Esiste più di un modo per volare.

di _Agrifoglio_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un principe poco azzurro ***
Capitolo 2: *** I sogni muoiono all’alba ***
Capitolo 3: *** Aprire gli occhi ***
Capitolo 4: *** Una corda ***



Capitolo 1
*** Un principe poco azzurro ***


Un principe poco azzurro
 
Diane de Soisson cinguettava come un uccellino, correndo senza posa da una parte all’altra della sua stanza. Quel giorno, ricorreva, infatti, il sesto mese dal fidanzamento di lei con Gustave de Morvan e, presto, si sarebbero sposati. I preparativi fervevano, perché, quel pomeriggio, sarebbero usciti insieme ed ella voleva che tutto fosse impeccabile. Non una piega doveva permettersi di comparire sulle vesti che avrebbe indossato e guai se vi fosse spuntata una macchia! Cosa ben difficile, del resto, dato che quel completo non era mai stato indossato da che la sua destinataria lo aveva confezionato né aveva mai lasciato il baule nel quale era stato riposto con cura, se non le volte, peraltro numerose, in cui la proprietaria lo aveva tirato fuori per rimirarlo e fantasticare. Le vesti erano linde e stirate, i fiori dell’acconciatura erano custoditi in una scatola sul comò, le scarpette erano pulite ed il paniere era come nuovo, con le stecche ed i cerchi tutti sani.
Si guardò allo specchio e, con tono scherzosamente solenne, disse: – Diane de Morvan! – e scoppiò a ridere.
Dove l’avrebbe portata Gustave? Ad una rappresentazione teatrale pomeridiana? Alle corse dei cavalli? A casa sua, per prendere un tè con i suoi genitori? L’avrebbe scoperto fra poche ore.
Uscì dalla sua stanza ed andò nella camera da pranzo, dove era pronta la colazione.
La madre ed il fratello Alain la guardarono perplessi, non riuscendo proprio a condividere l’entusiasmo della congiunta per Monsieur Gustave de Morvan. Non perché il giovanotto, pur essendo nobile, fosse povero, giacché anch’essi lo erano, ma in quanto c’era qualcosa nell’atteggiamento di lui che li contrariava. La scarsa spontaneità ed una certa affettazione nei modi, unite ad un tono di voce mellifluo e, a tratti, metallico oltre che a dei gesti eccessivamente studiati ed un po’ troppo teatrali, restituivano del giovane un’impressione sgradevole, tale da indurre alla diffidenza. Lo sguardo era sfuggente e freddo e, quando la bocca sorrideva, gli occhi restavano seri e duri. Oltre a ciò, il promesso sposo, pur non essendo ricco, era sostanzialmente privo di un’occupazione, poiché, per gli uffici che sarebbero stati adatti ad un nobile, come la carriera militare o un posto nella pubblica amministrazione, egli non si sentiva portato – perché troppo pericolosi, faticosi o impegnativi – aveva malignato Alain mentre le attività come il commercio e l’imprenditoria le disprezzava visceralmente. Per dedicarsi ad una qualsivoglia occupazione, del resto, occorre la preparazione ed Alain aveva sempre sospettato che de Morvan, a dispetto dell’ostentata ricercatezza, fosse ignorante come una capra.
– Soltanto una sprovveduta come la piccola Diane poteva impelagarsi con un simile carciofo! – pensò Alain con uno sbuffo.
Diane, in realtà, non era stupida e, anzi, si distingueva per intelligenza. Sin da piccola, si era dimostrata docile, buona, giudiziosa ed altruista, tanto da suscitare l’apprezzamento e le lodi del Parroco e della di lui sorella. L’anziana signorina, non avendo alcuno al mondo a parte il fratello, si era affezionata a Diane come ad una figlia, le aveva insegnato a leggere ed a scrivere e le aveva dato lezioni di letteratura, storia, matematica, algebra, musica, danza e belle maniere, infondendole, addirittura, qualche rudimento di latino. Ciò che Diane gradiva di più degli incontri con la sorella del Parroco, però, erano gli interminabili racconti che avevano come protagonisti le dame ed i cavalieri medievali, le loro armi ed i loro amori, abbelliti da particolari sentimentali, edificanti e molto poco realistici. La fanciulla, sin da piccola, aveva passato ore ed ore nella sua camera, a leggere libri ricevuti in dono o in prestito o comprati a poco prezzo e si era formata, negli anni, una cultura a macchia di leopardo e per nulla metodica ed approfondita, ma che era valsa, pur sempre, a differenziarla dalle altre ragazze della zona. Questa scarsa comunanza di interessi aveva indotto Diane ad appartarsi, rifugiandosi sempre più nella lettura e, sebbene questo isolamento l’avesse resa immune alla civetteria ed all’attenzione spasmodica per i pettegolezzi, aveva fatto di lei una creatura ingenua, indifesa, poco avvezza a muoversi nel mondo ed a riconoscerne le insidie e per nulla scaltra. Un’autentica sprovveduta, come l’aveva definita suo fratello.
Madame de Soisson non gradiva affatto la piega che aveva preso sua figlia e, sebbene avesse tentato di stimolarne la concretezza, insegnandole con successo la cucina ed il cucito, aveva sempre nutrito il timore che la fanciulla facesse la fine del padre, un sognatore velleitario che aveva consumato l’esistenza a rimpiangere gli antichi fasti della famiglia, tramontati molti decenni prima che egli nascesse. Lo avevano trovato una mattina, col volto riverso sul tavolo da pranzo, stroncato da un infarto e con la bottiglia ancora in mano.
– Povera Diane – pensava la signora – I sentimentali ed i sognatori, se sopravvivono, sprofondano nel cinismo.
– Ah, non ho controllato i pizzi delle maniche – disse Diane con tono preoccupato e corse di nuovo in camera sua.
– Che i pizzi siano in ordine per il signor fidanzato! – esclamò Alain, imitando il tono impostato e tronfio dell’aspirante cognato ed accompagnando le parole con uno dei gesti istrionici che gli aveva spesso visto fare.
– Silenzio che ora torna! – lo redarguì la madre.
– Che ascolti! E’ ora che qualcuno le faccia capire le cose per come sono.
Dopo che Diane si fu sincerata che anche i pizzi erano in ordine, così come li aveva lasciati a conclusione delle decine di ispezioni che avevano preceduto quella appena terminata, si risolse, finalmente, a sedersi a tavola con la madre ed il fratello.
– Alain, c’è ancora, in caserma, il tuo biondo Comandante?
– E chi la smuove quella! Sempre la prima ad arrivare e l’ultima ad andarsene! E’ severa ed esigente, ma anche giusta. Maneggia spada e pistola con gran naturalezza, quasi fossero un’estensione del suo braccio. Cavalca con sicurezza ed eleganza, neanche ci fosse nata su quel cavallo! Non c’è tattica militare che le sia ignota. Pensa che ha studiato le tecniche di tutti i condottieri della storia, fino ad arrivare a Giulio Cesare e ad Alessandro Magno! Nelle ispezioni, non le sfugge niente, fosse pure un bottone penzolante, uno schizzo di fango sugli stivali o una macchia infinitesimale sulla divisa. Dovresti vedere come le lampeggiano gli occhi quando qualcosa la fa infuriare! Ma la cosa più sorprendente è l’espressione che le illumina il volto quando, all’orizzonte, si intravede una sfida o la possibilità di uno scontro armato. C’è un soldato a cui ha spezzato il cuore e che si è arruolato fra noi appositamente per stare insieme a lei. Non la perde mai di vista, fosse pure per un attimo ed è estasiato qualsiasi cosa ella faccia. E come si arrabbia quando qualcuno ne parla in modo poco rispettoso o fa delle battute! Gli manca un occhio e si vocifera che lo abbia perso per salvarla da non so quale pericolo. Se ci fosse da precipitarsi in un burrone o da gettarsi nel fuoco per lei, quel babbeo lo farebbe e col sorriso sulle labbra pure! Morirebbe col volto di lei impresso nell’anima e col suo nome a fior di labbra! Che, poi, come fa un uomo normale e sano ad infervorarsi pronunciando il nome…. Oscar?! Ci vogliono abitudine ed allenamento….
– Proprio come Lancillotto e Tristano!
– Chi? Sono amici tuoi?
– No, sono due cavalieri del ciclo bretone.
– Ah! Sempre queste leggende e mai un po’ di realtà!
– Proprio come Gustave!
– Va be’, va’, torna al ciclo bretone – bofonchiò impercettibilmente Alain.
– Cos’hai detto?
– Nulla, lascia stare.
Madame de Soisson guardava i suoi figli. Non avrebbero potuto essere più diversi, non solo come età, ma, soprattutto, per temperamento. Alain era così spavaldo, sbruffone, ribelle, insofferente a qualsiasi tipo di disciplina, malgrado fosse da anni un soldato, fin tropo schietto, delicato come un bue e privo del minimo accenno di riservatezza mentre Diane era l’esatto opposto: timida, amorevole, giudiziosa, riflessiva, delicata, riservata, rispettosa, obbediente, arrendevole, una che pensava prima agli altri e poi a se stessa. Nonostante tutto, non era Alain quello che la preoccupava di più, dato che la notevole intelligenza del giovane, la scaltrezza di cui era dotato ed il grande senso pratico lo mettevano sempre al riparo dai pericoli. Alain era uno che sopravviveva sempre mentre Diane le appariva costantemente sull’orlo di un precipizio.
 
********
 
Finita la colazione, Madame de Soisson tirò fuori dalla dispensa alcuni polli che aveva acquistato per il banchetto che, fra due giorni, avrebbe organizzato Madame Clermont, la moglie del Farmacista e che lei, conosciuta nel quartiere per le sue arti culinarie, era stata incaricata di preparare. Li dispose sul tavolo ed iniziò a condirli.
D’un tratto, si sentì un trambusto provenire dal pianerottolo fuori della porta di casa. Alain andò ad aprire e trovò uno dei suoi commilitoni, Gérard Lasalle, carponi, davanti alla porta, mentre raccoglieva la pistola che aveva fatto cadere a terra.
Lasalle abitava qualche via più in là e, ogni tanto, quando, dopo la libera uscita, i due tornavano in caserma, si recava a casa di Alain, per fare il resto della strada insieme a lui e per salutare Madame de Soisson, alla quale era rimasto in perpetuo grato per avere aiutato sua madre a curare i suoi fratelli minori dalla difterite.
– Buongiorno, Madame de Soisson.
– Buongiorno, Soldato Lasalle.
– Madame de Soisson – domandò Lasalle che era un bravo giovane, ma le cui goffaggine e spontaneità lo esponevano spesso ad essere inopportuno oltre che un po’ strano e, sicuramente, molto buffo – C’è molta differenza d’età fra i Vostri figli. Monsieur de Soisson ha, forse, avuto due mogli?
– No, altrimenti non sarebbero entrambi figli miei – rispose, con lapalissiana ovvietà, l’attempata signora – Ci sono quindici anni di differenza fra di loro. Alain è il maggiore e Diane è la minore. In mezzo, ci sono stati diversi aborti, parti prematuri e bambini che non hanno superato i due anni di vita. Mio marito, poi, era soldato come Alain, ma militava nell’esercito vero e proprio e non fra le Guardie Metropolitane e ciò lo portava ad assentarsi da casa per lunghi periodi.
– Ho fatto un gran trambusto là fuori, ma, per bussare, ho urtato la pistola e l’ho fatta cadere in terra. Non avrete temuto un ladro?
– Un ladro molto rumoroso, non trovate? E, poi, qui, non c’è molto da rubare.
– Non abbiate paura, Madame de Soisson, se dovesse venire un ladro, Vi proteggerei io!
Lasalle sguainò la spada e la fece vibrare a pochi millimetri dal naso di un’interdetta Madame de Soisson. Il fendente, sferrato male ed indirizzato ancora peggio, si abbatté su uno dei polli posti sul tavolo da cucina che fu, prima, infilzato e, poi, buttato a terra. Lasalle divenne paonazzo dalla vergogna e rinfoderò la spada, ma non centrò bene il fodero e l’arma cadde a terra con un gran clangore.
– Bene, vecchio mio – disse Alain – Questo pollo non farà più male a nessuno. Andiamo!
Lasalle, al culmine dell’imbarazzo, fece il saluto militare, ma, anziché portare la mano alla fronte, sbagliò di qualche centimetro e colpì il berretto che cadde a terra. Alain lo raccolse, lo incalcò sul capo dell’amico ed uscì di casa insieme a lui.
 
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Era, ormai, pomeriggio e Diane era pronta per uscire col suo fidanzato.
Aveva indossato il bell’abito che aveva confezionato per utilizzarlo nelle occasioni speciali, in luogo dei tre vestiti di cotone, uno giallo, uno rosa ed uno verde, che alternava per la funzione domenicale.
Aveva sgobbato come non mai, fra cucito e rammendi, per guadagnarsi i soldi da impiegare nell’acquisto della stoffa dell’abito da sposa e, tanto alacremente aveva lavorato, da accumulare una somma sufficiente ad acquistare seta pregiata per due vestiti. Si era messa, quindi, a lavorare, non soltanto alacremente, ma, ‘sta volta, pure con gioia, per confezionare i due abiti, ispirandosi ad un modello da sposa e ad un altro da pomeriggio che aveva visto esposti nelle vetrine di Mademoiselle Bertin.
Il risultato era stato più che lusinghiero e, adesso, Diane era incantevole.
Il corpetto ed il soprabito andrienne, aperto davanti e completato da un mantello con strascico dietro, erano di seta damascata color pervinca, con eleganti motivi floreali. Le maniche erano adornate da pizzi di delicata fattura mentre la gonna era di seta semplice, non damascata, di un azzurro più tenue del soprabito. Annodato al collo, vi era un nastro di seta azzurra dello stesso colore dell’andrienne. Aveva acconciato i capelli in uno chignon, arricciandoli a vello di pecora con un ferro caldo che aveva utilizzato anche per modellare due boccoli che le scendevano a destra della nuca. Sulla testa, aveva disseminato, in ordine sparso, dei ciuffetti di nontiscordardime di stoffa. Un mazzetto più grande di nontiscordardime lo aveva appuntato sul corsetto mentre i restanti fiorellini erano stati utilizzati, insieme al pizzo residuo, per adornare le scarpette ed il ventaglio, entrambi in tinta con l’andrienne.
Era stata una gran fatica, ma il risultato la compensava pienamente ed ora era tutta un fremito.
 
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Si sentì bussare alla porta.
Diane si precipitò ad aprire, così da consentire l’ingresso in casa a Monsieur Gustave de Morvan, il promesso sposo.
Il nuovo arrivato era un giovane dall’aspetto, tutto sommato, gradevole anche se non c’era molto di memorabile o di incantevole nei lineamenti di lui. Se Stendhal fosse stato qualcosa di più di un infante e lo avesse rimirato, non sarebbe certo caduto a terra in deliquio, in preda alla nota sindrome che da lui prese il nome.
L’altezza del giovanotto era media e, accanto a Diane, non sfigurava mentre, al cospetto di Alain, pareva un pigmeo. L’abbigliamento aveva delle pretese di ricercatezza anche se era ben chiaro che le magre finanze dell’uomo non gli consentivano il ricorso a sarti rinomati.
– Buongiorno Madame de Soisson – disse l’ospite con ostentata affettazione – Che la Vostra giornata sia ricolma di doni preziosi al pari dei pomi d’oro del giardino custodito dalle Esperidi!
Madame de Soisson restituì il saluto senza entusiasmo, con un cenno del capo.
– Sono venuto per accompagnare Diane a passeggio. E’ mia intenzione effettuare, cum filiam Vestram, una piacevole escursione pomeridiana, garantendo un rientro ante vespertino, come da Vostri accorati auspici.
– Mi raccomando, giudizio ed evitate le strade isolate.
– Che il Vostro animo non tremi, Madame e resti saldo come lo è il mio – declamò il bellimbusto, portandosi una mano sul petto – Ho a cuore il benessere di Diane ut oculos meos.
Gustave de Morvan si profuse in un inchino esagerato ed uscì di casa, portandosi via Diane ed il suo sgangherato latinorum.
 
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La vettura di piazza che avevano preso, essendo fra le più economiche, era molto scomoda e sobbalzava di continuo, ma Diane era entusiasta all’idea di festeggiare il suo sesto mese di fidanzamento e troppo curiosa di scoprire la loro destinazione per dare peso ai disagi.
– Oh! Com’è pittoresco quello scorcio, con quell’albero nodoso e quella casa semidiroccata!
La vettura proseguiva il suo percorso, allontanandosi dalle vie che Diane conosceva.
– Oh! Che deliziosi quei fiori, così delicati e variopinti e sicuramente fragranti per chi ha la ventura di accostarvisi!
Gustave de Morvan era irritato da tutti quegli “Oh!” e da quelle frasi degne dell’ingenua dei romanzi e delle opere teatrali. Era decisamente ora di cambiare personaggio e registro narrativo.
– Oh, Gustave! Siamo entrambi poveri, ma giovani, sani e con l’amore nel cuore!
– Bastasse questo – pensò, sarcastico, l’uomo.
La vettura giunse a destinazione, in una via piuttosto periferica e fuori mano, fermandosi sul retro di un palazzo. Scesi in strada, i due si avviarono oltre un cancello in ferro battuto, lungo un vialetto sapientemente occultato agli occhi dei passanti da alti alberi, da grosse siepi e dal resto della vegetazione. Dopo qualche passo, giunsero di fronte ad una porta, a pian terreno. Gustave de Morvan tirò fuori una chiave dalla tasca e, con gesti sicuri, denotanti un’abitudine consolidata, fece scattare la serratura ed introdusse Diane all’interno.
L’arredamento era piuttosto essenziale, per non dire ridotto all’osso, essendoci soltanto un grande letto, un comodino, un lavabo, un divanetto con due sedie ed un tavolino tondo.
– Oh! La gente che vive qui dev’essere molto povera! – esclamò Diane.
– Al bando i convenevoli e le ingenuità, Diane. Io amo Voi, Voi amate me ed è ora di portare i nostri rapporti su di un piano più concreto.
– Stiamo per sposarci. Io sto terminando il mio corredo e Voi siete in cerca di una conveniente occupazione. Più concreto di così!
– Non fate la bambina, Diane! Siete una donna adulta, sana ed innamorata! Cercate di fare evolvere il Vostro pensiero verso sponde più adatte alla Vostra situazione!
– Non Vi capisco, Gustave, cosa c’è di più adatto, per una giovinetta, che cucire e ricamare il proprio corredo, nell’attesa di congiungersi al proprio amore in una Chiesa?
– Congiungersi e basta.
– Io non Vi capisco.
– Vi desidero, Diane e voglio farvi mia qui, su questo letto, adesso! Spogliatevi, stendetevi, accantonate i discorsi sul pittoresco e sul bucolico e godete dei piaceri della carne, come fanno tutte le persone normali!
– Ma cosa dite, Gustave! Voi sapete che tipo di donna sono e da quale famiglia provengo e, poi, che bisogno c’è? Stiamo per sposarci!
– Tipo di donna, famiglia, matrimonio, levatevi quei vestiti e smettetela di fantasticare!
– Io non disonorerò così me stessa e la mia famiglia, tradendo la fiducia che i miei cari ripongono in me e Voi dovreste soltanto vergognarVi dei Vostri pensieri lascivi!
– Ma cosa credete, sciocca ragazzina, che vostro fratello ed i suoi amici, quando escono di sera, in libera uscita, vadano a recitare il rosario? Che le dame ed i cavalieri medievali che vi piacciono tanto trascorressero davvero il loro tempo a suonare l’arpa e a declamare versi? O che i fidanzati delle vostre amiche, in attesa di cogliere il loro fiore, non si abbandonino a piacevoli diversivi?
– Agli stessi diversivi cui Vi abbandonate Voi, Gustave? E’ così che Vi regolate?
– Ma cosa pretendete di fare? Di conservare intatta la vostra verginità e di rimanerci seduta sopra per, poi, offrirla ad un Marchese o ad un Duca? Ah! Sì! Dimenticavo! C’è proprio la fila di pretendenti nobili e ricchi fuori di casa vostra!
– Veramente, pensavo di offrirla a Voi, nella santità del matrimonio, ma l’uomo che mi trovo, ora, innanzi, è per me uno sconosciuto. Giuro che non Vi riconosco più e stento a capacitarmi di chi ho difronte.
– Adesso basta! Ti ho mica chiesto di sobbarcarti le dieci fatiche di Ercole! Spogliati, sdraiati su quel dannato letto, allarga le gambe, stai ferma e faccio tutto io!
– Gustave, avete oltrepassato la misura! RicomponeteVi, riaccompagnatemi a casa, dimentichiamo l’accaduto e fateVi un bell’esame di coscienza!
Gustave de Morvan, spazientito ed ai limiti dell’ira, afferrò Diane col braccio sinistro e le cinse la vita, allungando, simultaneamente, la mano destra sul corpetto della giovane.
Fu questione di un attimo, di una frazione di secondo ed il giovane satiro si ritrovò con un fulmineo e secco schiaffo ben assestato in pieno viso.
– Ah, è così, piccola selvaggia?! Non meritate uno come me, ma soltanto di morir zitella, rammendando camicie logore insieme a quella vecchia carampana di vostra madre! Fuori di qui e non mi tediate ulteriormente!
De Morvan spinse Diane, in malo modo, fuori dalla stanza, quasi facendola cadere, scaraventandola oltre l’uscio e chiudendole, con un tonfo sordo, la porta dietro le spalle.
La giovane si ritrovò in quello stesso vialetto, nascosto al mondo dalla verzura, che avevano percorso insieme un quarto d’ora prima. Questa volta, però, si trovava sola a fare il tragitto inverso, con l’anima pesante, il cuore a pezzi e gli occhi pieni di lacrime.
 
********
 
Diane rincasò a sera inoltrata, ben oltre il coprifuoco impostole dalla madre.
Dopo che il fidanzato l’aveva gettata fuori, si era ritrovata in quella via fuori mano ed a lei del tutto sconosciuta, senza la possibilità di noleggiare una vettura di piazza, dato che, in quei luoghi periferici, non ne passavano e, quand’anche ce ne fossero state, era uscita di casa senza un soldo.
Aveva sbagliato strada varie volte, finché non aveva raggiunto, dopo innumerevoli tentativi, delle vie a lei note e non era arrivata, stremata, coi piedi doloranti, le dita piene di bolle e sanguinanti, il lembo inferiore della gonna e lo strascico del soprabito infangati e le scarpette semidistrutte, al numero ventisei di Rue Bourbon.
Era entrata dentro casa senza proferir parola, rivolgendo soltanto una fugace occhiata alla madre che, dal canto suo, era rimasta silente, senza fare cenno alcuno al ritardo, all’assenza dell’accompagnatore ed alle condizioni in cui versava l’abito e la persona che lo indossava.
Per fortuna, quella sera, non c’era Alain. Incontrare lo sguardo di un solo familiare era stato, per lei, sufficientemente penoso.
Era sgusciata in camera sua e si era chiusa la porta alle spalle.
Rinchiudersi nel nido non aveva avuto alcuna potenza consolatoria su di lei. Si era tolta il completo e l’aveva gettato, senza alcuna cura, ai piedi del letto ed era rimasta a guardarlo, con aria assente e mente frastornata, ripensando alle lunghe ore di cucito che l’acquisto della stoffa le era costato, agli occhi stanchi, rossi e brucianti, concentrati sull’ago, per non sbagliare un solo punto ed alle spalle curve sul lavoro e doloranti.
Si gettò sul letto, accanto all’abito, col volto sprofondato nelle coltri e pianse amaramente.






Preciso che i colossali errori di italiano, di latino e di cultura generale commessi da Gustave de Morvan sono da me voluti e totalmente ascrivibili alla crassa ignoranza del personaggio e, spero, non dell’autrice. 

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Capitolo 2
*** I sogni muoiono all’alba ***


I sogni muoiono all’alba
 
Nel corso della sua disavventura e nei giorni successivi, la piccola Diane era passata, con rapida successione, dal ruolo dell’ingenua a quello della damigella in pericolo, per approdare, infine e senza soluzione di continuità, a quello della disgraziata eroina non sedotta, grazie alla sua provvidenziale presenza di spirito, ma, pur sempre, abbandonata.
L’infelice fanciulla aveva alternato momenti di immensa agitazione emotiva a periodi di profonda prostrazione ed a fasi di calma apparente. Le idee sentimentali ed edulcorate che si era fatte dell’amore stavano crollando una ad una, come dei vecchi palazzi con le fondamenta marce.
C’erano stati dei momenti in cui aveva giurato e spergiurato di non voler rivedere mai Gustave, fosse pure in effigie ed altri in cui aveva pensato che sarebbe morta o impazzita se non avesse più potuto udirne il suono della voce. C’erano stati dei giorni in cui lo aveva considerato il più spregevole degli uomini ed altri in cui si era detta disposta a perdonarlo e ad attribuire quell’ignobile comportamento alla proverbiale intemperanza maschile di cui tanto aveva letto e sentito parlare, ma della quale, in concreto, sapeva poco o nulla. C’erano state ore in cui aveva pensato di essere stata fortunata ad essersi accorta per tempo della reale indole dell’uomo ed altre in cui aveva disperato di poter raggiungere la felicità senza di lui. C’erano stati attimi in cui aveva sperato di vederlo in prigione o incatenato ai remi di una galera ed altri in cui le era apparso come un giovane dalle idee confuse, che aveva commesso uno sbaglio e che lei, da buona cristiana, era tenuta  a comprendere e ad aiutare. In questi alterni moti dell’animo, la stabilità mentale della giovanetta era stata, più di una volta, sul punto di vacillare, le ore di sonno erano andate irrimediabilmente perdute e l’aspetto fisico ne aveva risentito.
Il dolore era stato accresciuto sia dal rifiuto di esternarlo, poiché la giovane non si era confidata coi familiari sia dall’avvitarsi su se stesso di un incessante lavorio mentale che, non avendo trovato uno sbocco fattivo, si era autoalimentato.
La madre era rimasta inerte testimone delle sofferenze della figlia e non era stata in grado di aiutarla in alcun modo. Se le avessero chiesto un consiglio su come mascherare al meglio un rattoppo, su come cucinare cento tipi di carne o di pesce o su come far passare un’allergia o guarire un lieve malanno, ella avrebbe risposto nell’arco di un istante. Con le sofferenze dell’anima, invece, da brava donna pragmatica, aveva sempre avuto scarsa dimestichezza e questa carenza le aveva impedito, già in passato, di essere di aiuto al consorte. Le pene d’amore, poi, neppure sapeva cosa fossero. Se un uomo va bene, va bene; se non va bene, non va bene e Gustave de Morvan, per lei, non andava assolutamente bene. A ciò si riduceva il tormento amoroso per Madame de Soisson.
Le giornate si erano susseguite in rapida sequenza ed avevano portato con sé sprazzi di sole alternati ad ore di pioggia scrosciante; una fioriera di coccio ed una pentola di terracotta, per fortuna vecchia, frantumate da quel pasticcione di Lasalle che, un giorno, invitato a pranzo, aveva trovato il modo, ignoto a tutti loro, di storcere una forchetta; due nuove commissioni di lavoro per la madre, una missione militare per Alain e nulla di rilievo per lei.
Aveva, intanto, scoperto che André Grandier – così si chiamava il Romeo della caserma di suo fratello – tempo prima, era stato picchiato a sangue, a causa di alcuni malumori serpeggianti fra i soldati, ma, indirettamente, per amore del suo Comandante e che le cose si sarebbero messe infinitamente peggio, se non si fosse messo di mezzo Alain. Le botte se le era prese tutte, una dopo l’altra e l’altra dopo ancora, sempre più forti e sempre più dolorose ed egli era rimasto lì, in piedi, finché le forze lo avevano sorretto, a difendersi fintanto che gli era stato possibile e con la mente sempre salda sul suo travagliato ed impossibile amore.
– Proprio come Gustave! – pensò, con sconsolata ironia, la povera giovinetta.
 
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Un martedì mattina, quando erano, ormai, trascorsi esattamente venti giorni da quel brutto pomeriggio, in casa, c’erano tutti e tre, giacché Alain aveva fatto un salto per portare della biancheria sporca e ritirare quella pulita, visto che Diane, in quel periodo, non aveva messo mezzo piede oltre la soglia della loro abitazione.
Salutate madre e sorella, il soldato aprì la porta di casa e fu così che incrociò Gustave de Morvan – col pugno già pronto a percuotere l’uscio – che stava, invece, arrivando.
Alain tornò indietro e, appoggiato l’involto della biancheria pulita sul tavolo, si sedette su una sedia, al centro della stanza. Diane ebbe un tuffo al cuore, divenne pallida come un foglio di carta e rimase in piedi, immobile, in dietro e sulla destra rispetto al fratello, senza aprire bocca. Anche Madame de Soisson restò in piedi, ferma e muta, nel lato della stanza opposto a quello dove si trovava la figlia, ma il suo silenzio era dovuto all’imperturbabilità e non all’emozione.
Gustave de Morvan si fece avanti con decisione, sebbene nessuno lo avesse invitato ad entrare e, dismesse definitivamente l’affettazione e la falsa bonomia, senza darsi pena di mascherare la stizza ed il fastidio, ignorando completamente Alain, per il quale non aveva mai nutrito la benché minima considerazione ed evitando deliberatamente di guardare Diane, si rivolse, con voce secca e tono autoritario, neanche avesse parlato ad una sua sguattera, a Madame de Soisson.
– Madame, i miei sentimenti per vostra figlia sono definitivamente mutati ed è con estrema riluttanza e con sommo rammarico che devo comunicarvi la mia intenzione irrevocabile di rompere il fidanzamento.
Seguirono degli istanti di silenzio tombale. Dopo questa pausa che, nelle intenzioni dell’ex promesso sposo, avrebbe dovuto conferire maggiore solennità alle di lui parole, Gustave de Morvan riprese a parlare, per nulla intimorito dalla presenza di Alain che, malgrado la mole, gli era sempre sembrato un sempliciotto del tutto inoffensivo.
– Devo, con dispiacere, ammettere di essermi gravemente sbagliato sull’indole di vostra figlia e di averne sopravvalutato oltre misura l’intelligenza, lo spirito, le risorse interiori ed etiam l’istruzzione. Avendole erroneamente attribuito delle doti che ella era ben lontana dal possedere, mi ero risolto a passare sopra all’inferiorità della vostra famiglia che, per quanto nobile, è ridotta soltanto un gradino sopra la più vergognosa miseria. Oltre a ciò, mi duole rimarcare – ma, con amarezza, lo devo fare – che i componenti della vostra famiglia sono poco più che delle bestie brute, totalmente incapaci di articolare dei ragionamenti di senso compiuto e di stare al mondo senza ricorrere al disgustoso uso delle mani. Considerando che il lignaggio dei de Soisson è meno antico e meno prestigioso di quello dei de Morvan e che de rusticas proggenie semper villanam fuit, non posso fare altro che scongiurare, adesso che sono ancora in tempo, questa disdicevole e perniciosa mésalliance.
Madame de Soisson stava per rispondere mentre Diane si era nascosta il volto fra le mani, con le spalle scosse da silenziosi singhiozzi, quando Alain, che aveva sopportato fin troppo a lungo per i suoi canoni, restandosene, fino a quel momento, seduto, con i soli occhi sprizzanti odio a tradire la rabbia, sbatté la mano sul tavolo e si alzò di scatto, facendo cadere all’indietro la sedia.
In una sola mossa, piombò addosso, come un falco sulla preda o come un martello sul chiodo, a quel supponente logorroico, afferrandolo per il gilet e strattonandolo con forza.
– Sentimi bene, bel damerino, sei tu a non essere degno di sposare mia sorella e di rivolgere la parola a mia madre! Non sei più il bene accetto in questa casa e ti invito a toglierti di torno! Dal momento che siamo tanto inferiori e che io sono ben consapevole di non avere mai fatto uso, come te, dell’oratoria, voglio iniziare adesso la rimonta, citando Mozart e suonandoti il chitarrino!
Ciò detto, Alain scaraventò de Morvan fuori della porta – che era rimasta aperta – e gli assestò un vigoroso calcio nel sedere che lo fece cadere in avanti, al centro del pianerottolo.
– Siete un barbaro, un bruto, un animale, un minorato! Io vi denuncio! Vi farò finire ai lavori forzati!
– Fai quello che ti pare – urlò Alain, incurante degli altri abitanti del palazzo che si erano affacciati alle porte delle rispettive case – Ma sappi che, se soltanto oserai rimettere piede qua dentro, non te la caverai con un semplice calcio in culo, ma ti scaraventerò giù dalla tromba delle scale!
Gustave de Morvan si rialzò coi glutei e le ginocchia doloranti e se ne andò, sollevando la testa e cercando di darsi un contegno, ma, nel contempo, accelerando, il più possibile, il passo.
 
********
 
Erano passati una settimana dalla rottura ufficiale del fidanzamento e quasi un mese da quell’infelice pomeriggio e Diane era al culmine della disperazione.
Prima che Gustave si presentasse a casa loro, la situazione, a suo giudizio, era sì compromessa, ma non in modo irreparabile ed esisteva pur sempre una speranza, sia pur blanda, di composizione. Adesso che, invece, tutto era perduto, giudicò se stessa una folle per avere desiderato di non rivedere mai più Gustave o, addirittura, di vederlo rovinato e, come tutte le persone che hanno una fervida vita interiore, una scarsa esperienza del mondo, una bassa autostima ed un metro di giudizio alterato dall’esiguità dei rapporti umani e da una certa propensione all’autolesionismo, cominciò a colpevolizzare esclusivamente se stessa.
Si disse che era stata troppo severa nel giudicare l’ex fidanzato, che al mondo non esisteva soltanto lei, che anche Gustave aveva le sue esigenze e che, se il giovane si era deciso a sfogarle con lei anziché con donne compiacenti, ciò era da interpretarsi soltanto come un segno dell’amore di lui. Si biasimò all’eccesso per averlo picchiato e, se fosse vissuta nel medioevo, si sarebbe sicuramente autoflagellata ed avrebbe indossato il cilicio.
A che cosa le sarebbe servita la sua purezza, se non avesse potuto donarla all’unico uomo che avrebbe mai amato? Ben poco le avrebbe giovato una virtù inaridita nella solitudine, avvizzita nella vecchiaia e marcita in una bara.
Si risolse a sistemare la faccenda a modo suo.
Quella sera, dopo che la madre ed Alain – che era in licenza – si erano coricati e dopo che aveva finto di farlo anche lei, si vestì in tutta fretta ed alla meglio, indossò un mantello per ripararsi dall’umido e si diresse, in punta dei piedi, verso la porta di casa. Sforzandosi di fare meno rumore possibile, tolse il chiavistello ed aprì l’uscio. In quel mentre, una mano grande quasi il doppio della sua si sovrappose ad essa, esercitò una pressione in senso inverso e la porta fu, di nuovo, chiusa. Diane alzò gli occhi vergognosi e vide suo fratello. La giovinetta avvampò in un istante e chinò il capo, avendo ben compreso che il suo tentativo di peccato era stato svelato. Guardò di sottecchi Alain, ma, nel volto e nello sguardo di lui, non vi erano rimprovero o disprezzo, ma un’infinita pietà ed un profondo dolore.
– Oh, Alain, ti prego, lasciami al mio destino, non posso vivere senza di lui! Ho sbagliato, sono una persona fuori dal mondo, non ho alcun senso della realtà, vivo di sogni e di fantasie! E’ ora di scendere dal piedistallo e di vivere come fanno tutti gli altri!
– Sei una brava ragazza, Diane e cerca di rimanere tale.
– Oh, Alain, forse, non è ancora tutto perduto, ma devo darmi da fare! Non si può ottenere alcun risultato senza sporcarsi le mani. La vita è fatta di compromessi e non di nobili ideali.
– Sta per sposarsi, Diane!
– Cosa? – chiese la ragazza sul cui capo era caduto il mondo intero.
– Marie Claude Poissarde. Un bel nome elegante, vero? Si chiama così la tua rivale. Monsieur Gustave de Morvan sta per impalmare Mademoiselle Marie Claude Poissarde.
Diane non rispose e non diede alcun cenno di reazione o, soltanto, di comprensione.
– L’ho scoperto cinque giorni fa – proseguì Alain – ed ho chiesto una licenza per trovare il modo di dirtelo. Suo padre è un uomo estremamente ricco, grazie al commercio, ma è anche un gran cafone ed è cafone non nel senso di naif, ma di vero e proprio zotico. Ne parlavo con André Grandier al quale quel cognome non giungeva nuovo. Dopo qualche minuto, ricordò che, durante la sua infanzia, c’era un adolescente, in uno dei tanti possedimenti terrieri dei de Jarjayes, chiamato Jean Paul Poissarde che faceva il guardiano dei porci. Durò poco in quella mansione, perché il Generale, furente non si sa bene per quale motivo, lo mandò via dalle sue proprietà. Da ulteriori ricerche, ho appreso che il giovane non se la prese troppo a male per il licenziamento e si mise nel commercio. Seguì una lunga serie di traffici, quasi tutti di dubbia legalità, finché non arrivò ad espandersi in ambito internazionale e, a quel punto, divenne ricchissimo. Si vocifera che, all’estero, si occupi soprattutto della tratta dei negri e dello sfruttamento degli schiavi nelle piantagioni oltreoceano. Ha provato a dirozzare se stesso e sua figlia, ma con scarsi risultati. Come vedi, cara Diane, il tuo adorato Monsieur de Morvan, a dispetto di tutte le sue megalomanie e del suo disprezzo per il mondo intero, è stato acquistato, con moneta sonante, da un burino ripulito che, se conosco bene il mondo, non tarderà a metterlo al posto che merita. Non te la prendere, Diane, festeggia lo scampato pericolo e considera che si meritano a vicenda. Ha lasciato te per sposare la figlia di un negriero che non andava bene neppure per i maiali!
Alle orecchie di Diane, ogni singola parola del fratello suonava come una coltellata o come una condanna a morte.
Girò, meccanicamente, il viso verso la finestra e, dalle ante socchiuse, si accorse che albeggiava.
I sogni muoiono all’alba.






Grazie a chi vorrà prendersi la briga di commentare questo secondo capitolo e, se avanza del tempo, anche il precedente.
Avanti, non siate timidi e dite cosa ne pensate, anche per ciò che concerne lo stile ed il ritmo!
Ogni commento aiuta a crescere come scrittori, portando alla luce i punti di forza e di debolezza, ciò che va perfezionato e ciò che va limato.
Preciso che, anche questa volta, gli errori di italiano e di latino commessi da Gustave de Morvan sono voluti, per descrivere l’ignoranza e la pretenziosità senza fondamento del personaggio. 

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Capitolo 3
*** Aprire gli occhi ***


Aprire gli occhi
 
Diane non si coricò e, poche ore dopo il triste colloquio intervenuto fra lei ed il fratello, fu trovata da sua madre seduta su una sedia della sua stanza, inerte, come se la vita fosse defluita dal suo corpo.
Madame de Soisson rimpiangeva i tempi in cui la vedeva immersa nella lettura dei libri. Tutto quel fantasticare a lei non era mai piaciuto, ma, almeno, teneva in vita sua figlia e la rendeva gioiosa.
Alain non aveva raccontato alla madre ciò che era successo nella tarda nottata e, tuttavia, le aveva raccomandato di usare il massimo tatto con Diane. La donna aveva interpretato quelle parole a modo suo e, non potendo concepire, nella sua mente pragmatica, un dolore giustificato soltanto da se stesso, aveva ipotizzato che il disagio fosse molto più concreto.
Avvicinatasi alla figlia, le disse:
– Se vuoi, c’è una vecchia che vive in campagna e che si occupa di liberare le donne dai fardelli indesiderati.
– Oh, no, madre, che avete capito? Io non….
Madame de Soisson se ne tornò nella sala da pranzo, sollevata al pensiero che almeno quel problema fosse stato scongiurato.
Vide Alain e si mise a parlare con lui dell’unico argomento che li aveva tenuti occupati nell’ultimo mese. Essersi sbarazzati di Gustave de Morvan aveva arrecato sollievo ad entrambi, ma il prezzo che stavano pagando si era dimostrato eccessivo.
– Quella ragazza peggiora di giorno in giorno. Ho sbagliato ad essere così indulgente con lei. Si sa che il medico pietoso fa la piaga purulenta. Tutta questa inerzia la fa concentrare sui problemi che ha e non le fa bene. Da oggi stesso, dovrà ricominciare ad aiutarmi con il cucito e con la preparazione dei banchetti. Dovrà anche riprendere a fare la spesa e ad andare in caserma per provvedere al cambio della tua biancheria. Fare quattro passi e vedere gente per strada non potrà che giovarle. Respirare sempre aria chiusa fa male alla salute.
– Madre, condivido la necessità di un ritorno alla vita attiva, ma per gradi e, soprattutto, non siate dura o insensibile: Diane non è come noi due. Lei è più simile a….
Madame de Soisson emise un sospiro e si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
– Oh, Signore benedetto, ma proprio a noi doveva capitare questo guaio!
Dal suono dei passi e dall’allungarsi di un’ombra, Alain comprese che sua sorella li stava raggiungendo e si affrettò a cambiare discorso.
– Madre, mezz’ora fa, mi sono affacciato alla finestra e Vi ho vista, in strada, mentre parlavate con Gérard Lasalle.
– Sì, si è autoinvitato a cena per questa sera.
– Ricordiamoci, allora, di mettere in salvo stoviglie e soprammobili – scherzò Alain – Ah, Diane, sei qua!
– Sì, buongiorno ad entrambi.
– Allora, signorina, hai oziato fin troppo e non va bene. Da oggi stesso, ricomincerai ad aiutarmi coi rammendi. C’è giusto quel cesto pieno di camicie da aggiustare e le devo consegnare entro lunedì. Da domani, poi, dovremo iniziare a preparare il banchetto per Madame Legrand, la moglie del Medico.
Alain alzò le sopracciglia – Meno male che le avevo raccomandato di usare tatto! – Commentò fra sé e sé.
 
********
 
Diane si guardò allo specchio. Aveva indossato uno degli abiti della domenica e, annodato fra i capelli, aveva un nastro di raso in tinta col vestito.
Aveva passato gli ultimi dieci giorni ad aiutare sua madre nei rammendi e nei banchetti e quest’attività aveva sortito l’effetto di svagarla. La ferita era ancora aperta e sanguinante ed il solo pensare a Gustave la faceva ripiombare nella melanconia, ma tenersi impegnata era stato un toccasana. Intuiva, però, che una completa guarigione avrebbe richiesto un radicale cambio di vita, perché ogni oggetto ed ogni angolo di casa le ricordavano il suo ex fidanzato e la facevano ricadere in ambasce.
Si risolse, pertanto, un mese ed una settimana dopo quel terribile pomeriggio, a cercare lavoro come cucitrice. Sua madre le aveva insegnato bene quel mestiere ed un posto da apprendista, accontentandosi di una paga minima, avrebbe potuto trovarlo. Sapeva di non essere sufficientemente brava per Mademoiselle Bertin, presso la quale si servivano l’alta nobiltà e la stessa Regina, ma Madame Blanchard, la modista della media nobiltà e dell’alta borghesia, che pure era rinomata, avrebbe, forse, potuto prenderla. C’era, però, un ostacolo da superare: sua madre e, soprattutto, suo fratello non avrebbero acconsentito. Secondo loro, una ragazza avrebbe dovuto lavorare soltanto al riparo offerto dalle mura domestiche. Alain, poi, avrebbe sicuramente detto che non c’era alcun bisogno che lei lavorasse, essendo egli perfettamente in grado di mantenere le sue donne e non essendo la loro famiglia caduta così in basso da costringere le esponenti del gentil sesso a cercare un’occupazione fuori casa. Un conto erano le commissioni che, saltuariamente, si procurava la loro madre, da svolgere tutte dentro casa ed un altro era andare sotto padrone.
Diane si risolse, quindi, a farsi assumere ed a mettere i congiunti davanti al fatto compiuto.
Disse alla madre che sarebbe andata in Chiesa, a confessarsi ed a pregare e l’abito della domenica avvalorò questa menzogna.
Uscita di casa, provò, dapprima, un senso di capogiro e, dopo essersi ripresa, cominciò a guardare persone e cose come se non le vedesse da un secolo.
Ad un tratto, vide, in lontananza, dei soldati e riconobbe subito il Comandante dalla chioma color del grano che cavalcava leggiadra e fiera come un’amazzone dell’antichità. Scorse, accanto a lei, quel colosso di suo fratello Alain ed un altro soldato che, ad un certo punto, perse l’equilibrio, rischiando seriamente di cadere. Riconoscerlo le strappò un sorriso. Si concentrò, poi, su un quarto uomo che, invece, non conosceva. Chi sa se era lui l’innamorato indefesso, il Lancillotto, il Tristano, lo Zerbino del ciclo carolingio e della commedia dell’arte. Quanto doveva essere forte, radicato e profondo un simile amore?
– Oh, Diane, basta! – si rimproverò la giovinetta – Esci di casa per procurarti un’occupazione e ritorni a pensare al teatro ed ai poemi cavallereschi! Lascia perdere queste fantasie e, visto che stai cercando un lavoro, concentra il tuo pensiero su colei che, lavorando, comanda un esercito di uomini anziché su chi si strugge come sei solita fare tu!
Giunse, infine, presso l’atelier di Madame Blanchard, un bel locale posto all’angolo di un isolato, con vetrine nell’uno e nell’altro lato. I modelli esposti erano superbi. Sarebbe mai stata all’altezza di cucirne uno identico e non soltanto simile? Sarebbe piaciuta a Gustave con un completo confezionato dalle mani della stessa Madame Blanchard?
– Oh, no, ci risiamo! Ancora questi pensieri!
Entrò nell’atelier e si guardò intorno. Madame Blanchard la notò subito, ma, non potendo dedicarsi a lei, in quanto già occupata con delle clienti, si rivolse ad una delle sue dipendenti.
– Madame Châtelet, per favore, andate a sentire cosa vuole quella signorina.
– Subito, Madame Blanchard.
Diane vide avvicinarsi una giovane donna di qualche anno più anziana di lei, col viso dolce ed i capelli castano chiari e la salutò con un inchino.
– Cosa desiderate, Mademoiselle?
– Vorrei propormi come apprendista, con paga a completa discrezione della padrona. Io so cucire da quando ero piccola e sono precisa e veloce, ma mi rendo conto di avere ancora molto da imparare.
– Capisco, ma, in questo caso, non posso esserVi d’aiuto, perché, sulle assunzioni, decide soltanto Madame Blanchard che, in questo momento, è occupata. Vi prego, accomodateVi su quella poltrona, in attesa che Madame Blanchard venga da Voi.
Diane fece come le era stato detto ed iniziò ad ingannare il tempo dell’attesa guardandosi intorno. Quel luogo era stupendo! Gli abiti erano elegantissimi e le dame che li ammiravano avevano tutta l’aria di poterseli permettere.
Ad un certo punto, entrò nel locale un gruppo di dame piuttosto rumorose, appartenenti a quel genere di persone che a lei non piaceva. Una di loro dava l’impressione di essere la più importante o di esserne perlomeno convinta, perché era quella che parlava più delle altre e, soprattutto, era la più ascoltata. Era vestita in modo appariscente, con una gonna eccessivamente ampia ed un cappellino di paglia pieno zeppo di piume e di fiori, appoggiato ad un pouf ridicolmente teso e, ormai, del tutto fuori moda. Il vestito era un tripudio di balze, fiocchi, merletti, pizzi, tulle, fiori, nastri e perle che, scelti da soli come ornamento, sarebbero stati belli mentre, accozzati in un unico vestito, davano un’idea di horror vacui, per non dire di estrema volgarità. Quell’abito le ricordava una torta o, data l’ampiezza eccessiva della gonna, la macchina volante dei fratelli Montgolfier che, pochi anni addietro, si era librata in aria nei cieli di Versailles, davanti gli occhi increduli di migliaia di persone, fra le quali c’era anche lei. Che bei tempi spensierati!
La giovane donna indossava una collana composta da perle grandi come noci e da diamanti delle stesse dimensioni, decisamente poco adatta alla mattina. Ai lobi delle orecchie, aveva dei pendenti di perle e di diamanti della stessa grandezza di quelli della collana che faceva oscillare con scatti studiati della testa. Gesticolava in modo assurdo, facendo fare alle braccia ed alle mani delle ampie volute che, in poco tempo, attirarono gli sguardi ed i sorrisi soffocati dei presenti. Diane si interrogò sul perché di quello stranissimo comportamento e, dopo un po’, ne capì i motivi: la donna aveva infilati alle dita, sopra i guanti di pizzo, ben otto anelli dalle pietre grandissime e, con quei risibili gesti, cercava di farli notare alla gente e di intercettare le fonti luminose per farli brillare.
– E’ una vera fortuna per Voi – disse una delle dame satellite – Mademoiselle Poissarde, poter comprare qui il Vostro corredo.
– Oh, sì, è un luogo splendido ed elegante e non un ritrovo di nuovi ricchi come l’atelier di Mademoiselle Bertin! Ih!Ih!Ih!Ih! – ridacchiò la promessa sposa, in modo equino.
– Mademoiselle Poissarde…. – trasalì Diane.
– E’ proprio ora che mi compri qualche straccetto per le mie nozze! In fin dei conti, sono fidanzata già da due mesi. Ih!Ih!Ih!Ih!
– Due mesi…. – ripeté, fra sé e sé, Diane, colpita in testa da un macigno e trattenendo, a stento, le lacrime.
– Adesso, però, potrete sposarVi al più presto, dato che, se ho bene inteso, quel piccolo impedimento è stato rimosso.
– Oh, sì, Mademoiselle Vernon, siete nel giusto. Monsieur de Morvan doveva licenziare quella sua precedente fidanzata, una straccioncella tristanzuola che non lo voleva proprio lasciare andare. Ih!Ih!Ih!Ih!
– Due mesi….
– Pensate che è una figura del tutto ridicola, ottusamente convinta di essere colta ed interessante mentre è soltanto una povera disadattata, con una vecchia befana per madre ed uno scimmione idiota come fratello! Ih!Ih!Ih!Ih!
– Due mesi….
– Questi nobili decaduti sono assolutamente patetici, dovrebbero essere esiliati tutti o esibiti in un museo, sotto la voce: “Ruderi”. Ih!Ih!Ih!Ih!
– Due mesi….
– Ruderi tristanzuoli! Ih!Ih!Ih!Ih!
– Due mesi….
– Proprio non si voleva rassegnare ad essere lasciata e, durante quella che lei si ostinava a considerare ancora la ricorrenza del sesto mese del suo fidanzamento, avendo trovato l’espediente per restare, da sola, in una stanza, con Monsieur de Morvan, gli è saltata addosso e…. – Mademoiselle Poissarde bisbigliò qualcosa, sotto voce, alle sue amiche, fingendo imbarazzo – Ih!Ih!Ih!Ih!
– Ohhhhh! – fecero eco le amiche, dando mostra di un turbamento autentico quanto le ciocche delle loro acconciature ed il rosso delle loro gote.
– Ih!Ih!Ih!Ih!
Diane non resse più l’emozione per la scoperta e la vergogna per la calunnia. Scoppiando in lacrime e perdendo il controllo nonostante la presenza di tanti estranei, scappò via di corsa, sotto gli occhi di una stupita Madame Blanchard che, proprio in quel momento, si stava avvicinando a lei per ragionare sulla richiesta di assunzione. 

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Capitolo 4
*** Una corda ***


Una corda
 
Diane tornò a casa sconvolta come non mai e, varcata la soglia dell’abitazione, si fiondò in camera sua, sotto gli occhi interdetti di una basita Madame de Soisson.
Nei giorni che seguirono, le condizioni della giovane non fecero che peggiorare e l’umore di lei scese alle profondità di un pozzo carsico.
Come aveva potuto Gustave preferirle quell’essere volgare? E, soprattutto, come aveva potuto ingannarla in modo così spregevole? Il fidanzamento con Marie Claude Poissarde risaliva a due mesi addietro e, quindi, il tentativo di seduzione di quel pomeriggio di quaranta giorni fa era stato perpetrato dal giovane reprobo nella piena consapevolezza che, per loro due, non ci sarebbe stato un avvenire da sposi. Gustave aveva progettato deliberatamente di disonorarla per, poi, sbarazzarsene come di uno straccio vecchio, abbandonandola alla sua vergogna e, magari, ai problemi ben più gravi paventati da Madame de Soisson.
Diane era un’anima candida e, pur sapendo che esistevano, in astratto, le persone malvagie, non poteva concepire che queste le vivessero accanto o che fossero, addirittura, degli esseri a cui ella voleva bene.
Gustave de Morvan si era, in effetti, comportato in modo, prima, opportunista e, poi, abietto. Essendo stato, sin dall’infanzia, dotato di una personalità narcisistica ed egocentrica ed animato dal fermo proposito di vivere al di sopra delle proprie possibilità, sforzandosi il meno possibile, aveva sempre visto gli altri come degli strumenti da utilizzare per i suoi fini. Dopo avere conosciuto Diane, si era risolto a chiederla in moglie, giudicando quell’unione convenientissima, giacché la ragazza cumulava due doti che egli reputava essenziali, ma difficilissime da reperire in un solo essere umano: la nobiltà delle origini e la sollecitudine di un servitore. La fanciulla era così ingenua, ben disposta, arrendevole ed innamorata senza riserva alcuna che sarebbe sicuramente diventata una moglie docile, sottomessa, ricolma di lodi e prona ad ogni desiderio del suo signore e padrone. Più fedele di un cane e più schiava d’amore di un’odalisca dei racconti persiani, insomma. Ella, inoltre, sapeva cucire e cucinare molto bene e ciò avrebbe fatto sì che, dopo il matrimonio, egli si sarebbe abbigliato e nutrito molto meglio di come aveva fatto da scapolo, risparmiando, oltretutto, sul sarto e sul cuoco. Avere una moglie giovane ed innamorata, poi, gli avrebbe consentito di dismettere la sua garçonnière e di tenere per sé i soldi prima destinati alle donne compiacenti, almeno fino a quando non si fosse stancato della graziosa, ma poco conturbante consorte. Tutte queste economie gli avrebbero permesso di vivere una vita estremamente comoda, con il minimo dispendio di fatica. Successivamente, aveva conosciuto Mademoiselle Poissarde che non gli era affatto piaciuta, avendola considerata né più né meno che una detestabile villana. Egli, invece, era piaciuto a lei o, meglio, alla giovane arricchita, era piaciuta soprattutto l’idea di diventare Marie Claude de Morvan. Gustave era, ben presto, venuto a conoscenza della sconfinata ricchezza di Monsieur Poissarde e della circostanza che Marie Claude era la sua unica figlia ed erede. I due piccioncini non avevano, quindi, tardato a fidanzarsi, soddisfacendo, così, vicendevolmente, l’ingordigia di lui e l’arrivismo di lei. In tutti questi eventi, Diane aveva rivestito il ruolo di una variabile irrilevante, sacrificabile senza troppi pensieri. La piena soddisfazione di Gustave de Morvan era, però, stata offuscata dal dover rinunciare alla prospettiva di stare in intimità con la giovane de Soisson. La ragazza, fisicamente, gli piaceva tantissimo quasi quanto l’idea di appropriarsi del candore di lei, distruggendolo per sempre e rendendolo inaccessibile a qualsiasi altro uomo. L’ideale, per Gustave de Morvan, sarebbe stato prendere Marie Claude Poissarde come moglie e Diane de Soisson come amante, ma l’uomo sapeva benissimo che quell’idea era irrealizzabile, perché Diane non avrebbe mai acconsentito mentre Jean Paul Poissarde, con tutti gli sgherri che aveva al suo servizio, non avrebbe tardato a scoprire la tresca ed a punire severamente il genero adultero. Si risolse, perciò, a sedurre la ragazza, togliendosi il capriccio una volta sola. Il progetto, nelle previsioni dell’ideatore, sarebbe andato sicuramente in porto, perché Diane gli era completamente soggiogata e, oltre a ciò, il giorno della seduzione era stato, da lui, scelto con cura, cadendo proprio nel sesto mese dal loro fidanzamento. Immenso era stato lo stupore di quel libertino da quattro soldi nel trovarsi di fronte tanta resistenza ed una ragazza, da sempre ritenuta priva di volontà, che era, invece, passata alle vie di fatto. De Morvan si era risentito profondamente per quel rifiuto culminato, addirittura, in uno schiaffo, avendolo preso come un affronto in piena regola, quasi come una lesa maestà. Si era, quindi, vendicato, descrivendo Diane come un’ebete stracciona e calunniandola in modo infame, ottenendo, così, il duplice risultato di sfogare il proprio livore e di compiacere la sua nuova fidanzata che, malgrado la spavalderia, era intimamente consapevole dei propri limiti ed oltremodo contrariata dal confronto con una rivale di nobili origini.
Diane, da parte sua, si era invaghita di Gustave de Morvan perché questi era stato il primo uomo, a parte il fratello, da lei frequentato con una certa assiduità. Tutte le conoscenze maschili della fanciulla, dai vicini di casa, ai garzoni delle botteghe, fino ad arrivare ai commilitoni di Alain, erano costituite da giovani lavoratori di umilissime origini, il più delle volte, completamente analfabeti e dalle maniere spicciole e, spesso, brusche. La scarsa esperienza del mondo non aveva consentito a Diane di percepire l’affettazione e la falsità delle maniere del giovane fidanzato e, anzi, questi difetti le avevano ricordato la solennità e l’enfasi dei poemi cavallereschi. La corte di Gustave de Morvan si era, dunque, indirizzata verso un obiettivo sin troppo facile da conquistare.
 
********
 
Era trascorsa una decina di giorni dall’incidente nell’atelier di Madame Blanchard e Diane, con grande costernazione dei suoi familiari, come al solito all’oscuro dell’accaduto, peggiorava di giorno in giorno, essendo arrivata al punto di rifiutare il cibo.
Alla recrudescenza del dolore morale ed all’umiliazione subita, si erano unite una profonda delusione, in particolare, su Gustave e, in generale, sull’umanità intera e la consapevolezza dell’ineluttabilità del proprio destino. In qualsiasi modo avesse tentato di ricostruirsi una vita, qualunque lavoro avesse trovato, ovunque fosse andata, non sarebbe mai stata al sicuro, perché gli incontri come quello di dieci giorni prima sarebbero sempre potuti capitare e, magari, sarebbero avvenuti proprio nei periodi di maggiore stanchezza e vulnerabilità.
La madre non sapeva più come regolarsi con lei. Nel momento in cui il problema sembrava essersi avviato ad una soluzione, la situazione era tornata a peggiorare, divenendo più ingestibile di prima. In Alain, invece, l’impazienza stava prendendo il posto della comprensione. Aveva tentato di fare appello a tutto il suo affetto ed a tutta la sua calma, ma, nella mente del giovane, un problema, per quanto enorme, prima o poi, avrebbe dovuto risolversi, non essendo ipotizzabile, invece, che esso si ripresentasse ciclicamente ed all’infinito. Il soldato cominciava a pensare, sebbene con rammarico, che, se la faccenda non si stava risolvendo, ciò era da imputarsi all’assenza di buona volontà della sorella che preferiva crogiolarsi nel dolore e farsi compatire piuttosto che rimboccarsi le maniche e collaborare coi familiari.
Fu in questi frangenti e nel perdurare di tali stati d’animo che Madame de Soisson, una mattina, si affacciò nella stanza della figlia.
– Ti consiglio di venire in sala da pranzo e di mangiare qualcosa, così da metterti in forze, dato che, domani, dovremo lavorare molto. Io scendo giù, nella bottega qui di fronte, a comprare delle uova, con le quali prepareremo la pasta per il banchetto organizzato dalla moglie del Notaio de Hauteville. Madame de Hauteville vuole far servire ai suoi ospiti la pasta all’uovo, un alimento di provenienza italiana che io, in zona, sono l’unica a sapere preparare, avendo imparato, da giovane, da Madame Ridolfi. Pensa che Diderot e D’Alembert hanno descritto lo strumento di produzione di questo alimento di origine straniera!
Madame de Soisson sperava che il riferimento ai due letterati avrebbe risvegliato l’interesse della figlia. Sperava anche di fare un’ottima figura con la pasta all’uovo, giacché il Notaio de Hauteville, come tanti altri giuristi, apparteneva alla nobiltà di toga ed entrare nelle grazie della moglie di lui avrebbe potuto significare accedere al giro delle feste delle famiglie illustri e ricevere commissioni importanti.
La donna tornò nella sala da pranzo, salutò Alain, si mise il mantello sulle spalle e si avviò verso l’uscita, aprendo la porta di casa. Fatto ciò, si accorse di avere dimenticato il cappello e, lasciata la porta socchiusa, tornò indietro. Indossato il copricapo, si riavvicinò alla porta di casa e fu allora che questa fu aperta di scatto e con forza e che Madame de Soisson fu scaraventata a terra.
– Eccomi qua! – esclamò l’ineffabile Gérard Lasalle – Oh, Madame de Soisson, ma Voi siete caduta, lasciate che Vi aiuti a rialzarVi!
– Grazie, faccio da sola. Soldato Lasalle, se tutti i nostri militari fossero come Voi, i nemici della Francia sarebbero spacciati!
– Madame de Soisson, ma Voi state uscendo!
– Vado nella bottega qui di fronte a comprare quattro cassette di uova.
– Lasciate che Vi aiuti a portarle su.
– Noooooooooooo!!!!!!!!!!!!!!!!!
– Gérard, per favore – si intromise Alain – precedimi in caserma, dato che io ho ancora delle faccende da sbrigare.
Alain era stanco, i dispiaceri esistenziali della sorella lo stavano spossando e la prospettiva di sorbirsi le stramberie di Lasalle per tutto il tragitto lo infastidiva.
Il giovane soldato accolse l’invito del commilitone e se ne andò. Madame de Soisson scese le scale un paio di minuti dopo, quando, ormai, l’altro se ne era già andato e non avrebbe più potuto farla rotolare giù.
Fu allora che Diane uscì dalla sua stanza e si accostò al fratello con aria afflitta.
– Oh, Alain, ti prego, parlami ancora un po’ di quel malinconico soldato dall’animo gentile e dell’infelice amore che nutre per il suo Comandante!
Alain, che aveva i nervi sfibrati e che, da tempo, era preoccupato per la situazione in cui versava la Francia, considerando tutti quei piagnistei del tutto fuori luogo, se rapportati ai gravi problemi reali e contenendo, a stento, l’impazienza, rispose:
– Diane, te ne prego, lascia perdere. Si tratta di storie di fantasia, capito! André è un povero illuso, perché il Comandante non lo guarderà mai. Quella donna gode un mondo nel condurre la vita che fa, guidando reggimenti ed impartendo ordini a destra e a sinistra. Non sarà contenta finché non ci rimetterà le penne nell’infuriare di una battaglia, alla testa del suo esercito e con la spada fra le mani. Non abbandonerà mai tutto questo per mettersi a fare la calzetta e, se anche decidesse, per assurdo, di farlo, c’è la fila di pretendenti nobili e ricchi fuori dal suo palazzo. Non si sposerà mai con un orbo spiantato! Per favore, cerca di ragionare e metti al bando le assurdità. Buona giornata.
Ciò detto, Alain si mise il berretto ed andò via.
Pochi minuti dopo, Madame de Soisson tornò in casa con le cassette delle uova fra le mani e si trovò di fronte sua figlia piangente come Niobe.
La donna, non sapendo più cosa dire alla ragazza, scosse il capo, ripose le uova e si apprestò ad uscire di nuovo.
– Vado in Rue Saint Louis ad aiutare Madame Dubois i cui figli hanno contratto tutti la scarlattina. Hai capito, Diane? C’è una madre i cui cinque figli sono tutti malati di un grave morbo. Non sa quanti ne perderà, forse tutti o forse no, ma difficilmente guariranno tutti e cinque. Questi sono i problemi, questi sono i dolori irreparabili, altro che storie! Tornerò prima dell’imbrunire e, domani, cadesse il mondo, mi aiuterai con quella pasta all’uovo, perché il lavoro è tanto, da sola non ce la faccio e, se non te ne sei accorta, non siamo una famiglia ricca con decine di servitori ed è ora che anche tu dia un contributo al nostro ménage.
Madame de Soisson si accomiatò dalla figlia ed uscì.
Diane si trovò sola in casa, ma ciò non la impensierì, perché, in cuor suo, aveva già deciso cosa fare. I suoi familiari avevano perfettamente ragione, soltanto che non avevano compreso la totale incapacità di lei ad adattarsi al mondo reale. Avrebbe posto fine per sempre alle sue sofferenze. Nella bottega in fondo alla strada, vendevano corde robuste e non facevano troppe domande. Le travi del soffitto erano solidissime e di sedie ce n’era più d’una. Un semplice salto e tutto sarebbe tornato a posto.
Esiste più di un modo per volare.
 
********
 
Diane camminava per strada, frastornata e stanca. I suoni le giungevano alle orecchie ovattati e lontani. Fu così che la graziosa donna dietro di lei dovette chiamarla più volte per essere udita e farla voltare.
– Mademoiselle! Mademoiselle!
Diane si voltò, si riscosse e guardò la giovane donna gentile con cui aveva parlato nell’atelier di Madame Blanchard.
– Buongiorno, Mademoiselle, Vi ricordate di me? Sono Rosalie Châtelet. Ci siamo incontrate nell’atelier di Madame Blanchard. Oh, ma Voi avete pianto!
– No, non Vi preoccupate – mentì Diane – E’ soltanto un’allergia.
– Come Vi chiamate?
– Diane de Soisson.
– de Soisson…. Siete, forse, parente di un soldato che milita al comando di Oscar François de Jarjayes?
– E’ mio fratello.
– Io ho abitato per oltre dieci anni a Palazzo Jarjayes, grazie alla magnanimità di Madamigella Oscar! – disse Rosalie, iniziando a parlare a Diane col cuore in mano, giacché erano entrambe accomunate dalla conoscenza di una persona eccezionale.
– Quindi, conoscete lei ed André Grandier?
– E come se li conosco! Ormai, sono per me delle persone di famiglia! Le più importanti della mia vita, insieme a mio marito ed a mio figlio, naturalmente! Mi hanno accolta in casa quando ero poco più di una bambina e la vita mi sembrava finita. Mi hanno rimessa in piedi, mi hanno insegnato i veri valori e mi hanno forgiato lo spirito. Con loro, sono diventata una persona diversa. Prima, pensavo soltanto alla vendetta. Dopo, grazie alla loro guida, ho capito quali sono le cose importanti della vita.
– Si vede che, per Voi, c’era ancora una speranza.
– Per tutti c’è ancora una speranza! Perché, quella mattina, siete fuggita via, come se aveste avuto i creditori alle costole? Madame Blanchard sta proprio cercando un’apprendista e Voi le avete fatto un’ottima impressione. A Madame Blanchard basta un’occhiata per valutare le persone e di rado si sbaglia. E’ una padrona estremamente esigente, ma anche giusta ed umana. Gli insegnamenti che impartisce sono ottimi e le paghe sono eque e più che dignitose.
– Ma io stavo giusto tornando a casa e….
– Niente da fare – disse Rosalie, prendendo Diane sotto braccio – Voi, adesso, verrete con me e, fra due giorni, festeggeremo il battesimo di mio figlio e Voi siete invitata. Ci saranno le lavoranti della sartoria e molti colleghi di mio marito Bernard che fa il Giornalista. Non sono ammesse defezioni!
Le due giovani donne si incamminarono in direzione dell’atelier di Madame Blanchard.
Esiste più di un modo per volare.
 
 
 
 
La storia di Diane de Soisson è terminata. Ho voluto concederle una possibilità in più rispetto alla storia originale. Ho gettato il seme e spetterà a Diane farlo germogliare.
Madame Blanchard e Rosalie si sono accorte che Diane è una brava ragazza, ma che ha dei problemi ed hanno deciso di tenderle una mano. In particolare, Rosalie è stata aiutata da Oscar in un periodo cruciale della sua vita ed ha deciso, adesso, di restituire il favore ad un’altra creatura. Certo, Diane non ha la resilienza di Rosalie e quest’ultima non è Oscar, ma meglio di niente.
Ho voluto, invece, evitare improponibili nuovi amori, perché Diane è ridotta ai minimi termini. Dovrà, prima, farsi le ossa lavorando e capire chi è, cosa vuole dalla vita e dove vuole andare e, soltanto dopo, potrà decidere che tipo di uomo volere accanto, per il quale essere una compagna di vita e non una bambola di porcellana da proteggere.
Ringrazio tutti coloro che hanno voluto lasciare un commento ed invito quante più persone possibile a dire, sinceramente, come la pensano. Questa storia è quasi un originale, perché sfrutta una vicenda della quale è stato detto poco o nulla e nella quale i protagonisti non compaiono se non nei racconti dei personaggi e come termini di paragone degli stati d’animo di Diane. Proprio perché i protagonisti e le consuete tematiche di Lady Oscar, qui, non ci sono, questa storia non contiene facili richiami né forme di captatio benevolentiae verso i lettori. Le recensioni saranno, perciò, più che sincere. 

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