Cavaliere o abate

di AndreaBrivio17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** Il conclave ***
Capitolo 3: *** Presagi di tempesta ***
Capitolo 4: *** Il progetto Space Opera: Dolatrabus ***
Capitolo 5: *** Nel robot ***
Capitolo 6: *** Dare una mano in battaglia ***
Capitolo 7: *** Tagliata la testa, il corpo muore ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto ***


C’era una volta in Mozambico un abate e cavaliere di nome Paul. Egli viveva insieme al suo fedele botanico e giardiniere Auguste Joseph, soprannominato AJ. Un giorno i due andarono a trovare i loro vicini: la famiglia Volumni.
“Ci hanno mandato una telefoto in cui ci invitavano a festeggiare la vittoria del campionato di arti marziali del loro figlio Kang, ecco perché stiamo andando” spiegò Paul al suo amico.
“Una telefoto?” Domandò AJ.
“Sì, un messaggio telefonico con un’immagine… com’è che la chiamate voi giovani?”
“MMS, Paul, un MMS.”

Arrivati alla casa dei loro vicini, trovarono il giovane campione Kang, suo fratello calciatore Miroslav e la squadra di pallacanestro Trapani della quale il padre dei due ragazzi aveva fatto da coach. Era presente anche la fidanzata di Kang: Genari.
Erano passati 498 minuti dall’inizio della festa quando arrivò Robert. Egli veniva direttamente dal fortino sulla foce del fiume per avvisare tutti i presenti (ma soprattutto il cavalier Paul) che il malvagio Wolverton stava arrivando. All’udire ciò si fece gelo in tutta la casa, il gruppo musicale smise di suonare e Liga, madre di Miroslav, iniziò a gridare “Timmiarmiut! Timmiarmiut!”
“Che vuol dire?” Chiese AJ a Paul.
“Che Eugenio, il capo-dipartimento, sarà arrabbiatissimo”.

Paul e AJ andarono subito dal capo della prefettura in cui vivevano (il Dipartimento Reillon) per informarlo dell’arrivo imminente del re del popolo Atila. Arrivarono nell’ufficio di Eugenio mentre stava ascoltando “The Darkside Vol.1” svaccato sulla sua poltrona.
“Signore, dobbiamo convocare un conclave per decidere cosa fare contro Wolverton e gli Atila!” irruppe Paul, fermando la musica.
Eugenio saltò in aria dallo spavento ma si ricompose e rispose: “Scialla man. Non riusciranno a passare la Palude Cayuga”.
“Ma non doveva essere arrabbiatissimo?” Sussurrò AJ nell’orecchio del cavaliere.
“Capo, il suo predecessore, Il Nuda, ha bonificato la palude due anni fa…”.
“COSA?!?!?! Ah, quando mai ho deciso di candidarmi! Sì certo, ero entrato nella Billboard200 come uno degli uomini più adatti al comando, ma perché non ho lasciato Chankatagh a competere da solo per la carica, sarebbe stato certamente meglio di me, ma no! Ho ascoltato quello che mi diceva Brower ed ecco il risultato. Avrei dovuto partecipare al Ljubljana Open, che avrei sicuramente vinto, e invece sono qui a raccogliere i frutti di predecessori incompetenti. Sapete, facevo parte della grande squadra Libertas, io, ero…”.
“Capo, zscusi ze la interrompo, ma gli Atila ztanno arrifando!” Disse un quattrocchi col camice bianco e l’accento tedesco entrando nell’ufficio.
“Ma a differenza tua loro non arrivano in ritardo Dr.Pfalz! Lo so già, mi hanno appena avvertito. Fa’ una cosa, recati insieme al cavaliere e al suo assistente nella sala riunioni mentre io convoco il conclave”. Gli disse Eugenio e premette un pulsante rosso con scritto “Pericolum Humani generis”.

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Capitolo 2
*** Il conclave ***



Il dottore accompagnò i due nel salone, fece sedere Paul e si sedette accanto a lui mentre AJ rimase in piedi dietro di loro. Pian piano arrivarono tutti i membri del conclave: c’erano Levonovic lo stratega, Monthey il comandante dell’esercito, Guarino il vescovo ed Eugenio il capo-dipartimento.
Si erano seduti tutti intorno ad un tavolo che aveva una vistosa decorazione di una Lytoceratina, lo stemma del dipartimento.
“Signori, i nostri nemici del Distretto Namestovo, gli Atila, sono quasi giunti alla foce del fiume LeJuch. Propongo di suonare l’Alborada dalla Torre Civica e richiamare così González González, il varano gigante. Col suo aiuto distruggeremo Wolverton e gli Atila in men che non si dica”.
“Monsieur… – Prese parola il colonnello Monthey – González González viveva nella palude.”
Eugenio si alzò in piedi pronto per urlare un altro dei suoi discorsi sul perché sarebbe stato meglio se non fosse diventato il capo-distretto, ma si trattenne, si sedette e fece play sullo stereo che portava sempre con sé. La musica lo aiutava a calmarsi e a pensare. In quel momento partì una canzone chiamata “Helpless”. Tutti stettero zitti per una trentina di secondi aspettando che il capo ricominciasse a parlare, ma ciò non avvenne.
“Capo. – disse il Dr.Pfalz – Al muzeo di antropologia c’è qvalcosa che può fare al caso noztro”. Ancora sconsolato Eugenio prese il telefono per chiamare Wilders, il direttore del museo, e lo mise in vivavoce.
“Pronto?”
“Salve Wilders. Sono Eugenio, il capo-dipartimento, gli Atila ci stanno invadendo ed il Dr.Pfalz dice che nel museo hai qualcosa che ci può aiutare”.
“Mi riferizco al procetto Space Opera”. Intervenne subito il dottore.
“Ok. – disse la voce dall’altra parte del telefono – Vede capo, il progetto Space Opera era iniziato come una serie di esperimenti nella valle del vento: avevamo preso un juke box e, insieme al Dr.Pfalz e alla Parker, l’abbiamo modificato attrezzandolo con il motore di una Dodge facendolo così diventare un robot capace di lanciare oggetti grossi quanto asteroidi e fare dei freestyle da paura. Purtroppo il suo nucleo di energia era instabile e, poiché stava per iniziare il torneo di tennis, abbiamo deciso di disattivare Dotalabrus (questo è il nome che gli avevamo dato) e custodirlo nei magazzini del museo”.
“Ah ok, e che forma ha questo robot è umanoide? O forse un varano gigante?” Chiese Eugenio.
“No, è un proboscidato. Una sorta di elefante, ecco”. Replicò Wilders.
“Perfetto, lo useremo per la battaglia.” Disse il capo, poi si alzò in piedi e cominciò a impartire ordini: “Andate a cercare Minazuki, lei saprà riparare un poco il robot. Colonnello, raduni l’esercito vicino al forte sul fiume.” Nel mentre si ricordò di avere ancora in linea il direttore del museo, si sedette e disse in direzione del telefono: “Manderò al museo degli uomini, arriveranno in metropolitana alla fermata “Drupa”, nel frattempo lei inizi a tirare fuori Dotalabrus”.
“Ma probabilmente è un errore al HFS, è un problema di software, l’unico che può fare qualcosa è Sylvain, ma nessuno sa dove si trovi.” Rispose Wilders.
“Scialla, ce la faremo.” Disse Eugenio riagganciando. Si svaccò sulla poltrona e dal suo stereo fece partire “Dragonfaith”. Aveva detto la sua, il conclave era finito.

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Capitolo 3
*** Presagi di tempesta ***


Tutti si alzarono e se ne andarono a eseguire gli ordini. Stavano per uscire dalla stanza anche Paul e AJ quando Eugenio li fermò: “Hey. Vai a suonare le campane dell’abbazia per avvertire del pericolo. Prendi anche questo, a me non serve, sia mai che ne abbia bisogno te”. Detto ciò diede all’abate una pellicola cinematografica sulla quale c’era attaccato un pezzo di nastro adesivo con scritto “Adventures of Sherlock Holmes”. Uscirono quindi dalla sala del conclave. Nel palazzo tutti erano agitati, sembrava quasi che il cemento di cui erano fatti i muri non riuscisse a contenere tanta ansia e preoccupazione.

In un paio di minuti arrivarono all’abbazia, attraversarono il prato davanti all’ingresso quando un pipistrello gli volò incontro facendo cadere ad AJ il suo smartphone mentre era distratto a giocare a CandyCrush. “Dannazione, è la quarta volta che mi cade oggi. – disse raccogliendo il telefono – Ma non ti ho ancora chiesto cos’è quella pellicola, è forse “Amore, odio e vendetta”? ” .

“Ma no, non vedi che è scritto cos’è? E poi che ne sai tu di questi vecchi cortometraggi che sei un nativo digitale”. Dopo aver detto ciò, alzò lo sguardo: “Guarda come si vede bene la stella azzurra della costellazione di ariete; sai secondo i ranger della città è presagio di tempesta.” In quel momento da dietro un pino si sentì il suono di un liuto, i due si girarono e videro un uomo che mentre suonava accarezzava un coniglio. Sulle note di quella musica Paul alzò nuovamente la testa dicendo: “La luna è una severa maestra mio caro.” Abbassò lo sguardo e, vedendo un monaco che gli veniva incontro, lo salutò: “Hey Arnold!”

Arnold gli si fece incontro un poco agitato: “Paul, è la conclusione di un’era, vero?”

“No, è soltanto la fiammetta di una battaglia, niente di che. Piuttosto vai a suonare la campana, bisogna comunque dare l’allarme”.

“Subito!” Disse Arnold e corse dentro l’abbazia.

“Ti servirai d’incantesimi e magie come i tuoi avi per evitare questa crisi?” Chiese una voce dietro di loro.

“Gyorgy! Vecchio volpone, credevo fossi a Tarata” Disse Paul voltatosi.

“Sì, ma finite le gare dell’Artic Ultra sono tornato.” In quel momento si sentì uno strano rumore: “Korff Korff Korff Korff”.

“È il mio telefono. – Disse AJ – È arrivato un messaggio da Eugenio: “Finito con le campane fatevi trovare alla fermata della metro Grupa”, sarà un errore di battitura, evidentemente intendeva la fermata “Drupa”. Paul, dobbiamo andare”.

L’abate salutò Gyorgy e lo abbracciò: “Dove andrai ora?”

“Salirò sulla catena montuosa. In bocca al lupo per la tua missione Paul!” Detto ciò si allontanò.

Mentre i due si avviarono verso il luogo indicato, Paul domandò al suo erborista: “Hai un po’ dei tuoi intrugli, velenosi e non? Magari ci serviranno”.

“Sì sì, ho l’arsenico e la xantopterina”.

Continuarono a camminare quando si avvicinò a loro un barbagianni fuligginoso che li seguì. “Guarda che bel pennuto, lo chiamerò Viviano.” Disse AJ.

“Perché non Olbersleben, a me piace di più”, replicò Paul.

“Nah, è un nome troppo prussiano.” Rispose AJ.

“Perché non Roberson?” Disse qualcuno da poco lontano. Era Minazuki. Mentre discutevano sul nome da dare al barbagianni erano arrivati alla fermata della metro. Ad aspettarli c’era anche il Dr.Pfalz.

“Formiamo proprio vun bel qvartett…” Il dottore non riuscì a finire la frase perché fu colpito dall’ala del barbagianni. “Fia, fattene, lasciami in pace uccellaccio, fia! Che dolore, afrò un occhio fiola”.

“Bando alle ciance. – Disse Minazuki – Ho lo schema del robot, per sistemarlo bisogna agire così” Ed iniziò a spiegare tutti i passaggi da fare, come fosse uno scacchista che spiega le giuste mosse per vincere. “Benissimo, ora prendete dei martelli e seguitemi”.

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Capitolo 4
*** Il progetto Space Opera: Dolatrabus ***




Cominciò a camminare verso l’ingresso del museo, dove una donna la accolse aprendo la porta: “Lei deve essere il tecnico mandato dal capo-dipartimento, salve io mi chiamo Carmen Elizabeth Juanita De…”.

“Sì, sì non ti ho chiesto la storia della tua vita, dov’è il robot?” La interruppe Minazuki.

“È nel magazzino dietro alla sala Stawiski. Seguitemi, vi accompagno”. Mentre camminava, canticchiava una canzonetta che le serviva per orientarsi nell’immenso museo. Entrata nella sala si diresse verso un arazzo con raffigurate delle foglie d’autunno. Lo scostò ed entrò in una porta nascosta, seguita dagli altri quattro.

“Geniale! Nascondere una porta con un arazzo.” Disse stupito AJ.

“Stupisciti di questo.” Gli disse Paul.

Si trovarono davanti ad un grosso elefante metallico alto 11,54 metri.

“Grazie. È stata davvero di buon cuore ad averci accompagnati qui a quest’ora di notte. – Disse Minazuki alla loro accompagnatrice – Avrei solo una domanda, come lo portiamo fuori?”.

Carmen si avvicinò ad alcuni barattoli di pittura acrilica all’angolo della stanza, li spostò e premette un bottone. I muri cominciarono a tremare e una parete si aprì come fosse la porta di un garage. “Ho analizzato meglio Dotalabrus, il problema non è al HFS come pensavamo ma al modulatore di Worcester, io ho fatto quello che ho potuto, ora tocca a voi. Buona fortuna”. Detto ciò si allontanò per lasciarli lavorare in pace.

Minazuki iniziò subito a impartire ordini: “Ok, bene ma non benissimo. Ci servirà un nuovo modulatore: Paul, AJ. Voi andate nella città proibita, chiedete dello Svizzero, lui ve ne darà uno nuovo. Io e il dottore rimarremo qua a sistemare il robot. Forza non c’è tempo da perdere”

“La città proibita di Tuifa, no grazie.” Replicò AJ spaventato.

“Non fare storie, è solo un nome.” Lo rimproverò Paul. “Dove si trova questo Svizzero?”

“Prova a cercarlo nel rifugio Casera, al confine Sud-Ovest; se non lo trovi, chiedi in giro, lo conoscono tutti lì”.

Uscirono dal magazzino del museo e si avviarono verso la città proibita. La notte stava per finire ma si alzò un vento forte e gelido che annunciava l’arrivo di una bufera.

Mentre camminavano AJ aveva lo sguardo rivolto a terra preoccupato sia per la bufera che li avrebbe colti sia perché stava recandosi nella città proibita. Sarà pure solo un nome ma se glielo hanno dato ci sarà un motivo. “Ma tu hai mai sentito parlare di questo Svizzero?” Chiese a Paul.

“Sì. È una sorta di alchimista, ha scritto il trattato chiamato Fiori di Salmo”.

Mentre parlavano, iniziò a piovere e si levò un forte vento.

“Ottimo questo ritarderà un poco alcuni dei loro trimarani.” Disse il cavaliere.

“Sì ma è possibile che siano già arrivati al fiume.” Replicò AJ.

“Lo so, è questo che preoccupa me e tutta la comunità”.

Camminando sotto la pioggia arrivarono finalmente nella città e davanti a loro si palesò una Mercedes rossa.

“Voi dovete essere il cavalier Paul. Minazuki mi ha avvisato del vostro arrivo così vi sono venuto incontro.” Scese dall’auto e aprì il bagagliaio: “Ecco, qui avete un modulatore sonico e il Worcester. Vi posso accompagnare fino al museo ma poi devo scappare che han bisogno di me al mulino”. Chiuse il bagagliaio e li guardò, avevano un’aria stranita. “Oh scusate, che sbadato, non mi sono ancora presentato: mi chiamo Ostasiengeschwader, meglio noto come Lo Svizzero”.

Salirono in auto e in un lampo arrivarono al museo. Lo Svizzero aprì il bagagliaio e consegnò ai due un modulatore ciascuno. Mentre stava per andarsene, Paul notò uno strano libro in macchina che s’intitolava “La spada e la mente”.

Lo Svizzero sgommò via e i due andarono sul retro per entrare dalla porta del magazzino quando l’abate esclamò: “Oh Gesù Buon Pastore!”.

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Capitolo 5
*** Nel robot ***


Aveva rischiato di prendersi un calcio di Dolatrabus in faccia.

“Zscusi, lo ztavamo profando per federe come funziona.” Si scusò Pfalz facendo capolino dalla testa del robot. “Per perdonarmi le offro qvesto cioccolatino”, disse lanciandogli un boero.

“Meraviglioso, avete anche il modulatore sonico, potrà servirci.” Disse Minazuki scendendo dall’elefante. Lo prese in mano e lo guardò in tutte le sue componenti: “Marca Sagitta, ottimo. Farò un bestione a due modulatori, ci vorrà un po’ di più ma sarà un’arma micidiale. – Si girò poi verso il dottore – Apri il vano inferiore!”.

Iniziò a lavorare all’interno del robot insieme al Dr.Pfalz mentre gli altri due facevano da assistenti. All’alba avevano finito. Minazuki, pulendosi le mani con uno straccio, fece un paio di passi indietro per ammirare la sua opera. “I migliori ingegneri dell’Arkansas mi fanno un baffo ahahah!” Poi tornò seria e salì nel robot insieme con gli altri. “Rispediamo gli Atila nella terra da cui son venuti!” Disse accendendo Dolatrabus. “Chissà che reazione avranno quando ci vedranno arrivare.” Era ancora tutta esaltata di poter guidare quella che lei riteneva una sua creazione (anche se non era esattamente così).

L’elefante meccanico uscì dal museo e si diresse verso la foce del fiume, dove la fanteria stava già combattendo da 255 minuti.

“San Leonardo, aiutaci tu!” Pregava sottovoce Paul dentro il robot. Aveva paura. Pur essendo un gran cavaliere, aveva paura. La bufera imperversava. Il Sole era sorto ma non si vedeva a causa della grandissima quantità di nuvole che lo circondavano.

AJ lo distolse dai suoi pensieri: “I ranger avevano ragione: quella stella blu era presagio di tempesta. La bora soffia forte e sembra che non ci sia niente che la possa placare. Gli Atila sono stati fortunati ad arrivare durante la notte; se avessero ritardato di qualche ora e si sarebbero beccati questo ventaccio contro le loro barche e non sarebbero sopravvissuti”.

Minazuki, con la sua solita “delicatezza” cominciò a dare le direttive: “Arriveremo al fiume da Sud-Est. Dovremo quindi passare per i colli e da lì troveremo la strada aperta”. Prese poi in mano il trasmettitore radio “Qui Dolatrabus. Siamo nel settore BB-32 direzione Nord-Ovest. Mi ricevete?” Non si sentì risposta. Passarono attimi di panico. Il dottore, Paul, AJ e Minazuki si guardarono impauriti. Un silenzio gelido era calato nel robot. L’unico rumore che si sentiva era quello della pioggia mista a vento che veniva da fuori. Magari un'antenna era stata danneggiata. O magari non si sentiva nessuno perché, effettivamente, non c’era più nessuno dall’altra parte.

“Qui unità CIBA16. Vi riceviamo forte e chiaro Dolatrabus. Fa piacere sentirti Minazuki.” I quattro sorrisero.

“Anche a me Levonovic”. Replicò lei ridendo.

“Qui stiamo utilizzando la tattica Nisko. Non abbiamo ottenuto grandi risultati ma stiamo limitando i danni fino all'arrivo del bot. Tra quanto tempo pensate di arrivare? Passo”.

“Tra circa 15,04 minuti. Passo”.

“Ricevuto. Una volta arrivati affiancatevi al NASL del colonnello Monthey, da quel momento sarà lui a darvi gli ordini. Passo”.

“Roger. Dolatrabus chiude”. Detto questo, ripose il ricevitore e tornò a guidare il robot più convinta che mai.

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Capitolo 6
*** Dare una mano in battaglia ***


I quattro passarono i colli Cummings calpestando qualche Macroscelide che viveva lì, ma era un prezzo da pagare se volevano vincere la guerra senza troppi danni. Dolatrabus sembrava così potente che neppure il dio Fobos incuteva così tanta paura.

Dopo quindici minuti la bestia era arrivata a destinazione. L’elefante si avvicinò a quella sorta di carro armato che era il NASL di Monthey. Il colonnello si stava lamentando di una spia accesa.

“No Power. Mon dieu. Cos’è che non va!” Si accorse poi dell’arrivo del robot allora si voltò verso di esso urlando: “Minazuki, scendi e aiutami a ripararlo. Dr.Pfalz, si diriga verso la battaglia con Dolatrbus. Schiacciateli per bene, mi raccomando”.

Minazuki, un attimo prima di scendere, disse agli altri: “Dottore prendi il mio posto. AJ, tu sarai il copilota. Io sono superflua qui. Conto su di voi; come tutti del resto”.

I tre lanciarono Dolatrabus dritto verso il campo di battaglia come fosse un giocatore di rugby pronto a sfondare le difese della squadra avversaria. I loro nemici erano esperti in battaglia: si servivano di ghiandaie addestrate dalla formazione del Catanzaro Calcio; ma non potevano nulla contro un proboscidato di quasi 12 metri.

La radio dentro alla cabina di pilotaggio suonò: “Qui unità ISO3166, parla Batley. Chiediamo rinforzi sul lato Sud del fiume. Il Rotenone che usavamo come arma nel fucile a gas è finito”.

“Qui Dolatrabus, parla AJ. Ti vedo e ho qualcosa che può servirti. Arrivo. – Mise giù la radio e si girò verso Paul – Avevi ragione. Gli intrugli chimici possono sempre fare comodo”. Detto ciò si mise una delle maschere anti-gas presenti all’interno del robot e scese. Paul rimase lì, fermo. Lo guardò andarsene; correre impavido in mezzo al vento e alla pioggia per aiutare il compagno.

“Zalta dafanti. Tobbiamo muoverci. Ziamo nel mirino dei basooka della fanteria”. Lo destò dai suoi pensieri il dottore. Paul si dispose accanto a Pfalz chiedendo: “Che devo fare?” “Io mi muovo ferso il ponte, tu ztai pronto a zparare con qvel joystick”.

Il dottore fece rombare al massimo il motore Dodge che, con l’ausilio dei due modulatori, erogava una potenza enorme, ai limiti della criticità. Si avviarono quindi verso il ponte.

“Zpara con il lazer contro i nemici. Forsa che azpetti!” Il cavaliere eseguì gli ordini e cominciò a sparare. Era però la prima volta che prendeva in mano un’arma così tecnologica e ci mise un po’ per di beccare un bersaglio. Dopo un paio di minuti passati a sparare a vanvera, colpì qualcuno: Idah, il principe degli Atila, figlio di Wolverton. Quest’ultimo se ne accorse. Si girò verso Dolatrabus con occhi di ghiaccio e, con la sua armatura meccanica, iniziò a correre incontro all’elefante robotico.

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Capitolo 7
*** Tagliata la testa, il corpo muore ***


Il dottore lo vide e sorrise: “Perfetto. Taliata la tezta, il corpo more. Zcommetto 50 cent che lo atterriamo con uno zolo colpo”. Wolverton tirò un pugno in faccia a Dolatrabus che indietreggiò di qualche centimetro, ma rispose subito con un colpo di proboscide che mandò al tappeto il nemico. “Mi tevi cinqvanta centezimi”. Disse Pfalz al copilota ridendo. Paul, però, non era mai stato così serio e spaventato.

Il re degli Atila si alzò e tirò un altro pugno, stavolta al fianco dell’elefante che rispose con un altro colpo di proboscide. Questo combattimento andò avanti così per 3 minuti e 27 secondi finche un grosso martello non colpì il fianco destro di Dolatrabus, ammaccandolo notevolmente. I due si voltarono e videro un altro uomo in armatura robotica che si dirigeva verso di loro al grido di “Serenità nell’assassinio”. Questi, con un calcio in elevazione, colpì di nuovo il proboscidato provocandogli ingenti danni.

Dentro il robot, si accesero tutte le spie di allarme presenti. “Mein Gott! Zta per ezplotere. Fuori, antiamocene!” Paul si tolse subito le cinture di sicurezza e fece per uscire quando si accorse che il dottore rimase seduto.

“Pfalz, vieni, forza!” Lo incitò, tenendo il portellone aperto, aspettandosi che lo seguisse.

“Tu fai! Io mi lancerò zu Wolferton che ezploterà con me. Zono orcolioso di qvesto robot: ha fatto il zuo dofere. Ricorda: taliata la tezta, il corpo more”. Detto questo, chiuse la botola in faccia a Paul che scivolò giù dall’orecchio dell’elefante e cadde a terra.

Quando si rialzò, vide Dolatrabus caricare in direzione del re nemico ed esplodere insieme con lui. Paul rimase lì, inerme, a guardare l’esplosione e, con essa, la morte di un suo amico. L’aveva conosciuto solo il giorno prima, è vero, ma era pur sempre un suo amico. Cominciò a piangere e a tirare calci alla timelea davanti a sé ma, tra la pioggia e la guerra, nessuno ci fece caso.

La battaglia imperversava, le chiese cadevano e il mondo andava avanti. Il distretto stava per soccombere ma, improvvisamente, tutto si fermò. Gli Atila si erano finalmente accorti che il loro re, il grande ed imbattibile Hugo Wolverton, era stato sconfitto. Rimasti senza nessuno in grado di impartire loro degli ordini, molti batterono in ritirata e i pochi rimasti si buttarono in assalti disperati, perdendo la vita sotto gli spari in terra straniera.

Paul era ancora a terra, in ginocchio, a piangere. A lui si avvicinò AJ che gli mise una mano sulla spalla per confortarlo: “Tagliata la testa il corpo muore. Il sacrificio del dottore non è stato invano, anzi, è stato decisivo. Questa terra ha attraversato molte guerre, a cominciare dalla leggenda della Ribellione Anti-Sauri, che ha portato alla sua fondazione. In questo combattimento, 173 nostri compaesani hanno perso la vita, ma nessuna di queste perdite è stata inutile. Sono sicuro che da qualche parte il nostro amico tedesco starà gioendo per questa vittoria”.

Così era finita anche questa battaglia. Il cadavere del dottore non fu mai ritrovato. A fianco del monumento ai caduti fu erta una statua in suo onore. Questa portava una targhetta che recitava:

“A Marek Pfalz.
Dottore, scienziato e amico.
Che ha rinunciato alla sua vita per salvare le nostre.

Per gentile concessione dell’abate Paul Kelvin”.

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