More than a Feeling

di OkinoLinYu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Gli avvenimenti che accaddero in quel periodo furono i più straordinari e controversi della sua intera vita; non che la sua fosse una piana e noiosa esistenza, ma quello che le accadde difficilmente potrebbe ripetersi.

 

Lei non era, come dire, la più normale delle ragazze, desiderava ad esserlo, ci provava con tutta se stessa, ma nulla avrebbe cambiato la sua più notevole e importante diversità: lei era, lei è una mutata.

 

In quel periodo i mutati erano usciti globalmente allo scoperto, uomini e donne con capacità e caratteristiche fuori dall'ordinario, desiderosi solo di far parte integrante della comunità. Seppur con qualche diffidenza, il cammino di integrazione aveva trovato terreno fertile, tanto da far nascere anche dei super eroi acclamati e benvoluti dalla società.

 

Ma lei non desiderava la notorietà, né l'ovazione delle folle, desiderava solo essere normale. Sin da piccola non aveva mai voluto accettare la sua diversità, dalla più evidente delle sue mutazioni, i capelli verdi, fino alla scoperta dei suoi poteri, tenuti debitamente nascosti.

 

«E' da quando avevo 13 anni che mi tingo i capelli di questo colore e ora è fuori produzione?» disse arrabbiata.

 

«Suvvia! Di marroni ce ne sono a migliaia!» le rispose l'amica alzando gli occhi al cielo.

 

«Ma questa era l'unica marca che li copriva, letteralmente!» continuò lei sulla stessa onda.

 

«Ora che abiti a New York potresti anche lasciarli naturali, sai quante stranezze si vedono in giro!»

 

«Annie! Vuoi che ti fulmini?»

 

«Ehi, io dico sul serio! Nessuno si farebbe degli scrupoli! C' è anche di peggio!» disse ridacchiando.

 

«Seriamente, vuoi che ti fulmini?» esclamò alzando un sopracciglio.

Dana, giovane laureata trasferitasi a New York, lavorava alla NYU, segni particolari: capelli e occhi di un verde brillante.

 

«Vuoi una parrucca?» domandò Annie facendo scoppiare una bolla della gomma da masticare.

 

Annie, la sua migliore amica, l'unica che conosceva ogni suo più profondo segreto, sin dall'infanzia. Avevano deciso entrambe di tentare la scalata al successo nella grande mela, una nel campo dello showbusiness, l'altra in quello letterario.

 

«No, mi irritano la cute» replicò Dana intenta a leggere le indicazioni di una scatola di tintura per capelli.

 

«Prova questo nero, magari copre di più» Annie le passò un'altra scatola, speranzosa.

 

Lesse gli ingredienti. «No, qui l'ammoniaca è in una percentuale troppo bassa, non durerebbe neanche due lavaggi» esclamò rassegnata.

 

«Che palle! Non ti va mai bene nulla!»

 

«Senti, non mi va di essere presa per una nostalgica del Punk anni '70!» 

 

«E non ti lamentare se la tinta che prendevi è stata messa fuori commercio perché hanno scoperto che provoca il cancro!» rispose con una linguaccia. «Forse è stata proprio la tintura a renderti diversa!»

 

Dana la fissò con sufficienza. «I capelli verdi li ho dalla nascita, e tu lo sai bene!»

 

«È vero» sogghignò l'altra.

 

«Comunque qui non c'è nulla...e credo che non troverò null'altro di meglio» disse rassegnata.

 

«Terrai i capelli al naturale?» domandò euforica Annie.

 

L'amica mugugnò qualcosa di simile ad un si e l'altra esplose in un grido di felicità. 

 

«Si!!! Perfetto, così io me li tingerò di fucsia!»

 

«E ti serviva questo per farlo?» chiese sconcertata.

 

«Beh così mi sentirò meno sola» si giustificò, come se fosse la cosa più naturale al mondo.

 

L'altra rise; con Annie non c'era nulla da fare, era e sarebbe stata così per sempre, svampita e superficiale, ma la migliore amica che si potesse mai desiderare.

 

«Andiamo, altrimenti faccio tardi a lavoro.» disse seria Dana.

 

«Come sei noiosa! Su, pranziamo insieme prima!» insistette con vigore. Dana cedette subito alla promessa di un eclair al cioccolato.

 

Comprò una tinta verde per uniformare il colore dei suoi amati e odiati capelli ed uscirono dal negozio a braccetto, ridacchiando come due scolarette.

 

Si diressero a grandi passi verso un locale lì vicino, e si accomodarono ad un tavolino esterno. Dana continuava a lamentarsi della ricrescita sempre più evidente, mentre Annie era alla costante ricerca di qualche bel ragazzo.

 

«Ma la smetti di guardarti sempre attorno?» esclamò spazientita.

 

«Se non lo facessi, tu resteresti segregata in casa e io sarei costretta a farti compagnia e ad ascoltare le tue paranoie sui capelli!»

 

Dana si offese e mise il broncio.

 

«Avanti! Non fare così!» la blandì Annie, con uno sguardo da cucciola. L'amica si sciolse e rise di gusto.

 

«Non mi ringraziare!» disse all'improvviso, prendendo il volto di Dana tra le mani e costringendola a voltarsi con non poca delicatezza.

 

A pochi tavoli di distanza, Annie aveva individuato un bel ragazzo biondo, seduto da solo, intento a finire le sue patatine fritte; potevano vederne il profilo da quell'angolazione, e non sembrava niente male. Dana lo fissò attentamente, interessata, Annie era ormai persa.

 

«Io vado!» esclamò d'un tratto.

 

«No! Ma che fai?! Non mi sembra il tipo...» rispose preoccupata l'altra.

 

«Che mi frega! Ci provo lo stesso. Magari lo invito al cinema questa sera, forse è uno di quelli  intellettuali...» mentre Annie pensava a quale possibile tattica di rimorchio usare, il giovane finì il suo cibo e fece per andare via, dopo aver posato i soldi sul tavolino. La giovane non aspettava occasione migliore, si alzò con in mano la sua bibita e iniziò ad avvicinarsi di soppiatto. Molto teatralmente fece finta di scivolare e allo stesso tempo inclinò il bicchiere per far cadere tutto il liquido addosso al malcapitato; ma questa volta il piano riuscì a metà. Il ragazzo, dai riflessi pronti, si scansò in tempo per evitare il bagno, l'azione fu tanto repentina che Annie non ebbe il tempo di fermarsi e cadde a terra, tra le risa e gli sghignazzi dei presenti. Il giovane si affrettò ad aiutarla a rialzarsi. Lei si appoggiò con tutto il peso al braccio, per fare leva, e quando si mise in piedi cercò di assumere un'espressione naturale e disinvolta. Dana era piegata in due dal ridere.

 

«Signorina, tutto bene?» chiese cortesemente il giovane.

 

«Oh, si, credo di si...» un' idea le balenò in mente. «Oh...no forse no, mi fa male la caviglia!» fece finta di avere una distorsione.

 

L'espressione del giovane divenne preoccupata. «Riesce a camminare? Le fa molto male?» domandò apprensivo.

 

«Non so...forse riesco a camminare» provò a fare due passi. Il giovane sembrò sollevato. Sembrava  in ansia, come se non vedesse l'ora di scappare.

 

«Mi pare che sia tutto ok...» disse facendo un passo indietro.

 

Annie si voltò compiaciuta verso l'amica e noto che quella le faceva il segno del due di picche con la mano. Adirata, rincarò la dose.

 

«Ahi!» esclamò facendo finta di cadere, per essere presa tra le braccia del ragazzo. «No...non riesco proprio a camminare, forse dovrei andare da un medico»

 

Lui preoccupato annuì, tenendola stretta. Lei guardò trionfante l'amica, che scosse la testa, rassegnata. Pagò il conto e si avvicinò con in mano la borsa dell' amica.

 

Annie aveva iniziato a parlare e a focalizzare l'attenzione tutta su di lei, come al suo solito. Erano saliti in metropolitana, dato che nessuno dei tre aveva un mezzo proprio, in direzione del più vicino ospedale. Durante il tragitto la giovane monopolizzò la scena, lasciando a Dana l'ingrato ruolo di terzo incomodo. Non aveva fatto altro che parlare di lei o cercare di indagare nella vita del giovane, ricevendo spesso risposte monosillabiche o vaghe. La manfrina continuò anche nella sala d'aspetto del pronto soccorso. Quando fu il suo turno, Annie andò a farsi visitare zoppicando, sorretta da un'infermiera.

 

Dana scosse la resta, sorridendo rassegnata. «E' la solita...»

 

«Come scusa?» domandò lui.

 

«Deve sempre farsi riconoscere, è fatta così» rispose sorridendo.

 

«Siete amiche da molto?»

 

«Da tutta una vita...» disse un po' malinconica. «Comunque io mi chiamo Dana Lorch. Prima non ci siamo presentati, sai...la reginetta» esclamò ridacchiando e porgendogli la mano destra.

 

Lui sorrise. «Roger Smith, molto piacere»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Era passata una settimana da attivista quell'incontro, non si erano scambiati né indirizzo né numero di telefono, si erano salutati ed erano tornati alle loro vite.

 

Dana era un'assistente di biblioteca alla NYU, dove frequentava un master in letteratura medioevale inglese. Le sue giornate erano scandite dalla solita routine: sveglia, colazione da Starbucks, viaggio in metro per arrivare, lavoro, pausa pranzo – la maggior parte delle volte con Annie- lezione, viaggio di ritorno, cena da asporto o quello che trovava in frigo -se riusciva a fare la spesa- doccia e poi letto. Solo nei weekend usciva a svagarsi con gli amici dell'università o, spesso, ragazzi abbordati Annie che avevano un amico da sistemare. Dopo il loro fugace incontro non aveva quasi più pensato a quello strano ragazzo, totalmente immersa nel suo stress da perfetta newyorkese. Fu il caso o il destino che un venerdì, rincasando prima dal lavoro, in metropolitana lo rivide, seduto da solo, con lo sguardo assorto e malinconico. Lei non era tipo da andare a salutare gente che a stento conosceva, così restò in disparte ad osservarlo. In quel contesto non aveva nulla di strano, ma più l'osservava, più la ragazza riusciva a percepire una sorta di alienazione interiore emanata da quel giovane, il suo modo di porsi, così pacato e tranquillo, il suo modo di vedere il mondo circostante, con attenzione a tutti i dettagli, e poi le onde che emanava, le trasmettevano una sensazione a lei familiare. Quella stessa sensazione che provava ogni volta che era costretta a rapportarsi direttamente con degli sconosciuti. La paura e il timore che potessero scoprire la verità sul suo conto, il non essere accettata, persino la paura, erano tutti sentimenti perfettamente conosciuti, che quel giovane sembrava condividere. Entrambi rifiutavano il mondo circostante e la gente che lo popolava.

 

Spinta da questi profondi pensieri, fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di fare, decise di seguirlo. Scese alla sua stessa fermata e, stando attenta a non farsi riconoscere, camminò dietro di lui – a debita distanza- per tutto il tempo. Roger si fermò in una palestra, una poco conosciuta, non grande e nemmeno piena di attrezzi all'avanguardia. Lei rimase un po' fuori, indecisa sul da farsi. S'era fatto buio, gli atleti cominciavano ad uscire, ma lui non era tra quelli. Prendendo coraggio e con il cuore che le batteva all'impazzata, Dana entrò, silenziosa e attenta si mise a cercare il ragazzo. Lo vide che tirava pugni ad un saccone, con delle fasce sulle nocche e la canottiera impregnata di sudore. Si avvicinò un po' di più, restando sulla soglia ad osservarlo, con il rumore dei pugni non si era accorto della sua presenza. Li tirava con gran foga, sempre più forti, tanto che la ragazza ebbe paura che il sacco potesse rompersi da un momento all'altro. I suoi timori furono subito fondati. Dopo un pugno ben assestato, il saccone volò contro il muro, producendo un forte tonfo e lasciando una profonda crepa. Il ragazzo stava prendendo fiato.

 

«Oh ma porc...» imprecò a denti stretti con una mano davanti la bocca per lo stupore.

 

Lui si girò e la vide. All'inizio non la riconobbe, poi lei abbozzò un saluto con la mano e un mezzo sorriso, avvicinandosi. Quando le fu a pochi passi si ricordò.

 

«Dana, giusto?» 

 

«Si, proprio io» rispose imbarazzata.

 

Ci fu un interminabile ed imbarazzante silenzio, lui si sfilava le bende dalle mani, lei fissava il parquet.

 

«Che...che cos'è successo?» chiese titubante indicando il sacco per terra.

 

«Credo che l'attacco fosse difettoso» provò a giustificarsi lui, dandole le spalle.

 

Ci pensò un po' su. «Non è possibile, ero qui da un po' e menavi pugni come un pazzo....eppure reggeva!»

 

Lui si voltò di scatto, stupito.

 

«Scusa scusa, non ti stavo spiando!» si affrettò a dire portando le mani avanti. «Non sono una stalker...solo che...» si bloccò.

 

«Solo che, cosa?» domandò leggermente infastidito.

 

«Ti...ti ho visto sulla metro e...non so come ti ho seguito» si grattò nervosamente una guancia, era rossa d'imbarazzo.

 

Lui la guardò sconcertato.

 

«Di solito non faccio queste cose ma tu...tu mi sembravi così simile a me» abbassò il tono di voce sul finire della frase.

 

«Simile?»

 

Annuì. «E quello non fa che confermarlo...» indicò il sacco.

 

«Come fai a dirlo?» chiese lui, incrociando le braccia al petto e mettendosi di fronte a lei.

 

La ragazza fece un passo indietro, leggermente preoccupata.

 

«Ecco...» mille pensieri cominciarono a correre nella sua mente, si guardava nervosamente attorno, sentiva i battiti accelerati del suo cuore; «Promettimi che manterrai il segreto» disse seria.

 

Lui per tutta risposta la guardò interrogativo.

 

«Oh chissene!» sbottò alzando gli occhi al cielo.

 

Portò avanti la mano destra e la tenne tesa in direzione del ragazzo.

 

Lui alzò un sopracciglio, confuso. «Ebbene?» chiese dopo qualche secondo.

 

Con la coda dell'occhio vide qualcosa muoversi alla sua destra, all'altezza delle spalle, si voltò di scatto e constatò –con suo immenso stupore- che c'era un manubrio da palestra che svolazzava intorno a lui.

 

Repentino si girò verso Dana e la vide concentrata su quel peso, la mano ancora tesa che ne seguiva i movimenti. Tornò subito all'oggetto volante.

 

Dopo aver librato per qualche secondo davanti al suo viso, cadde a terra con un forte rumore metallico, lui si scostò appena in tempo per far si che non gli finisse su un piede.

 

«Scusa» disse lei affannata, il braccio era sceso e si asciugava la fronte sudata con il dorso della mano destra.

 

Roger era rimasto a bocca aperta. Guardava alternativamente il peso a terra e la giovane.

 

«Che cosa sei?» chiese ad un tratto.

 

Quella domanda fece crollare le grandi aspettative che la ragazza aveva riposto in lui. La sua espressione cambiò radicalmente, da carica di speranza a pregna di profonda delusione. Il sogno che lui potesse essere come lei si era infranto così com'era stato creato.

 

«No...n..nulla» balbettò. Cominciò a guardarsi attorno con ansia, le sue poche certezze erano crollate, si era esposta così ad uno sconosciuto e non riusciva a sopportarlo.

 

«Scusa» disse frettolosamente; Si voltò e iniziò a correre verso la porta.

 

Roger, non contento della risposta, si fiondò ad acchiapparla, prendendola per un braccio. «Aspetta» disse facendola voltare.

 

Così notò che stava piangendo, e tanto anche, le guance erano già tutte bagnate e gli occhi pieni di quel liquido salato. Lei si divincolò, ma la presa del ragazzo era forte.

 

«Scusami, davvero» esclamò lui vedendola così sconvolta.

 

Dana non rispose, si limitò ad asciugarsi le guance con la mano libera. Lui lasciò la presa.

 

«Ti prego, perdonami, non volevo farti star male» dal suo tono di voce si capiva che era realmente dispiaciuto. La ragazza lo apprezzò.

 

«Ti scongiuro, non farne parola con nessuno» volle assicurarsi almeno di questo.

 

«Si si, non ti preoccupare. Però, per favore, fammi rimediare a quello che ti ho fatto» era così galante e premuroso, come pochi di quei tempi.

 

Lei rimase in silenzio, la testa china.

 

«Permettimi di offrirti la cena» esclamò serio.

 

Lei tirò su col naso e acconsentì. 

 

Dopo essersi lavato e cambiato, uscirono insieme dalla palestra e si diressero verso una tavola calda. Si sedettero ad un tavolino che dava sulla vetrina del locale. Erano l'uno di fronte all'altra, ma Dana non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. Ordinarono, lei una Cesar Salad, lui una bistecca. Dopo attimi di un silenzio imbarazzante lui prese la parola per primo.

 

«Ti prego di perdonarmi per la mia reazione. Ma mi hai colto alla sprovvista» cercò di giustificarsi.

 

«Non fa niente, è comprensibile» esclamò rassegnata, sospirando.

 

«Anche...anche io sono diverso» disse dopo qualche minuto di silenzio, guardando la strada.

 

Lei alzò lo sguardo, interrogativa.

 

«Questo l'avevo capito» disse ironica. «Pensavo fossi come me!»

 

Lui la fissò e stava per pronunciare la stessa domanda di prima, ma fu anticipato,

 

«Sono una Mutata» disse d'un fiato, come per togliersi un grosso peso tenuto nascosto da troppo tempo.

 

Lui spalancò gli occhi. Finalmente aveva capito. Non aveva mai visto un mutato di persona, anzi, pensava fossero molto più strani e spaventosi.

 

«Sono così dalla nascita, non posso farci nulla» disse alzando le spalle. Poi catturando la sua attenzione gli fece notare l'impercettibile ricrescita dei suoi capelli, lui notò il verde, sorrise incredulo.

 

«Già. C'è chi è più fortunato di me e può nasconderlo per molti anni, altri invece non hanno modo di passare inosservati, e forse anche per questo motivo hanno deciso di uscire allo scoperto. Io mi sono dovuta adattare...» si era sciolta un po' ed aveva cominciato a prendere la cosa sul ridere.

 

Arrivarono le loro ordinazioni e la conversazione fu interrotta dalle bocche piene.

 

«Invece tu?» chiese pulendosi la bocca con un tovagliolo.

 

Lui la guardò stupito.

 

«Si, non è da tutti sfondare un sacco da boxe» ridacchiò.

 

«In effetti...» sorrise imbarazzato. Decise anche lui di vuotare il sacco. «Non so di preciso cosa mi sia successo, un giorno volevo colpire un tizio ma lo mancai, per sua fortuna, perché colpii il muro dietro di lui, distruggendolo. Pensa se fosse stato il suo cranio!» sorrise imbarazzato.

 

Dana era sbalordita, rimase con la forchetta a mezz'aria. «Quindi tu non sei nato con questa...superforza?»

 

«No» si incupì.

 

«Ti hanno fatto degli esperimenti scientifici?»

 

«No...» si sentiva a disagio con tutte quelle domande, lui non era tipo da fare confidenze al primo che passa.

 

Dana notò il suo disagio e restò per un attimo in silenzio.

 

«Non sarai mica una spia nemica in incognito?» disse ridendo. «O lo sei?» chiese, d'improvviso seria.

 

Lui ridacchiò e trasse un profondo respiro. La tensione si era allentata.

 

«Ti capisco se non vuoi parlarne, non è una cosa semplice»

 

Lui scosse la testa e la guardò intensamente. Lei si perse nei suoi occhi cerulei, così profondi e intensi, che per qualche secondo perse la cognizione dello spazio e del tempo, dimenticandosi di tutto.

 

«Non c'è molto da raccontare sul mio conto» disse tristemente. «Ero un ragazzo normale che una mattina si è svegliato con dei poteri sovrumani...»

 

Lei rimase un attimo in silenzio.

 

«Vuoi fare a gara chi è più sfigato?» esclamò lei scherzosa.

 

Lui la fissò perplesso.

 

«Sono una mutata, ho i capelli verdi, se la gente lo venisse a sapere mi lincerebbe e sono persino stata adottata» disse ironica, con un sorrisetto sulle labbra.

 

Si fissarono e poi scoppiarono entrambi a ridere. Una risata liberatoria e senza pensieri.

 

«In effetti sarebbe una bella gara» disse lui tra un riso e l'altro.

 

La serata procedette tranquilla, continuarono a parlare delle loro vite, del mondo circostante e della continua sensazione di straniamento che entrambi provavano. A fine cena si salutarono promettendo di rivedersi.

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