarsi quasi per averle fatto del male, eppure era stata la cosa migliore da fare. Lei era riuscita in qualche modo ad essere l’unica eccezione alla sua regola, ma se lui aveva quella “regola” appiccicata addosso, cucita nel DNA, un motivo c’era. Non era in grado di relazionarsi umanamente con nessun essere vivente per una miriade di motivi - tutti validi e spesso egoisti - in ogni senso possibile, e non poteva permettersi di cambiare tutto ciò per lei. 

 

 

 

Luglio

R

 

«Elle.»

Disse solo quello, solo il suo nome. Rae aveva una strana sfumatura negli occhi, di risolutezza perlopiù, come se avesse scritto in fronte “ci siamo, è il momento”... ed era così, era il momento. Da quando si era svegliata lo aveva saputo, anche se non capiva bene perché proprio quello dovesse essere il giorno giusto per rivelare tutto. Accese il bollitore per prepararsi una tazza di tè, forte come piaceva a lei, mentre si girava l’ennesima sigaretta della giornata. Ormai era estate, poteva stare con le finestre aperte tutto il giorno per fare entrare luce e rumori, mentre camminava scalza per l’appartamento. Quando faceva caldo indossava alcune cavigliere che tintinnavano ad ogni passo, scontrandosi col suo principio di vita del non dare nell’occhio ma al contempo calmandola profondamente con il loro suono. Aveva raccolto i capelli sulla testa con una matita, in una specie di chignon del tutto caotico, e portava una maglia XXL dei Sex Pistols che le arrivava fin sopra alle ginocchia, e che lei indossava come una sorta di vestito dal quale spuntavano le gambe dal colorito chiarissimo.
Dopo almeno due settimane che non si vedevano finalmente Elle era lì, sulla sua porta, le spalle ricurve e le braccia pallide che sbucavano da una t-shirt bianca, le occhiaie sempre più profonde che gli incorniciavano gli occhi - occhi che quel giorno erano particolarmente seri e concentrati. Quando Rae incrociò il suo sguardo sentì una strana sensazione attraversarla, ma non di quelle sovrannaturali: era una sensazione del tutto fisica, una sorta di attrazione magnetica, alla quale però era inutile porre attenzione. Non lo aveva fatto venire lì per quello.
Prese un lungo respiro.
«Tu dovrai morire il 5 novembre, a causa di Misa Amane. Light effettivamente non è più Kira, perché non è più il proprietario del quaderno e dunque ha dimenticato tutto. Gli Shinigami esistono ed io ho a che fare da un po’ di tempo con due di loro.»

Lui, che ancora non aveva avuto il tempo di sedersi né di togliersi le scarpe, rimase immobile dov’era, guardandola sorpreso, macinando tutte quelle informazioni ad una velocità probabilmente insostenibile per chiunque altro. A Rae venne quasi da ridere: era così buffo lì, in piedi, nel bel mezzo del piccolo soggiorno con quell’espressione assurda spiaccicata in faccia…

Credo sia capitato a tutti almeno una volta nella vita di ritrovarsi in una situazione terribilmente seria e di provare però l’incontenibile impulso di perdersi in una risata sguaiata, liberatoria, isterica, decisamente inappropriata. Era quello che sentiva Rae, che finalmente si era tolta quel macigno terribile dal cuore… solo adesso si rendeva realmente conto di quanto le fosse pesato davvero, per tutto quel tempo. Avrebbe voluto correre e ballare e sdraiarsi su un prato e salire sulle montagne russe urlando a pieni polmoni e nuotare in mezzo al mare. Come aveva fatto a tenersi dentro così a lungo un simile peso?

 

 

L

 

Ogni cosa che gli aveva detto andava ad incastrarsi perfettamente tra tutte le sue teorie ed i piccoli tasselli mancanti. La questione Kira sopra ogni altra cosa, ma anche tutto il discorso sugli Shinigami. In realtà aveva già preso in considerazione la loro esistenza, c’erano troppi indizi che lei gli aveva lasciato perché lui potesse ignorarli, nonostante fosse del tutto scettico a riguardo. Sarebbe stato illogico però scartare a priori quell’opzione, soprattutto considerato che pure i poteri di Rae erano sovrannaturali, e quelli aveva avuto modo di verificarli di persona. Il 5 novembre… stranamente quel pensiero non lo sconvolgeva più di tanto. Certo, non desiderava morire e sicuramente non a causa di Misa, eppure era come se l’ennesimo pezzettino fosse andato a sistemarsi nella sua mente. Ovviamente lei lo aveva sempre saputo, sin da quel pomeriggio nel parco, a Winchester. Lui aveva già ipotizzato che potesse trattarsi di qualcosa del genere, eppure quella sua strana tranquillità che gli permetteva di analizzare il tutto in modo obiettivo derivava da qualcos’altro… qualcosa che - si rese conto - era invece del tutto irrazionale. Era come se in qualche modo sentisse che grazie a lei non sarebbe accaduto nulla di male ed alla fine avrebbe vinto, come se lei fosse effettivamente una sorta di protezione da Kira, Misa e tutto il resto. Scacciò via quel pensiero, infastidito. Doveva eliminare i sentimentalismi e concentrarsi sui fatti concreti, o ci avrebbe rimesso la pelle.

 

R

 

Mentre Elle rifletteva sulle sue parole lei prese il tè e portò una sedia sul terrazzo, sulla quale si sedette appoggiando le gambe sul parapetto del balcone. Chiuse gli occhi. Tra le labbra teneva la sigaretta accesa, fumandola con molta calma. Poco dopo sentì il rumore di un’altra sedia trascinarsi accanto a lei e, da un sottile spostamento d’aria, percepì che lui le si era seduto accanto. Riaprì gli occhi, osservandolo. Anche sotto la spietata luce del sole i suoi capelli rimanevano di un nero impossibile, senza alcuna sfumatura.

«Adesso basta coi giochetti. Devi dirmi tutto quello che sai, non voglio omissioni di nessun tipo.»

Lo sguardo che le rivolse la spaventò quasi, congelandola dentro. Era lo sguardo dell’investigatore senza scrupoli, lo sguardo del predatore un attimo prima di uccidere la propria preda. Tutta la leggerezza che aveva provato era fuggita via, rapida. Davvero si era illusa del fatto che, dopo aver sentito quello che aveva da dire, tutto sarebbe rimasto come prima? Lo guardò con attenzione. La schiena curva mentre se ne stava appollaiato sulla sedia, i piedi scalzi, le mani frenetiche. Eppure c’era qualcosa di diverso in lui… ebbe un improvviso lampo di consapevolezza. Si rese finalmente conto che in realtà fino a quel momento l’aveva sempre guardata con un calore particolare negli occhi, riservato a lei sola, anche quando era infastidito o cercava di non mostrarle ciò che pensava… già, anche in quei momenti quel calore speciale era sempre stato lì, e se ne era accorta soltanto adesso che non c’era più. Che stupida, come aveva fatto a non notarlo proprio lei, che si vantava di saper osservare davvero le persone? Lui riusciva a ridimensionarla in tutto: si credeva intelligente, ma non lo era poi così tanto; si credeva attenta, e invece era solamente cieca. La percezione che aveva di se stessa era totalmente sbagliata e sicuramente sopravvalutata. Appoggiò la tazza col tè ancora caldo per terra, con attenzione, senza avere la forza di guardare nuovamente Elle per paura di ritrovarci quello sguardo duro ed impersonale.
«Sì» disse infine, guardando oltre i tetti delle case davanti a loro «ti dirò tutto.»

 

Il pomeriggio scorreva pigramente sotto di loro mentre la gente si godeva una passeggiata, un gelato, la bella stagione. Loro se ne stavano sul terrazzo: lei parlava raccontandogli ogni cosa - Misa, i piani di Light, Rem, i death note - e lui ascoltava, la tazza di tè del tutto dimenticata. 
«Rispiegami con precisione tutti i passaggi dei quaderni tra Light e gli Shinigami. Non tralasciare nulla.»
Fu solamente quando il sole li abbandonò, salutandoli con un ultimo bagliore, che le parole finirono e loro rimasero lì, senza dirsi nulla per un tempo infinito.  

«Dunque?»

Era una domanda stupida e del tutto inutile, Rae lo sapeva bene, ma quel silenzio tra loro che di solito la confortava adesso strideva, la faceva sentire a disagio, e lei voleva distruggerlo ad ogni costo. In tutto ciò, ancora non aveva osato posare nuovamente gli occhi su di lui.

«Tu cosa suggerisci di fare?»

A quella domanda lei non poté fare a meno di alzare la testa, per controllare che lui non la stesse prendendo in giro. Niente, nemmeno l’ombra di un sorriso, aveva ancora quella strana freddezza addosso. Decisamente non stava scherzando.

«La tua sorpresa è del tutto fuori luogo. Credo che il tuo parere abbia un certo peso a questo punto, no? Non è per questo che mi hai cercato? Non volevi forse vendetta? Adesso hai la tua occasione, dimmi cosa pensi di fare.»
Perché le veniva da piangere? Ricacciò indietro da qualche parte quella strana sensazione che le era salita fino in gola, pronta ad uscire… non poteva mostrarsi debole.

«Io… credo che dovremmo liberare Misa. Non c’è modo di incastrarla senza che Rem uccida me, te o entrambi. Però dobbiamo trovare un modo per punire Yagami. Deve pagare per ciò che ha fatto. Ogni singola vita che si è preso, ogni nome che ha scritto… tutti loro devono essere vendicati.»
«E Misa non deve pagare? D’altronde pure lei ha ucciso delle persone.»
Calmo. Insopportabilmente calmo.
«Si ma…»
«…ma non se questo vuol dire rimetterci la vita. Mi pare logico.»

Lei lo osservò bene, cercando di andare oltre quel muro di distacco dietro il quale se ne stava, provando a trovare un qualcosa dell’Elle che credeva di conoscere. Spalancò gli occhi non appena capì. Baka.

«Tu hai un’idea.»
«Sì. Ho un’idea.»

Per una frazione di secondo le parve di vedere sul suo viso la soddisfazione, come accadeva ogni volta che lei capiva qualcosa di lui o dei suoi ragionamenti… ma forse se lo era soltanto immaginato.

«…e hai intenzione di dirmela?»
«Gli daremo una scelta.»
«Non merita una scelta.»

Era una risposta cocciuta ed infantile dettata dall’impulso, se ne rendeva conto pure lei. Si morse un labbro, come ad autoimporsi di fare silenzio.

«Pensa a Light Yagami, dimentica per un momento Kira. Come credi che reagirebbe?»

E Rae, focalizzando la previsione più chiara di tutta la sua vita, seppe esattamente cosa aveva in mente Elle e quale sarebbe stata la reazione di Yagami, e seppe che sarebbe stato punito, e Misa con lui.
E che lei avrebbe davvero ottenuto la sua vendetta.




Ciao a tutti fringuellini! Tranquilli, non mi sono dimenticata di voi ^^
Comunque ATTENZIONE ATTENZIONE... come avrete intuito ci stiamo avviando verso la fine... (tra l'altro non vi ho detto niente nel capitolo scorso, ma potete immaginare l'ansia di descrivere il momento super fluff per eccellenza con a capo di tutto Elle... che dite, era abbastanza IC? paranoia mode: on). Ok, dicevo? Sì, la fine... in realtà mancano ancora diversi capitoli, diciamo che sto iniziando a tirare le fila, mettendo in gioco più o meno tutte le premesse, perciò... eheheheh. L'unico problema, e in questo vi chiedo di avere pazienza, è che probabilmente non riuscirò ad aggiornare come sempre ogni giovedì (infatti, per dire, sto aggiornando di domenica). Questo per due sostanziali motivi: 1) è iniziata la sessione estiva e dunque sono sotto esami (sigh) quindi non ho molto tempo libero a disposizione per poter scrivere; 2) Sono in un periodo in cui diciamo che sono presa -soprattutto mentalmente - da mille cose e dunque non sempre ho la giusta ispirazione... la storia più o meno c'è, è lì nella mia testa, ma non sempre sono in condizione di renderle giustizia mettendola nero su bianco (non so se mi sono spiegata, ehm). Siccome tengo molto a questa storia e tengo molto a scriverla bene (o comunque al meglio delle mie capacità ^^') non voglio tirarla via, trascurando qualcosa o scrivendola con poca voglia, altrimenti sono sicura che non sarei soddisfatta del risultato. Spero che possiate capirmi e che non vi preoccupiate doveste vedere aggiornamenti un po' discontinui, giuro che non vi lascio a bocca asciutta (anche perché, per dire, ho già scritto alcune parti dei capitoli finali, e non vedo l'ora di farvele leggere!!!).
E quindi nulla, ringrazio di cuore voi che avete messo questa ff tra le preferite *-*, le seguite e le ricordate, chi recensisce o comunque mi scrive in privato, spronandomi TANTISSIMO ad andare avanti (sul serio, in parte è grazie a voi se ho deciso di concludere a tutti i costi questa storia) <3, ed infine ringrazio anche chi legge silenziosamente - tranquilli, a volte faccio parte pure io di questa categoria e lo rispetto, anche se vi assicuro che se mai voleste "tirare fuori la voce" sarebbe una cosa per me graditissima. E dunque niente, a presto :)
Un abbraccio

sofimblack

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Capitolo 17
*** Scacco matto ***


XVII

Scacco matto

 

Agosto

R

 

Dopo aver confessato tutto a Elle si era sentita enormemente sollevata. Era orgogliosa di ciò che era riuscita a portare avanti in quei mesi - sicuramente il suo intervento sarebbe stato decisivo per le indagini - e finalmente avrebbe potuto vendicare la morte di suo padre. Ma a dirla tutta adesso che aveva “delegato” a Elle ogni responsabilità si sentiva meglio... persino le premonizioni ed i sogni si erano fatti meno intensi e frequenti. Era un pensiero sicuramente meschino ed egoista, in fondo quella sua sorta di leggerezza andava ad appesantire Elle, ma non poteva mentire a se stessa: era stato davvero liberatorio. Al contempo però, una strana tristezza si era impossessata di lei. Era sciocco, eppure pensare che sarebbe finito tutto, che sarebbe dovuta tornare alla vita di sempre, la spaventava. In quei mesi sentiva di essere cresciuta, si era messa in discussione, aveva dovuto affrontare cose da cui fuggiva da anni, ed era sicuramente diversa. Sarebbe stata in grado di ritornare in Inghilterra e di riprendere le sue vecchie abitudini? Sarebbe stata in grado - e questo era una microscopica vocina dentro di lei che glielo chiedeva, una vocina insopportabile che voleva ignorare a tutti i costi ma che invece se ne stava sempre lì a tormentarla - sarebbe stata in grado di accettare… di non vederlo mai più? Finalmente lo aveva ammesso a se stessa. A lei piaceva Elle, le piaceva davvero, per motivi assurdi ed incomprensibili e giusti, ma non poteva evitare di sentirsi in colpa, perché quel candido sentimento così ostinato e ignorato si era macchiato del suo egoismo. Le era piaciuto essere al suo fianco, l’idea che lui potesse avere bisogno di lei, e forse era per quello che aveva aspettato così a lungo prima di dirgli tutto ciò che sapeva sugli shinigami e tutto il resto… a pensarlo si sentiva uno schifo. Che razza di persona era? C’erano in gioco le vite di centinaia di persone e lei invece aveva fatto tutto per se stessa. Per il suo bisogno di vendetta, per la sua soddisfazione personale, per il suo egoistico bisogno di Elle. Aveva faticosamente ammesso tutto ciò nella sua testa, accettandolo, e contemporaneamente capendo che era finito tutto e che non poteva né doveva farci niente. Era impossibile dimenticarsi dell’ultima volta che si erano visti, dello sguardo freddo e distaccato che lui aveva mantenuto per tutto il tempo. Lei non aveva mai avuto davvero una possibilità, si era immaginata tutto. Per lui era stata soltanto un nuovo esperimento, uno strano fenomeno da analizzare... chissà, magari per qualche momento Elle aveva provato pure una sorta di interesse nei suoi confronti, ma non aveva importanza in fondo. Tutto ciò adesso non esisteva più.

Se ne stava rannicchiata sul divano nel posto dove di solito sedeva lui, un cd nello stereo che continuava a ripetersi in loop… che razza di patetica. Aveva fatto tutto da sola, perciò poteva biasimare soltanto se stessa per sentirsi così. Basta. Si alzò di scatto, infilandosi in fretta le scarpe ed uscendo di casa sbattendo la porta. Si domandò distrattamente se adesso Elle stesse continuando a guardarla, ma sapeva che no, non lo faceva più. I suoi passi la guidarono verso un quartiere a lei sconosciuto, senza che lei facesse più di tanto caso alla strada percorsa, finché non raggiunse una panchina tra due alberi. Ci si sedette, limitandosi per un po' ad osservare la gente come aveva sempre fatto; poi, finalmente, mise a fuoco il mondo attorno a sé e si chiese dove cavolo fosse finita.
Si alzò in piedi di scatto, cercando un qualche punto di riferimento. Cercava di mantenere la calma, ma stava miseramente fallendo. Tornò in fretta sui suoi passi, arrivando all'incrocio dal quale era sicuramente arrivata… lei aveva percorso la strada sulla sinistra, giusto? Una sgradevole sensazione di panico le si insinuò sotto la pelle. Non le era mai capitato di perdersi, mai, e adesso si ritrovava in un luogo sconosciuto senza avere la più pallida idea di dove fosse. Ansia. Iperventilazione. Merda. Cosa cavolo poteva fare? Avrebbe potuto chiedere delle indicazioni ad un passante, cercare una fermata dell’autobus dove ci fosse stata una cartina oppure un internet point*, qualunque cosa… tutto ciò se fosse stata sufficientemente lucida per pensarlo. Con mani tremanti tirò fuori il telefono, e compose un numero.

 

 

*Chiaramente all'epoca dei fatti di DN non c'erano i telefoni con google maps.

 

L

 

Dopo che lei gli aveva raccontato ogni cosa e tutti i tasselli erano andati al posto giusto, Elle aveva rapidamente ideato un piano. L’idea gli era venuta mentre lei gli stava ancora parlando sul suo balcone, ben attenta a non guardarlo negli occhi… Elle scacciò via quel pensiero, pescando distrattamente un pocky** al matcha dalla scatola che aveva davanti. Per una volta attorno a lui tutto taceva, non c’era nessun altro nella sala di controllo e questo gli regalava un po’ di pace mentale; il silenzio era tale che riuscì addirittura a sentire un telefono squillare al piano di sotto. Ancora masticando il pocky si alzò, vagando per la stanza a piedi scalzi e riflettendo.
Sapeva di non poter agire come se quello fosse un caso qualsiasi - non lo era mai stato - e sapeva anche che doveva procedere con estrema cautela. Shinigami. Un passo falso e saltava tutto. Un passo falso, ed erano morti. No, se la sarebbe giocata bene, con astuzia. 

Al momento stava lavorando al caso del terzo Kira, facendo attenzione a non mostrare di sapere troppo. Grazie a Rem aveva capito perfettamente le mosse e soprattutto le intenzioni di Yagami, ma le avrebbe sfruttate a suo vantaggio. In un certo senso era ammirato da lui: aveva pensato a tutto, prevedendo le mosse di ciascuno di loro e calcolando con estrema precisione ogni singola variabile. Sarebbe morto per davvero il 5 novembre, se non fosse stato per Rae. Di nuovo cercò di non pensarci, di non pensare a lei. Affinché la sua idea funzionasse doveva collaborare fianco a fianco con Yagami, almeno per un po’, perciò lo aveva portato al nuovo Quartiere Generale, quello definitivo, e da lì si stavano dedicando alle indagini. Aveva fatto uscire pure Misa, sia perché sarebbe stato illogico liberare solo uno di loro, sia per fare in modo che Rem si rilassasse e non facesse troppe pressioni su Rae. Ah, Misa. Il fatto che fosse lì era ottimo per tenerla comunque sotto controllo, ma averla sempre tra i piedi lo infastidiva infinitamente, nonostante cercasse di non mostrarlo… Beh, se tutto fosse andato come pensava, presto la partita si sarebbe chiusa.
Scacco matto.

 

 

*I pocky sono i mikado, ribattezzati così per noi occidentali, ed in Giappone ne esistono ovviamente dai gusti più disparati tra cui, appunto, il matcha (che è il tè verde)

R

 

Non aveva idea di come fosse stato possibile, ma dopo nemmeno dieci minuti davanti a lei era comparsa una familiare Rolls Royce nera, dalla quale era uscito un distinto signore. Com’era riuscito a trovarla? Eppure, non aveva avuto il minimo dubbio che ce l’avrebbe fatta. Come Elle aveva immaginato tanti mesi prima non lo aveva mai chiamato, non aveva mai osato disturbarlo e solitamente aveva sempre cercato di cavarsela da sola, eppure in quel momento di fragilità le era venuto estremamente naturale chiedergli aiuto.
«Va tutto bene, miss…?»
Rae, in un impeto di sollievo, abbracciò Watari, che si permise una rapida carezza da padre gentile sui suoi capelli prima che lei realizzasse all’improvviso la stranezza e l’imbarazzo di quella situazione.
«Chiedo scusa, io…»
Lui sorrise, lo sguardo indecifrabile.
«Va tutto bene. La riporto a casa.»
Rae annuì, sedendosi sul sedile di pelle posteriore ed affidandosi alla guida prudente di Watari. Nonostante tutto, la terribile sensazione di smarrimento era rimasta in lei:

…qual era per davvero casa sua?





Ciao a tutti! Rieccomi qua, dopo una luuunga assenza... lo so, sono imperdonabile, chiedo scusa. Anche se avevo annunciato che sarei stata discontinua non credevo lo sarei stata così tanto, e per di più son tornata con un capitolo tutto sommato cortino... gaaah, sono pessima :(
A mia discolpa, oltre agli esami ho avuto alcuni problemi personali - che in realtà in parte sto cercando ancora di risolvere - che mi hanno impedito di pubblicare, oltre ad una sorta di blocco dello scrittore .-. Combo micidiale.
Comunque basta parlare di ste cose che non credo vi interessino, la cosa importante è che voglio ringraziarvi per la pazienza infinita ^^ e, siccome siete qui, per aver continuato a leggere <3.
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre ogni parere/idea/suggerimento è super accetto :)
A presto, spero ~

sofimblack

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Capitolo 18
*** Le bugie risiedono negli occhi ***


XVIII

 

Le bugie risiedono negli occhi

Agosto


 

R
 

I giorni si susseguivano senza che ci fosse alcun cambiamento, né interno né esterno. Rae non aveva niente da fare e probabilmente avrebbe dovuto sfruttare quelle ultime settimane in Giappone andando in giro, godendosi la città… ed invece se ne stava chiusa in casa, uscendo nel torrido caldo estivo soltanto per comprarsi della birra fresca, cibo o tabacco, e limitandosi a passare le giornate in una sorta di apatia, letteralmente consumando Dookie ed Insomniac. Sapeva che Elle stava collaborando con Yagami sul caso del terzo Kira ma per il resto non aveva idea di ciò che stesse accadendo, e certo lui non si era preoccupato di informarla. Le aveva detto che l'avrebbe coinvolta al momento decisivo delle indagini ma per adesso pareva si fosse dimenticato di lei… era arrivata quasi a rimpiangere la stramba compagnia degli shinigami, che ormai non vedeva da giorni: Rem seguiva le indagini da vicino, vincolata al quaderno - e dunque al terzo Kira - ed interessata unicamente al destino di Misa. Ryuk, dopo averle dato tutte le informazioni che lei gli aveva chiesto riguardo ai quaderni, a Yagami e a qualsiasi cosa le fosse venuta in mente, se ne era andato pure lui, incuriosito da come sarebbe andata a finire la vicenda. Probabilmente in quell’esatto momento se ne stava a fluttuare al Quartier Generale col suo solito ghigno stampato in faccia mentre lei, che dopotutto era il motivo per il quale gli eventi stavano andando in quella determinata direzione, era rinchiusa in quell’appartamento, totalmente all’oscuro di tutto. Era seccante. Ancora una volta dipendeva da Elle e, considerato quant’era scostante - soprattutto adesso -, probabilmente avrebbe dovuto aspettare un bel po’ di tempo prima di essere presa in considerazione. Elle. Quasi le veniva la nausea a pensarci: non faceva altro da giorni, tormentandosi con l’idea di lui… avrebbe voluto svitarsi la testa, appoggiarla su un tavolino ed andare a farsi una bella passeggiata, senza quell’incessante pensiero che la assillava tutto il giorno, impedendole di dormire bene o anche solo di godersi la vita. Ogni singola, fottutissima cosa rimandava a lui. Era costante sottofondo.
Rae si sentiva come una belva feroce costretta in una gabbia minuscola.

 

Fu in quel periodo che conobbe Sachiko.
Era una ragazza un po’ strana ma sempre molto gentile che lavorava nel piccolo supermercato vicino casa sua; erano mesi che Rae ci andava perciò alla fine fu inevitabile scambiarsi qualche parola e da lì fare conoscenza. Doveva essere evidente il suo malessere esistenziale: aveva l’impressione che in realtà Sachiko avesse attaccato bottone con lei solo perché aveva stampata in faccia la classica espressione da cucciolo abbandonato. Rae, sia perché era riservata per natura, sia perché certo non poteva mettersi a raccontare di Elle, di Kira e degli shinigami, non le aveva detto granché su di sé, ma l’altra l’aveva rispettato, riempiendo i suoi silenzi tormentati con aneddoti assurdi e con la sua risata cristallina. Sachiko portava un caschetto di capelli rosa con la frangetta ed aveva un anellino d’argento al naso; Rae aveva avuto sin da subito una sensazione positiva nei suoi confronti. Soprattutto, parlava un inglese decente, il che era una cosa non da poco. Non che fossero grandi amiche, però era una persona piacevole con cui parlare e magari passare qualche ora lontana dai propri pensieri ossessivi.
Ricominciò anche a fumare erba, cosa che non faceva da un bel po’. Sachiko aveva certi amici che la coltivavano e così, tra un discorso e l’altro, si era ritrovata a fumare con lei e alla fine ne aveva comprata un po’. La aiutava a dormire, a scervellarsi di meno, e comunque ormai non doveva più preoccuparsi della reazione di Elle... no?
In realtà, in una piccola ed ignobile parte di se stessa, quasi ci sperava che le dicesse qualcosa, che in realtà stesse continuando ad osservarla e si preoccupasse per lei. Sapeva perfettamente che lui era contrario a qualsiasi cosa alterasse e rallentasse la capacità di ragionare e che se avesse saputo cosa stava facendo si sarebbe arrabbiato. O meglio, se non altro prima sarebbe stato così, ma adesso? Adesso che l’indagine sul caso Kira era al suo apice, adesso che stava attuando il suo piano… perché mai lui avrebbe dovuto interessarsi a lei? Certo, Rae aveva avuto modo di vedere anche il lato più “umano” di Elle, ma in quel momento esisteva solo l’Elle spietato, l’Elle detective, l’Elle che certo non avrebbe perso tempo in cose futili e che si era chiaramente manifestato con quello sguardo a lei estraneo che le dava i brividi.
Quella di Rae era una miserabile, disperata e probabilmente vana richiesta di attenzioni, lo sapeva bene, ma continuava a giustificarsi con se stessa dicendosi che in fondo fumava soltanto perché le andava e perché attutiva le sue percezioni, facendola finalmente rilassare. Ma sotto sotto, nel profondo, si sentiva una vera patetica.

 

Era sera tardi quando bussarono alla porta. Rae, nonostante avesse fumato tutto il pomeriggio, ancora non dormiva, come se le sue premonizioni ormai costantemente appannate le avessero comunque fatto intuire qualcosa, penetrando quella barriera di autodifesa dietro la quale si era barricata. Quasi non poteva crederci. Era lui, lo sapeva ancora prima di alzarsi, ancora prima di andare ad aprire e ritrovarselo davanti. Se ne stava in piedi davanti alla sua porta, una mano che si massaggiava la nuca, i capelli arruffati e le spalle leggermente ricurve, le scarpe calzate a mo’ di ciabatte. Rae sapeva che era sbagliato - c’era in gioco qualcosa di decisamente più importante in ballo! - ma la parte più debole (o forse semplicemente più umana?) di sé non poté fare a meno di gioire almeno un po’: allora la stava ancora tenendo d’occhio! Sapeva anche che sicuramente lui era infuriato con lei eppure non le importava niente, erano passati troppi giorni sbiaditi senza vederlo per preoccuparsi delle conseguenze di quel suo gesto infantile; in quel momento le bastava che lui fosse lì, reale, per lei. E quando lo guardò, quasi timorosa, non trovò il gelo che temeva.
Nei suoi occhi c’era il fuoco.

 

L     

 

Entrò nell’appartamento senza neppure salutarla, come sempre. La sua espressione era sprezzante, indifferente quasi, eppure tutto dentro di lui era caos. Appena l’aveva vista aveva provato una sensazione familiare allo stomaco, come se fosse finalmente tornato a casa dopo un tempo infinito, e si era reso conto di quanto in realtà avesse desiderato rivederla… e sapeva anche che lei lo aveva intuito. Si era lasciato osservare dentro per la durata di uno sguardo ma a lei era sicuramente bastato per capire ciò che gli era passato per la testa. Si biasimò per questa debolezza, anche se aveva capito ormai da tempo che con lei non giocava ad armi pari, con lei non poteva mentire mai.
Ok, basta, non era andato lì per meri sentimentalismi.

«Presumo tu sappia perché sono qui perciò direi di evitare qualsiasi inutile spreco di tempo ed arrivare dritti al punto. Ho bisogno che adesso tu mi dia il Death Note.»

Lei fece un’espressione strana, a metà tra il sorpreso ed il dispiaciuto, per poi cercare di mascherarla subito. Beh, lui non poteva mentire ma lei non era effettivamente in grado di farlo perciò, riflettendoci meglio, quella era in realtà la prima volta che fronteggiava qualcuno ad armi pari.
«Certo, il Death Note. Aspettami qui.»
La osservò sparire in camera sua mentre lui continuava a stare in piedi vicino al divano. Non si sarebbe seduto, quella sarebbe stata una visita breve. E allora perché cavolo era voluto andare lui di persona? Perché non aveva semplicemente delegato a Watari? C’erano cose ben più importanti in gioco, non era da lui perdere tempo così. Stava permettendo a cose futili come le emozioni di interferire in un momento in cui tutta la sua attenzione era richiesta dal piano per incastrare Yagami. Lei tornò nel soggiorno e gli porse in fretta una scatola avvolta in una busta di plastica. La teneva lontana da sé e sembrava avesse voglia di liberarsene alla svelta, e lui ne comprendeva i motivi. Per lei doveva essere stato difficile avere costantemente sotto il naso lo strumento che aveva ucciso suo padre… eppure era una cosa del tutto irrazionale. Era Kira che doveva odiare, colui che aveva emesso la sentenza di morte, non un quaderno che, di per sé, non aveva colpe.
«Ecco qua.»

Rae continuava ad indossare quell’espressione strana e allora, quasi controvoglia, Elle permise a sé stesso di analizzare la situazione, come a giustificare il fatto di essere lì. Si chiese cosa potesse essere accaduto nel periodo in cui non l’aveva osservata… lei non usciva quasi mai, aveva una routine piuttosto precisa. Musica, cibo, sigarette, libri. Eppure… la scrutò, frugandole dentro senza remore o scrupoli, tenendo in mano la scatola col Death Note senza accennare minimamente a muoversi di lì. E allora nei suoi occhi scorse qualcos’altro, qualcosa che sembrava… colpevolezza? Perché mai doveva…? Oh. Era ovvio.
«Mi pareva di averti già detto di non volere che tu facessi uso di alcool o sostanze durante il caso.»
Lei sbuffò, beffarda.
«Beh, ma tanto il caso è ormai concluso, no? Che ti importa?»
Ah-ha. Dunque aveva fatto centro.
«Credevo tu volessi arrivare fino alla fine».
Calmo, serafico. Tagliente.
Lei si adombrò un poco.
«E che differenza fa? Tanto non mi dici nulla comunque…»
Così adesso conosceva pure la causa scatenante. Era stato fin troppo facile.
«Dunque è tutto qui il problema. Hai semplicemente bisogno di attenzioni, non sopporti di essere stata messa da parte. »
Rae spalancò gli occhi, colta in flagrante. Lì per lì pareva decisa a non rispondere ma poi evidentemente il suo orgoglio ebbe la meglio, spingendola a ribattere.
«Hai idea di cosa voglia dire non sapere niente? Di quanto sia frustrante avere solamente un vago sentore di quello che sta succedendo, nonostante sia una cosa terribilmente importante?»
«Sì. Ne ho un’idea decisamente precisa in realtà.»
Lo aveva detto in modo del tutto tranquillo ma lei arrossì, forse rendendosi conto che era così che probabilmente si era sentito lui in tutti quei mesi di mezze frasi ed indizi vaghi da parte sua.
«Beh, io non sono come te.»
«Lo so, e per fortuna. Non voglio che tu sia come me, tu sei…»
Sospirò. Basta giochetti.
«Senti. Sei libera di fare quello che vuoi, ovviamente. Ma preferirei che tu non ti mettessi i bastoni tra le ruote da sola, è una cosa davvero stupida. Devi essere sveglia, cosciente di ciò che pensi, delle percezioni che hai. Sei sufficientemente intelligente da sapere che ignorare le cose è da vigliacchi e non risolve nulla. Alterare la tua mente non risolve nulla.»

 

 

Come riusciva ad essere in grado di irritarla ed al contempo ammutolirla con poche parole? Ogni volta che si vedevano lei provava un insieme di emozioni talmente diverse tra loro che spesso la lasciavano spossata. Sapere che lui non era andato lì per lei l’aveva ferita in un modo del tutto sciocco ed irrazionale. Era il caso Kira quello! C’erano delle persone di mezzo, esseri umani che morivano, anche in quel momento… era necessario che lui dedicasse tutta la sua attenzione alla questione, lei non poteva mettersi a fare i capricci come una bambina. Aveva cercato di camuffare questi suoi pensieri ma lui non c’era cascato neppure per un secondo - non poteva aspettarsi niente di meno - e quando l’aveva smascherata in tutta la sua infantile meschinità si era vergognata immensamente. Eppure era curioso, non sembrava che la stesse giudicando. Semplicemente coglieva ciò che lei era e lo diceva ad alta voce, destabilizzandola, ma (almeno in apparenza) senza realmente biasimare nessuno dei suoi comportamenti, per quanto ignobili. Perché forse, lui la accettava anche così e in realtà si stava semplicemente preoccupando per lei. Perché forse, lui sapeva di non poter condannare certe debolezze umane e perché forse, ma solo forse, anche lui si rendeva conto di possederne alcune. Tutte queste considerazioni però accaddero ad un livello talmente inconscio della sua mente che Rae non ci fece troppo caso.

«Vorrei solo che tu mi rendessi partecipe di ciò che sta succedendo.»
«Ne sei sicura?»

Era tornato al solito tono di voce neutro. A Rae non sfuggiva nessuna delle implicazioni di quella domanda ma nonostante questo sì, era sicura. Anche se ciò voleva dire che sarebbe stata ancora più dura ritornare in Inghilterra. Questa cosa andava a prescindere dai suoi sentimenti, semplicemente ormai voleva concludere la vicenda e farne parte, come era stato fino a quel momento e come era giusto che fosse.

«Sì.»
«Ok. Allora faremo come vuoi tu.»

 

L    

 

La stanza era illuminata da una forte luce artificiale bianca che quasi faceva male agli occhi.
Ovunque telecamere e microfoni nascosti; al centro, un tavolo con due sedie, una di fronte all’altra.
Silenzio. Dopo un po’ l'unica porta incastonata nella parete si aprì: Light Yagami fu scortato dentro e gli fu detto di sedere, per poi essere lasciato solo. Era visibilmente confuso e, sotto l’impietoso sguardo di quella luce asettica, si potevano ancora notare su di lui gli effetti della lunga prigionia, nonostante fossero già passate almeno due settimane… i capelli solitamente lucidi erano spenti e sciupati e sul suo sguardo pesava il tempo trascorso in cella. Elle e Rae lo osservavano con attenzione tramite uno schermo mentre l'altro si sedeva, evidentemente domandandosi cosa fosse tutta quella storia. Sul tavolo davanti a lui, monolitico nella sua presenza, c’era il Death Note.
Aver collaborato con lui al caso del terzo Kira aveva permesso ad Elle di comprendere più a fondo chi fosse senza l'influenza del Death Note e, neppure troppo sorprendentemente, aveva trovato in lui un compagno di indagini efficiente, scaltro e soprattutto con un forte senso di integrità. Vedeva in lui la forte impronta del padre, del tutto assente quando invece era in possesso del Death Note, la qual cosa confermava la sua teoria permettendogli di proseguire con il suo piano.
Elle avvicinò le labbra al microfono collegato alla stanza, mentre Rae lo osservava con gli occhi spalancati, spettatrice silenziosa ma attenta.
«Buonasera Light. Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»

Yagami sussultò appena quando la sua voce gli invase le orecchie, ma si riprese in fretta.

«Cosa dovrei fare?»
«Tocca il quaderno.»
Si vedeva che era vagamente confuso eppure fece comunque come gli era stato detto. Elle era tesissimo mentre lo osservava avvicinare la mano al Death Note, proteso verso lo schermo e attento a cogliere ogni minima sfumatura e mutamento sul suo volto. E se non avesse funzionato? Non appena la superficie del polpastrello di Yagami toccò quella del quaderno Elle lo vide irrigidirsi appena, restando immobile per qualche secondo come sotto shock, lo sguardo improvvisamente affilato, feroce. La stessa espressione che aveva sempre avuto, prima che dimenticasse tutto… in quel momento Light non aveva potuto dissimulare perché lui stesso non era preparato a quello che sarebbe accaduto e lui, Elle, lo aveva colto con le mani nel sacco. Bingo.
«Bene, adesso allontanati dal quaderno.»

Light cercò con lo sguardo le telecamere, senza però staccarsi dal quaderno. La sua espressione era tornata indecifrabile eppure Elle poteva quasi percepire i pensieri dell’altro. Kira era tornato, Kira era lui. Lo aveva fregato, lo sapevano entrambi, ed un netto sentimento di soddisfazione faceva le fusa nel suo petto.

«Ho detto di allontanarti dal quaderno.»

Riluttante, Light staccò il dito dalla copertina ed il suo sguardo tornò confuso, ogni traccia di crudeltà svanita dagli occhi.

«Cosa…?»

Perfetto. Ogni cosa stava andando secondo i piani. Tutto ciò non costituiva ancora una prova, ma il suo scopo non era di incastrarlo subito bensì di agire con calma, cauto ma inesorabile, stringendo sempre di più Yagami in una sorta di cerchio psicologico che lo avrebbe fatto crollare. Instillargli nel cervello piccole gocce di dubbio.

«Tu sei Kira.»

«Cosa? Kira? Che stai dicendo? Io non sono Kira, lo sai bene, mi fatto liberare perché sono innocente! Inoltre non è possibile che io sia lui, lui uccideva mentre io ero in cella e…»

Elle si prese del tempo per rispondere mentre l’altro dava segni di impazienza, continuando a professare la sua innocenza.

«So che Kira utilizza un quaderno per uccidere, ne ho le prove. Ad essere esatti, utilizza proprio il quaderno che hai davanti.»
“Le prove”. Che bugiardo. Ma lui non poteva saperlo.

«Un quaderno? Cosa signif…»

«L’orologio che hai tenuto al polso tutto questo tempo. Ha uno scomparto segreto?»

Non era molto professionale, lo sapeva, eppure non poteva fare a meno di provare una sorta di perverso divertimento nel confondere Yagami, apparentemente saltando da un argomento all’altro. Rae in tutto ciò non fiatava, assolutamente silenziosa come aveva promesso che sarebbe stata, totalmente assorbita dal confronto tra loro due.

«Sì ma non ci ho mai messo niente…»

«Aprilo.»

Con le mani che tremavano leggermente Light lo aprì. Spalancò gli occhi: dentro c’erano un foglietto ed un ago.

«Devi sapere che quando un proprietario del quaderno rinuncia al suo possesso perde subito tutti i ricordi legati ad esso. Eppure, semmai dovesse entrarci di nuovo in contatto -anche solo con una sua parte, come nel caso di quel foglietto -, ricorderà ogni cosa ad esso legato. Perciò adesso voglio che tu lo tocchi.»

 

 

Y

 

Cosa diavolo stava dicendo? Tendenzialmente Light era rapido nei suoi ragionamenti ma quella situazione lo aveva colto totalmente impreparato. Elle, che ultimamente pareva quasi convinto della sua innocenza, gli stava adesso dicendo che lui era Kira, senza alcun dubbio… ma tutto ciò era impossibile. Certo, qualche volta lo aveva sfiorato il pensiero che uccidere i malvagi per creare un mondo più giusto non fosse una cattiva idea, ma da lì ad uccidere sul serio… c’erano numerose prove della sua innocenza, primo su tutti il fatto che nonostante fosse stato spiato, pedinato e addirittura incarcerato le uccisioni erano continuate, anche quando sarebbe stato impossibile per lui fare alcunché. Inoltre avrebbe sicuramente ricordato di aver ucciso centinaia di persone. Lui non era un serial killer. Eppure all’interno del suo orologio c’era davvero un foglietto... ma forse era tutto un trucco. Magari mentre era stato imprigionato gli avevano messo quel foglietto nell'orologio mentre dormiva e adesso Elle aveva architettato tutto ciò per metterlo alla prova. Era per questo che gli aveva fatto toccare il quaderno? In fondo non era successo assolutamente nulla, era solo uno stupido quaderno… inoltre era ridicolo, uccidere con un pezzo di carta. Forse Elle stava perdendo colpi. Alla fine quasi spazientito toccò il foglietto, sbuffando.

Impossibile definire la sensazione che lo colse, anche se in effetti adesso ricordava di averla già provata solo pochi minuti prima. Riaffiorarono i ricordi tutti insieme, prepotenti, pesanti. Il suo cervello accolse tutte quelle informazioni in pochi secondi, di nuovo. No, no NO! Dannazione, non doveva andare così! Com’era possibile? Come aveva fatto Elle a capire dei Death Note? Maledizione! Non tentò neppure di mascherare l’odio e la frustrazione che provava in quel momento, ormai era lampante che Elle sapeva. Nonostante tutto ancora non conosceva il suo nome, non poteva ucciderlo… e neppure Misa, perché neanche lei era Kira al momento. Rem ancora non aveva fatto il suo ingresso in scena e lei non aveva più gli occhi. Cosa doveva fare? Lo avevano incastrato per davvero? No, non poteva perdere così. Doveva farsi venire in mente qualcosa, ed in fretta. Lui era Kira e quella non sarebbe stata la sua fine.






LO SO LO SO LO SO sono imperdonabile... due mesi!! Sono sparita per DUEMESI!!! Vi chiedo sinceramente scusa, non si fa ._. *mi prostro ai vostri piedi implorando pietà*
Detto ciò... ciao! :) 
Ai lettori che seguono la storia dall'inizio e che adesso stanno leggendo queste parole, dimostrando di aver avuto un'incredibile pazienza (e di nuovo, chiedo perdooono T_T)... BEN RITROVATI <3! Ai lettori nuovi invece... BENVENUTI :D! Mi siete mancati, anche se data la mia lunga assenza può non essere sembrato... eppure, nonostante fossi sparita, mi avete scritto e avete continuato a leggere la mia storia, perciò GRAZIE per il sostegno, siete stati davvero carini e mi ha fatto tanto tanto piacere :') [e un ringraziamento speciale va a _lucibrido_, che nonostante la mia latitanza non ha perso comunque le speranze xD]

Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, credo si veda la differenza dagli ultimi che avevo pubblicato (non solo per la lunghezza ma - spero - anche per i contenuti)... fatemi sapere se vi è piaciuto! Nonostante tutto questa pausa di riflessione mi è servita e sono tornata super ispirata (tant'è che non vedo l'ora di farvi leggere i nuovi capitoli che sto scrivendo ^^) quindi non temete, non sparirò di nuovo, lo prometto! Non posso invece promettervi che sarò super precisa con gli aggiornamenti perché ho pur sempre un sacco di cose da fare... non so per voi ma per me settembre, per quanto bello, è un mese molto impegnativo! Però cercherò di non far passare più di dieci giorni tra una pubblicazione e l'altra, ok? 

Dunque vi saluto e vi mando un mega abbraccio :)
sofimblack

 

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Capitolo 19
*** Help ***


XIX

Help

Agosto

 

L

 

Le informazioni che Rae gli aveva dato erano state decisamente essenziali allo scopo di incastrare Kira. Non solo perché ciò gli aveva permesso di accettare il lato paranormale di tutta la questione in tempi utili, ma anche perché conoscere le regole del Death Note era un vantaggio enorme… soprattutto perché neppure Yagami stesso le sapeva tutte. Nella sua presunzione non se ne era preoccupato, né Ryuk gliele aveva rivelate; Rae invece, lei si era approcciata agli shinigami non accecata dal potere o dalla furia omicida di Kira. Lei aveva cercato di carpire informazioni utili, che da Rem aveva ottenuto facendo leva sui suoi sentimenti, da Ryuk col ricatto. Era stata scaltra, gli aveva fornito elementi davvero utili ed Elle non poteva non esserne rimasto colpito. Soprattutto, le informazioni sulle regole legate alla perdita della memoria ed al possesso del quaderno erano davvero importanti.

«Se il proprietario del Death Note rinuncia al quaderno, tutti i ricordi ad esso legato svaniranno. Misa e Light non ricordano niente perché semplicemente non hanno più i poteri di Kira… è come se nulla fosse mai avvenuto. Eppure, nel caso in cui ne rientrino in possesso, i ricordi ritorneranno. Ciò può accadere anche semplicemente toccando il Death Note - o parte di esso - ma in tal caso, una volta smesso di toccarlo, i ricordi se ne andranno come se ne sono venuti. Solo se tornano ad esserne proprietari i ricordi rimarranno in maniera permanente. Tutto ciò inoltre può essere fatto per un massimo di sei volte, dopodiché dimenticheranno per sempre di essere stati Kira.»

Ricordava con precisione cristallina le parole di Rae di quel pomeriggio, non poteva permettersi di scordarsene neppure una. La sua mente non lo avrebbe concesso: la sua capacità di incamerare ed elaborare informazioni e dettagli, per quanto all’apparenza minuscoli, era strettamente legata alla sua memoria assolutamente precisa ed infallibile. Le informazioni che aveva dato a Light invece erano lievemente scorrette, quel tanto che gli bastava.
Elle osservò ogni singolo mutamento sul volto di Yagami con una concentrazione assoluta, il pollice appoggiato al labbro inferiore.

«Allontanati dal quaderno.»

Yagami era ancora più riluttante di prima a staccarsi dalla copertina nera eppure, alla fine, dovette farlo. Elle gli dette qualche secondo per riprendersi, ma non per un particolare tatto nei suoi confronti: semplicemente si stava assaporando la caccia. Appena vide lo sguardo dell’altro tornare alla normalità, parlò.

«Questo era un test. Tu non sei Kira. Come ti ho detto prima, se il proprietario entra in contatto col Death Note torna in possesso di tutti i ricordi legati ad esso ma - correggimi se sbaglio - non è il tuo caso. Perciò devo concludere necessariamente che tu non sia Kira.»
«E l’orologio?»
«Mi stupisce che tu mi faccia questa domanda Light, solitamente sei molto più sveglio. Ovviamente anche l’orologio faceva parte del test. Dovevo destabilizzarti, mostrarti prove, per vedere se avresti ceduto.»

L’altro si prese un momento prima di replicare.

«So bene di non essere Kira ma sono sollevato che alla fine te ne sia persuaso pure tu. Adesso possiamo concentrarci sulle indagini a proposito del terzo Kira…»

No caro Light. Adesso era necessario che anche Misa toccasse quel quaderno… in fondo, mentre quello di Yagami adesso apparteneva al terzo Kira, quello di Misa non aveva mai cambiato proprietario. Una volta toccato sarebbe tornata ad esserne proprietaria, ed i ricordi sarebbero rimasti. E lei sarebbe stata un’altra perfetta pedina per la sua strategia… sempre che Rem non avesse rovinato tutto. Ma Rae l’aveva tranquillizzato pure su questo e lui si fidava: il patto che aveva stretto con lo Shinigami prevedeva assoluta riservatezza e cooperazione. Davvero furba, non c’è che dire. Certo, dovevano riporre fiducia in un dio della morte, ma al momento era la migliore opzione che avevano, nonché l’unica, e guardando Rae negli occhi vi lesse il suo stesso, identico pensiero: non esistevano passi falsi.

 

Settembre

R

 

Dall’ultima chiacchierata con Elle aveva smesso di fumare, di colpo, così come aveva iniziato. Vedeva ancora Sachiko ovviamente; quella ragazza le regalava un po’ di leggerezza, una sorta di ventata d’aria fresca che riusciva a rilassarla e a sollevarla almeno in parte da tutta la pesantezza delle indagini. Da quando aveva assistito al “test” di Yagami era davvero difficile pensare ad altro.
«Ehi Rae, sei tra noi?»

Si ricosse dai propri pensieri mettendo finalmente a fuoco il mondo attorno a lei, incontrando con lo sguardo un paio di occhi a mandorla che la osservavano a metà tra l’esasperato ed il divertito. Si era assentata di nuovo.
«Oh… ehm… sì, scusami.»
Sachiko aveva da poco finito di lavorare e lei era passata a prenderla, ma mentre stavano camminando la testa di Rae aveva cominciato a vagare per conto proprio.
«Comunque, vuoi dirmi dove stiamo andando?»
L'altra era stata molto misteriosa, dicendole soltanto che voleva portarla in uno dei suoi luoghi preferiti di Tokyo, ma Rae non aveva idea di cosa aspettarsi da una tipa come lei. In fondo però era bello non sapere qualcosa, ogni tanto. Niente premonizioni, niente sensazioni, niente di niente. Erano due persone normalissime che il venerdì pomeriggio uscivano per divertirsi.
«Assolutamente no! Anche perché sennò sono sicura che non ci verresti…»
«Questa cosa non mi tranquillizza affatto. Che poi come vedi ti sto seguendo comunque… il mio solito buonsenso traviato.»
Quest’ultima parte, a dire il vero, l’aveva soltanto borbottata tra sé.
«Come?»
«Niente, niente…»
Arrivarono dopo un po’ davanti ad uno dei tantissimi grattacieli ultramoderni del centro, con insegne luminose ed un sacco di gente che entrava, soprattutto gruppi di ragazzi o famiglie. Dentro di lei iniziò ad insinuarsi un sospetto.
«Aspetta un attimo…ti prego, ti prego, dimmi che non è quello che penso.»
«E come faccio a sapere ciò che pensi?» chiese l’altra con espressione angelica, già trascinandola dentro.

Ebbene sì. Karaoke. L’aveva trascinata al karaoke.

«Tu. Stai. Male.»

Erano state accompagnate da una gentile signorina in una delle numerose stanze insonorizzate dell’edificio e adesso Rae osservava inorridita lo schermo davanti a sé ed i due microfoni appoggiati sul tavolino al centro della stanza. Sachiko invece se ne stava seduta - o per meglio dire sdraiata - su uno dei divanetti presenti, mentre si girava una canna in tutta tranquillità.
«Oh andiamo, sarà divertente.»
«Sei davvero diabolica.»
Incredibile come riuscisse a parlare con gli shinigami ed ad avere a che fare con l’investigatore migliore del mondo senza (più o meno) problemi ed invece una cosa così banale come il karaoke la mettesse tremendamente a disagio. Iniziò a scorrere le canzoni sul piccolo schermo che aveva davanti.

«Inoltre come credi che possa cantare canzoni giapponesi in giapponese, che oltretutto non conosco?»

Sachiko si accese la canna ed aspirò un paio di boccate di fumo ridacchiando.

«Eddai, ci sono un sacco di canzoni anche in inglese, non fare la noiosa. Vuoi un tiro?»
«Sei sicura che sia una buona idea fumare qua dentro?»

L’altra rispose con una graziosa scrollatina di spalle, che tutto era tranne che una risposta, e Rae si rassegnò, prendendo lo spinello tra le dita. Ne avrebbe avuto bisogno per superare quella cosa.

«Ok, dai, cantiamo.»

 

L

 

 

Le cose stavano andando esattamente nella direzione che voleva lui. Aveva coinvolto Misa nelle indagini sul terzo Kira e lei, desiderosa di aiutare il suo amato Light, si era lanciata nella cosa con entusiasmo. Dopo essere entrata in contatto con la Yotsuba era riuscita ad ottenere un colloquio con loro come modella, così da poter arrivare a Higuchi. Certo, l’imprevisto causato da Matsuda era stato piuttosto seccante, ma per il resto non c’erano stati problemi. Ma non era quello ciò che gli importava: la vera cosa essenziale è che adesso Elle sapeva che Misa aveva toccato il quaderno. Era quasi noiosa la semplicità con cui riusciva a capire una mente semplice come quella della ragazza, che si tradiva costantemente con ogni gesto, ogni parola che pronunciava. Pochi minuti prima, infatti, aveva annunciato a lui e a tutta la squadra anti-Kira -Yagami compreso- che Higuchi le aveva rivelato di essere lui Kira, con tanto di confessione registrata sul telefonino. La sua storiella su come lui fosse innamorato di lei, su come lei avesse detto di essere l’altro Kira… era la verità, eppure c’era un’omissione enorme nel suo racconto. Come aveva fatto a convincere Higuchi di essere realmente Kira? Incredibile che Yagami si fosse perso questo “dettaglio” così fondamentale, preoccupandosi invece per l’incolumità di Misa… il punto era che l’unico modo per dimostrare di avere i poteri di Kira consisteva nell’uccidere qualcuno - ed Elle era certo che lo avesse fatto, anche senza dover controllare se qualcuno fosse morto di arresto cardiaco nello stesso lasso di tempo in cui Misa era in macchina con Higuchi. Lei aveva toccato il quaderno, lei era nuovamente il secondo Kira. Adesso era necessario passare alla fase del piano successiva.

 

 

 

R

 

Alla fine il karaoke del giorno prima non si era rivelato poi così terribile. Avevano cantato qualche canzone inglese e ad un certo punto Rae si era pure cimentata con una in giapponese, tra le risate di Sachiko che, neanche a dirlo, aveva una voce super intonata. Stava giusto ripensando al tragicomico duetto che avevano inscenato sulle note di Help dei Beatles quando una voce alle sue spalle la fece trasalire.

«Temo di aver bisogno del tuo aiuto.»

Lei, affacciata alla finestra mentre si fumava una sigaretta, per poco non soffocò mentre tossiva furiosamente a causa del fumo andatole di traverso. Era un primo pomeriggio di settembre, il silenzio era spezzato solo dal rumore lontano del traffico; quando si era girata di scatto, totalmente presa alla sprovvista da quell'incursione, si era ritrovata davanti Elle, sempre più pallido sotto tutti quei capelli nerissimi ed arruffati.

«Co- cosa?»

Aveva le lacrime agli occhi e ancora tentava di riprendere fiato.

«Sei perfettamente conscia di avermi aiutata già in molte occasioni, non vedo il motivo di tanto sconvolgimento. Inoltre hai detto tu di voler essere più partecipe.» rispose lui, serafico.
Perché mai stava facendo il finto tonto?

«Beh, certo, ma per prima cosa potresti imparare a bussare. Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Ho bussato ma non aprivi.»
Era talmente persa nei propri pensieri che non se ne era neppure accorta. Dannazione, avrebbe dovuto decisamente essere molto più vigile di così.

«E come hai fatto ad entrare?»

Lui non le rispose, limitandosi ad inarcare appena un sopracciglio.

«Oh, giusto. Sicuramente avrai una copia delle chiavi.»

Dentro di sé apprezzò il fatto che fino a quel momento né lui né Watari ne avessero mai fatto uso... o almeno, non che lei sapesse.

«Bene, ben tornata fra noi. Adesso ho la tua piena attenzione?»

Che cavolo, era già la seconda persona che le faceva una domanda del genere nel giro di 24 ore. Comunque, nonostante ciò, doveva ammettere le era mancato il modo di fare di Elle.

«Sì. Di che si tratta?»
Lui arrivò subito dritto al punto.
«Devi convincere Rem che è necessario che Misa parli con Light.»

Rae lo guardava in silenzio, confusa.

«Rem deve dire a Misa che io sospetto ancora di Yagami e che anzi, a breve lo incastrerò. Deve consigliarle di avvertirlo, cosicché possa difendersi da me.»

Era tornato l'Elle freddo, calcolatore.
Rae rinunciò a fare domande. Sapeva come si sarebbe conclusa la vicenda e sapeva più o meno qual era l’idea di base, ma da lì a comprendere ogni dettaglio del suo piano…

«Ok, proverò a parlare con Rem.»

L’altro avvicinò pericolosamente il proprio viso al suo, letteralmente trapassandola con lo sguardo.

«“Proverò”...? Devo ricordarti quanto sia importante ogni passaggio del piano?»

Rae si allontanò da lui tornando ad affacciarsi alla finestra, guardando fuori. Riaccese la sigaretta che nel frattempo si era spenta.

«Ed io devo ricordarti del fatto che stiamo parlando di dei della morte

Lui le andò accanto e con un piccolo salto si sedette sul davanzale, sorprendentemente agile e all'apparenza noncurante dei parecchi metri che si aprivano sotto di lui.

«La mia memoria funziona perfettamente. Credevo che non avessi problemi a mettere la tua vita a repentaglio.»

Rae finalmente tornò a guardarlo, ma la sua espressione era tutt’altro che amichevole. Come cavolo faceva a prendere così alla leggera quello che le stava chiedendo?!

«Non è questo il punto. Il punto è che uno shinigami non si fa certo venire a dire cosa fare da una piccola mortale insignificante come me.»
«In generale è vero, ma è vero anche che tu sei in grado di premere i tasti giusti e, in definitiva, di convincere Rem. Non dimenticare mai che la sua priorità è la salvezza di Misa, e che lei non è un semplice shinigami. Inoltre tu non sei affatto insignificante, mi pare ovvio.»

Quell’ultima cosa l’aveva aggiunta quasi per caso, come se stesse constatando che fuori faceva fresco o che le ciliegie più saporite sono quelle più scure. Lo odiava quando faceva così. Anzi, no. Odiava il fatto che pure un commento così banale avesse il potere di smuoverle dentro qualcosa, di farla arrossire.

«Cos’è, cerchi di adularmi per convincermi?»
«Credi davvero che sarei capace di fare una cosa del genere?»

Glielo chiese con un’espressione di assoluta innocenza, lo sguardo limpido e anzi, quasi offeso.
Che bugiardo.

«Assolutamente sì. Ne sono certa.»

Elle si concesse un sorrisetto.

«Ti sbagli. O per meglio dire, tendenzialmente sì, lo faccio, ma non con te... sappiamo entrambi che non servirebbe a nulla. e anche che non amo sprecare il mio tempo in azioni futili. Ogni cosa che faccio o dico ha sempre uno scopo ben preciso.»
«E allora se non è per convincermi perché mi aduli?»
«Ti sbagli di nuovo. Non ti stavo adulando: sei oggettivamente una delle persone meno insignificanti che io conosca... tuttavia il fatto che tu pensi che ti stessi adulando può denotare soltanto insicurezza, oppure vanità, in quanto vuoi che io ti ripeta questo concetto che evidentemente percepisci come complimento. A pensarci bene direi che entrambe le ipotesi siano corrette. Mi sbaglio forse, Rae?»
Sì, decisamente, lo odiava.



 

 


Ciao a tutti miei cari ^^
Non so voi ma io sono letteralmente a pezzi, troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle, ARGH! 
Comunque, lamentele di cui non vi fregherà nulla a parte, ci stiamo pian piano (cioè, in realtà non così piano, ma con i miei tempi di pubblicazione rallentati direi pianissimo, sigh) avviando verso la fine... nello scorso capitolo non ve l'ho chiesto perché, un po' come Rae, ho la testa che a volte se ne va per conto suo [^^''' ehmehm], però sono curiosa: che ne pensate del personaggio di Sachiko? (tra l'altro, piccola curiosità: i pochi nomi giappo che compaiono al di fuori di quelli di DN sono ripresi da un altro manga che se qualcuno di voi lo becca è bravo... è una specie di omaggio, diciamo ^^) E, soprattutto, come vi è sembrata l'incurisione nella testa di Light? Era un esperimento e sto meditando se cimentarmici di nuovo oppure no... voi che ne pensate?
Detto ciò, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e a chi legge, chi segue, chi mi scrive, chi la mette tra le preferite... beh, non mi stancherò mai di ripeterlo: graziegraziegrazieee! 
Se avete idee, critiche, suggerimenti, ecc sarò - come sempre - super felice di ascoltarli (leggerli, nda) :)
Bacibaci

sofimblack

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Capitolo 20
*** Trial ***


XX

Trial

 

 

29 Settembre

 

R

 

“Mi sbaglio forse, Rae?”

No, non si sbagliava affatto. Accidenti, perché doveva essere così difficile? E perché riusciva a leggerle dentro così bene? Certo, già lo sapeva che finché la faccenda non fosse stata definitivamente conclusa le sarebbe stato impossibile andare oltre i sentimenti che provava per lui, ma era comunque frustrante. Ogni volta che lo vedeva le faceva sempre lo stesso effetto e la cosa più penosa di tutte era che invece lui, nei suoi confronti, non provava nulla di tutto ciò. L’unica cretina che ci stava male era lei.
Alla fine comunque aveva parlato con Rem, come Elle le aveva chiesto, ma lo shinigami non le aveva dato una risposta chiara. In realtà, le aveva detto con tono enigmatico che sarebbe dovuta andare lei stessa a parlare con Misa, a cercare di convincerla. Rae si era chiesta per tutto il tempo cosa avesse in mente lo shinigami… che volesse metterla alla prova? Ad ogni modo non le aveva lasciato chissà quale scelta e perciò adesso eccola lì, intrufolatasi per miracolo nel backstage di uno shooting fotografico di cui Misa era la modella principale.
Nonostante avesse fatto parte di quella vicenda sin dall’inizio - praticamente anche da prima che fosse cominciata - e fosse riuscita a collaborare con Elle e persino ad entrare in contatto con gli Shinigami, presentarsi a Misa e parlarle le metteva addosso una grande agitazione. Il problema di quella ragazza è che era imprevedibile nella sua leggerezza, e che avrebbe potuto benissimo ammazzarla se solo si fosse sentita in pericolo.
Inoltre, c’era un’ulteriore questione che l’assillava: ovviamente non poteva rivelarle chi fosse davvero, perciò si era inventata una storia vagamente credibile per giustificare ciò che le avrebbe detto. Il problema era che lei faceva schifo a mentire. Certo, non era a Elle che doveva dire una bugia, e cercare di mentire a lui l’aveva in qualche modo “allenata”… ma non si sentiva affatto tranquilla, soprattutto perché si sarebbe dovuta esporre apertamente. Sperò che tutto andasse per il meglio.

«Ehi, Misa! Devo parlarti.»

«E tu saresti…?»
Aveva approfittato di un momento di pausa per avvicinarsi a lei e parlarle. Rae sapeva che su questo non doveva mentire, e oltretutto faceva poca differenza: Misa poteva benissimo vedere il suo nome perché, come le aveva detto Rem, aveva gli occhi.

«Mi chiamo Rae, Rae Milton… so che probabilmente non hai alcun motivo per fidarti di me, ma devo parlarti. In privato.»
«Tesoro, se vuoi un autografo o una foto dovrai aspett…»
«Riguarda Light.»

Lo sguardo di Misa cambiò, facendosi sospettoso. La scrutò per un po’, per poi finalmente parlare.

«Ok, vieni con me.»

La portò nel suo camerino ricolmo di regali e di fiori e chiuse la porta, volgendo verso di lei tutta la sua attenzione.

«Dunque?»
«So che Light è Kira… e che Elle vuole far uccidere Light.»

Misa assottigliò gli occhi, dubbiosa. Beh, in effetti non è che l'avesse presa tanto alla larga.

«E tu come lo sai?»

Ecco, era arrivata la parte più difficile di tutte. Accidenti a Elle, a Rem e a tutti quanti.

«Beh… i-io credo che Kira sia fantastico e voglio assolutamente che riesca a trionfare, ma so che la polizia sta cercando di fermarlo, soprattutto Elle. Diciamo che sono molto vicina ad uno dei membri della squadra anti-Kira… non posso dirti chi… e che per questo ho saputo molte cose…»
Misa la ascoltava attentamente ma non sembrava granché convinta. Anzi, il sospetto nei suoi confronti aumentava a dismisura, era più che evidente. Così non andava… avrebbe dovuto adularla, ed al contempo dire cose per cui si sarebbe detestata, ma non importava. Davvero, ciò che c’era in ballo era decisamente più importante del suo amor proprio.
«So che Light è il vero Kira e so anche che se lui confessa di esserlo Elle non lo ucciderà. Misa, tu sei la sola abbastanza vicina a Light da poterlo convincere… ed io non voglio assolutamente che Kira, il cui scopo è soltanto punire i malvagi, sia ucciso. Quello che ha fatto è stato rendere il mondo un luogo migliore e non è giusto che debba essere punito per questo! L’unico modo per salvarlo è farlo confessare e se tu lo ami davvero lo devi aiutare…»

Misa aprì la bocca per parlare ma fu a quel punto che Rem manifestò la sua presenza attraversando la parete, fermando così qualsiasi cosa stesse per dire. E Rae, a quel punto, seppe che la sua vita dipendeva davvero da quello strano shinigami, che lei non poteva farci più nulla… era alla sua mercé. Il tempo smise di scorrere.
«Misa.»
Rae finse di non vedere Rem, continuando a guardare Misa con un’espressione implorante e - sperava - sincera, ma non poté evitare di trattenere il respiro. E a quel punto Rem parlò.

«Credo che dovresti darle ascolto.»

 

L

 

Non appena Elle vide quel numero sullo schermo del telefono seppe che tutto era andato secondo i piani. Lo seppe perché lei non lo chiamava mai.

«Rae.»
«Elle! Ce l’ho fatta!! Mi…»
«Non è necessario che tu aggiunga altro.»
L’aveva detto col tono di voce più freddo e brusco di cui era capace, sapendo che così avrebbe smorzato all’istante qualsiasi entusiasmo nella ragazza.
«…Oh. Capisco.»

Tipico di lei. Sicuramente l’aveva chiamato sull’impulso del momento, felice di essere riuscita a portare a termine un compito che non credeva di riuscire a sostenere, senza pensare che parlarne al telefono sarebbe stato poco prudente. E sicuramente adesso che aveva capito l’errore commesso se ne stava dall’altro capo della linea con lo sguardo basso a mordersi il labbro, come faceva sempre quando realizzava di aver sbagliato. Il pensiero della sua bocca lo distrasse per un momento, mentre nella sua mente riaffiorava la sensazione del suo tocco morbido, dei loro respiri che… cosa cavolo stava pensando, esattamente? Elle chiuse gli occhi per un attimo, sopraffatto dalla frustrazione e dal disprezzo per se stesso. Quello era precisamente uno dei motivi per cui doveva mantenere le distanze con lei: non poteva permettersi di distrarsi così facilmente. Anzi, non credeva che esistesse nulla al mondo che potesse farlo, prima di Rae, ed era bene che le cose rimanessero in quel modo.
«A breve la vicenda sarà risolta. Quando sarà il momento Watari passerà a prenderti.»
Terminò la chiamata senza neppure darle il tempo di rispondere.

Quello che faceva nella vita non era un gioco, non poteva permettersi alcun tipo di sentimentalismo e, una volta conclusosi il caso Kira, non l’avrebbe rivista più. Si sarebbe lasciato velocemente tutto ciò alle spalle, tornando alla sua vita di sempre e dimenticandosi di lei… e lei avrebbe fatto lo stesso con lui. D’altronde l’essere umano è volubile e dimentica in fretta.
Eppure, com’è che mentre pensava a tutto questo sentiva come un macigno nel petto?

 

1 ottobre

R

 

Rae era già pronta quando la familiare Rolls Royce nera si fermò davanti al suo appartamento. Ancora non riusciva a credere che il caso Kira finalmente si sarebbe concluso quel giorno…
Non attese che Watari scendesse per aprirle la portiera ma ci si fiondò dentro, impaziente.

«Buongiorno, Miss.»

«Ciao Watari…»

Il suo sguardo sereno aveva sempre avuto su di lei una sorta di potere tranquillizzante, eppure quel giorno era impossibile calmarsi... e a dirla tutta neppure Watari aveva la solita espressione pacifica. Era visibilmente concentrato, in tensione, e fecero tutto il tragitto in silenzio.

Misa aveva chiesto ad Elle un incontro con Light, che ancora viveva al quartier generale… e certo sapeva che ci sarebbero state delle telecamere. Doveva essere molto sicura di sé per sbandierare così le sue intenzioni e Rae in un certo senso ammirava tutta quella fiducia in se stessa. Era convinta di riuscire a persuadere Light a costituirsi, era evidente.
Rae in realtà sapeva come sarebbe andata a finire, lo sapeva già da quel lontano pomeriggio di luglio, e al solo pensiero provò un forte senso di disagio che sorprese pure lei. Watari le rivolse uno sguardo interrogativo dallo specchietto retrovisore, ma Rae non ebbe il tempo di dire alcunché.
«Siamo arrivati.»



 

Ciao a tutti, miei cari lettori… lo so, sono imperdonabile, ma credo che (purtroppo) chi segue questa storia da tempo ormai l’abbia capito .-. Sono passati mesi dall’ultimo aggiornamento della storia e, lo confesso, credevo che non sarei mai riuscita a continuarla. Sono accadute varie cose nella mia vita e purtroppo il tempo (e soprattutto la testa!) da dedicare alla scrittura è stato praticamente nullo… MA eccomi di nuovo qua! ^^ E dunque, è tempo di annunci, perciò…


ATTENZIONE ATTENZIONE: mi ero ripromessa che non avrei più aggiornato se non avessi prima concluso la storia perciò… sappiate che ormai siamo praticamente a fine e che, state tranquilli, non vi lascerò più in sospeso! Le ultime decisioni sono state prese, i paragrafi scritti e finalmente questa storia ha trovato la sua conclusione. Entro il 2017 pubblicherò l'ultimo capitolo... (il che mi rende da una parte molto contenta e dall'altra un po' triste... :| ). Diciamo che è tipo il mio regalo di Natale un po’ in ritardo!

Pertanto, ai nuovi lettori… benvenuti! <3 E ai vecchi… bentrovati! Un grazie speciale va soprattutto a voi, che nonostante sia passato del tempo avete comunque avuto fiducia in me, tornando a controllare gli aggiornamenti di questa “piccola” storia e - spero - trovando stavolta una bella sorpresa :) Grazie grazie grazie, a chi ha messo la storia tra le seguite, le preferite (!), a chi mi ha scritto in privato (<3), a chi ha recensito o deciderà di farlo (<3 <3 <3) e anche a chi, semplicemente, preferisce leggermi in silenzio :) Ve voglio bbbbene!

 

sofimblack

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Capitolo 21
*** The end ***


XXI

The End

 

 

 

1 ottobre 

Y

 

Misa era venuta a trovarlo al quartiere generale, ma chissà perché non si comportava come al solito. Era visibilmente tesa, preoccupata, non aveva neppure tentato alcun approccio nei suoi confronti… questo sì che era davvero insolito. Un brutto presentimento si fece strada in lui. In realtà, sin dall’ultimo test a cui Elle l’aveva sottoposto, non riusciva a scacciare un persistente senso di inquietudine. Sentiva come una vocina nella propria testa, che lui cercava di ignorare, ma che non faceva che ripetergli sempre la solita domanda. “E se davvero tu fossi Kira?”. Scosse la testa con veemenza, ma quel pensiero non si allontanò dalla sua mente di un millimetro. No, lui non era un assassino. Lui credeva nella giustizia, nell’integrità… inoltre non poteva aver ucciso tutte quelle persone senza essersene accorto. Eppure…

«Light, tesoro, devo dirti una cosa…»
Mise a fuoco la ragazza davanti a sé, della quale si era quasi dimenticato ma che a quanto pareva si era finalmente decisa a rivelargli perché fosse lì.
La spiacevole sensazione si acuì.
«Tu sei Kira.»
Cosa? Anche lei…?
«No.»
«Lo sei invece, lo so io e lo sa pure Elle, ne ha le prove. Lui… lui ti farà uccidere se non lo confesserai.»
Qualcosa si incrinò dentro di lui, come se quella fosse stata la prova decisiva. Ma no, la sua condanna non poteva provenire dalle labbra di quella sciocca ragazza. In uno scatto improvviso la afferrò per le spalle, osservandola da vicino, cercando tracce di menzogna.

«Io non posso essere Kira…io… ti hanno detto loro di dirmi così?

«N-no! Io ti amo! Non potrei mai mentirti o ingannarti!»
La spinse via bruscamente, iniziando a camminare su e giù per la stanza, riflettendo. Parlare di una cosa del genere al quartiere generale, dove sicuramente c’erano delle telecamere di sorveglianza, era estremamente stupido, anche per una come lei. Non poteva che essere un bluff.
«E sentiamo, tu come faresti a saperlo?»
Lo aveva chiesto quasi con sufficienza, sarcastico, sicuramente impreparato a ciò che lei gli avrebbe risposto.

«Perché… io sono il secondo Kira.»
Il suo sguardo si assottigliò, suo malgrado incuriosito, e a quel punto Misa cominciò a raccontargli tutto dall’inizio. Degli Shinigami, dei quaderni, della questione della memoria. Ogni parola della ragazza, per quanto lui non riuscisse ad accettarlo del tutto, tornava perfettamente. Ogni cosa che gli stava raccontando aveva senso, era ciò che effettivamente avrebbe fatto pure lui. Ogni mossa, ogni strategia, era tremendamente plausibile, compreso il fatto che adesso lui non ricordava più niente. Qualcosa però doveva essere andato storto nel suo piano, Elle era riuscito a precederlo e adesso lui si ritrovava in quella situazione. Guardò Misa, riflettendo sulle sue parole. No, lei era troppo stupida per inventarsi tutto ciò che gli stava dicendo, e troppo infatuata di lui per essere manovrata.

Evidentemente lei lo vide rabbuiarsi, logorato, perché a quel punto gli si avvicinò in un ignobile tentativo di consolarlo.

«Non devi preoccuparti, io ti amo ancora di più per il fatto che sei Kira! Tu uccidi i cattivi, tu…»

«Sta’ zitta! STA’ ZITTA!»
Così non andava, doveva tentare di mantenere la calma.

«Light, cosa…?»

Gli appoggiò delicatamente una mano sul braccio, ma lui la scansò disgustato.

«Non mi toccare. Se ciò che dici è vero sei un’assassina pure tu, e quel che è peggio è che non provi neppure un briciolo di rimorso.»
«Ma io l’ho fatto per te! Per poterti vedere! Per aiutarti! Io… io ti amo!»
«Tu invece mi fai schifo. Non voglio avere niente a che fare con una persona che riesce ad uccidere altri esseri umani con una tale leggerezza.»
Gli occhi di Misa si riempirono di lacrime.
«Ma… io…»
Lui non la guardava più mentre cercava di mantenere una facciata composta; per la prima volta nella sua vita aveva i pensieri completamente in tilt. Perché se lei era il secondo Kira e ciò che aveva detto era vero, questo faceva di lui… Fu a quel punto che Misa gli afferrò un braccio, costringendolo a guardarla.

«Allora vorrà dire che non sarò più il secondo Kira, se è una cosa che disprezzi così tanto. Io… IO RINUNCIO!»
Dopo pochi secondi accadde qualcosa di incredibile. La vide cambiare completamente espressione, gli occhi ancora pieni di lacrime improvvisamente confusi. Dunque era vero? Dunque aveva dimenticato?

Non ebbe tempo di accertarsene né di riordinare i propri pensieri, perché a quel punto sentì la porta aprirsi ed Elle, assieme alla squadra anti Kira - assieme a suo padre - fece il proprio ingresso nella stanza. L’espressione sul suo volto, solitamente difficile da interpretare, era volutamente ben chiara. Trionfo.

«Adesso sai.»

Mogi mise delicatamente una mano sulle spalle di Misa, accompagnandola fuori. Ma certo, ovviamente erano stati osservati… per un attimo se ne era dimenticato.

«Non crederai alle parole di u…»
«Certo che no. Non crederei mai solo alle parole. Si dà il caso però che io abbia delle prove.»

Non poteva sopportare l’espressione sul viso di Elle. Pensò a tutte le settimane in cui avevano indagato assieme, lavorando l’uno a fianco dell’altro, mentre in realtà per tutto quel tempo Elle lo aveva ingannato, studiandolo e portando avanti un piano per incastrarlo. La voce non poté che uscirgli in un ringhio di frustrazione.

«Mostramele.»
«Devo essermi spiegato male, Light. Forse ti ho dato l’impressione che questa fosse una trattativa, ma così non è.»
Non l’aveva mai visto così serio e risoluto.
«Ecco ciò che accadrà: noi ti offriamo una scelta. Tu sei Kira, ma l’unico modo che hai per ricordartelo è di toccare il quaderno e di riappropriarti dei ricordi legati ad esso, scegliendo quindi di tornare ad essere Kira. Tuttavia ora come ora, strettamente ed eticamente parlando, tu non sei Kira. Lo diventeresti se tu tornassi ad essere il proprietario del death note, riacquistando consapevolmente tutti i ricordi e diventando così colpevole a tutti gli effetti, subendo le conseguenze della tua scelta. Perché in tal caso io posso incastrarti. In questo momento tu sei tecnicamente innocente, è come se avessi agito a causa di una qualche malattia mentale, che ti solleva da gran parte delle responsabilità… pertanto ho un accordo con le autorità. Se deciderai di non tornare ad essere Kira il caso rimarrà della massima segretezza, il quaderno verrà distrutto e né tu né Misa, che ha dimenticato come te, verrete incarcerati o condannati a morte. Quello che era il terzo Kira, invece, l'ho già fatto arrestare. Di lui se ne occuperà un tribunale speciale, comunque informato dei fatti e sempre legato alla massima segretezza.»
«Anche ammettendo che io accetti… dov’è il trucco?»
«Nessun trucco. Dovrai semplicemente confessare tutto e verrai sottoposto, assieme a Misa, a controlli regolari da parte della polizia per essere sicuri che nessuno di voi si riappropri di un altro quaderno o faccia strani scherzi.»
Fu a quel punto che gli vide uno strano sorrisetto, e capì che non era ciò che aveva detto fino a quel momento la sua vera punizione.
«Se sceglierai di non ricordare dovrai convivere tutta la tua vita con il pensiero di essere stato Kira, di aver ucciso centinaia di persone, di aver macchiato irrimediabilmente il tuo forte senso di giustizia.»
Ecco dove voleva andare a parare. Bastardo. Elle tirò fuori il quaderno dalla copertina nera che gli aveva fatto toccare durante il test… adesso non poteva fare a meno di guardarlo con occhi diversi.
«Allora Light, cosa scegli?»

 

 

R
 

Rae stava osservando tutto dalla sala con gli schermi, da sola, prestando estrema attenzione ad ogni minimo movimento di Yagami.

Era uno spettacolo agghiacciante, eppure quasi ipnotico da guardare. Una serie di emozioni si alternavano su quel volto solitamente sempre così composto e controllato.

Incredulità.

Rifiuto.

Disgusto, paura, umiliazione.

Disperazione.

Nel momento esatto in cui aveva compreso, il suo viso era diventato teatro di ogni tragica emozione umana. Cadde in ginocchio, portandosi le mani tra i capelli. Tremava convulsamente, ma nessuno si avvicinò per offrirgli conforto. D’altronde, che conforto poteva esserci? L’ispettore Soichiro, suo padre, aveva invece un’espressione impassibile, eppure lei riusciva ad immaginare facilmente cosa potesse esserci dietro. Accettare che una persona che ami possa fare una cosa tanto imperdonabile, che possa commettere un gesto tanto malvagio… poteva capirlo, davvero. Il suo sguardo tornò su Yagami. Ciò che vide fu un essere umano distrutto… e Rae, nonostante tutto, nonostante ogni singolo passo intrapreso per arrivare a quel punto, non provò alcun sentimento di soddisfazione nel vederlo.
Aveva pensato che la vendetta sarebbe stata dolce, eppure com’è che aveva solo un grande amaro in bocca?
Osservare una persona ridotta in quel modo era solamente triste. Neppure il pensiero delle sue azioni, di tutte le morti che aveva provocato, serviva a farle provare almeno un po’ di appagamento… nemmeno pensare a suo padre. Non provava neppure pietà, ma era come se tutta la rabbia che aveva covato fino a quel momento si fosse spenta all’improvviso. Quello che aveva davanti era solo un ragazzo, sulle cui spalle era piombata in un colpo solo la consapevolezza di essere un assassino dalla mente distorta.

La mattina seguente il corpo senza vita di Light Yagami fu trovato che pendeva dal soffitto di camera sua, una corda stretta attorno al collo. Si era ucciso nel corso della notte.
Aveva ancora gli occhi aperti quando lo ritrovarono.

 


5 ottobre

L



Elle per la prima volta camminava liberamente per le strade di Tokyo, le mani in tasca, le spalle ricurve. Alcuni passanti lo osservavano, incuriositi, ma c’era abituato. Ancora una volta ripensò al caso Kira, che alla fine aveva trovato la propria conclusione. Tutto sommato ogni cosa era andata secondo il piano che aveva elaborato già in quel pomeriggio di luglio.

 

 

*************************************

 

Erano ore che se ne stavano seduti su quel balcone, la tazza di tè decisamente dimenticata, il sole che ormai stava scivolando dietro l’orizzonte. Lei gli aveva spiegato con precisione ogni cosa e adesso se ne stava lì, in silenzio, seduta accanto a lui, aspettando che le dicesse qualcosa.

Dunque. L’unico modo per risolvere la questione era riuscire a punire Light, ma senza pena di morte o una reale punizione fisica. Il punto focale del suo piano sarebbe stata Misa, o meglio, la sua incolumità, altrimenti sia lui che Rae sarebbero morti. Se l’avessero condannata, sarebbero morti. Se avessero condannato Light, che sicuramente sarebbe incorso nella pena di morte, Misa sarebbe stata infelice e probabilmente capace di togliersi la vita. Di nuovo, in tal caso, Rem li avrebbe uccisi, perché la condanna a morte sarebbe dipesa interamente da loro. Doveva inscenare un bluff, fingere di avere delle prove, e a quel punto ottenere una sua confessione. In seguito sarebbe bastato provare il quaderno per dimostrare una volta per tutte che Yagami era il colpevole e che sì, si poteva uccidere scrivendo un nome sul death note, ma nonostante ciò rimaneva la questione della punizione… Doveva escogitare un modo per impedire sia a Misa che a Yagami di tornare ad essere Kira - contrastando il piano di Yagami e rendendoli tecnicamente “innocenti” - ma al contempo punirli, come Rae aveva richiesto e come lui stesso voleva fare. Fare in modo che le autorità lasciassero a lui la punizione non sarebbe stato difficile, la difficoltà era capire come farla pagare a Yagami. E fu a quel punto che gli venne in mente.
Pensando a come era Light adesso, senza l’influenza del death note, a come era cambiato di colpo, rivelandosi un ragazzo intelligente ed improntato alla giustizia… come si sarebbe sentito a capire di essere Kira? Non era una grazia, anzi. Lasciarlo per tutta la vita a portarsi dietro quel macigno sarebbe stata la giusta punizione, e le sue scelte nei confronti di Misa non sarebbero certo dipese da loro, no?

 

 

*****************************************

 

Quello che Elle non poteva sapere era che si sarebbe infine ucciso.
Certo, lui non lo sapeva… ma qualcun altro sì.

 

 

17 ottobre

 

R

 

«Tu sapevi che sarebbe successo.»

«Sì.»

Attorno a loro la città si muoveva frenetica: risate, urla, chiacchiere, il rumore delle macchine. Il tutto però sembrava ovattato, come se fossero stati immersi in una sorta di bolla dove esistevano soltanto loro due. Erano passate due settimane dal suicidio di Light Yagami e non si erano ancora visti né parlati prima di quel momento. Gli aveva chiesto lei di vedersi, così si erano incontrati in una strada affollata di Shibuya; lei lo aveva trovato ad aspettarla, accovacciato su un muretto nella sua solita posizione. “Tu sapevi che sarebbe successo”. Elle la guardava con una strana intensità. Impossibile capire cosa stesse pensando.

«Mi disprezzi per questo, vero?» mormorò Rae, iniziando a tormentarsi le pellicine del pollice, una ciocca di capelli, gli anelli che portava alle dita. Temeva la sua risposta.

Era a pezzi, ma non si sarebbe mai fatta vedere crollare. Aveva posticipato il loro incontro fino a quel momento, appena prima del suo ritorno in Inghilterra… era stata molto indecisa, ma alla fine si era ripromessa che non sarebbe mai più fuggita come una vigliacca e dunque era lì, davanti a lui.

«No, non ti disprezzo.»

Lei sollevò la testa, osservandolo sorpresa, quasi rincuorata.

“Grazie”.

Avrebbe voluto dirlo, era lì, pronto a saltarle giù dalle labbra, ma d’improvviso era rimasta senza voce. Per un momento gli occhi di Elle avevano riflettuto la stessa tristezza che c’era nei suoi… o forse se lo era solo immaginato?

«Tra poche ore parte il mio volo. Devo andare a prendere il treno, sai…»

Si zittì improvvisamente. Perché pronunciare quelle parole vuote? Loro non erano tipi da addio, non si sarebbero messi a piangere gettandosi l’una tra le braccia dell’altro, né si sarebbero scambiati discorsi strappalacrime. Perché mai, poi? Si alzò, prese la borsa di tela che aveva lasciato sul muretto e poi si girò per guardarlo un’ultima volta, ritrovandoselo improvvisamente vicino. Elle aveva infatti abbandonato silenziosamente la sua posizione accovacciata e adesso era in piedi, davanti a lei. Era più dritto del solito, le spalle meno incurvate, così da sovrastarla con la sua altezza. Non aveva mai fatto realmente caso a quanto fosse alto…

Rae non poté fare a meno di pensare che avrebbe dovuto imprimersi bene nella mente quegli occhi scuri e magnetici, perché sicuramente non li avrebbe mai più rivisti, o memorizzare quel suo profumo buono… pfff, da quando in qua era diventata così melodrammatica? Basta, lui era Elle e lei doveva darci un taglio. Era andata lì per salutarlo, sperando in un’assoluzione che era effettivamente arrivata, perciò cosa voleva di più? Lui era Elle, e ciò comportava che lei non faceva assolutamente parte del suo mondo, per quanto cercasse di illudersi che fosse così. Quello era un addio, definitivo e penoso soltanto per lei.

«Allora ciao.»

Fece per muovere un passo, lontano da lui e da tutto quello che stava provando, ma Elle la fermò, trattenendo delicatamente con la punta delle dita la stoffa della sua maglietta. Si curvò rapidamente su di lei e, cogliendola del tutto impreparata, le posò un bacio sulla fronte, delicato come un soffio. Poi, senza dire nulla, lasciò andare la sua maglia, voltò le spalle e se ne andò, sparendo nella folla di Shibuya.

 

 

 

Ciao a tutti!! Questa volta sono stata di parola e sono riuscita a pubblicare questo capitolo in tempi umani. E dunque, eccoci arrivati alla fine di questa storia che… naaah, sto scherzando.
Ehehehe, credete davvero che sia finita qui?
Comunque chiedo venia, se Elle è un personaggio difficile da gestire figuriamoci Light, con cui è letteralmente impossibile simpatizzare… argh. Diciamo che ho cercato di limitare i danni e spero di non essere andata eccessivamente OC. Inoltre, l’idea di dare a Yagami una scelta, l’idea di come avrebbe reagito… diciamo che quella era la base su cui ho lavorato fin dall’inizio ma non so se sono riuscita a sviluppare questo finale alternativo in modo coerente e/o soddisfacente. Pareri, idee, correzioni, critiche, sono bene accette, perché non sono abituata a scrivere cose del genere ed ho l’impressione che non torni granché o che sia super banale. Gnnnnn.

COOOOMUNQUE, dicevamo…

Che succedrà adesso? Come sono proseguite le loro vite dopo tutto questo? E loro si incontreranno di nuovo o è davvero un addio? Nonostante la storia in sé possa dirsi conclusa, ho deciso di scrivere un epilogo che risponde a queste domande (che probabilmente farò rientrare in due ulteriori capitoli) e pertanto voglio regalarvi un piccolo microscopico spoiler, riportando qui la frase con cui comincia:

 

La verità è questa: ci sono eventi che accadono nel corso dell’esistenza di una persona così significativi da essere decisivi, importantissimi, essenziali, così profondi da cambiare ciò che si è. Eppure, nonostante questo, si finisce comunque per tornare alla vita di tutti i giorni, all’abitudine… si finisce quasi per dimenticare.     


Che ne pensate? E ripeto, credete davvero che sia finita qui?
Detto ciò… a presto prestissssimo miei cari <3 (nah, non vi libererete di me così facilmente mwahawhah)
sofimblack

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Capitolo 22
*** Epilogo pt.1 ***


 

XXII

Epilogo - pt.1

 

Aprile

R

 

La verità è questa: ci sono eventi che accadono nel corso dell’esistenza di una persona così significativi da essere decisivi, importantissimi, essenziali, così profondi da cambiare ciò che si è. Eppure, nonostante questo, si finisce comunque per tornare alla vita di tutti i giorni, all’abitudine… si finisce quasi per dimenticare.

Ma è davvero sempre così?

Rae era tornata in Inghilterra e, per quanto in teoria stesse arrivando la primavera, in realtà il cielo restava coperto e gli alberi stentavano a fiorire. Nonostante tutto a lei non dispiaceva: era come se la natura riflettesse quello strano stato d’animo con cui conviveva da mesi… inoltre, si trovava pur sempre nel piovoso Hampshire.
Quando era tornata dal Giappone Kateleyn era stata l’unica ad accoglierla all’aeroporto e l’unica ad accoglierla in generale. Lei era la sola persona che le era rimasta lì, in Inghilterra. Anzi, praticamente la sola che le era rimasta al mondo, e nonostante questo aveva preso le distanze anche da lei.

Poco dopo essere tornata aveva recuperato i suoi scatoloni, venduto la casa di famiglia e comprato coi soldi del ricavato l’appartamento che le piaceva, quello a Winchester, trasferendosi definitivamente lì, lontana da una qualunque faccia “amica” o comunque legata al suo passato. Con Kateleyn si vedeva ogni tanto per fare due chiacchiere o una scampagnata da qualche parte, riappropriandosi per qualche ora della se stessa più leggera e spensierata, ma poi tornava nel suo piccolo mondo perfetto, lontano da tutto e da tutti.
La cosa non le pesava affatto, anzi. Era sempre stata una persona solitaria e nel corso dell'ultimo anno lo era diventata ancora di più. Era come se dopo tutti quegli eventi così intensi adesso la compagnia della gente la sfiancasse…

Era riuscita anche ad ottenere nuovamente il lavoro al negozio di dischi, con sua grande gioia; qualcuno avrebbe potuto obiettare che non erano quelle le aspirazioni che si sarebbero dovute avere a 24 anni - a 24 anni si dovrebbero avere precisi piani per il futuro, una carriera in mente e anche una famiglia, il matrimonio, dei figli magari - ma lei era felice così e nessuno può permettersi di giudicare ciò che fa la felicità di un’altra persona.

In sostanza era tornata alla sua solita vita, eppure era tutto diverso… un po’ come lei. Era lei, era sempre Rae, eppure era diversa.
Quando si permetteva di ripensare al tempo passato dietro al caso Kira le pareva quasi una sorta di allucinazione durata mesi: non aveva alcuna prova tangibile del suo essere stata lì, al centro degli eventi, eppure c’era stata. Aveva contribuito a risolvere un caso dalla risonanza mondiale e a confermarglielo c’erano soltanto i suoi ricordi. Assurdo.
In ogni caso, tornando sul piano pratico, alla fine aveva imparato per davvero quel maledetto giapponese e così, una sera a settimana, teneva un corso di quella lingua che aveva tanto maledetto al circolo culturale di Winchester. C’erano solo cinque persone che lo seguivano ma non le importava: aveva scoperto con sua grande sorpresa che insegnare agli altri - per quanto pochi fossero - le piaceva molto, le dava soddisfazione.

Era finalmente in pace, tranquilla: sentiva di aver trovato il proprio posto nel mondo. Eppure, quando passava accanto ad una certa panchina del parco, o quando usciva fuori dal negozio a fumare… come poteva non pensare ad Elle? Cercava di non farlo, si sforzava in ogni modo di non pensarci, però ogni volta finiva per chiedersi sempre le stesse cose. Chissà dov’era.
Ogni tanto le arrivavano voci contraddittorie su di lui, e tutte molto vaghe: era la persona più inafferrabile del mondo, non poteva essere che così. Elle… si chiedeva se lo avrebbe mai rivisto, anche solo per caso, e tutte le volte si rispondeva che era un’eventualità decisamente improbabile. Inoltre, anche se lo avesse rivisto, cosa sarebbe cambiato?

Watari invece tornava a Winchester ogni volta che non doveva accompagnare Elle nelle sue indagini - sicuramente per occuparsi della Wammy’s House, alla quale teneva davvero molto - e ogni volta aveva cura di passare davanti al suo negozio per salutarla, mettendosi a parlare un po’ con lei. Si informava sulla sua salute e chiacchieravano del più e del meno, ma lei stava sempre attenta a non nominare mai Elle, nemmeno per sbaglio, e lui era sempre così gentile nel chiederle improvvisamente di qualche vecchio vinile di Syd Barret quando pareva che l’argomento scivolasse un po’ troppo in quella direzione…

L’unica volta in cui avevano vagamente affrontato l’argomento era stato quando Rae gli aveva chiesto notizie dell’ispettore Soichiro. Di Misa sapeva che aveva ripreso a fare la modella e che adesso stava lavorando ad un film; aveva sostenuto alcune interviste in cui parlava addolorata del suicidio del suo ragazzo e a quanto pareva tutto il Giappone aveva simpatizzato per lei.
«Il commissario Yagami è senz’altro un uomo forte. Continua a lavorare con totale dedizione ed è stato promosso, inoltre la sua famiglia riceve ogni mese un aiuto economico da… noi.»
Rae finse di non aver notato quella pausa.
«Sì ma… come sta?»

Sapeva quanto quella fosse una domanda stupida eppure non era riuscita a non farla, guidata da una sorta di istinto masochista. Non poteva evitare di pensare che in parte ciò che era successo a Yagami fosse colpa sua, dal momento che comunque sapeva cosa sarebbe accaduto e consapevolmente aveva scelto di non far nulla per evitarlo. Aveva permesso che un padre fosse privato del proprio figlio.
Davvero, se c'era una persona nei confronti della quale Rae si sentiva in qualche modo in debito, quella era proprio Soichiro Yagami.

«Parlando in tutta franchezza ritengo che non riuscirà mai ad accettare del tutto l’accaduto, stiamo pur sempre parlando di un genitore che ha perso il proprio figlio… ma come sa ha un grande senso della giustizia e credo sia quello a farlo andare avanti. So che cerca di trascorrere il maggior tempo possibile in famiglia, con la moglie e la figlia, evitando gli incarichi più pericolosi per essere sicuro di esserci per loro. Inoltre non si dimentichi che il giovane Light è stato esso stesso la causa della propria rovina, già dal momento in cui ha deciso di scrivere sul death note il primo nome. Lei non ha nulla da rimproverarsi, Miss.»

La guardò con dolcezza, dopo aver pronunciato quelle parole che andavano a demolire una per una tutte le incertezze di Rae. Lei però non riusciva a sostenere quello sguardo, carico di una comprensione che sentiva di non meritare.
«Ti prego Watari, smettila di chiamarmi così e di darmi del lei! Quante volte devo dirtelo?»

E pure quella volta lui la assecondò, cambiando argomento, ma forse sapendo di lasciarle il cuore lievemente più leggero.

 

 

 

 

L

 

In quei mesi aveva riflettuto spesso su Yagami, sulla sua scelta di uccidersi. In linea generale non tollerava l’idea del suicidio, gli sembrava una scelta del tutto illogica e contro ogni più rudimentale istinto umano. Forse dipendeva dal fatto che lui non credeva in alcun fantomatico aldilà - no, neppure dopo tutta la vicenda degli Shinigami - e riteneva che ognuno avesse quell’unica vita da vivere fino in fondo, e poi basta.
Una mente acuta come la sua non poteva fare a meno di pensare che fosse stupido porle un freno prima, con tutto quello che il mondo, le persone, le cose in generale avevano da offrire. Il suicidio di Light Yagami aveva qualcosa che non andava. Certo, che razza di vita era quella di una persona dai giusti ideali che però aveva addosso la responsabilità di centinaia e centinaia di vite? Eppure non lo riteneva un movente abbastanza valido, non fino in fondo.


Elle era appena atterrato all’aeroporto di Londra, seguito dagli sguardi incuriositi delle hostess e dei passeggeri ai quali ovviamente non aveva fatto caso. Anzi, ai quali faceva caso perché notava tutto, ma dei quali non gli importava un bel niente. Stava tornando da Nairobi, dove aveva dovuto risolvere un caso top secret “della massima difficoltà ed importantissimo” che si era rivelato tremendamente facile e, ovviamente, tremendamente noioso. In una piccola parte di sé quasi rimpiangeva di non avere altri opponenti al livello di Yagami, che gli impiegassero la mente e lo mettessero in difficoltà; amava le sfide, ma pareva non ci fossero più avversari degni di tale nome. Poi però pensava a quante vite erano state recise durante tutti quei mesi di indagini, e quella piccola ed ignobile parte di sé tornava a tacere.

Il caso Kira aveva avuto risonanza mondiale e adesso tutti i paesi, ancora più di prima, volevano Elle. Lui però, per tutta risposta, era diventato ancora più solitario di quanto già non fosse, scegliendo di dedicarsi esclusivamente a casi apparentemente irrisolvibili. Si chiese a che punto fossero i suoi “successori”, Near e Mello. Era tanto tempo che non tornava a casa, in Inghilterra… sì, perché era quella casa sua.
Nonostante ci avesse trascorso soltanto cinque anni era lì che aveva trovato un posto in cui riusciva a sentirsi vagamente in pace ed era lì che tornava ogni volta.

Camminando per i corridoi dell’aeroporto, verso l’uscita, socchiuse gli occhi, gustando ogni rumore, ogni accento che giunse alle sue orecchie attente. Ogni voce registrata che ricordava con impeccabile accento britannico di fare attenzione alle porte, ai borseggiatori o a qualsiasi altra cosa. Quando mise nuovamente a fuoco ciò che lo circondava scorse Watari che lo stava evidentemente aspettando, leggermente in disparte rispetto alla folla di persone in attesa dei passeggeri in arrivo. Si diresse verso di lui, sinceramente felice di vederlo nonostante l'espressione impassibile.

«Bentornato, Ryuzaki. Il volo è andato bene?»

«Sì.»

Si avviarono all’esterno, verso la solita Rolls Royce nera, senza dirsi altro. Fu solo quando salirono in macchina e sentirono il motore fare le fusa sotto di loro, protetti dagli interni lussuosi e discreti dell’auto, che iniziarono a parlare.

«Ci sono novità alla Wammy’s?»

«Tutto nella norma.»

«E Near e Mello?»

«Continuano ad essere due personalità ben distinte e singolari. Due giovani promesse ma, per l’appunto, giovani.»

Elle non replicò, osservando dal finestrino la periferia londinese che scompariva gradualmente, lasciando il posto a piccoli paesi con le tipiche casette a mattoncini rossi, gli scuri tetti caratteristici, le bow windows dalle quali si intravedevano gli interni delle abitazioni ma solo per un secondo, prima che scivolassero via. E poi, finalmente, la campagna, aperta e rilassante, così precisa ed ordinata. L’auto correva sicura e silenziosa su quella strada che filava dritta, quasi cullandolo. Dopo un po’ Watari interruppe quel silenzio con fare quasi casuale.

«La signorina Rae sta bene, lavora di nuovo al negozio di dischi e pare apprezzare molto i miei biscotti al limone.»

Elle rispose soltanto con una strana smorfia, come se non gli importasse… in realtà era perfettamente informato su di lei. Poteva trovarsi qualsiasi alibi, qualsiasi scusa, ma non era solo a causa della mancanza di casi interessanti che si sentiva così strano, o a causa della nostalgia che era tornato lì. Tutto lo portava verso di lei… ma, per la prima volta in vita sua, non avrebbe fatto l’egoista. No, era irrazionale per davvero volerla cercare, non aveva senso. Non sapeva neppure lui cosa voleva, perciò non avrebbe fatto nulla.

«Credo che le farebbe piacere sapere che sei qui.»

 

 

R

 

Davanti a lei aveva alcuni di quei biscotti ripieni al limone che Watari ogni tanto le portava e che lei aveva scoperto di adorare (prima o poi avrebbe dovuto fargli una statua). Si era ripromessa di non finirli tutti in un colpo solo ma ne aveva già mangiati più di metà nel giro di cinque minuti. Mannaggia, erano troppo buoni! Si accoccolò davanti al computer, una coperta sulle spalle ed i capelli spettinati raccolti con una matita. Controllò le email, annoiata. Spam, spam, la biblioteca che le ricordava di restituire un libro, spam… e poi, una strana email. Non riusciva a vedere né il mittente né l’oggetto. Avrebbe dovuto cestinarla, ma non compariva tra le opzioni. Che fosse un virus?

Per un momento perse il senso della realtà.

Cazzate.

Era inutile che si raccontasse balle da sola, sapeva perfettamente che era lui, glielo dicevano il suo intuito, il cuore che improvvisamente si era ritrovata nello stomaco, il suo respiro irregolare. Sensazioni che non provava da mesi e che le erano tornate sotto la pelle come se fosse passato appena un istante dall’ultima volta che l’aveva visto, come se lo avesse avuto davanti in quel preciso momento. Cosa poteva volere lui? Non si era mai fatto sentire, erano mesi che non si vedevano… E adesso eccolo lì, che ripiombava nella sua vita. Beh, leggere non le sarebbe costato nulla, no? Con le mani che tremavano leggermente aprì l’email.

 

Da:
Oggetto:

 

Iniziavo a credere che tu non mangiassi alcun tipo di dolce.

L.

 

Tutto lì. Un commento sui biscotti al limone - perché era sicuramente di quelli che parlava, Watari doveva avergli probabilmente detto qualcosa - giusto per sfoggiare la sua solita onniscienza… oltretutto l’aveva vista altre volte mangiare qualcosa di dolce, davvero quello era tutto ciò che gli era venuto in mente? Erano mesi che non si sentivano e lui se ne usciva fuori così… eppure, non era forse sufficiente? Adesso il cuore di Rae chissà dov’era, lo sentiva ovunque e da nessuna parte, irregolare, sorpreso. Lesse quelle poche parole più e più volte, gli occhi spalancati, cercandoci ad ogni lettura un significato diverso. Non gli avrebbe risposto. No, non poteva farlo. Eppure, con le mani tremanti, aveva già cliccato su “rispondi”.

 

Da: miltonrae@hotmail.com

Oggetto: Da che pulpito.

 

Il cuore le batteva a mille. Cosa poteva scrivere? Un vago sorriso fece capolino sulle sue labbra.

 

Noto che sei sempre il solito megalomane ossessivo con manie di controllo.

R.

 

Invio. Dunque… dunque lui si interessava a lei? No, non poteva permettersi di sperare. Ma perché allora le aveva scritto così all’improvviso, dopo mesi? Aiuto!

La risposta non si fece attendere.

 

Sarà che con questo tempo grigio mi annoio.

L.

 

Istintivamente guardò fuori dalla finestra. Beh, in effetti era piuttosto nuvoloso e… Per qualche secondo le mancò il respiro.
“Questo tempo”.
Dunque lui… lui era… lì? O forse no… sì invece, certo che era lì. Doveva calmarsi. Ignorare le sue consapevolezze era da vigliacchi e non serviva a nulla, non glielo aveva detto lui stesso? Rae non rispose più, troppo presa a rimuginare. Che doveva fare? Andare alla Wammy’s House per vedere se lui era lì sul serio? E magari già che c’era prenderlo a calci, giusto per sfogarsi un po’? Aspettare? Buttare il pc nel fuoco?

L’arrivo di un’altra email la distolse dai suoi pensieri.

Non ti facevo così codarda.
L.

 

Quasi poteva immaginare l’espressione supponente e vagamente canzonatoria con cui le aveva scritto quelle parole. La stava provocando, era palese… ma lei voleva farsi provocare? Erano successe tante cose, ma nonostante tutto - lo sapeva, non aveva senso nascondersi dietro un dito - lei era ovviamente ancora innamorata di lui, e lui ovviamente no, non lo era mai stato. Perché allora tormentarla ancora? Che cosa cavolo voleva da lei!?

E glielo chiese.

 

Cosa vuoi da me?

R.

 

Questa volta la risposta ci mise un po’ ad arrivare.

 

Credo che mentire a se stessi sia incredibilmente controproducente e dunque incredibilmente stupido. Lo sai, abbiamo una questione in sospeso. Forse dovremmo risolverla, se vuoi.

L.

 

Una questione in sospeso…? Cosa poteva voler dire? Enigmatico come sempre. Fargli una domanda equivaleva non soltanto a non ricevere quasi mai una risposta ma anzi, ad avere ancora più domande. Però, per la prima volta, le stava dicendo che stava a lei scegliere, che non si sarebbe imposto… e quella fu la parte che la sorprese di più, smorzando definitivamente la sua irritazione. Era come se stesse cercando di riequilibrare quel loro strano rapporto.

 

E cosa accadrebbe se io volessi?

R.

 

Beh, se tu volessi…

L.

 

Non aveva praticamente finito di leggere che sentì bussare alla porta. Il suo cuore fece una capriola… possibile che lui fosse lì? Esitò. E se non avesse aperto?






Ciaaaaaaaaao! Rieccomi qua :D
Vi sono mancata? Beh, spero di sì! 

Dunque? Che ne pensate? Come già avevo detto non potevo lasciare questa storia così... o meglio, avrei potuto, ma secondo me c'erano un paio di questioni che andavano risolte. Oltretutto ormai mi ci sono affezionata a Rae, Elle e compagnia bella, quindi confesso che mi riesce davvero difficile scrivere la parola "fine"... anche se, purtroppo, col prossimo capitolo dovrò farlo :(
Ma magari voi sarete pure felici visto che la sto trascinando da quasi un anno ^^' ehmehm

Non voglio aggiungere altro, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie mille a chi continua a mettere la storia tra le preferite, le seguite e le ricordate. Grazie a chi mi scrive - siete davvero... <3 <3 - e a chi legge in silenzio. E grazie di aver letto i miei sproloqui fin qui! xD Se vi andasse di recensire o anche solo di scrivermi lo apprezzerei molto, come sempre, ma se non vi va saprò capire, tranquilli ;)
Spero che deciderete di accompagnarmi anche per l'ultimo capitolo, quello conclusivo (lacrimuccia), che non so quando uscirà ma sicuramente a "breve" (spero di riuscire entro la fine del mese, per intenderci).
A presto ~
sofimblack

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Capitolo 23
*** Epilogo pt.2 ***


 

XXIII

Epilogo - pt.2

 

Aprile

 

Alla fine aprì la porta, perché stava imparando a non comportarsi più da vigliacca e ad affrontare le cose e perché il bisogno di aprirla si era fatto intollerabile.
Rivederlo fu per lei come tornare a respirare.
Rivederla fu per lui come mettere a posto l’ultimo tassello di un puzzle complicatissimo.
Eppure, fecero finta di nulla. Fecero finta che tutto fosse normale, lui la sfiorò appena quando entrò nell’appartamento disseminato di libri togliendosi le scarpe, lei lo salutò con un tono di voce indecifrabile.

«Ciao.»
«Ciao, Rae.»

 

 

 

R

 

Oddio, la sua voce, quella sua voce morbida, bassa… no, dai, doveva darsi un contegno, non poteva capitolare per così poco. Ma ritrovarselo davanti così, dopo mesi, mentre la guardava e le parlava… Cavolo. Doveva decisamente darsi una bella calmata.

«Vuoi un po’ di tè?»

Ovviamente aveva centinaia di domande pronte a fuggirle dalle labbra - ce n’erano molte pure ragionevoli - ma alla fine aveva deciso che non gli avrebbe dato la soddisfazione di rendergli le cose facili. Gli aveva soltanto chiesto se volesse del tè, come se la sua presenza lì fosse stata la cosa più normale del mondo. Come se non fossero passati mesi interi dall’ultima volta che si erano visti. Eppure, dal vago sorrisetto che le rivolse, avrebbe giurato di avergli dato molta più soddisfazione con quella domanda rispetto che con una qualsiasi altra. Già, a lui piacevano le sfide. Dio quanto lo odiava. E quanto gli piaceva. E quanto la irritava, stimolava, affascinava, emozionava.

«Sì.»

«Vedo che sei sempre molto educato» commentò lei ironica, leggera, andando a riempire il bollitore con dell’acqua del rubinetto. Mise sul tavolo la sua teiera preferita. Uno, due, tre cucchiaini di tè nero in foglie. L’acqua già bolliva perciò ce la versò dentro con attenzione. Era così strano vederlo lì nel suo appartamento. Così strano eppure così… giusto.
Si era accoccolato sul suo divano, esattamente nel punto dove poco prima era seduta lei, nella solita posizione raggomitolata che aveva scolpito nella mente. Quando il tè fu pronto lo versò nelle tazze, per poi appoggiarle con grande attenzione sul tavolino di fronte al divano. Prese lo zucchero - molto zucchero -, i cucchiaini, due tovaglioli. E poi finì le cose da fare e dovette sedersi per forza, sul divano accanto a lui.

«Sei riuscita a ricomporti, dunque?»

E che cavolo.
Davvero non era cambiato nulla, né la sua facilità nel leggerle dentro, né il suo stupirsi per questo. Certo, stare per conto suo per mesi per poi ritrovarsi ad avere a che fare con lui era piuttosto impegnativo, sotto innumerevoli punti di vista.
Elle - come leggendole nella mente - aveva perfettamente capito che tutto quel tempo le era servito per riprendersi, per calmarsi e dare un tono vagamente più pacato ai propri pensieri irruenti.
Non che ci fosse riuscita granché, comunque.
Decise di non rispondere, limitandosi a versare nel suo tè un po’ di zucchero… in fondo non c’era realmente bisogno di una risposta. Lui pareva del tutto a suo agio, di cucchiaini di zucchero ne aveva versati otto e adesso se ne stava lì, tranquillo, senza avere la benché minima intenzione di portare avanti il discorso. Il modo in cui la guardava la metteva in agitazione, tanto che alla fine Rae si arrese, decidendosi a parlare per smorzare la tensione. Avrebbe fatto ciò che lui si aspettava e la cosa la infastidiva terribilmente, ma al contempo aveva davvero bisogno di sapere cosa volesse da lei.

«Sai, sono mesi che non ci vediamo e ovviamente ci sarebbero mille domande che vorrei farti. Cosa hai fatto in tutto questo tempo? Come stai? Eppure… non so, mi sembra che non sia passato nemmeno un secondo dall’ultima volta che ci siamo visti. Dubito che ti interessi cosa io abbia fatto ultimamente, perciò in realtà c’è soltanto una domanda della quale voglio sapere la risposta. Cosa ci fai qui?»
Dopo averlo detto si sentì sollevata, decisamente più leggera.

«Te l’ho detto. C’è una questione in sospeso.»
Rae iniziò a giocherellare coi propri capelli, vagamente irritata con se stessa. Davvero si aspettava che le avrebbe detto subito quel che lei voleva sapere?
«Beh, il caso Kira è concluso, Yagami si è ucciso, tutto è tornato come prima» replicò lei, sempre più determinata ad avere risposte «Cos’altro manca?»
«Mi pare di averti già detto come la penso sul mentire a se stessi.»
Fu questa cosa a farla definitivamente sbottare.
«Sì, peccato che a quanto pare ciò non si applichi a te, né riguardo al mentire a se stessi né, tantomeno, sul mentire agli altri. Mi sembra che questo metodo “due pesi due misure” sia un filo incoerente sai?»

 

 

 

L


Qualcosa si era riacceso in lui, qualcosa che non provava da mesi. Era il gusto per la sfida. Non c’era colpo che lui non rendesse, come aveva lui stesso detto a Yagami molto tempo prima… ma lo stesso valeva per lei. Aveva ragione, neppure lui era stato totalmente sincero con se stesso. Eppure ci aveva riflettuto bene prima di andare lì, prima di rivederla. Aveva compreso che era davvero insensato contrastare se stesso e, per quanto la cosa continuasse a spiazzarlo un po’, adesso aveva le idee chiare. D’altronde lui era così. Una volta individuato il problema aveva trovato soltanto due soluzioni: tentare di reprimere ciò che provava oppure accettarlo. Aveva cercato di attuare la prima soluzione già durante il caso Kira, fallendo, ma pensando che se non l’avesse più rivista avrebbe tranquillamente dimenticato, sopprimendo qualsiasi cosa fosse nata in lui. Di nuovo aveva fallito, nonostante fossero passati mesi. Era stato perfettamente logico per lui a quel punto decidere di arrendersi, di seguire quelle cose che capiva a malapena e che si erano aggrappate a lui con così tanta forza. Aveva strumentalizzato le parole di Watari, usandole come una sorta di legittimazione che lo aveva portato ad essere lì, su quel divano, in quel preciso momento, senza un briciolo di rimorso. Come sempre aveva bisogno di risposte, di capire. Voleva sapere se il tempo avesse agito almeno su di lei, facendo scomparire ciò che le aveva visto negli occhi ogni volta che avevano parlato.

«Perché credi che io sia qui?»
«Sai che non ne ho idea» sbuffò lei, prendendo un sorso di tè.
«Allora o sei molto meno intelligente di quanto io ti ritenga, ed in tal caso ti ho decisamente sopravvalutata, oppure stai mentendo perché ti spaventa anche solo pensare quello che potrei dirti. Personalmente propendo per la seconda ipotesi ma sono aperto anche ad opzioni alternative.»

Le vide uno scintillio di rabbia negli occhi e quando appoggiò con forza la tazza sul tavolino,  cominciando a parlare, il suo tono aveva decisamente perso qualsiasi pacatezza avesse finto fino a quel momento.
«Sei venuto fin qui per insultarmi? Per caso ti diverti a...»
«Credi che Yagami si sia ucciso?»


Rae rimase per un attimo con la bocca ancora aperta: il repentino cambio d’argomento l’aveva lasciata visibilmente spiazzata.
«Beh… Che vuoi dire?» chiese dopo un po', diffidente «Certo, è morto, hanno trovato il suo corpo e…»
«Non era questa la mia domanda, ma probabilmente mi sono espresso male. Riformulo. Credi davvero che Light Yagami abbia scelto di uccidersi di sua spontanea volontà?»

Finalmente aveva pronunciato ad alta voce quella domanda che continuava da mesi a solleticargli la mente.

«Io…»
Rae si bloccò, stavolta riflettendoci seriamente.
«Non saprei… alla fine, senza il potere di Kira, era tornato ad essere un normalissimo ragazzo e sicuramente il peso delle accuse… anzi no, la consapevolezza delle proprie azioni, deve aver avuto un impatto molto forte su di lui»

«È questo il punto. Lui non ne era realmente consapevole. Non ha avuto il tempo di comprendere a fondo l’entità della sua condanna, non era logorato come forse sarebbe accaduto dopo giorni, mesi, anni di convivenza con quel pensiero. Yagami era una persona intelligente, sveglia, ed ha sempre agito per preservare la propria vita, sempre. Certo, non era più condizionato dal potere di Kira, ma l'istinto di autoconservazione non può certo cancellarsi così, pertanto mi chiedo... perché mai avrebbe dovuto uccidersi? No, io penso che c’entrino in qualche modo gli Shinigami ed il Death Note. Ritengo che nessun essere umano possa continuare a vivere dopo aver posseduto un potere omicida di quel tipo, anche se non se lo ricorda… Credo che si sia condannato a morte da solo nel momento in cui ha scritto il primo nome su quel quaderno» concluse pensieroso, riecheggiando senza saperlo le parole di Watari.

«Ma Misa è ancora viva…»

«Sì, perché Rem era affezionata a lei, e ciò ha reso possibile quella che è senz’altro un’anomalia. Probabilmente non c’è una regola ferrea a proposito, ma gli Shinigami sono dei della morte, pertanto non ritengo plausibile che chi entra a così stretto contatto con loro poi non subisca conseguenze. Rem non avrebbe mai permesso la sua morte, come ben sai, ed è per questo che si è reso necessario agire secondo il mio piano. Ryuk invece non era così. Era super partes, non gli interessava della vita di Light, me lo hai detto tu stessa. Probabilmente è stato lui a far sì che si uccidesse, avrebbe molto più senso, soprattutto considerando il legame che si instaura tra lo Shinigami ed il possessore del quaderno. Oltretutto Misa sarà sicuramente infelice per la morte di Yagami, eppure noi siamo ancora vivi e ciò vuol dire che il piano ha funzionato, che la morte di Yagami e dunque l’infelicità di Misa sono dipese da una variabile successiva, che non ha nulla a che vedere con noi. Sono solo supposizioni, certo, eppure le ritengo più plausibili dell'idea di uno spontaneo suicidio di Light Yagami.»
Fece una piccola pausa, sorridendo amareggiato.
«Alla fine hanno fregato pure me. Questa sarà un’incognita della quale non conoscerò mai la soluzione.»



 

R
 

Suo malgrado, durante il lungo discorso di Elle, un inopportuno senso di sollievo aveva cominciato a diramarsi per tutto il suo corpo. Se fosse stato davvero così… se era stato Ryuk ad ucciderlo… se l’ipotesi di Elle fosse stata fondata - e lui non aveva forse sempre ragione? - beh… in quel caso lei avrebbe potuto fare qualsiasi cosa ma ciò non avrebbe impedito a Ryuk di prendersi ugualmente la vita di Light.

Si disprezzò per aver formulato un simile pensiero, così egoista, così meschino. Eppure… non era forse così che lei faceva in quelle situazioni? Era riuscita a superare il senso di colpa per la morte di sua madre soltanto nel momento in cui aveva inconsciamente trovato qualcun altro da incolpare. In questo caso il colpevole era addirittura un dio della morte, un’entità sulla quale lei non aveva alcun controllo. Ebbene, lei era anche questo. Era un essere umano, debolezze e pensieri ignobili compresi, ed era del tutto naturale cercare di perdonarsi, di liberarsi dai sensi di colpa.
Possibile che mesi di tormenti interiori trovassero così facilmente una conclusione?
Un po’ se ne vergognava, certo, ma lo spirito di accettazione verso se stessa era decisamente più forte.
Guardò Elle, concedendosi una speranza che non provava da mesi.
«Sembri piuttosto sollevata» osservò lui distrattamente, perforandola con lo sguardo.

«Io…»

«Non devi pensare che ciò che è successo sia colpa tua. Anzi. Per merito tuo io sono qui, sono vivo. Per merito tuo abbiamo catturato Kira relativamente in fretta, gli abbiamo impedito di continuare ad uccidere, e siamo riusciti a salvare delle vite umane.»

Rae si sentì improvvisamente avvampare. Non l’aveva mai vista da quel punto di vista. Da quel banale e del tutto ovvio punto di vista. Era talmente concentrata nell’accusarsi che le era sfuggito di essere riuscita nel proprio intento.

 

«Hai ragione.»

Lo disse con un tono talmente stupito che vide un raro sorriso distendersi sul volto del ragazzo seduto accanto a lei.

«Come sempre del resto. Bene, adesso che abbiamo risolto pure questa faccenda, se non ti spiace, gradirei tornare a noi.»
Il vago sorriso scomparve e lui tornò a guardarla col solito sguardo attento, concentrato, studiando ogni sua espressione.
«Te lo chiedo di nuovo. Perché credi che io sia qui?»

Il modo in cui aveva detto quel “noi” l'aveva fatta rabbrividire e certo non in senso negativo, anzi. Si era sciolta all’istante, ma questo non cambiava le cose. Toccava a lui parlare, glielo doveva.
«Mi sono rotta dei tuoi giochetti psicologici. Dimmelo tu perché sei qui».
Lo vide sospirare, come se si fosse aspettato quella risposta, ma lo vide anche lanciarle uno sguardo duro, affilato, sincero. Non come quando risolveva un caso: quella che gli leggeva negli occhi era una determinazione tutta nuova.
«Come desideri, Rae. Te lo dirò, anche se forse non ti farà piacere la mia risposta e probabilmente queste parole giungono troppo tardi. Sono qui perché negli ultimi mesi non riesco a concentrarmi. Sono in grado di fare tutto come sempre ovviamente, le mie capacità deduttive ed intellettuali sono immutate, la mia vita non è cambiata, ma è come se non avessi il controllo della mia mente al 100%. Riesco a pensare a più cose contemporaneamente, ma una di queste è sempre incentrata su di te, nonostante io abbia provato in tutti i modi ad evitarlo. Mio malgrado sono cambiato anche se sono perfettamente consapevole di quanto io rimanga il solito egoista, e ne è una prova il fatto che io sia qui a dirti tutto questo. Tu hai una vita perfettamente tranquilla, normale, una vita della quale non faccio parte. E vale lo stesso per te. Tu non fai parte della mia vita. Eppure, contro la mia volontà, sei entrata a far parte di me. Mio malgrado sono cambiato, è vero, ma sei stata tu a farmi cambiare, a farmi intravedere qualcosa su cui mai mi ero soffermato. Inizialmente la cosa mi ha dato fastidio, perché andava a disturbare il mio lavoro e perché ho sempre ritenuto impossibile che qualcuno potesse influenzarmi in tale maniera, che io potessi provare tali… sentimenti. Eppure adesso non lo trovo più così irritante, anzi, credo che la cosa mi piaccia. Dopotutto il mutare fa parte dell’essere umano e solo gli stupidi non cambiano mai idea, non trovi?»
Calmo. Pacato. Sicuro di sé.
Prese un sorso di tè.

 

Rae dal canto suo era a dir poco sconvolta.
Quello era un evento che aveva dell’incredibile. Nonostante le sue premonizioni, l’intuito, i sogni, mai si sarebbe aspettata una cosa del genere. MAI.
proprio mai? le chiese allora una vocina piccola piccola nella sua testa. Tentennò per un momento, cercando di chiarirsi le idee per poi finalmente arrendersi a se stessa, demolendo ogni dubbio, ogni paura. Ripensò a tutte le volte in cui lui le si era mostrato per davvero, in cui le aveva permesso di sbirciare oltre tutte le corazze con cui si proteggeva. Quando aveva voluto vederla dopo la morte di uno degli ispettori con cui lavorava, come bisognoso di conforto. Quando aveva imprigionato Misa, mostrandosi a lei anche nei suoi aspetti più ignobili, come a chiederle aiuto.
Il loro primo abbraccio. Il suo sguardo. Il suo tocco. Il loro addio.
No, forse lei non aveva voluto vedere per non illudersi, per non soffrire.
Ma adesso lui era lì, a dirle ciò che sentiva.
Era lì, aveva abbassato le sue difese, per lei.
Era lì, e aspettava che lei dicesse qualcosa.


«Contro la tua volontà, eh? Beh, mi spiace essere una simile scocciatura per te.»

Quelle parole galleggiarono per un po’ nell’aria.
Già. Lui si era aperto a lei e l’unica cosa che le era venuto in mente di rispondere era quella. Si era aggrappata all’unica parte di quel discorso che sentiva di poter affrontare razionalmente, finendo per dire un qualcosa di assolutamente sciocco.
Lui però non si scompose e Rae, sorpresa, non vide lo sguardo freddo che si era aspettata, quello che aveva imparato a temere. No, lui le stava… sorridendo?!
Era come se lei, con le sue parole brusche e tutto sommato stupide, gli avesse dato chissà come la risposta che cercava. La conferma che, nonostante il tempo e le cose avvenute, i sentimenti di lei non erano cambiati.

«Esattamente. Contro la mia volontà. Ma vedi Rae, anche tu provi quello che provo io e anche tu lo fai contro la tua volontà» le rispose infatti, serafico e quasi compiaciuto.

Lei rimase per un attimo senza parole.
No, no, no. Come aveva fatto a capirlo? Si costrinse ad assumere un’espressione neutrale, senza accorgersi che tutto in lei mostrava quanto Elle fosse nel giusto, perché lui aveva imparato a decifrare i suoi gesti, le sue fughe davanti a discorsi che non voleva affrontare.
«Forse. Prima. Ma adesso è tutto cambiato.»
A quel punto però lui, con estrema lentezza, si avvicinò pericolosamente al suo volto e, come aveva fatto tanto tempo prima, raccolse con la punta delle dita una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi, sistemandogliela dietro l’orecchio. Non l’aveva neppure toccata ma bastò quel piccolo gesto a farla arrossire, il cuore in subbuglio, le pupille lievemente più dilatate.
«Non sei mai stata un granché a mentire» commentò lui pacatamente, come se stesse constatando che fuori era nuvoloso.
Accidenti al suo corpo traditore! Non era giusto, non…

Elle si allontanò, tornando ad accovacciarsi con le ginocchia strette al petto, mettendo di nuovo distanza tra loro.


«Ti nascondi dietro muri del tutto simili ai miei, Rae, per questo mi è così facile intuire ciò che pensi. Ma chi rifiuta di capire se stesso, chi decide di non essere autoconsapevole, è soltanto un debole.»

Quel commento le fece male. Quindi lui pensava che lei…
«No. Tu non sei debole. Tu hai paura, e questa cosa ti fa credere di esserlo, ti fa chiudere a riccio per difenderti.»

Calò un pesante silenzio su di loro, mentre nel petto di Rae qualcosa si scioglieva. Qualcosa che era lì da anni, duro, congelato. Qualcosa che da quando aveva scoperto della malattia di suo padre l’aveva fatta rallentare, e che l’aveva bloccata del tutto quando aveva visto sua madre su quel letto. Quell’istinto di autoconservazione che le faceva pensare di essere arida, di non poter provare amore né riceverlo, senza farle capire che in realtà proprio perché era in grado di provarlo in modo totalitario ed intenso era necessario che se ne tenesse lontana, per non ritrovarsi a soffrire terribilmente.
Era vero, aveva paura.
Spostò l’attenzione su di lui. Come faceva ad essere così calmo? Rifletté sotto il suo sguardo attento. Aveva avuto modo di conoscerlo durante il caso Kira, un caso eccezionale, difficile, in cui c’erano in ballo centinaia di vite. Anche le loro. Era ovvio che non si era potuto permettere di mostrarle ciò che pensava, probabilmente non avuto modo di mostrarlo neppure a se stesso. Pure lui era ferito, pure lui si difendeva dal resto del mondo, e vista la situazione era stata senz’altro la scelta più logica allontanarla. La cosa su cui adesso doveva realmente concentrarsi era che lui era lì, davanti a lei, adesso. La cosa importante erano loro due nel presente.
«E tu no? Tu non hai paura?» gli chiese infine con voce debole, quasi in un sussurro.

«Sì. Certo che ho paura.»

Il modo noncurante con cui glielo aveva detto faceva pensare che non ne avesse affatto, ma Rae sapeva che non era così. “Ti nascondi dietro muri del tutto simili ai miei”… era vero. Era tutto tremendamente vero. Lui aveva capito tutto, come sempre, e come sempre ci era arrivato un’infinità di tempo prima di lei. Si sentiva una vera sciocca.

Rae allora si girò verso di lui, trapassandolo con lo sguardo. Alzò una mano e delicatamente, con la punta delle dita, gli sfiorò una guancia. Elettricità. La solita scossa, quella da cui era partito tutto. E seppe che l’aveva sentita anche lui.

 

***

 

Rae si alzò in piedi.
Esitante, delicata, afferrò il bordo della sua maglietta come aveva fatto lui con la sua in quel lontano pomeriggio a Shibuya, quando si erano detti addio. Ma questa volta lei non lo stava trattenendo. Questa volta lei lo stava guidando, perché quella era probabilmente l’unica cosa in cui era lei a poterlo fare. La mente perfetta di Elle, quel meccanismo ineccepibile che riusciva a capire e a produrre cose stupefacenti, era del tutto inservibile davanti ad una cosa simile. Non davanti alle emozioni, no. Perché Elle comprendeva se stesso e per questo si accettava e certo, da una cosa del genere deriva per forza una grande sicurezza che agli occhi degli altri può sembrare freddezza. Ma lui non era freddo, lui comprendeva l’animo umano meglio di chiunque altro e per fare questo era ovvio che avesse provato un’infinità di emozioni: rabbia, dolore, soddisfazione, impotenza, felicità, solitudine, insicurezza, determinazione e mille altre ancora.
Qui però si trattava di un qualcosa di diverso, un qualcosa di cui lui non aveva la benché minima esperienza. Esperienza che lei invece aveva, perché sebbene l’avesse nascosto per anni sotto strati di ostinazione, rabbia e delusione, lei conosceva… l’amore. Non l’amore infantile, soffice, idealizzato e quasi dimenticato che probabilmente Elle aveva provato una vita prima nei confronti dei propri genitori. No. Rae aveva vissuto sentimenti torbidi, terribili, intensi, e conosceva bene quello da cui scappava.
Adesso però sapeva che non sarebbe più fuggita ma anzi, che avrebbe camminato a testa alta nella direzione che l'aveva così a lungo spaventata, e non sarebbe stata sola.
Lei doveva guidarlo.
E lui era disposto a farsi guidare da lei.


Lo portò in camera sua e poi si girò verso di lui, guardandolo con la testa leggermente piegata di lato, come per chiedergli il permesso. Elle allora fece un passo verso di lei.
Poi un altro, ed un altro ancora.
Rae si sedette sul letto, improvvisamente insicura, aspettandolo mentre le si avvicinava. Lui le tolse la matita dai capelli facendo sì che le ricadessero sulle spalle in lunghe ciocche disordinate, ed a quel punto ogni traccia di incertezza gli scomparve dagli occhi. Le sfilò delicatamente la felpa e poi fece lo stesso con la propria maglietta bianca, la pelle bollente finalmente a contatto con quella morbida ed invitante di lei. Rae lo guardava con un’espressione indescrivibile. Fiera, timorosa, splendente. Allungò il viso verso il suo collo, sfiorandogli il petto coi capelli, annusandolo, ritrovando il suo odore. Percorse con la punta delle dita le sue spalle, le sue braccia, il tocco leggero affinché lui si abituasse ad esso. Affinché entrambi familiarizzassero l’uno con l’altra, come se una mossa troppo brusca e avventata avesse potuto rompere la fragilità di quel momento.
Lui si limitava ad osservarla come ipnotizzato, lasciandosi guidare, affidandosi a lei. La mente che elaborava il tutto così velocemente da rendersi inutilizzabile.
Finalmente, dopo mesi, le loro labbra si ritrovarono, con una naturalezza che quasi li spaventò, che quasi li costrinse ad interrompersi per la sciocca paura di scoprire cosa sarebbe accaduto dopo. Quasi. Perché non c’era nulla di cui aver paura, ormai l’avevano capito.
E poi si persero, completamente.

 

 

R

 

In tutto quel groviglio di sensazioni, tanto intense da farle quasi male, di una cosa Rae era certa. Già, perché anche se si stava irrimediabilmente perdendo, anche se per la prima volta in vita sua non aveva davvero la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto da lì in avanti, aveva capito che finalmente l’aveva trovata.
Aveva trovato casa sua.

 

 

 

 

 

 

Fine.

 

 

 

 

 

E con questo eccoci qua, ci siamo. Dopo un anno preciso siamo arrivati alla fine, quella fine che da una parte davvero non vedevo l’ora di farvi leggere, perché quell’ultima frase io già l’avevo scritta mesi fa, ma dall’altra… beh. Come già vi ho detto mi sono affezionata a questi personaggi, tanto che è difficile adesso lasciarli andare (anche se forse loro ne saranno contenti dopo tutto ‘sto penare! xD). Rae, a volte così contraddittoria, forte e fragile al contempo. Watari, con la sua calma e le sue pillole di saggezza. Sachiko, breve comparsa che però mi ha permesso un po’ di leggerezza. Light, un ragazzino spietato con manie di onnipotenza, che in fondo era un essere umano contagiato da un potere malvagio e terribile. Ed infine lui, Elle, la mia sfida personale, personaggio difficilissimo che ho tentato di non stravolgere - a volte riuscendoci, altre un po’ meno - e che ho cercato di “completare”, donandogli una dimensione più… umana ecco, che però secondo me è sempre stata lì, per quanto non descritta. Ma che fatica tentare di descriverla senza andare eccessivamente OOC! (Che poi mica sono sicura di esserci riuscita eh…).
Ovviamente le mie paranoie per questo finale si sprecano… poteva starci? è stato troppo? Magari banale? Inoltre il finale col punto di vista esterno, il cavolo di narratore onnisciente… gaaah aiuto! Ero tentata di tenermi questo epilogo per me, perché sicuramente l’happy ending è terribilmente scontato, però sotto sotto sono una romanticona e ho pensato che magari vi faceva piacere leggere questo “secondo finale”... spero vi sia piaciuto.


Scrivere questa storia è stata una cosa lunga (e soprattutto voi che mi seguite dall’inizio lo sapete perfettamente, oh miei poveri lettori), a volte tormentata, a volte divertente, e ci ho versato molto di me nelle parole che scrivevo, diventando un po’ Rae pure io più spesso di quanto non avessi previsto. Che dire, spero che vi sia piaciuta, io sono davvero contenta di avervi avuti accanto in questi lunghi mesi.  :)
E quindi ok, sarò ripetitiva, ma questa sarà l’ultima volta che me lo sentirete ripetere perciò portate pazienza e… GRAZIE!
Grazie davvero, tantissimo, ad ognuno di voi.
Grazie a chi ha messo la storia tra le seguite, le preferite, le ricordate.
Grazie a chi ha recensito, condividendo con me i suoi pensieri. Non sapete quanto è stato importante <3.
Grazie anche a chi mi ha seguita per un po’ e poi mi ha “abbandonata”, scegliendo di non proseguire con la lettura… è giusto che ci siate pure voi tra i ringraziamenti :)
Grazie - davvero grazie - a chi ha speso qualche minuto per scrivermi in privato, dicendomi cosa pensava della storia, mostrandomi sostegno, facendomi sorridere o ridere, a volte preoccupandosi per le mie lunghe assenze.
Siete stati speciali e sappiate che in quei momenti in cui l’ispirazione era inesistente siete stati in gran parte voi il motivo per cui mi sono tanto impegnata a concludere questa storia.
Per finire plagerò un po’ la cara zia Rowling ma insomma… ‘sticazzi :

Grazie a te, che hai letto tutta la mia storia strampalata arrivando fin qui, proprio in questo punto preciso, proprio alla fine.

Vi abbraccio tantissimo e fortissimo.
Sofia

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