Le Terre Del Cielo

di LordPando
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** A proposito del Castello ***
Capitolo 3: *** La classe XIIIQ, ovvero anche ***
Capitolo 4: *** I membri dell'esagono ***
Capitolo 5: *** L'Esagono viene creato ***
Capitolo 6: *** Piani di fuga ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


TITOLO: Le Terre Del Cielo
GENERE: Fantasy
AVVERTIMENTI: Incompiuta

 
I NOMI DELLE ISOLE
Lesaj -la prima-
Jabenny -la seconda-
Nijawi -la terza-
Kalki -la quarta-

Opoko -la quinta-
Amawa -la sesta-
Nirakna -la settima-
Vuydet -l'ottava-
Nkaia -la decima-

 
 

Queste sono le terre del Cielo. Sono contenute in una sfera di aria. E sono nove, i blocchi di pietra che levitano nell’aria come sono nove i regni che le governano. Ognuno di essi ha un sovrano che amministra il regno alla meglio, lasciando che la maggior parte dei cittadini faccia ciò che vuole della vita.

 Il Globo di aria semisolida che circonda le isole non ha bordi ben definiti, ma mai nessuno, nei nove regni, ha mai cercato di uscirne. Il Globo è molto distante dalle isole, e i viaggiatori dell’Aria ne possono percorrere lo spazio. Le isole sono come delle enormi piramidi capovolte, abitate da diversi tipi di esseri, umani e non.

 

 Poche persone si sono gettate dall’alto di quelle isole, e nessuna di esse è più risalita. Questo perché sotto -cento chilometri dalla punta delle isole- c’è uno speciale trattamento riservato ad i pochi che non muoiono a mezz’aria schiacciati dalla pressione; o quelli che non decedono per un infarto causato dalla paura; o per quelli che non sfondano il Veliero Volate di qualche intrepido, che non ha di meglio da fare se non guardare le isole dal basso; o, avvenimento straordinario, per quelli che non viene salvato da qualche ventovivo o da qualche creatura volante di passaggio.

 Beh, per chi sfugge a tutto questo ci sono gli altri universi. I filosofi delle isole non osano chiedersi come siano fatti anche per semplice paura di scoprirlo, perché lì sotto ci può essere tutto e niente. Alcuni esseri, libri o frasi sono arrivati nelle Nove Terre, lasciando il segno e temuti da tutti, spesso accoppiandosi con creature e generandone altre sempre più terribili.

  Tutte le creature dell’Aria nacquero secoli prima degli Uomini e degli Esseri della Terra, perché fra le nove terre l’aria è potere. Quelli che la sfruttano meglio, non i Ventivivi.

 I ventivivi, come il nome suggerisce, sono una delle creature dell’aria più singolari. Anche se in un cero senso, l’aria sono essi stessi. Ci sono numerose leggende che riguardano nell’intimo i ventivivi ma che questi ultimi continuano a negare rinominandole favolette per idioti.

 I ventivivi sono creature eterne, nate millenni prima delle isole volanti. Essi vivono solitari, ma hanno un ordine gerarchico ben definito, la cui posizione in esso è determinata dalla forza di ogni ventovivo. I principali sono tre, provenienti dai tre punti cardinali delle terre del cielo. Tharém, vento del punto alto della bussola delle terre del cielo e i suoi due fratelli: Buserah e Nakhti, dei due vertici bassi. Nakhti è detto anche il vento dei velieri perché è appunto il più propenso ad aiutare gli Aeranti - viaggiatori dell’aria. Tharém è invece il vento della tempesta, il più freddo, quello che spesso si oppone a suo fratello nel trasporto. Da alcuni Aeranti è detto Punitore, e si dice che per veleggiare in suo favore bisogna ospitarlo nella propria nave. Il terzo, Buserah, è in un certo senso il più tranquillo. Si occupa della normale brezza delle nove isole. È però potente come suoi fratelli, e la sua furia è ineguagliabile.

 Alcune leggende narrano che riuscì, da solo, ad opporsi ad un vero e proprio Vento dopo che quest’ultimo avesse fatto precipitare il principe Satte di Nkaia, la nona delle terre volanti. Ovviamente secondo molti è solamente una leggenda, ma il principe cadde davvero dal suo veliero per una scossa anomala. O quasi.

 Bisogna anche parlare della forma e di come fanno i ventivivi ad… anche solo muoversi. Non hanno forma ben precisa essendo principalmente fatti d’aria, ma non è raro vederli condensati o addirittura solidificati in forme diverse. Sfruttano, per volare, le correnti da essi stessi generate che gli permettono di planare e a volte anche volare per ore.

 

 Gli abitanti e delle Nove Terre considerano aria e vento come i padroni di tutto, perché da essi dipende la stabilità delle loro isole, la loro vita e le loro azioni. C’è chi, come i pirati o gli Aeranti, vive in piattaforme semoventi -come i velieri aerei che viaggiano nel vento. E c’è chi è così tanto aerofobo che non volerebbe nemmeno per tutto l’Akki -il materiale più prezioso esistente- delle nove terre.

 E poi ci sono le creature del cielo: ne sono di diversi tipi, dai draghi ai custocoli olezzosi, porcelli di piccola taglia dotati di ali che frullano l’aria per tenersi in volo ed una puzza terribile. Circola una leggenda che un tempo questi strani animali fossero usati dagli eserciti come il peggior proiettile acido.

 Ovviamente alcune di queste creature sono semplici fantasie di scrittori stati poi inceneriti o pressurizzati dalle creature da cui avevano preso spunto, non molto soddisfatte del risultato. Ma altrettante sono vere, come ad esempio i golem del cielo, ammassi di materia chimica in movimento sfuggiti agli alchimisti distratti; o i cadonghi, creature stupidissime ed in via di estinzione per la loro tendenza al suicidio o alla caduta verso altri mondi. Le creature dell’aria hanno idee differenti rispetto agli abitanti delle terre volanti e non sempre li vedono di buon occhio, ma alcuni di essi, come gli Assabi da salvataggio, hanno salvare i terrestri come unica ragione di vita. O di morte, a seconda di come la si vuole vedere.

 

Il traffico aereo attorno alle Nove Terre è enorme e sono molteplici i generi di individui che volano nel globo d’aria, chi mosso da una ragione e chi da una completamente opposta. Sono numerose le navi pirata, dolenti a depredare i vascelli mercantili che rischiano il carico per alte somme di denaro.

 Come ci sono i pirati ci sono certamente anche gli eroi, che viaggiano alla ricerca di qualsiasi avversario. Essi sono comunque individui dalla dubbia morale che spesso fanno ciò che fanno solo per denaro. O almeno.. così va per la maggior parte. Si racconta di Hunnar il Trepidante che combatteva per ripagare un debito di vita. I Mercanti invece sono il tipo più pacifico di Aeranti. Solitamente occupano  velieri di piccole dimensioni, Mercantili e/o Mercantili Reali, navi pagate appositamente da un Re.

 I tipi di vascello volante sono molteplici, a cominciare dai velieri, le enormi navi che i pirati o i grossi equipaggi usano per i loro scopi. Sono terzi in fatto di grandezza solo alle Giganti e alle Giganti reali. Queste ultime due sono navi lente e pesanti, piene di vele e di stregoni che le mettono in moto. Contengono enormi eserciti e gruppi di soldati, e nonostante la grandezza dei due tipi sia uguale hanno un nome diverso. Questo perché le Giganti Reali sono fornite di quasi il doppio dei passeggeri e ve ne sono soltanto nove in tutte le Terre Del Cielo, ognuna comandata da uno dei Re. Vengono usate solo in occasioni molto importanti, come le guerre… o i capricci dei sovrani. Si racconta che una volta il Re di Jabenny mandò la sua Gigante Reale a prendere suo figlio al Castello (vedi dopo) per il ritorno a casa.

 Questo la dice lunga sulla giustizia del governo nelle Nove Isole, che reggono su una struttura fondamentalmente capitalista e molto pericolante. L’unica cosa che accomuna -più o meno- nobili e straccioni delle nove Terre è la scuola: il Castello.

 

 Le nove terre dei cieli non sono davvero nove. In realtà ce n’è una decima al centro dell’ennagono che tutte le altre compongono, ma non è una vera e propria isola. Dai più è conosciuta come il Castello, perché è proprio di questo che si tratta.

 Ha numerose mansioni, ma la principale è quella di fare da istituto d’insegnamento ai giovani delle nove isole che trascorrono lì nove mesi all’anno per i loro primi diciannove anni di vita dopo un periodo di un anno passato con la famiglia, poi ci sono altri tre anni facoltativi. Fra le nove isole non ci sono altre scuole, e la maggior parte degli abitanti delle isole vi sono stati.  È proprio nel Castello che molte storia iniziano, nella sala principale che faceva da mensa per i ragazzi di tutte le età e famiglie appartenenti. Anche se non tutti i ragazzi sono intenzionati a restarci.

 

Tratto dal “Libro Decimo”, ovvero l’ultimo volume della Grande Enciclopedia Delle Nove Isole, Assabi Editore, anno 25 d. M. (dopo Malawi).


SPAZIO AUTORE

Salve, popolo di EFP! Che poi in realtà non è detto che siate arrivati fin qua, ma non importa. Riaprite la storia, scorrete verso il basso e ci siete. Comunque, superato queso piccolo inconveniente... come va? Come state? Io sto bene. Credo. Ma passiamo alle cose serie che se no viene lo spazio autore più lungo del prologo.
Ebbene, ci riprovo. Avevo già messo la storia su EFP ma poi non mi ricordo per quale motivo non mi è più piaciuta. Adesso la sto:
a) Revisionando e
b) Continuando. Quindi boh, per ora va bene così... poi vedete come va e nel caso mi dite.
Inoltre nel caso abbiate letto tutto -ma proprio tutto, anche i miei scleri- il capitolo sarete arrivati anche qui. E adesso parte la richiesta di qualsiasi autore che si rispetti: me la lasciate una recensione? Una, anche piccolapiccolapiccola. Davvero, basta poco. No, eh? Lo sospettavo.
SALUTI!
LordPando

 

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Capitolo 2
*** A proposito del Castello ***


A proposito del castello

La mensa del Castello brulicava di studenti di ogni tipo, umani e non. I professori scuotevano il capo vedendo la confusione che regnava sovrana fra cibo lanciato, zuffe, chiacchierate e molto altro.

 Il soffitto a volta faceva riecheggiare i suoni delle urla dei ragazzi che correvano e rumoreggiavano nonostante le intimazioni dei docenti. Mancavano circa venti minuti alla fine della pausa pranzo, ma tutti sapevano che ce ne sarebbero voluti altri dieci -se erano fortunati- per riorganizzare il tutto.

 Le colonne erano sporche di cibo e le creature alchemiche incaricate della pulizia della scuola iniziavano ad infuriarsi. Gli unici attimi di calma generale era dove la preside, la Baronessa Clivet, ansava fra le file di studenti gridando ordini ed avvertimenti a destra e a manca. Quando c’era lei nella zona un silenzio tombale ed una calma innaturale percorreva gli studenti. Tutti gli altri, invece, continuavano a fare casino e rumoreggiare mentre la Civetta -soprannome della preside- passava con la sua zona di morte.

 Finalmente la campana suonò, un rumore che ogni ragazzo si porterà aventi per il resto della vita. Tutti si alzarono -per chi non lo aveva già fatto- e lasciarono che le condizioni critiche della sala mensa si vedessero come al solito. Nessuno mosse un dito per pulire qualcosa perché dalle colonne si staccarono immediatamente otto piccole creature.

 Erano di uno strano verdolino luminoso con quattro alette, due sulle spalle e due leggermente più grandi sulla cosa biforcuta. sei erano le loro braccia ed erano apparentemente sprovviste di ossa, cosa che le rendeva leggerissime. Vederle pulire non era qualcosa di nuovo ma la loro efficienza sorprendeva sempre quelli del primo ano che perdevano almeno due minuti per rimanere a guardare.

 Dopo aver parlato delle pulizie, c’è bisogno di una piccola parentesi per dire qualcosa sugli insegnanti. Questi ultimi possono essere di qualsiasi tipo: la Clivet alzò lo sguardo e sorrise alla vista dell’anziano professore di Astronomia e Astrologia, un lungo millepiedi verde che andava alla sua torre strusciando sulle pareti. Era seguito di buon grado dal minuscolo professore di Scienza Del Piccolo (materia che si occupava dello studio dei microrganismi delle Nove Isole), un omino alto poco meno di mezzo metro che svolazzava con le sue alucce. Il corpo insegnanti scelto per la scuola comprendeva certo anche alcuni umani, fra cui proprio la Civetta, ma la maggioranza non lo era.  La scelta era stata fatta causa i talenti che le numerose razze avevano nelle materie che insegnavano, cosa molto utile in una scuola.

 Anche gli studenti, provenienti da tutte le Nove Terre erano una scelta molto variegata di individui. La scuola comunque non puntava sull’integrazione di “ragazzi particolari”, il Castello era da sempre quasi l’unica scuola delle Nove Terre. Per questo motivo tutti i genitori -tranne quelli che si potevano permettere una scuola privata o un insegnante a casa- mandavano lì i loro figli.

 Il Castello sfoggiava la cosa con orgoglio rinnovando quasi ogni anno il corpo docenti, che ricevevano un altissimo stipendio nonostante il basso costo d’iscrizione alla scuola.

 Il Castello era stato costruito con la creazione del Malawi come altro simbolo di unione fra le isole, ma stabiliva quasi un regno a sé: riempiva quasi del tutto l’isola su cui era stato costruito e la preside odiava che i non studenti mettessero anche solo piede su quel territorio, che era dato protetto con una barriera magica.

SPAZIO AUTORE
Buonsalve a tutti voi, o nobile popolo di EFP! Vi do il benvenuto nel secondo capitolo, nonostante avrete appena finito di leggerlo. Adesso, facciamo conversazione:
IO: Ciao! Come va, come state?
POPOLO DI EFP: ...
Io: Tipi silenziosi, vedo. Comunque... che avete mangiato ieri sera? Io una cosa buonissima che non mi ricordo.
POPOLO DI EFP: ...
Io: Allora, che mi dite? PIaciuto il capitolo? e il mio modo di scrivere? Eh?
POPOLO DI EFP: ...
Va bene, abbiamo capito che non volete parlare, ma nel caso intendiate rispondere alle mie domande vi ricordo che una recensione non costa nulla. Quindi... al prosimo capitolo!
LordPando

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Capitolo 3
*** La classe XIIIQ, ovvero anche ***


Prima ora pomeridiana, classe XIII Q, o “come funziona il Castello”

Ma facciamo luce su una delle file; ecco la diramazione dei quattordicenni diretti alla classe di Studio delle Creature Volanti guidati da un giovane ventovivo. Quello, sotto forma di coniglio, li spingeva con la sua leggera brezza verso il portone della stanza destinata alla lezione.

 Nhon Assaletj sgomitava fra i suoi coetanei per aggiudicarsi il posto in fondo all’aula. Con un cenno dell’orecchio destro del coniglio le finestre si aprirono e Nhon andò a piazzarsi di fronte ad una di esse. Era un ragazzo un po’ basso, dalla carnagione olivastra e capelli ed occhi scuri. Non aveva una pettinatura ben precisa e vestiva con una maglietta nera a maniche corte e dei pantaloni grigio scuro. Come per regola della scuola al momento non indossava scarpe né calzini, ma le scarpe naturali che gli si erano formate con gli anni gli impedivano di raffreddarsi né di provare fastidio ai piedi.

 La classe era color tortora con quattro colonne agli angoli, mentre sul muro che dava sulla facciata esterna c’erano quattro finestre, di cui una aperta. Spesso i ragazzi guardavano fuori e il loro sguardo spaziava fino a una delle prime isole dell’arcipelago di Amawa, un fazzoletto di terra quasi deserto con tre ristoranti, cinque alberghi, quaranta case e due spacci.

 Il professore prese la forma di un serpente e si avvolse su una delle gambe della cattedra mentre tutti i ragazzi prendevano posto. Ad un tratto si sentì una voce provenire dal serpente, che ricordava un soffio di brezza marina.

 «Signori. Oggi per vostra fortuna sono felice di dirvi che le interrogazioni saranno poche.» Silenzio. «Mi aspettavo un po’ più di entusiasmo. Comunque… Brinami» fece, rivolto ad una quattordicenne di nome Dora in prima fila con i capelli ribelli ed il viso paffuto ma allegro: «Sai farmi 5 esempi di creature indipendenti dal vento par volare?»

 «Subito, signore» cominciò lei con aria saccente. «I ventivivi, le creature alchemiche, i demonietti dell’aria, le falene nere ed i cadonghi.» concluse, provocando una smorfia su alcuni studenti dell’ultima fila. A nessuno piacevano i Cadonghi.

 Con uno sbuffo improvviso e una leggera folata di vento il serpente esplose e al suo posto apparve un furetto che si rimise sulla cattedra. Quasi nessuno ci fece caso.

 «Complimenti.» le disse il professore, con una certa dose di autocompiacimento. «Nonostante questo, non finisce qui… Cut, con che energia si muovono i ventivivi?»

 Serae Cut, una ragazza alta, con i capelli rossi e gli occhi marroni che sedeva due posti a destra di Dora  aprì la bocca per parlare mentre gli altri la guardavano annoiati. Mentre blaterava di spinte ascensionali, planaggi e forme di energia indipendenti il professore sorrideva -per quanto gli fosse possibile- e annuiva.

 Dopo un paio domande simili e circa mezz’ora di spiegazione suonò una seconda campanella ed il professore uscì sotto forma di pappagallino diretto all’aula accanto.

 Prese il suo posto la docente di Storia Degli Antenati, che esordì con un radioso Buongiorno! Si posizionò dietro la cattedra e con un sospiro squadrò tutta la classe con aria critica. I banchi, completamente in legno e personalizzati dai ragazzi non erano troppo in disordine e le colonne erano pulite. I capitelli facevano da base per le centinaia di aereoplanini di carta lanciati dagli alunni e fatti volare con splendide evoluzioni. Sul pavimento di marmo alcuni fogli giacevano distesi e spiegazzati con disappunto della donna.

 La professoressa era bassetta e magra, vestita in modo molto curato e aveva esagerato col trucco nel tentativo di nascondere le rughe che le rigavano la faccia. I suoi capelli biondi le incorniciavano il viso gioviale e un sorrisetto le fece capolino sulla bocca.

 «Bene.» Cominciò. «Per oggi sarò gentile e non inizieremo con i libri aperti, ma con una domanda: si possono definire i vostri parenti degni della storia?» I ragazzi, vedendo che non continuava, capirono che si aspettava qualcosa. Uno di loro alzò la mano, il figlio del Conte Wanage che molti chiamavano “Junior”. Aveva la carnagione dell’esatto colore dei fenicotteri, il collo lungo e un piumaggio che lo ricopriva dal collo in giù. Chiaramente figlio di una serie di esperimenti alchilici probabilmente fatti sui suoi bisnonni… o ancora prima nel tempo.

 L’insegnante sorrise e puntò un dito ossuto su di lui per dargli la parola mentre si sedeva sulla cattedra ignorando bellamente la sedia lì accanto.

 «Mio padre, il conte Wanage, è un’aristocratico di Opoko, ma al momento è alla corte del re di Nkaia.» cominciò il ragazzo, felice di poter esibire le proprie nobili origini. «La nostra stirpe esiste da secoli e… EHI!»

 Wanage emise un grido di stupore per un’aereo di carta gigante che gli volò verso la faccia facendo scattare l’insegnante. Ella minimizzò la cosa con un gesto, ma mentre andava a mettere sulla cattedra la creazione cartacea lanciò un’occhiata truce a un ragazzo delle ultime file.

 Con un secondo cenno delle dita fece riprendere la parola a Wanage che si era fatto rosso come un peperone. «Beh, vede… sono numerosi i poteri politici e non che ha la mia famiglia. La maggior parte dei suoi membri hanno un posto riservato nell’oltretomba e spesso otteniamo la possibilità di veder crescere i nostri figli. L’animale-simbolo della nostra casata è il fenicottero rosa.» Wanage venne interrotto da un cenno della mano della professoressa che indicò un ragazzo della terza fila che aveva alzato la mano con fare riluttante. 

 Questi -Vadenwu Ihannes, per gli amici Kalneby- era un tipo poco più alto di Nhon con i capelli di una curiosa sfumatura grigio scuro. Era molto magro e sorridente, il viso allungato e furbo, le orecchie a punta. Il suo sangue era in parte mescolato con quello di una Fata Nera e questo lo rendeva veloce e molto alto. Aveva una corporatura slanciata e le mani tozze ma forti.

 «Il mio ramo della famiglia Ihannes è conosciuto come il Ramo Padronale. La cosa è nata quasi un secolo fa quando uno dei miei antenati pensò bene di potenziare il proprio sangue avendo tre figli con una Fata Nera e quindi facendo creare una legge che permettesse il matrimonio fra creature di differenti razze.» 

 La professoressa fece una faccia soddisfatta e spaziò con lo sguardo su e giù per la classe. «Qualcun altro si offre?»

 Ci fu un attimo di silenzio e poi dalla penultima fila venne un: «Io.»

 Un ragazzo grosso e quasi del tutto rasato (si salvava una cresta bassa che gli dava un’aria criminale), con i denti ed il naso storto che guardava tutti con allegria iniziò a parlare. Ad ogni sua parola un paio di mani si alzavano o si abbassavano è per prenotare la parola. «Forse non è la cosa più positiva, ma la famiglia Karan è composta quasi esclusivamente da ex fuorilegge, fino a me che intendo dare una svolta a tutto questo. La cosa nacque credo tre secoli fa quando uno dei primi Karan fece un patto con la Morte.» A quelle parole, tutti fecero una faccia stranita. Sapevano tutti che con certe creature non bisognava trattare, ma L’Immortale, L’Eterno Assassino era il peggiore di tutti. La Morte… «Quando uno di noi nasce -continuò- i genitori ricreano il patto, e la Morte dichiara che farà vivere per cento anni a patto che… una volta ogni tre anni la affronti.

 «È contro le regole della mia famiglia spiegarvi come questo succede, ma sappiate che non è cosa facile. Soprattutto nel tuo terzo anno di vita.» Aggiunse con voce quasi allegra, come se non si stesse parlando di rischiare la vita ma di andare a fare una passeggiata.

 La professoressa aveva una faccia quasi inorridita ma deglutì e si trattenne. «Ottimo. Già, molto istruttivo… e sono davvero orgogliosa di te, Mokér. I tuoi propositi sono ottimi. Nessun altro si offre? Sebath,» fece, diretta ad un giovanotto della terza fila che sedeva accanto a Kalneby. Era rosso e alto, con una felpa verde ed i capelli in una pettinatura strana che li faceva sembrare una fiammella «Sai dirci che cos’è un potere nativo?» Sebath Faisal era sorpreso dalla domanda e vedeva le speranze di perdere la lezione in discorsi svanire. Rifletté un attimo e poi rispose, all’inizio incerto, poi più spedito, facendo risuonare il suo forte accento opokiano.

 «Sì. Per ogni stirpe un arcimago, un monaco o un eremita fornisce ai figli un potere o Dono. Esso può… ehm… essere un patto con la Morte, un’abilità in un determinato campo o anche qualcosa di più specifico, come nel caso di famiglie di maghi o comunque persone non del tutto… ehm… comuni i cui figli apprendono in anticipo i poteri che il resto della gente acquisisce con la morte, come nel mio caso.» fece, indicando se stesso «Si fa così, per esempio…» E  fu avvolto da una fitta nube umida che rese quasi impossibile vederlo. Il trucco si interruppe dopo pochi secondi ma fece comunque la sua figura, e comportò un leggero applauso da parti di un gruppetto della seconda fila.

  All’improvviso l’aria rimbombò di un tuono e, dopo qualche secondo, scoppiò un temporale.

 La pioggia batteva incessantemente sui vetri mentre l’insegnante parlava, e anche nell’ora successiva essa continuò a bagnare il Castello, con le sue gocce piccole e malefiche. Dopo un paio d’ore si tramutò in tempesta, e lampi e tuoni rimbombavano nelle classi, con rabbia dei professori le cui voci venivano coperte da quella della natura che, a quanto pareva, non accennava minimamente a smettere.

SPAZIO AUTORE
Oggi mi sento un portaombrelli, quindo... non trovate ci vorrebbe un po' di pioggia? Mi sento inutile!
Scleri a parte, passiamo alle sose cerie! Allora, eccoci qui... terzo capitolo, questa volta un po' più lungo dei precedenti -tutti senza manco una recensione... su, impegnatevi un po'- ma comunque un capitolo introduttivo. Che ci volete fare, il mio è un universo narrativo complicato! Comunque il prossimo capitolo è in fase di revisioe, quindi dovrebbe arrivare fra non molto. Mi auguro vi piaccia e, nel caso vogliate recensire, fatelo pure, non mi offendo!
Ciao, e al prossimo capitolo!
LordPando

 

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Capitolo 4
*** I membri dell'esagono ***


 Dopo alcune ore di pioggia una campanella trillò la fine delle lezioni. Come un mare gli studenti si riversarono in corridoio diretti nelle rispettive camere. Tutti andavano in direzioni sostanzialmente diverse, ma sei di loro convergevano verso una delle piazze al chiuso del Castello. Uno ad uno erano diversi ed apparentemente non si sarebbe mai detto quanto fosse stretta la loro amicizia. Ma prima di dirlo bisogna esaminarli.

 In ritardo come spesso, con un’andatura lenta e tranquilla che si guardava intorno come se volesse assorbire le vicende che lateralmente oltrepassava camminava Nhon Assaletj. Si districava con attenzione dagli ammassi di studenti scambiando qualche parola con chiunque incontrasse. Arrivò per ultimo davanti alla fontana dove si erano dati appuntamento e cominciò a biascicare scuse incomprensibili con disappunto degli altri.

 Kalneby Ihannes, il quarto ad arrivare, cercava di coinvolgere in qualche follia chiunque gli capitasse a tiro mentre contemporaneamente cercava di seguire il discorso degli altri, senza riuscirci troppo ma attirando comunque l’attenzione di numerosi ragazzi o professori che si fermavano e scambiavano con lui qualche parola.

 Più puntuali di tutte e arrivate a braccetto c’erano Dora Brinami, Serae Cut e Maila Lassen, parlando sommessamente.

 Dora era alta e di corporatura leggermente massiccia, i capelli castano chiaro lunghi e pieni di riccioli, la faccia allegra e paffuta, l’andatura sicura di sé. Mentre camminava bisbigliava o parlava ad alta voce con le amiche, fatto sta che gli argomenti di conversazione spaziavano dal più banale al più astruso.

 Serae Cut stava alla sua destra, al centro fra le tre, e con i capelli rossi che le davano un’aria da folle camminava in maniera irregolare: veloce-piano-piano-piano-veloce-piano-veloce-veloce… e così via.

 Maila Lassen, a destra di Serae, si inseriva di tanto in tanto nella conversazione nonostante era molto rilassata. La ragazza era bassina, magra nonostante l’età e aveva i capelli più o meno della tonalità di Dora. Il volto era sottile e lungo, ma non affilato e gli occhi fra il marrone e il verde si guardavano attorno mai fermi. Le sue guance erano un po’ scavate e facevano da contorno alle labbra sottili e sorridenti. Quando parlava lo faceva con voce concitata e allegra, e camminava in fretta.

 Penultimo ad arrivare fu Karl Saiken. Capelli marrone scurissimo tendente al nero, lunghi e mal pettinati,un po’ di baffetti  giovanili e un fisico slanciato che sovrastava la maggior parte dei suoi amici. Arrivò sgomitando con non poca foga fra la folla suscitando reazioni indispettite di alcuni. Si sedette con un lamento buttando a terra lo zaino.

 Il ragazzo sospirò e si volse verso i compagni mentre Nhon arrivava di corsa e si lanciava a sedere su un gradino.

 La prima riunione dell’Esagono stava per iniziare.

SPAZIO AUTORE
Ebbene sì, sono tornato, stavolta raffreddato e con un capitolo straordinariamente corto. Ma vi pare normale, il raffreddore con 26 gradi? Boh. Comunque a me no.
Oggi mi sento un arredatore di camerette per cuccioli di pantere rosa. Nel caso ve lo chiediate... sì, gli affari vanno male. Penso che nel prossimo capitolo cambierò lavoro...
Scleri a parte, che ne pensate? Oggi ho visto che un'anima pia ha inserito la storia fra le seguite mentre nessuno ha recensito. Ma vi sembra giusto? Boh... recensite! (lo so che facendo così vi ho completamente dissuaso dal recensire ma questi sono dettagli altamente trascurabili).
E fra tre giorni è il mio compleanno. YEEEEEE!
Adesso addio, e al prossimo capitolo!
LordPando

 

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Capitolo 5
*** L'Esagono viene creato ***


L’Esagono viene creato

 Il sole, come di consueto dopo le lezioni, stava per iniziare a tramontare e gettava la sua luce sulla sala, dalla quale si alzava un chiacchiericcio impossibile da capire.

 I nostri eroi sedevano sotto una fontana di pietra in una piazzola gremita da studenti e professori senza fare nulla di preciso, o almeno così era in apparenza. Se si fosse seguiti uno dei quindici raggi del sole delle Terre del Cielo, fino a quell’anonima fontana, si sarebbe visto che uno dei ragazzi mostrava agli altri una sorta di documento. Se si fosse continuata a seguire una diramazione leggera del raggio, si sarebbe notato che quel ragazzo era Nhon e la sua grafia alta e stretta marcava quel foglio. Se, per finire, si fosse seguito uno degli infiniti fili di luce fino ad udire quello che i sei stavano dicendo, si sarebbero visti sei amici firmare una sorta di patto. Più che un patto un codice, una serie di regole decise il giorno prima da uno di loro.

 E fin qui, tutto quasi normale. A differenza di quel che successe dopo…

 Nessuno taceva. Nonostante il momento fosse stato scelto con cura da Karl e Nhon e tutti avessero deciso di ascoltare quest’ultimo continuavano a parlare. «Signorine e signorini! Dato che mi avete fatto perdere quasi una giornata del mio tempo preziosissimo per scrivere questa roba» e agitò il foglio nell’aria «Dovreste almeno ascoltarmi!»

 Quelle parole ottennero l’effetto desiderato. Gli altri cinque si girarono e fissarono il ragazzo, che si schiarì la gola e cominciò a leggere.

 

Noi siamo l’Esagono. Nome decisamente azzeccato, e comunque anche se non lo fosse sono sicuro che non riuscirete a pensare di meglio. Quindi… ognuno di noi rappresenta una delle punte e siccome l’esagono è regolare -mi sarebbe dispiaciuto fare qualcosa di asimmetrico- ognuno di noi avrà pari importanza. Tranne me… voglio dire, io sono il capo! Prima che iniziate a lamentarvi sappiate che scherzavo. Okay? Immagino la faccia di Karl mentre sente tutto questo… ma non preoccupatevi. Scherzavo. Siamo un gruppo anarchico. E ora, un paio di regole!

  1. L’Esagono e composto da questi membri: Dora Brinami, Serae Cut, Maila Lassen, Karl Saiken, Vadenwu (detto Kalneby) Ihannes e Nhon Assaletj, e questi o i loro figli saranno, nei secoli dei secoli.
  2. Nulla separi l’Esagono: i litigi o la vecchiaia passeranno, ma la morte dell’esagono non arriverà con la morte dei suoi componenti.
  3. In caso di reclami sul regolamento o altro (comportamento scorretto di membri, non rispetto delle regole eccetera) rivolgersi a Nhon (che poi sarei io ma fa niente).
  4. Eventuali tentativi di abbandono dell’Esagono saranno severamente puniti. So che potrebbe sembrare fascista ma non è così. Credo. Ehi, mi avete dato solo un giorno per scrivere questa roba!

 

Questo, quello che vi era scritto sul foglio. Nhon lo aveva appena finito di declamare con un sorrisino soddisfatto all’angolo della bocca. Sapevano tutti che non era necessario un contratto per simboleggiare la loro amicizia, ma… erano l’Esagono! Ogni organizzazione che si rispetti ha un codice, nessuna esclusa! E quindi Nhon era stato incaricato di scrivere il tutto nella sua orrenda calligrafia e presentarlo, per il giorno dopo.

 «E allora? Che ne pensate?» Chiese.

 Ci fu un momento di silenzio interrotto da Dora. «Piuttosto bene.» affermò. Poi, uno dopo l’altro, tutti cominciarono a esprimere i propri pareri mentre cercavano una penna. Quella nuova invenzione delle penne a sfera al posto delle piume di mallòk era a dir poco geniale. Mano a mano, uno dopo l’altro, tutti apposero la firma sul foglio mentre lo spazio bianco lentamente scompariva coperto dalle scritte.

 Non ci furono ulteriori commenti -non che se ne aspettasse nessuno, l’intera faccenda era una pura formalità- e quindi decisero di dirigersi nella stanza di uno dei ragazzi per finire i compiti pomeridiani.

 «Potrei proporre di evitare camera mia, da quando il mio coinquilino è stato espulso… diciamo che è una Camera Nhon.» Camera Nhon. Avevano inventanti quel termine quando avevano per la prima volta la sua metà della stanza 42. Ogni volta qualcos’altro ornava il pavimento, che fossero libri o quaderni o penne o elementi della sua attrezzatura da schermidore. Da allora, ogni volta che il ragazzo descriveva la sua camera -o metà di camera, quando riuscivano ad affibiargli un coinquilino- come Camera Nhon, tutti se ne tenevano alla larga. “A me il disordine piace!” soleva dire. “Nulla in contrario” era la risposta “ma tienici fuori”. L’ultimo coinquilino di Nhon si era arreso e aveva cominciato ad ordinare anche le cose dall’altro per far avere alla camera un aspetto più decente, ma dopo tre mesi era quasi impazzito e si era lamentato con il corpo docenti. E così la Camera Nhon era tornata a colpire.

 «In camera mia» cominciò Maila «Anija si sta truccando.» Anija… quando è che la coinquilina di Maila si sarebbe resa conto di essere brutta anche con i chili di trucco che metteva? Comunque, occupava tutta la stanza con i suoi esperimenti estetici e per questo cacche camera di Maila era inagibile.

 «A me hanno assegnato la camera piccola e lo sapete…» La solita sfortuna. La stanza di Karl -115- era la più piccola di tutto il Castello e la occupavano in due. Da quando glie l’avevano assegnata il ragazzo non faceva che lamentarsi con tutti per la cosa.

 Rimanevano Kalneby, Dora e Serae. «Camera mia è… non lo so.voglio inventare una scusa ma non ce ne sono. Aspettate! Ce l’ho! L’ultimo gruppo di pobnoi da allevamento mi hanno… quasi invaso la stanza. Ecco, sì, questo.» Tutti lo guardarono infuriati.

 «Camera tua è perfetta! Stai zitto!» Cominciò Serae.

 «No, davvero, lo giuro, i pobnoi sono dappertutto! La loro presenza invade vestiti e cassetti, letti e divanetti… nulla sfugge alla loro ira funesta e…»

 «Taglia corto. Dora, tu invece? Che scusa vorresti affibbiarci?» lo interruppe Nhon.

 La ragazza sospirò. «Nulla. Camera mia va bene.»

 Karl sorrise. «Allora siamo d’accordo! Tutti da Dora!» disse, un po’ troppo ad alta voce e procurandosi quindi uno scappellotto da quest’ultima.

 Qualche minuto dopo, erano tutti nella camera della ragazza, libri aperti e penne alle mani. Ovviamente, lo studio non avrebbe retto cinque minuti, ma nonostante questo non si può dire che non fossero in buona fede. Con un pizzico di esibizionismo Karl lanciò il suo volume e lo riprese al volo, aprendolo alla pagina giusta, con un piccolo applauso generale e disappunto di Nhon che stava per essere colpito dal libro. Il ragazzo infilò quattro dita nella pancia di Karl che, molto più alto di lui, lo colpì dietro la testa.

 Dopo quel piccolo inconveniente gli altri scelsero la pagina in maniera più normale e cominciarono a leggere. Per “storia degli antenati” avrebbero dovuto sapere praticamente tutto sulla genealogia dei Giròn, famiglia altolocata il cui attuale erede ere il Barone  Mezzanotte. La cosa era decisamente difficile con i commenti di Kalneby che di tanto in tanto declamava il suo disappunto verso quella nobile famiglia.

 «Ma vi rendete conto? Quelli non sono nemmeno andati qui al Castello… magari avessimo avuto noi qualche professore a casa!»

 «Errore, signorino.» Affermò Serae stizzita. «Non ci saremmo incontrati e adesso il tuo professore privato ti starebbe bacchettando le dita perché pronunci Gìron e non Giròn, dunque studia e taci, che per domani abbiamo da portare il compito!»

 «Io resto dell’idea che del Castello si possa fare a meno. Anzi…» Rispose lui. «Penso che se potessi me ne andrai anche ora.»

 «E faresti un favore a tutti noi!» Gridò Karl.

 «Parla più piano, idiota!» disse Maila. «Siamo in camera di Dora, non nella mensa!»

 Per evitare una spiacevole discussione fra i due, Kalneby si intromise. «Non stavo scherzando, in realtà. Potrebbe essere interessante! Pensateci: ci sono milioni di modi per andarcene, e siamo abbastanza intelligenti da pensarne uno nuovo. O almeno…» E qui scoccò un’occhiata malevola a Maila «quelli di noi che non lo sono, che restino a terra! Perché non provarci?»

 Con un cenno d’assenso Nhon disse «Magari su una nave mercantile… Datemi mezz’ora!» Quei due erano così. Idea, mezz’ora o poco più, e avevano il piano. Questo era l'inizio di quella che sarebbe stata un'avventura che avrebbe sconvolto le loro vite.

SPAZIO AUTORE
E di nuovo buongiorno a tutti amici e amiche di EFP! Come va, come state? Io sto benissimo anche se mi annoio un po'. Gli editing non sono di certo la parte più divertente dello scrivere. Ma comunque... ciancio alle bande! Dovremmo parlare del capitolo, un alro dei capitolo introduttivi! Vi ricordo che questi sono capitoli già scritti che sto semplicemente revisionando prima di pubblicare. Quando si tratterà di scrivere davvero dovrete aspettare un po' più di tempo... ma per ora va bene così. Siete contenti?
*fieno rotola* EHI! *Nessuno lo caga*
Comunque nel caso volesete lasciare un commentino sarebbe verament gradito. In più, un piccolo grazie a hola1994 che ha inserito la storia fra le seguite. Grazie.

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Capitolo 6
*** Piani di fuga ***


 Nei successivi trenta minuti il ragazzo scrisse un dettagliatissimo piano di fuga con la sua calligrafia orrenda. Quindi cercò di mostrarlo agli altri senza che loro capissero sbuffò e lo illustrò ai suoi amici: «Fra sette giorni fuggiremo. Preparerò con la calligrafia della preside una lettera di scuse per i nostri genitori, che verranno a sapere troppo tardi per acchiapparci della nostra fuga rocambolesca. Qualcun altro scriverà per i nostri parenti una scuse per la Clivet. Il vascello mercantile delle due di notte passa vicinissimo al castello ogni settimana e ci lascia alcune delle provviste, per cui salire non dovrebbe essere così difficile.»

 «Ma sei stupido?!» Esclamò Dora stizzita. Non ci avete chiesto niente e lasciare il castello0, falsificare la firma del preside e quella dei nostri genitori è illegale! Il Castello ha una giurisdizione  a sé, non come le altre Terre! A differenza di qualcuno queste cose le ho studiate!»

 «Le abbiamo studiate tutti, ce l’hanno detto nella prima lezione di Leggi e Codici dei cieli. E se tu avessi ascoltato…» cominciò Karl, interrotto da Serae.

 «Lei ha ascoltato, così come me. E sappiamo tutti che appena si superano i trecento Kolphi da attorno al Castello si entra nell’area legislativa di un’isola.»

 A quelle parole Karl si alzò di scatto. Detestava essere interrotto. «Quello lo dovevo dire io!ı» Poi sospirò. «Comunque è così. Pensaci, Dora.»

 Nhon li guardò arrabbiato. «Se mi lasciaste finire il piano sarebbe tutto molto più facile! Stavo dicendo… Noi saliremo sul vascello a quel punto ci nasconderemo. Alla prima tappa approdiamo su un’isoletta e dopo qualche giorno troveremo certamente qualche nave disposta ad accompagnare “dei poveri ragazzi portati via dalla loro scuola contro le loro volontà”. Se ci va male veniamo beccati e messi in punizione, se ci va bene dopo due mesi su un vascello saremo così diversi che potremo spacciarci per altri studenti iscritti quell’anno o… Beh, qualche scusa inventeremo. Che ne pensate?»

 «Già, un piano di dubbia riuscita, progettato in mezz’ora, ed a parte questo (su cui torniamo dopo) hai dimenticato la terza ed ultima eventualità: se va malissimo i mercanti ci buttano giù dalla nave e non oso pensare che potrebbe succederci. Oppure veniamo attaccati dai pirati. O peggio… l’altra dimensione!» Disse Serae con voce saccente. a quelle parole anche Kalneby cominciò ad esprimere la propria disapprovazione per il piano.

 «Ma non eri tu a volertene andare?» Controbatté Nhon. Stranamente a difenderlo si aggiunsero Maila e Karl. Il secondo parlò di coerenza con una voce esasperata, mentre Maila disse:

 «Non è possibile. Pensateci: se ci scoprono non uccideranno mai dei ragazzi ma ci riporteranno al Castello… e questo ci rimanderebbe alla prima opzione. Mi pesa ammetterlo ma il piano di Nhon… non fa una piega.»

 Dopo un po’ di chiacchiericcio anche le sue amiche si dissero d’accordo, nonostante non ne spiegarono le ragioni. era però evidente che si fidavano ciecamente di Maila, che dopo Dora era la più prudente. Anche Kalneby si conferì, perché di restare da solo a terra “non gli andava”. Tradotto: non li voleva abbandonare a sé stessi e ai piani folli di Nhon. Quel ragazzo aveva il sangue di un Leader, ma un capo troppo folle aveva bisogno di essere riportato con i piedi per terra.

 Intanto che gli amici parlavano mano a mano alcuni se ne andavano lasciando Dora da sola, con Nhon e Kalneby. Anche questi ultimi, dopo averla definitivamente convinta, si alzarono e tornarono nelle loro stanze.

 La luce del sole lentamente si spegneva, molto più velocemente che in altri universi. Il tramonto era tinto di una sfumatura di rosso e rosa che rendeva poetico il profilo della scuola dei Cieli che si stagliava all’orizzonte. Molto presto in quell’edificio sei presenze sarebbero mancate.

SPAZIO AUTORE
E dopo un po' di tempo siamo tornati, i nostri giovani eroi stanno per fuggire... ma sappiate che dal prossimo capitolo glissiamo. Cambio di situazione e introduzione di una coppia di personaggi ce credo vi piaceranno. Invece... recensioni ancora non se ne vede manco mezza, ma spero che con l'avanzare dei capitoli potremo averne un po'.
Questo capitolo sei l'ho pubblicato con un po' di ritardo perché sto revisionando i capitoli successivi, adesso credo che i prossimi 3 o 4 siano pronti. Chi scrive sa che senza almeno una rivisita qualsiasi testo diventa illegibile. Comunque...
Ciao, e al prossimo capitolo!
LordPando

 

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