Dark Eagle di Asia Dreamcatcher (/viewuser.php?uid=205428)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno Nuovo Problemi Nuovi ***
Capitolo 2: *** Dritto al cuore ***
Capitolo 3: *** Sotto Scacco ***
Capitolo 4: *** Il Momento della Verità (parte I) ***
Capitolo 5: *** Il Momento della Verità (parte II) ***
Capitolo 6: *** Decisioni Difficili ***
Capitolo 7: *** The Show must go on (parte I) ***
Capitolo 8: *** The Show must go on (parte II) ***
Capitolo 9: *** Who is the first to burn? ***
Capitolo 10: *** La verità svelata ***
Capitolo 11: *** Collapse ***
Capitolo 12: *** Sin ***
Capitolo 13: *** Falling into pieces ***
Capitolo 14: *** A new day has come ***
Capitolo 15: *** Blind Spot ***
Capitolo 16: *** Ombre ***
Capitolo 17: *** Legami ***
Capitolo 18: *** Way down we go ***
Capitolo 19: *** Pain ***
Capitolo 20: *** ...United we stand ***
Capitolo 21: *** Back to Home ***
Capitolo 22: *** Back to Home (parte II) ***
Capitolo 23: *** "Warning" ***
Capitolo 24: *** Point of Break ***
Capitolo 25: *** Family ***
Capitolo 26: *** Effetto Sorpresa ***
Capitolo 27: *** Motherhood ***
Capitolo 28: *** Perdonami padre perché ho peccato ***
Capitolo 29: *** Home sweet home ***
Capitolo 30: *** Per aspera ad astra ***
Capitolo 31: *** Born for this ***
Capitolo 32: *** All'ultimo respiro ***
Capitolo 33: *** Happy Ending ***
Capitolo 34: *** - Extra - Fiori d'Arancio ***
Capitolo 1 *** Anno Nuovo Problemi Nuovi ***
01
...
...
... Un bel respiro e... Eccoci di nuovo qui con il primo capitolo di
questa folle terza parte! Dunque... per il momento lascerò che a
parlare sia il capitolo stesso; ma tengo a fare una precisazione per
chi non seguisse la storia dal principio, ovvero da "Lasciati Salvare",
"Dark Eagle" è il diretto continuo di "La Danza della Stanza
Rossa" per questo motivo consiglierei a chiunque non l'avesse letta di
andare a darci un'occhiata al fine di comprendere meglio personaggi e
situazioni presenti in questa storia :) Vi ringrazio fin da subito
(come al solito ci si vede a fondo pagina!)
Buona Lettura!
Capitolo
Uno: Anno Nuovo Problemi Nuovi
“Non
importa chi vince o chi perde,
i
guai tornano sempre...”
~
Nick Fury, “Avengers Age of Ultron”
Novembre,
New York City.
“Driiin”
Al
suono della campanella gli eleganti corridoi della Dalton School si
gremirono di giovani studenti e del loro allegro e confuso
chiacchiericcio.
«La
lezione di oggi è stata un trauma! Odio fisica!» borbottò una
ragazzina dai corti capelli biondi, appoggiandosi di peso contro la
fila di armadietti e rivolgendosi a una sua quasi coetanea
estremamente carina, dai lunghi capelli color cioccolato – stretti
in una morbida treccia a spina di pesce – e luminosi occhi grigi.
«Dai,
non è stata poi così tragica» ridacchiò quest’ultima riponendo
con cura i suoi appunti e afferrando un grosso volume di matematica
avanzata.
«Parli
facile tu! Sei un genio» replicò la biondina con un broncio
divertito;
«Ma
no dai» rise Alexandra Constantin portandosi una ciocca dietro
l’orecchio, lievemente imbarazzata.
«Senti,
oggi sei libera?»
«No
mi spiace Ash… Oggi devo proprio allenarmi, tornerò con Jace…»
spiegò mordendosi il labbro, gli occhi dell’amica si illuminarono;
«Oh
Jace! Ascolta non è che metteresti una buona parola per me con lui?
È troppo carino!» trillò, Alex alzò gli occhi al cielo e scosse
il capo leggermente divertita;
«Guarda
che non è così inavvicinabile»
«Bah
sarà! Ma non so se hai notato che a parte te non bada nessun’altra
ragazza!?» protestò l’amica gonfiando le guance. Alexandra
arrossì sentendo il cuore sussultare appena.
«Ti
sbagli».
«Ehi
Jace!» gridò la quasi tredicenne all’uscita della scuola,
attirando l’attenzione di un ragazzo alto e dalle spalle larghe. I
suoi occhi blu oltremare guizzarono nella direzione della voce mentre
la mano correva a scompigliarsi la folta zazzera bionda. Le sue
labbra carnose e pallide si stesero in un enorme sorriso caldo. Un
gruppetto di ragazze accanto a lui e ai suoi amici sorrisero
inebetite.
«Sasha1!»
esordì allegro circondandole le spalle con un braccio.
Alexandra
si lasciò andare al calore di quell’abbraccio, era stata sua madre
a chiamarla per prima ‘Sasha’ e oltre a lei, suo padre. Alexandra
non aveva mai permesso a nessun altro di usare quel diminutivo, ma
con Jace era stato diverso. Ora solo lui e suo padre potevano
chiamarla in quel modo a lei così caro.
«Non
ti ho visto oggi in pausa pranzo» asserì il quindicenne
pizzicandole divertito il naso.
Da
quasi un anno infatti, i due ragazzi frequentavano la prestigiosa e
elitaria Dalton School.
«Avevo
compito di letteratura Ace! Dovevo dare un’ultima letta», l’altro
levò un sopracciglio;
«Solo
perché sei entrata un anno in anticipo non ti devi ammazzare di
studio… Non hai nulla da dimostrare agli altri!» le ricordò Jace
semiserio, Alex roteò gli occhi;
«Ti
devo far presente che ho un quoziente intellettivo superiore alla
media!?»
«Adesso
non ti vantare!» scherzò lui sfilandole il basco dalla testa e
iniziando a correre;
«Ace!!
Ridammelo!»
«Dai
dai! riscaldamento fino alla Tower!» sghignazzò saltando prima su
un muretto e poi su un altro eseguendo delle acrobazie da parkour.
«Così
non vale» celiò la ragazza indispettita;
«Andiamo
Sasha, devi migliorare sotto questo aspetto!» replicò Jace
appendendosi senza difficoltà alla grata di una finestra;
«Ora
chi è che si vanta?» disse Alex saltando con grazia e agilità su
una ringhiera.
A
un isolato dall’Avengers Tower i due giovani arrestarono la loro
corsa, entrambi ancora ridacchiando cercarono di riprendere fiato
mentre una neve soffice e lieve iniziava a addensarsi per le strade.
«Oggi
dovrebbero tornare» asserì Jace osservando perso i piccoli fiocchi
di neve cadere dal cielo plumbeo.
«Sì.
Papà me l’ha detto» annuì Alex, sollevata che gli altri stessero
tornado, sperava che la missione avesse portato a qualcosa di utile.
«A
proposito è ancora impegnato con quel progetto per le Stark
Industries?»
«Già!
Lo sta tenendo abbastanza occupato, almeno per i prossimi giorni non
tornerà a casa, così resterò alla Tower».
Dopo
gli avvenimenti di quasi un anno prima, Niko Constantin era stato
assunto come ingegnere chimico alle Stark Industries, per volere di
Tony Stark in persona.
Così
lui e Alexandra si erano dovuti trasferire definitivamente a New
York. Capitava, a volte, che Niko non riuscisse a tornare a casa per
più di un giorno, preso da qualche problema col progetto di turno, e
Alex allora era ospite di Steve e Natasha e, in mancanza di entrambi,
stava alla Tower.
«Speriamo
che la loro non sia stata una missione completamente inutile»
sospirò Jace pensieroso, poi scrollò le spalle e sorrise in
direzione dell’amica che, comprese perfettamente il suo stato
d’animo, e fece una smorfia divertita.
«Credo
dovremmo preoccuparci più per noi, ora come ora»
«Già!
Sharon non ci va giù leggera quando si tratta di allenamento!»
«Perché
Maria? Non so se ti ricordi, ma il suo ultimo programma di
allenamento ci ha fatto vomitare l’anima!».
*
Natasha
inserì il pilota automatico e si sgranchì le braccia.
Il
jet variò di alcuni gradi e continuò il suo placido viaggio.
Steve
Rogers riposava a braccia conserte, seduto compostamente sul duro
sedile, le palpebre pallide chiuse, il capo appena chino.
La
spia gli si inginocchiò davanti accarezzandogli piano la guancia, il
capitano aprì immediatamente gli occhi, attirato da quel tocco
delicato.
«Siamo
arrivati?» domandò stropicciandosi il volto e guardandosi attorno,
Natasha scosse il capo divertita;
«No,
ho solo impostato il pilota automatico, non saremo a New York prima
di tre ore» lo rassicurò lei.
«Buc
e Sam?»
«In
branda… Forse dovrei dire a Sharon che dovrebbe cominciare a essere
gelosa di quei due» rifletté scherzosamente, poi gettò un’occhiata
profonda al compagno «Dovresti riposare anche tu…» continuò
mentre la sua mano correva fra i suoi corti capelli biondi;
Steve
si alzò e l’abbracciò, lasciando che il suo profumo gli riempisse
i polmoni;
«Sto
bene qua» replicò serio, mentre la spia sollevava lo sguardo fra il
divertito e l’esasperato. Nel profondo contenta di quel contatto,
erano stati giorni intensi e finalmente lei e il supersoldato avevano
un momento tutto per loro.
Erano
dovuti volare fino in Cina dopo che al telegiornale, una notizia
buttata lì quasi per caso, avevano scoperto della tragica morte del
Dottor Yen.
Tutti
loro erano stati quasi certi che dietro alla misteriosa dipartita del
creatore dello psychotron, vi era la mano dell’Hydra.
Natasha
e Steve insieme a Bucky e Sam si erano immediatamente messi in
viaggio per il paese del Sol Levante, dove Vedova era riuscita senza
troppe difficoltà a entrare nell’obitorio, in cui era depositato
il corpo di Yen, e fare delle copie della sua autopsia.
Avevano
appreso che il Colonnello Ling non era più alle dipendenze del
governo e, grazie alla spinta di qualche vaga intimidazione da parte
del Soldato d'Inverno, erano venuti a conoscenza che lui e un
manipolo di suoi fedelissimi erano partiti segretamente per la
Russia.
Quella
notizia aveva complicato non poco le cose ai quattro, l'idea di
rimettere piede in quella fredda terra li faceva rabbrividire, senza
contare che nessuno di loro era più il benvenuto nel paese dopo le
vicende dell'anno prima.
Malgrado
lo S.H.I.E.L.D. avesse promesso che non si sarebbe più infiltrato in
suolo russo – quantomeno senza “permesso” esplicito –
sapevano che le cose non stavano proprio così. L'ex Crimson Dynamo,
Yuri Petrovich, era stato assoldato dall'agenzia come agente
operativo a capo della neofita sezione russa.
Grazie
al suo fratellastro, Natasha e gli altri erano riusciti a rientrare
in Russia, costretti a mantenere un profilo estremamente basso,
avevano cercato di rintracciare i movimenti di Ling.
La
prova che dietro a tutto ci fosse l'Hydra divenne evidente quando i
quattro si dovettero scontrare con uno squadrone di loro agenti,
probabilmente con funzioni di sorveglianza, alle ex fabbriche delle
Kronas Corporation poste ancora sotto sequestro. Lo scontro in sé
non aveva causato nessun problema a Steve e compagni ma aveva fatto
perdere loro le tracce di Ling.
Impossibile
dire che fine avesse fatto.
«Te
l'avevo detto che era meglio fargli un segnale!» berciò Sam
comparendo nell’ampia cabina insieme a Bucky, alludendo al fatto
che Steve e Natasha fossero ancora abbracciati.
Vedova
scosse il capo, mentre il supersoldato sospirò grattandosi la nuca.
«Appuntatevelo
per la prossima volta» soffiò la donna ironica. James alzò le
mani, come a segnalare la propria colpa;
«Okay,
colpa mia. Mai più entrare in stanza senza bussare se all’interno
ci siete voi due! Possiamo fare il punto della situazione?»
«Quale
situazione? Oh intendi il fatto di esserci fatti scappare Ling da
sotto il naso?» berciò Falcon alquanto affranto.
«Se
Ling è finito nelle mani dell’Hydra a quest’ora è con tutta
probabilità morto» rifletté Natasha osservando Steve per avere
conferma delle proprie parole. Dalla sua espressione capì che
condivideva il suo pensiero.
«Quello
che mi chiedo è perché a casa di Alexei?» disse il capitano
«Perché si è diretto lì?»
«Shostakov
aveva dei dubbi riguardo Lukin...» fece presente Bucky passandosi
stancamente una mano fra i crini scuri;
«Che
avesse raccolto delle prove?» domandò con tono incerto Sam;
«E ci
ha usato come prova finale?» gli fece eco il capitano;
«Qualunque
cosa ci fosse lì, ormai non c’è più» celiò grave Natasha «E
la cosa preoccupante è che ora, di qualunque cosa si trattasse, è
nelle mani o dell’Hydra o di Ling. E non so quale sia la cosa
peggiore.»
«Se è
nelle mani di Ling è più che probabile lo usi come merce di scambio
con l’Hydra, per evitare di fare la fine di Yen» ragionò il
capitano;
«Sempre
che il colonnello non sia già nelle loro mani» replicò James, poi
si volse verso Natasha;
«Yuri
ci avvertirà se accadrà qualcosa di anomalo, per il momento non
possiamo che tornare a casa e ricominciare a seguire altre piste»
«In
pratica dobbiamo aspettare che succeda una catastrofe prima di
muoverci, che meraviglia!» berciò Sam sarcastico, stropicciandosi
il volto.
«A
volte non possiamo far altro che lasciare che l’avversario scopra
le sue carte, prima di poter compiere la nostra mossa»
affermò Vedova inspirando profondamente. Poco dopo, con estrema
nonchalance si allontanò dal terzetto di uomini presi ancora nella
discussione e scivolò in bagno.
La spia
fece appena in tempo a chiudere la porta che fu costretta a piegarsi
su se stessa, cercando di tenere a bada un forte conato di vomito.
Strinse i denti mentre apriva il getto d’acqua del lavandino e si
affacciava al water pronta a dare di stomaco.
La
nausea si quietò dopo qualche minuto, ma il lieve bussare alla porta
la fece sussultare.
«Nat»
la voce soffocata di Steve dall’altro lato della soglia, le arrivò
come un trillo acuto alle orecchie «Hai voglia di mangiare
qualcosa?»
«No non
ora...» si schiarì la voce Natasha «Direi che non è proprio il
caso...» bisbigliò per non farsi sentire. Attese che i passi del
compagno sfumassero e poi immerse il viso sotto il getto ghiacciato
per ritornare presente a se stessa.
Si
guardò allo specchio. La sua immagine riflessa aveva la pelle tirata
e un lieve accenno di ombre scure sotto gli occhi. Scosse il capo e
calmò il respiro; si era trattato solamente di un po’ di
stanchezza accumulata, niente di cui preoccuparsi, si disse.
*
Playground,
Quartier generale dello S.H.I.E.L.D.
«Direttore?
È arrivata...»
Phil
Coulson alzò lo sguardo distratto dal tablet, i suoi occhi
grigio-azzurri si puntarono in quelli scuri e penetranti della sua
vice, rivolgendole poi quel sorriso pacato e bonario che solo lui
possedeva.
«Molto
bene Melinda. Falla entrare».
Lo
sguardo dell’agente May tornò nuovamente severo e imperscrutabile,
uscì dall’ufficio del direttore, per tornarci quasi subito
scortando una giovane donna, – non doveva avere più di trent’anni
– aveva un viso fresco e magro, occhi sapientemente truccati, dal
taglio leggermente allungato castano-verdi e corti capelli a
caschetto neri.
«Direttore
Coulson, è un piacere conoscerla.» esordì la giovane porgendo
elegantemente la mano;
«Il
piacere è tutto mio, signorina Holstein. Le sue credenziali
sono notevoli: laureata con lode in Criminologia e Master2
in neuropsicologia»
Erica
Holstein sorrise con modestia, chinando rispettosamente il capo;
«La
ringrazio direttore, spero che le mie competenze vi risulteranno
utili...».
Le
labbra di Coulson si stesero in un accennato sorriso sghembo;
«Oh
vedrà, troveremo qualcosa da farle fare… Benvenuta allo
S.H.I.E.L.D., agente Holstein».
Noticine
a piè pagina
1=
Diminutivo russo di ‘Alexandra’
2= Nel sistema universitario americano il ‘master’ indica, per
intenderci, una laurea magistrale.
_________________________________________________Asia's Corner
Or
dunque! Cosa ne pensate di questo capitolo? Lo so è un inizio un
po' in punta di piedi, ma in qualche modo bisogna pur cominciare! Anche
se, vedete da voi, ho già inserito un personaggio nuovo, gli
Avengers e sparizioni di cinesi vari (un bel tuffo nel passato eh?), il
tutto farcito da un po' di teen drama con i miei amatissimi Jace e
Alexandra, che spero vi siano piaciuti :)
Ah, sappiate che io adoro, letteralmente, la "coppia"
Coulson&May... Quindi cercherò, se riesco, di approfondire
questo rapporto, che a me personalmente attrae moltissimo!
Allora
per il momento l'aggiornamento della storia avverrà ogni 15
giorni, se dovessi avere degli imprevisti ve li comunicherò
prontamente qui, nel mio angolino autrice, questo perché a
dicembre dovrei laurearmi e i preparativi mi stanno prendendo molto
tempo, quindi vi chiedo di essere pazienti!
Okay per questa volta è tutto! Io ringrazio dal profondo del mio
cuore ogni persona che leggerà o vorrà commentare questa
mia nuova avventura!
Spero ci "rivedremo" al prossimo capitolo, che verrà pubblicato GIOVEDI' 24 NOVEMBRE!
Grazie a tutti!
A presto!
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Capitolo 2 *** Dritto al cuore ***
2
Salve a tutti,
è bello aver ritrovato, dando un'occhiata alle liste speciali,
molti di coloro che avevano seguito le due storie precedenti anche in
questa nuova "avventura"! Spero di non aver deluso e di continuare a
non deludere le vostre aspettative e riuscire a emozionarvi come
è successo in precedenza (o quanto meno lo spero!).
Bene, bando alle chiacchiere, vi lascio al tanto atteso secondo capitolo! Ci vediamo in fondo :)
Buona Lettura!
Capitolo
Due: Dritto al Cuore
“who's
the first to burn?”
~”Black
Sea”, Natasha Blume
Sam
Wilson inspirò a pieni polmoni l'aria serale di New York City,
osservando, da una terrazza dell'Avengers Tower, la miriade di luci
che incendiavano la città, che a ben vedere si era guadagnata la
nomea de “la città che non dorme mai”, mentre già
comparivano i primi sfavillanti addobbi natalizi.
«Grazie
per avermi avvertito che sareste tornati!» trillò la voce,
apparentemente burbera, dell'agente Hill.
L'ex
pararescue, sorpreso, sbuffò divertito chinando il capo, si voltò a
guardarla senza staccare i gomiti dalla ringhiera;
«Io
ti avrei anche avvertito, se non avessi cambiato numero per
l'ennesima volta».
Maria
sospirò impercettibilmente, i suoi occhi turchesi si soffermarono
sui tratti del volto dell'uomo che le stava davanti con quel sorriso
incerto e i grandi occhi sinceri puntati su di lei. Non era facile
essere il braccio destro della spia per eccellenza. La sua bravura e
professionalità le erano sempre costate qualcosa.
«Rischi
del mestiere...» replicò accostandosi a lui. Rimasero a guardare,
per qualche minuto, il panorama in silenzio. Poi Maria tese la mano
verso il collega in una muta domanda, mentre lui la guardò
perplesso;
«Il
cellulare» lo incalzò lei. Sam glielo consegnò.
La
donna ci trafficò per qualche secondo, sotto lo sguardo curioso e
attento di lui.
«Ecco
fatto» disse riconsegnandoglielo. Sam scorse velocemente la sua
rubrica, notando ben due numeri di cellulare sotto il nome 'Maria'.
«Uno
è il mio attuale numero... L'altro beh diciamo che è per le
emergenze – spiegò mantenendo lo sguardo puntato ben lontano da
lui – di Fury...»
«Solo
Fury usa e conosce questo numero?» ribatté sorpreso Sam;
«Beh..
Non solo lui ora...» lo corresse lei a denti stretti «Togliti
immediatamente quel sorriso ebete dalla faccia, Wilson!»
«Quale
sorriso ebete!?» replicò lui senza smettere di sorridere contento
«Dai lasciati abbracciare...»
«Stai
fermo!» tuonò l'agente, totalmente impreparata a quella reazione.
Il
trillo del cellulare distrasse entrambi da quel siparietto.
«Non
può già saperlo. Vero!?» esalò Sam, riferendosi a Fury e al fatto
che ora anche lui conoscesse il numero segreto dell'agente Hill.
Maria
lo guardò malissimo e si accostò il cellulare all'orecchio.
«Si...
Signore?»
Falcon
osservò preoccupato il viso della Hill perdere progressivamente
colore, tentò di chiedere informazioni ma lei semplicemente lo
ignorò.
Quando
la chiamata si concluse un minuto esatto dopo, l'ex pararescue tornò
alla carica un po' frustrato;
«Mar-?»
«Sam
– lo interruppe lei visibilmente allarmata – si tratta di
Barton».
*
Osservò
attenta le due lapidi bianche, pulite, squadrate. Erano così vicine
che quasi si sfioravano, in mezzo una corona di fiori freschi.
Sospirò,
doveva ringraziare Yuri per aver trovato un posto adatto in cui farli
riposare in pace. Alzò lo sguardo smeraldino verso il cielo chiaro,
una folata di vento dell'est la costrinse a stringersi nel caldo
parka. I suoi occhi abbracciarono il verde paesaggio dell'altopiano
sarmatico, con uno sforzo di volontà lasciò finalmente un mazzo di
candidi fiori sulle lapidi, poche parole in russo scivolarono dalle
sue labbra, talmente lievi che sembrò che il vento stesso le avesse
pronunciate.
Natasha
si riscosse dai suoi vividi ricordi e continuò a versare il caffè
nella tazza. Quando però fece per portarselo alla bocca, l'odore
dolce-amaro le colpì forte le narici infastidendola al punto da non
riuscire a berlo. Sbuffò irritata e gettò via tutto,
accontentandosi di sorseggiare del semplice tè al limone.
Era
evidente che c'era qualcosa che non andava, il suo corpo le stava
mandando dei segnali, ma Vedova era chiaramente in fase di negazione,
liquidando nella sua testa il problema come semplice stanchezza post
missione, non era certo la prima volta che le capitava di “sentire”
una missione più pesante di altre, e i ricordi di un anno prima
d'altronde non avevano fatto altro che peggiorare la situazione.
Chiuse
gli occhi assaporando il caldo liquido che le scendeva lungo la gola,
ripensando a quei due mesi che lei e Steve avevano passato nel
Vermont. Quel periodo non le era mai sembrato così distante.
Proprio
l'oggetto dei suoi pensieri entro trafelato nel loro appartamento di
Brooklyn, i suoi occhi cercarono immediatamente
la compagna, l'espressione era grave.
«Steve-?»
Natasha incatenò lo sguardo al suo, il corpo in tensione. Il
comprendersi con un semplice sguardo era qualcosa che non era mai
cambiato in quegli anni, da quando da semplici colleghi avevano
deciso di legare l'una la propria vita all'altro.
«Clint
è stato attaccato – Natasha sgranò gli occhi incredula – è
riuscito a mandare un segnale d'emergenza a Fury, ma da allora non si
hanno più sue notizie...» berciò passandosi una mano sul volto, la
tuta con cui era uscito, per una corsetta serale, era bagnata
fradicia dalla pioggia che aveva iniziato a imperversare sulla città.
«Quando
partiamo?» domandò prontamente Vedova, pensando a Laura e ai
bambini.
«Tony
sta preparando il jet, dobbiamo raggiungerli»
«Andiamo».
Il
jet sorvolava una zona abbastanza boschiva. Al suo interno Steve,
Natasha, Tony, Sam, Bucky e Sharon restavano in silenzio, tesi.
«Qualcuno
sa cosa ci faceva Barton qui?» domandò serio e curioso il
miliardario osservando sul monitor quanto mancava a raggiungere la
posizione segnalata dall'arciere.
Il
capitano si scambiò uno sguardo carico di significato con la russa,
che sospirò decidendo di raccontare la verità agli altri;
«Clint
ci abita...» esordì attirando l'attenzione di tutti «Ha costruito
una casa per lui... e la sua famiglia».
Sam
aveva intuito qualcosa dalle loro conversazioni l'anno scorso, ma era
sempre stato bravo anche a farsi gli affari propri, gli altri –
eccetto Steve che aveva avuto modo di conoscere la famiglia dell'eroe
tempo addietro – erano semplicemente sorpresi.
«Prego?»
berciò con voce strozzata Stark;
«È
sempre stato un segreto anche per l'agenzia. Solo Fury, Coulson ed io
lo sapevamo, Clint ha una moglie di nome Laura e tre figli»;
Sharon
chiuse gli occhi pensando al pericolo che stava correndo quella
famiglia, stringendo di riflesso la mano di Bucky accanto a lei.
«Se
la loro posizione è segreta, come ha fatto l'Hydra a trovarli?»
domandò quest'ultimo, ricambiando la stretta della propria compagna;
«Questa
è un'ottima domanda, Braccio di Ferro!» replicò Iron Man
mentre l'armatura lo rivestiva «J.A.R.V.I.S., hackera i sistemi
dello S.H.I.E.L.D. vedi se c'è stata una violazione nei loro server»
«Signore,
credo che il nostro intervento possa essere considerato una
“violazione”» asserì compitamente l'intelligenza artificiale;
«Se
ti fa sentire meglio domanda “permesso” J.A.R.V.I.S.» ribatté
ironico Tony «Siamo arrivati, Capitano... a te il comando!».
Una
volta scesi dal jet la scena che si presentò agli occhi dei presenti
fu terrificante: la casa della famiglia Barton non esisteva più,
completamente rasa al suolo con ancora qualche focolare vivo e
pericoloso che divorava travi e assi, mentre alcuni alberi erano
ancora totalmente in fiamme.
«D'accordo»
disse Steve con cipiglio grave «Sam, ti voglio in cielo, controlla
se i nostri nemici sono ancora nei paraggi, erigi un perimetro. Tony
fai qualcosa per l'incendio e contatta lo S.H.I.E.L.D. se possono
mandare delle squadre di ricognizione, Nat, tu e Sharon cercate Laura
e i bambini, io e Buc cerchiamo Clint».
Nessuno
ebbe da ridire; immediatamente Sam e Tony si levarono in volo per
adempiere ai loro compiti.
Natasha
e Sharon scattarono in avanti muovendosi fra le macerie col cuore in
gola.
«Sharon
seguimi!» disse Vedova correndo verso una zona precisa del perimetro
della casa, l'agente la guardò lievemente perplessa e al tempo
stesso fiduciosa. Natasha constatò che fosse il caso di spiegare il
perché di tanta sicurezza:
«Clint
ha costruito un rifugio sotto terra per Laura e figli in caso di...
Pericolo. Dobbiamo riuscire a trovare una sorta di botola...».
Non
lontano da loro, James e Steve stavano spostando con attenzione e
calma le assi e svariati frammenti per evitare ulteriori crolli,
nella disperata ricerca del loro compagno.
Dopo
qualche attimo Sharon scorse una lucida lastra di metallo che
sembrava quasi spinta a forza nel terreno;
«Nat!
Ci siamo, aiutami!»
Le
due spie con un estremo sforzo di volontà riuscirono a scostare
alcune travi e ad aprire la botola.
Dall'apertura
nel terreno uscì stravolta Laura Barton. Imbracciava un fucile ad
alta precisione, che teneva così saldamente che pareva l'ultimo
appiglio rimastogli, prima di crollare.
«Laura!»
trillò Natasha alzando le braccia «Sono io, Natasha. Va tutto bene,
siete al sicuro ora...» continuò con tono pacato e basso come se
volesse ammansire una belva feroce.
I
grandi occhi da cerbiatto di Laura Barton vagarono prima sulle due
donne che le stavano davanti e poi su ciò che la circondava. Le
lunghe ciglia scure sbatterono più volte, incredula osservò ciò
che rimaneva di quel 'nido' che così faticosamente avevano
costruito, nulla. Non vi era più nulla. Brividi cominciarono a
scuoterla dal profondo; riportò i suoi occhi, talmente scuri da
sembrare neri, su Natasha immobile davanti a lei. Lasciò andare il
fucile affidatole dal marito e si accasciò sulla spia.
«Siamo
qui» le sussurrò Vedova cercando di farla calmare, lei e Sharon si
scambiarono un'occhiata grave.
«Dov'è
Clint?» trillò agitata «Clint!» lo chiamò guardandosi
disperatamente attorno, lacrime leggere avevano preso a solcarle il
volto, Natasha le afferrò dolcemente il capo;
«Lo
troveremo. Steve se ne sta occupando» le assicurò. Al nome del
capitano, Laura riprese un attimo fiato e annuì, si tolse con stizza
alcune lacrime rimaste impigliate sul volto magro e si voltò verso
la botola;
«Cooper!
C'è qui zia Nat. Lila potete salire fate attenzione a Nathaniel!»
celiò cercando di avere il tono più fermo possibile.
Lentamente,
incitati dalla madre, i figli di Occhio di Falco si palesarono agli
occhi di una stupefatta Sharon.
Cooper
Barton non doveva superare i dieci anni, aveva corti capelli scuri e
profondi occhi come quelli della madre; Lila era piccolina doveva
avere sette o otto anni e i capelli biondo cenere del padre,
stringeva fra le braccia l'ultimo arrivato della famiglia: Nathaniel
di appena un anno.
«Zia
Nat!» sospirò tremante Lila abbracciandola stretta. Natasha la
accarezzò dolcemente per rassicurarla.
«Quello
è Iron Man?» domandò preoccupato il maggiore dei fratelli con lo
sguardo rivolto al cielo;
«Andrà
tutto bene ragazzi» cercò di rassicurarli Laura stringendo al petto
Nathaniel.
Improvvisamente
la voce concitata di James squarciò l'aria come un fulmine;
«Steve!
L'ho trovato!!».
Il
capitano corse immediatamente in aiuto dell'amico, a cui si aggiunse
anche Tony, tutti e tre insieme tolsero alcuni possenti frammenti di
muro;
«Fate
piano!» ordinò Steve, osservando le condizioni in cui versava
l'arciere.
«Papà!!!»
urlarono i due bambini pronti a scattare verso l'amato genitore, ma
Natasha e Sharon li strinsero a sé per sicurezza.
Clint
non si muoveva, non aveva aperto gli occhi e sembrava insensibile ai
disperati richiami.
Sam,
giunto in soccorso, si accostò al compagno sentendo il respiro
lieve.
«É
debole, ma respira!» constatò sollevato. I quattro uomini con
attenzione lo sollevarono per trasportalo all'interno del jet,
seguiti a distanza ravvicinata da Laura, i cui occhi erano inchiodati
alla figura esanime del marito, mentre con un braccio sosteneva
Nathaniel e l'altra mano stringeva Lila spaventata.
Natasha
teneva una mano sulla spalla del maggiore dei fratelli nella speranza
di trasmettergli un po' di conforto. Una sensazione di malessere le
attanagliava lo stomaco, era preoccupata per le condizioni
dell'amico, si era scambiata uno sguardo con Steve, vedendo riflesso
nel compagno le sue stesse preoccupazioni. Spinse giù a forza
l'ansia, doveva occuparsi della famiglia di Clint, ora.
«Lo
S.H.I.E.L.D. invierà una squadra per analizzare eventuali tracce
rimaste...» comunicò Bucky crollando sul sedile e percependo lo
sguardo teso di Sharon su di lui. Le fece appoggiare il capo sulla
sua spalla lasciandole un leggero bacio sulla fronte.
Tony
riuscì a stabilizzare l'arciere ma in quel momento di più non
poteva fare.
Con
i cuori gonfi di preoccupazione gli Avengers strinsero i denti,
attendendo con ansia che il jet li riportasse a casa.
*
K
strinse infastidita gli occhi grigio-verdi. Attraverso le lunghe
ciglia arcuate osservava la cassa toracica di D vibrare
violentemente, scossa dall'urlo doloroso. Era convinta che prima o
poi avrebbe visto quel petto squarciarsi di netto sotto il peso di
quelle grida; l'idea la infastidì ancora di più.
Le
mani si serrarono attorno le braccia, il suo sospiro fu
impercettibile.
«Quella
lì dovrebbe darsi una calmata, o finirà male».
K
roteò gli occhi irritata, la voce fredda e tagliente dell'uomo al
suo fianco, alle sue orecchie suonava sempre molesta.
Schioccò
la lingua annoiata;
«Non
devi fare rapporto?» replicò lei, il suo tono pari a una lastra di
ghiaccio. L'altro sorrise sghembo e se ne andò silenzioso com'era
arrivato.
Con
passo felpato entrò nella stanza, in cui medici e agenti si stavano
affaccendando. Posò con fermezza la mano sulla spalla di quell'esile
creatura lievemente ansimante.
«Ti
riporto in stanza» disse semplicemente prendendola per mano.
«K?»
esalò lei, gli occhi chiari fragili ma presenti «Perché sono qui?»
domandò, la sua voce era sempre stata così flautata che la si
poteva paragonare al dolce tintinnio di uno scacciapensieri.
K
non si voltò, ma continuò a camminare ignorandola; “Questa è
una domanda a cui non avremo mai risposta”.
*
«Mi
stai dicendo che si trattava di una sola persona?» domandò grave
Steve osservando Laura Barton torturarsi le lunghe dita da pianista.
La
donna sospirò desolata strofinandosi la fronte con l'indice;
«Credo.
Non so Steve, è successo tutto così velocemente, c'è stato un
boato tremendo e Clint... - ebbe un esitazione – Clint mi ha urlato
di prendere i bambini e nascondermi...»;
il
capitano le posò gentile una mano sul braccio magro, sorridendole
incoraggiante;
«Laura,
va bene così. Non ti preoccupare, ora riposa. Prometto che se Clint
si sveglia ti avvertiamo».
Steve
si alzò lasciando la donna occuparsi dei suoi figli esausti e
assonnati.
«Come
sta?» domandò a Natasha raggiungendola in corridoio e
accarezzandole le spalle rigide.
Vedova
si rilassò appena abbandonando la schiena contro il petto del
compagno, lasciando che fosse lui a sostenerla.
«Ancora
non si sveglia...»
«Ce
la farà. Deve. Inoltre solo lui può dirci cosa è accaduto...»;
Natasha
levò lo sguardo di giada, osservando con attenzione la sua
espressione assorta;
«Steve?».
Lo conosceva, sapeva che il suo cervello aveva iniziato a lavorare
freneticamente, poteva quasi percepire i suoi pensieri rincorrersi
uno dopo l'altro.
«Non
lo so, Nat. Ma temo che questo sia solo l'inizio».
___________________________________________________________ Asia's Corner
Eccomi
qua! Allora ovviamente tragedia annunciata è avvenuta, non
pensavate mica di crogiolarvi in un altro capitolo fluff con i
"pucciosi" Jace e Alex... No sissignori! Ma ovviamente questo non
è il mio "meglio" diciamo, posso fare di peggio ;)
Dunque... Spero
che il momento FalconHill vi sia piaciuto, non so questi due sono
così opposti che non possono non stare insieme, cercherò
di sviluppare come meglio potrò le dinamiche fra questi due!
Natasha continua a stare male... Sarà ciò che tutti pensano? Mah, ovviamente dovrete leggere per sapere ;)
In questo
capitolo vediamo inoltre anche un assaggio del "rapporto" tra Bucky e
Tony... beh diciamo che al momento qui sono tutti in pace e Tony ha
tranquillamente accettato il caro Soldato d'Inverno in questa bacata
squadra/famiglia...
Passando alla
famiglia di Clint, vorrei fare un piccolo appunto sui nomi dei figli: a
parte Nathaniel che è l'unico nome che viene espresso
esplicitamente nel film (almeno mi pare) per i nomi degli altri due
figli mi sono attenuta a quanto viene scritto se si ricerca l'interno
cast di Avengers AoU! Se per caso avessi commesso qualche errore non
fatevi scrupoli e avvertitemi :) Per quanto riguarda Laura, diciamo che
ho in mente un backgroud particolare per lei, che probabilmente non ci
azzeccherà nulla col personaggio Marvel, ma sapete bene che a me
piace rimescolare le carte dei personaggi, quanto meno di certi, e
spero di riuscire a inserirlo in un modo o nell'altro.
Altro aspetto
del capitolo fondamentale l'entrata in scena di nuovi personaggi... ma
ancora non voglio dirvi nulla... maaa accetto idee e opinioni :)
Bene, that's all folks! Prima di salutarci vi comunico la data del nuovo aggiornamento, ovvero, SABATO 10 DICEMBRE, non giovedì perché mi laureo (finalmente) il 7 dicembre,
quindi sarò un po' impegnata, agitata, in ansia, confusa...
insomma non molto diversa da ciò che sono di solito ;) comunque
spero davvero di farcela a postare, se così non dovesse essere, vi chiedo SCUSA fin da subito e abbiate pazienza... in ogni provvederò a postare la nuova data (nel caso non dovessi farcela) sulla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :)
Grazie a tutti voi, e a presto!
|
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Capitolo 3 *** Sotto Scacco ***
3
Buonasera
miei cari lettori! Grazie infinite per la vostra pazienza! Finalmente
il miracolo è avvenuto e mi sono LAUREATA! Questo il motivo del
ritardo di questo aggiornamento.
Ammetto che il
terzo capitolo mi crea sempre qualche difficoltà e questo non
è stato da meno, ma credo di avervi fatto aspettare anche
troppo, le chiacchiere le riserviamo a fondo pagina ;)
Buona Lettura!
Capitolo
Tre: Sotto Scacco
"La caccia non
è uno sport.
In uno sport
entrambi i contendenti sanno di giocare"
~
Paul Rodriguez
«Uh aspetta!... No... Forse! Mmm,
no... no niente!»
«Simmons!!» gridarono in coro
Leo Fitz e Skye osservando storto – e esasperati – la giovane
biochimica.
«Scusate» disse incassando la
testa fra le spalle magre e mordendosi le labbra ciliegia «È che
qui è davvero un macello...» mormorò guardandosi attorno con occhi
tristi. Fitz e Skye si scambiarono un'occhiata comprensiva.
I tre agenti si trovavano nel
luogo dove fino al giorno prima si ergeva la casa della famiglia
Barton, costruita negli anni con fatica ma che aveva visto molti
momenti di serenità e gioia, e di cui ora non ne rimaneva che il
ricordo.
«Ci sono novità?» domandò Fitz
monitorando i suoi sette piccoli droni che svolazzavano nell'area
alla ricerca di qualsiasi indizio utile.
Skye fece segno di diniego;
«Coulson si è precipitato
all'Avengers Tower con May...» disse «Ma non ha ancora comunicato
nulla, quindi non credo ci siano notizie incoraggianti»
«É sempre stato il suo
pupillo...» fece presente Jemma mentre il collega annuiva
meditabondo;
«Davvero?» chiese Skye sorpresa,
sentendo qualcosa di amaro dilagare alla bocca dello stomaco, una
sensazione di fastidio la colpì. Scosse il capo non era certo il
momento per farsi prendere da certi sentimenti, per quanto confusi
essi fossero.
«Sembra che Barton gli debba la
vita.» replicò l'agente alzando le spalle, come a dire che di
quella storia non ne sapeva poi molto.
La giovane hacker si fece
pensierosa, rifletté su quante cose del Direttore gli sfuggissero
ancora, percepiva come tutto questo come un vuoto, una mancanza, non
sapeva dire il perché “imperdonabile” ai suoi occhi.
«Provo a contattarlo!».
*
Ricordava distintamente quel
momento, il momento in cui lo vide per la prima volta.
Fury l'aveva espressamente
incaricato di visitare quel giovane detenuto per rapina... con un
arco... il Colonnello
l'aveva definito interessante,
e voleva che lui, agente operativo da poco meno di un anno lo
visitasse, no meglio dire analizzasse.
Entrò in quella sala grigia e
asfittica, e i suoi occhi corsero subito a quella figure slanciata e
matura malgrado la giovane età. Quegli occhi chiari ma al tempo
stesso oscuri che conoscevano bene il male che albergava nel modo.
Poteva vedere delle ombre muoversi nelle profondità di quello
sguardo sprezzante, dall'apparenza duro ma attento, ogni suo
movimento era meticolosamente indagato e registrato.
Phil Coulson spostò la sedia
facendola stridere fastidiosamente sul pavimento, non si scompose,
prese posto e rimase in silenzio.
«Chi diavolo sei tu? Il mio
avvocato?» berciò il ragazzo esasperato da quell'aria
imperturbabile che permeava l'uomo davanti a lui;
l'agente Coulson stirò
impercettibilmente i lati della bocca all'insù;
«Oh beh vede... questo
dipende» replicò sereno dando svogliatamente un'occhiata alla
cartella con la sua fedina penale. L'altro sbuffò, sgranando gli
occhi incredulo.
«Dipende? Da che-? Ma chi
cazzo sei?»;
Phil Coulson non parve
minimamente turbato dalle invettive del giovane, si limitò a
fissarlo dritto negli occhi, azzurro contro azzurro;
«Dipende da quanto ancora vuoi
essere un ragazzetto capriccioso che invece di tentare di cambiare la
sua vita prende la via più facile... Dipende se vuoi restare tutta
la vita a compiangerti, lamentandoti di quanto sia stato ingiusto il
mondo con te, o invece questo mondo vuoi iniziare a migliorarlo.».
Clinton Francis Barton, quel
giorno e per la prima volta, restò senza parole difronte a quel
discorso fatto con il tono di voce più educato e indifferente che
avesse mai sentito, pronunciato dall'uomo che pareva tutto fuorché
una delle più talentuose spie al mondo.
Melinda May si avvicinò con passo
felpato al direttore;
«Phil...» sussurrò preoccupata
di rompere quel silenzio cristallizzato.
Coulson si ravvide e spostò lo
sguardo interrogativo sulla donna, la quale gli fece cenno di
accettare la tazza fumante che aveva fra le mani.
«Grazie» replicò atono tornando
a guardare l'interno della stanza, dell'Avengers Tower, in cui
giaceva Clint Barton ancora incosciente mentre sua moglie Laura gli
si affaccendava attorno premurosa e instancabile.
«Ancora non si sveglia...»
mormorò con lo sguardo assorto;
May lo fissò di sottecchi,
allungò una mano verso di lui, con l'intento di lisciargli le pieghe
invisibili della giacca, voleva... Ma la sua mano ricadde
inerme lungo il fianco, raddrizzò le spalle ristabilendo quella
labile e per certi versi fastidiosa distanza che c'era sempre stata
fra loro.
«Si riprenderà» affermò
sicura.
Coulson storse le labbra in un
sorriso dolente;
«Tutta questa sicurezza da dove
deriva?»
«So chi è stato il suo mentore.»
replicò seria. Coulson annuì impercettibilmente, inspirò;
«Devo andare da Laura. Chiama
Skye e fatti dire se hanno trovato qualcosa, qualsiasi cosa».
May annuì compita, sapeva che in
quel momento era l'unica cosa che lo avrebbe aiutato.
*
La voce soave e cantilenante
continuava a canticchiare, incurante, lo stesso motivetto senza
senso. La ragazza, proprietaria di quella voce, fece una piroetta
aggraziata su se stessa, i lunghi capelli ramati schioccarono
nell'aria.
«Dannata pazza! Mi stai
ascoltando!?» frecciò esasperato l'uomo che sedeva sul divano in
pelle pregiata, che da un buono quarto d'ora picchiettava
furiosamente il dito sulla superficie.
In risposta ricevette una risata
tanto cristallina quanto derisoria.
«Oh Brock! Sei una tale noia! Non
vuoi divertiti un po'?» celiò con una nota infantile ma maliziosa
nella voce, posandogli languidamente entrambe le mani sulle cosce
tornite.
Lo sfregiato serrò la mandibola,
la rossa, invece, sorrise diabolica, gli occhi castano-verdi
luccicarono di un bagliore divertito «Oh ma forse le rosse non sono
il tuo tipo... Meglio le bionde...»;
Rumlow le afferrò di scatto i
capelli strattonandoglieli con cattiveria, procurandole solo un'altra
risatina divertita.
«Ti avverto Sin, finisci male-»
«E chi lo sente poi il caro
paparino?» soffiò lei, facendo scivolare sensualmente la lingua
sulle labbra sottili ma ben contornate;
«Su, su Brocky! Ho qui il
tuo prossimo obiettivo. Non sei contento?» terminò allegramente la
ragazza.
Rumlow inspirò, sorvolando su
quell'osceno nomignolo, lasciò la presa scoccandole uno sguardo
d'apprezzamento;
«Ora si comincia a ragionare».
*
«Sono qui!» la voce le pareva
troppo lontana, così dolce e infantile.
Natasha si guardò attorno, le
folte onde rosse le accarezzarono il viso, gli occhi incuriositi,
l'abito candido avvolgeva gentilmente le sue forme sinuose.
«Dove sei?» domandò flebile,
una risata calda e limpida le giunse alle orecchie;
«Dai! Cercami!» la voce
assunse una nota quasi capricciosa.
Vedova si mosse, iniziando a
correre seguendo l'eco di quella voce, che le dava una sensazione
così familiare ma al tempo stesso sconosciuta.
«Ti sto aspettando...» ora
quella voce era davvero troppo lontana, debole ma speranzosa...
Natasha corse più forte,
iniziando ad avere il fiatone, guardò a terra notando che la via era
lastricata di petali di rosa rossa; il suo passo iniziò piano piano
a rallentare.
Corrucciò lo sguardo,
osservando i petali liquefarsi ad una velocità impressionante,
diventando una sostanza viscosa di un rosso più cupo e denso.
L'abito non era più bianco,
una macchia rossa andava espandendosi dal ventre. Un'inaspettata
contrazione allo stomaco fece piegare in due la donna, tanto da
mozzarle il respiro; si premette le mani sull'addome percependo dei
profondi squarci sul suo corpo.
L'orrore più puro la assalì,
la voglia di urlare la travolse.
Si svegliò di soprassalto,
nemmeno si era accorta di essersi addormentata. Natasha si sfiorò la
fronte trovandola imperlata di sudore. Era crollata sul divano
dell'Avengers Tower, esausta.
Sospirò, il sogno ora le sembrava
meno nitido e molti particolari avevano già iniziato a sfuggirle.
«Ben svegliata!» il dolce volto
di Alexandra invase il suo campo visivo, un piccolo sorriso ad
illuminarla.
«Alex... Ho dormito molto?»
chiese portandole gentilmente una ciocca dietro l'orecchio, la
ragazzina arrossì.
«No, ma avevi un sonno agitato.
Tutto bene?»;
Natasha strinse gli occhi ma
sorrise comunque per rassicurarla;
«Gli altri?»;
Alex si strinse nelle spalle;
«Un po' qui un po' lì... Jace si
sta allenando con Bucky e Steve».
Proprio nel momento in cui Natasha
iniziava a quietarsi un lungo allarme scosse l'intera torre, mettendo
tutti sull'attenti.
In pochi attimi Natasha si ritrovò
insieme a Alex, May, Coulson, Sam e Sharon in sala riunioni, cercando
di capire chi o cosa fosse stato attaccato. Perché quell'allarme
aveva una funzione ben precisa: segnalare un attacco imminente ai
loro danni.
Quando Steve accompagnato da Jace,
Bucky e uno stravolto Tony – uscito di malavoglia da una delle sue
sessioni nel suo laboratorio – trovò i presenti intenti a
prepararsi per partire.
«Che succede?»
«Il Playground... è sotto
attacco. L'allarme è arrivato da Mack!» comunicò loro Natasha
assicurandosi i pericolosi morsi ai polsi.
«Possiamo aiutarvi?» trillò
Jace grave.
«Sì restando qui al sicuro! Jace
occupati di Alexandra e della famiglia di Clint» asserì Bucky
indossando la divisa disegnata su misura per lui. Il quindicenne
dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo;
«Non era esattamente ciò che
intendevo...» borbottò senza però protestare ulteriormente.
«JARVIS alza le difese della
torre dopo la nostra partenza» urlò Tony partendo con direttamente
con l'armatura addosso seguito a breve distanza dal jet con il resto
della squadra all'interno.
*
Coulson balzò con passo sicuro
fuori dal jet, osservando con cipiglio severo gli agenti dell'Hydra
venire contro di loro nell'hangar. Senza esitare iniziò a sparare
con precisione spaventosa, senza curarsi di eventuali colpi di
ritorno, May e Sharon si erano subito mosse a fornirgli protezione.
Con sorpresa gli agenti dell'Hydra
non si accorsero che erano stati chiusi in un fuoco incrociato poiché
Bobbi Morse e Mack, che erano riusciti ad accedere all'hangar per
permettere al jet degli Avengers di atterrare, erano apparsi alle
spalle.
«Situazione!» abbaiò Phil
rivolgendosi ai due agenti.
«Gli agenti dell'Hydra sono
penetrati senza difficoltà, l'allarme è suonato tardi, hanno invaso
i primi livelli! Hunter sta coordinando una squadra a difesa del
livello centrale...» spiegò il meccanico con voce profonda; a quel
punto May e Coulson lo guardarono come folgorati;
«Hunter sta coordinando?» berciò
il direttore poco rassicurato. Mack e Bobbi si strinsero le spalle,
come a dire che quella era l'unica opzione possibile.
«Skye e i Fitzsimmons?» si
informò Melinda;
«Non li abbiamo fatti ancora
rientrare...» rispose la bionda agente «Skye non ne sarà molto
felice»;
«Non abbiamo tempo di
preoccuparci degli umori di Skye al momento!» replicò May, malgrado
dentro di sé si sentisse stranamente sollevata.
«Coulson! - tuonò Steve Rogers
per richiamare l'attenzione generale – Come ci muoviamo?»;
«Già Agente! - gli fece
eco Stark – questa è per così dire la tua festa!».
Phil Coulson sorrise enigmatico:
«Bene signori, signore è ora di
fare gli onori di casa».
Si scagliarono contro l'Hydra a
muso duro, Coulson non si dava pace un attimo, era la sua base
quella era sotto attacco, la sua squadra quella ferita. Il
loro obiettivo primario era raggiungere Hunter e i superstiti che si
erano serrati a difesa del nucleo centrale, quello che racchiudeva
ogni segreto dello S.H.I.E.L.D., compreso ogni nome di agente sotto
copertura e ogni mossa programmata ai danni dell'Hydra.
«Erica!» esalò Bobbi, correndo
in soccorso della neo agente a terra, con una brutta ferita
all'addome.
La ragazza aprì gli occhi con un
lamento;
«Direttore! Mi spiace... io sono
stata colta di sorpresa...»
«Stia tranquilla agente Holstein,
mi creda non è l'unica! Ce la fa ad alzarsi?»; l'agente seppur con
evidente sforzo e dolore riuscì, appoggiandosi a Mack, ad avanzare
insieme al resto della squadra. Steve, Natasha, Tony, Sam, Sharon e
Bucky procedevano spediti, abbattendo qualsiasi pericolo volesse
abbattere loro.
Erano quasi giunti a dare supporto
agli agenti superstiti, e dove sembrava essersi raggruppato il più
alto numero di agenti Hydra; quando Sharon colse quasi distrattamente
un esiguo numero di loro membri allontanarsi in direzione apposta.
«Phil! Dove porta quel
corridoio?».
Il Vault D, al contrario del
pandemonio che si agitava nei livelli superiori, era silenzioso e
quieto e ogni rumore risultava ovattato.
«Guarda guarda chi abbiamo qui!»
frecciò con voce sarcastica un uomo, bardato da soldato, difronte ad
una delle celle.
Il prigioniero disteso bellamente
sul pavimento, le braccia incrociate dietro la testa a fungere da
cuscino, sollevò appena lo sguardo annoiato, che si sciolse in uno
basito nel vedere chi se stava al di là di quella cella
apparentemente senza sbarre.
«Brock Rumlow?»
«Grant Ward! Vedo che la
prigionia ti fa bene...» berciò l'altro divertito;
«Beh devo dire che se la libertà
ti fa quell'effetto – disse riferendosi al suo volto sfregiato –
preferisco starmene buono qui»; sospirò «Stronzata a parte. Sei
qui per me?» domandò con un bagliore negli occhi scuri.
«È
il tuo giorno fortunato, sei richiesto ai piani alti» gli comunicò
Rumlow con il suo sorriso da squalo «Ora levati che vediamo di
liberarti».
Una volta uscito, Crossbones gli
fece indossare una delle tute d'ordinanza dell'Hydra con tanto di
casco per celare la sua identità.
«Muoviamoci!» ordinò l'agente
«Ma prima...» e riuscì a disattivare definitivamente i dispositivi
che tenevano i prigionieri confinati nelle loro celle.
«Avranno il loro bel daffare»
constatò Ward prima calarsi il casco e ritornare ad essere ciò che
non aveva mai smesso di essere, il fedele agente dell'Hydra.
«Qualcosa non va!» gridò
Melinda May atterrando l'ennesimo agente nemico, e non era l'unica a
pensarla così. Sia Steve che Natasha percepivano che c'era qualcosa
che non quadrava. L'Hydra si stava facendo battere fin troppo
facilmente, era come se raggruppando tutti loro in un solo luogo
avessero raggiunto il loro obiettivo e li stessero attaccando più
per far perdere loro tempo che per una reale volontà di penetrare
nel livello più importante di tutti.
L'idea iniziale che era sorta
nella mente collettiva era che volessero accedere ai segreti militari
e logistici dell'agenzia, in questo modo l'Hydra sarebbe stata
nettamente in vantaggio anche sugli Avengers; ma più passava il
tempo più quest'ipotesi sembrava risultare errata.
Inoltre gli agenti stavano
retrocedendo fin troppo rapidamente, abbandonavano lo scontro,
ritirandosi non appena potevano.
Natasha sconfisse uno degli ultimi
agenti rimasti in piedi, aveva il fiatone, fatto assolutamente
anormale per lei, la testa le girava sempre più violentemente e fu
costretta e tenersi alla parete.
La voce dei suoi compagni le
sembrava sempre più distante, un inaspettato conato di vomito la
travolse tanto da farla piegare su se stessa, e un brivido le corse
lungo la spina dorsale... Che le stava succedendo?
«S...» si accorse di aver
difficoltà ad articolare le parole, cercò di respirare a fondo ma
con scarsi risultati. Riuscì ad alzare lo sguardo, puntandolo in
quello del capitano che ora la fissava stranito. Incespicò sui
propri piedi;
«Ste- Ste...ve» esalò prima che
le forze le venissero meno, riuscì a sentire solamente l'eco del suo
nome urlato prima di perdere definitivamente i sensi, accasciandosi
come una bambola priva di vita fra le braccia di un terrorizzato
Steve Rogers.
*
Mentre Natasha Romanoff cadeva
esausta, preda di chissà quale male, Clint Barton, steso nel letto,
al sicuro nell'infermeria dell'Avengers Tower, aprì gli occhi.
_______________________________________________________Asia's Corner
Eccoci
qui al termine di questo nuovo capitolo. Spero di avervi dato qualche
elemento nuovo su cui riflettere... Natasha beh non è presa
benissimo, fra crolli fisici e incubi, che il prossimo capitolo sia
quello della svolta? Eh, per saperlo dovrete continuare a seguirmi ;)
Spero
che il missing moment (di mia invenzione) su Clint e Coulson vi sia
piaciuto... Io boh mi sono sempre immaginata una cosa così fra
questi due qui, a mio parere Phil è una figura molto paterna,
molto più umana rispetto a Fury (e poco ci vuole eh!) e se avete
fatto attenzione anche la piccola Skye la vede un po' così... Io
ho sempre interpretato il rapporto fra Skye e Phil quasi come quello
fra padre e figlia, e vi comunico che seguirò questa via...
Brock
preferisce la bionde, questo non è proprio una notizia
rassicurante! E come avete letto qualcuno, oltre a lui, sta causando un
po' di problemi ai nostri eroi che sono un po' in balia degli eventi!
Perchè? Eh chissà... ma ora che Ward è nuovamente
libero, lo SHIELD più che gli Avengers avranno una bella gatta
da pelare, visto che lui conosce bene Coulson e la sua squadra!
Bene detto questo... Natale si avvicina e... Natale significa.... ONESHOT
natalizia!! Allora l'altro giorno ho cominciato a pensare su chi e cosa
potrei scriverla e un'ideuzza è stata buttata giù e
cercherò con tutta me stessa di postarla online il 24 o il 25 dicembre! Non solo come mio personale regalo a tutti i miei lettori ma anche per scusarmi per questo periodo un po' sottosopra! :) Inoltre in questa oneshot (di cui ho appena trovato il finale in questo preciso istante!) scoprirete la data del prossimo aggiornamento (che in ogni caso pubblicherò anche sulla mia PAGINA FB)
questo non perché voglia farvi penare, ma perché sto
ancora valutando se riesco a farvi avere il capitolo entro il 31 o nel
nuovo anno! E siccome ancora non ho deciso piuttosto che darvi una data
a caso che quasi sicuramente non riuscirò a rispettare,
preferisco prendermi ancora un po' di tempo fare i miei calcoli e darvi
una data sicura! :)
Ora ho detto tutto, con la promessa di "rivederci" a Natale, vi saluto e vi abbraccio!
Grazie a tutti voi :)
|
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Capitolo 4 *** Il Momento della Verità (parte I) ***
4
Buon
pomeriggio a tutti voi, miei cari lettori! Finalmente eccomi tornata
dopo queste "vacanze" malaticce con questo capitolo, che ho preferito
scindere in due parti (e per questo so che molti di voi mi malediranno
^^) ma abbiate pazienza, spero che il capitolo vi piaccia!
Buona Lettura!
Capitolo
Quattro: Il Momento della Verità (parte I)
“She
was afraid to want things for herself.
She
didn’t think she deserved them”
~
Susan Choi
Il viaggio di rientro fu
angosciante.
Purtroppo la base dello
S.H.I.E.L.D. era ancora in subbuglio e l'infermeria si stava
riempiendo di agenti feriti; Coulson aveva intimato al capitano e
compagni di tornare immediatamente all'Avengers Tower, la situazione
non era più così critica e loro dovevano occuparsi di Vedova Nera.
Con la promessa di avvisarlo non appena si fosse ripresa, gli
Avengers lasciarono il Playground nelle mani sapienti del suo
direttore.
Natasha, però, non lo aveva ancora
fatto, malgrado priva di conoscenza, si lamentava debolmente
coprendosi spasmodicamente il ventre. Lo sguardo di Steve era
inchiodato sulla sua figura, nulla pareva abbastanza importante da
distoglierlo dalla sua veglia silenziosa e angosciata.
Sharon cercava di inghiottire il
terrore che a fiotti le occludeva la gola, il suo sguardo si spostava
sistematicamente da Natasha a Steve, a Bucky, che, scuro in volto, le
sedeva accanto, in tensione. Sam si passò una mano sul volto
tentando stoicamente di trattenere la preoccupazione, mentre Tony
fissava tutti e nessuno muto, come in attesa di qualcosa che
probabilmente non sarebbe mai arrivato.
Le ruote del jet avevano appena
sfiorato il lucido linoleum dell'hangar che Steve, con Natasha
stretta fra le sue braccia, si era già precipitato fuori diretto
verso Helen Cho, che li stava aspettando con tanto di barella e
equipe al seguito.
Alexandra, che era andata ad
attendere il ritorno della squadra, scoppiò in lacrime alla vista
della russa incosciente, il volto di sua madre si sovrappose a quello
di Natasha mentre il suo cuore le rimembrò lo stesso dolore di
quando Nina era morta davanti ai suoi occhi; immediatamente Jace
l'avvolse, tenendola stretta e facendole nascondere il viso sul suo
petto.
«Shh! Vedrai che andrà tutto
bene» sussurrò.
Steve guardò stravolto la
dottoressa che controllava i parametri di Natasha, stesa sulla
barella. Cho aggrottò la fronte liscia e perlacea, cosa che non
sfuggì al capitano.
«Come sta?» la sua voce pareva
uscire direttamente dall'oltretomba, tanto era scura e bassa.
Helen Cho si mordicchiò l'interno
della guancia. Era una bella donna la dottoressa Cho, con la pelle
vellutata e pallida, zigomi pronunciati e occhi dal taglio orientale.
Era giovane ma estremamente capace.
«Io... Devo farle ulteriori esami,
non è in pericolo di vita se è questo quello che mi chiedi,
Capitano» asserì con tono professionale. Fece un cenno alla sua
equipe che si mosse verso l'infermeria; Steve e Bucky gli furono
subito dietro, Sharon si occupò di Jace e Alex pietrificati dalla
paura.
Sam e Tony, spinsero giù a forza
la preoccupazione e fecero lo sforzo di andare da Clint, che avevano
saputo essersi svegliato.
Trovarono l'arciere semidisteso,
sveglio e in buona salute attorniato dalla sua famiglia. Laura seduta
accanto al marito sorrideva, faticando a trattenere le lacrime.
«Ma guardatelo, stai pure comodo
sai, tanto ormai il lavoro sporco è già bello che andato...»
esordì Iron Man con tono pesantemente sarcastico, mentre Clint
ridacchiava tenendosi discretamente l'addome fasciato.
«Che ti dicevo?» disse l'arciere
rivolto alla moglie con un sorriso sghembo «Senza di me siete persi!
Non sembrate messi tanto meglio... che è successo?»
«Ah sai solite cose...» rispose
Sam agitando la mano in aria per sdrammatizzare la serietà della
situazione «Attacchi, caos... L'Hydra che vuole assaltare lo
S.H.I.E.L.D. insomma niente di nuovo»;
«Allo S.H.I.E.L.D. stanno tutti
bene?» domandò Clint mentre un'ombra calava sul suo volto in via di
guarigione.
«Stanno valutando i danni, ma non
sembra esserci nessuna perdita...» riferì Sam per rassicurarlo «Tu
piuttosto, amico. Si può sapere che hai combinato?»
«Ah dovresti chiederlo al tipo che
mi ha conciato in questo modo indecoroso... quell'uomo era fuori dal
comune... Ho avuto la sensazione...» si bloccò un po' perplesso su
come continuare; si guardò attorno notando solamente in quel momento
un particolare non indifferente;
«Ehi dove sono gli altri? Come mai
non sono accorsi disperati al mio capezzale-?» continuò con tono
canzonatorio... Osservando però le facce improvvisamente scure di
Tony e Sam un orribile presentimento iniziò a serpeggiargli nel
cuore;
«Gente. Cosa sta succedendo?».
Natasha scosse lievemente il capo e
tentò di sollevare le palpebre chiare e sottili come pergamena. La
luce al neon le procurò un lamento e la mano corse subito a
proteggersi gli occhi di giada; notò che era stata privata dei suoi
abiti da spia e indossava dei comodi pantaloni e maglia bianchi in
cotone, l'odore di disinfettante e di pulito impregnava non solo i
vestiti ma anche l'ambiente che la circondava. Non le servì
guardarsi attorno per capire di essere in un'infermeria.
«Ti sei svegliata finalmente» la
voce sollevata di Steve ebbe il potere di risvegliare i suoi sensi,
il suo corpo si tese naturalmente verso di lui, mentre il capitano
entrava nel suo campo visivo sedendosi sul bordo del lettino.
Indossava ancora la divisa, era
logora e il suo bel viso presentava un livido violaceo appena sotto
lo zigomo alto.
«Siamo ancora...?» la sua voce
era più roca del solito, il supersoldato scosse il capo;
«No siamo nuovamente all'Avengers
Tower, la dottoressa Cho ti ha sottoposta ad alcuni esami... Nat non
fare quella faccia» sospirò lui osservando il volto della compagna
contrarsi in una smorfia infastidita. La spia non apprezzava che il
suo corpo venisse sottoposto a test sopratutto se lei stessa era
incosciente... aveva dovuto subire esami, procedure e trattamenti che
le bastavano per una vita intera.
«Lo so» affermò Steve intuendo i
suoi pensieri «Ma tu non ti svegliavi e ti agitavi... Mi hai
spaventato» sussurrò con certo sforzo, intrecciando la mano con la
sua. La rossa assottigliò lo sguardo come se percepire il dolore che
gli aveva causato le rendesse difficile guardarlo.
«Cosa ha detto Helen?» chiese
rafforzando la presa sulla sua mano;
«Ancora nulla...».
Natasha vide, oltre le vetrate
linde dell'infermeria, Bucky e Sharon in piedi parlare piano fra
loro. L'agente 13 intercettò l'occhiolino di Vedova e sorrise un po'
rasserenata.
L'atmosfera aveva appena iniziato a
distendersi quando Helen Cho entrò spedita nella stanza con i due
Avengers, mentre il Soldato d'Inverno e compagna si accostarono al
vetro osservando attenti la scena.
Natasha percepiva una strana
tensione distendersi dal corpo della dottoressa, lo sguardo era
sfuggente e le labbra lievemente tese all'insù, a voler trasmettere
tranquillità e forse dell'altro, ma gli occhi rimanevano seri.
«Natasha ti sei svegliata bene...
Ho appena avuto i risultati delle analisi...» affermò accomodandosi
su un alto sgabello. I due Avengers scrutarono attenti ogni suo
movimento, dalla postura ben dritta alla sua espressione concentrata
mentre scorreva con gesto secco i documenti sul tablet sottile.
«Cosa c'è che non va,
dottoressa?» domandò a quel punto Vedova con tono pragmatico, era
sempre stata brava a leggere i segnali, e quello che Cho le stava
comunicando con infinitesimali cenni che sfuggivano al suo controllo
era che stava tergiversando sulla questione.
Helen Cho alzò lo sguardo,
passando da Natasha al capitano, senza sapere bene come iniziare quel
discorso, era conscia che la spia non era una donna paziente sulle
questioni che riguardavano lei personalmente ma per lei, quella era
la prima volta che si trovava ad affrontare quella determinata
questione.
«Mmh... Da quanto tempo soffri di
nausee, Natasha?» le chiese pacatamente.
Steve sgranò appena lo sguardo,
sapeva che Natasha aveva dato di stomaco per qualche giorno a inizio
mese, ma poi era convinto che le fosse passata, puntò il suo sguardo
su di lei e la vide sorpresa anch'essa, la osservò stringere le
labbra vermiglie e alla fine cedere;
«Un mese circa» rispose senza un
tono. Cho annuì compita;
«Hai mai riscontrato stanchezza?
Sensibilità a odori?»; non sapeva dire ancora il motivo ma quelle
domande la stavano mettendo a disagio, sentiva una brusca risposta
graffiarle la gola ma lo sguardo preoccupato di Steve la fece
desistere;
«Sì...» mormorò quasi stesse
ammettendo una sua grande debolezza.
«Non riesce più a bere il
caffé...» ammise il capitano guadagnandosi un'occhiataccia dalla
compagna, che non si era resa conto che lui si fosse accorto di
questo suo cambiamento.
Cho annuì un'altra volta senza
aggiungere nulla, cose che fece nascere in Vedova il desiderio di
prenderla a pugni, percepiva le sue mani prudere dalla voglia.
«Natasha... Il tuo – prese un
lieve respiro – ciclo è sempre irregolare giusto?».
Steve arrossì di colpo mentre
Natasha dentro di sé sogghignava trionfale per essersi presa quella
piccola rivincita su di lui, ma poi la particolarità della domanda
attrasse la sua attenzione.
«Sì. Il trattamento che ho subito
nella Red Room l'ha reso discontinuo a volte le perdite sono
minime... la mia cartella è ben specifica su questo» asserì grave.
Non le faceva piacere parlarne.
«L'ultima volta che l'hai avuto,
ricordi?»
«...Il mese scorso...».
«Cho! Si può sapere che-?»
chiese Steve infastidito notando il disagio farsi largo nello sguardo
della compagna.
«Sei incinta».
Uno schiaffo avrebbe fatto meno
male.
Natasha si sentì mancare il fiato,
dischiuse le labbra incredula. No. Non poteva essere. Si
disse, scosse il capo perché lei no, non poteva essere incinta. Non
doveva esserlo... Eppure il suo stesso corpo, si rese conto solo in
quel momento, le stava dicendo che sì, lo era. Puntò i suoi occhi
lucidissimi sulla dottoressa, la cui espressione era rimasta tesa e
immutata nel cercare di capire le reazioni della donna che le stava
davanti.
«Sei nella quarta settimana...»
le comunicò come se avesse risposto a una domanda silenziosa.
La russa scivolò placidamente a
terra, muta, chiusa in una paura sgomenta. Sentì le braccia forti di
Steve avvolgerla e levarla in ginocchio. Lo guardò e vide riflesso
nei suoi occhi azzurrissimi la sua medesima sorpresa, simile ma allo
stesso tempo dissimile: perché lei lo vedeva quel baluginio di
genuina speranza, di tenera incredulità che animava le fiamme del
suo sguardo. Quel sorriso che non c'era ma che riusciva a far
risplendere quel volto che amava con tutta se stessa.
«Natasha...» la sua voce era
diversa, era commossa pervasa da una paura diversa dalla sua. Lui
nemmeno se ne rendeva conto di quello che gli stava accadendo. E fu
in quel momento che la paura la inghiottì.
«No» sussurrò. E Steve se ne
accorse, era semplicemente terrorizzata. Tutto intorno a loro pareva
essersi cristallizzato, la dottoressa Helen Cho compresa. Le passò
gentile una mano fra i capelli, la vide stringere gli occhi quasi
quel contatto facesse male.
Lui non sapeva nemmeno come
sentirsi a riguardo, ma la sentiva quella piccola scintilla, la
sentiva crescere ad ogni minuto che passava, lui la sentiva... ci
impiegò un secondo per accorgersene che lei, invece, gli era
scivolata via dalle braccia.
Alzò lo sguardo, ancora in
ginocchio, un'espressione di muta supplica gli deformò il viso; ma
lei scosse il capo sconvolta;
«No...» e corse via.
*
Era ormai un mese che stavano in
Vermont, era una sera tranquilla la neve continuava a scendere ma la
bufera era cessata.
Steve prese un paio di tronchi e
li gettò nel fuoco per ravvivarlo, lasciandosi poi cadere nel
tappeto morbido davanti al caminetto. Sentì dei passi leggeri e
sollevò il capo, osservando Natasha torreggiare su di lui avvolta in
morbido accappatoio, una paio di tazze fumanti fra le mani e un
semplice sorriso ad adornare il volto.
L'aiutò a sedersi accanto a lui
facendola poggiare al suo forte petto.
Rimasero in silenzio per un po',
nessuno dei due seppe com'era successo ma Natasha si ritrovò a
parlare del suo passato nella Red Room, di ciò che ricordava, del
dolore patito. Steve ascoltava serio, in un silenzio devoto non
facendole mai mancare un contatto, che sapeva essere l'unica cosa di
cui Vedova avesse davvero bisogno.
«Il trattamento...» parlava
piano con calma, non lo guardava in faccia ma il suo sguardo era
perso fra le fiamme, che creavano sul suo volto bellissime ombre «Mi
ha reso quasi
sterile...» si strinse maggiormente addosso l'accappatoio provando
ora un gran gelo, il capitano non disse nulla lasciò che continuasse
ad aprirsi mentre il suo cuore subiva una stilettata «Per me sarebbe
difficile avere un figlio-» Steve non poté fare a meno di
stringerla maggiormente, piano, per non spaventarla perché aveva
percepito quel fremito, quella sottile crepa nella voce altrimenti
atona.
«Il rischio che un bambino
muoia durante la gravidanza è quasi certo».
Il pugno del capitano si infranse
rapido contro il solido muro procurando alla parete un evidente
solco, mentre il sangue colava dalle nocche spaccate colorandogli la
mano, nella frustrazione dolorosa di quel ricordo.
*
«Lo sapevo di trovarti qui...».
Natasha voltò il capo di scatto
osservando James Barnes avvicinarsi a lei con passo felpato, una
volta che le fu accanto entrambi volsero lo sguardo alla lapide di
Nina Constantin.
«Come sapevi che ero qui?» non
resistette alla tentazione di chiedere la donna, Bucky sorrise
appena;
«Ho solo pensato come te. Immagino
che questo sia il tuo specchio
– disse facendo un cenno alla tomba – ciò in cui ti rifletti»
terminò con semplicità.
Natasha espirò falsamente
esasperata;
«Steve non è l'unico che conosci
bene a quanto pare» replicò con sguardo malinconico, al solo
nominare 'Steve' la voce le si era incrinata.
«Ascolta» iniziò James levando
lo sguardo sulle altre miriadi di lapidi che segnavano quel cimitero
verde «Se pensassi che il motivo per cui sei scappata è che
semplicemente non desideri il bambino, non sarei qui a parlarti».
La spia fremette e la sua mano
corse senza riflettere al ventre, tenendoselo. Gesto che non sfuggì
all'attento Soldato, che in quel momento ricevette un'ulteriore
conferma di ciò che pensava.
«Dimmi la verità Natalia,
tu non vuoi un figlio o hai semplicemente paura?» le chiese a brucia
pelo.
«Paura?» sibilò «Pensi che non
dovrei temere per questo bambino!? Guarda cosa siamo, James. Chi
siamo... Già il solo fatto di essere figlio della Vedova Nera lo
mette in pericolo di vita, i nemici non mancano... mai. Non c'è mai
stata una missione in cui per me e Steve era previsto un piano
d'estrazione. Mai. Che vita potrebbe mai avere? Certo, sempre che
riesca a nascere... lo sai anche tu che il trattamento Kundrin ha
reso per me molto difficile portare a termine una gravidanza... è
improbabile-» non riuscì a terminare quel discorso duro pronunciato
con voce affilata come un rasoio, bassa, livida.
Bucky cercò di non dare a vedere
quanto quelle parole così accorate eppure dette con crudele
freddezza lo avessero colpito nel profondo, poteva capirla davvero,
ma si sforzò di mantenere un'espressione ferma.
«Non hai risposto alla mia
domanda...»
«Io...» la russa tentennò, le
sue mani si contrassero sul grembo, come se volesse sottrarlo alla
vista di chiunque, come se volesse... proteggerlo.
«Tu non hai detto di non volere il
bambino. Tu desideri solo che sia al sicuro e hai paura che con te
non lo sia... Hai così poca fiducia in te e Steve?»
Natasha indurì lo sguardo e lo
distolse da James «Non è questione di fiducia... Steve, lui lo
proteggere a qualsiasi costo, anche se questo dovesse richiedere la
sua stessa vita. Lo so. Ma potrebbe non esserci nulla da
proteggere. Se... questo bambino non dovesse farcela... Steve ne
uscirebbe distrutto. Ci hai pensato? E io...»
«Un ulteriore colpa da sopportare»
disse lui dando voce alla sua vergogna;
«Non riuscirei a sostenere più il
suo sguardo, perché sarebbe solo colpa mia e di ciò che sono» una
sottile lacrima argentea sfuggì al controllo della donna e scivolò
lungo la guancia arrossata per il freddo.
«E questo è un motivo per
rinunciare in partenza?» frecciò il Soldato d'Inverno tagliente,
sorprendendo la donna che si sentì afferrare per il gomito e
costretta a guardarlo in volto, la sua presa era gentile ma ferma.
«Quel bambino – iniziò puntando
il dito verso il ventre di lei – non ci sarebbe nemmeno dovuto
essere, Natasha. E invece è lì, sta crescendo. Perché è come suo
padre e sua madre: forte. Ha lottato contro quell'aridità che la Red
Room ti ha imposto col suo trattamento. Non dovrebbe esserci niente,
ma c'è Natasha! E questo fa la differenza. So per certo che è un
gran testardo...» continuò con un sorriso pacato, mentre Natasha
stringeva gli occhi percependo qualcosa dentro di sé mutare e
cambiare prospettiva. Poteva davvero? Poteva davvero prendersi il
lusso di sperare... di credere? Di desiderare per sé e per Steve un
futuro diverso?
«Tu lo vuoi?
Perché alla fine la questione si riduce a questo. La Vedova Nera che
conosco è forte, non molla l'obiettivo finché non è suo, è una
lottatrice... e se lo sei tu... lui lo sarà con te-»
«O lei»
frecciò la spia brusca, mordendosi subito dopo il labbro; incredula
di ciò che aveva appena detto.
James sospirò e la osservò a
lungo;
«Natasha tu puoi cambiare le cose»
disse semplicemente.
Ci fu un lungo silenzio, rotto solo
dalla neve che danzava muta verso la terra, la donna alzò lo sguardo
piano;
«James Buchanan Barnes...» iniziò
e per un folle istante il letale Soldato d'Inverno pensò che sarebbe
finito KO da un pugno della temibile Vedova Nera.
________________________________________Asia's Corner
Fine
Prima Parte. Dunque... il malessere di Natasha è stato
finalmente svelato, ma molti di voi, a ragione, avevano già
indovinato. Allora tengo a precisare che io non tengo conto dei fatti
accaduti in Avengers Age of Ultron e quindi Vedova Nera non
completamente sterile (ovvero non ha subito l'asportazione dell'utero),
la "cerimonia di laurea" le ha reso difficile portare a termine una
gravidanza, come viene detto nel capitolo; cercando nell'immenso
internet ho appunto trovato, fra le varie, anche questa spiegazione e a
questa mi sono attenuta. Per quanto mi riguarda il trattamento Kundrin
ha anche reso il ciclo estremamente irregolare, questo spiega il
perché Natasha non si sia preoccupata a riguardo... Ora so che
magari queste motivazioni sono abbastanza superficiali ma non sono
un'esperta di ginecologia, ect ect... e piuttosto che perdermi in
arzigogolate e fantasiose "trovate" resterò abbastanza sul
"semplice". Solo Steve col suo... ehm... dna superpotenziato poteva
riuscire in un miracolo del genere, almeno io la penso così ^^
Altra cosa ho pensato che Bucky fosse il migliore per parlare a Natasha
circa questa questione perché anche lui ha vissuto la Red Room e
conosce bene le paure della donna, ed è anche per questo che
vuole che lei tenga il bambino perché sarebbe un'ulteriore
schiaffo nei confronti della terribile esperienza che entrambi hanno
vissuto, desidera che almeno lei riesca a lasciarsela alle spalle... e
poi ovviamente pensavo ad una motivazione circa la questione del
'nome'...
Per sapere come andrà a finire ovviamente dovrete attendere la
Seconda Parte del capitolo! Ho preferito separare un pezzo che poteva
essere unico, non tanto per questioni di lunghezza ma perché
volevo che ogni momento di quello che sta succedendo avesse una sua
riflessione, volevo che ci fosse una pausa fra la scoperta e la
decisione finale poiché sono due momenti ben diversi con ognuno
la propria atmosfera e peso... spero di essermi spiegata ^^'
Bene
per il momento è tutto! Per qualsiasi cosa non esitate a
chiedermi! Io ringrazio come sempre i recensori, i lettori e tutti
coloro che inseriscono questa storia nella diverse liste! Ci rivediamo
fra DUE SETTIMANE, precisamente... SABATO 21 GENNAIO!
A presto!
|
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Capitolo 5 *** Il Momento della Verità (parte II) ***
05
Salve a tutti miei cari lettori! E' sabato ed è tempo del nuovo capitolo che vi aspetta qui di seguito...
Ci vediamo a fondo pagina!
Buona Lettura!
Capitolo
Cinque: Il Momento della Verità (parte II)
“Did
you see the sparks filled with hope?
You are not alone
'Cause
someone's out there, sending out flares”
~
“Flares”, The Script
«Grazie»
Natasha
camminava piano, le mani affossate nel pesante cappotto, i folti e
ondulati capelli carminio erano come un gentile manto protettivo che
le incorniciava il volto. Gli occhi liquidi gettavano sguardi
distratti alle vetrine, che scoppiavano di luci e colori natalizi. Si
soffermò su, forse, l'unica vetrina poco illuminata della via,
osservando a fondo il proprio riflesso nitido, quasi che questo
potesse svelarle chissà quale verità.
Riprese
a camminare con più vigore, fermandosi però davanti ad un'
innocente visione: un bambino di pochi anni camminava, o almeno ci
provava, verso di lei, sembrava quasi che lo strato pesante di
vestiti lo avesse fagocitato, si vedevano solamente gli scuri occhi
vivaci che guizzavano in ogni direzione, meravigliati; i genitori gli
erano subito dietro, erano una giovane coppia, forse troppo, si
tenevano per mano osservando il figlioletto con un sorriso leggero.
La camminata incerta del bambino si trasformò presto in un ruzzolone
a terra, tanto che il piccolo si guardò subito attorno incredulo di
ciò che era appena accaduto.
Natasha
stava per fare un passo verso di lui, quando la madre lo prese
amorevolmente fra le braccia sussurrandogli, probabilmente, parole di
conforto non senza celare un velato divertimento nello sguardo.
La
spia superò velocemente la famigliola, riprendendo la via di casa.
Non poteva fare finta che non l'avesse desiderato, che nemmeno per un
istante l'idea di avere un figlio con Steve non l'avesse toccata.
Sarebbe stata una bugia. Perché l'aveva pensato e non solo, qualche
volta l'aveva desiderato... Natasha non era una donna facile, non di
certo una che si lasciava sopraffare da frivoli sentimentalismi e si
abbandonava a romanticherie di qualsiasi genere. Natasha non si
faceva coinvolgere da facili emozioni, ma questo non voleva certo
dire che non sapeva amare. Lei amava Steve con intensità e lealtà,
la sua era una passione contenuta che si mostrava attraverso piccoli
gesti e significativi sguardi, in pubblico, e solo nell'intimità del
loro focolare, essa poteva essere liberamente lasciata uscire.
Rispettava la discrezione di Steve e la condivideva. Era infatti
proprio l'amore che provava per il capitano che l'aveva portata ad
accarezzare l'ipotesi di un figlio, non ne aveva mai parlato
apertamente con lui, se non quella triste sera nel Vermont, ma non
credeva che lui sarebbe stato contrario, a volte, quando Alexandra
trascorreva le giornate da loro, glielo poteva scorgere negli occhi,
quella luce calda che li rendeva più lucidi, più vibranti.
L'abbracciava con lo stesso affetto con cui un padre abbraccia una
figlia, era orgoglioso dei suoi successi quasi quanto Niko. E anche
lei, sempre più spesso, si era ritrovata a guardare la giovane
Alexandra come una figlia, ad avere nei suoi confronti sentimenti
sempre più premurosi, protettivi... materni. Questo la
destabilizzava nel profondo, a volte provocandole disagio, ma al
tempo stesso le davano piccoli brividi di eccitazione, scaldandole il
cuore come pensava che solo Steve sapesse fare. Vi erano sere in cui
Alex si fermava a dormire da loro nell'appartamento di Brooklyn,
erano solo loro tre e parevano in tutto e per tutto una famiglia.
Ma
malgrado quei pensieri che la scaldavano e al tempo stesso la
turbavano, Natasha sapeva che quella strada non sarebbe mai stata
semplice, camminava su un filo labile, sottile... un filo che poteva
spezzarsi in qualsiasi momento.
Entrò
nella palazzina stringendosi nel cappotto, non sapeva come ma sentiva
che Steve era tornato lì, nella loro casa.
Rientrò
a casa in silenzio, i suoi occhi corsero immediatamente alla figura
possente del capitano, di spalle, intento a raccogliere cocci di una
tazza che, molto probabilmente era stata frantumata in un impeto di
frustrazione. Sapeva che l'aveva sentita rientrare, eppure non si era
voltato. Stava cercando di prepararsi a quello che lei avrebbe detto
una volta che fosse tornata.
Gli
occhi di giada si velarono di tristezza nel vedere quelle spalle
curve ma tese, così come il resto del suo possente corpo, ma Natasha
scrollò le spalle e alzò lievemente il mento andandogli incontro
con passo felpato.
Il
capitano percepì il flessuoso corpo della compagna appoggiarsi
delicatamente alla sua schiena, non cercò di abbracciarlo o di farlo
voltare, si accostò a lui con attenzione. Non sapeva bene cosa dire
o come reagire, era consapevole che Natasha si era sottratta a lui
per buoni motivi, il terrore che le aveva visto negli occhi gli aveva
fatto male. Avere un figlio con lei lo elettrizzava, più di una
volta si era perso a fantasticare su come sarebbe potuto essere, ma
il pensiero che lei potesse rinunciare in partenza... gli faceva
provare un dolore acuto, si sentiva diviso a metà, come se venisse
tirato con violenza da due forze contrarie. Malgrado questo le
sarebbe rimasto accanto qualsiasi decisione lei avrebbe preso.
Il
tempo sembrò dilatarsi, ogni secondo passato sembrava un'ora.
Natasha
si sentiva tesa, quanto e forse più, di Steve. Dentro di sé
fremeva. Dischiuse le labbra e la voce le uscì roca e sottile:
«Steve...sarai
un bravo padre...» il respiro si spezzò contro le sue
scapole.
Il
supersoldato si irrigidì lasciando che quelle parole gli
penetrassero dentro, un calore totalizzante lo sommerse; lentamente
si volse verso Vedova che, cercando di non far trasparire nulla, lo
guardò dritto negli occhi. Ma lui ormai la conosceva bene, conosceva
ogni singola ombra che albergava nei suoi occhi, ogni inafferrabile
respiro trattenuto, ogni sua sfumatura.
Dolcemente
immerse la mano fra le sue ciocche infuocate;
«Stai
dicendo che-?» anche la sua voce non era ferma come avrebbe dovuto
essere, si rompeva in strani punti;
«Sto
dicendo che avremo questo bambino» sussurrò lei, tentando
disperatamente di controllare il proprio tono, allungando la mano per
asciugargli lacrime invisibili. Steve gliela afferrò e la baciò.
Il
capitano unì la fronte con la sua e la osservò con un'intensità
tale da farla tremare;
«Nat,
tu non lo stai facendo solo per me-» domandò lui con cipiglio grave
e preoccupato, la donna gli portò un dito alle labbra e sospirò;
«No
o forse sì? Per molti anni non ho mai avuto nessuna speranza,
non sapevo nemmeno se sarei vissuta abbastanza da vedere l'alba del
giorno dopo, non me ne importava più di tanto, mi accontentavo di
vivere alla giornata. Quando sono entrata nello S.H.I.E.L.D. credevo
in quello che facevo ma non mi sono mai considerata speciale,
eseguivo gli ordini... se fossi morta sarei stata solo un altro
agente caduto in missione, un altro nome sul muro. E poi tu.
Semplicemente tu. Per la prima volta ho cominciato a desiderare
qualcosa di diverso, una vita oltre la missione, oltre la spia e il
soldato, oltre il nostro compito di Avengers... Qualcosa in cui
fossimo solo io e te senza guerra intorno. E poi è arrivata Alex e
lì non ho più potuto mentire a me stessa, un figlio con te ha
cominciato a divenire un desiderio alquanto prepotente. Ma non potevo
parlartene perché pensavo che fosse impossibile e dirlo ad alta voce
l'avrebbe reso-»
«Reale»
la precedette lui, sentendosi travolto dai sentimenti; Natasha
sorrise tristemente;
«Mi
sarei solo ferita e avrei ferito te, perché credevo fosse qualcosa
che non avrei potuto darti... E invece ora è diverso. Ora questo
bambino è reale e questo mi... spaventa Steve... perché so che
dovrà imparare a difendersi fin da piccolo dai pericoli a cui verrà
naturalmente esposto».
Il
Capitano la attrasse a sé catturandole le labbra in un bacio
intenso. Si sentiva quasi febbricitante, stordito da una felicità
che sembrava possedere ogni momento un piccolo pezzo in più di lui.
«Te
lo prometto. Non permetterò mai, guardami, mai che accada qualcosa
al bambino o a te. Io vi proteggerò sempre.» aveva pronunciato
quelle parole con la stessa solennità di chi fa un giuramento
davanti a Dio in persona. Vedova si sporse per lasciargli un bacio
lieve su quelle labbra che sapevano sempre dire la cosa giusta, poi
il suo sguardo si fece inquieto;
«Steve»
sospirò «Esiste, però, la seria possibilità che io... non riesca
a portare a termine questa gravidanza... Te l'ho detto il trattamento
Kundrin non è stato gentile. Il bambino potrebbe non sopravvivere»
terminò grave e lo sguardo limpido su cui si allungavano pesanti
ombre.
Steve
chiuse gli occhi per un momento, sentendo distintamente la paura e la
vergogna di Natasha come se fosse la propria, lo era. Sapeva che
aveva ragione, ma lui non l'avrebbe mai abbandonata. Avevano sofferto
e probabilmente avrebbero sofferto ancora, ma ciò che stava
capitando loro: quella piccola vita che stava crescendo andava
protetta, meritava una possibilità.
«Natasha.
Qualunque cosa succederà la affronteremo insieme. Come abbiamo
sempre fatto» le assicurò facendole appoggiare il capo sul proprio
petto.
Rimasero
così per un po', in quel confortevole silenzio, l'uno nelle braccia
dell'altra.
Fu
Vedova a infrangere quel silenzio, in qualche modo costretta;
«Steve...»
«Sì?»
«Io
dovrei...il bagno.»
«Cos-?»
fece lui non cogliendo subito il velato riferimento che, invece,
l'eloquente occhiata di Natasha gli fece intuire di cosa si trattava.
«Uh!
Oh! sì... capisco»
La
spia fu costretta a staccarsi dal compagno e a volatizzarsi in bagno,
impossibilitata ormai a reprimere i conati.
Steve
si accostò alla porta del bagno preoccupato;
«Nat!
Hai bisogno di qualcosa?»
«No.»
fu la secca risposta della donna e il capitano decise che fosse
meglio lasciarla stare almeno per il momento.
*
Playground,
Quartier generale dello S.H.I.E.L.D.
Phil
Coulson si richiuse la porta alle spalle del proprio ufficio, e solo
in quel momento poté lasciarsi andare ad un sospiro di sconforto.
Durò pochi istanti poi si ricucì addosso il suo ruolo di direttore.
Andò
alla scrivania cercando di fare, nella sua mente, il punto della
situazione.
Svariati
suoi agenti erano rimasti feriti nello scontro con l'HYDRA, ed ora
l'infermeria lavorava a pieno regime. Alcuni purtroppo, pochi ma pur
sempre tanti per lui, erano caduti e ora lui si sarebbe ritrovato
nell'ingrata posizione di attuare il protocollo per ogni agente
caduto in missione. Le solite bugie, nessun riconoscimento pubblico,
un indennizzo per le famiglie che non avrebbero mai saputo come e
perché i loro cari ora si trovavano metri sotto terra e non
avrebbero più varcato la soglia di casa. Fissò per qualche minuto
lo schermo scuro davanti a sé, chiuso in una sorta di vuoto
interiore confortante, dopodiché riprese il suo lavoro.
Melinda
May entrò nel suo ufficio, poco dopo, senza bussare. E Phil si
ritrovò ancora una volta a ringraziare qualsiasi forza cosmica
giocasse con loro della presenza di quella donna al suo fianco. Si
prese qualche momento per osservarla con attenzione... Accorgendosi
che May lo osservava con cipiglio poco rassicurante si schiarì la
gola;
«Situazione?»
«L'infermeria
è quasi al limite delle sue possibilità, alcuni agenti sono stati
curati e poi rispediti a casa come l'agente Holstein, i meno gravi
stanno dando una mano. Chi non è stato ferito è stato mandato in
perlustrazione; non ci vorrà molto per avere un rapporto danni»
riepilogò compita.
«Molto
bene, ti ringrazio Melinda» mormorò il direttore non facendo
trapelare del tutto la sua gratitudine.
L'agente
lo fissò di sottecchi, i sottili occhi scuri vagarono sul viso
tirato del proprio capo;
«Hai
bisogno di qualcosa?» gli chiese senza nessuna espressione in
particolare, reprimendo alcuni scomodi sentimenti.
Coulson
non ebbe modo di rispondere perché il tornado Skye si precipitò
nell'ufficio con l'aria di chi aveva appena visto un fantasma, i suoi
occhi grandi rimbalzavano da May al direttore. Phil si alzò
immediatamente in piedi lievemente allarmato dall'espressione della
sua pupilla.
«Skye-?»
«Ward!
Ward è scappato!» disse senza fiato. Coulson e May si guardarono
fra loro, i loro pensieri si completarono a vicenda.
«Era
il loro obiettivo fin dall'inizio» sibilò la donna furente;
«Il
resto è stato solo un diversivo...» concordò il direttore poi si
rivolse a Skye, che aveva l'espressione di chi aveva visto giorni
migliori «Abbiamo i filmati di sicurezza?». La ragazza annuì
debolmente;
«Se
ne sta occupando Mack.»
«Molto
bene, raduna tutti e richiama immediatamente Triplett alla base,
avremo bisogno anche di lui» ordinò Coulson assumendo nuovamente il
comando. L'hacker annuì sollevata di riavere anche Triplett fra
loro, fece per andarsene quando May la fermò;
«Stai
bene?» domandò l'agente il tono rigido leggermente smorzato.
Skye
ci impiegò qualche secondo prima di rispondere:
«Starò
meglio quando Ward sarà tre metri sotto terra».
*
La
porta si aprì e si richiuse producendo un rumore minimo.
Bucky
scorse Sharon rannicchiata sul divano imbottito mentre guardava
interessata fuori la finestra appannata, la televisione sintonizzata
sul telegiornale continuava a trasmettere.
«Dov'è
Jace?» domandò liberandosi del cappotto e scivolando accanto alla
ragazza.
«Alla
Tower, per questa sera resterà con Alex, si è presa un bello
spavento» gli rispose voltandosi verso il supersoldato; gli passò
le gambe sopra le sue e prese ad accarezzargli i crini scuri.
«Com'è
andata?» domandò seriamente preoccupata per Natasha. James le fece
poggiare il capo sul petto e quasi senza accorgersene iniziò a
disegnarle misteriose forme sulla schiena. Lo faceva spesso, lo
aiutava a rilassarsi.
«Aveva
solo bisogno della giusta “provocazione”»
«Come
credi che andrà a finire?»
«Davvero
non saprei Sharon...» ammise James, sentì la ragazza stringersi di
più a lui; e come ogni volta che lei cercava un appiglio in lui, un
miscuglio di dolci sensazioni gli si agitarono dentro.
Un
trillo proveniente dal portatile dell'agente 13, costrinse proprio la
proprietaria a sciogliere la presa dal Soldato d'Inverno e a prestare
attenzione alla chat aperta dello S.H.I.E.L.D.
«James!»
lo richiamò la ragazza gli occhi che ripercorrevano quelle poche
righe «Abbiamo un problema».
*
Cleveland,
Ohio.
Vasily
Karpov gettò i rimasugli di una cena preriscaldata nel tritarifiuti,
sciacquò il piatto e lo infilò nella lavastoviglie. Si accese una
sigaretta e finalmente si lasciò cadere su quella che considerava la
sua poltrona favorita. Aveva da poco iniziato a guardare il
telegiornale quando un potente bussare alla porta lo costrinse ad
alzarsi di malavoglia.
«Chi
è?» berciò burbero, aprendo scocciato il portoncino d'ingresso.
Sul
suo pianerottolo vi erano due figure ammantate di nero: un uomo alto
e possente col viso irrimediabilmente sfigurato e una ragazza dal
fisico slanciato, lunghi capelli ramati e negli occhi un luccichio
tutt'altro che rassicurante.
Vasily
Karpov deglutì a vuoto, era già pronto a lanciarsi a prendere la
pistola quando il richiamo dell'uomo lo inchiodò sul posto;
«Rapporto
missione, Colonnello Karpov» esordì Brock Rumlow con un sorriso da
squalo.
La
reazione fu immediata;
«Hail
HYDRA!» esclamò scattando sull'attenti.
Sin
sorrise a metà fra il divertito e il compiaciuto.
“Ora
ci divertiamo”.
____________________________________________________Asia's Corner
Or
dunque! Spero inanzitutto che i risvolti del capitolo vi siano
piaciuti, Natasha ha deciso di portare a termine la gravindanza
malgrado tutti i "se" e "ma" del caso, sicuramente le difficoltà
non mancheranno...
Passiamo
ora alla sequenza successiva: Coulson, May e Skye insomma la pseudo
famigliola dello S.H.I.E.L.D., finalmente si sono resi conto che Ward
è stato fatto fuggire e Skye ovviamente non reagisce proprio
benissimo, tutta la squadra di Coulson porta ancora i segni del
tradimento di Ward e Coulson e May capiscono subito quali possono
essere le implicazioni di Grant nuovamente fra le fila dell'Hydra...
lui conosce la squadra, conosce lo S.H.I.E.L.D.... Ps. Come avrete
notato Antoine Triplett sta per tornare fra noi, è un
personaggio che mi è sempre piaciuto e non ho mai accettato fino
in fondo la decisione di farlo "fuori"!
E spero che sia stato di vostro gradimento il piccolo momento tutto Sharcky... Godetevelo!
Perchè i tempi duri stanno arrivando, l'Hydra sta preparando il
suo arsenale... Cosa accadrà? Non vi resta che continuare a
seguire questa storia! ;)
Allora, il prossimo aggiornamento avverrà, sempre fra due settimane, ma fra SABATO 04 FEBBRAIO e LUNEDI' 06 FEBBRAIO!
Ora che la questione fondamentale è entrata in gioco devo un
attimo risistemare i miei appunti e iniziare ad ordinare la prossime
mosse!
Io
ringrazio ancora una volta ogni singola persona che è arrivata
sino a qui :) e chi non mi fa mancare mai il suo supporto!
A presto!
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Capitolo 6 *** Decisioni Difficili ***
06
Buonasera
gentili lettori! Spero che abbiate passato un weekend migliore del
mio... Fortunatamente una nuova settimana è iniziata e direi che
parte alla grande con questo nuovo aggiornamento!
Buona Lettura!
Capitolo
Sei: Decisioni Difficili
“Quando
si effettua una scelta, si cambia il futuro”
~
Deepak Chopra
Natasha
espirò piano e aprì gli occhi di giada ancora appannati dal sonno,
allungò una mano dietro di lei, infastidita constatò che Steve non
era al suo fianco. Si voltò immergendo il viso nel cuscino del
compagno, passò la mano sul ventre si sentiva tranquilla, la nausea
per il momento era tenuta a bada.
«Sei
sveglia?».
Il
capitano entrò nella stanza con in mano un vassoio che appoggiò fra
le coperte pesanti.
Natasha
si mise a sedere osservando incuriosita il pane tostato, la spremuta
e la frutta che quasi traboccava dal vassoio.
«Non
sapevo bene di quale avessi avuto voglia...» si giustificò l'uomo.
La russa gli lanciò un'occhiata eloquente;
«Ahn,
ecco cosa stavi cercando ieri sera in internet» disse con tono
falsamente esasperato, in realtà intenerita da quella premura.
Steve
alzò gli occhi al cielo;
«Okay
lo ammetto. Ho solo cercato di capire come potevo aiutarti per... le
nausee mattutine... e così sono sceso stamattina dal fruttivendolo»
«E
hai comprato ogni tipo esistente di frutta su questo pianeta...»
Natasha ridacchiò, afferrò un chicco d'uva e se lo portò alle
labbra, prese un po' di pane tostato e ne diede un pezzo al compagno,
ringraziandolo con un bacio.
Steve
si appoggiò alla testiera del letto e abbracciò Vedova, che
appoggiò il capo sulla sua spalla, la strinse e le posò un delicato
bacio fra i capelli. Nessuno dei due parlò, paura e eccitazione si
mischiavano insieme in un circolo infinito; l'uno poteva percepire la
tensione dell'altra e solo restando insieme, in quel letto che sapeva
così tanto di loro, quella sensazione poteva essere contenuta,
soffocata. Natasha avrebbe voluto restare lì, abbandonata a lui, con
discrezione cercava di ritardare il più possibile il momento in cui
avrebbe dovuto affrontare le conseguenze di quella scelta perché
sapeva che da quel momento in poi sarebbe stata l'incertezza a
governarla. E per lei quella condizione era intollerabile.
D'altra
parte Steve era restio a lasciare quel letto, quell'appartamento,
perché finché erano lì il resto del mondo non esisteva e niente
poteva accadere. Se fosse stato per lui avrebbe nascosto Natasha e il
loro bambino fin quando gli sarebbe stato possibile. Un istinto
protettivo primordiale lo pervadeva, il solo pensiero che qualcuno,
da lì in avanti, potesse anche solo sfiorare la sua famiglia gli
mandava il sangue al cervello. Espirò piano.
A
malincuore, sciolse la presa da Natasha ed entrambi iniziarono a
prepararsi.
La
spia indossò un paio di jeans chiari e constatò, con un'occhiata
critica, che le stavano giusti. Giusti. Di solito aveva bisogno di
una cintura, ma evidentemente ora ne avrebbe fatto a meno. Si infilò
un caldo maglione bianco, si ravvivò i voluttuosi boccoli e si voltò
verso il capitano.
Steve
tese la mano e lei gliela afferrò riacquistando calore.
«Pronta?»
«Andiamo».
Arrivarono
all'Avengers Tower che il sole era coperto da spesse nubi e l'aria
preannunciava neve.
Si
fermarono ad uno dei livelli inferiori dell'edificio, che solitamente
non frequentavano, dove si trovava l'ufficio di Helen Cho, lì a New
York.
La
dottoressa sollevò prontamente lo sguardo da alcune carte e accolse
i due Avengers con un sorriso pacato.
«Perdona
il poco preavviso» esordì il capitano prendendo posto accanto alla
compagna.
Helen
scosse il capo facendo capire che per lei non era stato un problema,
anzi.
«Come
stai Natasha?» domandò interessata, invece.
Vedova
si prese un'istante prima di rispondere; mise a fuoco la stanza, si
soffermò sul quadro italiano dietro la donna e sfiorò
distrattamente il ventre.
«Meglio...
Ho deciso di tenere il bambino»;
La
dottoressa annuì sorridendo, afferrò una cartella vuota e vi
scrisse, con calligrafia fine, 'Romanoff'.
«Allora
questa è una domanda che ti farò spesso» digitò qualche tasto e
comparvero alcuni file «Come vanno le nausee?»;
«Credo
di essere stata graziata stamattina – e lanciò un'occhiata a Steve
– ma persistono» affermò sincera. Per quanto detestasse avere a
che fare con scienziati e dottori, era inutile ormai essere restii,
non si trattava più di lei e basta.
Cho
annuì poi si fece seria;
«Non
vi mentirò, la situazione non è certo delle più semplici» si
soffermò un attimo su entrambi che annuirono gravi «Si tratta di
una gravidanza straordinaria: non solo per il trattamento che ti ha
reso quasi sterile Natasha, ma anche per il corredo genetico di
questo bambino. Sarà unico nel suo genere – sia Steve che Natasha
pur consapevoli di ciò si sentirono lievemente a disagio – il tuo
fisico si deve preparare ad accogliere qualcosa che non aveva
previsto, non sarà una gravidanza rose e fiori e io farò tutto ciò
che è in mio potere perché ne tu ne il bambino vi troviate in
pericolo di vita...»
«Che
cosa!?» si intromise Steve con voce strozzata, sentendosi male a
quelle parole, l'idea che Natasha potesse addirittura rischiare la
vita era insopportabile.
La
spia gli afferrò la mano con dolcezza ma fermezza. Si guardarono
negli occhi.
Glielo
stava chiedendo, gli stava chiedendo di avere fiducia in lei, di non
indietreggiare di non avere paura, perché altrimenti anche lei
avrebbe ceduto, non poteva farlo senza di lui.
Il
capitano strinse la sua mano, pur con il timore nel cuore, inspirò e
annuì.
«Non
ho paura del dolore» affermò lei sicura e con una punta di sfida
nella voce.
«Ho
bisogno che tu ti fida di me» obiettò la dottoressa. Natasha
inspirò, percepì la presa di Steve farsi più forte;
«Mi
fido».
Helen
sospirò:
«Ci
saranno esami da fare, oltre ai soliti prescritti per ogni
gravidanza, vorrei che tu facessi una villocentesi»
«Di
cosa si tratta?» domandò il capitano leggermente in ansia;
«E'
un test invasivo che permette di prelevare dei frammenti di tessuto
coriale, un componente della placenta per intenderci, che poi
analizzerei in laboratorio, ciò ci permetterebbe di ottenere
informazioni su eventuali anomalie cromosomiche o... genetiche-»
«Potrebbe
nascere con malformazioni o malattie?» domandò Natasha brusca.
«Come
ho detto questa è una gravidanza straordinaria, non sappiamo come si
combinino due DNA così modificati e se questo suo corredo genetico
lo potenzierà semplicemente come è successo a Steve o gli causerà
degli scompensi. Questa procedura ci darebbe modo di sapere in che
percentuale il feto sia sano».
Steve
inspirò, suo figlio o sua figlia sarebbe potuto nascere malato a
causa sua... quel pensiero lo trafisse come la peggiore delle
pugnalate. Gli occhi gli pizzicarono e solo la presa salda di Natasha
lo salvò.
«Fallo,
qualsiasi cosa... fallo» mormorò la russa.
«Lo
potremmo fare tra qualche settimana» asserì Helen, poi guardando le
loro facce tese gli sorrise incoraggiante «Sentite, so che non vi ho
dato notizie facili da digerire finora, voglio solo che abbiate
chiaro cosa state per affrontare, non è facile ma già il fatto che
questo bambino ci sia significa che è forte e ci sono buone
probabilità che tutto vada per il meglio. D'accordo?» i due si
ritrovarono ad annuire persi.
«Bene,
allora volete conoscerlo?»
I
due Avengers sgranarono lo sguardo sorpresi.
Natasha
si sdraiò sul lettino e si sollevò il maglione mentre Steve si mise
al suo fianco. I loro cuori battevano trepidanti all'unisono.
Helen
distribuì il gel sul ventre della russa che sussultò
impercettibilmente impreparata.
Il
monitor si accese e Cho strinse gli occhi per qualche momento poi le
sue labbra si distesero;
«Ah
eccolo! Vedete – disse disegnando un piccolo cerchio con il dito –
è proprio qui».
Steve
e Natasha si sporsero verso il monitor, non si distingueva benissimo
eppure lo videro ugualmente, quel feto di pochi millimetri che si
muoveva appena.
«Incredibile...»
sussurrò il capitano in venerazione;
la
spia cercò la sua mano e la trovò subito pronta a sostenerla.
«Siccome
ormai sei di cinque settimane dovrebbe sentirsi...» Helen tacque
soddisfatta.
Dei
forti e rapidi battiti iniziarono a propagarsi nella stanza.
«E'...»
il capitano boccheggiò incredulo, la dottoressa annuì sorridente;
«Sì
è il suo cuore».
Natasha
in religioso silenzio allungò la mano verso lo schermo e vi premette
le dita contro, come se desiderasse ardentemente toccare quel bambino
che era solo ancora un'embrione. Una lacrima scelse dolcemente lungo
la guancia.
La
porte dell'avveniristico ascensore si aprirono con un musicale 'din'
e Natasha e Steve si ritrovarono nell'ampio e sofisticato soggiorno.
Immediatamente
numerose teste si voltarono nella loro direzione. Sharon, Bucky,
Jace, Alex, Niko, Sam, Maria, la famiglia Barton al completo, Tony e
persino Nick Fury – tanto che la spia e il supersoldato gli
lanciarono un'occhiata incredula – li stavano attendendo in
silenzio.
Natasha
sentì l'impellente bisogno di fuggire, in che guaio erano andati a
cacciarsi? Sospirò:
«La
notizia si è sparsa in fretta...» bisbigliò al compagno che
ridacchiò nervosamente sentendosi fissato in quel modo.
«Sì
sono incinta! E sì terremo il bambino» esordì con una punta di
esasperazione nel tono ma stringendosi impercettibilmente al capitano
che aveva il potere di infonderle più serenità.
Ci
fu un attimo di immobilità generale, i respiri si cristallizzarono
dopodiché come una bolla che arriva al punto di rottura tutto iniziò
a muoversi.
Alexandra
si precipitò da Natasha con un sorriso tanto luminoso che rischiava
di abbagliare, e mai come in quel momento la donna seppe di aver
fatto la scelta giusta.
La
ragazzina la abbracciò d'impeto prima di staccarsi mortificata;
«Scusami
Nat-» ma la spia le circondò le spalle magre e le portò una ciocca
dietro l'orecchio, lei arrossì.
«Non
sono di cristallo – scoccò un'occhiata al capitano al suo fianco –
anche se qualcuno potrebbe dire il contrario» affermò divertita,
Steve alzò gli occhi al cielo.
«Congratulazioni
ragazzi!» un Jace più contenuto abbracciò entrambi con gli occhi
lucidi. Niko strinse la mano del capitano e si scambiarono uno
sguardo complice. Nessuno meglio di lui sapeva cosa significasse una
gravidanza del genere.
«Andrà
bene» gli assicurò Niko a voce bassa abbracciando la donna, poi si
scostò elegantemente per lasciare spazio ad una Sharon fremente.
«Qualsiasi
cosa Nat, qualsiasi cosa» le sussurrò commossa, abbracciandola
forte. La spia le sorrise «Grazie».
«Ragazzi
non smettete mai di sorprendermi!» trillò Sam abbracciando, o
meglio stritolando, insieme a Bucky il povero Steve. Ne era certo
quei due non gli avrebbero dato tregua.
James
si scambiò un'occhiata con Natasha, lei gli fece un semplice cenno
per ringraziarlo ancora una volta.
Fu
il turno dei piccoli Barton elettrizzati all'idea di poter,
finalmente, avere un cuginetto.
«Mamma
papà come nascono i bambini?» celiò innocentemente Lila gelando
sul posto tutti gli adulti, per non parlare del solitamente calmo
arciere che sbiancò e non di certo perché era ancora degente.
«Grazie
tante Nat!» sospirò Clint mentre la stringeva premuroso «Sono
davvero felice per te»;
«Speriamo
di esserlo anche alla fine...» mormorò l'amica con lieve sorriso
triste. L'arciere gli strizzò l'occhio.
«Tony
non dirmi che ti sei commosso?» lo prese in giro la donna mentre il
magnate gli si avvicinava con lo sguardo non proprio fermo;
«Ti
piacerebbe Rossa! Mi è solo entrato un elefante nell'occhio»
borbottò ironico Tony, congratulandosi con entrambi.
«Ora
non potrà più essere lui il bambino della situazione» trillò
sarcastica Pepper Potts appena sopraggiunta con un sorriso radioso
dipinto sul volto magro e fine.
«Pepper!»
si lamentò Tony «Voglio che tu mi dica quando mai mi sarei
comportato in modo infantile!? E sii ben specifica cosicché potrò
smontare ogni tua illazione!». La donna nemmeno a dirlo ignorò
prontamente il fidanzato e fece gli auguri a Natasha, mentre il resto
del gruppo ridacchiava e benediva quella santa donna.
Fury
li fissò con l'occhio buono e scosse il capo con l'ombra di un
sorriso:
«Voi
due...» si limitò a dire. C'era una nota di fierezza mista a
contentezza nella sua voce. Lasciò che l'atmosfera fosse ancora per
un po' leggera, quasi spensierata, poi con colpo di tosse riportò
tutto all'ordine.
«Purtroppo
ci sono delle cose di cui discutere...» il suo tono non lasciava
spazio ad equivoci. Natasha e Steve lo sapevano, quel bambino non
aveva scelto uno dei momenti migliori per venire al mondo.
«Che
succede?» domandò il supersoldato assumendo ancora una volta il suo
ruolo di Captain America.
Sharon
e Maria si scambiarono uno sguardo d'intesa;
«Si
tratta dello S.H.I.E.L.D., ci è stato comunicato che lo scopo
primario dell'intrusione dell'Hydra era l'evasione dell'ex agente
Grant Ward.»
«Chi
è esattamente?»
«Faceva
parte della squadra scelta di Coulson, era uno Specialista, quindi
potete capire da soli è un soggetto altamente preparato, in realtà
si trattava di un agente dormiente dell'Hydra addestrato da Garrett.
Ha creato non pochi problemi a Coulson e alla sua squadra, stanno
ancora raccogliendo i pezzi...» spiegò Sharon mostrando alcune
immagini del ragazzo.
«Per
noi che cosa significa la sua fuga?» domandò Natasha osservando
attentamente lo stile di combattimento dell'infiltrato. Fu Maria a
rispondere:
«Per
voi non cambia praticamente nulla, non ha mai avuto contatti ne con
te, ne con Steve o Clint ai tempi in cui operavate nello
S.H.I.E.L.D., ma per l'agenzia potrebbe essere un grosso problema,
era un agente di livello 7 ed è stato molto vicino a Coulson e ai
suoi... Conosce i protocolli, tutto.»
«Una
bella seccatura» asserì Clint pensieroso «Hanno valutato l'ipotesi
di una spia?»;
La
donna annuì grave;
«Stanno
ricontrollando ogni profilo, ogni spostamento dei loro agenti... Ma
non avranno risultati nell'immediato. Ma c'è un'altra cosa che ci
interessa» nel dirlo fece comparire sullo schermo olografico
un'immagine. Si trattava di una donna di spalle, non si intravedeva
nulla del volto ma solo una dritta cascata di capelli rame che, come
un sipario, non faceva intuire nulla nemmeno del suo fisico. Era
stata astuta. Davanti a lei lo schermo del computer crepato, come se
avesse ricevuto un colpo forte.
«Non
conosciamo l'identità della donna, è stata molto brava a non farsi
riprendere, quasi sapesse già dove fossero le telecamere e questo fa
propendere per l'ipotesi di un infiltrato. Skye è riuscita a
recuperare la cronologia del computer e ha scoperto questo» la donna
scomparve e al suo posto apparve una lista dettagliata «Questa» si
intromise Sharon «E' la lista di tutti i ricettatori di armi
chitauriane o di 0-8-4
che lo S.H.I.E.L.D. tiene d'occhio.»
«Stanno
cercando di aumentare il loro arsenale?» domandò a quel punto Sam
«Cosa significa quel nome sottolineato?»;
«E'
quello che ha cercato di occultare, ma fortunatamente Skye è più
brava. E' il loro obiettivo: la famiglia Belgioioso». A quel nome
sia Bucky e Natasha assottigliarono pericolosamente lo sguardo.
«E
chi sarebbero?» chiese perplesso Steve.
«E'
una famiglia molto particolare, fanno parte dell'antica nobiltà
veneziana. Loro...»
«Organizzano
delle aste clandestine. Aste molto particolari» affermò Vedova Nera
stizzita «Ogni ultimo dell'anno per i loro potenti e pericolosi
ospiti viene indetta questa asta, in cui vengono venduti non solo
materiali di contrabbando, di qualsiasi genere e badate bene
qualsiasi, ma anche
persone. Personaggi ritenuti scomodi o che possono servire a qualcuno
per un qualsivoglia scopo. I Belgioioso si occupano di recuperare la
“merce” che poi mettono all'asta il trentun dicembre. Sono
piuttosto bravi...» fece una pausa e poi si ritrovò costretta a
guardare Steve «Io stessa per loro sono una merce rara».
«Stai
scherzando?» esalò il compagno allibito;
«Fu
quando iniziai a farmi un nome come mercenaria e assassina che entrai
nella loro speciale “lista”. Erano in molti a volermi: dittatori,
amministratori delegati, signori della guerra o semplicemente
nemici... Una volta riuscirono quasi a catturarmi per la loro asta.
Da quando sono entrata negli Avengers il loro interesse nei miei
confronti è diminuito. Ma scommetto che qui non sono l'unica che
sarebbe un ottimo pezzo per loro...»;
«Ha
ragione» esordì James cercando di mostrarsi indifferente «Io sono
attualmente una merce richiesta e scommetto che se accediamo alla
loro lista possiamo trovarci nomi come Stark o addirittura Fury»
Sharon e James sbiancarono a quelle parole.
«Prego?»
berciò Tony con sguardo oltraggiato;
Bucky
si strinse le spalle;
«Beh
se la guardi da un altro punto di vista, è sinonimo di pregio essere
un obiettivo dei Belgioioso» replicò lui come giustificazione. Il
magnate sembrò quasi rilassarsi;
«Mi
piace di più la tua versione» affermò indifferente. Il resto dei
presenti scosse il capo allibito.
«Fantastico.
E ora come la risolviamo?» disse Sam gettando la testa all'indietro.
Natasha
si scambiò un'occhiata con Fury;
«Dobbiamo
infiltrarci a quell'asta, semplice»
«Beh
è fuori questione che tu faccia da esca!» scattò Steve fissandola
scuro in volto.
Se
non fosse stata incinta avrebbe replicato. Avrebbe tanto voluto
contraddirlo, come faceva ogni volta che lui si preoccupava per la
sua incolumità, dirgli che lei sapeva difendersi da sola e che per
quanto lo amasse non avrebbe rinunciato a fare il suo dovere per
evitare l'infarto a lui. Ma ora la situazione era cambiata... si
toccò il ventre, non si trattava più della sua vita, lo sapeva lei
e lo sapeva lui. E Natasha aveva deciso di avere quel bambino, e per
nessuna ragione lo avrebbe messo in pericolo più di quanto non lo
fosse già, lo avrebbe fatto pur andando contro la sua natura di spia
e guerriera.
«Non
stavo suggerendo questo, Steve.» era pur sempre Vedova Nera e non
gli avrebbe mai dato tanto facilmente la soddisfazione delle parole
“hai ragione”. Il
supersoldato la osservò intensamente, conscio di quanto le fosse
costato tirarsi indietro ma al tempo stesso sollevato.
«Molto
bene» affermò Fury «Prendiamo atto che la situazione è cambiata.
Nessuno a parte questo gruppo presente deve sapere che Romanoff è
incinta, per il momento eviterei di farlo sapere allo S.H.I.E.L.D. la
loro situazione è delicata». L'intero gruppo annuì sotto lo
sguardo vigile della super spia;
«D'altronde
ha ragione quando dice che la migliore strategia è infiltrarsi
all'asta-»
«Lo
farò io» lo interruppe Bucky senza fare una piega. Sharon chiuse
gli occhi, l'aveva immaginato e ragionando da spia quella era la
tattica migliore. Bucky e Natasha avevano entrambi la giusta
esperienza per un piano come quello... Ma giustamente Vedova non era
nelle condizioni di agire sul campo, e Sharon intuì che doveva avere
altre preoccupazioni circa la gravidanza. Pur col cuore pesante come
un macigno annuì.
Steve
sospirò come fosse esausto;
«D'accordo
gente. Abbiamo poche settimane, cerchiamo di farci venire in mente un
piano».
___________________________________________________________________________________________
Ed eccoci
al termine di un altro capitolo faticoso (almeno per la sottoscritta),
devo dire che emotivamente parlando gli ultime tre capitoli non sono
stati per niente facili... Ma spero di aver fatto un buon lavoro anche
con quest'ultimo, a voi lettori l'ardua sentenza ;)
Non mi sento di
dire molto su questo capitolo... credo parli abbastanza da solo ma
ovviamente per qualsiasi curiosità o dubbio sono sempre a vostra
disposizione :) Ah, un'ultima cosa l'idea per la ehm "Belgioioso
Family" l'ho presa da una puntata di The Blacklist, quindi non è
farina del mio sacco, 'diamo a Cesare quel che è di Cesare', mi
piaceva troppo come idea e non vedevo l'ora di poterla sfruttare...
speriamo di riuscire a cavarcela!
Bene detto
ciò! Io, come sempre, ringrazio davvero voi tutti per continuare
a seguirmi e darmi il vostro sostegno in ogni modo! (scusate la
brevità ma sono un po' di corsa oggi!) Voglio inoltre avvisare
chi ha commentato lo scorso capitolo RISPONDERO' ALLE VOSTRE RECENSIONI ENTRO DOMANI A PRANZO (se per caso non riuscissi a rispondere a tutti, perdonate davvero ma ho una giornata piena!) e ci vediamo, tra due settimane, LUNEDI' 20 FEBBRAIO!
|
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Capitolo 7 *** The Show must go on (parte I) ***
07
Salve a tutti voi! Eccomi tornata con il nuovo capitolo, che sarà diviso in due parti...
Ci si vede a fondo pagina come sempre!
Buona Lettura!
Capitolo
Sette: The show must go on (parte I)
“Noi
siamo all'inferno, e la sola scelta che abbiamo
è
tra essere i dannati che vengono tormentati
o
i diavoli addetti al loro supplizio.”
~
“Breviario del Caos”, Albert Caraco
“I
have no place in the world”
K
si piegò sulle ginocchia per compiere una complicata mossa che
costrinse l'avversario nella sua morsa mortale.
«Basta
così» una voce autoritaria decretò la fine dell'addestramento. La
ragazza lasciò di colpo l'agente che crollò sgraziatamente a terra,
ansante; lei, invece, non aveva quasi capello fuori posto, il respiro
era leggero, regolare come se il suo corpo non fosse stato posto ad
alcun sforzo.
“I
have no place in the world”
Si
allontanò dal tappeto di allenamento, afferrò alcune ciocche scure
e le legò in una morbida treccia, non sapeva dove aveva imparato ma
sentiva che quel gesto era importante, che era legato a qualcosa che
era stato importante per lei, anche se non ricordava...
«Complimenti
K».
Una
giovane ragazza bionda si precipitò verso di lei, avevano più o
meno la stessa corporatura sottile e flessuosa, che celava muscoli
tesi e sviluppati, le sue labbra rossissime e ben disegnate non
sorridevano, ma i suoi occhi verdi, dal taglio lievemente allungato,
guardavano l'altra con vivo interesse.
«Non
qui Didi»
l'avvertì con voce carezzevole, se avessero saputo l'esistenza di
quel nomignolo... Ma non poteva farne a meno, non riusciva a
chiamarla semplicemente 'D'.
Percorsero
i corridoi nell'area riservata a loro in silenzio, l'espressione
imperturbabile.
«L'addestramento
è terminato?».
Le
due agenti posarono in sincrono lo sguardo sul ragazzo alto e
atletico dagli occhi cerulei che stava loro difronte, annuirono
piano.
«Ti
hanno convocato?» si informò K sostenendo il suo sguardo apatico;
gli
occhi dell'agente N ebbero un guizzo, lasciando trasparire la brutta
copia di
un'emozione
che scivolò sui suoi lineamenti marcati.
«Già»
«Tornerai
N?» chiese con voce flautata D corrucciando appena le sopracciglia
di una sfumatura più scura rispetto ai lunghi capelli. Inclinò il
capo osservandolo incuriosita.
«Non
so risponderti» ma sollevò lievemente l'angolo delle labbra
sottili, quasi volesse rassicurarla. Nessuno riusciva ad essere rude
con D, nemmeno quel sadico di L.
N,
poi, proseguì per la sua strada, come se quella conversazione non
fosse mai avvenuta; K si mosse piano afferrando la mano della bionda
che era rimasta indietro, lo sguardo incantato, persa in ricordi
nebulosi.
La
mora ne accarezzò la figura sottile e nervosa con gli occhi, forse
non era del tutto vero che non aveva nessun posto nel mondo...
*
31
Dicembre, Aeroporto Marco Polo, Venezia.
“Informiamo
i gentili passeggeri che stiamo per atterrare all'aeroporto “Marco
Polo” di Venezia, la temperatura esterna è di 30.2 gradi
Fahrenheit1 il tempo è nuvoloso. Il
comandante e il suo equipaggio vi augurano una buona permanenza”.
Sharon
Carter sbatté le palpebre lentamente ma il suo sguardo, fisso
sull'oblò, continuava a rimanere vacuo, le pupille riflettevano
senza interesse l'acqua che dava l'impressione che l'aereo stesse per
atterrare fra i fluidi invece che in una solida pista d'atterraggio,
che si materializzava, quasi magicamente, solo un attimo prima che le
ruote iniziassero a stridere sull'asfalto.
Le
dita torturavano il cartoncino plastificato delle istruzione da
seguire in caso d'emergenza; improvvisamente una mano si tuffò fra
le sue stringendogliele in una presa calda.
La
bionda agente si voltò di scatto, quasi fosse stata presa alla
sprovvista, ed incontrò l'enorme sorriso del suo accompagnatore. Si
ritrovò a pensare che non era mai stata a Venezia prima d'ora; aveva
immaginato che la sua prima volta sarebbe stata per uno speciale
weekend romantico, con tanto di cene affacciate sul canale, in
compagnia del suo ragazzo. Invece la sua prima volta in una delle
città più romantiche del mondo sarebbe stata proprio per salvare il
suo ragazzo, fra le altre cose.
«Tutto
okay?» Sam Wilson la fissò attento, cercando di infonderle un po'
di sicurezza attraverso il suo sorriso. Sharon sospirò e le sue
labbra scivolarono all'insù;
«Sì,
Sam perdonami...».
Non
che l'ex pararescue le credette a quel punto, ma la poteva capire,
non si erano certo cacciati in una situazione facile, non avevano un
piano A solidissimo e il piano B era piuttosto incerto, stavano più
o meno andando allo sbaraglio (non che quella fosse una novità) e
per di più c'era la questione “James”.
Due
settimane prima, New York...
«Ne
sei davvero certo?» quella probabilmente era la decima volta che
glielo domandava, ma lui si costrinse ad essere paziente ed annuì
deciso. D'altronde esisteva forse altra soluzione?
«Tu
piuttosto, io preferirei-»; ecco era piuttosto quella
questione che non gli andava molto giù;
«James!»
lo ammonì lei scoccandogli un'occhiata penetrante.
«Non
è necessario che tu venga» proseguì cocciuto, mettendo su il
broncio. Sharon voltò completamente il suo corpo verso di lui,
portandosi le mani, a pugno chiuso, sui fianchi, in un gesto che
ricordava tremendamente Peggy Carter.
«O
potresti fare da supporto con Steve e May!» disse enfatizzando le
sue parole con gesti inconsulti «La Hill è perfettamente in grado
di-»;
«Lo
so che Maria è perfettamente in grado di andare sotto copertura.»
frecciò dura la ragazza «Il fatto è che voglio essere io a farlo!»
celiò esasperata. C'era davvero il bisogno di spiegare le sue
motivazioni ad alta voce?
«Lo
sai che così stai privando Sam e Maria della reciproca compagnia!?»
berciò Bucky non sapendo più che “pesci pigliare”, appellandosi
addirittura ad una ragione come quella. Sharon inarcò
pericolosamente un sopracciglio;
«Oh
te ne sei accorto? Carino da parte tua amore...». Ahi. Ecco
cosa comportava l'amicizia sempre più stretta con Natasha, avrebbe
dovuto parlarne con Steve, si disse.
«Non
sai esattamente a cosa vai incontro...»
«Nemmeno
tu se è per questo!» lo rimbrottò lei, stanca. Chiuse gli occhi e
si prese un momento per inspirare profondamente.
«James
io e Sam faremo la parte degli ospiti, sei tu quello che sarà
praticamente prigioniero... E già faccio fatica a sopportarne il
pensiero, perciò non chiedermi di mettermi in disparte ad aspettare
che tu ne esca vivo» l'aveva detto con voce non proprio ferma mentre
il suo sguardo si faceva umido.
Quello
a grandi linee era il piano che avevano ideato; Tony si era premurato
di far sapere a tutto il Deep web che c'erano un mucchio di
compratori interessati al famigerato Soldato d'Inverno. Questo, si
auguravano, sarebbe bastato per far decidere alla famiglia Belgioioso
che James Barnes era ancora degno della loro asta. In quel preciso
istante, sempre il magnate si stava “divertendo” a creare le
identità false di Sam e Sharon con cui si sarebbero infiltrati
all'asta.
Bucky
si alzò e le andò incontro, lasciando che fosse lei, poi, a fare
l'ultimo passo.
«Lo
so che sei preoccupata, ma il fatto che tu possa essere altrettanto
esposta, fa preoccupare me.» mormorò facendo scorrere le dita sulle
sue braccia sottili.
«Non
chiedermi di restare a guardare...» gli sussurrò, James le posò un
dolce bacio sulla fronte e annuì, consapevole che non l'avrebbe
fatta desistere da quella decisione.
Quella
era stata l'ultima loro discussione, tre giorni dopo Bucky era
partito per una falsa missione con il preciso scopo di farsi
catturare. Il fatto che da quel momento non avessero avuto più sue
notizie li aveva fatti ben sperare; Tony aveva poi dato la definitiva
conferma, essendo riuscito a trovare il filmato, di una telecamera di
sicurezza, che mostrava a tratti il rapimento. Il piano era riuscito,
non che ci fossero state conseguenti esultanze. Natasha e Jace
avevano dovuto usare tutta la loro buona volontà per evitare che
Sharon avesse una crisi isterica.
«Ripassiamo
un attimo le identità?» propose la ragazza, concentrarsi sui
dettagli certi del piano le avrebbe impedito di impazzire.
«Malik
Kitenge, originario della Repubblica Democratica del Congo, conduco
un traffico di armi e diamanti tra Belgio e Stati Uniti, parlo
francese, inglese e un po' di lingala2 sono
cresciuto a Kinshasa, ma ho frequentato la Columbia University per
due semestri. Mio padre era un gerarca dell'esercito caduto poi in
disgrazia, questo ha fatto si che intraprendessi la via
dell'illegalità diventando un Signore della guerra...» snocciolò
con un disinvolto accento francese mentre scendevano dall'aereo;
«Però!
il tuo accento è nettamente migliorato... il full immersion con
Maria è servito» notò l'agente con un sorrisino malizioso,
riuscendo a mettere in imbarazzo Falcon che ridacchiò nervosamente.
«D'accordo,
alla Columbia hai incontrato me; Valerie Hale laureata in Storia
dell'arte, newyorkese dell'Upper West Side; madre inglese, mio padre
gestisce un piccolo fondo fiduciario e ha sempre cercato di fare il
grande salto sociale... Sono tua complice e gestisco gli affari qui
in America» affermò Sharon entrando in aeroporto, dopo aver
ritirato i bagagli si scambiarono un'occhiata d'intesa ed entrambi si
recarono in bagno per sistemare la propria copertura.
Quando
vi uscirono non erano più Sam Wilson e Sharon Carter ma Malik
Kitenge e la sua compagna Valerie Hale: elegantemente vestiti, Falcon
attorno al polso aveva un rolex tanto grande e abbagliante che si
sarebbe potuto notare a chilometri di distanza, l'agente 13 indossava
una curatissima parrucca nera tagliata a caschetto asimmetrico e una
bianca pelliccia celava le sue forme.
Una
volta lasciata la zona di ritiro bagagli, si soffermarono sul
cartello con su scritto 'BelgioiosoTour' fra le mani di
un'autista dall'aria apatica;
«Desidera
qualcosa signore?» gli domandò quest'ultimo in un inglese perfetto;
«Sì,
gradirei dare uno sguardo ai gioielli rari di Venezia»
rispose, seguendo le poche istruzioni che gli erano state fornite con
breve anticipo insieme all'invito. L'autista non si scompose;
«Molto
bene Mister Kitenge. Vogliate seguirmi».
L'uomo
li accompagnò ad una lussuosa berlina, con tanto di vetri oscurati.
Una volta che furono dentro incapparono in un altro uomo ben vestito
che sorrise loro;
«Signorina
Hale, signor Kitenge benvenuti. Lavoro per la famiglia Belgioioso, vi
posso offrire un drink di benvenuto?» domandò cordiale, il suo
accento italiano era molto forte. Sharon e Sam accettarono il drink
cercando di mostrarsi disinvolti; anche perché malgrado le maniere
piacevoli, qualcosa diceva loro che non sarebbe stato così semplice
rifiutare.
I
due intuirono immediatamente che c'era qualcosa che non andava nel
contenuto del bicchiere; l'uomo dei Belgioioso li guardava a vista,
le sue labbra erano stese in un sorriso benevolo ma i suoi occhi
scrutavano le loro reazioni come un falco fissa la propria preda.
«Cin
cin tesoro!» esordì Sam facendo tintinnare il suo calice con quello
della ragazza che gli sorrise amabile. Entrambi ingollarono il
contenuto senza esitazioni.
La
reazione fu quasi istantanea, i due agenti crollarono svenuti, i
calici rotolarono sul tappetino dell'auto crepandosi.
*
L'indice
metallico picchiò lentamente sul bracciolo in ferro, scandendo un
tempo che sembrava passare solo nella sua testa. Il tintinnare di
catene e i gemiti rabbiosi avevano smesso di attirare la sua
attenzione, così come le voci sempre più flebili che chiedevano
“perchè?” o semplicemente aiuto. Non era l'unico essere
umano che sarebbe stato venduto come una merce rara e preziosa,
ognuno di loro valeva cifre esorbitanti alla pari di tanti oggetti
che erano stipati ordinatamente in quello che veniva chiamato
deposito.
In
quei giorni James si era riempito gli occhi di poetici quadri creduti
perduti, manoscritti antichi, ma anche armi di distruzione di massa,
batteriologiche, nucleari, agenti chimici praticamente introvabili
ritenuti leggendari persino al mercato nero; aveva visto le armi
chitauriane, talmente tante da equipaggiare un esercito, ma il suo
sguardo aveva intravisto anche qualcos'altro, qualcosa che gli aveva
riportato alla mente spiacevoli immagini. Le più grandi opere
simbolo di cultura illuminata si accostavano alle più grandi opere
di morte che mente umana fosse stata mai in grado di concepire. Luce
e ombra si rincorrevano in quel deposito, come Bucky non aveva mai
visto.
«Ah!
La mia punta di diamante, il mio Jolly... il Soldato d'Inverno».
James
digrignò i denti, stringendo i pugni osservando una sinuosa figura
di donna a cui apparteneva quella voce graffiante e tanto suadente,
incedere verso di lui.
«Allegra
Belgioioso presumo» sputò il supersoldato, lanciandole un'occhiata
raggelante.
Allegra
Belgioioso era la secondogenita dell'attuale patriarca Cesare, che
continuava a perpetrare la ormai secolare attività illegale del
casato. Era alta, indossava un semplice tubino rosso che esaltava il
suo fisico formoso, lunghi capelli biondo rame ricadevano su una
spalla, gli occhi nocciola, sapientemente truccati, lo osservavano
trionfanti, all'indice destro portava un enorme anello d'oro con lo
stemma della sua famiglia.
«Precisamente
– il suo accento italiano si percepiva appena – perdonami per non
essere subito venuta a darti il benvenuto-»
«Ci
ha pensato tuo fratello stai pure tranquilla!» berciò già
insofferente verso quell'inutile conversazione di circostanza.
«Alessandro
è schiattato d'invidia, ti devo ringraziare mio caro» celiò la
donna riferendosi al fratello maggiore. E così era lei che avrebbe
beneficiato della sua vendita.
«Peccato
che non sia schiattato davvero» replicò lui con voce dolce come il
fiele. Aveva più o meno capito come funzionavano le cose all'interno
della famiglia: esisteva una lotto interna fra i due fratelli: ognuno
dei due metteva all'asta i lotti che era riuscito a procurarsi, al
termine si prendeva minuziosamente nota dei guadagni, alla dipartita
dell'attuale capofamiglia il figlio che aveva totalizzato più
capitale diventava gli succedeva di diritto, mentre il perdente
veniva condannato all'oblio.
«Sei
divertente Soldato d'Inverno, è proprio un peccato che tu valga così
tanto, altrimenti non mi sarebbe dispiaciuto averti tutto per me»
affermò maliziosamente Allegra avvicinandosi alla teca rinforzata di
vetro che in cui era rinchiuso, tenuto legato alla sedia con spesse
manette sia ai polsi che alle caviglie che, Bucky sospettava, fossero
fatte in buona parte di vibranio.
«Perdonami
se non mi mostro affranto» ribatté James, un istinto omicida ormai
gli serpeggiava dentro.
«Crudele
– celiò falsamente dispiaciuta – ora vorrai scusarmi ma devo
fare la conoscenza della mia ultima merce, prima di stasera» gli
strizzò l'occhiolino mentre i suoi uomini giungevano trasportando in
una gabbia non troppo grande, un ragazzino che era appeso
disperatamente alle inferriate arrugginite e gridava aiuto in una
lingua che riconobbe come russo.
Alla
sua vista James si sentì male sul serio, l'adolescente doveva avere
solo un anno in meno di Jace; quella somiglianza gli fece seccare la
gola, lasciandogli in bocca un gusto amaro.
*
Gli
occhi scuri di Sharon Carter fissavano assenti il raffinato affresco
del soffitto, non si era ancora resa conto di essere sveglia. Scrollò
piano la testa e lentamente si mise seduta. Aveva freddo. Quella
sensazione fu come una scintilla di lucidità, ispezionò l'ampia
stanza arredata con mobili antichi e pregiati, probabilmente solo il
tappeto valeva quanto una proprietà di Stark. Solo in un secondo
momento si rese conto di essere semidistesa su comodo letto
matrimoniale con tanto di baldacchino; Sam dormiva accanto a lei, in
boxer. Quella visione diede un'ulteriore scossa alla ragazza che
notò, con un tuffo al cuore, di essere anche lei solamente in
intimo.
«SAM!»
trillò saltando quasi dal letto, mentre l'ex pararescue aprì di
colpo gli occhi senza nemmeno sbattere le palpebre.
«Dove
siamo?» domandò con voce impastata, stiracchiandosi.
Improvvisamente si accorse di essere praticamente in mutande e dando
una veloce occhiata a Sharon impallidì voltando rapido lo sguardo,
mentre la bionda si tirò il piumone addosso.
«Non
dirlo a James!» esalò il ragazzo cercando di individuare
rapidamente il proprio bagaglio, non volendo pensare a come avrebbe
potuto reagire il supersoldato se qualcuno gli avesse riferito di
quella situazione.
«Nono!»
lo rassicurò lei, stringendosi le coperte addosso.
Qualcuno
bussò alla loro porta prima che potessero parlare di quello che
stava succedendo.
«Avanti!»
disse a malincuore l'agente 13 e subito dopo si premurò di mettere
su un'espressione snob e stizzita.
Una
cameriera entrò seguita subito dopo dagli elegantissimi Alessandro e
Allegra Belgioioso.
«Buon
pomeriggio nostri cari ospiti! Sono Allegra e lui è mio fratello
Alessandro. Vogliate scusarci per l'inconveniente del sonnifero ma
comprenderete che le precauzioni non sono mai troppe...» Sam nei
panni del tronfio signore della guerra Malik si disse turbato dai
loro metodi ma che li comprendeva benissimo «Ah, sono stati eseguiti
dei controlli sui vostri bagagli, così come sui vostri vestiti» Sam
e Sharon trattennero impercettibilmente il respiro «Troverete i
vostri effetti sistemati nell'armadio, vi preghiamo stasera di
indossare i vostri abiti più belli. Per voi, che è la prima volta,
la vostra barca personale vi attenderà alle ventitré in punto, la
cena vi sarà servita in camera»;
«Vi
preghiamo anche, di non lasciare le vostre stanze fino a quell'ora»
aggiunse il maggiore dei fratelli, un uomo sulla trentina
terribilmente affascinante dai capelli biondo ramato, come quelli
della sorella, e l'aria aristocratica, si avvicinò a Sharon e le
fece un perfetto baciamano, sotto lo sguardo insofferente di Sam che
si sentiva in dovere di fare le veci di Bucky, probabilmente glielo
avrebbe pure comunicato più tardi, se tutto andava come doveva.
«Credo
che troverete l'asta di vostro gradimento» Sharon sorrise civettuola
«A più tardi».
Attesero
qualche istante dopo l'uscita dei due fratelli prima di lasciarsi
andare ad un lungo e sollevato sospiro.
«Stark
a quanto pare sapeva quel che faceva!» affermò Sam andando
all'armadio e vestendosi, la bionda fece altrettanto;
«Sembra
che ci sia tutto, Tony era sicuro che i dispositivi sarebbero passati
inosservati...».
Dalla
valigia, l'agente 13 estrasse un fine astuccio rigido di forma
rettangolare mediamente grande, una volta aperto Sam prese la coppia
di gemelli e un piccolo quadratino d'oro che era molto più di un
prezioso orecchino a plic. La ragazza invece mise da parte i
bellissimi orecchini a goccia e concentrò la propria attenzione
sullo specchio dell'astuccio, con attenzione tolse l'invisibile ma
spessa pellicola che lo proteggeva.
La
superficie riflettente si rivelò essere uno display touch che ben
presto gli permise di mettersi in comunicazione con la squadra di
supporto.
«Ce
l'avete fatta!» il piacente viso di Steve Rogers comparve sullo
schermo, l'espressione evidentemente sollevata, subito dopo gli si
affiancarono Maria e Melinda. I tre erano giunti a Venezia circa due
giorni prima pronti a fornire supporto tattico ai compagni, Clint era
ancora debilitato così May aveva preso volentieri il suo posto,
Steve era stato tranquillizzato dal fatto che ci sarebbe stato
l'arcere accanto a Natasha mentre lui non c'era.
«Ce
ne avete messo di tempo...» fece notare l'agente Hill inarcando un
sopracciglio. La comunicazione era abbastanza disturbata ma non
avrebbero dovuto avere grossi problemi.
«Beh
non ce ne siamo accorti, visto che ci hanno sedato come siamo
arrivati e poi perquisito bellamente mentre continuavamo ad essere
svenuti!» spiegò Sam leggermente piccato.
«Alla
faccia della sicurezza, forse dovremmo farci dare lezioni da loro...»
esordì Melinda che non si capì bene se stesse scherzando o dicesse
sul serio.
«Le
apparecchiature di Stark non sono state scoperte quindi?»
«No
a quanto pare aveva ragione...»
«Evitiamo
comunque di farglielo sapere...» frecciò Maria facendo ridacchiare
tutti.
«Bene.
Convenevoli a parte, sembrate stare bene, dove siete?» si informò
il capitano tornando serio.
«Non
riuscite a individuarci attraverso il GPS?» chiese Sharon
aggrottando perplessa la fronte liscia. May e Maria scossero il capo;
«Probabilmente
hanno qualche apparecchio che funge da disturbo intorno all'area»
ipotizzò l'asiatica. Quello era un problema. Sam corse alla finestra
ma purtroppo non vi era nulla che potesse aiutarli ad identificare il
luogo, potevano trovarsi in una qualsiasi parte di Venezia che avesse
acqua e un ponticello in pietra non lontano.
«Forse
c'è un modo!» affermò Sharon guardando l'ex pararescue che annuì
complice.
«Raggiungeremo
il luogo dell'asta con la barca, il tragitto potrebbe essere l'unica
occasione per individuare la nostra posizione!».
«Sperando
che anche l'imbarcazione non sia schermata, perché sono quasi pronta
a scommettere che il luogo dell'asta lo sarà» l'agente Hill,
attraverso lo schermo, guardò intensamente Sam che le sorrise
rassicurante. Quello era il suo modo per chiedergli se stava davvero
andando tutto bene.
Il
capitano annuì pensieroso;
«Abbiamo
un margine d'azione ridotto, ma cercheremo di farcelo bastare... A
che ora lascerete il luogo?»
«La
barca salperà alle ventitré»
«D'accordo
allora. Siate prudenti e attenetevi al piano-»
«Se
non doveste essere in posizione?» volle sapere Sam sperando di non
dover affrontare quell'ipotesi;
«Improvvisate»
replicò May con leggerezza. Falcon ne ebbe la certezza, in quel caso
era matematico che sarebbero finiti nei guai come mai prima.
«Buona
fortuna!»
«Anche
a voi» sospirò l'agente 13 prima di chiudere ogni comunicazione.
*
Steve
si sistemò la divisa scura ed uscì sul piccolo balcone che dava su
uno stretto canale. Afferrò il cellulare, a New York doveva essere
pomeriggio inoltrato.
Rispose
al secondo squillo.
«Sto
bene Steve» soffiò la voce carezzevole e divertita di Natasha. Il
capitano chinò il capo ma con il sorriso sulle labbra.
«Sono
davvero prevedibile...» tentò di scherzare lui;
«Vogliamo
davvero parlarne?»; il sorriso si accentuò, la sua mente non si
dovette nemmeno sforzare per visualizzare l'espressione semi
esasperata della compagna; la immaginò accoccolata sul divano,
avvolta in un morbido maglione pesante e una calda coperta stesa
sulle gambe, una mano poggiata protettiva sul ventre. Quel pensiero
lo fece stare incredibilmente bene.
«Stiamo
per procedere...» si costrinse, invece, a dire. Poté quasi sentirla
irrigidirsi.
«Avvertirò
gli altri...» un sospiro trattenuto «Steve lo sai» celiò
con tono dolce. Un tono che riservava solo a lui; il capitano si
dovette prendere un istante mentre il suo cuore cedeva di un battito;
«Lo
so. Anch'io Natasha, non sai quanto» la sentì sorridere e sorrise
anche lui.
«Ora
devo andare»
«D'accordo.
Steve... torna» 'da me' «E riportali indietro interi»
«Promesso».
______________________
1=
Unità di misura statunitense. Corrisponde a -1 gradi Celsius;
2=
una delle lingue della Repubblica Democratica del Congo.
___________________________________________________________________________
Fine
prima parte! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, inizialmente non
avevo previsto di dividere il capitolo in due parti... ma a mano a mano
che prendeva forma mi sono resaconto che rischiavo non tanto di farlo
troppo lungo ma che probabilmente avrei sacrificato alcune parti e il
risultato sarebbe stato troppo concitato e troppo pieno di "fatti".
Come avete notato quello preso un po' peggio è James che
seguendo il piano di Natasha si è immolato alla causa, mandando
Sharon un filino in crisi! Ma le sorprese non mancheranno nella seconda
parte... Riguardo l'inizio del capitolo, avete qualche idea su questi
ancora misteriosi personaggi? ;)
Bene,
per il momento è tutto, per qualsiasi dubbio vi invito a
chiedermi qualsiasi cosa a riguardo e io vi RINGRAZIO ancora tantissimo
per il vostro supporto (da chi commenta a chi segue e anche a chi legge
semplicemente :)
Ci si vede fra due settimane: LUNEDI' 06 MARZO!
A presto!
|
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Capitolo 8 *** The Show must go on (parte II) ***
08
Buon
pomeriggio a tutti! Per un soffio sono riuscita a terminare il capitolo
in tempo, questa volta è stata davvero una corsa contro il
tempo, ma nonostante sono di nuovo qui a postare per tempo!
Allora qui
c'è poco da dire questo è la continuazione diretta del
capitolo precedente e i guai ovviamente non mancheranno!
Buona Lettura!
Capitolo
Otto: The Show must go on (parte II)
“Prima
o poi,
la
peggiore combinazione possibile di circostanze
è
destinata a prodursi”
Arthur
Bloch ~ Legge di
Murphy
Sharon
afferrò gentilmente la mano che Sam le porse, aiutandola a scendere
dall'imbarcazione. Sperava davvero che la recita della spietata
coppia innamorata stesse funzionando a dovere, perché lei, invece,
si sentiva tremare dentro. La mano, con le unghie laccate di un
acceso rosso, andò a lisciare pieghe inesistenti del vestito che
indossava: un raffinato abito lungo nero, con una generosa scollatura
sul davanti, maniche lunghe e un profondo spacco che metteva in
mostra quasi interamente la nuda gamba sinistra. Come minimo a James
sarebbe venuta una crisi isterica.
Il
pensiero del soldato le provocò un lungo brivido, sperò, con tutta
se stessa, che stesse bene e che, se tutto fosse andato come doveva,
quella notte sarebbe stato nuovamente suo.
A
braccetto lei e Falcon percorsero il lungo pontile in legno fino a
giungere ad un'elegante villa con evidenti e preziosi ornamenti in
gotico veneziano, un lungo portico colonnato conduceva all'interno.
«Sei
pronto?» bisbigliò l'agente 13 all'orecchio di Sam, facendolo
passare per un sussurro malizioso. Lui si costrinse a sfoderare un
sorriso accattivante per non tradire il suo personaggio.
«Per
niente. Muoviamoci come se non avessimo appoggio... Prima di tutto
troviamo Bucky, io mi occupo di individuare le possibili uscite e
uomini-»
«Io
penso alle armi chitauriane...» concordò la ragazza rafforzando la
presa sulla sua clutch.
L'interno
della villa era maestoso; i soffitti a volta erano alti e affrescati,
i pavimenti erano in lucido marmo chiaro e gli arredi d'epoca
barocca.
Prontamente
un cameriere in livrea offrì ai due sotto copertura un vassoio con
affusolati calici ripieni di pregiato vino italiano, accettarono e
passarono oltre guardandosi attorno con discrezione. Ad una prima
occhiata si poteva pensare che il Signore della guerra e la sua
compagna stessero ammirando il fascino delle antiche ville veneziane,
ma in realtà si stavano assicurando una via di fuga.
Improvvisamente
si radunarono tutti nel salone d'ingresso; Sharon si guardò attorno
notando che fra i numerosi e facoltosi ospiti vi erano anche alcuni
ricercati dalla CIA.
«Miei
gentili ospiti» la voce baritonale e divertita di Cesare Belgioioso
li accolse, «Benvenuti a Ca' Belgioia, vorrei ringraziare tutti voi
per aver viaggiato così lungamente per poter essere qui con noi».
L'attuale capofamiglia, nonostante ormai l'età avanzata e i capelli
sale e pepe era ancora un bell'uomo dal fisico longilineo, la fronte
spaziosa, i lineamenti aristocratici e gli occhi nocciola striati
d'oro. Accanto a lui i due figli, la cui somiglianza in quel momento
era resa ancora più evidente, osservavano i loro acquirenti con
sguardo attento ma compiaciuto.
«Come
da consuetudine avrete a disposizione trenta minuti da trascorrere
tra i lotti, prima che l'asta cominci» gli occhi scintillarono
maliziosi, fece una pausa ad effetto prima di riprendere a parlare
«Un assaggio per stuzzicare il vostro appetito...» un risata
frivola e divertita si propagò fra gli ospiti.
Subito
dopo la folla di acquirenti si disperse iniziando a vagare affamata
fra i lotti.
Sharon
e Sam si aggirarono tranquillamente fra le merci, tampinati
discretamente da Alessandro Belgioioso a cui chiedevano delucidazioni
su alcuni pezzi per non destare sospetti. Poi, finalmente, uno dei
lotti attirò la loro totale attenzione; il cuore dell'agente 13
sussultò.
Il
Soldato d'Inverno, vestito con un sobrio completo nero d'alta
sartoria, era stato letteralmente inchiodato alla sedia grazie alle
pesanti manette e sorvegliato a vista, tirato a lucido ed esposto
come qualsiasi altra merce. Alla vista dei due compagni inarcò
pericolosamente un sopracciglio in direzione della ragazza.
Sharon
si dovette trattenere dal roteare gli occhi, sapeva che avrebbe
disapprovato il vestito. Gli pareva il caso di mettersi a fare il
fidanzato geloso in quel momento?
«E'
proprio lui...?» chiese leggermente incredulo Sam al maggiore dei
fratelli Belgioioso. A quella domanda il naso di Alessandro fremette
appena, infastidito.
«Già
è proprio il temibile Soldato d'Inverno» rispose con fredda
cortesia. Non era nei suoi interessi rendere appetibile una merce
della “concorrenza”.
«E'
così pericoloso come dicono?» lo provocò l'agente mentre il suo
sguardo non lasciava quello di James.
«Di
più.» soffiò quest'ultimo continuando a fissarla.
Sam
si schiaffò mentalmente una mano in faccia. Riuscivano davvero a
flirtare in una situazione come quella?!
Ma
Sharon non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, sentiva la pelle
pizzicare sotto il suo sguardo intenso ma imperscrutabile, ogni suo
movimento era strettamente controllato per impedire all'istinto di
correre da lui e strappargli quelle dannate manette, riusciva a
vedere solo i pericoli che correva quella notte; era intollerabile
vederlo prigioniero, la voglia di toccarlo, di sentire la sua
presenza rassicurante contro il suo corpo la stava divorando.
«Silenzio»
abbaiò Alessandro, sperando vivamente che la sorella non fosse nei
paraggi.
Sharon
strinse la mandibola e distolse lo sguardo;
«Che
dici, caro, potrebbe servirci?» domandò con tono indifferente. Al
suo fianco Falcon soppesò la richiesta, gettando occhiate al Soldato
incatenato. Quest'ultimo cercò con gli occhi di comunicargli
qualcosa, muovendo appena le labbra.
Sam
intuì che c'era qualcosa che lo preoccupava, ma ovviamente non
poteva chiedergli apertamente che cosa voleva che facesse, doveva
limitarsi a tenere gli occhi bene aperti, ben sapendo che se qualcosa
preoccupava il Soldato d'Inverno quella cosa avrebbe portato guai a
tutti loro.
«Mi
sembra difficile da gestire» un lampo compiaciuto attraversò le
iridi nocciola del maggiore dei Belgioioso «Ma vedremo intorno a che
cifra si aggireranno le offerte...» disse con un sorrise sghembo.
«Mister
Belgioioso, io però sono venuto qui per le armi. Quelle americane
non bastano più!»
«Mister
Kitenge, sono sicuro che la sua richiesta verrà ampiamente
soddisfatta stanotte, ma la devo avvertire che non è il solo a
desiderare un salto di livello...»;
Sam
fece un verso seccato e affilò lo sguardo, come Maria gli aveva
insegnato;
«Da
chi altro devo guardarmi!» berciò infastidito.
Per
Alessandro Belgioioso fu come essere invitato a nozze, le armi
chitauriane rientravano fra i suoi lotti, aizzare i compratori fra
loro avrebbe reso il prezzo più alto e consegnato a lui un non
indifferente vantaggio sull'odiata Allegra.
«Oh
non so se ne ha mai sentito parlare, un gruppo terroristico creduto
annientato al termine della Seconda guerra mondiale e invece tornato
sorprendentemente alla ribalta, l'Hydra.»
«E
sono qui con noi stasera?» chiese amabilmente Sharon tenendo a bada
l'ansia.
«Sì.
Una donna e un uomo. Devo dire che per partecipare a quest'asta ci
hanno offerto qualcosa di incredibile valore, credo che sarà uno fra
i lotti più desiderati questa sera.»
«E
che cosa sarebbe di grazia?»
«Yen...»
tossì improvvisamente James Barnes attirando nuovamente l'attenzione
su di lui. Sharon e Sam furono attraversati da un brivido. Ti
prego fa che abbia sbagliato a sentire... Fa che non abbia detto...
«Psychotron.»
asserì fiero Alessandro ignorando il Soldato d'Inverno «Non so se
avete sentito parlare della strage in un villaggio russo qualche
tempo fa. Ne rimarrete affascinati ve lo garantisco!».
I
due acquirenti fecero un sorriso di circostanza. Ora non avrebbero
solo dovuto liberare Bucky e distruggere le armi chitauriane ma anche
impedire che lo Psychotron finisse nelle mani di chiunque si trovasse
in quella stanza.
James
Barnes era irrequieto, e il fatto che Sharon si trovasse ad una
stanza di distanza da lui e corresse i suoi stessi pericoli non lo
aiutava di certo. Il desiderio di liberarsi da quelle manette e
correre a proteggerla era quasi una necessità per lui.
Ormai
gli acquirenti si stavano tutti radunando nella stanza accanto,
l'asta stava per iniziare. Si accorse immediatamente, però, che vi
era qualcuno che non aveva tutta questa fretta di raggiungere il
resto degli ospiti. Con l'espressione più minacciosa del suo
repertorio il Soldato d'Inverno si volse verso l'uomo e la donna che
avanzavano verso di lui.
La
ragazza doveva avere all'incirca l'età di Sharon. Era alta e
sottile, sul viso magro si stagliavano due occhi castano-verdi dal
taglio lievemente allungato che lo fissavano maliziosi. I lunghi
capelli ramati le cadevano dritti come lame oltre le spalle
incorniciandole il volto. Le labbra scure stese in sorriso che era a
metà fra il sardonico e l'infantile. Un passo indietro, vi era un
ragazzo che doveva avere appena qualche anno in meno di lei, aveva i
lineamenti marcati del classico bel ragazzo americano, i capelli
erano corti e a spazzola, biondo scuro. Gli occhi azzurri scrutavano
seri l'ambiente circostante; James intuì che doveva essere una
specie di guardia del corpo, quando però si posarono su di lui ne
rimase colpito. Il ragazzo schiuse la labbra boccheggiante, malgrado
la sua espressione incerta capì che doveva conoscerlo.
Bucky
si sentì ancora più irrequieto, quelle due persone avevano qualcosa
di famigliare, sentiva di averle già incontrate prima. Ma era
inutile non riusciva a ricordare dove o quando e questo lo spaventò.
Non era una buona cosa.
La
ragazza si pose davanti a lui, si piegò in avanti, poggiando le mani
sulle cosce e mettendo in mostra la scollatura; i loro visi erano
molto più vicini di quanto James fosse disposto a tollerare, cercò
di non muovere un muscolo.
Il
sorriso della rossa nel frattempo si era fatto più ampio e ancora
più infantile. Bucky si sforzò di ricordare, le sembrava di averla
già vista ma non riusciva a capire. Il panico iniziava a serpeggiare
dentro di lui.
«Come
siamo seriosi Soldato d'Inverno!» la sua voce era come un coro di
campanelle, musicale ma al tempo stesso fastidioso.
«Maes-»
la guardia dietro la ragazza sbatté gli occhi sorpreso e
probabilmente parecchio confuso, ma fu subito messo a tacere da uno
schiaffo ben assestato. A quel gesto Bucky si sentì sprofondare.
«Mio
caro non parlare se non sei interpellato.» celiò lei con voce dolce
e falsa. I suoi occhi tornarono sul soldato. La sua mano andò ad
artigliargli il mento e le sue dita magre tormentarono il suo labbro
inferiore fino a graffiarlo e farlo sanguinare.
«Non
essere in pena Soldat.
Ho come il presentimento che ci rivedremo presto!».
Il
ragazzo dietro di lei aveva nuovamente assunto un'espressione atona,
imperscrutabile e la seguì ubbidiente mentre si allontanava.
«Aggiudicato
per dieci milioni a mister Tamaki!» dichiarò il banditore euforico.
Sharon
e Sam si unirono pacatamente agli applausi per l'ennesimo lotto
venduto. Se esternamente esibivano un'espressione neutra quasi
altezzosa, di chi quelle cifre era abituato a maneggiarle ogni
giorno; internamente i due erano sconvolti, se avessero potuto la
loro mascella sarebbe crollata fino a toccare terra davanti a tanto
denaro speso, senza batter ciglio, con lo scopo di aggiudicarsi un
po' di potere nel mondo.
«E
adesso signori e signore, vi presentiamo uno dei lotti più
prestigiosi di questa sera» il banditore accompagnava le parole con
plateali gesti, Allegra Belgioioso fece un sorrisino malizioso mentre
i suoi occhi si accesero di un luccichio famelico «Uno dei migliori
assassini in circolazione, ha all'attivo oltre due dozzine di omicidi
negli ultimi cinquanta anni! Ecco a voi... il Soldato d'Inverno» la
folla emise bassi mormorii concitati.
James
Barnes venne trascinato sulla pedana, il suo volto era una maschera
di ghiaccio e tenebra, lo sguardo insondabile vagava sull'intera sala
cercando una sola persona.
Sharon
Carter serrò la mascella, vederlo lì su quel palco, peggio di un
animale da circo, dopo che quel dannato banditore ne aveva ricordato
la fama le causò un'ondata di dolore, ma fu quando iniziò a sentire
le offerte che fioccava con velocità assurda che le sembrò di
essere precipitata in un incubo.
Falcon
intuì i suoi patimenti e le strinse gentilmente la mano iniziando a
fare offerte anche lui; anche se lo scopo non era quello di vincere
l'asta.
Le
cifre avevano superato i cinquanta milioni, Bucky cercava di ignorare
quell'odiosa sensazione e teneva fisso il suo sguardo su Sharon, che
tentava di trattenersi dall'urlare nauseata, avrebbe voluto salire su
quella pedana e proteggerlo, poteva vedere quel desiderio nei suoi
candidi occhi color cioccolato. Gli venne quasi da sorridere, cosa
aveva fatto lui, Soldato d'Inverno, per meritarsi lei, la
ragazza dell'Estate?
«Cento
milioni e uno... Cento milioni e due... Aggiudicato per cento milioni
al fortunato signore della Corea del Nord!».
L'agente
13 provò un moto d'odio, le dita si contrassero intorno alla
pochette, ma si costrinse a scrollare le spalle, doveva essere
paziente.
Il
prossimo lotto furono le armi chitauriane, ne furono esposte un paio
ma il loro reale numero bastava per equipaggiare un esercito di
medie-grandi dimensioni. Il banditore aveva appena fatto in tempo ad
aprire bocca che le offerte erano iniziate a salire a cifre stellari.
Alessandro scoccò alla sorella una pericolosa occhiata, da cui
Allegra non si lasciò sfiorare.
Sam
provò ad essere competitivo e lui e Sharon capirono immediatamente
che la loro principale concorrente era proprio l'Hydra, incarnata
nella sinuosa figura di una ragazza dai capelli rame. Entrambi
provarono una sensazione di familiarità ma nessuno dei due avrebbe
saputo dire il perché. Vi era qualcosa di enigmatico e conturbante
in quella ragazza, il suo sorriso mellifluo metteva i brividi.
Come
previsto l'Hydra vinse l'asta, a quel punto i due si scambiarono
un'occhiata d'intesa; era giunto il momento di agire.
Sharon
Carter si liberò della parrucca nera, si tolse i vertiginosi sandali
e scivolò fra le ombre seguendo l'uomo della sicurezza che era
incaricato di trasferire la merce venduta in un deposito differente
da quello di partenza. Per tutto il tempo non fece altro che
guardarsi le spalle per vedere se era seguita.
Dopo
un tortuoso percorso fra corridoi spogli giunse ad un ampio magazzino
interrato in pietra e dai soffitti voltati; a quel punto decise di
uscire allo scoperto.
«Mi
scusi!» fece con tono stizzito «Stavo cercando il Picasso, sa l'ho
pagato una fortuna e-»;
L'agente
della sicurezza per un attimo spiazzato si riebbe e assunse un
espressione grave;
«Non
può stare qui» abbaiò convinto di incuterle timore «i lotti
verranno consegnati al termine dell'ast-» la bionda passò subito
all'attacco lo colpì in pieno volto con una gomitata, tramortendolo.
«James!»
esalò andando verso la teca in cui era imprigionato il supersoldato,
aveva solo delle spesse manette ai polsi.
Bucky
toccò con la fronte la liscia superficie antiproiettile e la osservò
con insistenza;
«Non
c'era un altro abito?» fu la prima cosa che disse. In realtà
c'erano un milione di cose che avrebbe potuto dire prima di quella,
ma come al solito i suoi sentimenti erano in subbuglio, l'amore si
mischiava all'angoscia e alla sottile vena di gelosia.
Sharon
strabuzzò gli occhi allibita, scosse il capo e continuò a
trafficare con la tastierina numerica nella speranza di liberarlo.
«Fra
tutte le cose...» masticò divisa fra l'esasperato e il compiaciuto;
«Lo
so perdonami. Sharon lascia perdere pensa alle armi chitaurian-» un
inudibile spostamento d'aria «SHARON!».
La
ragazza fece appena in tempo a scostarsi di un soffio che un pugno si
abbatte sulla prigione di James. Fu talmente forte che il vetro si
crepò e la teca si rovesciò all'indietro, il Soldato d'Inverno si
ritrovò a sbattere violentemente la schiena e rimase per un attimo
senza fiato.
Sharon
sbatté gli occhi osservando il ragazzo davanti a sé, la sua mano
era schizzata di sangue e aveva diverse nocche spaccate a causa del
colpo eppure non sembrava sentire dolore. Non sembrava sentire nulla.
Le
si scagliò addosso e lei iniziò a combattere in difesa. Parare i
colpi si rivelò forse più doloroso che riceverli, si accorse
all'istante che quel ragazzo aveva una forza micidiale, riuscì a
resistere solo grazie ai svariati allenamenti che aveva fatto con
James; non appena poté passo al contrattacco nel mentre con lo
sguardo cercava qualsiasi cosa che potesse fare da arma.
Bucky
nel frattempo digrignava i denti continuando a colpire con calci
mirati il punto in cui il vetro si era incrinato. Cercava di restare
concentrato ma i gemiti mozzati dell'agente 13 e i rumori dello
scontro non lo aiutavano di certo. Ogni volta che lei si trovava in
pericolo la freddezza del Soldato d'Inverno vacillava e forti
sentimenti iniziavano ad accavallarsi.
Sharon
respinse l'avversario con una ginocchiata ben assestata, ma non
appena pensò di riprendere fiato il suo avversario estrasse un
pugnale pronto ad usarlo; in quello stesso istante James Barnes
ancora ammanettato riuscì a frantumare il vetro, balzò in avanti
avvolgendo la ragazza fra le braccia ed esponendo il braccio
metallico in cui l'arma andò a conficcarsi.
«Stai
bene?» le sussurrò preoccupato all'orecchio. Lei annuì piano, poi
lo richiamò notando la presenza della donna dell'Hydra.
«Ma
che bel quadretto» sghignazzò Sin puntando la pistola contro i due
e facendo fuoco. Bucky e Sharon si gettarono dietro una cassa per
ripararsi dai proiettili.
Improvvisamente
un trambusto fece distrarre perfino la rossa e il suo agente che
perplessi dovettero proteggersi dall'inaspettata carica.
«Abbiamo
portato la festa qui» esordì Sam urlando, riferendosi al fatto che
oltre a Steve, May e Maria si fossero trascinati dietro uno squadrone
d'assalto personale dei Belgioioso.
«Tu!»
trillò Sin livida «Liberati di loro» ordinò all'agente N, che
senza emettere un fiato caricò contro i nuovi arrivati. Bucky lo
intercettò e con un cenno d'intesa a Steve, i due lo affrontarono
insieme.
Melinda,
Maria e Sam si stavano occupando degli agenti dei Belgioioso mentre
Sharon si scagliò contro Sin, il cui obiettivo erano le armi
chitauriane.
«Oh
e così sei tu Sharon Carter» celiò la rossa con sguardo malizioso
«Fatti da parte non vorrai mica rovinare quel tuo bel faccino»
ridacchiò «Rumlow potrebbe rimanerci male». Alla bionda si mozzò
il fiato a quel nome, scrollò il capo e il suo sguardo si fece
severo;
«Fatti
sotto stronza!» sibilò.
Fu
uno scontro duro, Sharon riusciva quasi a equipararla in quanto ad
agilità, ma lo stile di combattimento dell'altra era imprevedibile e
ben presto si ritrovò a stringere i denti, frustrata.
«Maria!
May! Dobbiamo liberare i prigionieri» strepitò Sam guardandosi
attorno, l'agente della sicurezza finì a terra incosciente. Dovevano
liberare le persone o non avrebbero potuto procedere, con la coda
dell'occhio vide Bucky fargli un cenno in direzione di Sharon e lui
annuì d'accordo.
Nel
frattempo Steve e James avevano un piano tutto loro per liberare gli
ostaggi, afferrarono l'agente dell'Hydra e lo scagliarono
violentemente contro un'altra teca che tremò e si aprì a causa del
tastierino distrutto.
«Sbaglio
o sembra possedere la tua stessa-» iniziò il capitano;
«Forza?»
terminò per lui l'amico. Annuì.
«Non
è una buona cosa» esalò James affranto, sentì il tocco fermo di
Steve e si voltò verso di lui, il suo sguardo cercò di infondergli
una certa sicurezza e tranquillità e non poté che essergliene
grato.
«Sharon!»
urlò l'agente Hill «Questo era l'ultimo!» la avvertì.
«Sam
vai...» bisbigliò Sharon al compagno che la stava aiutando ad
affrontare la ragazza dell'Hydra.
Sin
assottigliò lo sguardo intuendo che c'era qualcosa che non andava,
ma la bionda l'attaccò con foga e con una rapidità che non si
aspettava la spedì contro un muro facendole perdere il respiro.
L'agente 13 estrasse dalla clutch alcuni dischetti di metallo, li
attivò e li lanciò sui cassoni contenenti le armi chitauriane.
James
allungò il braccio mentre lei gli andava incontro, l'abbracciò e
Steve alzò lo scudo. Sam si lanciò verso Maria e insieme a May si
ripararono dietro alcune teche ormai vuote.
Lo
scoppio fu abbastanza potente da far tremare l'intero deposito,
alcuni frammenti di muro e di soffitto crollarono come pioggia a
terra. Tutti si azzardarono a guardare in direzione delle casse, il
fumo non si era ancora del tutto diradato ma l'obiettivo sembrava
essere stato raggiunto. Le armi chitauriane era state dilaniate,
pochissime erano sopravvissute all'esplosione, alcune erano arse
dalle fiamme.
«Steve!»
trillò James mentre nella distrazione generale, l'agente dell'Hydra
ne aveva approfittato per rimettersi in piedi – seppur stordito –
e attaccare il capitano che volò indietro impreparato.
Bucky
e Sam reagirono immediatamente lanciandosi contro di lui, primo a
causa del forte legame che intercorreva fra i tre, secondo perché
Natasha non ci avrebbe pensato due volte a piantargli a ciascuno una
pallottola in mezzo alla fronte se solo a Steve fosse successo
qualcosa e pazienza per Sharon e Maria.
Nel
frattempo Sin ne aveva approfittato per dileguarsi, zoppicò verso
l'uscita livida di rabbia, e infastidita dall'intera situazione.
Malgrado ciò un sorrisino divertito scivolò sulle sue labbra
ammaccate, si sarebbe divertita un modo a vendicarsi.
Sam
colpì N alle gambe mentre James lo sorprese dall'altro lato e Steve
lo colpì al petto con una ginocchiata. Ma l'agente dell'Hydra si
stava difendendo bene e non sembrava preoccuparsi dei colpi che gli
venivano inferti implacabili. Improvvisamente però il suo intero
corpo vacillò e la vista gli venne meno, crollò al suolo senza
emettere un suono, intorno a lui cocci di un pesante vaso sembravano
disegnare un macabro quadro.
«Ci
stavate mettendo troppo» affermò Melinda May neutra osservando
prima l'agente dell'Hydra svenuto e poi Steve, James e Sam che la
fissavano di rimando un tantino allibiti e lievemente imbarazzati.
Tutti
si sporsero verso il ragazzo privo di sensi.
«E
ora che ne facciamo?».
___________________________________________________________________
Insomma
anche questo capitolo è terminato e devo dire, per una volta, in
favore degli Avengers... Hanno impedito all'Hydra di acquisire le armi
chitauriane, sono addirittura riusciti a catturare un loro agente,
certo lo Psychotron ora è in commercio, Sin è scappata e
medita vendetta, ecco forse è questo è proprio l'altra
faccia della medaglia. Ma almeno nessuno si è fatto male...
almeno per il momento.
Come vedete ho dedicato molto spazio a Sharon e Bucky, e loro ormai
sono al centro dell'attenzione alla pari di Natasha e Steve, entrambe
queste coppie dovranno affrontare dure prove, riusciranno a superarle?
Non vi resta che continuare a leggere!
Io vi ringrazio una volta ancora per tutto il supporto che ricevo da parte vostra, ne rimango ogni volta commossa ^^
Per il prossimo aggiornamento mi riservo di pubblicare tra LUNEDI' 20 e MARTEDI' 21 MARZO o (spero di no) DURANTE LA SETTIMANA,
questo perchè la prossima settimana ho degli impegni che mi
terranno parecchio occupata purtroppo! Per qualsiasi notizia vi invito a seguire
la mia pagina fb "Asia Dreamcatcher" oppure potete contattarmi qui su EFP.
A presto!
|
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Capitolo 9 *** Who is the first to burn? ***
09
Salve
a tutti voi, all'ultimo minuto ma ci sono riuscita! Pronta a lasciarvi
con questo nuovo capitolo, qui potrete leggere alcune delle conseguenze
di ciò che è successo nel precedente capitolo... Voglio subito ringraziare tantissimo non solo i miei fantastici recensori ma anche tutti coloro che sono giunti fino a qui!
Buona Lettura!
Capitolo
Nove: Who is the first to burn?
“There's
a rumble in the floor
So
get prepared for war
When
it hits it'll knock you to the ground”
~
Thousand Foot Krutch, “Courtesy Call”
02
Gennaio, Punto imprecisato dello spazio aereo sopra l'Oceano
Atlantico.
Il
suo sguardo adamantino analizzò ancora una volta le pareti bianche
asettiche della piccola stanza, si soffermò poi sulle manette
rinforzate che gli serravano i polsi ai braccioli del lettino, una
spessa cinghia di metallo gli pesava sul petto ampio e sulle gambe
robuste; un tubicino trasparente, collegato ad una sacca piena per
metà, penetrava nella vena del braccio facendo sì che l'agente
dell'Hydra restasse incosciente.
Bucky
Barnes chiuse gli occhi massaggiandosi con le dita la radice del
naso.
Fuggire
da Ca' Belgioia non si era rivelato una passeggiata, non quando
dovevi trasportare un pericoloso agente nemico che avrebbe potuto
svegliarsi da un momento all'altro, e a quanto pare i Belgioioso non
avevano solo degli squadroni di combattimento, ma anche la villa
stessa aveva sistemi di sicurezza che impediva a eventuali ospiti,
merci vive o intrusi di lasciare quel posto incolumi. Senza contare
che prima di dileguarsi aveva ben pensato di farla pagare ad
Alessandro Belgioioso per aver avuto l'ardire di avvicinarsi troppo a
Sharon, mentre Allegra oltraggiata strepitava vendetta.
Riaprì
gli occhi guardando oltre il vetro protettivo l'agente catturato e
sedato.
Non
riusciva a fare a meno di stare lì a fissarlo, cercando di
ricordare. Perché sapeva di averlo già visto, non solo perché quel
ragazzo aveva dato segno di riconoscerlo, ma lui stesso aveva
avvertito una sensazione di dejà vu.
L'aveva
chiamato 'maestro'. Possibile che fosse legato alla Red Room?
Che ne fosse stato l'addestratore? Eppure lui rimembrava solo
ragazzine... Malgrado il tempo la sua memoria continuava a vacillare,
sarebbero rimasti dei vuoti che probabilmente non sarebbe mai
riuscito a colmare.
Due
braccia sbucarono da dietro avvolgendogli la vita, si irrigidì per
pochi istanti prima di rilassarsi un poco contro il corpo di Sharon.
«James,
che succede?» gli chiese mentre con la fronte sprofondava fra le sue
scapole.
Bucky
le accarezzò distrattamente le mani che gli serravano il busto.
«Io...
non lo so» sospirò infine, distogliendo lo sguardo dal vetro.
L'agente
13 lo fece voltare e lo guardò in viso.
Com'era
bella la sua
Sharon, con il volto dolce e tondeggiante, gli occhi scuri ed
espressivi, ora corrucciati e imbratti di trucco sbavato, le labbra
rosse in quel momento leggermente dischiuse; James saggiò con il
polpastrello la morbidezza del labbro inferiore, più carnoso
rispetto a quello superiore. In trans la strinse a sé, così forte
da farle quasi male, come se non avesse più appigli all'infuori di
lei.
Sharon
ne fu spaventata, ricambiò la stretta e quando riuscì nuovamente a
guardarlo in volto le sembrava un bambino spaventato. Le si strinse
il cuore.
«Jame-»
«Credo
di averlo già conosciuto...» confessò piano, spostando lo sguardo.
«Ma
non ricordi...»; lui scosse il capo, allargò le braccia in un gesto
disperato;
«Non
è una buona cosa, non lo è mai!».
La
biondina lo fissava con apprensione, lui si muoveva come un animale
in gabbia.
«Lui
mi ha riconosciuto»
«La
Red Room?»;
Bucky
si passò una mano fra i capelli, nervoso.
«Non
ne ho idea. Sharon lui è... è come-»
«Te.»
affermò lei, avendo avuto durante lo scontro, nei depositi di Ca'
Belgioia, la stessa preoccupante sensazione.
«A
quanto pare il passato non ne vuole sapere di lasciarmi in pace –
ridacchiò isterico, esasperato – ma forse è questo che merito...»
«Non
dire così James!» sbottò Sharon a pugni serrati con occhi lucidi,
angosciata perché l'uomo che amava non era ancora al sicuro, perché
l'ombra dell'assassino che era stato non attenuava la sua morsa.
«Sharon...»
sospirò il supersoldato dispiaciuto di causarle sofferenza,
avvicinandosi nuovamente a lei. Le sue mani risalirono dolcemente le
braccia, indugiando sulle spalle per poi fermarsi a coppa sul suo
viso.
«Mi
fa male vederti così» sussurrò la ragazza annegando in quelle
iridi chiarissime, tirò su impercettibilmente con il naso, poi
dichiarò:
«Non
sappiamo niente di questa storia, l'unico che può dircelo è proprio
lui»
«Non
so se lui riuscirà a dirci qualcosa di utile...» sospirò poco
convinto Bucky, se era davvero come lui, allora c'era poco da stare
allegri. Farlo parlare sarebbe stato più di un'ardua impresa.
«Beh
il tuo atteggiamento disfattista non ci porterà da nessuna parte!»
lo rimbrottò lei, con tono lievemente canzonatorio. James sorrise
appena.
«Qualcosa
ci inventeremo, fidati di me, d'accordo?» continuò tentando di
mascherare con ogni fibra del suo corpo le sue paure.
«D'accordo»
sussurrò lui. Si voltarono, allontanandosi da quell'area dell'aereo.
«James...»
mormorò lei talmente piano che credette che lui non l'avesse
sentita.
«Sì?»
chiese invece lui prontamente, alle sue spalle.
«Abbracciami»;
Bucky
non se lo fece ripetere.
*
I
passi riecheggiarono lungo il corridoio grigio e spoglio.
D
stava canticchiando una melodia che non avrebbe saputo dire da quale
anfratto della sua mente provenisse, accarezzando attenta i lunghi
capelli scuri di K, sopita.
Al
sentore di quei passi la bionda scosse la compagna, ridestandola.
K
ci impiegò cinque secondi netti per comprendere ciò che stava
accadendo, mentre D si ritirava contro la parete, nell'angolo del
letto.
La
porta si aprì lasciando emergere la figura alta e intimidatoria di
L. I suoi occhi tersi vagarono appena sulla stanza scarna poi si
posarono inquisitori sulle compagne.
«Siamo
stati convocati» disse solamente.
La
mora sospirò gettando un'occhiata veloce a D, che aveva l'aria
frastornata ed impaurita.
«Che
seccatura».
«Ti
conviene tenere sotto controllo la pazza stavolta – frecciò L
facendo un cenno col mento verso D – se veniamo nuovamente puniti a
causa sua è la volta buona che l'ammazzo» sibilò mellifluo.
K
represse ogni tipo di emozione e si strinse nelle spalle;
«Sempre
che tu ci riesca» replicò indifferente.
Ma
un attimo prima di varcare la soglia della sala centrale, la ragazza
strinse gentilmente il polso esile dell'altra.
«Cerca
di non dare di matto.» fu tutto ciò che riuscì a dirle.
La
sala era ampia e dipinta di un bianco quasi accecante. Aleksander
Lukin osservava con lucida furia Sinthea Schmidt a capo chino e con i
pugni chiusi costretti lungo i fianchi.
I
celesti occhi dell'attuale capo dell'Hydra vibravano di collera, non
poteva tollerare un fallimento da parte sua; si sentiva quasi
disgustato dalla sua presenza.
Lo
schiaffo arrivò rapido, potente e sopratutto atteso, ma questo non
impedì di gelare tutti sul posto. Brock Rumlow, alla destra di
Lukin, inarcò semplicemente un sopracciglio; Grant Ward non distolse
lo sguardo malgrado il brivido che gli aveva solleticato la nuca; K,
D e persino L – che solitamente godeva della sofferenza altrui –
scattarono impercettibilmente sull'attenti per quel gesto che a loro
era amaramente famigliare.
Sin
ritornò, lentamente, a guardare Lukin, la guancia gonfia ed
arrossata, lo sguardo però distante perso in quello freddo del
proprio superiore.
«Sei
un'inetta!»;
nessuna
reazione.
«Facciamo
un attimo il punto della situazione, ti va mia cara?» la sua era
ovviamente una domanda retorica sputata con tono pesantemente
sarcastico.
«Non
solo hai permesso che le armi chitauriane venissero distrutte, ma ti
sei lasciata dietro una delle mie superarmi?» Lukin
l'afferrò per i capelli strattonandola brutalmente in modo che il
suo sguardo cadesse su L, K, e D immobili tanto da sembrare statue
marmoree.
«Devo
ricordarti quanta fatica mi sono costati!? - sibilò furente –
quanti ne vedi Sinthea?»
«Tre»
«Tre!
Dovrebbero essere quattro, dannazione!» la lasciò andare malamente
mentre lei si afflosciava silenziosamente al suolo, leggera come
carta straccia. Sapeva già cosa l'aspettava.
«Ricordatelo
bene Sinthea, qui non sei niente di speciale... Non sei differente da
qualsiasi altro mio sottoposto! - si fece passare una spessa frusta
nera e lucida mentre rivolgeva un cenno a Rumlow – Mi aspetto
che tu non fallisca col tuo prossimo incarico. La mia pazienza sta
andando ad esaurirsi, sono stanco di aspettare Sinthea...» era
Johann Schmidt ora a torreggiare su di lei.
«Ich
verstehe, Vater1» le sue parole era
atone, distanti. I suoi occhi duri e vitrei come diamanti.
Non
mosse un muscolo mentre avvertiva le mani di Crossbones strapparle
impietose la maglia e lasciarle scoperta una buona porzione di
pallida schiena.
La
prima frustata calò veloce ed implacabile, la pelle si lacerò di
netto non dandole nemmeno il tempo di emettere un fiato, il sangue
schizzò impazzito prima di tingere la sua pelle nivea di rosso.
Sin
abbassò le palpebre, assaporando quella sensazione, marchiandosi a
fuoco nella testa quel dolore che aveva il potere di renderla più
lucida, più affamata di quell'oscuro sentimento che le danzava nel
petto.
«Che
sia d'esempio a tutti. L'Hydra non può permettersi fallimenti».
Sinthea
uscì da quella sala tempo dopo, malferma sui propri piedi mentre il
sangue sembrava colare da ogni parte del suo corpo tormentato.
Malgrado in quel momento non fosse altre che una creatura misera ed
umiliata, sorrideva. Di un sorriso pericoloso, bellissimo come quello
di un angelo vendicatore che prometteva le più atroci sofferenze; la
visione di se stessa non le era mai stata così nitida. Un risolino
isterico abbandonò le sue labbra, oh ora sapeva esattamente ciò che
andava fatto.
*
New
York, Avengers Tower.
Era
sera inoltrata quando Steve e i suoi compagni erano giunti all'hangar
dell'Avengers Tower.
Il
capitano insieme a James, Sharon e Sam attendeva in ascensore,
Melinda e Maria si erano occupati del prigioniero convocando Tony per
decidere il da farsi.
Una
volta che tutti e quattro si ritrovarono nel lussuoso soggiorno, i
presenti si voltarono contemporaneamente verso di loro.
Sharon
si informò su Jace ed Alexandra, Laura le assicurò che stessero
riposando nelle loro stanze così come i suoi figli. Poi, cautamente
si rivolse a Steve che con lo sguardo stava vagando per la stanza
alla sua ricerca.
«Steve,
Natasha è da... Cho.» iniziò prudente. Il supersoldato si voltò
immediatamente verso di lei, mentre Sam e James gli si fecero più
vicini.
Laura
gli toccò gentilmente il braccio sorridendogli incoraggiante, lo
sapeva che quella era una questione delicata.
«Si
è sentita poco bene... ma...» ovviamente non fece in tempo a
terminare la frase che Steve si era lanciato verso le scale,
superando Clint che stava venendo proprio dal piano della dottoressa
Cho. Lo lasciò andare, scambiandosi un'occhiata d'intesa con la
moglie che sospirò ma non celando un lieve sorriso.
«Dovremo
seguirlo?» domandò Sam preoccupato.
«Non
è necessario. Lasciamo un po' di tempo ai futuri genitori» celiò
Laura con saggezza.
James,
Sharon e Sam si guardarono. Malgrado la stanchezza nessuno di loro si
sarebbe addormentato facilmente quella notte.
Bucky
per la prima volta dopo un tempo indefinito si ritrovò a pregare
qualsiasi divinità si stesse divertendo con loro. Pregò per Steve e
Natasha, almeno loro dovevano farcela.
Steve
si sentiva mancare la terra sotto i piedi mentre correva verso lo
studio della dottoressa Cho.
Una
volta giunto non si premurò nemmeno di bussare, ma spalancò la
porta con espressione grave.
«Natasha!»;
la
donna si voltò appena, il profilo del suo viso emerse oltre lo
schienale del lettino sul quale era distesa; accanto a lei stava
seduta Helen Cho.
«Capitano...
La prego la prossima volta di bussare» lo rimbrottò continuando a
preparare la spia per l'ecografia.
«Io...»
espirò Steve perplesso ma raggiungendo comunque le due donne;
«Come
stai? Laura...».
Natasha
gli poggiò delicatamente la mano sul petto, squadrandolo
intensamente;
«Come
ti sei procurato quel livido?» domandò seria, ma il capitano notò
che il suo sguardo si era schiarito, come il cielo dopo una violenta
tempesta, morbido e sollevato.
«Non
è niente. Tu piuttosto-»
«Si
è trattata di una contrazione più forte delle altre, ha avuto delle
perdite maggiori stavolta... lo stato d'ansia non ha giovato» spiegò
la dottoressa stendendo il gel sul ventre che mostrava un accenno di
rigonfiamento.
«Ans-?»
Steve spostò incerto lo sguardo su Natasha dapprima confuso, poi
iniziò a capire e si sentì immediatamente in colpa. Aveva
combattuto la sua solitaria battaglia con l'angoscia dal momento in
cui si erano separati, glielo scorgeva nel suo sguardo apparentemente
fermo ma distante; sapeva, però, che non glielo avrebbe mai
confessato a voce alta. Ma lui aveva imparato a conoscere i suoi
silenzi. Anche quel momento impregnato di parole non dette,
avvertiva, ugualmente, il suo timore di aver nuociuto al bambino.
Non
disse nulla, afferrò uno sgabello e le si sedette accanto.
Immediatamente la mano di Natasha si intrecciò alla sua, Steve si
chinò protettivo su di lei, allungando un braccio sopra la sua testa
e accarezzandole dolcemente la fronte e i capelli.
Helen,
che gli aveva osservati con la coda dell'occhio, era rimasta
affascinata da quel loro silenzio in realtà pieno di sentimenti e
parole che si rincorrevano fra loro. Li rispettava molto.
Nello
schermo si delineò il contorno dell'utero mentre il futuro bambino
aveva perso tutti i connotati informi e quasi invisibili
dell'embrione, il feto si stava andando a delineare e ben si
intravedeva la testa e il corpicino raccolto.
Lo
sguardo di Natasha cadde sul monitor e da quel momento non lo
distolse più. Steve trattenne il respiro.
Cho
si prese qualche momento per analizzare alcuni movimenti del feto, e
poi decise di ascoltare il cuore.
«Sta
battendo ad un ritmo più veloce del consueto, ma è normale, sei
entrata nel terzo mese questo significa che il bambino inizia a
percepire gli stimoli materni, come stress o agitazione...»
«Ma
sta bene?» mormorò la spia, cercando a quel punto di rilassarsi il
più possibile terrorizzata al pensiero di poter far male a suo
figlio. Helen si concesse un breve sorriso;
«Sì.
Il suo battito sta già iniziando a decelerare, è più forte di
quanto sperassi, non ci sono danni. Purtroppo è probabile che i
dolori dovuti alle contrazioni aumenteranno, saranno più forti del
normale... ti posso prescrivere qualcosa per il dolore, ma
sfortunatamente a dosi ridotte per non influire sulla crescita del
bambino-»
«Ho
capito. Va bene, il dolore non mi spaventa» replicò Natasha,
lasciando che un lieve sospiro sfuggisse dalle sue labbra tumide e
rossissime.
Steve
le baciò una tempia, avrebbe voluto poter condividere quel dolore,
fare qualcosa di più per Natasha e il loro bambino.
«State
bene» sussurrò semplicemente al suo orecchio.
«Consiglierei
riposo assoluto almeno per il resto della settimana, poi faremo
qualche altro esame. D'accordo?»; Natasha non poté fare altro che
annuire, malgrado l'idea non le andasse molto a genio.
Il
capitano diede un'ultima occhiata al monitor, suo figlio si era
appena mosso lasciandolo senza fiato; aspettò che la russa si
sistemasse e poi le passò un braccio sotto le ginocchia e l'altro
sulla schiena e se la strinse contro.
Natasha
non protestò, non quella volta, la notte insonne e l'agitazione
l'avevano lasciata spossata, più di quanto immaginasse. Si abbandonò
a Steve, poggiò il capo sulla sua spalla, lentamente gli passò le
braccia intorno al collo accarezzandoglielo piano, felice di poter
saggiare nuovamente la sua pelle, respirare il suo profumo; chiuse
gli occhi, la sua famiglia era al sicuro, almeno per il momento.
Percorsero
in silenzio i corridoi della Tower fino a giungere alla loro stanza.
Non avevano incontrato nessuno, l'ora era tarda e probabilmente
avevano voluto lasciare loro del tempo.
Si
coricarono nel comodo letto matrimoniale. Steve afferrò la trapunta
coprendo entrambi, poi avvolse il braccio intorno a Natasha
tirandosela delicatamente contro. Il suo cuore sobbalzò felice nel
sentirla muoversi contro lui, inspirò il suo profumo dolce amaro a
pieni polmoni.
«Perdonami»
bisbigliò piano contro l'orecchio della spia. Natasha voltò il capo
incontrando i suoi occhi azzurri velati di stanchezza e rimorso.
«Steve
non farlo. Ne avevamo parlato... Che ci piaccia o no siamo in guerra
e tu non puoi abbandonare la squadra per far stare meglio me.
Dobbiamo imparare a gestire questa cosa...»
«Non
sopporto l'idea di non poterti stare accanto come vorrei...» le
disse sincero stringendosela contro inconsciamente. Come fosse stato
un riflesso involontario.
Natasha
chiuse gli occhi, dio solo sapeva quanto le costava lasciarlo andare
cercando di non mandare in pezzi la sua corazza con la sua ansia.
«E
io non sopporto il fatto che tu vada in missione senza di me, che non
ci sia io a guardarti le spalle...» mormorò nascondendo il capo
contro la sua spalla. Lo sentì sospirare e sollevò nuovamente lo
sguardo, incatenandolo a quello di lui;
«Lo
so che con te ci sono James e Sam...»
«Come
io so che tu qui non sei sola, ma...»
«Non
siamo noi.» terminò semplicemente lei e lui annuì.
«Hai
ragione dobbiamo imparare a gestire la cosa.» concesse lui, entrambi
avevano una sfida da combattere ma purtroppo non sempre sarebbe stato
permesso loro di affrontarla insieme anche se questo li avrebbe
portati a soffrire; d'altronde erano pur sempre Steve Rogers e
Natasha Romanoff orgogliosi, indipendenti e pronti al sacrificio;
«Come ti senti?» le domandò poi leggermente in apprensione.
Natasha
si aprì ad un sorriso genuino e il capitano non poté non rimanerne
abbagliato;
«Molto
meglio ora.» disse solamente, non aggiunse '...che sei nuovamente
al mio fianco' ma Steve lo intuì lo stesso e si sentì in pace.
Si scambiarono un bacio che da dolce divenne inevitabilmente
appassionato, le loro labbra non si sfioravano da troppo tempo ed ora
avevano bisogno di assuefarsi ancora una volta le une al sapore
intenso delle altre. Tutto il resto poteva aspettare.
Si
addormentarono entrambi con una mano abbandonata con fare protettivo
sul ventre di Natasha.
Poco
prima dell'alba Steve si svegliò. Si volse verso la compagna che
dormiva placidamente di lato, il respiro lieve e l'espressione
tranquilla, le depose un leggero bacio sulla spalla scoperta e le
rimboccò le coperte prima di alzarsi lentamente, facendo attenzione
a non svegliarla; non aveva intenzione di allontanarsi per molto,
giusto il tempo di dissetarsi.
Si
diresse in cucina capendo immediatamente di non essere il solo
mattiniero...
«Niko...»
«Steven,
buongiorno. Spero di non averti svegliato!» sussurrò Niko Costantin
con un sorriso gentile mentre strizzava la bustina del tè prima di
gettarla.
«No
affatto. Vieni o vai?» gli domandò incuriosito sedendosi accanto a
lui, sul bancone.
«Sono
appena tornato. Purtroppo l'attrezzatura di cui ho bisogno è
disponibile solo la notte, la lista d'attesa è parecchio affollata,
ma non mi lamento» affermò sincero. Il signor Stark era stato
davvero gentile con lui e con sua figlia, poteva fare gli orari che
più gli aggradava e lui gli era grato per questo.
«Come
va?» gli chiese con sincera curiosità, sapeva bene come quel
periodo fosse delicato per loro.
Il
capitano mantenne il sorriso ancora per un istante prima di prendere
un lungo sospiro.
«E'
dura. Natasha è stata male, era così... spaventata. Non che lei
abbia ammesso nulla, ma non ce n'è stato bisogno. La cosa che più
mi fa arrabbia è che io non ero lì. Lei si sta accollando questa
gravidanza in tutta la sua gravità mentre io...» si frizionò i
capelli con le mani, in un moto di frustrazione.
«Tu
hai una guerra da affrontare. Steve non ti devi sentire in colpa per
non essere al suo fianco in ogni momento... Tu stai combattendo anche
per tuo figlio, perché possa nascere in pace, così come Natasha sta
combattendo contro il suo stesso corpo per permettere che vostro
figlio nasca in salute, non è qualcosa in cui tu ti possa
intromettere» replicò con sguardo sereno Niko «Anche Nina non era
preparata per una gravidanza, quando mai qualcuno lo è? - sorrise
benevolo – e il mio dna modificato non le è ha semplificato le
cose, anche la sua non è stata una gravidanza semplice, ci sono
stati molti momenti in cui abbiamo avuto paura... Per quanto io mi
sentissi in colpa per aver complicato la vita di mia figlia non
ancora nata a causa di ciò che sono, Nina ha lottato da sola ed ogni
volta che potevo io ero al suo fianco» Steve lo fissò ammirato,
abbassò lo sguardo;
«Natasha
sta lottando anche contro la sua natura. È una guerriera non è
facile per lei dover restare in disparte a guardare, aspettarmi.
Anche se lo ammetto questo da una parte rassicura me» sorrise appena
e avvertì la stretta gentile di Niko sulla sua spalla.
Ridacchiò
comprensivo «La situazione è complicata, lo capisco bene, temo per
Alexandra ogni giorno... Ora devi pensare che tu hai lei a curare le
ferite del tuo corpo e lei ha te per curare i tormenti della sua
anima».
Steve
annuì guardandolo negli occhi, ricambiò la stretta sulla spalla
dell'amico;
«Grazie
davvero Niko»
«Ogni
volta che ne avete bisogno Steven, è il minimo per quello che fate
per Alexandra».
Steve
ritornò in stanza nello stesso istante in cui Natasha usciva dal
loro bagno personale con espressione stravolta a causa dell'ennesimo
attacco di nausea.
Si
guardarono e il supersoldato le sorrise incoraggiante, ricordando le
parole di Niko, e si accomodò a letto aspettando che lei lo
raggiungesse. Avevano ancora un po' di tempo prima che l'intera Tower
iniziasse a ridestarsi.
Natasha
si strinse a lui poggiando il capo sulla spalla e circondandogli la
vita con le braccia.
«Ce
la possiamo fare» le sussurrò Steve contro la sua tempia.
*
03
Gennaio, Playground.
Erica
Holstein si massaggiò il collo stringendo appena le labbra,
ricacciando indietro l'odiosa sensazione di fastidio.
Si
concentrò nuovamente sui documenti che aveva davanti agli occhi,
scontenta rivolse la sua attenzione allo schermo al suo fianco,
digitò stizzita qualche comando ma non dette alcun risultato. Rimase
in sospeso per qualche istante prima di prendere la decisione finale.
Si
alzò, dandosi una veloce controllata allo specchio per assicurarsi
che il suo caschetto scuro fosse in ordine, poi percorse con
sicurezza i corridoi del Playground fino a giungere al laboratorio
dei Fitz-Simmons e di Mack.
Sorrise
deliziata nel vedere che c'era solo Leopold; fra i due era
sicuramente il più malleabile, era conscia di non piacere molto alla
dottoressa.
«Leo
buongiorno» esordì amabile.
Fitz
si voltò di scatto, preso in contropiede, e nel farlo perso il
controllo dei suoi amatissimi “nani” che svolazzarono come api
infastidite.
«Oh!
Buo-buongiorno a-agente Holstein! Posso fare qualcosa per lei?»
domandò paonazzo riprendendosi all'ultimo.
Il
sorriso di Erica si accentuò appena;
«Sì,
sei proprio la persona che cercavo – Leo deglutì a vuoto – Mi
chiedevo, sai come consulente psico-fisica è mio dovere analizzare
le cartelle personali dei vari agenti, così volevo sapere se
possedevamo anche le cartelle degli... Avengers...» il suo
sguardo si fece penetrante e il povero ingegnere si sentì annaspare
ma si schiarì la voce cercando di darsi un tono;
«Le
cartelle degli Avengers... sì... cioè volevo dire no! Non le
abbiamo, non operando per conto dell'agenzia... sai, sono gli
Avengers insomma eh eh! Di loro si occupa la dottoressa Helen
Cho...».
«Oh
ma certo, mi pare ovvio. Perdonami ma non sapevo se rientravano nelle
mie competenze... - abbassò appena lo sguardo come un'attrice
consumata – mi sei stato davvero d'aiuto Leopold!» sorrise, “Oh
sì davvero d'aiuto”.
_______________________
1 =
“Comprendo padre”
____________________________________________________________________________________________
Dunque
dunque dunque... Come avrete notato la situazione dei personaggi di
questo capitolo non è delle più rosee; James è
parecchio impensierito da N (e meno male che è svenuto) che lo
pone forzatamente nuovamente davanti al proprio passato e sembra che la
pace sia ancora lontana.
Natasha deve iniziare a confrontarsi con la gravidanza che la costringe
a cambiare la percezione di sè, questo è un tema che
comunque cercherò di affrontare più ampiamente nei
prossimi capitoli e affidarsi per forza ad altri perchè Steve
non rischi la vita (più del solito), allo stesso tempo lui
vorrebbe possedere il dono dell'ubiquità ma deve rendersi conto
che è solo un uomo ma che ha al tempo stesso un grande peso
sulle spalle... Insomma mi rendo conto che non sto rendendo le cose
facili!
E per finire Sin, credo che ormai si cominci a capire da dove salti
fuori... Per lei, oh per lei ho un'ideuzza che spero vi farà
venire i brividi ;)
Bene
detto questo, per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi, e per
qualsiasi altra notizia vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" :) Vi ringrazio ancora una volta e ci vediamo tra due settimane, SABATO 08 APRILE!
ps. Mi rivolgo ai recensori dello scorso capitolo, risponderò alle recensioni quanto prima!
A presto!
|
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Capitolo 10 *** La verità svelata ***
10
Buon
pomeriggio a tutti voi, miei cari lettori! Voglio ancora scusarmi con
voi per il ritardo nella pubblicazione e ringraziarvi per la pazienza e
il supporto!
So che siete ansiosi di leggere il nuovo capitolo, quindi vi lascio ad esso e noi ci vediamo a fondo pagina!
Buona Lettura!
Capitolo
Dieci: La verità svelata
“I
problemi sono come onde: c'è la risacca
ma
poi... Un'altra ondata ti colpisce”
~Sidney
Heron, “Grey's anatomy”
Natasha
sollevò le palpebre senza sbatterle, la luce era intensa ma dolce ed
inondava la stanza.
Leggeri
vagiti attirarono l'attenzione della donna che si diresse verso la
culla, su cui pendeva un bellissimo acchiappasogni.
Si
sporse verso di essa con un dolce sorriso, che scomparve velocemente
com'era apparso. La culla era vuota.
Natasha
si volse sconcertata, sentendo i gemiti del bambino forti e disperati
che parevano provenire da ogni parte di quella casa dai contorni
soffusi. Si mise a correre lungo il corridoio; suo figlio la stava
chiamando.
Si
fermò a pochi passi da una figura femminile voltata completamente
verso la vetrata da cui entrava una luce violentissima, tanto che fu
costretta a coprirsi gli occhi con la mano, ferita da
quell'intensità.
L'altra
donna si voltò, curata ed elegante nell'aspetto. Dopo un attimo di
smarrimento Natasha la riconobbe come la sua addestratrice alla Red
Room; il suo cuore smise di battere completamente nel vedere che le
sue braccia stringevano il bambino.
«Ridammi
mio figlio» sibilò pericolosa;
l'altra
donna sorrise benevola in direzione del piccolo che gorgogliava
calmo, sempre sorridendo pacatamente estrasse un lungo pugnale,
l'espressione imperturbabile.
Natasha
tremò e si scagliò in avanti, ma le sembrava di essere troppo
lenta.
«Ogni
debolezza va estirpata, Natalia...».
Natasha
si tirò su rapida, lo sguardo sgranato e il respiro affannato.
I
suoi occhi smeraldini e lucidi indugiarono su ogni elemento della
stanza. La luce che filtrava attraverso le tende chiuse le fece
capire che il sole era già alto.
Con
una sottile vena di panico si chiese dove fosse Steve, perché non
fosse lì, accanto a lei; inspirò piegandosi su sé stessa serrando
le labbra dolorante. Rapida fu costretta ad alzarsi dal letto e a
chiudersi in bagno.
Quando
i conati terminarono, Natasha restò per qualche secondo con la
fronte poggiata al water per calmarsi. Strinse i denti lasciando che
quel dolore feroce facesse il suo corso, tirò poi un lungo sospiro e
si alzò.
Infilò
direttamente la testa sotto il getto d'acqua fresca, raccogliendo poi
i capelli umidi in uno chignon morbido, cercò di fare del suo meglio
per mascherare le occhiaie che gravavano sotto i suoi occhi. Si
sentiva spossata come se avesse passato la notte a correre invece che
riposare.
Nel
tentativo di distrarsi dal dolore cercò di fare un po' di
stretching, come le aveva insegnato Laura stando bene attenta a non
compiere nessuna mossa troppo rapida o rischiosa. Era più forte di
lei, non avrebbe mai potuto passare l'intera gravidanza stesa a letto
nella più totale immobilità, il suo corpo aveva bisogno di
muoversi... Sentiva che quella era la cosa giusta da fare.
Afferrò
una delle camice azzurre di Steve ed iniziò ad abbottonarsela, ma
quando arrivò all'altezza del ventre si soffermò guardandolo
attraverso lo specchio.
Le
sue mani si mossero lievemente tremanti sulla pancia che aveva perso
la piattezza che l'aveva sempre connotata, ora era leggermente
gonfia, con il dito Natasha ne delineò la curva perfetta, ancora
possibile da celare eppure ne avvertiva tutto il peso.
C'era
una buona parte di lei che non desiderava sentirsi così, era ancora
troppo presto si diceva, ancora tutto troppo incerto... Perché
un'altra parte di sè invece, quella che tentava di tenere sotto
stretto controllo, era felice.
Semplicemente. Ogni giorno passato con quel bambino che resisteva e
le cresceva sereno in grembo la accendeva segretamente di speranza;
quella parte di lei se ne fregava delle conseguenze, dei pericoli
desiderando solo poter stringere a sé quel bambino alla fine di
tutto.
Da
quando l'aveva scoperto non si era mai soffermata a pensare alla
maternità, era qualcosa che si era imposta di non fare. Non voleva
cedere alla speranza perché sapeva quanto la vita potesse essere
crudele e travolgerti all'improvviso. Inizialmente aveva pensato di
non meritare qualcosa di così puro, innocente e bello come poter
portare dentro di sé una nuova vita. Ne aveva avuto paura, le prime
notti erano state costellate da incubi orrendi, il suo ventre
dilaniato e una mostruosa creatura aveva preso il posto del suo
bambino... Si svegliava madida di sudore e sull'orlo delle lacrime
avendo il timore che nel suo ventre stesse crescendo davvero un
mostro.
Poi
quella paura era scemata, le visite di Cho le dimostravano che era un
bambino vero quello che si stava formando nel suo ventre, e poi Steve
e quel suo sguardo dolce, luminoso così vivo l'avevano sempre
rincuorata ricordandole che sì, stavano avendo un figlio.
Poi
per Natasha era iniziata una nuova paura, quella di poterlo perdere.
Nel momento in cui si era resa conto che la gravidanza era reale,
quel timore, forse ciò che la spaventava maggiormente, era proprio
non riuscire a portarla a termine, scartare l'ultimo regalo della Red
Room. Questo era il motivo per cui non voleva sperare, per cui non si
lasciava completamente andare a quel sentimento dolce ed avvolgente,
per cui lo sguardo di Steve da una parte la cullava e dall'altra
l'angosciava. Perché sapeva che se la vita le avesse strappato
quella piccola vita lei non sarebbe sopravvissuta, non avrebbe retto
il colpo e avrebbe trascinato con sé nel baratro della disperazione
anche l'uomo che amava sopra ogni cosa.
Ora
però, essere lì ad osservare il proprio ventre ingrossarsi perché
suo figlio, suo e di Steve, stava crescendo la faceva sentire felice.
Ne percepiva il dolce sapore in bocca, e sempre più forte era il
desiderio di poterlo un giorno accogliere fra le sue braccia;
malgrado non si sentisse per nulla pronta a divenire madre non
nascondeva a sé stessa che anelava conoscere suo figlio.
Paura
e speranza si affrontavano furiose dentro di lei, senza che nessuna
delle due sensazioni fosse vincitrice; questo insieme agli ormoni che
la travolgevano come onde durante un maremoto minavano seriamente il
suo ferreo autocontrollo.
Scrollò
le spalle e terminò di abbottonarsi la camicia, si infilò un paio
di comodi pantaloni neri; sbuffò ecco un'altra cosa che non le
andava per nulla a genio: tutti i suoi abiti cominciavano ad andarle
stretti sul giro vita. Avrebbe dovuto arrendersi all'evidenza... le
sarebbero serviti al più presto degli abiti premaman.
Natasha
raggiunse il soggiorno, dove il resto della squadra si era riunita.
«Ecco
qui la futura mamma...» la salutò Stark ricevendo in risposta
un'occhiata al vetriolo dall'adorabile futura mamma.
La
donna si sedette, accanto a Sharon, sul divano lucido e bianco
incrociando le braccia; scacciando infastidita il piacevole brivido
che l'aveva colta alla parola 'mamma'. Iniziava a piacerle più del
consentito.
«Buongiorno
anche a te raggio di sole!» ridacchiò Clint, comprendendo benissimo
lo stato d'animo dell'amica. Steve uscì dalla cucina con una tazza
di tisana allo zenzero e un bicchiere colmo d'acqua che passò alla
propria compagna con un sorriso pacato, prima di prendere posto
accanto a lei.
La
spia gli lanciò un'occhiata grata senza dire una parola; sapeva che
detestava il fatto di non poter affrontare la gravidanza insieme,
come una qualsiasi altra normale coppia, ma apprezzava quei piccoli
gesti che faceva per lei, ad esempio imparare cosa poteva mangiare o
bere e cosa no e difatti anche quella mattina le aveva preparato una
tisana alla zenzero che a quanto pare riusciva ad alleviare leggere
nausee. Lui, era conscia, pensava di non fare abbastanza ma invece
Natasha avrebbe voluto riuscire a dirgli che lo amava immensamente
per quei pochi ma indispensabili gesti che faceva per lei.
«Allora
vogliamo parlare del simpatico agente nemico incosciente?» domandò
Tony senza troppi preamboli.
«Posso
confermare che quello non è il tizio che ci ha attaccato...» fece
presente Clint poggiando pesantemente i gomiti sulle ginocchia ed
incrociando le dita fra loro.
«Che
cosa hai scoperto su di lui Tony?» domandò Steve grave; il magnate
digitò qualche tasto sul tablet e l'ologramma si materializzò in
mezzo alla stanza.
«Braccio
di ferro qui aveva ragione, abbiamo analizzato il suo DNA ed ha
subito esattamente le sue stesse modifiche... questo fa di lui un
altro-»
«Winter
Soldier» terminò per lui Bucky con un sospiro. Già lo sapeva,
ma una piccola parte di lui sperava di essersi sbagliata.
«Abbiamo
altro su di lui?» si informò Natasha «Niente dalle impronte
digitali?»
«Niente
di niente, per quanto ne sappiamo quest'uomo non esiste...»
«Ragazzo»
ribatté Steve pensieroso; gli altri lo fissarono appena perplessi.
«E'
ancora un ragazzo...» ripeté lui con un sospiro, effettivamente
l'aspetto dell'agente era giovane e non doveva superare i venticinque
anni; gli altri si ritrovarono ad annuire, consci di ciò.
«Sia
come sia, è pericoloso!» borbottò James provando un moto d'odio
verso... nemmeno lui lo sapeva dire con certezza, probabilmente se
stesso, la Red Room, l'Hydra, chiunque giocasse con la vita altrui.
Si sentiva stanco.
«Buc...»
sospirò Steve, voltandosi verso di lui «Non essere troppo duro...»
mormorò intendendo con quella frase molto più di quanto dicesse;
«E'
come me, quindi so quanto possa essere letale» replicò ostinato,
digrignando i denti;
«Bene,
se è come te vuol dire che non l'ha voluto!» ribatté il capitano
stizzito, ammutolendo l'amico.
Sharon
e Natasha, come gli altri, avevano seguito in religioso silenzio quel
breve scambio di battute e si lanciarono un'occhiata complice.
«Cap
ha ragione Bucky.» si intromise cauto Sam «Una volta gli dissi che
a mio parere tu eri una persona da fermare e non di certo da
salvare... Beh notiziona del giorno: mi ero sbagliato!» terminò con
un sorriso caldo e l'atmosfera si stemperò di un poco.
«Posso
dire che tutto ciò è molto commovente?» esclamò Stark ironico,
asciugandosi una finta lacrima dall'occhio mentre il resto del gruppo
emetteva versi esasperati.
«Dovresti
parlargli tu...» affermò Sharon osservando il Soldato di sottecchi
«Non ha emesso un fiato con nessuno»
«Mi
stai chiedendo molto» replicò piano James;
«Lo
so. Ma non è detto che non possa esserti d'aiuto...» celiò
poggiandogli la mano sopra la sua di metallo.
«Sharon
ha ragione» Natasha aveva parlato ma il suo sguardo si era fatto
lontano «Meglio che sia tu ad andare dal passato che il passato a
venire da te» disse e tutti ben intesero le sue parole visto ciò
che era capitato più di un anno addietro.
«Quando
te la sentirai» lo rassicurò l'agente 13 guardandolo con
espressione carezzevole.
«In
ogni caso è troppo rischioso tenerlo qui con noi al momento.» fece
notare Tony con tono serio, una volta tanto e si scambiò al volo
un'occhiata col Capitano, che annuì. Per quanto quel ragazzo potesse
essere una vittima quanto James era ancora potenzialmente una
minaccia che non poteva essere lasciata nello stesso edificio con
Natasha incinta e non nelle condizioni di difendersi al meglio,
l'intera famiglia di Clint, Pepper che andava e veniva e due
adolescenti alle prime armi.
«Più
tardi verrà trasferito al Playground, ho già preso accordi con
Agente»;
«Non
che sia il posto più sicuro ora come ora...» fece presente Clint
visto che la possibilità di una talpa era alquanto concreta.
«Non
che abbiamo altre alternative» affermò Steve anche lui non proprio
rassicurato «Ma mi fido di Coulson».
«Sei
sicuro che non ci veda?» domandò per la terza volta Alexandra
fissando il biondo giovane che era tenuto ben legato al lettino,
sveglio e con lo sguardo vuoto puntato dritto davanti a lui.
«Sasha
se ti inquieta tanto mi spieghi perché sei voluta venire qui?»
domandò Jace con un accenno di canzonatura nel tono.
«Mpf.
Ero curiosa, va bene?» sospirò la ragazzina, gonfiando le guance.
Gesto che il quindicenne trovò adorabile. Si schiarì la voce;
«Per
la terza volta ti dico che no, non ci vede! So che il suo sguardo
inquietante è puntato dritto verso di noi, ma sta guardando – se
sta fissando davvero qualcosa – se stesso. Noi vediamo lui ma lui
non vede noi!»
«Che
significa “se sta davvero fissando qualcosa”?» chiese
incuriosita Alex distogliendo finalmente lo sguardo dal prigioniero.
Jace si morse un attimo le labbra prima di confessare:
«Ogni
tanto capitava anche a Bucky. Sopratutto i primi tempi che vivevamo
insieme, lo trovavo a fissare un punto imprecisato esattamente con
quello sguardo... era intenso ma al tempo stesso non stava realmente
guardando ciò che gli stava davanti, era perso... nella sua mente».
Aveva cercato di usare un tono calmo, quasi leggero ma il ricordo gli
faceva comunque male.
Alexandra
abbassò lo sguardo, dispiaciuta.
«Mi
spiace... Quindi è davvero un altro Winter Soldier?».
Il
biondino si strinse nelle spalle;
«Probabile.»
poi si accorse del suo sguardo meditabondo «A cosa pensi?». La
giovane esitò un istante prima di rispondere:
«A
Bucky... A Natasha, ai miei genitori... A Yelena ed Alexei- erano
tutti parte della Red Room ed hanno subito destini così differenti»
il suo sguardo si fece triste, l'argento dei suoi occhi da chiaro si
fece denso con le nubi cariche di pioggia «Odiavo Yelena, davvero...
poi sapendo la sua storia mi è un po' dispiaciuto, anche se una
parte di me continua ancora adesso a detestarla. Però ora ho capito
e mi dispiace perché non ha avuto una vera scelta, magari col tempo
Natasha e forse anch'io e mio padre avremmo potuto aiutarla come tu e
Steve avete fatto con Bucky... Guardo quel ragazzo e vedo lei, non lo
so, vorrei solo che nessuno debba più morire, non quando qualcun
altro l'ha costretto a diventare altro da ciò che era».
Alexandra
alzò appena lo sguardo, i suoi occhioni era lucidissimi ed enormi e
Jace si sentì totalmente travolto da loro. L'abbracciò d'istinto,
facendole poggiare il capo sul suo petto – Alexandra gli arrivava
al mento – capendo bene il suo pensiero esposto con quella voce
sottile ed incerta.
«Lo
capisco, Sasha. Sono sicura che nessuno di loro lo permetterà».
Improvvisamente
un allarme si propagò per l'intero piano, Jace ed Alexandra si
staccarono e si voltarono terrorizzati verso il prigioniero, che non
si era mosso di una virgola, l'espressione immutata.
«Merda.
Andiamo Sasha, arrivano i guai!».
«Che
altro c'è?» dichiarò esasperato Tony «J.A.R.V.I.S.!».
«Si
sta verificando una strage fra gli abitanti di una cittadina del New
Mexico, nella zona sud di Las Cruces» spiegò compita
l'intelligenza artificiale.
«Origine?»
«Rilevata
fonte d'energia che emana radiazioni riscontrate nell'analisi dello-»
«E'
lo psychotron!» ragionò Steve passandosi stancamente le mani sul
volte e fra i capelli.
«Deduzione
corretta, capitano Rogers» concordò J.A.R.V.I.S.
«Fantastico!»
risposero in coro Clint e Sam.
«Hanno
iniziato ad utilizzarlo, avremmo dovuto aspettarcelo...» berciò
Bucky allacciandosi la sua divisa, che si era tolto solo la sera
precedente.
«Tutti
all'hangar tra dieci minuti! Non possiamo perdere tempo...» esclamò
il capitano muovendosi per andare a recuperare il proprio scudo,
afferrò la mano di Natasha ed entrambi si diressero nella loro
stanza.
In
silenzio il supersoldato si assicurò lo scudo alla schiena, rimase
fermo mentre Vedova con gesti decisi gli sistemava la divisa, le sue
dita abili e rapide stringevano dove necessario le protezioni;
«Non
abbassare la guardia, chiedi a Stark di fare un'analisi del
perimetro, niente azioni singole... tu sopratutto non-» le sue mani
lisciarono inutilmente la bianca stella sul petto e li si
arrestarono. Sollevò i suoi liquidi occhi di giada sui suoi, che la
stavano osservando attenti.
«Andrà
bene» sussurrò lui guardandola con sicurezza;
«Niente
cazzate Rogers» frecciò lei e lo attirò a sé per baciarlo. Lui la
strinse a sé per un attimo ancora poi si diressero verso l'hangar,
in silenzio ma l'uno accanto all'altra e le loro braccia che si
sfioravano delicatamente.
Una
volta scesi, trovarono Sam e Clint intenti a terminare di rifornire
il jet di armi, Tony era già al suo interno ad avviare i motori e
più in disparte Bucky e Sharon parlavano piano fra loro. Il Soldato,
prima di voltarsi completamente, si sporse verso di lei catturandole
le labbra in un bacio, Sharon cercò di prolungare un attimo ancora
quel contatto prima di lasciarlo andare.
Steve
si scambiò un cenno con Natasha e poi si avviò, ma a metà strada
sembrò quasi ripensarci si fermò e voltò appena la testa;
«Natasha
lo sai»; la donna inclinò il capo e piegò le labbra in un
sorriso dolce ma enigmatico.
«Lo
so. Anch'io Steve».
Il
jet inghiottì ad una ad una le figure dei propri compagni, Sharon si
avvicinò a Vedova, si scambiarono un sorriso.
«Sarai
la mia babysitter oggi?» la canzonò benevola la rossa;
«Sai
com'è avevo bisogno di una giornata fra ragazze» replicò l'altra
divertita. Le due tornarono verso il piano nobile dell'Avengers Tower
in un sereno silenzio.
«Come
stai a proposito?» domandò sinceramente interessata l'agente 13,
Natasha fece finta di rifletterci su;
«Uhm
una meraviglia: inizio ad avere fitte alla schiena, devo
costantemente andare in bagno, se mangio vomito, ho crampi al ventre,
mi sento perennemente stanca... ah e il padre di questo bambino è
appena partito in una missione potenzialmente suicida» riassunse
brillantemente e con una certa ironia, non di certo rivolta all'amica
che era sempre al suo fianco, «Oh dimenticavo, Laura tiene un corso
preparto appositamente per me» esalò fintamente sfinita. In realtà
era davvero grata alla moglie del suo migliore amico per aiutarla
psicologicamente e fisicamente a prepararsi alla nascita di suo
figlio, era lei semplicemente che non si sentiva adeguata.
«Uh
potrebbe chiamarlo “Come prepararsi alla nascita di un eroe, figlio
di eroi”» ci scherzò su Sharon cosa di cui la russa fu grata.
«Ti
serve supporto morale?» domandò poi, Natasha ridacchiò e annuì
«Ammetto che non vi ci vedo tu e Steve ad un corso preparto...»
«Perché
tu mi ci vedi madre?»
«Sì.»
affermò la bionda seria. La sicurezza della sua espressione stupì
Vedova.
«Non
sto scherzando, forse tu non te ne accorgi ma il modo in cui ti
rapporti con Alexandra è molto... materno, non trovo altro
termine per spiegarlo meglio.»
«Magari
sono stata ispirata da te e Jace» replicò dolcemente Natasha
facendo lievemente arrossire Sharon. Sapeva quanto significassero
quelle parole per lei, teneva moltissimo a quel ragazzino. Lei e
James erano la sua famiglia, malgrado Jace non li chiamasse “mamma”
e “papà”; ma infondo era poi così fondamentale?
«Vedi,
lo fai anche in questo momento. Tu sei un punto di riferimento per
tutti noi, Nat ricordatelo» celiò Sharon con sguardo lucido.
Natasha
non commentò, ma quelle parole l'avevano profondamente colpita.
«Vieni
mia partner».
*
«Buongiorno
sono qui per vedere la dottoressa Helen Cho»;
«Identificarsi
prego» rispose l'AI dell'Avengers Tower.
«Agente
dello S.H.I.E.L.D., Erica Holstein» replicò la donna con un sorriso
a trentadue denti.
Era
tardo pomeriggio, gli agenti dello S.H.I.E.L.D. avevano prelevato il
prigioniero e Natasha era stata accorta a non farsi vedere da
Melinda, si sarebbe resa subito conto del suo “stato interessante”,
e per il momento era meglio mantenere il segreto.
Si
trovava, ora, nell'ampio e soleggiato soggiorno, semidistesa sul
divano con accanto Sharon cercavano entrambe di distrarsi con un film
Disney proiettato appositamente per i piccoli Barton, presissimi,
insieme a Alexandra e Jace – che cercavano di mantenere un certo
distacco dal film ma anche loro presi a canticchiare a voce bassa le
canzoni – e Laura che cullava tranquillamente Nathaniel
addormentato. Steve e gli altri non avevano ancora dato notizie, ma
nessuna aveva detto una parola, era come un grosso elefante nella
stanza.
Improvvisamente
la tv si spense, tutto per esattezza all'interno della Tower smise di
funzionare per cinque secondi esatti.
«J.A.R.V.I.S!?»
esclamò all'erta Natasha.
Inizialmente
si percepì solo un crepitio metallico, poi la voce dell'AI proruppe
disturbata;
«Tenta-ti-vo
d-di... h-a-ckera-g-gg-io i-n -cor-so, s-si-stemi di -d-ife-sa
d-disat-tivati... a-tt-ua-re r-r-pristi-no»;
«Maledizione!
J.A.R.V.I.S. contatta Tony! Mi hai capito? Contatta Stark!» frecciò
rapida sempre la russa guardandosi attorno, ma non ci fu bisogno di
aspettare molto per l'attacco a sorpresa.
«A
terra!» urlò Sharon gettandosi insieme a Natasha dietro il divano,
mentre agenti Hydra si calavano ed irrompevano dalle ampie vetrate.
«Sharon,
sotto il divano... pistole!» mormorò la russa mentre la sua mente
lavorava rapida; la bionda agente non se lo fece ripetere le trovò
ed iniziò a sparare. Natasha si guardò attorno: Laura stringeva
Nathaniel a sé che aveva iniziato a piangere, Lila e Cooper erano
accanto a lei tremanti e Alexandra e Jace poco più distanti riparati
dietro al mobilio.
«Laura
affida Nathaniel a Lila. Jace Alex guardatemi, appena ve lo dirò
afferrate Cooper e Lila e correte a nascondervi, andate verso
l'hangar d'accordo? Intesi?» ripeté mentre loro esitarono un attimo
prima di annuire;
«Ma
Natasha tu-?» pigolò Sasha preoccupata;
«Me
la caverò! Non posso lasciare sola Sharon. Ascoltate avete un
telefono con voi? Bene, chiamate Pepper, se J.A.R.V.I.S. è stato
attaccato, Stark risponderà sicuramente a lei e poi contattate lo
S.H.I.E.L.D.! Laura tu-»
«Io
resto.»
«Non
posso chiedertelo...»
«Non
me l'hai chiesto, ho deciso io. Sono la moglie di un Avenger credi
che non sappia difendermi?» Natasha sorrise appena ed annuì.
«Mamma...»
celiò Lila sconsolata, la donna l'abbracciò rapida e sorrise
decisa;
«Forza
fate come dice zia Nat!».
Non
ebbe nemmeno bisogno di dirlo, Sharon comprese perfettamente, le
lanciò un'arma e Natasha con uno scatto iniziò a sparare agile
scoprendosi fino alle spalle e abbattendo rapida alcuni nemici.
«ORA!».
Jace
pronto balzò in avanti insieme ad Alex e proprio come da piano
afferrarono i piccoli Barton e corsero verso il corridoio, proprio
mentre dall'ascensore altri agenti si riversavano nel salone.
Laura
si scambiò uno sguardo con Natasha che le fece un cenno affermativo.
Con agilità la moglie di Clint Barton mise fuori gioco un paio di
agenti Hydra con mosse quasi circensi.
In
effetti Laura Barton non era esattamente una sprovveduta, lei e Clint
si erano conosciuti quando da adolescenti lavoravano per il Circo
Tiboldt1; lei era un'aggraziata e formidabile
acrobata finita anch'essa nei guai con la legge per esser stata
complice del ragazzo di cui si era innamorata: il suo attuale marito,
che le aveva insegnato, in ogni possibile modo, a sfruttare la sua
agilità e flessibilità, oltre che insegnarle a sparare con un
fucile o pistola nel corso degli anni. Era un'allieva straordinaria,
le diceva spesso lui.
«Oddio!
Sono questi gli effetti del pilates?» domandò sconvolta Sharon dopo
aver ingaggiato e vinto un corpo a corpo.
«No,
circo dall'età di dieci anni!» replicò lei con un sorriso mentre
veloce storceva un braccio all'avversario e lo metteva KO;
«Questo
invece me l'ha insegnato Clint!» celiò quasi esaltata.
«Ricordami
di non sfidarti mai!» asserì Natasha cercando una dopo l'altra le
varie armi che aveva disseminato per la stanza e facendo fuoco.
«Fortuna
che doveva essere una settimana di riposo assoluto» mormorò a se
stessa Vedova cercando di controllare le reazioni del suo corpo,
malgrado volesse non sarebbe riuscita ad ingaggiare un corpo a corpo.
Un
agente Hydra le si parò davanti, lei aveva appena finito i
proiettili. “Stiamo calmi” si disse mentre il suo cervello
cercava di elaborare un qualche tipo di mossa, d'un tratto il suo
nemico si accasciò privo di vita; la russa si voltò e sospirò di
sollievo.
«Scusate
il ritardo!» esclamò Niko Costantin armato di fucile e con l'aria
pericolosa. Subito accorse da Natasha;
«Tutto
okay?» le domandò gentilmente, lei annuì mestamente;
«Mi...
Ci hai salvato.» inspirò, poi il suo sguardo si assottigliò
facendosi pericoloso «Ora passami entrambe le pistole, e quel
fucile a Laura, è il momento di fargli capire chi comanda.» sibilò
letale.
*
New
Mexico, Las Cruces.
La
neve aveva appena finito di scendere, creando un sottile e soffice
strato bianco sull'intera cittadina di Las Cruces.
Una
piccola città nel sud del New Mexico che si era fatta
improvvisamente deserta. Un silenzio irreale e pesante impregnava
l'aria, mentre gli Avengers appena sbarcati dal jet si guardavano
attorno con aria circospetta.
«Rilevo
fonti di calore in direzione nord-est» dichiarò Stark avvolto
dall'armatura, mentre dati iniziavano ad apparire nella sua
interfaccia.
«Traccia
la posizione. Noi ti seguiamo...» berciò serio Steve;
«Non
serve» si intromise con tono cupo Bucky, tutti si voltarono verso di
lui che indicò a terra, sulla bianca neve imbrattata di vivo rosso.
«Oh
magnifico seguiamo la scia di sangue!» esalò Sam levando gli occhi
al cielo mentre il resto del gruppo si metteva in marcia.
«Seguiamo
il sangue! Non poteva essere seguiamo le farfalle!?» borbottò
sconsolato.
Il
gruppo continuò a muoversi piano, stando bene attenti a qualsiasi
segno fuori posto o attacco sorpresa; Sam volava a più alta quota,
mentre Tony gravitava intorno a Steve, Clint e James che procedevano
in circolo dandosi le spalla a vicenda.
«Qui!
Rilevò una fonte di calore, ma nessuna energia riscontrabile con lo
psychotron...» disse il miliardario sbuffando perché qualcosa non
andava con J.A.R.V.I.S., possibile che ci fossero apparecchi di
disturbo?
Si
trovavano davanti a quella che doveva essere la palestra della città.
Steve e Clint si accostarono alle porte lentamente e i rumori che
provenivano dall'interno non erano per nulla rassicuranti. Sarebbero
stati degni di un film horror.
«Anche
se lo psychotron non è più in funzione non significa che il suo
effetto sia svanito, questo è l'ultimo posto in cui sono state
registrate le sue radiazioni, quindi la priorità va alla distruzione
del dispositivo. State bene attenti, intesi?» disse ai compagni il
capitano poi fece un cenno a Tony.
Il
miliardario si posizionò davanti alle doppie porte d'ingresso levò
il braccio e l'energia scaturì dal palmo, distruggendo buona parte
dell'entrata.
«Oh
oh» ebbe il tempo di esclamare prima che un'ondata incazzosa e
completamente fuori controllo di persone gli si fiondasse contro.
Immediatamente
il resto della squadra si ritrovò ad affrontare un gran numero di
persone che non avevano più nulla di umano ed erano ricoperte di
sangue, alcune avevano ferite profonde o addirittura brandelli di
pelle staccati, e all'interno dello stabile la situazione era
peggiore di qualsiasi scena horror: il pavimento era ricoperto di
viscoso liquido rosso e diversi corpi erano riversi a terra, spezzati
o peggio.
«Ragazzi
non so voi, ma io credo che avrò gli incubi per mesi!» gridò Clint
combattendo quelle creature furiose, che non potevano più essere
definite umane.
«Non
guarderò mai più un film sugli zombie, lo giuro!» berciò Sam
orripilato.
Nessuno
di loro si era accorto che qualcuno stava osservando la scena,
dall'alto del tetto dell'edificio e sembrava pure godersela un mondo.
Brock
Rumlow afferrò il cellulare e rispose, mentre il sorriso sulle sue
labbra non accennava a scemare;
«Mmh.
Capisco, sì ci sono cascati in pieno, avranno il loro bel daffare.
D'accordo» poi si volse verso L che fissava lo scontro senza nessuna
espressione in particolare.
«Andiamocene.
Sin ha preso ciò che serviva, forse ha addirittura trovato qualcosa
di meglio» detto ciò non attese una risposta che non sarebbe mai
arrivata, e si voltò togliendosi dal cornicione.
Fu
un movimento impercettibile ma, l'occhio dell'arciere lo colse
comunque, alzò appena lo sguardo e fece appena in tempo a scorgere
una figura maschile. Fu talmente veloce che un'altra persona avrebbe
creduto semplicemente di esserselo immaginato. “Non
è possibile...”.
Tony,
nel frattempo come gli altri, tentava di sopravvivere a quegli
attacchi suicidi, imprecando perché J.A.R.V.I.S. non rispondeva ai
suoi comandi, c'era decisamente qualcosa che non andava. Il trillo di
una chiamata lo distrasse momentaneamente facendolo finire a terra.
«Pepper!?
Tesoro sono un tantino impegnato in questo momento...». Essendo
tutti collegati con l'auricolare fra loro, anche il resto dei suoi
compagni poteva sentire la conversazione.
«Tony!
La Tower è stata attaccata dall'Hydra!» gridò tutto d'un fiato
Pepper per nulla divertita, anzi il suo tono aveva un che di
isterico.
James,
Clint e Steve alzarono il capo in sincrono guardandosi fra loro con
occhi sgranati. Il cuore del capitano sprofondò e un terrore nero lo
assalì, fu per puro miracolo che non venne travolto dalla carica
nemica. Osservò i suoi compagni e i loro volti era stravolti dalla
stessa espressione scura ed angosciata che era dipinta sul suo volto.
“Natasha”.
*
«Ti
prego...» borbottò un agente dell'Hydra a terra e ferito
gravemente. Ma Natasha non diede segno di pietà e gli piantò una
pallottola dritta nel petto. Aveva visto, aveva capito cosa tentava
di nascondere, di proteggere.
Alzò
il capo e venne colta da un giramento, subito Niko e Sharon la
sostennero preoccupati. La mano di Vedova corse immediatamente al
ventre, si concentrò sulla respirazione per qualche secondo.
«Nat?
Tutto bene?» domandò il russo, lei annuì seria. Si costrinse a
rimettersi dritta sulle proprie gambe anche se aveva un'enorme voglia
di crollare a dormire, anche lì sarebbe andato benissimo.
Melinda
la osservò meravigliata, fortunatamente Jace e Alex erano riusciti a
contattare lo S.H.I.E.L.D. che aveva fatto immediatamente una manovra
aerea per tornare indietro ad aiutarli.
«Tu-»
«Non
ora ti prego» la interruppe la rossa esausta. Si guardò attorno
osservando l'intero salone trivellato e con corpi stesi a terra. Poi
un sottoposto di Melinda May sopraggiunse con espressione stravolta e
verdognola.
«Agente
May! C'è una donna al piano inferiore è stata... stata accoltellata
è-è piuttosto grave».
Natasha
e Sharon si guardarono ed entrambe si diressero lungo i piani
inferiori.
Una
volta giunte al piano in cui era situato l'ufficio di Helen Cho,
l'agente 13 si portò le mani alla bocca.
Vedova
si diresse da Helen riversa a terra immersa in una pozza di sangue,
il suo. Sembrava che qualcuno si fosse divertito a trafiggerla come
fosse stata un puntaspilli. Non seppe come riuscì a combattere i
conati di vomito, ma con un enorme sforzo di volontà, Natasha si
accostò alla donna, che improvvisamente aprì gli occhi e li puntò
su di lei.
«N-Natasha
m-mi dispiace...» sospirò stanca la dottoressa. Natasha si guardò
attorno non comprendendo subito, poi i suoi occhi si soffermarono
sull'intero ufficio e un brivido di puro terrore le percorse le
membra provate.
«Loro
lo sanno...» sussurrò, poi alzò lo sguardo su Sharon che la
fissava paralizzata;
«Loro
lo sanno».
1
= Circo Tilboldt è il circo in cui Clint Barton lavorò
insieme a suo fratello dopo essere fuggito di casa e dove, grazie
allo Spadaccino e Trick Shot, divenne un formidabile
arciere.
___________________________________________________________________________
Allora,
vi ho fatto attendere ma credo ne sia valsa la pena! (almeno lo spero)
come potete constatare no, non me ne sono stata tranquilla a lungo, in
questo capitolo dopo un inizio abbastanza riflessivo troviamo un bel
po' di azione, l'HYDRA o forse dovrei dire Sin? ha tirato un bello
scherzetto ai nostri eroi... e la fine del capitolo mostra fino a che
punto; ora anche loro "sanno". Molti si chiederanno perché Sin -
anche nello scorso capitolo - era interessata alle cartelle mediche
degli Avengers, tutto ha una spiegazione, e presto o darti vi
verrà fornita.
Spendendo due parole per Natasha:
non è stato facile immedesimarmi nello stato d'animo di una
futura madre, questo viene complicato dal fatto che la persona in
questione è abbastanza complessa. Natasha oscilla tra la
preoccupazione e la felicità a cui comunque non vuole
abbadonarsi, perché ne ha davvero passate troppe per vedere il
mondo tutto rose e fiori, inoltre credo che una gravidanza, con tanto
di ormoni al seguito, sia comunque un avvenimento, un percorso che ti
pone davanti a mille dubbi e preoccupazioni... Perciò Natasha ha
ancora un po' di strada davanti a sè prima di tornare ad avere
il suo consueto controllo e di accettare con serenità gli eventi
- sempre che tutto fili liscio - qui però vediamo dei momenti
puramente Vedova, non si fa problemi a togliere di mezzo un nemico per
proteggere la sua gravidanza e così suo figlio, l'animo da
leonessa non è solo di Sharon e anche Nat avrà modo di
dimostrarlo.
Per quanto riguarda Laura ho totalmente inventato il suo background, ma
doveva pur essere spuntata fuori da qualche parte no? E come ho scritto
è la moglie di una super spia e pure Avenger, volete davvero che
malgrado l'anonimato suo marito non le abbia insegnato a difendersi!?
Dai! In ogni caso spero che questa mia piccola libertà vi sia
piaciuta.
Bene! Anche per
questo capitolo è tutto... Per qualsiasi dubbio o
curiosità non esitate a contattarmi :) Vi invito, come sempre, a
seguire la mia pagina autore su fb "Asia Dreamcatcher".
Io ringrazio tutti voi: chi commenta, chi inserisce la mia storia nelle
differenti liste e anche chi legge semplicemente e vi do appuntamento a
VENERDI' 28 APRILE
(purtroppo per motivi di impegni sono costretta a rivedere la data di
pubblicazione!) tra 18 giorni... e credetemi non sarà piacevole
XD
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Capitolo 11 *** Collapse ***
11
Capitolo
Undici: Collapse
“Even
if you know what's coming,
you're
never prepared for how it feels”
~
Natalie Standiford
James
digrignò i denti andando su e giù, i muscoli tesi che guizzavano
sotto il tessuto del giubba a doppio petto scura. Clint, seduto ai
comandi del velivolo, guidava con una concentrazione assoluta, la
tensione che scorreva nelle sue braccia.
Tony
era concentrato sullo schermo davanti a lui, gli occhi scuri, seri
che rincorrevano i dati e gli algoritmi che gli apparivano davanti ad
una tale velocità che parevano sfocati.
Sam
salutò piano Maria al telefono e si volse verso Steve, rigidamente
seduto, lo sguardo cupo e perso.
«Ho
appena parlato con Maria...» esordì, attirando l'attenzione
generale «Adesso è alla Tower con la May, il prigioniero è al
sicuro allo S.H.I.E.L.D., stanno tutti bene-» un sospiro
impercettibile di sollievo «A parte per la dottoressa Cho, è stata
ricoverata d'urgenza, ma sembra che se la caverà!» il resto dei
suoi compagni era abbastanza scioccato dall'attacco violento a Helen
Cho, ma il peggio doveva ancora venire. Sam inspirò rumorosamente
rivolgendosi in particolare al capitano «Steve... Chiunque abbia
attaccato la dottoressa era interessato alle nostre cartelle
cliniche-» una muta domanda si accese negli occhi dei presenti «Ed
è molto probabile che anche l'HYDRA ora sappia...».
Il
biondo supersoldato rimase immobile, lo sguardo ancora confuso, non
avendo colto ciò che l'amico gli stava suggerendo... O forse era il
proprio cervello che non poteva sopportare quell'informazione.
«Sanno
che Natasha è incinta» concluse Sam con sguardo angosciato.
Clint,
James e Tony si erano come cristallizzati a quella notizia, i loro
sguardi si puntarono tutti su Steve, muto e stoico come una pietra in
mezzo a loro.
In
quel preciso istante il capitano ebbe la sensazione che non ci fosse
abbastanza ossigeno in quel jet. Malgrado all'esterno lui apparisse
come una perfetta statua marmorea, dentro era sul punto di
disgregarsi. Avvertiva il fallimento su di sé, dentro di sé...
dappertutto, ne percepiva il gusto acre, pungente, disgustoso sulla
lingua. Pensava... o forse meglio dire sperava
che alla Tower, Natasha sarebbe stata al sicuro, che lì nessuno
avrebbe potuto nuocere alla sua famiglia; era stato troppo ottimista?
Troppo cieco di certo. Sì, Steve si sentiva costantemente circondato
da angoli ciechi, ovunque volgesse lo sguardo qualcosa,
immancabilmente, gli sfuggiva e la conseguenza era che la sua
famiglia era ancora più esposta ora.
Una
stretta al cuore lo colse alla parola “famiglia”.
Dalla morte di sua madre, quella parola, per lui, aveva assunto
significato nella persona di Bucky, era il suo migliore amico, suo
fratello, la sua persona,
un legame che valeva più del sangue. Era diventato Captain America e
la sua famiglia si era allargata: c'erano stati gli Howling
Commandos, Peggy, il capitano Phillips... Poi aveva perso tutto, lui
era rimasto solo, un unico punto sospeso su una tela bianca.
Poi
era emerso dai ghiacci e Fury era stato il suo primo, nuovo legame;
gli scocciava ammetterlo – e sapeva che non era il solo a pensarlo
– ma per lui era alla stregua di una figura paterna, sfuggente
certo a volte detestabile, ma pur sempre il suo unico punto fermo
della sua nuova vita. Il Colonnello era anche colui che aveva formato
gli Avengers e dopo New York, Steve si era affezionato a quello
stravagante gruppo, forse mal assortito in certi momenti ma che
quando c'era bisogno funzionava come un sol uomo. E poi beh, c'era
lei. Il suo filo rosso,
la sua Natasha. L'amore che provava per lei era così totalizzante
che a volte non era semplice da esprimere, lui semplicemente non
riusciva a respirare se non c'era lei. Aveva trovato la sua famiglia
in lei e anche in Sam e nuovamente in Bucky, malgrado tutto il male,
in Jace, Sharon, Alexandra...
Ma
Natasha era sempre la stella più luminosa della sua volta, un tempo
buia, ed ora gli aveva donato un'ulteriore frammento di luce: il loro
bambino.
Steve
non lo aveva chiesto, ci aveva pensato, persino fantasticato ma non
ne aveva mai sofferto la mancanza. Eppure la gioia lo aveva travolto
lo stesso a quella scoperta, a quel piccolo miracolo. Non sapeva dire
il perché ma si era sentito pronto; la titubanza di Natasha l'aveva
ferito, ma non poteva biasimarla... lui stesso era consapevole dei
rischi e delle difficoltà che sua figlia o suo figlio avrebbe
incontrato crescendo, capiva le sue paure e le condivideva. Per
quello aveva giurato a sé stesso che lo avrebbe tenuto al sicuro,
voleva che nascesse senza essere minacciato, eliminare l'HYDRA
definitivamente prima che anche solo potessero posare lo sguardo sul
loro bambino, a cui sentiva già di voler bene, per cui avrebbe dato
la vita senza esitare. Invece aveva fallito. Loro sapevano... e il
suo cuore di padre si attorcigliò dolorosamente, come se qualcuno
glielo avesse afferrato bruscamente e lo stesse accartocciando senza
pietà fra le mani.
«Steve...
Respira».
James
era al suo fianco, la mano umana premuta con gentilezza sul suo
collo, gli occhi fissi nei suoi.
«Natasha...»
articolò il capitano stringendo poi i denti;
«Natasha
sta bene, concentriamoci su questo» lo rassicurò l'amico facendogli
sentire la propria presenza.
Il
biondo supersoldato annuì e Bucky comprese che stava tentando di
farsi bastare quello, anche se sapeva che ciò non era vero. Avrebbe
voluto poter fare di più, Steve era suo fratello e quel bambino era,
per lui, a tutti gli effetti suo nipote. Bastò un'occhiata fra loro
per capirsi; non erano mai stati necessari lunghi discorsi, James si
mise a fianco all'amico, sapeva che la sua presenza era l'unica cosa
di cui lui avesse bisogno, in cuor suo però era conscio che esisteva
anche un'altra cosa che poteva fare.
Arrivarono
all'Avengers Tower poco prima dell'alba. L'edificio era ancora sopito
e Steve, Tony, James, Clint e Sam si accordarono per ritirarsi a
riposare almeno per qualche ora, prima di riunirsi a discutere degli
ultimi avvenimenti.
Il
capitano, con il petto gonfio di preoccupazione aprì la porta della
propria camera, restò per qualche istante sulla soglia perso nella
contemplazione dell'unica donna che possedeva il suo cuore.
Natasha
non dormiva. Era accoccolata su una poltrona rivolta verso la grande
vetrata che conduceva al piccolo terrazzo; le gambe raccolte, addosso
un'ampia vestaglia premaman, un braccio a coprire il ventre, l'altro
poggiato al bracciolo con la mano serrata a pugno a coprirle la
bocca.
Lui
avanzò di qualche passo e la spia non accennò a muoversi, non diede
nemmeno segno di averlo sentito. Cadde in ginocchio davanti a lei,
che aveva ancora lo sguardo puntato verso la vetrata fisso,
insondabile. Lui notò subito la lucida ed impalpabile scia lasciata
da quelle lacrime, che doveva aver detestato versare, il suo profilo
dolente, il pugno poggiato contro le labbra carnose e screpolate. Era
come se Steve si fosse prostrato ai suoi piedi per chiedere il suo
perdono, per dirle che gli dispiaceva; le poggiò il capo sulle
gambe, stanco ed immediatamente la mano di Natasha corse fra i suoi
crini biondi, accarezzandolo piano. Quel gesto serviva a quietare
entrambi.
Nessuno
dei due seppe per quanto tempo rimasero così, in silenzio, in
un'apparente calma. Vedova distolse lo sguardo, spostandolo
finalmente sul proprio compagno ad occhi ancora chiusi.
«Non
appena ho compreso-» parlava lentamente Natasha quasi sussurrando,
la voce arrochita, come se non la usasse da molto tempo «-Che loro
ora sanno del bambino, per un folle istante ho desiderato abortire»
Steve trattenne impercettibilmente il fiato «Ho desiderato
strapparmelo dal ventre io stessa, perché è questo che faranno
Steve, ce lo strapperanno via.» prese una pausa dedicandosi con
dovizia ad accarezzare la testa del compagno, come a volerlo
tranquillizzare «Ma io non posso lasciarglielo fare. Perché
nell'esatto momento in cui l'ho pensato, ho capito che io lo voglio
Steve!» il capitano alzò il capo e puntò i suoi occhi in quelli
smeraldini di lei «Voglio il mio bambino. Desidero nostro figlio
come l'aria... Voglio che nasca, voglio che sia al sicuro, nessuno
deve nemmeno sfiorarlo-»;
Steve
osservò ipnotizzato quelle fragili lacrime scivolare sul suo volto e
lei imprecare frustrata, maledicendo gli ormoni e alla fine non
resistette più. La avvolse delicatamente nel suo abbraccio.
«Vanno
eliminati Steve. Devi- dobbiamo fermarli» celiò lasciando che lui
la stringesse. La sollevò e si sedette sulla poltrona con lei in
grembo.
«Natasha»
la richiamò dolcemente il capitano, con le labbra poggiate sulla
fronte e le mani strette sul suo viso «Non oseranno avvicinarsi a
nostro figlio. Non rinunceremo a lui o a lei, lotterò fino al mio
ultimo alito di vita te lo giuro»;
«Lotteremo
Steve» lo riprese lei riprendendo fiato e controllando l'ondata di
emozioni che l'aveva sopraffatta fino ad un attimo prima.
Si
guardarono negli occhi, con una tale profondità da lasciare senza
fiato.
«Dimmi
di cosa hai bisogno» asserì il capitano serio;
«Ho
bisogno che tutti siano più preparati, vogliono qualcosa Steve, lo
sento... Dobbiamo cercare di capire» il compagno annuì concorde.
«Seguirò
personalmente l'addestramento di Jace e Alexandra» sospirò e poggiò
il capo sulla spalla di Steve «Non vorrei costringerli a questa
vita, ma sono troppo a rischio devono essere pronti»;
«Lo
so e lo sanno anche loro» la rassicurò lui, poi il suo sguardo si
incrinò e rafforzò la presa sulla donna «Mi dispiace Natasha, mi
dispiace tanto...» sospirò con tono stanco e sofferente.
Vedova
gli prese il volto fra le mani ed iniziò ad accarezzargli gli zigomi
con i pollici «Shhh. Non è colpa tua моя жизнь [vita mia],
nessuno poteva prevederlo.» lo fissò per qualche istante «Vieni.
Hai bisogno di riposare».
*
«Beh,
congratulazioni Natasha!» esordì Phil Coulson con il suo solito
sorriso accennato, non dando a vedere quanto quella notizia l'avesse
emozionato.
La
donna gli concesse un breve sorriso;
«Ti
ringrazio, ma vorrei che le circostanze fossero diverse».
Erano
tutti radunati nel soggiorno dell'Avengers Tower, Phil aveva
raggiunto Melinda, Maria faceva le veci di Fury, impegnato a fare
chissà cosa.
«Mi
spiace non avervelo detto prima... Ma-» disse Steve non sapendo bene
come continuare;
«La
talpa, ovvio!» lo anticipò la May infastidita da quella falla
nell'agenzia.
«A
proposito, novità?» domandò Maria in piedi accanto alla poltrona
in cui era sprofondato Sam.
«Stiamo
analizzando nuovamente il profilo di ogni agente e Skye si sta dando
da fare per cercare di fare un riconoscimento facciale della donna
del video... Ho fiducia in lei» asserì il direttore con tono
sicuro, non dubitava che la sua Skye ci sarebbe riuscita.
«Come
vanno le cose?» chiese vedendo le espressioni degli Avengers
diventare cupe.
«Una
meraviglia!» sbottarono in coro Clint, Sam e Bucky.
«Quello
che i miei egregi colleghi stanno cercando di dire-» si intromise
Tony con il suo classico tono sarcastico «E' che stiamo facendo
acqua da tutte le parti! Insomma non ne stiamo azzeccando una
gente...» terminò con una smorfia.
«Usano
lo psychotron come diversivo» mormorò cupo Steve;
«E
non è un bello spettacolo» aggiunse Clint con uno sbuffo, nessuno
di loro si sarebbe tolto facilmente quelle scene dalla testa.
«Non
si può fare nulla per prevenire questi attacchi?» domandò Melinda;
«L'unico
punto a favore nostro, se così si può dire, è che lo psychotron
emana radiazioni differenti da qualsiasi altra, questo permette di
individuarlo facilmente, il problema è che se le sta emanando
significa che-»
«E'
attivo» dedusse il capitano per Tony, che annuì.
«Come
va con il prototipo, sei riuscito a capire il funzionamento?»
domandò Coulson; Stark si prese un istante per rispondere, tutti lo
videro combattere col proprio ego e sospirare, sembrò quasi
afflosciarsi su se stesso;
«Se
avessi gli appunti di questo Yen sarebbe più semplice! La meccanica
è facile da comprendere» ammise a malincuore «il fatto è che
l'esperto di radiazioni qui non sono io ma...»
«Bruce
Banner» rispose Natasha, poi si guardò con i presenti «Nessuna
idea di dove possa essere il dottore?»
«E'
fuori dai nostri radar da un po'» ammise il direttore mentre anche
Maria si strinse nelle spalle come a dire che ne sapeva ben poco.
«J.A.R.V.I.S.
è stato ripristinato a proposito?»
«J.A.R.V.I.S.?»
chiamò Tony;
«Sì,
il signor Stark ha fatto un ottimo lavoro con me» rispose pronta
l'AI «Grazie signor Stark»
«Dovere»
«Mi
dispiace signorina Romanoff, signorina Carter per quello che è
accaduto»
«Non
fa niente J.A.R.V.I.S.» risposero Sharon e Natasha.
«Certo
che hackerare J.A.R.V.I.S...» borbottò Sam incredulo;
«Non
dirlo a me. La cosa non è affatto simpatica, semmai troverò questo
hacker che ha osato farmi questo affronto lo prenderò a calci o al
massimo potrei anche assumerlo!» disse Tony, beccandosi occhiate
perplesse da parte dei presenti.
«Resta
da capire perché erano interessate alle nostre cartelle cliniche...»
ricordò Clint passandosi una mano sul viso stropicciato «Come sta
la dottoressa Cho?»;
«L'operazione
è andata bene, dovremo aspettare uno o due giorni prima di poterle
far visita, al momento è sedata.» spiegò Maria, mentre i presenti
annuirono; Sharon, seduta accanto a Natasha le strinse la mano.
«Ne
parlavamo prima io e Natasha, stanno cercando qualcosa...» dichiarò
il capitano lanciando un'occhiata alla compagna al suo fianco che
annuì.
«Non
ci resta che capire che cosa vogliono».
«Voglio
parlare col prigioniero» esordì James catturando l'attenzione dei
presenti, Sharon levò lo sguardo su di lui.
«Ne
sei sicuro?» domandò Steve sporgendosi verso l'amico.
Bucky
lasciò vagare lo sguardo su Steve, Sam, Natasha e per ultima Sharon
e li si fermò.
«Sì».
«D'accordo
allora» disse Coulson «Hai il permesso di parlargli. Ma fa
attenzione Barnes».
*
The
Playground
James
percorreva i corridoi con lo stesso passo di una marcia funebre, i
suoi occhi però non tradivano nessuna incertezza.
Prima
di varcare la soglia, diede un'ultima occhiata al prigioniero
dall'apposita vetrata.
La
stanza era spoglia e grigia, l'agente dell'HYDRA stava seduto al
centro, ben ammanettato, le palpebre abbassate.
Bucky
afferrò una sedia e si mise davanti a lui.
«Il
tuo nome» chiese con voce atona, sapeva che non stava dormendo.
Infatti, il giovane agente sollevò le palpebre di scatto, rivelando
i suoi occhi di un azzurro scuro, le sue labbra però rimasero
sigillate. Non che James si fosse aspettato davvero una risposta, ma
almeno ora aveva la sua attenzione.
«Tu
sai chi sono...».
L'altro
puntò il suo sguardo su di lui, le labbra si dischiusero e
l'espressione si fece incerta.
«Tu
sei... il... maestro» mormorò confuso. James capì che la sua mente
era una matassa da sbrogliare esattamente come la sua.
«Ti
ho addestrato io?»;
l'agente
N sbatté le palpebre un paio di volte, era stato addestrato a non
dire nulla, a non rispondere ad alcuna domanda, ma lui era stato il
suo addestratore e non riusciva a sottrarsi ad un suo ordine.
«Sì...
tu... ci... hai addestrato» un brivido lo colse, il terrore
di essere punito per aver risposto.
Bucky
strabuzzò gli occhi;
«Ci?
Quanti ce ne sono come te?» domandò bruscamente, il ragazzo non
rispose. La sua bocca si era nuovamente sigillata.
«Maledizione!»
urlò il Soldato d'Inverno prendendosi la testa fra le mani. Non
riusciva a ricordare.
Continuò
a fargli altre domande, alcune sull'HYDRA, sulla donna che era con
lui e su quanti altri Winter Soldier ci fossero. Ma nulla, le
risposte del ragazzo erano incerte e si riducevano a monosillabi
quando decideva di non tacere, Bucky però si accorse che il solo
nominare la donna dell'asta dei Belgioioso lo rendeva nervoso, i suoi
occhi si dilatavano come un animale colto dagli abbaglianti. Si
sentiva frustrato e furioso con se stesso, con il suo passato. James
si rese però conto che il fatto che fosse lì di fronte a lui, lo
destabilizzava; probabilmente nella sua mente lui era stato
l'addestratore, una sorta di punto fisso nella sua esistenza
all'interno dell'HYDRA. Forse con il tempo si sarebbe aperto, di
sicuro non poteva mollare, la sua famiglia era in pericolo.
Decise
che per quel giorno poteva bastare, aveva tastato il “terreno” e
aveva constato che c'erano delle crepe di cui solo lui poteva
approfittare. Si alzò e si diresse verso la porta.
«Io
non ricordo» disse improvvisamente il prigioniero, Bucky si voltò
nascondendo la sua sorpresa e vide negli occhi dell'altro un bagliore
di umanità; «Io non ricordo il mio nome» alzò lo sguardo e a
James non era sembrato mai così fragile come in quell'istante, poi
lo osservò ricomporsi e la sua espressione diventare vuota.
Non
appena fuori prese un enorme respiro appoggiandosi per qualche
momento alla porta chiusa alle sue spalle.
«Agente
Barnes?».
Il
supersoldato si voltò verso la voce cortese ed ebbe una sensazione
di deja vu.
«S-salve,
agente... Holstein, giusto?» domandò incerto.
La
ragazza gli sorrise gentile ed annuì;
«Sì,
le dispiace seguirmi? C'è una cosa che vorrei mostrarle riguardante
il prigioniero...» James annuì e si mosse dietro di lei.
Lasciò
che lui entrasse per primo e poi si chiuse la porta alle sue spalle,
il sorriso indulgente persisteva ancora sulle labbra.
«Che
significa?» domandò brusco, si guardò intorno: era una stanza
scarna, priva di finestre, lontano dagli uffici dello S.H.I.E.L.D.,
un posto isolato. Una trappola.
Il
sorriso sulle labbra di Erica Holstein divenne malizioso, quasi
ferino.
«доброго
утра солдат [Buongiorno Soldato]» disse semplicemente
causando, però, la completa paralisi all'uomo che le stava davanti,
incredulo.
«Chi
sei?» esalò mentre i suoi occhi vagavano su di lei e sull'ambiente
che li circondava «Rispondi!».
Ma
l'agente Holstein non rispose, si limitò a tirare fuori un
quadernetto rosso sangue dall'aspetto consunto e con una stella nera
incisa sopra.
Mai
come in quel momento James si sentì in pericolo, esposto, nudo non
ricordava con chiarezza eppure i suoi sensi scattarono all'erta, i
muscoli tesi come corde sul punto di spezzarsi brutalmente.
«Che
diav-?»
«желание
[brama]»
la ragazza pronunciò quella parola con tono curioso e quando vide
l'effetto che ebbe sul soldato, ridacchiò sinceramente divertita.
A
James sembrò che gli mancasse il respiro, il fiato gli si mozzò di
netto ed un'ondata di ricordi gli invase la mente. Spalancò gli
occhi «NO!» urlò disperato.
«ржавое
[ruggine]»
E
Bucky lo sentì quel sapore amaro, tossico pungergli la lingua,
pervadergli le narici ed occludergli le vie respiratorie... allungò
una mano verso di lei «Basta!»;
«семнадцать
[diciassette]»
La
testa cominciò a dolergli come mai prima aveva fatto, se la afferrò
tra le mani, ed in un attimo era di nuovo lì, alla mercé
dell'HYDRA, stretto su quella poltrona, la mente martoriata, serrata
fra quelle dannate piastre di metallo;
«рассвет
[alba]»
«Fermati!»
urlò sofferente, angosciato... i volti delle persone care
cominciavano a sciogliersi, liquefarsi davanti a lui, annaspò;
«печь
[fornace]»
Il
dolore al braccio, gli addestramenti massacranti; James sentì le
ondate di dolore sommergerlo come se gli fosse stato rovesciato
addosso una colata di lava;
«девять
[nove]»
Urlò.
Si dimenò e prese a pugni la parete, non vedeva più nulla, le
immagini si affacciavano nella sua testa, non capiva più nulla...
«доброкачественной
[benevolo]»
Migliaia
di cadaveri apparvero davanti a lui, gli occhi rovesciati,
martoriati, corpi che lui aveva spezzato, assassinato per loro
volere;
«возвращение
на родину [benvenuta]»
Sì,
era nuovamente tornato all'inferno, al buio senza fine, al freddo
degli aghi nelle braccia e degli ambienti in cui veniva tenuto come
una bestia, cullato dalle suppliche dei suoi avversari, dai versi
strazianti delle sue vittime;
«один
[uno]»
Sharon
gli sorrise per l'ultima volta, il calore scomparve. Era solo, non
c'era più luce attorno a lui, era tornato ad essere la notte senza
luna;
«грузовой
вагон [vagone merci]»
la
caduta dal vagone, Steve che diventava sempre più lontano, lo
schianto, il gelo crudele che lo avvolgeva, che gli penetrava nella
pelle, nei muscoli fino alle ossa, al cuore... alla mente... e poi il
buio.
James
Barnes aveva smesso di dimenarsi, il respiro affannoso si era
attenuato, i muscoli rimanevano tesi, la testa alta, gli occhi
chiusi... E quando arrivò il momento di sollevare le pallide
palpebre di Bucky non era rimasto nulla.
«готовый
подчиняться [pronto ad obbedire]» disse il Soldato
d'Inverno.
«Te
l'avevo detto che tu ed io ci saremmo divertiti insieme!» proruppe
con tono insopportabilmente infantile quella che in realtà era
Sinthea Schmidt. Chiuse il quaderno e si avvicinò all'uomo immobile,
gli avvolse le braccia attorno al collo e lo baciò velocemente sulle
labbra, senza che lui muovesse un solo muscolo.
Gli
poggiò il capo sulla spalla, tracciando con l'unghia affilata il
contorno del suo viso, poi si sollevò sulle punte e gli sussurrò
lascivamente all'orecchio, gli occhi animati da un perverso
divertimento.
«Uccidi
Sharon Carter».
*
Antoine
Triplett era convinto che prima o poi a Skye sarebbero caduti gli
occhi a forza di analizzare quell'immagine.
«Skye
ti avverto cominci ad inquietarmi...» berciò spaparanzato sulla
sedia con i piedi sul tavolo ed intento a leggere una rivista di
fisica.
«Ho
promesso a Coulson che ci sarei riuscita, e ci riuscirò!» replicò
la giovane legandosi i capelli in una coda alta, senza mai
distogliere lo sguardo da quell'immagine maledetta, che ormai
imperversava persino nei suoi sogni. Le bastava un frammento...
L'agente
di livello 6 ruotò il capo e la fissò, sorrise... Non voleva
deludere il direttore o May, la trovava davvero dolce.
«Che
c'è?» sospirò l'hacker sentendosi osservata. Trip distolse
nuovamente lo sguardo;
«Nulla»
rispose schiarendosi la voce.
Il
silenzio si dilatò fra loro mentre il tempo passava; Skye strinse lo
sguardo ingrandendo per l'ennesima volta lo schermo frantumato del
fotogramma, poi esultò.
«Sì!
Si vede il riflesso di un occhio!» trillò trionfante.
Antoine
saltò giù dalla sedia e le andò incontro incredulo; l'immagine non
era nitidissima ma lo vedeva anche lui. Finalmente qualcosa su cui
potevano lavorare.
«E'
abbastanza per fare un riscontro facciale?» domandò;
la
giovane annuì soddisfatta;
«Sì,
devo solo renderla più nitida...» spiegò lavorando sul frammento
grazie ad un software apposito «E... Invio! Ora non ci resta che
vedere se c'è un riscontro!».
Passò
qualche secondo, i due agenti erano entrambi tesi e il loro respiro
pareva essere rimasto sospeso, poi finalmente il computer dette un
risultato. Ma non appena l'hacker lesse il nome dato dal riscontro,
sbiancò.
«Oh
no. Oh no. Oh no!»
«Skye
che succede?» domandò Trip per poi sporsi verso lo schermo e
leggere anche lui il risultato.
«Merda!
Skye chiama subito il direttore!!».
*
Sharon
sentì la porta del proprio appartamento aprirsi e chiudersi con un
colpo secco e poi il silenzio. Uscì dal bagno facendo il minimo
rumore;
«Jace?
James?» nessuna risposta.
Lentamente
la ragazza si diresse in cucina ed afferrò uno dei coltelli,
tenendosi pronta. Quando si voltò, un sospiro di sollievo lasciò le
sue labbra vedendo davanti a sé il proprio compagno.
«James
mi hai fatto prendere un col-!» ma non terminò la frase. Un
secondo. Un intero secondo le ci volle per rendersi conto di essere
stata spinta con violenza contro la credenza, e che a farlo era stato
James.
Sharon
boccheggiò, non sapeva dire se per il colpo che le aveva strappato
via il fiato o per l'incredulità di ciò che era appena successo.
Fece appena in tempo a sollevare lo sguardo su James per capire
immediatamente che qualcosa nei suoi occhi era cambiato.
Il
Soldato d'Inverno si preparò ad attaccare nuovamente e l'agente 13
si scansò appena iniziando ad indietreggiare a carponi. Non stava
succedendo davvero.
«James
ti prego!» ma lui non sembrava udirla, non sembrava nemmeno
riconoscerla.
Bucky
caricò il pugno e Sharon si trovò costretta a difendersi, deviando
il suo colpo, lui non sembrava conoscere pietà.
«Sono
io! Sono Sharon... ti prego fermati!» singhiozzò spaventata lei e
si ritrovò nuovamente schiantata contro il muro del corridoio. Si
rialzò a fatica e contrattaccò a malincuore, era inutile non
riusciva a fargli del male, e lui non era chiaramente in se stesso. I
suoi occhi di ghiaccio non trasmettevano nulla, non ardevano nel
guardarla come accadeva ogni volta; Sharon percepiva solo gelo
provenire dalla figura davanti a lei.
Riparò
nella stanza, nella loro stanza ma non appena provò a
chiudere la porta il braccio metallico di Bucky la divelse e si
ritrovò a terra mentre lui torreggiava come un angelo vendicatore su
di lei.
«James-».
Ma
James l'afferrò per la gola, con la mano umana, insensibile ad ogni
supplica ed iniziò a stringere.
Sharon
faticava seriamente a respirare stretta nella gelida morsa del
Soldato d'Inverno, poteva percepire distintamente i lividi accendersi
dolorosamente sul suo collo, mentre la mano non accennava minimamente
a distendere quella presa mortale. Gli occhi dell'agente 13 erano
sgranati per lo sgomento, da oltre il leggero velo di lacrime
osservava disperata l'uomo che amava tentare di soffocarla, nessuna
espressione, solo uno sguardo freddo e vuoto gli deturpava il viso.
«J-James...
Ti prego... Amore mio...» singhiozzò. Con un ultimo sforzo
di volontà la bionda iniziò a scalciare e colpì il supersoldato
allo stinco facendolo mugolare, riuscì a farlo indietreggiare e lo
spinse contro la parete, malgrado la mano non le avesse lasciato il
collo. Sharon afferrò malamente la lampada sul comodino e gliela
ruppe violentemente in testa, facendo crollare a terra entrambi.
Prese
un paio di ampi respiri prima che la vista iniziasse ad offuscarsi,
le lacrime continuarono a scendere mentre il buio prendeva il
sopravvento.
Bucky
si risvegliò dopo qualche minuto, la testa gli doleva atrocemente ma
il condizionamento era scomparso. Si guardò attorno nel tentativo di
capire dov'era: si trovava nell'appartamento che condivideva con
Sharon. Non appena scorse il corpo dell'amata a terra a pochi passi
da lui, i ricordi gli tornarono violentemente in mente, talmente
vividi che ebbe un capo giro.
Subito
accorse da lei e con mani tremanti la girò, era svenuta. Osservò
sconvolto i lividi sul suo collo esile e si sentì perso.
Che
cosa aveva fatto?
La
stava per uccidere. Un singhiozzo gli sfuggì dal petto e strinse il
corpo privo di sensi di Sharon a sé, cullandolo piano.
Che
cosa aveva fatto?
In
quel momento comprese che era ancora schiavo dell'HYDRA. Quei codici
di controllo, che lui aveva sepolto nei meandri della sua mente, lo
rendevano l'essere più pericoloso per le persone che amava.
Che
cosa aveva fatto?
Strinse
Sharon a sé un'ultima volta, poi la alzò e delicatamente, con una
premura che stringeva il cuore, la depositò sul letto e le accarezzò
dolcemente i capelli. Raccolse i cocci della lampada e rimise, per
quanto poteva, l'appartamento in ordine, poi tornò nella camera da
letto. Quella stanza che aveva visto così tanto di loro, e che ora
gli faceva male.
James
osservò le foto sul suo di comodino, il regalo di Sharon per Natale
e il cuore si fece talmente pesante che il dolore minacciò di
annientarlo.
Si
accostò alla donna che amava, e che aveva rischiato di perdere,
pronto a spezzarla con le sue stesse mani insanguinate. Sapeva di non
meritarlo ma le diede un leggero bacio sulle labbra, morbide, per lui
bellissime. L'ultimo bacio.
Perdonami,
amore mio.
Sharon
si svegliò di soprassalto. Gli occhi lucidi e sgranati si guardarono
intorno, incapace di regolarizzare il proprio respiro.
Bucky
non era più nella stanza, si alzò non proprio ferma sulle sue
gambe.
«J...a...m...e...s»
articolò a fatica, rendendosi conto che la gola le doleva
moltissimo. Disperata corse nel corridoio, guardò dappertutto ma di
James non c'era più traccia e non seppe il perché, non ne aveva
minimamente la certezza eppure lo sentì lo stesso. Lui se n'era
andato.
Crollò
a terra ed iniziò a piangere inconsolabile, ignorando il dolore alla
gola, agli arti... tutto tranne il dolore del proprio cuore, a pezzi.
Nemmeno
si accorse della porta che veniva riaperta, della voce allegra di
Jace che la chiamava.
Sentì
delle mani sulle spalle ed una voce che la chiamava preoccupata e per
un folle istante sperò che fosse Bucky; che fosse tornato... da lei.
Che avrebbero sistemato le cose. Ma non era così.
Sharon
alzò lo sguardo su Jace che la fissava sgomento, quasi terrorizzato.
Si coprì gli occhi esausta, sconvolta.
«Se...
n'è andato...» sussurrò «Se n'è andato».
*
James
si piegò rapidamente in avanti e vomitò, disgustato da se stesso.
Si pulì bruscamente con il dorso della mano mentre quella metallica
reggeva un cellulare. Chiuse gli occhi, cercando di calmarsi, mentre
una dolorosa consapevolezza si faceva strada in lui.
Con
rassegnazione digitò un numero e avviò la chiamata. Gli rispose
quasi subito.
«Ho
bisogno di un favore».
__________________________________________________________________________
...Okay,
prendiamoci tutti un bel respiro e so che la situazione è
brutta... ed effettivamente lo è. Ciò che qualcuno temeva
è accaduto! Sin ha utilizzato il quaderno rosso con i codici
d'attivazione del Soldato d'Inverno e gli ha dato uno degli ordini
più infimi col solo scopo di distruggerlo e fargli comprendere
che l'HYDRA ha ancora tanto potere su di lui... Bucky ha disatteso
l'ordine, grazie a Sharon, ma ciò gli ha fatto prendere una
decisione drastica. Quale sarà la sua prossima mossa?
Passando
allo SHIELD, sembra che Skye e Trip conoscano l'identità della
talpa... che siano finalmente giunti alla verità? E cosa vuole
l'HYDRA dagli Avengers davvero? La situazione non è certo delle
migliori, sopratutto per Steve e Natasha il cui ormai segreto è
stato scoperto... se vi state chiedendo se la situazione potrebbe
peggiorare, la risposta è... forse!
Ho davvero avuto difficoltà... no forse dovrei dire che non
avevo per nulla voglia di scrivere questo capitolo, più che
altro le ultima sequenze, e spero davvero che non mi ammazzerete per
questo (so che potrei meritarmelo, ma pensateci... Poi come farete a
sapere come andrà a finire l'intero pandemonio?), perché
è un momento tragico, James ha toccato il fondo, certo non per
colpa sua e sicuramente la comparsa di N lo aveva già un po'
destabilizzato tanto da non fargli vedere il pericolo davanti a lui...
Per non parlare della reazione straziante (credetemi per me lo è
stato) di Sharon e di Jace... e non pensiamo al povero Stevie. Una
volta terminato ho dovuto prendermi una pausa prima di rileggerlo,
spero però che nonostante tutto, questo capitolo non vi deluda!
Io vi voglio ancora una volta ringraziare per il vostro sostegno e
chiunque venga qui anche solo per dare un'occhiata :) Vi invito, come
sempre, a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" e a contattarmi
per qualsiasi dubbio o semplice chiacchierata!
Prima di salutarvi vi do appuntamento tra due settimane: VENERDI' 12 MAGGIO!
Buon Weekend!
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Capitolo 12 *** Sin ***
12
Buogiorno miei cari lettori!
Con un filino
di ritardo ma ci siamo, ci siamo lasciati, nello scorso capitolo, che
la situazione non era proprio idilliaca, ma chi ha detto che al peggio
non c'è fine?
Ma ne riparleremo, vi lascio alla lettura del capitolo e ci vediamo a fondo pagina!
Buona Lettura!
Capitolo
Dodici: Sin
“Io
sono il frutto di quello che mi è stato fatto.
È
il principio fondamentale dell'universo:
ad
ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.”
~
V per Vendetta
Venne
al mondo nelle tenebre, in una notte priva di luna. Il giorno in cui
Sinthea Schmidt nacque, fu anche il giorno in cui uccise per la prima
volta. Sua madre, una lavandaia di poco conto, il cui solo scopo era
dare al mostro dalle infinite teste un degno erede, era morta di
parto.
Johann
Schmidt l'aveva visto come un segno, sul sangue della madre morente
era stato tracciato il destino del proprio figlio; prima di scoprire
che questi era una femmina.
Sin
l'aveva sempre saputo che suo padre era rimasto disgustato da ciò,
anche se in quel momento non era nient altro che una neonata senza la
benché minima coscienza di sé, lei lo sapeva... Perché quello
sguardo scostante l'aveva perseguitata ogni singolo giorno della sua
esistenza.
Teschio
Rosso l'avrebbe uccisa, pur avvertendone il potenziale, l'avrebbe
uccisa per il solo e semplice fatto di essere nata del sesso
sbagliato. Ma questo
non avvenne, fortuna o sfortuna – questo dipende dai punti di vista
– qualcuno decise che non avrebbe seguito il misero destino di sua
madre.
Susan
Scarbo, una donna la cui fedeltà all'HYDRA era totale, profonda e
che Sin avrebbe per sempre chiamato “Madre Notte”, pregò suo
padre di risparmiarla, di affidarla a lei, l'avrebbe cresciuta perché
potesse servire al meglio la causa.
Ma
il leader dell'HYDRA non aveva tempo da perdere, la pazienza non era
mai stata una delle sue doti più spiccate ed una volta ancora si
rivolse ad Armin Zola; un uomo che, forse, alla fine si sarebbe
rivelato più pericoloso di Teschio Rosso stesso. Gli ordinò di
creare una macchina che accelerasse la crescita di sua figlia,
ridendo in faccia alle regole del tempo e della natura. E Zola ci
riuscì.
L'infante
divenne un'adolescente che sapeva a malapena reggersi sulle proprie
gambe; un vaso affascinante e vuoto in attesa di essere riempito, e
Susan Scarbo adempì al suo compito.
Sin
dimostrò fin da subito una predisposizione alla violenza, che
infliggeva al prossimo ogni volta che se ne presentava l'occasione e
lo faceva con il sorriso sulle labbra. La sua risata era infantile,
dolce, genuina, proprio come quella di una bambina, che non era mai
stata.
Teschio
Rosso le aveva strappato a forza l'infanzia e la figlia, così
facendo, era una bambina nel corpo di un'adolescente. C'era qualcosa
di puro nel suo sadismo; osservava con i suoi occhioni meravigliati
il dolore attraversare ed espandersi lungo il corpo della sua vittima
e se ne compiaceva. Era onesta nella sua cattiveria, fuori controllo,
seguiva i suoi istinti, le sue pulsioni, non reprimeva nulla.
Madre
Notte riusciva a quietarla ma mai abbastanza; aveva un intelletto
fine, tanto da riuscire ad aggirare, senza difficoltà, i suoi
nemici. Amava gli indovinelli ma si annoiava facilmente, troppo
semplici per lei, troppo elementari, insufficienti per alimentare la
sua mente. Era forte, veloce molto più di qualsiasi soldato
appartenente alle schiere di suo padre.
Il
siero di Teschio Rosso scorreva in lei rendendola diversa da chiunque
altro, sapeva di essere superiore nella mente e nel corpo e questo
alimentava il suo ego, il suo folle senso di onnipotenza. Persino i
suoi alleati avevano timore di lei.
Suo
padre la osservava, da lontano, ma attentamente. C'era una cosa che
di lei non tollerava, oltre naturalmente al suo essere femmina, la
sua totale mancanza di disciplina. Decise che sarebbe stato lui in
persona a porvi rimedio.
E
così iniziarono le punizioni, dure ed implacabili. Sin gridava come
una Furia, si dimenava rabbiosa, guardando negli occhi quel padre,
che le era sempre apparso distante e chiedendo con gli occhi
“perchè?”. Non era forse la migliore? Era sangue del suo sangue
dopotutto... Ma lentamente comprese che qualsiasi risultato, per
quanto eccelso, raggiungesse, per lui, per suo padre non sarebbe mai
stato abbastanza. Perché era lei, semplicemente lei ad essere
sbagliata.
E
allora, punizione dopo punizione smise di resistere... accolse quel
dolore perché quello sarebbe stato l'unica cosa che mai avrebbe
ricevuto da Johann Schmidt. E più sentiva l'odio infiammare il suo
cuore, più al tempo stesso cercava di compiacerlo, tentando di
cancellare quello sguardo insofferente, cadendo in un circolo
vizioso, che le impediva di liberarsi di lui.
Sinthea
si ritrovava in una sorta di limbo: da una parte l'odio puro e
semplice, i bambini dopotutto non provano emozioni complesse; e
dall'altra l'insostenibile ricerca di approvazione. Ma lei era pur
sempre una bambina, costretta a crescere senza riguardo alcuno per le
leggi della natura; e quando non riusciva a conciliare questi due
lati di sé esplodeva. La rabbia fuoriusciva lasciando che fosse la
follia a prendere il sopravvento.
Le
cose non erano cambiate nemmeno dopo il sonno criogenico a cui era
stata posta dopo l'apparente morte del padre.
Sinthea
era questo dopotutto: una bambina capricciosa in un corpo di donna
letale e conturbante.
*
«Quella
stronza» sibilò infastidita Melinda May assottigliando
pericolosamente gli occhi. Skye la guardò con gli occhioni scuri
spalancati, praticamente quell'uscita equivaleva ad uno sfogo d'ira
di una persona normale.
«Che
facciamo direttore?» domandò Triplett, osservando attentamente
l'uomo al suo fianco che ancora non aveva proferito parola, ma
restava concentrato sul tablet che aveva fra le mani, su cui
troneggiava l'immagine di Erica Holstein.
«L'ho
controllata personalmente-» soffiò May mettendosi le mani sui
fianchi.
«May
non è colpa tua, abbiamo controllato il suo profilo insieme e-» un
lieve bip del suo cellulare attirò la sua attenzione.
«Chi
è?» si informò Antoine sporgendosi lievemente verso la ragazza.
«Un
mio contatto di Rising Tide. Gli ho chiesto di controllare il
profilo di Erica Holstein, è bravo in questo genere di cose e mi ha
confermato che la sua intera vita è inventata. Erica Holstein non
esiste» terminò con un sospiro.
A
quel punto Coulson sollevò lo sguardo, scambiandosi un'occhiata
densa con Melinda, che annuì impercettibilmente.
«Dobbiamo
prenderla. Ma dobbiamo fare attenzione, se è riuscita ad ingannarci
tutti significa che è estremamente capace. May assicurati che Fitz e
Simmons non escano dal laboratorio insieme a Mack, potrebbe essere un
suo possibile obiettivo e vedi se Barnes è ancora nell'edificio, il
suo aiuto potrebbe farci comodo. Trip trova Bobbi e Hunter e mettili
al corrente della situazione. Dobbiamo convergere su di lei,
muoviamoci con cautela, dobbiamo coglierla di sorpresa» sia Trip che
May annuirono gravi.
«Ehi
un momento! Ed io?» trillò Skye, guardandoli.
«Tu
resti qui.» rispose Coulson con la consueta pacatezza, ma
l'espressione era ferma.
«Ma...
ma-» fece per protestare, ma Antoine l'afferrò gentilmente per le
spalle magre;
«Andrà
tutto bene. Sarai i nostri occhi... dovrai monitorare la situazione!
Sei il nostro asso nella manica» la rassicurò con un sorriso
divertito. L'hacker sbuffò ma desistette, non potendo far altro che
annuire di malavoglia mentre li lasciava andare.
*
Sin
picchiettò per l'ennesima volta l'unghia laccata di rosso sangue
sulla superficie perfettamente trasparente. Si grattò insofferente
la nuca, quell'odiosa parrucca continuava a pruderle; la sua mano
scattò poi verso il cellulare usa e getta ma lo schermo non indicava
nessuna chiamata in arrivo o persa.
Il
suo stomaco si strinse e la ragazza si dimenò infastidita. Quella
era decisamente una sensazione che mai l'aveva sfiorata in vita sua e
portava in bocca un amaro sapore; era la consapevolezza che qualcosa
non stesse andando secondo i suoi piani.
Il
Soldato d'Inverno avrebbe dovuto chiamarla a fine missione. Quanto
poteva essere complicato ammazzare una piccola stronza come Sharon
Carter? E qualora si fosse reso conto della sua azione, ne sarebbe
rimasto così disgustato da non poter far altro che tornare fra le
fila dell'HYDRA, avendo compreso, come quello fosse l'unico posto per
uno come lui. Loro lo avevano in pugno, che senso aveva ribellarsi?
Almeno così la pensava Sin. Aveva accettato l'idea di sacrificare
una pedina, nella grande scacchiera del padre, ovvero il Winter
Soldier N pur di avvicinarsi con discrezione e nel momento di massima
fragilità ad una pedina che valeva molto di più. Il Soldato
d'Inverno originale.
Perché
ora non la stava contattando?
La
giovane Schmidt cacciò un urlo rabbioso, afferrando il cellulare e
scagliandolo con violenza contro il muro, tanto che lasciò un
profondo solco. La sua espressione era più simile a quella di una
bambina capricciosa, che si era vista togliere il suo giocattolo
preferito, piuttosto che ad una giovane donna che ricopriva la carica
di generale dell'HYDRA.
Un
brivido la colse e si affrettò a ricomporsi, pur stizzita; non
poteva più aspettare. Abbandonò la stanza dirigendosi verso l'ala
in cui tenevano l'agente N, con la testa ancora concentrata su James
Barnes non si rese conto che il corridoio era praticamente deserto.
Cosa strana a quell'ora del giorno.
Sin
aveva quasi raggiunto il suo obiettivo, quando si trovò davanti
Lance Hunter.
L'agente
aveva l'espressione rilassata, stava bellamente appoggiato alla
solida parete scura; la guardò e sembrò davvero sorpreso di vederla
lì.
«Ehi
Erica! - il tono simile a quello di chi non vedeva un vecchio amico
da tanto tempo – Oh, eri qui per vedere il prigioniero? Spiacente,
ma sì è appena addormentato, come sai riposare fa bene alla
salute-» blaterò con aria disinteressata andandole incontro.
Sin
piegò il capo di lato, sbattendo le ciglia in un'espressione
vagamente sorpresa; passò un intero secondo, poi sorrise.
Un
sorriso genuino, con un accenno di malizia; il sorriso di chi ha
subito compreso il bluff della persona che le sta davanti.
«Oh
Hunter, è un vero peccato. Mi divertivi, davvero... Ma mi divertirò
ancora di più a farti fuori» esordì con tono stucchevole.
«Questo
è ancora tutto da vedere, tesoro!» replicò Hunter sfilando rapido
la pistola dai jeans. Inutile dire che Sinthea non si fece cogliere
impreparata: con una mossa agile gli fece perdere l'arma, ingaggiando
poi un corpo a corpo.
Nel
frattempo l'allarme era scattato e risuonava con insistenza per tutta
la base.
L'ex
mercenario trattenne a stento una smorfia di dolore, chiunque fosse
quella donna era davvero pericolosa oltre che essere più forte e
rapida di lui; venne malamente spinto indietro e cadde rovinosamente
tenendosi il costato, conosceva quel dolore: gli aveva fratturato
alcune costole.
Sin
lo guardò con occhi luccicanti, come un animale che finalmente ha
tra le sue grinfie la preda, ma il suo divertimento ebbe vita breve:
Bobbi Morse comparve alle sue spalle, spingendosi con un piede sulla
parete verticale le si scagliò addosso.
Entrambe
si rialzarono e la bionda fece roteare pericolosamente fra le mani i
due bastoni corti.
«Mi
spiace ma non andrai da nessuna parte».
Le
labbra color vino di Sin si stesero in un sorriso irriverente, la sua
mano corse ai capelli e con un gesto fluido si liberò della parrucca
scura, rivelando i suoi lunghi capelli color rame.
«Sei
adorabile. Pensi davvero di essere al mio livello?» la schernì;
«Beh
scopriamolo!».
Lo
scontro fra le due vide Sin nettamente in vantaggio; Bobbi con una
vena di panico si accorse del divario che intercorreva fra loro, ma
non per questo si sarebbe lasciata sopraffare così facilmente, il
direttore e gli altri contavano su di lei.
Allo
scontro si aggiunse anche Hunter, che non poteva permettere che Bobbi
affrontasse quella pazza da sola. Sin riuscì ad impossessarsi di uno
dei bastoni dell'agente e non appena ebbe l'occasione lo mosse verso
il petto dell'ex mercenario e rilasciò la scarica elettrica che lo
fece crollare con un lamento sommesso;
«Hunter!»
urlò Bobbi angosciata.
Ma
la figlia di Teschio Rosso non aveva ancora finito, con una
complicata mossa ma eseguita con una grazia felina intrappolò la
bionda in una sofferente presa mortale e poi la fece scontrare
duramente contro il solido muro, lasciandola boccheggiante. Non ebbe
il tempo di finirli, percepiva altri agenti dello S.H.I.E.L.D.
avanzare verso di lei. Lanciò un ultimo sguardo verso la cella, un
agente sedato ed intontito non le era di alcuna utilità, il suo
destino era ormai segnato a suo parere; senza i trattamenti periodici
dell'HYDRA sarebbe impazzito definitivamente. Piegò il collo
facendolo schioccare, un sorriso ferino le dipinse le labbra;
«Fai
qualcosa per questo maledetto allarme...» ordinò infastidita e
quasi immediatamente la petulante sirena si spense «Molto
meglio!».
Skye
alzò lo sguardo verso l'alto, non perché ci fosse effettivamente
qualcosa sul soffitto dell'ufficio di Coulson, ma perché
l'improvviso silenzio dell'allarme la impensierì.
«Skye?»
la voce incerta del direttore proruppe nel suo orecchio «Sei
stata tu?»;
«No!»
trillò preoccupata e subito si mise dietro la scrivania ed iniziò a
digitare comandi sul computer, cercando di prendere in mano la rete
informatica ed elettronica dell'intera base.
«Qualcuno
sta accedendo da remoto! Ha preso il controllo della base...»
affermò incredula, attraverso l'auricolare sentì un'imprecazione,
probabilmente di Triplett.
«Puoi
fare qualcosa?» domandò May;
«Ci
provo!»
«Dov'è
ora la Holstein?» s'informò Coulson;
«Sta...
beh wow! - esclamò allibita – sta mettendo KO i nostri agenti! È
da brividi e-»
«Skye!?»
«Sì
scusate! Sì sta dirigendo verso il corridoio a nord! Era come hai
detto tu, è diretta all'hangar... Cerco di bloccare le porte!».
Skye
digitando comandi su comandi, stava tentando di recuperare il
controllo su quantomeno le porte e per qualche secondo ebbe
l'illusione di avercela fatta. Dando un'occhiata alle telecamere di
sicurezza, notò che la giovane donna muoveva appena le labbra,
corrucciò lo sguardo... E poi comprese.
“Sta
dando ordini a qualcuno!”.
«Coulson!
Sta arrivando...».
Coulson
insieme a Melinda, Trip e altri svariati agenti attendevano con i
sensi all'erta l'arrivo del loro avversario.
Ma
non fu il portone che collegava la base all'hangar ad aprirsi, bensì
le enormi aperture, al termine del tunnel di decollo, che
consentivano ai velivoli – come il Bus – di partire ed atterrare
in tutta sicurezza.
Coulson
per un attimo fu smarrito, sentì la voce allarmata di Skye che lo
avvisava di una possibile intrusione di agenti nemici, ma quel suo
avvertimento fu vano. I loro avversari erano ormai penetrati. E la
persona che vide alla guida di quella jeep, che correva a velocità
impazzita, gli fece vedere rosso.
Grant
Ward sterzò bruscamente di lato per evitare la prima scarica di
proiettili, con il mezzo si riparò dietro uno dei jet, mentre con la
coda dell'occhio osservava il suo vero obiettivo. Fece un cenno secco
alle due ragazze che erano con lui; K e D annuirono inespressive ed
iniziarono ad ingaggiare uno scontro con gli agenti dello
S.H.I.E.L.D.
Nel
frattempo Sin era entrata nell'hangar, non senza qualche difficoltà,
a quanto pare Skye non era così sprovveduta come pensava.
Immediatamente
Melinda le fu addosso. Sì guardarono con aperto astio; non aveva mai
sopportato quella donna che chiamavano “La Cavalleria”, sempre
così contenuta e con quello sguardo severo, la mandava letteralmente
in bestia.
«Non
sai da quanto tempo sognavo di mettere le mani attorno al tuo bel
collo!» sibilò Sin, schioccando la lingua. May non fece una piega;
«Continua
a sognare!».
Il
corpo a corpo fra le due fu brutale, Sin percepì come La Cavalleria
fosse superiore rispetto a quelli con cui si era scontrata fino a
quel momento e ciò la esaltò pericolosamente; nessuno poteva
permettersi di essere superiore a lei.
«Chissà
come reagirà il caro direttore vedendo il tuo cadavere?» ridacchiò
lei folle, Melinda strinse i denti e ribaltò le posizioni, tenendola
a terra con le gambe avvinghiate al suo collo. Sin riuscì nuovamente
a liberarsi e ad attaccare l'asiatica con ferocia.
«May!»
Coulson arrivò in suo soccorso e fece fuoco; purtroppo il proiettile
mancò il bersaglio e lui dovette vedersela con una delle due agenti
sopraggiunte con Ward.
Bobbi
era finalmente riuscita a riprendersi abbastanza da correre verso
l'hangar, osservò May scontrarsi con quella che loro conoscevano
come Erica Holstein; il direttore affrontare una giovane bionda che
si muoveva con una fluidità da mettere i brividi; Triplett dirigersi
verso Ward e il resto degli agenti vedersela con una mora che
sembrava falciarli senza difficoltà, persa in una danza mortale.
Senza pensarci, si diresse verso di lei.
Antoine
Triplett prese alla sprovvista Grant Ward, nei pressi del Bus e con
una mossa da vero wrestler lo alzò e lo atterrò alle sue spalle.
«Vedo
che Garrett è stato un buon insegnante anche con te» esordì Ward a
metà fra il provocatorio e il serio.
«Sta
zitto» fu la secca risposta di Trip mentre si scagliava su di lui.
Skye,
che assisteva attraverso lo schermo allo scontro di quest'ultimi,
avvertì il proprio cuore serrato in una morsa infuocata. Malgrado
cercasse ancora di contrastare l'azione dell'hacker ignoto, non
riusciva quasi a staccare gli occhi dal loro combattimento. Odiava
profondamente Ward, si ere sentita speciale ai suoi occhi, per la
prima volta accettata veramente e poi tutto si era sgretolato e aveva
scoperto che non era altro che uno schifoso doppiogiochista... Come
aveva potuto provare qualcosa per lui?
Quando
vide l'ex specialista liberarsi di Trip, sbattuto violentemente a
terra, sentì di non poter più resistere. Fulminea afferrò il
tablet e corse a perdifiato verso l'hangar.
In
mezzo agli scontri trovò Trip, che nel frattempo si era rimesso in
piedi e si apprestava ad affrontare nuovamente Ward, in piedi sotto
il Bus, evidentemente occupato a manomettere qualcosa.
Il
corpo a corpo fra i due ricominciò, con più violenza di prima. Trip
fu colpito e Skye non riuscì a trattenersi;
«Triplett!»
urlò sconvolta. Le sue grida attirarono l'attenzione dell'ex
specialista che si voltò e la guardò dritta negli occhi. Un barlume
di dispiacere misto a tristezza comparve nei suoi occhi scuri.
«Ciao
Skye...» disse con voce leggermente emozionata, facendo un passo
nella sua direzione; per contro l'hacker fece un passo indietro,
volendo mettere quanta distanza possibile fra loro.
Trip
sferrò un pugno a Ward che perse l'equilibrio e cadde a terra.
«Non
osare avvicinarti a lei!».
Grant
a quel punto lasciò perdere, spostò lo sguardo sul suo superiore ed
urlò:
«Sin!
È ora!».
La
giovane donna capì immediatamente e sorrise trionfante;
«Vediamo
se sai far decollare un aereo» mormorò divertita.
A
quel punto estrasse un pugnale dagli stivaletti e lo piantò senza
esitare nel costato dell'agente May, che sgranò gli occhi, quasi
fosse stupita del suo gesto. Sin ridacchiò isterica e si allontanò.
«Andiamocene!»
abbaiò alle due giovani Winter Soldiers; obbedirono all'istante,
tentando di liberarsi dei propri avversari.
Improvvisamente
un forte rumore atterrì i presenti, Coulson si guardò attorno
circospetto, pronto per un nuovo attacco; ma quando si rese conto da
dove provenisse quel frastuono, impallidì. Era il Bus.
L'enorme
e sofisticato aereo dello S.H.I.E.L.D. si stava azionando, senza che
nessuno fosse al suo interno a pilotarlo.
Skye
si mise al riparo e puntò gli occhi sul tablet cercando di
ripristinare i controlli, quantomeno del portellone che avrebbe
permesso al Bus di uscire definitivamente dall'hangar. Chi diamine
era quell'hacker?
Nel
frattempo, il Bus aveva iniziato a muoversi verso la pista di
decollo, K, D e Ward si riunirono a Sin che si stava dirigendo verso
il portellone dell'aereo abbassato; malgrado alcuni agenti fra cui
Bobbi e Trip gli stavano alle calcagna.
I
quattro riuscirono a salire;
«Dov'è
N?» domandò innocentemente la bionda D. Per tutta risposta Sin le
rifilò un violento schiaffo; K strinse i pugni, conficcandosi le
unghie nei palmi per impedirsi di attaccare il proprio superiore.
«Non
hai diritto di parlare».
Ward
si ammutolì.
Coulson
nel frattempo aveva preso possesso della jeep dell'HYDRA e con Bobbi
e Triplett a bordo cercavano disperatamente di riprendere il Bus; con armi alla mano
tentavano non solo di prendere gli avversarsi ma di recare danno al
velivolo, che non accennava a fermare la propria corsa.
Skye
imprecava perché i suoi comandi stavano risultando inutili e
l'apertura non accennava a bloccarsi.
Sin,
prima di prendere definitivamente il volo, guardò divertita quel
patetico tentativo di fermarli; aveva un ultimo messaggio da
riferire.
«Dite
ai futuri genitori che non vedo l'ora di conoscere il loro adorabile
bambino! Verrà trattato con ogni riguardo!» urlò.
L'aereo
decollò, lasciando a terra, furenti e frustrati il direttore e i
suoi agenti.
Coulson
si portò una mano al volto, esausto finché la voce rotta di Skye
gli giunse all'orecchio come un ulteriore pugno allo stomaco.
«Coulson!»
singhiozzava la giovane hacker «May è stata ferita!».
___________________________________________________________________________________Asia's Corner.
Credo che lancerò ufficialmente l'hashtag #DarkEagleMaiUnaGioia,
perchè ammettiamolo qui si tocca il fondo o comunque ci si va
molto vicini! So che magari vi aspettavate il "diretto" seguito di
ciò che è accaduto in "Collapse", ma per quello dovrete
pazientare... Sentivo che era il momento giusto per farvi conoscere
questo villain doppiogiochista ed abile. Il suo background è
stato ovviamente rivisitato da me, ma alcune cose le ho riprese dai
fumetti come: il fatto che Teschio avesse accelerato il suo
invecchiamento e che fosse rimasto deluso dal fatto che il suo erede
fosse femmina e che Susan Scarbo l'avesse cresciuta e che si facesse
chiamare "Madre Notte" (qui poi ci sarebbe tutta un'altra storia da
approfondire ma per mie esigenze non ho voluto farlo).
Questo capitolo inoltre è tutto ambientato nello S.H.I.E.L.D. e
mi pareva giusto così visto che loro hanno avuto un contatto
diretto con Erica Holstein aka Sinthea Schmidt. L'arrivo di Ward
è come se fosse stato un diversivo per la squadra... I
sentimenti che Coulson&co. provano nei suoi confronti sono ancora
forti e Sin lo sa e li usa a piacimento contro di loro; Ward è a
tutti gli effetti un elemento di disturbo. Qui inoltre vediamo in
azione, anche se al momento non mi ci sono soffermata granché, K
e D, le altre due Winter Soldiers e anche se flash, ho rimarcato
qualcosa sul loro rapporto.
Diciamo che in tutto questo casino - da me creato - c'è una
piccola nota (se così si può chiamare) positiva: qualcosa
nel piano di Sin è andato storto, James Barnes non è
tornato nell'HYDRA. Cosa vorrà fare quell'anima in pena? Beh...
Non vi resta che continuare a leggere per scoprirlo! :)
A proposito qualche idea su chi sia l'hacker ignoto? ;)
Per qualsiasi dubbio non esitate a contattarmi!
Bene, e dopo anche questa fatica io, prima di tutto vi RINGRAZIO
perché noto che questa storia sta crescendo e nuovi lettori
l'hanno aggiunta nelle "preferite" e nelle "seguite" e senza
dimenticare i miei carissimi recensori (la vostra dedizione è
ammirevole e sempre fonte di energia per la sottoscritta!) e ovviamente
anche a chiunque si fermi a leggere! GRAZIE. Ed ora vi saluto, dandovi
appuntamento... allora se tutto va secondo i piani dovrei riuscire a
pubblicare fra due settimane ovvero VENERDI' 26 MAGGIO, se ci fosse qualche intoppo (in quel caso metterò l'avviso sulla mia pagina fb "Asia Dreamcatcher") siccome il weekend del 27-28 io sono fuori città, mi ritroverei a postare il capitolo MARTEDI' 30 MAGGIO. Preferisco dirvelo subito perché voglio essere onesta ma spero di non dover ricorrere a questa data!
ps.
Siccome oggi sono davvero a corto di tempo, e solitamente la domenica
sono impegnata fino all'ora di cena, riceverete la risposta alle
recensioni del CAPITOLO 11 "Collapse" al massimo lunedì entro
pranzo. Questo per farvi sapere che non mi sono dimenticata di voi, anzi! E' solo che purtroppo oggi il tempo è davvero limitato!
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Capitolo 13 *** Falling into pieces ***
13
Buon pomeriggio a tutti voi miei cari lettori!
Sono davvero
dispiaciuta per tutti gli inconvenienti successi, ho passato un periodo
difficile per quanto riguarda la scrittura, ho avuto qualche blocco:
non riuscivo più a scrivere ed ogni cosa che scrivevo non mi
soddisfava, mi pareva tutto così inutile. A questo si sono
aggiunte un po' di magagne, come ad esempio le placche in gola... alla
"veneranda" età di 25 anni mi sono venute le placche che mi
hanno costretto a letto e stordito parecchio.
Riuscire a
pubblicare oggi è per me una grande soddisfazione, spero che il
capitolo vi piaccia e vi ringrazio tantissimo per la pazienza!
Buona Lettura!
Capitolo
Tredici: Falling into pieces
“You
just do it. You force yourself to get up.
You
force yourself to put one foot before the other,
and
God damn it, you refuse to let it get to you.
You
fight. You cry. You curse.
Then
you go about the busisness of living. That's how I've done it.
There's
no other way.”
~
Elizabeth Taylor
A
Sharon pareva di essere immersa nel buio da un'eternità. Camminava
senza sosta, i piedi nudi le dolevano e avvertiva una sostanza
viscosa sotto di essi, sangue, il suo.
Improvvisamente
la luce. Talmente accecante da far apparire bianco ed immacolato
tutto attorno a lei. Mosse qualche passo, incerta da quel cambio
repentino.
«Sharon...»;
il
cuore dell'agente 13 mancò un battito e percepì il proprio stomaco
stringersi in una dolce morsa.
Si
voltò di scatto, mulinando i lunghi capelli biondo miele; lui era lì
a pochi metri da lei, identico all'ultima volta che l'aveva visto...
Bellissimo e malinconico.
I
suoi piedi si mossero da soli, completamente dimentica del dolore
provato fino ad un attimo prima, corse verso di lui mentre la sua
vista andava appannandosi a causa delle lacrime.
Lui
allargò le braccia e la accolse indulgente. Sharon lo strinse a sé
con tutta la forza di cui disponeva, il cuore impazzito
dall'emozione.
«James!»
singhiozzò disperata.
Lui
le sorrise dolcemente, dio com'era bello, quanto le era mancato.
Si
baciarono con passione e sofferenza, le mani di Sharon vagavano
tremanti sul corpo di James, voleva sentirlo sotto i suoi palmi.
Un
lieve rumore metallico alla sue spalle, la costrinse a voltarsi. Ciò
che vide le gelò il sangue.
Davanti
a lei si stagliava il Soldato d'Inverno, colui che non ricordava di
essere James Barnes, uno dei più spietati e pericolosi assassini del
secolo, l'uomo di punta dell'HYDRA.
L'espressione
dei due James era mortalmente seria. Si fronteggiavano in silenzio,
mentre Sharon fra loro fremeva terrorizzata.
Con
una sincronia da brividi sollevarono entrambi la pistola, puntandola
l'uno contro l'altro.
L'agente
13 spalancò le braccia ponendosi sulla linea di tiro senza esitare,
proteggendo James.
«Ti
prego...» supplicò.
«Non
puoi uccidermi» dichiarò il Soldato d'Inverno inespressivo,
rivolgendosi a se stesso.
A
quelle parole James sorrise tristemente, cambiò traiettoria e si
puntò l'arma alla tempia;
«Invece
posso».
Sharon
si sentì morire, fece per sporsi verso di lui ma non fece in
tempo... e lo sparo risuonò violentemente.
Si
svegliò urlando. La luce l'accecò momentaneamente e Sharon sentì
mani gentili ma ferme fare pressione sulle sue spalle, scosse da
tremiti.
«Shh.
Va tutto bene, va tutto bene...» mormorò Natasha, abbracciandola
delicatamente. La bionda crollò fra le sue braccia piangendo
disperatamente, una mano premuta contro la gola dolorante, fasciata
con delle morbide bende.
«A-a-anco-ra!
S-sì è-è u-ccis-o!» singhiozzò mentre la russa le accarezzava
piano la schiena senza dire una parola, accogliendo silenziosamente
il suo dolore.
Erano
passati cinque giorni da quando James se n'era andato. Nessun
contatto, nessun indizio, dissolto come fumo; lasciando dietro sé
cuori spezzati, confusione e disperazione.
Da
quel momento Sharon era precipitata nello sconforto: non dormiva più
di due ore per notte, la gola sembrava non volerne sapere di guarire
e si rifiutava di mangiare.
Per
Natasha era stato naturale prendersi cura di lei. Solo quando l'aveva
vista così... spezzata... si era resa conto di quanto le
fosse legata.
La
russa non aveva mai avvertito un senso di vicinanza con un'altra
donna, probabilmente anche a causa di ciò che aveva vissuto nella
Red Room; ma con Sharon era stato diverso, quello che avevano
affrontato in Russia aveva gettato le basi per qualcosa di più
profondo, della semplice conoscenza e rispetto reciproco ai tempi
dello S.H.I.E.L.D.
Il
loro avvicinamento era stato spontaneo, pacato, senza che nulla fosse
forzato. Si erano ritrovate a condividere diversi momenti e Natasha
aveva compreso di poter contare su di lei nelle situazioni difficili;
ne apprezzava la forza d'animo e la generosità disinteressata. Per
lei era sempre stato complicato concedere la propria fiducia, non
quando si viveva in un mondo di spie e di assassini; non aveva mai
affidato la propria vita a nessun altro prima di Steve ed ancora meno
tollerava dover affidare la vita di lui a qualcun altro che non fosse
se stessa, ma Sharon era fra quelle persone a cui, da tempo ormai,
aveva concesso la sua fiducia incondizionata.
Vederla
ora, in quello stato di profonda prostrazione la feriva e la
infastidiva al tempo stesso: non poteva accettare che una ragazza
risoluta come Sharon Carter fosse ridotta ad essere l'ombra di se
stessa. Le accarezzò dolcemente il capo, mentre la bionda si calmava
lentamente; malgrado tutta la forza che possedevano, davanti ad un
amore così totalizzante anche l'essere umano più intrepido si
scopriva fragile e privo di difese.
Sharon
prese un profondo respiro, poi con stizza si asciugò le lacrime,
strofinò il dorso della mano sul volto senza alcuna grazia, ma con
rabbia.
Natasha
con presa salda le tolse le mani dal viso; l'agente 13 sollevò i
suoi lucidi occhi scuri e li puntò in quelli verdi e cristallini
dell'altra, nessuna delle due disse nulla. La russa si stava
dimostrando la sua ancora; in quei momenti quando sentiva il seme
della follia serpeggiare in lei e gli incubi tormentarla, Natasha con
la sua figura silenziosa le era immediatamente accanto. Non le aveva
chiesto niente, si era limitata ad ascoltare le sue parole incredule
e sofferenti, accoglieva il suo dolore ogni volta che questo
minacciava di sopraffarla, condividendo con lei quel tormento.
«Sharon-»;
la
bionda strinse i denti;
«Perché
l'ha fatto?» mormorò persa «Perché se ne è andato?» guardò
l'amica «Natasha io...» si portò una mano al volto.
La
russa aveva una risposta, ma non era quella che Sharon avrebbe voluto
sentire, perciò si limitò a stringerla un'ultima volta prima di
passarle la pillola che l'avrebbe aiutata a calmarsi e dormire. Non
che le facesse piacere costringerla ad assumere dei farmaci, ma senza
quelli l'agente non sarebbe stata in grado di andare avanti.
«Sharon
so che è difficile, ma resisti. Non perdere la fiducia...» replicò
con tono carezzevole, senza perdere il contatto visivo con lei.
«Mi
dispiace Nat- hai già molto a cui pensare... Mi sento così
inutile-» l'ennesima fragile lacrima abbandonò i suoi occhi,
tracciando i contorni sofferenti del suo viso.
La
spia scossa il capo;
«Shhh.
Non dire così. Riposa ora, ce la faremo. Ce la farai Sharon» le
assicurò, restando con lei finché non riuscì ad addormentarsi.
Si
alzò piano e lasciò la stanza con passo felpato, prima di
raggiungere la sua meta si diresse verso un'altra stanza poco
distante dalla sua. Aprì lentamente la porta ed il suo sguardo
s'intenerì un poco.
Jace
era preda di un sonno agitato, la sua mano stringeva però saldamente
quella di Alexandra, addormentata sul materasso steso accanto al
letto del ragazzo.
Come
fosse un'ombra fluttuante la russa si avvicinò ai due giovani, li
fissò intensamente poi una mano corse a scostare con dolcezza i
capelli dal viso di Alexandra, che si tese appena percependo quel
tocco e poi sospirò sollevata. Quando invece, Natasha sfiorò la
fronte di Jace la trovò ancora bollente, segno che la febbre che
l'aveva colto qualche giorno prima non si era attenuata.
Il
ragazzo aveva subito un duro colpo, una parte della sua famiglia era
andata in pezzi ancora una volta sotto i suoi occhi, che già troppo
dolore avevano vissuto; non aveva voluto tornare a scuola ed era
rimasto accanto a Sharon per tutto il tempo. Nessuno degli adulti se
l'era sentita di costringerlo a fare diversamente.
Alexandra
si era dimostrata ancora una volta una ragazzina estremamente
combattiva per la sua età. Era lei che più di tutti si era occupata
dell'amico: lo faceva mangiare, lo obbligava a studiare e a
riposarsi... Cercava di fargli riprendere un contatto con la realtà,
di farlo reagire, anche dopo un violento scoppio di rabbia lei
l'aveva schiaffeggiato indignata, urlandogli di pensare a Sharon
subito prima di scoppiare a piangere dispiaciuta. Alla vista di
quelle lacrime Jace si era immediatamente calmato e l'aveva
consolata; era come se attraverso il suo pianto, lui avesse compreso
qualcosa di importante. Nulla però aveva impedito alla febbre di
coglierlo e costringerlo a letto.
“Ragazzini
testardi e coraggiosi” pensò Natasha con un lieve sorriso,
mentre imbeveva una pezza nell'acqua ghiacciata e la poneva
delicatamente sulla fronte del giovane, la cui espressione si
alleviò.
Restò
qualche altro minuto a vegliare sui suoi protetti, finché l'orologio
non segnò le quattro del mattino con un sospiro Natasha lasciò la
stanza.
Il
sacco finì brutalmente contro il muro della palestra, per quella che
era la decima volta. Ormai inutilizzabile, Steve ne afferrò
malamente un altro e lo fissò al gancio riprendendo ad accanirsi su
di esso.
«Steve
ora basta».
La
voce seria e secca di Natasha lo immobilizzò per qualche istante,
come se avesse ricevuto una scossa.
Il
supersoldato si voltò verso la compagna, il cui sguardo era severo
ma stranamente lucido e lui si sentì immediatamente in colpa.
«Dovresti
essere a letto a riposare» le fece notare lui con tono morbido;
lei
inarcò un sopracciglio perfetto;
«E
tu con me» frecciò accigliata.
Il
silenzio si era fatto teso, i loro corpi distanti, ma Steve fu il
primo a distogliere lo sguardo.
Natasha
gli si avvicinò cautamente come se si stesse avvicinando ad un
animale irrequieto. Gli circondò un braccio lucido di sudore e
poggiò la fronte sulla spalla.
«Cosa
speri di ottenere?» gli domandò, il tono lievemente meno severo.
Il
capitano sospirò e chiuse gli occhi;
«Non
lo so» ammise dolorosamente. Pur restando il soldato tutto d'un
pezzo a cui il mondo si affidava, il suo sguardo trasmetteva una
fragilità che rare volte Natasha gli aveva scorto. La sua mano gli
afferrò dolcemente il volto e lasciò che le loro labbra si
unissero. Il bacio si trasformò in un abbraccio; Steve la tenne
stretta a sé, nascondendo il capo nella sua spalla, amareggiato,
confuso, privo di un importante frammento di se stesso.
«Non
poteva restare...» mormorò Natasha intuendo i tormenti del
compagno; sentiva di essere l'unica a comprendere veramente la scelta
di James, non che questo le avrebbe impedito di prenderlo brutalmente
a calci prima o poi per aver gettato la persona che amava in un tale
sconforto.
«Avrebbe
potuto aspettare, mettercene a parte-» replicò lui risentito non
verso di lei, ma verso se stesso, verso Bucky.
La
russa lo scostò gentilmente dal suo corpo, per osservarlo in volto;
«Non
posso darti torto, ma se ha fatto ciò che ha fatto forse un motivo
c'è. Lui sapeva...»
«Che
cosa?»
«Che
restando ci avrebbe messo in pericolo» rispose sicura. Era certa che
James non si sarebbe mai allontanato da loro, che non avrebbe mai
lasciato Sharon e Jace a meno che la situazione non fosse così grave
da costringerlo, e la cosa nel profondo la inquietava.
«E
ora lui è lì fuori da solo! Cosa gli fa pensare di poter stare
meglio? O di non essere più in balia di quella donna!?»
ribatté serio, il suo tono basso si era fatto leggermente più
concitato.
Tutti
loro, insieme alla squadra di Coulson avevano visto James camminare
nei corridoi insieme a quella che tutti conoscevano come Erica
Holstein e poi sparire all'occhio delle telecamere.
Natasha
rimase in silenzio, osservando ammirata il profilo nobile del
compagno illuminato da un sottile raggio di luna.
«Non
lo possiamo sapere. Ha ferito Sharon e questo ci fa chiaramente
capire che non era in lui, ma non l'ha uccisa e avrebbe potuto a quel
punto, quindi significa che non ha perso la ragione... Non del tutto
almeno»
«Perché
non ci ha detto cosa aveva intenzione di fare-?» la guardò in volto
e ne rimase incantato, ma il suo sguardo era parecchio eloquente.
«Perché
non vuole farsi trovare» sospirò con un amaro sorriso «Nessuno è
meglio di lui nel far perdere le proprie tracce. Che diavolo gli sarà
saltato in mente?».
Natasha
si strinse nelle spalle e gli si avvicinò;
«Spero
per lui che sappia quel che fa-» d'improvviso la voce le venne meno
e avvertì le gambe deboli. Steve, dimostrando riflessi inumani, le
strinse delicatamente ma saldamente le mani intorno alla vita per
sostenerla.
«Perché
ti costa tanto darmi retta, ogni tanto?» le sussurrò preoccupato
mentre la sua mano scivolava premurosa sul suo grembo gonfio. Era
alle soglie del quinto mese, la rotondità del ventre si stava
facendo sempre più evidente.
Natasha
non rispose, troppo orgogliosa per confessare la verità. Guardò la
mano di Steve e si intristì; ancora non percepiva nessun movimento
da parte del bambino; la dottoressa Montgomery – la dottoressa che
aveva momentaneamente preso il posto di Helen Cho e da lei caldamente
consigliata – le aveva assicurato che era normale dopotutto lo
stress a cui stava venendo sottoposta. Ma lei non riusciva a non
inquietarsi, perché si sentiva così sbagliata?
«Steve
ascolta, se non vuole farsi trovare un motivo ci sarà, ma non
dev'essere per forza per la motivazione peggiore...»
«Lo
so ma-»
«Non
riesci ad accettare la situazione» finì lei per lui.
Steve
strinse le labbra in un'espressione grave. Era così, non riusciva ad
accettarlo. Il fatto che Bucky se ne fosse andato lo stava logorando,
lo angosciava il pensiero di averlo perso per l'ennesima volta, nel
silenzio e nella confusione più totale. Come aveva potuto ferire
Sharon in quel modo? Nemmeno per un istante aveva creduto che fosse
dipeso dalla sua volontà... No, era stato chiaramente manipolato. Il
fatto che l'HYDRA fosse riuscita ad infiltrarsi così a fondo tra di
loro gli rodeva il fegato, che fossero stati così vicini a Natasha e
al loro bambino lo faceva fremere di rabbia ed ansia.
James
non doveva andarsene, avrebbero potuto risolvere la situazione
insieme... Sempre che fosse risolvibile quella situazione. Che cosa
nascondeva nel suo cuore Bucky?
Sospirò
e scrollò le spalle, riportando lo sguardo sulla propria compagna;
«So
che non vorresti sentirtelo dire, ma non puoi. Non puoi mollare моя
жизнь [vita mia]»
gli disse abbandonando il capo sul suo petto, nessuno di loro due
poteva.
Steve
annuì piano ma seccamente. Erano accerchiati e Bucky gli mancava
come se gli avessero strappato un arto... Sentiva di avere la
sindrome dell'arto fantasma: c'erano volte in cui gli sembrava che
James fosse ancora al suo fianco, che lo stesse osservando
attentamente ma poi si rendeva dolorosamente conto che quella
sensazione avvolgente non era altro che una mera illusione.
Natasha
aveva ragione, non poteva permettersi di crollare e crogiolarsi nello
sconforto di una situazione incerta e pericolosa. Lui doveva andare
avanti.
Sharon
aprì lentamente gli occhi, percepiva le palpebre pesanti e stanche e
le borse sotto di esse talmente marcate da dolerle fisicamente.
Il
suo braccio reagì d'istinto, senza che lei ne avesse il controllo e
sfiorò incerta il resto del letto dietro di sé, trovandolo vuoto e
freddo. Come previsto il suo cuore venne stretto in una morsa
dolorosa e i brividi le scossero il corpo provato.
Si
levò a sedere come se ogni gesto le costasse una fatica immensa, con
sguardo desolato si guardò attorno, le labbra leggermente tremanti,
il mondo le apparve incredibilmente grigio. Col vuoto nel cuore si
alzò e si diresse verso il bagno, con gesti lenti e meccanici si
spogliò, lasciando che ogni singolo indumento le scivolasse,
spettatore muto, addosso.
Il
getto d'acqua freddo la colpì all'improvviso ma lei non mosse un
muscolo. I suoi occhi fissavano vacuamente la superficie chiara e
liscia lasciando che l'acqua le scorresse lungo il corpo candido e
liscio, disegnando nuove forme. La sua mente le proiettava, in un
orribile loop, ciò che era accaduto i giorni addietro. James al
centro di tutto, la sua testa si riempì di lui: del suo volto; dei
suoi sorrisi incerti ma pieni di dolcezza; dei suoi gesti; della sua
voce; del suo profumo... Di lui, lui e basta. Sharon ne fu
sopraffatta. Le spalle iniziarono a tremare in modo incontrollato e
le lacrime salate e disperate si mischiarono alle gocce d'acqua che
inutilmente avrebbero tentato di alleviare il suo tormento.
Il
peso di tutto quel dolore fu troppo per lei, le sue ginocchia si
piegarono dolcemente e crollò a terra, lasciando che il suo suono
della sua angoscia fosse soffocato da quello della doccia.
Non
aveva idea di quanto fosse rimasta sotto il getto d'acqua, ma quando
uscì i suoi occhi scuri erano incredibilmente asciutti, forse perché
aveva pianto tutte le lacrime che le erano state messe a
disposizione. Passò una mano sullo specchio e la sua immagine
comparve come per magia.
Sharon
si prese qualche secondo per osservare il proprio volto, i lineamenti
irrigiditi, le labbra tese e gli occhi talmente scuri da essere
imperscrutabili; poi afferrò la spazzola ed iniziò a pettinarsi con
cura inusuale i lunghi e lucenti capelli color miele.
Una
volta terminato di sistemarsi i capelli in una morbida treccia, la
giovane prese i trucchi ed iniziò a curarsi il viso. Il volto restò
perfettamente immobile, come quello di una bella bambola e il tutto
si svolse nel più totale silenzio. Tornò in stanza e si vestì, si
guardò un'ultima volta allo specchio e con un gesto secco cancellò
l'impalpabile scia bagnata che segnava la sua guancia.
Un
passo dopo l'altro... Un passo dopo l'altro...
Si ripeteva come un mantra.
Si
diresse nella stanza di Jace, ancora immersa nel buio; osservò con
un guizzo di tenerezza i due ragazzini addormentati, poi accarezzò
con estrema dolcezza il volto del quindicenne ancora caldo di febbre.
Gli rinfrescò la pezza di stoffa e gli sistemò con cura le coperte.
«Perdonami
per non essermi presa cura di te in questi giorni» gli sussurrò «Ma
ora sono qui Jace».
Una
volta in soggiorno vi trovò solo Natasha e il capitano, entrambi
furono sorpresi che fosse lì ma si premurarono subito di nascondere
la loro costernazione.
«State
uscendo?» domandò con voce leggermente roca, come chi non era più
abituato a parlare a voce alta.
Vedova
piegò leggermente il capo di lato, osservandola attentamente, poi
sorrise appena:
«Sì,
ho appuntamento con la dottoressa Montgomery. Mi piacerebbe se
venissi anche tu».
Sharon
dischiuse le labbra ed annuì grata. Si avvicinò alla donna;
«Mi
manca. In ogni momento mi manca. Non va ad ondate: è un dolore
continuo» ammise con un filo di voce ma senza guardarla in volto.
Natasha le afferrò gentilmente il polso facendo scivolare la mano
verso la sua;
«Tutto
quello che senti va bene, Sharon» la rassicurò mentre la bionda
faceva scontrare i suoi occhi scuri e tristi con quelli di lei, verdi
e cristallini. Annuì. Comprendendo ciò che la spia voleva dirle.
Steve
si rasserenò un poco nell'osservare le due donne così vicine.
«Andiamo?»
disse avvicinandosi a loro e poggiando delicatamente la mano sulla
schiena di Natasha.
Erano
quasi all'uscita dell'Avengers Tower quando i tre scorsero una figura
alta che camminava nervosamente avanti ed indietro, borbottando
qualcosa all'esterno dell'edificio, proprio davanti l'ingresso.
Steve
fece cenno a loro di fermarsi, mentre con cautela si dirigeva verso
l'accesso.
«J.A.R.V.I.S.
che succede?»
«Questo
ragazzo vuole entrare Capitano Rogers. Afferma di conoscere lei e la
signorina Romanoff. Ma non possiede un'autorizzazione e non è
presente nel database.» rispose compitamente l'AI.
«D'accordo
J.A.R.V.I.S ci penso io-» ma il supersoldato si bloccò, il suo
sguardo aveva finalmente colto il volto del ragazzo spazientito... e
lui lo conosceva.
«Holden?».
*
«Vuoi
davvero andare fino in fondo?» berciò non molto convinto l'uomo,
facendo schizzare un sopracciglio verso l'alto.
L'altro
gli scoccò un'occhiata stizzita, non voleva più tornare
sull'argomento. Quella al momento era l'unica cosa utile che poteva
fare.
«Non
mi pare abbia altre alternative ora come ora» rispose lugubre.
L'omone
si strinse nelle spalle arrendendosi. Che facesse un po' come gli
pareva;
«Beh
spero che allora tu abbia più fortuna dell'ultima volta James».
________________________________________________________________________________
Eccoci
qui, allora come potete notare in questo capitolo non abbiamo
moltissimi "elementi", se non verso la fine questo capitolo non ci
riserva grandi sorprese e si concentra sulla reazione di Steve e Sharon
oltre che Natasha e il piccolo Jace, che in questo momento è in
una versione tutta sua di "mamma-infermiera". Questo è
ovviamente voluto... La "mancanza di Jamesn" non è una
questione che si può certamente risolvere in un capitolo.
Volevo un momento dedicato a coloro che più di tutti amavano
James e spero di aver mostrato in modo giusto il loro dolore, su cui
avrò comunque modo di tornare.
Spero anche che vi sia piaciuto il rapporto tra Natasha e Sharon, che
è qualcosa a cui io tengo molto... Nei film abbiamo grandi
esempi di "bromance": Steve e Bucky, io direi anche Bruce e Tony o Tony
e Rhodes mi piacciono molto, ma un'amicizia al femminile non l'abbiamo
ancora vista (o mi è sfuggito qualcosa?) quindi questa relazione
che si sta instaurando fra due grandi donne come Romanoff e Carter per
me è fondamentale.
Poi c'è un piccolo assaggio di Bucky che è impegnato a
fare qualcosa... per sapere cosa dovrete attendere ancora un bel po',
vi posso solo dire che non riesce a stare fermo di sicuro!
Passiamo poi a Holden... chi se lo ricorda?? Se avete dubbi vi consiglio di fare un salto indietro a due storie fa XD
Bene,
per il momento è tutto! Spero che il capitolo non vi abbia
deluso... Io ringrazio tutti voi per la pazienza e il sostegno! Sia i
miei fantastici recensori che i miei nuovi lettori a cui faccio un
saluto speciale!
Ci rivediamo fra DUE SETTIMANE (e spero di non avere più tutte queste difficoltà!) VENERDI' 23 GIUGNO! Per qualsiasi avviso vi consiglio di visitare (e mettere mi piace ;)) alla mia pagine autore su FB "Asia Dreamcatcher".
ps. La risposta alle recensioni del capitolo 12 arriveranno entro DOMENICA SERA!
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Capitolo 14 *** A new day has come ***
14
Capitolo
Quattordici: A new day has come
“What
defines us is how well we rise after falling”
~
“Maid in Manhattan”
«Signorina
Romanoff, signor Rogers buongiorno!».
La
dottoressa Meredith Montgomery li accolse nel suo studio, all'interno
di uno dei migliori ospedali specializzati in ostetricia e
neonatologia dell'intera East coast. Era una donna alta ed atletica,
con i capelli biondo scuro sempre legati in una veloce coda bassa e
gli occhi grigio-azzurri seri ma sinceri. Era stata caldamente
consigliata da Helen Cho, Meredith Montgomery faceva il suo lavoro
con rapidità ed efficienza, raramente si perdeva in convenevoli e
prima di tutto si considerava un medico, forse ancora prima di essere
donna.
«Lei
è Sharon Carter, è una persona fidata» esordì la spia russa
presentando l'agente biondo al suo fianco, la dottoressa annuì
compita e lasciò che si accomodassero.
Ora
che anche i loro nemici sapevano, la gravidanza era diventata peggio
di un affare di Stato. Interi file su Natasha Romanoff erano stati
nuovamente secretati e persino alcuni su Steve Rogers, ogni singola
notizia sul suo stato di salute veniva immediatamente classificata e
criptata, l'ospedale era monitorato dallo S.H.I.E.L.D., la dottoressa
Montgomery seguita da una scorta e ogni suo apparecchio elettronico
era stato controllato e protetto da Skye in persona. Quando Vedova
Nera era venuta a conoscenza di tutte quelle misure aveva ridacchiato
divertita, trovandole inutili; ormai l'HYDRA sapeva e lei, dopo
l'iniziale angoscia che le aveva ostruito la gola, non aveva più
avuto paura, aveva compreso che gli unici che potevano davvero
proteggere il bambino erano lei e Steve.
Natasha
lasciò vagare il suo sguardo, perdendosi per qualche attimo nella
contemplazione del timido sole che cercava di farsi spazio fra i
grattacieli e le nubi bigie di fine gennaio. Ora aveva paura. Nel
profondo di sé aveva il terrore di quel momento, ritardarlo sapeva
però, non poteva essere una soluzione definitiva. Riportò i suoi
occhi di giada, limpidi e sicuri, sulla donna che aveva davanti, che
la fissava di rimando quasi fosse rimasta pacatamente in attesa che
lei si sentisse pronta. Avvertì la mano di Steve farsi strada nella
sua, gliela strinse piano.
«Ho
i risultati della villocentesi, come d'accordo abbiamo evitato
l'amniocentesi in quanto per lei, Natasha, la possibilità di aborto
aumenta...»
«Quali
sono i risultati?» chiese Steve impaziente;
«Sono...
ottimi. Il bambino non presenta malformazioni e nemmeno malattie
genetiche...È in salute, mi creda Capitano Rogers. Sinceramente sono
sorpresa anch'io, ha assimilato il DNA modificato di entrambi senza
problemi.» concluse seria la dottoressa guardandoli.
Se
Sharon si abbandonò ad un sorriso soddisfatto e Steve chiuse gli
occhi sollevato, Natasha annuì piano ma non si lasciò andare alla
gioia.
Il
suo bambino stava bene, lei e Steve non gli avevano nuociuto, era
sano. Ma il suo cuore restava ancora preda dell'inquietudine.
«Qualcosa
non va, Natasha?» domandò subito la Montgomery notando
l'espressione neutra della propria paziente.
«Perché
non lo sento ancora muoversi?» celiò atona. Obbligando la propria
voce a restare ferma ed incolore mentre dentro di sé tremava come
una foglia.
La
dottoressa fece un cenno col capo e poi indicò il lettino;
«Prenda
pure posto, oggi facciamo la flussimetria come avevamo deciso,
vedremo subito se c'è qualcosa che non va.» il suo tono era rimasto
volutamente composto ma cercò di ammorbidire l'espressione del
volto.
«Che
cos'è?» chiese piano Sharon avvicinandosi a Steve che aveva preso
posto accanto alla compagna.
«E'
come un'ecografia che però permette di misurare la quantità e la
velocità del sangue che circola in un determinato vaso sanguigno,
non è una metodica che si usa normalmente, ma essendo la gravidanza
della mia paziente straordinaria e potenzialmente a rischio è meglio
eseguirla, anche se un po' in anticipo rispetto a quanto avevo
preventivato.» spiegò la dottoressa, poi si rivolse direttamente a
Natasha «E' pronta? Ci vorrà un po'»;
Vedova
si scambiò uno sguardo con Steve che annuì.
«Proceda».
Natasha
provò un certo fastidio, ma si fidava della dottoressa, era
esattamente il tipo di persona che faceva al caso suo: competente,
precisa e dedita al suo lavoro, inoltre oltre ad essere stata
consigliata da Cho, ancora degente, lei aveva fatto le sue ricerche.
Controllò
le arterie ombelicali ed infine il dotto venoso del feto. Tutto
sembrava regolare.
«Natasha
non è inusuale non sentire ancora i movimenti del feto, lo sente il
suo cuore? Batte regolarmente. In questa fase il bambino inizia a
percepire gli stimoli materni, come stati di ansia o forte
preoccupazione che potrebbero farlo diciamo “desistere” dal
compiere qualsiasi movimento per il momento. Lei potrebbe essere in
uno stato non ottimale?» domandò con una certa cautela alla fine.
Sharon
si irrigidì immediatamente, Steve raddrizzò la schiena e la sua
espressione si fece cupa mentre Natasha si lasciò andare ad un
sospiro; la dottoressa Montgomery ebbe la sua risposta e non osò
indagare oltre, d'altronde tutta la sicurezza e la segretezza che
l'avevano circondata da quando aveva accettato di seguire la coppia
parlava da sola.
«Allora
non si preoccupi, il bambino al momento sta bene e ho la situazione
sotto controllo. Per avvertire i movimenti ci sarà tutto il tempo.
Ora sta per entrare nel quinto mese quindi continui a prendersi cura
di lei, beva molto e può continuare gli esercizi fisici che abbiamo
concordato. La nausea dovrebbe sparire in questi giorni ma è molto
probabile che avrà delle contrazioni, sono normali ma purtroppo per
lei saranno più dolorose rispetto ad una gravidanza ordinaria, se
non avrà perdite abbondanti o altre complicazioni ci possiamo
tranquillamente rivedere la settimana prossima».
Natasha
e Steve la ringraziarono e fecero per seguire Sharon, quando la voce
della dottoressa li fece voltare sorpresi.
«Ah
dimenticavo, perdonatemi. Con l'esame della villocentesi si viene
subito a conoscenza del sesso del bambino. Quindi... Volete sapere
se è maschio o femmina?».
*
JJ
Holden, agente di livello 7 dello S.H.I.E.L.D. non poteva fare a meno
di guardarsi attorno spaesato e al tempo stesso meravigliato; si
trovava nel soggiorno lussuoso e confortevole dell'Avengers Towers,
mentre gli incredibili abitanti di quell'edificio sbucavano
all'improvviso intenti ad iniziare un'altra giornata di ricerche,
ragionamenti e pianificazioni. Era strano trovarsi lì, osservare da
vicino Tony Stark sbadigliare vistosamente mentre si versava
inconsciamente del caffé e strofinarsi il viso stropicciato
dall'ennesima notte insonne passata nel proprio laboratorio, o Occhio
di Falco preparare la colazione ai propri figli o Maria Hill non
indossare la divisa ma una maglietta chiaramente maschile
sopra un paio di pantaloni della tuta. Per un momento si era persino
dimenticato del motivo che l'aveva spinto a rivolgersi direttamente a
loro.
«Tutto
bene?» gli domandò Sam con un sorriso comprensivo «Lo so. Ma dopo
un po' ci si abitua» continuò con un gesto ampio della mano,
precedendo il suo pensiero.
«Bene
non ne sono così sicuro... Per quanto riguarda questo ho
qualche dubbio. Ma Romanoff da quanto-?» chiese un po' intimidito
dalla situazione, lui che non si era mai fatto problemi a lusingarla
non appena conosciuta.
«Quasi
cinque mesi» rispose Falcon smorzando un po' il suo sorriso
«Speriamo che vada tutto per il meglio»;
«Oh»
disse semplicemente, intuì che forse la faccenda era un più
complessa di quanto apparisse.
«Mi
dispiace essere piombato qui all'improvviso, so che le cose si sono
fatte difficili... l'agente Hill mi ha messo al corrente di ciò che
è successo... - deglutì appena – mi ha raccontato di Barnes»
disse guardandolo di sottecchi.
L'espressione
di Sam si era fatta dolorosa, non riuscendo a celare il suo
smarrimento. JJ comprese che in quei tre anni dovevano essere
diventati davvero affiatati e lui stesso, ora, sapeva cosa volesse
dire perdere una persona a cui si tiene. Notò che Maria Hill li
stava fissando, in particolar modo Sam, non si avvicinò ma il suo
sguardo turchese restò comunque inchiodato sulle loro figure.
«Io...
Mi spiace non so che dire» sospirò mortificato.
Sam
levò i suoi occhi scuri sull'agente rimanendo leggermente perplesso
dal suo atteggiamento pacato, era molto diverso dalla persona
espansiva e pungente conosciuta a Londra anni prima, ma d'altro canto
lui stesso in quel momento si sentiva molto differente dalla persona
che era di solito.
«Tranquillo.
Noi stiamo cercando di capire come andare avanti... Ma se posso darti
un consiglio non nominare B... Bucky così alla leggera – sospirò
come se fosse esausto – è successo qualcosa vero? Sei diverso...».
Holden
annuì appena;
«Sì.
E non sarei venuto qui a chiedere il vostro aiuto se la cosa non vi
riguardasse, almeno secondo la mia teoria»;
«Attendiamo
che tornino Steve, Natasha e Sharon poi parleremo».
Steve
e Natasha rientrarono un'ora dopo senza Sharon, dissero a tutti di
non preoccuparsi e che sarebbe tornata presto, anche se dai loro
lineamenti lievemente tesi si intuì che qualcosa era stato omesso.
Tutti
poi vollero sapere le condizioni del bambino; Holden notò come gli
occhi degli abitanti della Tower si fossero rischiarati nel sapere
che il figlio di Vedova e del Capitano cresceva bene ed in salute,
probabilmente quella era l'unica notizia positiva nella desolazione
lasciata dall'HYDRA, anche se nessuno festeggiava o manifestava
apertamente la propria gioia e sollievo, questo gli fece intuire che
un'ombra gravava su quella gravidanza straordinaria.
«Per
chi non lo conoscesse lui è l'agente JJ Holden» esordì dopo i
convenevoli Steve Rogers, attirando l'attenzione generale «fa parte
della sezione inglese dello S.H.I.E.L.D. è molto capace e ci è
stato di grande aiuto un paio di anni fa» spiegò mentre il ragazzo
si apriva ad un sorriso a metà fra l'imbarazzato e il soddisfatto
per quelle parole d'elogio, espresse da niente meno che Captain
America.
«E
possiamo sapere perché è seduto sul divano di casa mia?» domandò
con la sua solita faccia da schiaffi Tony.
«Non
farci caso Holden, Tony è la prima donna di casa, sarà più docile
non appena la caffeina entrerà in circolo» soffiò Natasha con un
sorriso bello e velenoso. Stark le fece l'occhiolino.
«No,
il signor Stark ha ragione. Mi dispiace essere piombato qui in un
momento così delicato-»
«Delicato
è un eufemismo bello e buono!»
«E
comunque il Capitano Rogers si sbaglia su una cosa, facevo
parte dello S.H.I.E.L.D, non sono più un agente» spiegò
tranquillamente, sorridendo alle facce perplesse di Steve, Natasha,
Sam e Maria.
«Che
è successo Holden?» chiese l'agente Hill «E' per-?»
«Sì
esatto. Hanno smesso di cercarla, la Dalton ha detto di non
aver abbastanza risorse e di non poter sprecare altri uomini, mi sono
dimesso! Non potevo più restare lì...» la sua voce concitata si
affievolì e il suo sguardo si fece assente.
«JJ
di chi stai parlando?» domandò Sam lanciando un'occhiata a Maria.
«Annabeth
Munroe è scomparsa!» sbottò frizionando le mani fra loro, in un
gesto di muta rabbia «Non c'erano segni di scasso o di lotta nel suo
appartamento, niente che indicasse che fosse stata rapita, ma non è
così! Lei è stata rapita!»;
«Perché
ne sei così sicuro?» chiese Natasha, non per criticarlo era
sinceramente interessata alla sua versione; JJ si volse verso di lei
con gli occhi scuri che supplicavano aiuto, supplicavano di
credergli.
«Perché
si sentiva pedinata! Me lo disse qualche settimana prima di sparire.
Si sentiva osservata, era convinta che fossero anche riusciti ad
entrare nel suo appartamento... Per- per un po' è stata da me ma poi
nel momento in cui aveva ricominciato a sentirsi sicura lei è-»
«Scomparsa»
terminò per lui la russa.
JJ
annuì tristemente.
«Secondo
te è stata rapita dall'HYDRA?» gli chiese con garbo Steve;
«Sì!
Lei è un hacker straordinaria! L'avete vista con i file di Zola!?
Non c'è nulla che non possa fare...»
«Ripetimi
il suo nome» frecciò Stark con cipiglio strano;
«Annabeth
Munroe...» articolò piano guardando il miliardario di sottecchi.
«Ha
frequentato il MIT?»; Holden annuì.
«La
conosci?» chiese Maria;
«Non
di persona, ma me ne parlarono alcuni professori anni addietro e al
MIT la consideravano un prodigio, se non ricordo male mi chiesero di
farle fare un tirocinio, ma non sono io che mi occupo di queste cose.
Perché Pepper non c'è mai quando serve?» si lagnò Tony ma il suo
sguardo rimaneva vacuo, segno che la sua mente stava lavorando
freneticamente.
«Forse
perché dirige il tuo impero?» frecciò Natasha, poi anche lei si
fece seria «Pensi che possa essere stata in grado di hackerare
J.A.R.V.I.S.?» chiese intuendo i suoi pensieri, Tony infatti la
guardò e schioccò le dita;
«E'
quello che temo».
«Se
l'ha fatto è stata costretta!» si inalberò JJ «Non l'ha fatto di
sua volontà ne sono certo! Lei non lo farebbe mai! Io la conosco!
Io...» la mano del capitano sulla sua spalla lo fermò; la sua presa
era ferrea ma delicata.
«JJ
nessuno sta dicendo questo» disse Steve con voce calma e profonda
«Io, Natasha, Sam e anche Maria l'abbiamo conosciuta... Sono
d'accordo con te. E se è davvero nelle mani dell'HYDRA allora è
nostro dovere salvarla, inoltre quest'informazione è preziosa e se
tu vuoi darci una mano-»
«Lo
voglio!». Steve annuì grave;
«Sei
dei nostri. - poi il suo sguardo si posò su Tony – potresti
informarti su Annabeth? È possibile trovare qualcosa che possa
esserci utile?»
«Oh
sì puoi scommetterci» asserì il magnate con gli occhi che vagavano
per la stanza, tutti capirono che sapeva già come muoversi. Beh, era
confortante che almeno qualcuno di loro sapesse dove sbattere la
testa, pensò Steve.
«Ora,
JJ perché non ti riposi? Avvertirò Coulson che sei qui... Ti vorrà
fare certamente delle domande» il capitano lasciò che Maria si
occupasse del nuovo arrivato.
Sam
si sporse verso di lui;
«Novità
su di lui?» chiese cauto, Steve fu costretto a negare col
capo. L'ex pararescue gli batté una pacca comprensiva sulla spalla.
Natasha
rientrò nella sua stanza a riunione finita, improvvisamente si piegò
in avanti stringendosi il ventre con la mano mentre l'altra si tenne
al muro. Un gemito di dolore le sfuggì dalle labbra.
«Natasha!»
urlò il capitano entrato poco dopo, subito accorse da lei. La russa
si aggrappò con forza alla sua maglia, stringendo i denti e
aspettando che la contrazione passasse.
Steve
la strinse a sé ascoltando in silenzio il suo respiro regolarizzarsi
e la sua presa farsi meno violenta.
«E'
passato» sospirò appoggiandosi a lui.
Steve
prese un respiro profondo, ogni volta la paura attanagliava il suo
cuore... Semplicemente terrorizzato di poterla perdere; amava già il
loro bambino ma faticava a sopportare il pensiero che entrambi
dovessero rischiare così tanto. Stavano giocando ad una dannata
roulette russa.
«Pensi
che sia stata una buona idea lasciare che Sharon ci provasse?»
chiese a Natasha per distrarre entrambi.
«Non
credo avessimo molta scelta. Steve lei sente il bisogno di fare
qualcosa e se non può partire a cercarlo, stai pur certo che
cercherà le risposte in un altro modo».
*
«Hai
qualche consiglio?»
«Sinceramente?
No. Se riesci a fargli emettere un suono è già un successo»
rispose leggermente ironico Phil Coulson.
Sharon
annuì, poi si volse a guardarlo;
«Come
sta Melinda?»
«Sì
è rimessa in piedi ma non deve esagerare, puoi immaginare il suo
umore. È idilliaco. è stata fortunata non le ha preso il polmone»
anche senza sforzarsi si poteva notare distintamente il tono
sollevato del direttore. La biondina sorrise lievemente;
«Già
posso immaginare» poi spostò nuovamente i suoi occhi sulla vetrata
davanti a lei.
«Sharon
se solo avessimo saputo-» ma la ragazza negò col capo per far
capire che non li stava incolpando.
«Credo
che nemmeno lui potesse prevederlo...» tirò appena su con il
naso «Se non ti spiace ora proverò a farlo parlare».
Sharon
Carter si chiuse la porta alle spalle con un sonoro tonfo. Lasciò
che l'eco si esaurisse fino al ritorno del silenzio perfetto. Si
mosse con calma, ostentando una sicurezza che, in quel preciso
momento, non possedeva per nulla. Afferrò una sedia e la pose
esattamente davanti alla figura ammanettata.
L'agente
dell'HYDRA alzò lo sguardo e i suoi occhi chiari colpirono
immediatamente Sharon, le rammentavano tremendamente un altro paio di
occhi altrettanto di ghiaccio, il cui ricordo fu una stilettata in
pieno petto.
«Mi
chiamo Sharon. Sharon Carter. Ed ora tu ed io faremo due chiacchiere
che tu lo voglia o no».
________________________________________________________________________________________ASIA'S CORNER
Buon
pomeriggio a tutti voi miei gentili lettori! Eccoci qui con il nuovo
capitolo! In questo capitolo, come nel precendente, non ci sono grandi
scontri o azione ma diciamo che vengono date alcune informazioni e
considero questo capitolo come una sorta di preludio per ciò che
deve venire.
Spero che la parte in cui viene trattata la gravidanza non vi risulti
noiosa, io la considero parte integrante della storia, fa parte di
Natasha e di Steve ed ha un effetto diretto su questi personaggi e
parlarne per me è quindi fondamentale. Il nome della nuova
dottoressa di Natasha, ovvero Meredith Montgomery è un omaggio
alla serie Grey's Anatomy e ha il nome ed il cognome di due personaggi
che io adoro!
Scopriamo inoltre il motivo per cui Holden ha interpellato direttamente
gli Avengers, secondo voi i suoi timori sono fondati? Lo scoprirete...
Riguardo all'ultima parte, per il colloquio fra Sharon e N dovrete
aspettare il prossimo capitolo purtroppo... Avevo bisogno di dargli il
giusto spazio.
So che il capitolo è breve e magari meno ricco di quanto vi
aspettavate ma prometto che arriveranno capitolo più intensi ed
ogni tanto una pausa distensiva fa bene ;)
Un'ultima
cosa: allora io attualmente ho iniziato a lavorare, part-time ma pur
sempre di lavoro si tratta inoltre in questo periodo ho dei progetti in
ballo che purtroppo mi prendono del tempo, non voglio allarmarvi, non
ho intenzione di sospendere la storia o che so io, solo vi chiedo un
po' di pazienza e comprensione in quanto magari i prossimi capitoli
potrebbero uscire con UNO MASSIMO DUE giorni di ritardo rispetto alla data prevista, non di più! Anche per le recensioni
purtroppo accadrà la stessa cosa (le risposte dovrebbero
arrivare entro lunedì mattina! Promesso) Mi scuso con tutti voi,
ma ci tengo ad essere onesta e purtroppo il tempo è quello che
è e ho pur sempre una vita da mandare avanti ^^ ma io
farò del mio meglio per rispettare le scadenze!
Detto
questo, io vi ringrazio come sempre per essere giunti fino a qui e
spero che la storia continui a piacervi! Ci vediamo fra due settimane, VENERDI' 07 LUGLIO!
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Capitolo 15 *** Blind Spot ***
15
Capitolo
15: Blind Spot
“Molta
gente non sa
che
l'occhio umano ha un angolo cieco nel suo campo visivo.
C'è
una parte di mondo che non possiamo letteralmente vedere.
Il
problema è che certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di
vedere cose
che
non dovremmo assolutamente ignorare.
A
volte invece sono proprio gli angoli ciechi
a
dare felicità e contentezza alla nostra vita.
[…]
Tornando
ai nostri angoli ciechi,
forse
è il cervello che non compensa perché forse ci vuole proteggere.”
~
Meredith Grey “Grey's Anatomy”
La
luce al neon sfarfallò producendo un ronzio molesto, N alzò lo
sguardo verso di essa, dando l'impressione di non aver nemmeno notato
la presenza della ragazza davanti a lui. La realtà era ben diversa:
benché fisicamente quella Sharon Carter non gli incutesse alcun
timore, sentiva di dover essere guardingo, qualcosa in lei lo metteva
all'erta.
Sharon
non riusciva a quietarsi. Inspirava l'aria fredda della stanza ed
espirava a ritmo regolare, eppure sentiva le vene pulsare e il
battito cardiaco correre, come se stesse facendo una gara contro un
nemico invisibile. Era così che si era sentito James di fronte a
quel soldato incatenato? Quasi fosse lui l'animale in trappola?
Premette le mani intrecciate fra loro finché non le avvertì pulsare
dolorosamente.
Come
aveva fatto ad essere così cieca?
«Qual
è il tuo nome?» domandò rompendo quel silenzio scomodo che si era
formato.
La
domanda parve trarre l'attenzione del soldato. La sua espressione si
fece insondabile.
«Non
lo so» rispose; il suo volto si fece scuro e gli occhi si
assottigliarono.
L'agente
13 era una buona osservatrice e riuscendo ad andare oltre il suo
dolore personale, notò la reazione del suo nemico. Una possibile
crepa?
«Impossibile»
frecciò a voce bassa e, per quanto ne fosse in grado, fredda «Tutti
noi possediamo un nome, persino uno come te. Sei solo,
dovresti piantarla di fare resistenza» voleva provocarlo, doveva
fare in modo di aprirsi un varco.
L'agente
dell'HYDRA strinse i pugni ed irrigidì i muscoli; la prolungata
prigionia, l'impossibilità di muoversi unita alla perdita del suo
punto di riferimento, lo stavano pian piano logorando.
«Io
non lo so!» sibilò infastidito «Non sono nulla... - il suo sguardo
divenne vacuo, come se si fosse perso nella propria mente – sono
nulla» la testa scattò di lato a scacciare un ricordo molesto,
si voltò nuovamente verso Sharon, tanto repentinamente che sobbalzò
impreparata;
«Non
sono niente! - urlò - готовый
подчиняться [pronto ad obbedire]».
La
bionda sbatté le palpebre, aggrappandosi impercettibilmente alla
sedia.
“Bucky?”
“Chi
diavolo è Bucky?”
Era
stato lui stesso a raccontarglielo in una notte particolarmente
malinconica, stretti l'uno nell'abbraccio dell'altra, dopo aver fatto
l'amore con dolcezza e trasporto. Lei l'aveva stretto contro il suo
petto, assicurandogli che quel momento era passato e lei era lì per
ricordargli chi fosse.
Non
so dove trovò la forza di guardare nuovamente in faccia il soldato,
comprese come James guardandolo vedesse il proprio riflesso. Quel
ragazzo era stato il suo specchio maledetto.
“Perché
James? Perché non me l'hai detto?”.
«Come
ti chiamava quella donna?» chiese, riprendendo l'interrogatorio.
N
sgranò lo sguardo preso in evidente contropiede dalla domanda. Non
riusciva a comprendere il perché di quell'insistenza. Perché voleva
sapere il suo nome? Lui non era niente.
Si
irrigidì ancora di più, mentre una sensazione scomoda risalì dalla
bocca dello stomaco; l'immagine di Sinthea Schmidt gli frecciò in
mente e le sue labbra si sigillarono.
Sharon
si rese conto che la crepa nel suo essere, quasi invisibile prima, si
era accentuata; chiunque fosse quella ragazza doveva incutergli vero
timore.
«Io-
non...»
«Sforzati
di ricordare Soldat!» gridò. Lo vide tentare di divincolarsi
dalle spesse manette, veloce si protese verso di lui, afferrandogli
le mani.
«Guardami!»
gli ordinò. L'agente 13 capì che il tono duro e perentorio aveva
più effetto. Da quanto tempo qualcuno non gli si rivolgeva con
gentilezza?
Il
Winter Soldier, pur respirando rapidamente e con fatica, cercando di
contrastare la propria natura, fece come gli era stato ordinato.
«...N...».
«Come?»
«Io-
sono- N. Solo questo: N». I suoi occhi erano spalancati, increduli
ma anche... sollevati, il fiato era corto. Osservò impaziente la
mano di Sharon, in attesa di ricevere una punizione.
La
ragazza invece si morse le labbra e i suoi occhi scuri si riempirono
di tristezza. Una singola ed insipida lettera a definirlo.
Si
sentì quasi sopraffatta, non riusciva ad andare avanti, lasciò che
i minuti scorressero fra loro nel più cupo silenzio.
«N»
ripeté piano, assaporando quell'unica lettera sulla lingua quasi
volesse dargli un valore del tutto nuovo. Lui annuì.
«N...
chi è quella donna per te?» Sharon ora doveva cambiare approccio ma
sopratutto non sentiva più il bisogno di costringerlo.
Gli
occhi dell'agente dell'HYDRA si mossero freneticamente da una parte
all'altra, strinse i braccioli in acciaio e cercò di schiacciarsi
contro il sedile.
«E'
la padrona...»; chiuse gli occhi e strattonò la sedia su cui era
incatenato.
«Chi
è N?» la sua voce era carezzevole e gli occhi scuri si erano fatti
penetranti;
la
domanda sembrò disorientarlo, non capiva cosa intendesse;
«E'
la padrona...» ripeté.
«D'accordo.»
concesse Sharon temendo di perderlo «Quali erano gli ordini?»
indugiò un istante «Che tipo di ordini ti dava N?»
«Io
non...!» l'urlo che seguì fu quello di un animale sofferente. La
ragazza si fiondò su di lui, afferrandolo per le braccia per cercare
di riportarlo con la mente in quella stanza.
Che
diamine gli avevano fatto per ridurre la sua mente in quello stato?
Avvertì le lacrime premere per uscire, il suo pensiero andò
involontariamente a James e il suo cuore palpitò affranto. Era così
arrabbiata ed amareggiata ma strinse comunque i denti.
«N
chi era James Barnes per te?» gli chiese con tono urgente. Era
totalmente incapace di gestire i suoi sentimenti verso James.
N
incredibilmente era riuscito a riprendersi almeno un po'.
«Lui
era il maestro, lui ci ha addestrati. Dov'è?»;
l'amarezza
per quella domanda posta quasi innocentemente fu spazzata via da un
particolare che la inquietò.
«Ci?»
esalò Sharon «Quanti siete N? Quanti altri ce ne sono come te?».
L'agente
dell'HYDRA la fissò con i suoi occhi spalancati e spaesati prima di
stringere i denti dolorante.
«AH!...
Tr- tre...» chiuse gli occhi, ed iniziò a lamentarsi, la testa
aveva preso a dolergli, era come se stesse andando a fuoco.
Sharon
gli prese gentilmente la testa fra le mani ma cercò di non farlo
muovere.
«N
respira! Sono qui. Ti prego... Ho bisogno che tu mi parli! Resta con
me...» ma era inutile. A nulla valsero i suoi richiami disperati.
N
iniziò a parlare in russo, ma più che frasi erano singole parole
senza alcun nesso logico e qualche lettera, ma Sharon cercò di
imprimersele bene in mente. Quando iniziarono le convulsioni, capì
che non poteva più aspettare e corse a chiedere aiuto angosciata.
Immediatamente la squadra medica arrivò e tentò di stabilizzarlo,
l'agente 13 si coprì la bocca con la mano assistendo impotente allo
sgretolarsi di un supersoldato.
*
Un
tocco leggero per sistemare l'ordinata frangia color rame.
Il
rossetto color vino steso sulle labbra piene.
Gli
occhi castano-verdi scintillarono maliziosi guardando il riflesso
della persona dietro la sua figura.
«Brock,
fa il bravo chiudimi la cerniera» cantilenò Sin scostandosi, con
gesto provocante, i lunghi capelli di lato.
Rumlow
le si avvicinò e silenziosamente fece scivolare la cerniera sulla
pelle striata da lunghi segni rossi, fino a chiuderle l'elegante
tubino scuro.
«Lo
sai che un bel vestito non ti renderà più gradita a tuo padre?» la
provocò lui con un sorriso storto.
Sin
si voltò e sogghignò. Le sue lunghe dita si soffermarono su ogni
bruciatura che deturpava il petto nudo di Crossbones.
«Stavo
per dire la stessa cosa del tuo volto. La tua cara Sharon ha il cuore
a pezzi, dovresti approfittarne mio caro e strapparglielo
definitivamente» celiò la rossa mentre il ghigno sul volto
sfregiato dell'uomo si spense e la presa su di lei si fece più
forte, quasi violenta.
«A
tal proposito mia piccola psicolabile... - la fece sbattere contro la
parete – non provarci mai più. Intesi?».
Sin
ridacchiò in modo bambinesco e lo baciò con passione animalesca. Si
staccarono ansanti, la ragazza sorrise melliflua ed uscì dalla
stanza.
Ad
attenderla fuori vi era il Winter Soldier L.
«E'
da molto che mi aspetti, L?» chiese Sin passando l'unghia laccata di
nero sui lineamenti duri e virili del soldato.
«No,
mia signora» rispose secco incamminandosi ma restando sempre due
passi dietro a lei.
«Tu
sei diverso dai tuoi compagni, ne sei consapevole?»;
L
ghignò con uno strano bagliore nei freddi occhi di un cupo azzurro;
«Sì»
Sin
si arrestò un momento prima di varcare la porta tenuta aperta da due
guardie. Lo guardò e sorrise pericolosa;
«Restami
fedele L e il tuo cervello continuerà a restare intatto per quanto
possibile» poi lo congedò soddisfatta.
«Buonasera
padre» salutò atona Sin, prendendo posto all'altro capo del tavolo
da pranzo di antica foggia.
«Sei
in ritardo Sinthea» gli fece notare Alexander Lukin, che oltre ai
ritardi non amava essere palesemente ignorato in favore del suo
“ospite”.
«Lukin»
celiò divertita la ragazza, ben lieta di aver indisposto l'ex capo
della Red Room.
«Modera
il sarcasmo tochter
[figlia]» la rimproverò Teschio Rosso prendendo il sopravvento su
Lukin. La parola “figlia” scivolò come veleno fra le sue labbra,
ma Sin era ormai diventata brava nel celare la propria frustrazione.
«Perdonami
padre. - afferrò il calice contenente pregiato vino rosso e se lo
portò alle labbra – che pensi allora del candidato che ti
ho sottoposto?».
Johann
Schmidt produsse un raro sorriso compiaciuto, che sulle labbra di
Lukin ebbe un effetto tremendamente affascinante;
«E'
perfetto. L'attesa varrà il compimento della mia vendetta e
finalmente avrò ciò che mi spetta di diritto. Sarò un dio.»;
Sin
si gustò il compiacimento e la cieca vanità, sorseggiando ancora
del vino sorrise accondiscendente mentre la sua mente viaggiava su
altri binari. Brindarono a lui e all'HYDRA.
Johann
Schmidt bevve alla sua salute, poi il suo viso – o meglio il volto
di Alexander Lukin – si fece serio, fissò il calice ruotare fra il
pollice e l'indice;
«D'altro
canto, ci sono ancora delle pecche. Pecche che tu, mein liebes, hai
creato; hai lasciato che ben due Soldati d'Inverno sfuggissero alla
nostra presa...» la osservò meditabondo.
Sin
irrigidì impercettibilmente la mascella e fissò suo padre di
rimando.
«Con
James Barnes non è ancora del tutto perduto» affermò lei con una
certa arroganza, dettata dalla sua stessa insicurezza riguardo al
Soldato d'Inverno originario. Qualcosa le era certamente sfuggito,
quel qualcosa aveva invalidato qualsiasi suo calcolo. I codici
avevano funzionato, ne era più che certa... Eppure possibile che un
singolo fattore avesse creato una frattura insanabile nel suo piano?
I sentimenti dunque, la causa di tutto? Strinse i pugni lungo il
tavolo, in che modo? In che modo avrebbero potuto infrangere il
condizionamento?
Sin
non lo sapeva e questo per lei era una condizione intollerabile, ma
doveva controllarsi, se suo padre e Lukin avessero intuito quanto a
fondo questo fatto l'avesse inquietata sarebbe stata la fine.
Aveva
voglia di urlare e di rompere tutto attorno a lei.
Doveva
trovare quel dannato Barnes, non si trattava solo di un vantaggio
numerico ma anche di un netto vantaggio psicologico sui suoi nemici.
«L'hai
già localizzato?» domandò a metà fra l'incuriosito e il
beffardo Teschio.
Sin
agitò una mano come a voler cacciare un insetto fastidioso;
«Non
ancora. Ma ciò non significa che non possa scovarlo, Vater»
asserì con sicurezza mischiata a noia, come se la domanda fosse
stata non solo banale ma anche tediosa.
Lanciò
un'occhiata al vetriolo a suo padre. Niente è mai abbastanza con
te padre... Continui a provocarmi e mettermi alla prova. Sono la
migliore dannazione! Perché non lo vedi? Perché sei così cieco?
«E
comunque padre, non ho ancora finito con loro, perderanno
ancora prima di cominciare la battaglia» Sin infatti aveva ancora
una freccia al suo arco, qualcosa che li avrebbe divisi
inevitabilmente... li avrebbe sfiancati e poi distrutti.
Johann
la guardò intensamente per qualche istante, poi alzò il calice nella
sua direzione e fece un piccolo sorriso mellifluo;
«Stupiscimi
figlia!».
Il
resto della cena passò nel silenzio totale, Teschio le diede alcune
disposizioni prima di congedarla.
Quando
uscì L era lì ad attenderla, senza una parola le passò un
cellulare.
«Con
chi ho il piacere di parlare?»;
la
voce dall'altra parte dell'apparecchio la fece sorridere come una
bambina il giorno del proprio compleanno. Parlarono brevemente;
«Credo
che tu ed io potremmo fare grandi cose insieme» disse concludendo
così la chiamata.
Era
ciò che le serviva... Oh si sarebbe divertita, sì, di questo Sin ne
era assolutamente certa.
*
«Sharon
con calma ripetimele di nuovo» Natasha guardò intensamente Sharon
che fece un respiro profondo e cercò di ripetere ancora una volta le
parole sconnesse pronunciate da N.
«Ne
sei sicura?»
«Sì,
oddio lui ormai stava delirando – la biondina sospirò esausta –
maledizione! Se il mio russo non fosse così pessimo, non hanno
nessun senso logico non è vero?»;
Vedova
le lanciò un'occhiata alquanto eloquente;
«No,
infatti non ne hanno. Ma il tuo russo non è così pessimo».
«Ti
ringrazio Nat, davvero! Ma siamo punto e a capo...».
L'agente
13 e la russa stavano discutendo da quasi un'ora del suo incontro con
il Soldato d'Inverno N.
Era
giunta alla Tower talmente scossa che aveva voluto parlare solo con
Vedova, non era ancora pronta ad affrontare tutta la squadra.
«Non
è detto» asserì Natasha avvicinando il portatile e componendo
alcuni codici su una finestrella nera. Dopo qualche minuto si avviò
una chiamata, sullo schermo comparve il volto, segnato da qualche
cicatrice e ruga d'espressione, di Yuri Petrovich. Il fratellastro di
Natasha.
Lui
parve sorpreso, ma non poi molto come avrebbe dovuto essere.
«Oh
oh come sta la mia sorellina incinta?» esordì allargando un sorriso
sghembo.
La
spia roteò gli occhi ma concesse un accenno di sorriso.
«Contrazioni
e mal di schiena e gambe a parte? Una meraviglia...»
«Continuo
a sperare che mio o mia nipote erediti anche il tuo sarcasmo,
Natshechka» replicò Yuri ridacchiando. La donna scosse il
capo divertita;
«Ti
hanno fatto avere le foto dell'ecografia?» domandò poi con voce
bassa e dolce, tanto che lui si intenerì.
«Sì,
ti ringrazio davvero – ci fu una pausa, poi la sua espressione si
fece leggermente tirata se non rigida – ma immagino che questo non
sia una chiamata solo di cortesia...»
«No
infatti. Sharon ha ottenuto qualcosa dal Soldato d'Inverno detenuto
dallo S.H.I.E.L.D.» l'agente 13 si avvicinò a Natasha per farsi
vedere.
«Ciao
Yuri!»
«Sharon...»
mormorò distogliendo per una frazione di secondo lo sguardo prima di
riportarlo con sicurezza sulle due donne.
«Di
che cosa si tratta esattamente?»
«Di
alcune parole pronunciate in russo da N... voglio dire il Winter
Soldier...»
«E
quali sarebbero?»
«Diciassette...
Ruggine... Fornace... Uno... Benevolo...» gli elencò Natasha
sbirciando la sua espressione corrucciata.
«Ti
dicono qualcosa?».
La
domanda restò in sospeso per qualche istante fra New York e San
Pietroburgo, ma poi il capo dello S.H.I.E.L.D. della sezione russa fu
costretto a negare col capo.
«Mi
spiace Natalia, Sharon queste parole a me personalmente non dicono
nulla, ma immagino che voi vogliate che indaghi comunque a
riguardo...»
«Te
ne saremmo grate Yuri» rispose Natasha con un'espressione grata.
«Nessun
problema... Potrei avere comunque una pista...» affermò il russo
dando l'impressione di voler dire qualcosa di più.
«Natalia...
riguardati d'accordo?» disse invece Yuri con sguardo morbido;
la
donna gli sorrise ed annuì.
«Lo
farò. Abbi cura di te Yuri.»
«Saluta
Steve» e detto ciò lo schermo divenne buio.
Le
due donne si guardarono, gli occhi pieni di domande inespresse.
«E
ora che si fa?»
«Ora
avvertiamo gli altri e ci prepariamo per la vera battaglia».
___________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buongiorno a tutti voi miei cari lettori! Con un po' di ritardo ma siamo ancora qui :)
Bene
allora come avete letto Sharon è riuscita a scardinare le difese
di N, anche se non del tutto certo e ora la domanda è: N
riuscirà a farcela? C'è da dire che Sharon dalla sua
aveva una certa esperienza con i Soldati d'Inverno e come avrete
certamente notato non è stato facile per lei questo confronto
tanto che a fine capitolo si rifugia, metaforicamente, fra le braccia
di Nat che come al solito è sempre sul pezzo, potrà pure
essere incinta ma di certo non è un handicap per lei (anche se
fisicamente è un grosso limite al momento), chiedendo aiuto a
Yuri per questa faccenda!
Poi
passiamo a Sin (continua questo parallelo fra Sharon e Sin, come alcuni
di voi hanno notato... e so che vi aspettate un bello scontro epico ma
Sin non è in grado di avere un solo nemico per volta ;) eheheh
ma di sicuro la Carter non vede l'ora di prenderla definitivamente a
calci!). Il suo rapporto con Rumlow è ambiguo ed entrambi
viaggiano fra l'odio e l'attrazione fisica ed io come al solito mi
diverto troppo con questi due!
Poi vorrei farvi notare che Sin ha una predilezione per L, un altro
Winter Soldier, a cui ha "chiesto" fedeltà, un particolare forse
non da tralasciare ;) Scopriamo che Sin malgrado l'abbandono di James
Barnes (e questo è motivo di grande frustrazione) ha comunque un
altro asso nella manica e sopratutto un nuovo alleato... chi
sarà? Si accettano proposte e scommesse gente!
Per il resto penso che il capito sia abbastanza esplicativo, ma per qualsiasi dubbio o domanda non esitate a contattarmi!
Io passo a ringraziarvi per la pazienza e il sostegno che sempre mi
dimostrate (anche chi semplicemente si sofferma a leggere), sopratutto
i miei FANTASTICI RECENSORI sia qui che su FB che mi fanno sempre
conoscere la loro opinione e mi danno la forza per continuare a
scrivere con le loro parole!
Come avete visto purtroppo questo capitolo è uscito in ritardo
rispetto alla data prestabilita, vi avverto che potrebbe non essere
l'ultima volta purtroppo gli impegni sia lavorativi che di altro genere
sono quelli che sono e per questo vi invito a seguire la mia pagina FB "Asia Dreamcatcher" dove solitamente posto avvisi ed aggiornamenti! Vi do appuntamento a SABATO 29 LUGLIO (tra due settimane), la risposta alle recensioni del capitolo 14 sarà inviata tra LUNEDI' e MARTEDI', grazie per la comprensione!
Vi auguro un buon weekend, a presto!
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Capitolo 16 *** Ombre ***
16
Capitolo
Sedici: Ombre
“L'unico
modo per liberarsi di un'ombra è spegnere la luce,
smettere
di fuggire all'oscurità
e
affrontare ciò di cui si ha paura a testa alta”
~
Meredith Grey, “Grey's Anatomy”
«Chiaro
o scuro?»
«Vogliamo
davvero intraprendere questa conversazione?»
«Laura
propende per il parquet chiaro ma io lo vorrei scuro» insisté Clint
ignorando il commento dell'amica e madrina dell'ultimo nato di casa
Barton.
Natasha
alzò lo sguardo al tettuccio dell'auto su cui viaggiavano;
«Chiaro!
La polvere si vede subito con il parquet scuro...» replicò
stringendosi nelle spalle.
«Non
credevo te ne intendessi di queste cose» scherzò l'arciere;
«Cosa
non ti insegna la vita. Parcheggia pure qui».
Clint
seguì quanto detto ed accosto il SUV scuro. I due Avengers si
scambiarono un cenno d'assenso;
«Ti
aspetto qui»
«Per
quanto detesti avere una balia ovunque vada... Grazie.» ed uscì.
L'ingresso
della casa di riposo era luminoso e ben curato ed alla reception
l'accolsero con un sorriso.
«E'
qui per vedere la signora Carter?» Natasha annuì «L'infermiera
l'accompagnerà, prego».
L'infermiera
non appena la vide sorrise cortese;
«Signorina
Romanoff buongiorno. Alla signora farà sicuramente piacere la sua
visita. Il signor Rogers non è con lei?».
La
mascella di Vedova Nera si irrigidì impercettibilmente;
«E'
impegnato» rispose liquidando la faccenda «Come sta oggi?»
«E'
in una buona giornata» affermò la donna comprendendo al volo a cosa
si riferisse.
Natasha
annuì ed aprì con sicurezza la porta della stanza. L'anziana
signora sedeva compostamente nel letto, il volto solcato da rughe era
riposato e curato, i capelli candidi e soffici già in ordine. La
camera era immersa in una luce calda dai toni aranciati, una
fragranza leggera e dolce impregnava ogni cosa.
«Buongiorno
Peggy» esordì la russa con un sorriso delicato.
Peggy
Carter si voltò verso di lei, il suo sguardo si fece confuso per
qualche istante, come se la stesse mettendo a fuoco, poi il suo viso
si illuminò e il sorriso più sincero le dipinse le labbra.
«Natasha!
Mia cara accomodati, che piacere averti qui» replicò con rinnovato
vigore, osservandola attentamente mentre prendeva posto sulla
poltrona accanto a lei.
«Mi
spiace aver fatto passare del tempo dalla mia ultima visita...»;
la
Carter sventolò delicatamente la mano in aria senza perdere il
sorriso;
«Non
dire così. Lo so bene che la vostra non è una vita semplice – il
suo sguardo si fece più vivo e sereno – la gravidanza ti dona, mia
cara» asserì sincera.
Natasha
scosse il capo divertita;
«Ti
ringrazio. Ma il sentirsi incinta non lo definirei altrettanto
piacevole.» infilò la mano nella tasca del parka ed estrasse una
paio di foto «Tieni. Sono le immagini dell'ultima ecografia, ho
immaginato ti facesse piacere» asserì porgendogliele.
L'anziana
Carter le osservò con cura, come fosse qualcosa a cui dare la sua
massima attenzione; poi sollevò le sue iridi scure in quelle chiare
della russa «Ma guardatelo, sembra in salute» affermò dolcemente,
sfiorando con le dita magre e tremanti il profilo del bambino.
«Lo
è» concordò Natasha, gli occhi leggermente lucidi; Peggy indugiò
sui tratti del volto «Cosa ti turba?». Difficile che allo sguardo
attento di Peggy Carter sfuggisse qualcosa.
La
spia inclinò il capo e lo scosse impercettibilmente «Non riesco a
percepirlo...»;
«La
dottoressa cosa dice a riguardo?»
«Data
la situazione è abbastanza normale... Ma non posso fare a meno di
chiedermi-» Peggy levò la mano in aria come a volerla fermare;
«Mia
cara c'è un motivo se esiste il detto “dai tempo al tempo” -
sorrise benevola – Non ti devi sentire sbagliata, non ve n'è alcun
motivo. Il bambino è sano? Sì. La dottoressa è allarmata? No. E
allora non hai ragione di preoccuparti. Cosa ti dice l'istinto?»
chiese seria.
Natasha
puntò lo sguardo altrove e rimase in silenzio per qualche istante;
«Non
saprei... Pensavo di potermi fidare, ma non ne sono poi così certa-»
affermò con un sorriso amaro e triste. Peggy le afferrò gentilmente
le mani e le tenne strette;
«Non
dirlo mai. L'istinto a volte è l'unica arma che ci rimane, so chi
sei Natasha Romanoff e l'istinto resta sempre e comunque il tuo
alleato più prezioso».
La
russa annuì dopo qualche tentennamento, ma in fondo grata di quelle
parole. Lentamente, come un serpente che avvolge piano ma
ineluttabile la propria preda, così il seme dell'incertezza più
cupa aveva iniziato ad avvolgerla e tutto ciò che aveva
faticosamente creato le appariva ogni giorno quanto mai fragile.
Si
sentiva annaspare, costretta in panchina, camminava su un filo che
avvertiva disfarsi ogni attimo di più, come se fosse stata di vetro
e sul punto di frantumarsi; ogni mattina apriva gli occhi e doveva
lottare per non andare in mille pezzi, osservava l'uomo che amava e
non poteva fare a meno di percepirlo distante, imprigionato nel suo
essere Captain America, sempre più nervoso, costantemente
preoccupato per la sua sicurezza ed accecato dall'idea di sconfiggere
l'HYDRA prima che potesse arrivare a loro. Da quando Bucky se n'era
andato, ormai quasi un mese prima, non si era dato pace nemmeno per
un attimo. Ma la verità era che anche lui stava inesorabilmente
affogando.
Da
quanto tempo non si abbandonavano l'uno all'altra? Quanto era passato
dall'ultimo momento solo per loro? Lei crollava sempre per prima,
sfinita dal dolore e dalla lotta interiore che la stata divorando,
lui si coricava molto più tardi logorato nella mente – a volte
senza nemmeno darsi la pena di togliersi la divisa – e si alzava
presto, spesso prima che il sole sorgesse.
Il
freddo la circondava non solo esteriormente ma anche dall'interno;
suo figlio, pur crescendo sano, era muto e lei non poteva fare a meno
di avvertire il gelo dentro di sé. Si sentiva tutto fuorché una
madre...
«Come
sta Sharon?» le chiese, il tono leggermente più cupo. Natasha
abbandonò quei pensieri fastidiosi e constatò che purtroppo Peggy
non aveva dimenticato ciò che era accaduto alla nipote.
«Sharon
è una ragazza forte, Peggy. Ha preso da te in questo. Sta facendo
del suo meglio per venire a capo della verità» asserì sicura. Ed
era vero; l'agente 13 visitava regolarmente il Playground, aveva
stretto un contatto con il Winter Soldier N, era l'unica con cui non
desse di matto nei pochi momenti in cui non era sedato, anche se per
la maggior parte del tempo farfugliava parole in russo e stralci di
vecchi ordini ma lei continuava a non mollare. Ma non era
semplicemente perché N poteva essere la chiave per carpire i segreti
dell'HYDRA, Natasha sapeva che la ragione era anche un'altra: la
ferita incisa nel petto di Sharon continuava a sanguinare, se con
James poteva aver fallito, o meglio lei sentiva di averlo fatto, non
lo avrebbe permesso una seconda volta. N forse poteva essere una
sorta di surrogato di James, ma se quella era una delle ragioni che
la spingeva ad alzarsi ogni giorno, Natasha non era nessuno per
giudicarla. La capiva.
Il
volto di Peggy si distese a quelle parole;
«La
mia Sharon, quando era una bambina sua madre viveva nel timore che
prendesse da me più del necessario – ridacchiò sinceramente
divertita – i suoi timori erano fondati. Ti prenderai lo stesso
cura di lei, Natasha?» un breve ma potente attacco di tosse la colpì
e la russa le passò premurosa, un bicchiere d'acqua fresca.
«Certo.
Steve ti manda i suoi saluti, promette che passerà presto». Natasha
osservò gli occhi scuri dell'anziana donna illuminarsi; c'era stato
un tempo in cui quello sguardo la metteva segretamente a disagio. La
prima volta che Steve le aveva proposto di conoscere Peggy alla spia
si era chiuso lo stomaco, quello era un confronto che non voleva
avere. Era perfettamente conscia che i suoi timori erano del tutto
irrazionali e non poteva certo sentirsi minacciata davanti ad
un'anziana signora che aveva vissuto la sua vita in modo pieno e
degno, ma non poteva certo ignorare che quell'anziana signora era pur
sempre Peggy Carter, primo grande amore di Steve Rogers.
Natasha
era in grado difendersi da qualunque cosa e da chiunque, ma dagli
infidi mostri della gelosia che avevano preso possesso della sua
mente, oh da loro no.
Ma
quando si erano ritrovate faccia a faccia, i suoi demoni si erano
immediatamente ritirati davanti allo sguardo luminoso e sincero di
Peggy, semplicemente felice. Felice che Steve avesse iniziato a
vivere la sua vita e non essere più solo Captain America, un
simbolo, un ideale ma un uomo.
Natasha
si era sentita meschina difronte a lei, che non aveva mai voluto
altro che la pace per quel soldato che aveva amato con lealtà e
tenerezza. Non erano poi così diverse, si era detta, entrambe
avevano sempre voluto la medesima cosa per Steve. Ed in quel momento,
finalmente, aveva sorriso, grata a quella donna straordinaria per
tutto ciò che, inconsapevolmente, aveva fatto per loro; si erano
scambiate uno sguardo in silenzio seguito da un piccolo ma deciso
cenno, una muta promessa che Natasha avrebbe rispettato fin che
avesse avuto fiato in corpo.
«Non
c'è fretta mia cara, se solo noi fossimo stati più accorti e non
avessimo contribuito a rendere il mondo com'è oggi non sareste in
questa situazione...» mormorò Peggy stanca, Natasha si limitò a
stringerle le mani e scuotere il capo dolcemente.
«Come
sta?»;
«Stanco»
rispose amaramente la russa «Lui nemmeno se ne rende conto –
sorrise appena – è Steve, è Captain America fa ciò che è nella
sua natura fare...»
Peggy
sorrise comprensiva.
«Allora
ricordagli di respirare ogni tanto...» Natasha annuì divertita, poi
notò lo sguardo della donna appannarsi per qualche istante...
«Natasha?
La gravidanza ti dona mia cara! A che mese sei?» domandò allegra
Peggy come se la vedesse per la prima volta. Natasha fece un piccolo
sospiro e stirò le labbra in un sorriso paziente.
«Ciao
Peggy...».
Natasha
uscì dalla clinica un'ora più tardi, risalì in auto e Clint mise
in moto direzione Avengers Tower.
«Nat.
Hai notato-»
«Il
furgone bianco che ci segue da quando siamo ripartiti?» lo anticipò
Natasha con tono piatto. L'arciere annuì fissandola.
«Non
è lo S.H.I.E.L.D. vero?»
«Invio
un'allerta» rispose Clint sospirando;
«Seminali»
replicò la russa con espressione seria.
E
ci provarono, Occhio di Falco premette l'acceleratore e senza
scrupoli sfrecciò in mezzo al traffico di New York. Ma avrebbero
dovuto immaginare che quello non fosse l'unico mezzo a seguirli.
Vennero
bloccati da altri due furgoni, blindati, che gli tagliarono la
strada, costringendo Clint ad inchiodare di colpo tanto che l'auto
fece quasi un testa coda.
Dai
furgoni scesero diversi uomini, che avevano tutto l'aspetto di essere
dei mercenari, armati.
«Nat-»
tentennò Clint, ma lei respirò a fondo;
«Fai
quel che devi».
L'arciere
ingranò la retro per tentare di prendere una via di fuga ma il
furgone bianco, che li stava pedinando, gli arrivò dietro e lo urtò
costringendoli ad arrestarsi. I mercenari intanto puntarono i loro
fucili alle gomme del loro SUV blindato e dopo diversi tentativi
riuscirono a forarle.
«Armi?»
domandò a quel punto Natasha respirando a fondo. La loro auto era
blindata, questo era vero ma non avrebbero potuto durare lì dentro
per sempre e prima o poi il telaio e i vetri avrebbero ceduto
inevitabilmente.
«Contatto
la Tower» replicò l'arciere, si bloccò improvvisamente guardando
l'amica in faccia.
«Non
dirmelo. Hanno schermato l'area? - inspirò infastidita – beh siamo
a New York non ci metteranno molto a capire che sta succedendo...»
«Dobbiamo
solo resistere, okay Nat?» le mormorò Clint. Mentre i loro nemici
all'esterno avevano iniziato a trivellare la loro auto, il loro unico
rifugio, di colpi.
Natasha
sapeva cosa gli stava indirettamente dicendo l'arciere. Erano loro
due e, almeno per il momento, nessuno poteva aiutarli. In una
qualsiasi altra circostanza questo non sarebbe stato un problema,
erano tra i migliori in circolazione, addestrati, preparati e lei non
si sarebbe fatta alcuno scrupolo. Ma ora il solo rischiare di restare
ferita la paralizzava dentro; lei era una spia... E anche se per
gente come lei la sopravvivenza era una questione fondamentale, la
possibilità di rimanere ferita era comunque qualcosa che rientrava
nel pacchetto e di questo non ne aveva mai avuto paura. Ma ora era
diverso; al tempo stesso non poteva lasciare che Clint facesse tutto
da solo, anche lui aveva una famiglia da cui tornare. I patti fra
loro due erano sempre stati chiari: proteggersi le spalle a vicenda,
questo facevano e questo avrebbero sempre fatto. Doveva farlo, non
solo per Clint ma per suo figlio, aveva giurato che nessuno l'avrebbe
nemmeno sfiorato e avrebbe mantenuto quel giuramento a costo di
mettere entrambi in pericolo.
Natasha
chiuse gli occhi, si passò una mano sul ventre rigonfio e lo
accarezzò piano. «быть сильной»[sii forte]
mormorò.
«Passami
quelle due» disse indicando le pistole che erano riposte sotto il
sedile dietro.
«Sei
sicura?» ribatté l'arciere guardandola con cipiglio grave. La russa
annuì secca.
*
«Molto
bene. Credo che per oggi possa bastare Jace» disse Steve rialzandosi
insieme al quindicenne che annuiva soddisfatto dei propri progressi.
Alexandra a pochi passi da loro si riprendeva dalla propria sessione
di allenamento.
«Grazie
Steve, ma vorrei continuare ancora un po'» replicò Jace pur rosso
in viso e con i muscoli gonfi e tesi che iniziavano a lamentarsi per
lo sforzo.
Il
supersoldato si prese qualche attimo per osservarlo attentamente, lo
sguardo del suo allievo era serio e deciso, malgrado le sue forze
stessero iniziando a cedere i suoi occhi gli stavano dicendo che non
era ancora il momento di smettere. Capiva molto bene il suo stato
d'animo, lui provava esattamente lo stesso; per entrambi
l'allontanamento di Bucky era stato l'ennesimo sputo in faccia
ricevuto dalla vita, e malgrado ciò non avevano permesso a loro
stessi di crollare.
Steve
gli sorrise comprensivo, poi scosse il capo;
«Va
bene così per oggi Jace, davvero. Anzi sono io doverti ringraziare-»
l'espressione del giovane si fece confusa, ma il capitano si limitò
a sorridergli. Quella sessione di allenamento era stata per lui una
boccata d'aria. Vedere lui ed Alexandra così decisi e sopratutto
così affiatati era stata una gioia per gli occhi, l'allenamento pur
difficile era stato per certi versi divertente, con momenti di risate
e condivisione ed in quel momento si era reso conto che aveva bisogno
di avere più che mai un contatto con Natasha; nell'ultimo periodo
era stato così concentrato nel tentare di scoprire i piani
dell'HYDRA che si era allontanato da lei, quando invece entrambi
avevano più bisogno l'uno dell'altra.
La
porta della palestra si aprì di scatto e un Sam visibilmente
preoccupato si affacciò trafelato.
«Steve...».
*
«Nat
ore sei!» urlò Clint affrontando l'ennesimo mercenario, mentre
Vedova Nera finite le munizioni si apprestava ad uno scontro corpo a
corpo.
Natasha
doveva finire l'avversario prima che questi si avvicinasse troppo a
lei; purtroppo la pancia era ormai visibile, nulla poteva
nasconderla. Durante i minuti seguenti allo scoppio dello scontro fra
loro e i mercenari, aveva notato che essi non erano interessati a
eliminarla fisicamente, sembrava più che volessero semplicemente
stordirla, questo aveva fatto cementato, in lei, la certezza che
mirassero al bambino. Non sembravano agenti dell'HYDRA ma sentiva che
in qualche modo vi erano collegati.
Natasha
afferrò il mercenario per le spalle e gli tirò una ginocchiata
esattamente in mezzo alle gambe, riuscendo così a metterlo fuori
gioco. Non poteva azzardare mosse complesse per non mettere il
bambino ancora più a rischio di quanto non stesse già facendo. Le
sembrava di battersi in una rissa da bar.
Si
sentiva affaticata e le ossa le dolevano quasi avesse la febbre ma il
suo spirito era forte.
«Okay,
tieniti forte» mormorò parlando al figlio «Questo potrebbe far
male» la spia si tenne pronta all'eventuale impatto con l'ennesimo
mercenario;
«Natasha!»
lo scudo circolare si frappose fra lei e il suo prossimo avversario
abbattendosi su quest'ultimo.
Natasha
voltò il capo vedendo Steve correre verso di lei;
«Alla
tua sinistra!» all'avvertimento accorato del proprio compagno il suo
corpo reagì per lei: parò il pugno col braccio e con una mossa
semplice ma efficace se ne liberò; rapida scivolò verso lo scudo e
lo usò per difendersi e respingere i colpi finché Steve non le fu
quasi accanto ed insieme – com'erano ormai soliti fare –
sconfissero gli ultimi rimasti in piedi. Con la coda dell'occhio vide
Sam aiutare Clint mentre Maria e Holden eliminare i folli che ancora
osavano contrattaccargli.
Natasha
trasse un respiro sentendosi, dopo tanto tempo, libera dalla paura e
dall'ansia. Aveva affrontato faccia a faccia i suoi avversari, e
malgrado avesse rischiato davvero tanto nel farlo si sentiva bene.
Non doveva più nascondersi, certo fino al momento della nascita non
si sarebbe più arrischiata a tanto, ma almeno ora i suoi nemici lo
sapevano: sapevano che non era debole, che lei era pronta ad
affrontare tutto e tutti per il proprio figlio.
Si
voltò verso Steve e si accorse che anche lui ora la stava fissando,
i suoi occhi chiari pieni di cose da dire e di domande, ma lei si
limitò ad afferrarlo per la nuca e a far congiungere le loro labbra
in un bacio tanto atteso quanto appassionato. Grata che fosse al suo
fianco ancora una volta, ora poteva affrontare qualsiasi sfida,
poteva stargli accanto senza avere paura di se stessa e senza dover
continuare a chiedersi se sarebbe stata abbastanza forte per portare
a termine la gravidanza durante una guerra come quella che stavano
affrontando. E questo dovette capirlo anche il bambino, perché
finalmente concesse a sua madre la possibilità di sentirlo.
Le
loro labbra erano ancora unite quando la russa dovette staccarsi
improvvisamente, portandosi le mani al ventre, il respiro mozzato e
gli occhi sgranati.
«Natasha?»
urlò preoccupato Steve piegandosi su di lei con atteggiamento
protettivo. La donna gli fece segno di quietarsi e dopo qualche
istante gli afferrò le mani e le poggiò sulla propria pancia.
«Sta-?»
sussurrò incredulo, l'espressione commossa. Si guardarono negli
occhi e Natasha annuì;
«Sta
scalciando» mormorò con un delicato sorriso. La piccola creatura
che portava in grembo, ora le stava facendo sapere che anche lei era
forte, stava bene. Chiuse gli occhi per qualche istante assaporando
quella nuova sensazione e per alcuni istanti si sentì in pace.
Purtroppo
la situazione in cui erano richiedeva la loro attenzione, si
scambiarono un bacio veloce ed in silenzio, ma fianco a fianco, si
diressero verso i loro compagni che tenevano uno dei mercenari
inginocchiato fra loro.
«C'è
una taglia sulla testa di vostro figlio» biascicò l'uomo divertito.
Steve chiuse le mani a pugno ma mantenne un'espressione neutra e
concentrata.
«E
tu sai anche chi c'è l'ha messa» replicò Natasha con sguardo
altero. Nonostante la mano chiusa sul ventre con fare protettivo,
Vedova Nera sembrava una regina che torreggiava sul proprio suddito
infedele.
«Ne
verranno altri-»;
«Che
vengano. Ciò che io voglio sapere è chi li manda».
Il
mercenario sorrise mellifluo;
«Allegra
Belgioioso ti porge i suoi saluti Natasha Alianovna Romanoff».
______________________________________________________________________Asia's Corner
E
dunque eccoci tornati, dopo questa pausa estiva (che devo ammettere mi
ha comportato più problemi che gioie ma questo è un altro
discorso) con questo nuovo capitolo (lo so vi ho fatto attendere
davvero troppo) ma che spero non vi deluda!
Allora abbiamo un bell'incontro tra Peggy e Natasha, e la adorata Peggy
- per quanto la malattia glielo concede - sta sempre sul pezzo, qui ho
voluto mostrarvi le ombre di Natasha, le paure e le incertezze che in
questo momento sta affrontando, come d'altronde ogni Avengers (ma su
questo avremo modo di tornare nei prossimi capitoli).
E alla fine di questo capitolo scopriamo anche chi altro minaccia la
vita degli Avengers, rullo di tamburi ebbene sì, ladies &
gentlemen Allegra Belgioioso
è tornata! D'altronde il suo primo incontro con gli Avengers gli
è costato davvero caro, mica pensavate che se ne sarebbe stata
buona buona dopo che questi le avevano rovinato gli affari!? Oh nonono!
Un'altra pedina è entrata in questa grande scacchiera... e
promette di giocare pesante! Cosa ne pensate di questa sua mossa? Sono
davvero curiosa! :)
Bene detto questo passo a darvi un'importante informazione, riguardante gli AGGIORNAMENTI. Allora vi ho riflettuto e visto al momento come stanno andando le cose ora ho deciso di postare un nuovo capitolo OGNI 3 SETTIMANE!
Lo so, molti di voi non ne saranno felici ma questa scelta l'ho fatta
per ASSICURARVI con maggiore serenità degli aggiornamenti!
Purtroppo vuoi per una cosa vuoi per l'altra gli ultimi capitoli
postati sono sempre usciti con qualche giorno di ritardo e con me che
mi sentivo uno schifo ed arrivavo sempre tirata. Quindi, almeno per il momento
(potrebbe non essere una decisione definitiva) ho deciso di spostare
l'uscita dei nuovi capitoli; spero che comprendiate e abbiate pazienza!
Io
per il momento vi saluto e vi ringrazio davvero tantissimo per la
pazienza che avete avuto in questo periodo e per il supporto che mai mi
è stato fatto mancare! RINGRAZIO MOLTISSIMO TUTTI VOI che
seguite questa ff, che commentate o che leggete semplicemente :)
Ci vediamo fra tre settimane: SABATO 23 SETTEMBRE!
ps. Risponderò alle recensioni del capitolo 15 entro sabato 09!
pps. Per qualsiasi informazione vi invito a mettere mi piace alla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher"
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Capitolo 17 *** Legami ***
17
Capitolo
Diciassette: Legami
“Love:
it will kill you and save you,
both”
~
Lauren Olivier
«Scoperto
qualcosa?»
Sharon
Carter si accomodò sul grande letto su cui Natasha Romanoff sedeva a
gambe incrociate; una mano accarezzava con dolcezza il ventre, ormai
prominente e rotondo, l'altra invece passava dal tablet ad alcuni
fogli svolazzanti.
«Guarda
tu stessa...» rispose la russa, passandole dei file cartacei.
La
bionda li lesse con attenzione, aggrottò la fronte in un'espressione
sorpresa;
«Scherma
e Aikido...»
«La
scherma la pratica fin da bambina e con risultati quasi da olimpiade,
ha iniziato Aikido dopo un tentativo di rapimento all'età di tredici
anni» spiegò Natasha pensierosa «Questo mi dice qualcosa in più
sulla sua personalità». Sharon la guardò incuriosita;
«Lo
scopo dell'Aikido è qualcosa di più del puro combattimento o della
difesa personale, ma mira a quella che viene chiamata la “corretta
vittoria”: la padronanza di se stessi. Non è una sprovveduta,
è più preparata di quanto lasci a pensare, sa esattamente ciò che
vuole»
«E'
lei che comanda in famiglia, te lo posso assicurare.» le fece eco
Sharon, richiamando alla mente i ricordi dell'asta a Venezia «Non
che il fratello sembri apprezzare, pensa di essere lui in vantaggio e
lei glielo lascia credere. Da quanto ho potuto vedere è una che sa
attendere il proprio momento, se capisci cosa intendo.»
«Agisce
nell'ombra e sa aspettare. Bene, ci serviva proprio una persona del
genere ad ingrossare le fila nemiche...»
«Legami
con l'HYDRA?»
«Non
ne sono certa. Forse ha semplicemente visto un'occasione di
arricchirsi sulla pelle di mio figlio- e per questo penso che l'HYDRA
centri qualcosa. Loro ne sono a conoscenza.» mormorò con sguardo
freddo.
Sharon
strinse le labbra arrabbiata, le prese la mano stringendola con
dolcezza e fermezza cercando di trasmetterle tutto il suo sostegno.
Steve
uscì in quel momento dal bagno personale, infilandosi distrattamente
la maglietta. Dal suo sguardo, Natasha intuì che doveva aver
ascoltato la fine del discorso.
Il
capitano fece il girò del letto, sedendosi sul bordo accanto a lei,
le baciò la tempia poi passò una mano sul ventre percependo i
movimenti del bambino, che iniziarono a concentrarsi sotto il suo
palmo caldo; quasi suo figlio volesse fargli capire che stava
avvertendo la sua presenza.
«E'
più calmo quando ci sei tu...» rifletté lei, accomodandosi meglio
sui cuscini. Dopo quello che era successo, la dottoressa Montgomery
le aveva intimato giorni di riposo assoluto. Steve aveva preso le sue
parole come un'ordine venuto direttamente da Dio.
Natasha
malgrado tutto, era contenta di poter sentire i movimenti del
piccolo: aveva capito che gli piaceva il suono della sua voce, perché
mentre parlava lo avvertiva tendersi come se fosse in ascolto; quando
c'era Steve si quietava, rilassandosi; mentre quando entrambi
poggiavano le mani sul grembo si agitava, come se cercasse un
contatto.
Lui
le sorrise brevemente mentre il suo cuore di futuro papà batteva più
forte che mai nel petto.
«Dovresti
riposare Nat, lo sai-» le ricordò, mentre la compagna alzò
pigramente un sopracciglio ed arricciò le labbra;
«Sono
bloccata a letto da un intero giorno e l'unico movimento che tu
amore, mi permetti così
generosamente di fare è il
tragitto verso il bagno. Io
sto riposando! Non mi alzo nemmeno per mangiare, visto tu
così amorevolmente
provvedi al nutrimento mio e di nostro figlio! Non credi mi stia già
sforzando abbastanza?» replicò con tono fintamente angelico dietro
cui si nascondeva una vaga nota omicida. Ogni “tu” pareva
un'accusa bella e buona.
Steve
inspirò pesantemente, mentre con lo sguardo cercava l'appoggio di
Sharon, che ovviamente non ci pensava nemmeno a contraddire l'amica.
Ogni giorno che passava, fra le due donne si creava un legame sempre
più complice.
Decise
di alzare bandiera bianca e si limitò ad accostarsi a Natasha, poi
si rivolse a Sharon;
«Notizie
riguardo a N?» chiese speranzoso.
La
bionda agente si intristì appena, visitava ormai regolarmente quello
che lei non considerava nemmeno più un prigioniero, ma con scarsi
risultati. N aveva stabilito un contatto con lei ma purtroppo tutto
ciò che faceva era farfugliare: continuava a pronunciare sempre le
stesse parole in russo, raramente ricordava qualche buia giornata
passata come cavia dell'HYDRA e aveva preso a ripetere la parola
“sin” ovvero “peccato”. Sharon non comprendeva, che fosse una
richiesta d'assoluzione?
«Nessuna
novità sotto quel fronte. È confuso, oserei dire quasi impaurito.
Coulson sta cercando con l'equipe medica di trovare un modo per
rendere più stabile il suo cervello ma con scarsi risultati, sarebbe
più semplice se sapessero che metodi ha usato l'HYDRA per
distruggergli la mente in quel modo» sospirò amareggiata. Tornava
sempre più depressa da quelle visite, non si confidava con nessuno
riguardo al suo stato d'animo, nessuno tranne Natasha.
Le
due infatti si scambiarono un'occhiata significativa e Sharon si
strinse nelle spalle.
L'espressione
di Steve si fece cupa;
«Il
loro sprezzo per l'essere umano non ha limiti» il suo riferimento a
Bucky era evidente.
Sharon
abbassò lo sguardo, per impedire che vedessero nei suoi occhi lo
smarrimento e il dolore che il suo intero essere, anima e corpo,
provava. Non poteva che essere d'accordo con Steve. James e poi N.
Per lei era un'esperienza terribile vedere il Winter Soldier, ogni
notte sognava che fosse Bucky quell'anima agonizzante e devastata
incatenata al letto d'ospedale per evitare non solo che ferisse gli
altri, ma anche se stesso. Forse era lei quella davvero malata, che
si torturava nel visitare quel ragazzo che gli ricordava
tremendamente l'uomo che amava; l'unico modo per sentirlo ancora
vicino. Era una masochista, ecco cos'era; una dannata masochista.
Era
tremendamente arrabbiata con James, la voglia di prenderlo a pugni
era proporzionata alla voglia di soffocarlo di baci se mai fosse
tornato. Il suo cuore sussultò a quel pensiero: sarebbe mai
tornato?
Natasha
strinse il braccio di Steve per farlo tornare alla realtà e al tempo
stesso fargli notare Sharon, che ancora rimuginava sulle sue parole.
Il
supersoldato si sentì male, sapeva che non era l'unico a provare
dolore. Non era l'unica anima strappata in quella stanza. Lui,
Sharon, Jace, ma anche Sam – che aveva instaurato un forte legame
con Bucky sopratutto negli ultimi tempi – Natasha, Alexandra...
«Sharon-»
la richiamò lui «Grazie per quello che stai facendo.» la bionda
sorrise tremula, mentre Natasha la osservava con attenzione, i loro
sguardi si incrociarono e si misero tacitamente d'accordo.
«Ora
meglio che vada a vedere come sta Jace» disse volendo lasciare alla
coppia un po' di intimità.
«Sharon,
sono quasi certo che lui abbia un piano» replicò Steve,
forse per rincuorare entrambi.
Sulla
soglia della porta l'agente 13 annuì;
«E'
meglio per lui».
«Come
sta?» domandò una volta uscita.
Natasha
spostò lo sguardo sulla porta chiusa;
«E'
dura – disse scuotendo il capo – come per ognuno di noi».
Steve
le prese gentilmente il volto fra le dita, sollevandoglielo perché
così i loro occhi potessero incontrarsi.
«Tu
come stai? Come state?» il suo sguardo era intenso, calmo e
profondo. Natasha si sentì sciogliere.
«Stiamo
bene Steve» lo rassicurò lei, sapeva che aveva bisogno di sentirlo,
doveva sapere che la sua famiglia era – per quanto possibile – al
sicuro.
Chiuse
gli occhi per un istante, annuendo, la fece distendere stringendosela
contro, la sua schiena perfettamente adagiata contro il petto.
«Mi
sei mancata-» sussurrò nascondendo il viso fra i suoi rossi capelli
ed inspirando il suo profumo a pieni polmoni.
«E'
possibile essere vicini e al tempo stesso così distanti?» domandò
amareggiato.
Natasha
voltò il capo cercando un contatto più intenso con le sue labbra.
«Stavi
cercando di tenerci tutti al sicuro» gli fece notare lei;
«Non
ho fatto un buon lavoro, mi pare?» sbuffò sconsolato, avvertì la
sua mano accarezzargli il volto, la pelle scottava dove lei lo
toccava, si godette fino in fondo quel contatto.
«Non
siamo deboli ed indifesi. Cercare di tenere tutto sotto controllo ti
sta logorando...»
«Non
so come altro fare!»
«Non
sei l'unico che sta combattendo, e ogni tanto anch'io ho bisogno del
mio capitano...»
«E'
un'ammissione la tua?» replicò lui con un sorriso, la osservò
roteare gli occhi;
«Non
ti ci abituare! Anche questo piccoletto ha bisogno di te» sussurrò
divertita, per tutta risposta il bambino scalciò.
«Ouch!
- si lamentò Natasha – credo mi abbia appena dato ragione».
Steve
sorrise e lei con lui. Dio, solo ora si rese conto di quanto avesse
bisogno di quei momenti, solo loro due, complici come sempre. Ecco
perché combatteva; stare con Natasha lo rigenerava e al tempo stesso
lo spronava.
Lei
era come sempre bellissima e sensuale, malgrado la gravidanza la
stesse mettendo alla prova fisicamente, lui continuava a trovarla
irresistibile.
«Pensi
che intuisca ciò che diciamo?»;
«Se
ha ereditato la mia intelligenza siamo nei guai» rispose con un
guizzo di genuino divertimento negli occhi;
«Modesta»
la rimbeccò lui con uno sguardo luminoso. La sua mano corse al
ventre di Natasha e lei sentì il figlio quietarsi, un solo arto –
probabilmente la mano – a premere dolcemente contro il grembo
seguendo quella del padre.
«Mi
spiace aver fatto aspettare te e la mamma. Ora sono qui-» si scambiò
uno sguardo con Natasha, che gli fece un cenno d'incoraggiamento e
lui proseguì con voce lievemente emozionata «Papà è qui».
Jace
si frizionò i capelli con l'asciugamano mentre si dirigeva in
camera. Sospirò non c'era nulla di più bello di una doccia calda
dopo un allenamento ad alta intensità – come si erano dimostrati
ormai tutti i suoi ultimi allenamenti -.
Sulla
soglia della propria stanza si arrestò e trattenne il respiro per
non farsi scoprire subito. Sharon sedeva sul suo letto, i capelli
color miele le accarezzavano gentilmente il viso e le spalle, i suoi
occhi osservavano intensamente la foto, che aveva preso dal comodino,
che ritraeva lei, Jace e James insieme sulla spiaggia di Coney
Island. Ricordava distintamente quella giornata, avvenuta qualche
giorno dopo il loro ritorno dalla Russia; Sharon si era fatta
coraggio ed aveva preso per mano Bucky, lui non l'aveva lasciata per
tutta la giornata.
«E'
stata una bella giornata» esordì lei con tono malinconico, che gli
fece stringere il cuore. Aveva sempre saputo che lui era lì.
«Ne
avremo altre così» replicò deciso avvicinandosi a lei.
Sharon
lo guardò con espressione dolce e mise la foto al suo posto, accanto
a quella che lo ritraeva con i suoi genitori.
«Come
stai?» gli domandò;
«Ho
le ossa a pezzi, mi lamentavo di Maria ma almeno lei non si diverte
come Clint a farci sputare sangue, e dopodomani ho compito di
letteratura russa! Perché ho deciso di fare russo!?» si lamentò
Jace, facendo però ridere Sharon.
«Natasha
sarà ben disposta a darti una mano. Quante finte frecce di Clint sei
riuscito ad evitare stavolta?»
«Due
in più dell'ultimo allenamento!». Sharon finse di rifletterci e poi
si aprì ad un sorrisetto;
«Quindi
due!»
«Ehi!
Lui è Occhio di Falco, mira infallibile, presente?» si indignò lui
mentre la bionda gli scompigliava affettuosamente i capelli. La sua
mano poi scivolò sul viso ed iniziò ad accarezzarglielo piano;
«Sei
forte Jace» affermò guardandolo con occhi orgogliosi, profondi «Mi
dispiace che tu debba passare tutto questo, mi dispiace-» il suo
sguardo si incrinò improvvisamente.
Il
quindicenne le poggiò il capo sulla spalla;
«Voi
mi avete dato più di quanto potessi mai sperare di avere ancora»
replicò commosso, avvertendo la tristezza di Sharon come un marchio
sulla sua pelle.
«Lui
tornerà» continuò convinto.
La
donna gli posò un bacio fra i capelli ribelli;
«Grazie»
gli sussurrò, lo accarezzò un'ultima volta prima di alzarsi.
Jace
la osservò per un istante poi sentì l'impellente bisogno di dirgli
una cosa;
«Sharon...
M- Mi piace quando mi abbracci, sa di... mamma» affermò con
un sorriso sincero.
Sharon
rimase per un attimo interdetta poi il sorriso più candido e felice
le illuminò il volto.
«Cerca
di riposare» disse dolcemente prima di andarsene.
Passò
poco tempo, prima che un timido bussare colse l'attenzione del
ragazzo;
«Sì?».
Alexandra
entrò con passo leggero, un'enorme felpa ad avvolgere il corpo
snello, i lunghi capelli leggermente ondulati danzavano intorno al
volto, lambendole la vita. Arrossì vistosamente mentre Jace
incurante si infilava la maglietta, coprendo il fisico scattante con
i muscoli che iniziavano piano piano a definirsi. Con un gesto la
invitò a sedersi sul letto, accanto a lui.
La
ragazzina scrollò le spalle e si accomodò, le lunghe gambe pallide
sfiorarono quelle di lui.
«E'
passata Sharon...»
«Come
sta?» gli chiese sinceramente preoccupata. Lei e Jace si scambiarono
un'occhiata e capì.
«Mi
dispiace Ace.» mormorò. Lui le prese la mano ed iniziò a
giocherellare con le sue dita con sguardo apparentemente perso, era
un contatto delicato ma piacevole. Alex avvertì il proprio cuore
perdere un battito, ma non si sottrasse, lasciò che il capo si
abbandonasse sulla sua spalla. Le piaceva il silenzio fra loro, non
era mai imbarazzato o pesante, era semplicemente pura quiete.
«Le
ho detto che tornerà» disse lui improvvisamente;
«Perché?»
la sua era genuina curiosità.
Jace
adorava Alexandra anche per questo: lei aveva la rara dote di
chiedere ed ascoltare prima di esprimere un giudizio.
Lui
si chinò verso il comodino e dal cassetto estrasse una cornice
vuota.
«Per
questo» rispose mettendogliela sotto il naso, Sasha lo osservò con
interesse e lui proseguì;
«In
questa cornice era contenuta una foto preziosa per Bucky, la tiene
sul suo comodino, nel nostro appartamento. È una delle foto che
Sharon gli ha regalato lo scorso Natale*, in questa foto ci
siamo tutti noi-»;
Alexandra
sorrise capendo cosa voleva dirgli l'amico. Si guardarono e lei sperò
con tutto il cuore che quell'intuizione prima o poi si rivelasse
corretta.
*
L'appartamento
era immerso nella penombra, le fiamme del piccolo gas portatile e una
candela malamente consumata erano le sue uniche fonti di luce.
Il
dito metallico passò più volte sopra il medesimo punto della foto
che reggeva, i cui bordi erano ormai consunti, come se in quel modo
potesse accarezzare davvero quel volto. Come se lei potesse
davvero percepire il suo tocco.
James
Barnes emise un debole lamento, somigliante spaventosamente a quello
di un animale ferito. I suoi occhi di ghiaccio rimasero puntati su
quel rettangolo di carta tanto fragile quanto prezioso, che ritraeva
la sua famiglia.
«Sharon»
articolò con voce roca. Era come se pronunciare quel nome avesse il
potere di portarlo lontano da quel luogo desolato, da quel paese in
cui non avrebbe più dovuto rimetter piede, braccato dai suoi demoni.
Si immaginò immerso fra le lenzuola dai tenui colori della loro
stanza, i suoi occhi contemplare in adorazione il corpo nudo e
deliziosamente arrossato di Sharon, a causa dell'amore che si erano
donati a vicenda, si sporse verso di lei catturandole il volto con le
mani e perdersi nei suoi occhi scuri ed innamorati.
Riaprì
gli occhi di scatto, avvertendo la disperazione risalire dalla bocca
dello stomaco e trasformarsi in un conato di vomito.
Guardò
i volti delle persone a lui care per un'ultima volta, poi ripiegò
con cura la foto e la infilò nella giacca della divisa, all'altezza
del cuore. Si passò il viso sfatto con la mano. Quella ricerca
doveva portare a qualcosa.
Improvvisamente
un potente bussare alla porta lo colse impreparato. Si alzò di
scatto e con i sensi all'erta. Rapido e silenzioso afferrò il fucile
pronto ad affrontare chiunque si celasse oltre.
*
Sin
entrò liberandosi del trench blu che frusciante cadde a terra,
rivelando la sua sinuosa figura ammantata di nero. Prese posto sulla
poltrona di pregiata pelle, nel lussuoso attico che godeva di una
splendida vista della città sull'acqua: Venezia.
«Gentile
da parte tua venirmi a prendere» esordì con voce graffiante Allegra
Caterina Belgioioso, catturando l'attenzione e lo sguardo della
figlia di Teschio Rosso.
Sin
afferrò il calice di vino rosso che le porgevano, se lo portò alle
labbra e ne gustò il sapore intenso e fruttato. Amava il vino rosso,
così scuro le ricordava il sangue rappreso.
Le
due giovani donne si osservarono attentamente. Nessuna delle due si
fidava dell'altra: Allegra aveva perso l'asta a causa delle
schermaglie fra l'HYDRA e gli Avengers e questo poneva il suo
detestato fratello in una posizione di vantaggio, seppur lieve,
rispetto a lei; Sin aveva sicuramente da rimproverare ad Allegra
l'ingenuità con cui la sua famiglia si era fatta raggirare dagli
Avengers permettendogli di infiltrarsi e mandando in fumo non solo
l'acquisizione delle armi chitauriane ma la perdita di un Winter
Soldiers, per cui lei aveva pagato sulla sua pelle. Entrambe quindi
avevano, ognuna, la proprie ragioni per saltare al collo dell'altra,
eppure ora si trovavano l'una di fronte all'altra in una sorta di
stasi.
«Ho
saputo ciò che è successo a New York. Sciocco da parte tua credere
che dei banali mercenari potessero rapire Natasha Romanoff» celiò
Sin con un sorriso sghembo, si era rivolta lei con lo stesso tono con
cui una maestra si rivolge ad un bambino disubbidiente.
L'italiana
non sembrò prendersela anzi sorrise, come se le sue parole
l'avessero illuminata su un concetto di difficile comprensione;
l'ironia era palese. Sin assottigliò lo sguardo.
«Ho
voluto mandare un messaggio. La Romanoff è sempre stata una preda
ambita, volevo solo ricordarle che non è intoccabile» spiegò
alzando appena il calice. Perché cercare l'appoggio dell'HYDRA?
Perchè gli Avengers valevano una miniera d'oro. C'era gente pronta a
sborsare quantità inimmaginabili di denaro per le abilità di Tony
Stark, o per la testa di Occhio di Falco o Captain America; per lei
erano puri e semplici affari, loro erano la causa per cui Alessandro
aveva riguadagnato terreno e qualcuno avrebbe pagato per quello.
Nessuno sapeva com'era essere lei e nemmeno le interessava che
qualcuno comprendesse la sua visione del mondo. Inoltre anche l'HYDRA
aveva i suoi lati interessanti, segreti che avrebbe potuto rivendere
a peso d'oro. Come quel soldato che le stava appresso la notte
dell'asta, grazie ai video di sorveglianza aveva avuto modo di
osservarlo e capire che era speciale quasi quanto James Barnes, Steve
Rogers e Natasha Romanoff.
Doveva
solo frenare ancora per un po' la sua sete di vendetta.
«Beh
sono quasi certa che l'abbia recepito e non solo lei!» replicò Sin
bevendo un ulteriore sorso di quel pregiato vino. Sorrise ferina. Le
seccava ammetterlo ma l'appoggio di un membro della famiglia
Belgioioso era essenziale, per quello che nella sua testa si stava
delineando sempre più come qualcosa di necessario. Usare le
sue risorse avrebbe potuto aprirle nuove opportunità, inoltre i
nemici dei suoi nemici erano suoi amici. Doveva sfruttarla il più
possibile prima di toglierla di mezzo; ma non doveva sottovalutarla,
questo no.
Quella
fra loro due sarebbe stata una magnifica quanto letale partita di
scacchi.
«Mentre
tu sguinzagli i più sanguinosi mercenari e assassini in circolazione
perché mettano le mani sul prezioso figlio di Vedova Nera e Captain
America, spero non ti dispiacerà se io continuo con la mia
strategia: dividi et impera» continuò la figlia dell'HYDRA
con tono falsamente accondiscendente.
Allegra
pur intuendo lo sprezzo nel suo tono continuò a sorridere;
«Certo
che no, mia cara. Dividi et impera!»
replicò brindando con il suo calice.
Il
loro sorriso era tra i più falsi del loro repertorio.
Allegra
ingollò l'ultimo sorso prima di osservarla con rinnovato interesse;
«A
proposito quali sono le vostre intenzioni con il bambino?».
*
K
sollevò di scatto le palpebre ma impiegò alcuni secondi per mettere
a fuoco la propria asfittica e grigia stanza. Qualcosa l'aveva
disturbata dal suo sonno buio e senza sogni, poi lo sentì. Un tonfo,
seguito da un altro e poi da un altro ancora; ecco cos'era stato a
svegliarla.
Rimase
immobile per un secondo ancora poi il suo cervello comprese e il suo
petto ricevette una dolorosa stilettata.
No!
Si
alzò di scatto e si precipitò nella stanza accanto alla sua e ciò
che vide ebbe il potere di raggelarla. D sbatteva ripetutamente la
testa contro la parete, imbrattando i suoi candidi capelli di
inquietante rosso, mentre una risata cristallina e folle sfuggiva
dalle sue labbra.
«D!
Ora basta!» le urlò afferrandola per le spalle e allontanandola
dalla parete, ringraziò che la padrona e lo stesso L non fossero
presenti nell'edificio o le conseguenze sarebbero state tragiche.
«Va
tutto bene. Va tutto bene» le sussurrò stringendola fra le sue
braccia. La sua psiche era così fragile, sarebbe stato logico
porre fine ad un essere così... inutile, eppure lei non ci riusciva.
O meglio non voleva.
K
la tenne stretta, facendola calmare nel modo più silenzioso
possibile, se le avessero trovate in quella situazione- arrestò i
suoi pensieri, non volendo spingersi oltre.
«K...»
le voce della bionda era così spezzata e candida che la bruna ebbe
un moto di fastidio «Mi dispiace» disse semplicemente, i suoi
grandi occhi totalmente vacui.
K
la baciò sulla ferita ancora fresca e le accarezzò il volto; le sue
labbra si tesero appena all'insù in una pallida imitazione di un
sorriso.
«Va
tutto bene Didi. Sono qui. Non ti lascio» Era la verità, ormai era
giunta al punto di non ritorno.
*
vedi la mia storia “Il Natale che vorrei”
______________________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buongiorno
a tutti voi miei cari lettori! Eccoci nuovamente qui con questo bel
capitolo, un po' dolce un po' amaro! Come avete letto ho dato un po' di
respiro ai sentimenti di alcuni protagonisti, entrando in alcune
dinamiche: come ad esempio fra le due Winter Soldiers K e D; senza
tralasciare la storia con l'incontro fra le due villains Sin e Allegra.
A tal proposito spero che vi siate goduti l'incontro-scontro fra le
due, fra cui intercorre un sottile e fragile equilibrio, non si fidano
e hanno ottimi motivi per scannarsi eppure decidano di lavorare
insieme, solo perché ognuna spera di giungere prima al proprio
obiettivo in modo da poter togliere di mezzo l'altra. E' quasi una
sorta di gara!
Chi sarà, poi l'indivduo/a che ha osato disturbare il nostro povero Soldato d'Inverno?
Ancora
una volta spero di non avervi deluso e che il capitolo vi sia piaciuto!
Vi ringrazio tantissimo per il continuo supporto e a tutti voi che
seguite ed inserite questa storia nel varie liste! :)
Per il momento è tutto, per qualsiasi dubbio non esitate a
contattarmi e vi invito a mettere "mi piace" alla mia pagina fb "Asia Dreamcatcher"! Io vi saluto e vi do appuntamento tra 3 settimane: SABATO 14 OTTOBRE!
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Capitolo 18 *** Way down we go ***
18
Vorrei dedicare questo capitolo a Airaharune_99, doveva essere pubblicato il giorno del suo compleanno ma purtroppo non ci sono riuscita!
Anche se in ritardo, Buon Compleanno cara!
Capitolo
Diciotto: Way down we go
“'Cause
they will run you down, down til the dark
Yes
and they will run you down, down til you fall
And
they will run you down, down til you go
Yeah
so you can't crawl no more”
~
“Way down we go”, Kaleo
«Wilson!
Alzati» trillò impaziente Maria Hill, piombando nella stanza,
fasciata in un elegante e professionale tubino scuro. Già pronta per
la giornata che doveva iniziare, lei.
Sam
Wilson, al contrario, era sprofondato fra le lenzuola tanto che la
sua figura era indistinguibile. Al richiamo dell'agente non si mosse.
La
donna sbuffò spazientita ed entrò nella stanza ancora immersa nel
buio.
«Wilson!»
ancora nulla. Maria strinse gli occhi cerulei, ora leggermente –
solo leggermente – preoccupata, sporgendosi verso l'ex pararescue.
«Sam?».
Improvvisamente
il braccio di Falcon si mosse rapido a circondarle la vita e Maria si
ritrovò intrappolata nel suo caldo abbraccio.
«Devo
fingermi morto per farmi coccolare!?» esordì con voce assonata ma
divertita.
Maria
inspirò infastidita e lui ridacchiò non riuscendo a stare serio in
quella situazione.
«Wilson,
mi lasci andare?» chiese con tono perentorio, cercando di
districarsi dalla presa dell'uomo, che però aumentò.
«No»
replicò secco.
Se
avesse voluto sarebbe riuscita a liberarsi, se avesse davvero
voluto Maria si sarebbe alzata e se ne sarebbe andata, non prima di
aver sbattuto a terra il culo di Sam.
Ricadde,
invece, con la testa sul cuscino e il suo corpo smise di lottare.
Era
proprio questo il punto: lei non voleva. Perché? Non era riuscito a
spiegarselo, Sam l'aveva presa quasi per sfinimento, eppure non
riusciva a pentirsi di aver “ceduto” a quell'uomo che era
praticamente il suo opposto. Non riusciva a nascondere le sue
emozioni, non ne era minimamente in grado, tanto lei era emetica e
schiva tanto lui era aperto e vivace.
Forse
era stato proprio questo lato ad attrarla inconsciamente, voleva
saggiare disperatamente quella luce da esserne rimasta intrappolata,
come una sciocca falena bruciata dalla fiamma che tanto l'aveva
incuriosita.
Lei
era una spia e come tale aveva visto e fatto cose ignobili, in lei
erano sepolti segreti che ad altri avrebbero fatto tremare l'animo,
aveva consacrato se stessa ad un'ideale, ad un uomo che in pochissimo
potevano comprendere. Tutto ciò le era sempre costato qualcosa; i
sentimenti, la fiducia nel mondo...
Sam
Wilson, nonostante fosse stato un soldato che aveva assistito in
prima persona agli orrori della guerra e avesse perso una persona a
lui davvero cara... continuava a possedere una sorta di ingenuità,
di sana innocenza che non aveva mai scorto in nessuno prima di lui.
Qualcosa che lei aveva perso molto tempo addietro e che lui, generoso
e disinteressato, aveva deciso di condividere pazientemente, solo con
lei.
«Ci
stai rimuginando troppo» le disse Sam strappandola dai suoi
pensieri.
Maria
si voltò e lo fissò nei suoi grandi ed espressivi occhi scuri. Come
faceva ad essere così? Rimase in silenzio, osservandolo
semplicemente. Poi si sporse, piano con solennità ed accostò le sue
labbra a quelle di Sam, in un bacio quasi impalpabile. La faccia di
Falcon era puro stupore.
«E
questo per cos'era?» domandò preso in contropiede.
Maria
sollevò un sopracciglio;
«Ci
stai pensando troppo Wilson!» affermò con tono vagamente divertito
e con decisione si liberò dalla presa e come previsto, il culo di
Sam Wilson finì a terra.
*
Skye
sbattè più volte le palpebre, nel tentativo di reidratare i suoi
occhi gonfi e stanchi. Forse per la prima volta in vita sua provava
frustrazione verso un apparecchio elettronico, nello specifico il suo
computer, non poteva fare a meno di sentirsi tradita dalla sua stessa
abilità.
Erano
giorni che lavorava su questa Annabeth Munroe, tanto che ormai
sentiva quasi di conoscerla: aveva raccolto ogni possibile
informazione su di lei e sul suo lavoro come hacker, - da cui era
rimasta impressionata – scoprendo che aveva collaborato per qualche
tempo con Rising Tide e fatto parte di Anonymus.
Avrebbe
saputo riconoscere i programmi da lei usati ad occhi chiusi, ma sul
dark web non c'era nulla che potesse essere ricollegato a lei o
all'HYDRA, almeno non di recente.
Fu
ripensando a ciò, che ebbe un'illuminazione. Si rese bruscamente
conto di aver sempre cercato nel posto sbagliato.
Rapidamente
Skye, guidata da chissà quale Furia, avviò un'analisi completa di
tutti i computer presenti nel Playground. Avere accesso a tale potere
le provocò un brivido, l'ennesima dimostrazione di quanto Coulson
contasse su di lei.
Ci
volle un po', ma una volta ultimata la scansione, Skye, con il viso
praticamente incollato allo schermo, iniziò ad esaminare con
accuratezza il responso.
I
suoi occhi si accesero di soddisfazione;
«Beccata!».
*
Lo
sguardo di Natasha si assottigliò, le iridi smeraldine furono
attraversato da un lampo d'ira. Fu un attimo poi inspirò
profondamente distogliendo l'attenzione dal foglio che aveva fra le
mani.
«Shhh...»
sussurrò toccandosi il ventre «Mamma sta bene» continuò
rassicurando il bambino che da quasi sette mesi cresceva nella sua
pancia. Almeno uno dei due doveva essere rassicurato e Natasha era
semplicemente troppo cresciuta, troppo lei per esserlo.
«Nat
siamo pronti!» trillò Alex entrando nella palestra insieme a Jace.
«Ti
prego non farci morire» la supplicò il quindicenne, strappando un
sorriso alla donna.
Non
morirono, ma andarono molto vicini ad un collasso.
L'allenamento
che impose la russa ai due giovani era duro, a tratti crudele, spinse
i loro corpi al limite, ma con grande soddisfazione della donna i due
reagirono meglio di quanto si aspettasse; anche se passarono un
brutto quarto d'ora quando dovettero affrontare Clint e Sharon.
«Rivoglio
Maria!» piagnucolò Sasha stesa a terra a braccia e gambe larghe,
cercando inutile refrigerio sul pavimento della palestra.
Jace
tentava di regolarizzare il respiro, provato come rare volte in vita
sua; afferrò la mano dell'amica e l'aiutò a rimettersi in piedi
mentre quest'ultima invocava pietà.
Natasha
ghignò soddisfatta, mentre Sharon e Clint ridacchiavano compiaciuti,
scambiandosi un'occhiata complice per nulla rassicurante.
«Dovete
perdonarla ragazzi-» la voce profonda ma divertita di Steve attirò
l'attenzione di tutti – aveva assistito a parte dell'allenamento
dall'alto del ballatoio - «L'immobilità forzata la rende
irritabile» concluse scoccando un'occhiata scherzosa all'amata
compagna; in cambio si beccò una smorfia.
I
due ragazzi si precipitarono da Steve con passo claudicante e lo
abbracciarono come se avessero visto un angelo venire in loro
soccorso.
Poco
dopo lui e Natasha restarono soli.
«Dunque
“irritabile” eh?» frecciò Vedova con un sorriso diabolico.
Steve, mani sui fianchi, scosse il capo e l'abbracciò;
«Mi
perdoni?»;
«Non
saprei. Chiedo ai miei ormoni e ti faccio sapere!» replicò
sarcastica. Il capitano le baciò una tempia ed a tradimento estrasse
dalla tasca dei suoi pantaloni il foglio stropicciato.
«Lo
so che non sei irritabile, ma furiosa» ribatté serio. La donna
distolse lo sguardo puntandolo sullo specchio e perdendosi
nell'osservare il proprio profilo.
Tony
e lo S.H.I.E.L.D. erano riusciti a trovarlo nel deep web. Era una
taglia di milioni di dollari sulla sua testa, sua e di suo figlio.
Vivi, consolante. Il loro bambino era diventato una delle
prede più ambite da parte dei mercenari. Ancora prima di venire alla
luce.
Allegra
Belgioioso aveva emesso la sua stessa condanna a morte, Natasha
sarebbe stata ben lieta di eseguire la sentenza con le sue stesse
mani.
«Non
ti fa bene-»;
«знай
своего врага. [conosci
il tuo nemico]
Anche se fa male. Devo conoscere ogni sua mossa».
Steve
annuì, sapeva che aveva ragione. La guardò negli occhi ed accarezzò
delicatamente il suo grembo, la spia fremette a quel contatto.
«Forse
c'è anche altro a cui dovresti pensare...»; Natasha lo osservò
perplessa.
«Non
abbiamo ancora iniziato a preparare la stanza per il bambino» disse
con cautela.
Il
cuore di Vedova Nera mancò di un battito. Aveva fatto di tutto per
rimandare quel momento, perché? Paura. Detestava il fatto che fosse
quello il motivo, eppure per mesi aveva avuto il terrore che suo
figlio non ce la facesse, che non sopravvivesse. Una piccola parte di
lei aveva ancora il timore che potesse morire durante il parto e per
ciò aveva procrastinato ancora una volta. E se fosse davvero
accaduto, come avrebbe potuto affrontare la vista di una stanza
pronta per qualcuno a cui non era stata data nemmeno una possibilità?
«Ehi,
Natasha... guardami, per favore» le sussurrò il supersoldato, con
riluttanza la russa lasciò che i suoi occhi si incatenassero a
quelli suoi cerulei.
«Credo
di capire il motivo per cui tu non voglia occuparti di quella stanza,
malgrado sia da mesi che Tony ce ne ha messo a disposizione una
accanto alla nostra, non ci sei mai nemmeno entrata. Lo so che la tua
non è una paura
– a quella parola Natasha strinse impercettibilmente le labbra
infastidita – infondata, ma devi iniziare a prendere in
considerazione il fatto che avremo davvero
un bambino, sano. Hai così poca fiducia in te? E in nostro figlio?»
le domandò serio mentre lei si sentì morire. Perché era così
restia a lasciarsi andare? Perché la sua vita non glielo aveva mai
permesso... e quello che stavano affrontando in quel momento era solo
una triste ed ulteriore conferma, e nonostante ciò esisteva una
piccola oasi, un frammento sospeso che, malgrado i continui attacchi,
ancora resisteva: il suo bambino. Avrebbe potuto perderlo quando
aveva deciso di affrontare quei mercenari, ma non era successo.
Doveva
pur significare qualcosa?
Steve
sospirò ed afferrò il suo cellulare, scorse con il dito e le mostrò
una foto. Natasha sgranò gli occhi sorpresa; era una culla.
Semplice, in legno ed ancora da mettere appunto, ma era a tutti gli
effetti una bellissima culla.
«Clint
mi ha dato una mano, l'ho iniziato da poco... Non immaginavo potesse
essere anche terapeutico, non ci ho creduto finché Barton non mi ha
messo una sega e delle assi in mano» le disse cercando di smorzare
il tono alla fine.
Non
sapeva cosa dire, era semplicemente spiazzata. Natasha spostò lo
sguardo dalla foto a lui, che la fissava leggermente speranzoso; si
rese conto che non poteva privarlo di ciò, non poteva negargli di
creare qualcosa di così bello ed intimo per il proprio figlio e non
poteva negarlo nemmeno a se stessa. Qualunque cosa sarebbe accaduta
da quel momento in poi, suo figlio meritava uno spazio per lui. Non
costruirgli una stanza, per quanto sembrasse insignificante, era come
rifiutare la sua esistenza.
Lentamente
Natasha prese un respiro;
«Forse
dovrei permettere a Sharon di sistemare tutti quei vestitini che ha
comprato e che crede non mi sia accorta, sono nascosti nel suo
armadio» disse con un sorrisetto divertito. Il capitano la guardò
sorpreso;
«Quanti
ne ha presi?»
«Due
borse».
Un
sottile “wow” sfuggì dalle labbra di Steve, Natasha piegò
appena il capo e restituì il cellulare al suo amato.
«E'
bellissima Steve» mormorò cercando di nascondere la sua commozione,
si sporse per depositargli un dolce bacio sulle labbra.
«D'accordo.»
aggiunse poi semplicemente.
«Capitano
Rogers? Signorina Romanoff?» si intromise la voce dell'AI JARVIS «E'
richiesta la vostra presenza in soggiorno, la signorina Skye dello
S.H.I.E.L.D. ha notizie per voi».
«Che
succede?» chiese prontamente il capitano una volta giunto nel
soggiorno.
Erano
tutti presenti: Tony, Sam, Clint, Maria, JJ, Sharon e i due giovani
Jace e Alexandra. Il viso di Coulson e quello di Melinda e Skye era
proiettato nello schermo;
«Ci
sono novità, potremmo finalmente avere una pista...» esordì il
direttore «Skye?».
«Sì!
Dunque dopo un'attenta analisi delle mosse da hacker di Annabeth
Munroe, suggeritami dal signor Stark – il miliardario fece un
irriverente inchino – ho ricontrollato tutti i computer dello
S.H.I.E.L.D. stilando una lista di programmi installati dopo l'arrivo
di quella schifosa doppiogiochista di Erica Holstein» notando
le facce dei presenti la ragazza si schiarì la voce imbarazzata e
proseguì «Dicevo? Ah giusto, ho riconosciuto uno dei programmi
usati dalla Munroe per infiltrarsi nella nostra rete, una sorta di
trojan horse e
incredibilmente sono riuscita a risalire alla sua origine. Ovvero al
luogo preciso di creazione di questo trojan!» concluse
brillantemente.
«Ci
stai dicendo che hai la posizione della Munroe? Ovvero un possibile
nascondiglio dell'HYDRA?» chiese Maria.
«E'
quello che sto dicendo sì. Però-»
«Però?»
chiese Sam.
«C'è
la possibilità che sia una trappola. Ho analizzato ogni attività di
hackeraggio di Annabeth ed è davvero brava, non lascia tracce
facilmente, quindi anche per me non sarebbe dovuto essere così
semplice risalire all'origine di questo file virus, voglio dire
potrebbero esserci due spiegazioni a riguardo-»
«O
è una mossa dell'HYDRA per farci cadere in trappola, ancora; o
Annabeth Munroe ci ha lasciato gentilmente una traccia» affermò
Natasha con sicurezza. Skye annuì.
«Che
si fa?» domandò quindi Sam notando come Holden si stesse sforzando
di non saltare in piedi e correre a salvare la giovane hacker.
«Dove
si troverebbe questo ipotetico nascondiglio?» chiese Steve;
«Nella
Foresta Nera in Germania, capitano» rispose May; il supersoldato si
scambiò uno sguardo con i propri compagni, Tony si strinse le
spalle;
«Cinquanta
e cinquanta ma credo abbiamo comunque un margine di effetto a
sorpresa» ragionò lui.
Steve
annuì poi portò il suo sguardo su Natasha, lei fece un lieve cenno
con il capo;
«E'
comunque qualcosa» mormorò. Era deciso dunque.
«Partenza
in meno di un'ora. Maria ti considero dei nostri?» domandò; la
donna annuì senza esitare, Sam rimase a fissarla senza dire una
parola.
«Capitano
– lo richiamò Coulson – ho predisposto che gli agenti Morse e
Hunter vengano con voi»;
«Grazie
Phil».
«Mi
unirò a loro» asserì Melinda sorprendendo lievemente il direttore,
ma lei non lo stava guardando, i suoi occhi erano concentrati su
Natasha che annuì appena in un gesto di ringraziamento.
Steve
si rivolse poi a Sharon e lei gli sorrise, avendo capito tutto.
«Tranquillo
resto io con lei» lui sorrise grato.
Natasha
si alzò e lo seguì;
«Steve
lo sai, vero?»
«Lo
so Natasha» replicò lui
dolcemente perdendosi nei suoi occhi e cercando di imprimersi, come
ogni volta, la sua immagine a fuoco nella testa. Le si avvicinò e la
baciò con trasporto, poi si abbassò all'altezza del suo ventre
«Torno presto, promesso» sussurrò. Un ultimo sguardo poi se ne
andò.
*
Un
sole pigro stava sorgendo, illuminando il fianco del Feldberg,
la montagna più alta della Foresta Nera, in cui l'HYDRA aveva
costruito la propria base. Fu un attimo e parve che la montagna
intera tremasse.
Grant
Ward stava per ritirarsi nella propria stanza dopo un turno di
sorveglianza quando venne sorpresa da quella che pareva una scossa.
Perplesso si precipitò nel corridoio che dava sul fianco della
montagna e da dove si poteva ammirare un panorama mozzafiato, a cui
l'HYDRA per ovvi motivi non aveva mai dato molto peso.
Quando
Ward, attraverso gli oblò, vide Iron Man in persona volare da una
parte all'altra e lanciare piccoli missili, capì che la loro base
era stata compromessa. Iniziò a correre.
«Sin!»
urlò precipitandosi nella sua camera personale.
«Che
diamine sta succedendo?» sbraitò già vestita e con una furia
omicida che dardeggiava nel suo sguardo.
«Gli
Avengers alle porte» replicò Ward ricomponendo la propria
espressione.
Sin
strinse le labbra, come avevano potuto? No. Questo non era previsto!
Era impossibile... Per un momento il caos più puro dominò i
pensieri della figlia di Teschio Rosso, la rabbia stava minando il
suo autocontrollo, se fosse stata sola avrebbe distrutto l'intera
stanza, ma non poteva farsi vedere in quelle condizioni. Ne andava
della sua credibilità come leader.
Scosse
il capo per darsi un tono;
«Molto
bene.» asserì glaciale «Schiera ogni agente a disposizione,
dobbiamo trattenerli il più a lungo possibile, dì a quell'hacker
buona a nulla di trasferire ogni file al quartier generale e dopo di
ché avvia la sequenza di autodistruzione. Io e la nostra ospite ti
aspetteremo all'hangar. Mi sono spiegata? E di a L che può
divertirsi un po'».
«Oh
oh. Pronti per la festa, gente?» urlò Tony penetrando finalmente
nel fianco della montagna, seguito a ruota dal jet, pilotato da Clint
e portando un bel po' di scompiglio nella base nemica.
«Tony
voglio un'analisi dell'intera struttura. Nel frattempo procederemo
con cautela. Sam controlla il perimetro esterno, comunica se vi sono
anomalie e poi torna. Holden tu, Bobbi e Hunter occupatevi di
Annabeth» ordinò Steve fissando per un attimo il giovane agente
negli occhi «E' evidente che non erano preparati per un assalto
perciò Annabeth ci ha fatto un enorme favore a rischio della sua
stessa vita».
Holden
annuì e poi fu il caos.
*
«Natasha?»
domandò preoccupata Sharon mentre quest'ultima cercava stoicamente
di resistere ai movimenti agitati del bambino.
«Sharon,
parla al bambino!» sibilò.
«Cosa!?»
chiese colta alla sprovvista;
«Sharon.
- la richiamò seriamente – il padre di mio figlio è letteralmente
dall'altra parte del mondo a contrastare una folle organizzazione
criminale- ah! - una
breve esclamazione di dolore le sfuggì dalle labbra – e tu
immagini bene come questo mi faccia stare! E indovina un po'? Questo
bambino sente tutto e quando dico tutto... intendo tutto!» concluse
con tono sepolcrale, mentre avvertiva i suoi ormoni minacciare di
sopraffarla.
«Ok!»
disse la bionda, cercando di farla calmare «Ok!» scivolò a terra,
trovandosi faccia a faccia con la pancia tondeggiante dell'amica
«Ehm! Ciao sono... sono la zia Sharon! ...Nat io non so che dire!»
bisbigliò poi.
«Continua
stai andando bene» replicò la russa quasi senza starla a sentire;
«D'accordo»
sospirò «Lo so che sei preoccupato per il papà ma... lui è
davvero abile nel suo lavoro, è forte e coraggioso e se ha promesso
che tornerà vedrai che lo farà. Perché lui rispetta le promesse
fatte e non sparirebbe mai senza dire una parola come invece fanno
certi uomini depressi che invece di stare accanto alle persone che
amano ed affrontare ciò che è successo preferiscono sparire senza
lasciare traccia per fare chissà cosa, facendo stare da schifo
quelli che restano!!» terminò con tono infervorato, facendo
piombare un silenzio denso subito dopo.
Natasha
levò un sopracciglio verso l'alto e Sharon la guardò mortificata;
«Ehm
ho esagerato?» chiese con tono innocente;
«Beh
se ti fa stare meglio un po' ha funzionato» replicò Vedova alzando
le spalle «Vieni, vediamo se è davvero terapeutico occuparmi della
stanza di mio figlio.» poi guardò l'amica «Così potrai finalmente
farmi vedere il contenuto di quelle due enormi borse che tieni
nascoste nel tuo armadio» disse con un sorrisetto sghembo. Sharon
ridacchiò colta in fallo;
«Sapevo
che te ne saresti accorta».
*
«Nemici
ad ore nove, Cap!» gridò Sam per poi precipitarsi per fare da scudo
a Maria con le sue enormi ali, mentre l'agente continuava a sparare
con precisione millimetrica, colpendo gli agenti dell'HYDRA quanto le
frecce di Occhi di Falco.
Steve
si apprestò a liberarsi senza troppe difficoltà dei propri
avversari, si guardò attorno e vide scene di combattimento ovunque.
Era una battaglia di logoramento.
«JJ,
mi senti? Ancora niente?».
L'agente
Holden torse il braccio al suo nemico e lo colpì forte al volto
facendolo crollare «No Capitano ancora niente!».
Lui,
Bobbi e Hunter continuarono a procedere verso quella che Iron Man
aveva identificato come la sala controllo.
Stava
cominciando a disperare, quando da una delle porte uscì Grant Ward
che si trascinava dietro una recalcitrante e smagrita Annabeth
Munroe.
«Annabeth!»
urlò JJ mentre Ward iniziava a fare fuoco. Gli occhi azzurri
dell'hacker si accesero e si puntarono come fari sull'agente
britannico;
«JJ»
articolò con le labbra.
«May!»
chiamò all'auricolare Bobbi «E' con Ward!».
La
testa di Melinda scattò a quelle parole e si scambiò un'occhiata
con il capitano che annuì. L'obiettivo era raggiungere lo squadra
dello S.H.I.E.L.D.
I
tre agenti seguivano a distanza ravvicinata l'ex compagno,
scontrandosi con altri avversari e proiettili vaganti.
Holden
riusciva a malapena a contenere l'entusiasmo per averla a pochi metri
e la rabbia per le sue condizioni fisiche.
A
poca distanza seguivano gli Avengers, che avevano recuperato terreno
sui loro avversari.
A
sbarrare loro la strada un giovane uomo dall'aria pericolosa e gli
occhi azzurri.
Clint
sussultò appena;
«E'
quello che ha assaltato casa mia!» disse agli altri. Steve lo guardò
e si ritrovarono d'accordo.
«Voi
proseguite di lui ci occupiamo io e Clint.»;
«State
attenti, Natasha ci uccide se vi succede qualcosa» frecciò
semiserio Sam, afferrando Maria e preparandosi a spiccare il volo.
«Divertitevi»
disse Tony partendo all'inseguimento.
«Quindi
è l'altro Winter Soldier» fece notare l'arciere;
«Allora
è meglio tenersi pronti».
Ward
spinse Annabeth nell'hangar, a poca distanza dal Bus, l'aereo
sequestrato allo S.H.I.E.L.D.
«Lasciala
andare Ward!» gridò Melinda facendo fuoco, mentre Holden correva in
loro direzione; gli agenti dell'HYDRA faceva pesante ostruzionismo e
l'intera squadra era costretta al corpo a corpo.
Melinda
e Holden stavano affrontando l'ex specialista, entrambi assetati di
vendetta, seppur per motivi differenti.
Annabeth
cadde a terra e JJ fu subito su di lei nel tentativo di afferrarla,
ma una scarica di proiettili si frappose come un muro fra i due.
Tutti
alzarono lo sguardo verso la giovane dai capelli rossi, che un tempo
tutti conoscevano come Erica Holstein, tentare di sterminare con una
mitraglietta i suoi nemici.
La
mora, ancora scossa, capì di non avere scampo e a malincuore lasciò
cadere a terra una chiavetta proprio sotto gli occhi di JJ, che
ferito da una pallottola si teneva il braccio.
«No
Beth!» urlò.
Ma
non poteva fare più nulla, grazie all'intervento di Sin Ward
riacciuffò l'hacker e la caricò di peso sul Bus, che nel frattempo
motori accesi si preparava al decollo.
«Al
jet!» abbaiò irata May sperando di poterli inseguire. Nel trambusto
generale, la voce compita di JARVIS risuonò negli auricolari dei
presenti come un faro in mezzo al maremoto.
«Signor
Stark ho riscontrato l'attivazione della modalità autodistruzione di
questa base. Avete, temo signore, cinque minuti».
«Muoversi!»
trillò Sam che con lo sguardo cercava Maria, poi si avvicinò a JJ
ancora sotto shock e impalato a fissare l'aereo ormai decollato.
«JJ!
Ehi! Guardami Dobbiamo andarcene, adesso. Lo so, d'accordo? Lo so! Ma
se resti qui e muori, non servirà a nulla!» il ragazzo tirò sul
con il naso ed annuì, raccolse la chiavetta da terra e la strinse
correndo poi insieme agli altri.
«Cap!
Non abbiamo molto tempo» esalò Clint cercando di riprendersi da un
brutto colpo allo sterno.
Steve
si stava dando ancora battaglia con il Winter Soldier, che si muoveva
con l'agilità di un serpente anche se una delle frecce dell'arcere
era andata a segno, e spuntava ritta e perfetta dalla schiena
dell'avversario. Non che questi pareva essersene accorto, la sua
forza non ne era stata intaccata.
Il
capitano e L si allontanarono per qualche istante studiandosi.
Qualcosa parve attrarre l'attenzione dell'agente dell'HYDRA e il
supersoldato ne approfittò per tornare all'attacco.
Il
Winter Soldier però aveva una sorpresa in serbo: estrasse una
granata che non perse tempo a lanciare, Steve fu costretto
bruscamente a correre verso Clint e riparare entrambi dietro lo
scudo.
Non
appena si furono ripresi il loro nemico era scomparso. In compenso
vennero aiutati dai loro compagni appena sopraggiunti e insieme si
diressero verso il jet, tranne Tony e Sam già partiti
all'inseguimento del Bus.
«Steve!»
richiamò Falcon poco dopo attraverso l'auricolare «Lo abbiamo
perso! Devono avere qualche dispositivo di occultamento oltre che
qualche aggeggio per rendersi invisibili! Nemmeno JARVIS riesce a
rintracciarli».
Inutile
dire che la notizia li rese ancora più depressi di quanto non
fossero già.
Ci
impiegarono ore per tornare all'Avengers Tower. Ma a quanto pare i
guai per loro non erano ancora terminati. Stanchi, riuscirono a
trovare malapena sollievo nel constatare che avevano costretto
l'HYDRA a battersi in ritirata e a distruggere una loro base; si
riunirono a Natasha e Sharon pronti a discorrere degli ultimi
avvenimenti.
In
un attimo l'intera torre fu avvolta dal buio per poi tornare
immediatamente ad illuminarsi lasciando i suoi abitanti nel più
totale stato di allerta, senza contare il suo proprietario.
«JARVIS!?»
berciò Tony;
«C'è
un messaggio per lei, signore!» rispose l'AI con voce leggermente
disturbata. Lo schermo si accese e Sinthea Schmidt apparve in tutta
la sua conturbante bellezza.
«Sono
davvero impressionata» esordì con un sorriso mellifluo «Ma non
durerà, a quanto pare non volete imparare la lezione. Voi colpite,
io colpisco più duro; signor Stark? Si goda lo spettacolo. Dividi
et impera!». Il suo viso si
oscurò e al suo posto comparvero alcune scene che fecero venire i
brividi.
Natasha
chiuse gli occhi.
Tony
alzò il capo tremante e i suoi occhi scuri colmi di rabbia si
scontrarono con quelli lucidi e colpevoli di Steve.
____________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera
a tutti voi miei cari lettori! Ebbene ciò che qualcuno temeva
è successo: la pace per i nostri eroi non ha vita lunga e a
quanto pare qualcuno dovrà delle spiegazioni.
spero che vi siate comunque goduti le parti più soft e dai toni
tenui e dolci, non credo ci sia molto da dire, parlano da sole :) Spero
anche che la parte iniziale con Maria e Sam sia stata di vostro
gradimento e che se c'è qualche fan di questa ship si faccia
avanti e mi dia la sua opinione ;)
Tornando un attimo all'ultima parte voglio fare una precisazione -
forse anche un po' di auto spoiler ma non importa - allora se avete
visto Civil War sapete bene tutti ciò che accade, ecco io non ho
intenzione però di scatenarne una. Questo perché con una
trama già abbastanza ricca di per sè aggiungere un
ulteriore elemento, come una bella guerra fra Avengers sarebbe per me
insostenibile da trattare, sopratutto con le dovute attenzioni; la
storia prenderebbe tutt'altra piega e sarei costretta a fare voli
pindarici non indifferenti per tornare nei binari. Questo non significa
che non ci saranno conseguenze, ma preferisco restare su toni
più riflessivi che mi si addicono di più; ma spero
comunque di non deludere le vostre aspettative!
Per quanto riguarda il resto del capitolo, spero vi sia piaciuto!
Annabeth ha fatto la sua parte ed ora gli Avengers sanno che hanno
un'alleata dall'altra parte della barricata, abbiamo avuto un piccolo
assaggio di L e io ammetto mi sono divertita un sacco scrivendo di
Natasha e Sharon.
Io
passo a salutarvi e a ringraziarvi come sempre per tutto l'appoggio che
mi dimostrate, anche solo leggendo :) Un grazie speciale ai miei
fantastici recensori! E chissà che, anche qualche nuova voce si
aggiunga per farmi conoscere la sua opinione a riguardo, che è
sempre ben accetta! Non fate i timidi ;)
Detto ciò, vi do appuntamento a SABATO 11 NOVEMBRE Per qualsiasi cosa vi invito a
scrivermi e a visitare la mia pagina facebook "Asia Dreamcatcher".
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Capitolo 19 *** Pain ***
19
Capitolo
Diciannove: Pain
“A
volte bisogna commettere un grande errore per capire
qual
è la cosa giusta da fare”
~
Danny Duquette, “Grey's Anatomy”
Il
pugno si abbatté con forza sul volto inerme di Steve, che pur
vedendolo arrivare, non provò minimamente a difendersi.
«Lo
sapevi? L'hai sempre saputo?» mormorò alterato Tony.
Il
capitano tornò a guardarlo, mentre la guancia andava rapidamente ad
arrossarsi. I suoi occhi limpidi erano un misto di orgoglio, colpa e
tristezza. Per il miliardario era troppo quello sguardo, non riusciva
a tollerarlo; si lanciò nuovamente contro di lui, afferrandolo per
la divisa e facendolo arretrare fino a farlo sbattere con forza
contro il muro. Non sarebbe riuscito a muoverlo di un millimetro se
non fosse stato Steve stesso a permetterglielo, il suo corpo
disarmato gridava disperato la sua colpa e ciò lo fece imbestialire
ancora di più.
Levò
indietro il braccio, ancora avvolto dall'armatura, pronto a colpire.
Ma non lo fece.
Natasha
si era appena materializzata tra il suo pugno e il supersoldato. Si
stagliava fra loro, silenziosa e severa. Il resto dei loro compagni
era troppo esterrefatto per intervenire prontamente in qualche modo,
ma non lei.
Guardò
Tony dritto in faccia, i suoi occhi non tradivano alcuna emozione, se
non una certa gravità.
«Vuoi
colpire anche me?» gli chiese calma. Un guizzo accese gli occhi di
Steve, non avrebbe mai permesso a Tony di accanirsi su di lei per una
sua mancanza; Iron Man sgranò lo sguardo, come se l'avesse appena
messa a fuoco, e abbassò automaticamente il braccio. Ma ciò che lo
fece davvero desistere fu il rumore di una porta sbattuta con
violenza. Il resto dei presenti si guardò intorno e si resero conto
che Sharon aveva lasciato la stanza.
Il
genio guardò un'ultima volta il capitano e se ne andò senza dire
una parola, il suo intero corpo era pervaso da tremori di rabbia.
Natasha
si voltò indietro verso Steve, nei suoi occhi vi lesse del biasimo e
lui si ritrovò a sospirare pesantemente.
«Erano
i genitori di Stark?» domandò Clint scioccato e Vedova annuì
solamente.
«Da
quanto lo sapevate?» chiese Sam, ormai conosceva abbastanza bene la
coppia per comprenderli senza fare troppo domande. Nella sua voce non
c'era accusa, ma solo curiosità mista a perplessità.
«Dalla
caduta dello S.H.I.E.L.D.» gli rispose Natasha sottotono, avvertiva
la stanchezza incombere su di lei, sbatté più volte le palpebre.
«Non
ha agito per sua volontà» mormorò Steve, ostinato.
«Nessuno
sta dicendo questo...» replicò Clint per tranquillizzarlo «Ma
Stark non l'ha presa bene e questo è comprensibile amico»; il
capitano annuì tristemente. Il dolore al viso cominciava a farsi
sentire, normalmente gli avrebbe causato semplicemente del fastidio
ma il suo senso di colpa pareva essersi concentrato nel livido che
Tony, giustamente, gli aveva impresso.
Avvertì
Natasha accostarsi a lui con noncuranza, ma in realtà alla ricerca
di un sostegno. Lui l'accolse nel suo petto, le loro mani si
cercarono e si intrecciarono.
«Ora
puoi dirlo...» sospirò il supersoldato;
«Te
la sei cercata, te l'avevo detto» l'accontentò lei senza alcun tono
in particolare. D'altronde anche lei sapeva, ma era anche una spia
abituata, addestrata al silenzio.
«Forse
è il caso di prenderci una pausa. Quella maledetta è riuscita nel
suo intento, ad ogni passo che facciamo verso l'HYDRA, loro
rispondono con più violenza» ragionò Clint guardando i presenti
che annuirono amaramente.
«Dovrei
andare a parlargli-» ma Natasha gli posò una mano sul petto;
«Non
ora. Lui non vuole ascoltare, non è pronto. Come tu ti sei preso del
tempo per assimilarlo, ora lui si prenderà il suo» gli disse «C'è
una persona che però potresti chiamare» continuò guardandolo di
sottecchi e lui annuì. Si separarono e Steve per un momento si sentì
senza alcun appiglio.
«Dove
vai?»
«Sharon»
sussurrò lei.
Natasha
spostò con tocco silenzioso la porta socchiusa. I suoi occhi grandi
e cristallini indugiarono sulla figura di Sharon in ginocchio,
intenta a piegare con eccessiva cura dei vestitini da neonato.
La
stanza per il bambino era ancora spoglia, fatta eccezione per
un'elegante cassapanca in legno chiaro, in cui la russa scorgeva la
mano dell'arciere. Osservò per un attimo i contorni della camera:
quadrata, lineare e con tanta luce, grazie al terrazzo comunicante
con quella sua e di Steve.
Con
attenzione, Natasha si lasciò scivolare accanto all'amica, il
pancione cominciava a diventare ingombrante.
«Credo
che la cassapanca non basterà» esordì la bionda agente con voce
tremula. Tirò su col naso e poi sospirò lasciando perdere la tutina
e guardando l'amica con i suoi occhi scuri e lucidi.
«Perché
non mi sembra di far altro che piangere?» mormorò esasperata da se
stessa «Da quando lui se n'è andato...» non riuscì a continuare.
«Cosa
ti sconvolge di più?» domandò pacatamente Natasha.
«I
suoi occhi...» articolò a fatica premendosi le mani sul volto
«Erano assenti, privi di qualsiasi espressione... E' stato come
tornare a quel giorno quando mi ha aggredita, aveva quegli stessi
occhi! - la voce venne meno e si ritrovò scossa dai singhiozzi –
Non sentiva nulla, le mie suppliche non riuscivano a raggiungerlo.
Hai visto anche tu, ha spezzato la vita di Maria e Howard privo di
qualsiasi sentimento... Ma Natasha, James non è così. I suoi occhi
sono pieni di vita, di sofferenza e malinconia e io... … …Mi
sono innamorata del suo sguardo e quello, non sono Steve, ma te lo
posso giurare non era lui! Com'è possibile che l'Hydra sia riuscita
a ridurlo così? Penso a N e vedo così tanto di James in lui. Io -io
penso a Tony e mi spiace così tanto, non conoscevo benissimo i suoi
genitori ma erano in buoni rapporti con zia Peggy e ho un buon
ricordo di loro anche se vago... Ma quanto posso essere crudele?
Perché mi dispiace è vero, ma sono più terrorizzata da quello che
Tony potrebbe fare a James se solo fosse qui. Sono una persona
orribile?» domandò esausta con un sorriso che di sereno non
possedeva nulla.
Natasha
fece una cosa che non si permetteva di fare spesso; afferrò
gentilmente Sharon e lasciò che le poggiasse il capo sulle gambe ed
iniziò delicatamente ad accarezzarle i capelli lunghi e biondi che,
come un sipario, divideva lei dalla cruda realtà.
«Il
tuo peccato Sharon è che lo ami. Se questo si può considerare
tale... Nessuno crede che James l'abbia fatto di sua volontà, e Tony
lo sa come tutti noi. Non per questo il processo di accettazione è
più facile. È furioso... anche se credo di più con Steve –
attese un istante – per non averglielo detto. È stato egoista, non
lo nego... Steve non ha mai accettato fino in fondo il fatto che
James non fosse più come nei suoi ricordi, ha dovuto imparare a
convivere con questo. Non dicendolo a Tony ha tentato di proteggere
sia Bucky da se stesso, sia se stesso da questa consapevolezza.
Non
siamo persone orribili Sharon. Mai come in questo momento, portando
un bambino nel mio grembo, mi sono resa conto di essere un essere
umano, e come tale noi tutti siamo soggetti a debolezze. Il problema
sta, che data la nostra “condizione”, il nostro “status” i
nostri errori, le nostre debolezze, tendono ad essere più visibili
di quelli delle persone comuni. L'impatto delle nostre azioni ha
risonanza maggiore e ciò che proviamo si amplifica.» replicò con
tono pacato.
«Il
mio nipotino è fortunato ad avere una madre così» ribatté
l'agente 13 con grande sorpresa di Natasha, che senza darlo a vedere
si sentiva imbarazzata ma al tempo stesso compiaciuta.
«In
ogni caso, io più che di Tony temo la tua reazione quando ce l'avrai
davanti» disse la rossa con un sorrisetto irriverente, provocando
nell'amica una smorfia leggermente divertita.
«Vorrei
che Jace ne sapesse il meno possibile di questa faccenda, okay?»;
«Non
sarà facile, ma ci proveremo» concordò Natasha.
«Come
credi andrà a finire?».
La
russa si prese un momento prima di rispondere, lo nascondeva molto
bene, ma tremava al pensiero di quello che sarebbe successo se quei
due testardi del suo compagno e di Tony non si fossero chiariti.
«Una
cosa è certa, divisi non abbiamo alcuna speranza di farcela» “...e
questa è una cosa” pensò la
donna “che non posso in alcun modo permettere”.
Si
guardò attorno e per una frazione di secondo lasciò libera la sua
immaginazione; la stanza improvvisamente si riempi di oggetti, e la
pareti si tinteggiarono di verde pastello. Respirò a fondo, no. Non
poteva davvero permetterlo.
«Non
lo permetterò. Nessuno di noi lo permetterà» affermò Sharon,
mettendosi seduta e fissandola decisa negli occhi. La russa inclinò
il capo e sul suo volto apparve un accenno di sorpresa. Le aveva
letto dentro.
«Qualsiasi
cosa succeda, conta su di me» affermò la bionda, trattenne il fiato
«Sei la mia persona Nat» terminò con semplicità.
Natasha
tese la mano e gliela strinse con forza, commossa nel profondo.
Il
saldatore elettrico emetteva piccole scintille gialle e blu a
contatto con il metallo, ma la sua mano non era ferma e sicura come
al solito.
Tony
si tolse stizzito gli occhiali protettivi e con gesto secco allontanò
il saldatore, abbandonando del tutto l'idea di riparare la sua
armatura.
Non
aveva nemmeno notato che all'esterno, il mondo aveva continuato a
girare e ad andare avanti e il buio della sera era calato
delicatamente su tutti loro. No, lui non l'aveva notato perché la
sua efficientissima mente, che lo accettasse o meno, era ormai
imprigionata in un orripilante loop.
Sua
madre, la sua adorata madre... e suo padre. No, Tony non voleva
nemmeno cominciare ad analizzare i sentimenti contrastanti e
prepotenti che si erano scatenati in lui. Non era mai stato un
granché con le emozioni, meglio formule, numeri, dati... Sì, su
quelli aveva un controllo, erano certi, racchiusi entro confini
definiti, avevano uno scopo. Equazioni, calcoli portavano ad un
risultato, una soluzione su cui lui poteva ragionare e ponderare,
senza rischiare di impazzire. Nel campo della scienza lui era un
genio, una certezza, si muoveva sicuro senza doversi guardare dentro
e constatare che era l'ennesimo disadattato sregolato, con un
rapporto tutt'altro che semplice con i genitori.
«...Entrare
signor Stark». La voce dall'AI lo colse di sorpresa, non aveva che
percepito poche parole.
«Non
voglio vedere nessuno, JARVIS. Sto lavorando» borbottò Tony
agitando la mano in aria.
«Bistrattare
la tua armatura sarebbe lavorare? E io cosa starei facendo?» esordì
Virginia Potts comparendo alle sue spalle. Il tono volutamente
sarcastico stonava con l'espressione seria.
Vi
era una sorta di perfezione formale in Pepper, una simmetria pura nei
lineamenti, un'eleganza per nulla forzata nei modi, che Tony trovava
conturbante. Era una donna sofisticata la sua Virginia,
precisa, orgogliosa, sicura ma al tempo stesso possedeva una
gentilezza distinta ed una tolleranza smisurata verso di lui. Un caso
umano.
Possedeva
una mente brillante Iron Man, eppure non aveva mai compreso fino in
fondo come facesse quella donna luminosa ed abile a sopportarlo, a
cullarlo come si fa con un infante irrequieto ma anche ad affrontarlo
e tenergli testa.
La
guardò smarrito, gli occhi scuri sgranati, come un bambino privo di
difese. Guardò la sua luce. Si concentrò sui suoi occhi
zaffiro, incorniciati da ciuffi biondo rame, che scivolavano pacati
sugli zigomi spruzzati delicatamente da piccole efelidi leggermente
più brune dell'incarnato color pesca.
Pepper
aveva già visto quello sguardo e le si strinse dolorosamente il
cuore; Steve l'aveva messa al corrente e lei aveva mollato tutto e si
era precipitata da lui.
«Di
cosa hai bisogno?» gli domandò allargando piano le braccia. Tony si
irrigidì, chiuse gli occhi, ma non c'era via di scampo da quelle
terribili immagini perché erano impresse a fuoco nella sua testa.
«Non
era necessario che venissi. Chi è stato? Steve!? Beh poteva pensarci
prima! Ho voglia di rovinargli quei suoi bei dentini, sai? Come si è
permesso!?» i suoi gesti erano sconnessi, le palpebre si aprivano e
chiudevano velocissime «Sai cosa farò ora? Andrò da
Mister-ghiacciolo-integerrimo-solo-quando-gli-comoda e gli chiederò
di ridarmi quello scudo, non appartiene a lui. È di mio padre,
capito?! Mio padre, che è stato ucciso da quel dannatissimo del suo
migliore amico!» sbottò furioso.
Pepper
non si mosse per tutto il tempo di quello sproloquio, di quello
sfogo. Poteva solo immaginare cosa potesse provare in quel momento,
ma se era arrivato al punto di rivendicare il mitico scudo di Captain
America, mettendo in mezzo suo padre Howard – quel padre che così
tante tensioni aveva fatto nascere in lui – significava che tutto
in lui era sul punto di crollare.
«Tony...»
tentò;
«No!
Lui- Lui ha... ucciso i miei genitori... Mia madre!» balbettò
guardandosi attorno, perso.
La
donna l'abbracciò di slancio, tenendoselo stretto contro il petto,
quasi fosse un bambino.
Tony
lentamente, quasi timidamente rispose all'abbraccio della fidanzata,
aggrappandosi alla sua schiena. Non pianse, ma il dolore che sentiva
era insopportabile; si rese conto che se Pepper si fosse scostata,
lui si sarebbe spezzato.
«Ti
farebbe stare meglio prendere quello scudo?» gli sussurrò
amorevolmente scostandosi appena per poterlo guardare in volto. Gli
accarezzò il volto, volendolo far sentire al sicuro.
Il
magnate distolse lo sguardo lucido guardandosi attorno e respirando
un po' più forte. Conosceva la risposta, ma in quel momento si
sentiva un bambino che aveva perso i genitori. Era come rivivere quel
trauma due volte e lui non riusciva ad accettarlo, forse perché non
era riuscito ad affrontarlo nemmeno la prima volta.
«Non
mi restituirebbe i miei, è questo che mi stai dicendo?» berciò
Iron Man infastidito. Pepper si limitò ad alzare un sopracciglio.
Lei era così; non gli avrebbe mai fornito la soluzione su un piatto
d'argento o forse anche sì, ma non senza prima avergli fatto provare
le pene dell'inferno e averlo costretto ad usare il suo brillante
cervello.
«No
certo che no... Non saprei che farmene» rifletté con un sorriso
amaro, poi guardò la bionda negli occhi «Io ora come ora voglio
vederlo morto» articolò serio, gli occhi scuri dilatati. Si stava
riferendo al Soldato d'Inverno.
«Tony...»
cominciò Pepper «E' davvero questo che vuoi? Assurgerti a giudice,
giuria e boia?»;
«Non
è così che ha fatto lui?» replicò acido.
«E'
così che ha fatto l'HYDRA» cercò di farlo ragionare lei. Sapeva
che Tony quando voleva si chiudeva nel suo egoismo, rifiutandosi di
vedere la realtà, di analizzare i fatti.
«Pepper!
Lui è l'assassino di mia madre!» ringhiò il miliardario, non
volendo ascoltare. Il suo dolore era l'unica cosa che contava per
lui.
«Va
bene. Vuoi restare qui a crogiolarti nei tuoi tormenti? Fallo! Vuoi
progettare stupidi piani di vendetta contro James Barnes? Fallo! Ma
prima o poi Tony dovrai affrontare tutto questo, compresa la morte
dei tuoi genitori. Tu hai delle responsabilità che tu lo voglia o
meno! Io ti amo ma non assisterò un'altra volta alla tua
autodistruzione... Tu sei migliore di ciò che provi in questo
momento!» sbottò la bionda, girando poi sui tacchi ed andandosene.
Nel
momento stesso in cui lei scomparve dal suo campo visivo, Iron Man si
afflosciò su se stesso, si prese la testa fra le mani e chiuse gli
occhi.
Un
nuovo giorno era sorto sull'Avengers Tower, ma ciò non aveva
schiarito gli animi. Un'atmosfera pesante impregnava ogni cosa della
residenza dei Vendicatori.
Steve
abbatté l'ennesimo sacco da box, sotto lo sguardo preoccupato di
Sam, che però aveva preferito non ancora proferire parola.
Il
capitano era sempre più conscio che la sua decisione era stata
stupida, dettata più da vigliaccheria che da reale senso di
protezione sia nei confronti di Tony che di Bucky.
Ci
aveva creduto davvero, era convinto di aver preso la decisione
giusta, ma la reazione di Tony gli aveva mostrato, senza tante
cerimonie, il suo errore.
«Sono
stato un idiota» esordì, spezzando finalmente quel silenzio
opprimente. I due amici si fissarono in volto e Sam gli sorrise
appena, comprensivo.
«Ehi.
Stavi solo cercando di agire per meglio...»;
«Davvero?
Perché io non ne sono più tanto sicuro. Forse volevo solo
proteggere me stesso dalla verità-»
«Tu
non sei infallibile.» lo fermò Sam «Per il resto del mondo sei
semplicemente Captain America la leggenda, ma qui, in mezzo a noi,
no. Io ti conosco e so esattamente chi sei, i sacrifici che hai
scelto di fare... Solo conoscendoti ho potuto capirti appieno, sei un
uomo di saldi principi e non hai paura di andare contro tutti pur di
restarvi fedele, e io ti rispetto per questo. Ho deciso di seguirti
per questo, ma sei pur sempre un essere umano e noi errori ne
facciamo, amico» terminò con un'alzata di spalle e un semplice
sorriso di scuse.
«Una
volta ti dissi che Bucky era qualcuno da fermare, sbagliai, perché
se fossero venuti a dirmi che Riley era vivo ed era diventato un
assassino a sangue freddo, pensi che questo mi avrebbe fermato dal
cercarlo?» Sam incrociò le braccia muscolose al petto e negò col
capo mantenendo sempre quel sorriso disarmante «No certo che no.
Avrei tentato l'impossibile e tu l'hai fatto. Ma non hai detto nulla
non solo per proteggere te stesso, ma anche loro due. Questo te lo
devi riconoscere...»
«Ma
non cambia il fatto che ho sbagliato, io volevo solo-» si mise le
mani sui fianchi e sospirò «-Non lo so».
«Pace»
celiò con voce chiara Natasha, attirando l'attenzione dei due. La
donna osservò il compagno, trasmettendo un tale amore che Steve si
sentì immediatamente rincuorato.
«Non
volevi che qualcuno soffrisse ancora e hai deciso tu per tutti,
accollandoti quel peso. Ma Steve, non è mai stato tuo quel peso.»
continuò andandogli incontro, poi sollevò lo sguardo su di lui «Sei
stato egoista, quasi quanto Tony lo è in questo momento»;
«Due
facce della stessa medaglia» disse Sam. Lui e Natasha si scambiarono
uno sguardo divertito.
«Voglio
rimediare ma lui non vorrà ascoltarmi» mormorò affranto il
capitano, ma la russa non era della stessa opinione;
«Lo
farà» affermò sicura «Pepper lo ha scosso quel che bastava.
Questa è la nostra famiglia, disfunzionale certo, ma non possiamo
lasciarci andare alla deriva».
«Senza
contare che i nostri nemici ne approfitteranno» ricordò loro
Falcon.
«Devi
tentare» sussurrò Natasha e Steve annuì.
Avrebbe
accettato tutto quello che Tony gli avrebbe riservato.
*
«Se
avessi mosso il culo prima mi avresti risparmiato un bel po' di
seccature, lo sai Ivan?» disse Fury guardando di sbieco
l'uomo al suo fianco. Lui rimase in silenzio per qualche attimo prima
di replicare:
«Io
arrivo quando devo arrivare, né prima né dopo» la sua voce era
asciutta e sottile, ma l'aura che emanava la sua figura possedeva un
che di pericoloso.
«Fortuna
che il ragazzo ha avuto l'intuizione giusta... Anche se ha rischiato»
rifletté la spia delle spie.
«Certi
errori si pagano» commentò l'uomo di nome Ivan;
«Tu
ne sai qualcosa vero?» Fury non voleva provocarlo, la sua era una
semplice constatazione che però venne lasciata cadere dall'altro.
«Il
mio coinvolgimento deve restare segreto, inutile che te lo dica»;
«Perfettamente
inutile» ribadì l'ex direttore. Lo conosceva da anni, impossibile
da quantificare malgrado tutto conservava quell'aura di mistero e
segretezza che gli ricordava moltissimo sé. Non aveva mai conosciuto
tutti i suoi segreti ma questo valeva anche per lui. Un discreto
tossicchiare spostò la sua attenzione; con il suo occhio sano, Fury,
fissò per bene il nuovo arrivato.
«Cosa
mi può dire, dottore?».
___________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti miei cari lettori! Non proprio giusti ma ci siamo!
Allora eccoci arrivati al DUNQUE! A ciò che succede dopo che la
bomba (grazie tante Sin) è stata sganciata! Non mi sento di
commentare molto, credo che il capitolo spieghi bene lo stato d'animo
dei nostri eroi... E preferisco che siate voi, poi a trarre le
conclusioni (che spero di leggere nei vostri commenti ^^) Posso dire
che questo lo vedo come una sorta di prima parte di un capitolo molto
più ampio, inizialmente aveva previsto un capitolo più
corposo ma durante la stesura mi sono resa conto che la vicenda merita
- non solo di essere trattata coi guanti - ma di una distensione
più ampia, molte cose vengono dette e pensate e devono avere il
giusto tempo e peso.
Spero che vi sia piaciuto il momento Pepper x Tony, personalmente
è una coppia che adoro (e Pepper è l'unica che riesce a
farmi apprezzare Iron Man XD) quindi la sua mancanza per ben due film
per me è stata devastante! E come sempre spero di aver fatto un
buon lavoro con lei.
Passando alla fine del capitolo... Beh se Fury compare vuol dire che qualcosa di grosso si sta muovendo! Non vedo l'ora di sentire le vostre opinioni :D
Come
sempre io vi ringrazio! Non solo per le recensioni ma anche per i
messaggi che mi mandate, davvero vi adoro! Non sapete che cosa
significhi per un autore avere un confronto diretto con i suoi lettori!
Ovviamente un ringraziamento speciale anche a chi ha inserito questa ff
nelle liste speciale e a chiunque sia giunto a leggere sin qui! Un
bacione!!
Io vi saluto e vi do appuntamento a VENERDI 8 DICEMBRE! Per qualsiasi cosa contattatemi sulla mia pagina FB "Asia Dreamcatcher"
ps. La risposta alle recensioni del capitolo precedente arriveranno nel pomeriggio di venerdi!
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Capitolo 20 *** ...United we stand ***
20
Capitolo
Venti: ...United we stand
“Non
tutte le ferite possono essere superficiali.
Alcune
ferite sono molto più profonde
di
quanto possiamo immaginare,
non
le puoi vedere ad occhio nudo.
E
poi ci sono alcune ferite che ci colgono di sorpresa.
Il
trucco con qualsiasi tipo di ferita o di malattia, è scavare fino in
fondo,
e
trovare la vera fonte del problema.
E
un volta che l'hai trovata, prova con tutte le tue forze
a
guarire quella ferita.”
~
Meredith Grey, “Grey's Anatomy”
Tony
seppe che stava arrivando ancora prima che JARVIS lo annunciasse. Tre
giorni, si era trattenuto anche troppo. Inutile dire che non
voleva essere disturbato, lui forse non gli avrebbe imposto la
sua presenza ma avrebbe di sicuro piantonato l'entrata del suo
laboratorio finché non si fosse deciso ad uscire. E lui prima o poi,
per un problema fisiologico o per un altro, sarebbe dovuto uscire
dall'unico posto che gli dava sicurezza.
Steve
osservò la figura del magnate in religioso silenzio. Avrebbe
rispettato i suoi tempi, se lui voleva ignorarlo allora avrebbe
aspettato finché non si fosse sentito pronto. Glielo doveva. Tony
però aveva deciso di dare un taglio alla guerra silenziosa e di
renderla rumorosa. Si volse di scatto e gli rifilò l'ennesimo
pugno, sul lato ancora intatto del viso. Solo che questa volta era
senza armatura e la sua mano non mancò di farglielo presente.
«Ouch!
Scusa ma ci tenevo a rendere il tuo volto simmetrico! Il lato destro
sembrava sentirsi solo» esordì con tono pesantemente irriverente,
tenendosi il polso.
«Non
ho intenzione di lamentarmene» replicò pacato il Capitano,
massaggiandosi la mascella.
«Come
stai?» gli chiese cautamente; Iron Man levò in alto le
sopracciglia, il suo volto sembrava dire “fai sul serio?”;
«Oh
ora ti interessa? Tranquillo i miei propositi omicidi nei confronti
di Barnes sono scemati, quindi ora puoi anche tornartene dagli altri
Capsicle!» Steve sospirò;
«Non
sono qui per parlare di Buc, sono qui per sapere come stai e per
chiederti scusa, Tony» continuò serio.
L'altro
Avenger lo fissò guardingo, indeciso se dargli o meno l'opportunità
di spiegarsi; poteva voltargli le spalle e diventare sordo a
qualsiasi giustificazione, essere immaturo fino in fondo e gettargli
addosso il suo silenzio e chiudere... chiudere con tutto. Perché ciò
che sentiva era dolore, tanto dolore da voler diventare insensibile
al resto. Ascoltare Steve ora, avrebbe voluto dire mettersi a nudo,
permettersi di provare finalmente tutto. E lui, dopo tutti quegli
anni, non sapeva se ne era in grado, se era pronto.
Quell'attimo
di incertezza però, Steve non se lo fece sfuggire;
«Io
ho sbagliato» esordì «Non solo con te, ma anche con Bucky. Ma
sopratutto con te. Ho voluto proteggere, molto egoisticamente, me
stesso e ciò che un tempo per me era la mia sola ed unica famiglia-»
«Barnes»
mormorò quasi senza accorgersene Tony e il supersoldato annuì.
«Ed
invece ora la mia famiglia non è solo lui. All'inizio non ti ho
detto nulla perché pensavo, francamente, che non avresti reagito
bene e ti saresti scagliato contro Bucky, credevo che non avresti
saputo gestire una notizia del genere, ma ora mi rendo conto che è
stato il mio stesso comportamento a rivoltarti contro di lui, ed
ancora una volta ho pensato a proteggerlo e non ho minimamente
pensato a te» fece una pausa, le labbra di Stark si piegarono in un
pallido sorriso amaro, non che quel che aveva detto lo stesse facendo
stare un granché meglio: praticamente gli aveva dato dell'immaturo.
Ma d'altronde poteva dargli del tutto torto? Non si volle rispondere.
«Perché
sono ancora aggrappato come un disperato al passato» sospirò
malinconico «Ho ritrovato il fratello che credevo perduto ma ho
scoperto a mie spese che non era più il James Barnes che conoscevo,
con cui ero cresciuto...» si fermò un attimo e Tony lo vide per la
prima volta sotto una luce diversa, non quella dell'irreprensibile
Capitano, il glorioso esperimento di Howard Stark, l'emblema della
giustizia, quello perfetto; ma qualcosa, invece, di molto più simile
a lui, il figlio imperfetto. Come lui, anche Steve continuava a
guardarsi indietro, a chiedersi dove e quando avesse sbagliato, a
rivalutare ogni sua singola scelta presa da quel lontano 1943. Un
pensiero lo trafisse “Aveva
riavuto Barnes sì, ma a che prezzo?”.
Per la prima volta avvertì un senso di comunanza con quell'uomo,
leggenda suo malgrado, così apparentemente lontano dal suo essere.
«E
questa è una cosa con cui ho avuto qualche difficoltà a
rapportarmi, perché per me lui non era la persona che è ora, era
ancora il mio amico di Brooklyn e così è successo. Per proteggerlo
da quello che è diventato e per proteggere me dal fare i conti con
la realtà vi ho derubato. Ho assunto io quel peso, me lo sono
accollato per non vederlo riflesso nei vostri occhi, perché io
desideravo la pace almeno fra noi, non potevo più vedere soffrire
ancora, non noi»
il tono di Steve era contrito, il suo sguardo sincero.
Tony
crollò sulla sedia esausto, voleva fregarsene davvero, voleva
voltarsi e non doverlo guardare più in faccia. Si chiese perché non
ci riuscisse.
«E
dico noi, comprendendo anche te. E qui sta il mio secondo e forse più
grave errore: ho ferito un membro della mia famiglia» esalò
guardandolo. Iron Man alzò un sopracciglio facendo un verso
scettico;
«E'
vero. Quando la verità è venuta fuori ho subito pensato a
proteggere Bucky, quando in realtà dovevo solo chiedere perdono a
te. È vero James per me significa tanto, non posso mentire, avevo
lui anche quando non avevo niente,
credo sia un po' come Rhodes per te. Ma lui non è l'unico a far
parte della mia famiglia, gli Avengers sono la nostra famiglia Tony»;
«Ci
credi davvero Capsicle?» frecciò il miliardario con cattiveria a
stento trattenuta. Lui non poteva avere una famiglia, era un
disastro, anche quando ne aveva avuta una non era stato in grado di
apprezzarla fino in fondo, certo la colpa non era da imputare
totalmente a lui ma... Se
solo avesse detto “Ti voglio bene”... Lui
ora sarebbe stato diverso?
Il
capitano sorriso malinconico;
«Certo.
Natasha ci ha definiti una famiglia disfunzionale
e
credo non ci sia termine più adatto per definirci. Non siamo
ineccepibili ma non ci siamo mai tirati indietro e quando ne abbiamo
avuto bisogno ci siamo stati l'uno per l'altro, tu
ci sei stato per noi in Russia. Non saremo una famiglia modello ma lo
siamo e io non mi sono comportato bene nei tuoi confronti Tony. E ti
chiedo scusa...».
«Disfunzionale
eh?» borbottò Tony quasi divertito «Sì credo che la Rossa ci
abbia visto giusto... Cosa dovrei fare io a questo punto?» domandò
con un sorriso desolato. La sua rabbia era quasi del tutto scemata,
era così che funzionava in una famiglia? Si commetteva un errore, si
parlava e poi si riaggiustavano le cose?
«Quello
che vuoi. Puoi anche non accettare le mie scuse, lo capirei. Ma ti
posso promettere una cosa: se Bucky dovesse decidersi a tornare non
mi intrometterò fra voi, qualunque cosa accadrà resterà una
questione fra voi due. Credo sia giusto anche per lui affrontare i
suoi fantasmi-»
«Siamo
tutti così fottutamente legati al nostro passato, ci hai mai fatto
caso?» lo interruppe Stark con sguardo leggermente allucinato, era
come se non lo vedesse e stesse parlando più a se stesso.
«Il
passato che lo vogliamo o no è ciò che ci definisce»
«Oh
già, credimi in questi anni me ne sono accorto! Cominciò a
chiedermi se avessi detto a mio padre quelle tre parole “ti voglio
bene”, che ci credessi o meno, questo avrebbe cambiato qualcosa
nella mia vita? Suppongo che non potremmo mai saperlo, l'ho odiato
per così tanto tempo... Sai? Lo incolpavo di avermi portato via mia
madre, lo ritenevo un colpevole quasi lui non fosse morto.»
«Tony...
Mi spiace... Non lo sapevo...» mormorò Steve colpito;
«Certo
che no, come avresti potuto?» ribatté alterato «Per tutti questi
anni l'ho ritenuto responsabile ed ora invece scopro che è una
vittima, proprio come mia madre... E da quel momento continuo
incessantemente a pensare che, malgrado lei avesse insistito, io non
gli ho detto che gli volevo bene. Cosa avrà pensato di me? Certo non
che lui fosse l'essere più amorevole sulla faccia della terra... Ma
dannazione mio padre è morto e per me non può essere messo allo
stesso livello di mia madre. Forse è questo che mi fa imbestialire,
perché anche adesso che so la verità non cambia nulla» allargò le
braccia in gesto desolato, mentre Steve lo fissava seriamente.
«Tony
non voglio giudicare il rapporto fra te e Howard, ma non credo tu, ti
debba sentire una persona orribile solo per non aver messo su un
piedistallo tuo padre. Tu hai visto i suoi errori e non hai voluto
ripeterli. E posso assicurarti, può aver creato me, ma ciò che tu
hai fatto fino a questo momento lui non sarebbe stato in grado di
realizzarlo. Non c'era bisogno di dirsi “ti voglio bene”, lui ti
ha dato i mezzi perché tu potessi realizzarti da solo e questo vale
più di qualsiasi parola o gesto, certo probabilmente per te non sarà
mai abbastanza... Ma credo che tu possa smetterla di guardarti
indietro e guardare invece ciò che tu hai creato e conquistato fino
ad ora».
Tony
distolse lo sguardo dalla figura possente del capitano. Poteva
davvero farlo? Poteva
davvero essere
ciò che gli aveva appena detto di essere? Ancora non aveva una
risposta certa, ma si sentì grato comunque per quelle parole... Ma
come diavolo faceva Capsicle? Poteva essere anche stato stupido ed
egoista ma quell'uomo era comunque incredibile...
«Quindi
questo vuol dire essere una famiglia? Tu fai l'idiota, prima ci
picchiamo e poi ci raccontiamo verità inconfessate come due
lacrimose teenager e infine tutto si sistema?» replicò Iron Man
sarcastico.
Steve
si strinse nelle spalle, come a dire che ne sapeva quanto lui;
«Okay,
diciamo che non si sistema tutto subito... Faccio fatica a perdonare
me stesso, figurarsi gli altri! Però credo di poter fare una sforzo»
continuò Tony passandosi stancamente una mano sul volto «E ti
ringrazio» ...di
avermi fatto sentire di essere finalmente parte di questa famiglia.
Ma questo lo pensò solo nella sua testa.
«Per
quanto riguarda Barnes-» Steve lo fissò con espressione neutra
«Dovrà dare delle spiegazioni e non solo a me, ma da lui voglio
sopratutto una cosa...» si guardarono negli occhi e lui capì ed
annui «Il nome di chi ha dato l'ordine di assassinare i miei
genitori».
«Ti
prometto che non affronterai tutto questo da solo. Nessuno della
nostra famiglia verrà più lasciato da solo... Non importa quanto ci
vorrà ma avrai ciò che vuoi, te lo devo.» dichiarò con sguardo
mortalmente serio, Iron Man annuì e poi sorrise obliquo;
«D'accordo.
Ora cosa dovremmo fare, abbracciarci?» domandò sardonico, Steve
fece una smorfia;
«Se
tu avessi voglia di parlare di tuo padre-» ma Tony lo bloccò con un
gesto della mano;
«Mi
piacerebbe dire che questa è una questione risolvibile con poche
parole. Ma sono anni che provo a conviverci... e senza offesa ma
preferirei non discutere di Howard con te» il capitano annuì. Intuì
che lui era l'ultima persona con cui volesse sfogarsi, il discorso
che avevano fatto lo aveva aiutato a capire un po' meglio l'uomo che
aveva davanti e proprio per questo comprese che finché Tony non
avesse risolto i problemi con il ricordo del padre fra loro ci
sarebbe sempre stata qualche incomprensione. Ma per il momento andava
bene così. Ognuno di loro aveva le proprie colpe, i propri pesi da
portare. Gli sorrise mestamente;
«Quando
hai finito vieni a mangiare qualcosa. Pepper ha deciso di lavorare da
qui con il preciso scopo di tenerci d'occhio».
Il
miliardario fece un verso esasperato e gli intimò con la mano di
andarsene, mentre lui tornava alle sue tecnologie.
Steve
risalì nel piano adibito a zona notte e gettò uno sguardo nella
stanza che sarebbe stata di suo figlio, ormai mancava davvero poco,
un mese e mezzo e poi lo avrebbe finalmente conosciuto.
Natasha
era lì. Accarezzava con gesti attenti le superfici lignee della
culla, ormai quasi pronta, la stanza era inondata di luce primaverile
e sul pavimento ricoperto da un soffice tappeto, tre enormi barattoli
di vernice stazionavano sulla carta da giornale.
«Hai
deciso il colore?» le domandò avvicinandosi con passo felpato. La
russa ruotò il capo e gli sorrise appena.
«Niente
rosa o azzurro. Non capisco perché ai bambini venga data una scelta
così limitata! Non a tutte la bambine piace il rosa e l'azzurro non
dev'essere per forza il colore per i bambini» replicò osservando
sospettosa i tre barattoli accanto a lei.
«Ma
come siamo polemici» ridacchiò il supersoldato abbracciandola da
dietro e poggiando le mani sul pancione «Ho già espresso la mia
preferenza».
Natasha
ghignò, poi sollevò il capo per osservarlo;
«Com'è
andata?».
Lo
sguardo di Steve si fece distante per qualche attimo, poi accennò un
sorriso amaro;
«Un
passo alla volta. Ce la faremo...» le baciò una tempia «Gli ho
promesso che non mi metterò in mezzo fra lui e Bucky».
«Mmm
qualcosa di sensato finalmente» replicò perfida mentre il compagno
le lanciava un'occhiataccia.
«Come
stai? Come state?» domandò poi, trattenendo Natasha contro di sé;
«Euforico!»
frecciò sconsolata, avvertendo il bambino muoversi senza sosta «Gli
piace che tu sia con noi» gli sussurrò poi accostando le labbra
alle sue, unendole in un bacio delicato.
Ma
la quiete, avrebbero dovuto saperlo, non poteva durare in eterno. La
voce compita di JARVIS richiamò tutti loro all'ordine, a quanto pare
la minaccia era molto più vicina di quanto si aspettassero.
L'HYDRA
aveva deciso di attaccare direttamente a New York e con tanto di orda
fuori controllo di persone sotto l'influsso dello psychotron. Una
meraviglia. Il sindaco aveva già allertato la guardia nazionale per
contenere “l'epidemia”, ma gli Avengers erano gli unici a poter
veramente tenere sotto controllo la situazione, o almeno così
speravano.
«Se
volevate farmi uscire dal laboratorio c'erano modi meno drastici
sapete?» esordì serafico Tony, mentre i suoi compagni erano tutti
riuniti ed assistevano alle scene di distruzione, decidendo il da
farsi.
«Ben
tornato fra noi!» replicò Clint poi con tutta la tranquillità che
l'arciere possedeva gli chiese «A proposito, abbiamo risolto o devo
aspettarmi di sedare anche voi due – e lanciò un'occhiata a Tony e
Steve – oltre all'orda di persone impazzite?».
Il
capitano si scambiò uno sguardo con il miliardario ed annuirono
impercettibilmente.
«Non
ti devi preoccupare» gli assicurò il supersoldato.
«Certo
che attaccare direttamente qui...» rifletté Jace, accanto a Sharon
e Alex.
«E'
probabile che volessero approfittare della situazione fra Steve e
Stark» ragionò Natasha «Quella ragazza ha detto “dividi et
impera”, ed è questo che sperava di ottenere: dividerci ed
eliminarci».
«Noi
ora le dimostreremo che si sbaglia. È vero, divisi cadremmo, ma non
è questo il giorno!» dichiarò Steve serio. Il resto della squadra
annuì alle sue parole appassionate.
«Okay
gente è il momento di muoversi!» disse Sam battendo le mani, mentre
l'intera Tower si preparava all'ennesimo scontro.
«Maria?»
la richiamò Steve «Resta con Natasha, d'accordo? Se le cose si
dovessero mettere male tu sei l'unica che possa contattare Fury e
metterli in salvo...».
L'agente
annuì comprensiva ed accennò un sorriso.
Natasha
al contrario aveva altre preoccupazioni. Bloccò Tony mentre dava gli
ultimi ritocchi all'armatura.
«Dimmi
tutto Rossa...».
Natasha
lo fissò per un lungo momento;
«Voglio
solo assicurarmi che tra te e Steve le cose si siano chiarite almeno
in parte. Mi spiace per quello che è successo, ma devo accertarmi
che Steve, il padre di mio figlio, il compagno che ho scelto di
amare per il resto della mia vita abbia davvero le spalle
coperte.» chiarì, l'espressione mortalmente seria.
Tony
la fissò di rimando e deglutì appena.
«Ho
capito l'antifona. Non hai nulla di cui preoccuparti» replicò
facendo per superarla.
«Tony...»
lo richiamò lei voltandosi appena mentre lui la guardava in attesa
«Mi dispiace... E grazie» disse con una scintilla negli occhi
chiari.
Il
genio fece una smorfia che voleva assomigliare ad un sorriso e poi se
ne andò, raggiungendo gli altri.
«Clint
a ore nove! Sam, Tony mi serve copertura aerea!» ordinò Captain
America, coordinando la squadra.
A
terra lui, Sharon, Holden più la squadra dello S.H.I.E.L.D. composta
da: Melinda May, Antoine Triplett, Bobbi Morse e Lance Hunter si
stavano occupando di Rumlow, le due Winter Soldier e Grant Ward.
Occhio di Falco, Iron Man e Falcon cercavano di fermare la gente
impazzita a causa dello psychotron, aiutati da Holden, Hunter e
Bobbi.
«Cap!»
lo richiamò attraverso l'auricolare l'arciere «E' strano, ma sembra
che l'HYDRA riesca a controllare le persone sotto l'effetto di
quell'aggeggio infernale!»;
«Che
siano riusciti ad intervenire sul prototipo di Yen?» si domandò
Sharon retrocedendo con una capriola.
«Ciao
bambolina!» la ragazza fremette nel sentire la voce di Crossbones,
ma non lo diede a vedere e lo affrontò a muso duro.
Steve
cercava di tenere a bada le due Soldatesse, durante lo scontro notò
come la ragazza bruna cercasse di mettersi sempre fra lui e la bionda
con il risultato di essere molto più provata della sua compagna.
Melinda
e Triplett erano accaniti contro Ward ben decisi ad eliminarlo.
L'orda
era difficile da contenere e gli Avengers e i loro compagni stavano
per essere accerchiati finché... Un ruggito.
Non
si erano sbagliati, quello che era giunto alle orecchie di entrambe
le fazioni era proprio un ruggito bestiale, che di umano non aveva
nulla, che penetrava nello ossa e riusciva a far vibrare l'intera
cassa toracica.
Natasha
Romanoff che seguiva la battaglia al sicuro nell'Avengers Tower col
resto dei suoi abitanti, sorrise...
Jace
chiuse gli occhi e ringraziò, mentre Alexandra al suo fianco
iniziava a piangere...
Gli
Avengers si voltarono e rimasero più sconvolti dei loro nemici:
James Buchanan Barnes, fucile in mano, si stagliava davanti a tutti
loro, con l'ombra gigante di Hulk che si stendeva protettiva
sull'intera squadra. A poca distanza sopra le loro teste
l'helicarrier del Colonnello Fury era pronto ad unirsi alla
battaglia.
«Porca...»
esalò Sam quasi pronto a mettersi a piangere alla vista dell'amico,
creduto ormai perso.
«L'hai
detto!» replicò Clint con un bel sorriso malandrino sulle labbra.
«In
elegante ritardo» borbottò Tony.
Quell'attimo
di distrazione costo caro a Sharon che si ritrovò presa per il collo
da Rumlow e stretta nella sua morsa.
«Dimmi
Carter, cosa si prova a ritrovare il proprio fidanzato per poi morire
sotto i suoi occhi un attimo dopo?» le sussurrò malevolo.
Sharon
era semplicemente impietrita, sentiva la testa girare e non capì
nemmeno perché Brock avesse mollato la presa su di lei, si preparò
all'impatto con il suolo che però non avvenne.
Esausta
volse gli occhi verso chi la teneva saldamente fra le braccia;
«James...»
mormorò stanca.
«Ti
ho preso, amore» la rassicurò lui, poi finalmente, si abbandonò
al buio.
___________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti voi! E ben ritrovati in questo capitolo beh decisamente movimentato!
Allora abbiamo avuto un chiarimento tra Tony e Steve e come vediamo
entrambi hanno i loro bei fantasmi da affrontare... Ma tutto sommato
poteva andare peggio ^^' Oddio visto che adesso è tornato Bucky
eh ci sarà da ridere!
Finalmente il nostro adorato soldato complessato è tornato e si
è portato dieto pure il carico da novanta! Banner-Hulk ha fatto
la sua comparsa in scena... Che dite? Vi garba?
Ma caro dottore a parte, come la prenderanno gli Avengers il ritorno di
Buc? Ma sopratutto come credete reagirà Sharon? Eh da qui
è tutta in salita!
Comunque
spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre non fatevi scrupoli
a chiedermi delucidazioni :) Sono qui per voi! Detto ciò io
passo a ringraziare non solo i miei fantastici recensori (per loro: mi spiace non avervi ancora risposto! Ma domani provvederò a rispondere alla vostre fantastiche recensioni!) e tutti coloro che mi seguono e mi fanno sentire il loro sostegno e anche a te che sei giunto a leggere fino a qui :)
Io vi auguro ancora un buon weekend e passo a comunicarvi che il
prossimo capitolo cercherò di pubblicarlo nei giorni tra VENERDI' 29 e SABATO 30
(io mi scuso per i continui ritardi però purtroppo attualmente
non riesco a fare di meglio, ho diversi impegni nel quotidiano che
ostacolano la mia scrittura! Ma sappiate che i capitoli continueranno
ad arrivare anche se magari con un giorno o due di ritardo sulla data
preventivata :)) Grazie per la pazienza e comprensione (in ogni caso vi
invito a seguire la mia pagina autore su FB "Asia Dreamcatcher")
A presto!
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Capitolo 21 *** Back to Home ***
21
Capitolo
Ventuno: Back to Home (parte I)
-
“Fill
me with rage
And bleed me dry
-
And
feed me your hate
In the echoing
silence I shiver each time that you say
Don't
cry, mercy
There's too much pain to
come”
- ~
“Mercy”, Hurts
In
principio furono solo ombre, contorni indefiniti... Più sbatteva le
palpebre più i colori si accendevano e i profili si facevano più
nitidi.
Sharon
spostò lentamente il capo, mentre i suoni attorno a lei divenivano
meno ovattati; provò a sollevarsi ma una pressione gentile sulla
spalla la fece desistere.
«Non
così in fretta» la roca voce di Natasha l'aiutò a prendere
nuovamente contatto con la realtà.
Oltre
alla bella spia russa, nel suo campo visivo comparvero Alexandra,
evidentemente sollevata, e Maria.
«Sei
in infermeria...» le spiegò Vedova Nera, vista la sua espressione
confusa «Ti sei scontrata con Rumlow, l'HYDRA alla vista
dell'helicarrier di Fury si è ritirato, è stato un bel colpo»
disse scambiandosi un'occhiata veloce con l'agente Hill.
Ci
fu un momento di silenzio totale, la mente dell'agente 13 si mise in
moto mentre frammenti di ricordi iniziavano ad affiorare nitidamente.
«E'
stato un sogno?» mormorò con voce tremante.
L'espressione
di Natasha si ammorbidì, comprendendo la sua domanda;
«No».
Gli
occhi di Sharon si dilatarono e per una frazione di secondo parve
sotto shock. Poi le labbra si piegarono e le lacrime le appannarono
lo sguardo, si portò le mani al volto e si permise di piangere come
una bambina. Il cuore che pulsava impazzito nel petto.
Lui
era lì. Era lì a pochi a metri da lei. Era tornato. Era tornato da
lei...
«Dov'è?»
sussurrò.
Ad
un paio di stanze di distanza James Barnes si sentiva accerchiato.
Non che volesse o potesse lamentarsi, aveva fatto tutto da solo,
l'unico che poteva biasimare era se stesso.
La
sua famiglia, la famiglia da cui era fuggito col solo intento di
proteggerli lo fissava basita, forse ancora troppo provata per dire
qualcosa, o saltargli selvaggiamente addosso. Tale sconvolgimento non
era dato sapere se perché si fosse ripresentato dopo mesi davanti a
loro o perché si fosse trascinato dietro Fury, il suo helicarrier e
Bruce Banner; che povero lui se ne stava in disparte alquanto
imbarazzato da quel silenzio che si poteva tagliare con un machete.
Sam
Wilson lo fissava con gli occhi sgranati, come un bambino, indeciso
se prenderlo a pugni o abbracciarlo disperato.
Tony
Stark se ne stava a braccia conserte, addossato al muro quasi fosse
lui a reggerne il peso, aspettando il momento giusto per muoversi.
Steve
Rogers guardava Bucky Barnes con occhi vitrei, diviso fra la voglia
di abbracciarlo e fargli male... Sembrava essere tornato ad anni fa,
subito dopo aver scoperto che era vivo. E il suo, James, era il
giudizio che temeva di più, insieme a quello di lei e di
Jace, che al momento non era presente.
Ma
quell'immobilità, quel senso di attesa opprimente, come di un vetro
un attimo prima di frantumarsi in mille pezzi, venne brutalmente
spezzato.
James
si beò di quella visione, di quella furia che avanzava verso di lui.
Quante notti l'aveva sognata? Aveva perso il conto. I suoi sogni non
le avevano reso giustizia: era infinitamente più bella, gli occhi
scuri accesi, i capelli dorati che ora le accarezzavano delicatamente
il seno. Poterla nuovamente stringerla fra le braccia era stato come
tornare alla vita.
Lo
schiaffo arrivò così forte ed improvviso che gli fece voltare il
capo. Sharon era livida, gli occhi ancora lucidi di pianto, emanavano
un bagliore pericoloso, le labbra erano pallide e secche. Tremava
senza controllo.
«Tu!»
un altro pugno, il Soldato d'Inverno non provò nemmeno a difendersi
«Sei uno stronzo! Dan...na..to James B...arnes!» gridò.
Andava
bene, quel dolore, quella paura che la sua Sharon gli stava
rovesciando contro andava bene. Da lei avrebbe accettato qualunque
cosa gli avesse dato. Perfino il suo odio.
«Come
hai potuto andartene? Eh!? Dopo quello che era successo?» urlò
mentre le lacrime avevo ripreso a solcarle il viso, lo strattonò per
la giubba «Come ti sei permesso di farmi una cosa del genere?
PERCHE'?» era quella la domanda più importante per lei, perché la
risposta che aveva trovato dentro di sé, semplicemente non le
bastava «A me, a Steve a JACE! A tutti noi... Avevo bisogno di te –
tirò su col naso – IO AVEVO BISOGNO DI TE! Invece sei scappato!
Hai scelto tu per me! Non mi hai dato altre possibilità!» un altro
pugno, un altro singhiozzo «GUARDAMI IN FACCIA JAMES!» i suoi occhi
colmi d'ira si scontrarono con quelli persi di Bucky «Hai distrutto
ogni cosa» gli rinfacciò.
Improvvisamente
la presa sul Soldato d'Inverno venne meno, Steve e Sam l'avevano
delicatamente afferrata a trascinata lontana da lui, Sharon scossa
dai singhiozzi sentì nuovamente un gran gelo avvolgerla. Si rifugiò
fra le braccia di Natasha, nascondendosi alla vista di tutti. Non
potendo sopportare oltre, percependo quel dolore che per mesi aveva
soffocato, tornare a galla cancellando impietoso tutti i suoi sforzi.
Il
suo dolore si era mischiato all'amore per lui, ancora intatto ed
immutato. Lo amava così tanto che avrebbe potuto ucciderlo.
James
la guardava desolato, nessuno dei suoi compagni era rimasto
indifferente a quella sfuriata, a quella disperazione.
Natasha
sollevò il suo sguardo di giada posandolo prima sul Soldato
d'Inverno e poi su Steve, che la osservava di rimando cercando un
sostegno; lei gli concesse un lieve cenno poi sospinse gentilmente
l'amica provata lontana da loro.
«Ho
fatto ciò che sentivo di dover fare...» mormorò atono Bucky. Sam e
il capitano videro con una punta di tristezza l'espressione spezzata
dell'amico, i suoi occhi di ghiaccio ma vitrei puntavano ancora nel
punto dove Sharon era stata fino ad un attimo prima.
Solo
in quel momento, avendolo finalmente davanti a loro, si resero conto
di quanto gli fosse costata quella scelta. Che per quanto avessero
sofferto, lui ne aveva sofferto il doppio. Entrambi però non mossero
un muscolo.
«Hai
fatto penare parecchie persone come vedi» replicò pacatamente Tony,
sorprendendo tutti. James lo guardò, c'era qualcosa di diverso nello
sguardo del magnate rifletté.
«Prima
che tutti voi lo mettiate sotto processo...» si fece avanti Fury
puntando il suo unico occhio su ogni singola persona presente «Il
signor Barnes è riuscito a recuperare delle informazioni di vitale
importanza, che dovrebbero aiutare a fare chiarezza sui nostri
nemici» dichiarò grave, le mani chiuse dietro la schiena.
«Che
genere di informazioni?» chiese Steve avvertendo la presenza di
Vedova Nera accanto a lui. Aveva accompagnato Sharon a riposarsi,
lasciandola alle dolci cure di Alexandra. «»
«I
file nascosti di Alexei Shostakov» rispose James guardandolo appena.
La notizia fu accolta con un certo sbigottimento generale, inutile
dire che ormai se ne erano quasi dimenticati, le incombenze erano
state fin troppe in quegli ultimi mesi e avevano dovuto accantonare
quella pista.
«Dici
sul serio?» chiese impressionato Sam «Sei tornato in Russia?».
James annuì piano e si fece passare da Fury i file, li aprì e li
distribuì sul tavolo.
«Ma
questi sono...» mormorò Clint con occhi sgranati;
«I
Winter Soldiers. Questi file contengono le loro vere identità...»
spiegò con tono grave Bucky, mentre i suoi compagni si avvicinavano
interessati.
Steve
prese alcuni fogli fra le mani e li osservò con attenzione: Niall
Drake... Dominil Rosenberg... Ekaterina Smirnova... Leon Duval...
«Dicono
molto di più, contengono anche i trattamenti che hanno subito per
diventare Soldati d'Inverno» disse Natasha concentrandosi sopratutto
sul file della ragazza di nome Ekaterina.
«Forse
riusciremo ad aiutare il Winter Soldier nelle nostre mani...»
ragionò Melinda May, che era rimasta per fare le veci di Coulson.
«Per
questo il dottor Banner è qui. Ci potrà essere d'aiuto, anche con
la questione psychotron» si intromise Fury, introducendo formalmente
l'altro Avenger, finora rimasto nelle retrovie. Il resto della
squadra però era davvero contento del suo arrivo.
«L'hai
invitato o minacciato?» frecciò, fingendo un tono pacifico, Tony.
Steve levò lo sguardo sul Colonnello e dalla sua espressione si capì
essere d'accordo con il magnate.
«No
Tony è stata una mia libera scelta, per quanto abbia poco gradito
trovarmi il Colonnello in quello che pensavo un posto
irrintracciabile» replicò pacato Banner, scoccando una veloce
occhiata a Fury. Il suo sguardo scivolò sul ventre pieno di Natasha
e sorrise comprensivo verso lei e Steve;
«Vista
la situazione non potevo restarmene in disparte. Inoltre forse ho
un'idea su come poter aiutare il signor Barnes» tutti gli sguardi
puntarono su James, la cui espressione si fece grave.
«Vuoi
che-?» chiese educatamente Bruce, ma Bucky scosse il capo.
«No
spetta a me».
E
così il resto degli Avengers venne a conoscenza dei fantomatici
codici d'attivazione del Soldato d'Inverno. E tutto fu chiaro.
«So
di aver sbagliato. Ma non potevo restare, non quando delle dannate
parole potevano farmi rivoltare contro di voi. Quello che ho fatto a
Sharon – la sua voce tremò – ...ero sconvolto. Non potevo
avvicinarmi a voi, non prima di aver trovato una soluzione o quanto
meno una vaga idea su come poter essere fermato – il suo sguardo
incrociò quello del capitano e non lo distolse stavolta – non
potevo mettere nuovamente la mia famiglia in pericolo». I suoi occhi
di ghiaccio chiedevano, no supplicavano Steve, e anche Sam, di
comprenderlo; il suo cuore già sanguinava per Sharon, ma un completo
rifiuto da parte loro l'avrebbe annientato.
«Ricordi
le parole?» gli chiese Natasha. Lui annuì e gliele ripeté in
inglese, non fidandosi di enunciarle in russo ad alta voce.
Gli
occhi di Vedova si illuminarono, e si rivolse ai compagni:
«Sono
le parole che anche N... No – diede uno sguardo ad una delle
cartelle – Niall ripeteva a Sharon. Forse ora possiamo aiutarlo».
Steve annuì.
«Significa
che hai trovato una soluzione?» chiese bruscamente Tony,
rivolgendosi direttamente a James «Hai detto che non saresti tornato
senza una soluzione per questo controllo, vuol dire che ne hai
trovato una?».
Bucky
si scambiò un'occhiata complice con Banner che decise di
intervenire, schiarendosi la voce.
«E'
una soluzione sperimentale. Credo di poter ricalibrare le onde emesse
dallo psychotron-» lo stupore generale fu tanto «E utilizzarlo poi
su James»;
«Che
cosa?» urlò Sam un tantino sconvolto. Natasha si irrigidì ben
conscia del potere dello psychotron e si strinse impercettibilmente
al capitano che aveva il timore nello sguardo.
«Lo
so che sembra una follia, ma sono quasi certo di rendere lo
psychotron di utile allo scopo: faremo riemergere i ricordi di quando
gli hanno imposto questi codici d'attivazione e con un ulteriore
sforzo da parte di James, potremmo sostituire le immagini legate alle
singole parole d'attivazione a suoi ricordi lieti. L'obiettivo è far
si che quelle parole non facciano più scattare l'assoggettamento
totale a chi pronuncia i codici».
«Quanto
è sicuro questo procedimento?» la voce graffiata e il tono calmo di
Jace si insinuò fra loro; stava appoggiato alla parete, i suoi occhi
blu fissavano James.
«Jace»
mormorò il Soldato, il quindicenne abbozzò un sorriso sereno;
«Ciao
Bucky. Ce ne hai messo di tempo...»
«Mi
spiace averci messo tanto».
Jace
annuì come se avesse capito. Lui infondo l'aveva sempre saputo che
sarebbe tornato, non che la cosa avesse fatto meno male malgrado
questa intima consapevolezza. Ma per lui vederlo nuovamente a casa
era più importante di qualsiasi rancore, sapeva, però, che per
Sharon non sarebbe stato così facile.
Gli
andò incontro abbracciandolo forte, James rispose un po' goffamente
ma questo ebbe il potere di distendere la tensione.
«Perdonate
l'intrusione, ma quanto è sicuro questo trattamento, dottor Banner?»
chiese nuovamente Jace. Bruce cercò di sorridergli incoraggiante;
«C'è
un margine di fallimento non lo nego. Ma sono fermamente convinto di
poter aiutare James» replicò seriamente.
Jace
annuì, mentre Bucky gli strinse gentilmente la spalla;
«Andrà
bene» gli sussurrò, poi si voltò verso gli altri e fece un cenno
col capo «Andrà bene. Se questo è l'unico modo per impedirmi di
farvi del male non mi tirerò indietro».
Steve
non ne era totalmente convinto, era preoccupato ma aveva fiducia in
Banner.
«D'accordo
– disse Tony – Bruce hai a disposizione il mio laboratorio e il
mio genio, ma prima che tu proceda vorrei parlare con Barnes, in
privato». Si scambiò un'occhiata con il biondo supersoldato che non
fece una piega, come promesso; anche se l'atteggiamento tranquillo di
Stark lo inquietava leggermente e guardando Sam, notò che anche lui
era della sua stessa opinione. Ma d'altronde quella, non era una
questione che lo riguardasse.
«Va
bene» replicò atono Bucky. Fury però aveva ancora qualcosa da dare
loro;
«C'è
un ultimo file che debbo consegnarvi, prima che possiamo finalmente
passare a studiare una strategia. C'era un quinta cartella in
possesso di Alexei, le informazioni a riguardo sono scarne ma
essenziali... » estrasse una foto, era vecchia, risalente agli anni
Quaranta «Signore e signori vi presento Sinthea
Schmidt, sangue del sangue di Teschio Rosso».
«Mi
spiace, non sono riuscita a controllarmi» mormorò Sharon mentre si
asciugava il viso con l'asciugamano che Sasha le aveva porto.
«Hai
risparmiato a Steve e Sam un'urlata coi fiocchi» replicò con un bel
sorriso sardonico Natasha, seduta davanti a lei «Nessuno pensa che
tu sia pazza, fossi stata in te non credo che Steve sarebbe uscito
sulle sue gambe».
L'agente
13 sorrise tremula «Nat... Io non riesco-» si portò le mani alle
labbra. Non riusciva a perdonarlo, non ancora. Lo amava, lo amava
così tanto che quel sentimento ora la feriva, era la cosa che meno
voleva per sé in quel momento. Era divisa tra la voglia di annegare
in lui e la voglia di schiaffeggiarlo fino a non sentire più le
mani. Nel suo profondo, non faceva che ringraziare qualsiasi essere
stesse giocando con le loro vite di averglielo riportato sano e
salvo, di averlo fatto tornare da lei.
Natasha
l'aveva aggiornata sulle novità, l'idea che James passasse sotto
l'influenza dello psychotron la terrorizzava, ma il suo orgoglio la
teneva inchiodata dov'era, impedendole di precipitarsi da lui.
«Non
ti preoccupare. Jace si occuperà di lui...»
«Lui
è sempre stato convinto che sarebbe tornato» affermò accorata
Alexandra mentre le due donne le sorridevano;
«Voi
diverrete adulti migliori di noi» le disse Sharon con dolcezza. La
tredicenne arrossì «Vi spiace se ora vado da lui?».
Rimaste
sole le due spie si guadarono intensamente;
«Tieni
questo è il fascicolo su N, tu sei l'unica che possa aiutarlo»
disse la russa porgendole il fascicolo un po' ingiallito.
«Pazzesco,
Alexei era riuscito a raccogliere tutto questo?»
«E'
una fortuna che Bucky abbia deciso di continuare a cercarli» disse
mentre Sharon faceva una smorfia. Vedova fece un pallido sorriso poi
si fece improvvisamente seria.
«Sharon.
C'è un'altra cosa... » la sua espressione si fece letale, segno che
qualcosa o qualcuno aveva infastidito la temibile Natasha Romanoff
più del dovuto «Per risvegliare e potenziare Sinthea Schmidt, la
figlia di Teschio, hanno usato il sangue di Alexandra».
___________________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti
voi, sono mortificata per l'ennesimo ritardo! Purtroppo ho avuto degli
imprevisti di natura personale e non sono più riuscita a
completare il capitolo. Come avete visto dal titolo, vi saranno due
parti, questo perché le cose da dire sono tante e non volevo
comprimere tutto in un unico capitolo o che risultasse confusionario,
per la seconda parte dovrete aspettare VENERDI' 07 FEBBRAIO
(so che è molto tempo, ma al momento non posso fare di
più, durante la settimana ho altre scadenze da rispettare e
purtroppo questa è la data che mi è più
congeniale).
Passando
al capitolo, come avrete letto, di carne al fuoco ne abbiamo, quanto
meno le informazioni che Fury, Buck e Bruce hanno fornito ai loro
compagni sono tante e non sempre semplici da digerire: l'utilizzo dello
psychotron da parte di Bruce per aiutare James, i fantomatici file di
Alexei contenevano informazioni parecchio interessanti e nei prossimi
capitolo l'identità dei quattro Winter Soldiers verrà
svelata per bene, inoltre ora sappiamo a cosa serviva il sangue
prelevato di Sasha in "La Danza della Stanza Rossa" ad aiutare Sin a
ristabilirsi, ma qualcuno non ha per niente gradito questa
notizia!
ora Bucky è tornato e Sharon beh non ha preso la cosa proprio
benissimo... Ma sinceramente la capisco e io avrei potuto fare ben di
peggio, poteva avere tutte le ragioni del mondo James ma una donna
innamorata non sempre ascolta le ragioni della mente; Jace invece l'ha
presa piuttosto bene! Ma abbiamo ancora da leggere le reazioni di Tony,
Steve e Sam... Insomma ripeto di carne al fuoco ne abbiamo!
Inoltre che ne pensato dell'entrata in scena di Bruce? All'inizio come
personaggio del MCU non mi entusiasmava particolarmente ma ultimamento
l'ho rivalutato sopratutto grazie ad una scrittrice di questo sito
(Thanks Ale ;)).
Detto
questo, spero che l'attesa sia valsa la pena e vi auguro una buona
serata! Io vi ringrazio moltissimo per l'affetto e il supporto che non
mi fate mai mancare!
A presto!
|
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Capitolo 22 *** Back to Home (parte II) ***
22
Capitolo
Ventidue: Back to Home (parte II)
“Orribil
furon li peccati miei;
ma la bontà infinita ha sì gran
braccia,
che prende ciò che si rivolge a lei.”
~
Dante Alighieri “Canto III, Purgatorio”
Bucky
seguì, con passo felpato, Tony all'interno del suo laboratorio.
C'erano chiari segni di nervosismo, probabilmente il magnate nemmeno
se ne accorgeva; ma per individui addestrati come lo era il Soldato
d'Inverno erano come fari in una notte senza luna.
Già
il fatto che lo stava introducendo nel suo laboratorio parlava da sé:
era il regno di Tony per eccellenza; il suo mondo, l'unico posto –
forse – in cui fosse davvero a suo agio.
«Tony...»
mormorò James guardandosi attorno circospetto. Si sentiva sulle
spine, come se temesse di venire attaccato da un momento all'altro.
Ma
Iron Man non gli rispose, aprì un cassetto del suo piano di lavoro e
lanciò sulla superficie liscia una foto ormai consunta.
Bucky
strinse gli occhi, le sopracciglia si corrucciarono per l'attenzione
che dedicò a quel frammento tangibile di memoria.
«Sono
Maria e Howard Stark, i miei genitori...» rispose per lui Tony, lo
sguardo vacuo puntato sul vetro trasparente.
«Howard»
sussurrò meditabondo il supersoldato.
«Già»
replicò debolmente il genio «J.A.R.V.I.S.».
L'AI
eseguì il comando del suo creatore e proiettò l'apparente incidente
stradale degli Stark.
L'atmosfera
si fece ancora più grave, James semplicemente ammutolì, una
sensazione sgradevole si fece strada alla bocca dello stomaco. Il
magma di ricordi nella mente del soldato iniziò a ribollire, alla
ricerca di qualcosa.
«Tony-»
esalò, nel suo tono si scorse una sottile vena di panico. Il suo
cuore si contrasse dolorosamente.
«Non
so... Forse tu li ricordi così» e partì il video incriminante.
Iron
Man non guardò il video, no. I suoi occhi ne erano ormai saturi;
fissava James che con sguardo sbarrato osservava, crudelmente
ipnotizzato da un orrore che lui stesso aveva perpetrato, seppur
inconsapevolmente.
Tony
voleva in qualche modo causargli dolore, voleva che sentisse almeno
un centesimo della sorda sofferenza che covava lui. Era conscio di
essere immaturo, meschino ma, in quel momento, non gli importava;
almeno finché...
Bucky
inorridito assisteva impotente al suo io passato che, insensibile
alle sue suppliche, uccideva Maria senza un moto nell'anima o nello
sguardo. Fu troppo e diede di stomaco.
E
fu l'esatto momento in cui gli intenti di Tony si infransero, osservò
i conati di vomito, che impietosi scuotevano il corpo del soldato
provato fin nel profondo e si rese conto di aver infierito
brutalmente su un'anima già in pena; crollò a terra con la schiena
poggiata al muro nello stesso istante in cui Bucky si accasciò in
ginocchio, esausto.
Per
svariati minuti nessuno dei due disse nulla, il magnate ascoltava gli
ansimi pesanti del Soldato, senza che questi gli procurassero alcuna
forma di sollievo.
«...Mi
spiace» sussurrò Bucky, rimettendosi seduto e abbandonando la testa
contro il muro e guardandolo di traverso, l'uno l'immagine speculare
dell'altro.
«Ma
immagino che ora sia tardi».
Tony
scosse il capo;
«Ho
da poco imparato che non è mai troppo tardi per chiedere scusa»
replicò provato anche lui dalle reazioni dell'altro.
«Sono
stato crudele» disse osservandolo negli occhi lucidi. James rise, un
suono gutturale, amaro.
«Direi
che me lo sono meritato» era sinceramente divertito «Tony se
volessi uccidermi, lo capirei» affermò serafico ricambiando lo
sguardo con sicurezza.
Il
genio sgranò gli occhi;
«Ci
ho pensato, non te lo nascondo» usò volutamente un tono leggero,
forse per nascondere la vergogna di un pensiero a tratti
giustificato.
«Ma
se ti chiedessi il motivo per cui lo hai fatto... Tu cosa mi
risponderesti?»;
James
assunse un'espressione di scuse.
«Ti
risponderei che non conosco il perché. Non posso darti ciò che
vuoi» ribatté mortificato.
Tony
fece un gesto ampio con le mani, come a dire “Visto il motivo
per cui ucciderti non risolverebbe le cose?”, si passò una
mano sul volto.
«In
verità puoi darmi ciò che voglio» aggiunse poi. Bucky si fece
attento, quasi fosse pronto ad eseguire un ordine.
«Tu
puoi dirmi chi è stato. Chi ha pronunciato la condanna a morte dei
miei genitori» dichiarò con occhi dilatati «Non mi basta
smantellare l'HYDRA, voglio quella persona». Un barlume di
consapevolezza attraversò lo sguardo del supersoldato.
«Quel
nome è ben protetto nella mia mente, non è un'informazione a cui
possa accedere semplicemente volendolo. Colui che mi dava gli ordini
sapeva come proteggersi, ma un modo c'è.» il volto del magnate si
accese «Aiuta Banner e io potrò darci ciò che vuoi».
«Farà
male»;
«Provare
a redimersi fa sempre male».
*
«Holden
finiscila!» trillò Simmons spazientita, facendo sobbalzare non solo
il diretto interessato, ma anche Triplett, Hunter e Fitz.
«Scusa
non lo faccio apposta!» si giustificò l'agente con espressione
mortificata, riferendosi al suo tic nervoso.
I
cinque ragazzi lanciarono un'occhiata a Skye, silenziosa e totalmente
immersa nella decriptazione di quella maledetta chiavetta. Per quasi
tutto il giorno non si era spostata dalla sua postazione, all'interno
del Playground, tanto che Antoine l'aveva praticamente obbligata a
mangiare, caricandosela in spalla.
«Fa
paura quando è in quello stato...» sussurrò Lance Hunter a
Triplett proprio mentre l'hacker borbottava rabbiosa.
«Spero
che riesca a decifrarla» disse pensieroso JJ. Annabeth aveva
rischiato moltissimo nel consegnargli quella chiavetta, dovevano
esserci informazioni fondamentali ma sapeva bene che quei svariati
livelli di cifratura servivano nel caso fosse finita nelle mani
sbagliate.
«Non
ti preoccupare JJ, Skye non fallirà... Insomma sono un ingegnere
aerospaziale e non ho la più pallida idea di cosa stia combinando»
si intromise Fitz con un'adorabile sorriso. Le sopracciglia di Jemma
schizzarono verso l'alto;
«Non
è molto confortante, Fitz!» mentre quest'ultimo incassava la testa
nelle spalle facendo per replicare.
«Non
importa Simmons, ho capito cosa voleva dire» sorrise divertito
l'inglese.
«Grazie
JJ!».
«Che
dite vi fa di fare una scommessa?» la voce annoiata di Hunter
catturò l'attenzione generale.
«Che
genere di scommessa?» domandò titubante l'ingegnere.
«Semplice!
Maschio o femmina? Io scommetto che il figlio di Romanoff e Rogers
sarà femmina!» dichiarò con un sorriso sornione.
«Io
dico maschio!» replicò Triplett lasciandosi coinvolgere;
«Mmm,
io sto con Antoine e dico anch'io maschio» affermò Fitz pensandoci
su.
«Leo!
Non credo sia giusto scommettere! - borbottò indignata Jemma – ma
spero che sia femmina!».
«Io
sto con la piccoletta!» si intromise la voce baritonale di Mack
appena sopraggiunto per informarsi sugli sviluppi; visto che quella
probabilmente era l'unica pista decente che avevano.
«Beh
potreste chiederlo a Skye, lei ha accesso alle cartelle, sa già il
sesso del bambino...» buttò lì Holden. Inutile dire che tutti gli
occhi si puntarono come fari sulla povera Skye, totalmente
inconsapevole di ciò che le accadeva dietro le spalle.
Nessuno
però fece in tempo a chiederle nulla poiché un attimo dopo, esultò
con tale fervore, che rimasero tutti pietrificati.
«L'abbiamo
persa» concluse brillantemente Hunter incrociando le braccia al
petto.
«Ragazzi!
Ci sono riuscita! Ho decriptato la chiavetta!». Immediatamente tutti
le si accalcarono attorno.
Se
in un primo momento l'euforia regnò sovrana, questa dovette presto
cedere il passo alla gravità delle informazioni contenute
all'interno dell'unità di memoria.
«Ragazzi
questa è una faccenda seria-» esordì Mack;
«Incredibile,
è riuscita persino ad inserire alcune planimetrie!» disse Fitz
ammirato;
«Sono...
fabbriche...» mormorò Skye, scambiandosi un'occhiata tesa con
Triplett che ricambiò con altrettanta preoccupazione.
«Sono
tutte in mano all'HYDRA» esalò Holden.
«Dobbiamo
andare subito da Coulson e May».
Quello
che avevano per le mani era prezioso, oh se lo era... Ma gettava una
luce inquietante sulla vastità dell'HYDRA. Forse, erano ad un punto
di svolta.
*
Sharon
Carter inspirò pesantemente e si ravvivò i capelli, raccolti in
un'alta coda che sfiorava ciondolante le spalle rigide.
Camminava
rapida lungo il corridoio asettico della struttura sanitaria di
proprietà dello S.H.I.E.L.D., dedita alla cura e alla riabilitazione
dei propri agenti; in particolare dei casi più gravi. La struttura
oltre a svilupparsi in altezza, aveva anche alcuni piani sotterranei
e l'agente 13 stava percorrendo proprio quei corridoi.
Agenti
dello S.H.I.E.L.D. pesantemente armati pattugliavano la zona, Sharon
però pensava, che tutta quella dimostrazione di forza era ormai
inutile contro una persona, che a suo parere, non rappresentava più
alcun pericolo.
Dopo
essersi fatta riconoscere e perquisire le permisero di accedere alla
stanza. Lui era ammanettato al letto, semidisteso guardava con
espressione pacifica i cartoni animati, trasmessi sulla tv a schermo
piatto che gli avevano concesso. I cartoni animati.
«Ciao
N» lo salutò con un dolce sorriso Sharon, accomodandosi sulla
poltrona imbottita accanto al letto.
Il
Winter Soldier si voltò a guardare la nuova venuta, la sua
espressione non mutò: restò tranquilla anzi i suoi occhi si
rischiararono.
«Sharon»
la sua voce aveva acquisito nel tempo, che avevano trascorso insieme,
un qualcosa di infantile, di genuina sorpresa.
«Che
cartone guardiamo oggi?»
«Sailor
Moon».
Sharon
si trattenne dallo scoppiare a ridere, si accomodò meglio sulla
poltrona e insieme ripresero a guardare la televisione. Aveva
scoperto che i cartoni animati avevano un effetto ipnotizzante e
calmante sul soldato, ricordandogli tremendamente un bambino.
Attese
la fine della puntata, poi richiamò la sua attenzione;
«Parliamo
un po' N?» lui annuì. Usava un tono calmo Sharon, cercava di essere
paziente e di non forzarlo quando era evidente che lui non voleva o
non riusciva a rispondere o ricordare. Era l'unica che riusciva a
farlo parlare, l'unica con cui aveva stabilito un contatto sincero;
d'altronde era perdutamente innamorata del Soldato d'Inverno
originale, forse era proprio quella la sua croce.
«Questa
che ho tra le mani è qualcosa che ti riguarda... - lo guardò
attentamente – qui è riportata la tua vera identità, N.» gli
occhi del giovane si dilatarono e sfrecciarono in ogni direzione,
quasi volesse trovare una via di fuga.
Sharon
gli poggiò con delicatezza una mano sul braccio per richiamare lo
sguardo su di sé. Era spaventato, forse non aveva mai sperato di
poter conoscere la sua vera identità, lui non aveva conosciuto che
violenza e dolore e forse temeva di non saper riconoscere quella
verità, di non riuscire a ricordare nulla della persona che era
prima.
«N...
Se per te non è il momento va bene, non le leggerò» lo rassicurò
lei; ma lui le bloccò il polso, facendola trasalire per la rapidità,
immediatamente assunse un'espressione contrita e la lasciò andare.
«Scusa»
mormorò «Va bene, posso farcela. Voglio che sia tu a dirmi chi
sono».
La
ragazza gli fece un sorriso carezzevole;
«D'accordo...
- aprì la cartella ed estrasse i file – il tuo nome è Niall
Drake» osservò il suo volto per vedere l'effetto delle sue
parole, e i suoi lineamenti si indurirono nello sforzo di ricordare
«Sei nato qui a New York il sei maggio del
millenovecentoventisette»;
«Sono
americano...»
«Sì
Niall, posso chiamarti Niall?» lui annuì, i suoi occhi si fecero
liquidi, increduli... Poteva riappropriarsi della sua identità?
«Tua
madre era una casalinga, tuo padre faceva il carpentiere ma è morto
durante la Seconda Guerra Mondiale... tuo fratello minore-»
«Michael»
la interruppe Niall con sguardo sbarrato. Qualcosa era scattato in
lui, fu come una crepa luminosa che incrinava un muro scuro e
minaccioso.
«Si
chiamava Michael, vero?» chiese guardandola quasi speranzoso.
Gli
occhi dell'agente 13 si riempirono di lacrime, per lei quel momento
era estremamente delicato: riavere Bucky con sé le procurava una
gioia immensa malgrado la sua rabbia non fosse minimamente scemata,
ma poter dare nuova dignità ad una persona come il Winter Soldier
smuoveva ulteriormente qualcosa nel caos di emozioni che albergavano
nel suo corpo.
«Mi
dispiace Sharon» aveva sempre pronunciato il suo nome con una sorta
di tremore «Non volevo farti piangere».
La
bionda si asciugò in fretta la lacrime e sorrise «Va bene così.
Sì, tuo fratello si chiamava Michael...».
«Com'è
successo? Come sono diventato ciò che sono?» domandò poi desolato,
dopo l'iniziale calore e sollievo che l'aveva avvolto.
Lo
sguardo di Sharon si adombrò e lo riportò sui file;
«Qui
c'è scritto che sei diventato un soldato pochi anni dopo la morte di
tuo padre, col grado di Sergente Maggiore. Eri di stanza
all'ambasciata americana nell'ex Unione Sovietica nel 1952, è
l'ultimo anno in cui si hanno notizie di te. L'esercito ti ha dato
per disperso in suolo russo. L'HYDRA molto probabilmente si era già
infiltrata nell'intelligence russa... Mi dispiace».
Niall
annuì mestamente, poi però non riuscì più a contenere tutte
quelle emozioni, tristezza, sollievo, disperazione, una timida
speranza e scoppiò a piangere; Sharon non l'aveva mai visto così.
Si piegò su se stesso e si coprì il viso con le mani, per quanto
glielo permettessero le manette strette ai polsi.
L'agente
lo circondò con le sua braccia, cercando di cullarlo.
«Ora
cosa faccio? Che ne faccio di me stesso?» mormorò spaventato.
Lei
gli prese il volto fra le mani;
«Puoi
essere libero, Niall» affermò con sicurezza.
*
James
si massaggiò lentamente la radice del naso con le dita, ripensò a
Sharon che era uscita qualche ora prima senza degnarlo di
un'occhiata, a ciò che era successo con Tony. Tutte cose che gli
avrebbero causato un imminente mal di testa, ma prima,
sfortunatamente per lui, c'era ancora qualcosa che andava sistemato.
Trovò
i due intenti a montare il mobile, nella stanza del suo futuro
nipotino, le pareti erano di un riposante verde prato e la culla era
già stata addossata al muro. La camera aveva iniziato a prendere
forma.
«Serve
una mano?» si decise a chiedere entrando ed osservando mestamente
Steve e Sam.
Il
supersoldato e il falco restarono a fissarlo per qualche istante, il
secondo sospirò e gli lanciò il cacciavite.
Per
svariati minuti nessuno disse nulla e si mossero nel totale silenzio,
malgrado fosse mancato per dei mesi, il loro affiatamento non si era
affievolito, che fosse sul campo di battaglia o in qualsiasi altra
attività, insieme lavoravano bene.
«D'accordo
chi comincia?» quasi non fece in tempo a terminare la frase, che Sam
lo colpì con forza alla spalla.
«Era
proprio necessario?» berciò l'ex pararescue a metà fra
l'arrabbiato e il malinconico.
«L'ho
fatto per voi, non me la sentivo di restare e mettervi tutti in
pericolo... Non- non potete capire»;
«Bastava
spiegarcelo» si intromise la voce autoritaria ma controllata di
Steve. Era evidente che si stesse trattenendo, non voleva generare
ulteriore tensione; in particolare non nella stanza del suo bambino.
«Sapevo
a malapena cosa stava capitando a me!» replicò James «So che vi ho
ferito, ma in questo modo avrei potuto agire più liberamente, cosa
che ho fatto! Forse voi avreste reagito diversamente, ma non chiederò
scusa per come ho tentato di proteggervi da me stesso!» terminò
quel suo sfogo quasi con il fiatone.
L'espressione
di Sam si fece rabbiosa per un istante, poi sbuffò e si grattò la
nuca;
«E
che... Dannazione... Ci sei mancato. Eravamo preoccupati, buddy»
confessò con una certa riluttanza.
Lo
sguardo di Bucky si schiarì profondamente toccato, mentre
l'espressione di Steve si ammorbidì.
«Non
lo fare mai più, mi hai capito Buck? Steve ha ragione, noi siamo una
famiglia...»;
«Mi
dispiace. Ma ho quasi ucciso Sharon, capite? Non c'è notte in cui io
non mi sveglia rivedendo il suo corpo esanime tra le mie braccia,
credendola morta» i suoi occhi si colmarono di dolore a quel
pensiero.
Steve
e Sam si lanciarono un'occhiata complice;
«Bucky...»
lo richiamò il capitano; i loro sguardi si incrociarono e fu come se
lui non se ne fosse mai andato, ciò che intercorreva fra loro, era
uno dei legami più forti e sinceri esistenti.
«Non
ti avremmo mai voltato le spalle. Posso solo immaginare ciò che hai
provato, ma cerca di capire noi, di capire Sharon. Già una volta ti
ho perso... E' stato insostenibile vederti sparire di nuovo, ancora
una volta senza potertelo impedire, e Sharon lei ha sofferto più di
tutti noi...» gli confessò con disarmante sincerità.
«Steve
– sospirò – se tu avessi capito che per noi, per Natasha saresti
stato una minaccia... Puoi dire con certezza che non lo avresti fatto
anche tu? Puoi affermare senza esitazioni che non avresti accarezzato
l'idea di allontanarti, pur sapendo di ferire gli altri oltre che te
stesso?».
Steve
non rispose. Pensò a Natasha e al bambino, no, non avrebbe potuto
affermarlo con certezza.
«Ma
non me ne sarei andato senza dire una parola...» replicò lui
incapace di trattenersi. James sorrise mestamente;
«Questo
perché tu ed io siamo diversi Stevie...» mormorò lui
serafico.
Steve
sospirò, James contrariamente a lui aveva già accettato da molto
tempo prima la diversità che intercorreva non solo fra loro due, ma
anche fra il Bucky degli anni Quaranta e il suo io attuale.
«Non
sono un santo. Ho commesso anch'io la mia buona dose di errori...»
ecco si era arrivati al punto.
«Steve...»
protestò debolmente Sam, detestava quando l'amico si metteva alla
gogna da solo.
«Stai
parlando di Stark. Mi ha messo al corrente» replicò pacifico Bucky;
«E
ne sei uscito senza un graffio?» allibì Sam, con una sottile nota
di ironia nella voce «Wow! Allora tu e Tony avete parlato sul
serio!» disse rivolto a Steve.
«Beh
direi che ciò che mi ha chiesto come “risarcimento” è un prezzo
più che accettabile, rispetto a ciò che ho commesso...»
«Che
ti hanno costretto a commettere-» ribatterono in coro gli
altri due, quasi in automatico.
Bucky
sorrise appena, commosso. Eccoli lì, la sua famiglia che mai gli
avrebbe permesso di sprofondare nell'oscurità. Gli erano mancati.
«Buck,
mi dispiace davvero... Ora- ora ho capito» disse Steve; l'amico
scosse il capo. Fra loro non servivano troppi discorsi, si
conoscevano da più di una vita, James aveva accettato il fatto che
il suo Stevie avrebbe sempre cercato di proteggerlo e mai smesso di
preoccuparsi per lui.
«A
proposito... riguardo allo psychotron». Ecco appunto. «Ne
sei sicuro?»;
«Steve.
Avrei promesso a me stesso che sarei tornato solo nel momento in cui
avrei trovato un modo per liberarmi dal condizionamento. Mi fido di
Banner, so che non sarà indolore... Ma piuttosto di continuare ad
essere una bomba ad orologeria preferisco rischiare il tutto per
tutto!» affermò serio.
A
quel punto sia il capitano che il falco alzarono le mani in segno di
resa.
«Ora
possiamo andare avanti?» domandò James. Aveva bisogno di una pausa,
troppe emozioni dolci amare si stavano scatenando in lui.
In
silenzio, ma con un'atmosfera più distesa, si rimisero al lavoro.
Natasha
nascosta dietro la porta della stanza sorrise, si voltò e si
allontanò;
«Visto?
Non è stato poi così drammatico...» sussurrò al figlio, che
placido nel suo ventre parve dalle ragione.
__________________________________________________________________________________________ASIA'S CORNER
Buongiorno a tutti!
Eccomi qui, alle prese con la seconda parte del ritorno di Bucky a
casa... Ma non solo! Abbiamo lo SHIELD che finalmente ha preso in mano
la situazione o almeno così si spera; la chiavetta è
stata decifrata e vengono a galla nuove informazioni, che verranno
approfondite, e soprattutto Sharon e il Winter Soldier che pare sulla
buona strada per tornare in sè, più o meno...
Diventerà un alleato a tutti gli effetti? Ma solo il tempo
saprà dircelo...
Spero che questo capitolo, abbastanza denso, non vi abbia deluso e sia stato di vostro godimento! Io
non smetterò mai di ringraziarvi per tutto il vostro supporto,
con le recensioni e i messaggi che mi inviate, davvero! Grazie!
Io per il momento vi lascio, fatemi sapere cosa ne pensate di questo nuovo capitolo! Per qualsiasi cosa non esitate a scrivermi e vi invito a seguire la mia pagina autore su FB "Asia Dreamcatcher" e vi do appuntamento a SABATO 03 MARZO con il Capitolo 23!
A presto!
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Capitolo 23 *** "Warning" ***
23
Capitolo
Ventitre: “Warning”
“All
my friends are heathens, take it slow
Wait for them to ask you who
you know
Please don’t make any sudden moves
You don’t know
the half of the abuse”
~
“Heathens”, Twenty One Pilots
“Pas
de basque... Arabesque... Fouette...”
I
piedi iniziavano a dolere, da quanto tempo si stava allenando? Aveva
perso la nozione di esso. Un altro plié e non sarebbe riuscita a
rialzarsi.
Ancora
una volta aveva detto Madame Popova... Stringi i denti Katia!
...
Un
colpo forte alla nuca, le gambe che cedono. Riesce a lanciare un
ultimo sguardo davanti a sé mentre il tappeto le punzecchia
fastidioso il volto, ha le lacrime agli occhi e tutto quello che vede
è sangue, tanto sangue. È suo? Non ne ha idea...
Chi
siete?
Le
sue palpebre diafane si sollevarono senza indecisioni, il soffitto
monocromatico della stanza fu tutto ciò che colpì lo sguardo di K.
Chi
è Katia?
La
Winter Soldier si alzò di colpo, si portò una mano al cuore e lo
sentì galoppare.
I
suoi occhi si guardarono attorno, le pareti a tratti sparivano per
lasciare posto a delle quinte, un parquet pregiato, poi un tappeto
persiano macchiato di sangue.
Trasalì
e si appiattì spaventata contro il muro spoglio, avvertendo una
sensazione di imminente pericolo. No! Non poteva impazzire; non
poteva diventare come D... Se lei perdeva quel poco di barlume che
gelosamente conservava, come avrebbe fatto poi a proteggerla?
Ridacchiò,
divertita da se stessa. Perché si doveva preoccupare così per D?
Era la propria sopravvivenza che doveva avere la priorità. Ma lo
sapeva anche lei che non era più così da un po' di tempo.
Ogni
volta che venivano mandati in missione le veniva spontaneo guardare
nella sua direzione, assicurarsi che non si facesse troppo male.
Maledizione! Preferiva che colpissero lei piuttosto che quella
bionda dalla mente così fragile, così innocente e al tempo stesso
così tremenda.
La
costringevano all'obbedienza, ma ormai il suo cuore non rispondeva
più nemmeno a se stessa; era forse colpa di quelle scomode
sensazioni, se la sua mente cominciava a giocarle quegli scherzi?
Cosa significavano quelle immagini?
Cosa
doveva fare?
*
«Natasha!»
esordì Bruce Banner avvicinandosi lentamente alla spia russa.
La
donna voltò il capo, accennando un sorriso. La mano sfiorò il
prominente ventre dell'ottavo mese.
«Ssh
va tutto bene è un amico» mormorò al bambino che aveva iniziato ad
agitarsi. Il dottore alzò le braccia mortificato;
«Scusami
io non-»;
«E'
tutto okay. È solo diventato più sensibile – disse, riferendosi
al bambino – i suoni improvvisi o sconosciuti lo spaventano.
Semplicemente non ti conosce ancora» spiegò serafica.
Bruce
stirò le labbra in un sorriso impacciato, osservandola di sottecchi;
la sua stanchezza era evidente, traspariva dai lineamenti più tirati
di quanto ricordasse, appariva spossata. Prima James e poi Tony
l'avevano messo al corrente della gravidanza non facile – più
simile ad una battaglia – che stava portando avanti. Eppure, quella
genuina scintilla calda nel suo sguardo, gli stava dicendo che non si
era pentita di aver intrapreso quella strada.
«Oh
beh... Ancora congratulazioni Natasha! Tu e Steve ve lo meritate,
davvero!» replicò convinto, anche se un po' incespicante nelle sue
stesse parole.
«Ti
ringrazio. Vorrei sedermi... Ti spiace?» domandò accomodandosi con
attenzione sul divano e seguita a ruota dal dottore, che prese posto
nella poltrona lì accanto.
«Tu
come stai?» gli chiese puntando il suo sguardo dritto negli occhi
scuri suoi. Cercava forse di capire se la situazione lo sottoponesse
a più stress di quanto lui fosse disposto a tollerare?
«Io
sto... Bene. Non temere nessuna esplosione improvvisa, tengo tutto
sotto controllo! Non- non ti devi preoccupare...» terminò piano,
soffermandosi senza fretta su ogni singola parola.
Natasha
inclinò il capo e lo scosse divertita;
«Oh
Bruce... La mia era una curiosità sincera. Non sono preoccupata per
noi, voglio davvero sapere se a te va bene questa situazione.
Se ti fa piacere essere nuovamente qui...»;
«Oh!»
fu l'unica risposta “brillante” che riuscì a formulare. Quasi si
vergognò di aver avuto quel pensiero meschino.
«Sì.
Io- voglio dire sì! È stato improvviso, non lo nego, - anche se
sospettavo che Fury mi tenesse discretamente d'occhio – ma ciò in
cui siete coinvolti, la storia di James, e Steve e Tony e la tua.
Forse non farà bene ai miei nervi – rise – ma va bene. Sono qui
per mia libera scelta e poi voi in questo momento forse avete più
bisogno del dottore, che del mio bestiale inquilino».
«D'accordo
allora» replicò la russa con sguardo morbido «Ti ringrazio. Ho
notato che ora sembri controllarti molto meglio, rispetto ad anni
fa»;
«E'
così».
Restarono
in un confortevole silenzio ancora qualche istante, poi Bruce riprese
la parola;
«Natasha,
io avrei bisogno davvero di chiederti una cosa, sentiti libera di
prenderti il tempo che ti serve-»
«Vuoi
chiedermi dello psychotron» replicò la donna con sguardo serio. Non
era arrabbiata, avrebbe preferito non ricordare ma era consapevole
che non esisteva altro modo; e lei davanti al dolore non si era mai
tirata indietro, volente o nolente.
«Sì»
affermò il dottore sistemandosi meglio gli occhiali sulla radice del
naso. Non amava porre le persone in posizioni spiacevoli, per quello
esisteva già il suo irascibile coinquilino dal colore discutibile.
«Vorrei
potertelo evitare...» ma l'occhiata che la russa gli rivolse lo fece
tacere.
«E'
reale.» la voce arrochita e il tono atono la rendevano quasi una
presenza demoniaca «Le tue paure diventano reali, tangibili, ti
avvolgono. Ti dimentichi della realtà, quando lo psychotron è
attivo, la dimensione che crea per te è quella la tua realtà» i
suoi occhi incontrarono quelli scuri ed incredibilmente seri del
dottore «Dovrai controllarlo perfettamente, Bruce. Io conosco
l'inferno che ha passato James, un errore e sarà perduto. Non voglio
metterti pressione ma lui è parte della nostra famiglia, se lo
perderemo un'altra volta troppe persone soffriranno ed io questo non
posso tollerarlo» terminò seria.
Banner
deglutì piano, sapeva che non stava scherzando, ma lui non era certo
uno sprovveduto;
«Se
ho proposto a Barnes questa soluzione è perché sono certo di quello
che faccio, Tony colmerà le mie lacune. Questo però non significa
che non soffrirà»;
«Oh
credimi lo sa» le labbra si stirarono appena all'insù in un sorriso
dal retrogusto amaro.
«Tu
sei riuscita a superarlo-»
«Tu
credi? O forse sono solo brava a mentire – rise – ricordati chi
hai davanti» ma stavolta fu il turno di Bruce scuotere gentilmente
il capo e sorridere appena;
«O
forse hai avuto le persone giuste al tuo fianco...».
Vedova
rimase per qualche istante interdetta, davvero sorpresa che il
dottore l'avesse analizzata con semplicità, ed il suo sguardo si
ammorbidì.
«Bruce!
Nat!» Steve Rogers sorrise pacatamente nella loro direzione. Inutile
dire che Banner restò molto colpito dalla coppia: lo sguardo del
capitano aveva sfiorato lui per un secondo e poi si era inchiodato
sulla figura della bella russa, incendiandosi. Natasha gli rivolse
uno sguardo profondo e luminoso, le si sedette accanto, mentre Vedova
gli accarezzava il volto, quasi impalpabile, osservandolo
intensamente quasi dovesse cogliere qualche segno di malessere.
Bruce
si rese conto che erano entrambi stravolti, ma si preoccupavano l'uno
dell'altra in maniera così intima e profonda che fu costretto a
distogliere lo sguardo, quasi per paura di risultare invadente.
«Hai
tutto quello che ti serve, Banner?» gli chiese sinceramente
interessato Steve.
«Si
grazie Capitano. Molto meglio qui che sull'Helicarrier del
Colonnello!»; il supersoldato ridacchiò concorde.
«Non
sei l'unico a pensarlo, forse te l'hanno già detto ma ti ringrazio
davvero per il tuo aiuto. Per tutti noi significa molto, qualsiasi
cosa tu abbia bisogno non esitare a chiedere, anche se è passato del
tempo, sei comunque parte di questa squadra, sei un Avenger».
Bruce
Banner si ritrovò inspiegabilmente commosso;
«Grazie».
Rimasti
soli, Vedova e il Capitano, si poterono finalmente rilassare o almeno
ci provarono.
«Sembra
allegro oggi» notò Steve, muovendo la mano sul ventre della
compagna, avvertendo il bambino scalciare piuttosto vivacemente.
«Anche
troppo» sospirò lei appoggiandosi a lui, che le baciò la tempia.
«Steve,
ti spiace-?» mormorò lanciandogli un'occhiata densa, comprese al
volo.
Il
capitano prese ad accarezzarle dolcemente al ventre;
«Dunque...
Lo zio Bucky è tornato e non vede l'ora di conoscerti, abbiamo
sistemato la tua stanza sono sicuro che ti piacerà» Steve parlava
con serenità, il suo tono era carezzevole, un sorriso pacifico a
tingergli le labbra a pochi centimetri dal grembo di Natasha.
«Grazie»
bisbigliò passandogli gentilmente la mano fra i capelli.
«Ancora
un mese...» cercò di rincuorarla lui.
«Possono
accadere ancora tante cose» ribatté lei, Steve sospirò «E se non
è la gravidanza, penso a quello che hanno fatto ad Alex. Non ho
ancora deciso se dirglielo» si guardarono e Natasha capì che lui
intuiva perfettamente i suoi tormenti e li condivideva «Usare il suo
sangue per rinforzare quella maledetta. Per mesi è stata prigioniera
della Red Room e per tutto quel tempo le hanno sottratto sangue per-»
«La
figlia di Teschio Rosso» completò per lei Steve.
«Se
ci rifletti Alexandra ha in sé il siero Kundrin ereditato da Niko,
si è adattato perfettamente e non solo, si è perfezionato
portandola ad un livello superiore rispetto a suo padre – malgrado
sia una ragazzina e ancora non se ne renda conto – e,
presumibilmente, così sarà per nostro figlio. Il loro sangue...
la nostra eredità... vale una fortuna.» si guardarono negli
occhi «E ora la dolce Alexandra condivide parte del suo corredo
genetico con quell'essere psicotico»;
«Saperlo
la ucciderà. Incolperà ciò che è per questo» replicò Steve, che
ormai poteva dire di conoscere bene la propria figlioccia. Natasha
volse lo sguardo verso l'alto ed arioso soffitto ed annuì.
«Dobbiamo
arrivare a lei, a loro prima che possano anche solo
avvicinarsi ai bambini»
dichiarò dura, riferendosi non solo ad Alex ma anche a Jace, ai
figli di Clint e al loro bambino.
«Almeno
loro. Almeno loro devono poter conservare quella fragile innocenza,
il mondo gli ha già tolto abbastanza».
Steve
la strinse a sé, concorde in tutto e per tutto.
«Bruce
è venuto da te per-»;
«Sì,
lo psychotron».
«Stai
bene?»
«Starò
bene quando nostro figlio potrà dormire sonni tranquilli, senza che
nessuno minacci la sua incolumità».
«Te
lo prometto»
«Lo
so любовь моя [amore
mio]».
*
«Fa
attenzione idiota!» trillò infastidita Sin.
«E'
andato giù pesante stavolta» le fece notare Rumlow accomodandosi
davanti alla giovane seminuda distesa sulla pancia. L silenzioso le
medicava le ferite, simili a squarci che le deturpavano la schiena
candida, mentre rivoli di sangue impregnavano tutto attorno a lei,
facendola somigliare ad un'inquietante rosa rossa, dai petali
sgraziati.
«Adesso
arrivi al mio capezzale?» frecciò lei sardonica «Dovresti
ringraziarmi, mi sono sacrificata per tutti voi, ho salvato il tuo
bel culo!» Sin inclinò appena il capo, sfoggiando un bel sorriso
conturbante e lo sguardo famelico.
Crossbones
replicò con un brutto sorriso obliquo;
«Non
è da te. A cosa devo tutta questa premura?».
La
figlia di Teschio Rosso si puntellò sui gomiti, ignorando
puntualmente le fitte provocate dalle lacerazioni, ed incrociò le
dita sotto il mento.
«Non
l'hai ancora capito? Ti voglio come alleato. Sei già
un'ottima valvola di sfogo... Ora pretendo di più».
Brock
Rumlow la guardò dall'alto al basso, soppesando seriamente la sua
proposta. Il sorriso che ne derivò fu fra i più letali.
«Dovresti
fare più attenzione mia cara, o tuo padre e Lukin se ne
accorgeranno, sarebbero degli sciocchi a non sospettare già
qualcosa» la reguardì.
«Oh?»
ridacchiò Sin «Adesso sei tu a preoccuparti per me?»;
«Mi
preoccupo per il mio investimento» entrambi sorrisero come chi ha
messo gli occhi su qualcosa di estremamente prezioso.
«E
tu L?» domandò sarcastica, osservandolo «A chi resterai fedele?».
Il
Winter Soldier la fissò con il gelo nello sguardo ed annuì.
«Le
sono riconoscente. Mi ha dato qualcosa che avevo perso molto tempo
fa...».
Negli
occhi di Sin scattò un bagliore, si alzò sulle ginocchia ed afferrò
con possessività il mento di L, tracciando con l'unghia laccata di
carminio la linea della mascella. Al suo tocco forte del sangue
sgorgò, il Winter Soldier non sembrò esserne scalfito, il suo
sguardo rimase distaccato.
«Hai
sentito Rumlow? Ho svelato la sua più intima natura! Toccherà anche
a tutti loro... Lasciamo che si crogiolino nel loro ritrovato spirito
di squadra, li falceremo uno ad uno. Toglieremo l'uno all'altro, oh
impazziranno nell'assaporare la morte dei propri compagni!» asserì
deliziata la rossa. Crossbones non poteva che essere d'accordo.
«E
riguardo al figlio di Steve Rogers e Natasha Romanoff? Tuo padre...»;
«Sì
mio padre lo vuole usare come suo nuovo corpo. È geniale e sadico al
tempo stesso, glielo devo riconoscere... Lasciamo che le cose
facciano il loro corso, potrà pure prendersi la sua vendetta, ma io
dopo prenderò la mia»;
«Allegra
Belgioioso potrebbe interferire, il bambino interessa anche a lei-»
«Sia
io che lei conosciamo molto bene le regole del gioco. Per il momento
va bene così, quando giungerà il tempo avrò bisogno di lei. La
nostra corsa sugli stessi binari non è ancora giunta al capolinea».
Abbandonò
L, per schiacciarsi vogliosa contro il corpo di Rumlow «Ora lasciaci
L. Io e Crossbones abbiamo degli affari da discutere in privato».
*
Bucky
attese il melodioso richiamo dell'ascensore, i suoi occhi speranzosi
scattarono sulla figura di Sharon Carter, appena apparsa sul piano.
Per
l'agente 13 era stata una giornata dura ma positiva, Niall finalmente
sembrava cominciare ad imboccare la giusta via. Quando si trovò
faccia a faccia con il Soldato d'Inverno la voglia di ripararsi fra
le sue braccia era grande, ma dentro di sé ancora non avvertiva la
forza necessaria per perdonarlo.
«Non
adesso» sibilò superandolo, senza nemmeno guardarlo in faccia.
James
sospirò, stringendo i pugni, sia Tony che Bruce gli avevano detto
che il processo per spezzare il controllo su di lui sarebbe stato
doloroso, ma non avevano idea che lui stesse già soffrendo, stesse già
vivendo il suo inferno personale. Il dolore lo aveva preso
dall'esatto istante in cui si era separato da lei.
_______________________________________________________________________________________________Asia's Corner
Dopo
un'attesa infinita eccomi tornata con questo capitolo, che seppur di
non dimensioni esagerate è ugualmente denso di dettagli.
Spero che abbiate apprezzato! Qualcosa inizia ad intravedersi nel
passato di K e forse è un po' colpa di D? E cosa ne pensate
delle battute fra Bruce e Nat? Ormai ci avviciniamo sempre più a
certi avvenimenti fondamentali... E qualcosa si svela dei piani non
solo di Sin, ma anche di Teschio! Ecco perché tutti sono
così interessati (e ovviamente dico io) al figlio di Cap e
Vedova. Ma chissà cosa ha in serbo il futuro per tutti loro?
Eheheh... continuate a seguirmi ;)
Detto questo, attendo come sempre di leggere i vostri pareri (non
siate timidi mi raccomando fatevi sentire, io sono sempre disponibile a
chiarimenti, ma anche ad un'amichevole scambio di opinioni^^ Fa solo
che bene!). Vi ringrazio tantissimo a tutti coloro che mi hanno supportato sia con messaggi privati che i miei adorati recensori!
Purtroppo, come ormai avrete intuito,
questi mesi sono per me davvero frenetici densi è perciò
con mio grande rammarico che mi trovo costretta a pubblicare UNA VOLTA
AL MESE! Mi spiace, ma non voglio per nessuna ragione abbandonare la
storia! Non ora e non dopo tutto questo tempo ma di più al
momento vedo che non riesco a fare! Perciò vi chiedo di
stringere i denti e di pazientare, vi do appuntamento a VENERDI' 27 APRILE con capitolo 24! Per aggiornamenti vari vi invito a seguire la mia pagina autrice su FB!
Grazie a tutti voi e Buona Pasqua!!!
ps. Risponderò alle recensione del cap 22 tra venerdì e sabata, grazie!
|
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Capitolo 24 *** Point of Break ***
24
Capitolo
Ventiquattro: Point of Break
“I've
come to realize that sometimes,
what
you love the most is what you have to fight
the
hardest to keep”
~
Kirsten Hubbard
Jace
Watson uscì nell'ampio terrazzo dell'Avengers Tower. Luglio era
ormai alle porte e l'aria era calda, l'umidità iniziava a farsi
pesante, restando dispettosa attaccata alla pelle. Si scompigliò i
corti capelli biondi, poi il suo sguardo cadde sulla minuta figura
rannicchiata sul divano, posto all'ombra; le ginocchia contro il
petto strette fra le esili braccia.
«Non
ha funzionato» esordì con voce dolce ma leggermente divertita.
Uno
sbuffo rumoroso fu tutto ciò che ricevette in risposta.
«Sasha...»
la richiamò paziente.
La
tredicenne voltò il capo, senza sollevarlo dalle ginocchia,
l'espressione teneramente imbronciata;
«Come
diamine fai a startene lì pacifico? Quei due ancora non si parlano!»
pigolò gonfiando le guance. Le labbra di Jace si stesero in un
sorriso genuino. Quanto
era adorabile!
Se non ci fosse stata lei...
Gli
si sedette accanto e poi le picchiettò dolcemente la testa con la
mano.
«In
realtà è Sharon che ancora non gli parla. Bucky si limita a
fissarla disperatamente, come un cucciolo abbandonato»;
«Ripeto
come fai a non essere preoccupato?».
Jace
guardò in alto, perso nei pensieri. Certo non gli faceva piacere
quella situazione, entrambi stavano soffrendo, era palese ma sapeva
che Sharon non era ancora pronta.
«Non
sono è preoccupato è vero, questo però non significa che sia
felice. Bucky è stato avventato ma ha fatto quello che è nella sua
natura, io sono certo abbia sofferto più di tutti noi. Sharon lo ama
così intensamente ed è proprio per questo che fatica a perdonarlo,
credo sia terrorizzata all'idea di perderlo di nuovo»;
«Natasha
l'ha sempre detto che sei un grande osservatore» replicò Alexandra
con espressione dolce. Poi annuì;
«Credo
di aver capito. È per questo che i miei tentativi di farli
avvicinare hanno così miseramente fallito?»;
«Intendi
dire l'ultima tua trovata: “Sharon, penso che Bucky non stia bene,
è da troppo tempo sotto la doccia!”?» ridacchiò il quindicenne
imitando la voce dell'amica.
«Ci
sono rimasta malissimo quando ha risposto “Lascia che si affoghi”
con quel tono, mi sono venuti i brividi. Natasha rideva sotto i baffi
però» rifletté la più piccola.
«Se
sono un grande osservatore da qualcuno avrò imparato» disse
ammiccando;
«Tu...
Tu non sei mai stato arrabbiato con lui» constatò pensierosa;
«All'inizio
sì. Ricordi? Poi boh, chiamala intuizione o fede. - rise – Non ho
mai avuto fede, fino quando non ho incontrato Bucky. Da quel momento
ho ricominciato ad avere fiducia nell'altro. Te l'ho dissi quella
volta che lui sarebbe tornato e forse proprio vedere che avevo avuto
ragione mi ha … mmm... Sollevato? E poi c'è già Sharon a tenergli
il muso, lei è più che sufficiente come punizione, credimi!»
ghignò alla fine.
Alexandra
ridacchiò, fissò Jace con sollievo, gli occhi chiari sgranati e
colmi di dolci sentimenti. Timidamente si lasciò andare contro
l'amico che prontamente gli avvolse il braccio attorno alle spalle,
trattenendola a sé. Chiuse gli occhi ringraziando silenziosamente di
avere un amico, una persona come Jace accanto a sé.
«Quindi
dobbiamo lasciare che si arrangino fra loro?» il quindicenne annuì;
«Precisamente.
Non temere, se dovessero andare per le lunghe, scommetto che ci
penserà Natasha».
«Intendi
restare così per il resto della giornata?» domandò con tono soave
Natasha, senza nemmeno sollevare lo sguardo dal tomo di letteratura
russa. Ogni tanto leggeva alcuni versi in russo ad alta voce, e
stranamente la piccola creatura nella sua pancia sembrava gradire.
«Sì.
Esattamente!» sospirò Sharon «Sappi che nulla, nemmeno i tuoi toni
falsamente pacati mi smuoveranno dal restare qui inchiodata per il
resto del giorno» continuò con fare sostenuto.
«Mmm-mmm»
replicò russa, muovendosi con cautela. Era alla trentacinquesima
settimana ed era gonfia ed accaldata. Odiava il caldo, il sudore e
l'afa... Era russa per l'amor del cielo! Ed incinta. Si sentiva
enorme, stanca ed orripilante. Steve tentava di convincerla del
contrario, quanto rendeva ciechi l'amore!
«Sharon
pensi di andare avanti per molto con questa storia?» la sua non era
una critica ma una semplice domanda.
L'agente
13 inspirò pesantemente;
«Io-
io non lo so, va bene? Io non riesco ancora...» Vedova notò che
aveva gli occhi lucidi e continuava a torturarsi le dita: le tirava,
le intrecciava e le sfiorava.
«La
tua è paura» replicò la russa. Non era un'accusa ma un'onesta
constatazione.
Sharon
tirò su col naso e si rannicchiò contro la poltrona;
«Sì.
Tu non ne avresti al mio posto? - mormorò triste – Se Steve fosse
scivolato via da te già una volta, non avresti paura? Quel dolore
insopportabile. Non è che non riuscirei a vivere senza di lui,
semplicemente non voglio. Lo voglio con me! Saperlo vivo da qualche
parte nel mondo non mi basta, lo desidero al mio fianco e la sola
idea di perderlo ancora una volta mi annienta».
«Ti
ha ferita» rispose seria Natasha accostandosi a lei «Sebbene fosse
l'ultima cosa che James desiderasse, lo ha fatto. E tu hai bisogno di
tempo per guarire da questa ferita che ti piaccia oppure no. E'
qualcosa che né tu né lui potete controllare. Ricordo che Steve una
volta mi disse “La possibilità di perderti non è un rischio che
sono disposto a correre” - sorrise appena – ed è lo stesso per
me. Quindi sì, per quanto non lo ammetterei nemmeno con me stessa,
avrei paura».
«E
se non dovesse funzionare?» domandò la Carter dopo qualche momento
di silenzio.
La
russa la osservò intensamente, poi il suo sguardo si ammorbidì;
«Andiamo»
disse tendendole la mano.
«Sei
pronto?»
«Nemmeno
un po'» replicò pallido in volto James.
Bruce
fece un sorriso tremulo, un po' divertito; accanto a lui Tony stava
controllando gli ultimi dati.
Sam
accanto a Bucky cercava di sollevargli il morale, mentre Steve al
loro fianco tentava di trasmettere un senso di tranquillità.
«D'accordo
Soldato Ghiacciolo! Ora accomodati pure qui su questa comoda
poltroncina e lasciati mettere a soqquadro il cervello» esordì Iron
Man con macabra allegria; Bucky sospirò.
«Ciò
che Tony vuole dire – si intromise Bruce paziente – è che siamo
pronti per la ricalibrazione cognitiva tramite lo psychotron».
«Okay»
mormorò il soldato sedendosi sulla poltrona in metallo che Tony gli
aveva indicato. Steve e Sam gli furono subito accanto.
«Noi
siamo qui, okay?» gli ricordò Steve «A pochi passi da te».
James
annuì compit;
«Banner
puoi rispiegarmi il processo?».
Bruce
si rese conto che tentava disperatamente di controllare ciò che gli
sarebbe accaduto da lì in avanti, così con un sorriso rassicurante
prese parola;
«Allora:
ciò che tenteremo di attuare è una ricalibrazione cognitiva. Lo
psychotron andrà ad agire sulla tua mente, Niko pronuncerà le
esatte parole che attivano il tuo controllo mentale... Queste parole
sono probabilmente legate a dei ricordi o sensazioni o immagini che
ti hanno inoculato a forza durante il processo di indottrinamento. Lo
psychotron le riprodurrà nella tua testa; per te saranno reali tanto
quanto questo momento in cui ti sto parlando, capito? Per te sarà
reale – Bucky annuì ancora una volta – ma quello che tu dovrai
fare è sovrapporre a qualsiasi cosa ti creerà lo psychotron, i tuoi
ricordi... Devono essere piacevoli e forti, devono farti star
bene. Devono essere forti abbastanza da sostituirsi e rompere
l'indottrinamento. Inizieremo con le prime tre parole, poi vedremo se
proseguire. Hai capito James?» chiese il dottore con serietà. Ci fu
un altro assenso.
«Noi
saremo dietro questo vetro e ti terremo sotto controllo, va bene?
Questi elettrodi monitoreranno le tue condizioni, se è troppo ci
fermiamo immediatamente. James fidati di noi».
Bucky
spostò lo sguardo atono verso Tony, che dopo averlo sostenuto gli
fece un cenno deciso;
«Mi
fido» replicò continuando a guardare il genio, poi si rivolse
nuovamente al dottore;
«Quindi
le radiazioni dello psychotron non mi ridurranno ad un ammasso di
aggressività o mi faranno diventare un mostro verde con problemi di
rabbia? Senza offesa»;
Bruce
ridacchiò;
«No.
Uno basta ed avanza credimi. Sei pronto?».
Bucky
sollevò appena gli occhi e vide Natasha e Sharon fuori dal
laboratorio, dalle pareti trasparenti. Sharon, forse per la prima
volta da quando era tornato
settimane
prima, lo stava guardando. Fissandola di rimando rispose;
«Iniziamo».
«Желание
[brama]»
Per
James fu come un pugno allo stomaco risentire quella parola.
Avvertiva
una sensazione di vuoto non solo sotto i suoi piedi ma anche
tutt'attorno a lui; aprì gli occhi meravigliato, era immerso in un
oscuro fondale, galleggiava senza peso... Poi improvvisamente fu come
se l'oscurità che l'avvolgeva si mosse, acquistando vita di colpo.
Quel
fondale non era più pacifico ma iniziò a restringersi attorno a
lui, avvertiva una pressione dolorosa sulla sua pelle, l'oscurità
stava tentando di divorarselo. Faceva male... gli impediva di
respirare, stava soffocando.
James
urlò di dolore. Fu un urlo talmente bestiale che pietrificò i
presenti, atterriti; Sharon si precipitò dentro, il cuore che
pulsava dolorosamente. Steve strinse i pugni e l'espressione si
oscurò, fu il tocco delicato di Natasha ad impedirgli di scattare.
«Forza
amico» sussurrò Sam angosciato.
“Respira”
si diceva, ma più se lo ripeteva meno ci riusciva, non sapeva come
fare, l'oscurità era così densa, più si dibatteva più questa
stringeva la sua presa, bruciandogli la pelle, era così forte che
forse sarebbe stato più semplice abbandonarsi ad essa, lasciarsi
inglobare da quella forza mostruosa.
Perché
poi opporsi? Cos'era quella flebile ma fastidiosa sensazione che gli
impediva di arrendersi? James cercò di concentrarsi su quella
sensazione su quel punto di sé così profondo. Un turbinio di colori
invase il suo campo visivo, fu così rapido che non riuscì a
distinguere nulla inizialmente. Poi più si concentrava su quei
colori più le figure si delineavano, fino a che non assunsero una
forma definita: erano lui e Steve da bambini nel loro quartiere di
Brooklyn, sì ora ricordava il loro primo incontro...
«Il
suo respiro si sta regolarizzando, i valori si stanno
riallineando...» osservò Bruce con occhi sgranati, Tony accanto a
lui seguiva l'andamento fisico del Soldato, anche lui sorpreso;
«Sta
reagendo»
«Vuol
dire che sta funzionando?» domandò speranzoso Sam. I due geni
annuirono.
Sharon
si portò le mani al volto, mentre Steve e Natasha si scambiarono uno
sguardo complice.
«Niko»
lo richiamò Tony «Procedi col secondo comando».
Il
russo annuì, odiandosi per quel ruolo ma sapeva che alla fine ci
sarebbe stata la luce. O almeno ci sperava.
«ржавое
[ruggine]»
Il
piccolo Steve si fermò di colpo, aveva smesso di inseguire la ruota
che cercavano di mantenere dritta con i loro bastoni.
Bucky
si arrestò anche lui, confuso tornò indietro e si parò davanti al
gracile Rogers nel tentativo di smuoverlo.
«Ehi
Stevie? Dai continuiamo a giocare! Prometto che non sarò così
veloce stavolta!» disse allegramente il bambino tirando per un
braccio l'amico. Steve però non reagiva, il suo sguardo era vacuo,
sembrava che nemmeno lo vedesse.
«Ehi
Stevie!? Stev-!» la voce gli si ruppe d'improvviso.
Il
piccolo, fragile Steve con una velocità inumana aveva mosso il
braccio verso il suo. James non capì subito, osservava meravigliato
l'amico d'infanzia tenere in mano un coltellaccio grondante sangue,
strano prima gli era parso un bastone innocuo. E da dove veniva quel
sangue?
Guardò
a terra... e il suo cuore smise di battere per l'orrore.
Il
suo braccio. Il suo braccio si dibatteva a terra in una pozza di
sangue, come un pesce cercava di fuggire alla terraferma. Il suo
braccio... si guardò il fianco e fu in quel momento che il dolore lo
colpì violento.
Si
piegò su se stesso e vomitò.
James
vomitò per davvero, assicurato alla sedia, si era comunque piegato
in avanti colpito da un potente conato. Con forza colpì lo schienale
mentre il suo intero corpo fu scosso da brividi violenti, pareva
avesse un attacco epilettico.
Sharon
iniziò a piangere, e Sam la tenne stretta;
«Cazzo!»
esalò.
«Non
si può fare nulla?» domandò ansioso Steve, Tony lo guardò ma
scosse il capo scuro in volto, anche lui preoccupato per le
condizioni del supersoldato. Stavano osando troppo? Per un attimo si
pentì di ciò che aveva chiesto a James Barnes.
Piangeva
Bucky, piangeva disperato, perché gli era stato fatto questo? Perché
tutto quel dolore?
Alzò
lo sguardo Steve era ancora lì davanti a lui, con una rabbia cieca
gli si scagliò contro e iniziò a colpirlo. Lottavano l'uno contro
l'altro con furia, angoscia.
Poi
finalmente riuscì ad atterrarlo e si mise a cavalcioni sopra di lui,
trionfante. Alzò il pugno pronto a finirlo, quella scena però lui
l'aveva già vissuta; sì si disse, lui ci era già passato. Fu un
frullio nell'illusione e la scena cambiò di colpo. Non erano più
bambini, erano due adulti all'interno di un helicarrier in
distruzione.
«Il
tuo nome è James Buchanan Barnes» disse lo Steve adulto con un filo
di voce «Tu sei mio amico, io sarò con te fino alla fine».
Bucky
si quietò «Steve».
Tutti
i presenti nel laboratorio tirarono un sospiro di sollievo, sembrava
che James fosse riuscito a vincere ancora una volta.
«Ancora
una, poi basta» mormorò Bruce controllando i dati ed i valori di
James, ci stava riuscendo ma il prezzo stava cominciando a farsi
sentire. Avrebbe avuto bisogno di riposo assoluto.
«Signor
Constantin...» disse e l'altro annuì.
«Vi
prego basta...» sussurrò disperata Sharon vedendo il corpo del
compagno provato e tremante.
Steve
era concorde con l'amica ma sapeva quanto fosse importante per Bucky
non essere più un pericolo per loro; si strinse a Natasha che pur
sconvolta cercò di donargli tutto il suo sostegno.
«семнадцать
[diciassette]»
E
l'incubo ricominciò, James avvertiva la testa girare, sentendosi
come non mai in balia dello psychotron, senza che nemmeno ne avesse
coscienza.
Bucky
provò a tornare in sé e riusciva a malapena a visualizzare il
soffitto grigio ed opprimente sopra la sua testa, che continuava a
vorticare. Cercò di muoversi ma si rese conto di non esserne in
grado, o meglio, qualcosa lo tratteneva per i polsi.
L'odore
di disinfettante e metallo gli aggredì le narici ma aiutò a
renderlo più cosciente. La stanza in cui era prese una forma
precisa, qualcosa iniziò a serpeggiare in lui...
«доброго
утра солдат [Buongiorno Soldato]»
disse una voce vicina a lui.
“No!”
fu il suo pensiero terrorizzato.
«Che
succede?» domandò Steve impallidito, mentre i valori di Bucky
iniziavano a precipitare, attivando l'allarme e i battiti del suo
cuore aumentavano frenetici.
«Fate
qualcosa!» urlò Sharon «Tiratelo fuori!»;
«Tony?
Bruce?» domandò Natasha poco rassicurata.
Era
lui! Era lui il responsabile del suo indottrinamento, era lui la mano
che lo comandava, era lui che gli aveva ordinato di sterminare la
famiglia di Stark.
Tutto
ciò che era stato si era incarnato nella figura di quell'ufficiale.
Lui lo aveva plasmato, lo aveva reso completo. Ecco perchè era così
terrorizzato, ecco perché aveva una fottuta paura davanti a
quell'uomo... Lui aveva reso reale il Soldato d'Inverno.
Sharon
non resisteva più. Quel dannato suono non accennava a fermarsi
mentre Tony e Bruce cercavano di ristabilire alcuni valori prima di
risvegliare James in sicurezza. Il cuore le stava martellando il
petto e l'angoscia se la stava divorando.
Si
mosse, corse verso di lui, ignorando gli altri, gli afferrò le
braccia osservando spaventata quel viso sofferente;
«JAMES!»
poi premette le labbra su quelle cianotiche dell'amato...
E
Bucky ne percepì la pressione. All'inizio fu un eco lontano, un
leggero pizzicorio sulle sue labbra. Le saggiò con la punta della
lingua, lentamente portò la sua attenzione su quella sensazione, si
concentrò sulla pressione appena percepita, cercò il suo sapore e
riuscì a ritrovarlo sulla sua bocca, quasi impalpabile. Poi il suo
nome.
«Sharon».
James
sollevò lentamente le palpebre, alzò piano la testa alla ricerca
della persona a cui apparteneva quel nome ma di lei non c'era nessuna
traccia, se ne era andata... Eppure percepiva del calore nei punti in
cui l'aveva sfiorato.
«Ci
hai fatto preoccupare...» borbottò Sam, appena apparso nel suo
campo visivo insieme a Steve e Bruce che ora lo stava visitando.
«Ha
perso molti liquidi, necessita di riposo, Steve»; questi annuì ed
insieme a Falcon presero Bucky sotto braccio per portarlo nella sua
stanza. Ma il soldato non era del loro stesso avviso.
«Tony!»
rantolò esausto «Tony» il miliardario lo affiancò osservandolo
stranito «So chi è. Ora posso darti quel nome» disse prima di
perdere conoscenza.
Iron
Man si scambiò uno sguardo con i presenti, poi annuì e lasciò che
portassero James a riposo.
Nel
tardo pomeriggio gli Avengers si ritrovarono in raro momento di
calma, nel moderno soggiorno della torre, James era costretto a letto
provato nel fisico e scosso da ciò che aveva dovuto sopportare,
l'unico pensiero confortante era che sembravano essere nella
direzione giusta. Lo psychotron si era rivelato terribile ma
incredibilmente utile.
Steve,
Tony e Clint riflettevano sulla possibilità di eliminare le
fabbriche di psychotron coordinandosi con lo S.H.I.E.L.D., che gli
aveva fornito da poco proprio quell'informazione preziosa. Credevano
che fra quelle fabbriche – molte più di quanto sperassero
purtroppo – ci fosse anche la base operativa dell'HYDRA.
Natasha
seduta lì accanto, li osservava senza ascoltare davvero, avvertiva
un senso di pericolo, o non proprio. Era inspiegabilmente vigile,
come sulle spine... L'espressione che avrebbe usato era “quiete
prima della tempesta”. Non sapeva dire se era dovuto agli effetti
devastanti dello psychotron, lei stessa gli aveva subiti e vederli
riflessi sul volto di qualcun altro l'aveva resa nervosa.
Sharon
le si sedette affianco, ancora un po' scossa.
«Va
meglio?» le domandò la russa, la Carter sospirò ma annuì decisa.
Poco
dopo qualcosa mutò e fu solo Natasha ad accorgersene. Ci mise
qualche istante a rendersene conto, la prospettiva cambiò così
spontaneamente e nel giro di pochi battiti che la sua mente impiegò
di più ad elaborare quanto stava succedendo. Tutto si svolse al
rallentatore, si alzò in piedi, senza fretta e guardò in basso.
«Steve
– nulla era troppo immerso nella conversazione – Steve... STEVE!»
urlò alla fine, la mano premuta contro il ventre, sul volto
un'espressione che nessuno le aveva mai visto prima. Sconcerto,
stupore e sopratutto una sottile ma evidente vena di terrore.
«Nat?»
sussurrò il capitano, non avendo compreso. Ma Sharon fu la prima a
ravvedersi, i suoi occhi scuri si dilatarono e la sua mano scattò
verso il cellulare.
«Mi
si sono rotte le acque».
___________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera
miei carissimi lettori! Mi scuso come sempre per l'assurdo ritardo, ma
ho dovuto fare i salti mortali questa settimana, ma immagino vi
fregherà poco visto ciò che succede a fine capitolo!
Dunque procedendo con ordine, osserviamo finalmente i Science Bros.
all'opera e direi che ci hanno pure azzeccato con lo psychotron, anche
se per Bucky è stata un'esperienza traumatica che purtroppo non
è ancora finita. L'obiettivo sembra essere raggiunto ma il
prezzo da pagare è molto alto, ed anche per gli altri non
è stato semplice assistere, per Sharon è stato un incubo
sicuro, ciò che è successo ha smosso un po' le cose fra
lei e James, ma ovviamente non sarà proprio così semplice.
Sopratutto che ora il piccolo/a Rogers ha deciso di nascere gettando
sicuramente un po' tutti nel panico! Ovviamente le conseguenze le
rimando al prossimo capitolo, ammetto che non vedevo l'ora di
arrivare a questo punto, sono mesi che penso e ripenso a questo momento
e diciamo che sono pronta... Se qualcuno vuole farmi sapere le sue idee
ben venga, vedremo se alla fine le vostre rispettive aspettative si
avvicineranno oppure no ;)
Per
ora concludo qui, è già tardi e sarò poi via per
tutto il weekend (perciò alle recensioni del capitolo 23
risponderò lunedì). Vi ringrazio per la pazienza e il
supporto! Ringrazio le numerose persone che seguono questa storia, chi
commenta, e chi legge! Vi do appunamento a VENERDI' 25 MAGGIO, sempre qui :)
Ps. per eventuali errori di battitura mi riservo di correggerli a storia conclusa, abbiate pazienza ma non ne ho il tempo.
|
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Capitolo 25 *** Family ***
25
Capitolo
Venticinque: Famiglia
“How
lucky I am to have something
that
makes saying goodbye so hard.”
~A.
A. Milne
«Mi
si sono rotte le acque».
Strano
come una frase possa mandare in tilt un intero gruppo di persone. Sei
parole che gelarono tutti sul posto per secondi che parvero infiniti;
fortunatamente ci pensò la voce di Sharon a smuovere gli animi.
«Dottoressa
Montgomery? Sì, sono Sharon Carter. A Natasha si sono rotte le
acque...» esordì con voce febbrile. Da quel momento il caos.
Steve
si alzò di scatto, completamente impreparato, e andò in verso di
lei. Malgrado avessero addirittura preparato un piano per il fatidico
giorno in quel momento la sua mente era assente, l'unico pensiero con
un minimo di senso logico che rimbalzava nella testa era “Sto
per diventare padre”. Un gran bell'aiuto davvero.
Clint
andò subito ad avvisare Laura, nessuno meglio di lei sapeva come
affrontare la situazione. Sam e Tony totalmente nel panico, ma
cercando di non darlo troppo a vedere, si aggiravano per la stanza
tanto per avere qualcosa da fare, creando ancora più confusione.
Bruce,
anima pia, era appena entrato nel soggiorno, dopo essersi assicurato
delle condizioni di James, e osò timidamente chiedere che cosa
stesse succedendo.
«Silenzio!»
proruppe Natasha, che fra tutti era l'unica tenuta ad essere
leggermente – leggermente – in panico. Allungò la mano
verso Sharon che prontamente le passò il cellulare.
Mentre
rispondeva alle domande della dottoressa, il suo sguardo lucido non
lasciava nemmeno per un secondo quello di Steve; che ripreso parte
del controllo di sé, cercava di trasmetterle sicurezza.
«Dobbiamo
andare in ospedale. Ora.» disse lapidaria.
«D'accordo.»
replicò il capitano «Sharon? Tu e Sam venite con me e Natasha.
Tony, tu e gli altri ci raggiungerete più tardi, avvisate voi Bucky
e i ragazzi» ordinò prontamente.
«Sam?»
intervenne Natasha «Chiama Maria, penserà lei a dirlo a Coulson...
La mia borsa per favore-» non terminò la frase che l'agente 13 era
già andata a recuperarla.
«Steve.
Guarda che non sono ancora in travaglio» sospirò la russa
osservando di striscio il proprio compagno che cercava stoicamente di
non cedere al panico.
«Sam,
è davvero necessario il fazzoletto bianco?» borbottò Sharon con un
braccio fuori dal finestrino dell'auto e fra le mani un lenzuolino
candido che si gonfiava incontrollato. L'ex pararescue la guardò
allucinato;
«E'
il modo più rapido, okay? Non lascerò che il mio nipotino o
nipotina nasca in una macchina!» replicò con voce un tantino
stridula.
«Sam
– berciò esasperata Natasha – non partorirò di certo ades-!»
la voce le morì in gola e dovette aggrapparsi forte alla maglietta
del capitano.
«Natasha?»
«Contrazione»
sospirò «Tutto bene».
«Sam
muoviti» ordinò Steve con sguardo grave, tenendo stretta la spia a
sé.
Arrivarono
in ospedale in tempi record, l'equipe medica della Montgomery era
pronta ad accoglierli da un ingresso secondario, solitamente usato
solo dai medici e chirurghi.
I
brillanti e giovani chirurghi, scelti e preparati personalmente dalla
dottoressa, osservarono allibiti la temibile Vedova Nera scendere da
sola dal SUV, con un diavolo per capello, mentre uno Steve Rogers
preoccupato le si affannava dietro, supplicandola di muoversi con
attenzione. Sam e Sharon, dietro di loro, scuotevano il capo.
«Dov'è
la Montgomery?» chiese bruscamente la futura mamma, intimidendo
l'intera equipe.
«Natasha.
Steve, eccomi» esordì Meredith Montgomery, comparendo con la sua
elegante figura «Vogliamo andare? Abbiamo preparato un'ala apposita
per darvi la giusta privacy».
«E'
in travaglio» dichiarò Meredith osservandola con serietà. Natasha
semidistesa sul confortevole lettino della sua nuova stanza
personale, ebbe un tuffo al cuore.
«Siamo
ancora all'inizio, la cervice ha iniziato a dilatarsi, il travaglio
vero e proprio però potrebbe iniziare fra ore. Non sono presenti
infezioni, ma date le circostanze la tengo qui, sotto osservazione».
«Perché?
Ho forse commesso-?» domandò con voce flebile la donna, ma la
dottoressa negò col capo cercando di sorriderle rassicurante.
«No.
Non ci sono cause evidenti. Forse ha semplicemente deciso che era il
momento» rispose accennando al bambino «Natasha è alla
trentacinquesima settimana e so che è le sembra ancora troppo
presto, ma il bambino non avrebbe problemi a nascere ora, i suoi
polmoni ormai sono formati, anche più di quanto ci si aspetterebbe.
Nessuna difficoltà respiratoria, è sano e forte. Aspettiamo le
prossime ore d'accordo? Steve – disse guardando il capitano – lei
è libero di restare, per quanto riguarda il resto della mmh...
squadra... sarebbe meglio pochi alla volta, non tutti insieme.
Va bene?» i due Avengers annuirono «Ah per il parto, avete
deciso?»;
«Sarò
presente» ribatté Steve sicuro.
«Molto
bene, rilassatevi ora. Presto conoscerete vostro figlio».
Rilassarsi.
Sia Steve che Natasha non erano mai stati in grado di rilassarsi in
vita loro. Mai, fin dall'infanzia entrambi avevano dovuto imparare ad
essere vigili e reattivi: Steve per contrastare i bulli che lo
consideravano alla stregua di un ratto malato; Natasha per
sopravvivere alla Red Room. Anche ora, che erano ad un passo
dall'incontrare finalmente la piccola ed innocente creatura frutto
del loro amore, pareva fossero più pronti ad affrontare l'ennesima
battaglia.
«Natasha...»
la richiamò dolcemente il supersoldato. Quando si voltò verso di
lui, vide nei suoi occhi esattamente le stesse emozioni che
albergavano anche nei suoi.
«Steve»
bisbigliò la spia non potendo continuare, sperò che il suo nome
bastasse, che il tono della voce bastasse, che lui capisse. E anche
questa volta il capitano non la deluse: si stese accanto a lei,
prendendo quasi totalmente possesso del piccolo lettino, e la spia si
schiacciò contro di lui, per quanto glielo permettesse il pancione
prominente, inspirando profondamente il suo profumo.
«Lo
so Nat. Lo sono anch'io» replicò.
Steve
attese che Natasha si abbandonasse al sonno per uscire dalla stanza.
Nel
corridoio, aspettando notizie, trovò parte della squadra: Sam, Tony,
Clint, Maria insieme a Niko e Alexandra.
Quest'ultima
gli andò incontro, i lineamenti delicati corrucciati
dall'apprensione e gli circondò la vita non le braccia magre.
«Steve,
come stanno?»
«Natasha
è in travaglio» i respiri dei presenti parvero arrestarsi
emozionati «E lei e il bambino stanno bene» continuò Steve con un
leggero sorriso, accarezzandole dolcemente i lunghi capelli.
«Quindi
ci siamo?» domandò Sam emozionato e confuso dal quel mondo precluso
ad ogni uomo che era il parto.
«Potrebbero
volerci ore, Nat è solo alla fase iniziale, ma sì direi che non si
può più tornare indietro» spiegò il capitano, vagando con lo
sguardo fra i suoi compagni, in cerca di nemmeno lui sapeva cosa,
forse pura e semplice presenza.
Sharon
era evidentemente commossa e allungò la mano per stringere il suo
braccio.
«Possiamo
entrare?»;
«Le
farà piacere, dubito che riuscirà a riposare per molto».
«Jace
verrà con Bruce e Bucky appena ritorna in forze» gli spiegò Alex
prima di seguire la Carter.
«Steve
vieni, andiamo a prenderci qualcosa da bere...» lo richiamò con
premura Niko. Lui essendoci già passato, capiva perfettamente
l'ansia del futuro genitore; l'attesa, i dubbi, la paura di non
essere all'altezza.
Sam
e Tony si accinsero dietro di loro; Clint e Maria rimasero a
pianificare la sicurezza dell'edificio e del piano. Steve gli fu
immensamente grato per ciò.
«Niko...»
esordì il supersoldato «Passerà mai questa sensazione? Andrà
meglio poi?» gli chiese con un sorriso disperato. Non riusciva a
capacitarsi di quanto fosse teso in quel momento, proprio lui che era
stato soldato durante una delle guerre mondiali, che si era ritrovato
faccia a faccia con il male e con la morte; ora avvertiva un senso di
inadeguatezza, di ansia.
«Dici
l'ansia? Il costante pensiero di non aver fatto abbastanza per il
proprio figlio?» replicò Niko con un sorriso bonario «No. O dovrei
dire che imparerai a conviverci. La sua sicurezza sarà sempre la tua
priorità, proteggerlo dalle brutture del mondo la tua missione... Ma
in cuor tuo saprai che non potrai proteggerlo per sempre e da tutto e
tutti. Farai del tuo meglio sì, e ti ritroverai a sperare che quel
“tuo meglio” l'abbia preparato, anche solo un po'. L'ansia forse
non ti abbandonerà mai del tutto ma ci saranno altre emozioni, altri
pensieri molto più piacevoli a riempirti».
«Sembra
faticoso» borbottò con il suo solito tono semiserio Tony; però nel
suo sguardo Steve colse qualcosa che non aveva notato prima di
allora. Il discorso di Niko l'aveva affascinato, o forse era proprio
l'idea di un bambino ad attrarlo.
«Lo
è» ribatté il russo con tono serafico poi batté la mano sulla
spalla del capitano e lui annuì in risposta.
«Nat,
dobbiamo chiamare l'infermiera?» chiese Alexandra preoccupata per le
condizioni della sua madrina.
«Non
ancora, tranquilla Alex sono solo contrazioni... E dovrebbero essere
quelle più deboli!» sibilò Vedova abbandonando di malavoglia il
fianco e mettendosi a camminare sotto lo sguardo vigile di Sharon.
«Aggiornamenti?»
chiese, in parte perché davvero interessata, in parte per distrarsi
da quei dolori intermittenti.
«Clint
è rimasto con Maria per disporre la sicurezza nell'ospedale, sarà
lo S.H.I.E.L.D. a fornire gli agenti, Coulson ha messo a disposizione
parte della sua squadra – anticipando la domanda dell'amica –
Melinda sta arrivando» disse con un sorriso.
«Bene.
Fury resta alla Tower?»;
«In
assenza di Tony sì, con la famiglia di Clint e Pepper. Nat, nessuno
resterà scoperto» cercò di rassicurarla, la russa annuì ma pareva
concentrata su altro. Non poteva biasimarla. Sì sentiva al limite
dell'emozione lei, figurarsi Natasha.
«Alex?
Potresti chiedere all'infermiera di prepararmi delle bende imbevute
di acqua calda? Se avessero una vasca che gli avanza non sarebbe
male»;
«Certo!»
disse entusiasta di potersi rendere utile.
«Ti
aiuto...» mormorò dolcemente l'agente 13 aiutando Vedova Nera a
stendersi e riprendere la posizione sul fianco, che serviva ad
alleviare il dolore.
«Come
va?» domandò scostandole delicatamente qualche ciocca scomposta
dalla fronte.
«Devo
davvero dirlo? Non ti sembra evidente» rispose velenosa scoccando
un'occhiata a se stessa.
«Nat...»
replicò ignorando il suo tono, ben sapendo che in quel momento
almeno era tutta apparenza.
«Боже
мой [Povera
me] non
posso più nasconderti nulla. Sono... … Terrorizzata. Fino a
qualche anno fa la mia vita era totalmente differente, non era
nemmeno mia
la mia vita, vivevo nella certezza che ciò che ero stata mai mi
avrebbe permesso di creare qualcosa all'infuori di Vedova Nera. Agivo
per conto dello S.H.I.E.L.D. come te, ma io sono sempre stata
diversa. La mia natura era quella di spia ed assassina... e lo è
tutt'oggi, solo che ora non è più dominante. Niente potrà mai
cambiare ciò che sono, ciò che mi hanno addestrato ad essere... Ma
Steve... Steve ha cambiato tutto. Una buona parte quantomeno –
sorrise divertita – lui è riuscito dove io credevo di aver
fallito. Ha portato alla luce un frammento di me che non pensavo di
possedere, di poter essere. Ho sempre badato a me stessa, ma tra poco
non sarà più così, dovrò essere responsabile per un altro essere
umano, Sharon, dovrò prendermi cura di un essere così innocente ed
indifeso, di mio
figlio, mio e di Steve. Io, Natasha Romanoff, Vedova Nera. E se... Se
dovessi sporcarlo?»
levò lo sguardo sull'amica che la fissava con occhi colmi di
emozione e lucidi di lacrime «Se dovessi alla fine corromperlo? Se
non ne fossi in grado?» bisbigliò vergognandosi di tanta debolezza.
Sharon
le accarezzò piano il capo arruffato;
«Non
succederà. Nat l'hai detto tu stessa, tu sei altro, non solo sangue
e oscurità, sei molto di più di ciò che ti hanno insegnato ad
essere. Steve te l'ha dimostrato. E guarda come ti comporti con Alex,
con Jace con i figli di Laura e Clint... Tu sei Vedova Nera, certo,
ma prima di tutto Vedova Nera è una combattente» le rivolse uno
sguardo luminoso «Che dici troppa retorica?» sdrammatizzò alla
fine. Natasha ridacchiò;
«Decisamente.
Ma ti ringrazio. Significa molto» disse afferrando la mano che
Sharon le porgeva.
Erano
ormai passate sei ore. E Steve si sentiva sull'orlo della follia: se
avesse potuto evitare a Natasha quel dolore, che ormai nemmeno lei
riusciva più a contenere, lo avrebbe fatto, se avesse potuto
assumerselo lui, lo avrebbe fatto; avrebbe fatto qualsiasi cosa pur
di alleviare anche solo metà di ciò che stava provando.
La
dottoressa Montgomery poco meno di mezzora prima aveva comunicato che
la spia era entrata nel pieno del travaglio, la cervice si dilatava e
se da un lato significava che tutto stava procedendo per il meglio,
dall'altra voleva dire che le contrazioni non solo erano divenute più
frequenti ma anche più dolorose.
«Nat»
la chiamò dolcemente. La donna voltò la testa mentre camminava
lungo il corridoio, tenendosi i reni. Indossava una semplice camicia
da notte premaman bianca, senza ricami o fronzoli, ad adornarla
c'erano solo i lunghi capelli rosso cupo. Steve la osservò oltre la
fatica, oltre il dolore e il suo battito aumentò.
«Vuoi
stenderti?» la spia annuì e ritornarono in camera.
Steve
l'aiutò e poi iniziò a massaggiarla con cura ed attenzione; la
russa gli scoccò un'occhiata sorpresa ma profondamente grata.
«Dimmi
se ti infastidisco» mormorò semiserio il supersoldato dopo un po'.
Natasha lo guardò intensamente.
«No.»
allungò una mano, Steve l'afferrò e se la portò alle labbra «Vieni
qui».
Si
sistemò sul lettino dietro la spia, facendola appoggiare a sé e
continuando a massaggiarle la bassa schiena.
«Ormai
ci siamo... Emozionata?»;
«Non
è proprio il termine che userei in questo momento. O quantomeno non
sarei così diplomatica» borbottò lei facendolo ridere.
Nonostante
il dolore, Natasha riuscì a godersi quel suono, riuscì a godersi
quel contatto: la cassa toracica del suo compagno vibrare contro la
sua schiena.
Un'altra
contrazione le strappò il sorriso;
«Steve.
Se dovesse accadermi qualc-»
«Sh.
Ti prego non dirlo» il capitano le passò un braccio intorno alla
vita e se la strinse delicatamente contro, poggiando il mento sulla
sua spalla «Non pensarlo, ti prego non-!».
La
donna gli passò una fra i biondi capelli, stendendo le labbra in un
sorriso paziente e premuroso, comprese che non era pronto per
quell'eventualità, era per lui troppo doloroso;
«D'accordo.
Va tutto bene».
«FATELO
USCIRE!» urlò, due ore dopo, una Natasha dolorante, esausta e
sull'orlo delle lacrime.
Sharon
le passo una pezza imbevuta d'acqua fredda sulla fronte, Steve si
voltò verso Meredith Montgomery;
«Non
può darle nulla?» chiese con tono incredibilmente controllato.
Doveva esserlo, per Natasha, lei aveva bisogno del suo lato più
integerrimo, aveva bisogno del Capitano.
«L'epidurale
non avrebbe effetto, o ci vorrebbe una dose massiccia e non è il
caso» replicò paziente la chirurga.
Il
supersoldato annuì mestamente, poi si avvicinò nuovamente alla
compagna;
«Nat,
puoi farcela.» le afferrò con attenzione il volto fra le mani
«Amore, respira con me».
Respirare
era l'ultima cosa che voleva fare, era stanca, stanca come non lo era
mai stata prima, desiderava che tutto finisse, voleva solo il suo
bambino fra le braccia! Era così difficile da capire?
«Non
voglio respirare! Voglio che lo facciate uscire!» replicò
bruscamente. Rifuggì la presa di Steve e lanciò un bicchiere contro
la parete; fortunatamente era di plastica.
Ricadde
sul lettino scossa dai tremori e con un'immensa voglia di vomitare
anche l'anima. Si riconosceva a stento, si coprì gli occhi con la
mano.
Sharon
e Steve si scambiarono un'occhiata ma nessuno dei due fiatò,
comprendendo il suo dolore.
«Natasha»
intervenne la dottoressa «Guardami» le disse con calma; la spia si
arrischiò a guardarla «Lo so che sta male, lo so che vorrebbe che
tutto questo passasse ma è davvero vicina a conoscere il suo bambino
e so che è questo l'unica cosa che desidera. Quindi tenga duro, lo
può fare per il suo bambino?» Natasha annuì secca. Si le sembrava
un prezzo giusto da pagare.
La
controllò un'ultima volta;
«Ci
siamo quasi, Natasha».
«Potreste
uscire tutti? Ho bisogno di un momento con Sharon».
Steve
pur temendo ciò che la spia aveva in mente, acconsentì senza
aggiungere altro.
Una
volta sole, il silenzio fra loro si dilatò per qualche momento.
«Nat-»
esordì la bionda intuendo cosa stava per dirle.
«Sharon.
Per favore – Sharon si ritrovò ad annuire, il cuore pesante – Se
dovesse accadermi qualcosa, devo avere la tua parola, so che non è
necessario, ma ne ho bisogno, d'accordo? Ho bisogno di sapere
che tu e James ci sarete per il bambino, che resterete accanto a
Steve».
Gli
occhi dell'agente 13 si inumidirono e glielo promise.
«Grazie.
Ora posso farlo».
«Natasha
ci siamo. È pronta a spingere?».
Mezzora
più tardi lei e Steve si ritrovarono in una semplice sala, con pochi
macchinari e un paio di membri dell'equipe della dottoressa
Montgomery. La spia era semidistesa, le gambe allargate e i piedi
appoggiati alle staffe. Il capitano rimase sorpreso di tutta quella
semplicità, non era come mostravano nei film.
«Lo
sono da tutto il giorno» replicò con lucida sicurezza la donna.
«Allora
dia una bella spinta» rispose prontamente la Montgomery.
Natasha
iniziò a spingere, stringendo con incredibile forza anche la mano di
Steve, senza nemmeno rendersene conto.
Il
capitano la guardava sentendosi l'essere più inutile sulla faccia
della terra, riusciva solo ad incitarla, ma gli sembrava di non fare
abbastanza. Lui effettivamente non poteva fare altro se non starle
accanto, ma non poteva condividere con lei quel dolore, non poteva
alleviarglielo; per lui era una condizione estremamente difficile.
«Steve...»
mormorò sofferente
«Sono
qui Nat, stai andando benissimo» la rassicurò lui, lo sguardo
venerante;
«Ha
ragione, Sta andando molto bene, un'altra spinta coraggio!» la
incitò anche la dottoressa.
Dopo
un po' Natasha non aveva idea di quanto tempo fosse passato, le
sembrava di star spingendo da giorni, i suoi lombi, i suoi muscoli la
pregavano di smettere, di arrendersi. Strinse i denti e diede
un'altra spinta.
«Sento
le spalle, coraggio Natasha! La parte più difficile è quasi
passata, presto potrà abbracciarlo!».
Le
ci vollero altre quattro lunghe spinte, ma alla fine...
«Ecco
ci siamo! Natasha è stata eccezionale, eccolo qui il suo bambino!»
disse con gioia Meredith mostrando un bambino perfettamente sano ai
due neo genitori completamente sconvolti.
«Perchè
non piange?» sussurrò terrorizzata Natasha, ma fece appena in tempo
a pronunciare quelle parole che il bambino proruppe in un pianto
disperato e potente.
«Sentite
qui che polmoni!» ridacchiò la dottoressa, avvolgendo il nuovo nato
in un panno dopo averlo pulito alla buona.
L'infermiera
lo prese e lo avvicinò a Natasha e Steve.
«E'
un maschietto forte e sano, le mie congratulazioni» disse la donna
con un sorriso.
I
due eroi erano completamente ipnotizzati da quella piccola creatura
che piangeva e scalpitava. Il loro bambino.
Steve
lo guardò e poi guardò Natasha, i suoi occhi erano umidi e colmi
dei più dolci sentimenti;
«Grazie»
articolò a fatica. La russa sorrise.
«Lo
tenga, questo piccoletto è così traumatizzato che ha bisogno
dell'abbraccio della sua mamma».
Accadde
tutto in un istante.
Le
braccia protese e trepidanti ricaddero esanimi, Natasha perse quasi
immediatamente conoscenza, senza riuscire a pronunciare una singola
parola e i macchinari che la monitoravano iniziarono a suonare
impazziti.
«Merda!»
imprecò Meredith Montgomery scattando immediatamente verso la sua
paziente.
Steve
restò paralizzato per attimi che parvero dilatarsi all'infinito, suo
figlio era completamente sparito dalla sua visuale, non riuscì
nemmeno a chiedersi dove fosse, perché glielo avessero sottratto
così bruscamente; poi vide tanta, troppa gente affannarsi attorno al
corpo esanime di Natasha e lui reagì prima ancora della sua mente,
protendendosi verso di lei. Ma gli fu impedito.
Improvvisamente
i rumori attutiti e i colori spenti ripreso vita davanti ai suoi
occhi, così velocemente da stordirlo.
«Steve!
Steve! Mi ascolti» la voce della dottoressa Montgomery sovrastò
tutto il resto.
«Lo
so!» disse semplicemente «Ma lei non può restare qui adesso.
Occorre tempestività e lei mi sta distraendo dal salvare Natasha»
quelle parole furono un colpo al cuore «Per favore, deve uscire,
ora! Suo figlio è stato affidato alle infermiere per i controlli e
sarò io stessa a portarla da lui. Ma ora deve andarsene, la prego».
Steve
venne trattenuto a stento e spinto indietro. Fu incredibilmente
semplice farlo uscire, talmente sconvolto non si rese nemmeno conto
di ciò che gli avveniva intorno. Il volto di Natasha e quello di suo
figlio si alternavano nella sua testa; non vedeva nient'altro.
Si
accorse appena di essere nuovamente nel corridoio, attorniato dai
volti della sua famiglia, che a stento ora riconosceva.
«Steve?»
lo chiamò piano Bucky, giunto poco prima mentre lui stava assistendo
alla nascita di suo figlio.
Il
capitano si aggrappò all'amico d'infanzia con una tale disperazione
che James ne fu realmente spaventato. Riuscì a pronunciare un'unica
parola;
«Natasha».
Sam
chiuse gli occhi e poi andò incontro all'amico, sostenendolo insieme
a Bucky. L'intera squadra era paralizzata nel panico e
nell'incertezza. Sharon cercava di controllarsi, camminava su e giù
e rischiava seriamente l'iperventilazione. Tony, Clint, Niko e Bruce
insieme a Alex e Jace scivolarono lungo la parete troppo atterriti
dalla situazione.
«E'
un maschio» disse improvvisamente Steve, con voce roca di
preoccupazione e sorrise fra gli strati di dolore. «E' sano e forte»
continuò mentre Sam e Bucky gli battevano sulla spalla emozionati.
Sharon lo abbracciò stretto, e poi venne il turno degli altri.
Avevano
perso tutti la cognizione del tempo e per questo gli parve passata
un'eternità quando Meredith Montgomery emerse dall'oscurità della
sala chirurgica.
Gli
Avengers le furono attorno in un instante ma lei si rivolse a Steve.
«Ciò
che è capitato a Natasha si chiama “annidamento in utero”»
iniziò con calma «La placenta si è annidata troppo all'interno
della parete uterina e perciò non sarebbe stata in grado di
espellerla; l'emorragia è stata piuttosto consistente e grave e
abbiamo dovuto rianimarla più di una volta, non fosse stato per i
suoi geni potenziati non saremo riusciti a salvarla»;
«Quindi
è viva, sta bene?» domandò il capitano concitato. La dottoressa
però esitò;
«Sì,
abbiamo fermato l'emorragia, ma abbiamo dovuto eseguire
un'isterectomia d'urgenza, mi dispiace» Steve chiuse gli occhi,
mentre il resto della squadra abbassava il capo mortificato.
«C'è
dell'altro vero?» mormorò Clint sfidandola quasi con lo sguardo,
Meredith annuì.
«L'emorragia
è stata massiva e abbiamo dovuto rianimarla più volte come ho
detto, i valori dovrebbero ristabilirsi ma non sappiamo quando si
risveglierà...» per Steve fu come se gli avessero strappato il
cuore dal petto «Potrebbero volerci ore o giorni-»
«O
di più?» esclamò Niko cupamente. La Montgomery annuì mesta.
«L'abbiamo
riportata in stanza, vuole vederla?» Steve annuì e si mosse come
un'automa, non riuscendo nemmeno a guardare i suoi compagni d'armi,
la sua famiglia in volto.
Sharon
iniziò a scuotere il capo e a dire “no” sempre più forte, James
con la morte nel cuore la afferrò per gli avambracci mentre lei si
ribellava sconvolta, la serrò fra le sue braccia e la tenne stretta
mentre entrambi versavano lacrime silenziose.
Sam
scorse Maria appena sopraggiunta, infilarsi in un'uscita secondaria e
la seguì. La trovò con le mani serrate alla ringhiera e
l'espressione addolorata, la maschera di freddezza gettata alle
spalle ormai.
«Perché?»
mormorò «Perché sempre loro, perché devono pagare in questo
modo?» si chiese, quando si voltò vide Sam in lacrime senza nemmeno
cercare di controllarsi.
“Tony?”
la voce di Pepper si fece preoccupata, non riuscendo a sentire il
fidanzato al telefono.
“Tony
che succede?” chiese
nuovamente con maggiore apprensione.
«Pepper-»
disse con voce sofferente «Puoi venire qui? Subito. Io... Natasha,
Steve» non riuscì a continuare.
Niko
si stava prendendo cura dei giovani Jace e Alexandra che
inconsolabili sembravano non riuscire a contenere nei loro corpi
acerbi tutta quella tristezza. Clint si era dileguato non riuscendo a
sopportare altro. Bruce mestamente osservava Niko accarezzare quelle
piccole testoline, quei due giovani catapultati in un mondo a volte
troppo grande per loro.
“People
cry, not because they're weak.
It's
because they've been strong for too long.”
~
Johnny Depp
«Appena
se la sente la accompagnerò dal bambino, d'accordo?».
Il
supersoldato annuì e la ringraziò per la sua cortesia. Si chiuse la
porta alle spalle.
Lei
era lì, apparentemente solo addormentata, in quel letto che
improvvisamente gli parve troppo grande e lei troppo fragile. Le
accarezzò i lunghi capelli, il volto ora così in quiete. Osservò
le palpebre pallide e chiuse, continuando a pensare “Adesso le
apre... Adesso le apre”.
Si
sedette accanto al letto e le prese una mano.
«Devi
svegliarti Nat, mi hai capito?» mormorò con voce sepolcrale;
«Non
puoi abbandonarmi, non puoi lasciare me e il nostro bambino... Ti
aspetta e io con lui. Natasha, ti prego, vita mia torna da me».
Steve
si portò una mano al volto e si permise di piangere, piangere come
mai aveva fatto in vita sua. Lasciando che la disperazione, la rabbia
e la tristezza lo avvolgesse.
____________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera
a tutti, sono riuscita ad aggiornare nel giorno prestabilito! Per me
è una grande soddisfazione, e ammatto che questo era un capitolo
a cui tenevo e tengo molto. Mesi che mi ronza in testa e aspetta di
essere scritto. Il figlio di Vedova e Cap è finalmente venuto
alla luce, e se da una parte tutto ciò è bellissimo e
spero che questo momento vi abbia emozionato, come un po' ha emozionato
me, dall'altra eh sembra che il prezzo da pagare sia stato alquanto
alto. E credetemi quando vi dico che quando sono arrivata al punto di
scrivere l'ultima parte di questo capiolo ho avuto un rifiuto.
Nel prossimo capitolo ritornerà il nuovo pargolo, non vi
preoccupate, ce ne sarà da raccontare... Ma in questo capitolo
ho preferito concentrarmi sui due protagonisti.
Mi scuso per eventuali errori! Provvederò a correggerli...
Intanto io vi ringrazio (chi legge, chi commenta, chi segue) e vi
do appuntamento a VENERDI' 22 GIUGNO. Vi invito a seguire la mia pagina FB, per aggionamenti e notizie.
Buon Weekend a tutti!
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Capitolo 26 *** Effetto Sorpresa ***
26
Capitolo
Ventisei: Effetto Sorpresa
"I've
come to realize that sometimes,
what
you love the most
is
what you have to fight the hardest to keep”
~
Kirsten Hubbard
Steve
si stropicciò il volto esausto; i suoi occhi si posarono su Natasha
con la morte nel cuore.
Si
poteva amare qualcuno così profondamente? Guardandola il capitano si
disse di sì. Il loro amore era sopravvissuto ai tormenti, al dolore,
alla loro stessa vita.
Si
chinò sulle sue labbra morbide.
«Torno
presto».
La
dottoressa Montgomery lo aspettava fuori dalla stanza; lo guardò con
solennità.
«Steve
sono consapevole che non è un momento facile, ma suo figlio la sta
aspettando» continuò con comprensione.
A
quelle parole un leggero calore si propagò timidamente nel suo
petto. Una luce fioca illuminò l'oscurità in cui era precipitato.
«Mi
porti da lui».
Il
neonato sonnecchiava pacifico nella sua culla, in una stanza apposita
poco distante da quella della madre.
L'infermiera
l'aveva appena cambiato e avvolto in una copertina candida, le
piccole mani premute contro le guance rosee.
Il
capitano gli si avvicinò con cautela, spaventato nel suo intimo.
Gli
infermieri glielo avevano sottratto dalla vista non appena la
situazione di Natasha era precipitata. Ora invece la figura di suo
figlio stava invadendo il suo intero campo visivo; era davvero
piccolo si ritrovò a pensare.
Osservò
ipnotizzato il suo viso tondo e sano, la bocca ben delineata, con il
piccolo labbro inferiore appena più carnoso. Sorrise timidamente e
accarezzò piano, avendo paura per la prima volta della sua forza, i
capelli rossicci che non avrebbe mai immaginato potessero essere già
così folti; si rese conto che erano simili a quelli di Natasha.
Non
riusciva a dare un nome ai sentimenti che si agitavano in lui, ma fu
quando – non senza un certo impaccio, terrorizzato all'idea che
potesse cadergli – lo prese fra le braccia che lo avvertì: un
amore totalizzante.
L'intensità
di ciò che stava provando lo scosse, e si sedette sulla poltrona lì
accanto.
Il
bambino dischiuse le piccole labbra, nel primo sbadiglio della sua
nuova vita, le manine si mossero scoordinate, strofinandosi il viso.
I suoi occhi, il cui colore era indefinito e lo sarebbe stato per un
po' di mesi, si aprirono e dopo aver vagato per qualche attimo, puntò
il suo sguardo innocente sul volto di suo padre.
Il
supersoldato sorrise commosso, mentre prendeva chiara consapevolezza
che quello fra le sue braccia era suo
figlio. Suo e di Natasha, il frutto del loro amore. Una vita che ora
dipendeva completamente da lui.
«Ehi...
Piccolo...» sussurrò con gli occhi azzurri lucidi d'affetto. Il
bambino gorgogliò tendendo le braccia grassocce verso di lui.
Steve
fece un verso incredulo, senza smettere di sorridere, stringendoselo
contro ed accarezzando teneramente il suo volto con dita tremanti.
Suo
figlio sbadigliò nuovamente e lentamente riprese il suo sonno
innocente.
«Close
your eyes
Have
no fear
The
monster's gone
He's
on the run on your daddy's here
Beautiful,
beautiful, beautiful
Beautiful
boy»
Canticchiò
Steve a bassa voce, ricordando le parole di una canzone di John
Lennon che aveva scoperto ed ascoltato tempo addietro.
Restò
con quella piccola creatura fra le braccia per un tempo indefinito.
Lo guardava dormire e gli sembrava che ad ogni nuova occhiata il
volto di suo figlio cambiasse, ogni respiro pareva unico e differente
dal precedente e dal successivo.
Gli
baciò la fronte;
«Andrà
tutto bene, te lo prometto, andrà bene» gli sussurrò dolcemente.
Dopo
poco sentì un lieve bussare alla vetrata protettiva che dava sulla
stanza; Steve alzò lo sguardo e sorrise malgrado tutto. Bucky, Sam,
Tony e Pepper, Laura, Niko, i piccoli Jace e Alexandra e Bruce lo
stavano osservando, con davvero poco riguardo per la privacy, e i
loro occhi erano tutti puntati sul piccolo Rogers, che sonnecchiava
fra le braccia sicure del suo papà, bellamente ignaro di essere
oggetto di tanta attenzione.
Il
capitano allora fece cenno loro di entrare, ma essere degli eroi
riconosciuti non significava – in certe situazioni – essere
altrettanto capaci di muoversi con attenzione e pacatezza, tanto che
furono ripresi dalle infermiere, sopratutto tre persone a caso come
Barnes, Wilson e Stark.
«Steve
è... è bellissimo» sussurrò Pepper commossa, posandogli
gentilmente la mano sulla spalla.
«Ne
facciamo uno, tesoro?» frecciò semiserio Tony beccandosi
un'occhiataccia dall'adorabile fidanzata.
«E'
così piccolo...» borbottò sconvolto Jace, insomma lui sapeva che i
bambini erano piccoli, solo che beh non ne aveva mai visto uno con
poche ore di vita così da vicino.
«Come
si chiamerà?» domandò innocentemente Sasha, guardando felicemente
colui che aveva già annoverato come cugino.
Lo
sguardo di Steve si velò di malinconia;
«Vorrei
provare ad aspettare un po' per... Natasha... So che lei aveva già
un nome ben preciso in mente».
Gli
occhi di Alexandra si fecero lucidi ma annuì, sporgendosi e
baciandogli candidamente la guancia.
«Steve
è...» Bucky era senza parole; il capitano osservò lui e Sam
fissare suo figlio quasi inebetiti, incapaci di esprimersi a causa
delle emozioni che quel piccolo essere stava scatenando in loro, si
limitarono a poggiare le mani sulle spalle dell'amico. Loro ci
sarebbero stati, per lui, per Natasha e per il bambino. A Steve bastò
e gli fu grato per questo.
A
rompere quell'idillio fu l'infermiera Florence Jenkins*, una donna
sulla sessantina dall'aria terribilmente materna e vivace, con occhi
scuri attenti e corti capelli candidi spettinati ad arte. Steve se la
ricordava perché si era occupata di Natasha prima del parto con
attenzione ed una premura sincera.
«Capitano
Rogers, dia pure a me il piccolo, tra poco si sveglierà con una gran
fame»; da come pronunciò l'epiteto “capitano” i presenti
intuirono che doveva in qualche aver avuto a che fare con l'esercito
nella sua vita.
«Ora
voi tutti fuori di qui» li rimbrottò bonaria «Questo bambino ha
bisogno di tranquillità, Capitano lei può vederlo quando vuole»;
«La
ringrazio signora Jenkins» replicò il supersoldato osservando
sollevato le affettuose cure che l'infermiera rivolgeva al figlio.
Una
volta usciti dalla stanza il capitano sospirò, come a voler buttare
fuori tutta la sua frustrazione e stanchezza soffermandosi sulla
camera di Natasha;
«Steve,
dovresti riposarti un po'...» gli suggerì premurosa Laura giunta
poco prima per conoscere il nipote, gli accostò una mano al volto;
«Lei
non vorrebbe che ti riducessi così» lanciò uno sguardo dietro di
sé «Devi darle un po' di tempo, non è facile dare alla luce un
figlio degli Avengers» disse con un sorriso rassicurante. Laura
Barton possedeva un'incrollabile fiducia negli esseri umani,
bisognava avere pazienza e perché no un pizzico di fede.
«Laura
ha ragione» concordò Niko «Clint e Maria si stanno dando da fare
con la sicurezza, e siamo tutti qui per voi» il resto del gruppo
annuì sicuro.
«Dagli
ascolto Capsicle, o Natasha ti farà lo scalpo una volta sveglia»;
«Grazie,
io seguirò il vostro consiglio... Datemi solo un momento» replicò
guardando grato coloro che aveva accanto.
«Noi
siamo qui, Stevie» gli ricordò Bucky utilizzando quel vecchio
nomignolo che derivava dritto dalla loro infanzia.
Natasha
però non era sola.
«Sharon!»
la richiamò il supersoldato. Si era chiesta in effetti dove fosse.
«Steve»
tirò sul con il naso, sistemando e lisciando il lenzuolo all'amica
dormiente «Mi spiace non averlo visto insieme agli altri... Ma non
riesco» una lacrima scivolò brutale sul volto stanco «Non posso
conoscerlo, toccarlo, prenderlo fra le braccia prima di lei. Non è
giusto, dovrebbe esserci Natasha in quella stanza con vostro figlio,
dovrebbe toccarlo, coccolarlo, è sua madre non è giusto! E io non
posso-»
«Ehi,
lo so» la fermò gentilmente il capitano abbracciandola «Lo
capisco, ti capisco» il suo sguardo si crucciò «Non ti
preoccupare, grazie per restarle accanto. Dobbiamo avere pazienza,
giusto?» le chiese quasi a voler cercare una conferma, una speranza
in lei.
«Sì,
dobbiamo essere pazienti Steve, lei è sempre tornata. Ricorda è
sempre tornata da te, e lo farà anche per suo figlio» ribatté con
rinnovata fiducia, asciugandosi con le dita le lacrime che avevano
ricominciato a scorrere, traditrici.
«Come
sta il piccolo?» chiese cercando argomenti più lieti. Era convinta
che Natasha in qualche modo potesse ascoltarli.
«Bene,
è sano, bellissimo, il colore dei capelli è il suo» rispose
inevitabilmente commosso. L'agente 13 sorrise felice ed annuì;
«Ora
vi lascio soli, vado a controllare che nessuno si faccia buttare
fuori dall'ospedale» scherzò.
Rimasto
solo afferrò la poltrona reclinabile e la trascinò accanto al letto
in cui Natasha riposava, apparentemente solo addormentata.
«Hai
sentito Nat? Nostro figlio ha preso da te... » le prese la mano,
avvolgendola completamente nella sua «E' così piccolo, ho paura di
fargli male solo sfiorandolo, ma tu sapresti cosa dirmi per
tranquillizzarmi, glielo ho promesso, gli ho promesso che sarebbe
andato tutto bene, perciò amore mio devi aprire gli occhi, ancora
una volta... Torna da me».
TRE
GIORNI DOPO...
Steve
guardava suo figlio, affranto.
Il
piccolo Rogers aveva cominciato a piangere sempre più spesso,
sopratutto con l'esaurirsi del terzo giorno; l'intera squadra nel
mentre sembrava essersi trasferita nel reparto dell'ospedale. Steve
non aveva lasciato nemmeno per un secondo la sua famiglia facendo
spola tra Natasha e il bambino; Sharon si era allontanata
dall'ospedale solo per portare un cambio al capitano, che stoicamente
tentava di tenere tutto insieme, compreso se stesso.
Florence
Jenkins, si era rivelata fondamentale per l'educazione del neo
genitore prendendosi cura non solo del piccolo ma anche di lui; ora
cullava il neonato nel tentativo di calmare quel pianto straziante.
«Che
cos'ha?» domandò preoccupato Bucky accanto all'amico;
«Vuole
sua madre» replicarono in coro l'infermiera e Steve con sguardo
vitreo. Miss Jenkins sorrise comprensiva in direzione del neopapà.
«Esatto,
questo povero piccolo ha bisogno di sentire il tocco materno, il suo
profumo, la sua pelle. Ha bisogno della sua mamma» spiegò con un
sorriso desolato la donna. “Non è il solo”
ribatté mentalmente Steve.
Ma
Natasha purtroppo giaceva ancora inerme su quel letto, che al
capitano pareva ogni giorno troppo grande per lei, la dottoressa
Montgomery era incoraggiante, così come i risultati; ma lei ancora
non si svegliava.
«Capitano,
se lei è d'accordo potremmo provare a portarlo per un po' nella
stanza della signorina Romanoff. Anche solo l'avvertire la sua
presenza dovrebbe giovare al bambino»;
«Ma
certo» replicò Steve stanco «Farà bene anche a Natasha».
E
funzionò.
Il
bambino spostato accanto al letto di Vedova Nera lentamente si
quietò, riprendendo la normale respirazione, quasi a ritmo con
quella della madre.
Per
Steve invece era straziante guardare le due persone che più amava
così vicine eppure irrimediabilmente lontane.
E
lo compresero anche Bucky e Sam che cercarono di confortarlo.
«Andrà
bene Steve, come hai detto tu» gli assicurò Sam.
*
All'inizio
fu una singola sirena dell'ambulanza, a cui presto se ne aggiunsero
altre, insieme a quelle dei vigili del fuoco e della polizia di New
York. Doveva essere accaduto qualcosa di brutto.
«Steve?
Ti ho portato qualcosa da mangiare» Sharon entrò con passo felpato
nella stanza buia dove il capitano si era concesso – dopo le
insistenze di tutti – del sano riposo.
«Che
succede? Sento le sirene...» domandò con voce impastata dal sonno.
«A
quanto dicono ci dev'essere stato un cedimento dell'asfalto che ha
causato anche il crollo di una palazzina, i soccorsi sono partiti in
massa, si aspettano molti feriti»
«Capisco».
Un
concitato brusio all'esterno però insospettì i due, Steve abbandonò
totalmente l'idea di lasciarsi andare al dolce oblio di Morfeo.
«Che
succede?» chiese alla dottoressa Montgomery, era la prima volta che
la vedeva così agitata.
«Io
non capisco, le ambulanze non riescono a raggiungere l'ospedale!
Dicono che c'è una sorta di posto di blocco che le fa deviare a
pochi metri dall'edificio»;
«Steve!»
Occhio di Falco correva rapidamente verso di loro;
«Clint,
è lo S.H.I.E.L.D. che impone il blocco?»
«No!
Nessuno ha mai dato un'ordine simile»;
«Non
mi piace» disse pensierosa Sharon e dallo sguardo dei due compagni
capì che la pensavano allo stesso modo.
Trovarono
il resto della squadra “accampato” in una specie di sala d'attesa
del reparto privato. Clint non fece in tempo a prendere parola che
gli schermi della stanza iniziarono a ronzare fastidiosamente prima
di proiettare il simbolo dell'Hydra.
«Ditemi
che è uno scherzo» esalò Sam. Ovviamente non fu così.
Il
volto disturbante di Aleksander Lukin apparve, come nel peggior
incubo di Steve.
«Buonasera
Capitano Rogers» era Teschio
Rosso che parlava «Volevo
tremendamente porgere i miei omaggi a tuo figlio»
il supersoldato divenne di pietra a quelle parole «Mi
perdonerai il trambusto ma non stavo più nella “pelle” all'idea
di poterlo incontrare, è il benvenuto qui da noi»;
«Bastardo»
sibilò Bucky cupo come non mai;
«La
questione è semplice: a te la scelta Capitano! La vita di tuo figlio
contro quella di poveri ed innocenti pazienti presenti nell'ospedale»
con quelle ultime terribili parole lo schermo si spense.
«Chi
ha voglia di prendere a calci il caro zietto Teschio Rosso?»
borbottò Tony alzando la mano.
«Ci
hanno chiusi qui dentro» ragionò Bruce «Hanno convogliato le forze
dell'ordine lontano da qui... Il crollo era un diversivo»;
«Dobbiamo
dargliene atto, con i diversivi ci sanno fare» commentò Clint con
cupa ironia.
«Steve!»
lo richiamò Maria trafelata sopraggiunta con Melinda May, anche loro
dovevano aver sentito il discorso dei loro nemici.
Il
capitano si prese un secondo per concentrarsi, poi decise:
«Dottoressa
Montgomery? - la donna quasi scattò sull'attenti – è possibile
far uscire i pazienti da un'uscita secondaria? O che normalmente non
verrebbe utilizzata a questo scopo?»
«Sì.
Sì è possibile, il problema sono i pazienti più gravi quelli
attaccati alle macchine o con gravi patologie che non riuscirebbero a
sopravvivere al di fuori di un ambiente medico specializzato» Steve
ci rifletté su;
«Procedete
con l'evacuazione, vi consiglierei di spostare ogni singolo paziente,
chi non può collocatelo lontano dal piano terra e dai primi...»
«Capitano,
per Natasha e suo figlio?» l'uomo con espressione mortalmente seria
negò col capo. Meredith Montgomery annuì prendendo atto di quella
decisione;
«D'accordo.
Buona fortuna a tutti voi!».
«Stevie
ne sei sicuro?» chiese seriamente preoccupato James;
«Probabilmente
è quello che si aspettano» disse Clint dando voce ai pensieri del
compagno «Restando qui, possiamo comunque gestire la situazione
sapendo esattamente la sua posizione.»
«Non
è l'ideale, lo sto deliberatamente mettendo in pericolo» abbassò
il capo qualche attimo, quando lo rialzò, ciò che vi era scolpito
metteva seriamente paura. Era lo sguardo di chi aveva deciso, di chi
volontariamente si era messo su quella strada e l'avrebbe percorsa
fino alla fine, di un uomo che aveva tutto da perdere e ne era
perfettamente consapevole.
«Ma
se arriveranno a mio figlio significherà che io ho fallito e sono
morto» i suoi compagni si strinsero a lui e giurarono che le sue
parole non si sarebbero mai avverate.
«Situazione?
Chi è rimasto?».
«Pepper,
Laura e i ragazzi sono tornati alla Tower ore fa» rispose Tony serio
«Fury è con loro, le difese sono attive, se la situazione si fa
critica ci raggiungerà» Steve annuì.
«Io,
Bobbi e Hunter siamo a tua disposizione. L'ospedale- » la luce si
spense di colpo e le luci di emergenza reagirono immediatamente, Sam
andò alla reception ed afferrò il telefono. Imprecò.
«Ci
hanno chiuso fuori!»;
«Il
cellulare non prende» constatò Sharon.
«Beh
c'era da aspettarselo» sospirò Bucky con le mani che prudevano.
«Lo
S.H.I.E.L.D. Melinda?»;
«Abbiamo
degli agenti sì. Purtroppo non siamo riusciti a contattare Coulson,
ma credo che non ci metteranno molto a capire».
«D'accordo.
Ascoltate è molto probabile che facciano opera di contenimento se
non addirittura di logoramento su di noi, aspetteranno un nostro
attimo di distrazione per superare la nostra linea, l'obiettivo è
mio figlio, non dobbiamo dargli l'occasione per entrare in questo
edificio. Melinda ti unirai a noi, Bobbi e Hunter saranno di guardia
al reparto. Bruce non vorrei chiedertelo ma-»;
«Non
devi infatti. Ci sto!».
«Andiamo
a scatenare una bella rissa di strada!» terminò Iron Man con il suo
solito sarcasmo che riuscì a far sorridere i presenti.
Quello
che però non sospettavano è una serpe si era già introdotta nel
nido.
«Signorina
ce la fa? Si appoggi a me» l'aiutò l'infermiere premurosamente.
K
restò volutamente isolata dal flusso di pazienti e medici che si
avviava verso un'uscita secondaria; afferrò l'uomo che le aveva
offerto sostegno e gli ruppe l'osso del collo.
Steve
impeccabile nella sua divisa e con l'iconico scudo assicurato alla
schiena, cercava di tranquillizzare il figlio, in lacrime fra le sue
braccia; era come se lui sapesse, come se avvertisse il pericolo
imminente che tutti loro correvano.
«Sh...
Non piangere, andrà tutto bene, tornerò presto» sussurrava
dolcemente.
«Capitano,
me lo dia pure, ci penso io ora»;
«Miss
Jenkins è sicura di non volersene andare?» le chiese per l'ennesima
volta il supersoldato.
«Sicurissima
Capitano! Se io me ne vado chi si occuperà di queste due
meraviglie?» trillò incredibilmente allegra, accennando a Natasha e
al bambino «Sa sono cresciuta in una famiglia di militari, io stessa
ho prestato servizio, malgrado fossi appena maggiorenne, come
infermiera sul campo durante gli ultimi anni della guerra del
Vietnam, persi mio marito nella prima guerra del Golfo, dal quel
momento niente fu più lo stesso. - il suo volto era soffuso d'una
dolcezza malinconica che commosse Steve – i miei bambini sono
grandi ormai. Ho visto da vicino gli orrori della guerra e le
atrocità che può commettere l'essere umano, io resto».
«Grazie»
replicò l'uomo ammirato, porgendole il bambino. Riportò il piccolo
nella stanza, lasciandogli un momento di privacy.
Steve
si chinò su Natasha, i suoi occhi si bearono e si riempirono di lei,
le depose un bacio sulla fronte, promettendosi di baciare quelle
labbra solo se fosse riuscito a sopravvivere alla notte.
«Ti
amo».
«Clint.
Tony. Quando volete!» sussurrò il capitano attraverso l'auricolare.
Lui insieme a Bucky, Sharon, Maria, Melinda, Niko e Bruce, con alcuni
agenti dello S.H.I.E.L.D. erano asserragliati dietro una barricata
improvvisata con sedie, lettini, armadi rovesciati; l'ingresso
principale continuava ad essere trivellato di colpi per questo
nessuno di loro poteva muovere un passo. L'Hydra li stava
letteralmente aspettando al varco.
«Hai
sentito Legolas? Facciamo decollare questa festa!»
e partirono all'attacco.
Clint
dalla posizione sopraelevata scagliò le sue frecce esplosive dritte
verso la prima linea nemica, che in quel momento impediva ai suoi
compagni di agire. Tony lanciava piccoli missili in vari punti
cercando di rompere il loro assetto.
«Cecchino
individuato» disse Occhio di Falco mentre Iron Man seguendo le sue
indicazioni intercettò un colpo diretto a loro. La loro posizione
era compromessa.
«Pronto
Sam? Ho un po' di carne fresca per te» berciò l'arciere comunicando
le ubicazioni dei cecchini, mentre Falcon si lanciava da un piano più
alto pronto ad eliminare i suoi avversari.
La
via fu liberata e questo permise alla squadra di terra di
contrattaccare finalmente.
«Sin!»
gridò Steve tentando volutamente di attirare l'attenzione della
figlia di uno dei suoi peggiori nemici. Doveva tenerla sotto
controllo, e se l'unico modo per farlo era quella di affrontarla
direttamente... Diavolo se l'avrebbe fatto.
«Oh
Capitano! Quale onore essere riconosciuta da un tale esempio di
rettitudine e virilità!» replicò immediatamente Sinthea,
esibendosi in un impeccabile ed elegante inchino.
«Tuo
padre è troppo vigliacco per affrontarmi?»;
«E'
davvero impegnato in questo momento, sai la conquista del mondo. Ma
credimi per te, io basto e avanzo» le sue labbra rubre si aprirono
in un sorriso da squalo.
«Questo
è da vedere» e lo scontro divenne fisico.
Bucky
invece andò dritto verso Brock Rumlow prima anche solo potesse
scorgere Sharon con lo sguardo. Lo aggredì con forza ma la risposta
di Crossbones non si fece attendere.
«La
cosa finisce stanotte Rumlow!»
«Io
non credo proprio».
Falcon
ed Iron Man tentavano di sfoltire le fila nemiche dall'alto e il
ruggito bestiale di un Hulk appena risvegliato sollevò non di poco
l'umore degli Avengers, almeno finché...
Tony
si lasciò ad andare ad una bestemmia colossale;
«Questa
è violazione del copyright!» strepitò subito dopo, guardando
indignato ciò che l'Hydra aveva messo in campo per contrastare la
minaccia di Hulk.
Era
di certo una versione più rozza e dal design discutibile ma quello
che aveva davanti agli occhi era un Hulkbuster. Hackerando JARVIS
quella volta gli avevano pure sottratto i dati sul suo prototipo.
Affronto su tutta la linea.
Tony
volò dritto da Hulk e cercò di farlo concentrare.
«Ehi
bestione lo vedi quello? Ecco adesso io e te distruggeremo il loro
nuovo giocattolo!» la parola “distruggere” fu tutto quello che
bastò all'energumeno verde per partire all'attacco.
Clint
invece era impegnato con uno dei Winter Soldier, quello che aveva
intravisto a Las Cruces, colui che aveva osato attaccare la sua
famiglia e ridurre in cenere la sua casa.
«Muori»
esordì atono L all'arciere apparentemente messo all'angolo. Occhio
di Falco scompose a velocità impressionante l'arco fra le mani e
questo si ricompose in un'alabarda a doppia lama, bloccando così il
colpo che doveva essere quello fatale.
«Magari
un'altra volta eh!».
Niko
e Melinda insieme a Sharon e Sam dall'alto contrastavano i soldati
fedeli all'Hydra. Capirono immediatamente che il loro unico scopo era
quello di tenerli impegnati ed era pure chiaro che non avevano messo
in campo tutte le forze a loro disposizione, per loro quello non era
l'attacco finale e decisivo, era invece piuttosto come una
scorribanda mirata, allo scopo di logorarli psicologicamente e
renderli insicuri nel loro stesso territorio.
«Dimmi
Capitano non ti ricordo lei?» celiò Sin con tono mellifluo
cercando di colpire il suo avversario al fianco «A proposito ho
saputo che non sta molto bene, sai io ho ucciso mia madre venendo al
mondo, chissà se anche tuo figlio farà lo stesso con la sua, forse
noi siamo una stirpe maledetta» raccontò ridacchiando perversa,
Steve le lanciò contro lo scudo che lei però evitò.
«Non
provare a paragonarti a lei, e nemmeno metterti sullo stesso
piano di mio figlio. I tuoi bassi commenti non mi toccano»
replicò il capitano glaciale. Erano entrambi malconci, eppure
nessuno dei due era ancora riuscito a prevalere sull'altro. Sin stava
cominciando a stancarsi, quell'uomo la rendeva nervosa.
Nel
frattempo Tony e Hulk avevano messo in ginocchio l'Hulkbuster,
riducendolo a delle lamiere informi. Il genio però si prese un
momento per riflettere su quanto fosse stato semplice, il suo
prototipo non era certo così debole strutturalmente, e se...?
Brock
Rumlow non ne voleva sapere di morire, e riuscì a liberarsi dalla
presa del Soldato d'Inverno, si diresse verso Sinthea mentre lasciava
il suo avversario in balia dei suoi sottoposti.
«Sin
– le urlò – lo S.H.I.E.L.D. è in arrivo» e lei afferrò al
volo.
«E'
un vero peccato dover interrompere questo delizioso dialogo Capitano»
«Ciò
che state facendo, questa insulsa battaglia con lo scopo di
logorarci, di farci capire che non siamo al sicuro nemmeno nella
nostra casa non funziona più Sin. Nessun vostro uomo è riuscito a
varcare la soglia dell'edificio, hai fallito. E non credere che io ti
lasci andare così».
Per
tutto il tempo però la ragazza non aveva perso il suo felino
sorriso, un dispositivo scivolò nella sua mano e senza troppi
fronzoli o parole lo premette; bombe fumogene ed alcune stordenti si
attivarono spiazzando gli Avengers che furono costretti a subirne gli
effetti.
I
pochi superstiti dell'Hydra, con L, Sin e Rumlow si aggrapparono a
delle corde discese praticamente dal nulla, ma quando i fumogeni si
diradarono gli Avengers compresero che era troppo tardi. Nessuno se
ne era accorto ma il Bus, ormai da molto tempo nelle loro mani, era
sospeso in attesa sopra i grattacieli della città. E la domanda era
solo una: come faceva un aereo del genere a volare indisturbato
evitando di essere segnalato da qualsiasi radar, inclusi quelli dello
S.H.I.E.L.D.?
«Capitano!»
urlò Sin ormai lontana «Sei davvero sicuro che nessuno, nessuno non
sia entrato in quell'edificio? - rise – Queste battaglie lampo non
servono a nulla? Io direi di guardarti allo specchio ora! Non hai
idea di quanto quell'espressione mi faccia godere. Chissà magari io
e il tuo adorato pargolo ci incontreremo prima del previsto!».
Non
perse nemmeno un secondo Steve, seguito a ruota da Sam e Bucky corse
al reparto privato preoccupato per il figlio. Il suo cuore venne
vinto dall'angoscia non appena vide il vetro protettivo della nursery
infranto e l'intera stanza messa a soqquadro, Bobbi e Hunter spariti.
I suoi occhi saettarono fulminei verso la culla del figlio e il
gemito gli si strozzò in gola.
James
e Sam si scambiarono uno sguardo terrorizzato e si affrettarono
dietro l'amico.
Ad
accogliergli c'era l'immancabile infermiera Jenkins che diligente al
proprio mestiere riorganizzava l'intera stanza, malgrado lo zigomo
offeso svolgeva il suo lavoro con tranquillità. Alla vista dei tre
sollevò un sopracciglio, sorpresa dalla loro confusione.
«Gli
agenti dello S.H.I.E.L.D. hanno già preso in custodia l'intrusa»
rispose efficiente;
«Che-
Cosa?» esalò il capitano non capendo «Dov'è mio figlio?» berciò
con voce cupa.
L'infermiera
a quel punto sorrise comprensiva;
«Oh
nelle braccia più sicure del mondo, Capitano Rogers» celiò lei
serena.
Steve
sbatté le palpebre in evidente confusione, il suo cuore iniziò a
pompare sangue molto più velocemente, se qualcuno non gli riportava
il suo bambino nei prossimi dieci secondi sarebbe esploso.
«Che
significa? Con chi è mio figlio?» chiese senza fiato. Florence
Jenkins lo guardò con espressione benevola ed ebbe pietà del
supersoldato;
«E'
con sua madre».
*Il
nome dell'infermiera Florence Jenkins l'ho ripreso da Florence Foster
Jenkins, soprano americano che non possedeva però alcuna dote
canora. Portata sul grande schermo da quel mostro sacro di Meryl
Streep, ho letteralmente adorato il film e il personaggio, e così
quando ho creato il personaggio dell'infermiera ho deciso di rendere
un piccolo omaggio.
_______________________________________________________________________________Asia's Corner
O
no? E anche questo capitolo è andato e credetemi è stata
una faticaccia! Ma sono abbastanza soddisfatta del risultato e spero
che lo sarete anche voi.
Direi che vi ho dato la giusta dose di "angst" e dolcezza. Cosa ne
pensate dell'infermiera Miss Jenkins? Io avrei già mezza idea
per lei... Ma spero che via piaccia quanto è piaciuto a me
scriverne.
Direi che anche questo capitolo parla un po' da sè, eventuali
quesiti lasciati qua e là verranno chiariti prossimamente, e se
siete curiosi di sapere cos'è successo nelle ultime battute di
questo capitolo, beh mi spiace dirvi che dovrete aspettare il prossimo
capitolo (lo so, ma una buona parte è già nella mia testa
e ho già scritto qualche pezzo qua e là) che verrà
postato esattamente VENERDI' 03 AGOSTO (Mi impegnerò per restare nei tempi promesso!).
Nel mentre quanto era puccioso Steve con il figlio? A d o r a b i l e!
A proposito la canzone è "Beautiful Boy" di John Lennon (se
volete ascoltarvela mentre leggete alcuni pezzi del capitolo, io ve la
consiglio).
Detto
questo io passo come sempre a ringraziarvi TANTISSIMO del sostegno che
mi date, sopratutto nella mia pagina autore su fb "Asia Dreamcatcher"
(venite a dare un'occhiata!) ringrazio anche i lettori silenziosi e
quelli che commentano (arriveranno le risposte tra qualche giorno,
promesso).
A presto!
|
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Capitolo 27 *** Motherhood ***
27
Capitolo
Ventisette: Motherhood
“Vedi,
la gioia che prova una madre
quando
coglie il primo sorriso del suo bambino
dev'essere
proprio la stessa che prova Iddio ogni volta che, su dal cielo,
vede
un peccatore che gli rivolge una preghiera con tutto il suo cuore.”
~
“L'Idiota”, Fëdor
Dostoevskij
Qualcosa
stava mutando.
Il
buio che l'avvolgeva si stava diradando.
Per
primo percepì un formicolio leggero alle mani, le dita si mossero
sentendo nuovamente lo spazio attorno a sé. Finalmente l'oscurità
si stava ritirando.
Un
profumo conosciuto le risvegliò i sensi... Il profumo della persona
amata.
Il
suo corpo iniziò a riprendere contatto con la realtà, si
risvegliava, tornando prepotentemente alla vita.
Inspirò
a pieni polmoni e finalmente il mondo rivide il verde cristallino che
possedevano gli occhi di Natasha Romanoff.
Mosse
il capo a destra e a sinistra riconoscendo quasi immediatamente il
luogo in cui si trovava, la sua mano corse al ventre, un gesto ormai
familiare e istintivo ed un panico inaspettato la colse. Si levò di
scatto tastandosi spasmodicamente la pancia trovandola vuota,
piatta...
“Dov'era?
Dov'era il suo bambino?” si chiese disperatamente. Poi piano piano
i ricordi iniziarono a tornarle in mente e si quietò.
Lei
aveva partorito, suo figlio era venuto alla luce, ci era riuscita...
«Steve...?».
La
voce le uscì arrochita, stentata. Sapeva per certo che lui era stato
lì, sentiva la sua presenza tutta attorno a sé; in quel momento
però vi era un'altra domanda che le premeva: dov'era suo figlio ora?
Il desiderio di vederlo era di minuto in minuto sempre più
bruciante.
Il
prolungato silenzio però la mise in allerta, distogliendola dai suoi
pensieri. C'era qualcosa di innaturale, erano pur sempre in un
ospedale, perché tutto sembrava così “sospeso”?
Si
alzò con cautela, una volta assicuratasi di essere stabile sulle
proprie gambe passò a stiracchiarsi, tese i muscoli cercando di
capire quanto il suo fisico era in grado di reggere. Si sentiva in
forma e decise di uscire a dare uno sguardo fuori dalla sua stanza.
Qualcosa
di certo non andava. La luce era fioca, poiché solo quelle
d'emergenza erano funzionanti, il personale assente; pareva di essere
in un brutto film dell'horror.
Natasha,
cercando di tenere i suoi sensi ben allerta, si diresse verso le
porte che dividevano un reparto dall'altro, ma quando ne aprì una la
sorpresa fu grande.
«Bobbi?
Hunter-».
I
due agenti dello S.H.I.E.L.D. erano riversi a terra, Lance Hunter era
svenuto e la sua testa era sorretta da Bobbi Morse appoggiata contro
la parete, il respiro pesante.
«Natasha?
Grazie a Dio sei sveglia!» esalò la ragazza.
Vedova
si avvicinò ai due, entrambi erano messi male.
«Hunter
sta bene? Ce la fate?»;
«Sì.
Io credo- Lance ha ricevuto un brutto colpo alla testa... Ma non è
importante al momento – le afferrò il braccio – vogliono tuo
figlio! Il capitano e gli altri stanno affrontando l'Hydra, ma uno
dei loro Winter Soldier è penetrato all'interno, noi ci abbiamo
provato, Natasha ci abbiamo provato-»
«Sh,
non ti affaticare, ne sono certa. Dov'è ora?»
«Nella
nursery alla fine del corridoio dietro di te. L'ho ferita al fianco
ma-»
«Ho
capito. Resistete d'accordo?» Bobbi le dette la sua parola.
Natasha
inspirò e si voltò. Percorse il corridoio con lo sguardo che
prometteva atroci sofferenze a chiunque si sarebbe messo fra lei e il
suo bambino.
Entrò
nella nursery ed osservò la coraggiosa infermiera frapporsi fra suo
figlio e la giovane, per poi cadere a terra colpita con violenza.
«Sfioralo
e sei morta» sibilò glaciale.
K
si voltò sorpresa di non aver avvertito prima la sua presenza. Ma
non si tirò indietro e le si scagliò contro.
Natasha
si preparò all'urto mentre veniva spinta contro l'armadio dietro di
lei, la sua mente registrò con dolore il pianto disperato di suo
figlio.
Decisa,
afferrò la sua avversaria e la allontanò da sé, poi senza darle
abbrivio le artigliò il braccio e la fece scontrare duramente contro
il vetro protettivo, che si crepò.
Resistente,
malgrado la ferita causata da Morse le bruciasse, la soldatessa si
riprese e continuò a colpire Vedova Nera, che però riuscì a
sferrarle prima un calcio e poi compiendo mezza piroetta in aria
gliene rifilò un altro.
K
provò per la prima volta in uno scontro reale terrore, quella donna
possedeva una furia controllata, la sua espressione prometteva morte.
Strinse i denti continuando ad affrontarla.
Ma
la ragazza non poteva comprendere la forza della sua avversaria, che
scaturiva da un primordiale istinto di protezione nei confronti del
proprio figlio. Natasha era forte, ma ciò che la rendeva superiore
era che aveva qualcuno da proteggere, aveva qualcosa per cui
combattere.
Alla
fine Vedova riuscì a scaraventarla nuovamente contro il vetro che si
ruppe definitivamente attorno al corpo di K che crollò ferita dalle
schegge, la carne lacerata, nel corridoio e dopo aver boccheggiato
per qualche istante, come se l'ossigeno non le fosse più
sufficiente, svenne.
Assicuratasi
che fosse davvero svenuta rivolse la sua attenzione all'infermiera
che stoicamente si era rimessa in piedi.
«Sta
bene?» domandò «La ringrazio per averlo protetto».
«Oh
bambina – l'appellativo la fece sorridere – sono solo dei graffi
questi. Piuttosto sono felice che si sia ripresa, mi sono presa la
libertà di occuparmi anche di lei durante la sua convalescenza, il
povero Capitano era così in pena, per non parlare di questo
piccolino, sa sentiva molto la sua mancanza» Natasha non aveva mai
provato istintivamente affetto o simpatia per una persona, sopratutto
non appena conosciuta; Miss Jenkins fu la prima.
«La
ringrazio allora per essersi presa cura della mia famiglia. Le potrei
chiedere un favore? Ci sono due agenti feriti in fondo al corridoio,
potrebbe occuparsene?»;
«Nessun
problema.» poi la guardò con dolcezza «Ora invece lei dovrebbe
occuparsi di questo scricciolo qui» disse accennando al bambino
nella culla, che continuava a singhiozzare.
Natasha
trattenne il fiato, ora era lei ad avere paura. Aveva lottato come
una leonessa perché nessuno gli facesse del male, ed in cuor suo era
preoccupata di poterlo ferire. Ma non poteva più ignorare il suo
pianto, la stava reclamando a gran voce, scavando un solco nel suo
petto.
«E'
sua madre, non potrà fargli nulla di male» la incoraggiò
l'infermiera con un sorriso gentile.
La
russa si sporse verso la culla ed il
suo cuore tremò d'emozione nel vedere finalmente suo figlio. Dio,
era così bello ed anche così piccolo... era perfetto,
sì non
avrebbe saputo usare parola migliore, con i capelli folti e rossicci,
il naso piccolo, le labbra delineate e piene.
Una
parte di lei aveva timore di sporcarlo con il semplice tocco, le
sembrava che le sue mani fossero lordate di sangue impossibile da
lavare. Ma l'altra parte di sé prese il sopravvento e sorrise: un
sorriso dolce e rassicurante. Facendo estrema attenzione lo prese fra
le braccia, avvicinandoselo al petto; non sapeva come, ma le sembrò
che le sue mani sapessero già come sorreggerlo.
Il
bambino emise ancora qualche vagito agitato poi si calmò
d'improvviso, lentamente le sue sottili palpebre si sollevarono e i
suoi occhi, di un colore ancora non ben definito – ma Natasha era
convinta che avrebbero avuto la stessa tonalità di azzurro del suo
papà – puntarono dritti verso il suo volto, come se sapesse già
dove guardare, come se sapesse già chi fosse; e forse era davvero
così. Natasha lo sentì forte dentro di sé, loro due – madre e
figlio – già si conoscevano, era come se guardandolo la spia
sapesse già tutto di lui, nei suoi occhioni lei poteva leggere ogni
cosa del suo bambino.
«Ciao...»
mormorò commossa Vedova. Il neonato gorgogliò vivace e si agitò
nel suo fagotto di coperte, lasciandola senza fiato, era felice di
vederla. Le sue labbra tumide tremarono appena senza che smettessero
di sorridere;
«Ciao...
солнешко
[piccolo
sole]»
ripeté baciando piano la fronte liscia, e quelle guance adorabili.
L'aveva chiamato “piccolo sole”, le sue labbra avevano articolato
quell'appellativo spontaneamente, senza nemmeno che la mente si fosse
impegnata. Era proprio ciò che suo figlio era per lei: un sole.
Un'incredibile fonte di luce e calore; lui e Steve i suoi soli.
Le
aveva scaldato l'anima semplicemente riconoscendola: allungando le
braccia grassocce verso di lei, perché l'aveva riconosciuta, sapeva
che lei era la sua mamma.
«...Posso-?»
domandò incerta a Miss Jenkins, che annuì intenerita da quella
donna così letale e che ora trasmetteva, senza rendersene conto, una
dolcezza sconfinata.
«Certo
mia cara, è suo figlio dopotutto».
Prima
di tornarsene in stanza con suo figlio, si assicurò che la Winter
Soldier non potesse più nuocere, aiutando l'infermiera a legarla
saldamente e a porla sotto flebo di un sedativo potente. La lasciò
occuparsi di Bobbi e Lance e le chiese di contattare lo S.H.I.E.L.D.
per la custodia.
*
Steve
inspirò pesantemente prima di abbassare con decisione la maniglia.
Dio!
Ti prego se è un sogno non svegliarmi. Fu
quello il suo primo e sciocco pensiero. Poiché ciò che i suoi occhi
gli mostravano, era la più bella e struggente visione che lui avesse
mai visto. Natasha e il loro bambino.
La
spia era appoggiata contro la finestra: il suo profilo leggermente
circonfuso dalla luce dell'alba, chinata verso il figlio che dormiva
beatamente, perché fra le braccia più sicure del mondo. Si voltò
ad osservarlo: i suoi occhi possedevano una luce nuova ed intensa,
gli sorrise con dolcezza. Era tutto ciò di cui Steve aveva bisogno.
«Ciao...»
sussurrò «Si è appena addormentato» continuò posando il suo
sguardo sul figlio.
In
silenzio il supersoldato si avvicinò e lei riportò gli occhi su di
lui. Restarono l'uno davanti all'altra, i corpi che si sfioravano.
Steve
levò il braccio e con attenzione avvolse entrambi, stringendoseli
delicatamente contro.
«Non
farlo mai più» sospirò Steve contro la sua tempia, provocandole un
sussulto «Non provare mai più a lasciarmi Natasha.» esitò un
istante in cui la donna percepì i battiti singhiozzanti del suo
cuore contro l'orecchio, e avvertendo il proprio petto stringersi
sofferente per il dolore che gli aveva causato «Ho avuto paura...»
confessò.
«Una
maledetta paura di perderti per sempre».
Natasha
poggiò la fronte contro il petto, chiuse gli occhi e poi li riaprì
alzando il volto verso il compagno; dolci amare emozioni si agitavano
in lei. Facendo attenzione liberò un braccio, mentre il supersoldato
l'aiutò a sorreggere il figlio, e la sua mano sfiorò il mento,
costringendolo a guardarla.
«Mi
dispiace di averti fatto aspettare любовь
к моей жизни [amore della mia vita]. Ma ce lo siamo
promessi, troveremo sempre il modo di tornare l'uno dall'altra...»;
Steve
si lasciò andare ad un lieve sorriso. Il bambino si mosse un poco
fra loro e i loro sguardi scivolarono immediatamente verso di lui che
continuava a dormire pacifico le manine strette a pugnetto contro il
viso.
Natasha
rialzò lo sguardo sul compagno:
«Io
tornerò sempre da te e da... James»;
Steve
sgranò lo sguardo sorpreso, poi sorrise;
«Allora
è così che vuoi chiamarlo?» domandò dolcemente mentre Vedova
annuì sicura.
«Io
credo che questo sia il nome giusto; anche per James, se non fosse
stato per lui probabilmente ora non saremmo qui» il biondo soldato
la osservò perplesso «Lui mi ha aiutato a decidere, mi fatto
comprendere. E James ha bisogno di capire, a sua volta, che può
andare avanti, che c'è qualcosa di buono che lo sta aspettando sulla
sua strada. Che lui può abbracciare quella vita che Sharon e Jace
gli promettono... Che può ricominciare, che c'è davvero del buono
in lui...» affermò sicura. E Steve capì, annuì, gli occhi azzurri
accesi.
Si
guardarono complici, poi la mano della spia corse fra i suoi crini
chiari;
«Hai
un aspetto orribile per la cronaca» celiò semiseria. Lui ridacchiò,
e gli sembrò che tutta la tensione accumulata scivolasse finalmente
via dal suo corpo ancora una volta provato. Strinse a sé le due
persone che definitivamente detenevano il controllo del suo cuore,
respirò il loro profumo. La sua famiglia.
«Pronta?»
domandò Steve allungando la mano verso la porta. Natasha gli scoccò
un'occhiata divertita rafforzando la presa sul piccolo James, che nel
frattempo si era svegliato e cercava di muoversi, emettendo versetti
entusiasti, o almeno sembrava.
«Sì
sono pronta» replicò, accarezzando poi con tocco leggero il figlio.
Sharon
quasi travolse Steve: zoppicava appena ed era totalmente scarmigliata
ma gli occhi scuri lucidi erano pieni di sentimento.
«Nat»
sospirò commossa, portandosi le mani alla bocca, emozionata, vedendo
per la prima volta il piccolo Rogers fra le braccia della madre,
com'era giusto che fosse.
«Stai
bene?» sussurrò sedendosi accanto a lei; Natasha annuì.
«Sto
bene, stiamo entrambi bene. Tu piuttosto, dovresti farti medicare al
più presto» ribatté osservandola con occhio clinico.
Sharon
scrollò le spalle, come se la cosa nemmeno la riguardasse, era
semplicemente troppo felice di riavere Natasha.
«Ti
va di tenerlo un po'?» le chiese poi, ci teneva che suo figlio e
colei che sarebbe diventata la sua madrina legassero.
Sharon
arrossì ma annuì piano, un movimento quasi impercettibile ma
Natasha sorrise e si sporse aiutandola a posizionare le braccia nel
modo corretto.
«Ecco
qui. E' zia Sharon, солнешко».
L'agente
13 sussultò nel vedere quell'innocente creatura fra le braccia,
percepire la sua pelle calda e morbida, saggiarne il peso. Una
lacrima tracciò dolcemente la guancia della donna, osservò Natasha
e Steve, l'uno accanto all'altra esausti ma felici.
«Dio
mio! Ciao, sono la zia» mormorò sopraffatta dalle emozioni,
cullandolo piano.
«E'
permesso?» si fece avanti Sam tutto sorridente, malgrado i segni
della battaglia appena conclusa ben evidenti sulla sua pelle, seguito
dal resto della squadra, fra cui Bucky; il cui cuore iniziò a
accelerare nel vedere Sharon con suo nipote fra le braccia e per un
solo istante si concesse di immaginarla con il loro bambino. Avvertì
il petto scaldarsi ad un immagine tanto struggente, si costrinse a
tornare alla realtà; una realtà in cui la donna che amava gli
rivolgeva a malapena la parola e che lui ogni giorno temeva di
perdere sempre più. Sorrise concentrandosi sulla coppia, sollevato
che Natasha fosse tornata fra loro, guardò Sharon commossa che con
premura affidava nuovamente il piccolo al legittimo genitore, i loro
sguardi si incrociarono, abbozzò un sorriso mentre lei abbassò gli
occhi imbarazzata.
Steve
sistemò meglio il figlio fra le braccia e si sedette sul letto
accanto alla compagna.
«Abbiamo
molto di cui discutere, ma prima... Visto che ci siete tutti vorremmo
– si scambiò un'occhiata complice con Natasha – ufficialmente
presentarvi nostro figlio: James Samuel Rogers» disse il
capitano con evidente orgoglio e commozione.
Ci
mancò poco che Sam scoppiasse a piangere a dirotto e Bucky avesse un
infarto lì seduta stante. Mentre gli altri si congratulavano ancora
una volta con i due genitori; i due uomini, i cui nomi erano stati
dati al figlio del loro migliore amico e compagno d'armi, erano
rimasti senza parole.
James
rivolse uno sguardo a Natasha e lei gli regalò un piccolo e sincero
sorriso, comprese in quel momento ciò che aveva fatto, ciò che
voleva comunicargli. Le fece un cenno col capo, ringraziandola
silenziosamente.
Più
plateale fu Sam che si sporse verso la coppia ringraziandoli e
promettendo le cose più folli al piccolo James, che rimaneva placido
fra le braccia del padre.
«Voi
due!» sospirò compiendo un evidente sforzo per trattenere le
lacrime.
Clint
e Maria fecero del loro meglio per trattenerlo, l'arciere osservava i
neo genitori con evidente orgoglio e sollievo, Steve lo ringraziò
per ciò che aveva fatto per loro, per avergli permesso di stare
vicino alla sua famiglia.
L'atmosfera
rilassata venne interrotta da Meredith Montgomery, che chiese di
poter parlare con il capitano e vedova in privato. La squadra
acconsentì senza troppe proteste, era vero avevano ancora molte cose
di cui discutere – fra cui un Winter Soldier bellamente sedato –
ma erano tutti, senza esclusione alcuna, distrutti, sfiancati
dall'ultima battaglia e ben felici di potersi riposare, sopratutto
ora che Natasha era nuovamente con loro.
Bucky
dietro a Sam, non riuscì a reprimere l'impulso e trattenne Sharon,
restando così isolati mentre il resto dei loro compagni proseguiva.
«James!
Per favore-»
«Ti
prego parlami...» la interruppe lui, stremato e con gli occhi pieni
di desiderio. All'agente 13 salirono le lacrime agli occhi, lo
voleva, ma non era ancora pronta.
«No.
Io non sono pronta, non ancora e sopratutto non adesso. Sono
stanca»
quando lui aveva deciso di andarsene, lei aveva perso completamente
il controllo. Lui aveva deciso per entrambi e l'aveva costretta ad
accettare quella situazione senza alcuna possibilità di scelta;
ciò l'aveva ferita, ed era rimasta totalmente in balia delle sue
peggiori emozioni, fra cui la paura di averlo perso per sempre.
«Sharon,
per quanto vuoi punirmi? - mormorò sconsolato – non riesco a
respirare se non ci sei tu...» confessò con sincerità disarmante.
Chiuse
gli occhi e trattenendo le lacrime si sottrasse bruscamente al suo
tocco;
«Non
chiederò scusa per come ho deciso di riparare qualcosa che tu hai
rotto» disse piano.
Bucky
abbassò la testa sconfitto, ma non rimase in silenzio a lungo;
«Io
ti aspetterò. Dovesse volerci una vita intera».
«Natasha
mi fa molto piacere che ti sia ripresa» esordì la dottoressa,
sinceramente sollevata.
«La
ringrazio, mi ha salvato la vita, non lo dimenticherò» replicò la
russa con sicurezza mentre Steve le ridava il piccolo James, per poi
avvolgere entrambi con il braccio e tenerli saldamente accanto a sé.
«Vorrei
aver fatto di più» asserì invece Meredith, lanciò un'occhiata al
capitano ma lui negò col capo, non aveva avuto occasione di
dirglielo.
«Natasha,
purtroppo a seguito delle complicazioni in seguito al parto, abbiamo
dovuto asportarti l'utero. Questo significa che-»
«Non
potrò più avere figli» terminò per lei quel doloroso discorso. La
donna si limitò ad annuire mortificata.
La
spia osservò prima il figlio che si muoveva fra le sue braccia,
poi volse lo sguardo davanti a sé; annuì lentamente. Avvertiva la
presa di Steve forte contro il proprio corpo.
Un
corpo privato di qualcosa di prezioso, una parte di sé. Poiché un conto era poter
prendere la decisione consapevole di non generare altri figli, un
altro era che la natura, le circostanze avessero deciso per lei,
privandola della libertà di scegliere.
«Io
vi lascio soli, per qualsiasi cosa resto a vostra disposizione»
celiò con delicatezza Meredith prima di andarsene.
«Nat»
la richiamò Steve «Mi dispiace». Non c'era nulla di diverso che
potesse dirle o aggiungere.
Vedova
Nera strinse a sé il bambino, gli baciò piano la tempia, lo guardò
e lo vide sano, in forze, vivace. Si volse verso il padre di suo
figlio e le sue labbra si stesero in un sorriso lievemente tremante.
«Nonostante
tutto non c'è nulla che cambierei» disse semplicemente.
Nove mesi prima aveva scelto di avere quel bambino, aveva deciso che
qualsiasi cosa le fosse capitata lei l'avrebbe accettata ed era quasi
morta per poter dare alla luce il suo piccolo sole, ne aveva pagato il
prezzo, qualcuno avrebbe detto troppo alto, ma non lei. Avrebbe potuto
perderlo in qualsiasi momento, ma invece no, James Samuel Rogers aveva
già dimostrato la sua forza e lei non sarebbe stata da meno.
__________________________________________________________Asia's Corner
Salve a todos! Miei
carissimi lettori un altro capitolo è terminato, è vero
ci sono tante cose di cui parlare e nel prossimo capitolo ne leggerete
delle belle non preoccupatevi, ma per questo capitolo ho scelto solo di
concentrarmi su Natasha e il piccolo James (so che qualcuno aveva
già idea del nome, d'altronde ho solo rispettato l'effettivo
nome del figlio di Cap e Vedova - anche se Samuel è stata una
mia aggiunta personale).
"Motherhood" parla chiaro e spero davvero che vi sia piaciuto, come a me è piaciuto moltissimo scriverlo!
Detto ciò, volevo comunicarvi che ho fatto un rapido conto e
riflessione e teoricamente mancherebbero più o meno 4/5 capitoli
al termine di questa terza ed ultima parte, a cui poi si
aggiungerà un capitolo EXTRA, su... Beh credo che prima della
fine lo intuirete su che cosa sarà ;)
Io ringrazio dal profondo del mio cuore tutti voi che siete giunti
fino a qui! E vi auguro (a chi ancora non ci è andato, ma anche
a chi ci è già stato) BUONE VACANZE, io per i prossimo
nove giorni sarò a zonzo nei Balcani. Tornerò con il
prossimo capitolo a SETTEMBRE! L'aggiornamento sarà VENERDI' 14!
Stay tuned!
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Capitolo 28 *** Perdonami padre perché ho peccato ***
29
Capitolo
Ventotto: Perdonami padre perché ho peccato
“Are
you watching from your pit in Hell, father?
This
is always my destiny... Never yours.
The
Red Skull's failure will be his daughter's triumph...
And
I will reshape this world.”
~
Sinthea Schmidt
Lo
sguardo annoiato era fisso verso l'oblò appannato, da cui si poteva
rimirare l'inizio di una placida alba.
«Hai
intenzione di togliere questo cazzo di cadavere?».
Sin
alzò gli occhi, assottigliati in uno sguardo infastidito, su
Crossbones, che sbuffò lasciandosi cadere accanto a lei.
«Che
sia da monito» sibilò facendo spallucce. L'uomo, che giaceva a
terra con la gola aperta, aveva avuto l'avventato ardire di porle una
domanda. Si sa, certi errori si pagano.
«Era
pur sempre un nostro
uomo» borbottò lui lanciando un'occhiata insofferente al cadavere;
notando il suo mutismo si vide costretto a provocarla.
«Stavolta
tuo padre ci farà a pezzi. E dico “ci” perchè riterrà me
responsabile tanto quanto te» rincarò la dose stizzito.
A
quel punto Sin si voltò.
«Che
cosa mi stai suggerendo esattamente?» sussurrò maliziosa. Rumlow la
guardò mal celando la propria aspettativa.
«Il
malinconico Ward da che parte sta?»
«Da
quella del vincente, mi pare ovvio».
Gli
occhi della giovane si accesero di un bagliore malevolo.
«Hai
ragione i tempi sono maturi. Chiama Allegra».
Per
una che, non solo aveva fallito nella sua missione, ma aveva anche
perso una delle loro “armi” più preziose; Sinthea Schmidt entrò
nella base dell'HYDRA come una regina torna nella sua
reggia dopo una semplice cavalcata per il suo
regno.
Rumlow
seguiva dietro di lei con espressione arcigna, con un semplice cenno
intimò a L di congedarsi, mentre lei e il piccolo seguito
procedevano con arrogante sicurezza fino alla sala dove Lukin e suo
padre attendevano. Allegra Belgioioso era già lì, proprio accanto
al capo supremo dell'HYDRA.
Nella
sala di controllo regnava il silenzio.
Lukin
con il suo impeccabile completo nero la fissava, faticando a
mantenere l'espressione impassibile.
Un
luccichio pericoloso illuminò gli occhi scuri di Allegra, che
scivolò placidamente indietro, allontanandosi di poco dall'uomo.
«La
figliol prodiga è tornata all'ovile» tuonò Aleksander;
«Mia
figlia, il mio più grande fallimento» sibilò iracondo Teschio
Rosso, emergendo nello sguardo duro del russo.
Inaspettatamente
Sin sorrise, e non solo, iniziò pure a ridacchiare, come se
quell'uomo non la stesse aspramente giudicando, come se quelle parole
non la riguardassero, non più. Quando il suo sguardo tornò sul
volto di Lukin era incredibilmente inespressivo.
«Sono
mai stata altro per te, padre?» mormorò lugubre.
I
suoi occhi castano-verdi sondarono l'intera sala, soffermandosi sui
singoli presenti, iniziò a muoversi con passo felpato,
circumnavigando il suo capo, padre e padrone.
«Eppure
Vater, ti sei sempre affidato a me, no? - qualcosa si accese
nel suo sguardo – oggi come in passato, mi hai messo a capo di
alcuni dei tuoi squadroni più capaci. Mi hai dato potere nonostante
il tuo disprezzo!» sputò rabbiosa.
Si
scambio una rapida occhiata con Crossbones.
«Anche
in questo tempo... Mi hai assegnato numerose operazioni-»
«Con
esiti disastrosi!» si alterò Teschio e Sin sorrise melliflua.
«E
sono ancora al tuo cospetto» rise ed allargò le braccia, come a
voler dare più enfasi alle sue parole.
«Altri
sono morti per molto meno, e nonostante i tuoi insulti, le tue
punizioni... Sono ancora qui! - rise sguaiatamente – ciò che ora
ti chiedo è: perché papà?» la sua voce infantile cozzava
con la sua espressione trionfante.
«Illumina
noi miseri sudditi sul perchè io, figlia inetta, sono ancora viva e
molti altri no? Io che mi ergo su una montagna di putridi cadaveri!».
Johan
Schmidt si fece spazio nello sguardo di Lukin fino a prendere
completo possesso del corpo.
«Sciocca
ragazzina. Cosa vuoi esattamente da me? Ancora cerchi approvazione? -
lo disse con scherno – Non hai mai imparato figlia...»
Le
labbra insanguinate di Sinthea si aprirono in un sorriso vittorioso;
«Oh
Vater è qui che sbagli. Ti ho osservato molto attentamente...
Sono tua figlia dopotutto? Sempre più tu mi hai cercato, affidandoti
a me, perchè? Perchè sono sangue del tuo sangue e questo è stato
il tuo primo errore, tu stesso più volte, violentemente hai ribadito
quanto i legami siano fragili, labili, buoni solo per necessità e
sopravvivenza, e vadano recisi quando non hanno più alcuna utilità.
Hai tradito il tuo primo e più grande principio... lasciando me
vivere. La verità è che tu hai bisogno di me, sei più spirito che
altro, sei invecchiato padre, tu dipendi da me, dalle mie azioni –
il suo viso assunse un'espressione falsamente dolce – ma non ti
preoccupare, io non dimentico.» ad un cenno più di metà degli
agenti presenti levò le armi.
«Qui
stiamo parlando di re e successioni... Nemmeno te ne sei reso conto:
dipendi così tanto dalla tua sciocca figlia, che non ti sei accorto
che il vento ha cambiato direzione!».
Teschio
Rosso per la prima volta fu evidentemente preso in contropiede.
Troppo assuefatto dal potere, troppo abituato al comando, troppo in
alto per prendere anche solo in considerazione un tradimento di
quelle proporzioni.
Ma
la reazione tanto agognata di suo padre, scomparve dal suo volto
alquanto velocemente.
Sin
non seppe mai quali pensieri, in quei concitati istanti, avevano
affollato la mente dell'uomo che per anni aveva chiamato padre.
Aleksander
Lukin sorrise, come se il suo avversario avesse fatto una splendida
mossa di scacchi risvegliandolo dal torpore di una partita facilmente
nelle sue mani; estrasse la pistola;
«Hai
ragione meine Liebe, ma a questo si può sempre rimediare».
Allegra
fu rapida a colpire alle gambe Lukin, deviandogli il tiro. Sinthea
fece in tempo a spostarsi.
«Sapevo
che non c'era da fidarsi di voi Belgioioso, mercenari!»
Allegra
gli fece l'occhiolino;
«Niente
di personale, proteggo il mio investimento»
«Morirai
per questo!»
«Scommettiamo
su chi lo farà per primo?».
Da
quel momento la base dell'HYDRA si trasformò in un vero e proprio
campo di battaglia.
Sin
ritrovò Rumlow;
«Elimina
tutti gli uomini di fiducia di mio padre, a chi è incerto offri di
unirsi a noi, se tentennano falli fuori. Papino è mio!» ordinò con
gli occhi accesi di brama. Si lanciò all'inseguimento, falciando
chiunque si frapponesse fra lei e il suo obiettivo.
«Non
sei fiero di me, papà?» urlò folle.
«Tu
sei stata una sciagura! Io ti ho dato la vita, io ti ho
mantenuto in vita, ti ho resa ciò che sei! Cosa saresti senza di
me!? È così che mi ripaghi, piccola ingrata?!» replicò fuori di
sé mentre prendeva coscienza che lo scontro era ormai inevitabile.
«Ti
ho dato la mia vita, servendoti... Ora se permetti padre, mi prendo
ciò che mi spetta di diritto! La corono e la tua vita!» replicò
digrignando i denti come un animale pronto all'attacco.
Teschio
– Lukin – ormai non si riuscivano più a distinguere tanto era la
loro rabbia – prese la pistola;
«E'
stato il tuo ultimo errore, Töchter!»
Sinthea
aspettò il colpo di pistola e scattò rapidamente verso il padre.
Il
proiettile le penetrò la carne del fianco e lei accolse quel dolore
come una liberazione, afferrò suo padre – preso davvero in
contropiede – e lo trascinò a terra.
Lukin
riuscì a togliersela di dosso, non era mai stato un fine lottatore
come Schmidt ma era allenato e con un fisico scattante. Sinthea
nonostante fosse accecata dai suoi propositi non poteva sottovalutare
che erano due nemici altamente preparati; ma lei aveva già scalfito
suo padre nel più terribile dei modi.
Visto
con occhio esterno nessuno avrebbe mai detto che fossero padre e
figlia: Sinthea e l'ombra di Teschio nel corpo di Aleksander Lukin si
colpivano con foga, senza pietà, due leoni che lottavano per la
supremazia. Non vi era nessun fine più alto, ma puro e semplice
dominio sull'altro.
Ad
ogni ferita inferta corrispondeva una lesione sul corpo
dell'avversario.
«Arrenditi
ora e chiedi perdono Sinthea: ti verrà risparmiata una fine lenta e
dolorosa».
La
ragazza sputò del sangue sulle scarpe del padre.
«Sarai
tu ad inginocchiarti a me, in una pozza di sangue» lo minacciò con
un sorriso bestiale. Sin si buttò sull'uomo estraendo un pugnale
finemente decorato. Usando tutta la sua agilità atterrò il padre,
rompendogli il braccio destro e si mise a cavalcioni su di lui,
bloccando palmo della mano sinistra con il pugnale,
trapassandoglielo.
«Te
lo ricordi questo? Me lo hai messo nella culla quando decidesti il
mio destino. Non lo trovi ironico? Hai tu stesso decretato la tua
morte per mano mia!».
«SINTHEA!»
urlò indignato Teschio, ma nei suoi occhi si poteva benissimo
leggera una vena di panico.
«Addio
padre» sussurrò solenne, mentre lo teneva fermo sotto di sé,
inerme, l'ombra dell'uomo che fu, terrorizzato finalmente da ciò che
aveva creato. Lukin troppo ferito, troppo uomo contro quella furia
potenziata, che si paragonava ad una divinità.
«Mi
dispiace, dominare questo mondo non è mai stato il tuo destino. Ma
il MIO, ora l'ho capito, hai fatto il tuo tempo. Spetta a me
ridisegnare questo mondo, non si può dominare qualcosa di già
corrotto, no... Bisogna prima darlo alle fiamme completamente e poi
plasmarlo a propria immagine. Vedrai... Guardami dall'inferno, padre!
Per quanto riguarda il tuo ingegnoso piano con il piccolo Rogers, mi
dispiace ma ho altri piani. Io e lui siamo simili, nessuno ci ha reso
ciò che siamo: siamo nati, cresciuti nel ventre materno, la
nostra natura è quella di elevarci dal marciume che ci circonda. Tu
e il caro Capitano siete storia, obsoleti.»
«Sin-»
gorgogliò Lukin tentando di ribellarsi ma Sinthea estrasse rapida il
pugnale e glielo rigirò con gran piacere nel ventre.
«Sai...»
sibilò ad una spanna dal volto, l'espressione di un serpente che
saggia la preda prima di ingoiarsela «Cosa mi ha permesso alla fine
di liberarmi dalla tua ingombrante presenza? La fede. Non fede in una
divinità o in un'idea o in qualcuno... No. Ho avuto fede in me!»
si tirò indietro di colpo ed alzò la lama letale.
«Goditi
l'inferno» con rabbia aggredì il petto di Lukin, la carne cedette
senza resistenza, la lama trapassò dolce come fiele il cuore,
lacerandolo.
Il
sangue schizzò nel volto di Sinthea che sorrise appagata; mentre
osservava come un bambino davanti ad un trucco di magia il liquido
rosso e vischioso invadere la bocca dell'uomo, che per anni l'aveva
dominata e soffocarlo impietoso.
Aveva
vinto. Era lei ora la regina.
Le
ci volle qualche momento per rendersi conto che respirava
affannosamente, il petto che si alza ed abbassava agitato, come se
avesse appena smesso di correre. Mise a fuoco il volto di suo padre e
non provò nulla, nessuna tristezza, nessun rimpianto... Solo
trionfo.
Si
alzò facendo forza sulle ginocchia, barcollò non sapendo quasi come
ritrovare l'equilibrio. Il suo sguardo abbandonò per sempre il corpo
di Aleksander Lukin, il fantoccio di suo padre, la sua ombra era
scomparsa per sempre. Chiuse gli occhi, allargò le braccia e
sorrise, presto si ritrovò a ridere sguaiatamente.
Sinthea
comparve nella stanza, in cui tutto era iniziato: Allegra si
incamminò verso di lei, fiera. Aveva scommesso su di lei ed aveva
avuto ragione. Rumlow, L, Ward: i suoi fedelissimi aspettavano con
trepidazione. Il tempo stesso si sospese. Tutta la base attendeva.
«Mio
padre è morto e con lui Aleksander Lukin.» annunciò solenne,
abbracciando con lo sguardo scintillante tutta la sala «Ma non
temete – si mosse verso il suo esercito e nel mentre calpestò
senza alcun ritegno un cadavere, quasi non se ne accorse – loro
erano il passato. Ma su una cosa avevano ragione: questo mondo è
marcio. È giunto il momento per l'HYDRA di seguire una nuova strada,
affidatevi a me e capirete cos'è il vero potere. Seguitemi ed
insieme forgeremo un nuovo ordine, abbiate fede e plasmeremo questo
modo!» uno dopo l'altro, come una marea che cambia, si inchinarono
al nuovo capo dell'HYDRA.
*
«Dove
mi state portando?»
«Dov'è
lei?!»
D
si agitava terrorizzata tra le braccia della scorta. Ci erano voluti
sei uomini perché riuscissero a trattenerla.
«K!
K! Dove sei?»
«Cosa
volete farmi?!»
«Perché
non è qui!?».
Il
pugno la colpì senza pietà, non fosse stata una Winter Soldier
probabilmente la mandibola si sarebbe completamente fratturata.
L
la fissò gelido;
«Fa
silenzio» sibilò, un cenno e gli uomini che la trattenevano
ricominciarono a muoversi.
Gli
occhi di D si riempirono di lacrime e la testa iniziò a girarle.
«KKKKKKKKKK!».
*
Allegra
Belgioioso torreggiò sul cadavere di Aleksander Lukin, osservandolo
incuriosità.
Si
chinò e gli frugò le tasche, ne estrasse un fermacarte d'oro.
Indifferente, prese le banconote che le spettavano e si rialzò.
«Hai
perso la scommessa, sono desolata» disse atona, lanciando il
fermacarte sul corpo immobile «Anch'io ho fatto la mia scelta» e se
ne andò.
________________________________________________________________Asia's Corner
I'm back! E devo dire con un capitolo per niente tranquillo. Ora per alzata di mano, quanti se lo aspettavano?
Sin è stata proprio tremenda, questo capitolo (anche a cause
delle mie varie vicessitudini lavorative) non è stato per nulla
facile, ma spero davvero che sia stato non solo un bel colpo di scena
ma anche che l'attesa sia valsa la pena!
Non mi dilungherò molto, come sempre sono curiosa di sapere cosa
ne pensate... Ringrazio davvero tutti coloro che hanno pazientemente
aspettato e sostenuto in questo periodo! Grazie a tutti!
Passando a buone nuove: se seguite la mia pagina FB (Asia Dreamcatcher)
saprete che per questo Natale mi sono messa la sfida di postare il
29simo capitolo il giorno della Vigilia (che per me è
importantissimo), sarà un capitolo molto diverso, adatto al
clima natalizio.
Grazie ancora a tutti voi!
Ps. Risponderò alle recensione del 27simo il prima possibile! Stay tuned!
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Capitolo 29 *** Home sweet home ***
29
Capitolo
Ventinove: Home sweet home
“Home
a
place where I can go
to
take this off my shoulders
someone
take me home”
~
“Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors
«Come
siamo vivaci stamattina» sussurrò dolcemente Natasha Romanoff
divertita dal suo stesso figlio, che aveva ben pensato di svegliarli
all'alba. Ora se ne stava fra le morbide lenzuola del letto
matrimoniale, sotto lo sguardo attento di sua madre, agitando le
braccia e le gambe grassocce, emettendo versi eccitati.
«Si
vede che ha preso da noi» ridacchiò Steve uscendo in quel momento
dal bagno asciugandosi distrattamente i capelli; facendo attenzione
prese il piccolo James e gli posò un casto bacio sul capo poi si
prese posto accanto alla compagna.
Natasha
sorrise, non aggiunse nulla e si appoggiò a lui, osservando con
affetto sconfinato James, che li fissava meravigliato. Tutti
pensavano che il bambino avesse nello sguardo una scintilla di
consapevolezza troppo precoce per la sua età. Ma d'altronde James
Samuel Rogers non era un neonato normale, il suo dna modificato prima
o poi si sarebbe manifestato in modo palese.
«Non
avrei mai pensato di poter amare un altro essere umano così
intensamente» mormorò piano senza distogliere lo sguardo lucido dal
figlio.
Steve
si voltò a guardarla, lievemente sorpreso da quella spontanea e
dolce confessione.
«Nemmeno
io» replicò serio. Natasha si sporse a baciarlo, poi accolse James
fra le sue braccia e lui iniziò a giocare con una ciocca di capelli
fulvi, non comprendendo ancora bene la funzione delle sue mani.
Il
capitano si limitò a guardare adorante suo figlio urlare divertito,
nell'imitazione di una risata, mentre Vedova sfiorava delicatamente
il nasino con il suo.
Avevano
vissuto per ben due giorni in quello stato di grazia, occupandosi
esclusivamente di loro e del loro bambino. Avrebbero voluto per farlo
per sempre; ma se speravano di avere quella vita, quel futuro che
avevano appena assaggiato, dovevano prima distruggere, eliminare la
minaccia che gravava sulla loro famiglia.
«E'
ora di tornare alla realtà» bisbigliò Steve; Natasha strinse
impercettibilmente suo figlio a sé, in un istintivo moto di
protezione.
«Lo
so» sospirò, poi sorrise rivolgendosi a James «Gli zii iniziano a
sentire la tua mancanza».
Si
vestirono in silenzio, mentre il bambino – protetto dai cuscini –
se ne stava placido, quasi avvertisse che qualcosa stava mutando.
Natasha
si concesse una lunga occhiata al proprio compagno, gli passò con
amorevolezza una mano fra i capelli biondo scuro, lo baciò sulle
labbra sotto lo sguardo attento di lui; le sue dita callose
accarezzarono impalpabili la bocca piena di lei.
«Signora
Jenkins da quanto è sveglia?» esordì Natasha con James fra le
braccia, osservando incredula l'infermiera, assunta ufficialmente
come loro bambinaia sin dal giorno seguente il risveglio della russa.
Vero era che fosse la balia di James ma la donna pareva aver preso a
cuore l'intera squadra, viziandoli innanzitutto con la sua cucina.
Natasha
circumnavigò il tavolo straripante di piatti dolci e salati pronti
per essere serviti a colazione.
«Parola
mia, bambina, non ho proprio idea di come non siate morti di fame
finora!?» la spia si aprì ad un sorriso.
«Non
deve disturbarsi tanto signora Jenkins» replicò Steve sconvolto da
tanto cibo.
«Quisquilie!»
celiò la donna agitando la mano in aria «Piuttosto come sta questa
creatura?» sorrise osservando da vicino il piccolo Jamie, che nel
mentre era interessatissimo a mettersi in bocca un lembo della
camicia leggera della madre.
«Dorme
poco, ma non ci lamentiamo» disse Steve, cercando disperatamente con
lo sguardo il caffè in mezzo a tutto quel ben di Dio.
«Se
non facciamo impazzire un po' mamma e papà dove sta il
divertimento?» ridacchiò allegra la bambinaia rivolgendosi a James,
che sembrò essere d'accordo con lei.
«Come
procedono le cose qui?» si informò Vedova. Florence assunse un'aria
cospiratoria e si avvicinò a lei;
«Voci
di corridoio confermano un parziale cessate il fuoco da parte
dell'agente Carter nei confronti del povero sergente Barnes»
Natasha si trattenne dal ridere apertamente.
«Capitano
il caffè è su quel ripiano».
Ci
vollero pochi minuti per riunire l'intera squadra, più Pepper, Laura
e i bambini interessatissimi al piccolo Jamie, Jace, Niko con
Alexandra.
Nemmeno
a dirlo Tony, Sam e Clint si erano fin da subito abituati alle
attenzioni materne di Florence Jenkins.
«Miss
Jenkins non dovrebbe viziare così Tony, non è a lui che serve una
bambinaia» disse Pepper osservando male il fidanzato.
Il
miliardario alzò il volto da un piatto strabordante pancakes con
aria innocente, i suoi occhi sembravano dire “Perchè no?”.
Steve
si aprì ad un sorriso indulgente, guardò i suoi compagni uno ad
uno, per una volta rilassati, quasi non esistesse nessuna minaccia
che gravava su di loro. Quanto tempo era passato? Da quanto tempo non
avevano un momento così? Il suo sguardo scivolò dolce sulla figura
di Natasha: seduta sul divano cullava il figlio prima di lasciarlo
alle cure di Miss Jenkins e tornare da loro. A costo della sua vita,
si disse Steve, avrebbero avuto una vita di momenti così.
«Quali
notizie ci siamo persi?» chiese il capitano, una volta che tutti
furono pronti a concentrarsi su ciò che aspettava loro, in un futuro
ormai sempre più vicino.
«Lo
S.H.I.E.L.D. ha scoperto le basi segrete dell'HYDRA, grazie alla
chiavetta lasciata dalla giovane Munroe» esordì Clint prontamente
«Sono quasi certi che in quelle basi producano in serie lo
psychotron. Dovremmo riunirci presto con loro per decidere come
muoversi. Vogliono sicuramente piazzarlo sul mercato, e nessuno è
bravo come Allegra Belgioioso in questo campo»;
«Quella
stronza, ormai è chiaro che è in combutta con Sinthea Schmidt»
borbottò Sharon, scambiandosi un cenno d'intesa con Natasha, il cui
sguardo si accese. Aveva un conto in sospeso con quelle due, e
l'avrebbero pagata cara per aver solo volto lo sguardo al suo
bambino.
«Abbiamo
difficoltà a monitorarli, troppe basi. Anche se al momento sembrano
essersi ritirati, c'è troppa calma» ragionò Bucky.
«A
tal proposito io e la piccola Skye stiamo studiando i movimenti del
Bus. Come faccia a muoversi evitando qualsiasi radar, invisibilità a
parte...» replicò compito Tony sorseggiando il caffè.
Steve
annuì grave, incrociò le braccia al petto e cominciò a ragionare
sulle varie informazioni.
Se
l'HYDRA stava davvero tenendo un basso profilo, allora dovevano
mettersi in moto il prima possibile. Dio solo sapeva cosa stessero
architettando.
“Prima
di te ero solo un pazzo
ora
lascia che ti racconti:
avevo
un'ascia già sgualcita
e
portavo tagli sui polsi
oggi
mi sento benedetto e non trovo niente da aggiungere
Questa
città si affaccia quando ci vedrà giungere
ero
in bilico tra l'essere vittima, essere giudice
era
un brivido che porta la luce dentro le tenebre
e
ti libera da queste catene splendenti, lucide”
~
“Torna a casa”, Måneskin
Era
calata la notte sull'Avengers Tower, quasi tutti si erano ritirati
nelle loro stanze, James Barnes aveva appena lasciato Steve e
Natasha, dopo aver augurato la buonanotte al nipote già addormentato
tra le braccia del papà.
Incredibile
come un bambino cambiasse la prospettiva di un'intera vita; anche se
non era figlio suo Bucky provava un forte senso di protezione nei
suoi confronti, come verso Jace.
Si
piazzò accanto alla porta della stanza di Sharon, come quasi ogni
sera. Era assurdo, lo sapeva bene, finiva ogni notte con
l'addormentarsi sul pavimento e svegliarsi prima che lei lo vedesse.
Le mancava terribilmente, quella era la sua giustificazione, la
realtà dei fatti.
Come
sempre perdeva la cognizione del tempo, forse non erano nemmeno
passate un paio d'ore, quando Bucky, tendendo l'orecchio, sentì
Sharon agitarsi pesantemente nel sonno. Non sapeva che fare, non
voleva che lei si risentisse per aver invaso la sua privacy, non ora
che finalmente aveva ricominciato a rivolgergli la parola. Ma il suo
istinto alla fine ebbe la meglio.
Aprì
la porta con attenzione, anche se al buio riuscì immediatamente a
distinguere la figura della sua ragazza.
«James»
mormorò lei. Il Soldato si bloccò immediatamente, convinto di
averla svegliata.
Si
rese subito conto che l'agente 13 non era affatto sveglia ma era
preda di un incubo, che la stava agitando e la faceva rigirare nel
letto in una vana ricerca di pace.
Ben
addestrato non fu difficile per James esserle accanto senza produrre
il minimo rumore. Si chinò su di lei trattenendo il respiro e con
sconcerto vide una scia di lacrime bagnarle il volto contratto in una
smorfia angosciata.
«James»
ripetè flebilmente, sbuffò e si strinse al cuscino.
Bucky
fece una smorfia triste: era lui la causa del suo dolore; sapeva di
averla ferita andandosene senza una parola, dopo averla quasi
uccisa... Si odiò davvero, ma non poteva cambiare ciò che aveva
fatto e nemmeno l'avrebbe fatto.
Era
difficile da capire per loro, ma lui aveva giurato a se stesso di
proteggerla, di non permettere alla sua natura di ferirla e quando
questo era avvenuto, lui aveva agito nell'unico modo che ormai
conosceva: tornare un fantasma.
Era
ben consapevole di averla distrutta, perché lui stesso aveva
sofferto terribilmente la lontananza.
Forse
sarebbe stato meglio mantenere quella distanza, lasciare che
crescesse, che si rifacesse una vita lontano da lui, ma il solo
pensiero lo fece star male, no lui l'amava e sarebbe rimasto al suo
fianco finché lei glielo avrebbe concesso.
Un
altro lamento lo strappò dai suoi pensieri e la sua mano corse
dolcemente sulla sua fronte aggrottata nella speranza di acquietarla.
Sharon
invece spalancò gli occhi spaventata dall'incubo e inquietata dal
tocco, che a causa dell'agitazione e della stanchezza non aveva
riconosciuto. Reagendo ad un impulso naturale, tipico dei soldati ben
addestrati, scattò verso James credendolo un nemico, estrasse
contemporaneamente il pugnale da sotto il cuscino e lo atterrò
alzando la lama con il respiro affannoso e lo sguardo sgranato.
«Sharon...
sh... sono io» sussurrò Bucky con le mani aperte e tese innocenti
verso di lei.
La
donna lo mise a fuoco, la lama si abbassò di colpo mentre il suo
braccio perse subito forza. Si portò l'altra mano alle labbra;
«Io
credevo... che... che tu...»
«Qualsiasi
cosa fosse ora è passata» mormorò pacato. Quella frase fece
scattare qualcosa in Sharon: ogni resistenza cessò, qualsiasi tipo
di reticenza scomparve, si piegò su di lui e poggiò il capo
nell'incavo tra la spalla e il collo.
«Ti
supplico abbracciami» bisbigliò con voce rotta e James non attese
oltre: accolse quella richiesta come una benedizione e la strinse a
sé con forza.
«Sharon
– strinse i denti come fosse in lotta con se stesso – mi dispiace
tanto amore» disse desolato;
«Lo
so. Lo so. Dispiace anche a me».
Bucky
lasciò che si tranquillizzasse poi la riportò fra le lenzuola,
mettendosi accanto a lei.
«Resti?»
«Sì.
È questo il mio posto».
Sharon
parve finalmente rilassarsi e poggiò il capo sul cuscino, mentre
James fece lo stesso, gli sguardi incatenati e nulla... Restarono
così, in silenzio, l'uno perso e al tempo stesso cullato dallo
sguardo dell'altra, cercando di trovare piccole differenze o nuove
cicatrici nate in quei mesi di distanza. Riscoprirsi, conoscersi
ancora una volta, far rifiorire sentimenti costretti al silenzio.
“Questa
volta” si disse Bucky totalmente stregato da lei “Questa volta
farò le cose per bene”.
Sharon
l'aveva finalmente accettato, l'aveva nuovamente con sé, era al suo
fianco com'era giusto che fosse.
Fu
istinto, sesto senso o semplicemente una sensazione a far fermare la
giovane Alexandra davanti la porta di Sharon, o forse era
semplicemente la mancanza di Bucky sopito contro il muro a braccia e
gambe incrociate a farla insospettire; anche se non sempre restava lì
fino a tarda mattina. Eppure...
Eppure,
facendo estrema attenzione aprì leggermente la porta e sbirciò
dentro: non seppe mai come fece a non scoppiare ad urlare di
felicità.
«Che
stai facendo?»
Alexandra
si voltò di scatto, ma invece di essere sorpresa – riconosceva i
passi di Jace fin troppo nitidamente – lo osservò stizzita e gli
fece cenno di abbassare la voce e di guardare dentro.
Jace,
alzatosi da troppo poco per riuscire a ribattere, fece come richiesto
e i suoi occhi ebbero un guizzo: Sharon e Bucky che riposavano
pacifici, l'una stretta fra le braccia dell'altro.
«Cazzo»
bisbigliò incredulo.
Non
dovettero nemmeno guardarsi, si precipitarono in soggiorno sperando
vivamente di trovare qualcuno.
Le
loro speranze vennero esaudite.
Natasha
era appoggiata ai piedi del divano accarezzando delicatamente il capo
di Steve abbandonato sulle sue gambe, occhi chiusi e il resto del
possente corpo disteso sul soffice tappeto, e il piccolo Jamie
sonnecchiante sul suo petto, stretto in un abbraccio protettivo.
Sull'altro
divano Tony sembrava ancora incapace di formulare un solo pensiero
coerente e la tazza di caffè precaria fra le sue mani; Sam invece
sorrideva in direzione di Natasha.
«E'
successo!» proruppe Sasha con la sua voce alta e cristallina.
Tutti
si voltarono straniti, cerca Jace e Alex non dovevano avere le
espressioni più sane e calme del loro repertorio.
«Sharon
e Bucky hanno finalmente fatto pace» cercò di spiegarsi meglio il
quindicenne.
Natasha
ridacchiò leggera e si scambiò uno sguardo complice con Steve, che
sorrise consapevole che la sua dolce metà ci aveva visto giusto
anche stavolta.
«Non
mi dire!» Sam era decisamente euforico, guardava Tony che
boccheggiante si rivolse ai due ragazzi;
«Momento
momento momento! Da cosa lo supponete?»
«Dal
fatto che stanno dormendo abbracciati?» replicò Sasha con un
sopracciglio alzato.
«Merda»
borbottò il miliardario frugandosi nelle tasche.
«Oh
oh paga vecchio mio!» gongolò Falcon «Aspetta che lo dica a
Clint!».
*
“ 'Cause
there's madness on my brain
so
I gotta make it back, but my home ain't on the map
gotta
follow what I'm feeling to discover where it's at
I
need the memory
…
To
give me the strength to look the devil in the face and make it home
safe”
~
“Home”, Machine Gun Kelly, Bebe Rexha & X Ambassadors
«Nat,
ah sei qui?».
Sharon
entrò nella camera del piccolo James e ci trovò Natasha intenta a
cambiarlo, mentre Miss Jenkins si adoperava per sistemare l'armadio.
«Ok
è definitivamente troppo carino, Steve impazzirà» continuò
guardando la tutina che l'amica aveva appena scelto per il figlio:
una tutina mooolto patriottica a tema bandiera americana.
Vedova
sorrise diabolica;
«Oh
lo so, è proprio per questo che lo facciamo no?» disse in
direzione del bambino, che per risposta si mosse scoordinato.
Lo
prese in braccio e lo baciò sul nasino mentre lo sguardo di Jamie si
accese.
«Ecco
qui Natasha cara il berretto che avevi chiesto.» si intromise
gentilmente Florence aiutando la madre a coprire per bene il capo del
piccolo.
«Molto
bene» replicò la russa accarezzando ancora una volta il figlio e
poi passandolo alle braccia esperte della tata.
«Mamma
torna presto» sussurrò prima di uscire accompagnata da Sharon.
«Andiamo?».
Il
viaggio fino alla struttura dello S.H.I.E.L.D. non fu lungo, anzi fu
piuttosto divertente per Natasha mentre osservava la faccia di Sharon
farsi porpora, dopo averle chiesto se lei e Bucky avessero finalmente
fatto pace a dovere.
«Come
diamine fai a sapere sempre tutto?» celiò la bionda mettendosi una
mano davanti al volto.
«Ho
le mie fonti!».
Dopo
essere entrate si misero d'accordo su come procedere e Natasha entrò
da sola.
La
Winter Soldier stava semidistesa ma ancora legata al letto per
evitare che aggredisse qualcuno o si ferisse, i medici avevano
iniziato subito il trattamento per cercare di contrastare il
condizionamento e quando fosse stata abbastanza stabile avrebbero
ricorso allo psychotron.
Non
appena la soldatessa la vide si animò;
«Dovete
lasciarmi andare!» strepitò stizzita.
La
russa vide che era ancora abbastanza agitata, ma il suo aspetto era
molto più sano rispetto a quando si erano scontrate, l'incarnato era
più roseo, i capelli erano lucidi e meno sfibrati e, le avevano
comunicato i medici (che le fornivano sempre un rapporto giornaliero)
mangiava poco ma regolarmente.
«Perchè?»
ecco ancora una volta Natasha le aveva posto quella domanda e ancora
una volta K si zittì.
La
spia sospirò;
«Ascolta
per l'ennesima volta è vero sei nostra prigioniera, ma non abbiamo
intenzione di trattarti come tale» ci aveva riflettuto a lungo,
voleva essere liberata ma non per tornare tra le fila dell'HYDRA, no,
non era quello l'atteggiamento, al contrario di Niall lei sembrava
molto meno plagiata... Era come se il condizionamento avesse iniziato
a perdere effetto su di lei, come quando James... E le venne
un'illuminazione.
«Devi
tornare da qualcuno vero?» le chiese a bruciapelo.
K
si irrigidì immediatamente, e Natasha capì di aver fatto centro;
«Dovete
lasciarmi subito andare, devo tornare indietro altrimenti...»
«Altrimenti?»
«Non
provare ad entrare nella mia testa, stronza!» la reguardì K
velenosa. Natasha non si fece impressionare, anzi decise che era il
momento per andarci giù pesante.
«Altrimenti
cosa mi fai Ekaterina?».
La
Winter Soldier smise di agitarsi di colpo e guardò Vedova Nera come
fosse un'apparizione divina.
«Come
mi hai chiamato?»
«Il
tuo nome, il tuo vero nome è Ekaterina Mikahailvna Rostova
sei nata a Mosca ed eri una ballerina del Bol'soj, anche piuttosto
brava stando a quanto c'è scritto qui – il tono di Natasha si
smorzò – eri fidanzata con un boss della mafia russa, ti vendette
all'HYDRA per pagare i suoi debiti... Ma non bastò.»
«Katia»
articolò a fatica.
Natasha
capì perfettamente la sua reazione, quel momento in cui perfino la
percezione di te stessa si capovolge, tutto perde senso e ne acquista
un altro ma non è abbastanza perché tu non ti riconosci: leggi di
questa persona e non hai idea di chi sia, ti appare come una persona
distante da te e la senti come una lontana parente che non vedi da
moltissimo tempo che perfino i suoi connotati ti appaiono fumosi e
distorti.
Serviva
una forza di volontà fuori dal comune per riuscire a sopportare
tutto ciò.
«Come
può tutto questo aiutarmi?» mormorò desolata K «Come può
aiutarmi sapere questo?» continuò però con rabbia.
Natasha
però fu ferma, le afferrò con durezza il polso ma senza farle male
e la sua voce uscì chiara ma non severa;
«E'
un punto da cui ripartire, è qualcosa di vero su cui poggiarti, non
puoi pretendere di salvare qualcuno se prima non sai chi sei tu. Non
puoi salvare altri se prima non impari a salvare te stessa».
K
la osservò per la prima volta con reale interesse e quasi
ammirazione.
«K...
Sei davvero tu?» la voce pacata e leggermente tremula la distolse
dalla contemplazione di quella donna e il respiro le si bloccò in
gola.
«N?»
«Sono
Niall, ora. Niente più N per favore» replicò con dolcezza il
ragazzo entrato in quel momento insieme a Sharon.
Niall
ormai era sempre più padrone di se stesso, grazie a Sharon e anche
al dottor Banner e il suo psychotron; si avvicinò alla ragazza e le
accarezzò piano il capo.
«So
che è tutto confuso, so che hai paura e non sai più cosa sia vero e
cosa no. Ma io sono reale, e loro possono aiutarti, Ekaterina per
favore...».
K
a quel punto fu sopraffatta e crollò.
«N-
Niall... D, Didi è rimasta sola con L. Io non posso lasciarla
sola... Devo proteggerla per favore» ribatté fra le lacrime,
cercando di allungarsi verso di lui per quanto le permettessero le
manette.
«D
è il terzo Winter Soldier, giusto?» chiese Sharon e Niall annuì
compito.
Natasha
osservò ancora un attimo la soldatessa disperata, mentre il ragazzo
cercava di consolarla come poteva, poi guardò fra le cartelle che
aveva in grembo e cercò il suo nome.
«Dominil»
disse, poi il suo sguardo accarezzò morbido quello di K.
«Dominil»
ripeté lei un po' più calma.
«Sì.
Aiutaci ad aiutarti e ti prometto che andremo a salvarla».
_____________________________________________________________________Asia's Corner
Buona
Vigilia a voi tutti! Ed eccomi qui a farvi gli auguri di Natale con un
capitolo, che credo farà felici molti di voi, nettamente in
contrasto con l'asprezza e la spietatezza del capitolo scorso, volevo
che questo capitolo fosse più dolce e creasse un momento di
distensione per tutti.
Non mi dilungo molto, perché ho la cena della Vigilia che
attende il mio apporto per essere preparata e messa in tavola. Auguro a
tutti voi buone feste! E colgo l'occasione per ringraziarvi del
sostegno!
Sono sicura che il prossimo capitolo arriverà verso fine gennaio, spero di non metterci troppo, ma abbiate pazienza!
Prometto che cercherò di recuperare con le risposte alle vostre recensioni prima di fine anno (mi metto d'impegno eh!)
Buon Natale, un abbraccio forte
Asia Dreamcatcher
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Capitolo 30 *** Per aspera ad astra ***
30
Capitolo
Trenta: Per aspera ad astra
“We
all have our scars from loving someone too deeply.
From
wanting to protect someone too much”
~
Mei Tachibana
La
musica avvolgeva l'intera sala, scorreva leggera, disturbata da lievi
tonfi. Su quelle note una ragazza si muoveva precisa e leggiadra,
compiendo passi aggraziati e senza peso; la crocchia che all’inizio
fermava i suoi capelli scuri, ormai sfatta.
Ekaterina
si guardò allo specchio dopo aver concluso la coreografia, il cuore
che pompava velocemente il sangue, non perché fosse affaticata ma
perché sensazioni a lungo sopite erano riemerse con prepotenza,
scombussandola e riportandola ad una tempo che a stento riconosceva,
eppure, guardandosi in quel grande specchio, con gli occhi lucidi e
sgranati e il fisico teso in pose che credeva dimenticate, le parve
per qualche istante, di scorgere l’antica se stessa.
«Come
stai Katia?».
Natasha
la fissò attentamente, senza un reale giudizio negl’occhi di
giada, fra le braccia il figlio. James, avvolto in una tenera tutina
bianca, stringeva un soffice orsetto di peluche con una mascherina
nera sugli occhi, dono di Bucky e Sam e da cui non si separava mai.
La
ragazza la guardò di rimando, senza nascondersi, poi spostò lo
sguardo sul bambino e le sue labbra si sciolsero in un debole
sorriso.
«E’
tuo figlio?» domandò con tremore nella voce, si sentiva leggermente
a disagio, non ricordava l’ultima volta che aveva visto un bambino,
era qualcosa di troppo pure e innocente per starle così vicino.
«Sì.
Lui è James».
Ekaterina
fissò ammirata lo sguardo di Vedova Nera riempirsi di sfumature
dolci, le palpebre calare delicatamente e gli occhi diventare
liquidi.
Per
una persona tenuta per anni nel gelo dell’oblio e abituata a
violenza, subita e commessa, quell’atmosfera era abbastanza
destabilizzante, eppure non dolorosa.
«So
come ti senti in questo momento... » disse Natasha continuando a
guardare il figlio; Katia la osservò incuriosita.
«Il
mio passato è stato molto simile alla tua vita finora, per molto
tempo c’è stata solo oscurità» i suoi occhi vagarono dolcemente
su di lei.
La
Winter Soldier si schiarì la gola e trovò il coraggio di porle
quella domanda:
«E
come ne sei uscita?»
«Lottando.
C’è chi mi ha dato una seconda possibilità - sorrise nel
ricordare il passato, che non faceva più così paura ora - ma ho
lottato contro quell’oscurità, a volte mi capita ancora adesso»
il suo sguardo ritornò sul piccolo Jamie «Ma ho qualcosa, qualcuno
da proteggere, ho una ragione per
vivere»
e mentre lo diceva si rese conto che era davvero così, da molti anni
il suo desiderio di vita continuava a crescere, per Steve e per gli
Avengers, la sua famiglia e ora per James, il suo dolce, forte ed
innocente bambino.
«Tu
hai qualcuno che vuoi proteggere?».
Ekaterina
schiuse le labbra pallide e screpolate ed annuì con vigore mentre il
suo sguardo si faceva timido.
«E’
un buon punto da cui partire».
*
«Buck
mi spieghi che ci facciamo qui?» Jace si guardò intorno, erano in
una delle zone più famose di New York, rinomata per essere la via
dello shopping di lusso.
James
si decise finalmente a degnarlo di attenzione, gli mise una mano
sulla spalla e il suo sguardo divenne tremendamente serio. Il
quindicenne deglutì, seriamente preoccupato.
«Jace.
Siamo qui per una questione della massima importanza!»
“Oh
mamma!” si ritrovò a pensare ancora più perplesso.
Bucky
non si dilungò oltre, lo afferrò per entrambe le spalle e lo guidò
verso un negozio ben preciso, senza che Jace ci capisse nulla, a
volte era peggio di Sasha quando lo trascinava - senza diritto di
replica - nei suoi piani sconclusionati. Quando vide la vetrina
davanti a cui si erano fermati, un dubbio lo assalì. Il suo cuore
cominciò a battere veloce.
«Buck-!»
esalò osservando meravigliato l’uomo al suo fianco.
Il
soldato si aprì ad un sorriso timido.
«Vedi
di consigliarmi bene moccioso».
*
Steve
si appoggiò allo stipite volendo godersi la scena per una po’,
prima di prendervi parte.
Natasha
era seduta a gambe incrociate sul morbido tappeto, reggeva Jamie
appoggiato contro il suo petto mentre la dolce Alex cantava
un’allegra canzone per intrattenerlo.
Fu
il bambino stesso a notare la presenza del padre agitandosi
allegramente. Alexandra gli sorrise, lasciandogli una leggera carezza
e poi corse ad abbracciare Steve, prima di lasciarli soli.
La
bella russa gli fece segno di avvicinarsi, si scambiarono un lungo
bacio, poi gli passò il figlio che sgambettava eccitato.
Il
capitano lo strinse a sé, respirando il suo profumo, così dolce ed
innocente. Sapeva che il tempo a loro disposizione stava per scadere
e Natasha lo sapeva ancora meglio di lui.
«E’
cresciuto ancora...» constatò guardando attentamente il figlio, che
per tutta risposta allungò le manine grassocce sul suo volto
scaldandogli il cuore e facendolo sorridere.
«Meredith
dice è per colpa o per merito del suo dna» gli rispose la russa
osservando dolcemente entrambi.
«Stasera
ci riuniamo. Tony dice di aver trovato un modo per rintracciare il
Bus, e Coulson ha messo a punto l’attacco simultaneo alle basi
segrete dell’HYDRA».
Natasha
si sporse per prendere Jamie e stringerselo al petto, la sua
espressione era insondabile, ma Steve sapeva che la sua mente
lavorava frenetica, sapeva che dentro fremeva. Guardava il loro
bambino e pensava che non avevano avuto abbastanza tempo, che fosse
ingiusto, c’erano ancora così tante cose…
«Ci
siamo quasi»
«Nat-»
«Non
ci provare. - lo fermò dura lei - Ne abbiamo già discusso» il suo
sguardo si ammorbidì e accarezzò il volto del capitano, che si era
fatto mesto ma sempre soffuso d’amore «Non posso farlo. Non
chiedermelo, ti prego, non chiedermi di restare a guardare. Ti copro
le spalle».
Steve
le prese la mano, ferma sulla sua guancia, e la portò alle labbra;
annuì.
«Ora
posso darti il mio benestare per quello che avevi in mente per lui»
aggiunse serio lasciando una delicata carezza sul capo di James.
Natasha chiuse gli occhi.
Jamie
si addormentò e i due lo riposero nella culla. Natasha poggiò il
capo sulla spalla di Steve, che la strinse a sè; in silenzio
rimasero ad osservare il figlio.
*
La
sera era scesa stellata e afosa sull’Avengers Tower.
Natasha
prese posto tra Steve e Sharon mano nella mano con Bucky. Niko e
Bruce parlavano piano fra loro - andavano particolarmente d’accordo,
si erano trovati fin dal loro primo incontro - Jace e Alexandra
avevano insistito per esserci ed erano molto tesi; Clint, Sam e Maria
discutevano con Coulson e JJ, che cercava di non farsi prendere
dall’ansia. Tony era concentrato sul tablet, controllando i dati
per l’ennesima volta, accanto a sé Pepper, che osservava attenta.
Fury col suo occhio sano controllava tutto e tutti.
Quando
giunsero Niall e Ekaterina la riunione poté cominciare.
«Phil»
esordì grave il colonnello scambiandosi un cenno col direttore
«Inizia tu».
«Bene,
come tutti sapete, grazie alle informazioni passate con estremo
coraggio dalla signorina Munroe, ora siamo a conoscenza di tutte le
posizioni delle basi segrete dell’HYDRA. Dieci basi, dislocate nei
quattro continenti. Annabeth Munroe ci ha fornito anche una
dettagliata lista sull’arsenale bellico e il numero, più o meno
esatto, degli agenti presenti in ogni sede; con molta probabilità ci
sono anche delle fabbriche di psychotron presenti all’interno.»
fece una breve pausa, l’attenzione era alle stelle, Steve e Bucky
in particolare si sentirono proiettati indietro nel tempo, in pieno
secondo conflitto mondiale, le immagini virtuali si sovrapposero con
la mappa delle basi HYDRA degli anni Quaranta.
«Il
tuo piano quindi è di attaccare simultaneamente tutte le basi?»
chiese Steve;
«Meno
una» precisò Coulson e il capitano annuì.
«Sarà
un attacco di massa, lo S.H.I.E.L.D. è stato completamente
mobilitato e abbiamo fatto un accordo segreto con i Navy Seals per
un’operazione congiunta, anche se saremo noi al comando.» completò
Maria alzandosi e mettendosi tra Fury e Coulson.
«Qui
entri in gioco tu, Tony. Tu e Skye avete capito come fa il Bus a
sparire?» chiese Clint.
«Legolas
- esordì Tony con fare teatrale - ci conosciamo forse?» il magnate
attirò completamente l’attenzione «Semplicemente non lo fa. Devo
dire che la giovane Muroe è geniale, quasi
al
mio livello - ammiccò e restò per qualche istante in silenzio
aspettandosi delle conferme, che non giunsero così fece spallucce e
proseguì - ogni volta che il Bus si muove manda differenti e fasulli
ping in tutto il mondo, cosicché nessuno riesca a individuare il
loro piano di volo, ma tutti questi fasulli segnali hanno sempre e
comunque un origine. Così io e la piccola Skye abbiamo analizzato
ogni singolo segnale inviato da quello stramaledetto aereo, un po’
di vecchia trigonometria, un po’ di geolocalizzazione, qualche
satellite spostato nel giusto punto et… Voilà! La posizione del
Bus è servita!» Tony richiamò J.A.R.V.I.S. e l’AI compitamente
mostrò l’attuale posizione del velivolo.
«In
Cina?» sospirò James.
«Fantastico,
proprio uno di quei paese con cui possiamo dialogare senza
problemi...» frecciò Sam incrociando le braccia al petto.
«Questo
vuol dire che dovremmo agire illegalmente» ragionò Natasha
immergendosi nei propri pensieri.
«Tony,
quanto è sicura questo localizzazione?» chiese Steve, si scambiò
un’occhiata d’intesa con il miliardario;
«Novantotto
per cento»
«Non
mi serve altro. - il supersoldato si alzò in piedi e tutti gli
sguardi conversero su di lui, attenti - D’accordo. Lo sapete già
quello che sto per dire: a Coulson le restanti nove basi. Noi ci
prendiamo quella
-
disse indicando l’ologramma della Cina - se là c’è il Bus
allora ci sono Teschio Rosso, Sin, Rumlow e tutti coloro che tirano
le fila di quest’organizzazione. Il motto dell’HYDRA “Se
tagli una testa altre due prenderanno il suo posto”,
ma non questa volta. Questa volta attaccheremo testa e corpo, li
fermeremo per sempre. Elimineremo l’HYDRA, nessuno sarà più
minacciato dalla loro mostruosa ombra - nel dirlo incontrò gli occhi
di Natasha che annuì decisa - non avrò pace finché non ce ne
saremo liberati. E non permetterò che nessuno di voi ci rimetta la
vita. Nessun altro dovrà morire. Jace e Alexandra resteranno con
Niko, Niall proteggerà tutti coloro che resteranno qui. Per ognuno
di voi è previsto un piano di fuga nel caso le cose andassero male.
Maria e Coulson saranno a capo dell’operazione “Ercole”, Holden
si unirà a noi. Avengers siete pronti?» nessuno fiatò, eppure
avevano nello sguardo tutti una terribile determinazione. Steve si
soffermò su ognuno di loro e poi fece un secco cenno col capo,
fiero.
Sarebbero
partiti da lì a poche ore, il gruppo si sciolse e il capitano si
rivolse personalmente a Fury, appartandosi con lui per pochi istanti.
«Se
non dovessi farcela proteggi Natasha e James, fa che siano al sicuro»
disse solamente; e il colonnello non poté fare altro che accordargli
quell’ultima richiesta.
Natasha
aprì la porta e restò ferma sull’uscio, un sorriso triste ma
pieno di una profonda dolcezza ad adornarle il viso.
Steve
sorreggeva il piccolo Jamie, una mano sul capo per proteggerlo, le
labbra premute sul suo piccolo capo; dondolava piano, volendolo
cullare.
«Andrà
tutto bene, te lo prometto piccolo» sussurrò dolcemente.
«Andrà
davvero tutto bene?» chiese Natasha facendosi avanti; Steve si voltò
e le sorrise:
«La
mamma è qui. È una promessa ad entrambi, andrà bene» affermò
deciso.
La
spia allungò le braccia e Jamie si accoccolò placidamente sul suo
petto.
«Andrà
bene per tutti, giusto? - gli lanciò un lungo sguardo penetrante -
Steve. Non. Ci. Provare. Non farai uno dei tuoi stupidi atti eroici,
non questa volta» sibilò, il volto del compagno si fece grave;
«Ascolta-»
«No.
Ascolta tu: Steve Grant Rogers non mi interessa chi sei tu per gli
altri, per il resto del mondo, non me ne frega un accidenti se sei
Captain America. L'unica cosa di cui mi frega è chi sei tu per me!
Sei il padre di mio figlio… sei-» il fiato le si ruppe e il suo
sguardo divenne liquido.
Il
capitano le si avvicinò;
«Dillo»
«Sei
l'amore della mia vita - bisbigliò accorata - devo sapere che
combatterai non solo per salvarci
ma
per salvare anche te stesso. Devi giurarmi che non combatterai per
sacrificarti ma per tornare a casa.» i loro occhi si incatenarono e
Steve la amò così intensamente che gli sembrò di esserne
sopraffatto.
«Va
bene. Ma sappi che tu e James siete la mia priorità, siete il mio
tutto.»
il modo in cui lo disse, quel “tutto” risuonò nella cassa
toracica di Natasha e la fece tremare, il modo in cui la stava
guardando, il suo tono era troppo, era davvero troppo per lei. Quanto
poteva crescere ancora il suo amore per lui? Esisteva un limite?
Per
lei era lo stesso. Steve e James erano il suo cuore. Poteva
sopravvivere se avesse perso uno dei due?
Non
volle darsi risposta.
«Steve»
sospirò alla fine. Il capitano le circondò il volto con le sue mani
grandi e forti e fece sfiorare la fronte con la sua.
«Lo
so. Lo so Natasha. Ti amo! Anch’io ti amo fino
al capolinea e oltre»
le mormorò innamorato.
«James?
Cosa stai facendo?».
Bucky
nascose rapido una piccola scatola in una delle tasche interne della
giubba e poi si voltò verso Sharon. Sospirò, era bellissima.
La
divisa chiara esaltava la sua figura slanciata, Stark l’aveva
ideata personalmente, così come le altre, eppure vedergliela addosso
gli fece anche stringere dolorosamente lo stomaco: se la indossava
voleva dire che era pronta per la guerra, sarebbe scesa in campo e
questo significava che poteva essere ferita o peggio.
Sharon
gli andò incontro e con dolcezza sconfinata gli accarezzò il volto,
e lui fremette come ogni volta. Lo fece stendere sul loro letto e lei
gli si mise a cavalcioni, non fecero nulla. La bionda aveva lo
sguardo perso nel suo. Sapeva cosa stava pensando, perché anche lei
aveva fatto i suoi stessi pensieri, ma nessuno di loro poteva farci
nulla, avrebbero combattuto, punto.
«Mi
stringi?» chiese innocentemente e lui, non fidandosi della sua voce
in quel momento, annuì.
Si
stesero insieme, Sharon poggiò il capo sulla spalla di Bucky che la
strinse al suo corpo, chiusero gli occhi.
«Papà
mi raccomando non fare cose stupide!» gli stava dicendo Lila fin
troppo seria.
«E
vedi di non mancare il bersaglio nel momento più importante» lo
rimbrottò Cooper guardando con attenzione suo padre preparare
minuziosamente ogni singola freccia.
Clint
riuscì persino a ridacchiare, si voltò verso i due figli e
scompigliò loro i capelli.
«Che
razza di impertinenti!».
«Hanno
preso da te» disse disinvolta Laura prendendo fra le mani una
freccia e osservandola con attenzione, forse per minacciarla di non
fallire.
Marito
e moglie si guardarono intensamente, la sua partenza era qualcosa a
cui si era abituata fin troppo in fretta, eppure per entrambi era
sempre come se fosse la prima volta, i sentimenti erano gli stessi e
mai una volta che avessero smesso di bruciare.
«Cosa
siamo io e te?» chiese di punto in bianco Sam steso ancora sul
letto, in cui avevano appena fatto l’amore lui e Maria. Sperò che
quella non fosse stata l’ultima.
Maria
si stava rivestendo ma si bloccò, colpita da quella domanda. Si
irritò leggermente, aveva davvero bisogno di sentirselo dire ad alta
voce quell’idiota?
Stava
per rispondergli bruscamente quando Falcon la fissò con quei suoi
grandi occhi sinceri, inchiodandola lì sul posto. Dannazione.
La
donna si abbassò su di lui, gli sfiorò le labbra con le sue, in un
delicato bacio pieno di sentimenti inespressi.
Sam
capì. A Sam bastò.
“Per
favore non morire”
pensò
lei.
*
Era
giunto il momento.
Jace
e Sasha guardavano trepidanti e col cuore colmo di preoccupazione la
loro famiglia pronta a partire.
Sharon
si avvicinò ad entrambi e li abbracciò stretta, quasi restia a
separarsene. Il quindicenne - ancora per poche settimane - si
aggrappò alla donna avvertendo quella famigliare stretta materna che
lo emozionava ogni volta.
Bucky
strinse le spalle ad entrambi i due ragazzi, si scambiò uno sguardo
carico di sentimento con Jace, si ferì le labbra per impedirsi di
piangere, si fecero un unico cenno.
Steve
e Natasha si avvicinarono insieme, e la spia porse ad Alexandra, che
aveva compiuto quattordici anni da un paio di giorni, un oggetto
metallico, sottile e cilindrico.
«Forse
non è proprio un regalo consono ad una ragazza di quattordici anni,
ma non siamo una famiglia normale, giusto?» scherzò dolce Natasha.
Alexandra
ne saggiò la leggerezza incuriosita, osservando la perfezione del
metallo, poi lo mosse nell’aria con un gesto secco e immediatamente
il cilindro si allungò: era un bastone da combattimento.
«L’ha
progettato Tony per te, si azionerà solo con le tue impronte
digitali» disse Steve. La giovane con gli occhi lucidi si voltò
verso suo padre e Tony e gli sorrise grata. Iron Man dovette
distogliere lo sguardo o si sarebbe emozionato a sua volta.
«Vi
supplico, non morite!» disse con le lacrime agli occhi abbracciando
la sua madrina e il suo padrino. Loro si limitarono a stringerla
forte.
Pepper
si avvicinò a Tony commossa, non ci furono parole fra i due: la
donna si limitò a stringerlo fra le sue braccia mentre lui chiuse
gli occhi assorbendo con gli altri sensi tutto ciò che lei gli stava
donando: il suo amore, la sua speranza, la sua fiducia e la sua
forza. L’amava, l’amava come non aveva mai amato niente e
nessuno.
Per
Vedova Nera e Captain America giunse il momento più doloroso.
Steve
strinse a sè il figlio, inspirando il suo profumo, concentrandosi
sul perché combatteva. Lo baciò piano sulla fronte, poi con
espressione decisa ma colma di sentimenti contrastanti lo lasciò a
sua madre.
La
russa accarezzò amorevole il volto di Jamie che sorrise, quel
sorriso dolce e meravigliato che faceva battere il cuore dei suoi
genitori. Non ci fu spazio per altro in quell’istante, se non per
madre e figlio, poi si voltò ferma verso Niall e i suoi occhi di
giada divennero seri e profondi; avvertì la presa di Steve dolce
sulle sue spalle e prese parola:
«Niall.
Ti stiamo affidando la vita di nostro figlio, la nostra parte più
pura ed intoccabile, ciò che amiamo più di quanto non possano dire
le parole» Sentì l’abbraccio del capitano farsi più saldo «Se
le cose dovessero mettersi male, se noi dovessimo cadere - ignorò i
respiri trattenuti e gli sguardi gravi - allora Jamie si troverebbe
in imminente pericolo. Ti chiediamo di portarlo al sicuro, lontano da
qui. Qui c’è uno zaino, all’interno troverai dei documenti falsi
per te e per lui, un conto sicuro e un cellulare usa e getta con un
unico numero. Se dovessi fare quel numero… La persona dall’altro
capo del telefono sa già tutto, è pronto e ti dirà cosa fare. Tu
tra tutti sei l’unico che abbia la forza per farlo. Puoi farlo,
Niall?».
Ekaterina
accanto al Winter Soldier lo guardò di sbieco, nervosa. Quanta forza
doveva avere quella donna per riuscire a parlare con quel tono calmo,
totalmente padrona di sé. Come poteva scendere in guerra con la
chiara consapevolezza che poteva non rivedere mai più suo figlio o
il suo partner? L’ammirò moltissimo e si disse che l’avrebbe
seguita fino alla fine, e avrebbe seguito fino in fondo ciò che nel
suo cuore sentiva di dover fare. Ammirò anche Niall quando rispose
senza incertezza alcuna:
«Lo
farò. Steve, Natasha… Sharon e tutti voi mi avete restituito alla
vita, il minimo che possa fare è salvare una vita» replicò serio.
«Grazie
- disse Steve porgendogli la mano - ora lo possiamo fare».
Niall
lo osservò impressionato.
Steve
e Natasha accarezzarono il loro bambino un’ultima volta poi lo
lasciarono andare fra le braccia di Miss Jenkins. Ma il bambino
doveva aver intuito che qualcosa non andava, perché iniziò a
dimenarsi insofferente e poi scoppiò a piangere disperato.
Natasha,
con discrezione, artigliò il braccio a Steve per impedirsi di
prenderlo fra le braccia e rassicurarlo e coccolarlo, farlo sentire
amato e al sicuro.
Il
capitano restò stoicamente fermò, ma dentro di sé le lacrime di
suo figlio lo stavano dilaniando.
Il
resto della squadra ne rimase sconvolto, era una scena straziante, ma
uno ad uno si avviarono verso il jet decisi a lasciare gli ultimi
istanti ai due genitori.
Vedova
inspirò piano, raddrizzò le spalle e mai come prima di allora sperò
con tutta se stessa di poter passare il resto della sua vita a farsi
perdonare da suo figlio, invece di farlo attraverso la lettera che
lei e Steve avevano scritto qualche tempo prima nel caso fossero
periti.
Lei
e Steve si voltarono insieme, si costrinsero ad ignorare il pianto
del loro Jamie. Salirono nel jet, lo sportellone si chiuse alle loro
spalle, facendoli precipitare in un assordante silenzio.
Era
ora di chiudere la partita.
____________________________________________________________________Asia's Corner
Ce
l'ho fatta! O mio dio! Sì! Dopo mesi sono tornata non ci credo,
potrei piangere! So che voi lo farete se non altro perché sapete
finalmente che cavolo succede, ebbene sì è giunto il
momento di terminare questo gioco. Dio che tristezza scrivere l'ultima
parte, spero che questo attesissimo capitolo sia stato un degno ritorno
e vi sia piaciuto, quanto è piaciuto a me.
E' stato un periodo difficile, anche dal punto di vista della storia,
ho avuto un blocco e non riuscivo ad andare avanti, ma sono riuscita a
superarlo e ora sono qui per portare a termine questa trilogia che dura
ANNI eh sì ANNI! E ringrazio tantissimo in primis chi mi ha
sostenuto in tutto questo tempo, chi mi scritto via privata o
commentato questo capitolo! Grazie, molti di voi sono con me
dall'INIZIO ed ora... Manca poco, davvero poco!
Conto tre massimo quattro capitoli per mettere fine a questa ff, più un capitolo extra, perchè... Beh lo scoprirete strada facendo, e per farmi perdonare di questi mesi, scriverò una oneshot terminata quesa storia :)
ps. il titolo è in latino (spero di aver trovato la giusta traduzione) e significa: «attraverso le asperità sino alle stelle»
Ora io vi saluto, e vi auguro Buona Pasqua a tutti voi! Spero che mi farete conoscere la vostra opinione a riguardo!
Il capitolo 31 verrà postato con tutta probabilità tra un mese!
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Capitolo 31 *** Born for this ***
31
Capitolo Trentuno: Born for this
“We are the warriors who learned to love the pain
…
We are the broken ones who chose to spark a flame
Watch as our fire rages; our hearts are never tame
'Cause we were, 'cause we were, 'cause we were
'Cause we were born for this, we were born for this”
⁓ “Born for this”, The Score
«Nat
puoi prenderti una pausa ora. Qui ci penso io» Clint le
poggiò delicatamente una mano sulla spalla. La spia annuì
e gli cedette grata il posto, si diresse verso Sharon.
La bionda la guardò intensamente;
«Ne vuoi parlare?»
«Quando mai ho avuto voglia di parlarne?» chiese mentre le sue labbra si stesero in un sorriso amaro.
L’agente
13 fece una smorfia comprensiva, non poteva biasimarla, se si
soffermava a pensare a Jace avvertiva l’ansia opprimerla. Non
voleva dirle che sarebbe andato tutto bene, che se la sarebbero cavata
anche quella volta, non ne era certa lei, figurarsi se era in grado di
convincere qualcun altro, a maggior ragione se quel qualcun altro era
Natasha Romanoff.
«Tu
e Steve avete preso la decisione migliore» disse invece, lo
sguardo della russa si rasserenò lievemente «Jamie
sarà al sicuro».
«Ti
ringrazio. E’ l’unica cosa che mi consola al momento»
i suoi occhi andarono alla ricerca del capitano; lo trovarono intento a
confabulare con Bucky e Tony. Il suo sguardo si assottigliò
pericolosamente.
«Hai paura che possa commettere qualche cavolata?» chiese Sharon sospirando.
«E’
Steve Rogers, lui è il re delle cazzate eroiche» il tono
era tagliente, aveva la netta sensazione che se solo avesse distolto
l’attenzione da lui, lo avrebbe perso in un modo o
nell’altro.
*
«Non riesci a dormire?» domandò Jace in piedi sulla soglia della camera.
Alexandra
levò i suoi occhi d’argento e lo osservò con
espressione grave. Jace aveva sempre odiato quella sua espressione: le
labbra perfettamente dritte, indurite negli angoli, il grigio dei suoi
occhi cupo, la fronte pallida aggrottata e solcata da linee scure. Era
sua opinione che Sasha non avrebbe mai dovuto indossare quel viso
tirato, la voleva spensierata e sorridente. Ma sapeva che i tempi non
glielo permettevano.
«Nemmeno
tu, noto» replicò lei con voce stanca. Si sfregò le
braccia con le mani e il ragazzo si intenerì andandole incontro.
«Vuoi
che chiami tuo padre?» le domandò gentile, sedendosi sul
bordo del letto; gettò un’occhiata al comodino e vide il
bastone metallico troneggiare pronto all’uso. Anche lui, nascosti
dalla leggera maglietta estiva che indossava, teneva pronti i suoi
fidati coltelli da lancio.
«Mmm
no. Lui e Niall stanno facendo la guardia a turno. Non voglio che si
preoccupi per me, preferisco che resti concentrato».
Jace
annuì e per un po’ rimasero in silenzio, solo in apparenza
tranquillo ma in realtà le loro orecchie erano ben tese ad
ascoltare ogni singolo rumore fuori posto.
«Jamie?» domandò la quattordicenne chiudendo definitivamente il libro che stava leggendo per distrarsi.
«Dorme
ora, fortunatamente. E’ proprio crollato, ha pianto un sacco,
Miss Jenkins ha davvero fatto fatica a calmarlo» sospirò
il giovane.
«Dovremo provarci anche noi» disse la ragazza osservandolo con i grandi occhi grigi lucidi.
«Dovremo sì».
Sasha si infilò sotto il leggero lenzuolo estivo, poi osservò l’amico in attesa.
«Resti
qui? Magari in due riusciamo a calmarci prima» propose e Jace
acconsentì stendendosi accanto a lei, rimanendo sopra il
lenzuolo. Si dettero la schiena ed entrambi chiusero gli occhi cercando
di cedere a Morfeo.
«Ace»
singhiozzò all’improvviso Alexandra. La reazione del
ragazzo fu immediata: si voltò completamente verso di lei;
«Sasha...» rispose triste;
«Non
voglio che muoiano!» mormorò fra le lacrime, girandosi a
sua volta, il volto nascosto dalle mani chiare ed eleganti chiuse a
pugno. Nel vederla così anche a lui venne da piangere; lasciando
che sottili e spaventate lacrime gli rigassero il viso,
l’abbracciò delicatamente.
«Anch’io non voglio che muoiano» disse solamente, permettendole di nascondere il volto contro il suo collo.
*
«Stai bene?».
Ekaterina sollevò il capo ed incrociò lo sguardo con Bucky che le stava davanti.
«Sì»
replicò la Winter Soldier stringendosi nelle spalle. La cosa non
corrispondeva per nulla alla verità, ora che si era
riappropriata dolorosamente della propria umanità dentro tremava
come una foglia. Sarebbe riuscita a salvare D? Si sarebbe nuovamente
piegata al controllo mentale? Era davvero abbastanza forte per farcela?
«Tu
sai perché lo stai facendo» mormorò il
supersoldato; Katja strinse le labbra ed annuì mesta.
«E questo aiuta?» non riuscì a trattenersi dal chiedere. James accennò ad un sorriso;
«Molto.
Ascolta non sarà facile, e se riusciamo a cavarcela nemmeno in
futuro lo sarà. Non so se quest’oscurità se ne
andrà mai del tutto» sospirò passandosi
nervosamente una mano fra i capelli, era a disagio nel parlare di
ciò che albergava nella sua anima, non aveva idea se stesse
facendo la cosa giusta, ma malgrado ciò continuò a
parlare «Forse dovremmo lottare per il resto della nostra vita,
ma ti assicuro che avere qualcosa, qualcuno con cui condividere
l’esistenza può fare la differenza».
«E
se il trattamento del dottor Banner dovesse essere inefficace? Se una
volta lì l’ambiente, quello che affronteremo dovesse farci
cedere?» la voce le tremò per l’agitazione che
dilagava a quell’idea.
«Non
succederà.» replicò Bucky con sorprendente -
perfino per se stesso - sicurezza «L’hai provato tu stessa
il trattamente è forte. Però ascolta, le vedi le persone
qui accanto a noi? Qualsiasi cosa dovesse accadere non lo
permetteranno, fidati di noi, di loro… Ma soprattutto fidati di
te stessa, Dominil ha bisogno di te».
Katja riuscì a sorridergli appena e lo ringraziò con lo sguardo.
Bucky
fece un cenno col capo, provato più di quanto volesse ammettere
da quella conversazione; ma aveva fatto bene anche a lui.
«Gente, meno di trenta minuti all’obiettivo» avvertì Clint.
Steve
fece un cenno all’arciere, poi guardò Natasha che lo
fissò grave, le andò vicino poggiandole una mano sul
volto: saggiò con i polpastrelli la sua pelle vellutata e
fresca, lei si abbandonò a quella carezza; i loro occhi si
cercarono e si trovarono come ogni volta suggellando mute promesse e
sentimenti inesprimibili. La russa posò il capo contro la sua
spalla, avvertì le labbra del compagno posarsi lievi e rapide
fra i suoi capelli.
«Per James» sussurrò. Lei annuì;
«Per James» ripeté piano.
Steve
si staccò dalla compagna e guardò il resto della squadra,
inspirò concentrandosi su coloro che come lui stavano respirando
quel momento: il momento prima dell’inizio della battaglia finale.
«Avengers!
E’ il momento, siamo qui per fermare una volta per tutte
l’HYDRA. Lo faremo insieme come un sol uomo, se vi colpiscono,
voi colpiteli più forte… Se vi uccidono,
resuscitate!» dichiarò con forza. Ci furono cenni
d’assenso e qualche sorriso complice; si voltò verso
Banner che sembrava sì ansioso ma anche più deciso che
mai.
«Bruce sei pronto?»
«Facciamolo!».
Il
piano era semplice, quasi ridicolo nella sua banalità: avevano
rinunciato a qualsivoglia di strategia triviale o sotterfugio; optando
per qualcosa di più plateale, diretto e definitivo: un Hulk
lanciato in picchiata dritto sulla base segreta senza tante cerimonie,
per esempio.
Aprire un varco e sradicare l’HYDRA una volte per tutte.
«Clint, lo S.H.I.E.L.D. è in posizione?» domandò Steve, ormai c’erano quasi.
L’arciere
in collegamento con Maria Hill dopo qualche istante fece un cenno
affermativo. Avrebbero attaccato tutti nello stesso momento.
Il
capitano guardò Tony, quasi a ricerca di una definitiva
conferma, e Iron Man gliela diede, facendo scattare la maschera
metallica sul volto.
«Bruce
ci siamo! Sam e Tony scenderanno subito dopo di te e ti forniranno
protezione. Io e Bucky saremo i prossimi e gli altri a seguire.»
tutti quanti annuirono solenni.
Natasha si avvicinò al dottore;
«Ce la fai Bruce?» gli chiese con tatto, Banner le sorrise rassicurante.
«Oh sì! Per lui sarà come fare una passeggiata»
«Allora buona fortuna» replicò la donna facendo un passo indietro.
Lo sportellone cominciò a schiudersi e nello stesso istante Bruce si tramutò nel verde e bestiale Hulk.
Tony gli si avvicinò avvolto totalmente nella iconica armatura;
«Dopo di te bestione, vedi di aprire le danze come si deve».
Hulk
sorrise ferino e si lanciò con prepotenza, Iron Man
osservò la caduta per un po’ poi si voltò verso
Falcon, che gli si era posizionato di fronte, contarono insieme
lasciandosi quasi subito cadere in picchiata.
Dapprima
non si sentì nulla se non un suono paragonabile ad un sibilo
acuto, poi iniziarono i rumori di una battaglia seguiti da un fragoroso
boato: Hulk aveva centrato l’obiettivo.
«Clint! - chiamò il capitano - copertura!».
Occhio
di Falco posizionò il velivolo e iniziò a fare fuoco,
Steve e Bucky si avvicinarono al ponte di lancio mentre Sharon e
Natasha li osservavano attente.
«Ci
vediamo giù» disse la russa con un sorriso sghembo, Steve
le sorrise di rimando, mentre Sharon e Bucky si scambiarono un rapido e
famelico bacio.
«Steve, Bucky! Ora!» ordinò Clint.
I due supersoldati si lanciarono senza esitazione.
Natasha,
Sharon e JJ guardarono, per quanto possibile, la caduta dei compagni;
l’arciere attuò una brusca virata e il jet uscì
dalla linea di tiro. Circumnavigarono l’area finché non
trovarono un punto cieco per calarsi.
«D’accordo.
JJ, tu trova Annabeth, avremo bisogno di lei per scaricare tutti i file
dell’HYDRA. Clint a te le cariche esplosive»
dichiarò Natasha con decisione.
Quando Natasha, Sharon, Clint e JJ penetrarono nella struttura vi regnava il caos.
I
loro nemici non si fecero pregare e ben presto le due donne si
ritrovarono nel furore della lotta per permettere ai compagni di
perseguire i loro obiettivi.
Voci
concitate che sbraitavano ordini, scoppi improvvisi, suoni acuti di
pallottole sparate alla ricerca del proprio bersaglio, ansiti, il
rumore attutito dei corpi avvinghiati nella lotta facevano da colonna
sonora allo spettacolo terrificante degli Avengers che avevano
dichiarato guerra all’HYDRA.
Natasha
e Sharon combattevano come un sol uomo. Il loro affiatamento era
invidiabile, si muovevano come se stessero eseguendo una coreografia
preparata in anni; i loro corpi era tesi, agili ed elastici, le mosse
dell’una completavano quelle dell’altra finendo
l’avversario.
Il
tempo in battaglia si annullava, era un concetto insignificante, non
più misurabile, l’unico segno che denotava il prolungarsi
dello scontro era il fisico.
Nel
fisico avveniva qualcosa di strano: la carne lacerata, i muscoli gonfi
e brucianti, il sangue che correva adrenalinico, le ossa che iniziavano
ad incrinarsi sempre più sotto i colpi avevano l’effetto
di accendere lo spirito. Una ferrea e viva volontà sosteneva la
debolezza del fisico.
Steve
abbatté un altro avversario, gli sembrava di farlo da più
di una vita, si guardò attorno e vide solo sangue e violenza
attorno a sè, Natasha, si accorse, lo fissava con la coda
dell’occhio senza mai perderlo del tutto di vista. Si erano
ritrovati da poco ma il fatto che nonostante la guerra, che incombeva
su tutti loro, lei fosse in grado di trasmettergli amore in mezzo a
morte, brutalità e lotta senza pietà gli diede speranza.
Dovevano
finirla al più presto, e chi gli interessava davvero, coloro che
avevano generato tutto questo ancora non si erano palesati.
«Sin! Dove vi state nascondendo?» urlò esasperato. Ma questa volta le sue urla non rimasero inascoltate.
«Non
serve gridare, Capitano. Sono qui» replicò Sinthea che
aveva atteso quel momento per palesarsi. Non gli avrebbe certo
confessato che quell’attacco a sorpresa l’aveva scossa e
aveva passato i minuti successivi a riprendere possesso non solo di
sè ma anche di tutta la base.
Quell’aria fresca, innocente ed intoccabile era pura e semplice facciata.
«Ti mancavo Capitano?» chiese con tono stucchevole.
Steve la fissò con disapprovazione e sfida;
«E’
ora di chiudere questa cosa. Tuo padre è così vigliacco
che si nasconde anche qui? A casa sua?».
Sinthea
scoppiò a ridere come un’ossessa, come se il supersoldato
avesse raccontato la battuta più divertente mai raccontata.
Ad uno schiocco di dita, un agente le porte una grande valigia scura.
«Oh
beh, vede Capitano, sono mortificata di darle questo grande dispiacere
di poter togliere di mezzo paparino-Lukin. Ma vade - continuò
aprendo la valigia ed estraendo qualcosa che lanciò con
velocità e precisioni a pochi passi da Steve che ebbe un momento
di confusione nell’osservarlo - papà non è
più disponibile per giocare» terminò con sorriso da
squalo.
Steve
deglutì a vuoto, mentre fra il resto degli Avengers
dilagò il disgusto e l’orrore, Falcon quasi rischiò
di vomitare. La testa mozzata di Lukin era ai suoi piedi e ormai in via
di putrefazione. Il supersoldato riportò lo sguardo su Sinthea a
qualche metro di distanza.
«Sono
io il capo adesso» disse con tono letale «Non sei felice?
Dovresti essermi riconoscente, anche la tua cara Natasha dovrebbe!
Voleva utilizzare il vostro adorabile pargolo come suo nuovo corpo, io
invece ho ben altri piani per lui» la sua voce aveva un che di
ferino e pericoloso.
*
Nostro amatissimo James,
se stai leggendo queste parole significa che io e tuo padre non siamo più lì con te.
Ascolta bene, солнешко,
questo non vuol dire che noi abbiamo smesso di proteggerti, siamo
sempre stati e sempre saremo accanto a te, solo che tu non ci puoi
vedere.
Io
e papà ti abbiamo amato fin dal primo istante. Le nostre vite
non sono mai state facili - la vita piccolo mio non lo è mai - e
tu sei stato però il dono più grande e bello che
potessimo ricevere.
Grazie солнешко per averci scelto e averci fatto provare la gioia di essere genitori.
Non
avercela troppo con noi, il nostro solo desiderio era di proteggerti e
l’abbiamo fatto nell’unico modo che conoscevamo: lottando.
Sappiamo per certo che anche tu, come noi, sarai un lottatore; la vita
ti metterà sempre davanti a tante sfide, alcune le vincerai,
altre purtroppo le perderai ma siamo certi che a modo tuo saprai
rialzarti. Affidati a chi per te è diventato una famiglia,
fidati del tuo istinto e trova l’amicizia, quella vera.
Io e papà ti saremo sempre vicino e ti ameremo in eterno.
Sii forte figliolo, sii gentile con il prossimo e aiuta chi fa fatica a rialzarsi da solo.
Ti vogliamo bene.
Con infinito affetto,
Mamma e Papà
_____________________________________________________________________________Asia's Corner
Buonasera
a tutti e grazie ancora una volta per la pazienza, speravo di riuscire
ad aggiornare prima, ma purtroppo ho avuto questi ultimi due mesi molto
intensi, per certi versi dolorosi e pieni di cose da fare e sistemare.
Le cosa da sistemare non sono di certo finite e mi aspettano
altrettanti mesi intensi, ma sappiate che se anche in ritardo IO
CONCLUDERO' QUESTA FF! Anche perché alla fine vera e propria
mancano altri 2 CAPITOLI! A cui, ve l'ho già accennato, si
aggiungerà un capitolo extra.
La storia però si concluderà ufficialmente col capitolo 33 che spero di postare a settembre.
Bene, dopo questa premessa, spero che il capitolo non abbia deluso
l'attesa e ora siamo proprio entrati nel vivo dello scontro e Sin ha
sganciato una bella bomba, se non fa lei le entrate ad effetto chi
può?
Io ringrazio tantissimo tutti voi che con affetto continuate,
nonostante i ritardi, questa storia e spero che mi lascerete un
commento a riguardo. A proposito a chi lascia le RECENSIONI purtroppo
non riesco più a rispondere in tempi brevi, ma sappiate che le
tengo sempre in grandissimo conto! Anzi quando ho dei momenti di
sconforto vado a rileggermi i vostri commenti e mi torna sempre la
carica e mi spronate a continuare! GRAZIE! Io comunque ce la
metterò tutta per mettermi in pari con le risposte promesso!
Detto questo, io vi auguro un buon inizio settimana e spero proprio di
postare il PENULTIMO CAPITOLO (32) entro e non oltre il mese di AGOSTO!
Un grande Abbraccio!
|
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Capitolo 32 *** All'ultimo respiro ***
32
Capitolo
Trentadue: All'ultimo Respiro
"We
have no scar to show for happiness.
We
learn so little from peace”
~
Chuck Palahnuk
«Sono
io il capo adesso»
«Beh
il tuo capo fa schifo» proruppe Natasha con sguardo glaciale.
Sinthea
voltò il capo verso di lei e sorrise enigmatica.
«Natasha
Romanoff! Era davvero ora che ci incontrassimo» trillò gioviale poi
i suoi occhi da gatto si assottigliarono alla vista di Ekaterina
accanto a lei.
«Ahiahai
K e così mi hai tradito? Sciocco da parte tua presentarti al mio
cospetto. Ma ho chi può rimetterti al tuo posto, possibilmente tre
metri sotto terra!» concluse a denti stretti ma con un sorriso
tronfio.
Katja
infatti venne travolta alle spalle e rotolò a terra con violenza,
stretta al suo avversario, senza che Vedova Nera potesse intervenire
in suo aiuto.
La
Soldatessa si ritrovò stretta nella morsa ferrea di D che non dava
segni di riconoscerla.
«D...i..di!»
sussurrò mentre soffocava, pur guardandola negli occhi Dominil non
disse nulla, ne il suo sguardo mutò, anzi rafforzò la propria presa
sul collo della ragazza.
Una
sensazione opprimente la colse: un vuoto destabilizzante, Dominil la
sua folle, innocente Didi non la riconosceva, non provava niente, i
suoi occhi rispecchiavano il nulla. Che cosa le avevano fatto? Ed
ecco la rabbia. Se avesse potuto, Katja, avrebbe ruggito di furia.
L'avrebbero pagata. Li avrebbe massacrati tutti per quello che le
avevano fatto.
Fu
grazie alla rabbia adrenalinica, bruciante ed incontenibile che
riuscì a liberarsi e scagliarsi con incredibile velocità contro la
persona che amava, ingaggiando un duro scontro.
Natasha
non perse tempo, dopo essersi assicurata che la sua protetta fosse
riuscita a reagire, si diresse rapida verso Sin decisa ad ucciderla;
nello stesso istante in cui lo fece anche Steve. Qualcosa, o meglio
qualcuno, intercettò la sua traiettoria e la placcò scaraventandola
a qualche metro di distanza.
«Natasha!»
gridò il Capitano preoccupato, ma non abbastanza da non riuscire a
parare il colpo della figlia di Teschio Rosso.
«Battiti
con me Romanoff!» Allegra Belgioioso torreggiava su di lei con
alterigia. La spia sorrise melliflua, “Bene” pensò “Mi
ha risparmiato la fatica di andarla a cercare”. Si rialzò in
piedi e si mise in posizione di attacco.
«Non
è da te scommettere contro chi ti è superiore» sibilò con altera
sicurezza. Allegra rise divertita preparandosi anch'essa.
«Oh
questo è tutto da vedere! Io so tutto di te, ti ho studiato
Romanoff, saresti un ottimo pezzo da collezione, ma vali di più da
morta!»
«Potrei
dirti la stessa cosa, tuo fratello sarebbe disposto a spendere
qualsiasi cifra.» replicò prontamente Natasha, colpendola dove
faceva più male «E credimi non uscirai viva da qui. Hai commesso il
tuo primo ed ultimo errore decidendo di guadagnare sulla pelle di mio
figlio!».
«Oh
Capitano, c'è davvero bisogno di essere così aggressivi?» lo
canzonò Sinthea parando con le braccia incrociate la gamba tesa di
Steve, mentre scivolava elegantemente in spaccata.
Lo
scontro tra i due supersoldati si fece serrato e violento; Steve
comprese subito che, se non voleva essere sopraffatto, doveva
combattere per uccidere.
«Chiedi
clemenza Capitano! Non puoi battermi» ghignò la ragazza al suo
orecchio. L'Avenger riuscì a respingerla, scagliandola lontano.
«E'
qui che ti sbagli Sinthea. Io ho tutto il giorno» disse
mentre si toglieva l'elmo e glielo lanciava contro riprendendo subito
lo scontro.
«Ore
sei» avvertì Iron Man fornendo copertura a Bucky e Sharon.
Era
davvero un pandemonio, gli agenti parevano emergere dalle pareti
stesse.
Sharon
scansò James nascondendosi insieme dietro una colonna, tossì a
causa del fumo acre in seguito ad alcune esplosioni. Guardò il
supersoldato accanto a sé per controllare che stesse bene.
«James...»
«Tranquilla,
sto bene» le sussurrò l'uomo sorridendole incoraggiante. Si sporse
appena cercando di capire quanti fossero i nemici, e fu in quel
momento che lo vide e tremò, non di paura ma di una sorta di sottile
eccitazione.
«Tony!
Karpov è lui!» Iron Man lo individuò quasi subito «Si sta
allontanando dallo scontro».
«E'
mio!» replicò prontamente Tony poi si accostò alla coppia, la
maschera si sollevò mostrando il volto teso ma deciso del genio.
«Voi
ce la fate?» chiese, i due annuirono.
«Non
ti preoccupare Tony. Vai! Salutalo da parte mia» aggiunse con
sguardo complice. Iron Man annuì;
«Contaci
Soldato Ghiacciolo» e partì all'inseguimento.
«Bene,
bene da quanto non ci vediamo».
Sharon
fu scossa da un brivido, ma come Bucky reagì d'istinto a quella
voce: graffiata, sprezzante, detestata.
«Rumlow»
replicò cupo il Soldato d'Inverno.
Bucky
non aveva desiderato altro: mettere la parola fine a quella storia.
Sharon
non si diede pena di dare voce ai propri pensieri, li mostrò
apertamente: attaccò per prima Crossbones rapida ed impietosa.
Quell'uomo le aveva condizionato la vita per troppo.
James
d'istinto andò a coprirle le spalle, la proteggeva dai colpì più
violenti, lasciando poi a lei la veloce risposta.
«Crepa
Barnes!» urlò Rumlow colpendolo con violenza inaudita.
«Dopo
di te» fu la replica glaciale.
Sharon
e James si battevano senza risparmiarsi, stanchi di quell'uomo;
Rumlow più di una volta si ritrovò a sudare freddo, ogni volta che
sul suo corpo nasceva una nuova ferita.
L'agente
13 cominciava a non poterne davvero più, la fatica minacciava di
farle perdere l'equilibrio ad ogni nuovo contatto, finché
un'esplosione accanto a loro li fece crollare a terra,
momentaneamente ciechi a causa del fumo.
Sharon
tossì forte e quando i suoi occhi iniziarono a mettere a fuoco,
desiderò non poter vedere: Crossbones ne aveva approfittato ed aveva
stretto il Soldato d'Inverno in una presa mortale, il braccio
metallico era orribilmente schiacciato – malgrado la mano fosse
ancora saldata al resto dell'arto - dalla morsa metallica che
l'agente HYDRA aveva al braccio. Bucky stava soffocando.
«James!»
articolò la donna attanagliata dalla paura.
«Sì
quella è esattamente l'espressione che mi fa tanto eccitare piccola
Carter!» disse Rumlow delirante. Bucky cercò di divincolarsi con
rabbia ma non servì.
«Sai
Barnes ho sempre saputo che avresti portato guai, ma Pearce era così
contento di avere il suo giocattolino!» serrò la presa e per un
attimo la vista di James si offuscò.
«Non
ti preoccupare non ho intenzione di finirti subito Soldat,
prima mi occuperò della nostra graziosa Carter, voglio guardi mentre
la faccio a pezzi» gli bisbigliò sadico all'orecchio.
«Lascialo
andare Brock!» ordinò dura Sharon puntando la pistola verso di
loro, dentro stava tremando non potendo sopportare di vedere James
così impotente.
«Non
credo proprio Carter! Illuminami: come farai a colpire me senza
ferire il tuo amato soldatino di latta?».
Un
guizzo attraversò lo sguardo di Bucky e Sharon; la presa sulla
pistola tremò appena, incerta.
«Sh...a...ron»
articolò sofferente; la compagna negò col capo.
«James»
soffiò disperata, ma lui le fece un debole cenno.
«Ti...
amo...»
«Anch'io!»
e fece fuoco.
Per
un lunghissimo secondo nulla si mosse, tutto rimase perfettamente
cristallizzato e poi il sorriso da squalo di Rumlow si frantumò in
mille pezzi tramutandosi in una smorfia di dolore e crollò a terra.
James,
nonostante l'acuta sofferenza, reagì velocissimo e si accanì
sull'uomo: lo colpì ripetutamente con forza, rabbia, il braccio
metallico nonostante fosse danneggiato funzionava benissimo per
spaccargli la faccia.
«James,
James basta è finita! E' morto...» la voce concitata di Sharon lo
riportò al presente. Smise di colpirlo, il volto era una massa
irriconoscibile di sangue e carne, non c'era più battito, non c'era
più un alito di vita: Brock Rumlow era morto.
Le
braccia della bionda circondarono Bucky stringendolo con
disperazione, tremava;
«Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace» ripeteva controllando il suo
addome alla ricerca della ferita che aveva provocato lei.
James
le prese gentilmente i polsi e la guardò con dolcezza;
«Va
tutto bene Sharon, ho sempre saputo che eri un'ottima tiratrice».
Lo
sguardo di Sharon cadde sul pezzo di pelle mancante: aveva colpito
lui per colpire Rumlow. Il proiettile aveva attraversato di striscio,
ferendolo all'addome senza prendere punti vitali, e si era piantato
in quello di Crossbones facendogli perdere la presa.
«Ti
amo!» sospirò l'agente 13 fra le lacrime «Ti prego lascia che ti
curi».
Sharon
riuscì a fare un bendaggio approssimativo.
«Sicuro
di farcela?» chiese lei ancora una volta, Bucky le accarezzò il
volto.
«Sì.
Andiamo, c'è ancora del lavoro da fare».
Che
i nemici fossero duri a morire, beh si sapeva ma che fossero anche
così numerosi non aiutava.
Clint
e Sam si ripararono dietro delle colonne trivellate dai proiettili.
Falcon azionò Red Wing e questo li aiutò a riprendere fiato.
Improvvisamente
l'ex pararescue perse il contatto con il suo piccolo amico
tecnologico, Clint si arrischiò a vedere cosa fosse successo, un
verso a metà fra l'esasperato e l'incazzato abbandonò le sue
labbra.
«Sam»
richiamò il compagno «Abbiamo compagnia. E stavolta non credo ce la
caveremo solamente qualche contusione» borbottò.
«Quanti?»
«Uno.
L'ultimo Winter Soldier: Leon Duval. Il bastardo che mi ha
distrutto casa!».
Lui
e Sam si fissarono per alcuni secondi, poi Falcon sospirò e si
strinse nelle spalle;
«Non
facciamolo aspettare».
Leon
Duval, o per meglio dire L era diverso, da Niall, da Katja perfino da
Bucky; non che il suo cervello non avesse subito vari ed innumerevoli
condizionamenti, ma lui non si era mai ribellato, anzi li aveva
ringraziati perché era quella la sua vera natura: assassino a sangue
freddo, letale e silenzioso, oscuro. La brama di morte e sangue
l'aveva accompagnato per tutta la sua vita, fin da bambino: piccoli
animali, insetti. Finalmente ora poteva assecondare la sua natura
senza provare nulla.
«Vi
ho visti falchetti. Fatevi avanti, venite a farvi strappare le ali e
gli occhi» mormorò letale.
«Non
serve chiedere, amico» replicò l'arciere uscendo allo scoperto e
attaccandolo con l'arco scomposto e ricomposto in un'alabarda.
Falcon
l'attaccò da dietro con un calcio teso in volo.
Non
sarebbe stato uno scontro facile.
«Ora
basta Dominil!» gridò Ekaterina stanca di combattere, stanca di
ferirla.
I
lunghi capelli biondi ora erano tinti di rosso sangue, il respiro era
affannoso, il volto escoriato, le labbra spaccate, le nocche rotte e
il corpo pieno di lividi e ferite più o meno profonde. Katja era
nelle sue stesse condizioni, se non peggio, un rivolo di sangue le
colava dalla testa, scivolando crudele lungo la tempia, tracciando
guancia e mento.
«Ti
prego» la supplicò. Non ce l'avrebbe fatta a colpirla ancora, la
amava troppo. Decise di agire per prima, la schiantò duramente
contro una parete e le bloccò le braccia con le sue. La bionda
soldatessa cercò di divincolarsi.
«Dominil»
sussurrò dolcemente «Perdonami, perdonami per averti lasciato sola,
sono stata così ingiusta con te, avrei dovuto proteggerti prima,
avrei dovuto...» esausta accostò il corpo al suo fremente, leggera
come una farfalla posò le labbra sulle sue, fu un bacio delicato,
tenero al gusto di sangue e ferro.
«...K...»
bisbigliò Dominil sulla sua bocca, lasciando l'altra basita.
«K»
ripeté mentre le sue mani risalivano lungo le braccia e le spalle
«K» le sfiorarono il collo magro per poi serrarsi con forza e
iniziare a stringere.
Ekaterina
osservò che i suoi occhi erano a tratti vacui e a tratti pieni di
emozioni soverchianti. La ragazza cercò di artigliare un detrito a
poca distanza mentre D continuava a soffocarla, lasciò che fosse
l'ultimo anelito d'istinto ad agire per lei: afferrò il frammento di
muro e colpì con forza la testa di Dominil che batté con violenza
anche a terra perdendo subito conoscenza.
Katja
si piegò su di lei protettiva, la prese e la trascinò al riparo
tenendola stretta.
Non
seppe dire per quanto tempo restò lì a cullarla, ma dopo quella che
parve un'infinità Dominil sollevò le palpebre color pesca e i suoi
occhi la cercarono immediatamente. Ekaterina rimase immobile col
cuore in gola.
«K?
Che succede? Sei venuta a prendermi?» chiese con voce sottile ed
innocente.
La
mora a quelle parole scoppiò a piangere, libera finalmente di poter
dar sfogo alla sua paura ma anche alla sua gioia.
«Sì...»
rispose strofinando il naso contro la tempia della bionda «Sono
venuta a prenderti».
Natasha
arretrò contro il muro tenendosi la spalla ferita, strinse i denti
cercando con gli occhi Allegra, quella stronza aveva approfittato di
un'esplosione per defilarsi. Ancora poco e l'avrebbe eliminata.
«Nat!»
chiamò Sharon andandole incontro seguita da Bucky.
«Che
vi è successo?» volle sapere la spia osservando le loro condizioni
fisiche.
«Rumlow»
rispose James «E' morto».
Natasha
si scambiò un'occhiata con Sharon e poi annuì.
«Allegra
si è nascosta, ho perso Steve e Sin – ebbe un brivido – JJ gli è
andato dietro»
«Hulk
si sta occupando degli agenti all'esterno» la informarono i due;
«Tony?»
«All'inseguimento
dell'uomo che ha ordinato la morte di Howard e Maria. Sam?» chiese
Bucky leggermente in ansia.
«Credo
sia con Clint, si stava occupando delle cariche» replicò Natasha.
«Ekaterina?»
domandò a quel punto Sharon,
«Sta
bene. Sta portando Dominil al sicuro sul jet» disse mentre il suo
sguardo si rischiarò appena.
Quello
scambio di informazioni si interruppe bruscamente da una nuova ondata
di agenti dell'HYDRA.
Natasha,
Sharon e Bucky vennero travolti dagli scontri.
Ad
un tratto James si tastò il petto percependo sotto il tessuto ruvido
e logoro quella piccola forma quadrata che in qualche modo gli dava
forza, si guardò attorno osservando attonito la battaglia che si
stava scatenando e capì di non poter più aspettare. Fanculo il
momento perfetto!
«Sharon!»
richiamò la compagna tirandola a sé e mettendosi momentaneamente al
riparo.
«James?
Che succede?» gli chiese preoccupata, osservandolo mentre si
inginocchiava e trafficava con la sua giubba.
«Sharon»
disse guardandola con amore e solennità, le mostrò la piccola
scatolina «Vuoi sposarmi?».
L'agente
13 non ebbe nemmeno il tempo di formulare un pensiero che furono
costretti a separarsi per affrontare i loro nemici, che così
scortesemente si erano intromessi fra loro.
«Tu!
- esalò incredula lei – Ti pare il momento più opportuno per
chiedermi di sposarti?» domandò lievemente isterica, mentre
rifilava una ginocchiata all'avversario e lo lanciava, letteralmente,
verso il compagno.
«No,
ma potrebbe essere l'unico! Ti amo! Ho scelto di passare il resto
della mia vita...» strinse i denti mentre evitava per un soffio
alcuni proiettili vaganti «...sempre che di vita ce ne rimanga, al
tuo fianco! Qual è la tua risposta?» chiese, finalmente uno accanto
all'altra.
Sharon
sbatté gli occhi perdendosi in quelli del supersoldato, sconvolta e
felice.
«Natasha!»
urlò voltando il capo in direzione della rossa impegnata in uno
scontro. Questa mise fuori gioco l'avversario e poi le prestò la sua
completa attenzione.
«Mi
fai da damigella d'onore?» gridò raggiante.
Vedova
levò un sopracciglio verso l'alto alquanto perplessa, poi alzò gli
occhi al cielo, la pistola che scattava rapida ad eliminare
avversari;
«Niente
rosa!» le urlò di rimando ma con un piccolo sorriso ad incresparle
le labbra.
«E'
un sì?» borbottò James confuso più che mai da quello scambio di
battute, Sharon per tutta risposta lo bacio con passione.
Bucky
frastornato dal bacio, la guardò e la trovò più bella che mai,
nonostante la fatica, il dolore, la stanchezza.
«Magari
l'anello te lo metto dopo eh, che dici?» scherzò lui, si
scambiarono un altro lieve bacio poi i nemici pretesero la loro
attenzione.
Vedova
venne colpita bruscamente al fianco e voltandosi si ritrovò di nuovo
faccia a faccia con Allegra.
«Questa
volta non ti lascerò andare. La storia finisce qui» disse Natasha
con sguardo minaccioso e letale.
«La
storia finisce per te» sibilò lei.
Natasha
non si fece impressionare e passò subito al contrattacco, colpendola
senza pietà.
«Vedi
Allegra io non posso proprio morire. Devo andare ad un matrimonio»
un altro colpo e stavolta sentì distintamente le ossa del braccio
della Belgioioso spezzarsi a causa della sua mossa. Si rese conto che
la giovane italiana era al suo limite e sorrise melliflua: povera
piccola aristocratica, per quanto potesse essere capace non era
abituata a scontri così lunghi e intensi.
L'afferrò
per i lunghi e biondi capelli e con una ginocchiata ben assestata la
mandò contro il muro.
Allegra
crollò in ginocchio e cominciò a tremare per davvero. Per una
abituata a calcolare rischi e guadagni fu semplice comprendere che
non ne sarebbe uscita viva e lei non voleva morire. Poteva giocare
con la morte senza mai sbilanciarsi, poteva giocare con la morte di
altri, ma lei in verità ne aveva un sacro terrore. Aveva paura della
morte ed era troppo giovane per non averne. Si guardò attorno: tutto
quello valeva davvero di più della sua vita?
«Mi
arrendo» sospirò Allegra alzando le mani. Natasha fece una
smorfia;
«E dovrei crederti?» sibilò.
«Io
non voglio morire» e Natasha guardandola negli occhi vide che quella
era la più pura e semplice verità, quello era uno sguardo che
conosceva bene.
«Dov'è
Sin?» chiese a quel punto.
«Io-»
Allegra pensò in fretta e prese coscienza delle prossime mosse della
sua ex alleata «Se la base è compromessa si starà dirigendo verso
l'hangar. Non è così sicura come vuol far credere, ha molto meno
controllo di quanto pensi»;
«Grazie»
e subito dopo Natasha la colpì violentemente con il calcio della
pistola, Allegra Belgioioso svenne.
«Che
si fa?» chiese James poco dopo.
«Dobbiamo
radunare il resto della squadra e dirigerci verso l'hangar. Sharon tu
porta la Belgioioso al jet e mettiti in contatto con Coulson, cerca
di capire a che punto sono. James raduna gli altri».
«Pietà...»
sussurrò con un filo di voce Karpov, ormai ridotto allo stremo.
Tony
torreggiava su di lui, il respiro pesante e controllato, provato
nell'anima di aver finalmente messo le mani sul mandante
dell'assassinio dei suoi genitori.
«Dimmi
una cosa, perché?» mormorò con sguardo perso il genio.
«Io
non lo so» affermò ostinato l'ex addestratore della Red Room. Iron
Man fece un verso esasperato e puntò la mano armata contro di lui,
poteva polverizzarlo in pochi istanti.
«D'accordo.
Lukin voleva mettere le mani su un siero o qualcosa del genere che
gli Stark custodivano, non so altro lo giuro!» replicò stanco.
«Peccato
che Lukin sia morto quindi, capisci, dovrò rivalermi su di te,
infame bastardo» replicò Tony allungò il braccio e l'energia si
sprigionò eliminando definitivamente l'incubo di Bucky Barnes e Tony
Stark.
Compiuta
la sua vendetta non si sentì meglio, non provo nulla, il vuoto
persisteva sospirò pensando, quanto meno, che ci fosse un verme in
meno a quel mondo; inspirò solennemente poi prestò ascolto alla
comunicazione audio, calò la maschera sul viso e si voltò.
JJ
strinse i denti frustrato ed esausto dallo scontro che lui e Grant
Ward stavano ormai portando avanti da troppo, lanciò uno sguardo ad
Annabeth ammanettata, picchiata e sorvegliata a vista dall'ex
specialista.
L'agente
di livello 7 era riuscito ad anticipare la loro direzione e li aveva
aspettati all'hangar; un improvviso fragore gli fece voltare lo
sguardo: Steve Rogers era appena stato schiantato da Sinthea Schmidt,
un leggero brivido lo colse, la battaglia fra quei due si era fatta
sempre più violenta e brutale.
«Che
vogliamo fare Capitano?» celiò sarcastica e divertita Sin «Colpirci
fino a che i nostri corpi non saranno più in grado di rigenerarsi?»
terminò con un gesto teatrale.
«Almeno
ti porterei nella tomba con me!» replicò Steve lanciandole lo scudo
sulle gambe e facendole perdere l'equilibrio.
Sin
sorrise melliflua, un sorriso sporco di sangue. Non era andata poi
così distante dalla realtà: lo scontro tra loro stava causando seri
danni al fisico di entrambi, che persino il siero faticava a
rimarginare in tempi brevi. Gli sputò in volto il proprio sangue per
poi alzarsi di corsa e dirigersi verso il Bus, facendo un cenno a
Ward; il suo ultimo agente rimasto.
L'ex
specialista non esitò un istante, lanciò una granata verso Steve e
JJ e, afferrando rude Annabeth, seguì Sin.
Il
supersoldato e l'agente di livello 7 si misero al riparo proprio
mentre si avvertiva il rombo dei motori del grande velivolo.
Il
resto degli Avengers comparve in quel momento nell'hangar; Natasha lo
cercò immediatamente con lo sguardo.
«Steve!»
urlò richiamando il compagno.
L'uomo
si prese qualche momento per osservarla: era esausta, il corpo
provato e il sangue che le colorava la pelle candida ancora fresco,
eppure per lui era sempre bellissima, un angelo magnifico e crudele.
Vedova
vide le sue labbra muoversi, articolare poche parole: “Perdonami.
Ti amo.” e lei tremò ma se ne rese conto troppo tardi.
Capitan
America si mosse fulmineo e corse dietro al Bus, che intanto stava
decollando, si accorse appena di JJ che tentava di stargli dietro
animato dalla stessa idea.
«STEVE!»
lo chiamò Natasha cercando, troppo tardi, di seguirlo; alla fine
crollò in ginocchio sostenuta da Bucky e Sharon. Tony, nonostante i
propulsori danneggiati, cercò di stare dietro al Bus ma dovette
aiutare Hulk, all'esterno, con alcuni jet e mezzi corazzati che
cercavano irriducibili lo scontro. L'aereo di proprietà dello
S.H.I.E.L.D. volava sempre più in alto fino a che la modalità
invisibile lo rese praticamente irraggiungibile.
Ciò
che Sharon vide quel giorno le rimase impresso nella memoria: Natasha
Romanoff tremante, furiosa, amareggiata e sopratutto terrorizzata a
morte mentre chiamava ancora Steve e lacrime silenziose e odiate le
segnavano crudelmente il viso.
«Secondo
te come siamo messi?» esalò Sam con un'ala spezzata e il corpo
scuro di lividi.
«Bah,
secondo me siamo in parità» borbottò Clint tenendosi un braccio e
respirando piano e profondamente. Falcon si voltò verso di lui ed
osservando la sua faccia da schiaffi sarebbe scoppiato a ridere se
ciò non gli causasse un tremendo dolore allo sterno.
Leon
invece era ancora in piedi apparentemente intoccato, anche se in
verità così non era.
Sam
e Clint erano davvero provati ma qualcuno da lassù doveva volergli
un gran bene perché in loro aiuto arrivò Katja.
«L
finiamola, ora» esordì dura.
Il
Winter Soldier la guardò annoiato;
«Molto
bene. Se vuoi farla finita ora non hai che da chiedere» la ragazza
intanto si scambiò un cenno con i due Avengers.
Quello
era l'attacco decisivo.
Sinthea
non era riuscita a riprendersi che un violento pugno di Steve Rogers
l'aveva fatta volare contro una parete. Lui e Holden erano riusciti
ad appendersi ad una delle ruote del Bus e a penetrare all'interno.
Sinthea
ridacchiò sinceramente divertita e si leccò il sangue che le colava
dalle labbra.
«Sai
una cosa Capitano? Mio padre non l'ha mai compreso, lui voleva
dominare il mondo, che vanesio! Era davvero convinto che quella fosse
la soluzione. Si sbagliava, non puoi dominare qualcosa di corrotto.
Solo dalle ceneri puoi plasmare qualcosa di completamente nuovo, in
cui i forti domineranno sui deboli e voi non avrete più necessita
d'esistere. Sai in fondo dovreste ringraziarmi-»
«Ringraziarti?»
replicò duro Steve, come se stesse sputando veleno.
«Io
sono un male necessario, mio bel Capitano. – lo disse quasi
con dolcezza, come se stesse spiegando qualcosa di ovvio ad uno
sciocco – Io rendo voi ciò che siete. Senza di me cosa saresti
Steve Rogers? Un soldato senza guerra... Inutile. La tua dolce metà?
Un'assassina che ritornerebbe a fare ciò per cui è nata-»
Per
Steve quello fu troppo e la colpì spietatamente.
«Può
essere che tu abbia ragione Sinthea, ma non ti illudere che le cose
andrebbero come tu desideri, ci sarà sempre chi alzerà il capo e
dirà “basta”. Questa è la realtà: per ogni male necessario ci
sarà un bene disinteressato che lotterà!».
Sinthea
urlò e si avventò contro di lui, rotolarono a terra colpendosi a
distanza ravvicinata, mentre il Bus virava in modo anomalo
sballottandoli in tutte le direzioni.
«Che
cazzo succede?» gridò la figlia di Teschio Rosso ferita.
Nella
cabina di pilotaggio intanto JJ e Ward si affrontavano duramente,
mentre Annabeth cercava un posto abbastanza sicuro per far atterrare
quel maledetto aereo ma senza successo, inoltre i due agenti
avvinghiati nello scontro non l'aiutavano di certo.
Esausta
e ferita Munroe decise di fare una mossa disperata: lasciò i comandi
e si gettò su Ward per dare una possibilità a Holden. Nel caos
della lotta Annabeth e Grant Ward si ritrovarono con una pistola
ciascuno e nessuno dei due esitò: due proiettili partirono nello
stesso istante.
Il
sorriso sul volto dell'ex specialista si addolcì accasciandosi poi a
terra colpito a morte.
Annabeth
tremante per ciò che aveva fatto, cadde in ginocchio mentre il
sangue crudelmente le sgorgava dalle labbra: il proiettile le aveva
perforato l'addome.
«Annabeth!»
urlò disperato Holden tenendola fra le braccia.
«J...J
per favore... l'aereo... c-ci s-c-hia-n-teremo...».
«Merda!
Dannazione resisti!».
*
«Più
veloce!» ordinò Natasha scura in volto a Clint, tutta la squadra si
era finalmente riunita nel jet che si dirigeva nel punto in cui il
Bus aveva mandato l'ultimo segnale.
La
scena che si presentò davanti agli Avengers non era delle più
rassicuranti: il Bus pareva aver tentato un atterraggio di emergenza,
ma si era gravemente distrutto contro la superficie rocciosa e pareva
essersi spezzato in più punti.
Vedova
si mosse tremante verso le rovine del Bus così come gli altri,
finché uno dei portelloni rimasti si aprì cigolando e un JJ ferito
gravemente uscì zoppicante con Annabeth Munroe incosciente fra le
braccia, immediatamente Tony e Sam lo aiutarono e lo portarono verso
il loro jet.
Natasha
sentiva la ragione abbandonarla ad ogni istante passato, il suo corpo
sembrava non appartenerle e rifiutava di sottostare al suo controllo,
insieme al cuore che si restringeva in petto sempre più impedendole
di respirare correttamente.
Poi
un borbottio di voci attirò la sua attenzione. Sotto gli sguardi
increduli e sollevati dei suoi compagni, Steve Rogers uscì anche lui
alquanto malconcio tenendo stretta Sinthea Schmidt, imprigionata con
delle cinghie, mentre inveiva e malediceva tutto e tutti.
«Questo
è il tuo più grande peccato Capitano! La tua fottuta bontà ti
costerà la vita! Non appena mi libererò ti verrò a cercare, ti
ucciderò e ti strapperò ciò che hai di più caro-!».
Improvvisamente
un sibilo attraversò l'aria e tutti se ne accorsero troppo tardi, la
voce di Sinthea morì, uno schizzo di sangue colpì il volto e...
«Steve!».
_____________________________________________________Asia's Corner
Buon pomeriggio a tutti voi!
Eccomi tornata con questo penultimo
capitolo che come avete notato è molto denso e ricco d'azione,
non vi nasconderò che la stesura è stata alquanto dura,
gestire non solo l'azione ma anche così differenti personaggi
tutti legati fra loro e saltare dall'uno all'altro è stata
un'impresa per me! Spero che il risultato sia stato di vostro
gradimento.
Non mi dilungherò molto anche perché ormai che siamo
così vicini alla fine di questa avventura lascerò alcune
riflessioni e ringraziamenti per il prossimo capitolo conclusivo.
Io ringrazio tutti voi per l'affetto e la pazienza e ci vediamo al prossimo capitolo!
Un abbraccio!
|
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Capitolo 33 *** Happy Ending ***
33.Fin
Capitolo
Trentatré: Happy Ending
“I've
had enough hurt already in my life.
More
than enough.
Now
I want to be happy”
~
Haruki Murakami
I
respiri rimasero congelati per istanti infiniti.
Steve
sbatté le palpebre una, due, innumerevoli volte, il volto schizzato
di sangue non suo e l'espressione sconvolta. I suoi occhi cerulei
scivolarono verso il basso osservando il cadavere ghignante di
Sinthea Schmidt; gli occhi aperti, il sorriso felino impregnato di
sangue e un perfetto piccolo cerchio scuro in mezzo alla fronte: il
foro d'entrata del proiettile che l'aveva uccisa all'istante. Steve
rifletté che non doveva essersene nemmeno accorta. Non si era
nemmeno resa conto che stava morendo.
Gli
istanti di finta calma cessarono di colpo e l'intera squadra si mise
al riparo e ben allerta; il biondo supersoldato rimase con lo scudo
alzato per svariati secondi senza che nulla succedesse. Assicuratosi
che chiunque avesse ucciso Sin non li avrebbe attaccati, calò lo
scudo e si ritrovò faccia a faccia con Natasha Romanoff, che non
perse tempo e gli rifilò uno schiaffo talmente forte che non solo lo
costrinse a girare il capo ma risuonò per tutta l'area.
«Steve
Grant Rogers» sibilò furiosa «Non ti azzardare a farlo mai più!
Che ti è saltato in mente?!» lo afferrò per la divisa «Non
provare mai più a lasciarmi indietro».
Steve
rimase a guardarla come folgorato, la strinse a sé e la baciò
intensamente.
«Perdonami»
le sussurrò dolcemente.
Natasha
ricacciò indietro le lacrime e inspirò profondamente, mentre il suo
cuore ricominciava a battere regolarmente.
«Dopo
questa, dovrai passare il resto della tua esistenza a farti
perdonare, Rogers» mormorò senza staccarsi da quell'abbraccio.
Steve sorrise contro i suoi capelli;
«Non
chiedo altro любовь моя [amore mio]».
Natasha
rimase sorpresa e un lieve sorriso dipinse il suo volto di nuove
sfumature.
«Mi
spiace interrompere i due piccioncini. Sono l'unico che si sta
chiedendo che diamine è successo? E sopratutto chi cavolo ha sparato
alla pazza?» la voce a metà fra l'isterico e l'ironico di Tony
Stark si intromise senza tante cerimonie.
«Una
giusta domanda» asserì Clint mentre con lo sguardo perlustrava ogni
anfratto del paesaggio circostante «Non sembra esserci anima viva
intorno a noi».
«JARVIS
analisi del perimetro» ordinò Iron Man mentre il resto della
squadra restava in attesa.
«L'esito
è negativo» sospirò Tony incredulo.
«Dovremmo
considerarlo un intervento divino allora?» borbottò Sam poco
convinto.
«Sentite
so che non è il massimo, ma ammettiamolo chiunque le abbia sparato
ci ha fatto un favore e il fatto che lei sia morta e noi no, forse
significa che non sia proprio nostro nemico» replicò pacatamente
Bucky mentre sorreggeva Sharon ormai sfinita.
Il
resto della squadra alla fine non poté che concordare. L'ultima
testa dell'HYDRA era caduta per sempre; le squadre dello S.H.I.E.L.D.
si era occupate delle teste restanti neutralizzandole. Incredibile ma
vero: avevano vinto.
«Possiamo
discuterne quanto vogliamo, ma siamo distrutti, molti di noi hanno
bisogno di cure mediche immediate, Annabeth Munroe in primis. Se
JARVIS non è riuscito a trovare nessun traccia forse è meglio così,
non piace nemmeno a me ma è ora di tornare a casa» e con queste
parole Steve Rogers mise fine ad ogni indugio. Forse avrebbe provato
a capire, ma dopo essersi ripresi da tutto quello.
Decisero
di seppellire lì la donna e poi risalirono nel jet pronti a fare
rotta verso New York.
*
Poco
dopo che il jet degli Avengers aveva abbandonato il luogo, un
velivolo più discreto comparve disabilitando la modalità
invisibile.
Nick
Fury scese a terra imbrattando i propri anfibi di polvere e detriti,
camminò verso il cratere provocato dall'atterraggio del Bus. Guardò
in basso dove troneggiavano i detriti e poco prima gli Avengers
avevano definitivamente posto fine all'HYDRA; con la punta scura
dello stivale colpì con insistenza una roccia accanto a sé.
«Non
potevi proprio farne a meno, eh Ivan?» sbuffò il Colonnello.
La
roccia in questione scomparve non essendo altro che un finto telo
schermato; ultimo giocattolo creato dallo S.H.I.E.L.D. e Ivan
Petrovich padre di Yuri e Natasha, anche se putativo di quest'ultima,
si alzò spazzolando con gesti eleganti la polvere dai vestiti ed
imbracciando il fucile con il quale aveva ucciso Sinthea Schmidt.
«Volevi
davvero che restasse in vita? Quella psicopatica andava eliminata
punto, aveva ragione quando accusava Rogers di essere troppo buono»
replicò il russo annoiato.
«Commovente
Ivan, tutto questo per Natasha? Forse dopotutto dovresti palesarti,
lei e Yuri ti credono morto da molto tempo» disse Nick tranquillo.
«Ed
è meglio che resti così. Natalia mi ucciderebbe all'istante se mi
presentassi al suo cospetto e dubito che mio figlio reagirebbe in
modo differente» il suo sguardo si fece malinconico per un attimo.
«Cos'è
quello che sento, rimpianto?».
Ivan
non si diede la pena di rispondere.
«Possiamo
considerare l'operazione “Dark Eagle” conclusa?» domandò
Nick sospirando.
«Mio
nipote ora è al sicuro, anche se non la definirei conclusa: adesso a
Natalia e al Capitano spetta il compito più arduo, essere genitori»
ribatté l'uomo con un lieve sorriso.
Nick
Fury annuì solamente l'espressione più morbida.
«Beh
divertiti come nonno, sono certo che ti troverai bene in
questo ruolo» e con quelle parole Ivan Petrovich se ne andò per la
sua strada senza nemmeno voltarsi indietro e vedere la faccia
scioccata di Nicholas Joseph Fury. Per la prima volta nella sua
intera carriera da spia, la spia delle spie era rimasta senza parole.
*
«James
posso?».
Bucky
Barnes alzò lo sguardo pensieroso su Bruce Banner avvolto in una
calda coperta, dopo essere tornato in sé, e gli fece cenno di
sedersi davanti a lui.
«Sai
stavo pensando a quello che è capitato. Mi riferisco a Sinthea...»
«Già
stavo pensando alla stessa cosa suppongo»
«Tu
credi sia stato quell'uomo?» domandò piano Banner cercando di non
farsi sentire dai compagni. James lo osservò serio e poi annuì.
«Lo
immaginavo, è per questo che hai detto quelle parole-»
«E'
la verità. Quell'uomo non farebbe mai del male a Natasha e alla sua
famiglia, ma come sai non dobbiamo farne parole» disse Bucky con un
mesto sorriso.
Bruce
gli sorrise di rimando ed annuì semplicemente.
*
Il
piccolo James Rogers era tutto intento a mettersi allegramente il
peluche in bocca fra le braccia amorevoli della sua tata, quando d'un
tratto si bloccò, gettando il morbido pupazzo a terra e iniziando a
muoversi agitatissimo.
Florence
Jenkins aggrottò le sottili sopracciglia, mentre Sasha e Pepper
osservavano preoccupate il bambino, Laura, circondata dai suoi figli,
ne era incuriosita.
Niall
e Jace arrivarono di corsa con in volto un'espressione estremamente
sollevata.
«Sono
tornati!» proruppe l'adolescente.
Le
porte dell'ascensore si aprirono non appena Jace ebbe pronunciato
quelle parole; Steve Rogers e Natasha Romanoff uscirono quasi di
corsa, feriti gravemente e zoppicanti si diressero dal loro bambino.
Jamie
urlò felice nel ritrovarsi avvolto dalle braccia della madre, che lo
strinse a sé tremando d'emozione.
«прошу
прощения, прошу прощения, прошу прощения
солнышке [perdonami, perdonami, perdonami piccolo sole]»
sussurrò Natasha baciandolo sulla tempia morbida.
Steve
abbracciò stretto entrambi trattenendo a stento le lacrime, senza
aver intenzione di lasciarli andare più.
Gli
altri arrivarono con calma; Pepper allargò le braccia con
espressione dolce e accolse amorevolmente Tony completamente
distrutto, che si lasciò cullare da quella donna a cui doveva più
della vita.
Clint
si gettò sul divano mentre veniva circondato dai suoi figli, che per
dimostrare la loro gioia decisero di assalirlo letteralmente.
Sam
sorrise osservando Niall venire abbracciato con forza da Dominil
sotto lo sguardo sollevato di Katja, era tranquillo, Maria sarebbe
giunta a breve.
Niko
aiutò Bruce a sedersi e si misero a parlare come vecchi amici,
finalmente in pace.
«Allora
glielo hai chiesto?» Jace sorrise divertito all'indirizzo di Bucky e
Sharon con accanto Sasha, che con occhi lucidi li osservava curiosa.
Sharon
con un sorriso delicato mostrò l'anello al dito: un diamante
incastonato in un'elegante montatura geometrica d'oro rosa costellata
da piccoli diamanti.
JJ
assisteva invece Annabeth in infermeria non volendola lasciare sola,
nonostante la preoccupazione sorrise sollevato.
Erano
riusciti a tornare tutti, nessuno escluso.
*
Un
anno dopo...
Il
suv correva placido sulla strada asfaltata costeggiata da rigogliosi
alberi ricchi di foglie oro, rosse, brune.
Il
cielo andava lentamente annuvolandosi ma questo non minava la
bellezza del paesaggio autunnale del Vermont.
«Bellooo»
Jamie Rogers dondolava allegro le gambe, incapace di stare fermo sul
seggiolino, i suoi occhioni azzurro cielo osservavano meravigliati il
paesaggio fuori dal finestrino.
Steve,
alla guida, sorrise intenerito scambiandosi un'occhiata complice con
Natasha.
«Ti
piace qui Jamie?» chiese dolcemente la russa voltando il capo verso
il figlio.
«Sì!»
trillò entusiasta il piccolo che ormai aveva un anno e mezzo e
possedeva un eloquio innaturalmente sviluppato per un bimbo della sua
età.
«Anche
a me, anche se non so esattamente perché siamo qui?» disse fissando
di sottecchi l'uomo che amava.
Steve
ridacchiò divertito e le fece l'occhiolino;
«E'
una sorpresa».
Natasha
sbuffò appena, ma si accontentò di continuare a guardare il
paesaggio circostante.
Il
supersoldato le prese la mano e se la portò alle labbra, con la coda
dell'occhio la vide sorridere.
Lui
era emozionato, era stata dura tenerle nascosta una cosa come quella,
ma sperava con tutto se stesso che le sarebbe piaciuta.
Poco
dopo virò su una stradina laterale non propriamente asfaltata,
superarono alcune case dall'aspetto curato finché giunsero ad uno
spiazzo verde in mezzo alla radura, dove si ergeva una deliziosa
villetta in legno col tetto scuro.
«Steve?»
esalò Natasha davvero sorpresa, voltandosi verso il Capitano che le
sorrise rassicurante prima di scendere e prendere il figlio in
braccio.
«Che
ne pensi Jamie?» gli domandò stringendoselo contro.
«Wow,
bella!» rispose il piccolo, poi voltò il capo «Mamma!?» chiamò
volendo che partecipasse anche lei.
La
donna guardava la casa incredula, si avvicinò alla sua famiglia
senza dire una parola. Steve la prese dolcemente per mano e
l'accompagnò fino all'ingresso: salirono i tre scalini in pietra e
si trovarono sull'ampio portico arredato con sedie in legno ed una
panchina a dondolo; dalle ampie finestre si poteva vedere la cucina
bianca e funzionale.
Il
supersoldato prese la chiave e aprì la doppia porta.
Natasha
studiò basita l'interno, arredato in stile rustico ma elegante; il
soggiorno era enorme, con un imponente camino in pietra e grandi
vetrate che occupavano un'intera parete e mostravano il giardino
posteriore.
Jamie
fu lasciato libero di curiosare e scorrazzare in giro.
«Benvenuta
a casa» disse semplicemente Capitan America alla sua Vedova Nera.
La
russa lo guardò con sguardo luminoso.
«Dici
sul serio?» chiese avvicinandosi.
«Sì!
Se tu lo vuoi. Il resto della squadra mi ha dato una mano...»
«Quindi
non stavate ricostruendo la casa di Clint» disse con espressione
provocante, passandogli le braccia intorno al collo.
«No,
non solo»
«Stai
diventando bravo Rogers!» lui rise, poi l'afferrò per i fianchi e
poggiò la fronte sulla sua.
«Natalia
Alianovna Romanova voglio passare il resto della mia vita con te e
James, voglio quella vita che non abbiamo mai potuto avere e che ora
ci siamo conquistati a fatica. Voglio invecchiare in questa casa con
te» le disse serio, solenne ma appassionato. I suoi occhi, gli
stessi del loro bambino, erano sinceri, sicuri e liquidi come il mare
calmo e profondo.
Natasha
si commosse, le sue labbra tremarono per l'emozione e il cuore le
parve non riuscire a contenere tutti i dolci e travolgenti sentimenti
che sentiva in quel momento. Era semplicemente troppo.
Sorrise
e aderì completamente al suo corpo con il proprio, lo sentì
trattenere il fiato.
«Lo
voglio. Lo voglio anch'io Steven Grant Rogers» sussurrò sulle sue
labbra.
Lui
la baciò con trasporto suggellando la loro promessa, il loro voto
solenne.
«Bacio!»
ridacchiò Jamie fissando i genitori.
«Vieni
qui peste!» disse Steve iniziando a rincorrerlo mentre il figlio
scappava ridendo come un matto.
Natasha
rimase a guardarli divertita e felice, inspirò profondamente.
Sì,
erano a casa ora.
Fine
____________________________________________Asia's Corner
-
Ed
eccoci qui! Miei cari lettori al termine di una lunga, ma molto lunga
avventura. Quattro anni sono passati da quando ho postato il primo
capitolo di “Lasciati Salvare” senza sapere ciò che poi sarebbe
diventato, addirittura una trilogia! Se me l'avessero detto non ci
avrei creduto e invece è proprio così.
-
Posso
dire che sono cresciuta con i miei personaggi, per me è
difficilissimo ora lasciarli andare, se mi impegnassi troverei altri
mille modi per continuare ma non è il caso... Mi hanno dato
tantissimo e ho raccontato di loro in un modo che non credevo di
poter scrivere.
-
E'
davvero giunto il momento per Natasha e Steve di riposare e godersi
il loro bel bambino!
Io non credevo di poter creare tutto questo,
so che non è perfetto ma è mio, è ciò che sono in grado di
fare... E sono davvero contenta così!
-
Io
ringrazio tantissimo, e se potessi usare altre parole – migliori –
lo farei, tutti coloro che mi hanno seguito in questi anni! Chi qui
su efp chi su fb, siete stati pazienti e comprensivi e i vostri
messaggi e le vostre recensioni mi hanno sempre commosso e fatto
andare avanti anche quando davvero ero in difficoltà.
-
Alcuni
mi hanno detto che questa storia è stata un ispirante per loro,
almeno un po' e io di questo non posso che andare fiera! Spero nel
mio piccolo di aver regalato qualcosa a tutti voi!
-
Un
grazie speciale va sicuramente a Midnightsunflower, Airaharune, Saa89
loro sono stati con me dall'inizio alla fine facendomi sempre sapere
la loro opinione ad ogni capitolo! E' bellissimo come da una semplice
storia possano nascere anche amicizie che poi sfociano nella vita
quella reale!
-
Non
penso abbandonerò mai del tutto questo fandom, sopratutto ho molte
altre storie da scrivere e come sapete qualche drabble e flashfic da
continuare, ma per il momento mi prendo una pausa.
-
- Io
mi inchino virtualmente, vi ringrazio e vi saluto!
-
-
Ps.
Come potete vedere questa storia ancora non può dirsi “completa”,
perchè? Beh ma che discorsi, abbiamo un matrimonio a cui
partecipare no?
-
Inoltre
una bella oneshot su quei due bricconcelli di Sasha e Jace penso ve
la meritiate, perché no?
-
Stay
tuned! Non vi liberete di me così facilmente!
-
Vi
voglio bene!
-
-
Asia
|
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Capitolo 34 *** - Extra - Fiori d'Arancio ***
Fiori d'arancio
-
“I
think it's brave to try to be happy”
- ~
“Pushing Daises”
-
«Cosa
ne pensi?» chiese pazientemente Natasha, per quella che era la nona
- almeno credeva - sinceramente aveva smesso di tenere il conto dopo
il sesto abito, sollevando lo sguardo attento sulla futura sposa.
-
Sharon
Carter pareva sull'orlo delle lacrime. Se ne stava ritta come uno
spillo, le spalle tesissime su quella piccola pedana, fissando
sconcertata la propria figura tornita, riflessa su ben tre – perché
uno non era abbastanza crudele – eleganti specchi fasciata in un
luccicante abito a sirena.
-
Natasha
lo capì immediatamente: lo odiava. E lei non poteva che darle
ragione.
-
Si
scambiò un'occhiata veloce con Maria, la cui espressione era rigida,
come se si stesse tenendo pronta per l'inevitabile scoppio.
-
Era
venerdì mattina e Sharon, insieme a Natasha con il piccolo Jamie,
Maria e Alexandra, si era finalmente decisa a cercare quel benedetto
abito da sposa. A due settimane dalle nozze, si trovavano in un
piccolo ma elegante atelier, che vendeva abiti da sposa ricercati di
designer emergenti.
-
Da
quella folle proposta erano passati quasi due anni e mezzo; non che
non ci avessero provato ad organizzare il matrimonio. Una volta era
stata fissata anche una data! Che però era stata presa a calci
dall'emergenza o dalla missione di turno. Dopo tanto penare
finalmente quella pareva la volta buona, anche se tutto era stato
organizzato in fretta.
-
Sasha
strinse a sé Jamie, che da poco aveva compiuto tre anni. Jace le
aveva appena scritto un messaggio per informarsi su come procedessero
le cose, ma sinceramente non sapeva se scrivergli la verità.
Quell'attimo di indecisione fu colto da Sharon che scoppiò. Si voltò
di scatto e afferrò il cellulare prima che chiunque potesse
fermarla.
-
«Adesso
lo chiamo e gli dico che non possiamo sposarci!» disse con sguardo
febbrile;
-
«Sharon!
Dammi quel cellulare» sibilò Natasha alzandosi, ma era troppo
tardi.
-
«Pronto?»
rispose la voce di un Bucky leggermente confuso;
-
«James..!»
iniziò la fidanzata disperata;
-
«Sharon
dammi quel dannato telefono» Vedova si protese in avanti cercando di
toglierle l'apparecchio a cui l'amica si stava aggrappando, quasi
fosse il suo unico appiglio nell'intero universo.
-
«Sharon?
Ragazze che succede?» ora James era un tantino agitato;
-
«James!
Mi dispiace... Dobbiamo annullare le nozze-! Io-»
-
«COSA!?»
-
«SHARON!»
-
«Sharon
non costringermi a schiaffeggiarti!» trillò Maria esasperata.
-
E
mentre il Soldato d'Inverno rischiava l'infarto sostenuto da Sam,
quanto mai confuso; Natasha riuscì dopo svariati minuti di
imprecazioni, minacce di morte e parole folli a strapparle il
cellulare di mano e a chiarire la situazione. Chiuse la comunicazione
senza nemmeno premurarsi che James avesse capito quello che era
successo in quei pochi minuti concitati.
-
«Mamma...»
pigolò il piccolo Jamie a quel punto, richiamando la sua attenzione
«La zia sta bene?».
-
Natasha
sospirò poi fece un sorriso delicato;
-
«Sì
солнышке, ha solo bisogno di un momento di riposo»
lo rassicurò.
-
«O
di un sedativo» frecciò Maria sollevando un sopracciglio. La russa
si trattenne dal ridere, poi assunse il comando.
-
«Mi
scusi signorina potrebbe portarci dell'altro vino?» chiese affabile
alla commessa, che fu ben lieta di prendere il volo – non che ormai
non fosse abituata a certe crisi isteriche - «Maria libera il
camerino da tutti quegli abiti, Sharon ha bisogno di respirare, Alex
perché non l'aiuti a togliersi quest'ultimo con calma?» le due
annuirono mentre Sharon si torturava le labbra in pena, poi si
rivolse al figlio tendendogli la mano «Ora Jamie cerchiamo noi un
bell'abito a zia Sharon».
-
-
Natasha
osservava con occhi critico svariati abiti ordinatamente appesi, era
immersa in un connubio di stoffe delicate e dai toni talmente candidi
che le pareva di essere in un paesaggio innevato. Jamie le era
aggrappato ai pantaloni e guardava frastornato e incantato tutti quei
vestiti elegantissimi dai differenti toni chiari.
-
«Mamocka?»
la chiamò «Quando ti vesti da pri-cipessa
anche tu?».
-
La
donna convogliò l'attenzione sul bambino e lo fissò in quegli
abbaglianti occhioni azzurri, del tutto identici a quelli del padre,
e gli sorrise dolcemente.
-
Jamie
a quel punto si sporse per farsi prendere in braccio. Quando sua
madre sorrideva in quel modo lui sentiva l'immensa voglia di
stringersi a lei, perché sapeva che era un sorriso speciale quello,
era solo suo... E di papà. E papà diceva sempre che quel sorriso
andava protetto.
-
Natasha
accolse la sua richiesta e lui si ritrovò fra le sue braccia
amorevoli, poggiò il capo rosso e riccioluto sulla spalla; aveva
sempre un buon profumo la sua mamma: sapeva di pane, lavanda e di
bosco... Insomma di casa.
-
«Chissà
солнышке, a papà
piacerebbe di sicuro» rispose lei con espressione malandrina
«Potremmo chiederglielo».
-
Jamie
era certo di non aver capito a fondo le parole di sua madre ma le
sembrava allegra, quindi la risposta gli bastò.
-
«Mamma,
questo!» disse sicuro quando Natasha estrasse l'abito per osservarlo
meglio. Lei annuì di rimando.
-
«Ottimo
lavoro».
-
-
Sharon
trattenne impercettibilmente il respiro fissando rapita la sua figura
allo specchio.
-
L'abito
di un delicato avorio, le cadeva morbidamente addosso, accarezzando
le sue forme. Era semplicissimo: di pregiata seta, a maniche corte
con un profondo scollo sulla schiena ma senza nessun altro ornamento
o fronzolo, una semplice fascia pendeva mollemente sulla vita, dando
l'effetto di essere casuale quando invece era stato tutto studiato al
dettaglio, la gonna scendeva soffice fino ai piedi terminando con un
corto strascico.
-
«Sharon
tutto bene?» le chiese gentilmente Alexandra emozionata.
-
L'agente
13 spostò lo sguardo su Natasha che ricambiò serena, non servì che
si dissero altro; con grande calma posò una dolcissima carezza sul
capo del nipotino.
-
«Grazie
Jamie, è perfetto».
-
Si
guardò un'ultima volta: sì, quello era l'abito giusto per sposare
il suo Soldato.
-
-
Notte
prima della Nozze
-
-
«Un
brindisi al futuro sposo!» gridò Sam leggermente alticcio.
-
«Un
altro?» domandò sconcertato Bucky avendo perso il conto di quanti
brindisi l'amico aveva ormai propinato.
-
«Lascialo
fare Buc, almeno lui può ubriacarsi» Steve gli batté
amichevolmente la mano sulla spalla. Già, perché nonostante fosse
il suo addio al celibato né lo sposo né i suoi testimoni
potevano ubriacarsi a causa del loro rapido metabolismo, beh solo uno
dei due.
-
Bucky
ridacchiò osservando Sam e Clint cantare ridanciani a squarciagola
una canzone in verità tristissima, Tony si unì presto a loro così
come un ormai maggiorenne Jace, anche se decisamente più sobrio
degli altri tre. Phil Coulson manteneva il suo decoro, anche se le
gote non era più pallide ma chiazzate di rosso da un bel po'. Mack e
Hunter – loro ubriachi fradici – si sfidavano in alquanto
ridicole manifestazioni di mascolinità sotto lo sguardo divertito di
Triplett e appannato di Leo Fitz. Niko, Bruce e Niall parlavano
allegramente, anche loro impossibilitati ad abbandonarsi ai fumi di
Dioniso.
-
«Ma
sta accadendo davvero?» chiese ad un certo punto Bucky guardando il
suo migliore amico con occhi quasi lucidi e spaesati. Steve sorrise
ed annuì, capendo perfettamente lo stato d'animo dell'amico. Non
c'era giorno in cui si svegliasse accanto a Natasha, con Jamie che
faceva capolino nella stanza e si chiedesse se tutto quello fosse
davvero possibile. Erano figli di un altro tempo, entrambi avevano
perso molto nel corso di quella loro strana vita ed ora erano
riusciti a conquistarsi qualcosa di vero, intenso e stabile: una
famiglia.
-
«Sì
Buc, sta succedendo davvero» rispose con un sorriso soffuso di
dolcezza e comprensione «E domani a quest'ora Sharon sarà tua
moglie» gli confermò.
-
Lo
sguardo di James Barnes si accese a quelle parole, in sereno tumulto
per quel pensiero tornò a dedicarsi all'allegra compagnia che nel
mentre aveva cambiato canzone e ne stava inventando una tutta
dedicata al Soldato d'Inverno.
-
Hunter
nel frattempo si era alzato e con passo malfermo si era diretto verso
Bucky biascicando parole di sfida che si spensero nell'esatto momento
in cui l'agente operativo inciampò fra sedie e tavolo e crollò a
terra fra l'ilarità generale.
-
Steve
strinse appena la spalla dell'amico e si alzò dal tavolo,
assentandosi momentaneamente.
-
-
«E'
già tardi per la “buonanotte” vero?» domandò con un sorriso
Steve al telefono.
-
«Purtroppo
sì, tutta la situazione l'ha reso euforico ma questo l'ha fatto
crollare prima, fortunatamente» rispose Natasha dall'altro capo.
-
«Il
viaggio deve averlo stancato, meglio così»
-
«Già.
Come vanno le cose lì al pub?» si informò la compagna divertita.
-
«Oh
beh uno spettacolo te lo assicuro, incredibile come non riescano a
prendere nemmeno una nota» la sentì ridacchiare e lui sorrise
felice.
-
«Lì
invece come procede la situazione?»
-
«Più
sobria, circa... Katja e Dominil sono arrivate nel tardo pomeriggio,
le stanno tartassando di domande»
-
«Si
trovano bene a Reykjavik?»
-
«Molto.
Ci hanno invitato ad andare da loro per Capodanno»
-
«Mi
piace come suona. Quindi... niente stripper?»
-
«Oh
tesoro se ne volevo uno, te lo avrei chiesto» Natasha ridacchiò,
anche se non poteva vederlo era certa che fosse arrossito.
-
«Pft!
Va bene, non ti prenderai altre soddisfazioni da me per stasera. A
domattina Nat» concluse poi dolcemente.
-
«Sogni
d'oro Capitano» sussurrò lei amorevole chiudendo la chiamata.
-
-
Erano
le quattro del mattino e Natasha si aggirava per l'enorme soggiorno
della casa di campagna che avevano affittato per il matrimonio. Si
trovavano nel Cotswold, nelle dolci colline inglesi poco fuori
Londra. Celebrare il matrimonio in Inghilterra per Sharon era stata
la cosa più importante: era la terra natia della famiglia di suo
padre, di zia Peggy, che era venuta a mancare l'anno addietro, fra la
disperazione di tutti loro, ma almeno l'anziana eroina aveva potuto
conoscere il piccolo James.
-
Scavalcando
le figure addormentate delle invitate, tra cui Dominil e Ekaterina,
May, Skye, Simmons e Bobbi, si diresse vicino al camino dove Sharon
Carter - ancora per poco - avvolta in una morbida vestaglia osservava
in silenzio le fiamme, che lentamente morivano.
-
«Tutto
bene?» le chiese Vedova Nera accoccolandosi sulla poltrona davanti a
lei «Lo sai vero che se vuoi fuggire, possiamo essere in un'isola
tropicale in una manciata di ore».
-
L'agente
13 rise leggera e si voltò verso l'amica;
-
«Faresti
questo per me? Lasciando qui Jamie e Steve?»
-
«Eh
quando la sposa chiede, la damigella d'onore esegue» replicò
ammiccando. Le due scoppiarono a ridere, ben attente a non svegliare
l'intera combriccola.
-
«Grazie
per l'offerta. Sono solo un tantino agitata...» nel dirlo posò la
tisana in grembo e si passò distrattamente una mano sul ventre.
-
Natasha
la guardò con sorriso soffuso di dolcezza;
-
«Cosa
c'è?» chiese pacatamente.
-
«Non
lo so... E se dovesse cambiare qualcosa? Insomma è ridicolo,
conviviamo da cosa? Tre anni ormai? Ho sentito dire che “la
principale causa di divorzio è il matrimonio stesso”» rispose
concitata e un po' sconsolata.
-
«Forse
perché la gente si aspetta che cambi qualcosa» ribatté la spia
meditabonda «Magari pensa che sposandosi i difetti dell'altra
persona magicamente spariscano, che qualcosa sarà differente, ma non
è così. La persona che sposi è esattamente quella che ti fa
innervosire e spazientire certe volte e ti farà innervosire e
spazientire anche dopo, allo stesso modo. Ci si concentra troppo
sulle promesse che l'altro ci ha fatto all'altare, senza pensare a
mantenerle. Sharon tu sposi James perché pensi che cambierà
qualcosa?» la punzecchiò alla fine.
-
«Lo
sposo perché lo amo. Non ho bisogno che qualcuno certifichi il mio
amore per lui o il suo amore per me, la nostra relazione è unica e
diversa da tutte le altre. Io lo sposo perché voglio che lui sia mio
marito e io sua moglie ma questo non ci cambierà, saremo sempre
noi».
-
Natasha
la guardò con un bel sorriso sulle labbra rubre e Sharon sorrise con
lei commossa;
-
«Grazie».
-
«Dovere».
-
-
Il
Giorno delle Nozze
-
-
«Ancora
cinque minuti!» borbottò la bionda agente nascondendosi ancora di
più fra le lenzuola ed evitando la chiara e soffusa luce del sole
settembrino.
-
«D'accordo
tesoro. Tanto non credo inizierebbero la cerimonia senza di te»
replicò melliflua Natasha Romanoff.
-
Sharon
fece un balzò dal letto e al diavolo la fastidiosa luce del mattino,
era il giorno del suo matrimonio e lei aveva dormito si e no quattro
ore!
-
«Oddio
che ore sono? Siamo in ritardo?» osservò la sua damigella d'onore,
che se ne stava tranquillamente seduta sul letto avvolta in una
vestaglia di seta blu notte, con addosso l'espressione più pacifica
del suo repertorio.
-
«Sono
le otto tranquilla abbiamo un paio d'ore, se sua maestà smette di
fare la bella addormentata» rispose divertita.
-
«Potevi
svegliarmi prima!» si lamentò la sposa;
-
«Eri
troppo carina mentre dormivi» ridacchiò l'amica.
-
Quel
piacevole scambio di battute venne interrotto dall'altra damigella:
la sedicenne Alexandra entrò in camera, più bella che mai, e
annunciò a gran voce:
-
«La
parrucchiera e la truccatrice sono qui!».
-
-
Nell'ala
opposta a quella della sposa, lo sposo e i suoi testimoni erano
invece nel più totale fermento, per non dire panico... Le fedi erano
sparite.
-
«Buc
andiamo calmati, vedrai che le troveremo».
-
Jace
Watson-Barnes osservò paziente colui che da un paio d'anni era
ufficialmente diventato suo tutore legale. Suo padre James Barnes si
guardava attorno disperato, mentre Sam Wilson e Steve Rogers
mettevano a soqquadro la stanza per ritrovare quelle maledette fedi.
-
Tony
Stark aveva appena deciso di mettere il naso nella stanza, ancora
rintronato dal post sbornia, ma vedendo le facce di sposo e testimoni
optò per farsi un doppio caffè prima di osare chiedere che diamine
stesse succedendo.
-
«Sharon
mi ammazza, anzi prima di lei Natasha mi ammazzerà» borbottò
sconsolato, seduto accanto al figlio con i corti capelli sparati in
tutte le direzioni vestito solo in boxer e camicia.
-
«Sono
sicuro che mamma- No hai ragione tu».
-
In
tutto quel mare di agitazione e disperazione, Jamie Rogers fece la
sua comparsa con un adorabile pigiamino con le scimmiette,
saltellando vispo verso il padre.
-
«Jamie
piccolo mio!» disse Steve, sollevandolo e stringendoselo contro.
-
«Ciao
zii, ciao Jace! Papà, mamma dice che ha lei i-» Jamie corrucciò la
piccola fronte in uno sforzo di concentrazione. Steve lo trovava
semplicemente adorabile, guardando la piccola lingua pigiata fra le
labbra e gli occhi azzurrissimi farsi stretti stretti.
-
«I
cosi rotondi papi dai!» sbuffò il bambino, deliziato però
dal tocco soffice di suo padre tra i capelli ribelli.
-
«Le
fedi?»
-
«Sì
quelle!».
-
Jace
scoppiò a ridere fragorosamente, mentre il resto dei presenti non
sapeva se essere sollevato o attonito. Il diciottenne constatò come
Natasha Romanoff fosse un passo davanti a tutti anche in occasioni
come quelle.
-
-
«Sei
un incanto Alex!» Sharon guardò con ammirazione la giovane ormai
pronta. Sasha in quegli anni si era fatta proprio una bellissima
ragazza. Il suo fisico minuto era fasciato nell'abito da damigella:
una canottiera di seta e pizzo color champagne e una gonna appena più
lunga del ginocchio in tulle color rosa antico, i lunghi capelli
castani erano stati intrecciati in un'elegante e corposa treccia,
adornata qua e là da piccole e graziose foglie d'edera verde,
donandogli un'aria fiabesca.
-
«Sharon
ha ragione девочка моя [piccola mia]» concordò
Natasha comparendo nel riflesso dello specchio accanto a lei. Il suo
abito differiva nel colore della gonna: un aristocratico blu di
prussia. I fulvi capelli della spia erano stati acconciati in uno
chignon basso, anch'essi adornati da qualche foglia d'edera, alcuni
ciuffi morbidi e ondulati erano stati lasciati liberi e le
circondavano graziosamente il volto.
-
«Sharon
anche tu sei stupenda» replicò Sasha imbarazzata ma anche commossa
nel vedere la sposa.
-
I
biondi capelli dell'agente 13 erano stati legati in una raffinata
coda bassa, tenuta ferma dall'antico e prezioso fermaglio di Peggy
Carter, ultimo dono fatto alla nipote in vista delle nozze. Il trucco
leggero illuminava il viso roseo della donna.
-
Natasha
la guardò con approvazione e dolcezza.
-
«Pronta
per l'abito?».
-
-
«Ecco
dov'eri finito Солнышко [piccolo sole]» Natasha entrò
nella camera dove Steve Rogers si stava preparando, mentre il figlio
già vestito lo guardava con ammirazione.
-
«мамочка!»
trillò allegro Jamie steso a pancia in giù sul letto.
-
«Wow»
disse semplicemente il capitano, voltandosi per guardare meglio la
compagna. Natasha abbassò appena lo sguardo lusingata, le labbra
tese in un sorriso orgoglioso.
-
«Sei...
bellissima amore mio» aggiunse nel ritrovarsela a pochi centimetri
da lui.
-
«Grazie,
anche tu non sei male моя любовь [amore mio]» disse
con un sorriso irriverente. Le dita lunghe e chiare di lei corsero
alla cravatta e con gesti lenti ma precisi iniziò a fargli il nodo.
-
Steve,
pur sapendolo fare, lasciò che facesse lei, godendosi i suoi gesti e
fissandola innamorato.
-
Jamie
guardò i suoi genitori con attenzione, sua madre aveva un sorriso
delicato e dolcissimo, mentre suo padre la guardava come se non
esistesse cosa più importante di lei al mondo; chiuse gli occhi
tranquillo sentendosi inspiegabilmente cullato dall'atmosfera che si
era creata.
-
«Grazie»
disse alla fine Steve, depositandole un veloce e tenero bacio sulle
labbra.
-
«Non
c'è di che» rispose facendogli l'occhiolino.
-
«Andiamo
Jamie, ti mostro cosa devi fare con le fedi».
-
Il
bambino annuì e prese per mano la madre.
-
-
Jace
stava cercando la stanza di Sharon quando per poco Alexandra non gli
rovinò addosso.
-
«Ehi
Sasha stai-» lasciò cadere la frase a metà, fissandola
imbambolato.
-
«Ace
scusami, ehm tutto bene?» Alex gli si fece più vicino, preoccupata
che non le rispondesse.
-
“No.
No, no Sasha non avvicinarti così, non con quell'espressione o io...
davvero... perderò il controllo”.
-
«Sì
bene, bene. Sei- ehm sei davvero carina Sasha!»
-
“Bella
deficiente! Bella, bellissima!”
-
«Anzi
molto di più» continuò con tono più sicuro e controllato.
-
La
ragazza avvampò di colpo e si morse le labbra lucide di gloss.
-
«G-grazie
Jace! Anche tu stai molto bene» Alexandra sorrise, mentre dentro di
sé ribolliva di sentimenti inespressi.
-
«Io
sto cercando Sharon...»
-
«Oh
sì è in questa stanza! Ci- ci vediamo all'altare» si schiaffò una
mano sulla fronte per quella frase equivoca.
-
-
«Come
mai sei tutto rosso tesoro?» chiese Sharon osservando Jace entrare
trafelato nella sua stanza.
-
«Ho
corso» inventò il giovane ficcandosi le mani nelle tasche degli
eleganti pantaloni scuri «Pensavo di essere in ritardo» continuò
mentendo.
-
«Ah.
Quindi non hai visto la dolce Alex?» chiese astuta la donna,
assottigliando lo sguardo.
-
Jace
diventò ancora più rosso;
-
«Sei
sleale»
-
«E
tu devi imparare a mentire meglio su certe questioni» lo
prese in giro lei. Si alzò e si tolse la vestaglia mostrandosi al
figlio.
-
L'espressione
del ragazzo si ammorbidì, i suoi occhi blu si fecero tersi e lucidi
e un sorriso dolce e incantato si tinse sulle labbra.
-
«Sei
bellissima mamma» disse con trasporto, dandole un lieve bacio
sulla guancia.
-
Sharon
si commosse e con meraviglia constatò che si era fatto grande il suo
Jace, era ormai alto quanto James.
-
Il
giovane le porse il bouquet di fiori di campo blu, rossi e bianchi
con felci e edere.
-
«Sei
pronta?» chiese porgendole il braccio.
-
Sharon
gli sorrise e accettò, posandogli la mano sulla piega del gomito.
-
«Andiamo».
-
-
James
fremeva d'emozione. Si passò ancora una volta la mano metallica fra
i capelli corti, osservando poi gli invitati prendere tutti posto;
fece un cenno alle due ex Winter Soldiers: Dominil e Katja, a Bruce
che aveva preso posto in prima fila accanto a Tony e Pepper. Jamie lo
salutò allegro mostrandogli le fedi sul cuscinetto stretto tra Potts
e Yuri che gli scoccò un sorriso d'incoraggiamento.
-
«Ehi
dude, stai tranquillo, andrà tutto bene!» Sam gli circondò il
collo con un braccio e lo guardò con affetto sincero e Bucky sorrise
grato di avere amici come lui e Steve.
-
A
proposito del Capitano giunse in quel momento insieme a Fury, pronti
per iniziare la cerimonia.
-
Improvvisamente
Bucky avvertì la gola secca e l'unico suono che percepiva era il suo
povero cuore battere pesante e lento nel suo petto, con la coda
dell'occhio cercò il supporto di Steve e Sam che gli sorrisero
incoraggianti.
-
Si
trovavano in uno spiazzo verde circondato da alberi che lasciavano
comunque intravedere il paesaggio collinare inglese schizzato da
acerbi colori autunnali.
-
L'allestimento
era stato minimale ma d'effetto: panche di legno grezzo per gli
invitati e un semplicissimo gazebo in legno chiaro decorato con
tralci d'edera e teli bianchi. L'aria seppur fresca era riscaldata da
un limpido sole di settembre.
-
Fury,
in veste di celebrante d'eccezione, scambiò un cenno con lo sposo e
i testimoni, mentre una delicata melodia suonata al pianoforte si
propagava nell'aria annunciando a tutti l'inizio della cerimonia e
l'arrivo della sposa.
-
La
giovane Alexandra avanzò con passo aggraziato verso lo sposo,
l'espressione emozionata e fra le mani lo stesso bouquet della sposa
ma di dimensioni ridotte, sorrise a Bucky e poi si mise di lato.
Natasha camminava serena dopo la figlioccia, il suo sguardo incrociò
quello di Steve e da lì non si mosse più.
-
Una
volta che anche la damigella d'onore ebbe raggiunto il gazebo tutti
si voltarono per assistere all'entrata della sposa.
-
Bucky
trattenne il fiato nel vedere Sharon in abito da sposa incedere verso
di lui, accompagnata da Jace.
-
La
sua espressione si fece teneramente innamorata, guardando la sua
futura moglie come se fosse l'unico centro del suo mondo. Era
meravigliosa la sua ragazza dell'estate. Lei sorrideva radiosa,
fiduciosa verso di lui.
-
Jace
porse delicatamente la mano a James, ma prima abbracciò emozionato
entrambi i suoi genitori adottivi, che così tanto gli avevano dato
in quegli anni e commosso si mise dietro a Sam, mentre Sasha gli
mostrava un dolce sorriso d'approvazione.
-
Fury
guardò con orgoglio non solo i due sposi, ma il suo sguardo
abbracciò tutti i presenti, poi iniziò a recitare:
-
«Siamo
qui riuniti oggi per celebrare il matrimonio tra...».
-
Venne
poi il momento dei voti nuziali.
-
James
prese la mano di Sharon e la guardò con occhi colmi di sentimenti
troppo forti per essere espressi a parole;
-
«Mia
Sharon, mia dolce estate» esitò poiché la voce gli tremò
leggermente «Non avrei mai pensato che malgrado tutti i miei
peccati, tutto il dolore, la vita mi donasse qualcosa di così
meraviglioso.» Sharon si morse la labbra trattenendo a stento le
lacrime impigliate fra le sue ciglia «Grazie per avermi trovato, per
avermi accolto e accettato. Grazie per avermi accolto di nuovo
nonostante ti avessi ferito. Grazie per avermi donato una vita,
poiché il tuo amore mi ha riportato alla vita. Ti amo Sharon Carter
e prometto che non mi separerò più da te».
-
L'agente
13 sorrise tremula, mentre lacrime di gioia le scendevano delicate e
lucenti sulle guance. Si schiarì la voce e poi prese parola;
-
«James...
Non è stato facile all'inizio, ricordi? Ma quello che hai saputo
darmi e insegnarmi non lo potevo trovare in nessun altro se non in
te. Grazie per avermi dato la possibilità di amarti in modo vero e
profondo, sei tu che hai trovato me. L'inverno non ci fermerà, ti
amo».
-
Tutti
i presenti erano commossi da quelle promesse così appassionate e
toccanti. Dominil strinse la mano a Katja poggiando la testa sulla
sua spalla, Pepper dovette nascondersi dietro un fazzoletto e persino
Tony dovette distogliere, per qualche istante, lo sguardo. Sasha
piangeva silenziosamente e addirittura Natasha alzò lo sguardo al
cielo per impedire alle lacrime di scendere. Sam aveva gli occhi
lucidi e il suo sguardo scivolò irrimediabilmente su Maria, e
sorpreso notò come stesse stringendo le labbra e torturasse un
fazzolettino fra le dita pallide, sorrise intenerito.
-
«Bene
ehm ehm-» Fury cercò di darsi un tono «Ora passiamo allo scambio
degli anelli». Steve e Natasha fecero un cenno al piccolo Jamie, che
felice si alzò portando fiero le fedi agli zii.
-
«Vuoi
tu, James Buchanan Barnes, prendere la qui presente Sharon Virginia
Carter come tua sposa?»
-
«Sì,
lo voglio».
-
«E
vuoi tu, Sharon Virginia Carter, prendere il qui presente James
Buchanan Barnes come tuo sposo?»
-
«Sì,
lo voglio!».
-
«Bene,
per l'autorità a me conferita vi dichiaro ufficialmente marito e
moglie. Ovviamente puoi baciare la sposa».
-
James
non se lo fece ripetere una seconda volta e coinvolse sua moglie in
un bacio appassionato, fra lo scroscio di applausi degli invitati.
-
-
Il
banchetto si svolse sotto l'enorme portico che dava sul giardino
interno della villetta. Tra l'allegro chiacchiericcio e dolci risate
furono enunciati i discorsi di testimoni e damigella d'onore.
-
Poi
venne il momento del primo ballo degli sposi.
-
Bucky
strinse delicatamente a sé Sharon, iniziarono a danzare lentamente,
lasciando il resto fuori.
-
Si
aggiunsero diverse coppie: Tony e Pepper, Dominil e Katja, Sam e una
ritrosa Maria, Phil e Melinda, Skye e Triplett, degli
imbarazzatissimi Alex e Jace ed infine Steve e Natasha, Jamie si
infilò fra i genitori e il capitano lo prese in braccio senza
smettere di far volteggiare la sua dolce metà.
-
-
Quella
notte Sharon Carter-Barnes si accostò al petto del marito, dopo aver
fatto l'amore, lo baciò piano sulle labbra sotto lo sguardo attento
e adorante di lui.
-
«Buonanotte
marito».
-
James
ridacchiò e l'attirò ancora di più sé in un moto di protezione e
appartenenza.
-
«Fai
bei sogni moglie».
-
-
Fin
-
-
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