A Furry Story in Zootopia

di Dmitrij Zajcev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amber e Grimlaugh ***
Capitolo 2: *** Dmitrij Sergeevič Zajcev ***
Capitolo 3: *** Beep Beep I'm a Wolf ***
Capitolo 4: *** Fenrir syn Drakona ***
Capitolo 5: *** Jack… o Jackie? ***



Capitolo 1
*** Amber e Grimlaugh ***


[Zootropolis. 3/09/2017. Manicomio di White Willow. Ore 20.30, Regione della Savanna.]

«oh, eccovi qui, Miss Amber. Il paziente iniziava a impazientirsi.»

Un procione con un lungo camice si avvicinò alla ragazza, una iena anche lei vestita da dottoressa. In mano teneva un bloc notes con una biro nera nel taschino.
La ragazza era alta appena un metro e sessantasette, dieci centimetri più del procione. Il suo pelo passava dal marroncino al color nocciola all'ambrato fin quasi a diventare color rame all'altezza della cresta. I suoi occhi ambrati osservarono con attenzione gli appunti presi negli incontri precedenti col suo paziente.

«Ha dato qualche segno di squilibrio?»


«No. Dal suo ultimo incontro è stato tranquillissimo. Certo, è completamente legato ma è quasi un paziente modello. E sembra assai desideroso di rivedervi.»

Incuriosita, Amber andò davanti alla cella del suo paziente, sedendosi a un metro e mezzo circa dal vetro in plexiglass che separava lei da Grimalugh, il suo paziente. Questi, vedendola, sorrrise e piegò di lato il collo. Aveva il pelo verde, di un verde malato, quasi completamente assente dal suo corpo. L’occhio destro era grigio, cieco a causa di una ferita che si era auto inflitta da piccolo, mentre quello sinistro, aveva l’iride coperta da un ifema, a causa del quale l’occhio era ricoperto da un accumulo di sangue, rendendolo comunque in grado di vedere. Indossava una camicia aperta sul busto dove erano presenti delle cicatrici a forma di croce, facendo rientrare la pelle in una maniera talmente orrenda da farlo sembrare un personaggio dei film dell’orrore. I pantaloni erano corti, strappati a metà delle cosce, le uniche parti del corpo non coperte da cicatrici e in cui era visibile tutta la pelliccia. Le sue stesse braccia erano coperte da cicatrici e sul braccio sinistro mancava parte del muscolo dell’avambraccio, dovuto a un morso che si era inflitto durante un attacco di auto cannibalismo. Due catene gli bloccavano il collo e la vita, impedendo che si avvicinasse troppo al vetro. Una cicatrice non ancora rimarginata, con tutti i punti ancora presenti era presente sulla fronte, facendo ricordare alla giovane Amber i fatti della settimana scorsa. Si era avvicinato al muro cercando di romperlo a testate, dicendo che voleva accarezzarla, voler stringere ancora una volta qualcuno e aveva battuto la testa sul muro di plexiglass fino a scarnificarsi la fronte, mostrando l'osso del cranio.
Amber notò che i guanti ermetici che gli impedivano di graffiare erano ancora indossati, segno che non si fidavano. Dopo tutto al suo primo incontro, un mese dopo l’arresto, la iena si era strappato via un pezzo di carne dal collo per noia e l’aveva divorato. Ora aveva guanti e museruola. 

«Salve Amber. Come stai?»

«Tutto bene, Grimlaugh. E lei? Non si è ancora rimarginata la cicatrice, noto.»

«Oh, la fronte intendi? Mi passerà, tranquilla. Dimmi, gli agenti Hopps e Wilde stanno bene?»

«Oh si. Judy Hopps si è finalmente ripresa dall’assideramento, nonostante abbia tutt’ora la broncopolmonite. I medici dicono che sarà cronica e che non l’abbandonerà mai… l’agente Wilde è tutt’ora in riabilitazione, sotto pesanti dosi di sedativi. Quelle rare volte in cui è cosciente, nel vedere e sentire la sua collega che tossisce non fa altro che imprecare e bestemmiare, oltre che minacciarvi.»

«È un peccato. Sa, secondo me Judy Hopps e Nick Wilde sarebbero state le cavie perfette.»

«Per le sue torture, signor Grimlaugh?»

A quelle parole, la iena scattò in avanti, ringhiando e mostrando i denti, non riuscendo ad avvicinarsi al vetro a causa delle catene.

«NON ERANO TORTURE! -urlò, furioso, per poi ritornare indietro per riprendere fiato e calmarsi. -Erano esperimenti.»
«Esperimenti per comprendere dolore, freddo e caldo, giusto? Ma che cosa sono lo sanno tutti. Sono…»
«Delle sensazioni esterne che riceviamo come auto-difesa. Così capiamo quando qualcosa non va toccato, o quando la temperatura è troppo alta -tipo a Sahara Square -o troppo bassa, come a Tundratown. Ma dimmi, Amber: Che cosa si prova?»

La domanda lasciò a bocca aperta la ragazza senza che potesse dire qualcosa. Una bella domanda. Grimlaugh soffriva di CIPA, Insensibilità congenita al dolore con anidrosi. Era nato con una delle malattie congenite del sistema nervoso più rare al mondo. Il malato era sfornito della sensazione del tatto e della capacità di sudare. Ciò rendeva impossibile a Grimlaugh comprendere che cosa fosse il dolore, che cosa fosse il caldo e il freddo. Era per questo per cui aveva ucciso più di venti abitanti a Zootropolis, rendendo la situazione peggiore rispetto a quella generata dal caso degli ululatori notturni.
Alla fine era anche riuscito a catturare Judy Hopps e il suo collega/compagno Nick Wilde. La coniglietta era stata rinchiusa in una cella frigorifera per quasi tre ore, ed era un miracolo che non fosse morta assiderata. Voleva sapere cosa si provasse quando faceva freddo, ma la poliziotta non era stata in grado di dirlo. Quanto alla volpe… Nick subì la sorte peggiore. Gli furono estratti un canino superiore e due incisivi, l’orecchio sinistro fu asportato con una precisione chirurgica e quando la polizia lo trovò, aveva appena compiuto un incisione verticale sul ventre dell’agente Wilde, per compiere delle asportazioni degli organi, senza anestesia. 
Dopo qualche minuto di silenzio, fu di nuovo Grimlaugh a parlare.

«Vedi, Amber? Voglio scoprire questo. Cosa si prova a percepire il dolore? Cosa si prova a percepire il freddo e il caldo?»

«Io… non so come spiegarglielo…»

«Spero che al prossimo incontro saprai spiegarmelo, anche solo una parte. Arrivederci, Amber. Ah, se vedi Judy Hopps e Nick Wilde, chiedi loro scusa da parte mia, per aver voluto usarli per gli esperimenti.»

Con un sorriso gentile, l’internato si ritirò sul letto, segno che l’incontro era finito e che lei poteva andare via.


{Disclaimer}
Amber, la iena che sta psicanalizzando Grimlaugh, non è farina del mio sacco. È una fursona di una mia amica.

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Capitolo 2
*** Dmitrij Sergeevič Zajcev ***


[Distretto di Downtown. 15/06/2017. Ore 15:30. Sala degli interrogatori numero 3]
 
L’agente Judy Hopps stava discutendo con il suo compagno, Nick Wilde. Sul tavolo davanti a loro c’era il dossier su un tentato omicidio a Tundratown. Sopra il tavolo era posto un vetro a specchio, che dava a una stanza illuminata con un tavolo e tre sedie, una delle quali occupate da un lupo.
 
«Sei sicura di voler fare questo giochetto con Dmitrij? Lo conosci. Non ci cascherà mai con il Poliziotto buono e quello cattivo.»
 
«E tu allora come pensi di fare, Nick? Questa volta non è commercio illegale di marijuana o vandalismo. Ha quasi ammazzato uno. In più uno dei bodyguard di Mr. Big. Se non lo teniamo noi, lo prenderà lui. E allora addio al lupo.»
 
«Non lo so, vorrei aiutarlo… in fin dei conti lo conosciamo da cinque anni, almeno io, no?»
 
«Andiamo là e parliamo con lui. Magari riusciamo a ricavarne qualcosa.»
 
Ciò detto, la coniglietta prese il fascicolo e aprì la porta andandosi a sedere davanti al lupo insieme a Nick.
 
«Salve.»
 
Dissero entrambi, osservando il ragazzo. Il lupo aveva il manto completamente bianco, con una colonna di rune rosse sul lato sinistro, all’altezza dell’occhio. Queste rune scendevano fino alla zampa sinistra e da là passavano sul retro del corpo fino a ricongiungersi con il punto di partenza. Le rune rappresentavano una benedizione a Fenrir, il dio lupo della religione Norrena. Quelle rune le aveva fin da bambino, e -come gli aveva detto sua madre -significava che era stato "benedetto" (Dmitrij diceva sempre "maledetto", in senso scherzoso) con la furia del Berserk. Come sempre, i suoi capelli neri erano raccolti in una coda che teneva insieme i dread che aveva alla fine della capigliatura. Indossava dei guanti neri senza dita che scomparivano sotto la sua giacca di pelle, lunga fino ai polpacci e che teneva anche in estate nonostante il caldo. Sotto la giacca teneva una maglietta rappresentante un soldato americano cane che colpiva con un pugno un soldato nazista felino, la copertina dell’album “Heroes” dei Sabaton. Sulle zampe inferiori indossava degli stivali di quelli rinforzati in acciaio sul tacco e la punta. Mentre aspettava i due poliziotti, il lupo si era messo a tamburellare le dita sul tavolo, tirando alle volte le manette che lo tenevano bloccato al tavolo.
 
«Ehilà Judy! Ciao Nick! Come va?»
 
Chiese, sorridendo tranquillo, come se fosse una visita di piacere.
 
«Dmitrij Sergeevic Zajcev, figlio di Sergej Ivanovič Zajcev e di Irina Nicolaeva Drakona. Nato a Irkutsk, in Russia, il Dieci Gennaio del 1995. È così?»
 
«Andiamo Nick! Mi conosci da cinque anni! Non c’è bisogno che mi chieda conferma. Lo sai eccome!»
 
Sospirando, Nick si massaggiò gli occhi, mentre Judy si mise sul tavolo, guardando Dmitrij.
 
«Ascolta, Dmitrij. Sei nei casini, ok? Hai quasi ammazzato una delle guardie del corpo di Mr. Big, Boris Medvedev. Sai che cosa vuol dire?»
 
«Vuol dire che tanto vale che mi scarceri subito, Judy. Potente com’è, Mr. Big di sicuro mi scarcererà e io avrò a che fare con lui. Scommettiamo quanto? 300 Bigliettoni? Scommetto 300$ che come metterò il muso fuori dalla porta avrò un orso polare o qualche altro suo scagnozzo che mi prenderà a botte e mi trascinerà da lui.»

«E perché gli hai sparato Dmitrij?»

«Perché gli ho sparato, Nick? Perché quel bestione si è messo a picchiare mia sorella. E nessuno picchia mia sorella, ok? Fatevelo bastare perché io non dico nient'altro.»
 
«Almeno puoi dirci qualcosa su di te? Insomma, la scheda tua è praticamente vuota! Sappiamo solo che sei un ibrido e provieni dalla Russia. Non sappiamo nient’altro!»
 
«Oh, e va bene Judy… sono nato a Gennaio del ’95, insieme a mia sorella Diana. L’avete vista un paio di volte al World Tree. Non ho mai conosciuto mio padre… sfortunatamente. Mia madre dice sempre che gli assomiglio.»
 
«Tuo padre scappò via e vi lasciò soli?»
 
Chiese Judy, mentre leggermente le si abbassavano le orecchie, dispiaciuta.
 
«Magari… fu un lupo molto coraggioso. Ebbe la malaugarata idea di scopare con mia madre, un drago bianco, mentre era talmente sbronza da essere svenuta sul letto. Quando mia mamma si svegliò, appena dopo che mio padre si era svuotato, lo azzannò alla gola, strappandogliela di colpo e divorandola.»
Nick e Judy rimasero a bocca aperta, senza parole.

«Aspetta, fammi capire bene: tua madre è un drago… e tuo padre è stato ammazzato da lei perché l'aveva scopato?»

Disse Nick, incredulo. Lui pensava che i draghi non esistessero veramente
 
«Si e si. Papà sapeva i rischi. Per questo diceva sempre che era un lupo molto coraggioso… o molto stupido.»
 
Disse lui, ridendo amaramente.

«Ci stai prendendo per il culo? Credi davvero che crederemo che tua madre era un cazzo di drago?»

Chiese Judy, mentre le tremava una palpebra dal fastidio, guardandolo male.

«No, non vi sto prendendo per il culo. Si, ci credo davvero. Insomma, non vi ho mai detto balle, no? Certo, tranne quando mi fumo un sacchetto di Marijuana, naturalmente.»

Judy gli si avvicinò, costringendolo a spalancare gli occhi e la bocca. Non aveva gli occhi rossi e il suo alito non puzzava né di alcool né di erba. Sconsolata e incredula, Judy si rimise a posto, sbuffando.

«Va bene, va bene… vai avanti. Però non pensare che ti crediamo così a sbuffo, va bene?»
 
«See, see, come no. Allora, dove ero arrivato con la storia della mia vita? Ah si. Sono cresciuto con mia madre e Diana, in Russia, finché nel 2012 non abbiamo deciso di venire qui a Zootropolis. All'epoca, io e mia sorella avevamo… 15 anni circa.»
«E siete entrati al liceo di Zootropolis. Diana si è laureata a pieni voti, a differenza tua.»
 
«Oh, che palle Nick. Quante volte te l’ho detto? A parte musica e Storia il resto delle lezioni sono una palla enorme. Comunque alla fine ho comprato un bar a Tundratown, dove vivo con Diana.»
 
«Si, si, il World Tree. Il bar dove lavori e dove suoni, quando non stai dormendo in classe o non stai spacciando Marijuana nel distretto della Foresta Pluviale.»
 
Spazientito, Dmitrij si alzò come poteva e ringhiò verso Judy
 
«Insomma, porca puttana! Se sapete tutto su di me perché diamine devo mettermi a raccontarvelo?!»
«Ci serve per il background del tuo dossier, Dmitrij. Non c’è scritto nulla.»
 
«Ora potete liberarmi? Tanto oggi so già che finirò a parlare con Mr. Big.»
 
Sospirando, Nick prese le chiavi, aprendo le manette che tenevano fermo il lupo, che si girò sorridendo e tese le mani come a chiedere qualcosa.
 
«Posso riavere la mia pistola, per favore?»
 
«Mi dispiace, Dmitrij. La pistola rimane qui per almeno altri tre giorni. Dovrai farne a meno.»
 
«MI STATE PRENDENDO IN GIRO CAZZO? È UN CIMELIO DI MIO NONNO! CON QUELLA MAKAROV SPARÒ IN TESTA AD ALMENO VENTI NAZISTI!»
 
Judy gli tirò un calcio sul ginocchio per farlo abbassare alla sua altezza e lo guardò male.
 
«Senti, per me con quella pistola tuo nonno potrebbe anche aver ucciso Hitler in persona, ma rimarrà comunque per tre giorni negli archivi come arma del delitto, va bene?»
 
«Oh, fanculo Judy. La prossima volta che passi da me ti faccio pagare il triplo.»
 
Disse lui sbuffando e uscendo, accompagnato da Nick. Davanti all’entrata della centrale, una limousine nera stava parcheggiata, come se aspettasse qualcuno.
 
«Ehi, Nick, Judy: mi dovete 300$!»
 
«Non abbiamo nemmeno accettato la scommessa, idiota!»
 
Gli urlarono contro, mentre lui entrava tranquillo nella limousine, aspettando di arrivare da Mr. Big, mentre canticchiava la colonna sonora de Il Padrino.
Quando arrivò da Mr. Big, con i suoi sopracciglioni in una smorfia di rabbia, il ragazzo si chinò rispettosamente.
 
«Padrino…»

Disse lui, preoccupato e al contempo rispettoso, guardando il toporagno.
 
«Ma che feci, Zajcev? Che ti feci mai per meritare questa mancanza di rispetto?»
 
«Posso spiegare tutto, glielo giuro.»
 
«Fai pure, ma non sperare nella clemenza mia. Perché sparasti a Boris?»
 
«Padrino, Boris allungò le mani su mia sorella. Nonostante lei non volesse fare sesso con lui, Boris l’ha presa a botte. E mia sorella è una che a menare è brava. Non essendo capace di picchiare di rimando Boris lei ha chiamato me.»
 
«E tu sparasti alle ginocchia di Boris, e lo minacciasti?»
 
«Si padrino. Glielo dissi due volte. In russo e in americano. “Не смей смело прикасаться к моей сестре”. “Non osare più toccare mia sorella”.»
 
«Ma ora? Se io lasciassi correre, tutti potrebbero permettersi di prendermi per il naso. E io non lo posso permettere. Anche se tu sei uno bravo.»
 
Il lupo ci pensò su, muovendo a destra e a sinistra la mandibola, mentre socchiudeva gli occhi pensoso, per poi spalancare gli occhi trovando la soluzione.
«Freddatemi. Tanto grazie al (poco) codice genetico ricevuto da mia madre, posso tranquillamente sopravvivere a temperature ghiacciate. E poi sono un russo, non morirò certo per dell’acqua gelida, no?»
Mr. Big ci pensò su. Guardò Koslov, il suo braccio destro, per poi tornare a guardare Dmitrij.
 
«FREDDATELO!»
 
L’ultima cosa che Dmitrij ricordò, prima di ritrovarsi bagnato fradicio e quasi impossibilitato a muoversi dato che l’acqua gli si stava ghiacciando attorno quando uscì dal fiume, fu un orso polare che lo buttava di testa dentro la botola, facendogli sbattere il muso contro un pezzo di ghiaccio. Quel pezzo gli diede una botta tanto forte da fargli venire un bernoccolo. Uscito dal fiume si guardò i vestiti. Completamente zuppi. E ora chi la sentiva più quella matta di Diana?
 
 

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Capitolo 3
*** Beep Beep I'm a Wolf ***


Tundratown, tre settimane dopo l’arresto di Dmitrij Zajcev.
 

Al World tree -o Yggdrasill, come lo chiamava sempre Dmitrij -erano entrati Judy e Nick, in occasione della pausa pranzo.

«Allora, ragazzi? Che cosa volete che vi prepari di bello?»

«Per me dell’Haggins, Dima.»

«Io prendo succo di carota.»

Con un sorriso, Dmitrij si recò in cucina, andando a preparare l’Haggins. Una volta messo in forno lo stomaco di pecora ferale condito di spezie varie e altre carni ferali, preparò il succo per la coniglietta, portandoglielo con un sorriso beffardo.

«Haggins: 25 dollari. Succo di carota 5 dollari, vero?»

«Si, Dmitrij. Tieni.»

Disse Judy, dando 30$ al lupo, al ché Dmitrij le tolse di mano il bicchiere.

«Tesoro, non ricordi? Tu devi pagare di più per oggi. Sono 40$ di succo.»

«COSA?! QUARANTA DOLLARI PER UN CAZZO DI SUCCO?! MA SEI IMPAZZITO?!»

«Te l’ho detto chiaro e tondo tre settimane fa: tu la prossima volta che passavi da me pagavi almeno 3 volte tanto, no?»

«Si, ma qua è quasi il doppio dell’Haggins di Nick! Sai benissimo che posso buttarti dentro, Dmitrij!»

Il lupo scoppiò a ridere, scuotendo la testa.

«Certo, buttato dentro perché tu non vuoi pagare 40$ di succo di carota. Sai che figura di merda ci faresti, coniglietta?»

Judy, in piedi sullo sgabello, iniziò a battere sempre più forte un piede, segno che stava per infuriarsi, al ché la volpe si mise in mezzo, pagando i 35$ che mancavano.

«Judy calmati. Stavolta ha ragione Dmitrij. E tu per favore dalle il succo, altrimenti rompe le palle per tutto il giorno.»

Chiese Nick a Dima, sospirando, per poi guardarsi attorno. Stranamente Diana non c’era. Solitamente era sempre lì a pulire e a stuzzicare uno dei tre.

«ehi, ma oggi tua sorella non doveva aiutarti al bar?»

«Ah, lascia perdere. Non so che fine abbia fatto quella sce…»

Dmitrij non finì la frase che nel bar entrò una lupa con un vestitino da coniglietta di playboy. Se non fosse che il costume doveva essere una specie di travestimento da pecorella. La ragazza saltò sul bancone, iniziò a ballare in un modo che ricordava soltanto i movimenti di un film hard per poi mettersi a quattro zampe, fondoschiena verso i due poliziotti e faccia verso il barista, iniziando anche a cantare.

«BEEP BEEP I’M A SHEEP! I SAY BEEP BEEP I’M A SHEEP!»

Nick rimase a bocca aperta quando la vide che faceva su e giù con i fianchi, come se cavalcasse; Dmitrij si coprì gli occhi con una mano, scuotendo la testa mentre Judy per poco non si strozzò col succo, tanto che si spruzzò in parte con lo stesso.

«Diana… che diavolo. Stai. Facendo?»

Chiese il fratello, prendendola per la colottola come fosse una cucciola.

«Non lo sai dell’ultima hit del momento? Quella di Tomska e Minus8?»

«Dovrei conoscerla?»

«Ma dai, quella di Beep Beep I’m a Sheep!»

«Ah, quella che avevo detto che sembrava un porno?»

La sorella fece un cenno d’assenso, felice, per poi guaire quando suo fratello gli diede una botta in testa nervoso.

«Sei una cretina. Inoltre dovresti stare ad aiutarmi, non a fare la coniglietta playboy! Senza offesa Judy.»

Disse alla poliziotta che stava guardando con istinto omicida Nick, che a sua volta guardava estasiato le forme della lupa, avendo il sottocoda di lei praticamente sul muso.

«Vatti subito a cambiare, va bene?»

La lupa mugolò e andò a cambiarsi, mentre una folla di gente entrò per vedere la lupa-pecora, pronti a pagare fior fiori di quattrini pur di potersi rifare gli occhi.

Felice per le vendite in arrivo, ma al contempo furioso per il comportamento idiota della sorella, andò da lei, mentre si stava cambiando, senza coprirsi gli occhi nel vederla nuda. Abitavano insieme e quella scema più volte aveva provato a far eccitare il fratello solo per sfotterlo, così tanto che ormai non gli faceva quasi più effetto.

«Cambio di dirittive: tu ora ti rimetti quel vestito del pippio e vai a fare la cameriera. Solo per oggi. E se provi a fare la lupa in calore anche solo con me o con un qualcuno,  prima che finisca questa giornata ti rinchiudo nella cella frigorifera per due giorni, così ti raffreddi un po’ i bollenti spiriti, va bene?»

Le disse, con un tono abbastanza serio da far capire a Diana di rigare dritto. La lupa sorrise, alzandosi, e gli diede un bacio sulle labbra dopo essersi rimessa il costume.

«Certo fratellone.»

Ringhiando, il lupo le diede un calcio abbastanza forte da farla sobbalzare, per poi tornare al bancone, tenendo gli occhi fissi sulla sorella per evitare che facesse cretinate.

«Sei sicuro di voler lasciarla fare così?»

«Si, Nick. Sa di non dovermi fare arrabbiare, come lo sapete anche voi.»

Disse sorridendo, per poi salutarli quando tornarono in servizio, mentre la sorella continuava a fare il lavoro di cameriera sexy. Vendette quasi tutte le scorte di birra e di alcool, quel giorno, soprattutto quando lei si mise a ballare sul palco quella dannata canzone. Mentalmente, Dmitrij si ripromise di fargliela un po’ pagare a sua sorella, sebbene quel giorno gli fosser entrati in cassa qualcosa come duecento mila bigliettoni, un record, rispetto agli standard da duecento o al massimo da duemila dollari a giornata.

A sera tarda, mentre la sorella riposava stanca morta sul palco, Dmitrij si mise a pulire il bancone, sentendo qualcuno entrare.

«Il bar è chiuso, ritornate doma…»

Rimase a bocca aperta e le parole gli morirono in bocca, quando vide chi era entrato: il braccio destro di Mr. Big.

«Diana, vai a casa. Subito.»

«Ma… cosa…»

«ORA!»

Le disse, ringhiando, facendola scattare in piedi e scappare via nel retrobottega come una scheggia.

«Che cosa vuole il Padrino da me?»

«Vieni. Te lo dirà lui stesso.»

Disse l’orso, facendogli cenno di seguirlo, portandolo dinanzi a Mr. Big, il toporagno che controllava la mafia di Zootropolis.

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Capitolo 4
*** Fenrir syn Drakona ***


«Voleva vedermi, Padrino?»

Chiese Dmitrij, incuriosito da quella chiamata urgente. Aveva appena finito di sistemare il casino causato da sua sorella quando si era messa a ballare per tutto il bar “Beep Beep I’m a Sheep” e Stukov, uno degli orsi di Mr. Big, l’aveva preso in consegna e portato dal toporagno.

«Ho una proposta per te, Dmitrij Sergeevič… o dovrei dire… Fenrir Syn Drakona?»

Mormorò Mr. Big, sorridendo maligno quando vide il lupo stringere i denti, come se non volesse mostrare nessuna emozione al suono di quel nome, seppur con qualche difficoltà.

«Fenrir Syn Drakona? Credo mi stia confondendo con qualcun altro, Padrino…»

Disse lui, sorridendo nervosamente, mentre uno degli orsi polari estraeva un foglio ingiallito dalla giacca, spiegandolo e iniziando a leggere. I due simboli presenti sul retro del foglio, quello rivolto verso di lui, fecero rabbrividire di paura Dmitrij: era un foglio proveniente dagli archivi del KGB, come si vedeva dal marchio: uno scudo, con sopra un pugnale e sopra esso una stella a cinque punte con la falce e martello. E vicino ad esso, il simbolo della Solntsevskaya Bratva, la più potente organizzazione mafiosa della Russia, ben riconoscibile dal sole dentro un cerchio formato dalle lettere del nome dell’organizzazione.

«Dmitrij Sergeevič Zajcev. -iniziò a leggere l’orso polare -Nato a Irkutsk, nella Siberia sud-orientale, nel 10 gennaio del 1895.»

Al sentire la data di nascita di Dmitrij, Mr. Big Sorrise incuriosito.

«A Wilde e a Judy hai detto di essere nato nel 1995. Perché non gli hai detto che eri nato nel 1895?»

«Secondo lei mi avrebbero creduto?»

«Da che ne so non hanno nemmeno creduto al fatto che tua madre è un drago, giusto?»

Ciò detto, il padrino fece segno di continuare.

«Dopo aver evitato il servizio di leva durante il primo conflitto mondiale, è entrato in servizio nell’armata rossa nel ’39, ha combattuto durante la battaglia di Stalingrado col grado di sergente come tiratore scelto. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale ha fatto parte di un corpo speciale del KGB col nome in codice di Fenrir syn drakona, Fenrir figlio del drago. Nel 1992, in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica, ha fatto perdere le proprie tracce…»

«Fino a ora. Ho saputo che hai anche lavorato in maniera non ufficiale per la Bratva. Ora… potrei mandare questo foglio alle sedi FBI e CIA di tutti e cinquanta gli stati americani a meno che tu non ti metta a lavorare per me, tornando al servizio della Gran Tavola. Che cosa scegli? E sai che cosa è la Gran Tavola, no?»

Dmitrij sospirò e guardò il toporagno, prima di rispondere.

«So della Gran Tavola. Ho lavorato per la Solntsevskaya. Ma ora io voglio godermi la vita. Posso rendere il mio bar parte del Continental, se preferite.»

Rispose, sperando di poter almeno tenersi fuori dall’azione, lavorando come Signore di una terra di nessuno dove i lavori della Gran Tavola fossero proibiti da svolgere.

«No. Le tue abilità mi possono essere utili. Voglio che tu lavori come Assassino.»

Il lupo sbuffò, abbassando le orecchie e la coda, triste e rassegnato.

«Diana mi ammazzerà…»

 

«Non lo saprà mai, Dmitrij. Non se starai attento.»

 

«Voglio tre giorni, Padrino. Datemi tre giorni per ripensarci. Poi passate al bar e avrete la mia risposta.»

 

Disse, chinandosi poi a baciare la mano a Mr. Big e si avviò per uscire.

 

«Sergeevič!»

 

Urlò uno degli orsi polari, lanciando al lupo la sua Makarov.

 

«Consideralo un regalo.»

 

Gli disse il Padrino, sorridendo serafico, mentre Dmitrij prendeva al volo la sua pistola, con la quale fu lui -e non suo nonno, come aveva detto ai due poliziotti -a combattere i nazi negli anni tra il ’41 e il ’45.

 

Tornato a casa, il lupo si mise a ripensare a cosa rispondere a Mr. Big, prendendo da un cassetto due monete che tenne davanti a sé sulla scrivania della propria camera:

la prima moneta era un semplice decino fuori conio. Significava che non avrebbe accettato.

La seconda moneta era completamente d’oro, con un Leone ferale su un lato, davanti a un sole e su di esso la scritta latina “Ens Causa Sui” Qualcosa generatosi da sé; sull’altro lato recava una Minerva con la Vittoria alata, accerchiata da una coronna d’alloro. Nello spazio compreso tra i due estremi della corona era stato impresso “Ex Unitae Virus” Forza dall’unità. La moneta degli assassini.

Passarono i fantomatici tre giorni e -puntuale come la morte -uno degli Orsi polari di Mr. Big entrò nel bar durante l’orario di chiusura. Dmitrij non disse nulla. Sapeva che cosa voleva. Lasciò sul bancone una delle due monete e finì di chiudere, senza vedere la faccia dell’Orso, per sapere se era felice o meno. L’orso non disse nulla. Prese semplicemente la moneta e se ne andò.

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Capitolo 5
*** Jack… o Jackie? ***


Stazione di Polizia, ore 10.15 della mattina, 7/06/2017

 

Alla centrale della ZPD erano tutti agitati. Sir Randall Stoneheart, un procione noto tanto per la sua ricchezza quanto per la sua avarizia, era stato indagato, denunciato e arrestato per pedofilia. Le proteste del magnate sul fatto che il giovane “concupito” (una volpe nera che assomigliava a una ragazza dato il suo abbigliamento comportamento e aspetto) avesse dato il proprio consenso, e anzi, avesse avuto lui l’iniziativa e non il procione erano state vane.
Judy, disgustata dall’accaduto, chiese una licenza insieme a Nick, lasciando dunque la patata bollente di interrogare la volpe al capitano Bogo. Il Bufalo entrò sospirando nella sala delle Interrogazioni, trovando Clawhauser dare una cioccolata calda e delle ciambelle alla crema alla giovane volpe che scodinzolava come un cucciolo. Inforcati gli occhiali, Bogo si sedette, facendo andare via il grasso collega.

 

«Allora… Jack O’hara, giusto?»

 

Chiese, iniziando l’interrogatorio e venendo subito fermato dalla volpe.

 

«Mi chiamo Jacqueline. Non Jack.»
 

Disse il volpachiotto, con una voce vellutata che ricordava assolutamente quella di una ragazzina.

 

«Jacqueline… certo. -Disse Bogo, sarcastico -Quando sei nato e dove?»

«Sono nata a Downtown, il Cinque marzo del 2005. Ho 12 anni.»

«Dodici anni? Scherzi? Ne hai 14! -Mormorò il capitano, iniziando ad arrabbiarsi -Senti, volpe. Vediamo di essere seri. Che cosa ti ha proposto in cambio, Sir Stoneheart per poter fare sesso con te?»
«Nulla. Mi sono offerta io di dargli sollievo e di fargli provare qualcosa di bello. Sono molto brava, sa? Riesco a prendere anche i me…»
«Non lo voglio sapere!»

 

La cosa era alquanto preoccupante. Il procione aveva ragione, la volpe era la vera colpevole… e la cosa è che ne era fiera.

 

«Senti, Jack… perché hai cercato quel tizio? Perché sei così ossessionato dal sesso?»
«Mi chiamo Jacqueline! -disse la volpe, comportandosi come una bimba viziata -se non mi chiama Jacqueline io non dico nulla!»

 

Minacciò, per poi gonfiare le guance. Bogo sospirò esasperato e si massaggiò la radice del naso.

 

«Ascoltami bene, volpe. Non mi importa se vuoi farti chiamare Jacqueline o Jackie o Jack o come diavolo ti pare! Ora tu devi rispondere alle mie domande con sincerità, va bene?»
 

Lo minacciò, sbattendo il pugno sul tavolo, con tanta forza da far sobbalzare dalla paura la volpe che strinse a sé la coda, tremando.

 

«V-va bene… H-ho cercato Sir Randall… perché voleva conoscermi… e papà mi diceva sempre che è un bel gioco se si fa insieme a qualcuno.»
«Tuo padre? È ancora vivo?»
«No… vivo da solo ormai. Papà mi ha insegnato tutto. Anche su come provare piacere attraverso il dolore… ma non mi piace affatto…»

“Merda… -Pensò Bogo -Una volpe che ha subito quasi solo stupri e lavaggi del cervello dal suo stesso padre… e in più l’ha anche menato probabilmente… e ora?”

«Va bene, ragazzino. Ora però devi assolutamente cambiare vita. Puoi migliorare, no? Puoi smettere di essere un marchettaro e…»
«Ma a me piace! Conosco un sacco di persone così e molti di loro mi danno anche da mangiare!»

 

Disse la piccola volpe, scodinzolando come un bambino. A quella frase, Bogo pensò che forse l'avrebbe potuto usare per bloccare il traffico di prostituzione minorile a Zootropolis, decise quindi di far “cantare” il piccolo.

«Queste persone, puoi dirmi i loro nomi?»
«Certo! Sono il Signor Julius del giornale di Zootropolis, poi…»

Disse Jack iniziando a dire i nomi di tutti i suoi “amici” o clienti.

«…infine c'è anche il proprietario dell'Yggdrasill, ma non ha mai detto il suo nome. E si è sempre rifiutato di giocare con me. Però mi faceva mangiare e bere gratis al suo locale.»

Disse, riferendosi a un certo lupo che -per grazia divina -non era un perverso figlio di puttana da potersi portare a letto una volpe di quattordici anni.

«Ok, è tutto. Grazie mille Jack… Jacqueline.»

Disse Bogo, vedendo che la volpe si era quasi offesa a farsi chiamare Jack, per poi sorridere felice e scattò per mettersi davanti al capitano della polizia.

«Vuole giocare con me?»

gli chiese con un sorriso dolce, facendo deglutire il bufalo per l'agitazione.

«No. Vattene ora. Vedrò di chiamare i servizi sociali per farti dare una casa.»

Disse, rabbrividendo dallo schifo. Si sentiva sporco, anche se non aveva fatto nulla di male alla volpe. Quasi invidiava Judy e Nick che si erano presi la licenza per quel giorno, pur di non essere là.

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