Così è giusto

di Me91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Così è giusto

 

Prologo

 

Il mito racconta di Neilos, un umano la quale bellezza faceva invidia agli Dei, tanto che costellarono la sua esistenza di sciagure e malasorte: dalla morte della sua amata madre, alla perdita totale dell’udito a causa di un incidente e un incendio che distrusse la casa dove abitava. Neilos, disperato, si rivolse proprio a quegli Dei che avevano reso la sua vita così terribile, chiedendo perdono e implorando la loro pietà. E Zeus, impietosito dalle sue sincere lacrime, lo trasformò in statua, posizionandolo ai piedi di una bellissima scalinata che conduceva ai due lati di un raffinato giardino di un ricco signore di Atene.

Dalla sua posizione previlegiata, da far invidia a tutte le altre statue del curato giardino, poteva godere di una vista meravigliosa sulla magnifica fontana che, con la sua vasca rettangolare, l’acqua limpidissima e le colonne bianche, era vanto del suo proprietario nei confronti dei propri ospiti. Inoltre, ogni notte, la luna stessa scendeva a rinfrescarsi tra quelle acque stupende, sotto forma di fanciulla dai lunghi capelli argentei. Nuda e bellissima, faceva capolino da dietro le brillanti colonne di marmo, lanciava un timido sguardo a Neilos e, con un piccolo sorriso, gli dava poi le spalle, estasiandolo con la sua bellezza mentre lentamente andava ad immergersi nelle fresche acque.

Neilos si era follemente innamorato della fanciulla, ma purtroppo, per la sua condizione, non poteva raggiungerla per immergersi con lei. Nelle notti di luna nuova, al buio, intonava dei dolci canti rivolti alla sua amata, aspettando con trepidazione il giorno successivo per poterla rivedere.

Le altre statue del giardino, gelose dello speciale scambio di sguardi che si dedicavano i due, si rivolsero agli Dei, chiedendo di poter punire Neilos, colpevole di aver sedotto la luna con la sua bellezza. Phthonus, spirito dell’invidia e della gelosia, accolse la loro richiesta e, proprio in una notte di luna nuova, diede vita a tutte le statue tranne Neilos. Queste, chi armato di spada perché rappresentate un vecchio guerriero, chi brandendo una pietra raccolta a terra, come alcune eleganti dame, circondarono Neilos e lo colpirono con le loro armi: un fendente di spada gli spaccò di netto un braccio, delle pietre gli sfigurarono il viso, altri colpi creparono il brillante marmo che lo componeva, rovinando di fatto la sua perfetta bellezza. Infine le statue tornarono ai loro posti prima dell’alba.

La notte successiva la luna scese alla fontana e, come solita fare, alzò lo sguardo verso Neilos. Si portò quindi una mano alla bocca, esterrefatta da ciò che gli era accaduto. Subito dopo si tuffò in acqua e scomparve, tornando in cielo a piangere.

Delle lacrime illuminarono anche ciò che restava degli occhi del povero Neilos e si fecero strada sul suo volto sfigurato, scivolando poi verso terra. Alla vista del suo pianto, la luna si disperò ancor di più, elevando i suoi lamenti al cupo cielo notturno.

Furono proprio quei lamenti a risvegliare l’imponente statua di Artemide che riposava quieta al tempio a lei dedicato posto poco distante da quel giardino. Alle deboli luci delle candele che infiammavano il lucente corpo di marmo della Dea, i suoi occhi si volsero in alto e ascoltarono con attenzione il pianto della luna. Con crepitii ed echi sinistri, l’imponente statua di tre metri scese dal piedistallo su cui era posta, per poi battere con risoluzione un piede a terra, ergendosi con fierezza e decisione. La Dea, devota al luminoso astro notturno, aveva pronta la sua vendetta.

Con regale e imponente passo raggiunse il giardino e si pose alla sommità dell’elegante scalinata. Da quel punto posto in alto aveva così un’ottima visuale. Brandì quindi il suo lucente arco e caricò una freccia, poi, con terribile sguardo, la scagliò in direzione della prima statua posta in un loculo e raffigurante una dama dai lineamenti delicati: la freccia raggiunse la dama al petto e, con indicibile violenza, la trafisse, spezzandola a metà. Mentre la dama crollava a terra con un terribile suono, i suoi lineamenti si trasfigurarono, mostrando un’espressione terrorizzata. Artemide si volse allora alla sua destra e scoccò con freddezza la seconda freccia, centrando il volto di un’altra dama poco distante. Altre frecce partirono con violenza dal suo arco, portando distruzione tra le statue del giardino. Terminate le frecce, la Dea avanzò con lenta eleganza in direzione di una scultura rappresentante un fiero guerriero che ergeva in alto la sua spada. Con un gesto deciso, la Dea strappò via l’arma dalla mano del guerriero e, ruotandola in aria, la calò con decisione sul suo capo, spaccando con un rombo testa e spalla dell’uomo in tanti pezzi. Si diresse poi verso le ultime statue rimaste e, a colpi di fendenti con la sua nuova arma, portò a termine il suo compito. All’ultimo colpo la spada che teneva in mano si ruppe a causa della forza con cui l’aveva utilizzata; senza scomporsi, la Dea lasciò cadere a terra i pochi frammenti che le erano rimasti in mano e si voltò quindi verso Neilos.

Con calma si avvicinò a lui e vi si fermò davanti. Dopo averlo osservato per qualche istante ed aver verificato che le lacrime sul suo volto erano di pura gratitudine nei suoi confronti, allungò una mano per poi posarla sul petto crepato della povera statua. Non appena le sue dita di marmo sfiorarono Neilos, questo scomparve in un turbinio di tante luci che, ruotando su loro stesse, furono sospinte dalla Dea verso il cielo. Qui si aggrapparono al manto celeste e composero una nuova costellazione, quella dell’umano di cui si era innamorata la luna, che ora poteva godere della vista del suo amato tutte le volte che appariva nel cielo stellato. 

 

Tra tutti i miti sulla Dea Artemide, quello della luna e la statua innamorati è di gran lunga il preferito di Sibilla. La donna, a sua volta devota alla Dea della caccia, vive in fondo una vita simile a quella dello sfortunato Neilos: un’intera esistenza costellata di maledizioni e sofferenze e un amore impossibile da realizzare, se non in sogno mentre osserva il cielo stellato.

E il suo amore è là, a cavalcare al suo fianco su quel destriero bianco; lo intravede tra le fronde del bosco, illuminato dalla calda luce del tramonto. Il corpo che sussulta al ritmo dei respiri del cavallo, i ricci capelli corvini che rimbalzano ad ogni passo e lo sguardo attento mirato davanti a sé. Quello di Sibilla invece, di sguardo, distratto dal vorticare di pensieri che affollano la mente della giovane guerriera, indugia sulla figura di quel cavaliere che corre tra gli alberi.

Elios, bello come il sole da cui prende il nome, non sarà mai suo.

Un breve sospiro e la fanciulla torna a guardare di fronte a sé, cercando di riordinare i pensieri.

È certa di quell’affermazione, in quanto un compito arduo sta per attenderli, da cui non crede di aver speranze ad uscirne viva.

A poche ore dalla notte profonda, sono infatti giunti alla loro destinazione. Sono i loro cavalli a percepire per primi il pericolo di quel luogo: le forti zampe si irrigidiscono improvvisamente e gli animali, con respiro nervoso, si vanno a fermare alla soglia della buia grotta che si apre subito dopo quella fitta boscaglia.

I due cavalieri si affiancano per osservare quel buio impenetrabile. Un vento gelido risale l’oscurità e lambisce le loro membra, strappando ad entrambi un breve e nervoso brivido di freddo. A quel punto i due si guardano negli occhi, leggendo un velo di terrore in entrambi.

«Sei pronto?» sussurra rocamente Sibilla, infastidendosi nel constatare che la sua voce sta leggermente tremando.

«No.» il sorriso di Elios è teso e ironico «Ma abbiamo scelta?»

«Tu ne hai.»

La ragazza allunga la mano e la va a posare sul braccio del compagno, guardandolo intensamente e in modo malinconico.

«Ne hai, Elios. Non venire. È una cosa che io devo fare.»

«Noi siamo una cosa sola.» ribatte lui con decisione, mettendo la sua mano su quella di lei «E non lascio a te tutto il divertimento.»

Lei storce le labbra con fare seccato.

«Sei un maledetto guastafeste.» decreta scendendo dal cavallo con un agile balzo.

Elios mostra un piccolo sorriso per i modi della donna e scende a sua volta.

Dopo essersi assicurata di aver smontato tutto dal suo destriero, Sibilla si sistema meglio in spalla la faretra con le frecce e, stringendo con forza l’arco, muove il primo passo verso la grotta.

Immediatamente Elios è al suo fianco e la prende per mano; dopo un fugace sguardo di intesa, i due si immergono correndo nell’oscurità.

La porta degli Inferi è stata varcata e la loro visita non passerà inosservata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Buonasera a tutti e grazie mille a molang e Old Fashioned per le recensioni positive!! Spero che il resto del racconto soddisfi la vostra curiosità/piacere :)


Capitolo 1

 

«Sei bellissima Scilla.»

Il viso della donna riflesso allo specchio si illumina di un estasiato e al col tempo timido sorriso. Gli occhi, di un azzurro chiarissimo, brillano di luce viva, grata.

Alle sue spalle una donna dal simil volto, ma più posato e meno fanciullesco, con uno sguardo profondo color mogano e l’aria di chi ha dovuto superare molte prove nella sua vita. Una vita ancor giovane, quella di Sibilla, ma costellata di sacrifici e dolore. Una vita dedicata anche a tener lontano da tutto ciò la sua dolce sorella minore, che ora siede elegantemente di fronte a lei.

Le due sorelle si guardano attraverso lo specchio, scambiandosi teneri sorrisi.

«Non eguaglierò mai la tua bellezza, sorella mia.» ribatte Scilla con ammirazione «Guardati! Che fiera donna dallo sguardo regale, che possenti braccia e abilità in lotta, da far invidia agli Dei.»

Sibilla le accarezza dolcemente il volto, continuando ad osservarla allo specchio, e accosta la sua guancia a quella di Scilla.

«Ti amo, sorella mia.» sussurra Sibilla con la sua voce calda «Che la tua dolcezza ti accompagni fin dopo la morte.»

Sorridendo, Scilla si volta e l’abbraccia teneramente, mentre Sibilla ricambia con più forza e tutto il suo amore.

 

*

 

Di egual bravura della venerata Dea Artemide nel tiro con l’arco, Sibilla è all’epoca considerata la cacciatrice più abile e rispettata dell’Antica Grecia.

Eccola che cavalca con armoniosa eleganza il suo destriero fulvo: la figura si erge maestosa, in perfetto equilibrio sul morbido manto del cavallo; i raggi del sole fanno brillare il ciondolo di smeraldo che porta sempre al collo, regalando dei magnifici riflessi serpentini all’immacolata tunica scossa dal vento; i muscoli delle braccia si flettono con spietata perfezione mentre la corda dell’arco dorato si tende; gli occhi, freddi e concentrati, sono fissi sul loro bersaglio e seguono infine la freccia, assicurandosi di non sbagliare il colpo. Questa parte con un sibilo sinistro, fende l’aria con grintosa energia e con sordo e viscerale suono va a trafiggere il fianco del mostruoso animale in fuga poco più avanti. La bestia, simile ad un demoniaco leone, lancia un ruggito raggelante e cade di colpo di lato, rotolando tra le spighe di grano. Si alza un fitto polverone al suono dei terribili versi del mostro colpito a morte, poi improvvisamente il corpo termina la sua corsa e tutto di nuovo tace.

Uno stormo di corvi si alza in volo poco più in là, accompagnando con il loro vociare l’arrivo di Sibilla. Questa ferma il cavallo a pochi passi dalla bestia e scende a terra con un rapido balzo, avvicinandosi.

Alle sue spalle, con ritmico suono, la raggiunge Elios chiamandola a gran voce.

«Sibilla! Avrei voluto io infliggere il colpo mortale a quell’essere immondo!»

«Avresti potuto sbrigarti prima dai tuoi impegni, Elios.» lo apostrofa lei, voltandosi a guardarlo.

Disegnando grandi cerchi in cielo, Elios, in groppa al suo alato cavallo bianco, la osserva dall’alto con un piccolo sorriso ironico.

«Perdonami se sono stato occupato a portare in salvo quella gente dalla loro casa in fiamme.»

«Non è certo mia la colpa se il tuo destriero alato non è abbastanza veloce da permetterti di poter svolgere certi compiti più in fretta.»

Il cavallo sbuffa con un infastidito movimento del capo e Elios, accarezzandolo di lato, gli fa cenno di atterrare.

«Non prenderti gioco di questa maestosa bestia.» l’uomo scende da cavallo e lo ammira con entusiasmo «Pegaso è indubbiamente la creatura più maestosa che abbia mai osservato.»

«Credo infatti che Perseo sia ancora in ira con te per averglielo sottratto.» gli fa notare lei alzando un sopracciglio «Non credo ti risparmierà al vostro prossimo incontro.»

«Non penso sarà in grado di sopraffarmi.» sorride lui con sicurezza e si avvicina al corpo del mostro, mentre alle sue spalle, sgrullando energicamente la groppa, Pegaso fa scomparire le ali come per magia, tramutandosi in un semplice cavallo bianco.

Sibilla lo osserva per un ultimo istante, poi volge la sua attenzione alla bestia appena uccisa.

«Grandi zanne, possenti zampe e sputava fuoco.» elenca Elios, portandosi le mani ai fianchi «Sarà sicuramente una creatura uscita dagli Inferi.»

«Oppure plasmata da lei.» sentenzia Sibilla, seria e meditabonda.

Elios si volta a guardarla, sorpreso.

«Lamia? Lei è morta!» va a stringere con forza l’elsa della sua splendida arma «L’ho uccisa con le mie mani! Ricordo ancora il tremendo suono della lama che trafiggeva la sua carne, trapassandola da parte a parte. E il suo sangue caldo sulla mia pelle, mentre si accasciava contro di me esalando l’ultimo respiro.»

«E poi il suo corpo scomparve tra il volo di cento corvi neri.» Sibilla volta lo sguardo alla sua sinistra, osservando il campo di grano e il cielo all’orizzonte «Corvi, come quelli che ho intravisto qui poco fa.»

«Cosa vorresti dire?»

«Che Lamia non è morta.» torna a guardarlo con fare grave «E quella volta fu solo uno dei suoi sortilegi per poterci sfuggire. Probabilmente in punto di morte riuscì a scappare con la sua magia.»

«E dopo così tante lune torna a disseminare orrore in queste terre? Perché dopo così tanto tempo?»

«Le ci sono volute tutte queste lune per poter riacquistare forza.» ragiona Sibilla, portandosi una mano al mento mentre fissa il terreno con aria pensierosa.

«E perché attaccare questo villaggio con un mostro simile?» chiede ancora Elios, indicando il demone «Soprattutto sapendo che noi ci trovavamo in questa zona? Non le può essere passato inosservato il fatto che eravamo stati ad Atios, una città così vicina a questo luogo, per ricevere i pubblici ringraziamenti del signore di queste terre per i nostri servigi passati. Della festa devono averne parlato in tutte le campagne circostanti, considerando quanta folla ha partecipato.»

Sibilla alza gli occhi su di lui, capendo improvvisamente.

«Proprio per farci sapere che lei è tornata.» sentenzia, stringendo con rabbia il suo arco «Farci sapere che lei è qui, lo è adesso.»

Si gira in direzione del villaggio poco lontano, ancora in parte lambito dalle fiamme.

«E magari in questo istante si sta nutrendo di qualche bambino!»

Con un agile salto è già in groppa al suo cavallo, mentre Elios, sorpreso, comprende che sono stati ingannati.

«Ma certo! Il mostro serviva solo per distrarci!» furioso, risale su Pegaso, incitandolo a prendere il volo.

Entrambi i destrieri partono in una corsa sfrenata tra le spighe dorate; dopo pochi metri, con un magico e brillante fruscio, le immense ali di Pegaso si dispiegano su quel mare d’oro, sbattono potenti e in pochi colpi fanno levare in volo il maestoso animale. Cavalcando le correnti d’aria, il destriero alato si fionda verso il villaggio davanti a loro e scende quindi in picchiata, sorvolando rapido strade e campi. Sono quindi delle grida disperate ad attirare l’attenzione di Elios, che si fionda in direzione di una villetta isolata: lì una madre, accasciata al suolo, stringe convulsamente tra le braccia un bambinetto sanguinante, pallido e inerme.

Alle porte del villaggio, Sibilla arresta la corsa del suo cavallo a pochi passi da un altro fanciullo, di cinque o sei anni, scompostamente adagiato a terra con abiti stracciati e sguardo vitreo. Sua madre lo sta cercando a gran voce proprio dietro la loro casa. Sibilla scende e si avvicina di qualche passo, poi le sue gambe tremanti cedono, facendola finire inginocchiata proprio di fronte al povero bambino, mentre gli occhi le si riempiono di amare lacrime.

L’incubo è tornato.

 

*

 

«Perdonami, ma chi sarebbe Lamia?»

Il fuoco sfrigola al buio, illuminando caldamente le brillanti pietre disposte a cerchio attorno alle fiamme e il volto curioso di quel bel giovane tranquillamente posato ad un albero poco più in là. Il giovane, dai dolci riccioli neri che gli ricadono sulle spalle, una semplice toga bianca e una lucente spada al suo fianco, si chiama Elios e leggenda narra che sia figlio di un uomo e di una bellissima ninfa, ancella di Artemide. Quest’ultima, scoperto il tradimento della sua ninfa, votata alla verginità, tramutò la fanciulla in un salice, ai quali piedi spuntò però un bambino, caldamente abbracciato dalle protettive radici della pianta. La bellezza di quel bambino, e il tenero abbraccio che l’albero gli offriva, impietosirono la Dea che decise di adottarlo, facendolo crescere al sicuro tra le altre ninfe e addestrandolo all’arte della caccia e della lotta.

«Lamia fu la regina della Libia, figlia di Belo.» risponde con tono solenne Sibilla, dritta di fronte a lui «Essa ebbe in dono da Zeus la possibilità di cavarsi gli occhi dalle orbite e rimetterli al loro posto a proprio piacere.»

«Dono interessante.» commenta con ironia Elios, accarezzandosi il mento con un mezzo sorriso.

«Sappi che poi la donna conquistò l’amore di Zeus, scatenando però tutta l’ira di Era.»

«Sarei anch’io affascinato da una donna dalle orbite vuote a piacimento.» ride il cacciatore sommessamente.

Sibilla prosegue, ignorandolo:

«La vendetta di Era fu terribile: uccise tutti i figli bastardi nati dall’unione tra la regina e il Dio. Da quel giorno il sordo dolore condusse Lamia ad uccidere bambini succhiandone via il sangue, procurando così le sue medesime sofferenze a molte altre madri.» un brivido la percorre, mentre immagini orribili le colorano la mente.

Elios storce le labbra, orripilato a sua volta.

«Lamia era una donna bellissima.» mormora Sibilla, trattenendo un sospiro «Ma il nutrirsi del sangue di quelle anime innocenti portò un profondo mutamento al suo aspetto, trasformandola in un mostro. Può però nascondere le sue terribili sembianze tramite un’oscura magia: è infatti in grado di tramutarsi in bestie o mostrarsi per la bella donna che era un tempo, ingannando chi la incontra.»

Scende un breve silenzio, poi Elios domanda seriamente:

«E dimmi, splendida guerriera, perché sei venuta a cercarmi e mi stai raccontando queste cose?»

La donna lo osserva un istante senza dir nulla, per poi esordire:

«La tua fama ti precede, Elios dalla Lama Lucente. Si dice che tu sia tra i migliori cacciatori che camminano su queste terre; che sia stata Artemide stessa a insegnarti l’arte della caccia e l’abilità con la spada.»

«Così dicono, sì.» asserisce lui fieramente.

Sibilla storce un poco le labbra.

«Ammetto di provare invidia nei tuoi confronti. Tu, umano, accolto sotto la protezione della mia venerata Dea e da lei stessa istruito.»

«Perché sei venuta a cercarmi?» chiede nuovamente Elios, incitandola a venire al dunque.

Sibilla afferra il suo arco dorato e lo mostra a Elios, facendolo brillare alla rossiccia luce del focolare. Posandolo su entrambi i palmi delle mani, lo porge all’uomo. Questi lo afferra con curiosità, osservandolo con minuziosa attenzione.

«Riconoscerai la fattura di questa arma.»

Con sorpresa, Elios rialza gli occhi sulla donna, esclamando:

«Somiglia molto all’arco di Artemide!»

«Ne è il gemello.» risponde Sibilla con fierezza «I Ciclopi ne forgiarono uno d’argento per la Dea e questo d’oro fu donato a me.»

«Che arma maestosa!»

«Lo è.» concorda Sibilla, riappropriandosene elegantemente «Votandomi alla Dea Artemide, ho imparato ad usare l’arco come lei, onorando il suo nome e rendendomi degna ai suoi occhi di possedere un’arma simile.»

Rimettendosi l’arco in spalla Sibilla conclude:

«E quindi Elios dalla Lama Lucente, io sono colei che è stata designata a porre fine alla scia di morte che Lamia lascia dietro di sé, ma non posso farlo da sola: quel mostro è troppo potente. Ho bisogno di un compagno fidato che possegga doti pari alle mie: e chi meglio del discepolo della mia amata e somma Artemide? Sono qui per chiederti di unirti alla mia battaglia.»

Scende nuovamente il silenzio. I due si guardano negli occhi, studiandosi a vicenda.

Dopo qualche momento, è Elios il primo a parlare:

«E io cosa potrò guadagnarci?»

«La mia gratitudine.» risponde subito Sibilla con un cenno di rispetto, per poi aggiungere «Oltre che molto oro.»

«Direi che questa seconda offerta è molto allettante.» Elios la scruta con sospetto «E da dove verrebbe questo oro?»

«Posso chiederne quanto tu ne voglia. Mio padre non avrà problemi a donartelo.» risponde lei con prontezza.

«Tuo padre? E chi sarebbe costui di così potente da potermi concedere tutto l’oro che voglio? Chi sei tu?»

Sibilla lancia uno sguardo al fuoco con fare pensieroso, poi torna a guardare l’uomo, sentenziando:

«Era credette di aver ucciso tutti i figli di Lamia. Ma si sbagliava.»

Elios alza le sopracciglia, incredulo.

«Io sono Sibilla, figlia di Lamia e del potente Zeus.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Eccomi tornata con il nuovo capitolo! :) Innanzitutto un grandissimo grazie a Old Fashioned, soprattutto per la simpatia (che nutre in particolare nei confronti della stermina-bambini a quanto pare ahah).

Buona lettura!!

 

Capitolo 2

 

Nella gelida oscurità della grotta infernale, tutto è silenzio. Quindi i passi svelti dei due cacciatori rimbombano tra le pareti, come terribile eco.

Il suono, sempre più profondo man mano che si espande nel buio, non passa di certo inosservato e viaggia fino a raggiungere il fine udito del temile guardiano. In quel nero più totale, tre paia di occhi rossi si accendono improvvisamente.

 

«Vorrei dirti una cosa, Sibilla, prima che ci facciamo ammazzare da Cerbero.» esordisce Elios, senza smettere di correre al fianco della donna.

«Non essere così negativo.» ribatte lei, risoluta.

«Figurati, parliamo solo di un mostro a tre teste e il corpo ricoperto di velenosi serpenti. Perché mai dovrei essere negativo?» ridacchia lui con sarcasmo.

«Ti ricordo che Eracle fu un grado di domarlo.»

«Difatti non credo che Cerbero ne sia uscito molto contento da quella esperienza.»

«Comunque la mia intenzione è di ucciderlo, no di domarlo.»

Elios scuote il capo, commentando con un mezzo sorriso:

«Ovviamente. Mi hai già informato di questo.»

Lei lo guarda con decisione, asserendo:

«Funzionerà. Ha già funzionato.»

Lui rimane a guardarla in silenzio, poi torna a rivolgere lo sguardo davanti a sé.

Dopo qualche istante Elios sta di nuovo per parlare, quando si interrompe.

Con tremenda furia infatti a correre verso di loro c’è lui, l’implacabile Cerbero.

Tra ringhi delle enormi fauci e i sibili degli aizzati serpenti che avvolgono il suo corpo, l’enorme bestia balza contro i due, con una rapidità tale che riescono appena in tempo a schivarlo.

È rapidissimo!

Constata Sibilla, allarmata.

In fretta allunga la mano alle sue spalle, afferrando la sacca che porta in spalla. In quell’attimo però Cerbero si volta proprio verso di lei e, fulmineo, allunga una delle sue teste per cercare di sbranarla. Sibilla balza di lato con agilità, ma il morso schioccato all’aria dalle fauci le sfiora comunque la gamba, procurandole un lungo taglio. Con un piccolo gemito la donna rotola a terra, trovando riparo dietro un masso mentre la bestia cala una zampa su di lei; i serpenti sibilano tutti insieme, strappandole una smorfia per il forte fastidio alle orecchie.

Con un urlo, Elios salta alle spalle del guardiano calando dall’alto la sua spada: questa va a tagliare di netto la coda del mostro che, con un ringhio infernale, si sbriga quindi a voltarsi indietro per avventarsi sull’uomo.

Quel momento di distrazione del mostro permette a Sibilla di rialzarsi; carica una freccia al suo arco, si porta a qualche passo di distanza, poi, tornando a guardare il mostro, gli urla contro puntando la sua arma:

«A me, bestia immonda!»

Scaglia la sua freccia che con forza si conficca nella spalla dell’animale. Cerbero, furente, colpisce con un forte colpo di artigli Elios, scaraventandolo contro una parete della grotta, poi si volta subito verso Sibilla, spiccando un balzo nella sua direzione.

Ma a quel punto lei è pronta. 

 

*

 

«Deve pur esserci un modo per ammazzarla!»

Elios è furente e non riesce a smettere di girare attorno al focolare che hanno da poco acceso.

Sibilla, al contrario, se ne sta immobile, seduta sulle rive del ruscello. Con fredda calma osserva il riflesso della luna sull’acqua lievemente in movimento.

Sulla superficie di quell’acqua si rispecchia anche il suo volto e l’espressione che vi è dipinta è stanca, la pelle pallida e gli occhi spenti.

Già, quegli occhi color mogano, così simili a quelli di sua madre.

Ha tuttora qualche ricordo di quando poteva ancora definirla tale. Una donna in effetti bellissima, dal sorriso enigmatico e un’aria magnetica. Aveva sicuramente un fascino che poteva stregare chiunque, persino il cuore di un Dio. La pelle chiara, i lunghi capelli neri e mossi, il prosperoso seno che aveva allattato così tanti figli. Di loro, i suoi fratelli, Sibilla ha minore memoria e questo la rammarica. Si ricorda però bene il giorno in cui furono massacrati. Le urla disperate di sua madre, i pianti dei più piccoli… e tutto quel sangue.

Chiude gli occhi, fremendo. Lo stesso sangue che ora Lamia dissemina dietro di sé, su quei fragili corpi che sono le sue vittime.

Lei riuscì a salvarsi per un caso fortuito, nascondendosi all’ira di Era, ma ad oggi si ritrova a rimpiangere di non essere morta con loro quella volta.

 

«Tu eri destinata a salvarti. Eri destinata ad un fato differente da quello dei tuoi fratelli. Destinata ad una vita sofferente… proprio come la mia.»

Ansimante e stanca, Sibilla è costretta a sorreggersi con tutto il peso al suo arco saldamente piantato a terra, tra il fango e le pozze d’acqua.

Sta piovendo e quella mostruosa figura è di fronte a lei, a così pochi passi: potrebbe finalmente ucciderla senza troppa fatica, ma purtroppo ha terminato le frecce e la spada è stata spezzata da un forte fendente calato dall’alto. E perciò Sibilla se ne sta così, ad attendere la sua - tanto agognata - morte, proprio per mano del demone che avrebbe dovuto fermare.

Lamia la osserva, assorta. Se ne sta lì, ferma, sotto la pioggia; il cappuccio blu notte leggermente calato sul suo volto, la mano con la spada a riposo lungo il fianco. Al momento è ancora sotto forma di ciò che era un tempo: una donna bellissima, molto somigliante a quella figlia ora di fronte a sé.

«In fondo siamo così simili io e te.» sospira Lamia, con una voce tanto bella quanto inumana «Due vite così simili. Tu, a tua volta, non conoscerai mai la felicità.»

Sibilla si stringe con forza all’arco, sentendo così fastidiosamente vere quelle parole.

«Ho quasi pietà di te, figlia mia.» continua il mostro «Così infelice. Così sola.»

«Perché non smetti di blaterare e mi ammazzi?» la interrompe Sibilla con voce roca e ira nel tono.

«Io non voglio ammazzarti, Sibilla.» il sorriso che le si disegna in viso racchiude tutta la sua malignità «Il tuo fato è abbastanza terribile da farti somigliare a me. Questo perciò mi fa credere che tu soffra molto e questa tua sofferenza sarà una mia piacevole ricompensa a tutto il fastidio che mi crei cercando di intralciare il mio operato di morte. Non verrei mai ad ucciderti con le mie mani finché posso godere di questa tua situazione.»

E a quel punto, con una terribile risata, Lamia scompare in uno stormo di tanti corvi che si elevano al cielo.   

 

A quel punto Sibilla si riscuote da quel ricordo, uno dei suoi scontri con sua madre prima di conoscere Elios.

Ha ancora lo sguardo puntato sull’acqua e nella mente le ultime parole di Lamia.

Ma certo…

Si volta verso Elios e interrompe le sue imprecazioni.

«Un modo c’è. Di fermarla, un modo c’è.»

Lui si blocca e la guarda stupito.

Sibilla si alza in piedi e ordina:

«Seguimi.»

 

*

 

Sibilla è di fronte all’alto specchio e si osserva mentre si pettina i lunghi capelli. I neri boccoli vengono man mano sciolti e poi sapientemente intrecciati in un’elaborata acconciatura.

È davvero bella e fiera e di aspetto può sicuramente eguagliare il fascino di sua madre. Questo pensiero fa improvvisamente incupire il suo viso.

Somiglierò pure al tuo riflesso, madre! E a questo non posso sottrarmi.

Però oggi ti supererò in sensualità e diventerò Donna.

Con questo fiero e sicuro pensiero in mente si va ad affacciare alla finestra osservando dall’alto il boschetto che si infittisce poco più avanti, dove sono stati appena conclusi gli ultimi preparativi del suo matrimonio.


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Eccoci qua all'ultimo capitolo. Ringrazio tutti i lettori, in particolare Old Fashioned (beh, un pochino ammettiamo che Cerbero sia stato maltrattato invece ahah leggerai in questo capitolo che intendo!), molang (no, Pegaso non era tra le creature che ho visionato, ma avevo comunque intenzione di inserirlo perché per me è un animale mitologico meraviglioso! Grazie mille inoltre per tutti i complimenti che mi hai fatto sullo stile!!) e LyaStark (ciao che piacere trovarti qui! Il mito di Neilos iniziale è di mia fantasia, mi ronzava in testa da tantissimo tempo e ho avuto modo di inserirlo in qualche storia alla fine! I flashback li adoro, si era capito??) per aver recensito!

Spero che quest'ultimo capitolo sia di vostro gradimento e rinnovo il mio "in bocca al lupo" a tutti i partecipanti al contest di E.Comper :)

 

Capitolo 3

 

«Mio signore, mi duole disturbarla, ma sono in dovere di avvisarla che Caronte ha appena traghettato al di là dell’Acheronte due ospiti viventi

Con tutta calma, Ade apre gli occhi, destandosi dal suo placido sonno per lanciare uno sguardo al servitore inginocchiato di fronte a sé.

«E di Cerbero che cosa sai dirmi?» domanda il Dio con tono profondo e solenne.

«I visitatori hanno con sé una delle teste del guardiano… o così dicono.» mormora il servitore, profondamente dispiaciuto di portare quelle terribili notizie.

Ade non si scompone in alcun modo. Con tutta calma richiude gli occhi e focalizza così quelle due figure poco lontane dalla sua sala, riconoscendoli.

«Oh sì, so bene chi sono.» afferma con tranquillità «Un umano allevato da Artemide e le sue ninfe e una figlia bastarda di Zeus.»

«Vuole riceverli, mio signore?» domanda l’altro timidamente.

Ade riapre gli occhi e lo guarda con fredda placidità.

«Sarò piacevolmente interessato a sentire perché mai si siano presi così tanto disturbo per venirmi a trovare.»

Detto ciò, con uno schiocco di dita, apre il portone di ingresso della sua sala del trono, attendendo i due visitatori.

 

*

 

Elios, dritto e fiero nella sua migliore veste, la sta aspettando sotto l’arco di fiori. Cerca di nascondere il nervosismo, spostando leggermente il peso da una gamba all’altra, quindi lancia uno sguardo alle sue spalle, verso il limpido stagno dietro di sé. Lì di fronte, disposte a semicerchio, ci sono le ninfe che lo hanno cresciuto; nelle loro candide vesti bianche, di aspetto così bello da togliere il fiato, gli sorridono tutte teneramente, come a rassicurarlo. Saranno le testimoni della sua unione sacra.

Come rincuorato dalla loro presenza, Elios torna a guardare davanti a sé, trattenendo il fiato alla vista della splendida donna che sta ora uscendo dalla semioscurità del bosco per raggiungerlo in quella piccola e isolata radura.

Completamente vestita di bianco, con un immacolato velo di raffinata fattura a ricoprirle il capo e il meraviglioso ciondolo in smeraldo che brilla al sole che si affaccia in timidi raggi tra le fronde, la sposa ferma il fulvo cavallo e scende elegantemente a terra.

Il velo ondeggia lievemente a ogni passo, andando a celare lo sguardo della donna, ma il sorriso luminoso e l’andatura leggera rivelano la sua felicità man mano che si avvicina al suo sposo.

Elios allunga una mano in avanti, come un invito ad afferrarla e quindi unirsi a lui, e la sposa si prepara ad alzare a sua volta il braccio per porgergli la sua. Ma non fa in tempo.

Ad ancora qualche metro di distanza da Elios, l’avanzare della sposa viene bruscamente interrotto. Un vorticare di foglie, polvere e piume nere e si materializza improvvisamente Lamia di fronte la fanciulla; con un guizzo rapido e lucente, la sua arma la trafigge al ventre. La lama viene spinta completamente all’interno del corpo della sposa e lo spruzzo di sangue va a macchiarle violentemente i canditi abiti.

«Lamia, maledetta!» urla Elios, portando la mano sull’elsa della spada al suo fianco, mentre alle sue spalle le ninfe gridano spaventate e orripilate.

«Stolta! Non avrei mai permesso che tu potessi essere felice!» sibila malignamente Lamia all’orecchio della sposa «Non ti avrei mai permesso di avere una felicità che a me è stata negata!»

In quel momento, mentre il corpo della fanciulla si inclina indietro sotto il peso di Lamia china su di lei, il velo le scivola via dal volto, svelandone lo sguardo terrorizzato e sorpreso. Occhi di un azzurro acceso che guardano con orrore il mostro lì di fronte.

Lamia non fa in tempo a stupirsi di quei due occhi color del cielo che una freccia si conficca con precisione nella sua schiena, raggiungendole il cuore. Con un sussulto e uno sguardo incredulo sulla punta della freccia che appena fuoriesce dal suo petto, Lamia lascia andare la sua spada e si volta indietro, trovando Sibilla a pochi passi lei, ancora in posa con il suo arco in mano.

Scilla, alle spalle di Lamia, cade a terra con un rantolo di dolore, mentre del sangue fuoriesce dalla sua bocca. E Lamia, ancora confusa e stordita, si porta debolmente una mano al petto, sfiorando il suo sangue nero e l’acuminata punta della freccia che ha trafitto il suo cuore.

«Mi assicurerò che sta volta la tua morte sia definitiva.» sentenzia Sibilla con tono greve, per poi afferrare la sacca che porta appesa al fianco.

Mentre la apre con un gesto deciso, conclude:

«Devi sapere che a Perseo Elios non sottrasse solo il cavallo.»

Prima ancora di lasciare il tempo a Lamia di raccogliere le energie per compiere la sua magia e scappare, Sibilla estrae di scatto il contenuto della sacca, allungandolo di fronte a sé, in direzione di sua madre.

Quella è niente meno che la testa di Medusa, il mostro sconfitto da Perseo; con un urlo, Lamia si ritrova il volto del mostro davanti il suo sguardo, con i vitrei occhi puntati contro di lei, e, in un attimo, tra i scricchiolii del suo corpo che si contorce dal terrore, viene tramutata in pietra. Infine, senza attendere oltre, con un grido di rabbia Elios cala la sua lama su quella statua di pietra, spaccandola in mille pezzi.

Le ninfe, spaventate da tanta violenza, si tuffano velocemente nelle acque dello stagno, scomparendo al suono dei nitriti del cavallo di Sibilla che sta sbattendo con forza gli zoccoli a terra, nervoso.

A quel punto Sibilla ripone velocemente la testa di Medusa all’interno della sacca che lascia cadere a terra assieme al suo arco, per poi correre verso sua sorella. Elios è già chino sulla ragazza e le tiene una mano.

«Scilla, amore mio.» sussurra Sibilla, inginocchiandosi al suo fianco e immergendole una mano tra i morbidi capelli corvini.

Lo sguardo di Scilla è incredulo e sperduto.

Quell’aria pura e innocente dipinta sul volto della sorella fa improvvisamente fremere di dolore Sibilla.

Ma come ho potuto farlo?

Si chiede con disperazione, mentre la sua calma fredda scivola via di colpo e i suoi occhi si riempiono di calde lacrime.

«Perdonami…» riesce solo a sussurrare, straziata di dolore.

Elios alza gli occhi su di lei, profondamente abbattuto nel vedere il suo dolore.

«Sib… Sibilla…» mormora Scilla con quelle labbra sporche di sangue «Sto… sto morendo…»

Nel suo tono c’è spavento e incredulità.

Sibilla le afferra con forza la mano e, in un impeto disperato, le giura con decisione:

«Io verrò a riprenderti Scilla. Scenderò agli Inferi e ti riporterò qui. Perdonami, perdonami per averti usata per poter uccidere nostra madre. Ti giuro che non ti lascerò nel regno di Ade.»

«Sibilla…» sospira Elios, come quasi a rimproverarla.

Come può fare una simile promessa? Come avrebbe potuto salvare la sorella? Ma soprattutto, come poteva uscirne viva da una tale prova?

Sibilla lo ignora e continua ad accarezzare i capelli della sorella con sguardo assorto.

E infine Scilla esala l’ultimo respiro, chiudendo serenamente gli occhi su questa ultima promessa di Sibilla.

La guerriera la osserva spirare, poi lancia uno sguardo a ciò che resta di Lamia e infine, dopo lunghi istanti, guarda Elios.

«La vado a riprendere.» asserisce con risoluzione, ma voce roca di pianto.

«E allora verrò con te.» decide lui, posando una mano sulla spalla della donna.

 

*

 

Con un’imponente e ripetuto eco, la testa in pietra di Cerbero rimbalza nella sala del trono di Ade, lanciata da Sibilla che fino a poco prima la teneva sottobraccio. Dopo aver rotolato per qualche metro a terra, questa frena la sua corsa ai piedi del trono del Dio degli Inferi, rivolgendo lo sguardo spento e immobile verso di lui.

«Un vero peccato, era un fedele servitore.» commenta freddamente Ade, osservando la testa di Cerbero.

«In realtà il tuo guardiano è ancora vivo.» lo rassicura Sibilla avanzando nella stanza «Solo una delle sue teste si è voltata verso di me, tramutandosi immediatamente in pietra. A quel punto le altre si sono sbrigate a chiudere gli occhi e la bestia è arretrata di colpo con un gemito, andando a sbattere contro la parete al suo fianco: nell’urto la testa di pietra si è staccata di netto dal corpo. Infine, spaventato, Cerbero si è rintanato nell’oscurità, lasciandoci libero il passaggio.»

«L’altra testa gli ricrescerà tra qualche tempo.» spiega Ade alzando le spalle «Ha di certo preferito quindi salvare la propria vita, evitando lo scontro con voi e con gli occhi di Medusa.» indica con un cenno la sacca al fianco di Sibilla.

«Se intendete utilizzare quell’arma contro di me, vi consiglio di desistere da questa idea.» la voce del signore degli Inferi è così fredda e perentoria da mettere i brividi.

I due guerrieri si fermano al centro della sala.

«Non oseremo mai metterci contro un Dio.» afferma subito Elios, porgendogli anche un piccolo inchino «Chiedevamo solamente udienza al sommo re degli Inferi.»

Sibilla si inchina a sua volta in segno di rispetto.

Ade rimane in silenzio qualche istante, poi fa un cenno accomodante con il capo.

«Quindi ditemi, esseri mortali, cosa fate qui nel mio regno?»

Sibilla si fa avanti e chiede:

«Ti supplico di lasciare andare l’anima di mia sorella, Scilla.»

Ade la guarda attentamente, scorgendo in effetti una grande somiglianza con la bella Scilla.

«Conosco la fanciulla alla quale ti riferisci.» le risponde dopo qualche attimo «E mi trovo costretto a declinare la tua richiesta.»

Sibilla si mostra incredula, insistendo:

«Sarò lieta di donarti qualsiasi cosa tu mi chieda in cambio, per l’anima di mia sorella.»

«Tua sorella è di certo una tra le anime più belle che io abbia mai posseduto.» ribatte risoluto il Dio «E non posso negare di essermene innamorato. Non vi è quindi nulla che io voglio in cambio per lei.»

La guerriera, non volendosi arrendere, lo supplica ancora:

«Ti prego, mio sommo Ade. Lei non era destinata a questa morte prematura e fui proprio io a tradirla. Io, che avevo giurato di proteggerla! Per giungere al mio scopo finale ho sacrificato la sua giovane vita e non potrò vivere con questo rimorso. Inoltre le ho giurato che l’avrei riportata al mondo dei vivi, per questo di nuovo ti chiedo: ti prego, lascia andare l’anima di Scilla!»

Cala di nuovo il silenzio nella sala mentre Ade scruta con attenzione il volto di Sibilla, leggendovi sincerità e provato pentimento.

«Ebbe Sibilla, figlia di Zeus.» esordisce il Dio solennemente «Concederò di lasciare andare l’anima della splendida Scilla, ma solo in cambio della tua.»

«No!» esclama con forza Elios, piazzandosi davanti a Sibilla «Mio sommo signore, non puoi chiederle una cosa simile!»

«Elios, così è giusto.» asserisce Sibilla con aria grave.

L’uomo si volta verso di lei con un’espressione disperata.

«Non posso permetterlo, Sibilla!»

La donna lo ignora e si rivolge ancora al Dio:

«Dimmi in che modo te la devo concedere.»

«Sibilla!» insiste Elios, afferrandole un braccio con forza.

Ade a quel punto gioca la sua carta.

«Molto bene, solo in un modo vorrò la tua anima: che mi sia concessa tramite colpo inflitto dall’arma del tuo amato.»

Elios si volta a guardarlo con disperata ira, asserendo:

«Mai questo sarà possibile!»

Sibilla si fa seria, mormorando:

«Faresti così in modo di non donarmi Scilla, pur di tenertela qui.»

Ade annuisce con un piccolo gesto del capo.

«Oppure che a un tale riscatto sia equiparata la sofferenza che ha provato quella donna nel morire per mano della sua amata sorella.» sentenzia il Dio.

Sentendo nel suo animo così equa e corretta quella affermazione, Sibilla abbassa un momento lo sguardo, per poi alzarlo sull’uomo al suo fianco.

«Così è giusto.» gli ripete con fermezza.

«No che non lo è.» ribatte Elios, rivolgendole uno sguardo sorprendentemente carico di lacrime «Sibilla, non lo è. Non lo meriti, non è giusto. E io non potrò mai uccidere la donna che amo con le mie mani.»

Anche gli occhi della donna si fanno lucidi, mentre i due si guardano con tenero amore.

«Quindi così è deciso.» interviene Ade, mettendosi comodo con la schiena sul suo trono «Scilla rimarrà con me.»

Sibilla si morde un labbro e poi sussurra, tremante:

«No, non lo permetto.»

Con un forte calcio e tutta la sua rapida abilità, Sibilla sospinge via da sé Elios, allungando intanto velocemente il braccio verso l’arma al fianco del cacciatore. Con un grido stupito dell’uomo, Sibilla riesce ad afferrare l’elsa della sua spada che viene estratta rapidamente mentre lui cade di schiena a qualche metro da lei. Poi, con un elegante gesto, la donna fa ruotare l’arma sopra di sé, afferra l’impugnatura con entrambe le mani, urlando:

«Ade! Ti concedo la mia anima tramite colpo inflitto dall’arma del mio amato!» e cala la lama verso il suo ventre con violenza.

La spada la trafigge completamente, fino alla lucente elsa in oro; il suono viscerale risuona cupamente nella sala, accompagnato dal grido disperato di Elios.

«Sibilla!»

Il sangue va a formare rapidamente una viscida pozza al di sotto il corpo della donna ora inginocchiata. Elios è subito da lei, mentre Sibilla si estrae l’arma con le ultime forse rimaste, senza riuscire a trattenere un gemito di dolore.

«Amor mio, non voglio perderti così!» piange l’uomo, stringendola a sé con forza.

Intanto Ade, dovendo far fede alla sua parola nonostante sia stato in parte raggirato, chiude gli occhi e soffia dell’aria fredda dalle labbra, sospingendo via, verso l’alto, l’anima di Scilla, permettendole di tornare al mondo mortale.

«C’è un’ultima cosa che ti chiedo, mio amato Elios.» sussurra Sibilla con poca voce.

Lui la guarda disperato.

«Prenditi cura di mia sorella, come avresti fatto con me.» gli supplica lei con un piccolo sorriso.

«Non ho mai conosciuto donna più nobile e dal cuore più puro del tuo.» mormora l’uomo, accarezzandole il volto «Gli Dei dovrebbero accoglierti nel loro regno celeste.»

«A me basterà brillare tra le stelle e poterti osservare da lassù.» replica lei con un fil di voce, mentre chiude gli occhi sul pensiero di un’ultima preghiera rivolta alla sua amata Artemide.

E, proprio come nel mito di Neilos, la riconoscenza di Artemide nei confronti di quella donna che l’ha venerata tutta la vita permette la magia: con un’impetuosa esplosione di luce, il corpo di Sibilla si tramuta di colpo in tante lucenti stelle.

Sotto gli occhi stupiti di Elios, queste iniziano a vorticare su loro stesse e poi verso l’alto, sempre più su, fino a risalire fuori dagli Inferi e infine raggiungere il cielo, andando a formare una nuova costellazione in quel manto nero.  

 

*

 

«Quindi, Sibilla, questa tua sorella è davvero così sorprendentemente simile a te?» chiede nuovamente Elios, ancora poco convinto del piano della donna.

«Fidati di me.» insiste lei, comodamente seduta sul morbido divanetto della splendida camera «Tra poco ci raggiungerà, constaterai con i tuoi occhi.»

Lui, ancora dubbioso, si allontana dalla finestra da cui era affacciato e si dà un’occhiata curiosa intorno.

«È una bella villa.» commenta osservando i magnifici affreschi.

«La nostra ricchezza ci ha concesso molti lussi.» ribatte Sibilla con fare distratto mentre si arrotola una ciocca tra le dita.

Elios annuisce distrattamente con il capo, per poi tornare sull’argomento:

«Come sei riuscita a tenerla nascosta tutti questi anni?»

«Attirando l’attenzione su di me.» risponde lei fissando il pavimento con sguardo pensieroso.

«In effetti poi Lamia è sempre stata troppo concentrata nella sua atroce vendetta. Troppo presa dalla sua sete di sangue, per vedere tutto il resto.»

Sibilla non risponde e Elios rimane ad osservarla qualche attimo in silenzio.

Com’è bella.

Come non amare quella fierezza, quel corpo tonico, quello sguardo malinconico. In lei, l’uomo vede una splendida perfezione incrinata però da quella profonda tristezza che le vela spesso gli occhi. Spera davvero di concludere al più presto quella loro sfiancante caccia, per poterla veramente vedere felice un giorno. E, finalmente, prenderla davvero in sposa.

A questi ultimi pensieri, la sua mente ritorna al folle piano che stanno per attuare e quindi non si trattiene nel dire di nuovo:

«Ma sei certa che attireremo Lamia in trappola?»

«Ho sparso la voce di questo matrimonio. Non potrà resistere e l’attireremo al luogo dell’agguato.»

«E sei certa che tua sorella non sarà in pericolo?» insiste lui «Voglio dire, Lamia si è sempre dimostrata così rapida nel…»

«Non preoccuparti, ho tutto sotto controllo.» lo zittisce la guerriera con fare scocciato «Non le accadrà nulla. So quel che faccio.»

In quel momento la porta della stanza si apre e, radiosa come sempre, fa il suo ingresso Scilla.

Elios rimane colpito dalla bellezza della fanciulla e l’incredibile somiglianza tra le due.

«Sibilla! Sorella mia!» esclama Scilla, correndo verso di lei.

Sibilla si alza in piedi e l’accoglie con un forte abbraccio.

«Lui è Elios, l’uomo di cui ti ho parlato ieri.» le sorride la cacciatrice, indicandole il guerriero.

I due si presentano in modo formale, poi, come da rito, lui le chiede ufficialmente la mano.

Scilla, colpita dalla bellezza dell’uomo, accetta con un dolce sorriso.

A quel punto Sibilla fa allontanare Elios che si dirige dai servitori per dare loro l’ordine di iniziare gli allestimenti per la cerimonia, intanto la guerriera si concentra sulla preparazione della sorella.

«Sembra davvero un uomo forte e coraggioso.» commenta timidamente la Scilla, entusiasta di quel matrimonio.

«Saprà renderti felice.» concorda Sibilla con un sincero sorriso, pensando amorevolmente a Elios tra sé e sé «Te l’ho detto che avrei trovato l’uomo giusto per te prima o poi.»

La sorella la guarda con un’espressione grata.

Dopo alcune ore di preparativi e dolci chiacchiere tra di loro, Scilla si siede di fronte lo specchio per ammirarsi.

L’altra le si avvicina e commenta dolcemente:

«Sei bellissima Scilla.»

Scilla scuote leggermente il capo, tra l’imbarazzo e l’ammirazione.

«Non eguaglierò mai la tua bellezza, sorella mia.» ribatte «Guardati! Che fiera donna dallo sguardo regale, che possenti braccia e abilità in lotta, da far invidia agli Dei.»

Sibilla le accarezza dolcemente il volto, continuando ad osservarla allo specchio, e accosta la sua guancia a quella dell’altra fanciulla.

«Ti amo, sorella mia.» le sussurra «Che la tua dolcezza ti accompagni fin dopo la morte.»

Le due sorelle si abbracciano e in particolare Sibilla la stringe a sé con forza, quasi come a non volersene separare.

Scilla ride a quel forte gesto di affetto e Sibilla, senza farsi notare, si asciuga in fretta le lacrime che sono andate a riempire i suoi occhi.

È stata disonesta con Elios, lo è ancor di più con Scilla. Elios in fondo ha ragione: Lamia è rapida nei suoi movimenti e Sibilla non è affatto certa di riuscire a fermarla prima che possa colpire Scilla. Questa si troverà del tutto impreparata a tale attacco in quanto non sa di questo piano e non è mai nemmeno stata addestrata all’arte del combattimento, perché Sibilla stessa si è sempre opposta. Dopo il massacro di Era, Sibilla, sorella maggiore, aveva promesso ad una terrorizzata Scilla che l’avrebbe tenuta per sempre lontana da qualsiasi altro tipo di orrore. L’aveva quindi nascosta all’interno di quella bella casa, facendosi lei carico della caccia a sua madre, che ovviamente non sapeva nulla di Scilla: questo avrebbe giocato a suo favore.

Una scintilla di dubbio brilla per un istante nella sua mente.

Starà davvero facendo la cosa giusta? Varrà veramente la pena mettere a rischio la vita di sua sorella per poter uccidere Lamia? Dopo aver speso un’intera vita per proteggere Scilla, è davvero pronta a sacrificarla così?

Con un trattenuto sospiro melanconico, Sibilla si stacca dall’abbraccio, scacciando di colpo tutti quei pensieri.

La sua intera vita in realtà è stata spesa per cacciare quel mostro, è quello il suo scopo. Quello il motivo per cui si è votata ad Artemide, la Dea della caccia, quello ciò che le aveva chiesto suo padre Zeus in persona: di fermare quella folle assassina. E se quello è l’unico modo per farlo, non può tirarsi indietro.

Così è giusto.

Ritrovando la fredda calma che la contraddistingue, fa voltare delicatamente Scilla verso lo specchio, si toglie quindi il ciondolo di smeraldo e va a legarlo al lungo collo della sorella.

«Ora siamo proprio identiche.» commenta Sibilla con una velata punta amara nella voce.

Scilla le sorride, raggiante, e infine Sibilla le sistema il velo, mormorando:

«Adesso vai, mia amata sorella. Lo sposo starà aspettando.»

 

FINE

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