Protège moi

di MySkyBlue182
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Questione di sguardi ***
Capitolo 3: *** Like a Hurricane ***
Capitolo 4: *** Questione di sguardi 2 ***
Capitolo 5: *** On Top ***
Capitolo 6: *** My Blue Supreme ***
Capitolo 7: *** smile like you mean it ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Olè! Eccomi tornata C:
Non ve lo aspettavate, eh?!
Sono già certa che la mia introduzione sarà più lunga del prologo! Ahaha
Il fatto è che non sono io che parlo tanto, NO, è il prologo che, in quanto prologo, è corto!
Comunque, a parte questo, sono felicissima di essere di nuovo qui, di poter ricominciare a pubblicare e di poter parlare di nuovo con tutte voi.
Immagino che, arrivati ad un certo punto, non credevate nemmeno che questo seguito prima o poi sarebbe arrivato. Io in realtà ho iniziato a scrivere questa storia abbastanza presto, subito dopo la fine di trstme e poi per un po’ è rimasta abbandonata a se stessa perché la mia vita ha subito parecchi cambiamenti. Per fortuna sto riacquisendo i miei ritmi e le mie abitudini e quindi ecco: SONO FINALMENTE QUI!!!
Sono felice! C:
Vorrei tanto sapere che ne pensate di questo seguito, e non vedo l’ora di conoscere le vostre impressioni.  (gesù, senza faccine mi sento persa, maledetto whatsapp!)
Per il resto non ho nulla da dire, spero di non deludere le aspettative e poi al prossimo capitolo vi svelerò una cosa im-por-tan-tis-si-ma!
Okay, vi lascio leggere e niente… sono felice!
Tanti cuori e alla prossima :******
 
-SkyBlue felice-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PROLOGO
 
 
 
 
 
A Frank sudavano le mani.
Aveva iniziato ad agitarsi nell’esatto momento in cui Jamia aveva lasciato la sua stanza o, forse, da quando lo aveva chiamato Mikey.
A pensarci bene aveva iniziato a percepire l’inconfondibile sensazione del suo stomaco contorcersi, preso dall’ansia, fin da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
In ogni caso, quel senso di angoscia, misto a paura si era protratto per tutta la giornata, si era intensificato sempre più fino a quel momento, in cui Frank ne riconosceva l’apoteosi.
Prima di suonare il campanello aveva temporeggiato.
Aveva finto di star finendo di fumare la sigaretta che aveva tra le dita mentre, con poca delicatezza, torturava il labret con i denti.
In realtà avrebbe voluto mangiarla, quella sigaretta, o magari semplicemente buttarla e suonare ripetutamente in modo da farsi aprire in velocità, si sarebbe catapultato in casa e cercato febbrilmente Gerard fino a rassicurarsi, posandogli lo sguardo addosso e poi le mani, già che c’era.
Un abbraccio di quelli sentiti, di quelli che hanno il sapore dei ricordi e la felicità del ritrovarsi: ecco di cosa avrebbe avuto bisogno, eppure aveva paura.
Erano tre mesi, e oltre, che non lo vedeva, sarebbe potuto essere cambiato tutto, Gerard per primo e questo spaventava Frank.
L’ignoto l’aveva sempre intimorito.

Mentre ascoltava i suoi cuori pulsare, in preda a troppe emozioni per poter essere in grado di analizzarne la più preponderante, il battente si spalancò di colpo, segno che chi era andato ad aprire fosse molto felice alla previsione di ospiti in arrivo.
Infatti Mikey era raggiante e non appena Frank mise piede oltre la porta lo abbracciò con trasporto, stringendolo quasi istericamente, sorrise a Jamia e abbracciò anche lei.
Frank osservò la breve scena decidendo che Mikey era follemente su di giri.
Li accompagnò attraverso il corridoio e poi si voltò verso Frank.
- Cos’è che hai lì, hai fatto un dolce?- domandò continuando a non togliersi quel sorriso dalla faccia.
Frank si riscosse e porse il vassoio, di cui si era completamente dimenticato, in sua direzione.
- Oh, sì, ma non l’ho fatto io. È stata mia madre.- mise in chiaro, consegnandolo nelle sue mani.
Immaginò che, preso alla sprovvista e strappato dalle sue paranoie, avesse alzato involontariamente la voce, recitando quella frase con uno dei suoi migliori toni ruvidi e alti.
Mikey consegnò a sua volta il vassoio a sua madre, che proveniva presumibilmente dalla cucina, e si fermò a salutarlo calorosamente, come al solito.
- Su, accomodatevi!- l’invitò facendo cenno al salotto appena a destra del corridoio, così percorsero quei pochi passi e Frank poté lanciare uno sguardo all’interno: saranno state presenti più o meno trenta persone, forse non erano molte, ma il salotto non era enorme e creavano una specie di effetto ottico che le facevano sembrare molte di più.
In ogni caso, Frank le odiava tutte, ad una ad una, primo perché non riusciva a riconoscerle anche se forse avrebbe dovuto e, cosa più importante, perché gli stavano nascondendo Gerard.
Non riusciva a localizzarlo e le sue gambe non ne volevano sapere di muoversi e permettergli di addentrarsi in quella stanza, in modo da poterlo cercare meglio.
Continuò a far vagare lo sguardo cercando di andare oltre la coltre di persone anonime, udiva il chiacchiericcio, ma non riusciva ad afferrare alcuna parola che significasse qualcosa alle sue orecchie.
Percepiva il mondo intorno a sé come ovattato, in quel momento, e pensò che forse sarebbe potuto svenire da un momento all’altro. Si morse forte il labbro inferiore e, sentendo l’abituale contatto dei denti contro il metallo del piercing, riuscì a sentirsi più partecipe, più presente e vivo, e immaginò che fosse un buon segno, che non stava affatto per svenire e che era soltanto un tantino confuso.

Ad un tratto, dritto davanti a sé, Frank notò la figura di un uomo spostarsi, più che altro vide una macchia verde, che corrispondeva al colore di una t-shirt, indossata da qualche parente, ma, per quanto ne sapeva Frank, poteva essere anche il barbone che dormiva sulle panchine del parco vicino casa sua.
Dietro quella macchia verde comparvero degli occhi, verdi pure quelli o forse più belli, anzi, sicuramente più belli.
Quegli occhi si impigliarono nel suo sguardo e furono la prima cosa che Frank vide davvero.
Quelle due iridi erano sempre di quel colore così magnetico e caldo e, quando Frank ebbe il coraggio di muovere appena lo sguardo, vide il pallore della pelle del viso che li ospitava, vide le labbra, socchiuse, tirate in un sorriso appena morto per lasciare spazio ad una posa di stupore, il naso adorabilmente puntato all’insù, come quello di certi bambini eccessivamente curiosi, o eccessivamente carini, gli zigomi vagamente marcati e un po’ coperti da ciuffi di capelli neri che nascondevano in parte anche una fronte dalle proporzioni perfette.
Frank non aveva idea della sua espressione, non ci pensò nemmeno in realtà, ma aveva una vaga idea che quegli occhi che lo scrutavano da lontano – così troppo lontano – stessero percorrendo gli stessi dettagli, però sul suo, di viso.
Quello fu uno di quei momenti che Frank avrebbe definito “infiniti”. I loro sguardi persi l’uno in quello dell’altro, perfettamente al posto giusto.
Forse avrebbe dovuto far qualcosa, tipo muoversi oppure respirare, tanto per iniziare, e invece non riusciva neppure a pensarci.
Ci pensò qualcuno accanto a lui. Gli strinse la mano riportandolo alla realtà.
Frank boccheggiò smarrito, un po’ infastidito e si voltò a guardare chi aveva osato interrompere quel momento: Jamia.
Strinse ancora, decisa a farlo tornare sul pianeta terra, e quando Frank le rivolse l’attenzione desiderata lei gli sorrise.
La prima cosa che gli venne in mente era che Gerard forse avrebbe potuto equivocare e così si voltò di nuovo, e in fretta, verso di lui. Si accorse in modo agghiacciante che non guardava più il proprio viso, ma aveva gli occhi puntati sulle loro mani unite, l’espressione del viso scioccata.
Frank si affrettò a lasciarla, forse in modo brusco, ma non riuscì proprio a badarci, semplicemente non voleva far pensare cose sbagliate a Gerard, al suo Gerard.
Non guardò neanche Jamia, continuò a fissare lui, solo lui, non aveva occhi che per lui, ma Gerard aveva già distolto lo sguardo, voltandosi di scatto e guardando distrattamente altrove.
Frank sospirò.
- Ehi, vieni a salutare mio fratello!- esclamò Mikey sbucando dal nulla.
Gli posò un braccio intorno alle spalle mentre lo accompagnava intorno al tavolo dove era seduto Gerard, le sue gambe si mossero meccanicamente, come trasportate dal movimento dell’altro.
Si ritrovò di fronte a lui senza aver pensato a nulla, neanche a qualcosa da dire, ad un fottuto ipotetico saluto.
Non sapeva davvero cosa dire.
- Ciao- mormorò senza nemmeno ascoltarsi.
-Ciao Frank- rispose Gerard alzando di nuovo quegli occhi fantastici su di lui.
Lo guardò appena un attimo, poi si alzò dalla sedia abbracciandolo.
Veloce, così avrebbe definito quel contatto, distaccato, come se fosse stato costretto a farlo.
Frank restò imbambolato a guardarlo.
Gerard gettò occhiate agitate intorno a sé, sospirò, spostò il peso da una gamba all’altra.
- Gerard c’è anche Jamia – fece Mikey, spostandosi di lato per permetterle di raggiungerlo.
Un sorriso finto, frasi di circostanza da parte di lei, risposte di conseguenza di Gerard.
-Scusatemi.- li liquidò poi Gerard, lasciando il proprio posto e allontanandosi.
Frank lo seguì con lo sguardo, lo vide dirigersi verso le scale e percorrerle a passi affrettati.
-Scusatelo, deve un po’ riabituarsi a stare tra la gente.- spiegò Mikey.
E Jamia rispose e poi Mikey parlò di nuovo.
Frank non ascoltò nulla, troppo sconvolto da ciò che era appena accaduto, troppo scosso, troppo arrabbiato da ciò che presumibilmente aveva potuto pensare Gerard.
-Vado in bagno.- notificò senza neanche voltarsi verso i suoi interlocutori, buttò lì la prima scusa che gli venne in mente.
Poi percorse gli stessi passi che aveva appena fatto Gerard, in fretta, col cuore in gola, con eccessiva adrenalina che gli scorreva nelle vene.
Salì le scale ancor più rapidamente di quanto aveva fatto Gerard, svuotò totalmente la mente: questa volta non voleva essere preparato, non voleva sapere, non voleva ipotizzare.
Doveva vivere.
Vide la figura di Gerard di spalle, una mano posata sulla porta chiusa del bagno, l’altra a livello dello stomaco, forse non si sentiva bene.
Con due falcate coprì la distanza che li separava, poi allungò una mano sulla sua spalla, costringendolo a voltarsi.
I loro sguardi si scontrarono di nuovo, Frank per poco non annegò in quel verde, continuò ad avanzare, posò la mano sulla maniglia della porta, la fece scattare, ci spinse delicatamente Gerard dentro con un tocco gentile sul petto. Senza parlare, senza spiegare.
Gerard non oppose resistenza, continuò ad osservarlo imbambolato.
Frank chiuse la porta alle loro spalle, tornò ad adorarlo con lo sguardo.
E non c’erano parole da dire né nulla da pensare o su cui riflettere.
Doveva vivere.

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Capitolo 2
*** Questione di sguardi ***


Ommioddio quante cose devo dire!!
Intanto l’educazione , quindi CIAO! Ben trovate C:
Seconda cosa: GRAZIE, scoppio d’amore e di soddisfazione per le vostre magnifiche recensioni. È una sensazione troppo bella, troppo gratificante. Mi eravate così mancate, ed è così fantastico tutto quello che mi avete detto e l’emozione e la voglia che mi avete trasmesso *___* mi avete detto che non vedevate l’ora che tornassi e beh… non immaginate la mia voglia di farlo!
Allora, questo è il primo vero capitolo della storia e qui sta la novità e la cosa importante che vi avevo anticipato avrei dovuto dirvi. La cosa nuova, quindi, è *rullo di tamburi* il punto di vista!
La storia non ve la racconterà più Frnk, non saranno più i suoi pensieri e le cose non le vedrete più dalla sua prospettiva, ma bensì in Prtgmoi sarà tutta roba di Gerard. Sarà lui a pensare, lui a parlare e tutto sarà analizzato dalla sua mente…
Dico, ve lo immaginate?!?! Ahahahah se in trstme certi ragionamenti erano contorti qui ci vorranno i sottotitoli! Ahahaha vabbè!
Cercando di essere seria vorrei spiegare anche il titolo della storia. È il titolo di una canzone dei Placebo (vabbè lo so che starete pensando che sono monotona!! Ahaha)a parte che è bellissima E QUESTO è UN FATTO, ce ne sono due versioni di cui una in francese, appunto ed un’altra in inglese. Il ritornello, che è in inglese per tutte e due le versioni, dice “proteggimi da ciò che voglio”, “proteggimi dai miei desideri”, non pensate che sia una di quelle frasi emblematiche, quelle che racchiudono dentro un mondo, o forse due? Ecco, io l’ho pensato e calza a pennello con la storia. VI LASCIO ALLE VOSTRE DEDUZIONI! Ahahah
Ovviamente avrei potuto usare la frase intera come titolo, ma come al solito non mi chiamo Gerard Way e quindi io accorcio, le cose lunghe lasciamole a lui! *faccia ambigua*
Dopodichè le banalità, ovvero:
-è il seguito di Trust me (non l’avevo precisato, magari non tutti l’hanno letta)
- questa roba è tutto frutto della mia fervida e tristissima immaginazione, ahahah, quindi non voglio offendere nessuno, non conosco nessuno dei personaggi e nessuno mi paga per le idiozie che scrivo!
Poi ringraziamenti speciali alla mia dolce amica\confidente\supportatrice\sOpportatrice\beta Rubina, a Francy che legge tutto in anteprima e mi fa salire l’autostima a bomba, mi fa morire dalle risate ed è pazza come me quindi ci capiamo che è una meraviglia. Cioè, qui ci vorrebbero valanghe di cuori, ma voi non volete sapere in che modo sto scrivendo e soprattutto DA DOVE, quindi diciamo che non posso fare cuori e basta!!
Un grazie con tutto il cuore anche al mio Arcobaleno che è sempre presente e mi aiuta in tutto, con cui non si parla d’altro che di supereroi e che mi capisce per mezzo di una sola emoction e quindi se non è amicizia questa io non so!
Poi boh, forse è il caso che la smetta e vi lasci leggere. Potrei fare sproloqui altrove, ma la verità è che non saprei dove farli! Ahahah cioè, diciamo che esisterebbe una pagina su fb, ma non l’ho ancora mai usata!
Bene, mi levo dai piedi davvero, vi auguro buona lettura e come al solito sarei felice di sapere che ne pensate.
Solo un’ultima cosa, vorrei dedicare un pensiero speciale alla mia gattina Blue con cui ho avuto l’opportunità di passare troppo poco tempo insieme. Mi manchi :C
Alla prossima
-SkyBlue-
 
 
 
PRTGMOI- Capitolo 1
 
 
 
 
Questione di sguardi
 
 
 
 
Gerard avrebbe saputo riconoscere quella voce ovunque.
Quella voce graffiante, un po’ rauca, un po’ rude.
Quella voce che aveva suonato sempre un po’ porno, nei suoi pensieri.
Frank era appena arrivato e Mikey era andato ad aprirgli la porta, Gerard evidentemente non era riuscito a cogliere il suono del campanello che aveva annunciato il suo arrivo, troppo occupato a salutare le persone presenti alla festa di bentornato che gli aveva organizzato la sua famiglia.
Era così inverosimile trovarsi lì, a casa, di nuovo insieme ai suoi genitori, a Mikey, ai suoi amici.
Aveva trascorso gli ultimi tre mesi esiliato – giustamente- dai suoi affetti, dai luoghi che sentiva appartenergli.
Aveva sognato e temuto quel momento per interi mesi, quando non poteva fare altro che immaginarli, ed ora, ora che aveva potuto finalmente tornare, si sentiva come un T-Rex approdato in una metropoli.
Non che fosse cambiato qualcosa, la casa era rimasta uguale, i visi dei suoi genitori erano uguali all’ultima volta che li aveva visti, quando erano andati a trovarlo al centro di riabilitazione, Mikey aveva lo stesso sorriso e pure Frank,  di cui riusciva a sentire al momento solo la voce, probabilmente sarebbe stato uguale. Intanto la voce lo era, perlomeno.
Quel che c’era di diverso, evidentemente, era lui.
Quei tre mesi l’avevano cambiato, lo avevano fatto ragionare e riflettere su molti aspetti riguardanti la sua vita, lo avevano costretto a conoscere se stesso.
Gerard non c’aveva mai tenuto, a fare conoscenza con se stesso.
Perlopiù si era sempre disprezzato, non si era mai trovato simpatico e a volte, nelle rare occasioni che gli erano capitate di analizzare qualche suo comportamento, aveva scoperto di starsi sul cazzo da solo.
Non si era mai considerato una gran persona, sotto nessun aspetto, e poi c’era il problema più grave: non riusciva a capirsi. Mai. Non c’era stata una sola volta in cui avesse compreso i propri sentimenti, che fosse stato certo realmente di quel che aveva deciso, che fosse stato in grado di sentirsi totalmente in pace con se stesso.
Creare e distruggere, questo era stato il credo su cui aveva basato la sua intera esistenza.
Creare: perché non avrebbe saputo non farlo, aveva sempre avuto bisogno di esprimersi, in un modo o nell’altro, sentiva di poter esplodere in alcuni momenti se non avesse scritto qualcosa o disegnato qualcos’altro.
E poi distruggere: puntualmente, tutto ciò che aveva creato faceva sempre schifo. A volte impiegava una manciata di secondi prima di accartocciare il foglio e gettarlo via, altre volte ci credeva per un po’, valutava ben riuscito un testo o un soggetto, ma poi arrivava sempre il momento in cui rimetteva ogni cosa in discussione e allora distruggeva, strappava pagine e scacciava idee, riduceva in brandelli album da disegno e si insultava mentalmente per l’orribile teoria che aveva osato elaborare.
Il vero problema era sempre stato solo e soltanto lui.
Fin dai tempi della scuola in cui non era mai soddisfatto dei propri voti – neanche di quelli più alti, in storia dell’arte -, al suo corpo che non era mai andato bene - prima troppo grasso e dopo troppo magro-, alla sua testa… il suo lato oscuro per eccellenza, la parte di sé con cui non era mai riuscito a venire a patti, mai riuscito ad apprezzare.
Lo psicologo al centro di riabilitazione gli aveva spiegato che bisognerebbe prendersi del tempo, a volte, ed analizzare i propri comportamenti e all’inizio Gerard l’aveva ritenuto inutile, quel consiglio.
Quando, una volta, durante una delle sedute di gruppo aveva detto con convinzione “bisognerebbe farla anche a scuola: un’ora di insegnamento alla solitudine. Imparare a bastarsi.” Gerard per poco non era scoppiato a ridere: che razza di teorie erano quelle, aveva pensato.
Poi il terapeuta aveva fatto degli esempi e aveva spiegato la differenza tra avere piacere di stare in compagnia ed avere bisogno di farlo.
E quando ne hai solo bisogno, aveva spiegato, non è mai un bene perché è il palese sintomo di voler scappare da se stessi.
“Non bisognerebbe mai scappare da se stessi” aveva proclamato deciso.
E non l’aveva detto facendo un’ipotesi, lo aveva presentato quasi come un dogma.
Scappare era sbagliato, scappare era da vigliacchi, lasciare le cose in sospeso non era un comportamento che faceva bene.
E Gerard c’aveva pensato, una volta rimasto solo-ogni argomento andava bene per concentrare i suoi pensieri, l’importante era che non si fossero condensati su se stesso-.
E così aveva riflettuto.
Aveva pensato agli innumerevoli casini che aveva combinato, soprattutto negli ultimi anni, aveva cercato di ricordare come aveva fatto a venirne fuori, era arrivato ad una conclusone: c’aveva pensato sempre qualcun altro a risolvere i suoi problemi, tutti quelli che immancabilmente aveva causato a se stesso o agli altri.
Lui aveva bisogno degli altri.
E se non fosse stato per la ferma convinzione che nutriva dei reali sentimenti verso i suoi amici, la sua famiglia, Frank, quell’illuminazione avrebbe potuto farlo sentire in colpa, avrebbe potuto farlo sentire egoista.
Eppure sapeva di non esserlo, non totalmente, almeno.
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.

Provò a riconnettere sguardo e cervello nella realtà, suo zio lo salutò calorosamente e lo abbracciò, gli disse in confidenza accanto all’orecchio che era orgoglioso di lui. Gerard sorrise e quando sciolsero la stretta lo ringraziò con uno sguardo che esprimeva gratitudine ed imbarazzo.
Gerard sapeva perché tutti erano lì e tutti conoscevano il motivo per il quale Gerard era stato per tutti quei mesi lontano da casa.
E non riusciva a far a meno di provare vergogna.
Quel suo zio comprensivo decise che avevano interagito abbastanza, senza neanche parlare, gli batté una pacca sulla spalla, come ad infondergli forza e si spostò, raggiungendo il fondo del salotto, verso il divano, dove era seduto suo padre.
Quello spostamento fu decisivo, perché gettò un’occhiata pensierosa intorno a sé e, inaspettatamente, lo vide.
I suoi bulbi oculari rimasero incastrati sulla sua figura, non avrebbero mai voluto saperne di spostarsi da lì. Rivederlo fu qualcosa a cui non sarebbe mai stato in grado di prepararsi, lo aveva immaginato per mesi, quel momento, eppure quando successe fu talmente travolgente che era quasi come se non avesse avuto la più pallida idea di poterlo rincontrare.
Era bellissimo.
Questo lo sapeva che non sarebbe mai cambiato.
I suoi capelli erano cresciuti ed erano più chiari del solito, l’occhio destro era coperto parzialmente dal ciuffo che comunque era rimasto più lungo rispetto al resto. Era nel punto in cui i raggi del sole potevano raggiungere il suo viso, attraverso la finestra che aveva accanto, e i suoi occhi rilucevano, sembrava fossero dorati.
La sua pelle liscia e giovane era un po’ arrossata, forse per il caldo, e le labbra rilassate e piene, ornate dal piercing, che Gerard non avrebbe mai avuto il coraggio di farsi, gli fecero scattare immediatamente un flash mentale di loro due che si baciavano.
Ingoiò i battiti del suo cuore impazzito e sospirò tremando, abbassando lo sguardo velocemente per poi riportarlo subito sulla sua figura, per poter ammirare il resto.
Ma Frank si era accorto a sua volta di lui e lo stava guardando, socchiuse le labbra istintivamente e affogò totalmente nei suoi occhi.
Continuò ad accarezzarlo con lo sguardo, notò la t-shirt rossa che si posava delicatamente sul suo busto. I tatuaggi in bella mostra sulle braccia che, con tutto quel rosso, sembrava che fossero abbinati alla maglia.
Gli guardò avidamente le mani, abbandonate sui fianchi, e le bramò su di sé, le sognò accarezzarlo così intensamente che socchiuse gli occhi, confuso dall’assordante rumore del proprio cuore che martellava, in preda a troppe emozioni.
Abbassò ancora lo sguardo prestando attenzione ai jeans grigio chiaro che gli fasciavano appena le gambe, le ginocchia immancabilmente visibili tramite gli strappi a cui sottoponeva ogni suo paio di pantaloni.
Era perfetto. Era meraviglioso.
Era così bello che dubitò della sua reale esistenza, come gli era capitato di pensare mille altre volte.
Troppo bello per essere vero.
E invece era lì, davanti ai suoi occhi, e se ne stupiva sempre, Gerard.
Frank era un concentrato di meraviglia.
Lo squadrò di nuovo, perso completamente nei suoi pensieri e lo vide voltarsi di scatto a fianco a sé. Anche Gerard scattò di conseguenza e cercò con urgenza il motivo per il quale aveva fatto quel movimento.
Beh… Non era un motivo, era una presenza, era una persona ed era l’ultima che Gerard potesse immaginare, l’ultima che avrebbe mai voluto vedere. Soprattutto accanto a Frank.
Era Jamia e gli teneva la mano.
Gli caddero gli occhi su quel gesto e sentì quel cuore, che avrebbe dovuto trovarsi nel suo petto, cadere fin sotto i piedi.
La sua espressione si allarmò all’istante, senza pensarci, puntò gli occhi verdi in quelli di Frank. Magari c’avrebbe trovato una spiegazione. Invece trovò preoccupazione in quelle iridi dorate, trovò agitazione.
Il senso di colpa che trasmetteva lo sguardo di Frank lo spinse a distogliere lo sguardo.
Abbassò la testa e poi finse indifferenza, iniziando a guardare intorno a sé, senza riuscire a cogliere nessuna figura, solo un ammasso informe di colori e forme che non riusciva ad identificare, proprio come quando si ha la vista appannata dalle lacrime.
Non stava piangendo, ma il suo cuore magari sì.
Respirò affannosamente mentre cercava di mantenere un’espressione neutra sul viso e non far scoprire a nessuno il subbuglio di emozioni che stava provando.
Si passò una mano sulla faccia e sentì un incendio divampare nel proprio stomaco: come cazzo aveva fatto a non pensarci? Era fin troppo ovvio che sarebbe successa una cosa del genere.
Frank non era un tipo che passava inosservato, Frank era adorabile, non aveva mai sentito nessuno parlare male di lui, ogni persona che faceva la sua conoscenza se ne innamorava. Alcuni in modo metaforico, altri in modo letterale.
Sprigionava felicità e voglia di vivere da ogni poro della sua meravigliosa pelle, era solare, era divertente, era profondo e sapeva ascoltare le persone, era un amico perfetto per Mikey e gli altri, era un punto fermo, stabile e sensibile, era pazzo e la sua allegria era contagiosa.
Gerard non avrebbe mai immaginato una persona più bella di Frank. Non esisteva, Frank era stato creato e ne era stato buttato via lo stampo, ecco perché era figlio unico.
Gerard non aveva mai davvero concepito come potesse piacere a Frank.
Lui era il suo esatto opposto; sempre depresso e disperso negli abissi della sua tetra personalità, debole di fronte ai vizi, impaurito dagli altri esseri umani tanto da arrivare a doversi sballare per riuscire a sostenere il peso psicologico del palcoscenico. Troppo chiuso, troppo triste, sempre perso nei suoi mondi paralleli che erano i soli in grado di farlo sentire al sicuro.
E Frank lo amava.
Era stato un onore ed una dannazione scoprirlo e rendersene palesemente conto. Lo aveva reso pazzo, pazzo dalla felicità e muto dallo stupore, aveva pensato che forse così schifo non faceva se Frank era riuscito ad innamorarsi di lui e poi c’aveva pensato e aveva capito che Frank non lo conosceva abbastanza e forse era solo affascinato dalla sua personalità, definita da tutti “sfuggente”.
Gerard non era sfuggente, Gerard fuggiva e questo era quanto.
Gerard non era in grado di spiegarsi e allora ammassava frasi e farfugliava discorsi, a volte stava in silenzio ché tanto era uguale.
Forse aveva la presunzione di non sentirsi capito, poi aveva capito che la colpa era la sua se nessuno lo capiva. E Frank era uno dei pochi che aveva provato a scavare più a fondo in lui, era uno dei pochi, se non l’unico, ad aver ignorato la superficie, l’ immagine orrenda che era Gerard. Aveva tentato di capirlo, aveva avuto la reale voglia e la giusta dose di curiosità di farsi largo tra i cespugli spinosi, che riparavano e tenevano al sicuro il vero Gerard.
E forse Frank aveva creduto di averli attraversati, di averne pure distrutti un po’ per mostrare anche al mondo le parti più belle che credeva avesse Gerard, ma la realtà era che Frank era semplicemente rimasto intrappolato. I suoi vestiti erano rimasti impigliati nelle spine e, attraverso i rami sovrapposti e fitti, aveva intravisto qualche spiraglio di luce. Magari neanche quello, magari aveva avuto addirittura un miraggio, perché quando tenti per tanto tempo di raggiungere uno scopo il tuo cervello è compassionevole e te lo fa almeno sognare. E Frank aveva probabilmente sognato e aveva immaginato che al di là di quel bosco oscuro ci fosse qualcosa per cui valesse la pena graffiarsi la pelle e lacerarsi le mani, qualcosa di prezioso per cui sacrificare la propria sicurezza e affrontare le proprie paure.
Frank aveva immaginato di trovare una spada lucente, scintillante e prodigiosa incastonata in una roccia dimenticata, credeva che ci fosse qualcosa di bello da scoprire.
Invece non era così.
Gerard era solo quel bosco. E dietro al bosco c’era altro bosco. Punto. Fine.
Anzi, non avrebbe escluso che oltre quella coltre di piantacce infestanti non ci fosse stato pure un bel mostro di quelli cazzuti, brutti e spaventosi.
Lo spirito avventuriero e amorevole di Frank lo aveva spinto ad infognarsi in quello schifo di posto, ma non ne avrebbe tratto nulla. Né scoperte eclatanti e positive né beneficio personale. Nesarebbe uscito con qualche osso rotto o non ne sarebbe mai più venuto fuori, tipo Triangolo delle Bermuda.
Allora era dovere di Gerard proteggerlo, aveva iniziato a capirlo subito questo punto fondamentale. E quando aveva scritto la lettera a Frank avrebbe voluto spiegarglielo, ma non aveva potuto parlare di boschi e spine e sperare che Frank lo avrebbe capito. Così gli aveva parlato di cieli blu e giornate assolate, belle come gli occhi e il cuore di Frank.
Gli aveva detto che non si sarebbe mai pentito di averlo lasciato andare. E questo l’aveva detto perché ci credeva davvero.
Perché le persone che amava, Gerard le amava sul serio.


E infatti aveva ben capito che stare fuori dalle vite delle persone che amava era la forma d’amore più forte che avrebbe mai potuto attuare. Tanto le distruggeva e basta. Ed erano strani questi discorsi, ambigui ed incoerenti, ma era ciò che sentiva.
Era una cazzo di piantaccia infestante.




 
Vide con la coda dell’occhio Mikey avvicinarsi, vide il rosso della t-shirt di Frank e per un attimo perse completamente il senso dell’orientamento.
Forse erano soltanto i suoi sensi amplificati dal malessere che si sentiva addosso, e così quando Mikey lo chiamò gli sembro che stesse urlando.
-Gerard!- gridò, appunto.
Si voltò cercando di mostrare disinvoltura, ma nutriva seri dubbi circa la sua bravura nella recitazione. Più che altro perché aveva troppe emozioni che rimbalzavano sulle pareti del proprio stomaco.
Poi scattò in piedi.
Scattò in piedi senza motivo, bruscamente come fosse stato un soldato abituato ad eseguire degli ordini meccanicamente. Si ritrovò Frank di fronte senza aver avuto tempo per prepararsi qualcosa da dire.
- Ciao!- gli disse Frank in evidente disagio.
Certo che era a disagio, pensò, lui era lì con Jamia. Jamia era probabilmente la sua fidanzata e Gerard quello di troppo, l’errore che provocava vergogna persino in Frank.
Pensò questo e non riuscì a metterlo in discussione nemmeno per un secondo. Frank trasudava agitazione, si muoveva impacciato e lo guardava imbambolato, Gerard aveva l’impressione che fosse pronto a vedergli spuntare dei tentacoli o delle chele al posto delle braccia.
Insomma, a giudicare dall’espressione con cui lo stava guardando era certo che pensasse che sarebbe successo qualcosa di grandioso. Gli dispiaceva deludere Frank, sorrise a se stesso.
- Ciao, Frank.- gli rispose.
Eppure ne aveva avuto, di tempo. Anche quei pochi secondi che aveva trascorso a studiarlo. Aveva pensato cazzate invece che parole giuste o comportamenti ipotetici.
Lo abbracciò.
Senza pensarci e senza metterci niente in quella stretta, niente sentimenti, zero emozioni. Lo fece e basta perché chiunque si sarebbe aspettato che lo facesse.
Frank, agli occhi di tutti, era un suo amico e gli amici si abbracciano. Anche se così freddamente non aveva abbracciato nemmeno suo zio Jeff, quello che a malapena conosceva e che era sicuro fosse lì solo per curiosità e per avere un argomento scabroso di cui parlare con gli amici e la propria famiglia.
Forse Frank non se lo sarebbe meritato, un abbraccio del genere, e Gerard era in conflitto con se stesso. Vari sentimenti in lui combattevano, prevaleva la rabbia di quello ne era certo, la rabbia scaturita dalla gelosia, quella che provava nei confronti di Jamia e del rapporto che probabilmente aveva con Frank.
Poi c’era il senso di colpa per come si stava comportando.
Frank non meritava la sua rabbia, non meritava il suo distacco e la sua freddezza. Frank non meritava nemmeno la sua gelosia.
La gelosia era un gran brutto sentimento.
Anche questo, lo aveva imparato in quei tre mesi alla clinica di riabilitazione: la gelosia non è un’emozione nobile, è un sentimento che si prova verso qualcosa che non ci appartiene, qualcosa o qualcuno che bramiamo. Se invece quella cosa o persona ci appartiene allora è ancora più grave provarne. È come voler sottrarre, togliere libertà a questa ipotetica persona, è come metterlo sempre sotto esame, caricarlo di pressione che è soltanto derivata dalla nostra insicurezza.
Insomma, c’entrava sempre l’autostima e Gerard era consapevole che esistevano un’infinità di persone migliori di lui.
L’aveva sempregiustificata così, Gerard, la gelosia che provava nei confronti di Frank. Aveva pensato di reagire così perché aveva paura di perderlo, in realtà non era semplicemente sicuro di se stesso, punto.
Poteva sembrare un discorso egocentrico, ma la verità era che la responsabilità di ciò che provava era la sua e di nessun altro, tanto meno di Frank e non poteva farglielo pesare.
Lo aveva caricato di pesi, gli aveva fatto pesare già fin troppe cose che non avrebbe dovuto.


In tutto quel tempo non aveva fatto altro che guardarsi intorno smarrito.
Mikey gli aveva fatto presente che c’era anche Jamia, quella stronza, e l’aveva salutata, le aveva parlato senza sapere nemmeno ciò che stava dicendo.
Magari le aveva detto che era una lurida troia e se  così fosse stato non se ne sarebbe pentito. Se Frank ci fosse rimasto male sì, però, se ne sarebbe pentito.
Continuava ad odiare quella ragazza, continuava a sentirsi in colpa per Frank.
Continuava ad amarlo, in effetti.
E si sentiva il cuore in gola, aveva l’impressione che presto le gambe avrebbero ceduto sotto al peso opprimente del suo corpo in fase di esplosione, colmo di troppe emozioni mal gestite.
Doveva andarsene.
Lo sguardo deluso che aveva visto sul viso del suo chitarrista, probabilmente a causa di quel suo abbraccio di merda, lo percepiva su di sé come un raggio laser invisibile che lo stava lacerando senza darlo a vedere.
Voleva scappare.
- Scusate.- singhiozzò senza essere certo che lo stessero ascoltando e sgattaiolò via dal centro di quel gruppo di persone.
Si diresse verso il corridoio, e poi su per le scale, i suoi piedi lo portavano via velocemente da quella situazione senza che Gerard riuscisse a controllarli.
Si fermò alla fine della prima rampa, lontano da occhi indiscreti, curiosi o indagatori, si piegò poggiando le mani sulle ginocchia e rilasciò il respiro, si lasciò andare a boccate d’aria piccole e veloci. Sembrava un attacco di panico.
Ma Gerard aveva imparato a gestirli, era in grado di rilassarsi, di respirare e calmarsi.
Per prima cosa respirò profondamente, infatti, tornò dritto con la schiena e, facendo finta di nulla, continuò a salire le scale, deciso ad andare a sciacquarsi la faccia.
Continuò ad espandere la cassa toracica e a concentrarsi sul lavoro meccanico che compivano i suoi polmoni. Sentiva che stava già andando meglio.
Arrivato in cima alle scale, si diresse verso la porta del bagno e posò una mano sullo stipite, deciso a costringersi ad ignorare il giramento di testa dovuto alla tachicardia che ancora non lo abbandonava.
Respirò ancora, ad occhi chiusi, e quando sentì dei passi alle sue spalle non li ascoltò davvero, il proprio cervello li registrò e basta.
Il training autogeno stava procedendo bene, sentiva il battito del proprio cuore che pian piano rallentava. Presto sarebbe passato tutto.
La mano sulla spalla però la percepì davvero, stavolta, il suo cervello reagì al tocco, al contrario della reazione che non aveva avuto per i passi uditi qualche secondo prima.
Immaginò che fosse Mikey, in quella frazione di secondo che la mano impiegò per far forza ed invitarlo a voltarsi, e si sentì ancora meglio.
Agli occhi di Frank nei suoi, però, non era preparato. Non lo aveva immaginato, non lo aveva ipotizzato, non aveva osato neppure sognarlo.
Lo sguardo del suo cielo blu era eloquente, c’erano così tante cose che esprimevano quegli occhi, gli urlavano così tante parole che non riusciva ad afferrarne neanche una.
Gerard non voleva fraintendere e non aveva intenzione di dare peso all’amore da cui si sentiva inondato con quello sguardo addosso.
Così continuò a scavare con i suoi occhi in quel colore meraviglioso di cui erano dipinti quelli di Frank. Forse stava chiedendo conferme, forse stava semplicemente catturando tutta la sua bellezza.
Lo aveva sognato per così tanto tempo, quel momento… non gli sembrava vero, non si sarebbe stupito se si fosse svegliato e si fosseritrovato nello scomodo letto della sua stanza, nella clinica di riabilitazione.
Frank camminò lentamente verso di lui, allungò una mano alle spalle di Gerard e quel movimento fece sfiorare i loro petti.
Gerard sussultò impercettibilmente, boccheggiò senza sapersi trattenere, poi sentì scattare la maniglia della porta dietro di lui.
Frank continuò ad avanzare senza staccare il contatto visivo dai suoi occhi, le labbra socchiuse e i loro petti uniti da più pressione, che spinse Gerard ad indietreggiare di conseguenza.
Continuarono a studiarsi mentre a piccoli passi procedevano oltre la porta.
Dell’attacco di panico non c’era più traccia, o forse era nel pieno di quella crisi d’ansia, magari era svenuto e stava vivendo quel sogno magnifico.
Frank non gli aveva rivolto la parola, Gerard non osava farlo, troppo preoccupato di risvegliarsi da quella proiezione che probabilmente la sua mente gli stava proponendo.
Ad un tratto Frank si fermò e allungò il braccio oltre le proprie spalle. Gerard sentì la porta chiudersi, poi vide lo sguardo fisso di Frank vacillare, spostarsi sulle sue labbra per poi tornare di nuovo ad incollarsi ai suoi occhi. Quei secondi in cui Frank alternava quelle occhiate dalla sua bocca ai suoi occhi increduli sembrarono durare in eterno. Istintivamente, anche Gerard portò la propria attenzione sulle labbra di Frank, vide scintillare il piercing, si perse nel ricordo, a pensare alla morbidezza di quelle labbra.
Gli venne in mente un bacio, uno preciso, una volta, durante un concerto, Frank aveva perfino smesso di suonare la chitarra e gli aveva posato le mani sui fianchi.
Chiuse gli occhi e li strizzò, sospirando forte, scosso da brividi che partirono dal centro della schiena e che si irradiarono rapidamente verso il resto del proprio corpo, fino alla punta di ogni capello che aveva attaccato sulla cute.
Aveva come l’impressione che Frank volesse dirgli qualcosa, aveva la tentazione di parlare, lui per primo, di esprimersi, ma era completamente confuso, non avrebbe mai saputo cosa dire.
La testa di Frank si spostò verso la sua, il viso si avvicinava come calamitato, stava per crollare sul suo, Gerard trattenne il respiro.
Quando la bocca di Frank si scontrò con la propria sussultò ancor più di come aveva fatto poco prima, ripensando a quel bacio.
Frank arpionò le mani sulla t-shirt che indossava Gerard, lo strinse e con le dita gli accarezzò, affamato, la pelle del fianco.
Gerard crollò davvero, rilassò le spalle e allungò in fretta le mani sul collo di Frank, ne spostò una sulla nuca, percorrendo un tragitto che aveva sempre amato tracciare. Prese delle ciocche di capelli tra le mani, le strinse e quasi percepì le ginocchia cedere quando la lingua di Frank gli scivolò in bocca in modo così naturale che sembrava essere esattamente quello il suo posto, intrecciata alla sua.
Una volta, uno di quei giornalisti troppo curiosi e molto sfacciati gli chiese a bruciapelo cosa aveva provato a baciare Frank, Gerard era stato preso in contropiede, non si aspettava una domanda del genere, eppure le parole gli scapparono dalla bocca come se si fosse preparato da mille anni quella risposta: magico, fuochi d’artificio, aveva detto con un sorriso che nessuno avrebbe mai potuto vedere, dato che erano a parlare per telefono.
Ed era stata l’unica e sola risposta che avrebbe mai potuto dare, era questo che provava ogni volta che gli si avvicinava: sentiva qualcosa accendersi in lui, come una fiamma improvvisa scattata da un accendino immaginario. Era piccola, sì, era anche blanda volendo, ma aveva lo stesso effetto della prima volta che un uomo primitivo aveva avuto a che fare con il fuoco. Era qualcosa di grandioso, quasi di magico, perché Gerard non aveva mai provato nella sua vita emozione del genere e poi “boom”, arrivava un botto, un’esplosione. Accanto alla fiammella c’era una miccia e quel calore si spandeva, quella luce si quintuplicava, si moltiplicava quasi infinitamente, creando scintille che, fino a che non le vedevi con i tuoi occhi, eri certo che non esistessero.
E poi ci sono quelle cose, nella vita, di cui resterai sempre stupito, pensava Gerard, come i fuochi d’artificio: sai della loro esistenza, sai come sono, sai cosa ti aspetta quando stai per vederli eppure, poi, quando il cielo buio viene squarciato da quelle luci guizzanti e colorate non puoi fare a meno che stare col naso all’insù, non riesci a staccare il contatto visivo da quello spettacolo magnifico che assomiglia sempre ad una piccola magia.
E Frank lo sarebbe sempre stato: quella piccola magia che lo avrebbe ogni volta fatto restare a bocca aperta, incredulo, con quelle luci colorate impresse nella retina che avrebbero continuato a riprodursi anche dietro le sue palpebre chiuse.


Il tocco di Frank si fece più audace, senza rendersene conto si ritrovò schiacciato contro le piastrelle del bagno con Frank completamente appoggiato su di sé. Ed era una sensazione magnifica, sentiva caldissimo, il corpo di Frank contro il proprio era stato il suo sogno proibito per gli interi tre mesi trascorsi alla clinica. Frank lo voleva, lo voleva ancora e Gerard era in estasi.
Rendersene conto era quanto di più appagante avrebbe mai potuto immaginare, le sensazioni che provava erano sconvolgenti, nemmeno rivivendo in un sogno qualche loro incontro sarebbero state così potenti e destabilizzanti. La realtà, in quel momento, superava di gran lunga l’immaginazione e sì, si sentiva quasi felice.
Quasi.
Frank era arrivato ad accarezzarlo con le mani aperte sui fianchi, saliva, fino ad arrivare al petto. Lo stava toccando con foga, sembrava che dovesse memorizzare, con il tocco delle sue mani, ogni minima parte del corpo di Gerard e intanto continuava a spingersi contro di lui, continuava a baciarlo.
Gerard tentava di respirare dal naso, ma tra l’impeto di passione e gli ansimi che gli sfuggivano incontrollati dalle labbra, premute contro quelle del suo chitarrista, era difficile anche fare le cose basilari per sopravvivere. Forse sarebbe soffocato, ma non riusciva a porre fine a quel bacio, che sembrava durare da ore.
Gli era così mancato… non si sentiva così desiderato da un mucchio di tempo, da tre mesi ovviamente, e gli incontri solitari con se stesso non erano certo paragonabili ad avere Frank addosso e le sue attenzioni reali, non soltanto immaginarie.
Frank era in grado di farlo entrare in un’altra dimensione, sapeva farlo volare pur restando con i piedi a terra perché lo coinvolgeva emotivamente, non solo a livello fisico. Frank gli sapeva donare tutto, ogni cosa di cui aveva bisogno e sarebbe stato davvero bello se anche Gerard fosse stato capace di dargli le stesse cose. Invece non aveva fatto altro, da tutto il tempo che si conoscevano e condividevano le loro vite, che dargli problemi e creargli preoccupazioni e disagi.
Era un’impresa ingestibile stare accanto a lui, Gerard ormai ne era consapevole.
Ma lo sognava anche ad occhi aperti, a volte, di poterlo rendere felice e di vivere quella vita insieme per cui tanto avevano lottato per tentare di ottenere.
Il fatto era che Gerard non si era impegnato abbastanza, a quei tempi, Frank si era affannato, si era preso cura di lui, lo aveva amato, glielo aveva detto anche a voce, un mucchio di volte e lui invece aveva ricorso anche a dei colori pur di non lasciarsi sfuggire quelle parole che avrebbero potuto mettere in pericolo Frank.
La sua unica preoccupazione era sempre stata quella: non mettere Frank nei guai.
Eppure ora era lì, tra le sue braccia a lasciarsi baciare e toccare mentre al piano di sotto la sua fidanzata lo stava aspettando.
Era così sbagliata, tutta quella situazione… non poteva permetterlo.
Frank doveva essere felice, doveva vivere in pace e avere a fianco persone che gli trasmettevano tranquillità.
Quella troia insistente sembrava davvero perfetta per lui. E se Frank aveva anche solo una possibilità di essere felice e di sentirsi completo con lei Gerard non voleva negargliela.
Posò i palmi aperti sul petto di Frank, allontanandolo senza essere brusco. Gli tremavano le braccia e compì uno sforzo immane per scostarselo di dosso.
Il suo chitarrista non oppose resistenza e Gerard trovò il suo viso dipinto di un’espressione estasiata quando riuscì a guardarlo da una distanza adeguata. Sembrava quasi appagato, quasi felice.
Gli riservò un sorriso e Gerard non riuscì a ricambiare, era troppo convinto di ciò che aveva appena finito di pensare.
Lui non era una buona alternativa a Jamia, lui non era un’alternativa e basta.

- Io credo che dovresti tornare al piano di sotto.- gli suggerì abbassando lo sguardo sui loro bacini ancora accostati l’uno all’altro.
Sospirò, prendendo grandi boccate d’aria, tutta quella di cui i suoi polmoni erano in deficit, tutta quella che gli mancava anche in quel momento, nonostante non avesse più le labbra di Frank premute sulle sue ad ostacolargli la respirazione.
Era così agitato, così confuso. E triste.
-Io… no! Perché dovrei tornare giù?- chiese corrugando la fronte, facendo una smorfia imbronciata e adorabile.
Gerard lo avrebbe rinchiuso in quel bagno con lui per tutta la vita, ma non poteva dirglielo, non poteva rischiare di indurlo ad impantanarsi di nuovo in quella relazione così dolorosa e sbagliata.
Gerard voleva vedere sorrisi sul suo viso, anche se non ne sarebbe stato lui l’artefice. Ma era difficile da spiegare e Frank non avrebbe capito, sarebbe stato accecato solo dai sentimenti che provava nei suoi confronti e non avrebbe ragionato verso la decisione giusta. Avrebbe agito d’istinto, di cuore, e Gerard pensava che era arrivato il momento di metterlo in un angolo, il cuore, almeno il proprio, e fare scelte pensate, senza sentimenti  imperfetti che prendevano il sopravvento.
Frank meritava la perfezione.
-Perché c’è qualcuno che ti aspetta, forse?!- ironizzò riferendosi alla ragazza che Frank aveva abbandonato, probabilmente con Mikey, per seguirlo fin lì.
- Non mi aspetta nessuno. Non mi interessa. Voglio stare con te.- sospirò tutte quelle frasi insieme, come se l’una dipendesse dall’altra, come se avessero senso. Tornò a baciarlo, o perlomeno ad accostare di nuovo le labbra alle sue, ma Gerard spostò la testa lateralmente, sfuggendo a quel contatto.
- Vai giù.- gli intimò di nuovo.
Frank lo guardò stralunato, confuso, quasi incazzato.
-No.- ribadì scavando negli occhi di Gerard con uno sguardo un po’ spaurito.
Il cuore di Gerard stava disperandosi nel vedere un’espressione del genere sulla faccia del ragazzo che amava, ma non poteva farci niente. Non aveva trascorso mesi interminabili via da casa per tornare e ricadere negli stessi errori, per tornare e comportarsi sempre nello stesso identico modo, facendo del male agli altri, fregandosene, dando importanza prima a se stesso e ai propri desideri.
Era arrivato il momento di essere altruista, di riparare ai suoi sbagli passati, di dimostrare che era veramente cambiato e che avrebbe messo a repentaglio il suo di benessere in favore di quello degli altri.
Era arrivato il momento di dimostrare alle persone che amava quanto le amava.
-Okay, se vuoi resta pure qui, io scendo, gli ospiti mi aspettano.- dichiarò scostandosi dal corpo di Frank e iniziando a muoversi per andarsene sul serio.
-Dove credi di andare?- Frank lo riafferrò al volo per un polso.
- Te l’ho detto, no?- chiese retoricamente, ma stava tremando. Forse l’attacco di panico non era ancora giunto al termine o forse stava spezzandosi qualcosa dentro di lui, nel fingere quell’indifferenza.
- No, non mi interessa. Che si fottano gli ospiti. Che si fottano tutti!- quasi gridò Frank, in preda ad una frustrazione visibile.
- Perché devi andartene, non lo capisci che ho sognato questo momento per talmente tanto tempo che sembra che ti abbia visto per la prima volta, qualche minuto fa?- gli domandò, il tono della voce che trasmetteva disperazione.
- Appunto. Fingi di avermi visto per la prima volta. Non puoi provare nulla per uno sconosciuto, non puoi chiuderlo in un bagno e baciarlo, non puoi… tu non hai il diritto—iniziò a dire, cercando di essere convincente e non tentando nemmeno di guardarlo negli occhi.
- Io ne ho tutto il diritto, invece.- sbraitò Frank interrompendo la valanga di idiozie che stava ammassando insieme per uscire da quella situazione nel modo che aveva pianificato.
- Io… tu… tu non sai quello che ho passato in questi mesi, non sai cos’avrei fatto… sarei stato disposto a diventare un fantasma se qualcuno mi avesse assicurato che avrei potuto venire da te e rivederti e ora tu… che cazzo dici? Che vuol dire che devo fingere di non averti mai conosciuto? Che c’è sotto, dove vuoi arrivare?- gridò davvero, stavolta e Gerard fu certo che, se non avesse avuto un salotto pieno di gente che chiacchierava amabilmente, chiunque avrebbe potuto sentirli.
- Non urlare.- gli suggerì.
- Non urlare?!- urlò ancora di più guardandolo con gli occhi sbarrati.
- Io urlo fino a farmi sanguinare la gola, se voglio!- si impuntò. Era davvero arrabbiato e Gerard aveva come l’impulso di fermare tutta quella discussione e dirgli che sì, aveva detto solo un mucchio di cazzate, che non doveva fingere niente, che doveva amarlo come aveva sempre fatto e che forse, stavolta, lui sarebbe stato pronto a ricambiare e ad impegnarsi, ma… purtroppo c’aveva riflettuto troppo per lasciar cadere tutta la teoria che aveva elaborato per renderlo felice e allontanarlo da se stesso.
Era la cosa giusta, ne aveva parlato anche con lo psicologo, e quello psicologo gli aveva insegnato molto.
- Io… io avevo immaginato che… cazzo, Gerard- Gerard si ripeté in mente, non Gee, Gerard.
- Avevo immaginato che ti fossi mancato, che anche tu non vedessi l’ora di rivedermi, che avessi trascorso quel tempo a pensarmi, a sognare di riabbracciarmi e di riavermi…- e quella parola, “riavermi” gli fece provare qualcosa di così intenso, di così forte che boccheggiò come se avesse appena ricevuto un pugno in pieno stomaco.
Frank era suo. Frank si sentiva ancora suo.
Percepì la potenziale possibilità di scoppiare in lacrime.
Piangeva spesso, ultimamente e ora sarebbe stato in grado di disperarsi per ore, avendo fatto conoscenza un po’ con se stesso, al centro di riabilitazione.
Doveva andarsene.
Non era ancora pronto, non aveva messo in conto quanto facesse male far del male a Frank, ma era per il suo bene.
E quella frase suonò talmente incoerente e contorta, addirittura nella propria testa che si sentì ancor più convinto che spiegarsi non sarebbe servito a niente.
Doveva indurre Frank ad odiarlo, doveva fargli vedere chi era, cosa era capace di fare, non doveva raccontargli di quel bosco immaginario che aveva dentro, doveva mostrarglielo.
Frank, prima o poi, se ne sarebbe accorto che era solo una piantaccia infestante.
Non una violetta delicata e colorata come lui.


Pansy… ci ripensò e sorrise.
-È divertente, per te, ascoltare quanto sono patetico, non è vero?- disse riferendosi a quel sorriso che aveva appena piegato le sue labbra. Morì di colpo perché non era così, Gerard non pensava questo, era incredibilmente romantico quello che aveva detto e, anche se non capiva come potesse esistere Jamia al suo fianco quando lui pensava e sognava certe cose, si sentì amato e non c’era nulla di patetico in quella sensazione.
Se ne convinse ancor di più della perfezione che costituiva Frank.
Ora doveva trovare un motivo valido e l’idea non tardò ad arrivare perché Frank gliela servì su un piatto d’argento, forse anche d’oro.
-Hai conosciuto qualcuno al centro, non è così?- domandò con rabbia. Quasi certo di quel che stava dicendo.
- Già.- sussurrò Gerard. Quello era un gran bel motivo per spingerlo ad odiarlo.
- Cosa?- avrebbe voluto domandare Frank, ma dalla sua gola non uscì altro che un sussurro sbigottito che non assomigliava nemmeno lontanamente ad una domanda.
Gerard si stava sentendo morire, quindi non riuscì a confermare di nuovo. Ci si sarebbe abituato. Forse.
- Non ci credo… non ci credo- iniziò ad imprecare Frank.
- Ed io come un fottuto illuso qui, a contare i giorni che ci separavano. Sono un coglione.- ragionò ad alta voce e se non stava piangendo era solo perché era troppo arrabbiato.
- E tu sei uno stronzo, un grandissimo bastardo stronzo.- gli sputò addosso. Gerard incassò, continuò a sfuggire dai suoi occhi, continuò a non affrontarlo.
- Nemmeno mi guardi, eh?!- gli domandò, infatti, con aria di sfida.
- Certo che è andata così, io dovevo perfino immaginarmelo che sarebbe andata a finire così. Non ci vuole un cazzo ad essere meglio di me, non è vero? È così facile essere migliore di Frank Iero, così facile.- si stava sfogando e gesticolava come suo solito, Gerard se ne stava fermo, ancora con la schiena appoggiata alle piastrelle del bagno, ancora senza guardarlo.
- Guardami e dimmi che non mi ami.- gli ordinò il suo chitarrista.
Gerard salì piano con lo sguardo e studiò ancora la sua figura, di nuovo, come se non lo avesse appena visto e appena toccato. Gli veniva da vomitare e voleva piangere, ma doveva essere forte, doveva affrontare la vita, le conseguenze delle sue azioni e comportarsi per la prima volta da uomo.
Puntò gli occhi nei suoi, finalmente e sentì il cuore esplodergli.
-Non ti amo, Frank.- si fece violenza nel pronunciare quelle parole, ma almeno Frank, il suo Frank, si sarebbe finalmente messo l’anima in pace e avrebbe capito, una buona volta, che era nei confronti di Gerard che valeva quella regola: tutti potevano essere migliori di lui. Chiunque. Anche la ragazza che lo adorava e lo stava aspettando al piano di sotto.
Il pugno che gli arrivò in pieno viso, beh, quello non lo aveva calcolato. Si portò la mano sullo zigomo che Frank gli aveva appena colpito con le nocche e lo guardò istintivamente.
Frank era pronto ad accogliere il suo sguardo, gli puntò gli occhi lucidi e colmi di lacrime nei suoi e si esibì in un sorriso falsissimo.
-Bentornato Gerard.- sputò sprezzante.
E poi se ne andò, lo lasciò in quel bagno addolorato e provato dagli effetti collaterali dei suoi comportamenti di merda.
Lo psicologo gli aveva spiegato che era essenziale fare i conti con il passato per poi tornare a vivere ed iniziare finalmente ad avere stima di sé. E forse in quel momento, con quelle parole, con quel pugno, il vecchio Gerard era definitivamente morto.
Ora sarebbe rinato da quelle ceneri, scartando la polvere nociva, e si sarebbe trasformato in qualcosa di migliore, proprio come una fenice.

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Capitolo 3
*** Like a Hurricane ***


EEEEECCOMI DI NUOVO! C:
Sono qui con il nuovo capitolo (ma va?!) con un bel titolo trovato dalla mia amata honey-beta. È una canzone di Neil Young e L’HANNO SUONATA ANCHE I PLACEBO alla fine di english summer rain, una volta e… vi farò odiare i Placebo, prima o poi!! :°°°°D
Comunque. Calza molto ad una parte del cap e spero vi piaccia (il cap, intendo!)
Voglio ringraziare tantissimo le persone che preferiscono, seguono e chi si prende la briga di recensire (anche chi lo fa in privato, eh!), sono banale, lo so, ma è importantissimo per me sapere ciò che pensate.
Quindi, ecco, vi aspetto dopo la lettura e… avevo pensato che avrei dovuto dire delle cose, ma non le ricordo. Boh! Vuol dire che siete fortunate, per questa volta, e vi risparmiate le mie settordicimila righe di sproloqui pre-capitolo! C:
VIBLU
-la vostra SkyBlue-
 
 
 
 
PRTGMOIcap 2
 
 
 
 
Like a hurricane
 
 
 
Gerard guardava con aria assorta l’albero di limoni che, maestoso, aveva preso possesso dell’angolo più tranquillo del giardino di casa sua. Si diramava verso l’alto e aveva allargato la sua chioma indisturbato, come fosse l’unico padrone di quel pezzo di verde.
Era bella, quella pianta, con il passare degli anni aveva proteso i suoi rami abbastanza in alto da arrivare ad essere visibile da oltre il muro di recinzione.
Era una pianta molto impertinente. Era nata da sola, per mezzo di qualche seme caduto accidentalmente per terra dal secchio dell’immondizia e, da un giorno all’altro, c’era questo piccolo arbusto proprio accanto al secchione della spazzatura, a dimostrazione del fatto che anche dagli scarti ci si può ricavare qualcosa di buono.
Quando Elena l’aveva scoperta, anni prima, ne era stata entusiasta.
Stava chiacchierando con Gerard, mentre vagavano senza motivo nel giardino, e lei l’aveva notata. Aveva detto che la potenza delle piante era qualcosa di sbalorditivo, sapevano mettere radici in luoghi impervi e creare crepe nell’asfalto per uscire fuori ed aprirsi al mondo. Erano delle piccole eroine, le piante.
“Hanno più voglia di vivere di certi esseri umani” aveva osservato sua nonna e poi l’aveva convinto ad aiutarla a spostare quel piccolo germoglio, posizionandolo in un luogo più consono ad una pianta che sarebbe divenuta un albero e sarebbe cresciuta e diventata bella e forte.
Gerard l’osservava, mentre prendeva dei tiri dalla sigaretta che aveva tra le dita, e si sentiva molto come quei “certi esseri umani” a cui sua nonna aveva paragonato il lontano ricordo del germoglio di quell’albero.
Aveva davvero più voglia di vivere di lui, quel limone. Davvero.
E questo faceva schifo, okay, ma la realtà era quella. Forse aveva ancora molto da lavorare su se stesso, molto più di quanto fosse disposto ad ammettere.
Quella pianta, da quel giorno di anni e anni prima, era diventata la piccola creatura di cui lui e sua nonna si erano presi cura insieme.
L’avevano cresciuta, l’avevano innaffiata e le avevano addirittura creato una piccola aiuola con dei sassi, per delimitare i suoi spazi, per dotarla della giusta importanza in mezzo all’altra vegetazione sparsa per il giardino. L’avevano raccolta come un randagio e l’avevano amata come fosse stata un germoglio di qualche pianta rara.
In realtà era soltanto un limone, un comunissimo limone che soffriva anche moltissimo il clima del New Jersey, che aveva bisogno di essere addirittura coperto quando le prime nevicate iniziavano ad imbiancare e a gelare ogni cosa e forma di vita che trovavano nel loro percorso dal cielo alla terra, ma lo avevano trovato insieme, ne erano rimasti entusiasti come fosse stato un piccolo miracolo e quell’alberello sarebbe rimasto per sempre il loro albero. Qualcosa che avevano in comune.

Gerard non se n’era più preso cura, da quando sua nonna lo aveva lasciato.
Sopravviveva grazie alle cure di suo padre o sua madre, loro si occupavano di potarlo ed innaffiarlo, loro lo coprivano con il telo di nylon quando le temperature si abbassavano drasticamente. E questo non perché Gerard mancasse da casa, no, anche quando era in casa non lo faceva e se gli capitava di vedere qualcuno che prestava attenzione a quell’albero distoglieva lo sguardo, perché lui quell’albero ora lo odiava.
Lo odiava come aveva iniziato ad odiare un mucchio di cose da quando Elena era morta. Odiava la casa sotto la propria, dove prima abitava lei. Odiava respirare l’odore che c’era all’interno di quelle quattro mura, tanto che, quando era stato obbligato ad entrarci per prendere qualcosa che serviva a sua madre, aveva respirato con la bocca, perché quel fottuto odore lo nauseava.
Lì dentro, prima, c’era il profumo di casa, quell’odore che sapeva di sicurezza e famiglia, se chiudeva gli occhi e si concentrava sarebbe stato anche in grado di ricordarlo, quel profumo, di prendere quella boccata d’ossigeno che conteneva anche particelle di felicità.
Invece ora l’aria di quella fottuta casa sapeva di desolazione, di morte e di abbandono.
Ed era passato un anno e mezzo e Gerard non era ancora riuscito a venire a patti con la mancanza di sua nonna. Le aveva dedicato una canzone dell’album precedente, quel fiume di parole che aveva vomitato su un foglio non appena aveva appreso la notizia della sua morte, seduto sull’altalena, proprio accanto al limone.
Non era stato ancora in grado di elaborare il lutto, si era semplicemente abbandonato, si era sballato cercando di offuscare certi pensieri e determinati ricordi, aveva iniziato a lasciarsi andare, a concedersi qualunque scappatoia pur di non dover affrontare il suo dolore. E questo, aveva capito, non era stato affatto un bene.
In molti, tra cui Mikey, gli avevano detto che la colpa di tutti i suoi errori, dei casini combinati, dei problemi causati a se stesso e agli altri, il motivo per cui non era stato in grado di sopportare il peso di certe responsabilità e del suo ruolo di frontman era stata la sua dipendenza. L’alcool, la droga, i vizi a cui aveva ceduto quasi con naturalezza.
Ma ora, ora si era ripulito, era sobrio da oltre tre mesi, non prendeva più droghe dallo stesso tempo eppure i problemi erano ancora lì. Eppure, quella paura di vivere e di sbagliare, la sentiva ancora battergli nel petto insieme alle stesse pulsazioni che lo tenevano in vita.
Il dolore… la disperazione della perdita ancora non lo abbandonavano.
Nonostante tutto, non riusciva a liberarsene, non riusciva a separarli da ciò che era e che faceva nella sua vita, anzi, condizionava tutto, dai testi ai disegni, ai comportamenti con cui affrontava la quotidianità.
Era arrabbiato, principalmente.
Non sapeva bene con chi o per quale motivo, ma sentiva ondate di rabbia muoversi dentro il suo petto e, allo stesso tempo, la ragione riusciva ad ostacolare quegli attacchi d’ira a cui, a volte, si sarebbe abbandonato volentieri.
Si odiava un po’ per questo, sapeva che era sbagliato e, soprattutto, il fatto di non riuscire a decifrarne le cause lo mandava fuori di testa. Quindi: altra rabbia.
La questione lampante era che la droga e l’alcool non c’erano più nel suo corpo eppure lui si sentiva lo stesso di sempre: il depresso cronico, il paranoico, il ragazzo con la personalità tetra e il disagio e l’imbarazzo che vincolavano il suo modo d’essere.
Non si piaceva, ecco tutto. Come al solito.
In ogni caso, aveva finito di disegnare il limone, era venuto abbastanza bene e tra poco sarebbe stato giorno e la sua famiglia si sarebbe svegliata e avrebbe fatto colazione. Erano di nuovo insieme, tutti e quattro, certi di aver superato ogni difficoltà.
L’unica nota stonata, al solito, era Gerard.
Schiacciò la sigaretta nel portacenere che aveva a fianco e sbuffò l’ultima nuvola di fumo.
Prese il disegno del limone e lo staccò dall’album, poi lo strappò in quattro parti, come se avesse dovuto buttarlo, ma non lo avrebbe buttato. Lo mise sotto a tutti i fogli dell’album, pensando che non ce la faceva proprio a buttare le cose, riusciva ad affezionarsi a tutto, anche ad un pezzo di carta.
Se ne tornò in camera, a quel punto, perché sua madre era felicissima di riavere entrambi i suoi figli a casa ed adorava svegliarli e Gerard voleva renderla felice, così, per la quarta mattina di fila, avrebbe finto di dormire, quando lei sarebbe andata a svegliarlo con un bacio.
 
 
 
-Dio, quanto mi mancava essere a casa e fare cose… normali?! Sì, normali, in un certo senso…-  sbuffò Mikey rivolgendogli uno sguardo soddisfatto, sperando che Gerard lo avrebbe capito.
Gerard aveva capito benissimo, soltanto, lo guardò stralunato lo stesso.
- Mik, sono già tre mesi che sei a casa, dovresti essertene riabituato già da un pezzo!- gli spiegò alzando le sopracciglia, facendogli notare quel piccolo particolare.
Mikey sorrise, lasciandosi andare ad un sospiro, poi tornò a guardarlo serio.
-Non è stata la stessa cosa senza di te.- mise in chiaro.
Gerard batté le ciglia, pensando che avrebbe dovuto immaginare una risposta del genere.
-Abbiamo fatto sempre tutto insieme, è come se mi mancasse un braccio quando sono senza di te nei paraggi!- scherzò Mikey, ma neanche troppo.
Gerard scoppiò a ridere per il paragone e portò un braccio sulla sua spalla istintivamente, non avrebbe mai saputo spiegare quanto adorava suo fratello. Era stato tra le persone che gli erano mancate di più in quel periodo e, per un motivo o per un altro, ogni qual volta gli era capitata qualcosa diversa dal solito aveva pensato che avrebbe tanto voluto che Mikey fosse stato lì con lui, ne avrebbero riso insieme, si sarebbero guardati negli occhi e senza parlare si sarebbero capiti perfettamente.
Era così che funzionava con suo fratello. Erano quasi telepatici.
Anche se, pure su questo punto, Gerard si sentiva molto spesso in difetto per la sua inclinazione al silenzio, al tenere certi pensieri per sé. Mikey era così trasparente con lui… era come una fonte d’acqua cristallina, potevi vedere anche il fondo, se ti concentravi, e Gerard il solito pozzo: buio, scuro e troppo profondo.
Mikey ogni tanto buttava dei sassi in quel pozzo, almeno per farsi un’idea della sua profondità, ma non ne percepiva altro che un rumore lontano ed ovattato. La cosa stupefacente era che non si stancava mai di buttarci sassi, lui voleva sul serio sapere quanto fosse profondo. Aveva addirittura ingaggiato una squadra di soccorso, mandandolo nella clinica riabilitativa, e forse era rimasto anche deluso quando anche le persone che avevano provato, al suo posto, a sondare quel pozzo, gli avevano comunicato che era difficilissimo, se non impossibile, sapere cosa ci fosse sotto.
Gerard era certo che Mikey non si sarebbe mai stancato di provarci ancora. Lo avrebbe fatto per sempre.
- Beh, dai, sei stato bene lo stesso, no?- gli domandò Gerard tornando seduto composto sul divano dove stavano guardando distrattamente la tv.
- Ma sì, sono uscito con gli amici di sempre, con Ray, con Frank… ma sai, senza di te è tutto diverso.- gli spiegò gesticolando un po’ per enfatizzare ciò che stava dicendo.
Gerard sussultò impercettibilmente al nome di Frank, ma tentò di non darlo a vedere. Mikey sapeva che era successo qualcosa, tra loro, quattro giorni fa, quando era tornato a casa, ma ancora non gli aveva chiesto nulla e Gerard gliene era silenziosamente grato.
- Sì, capisco. Anche a me capitava di pensarti spesso. Tipo c’era il tizio che lavorava nelle cucine che era buffissimo e l’ho conosciuto per caso un giorno, mentre ero fuori a fumare, e lui mi aveva raccontato che avrebbe tanto voluto scappare a casa per andare a giocare alla play. Non sai quanto avrei voluto che ci fossi! Ogni tanto scendevo in cucina solo per chiacchierare con lui.- gli raccontò quell’aneddoto, ma ce ne sarebbero stati miliardi da menzionare, anche quando guardava qualcosa alla tv e sapeva che sarebbe piaciuta anche a Mikey.
Se fossero nati gemelli non avrebbero avuto le stesse affinità, non sarebbero stati così uniti. Era qualcosa di unico ed indescrivibile, quel loro rapporto.
- Ma dai!- esclamò Mikey.
- Ecco, pensa che non ho disegnato per tutti questi tre mesi…- gli disse pensieroso.
-Non avrebbe avuto senso farlo senza di te.- aggiunse poi, il più piccolo.
Gerard si sentiva in colpa.
Non poteva immaginare, senza soffocare tra i suoi stessi respiri, di aver fatto star così tanto male suo fratello. La colpa era stata unicamente sua per quella separazione forzata, forse anche Mikey provava le stesse cose che provava Gerard, forse anche lui era arrabbiato e avrebbe avuto voglia di sfogarsi.
Sospirò per scaricare la tensione.
Mikey, come al solito, sembrò leggergli nei pensieri ed esaminare la natura delle sue elucubrazioni.
-Tu so che hai disegnato…- alluse giocosamente facendo passare la chiacchierata ad altri toni. Gerard si era reso pienamente conto della consapevolezza di Mikey riguardo i suoi pensieri. La loro telepatia risiedeva in quello, quelle erano le situazioni che ne dimostravano l’esistenza.
Gerard tossì un po’ a disagio. Lui non aveva semplicemente disegnato, no, lui aveva passato ogni singolo secondo libero lì dentro a farlo. E suo fratello aveva smesso, invece. Non seppe come sentirsi a riguardo.
- Sì, in effetti…- lasciò in sospeso sentendosi di nuovo in colpa. Come aveva fatto a farlo mentre suo fratello aveva abbandonato ogni sua idea, per colpa della lontananza da lui?
- Beh, cosa aspetti, fa’ vedere!- chiese felice. Era in un’attesa così felice che quasi avrebbe voluto rimangiarsi quello che aveva appena detto. Magari si aspettava rappresentazioni vitali e disegni positivi…
- No, ma sai…- provò a fargli cambiare idea.
- Ah no, niente ma, vai a prendere il fottuto album, Gee!- lo sollecitò.
- Anzi, ci vado io!- e corse al piano di sopra prima ancora che Gerard riuscisse a pensare a delle parole da dire. Mikey era sempre stato entusiasta dei suoi lavori, che fossero state canzoni o disegni, concetti o teorie. Era sempre al settimo cielo quando Gerard gli raccontava quello che aveva in mente e, onestamente, gli dispiaceva farlo così di rado, ma la maggior parte delle volte non sapeva neanche lui stesso che cazzo significassero certe idee che gli frullavano per la testa e allora ci rinunciava in partenza a spiegarle. Era difficile anche per lui stesso capirsi, figurarsi spiegarsi agli altri, sì, perfino a Mikey che era suo fratello.
- Non l’ho aperto!- tornò con il suo sorriso e sventolando il suo album da disegno.
- A te l’onore!- glielo posò tra le mani mentre tornava seduto sul divano, al suo fianco.
- Ecco, prima che tu lo apra…- iniziò titubante. Voleva spiegargli che non avrebbe trovato, in quelle pagine, cose che si aspettava. Forse. O che comunque non raccontavano pezzi di vita felici, non era ciò che avrebbe voluto, Gerard lo sapeva e voleva quantomeno prepararlo.
- Cosa c’è?- domandò Mikey con un sorriso cercando di minimizzare la preoccupazione di Gerard.
- Lo so che non troverò disegni di pascoli incontaminati o di gente allegra che si tiene per mano mentre fa una passeggiata.- iniziò ad elencare completamente tranquillo.
- Gee, sei tu…- sussurrò lasciando intendere più cose. Ovviamente Gerard lo prese come una critica, un modo come un altro per ricordargli che era sempre il solito tristissimo ragazzo, prevedibile e noioso.
- La tua vita non è stata un percorso in discesa, ne hai dovute affrontare molte e ancora adesso sei segnato da alcune di quelle esperienze che hanno reso brutta la tua visione del mondo.- parlò spiegandogli aspetti della sua vita, come se Gerard non li sapesse o, molto probabilmente, come se Mikey sentisse il bisogno di ricordarglieli.
- Io credo che molti traumi te li porti ancora dentro. Dentro e tutti interi, non li hai mai affrontati e sconfitti, non li hai mai nemmeno indeboliti. E i tuoi disegni non fanno altro che parlare per te…- gli disse pienamente certo e convinto delle sue parole. Aveva parecchio ragione, comunque.
- Già.- sussurrò comprendendo appieno ciò che suo fratello gli stava dicendo.
- Comunque dimmi, se c’è qualche premessa che vuoi fare. Magari capirò meglio, poi!- lo sollecitò entusiasta.
- Okay.- ne prese coscienza Gerard.
Ingoiò l’ansia che gli stava a poco a poco salendo e decise che avrebbe voluto parlargliene. Gli era mancato troppo in quei mesi per permettersi di perdere quell’occasione perfetta.
- Non so se ricordi quell’idea della parata funebre che mi era venuta in mente durante il tour…- cercò di ricordargli.
- Oh, sì, certo! Quei disegni fighissimi di scheletri in divisa da parata. E chi se li scorda!- esclamò adorante e rivolgendogli la sua completa attenzione.
- Ecco, beh… ho scritto dei testi, anche. Ho… ecco, io…- sospirò cercando di riordinare le proprie idee e non andare in confusione. Ci teneva a raccontargli ciò che aveva elaborato.
- Allora, dicevo, ho scritto dei testi. Cazzo, a pensarci ne verrebbe fuori un album completo se fossero tutti buoni!- si rese conto mentre lo diceva a suo fratello.
- Sono partito da una parola… non che sia felice, ma ecco, la parola è “morte”.- ammise abbassando lo sguardo, come se si vergognasse di quel che stava dicendo.
Mikey non lo interruppe e questo infuse tranquillità in Gerard, convincendolo a continuare senza farsi ostacolare dalle proprie paranoie.
-Quindi ho immaginato questo ipotetico ragazzo, un paziente, che sta per morire e ripercorre la sua vita col pensiero, nelle sue varie parti…- spiegò incerto.
- A lui resta poco da vivere, quindi ripensa a tutto. Alla sua adolescenza, alla sua famiglia, al suo primo amore che poi l’ha anche deluso… pensa alla sua morte come uno scherzo, anche.- riassunse sommariamente sperando nell’intuizione e nell’interpretazione di Mikey.
- Perché come uno scherzo?- chiese il più piccolo completamente perso nell’immaginazione che Gerard gli stava favorendo con quei racconti.
- Perché… beh, che muoia una persona anziana, grande, che ha fatto e vissuto la maggior parte delle sue esperienze sarebbe scontato. Tutti direbbero che si nasce e si muore, che prima o poi arriva quel momento per tutti e che, a maggior ragione, data l’età, questa persona dovrebbe comunque ritenersi soddisfatta di aver vissuto così a lungo. Non ti sembra uno scherzo?!- gli chiese animato dallo spirito che lo aveva spinto a fare certe considerazioni.
Avrebbe tanto voluto che stessero scherzando tutte quelle persone che, quando era morta sua nonna, gli avevano detto che comunque doveva essere fiero dei tanti anni che lei era stata al mondo. Che doveva sentirsi soddisfatto per le esperienze che aveva vissuto: il matrimonio, i figli, i nipoti… avrebbe tanto desiderato che facessero finta, che non pensassero davvero certe idiozie perché, purtroppo, dal suo punto di vista, quei discorsi non erano altro che cazzate. Non lo avrebbero mai consolato, non lo avrebbero mai fatto sentire meno solo di quanto percepiva la sua assenza. Erano parole buttate al vento.
Gerard avrebbe preferito che non gli dicessero nulla, certe persone, che si fossero limitate a dirgli che gli dispiaceva e che avevano un buon ricordo di lei. Ma no, le persone avevano questa irrefrenabile voglia di aggiungere considerazioni da quattro soldi, illudendosi di poter essere d’aiuto a chi stava soffrendo. Non ci credevano neanche loro a simili stronzate.
Gerard avrebbe voluto urlare in certi momenti, avrebbe voluto farsi bruciare la gola e chiedere a tutti: non sarebbe bello, allora, che morissimo tutti? Era quello, in fin dei conti, il loro stupido ragionamento.
Allora lo avrebbero preso per pazzo e avrebbero cambiato versione.
Meglio starsene zitti che dire idiozie, ecco cosa pensava Gerard.
-Non capiscono che l’età non c’entra nulla, che le esperienze possono essere tante, ma insignificanti oppure poche, ma significative. Una perdita resta comunque una perdita, a qualsiasi età. Il dolore è lo stesso. Quei numeri che spiegano il tempo vissuto di chi ora ci ha lasciato non ci renderà più leggeri, non allevierà la disperazione e il vuoto che lasceranno. Sarà la stessa cosa, infatti pensavo di non dare un’età a questo paziente, perché tanto, alla fine, dopo che avranno ripercorso la sua vita insieme a lui tutti piangeranno e sentiranno la sua mancanza. E a quel punto, se tu rivelassi loro che aveva 90 anni sentirebbero comunque lo stesso dolore e lo stesso vuoto. E proverebbero le stesse sensazioni a riguardo.- sospirò fortissimo concludendo quello che sperava fosse stato un bel discorso, chiaro perlomeno.
Si voltò a guardare suo fratello, portò di nuovo lo sguardo sul suo, dopo averlo fatto vagare incessantemente su ogni parte del salotto, mentre tentava di spiegarsi. Mikey aveva gli occhi lucidi, anzi, lo guardò bene e vide una lacrima silenziosa scivolare dalla guancia e cadere sulla t-shirt verde che indossava.
Si fermò a vedere come la gocciolina salata si spandeva sul tessuto rendendola più grande di quel che sembrava in realtà e capì che, anche se Mikey sembrava aver superato tutto e anche alla svelta, evidentemente non era così. Il suo malessere era come quella lacrima: quasi invisibile, eppure così tanto visibile.
E lui non  aveva neanche avuto tutte le scappatoie che si era concesso Gerard, anzi, aveva dovuto affrontare anche tutti i problemi derivati da lui e dalle sue azioni.
Era un fratello pessimo.
Lo abbracciò perché non avrebbe saputo immaginare cos’altro fare, lo abbracciò perché era il gesto più naturale ed istintivo che avrebbe saputo fare. Era il suo fratellino e lo aveva costretto fin troppe volte a rivestire il ruolo di quello maggiore, Mikey si era preso più cura di lui di quanto Gerard non avesse mai fatto per lui in tutta la loro vita insieme.
Si sentì così misero che gli occhi gli si gonfiarono istintivamente di lacrime, quelle che assomigliavano a quelle di suo fratello, che avevano lo stesso sapore, gli stessi ricordi e lo stesso dolore che non sarebbe mai passato.
-Scusa.- sentì di dirgli, non avrebbe voluto rattristarlo.
Mikey tirò su con il naso e lo abbracciò più forte.
-Scusa tu. Scusa se non riesco mai a capirti a fondo, se ti lascio solo in momenti in cui penso che tu dia semplicemente troppa importanza a cose futili. Scusa se capisco di rado cosa hai veramente dentro.- farfugliò parlando contro la sua spalla.
E a Gerard si strinse il cuore perché quelle cose non erano vere, perché Mikey era il fratello più perfetto che ci fosse al mondo, perché lo comprendeva sempre, in un modo o nell’altro, perché lo amava con tutto se stesso, perché avrebbe messo da parte l’intero universo per dare attenzioni a lui e Gerard… lo aveva trattato male fin troppe volte, lo aveva escluso dalla sua vita in così tante occasioni che aveva stentato a credere alle sue orecchie quando poi Mikey era andato a parlargli e gli aveva chiaramente spiegato tutto quello che esattamente stazionava nella sua testa.
- Tu sei perfetto, hai capito?- disse convinto e si scostò per prendergli il viso tra le mani e guardarlo negli stessi occhi liquidi che percepiva anche lui.
-Non potrei desiderare di meglio di un fratello come te.- espresse ancora i propri pensieri, baciandogli una guancia e tornando a stringerlo.
-Ehi, ragazzi, che succede?!- domandò preoccupata Donna sbucando in salotto senza che nessuno dei due se ne accorgesse.
Sciolsero quella stretta e si guardarono negli occhi, sorrisero entrambi nello stesso momento, tra le lacrime, e si parlarono mentalmente: “non facciamola preoccupare” si dissero.
Gerard si voltò verso il televisore per trovare ispirazione e sentendo la sigla di Doraemon affrontò lo sguardo interrogativo di sua madre.
-Ma tu hai idea di che significhi seguire un cartone per anni e poi scoprire che era soltanto un sogno e che Doraemon non è mai esistito?!- disse con la voce ancora rotta dalla commozione di poco prima.
Percepì il soffio di risata mal trattenuta di Mikey, sintomo che pensava che Gerard non avrebbe potuto trovare una scusa più ridicola, e poi ascoltò la voce melodiosa di sua madre prorompere in una più rumorosa.
- Dio mio, pensavo che queste problematiche le aveste superate all’incirca dieci o più anni fa!- esclamò divertita.
-Queste delusioni non le superi mai, in realtà.- fece più o meno serio Mikey.
-Va bene, ho preparato i biscotti e il caffè… facciamo merenda, bambini?- li prese ancora in giro e i due fratelli si rivolsero ancora quello sguardo d’intesa, si abbracciarono ancora con lo sguardo.
Poi seguirono la loro madre in cucina, ridendo con lei e lasciandosi alle spalle parate nere e morti.
 
 
Frank gli mancava moltissimo.
Erano ben quattro giorni che non lo vedeva, che era chiuso in casa come un malato in quarantena.
Aveva percorso mentalmente la strada che separava casa sua da quella di Frank così tante volte che se avesse controllato le sue converse ed avesse scoperto le suole completamente consumate non se ne sarebbe stupito.
Si stiracchiò sul letto e sospirò chiudendo gli occhi.
Le note di “Daydream” degli Smashing Pumpkins accarezzavano indiscretamente i suoi pensieri e, quando provò a ricordare Frank, la sua immagine, i suoi occhi, percepì la stessa fitta allo stomaco che aveva provato quando lo aveva effettivamente rivisto, dopo tre mesi.
Frank era entrato nella sua vita come un pazzesco uragano.
Era venuto fuori dal nulla, come certi fenomeni naturali lo aveva sorpreso mentre trascorreva la sua solita vita, passando il tempo dentro la sua triste casa, sognando un futuro migliore. Era squallida a quel tempo, la sua vita, ma era confortevole, era sicura.
Ma lui, di tutto ciò, non ne aveva tenuto conto.
Un uragano arriva per cause di forza maggiore, per fenomeni atmosferici del tutto naturali, senza che nessuno possa fare nulla per ostacolarlo. E così era accaduto.
Era piombato in pieno nella sua vita senza nemmeno degnarsi di chiedere il permesso, aveva cambiato le cose, compreso il sound della band che era nata da pochissimo tempo.
Aveva sconvolto la vita di Gerard sotto il suo sguardo impotente, aveva travolto tutto e, come ogni uragano che si rispetti, aveva distrutto tutto.
La comfort zone di Gerard era stata spazzata via, il rifugio sicuro in casa sua non c’era più, erano iniziate le serate e poi i tour, tutti i pensieri che lo tranquillizzavano non esistevano più nella sua testa, perché nella sua testa aveva iniziato ad esserci solo Frank e la sua voce, nei suoi occhi la vitalità che sprigionava.
Gerard aveva avuto delle grandi passioni per certi uomini, frontman di band che amava o attori di film che adorava, ma certamente non aveva mai sospettato di poterne essere attratto anche a livello fisico, fisico sul serio… attratto a tal punto da arrivare a desiderare di baciarlo e di usare ogni più piccola scusa per poterlo fare.
Frank aveva messo a soqquadro tutto.
Gerard aveva iniziato a non riconoscersi nemmeno più.
Lui era quel concentrato di vitalità e leggerezza di cui avrebbe avuto bisogno da tutta la vita e, quando era finalmente arrivato, forse, non era ancora preparato.
Aveva avuto paura tantissime volte.
Aveva guardato dietro di sé, le macerie della sua vita precedente e spesso si era chiesto se non avrebbe fatto meglio ad andare a ricostruire tutto e riprendere tutto da dove aveva lasciato prima del suo arrivo. Almeno lì c’erano certezze, certezze che con Frank generalmente mancavano, c’era tranquillità, c’era la rassicurante routine che faceva in modo di farlo sentire “giusto”, in un certo qual modo.
Frank lo aveva fatto sentire sbagliato fin dall’inizio.
Gerard ammirava la spensieratezza con cui lui affrontava e viveva la sua vita, i pochi problemi che si creava, il fatto che, in fondo, si era accettato anche quando aveva scoperto di essere attratto da lui.
Gerard non c’era mai riuscito, sentiva di star sbagliando, aveva timore di poter deludere chi amava, Mikey per primo, aveva avuto continuamente la fottuta tentazione di scappare a gambe levate, ovunque. Ovunque, purché fosse stato lontano da Frank.
Ma poi, puntualmente, non ce l’aveva fatta, non ce la faceva mai perché, pian piano, aveva iniziato ad apprezzare i lati positivi che quell’uragano gli aveva donato.
C’era stato un momento in cui aveva creduto di aver perso tutto, anche se stesso, perché si ostinava a guardare indietro, a compiangere quelle macerie desiderando che non fosse mai successo nulla e fosse stato solo un incubo.
Poi, un bel giorno, si era voltato.
Aveva dato le spalle a quel mucchio di detriti e rovine e si era accorto che quello che aveva perso non era nemmeno un quarto di quanto, insieme a Frank, aveva ricostruito senza nemmeno rendersene conto.
Forse Frank gli era stato davvero donato, lo aveva sconvolto e sconcertato all’inizio, okay, ma lo aveva spinto a cambiare, a ricostruirsi daccapo, secondo le sue preferenze, secondo i suoi gusti, come una casa completamente progettata su misura, e Frank ne era stato l’architetto e il geometra, l’arredatore e, soprattutto, quello che lo aveva accolto all’ingresso, facendogli cenno di entrare ed ammirare con i suoi occhi se era tutto di suo gradimento. E Frank aveva iniziato ad abitare in quella casa prima di Gerard stesso perché quella struttura non era stata concepita per essere un’abitazione per una sola persona, non era un monolocale, aveva così tante stanze che avrebbe potuto contenere decine di persone.
Stava soltanto a Gerard permettere alle persone di entrarvi.
Chissà se sarebbe mai stato capace di sentirsene padrone, di quella casa e di ospitarci qualcuno.
Questa era una delle tante cose a cui non sapeva ancora rispondere, questo era uno di quei pensieri che quando lo prendeva in considerazione gli faceva salire ansia e preferiva soffocarlo, fingere con convinzione che non esistesse perché era più semplice non affrontarlo.
Frank si sarebbe comportato diversamente e questo lo faceva sentire ancora più in colpa.
Frank… si toccò la mascella con la mano, prima l’accarezzò e poi la tastò con decisione, come aveva fatto anche nei giorni precedenti, forzò con la punta delle dita alcune parti ben precise, quelle ancora livide ed indolenzite dal pugno che gli aveva dato Frank.
Gerard sbuffò una risata triste. Era patetico.
Si mise a pensare a certe adolescenti, quelle che davano per la prima volta il primo bacio o che passavano il pomeriggio con il ragazzo dei propri sogni al primo appuntamento. Quelle a cui batteva il cuore all’impazzata e che notavano i piccoli dettagli che rendevano magnifico il ragazzo che avevano davanti agli occhi. Le stesse che, una volta tornate a casa, si concentravano sui ricordi fantastici che avevano appena vissuto, quelle che poi si odoravano la sciarpa o la maglietta che indossavano per assicurarsi che l’odore di quel ragazzo gli avesse impregnato il tessuto e loro avrebbero potuto annusarlo, chiudere gli occhi e rassicurarsi che sì, quel momento indimenticabile era accaduto davvero.
Gerard si sentiva così, in quel modo.
Ma era in una posizione differente, lui non cercava odori, non chiudeva gli occhi pensando all’ultimo bacio, l’ultimo degli ultimi, che si era scambiato con la sua persona speciale, no, lui tastava un livido che non era nemmeno superficiale e visibile. Un dolore che, nonostante tutto, lo faceva sentire vivo perché significava che era esistito seriamente quel momento in cui Frank lo aveva chiuso nel bagno di casa sua, che lo aveva baciato e toccato e che poi l’aveva colpito, esprimendo il suo bentornato.
In fondo era stata tutta colpa sua, se ne rendeva conto, ma non avrebbe potuto fare altrimenti.
La sua vita era stata da sempre un totale caos, sin da quando era bambino, sin da quando, per colpa dell’istruzione scolastica, aveva iniziato ad essere ossessionato dal pensiero della morte.
La morte e il male. Il diavolo che era nascosto in ogni angolo ed era sempre pronto a prendere il sopravvento e a farlo cadere nel peccato.
Le sue prime paranoie erano basate su concetti come quelli. Poi era cresciuto e tutto ciò non aveva fatto altro che amplificarsi. Non importava quanto provasse a ribellarsi a quei pensieri, non importava quanto avesse capito che era stato soltanto plagiato e deviato, non importava che avesse provato con tutte le sue forze a cercare di cambiare il suo modo di reagire alla vita, non importava perché lui, quando pensava a se stesso, vedeva ancora quel ragazzino impaurito e troppo pensieroso per la sua età, quello strano che non riusciva mai a godersi nulla perché dietro ad ogni esperienza poteva esserci il lato oscuro che lo avrebbe fottuto e fregato.
E così, l’unica difesa che era riuscito ad attuare contro quel suo irrefrenabile modo di fare era stato allontanarsi. Chiudere i suoi pensieri in una bolla e confinarla lontana dai suoi affetti perché era l’unico modo per tenerli al sicuro.
Gerard stesso aveva provato a scappare, ma da se stessi purtroppo non si riesce a scappare mai realmente.
Lui era obbligato a vivere con se stesso, gli altri no.
E Frank faceva parte di quegli “altri”, di quegli affetti da proteggere e salvaguardare. Gliene aveva fatte passare anche troppe. Lo aveva confuso, lo aveva attratto a sé e poi allontanato, lo aveva sentito suo e poi cacciato. Lo aveva disintegrato e quei mesi di disintossicazione e solitudine non avevano fatto altro che aiutarlo a rimettere insieme i pezzi, le parti di ricordi sparpagliati in giro per la sua mente, e gli avevano reso chiaro che non aveva portato altro che sofferenza e preoccupazione in Frank.
E questo non era amore, questo era demolizione.
E forse lo aveva capito fin dall’inizio, forse avrebbe dovuto trattenersi e non lasciarsi andare ai suoi desideri, tenere Frank lontano da sé, ma dagli uragani non si può scappare e forse Gerard, in quel momento, era stato proprio nell’occhio del ciclone.
 
 
 
-Ha chiamato Ray, Gee.- lo informò Mikey mentre fece irruzione in camera sua senza nemmeno bussare.
Gerard alzò lo sguardo dal foglio su cui stava disegnando e scrivendo quasi contemporaneamente e gli rivolse l’attenzione.
- Grande! E cosa dice?- chiese curioso stiracchiandosi un po’. Erano ore che era chiuso in camera, chino sulla scrivania, intento a sfogarsi. Erano quei momenti che arrivavano prepotentemente, come raptus.
- Dice che ha voglia di suonare. Tutti insieme, intendo.- si spiegò sedendosi sul letto alle sue spalle.
- Davvero?- chiese per dire qualcosa. Era un po’ sconcertato, ma, forse, era soltanto lui che aveva perso certe abitudini e stava ostinandosi a non pensare a nulla, nemmeno al suo lavoro con la band.
- Beh, direi…- sbuffò Mikey con un sorriso.
- Sono mesi che non ci riuniamo a suonare tutti insieme. Sai… abbiamo provato un paio di volte a farlo senza di te, in questi tre mesi, ma ci siamo accorti che era inutile. Mancava qualcosa.- gli raccontò orgoglioso. E lo era perché Gerard conosceva a memoria tutte le sue espressioni e Mikey era quel tipo di fratello che, se si accorgeva che Gerard era fondamentale, non riusciva a non vantarsene. Neanche si fosse trattato di se stesso o di suo figlio.
Mikey era sempre così dolce e protettivo con lui.
Provò ad immaginare loro quattro chiusi in una stanza a suonare, con il microfono abbandonato in un angolo, lontano. Lontano come era stato Gerard in quei mesi. Forse era stato un bene per loro? E invece Mikey gli aveva appena detto che avevano sentito la sua mancanza. Com’erano diverse le visioni di certe situazioni, se era lui stesso a pensarle o gli altri.
Non sapeva precisamente il motivo, ma non aveva pensato al fatto che qualcuno avesse potuto sentire la sua mancanza. Non lo credeva possibile, ecco tutto.
Aveva immaginato di regalare a tutti una boccata d’aria fresca, con la sua assenza, un sospiro di quelli grossi di sollievo, invece loro credevano il contrario… si sentiva strano riguardo ciò.
- Allora?- lo sollecitò suo fratello.
- Non ti manca cantare?- gli domandò curioso e ansioso.
- Beh,sì!- rispose senza pensarci, in realtà non lo sapeva.
Per quanto non se ne fosse preoccupato minimamente, poteva anche essere verosimile che non fosse più in grado di farlo. Che avesse perso il dono, che tutti gli avevano confermato di avere nel corso degli anni, di far emozionare le persone con la sua voce, cantando.
- E allora domani ci vediamo nella vecchia sala prove che usavamo l’anno scorso, prima di partire per il tour, ricordi?- gli comunicò raggiante, spiegandogli i dettagli che avevano messo a punto senza sapere nemmeno se Gerard avesse risposto affermativamente.
- Io… Mikey, non lo so.- farfugliò confusamente. Lo aveva colto l’agitazione, la paura che non fosse all’altezza di riprendere le cose dal punto in cui le aveva lasciate.
Gerard non aveva mai affrontato il palco scenico lucidamente, mai, nemmeno una volta.
E, okay, le prove con i suoi compagni non erano la stessa cosa, ne era consapevole, ma non riusciva ugualmente ad immaginarsi di nuovo con il microfono in mano.
Sarebbe stato presente anche Frank e Gerard non aveva completamente idea di come avrebbe potuto comportarsi. Ecco, questa forse era la sua maggior preoccupazione.
- Gee, che significa che non lo sai? Certo che lo sai!- Mikey tentò di confortarlo.
- Devi soltanto riprendere l’abitudine. Sarà strano, lo capisco, ma devi farlo. È la tua vita.- gli spiegò.
- Non ci hai mai pensato negli ultimi mesi?- indagò un po’ agitato.
- No.- rispose sinceramente.
Aveva pensato a tante cose, aveva riflettuto lungamente sui suoi rapporti interpersonali, sui propri errori, sulle cose per le quali avrebbe desiderato avere una seconda occasione e cambiarle e a quelle che, invece, avrebbe pagato tutto l’oro del mondo per rivivere tali e quali a com’erano state.
Aveva pensato alla sua famiglia, alla band, certo, anche la band faceva parte della sua vita, ma non aveva pensato al canto. Non aveva più cantato. Neanche sotto la doccia.
E forse quello voleva dire molto, oppure significava semplicemente che era stato concentrato su altro. Che aveva scritto e disegnato per sfogarsi, eppure non si era mai sentito del tutto scarico.
Ecco, forse gli mancava davvero, ma non era in grado di esserne consapevole. E rendersi conto di non riuscire a capirsi, al solito, lo faceva infuriare. Delle volte gli sembrava che non fosse lui a vivere nel suo corpo, che non fosse responsabile delle decisioni che prendeva, cazzo, un sacco di volte si era domandato se per caso non fosse bipolare o avesse una doppia personalità.
- Gee…- Mikey sospirò, restò in silenzio per un po’ e Gerard lo compatì. Immaginò la confusione di parole tra le quali doveva scegliere quelle più giuste per dirgli quel che pensava, quello che sapeva per certo, ma che voleva esporre nel modo più tranquillo possibile, senza creare equivoci e senza essere brusco. Era sempre così paziente che Gerard, a volte, non si capacitava di quanto meraviglioso riuscisse ad essere.
- Gerard, tu devi provarci. Certe cose non sai quanto ti sono mancate e quanto ti servono finché non le fai. Ti prego, dammi retta. Domani vieni e non pensarci, non agitarti e fai finta che anche ieri hai fatto le stesse cose, che non è nulla che devi riprendere, ma che è dentro di te e non se n’è mai andata.- cercò di spiegargli tutto e di dargli i suoi consigli e forse, Gerard pensò, aveva ragione.
- Va bene.- acconsentì sospirando.
Domani sarebbe stato come tante altre volte. Domani non sarebbe cambiato niente. Domani avrebbe preso il microfono in mano e si sarebbe goduto tutte le sensazioni che solo la musica riusciva a donargli.
 
 
 
 
Domani arrivò troppo presto.
Arrivò senza che Gerard avesse avuto il tempo neanche di dormire. Arrivò in modo tranquillo col suo bel sole alto nel cielo, con l’aria tiepida di fine estate, arrivò sorprendendolo, come se non avesse dovuto, come se avesse potuto essere altrimenti.
In tarda mattinata le forze lo abbandonarono e si concesse qualche ora di sonno che si era negato durante la notte.
Non è che non avesse voluto dormire di proposito, ma non aveva fatto altro che pensare e pensare.
Non era riuscito a fare a meno di riflettere su quello che sarebbe accaduto. Ma non su cosa sarebbe accaduto a lui, no, ma a come sarebbe stato rivedere Frank.
Gerard non riusciva mai a preoccuparsi per se stesso. Era uno di quei difetti belli grossi che aveva e a cui non riusciva a porre rimedio.
Avrebbe tanto voluto vedere tutti felici, tutti appagati, tutti spensierati.
Almeno le persone che amava, ecco.
E Frank lo amava, dio se lo amava… non riusciva a pensare ad altro che a quella schifosa espressione di cui si era dipinto il suo viso per mano sua, per colpa della merdosissima bugia che gli aveva raccontato.
Sperò che Frank fosse arrivato già al punto di odiarlo, sperò che non lo avrebbe degnato nemmeno di un saluto, sperò che lo avesse eliminato, sradicato a forza dal suo cuore. Il problema risiedeva nel fatto che Gerard conosceva Frank, che era pienamente consapevole di come reagiva, di come si comportava, di quanto era buono e comprensivo. Di quanto si batteva per i sentimenti in cui credeva.
Avrebbe voluto che in un batter d’occhio fosse arrivato il momento in cui sarebbe andato alla sala prove, per togliersi il pensiero e vivere anziché immaginare e, allo stesso tempo, che fosse esistita una scusa plausibile con la quale scappare da tutto e non rivederlo mai più.
Alla fine, le lancette sull’orologio fecero il loro inesorabile percorso e, quando Mikey lo scosse per svegliarlo, aprì gli occhi e lo stomaco fece strani movimenti inconsulti nonostante non avesse ancora avuto il tempo di realizzare e pensare a nulla.
Il suo corpo reagiva alla vita e alle sue emozioni molto più di quanto avrebbe mai voluto.


 
 
Si concentrò attentamente sulla guida, senza riuscire a prestare attenzione a Mikey che metteva musica dall’autoradio e di tanto in tanto chiacchierava del più e del meno.
Pensava alle marce dell’auto e al loro funzionamento, alla frizione e ai freni.
Cose meccaniche e senza sentimenti.
Ad un tratto, accelerò di colpo, in un punto in cui la strada e il traffico glielo permettevano e pensò che, se non ci fosse stato anche suo fratello, nella macchina, avrebbe continuato ad accelerare e basta, senza mai girare e senza mai frenare… fino a che, in un modo o nell’altro, qualcosa lo avrebbe fermato.
E non sarebbe stato il suo piede destro.
 
 
Arrivati alla sala prove, Gerard visse un attimo in cui pensò che avrebbe potuto sciogliersi.
Vampate di calore si spandevano dalle spalle e sentiva una forza trascinarlo verso il basso. Sentiva gocce di sudore colargli dal retro del collo e pensò di non essersi mai sentito tanto male.
Sentiva un fastidio allo stomaco, qualcosa che si attorcigliava dolorosamente e vuoti d’aria che risalivano verso il petto e si bloccavano nella gola, proprio come se dovesse vomitare.
Il cuore, nemmeno a parlarne… non sapeva ricondurre a dove lo percepiva battere.
Tentò di fare un respiro profondo per calmarsi, per ricacciare indietro la nausea, e cercò con tutte le sue forze di apparire normale, di mostrarsi tranquillo, per non far preoccupare Mikey.
Era un obiettivo arduo, ma doveva farcela, doveva impegnarsi.
 
Quando vide Frank, da lontano e di sfuggita, comparire nel suo campo visivo la situazione precipitò a picco. Percepì le gambe tremare e rallentò il passo, poggiandosi di peso, con un braccio, su un’automobile parcheggiata che si trovò a fianco.
Ray e Bob lo raggiunsero velocemente non appena lo videro e andarono a salutarlo calorosamente.
-Ehi, Gee, come stai?- chiese Ray buttandogli le braccia al collo, mentre Gerard non riusciva ancora a sostenere il proprio peso senza aiuto di appigli improvvisati.
- Bene, tu?- rispose sospirando.
-Tutto bene?- domandò Ray insospettito, sciogliendo l’abbraccio e tornando a guardarlo in viso.
- Certo!- controbatté al volo accompagnando quell’affermazione con un sorriso tirato.
Ray sembrò crederci e gli sorrise di rimando, spostandosi poi lateralmente e lasciando la possibilità a Bob di salutarlo a sua volta.
Scambiò un paio di parole anche con lui e cercò di concentrarsi nel farlo, ma forse si impegnò così intensamente su ciò che doveva fare che finì per non afferrare una sola parola.
Era in condizioni pietose, forse neanche quando era drogato si era sentito tanto confuso, ma forse quando era inebriato da tutta la roba che prendeva e tracannava non poteva rendersi conto di come si sentiva realmente.
Poi Bob si spostò da di fronte a lui e il suo sguardo inciampò rovinosamente nella figura di Frank.
Era appoggiato con le spalle alla colonna che sosteneva il piccolo portico che precedeva l’entrata alla sala prove. Aveva una t-shirt nera con un disegno che al momento non riusciva ad identificare, fumava guardando di fronte a sé, senza accennare a prestare interesse a dove si trovava Gerard con gli altri ragazzi. Sembrava avere un’aria assorta, il viso senza espressioni particolari, ma Gerard lo conosceva e sentiva ondate della sua tristezza arrivargli fin lì dove si trovava.
Si sarebbe disperato.
La differenza tra ciò che doveva fare e ciò che avrebbe voluto fare era abissale, non avrebbe voluto assolutamente essere lì, tanto per cominciare, non essere costretto a vivere quella situazione.
Si voltò a guardare Ray che parlava con Bob e Mikey, suo fratello sembrava star aspettando i suoi occhi e quando li incontrò gli rivolse un sorriso. Era indecifrabile, quel sorriso, forse era un incoraggiamento o forse gli faceva solo tenerezza e provava pena per lui. Gerard lo fissò per un attimo, poi tornò a rivolgere la sua attenzione a Frank che, inaspettatamente, si stava dirigendo verso di loro.
Quando si avvicinò Gerard provò più impulsi contemporaneamente che lo avrebbero stretto a lui, ma strinse i pugni e si trattenne.
-Ciao.- sussurrò stupidamente.
Frank lo guardò e basta. Alzò velocemente lo sguardo sul suo viso e i suoi occhi non gridavano altro che ingiurie ed insulti rivolti a lui. Era quasi stupito, il suo sguardo, come se non concepisse nemmeno un saluto da parte sua.
Poi arrivò Mikey a toglierli dall’impaccio del momento di stallo che si era creato e Frank cambiò totalmente registro. Fece uno di quei sorrisi che Gerard amava con ogni particella di se stesso e in quel momento capì che Frank avrebbe continuato a sorridere anche senza la sua presenza nella propria vita.
E, per Gerard, era quello l’importante.
Si sentì per un attimo un po’ misero considerando che Frank avrebbe continuato a sorridere in quel modo fantastico e che lui non ne sarebbe stato l’artefice, ma poi capì che semplicemente era giusto così, la sua vita doveva continuare e Gerard era felicissimo che continuasse.
Aveva letto da qualche parte che quando si ama veramente una persona, si deve essere pronti a lasciarla andare nel momento in cui se ne presenti la necessità. Gli era parsa una cazzata inizialmente, poi, come gli capitava spesso nella sua vita, era arrivato il tempo in cui era stato illuminato dal reale valore di quelle parole e aveva capito.
Doveva lasciare in pace Frank, doveva lasciargli vivere la sua vita. Doveva renderlo libero dalla sua presenza.
Sarebbe andata bene, lui avrebbe sorriso e Gerard avrebbe continuato ad amare quell’espressione.
Da lontano, ma nessuno avrebbe potuto impedirgli di amarlo.
 
 
 
Sentire di nuovo la sua voce filtrata dal microfono, udirla scivolare negli amplificatori per poi sentirsela risuonare forte nelle orecchie, dalle casse, fu qualcosa di indescrivibile.
Non sentiva quell’adrenalina scorrergli nelle vene da così tanto tempo che sembrava aver dimenticato quelle sensazioni. Nel momento in cui le rivisse capì che non le aveva mai scordate, che erano state nascoste dentro di lui da qualche parte che credeva dimenticata.
Era stato esaltante.
Era stata la prima esperienza positiva, su cui non avrebbe avuto ripensamenti, da quando era tornato a casa. E doveva ringraziare Mikey che lo aveva convinto, doveva ringraziare i suoi amici e compagni di band che non avevano aspettato altro che lui per tornare a sentirsi completi.
Completo.
Sì, era questa la sensazione predominante tra tutte quelle che gli stavano sconquassando il petto. Percepiva di trovarsi nel posto giusto, di star facendo la cosa giusta.
Ma lo sguardo furente di Frank, che si era ritrovato addosso più volte, non era stato piacevole, avrebbe voluto cheil periodo in cui lo avrebbe odiato passasse in fretta e basta, che arrivasse presto la parte in cui se ne sarebbe fatto una ragione e avrebbe ricominciato almeno a dirgli ciao, che sarebbe riuscito quantomeno a sopportare la sua presenza senza avere una crisi di nervi.
Certo, sarebbe stato bello se non avesse dovuto affrontare anche quelle occhiatacce, se non si fosse sentito costretto a maledirsi anche per il fatto di respirare, quando quel respiro portava Frank ad accorgersi di lui e guardandolo rafforzava il suo odio, ma purtroppo non poteva essere altrimenti e, mentre Frank avrebbe messo le giuste distanze, quelle che avrebbero fatto in modo di tenerli lontani, Gerard avrebbe dovuto sopportare. E lo avrebbe fatto solo per amore.
Perché le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
 
 
 
-Gee, allora vieni?-  gli si rivolse Ray, interrogativo.
Gerard lo guardò stralunato, era stanco e provato dalle troppe emozioni che aveva vissuto in una manciata d’ore.
- Cosa?- chiese chiarimenti.
- Domani sera.- cominciò Bob, aiutando Ray nelle spiegazioni.
- Abbiamo scovato un locale, il mese scorso, dove si mangia, si beve e ti danno la possibilità di giocare a qualunque gioco da tavolo tu voglia!- riassunse Ray tutto sorridente.
- Quindi volevamo fare una partita di quelle serie a Dungeons &Dragons!- Mikey non stava più nella pelle dalla felicità.
- E, dato che tu sei quello più esperto tra noi, pensavamo di nominarti Master della partita,che ne pensi?- Bob arrivò al punto e Gerard sorrise.
Amava quel gioco ed aveva voglia di uscire e svagarsi, tra l’altro non gli sarebbe dispiaciuto ricoprire quel ruolo di comando.
Stava quasi per rispondere, quando udì la risata di Frank proprio lì accanto, erano tutti fuori a fumare una sigaretta insieme e poi ognuno sarebbe tornato a casa propria.
Gerard si voltò istintivamente a guardarlo, con un sorrisino stupido ed immotivato che gli tirava le labbra al suono di quella risata.
- Frank, cosa ridi?- lo prese in giro Mikey andando a scompigliargli i capelli.
- È che avete avuto una così bella idea!- quasi urlò in preda ad un’altra risata che sembrava un tantino forzata.
- Cosa?- chiese Bob corrugando le sopracciglia.
- Ma certo che Gerard ha voglia di fare il master, lui ha un futuro assicurato come manipolatore di vite altrui. Non potevate scegliere di meglio!- spiegò sarcastico e col chiaro intento di ferire Gerard.
Gerard che, secondo il suo punto di vista, aveva deciso per entrambi e aveva messo una pietra sopra alla loro storia, Gerard che gli aveva sconvolto i piani. Gerard che lo aveva manipolato.
Sentì qualcosa spaccarsi al centro del petto.
Percepì di nuovo la sensazione di mal di vivere che aveva provato non appena era arrivato quel pomeriggio, sentì quasi salirgli le lacrime agli occhi, ma non avrebbe pianto, non avrebbe lasciato trapelare dai suoi gesti tutto ciò che lo stava schiacciando senza rimedio.
Bob e Ray si guardarono vicendevolmente, poi passarono ad interrogare Mikey silenziosamente. Gerard restò a testa bassa.
Sospirò e portò i suoi occhi a scontrarsi con quelli di Frank.
- Dobbiamo parlare.- gli intimò Gerard.
- Non dobbiamo dirci un cazzo, invece.-
- Io… ho bisogno di…- stava per dire ma Frank lo interruppe.
- Non parlare di bisogni, stronzo. Non ne hai solo tu di bisogni, non pensare sempre e soltanto ai tuoi.- sputò, riferendosi alla sua necessità di stare con lui, alla voglia che aveva di rivederlo e di riprendere tutto da dove avevano lasciato. Forse addirittura ricominciando daccapo.
Era una situazione così difficile...
Gli altri si allontanarono, avviandosi verso le proprie auto o, forse, semplicemente concedendo loro la privacy di cui si erano accorti che avevano bisogno.
- Frank, non sto dicendo che—lo interruppe di nuovo.
- Non dire niente, non voglio ascoltarti, faresti meglio a fingere che non esisto, cazzo.- imprecò e si agitò muovendosi da una parte all’altra senza senso.
- Scusa, hai ragione, ci sto provando.- acconsentì per terminare quella conversazione.
Aveva avuto una pessima idea ad iniziarla.
- Sai cosa Gerard?- gli chiese rabbiosamente facendoglisi vicino.
Gerard. Non Gee. Gerard. Ecco l’unica cosa che gli rimbombava in eco nella testa.
- L’ho capito qual è il tuo intento, sai? Vuoi mettermi in condizione di lasciare la band, non è così?- gli domandò senza che fosse realmente una domanda. Perlopiù era una sua estrema convinzione, qualcosa su cui aveva anche dovuto averci riflettuto abbastanza.
- Beh, toglitelo dalla testa. Non mi farò portare via tutto da te. Io me lo sono guadagnato, il mio fottuto posto nei My Chem,  è tutto quel che ho e tu non mi negherai anche questo. Ficcatelo bene in testa!- gridò infine ed espresse quei suoi pensieri nella maniera più rabbiosa che Gerard gli avesse mai visto usare.
Era furioso e lui avrebbe tanto voluto scomparire.



Poi non aggiunse altro e gli voltò le spalle, andandosene.
E Gerard non avrebbe saputo come spiegargli che non aveva mai pensato lontanamente una cosa del genere. Che solo il pensiero di non poterlo più rivedere lo faceva uscire fuori di testa…
Avrebbe voluto tanto scomparire, anche se Frank non era più di fronte a lui ad insultarlo e ad esprimergli tutto il suo odio.
Come poteva spiegargli che era tutto il contrario di ciò che pensava? Che la band era l’unico appiglio che poteva tenerli ancora uniti, in qualche modo, che poteva farlo sentire ancora suo, anche se solo come il suo chitarrista.

Continuò a desiderare di poter scomparire.

Come un fantasma nella neve.

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Capitolo 4
*** Questione di sguardi 2 ***


Ed eccomi di nuovo! C:
Questa volta un po’ in ritardo, ma posso spiegare!! Ho passato delle settimane molto frenetiche per via di mia madre che ha traslocato e ovviamente ha avuto bisogno di me.
Che poi, io sono qui a giustificarmi al vento dato che nello scorso capitolo non ho sentito nessuno, a parte la mia dolcissima e fedelissima Sunset.
Comunque, ovviamente mi sono chiesta se per caso ci fossimo ritrovate tutte impegnate nello stesso momento, oppure se il capitolo scorso non faccia proprio schifo. Non ho saputo rispondermi, STRANAMENTE!
Le recensioni, in ogni caso, servono anche per dirmi cose negative, io sono a disposizione, preferisco le critiche al silenzio.
Per quanto riguarda il titolo del capitolo… CATASTROFE!!! Praticamente, la mia honey beta, mentre leggeva QUESTO capitolo, mi aveva consigliato di chiamarlo “questione di sguardi” per diversi motivi che non starò qui a spoilerare, io d’accordissimo con lei, dato che, tra l’altro, mi impicco sempre per trovare titoli adeguati. L’errore fatale è stato non segnarmelo, avevo a mente questa cosa e basta, così quando ho pubblicato il primo capitolo con tutta la sicurezza di questo mondo l’ho chiamato così: “questione di sguardi” convintissima che questo titolo lo avessimo attribuito proprio a quel capitolo.
Il nocciolo della questione è che proprio ora mi sono accorta dello sbaglio -_-
Questo per dirvi quanto sono sveglia ed organizzata :°°°°°°°°°D
Vabbè, ormai è successo, quindi è inutile stare a pensarci. L’ho detto per onestà e perché mi piace un sacco sputtanarmi! Ahahaha
Bene, il capitolo tre sarà “questione di sguardi 2” con la speranza di trovare presto il titolo adeguato al primo e togliere questo due che fa schifo come in generale fanno schifo tutti i numeri!
Buona lettura e attenderò i vostri commenti con ansia!
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
PRTGMOIcap3
 
 
Questione di sguardi 2
 
 
 
 
 
A Gerard piaceva immaginare il posto in cui il cervello trattiene i ricordi come un insieme di scaffali.
Non scaffali di legno come quelli di una vecchia e sontuosa biblioteca, come quei posti che sembrano rimasti sospesi nel tempo, no, li immaginava di ferro, di acciaio, come quelli degli archivi di alcuni uffici.
Per i ricordi più datati pensava anche ad una sorta di lunga cassettiera, di quelle con i cardini scorrevoli, lunghe e piene di fogli impilati verticalmente. In ordine.
Ecco, immaginava degli archivi asettici, da visitare a piacimento e in cui trovare gli avvenimenti passati catalogati in fila. Non immaginava così solo la sua mente, ma quella di tutti: una grossa stanza solitaria e silenziosa dove il passato era accumulato e i ricordi erano scritti su fogli A4 e riposti con cura nei cassetti e negli scaffali.
Gerard non entrava spesso nella sua stanza dalle pareti bianche e dall'arredamento color acciaio. La visitava sporadicamente e, quando lo faceva, entrava in fretta e lanciava i fogli per poi richiudersi la porta alle spalle. Sgusciava silenziosamente, come una spia, senza guardarsi troppo intorno e per cercare qualcosa metteva tutto a soqquadro.
Quella stanza lo angosciava.
Non che dentro ci fossero solo fogli che contenevano frasi e pensieri tristi, ma era già abbastanza fare capolino e vedere quei grossi faldoni da sistemare e catalogare da indurlo a scappare, tornare sui suoi passi, sbarrando l'uscio, posandoci poi la schiena e rimanendo a boccheggiare per l'ansia che aveva provato.
La sua stanza era il caos.
Era come se avesse subito una scossa violenta di terremoto ed ora l'ordine che in un’altra vita aveva regnato lì dentro era stato rimpiazzato da una devastazione di proporzioni immense.
Avrebbe dovuto mettere a posto, quello era certo, ma aveva cercato di rimandare il più possibile, come un adolescente alle prese con l' ordine della sua camera o come una segretaria con troppo lavoro arretrato.
Sistemare avrebbe significato leggere fogli per decidere dove riporli, avrebbe significato portare gli occhi su certe frasi e la mente gli avrebbe fornito immagini fin troppo nitide di scene e situazioni vissute che avrebbe desiderato non ricordare affatto.
Ultimamente era stato nella sua stanza... Lo psicologo lo aveva aiutato a trovare il coraggio di posare la mano sulla maniglia e scostare il battente.
Aveva anche finto, Gerard.
Aveva detto che la porta era chiusa a chiave e che lui l'aveva persa, ma lo psicologo non si era lasciato ingannare, gli aveva ricordato che ce l'aveva in tasca e che doveva aprirla e non temere, ché quei fogli non l'avrebbero di certo mangiato.
Questo ovviamente lo credeva il suo terapista, Gerard aveva una paura fottuta di tutte quelle carte... Erano troppe, erano ammucchiate in pile senza senso, erano come dei mostri.
Lui gli aveva detto che si offriva di aiutarlo, che non avrebbe dovuto fare tutto da solo, ma che però era un compito che spettava soltanto a Gerard, nessuno poteva prendersi quell'onere. Lui era il padrone di quella stanza e protagonista di ogni aneddoto che quei fogli contenevano.
Così aveva preso il coraggio a due mani, un giorno, e, ad intervalli regolari che corrispondevano alle due sedute settimanali con il terapista, era entrato. All'inizio aveva solo studiato la stanza, aveva cercato di capire la sua forma, ma sembrava un labirinto, così era tornato accanto alla porta, pronto a scappare in ogni momento.
Lo psicologo aveva iniziato a raccogliere alcuni fogli e li aveva letti ad alta voce, gli aveva chiesto se fossero ricordi vecchi o nuovi, se erano stati felici o tristi. Certe cose, Gerard, non le ricordava neanche.
Avevano così iniziato a dare un senso a quei cumuli di carte svolazzanti.
Aveva riso ripensando a certe cose, aveva pianto ricordandone altre. Poi, il terapista gli aveva comunicato una cosa insolita: c'era un punto, in quella stanza, in cui sembrava che non fosse accaduto nulla, una parte in cui tutto era in ordine e che non aveva nemmeno le pareti dipinte di bianco.
Gerard rimase sorpreso perché lì dentro la situazione sembrava uno sfacelo da qualunque angolazione la si guardasse, ma si fidava di quell'uomo e così gli credette. Lui lo spinse ad addentrarsi in quella stanza con troppi corridoi e cieche rientranze e, quando arrivarono a destinazione, lui restò in silenzio, gli diede il tempo di accorgersene da sé e Gerard guardò con stupore quella grossa rientranza che sembrava staccata dal resto.
Aveva le pareti blu e la luce non era affatto innaturale, era gialla, viva e alzò lo sguardo, notando che sopra non c'era un soffitto. C'era una vetrata e si vedeva il cielo.
Iniziò a capire, vide gli scaffali fatti di un materiale più pregiato che non un ferro qualunque, vide il calore del legno abbracciare quel mucchio di fogli e faldoni e aprendoli non si stupì nemmeno un po' di trovarci scritto sempre il nome di Frank.
Quella era la sua nicchia, lo spazio che occupavano i ricordi che aveva di lui e con lui e, si rese conto, erano davvero più ordinati. Erano sistemati con cura, tenuti insieme da elastici e fascette, come se avesse avuto paura che andassero persi. Alcuni erano stropicciati e altri completamente integri, scritti a mano, a differenza degli altri fogli sparsi per la stanza, alcuni erano addirittura disegnati e, ogni volta che leggeva qualche frase casuale, Gerard sorrideva perché leggere il nome di Frank accanto al suo lo rendeva pazzamente emozionato, anche se a volte gli aneddoti erano confusi e tristi.
Capì l'importanza di quella stanza, capì che era fondamentale averne cura, si rese conto che era povero senza quella stanza, che non aveva nessuna esperienza da poter paragonare a qualcun'altra già vissuta.
Capì che quel luogo non avrebbe dovuto spaventarlo, che il lavoro arretrato avrebbe potuto metterlo a posto, pian piano, e che ogni nicchia avrebbe potuto dipingerla con colori diversi, avrebbe potuto cambiarne l’arredamento e ospitare quei fogli su materiali diversi, in scaffali e cassetti adeguati al significato che avevano per lui certe cose raccontate lì sopra.
Comprese che, quella stanza, non gliel'avrebbe mai potuta portar via nessuno, che era sua, sua soltanto, e che avrebbe potuto rifugiarcisi ogni volta che ne avrebbe sentito la necessità.
Perché la vita scorre e ti dà e toglie molte cose, persone, realtà, ma i ricordi non li può rubare nessuno, quelli sono ciò che resta di ciò che siamo stati, ciò che ci ha fatto sorridere e ciò che ci ha fatto crescere. Ciò che ci ha reso più forti, più sensibili.
Ciò che ci ha reso chi siamo.
 
 
 
 
In quel momento ricordò l'invito al locale ricevuto il giorno prima da Ray e Bob.
Non che non avesse voglia di andare, anzi, solo che ci sarebbe stato anche Frank e sembrava che fosse in grado solo di urtare i suoi nervi e farlo arrabbiare, quindi avrebbe rinunciato volentieri per la tranquillità di Frank.
Ma Mikey aveva già chiarito il fatto che avrebbe dovuto precederlo, ché altrimenti non si sarebbe mosso di casa neanche lui. Sapeva che certi ricatti colpivano Gerard e lo inducevano a scegliere di assecondarlo, così decise che sarebbe andato.
Il fatto che Frank lo odiasse lo metteva in una condizione di agitazione generale, lo faceva sentire misero, ma per lo meno non insignificante, dato che Frank non faceva altro che guardarlo ed odiarlo da lontano. Almeno l'odio era un sentimento, sempre meglio della totale indifferenza.
Iniziò a vestirsi con calma, Mikey era uscito anche nel pomeriggio e Gerard non avrebbe escluso che fosse andato proprio da Frank. Erano troppo amici per restare separati a lungo e Mikey sarebbe morto se non avesse saputo per filo e per segno cosa stava passando Frank. Erano come fratelli e Gerard non aveva mai provato gelosia per quel loro rapporto così stretto, anzi, era felice che Frank avesse Mikey e viceversa, ma soprattutto che Frank potesse contare su suo fratello dal momento che lui era figlio unico e non poteva avere un confidente, una spalla e un porto sicuro come lo aveva Gerard.
In realtà era molto possessivo con Mikey. Quando da adolescenteaveva iniziato a crearsi il suo gruppo di amici e ad uscire con loro, in Gerard si era scatenata una gelosia assurda. Non poteva pensarci senza rodersi dentro per il fatto che suo fratello avesse più piacere di passere il tempo con altre persone piuttosto che con lui.
Erano ragionamenti stupidi ed infondati, okay, ed era pure vero che non mancava una volta di invitarlo ad andare con lui, solo che Gerard era troppo chiuso e solitario, era perennemente in imbarazzo con se stesso, figurarsi se avrebbe potuto reggere una conversazione con degli sconosciuti o fare amicizia come se nulla fosse.
No, decisamente non era da lui.
Così Mikey si era attaccato molto a Frank. Era con lui che aveva condiviso le prime uscite e le prime serate in discoteca. Con lui era andato a guardare concerti e alle feste e, il fatto di frequentare la stessa scuola, gli aveva reso solo quel rapporto ancora più naturale e stretto di quanto già non lo sarebbe stato.
Aveva ascoltato per mesi la voce di Mikey tessere le lodi di quel Frank sconosciuto. Parlava di lui in continuazione e di quanto fosse bravo a suonare la chitarra. Poi una sera lo aveva convinto ad andare a vedere il concerto della sua band e quella era stata la svolta più grande della sua vita: Gerard era rimasto stravolto da Frank.
Lui era ancora meglio di come Mikey glielo aveva descritto, era ancora più vitale, più spiritoso, più divertente... ed era bravissimo a suonare la chitarra.
Gerard ne era rimasto incantato e non ci aveva pensato poi tanto, quando si era accorto che agli appena nati My Chemical Romance mancava qualcosa, a dire a Mikey che voleva Frank.
E quando aveva detto "Voglio Frank", dentro quel desiderio c'era molto più di quello che chiunque avrebbe mai immaginato, nemmeno lui stesso ne era stato consapevole.
 
Col senno di poi, forse, quella richiesta perentoria era stata come una condanna a morte per Frank, ma, nonostante tutto, senza tener conto della sofferenza che gli aveva inferto, Gerard sarebbe stato disposto a rifare totalmente tutto quanto con Frank. Dalla prima all'ultima cosa.
Amava la nicchia blu. Amava passare le giornate perso lì dentro.
- Vabbé, Gee, non ci credo che sei ancora in mutande!- lo riprese Mikey facendo irruzione in camera sua.
Gerard era in piedi e davanti allo specchio e, ancora una volta, la nicchia blu lo aveva risucchiato. E aveva smesso di fare qualunque cosa.
- Stavo decidendo che mettermi.- provò ad inventarsi per trovare una scusa.
-Certo! Non ti perdi a scegliere i vestiti nemmeno quando devi tenere un concerto, ora vuoi farmi credere che hai questa preoccupazione per andare in uno sperduto pub del New Jersey?!- lo prese in giro bonariamente.
Gerard gli sorrise sghembo, colto in fallo e consapevole della verità che aveva detto suo fratello.
- Già, okay, lo ammetto, sono in ritardo!- sia arrese cercando i pantaloni tra i vestiti sparsi per la stanza.
Era molto dimagrito in quel periodo e, da ragazzo sempre un po' in sovrappeso quale era stato, non riusciva a non compiacersene.
I pantaloni neri gli stavano aderenti e mettevano in risalto le gambe muscolose e snelle, sulla vita si chiudevano senza nessuno rotolino di ciccia sporgente e la stoffa gli fasciava il sedere sodo e che notava essere un bel vedere.
Non aveva ancora tagliato i capelli e quei ciuffi neri e sempre più lunghi non facevano che fargli venire in mente quelli di Bert, lunghi e disordinati. Non gli piaceva quel pensiero e si appuntò mentalmente di andare a tagliarseli il prima possibile.
Pensò rapidamente a lui e al modo brusco con cui si erano salutati, si ripromise di sentirlo almeno per telefono, perché, in fondo, era stato un amico. Nel bene e nel male.
- Dai, che Frank e Bob staranno già per arrivare al pub!- lo sollecitò, con una voce fintamente disperata, suo fratello, - E noi siamo ancora qui a guardare le tue ossa!- aggiunse indicandogli la pancia.
- Ho ancora un po' di pancia, comunque.- rispose Gerard sovrappensiero.
- Piantala, sembri una modella!- lo redarguì Mikey e gli lanciò la maglia dei Misfits.
- Metti questa, farai invidia a Frank!- gli consigliò facendogli l'occhiolino.
Gerard lo guardò un po' spaurito, il nome di Frank gli faceva venire ansia, ultimamente.
Mikey se ne accorse e gli sorrise con fare consapevole. Forse era andato davvero da Frank, nel pomeriggio.
- Non voglio intromettermi in situazioni che non mi riguardano- iniziò Mikey camminando per la stanza e parlando con un tono più serio, - Però vorrei rassicurarti... – sospirò, - Gee, passerà tutto. Frank è solo momentaneamente arrabbiato. Ha passato un brutto periodo.- gli raccontò senza entrare nel dettaglio.
Ma a Gerard erano proprio i dettagli ad interessare.
- Cosa gli è successo? Che brutto periodo ha passato?- chiese estremamente preoccupato. Quando si trattava di lui il suo umore subiva variazioni clamorose, si ribaltava, cambiava con una rapidità assurda. Frank gli interessava un po' troppo, ecco tutto.
Mikey studiò la sua espressione, lo guardò attentamente, con i suoi occhi piccoli e lo sguardo penetrante lo scrutò fin nell'interno. Soppesò la smorfia ansiosa con cui era dipinto il volto di Gerard e Gerard si accorse della decisione che aveva appena preso suo fratello. Si accorse della sua apprensione, della fin troppo evidente ostinazione che l'avrebbe tenuto in silenzio. Non gli avrebbe detto niente. Da come Mikey lo guardava, riusciva a percepire il desiderio di tornare indietro nel tempo e non aver accennato neppure a quella faccenda.
Mikey lo considerava troppo debole per affrontare anche altri pensieri.
Stette ancora in silenzio.
- Mik, raccontami.- lo sollecitò.
- No.- rispose deciso, - Non è il momento giusto, ma te lo dirò. Promesso.- lo rassicurò.
Gerard avrebbe voluto cavargli le parole di bocca, avrebbe voluto chiuderlo a chiave nella sua stanza e tenerlo prigioniero finché non avesse sputato fino all'ultima parola, ma poi rinunciò.
Tenne a mente la cieca sicurezza che Mikey lo amava, che lui si sarebbe sempre comportato nel modo migliore con lui e teneva a Gerard, forse più di quanto Gerard avesse mai tenuto a se stesso. Volle fidarsi di quella indiscutibile certezza e continuò a vestirsi senza aggiungere una parola.
 
 
 
 
Arrivati a destinazione Gerard non avrebbe saputo dire nemmeno come aveva fatto ad arrivarci.
Questo problema della paura di uscire di casa lo stava travolgendo senza essersi accorto di soffrirne. Aveva iniziato a notarlo casualmente: ogni qual volta aveva in programma di uscire, oppure di andare da qualche parte, il suo cuore iniziava a scatenarsi senza contegno. Iniziava il tremore alle mani e alle gambe, iniziava il mal di stomaco. Anche quando doveva occuparsi di piccole commissioni, succedeva questo. Cominciava a provare un'insensata e inspiegabile paura. E quando, come in quel momento, tentava di ignorarla e mettere piede fuori di casa, avvertiva quell'opprimente senso di soffocamento, come se qualcuno gli stesse stringendo la gola con una mano. Una mano attaccata ad un bel braccio possente.
Non riusciva a decifrarne cause e motivi, ma stava diventando un vero fastidio. Non riusciva a stare tranquillo, non riusciva a vivere con serenità nemmeno le uscite con i suoi amici, percepiva soltanto l'estraneità ad ogni situazione e luogo, il sentirsi fuori posto ovunque, anche sul vialetto di casa sua.
Forse il problema erano le persone, forse era quello che gli metteva ansia, che lo faceva sentire goffo ed ingombrante. Sentiva di essere continuamente sotto esame, giudicato anche se nessuno gli stava prestando attenzione. Immaginava sguardi percorrere la sua figura, giudizi e commenti inudibili arrivargli alle orecchie.
In realtà non c'era nulla di tutto ciò, ma Gerard lo percepiva dentro. Non si sentiva al sicuro, ecco tutto.
Le quattro mura di camera sua erano tornate ad essere la barriera invisibile che lo proteggeva e lo traeva in salvo. Pensò che agendo in quel modo stesse tornando indietro, invece di migliorare e divenire una persona coraggiosa stava regredendo, era tornato un bambino impaurito.
Cercava di tenere a mente tutti i consigli utili che gli aveva dato lo psicologo in quei tre mesi, ma metterli in pratica era durissima, soprattutto quando il nemico contro cui doveva battersi era se stesso.
 
 
 
Circa a metà del periodo trascorso al centro, il terapista aveva voluto fare un test un po' particolare, qualcosa che, come al solito, Gerard aveva definito ridicolo, inizialmente. L'idea consisteva nel coinvolgere i suoi parenti ed amici più stretti a scrivere una lettera, una specie di lista che aveva come titolo "Amo Gerard perché". C'erano due punti alla fine della frase e, dopo un paio di settimane di riflessione, Gerard aveva deciso di consegnare quei fogli ai suoi genitori e a Mikey quando erano andati a trovarlo. Aveva raccontato loro dell'intento del terapista e aveva spiegato che sarebbe servito a Gerard per capire cose che non immaginava nemmeno.
La sua famiglia aveva accettato di buon grado, avrebbero fatto qualunque cosa per aiutarlo in quel percorso che appariva così personale e solitario. Gerard non sapeva a cosa sarebbe servito, ma aveva deciso di impegnarsi andando lì e si sforzava di tenere fede alla sua promessa iniziale.
Erano tornati la settimana dopo con i fogli compilati. Gerard non aveva osato leggerli. Erano piegati in un'unica busta che aveva depositato senza pensarci nel cassetto della scrivania della sua misera stanza. Alla seduta con lo psicologo del giorno seguente e aveva portato con sé quella busta, come se fosse qualcosa che non gli apparteneva neppure.
 
Quell'uomo sulla cinquantina, i capelli brizzolati e gli occhi chiari che infondevano fiducia, gli aveva detto di aprirle e di leggergliele e Gerard, che ormai aveva preso confidenza con lui, non si era sentito minacciato o preso in giro e aveva fatto come gli era stato detto.
Quei fogli li aveva riletti altre centomila volte.
In ogni occasione in cui si era sentito disperato, ogni volta che il suo cervello aveva provato a proporgli la sua immagine come quella di un mostro. Era corso al cassetto della scrivania e aveva tirato fuori quei fogli con la stessa frenesia con cui un malato terminale si sarebbe attaccato ad una mascherina di ossigeno.
Teneva tra le mani tremanti quei fogli e si perdeva nella calligrafia un po' disordinata di suo padre, quella più studiata di sua madre, quella frenetica di Mikey. E scorreva parole e frasi, i punti segnati di suo padre all'inizio di ogni frase, come si fosse trattato della lista della spesa, la frase iniziale di quella di sua madre "sei mio figlio e sarebbe già dire tutto, ma proverò ad essere precisa e dirti perché ti amo", quella di Mikey, con la grafia quasi incomprensibile per la velocità con la quale probabilmente aveva scritto. Gli elencava motivazioni apparentemente sconnesse, senza un nesso tra azioni e luoghi, solo un mucchio di situazioni e abitudini, di cose fatte insieme e di riti a cui avevano dato vita loro due, insieme, da sempre e per sempre.
Quelle lettere erano diventate una specie di àncora di salvezza, una prova tangibile dei comportamenti giusti che aveva avuto in un'altra vita, in quei ricordi che aveva dimenticato.
Mikey  gli aveva detto che quei fogli non avrebbero dovuto essere solo tre, come minimo avrebbe dovuto aggiungere tre o quattro zeri, dopo quel tre, ma Gerard aveva detto di no, aveva spiegato a Mikey che quei fogli erano per chi lo amava come persona, chi lo conosceva, chi sapeva chi era e cosa sognava, chi lo aveva vissuto. Mikey non aveva detto nulla, aveva annuito e fatto morire lì il discorso.  Gerard aveva pensato che si fosse reso conto di quanto erano vere le sue parole.
Poi, il terapista aveva voluto spingersi oltre, o forse spingere Gerard oltre il limite e gli aveva proposto di scriversi una lettera da solo, una lettera che avesse lo stesso titolo.
Lo aveva trovato così fuori luogo, quel compito, che lì per lì non aveva voluto svolgerlo,come era successo con molti altri consigli che gli aveva dato quello psicologo. Poi aveva ceduto, come al solito, ed aveva trascorso pomeriggi interi di riflessione, studiandosi e cercando di capire cosa poteva piacergli di se stesso. Era stato un compito arduo, perché non gli veniva in mente nulla che proprio gli piacesse di lui, più che altro riusciva ad avere chiari dettagli oggettivi che facevano parte di se stesso, quindi partì da lì e la prima cosa che gli venne in mente, quella indiscutibile e certa, era che pensava molto. Talmente tanto che riusciva a ribaltare completamente ogni teoria, soprattutto quelle elaborate da sé e quindi partì dalla fine, scrivendo che si amava (giusto per usare il termine con cui era concepito quel compito)  perché come aveva elencato quella lista di pregi sarebbe stato in grado di stravolgerne uno per uno e trasformarli in difetti.
Non aveva ancora elencato nulla, in quel momento, ma era sicurissimo che ne sarebbe stato capace. Che avrebbe potuto eventualmente stravolgere il senso di quei pregi che avrebbe trovato in sé.
Quella era la grande stima che aveva di se stesso. O forse, semplicemente, sapeva essere un ragazzo obiettivo.
Comunque aveva ancora una "brutta copia" di quella “lettera a Gerard” e ne era parecchio soddisfatto, merito dell'ultima frase. Perché un conto era stilare la lista dei suoi pregi e fine, un altro era chiarire che, okay, potevano sembrare aspetti positivi, ma guardati da altri punti di vista potevano diventare l'esatto contrario.
Era come ammettere e subito dopo smentire, come se quei complimenti alla sua persona non li avesse realmente fatti.
 
Ci pensava bene, Gerard, a certe cose.
 
Tra quei falsi complimenti o pregi, o come li si volesse chiamare, c'era una frase come "amo Gerard perché vive in un mondo tutto suo".
E quella era una vera dannazione, quella era una di quelle armi a doppio taglio che prima o poi lo avrebbe ferito mortalmente.
Gerard viveva troppo fuori dal mondo, nutriva grandi aspettative che poi, ogni dannata volta, lo deludevano, non dimostrandosi all'altezza della sua immaginazione.
Era un sognatore, adorava ipotizzare, immaginare, amava tentare di prevedere situazioni e reazioni, amava inventarsele addirittura, certe cose. Ed era un po' come rassicurarsi, era come infondersi sicurezza, come darsi forza e dirsi che sì, sarebbe andato tutto bene, anche quando non avrebbe potuto farsene completamente un'idea.
Poi, la situazione arrivava, il momento di vivere arrivava e, fatalità, non era mai come lo aveva predetto. Questa era la parte brutta e negativa del suo presunto dono.
E, purtroppo, si ritrovava a struggersi spesso e volentieri a causa delle situazioni andate storte, a causa dei comportamenti altrui che non corrispondevano mai a come li aveva immaginati. Infine, poteva dire con certezza di prendersi troppo sul serio, di credere troppo a quel mondo parallelo in cui ogni persona faceva la cosa giusta e dove le situazioni erano perfette.
E non era perché Gerard producesse solo pensieri felici, ma principalmente perche non sapeva vivere adeguatamente nel suo mondo reale. Non era in grado, era lui a non esserne all'altezza, non gli altri.
Era difficile rapportarsi con le persone, così come comportarsi naturalmente in determinate circostanze, perché puoi passare tutta la vita ad immaginarela luna, a guardarla da lontano, ma solo entrandoin uno shuttle e raggiungendola potrai capire davvero di cosa si tratta.
E quel discorso non riguardava solo circostanze grandiose come la luna, poteva essere anche un incontro con dei fan qualunque. Gerard non ce la faceva a sostenerli, non era nelle sue facoltà essere disinvolto e sentirsi e comportarsi come il frontman dei loro sogni, con le risposte pronte e lo sguardo diretto verso i loro occhi. Preferiva abbassarlo, lo sguardo, preferiva disegnare e fare finta di non essere lì, ed essere considerato un maleducato o qualcosa del genere.
E così fuggiva.
Sfuggiva agli sguardi e alle domande, scappava da situazioni che lo mettevano troppo sotto pressione e si rifugiava nelle sue zone di conforto, tra le chiacchiere dei suoi amici o tra le braccia di Frank. E l'unica volta che aveva provato a vedersela da solo, a cercare di essere indipendente era finito nel turbinio incontrollato della droga e dell'alcool, dei calmanti assunti anche quando non ce n'era bisogno, tra le braccia di altre persone, persone che non ricordava nemmeno chi fossero state e tra le quali avrebbe preferito non finire.
Gerard non sapeva badare a se stesso, forse era questa la realtà. Era questo il problema, uno tra i tanti.
Gerard contro Gerard.
 
 
 
Arrivati al locale Ray, che era passato a prenderli a casa, parcheggiò accanto al marciapiede e continuò a ridere per qualche battuta che doveva aver fatto Mikey. In realtà avevano parlato per tutto il viaggio, ridendo o alzando la voce di tanto in tanto, le loro voci erano state il sottofondo  dei pensieri di Gerard. Non avrebbe voluto sembrare asociale, ma in quel periodo sembrava che non avesse bisogno d'altro che pensare e darsi spiegazioni.
Inconsapevolmente stava trascorrendo molto tempo con se stesso.
Si sforzò di concentrarsi a vivere e guardò verso l'entrata, riconoscendo le figure di Bob e di Frank. Sospirò, carico di emozioni, e mentre camminava per raggiungerli studiò la situazione, notando che Frank sembrava perso nei pensieri e preso a fumare, mentre Bob parlava con una ragazza che era in piedi di fronte a lui, di spalle a Gerard.
 Gerard immaginò che forse aveva finalmente deciso di presentargli la sua fantomatica fidanzata e sorrise, immaginando il suo volto.
Da dov'era poteva vedere solo i capelli scuri e la statura minuta, Bob sorrideva e chiacchierava insieme a lei. Non riuscì a convincere il proprio cervello a lasciar stare Frank e, come al solito, si ritrovò la sua figura scaraventata nella retina, non poté fare a meno di osservarlo, di accorgersi che aveva accorciato i capelli, che la maglia a righe gli stava benissimo, come gli sarebbe stata qualunque altra cosa, in fondo.
Osservò rapito le labbra socchiuse che soffiavano fuori il fumo, desiderò così tanto baciarle che lo stomaco fremette per un istante.
Poi, mentre cercava di forzarsi a distogliere lo sguardo, Frank alzò gli occhi distrattamente, cadendo nei suoi. Seguì un attimo di impaccio e di indecisione in cui Gerard non seppe che fare, se abbassare gli occhi e fingere che non lo stesse guardando o baciarlo con lo sguardo, l'unico modo che gli era rimasto con cui illudersi di poterlo fare.
Alla fine, i saluti posero fine alla situazione e a quell'attimo di perfezione e vicinanza.
Abbracciò velocemente tutti, anche Frank, perché essere amici prevedeva anche quello, e impiegò tutte le sue forze per non restargli attaccato più a lungo del dovuto. Frank non lo strinse moltissimo, quel gesto non gli faceva piacere e Gerard se ne accorse, ma si concentrò sul suo profumo e quando i loro petti si scontrarono inspirò a pieni polmoni, chiudendo gli occhi e assaporandone l'inconfondibile odore.
Pensò che avrebbe potuto vivere di quell'odore, che tutto il mondo ed ogni cosa avrebbero potuto sapere di quel profumo e lo avrebbero fatto sentire felice. E a casa.
-  Ciao Gee! - sentì pronunciare da una voce femminile e voltandosi a guardarla si accorse che non era nessuna fidanzata di Bob, nessun'amica e niente di vagamente piacevole. Era Jamia e, dopo averla educatamente salutata, senza metterci il minimo entusiasmo, dovette assistere alla sconvolgente scena di Frank che si avvicinava a lei, posandole un braccio sulle spalle e lei che posava dolcemente la testa su quella di Frank.
Quasi singhiozzò, ma riuscì a dissimulare quella reazione e il fastidio che provava.
In fondo lo aveva pensato proprio lui che Frank meritasse il meglio ed evidentemente, anche se a Gerard Jamia non andava proprio a genio, lei poteva essere  quel meglio.
Vide il sorriso compiaciuto e sincero di Frank in risposta a quel gesto e confermò a se stesso che sì, doveva essere proprio quel meglio.
L'intento e lo scopo ultimo erano di renderlo felice e quel sorriso poteva esserne la dimostrazione.
-Va be', io direi di entrare e sceglierci un bel tavolo appartato. - suggerì  Mikey invitando gli altri a seguirlo.
-Sì, giusto! -  convenne anche Bob.
-Allora, Gee, hai pensato a qualche diavoleria impervia per la partita di stasera? - gli chiese Ray evidentemente su di giri.
-Oh, sì! Altroché. Non ho bisogno neanche di pensare per inventarmi qualche regola di quelle toste di D&D! -  gli rispose ghignando.
-Wow! Bene! -  quasi gridò suo fratello eccitatissimo.
E pensare che erano rock star quasi completamente affermate e si rinchiudevano in pub dispersi, cercando tavoli appartati per fare i nerd per tutta la sera, giocando a D&D!
Frank gli passò accanto precedendolo, a sua volta preceduto da Jamia, e gli sfiorò il braccio col suo, casualmente. E Gerard lo percepí quasi bruciare, quel punto.
Sospirò ancora e lo seguì dentro al locale.
 
 
 
 
La serata procedeva davvero bene.
Gerard rideva tantissimo di fronte alle reazioni dei suoi amici, quando spiegava una regola o una sfida nuova.
A dare il via alle scenette esilaranti era sempre Mikey, che prendeva sempre i giochi troppo sul serio, e allora restava sbigottito di fronte ad ogni nuova proposta, sostenendo che era troppo difficile o che il regolamento non lo avrebbe previsto. Dopodiché c'era Ray che lo sfotteva, seguito a ruota da Bob che iniziava a ridere talmente tanto, a volte, da non riuscire nemmeno a spiegare cosa avrebbe voluto dire.
Gerard si sentiva parte di loro, quella sera.
Si sentiva dentro ai discorsi, dentro ad ogni risata e scherzo, dentro alle carte, dentro al regolamento, dentro a Mikey, a Ray, a Bob.
Avrebbe potuto quasi dirsi completo, se non fosse stato per Frank e Jamia, che stonavano del tutto in quell'atmosfera. Gerard avrebbe voluto sentire anche loro, Frank perlomeno, ma lui era troppo occupato. Era lì, ma era assolutamente assente, chiacchierava con Jamia, ma soprattutto era impegnato con bicchieri e cocktail, con drink di qualsiasi genere.
Jamia aveva chiarito che era lì solo di passaggio, che più tardi sarebbe arrivata una sua amica a prenderla e sarebbe andata via.
Gerard attendeva quel momento con ansia dall'inizio della serata.
Il momento sembrava tardare e soprattutto Gerard temeva che, se avesse continuato così, non sarebbe rimasto molto del vero Frank, intorno a quel tavolo.
Stava bevendo troppo e con troppa enfasi, di quelle sbronze programmate e cercate con tutto il proprio essere. Gerard non capiva e non riusciva a farsi un'idea del perché Frank volesse ubriacarsi. Era con Jamia, chiacchieravano e sorridevano, lei era dolce e sembrava filare tutto liscio. Gerard non riusciva a cogliere eventuali problemi tra loro, era tutto okay, ma Frank beveva come se l'alcool non potesse scalfirlo o come se potesse e non vedesse l'ora di sentirne i primi effetti.
Alzò lo sguardo sui propri amici, seduti intorno a quel tavolo insieme a lui, osservò le facce assorte di Ray, Mikey e Bob, poi continuò controllando Jamia, vedendola occupata a guardare il cellulare che aveva in mano. Posò gli occhi su Frank e trovò la sua attenzione rivolta ai ragazzi che giocavano, ma se ne disinteressò in fretta e, per la seconda volta della serata, i loro sguardi si incontrarono.
Gerard non si mosse e aspettò che Frank spostasse di nuovo quegli occhi dal colore indefinito dalla propria figura, ma lui non lo fece. Restò immobile, riuscì a trafiggergli i suoi, di occhi, e forse gli stava leggendo nel pensiero, stava afferrando le parole che il suo cervello gli ripeteva in eco, stava perfettamente udendo l'ordine perentorio della propria ragione che gli consigliava di non guardarlo, di fuggire da quel contatto sbagliato.
Gerard vide lampeggiare le iridi di Frank di pura rabbia, la stessa che manifestò anche stringendo i pugni sul tavolo, con il sospiro frustrato e poi il gesto inaspettato: smise di colpo di prestargli attenzione e puntò quell'attenzione furibonda sulla ragazza che gli sedeva accanto. Le afferrò la testa con poca delicatezza, e la spaventò pure, probabilmente, attaccò le labbra alle sue con talmente tanta rapidità e veemenza che Gerard non riuscì a voltarsi dall'altra parte e a costringersi a non assistere a quel gesto così ambiguo e che gli stava facendo percepire il proprio respiro più corto e spezzato.
Finalmente riuscì ad abbassare la testa, shockato, e prese a mordersi l'interno della bocca mentre le sue mani si agitavano sudate tra loro.
Sentì il proprio corpo cedere, una vampata violenta di gelosia e dolore percorrerlo dall'interno, partire dal basso e spostarsi come un treno in corsa verso la gola. Forse avrebbe vomitato presto.
Provò a respirare profondamente, a prendere aria dal naso e a rilasciarla con calma dalla bocca, il senso di nausea si bloccò presto e velocemente come era arrivato, ma aveva bisogno di scappare. Giusto un momento.
Una sigaretta, ecco, sarebbe stata una buona scusa.
-Ragazzi voi continuate pure, torno subito. - disse fingendo un sorriso.
- Dove vai? -  chiese al volo Mikey, l'aria preoccupata.
Forse Gerard non si accorgeva mai di nulla, gli capitava di assistere a situazioni e nemmeno se ne rendeva conto, ma suo fratello era il suo esatto contrario. Forse aveva visto tutto.
-Vado a fumare, tranquillo! -  cercò di rassicurarlo parlando con fermezza e battendogli una pacca sulla spalla mentre muoveva già i primi passi verso l'uscita sul retro. Lì sarebbe stato più solo e magari anche in pace. Aveva bisogno di sbollire quel mix di sensazioni spiacevoli che lo stavano pervadendo.
Non seppe se Mikey avesse risposto o se qualcun altro avesse detto qualcosa, Gerard non badava mai a certe piccolezze, e si avviò verso il posto che stava immaginando come ideale per riprendersi dal mal d'amore.
 
 
 
Fumò la prima sigaretta come se fosse ossigeno e fosse stato in apnea per interminabili minuti, avrebbe tanto voluto piangere, ma si accorse che non era affatto una di quelle cose che poteva permettersi di fare senza destare curiosità in presenza di altre persone. Okay, c'erano soltanto altri due ragazzi, presi dalla loro conversazione, ma si disse che non era il caso. Sapeva controllarsi, sapeva trattenersi e respirò ancora, concentrandosi soltanto sulla meccanicità dell'azione e provando a pensare a qualcosa di preciso che avrebbe potuto assorbire il suo interesse.
Pensò intensamente alla parata nera, a quell'idea astrusa e profonda di cui aveva scritto e disegnato per mesi interi.
Immaginò che per un periodo aveva desiderato farne parte attivamente, aveva desiderato viverla piuttosto che raccontarla e morire per doverla vivere era un gran bel gioco di parole. Ripensò ad un testo che aveva scritto, pensò che fosse stato un qualcosa di premonitore: un amore che finisce e che, a causa di troppi problemi superati male o non superati affatto, uno dei due arriva a dire all'altro che non lo ama più come ieri.
Aveva scritto quel testo alternando il punto di vista da una strofa all’altra. Nella prima parlava in modo rancoroso della reazione all’abbandono subìto da uno, nella seconda delle motivazioni che avevano spinto il primo ad andarsene e così via, cercando di spiegare che quando una relazione finisce non è mai a colpa di una persona soltanto, ma di entrambe, a causa delle debolezze e dei difetti che non si riescono a sopportare o, semplicemente, perché dopo aver fatto un viaggio fino all’inferno insieme a qualcuno non si può uscirne indenni. I sentimenti possono cambiare, il bello che riuscivi a vedere viene completamente offuscato da esperienze dolorose e comportamenti che ti hanno lasciato basito e sconvolto. Allora è normale non riuscire più ad amare come lo si è fatto in passato. Allora è anche giusto che sia così, quando ti accorgi che l’altra persona, quella che ti ha causato tutto quel dolore, è in difficoltà e sta male pensi solo che se lo stia meritando, che quello è il posto più giusto in cui dovrebbe stare. Forse con cattiveria o forse perché l’amore si è trasformato in qualcosa di ancora più forte, di diverso, di potente a tal punto da non farti più ragionare come lo avresti fatto tempo prima, prima che quella persona ti sconvolgesse l’esistenza.
Gerard avrebbe tanto voluto sentirselo dire da Frank, che non riusciva ad amarlo più come prima.
 
 
Quando lo vide uscire fuori dalla porta sul retro, che ora si trovava di fronte allo sguardo perso di Gerard, intento a fumare, sperò proprio che fosse venuto a dirglielo.
Frank lo raggiunse affannosamente, non gli diede il tempo di formulare altri desideri o di domandarsi effettivamente che cosa ci facesse lì, perché lo avesse seguito.
Forse stava male, doveva vomitare, avrebbe voluto andare in bagno, ma aveva sbagliato porta.
Ma Frank lo raggiunse a grandi passi, allungò le braccia quando ancora non avrebbe potuto toccarlo e gliele buttò sulle spalle, con i palmi aperti gliele percorse avidamente arrivando al collo e accarezzandoglielo in modo disperato.
Gli si piazzò davanti, addosso, portò le mani ai lati del suo viso e lo guardò rapidamente negli occhi, facendoli incontrare con i suoi.
-Scusami.- sussurrò prima di avventarsi sulle sue labbra.
Ecco come si trasformava un sentimento puro come lo era stato il loro, inizialmente. Si stava trasformando in follia e possessione, in gelosie fuori luogo e in sentimenti che sfuggivano al controllo della ragione e si manifestavano violentemente, come a voler porre rimedio a tutto ciò che era successo, come a voler dimostrare che non era cambiato nulla, che poteva tornare tutto come prima, che si poteva dimenticare, ma invece, purtroppo, niente era più come un tempo, certe cose non si possono aggiustare e perseverare porta soltanto altro dolore. E l’odio, pur essendo un sentimento, non poteva assolutamente tenere unite due persone.
Gerard non voleva essere legato a Frank tramite l’odio.
Indietreggiò cercando di toglierselo di dosso, prese le sue mani e, con forza, le costrinse ad allontanarle dal suo volto. Frank non mollò e continuò a lottare per restargli attaccato.
Gerard infilò le mani tra i loro petti accostati, le fece scivolare in mezzo e le puntò con fermezza, spingendolo e portandoselo lontano.
Aveva il fiatone, lo stesso di Frank. Era sbigottito, basito, confuso. Era arrabbiato.
Si piegò con la schiena e posò le mani tremanti sulle ginocchia che avrebbero potuto cedere da un momento all’altro. Cercò di regolarizzare il respiro.
Non guardava Frank, piuttosto l’asfalto, ma percepì i suoi movimenti. Ascoltò i suoi passi avvicinarsi di nuovo, decisi, fermi. Si tirò su di nuovo.
-Devi baciarmi, cazzo, tu…- sbraitò senza nemmeno provare ad accostarsi. Lasciò le parole in sospeso e sospirò carico di frustrazione.
- Io non devo fare niente!- si ritrovò a rispondergli in preda a qualche sconosciuta emozione a cui non avrebbe saputo dare un nome.
Frank si bloccò a guardarlo. Lo fissò per qualche secondo e poi decise che forse erano troppo lontani, gli si parò davanti senza essere brusco, accostò il viso al suo e gli parlò senza guardarlo negli occhi.
-Devi baciarmi, io ti amo, io ne ho bisogno.- glielo disse direttamente nell’orecchio, posando la guancia alla sua. Glielo disse in modo tranquillo, glielo disse come se fosse la cosa di cui era più certo in vita sua. Come se fosse giusto. Come se avesse senso, soprattutto.
Gerard socchiuse gli occhi, incapace di respingerlo di nuovo, combattendo tra il calore della pelle di Frank a contatto con la sua, che avrebbe potuto bruciarlo, e tra la voglia di sentirla e di respirare ancora il suo profumo.
-Hai una ragazza dentro, Frank.- sussurrò come se non avesse assolutamente forze.
Frank gli si accostò di più, posò la testa sotto il suo collo, lasciandoci un leggero bacio mentre gli posava delicatamente le mani sui fianchi. Gerard si sentiva insolitamente bene e male nello stesso momento, non sapeva come fosse possibile, ma intanto era ciò che provava.
-Lei non è nessuno.- mise in chiaro parlando sottovoce.
Tornò con il viso di fronte al suo, lo guardò senza l’ombra di tutta quella rabbia con cui aveva visto animarsi il suo sguardo, poco prima. Fece fondere il colore dei loro occhi come avevano sempre fatto, come quando, forse, erano stati più felici.
E quando percepì il magnetismo verso le sue labbra, come fossero una calamita e le sue fatte di ferro, si lasciò andare e le fece incontrare ed unire. Era qualcosa di troppo chimico per poterlo contrastare.
Lo baciò con dolcezza, con trasporto e con tutti i sentimenti che aveva sempre provato per lui. E forse non era mai stato bravo a dirglielo, certo, ma non aveva mai provato un sentimento in maniera così forte come quello che sentiva per lui.
Frank era quella cosa bella e blu che non sarebbe mai dovuta capitare nella sua vita, mai, perché invece lui era rosso, scuro e volgare, e mischiato al colore del cielo diventava viola, forse addirittura una tinta più scura, e non avrebbe mai voluto renderlo un colore tanto brutto. Si diceva anche che portasse sfortuna, quel colore.
Si accorse ancora una volta di quanto erano sbagliati insieme, di quanto lo erano sempre stati e se ne era anche reso conto e aveva fatto finta di nulla, comportandosi da egoista e pensando solo all’attimo fuggente, al benessere che gli infondeva Frank, quando lui era stato in grado soltanto di distruggerlo.
Si scostò. Più delicatamente di poco prima, ma sfuggì al contatto, scappò dall’abbraccio, lasciando Frank pietrificato di fronte a sé.
Abbassò lo sguardo e si passò nervosamente le mani sul volto, percependo il cuore battere come una grossa campana che faceva riverberare quel suono per tutto il suo corpo, facendolo tremare.
Avrebbe voluto dire qualcosa, dirgli perlomeno che era sbagliato.
-Scusa.- invece, gli scappò di bocca e fece per tornare sui suoi passi, rientrando all’interno del pub.
Ma Frank non mollò nemmeno stavolta, lo rincorse quasi.
-No, aspetta!- gridò percorrendo i suoi stessi passi.
Lo afferrò per il polso e lo costrinse a voltarsi.
-Aspetta, scusa. Ti prego scusami, ma…- gli parlò più docilmente, il viso dipinto di una smorfia sofferente, - Tu non capisci, tu…- gli prese anche l’altro polso e puntò quei due occhi brillanti nei suoi, -Gerard, sto malissimo. Ho bisogno di stare con te.- pronunciò sull’orlo delle lacrime.
E quella frase gli fece più male di quella che avrebbe voluto ascoltare poco prima. Il fatto che invece di odiarlo era ancora lì a sperare in un futuro per loro due fu il colpo di grazia.
Quell’amore che si era trasformato in altro, l’odio che li teneva legati e lontani, il dolore che aveva causato a Frank lo aveva fatto diventare cieco ai veri sentimenti, non riusciva più a distinguere giusto e  sbagliato, non riusciva più a rendersi conto che quello non era amore, ma ossessione, potente bramosia di avere finalmente ciò che aveva sempre desiderato.
Gerard avrebbe voluto spiegarglielo che non c’era futuro, che il filo che li teneva uniti era soltanto una vecchia ragnatela di ricordi ed esperienze che sarebbe stato bello se potessero essere dimenticate. Avrebbe voluto dirglielo che non era un amore sano, che poteva essere felice, ma non sarebbe mai stato lui la fonte di quella raggiante felicità.
Avrebbe voluto dirgli molte cose, in realtà. Avrebbe voluto baciarlo di nuovo e allontanarlo di nuovo.
Avrebbe voluto piangere e sfogarsi, non percepire il tremore delle proprie gambe e delle braccia, avrebbe voluto non vedere lo spazio che aveva intorno ripiegarsi su se stesso e schiacciarlo.
Avrebbe voluto sentire le parole che Frank stavano pronunciando. E avrebbe tanto desiderato non vedere la preoccupazione sul suo viso e nei suoi occhi, vedere le sue mani tra le sue e non percepirle.
Avrebbe voluto scappare e chiudersi in camera sua, avrebbe voluto gridare e stare in silenzio, avrebbe voluto non esserci.
I suoni erano completamente ovattati, il fuoco sentiva bruciarlo ovunque, il cuore in gola e il tremore incontrollato. Provò a respirare, ma la gola era stretta in una morsa.
L’agitazione iniziò a farsi spazio dentro di sé e forse provò a dire qualcosa, forse chiese aiuto a Frank con lo sguardo.
Forse non fece proprio niente di tutto quello che stava immaginando, prima di perdere conoscenza.
 
 
 
 
 
 
-Che cazzo vuol dire “svenuto e basta”?- sentì chiedere dalla voce di suo fratello.
- Non lo so Mik, ha iniziato a guardarmi con uno sguardo vuoto, tremava, respirava affannosamente e ho fatto giusto in tempo a prenderlo prima che cadesse.- spiegò Frank sull’orlo di una crisi di nervi. Gerard sapeva riconoscere quel tono preoccupato.
Avrebbe voluto aprire gli occhi e rassicurarli, dirgli che ora stava bene, ma provò e lasciò subito stare, si sentiva troppo debole.
-Tu gli hai detto qualcosa, io lo so!- sbraitò Mikey in preda alla rabbia, accusando Frank.
-Io non gli ho detto nulla, invece.- controbatté Frank.
-Sei un bastardo, ti avevo detto di lasciarlo stare, di farlo stare tranquillo per un po’. Non hai una cazzo di ragione per avercela con lui, te l’ho assicurato al cento per cento che quel fantomatico “altro” non esiste e Gee passa le giornate a casa da solo e senza sentire nessuno nemmeno per telefono. Che cazzo ti prende?- Mikey continuava a sbraitare e Gerard avrebbe riso se avesse avuto le forze perché, come aveva immaginato, Mikey e Frank si erano visti e avevano parlato di lui, suo fratello gli aveva raccontato della sua bugia e Frank, però, era ugualmente arrabbiato con lui.
 
 
La situazione, ora, alla luce di quelle scoperte, era ancora più chiara: Frank ce l’aveva con Gerard e basta, non per motivi in particolare, nemmeno perché credeva che avesse conosciuto un'altra persona. Provava rabbia, punto.
E Gerard era fin troppo consapevole della legittimità di quella rabbia, sapeva che quando ti ritrovi all’inferno, anche se poi riesci a tornare, non sei più lo stesso. E Gerard ce l’aveva portato.
Vivere determinate esperienze insieme, dolorose, tristi, dilanianti, non può fare altro che far nascere nuovi sentimenti, far mutare quelli che già c’erano e cambiarli irrimediabilmente.
Gerard aveva capito benissimo che, durante i suoi periodi di sballo, quelli in cui non era in sé e di cui non aveva ricordi se non qualche stralcio sporadico, Frank aveva conosciuto il vero Gerard. E lo odiava, gli faceva schifo.
I tentativi che stava facendo per “tornare” insieme erano soltanto dei disperati sforzi con cui si illudeva di poter sistemare tutto. Forse anche per Frank, Gerard era stato un porto sicuro.
-Frank, cazzo, in questo momento ti prenderei a botte.- Mikey digrignò i denti parlando e Gerard percepì una mano accarezzargli i capelli.
- Mik, io…- provò ad iniziare Frank, ma suo fratello lo bloccò subito.
- Tu un cazzo, Frank. Ero venuto a spiegarti tutto apposta, oggi, e te ne sei sbattuto.- spiegò.
-Grazie mille!- gridò, poi.
-Mik, te lo giuro, non avrei voluto combinare questo casino, io… io…- sospirò e Gerard percepì la sua voce più vicina e poi un’altra carezza, ma stavolta sul viso.
-Mik, voglio stare con lui, lo capisci?- sussurrò con fare colpevole.
- Ho capito, lo capisco. Lo so.- disse Mikey frustrato.
-Ma se lui è arrivato ad inventarsi addirittura di avere un altro, forse –e dico forse- non vuole la stessa cosa?- gli chiese senza tenere conto che ciò che stava dicendo avrebbe potuto ferirlo.
Il fatto era che le cose non stavano così, in quel modo, eppure stavano proprio così.
- Hai bevuto come un alcolizzato, stasera. Ed ho visto cosa hai fatto con Jamia sotto gli occhi di Gee. Lui è uscito e tu lo hai inseguito. Ti stai comportando di merda. Di merda con tutti.- gli spiegò Mikey addolcendo un po’ il tono, consapevole, probabilmente, che Frank era in una posizione difficile, ma stava sbagliando e lui, in quanto suo amico, aveva il dovere di farglielo notare.
Frank sospirò e Gerard sentì i suoi passi allontanarsi. Li sentì, poi, di nuovo vicini. Stava camminando per scaricare la tensione, immaginò.
-Frank, devi avere pazienza.- disse infine Mikey e Gerard percepì i passi bloccarsi e poi la voce ruvida di Frank iniziare a gridare.
- Pazienza?! Pazienza, Mik?! Spero che tu stia scherzando. Sono anni che aspetto, che cerco di restare calmo, che sopporto e che –fanculo- spero.- disse l’ultimo verbo come se fosse la parola più brutta del mondo.
-Spero che prima o poi cambi qualcosa, spero che andrà meglio e poi non cambia mai un cazzo. Sono stufo di aspettare. Mikey io non ce la faccio più!- urlò per tutto il tempo e urlò ancora più forte l’ultima frase.
Forse Gerard sarebbe potuto svenire di nuovo. Frank aveva perfettamente ragione, Frank aveva elencato, ad una ad una, tutte le sue colpe, tutte le motivazioni per le quali Gerard non avrebbe mai più voluto far parte della sua vita.
Era stanco e Gerard lo comprendeva, forse al posto suo, lo avrebbe lasciato stare già da tempo. Invece Frank aveva combattuto con tutte le sue forze come un vero guerriero e meritava di essere ripagato. Meritava di essere felice.
E Gerard avrebbe sacrificato tutto per donargliela.
 
 
Sentì i passi furiosi di Frank allontanarsi e la porta sbattere. Una folata di vento gli accarezzò il viso come aveva fatto anche Frank poco prima. Provò ad aprire gli occhi e li trovò umidi delle sue lacrime. Forse agivano per conto proprio perché lui non aveva mai dato il permesso a quelle gocce salate di abbandonare i suoi occhi.
-Gee, come ti senti?- gli chiese subito con apprensione suo fratello.
-Dio, mi hai fatto prendere uno spavento!- aggiunse.
-Sto bene.- gli rispose col fiato corto e la voce roca.
E in quel momento avrebbe tanto avuto bisogno di una cosa precisa, ma non poteva averla così buttò le braccia sulle spalle di Mikey e diede finalmente il via libera, a quelle gocce salate, di sgorgare e percorrergli il viso fin sotto al collo.

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Capitolo 5
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Salve! C:
Inizio dicendo che mi dispiace per l’immenso ritardo, ammettendo anche che il capitolo era pronto e non l’ho pubblicato fino ad oggi. Non inventerò scuse, voglio essere sincera e semplicemente non posso dire di esser il ritratto della salute e quindi ecco, ogni tanto ho qualche periodo no, ma proprio no, no, no e la cosa principale che mi viene a mancare è l’attenzione, la concentrazione e di conseguenza non riesco a fare cose che necessitano di impegno mentale. Riesco a fare solo cose passive in cui non devo mettere niente di mio. La realtà è che non riuscivo a scrivere nemmeno un’introduzione per questo capitolo.
Volevo ringraziare tantissimo le persone che si sono sentite di scrivermi e dirmi che ne pensavano del capitolo scorso, vi ringrazio di cuore perché, anche se non mi è tornata la voglia e l’ispirazione, mi sono sentita comunque compresa e in un certo senso amata. Quindi mi scuso essenzialmente con voi per il ritardo.
Poi, per fortuna sono successe anche cose belle in questo periodo e …
MI SONO INNAMORATA! Il fidanzato è sempre il solito , ma sono stata adottata da una gatta completamente nera che sembra una pantera e che un bel giorno di tipo quasi due mesi fa si è presentata nel mio giardino, continuando a tornare ogni giorno, decidendo che io sarei stata sua amica, o che lei sarebbe diventata la mia padrona, chi ha gatti mi capirà!! Ahahaha
E niente, ci tenevo a dirvelo perché ci sarà una parte di questo capitolo che… vabbè non spoilero, ma comunque è stato un fatto curioso, dal momento che questo capitolo lo avevo scritto mesi e mesi fa.
Per il resto… ah, sì, il titolo è una canzone dei the killers che ho ascoltato fino a consumarmi le orecchie, mi piace e forse, bah, potrebbe essere legata al capitolo, in qualche modo.
Ringrazio ancora le persone che mi stanno seguendo, preferendo e scrivendo e voglio ribadire che tutto questo per me è molto importante.
Spero più di voi di essere più celere la prossima volta!
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
PRTGMOIcap 4
On top
 
 
 
 
 
La famiglia Way, un tempo aveva posseduto un gatto.
Sì, Gerard aveva avuto un gatto.
Non viveva in casa, lui ne era allergico, ma aveva scelto da sé il loro giardino come casa sua. Forse perché non c’erano cani o altri animali che avrebbero potuto disturbarlo o forse li aveva semplicemente scelti come famiglia, come amici, come compagni con cui condividere la vita e a cui rivolgere le sue attenzioni, le sue fusa e donare le sue coccole.
C’era stato per tanto tempo, era sempre lì fuori, a dispetto di chi sostiene che i gatti siano dei traditori per definizione e cerchino sempre una vita migliore di quella che già hanno. Quel gatto era stato sempre fedele e, quando Gerard tornava a casa, poteva vederlo dormire sul portico, sui muretti che delimitavano la recinzione oppure affilarsi le unghie sui tronchi degli alberi lì intorno. A volte lo aveva anche accarezzato, per poi andarsi a lavare le mani velocemente, prima che gli occhi iniziassero a gonfiarsi o cominciasse a starnutire.
Non aveva mai neanche avuto un nome vero, perché i piccoli Mikey e Gerard erano soliti cambiarglielo di tanto in tanto, ogni volta che si appassionavano ad un nuovo supereroe. Alla fine, una volta sua madre li aveva sentiti chiamarlo Bat e aveva cominciato a chiamarlo anche lei così, facendolo diventare il suo nome ufficiale.
Bat aveva l’abitudine, durante la notte, di dormire sullo zerbino davanti alla porta di casa e, dopo le prime volte che, per sbaglio, gli avevano pestato una zampa o la coda, avevano imparato a fare attenzione e a tenere a mente che il micio potesse trovarsi lì.
Così, quando Gerard usciva di casa e la luce non c’era o comunque non si poteva vedere bene l’esterno, allungava una gamba e con il piede sospeso tastava il pavimento davanti a sé, cercando di localizzare Bat e non schiacciarlo. Lui era sempre lì e quando si sentiva sfiorare con la punta della scarpa non si muoveva neppure ed iniziava a fare quel verso appagato che faceva sempre quando riceveva delle carezze.
Poi era morto, perché la vita di un gatto, per quanto la leggenda narri che ne abbiano sette, in realtà è più breve di quella di un essere umano e quello zerbino era rimasto vuoto. Nessuno dormiva più lì, nessuno occupava quello spazio, nessuno faceva le fusa quando Gerard allungava il piede per tastare la superficie buia davanti a sé, affilando lo sguardo.
Non c’era stato più nessuno, ma Gerard aveva continuato ad allungare la gamba e a muovere cautamente il piede, prima di uscire definitivamente da casa. Era stata un’abitudine per talmente tanto tempo, che sembrava non volesse saperne di smettere di esistere. Ogni volta che accadeva sorrideva, pensando che nessuna palla di pelo avrebbe corso il rischio di essere schiacciata dal suo peso e a causa di questo dettaglio aveva pensato, molte volte, che le abitudini sono davvero dure a morire, che a volte sono più forti dei sentimenti, più forti dei desideri, più forti del coraggio di poterle eventualmente lasciare andare e crearne delle altre.
Per Gerard erano sempre state importanti, le abitudini. Gli creavano quella condizione mentale di sicurezza in cui era certo di quel che sarebbe successo, quello che avrebbe fatto, dove sarebbe potuto scappare in caso di necessità. E alcune erano come quel gatto: non esistevano più le basi sulle quali portarle avanti, ma non riusciva a fare altrimenti.
Era abitudinario in maniera quasi ossessiva.
Era un ragazzo abbastanza famoso, con una band e dei fan amorevoli che lo stimavano e lo seguivano, non era più quello in sovrappeso, criticato e preso in giro, non era più quello che poteva rifugiarsi nella sua stanza e chiudere il mondo fuori, eppure lui si sentiva ancora quel ragazzino timido, chiuso ed introverso, quello invisibile e troppo irrilevante per essere preso in considerazione.
Era come la storia del gatto, erano solo fantasmi di cose passate ed abitudini che avrebbero dovuto essere morte e sepolte, eppure era ancora lì ad odiare chi era e a pensare che le abitudini sono uno di quegli aspetti logoranti, altroché rassicuranti!
Nella testa restano certe cicatrici e le abitudini, con la loro forza e continuità, non fanno altro che farti ricordare chi sei veramente, da dove vieni e quello che non sarai mai.
 
Da quando erano tornati dal tour, era cambiato tutto.
Era stato nel centro di riabilitazione per quei tre mesi, in cui si era ripetuto ogni giorno, tra sé e sé, che era solo una condizione temporanea, che sarebbe tornato a casa, che avrebbe trovato di nuovo il proprio equilibrio, quella serie ordinata di eventi e persone che facevano parte di lui, come era sempre stato. Abitudini.
Ma poi a casa c’era tornato davvero e aveva dovuto accorgersi, con grande tristezza, che niente era realmente più come prima, che il tour era finito, che a casa non si sentiva più se stesso, perché era mancato da tanto tempo e aveva perso ogni consuetudine con cui aveva vissuto prima della fama.
Aveva dovuto arrendersi alla realtà che non era stato lui ad andarsene, come aveva finto a volte, Elena se ne era andata, lei, non Gerard. E quindi anche quello era un aspetto nuovo, vivere la normalità senza di lei.
Aveva dovuto fare i conti con se stesso, capire che non era più il ventenne impaurito dalla vita, ma un quasi trentenne fatto e finito, che avrebbe dovuto rispondere alle sue responsabilità e ai suoi compiti.
Era tutto diverso, non viveva più con gli altri ragazzi, Bob non era nemmeno più a portata di mano, dato che non abitava da quelle parti come gli altri. Ognuno aveva la propria vita e la stava vivendo nel migliore dei modi possibili.
Frank…
Lui nemmeno era quello di prima, ma tutto dipendeva dal fatto che Gerard quel “prima” lo aveva vissuto in modo distorto, con pochi ricordi e molti bisogni, bisogni che cercava nella droga e nell’alcool, in stordimenti programmati e tra le braccia del ragazzo che non gli aveva mai negato niente.
Gli mancava, era vero, sentiva di amarlo e di essere in grado di spaccare il mondo per lui, di reprimere i suoi stessi sentimenti per il suo bene e di guardarlo da lontano e desiderarlo, ma… Ma se anche Frank fosse stato parte di quelle abitudini che gli avevano trasmesso la sicurezza e l’equilibrio che aveva cercato? Se anche lui avesse fatto parte di quei bisogni che aveva cercato disperatamente ovunque, di quella normalità a cui aveva aspirato anche quando di normale non c’era nulla?
Ecco cosa si chiedeva, ecco cosa si stava domandando, cercando di concentrarsi per darsi una risposta.
Si disse che forse avrebbe dovuto chiamare lo psichiatra che lo aveva seguito al centro, come anche lui stesso gli aveva consigliato, si convinse di avere bisogno di qualcuno che gli spiegasse le cose, di qualcuno che potesse capirlo al posto suo, ché tanto lui non ce l’avrebbe mai fatta.
 
L’etichetta iniziava a fare le prime pressioni e questo non aiutava la condizione mentale dell’umore di Gerard.
Il fatto era che le idee le aveva, che ne avevano parlato durante tutto il tour di Revenge, con gli altri, ma aveva una dannata paura. Le solite, in realtà.
Aveva scoperto, durante i mesi in giro per il mondo, che c’erano persone che non solo stavano ad ascoltarlo, ma che credevano nelle sue parole. C’era gente lì fuori che lo prendeva come esempio, come modello, come qualcuno di importante a cui ispirarsi.
Certo, un tizio che teneva concerti da sballato perché se la sarebbe fatta sotto ad affrontare milioni di sguardi puntati su di lui, un cazzone che evitava gli incontri con i fan perché era certo di non avere nulla di interessante di cui parlare. Bel modello, gran bell’esempio, pensò.
Dei  fatidici trent’anni che in effetti aveva, non riusciva a sentirsene nemmeno la metà. Si sentiva intrappolato dentro quel dannato corpo che cominciava ad invecchiare, che avrebbe dovuto essere maturo e colmo di esperienze che lo avevano portato ad essere chi era, ma lui si vergognava come un ladro di oltre la metà delle cose che aveva fatto. Era stato un disastro e aveva coinvolto tutti in quel viaggio verso il baratro.
Pensò a Frank e invidiò i cinque anni di vita che aveva in meno di Gerard.
Poi pensò che si era perso di nuovo, che stava pensando troppo, che la testa gli sarebbe potuta esplodere. Pensò che forse, con tutti quei pensieri, se fosse successo non se ne sarebbe stupito.
Prese una decisione: chiamò lo psichiatra, mettendosi d’accordo per vederlo almeno una o due volte alla settimana e poi prese anche coraggio, di tanto in tanto riusciva a trovarlo, e chiamò Mikey in camera sua, perché voleva spiegarli ciò che aveva in mente per la band.
 
 
-Io dico che è un’idea figa, secondo me piacerà a tutti e poi insomma, lo sai che già erano tutti entusiasti quando eravamo in tour e hai raccontato un po’ che avevi in mente, mostrandoci i disegni!- disse Mikey raggiante, ci credeva più di Gerard stesso nei suoi progetti. Che fossero fumetti o canzoni, qualunque cosa lo faceva esaltare perché sosteneva che Gerard era un genio.
- Vi ho fatto vedere i disegni?- chiese Gerard spalancando gli occhi. Questa gli era nuova.
-Sì, una sera in cui non eri particolarmente sobrio.- sghignazzò Mikey prendendola alla leggera, senza fargli pesare i suoi vecchi errori.
-Oddio.- si espresse Gerard ancora visibilmente colpito.
Chissà quante cose come quella non ricordava, chissà quanti ricordi con Frank erano andati perduti per colpa dei suoi vizi di merda.
-“Oddio” cosa?- gli chiese suo fratello scacciando l’aria in un gesto che sarebbe dovuto servire a sminuire la sua preoccupazione.
-Guarda che sono piaciuti a tutti, Bob ci mancava poco e ti avrebbe sequestrato l’album!- gli raccontò ancora.
Gerard rise ed immaginò i visi dei suoi amici animati dalle smorfie di eccitazione che gli descriveva Mikey.
Poi accostò la parola eccitazione al viso di Frank e smise di pensare alla sua di espressione, tornando a concentrarsi sul discorso con suo fratello. Ne sapeva troppo delle smorfie eccitate di Frank, di qualunque tipo di eccitazione si trattasse.
-E quindi? Quali vi ho mostrato?- domandò curioso.
-Quelli dell’esercito di scheletri!- lo informò suo fratello alzando pure il tono della voce, con un gran sorriso.
- Ah, okay.- sospirò sollevato Gerard.
-Cosa credevi, cos’hai disegnato? Cosa mi nascondi?- cominciò a chiedere rapidamente.
-No, nulla. Ce n’erano alcuni che vi avrei risparmiato, meno male che non ve li ho mostrati!- continuò ad essere sollevato. Lo era, non poteva farci niente.
-Ah, ho capito di quali parli. Li abbiamo visti!- fece Mikey con un ghigno.
-Quali? Cosa? Non è vero!- controbatté confusamente.
-Io penso proprio di sì, invece!- suo fratello continuò a prenderlo in giro bonariamente, cantilenando la risposta e alzando le sopracciglia con aria saccente e derisoria.
-E allora dimmi quali?- chiese per testare la veridicità delle sue affermazioni.
-Per caso –e dico per caso- quelli dei ritratti di Frank nelle sue varie forme e misure e mise?- scoppiò poi a ridere.
Gerard avrebbe voluto sotterrarsi. Al centro di riabilitazione quei disegni erano valsi come le foto di Frank che non possedeva. Li aveva guardati in continuazione, ne aveva consumato i tratti a matita per quante volte li aveva sfiorati.
-Già, erano quelli.- disse abbattuto. Non che fosse chissà quale dramma, ma disegnare era la sua più grande passione e mostrare quelle tavole a qualcuno era come raccontargli qualcosa di sé. Se non a parole, con le immagini. Quindi si era sputtanato per bene, raccontando a tutti che non faceva altro che pensare a Frank.
-Comunque, se hai notato, era sempre vestito in modo diverso.- gli fece notare per riprendersi, -Stavo facendo delle prove per le divise che vorrei che indossassimo per questo album.- gli spiegò sicuro che sarebbe riuscito a togliersi dalla situazione imbarazzante.
-Certo!- continuò a ridere Mikey.
-Ovviamente siamo in cinque e –fatalità- tu fai prove di costumi addosso a Frank. Mi pare ovvio!- non smetteva di ridere e Gerard, ormai, stava per lasciarsi andare e far unire le sue risa a quelle di suo fratello.
Aveva ragione, aveva disegnato Frank perché, dio, ne era ossessionato.
Lo aveva disegnato anche giorni prima, dopo aver visto i suoi capelli un po’ cresciuti, aveva pensato che non aveva ricordi di lui con dei capelli tanto lunghi e aveva rimediato.
Il fatto era che Frank era un così bel soggetto da disegnare…
-Lo hai detto anche in un’intervista che Frank ha un’anatomia perfetta, che è bello disegnarlo. Hai pure chiesto all’intervistatore: “Non lo trovi adorabile?”- gli raccontò Mikey come se si fosse trovato nel bel mezzo dei suoi pensieri e gli avesse confermato che era una cosa che aveva sempre pensato.
- Quando dici certe cose su un soggetto che disegni… quel soggetto ti piace un po’ troppo!- disse ancora sorridendo. Non lo stava prendendo in giro, diceva cose vere, parlava con quel sorriso amorevole che lo contraddistingueva da tutti i sorrisi falsi che era abituato a vedersi rivolgere. Lui non lo giudicava, scherzava e basta. Forse voleva donargli un po’ di spensieratezza, anche se il soggetto del discorso era Frank.
Gerard scoppiò a ridere per quanto doveva essere sembrata buffa ed innamorata quelle domanda che aveva rivolto all’intervistatore. Aveva trovato il coraggio di chiederglielo perché non era in grado di controllarsi, ma lo pensava anche lucidamente. Frank era adorabile. E non lo era soltanto per i sentimenti che lo legavano a lui, anche la prima volta in cui l’aveva visto l’aveva pensato.
E le nottate ad arrovellarsi il cervello, riflettendo su quanta attrazione provava nei suoi confronti, erano state il campanello che avrebbe dovuto allarmarlo, eppure quando pensava a lui smetteva di crearsi problemi, almeno nella testa, e lo vedeva per ciò che era: uno splendore.
Frank era bellissimo, Frank era nato per stare su di un palcoscenico, per catalizzare l’attenzione… e poi era nato per fargli venire in mente pensieri perversi. Quante volte si era ritrovato a baciarlo quando in realtà avrebbe dovuto allontanarlo, quante volte avrebbe quasi voluto mangiarselo per la troppa voglia che aveva di lui. Frank non gli bastava mai e, da quella volta in cui lui era andato via e tornato con quella puttana che non osava nemmeno nominare, non aveva mai smesso di insultarsi e maledirsi perché lui ed i suoi errori avevano fatto sì che lei esistesse nella vita di Frank. Era stata colpa sua, colpa sua come per altri miliardi di motivi.
-Frank è adorabile.- confessò a Mikey con un sorriso.
-Frank è solo un ragazzo normale, tu lo ami e lo vedi perfetto.- gli disse con sicurezza e naturalezza.
Gerard sgranò gli occhi. Era troppo doverlo pensare e sentirselo pure dire. Era come avere la conferma verbale che Babbo Natale non fosse mai esistito. Un trauma.
-Io non lo amo. Io… Mikey… colgo quest’occasione per chiederti aiuto. Lo so che sei suo amico, lo so che vorresti vederlo felice, ma io non sono la sua felicità. Sono tuo fratello quindi cerca di tenerlo a mente e aiutarmi a farglielo capire. Lui può essere felice con quella, vero?- gli spiegò e poi chiese conferma.
-La chiami “quella”, hai un’alta considerazione di lei. Eppure dovrebbe essere la persona che donerà la felicità al tuo amato Frankie.- gli fece notare con calma, - Tu la odi, non lo pensi che saranno felici. Tu vuoi che siano felici ed è ben diverso.- mise in chiaro con serietà.
Gerard scattò impercettibilmente, forse non scattò affatto, ma dentro sé sentì una vampata incendiaria di gelosia, rabbia e tutto il resto invaderlo.
-Certo che la odio, cazzo. Certo che la odio,Mik. Lei può avere quello che io non avrò mai, lei è giusta, lei è normale, lei va bene.- quasi gridò mentre ringhiava amaramente l’ultima frase e sentiva gli occhi in procinto di annegare tra le lacrime.
-Lei non va bene, Gee. Lei non va bene affatto, altrimenti Frank già starebbe con lei da un pezzo, non credi?- gli domandò addolcendo il tono e accarezzandogli in modo rassicurante il braccio.
Gerard lo guardò confuso.
-Come sarebbe a dire che starebbe con lei già da un pezzo? Loro stanno già insieme!- gli spiegò sentendosi stupido nel dire un’ovvietà del genere.
Mikey lo guardò sobbalzando e poi scosse la testa.
-Non stanno insieme. Jamia è sempre con lui, è vero, ma perché Frank non ha le palle di allontanarla definitivamente, ma non vuole stare con lei, non l’ha mai voluto.- disse, e Gerard gli lesse negli occhi la frase che non aveva detto, “lui vuole te”.
Ingoiò il groppo che sentiva in gola e che lo stava facendo respirare a fatica.
Gerard questo non lo aveva capito. E sì che Frank glielo aveva pure detto. Aveva creduto che fossero le frasi false con cui trarlo a sé senza farlo sentire in colpa per il fatto di mettersi tra due persone che stavano insieme. Per Gerard era quasi scontato vederlo con lei, lei c’era sempre. Lei lo adorava, stravedeva per lui, si notava. Frank le aveva sorriso in quel suo modo sincero e trasparente, l’altra sera. Gerard non riusciva a capacitarsene.
Ma forse dipendeva dal fatto che Frank era diverso da lui, che Frank non sorrideva mai quando non ne aveva voglia e se lo faceva era perché lo sentiva davvero. Non era come lui che nascondeva le proprie emozioni anche con se stesso, erano diversi. E forse era proprio questa diversità che li avrebbe tenuti lontani e legati. Si attraevano, ma non potevano realmente passare la vita insieme, due calamite hanno sempre qualcos’altro frapposto tra di loro, che sia un foglio o un intero oggetto. Sono poche quelle calamite che se ne stanno attaccate al loro magnete per sempre e senza nulla di mezzo, e succede perché sono belle calamite, di quelle significative e giuste, quelle che è un piacere vedere attaccate lì per sempre.
Gerard non lo era, lui non era bello, non era un piacere avere a che fare con lui per sempre.
-Non lo immaginavo.- rispose a scoppio ritardato.
-Infatti… perché tu immagini, non sai!- gli fece notare suo fratello e -cazzo- se era vero.
Avrebbe dovuto smetterla di pensare e credere ai suoi stessi pensieri. Non lo avrebbe portato mai da nessuna parte.
Gerard non ebbe più il coraggio di dire nulla, Mikey lasciò cadere il discorso, convinto che forse, per quel giorno, aveva sconvolto Gerard già abbastanza.
 
 
Il giorno dopo era giovedì e Gerard aveva pregato Mikey di chiamare gli altri per vedersi quel pomeriggio.
Aveva preso il coraggio a due mani e stava radunando tutti i fogli con le canzoni che aveva scritto e i disegni che ne erano strettamente connessi, così, se qualcosa non fosse stata chiara, le immagini avrebbero parlato grazie a linee o colori, anche se i colori, come al solito, erano pochi.
Era agitato, lo era sempre quando doveva esporsi, ma la sua band non era formata da gente qualunque, erano prima di tutto amici e quindi, in un certo senso, riusciva a tranquillizzarsi in fretta ogni voltache il suo cervello tentava di far scattare l’allerta di intrusione sconosciuta nella sua sfera personale.
Si incontrarono a casa di Ray, nel garage che avevano usato a volte agli inizi per provare e fare cover.
Aveva sperato di non arrivare per ultimo, ma, come al solito, le sue speranze erano sempre vane, così era entrato nella stanza quando erano già tutti seduti e non aveva potuto guardare indisturbato Frank muoversi e parlare, nemmeno per un secondo. Lo guardò con la coda dell’occhio per un attimo, mentre ascoltava la sua voce che si fondeva con quella di Mikey in qualche discorso.
Come al solito non si era soffermato sul discorso, ma aveva ascoltato quella voce come fosse un pezzo strumentale di qualche canzone che amava tanto, così, quando suo fratello lo coinvolse nel discorso con un “vero Gee?” non seppe cosa rispondere e lo guardò un po’ perso e stralunato.
Per fortuna che Mikey lo conosceva e così ripeté la domanda e basta.
-Dicevo che hai portato i disegni e i testi.- gli fece presente.
-Sì… sì, li ho portati.- disse insicuro, indeciso fino all’ultimo.
-Dio, non vedo l’ora di suonare qualcosa di nuovo.- fece Frank in preda all’esaltazione; non era per Gerard, Frank amava essere un musicista e suonare, amava comporre ed eseguire ciò che gli frullava per la testa. Frank era uno splendido spirito libero. Un magnifico artista.
Forse Gerard si perse un po’ troppo a guardarlo e a notare le dita tatuate che tenevano la lattina di coca-cola e la portavano alle labbra. Forse si concentrò un po’ troppo su quegli occhi lucenti, su quella pelle liscia e quel ciuffo ribelle di capelli che si arricciava sulle punte.
Frank incontrò il suo sguardo e Gerard lo distolse in fretta.
Tirò fuori il materiale che aveva portato prima di ripensarci per l’ennesima volta. Aveva tolto gli innumerevoli disegni di Frank dall’album e aveva lasciato solo quelli pertinenti alle idee per il nuovo disco.
Posò tutto sul tavolo.
-Ecco, questo è tutto quello che ho.- disse per poi guardare, ad una ad una, le facce dei suoi amici, forzando la sua volontà a non soffermare la sua attenzione su Frank.
Si alzarono e andarono intorno al tavolo, Mikey compreso, come se non avesse già visto tutto.
Ray gli disse che aveva qualcosa anche lui e sentì Frank dire lo stesso.
Ora era di schiena, così, anche se non avrebbe potuto ammirare gli occhi cangianti o le labbra rosee e invitanti, lo guardò lo stesso e studiò la sua schiena e il sedere, che non poteva mai ammirare a causa della sua ostinazione a portare solo jeans larghi, gli guardò le gambe, tornò su e si soffermò sulle spalle, si concentrò sul centro, come se facendolo avesse potuto far smaterializzare la maglia e portarsi davanti agli occhi il tatuaggio. Il loro tatuaggio.
-Terra chiama Gerard, terra chiama Gerard.- sentì dire da Ray per poi scoppiare a ridere.
Voltò lo sguardo verso Ray, ma era su un altro mondo, uno di quelli paralleli in cui avrebbe adorato vivere, dove stare con Frank sarebbe stata la cosa più giusta del mondo. Quel mondo dove non esistevano i giudizi altrui e Gerard si comportava bene, perché aveva il potere di tornare indietro nel tempo e cambiare le cose, quando si accorgeva che non erano state perfette. Lì c’era sempre la seconda possibilità, nella realtà mai.
-Sì, dimmi!- rispose sorridendo cercando di concentrarsi. Era un’impresa, per Gerard, restare concentrato.
-Dicevo che hai un sacco di materiale, che le idee di cui ci avevi parlato tempo fa le stai portando avanti alla grande!- si complimentò con lui e Gerard fece uno di quei suoi sorrisi storti ed imbarazzati.
-Beh, sì…diciamo che ho avuto un bel po’ di tempo per pensare.- spiegò scompigliandosi i capelli e ridendo sommessamente, riferendosi ai suoi tre mesi di esilio.
Ray gli si avvicinò con un gran sorriso e lo abbracciò istintivamente, come se fosse proprio quello di cui aveva bisogno. Posò la testa sulla sua spalla ed iniziò a parlare.
-Gee, ecco… io volevo dirti che sono fiero di te!- gli confidò con la voce un po’ emozionata, -Lo siamo tutti, sei stato grande, sei stato forte e spero che da oggi in poi ci siano solo cose belle nella tua vita, perché te lo meriti.- continuò a dirgli a bassa voce accanto all’orecchio, -E le tue idee sono fantastiche, come al solito. Ti voglio bene.- terminò il suo discorso solitario battendogli pacche amichevoli sulla spalla.
Ray era davvero un ragazzo fantastico. Un amico insostituibile, come lo era Bob.
Ovvio che poi per Mikey e Frank ci fosse un posto a parte, nel suo cuore. Uno era suo fratello, l’altro beh…era Frank, era tanto, troppo, era una parte della sua vita a cui forse non sarebbe mai stato in grado di dare un nome, ma era meravigliosamente lui e, anche se non aveva un nome in cui racchiudere ciò che rappresentava per lui, si rendeva conto che era diverso dall’affetto che provava verso i propri amici, anche quelli più stretti.
Mikey era semplicemente un discorso a parte, era la sua famiglia, la sua casa, il suo compagno di viaggio, il suo compagno di vita e per la vita.
Ricambiò la stretta sentendosi soddisfatto di quello che suscitava in Ray ciò che aveva fatto e il suo impegno per tornare a stare bene. Si sentì orgoglioso di se stesso ed erano quei momenti, grazie a quelle parole, che Gerard riusciva ad accorgersi che aveva le persone giuste accanto.
-Ehi, cosa sono tutte queste smancerie?!- saltò su Bob sorridendo giocoso.
Scoppiarono tutti a ridere.
-Eh,sai, l’amore…- ammiccò Ray con fare fintamente serio.
-Ops!- fece poi schioccando le dita.
-Frank, dovremo battercela, il fascino di Gerard è irresistibile!- scherzò tornando a ridere di nuovo.
Gerard, col sorriso stampato sulle labbra, rivolse la propria attenzione su Frank, cercando di cogliere cosa stesse pensando. Cercando di capire se gliene importava qualcosa.
Ma Frank non li stava ascoltando, aveva un disegno in mano e lo guardava assorto e un po’ preoccupato, come se sopra ci avesse trovato descritta la rivelazione dell’intera vita.
Alzò gli occhi dal foglio ancora perso nei suoi pensieri. Li guardò confuso.
-Cosa?- fece facendo saettare lo sguardo da un viso all’altro. Si soffermò negli occhi di Gerard e Gerard cercò di reggere, tentò di essere forte e sostenere i suoi occhi. In fondo avrebbero dovuto passare la loro vita insieme, per via della band, doveva abituarsi a scontrarsi con quegli occhi senza rimanere senza fiato.
-Niente, Frank! Studiati i disegni, tu, mentre ti rubano il tuo frontman proprio sotto al tuo naso!- lo prese in giro Mikey e non usò la parola “frontman” a caso. Lui era al corrente di tutto e non voleva creare imbarazzi, non più di quanti già non ce ne fossero.
-Oh…- sospirò il chitarrista. Restò con le labbra socchiuse e in quel momento Gerard immaginò ardentemente una scena del tipo: uno schiocco di dita che avrebbe bloccato il tempo, lui che ribaltava il tavolo e tutto ciò che vi era sopra e raggiungeva quelle labbra. Baciava quella bocca che sembrava essere fatta su misura per la forma delle sue labbra. Ecco cosa accadeva nella sua testa quando non era nella realtà. Creava scene posticce per essere felice e sentirsi appagato, almeno nei pensieri.
Ovviamente non fece niente di tutto ciò e nel frattempo Frank aveva anche risposto qualcosa e lui non aveva ascoltato. Stupido sognatore che non era altro.
Comunque, vide Mikey voltarsi verso di lui e Gerard lo guardò senza saper interpretare la smorfia un po’ imbarazzata di Mikey. Forse Frank aveva detto qualcosa di brutto, forse aveva fatto qualche battutina, si stava odiando per non aver prestato attenzione.
-Vabbè, anche tu hai Jamia…- sentì dire da Ray.
Frank si voltò a guardarlo in modo duro.
-Lo volete capire o no che non ho un cazzo di nessuno, eh? Che non sto con Jamia e mai ci starò?- quasi gridò quelle domande retoriche.
Gerard ripensò al discorso fatto appena poche ore  prima con Mikey. Si soffermò a riflettere sulla risposta di Ray ed immaginò che Frank aveva dovuto fare qualche allusione al fantomatico “altro” di cui gli aveva parlato. Certamente non poteva saperne nulla riguardo al fatto che mentre parlava con Mikey, dopo lo svenimento fuori dal pub, avesse sentito tutto e sapesse che Frank era al corrente della sua bugia. Forse aveva usato quella storia per ritorcergliela contro, per farlo sentire in colpa, per avercela apparentemente con lui per quel motivo, quando invece lo odiava per ben altre ragioni.
Era un ragionamento contorto, ma non avrebbe saputo cos’altro pensare.
-Ehi, dai, non arrabbiarti, stavo scherzando!- lo tranquillizzò Ray, -Tu hai detto che Gerard aveva già affascinato un altro e io volevo consolarti ricordandoti chi hai vicino.- gli spiegò con tranquillità. Ray ci teneva molto a Frank. Così come ci tenevano tutti. Così come tutti tenevano a tutti.
Non ascoltava mai un cazzo, si perdeva interi discorsi, a volte, ma evidentemente aveva una certa dote nell’ipotizzare cosa potesse essere successo. Aveva pensato giusto, Frank lo aveva voluto ferire, in qualche modo e Ray aveva semplicemente detto la cosa sbagliata al momento sbagliato.
Certe circostanze capitano.
-Va bene.- tagliò corto Frank con fare rabbioso, -Siamo venuti qui per scambiarci le idee ed iniziare a concepire il nuovo album. Ecco, facciamolo!- disse forzando un sorriso. Ray fece un segno di assenso sorridendo a sua volta: solo Gerard, evidentemente, riusciva a riconoscere i sorrisi falsi di Frank.
 
Provarono parti di chitarra e basso, Gerard lesse alcuni passaggi scritti di alcune canzoni e cercò di spiegare al meglio l’idea della parata e la storia del paziente. Non era tra gli argomenti più allegri su cui basare un album, ma ne furono tutti entusiasti, sia perché era un argomento di cui nessuno osava parlare –e loro sembravano nati apposta per trattare temi poco blasonati-, sia perché era uno di quei temi in cui si poteva spaziare molto, sia in versi che in musicalità. Sarebbe stato qualcosa di libero e liberatorio. Un album in cui sfogare tutto.
Frank sembrava aver ritrovato la calma: dopo quel veloce scambio di battute un po’ troppo caldo, aveva suonato, aveva esposto le sue idee, espresso le sue impressioni. Ray aveva tirato fuori dei fogli con delle parti di chitarra che Bob e Mikey avevano provato ad accompagnare con la batteria e il basso.
Insomma, era stata una bella sessione di gruppo, uno di quegli incontri armonici tra i componenti di una band.
-Ah, poi volevo dirvi delle divise. Sono tipo…- iniziò a cercare tra i fogli sparsi sul tavolo e ne recuperò uno su cui c’erano raffigurati degli scheletri che marciavano, -Queste!- esultò poi, alzando il foglio dal tavolo.
-Oh, queste le conoscevamo già, sappiamo pure le versioni che avevi ipotizzato!- fece Bob con un sorrisone.
Gerard sorrise e lo guardò senza capire. Poi ci ripensò e stava per controbattere, quando Ray si intromise.
-Gee, sì, abbiamo visto gli innumerevoli disegni delle prove delle divise!- disse cantilenando e poi sghignazzò.
Gerard sarebbe arrossito per ciò che aveva lasciato intendere, ma l’imbarazzo, quello vero, doveva ancora provarlo.
-Altroché se li abbiamo visti!- precisò Bob sorridendo sghembo anche lui.
Mikey alzò le mani in segno di discolpa.
-Te l’avevo detto, Gee.- si difese ricordandogli di quel che gli aveva raccontato.
-Frank con la giacca corta, Frank con la giacca lunga, Frank con tutti i bottoni chiusi, Frank con la giacca mezza sbottonata. Sì, sì, ci è sembrato tutto molto chiaro!- elencò Bob facendo ridere tutti.
Suo malgrado rise anche Gerard, doveva essere stato divertente, per loro, vedere quei disegni tutti incentrati su Frank. Spostò l’attenzione su Frank e lo vide guardare la scena con un sorriso imbarazzato.
-Vabbè, mi serviva uno di noi come modello!- ritentò ancora con quella scusa.
I suoi amici si guardarono vicendevolmente prima di scambiarsi quelle occhiate pregne di intesa.
-Frank non è adorabile?- domandarono in coro tutti e tre, imitando quella frase detta da Gerard nell’intervista, scoppiando a ridere subito dopo.
Gerard avrebbe quasi voluto sprofondare o essere invisibile, in caso, ma non era un mago, un supereroe, e nemmeno un illusionista. Era semplicemente un ragazzo imbarazzato da morire che restò dov’era, cercando di non arrossire troppo, mentre i suoi amici lo prendevano in giro allegramente.
Frank non disse nulla, aveva un piccolo sorriso indecifrabile sul viso e guardava verso il basso, poi alzò di poco gli occhi, guardando Gerard da sotto le ciglia e lì, in quel momento, partì il batticuore.
Dio, quanto gli piaceva… quanto avrebbe voluto che fosse tutto semplice.
Le risate scemarono pian piano e ognuno di loro continuò a confrontarsi con gli altri per idee o consigli, Frank continuò a passarsi tra le mani tutti i disegni che Gerard aveva portato con sé e disposto sul tavolo.
C’era qualcosa che lo incuriosiva, qualche immagine che catturava la sua attenzione. Lo vide sistemare ogni foglio sul tavolo, per poi prenderne uno e cambiargli posizione, più volte. Sembrava come se li stesse disponendo con un filo logico, come se, in effetti, avessero un filo logico, o cronologico.
Gerard non gliene aveva mai dato uno. Disegnava quello che aveva in mente, a volte i disegni avevano a che fare l’uno con l’altro, a volte no. Poteva capitare che il tema fosse lo stesso, soprattutto per quelli che riguardavano l’idea per il nuovo album, ma in generale non avevano mai a che fare l’uno con l’altro, o almeno così gli sembrava. A volte era capitato che se n’accorgesse dopo, riguardandoli dopo un po’ di tempo, sfogliando l’album casualmente, osservando le immagini raccontare una storia precisa, una parte della sua storia.
Lo vide far scorrere lo sguardo sui fogli dei testi, e poi avvicinarli a dei fogli dell’album da disegno. Notò la sua fronte corrugata, il suo viso dipinto in espressioni curiose e preoccupate.
Forse Frank stava interpretando qualcosa, forse, a differenza sua, stava capendo la storia che tutto quel materiale raccontava. In fondo, era capitato già altre volte che si accorgesse prima ancora di Gerard di qualche ragionamento contenuto in una canzone o in un disegno. Era un ragazzo intelligente, Frank.
E bellissimo.
Vide il suo sguardo rabbuiarsi, i suoi occhi scattare da sopra ai fogli verso l’ambiente circostante, verso nessuno in particolare. Posò tutto sul tavolo e si passò le mani tra i capelli in modo agitato. Gerard si agitò di conseguenza.
Spalancò gli occhi senza sapersi dare spiegazioni e, lentamente, sentì una forza attrarlo verso il tavolo, lì dove c’era anche Frank, in piedi, perso nei suoi pensieri tormentati.
Quando si avvicinò notò come i disegni seguissero azioni precise, insomma, le conosceva bene, le aveva pensate e poi rese in delle illustrazioni, ma Frank le aveva disposte in un ordine strano, sembrava che, messi in quel modo, raccontassero davvero qualcosa, una parata nera formata da scheletri e persone, un orologio che tiene il tempo in modo quasi angosciante, come se, chiunque lo tenesse d’occhio, lo facesse sperando di essere abbastanza fortunato da poterlo guardare di nuovo il giorno successivo.
Le espressioni dei visi delle persone dei primi disegni erano fiere, quasi orgogliose ed eccitate per la marcia che stavano per intraprendere, come quando un aspirante soldato guarda con occhi speranzosi il fronte in cui sarà portato a combattere. Poi quei visi iniziavano a cambiare, a deformarsi e a piegarsi in pose dolorose, sofferenti, come quelle dell’ipotetico soldato, che dopo aver guardato e scoperto cos’era la guerra, sentiva lentamente sfumare dal proprio petto la speranza iniziale.
Ogni persona che era partita da quella marcia mutava, nei disegni seguenti l’esercito di schelettri aumentava, mentre quello delle persone continuava a diminuire, accrescendo numericamente l’esercito di scheletri. Stavano morendo, pensò Gerard.
Due individui, a capo della fila, si guardavano indietro e si lasciavano la mano. Uno dei due guardava l’altro e lo spingeva via, l’espressione risoluta e decisa.
Nell’ultimo disegno, restava solo un uomo, indietro rispetto alla parata che lo aveva sorpassato e continuava inesorabile. L’ultimo sopravvissuto ad una guerra distruttiva, ad una sequenza di situazioni che avrebbero dovuto far presagire tutto, fin dall’inizio.
Gerard si ritrovò a boccheggiare perso in una storia che la sua testa aveva creato dettagliatamente guardando quelle illustrazioni messe in fila. Era sicuro che l’ordine con il quale le aveva create non fosse certo quello, ricordava addirittura che quello che Frank aveva disposto per ultimo era stato, invece, il primo.
Forse, era come la lettera a se stesso che aveva scritto al centro riabilitativo, tutto partiva dalla fine, tutto quello che creava avrebbe avuto una fine, sarebbe stato bello ed infine lo avrebbe distrutto.
Era così che funzionava.
Gerard portò la propria attenzione sul viso di Frank, era visibilmente shockato, sorpreso, colpito.
-Che c’è?- gli domandò senza sapersi trattenere.
Frank fece scorrere gli occhi con le iridi cerchiate di nero su di lui e lo squadrò come se lo stesse guardando per la prima volta.
-C’è che me lo stai facendo capire in tutti i modi.- gli rispose in modo enigmatico. A Gerard sfuggiva il senso di quella frase.
-Che vuol dire?- domandò quindi, il tempo e lo spazio non esistevano più. C’era solo Frank e il suo modo di fare disperato.
-Forse dovresti spiegarmelo tu.- controbatté senza staccargli gli occhi di dosso.
-Non so cosa credi di aver capito, sono solo idee per la parata nera di cui parleremo nell’album.- disse senza entrare nei dettagli.
-C’è anche altro e lo sai.- rispose Frank al volo ed iniziò a stropicciarsi una mano con l’altra.
-Non c’è altro.- confermò anche se non lo sapeva.
-Vuoi stare solo.- si espresse Frank e da cosa lo avesse capito Gerard non ne aveva idea.
-Non mi ami più come ieri.- sussurrò abbassando lo sguardo.
Gerard sussultò. Non erano rivolte a Frank quelle parole, al limite avrebbe sperato di sentirsele dire da lui. Lui non doveva amarlo più.
-Non è come credi.- disse rendendosi conto di aver pronunciato quella classica scusa che si usa quando invece è proprio così, come l’altro crede.
-Certo.- sbuffò il chitarrista.
- Frank... - disse istintivamente.
Io ti amo. Ecco cosa avrebbe voluto dire. Ma fu abbastanza forte e non se lo fece scappare.
-Io ti odio.- gli disse Frank.
Gerard sentì scricchiolare qualcosa nel suo petto, come un pezzo di ghiaccio che si stacca dal suo iceberg. Come un piccolo granello di neve che inizia a rotolare e ha forti potenzialità di coinvolgere la neve su cui si muove, l’inizio di una valanga, quella da cui Gerard prevedeva di essere trascinato.
Gerard restò impalato a guardarlo, forse la sua espressione esprimeva tutta la sofferenza che stava provando, forse, invece, era diventato abbastanza bravo da riuscire a contenere i pensieri e i sentimenti solo dentro di sé, senza lasciar trasparire nulla fuori, senza che nessuno potesse accorgersi di quello che realmente stava succedendo nella propria testa.
Questo era il primo dei suoi obiettivi, essere forte o almeno sembrare tale. E dallo sguardo di disprezzo che Frank gli rivolgeva, forse, stava riuscendo nel suo intento.
-Ragazzi, io me ne vado.- fece con un moto di rabbia, raccogliendo le sue cose, senza rivolgersi a nessuno in particolare. Teneva la testa bassa e Gerard immaginò, che al contrario di quello che succedeva a lui, Frank non era in grado di trattenere dentro sé ciò che provava.
-Hai da fare, Frank?- chiese Mikey in modo affabile.
-Sì, no. Cioè…- si ingarbugliò con le sue stesse parole.
-Tanto sono ore che siamo qui, abbiamo parlato, più o meno, di tutto. Posso andare.- gli spiegò nervosamente, le mani che sferzavano l’aria in movimenti agitati, il viso arrossato, gli occhi fin troppo lucidi.
-Sì, beh… okay- acconsentì Mikey, guardando il suo amico un po’ sospettosamente e sospirando preoccupato. Fece saettare rapidamente il suo sguardo sulla figura di Gerard e poi tornò di nuovo a rivolgerla a Frank.
-Senti, allora ci vediamo domani, okay? Così iniziamo a buttare giù qualcosa di più definitivo. Ti mando un messaggio più tardi con l’orario.- gli spiegò i programmi che gli altri avevano fatto mentre loro due si dicevano bugie a vicenda.
-Va bene.- tagliò corto il chitarrista.
-Ciao ragazzi.- salutò muovendosi velocemente verso l’uscita, senza nemmeno aspettare che gli rispondessero.
-Ciao Frank.- risposero tutti.
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata intensa prima di voltarsi, di quelle occhiate profonde, quelle che ti fulminerebbero, ti farebbero sul serio male, se ne avessero la capacità.
Gerard aveva sperato che a Frank sarebbe passata in fretta, che sarebbero tornati presto amici, invece, dati i fatti, l’odio di Frank aumentava ogni giorno di più, quel travagliato periodo di sofferenza e lontananza sarebbe durato più del previsto.
Gerard doveva solo cercare di essere forte.
Trattenne l’impulso di seguirlo, di inseguirlo. Avrebbe tanto voluto poterlo abbracciare, senza fare nient’altro, senza dirgli che lo amava e che era la persona di cui più gli importava al mondo.
In quel momento si sarebbe accontentato di essergli amico, di poter parlare e scherzare con lui, di poterlo stringere a volte, quando ne aveva voglia, esattamente come faceva con gli altri.
In fondo, tutti sapevano quanto aveva bisogno di contatto umano, tutti loro ne avevano bisogno, tutti avevano quei gesti di slancio di cui non riuscivano a fare a meno. Frank per primo.
E ciò che temeva era che non sarebbe più tornata quell’abitudine, che sarebbe rimasta solo un lontano e bellissimo ricordo e che Gerard sarebbe rimasto per sempre tagliato fuori dagli abbracci di Frank.
Aveva paura che l’unico rapporto che aveva avuto con Frank, e che non aveva più, fosse stato l’unico che li aveva tenuti uniti e sarebbe stato sempre l’unico con il quale quei gesti sarebbero stati naturali. Frank non lo avrebbe mai voluto come amico.
Si alzò dalla sedia dove aveva preso posto appena qualche secondo prima e mosse dei passi verso la porta senza pensare, senza dire niente, senza sapere nemmeno lui stesso cosa stava per fare.
Allungò il passo frettolosamente, poi quasi iniziò a correre. Erano trascorsi due minuti, sì e no, Frank doveva essere ancora lì nei paraggi. E Gerard voleva abbracciarlo. Ora, subito, non c’era tempo.
Capitava molto spesso che provasse quelle voglie impossibili da zittire e tenere a bada.
Nella mente di Gerard spesso si succedevano scene immaginarie in cui non avrebbe avuto una seconda possibilità. E non che fossero vere, non che sarebbe accaduto davvero qualcosa che gli avrebbe impedito di farlo in un altro momento, ma percepiva quello strano mix di troppe emozioni insieme, quelle sensazioni che non riusciva a gestire, che lo risucchiavano e lo facevano boccheggiare in preda a battiti cardiaci troppo veloci. Doveva farlo e basta, qualunque cosa fosse.
Così non avrebbe mai avuto rimpianti, ne aveva fin troppi.
Affannato si guardò intorno, vide Frank, di spalle, camminare verso la fine della strada. Era stato fortunato, era a piedi, non era andato molto lontano.
Avrebbe quasi voluto urlare il suo nome, gridare ed attirare la sua attenzione, ma non disse nulla e camminò verso la sua figura. Si stagliava controluce nel bagliore aranciato della luce del tramonto, si muoveva stancamente con le mani affondate nelle tasche e con la schiena curva, come se non valesse la pena di affrontare il mondo a testa alta.
-Frank.- sussurrò arrivato alle sue spalle. Allungò una mano sulla sua spalla, gli veniva quasi da piangere.
Si voltò a guardarlo e la sua espressione era qualcosa di indescrivibile. La tristezza che fino a pochi attimi prima dipingeva il suo volto venne spazzata via da una smorfia stupita, incredula, incuriosita, forse un po’ sofferente, gli occhi che vagavano sui lineamenti del viso di Gerard in cerca di una spiegazione alla sua presenza lì. Poi, l’espressione smarrita ben presto mutò in una rabbiosa, il principio di un’esplosione di nervi.
Gerard non voleva vederla. Chiuse gli occhi e sospirò prima di buttargli le braccia al collo e stringerlo, affondando la testa nel suo collo e respirando forte, a pieni polmoni, quell’odore che era come avere la certezza di essere a casa, al posto giusto, sempre e comunque.
Frank restò fermo, immobile nella posizione di chi è rimasto spiazzato.
-Ti voglio bene.- sospirò Gerard appena sotto l’orecchio del suo chitarrista. E lo strinse più forte.
Sentì il respiro trattenuto da Frank venire rilasciato in un sospiro calibrato. Uno sbuffo d’aria che svuotava i suoi polmoni cercando di trascinare con sé anche un po’ di tensione.
Gerard, troppo preso a tentare di respirare regolarmente, senza svenire ai piedi di Frank, non si curò delle braccia del suo chitarrista che erano rimaste inermi lungo i fianchi.
A volte, certi gesti vanno subiti, anche se fa piacere riceverli. Gerard pensò questo, non volle credere all’ipotesi che lui non avesse voglia di ricambiare.
Poi, le mosse, quelle braccia e le usò per inframmezzarle i loro petti uniti.
-Gee…- iniziò debolmente.
-Gerard.- lo chiamò con più convinzione.
-Togliti.- gli disse spingendolo delicatamente.
Gerard lo lasciò andare, quella parola era brutta, era un invito poco cortese volto a porre fine ad un gesto indesiderato. Ma forse aveva intenzione di dirgli qualcosa guardandolo negli occhi, magari non aveva badato al vocabolo che aveva usato.
Si allontanò di poco, lasciando le braccia rilassate lungo i fianchi. Aveva il fiatone ed era impaziente.
-Mi dici che vuoi? Che vuoi da me?- domandò Frank alzando la voce e allargando le braccia verso il cielo.
-Io…- provò a spiegare, ma era un po’ difficile ammettere di avere paura di non poter avere una seconda possibilità. Era una spiegazione folle e senza ragione d’esistere, sarebbe stata l’ennesima prova della sua instabilità mentale e del fatto che dava troppo credito ai pensieri che il suo cervello gli proponeva come ipotesi realistiche.
-Io… Frank, io ho bisogno di te.- glielo disse così, senza troppi giri di parole. Lo voleva davvero.
Si rese conto che forse suonava un po’ troppo come una frase sdolcinata, come una piccola dichiarazione d’amore, di un sentimento a cui non riusciva a fare a meno di smettere di pensare. Forse sarebbe potuta apparire una richiesta disperata. Era ciò che sentiva, era vero, ma non poteva esporsi in quei termini, non poteva dirgli certe cose, lasciando che fraintendesse.
-Vorrei tornare ad essere tuo amico.- si sentì di precisare. Era un enorme falsità, però era per il bene di Frank, così la disse.
Frank lasciò scorrere lo sguardo sul viso teso di Gerard, sembrò studiarlo mentre respirava visibilmente affannato. Poi serrò la mascella, Gerard vide i suoi muscoli facciali contrarsi, gli occhi assottigliarsi.
-Non siamo mai stai amici.- disse Frank con convinzione. Si notava che stava cercando di mantenere la calma.
-Mai!- gridò non riuscendo a controllarsi pienamente.
-Non è vero.- controbatté Gerard.
-Lo siamo stati ed eravamo felici.- provò a spiegare, ma Frank riprese subito la parola, proprio come se non avesse aspettato altro che una dichiarazione del genere per dare il via libera alla rabbia che stava cercando di tenere a bada.
-Già, hai detto bene, eravamo felici. Prima che tu decidessi di sconvolgermi la vita, prima che tu decidessi che sarei diventato un burattino nelle tue mani, quello da prendere e lasciare a tuo piacimento, quello a cui dichiararti per poi rimangiarti tutto. Già, eravamo felici. Pensaci la prossima volta prima di rovinare la vita alle persone, facendole innamorare di te.- sputò tutto con rabbia, la gola in fiamme, gli occhi lucidi.
Gerard si sentiva morire, il solito batticuore gli faceva vorticare il mondo che aveva intorno, il respiro era corto, i polmoni faticavano ad espandersi non permettendogli di compiere una respirazione regolare. Il solito attacco di panico lo stava per cogliere, praticamente, ma Gerard aveva imparato, più o meno, a gestirli, e poi doveva essere forte. Doveva fingere che stesse andando tutto bene e, anche se sarebbe stato più comodo lasciarsi andare al malessere e svenire, voleva prendersi tutte le responsabilità delle sue azioni, voleva affrontare la realtà ed i suoi errori, quella era l’ora di dimostrare quanto valeva.
-Lo sai che non è andata così.- disse con fatica, sussurrando.
-E invece sì. Io non c’avevo mai pensato a te in quel senso, ho iniziato a farlo quando tu mi hai baciato la prima volta, quando hai continuato a farlo mentre eri ubriaco- sorrise sarcastico, lasciando intendere che sapeva che non corrispondeva esattamente alla realtà.
-Quando hai cominciato a farmi sentire importante grazie a tutte le cose che mi dicevi (e che smentivi, puntualmente, il giorno dopo), quando mi hai detto chiaramente che mi amavi, quando evidentemente non era così, ero solo uno stupido ragazzo qualunque a cui credevi di tenere, in un momento in cui non capivi un cazzo perché eri perso in te stesso.- continuò ad imperversare iroso.
-Sì, Gerard, se tutto questo non fosse accaduto saremmo amici senza problemi.- gli spiegò con gli occhi gonfi di lacrime trattenute per orgoglio.
Gerard lo guardò confusamente, cercando di trovare un appiglio a suo favore in tutta quella storia che aveva raccontato Frank, cercando di ricordare se le cose erano andate proprio così.
E, in effetti, erano andate proprio così.
Era stato lui ad avvicinarsi pericolosamente a Frank, lui non aveva avuto la forza per smettere di immaginare baci profondi e appaganti con lui e lo aveva assalito, mentre tenevano uno dei primi concerti, facendo finalmente scontrare le loro labbra in un contatto che aveva desiderato per mesi. Lui lo aveva coinvolto in quel turbinio di gesti folli e non ragionati, lui lo aveva fatto cadere nel baratro della sua pessima personalità e nei suoi innumerevoli problemi. E Frank non aveva fatto altro che seguirlo ed assecondarlo. Forse anche lui aveva avuto certi desideri, ma era un ragazzo più forte ed equilibrato rispetto a Gerard ed era riuscito a trattenersi. Ed una volta trovatosi nella situazione, nel bel mezzo della loro travagliata storia, aveva adoperato tutte quelle forze che lo contraddistinguevano per aiutarlo e per farlo sentire amato. Aveva usato tutte le sue energie per spiegargli in cosa stava sbagliando, tutto il suo amore per convincerlo a rivalutare stili di vita ed abitudini che lo stavano distruggendo.
Si rese conto che Frank non aveva affatto torto e che, come al solito, la colpa era stata sua.
L’unica cosa a disturbarlo era l’ultima parte delle considerazioni di Frank: lui non era uno stupido ragazzo qualunque a cui credeva di tenere, Gerard ci teneva sul serio, ci teneva perfino ora, mentre lo accusava di un rapporto che avevano costruito insieme. Questo voleva dirglielo.
- Okay, ho sbagliato.- ammise.
-Ho commesso un errore.- aggiunse, annuendo senza interrompere il contatto visivo tra loro.
-Ma ci tengo veramente a te.- concluse.
E poi venne di nuovo travolto da quella voglia, quella che, a suo tempo, aveva tenuto le redini mentre si avvicinava a Frank guidato solo dall’istinto e dalla disinibizione. Gerard aveva creduto davvero di averlo fatto solo perché in quel periodo beveva molto e non riusciva a controllare esattamente le sue azioni; ripensandoci, si era quasi convinto che, se non avesse avuto problemi con dipendenze gravi, sarebbe riuscito a rimanere al suo posto e a lasciare in pace Frank, ad essergli solo amico.
Tutte balle.
Lucidamente era ancora più forte, quella voglia.
Forse Frank stava per replicare, o forse aveva già iniziato quando Gerard gli prese il volto tra le mani.
Era uno di quei gesti che non si sarebbe potuto interpretare in un altro modo se non in un imminente bacio. Uno di quei baci sentiti, quelli desiderati e voluti ardentemente, ma non avrebbe potuto.
Gli occhi di Frank, sorpresi ed interrogativi, saettavano sul suo viso, nei suoi occhi, in cerca di spiegazioni e forse in attesa che quel gesto avesse il finale che chiunque si sarebbe aspettato.
Gerard gli aveva appena detto che avrebbe voluto che tornassero amici, e amici non significava prenderlo a tradimento per il viso e baciarlo disperatamente. Essere amici significava altro, significava volergli bene, non amarlo. Significava stargli lontano.
Con le mani che fremevano, ancorate a quel viso dolce, Gerard avrebbe tanto voluto lasciarsi andare, avrebbe tanto voluto mangiare quelle labbra e sentire affetto da parte sua, anche attraverso un bacio rabbioso.
Ma questo non rientrava nei piani, questo non era giusto, doveva comportarsi nel modo corretto, essere coerente con ciò che aveva detto e pensato, soprattutto, non doveva essere egoista.
Col fiato sospeso continuò a guardarlo, allentò un po’ la presa e pose fine quel gesto accarezzandogli le guance.
-Io…- provò a dire e sospirò.
 -Scusami.- pronunciò in modo sofferente. Gli dispiaceva davvero di averlo rincorso senza motivo, spinto da un bisogno irrazionale, e di averlo coinvolto in quel gesto di cui si stava vergognando.
Frank lo studiò con espressione basita, forse anche lui avrebbe voluto che quel preludio di bacio arrivasse proprio lì, ad un bacio. Gerard non sopportava di deluderlo di nuovo, ancora una volta. Non riusciva a pensare di avergli fornito un nuovo motivo per spingerlo ad odiarlo.
Lo lasciò andare abbassando lo sguardo, pentito di ciò che aveva fatto e, allo stesso tempo, felice di averlo fatto, appagato almeno po’ di aver avuto perlomeno la possibilità di respirare il suo odore.
Non alzò di nuovo lo sguardo su Frank, non voleva sapere l’entità della sua rabbia, l’espressione d’odio che sicuramente gli stava rivolgendo.
Si voltò e se ne andò da dove era arrivato, come un codardo, sentendosi come uno di quei tipi di persone che odiava, quelli che illudono gli altri. Si sentì anche fin troppo presuntuoso a pensare di poter stare illudendo Frank, magari non contava così tanto, non gli piaceva darsi troppa importanza.
Comunque Frank non disse nulla, non lo richiamò, Gerard non sentì la sua voce dire qualcosa, forse era rimasto sconvolto, forse non aveva nessuna voglia di capirlo. Non più.
 
Tornato a casa, trascorse la serata chiuso in camera sua, come una tredicenne qualunque delusa e sconfitta dai suoi sentimenti presi troppo sul serio e troppo sbagliati.
Poi passò la notte a piangere, ormai non sapeva fare altro per contrastare tutto il dolore che sentiva dentro, e lo psicologo gli aveva detto che era importante sfogarsi, perché affrontare le proprie emozioni ci rende più leggeri, riesce a scrollarcele da dosso. Sfogarsi è un comportamento maturo, è un comportamento coraggioso, avrebbe reso Gerard più forte.
Con gli occhi gonfi e il naso chiuso decise che quei momenti sarebbero stati solo suoi, che non li avrebbe mostrati a nessuno, che si sarebbe scaricato in solitudine e poi agli occhi del mondo avrebbe ostentato la sicurezza che non gli apparteneva, la forza che gli mancava, la risolutezza che avrebbe tanto voluto possedere, ma che non conosceva neanche.
Quando Mikey bussò alla porta di camera sua, tentò di darsi un tono e andò a far scattare la serratura, tornando sui propri passi e lasciando a suo fratello il compito di aprirsela da sé.
Finse di sistemare il marasma di vestiti, fogli e oggetti sparsi per la sua stanza e Mikey si annunciò con uno dei suoi “buongiorno” pieni di gioia di vivere.
Pensò che sua madre doveva essere davvero grata di avere Mikey come figlio, di aver concepito anche lui; se avesse avuto solo Gerard, sarebbe stata proprio una delusione. Nessuno le avrebbe regalato quei sorrisi sinceri, non avrebbe avuto nessuno che vedesse la vita con positività e che le regalasse motivi di orgoglio.
Non che a Gerard piacesse pensare di non essere abbastanza per i suoi genitori, ma si rendeva conto che non aveva fatto altro, da tutta la vita, che creare problemi e preoccupazioni e quindi era felice che esistesse Mikey a compensare tutto ciò in cui lui aveva sempre mancato.
-Allora, stamattina ti va di raccontarmi quello che è successo ieri?- domandò sedendosi sul letto.
-No.- disse secco e tranquillo, voltandosi verso suo fratello e notando che aveva due tazze in mano.
-Oh, grazie Dio.- sospirò avventandosi sulla sua tazza fucsia e togliendola dalle mani di Mikey.
Forse il fucsia era un colore un po’ troppo femminile, pensò.
-No, Gee, sono solo Mikey!- scherzò suo fratello pavoneggiandosi.
Gerard lo guardò e scoppiò a ridere.
-Sei il dio del caffè.- inneggiò Gerard prendendo un gran sorso soddisfatto.
Ridacchiarono insieme come due ragazzini e poi Mikey ritentò, facendo leva sulla sua importanza di dio del caffè.
-Quindi, di ieri che mi dici?-
-Niente, Mik, non ti dico niente. Non ne voglio parlare.- mise in chiaro sbuffando e tornando a fingere di rassettare le sue cose.
Mikey sbuffò a sua volta, forse era stufo dei suoi silenzi, era stufo di dover avere a che fare con lui e con il suo modo di fare. Era difficile tollerarlo.
-Frank si è arrabbiato per qualche motivo e se n’è andato. Tu lo hai seguito senza dire niente a nessuno, poi sei tornato a casa e ti sei chiuso qui dentro. Sentivo i tuoi singhiozzi, stanotte. Ho la camera sopra alla tua, ricordi? Sono tuo fratello, puoi dirmi tutto. Perché non vuoi?- cercò di spiegargli e capire.
-Perché no.- rispose Gerard al volo.
-Non ho voglia, mi sono sfogato, mi è passata.- elencò cercando di essere credibile.
- Certo.- rise.
-Sono proprio certo che ti sia passata.- continuò ironico.
-Non capisco perché non mi parli, cazzo.- sbottò suo fratello. Sembrava che il suo umore fosse mutato in un batter d’occhio. Gerard lo guardò corrugando la fronte in un’espressione interrogativa.
-Perché no, Mik—iniziò a dire cercando di spiegargli il proprio punto di vista, ma lui lo bloccò.
-Sono tuo fratello, Gee- disse di nuovo con una ritrovata calma.
- Potrei aiutarti, sono amico di Frank, lui con me ci parla e…- Mikey continuò a parlare e probabilmente ad elencare motivi con i quali convincerlo a raccontare ciò che sentiva, ma la mente di Gerard restò bloccata alla prima frase.
Non era mai stato invidioso di Mikey, non lo aveva mai considerato un rivale e non aveva mai bramato ciò che era o aveva. Gli era successo di guardarlo e stimarlo, di essere fiero di lui, di esserne orgoglioso, anche se la sua vita in quel momento faceva davvero schifo, se l’avesse paragonata alla sua, ma non aveva mai provato gelosia, non si era mai sentito così insicuro in confronto a lui.
Invece, il quel momento, qualcosa gli si era mosso nello stomaco, una sensazione di vuoto si era fatta spazio, facendogli risalire qualcosa di molto simile alla bile. Per la prima volta avrebbe voluto essere al suo posto, per la prima volta aveva odiato ascoltare le parole di suo fratello raccontare l’amicizia che lo legava a Frank, mentre a lui non era permesso nemmeno di guardarlo.
Ora Mikey lo stava guardando interrogativo, forse si aspettava una risposta al discorso che Gerard non aveva neppure ascoltato, forse era davvero stronzo da parte sua pensare certe cose, ma non riusciva a controllarsi.
-Beato te, Mikey.- rispose senza avere nient’altro di meglio da dire.
-Sono felice per te che Frank venga da te a parlare e che vi sentiate per telefono e che possiate contare l’uno  sull’altro.- disse socchiudendo gli occhi per quella sensazione pessima che stava provando. Poi decise di essere sincero.
-No, non sono affatto felice, okay?- si ritrovò quasi a gridare.
 -Mi fa sentire così misero il pensiero di non meritarmi neanche la sua amicizia.- abbassò di nuovo il tono di voce, portando lo sguardo a terra e prendendo un respiro in più.
- Ho sbagliato.- ammise.
-Ho fatto un mucchio di errori che non basterebbe una vita per redimermi, non ce la farei mai, lo so, ma non credevo di meritarmi solo il suo odio.- disse con il cuore in lacrime ed il viso contratto in un’espressione sofferente.
-Frank non ti odia.- mise in chiaro Mikey interrompendolo nuovamente.
-E invece sì, me l’ha pure detto.-
-Gli esseri umani dicono un sacco di cazzate per proteggersi e reagire alla vita.- sbuffò Mikey, come se stesse parlando con se stesso, come se ne fosse consapevole, come se ci fosse passato e sapesse perfettamente di cosa stesse parlando.
-Tu puoi essere suo amico.- considerò come se lo avesse appena scoperto.
-Lui ci tiene davvero a te, forse è proprio vero che conta molto di più l’amicizia che l’amore. A questo punto avrei fatto meglio a tenermi per me la voglia di avvicinarmi troppo a lui e restare solo un suo amico.- ragionò un po’ arrabbiato con se stesso.
-Non dire cazzate.- lo rimproverò suo fratello.
- Sarebbe successo comunque qualcosa tra di voi.- gli spiegò come se fosse un’ovvietà.
-Vi siete attratti fin dal primo momento, era solo questione di tempo, o di coraggio da parte di uno dei due.- puntualizzò.
-Io non so cosa succederà.- riprese Mikey tornando a guardare Gerard negli occhi.
-Ma sono certo che si sistemerà tutto, in un modo o nell’altro.- disse con sicurezza, Gerard si accorse che non era la solita e stupida frase di circostanza.
E avrebbe voluto crederci, davvero, lo avrebbe fatto sentire meglio, lo avrebbe tranquillizzato per un po’, però il fatto era che, purtroppo, si rendeva conto che si sarebbesolo ingannato e forse sarebbe stato solo più male. Doveva affrontare la realtà, tenere ben aperti gli occhi sul mondo reale e non rifugiarsi in mondi immaginari, uno di quelli in cui Frank avrebbe smesso di essere ostile con lui.
-Già, si sistemerà tutto.- sussurrò senza convinzione, voleva solo rassicurare Mikey, ma era certo che suo fratello non l’avrebbe mai bevuta.
 
 
 
 
Era già mezz’ora che stavano provando, Gerard cantava senza interesse e senza impegno, nulla suonava come aveva immaginato, nessuna parola pronunciata riusciva a fargli credere in ciò che stava dicendo. La situazione non andava bene.
I suoni degli strumenti si interruppero dopo la richiesta di Ray di fare una pausa. Disse che doveva accordare la chitarra in un altro modo,perché quello attuale non gli piaceva;  Gerard sbuffò nel microfono senza nemmeno rendersene conto.
-Dai, vedrai che tra poco arriverà.- pronunciò Bob rivolgendoglisi.
Si voltò a guardarlo e non rispose, ancora perso nei suoi pensieri e nelle innumerevoli preoccupazioni che gli stavano affollando la mente.
Frank non c’era, non era arrivato e, dopo averlo atteso inutilmente per circa un’ora, avevano deciso di iniziare a provare qualcosa. Ma purtroppo mancava qualcosa. E non era solo la chitarra di Frank ciò a cui stava pensando. Mancava proprio Frank, la sua presenza, senza di lui i MyChem non erano completi, senza di lui Gerard non si sentiva completo.
-Avete provato a richiamarlo?- si intromise Mikey.
- Io ci ho provato dieci minuti fa, ma è ancora spento.- gli rispose Bob mentre giocherellava con le bacchette tra le mani.
-Ci riprovo io. Sono passati dieci minuti.- osservò Mikey con l’evidente speranza di ottenere finalmente una risposta.
Frank non era mai mancato ad una delle loro riunioni. Mai una volta aveva saltato le sessioni di gruppo, men che meno in quel momento, che la casa discografica gli stava facendo una pressione enorme affinché sfornassero questo nuovo album al più presto. A Gerard suonava strana quella sua assenza e, più che strana, la sentiva pericolosa.
Come al solito, nella sua mente si erano create tutta una serie di situazioni catastrofiche e ansiogene a causa delle quali Frank non era lì con loro, ma disperso chissà dove, oppure svenuto da qualche parte.
Non aveva mai dato credito a tutti quei pensieri tristi e immotivatamente tragici che gli proponeva il suo cervello o, perlomeno, lui tentava sempre di non prenderli in considerazione, ma erano forti, erano potenti e coinvolgenti, erano convincenti, soprattutto. Quante volte si era ritrovato a singhiozzare in preda ad ansie prepotentemente trascinanti, quante volte non era riuscito a fare a meno di scrollarsele di dosso e smettere con tutto quel pessimismo. La questione era che lui era fatto così, non poteva farci niente.
C’era stato un periodo in cui aveva avuto un’irrefrenabile ed infondata paura di perdere Mikey, bastava che lui uscisse di casa e la sua mente iniziava a viaggiare in direzioni improbabili, si materializzavano ipotesi assurde con suo fratello come sfortunato protagonista. Essenzialmente aveva paura che gli potesse succedere qualcosa e non si limitava semplicemente ad immaginare certe situazioni orribili, no, il suo cervello gli proponeva anche ciò che sarebbe potuto accadere in seguito, il dolore dei suoi familiari, la vuotezza che sarebbe stata la sua vita senza più la presenza di Mikey.
E viveva tutto questo con talmente tanta enfasi e coinvolgimento, che si struggeva, si ritrovava a disperarsi a volte, a pensare che la sua esistenza non avrebbe avuto più senso, niente avrebbe avuto più importanza.
Poi Mikey tornava puntualmente a casa, ovviamente incolume, felice e appagato della serata tra amici appena trascorsa, e allora Gerard tornava a respirare normalmente. Il suo cuore riprendeva la marcia di battiti scanditi e lenti e i suoi occhi vagavano su uno dei visi che amava di più al mondo. E, se avesse potuto, avrebbe ricominciato a piangere, avrebbe abbracciato suo fratello e gli avrebbe detto che era felice di rivederlo ancora tutto intero. Ma questo avrebbe significato che gli avrebbe dovuto delle spiegazioni e Gerard proprio non se la sentiva di raccontargli le assurdità che concepiva quella sua cazzo di mente malata e depressa.
Aveva sempre sospettato, però, che Mikey sapesse, che Mikey potesse leggergli dentro e un po’ gli dispiaceva per l’empatia di cui era dotato perché, forse, poteva immaginare la sua sofferenza, perché, probabilmente, Mikey era come lui e la sua testa funzionava allo stesso modo. Aveva sempre sperato di sbagliarsi. E a volte se lo chiedeva ancora…
-Comunque, a momenti dovrebbe tornare Linda a casa, la chiamiamo e le diciamo di controllare dove diavolo si è rintanato a dormire, quell’animale da letargo che non è altro!- scherzò Ray apparentemente tranquillo. O forse lo era davvero e l’unico paranoico e perennemente preoccupato era sempre e soltanto lui.
Si voltò a guardare Mikey e beccò il suo volto dipinto in una delle sue migliori espressioni agitate, ma quando incrociò lo sguardo di Gerard cercò di dissimulare quell’ansia che gli aveva deformato i lineamenti e gli fece un piccolo sorriso che sarebbe dovuto essere rassicurante, ma a Gerard mise soltanto ancora più inquietudine.
Dov’era Frank? Ecco cosa domandava in eco il suo cervello.
 
 
Trascorsero altre due ore.
Ore nelle quali Gerard aveva continuato a tentare di impegnarsi, avevano continuato a provare, interrompendosi di tanto in tanto per attaccarsi ai rispettivi telefonini, nella speranza che Frank avesse acceso il suo e rispondesse. Ma la segreteria con la voce di Frank che scherzosamente diceva che in quel momento, evidentemente, era a farsi i cazzi suoi, era l’unica cosa che a rotazione stavano ascoltando tutti quanti. A casa ancora non rispondeva nessuno.
-Ehm… Buonasera signora Iero.- disse la voce di Mikey un po’ titubante, dopo ore di telefonate senza risposta forse non sperava più che qualcuno rispondesse.
-Sì, sono Mikey.- sorrise.
-No, in realtà volevo chiederle per favore di andare a svegliare Frank- rise e stette ad ascoltare.
Forse Linda stava dicendo qualcosa riguardo la capacità di Frank di dormire ovunque e di non riuscire a svegliarsi nemmeno al passaggio di un carro armato sotto alla finestra della propria camera, perché suo fratello continuò a sorridere ed annuire contro la cornetta.
-Già ed ha il cellulare spento.- le disse ancora sorridendo.
-Sì, okay, aspetto.- le assicurò.
E Gerard immaginò quella donna che conosceva da sempre, minuta e con i capelli scuri e gli occhi cangianti come quelli di Frank, salire le scale che portavano al piano di sopra, la vide bussare alla porta della stanza di suo figlio, poi aprire la porta e sorridere in modo amorevole verso cosa più bella della sua vita, sdraiato scompostamente sul letto e arrotolato in modo disordinato tra coperte.
Soltanto che in quella sua merdosa proiezione Frank non si risvegliava, sua madre continuava a scuoterlo e a chiamare il suo nome e lui non rispondeva.
Ricacciò indietro le lacrime che sentiva venirgli su e ingoiò con un sospiro tutto lo schifo che provava. E non gli faceva schifo semplicementeciò che stava pensando, alla base c’era la forte repulsione che provava verso la capacità del suo cervello di inventare certe scene disgustose.
La ripugnanza era verso se stesso, per il modo in cui era fatto, per come funzionava lui e quella sua dannata testa.
È che aveva paura della morte, forse era quello il punto.
In tutta la sua vita gli avevano sempre insegnato a temerla. Gli avevano insegnato che era un affare così semplice, un’eventualità così scontata, così facile da veder accadere.
E lui, da bravo bambino indottrinato e plagiato, ne aveva sempre avuto paura. Forse era per quello che ne era ossessionato, la pistola fredda e minacciosa puntata contro la sua tempia, quella volta al negozio di fumetti, aveva reso solo tutto più reale, più tangibile, quelle situazioni che ti fanno pensare che allora è vero, che non era solo una fantasia, poteva succedere in qualunque momento, quando meno te l’aspetti, e sarebbe stato così semplice che il suo corpo senza più vita si accasciasse al pavimento in una pozza di sangue. Sarebbe bastato che quel ladro avesse mosso il proprio indice posato sul grilletto.
Ma non era accaduto e così Gerard aveva iniziato a maturare l’idea che fosse stato risparmiato, “Dio, evidentemente, ha un progetto più grande per te”, come gli aveva detto un mucchio di volte sua nonna. E non ne era stato davvero certo finché, quel maledetto 11 settembre non era accaduta la sventura di proporzioni cosmiche proprio sotto ai suoi occhi impauriti ed increduli.
Lì, con gli occhi che gli bruciavano per la polvere e le lacrime incontrollate, che gli rendevano la visuale ancora più confusa, si era reso conto di essere scampato ancora una volta alla morte. Che doveva esserci anche lui lì vicino, ma aveva fatto tardi, perché Gerard era un ritardatario puntuale, talmente tanto che era riuscito a salvarsi la vita.
In quel momento aveva capito che la fatalità e la semplicità della morte che gli faceva tanto paura, sarebbe potuta essere il punto di partenza, avrebbe potuto elaborarla, spiegarsi quei concetti ed affrontarli in modo maturo. E la musica era la strada incerta e sdrucciolevole che avrebbe potuto intraprendere, il mezzo giusto con cui esporre le proprie idee.
“Dio, evidentemente, ha un progetto più grande per te”.
-Ah. Uhm. Okay.-farfugliò Mikey abbassando lo sguardo.
-Sì. No.- sospirò guardandosi poi intorno in cerca di qualche fonte d’ispirazione.
-Allora sarà da Jamia.- osservò ancora dopo essere rimasto un po’ in silenzio.
-Ah, che stupido, è vero, me lo aveva detto che sarebbe andato da lei.- continuò parlando con sicurezza, sembrava proprio che le cose stessero così, che ben quattro persone si erano dimenticate di ciò che Frank aveva detto loro.
Il fatto era che non aveva detto nulla, e infatti in quel momento tutti stavano guardando Mikey con le fronti corrugate con espressioni interrogative.
-Sì, grazie mille, scusi per il disturbo.- disse suo fratello con voce tranquilla.
-A presto, arrivederci.- la salutò e poi si passò il telefonino tra le mani, ponendo fine alla chiamata.
-Ma quando te l’ha detto Frank che stava da Jamia?- domandò Ray quasi infastidito.
Mikey sospirò.
-Infatti non me l’ha detto.- gli rispose ovvio.
Ray lo guardò stralunato. Anche Bob, in effetti, stava prestando attenzione come se avesse voluto porgli le stesse domande.
-Ray, ma certo che non è da Jamia.- gli si rivolse spazientito.
-Ma hai appena detto che—tentò di dire Ray, ma suo fratello lo interruppe.
-Stavo parlando con sua madre!- fece presente esasperato.
-L’avrei fatta preoccupare se le avessi detto che avevamo un appuntamento e non si era presentato e che non abbiamo completamente idea di dove sia e cosa gli possa essere successo.- disse tutto d’un fiato in modo agitato.
Il respiro di Gerard si fece più corto ed accelerato e scrutò il viso di Mikey in cerca di qualcosa che nemmeno sapeva.
-Ah, okay, hai ragione.- convenne Ray.
-Sì, okay, ma dove cazzo è Frank?!- chiese Bob retoricamente, un po’ preoccupato.
Mikey si voltò a guardare Gerard e colse lo sguardo speranzoso con cui lo stava guardando.
-Io… io non ne ho idea.- sospirò in risposta guardando Gerard negli occhi, come se si stesse rivolgendo soltanto a lui. Gli piantò negli occhi quella sua aria quasi colpevole, come se ne avesse lui qualche responsabilità.
-Proviamo a chiamare Jamia, magari è sul serio da lei.- propose Ray.
-Già, è vero.- gli rispose Bob cercando il proprio cellulare nella tasca dei jeans.
Sapevano tutti che neanche Jamia avrebbe saputo nulla di Frank, ma nessuno lo disse e attesero come se credessero davvero che la ragazza avrebbe risposto al telefono e avrebbe smentito le loro previsioni.
Nel frattempo, Gerard iniziò a pensare, o almeno, la sua testa lo fece da sé.
Immaginò che Frank non fosse da Jamia, lui non era quel tipo di persona che non mantiene i propri impegni e Jamia non era quel tipo di persona che lo avrebbe fatto cambiare. Così sperava e credeva, perlomeno.
Ascoltò la voce di Bob iniziare la conversazione con Jamia, ma come al solito non prestò attenzione, era fin troppo certo che anche lei non ne sapesse nulla, anzi, ora avrebbero avuto un altro problema, un’altra persona in ansia per Frank, oltretutto una persona che non aveva nessun diritto di essere preoccupata per lui, perché Frank non era suo, non le apparteneva e avrebbe dovuto stare fuori dalla sua vita. Ecco cosa Gerard pensava realmente, cazzate di circostanza a parte.
Non lo avrebbe mai detto a nessuno, era già tanto riuscire ad ammetterlo con se stesso, ma era davvero geloso. Neanche uno di quei tipi di gelosia normali, legittimi, di quelli che possono essere ipoteticamente considerati accettabili dalla società e sembrare quasi “giusti”, no, al contrario, quel sentimento che provava era più intenso, più logorante, subdolo. Sarà stata colpa di quel loro rapporto quasi inesistente, di quella lontananza forzata e così dolorosa, delle loro azioni e comportamenti, che erano inversamente proporzionali a ciò che avrebbero voluto fare realmente.
E allora odiava tutti,  anche chi riusciva a strappargli un sorriso, anche chi poteva guardarlo e fissarlo mentre parlava, senza ricevere in cambio una sua occhiataccia accusatoria. Chi poteva telefonargli e scambiare quattro chiacchiere con lui, sentire la sua voce raccontare anche cose di poco conto. Chi poteva viverlo, in sostanza.
-Non è nemmeno da Jamia.- confermò Bob, riponendo il proprio telefono nella tasca.
-Era ovvio.- sospirò Mikey stancamente stropicciandosi il viso con una mano.
-Che fine ha fatto, ragazzi?- domandò Ray iniziando a prendere seriamente la situazione.
-Io non lo so.- rispose retoricamente suo fratello con aria triste.
-Potremmo andare a vedere nella fabbrica abbandonata di quella volta.- propose Ray annuendo con aria grave.
-Di che fabbrica abbandonata state parlando, di quale volta state parlando?- chiese Gerard in preda al panico. Pensò quelle domande e le porse.
Interrogò i propri amici con lo sguardo, il cuore che galoppava freneticamente.
-Ti spiego per strada.- lo rassicurò suo fratello abbassando lo sguardo mentre raccoglieva le sue cose, imitando i gesti degli altri.
Gerard si prese la briga di prendersi almeno il telefono e seguì suo fratello e i suoi amici senza riuscire ad aggiungere domande o considerazioni.
Sentiva soltanto una grande agitazione espandersi nel petto e nello stomaco, un senso di paura lo invase completamente.
Forse il fato si stava prendendo gioco di lui e delle sue decisioni, forse, la realtà lo stava mettendo di fronte all’ipotesi verosimile di un futuro senza Frank, pensò tragicamente. Si sentì tremare in un brivido.
-Gee, non preoccuparti, è tutto okay.- suo fratello tentò di tranquillizzarlo.
Gli strinse la mano. Gerard fece lo stesso, istintivamente, gli occhi completamente sbarrati dal terrore e dall’agitazione.
-Andrà tutto bene.- gli disse ancora.

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Capitolo 6
*** My Blue Supreme ***


Ciao ragazze!
Non so nemmeno se qualcuno stia più aspettando un aggiornamento, e sinceramente capisco che è pure un momento di merda. Cioè ancora non ci riprendiamo mentalmente per Chester che si toglie la vita di punto in bianco, mi viene da dire "sti cazzi delle ff"!
Eppure sono qui, perché quando mi sento triste e sconfitta scrivere è l'unica via che riesce a svuotarmi e a farmi sentire leggermente meglio.
Io credo che in ogni esperienza brutta, se ci soffermiamo a guardare bene oltre, possiamo sempre trovare dei piccoli lati positivi, tipo insegnamenti, o comunque qualcosa che ci illumina, che ci fa capire qualcosa che prima ci sfuggiva ed era semplicemente davanti al nostro naso.
Eravamo giusto ciechi, perché le esperienze questo fanno: ti fanno conoscere i sentimenti, le emozioni. Sia belle che brutte.
 
Tra le cose che ho imparato come fan dei My Chem c'è questo: prendi il brutto e trasformalo in bello. Resta brutto, ma fai del tuo meglio per continuare ad essere bello. Lo so, frasi contorte quelle di Gerard, eppure io mi sono sempre sentita in sintonia con lui, con i testi delle canzoni, con quello che aveva da dare e da dire.
Non vergognarti mai di quello che sei, anche.
Quindi eccomi qui.
Dopo un anno senza aggiornamenti a questa storia. Non mi vergognerò di dirvi chi sono, anzi, mi fa più piacere scriverlo qui che, per esempio, su fb dove ci sono molte persone che mi conoscono anche realmente.
Credo che chi ha letto le mie storie ne sappia molto di più, rigo dopo rigo voi avete scoperto chi sono dentro, quello che sento e non solo quello che sono esteriormente e chiunque potrebbe vedere.
Anzi, come sono esteriormente non c'entra neanche per sbaglio con chi sono dentro. Con la mia personalità. I capelli assurdamente colorati, perché forse dentro sono troppo cupa e scura, e allora cerco di compensare. La mia parlantina e la risposta sempre pronta non sono altro che metodi per non permettere agli altri di farsi domande su di me, di chiedermi chi sono io davvero e rischiare di dover stare in silenzio, di non saper proprio che cazzo dire.
Da poco ho scoperto le canzoni dei 21 pilots e c'è questa parte di car radio che mi tatuerei in fronte "sometimes quite is violent", poche persone sanno realmente cosa può significare ciò. Comunque, io sono questa ragazza emozionalmente mooolto immatura, una che si stupisce per come gira il mondo, a volte, come se venisse da un altro pianeta.
Sono quella che sa scrivere, che ce la mette tutta, ma la malattia che ha non le permette di essere stabile, concentrata e continua nelle cose che fa. Anche quelle a cui tiene.
Il motivo è questo. Non scrivo da un bel po' perché non sono stata bene.
 Vi ho sempre detto che non sono il ritratto della salute, ma forse dirvi "epilessia" il mio eterno problema potrebbe farvi capire meglio. Così magari mi odierete anche di meno per la mia discontinuità!!
Io non mi vergogno di quello che sono, cerco solo di parlarne poco perché non voglio che gente che non capisce sappia e spari sentenze senza nemmeno conoscere il problema.
Il fatto è che ho imparato a capire che in ogni esperienza, come dicevo prima, c'è sempre qualcosa da capire e da imparare. Io ho capito che non è colpa mia se sono così, e forse era il caso di smetterla di prendermela così tanto con me stessa, poi ho capito che non deve essere una fonte di vergogna, questa, e la sofferenza che tutto ciò ha portato nella mia vita avrei potuto trasformarla in qualcosa di bello, come trstme, come le altre mie storie, come prtgmoi, anche se è ancora agli inizi.
Poi okay, non sono perfetta e se qualcuno non mi beta i capitoli faccio cumuli di errori, ma io almeno ci provo!
Il brutto cerco di renderlo bello. Mi sono resa conto che questa malattia mi ha tolto tanto, ma in un certo qual modo mi ha donato gli "occhi empatici" che non avrei se fossi sana come un pesce e con una vita normalissima.
Soffrire rende forti, e okay, sarebbe meglio essere felici, ma possiamo esserlo anche se succede qualcosa di brutto, forse possiamo esserlo anche di più, perché sappiamo da dove veniamo, abbiamo attraversato l'inferno, in certi casi, e ne siamo uscite. Forti, vincenti e con molte più consapevolezze.
Non bisogna mai non accorgersi delle piccole cose che abbiamo intorno ogni giorno, perché sono preziose, perché ci rendono ricche dentro. E perché, se poi ne succede una bella e grandissima sapremo trattarla con cura e vivercela con quanta più felicità possediamo.
Poi Gerard mi ha insegnato un'altra cosa che consiste in due semplici parole:
KEEP RUNNING
E io continuo a farlo ogni giorno, a dispetto delle avversità. Spero che lo facciate anche voi e che questo discorso vi abbia quanto meno incoraggiate.

Siete delle piccole cose nella mia vita, sottoforma di recensioni, complimenti e like, ma non avete idea di quanto valete.

Scusate per la lunghezza di tutto questo, ne avevo bisogno, e spero che possa essere servito a qualcosa.

Scrivetemi dove e quando volete, vi lascio il mio twitter anche @MySkyBlue182.


Vi blu💙


-SkyBlue-
 
 
 
 
 
PRTGMOI CAP 5
 
 
My Blue Supreme
 
 
A Gerard sarebbe piaciuto con tutto se stesso tornare indietro nel tempo.
Non avrebbe preteso nemmeno di rivivere un giorno in particolare, oppure un momento bello che ormai poteva solo ricordare, no, sarebbe stato disposto ad essere catapultato in un giorno qualsiasi, sera, mattina, anche in uno dei quei momenti in cui era stato malissimo. Avrebbe dato ogni cosa, anche la sua salute mentale e fisica pur di trovarsi sperduto in qualcuna di quelle città in cui avevano fatto tappa durante il tour precedente. Tutto pur di avere Frank sotto gli occhi e non dover essere lì, chiuso in macchina, sul sedile posteriore, seduto accanto a suo fratello, con la mente bloccata in un loop di apprensione febbrile che rasentava la disperazione.
Qualche minuto prima Mikey gli aveva detto che gli avrebbe finalmente spiegato tutto, qualcosa che avrebbe sicuramente avuto a che fare con “il brutto periodo di Frank” a cui aveva accennato giorni prima.
Gerard si sarebbe volentieri aggrappato con entrambe le mani alla t-shirt di suo fratello per scuoterloe fargli sputare tutto e subito, ma una parte di lui non avrebbe mai voluto iniziare quella conversazione. Il solo pensiero che Frank avesse trascorso un periodo brutto, di qualsiasi tipo, lo schiacciava. Già percepiva il peso del senso di colpa avvicinarsi sottoforma di una grossa lama affilata che presto si sarebbe abbattuta all’altezza del suo collo, decapitandolo, e tutto questo accadeva  nonostante non sapesse affatto se in quella questione lui c’entrasse o meno.
Mikey non gli diede scelta, iniziò a parlare ancora prima che Gerard decidesse se fosse una buona idea conoscere quella vicenda o meno.
-Vedi…- iniziò suo fratello sospirando. Fece una pausa e Gerard immaginò che stesse scegliendo le parole più adatte per non sconvolgerlo troppo.
Di solito cadeva sempre dalle nuvole, ma aveva questo sesto senso che gli suggeriva che un racconto intitolato “il brutto periodo di Frank” lo avrebbe sconvolto e ferito senza ombra di dubbio.
-Non appena tornati dal tour, quando tu sei entrato nel centro di riabilitazione, lui…- prese ancora un altro sospiro, sistemandosi gli occhiali in un gesto agitato.
-Scompariva.- intervenne Bob.
Gerard si voltò a guardarlo spalancando gli occhi.
-Non lo trovavamo per l’intero week-end, ricompariva il lunedì e non sapeva dirci nemmeno dov’era finito, in quei giorni, e cosa aveva fatto.- aggiunse Ray chiarendo i vari dettagli.
-Si… si…- Gerard singhiozzò shockato.
-Si drogava.- si decise a dire, sentendo quelle parole lacerargli la gola, mentre le pronunciava.
-Noi crediamo di sì.- rispose suo fratello osservando il suo viso con inquietudine.
-E cosa avete fatto?- chiese senza pensarci neanche. Ora che aveva iniziato ad ascoltare voleva sapere tutto.
Ray si espresse in una risata amara.
-Lo abbiamo seguito, un venerdì sera dopo essere stati insieme in un pub.- ammise, ma si notava la tristezza nella sua voce.
-E si è diretto in questa fabbrica abbandonata di cui dicevamo prima, è poco fuori città, ed era lì che avevano inizio i suoi fine settimana di sballo. Conosceva qualcuno, forse qualche suo amico già la frequentava e si davano appuntamento. Forse si incontravano lì e basta, questo non lo sappiamo.- spiegò ancora e poi si fermò affinché Gerard apprendesse quelle informazioni e avesse il tempo di elaborarle.
E Gerard immaginava tutto.
Riusciva a vedere Frank lasciare i propri amici fingendo che andasse tutto bene, riusciva a figurarselo in macchina, mentre raggiungeva la fabbrica che lui non aveva mai visto, lo immaginava depresso, triste, bisognoso di qualcosa che lo facesse stare meglio, o forse peggio, ma non in sé.
Gerard ne sapeva qualcosa, di quelle sensazioni e di quelle necessità che sembravano più impellenti dell’ossigeno stesso. Provava un dolore sordo a livello dello stomaco al pensiero che Frank avesse dovuto averne a che fare. Si sentiva triste.
-Comunque, quella sera lo abbiamo seguito e poi riportato a casa, il giorno dopo abbiamo aspettato che si riprendesse e gli abbiamo parlato. Non è più successo, dopo quella chiacchierata, ma, da come stanno andando le cose, sembra una di quelle volte.- concluse Bob.
Nell’automobile si respirava un’aria pesante, anche se Gerard non era sicuro di star respirando. Aveva una gran voglia di piangere ed una fottuta paura di ciò che sarebbe potuto accadere a Frank.
 
Socchiuse gli occhi e sospirò fortissimo, ricacciando indietro le lacrime.
Gli stava bene.
Sentiva di meritarsi ogni singolo sentimento di terrore e paura che stava provando in quel momento.
In fondo Frank c’aveva convissuto interi anni con quelle emozioni che gli mangiavano il petto e gli toglievano il sonno. Era giusto che soffrisse così anche lui, gli si stava ritorcendo contro tutto ciò che lui stesso aveva fatto patire ai suoi amici e a suo fratello. E a Frank, soprattutto.
Frank credeva nel destino e anche lui, più o meno, gli dava credito, ma sopra ogni cosa pensava che il Karma influissesulla sua vita e sulle sue azioni. Evidentemente era arrivata l’ora che tutte le brutte sensazioni che aveva suscitato negli altri tornassero al destinatario.
Era arrivato il suo momento e l’avrebbe accettato, a condizione che Frank stesse bene.
L’unica cosa importante e fondamentale era quella, voleva il suo bene e se il suo caro Karma gli stava facendo capire di dovergli stare lontano, lo avrebbe fatto e senza battere ciglio, ma voleva qualcosa in cambio ed era il benessere di Frank. La sua unica preoccupazione.
Di solito impiegava tempo infinito prima di prendere una decisione e reputarla sensata, ma stavolta la decisione aveva scelto Gerard, questa volta non ammetteva repliche e Gerard non si sarebbe opposto, perché era quella la cosa giusta da fare. Doveva lasciare stare Frank.
Il discorso di Mikey aveva avuto un principio ben definito, facendo cenno a quando Gerard era entrato nel centro di riabilitazione, quindi, come aveva sospettato, lui c’entrava. C’entrava eccome.
Non spese nemmeno un secondo a riflettere sull’ipotesi che quel dettaglio che aveva detto suo fratello fosse soltanto per dare una cronologia agli eventi del racconto. Era successo tutto per colpa sua, a causa della sua debolezza che l’aveva portato a mollare e a non farcela da solo, era successo perché aveva lasciato Frank in solitudine in un momento in cui, magari, sarebbe servito a lui un aiuto. Frank c’era sempre stato, Gerard non ricordava una singola occasione in cui si era risvegliato abbandonato a se stesso, anche quando era certo di essere stato male unicamente per sua colpa e volontà. Frank era stato sempre al suo fianco. Aveva tentato di aiutarlo, lo aveva rassicurato, aveva provato a proteggerlo dagli altri e da se stesso, lo aveva nascosto al mondo, quando aveva creduto che quel mondo sarebbe stato troppo duro con lui. Anche se se lo sarebbe meritato.
Gerard, al contrario, sapeva di non essergli mai stato d’aiuto.
Lui era stato quello che gli aveva creato ansia e preoccupazione, quello che lo aveva fatto arrabbiare, quello che lo aveva portato ad attacchi d’ira e a malumori che gli avevano rovinato intere giornate. Ed ora… ora era certo addirittura di averlo abbandonato nel momento in cui lui avrebbe avuto bisogno che una piccola parte del bene che gli aveva fatto gli tornasse indietro.
Sospirò fortissimo, ricacciò tutta quella triste e cruda realtà nel fondo dello stomaco, che sentiva annodato su se stesso, ripromettendosi che avrebbe affrontato tutto in seguito, perché in quel momento l’unica cosa che gli premeva era trovare Frank e assicurarsi che stesse bene.
-No, Bob, era la traversa dopo.- sentì dire dalla voce di suo fratello. Evidentemente neanche loro sapevano niente delle fabbriche abbandonate appena fuori Belleville.
-Okay, torno indietro.- gli rispose.
Gerard guardò di nuovo Mikey, forse per trovare un po’ di speranza e forza che non aveva, o forse semplicemente perché era questo che sapeva fare, appoggiarsi agli altri, farsi aiutare, cibarsi dei sentimenti degli altri pur di non affrontare tutto da solo. Vigliacco e codardo.
 
Alla fine, la vecchia fabbrica in disuso si stagliò come uno spaventoso spettro davanti ai loro occhi.
Sembrava davvero come una di quelle location perfette per un film horror e se Frank fosse stato lì, seduto al suo fianco, lo avrebbe detto e sarebbe stato eccitatissimo al pensiero di doverci entrare.
Bob parcheggiò e Gerard afferrò con rapidità la maniglia dello sportello, pronto a scendere e ad andare a perlustrare ogni millimetro quadrato di quel dannato posto.
Suo fratello lo trattenne per la spalla.
-Gee, andiamo noi, tu aspetta qui.—provò a dire e Gerard venne invaso da una furia cieca.
-Tu! Tu sei vuoi resti qui, io devo trovarlo.- quasi gridò. Si sentiva disperato, ecco tutto.
-Ma Gee, calmati, era solo per… ah, ‘fanculo, andiamo.- liquidò la faccenda.
Cazzo, anche quando c’era da risolvere qualcosa di serio ed importante Mikey si metteva a pensare a lui e a ciò che era meglio. Certo, pensò, perché è ciò che sono: il cucciolo indifeso e da proteggere.
E forse, guardando la questione da un certo punto di vista, poteva anche sembrare una cosa dolce da parte di Mikey, ma la verità era che,per come la vedeva Gerard, era una situazione orrenda ed umiliante e, anche qui, la colpa era solo sua.
Lui aveva fatto in modo di far sentire in dovere i suoi amici ditrattarlo così, come quel ragazzo troppo fragile, da salvaguardare, quello a cui, in casi estremi, nascondere addirittura i fatti pur di tenerlo al sicuro.
Anche se Gerard non era proprio certo che tutte quelle accortezze lo mettessero davvero al sicuro.
Trovarsi davanti ad un fatto compiuto e non saperne niente lo aveva fatto ritrovare, molte volte, catapultato direttamente in situazioni a lui sconosciute, completamente ignaro di problemi o difficoltà che accadevano mentre lui dormiva sonni tranquilli. Al sicuro.
E non era affatto vero che si era sentito in quel modo. Non aveva mai provato quel  senso di tranquillità che i suoi amici probabilmente si erano auspicati, anzi, si era sentito tagliato fuori, messo da parte. Si era sentito misero, come se non fosse degno di essere d’aiuto a qualcuno, come se non fosse in grado di tenere i nervi saldi e affrontare le avversità che fanno parte della vita.
Ma, come al solito, riusciva a rendersi lucidamente conto che la responsabilità dei loro modi di fare era la sua e della sua fragilità che induceva chi gli stava intorno a tenerlo all’oscuro di tutto, convinti che fosse troppo debole per  sostenere qualunque peso.
Si odiava. Ecco cosa aveva costruito nei suoi quasi trent’anni di vita, non era stato in grado nemmeno di risultare credibile agli occhi dei suoi amici.
Sentiva l’odio divampare nel petto e la tentazione di autodistruggersi scorrergli nelle vene.
Uscì dall’abitacolo con decisione, chiuse lo sportello con forza, la stessa con cui si sarebbe schiaffeggiato.
-Da che parte si entra?- chiese con ansia, voltandosi a guardare i suoi amici che avevano fatto i suoi stessi movimenti.
-Vieni Gee, da questa parte.- rispose Ray iniziando a muovere i primi passi verso la parte frontale di quell’edificio ingrigito.
Gerard lo seguì senza battere ciglio, sentiva il cuore in gola. Pulsava così velocemente che non riusciva a respirare regolarmente.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo, sospirando per scaricare la tensione e la sua mente gli giocò uno scherzo dal dubbio gusto; gli apparve un’immagine di Frank sorridente e non seppe valutare se gli fece piacere o no. Sapeva soltanto che l’amava, quel viso e quel sorriso dolcissimo.
Sarebbe stata la sua missione far in modo di vederlo risplendere, se lo meritava.
 
Per entrare nell’edificio si doveva fare un giro intorno al suo perimetro, finendo quasi dalla parte opposta e attraversando una vecchia recinzione completamente ricoperta da piante rampicanti, che a tratti nascondevanoanche il ferro della rete. Poi, appena prima di svoltare l’angolo che portava sul retro, c’era un varco nel muro, un vero e proprio buco della grandezza di un paio di metri, che consentiva il passaggio auna persona per volta.
Ray entrò per primo, Gerard percorse i suoi passi senza provare alcuna emozione. Non aveva paura e non temeva ciò che vi avrebbe trovato all’interno, la sua unica preoccupazione era che, tra tutto il resto, ci fosse Frank.
Un odore pungente di fumo fu il primo dettaglio che colse. La visione dell’interno non era chiara, regnava più che altro la penombra e ovviamente non c’era illuminazione, solo varie candele sparse qua e là da chi era presente lì dentro.
C’era un gran vociare, come se fosse legale occupare una fabbrica abbandonata e fare ciò che quelle persone stavano facendo lì dentro. Gerard vide passare un ragazzo con i capelli lunghi che ne teneva uno moro per un braccio che evidentemente non stava bene e, in un velocissimo flashback, gli venne in mente Bert, le serate passate in sua compagnia, quelle nei posti strani e delle quali non ricordava niente.
Quelle che facevano infuriare Frank, quelle durante le quali non faceva altro che pensarlo ed era l’unico pensiero che riusciva a trattenerlo precariamente ancorato alla realtà.
Rivolse a quei due ragazzi uno sguardo un po’ compassionevole e pensò che l’unica cosa che lo tratteneva dall’essere schifato era che un tempo uno di quei due ragazzi era stato lui, precisamente quello senza conoscenzache veniva trascinato via.
Mikey gli posò una mano sulla spalla e incrociò rapidamente il suo sguardo, Gerard lo guardò confuso prima di rivolgere la sua attenzione a terra, provando disagio per i pensieri che gli stavano passando per la testa.
Continuò a procedere, ripromettendosi di non soffermarsi ad osservare ciò che gli faceva venire in mente la vista di quei ragazzi che erano lì, evidentemente, per drogarsi e sballarsi.
Iniziarono ad aggirarsi intorno ai gruppi di persone che sembravano ignorarli del tutto ed evidentemente era così, non gliene importava nulla di chi altri, oltre loro stessi e i loro compagni di trip, fosse presente. Gerard era certo che non si sarebbero scomposti nemmeno se avesse fatto irruzione la polizia, tanto erano sconvolti.
Mentre perlustravano angoli e volti, Gerard ne notò di molte caratteristiche. Ne vide alcuni agitati, altri visibilmente preoccupati dagli effetti che il loro corpi stavano subendo, ne vide di rilassati, alcuni addirittura estasiati.
Si perse per un attimo negli occhi vuoti di una ragazza e desiderò per un momento essere senza senso e perso come quegli occhi. Oh, sarebbe stato così facile, così comodo…
L’esatto comportamento che aveva assunto negli anni passati, tutto pur di non dover affrontare situazioni complicate o problemi che gli creavano ansia. Era così naturale scappare e perdersi nel paese delle meraviglie… ed erano meraviglie sul serio, non esistevano preoccupazioni, non c’era l’ansia che gli procurava la vista di tante persone, non c’erano i giudizi, i pregiudizi, gli sguardi penetranti che lo facevano sentire nudo, quelli eloquenti che gli facevano capire chiaramente di non valere niente.
Poi tornava tutto come  prima, anzi, forse la situazione crollava ancora più a picco, la delusione che le persone che amava provavano per lui cresceva e gli veniva scagliata contro con ramanzine e strigliate, ma Gerard per un certo periodo aveva pensato che ne valesse la pena, che in fondo non tutti potevano capire come si sentiva e sarebbe stato ridicolo raccontare che aveva paura della gente, che si sentiva troppo misero per essere il frontman di una band, che non si piaceva come persona e che la fine che loro si auguravano non gli capitasse, forse lui l’aveva desiderata fin troppe volte.
Pensò a talmente tante cose tutte insieme che uscì da quelle riflessioni quasi stordito.
Quello era il passato, lui era cambiato. Non era più quella persona, Gerard stava lavorando per tornare ad essere forte, anzi, per essere forte per la prima volta nella sua vita.
-Mamma mia che puzza.-  sbottò Bob.
-Questo è crack, stanno fumando crack!- gli rispose Ray spalancando gli occhi stupito.
-Chiediamo a qualcuno, magari facciamo prima.- propose Mikey per tirarsi fuori da quel posto in fretta.
-Eh, infatti.- convenne Ray rivolgendosi anche a Bob.
-È che volevo vedere se c’era uno di quei ragazzi che erano con lui l’altra volta.- gli spiegò voltandosi, ma continuando a camminare.
-Addirittura?!- domandò suo fratello con quell’aria un po’ scherzosa, riferendosi al fatto che Bob fosse convinto di poterli riconoscere.
La situazione era surreale, ma quel momento, senza considerare ciò che aveva intorno, poteva sembrare una di quelle occasioni in cui erano insieme e andavano avanti a parlare a suon di battute e scherzi.
-Ehi, io ho una buona memoria fotografica!- proclamò Bob con un piccolo sorriso vittorioso sul volto.
Un ragazzo gli finì addosso mentre rideva.
-Scusa amico.- disse continuando a ridere. Barcollò continuando a guardarlo e continuò a ridere ancora più forte. Gerard lo osservò impassibile.
-Ecco!- urlò Bob.
-È lui! Uno di quelli che erano con Frank la scorsa volta.- si agitò voltandosi a guardare tutti, mentre indicava un ragazzo con una cresta verde, seduto in un angolo con altre persone, a pochi metri da loro.
-È vero!- confermò Mikey.
-E avrei saputo riconoscerlo anch’io senza avere la memoria fotografica, ha i capelli verdi!- aggiunse con una smorfia, alleggerendo la tensione e riferendosi al discorso di poco prima.
Gerard invece non stava più nella pelle dall’ansia e quindi allungò il passo e superò tutti, dirigendosi verso il ragazzo che gli avevano indicato.
-Scusa?- cercò di attirare la sua attenzione avvicinandosi.
-Ehi, amico.- lo chiamò di nuovo e notò di aver singhiozzato. Era in preda al panico, aveva paura di ciò che gli avrebbe detto quel ragazzo, avrebbe voluto trovare immediatamente Frank e allo stesso tempo avrebbe voluto non vederlo mai. Aveva il terrore di trovarlo stordito, paura di vedere Frank non in sé.
Sarebbe stato un incubo trovare delle similitudini con se stesso.
Il ragazzo gli prestò attenzione ed incrociò il suo sguardo. Sorrise, forse perché quando hai in corpo droghe pesanti ti illudi di essere felice.
-Cosa ti serve?- gli domandò e sarebbe potuta apparire una richiesta brusca, ma sorrideva e quindi Gerard non si scoraggiò. Aveva quasi le parole pronte ad uscire dalla gola quando questo parlò di nuovo.
-Cocaina, eroina e LSD. Non ho nient’altro stasera.- spiegò affabile.
E lì, Gerard non ebbe più dubbi, la domanda di prima era stata amichevole, lui era un pusher ed era abituato a chiedere agli sconosciuti cos’è che volevano. Ma lui non voleva niente di tutta quella merda, lui voleva Frank.
-Ehi, no, io non voglio niente. Frank, Frank Iero lo conosci? So che lo conosci, puoi dirmi se l’hai visto? È importante, per favore.- vomitò quell’ammasso di richieste e forse avrebbe aggiunto anche qualche preghiera, ma decise di fermarsi.
Non osò nemmeno voltarsi a guardare suo fratello e i suoi amici, non voleva vedere il loro sguardo compassionevole:doveva sembrare proprio patetico mentre parlava con il ragazzo dalla cresta verde. E poi voleva prestare attenzione ad ogni minima smorfia del viso di quel ragazzo, voleva sapere la sua risposta.
-Frank… mh, ne conosco parecchi, con questo nome. Non saprei, magari descrivimelo.- il ragazzo lo scrutò mentre gli rispondeva, forse gli era sembrato così disperato che voleva aiutarlo, nonostante fosse evidentemente sotto effetto di qualche droga.
-È… lui è…- doveva descriverlo, ma il primo aggettivo che gli venne in mente fu “bellissimo”. Non sarebbe servito per descriverlo, non avrebbe aiutato il ragazzo a capire chi era e soprattutto Gerard si rese conto di non essere lucido, non riusciva a ragionare, era solo preso dal panico e dalla frenesia di sapere dove fosse Frank e se stesse bene. Si sentiva così abbattuto, così scoraggiato, così impaurito…
Ray gli si affiancò mentre Gerard era ancora perso a guardare il viso del ragazzo senza sapere come continuare.
Ray iniziò a spiegare caratteristiche oggettive di Frank e Gerard si limitò ad ascoltare, continuando ad osservare in modo maniacale il volto del ragazzo, che ora prestava attenzione a Ray, auspicandosi di vedere esplodere un lampo di consapevolezza nella sua espressione.
Il lampo di consapevolezza continuò a non manifestarsi, Ray ormai gli aveva detto di tutto e Gerard, troppo concentrato a guardare il ragazzo dalla cresta verde, non si era accorto nemmeno dei suoi amici che gli si erano affiancati e forse volevano aiutarlo a capire di quale Frank volevano notizie.
-Ah, il chitarrista!- si intromise un ragazzo facendo un cenno a cresta verde.
-Pansy!- quasi urlò una ragazza attirando la completa attenzione di Gerard.
Chi era, ora, quella sconosciuta che osava riferirsi al suo Frank in quel modo?
-Ah!- fece il pusher, finalmente illuminato.
-Sì, cazzo, potevate dirmelo subito!- disse schioccando le dita.
-È venuto ieri sera, però poi non l’ho più visto.- raccontò.
-Beh, si è ben rifornito, non lo vedremo per un po’!- precisò scoppiando a ridere come se si trattasse di qualcosa di divertente. I suoi amici lo seguirono a ruota e Gerard si sentì avvampare da un’ondata di rabbia, provocata dall’immaginare Frank comprare droga e addirittura in gran quantità.
-Dov’è andato?- chiese bruscamente.
-E chi può dirlo.- fece criptico cresta verde, senza togliersi quel maledetto sorrisino dalla faccia.
-Dimmi dove cazzo è andato!- sbraitò Gerard avvicinandoglisi di colpo. Sentiva di dover dare in escandescenze, di doversi lasciare andare, altrimenti sarebbe scoppiato.
-Ehi, amico, stai calmo. Non lo so sul serio dov’è.- rispose tornando serio.
-E se l’interrogatorio è finito, io avrei da fare.- aggiunse con uno sguardo torvo.
Forse non gli era piaciuta l’uscita rabbiosa di Gerard.
-Aspetta, ti chiedo scusa.- sentì di dirgli Gerard. Tutto pur di farsi dare qualche indizio.
-È che siamo preoccupati, non riusciamo a trovarlo, forse gli è successo qualcosa. Se tu potessi dirci qualcosa… almeno con chi era, se magari sai dove potrebbe essere.- gli spiegò in modo agitato.
-Ti prego.- sì, lo pregò sul serio, stavolta.
Cresta verde cambiò espressione, forse gli aveva fatto pena, perché il suo viso mostrò un po’ di comprensione.
-Era solo. Se n’è andato, ma non so dove. Veramente, questo è tutto ciò che so.- rispose deciso.
-Ora ho da fare.- lo liquidò senza replica e tornò a voltarsi verso i suoi amici.
Gerard restò per qualche secondo impalato a guardare le spalle di quel dannato stronzo che si occupava di assicurare merda a ragazzi come lui, come se il divertimento fosse quello.
Si stupì di star facendo un pensiero del genere, si stupì di avere una folle voglia di spaccargli la faccia. Se non per quel motivo, almeno per il fatto che non gli era stato d’aiuto nel trovare Frank.
-Va bene, andiamo via.- sentenziò Mikey e a passo veloce si diressero tutti fuori da quell’edificio infestato. Non da fantasmi, ma da morti viventi.
 
Mentre erano in marcia verso la macchina di Ray, Gerard continuò ad accumulare odio verso cresta verde che non gli era servito ad un cazzo, continuò a disprezzarlo per il ruolo che aveva nella società, lo invidiò per aver potuto vedere Frank.
Poi, come se se ne fosse reso conto soltanto in quel momento, gli tornò in mente la ragazza che aveva urlato “Pansy” e rapidamente condensò tutto il suo odio verso di lei, scordandosi completamente di cresta verde.
Perché aveva detto quel soprannome? Con quella naturalità, poi. Forse conosceva bene Frank, forse le aveva detto lui di chiamarlo così, forse avevano fatto sesso…
C’era stato un periodo, tempo prima, in cui Gerard aveva beccato Frank a limonare, o pronto ad andare oltre, con un sacco di ragazze.
Era capitato che lo vedesse anche tutte le sere con una diversa.
Quel periodo era quello in cui Gerard aveva capito che Frank gli piaceva decisamente troppo, che avrebbe voluto sapere in ogni momento dove fosse e con chi. Coincideva esattamente col periodo in cui aveva cercato di stargli lontano con tutte le sue forze, e per “sue forze” intendeva scolarsi un’intera bottiglia di vodka oppure prendere pasticche e bere alcool fino a perdere i sensi.
In quel momento aveva creduto che non fosse normale provare un’attrazione così forte verso Frank e aveva avuto paura di essere scoperto da Mikey, dai suoi amici. Nello stesso tempo viveva attimi in cui non gliene fregava assolutamente nulla degli altri e dei loro giudizi, così rincorreva Frank e lo baciava, trovava il coraggio di farci sesso senza nemmeno pentirsene.
Non era a conoscenza di cosa pensasse Frank di tutta quell’ambiguità ed incoerenza. Lo aveva visto incazzarsi così tante volte…
Non era mai riuscito a capire se si arrabbiasse perché Gerard lo trattava male e bene a seconda del suo umore, oppure perché gliene importava davvero qualcosa del loro rapporto. Non aveva mai osato chiederglielo, ma cercava di capirlo dai gesti. Erano state conferme quando lui accettava di passare la notte insieme, anche dopo aver litigato. Erano state maledizioni a se stesso e notti in bianco ad auto commiserarsi quando se ne andava o sclerava contro di lui come fosse il suo peggior nemico.
In pratica, non capiva. Non aveva avuto certezze, finché Frank non gli aveva detto chiaro e tondo che lo amava.
In tutto quel tempo però, Gerard era stato talmente tante persone diverse che non riusciva nemmeno più a trovarsi da sé, quindi come aveva fatto Frank ad innamorarsi di lui? Di chi si era innamorato? Di quale Gerard?
Poi l’alcool e le droghe lo avevano preso troppo, non riusciva a farne a meno e, anche quando sapeva che avrebbe deluso Frank, suo fratello e i suoi amici, non era riuscito ugualmente ad astenersi dal fare cazzate. La dipendenza era stata troppo forte e sembrava che ne valesse sempre la pena, anche se poi l’avrebbero guardato male e l’avrebbero insultato.
Forse, la sua unica giusta decisione l’aveva presa quando aveva accettato di essere ricoverato nel centro di disintossicazione. L’unica cosa era che aveva capito di non aver eliminato tutti i problemi, anche essendosi liberato dalle sue dipendenze.
Il fatto era che, il passato, non avrebbe potuto cancellarlo, che la sofferenza che aveva causato a tutti non sarebbe mai stata dimenticata. I problemi c’erano stati prima della droga e dell’alcool e c’erano ora, pulito come un infante.
L’ondata di gelosia verso quella troia che aveva urlato il nomignolo di Frank si era affievolita e, nel frattempo, erano saliti in macchina, senza una meta, né la minima idea di dove poter iniziare a cercare Frank.
Si concesse soltanto un ultima considerazione mentale, tra tutti quei pensieri: una volta aveva detto a Frank che avrebbe fatto qualunque cosa per lui, anche cambiare identità, Frank gli aveva risposto, raggiante, che in quel modo sarebbe stato il suo supereroe.
I supereroi sono quelle persone comuni dotate di forze speciali, forze che non derivano soltanto da armature o da modifiche genetiche, sono energie che tengono i fili delle azioni e delle decisioni che non hanno nulla di fisico, sono forze derivate da ideali di giustizia e di libertà. Di amore.
E i supereroi salvano la vita di chi amano, anche rinunciando alla propria.
 
 
 
 
Continuarono a girare come trottole per tutta la sera.
L’orario di cena era passato da un pezzo, nessuno aveva fame e i telefoni erano quasi tutti scarichi, l’unico che sembrava sopravvivere a quegli attacchi continui di chiamate disperate era quello di Mikey, che improvvisamente squillò.
Sopraffatti da un’ondata di speranza si guardarono l’un l’altro con sguardi spauriti e fiduciosi.
Ray accostò senza pensarci e Mikey rispose al volo senza nemmeno controllare il numero che lo stava chiamando.
-Sì, pronto.- pronunciò agitato.
-Ehi, sì, ciao. No, non è con noi.- rispose confusamente roteando gli occhi al cielo.
-Calmati, sono ore che lo cerchiamo, siamo preoccupati anche noi.- disse un po’ indispettito.
-Sarà Jamia.- sussurrò Bob con convinzione. Forse era solita telefonare a qualcuno di loro per sapere dove fosse Frank.
E non era nemmeno la sua fidanzata, pensò Gerard provando un moto di gelosia.
-Sì, sicuro.- convenne Ray guardando Bob, il tono piatto, sembravano quasi infastiditi.Mai quanto lo era Gerard però, che avrebbe voluto strappare di mano il telefono a Mikey e urlare a quella stronza di tornare a farsi i cazzi suoi e dimenticare l’esistenza di Frank. Il suo Frank.
Immaginò che forse era troppo incoerente, che non solo agiva in modi sbagliati, ma addirittura pensava in maniera contraddittoria.
Aveva deciso di stare lontano da Frank, di concedergli la possibilità di essere felice, anche se quella felicità non sarebbe stato lui a donargliela, eppure eccolo lì, col viso arrossato dal fastidio che stava provando nell’immaginare Jamia come la fidanzata di Frank, lei che si comportava come se avesse diritti su di lui.
Scosse la testa e sospirò profondamente, tornò a prestare attenzione alla telefonata che intanto stava procedendo.
-No, ehi, non uscire, tanto è inutile. Per il momento abbiamo provato in ogni posto che ci è venuto in mente.- la rassicurò Mikey.
-Sì, siamo stati anche alla fabbrica.- aggiunse sommessamente, abbassando lo sguardo.
Gerard spalancò gli occhi stupito: non immaginava che anche lei sapesse certe cose, non credeva che facesse parte della vita di Frank a tal punto da essere a conoscenza anche di dettagli del genere.
Percepì lo stomaco bruciare e un lamento gli sfuggì dalle labbra. Forse avrebbe voluto urlare, forse avrebbe voluto non essere lì a rendersi conto di certe realtà così fastidiose.
Sentiva di stare per crollare schiacciato dal peso della consapevolezza di non essere abbastanza, non lo sarebbe mai stato.
-Non lo sappiamo, magari è con qualche amico che noi non conosciamo.- provò a dire Mikey, ma lei rispose velocemente perché suo fratello si zittì di nuovo e Gerard poteva sentire fin lì la voce della ragazza che parlava in modo agitato.
-Dai, cerca di stare calma, lo troveremo.-
-No. Ehi, no, non si può fare.- sentenziò deciso.
Il tono di voce di Jamia si fece ancora più alto, tanto che Gerard riuscì ad afferrare anche qualche parola, come “non ce la faccio” e “amo”. Molto astutamente arrivò a decifrare che avesse detto di amare Frank e ancora sentì caldo e il battito del cuore un po’ più veloce del normale. Le mani gli si strinsero a pugno automaticamente.
-Va bene, sì, okay. Stiamo arrivando.- acconsentì Mikey e poi si tolse il telefono dall’orecchio, schiacciando il pulsante per porre fine alla chiamata, sfinito.
-Ray, vai da Jamia.- disse con un filo di voce.
-Cosa?!- urlò Bob.
-Perché?- chiese Ray di rimando.
Gerard decise di non infierire su suo fratello, che già si trovava in una posizione evidentemente scomoda.
-Ragazzi è preoccupata, sapete che ci tiene.- spiegò guardandoli e sfuggendo agli occhi di Gerard.
-Ha chiamato a casa e Linda le ha detto che forse era con noi. Noi non sappiamo dov’è, come minimo vuole partecipare alle ricerche. Ha detto che non ce la fa a restare a casa con le mani in mano. Se non andiamo a prenderla uscirà da sola.- spiegò Mikey in modo agitato. Era in difficoltà ed era combattuto tra la preoccupazione che lo aveva legato a Jamia durante la conversazione e la voglia di non averla tra i piedi, come fosse di troppo.
-Va bene.- concesse Ray e ripartì senza aggiungere altro.
Bob disse qualcosa a Ray e nel mentre Mikey gli toccò una spalla facendolo voltare in sua direzione.
-Io, Gee… scusa, mi dispiace. Non avrei voluto, ma non sapevo che dirle… io—Gerard lo bloccò.
-Mik, è tutto okay. Non c’è problema.- lo rassicurò, non era di certo colpa sua. E nemmeno della ragazza se teneva a Frank e voleva trovarlo e assicurarsi che stesse bene.
Per tutta la durata del viaggio fino a casa di Jamia, convinse se stesso che si sarebbe comportato bene e si sarebbe trattenuto dal crollo emotivo da cui si sentiva attaccato con potenza. Avrebbe resistito e si sarebbe sfogato una volta solo.
Lui era una persona forte.
 
 
Quando arrivarono fuori casa di Jamia, parcheggiarono accostati al marciapiede e Gerard si accorse della merdosissima vicinanza della sua abitazione rispetto a quella di Frank. La poteva raggiungere a piedi in pochi passi. E curioso era il fatto che per diciotto anni non si erano mai incontrati, pur abitando così vicini, e poi grazie ad una delle serate alternative di Gerard, quelle che facevano infuriare Frank, avevano avuto l’occasione di conoscersi a chilometri da casa. Maledizione.
Magari il fatoin cui Frank credeva così tanto aveva deciso che non li avrebbe mai fatti incontrare, dati i fatti, ma poi aveva voluto punire Gerard per i suoi pessimi comportamenti e gli aveva giocato quel brutto scherzo.
Ma gli scherzi sono belli quando durano il tempo giusto, la presenza di Jamia era fuori tempo massimo e, forse, qualcuno si era reso conto che valeva la pena rendere felice Frank e gli aveva donato questa ragazza innamorata, non Gerard e le sue cazzate.
‘Fanculo.
 
Lei arrivò con una velocità incredibile. Sembrò volare dalla porta all’automobile e quando salì a bordo salutò tutti con un ciao tremante, che arrivò disperato anche alle orecchie di Gerard.
Risposero tutti senza entusiasmo e anche Gerard ci provò, sul serio, ma aveva la gola secca. Le parole non fuoriuscirono e per fortuna il saluto collettivo, che era arrivato alle orecchie della ragazza, non le diede modo di accorgersene. Forse.
-Avete provato a controllare al parco?- esordì Jamia arrivando dritta al punto.
-No.- rispose Bob pensieroso, erano stati in così tanti posti…
-Beh, in effetti è una buona idea, andiamo a vedere.- Ray pensò ad alta voce e riaccese il motore dell’auto.
-Frank ci va spesso quando è triste.- sospirò la ragazza.
Li separava Mikey che era finito nel posto centrale e Gerard non ce la fece nemmeno ad alzare lo sguardo su di lei. Si sentiva responsabile, aveva paura di essere accusato, come era capitato altre mille volte.
Forse Jamia gli dedicò uno sguardo accusatorio, per mettere in chiaro che quando Frank era triste c’entrava sempre Gerard, ma lui non se ne accorse perché avrebbe dato di matto per una cosa simile e la immaginò soltanto, arrabbiandosi lo stesso.
Gerard non si capacitava di quali diritti si sentisse di avvalere su Frank. Insomma, lei non era nessuno, non era la sua fidanzata, Frank aveva scelto Gerard rispetto a lei già in altre occasioni. Eppure era ancora lì. Cazzo, era masochista! O forse troppo interessata ed innamorata…
Pensò che non gliene fregava nulla del suo amore, che non se ne faceva nulla del suo interesse. Si sentiva ancora una volta derubato della sua persona speciale. Come se il tempo della sua assenza le avesse dato qualche vantaggio, qualcosa di speciale. In realtà questa cosa del vantaggio degli altri nei rapporti interpersonali era una delle sue preoccupazioni da sempre, fin da quando era adolescente e tentava con molto impegno di tenersi quei pochi amici che aveva. Cercava sempre di esserci quando facevano qualcosa, usciva anche quando in realtà non ne aveva assolutamente voglia, perché temeva che quella sua assenza sarebbe potuta essere fatale per il precario legame che li teneva uniti. Il giorno dopo avrebbero potuto parlare e fare riferimento a qualcosa successo appunto il giorno prima e se Gerard fosse mancato sarebbe rimasto tagliato fuori da quei discorsi. Tagliato fuori da quelle amicizie.
Pensandoci, era un ragionamento davvero stupido, rivalutando quella riflessione da adulto gli era sembrata una cosa così insensata ed inutile. Quei suoi amici avrebbero potuto tagliarlo fuori lo stesso e comunque non era un motivo valido per cui fare uscite ed essere sempre presente. Se quelle persone avessero tenuto a lui e all’amicizia che li univa, allora lo avrebbero reso partecipe lo stesso dei loro discorsi.
Ma da adolescente certe cose non le pensi, ti concentri soltanto a non restare solo, a tenerti strette le persone che ti degnano un minimo di interesse, anche se quelle persone, in fin dei conti, non saranno mai amici veri.
Quel ragionamento, però, in quel momento era tornato prepotentemente a prendere il sopravvento. Proveniva da un’epoca di insicurezze e timori, arrivava direttamente dalla parte di lui in cui vivevano le paure e il timore dei giudizi e del rifiuto. In quel momento, forse, quella preoccupazione era fondata e il ragionamento era calzante.
Perché Frank non era uno di quegli stupidi ragazzi pronti a voltarti le spalle alla prima occasione, Frank non lo avrebbe mai tagliato fuori, anche se fosse mancato mesi… Nonostante ciò, Jamia aveva avuto quel dannato vantaggio. Se lo era conquistata in sua assenza, per colpa della sua assenza.
Era entrata in punta di piedi nella vita di Frank, aveva avuto libero accesso alla sua vita e alla sua compagnia. Lo aveva vissuto per mesi senza intralci, lo aveva visto sorridere, magari anche piangere. Gli era stata vicina in qualche bel momento e, per essere a conoscenza anche del dettaglio della fabbrica abbandonata e tutto il resto, probabilmente gli era stata accanto anche nei suoi momenti tristi. Era entrata in casa e nella stanza di Frank. Forse… forse gli era entrata anche nel cuore e nei pensieri.
Faceva un male indescrivibile pensare tutte quelle cose e tutte insieme. In quel momento poi…
Gerard si augurava con tutto il cuore di poter avere la possibilità di rivedere Frank, ché glielo voleva dire che gli dispiaceva immensamente di non esserci stato per lui, come invece, al contrario, lui c’era sempre stato per Gerard. Magari gli avrebbe anche detto che gli dispiaceva del vantaggio che Jamia aveva accumulato in sua assenza.
-Frank di solito va in quello con gli alberi di quercia.- disse ancora Jamia, probabilmente rivolgendosi a Bob o a Ray.
-Vabbè, eravamo di strada, ci fermiamo prima qui.- rispose Bob un po’ stizzito senza nemmeno voltarsi a guardarla. Forse la consideravano un po’ invadente, forse gli stava antipatica.
Scesero tutti quanti e si incamminarono verso il cancelletto arrugginito e cigolante d’entrata.
Gerard era l’ultimo della fila e Mikey gli stava appena davanti. Si fermò guardandolo e Gerard, talmente perso a sperare e pensare, per poco non gli andò addosso prima di accorgersi che si era fermato.
-Ops.- gli sfuggì istintivamente fermandosi appena in tempo.
Suo fratello non ci fece caso e gli disse ciò che evidentemente gli premeva dire.
-Non preoccuparti, okay? Sono certo che presto lo troveremo, il quartiere è questo e il mio sesto senso mi dice che è tutto a posto, Frank sta bene. Però tu stai tranquillo. Sei pallido, ti vedo troppo agitato, cerca di rilassarti. Si sistemerà tutto.- gli disse e guardandolo in faccia, dalle sue espressioni sembrava che glielo stesse giurando e che sapesse sul serio che le cose sarebbero andate esattamente così.
L’espressione di Mikey era dolce, con la mano gli stava accarezzando la spalla sinistra e Gerard per un attimo si sentì al sicuro. La voce di suo fratello gli faceva quell’effetto, era rassicurante, era un punto fermo, uno dei pochi che aveva avuto in vita sua. Lui era il suo eroe.
-Certo. In tutto questo casino, l’importante è che stia bene Vostra Maestà.- pronunciò Jamia ironicamente, immischiandosi indiscretamente in quel momento così intimo e che non le apparteneva. Emise una risata nervosa e poi si voltò senza attendere nessuna risposta e accennò a camminare di nuovo.
Gerard era rimasto di stucco e un mix di nervosismo e rabbia si stava espandendo dal suo stomaco verso il petto. Era talmente arrabbiato che si sentiva il fiato spezzato, se avesse provato a parlare avrebbe balbettato. Sicuro come la morte.
-Jamia, ehi, piantala.- le intimò Bob, anche lui a pochi passi da loro.
-Siamo tutti agitati e nervosi, prendertela con Gerard non ti porterà da nessuna parte.- le consigliò prima ancora che suo fratello sbottasse.
Perché era così prevedibile che Mikey sbottasse…
-Beh, se cercavi di farci ridere hai sbagliato battuta.- scattò Mikey, visibilmente trattenuto.
-Ehm…-Ray si schiarì la voce con fare sicuro, pronto per intromettersi e non far degenerare la situazione. Il fatto era che non sapeva cosa dire e si notava. Voleva intervenire giusto per far in modo che Jamia e suo fratello smettessero di parlarsi in modo diretto, non voleva vederli litigare, ecco tutto.
Gerard notò tutto questo, cercò di concentrarsi in quello scambio di battute piuttosto che pensare a ciò che aveva detto Jamia sarcasticamente.
Affilò lo sguardo, soffermandosi a scrutare i gesti nervosi con cui si muoveva anche Bob, ma non riuscì più a seguire il filo del discorso…
Non riusciva a farsi uscire qualche suono dalla gola, non era capace di parlare e, anche volendo, non sarebbe stato in grado di difendersi o discolparsi. Se quella situazione fosse accaduta mesi prima era certo che ne sarebbe venuta fuori una gran bella scenata avvincente. Avrebbe risposto per le rime a quella stronza e le avrebbe ripetuto che non doveva intromettersi tra lui e Frank, ché non ne sapeva niente e non contava nulla; né lei e tantomeno il suo parere.
Ma ora era diverso. Sapeva perfettamente che le cose non stavano così, che lei c’entrava in quella vicenda e che sapeva molto di Frank. Molto probabilmente, in quel momento, ne sapeva molto più lei che Gerard di come stava Frank. Forse lei odiava Gerard per il male che aveva fatto a Frank e che Frank le aveva raccontato in qualche momento di solitudine. Forse faceva anche bene ad odiarlo.
Jamia aveva ragione, in quel momento non avrebbe dovuto importare a nessuno di come stava lui, dovevano concentrarsi solo su Frank, ma pensò che Mikey era suo fratello e non sarebbe mai riuscito a smettere di stare in pensiero per lui. Forse ne aveva più diritto Mikey di essere arrabbiato con lei, anziché Gerard.
-Mi sto pentendo di essere venuto a prenderti.- stava quasi urlando suo fratello e questo fece in modo di farlo riconnettere alla realtà.
-Tanto sarei uscita da sola, possiamo anche dividerci, per me non c’è problema.- gli urlò Jamia di rimando.
-Dai, ragazzi… basta.- Bob cercò di calmare gli animi, -Domani dovrò tornare a casa e non lo farò prima di essermi assicurato che Frank stia bene. Concentriamoci sulle cose importanti, litigare non ci aiuterà.- aggiunse con convinzione.
-Giusto, hai ragione.- confermò Ray, dandogli una pacca amichevole sulla spalla.
Tutti rivolsero la propria attenzione su Mikey e Jamia che non accennavano a smettere di fissarsi in cagnesco. Forse se fosse intervenuto Gerard sarebbe servito a qualcosa, forse avrebbe potuto peggiorare ulteriormente la situazione… non lo sapeva e quindi decise di restare in silenzio. Non si sentiva abbastanza forte da sostenere una discussione, non con qualcuno che avrebbe potuto accusarlo dei problemi di Frank.
-Dai, andiamo.- li sollecitò Ray e Jamia, dopo aver scoccato un’ultima occhiata infuocata a suo fratello, fece come le era stato detto.
Mikey lo guardò premurosamente, gli sorrise senza aggiungere parole inutili e riprese a camminare. Gerard li seguì come un automa, troppo perso in se stesso per capire cosa sarebbe stato giusto fare.
 
Era notte fonda quando attraversarono il cancelletto arrugginito del parco. Gerard guardò verso il cielo e cercò di dedurre che ora fosse, poi si ricordò dell’orologio che ne se ne stava inutilmente agganciato al suo polso e controllò. Mezzanotte e tredici.
Non avevano mangiato, né bevuto, avevano fatto sopralluoghi ovunque senza preoccuparsi minimamente del tempo che inesorabile scorreva. Erano tantissime ore che cercavano Frank senza sosta, ricapitolò.
Dov’era?
I muscoli del suo viso si contrassero in una smorfia sofferente e tirò un sonoro sospiro, tentando invano di scaricare lo stress.
Quando lo avrebbe trovato gli avrebbe fatto una bella ramanzina.
No, non era vero, non lo avrebbe fatto. Non lo avrebbe fatto in nome di tutte quelle volte che le avrebbe meritate lui stesso e Frank gliele aveva amorevolmente risparmiate. E poi, si sentiva davvero fuori luogo a fare il giudice, dopo aver trascorso la sua vita al banco degli imputati.
Allora, quando lo avrebbe rivisto gli avrebbe parlato. Anzi, prima lo avrebbe abbracciato di nuovo per dimostrargli che era felice di vederlo. Pensò che avrebbe tanto voluto sapere perché aveva reagito in quel modo, cosa gli passasse per la testa per cercare di risolvere i propri problemi in quel modo, quello che aveva sempre schifato e odiato.
In realtà, forse, non gli avrebbe detto niente. Gli avrebbe posato gli occhi addosso e avrebbe tirato un sospiro di sollievo. Lo avrebbe amato e sarebbe stato felice da lontano, lo avrebbe saputo soltanto lui.
-Io vi dico che stiamo perdendo tempo. Non è qui, Frank non ci viene mai qui.- ripropose Jamia con aria scocciata.
-Cazzo, che palle che sei.- sbuffò Mikey.
-È mai possibile che tu debba essere così negativa? Stiamo guardando ovunque, okay? Questo parco fa parte della lista.- spiegò frustrato.
-Non sono negativa, io so dove va Frank.- mise in chiaro con aria saccente.
-Jamia, ti assicuro che sappiamo anche noi dove va Frank. Lo conosciamo da una vita.- le rispose Ray.
Mikey era rimasto impietrito a guardarla senza saper articolare nessun commento che non fosse un insulto.
-Sì, ma io vi dico che qui non ci viene mai.- continuò imperterrita.
-Facciamo un giro veloce e ce ne andiamo, però togliamoci il dubbio e controlliamo anche qui.- la rassicurò Bob, mantenendo la calma e parlandole pazientemente.
La ragazza sbuffò e tra il lungo e rumoroso sospiro che emise Gerard riconobbe il suono tipico dei singhiozzi di un pianto represso troppo a lungo.
Infatti dopo qualche secondo iniziò a piangere.
Si mise a sedere su una panchina lì vicino e nascose il viso tra le mani. La sua schiena si muoveva ritmicamente a causa del pianto violento che l’aveva colta irrimediabilmente.
In un attimo le furono tutti accanto. Ray si abbassò e le prese le mani per guardarla in faccia e magari dirle qualche parola rassicurante. Lei non mollò la presa e non si lasciò consolare, alzò il viso dopo qualche minuto, guardandoli con rabbia. Poi posò esattamente lo sguardo su Gerard e lì iniziò il suo vero sfogo.
-È colpa tua!- gli gridò in faccia.
Gerard sbarrò gli occhi.
-È colpa tua, solo tua!- urlò di nuovo mentre singhiozzi accorati le deformavano la voce.
-Quando fa così è sempre perché è arrabbiato con te, o perché gli manchi!- continuò a sfogarsi urlando a tutta  gola.
-“Gerard di qua, Gerard di là”- iniziò ad imitare mentre gesticolava furiosamente.
-“Gee avrebbe detto questo, a Gee sarebbe piaciuto”- elencò in modo isterico.
-Gee, sempre Gee.- sfiatò prima di zittirsi per qualche secondo.
-Più tu lo ignori o lo fai soffrire e più lui andrebbe anche nello spazio a prenderti una stella, se sapesse che potrebbe farti felice.- disse con rabbia.
A Gerard si bloccò il respiro in gola a sentire certe cose. Frank parlava di lui, Frank lo voleva. Soprattutto, Frank sfogava la rabbia nei suoi confronti così, sparendo per giorni e sballandosi fino a perdere i sensi.
Era colpa sua, aveva immaginato bene. Colpa dei suoi errori ricaduti su Frank, colpa di quel loro rapporto così sbagliato e doloroso. Quella fu la cosa che lo colpì di più, averne la conferma lo fece sentire ancora più male di come si era sentito nell’ipotizzarlo.
-Jamia, calmati.- la rassicurò Bob.
Erano un momento ed una situazione così disperati che nessuno sapeva bene cosa fare. Gerard guardò suo fratello che sembrava una perfetta statua di sale dall’espressione indistinguibile. Forse avrebbe voluto strozzare Jamia per ciò che aveva appena detto, ma magari invece gli faceva tenerezza. E il motivo di questo conflitto interiore era che, in fondo, Jamia stava dicendo la verità.
-Come posso calmarmi?!- tornò a gridare la ragazza.
-Come posso?! Io lo amo, lo volete capire? Sono mesi che gli sto dietro, che mi accontento di quello che riesce a darmi, che umilio me stessa, a volte, pur di rimanergli accanto. Ho sempre questo continuo paragone, questa certezza che non sarò mai abbastanza per lui, che lui non mi amerà mai!- raccontò scossa da nuovi singhiozzi disperati e da lacrime che scendevano senza sosta.
-O almeno non mi amerà mai quanto ama Gerard…- sussurrò sfinita, pronunciando il nome di Gerard con amarezza, con rabbia, forse con disgusto.
Più passava il tempo e più il suo nome diventava un insulto.
-Ehi, lui ci tiene a te.- Ray tentò di rassicurarla.
- Non è vero! Non ci tiene, mi vuole bene, è vero, ma non gliene importa nulla di me. Lui vuole qualcun altro…- disse ancora con rabbia, piantando gli occhi sulla figura di Gerard.
- Qualcun altro che invece pensa solo a se stesso e gli fa soltanto del male.- aggiunse sfidandolo con lo sguardo.
- Sta zitta—cominciò suo fratello, ma Gerard intervenne stavolta. Non poteva più ascoltare simili cazzate.
- Non sai nulla di me e di noi, non permetterti di—
-E invece ne so più di quanto pensi, ci sono stata io in questi mesi con Frank, l’ho visto struggersi e piangere per te. L’ho visto sopravvivere, non vivere. L’ho visto odiarti come solo una persona innamorata totalmente riesce a fare.-rispose furiosa senza far finire a Gerard il suo discorso.
-Ma non ne sai niente di quel che abbiamo passato, di quello che io ho passato.- provò a cominciare di nuovo.
-“Io, io e ancora io”, sei capace a pensare solo a te stesso.- lo accusò duramente, mentre non la smetteva di piangere.
-Io…beh, io… non è vero. Tu non mi conosci, non devo giustificarmi con te. Non è vero!- terminò alzando la voce, così, perché forse anche lui aveva bisogno di sfogarsi e lei gli stava facendo perdere la pazienza.
Forse si era comportato male con tante persone, soprattutto con Frank, ma lei non aveva il diritto di rinfacciarglielo, lei non avrebbe mai saputo abbastanza per capire quello che c’era stato, quello che era successo tra loro. Non voleva difendersi, era già abbastanza sconvolto da quello che aveva sentito dirle.
-Lascialo in pace.- gli intimò puntando un dito verso il punto in cui era in piedi, fermo, cercando di mantenere la calma che non gli apparteneva.
-Me l’hai detto tu la prima volta che ci siamo incontrati, e io l’avrei fatto se avessi capito che Frank era felice con te. Ma non è così, questo vostro…- ci pensò un attimo per trovare la parola giusta.
-Questo vostro legame non è sano, non vi dà niente, vi distrugge e basta, lascialo stare, io penso di poterlo rendere felice. Io lo amo. Lascialo in pace, ti prego.- terminò sommessamente, supplicandolo di dare a Frank quella possibilità, la stessa che anche lui stesso avrebbe voluto per Frank. Forse era davvero giusto così.
Lei poteva renderlo felice e Frank meritava di esserlo.
-Va bene.- acconsentì sentendo il cuore che andava in pezzi.
-Adesso basta, non si prendono decisioni per le vite degli altri, tantomeno lo farete voi due per quella di Frank, almeno non di fronte a me. Dovete smetterla, abbiamo una cosa importante da fare, innanzitutto, ed è trovarlo. Quindi non voglio assistere a nessun’altra discussione, da adesso in poi.- sbottò Mikey in preda a troppi sentimenti da tenere a bada.
-Andiamo.- ordinò a tutti prendendo a camminare.
 
Fare il giro del parco gli fece perdere più tempo del previsto. Di notte non era come quando lo si frequenta di giorno, ci si incontrano comitive di ragazzi in alcuni punti e nella parte delle rampe da skate sembrava esserci una specie di festa. Gerard non immaginava che quel parco fosse così pieno di vita nei finesettimana.
La preghiera di Jamia gli risuonava ancora in testa e, nonostante non avrebbe mai voluto dargliela vinta e lasciarla vivere in pace con Frank, iniziò a valutare l’opzione di smettere di fare l’egoista immaturo e concedere alla persona che amava così tanto di essere felice e spensierato, di vivere una quotidianità normale con una persona equilibrata e che l’amava senza se e senza ma.
Forse avrebbe potuto funzionare e quel pensiero doloroso gli teneva la mente occupata, non facendolo soffermare a pensare che ancora non l’avevano trovato. Erano scoccate le due e stavano uscendo dal parco, attraverso il cancelletto di prima, pronti per andare a perlustrare il parco di querce di cui aveva parlato prima Jamia, colei che conosceva tutto di Frank.
La disperazione lo stava portando all’isterismo, pensava cazzate su cazzate e addirittura faceva ironia da quattro soldi riguardo al fatto di aver ceduto di fronte a Jamia e averla rassicurata che con Frank non avrebbe più avuto niente a che fare.
Non vedeva l’ora di baciarlo, pensò. E, anche se era certo che non lo avrebbe mai fatto, poterlo immaginare era così bello che non riuscì ad impedirsi di pensarlo. Gerard e la sua indomabile incoerenza…
 
In effetti si trovava molto a suo agio a sguazzare nell'incoerenza, forse era per il fatto di non essere mai stato una persona decisa, uno che restava fermo nelle proprie decisioni; lasciarsi andare semplicemente all'istinto era uno di quei comportamenti che l'avevano sempre caratterizzato, era quasi scontato per gli altri non riuscire mai a prevedere cos'è che avrebbe fatto.
Era un segreto che custodiva quasi con vergogna, ma a volte si era stupito da solo... Dopo aver preso qualche decisione o aver agito in un determinato modo era rimasto basito, colpito da se stesso. Non aveva mai immaginato di potersi comportare nella maniera con cui poi aveva gestito una determinata situazione.
Era sconvolgente e fastidioso, a volte, ma in certi casi aveva completamente adorato essere guidato soltanto dall'istinto cieco.
In ogni caso, chiunque lo conosceva poteva tranquillamente dire che Gerard non fosse un tipo in grado di pianificare, tantomeno che riuscisse a sottostare a delle regole.
Non teneva conto nemmeno di quelle della moralità o delle azioni socialmente accettabili. Era fatto così: incomprensibile.
La droga e l'alcool non avevano fatto altro che accentuare questo modo d'essere e questa era solo una piccolissima parte del carattere di Gerard. Era fatto talmente tanti aspetti che non osava neppure cercare di contarli, lasciava molto al caso, come andava, andava. Forse era per questo motivo che non era capace di decidere preventivamente come comportarsi. Non era certo delle proprie reazioni fin quando non si ritrovava nella situazione e veniva colpito ed investito dagli eventi.
Tornarono alla macchina e mentre erano in procinto di partire il telefono di Mikey cominciò a squillare. Gerard non riusciva nemmeno a capacitarsi di come la batteria potesse essere ancora carica.
-Oh dio!- esclamò Mikey prima di rispondere, dopo aver guardato il display del telefono.
-Cosa?- chiese Bob d’istinto cercando di farsi spiegare.
-È Frank.- proclamò con gli occhi spalancati e la voce strozzata.
Gerard boccheggiò, forse era sollievo quella sensazione che percepiva bloccargli il respiro, forse stava morendo di paura. Sentì le voci dei propri amici esclamare delle frasi, e anche se non riuscì a concentrarsi per capire cosa avessero detto, avrebbe potuto giurare che i loro toni erano uno più preoccupato di un altro.
Mikey non fece caso a nulla e si affrettò a rispondere.
- Frank, dio mio, dove sei?- chiese apprensivo senza nemmeno salutarlo.
Gerard studiò le smorfie del suo viso cercando di capire che cosa stessero ascoltando le sue orecchie.
La voce di Frank era un suono bellissimo da ascoltare, per telefono riusciva a piacere a Gerard ancora di più. Chissà cosa stava raccontandogli quella voce meravigliosa.
-Sì, sono io. Beh, ecco, sono il suo migliore amico.- sentì spiegare a suo fratello.
Gerard scattò sul sedile come se avesse ricevuto un input. Aveva paura, sentiva le mani tremare e la gola era secca. Mikey stava parlando con qualcuno che aveva chiamato dal telefono di Frank, ma non era Frank, questo si era capito benissimo, ma Gerard non capiva bene le dinamiche o forse non voleva credere alle proprie orecchie, alla realtà, perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere a se stesso che qualcosa di importante era accaduto, avrebbe dovuto rendersi conto che qualcosa di grave era accaduto.
In un attimo gli piombò addosso una sensazione di paura mista a terrore, mista a rabbia, curiosità. Non avrebbe mai saputo spiegare cosa sentiva, aveva bisogno di sapere, ma lo preoccupava quel racconto, perché avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di brutto e non voleva nemmeno prendere in considerazione un’opzione del genere.
Per tutto il tempo aveva cercato Frank con tutte le sue forze, ripetendosi in testa che avrebbe dovuto renderlo felice e lasciarlo stare, dopo aver discusso con Jamia aveva addirittura acconsentito di fronte a lei e ai suoi amici a smetterla di stare dietro a Frank e alla loro relazione così dolorosa.
E se non avesse potuto avere avuto una seconda possibilità? E se le ultime parole che si fossero scambiati sarebbero state quelle del giorno prima?
Il “ti odio” che Frank gli aveva sputato contro iniziò a risuonargli nelle orecchie, il suo “ti amo” represso e ingoiato nel fondo del proprio stomaco iniziò a bruciarglielo, cominciò a pesare come se fosse un qualcosa di materiale e fosse estremamente pesante.
Era stato uno stupido, avrebbe dovuto cogliere il momento, avrebbe dovuto dirgli ciò che sentiva. Aveva sbagliato tutto nella propria vita, pensieri, azioni, comportamenti, perché invece, ora, era così fermamente convinto di fare la cosa giusta reprimendo i suoi sentimenti e trattenendosi con Frank?
Se quella del giorno prima sarebbe stata la loro ultima conversazione Gerard non se lo sarebbe mai perdonato.
Si passò una mano sul viso mentre ascoltava la voce di suo fratello e lo trovò completamente bagnato di lacrime.
- Sì, dammi l’indirizzo, veniamo subito.- stava dicendo Mikey con il volto dipinto di un’espressione estremamente preoccupata ed agitata.
-Sì, so dove si trova. Bene, ci vediamo tra poco. Grazie.- aggiunse serio, poi pose fine alla chiamata.
-Ray, sbrigati, vai verso la gelateria del delfino, quella dove andiamo sempre. Frank è da quelle parti, a casa di un suo amico, presumo.- spiegò suo fratello in velocità.
Ray partì in fretta e nel frattempo tutti iniziarono a sommergere Mikey di domande.
-Dov’è? Ma chi era al telefono? Perché non ha parlato Frank? Cosa gli è successo?- le domande piovvero su Mikey. Gerard non si rese nemmeno conto di chi avesse chiesto cosa. Jamia stava piangendo di nuovo, comunque. Di questo se ne accorse, perché singhiozzava rumorosamente.
-Ragazzi era un amico di Frank. Ha detto che ha trovato il mio numero tra le chiamate recenti del telefono di Frank. Ha detto che non sta molto bene e se possiamo andarlo a prendere.- riassunse Mikey cercando di non far apparire la situazione troppo tragica, anche se in realtà lo era davvero.
Gerard si prese il viso tra le mani e tentò di respirare regolarmente. Fece dei respiri lunghi e calibrati mentre cercava di tenere a bada altre lacrime che cercavano di scendere e sfuggire al suo controllo.
Avrebbe tanto voluto teletrasportarsi da Frank e sincerarsi che stesse bene, avrebbe tanto voluto baciarlo e dirgli che lo amava.
Sentiva il suono delle voci dei suoi amici sovrapporsi senza saper dire che cosa stessero dicendo. La voce di suo fratello, ad un tratto, spiccò sulle altre e lo sentì parlare con Jamia.
-Dai, calmati, non è niente di grave. Magari si è sentito male e sta riprendendosi. Non piangere.- cercò di consolarla e se questo non dimostrava che Mikey era il ragazzo più dolce che poteva esistere, Gerard non avrebbe saputo in che altro modo avrebbe potuto palesarlo. Avevano litigato furiosamente appena poco prima ed ora era lì a consolarla, abbracciandola anche, notò Gerard.
Nessuno disse più nulla per il resto del viaggio, ognuno perso in se stesso , ognuno impegnato a mantenere una calma che non possedeva. Il viaggio parve lunghissimo. Ad un certo punto Gerard iniziò a convincersi che avevano fatto prima ad arrivare in Giappone, quella volta in tour, che a percorrere quei dannati isolati che li separavano da Frank. Gerard percepiva soltanto il pianto mal trattenuto di Jamia e si voltò a guardarla fulminandola, avrebbe voluto strozzarla, odiava vederla così coinvolta.
Quei tre mesi lontano da casa non avevano permesso a Gerard di abituarsi alla sua presenza, per cui se l’era ritrovata tra capo e collo – e tra i piedi, soprattutto. E più veniva a conoscenza del feeling che aveva con Frank, più si innervosiva; più si accorgeva di quante cose lei sapeva di lui e più si rendeva conto che aveva accumulato quel dannato vantaggio rispetto a Gerard. Odiava tutto quello, se il mondo fosse stato giusto avrebbe dato modo a Gerard di rendersi conto di certe cose poco alla volta, di abituarsi all’idea di Jamia che faceva parte della vita di Frank, alla sua presenza, ma forse Gerard non meritava proprio niente e anche il mondo gli si stava ritorcendo contro.
Poi la paura lo pervase di nuovo ed iniziò a pregare mentalmente che Frank stesse bene. Non che avesse in mente qualcuno di preciso a cui rivolgere quelle richieste, quindi si raccomandò un po’ a tutti i vari dèi che conosceva. Che poi magari era sempre la stessa persona chiamata in modi diversi, ma nel dubbio non volle rischiare e li menzionò tutti, dentro di sé. E Gerard, peraltro, non era nemmeno una persona religiosa, anzi, ma la disperazione lo stava portando a tutto quello. E sinceramente avrebbe fatto anche riti satanici pur di assicurarsi il benessere di Frank.
Stava cercando un pensiero su cui fissarsi e non immaginare scenari tragici, così si era concentrato a pregare, ma il suo cervello decise che era ora di smettere di condensare l’attenzione su certe cazzate che non avevano mai fatto parte del suo essere ed iniziò a proporgli varie scene, una peggiore dell’altra, tutte più o meno con lo stesso finale: una vita senza Frank.
Il cuore probabilmente gli arrivò in gola e le mani tornarono a tremare di nuovo, non riuscì a trattenersi e lasciò via libera a quelle lacrime che aveva bisogno di piangere. Lo fece in silenzio, senza singhiozzi che avrebbero potuto attirare l’attenzione. Sentì una quantità abbondante di lacrime scivolargli sulle guance e arrivargli sulle labbra. Le assaporò e nel mentre alzò lo sguardo e lo puntò accanto a sé, dove c’era Mikey che però era piegato con la testa fra le mani e così il suo sguardo si scontrò rovinosamente contro quello di Jamia, che aveva sul viso le sue stesse manifestazioni di dolore, per lo stesso identico motivo, tral’altro. Per un attimo si sentì così simile a lei che l’avrebbe abbracciata, poi pensò di distogliere lo sguardo perché erano soltanto la paura e la disperazione a fargli pensare certe assurdità.
Prima che compisse quel gesto, la ragazza gli sorrise. Un sorriso piccolo, quasi inesistente. Quei sorrisi che si fanno tra le lacrime, in certe circostanze dolorose, rivolti a qualcuno che sta vivendo le tue stesse emozioni, qualcuno che può capirti. Jamia aveva avuto gli stessi pensieri di Gerard ed evidentemente non lo odiava davvero, la sfuriata di prima e le cose pessime che gli aveva detto erano state soltanto una conseguenza dell’attacco di nervi e frustrazione che provava nel non trovare Frank. Forse un po’ l’odiava per via dell’amore che Frank dimostrava provare per lui e magari era gelosa, magari avrebbe tanto voluto che Gerard non esistesse. Senza cattiveria, solo per poterlo amare ed essere ricambiata.
Gerard sospirò continuando a piangere tutte le lacrime che sentiva di dover lasciare andare e pensò che forse, se fosse stato in lei, anche lui avrebbe voluto che non esistesse. C’erano un bel po’ di persone che avevano quel desiderio e probabilmente lo pensava anche Frank, dopo tutto quello che aveva passato a causa sua. Ma poi i suoi gesti non corrispondevano mai a ciò che diceva con le parole, alla fine Gerard non riusciva mai a credergli, quando gli diceva che lo odiava e che lo voleva lontano. Pensò che con le parole non ci avevano mai saputo fare e Frank glielo aveva detto un mucchio di volte. Sperò che stesse bene e che magari, presto, avrebbero potuto parlare seriamente.
Finalmente Ray posteggiò la macchina nel piccolo parcheggio della gelateria e tutti scesero frettolosamente dall’auto.
-Ha detto palazzo giallo.- comunicò Mikey guardandosi intorno.
-Eccolo!- gridò Gerard, che riuscì a localizzarlo anche con la vista offuscata dalle lacrime, forse sarebbe stato in grado di trovarlo anche senza indizi. Bastava che si concentrasse, loro due si attiravano l’uno all’altro, riusciva sempre a percepire dove fosse.
-Sì, dai, sbrighiamoci.- Bob incitò tutti e con passo svelto si diressero verso il palazzo.
Come al solito non avrebbe saputo dire come, ma disse a Mikey di suonare a quelparticolare citofono e quando la voce di un ragazzo rispose, Mikey disse il proprio nome e quello gli disse che era al terzo piano.
Forse c’entrava la telepatia o forse era stata questione di pura fortuna.
Per le scale sembrava fossero cinque maratoneti antagonisti tra loro, si scapicollarono su ogni singola rampa e arrivarono di fronte alla porta col fiatone. Qualcuno suonò il campanello e Gerard si accorse di essere l’ultimo della fila, o del gruppo sparso di persone che si erano formate di fronte all’uscio marrone scuro dell’appartamento dell’amico di Frank.
Il ragazzo aprì e li guardò sconcertato per un istante, probabilmente non si aspettava tutta quella folla, forse Mikey capì e gli spiegò la situazione.
-Ciao, sono Mikey. Vedi noi… ecco, noi lo stavamo cercando da ore.- riassunse agitato.
-Beh, sì, immagino.- farfugliò il ragazzo guardandoli stralunato.
Gerard avrebbe voluto superare tutti e togliere di mezzo quel rincoglionito che se ne stava di fronte alla porta senza decidersi a farli entrare. Erano passati pochi istanti, ma a Gerard sembrava che fossero lì ad aspettare da secoli.
-Entrate, vi porto da lui.- disse voltandosi di spalle e addentrandosi nell’appartamento.
Tutti lo seguirono come fosse la loro guida spirituale, Gerard si rese conto che ognuno di loro avrebbe fatto qualunque cosa per ritrovare Frank, come aveva già pensato un mucchio di volte tutti lo amavano, nessuna eccezione. Era impossibile che qualcuno non amasse Frank, lui era speciale, faceva breccia nel cuore di chi lo conosceva quasi immediatamente. Era un ragazzo dolce e solare e magari era ripetitivo anche nei pensieri, ma non si capacitava di come avesse fatto ad innamorarsi proprio di lui.
-Che cosa gli è successo?- Gerard domandò con urgenza al proprietario di casa. Gli altri erano entrati e il ragazzo -Tom, così si chiamava- gli aveva indicato una stanza in fondo al corridoio.
-Vedi, noi… lo so che è sbagliato- mise in chiaro alzando le mani e facendo quella premessa.
-Abbiamo preso dell’erba e delle pasticche. Lo avevamo fatto altre volte, a Frank non era mai accaduto niente.- spiegò agitato.
-Cioè, insomma, si sballava, ma poi si è sempre ripreso. Stavolta non lo so… sembra delirare. Dice cose senza senso.- raccontò facendo avanti e indietro nei i pochi metri quadri di cui era composta la cucina.
-Forse ha la febbre, la sua fronte brucia.- proclamò cercando di darsi una spiegazione. E quella spiegazione poteva essere verosimile, Frank si ammalava con estrema facilità, forse sommato a tutta la merda che aveva preso era entrato in una condizione di confusione.
-E poi non faceva che ripetere il nome- si bloccò fissandolo in modo strano.
-Tu chi sei, come ti chiami?- chiese come se stesse attendendo una rivelazione importante.
-Io mi chiamo Gerard.- rispose un po’ in imbarazzo. Non sapeva perché, ma si sentiva strano.
-Cazzo. Lui non ha fatto che ripetermi di chiamarti, di dirti di venire. “voglio Gee” mi chiedeva, ma sinceramente non sapevo come fare. Il tuo numero sul suo cellulare non c’è. L’ho cercato, davvero.- gli spiegò animato, come se davvero avesse fatto di tutto per assecondare le richieste di Frank.
Gerard si accorse di essere rimasto immobile e sconcertato. Frank non aveva il suo numero: perché?
Evidentemente lo odiava così tanto che aveva voluto cancellare ogni traccia di lui, sicuramente aveva deciso, giustamente, di farlo fuori dalla sua vita e il suo numero di telefono faceva parte di quel piano.
Frank voleva salvarsi da lui, Gerard ne era certo. Magari stava usando metodi un po’ sbagliati, ma il fine era quello.
Sentiva un vociare lontano e incomprensibile. Gerard avrebbe voluto far parte di quelle conversazioni, eppure non aveva le forze di raggiungere quella dannata stanza e assistere alla visione di Frank totalmente sconvolto. Avrebbe visto se stesso attraverso uno specchio, un vecchio specchio che lo avrebbe potuto scioccare.
Ma Frank lo aveva cercato, Frank voleva che Tom lo chiamasse e Gerard sapeva spiegarselo benissimo quel comportamento, c’era già passato, sapeva quali meccanismi atroci si attuavano quando la propria mente non era lucida. Ci si attacca ai ricordi, si creano realtà alternative in cui tutto è perfetto e i ricordi brutti non esistono, come se non sia mai accaduto nulla. L’effetto della droga induce soltanto a trovare ogni modo possibile per soddisfare i propri desideri ed era proprio per quello che Gerard aveva deciso di non cadere mai più in quello stato, di non prendere mai più la merda che aveva avuto nel sangue per anni.
Gerard doveva proteggersi dai suoi desideri.
I suoi desideri erano pericolosi e avrebbero portato solo dolore, avrebbe dovuto imparare a vivere una vita senza aspirazioni, almeno non quelle sentimentali.
Tom lo prese per il polso destro e lo trascinò verso la stanza in cui aveva indicato stesse Frank.
-Ma cosa- provò a chiedere Gerard mentre procedeva a passi insicuri, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi.
-Devi vedere Frank, lui non faceva altro che cercarti, te l’ho detto, credo debba dirti qualcosa di importante, o forse è solo uno dei suoi deliri, ma penso che si calmerebbe se ti vedesse.-
Gerard sospirò sentendosi la pancia tremare, era agitato e confuso. Era felice di aver ritrovato Frank e moriva dalla voglia di rivederlo, anche se la paura di trovare troppe somiglianze con se stesso lo aveva ghiacciato. Forse stava provando troppe emozioni e probabilmente era preoccupato per l’ipotetica reazione di Frank nel vederlo.
-Dov’è Gee?- sentì domandare dalla voce rauca –più del solito- del suo chitarrista.
- È… Eccolo!- esclamò suo fratello dopo essersi guardato intorno e averlo visto entrare nella stanza trascinato da Tom che l’aveva preceduto.
-Gee- sussurrò Frank muovendo piano la testa cercando di localizzarlo.
Gerard diede un’occhiata disinteressata alla stanza, cercando di prendere tempo e prepararsi alla scena del suo Frankie delirante. Non funzionò, evidentemente, perché quando gli posò gli occhi addosso per poco non crollò su qualcuno che gli stava di fianco. Ci posò una mano, comunque, sulla spalla di quel qualcuno che poi identificò come Bob. Boccheggiò e forse fece uno degli sguardi più compassionevoli che il suo volto avrebbe mai potuto esprimere.
Era sdraiato su di un letto sfatto, aveva una t-shirt blu e non aveva i pantaloni, ma solo i boxer. Aveva i capelli in disordine e la faccia arrossata, gli occhi semi aperti; era visibilmente sudato e il suo sguardo vacuo faceva intuire che non stesse davvero capendo molto.
-Io… Gee vieni qui.- chiese con un tono disperato allungandosi sul letto verso la direzione in cui Gerard era in piedi ed impalato.
Tom gli diede quasi una spinta e lo fece avanzare senza che Gerard ne avesse davvero la piena convinzione. Era basito, era arrabbiato e dispiaciuto, avrebbe fatto qualunque cosa perché Frank non fosse lì, in quelle condizioni, e lui stesso ad assistere a quella scena così dolorosa. Dolorosa più che altro per le cose di cui era venuto a conoscenza, lo sarebbe stato in ogni caso, ma essere consapevole che la colpa era solo sua lo faceva sentire angosciosamente responsabile.
Guardò ad uno ad uno i suoi amici, poi fece il decisivo passo in avanti verso il braccio di Frank che era ancora proteso verso di lui.
Accanto al corpo sdraiato di Frank c’era Jamia, aveva gli occhi arrossati dagli innumerevoli pianti che l’avevano travolta quella sera. Gerard la vide guardarlo con odio - magari non era nemmeno così, ma di sicuro era uno sguardo ostile -, non c’era più il piccolo sorriso di comprensione che li aveva uniti per pochi secondi mentre si dirigevano a casa di Tom.
Inaspettatamente,, Frank gli afferrò la mano, forse si era allungato di più e Gerard sembrava un vero fantoccio senza burattinaio ad instradarlo verso movimenti decisi e giusti.
Frank lo tirò verso di lui e finalmente si decise a riprendere padronanza di se stesso e si avvicinò ancora, abbassandosi verso di lui, posando quasi le ginocchia sul pavimento.
Il suo chitarrista sorrise cercando di aprire bene gli occhi guardandolo, gli prese il viso tra le mani e in un attimo si ritrovò con la faccia a pochi centimetri dalla sua.
Provò ad indietreggiare, guardando allarmato Jamia che era proprio lì accanto a loro. Dio santo, era una situazione così ambigua.
Ma Frank se lo tirò di nuovo sopra, continuando a chiamarlo sommessamente, come se il suo nome fosse un mantra per scacciare il malessere che probabilmente doveva sentirsi addosso.
-Io ti amo.- dichiarò Frank sussurrando. Gerard boccheggiò e chiuse gli occhi con forza.
-Sei l’unico di cui mi importa e ti ho cercato, ma non riuscivo a trovarti. Dov’eri?- chiese cercando di parlare con un tono di voce normale, ma non riuscendoci pienamente.
- Io, ecco…- provò a rispondere riaprendo gli occhi e scacciando le lacrime che stavano osando venirgli su, ma Frank lo interruppe di nuovo e comunque Gerard non avrebbe saputo rispondere perché era stato tutto il giorno e tutta la notte là fuori a cercarlo.
- Gee, sto male.- proclamò posando la testa sul cuscino senza comunque lasciargli il volto con le mani.
- Penso che tu abbia… la fe. Penso che tu abbia la febbre.- cercò di esprimersi con decisione, di dire qualcosa con cui rassicurare Frank e farlo smettere di parlare della loro situazione e di ciò di cui il suo cervello lo stava convincendo in quel momento.
-Non è la febbre. Mi manchi, io ti voglio, io ho bisogno di fare l- Gerard gli tappò la bocca con la mano e si buttò su di lui abbracciandolo. Quasi avrebbe voluto lasciarsi andare sul serio, quasi avrebbe voluto piangere, Gerard era così certo di cosa stava per dire.
Oltre al fatto che c’erano gli altri, che c’era Jamia anche, non poteva sopportare di ascoltare quelle parole. Era stata una giornata troppo dolorosa e ansiosa. Era stato agitato per tutto il tempo in cui lo avevano cercato per mari e monti, era stato preoccupato, angosciato, aveva così avuto paura di perderlo, aveva provato un terrore ingestibile al pensiero che avrebbe potuto non rivederlo.
Jamia singhiozzò e distolse Gerard dai suoi pensieri.
Alzò il busto e tornò inginocchiato sul pavimento, la guardò e poi spostò lo sguardo rapidamente, non riusciva a gestire i suoi sentimenti, non aveva potuto prepararsi per tenere a bada una persona che provava certe cose per lui. Lei provava gelosia, odio, cose che Gerard non sapeva nemmeno capire. Se qualcuno lo avesse avvertito prima, almeno avrebbe potuto organizzarsi. Avrebbe potuto,che so, imparare a fingere che non potesse scalfirlo, imparare ad ignorare.
Frank non aveva molta coscienza della realtà, in quel momento, quindi, ignaro di tutto il dolore che stava causando a Jamia, decise che erano troppo lontani e lo prese nuovamente per mano, avvicinandoselo di nuovo.
-Gee, lo sai che mi si è rotto il cuore quando mi sono innamorato di te?- chiese retoricamente. Gerard lo guardò stralunato.
-Baciami.- chiese poi, come se quello che avesse detto prima c’entrasse qualcosa o avesse senso.
Gli occhi di Gerard s’incatenarono a quelli dallo sguardo allucinato di Frank.
Lo avrebbe fatto immediatamente, fregandosene dell’incoerenza che avrebbe dimostrato a se stesso con quel gesto, ma ciò che aveva provato quel giorno aveva messo in discussione tutto, ogni sua convinzione.
Aveva come la sensazione che qualcuno gli avesse fatto uno di quegli scherzi di pessimo gusto, come se gli avessero mostrato un’eventuale vita senza Frank, gliel’avessero fatta immaginare, facendolo soffrire e poi lo avessero catapultato di fronte all’evidenza che era stato tutto finto.
Frank era lì e Gerard aveva una seconda possibilità.
In quel momento stava rimettendo tutto in discussione, niente sembrava più come l’aveva immaginata e pensata. Tutto si era ribaltato e Gerard non riusciva a trattenere gli impulsi che lo portavano verso Frank.
Forse stava sbagliando tutto, forse aveva sbagliato tutto.
Stava di nuovo per distruggere tutto, ogni idea e convinzione che aveva avuto per mesi.
Gerard lo aveva sempre fatto, creare e distruggere, ma stavolta sentiva di doversi dare del tempo. Non poteva strappare il foglio, Frank non era un suo disegno. Non era una canzone venuta male o un insieme di frasi che non suonavano bene insieme tra loro, no, Frank e la sua felicità contavano fin troppo per essere rimessi in discussione in velocità.
Doveva resistere e pensare con calma, quel tipo di decisioni non dovevano essere contaminate dall’irrazionalità, non dovevano dipendere dall’istinto. L’aveva portato alla rovina l’istinto e lui era diverso.
-Gee noi vi aspettiamo di là, aiutalo tu a rivestirsi.- gli disse Mikey avvicinandosi e toccandolo con la mano sulla spalla in un gesto rassicurante.
-Okay.- confermò annuendo.
-Vieni Jamia?- Mikey gliela porse come una domanda, ma era più che altro un consiglio, non un ordine, ma più un qualcosa che andava fatto. Doveva uscire da quella stanza.
-No, resto.- rispose lei lanciando a Mikey uno sguardo ostile.
-Tra poco ce ne andiamo, esci un attimo con noi.- continuò suo fratello. Lui sì che sapeva come dovevano andare le cose.
-No. Io… Frank, ti aiuto, andiamo a casa.- Jamia tentò di ignorare Mikey e si rivolse direttamente al suo chitarrista. Aveva la voce rotta da ciò che evidentemente stava provando. Gerard le leggeva l’umiliazione sul viso. Gli dispiacque.
-Non ce la faccio.- gli rispose Frank.
-Ti aiuto io.- riprovò lei, alzandosi dai piedi del letto dov’era seduta e avvicinandosi. Gerard fece per alzarsi, ma Frank lo trattenne per una mano, che afferrò al volo prima che potesse allontanarsi troppo.
-No, ti prego, resta.- gli chiese con una voce stanca e un’espressione sfinita.
-Jamia, vieni.- continuò Mikey, che era rimasto fermo sullo stipite della porta.
Glielo disse dolcemente, non voleva essere brusco e si notava, voleva in un certo senso proteggerla da quello che Frank, senza il filtro della ragione, avrebbe potuto dire. Le aveva già spezzato il cuore, non c’era bisogno di infierire.
La ragazza guardò ancora le loro mani unite, Gerard gliel’avrebbe lasciata per non farla soffrire ancora, gli dispiaceva da morire. Poi diede un’ultima occhiata a Frank, che se ne stava fermo, sdraiato e preoccupato solo che Gerard non si muovesse dal suo fianco.
Non ragionava, questo era evidente, ma Gerard non credeva che a Jamia facesse meno male.
Si voltò con velocità e si diresse verso la porta superando anche Mikey.  
-Cosa hai fatto, Frank?- Gerard chiese sconsolato, non appena furono rimasti soli.
-Ti amo.- ripeté ancora una volta e Gerard a quel punto lasciò andare le lacrime. Non c’era nessuno che avrebbe potuto rinfacciarglielo.
- Cazzo. Ci hai fatti spaventare.- disse tra sé e sé ad alta voce e  altre lacrime si accumularono alle prime, rigandogli il viso e scendendo fino al collo.
-Non la voglio, una vita senza te. Non voglio lasciare la band, non voglio starci senza te.- iniziò a dire Frank confusamente. Poi sembrò piangere, ma forse si rotolò soltanto tra il groviglio di lenzuola e coperte, portandosi un braccio sulla faccia.
-Non vorrei mai che tu lasciassi la band.- ci tenne a precisare Gerard. Questa era una cosa importante e sperò che se la sarebbe ricordata anche quando sarebbe tornato lucido e capace di intendere e di volere.
La paura di perderlo era stata talmente tremenda che aveva l’incontenibile voglia di toccarlo, di sentire la sua pelle sotto le sue dita, di sentire il suo odore, di sentirlo.
Gli accarezzò il viso, trovandolo caldissimo, Frank socchiuse gli occhi protendendosi verso la sua mano come un gatto.
-Ho bisogno di te.- sussurrò stancamente.
-Anch’io, anch’io ne ho bisogno.- disse Gerard di getto, tappandosi la bocca subito dopo.
Ma Frank scattò quasi a sedere a quelle sue parole, forse stava fingendo tutta quella confusione e voleva arrivare proprio lì: ad ascoltare la verità.
I suoi occhi arrossati e non completamente aperti suggerirono a Gerard che purtroppo non era così, Frank stava davvero male, magari si stava riprendendo un po’ e allora aveva avuto uno sprazzo di lucidità, comprendendo appieno ciò che aveva detto.
-E allora resta con me, non mi lasciare. Il cielo fa schifo.- sussurrò guardandolo con quello sguardo un po’ liquido.
E Gerard avrebbe sul serio fatto finta di non capire, se fosse stato un ragazzo forte e risoluto avrebbe ignorato le sue parole e gli avrebbe detto di riprendersi e di tornare a parlargli quando si sarebbe ripreso completamente. Invece capì. Capì tutto.
Gli si avventò addosso senza davvero averlo deciso, aveva solo scelto di pensare cose stupide per ingannare il suo cervello al fine di distrarlo.
Mentre unì le labbra a quelle di Frank pensò ad una stella marina.
Pensò a questa asteroidea, un tipo di stella marina che aveva visto in un documentario, pochi giorni prima, per caso, nel buio del fondale marino, mentre le loro lingue finalmente si incontravano.
Quando Frank lo strinse e lo abbracciò disperatamente immaginò un buio pesto e quasi materico avvolgerlo e questa luce lontana e piccola. Gerard tentò di raggiungerla mentre col fiato sospeso mangiava le labbra del suo chitarrista e lo accarezzava con foga.
Dimenò immaginariamente gambe e braccia per avvicinarsi il più veloce possibile mentre quasi si stese sul corpo bollente di Frank.
C’era quasi. Era quasi arrivato, se avesse allungato la mano probabilmente sarebbe riuscito a toccarla.
Si spinse in avanti, nuotò ancora e poi si accorse che gli stava mancando l’aria. Cavolo, era così tanto che non respirava. Baciò Frank con tutta la disperazione che stava vivendo nella sua testa.
Era la cosa più bella del mondo, quella sensazione di confusione.
Forse era ciò che provavano i sub prima di affogare, l’ossigeno che inizia a mancare e l’anidride carbonica che fa credere al corpo di star respirando lo stesso. I polmoni che si contraggono con foga nel tentativo vano di scacciare quel veleno e di assumere aria pura.
Era una bella morte, in fondo, non te ne rendevi pienamente conto. Le immagini iniziano ad essere confuse, i pensieri offuscati, la voglia di lasciarsi andare è la tentazione predominante.
Gerard stava per farlo. Continuava ad abbracciare e toccare Frank, piccole pause per guardarlo negli occhi e poi di nuovo con le labbra contro le sue, ancora con le lingue intrecciate, ancora ad amarsi.
Mentre stava per lasciarsi andare decise che la mano su quella fottuta stella marina voleva assolutamente posarcela. Era così bella, così luminosa in un posto tanto buio e brutto. Probabilmente non c’era nessun’altra forma di vita oltre lei in quel posto ostile, era un piccolo miracolo, era la dimostrazione che anche dove non crediamo ci siano cose belle e sconvolgenti ci sono nascoste piccole meraviglie.
Forse Gerard l’aveva sfiorata con la punta delle dita quando percepì una potente forza afferrarlo e portarlo in alto. Iniziò ad essere di nuovo tutto buio e la luce dell’asteroidea tornò ad essere lontana, sempre di più.
Forse era stato pescato come uno di quei grossi pesce spada.
-Gee, ehi.- quella era la voce di suo fratello.
Staccò la bocca da quella di Frank e alzò la testa alla ricerca di suo fratello. Era sulla porta e lo guardava con un’espressione indecifrabile. Non era arrabbiato però, di questo Gerard ne era certo.
-Gee, dai, dobbiamo andare. Aiutalo ad alzarsi, avrete tempo per… parlarvi.- riassunse tossicchiando, Gerard era sconvolto totalmente.
Annuì frettolosamente e guardò suo fratello scomparire di nuovo verso il corridoio.
Portò di nuovo la sua attenzione su Frank, era scombinato e i suoi capelli erano ancor più arruffati rispetto a prima, aveva stampato un sorriso compiaciuto sul volto. Forse non era propriamente compiaciuto, forse era felice.
Ma Gerard invece era confuso, colpito da ciò che aveva fatto e terrorizzato da quel che aveva capito.
Frank era quella piccola stella meravigliosa e luminosa in un posto schifoso e buio. E sarebbe rimasto un miracolo fintanto che fosse rimasto dov’era. Nessun sub doveva portarlo in superficie, la sua luce non sarebbe stata visibile contro altra luce. Nel buio non c’era solo il nulla, c’erano tanti piccoli incanti e Gerard non era nessuno per potersi permettere di farlo smettere di brillare. Frank doveva restare tra le stelle e vivere con altre stelle come lui.
Gli afferrò il viso scavandogli gli occhi con il suo sguardo.
Lo amava così tanto che avrebbe smesso di respirare e si sarebbe lasciato andare.
Si alzò da terra, o forse dal letto, non sapeva più decifrare dove si trovasse.
-No, ehi, dove vai?- gli chiese Frank.
E Gerard lo guardò ancora una volta, da lontano così da poter ammirare la perfezione che costituiva.
-Ci vediamo, Frank.- gli disse senza dargli il tempo di rispondere.
Lasciò la stanza e percorse il corridoio in fretta, arrivò nel salotto dove c’era la porta d’entrata e localizzò Jamia con lo sguardo.
Le si avvicinò con sicurezza e trattenne le lacrime promettendosi che sarebbe stato solo per altri pochi minuti.
-Frank ti cerca- le disse.
-Vuole te.- riassunse guardandola come l’ipotetica stella luminosa che avrebbe fatto compagnia a Frank nell’oscurità.
Vide il suo viso illuminarsi di un lampo di speranza e poi decise che era troppo, doveva andarsene.
-Mik, ti aspetto a casa.- farfugliò velocemente prima di avviarsi verso la porta.
E per fortuna, quella volta, suo fratello fu abbastanza comprensivo da non aggiungere altro.
 
 
P.S. il titolo del capitolo è il titolo di una canzone degli interpol che adoro e ascolto un sacco! ;)

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Capitolo 7
*** smile like you mean it ***


Macciao!
Okay, sì, veroverissimo sono in ritardo. Che strano, di solito io sono una persona così puntuale!!
Okay, scherzi a parte, e soprattutto avvenimenti pessimi a parte, diciamo che sono la solita ritardataria e basta.
Il capitolo qui sotto comunque è bello consistente, proprio come è nel mio stile ;D
Spero vi piaccia, spero la storia continui ad appassionarvi/interessarvi. Spero che stiate sclerando per bene per le foto dei nostri due fidanzati segreti!!!!!! Wow! Cioè, speriamo che Frnk prenda G per un orecchio e gli dica “rimetti su sta cazzo di band ché guarda come ti sei ridotto” -_- Gerard ha bisogno della sua band, ma non se ne rende conto… Vedo le foto con le fan e tipo lui è più imbarazzato di loro <3
Bene, dopo i miei pensieri sconclusionati passiamo al titolo del capitolo che è una canzone dei the killerzzzz e non un qualcosa che ha a che fare con jessica jones come credeva la mia adorata beta che, ringraziatela se questa storia è leggibile, perché io a volte scrivo come se stessi a casa mia a parlare con i miei amici :°°°°°°°°°°D certe cose non le ho cambiate lo stesso, comunque, perché sono troppo ribelle per questo mondo!
Bene, le mie idiozie le ho scritte, spero stiate bene, siate felici e non prendiate esempio dalle mie ff per le vostre storie d’amore che tutto ‘sto angst è bello solo da leggere, non da vivere, TRUST ME C:
Ah, sono sempre su twitter con il mio originalissimo nick per qualsiasi cosa vogliate scrivermi riguardo qualunque cosa, anzi, venite ché mi sento sola :C
Le recensioni comunque sono sempre ben accette, per favore amatemi, ne ho bisogno <3
 
 
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-PRTGMOI cap6
 
 
 
 
 
 
 
Smile like you mean it
 
 
 
 
Il supereroe che Gerard stava disegnando era un po’ troppo cupo, con quegli abiti scuri dalla stoffa traslucida, gli stivaloni che facevano così tanto gangster e poi la sua faccia, totalmente coperta da quella maschera da becchino e i canini sporgenti che spuntavano dalle labbra socchiuse in un ghigno.
Più che a un supereroe, assomigliava ad una specie di cattivo dei fumetti. Uno di quei personaggi troppo poco perfetti per essere visti come adeguati, troppo strani per essere presi come esempio, come un modello da seguire.
A vederlo dalla posa quasi forzata in cui era ritratto sembrava una di quelle persone che ci provano molto, questo bisognava riconoscerglielo, ma che in fondo non ne fanno una giusta, c’è sempre qualcosa che va storto, un impedimento, un errore, qualche evento che compromette la sua credibilità.
Magari poteva essere un antieroe, ma forse neanche quello, perché non sembrava nemmeno cattivo.
Era semplicemente un uomo comune, una persona qualunque che aveva momentaneamente creduto troppo in se stesso ed aveva creduto di poter salvare il mondo, era stato certo di possederne la stoffa, finendo per creare più danni di quelli che in effetti già esistevano.
Era solo una stupida persona che aveva provato ad indossare un costume, credendo che questo gli avrebbe infuso quella forza d’animo e qualche altro sentimento nobile che in realtà non aveva il potere di donargli.
Gerard accartocciò il foglio.
Stava quasi per lanciarlo nel secchio, quando ci ripensò e lo depositò di nuovo sulla scrivania.
Magari gli sarebbe potuto servire comunque a qualcosa. Tipo ad inserirlo in qualche storia ed esibire la sua ridicolezza. Avrebbe potuto mostrarlo come esempio da non seguire. Ecco, quello sì.
Il fatto era che avrebbe dovuto smetterla di ispirarsi a se stesso per creare un personaggio eroico e leggendario, non ne sarebbe mai venuto fuori nulla di buono da lui, sotto qualunque aspetto.
Avrebbe dovuto prendere ispirazione da altro, tipo da Mikey o…
Sospirò chiudendo gli occhi quando l’immagine di Frank gli venne in mente.
Ovviamente il suo cervello aveva una vasta scelta di immagini tra cui poter scegliere per ricordargli Frank, ma, altrettanto ovviamente, gli propose quella di qualche giorno prima, quella di Frank strafatto e febbricitante, mezzo svestito e delirante, con gli occhi sbarrati e lo sguardo vacuo ed allucinato.
Sospirò ancora, scacciando quell’immagine fastidiosa.
Era rimasto talmente colpito dal vederlo in quelle condizioni, che la sua mente non aveva alcuna intenzione di proporgli un’immagine diversa da quella. Continuava ad immaginare le stesse scene da giorni e se le sognava pure di notte.
Forse c’entrava il fatto che non si era più mosso da casa da quel giorno, notte o mattina, qualunque ora fosse stata e cercava di restarsene in camera da solo, perché non aveva voglia di interagire, era troppo occupato a pensare.
Al famoso centro di riabilitazione, lo psicologo gli aveva insegnato a razionalizzare gli eventi, o meglio, gli aveva spiegato che era importante farlo, che soltanto rivivendo e spiegandosi gli avvenimenti che lo avevano colpito sarebbe riuscito a sentirsi più leggero, a continuare a vivere senza sentirsi divorato dai mostri che erano scaturiti dai pessimi sentimenti che aveva provato inizialmente.
Su questo punto doveva ancora lavorare; in effetti lavorava ancora anche su altri mille punti, perché aveva capito i concetti, ma non riusciva a metterli in pratica. Anche la settimana prima, durante l’incontro con quel sant’uomo che si prendeva la briga di sopportarlo, aveva cercato di capire cosa lo avesse spinto a buttarsi su alcool e droghe, che cosa ci fosse stato alla base del suo tentativo di fuga dalla realtà. Per Gerard era importante, voleva capire da cos’era stato scaturito. Come era iniziato tutto.
 
Ovviamente il dottor Grant aveva subìto tutti i racconti sul vortice di sentimenti contrastanti e forse anche sbagliati che aveva provato quando era morta sua nonna, perché Gerard era convinto che il motivo fosse stato quello, che era stato troppo debole per affrontare tutto quel dolore, che non era stato preparato a restare solo, senza di lei, che del resto aveva iniziato a non importargli più niente e per andare avanti aveva ricorso ai metodi più sbagliati e disparati che aveva avuto a disposizione. Ma quell’uomo era risoluto, altroché se lo era, e con una sicurezza invidiabile gli aveva detto che no, quell’avvenimento aveva peggiorato sicuramente la situazione, ma non era stata la morte di Elena a renderlo così. Aveva aggiunto che secondo il suo parere, da come lo conosceva, Gerard fosse stato sempre così.
Gli aveva spiegato altre cose poi, dopo che Gerard si era calmato - perché cavolo, era suonato come un insulto, come una condanna, “sei così, fattene una ragione” aveva risuonato nella sua testa -, gli aveva spiegato che aveva questo terrore di non piacere al mondo radicato alla base della sua personalità, il suo sentirsi sempre inadeguato e mai all’altezza di chi gli stava intorno. Il pensiero aveva sfiorato la mente di Gerard, qualche volta, ma la mancanza di lucidità dovuta ai tranquillanti che prendeva per via della terapia gli aveva impedito di approfondire il concetto.
Ci aveva ripensato una volta solo, ci aveva ragionato così intensamente che, come al solito, ad un certo punto era arrivato a provare nausea e aveva deciso che non gli interessava, che avrebbe riprovato in un altro momento. Aveva addirittura provato la voglia di andare da sua madre a chiederle se lei ricordasse, se lei, durante la sua vita, avesse notato qualcosa che a lui sfuggiva. Poi, fortunatamente, aveva rinunciato anche a quella stupidaggine, pensando che forse sua madre in quel momento era felice di come stavano andando le cose, magari era certa che Gerard stesse finalmente bene e anche Mikey e che fossero con lei, al suo fianco e ‘fanculo a lui e alle sue paranoie che le avrebbero rovinato quel momento idilliaco.
 
In quei giorni, Mikey passava regolarmente per camera sua almeno sette o otto volte al giorno; cercava di farlo sorridere con qualche aneddoto divertente, lo informava di quello che accadeva fuori da quelle quattro mura e soprattutto gli raccontava delle condizioni di Frank.
Gli aveva detto che, quando lo avevano riportato a casa, Linda li aveva ringraziati e li aveva tranquillizzati spiegando loro della malattia che aveva Frank, che aveva pochissime difese immunitarie e che la febbre non era nulla di preoccupante, lei lo avrebbe curato. I deliri anche, niente di che, facevano parte del pacchetto chiamato febbre da cavallo. Insomma, non c’entrava nulla la droga, sarebbe stato in quelle condizioni lo stesso, il problema era solo e soltanto la sua salute cagionevole. Piccolo, delicato Pansy.
In quei giorni aveva avuto tantissima voglia di andarlo a trovare, ma non sapeva cosa Frank ricordasse o meno, magari lo odiava ancora, o forse ancora di più. Magari ricordava gli avvenimenti in modo distorto, avrebbe potuto farlo agitare e creare una di quelle belle litigate con i fiocchi proprio in casa sua, di fronte a sua madre. Non aveva voluto rischiare, gli bastava sapere che stesse bene, che si stava riprendendo e che aveva abbastanza persone che non lo lasciavano solo e gli volevano bene.
Mikey gli aveva raccontato che Jamia era sempre lì con lui, che forse non andava nemmeno a dormire a casa propria. Gerard come al solito aveva odiato sapere cose del genere, ma aveva finto che non fosse così e gli aveva domandato altro, per sviare il discorso e il dolore che gli provocavano quelle notizie pessime.
-Ehi Gee.- lo chiamò a gran voce, appunto, suo fratello, prima di aprire senza dargli nemmeno il tempo di rispondere.
Si voltò verso la porta, che aveva alle spalle, aspettando di vedere sbucare quello stambecco adorabile.
-Oh, ma sei sempre a quella dannata scrivania!- lo rimproverò, entrando e richiudendosi il battente alle spalle.
-Ti verrà la gobba.- cercò poi di intimorirlo.
-Ciao anche a te Mik.- rispose sarcastico, emettendo una risatina. Suo fratello rise.
-Quando usciamo?- gli domandò poi andando a sedersi sul letto.
-Niente scuse, stai diventando un cazzo di vampiro, qui non c’è manco più ossigeno.- elencò inventando motivi, senza dargli il tempo di poter rispondere.
-Non ho voglia di vedere ness- provò a dire.
-Solo io e te. Nessun altro.- precisò il suo piccolo Mikey premuroso. Voleva solo distrarlo ed era disposto a tutto, Gerard avrebbe dovuto arrendersi subito, ma provò di nuovo.
-No, Mik, è che dovrei fini- niente, non lo lasciò finire neanche stavolta.
-Non devi finire niente, quando torni avrai tutto il tempo.- gli spiegò, facendo crollare inesorabilmente le sue scuse infondate.
-Non sei andato nemmeno dallo psicologo, questa settimana.- gli fece notare. Era apprensivo, mai detto il contrario.
-Sì, no… è che l’ho sentito per telefono.- mise in chiaro tentennando.
-Ma davvero?- fece Mikey scettico.
-Giuro! Quando non vado è così amorevole che mi chiama per sapere perché non sono andato, e praticamente, fingendo indifferenza, mi fa una seduta telefonica.- gli spiegò con un sorrisetto. Non si spiegava la premura di quel dottore, sembrava fosse interessato a lui sul serio, non solo per lavoro.
-Che brava persona.- si espresse Mikey con un sorriso dolce.
-Sai perché?- gli domandò senza voler davvero ottenere una risposta, ma usando quel modo per dare un principio a ciò che voleva dirgli.
-Perché sei una persona fantastica. Sei strano, okay, ma sei davvero speciale e anche lui, che non ha nulla a che fare con te, a parte il lavoro, vuole che tu sia felice.- gli spiegò con sicurezza. Sembrava che sapesse ciò che diceva, aveva proprio lo stesso modo di fare di quel dottore, certe volte.
Gerard rimase in silenzio, colpito da quello che Mikey gli aveva appena fatto notare, perché lui non ci aveva mai  pensato. Magari non era nemmeno vero, quel che aveva detto suo fratello, ma era stato bello sentirselo dire.
-Come sta Frank?- passò agli argomenti importanti, togliendosi dalla testa tutti quei discorsi di dubbia certezza.
Mikey sorrise e lo guardò con uno di quei suoi sguardi teneri. Gerard non seppe decifrare se era dovuto al discorso di prima o al fatto che chiedeva in continuazione di Frank senza avere le palle di uscire da quella fottuta stanza e andarlo a trovare.
-Sta bene.- gli rispose.
-Si sta rimettendo, non ha più la febbre e vuole suonare.- riassunse ridacchiando e Gerard pensò che era tipico di Frank. Il solito concentrato di energia e voglia di fare; lo ammirava così tanto… forse pensava all’ammirazione, ma magari era uno di quei suoi modi sottili per dire che lo amava. Già, sicuro. Sospirò di nuovo per scrollarsi di dosso quelle sensazioni di adorazione miste a rabbia e gelosia.
-Chiede di te.- disse suo fratello con tranquillità puntandogli gli occhi addosso. Gerard restò di sasso, gelato nella sua posizione. Guardò a terra ovviamente, era più semplice non affrontare lo sguardo troppo eloquente di suo fratello.
-Ray e Bob come stanno?- chiese poi, cercando di concentrarsi sul altro.
-Cosa?- suo fratello lo guardò stralunato, ma proprio che sembrava come se gli avesse chiesto di aiutarlo ad accoppare qualcuno e seppellirlo insieme.
-Ray e Bob, sai il nostro chitarrista e il nostro batter- fece ironico prima che Mikey lo interrompesse, furibondo.
-Gee la devi smettere e che cazzo!- esplose inizialmente.
-Cosa credi di risolvere a startene qui, chiuso in camera come una liceale delusa dal primo ostacolo che la vita le ha presentato e, soprattutto, facendo finta che Frank non esista?- gli chiese quasi urlando, ma quelle non erano neanche domande, lui lo stava rimproverando.
-Io non sono una ragazzina.- iniziò a difendersi debolmente.
-Non lo sono tanto per cominciare perché sono un ragazzo, poi perché ho quasi trent’anni e-
-Non esagerare.- sputò Mikey scacciando le sue parole con una mano.
-Sai quello che ho passato e non me ne sto qui, chiuso nella mia stanza, perché ho scoperto che il mondo forse è troppo duro per me.- stava iniziando ad arrabbiarsi, non era possibile che dovesse difendersi anche da suo fratello.
-Invece è proprio così, cara la mia sorellina dal cuore infranto.- gli disse quasi con cattiveria. Magari non lo era nemmeno, ma non gli ci voleva anche Mikey a farlo sentire patetico, bastava e avanzava la sua coscienza.
-Cerco solo di proteggermi.- ammise pensando che il mondo, sì, era troppo duro per lui, non sarebbe mai stato in grado di affrontarlo a testa alta e con le sue armi sguainate.
-Anche evitare Frank è per proteggerti?- domandò Mikey a bruciapelo.
Gerard portò velocemente lo sguardo sul suo viso, fulminandolo.
-Sì.- disse fra i denti. Chi poteva spiegargli che da quando era tornato stava pregando anche gli dei pagani affinché lo aiutassero a stare lontano da Frank, affinché lo proteggessero dai propri desideri.
-Che cazzo ne sai tu, Mikey?- sussurrò distogliendo lo sguardo con rabbia. Forse avrebbe pianto presto.
-Ah, io? Beh, niente, no?- controbatté ironicamente, facendo silenziosamente riferimento all’amicizia che lo legava a Frank, a tutte le volte in cui lui era andato a confidarsi e a sfogarsi, a tutte le volte che anche Gerard lo aveva fatto, coinvolgendolo anche più del dovuto.
-Ti dico una cosa: evitarlo non ti porterà da nessuna parte, lui continuerà a provare le stesse cose per te, come tu, dalla tua tristissima stanza, non smetterai di pensarlo e di immaginare quanto sarebbe bello avere un rapporto normale.- gli spiegò in malo modo. Era così arrabbiato che se Frank avesse preso possesso del corpo di suo fratello non ne sarebbe rimasto stupito.
-Quello che cerco di dirti è che devi smettere di farti spaventare dal mondo. Non sei solo, non lo sarai mai, devi vivere. Sii te stesso e non privarti di quello che vorresti, ti farai solo del male.- ritentò usando un tono tutt’altro che ostile, sembrava un’altra persona rispetto a quella di pochi secondi prima. Forse aveva perso il controllo, Gerard faceva sclerare anche i santi, pensò.
-Mikey, lo so. Hai ragione. Probabilmente dovrei avere del coraggio da qualche parte, è che non riesco proprio a trovarlo, sai?- voleva essere una risposta acida, avrebbe dovuto essere un commento ironico, un qualcosa che avrebbe dovuto esprimere un “fatti i cazzi tuoi”, qualcosa di sprezzante. Invece il sorrisetto sarcastico che avrebbe voluto fare si trasformò in una smorfia, il suo sguardo astioso si deformò ed iniziò a piangere.
Sapeva che non c’era motivo per cui nascondersi da suo fratello, anche se lo aveva appena trattato di merda. Poteva fidarsi di lui, lui non lo avrebbe mai lasciato, evidentemente cercava solo un modo per scuoterlo da quello stato catatonico in cui era caduto al primo vero problema che gli era capitato non appena uscito dal centro di riabilitazione.
Voleva aiutarlo e sapeva come colpirlo affinché reagisse alla vita.
-Ehi, Gee, no , io…- balbettò alzandosi dal letto e raggiungendolo.
-Io… dov’è finito mio fratello, quello che mi urlava contro quando lo rimproveravo e che alle accuse rispondeva con i fatti?- chiese cercando di tirarlo su di morale.
-Non volevo… pensavo di farti ragionare, di attaccarti come ho sempre fatto, così da spingerti a dimostrare che mi stavo sbagliando.- gli spiegò e Gerard lo sapeva benissimo, non avrebbe mai reagito così prima. Ma ora era diverso e si era scoperto molto emotivo, molto fragile anche.
-Non è colpa tua.- lo tranquillizzò tirando su con il naso.
-So cosa volevi ottenere, è solo che io… ecco, io non sono pronto. Non mi sento abbastanza forte, non ce la faccio a lasciarmi tutto alle spalle e ad iniziare a vivere decentemente. Ho paura.- gli confidò tra le lacrime.
Mikey lo abbracciò di slancio e gli accarezzò la schiena per tutto il tempo in cui pianse le lacrime che non era più in grado di trattenere.
-Gee, sul serio, se avessi saputo che avresti reagito così non ti avrei mai attaccato in quel modo. Sei così diverso…- parlò contro la sua spalla mentre continuava a tenerlo stretto e ad accarezzarlo.
Era diverso Gerard. In fondo lo era sempre stato, in un modo o nell’altro, ci fosse mai stata una persona, durante la sua vita, che avesse pensato che era un ragazzo comune, come tutti gli altri. E Elena gli diceva sempre che risiedeva in questo la sua bellezza, il suo essere speciale: il suo essere diverso. Ma il mondo, gli altri esseri umani che non lo conoscevano davvero e si fermavano alle apparenze, loro che pensavano di lui? Quella diversità era sicuramente qualcosa che veniva vista come un difetto e Gerard se n’era sempre vergognato. Forse un giorno sarebbe stato in grado di dimostrare che quello era un pregio, che lui era speciale, come diceva sempre sua nonna, ma il punto era che nemmeno lui stesso ci credeva e allora quella parola sarebbe suonata sempre come un insulto, anche se l’aveva pronunciata suo fratello.
-Sei diverso rispetto a prima, a tre mesi fa, intendo.- decise di mettere in chiaro Mikey che ne sapeva sempre fin troppo dei suoi ragionamenti.
-Lo so.- gli rispose sussurrando, sorvolando su quanto aveva appena pensato.
-Sei fragile, ma sei più umano. Non era possibile, prima, che io ti riprendessi per qualche comportamento sbagliato e tu mi ti scagliassi contro come una furia. È più normale così, Gee.- gli spiegò cercando di rassicurarlo su ogni parte di frase che gli aveva detto.
Mikey ci teneva che Gerard non pensasse mai cose sbagliate, avrebbe passato giorni interi a parlargli e spiegargli le cose per scongiurare il pericolo che lui fraintendesse. Era così dolce da parte sua, ma Gerard era certo che avesse rovinato la vita anche a lui, a suo fratello che diceva di amare così tanto. Lo aveva sempre fatto preoccupare.
Continuò a piangere silenziosamente.
-Credo che Frank non desidererebbe altro che tu entrassi dalla porta di camera sua.- gli confidò restando sempre lì, col petto contro il suo e le braccia che lo circondavano riscaldandolo e non facendolo sentire solo.
Gerard non rispose, non sapeva cosa dire, non era certo nemmeno di ciò che gli stava dicendo Mikey, se glielo aveva detto Frank oppure se lui lo pensava.
-Me l’ha detto.- confermò come se stesse nella sua testa, a passeggiare tra le parole che scorrevano al suo interno.
-Cosa ti ha detto?- domandò d’istinto.
-Ogni volta che vado, chiede dove sei, cosa stai facendo, se stai bene, insomma, tutte le cose che chiedi anche tu di lui!- ridacchiò mentre raccontava e lo lasciò andare, certo che la crisi fosse terminata.
Gerard lo stette ad ascoltare con la faccia bagnata e gli occhi arrossati, le labbra socchiuse e uno sguardo pieno di troppi sentimenti e speranze. Da come lo guardava suo fratello, era certo che ispirasse tenerezza.
-Fa continue allusioni al fatto che siano venuti a trovarlo proprio tutti, tranne te. Ha paura di averti deluso.- gli spiegò.
Gerard sbarrò gli occhi, Frank non poteva pensare certe cose. Non poteva, tanto per cominciare, perché Gerard aveva deluso Frank per anni interi, Frank non avrebbe mai potuto deluderlo, aveva commesso un errore, okay, ma lui non si sarebbe mai sentito in diritto di sentirsi tradito, di credere che Frank fosse una brutta persona. Gerard non sarebbe mai stato nella posizione di poter giudicare qualcuno, tantomeno Frank. E poi, anche volendo fingere di essere la persona perfetta che non era mai stata, non si sentiva davvero deluso, era triste, quello sì, aveva provato un dolore quasi fisico nel vedere Frank in quelle condizioni, avrebbe voluto essere quell’eroe che si era finto tempo prima e salvarlo da se stesso e dai suoi sentimenti troppo travolgenti, ma non era arrabbiato con lui. Sperava che Frank non fosse deluso da lui, invece. Sperava davvero che potesse comprendere la sua decisione di non volerlo vedere, di capire. Ancora una volta.
-Digli che non lo sono, che non potrei mai permettermelo, che non sono nessuno per giudicarlo.- vomitò quelle parole senza nemmeno respirare, lo guardò fiducioso, come se suo fratello avesse il potere di sistemare le cose, come se potesse rassicurare Frank al posto suo.
-Lo so. Gliel’ho anche spiegato, ma lui non ci crede perché dice che altrimenti saresti andato a trovarlo, invece lo odi, quindi non vuoi nemmeno vederlo.- gli spiegò e non addolcì la pillola, e questo fece pensare a Gerard che quello era il nuovo metodo che Mikey stava usando per scuoterlo.
Gerard si lamentò sospirando perché tutto ciò che avrebbe voluto era la felicità di Frank e come al solito stava fallendo, era come quel falso supereroe mascherato da cattivo che non ne faceva una giusta. Forse avrebbe dovuto seriamente prendere in considerazione il fatto di smettere di sentirsi nella posizione di rendere felice qualcuno. Non ne era in grado, ecco tutto.
Continuò a piangere, che ormai era diventato un professionista nel farlo.
-Dio, Gee…- suo fratello era evidentemente troppo colpito dal suo comportamento e troppo coinvolto dal suo dolore.
-Dimmi che posso fare, non so vederti così. Non mi sembri nemmeno tu.- disse tornando ad abbracciarlo.
Gerard lo strinse.
-Scusa.- singhiozzò sentendosi misero. Quel cazzo di psicologo gli aveva insegnato a piangere e a tirare fuori le proprie emozioni in quel modo ed ora sembrava che i suoi condotti lacrimali fossero come dei tubi mal riparati che al primo problema si rompevano di nuovo perdendo di brutto.
-No, non ti scusare. Fa bene piangere, è meglio che ti sfoghi così anziché urlare e sbraitare roba senza senso.- cercò di rincuorarlo, ma Gerard a quel punto non sapeva più se quel che gli stava dicendo era solo per farlo calmare o perché lo pensava realmente.
-Chiedi scusa a Frank da parte mia. Io…- poi sospirò e lasciò le braccia di suo fratello, aveva bisogno di darsi un tono, si sentiva troppo patetico. Un conto era disperarsi per conto suo, un altro era farlo davanti agli altri, anche a suo fratello, facendolo sentire a disagio.
-Perché non provi a farlo tu?- gli chiese dubbiosamente, con dolcezza.
-No, no, Mikey. Non saprei che dirgli e poi mi sembra ridicolo presentarmi lì dopo giorni e giorni che avrei potuto farlo. È stato male e non ci sono stato, ora sta bene mi sembra davvero da idiota andare proprio adesso.- ammassò confusamente, cercando di spiegare a Mikey tutto quel groviglio di dubbi che aveva in testa.
-Credo che a Frank non importerebbe nulla di quanti giorni sono passati.- riprovò cercando di rassicurarlo. Gli passò le dita sul viso asciugando le lacrime che ancora se ne stavano lì a farlo sentire ancora più patetico.
-Non… Mikey, lo hai detto tu che c’è sempre Jamia, c’è chi si prende cura di lui. Io non c’entro niente.- balbettò distogliendo lo sguardo.
-Una volta era lei che non c’entrava niente…- lasciò in sospeso suo fratello.
-Dannazione Gee, vai lì fuori e riprendi la tua vita in mano.- sbottò sospirando subito dopo. Era frustrato, Gerard notava, ma non voleva ferirlo, non dopo aver visto che sapeva piangere come una ragazzina disperata.
-Credo che essere consapevole di starne vivendo una sia il massimo che io possa fare, forse un giorno riuscirò anche a fare qualcosa per renderla migliore. Tu ti sei sempre aspettato troppo da me, Mikey.- gli disse fiducioso; suonava triste perché aveva appena finito di piangere, o forse non aveva ancora del tutto smesso, ma era felice dei traguardi che aveva raggiunto.
-Perché so di quello di cui sei capace. Sei la persona più forte che io conosca, Gee.- gli confidò con uno sguardo pieno d’amore e sincero, ma Gerard semplicemente pensava che Mikey lo avesse sempre idealizzato eccessivamente, lui non era forte per niente.
Ma era sconcertante quanto riuscisse ad essere un fratello fantastico e comprensivo, così gli buttò di nuovo le braccia al collo e lo strinse in segno di ringraziamento.
-Ti voglio bene.- gli sussurrò accanto all’orecchio.
-Anch’io e scusa.- rispose Mikey con una voce rotta. Gerard sperò che non iniziasse a piangere anche lui, altrimenti avrebbe potuto allagare la camera.
-Di niente Mik, sei fantastico.- glielo disse.
-Tu lo sei e io credo in te. Ricordalo sempre.- glielo confidò come una di quelle frasi piene di aspettative, quelle che le ascolti e senti che sì, ha proprio ragione quella persona che ti sta dicendo quella cosa, ce la farai. Sperò davvero che sarebbe stato così e sperò che Mikey avrebbe lasciato presto la sua stanza, ché doveva elaborare troppe notizie.
E per elaborare intendeva piangere.
 
 
 
 
 
Quando il telefono squillò, non comprese subito da dove provenisse il suono, visto che non lo sentiva da giorni. Gerard non era esattamente il tipo che usava il cellulare in continuazione, e in più non riceveva chissà quante telefonate o messaggi, quindi a volte, come in quel caso, dimenticava anche di averne uno.
Abbassò il volume dello stereo e si allungò verso il comodino per afferrare il telefono e rispondere; nel farlo si stese sul letto e pensò velocemente a chi potesse essere: Mikey era passato a trovarlo qualche ora prima, e aveva visto anche Ray, che era con suo fratello. Forse era Bob, dato che era tornato a casa già da qualche giorno.
Il pensiero si soffermò sull’unica persona che mancava all’appello e immaginò che, se Frank non aveva telefonato fino a quel giorno, non lo avrebbe fatto proprio in quel momento; il motivo era lo stesso per il quale si sentiva ridicolo lui, ad andare a trovarlo dopo che era stato male per quasi due settimane. Magari era un ragionamento che valeva soltanto per lui, ma non credeva comunque che fosse Frank, perché beh… Frank non aveva più il suo numero di telefono. Niente Gerard in quel dispositivo.
Sbuffò.
-Pronto?-
-Oh, sì, ciao Bri. Sì, tutto bene.- rispose al manager. Si sentivano regolarmente, avrebbe dovuto perfino immaginarlo che fosse lui.
-Ah, domani?- domandò preoccupato.
-No, nessun problema. Sì, posso avvertire io gli altri. Okay, grazie, sì. Bene, a domani.- lo salutò ponendo fine alla telefonata.
Sospirò socchiudendo gli occhi, non si aspettava già una riunione con la casa discografica. Cavolo, erano trascorsi così pochi mesi dalla fine del tour.  
Brian gli aveva spiegato che la casa discografica aveva fretta di avere tra le mani un nuovo album e avrebbe fatto qualunque cosa perché riuscissero a farglielo avere il prima possibile.
L’idea c’era, ne avevano parlato tra loro e dovevano definire i dettagli. Poi c’erano vari testi che Gerard aveva scritto, ma non credeva che fossero tutti buoni, anzi, ne avrebbe cestinato la maggior parte senza dar loro un’opportunità. Comunque avrebbe dato una chance ad ogni frase, perché aveva intenzione di far leggere tutto anche agli altri.
Ora avrebbe dovuto avvertire i suoi amici e, cosa più importante, doveva riordinare le idee.
Voleva essere preciso e credibile quando avrebbe esposto l’idea della parata nera, non voleva suonare macabro e nemmeno triste. Aveva trascorso la sua intera vita sentendosi affibbiare certi aggettivi, era ora che cercasse e trovasse le parole giuste che servivano a spiegare le proprie idee, non voleva più essere travisato. Non si parlava più di lui, aveva una band, dei ragazzi che vivevano con lui e condividevano un sogno, soprattutto aveva dei fan. C’erano delle persone che stavano ad ascoltarlo, c’era gente che si ispirava a loro, che alle parole che ammassava insieme gli dava un peso.
Gerard non era più quel venticinquenne chiuso nella sua stanza, in mutande, a disegnare fumetti e ad approssimare frasi per comporre una canzone, no, ora quelle frasi avrebbero dovuto essere chiare, limpide. Non poteva più sbagliare.
Decise di partire dalle cose basilari così riprese il telefono e cercò in rubrica il numero di Bob: era quello più lontano, doveva avvertirlo al più presto.
Telefonò anche a Ray e poi bloccò il movimento automatico sul nascere, si passò il cellulare tra le mani, avrebbe dovuto chiamare Frank.
Percepì il proprio cuore aumentare il ritmo, un nodo allo stomaco lo fece boccheggiare. Cazzo, si trattava solo di una telefonata, eppure sembrava che dovesse fare chissà cosa. Non osava immaginare cosa sarebbe accaduto nel momento in cui si sarebbero rivisti. Erano trascorse quasi due settimane e Gerard non si capacitava di che cosa avesse fatto in quel tempo. E soprattutto come avesse fatto a stare lontano da Frank, senza nessun aiuto, stavolta.
C’era stato un periodo, all’inizio della loro strana relazione, in cui non facevano che trovare pretesti per baciarsi o per saltarsi addosso a vicenda. Andavano alla sala prove mezz’ore prima degli altri per stare insieme e fare cose… tutto finché Gerard non decise che stavano esagerando, o almeno lui.
Aveva iniziato a dire a Frank che era suo, lì, in quel periodo, lo aveva chiamato per la prima volta Pansy. E aveva fatto un sacco di altre cose al limite della coerenza, diceva a Frank che loro due non erano niente e poi, appena ne aveva la possibilità, lo travolgeva e quasi lo divorava per la voglia che aveva di sentirlo suo. In quel periodo aveva creduto di star esagerando e le reazioni infastidite che Frank aveva avuto a volte glielo avevano confermato. Così aveva deciso di stargli lontano, di lasciarlo stare, ché forse non era quel principio di bella relazione che aveva creduto.
Non era più andato presto alle prove, aveva cercato di non avere più momenti in cui potessero rimanere soli, così sarebbe stato al sicuro, così era certo che non avrebbe aggredito Frank dimostrandogli quanto fosse importante, quanto era innamorato, perché forse sì, lo era già a quei tempi.
E quel periodo era stato uno dei più difficili della sua vita, aveva iniziato a bere e a stordirsi come e quando poteva, perché era l’unico modo per stargli lontano. E neanche in quelle condizioni, comunque, ci riusciva, Frank era una tentazione così potente e non solo a livello sessuale. Per assurdo non ci avrebbe nemmeno fatto sesso per non macchiare le cose fantastiche che provava per lui con qualcosa di fisico e animalesco. Eppure poi, rendendosi conto che non sarebbe mai riuscito a spiegargli cosa provava per lui e quanto erano sbagliati insieme, lo assaliva e non ne aveva mai abbastanza. Frank non gli bastava mai. Avrebbe passato la sua intera esistenza ad ascoltarlo, a parlarci, a baciarlo e a guardarlo con lo sguardo innamorato che, ne era certo, non sarebbe mai cambiato. Gerard sarebbe sempre stato innamorato di Frank.
Probabilmente era stato creato apposta, non aveva mai visto nessuno guardarlo come lo faceva lui stesso, nemmeno la cara Jamia lo guardava così. Forse era per quello che la odiava così tanto.
Si portò di nuovo il telefono davanti agli occhi e iniziò a scorrere la rubrica alla ricerca del numero di Frank. Le dita tremavano mentre cercava mentalmente il coraggio per premere il pulsante invio.
Pensò che doveva smettere di riflettere, che certe cose andavano fatte senza ragionare, che certe cose, soprattutto in determinate circostanze, dovevano essere vissute spontaneamente. In alcuni casi, addirittura, bisognava mettere da parte il anche il passato e le incomprensioni, certe volte doveva agire solo il cuore.
Mentre ascoltava gli squilli rimbombargli nella testa, immaginò che il consiglio che si era appena dato avrebbe dovuto metterlo in pratica anche nelle settimane precedenti, avrebbe dovuto correre da Frank, sincerarsi che stesse bene, non farselo raccontare da suo fratello e dai suoi amici. Quella era una di quelle occasioni in cui avrebbe dovuto mettere da parte tutto.
 
Quando Frank rispose, Gerard era concentrato a maledirsi per quanto tempo impiegava nel capire le cose.
-Pronto?- chiamò di nuovo la voce di Frank.
Gerard aveva dei fremiti allo stomaco talmente forti che quasi avrebbe voluto vomitare.
-Gee?- lo chiamò Frank dolcemente.
E quello fu il colpo di grazia perché allora il suo numero lo ricordava a memoria, perché allora aveva voglia di parlare con lui, considerando il tono che aveva usato.
Perché lo aveva chiamato “Gee”.
E quello, per Gerard, equivaleva a quei nomignoli dolci che si usano tra fidanzati, nonostante molti lo chiamassero in quel modo.
Cercò di schiarirsi la voce.
-Fr… Frank.- lo chiamò cercando di non risultare ridicolo.
-Hey, Gee, tutto okay? Stai bene?- gli domandò in fretta, forse preoccupato dal tempo che aveva impiegato a rispondere.
-No, sì. Cioè, sto bene.- ammassò insieme, apparendo proprio come non avrebbe voluto: un idiota.
-Ti volevo dire per domani...- iniziò cercando di riprendere sicurezza, ma poi si ricordò di come stavano le cose e quindi, forse, c’erano cose più importanti da dirgli prima.
-Ma tu, Frank, come stai?- domandò così, interrompendosi.
Sperò che Frank non pensasse che quella conversazione facesse schifo e chiudesse la chiamata.
Attese una sua risposta che non tardò ad arrivare.
-Bene, sto bene.- confermò tranquillo.
Gerard immaginò un sorriso addolcirgli i lineamenti del viso. Conosceva i suoi toni di voce, ne sapeva fin troppo delle varie modulazioni della sua voce e quel tono era tenero, come se tutto quel cumulo di discorsi ininterrotti a lui fossero piaciuti.
-Ormai sono tornato come nuovo, stamattina sono andato anche a fare delle commissioni con mia madre.-aggiunse ridacchiando.
-Davvero?- se ne uscì Gerard non sapendo cosa dire.
Era felice comunque.
-Sì, davvero. Poi, ehi, sono passate due settimane.- gli fece notare Frank e Gerard sperò che quella precisazione non fosse stata un’allusione per fargli pesare che lui non c’era stato.
Gerard credeva che però non fosse così, il tono colloquiale di Frank ne era la conferma.
-Beh, bene, sono felice.- gli disse per farglielo sapere
-Sai, in questi giorni ho chiesto di te a Mikey…- accennò sperando che Frank avrebbe capito.
-Sì, lo so.- confermò senza aggiungere niente.
-Ho chiesto anch’io di te.- gli raccontò parlando con dolcezza.
-Sì, lo so.- gli rubò la risposta sentendosi a disagio.
Il fatto era che si sentiva in colpa, che Frank aveva chiesto sue notizie perché era malato e non poteva uscire di casa, Gerard non aveva scuse, lui avrebbe potuto fare qualunque cosa e invece era rimasto chiuso in camera, impaurito pure dai suoi stessi pensieri.
Forse se Frank avesse avuto voglia di interagire con lui, avrebbe potuto fargli una telefonata… ma Gerard non era certo nella posizione di recriminargli qualcosa.
-Gee ci sei?- lo chiamò Frank
Ancora Gee. Il cuore gli stava martellando in gola.
-Sì, ci sono.- boccheggiò.
Il fatto era la voce di Frank. La voce di Frank per telefono era tipo il risultato di un’equazione alla seconda, forse anche alla terza. Era qualcosa a cui Gerard non si sarebbe mai abituato.
- Okay. - sussurrò Frank e Gerard sospirò impercettibilmente perché i sussurri lo mandavano ancor più fuori di testa.
- Cosa stavi dicendo di domani? - gli chiese il suo chitarrista per riprendere la conversazione.
- Ah, sì, giusto. - si ricordò Gerard. Lo aveva chiamato per quello e per poco non se ne dimenticava.
- Domani abbiamo una riunione con la casa discografica, ho già avvertito tutti. Brian dice che probabilmente ci faranno un po’ di pressione per farci mettere a lavoro al nuovo album.- gli raccontò ogni dettaglio che sapeva.
- Uhm, c’era da immaginarselo. - fu il commento di Frank.
- Comunque io sono pronto, per me va bene.- lo rassicurò.
- Bene. Bene. - confermò Gerard, a corto di cose sensate da dire.
- Allora ci vediamo domani alle quattro lì? -
- O hai bisogno di un passaggio?  - ci ripensò.
- No, va bene vederci lì, non preoccuparti.- rispose il suo chitarrista.
- Okay, allora a domani. - gli disse per salutarlo.
Forse avrebbe aggiunto un “ti voglio bene”, come faceva sempre alla fine delle loro telefonate. Magari avrebbe potuto scappargli pure un “ti amo” e sarebbe stato legittimo, ma non lo fece succedere e stette in silenzio attendendo il saluto di Frank.
-A domani, Gee.- rispose dopo una manciata di secondi. Forse anche lui stava pensando a quel ti voglio bene mancante.
Probabilmente Frank stava per porre fine alla chiamata e se i comportamenti di Gerard fossero stati coerenti lui avrebbe dovuto fare lo stesso, ma la sua bocca agì da sé.
- Frank? - lo chiamò di nuovo.
- Sì. - e lui rispose subito, come se avesse avuto la cornetta ancora attaccata all’orecchio.
- Ti voglio bene. - sussurrò Gerard parlando talmente vicino al telefono da averci strusciato le labbra.
Frank rimase in silenzio per un attimo, sicuro che fosse un attimo, anche se a Gerard sembrava un’eternità.
Percepì uno sbuffo d’aria dall’altra parte, forse un sorriso, magari un sospiro, qualcosa che non riuscì a decifrare.
- Ti voglio bene anch’io, Gee. - si espresse infine.
- Tanto. - aggiunse dopo pochi secondi che furono davvero scenici.
A Gerard arrivò un calore immenso addosso, tutto insieme ed ovunque.
- A domani. - concluse il suo chitarrista.
- A domani. - rispose Gerard con la gola secca.
 
 
 
 
 
 
- Ecco, abbiamo fatto tardi. - bisbigliò scocciato accanto alla spalla del fratello entrando nella stanza e notando che già erano presenti tutti.
- Ah, eccoli, sono arrivati! - li accolse l’osservazione di Brian che fungeva allo stesso tempo da saluto e rimprovero.
- Salve, sì, le strade a quest’ora… - lasciò in sospeso suo fratello tentando di scusare entrambi con un motivo pressoché scontato, banale e pure falso.
Nessuno sembrò interessarsi alle scuse di Mikey campate un po’ per aria e Gerard e suo fratello si approssimarono a prendere posto su una delle sedie libere che erano rimaste. Le due persone che rappresentavano la casa discografica stavano passandosi dei fogli tra le mani e a Gerard non venne nemmeno la curiosità di sapere di che si trattasse dopo essersi accorto di essere finito con la sedia accanto a Frank.
Prese tempo salutando i suoi amici e mentre si metteva a sedere poggiò la tracolla a terra, tra le due sedie, posando la guancia sul tavolo e usando quel movimento per guardare Frank dal basso, ipotizzando che lui non potesse accorgersene.
Frank lo stava già guardando e inciamparono l’uno nello sguardo dell’altro. Gli sembrò uno di quegli interessanti e bellissimi momenti che in realtà durano una manciata di secondi, ma sembrano scorrere a rallentatore. Non riuscì nemmeno a puntare esattamente gli occhi verdi in quelli di Frank perché ogni dettaglio del suo viso catturava la sua attenzione, a partire da quelle sopracciglia così perfette ed espressive e finendo con le sue labbra, quel maledetto labret che era sempre stato una delle principali fonti di attrazione per lui. Oltre al fatto che aveva sempre voglia di baciarlo, piercing o meno.
Bene, lo avrebbe trascinato e portato da tutt’altra parte e forse anche Frank pensava ad una cosa del genere a giudicare da come lo guardava. Gerard ne sapeva fin troppo delle occhiate e degli sguardi di Frank.
In quei pochi secondi aveva potuto pensare e capire così tante cose? Non lo sapeva, ma si tirò a sedere e guardò tutti i presenti con un’espressione confusa. Stordito.
Quella cotta di proporzioni cosmiche che aveva per Frank non gli sarebbe mai passata, sicuro. E forse anche perché non c’entrava nessuna cotta. Mh.
- Volete spiegarci meglio cos’avevate in mente per il nuovo album? - domandò in tono colloquiale uno dei tizi della casa discografica.
- Gerard. - lo chiamò Brian come per interrogarlo.
Da dove avrebbe potuto cominciare?
- Allora. - iniziò incerto, gli serviva qualcosa su cui posare l’attenzione e parlare liberamente senza guardare né in faccia, né negli occhi le persone che attendevano la sua risposta. Sembrava un esame ed esprimersi a testa alta e senza imbarazzo non era il suo forte. Ed era il frontman di una band, che stranezze!
Gli vennero in mente i disegni che seguivano la linea di idee che avrebbero tradotto in canzoni per l’album e così si abbassò a raccogliere la tracolla da terra e si affrettò a tirarli fuori.
Li dispose a caso sul tavolo e seguendo le linee scure delle immagini si disse che poteva incominciare a parlare. Voleva essere chiaro, non essere travisato e tantomeno essere considerato macabro o triste. Okay, faceva parte della sua personalità essere macabro e triste, non ci riusciva proprio a scrivere una canzone senza tirare in ballo sangue, ossa e vampiri, ma questo era diverso, questo progetto era più profondo, significava molto per Gerard e voleva assolutamente che le persone capissero i suoi intenti.
- L’album sarà un concept. - partì dalle cose basilari.
- Ci sarà il “paziente” che sarà il protagonista della storia. Sta morendo di cancro e di lui non si saprà quasi nulla, né sesso, né età. Il dettaglio importante è che sta per morire. - ops, era stato brutale, pazienza.
- Oh. - pronunciò qualcuno sospirando, come se fosse colpito. Gerard era certo che non ne fosse colpito in maniera positiva, ma doveva continuare.
- L’album ripercorrerà la sua vita - stava continuando, ma qualcuno lo interruppe.
- Come, scusa, di cancro? - domandò quel qualcuno di prima, o forse no. Gerard commise l’errore di alzare lo sguardo sul suo interlocutore e l’espressione sconcertata mista a qualcosa come il disgusto lo colpì così tanto che forse non sarebbe stato più in grado di proseguire.
Cazzo, si era ripromesso di non fare più caso alle espressioni delle persone con cui parlava, tanto lo deludevano sempre.
- Lascialo continuare, è un concetto figo. - disse Brian sventolando la mano davanti al viso dell’uomo e scoccando un sorriso incoraggiante a Gerard.
- Non capisco cosa ci possa essere di figo in una storia di uno che muore di cancro. - domandò la stessa persona sempre con quell’espressione contrariata.
Gerard boccheggiò per un attimo, le parole scorrevano veloci nella sua testa e non riusciva a tenere le redini della sua lucidità. Era perso, non sapeva cosa controbattere, come, in quale modo.
- Infatti non è figo. - sibilò suo fratello con sicurezza, un velo di fastidio gli dipingeva il viso, poi rivolse l’attenzione a Gerard e la cattiveria che aveva usato per difendere i suoi concetti si dissolse in una smorfia dolce, sorrise quasi e gli fece un cenno con la testa.
Mikey gli stava dicendo che era tutto okay, che doveva continuare, che non doveva permettere a nessuno di farsi screditare. Avevano una certa potenza, gli sguardi di Mikey.
- Perché la vita in realtà fa schifo. - confermò allora, annuendo, mentre sistemava i disegni senza ragione, come se poi quel commento sarebbe volto a suo favore.
Riprese a guardare i disegni e stavolta non avrebbe più permesso a nessun commento avverso di farlo andare in iperventilazione e quasi cedere.
Tra gli atteggiamenti più importanti ed utili che avrebbe dovuto imparare a sfoggiare, spiccava la convinzione: doveva esserlo, doveva credere in se stesso. O, perlomeno, doveva imparare a fingere di esserlo, a non farsi sgretolare e spezzare da critiche negative e sostenerle come se fossero stati complimenti, e poi, da solo, avrebbe anche potuto permettersi di sentirsi ferito ed umiliato.
Poteva incominciare con la finzione, poi sarebbe arrivata la consapevolezza, la sicurezza reale e autentica. Almeno sperava.
- Il paziente non ha tempo, quello che gli rimane è scandito dai rintocchi della parata nera che lo sta attendendo. – disse, guardando il disegno dello scheletro con il tamburo attaccato sul proprio petto.
- E si sa, quando si ha tutto non si apprezzano le piccolezze, solo dopo capisci quanto sono importanti. Il paziente è a metà di questa condizione, è ancora vivo, ma è quasi morto. Quindi ripensa alle sue esperienze, al tempo che ha sprecato a preoccuparsi del giudizio degli altri, ai problemi che ha affrontato, all’amore, alla morte che si avvicina, alla sua famiglia, agli errori che ha commesso. E sarà bello, brutto, angosciante, spensierato e tetro. Sarà un mix di emozioni contrastanti ed opposte, proprio come è la vita.- finì di dire pensando che forse era riuscito a riassumere bene il discorso.
- Ma è un argomento… - il tizio della casa discografica ci pensò un po’ prima di esprimersi.
- È brutto. – disse in un sospiro, alla fine.
- La morte è brutta. - pronunciò come se nessuno l’avesse potuto sapere. Certo che era brutta, che cazzo.
- Un’osservazione arguta. - gli fece notare Brian con un po’ di ironia.
- No, è che forse dovrebbero lanciare dei messaggi diversi, forse dovrebbero concentrarsi su argomenti più allegri. Sai, non credo che un disco che parla di un argomento tanto triste possa affascinare le persone. - disse senza mezzi termini. Non era stato brusco e aveva usato anche un tono pacato, ma Gerard stava già sentendo insinuarsi piccoli dubbi che avrebbero presto strisciato nella sua mente, tra i suoi pensieri, finendo per crescere e dilagare ed ingoiare tutto.
Ecco cosa gli provocavano certi tipi di critiche. Non si parlava di un gusto contrastante sulla t-shirt che indossava o su cosa aveva ordinato al fastfood, lì erano in gioco le sue idee, i suoi sogni e a Gerard, soprattutto in quel momento, erano la sola ragione che fosse rimasta.
La parata nera era il suo sogno fin da bambino, l’aveva immaginata così tante volte. E quando aveva sul serio iniziato a disegnarla era come se avesse potuto finalmente ammirare quelle immagini dopo avercele avute da tutta la vita solo nella testa. Era un po’ come certe opere d’arte che puoi guardare soltanto sulle pagine patinate dei libri e poi di colpo vai al museo e le vedi sul serio lì, di fronte a te. Uno stupore.
Poter accompagnare quelle idee a della musica era un passo ancora più importante, le avrebbe rese non solo più vere, ma ancora più forti, solenni. Quel disco doveva essere l’alter ego della band e di se stesso.
- Gerard forse vi conviene pensarci meglio. - gli consigliò poi, sempre lo stesso uomo che aveva mosso le prime critiche.
- Non devo pensarci, è questo che voglio fare. - sbottò senza pensarci. Se i suoi sogni erano importanti allora doveva combattere.
- Voglio fingermi un soldato della parata nera e cantare di una persona qualunque che sta morendo, come ne muoiono a milioni ogni giorno, voglio raccontare di questa malattia devastante che ti fa compiere una metamorfosi, voglio urlare che non c’è più tempo, che il mondo fa schifo, che è pieno di problemi e che nella maggior parte dei casi la morte sopraggiunge proprio per chi se lo merita di meno. Voglio far compiere un viaggio alle persone che ascolteranno il disco, voglio coinvolgerle e stravolgerle, voglio raccontare loro questa storia, farle arrabbiare, commuovere, disperare. - vomitò guardando negli occhi l’uomo che voleva distruggere l’imponente castello di sabbia che avrebbe voluto ergere fin da quando era bambino. Doveva essere forte.
- E poi farle tornare tranquillamente alla propria vita. - aggiunse prendendo un bel respiro.
- Vorrei tanto che finito di ascoltare il disco si guardino un po’ intorno, ripensino alla storia struggente del paziente che non ha avuto scampo e si confrontino con lui. La loro vita è migliore, tanto per cominciare perché ne hanno una. Perché potranno porre rimedio ad uno sbaglio che hanno commesso, perché potranno correre da chi amano e dirglielo, perché potranno fare tutto ciò che vogliono, perché nessun orologio rintocca i minuti che gli restano da vivere, nessuna parata nera li sta aspettando. - concluse, sperando che dopo quel discorso incasinato, disordinato e quasi urlato fosse riuscito a spiegarsi meglio.
 - Hai… hai detto che farete parte della parata nera. - balbettò guardando Gerard stranito. Ancora.
Aveva fatto un cazzo di lunghissimo discorso articolato e lui si era soffermato alla prima frase.
- Sì, la band sarà composta dai nostri alter ego. Faremo parte dell’esercito della morte. - disse deciso, dio, era così arrabbiato che si sarebbe messo a sbraitare al cielo o forse a piangere.
- Che senso ha fingervi morti? - domandò incredulo.
- Che senso ha fingersi vivi? - domandò alzando un po’ la voce e alzandosi pure dalla sedia già che aveva tutta quell’agitazione sparsa per il corpo che lo stava facendo quasi tremare.
- Non capisco. - sussurrò il tizio.
- Sai quanta gente c’è in giro che sopravvive anziché vivere? Sai quante persone si sentono vive soltanto perché compiono quelle stupide azioni che la convenzione vuole che accadano? Crescere, studiare, metter su famiglia, lavorare per accumulare soldi solo per spenderli e potersi illudere di possedere qualcosa davvero e sentirsi fintamente felici. La vita è molto più complessa di così, molto più bella. È molto più di questo. - domandò all’aria, guardando le file di macchine che stazionavano nel traffico sulla strada che costeggiava il palazzo. Non voleva assolutamente risposte. Doveva continuare.
- Ci sono persone che hanno poco o niente, nella vita, ma hanno dei sogni e lottano per raggiungerli ed esaudirli. Questo voglio dire. Voglio dire che bisogna avere degli obiettivi, che qualunque cosa accada bisogna essere forti ed andare avanti e che si devono apprezzare le piccole cose. Voglio mostrar loro la morte, voglio esserlo, fingermi morto, per essere più convincente, e poi, terminato il concerto, mi auguro che tornino alle loro vite di sempre e che le apprezzino, finalmente. - disse con una ritrovata calma, che di sicuro derivava dal fatto che non stava guardando negli occhi nessuno; forse era riapparsa dopo aver voltato le spalle a tutti ed essersi affacciato alla finestra. Era così in pace, ora, in quegli ultimi minuti, che avrebbe preso le ante della finestra, le avrebbe spalancate e si sarebbe buttato giù dal settimo piano. Così, senza motivo, tanto quel che doveva dire lo aveva espresso.
Si scontravano così tanti pensieri incoerenti e contrastanti nella sua testa da farlo diventare matto, certe volte. Non che ci fossero motivi per buttarsi giù, erano soltanto pensieri, immaginari mondi paralleli in cui faceva pazzie incontrollate.
Comunque doveva finire ancora il discorso, doveva mettere in scena la parata nera e prima di tutto comporla, quindi non era il momento di farsi corteggiare dalla morte.
- Cosa ti fa pensare che i ragazzi che vengono ai vostri concerti non apprezzino le loro vite? - domandò ancora quel tizio curioso, a Gerard sarebbe proprio piaciuto sapere come si chiamava.
- Come ti chiami? - gli chiese quindi, forse aveva l’aria di un pazzoide da come lo guardava con quel fare allarmato.
- Mi chiamo Lukas. - gli rispose alla fine, restando in attesa.
- Bene Lukas, non siamo propriamente una band neomelodica che canta di cazzate adolescenziali e primi amori che ti fanno scoppiare il cuore. - gli fece.
- Siamo quelli che fino ad ora hanno detto la verità a quei ragazzi, siamo quelli che sono stati feriti, bullizzati, che sono stati a tanto così dal morire. - gesticolò più del dovuto, terminando con un gesto che racchiudeva pochi centimetri tra il pollice e l’indice.
- Chi ci ascolta non ha la vita rose e fiori, ho visto con i miei stessi occhi i tagli sulle braccia di alcuni di loro e, cazzo, io li voglio salvare. -
Dio, lui era Gerard Way, aveva formato quella dannata band sulle macerie che aveva visto l’undici settembre a New York, quello che si era ritrovato una pistola puntata alla testa, quello che per poco non si sarebbe ucciso con le proprie mani, che volevano da lui, che si sarebbero aspettati?
Gerard aveva deciso che lo scopo dei My Chemical Romance sarebbe stato quello di prendere le esperienze negative e trasformarle in arte, in canzoni, in parole urlate e sussurrate nelle orecchie di chi aveva avuto esperienze simili. Ogni band ha i fan che si merita, credeva Gerard, e ne aveva visti a frotte di ragazzi disadattati e strani, di persone problematiche che fuggivano dalla quotidianità con la loro musica. Lui aveva un ruolo in tutto ciò, Elena glielo aveva sempre detto che era destinato a qualcosa di grande e, anche se sulle prime aveva creduto che sua nonna gliel’avesse detto perché lo amava e come ogni familiare stretto voleva esaltarlo e renderlo in qualche modo speciale, dopo il successo con la band e la sua ritrovata sobrietà e lucidità aveva iniziato a pensare che forse aveva avuto ragione, che forse aveva tra le mani un piccolo potere e doveva sfruttarlo. Poteva essere comunque una specie di supereroe, strano, okay, ma voleva provarci.
- E insomma, tu credi di salvarli raccontando loro la storia di uno che muore di cancro. - riassunse ancora Lukas, il tizio della casa discografica, quello stronzo che, dio santo, sembrava fosse idiota, o forse sordo.
Gerard pensò che quella era una di quelle persone a cui aveva fatto riferimento prima. Niente obiettivi, niente valori, solo concentrato sulle proprie idee di businessman e preoccupato di accumulare denaro. Non gliene fregava proprio niente, delle idee di Gerard.
Stava quasi per urlare qualcosa a caso tanto per sfogare un po’ di frustrazione, per poi dire a Brian che forse sarebbe stato il caso di cercare un’altra casa discografica quando l’altro uomo che fin’ora aveva soltanto ascoltato i discorsi senza mai intervenire decise di prendere parola.
- Scusate, scusa Lukas, ma secondo me ti sta sfuggendo qualcosa di importante. - cominciò.
- Diciamo sempre che non se ne può più dei soliti album incentrati sui temi e i concetti più banali di sempre e ora che abbiamo tra le mani qualcosa di diverso, una storia da raccontare la buttiamo via perché è troppo triste per attirare la massa? - domandò alzando le sopracciglia con aria interrogativa e alzando le mani. A Gerard quel gesto ricordò Frank, così si voltò a guardarlo.
Ce l’aveva praticamente di fronte, seduto, mentre Gerard era ancora davanti alla finestra, stavolta girato di spalle ai vetri. Ascoltava rapito il discorso dell’uomo che aveva iniziato a parlare evidentemente in sua difesa ed aveva il braccio destro tatuato che teneva il peso del viso assorto. Aveva quei bellissimi occhi dal colore indefinito che puntavano la figura dell’uomo che discuteva col suo socio e sicuramente Gerard si stava perdendo qualche frase essenziale e qualche discorso importante, ma Il ciuffo nero che ricadeva sbarazzino sull’occhio destro di Frank, al momento, aveva la sua completa attenzione.
Le labbra.
Frank non ci faceva nemmeno caso sicuramente, ma giocava in continuazione con il piercing, usando la lingua ed i denti e a volte si mordicchiava il lato del labbro inferiore e Gerard dovette farsi violenza per distogliere lo sguardo dall’oscenità di pensieri che gli provocava quel gesto fatto con così tanta naturalezza ed innocenza da farlo sentire il solito pervertito, ogni dannata volta.
- Io gli do una possibilità, per me sarà un messaggio potente. Preferisco rischiare per produrre un disco che ha una storia da raccontare, anche se non c’è niente di certo circa l’impatto che avrà sul pubblico. Meglio azzardare per qualcosa di costruttivo che avere la strada spianata dalle solite stupide certezze vuote e senza valore. - concluse e Gerard restò di stucco.
Primo perché era stato a fare lo stalker e non aveva seguito il resto del discorso che magari era stata una cosa figa e lui se l’era persa per consumare Frank con lo sguardo, e poi perché non riusciva a credere che qualcuno stesse parlando in quel modo della parata nera, della sua parata nera. Nemmeno nelle sue più rosee aspettative si sarebbe immaginato di ascoltare certe dichiarazioni.
‘Fanculo Lukas e le sue idee da stronzo opportunista.
Si lanciò verso l’uomo che aveva appena terminato quel discorso e si ritrovò a stringergli la mano sentitamente. Lui era un tipo che non fingeva di essere vivo, aveva qualcosa da fare al mondo, anche fosse stato produrre il loro album.
- Grazie… -
- Connor. - gli ricordò quello, ma a Gerard venne il dubbio che non avessero fatto alcuna presentazione.
- Dovete iniziare a lavorarci però. - gli disse per incoraggiarlo.
- Sì, certo. - gli assicurò e Mikey e gli altri cominciarono a dire la loro raccontando delle sessioni che avevano fatto e di qualche traccia che forse era già stata appena creata.
Non definirono le tempistiche al momento, perché avrebbero dovuto riprendere presto le date che avevano lasciato in sospeso e già ne avevano lasciate andare troppe, tutto per colpa sua, tra l’altro.
 
 
- Certo che, porca troia, quel Lukas mi sembrava demente!- se ne uscì Mickey mentre tutti e cinque camminavano con calma nel parcheggio del palazzo dove avevano appena lasciato manager e rappresentanti della casa discografica.
Ray probabilmente rispose qualcosa, ma a Gerard sfuggì perché era troppo concentrato sul coraggio da cui si sentiva pervadere quel giorno e di conseguenza gli era venuta la voglia di chiedere a Frank se potessero parlare un po’.
Fermò il suo tragitto e si voltò verso Frank che era subito dietro di lui e che si bloccò sul posto quando Gerard smise di camminare. Stava quasi per parlare e Frank lo stava anche guardando, ma Bob, che era tutto preso a parlare con Mikey, non si accorse dei due ragazzi davanti a lui che avevano smesso di camminare, così si scontrò con la schiena di Frank che, preso alla sprovvista balzò in avanti e finì quasi addosso a Gerard. Quasi.
Maledizione, era troppo indietro e Frank lo sfiorò soltanto con un braccio senza badarci molto, poi si voltò per dirne quattro a Bob che però si ritrovò Ray contro la schiena. Mikey riuscì a schivare quel tamponamento a catena che aveva causato Gerard. Quasi gli veniva da ridere e infatti alla fine rise, seguito a ruota da tutti i suoi amici che, dopo essersi ripresi da quel piccolo shock ed essersi voltati l’uno dietro all’altro per rimproverarsi a vicenda, scoppiarono a ridere per quella situazione ridicola che era accaduta.
-Gerard devi pagare i danni a tutti!- sentenziò suo fratello dalla fine della fila.
Gerard riprese a ridere e per un momento si sentì così leggero che si stupì di trovarsi realmente nel proprio corpo.
Comunque ripresero a camminare, passandogli accanto, ma Frank era rimasto dov’era ed era tornato a guardarlo. Forse si aspettava qualcosa da Gerard, ma dallo sguardo che aveva Gerard capì che forse doveva dirgli qualcosa anche lui. Ma non si decideva ad aprire bocca.
Gerard gli sorrise e decise che forse era arrivato il momento che facesse lui il primo passo.
- Ti devo parlare. - sputò in fretta, la stessa che usò Frank per dire la stessa identica frase.
Inevitabilmente scoppiarono a ridere all’unisono, che scena imbarazzante!
Nello scrollarsi di dosso un po’ d’imbarazzo mosse lo sguardo intorno a sé e vide Mikey fargli un cenno interrogativo.
- Ti aspetto in macchina. - quasi urlò suo fratello.
- Digli che ti riaccompagno io. - gli disse Frank e quando Gerard si voltò a guardarlo vide il suo viso dipinto in una smorfia tra lo speranzoso e la supplica. Restò a guardarlo per qualche secondo, qualsiasi espressione su quel viso lo faceva imbambolare. Sarebbe rimasto ore intere a guardarlo, come faceva quando erano in tour e Frank gli si addormentava accanto e lui restava impalato a fissarlo senza che nessuno lo scoprisse.
-Mik, torno con Frank.- disse a voce alta tornando a prestare attenzione a suo fratello che inarcò le sopracciglia con fare interrogativo. Di nuovo.
Comunque, poi, tirò su un pollice in modo affermativo e lo salutò, seguito anche da Bob e Ray. Salutò anche Frank.
Gerard tornò a dedicare la sua attenzione a Frank e lo trovò che si guardava intorno.
- Andiamo a sederci laggiù? - domandò indicando un muretto che delimitava il parcheggio e costeggiava il palazzo.
- Okay. - affermò e si incamminarono.
Appena arrivati nessuno dei due si mise a sedere, anzi, si posizionarono uno di fronte all’altro, ma si notava quanto fossero uno più imbarazzato dell’altro. Che poi non era nemmeno imbarazzo, Gerard si sentiva totalmente agitato, non sapeva nemmeno come avrebbe potuto cominciare il discorso.
- Allora. - fece per iniziare, ma Frank ripetè esattamente la stessa parola nello stesso istante.
Si guardarono negli occhi e risero.
- Dai, vai tu. - continuò Gerard, ma ormai sembravano sincronizzati e Frank anche stavolta disse la stessa cosa.
Stavolta scoppiarono proprio in una fragorosa risata, dio che cosa esilarante!
- Cazzo! - imprecò Frank tra le risate.
- Dimmi tu. - propose in fretta mentre Gerard ancora rideva.
- No, inizia tu. - controbatté Gerard a quel punto. Non che non volesse parlare più, però se anche Frank voleva dirgli qualcosa che incominciasse lui, almeno poteva capire che cosa pensava per poi esprimersi meglio.
- Okay. - Frank sospirò.
- Ecco, allora, io volevo dirti che mi dispiace. - riassunse guardandolo negli occhi.
Gerard lo fissò incredulo. Frank pensava ancora che fosse colpa sua, credeva ancora che avesse qualcosa da farsi perdonare quando, tra loro due, l’unico che si era sempre comportato di merda era stato sempre e solo lui.
- No, ehi, a me dispiace. A me. - marcò bene il pronome personale per gettare le basi del discorso che avrebbe voluto fare, di ciò che avrebbe voluto dirgli dopo.
- Perché a te? - domandò Frank cominciando a gesticolare più del dovuto, segno che si stava agitando.
- Sono io quello che vi ha fatti morire di paura, che si è fatto cercare per un giorno intero. Io sono dispiaciuto e – cazzo - non avresti dovuto vedermi in quelle condizioni. - imprecò camminando avanti e indietro per scaricare la tensione da cui sicuramente era invaso.
- Frank, è okay. Tu mi hai visto così per così tanto tempo… cosa vuoi che sia una volta? - cercò di rassicurarlo anche se non era propriamente la verità. Quell’unica volta era valsa come cento, non smetteva di venirgli in mente in quelle condizioni quando lo pensava. Ne era rimasto devastato.
- Non volevo. - sospirò Frank con aria colpevole.
- Non lo avrei mai voluto e non c’entra il passato e le condizioni in cui ho visto te. - disse senza soffermarsi sui dettagli. Comunque la sua espressione era triste, e sicuramente per svariati motivi, ma altrettanto sicuramente c’entrava anche il ricordo che aveva di Gerard strafatto.
-Ti giuro che non accadrà più, è stata tutta colpa della febbre. In aggiunta a tutto il resto, ovvio. - mormorò l’ultima parte con un disagio quasi tangibile. Era così mortificato che Gerard si sarebbe disperato. Lui non si era mai sentito in quel modo, o forse nemmeno di quello si ricordava.
-Cosa ti fa pensare che sia tu a dover essere dispiaciuto in tutta questa storia? - gli domandò poi Frank, curioso e confuso.
- Beh, ecco... – dio, se era a disagio ad esprimersi!
Eppure aveva parlato come un fottuto registratore fino a poco prima. Sospirò, prendendo un tiro dalla sigaretta che aveva appena acceso.
- Sei stato male due settimane. Bloccato al letto. Io avrei potuto venire da te. Avrei potuto essere lì e venire a parlarti, a farti compagnia. A fare quello che hanno fatto tutti gli altri. - quasi sbraitò elencando quelle azioni così stupide e banali a cui aveva rinunciato perché era un fottuto codardo. Era così arrabbiato che sembrava che se la stesse prendendo con qualcun altro, manco non fosse stata colpa sua.
- E invece… - sussurrò come sfinito, guardandosi le converse perché si sentiva così misero…
Avrebbe potuto spiegare cos’aveva fatto, ma francamente non aveva fatto proprio nulla, a parte auto commiserarsi, piangere e fare cose inutili chiuso in camera sua. E Frank poteva immaginarlo benissimo, anzi, sicuramente Mikey gliel’aveva perfino raccontato. Patetico.
- Non importa. - sussurrò Frank con le mani affondate nelle tasche dei jeans.
- Io… io lo so di non essermi comportato bene, non me lo meritavo nemmeno che venissi a trovarmi, cazzo. - gli spiegò animandosi.
- Anzi, sai cosa? Hai fatto bene a non venire, credo di aver capito meglio che devo smetterla con queste cazzate. - lo rassicurò inveendo contro se stesso. Ma Gerard non ne era affatto convinto, non era così.
Sospirò e prese l’ultimo tiro dalla Marlboro rossa. Non era vero niente, non aveva fatto bene, non aveva mai preso una cazzo di decisione giusta nella sua vita, tantomeno in quel caso.
- Tu non mi hai mai lasciato solo. - gli ricordò, cercando di riassumere in quella frase tutto il supporto che gli aveva dato durante quegli anni.
- Era diverso. - mormorò Frank guardandolo dritto negli occhi. Era così sicuro di ciò che stava dicendo, così convinto che Gerard avesse sempre più drammi in confronto a chiunque ed essere giustificato ad essersi ridotto in certi modi. Frank lo aveva sempre scusato, gliel’aveva sempre fatta passare liscia, anche se a volte si incazzava, anche se lo insultava e lo cacciava, poi tornava sempre a tenerlo fra le braccia, a stringerlo e a dirgli che andava tutto bene. Ad amarlo anche quando non lo meritava.
- Era peggio e avrei meritato peggio. - disse ad alta voce riflettendo tra sé e sé.
- Vivevamo insieme, dove potevo andarmene? - gli domandò, inarcando le sopracciglia, forse Frank stava provando a credere in ciò che diceva, ma secondo Gerard erano ancora valanghe di scuse.
Lo guardò scettico, per poi riabbassare lo sguardo a terra, non ce la faceva a guardarlo mentre lo difendeva in quel modo, era una cosa così dolce e struggente.
- Me ne sono andato. - aggiunse puntandogli gli occhi addosso, Gerard se ne accorse ancor prima di tornare ad osservarlo. Stava alludendo a più cose, e stava alludendo alle volte in cui aveva provato a scappare togliendoselo di torno.
A Gerard venne istantaneamente in mente quella volta in cui l’aveva chiuso fuori dalla stanza. Era devastato, quella sera, e aveva fatto qualcosa che non doveva fare e si sentiva terribilmente in colpa, l’unica cosa che aveva desiderato era mettere gli occhi su Frank, perché era la sua figura che la sua mente gli aveva proposto mentre scopava con chissà chi. Poi si era reso conto che non era Frank e si era sentito un verme. Dio, quante cose orribili aveva fatto.
- L’avevo meritato anch’io. - annuì Gerard.
- Non sei l’unico che ha distrutto tutto. - disse Frank con rabbia e stava parlando di loro, si capiva.
- Jamia esiste perché io me ne sono andato. - si sputtanò per bene e quella era una di quelle cose che Gerard aveva sempre odiato. Odiava quell’errore di Frank, ma poi, lucidamente, si era reso conto che anche quella storia era stata colpa sua, altroché non era stato l’unico. Lo era stato eccome.
Ma parlarne non sarebbe servito a riportarli indietro nel tempo per permettere a Gerard di prendere la decisione giusta, quindi andava bene così.
- Senti, Frank, ascolta, Jamia è una brava ragazza. - sospirò senza guardarlo negli occhi.
Sfregò la punta della converse sul mozzicone spento della sigaretta a terra e lo trucidò sull’asfalto.
Era interessante come il filtro bianco venisse fuori dalla carta tutto intero, come se non lo stesse schiacciando.
No, non era vero un cazzo, non gliene fregava assolutamente nulla di quel filtro, stava solo concentrandosi su qualcosa per dire a Frank quello che stava per dirgli.
- Io sono contento che tu l’abbia conosciuta, qualcuno evidentemente ha voluto regalarti qualcosa di bello, una volta tanto. - disse contrapponendo la ragazza innamorata a se stesso, la causa di ogni casino nella vita di Frank.
- Io penso che dovresti provare a metterti seriamente con lei, potrebbe essere la volta buona che trovi un po’ di felicità e… - stava dicendo un cumulo di fandonie, Frank lo bloccò.
- No, ehi, aspetta. Non mettere in mezzo Jamia che non c’entra niente, io volevo parlare con te. Di te, di me, cazzo, Gee. - sbottò irritato. Sbuffò alla fine senza nemmeno terminare la frase.
Gerard alzò lo sguardo da terra e lo guardò mentre si agitava, camminando alla rinfusa.
- Volevo parlare di noi. - terminò, probabilmente guardandolo, ma questo Gerard non poteva dirlo, dal momento che aveva abbassato di nuovo lo sguardo a terra.
Quel pronome gli fece più male di uno schiaffo, forse lo colpì più di un bacio, non ne era rimasto impassibile, ecco tutto.
Il fatto che Frank racchiudesse loro due in un nome, in qualcosa, lo fece emozionare.
Aveva detto bugie tante quante ne aveva sparate Gerard. Aveva detto di odiarlo e aveva anche cercato di farglielo capire con i gesti, lui aveva finto che non gli importasse, che loro due e quello che c’era stato fosse soltanto acqua passata. Invece la verità era che entrambi continuavano a soffrire l’uno per l’altro, per la lontananza, per quel che c’era stato e che avrebbe potuto esserci se solo Gerard fosse stato un ragazzo sano e meno problematico.
Si sentì così tanto triste che si sarebbe disperato.
Frank doveva cogliere quello che la vita gli stava offrendo, Gerard pensava che Jamia non avrebbe retto ancora per molto. Era innamorata di Frank, di questo ne era certo, ma le sfuriate che le aveva visto fare mentre cercavano Frank scomparso gli avevano reso chiaro il fatto che probabilmente lei era stata disposta ad aspettare, forse lo avrebbe fatto ancora per un po’, ma non sarebbe rimasta lì in eterno nell’attesa che Frank scegliesse definitivamente lei e mandasse al diavolo Gerard.
Forse a Frank non conveniva sprecare quell’occasione, anche se odiava ammetterlo forse lei poteva essere quella giusta per lui.
- Ma almeno provaci, pensaci! - disse forse con troppa enfasi, sull’orlo della disperazione.
Si mise ad armeggiare con i propri capelli per camuffare tutta quell’ansia da cui si sentiva investito senza rimedio. Poi si decise ad affrontare la visione di Frank che non aveva risposto, sembrava non accingersi nemmeno a farlo e non emetteva nemmeno un sospiro. Partì dal basso, rivolgendo la propria attenzione a cominciare dalle Vans nere che indossava, poi i jeans, le ginocchia scoperte su cui si soffermò anche troppo, il busto fasciato da una t-shirt a cui non badò molto per concludere quel tour visivo – e anche sensoriale considerando ciò che gli si scatenava dentro soltanto posandogli gli occhi addosso -.
Frank lo guardava già ed era pronto ad accogliere la sua occhiata nervosa controbattendo con uno sguardo abbastanza risentito da sembrare quasi incazzato.
Solo quando parlò, Gerard si rese conto che era incazzato davvero.
- A che cazzo devo pensare, mh? - gli domandò senza voler ricevere davvero una risposta.
Gerard capì e restò in silenzio.
Lo guardò tirare fuori le mani dalle tasche dei Jeans e cominciare a gesticolare per la rabbia.
- Non voglio provare a fare niente, non devo pensarci, cazzo, io non voglio stare con lei, lei non è nemmeno tra le possibilità. - riassunse senza aggiungere ipotetici soggetti con cui eventualmente comparare Jamia, ché in quel momento forse Frank aveva capito che non era il caso. O forse no.
- Voglio stare solo. - “ci sei solo tu” urlavano gli occhi di Frank che erano sempre così chiari e trasparenti, ma Gerard ovviamente preferì non ascoltarli e distogliere lo sguardo, sospirò, troppo preso da troppi sentimenti.
Sospirò anche Frank e si avvicinò pericolosamente allo spazio vitale di Gerard.
- Scusa. - sussurrò posandogli le mani sulle braccia che Gerard teneva abbandonate lungo i fianchi.
Le fece scorrere per qualche volta su e giù e lo guardò negli occhi.
Gerard avrebbe tanto voluto essere forte e risoluto ed essere indifferente agli occhi cangianti di Frank che oggi erano così verdi e limpidi, ma ne rimase coinvolto, ne era fin troppo coinvolto.
Era così imbambolato che forse aveva pure la bocca socchiusa come un baccalà, Frank prese a mordicchiarsi il labret e poi ci passò nervosamente la punta della lingua.
Gerard era già sul punto di baciarlo e ‘fanculo a tutti i ripensamenti che avrebbe avuto in seguito.
Ma Frank probabilmente prese quella sua mancanza di vitalità come disinteresse, come un rifiuto, che cazzo, e si postò facendo qualche passo indietro.
In fondo era meglio così, meglio essere tramortito da quello sguardo e non essere più capace di interagire e correre il rischio di dire e fare cose che non avrebbe dovuto.
Tanto avrebbe dovuto imparare a tenere a bada le sue voglie incoerenti, a tenersele per sé, e quindi meglio cominciare il prima possibile. Con Frank avrebbe dovuto passarci la vita, avrebbero vissuto insieme e un modo per scrollarsi di dosso tutto quel magnetismo e senso di appartenenza che sentiva nei suoi confronti avrebbe dovuto pur trovarlo. E pure se avesse dovuto usare mezzi di fortuna, come in quel caso, sarebbe andato bene lo stesso. L’importante era stargli lontano e conoscendo l’incapacità di Frank a stare solo, si sarebbe presto ritrovato tra le braccia di Jamia senza il minimo sforzo da parte sua.
- No, io… - provò a dire senza sapere come continuare.
- È che tutti insistono con ‘sta storia che io debba mettermi con lei, che è così giusta, così brava, così innamorata. - elencò infastidito.
- Ma nessuno si domanda cosa voglio io. - buttò lì esasperato mentre Gerard si ritrovò ad annaspare nel suo stesso respiro, ché forse aveva preso troppa aria o troppo poca.
Dio, non era capace nemmeno di respirare, con Frank davanti, se avesse cominciato ad immaginare a come cazzo avrebbe fatto mai a viverci insieme nelle prossime settimane si sarebbe sentito male, avrebbe sciolto la band e infine avrebbe cambiato stato o nazione, tanto per essere sicuro di non avere assolutamente occasione di rivederlo.
Era assolutamente patetico.
Fece finta che il suo maledetto nome non fosse il desiderio di quel chitarrista punk che aveva di fronte e fece lavorare quei due neuroni innamorati, che si fangirleggiavano addosso a vicenda, che aveva in testa.
- Beh, sì, hai ragione. È che chi ti vuole bene cerca di darti i consigli che reputa migliori. - sparò a caso pensando ai consigli che Mikey dava lui.
Chissà se diceva le stesse cose anche a Frank o se cercava di tenerglielo lontano.
Che ragazzo misterioso che era Mikey.
- Sì, ma… - provò a controbattere Frank, ma poi si bloccò, come se di quel discorso che stava per fare non gliene fregasse poi molto.
- Bene, okay, non me ne frega un cazzo di questo. - confermò con una mezza risata, infatti, dopo qualche secondo di riflessione.
Molto bene.
-Già.- sorrise anche Gerard senza ragione, ma poteva darsi che ne avesse fin troppe.
- Vorrei solo che smettessimo di avercela l’uno con l’altro. - mise in chiaro Frank con un tono un po’ affranto, facendo un movimento con le sopracciglia perfettamente modellate che atteggiarono la sua espressione in preoccupazione.
Gerard si allarmò all’istante.
- No, ehi, baby, io non ce l’ho con te. - rispose prontamente troppo preso emotivamente per pensare a cosa gli scappasse di bocca.
L’aveva detto? L’aveva sul serio chiamato così?
Benissimo, sperò che Frank non ci facesse caso, cosa un pelino improbabile, e sperò pure che quella chiacchierata sarebbe finita presto ché di quel passo gli avrebbe fatto una dichiarazione d’amore, gli avrebbe cantato una bella canzone e poi si sarebbe inginocchiato chiedendolo in sposo.
Aveva fatto pure un passo verso di lui per rispondergli e rassicurarlo di non avercela con lui, quindi ora Frank lo guardava con uno sguardo pieno d’aspettativa e molto, molto vicino, circa tre passi.
- Ecco, insomma, io non ce l’ho con te. Non sono arrabbiato. - tossicchiò e anche se aveva buttato da poco una sigaretta decise che quello era il sacrosanto momento di fumarsene un’altra, perché era decisamente troppo agitato.
Cercò di sembrare tranquillo e con nonchalance si frugò nelle tasche alla ricerca dell’accendino, distogliendo l’attenzione da tutto quel casino che aveva combinato.
Ma Frank non si fece ostacolare né dai suoi gesti inutili per camuffare l’imbarazzo che stava provando, né dal vano tentativo di riformulare la frase tralasciando l’appellativo dolce con cui l’aveva chiamato.
- Gee… - sospirò e gli si addossò completamente.
Lo strinse in un abbraccio inaspettato e Gerard per l’emozione e il maremoto di sentimenti che stava provando non si mosse nemmeno, restò impalato a subire le braccia tatuate del suo chitarrista che lo stringevano e la sua testa che gli era finita all’altezza del collo.
Era così adorabile, Frank, quando lo abbracciava e, data la sua statura, non riusciva mai a sovrastarlo, ed era ancora più adorabile quando doveva baciarlo e faceva leva sulla punta dei piedi per arrivare all’altezza di Gerard.
Era uno dei tanti particolari che amava di Frank, il fatto che fosse così, di quella statura, mentre lui aveva trascorso la sua intera vita a lamentarsene. Non capiva quanto fosse perfetto.
Provò ad espandere i polmoni per scaricare un po’ di agitazione e magari muovere le dannate braccia e rispondere a quell’abbraccio senza farsi tramortire sempre da tutto quello che provava per Frank. Inspirò e l’odore di Frank lo investì completamente, socchiuse gli occhi beandosi di quel profumo e di tutto quel calore che emanava il corpo di Frank. Era così bello avercelo addosso…
 
Finalmente riuscì ad alzare un braccio e glielo posò all’altezza dei fianchi, ché se avesse voluto alzarlo troppo verso la schiena avrebbe corso il rischio che Frank lo lasciasse.
Tremò appena posando la testa sulla sua, mentre con l’altro braccio era rimasto immobile, la mano nella tasca dove pochi attimi prima cercava l’accendino.
- Come mi hai chiamato. - disse Frank svariati centimetri sotto la sua bocca. E non era nemmeno una domanda. Così come Gerard non gli avrebbe mai chiesto come mai lo avesse chiamato “Gee”, ci avrebbe solo pensato ed esclamato nella propria testa “dio, come mi ha chiamato!”
Gerard sospirò un po’ troppo carico e forse tremò ancora.
Chissà Frank cosa stava pensando quando gli disse: -Gee, ti sto solo abbracciando, giuro che non voglio nient’altro. – sussurrando, senza prendersi la briga di guardarlo negli occhi, e meglio così, perché Gerard era pronto a tutto e desiderava tutto, ma forse impalato in quel modo, mezzo morto com’era, magari stava dando l’impressione a Frank che temesse si spingesse oltre e non lo voleva.
Non sapeva assolutamente se stava sbagliando tutto come al solito, ma per una volta Frank non voleva nient’altro da lui se non un abbraccio da amico e senza implicazioni quindi, dio, erano settimane che sperava sarebbe arrivato presto quel momento, quindi non voleva assolutamente rovinarlo.
Era stanco di litigare con Frank, aveva una fottuta paura di perderlo, di perderlo sotto ogni punto di vista.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa in verità, magari ringraziarlo, ma Frank gli aveva appena detto che voleva solo abbracciarlo e che non avrebbe fatto nient’altro, quindi non gli pareva quello il momento dei ringraziamenti.
- Scusa. - quindi gli scappò dalle labbra, senza averlo nemmeno pensato.
Comunque se lo meritava per svariati motivi, quindi poteva andare bene.
Frank si mosse nell’abbraccio, ma ancora non aveva deciso di ritrarsi, di lasciarlo andare e guardarsi finalmente in faccia.
- Dimmelo ancora, per favore. - gli parlò sul collo e una valanga di brividi gli si propagarono un po’ ovunque e gli stava sfuggendo il senso della richiesta di Frank; voleva che gli chiedesse di nuovo scusa?!
- Chiamami ancora come mi hai chiamato prima. - mise in chiaro Frank, prima che Gerard gli chiedesse di nuovo scusa, facendo una gran bella figura.
Il fatto era che, cazzo, avrebbe voluto dire che si era semplicemente sbagliato, che non doveva dargli importanza, che non significava niente.
Poi quell’appellativo aveva talmente tanto valore che non voleva che Frank lo usasse come un appiglio per continuare a sperare in loro, non voleva che pensasse che Gerard lo stesse facendo.
Non ce la faceva a dirlo di nuovo con tutte quelle consapevolezze che aveva, anche se avrebbe fatto e detto qualunque cosa per rendere felice Frank.
- Frank. - mormorò sospirando.
Dio, era tutto così difficile.
Il chitarrista lo strinse più forte e sospirò a sua volta.
- Scusa. - pronunciò a disagio e lo lasciò andare facendo qualche passo indietro, restando con la testa bassa.
Gerard era talmente colmo d’ansia ed agitazione che si sarebbe lasciato svenire, anche perché ora non sapeva proprio che diamine aspettarsi. Riprese a cercarsi nelle tasche sigarette ed accendino.
- Dammi una sigaretta. - gli chiese Frank e santi vizi ché almeno li toglievano dall’impaccio della situazione.
Gerard, comunque, era già pronto a fingere che non fosse accaduto assolutamente nulla.
Fumarono per un po’ in silenzio, scrutandosi distrattamente a vicenda di tanto in tanto, poi Frank decise di parlare.
- Gerard, tanto lo so cosa vuoi. - gli disse con sicurezza guardandolo negli occhi. Aveva uno sguardo deciso, consapevole, anche un po’ beffardo, eppure Gerard riusciva a percepire quella nota di tristezza di cui era intriso quello sguardo.
Per un attimo pensò che sarebbe stato bene allarmarsi. Insomma, Frank aveva detto di aver capito ciò che voleva. Ma poi pensò che se Frank avesse realmente capito che ciò che voleva era solo e soltanto lui, conoscendolo, non sarebbe stato triste, avrebbe avuto lo sguardo sorridente senza farsi aiutare nemmeno da un sorriso con le labbra. Non ce n’era bisogno, Frank quando era felice aveva gli occhi che lo dimostravano. Quegli occhi erano davvero in grado davvero di ridere.
- Cosa voglio? - gli domandò guardandolo un po’ incerto. Non era del tutto sicuro di ciò che aveva appena finito di pensare.
- Vuoi che io te diventiamo amici. – disse, abbassando lo sguardo a terra. Si notava che quel pensiero lo infastidiva, ma Gerard sapeva che era la cosa giusta, sapeva che l’amicizia era l’unico sentimento che meritava di legarlo a Frank.
Sospirò moltissimo, ma senza darlo a vedere. Era dura stare per pronunciare quella bugia. Gli diceva solo bugie da quando era tornato dal centro di riabilitazione. E forse Frank non meritava questo, ma Gerard aveva iniziato a pensare che forse era meglio qualche bugia rispetto alla sofferenza che gli avrebbe causato un’eventuale relazione con lui.
- Sì, hai ragione. - confermò senza puntare lo sguardo nel suo. Non era in grado di essere un attore tanto virtuoso.
- Lo voglio anch’io, Gerard. - lo stupì Frank.
E forse era falso, forse anche lui stava dicendo una bugia, forse si stavano comportando da veri coglioni rinunciando a tutto ciò che li legava, ma probabilmente era la scelta più giusta che potevano prendere.
-Allora amici?- gli domandò ancora Frank allungandogli quella sua porno mano tatuata. Gerard restò a guardarla per un po’, perso a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto avere quella mano sul viso ad accarezzarlo, intorno al suo torace ad abbracciarlo.
Ma poi decise che l’importante era tenerla quella mano, in qualunque modo gli fosse stato possibile, anche se da amico.
- Amici. - mormorò l’ennesima bugia sentendo il cuore in pezzi.
Forse aveva lo sguardo liquido, e forse ce lo aveva anche Frank, e forse stavano sbagliando tutto e sarebbe arrivato un giorno, prima o poi, in cui lo avrebbero capito, ma per il momento si aggrapparono l’uno alla mano dell’altro.
E questa sembrava la cosa più importante per entrambi.

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