Partenope en Versailles.

di _Agrifoglio_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un guappo a Versailles ***
Capitolo 2: *** Topi, marmellate, pitali e confidenze ***



Capitolo 1
*** Un guappo a Versailles ***


Un guappo a Versailles
 
A Versailles, fervevano i preparativi, perché la visita di un monarca straniero non era cosa di poco conto e, quando i monarchi erano addirittura due, la faccenda diventava davvero impegnativa.
Gli appartamenti destinati agli ospiti reali ed al loro seguito nobile erano stati puliti e perlustrati con meticolosa puntigliosità, al fine di reperire e di correggere ogni minima imperfezione nelle stanze e negli arredi. Nessuno strappo, scolorimento o macchia nei tendaggi, negli arazzi e nelle tappezzerie e nessuna tarlatura nei mobili e nei quadri sarebbe dovuta sfuggire al setaccio, perché nessun particolare, sia pur infinitesimale, avrebbe dovuto trasmettere di Versailles un messaggio diverso da quello che tutti si aspettavano dalla leggendaria reggia: splendore.
Erano stati allestiti gli appartamenti destinati ai servitori degli ospiti, erano stati mobilitati i migliori cuochi, musicisti e teatranti ed i giardinieri avevano fatto il possibile e l’impossibile per migliorare – se mai fosse stato immaginabile farlo – la magnificenza dei tanto decantati parchi. Le fontane erano state ripulite dal muschio e squadre di idraulici avevano rimosso il calcare e le altre incrostazioni che ostruivano le condutture e che avrebbero potuto pregiudicare la gittata degli zampilli e la buona riuscita dei giochi d’acqua.
I cristalli e gli specchi della famosa galleria erano stati lucidati in modo che la stessa potesse risaltare nel pieno della sua magnificenza e migliaia di fiori erano stati sistemati in vari angoli per abbellire le sale di rappresentanza e gli appartamenti privati destinati agli illustri ospiti. La gradevolezza olfattiva di tali ambienti sarebbe stata assicurata dalla combustione nei bracieri delle essenze più pregiate.
Tutto era, quindi, pronto affinché la Regina Maria Antonietta potesse incontrare, dopo oltre dieci anni di separazione, la sua amata sorella maggiore, Maria Carolina, Regina di Napoli e di Sicilia ed il di lei consorte, Re Ferdinando I.
La Regina non stava in sé dalla gioia, perché Maria Carolina era stata, da sempre, la sua sorella preferita, oltre che quella che immediatamente l’aveva preceduta nella numerosa figliolanza dei suoi genitori e con la quale aveva condiviso, per diversi anni, gli appartamenti privati. La partenza dell’adorata sorella per Napoli aveva procurato a Maria Antonietta uno strazio indicibile e la prospettiva di rivederla le era gradita come la sospirata e non ancora realizzata nascita di un figlio o come la guarigione di uno dei suoi cari da una grave malattia.
Re Luigi XVI era, invece, molto più controllato e, di sicuro, meno trepidante della Regina, perché il lato timido e poco esuberante del carattere lo rendeva scarsamente soggetto ai facili entusiasmi mentre quello riflessivo lo metteva in guardia dai fastidiosi inconvenienti e dagli incidenti diplomatici che sarebbero potuti scaturire da quella stana visita di cui egli avrebbe fatto volentieri a meno. Come avrebbe reagito la raffinata, elegante ed elitaria Corte di Versailles all’incontro con un Re da tutti definito Lazzarone? Come si sarebbe comportato il suddetto Sovrano, noto per le sue intemperanze plebee e per la sua indole goliardica e dispettosa, quando avesse realizzato a pieno in che mondo di cicisbei pretenziosi e di dame svenevoli era capitato? Il giovane Re rifletteva su queste cose e, più lo faceva, più i problemi gli sembravano insormontabili. Più i problemi gli sembravano insormontabili e più l’agitazione di lui cresceva e, con essa, la voglia di rifugiarsi nell’adorata fucina.
I nobili della Corte erano infervorati all’idea di conoscere la coppia reale ed estremamente curiosi di verificare dal vivo tutte le stranezze ascritte a quel pittoresco Sovrano.
 
********
 
Re Ferdinando I e la sua consorte, la Regina Maria Carolina, erano appena giunti nella Reggia di Versailles.
La Sovrana non vedeva l’ora di riabbracciare la sorella minore anche se paventava quella visita per le stesse ragioni che agitavano l’animo di suo cognato. A lungo ed invano, aveva tentato di convincere il Re a rimanere a Napoli, ricordandogli tutte le amenità di cui quel viaggio lo avrebbe privato, prime fra tutti, la caccia ed i suoi adorati spaghetti. Il Re era stato irremovibile e si era ostinato a partire.
– Se Voi volete rivedere Vostra sorella, Madame, io Voglio conoscere mio cugino e non sono meno ansioso di Voi di vedere la reggia di Versailles.
Quanto alla caccia, da quel che si diceva, essa era praticata dappertutto, persino a Versailles mentre, per ciò che concerneva gli spaghetti, se ne era portato dietro una buona scorta.
I cortigiani fissarono gli occhi sulla coppia reale straniera che si incamminò in direzione della sua omologa francese.
Quando le due sorelle si videro, si precipitarono l’una nelle braccia dell’altra, sotto gli sguardi stupiti dei cortigiani, poco abituati alla spontaneità di modi dei membri della dinastia asburgica.
I due Sovrani di Napoli e di Sicilia furono introdotti, attraverso scale e corridoi, nella galleria degli specchi, ove iniziarono a scambiare frasi di circostanza e convenevoli con i componenti della famiglia reale e con i membri di maggiore spicco della Corte.
Il Re era alquanto brutto, non rivoltante, ma deludente nell’aspetto e nei modi. Il volto era dominato da un prominente naso che gli era valso l’appellativo di Re Nasone oltre che Lazzarone. Sebbene, finora, avesse aperto bocca in pochissime occasioni e non avesse fatto molto altro che camminare, il portamento e la gestualità ne tradivano le frequentazioni dei bassifondi napoletani. Se lo avessero visto per strada, senza conoscerne l’identità, non lo avrebbero scambiato per un Re e tantomeno per un nobile o per un borghese.
La Regina era decisamente meno bella di sua sorella, ma sprigionava un carisma ed un’autorevolezza che alla Sovrana francese facevano difetto. Non distoglieva mai lo sguardo dai suoi interlocutori né lo abbassava in qualsivoglia frangente. Gli osservatori non impiegarono molto a capire chi comandava in quella coppia e che sarebbe stato davvero poco salutare inimicarsi quella Sovrana. Se, a Napoli, fosse stato pubblicato, all’indirizzo di Maria Carolina, anche uno solo dei numerosi libelli che, in Francia, avevano messo in dubbio la reputazione e la virtù di Maria Antonietta, l’autore non se la sarebbe cavata tanto a buon mercato.
Fra i vari dignitari della Corte partenopea, spiccava l’irlandese Sir John Acton, capo della flotta del Regno di Napoli e di Sicilia e grande amico della Sovrana.
La coppia reale partenopea non avrebbe potuto essere peggio assortita e, al confronto, quella francese poteva dirsi fortunata, tanto che Maria Carolina che, negli anni, si era sorbita le lamentazioni della sorella su quel pover’uomo di Re Luigi, avrebbe fatto volentieri a cambio.
La Regina Maria Carolina era rimasta profondamente delusa dalla conoscenza del suo sposo e, a dir poco, sconvolta dalla prima notte di nozze, ma, ben presto, il carattere dominante e la vocazione al comando erano prevalsi. Mettendo a frutto gli insegnamenti di sua madre, alla quale somigliava moltissimo, non aveva tardato a conquistarsi la fiducia del detestato consorte, fingendo interesse per tutte le occupazioni da lui preferite. Alla nascita del primogenito, come da contratto matrimoniale, le era stato riservato un posto nel Consiglio di Stato che l’aveva consacrata de facto come effettivo monarca di Napoli e di Sicilia. Malgrado la ripugnanza per il marito, gli aveva sfornato una nidiata di figli che, per niente portata per la maternità, aveva subito messo a balia, disinteressandosene quasi completamente. La vita matrimoniale della Regina poteva brevemente, ma efficacemente riassumersi nella lettera che, subito dopo le nozze, ella aveva spedito alla sua ex governante: “Il Re è ripugnante, ma mi adatterò”.
Re Ferdinando, dal canto suo, aveva subito provato soggezione per quella virago austriaca, stato d’animo che, col passare del tempo, era riuscito a mitigare, ma non a vincere del tutto. Godeva un mondo nel metterla in imbarazzo e nel suscitarne la disapprovazione e lo sdegno, ma, alla fine, a vincere era sempre lei. I detrattori della Regina gli avevano spesso riferito le di lei infedeltà ed egli aveva minacciato di accoltellarla o di strangolarla con le sue stesse mani, ma, poi, non aveva mai dato seguito a quelle intimidazioni, in primo luogo, perché la presenza di lei gli faceva comodo, sollevandolo da tutte quelle incombenze che a lui non piacevano, come regnare, intrattenere relazioni internazionali e trattare con i vari ministri e dignitari (con alcuni di essi, la regale consorte trattava molto bene….); in secondo luogo, perché, a dispetto delle minacce, la manesca della coppia era lei.
 
********
 
Tutti gli astanti avevano in mano dei calici colmi di champagne e conversavano allegramente.
D’un tratto, Re Ferdinando si rivolse, a voce alta ed in pessimo francese, inframmezzato da napoletano, ad uno dei cortigiani che era stato scelto per affiancarlo in base alla conoscenza della lingua italiana e del dialetto partenopeo:
– Chi è quel femminiello biondo con la divisa rossa?
– E’ il Colonnello Oscar François de Jarjayes, Comandante delle Guardie Reali, Maestà – bisbigliò quello – e non è un femminiello, ma una vera e propria donna, entrata nell’esercito per volere di suo padre.
– Sarà, ma, per me, resta sempre un femminiello! Ah! Ah! Ah! Ah!
Oscar sentì l’intera conversazione, ma, in parte, perché non conosceva il significato della parola “femminiello” e, in parte, perché non era abituata ad esternare le sue emozioni – almeno fino a quando qualcuno, preferibilmente se Duca, non fosse riuscito a farla infuriare come un serpente a sonagli – non reagì.
Si rivolse, poi, a Re Luigi XVI, in modo chiassoso e ridanciano:
– Dovete sbrigarVi, caro cugino, a sfornare un erede! Se volete, posso darVi qualche consiglio su come si fa! DateVi una mossa o il Duca d’Orléans non tarderà a farVi le scarpe ed a rubarVi il trono! A quanto si dice, ne ha tutta l’intenzione! Ah! Ah! Ah! Ah!
Mentre parlava, guardava divertito, ora Re Luigi che quasi tremava, ora il Duca d’Orléans che, di rimando, gli lanciò una di quelle celebri occhiate assassine tanto tipiche del personaggio.
– Duca di Germain, la Vostra reputazione Vi precede. E’ proprio vero che avete sparato nella schiena ad un ragazzino che Vi aveva rubato una moneta, in pieno giorno, a Parigi, davanti a tutti e che non siete stato neanche processato?
– E’ mio dovere di nobile e di francese mettere al loro posto i delinquenti nati!
Gli astanti divennero tutti paonazzi, increduli e sgomenti per il fatto che gli altarini di Versailles fossero fuoriusciti dai confini dorati della reggia. Re Luigi XVI avrebbe voluto intervenire, ma non sapeva proprio come fare e cosa dire. 
– Chi è quel capellone con la divisa azzurra? 
– E’ il Tenente Victor Clément de Girodel, il secondo nel comando delle Guardie Reali – rispose il cortigiano esperto di lingua italiana e di dialetto partenopeo.
– Ah! Ah! Ah! Ah! E non gli dà fastidio essere secondo ad un femminiello? Ah! Ah! Ah! Ah! E quel tale vestito di marrone, accanto al femminiello, chi è?
– Si chiama André Grandier, Maestà ed è l’attendente del Comandante delle Guardie Reali.
– Ah! Ah! Ah! Ah! Quindi, è facile che i femminielli siano due! Ah! Ah! Ah! Ah!
– Cara cognata – disse, poi, rivolto a Maria Antonietta – Se posso darVi un consiglio, smettetela di buttare via i soldi di Vostro marito e disertate, ogni tanto, il tavolo da gioco anziché gli impegni di Corte ed il talamo nuziale, che le male lingue sono già all’opera da anni! Ah! Ah! Ah! Ah!
Maria Carolina guardò contrariata il marito e costernata la sorella che, a sua volta, lanciò al Re napoletano un’occhiata di fuoco, pensando, fra sé e sé: “Povera sorella mia!”.
– Madame de Noailles, certo che non siete riuscita granché nel Vostro compito di educatrice! Avete mai pensato di lasciare il Vostro posto a qualcun altro dotato di maggiore polso? Ah! Ah! Ah! Ah!
– Maestà, io…. – bisbigliò la nobildonna, sull’orlo di uno svenimento.
– Madame de Polignac, guardateVi bene intorno, mi raccomando! Che non Vi sfugga neanche una carica da fare assegnare al cugino di secondo grado del prozio di Vostro cognato e scegliete bene le Vostre parenti da infilare nel letto del Conte di Artois! Ah! Ah! Ah! Ah!
La Contessa di Artois avvampò dalla collera, il Conte di Artois fece uno sguardo semi compiaciuto mentre la Contessa di Polignac, sfoggiando, con maestria, la sua falsa modestia, rispose:
– Maestà, le cariche di cui il mio beneamato Re ha munificamente onorato i membri della mia famiglia sono state indegnamente accettate nell’esclusivo interesse della Corona e della Francia tutta.
– Allora, se sono state tanto indegnamente accettate, non resta che rimetterle nelle mani di chi le ha elargite! Ah! Ah! Ah! Ah!
– Ditemi – chiese, poi, rivolto al cortigiano che, ormai, malediceva le sue conoscenze linguistiche ed avrebbe preferito trovarsi in qualsiasi altro posto, purché non là – Quell’uomo anziano, dritto come se avesse ingoiato un manico di scopa e dall’aria imperiosa neanche fosse Giulio Cesare, chi è?
– E’ il Generale de Jarjayes, Maestà – rispose quello, detergendosi il sudore della fronte con un fazzoletto.
– Ah! Il padre del femminiello! Toglietegli il vino, allora, che ne ha già bevuto fin troppo! Ah! Ah! Ah! Ah!
– E ditemi, quali di questi gentiluomini è il Conte di Fersen? Si parla molto di lui! Ah! Ah! Ah! Ah!
– E’ quello là in fondo, Maestà – rispose il cortigiano, con un filo di voce.
Il Conte di Fersen chinò il capo, Maria Antonietta avvampò e Luigi XVI sembrò sul punto di scoppiare a piangere mentre tutti i presenti concentravano gli sguardi, alternativamente, sull’uno e sull’altro.
D’un tratto, furono serviti ai presenti gli spaghetti, cortese omaggio degli ospiti stranieri e Re Ferdinando, sotto gli sguardi basiti di tutti, iniziò a mangiarli con le mani, tirandoli su con rumorosi risucchi.
Gli astanti rimasero di sasso: chi trasecolava, chi invocava tutti i Santi del Paradiso, chi soffocava, a stento, il riso e chi motteggiava col vicino. Madame de Noailles era in procinto di avere una crisi di nervi e Luigi XVI non sapeva più dove nascondersi, finché Maria Carolina, al culmine della sopportazione, disse, con voce sibilante e trattenendo, a stento, la collera:
– Maestà, Vi prego, contegno!
– Madame, se, dopo tanti anni di matrimonio, ancora non Vi siete abituata ai miei modi, non Vi resta che tornare in Austria da Vostra madre o voltarVi dall’altra parte! Ah! Ah! Ah! Ah!
Maria Antonietta era del tutto alterata per avere sentito nominare sua madre con così poca riverenza ed oltremodo costernata per l’infausto destino toccato alla sorella.
Luigi XVI, dal canto suo, era diventato pallido come un cencio lavato e si sentiva estremamente provato dalla consapevolezza che i suoi timori stavano prendendo corpo oltre ogni peggiore previsione.
– Mi dispiace soltanto che Madame du Barry sia stata buttata fuori a calci nel deretano. Di tutta la Corte, è l’unica persona che mi sarebbe davvero piaciuto conoscere! Ah! Ah! Ah! Ah!
Maria Antonietta lanciò al cognato una sguardo carico d’odio, nell’udire che, della splendida Corte di cui ella era la Regina, che era stata preparata con tanta fatica e spesa per accoglierlo, a quel detestabile, volgare e fastidioso omuncolo sarebbe andata a genio soltanto quella repellente donna di strada.
I presenti, intanto, cominciarono a scommettere sul se e sul quando la loro Sovrana avrebbe sbottato.
Finiti gli spaghetti, Re Ferdinando disse:
– de Jarjayes, aiutatemi a montare a cavallo! de Girodel, aiutate de Jarjayes ad aiutarmi a montare a cavallo! Voglio perlustrare i boschi qua intorno, così, caro cugino, in una delle prossime giornate, potremmo andare insieme a caccia, che, a quanto si dice, è una delle poche attività che Vi riescono bene! Ah! Ah! Ah! Ah!
Appena ebbe finito di parlare, lanciò un rumorosissimo e puzzolente peto.
Maria Antonietta, al culmine dell’ira, disse:
– Mio caro cognato, la Corte di Versailles non difetta di valletti che potranno aiutarVi a montare a cavallo come e quando vorrete, ma, di certo, questo compito non spetta agli Ufficiali di Sua Maestà!
– Maestà, non preoccupateVi – disse Oscar – posso aiutare il Re a montare a cavallo.
– Lo stesso vale per me – fece eco Girodel.
Re Ferdinando montò a cavallo e partì per il suo giro perlustrativo, restandosene fuori per molte ore, nel sollievo generale.
Al rientro, nel suo pessimo francese, si mise a gridare con voce spavalda e canzonatoria:
– André, strigliami il cavallo!
– Maestà – disse Oscar, con voce imperturbabile, ma ferma – André è il mio attendente e non gli compete strigliare i cavalli della Corte. Uno dei mozzi di stalla assolverà egregiamente quel compito.
– Maestà, Comandante, non temete – si intromise André – Posso strigliare il cavallo anche subito. Per me, non c’è alcun problema.
Detto questo, si diresse verso le stalle con la dignità e la compostezza a lui naturali che avrebbero reso difficile a chiunque distinguerlo da qualsiasi gentiluomo.






Ebbene sì, è proprio vero, Re Ferdinando I aveva dei modi decisamente poco regali. Mangiava gli spaghetti con le mani e, un giorno, se li fece servire pure a teatro, tanto che la moglie si alzò sdegnata e se ne andò. Era un guappo a ruota libera e, nel prosieguo della storia, non farà che peggiorare. 

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Capitolo 2
*** Topi, marmellate, pitali e confidenze ***


Topi, marmellate, pitali e confidenze
 
Nei giorni successivi, l’estro creativo e la scurrilità del Sovrano partenopeo conobbero quello che i posteri avrebbero definito un crescendo rossiniano. Al confronto di quel che sarebbe seguito, il chiassoso prologo a base di spaghetti e di pungenti osservazioni non era stato che rosolio al cospetto della vodka.
Il Re aveva cominciato a dar prova di sé in occasione di una delle rappresentazioni teatrali organizzate in suo onore. Insoddisfatto della performance del primo attore, lo aveva afferrato per un braccio e scaraventato, senza troppi complimenti, fuori dal palcoscenico, prendendo il posto di lui e cominciando a destreggiarsi in capriole e saltelli, come un vero Pulcinella.
Una mattina in cui la Corte si trovava nei giardini, si era addentrato in mezzo ai giochi d’acqua, tuffandosi sugli zampilli e tentando di catturarli con la bocca.
I cortigiani non credevano ai loro occhi e, mentre qualcuno si crogiolava malignamente nel poco decoroso spettacolo, compiacendosi dell’imbarazzo dei Sovrani francesi e deridendo quello straniero, altri biasimavano Re Ferdinando, lamentando la fatica ed il denaro impiegati nel preparare quella visita e compiangendo il colpo mortale inferto all’etichetta. I Conti di Provenza e di Artois ed il Duca d’Orléans erano fra i primi mentre Madame de Noailles si collocava fra i secondi.
Re Ferdinando – che, a dispetto della scarsa cultura e della stravaganza, non era affatto stupido – non tardò ad accorgersi della riprovazione che quella Corte straniera gli riservava. Mentre il popolo napoletano andava in visibilio e letteralmente lo adorava per gli atteggiamenti anticonvenzionali e la nobiltà, oramai, lo conosceva da anni, quei transalpini lo guardavano come se fosse arrivato da un altro mondo. Sentendosi fatto oggetto di dileggio e di critiche – in breve, come diremmo noi, vedendosi snobbato – lasciò che la sua natura lazzarona prendesse il sopravvento, sciorinando, a Versailles, tutto il suo repertorio di stramberie, già poste in essere, varie volte, a casa sua e, qui, concentrate tutte in pochi giorni ed esasperate. In poche parole, il Re Nasone decise di dare il peggio di sé.
Un giorno, si mise ad inseguire le dame di Corte, infilando nelle loro scollature dei topi vivi mentre, nelle tasche dei gentiluomini, versò proditoriamente della marmellata. Madame de Noailles, fissando negli occhi il sorcio che le era toccato in sorte, lanciò un grido che nessuno si sarebbe aspettato di udire da lei e fu condotta nei suoi appartamenti più morta che viva.
Re Ferdinando contemplava divertito quello sconquasso, complimentandosi con se stesso e ridendo come un matto.
– Cosa dite Tenente de Girodel? Anche le persone più schizzinose, se messe alle strette, danno in escandescenza e perdono il controllo come tutte le altre! Ah! Ah! Ah! Ah!
– Dico che ad ogni azione segue la sua naturale reazione, Maestà e che ognuno suscita nei propri simili le impressioni che, poi, non si deve lamentare di leggere nei loro volti.
– Ed ha ragione il capellone! Ah! Ah! Ah! Ah!
Più tardi, accostandosi ad Oscar, le chiese, con un ghigno da guappo:
– Colonnello de Jarjayes, a Voi cosa compete? I topi o la marmellata? Ah! Ah! Ah! Ah!
– A me compete unicamente servire e proteggere i miei Sovrani, Maestà – e, con un inchino, si congedò.
– E bravo il femminiello! Ah! Ah! Ah! Ah!
Si rivolse, poi, ai due fratelli del Re che ghignavano divertiti ad ogni colpo di teatro dello strano ospite e che si mostravano soddisfatti per l’imbarazzo da lui suscitato nel loro fratello:
– Conte di Provenza, Conte di Artois, non fateVi eccessive illusioni: Re Luigi non brillerà per disinvoltura e per mondanità, ma è forte come un toro e non vi lascerà tanto facilmente il trono! Ah! Ah! Ah! Ah!
I due smisero di gongolare ed iniziarono a vedere in quel Re un odioso buzzurro da evitare.
– Ecco, bravi, andatevene, andatevene…. Ah, Madame Èlisabeth, alzatelo, ogni tanto, il nasino da quel libro di preghiere, che i mariti non escono da lì dentro! Ah! Ah! Ah! Ah!
La bambina alzò gli occhi al cielo ed emise un gran sospiro.
– Fiuuu! Non piaccio nemmeno ai pargoli, allora, è proprio grave! Ah! Ah! Ah! Ah!
Un pomeriggio, decise di giocarsi il suo pezzo forte. Ordinato ai suoi servitori di posizionare un vaso da notte proprio nella galleria degli specchi e calate le braghe, si sedette su di esso e cominciò ad intrattenere i cortigiani da quell’inusuale trono. I più tranquilli presero le distanze mentre i più pettegoli si avvicinarono. Il dramma fu per le dame pettegole che avrebbero voluto accostarsi, ma non poterono, in ossequio al loro pudore di gentildonne.
– Conte di Fersen! Conte di Fersen! – urlò, a squarciagola, Re Ferdinando, all’indirizzo dello svedese che preferì accostarsi subito piuttosto che continuare a sentire urlare il suo nome.
– Sì, Maestà?
– Pensate che anche la Regina francese, da Voi tanto ammirata, fa cacca proprio uguale a questa! Ah! Ah! Ah! Ah!
Il Conte di Fersen fece un inchino e si allontanò con aria malinconica, senza proferir parola.
– Ah! Questi nordici! Non hanno un minimo di senso dell’umorismo! Ah! Ah! Ah! Ah!
Ad un tratto, la Principessa di Lamballe, all’oscuro di quel che stava succedendo ed attirata da quel sovraffollamento oltre che dal cattivo odore, si fece largo fra la calca e, visto il Re in quelle condizioni, cadde a terra svenuta.
– Perché la Principessa è svenuta? Non odorano mica di violetta le mie defecazioni! Ah! Ah! Ah! Ah!
Madame de Noailles, alla quale non era sfuggito l’indecoroso spettacolo, si mise a piagnucolare, lamentando tanta zoticheria e pronosticando che ci sarebbero volute ore ed ore per togliere quella puzza dalla galleria e dai saloni adiacenti. Re Ferdinando si accorse dello stato d’animo di lei ed iniziò ad inseguirla, con le braghe calate e col pitale in mano.
Maria Carolina era al culmine dell’ira mentre Maria Antonietta era disgustata, ma del tutto decisa a non farsi rovinare quell’incontro con sua sorella che, con ogni probabilità, sarebbe stato l’ultimo. Re Luigi XVI, invece, era in preda alla costernazione e biasimava non tanto il fastidioso e singolare cugino, quanto la propria incapacità di imporsi in casa sua e si tenerlo a bada. Se non fosse scoppiata, di lì ad una quindicina di anni, la rivoluzione francese, quello sarebbe stato il periodo più angosciante della vita dell’erede di Ugo Capeto.
Finito di inseguire Madame de Noailles, il Re Lazzarone iniziò a gridare, nel suo pessimo francese:
– André! Puliscimi il pitale!
Oscar fremeva dalla collera ed André, per evitare che la situazione degenerasse, si affrettò a prendere il pitale e ad allontanarsi con esso.
Quando, dopo circa mezz’ora, Re Ferdinando lo rivide, gli disse:
– Certo che la vita è proprio ‘na zoccola! Puoi istruirti quanto vuoi, puoi affinarti quanto ti pare, ma, se sei straccione, finisci sempre a pulire merda e, se non sei straccione, forse, pure! Ah! Ah! Ah! Ah!
André, che non conosceva il significato dell’espressione: “’na zoccola”, ma che aveva, pur sempre, colto il senso complessivo del discorso, si affrettò a rispondere:
– L’istruzione e le maniere gentili sono un tesoro per chi le possiede e non sono certo le mansioni che fanno il gentiluomo.
– Ma senti il pulisci – pitali! Il pezzente può sentirsi signore quanto vuole, ma la sua vita resta sempre ‘na chiavica. Ah! Ah! Ah! Ah!
– Maestà, io sono più che soddisfatto del lavoro che svolgo e sono devoto alle persone che ho l’onore di servire.
– Bla, bla, bla, bla e, quando sarai arrivato alla fine dei tuoi giorni, cosa ti sarà rimasto, a parte i pitali che avrai pulito ed i cavalli che avrai strigliato?
– La lealtà nell’anima, la pulizia nella coscienza e l’affetto nel cuore.
– I poveracci francesi hanno meno senso dell’umorismo dei nobili nordici! Ah! Ah! Ah! Ah!
André fece un inchino e si allontanò. Le nobildonne napoletane non avevano fatto altro che guardarlo, perché, con quei capelli scuri in un mondo di biondi slavati, si avvicinava molto ai loro gusti mediterranei.
Madame de Jarjayes che, nella frenesia di Versailles, aveva trovato un po’ di sollievo alle follie di casa propria, iniziò a pensare che c’è sempre qualcuno che sta peggio.
Il Generale de Jarjayes, dal canto suo, cominciò ad interrogarsi su quale sarebbe stato il suo atteggiamento se il suo Sovrano fosse stato quello: sarebbe prevalso l’inveterato senso di lealtà alla Corona che sempre lo aveva contraddistinto o un sano istinto di ribellione? In queste considerazioni poco ortodosse, il nobiluomo fu terrorizzato da se stesso.
Oscar, in tutto ciò, era al culmine del fastidio e della rabbia, perché tutto quel trambusto e quel disprezzo delle regole, provenienti proprio da colui che avrebbe dovuto essere il primo a dare il buon esempio, avevano scatenato un principio di disordine e di rilassamento persino nelle azzimate Guardie Reali.
La Regina Maria Carolina non era mai stata così insofferente ed adirata nei confronti del consorte e, quella notte, furono udite delle imprecazioni in tedesco e delle sguaiatezze in napoletano provenire dagli appartamenti riservati agli ospiti stranieri. Il giorno dopo, i cortigiani notarono, sotto uno strato di cipria, dei grossi lividi sul volto del Re guappo.
 
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Mentre Re Ferdinando continuava ad imperversare a Corte, Maria Carolina e Maria Antonietta trovarono un po’ di intimità nella quiete del Petit Trianon che il Re Lazzarone, invece, non amava perché troppo noioso.
– Vi chiedo scusa per il comportamento di mio marito, Toinette, ma vedete, il Re è un tipo un po’ sui generis – disse la Regina di Napoli e di Sicilia, mischiando, nelle sue parole, l’imbarazzo ed il dispetto.
– Non Vi preoccupate, Charlotte. Non nego che Re Ferdinando abbia portato la tempesta a Versailles, ma, almeno per quello che mi riguarda, prevale su tutto il piacere di averVi rivista e, per godere della Vostra presenza, sopporterei dieci persone come Vostro marito. Delle due, siete sempre stata Voi la più forte, ma comprendo, adesso, che la Vostra tempra deve essere addirittura straordinaria per consentirVi di sopportare tanto!
– Appena arrivata a Napoli, la mia delusione fu enorme e la prima notte di nozze fu un’esperienza orripilante. Non esagero nel dire che preferirei morire piuttosto che rivivere tutto. Quello che più sconcerta, però, è il senso della definitività e la consapevolezza che non si potrà mai tornare indietro ai tempi di quando eravamo piccole.
– E’ vero, Charlotte. Anch’io rimpiango la nostra infanzia felice e spensierata a Vienna e darei qualsiasi cosa per tornare a quegli anni. Mi rendo conto, però, che non è possibile, perché se anche, per assurdo, ci fosse concesso, oggi, di tornare in Austria, le situazioni, gli stati d’animo ed i luoghi sarebbero definitivamente mutati e noi stesse lo saremmo. Non si ferma il tempo, purtroppo.
– Cara Toinette, la Vostra situazione non è disperata. Vostro marito manca di fermezza, ma è un brav’uomo. Re Ferdinando, invece, è come un bambino capriccioso ed indisciplinato. Se qualcosa o qualcuno non gli va a genio, comincia a mettere il mondo sotto sopra, in una sorta di puerile ricatto: o fai come dico io o ti rendo la vita impossibile. Se qualcosa, invece, gli piace, la situazione non è, poi, tanto diversa: o la ottiene o fa l’inferno. Essendo il terzogenito, la di lui educazione fu, inizialmente, trascurata. Una serie di circostanze lo portò sul trono di Napoli e di Sicilia, ma, ormai, il danno era fatto, perché la pianta era già cresciuta storta e l’irriducibilità di quel carattere ribelle non consentì grossi aggiustamenti. Preferiva – come ancora preferisce – gozzovigliare nei bassifondi di Napoli piuttosto che avvalersi degli insegnamenti dei precettori. Io, con lui, dopo l’iniziale sconcerto, mi risolsi ad utilizzare la fermezza e l’inflessibilità che si usa coi bambini e con gli animali e, se non fosse per me, il Regno sarebbe precipitato nel caos.
– Cara Charlotte, Voi, di tutte noi sorelle, siete sempre stata la più simile a Maman. Neanche i nostri fratelli sono mai riusciti ad eguagliarla. Io, invece, mi sento come una piuma in balia del vento e non riesco proprio a fare breccia nel cuore dei miei sudditi: sono allegra e dicono che sono leggera; sono taciturna e dicono che sono superba; vado alle feste ed ai balli e dicono che sono dissipata; mi ritiro nella quiete di questo splendido gioiello e dicono che mi disinteresso della Francia. Qualsiasi cosa faccia, è interpretata contro di me.
– Toinette, dato che avete affrontato Voi, per prima, l’argomento, sappiate che, nella vita, bisogna trovare sempre la giusta misura e che l’esistenza è un continuo destreggiarsi fra intelligenza, determinazione, spirito di adattamento ed una buona dose d’umiltà. A Voi sono toccati in sorte un marito dalla buona indole, ma anche una Nazione tradizionalmente nemica dell’Austria. Dovreste colmare questa lacuna mostrandoVi saggia e devota, integerrima ed al di sopra di ogni sospetto, gentile con tutti, ma particolarmente legata ad alcuno. Trattate ognuno secondo il suo stato e siate rispettosa con chiunque, specialmente con i grandi nobili e con gli anziani, ma fate capire a tutti, soprattutto a questi ultimi, che la Regina siete Voi. Che sia chiaro a tutti chi comanda. Ponete particolare attenzione alle persone di cui Vi circondate, perché saranno loro a rappresentarVi agli occhi della gente. Quella Lamballe è, tutto sommato, inoffensiva e non manca di lealtà. Il Colonnello de Jarjayes è integerrima ed ardimentosa, ma è molto strana e, secondo me, non è aliena ai colpi di testa ed è un po’ troppo incline al fanatismo. GuardateVi, invece, a mille doppi, da quella Polignac che a me non piace affatto. Sotto la maschera della virtù e dell’umiltà, cela un’indole rapace ed approfittatrice. Pensa soltanto a se stessa ed a sistemare il suo numeroso e vorace clan e tutto il resto non le interessa. Ho sentito, in giro, dei commenti poco rassicuranti. Allontanatela da Voi o sarà la Vostra rovina!
– Oh, Charlotte, come siete saggia! – rispose Maria Antonietta, con il cuore gonfio di amarezza, perché non si sentiva in grado di fare a meno della sua “più cara amica”.
 
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Contemporaneamente allo scambio di confidenze fra le due sorelle, Re Ferdinando e Re Luigi erano impegnati in una battuta di caccia ed erano seguiti da alcune guardie, fra le quali, c’era Oscar, accompagnata dal fedele André.
– Certo che le donne di casa Asburgo sono fatte tutte con lo stampo! – esclamò il Re Lazzarone, con la sua solita aria impertinente – Fingono grazia e docilità, ma il loro unico scopo nella vita, al quale sono state accuratamente preparate dalla madre sin dalla culla, è di sottomettere il marito per impossessarsi del potere. La Vostra, poi, neppure si prende il disturbo di fingere!
– Non siate così severo – rispose Luigi XVI – La mia Regina è una brava moglie ed anche la Vostra è piena di virtù.
– Si viene al mondo e, subito, si è destinati ad un ruolo e, se esso non va bene, o si finge che vada bene lo stesso o è la pazzia. Per me, non fu proprio così, perché ero il terzo maschio e, come tale, fui indirizzato alla Chiesa. Poi, mio padre ereditò il trono di Spagna e si portò dietro il secondo maschio; mio fratello maggiore fu dichiarato demente e Re di Napoli e di Sicilia divenni io. Questa sorte non mi capitò appena nato, ma mi scovò in seguito anche se la morale resta la stessa: o ci si adatta o si viene travolti. Anzi, a conoscerlo alla nascita il proprio destino, la cosa fa meno male, perché si ha più tempo per prepararsi.
– Anch’io nacqui figlio cadetto ed ereditai il trono a seguito della morte di mio fratello maggiore, un bambino da tutti amato – fece eco Luigi XVI.
– Che, poi, è colpa mia se studiare non mi piaceva e regnare non mi piace? Ognuno nasce con le sue inclinazioni. A me piace aggirarmi nei quartieri popolari di Napoli, dove la vita è più sanguigna e verace. Mi piace andare a caccia, combinare scherzi, creare disordine, fare tutto a modo mio. Sono infantile? Forse, ma chi l’ha detto che dobbiamo essere tutti Montaigne?
– Anche a me piace la caccia mentre detesto il disordine ed adoro studiare. Non è che regnare non mi piaccia, ma, come ingegnere o come fabbro, sarei riuscito meglio.
– Poi, i sottoposti ti guardano e decidono che sei diverso ed inadeguato e, quando l’hanno deciso, non c’è niente da fare, perché l’inferiore gode un mondo nel criticare il superiore e nel metterlo in difficoltà. A quel punto, o ti fai crocifiggere o li metti al posto loro, con le buone e, soprattutto, con le cattive. Mi tirano le schioppettate? Io rispondo con le cannonate. Mi gettano in testa fango? Io rispondo con la m…., be’, insomma, mi avete capito!
– L’uomo, soprattutto se di nascita elevata, è tenuto a migliorarsi continuamente, ad imitazione di Cristo anziché ripiegare su se stesso, cedendo al vizio. Se, poi, quest’uomo è un Re, un unto dal Signore, un taumaturgo, il precetto morale si trasforma in imperativo categorico – rispose Luigi XVI, riflettendo dolorosamente, dentro di sé, ma non osando esternarlo, su quanto fosse angustiante essere inadeguati e vilipesi.
– Caro cugino, nasciamo nella cacca, viviamo nel letame e moriamo nella merda! Ah! Ah! Ah! Ah!
I due Re, così simili e, allo stesso tempo, così diversi, continuarono a cavalcare affiancati, verso l’imbrunire.
 
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Una decina di metri più indietro, Oscar ed André cavalcavano insieme, scortando, a distanza, i due monarchi.
– André, quel Re ti ha eletto a suo schiavo personale! Ci mancava soltanto che ti chiedesse di spulciargli il parrucchino e di purgargli i cavalli ed i cani e l’opera sarebbe stata completa! – disse Oscar, accompagnando la frase con una risata divertita.
– La visita non è ancora finita e, pertanto, non poniamo limiti alla Provvidenza! – rispose André, con una risata cordiale e calorosa.
– Io penso che nessuno, Re o mendicante che sia, dovrebbe chiedere ad un altro uomo più di quanto è in suo diritto pretendere. Tu non sei a servizio di Re Ferdinando e quelle a te ordinate non sono le tue mansioni – disse Oscar col tono icastico che, spesso, la contraddistingueva.
– Questo è vero in teoria, Oscar, mentre la pratica, da una parte, è più contorta e, dall’altra, è infinitamente più semplice. E’ più contorta perché bisogna barcamenarsi fra i vari caratteri e le molteplici assurdità. E’ infinitamente più semplice perché, dopo un po’ di osservazione, si comprende che tutto si riduce a questo: se stai nel posto giusto, ti prendi le cose belle; se ti trovi nel posto sbagliato, ti prendi i cavalli da strigliare ed i pitali – rispose André che, da molto tempo, aveva capito che la vita non è un’impresa gloriosa o una dispensatrice di medaglie e di onorificenze, come, invece, era ancora convinta Oscar.
– Sai, mi sei piaciuto in questi giorni – disse Oscar, cambiando parzialmente discorso.
– Nella versione coiffeur per cavalli o in quella detergi – pitali? – scherzò André.
– Mi è piaciuto come sei stato in grado di tenere testa al Re e come sei riuscito a non farti sfuggire di mano la situazione nonostante tutto congiurasse contro la tua tenuta emotiva. Hai dimostrato un notevole sangue freddo. Nello scambio di battute con il Re, sei stato tu ad avere avuto la meglio. Alla fine, lo hai lasciato senza parole, tanto da costringerlo a fare ricorso ad un banale luogo comune. Io stessa non avrei potuto fare di meglio.
– Ti ringrazio, Oscar, sei molto gentile – disse André, infinitamente grato per quella manifestazione di approvazione, perché di questo egli viveva.
 
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Giunse, infine, l’ora dei commiati.
Le due sorelle si abbracciarono, consce che non si sarebbero mai più riviste. L’addio fu molto commovente. Le uniche che provarono strazio in quella separazione furono loro due mentre tutti gli altri avvertirono un infinito senso di sollievo.
– Caro cugino – disse Re Ferdinando – mi ha fatto un immenso piacere conoscerVi e ricordateVi sempre: polso!
– Caro cugino – fece eco il Re francese – che Dio sia sempre con Voi, illumini la Vostra mente nel prendere le decisioni e Vi accompagni nel Vostro viaggio di ritorno!
– Non temete, caro cugino: se i predoni non mi accopperanno da qui al porto di Marsiglia e se la mia nave non colerà a picco, come molti, qui, caldamente si augurano – fece eco il Re Nasone con una sonora risata e rimarcando con voce notevolmente più alta quest’ultima parte del discorso – i Vostri auspici si avvereranno.
– Cara cognata – disse, poi, rivolto a Maria Antonietta – Siete bella come l’aurora ed aggraziata come una farfalla. Continuate ad adornare questa reggia con la Vostra radiosa presenza e, mi raccomando, giudizio!
Fece, poi, portare dei bellissimi mazzi di fiori alle dame là presenti. Fra le beneficiarie del variopinto e fragrante dono, ci furono anche la Principessa di Lamballe, la Contessa di Polignac, Madame Èlisabeth e la Contessa di Noailles. Le gentildonne esitarono ad accostare il volto all’omaggio floreale, temendo di essere irrorate di acqua, di inchiostro o di qualcosa di peggio, grazie a qualche diabolico marchingegno occultato fra le foglie.
– Su, su, Signore, accostateVi, mica esplodono! Principessa di Lamballe, il Vostro, oltre a non esplodere, neppure contiene violette! Ah! Ah! Ah! Ah!
Quando le dame si accorsero che quei fiori non contenevano trappole ed ordigni vari, ma erano soltanto un gentile presente, ringraziarono con commozione. La Polignac fu la meno entusiasta – preferendo, di gran lunga, i doni di commiato del genere che brillano – ma fu anche la più ossequiosa e cerimoniosa nel ringraziare.
– Duca di Germain, so che mi avete mandato al diavolo in più di un’occasione, ma non temete: quando, alla fine, precipiterò davvero all’inferno, non mancherò di salutare Erode da parte Vostra. Ah! Ah! Ah! Ah!
– Conte di Fersen, fateVela una risata ogni tanto e giudizio!
– Tenente de Girodel, se mai dovessi tornare a Versailles, mi presenterete il Vostro parrucchiere: potrebbe fare miracoli anche con me! Ah! Ah! Ah! Ah!
Subito dopo, rivolto ad Oscar:
– Colonnello de Jarjayes, ricordate il discorso sui topi e sulla marmellata. Va bene vivere a proprio talento e seguendo il proprio destino, ma fate chiarezza su chi siete e decidete, per tempo, da che parte stare!
– Io sto dalla parte dei miei Sovrani, perché il mio compito è proteggerli.
– Bla, bla, bla, bla, bla, bla.
Successivamente, rivolto ad André, disse:
– Signor Grandier, se verrete a Napoli con me, Vi creerò Principe e Vi donerò delle terre ed una rendita coi fiocchi e non scherzo.
– Vi ringrazio, Maestà, ma il mio posto è qui ed il mio compito, adesso, è un altro.
– In campana, ragazzo!
Il corteo partenopeo si diresse verso i cancelli, per, poi, sparire alla vista dei presenti.
– André – disse Oscar – Se quello è un Re, tu sei un Imperatore!
E concluse la frase don una delle risate schiette e cristalline, tipiche della sua gioventù.
André si voltò dall’altro lato per occultarle il rossore.






Così, anche questa storia è terminata.
Re Ferdinando era veramente così. Gli aneddoti sui topi nelle scollature, sulla marmellata nelle tasche e sulle prodezze col pitale sono veri. Furono raccontati anche dall’Imperatore Giuseppe II d’Asburgo Lorena, in visita alla sorella. Giuseppe II, essendo associato al trono alla madre, poteva permettersi di viaggiare molto e, nei suoi resoconti, non la mandava a dire ad alcuno. Una vera linguaccia!
Fatemi sapere cosa pensate di questa piccola storia e grazie di averla letta. 

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