I want you more than you know

di fireandblood
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** I ***


Camille
 
Non ho mai pensato alla mia vita una volta terminato il liceo. Ho sempre creduto che non sarebbe mai finita,che i professori continuassero a tormentarci affinché facessimo i compiti. Ma non è così.
Il liceo è, e sarà sempre uno dei posti dove lascerai il cuore. Forse mi crederete pazza, ma non si ripeteranno mai questi anni di follie, disperazioni, felicità, ansia e chi più ne ha più ne metta.
Mi guardo allo specchio e finalmente realizzo che l'estate è cominciata. I miei capelli sono un disastro. Capelli lunghi e ramati, non troppo mossi. Mi piacerebbe tagliarli, ma temo del risultato finale. Quindi per ora rimangono così.
Scendo al piano di sotto per fare colazione, e trovo mia madre seduta su una sedia. Sul bancone trovo caffè, biscotti e frutta. La solita persona perennemente a dieta.

"Buongiorno." esclamo dirigendomi verso il frigorifero.
"Ciao tesoro." sorride mia madre. E' una donna bellissima. Ha tratti nordici; bianca di pelle e piena di lentiggini (come me d'altronde), con dei capelli biondi e due occhi color azzurro cielo. Non capirò mai come faccia di prima mattina ad essere così bella anche senza un filo di trucco.
Prendo il mio solito thè e lo verso in un bicchiere. Mi siedo al bancone con mia madre che mi fissa.
"Che c'è?" le chiedo.
"Cosa farai oggi?" sorseggia dalla tazzina fumante.
Ci penso un attimo. Mi ero scordata del programma di oggi. "Vado da Sophia.". Sophia è la mia migliore amica, la conosco dal primo anno di liceo e da lì non ci siamo mai divise. E' come una sorella per me.
"Bene." dice mia madre. I suoi occhi si posano sulla porta. Che sta guardando? Forse aspetta mio padre o Alexander arrivare. "Ieri sera tuo fratello è arrivato a casa più tardi del solito. Sai cosa è successo?" chiede molto pensierosa.
"Non ne so niente." rispondo afferrando un biscotto. "A che ora è tornato?"
Mi guarda negli occhi come se sapesse che io sia complice di qualcosa. "A mezzanotte, mi aveva detto che andava ad una festa a casa di un suo compagno."
"Ti giuro che non ne so nulla. In ogni caso ha solo quindici anni, cosa c'è di male tardare di qualche minuto il coprifuoco?" lascio il bicchiere nel lavabo.
"Qualche minuto? Doveva rientrare alle undici!" esclama.
"Ma lo sai com'è fatto Alexander, non ascolta mai quello che gli si dice." affermo.
"E' solo un ragazzino, non può comportarsi in questo modo e mancare di rispetto a me e a tuo padre." è furiosa. Ovviamente la colpa non ricade su Alexander, ma su di me. Questa è la regola dei fratelli più grandi.
"E questo è un buon motivo per incolpare me di ciò?" la fisso come se volessi farle capire che detesto queste accuse insensate.
"Se scopro che tu sai qualcosa o che non vuoi rivelarmelo..." non fa in tempo a finire di parlare che la blocco con una mano.
"Smettila, per favore, è inutile che fai così. Tra qualche giorno parto e non mi vedrete più per qualche settimana. Così almeno la colpa non ricadrà su di me per un bel po'." concludo uscendo dalla cucina. Mi fa arrabbiare davvero tanto, anche per le piccole cose. Non capisce che sono irritabile ad uno stato incomprensibile.

Salgo le scale e raggiungo la mia camera. Ma preferisco fare altro.
Busso alla porta di legno bianca della stanza accanto. Niente. Busso ancora e ancora, ma non ricevo risposta. Dopo qualche secondo la porta si spalanca, e scorgo un ragazzo abbastanza alto, ma non quanto me, che si stropiccia l'occhio destro.
Entro senza farmi problemi, tanto è mio fratello; posso fare quello che voglio.
"Ma che vuoi? Vattene" mi spinge verso la porta. I suoi capelli castano chiaro sono tutti arruffati, e mi fanno ridere. Non se li taglia sicuro da qualche mese.
"No, devo parlarti" alzo la serranda per far entrare la luce del mattino. Il sole splende, E' una bellissima giornata qui a New York, ma le temperature non sono ancora spiccate come pensavo. "Mamma ti ha sentito ieri sera. Perché sei rientrato tardi?"
Esita. Lo guardo meglio e vedo che ha un brutto livido sulla spalla. "Cosa hai fatto lì?!" esclamo cercando di frenarmi il prima possibile, evitando di mollargli uno schiaffo.
"Non sono affari tuoi. Torna in camera e non assillarmi con i tuoi consigli da adolescente stupida." indica la porta.
"Non ho intenzione di andarmene senza sapere cosa ti è successo. Come ti sei procurato quel livido? O per meglio dire, chi è stato?"
Spalanca i suoi occhi verdi-nocciola. Sono rossi dal sonno. "Camille, cosa vuoi sapere? Non è successo niente, ho sbattuto a uno spigolo ieri sera. Ora torna nella tua stanza e non rompermi le palle." detto questo torna nel suo letto e si copre con le lenzuola. Stronzetto prepotente.
Attraverso la stanza verso il suo letto e gli strappo le coperte. Lui sbuffa e urla: "Levati!" si alza e tira le lenzuola, cercando di rubarmele. Ma non ci riuscirà. Certo, sarà anche più forte lui, ma io sono più alta e nessuno può averla vinta con me.
"Dimmi cosa succede o rivelo alla mamma che hai fatto a botte ieri sera con qualche ragazzino che tu reputi tuo amico." lo minaccio. Lui mi strappa le coperte dalle mani, e io mi siedo sul letto.
"Niente. Uno più grande mi ha chiesto se avevo una sigaretta e io gli ho risposto di no. Mi ha colpito alla spalla. Non ho ancora capito il motivo, ma era ubriaco fradicio, tanto che dopo si è buttato per terra e urlava cose strane." ripete a voce bassa. "Mi ha colpito veramente forte, mi fa ancora male."
"Alex" mi avvicino a lui. "potevi dirmelo prima. Lo sai che non devi andare a quelle stupide feste. Certo, dimostri un'età più avanzata di quella che hai, ma non puoi mostrarti a tutti come se fossi grande. Devi smetterla. Sta diventando una cosa ridicola." confesso sempre a voce bassa.
"Ma mi diverto, la maggior parte delle volte. E poi sono grande abbastanza da assumermi le mie responsabilità." aggiunge toccandosi i capelli. Mio fratello rimarrà sempre uno stupido. Lo è sempre stato. Non capisce la realtà delle cose.
"Senti, prima che io parta devi promettermi che non ti immischierai in risse o pericoli. Intesi?" porgo il mignolo per concludere il patto. Lui lo guarda, ma non dice niente.
"Alex?" insisto con la mano in aria.
"Okay, che palle avere una sorella." incroncia il suo dito con il mio. Gli do uno schiaffetto sulla testa ed esco. Un problema in meno. Ma non manterrà mai la promessa.

 
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"Stai scherzando?" esclama Sophia. I suoi capelli biondi ondulati riflettono alla luce artificiale della sua stanza.
"No. Il bello è che me lo ha chiesto al termine dell'appuntamento, e non durante!" replica Rachel. Siamo amiche dal primo anno. E' sempre stata una rubacuori; in due anni si è fidanzata tre volte. Non che sia quel tipo di persona che pensate possa essere, ma lei ci tiene alle sue relazioni. Non si fa mai scappare i ragazzi che le piacciono.
"Quindi vi siete baciati dopo tutto quanto?" chiede Sophia. Sta fissando Rachel come fosse un negozio pieno di dolci.
"SI! Te l'ho ripetuto un miliardo di volte! Perfino i muri capiscono più in fretta di te!" ride Rachel. Sophia le lancia un cuscino.
"Guarda che sono la più astuta qua dentro. Senza offesa, ma ho più anni di esperienza di voi." dice vantandosi.
"Io non posso proprio parlare, allora." rivelo io sovrastando la musica a basso volume che si sente dalle casse.
"Ma come? Anche tu hai avuto una relazione!" esclama Rachel. I suoi occhi scuri si illuminano di curiosità. Sophia si volta per guardarmi.
"Ma è durata solo un mese e mezzo." confesso. Sì, ho avuto un 'ragazzo', Liam, ma non era il mio tipo. Bello ma... coglione.
"Una relazione breve ma intensa." mormora Sophia. Si sta rigirando i capelli tra le dita. Come se non fossero più perfetti di così. "Dai che tra due giorni partiamo! Ci saranno un sacco di ragazzi carini, e ne devi conoscere assolutamente qualcuno!"
"Ma non succederà mai niente! Lo sapete come va a finire; sono troppo timida per conoscere un ragazzo." confesso.
"E con Liam? Se non sbaglio la timidezza con lui era scomparsa! Dai, non avere paura! E' solo una vacanza relax che ci meritiamo dopo il diploma." Rachel mi fa l'occhiolino, e si stiracchia sul pavimento. Poi si raccoglie i capelli scuri non troppo corti in uno chignon.
"Esatto! Ti accompagnerò io a fare conoscenza. Conosco praticamente tutti lì dentro, non saremo neanche una decina, credo." dice Sophia ammirandosi le unghie smaltate.
"Okay." Sospiro e lascio loro la soddisfazione di avermi convinto. Forse non sarà orrenda l'idea di conoscere nuova gente; non c'è niente di male.

Miami, arriviamo.

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Capitolo 2
*** II ***


Camille

Sono le sette di mattina. O almeno è questo l'orario che leggo quando suona la sveglia.
Mi alzo dal letto e mi preparo. Non voglio indossare cose scomode per il viaggio. In aereo è molto stressante poi. Vado allo specchio e mi pettino. Stanotte non ho dormito granchè, ero troppo agitata e contorta per chiudere occhio.
Alle otto precise mi ritrovo alla porta di casa con la valigia in mano e la mia famiglia attorno per augurarmi buon viaggio e delle buone vacanze. Non aspettavo altro che godermi l'estate dopo una sessione di studio senza pause.

"Finalmente parti!" esclama mio padre sorridendo. Mi prende sempre in giro.
"Non aspettavi altro?" chiedo andando ad abbracciarlo.
"Mi mancherai. Stai attenta, sii responsabile e chiamaci ogni tanto." mi raccomanda.
"Sì papà, lo farò." mi stacco dall'intreccio. "Come farai senza la tua sorellina?" mi rivolgo ad Alex dopo un momento di pausa, che mi scruta con aria divertita.
"Una liberazione!" esclama ridendo. Mi aggiungo anche io alle sue risate. Lo abbraccio e gli lascio un leggero bacio sulla testa, e lui si ritira subito. Tipico di Alexander Stevens.
Guardo mia madre, e ripenso alla conversazione avvenuta due giorni fa in cucina. Mi dispiace molto, ma nessuno riesce a calmarmi quando sono arrabbiata.
"Che te lo dico a fare di essere prudente? Ti voglio tanto bene, Cam." mi abbraccia, e i suoi occhi chiari sono umidi.
"Anche io, mamma." replico.

Sento un clacson suonare. Sono arrivate.
Saluto di nuovo la mia famiglia e mi avvio verso la macchina.
"Ciao bellissima!" esclama Rachel dal sedile del passeggero mentre poso la mia valigia nel portabagagli.
"Ma buongiorno!" Sophia è al volante, piena di energia. Come fa ad esserlo a quest'ora del mattino?
"Allora, siete pronte per questa fantastica avventura?" esclamo felice. Lo sono davvero, perché ce lo meritiamo.
"Pronte per conoscere ragazzi carini?" Sophia suona il clacson per incoraggiarci a urlare con lei. Ma non lo faccio, mi limito semplicemente a ridere.
"Si parte!" Rachel esulta.
Ci sarà da divertirsi.
 

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Siamo in Florida. Dopo ore e ore di volo, siamo qui.
Miami. E' la prima volta che metto piede in Florida, ma sento che potrebbe essere la millionesima volta. Non so perché, ma avverto una sensazione di protezione qui.
Siamo arrivate alla casa.

Matilda, una ragazza newyorkese che vive a Miami, ha voluto invitarci a prendere parte a questa bellissima opportunità. Io conosco Matilda dal liceo, abbiamo frequentato le stesse lezioni per qualche anno. Poi ha mollato la scuola per inseguire il suo sogno di DJ, qua a Miami.
"Ragazze!" urla Matilda dalla porta di casa sua. Corre fino al portone d'ingresso. E' altissima, supera almeno un metro e ottanta. Io sono poco più bassa di lei. La abbracciamo, e ci conduce dentro.
"Allora? Com'è andato il viaggio? Stancante? Spero di no, ho tantissime cose da dirvi!" comincia Matilda. Non la smette mai di parlare. "RAGAZZI!" grida.
"Io sono stanchissima!" esclama Rachel.
"Tu cominci a stancarti anche dopo due minuti di corsa." dice Sophia. Ed è vero; Rachel odia le ore di educazione fisica. Le trova noiose e prive di senso.
"In effetti." rido io.
"Non vi preoccupate, ora vi riposerete." sorride Matilda. Due ragazzi stanno scendendo le scale.
Matilde li chiama a gran voce. I due ragazzi si girano e incrociano il nostro sguardo. Sophia mi lancia un'occhiata maliziosa, come per dire 'te l'avevo detto'. I suoi occhi azzurri seguono i passi dei due ragazzi.

"Ragazze, loro sono Jonathan e Tyler. E, ragazzi, loro sono Sophia, Rachel e Camille." ci presentiamo con scambi di mano.
Devo dire che non sono poi così tanto brutti. Anzi.
Jonathan è alto, magro e abbronzato, con un ciuffo biondo chiaro e due occhi grigi. Tyler invece è più basso, moro con i capelli a spazzola, con gli occhi verdi e due fossette sulle guance. Adorabile.
Jonathan mi sorride, e Tyler ci fissa imbarazzato. Più che altro guarda Sophia.
"Dove sono Mark e Damian?" chiede Matilda.
"Erano usciti per comprare qualcosa da bere per stasera." risponde Jonathan. Ha anche una bella voce. Mi piace molto esteticamente.
"Ah, vero. Ora, se non vi dispiace, conduco queste belle fanciulle nelle loro camere e voi farete i cavalieri portando i loro bagagli." mima Matilda con un gesto teatrale e si incammina verso il piano superiore. Le altre la seguono, ma io resto indietro per aiutare i ragazzi.
"Porto io la mia valigia, non vi preoccupate." dico un po' impacciata. Una ciocca di capelli rossicci mi cade sul viso mentre mi chino.
"Tranquilla. Facciamo noi." risponde il biondino, sorridendo. Ha un sorriso fantastico.
Sorrido a mia volta, e Tyler sghignazza.
"Allora, com'è stato il viaggio?" mi chiede Jonathan mentre saliamo le ampie scale.
"Bene, ma stancante. Sono tante ore di volo." rispondo guardandolo. Noto che nell'occhio destro ha una macchia verde, che contrasta il suo grigio splendente.
"Ci credo. New York è bellissima, se non ricordo male." ghigna lui.
"Di dove sei?" chiedo gentilmente. Tyler ci supera e posa la roba accanto alla porta, e se ne va sorridendomi. Mi turba un po' il suo comportamento. Forse è timido. Oppure non gliene frega di fare nuove conoscenze?
"Sono nato a Dallas, ma vivo a Miami da tre anni." la sua voce mi risveglia dai mille pensieri contorti.
"Wow. Pensavo fossimo tutti di New York qua dentro." confesso stupita.
"Solo io non sono della vostra città. Ho conosciuto Matilda un anno fa, e da lì siamo diventati inseparabili." spiega lui.
"State insieme?" chiedo incuriosita.
"Io e Matilda?" scoppia a ridere. "Ma certo che no! Io e lei non potremmo mai cominciare qualcosa di serio." ho detto qualcosa di sbagliato? Perché continua a ridere. Lascia i bagagli davanti la porta e mi guarda.
"Pensavo di sì, scusa." sorrido timidamente.
"Non c'è problema. Mi piacerebbe conoscerti di più." mi dice, lasciandomi con i miei pensieri sulla soglia della camera. Cosa è appena successo?

 
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Entro nella stanza. E' molto grande, con un letto a castello, e un matrimoniale, una porta alla destra e deduco sia la cabina armadio, un'enorme cassettiera con uno specchio largo e lungo appeso alla parete. Niente male.
"Chi dormirà qui?" chiedo avanzando per curiosare in giro.
"Noi tre. Ma siamo cinque donne." risponde Sophia ammirandosi allo specchio.
"Cinque? Chi si è aggiunta?"
"Lorianne. E' arrivata ieri da New York." mi dice Matilda. "E' simpatica. Vedrai che ti piacerà." sorride.
"Io la conosco, e non amo le persone con quel carattere. Mi sembra una vanitosa senza pietà." confessa Sophia, lanciando un'occhiata a Matilda. "Dov'è Rachel?"
"Penso di sotto. Andiamo?" interviene Matilda. I suoi occhi sono color cioccolato, così come i capelli lunghi. Essendo altissima ha anche un fisico magro.

Scendendo giù troviamo Rachel parlare con un ragazzo sul divanetto del salone. E' una casa abbastanza lussuosa. Certo, Matilda è entrata nel mondo della musica da poco, ma il suo stile è impeccabile.
"Ragazze! Dove eravate finite?" si alza Rachel. "Stavo parlando con Damian." indica il ragazzo con un accenno di barba, e capelli corti scuri.
"Ciao!" ci porge la mano. "Sono Damian. Piacere di conoscervi." sorride a bocca chiusa.
"Io sono Sophia, mentre lei è Camille." ci indica.
La bocca di Damian è ancora incurvata verso l'alto. Le sue fossette sono adorabili.
"Ma allora dove cavolo è finito Mark?!" esclama Matilda al limite della pazienza. Come se questo Mark fosse un bambino che non si ferma mai tra un gioco e un altro.
"Non lo so. E' un tipo strano, non preoccupatevi per lui. E' il mio migliore amico e ci conosciamo da così tanti anni che ormai ho perso il conto."
Rido insieme agli altri. Sono tutti simpatici.
Sento rumore di passi, e ben presto entrano Jonathan seguito da una ragazza bassa e magrolina, e Tyler.
"Siamo tutti presenti all'appello!" esclama Matilda entusiasta.
"Il fattone arriva. Sta fumando una sigaretta di fuori." mi guarda Jonathan facendomi l'occhiolino.
Ci sediamo tutti. "Mi chiamo Lorianne." dice la ragazza bassa e mora alzando la voce. Ci presentiamo anche noi, e lei ne pare contenta. Staremo a vedere come si comporta. Mi sembra una delle solite sciaquette tutte tette niente cervello.

Restiamo sul divano, ogni tanto lancio occhiate a Sophia e Rachel, ma conversano con gli altri. Mi sento un pesce fuor d'acqua.
Alzandomi faccio un cenno con la testa a Matilda, intenta a mangiarsi le unghie. Lei capisce, e io esco da quella sala. Forse è sbagliato, ma ho bisogno d'aria. E poi non ho avvertito i miei genitori del fatto che sono qui.

Questa casa è un labirinto. Per trovare il giardino ho girato come una trottola. Che cosa assurda.
Accendo il cellulare, e sento la voce di mia madre dall'altra parte, squillante come sempre. Le rivelo di stare bene, che va tutto okay. Chiudo la chiamata con un sospiro.

Mi guardo intorno: è tutto verde. Sono appoggiata alla ringhiera a pochi passi dalla porta scorrevole trasparente.
I miei occhi finiscono su una figura. Mi sembra alta. E' un maschio. Metto a fuoco per capire chi possa essere. Sta scrivendo dei messaggi e ciocche di capelli castano chiaro ricadono sulla sua fronte. Ha i gomiti appoggiati sulla ringhiera. Continuo a fissarlo mentre lui ripone il suo cellulare nella tasca posteriore dei jeans. Si volta nella mia direzione.
Sono esterrefatta quando si presenta davanti a me con la sua camminata. Nel senso che non ho mai visto qualcuno camminare in un modo così strano.

"Scusa, ti ho disturbato?" chiedo in modo gentile. Bisogna attaccare bottone qui per resistere fino alla fine della vacanza.
Mi guarda. I suoi occhi sono color caramello. I raggi del sole definiscono i suoi lineamenti sottili. E i capelli boccolosi ricadono fin sotto le orecchie, incorniciando il suo viso.
"No, figurati." risponde squadrandomi. "Sei arrivata oggi?"
"Sì, poco fa. Tu?" mi sistemo delle ciocche dietro l'orecchio.
"Ieri." i suoi occhi sono puntati sui miei. "Mi chiamo Mark." mi porge la mano in cambio della mia.
"Camille." la sua stretta è salda. Nonostante sia molto magro, è forte. E' qualche centimento più alto di me.
"Sei di New York?" mi fa appoggiandosi alla ringhiera nera.
"Sì, di Brooklyn." rispondo un po' imbarazzata dal momento.
"Siamo più o meno tutti di Brooklyn. Anche io. Per esempio Jonathan è originario del Texas. Ma questo non c'entra." dice tirando fuori un pacchetto di sigarette. "Cazzo." impreca richiudendo il pacchetto.
Non so cosa dire. Come dovrei agire in queste situazioni?

Qualcuno ci chiama. E' Sophia e ci raggiunge. Lancio uno sguardo a Mark, ma lui è impegnato a fissare il pavimento.

Che tipo strano.

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