La ribelle

di artemideluce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'imboscata ***
Capitolo 2: *** Samhein ***



Capitolo 1
*** L'imboscata ***


“Jamie, attento!” la voce di Mona risuonava forte tra i rumori taglienti delle spade degli highlanders e i colpi di fucile degli ufficiali inglesi, la sua spada aveva fermato il pugnale di una giubba rossa che stava per colpire suo fratello alle spalle. Mona diede un calcio al petto del soldato che cadde rovinosamente all’indietro tra gli alberi. Jamie, colpito l’ufficiale con cui stava combattendo, volse lo sguardo verso la donna guerriera che sua sorella era diventata, mentre da sola riusciva a sconfiggere due grassi soldati inglesi.

I loro sguardi si incrociarono, un sorriso beffardo si dipinse sul bel viso di lei, attraversato da una sottile e lunga cicatrice da un lato, fattole dallo stesso capitano che aveva frustato il fratello e quasi stuprato Jenny, l’altra sorella qualche anno prima.
Un rumore di sparo fece abbassare tutti i barbuti uomini scozzesi nello stesso istante, proveniva da lontano ma nessuno riusciva a capire da quale direzione. Alcuni uomini iniziarono a correre urlando, soldati inglesi spuntavano dalla cima della collina imbracciando fucili e facendo fuoco contro i ribelli. Jamie non vedeva più la sorella, era sicuro fosse abbastanza forte da battere chiunque le si fosse parato dinanzi, ma la sua promessa fatta da bambino gli impediva di fuggire senza sua sorella al fianco.

“Mona!” iniziò ad urlare, ma la sua voce si perse tra il turbinio di voci, gemiti, urla e spari che riempivano la radura. Ad un tratto la scorse, accerchiata da quattro soldati armati di spada, lei come sempre forte e fiera li sfidava con leggiadria. Uno ad uno i soldati venivano colpiti dal ferro di Mona, niente e nessuno avrebbe potuto fermarla con una spada.

“Mona!” Jamie urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, tra un fendente di spada e un calcio, ma nello stesso istante un altro colpo di fucile attraversò l’aria accanto alla sua testa con un sibilo. Il colpo arrivò al fianco di Mona, che cadde in ginocchio tenendosi una mano sulla ferita e continuando a ripararsi dalle lame degli inglesi. Jamie corse tra i corpi a terra e gli alberi per difendere la sua sorellina, non avrebbe permesso che qualcuno la ferisse a morte, non in quelle condizioni, doveva proteggerla.

Arrivato da lei fu accerchiato dalle giubbe rosse, Mona perdeva molto sangue e il suo viso era notevolmente sbiancato. Il ragazzo non riusciva a parare tutti i colpi sferratigli, i suoi compagni erano fuggiti, o periti, o stavano combattendo con tutte le loro forze altri contingenti. Era accerchiato, sentiva di non riuscire a uccidere tutti i soldati proteggendo la sorella - Scappa Mona, torna a Leoch! - le urlò, ma lei sembrava non sentire la sua voce.
“Mona, scappa!”. Jamie non riusciva a vedere la sorella tanto era impegnato con la spada, così come atto estremo, alzò la gamba sinistra e diede un calcio alla sorella, che rotolò giù per la collina priva di sensi. Nella testa del ragazzo roteavano mille pensieri, se avesse fatto bene ad allontanarla dalla battaglia o se avrebbe fatto meglio a proteggerla da vicino.

La battaglia finì con una vittoria per i ribelli che tornarono verso il loro accampamento. Nessuno parlava, appesantiti dal lungo combattimento. Nella testa di Jamie il pensiero dell’incolumità della sorella faceva dimenticare la slogatura della spalla che si era causato.
 

Mona aprì gli occhi con la mente offuscata, non riconosceva il posto dove si trovava e non udiva più i rumori della battaglia. Appena provò a sollevarsi da terra una fitta lancinante le ricordò di essere stata ferita al fianco. Il dolore era insopportabile, ma con grande sforzo riuscì a rimettersi in piedi. Per un attimo rimase senza fiato, piegata in avanti per tenere i vestiti tamponati sulla ferita grondante di sangue.

Delle voci dietro di lei si avvicinavano, la sua testa girava ma distingueva chiaramente l’orribile accento inglese provenire dalla radura. Mona iniziò a correre, per quel che riusciva, cadendo e rialzandosi nonostante il forte dolore proveniente dalla ferita. Le voci erano sempre più vicine finché non arrivò sulla sommità di una piccola collina, sulla quale si trovavano delle pietre disposte in circolo, con una grande monolite nel mezzo. La ragazza si nascose dietro a quella grande pietra, le urla si avvicinavano, un drappello di ufficiali inglesi le stava alle calcagna e lì, senza forze, sarebbe stata catturata, torturata e forse anche uccisa. Nella sua testa il pensiero andava a suo fratello, al dolce uomo che era e ai suoi amici, rozzi esseri barbuti armati di kilt e whisky nelle fiaschette. Una fitta lancinante la costrinse a cadere in ginocchio, gli occhi colmi di lacrime, i denti che sbattevano per il freddo e le ciocche di rossi capelli ricciuti incollati sulla candida fronte.

Mona mise una mano su un ginocchio per alzarsi, che mi prendano in piedi, ritta col mio onore se devono, pensava. Una folata di vento gelido attraversò i suoi lunghi capelli facendoli ondeggiare, la sua mano toccò la fredda e ruvida superficie della pietra alla quale si era appoggiata per alzarsi. Un turbine di colori e silenzio, il mondo si capovolse e Mona si ritrovò di nuovo a terra.

Gli ufficiali inglesi arrivarono sulla cima della collina dove avevano intravisto una ribelle, entrarono nel cerchio di pietre armati fino ai denti ma nulla, lei non c’era, lei non era più lì.

 
Da questo momento, sappiamo tutti cosa accade a Jamie e al resto del clan,
spero di essere stata il più fedele possibile alla storia originale e di aver attirato l'attenzione sperando in un po' di suspanse ;)

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Capitolo 2
*** Samhein ***


Silenzio. Questa fu la prima cosa che notò Mona dopo essere rinvenuta dallo sforzo. Non si udiva più il clangore di lame contro ossa, colpi di fucile contro carne. Non si sentivano le urla gaeliche d’attacco dei suoi compagni né gli ordini impartiti dai capitani inglesi ai loro soldati. Solamente il fruscio del fresco vento che faceva dolcemente dondolare le foglie appese agli alberi, i fili d’erba e i piccoli fiori.

La ragazza, con grande sforzo, riuscì ad alzarsi in piedi, sostenuta dalla fredda pietra a cui si era già appoggiata. Volse lo sguardo attorno a sé nel timore ancora di essere vista da qualche pattuglia nemica. Il giorno era ormai al suo termine, probabilmente Jamie e gli altri erano tornati alla capanna che utilizzavano come rifugio. Guardandosi attorno Mona notò una cosa, una grande luce proveniva da una costa del fiume, come se un villaggio fosse stato dato alle fiamme, ma senza morte, senza urla.

Una fitta lancinante fece sbiancare Mona, il sangue che si era fermato ricominciò a sgorgare dalla profonda ferita. Lentamente, con le vesti che si insanguinavano la ragazza decise di andare a quel villaggio per farsi curare: era il territorio del clan Mckenzie e lei era una Fraser, avrebbe trovato qualcuno disposto ad aiutarla.

Avvicinandosi al villaggio notò che non erano le abitazioni ad emanare la luce, ma degli alti alberi senza foglie che bruciavano sulla sommità. La sua vista si stava lentamente annebbiando, pensò di avere le allucinazioni quando vide una grande folla danzare al suono di una cornamusa. Il ritmo sempre più veloce e incalzante, le voci e le risate la fecero avvicinare a quella folla, ma in quel villaggio nessuno sembrava vederla. Quasi nessuno indossava il kilt, portavano strani cappelli e lunghe giacche. Si trovava nel mezzo di un incubo allucinogeno, volti ghignanti la osservavano trascinarsi avanti, danzatori mascherati le si avvicinavano facendo piroette, in un vortice di luci e colori, suoni assordanti e voci rimbombavano tra le mura del villaggio.

“Aiuto, aiutatemi.” Con un filo di voce la ragazza iniziò a chiedere a queste figure misteriose di prestarle soccorso, un gruppo di uomini i si piegarono in due dalle risate, una donna rivolse lo sguardo altrove con aria disgustata e un bimbetto le puntò il dito contro chiamandola strega. “Vi prego aiutatemi, vi prego!” le sue gambe iniziavano a tremare, il sangue iniziava a segnare il suo percorso con grosse gocce di colore scuro, le sue mani completamente ricoperte di sangue viscido, la testa pesante, le gambe che formicolavano.

Sentiva i sensi mancare, la vista era quasi del tutto appannata, anche la musica sembrava essersi allontanata. La folla si spostava al suo passaggio, creando un varco. Una figura vestita di una chiara giacca lunga era di fronte a lei, di spalle. Il dolore costrinse Mona ad appoggiare una mano insanguinata sulla schiena di quella figura maschile. Mentre si voltava, la ragazza riuscì a esprimere solo una flebile richiesta d’aiuto. L’uomo si voltò e, come nel suo peggiore incubo, il suo viso era quello del suo acerrimo nemico, il capitano Black Jack Randall, che la guardò fissa negli occhi, con le mascelle serrate.

No, non può essere. Ero fuggita da lui, non può essere davvero lui. Questi pensieri iniziarono a vorticare nella testa della ragazza, che con le forze della disperazione iniziò ad indietreggiare, mentre quell’uomo le si avvicinava con un braccio teso, come a volerla agguantare. Lei era debole e lui riuscì ad afferrarle il braccio tirandola a sé con forza. Mona cercò di divincolarsi, farfugliando frasi sconnesse. Il suo braccio era viscido per il sangue e riuscì a eludere la ferrea presa del capitano. Mona cadde all’indietro, sbattendo la testa sul selciato. La vista si annebbiò gradualmente, con l’immagine del volto del suo nemico fisso davanti ai suoi occhi. Era in trappola.


 

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