A occhi chiusi

di Scarlatta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - L'Eremita ***
Capitolo 2: *** Il Giudizio ***
Capitolo 3: *** Il Matto ***
Capitolo 4: *** Lo Ierofante ***
Capitolo 5: *** La Luna ***
Capitolo 6: *** La Morte ***



Capitolo 1
*** Prologo - L'Eremita ***





 

Una morsa allo stomaco, come una fame dilaniante.

Incrocio i tuoi occhi, sempre troppo trasparenti per non leggerci dentro quello che provi.

La fame si acquieta. Per un po'.

Ar lath ma.
Volevo che tu fossi libera da tutto e invece non riesco a liberarti neppure da me stesso.
Inizio a rendermi conto ora della crudele ironia della storia: cerco sempre di agire per un bene superiore, anche a costo di sporcarmi le mani, eppure mi ritrovo a peggiorare le cose.
Desideravo liberare il mio popolo dal controllo di falsi dei e l'ho lasciato cadere in rovina io stesso.
Ho tolto i marchi della schiavitù dal tuo viso e ho finito col lasciarteli nel cuore.

Me ne ero andato senza dirti addio. So che potrebbe non sembrare un'azione delle più coraggiose, per quanto di coraggio me ne sia costato tanto, ma non volevo che tu mi vedessi per quello che sono ora, per quello che sono realmente.
Cosa avevo da offrirti? Promesse di una verità che mi fa male solo pensare. Hai lottato tanto duramente per salvare questo mondo e ora, per rimediare ai miei antichi errori, devo distruggerlo. Ed è una scelta terribile quella che ho preso, ma anche l'unica scelta rimastami.
Sì, avrei preferito non incontrarti mai più se le uniche cose che avevo da offrirti fossero stati pochi anni di relativa pace prima di annientare tutto ciò che ti circonda.

Io non vorrei farlo.
Io non sono un mostro.
Io devo farlo.
Io devo essere un mostro.

Ho fatto la mia scelta ormai da tempo eppure non riesco a lasciarti andare.
Ogni volta, ogni notte, mi riprometto che è l'ultima e poi ti faccio di nuovo questo... Ci faccio di nuovo questo. Non dovremmo essere qui e la colpa è solo mia. Ancora una volta.
Non posso più raccontarmi bugie: sei sempre stata troppo intelligente per credere che questi fossero solo sogni.
Pur prendendo l'aspetto del lupo, so di non poter ingannare il tuo cuore, non più di quanto possa ingannare il mio.
Chissà cosa penserai di me. Millenni di esperienza per ritrovarmi qui a commettere gli stessi errori di un comune sh'amlen.

Controllo. Razionalità. Mi sono sempre vantato di queste doti, ma sono conscio di non averne fatto un grande sfoggio con te.
La prima volta che mi hai baciato non potevi saperne nulla di tutta questa storia, di quello che avrebbe comportato legarti a me. Del resto come avresti potuto? Ma io sì, io lo sapevo e sono stato io più di te a desiderare quel bacio, a prendermelo. Poi ho provato a dimenticarlo e quando non ci sono riuscito ho sperato che fossi stata tu ad averlo dimenticato. Non so onestamente come avrei reagito nel sentirmi rifiutato ma so che sarebbe stato meglio per entrambi, o almeno sarebbe stato più facile. Eppure anche lì, su quel balcone, per la seconda volta, avevo l'occasione di fare la cosa giusta e non l'ho fatta. Anzi, ti ho baciata di nuovo e per di più lasciando trapelare ogni mia paura di perderti.

Paura.
Cosa ne poteva sapere il demone della paura dei miei veri demoni interiori?!
"La paura di morire da solo".
No: la paura di giungere alla morte da solo; e di essermelo meritato, in fondo.

Per centinaia d'anni ho riposato nell'Oblio, sicuro che mai avrei trovato qualcuno come te. Invece sei qui. Non sei un sogno, tu sei reale, e ciò significa che qualsiasi cosa può esserlo. Sei nata da sbagli e menzogne di un popolo ormai perduto da tempo eppure sei perfetta, perfetta così come sei. Sei unica.
La tua semplice esistenza ha scosso l'intero mondo, perfino il mio mondo.
Ho cercato di spiegartelo più volte, di farti capire quanto uno spirito come il tuo sia meravigliosamente raro, ma non credo tu ne abbia davvero preso coscienza, o mi abbia creduto.
Forse è anche tua inconsapevolezza a renderti tanto candida. Come una cerva, assolutamente ignara della sua grazia o della sua bellezza.

E ti vorrei. Vorrei far tacere questa fame per sempre, ma non posso.
E non posso neanche pensare di sporcarti, di ferirti con un altro dei miei egoistici errori, di toglierti la possibilità di essere più felice con qualcuno di migliore.

«Va tutto bene, Vhenan. Il Temibile Lupo non ti prenderà mai», vorrei rassicurarti a occhi chiusi mentre poggio la fronte sulla tua.
E sarebbe vero, non ti porterei mai con me su questo cammino che conduce alla morte. È mio e solo io ne devo portarne il peso. Ma ti prego: continua a credere in noi due, amore mio. Fallo anche quando il sogno finirà. Fallo anche per me, perché io non posso.

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Capitolo 2
*** Il Giudizio ***




Il sospiro di quelle montagne le sembrava più gelido del solito quella notte ma non voleva tornare dentro.
Le luci dei candelabri nel salone principale le erano diventati insopportabili, quasi quanto le voci. Le voci, come se non bastassero quelle dentro la sua testa.
Non sapeva come ma doveva uscire da quel torpore.

Ai suoi passi veloci mentre scendeva le scale fuori dal portone di Skyhold si aggiunsero quelli di un altro.
«Inquisitore».
Titubò all'idea di doversi fermare, ma lo fece. «Dimmi, Cullen». Si sforzò di mostrarsi il più normale possibile.
«Stai bene?».
«Ti serve qualcosa?». Sapeva che non era una vera risposta, tuttavia era l'unica che le venne in mente.
Lui percorse adagio gli scalini che li separavano.
Ogni tintinnio metallico della sua armatura le faceva avere un brivido di inspiegabile disagio.
«Vorrei parlarti. In privato. È possibile?».
"No", pensò. «Certo».
Cullen le fece segno di tornare indietro, probabilmente voleva andare nel suo studio, e lei a malincuore lo seguì.

Il ritmo con cui camminava per stare al passo del ragazzo era lento, quasi estenuante se paragonato ai suoi pensieri frenetici.
«Non ti ho mai ringraziata a dovere per quello che hai fatto per me», iniziò a proferire lui con evidente imbarazzo. «Per il lyrium. La tua forza di volontà mi ha spinto a resistere. Sei stata un esempio e... Ti ammiro molto».
«Sei un ottimo comandante, Cullen. Temo di non avere alcun merito in questa faccenda. Ce l'hai fatta con le tue sole forze ed è questa la cosa veramente ammirevole».
Lui fece un sorriso amaro mentre guardava il trono in fondo alla sala. «Non credo, Halla». Era la prima volta che la chiamava col suo nome, le fece un effetto strano. «Hai una forza magnetica. La tua determinazione è ciò che ha creato l'inquisizione, ciò che ha plasmato il futuro e tutti noi. Non è stata solo l'Ancora ad averti reso il nostro capo».
Lei si strinse nelle spalle. Non poteva e non voleva iniziare a spiegargli quanto in realtà fosse fragile e sul punto di frantumarsi, quanto avesse faticato tutta la vita a convincere se stessa e gli altri di essere forte.
Cullen, con uno scatto inaspettato, la trascinò oltre una porta, lontano dagli sguardi curiosi di tutti i loro ospiti. Le si parò dinanzi prendendole entrambe le spalle con la sua salda stretta. «Lasciati aiutare. Permettimi di aiutarti».

"Non mi toccare"

«Lo fai già», rispose con freddezza.
«No. Voglio dire aiutarti davvero». Era preoccupato e triste. Si accorse di non averlo mai visto così. E le venne il dubbio di non sapere se lui non lo fosse mai stato o lei non lo avesse mai notato. «Non posso ignorare il dolore nei tuoi occhi e non posso neanche sopportarlo. Devi andare avanti!».
Halla ridusse gli occhi a due sottili fessure, quasi quel gesto potesse aiutarla a capire meglio. «Cosa intendi?».
«Intendo lui! Devi smetterla di pensare a lui, non si merita nulla di tutto questo. Ci ha traditi. Te per prima».
Istintivamente lei si ritrasse cercando di divincolarsi dalla presa del ragazzo, ma dietro c'era solo la parete dello stretto corridoio.
«Halla, ti prego. Lo so che fa male ma tu devi farcela. Per te, per tutti noi. Se solo me ne dessi la possibilità ti dimostrerei che io non ti abbandonerei mai».
Riuscì infine a liberarsi dal suo giogo. Chiuse gli occhi per cercare di cancellare la sensazione delle sue mani su di lei. «Non...», pensieri e parole iniziavano a confondersi nella sua gola mentre indietreggiava verso il centro della stanza, «Non sai neanche di cosa stai parlando, Cullen. Ti prego, smettila qui».
«Sto parlando del fatto che tengo a te. Moltissimo».

Ora il suo sguardo crucciato vagava sul volto del giovane comandante. Era esattamente il tipo di uomo che chiunque si sarebbe augurato di trovare al proprio fianco. Ed era lì per lei, per aiutarla. 
Per un attimo si costrinse a immaginare una vita diversa, una vita dove tutto era straordinariamente normale, dove tutto andava come doveva, dove aveva ancora la sua mano sinistra, dove il suo cuore non era mai stato spezzato, dove i vallaslin erano ancora sul suo giovane viso, dove non aveva mai scoperto la verità sul suo popolo e le sue origini. Una vita con Cullen al suo fianco. Una vita senza lui nei suoi pensieri.
Ma lui non era nei suoi pensieri, lui era il silenzio tra ogni suo pensiero, era il respiro tra ogni parola, era l'ululato che la svegliava nel cuore della notte. Lui era la sua testa.
Halla si sforzava di guardare Cullen ma riusciva a vedere solo lui.
Non c'era altra vita con Cullen che avrebbe potuto avere, o almeno non più.

Ed ecco di nuovo quei bisbigli incomprensibili nella sua mente che soffocavano ogni suono esterno. "Non adesso, ti supplico" pensò mentre un fischio le faceva pulsare le tempie. «Non capisco...», le scivolarono quelle parole fuori dalle labbra.
Cullen si avvicinò cautamente, quasi avesse paura che lei potesse scappare di nuovo come un animale ferito. Arrivò circa al centro della rotonda, a poco più di un passo da lei, ma stavolta non osò nemmeno sfiorarla tanto la vedeva turbata. Pensando che il suo fosse un incoraggiamento a spiegarsi, continuò. «Ho immaginato per molto tempo cosa dire in una situazione come questa... Nella mia mente suonava meglio», ammise con crescente vergogna mentre si grattava nervosamente la fronte. «È che non lo credevo possibile. Sapevo che avevi un legame con lui ma mai avrei immaginato che potesse lasciarti in una maniera simile. Sono passati anni e non vedo più il motivo di celarti ancora i miei sentimenti. Io ho combattuto per te, ho pregato per te e sei sopravvissuta all'impossibile, sei tornata qui... Da me. E mi sembra più di quanto avrei mai potuto sperare».
Ma Halla non sentiva nulla se non quei maledetti sussurri che continuava a non comprendere. Alzò gli occhi quasi stesse cercando una risposta intorno a lei e le sembrò che tutte le figure degli affreschi iniziassero a prendere vita come fumo e ombre, presenze spettrali che la stavano osservando.
Un lupo nero cominciò a muoversi lungo le pareti circolari, puntandola come una preda.
«Cullen, cosa sta succedendo?».
Solo quando sentì la sua voce spezzata dal puro terrore, il ragazzo si accorse di cosa stesse accadendo all'Inquisitore. Le chiese cosa vedesse per essere così spaventata ma lei non poteva sentirlo, e in ogni caso non sarebbe riuscita a proferir parola tanto era paralizzata dalla paura.
Il lupo di tenebra continuava a fissarla mentre le vorticava lentamente intorno.

"Mythal". Le sembrò che avesse ringhiato la bestia tra le zanne.
"Tempio". E stavolta non aveva dubbi su cosa avesse udito e chi lo avesse detto.

Cullen capì che stava avendo delle visioni e non sapendo cosa altro fare per tranquillizzarla, l'abbracciò e, così facendo, non vide il verde soprannaturale che invase per un secondo le iridi di Halla. Poi quella luce scomparse lasciando al suo posto solo uno scudo di lacrime, troppo vischiose perché potessero scendere a rigarle il viso. 
Tutto era tornato normale. Era ancora confusa ma quella sorta di allucinazione era finita. Stava quasi per iniziare a spiegare, quando il templare la allontanò bruscamente da sé.
«Bastardo!», sbottò lui in un ruggito tirando un pugno sulla scrivania, tanto forte da far tremare anche l'anima della ragazza. «Lo vedi cosa ti ha fatto? È colpa sua! Ti sta facendo impazzire! È lui che ti ha messo queste visioni nella testa».
«No, Cullen», cercava di essere lucida anche se in realtà era maledettamente scossa, «Lui non c'entra con questo», ma non ne era poi così sicura se ripensava all'espressione familiare che aveva il lupo.
«Perché Halla?», continuava ad infuriarsi, persino contro di lei, «Perché lo giustifichi ancora? Perché?».
«Perché lo amo», rispose senza neanche accorgersene.
«Ma non capisci che ti ha solo usata?! Ti ha ingannata fin dall'inizio, come ha fatto da sempre con tutti! Eri solo una pedina nelle sue mani e tu sei ancora qui a parlare di "amore"?».
Si morse le labbra pur di non reagire a quelle accuse.
«Distruggerà il nostro mondo, tu lo sai», incalzò Cullen non sopportando quel silenzio come risposta. «E glielo lascerai fare, solo perché non riesci ad ammettere a te stessa di essere innamorata di qualcuno che non è mai esistito e al quale...».
«Sta zitto!», lo interruppe bruscamente urlando tanto che forte che l'eco rimbombò fino alla cima della torre svegliando i corvi di Leliana.
Cullen rimase impietrito.
La tempesta che scorreva nelle vene di Halla si acquietò  in modo innaturale, come se fosse nell'occhio del ciclone. «Che ne sai tu di come si salva il mondo? Sei solo uno stupido soldato che esegue gli ordini». Battiti d'ali e in quell'istante la speranza di Cullen di salvarla volò via con loro. 
«E ora vattene».
A quelle parole così fredde e cariche di disprezzo, il capitano serrò i denti e non poté fare altro che obbedire, per quanto ferito nell'orgoglio. «Inquisitore», disse con non troppo velato astio mentre si congedava.

Silenzio.

Ma la mano di Halla tremava ancora.
"Cosa ho fatto? Perché l'ho voluto ferire in questa maniera? Questa non sono io. Io non sono così...".
Toccò il segno sulla scrivania lasciato dal colpo di Cullen.
Il suo sguardo si posò sulla figura del lupo, immobile sulla parete. "Cosa mi hai fatto?" iniziò a strisciare tra i suoi pensieri.
Prese la prima cosa che si trovò sul tavolo e la lanciò sgraziatamente contro il profilo del lupo. La piccola ampolla si ruppe allo schianto e ne fuoriuscì della china che creò un buco nero sul muro, una crepa che si spandeva di pari passo con la sua ira.

«Che cosa mi hai fatto?». Urlava più volte questa domanda come se fosse l'unica frase che conoscesse.
«Che cosa mi hai fatto?»

Dopo qualche istante, in tutta fretta, fece capolino dalla porta Cassandra, probabilmente allarmata da Varric.
La ragazza corse subito da Halla cercando di bloccarla nella sua furia distruttiva ma lei aveva già ribaltato mezza stanza.
Nonostante la Cercatrice la immobilizzasse tenendola per le spalle, l'altra continuava a scalciare. «Lo odio!», digrignava tra i denti, mentre lacrime di rabbia iniziavano finalmente a scenderle giù per il viso. E Cassandra non poteva fare a meno di provare un gran dispiacere nel vederla ridotta così e sapeva di non poter fare molto per alleviare la sua pena. La lasciò andare solo quando l'altra fu sfinita per lottare ancora.
Halla crollò a terra con le dita della mano intrecciate come rami secchi tra i capelli. «Io non ce la faccio».
La mora si chinò al suo fianco.
«Non ce la faccio più».
«Inquisitore, di cosa hai bisogno?», non sapeva cosa fare ma avrebbe tentato di tutto per non vederla più in quello stato.
«Di cosa ho bisogno?», ripeté quasi singhiozzando tanto le faceva male la gola per il troppo disperarsi. «Ho bisogno che tu mi dica che hai trovato qualcuno. Qualche traccia. Insomma, qualunque cosa! Devi darmi una speranza... Devi dirmi che tu, o Leliana, o chiunque altro in questo merdoso Thedas, lo troverete e lo riporterete indietro!».
Ma di Solas non c'era traccia da fin troppo tempo. Era sempre un passo avanti a loro e onestamente Cassandra era convinta che non sarebbero mai arrivati a lui a meno che lui non avesse voluto che lo trovassero. «Non posso ancora farlo, Halla
», ammise a malincuore, «Ma posso giurarti che non mi arrenderò mai». 
L'Inquisitore scrollò leggermente la testa, poi la guardò dritta negli occhi e in quel momento Cassandra sentì di starsi facendo carico dello stesso dolore dell'altra. «Allora dimmi: come posso svegliarmi ogni mattina senza sentirmi sprofondare in questo modo? Ho bisogno che mi spieghi almeno questo. Dimmi cosa posso fare per andare avanti, perché chiaramente io sto sbagliando tutto».
Cassandra sentì una stretta al cuore, come se percepisse direttamente sulla sua pelle quanto quell'amore stesse consumando l'amica.
L'abbracciò. 
«Non lo so».

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Capitolo 3
*** Il Matto ***




«Hai davvero una pessima cera, cara».
Halla gli stava passando davanti non prestando la minima attenzione a ciò che la circondava, ma sentendo la voce del nano si arrestò.
Era sua abitudine percorrere frettolosamente la sala del trono ignorando quasi sempre ogni ospite, ma lui faceva eccezione.
«Che occhio, Varric», rispose sarcasticamente mentre si dirigeva verso di lui. Incrociò le braccia al petto e distese le labbra in un vago sorriso.
«Brutti sogni?», le chiese.
Ricevette in risposta uno sguardo di rimprovero.    
«Hai ragione, capo. Pessimo umorismo». Una smorfia di colpevolezza si dipinse sul volto di Varric.
«Non ho dormito», si sbrigò a dire lei seccamente per tranquillizzarlo. «Ed è meglio così. Dopo ieri notte l'ultima cosa che mi ci voleva era uno dei suoi "sogni"».
«E con Cullen? Avete chiarito?».
Da quando erano giunti a Skyhold, Varric stava praticamente in pianta stabile a scrivere i suoi romanzi proprio appena fuori dalla porta della rotonda e, visti i toni che aveva preso la conversazione tra lei e il comandante, era impossibile che non avesse sentito tutto.
«Lo so, gli devo delle scuse». Si morse il labbro guardando altrove per la vergogna. «Non so neanche da dove iniziare».
«Io inizierei dall'andare a parlare con il ragazzino». Aveva l'aria di chi ne sapeva anche troppo di questa faccenda.
«Di chi parli?».
Si prese qualche istante prima di risponderle, quasi fosse titubante. «Di Cole».
Bastò quel nome per gettare la sua mente nel caos. «Cole?», ripeté Halla sgranando gli occhi. «Cosa c'entra Cole in questa storia?».
«Forse è meglio che te lo spieghi lui», disse Varric incamminandosi verso la locanda e aspettando che lei lo seguisse. Era incredibilmente serio, e lui non era mai incredibilmente serio.
 
La taverna aveva un'atmosfera chiassosa e allegra come lei non la ricordava. In effetti era trascorso del tempo da quando ci aveva messo piede l'ultima volta.
Maryden cantava una delle sue ballate preferite, quella su Sera. Ad Halla era sempre piaciuta quella canzone, forse perché le ricordava anche se stessa.
 
Lei dice sempre,
"Perché cambiare il passato,
Quando possiedi questo giorno?"
Oggi lei combatterà,
Per rimanere sulla sua strada.
 
Alla fine era un po' anche il suo motto.
Prima di diventare Inquisitore, prima dell'Ancora, era solo la piccola e curiosa Lavellan che correva più veloce di tutti gli altri cacciatori, che si allontanava troppo dal villaggio e che sognava di esplorare il Thedas.
 
«Questa canzone è fottutamente inquietante, Maryden!». Urlò sguaiatamente Sera dal piano superiore, lanciando di sotto, poco distante dai piedi della barda, un boccale di legno come avvertimento. «Smettila, una buona volta!».
Halla non riuscì a trattenere una risata sbigottita.
Gli accordi del liuto stonarono appena; evidentemente ormai anche Maryden aveva fatto il callo al temperamento di Sera. Come nulla fosse riprese a cantare un'altra ballata con la sua solita espressione serena e la sua voce melodiosa.
«Dovresti fare un salto qua più spesso se ti fa questo bell'effetto!», constatò Varric.
«Lo so. È che per me è difficile», ammise poggiandosi contro una trave mentre continuava a guardare Maryden. Il suo canto creava un atmosfera confortevole che dava però altri pensieri ad Halla. «Prima di diventare Inquisitore non ero esattamente una persona su cui qualcuno avrebbe fatto troppo affidamento. Non fraintendermi: non ero il tipo che veniva meno alla parola data, semplicemente non volevo dipendere da nessuno e ancor meno volevo che qualcuno dipendesse da me. Non avevo mai pensato di mettere il mio clan tra le mie priorità assolute, figuriamoci qualcosa come l'Inquisizione».
«Ironia della sorte...», sogghignò l'amico.
«Ho accettato questo ruolo perché quando è iniziato tutto questo nessun'altro poteva farlo, ma non mi ritengo la persona più adatta a gestire l'Inquisizione e ho paura che se mi lasciassi troppo andare rischierei di perdere la strada del ritorno, o magari di non volerla più trovare».
Il Figlio della Pietra si strinse nelle spalle grattandosi pensieroso il mento, «Tu hai già fatto tanto per tutti noi. All'Inquisizione non devi più niente, Halla! Tu devi pensare a te stessa e...».
«No, non posso». Lo fermò con tono inflessibile voltandosi infine verso di lui. 
E con quella frase sentì come svanire d'un tratto quella sensazione di tranquillità percepita appena era entrata. «Cerchiamo Cole», aggiunse freddamente dirigendosi verso le scale. 
Con la coda dell'occhio vide il Toro che, seduto al solito posto a sbevazzare con le Furie, le faceva cenno con la mano di raggiungerlo.
Bere con un qunari? Non era un'esperienza che avrebbe voluto ripetere.
La sera in cui Halla era tornata dal sogno delle cascate col cuore a pezzi, fu il Toro a prendere i suoi cocci per aiutarla a rimetterli insieme. Peccato che il collante usato fosse un liquore che solo un qunari poteva a stento reggere. Figuriamoci un'esile elfo.
Sfogarsi con un amico quella notte fu efficace, ma questa volta non avrebbe risolto la questione in quella maniera.
Fece un cenno della testa in saluto al Toro e proseguì verso il piano superiore.
 
Arrivati al secondo e ultimo piano, sembrava non esserci nessuno. Poi d'un tratto, prima ancora che potessero chiamarlo, apparve. Se ne stava seduto in bilico sul corrimano, volto chino coperto dalla larga falda del cappello, a tamburellare nervosamente il tacco dello stivale contro una balaustra di legno. 
«Ragazzino, cosa stai facendo?». Varric non riusciva a fare a meno di preoccuparsi anche se sapeva che, in quanto spirito, per lui nulla di tutto ciò era rischioso.
Passarono diversi istanti in cui Halla e il nano ebbero tutto il tempo di attraversare cautamente la stanza e arrivare da lui.
«Stavo ascoltando», infine rispose.
L'Inquisitore non ebbe modo di interromperlo che il ragazzo continuò. «Lividi sulle mani, crepitio metallico, schiena incurvata, cosa ho sbagliato?»
«Cole...», provò a fermarlo, capendo che si trattava dei sentimenti di Cullen e non essendo sicura di riuscire ad affrontare tutti i sensi di colpa. 
«Lei non piange mai, confusione, spalle piccole, perché non posso aiutarla? Parole bloccate in gola, piume nere, la colpa è sua». Si voltò verso Halla con un'espressione confusa. «Lo hai cacciato. Perché?».
«Cole, forse dovresti essere tu a darmi delle spiegazioni, non trovi?». Replicò irritata.
Il ragazzo si dissolse per poi riapparire in tutt'altro angolo della camera. «Volevo solo aiutare!».
"Aiutare". Aveva sentito questo termine troppe volte da ieri.
Il ragazzo cominciò a camminare freneticamente senza una precisa meta. «Io devo aiutare. Io vedo che stai male ma non posso più sentirti, proprio come non potevo più sentire lui! Ma io mi fidavo di lui e ho fatto come mi aveva detto».
«Aspetta un attimo», intervenne lei guardando anche Varric alla ricerca di conferme, «Chi... Chi intendi con lui?».
E poi sui volti di entrambi vide apparire quell'espressione che era più chiara di mille risposte.
Strizzò gli occhi portandosi una mano davanti al viso. Le ci volle più di un secondo per ricomporsi. «Cosa ti aveva detto precisamente Solas?». Non era mai stata brava a mascherare la rabbia.
«Mi ha detto che la tua era una ferita che io non potevo guarire e poi non sono più riuscito a sentire il tuo dolore ma io lo vedo, lo vedo ancora. E mi ha detto che sarebbe spettato a qualcun altro di starti accanto e aiutarti, che avresti avuto bisogno del conforto di un amico. Così ho aspettato il tempo che mi aveva detto, il tempo giusto per i mortali, e poi sono andato da Cullen».
«È stato lui a dirti di Cullen?», era interdetta. Credeva di aver già toccato da un pezzo il fondo di tutta questa storia ma evidentemente si sbagliava.
«Cullen ti amava. Io lo so. Credevo che sarebbe andato tutto bene. Che ti avrei aiutata!».
«No!». Sbottò Halla.
Era così che Solas pensava di pulirsi la coscienza con lei? Era così che pensava funzionassero i sentimenti dei mortali? Che sparire nel nulla avrebbe reso tutto più facile e che il tempo avrebbe guarito miracolosamente ogni cosa?
Varric titubante cercò di mantenere la calma e portare il discorso su un altro piano. «Hai detto che non potevi leggere i pensieri di Solas... E ciò non mi stupisce. Ma perché non quelli di Halla?».
«Potevo farlo!», ribatté Cole mortificato. «Non posso più da quando lui mi ha cacciato fuori dalla sua mente e, in qualche modo, mi ha bloccato anche quella di lei. Ma giuro che non capisco perché. Io potevo fare qualcosa per la sua sofferenza! Potevo anche cancellarle la memoria se me lo avesse chiesto!».
«Molto altruista da parte sua», non riuscì a trattenersi l'Inquisitore. «Sembra proprio il tipo di stronzata che farebbe lui».
«Deve esserci dell'altro». Il nano restava ancora una volta il più razionale. «Alla fine non sai cosa sia quello che ti ha fatto. Potrebbe essere anche una protezione, per quel che ne sappiamo. E anche ammesso che abbia fatto tutto questo solo per bloccare i poteri di Cole... Vuol dire che non è pronto ad accettare che tu lo dimentichi. O che tu rinunci».
Halla non riuscì a replicare, ed era strano per lei che qualcosa su cui ribattere lo trovava sempre.
Non avrebbe voluto, ma l'osservazione di Varric, in qualche modo, l'aveva incoraggiata.
«Lui ti amava. Non avrebbe mai voluto ferirti», precisò Cole tornando al suo solito tono dolce e confortante. Non poteva proprio fare a meno di usare i suoi poteri, o almeno di provarci.
«Non sempre possiamo ottenere ciò che vogliamo. A quanto pare questo vale anche per lui», pensò ad alta voce.

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Capitolo 4
*** Lo Ierofante ***




Mattino.
Una luce intensa invadeva la camera dell'Inquisitore.
Arroccati tra quelle montagne, il sole spesso sembrava così vicino da illudere Halla di poter allungare la mano e stringerlo tra le dita. Fin da quando era piccola aveva subito il fascino di tutto ciò che era irraggiungibile, che si trattasse del sole o del limitare del bosco.
 
Che il Temibile Lupo possa non fiutare mai i tuoi passi, Da'len.
 
Le parve di udire distintamente il tono burbero degli ammonimenti di sua nonna. La sgridava ogni volta che si spingeva incautamente troppo lontano dal villaggio ma in realtà adorava il suo temperamento irruento e indisciplinato.
Halla socchiuse gli occhi permettendo alla luce di inondare il suo viso pallido, quasi quel calore potesse aiutarla a ricordare meglio.
Era da prima dello scoppio della guerra che non tornava a casa. Non che poi avesse più una casa alla quale tornare. Non era rimasto niente del vecchio villaggio, e lo stesso si poteva dire del suo clan.
Ma non si sarebbe lasciata andare per l'ennesima volta ai sensi di colpa; ormai era cambiata, non era più la fanciulla impulsiva e dall'aria scaltra alla quale sua nonna, il capo clan Deshanna Istimaethoriel Lavellan, aveva dato il compito di spiare gli avvenimenti del Conclave.
Halla si chiedeva se almeno lei l'avrebbe riconosciuta per quella che era diventata.
In quegli anni aveva fatto tante cose che non pensava avrebbe mai fatto, e scoperto altrettante cose che forse avrebbe preferito non scoprire.
Aveva permesso a Solas di portarsi via ciò che aveva di più caro senza nemmeno combattere, persino i suoi vallaslin, una delle tradizioni più sacre per i dalish...
No, sua nonna non l'avrebbe riconosciuta e in quel momento si sentì quasi sollevata al pensiero di averle almeno risparmiato questo dispiacere fin tanto che era ancora in vita; questo e molti altri, come il doverle confessare che alla fine il Temibile Lupo l'aveva trovata nonostante le sue preghiere.
 
Un esiguo manipolo di soldati sfilò sotto il suo balcone per il solito giro di ronda mattutino e lo sfrigolio metallico delle loro armature le ricordò quale era il suo compito.
Poco prima era passata nelle sue stanze la dolce Josie, portandole una colazione che aveva a stento toccato e per aiutarla a vestirsi e acconciarsi i capelli.
Da quando aveva perso il braccio sinistro si sentiva incredibilmente di peso per tutti, a volte persino per se stessa, anche se nessuno gliel'aveva mai lontanamente fatto pesare.
Si sedette davanti alla specchiera sforzandosi di assumere l'espressione più composta che riuscisse a fare. La stretta coda alta e la totale assenza di trucco le conferivano un'aria davvero algida, perfettamente in linea con il risultato che voleva ottenere.
«Le apparenze sono importanti, Inquisitore». Disse al suo riflesso imitando la voce pacata e suadente di Josephine.
Dopo la lite dell'altra notte nella quale aveva perso completamente le staffe, ora voleva dimostrare a Cullen di aver ritrovato la ragione e di essere disposta al più civile dei dialoghi.
 
Giunta davanti alla porta di legno massiccio si impose di non tentennare, quindi si schiarì la voce e bussò.
«Avanti».
La dalish si domandò se avrebbe risposto con la stessa tranquillità se avesse saputo che si trattava di lei e non di uno dei suoi sottoposti venuto a riferire. Ad ogni modo, entrò nella stanza.
Cullen sembrava molto impegnato a controllare e firmare varie scartoffie, tanto che passarono diversi istanti prima che alzasse il suo sguardo cupo accorgendosi di lei.
I nervi sul volto del giovane si irrigidirono a tal punto che Halla riusciva a vederli nonostante la distanza. In quel momento si ricordò effettivamente perché fosse conosciuto come il Leone del Ferelden.
Dopo un primo momento, dove colto alla sprovvista non aveva saputo restare impassibile come avrebbe voluto, si alzò in piedi -tornando alla sua freddezza tipica da soldato- e chinò il capo in segno di riverenza. «Inquisitore».
«Sono venuta a porgerti le mie scuse, Cullen». Esordì lei senza tanti merletti mentre si avvicinava. «Sono stata imperdonabilmente arrogante. Non avrei mai dovuto riservarti un simile trattamento. Ero completamente soggiogata dalla rabbia e le ho permesso di parlare per conto mio. Un errore che non voglio ripetere».
La severità sul viso di Cullen iniziò a vacillare; lo si leggeva dai suoi occhi che, non più accigliati, erano tornati a mostrare quella sfumatura color miele. «Ho anche io la mia dose di colpe...».
«No, non ce l'hai invece», lo interruppe subito. «Nulla di quello che è accaduto quella notte doveva succedere».
Lui restò in silenzio per permetterle di proseguire e spiegarsi meglio.
«Una volta qualcuno mi ha detto che la verità era il dono migliore che potesse farmi. E condivido questo pensiero, per questo voglio raccontarti tutto e darti la possibilità di decidere tu stesso cosa fare». C'era della tristezza nella sua voce ma col tempo aveva imparato a mascherarla piuttosto bene. Portò la mano destra dietro la schiena e la sua postura sembrava più formale che mai. «Cole voleva aiutarmi. Non aveva cattive intenzioni ma ti ha costretto a fare qualcosa che non avresti mai fatto se non fossi stato sotto il suo influsso e, per la piega che ha preso poi la discussione tra noi, credo che non ti meriti tutto questo. E mi dispiace che proprio tu abbia dovuto subirlo perché qualcun altro aveva deciso che questo fosse il meglio per me».
Seguì una lunga pausa durante la quale nessuno dei due proferì parola, poi Cullen ruppe il silenzio.
«Tutto qui?», chiese incrociando le braccia al petto. «Sarebbe questa la "grande" verità?».
Non era decisamente la reazione che Halla si aspettava, né tantomeno quella che aveva avuto lei quando l'aveva scoperta in prima persona. La cosa la lasciò totalmente spiazzata. «Sì».
«Vuoi parlare di verità? Bene. Ti servo subito: posso anche essermi dichiarato per via dell'intromissione di Cole ma sai bene che i miei sentimenti per te sono autentici ed esistono da molto più di un paio di giorni. E no, non mi nasconderò dietro alle azioni di Cole pur di negare il tuo rifiuto». Il templare era palesemente innervosito, i toni si erano scaldati parecchio rispetto all'inizio della conversazione ma riuscì a trovare la calma necessaria prima di continuare il discorso. «Non mi pento di quello che ti ho confessato, Halla».
Oramai lì a separarli non sembrava esserci solo un tavolo ma tutto un mondo.
«Cullen, io...».
«Non devi rispondere a questo. Lo hai già fatto», la tranquillizzò mentre si passava le dita tra i capelli. «Hai nominato "una scelta" prima. Di cosa si tratta? Cosa dovrei scegliere?». Sembrava che già si stesse aspettando il peggio.
«Cole potrebbe usare le sue doti...», non aveva ancora finito la frase che già si stava accorgendo di quanto tutto ciò suonasse tremendamente egoistico e crudele. «Per farti dimenticare dell'altra sera, come se non fosse mai successo».
Le diede le spalle. Chissà cosa gli stava balenando per la mente in quell'istante. «Va bene», acconsentì con ripugnanza in un primo momento, ma sembrava inquieto. Fece il giro della scrivania, arrivandole a meno di un passo di distanza, poi si corresse. «Anzi, no. Non mi va bene per niente!».
La compostezza dell'Inquisitore cominciava a traballare, le cose le stavano nuovamente sfuggendo di mano.
«So che mi farai cancellare la memoria indipendentemente dalla mia decisione e che probabilmente è insensato ed estenuante portarla così per le lunghe, ma non ho proprio voglia di renderti le cose più facili».
Gli rispose con un sorriso sghembo che sembrava avere un retrogusto molto amaro. «Le cose non sono mai state facili, Cullen. Di sicuro non lo sono state per me». Capendo il pensiero del giovane e che non fosse il caso di insistere nel proporre quella soluzione, fece per dirigersi verso la porta e andarsene.
Lui gliela bloccò col palmo della mano prima che potesse aprirla. «Ma ci provi sempre a prendere la strada più facile».
La ragazza si morse il labbro inferiore tornando al centro della stanza, rassegnata al fatto che non se ne sarebbe uscita di lì tanto presto. «Questa secondo te è la strada più facile? Non pensi che avrei potuto ordinare a Cole di venire qua e risolvere da solo i casini che aveva creato?».
«Ma tu hai la più pallida idea di cosa significhi amarti? Di come ci si senta?».
Lei distolse lo sguardo e scosse la testa con disappunto. Non voleva affrontare quella discussione.
«Ho dovuto assistere ogni maledetto giorno a te che ti chiudevi alle spalle una qualsiasi porta dalla quale avresti potuto non tornare. Mentre io ero costretto qui, in attesa, a pregare Andraste, il Creatore e chissà quale altro Dio perché tu potessi tornare sana e salva. E ogni volta che poi lo facevi pensavo solo a trovare un modo per proteggerti, per portarti via da tutta questa follia! E tu hai finito per legarti all'unico essere che è veramente responsabile di tutta la merda che ci è piovuta addosso!».
«Pensi che non lo sappia?», esplose lei. «Che dovrei fare secondo te? Avanti, dimmelo!».
Ma Cullen non aveva effettivamente una risposta razionale al problema.
Così l'elfo proseguì. «Forse non saprò cosa significhi amare qualcuno come me, ma so cosa significa amare qualcuno che non puoi proteggere nemmeno da se stesso, qualcuno che ti ha portato via ogni cosa! Persino la possibilità di poterlo dimenticare! E vuoi sapere quale sarebbe la strada veramente più facile a questo punto? Tu. Tu saresti la strada più facile. Prendere il tuo amore senza troppi scrupoli e usarlo per sentirmi meno sola sarebbe la strada più facile».
Il biondo restò in silenzio, riflettendo sulle dure ma sincere parole dell'Inquisitore. Tolse la mano dalla porta. «Avevo detto che volevo aiutarti e lo farò. Non nel modo in cui speravo ma andrà bene comunque».
«Che vorresti fare?».
«Sei troppo impulsiva. Persino più di me», scrollò le spalle rassegnato. Si vedeva che gli costava caro quello che stava per dire ma lo fece lo stesso. «I tuoi piani fanno acqua da tutte le parti. Hai gestito male la cosa con me e -lasciatelo dire- non la stai gestendo meglio con Solas. Stai concentrando tutte le tue energie nel tentativo di ritrovarlo, ma hai almeno pensato a cosa fare seppure ci riuscissi? Come pensi di convincerlo a desistere dal suo piano? Come ci sei riuscita l'ultima volta che lo hai visto? O come sei venuta qui a cercare di persuadere me a rinunciare ai miei ricordi?».
Le parole di Cullen la ferirono.
«Halla, non stai andando da nessuna parte. Non lo riporterai indietro. E non salverai nessuno: né il mondo, né lui e nemmeno te. Devi cercare un altro modo di arrivare da lui, ma lo troverai da sola».
«Non dovevi aiutarmi tu?».
«Ho detto che ti avrei aiutata, ma non ho mai detto a fare questo. Ti aiuterò a risolvere la questione con me. È perfettamente inutile che mi venga cancellata solo la memoria degli ultimi due giorni. I sentimenti che provo per te sono di gran lunga antecedenti e prima o poi mi spingerebbero nuovamente a dichiararmi. E non credo che mandare nuovamente Cole a manomettere i miei ricordi sia una soluzione sensata». Cullen sembrava sicuro e totalmente razionale, come lo aveva visto solo sul campo di battaglia. «Quindi chiederò a Cole di cancellarmi tutti i ricordi che mi hanno fatto innamorare di te. Ritengo che così non ci saranno più problemi in futuro».
L'Inquisitore era sconvolto. Sapeva di avergli già chiesto troppo e non avrebbe mai voluto che le cose fossero finite a quel modo. Provò anche paura all'idea di perdere di colpo un'altra persona che l'amava. Voleva affrettarsi a scacciare dalla propria mente quel pensiero egoistico che era riuscito a farle tremare le ginocchia ma i suoi occhi, dello stesso colore dell'acqua, ne avevano anche la stessa trasparenza.
«Va bene così». Le si fece vicino e per la prima volta lei non ebbe l'impulso di scappare, anzi, il dolce sorriso di Cullen nascondeva una promessa di tranquillità più ammaliante che mai. «Solo... Tieni questa», le chiese estraendo dalla tasca della giubba un piccolo oggetto. Lo poggiò sulla sua mano facendoglielo poi stringere nel pugno prima che lei potesse vedere di cosa si trattasse. «Non importa che tu conosca la sua storia o il suo significato. Ti basti sapere che, semmai vorrai riportarmi indietro, ti basterà rendermelo e sono sicuro che capirò».
Ne avrebbe avute di cose da dire ma non era il caso di tirare quell'addio per le lunghe. «Mi dispiace», ed era un pallido eufemismo per quello che provava.
«Qualche volta è giusto che anche l'Inquisitore abbia una missione facile».

Halla uscì dalla stanza senza voltarsi indietro e senza indugi, non poteva più averne.
Sì, quella era la soluzione più facile ma non quella più indolore.
«Posso andare ora?», domandò Cole impaziente appena materializzatosi dal nulla. «Ha acconsentito? Posso fargli dimenticare l'altra notte?».
Lei si fermò e in quell'istante non riuscì a contrastare l'istinto di voltarsi. La porta del suo studio era ancora aperta e oltre essa poteva ancora vederlo lì, da solo con i suoi pensieri, con lo sguardo perso oltre la finestra. «Dovrai fargli dimenticare molto di più, Cole... Vai e aiutalo».
Lo spirito fece un cenno in risposta, non sarebbero state necessarie altre spiegazioni.
Solo quando anche lui fu abbastanza lontano, Halla schiuse le dita oltre le quali si celava il pegno di Cullen: una moneta.
La porta si chiuse alle spalle di Cole.
 
«Stai soffrendo molto, Da'len. Ma io posso aiutarti»
 
Sentì d'un tratto una calda voce femminile.
La voce veniva dalla sua testa. Era come una melodia dimenticata ma che le pareva di conoscere da sempre. 
Poi il sole si oscurò e così qualsiasi cosa intorno a lei. Un bagliore ceruleo con riflessi cristallini le ondeggiava intorno finché infine non assunse le sembianze di quella che credeva essere una donna, per quanto non riuscisse a vederle i tratti del volto.
Ne era certa: aveva visto quella luce solo altre due volte: negli occhi di Solas e nel Pozzo del Dolore.
 
«Mythal?»
 «Sei pronta»

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Capitolo 5
*** La Luna ***




Ringhi sommessi. Riusciva sempre a sentirli anche a miglia di distanza, inoltre questi erano molto vicini.
Solas uscì dalla sua tenda mentre il resto dell'accampamento, eccetto le sentinelle di guardia, dormiva. Nessuno prestò troppo caso a lui, nulla di nuovo in fin dei conti.
Mentre si addentrava nella foresta per indagare su quei lamenti si sorprese per un momento nel sentirsi a "casa". Forse era per via dell'effetto nostalgico che le Tombe di Smeraldo esercitavano su di lui, forse per il cielo stellato che si intravedeva come piccoli frammenti tra le nuvole tonanti, o forse perché si trovava di nuovo da solo e non aveva bisogno di fingere con nessuno.
Altri ringhi, stavolta come soffocati in gola.
Infine, al centro di una piccola conca, scorse un lupo nero e l'Inquisitore. Senza neanche accorgersene, si fermò per cercare di capire cosa stesse accadendo.
Il lupo continuava a dimenarsi dal dolore mentre Halla con una mano spingeva tra le sue fauci un bastone e con l'altra cercava di liberarlo dalla tagliola che gli bloccava una delle zampe anteriori.
"Un piano decisamente poco razionale. Finirà per farsi male".
Quasi non fece in tempo a formulare il pensiero che la belva, ormai libera dalla morsa, estrasse gli artigli colpendo in viso la ragazza prima di scappare nella fitta vegetazione.
«Stai bene?», le chiese scendendo dalla piccola collina dalla quale aveva assistito alla scena.
Lei si voltò di scatto, totalmente sorpresa nello scoprire che ci fosse qualcun altro. «Non sono riuscita a curargli la ferita», ammise alzandosi da terra con aria crucciata.
Inarcò le sopracciglia mentre la sua bocca si allungava in un sorriso sghembo. «Io mi preoccuperei della tua ferita».
Halla si sfiorò il taglio sulla guancia con il dorso dell'indice. Si sporcò appena di sangue. «Ho avuto graffi peggiori», sminuì la cosa con finta noncuranza.
«Non ritieni sia stato un po' incauto da parte tua? Poteva andare peggio. I lupi non sono creature da sottovalutare. Speravo che i dalish avessero mantenuto almeno l'istinto di autoconservazione dei loro antenati».
Gli diede una leggera spinta all'altezza della spalla mentre lo guardava di sbieco. «Non riesci proprio a risparmiarti in frecciatine velenose su di noi, vero?».
Tuttavia i loro erano niente più che battibecchi: lei non se la prendeva mai realmente e lui, da quando la conosceva, aveva cominciato persino a ricredersi sul conto dei dalish.
«Immaginati la scena esilarante: io, un elfo eretico, che tento di spiegare alla Cercatrice di come ho assistito impotente alla morte dell'Inquisitore per mano di un lupo».
Effettivamente Halla rise al sol pensiero ma la risata durò poco, Solas si fece tutto d'un tratto serio e le accarezzò la guancia. Non sopportava l'idea che il suo bel viso portasse degli sfregi, già i vallaslin gli sembravano abbastanza. «Lascia che ti guarisca».
Il suo tono era sempre così pacato e rassicurante che Halla a volte ne restava come ipnotizzata. Scosse leggermente il capo in segno di consenso quasi fosse intontita dal suo tocco.
Lui fece il suo incantesimo.
Seguì un lungo silenzio. Entrambi avrebbero voluto dire qualcosa ma sembrava che avessero perso le parole uno negli occhi dell'altra.
"Vorrei poterti raccontare tutto. Lo vorrei davvero".
Il bagliore di un lampo ancora in lontananza le face battere le ciglia e poi Halla distolse lo sguardo. «Il tuo bastone... Perché sei uscito senza? Poteva essere pericoloso».
Si morse le labbra nel tentativo di celare il sorriso. «Pericoloso come sgattaiolare fuori dall'accampamento da sola nel cuore della notte per liberare un lupo da una tagliola, da'len?», congiunse le mani dietro la schiena.
«Non chiamarmi così. E comunque non sono sola. Ci sono loro con me», replicò indispettita indicando prima l'arco che portava sulle spalle e poi il coltello che portava in vita.
Annuì scettico. «Ovviamente...».
«Mai sentito dire "La miglior difesa è l'attacco"?».
Le sorrise. «Sì, credo di averlo già sentito». Ma Halla non rideva affatto, anzi sembrava più seria che mai mentre gli voltava le spalle. «A cosa pensi?».
Non era certa di voler condividere con lui le sue paure ma di solito Solas aveva la soluzione per tutto. O magari lui era la sua soluzione per tutto. «L'ultimo Inquisitore, Ameridan», si decise a confessare, «Non voleva tutto questo e neanche io...». Aprì il pugno guardando con disprezzo l'Ancora.
"Lo so, Vhenan. Non doveva andare così".
«Telana non era più riuscita a trovarlo. Ed è morta continuando a cercarlo nei sogni. Non hanno avuto nessuno dei due la fine che meritavano, né loro, né il loro amore», si girò verso di lui con un'espressione accigliata e colma di tristezza.
Avrebbe preferito non doverle rispondere perché nulla di quello che poteva dire, o anche solo pensare, l'avrebbe in qualche modo confortata. «Succede a molti. Non sono i primi ad aver avuto una sorte avversa e non saranno gli ultimi», si limitò a constatare mestamente, ma nella sua voce trapelava come un vago senso di fastidio.
«Tu sapresti ritrovarmi?».
«Ci siamo sbarazzati di Hakkon, faremo lo stesso anche con Corypheus e non permetterò che ti succeda nulla. Non hai niente da temere, te lo assicuro».
«Non è quello che ti ho chiesto».
Solas sbuffò quasi impercettibilmente socchiudendo le palpebre, cosa che poco si addiceva al suo solito atteggiamento calmo e impassibile. Sapeva di aver volutamente aggirato la domanda ma era stanco di dimenarsi tra quello che doveva fare e quello che provava. Quei sentimenti per lei complicavano tutto e li avrebbe soffocati già da tempo se solo ne fosse stato capace, ma ogni volta che pensava di farlo, all'idea di perderla, era lui a sentirsi mancare il respiro. Serrò le dita in un pugno stretto, gesto che ripeteva sempre quando doveva costringersi a reprimere le proprie emozioni.
«Rispondi», incalzò lei. E a quello che suonava come un vero e proprio ordine dell'Inquisitore, nemmeno lui poteva sottrarsi.
«Sì». "Saprei ritrovarti dovunque. Saprei ritrovarti sempre".
Nel celeste dei suoi occhi non c'era la benché minima incertezza.
«Dimostralo».
«Sei impossibile...», sogghignò scuotendo il capo, «Non puoi semplicemente credermi sulla parola? Perché mi sfidi sempre?», ma adorava il fatto che lo facesse.
Sul viso di Halla si accese un sorriso furbetto di cui faceva sfoggio solo con lui. «Perché sono l'unica che può farlo». Indietreggiava con passo sicuro aumentando la distanza tra loro. Sembrava una molla pronta a scattare.
Solas iniziava a capire cosa avesse in mente e avrebbe provato a dissuaderla se non avesse saputo quanto testarda potesse essere. «Vhenan...».
Lei, di tutta risposta, gli diede le spalle e cominciò a correre come lui non l'aveva mai vista fare, anzi come forse non aveva mai visto correre nessuno. Era così veloce e aggraziata che sembrava nata per quello.
Sapeva che avrebbe dovuto seguirla ma a quella vista restò come ammaliato ad osservarla, almeno finché lei non scomparve nella boscaglia.
Allora chiuse gli occhi concentrandosi suoi suoni.
Il tamburellare del suo cuore si mischiava alla perfezione con i fruscii della foresta e al rombo dei tuoni in lontananza, lo sentiva vagare nel vento e giungere come una melodia alle sue orecchie. "Sto contando ogni tuo passo, Vhenan".
Poi il profumo. Il suo profumo: una scia impossibile da non sentire e impossibile da non seguire.
Si ritrovò a correrle dietro senza nemmeno accorgersene. Niente elucubrazioni, niente congetture e assolutamente nulla di razionale. Un'azione impulsiva degna di lei. Eppure Solas era lì a inseguirla a capofitto come se al mondo ci fossero solo loro due e nient'altro contasse.
Correva e correva ancora, e lei era vicina ma non riusciva mai ad afferrarla. La cosa stava iniziando ad essere troppo frustrante per lui e cominciarono a farsi largo nei suoi pensieri due ipotesi: o che quella fosse la creatura più veloce che avesse mai incontrato o che il destino stesse cercando di suggerirli qualcosa. Preferì credere alla prima opzione e fece quello che sapeva fare meglio, giocare d'astuzia.
 
Rallentava l'andatura, probabilmente sfinita dalla lunga fuga, guardandosi intorno con aria guardinga eppure al contempo delusa nel non vederlo giungere. Non percepiva rumori se non quelli naturali del bosco ai quali era abituata da brava cacciatrice.
Man mano che Halla si avvicinava la dirupo la sua attenzione si concentrava sempre di più verso l'orizzonte illuminato a tratti dai lampi e sempre meno verso la vegetazione alle sue spalle.
Si diede un rapido sguardo attorno e, quando non vide niente di sospetto, estrasse dalla scarsella una piccola urna, l'aprì e ne sparse le ceneri oltre il precipizio sussurrando parole di preghiera come le aveva chiesto l'anziana moglie del defunto. Era un piccolo gesto, ma sperava potesse portarle un po' di conforto sapere che le ultime volontà del marito fossero state esaurite.
«Io non rivolgerei le mie suppliche a Falon'Din fossi in te», le bisbigliò lui all'orecchio con la sua voce suadente facendola trasalire. Istintivamente cercò di ritrarsi per lo spavento ma Solas era dietro di  lei, pronto a non farla scappare da nessuna parte. Le prese entrambi i polsi stringendoglieli dietro la schiena, impedendole persino di voltarsi. «Trovata».
Si era distratta e aveva abbassato la guardia, errore suo, ma era certa che non fosse riuscito a seguirla.
Non le piaceva ammettere la sconfitta, ma in questo caso le sarebbe piaciuto ancora meno ammettere la vittoria. «Ti avevo seminato, ne sono sicura. Come hai fatto?».
«Non devi per forza seguire qualcuno per trovarlo. Basta conoscere la sua meta e aspettarlo con un po' di pazienza».
Sorrise anche se lui non poteva vederla in volto. «Quindi hai barato».
«Mi hai chiesto di trovarti e l'ho fatto. Questo per me non è barare».
Halla tentò di liberarsi dalla sua presa ma svincolarsi si rivelò sorprendentemente facile dato che lui per primo l'aveva lasciata per rubarle il nastro della crocchia, e lo aveva fatto con un gesto tanto rapido e fluido che lei se ne accorse solo quando vide i capelli biondo ghiaccio scivolarle davanti al viso.
Solas fece mostra del laccio con aria beffarda, quasi stesse innalzando un premio. «Uno vede il cacciatore, uno scappa da lui, uno lo caccia a sua volta, uno è il più astuto di tutti», recitò. «Conosci questo monito?».
Gli rispose di no con il capo.
Allora lui si sedette al suolo, in procinto del dirupo, e invitò lei a fare lo stesso; prese un ramoscello spezzato e cominciò a tracciare linee sul terreno inumidito dalla notte e da una lieve pioggerellina scostante.
Ripeté. «Uno vede il cacciatore, uno fugge da lui» e disegnò prima un gufo e poi un halla. «Uno lo caccia a sua volta», e fu il turno di un drago. «Uno è più astuto di tutti». Un lupo.
«Le creature più rispettate del nostro popolo», constatò lei.
Non mancò di rivolgerle il suo solito sguardo saccente e compiaciuto. «Brava. Hai studiato».
«Mi ha cresciuta mia nonna, è stata lei a darmi questo nome. Venera così tanto gli halla che a volte avrei giurato potesse essere Ghilan'Nain in persona».
«La mia opinione è che il tuo nome ti calzi molto bene».
«Mi reputi forse una docile preda?», controbatté indignata.
«E tu reputi gli halla delle docili prede?» ridacchiò, «Il mondo non è bianco e nero, non siamo divisi in prede e predatori. Un predatore può trovarsi braccato a sua volta. Gli halla sono animali gentili, aggraziati e intelligenti. Non dovresti sottostimarli solo perché non inclini all'aggressività, anzi ritengo che dovresti essere onorata di condividere con loro sia il nome che le splendide qualità».
Si strinse nelle spalle, come se non gli credesse del tutto. «Il solito adulatore...».
Si scostò leggermente da lei con un'espressione torva. «Pensi che me ne vada in giro ad adulare la gente senza una ragione? Non sono uno incline ad elargire complimenti come avrai notato -almeno non con la maggior parte delle persone-, né mi reputo accondiscendente o di gusti facili. Quindi gradirei non tentassi di nuovo di sminuire le mie parole. Credo davvero tu sia probabilmente lo spirito più meraviglioso che abbia mai incontrato. Sei buona, sei coraggiosa. Ti preoccupi davvero di chi hai intorno. Sai lottare fino all'ultimo respiro e con un'indomita tenacia. Rendi migliore tutto quello che ti circonda. E non posso sopportare l'idea che tu non sappia quanto il mondo abbia bisogno di te»."Quanto io abbia bisogno di te".
La tensione elettrica che si poteva percepire nell'aria sembrava poca cosa in confronto ai loro volti.
Tuonò forte, tanto forte da confondere i pensieri con le parole, e poi scese una pioggia improvvisa e veemente. Scattarono in piedi tenendosi per mano e cercando riparo sotto le fronde di un gigantesco albero, ciononostante nel giro di pochissimi secondi si trovarono completamente fradici e con i vestiti sporchi di fango.
Halla non riuscì a trattenere una risata sbalordita mentre centinaia di gocce sembravano gareggiare per stagliarsi proprio sul suo pallido viso. La spontaneità del suo sorriso riuscì a strapparne uno anche a lui ma durò poco. Tenendo strette le sue mani, se le premette contro il petto e cedette all'impulso egoistico e irrefrenabile di baciarla, prendere fiato e poi baciarla ancora e ancora fino a cercare di perdere cognizione di sé stesso. Sapeva che l'unica battaglia che non avrebbe potuto mai vincere si trovava lì sotto la sua pelle, dove la sua impeccabile razionalità non aveva alcun potere.  
«Solas».
Sentirla chiamare il suo nome gli fece riaprire gli occhi all'istante, ma lei non era più lì tra le sue braccia, era lontana e i contorni della sua figura sfocati.
«Solas... Non lasciarmi. Non adesso. Io ti amo».
L'elfo si pietrificò all'istante. Quelle parole e quella voce così spezzata dal dolore erano echeggiati nella sua testa tormentandolo fin troppe volte perché potesse dimenticarsene. I suoi ricordi cominciavano a confondersi e mischiarsi tra loro, la cosa stava sfuggendo al suo controllo.
Tutto intorno a lui cominciò a mutare. L'umidità e l'acqua portate dal temporale evaporarono in un'aria torrida e pesante da respirare. 
 I fili d'erba color smeraldo si sollevarono e presero a vorticare su se stessi fino a diventare un fumo nefasto. Le cortecce degli alberi si fecero pietra e ogni ramo sparì lasciando apparire un cielo denso come un banco di nebbia e cupo come i suoi incubi.
L'oblio.

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Capitolo 6
*** La Morte ***





 

Era abituato all'Oblio e alle sue complessità ma questo era troppo anche per lui. 
Deglutì pesantemente cercando di allontanare quei ricordi e l'immagine di quello spirito con le sembianze di Halla che stava di fronte a lui. 
Si concesse qualche istante per maledirsi da solo perché, se non avesse usato costantemente l'Oblio come tramite per rivivere i suoi ricordi, nessun demone sarebbe riuscito a scorgere in lui la benché minima debolezza.
Congiunse le mani dietro la schiena e, dopo avergli rivolto il suo solito sguardo glaciale, senza aggiungere nulla, fece per allontanarsi.
«Sei stato tu! È tutta colpa tua. È sempre stata tutta colpa tua!», urlò il demone intralciandogli il cammino. 
Sapeva fin troppo bene che non era davvero lei, ma non per questo le accuse lo ferivano di meno. La sua voce, per quanto distorta, restava la sua voce e quello sguardo pieno di rancore era lo stesso che aveva già visto scolpirsi sul bel volto che amava. 
Non si trattava della vera Halla, ma ne era sicuramente un'ottima imitazione.
Tentò di colpirlo con uno schiaffo. Solas usò i suoi poteri e bloccò il colpo con il solo sguardo, senza scomporsi minimamente; impassibile, almeno nell'aspetto, come sempre. Il demone si dissolse in una sorta di miasma verdastro, nulla che lo avesse sorpreso, poi riapparve qualcosa di simile poco distante da lui. Questa volta la figura era quasi trasparente, più evanescente, e poteva scorgere la sua fisionomia, marcata da un pulviscolo nero, solo a tratti. Non sembrava un normale spirito, non uno di quelli a cui era abituato almeno, aveva qualcosa di strano. Avrebbe dovuto ignorarlo ma era sempre stato troppo curioso per non cedere alla tentazione.
Era ancora Halla, almeno così credeva, ed era spaventata. Stringeva le braccia al petto. Nei sui gesti si notava una certa quiete, tristezza, forse rassegnazione. «Perché ci hai traditi?». Ma lo spirito non pareva parlasse con Solas, sembrava piuttosto stesse dando voce ai suoi intimi pensieri o cercasse di riprodurre frammenti di memorie disperse nell'Oblio. «Ho freddo... Perché non posso lasciare questo posto?». 
La voce, che suonava come un eco, si fece d'un tratto disperata e il fumo di pece che componeva le sue fattezze cominciò a vibrare di rabbia. «Non ho sofferto abbastanza? Perché non posso lasciare questo posto? Perché mi tormenti ancora?».
Non lo stava guardando, era come se per lei non fosse lì, ma il Temibile Lupo sapeva che si stava riferendo a lui. 
Non se ne era nemmeno accorto, ma nel tentativo di studiare quello spirito, si era avvicinato ancora. Le si era fatto così tanto vicino che, quando lei si voltò premendogli inaspettatamente la mano contro il petto, lui non riuscì nemmeno a schivarla. Era una trappola. 
«Mar solas ena mar din» [Il tuo orgoglio ti porterà alla morte], ma il timbro di voce adesso era maschile, roco e roboante mentre lo derideva e i suoi occhi erano rossi come il lyrium.
Sentì subito una fitta al cuore tanto forte da togliere il respiro. Chiuse gli occhi in una smorfia di dolore e iniziò ad avere visioni orribili. Una sequenza interminabile di immagini strazianti: sangue, viscere, denti digrignati, specchio, cadaveri... Montagne di cadaveri, ricordi che si susseguivano veloci e inarrestabili accompagnati da urla inquietanti e maledizioni in una lingua antica ormai perduta da tempo. Riaprì le palpebre ma le visioni terrifiche non andavano via, anzi le grida si facevano sempre più acute e tormentate e il tutto continuava a sfrecciare a intermittenza nella sua mente. Bocche grondanti di sangue, un eluvian, altre viscere, altro sangue, occhi stralunati, ombre dietro lo specchio.
Tutto finì solo quando lo spirito interruppe il contatto svanendo nel nulla.  
Stava ancora cercando di capire come fosse stato possibile tutto ciò, cosa o chi fosse quel demone e che poteri dovesse avere per osare tanto, quando notò che lo scenario attorno a lui era cambiato di nuovo.
Ruotò con diffidenza lo sguardo per capire dove fosse. Un luogo decisamente familiare, un luogo dove aveva trascorso il più delle sue giornate fintanto che era rimasto con l'inquisizione: la rotonda di Skyhold.
Provò un certo senso di oppressione, irrequietezza, come se si sentisse in gabbia. Tentò di non lasciar trapelare nessun tipo di turbamento come al suo solito, ma c'era qualcosa che non andava. Era come se non avesse più il pieno controllo del suo corpo o delle sue azioni, come se la sua razionalità stesse pian piano scemando e con essa ogni maschera dietro cui lui usava celarsi. 
Non era abituato a non essere del tutto cosciente e padrone di quello che accadeva nei suoi sogni, e ciò non gli piaceva affatto. Tuttavia questi pensieri che lo legavano alla realtà stavano abbandonando la sua mente, lasciandolo in balia di un ginepraio di emozioni che per troppo tempo si era rifiutato di affrontare.
Sentì dei passi scendere per le scale. Si voltò e la vide. Era come una scena già accaduta mille volte e, come altre volte, avrebbe voluto fermarla e raccontarle tutto, ma proprio tutto. Fece per andarle incontro ma Halla attraversò la stanza con passi svelti, senza nemmeno degnarlo di un'occhiata.
Confuso dalla reazione inaspettata si arrestò sul posto finché una nuova copia di Halla non sopraggiunse alle sue spalle spintonandolo con disprezzo. 
«Ma harel lasa!» [Mi hai mentito!]
Era affranto ma non poteva negare. Tentò di accarezzarle le braccia e avvicinarla a sé, come se ciò potesse in qualche modo placarla. «Ir abelas, Vhenan...» [Mi dispiace, Cuore mio...]. 
Si liberò dal suo tocco disgustata. «Tel'abelas! Banal'vhenan!» [Tu non sei dispiaciuto! Tu non hai un cuore!]
Avrebbe voluto ribattere ma lei svanì in fretta come un battito di ciglia.
Una sottile e spensierata risata che giungeva da dietro di lui richiamò la sua attenzione. Quasi avesse timore a girarsi del tutto, voltò il capo solo quel tanto che bastava per scorgerli con la coda dell'occhio.
Lei continuava a ridere. «No, te lo giuro: non era un trucco, erano veri tatuaggi. Ha fatto un incantesimo per rimuoverli».
Cullen scuoteva il capo confuso, sorridendo di rimando. «Ma non capisco perché. Perché te li ha voluti togliere?».
«Andavano...», si prese un attimo di pausa per cercare di non rabbuiarsi, «Andavano tolti. Purtroppo rappresentavano qualcosa di crudele di cui non ero a conoscenza. Non chiedermi oltre, ti prego».
Il comandante si grattava la nuca turbato. «Io credo che i vallaslin facessero parte di te, al di là del loro significato. È stato egoista da parte sua chiederti tanto. Tu sei perfetta esattamente come sei».
Halla si appuntò imbarazzata una ciocca di capelli dietro l'orecchio, abbozzò un ultimo sorriso e fece per andarsene. 
Cullen rimase lì a guardala fintanto che poté. Solas aveva già visto quello sguardo, era lo stesso che anche lui posava su di lei. 
"Non è reale" pensò. Le tempie gli facevano male. Puntò le mani contro la parete più vicina, voleva isolarsi, magari dimenticare. Chiuse gli occhi. Il battito del suo cuore era come un martello su un pezzo di stoffa: colpiva incessante, pulsava violento fino alle orecchie ma nessuno a parte lui poteva sentirlo.
La sua razionalità cercava incessantemente di tornare da lui, ma qualcosa di quel posto continuava a impedirglielo.
«Non è reale», sibilò dolorante.
«È l'oblio. Qui tutto è reale. Me lo hai detto tu», disse Halla appena apparendo tra lui e il muro, a meno di un respiro dal suo viso.
Alzò su di lei il suo sguardo triste e rassegnato, ma restò immobile e non rispose. 
Halla gli accarezzò la guancia lasciando scorrere lentamente le sue dita e i suoi occhi sulla mappa che conosceva a memoria delle sue lentiggini. 
Il suo tocco era miracoloso come lui lo ricordava, bastava quello per fargli dimenticare tutto il resto. Mai nessuno nella sua lunga vita lo aveva sfiorato così nel profondo, rompendo tutte le sue maschere. Non lo aveva permesso a nessun altro, o forse a nessun altro era mai importato di riuscirci, ma ciò non cambiava quanto lei fosse unica.
«Starti vicino mi fa impazzire», ammise Solas controvoglia, come se si stesse liberando di un peso, «E anche non starti vicino mi fa impazzire...».
Di tutta risposta lei appoggiò il naso contro il suo mentre allungava le labbra in un dolce sorriso, un gesto che aveva ripetuto spesso fin tanto che erano stati insieme, ma il calore del suo gesto non poteva mitigare il gelo che si stava diffondendo nella stanza.
Lui serrò forte le palpebre, come se ciò potesse servire a contenere la sofferenza delle sue parole. «Vederti intrappolata nei miei incubi è quello che ho sempre voluto risparmiarti. Non avrei mai voluto trascinarti in questa storia con me,  non avrei mai voluto ferirti».
«Solas», lo riprese Halla con tono serio, «Tu non mi hai ferita. Mi hai lasciata morire».
Al suono di quelle parole riaprì le palpebre ma tra loro due ora c'era una lastra di ghiaccio. Non capiva cosa stesse succedendo, non capiva dove fosse. Si scrutò attorno mentre respirava affannosamente. Riconobbe quel posto, per quanto l'Oblio lo avesse distorto in una visione glaciale, era il tempio di Mythal e quello sotto di lui era il Pozzo del Dolore, ma era ghiacciato e lei era intrappolata sotto di esso.
«Vhenan!», gridò mentre scagliava un pugno contro il ghiaccio che li divideva.
Lei stava annegando e ogni sua supplica di aiuto si disperdeva vana e silenziosa nell'acqua.
Un altro pugno sulla lastra ghiaccio, poi un al'tro ancora, e un altro ancora finché il sangue uscito dalle sue mani impregnò di rosso la ragnatela di crepe sotto di lui, tanto da impedirgli di vedere ancoro il viso della sua amata.
Non sarebbe riuscito a salvarla e non sarebbe riuscito a perdonarselo.
«No! Ti prego! No!», e l'ira dei suoi gesti cominciò a tramutarsi in terrore.
Un indolente rumore di tacchi sì avvicinò a lui, che disperato com'era, non riuscì neanche a distiguerlo finché lei non aprì bocca. «Avresti dovuto fermarla prima se ci tenevi tanto...». Flemeth se ne stava lì guardandolo dall'alto in basso col suo solito sorriso sardonico.
Si voltò verso di lei con un'espressione rabbiosa e colma di rancore, ma sapeva che l'unico da incolpare era lui. Come un lupo ferito, cercò di mettere da parte l'orgoglio, per lei. «Salvala, ti scongiuro».
«No», rispose subito senza neanche pensarci. «Non c'è più niente che tu possa fare per la mortale. Le hai detto addio già da tempo, quando l'hai lasciata scendere nel pozzo. Ormai mi appartiene e io già ti ho dato molto, Temibile Lupo».
«La colpa è la mia, non la sua! Sono io che dovrei pagarne il prezzo», digrignò tra i denti tornando a colpire il ghiaccio con tutta la sua forza. Quando poi finalmente lo ruppe, ne tirò fuori solo il corpo gelido ed esanime di Halla.
«E infatti sei tu che ne stai pagando il prezzo», constatò Flemeth prima andarsene.
Incapace di dire o fare nient'altro, Solas strinse Halla contro il suo petto. 
Era morta; e sebbene una parte di lui ancora sapesse si trattasse solo di un incubo, il dolore che provava era molto reale e irrefrenabile mentre nella sua gola prendeva forma di grida e pianti, e come un ulato si spargeva terribile e solitario in un cielo cupo senza luna.

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