Assassin's squad

di Reddle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
Devo andarmene di qui.
Sono qui sotto da troppo tempo, non sono più insieme alla mia squadra.
È solo colpa mia.
Ho preso la decisione sbagliata e adesso ci danno la caccia come topi da laboratorio mentre noi impazziamo cercando l'uscita.
Trattengo il fiato, mi sporgo oltre l'angolo per assicurarmi che non ci sia nessuno e poi ricomincio a correre con la pistola carica stretta tra le mani. È la stessa pistola di sempre, ma ho la sensazione che pesi di più ad ogni passo.
Comincia a mancarmi il fiato, mi fermo appoggiando al muro la testa e chiudo gli occhi per un secondo.
Quando li riapro e vedo il muro di fronte a me venirmi incontro.
La paura si fa strada nelle mie vene, avanza e trasforma il mio sangue in una sostanza gelatinosa.
Espiro, mi volto e riprendo la mia folle corsa.
Il fiato mi si spezza in gola e i corridoi diventano sempre più scuri mentre il muro mi rincorre.
Svolto, sbandando, alla mia destra e mi ritrovo in un vicolo cieco.
Nonostante non ci sia luce, vedo abbastanza per capire che lo spazio attorno a me rimpicciolisce ogni istante.
Lascio cadere la pistola e inizio a piangere.
Mi faccio il più piccola possibile in un angolo tirandomi le ginocchia al petto, aspettando di morire.
Sento il muro premere contro la punta dei piedi, mi alzo appiattendomi contro il muro, ma in pochi secondi le pareti schiacciano il mio torace in una morsa costringendomi a far uscire tutta l'aria che trattenevo nei polmoni.
Sento le ossa che scricchiolano, gli organi che si schiacciano, i muscoli che inutilmente oppongono resistenza.
Vorrei urlare ma non ho fiato.
 
E poi il buio. 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO  UNO
 
Apro di scatto gli occhi respirando a pieni polmoni. Sono nel mio nuovo letto. Nella mia ennesima nuova casa.
Un incubo. Solo l'ennesimo incubo.
I sensi di colpa non mi lasciano andare.
Mi alzo. Lascio che i miei lunghi capelli rossi mi ricadano disordinati sulle spalle ed esco sul balcone. Ho pochi minuti prima che il sorvegliante di turno bussi alla porta. È per il mio bene, hanno detto i miei superiori. Eppure io mi sento solo in gabbia. Sono un’assassina, sono stata addestrata per essere sfuggente, non per starmene tranquilla a farmi sorvegliare giorno e notte.
 
Quindi, adesso basta.
 
Rientro lasciando la porta del balcone aperta, che il cagnolino si preoccupi per la mia incolumità, infondo lo pagano per questo.
Prendo le forbici dall'isola della cucina e vado in bagno davanti allo specchio. Impietoso mi rimanda la mia immagine. Un viso pallido, due occhi azzurri che a tratti spuntano dalla frangia rosso fuoco. Da quando sono sopravvissuta ho tralasciato la cura del mio corpo. E sono passati quasi due mesi.
Con attenzione comincio a tagliarmi i capelli che ricadono in tristi spirali rosse sul pavimento. Cinque minuti dopo ho terminato.
Bussano alla porta, con studiata calma vado ad aprire.
"Ciao cagnolino, come te la passi 'sta notte?"
Mi studia per qualche frazione di secondo.
"Chiuda la finestra quando torna a letto, potrebbe raffreddarsi" e torna ad appoggiarsi al tavolo sull'altro lato del corridoio.
Ghigno e chiudo la porta con un piede.
Quando la gente è abituata a vederti con i capelli in un certo modo, specie quando ti arrivano al fondo schiena, un cambiamento drastico li lascia spiazzati.
 
Mi sveglio che sono già le dieci passate. Il bagno è stato ripulito e io mi faccio tranquillamente la doccia.
Ho deciso di ricominciare.
Ho deciso di ricominciare ad essere una persona normale, normale quanto un sicario possa esserlo. Mi vesto ed esco sul balcone a fare colazione ascoltando distrattamente le voci che mi arrivano dalla strada. Mi restano impresse soltanto alcuni stralci di conversazioni del bar di fronte. Mi sporgo di poco dalla ringhiera, sono le voci di alcuni ragazzi in fermento per la serata che si terrà all’Honeymoon quest’oggi.
Mentre mangiavo, i capelli mi si sono asciugati arricciandosi leggermente, dopo un rapido sguardo allo specchio decido che non sono male ed esco con le chiavi dell’appartamento in tasca.
Torno in ufficio, tranne la breve sosta di due mesi fa, è quasi un anno che non ci metto piede.
Impiego solo pochi minuti.
Non mi ero resa conto che il mio appartamento fosse così vicino.
Il cagnolino, che mi segue da vicino, sembra sorpreso della nostra destinazione.
Attraverso la porta automatica e tutti gli occhi si puntano su di me all’istante.
Li ignoro e tranquilla proseguo verso l’unica porta verde.
La segretaria del capo si mette tra me e la porta costringendomi a fermarmi.
Mi indica una poltroncina.
“E’ occupato, siediti ed aspetta”
“Sono di fretta, lasciami passare”
“Lascia che entri, il capo capirà” mi appoggia il mio sorvegliante per poi accendersi una sigaretta. Lei si sposta. 
Mentre entro, la vedo strappare di mano al mio cagnolino la sigaretta e poi buttarla nel cestino, sorrido.
Mentre mi chiudo la porta alle spalle il mio sorriso sparisce.
Lui si gira.
“Ti richiamo”, riattacca il telefono, e mi fissa. I sui occhi fissano i miei. Il nero pece dei suoi contro l’azzurro mare dei miei. Non mi siedo, non mi sono mai seduta su quelle poltroncine, ho sempre preferito mettere una certa distanza tra me e lui. Non mi muovo di un millimetro.
Lui sorride.
“Felice di rivederti, ti aspettavo con ansia a dire il vero. Qualcosa per te lo avrei anche, ma è da fare subito. Lo  tenevo da parte da un po’ in effetti, ma resta il fatto che non hai una squadra”
“Hai sempre una soluzione per tutto,no? Non siamo tutti tue pedine in fondo?”.
Mi giro ed afferro la maniglia: “A proposito il guinzaglio mi va stretto, provvedi per favore”.
Ritrovo finalmente l’uso corretto delle gambe e me ne vado. Cammino, quasi corro, fino alla prima banca che incontro. Prelevo parecchi contanti, uno dei privilegi che mi piacciono di più, contante sempre disponibile in qualunque stato dei 5 continenti ti trovi.
Con tutta la calma del mondo guardo le vetrine di tutti i negozi che incontro. Nessuno mi segue da quando sono uscita dall’ufficio.
Entro in un negozietto carino e colorato. Ne esco dopo una trentina di minuti con un paio di borse.
Torno a casa.
So perfettamente che del capo posso fidarmi, ma il fatto di non sapere cosa ha progettato mi matte in uno stato d’ansia.
Scaccio il pensiero con una mano.
Per sta sera non voglio pensarci.
Finisco il lavoro del vento arricciando ancora un po’ i capelli, mi cambio e scendo in garage.
Scelgo la mia preferita, una giulietta rosso metallizzato e vado.
Arrivo all’Honeymoon quando il parcheggio è quasi esaurito. Dentro si riesce appena a respirare.
Mi fermo al banco e ordino da bere. Come di consueto mi serve Christian.
“Ehi! Finalmente ti si rivede!”
“Libertà vigilata.. Dammi da bere va’!”. Mi passa un bicchiere vuoto, lo riempie “se apri la serata è gratis” mi dice accennando alla postazione del dj ancora vuota. Impiego mezzo secondo per decidere. Afferro il bicchiere e vado in postazione. Mi metto le cuffie, le luci si abbassano e il primo pezzo comincia.
Mi perdo tra un pezzo e l’altro che sfumano insieme. Non penso.
Mentre l’alcool entra in circolo mi concentro solo sulla musica.
Mi sento osservata.
Tra la troppa gente ed il fumo, però, non capisco da chi.
La sensazione scompare quando un ragazzo con una particolare collana si volta verso l’uscita.
Devo seguirlo.
Cerco di non perderlo tra la folla, ma non mi riesce, c’è troppa poca luce e il fumo mi confonde.
Un altro pezzo mi si spegne nelle cuffie, prima che possa fare qualunque cosa Christian sale sul palco: “Cambio della guardia gentili signori!  Annette lascia il posto a Simon!”
Corro letteralmente giù dal palco, urto qualcuno, sto per cadere. Prima che il mio equilibrio venga compromesso del tutto una mano mi afferra, appartiene a Chris che mi lascia subito libera di scappare. Non lo ringrazio neanche, semplicemente me ne vado.
Esco.
Improvvisamente tutta la stanchezza della giornata si riversa sul mio corpo, l’aria fredda, almeno, mi schiarisce le idee.
Mi sento di nuovo osservata. Mi volto appena in tempo per vedere lo stano colore degli occhi dello stesso ragazzo di prima.
Cremisi.
Quegli occhi mi si imprimono a fuoco nella testa, riempiono i miei pensieri.
Tormentano i miei sogni.

Mi sveglio in un bagno di sudore quando la sveglia sul comodino segna le cinque di mattina. Ho dormito si e no tre ore. C’è qualcosa che mi sfugge, la stanza mi sembra diversa. Mi concentro e trovo la differenza, una piccola spia rossa proveniente dalla cucina, la mia segreteria.
Lentamente mi alzo dal letto, percorro il corridoio ed ascolto il messaggio. Riconosco il proprietario della voce, è il mio capo, come di consueto non si dilunga in spiegazioni.
“Alle 14,30, sul tetto, oggi”.
Nient’altro, il telefono tace e la lucina si spegne.
Quindi è vero, ritorno nel giro, la mia nuova squadra è pronta.
Quando esco di casa con il solo scopo di tagliare in modo decente i miei capelli per fare una buona impressione mi sento un po’ infantile.
Con gli altri non c’è mai stata una prima impressione. Siamo stati addestrati insieme. Siamo stati addestrati  per lavorare insieme. Il cagnolino, che ieri mi ha seguito fino in agenzia, oggi resta fermo a fissare la porta del mio appartamento. Non prendo la macchina, ho scoperto che c’è un parrucchiere vicino a casa, comunque conoscendo il capo partiremo subito e lasciare la mia macchina in un parcheggio pubblico per non so quanto non mi va a genio. Arrivo al salone in pochi minuti ed entro. Mi accoglie un ragazzo con i capelli lunghi e gli occhiali, talmente aggraziato e con dei lineamenti così delicati da sembrare una ragazza, che mi fa accomodare nella sua postazione. Nello specchio vedo il suo sorriso mutare in una smorfia mentre studia l’entità del danno che ho fatto l’altra notte. Mentre comincia ad accorciare i miei capelli centimetro per centimetro si sposta una ciocca di capelli sfuggita all’elastico permettendomi di leggere il nome inciso sulla targhetta dorata, Jim. Quando l’orologio sul muro batte le 12, ha già finito e io mi incammino verso il luogo dell’incontro. È presto, ma voglio essere puntuale.
Il campanile della chiesa dietro le mie spalle batte il primo rintocco delle 14 ed io apro la porta che da sul tetto del museo.
Cinque teste di voltano nella mia direzione.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO  DUE
 
Li guardo in faccia, uno per uno.
Riconosco solo tre di loro mentre prendo il mio posto nel cerchio intorno al capo.
“il tempo a nostra disposizione purtroppo è poco quindi ti presento subito alle i tuoi subordinati.
Partiamo dal ricercatore laureato in lingue, Rufus Grimm. È la prima volta che svolge una missione sul campo, sei pregata di avere un occhio di riguardo per lui.
Questo invece è il nostro trasformista, potresti anche conoscerlo, Christian De Villiers. Ha portato a termine tre incarichi individuali.
Questo qui che sembra una ragazzina è Jimmy Chalton. Nonostante le dimensioni fisiche non bisogna sottovalutare la sua forza fisica, possiede inoltre un ottima manualità e a proposito, ottimo taglio ragazzo. Solo un incarico completato.
Lui è Marcus Torres, ottimo stratega oltre che pilota eccezionale, preferisce il lavoro di squadra, quattro incarichi collettivi, uno solo singolo.
Per ultimo, il tuo più grande problema. Tobias Aomine. Seriamente Red sono anni che chiunque prova a fargli rispettare gli ordini.
Ragazzi questa è Annette Ferrari, è il vostro diretto superiore.
L’elicottero vi porterà al cargo. Il volo non sarà lungo preparatevi adeguatamente.
Buona fortuna”
Non ci lascia il tempo di emettere un fiato, pochi attimi ed è già sparito dentro l’edificio.
Le pale dell’elicottero che non avevo ancora notato cominciano a girare, uno ad uno saliamo e l’elicottero si dirige verso l’aeroporto di un'altra città.
Il cargo ci attende sulla pista più distante dalla struttura principale. Di fronte al carico ammassato c’è una file di posti a sedere. Soltanto il bibliotecario ci si siede e da bravo bambino si allaccia la cintura, il resto di noi si sistema dove capita, io mi siedo sul pavimento appoggiando la schiena ad una cassa.
Pochi minuti e i motori si accendono. Chiudo gli occhi ed attendo la partenza.
Li riapro quando sento che l’aereo ha raggiunto la quota di volo e noto la buffa faccia del bibliotecario.
“prima che ti esploda la faccia perché non ci riveli il motivo di tanta agitazione bibliotecario?”gli domando facendo fatica a trattenere le risa, sentirsi rivolgere la parola ha fatto diventare la sua faccia scarlatta.
“pensavo che dovremmo discutere sul piano da seguire e soprattutto su quale sai la nostra missione”
“se ci tieni, apri lo sportello sopra di te e prendi quello che c’è dentro”. Ne tira fuori un foglietto e uno zaino. “Avanti leggi”lo esorto.
“Dice: Questo è un paracadute, qualcuno insegni a Rufus come usarlo, in quello di Red c’è la mappa con il punto di atterraggio. P.S.: l’aereo non ferma a Dubai”. Mentre crolla sul suo sedile sbianca e io sorrido.
L’aereo comincia ad incontrare qualche turbolenza e tutti ci sistemiamo meglio.
Sento il sonno avvolgermi poco a poco, qualcuno si siede al mio fianco. Non provo neanche a guardare chi sia, so che posso fidarmi di loro.
 
                                                                                              ***
 
Sento il motore che gira sotto i piedi, la musica ci assorda ogni volta che Matteo schiaccia con troppa forza il pedale dell’acceleratore. Sono circondata dalle risate dei miei compagni di squadra. Chiacchieriamo del più e del meno, del tutto incuranti di quello che ci aspetta una volta arrivati.
Il pensiero di quella prima missione insieme(e di quello che comporta), mi colpisce in pieno mentre l’ennesima canzone di quel viaggio infinito si spegne. La mano di Matteo scivola dalla leva del cambio alla mia. Faccio un bel respiro, quel semplice contatto vale fin troppo, sentirlo lì, vicino a me e pronto ad aiutarmi mi fa stare fin troppo bene. Mi volto verso di lui, un grazie appena udibile esce dalle mie labbra, lui sorride e scolla le spalle. Gli altri tre seduti sul retro del cassone del pickup non badano più ne a noi ne alla musica. Torno a guardare la strada mentre le mia mano afferra l’impugnatura in legno laccato della pistola che porto infilata nella cintura.
Due grosse auto nere sono ferme in mezzo alla strada a meno di un chilometro da noi.
Siamo arrivati, la prima missione della squadra ha inizio.
 
                                                                                              ***
 
Sento qualcosa di morbido e con un buon profumo sotto la guancia ancora prima di capire qualcuno mi sta parlando.
“Ehm, Ann, svegliati, dobbiamo scendere”, apro gli occhi e mi rendo conto che sono appoggiata alla spalla del ragazzo con gli occhi rossi, che mi guarda a metà tra il divertito e l’imbarazzato. Mentre una strana sensazione mi invade mi alzo ed indosso il mio paracadute.
Armeggio con il portellone.
“se non mi andasse di seguire i tuoi ordini?” Aomine. Me lo aspettavo.
“Se hai paura di buttarti con il paracadute puoi sempre scoprire dove atterra questo aereo”. Finalmente riesco ad aprire il portellone e senza esitazione mi butto.
L’aria oppone resistenza alla caduta del mio corpo trafiggendomi con migliaia di spine ghiacciate.
Se aprissi il paracute l’impatto con l’aria non sarebbe così forte , ma sono ancora troppo in alto.
Le spine diventano pizzichi, l’ossigeno nell’aria aumenta e la temperatura si alza.
Apro il paracadute e in pochi minuti atterro, quasi con grazia, sul tetto di un edificio che avrebbe bisogno di una riverniciata. Mentre mi libero della tuta e dell’imbragatura, uno dopo l’altro arrivano anche gli altri. Il caldo ci spinge ad entrare il più velocemente possibile. Mi siedo sui gradini che portano alla cantina e aspetto il mio turno per uscire. Il primo è Rufus.
La strana sensazione che mi segue da quando mi sono svegliata sull'aereo non è ancora scomparsa. È come se avessi già vissuto una cosa simile, con qualcuno di diverso, come in un'altra vita, quando Matteo faceva ancora parte delle mie giornate.
Non era la prima missione della squadra, eravamo già soprannominati gli Skyrunners.
Eravamo in attesa di essere recuperati ed ero ceduta al sonno. Mi avevano svegliato le pale dell’elicottero, ero appoggiata alla sua spalla mentre lui mi stringeva protettivo tra le braccia.
Il mio GPS suona riportandomi alla realtà. Sullo schermo è comparso un puntino lampeggiante. Esco e seguo il percorso che mi indica. Per strada non c’è molta gente, ma cammino veloce ugualmente e in dieci minuti circa mi ritrovo davanti ad una graziosa villetta bianca con tanto di fiori colorati sul balcone. Percorro con lo sguardo le abitazioni circostanti e il cancello si apre mentre la voce metallica mi invita ad entrare chiamandomi con il mio nome di battesimo ed usando un vocabolario alquanto colorito.
Devono aver lasciato Aomine di guardia.
Mentalmente mi appunto di fargliela pagare mentre giro il pomello della nostra base.







Se siete arrivati qui l'autrice vi ringrazia :)

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO TRE
 
“Sono arrivate le indicazioni sulla missione” mi accoglie serio Rufus, la sua espressione non mi piace affatto.
“Aspettiamo Jimmy e poi ci aggiorni. Intanto,dov’è tutta l’attrezzatura?”
Mi indica con la mano una porta. Sono tentata di entrarci subito, ma il mio stomaco mi ricorda che l’ultimo pasto risale a questa mattina. Seguo le voci e trovo la graziosa cucina già occupata da Marcus e Tobias.
Entrambi si zittiscono non appena attraverso l’arco della porta.
“Continuate pure, e dato che sono presente, magari posso intervenire nella conversazione. Ero io l’oggetto del dibattito no?” li esorto prendendo uno snack dal frigorifero.
“Non è necessario, abbiamo finito”mi risponde senza guardarmi il ragazzo dagli occhi rossi.
“Non abbiamo finito per niente! Ci tieni ad intervenire? Bene, allora spiegami come posso essere sicuro che non ci farai ammazzare tutti?”
“Sono pagata per tenervi in vita, non ho intenzione di farvi uccidere”.
“Scusa, ma non avevi intenzione di far uccidere neanche gli Skyrunners, eppure sei l’unica sopravvissuta” obietta Jimmy, arrivato nel frattempo insieme a Rufus e Chris in cucina.
“Primo, non c’è la certezza che siano morti. Secondo, quando Skyrunner mi ha lasciato il comando della squadra eravamo già in una situazione altamente compromessa e terzo, non ho intenzione di prendere decisioni drastiche senza consultarvi.
Detto questo, qui gli ordini li do io. Chi avesse problemi con questo può andarsene anche ora” mi sfogo e li guardo uno ad uno.
Tutti mi fissano di rimando.
Quando il silenzio comincia a diventare opprimente Rufus ci fa segno di trasferirci in soggiorno.
“Ehm.. ok, l’obbiettivo è il contenuto di una cassetta di sicurezza in una delle banche in centro” ci distribuisce dei foglio con i punti fondamentali.
“Secondo le informazioni in nostro possesso la famiglia De Villiers possiede almeno una cassetta di sicurezza nella stessa banca, ne sai di più?”chiede rivolto a Chris.
“Faccio una telefonata e ti faccio sapere”.
“Intanto, ecco a voi la pianta dell’edificio” ,preme un tasto sul telecomando e al posto del grosso quadro appeso sopra al caminetto appare uno schermo tv acceso. La cosa che più risalta nell’immagine sono i puntini rossi sparsi quasi ovunque.
“I pallini rossi sono..”
“Le telecamere, si” risponde Rufus alla mia domanda lasciata a metà.
“E quindi?” chiede Jimmy visibilmente preoccupato
“Ci stiamo ancora lavorando, ma l’idea generale è che lui e qualcun altro entrino dalla porta principale”risponde Rufus indicando De Villiers.
“Spero che tu stia scherzando! Non posso entrare, minacciare qualcuno per farmi entrare nel caveau e mettermi a rubare davanti al grande fratello!”
“Se la tua famiglia possiede una delle cassette di sicurezza non dovrai minacciare nessuno e in ogni caso tu non sarai tu ad effettuare il furto.Quindi, avete o no queste cassette?”obietta alzando un sopracciglio Marcus.
“Si, due ad essere precisi, una contiene contenti e gioielli, mentre all’altra ha accesso solo mio padre”
“Perfetto, quella con i gioielli basta e avanza. Marcus puoi seguirmi di sopra? Voglio buttare giù in idea più precisa per il piano”si gira e si avvia verso le scale.
C’è qualcosa che non mi convince.
Scorro attentamente il foglio con le direttive che ci ha distribuito.
Manca una voce,forse la più importante.
“Aspetta!”mi esce incontrollato dalla bocca.
Rufus si ferma con i piede già sul primo scalino deglutendo.
“Qui non dice niente su come torneremo a casa, ci hai già pensato?”
“In effetti si, speravo che nessuno se ne accorgesse, sto ancora aspettando che mandino spiegazioni dall’ufficio”.
Purtroppo so che non arriveranno.
“Non ti diranno un bel niente dal tuo cazzo di ufficio! Non hanno scritto niente perché dobbiamo arrangiarci, nessuno di noi te l'ha fatto notare solo perché sapevamo già cosa significava!”sbotta Aomine.
“I – in che senso arrangiarci?” balbetta il bibliotecario.
Inspiro, espiro.
“Significa che se vogliamo tornare a Milano dobbiamo trovare un mezzo di trasporto sicuro, per noi, per le armi e per quello che ruberemo” risponde Marcus battendomi sul tempo.
“Significa anche che se qualcosa dovesse andare storto l’agenzia non verrà coinvolta, non avremo nessuno se non noi stessi a coprirci le spalle”concludo.
“Quindi c’è anche da trovare un aereo..”mormora appuntandosi qualcosa sulla prima pagina della pila di fogli che ha in mano.
“Lascia perdere gli aerei, ci sono troppi controlli, con delle armi da fuoco è probabile che non ci facciano neanche avvicinare ad un jet privato, figuriamoci un aereo di linea” lo fermo subito.
Lui annuisce e pensieroso sale verso il piano di sopra seguito da Marcus.

Aomine approfitta del maxi schermo e di dedica ai videogiochi, mentre Jimmy sparisce in direzione della cucina, a preparare la cena spero.
Chris rimane appoggiato al muro nello stesso punto in cui era due minuti fa.
Gli faccio cenno di seguirmi e scendo nel seminterrato.
In questa stanza ricoperta da tappeti, armi da fuoco, di vario genere e calibro, e da monitor di computer mi sento a casa.
Chris mi raggiunge e si siede sulla piccola gradinata laterale. Sospira.
Io non mi siedo, non riesco a non far andare le gambe. Camminare mi aiuta un po’ a fare chiarezza nel casino che ho in testa, un'unica domanda su tutte continua a ronzare tra i miei pensieri.
“Perché?”gli chiedo, vorrei vedere la sua espressione, ma lui la nasconde sotto i capelli biondi.
“Perché cosa?”
“Perché non mi hai mai detto nulla?”mi trattengo appena dall’urlare,ma non mi risponde, continua a fissare il pavimento.
“Da quanti anni vengo a in quel bar? e scopro solo adesso che anche tu vieni pagato per uccidere delle persone, che lavoriamo anche agli ordini della stessa persona!" mi scappa un sospiro.
"Per quale ragione devo essere sempre l’ultima a sapere le cose?”.
Il suo restare in silenzio mi confonde, mi agita. Ricomincio a macinare chilometri.
Sento dei passi alle mie spalle, mi volto, è a un passo da me, se fosse più vicino non lo vedrei in faccia. In un attimo torno ad essere la ragazzina di diciotto anni, traumatizzata dal primo incarico, bagnata fradicia a cui ha offerto da bere quella sera di tanti anni fa.
“Perché avrei dovuto dirti qualcosa? Quando ti ho trovato davanti al bar a prendere freddo stavo ancora aspettando il mio primo incarico, non ti conoscevo”
Abbassa la testa in modo che i nostri occhi si possano incontrare.
“Sei tornata molto spesso, finchè di colpo non sei sparita. Sei tornata qualche settimana dopo con i tuoi amici. Erano volti famigliari è vero, ma non eravate ancora così famosi, spesso i nostri incarichi coincidevano e quindi non notavo l'assenza. Mi hai confermato i sospetti quando, dopo il fallimento della missione degli Skyrunners, sei scomparsa per mesi”. 
“E ieri sera?”
Chiude gli occhi, come se soppesasse le parole.
“Ieri sera eseguivo soltanto gli ordini. Pensavo che avessi ricevuto ordini similari pure tu, giuro che non sapevo che tu non sapessi nulla! Mi dispiace Ann”.
Mi abbraccia, i suoi abbracci sono talmente rari che non mi ci abituerò mai.
“Scusa”.
“E per cosa? Sapevo che prima o poi mi avresti fatto delle domande” mi sorride come avessimo appenda finito di fare quattro chiacchere amichevoli.
“Potevo comunque evitare di prendermela con te" mi libero dal suo abbraccio.
" È che da quando siamo tutti insieme, mi sento come una cavia da laboratorio. Tu e tutti gli altri avete avuto tempo di studiarmi, di osservarmi, di provare a capirmi, mentre io mi sono ritrovata catapultata qui. Ieri sera al locale c’erano anche Marcus e Jimmy vero?”
Lui annuisce e mi riavvolge nel suo abbraccio.
Chiudo gli occhi, dare voce a quello che mi girava in testa mi ha fatto capire quanto tutto ciò mi abbia turbata in realtà.
Sento le lacrime premere contro le palpebre, mi sento sollevata che il mio crollo emotivo sia stato visto da qualcuno che conosco da più di mezza giornata.
Credo che Chris abbia capito che sono altrove perché mi lascia andare e torna al piano di sopra chiudendo dietro di se la porta.
Faccio qualche passo a vuoto nella stanza, per poi dirigermi verso il sacco da box su cui sfogo la mia frustrazione.
Lo colpisco con tutta la mia forza, lui sbatte contro il muro e torna indietro, lo colpisco di nuovo cercando di buttare fuori tutti i pensieri che potrebbero distrarmi dalla missione attuale, compreso il sentirmi una cavia.
Pugno, muro, altro pugno, annullo i pensieri, mi concentro sul ritmo del mio respiro.
Rimetto insieme i pezzi di ciò che ero. Una macchia fatta per uccidere, eseguire solo il compito assegnato. Ecco quello che dovrei essere, dovrei essere in grado di dividere realtà e lavoro, non sono mai stata capace di farlo molto a lungo.
 
“Se credi di essere ancora in grado di tenere le posate in mano la cena è pronta”
Marcus, non l’ho sentito arrivare, vorrei chiedergli come fa.
Invece fisso le mie mani, ho le nocche quasi scorticate e i palmi in fiamme, ha ragione.
Forse non sarei in grado di reggere una forchetta, ho male fino ai polsi. Mi passa un rotolo di bende e una pomata “La prossima volta usa i guantoni, ti aspettiamo di sopra”.
Se fosse stato uno chiunque degli altri che mi aspettano in cucina mi avrebbe di certo preso in giro per il mio stato. Mi è quasi parso di sentire apprensione nella sua voce.
 
Mi siedo a tavola con le mani fasciate. Quando le vede, Aomine, sogghigna, per il resto in cucina regna il silenzio più assoluto.
Quando comincio a sentirmi oppressa decido di punzecchiare Rufus “Niente chiacchiere inutili bibliotecario?”
Lui sobbalza “In verità una domanda la avrei”.
“Spara”
“Come ci siete finiti a fare questo lavoro?”chiede con lo sguardo più innocente del mondo.
“Di tutte le domande possibili, tu scegli questa?”rispondo ridendo istericamente
“Guardaci bene, accetto Chris, penso che ci siamo finiti tutti allo stesso modo. Famiglie assenti o passaggio continuo da una affido all’altro, siamo qui perché questa è la nostra migliore occasione” continuo sogghignando, loro non mi contraddicono, so che ho ragione, riconosco fin troppo bene la gente come me.
“Lui invece è finito in mezzo a questo gruppo di persone dalla dubbia moralità solo perché è un giovane troppo ricco ed annoiato, tu?”concludo indicando col mento Christian.
“Io? Avete idea di quanto mi pagano per star dietro una scrivania? Ho ripagato tutto il debito scolastico con un solo stipendio!”
Chris scoppia a ridere seguito dagli altri e la tensione, dentro di me e tra di noi, si affievolisce.
Finiamo la cena in un clima allegro e leggero, riusciamo persino ad organizzarci per fare dei turni per lavare i piatti. Oggi tocca a me Chris.
Appoggio il mio piatto nel lavello e mi schiarisco la voce. Tutti e cinque si voltano verso di me.
Respiro.
“Entrerò io insieme a Christian nella banca”.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***



Festeggiando il mio foglio rosa e l'inizio dei mondiali di Pallavolo, ecco a voi il quarto capitolo!
Buona lettura :)



CAPITOLO QUATTRO
 
"Vai a letto presto oggi"
Sussulto con la mano sulla porta.
"Domani dovrò divertirmi a fare la fidanzatina oca di un frivolo ragazzo ricco, ho decisamente bisogno di una bella dormita" gli sorrido e apro la porta, Marcus appoggia la sua mano sul mio braccio, il suo tocco è talmente leggero e fresco che sembra neve.
"Non ti perderò d'occhio neanche un secondo"
"Non c'è bisogno che tu lo ripeta, mi fido dI te"
Incrocio i suoi occhi rossi per qualche secondo più del dovuto.
"Mi fa piacere." Sorride.
"Buonanotte " mi lascia il braccio e torna al piano di sotto.
Con gesti meccanici mi cambio e vado a letto.
Chiudo gli occhi e ripenso a quello strano e quasi naturale scambio di battute. Non capisco come faccio a sapere che lui era sincero, che le sue parole erano prive di ironia.
Forse, però, lo conosco il motivo.
Forse ho solo paura di ammetterlo.
 
Vengo svegliata da qualcuno che bussa alla mia porta. Non faccio in tempo ad aprirla che Jimmy entra come una furia. 
Non mi concede neanche il tempo di aprire bocca per protestare, mi ficca tra le braccia una dozzina di vestiti indicandomi il bagno.
Senza troppo entusiasmo mi provo il primo completo. Scomodo e privo di possibili nascondigli per una pistola.
Marcus ci sorveglierà, é vero, ma trovo comunque rassicurante il contatto con il freddo metallo di una piccola revolver. Il secondo completo, pur non essendo il massimo della comodità, è un passo avanti. Con la vana speranza che Jimmy abbia avuto a cuore la mia sanità mentale, e fatto portare una tazza fumante di caffè, torno in quella che fino a dieci minuti fa era la mia stanza, trasfomata nel camerino di una sfilata d'alta moda.
Tre paia di occhi mi si piantano addosso, ma io ho occhi solo per la tazza di caffè che Chris ha in mano per cui ignoro i commenti sul mio abbigliamento. 
Non deve essere sembrato adeguato, sono spedita indietro nel giro di un minuto o poco più con l'ordine di provare il vestito bianco con il pizzo.
Lo individuo nel mucchio, che poco elegantemente ho buttato sul pavimento, e lo provo. È comodo, mi permette di muovermi agilmente e la gonna può tranquillamente nascondere la pistola. Metto anche i sandali con tacco abbinati. Non sono più abituata a questo genere di abbigliamento raffinato e vedermi riflessa nello specchio, mi fa un certo effetto.
Rufus, per nulla preoccupato del fatto che io potessi avere addosso solo la biancheria intima spalanca la porta del bagno annunciando :"caf.."
Mi giro verso di lui e lo vedo sorridere compiaciuto mentre mi porge la tazza.
"Signor De Villiers le presento la sua incantevole fidanzata" si inchina invitandomi ad uscire.
Con la tazza fumante e con poche eleganti falcate mi fermo al centro della stanza.
"Se trovassi davvero una donna cosi, penso che la sposerei all'istante"
"Chris occhio che cominci a sbavare"
"Sai sempre come rovinare le mie fantasie! Potrai anche vestirti bene, ma rimani la solita stronza ".  Mi fa la linguaccia come un bambino dell'asilo.
"Si, il vestito va bene, adesso però.." mormora Jimmy sempre assorto.
Nessuno parla. L'unico suono viene da me, non sono capace di bere da una tazza senza fare rumore.
Jimmy comincia a girarmi in torno, lo seguo con gli occhi finché non incrocio quelli di Marcus.
Non mi stanno solo studiando in relazione al compito che devo svolgere, è come se mi scavassero dentro, come se fossero alla ricerca di una risposta.
Mi mette a disagio.
"Ok, tutti fuori adesso! Ci troviamo alle 10.30 nel seminterrato, non voglio essere interrotto" li congeda Jimmy. Come pochi giorni prima mi fa accomodare davanti ad uno specchio. Questa volta però non sorride affabile e non prende in mano un paio di forbici.
Mi raccoglie i capelli facendoli aderire alla testa il più possibile. Poi passa ai cosmetici. Io chiudo semplicemente gli occhi, non sarei di grande aiuto, non sono mai stata una grande fan del make up.
Per le missioni, o per le rare occasioni in cui io e Matteo riuscivamo ad uscire da soli,ci pensava sempre l'altra ragazza della squadra.
                                                                                               ***
"Fatto! Puoi aprire gli occhi Red! "
"Sicura che per quello che devo fare vada bene? Mi sento troppo appariscente"
"È proprio questo il punto, testona, se non sei appariscente come credi di poter attirate l'attenzione di quel tizio?"
Sospiro. ha ragione in fondo.
"Non credo di essere la scelta giusta, il file dice che preferisce le ragazze spiritose e spigliate, io mi impappino se devo dire quattro parole dietro fila!"
Mi appoggia il mento su un spalla e mi sorride dallo specchio "Andrai benissimo, pensa che l'obbiettivo sia il famoso ragazzo dagli occhi azzurri"
"Temo che immaginare che ci sia Skyrunner seduto al tavolo di fronte a me non aiuterebbe" il riflesso della mia faccia ricorda il colore dei miei capelli mentre parlo.
"Sei senza speranza amica mia. Andiamo, è tardi"
                                                                                              ***
“Ho finito, scendiamo dagli altri, è ora”
Mi  trascina via dalla sedia.
Con la coda dell’occhio vedo lunghi capelli castani che mi ricadono in morbidi boccoli sulla schiena.
Una parrucca tenuta ferma da un elegante cappello bianco ornato da una fascia rosa pallido e qualche fiore. Questo spiega il peso aggiunto alla mia testa.
Scendendo di corsa le scale del seminterrato rischio di inciampare un paio di volte, sperando che nessuno lo abbia notato prendo posto accanto a Christian.
“Se la nostra star riesce a restare sui tacchi..” ecco,appunto.
“Dacci un taglio Aomine!” rispondo piccata.
“Red questa è tua” Marcus mi lancia una piccola revolver dentro una fondina che allaccio attorno alla coscia.
“Tu e De Villiers entrerete dall’ingresso principale, le vostre fondine sono rivestite da un particolare materiale che non fa scattare i metal detector dell’ entrata. Rufus cercherà di entrare nei server delle banca da qui insieme a Jimmy, mentre io seguirò ogni vostra mossa dal tetto del palazzo a fianco.”
“E quello lì? Non credo che si sia vestito così solo per giocare ai video game” chiedo indicando Aomine.
“Io, cara la mia signorina barcollante, sarò la vostra guardia del corpo”.
Mi sorride sarcastico, la mia risposta è un dito medio alzato.
Mi giro e precedo gli altri sulla decappottabile.
L’aria, pur scompigliando l’acconciatura di Jimmy, non rischia di farmi perdere né  la parrucca né il cappello.
Il furgone bianco che ci segue, prima di svoltare nel vicolo tra banca e un altro edificio, ci lampeggia.
Chris parcheggia di fronte alla banca, da bravo gentiluomo che tenta di far colpo, mi apre la portiera porgendomi una mano per aiutarmi a scendere.
La prima telecamera ci inquadra.
Mi irrigidisco.
Se qualcosa va storto, è la fine.
Se hanno aggiunto una telecamera nel caveau, è la fine.
Respiro.
Sorrido a Chris ed entriamo.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


CAPITOLO CINQUE
 
Mentre ci avviciniamo allo sportello Chris passa la mano dal mio fianco alla mia mano sinistra.
La stringo.
“Sorridi e basta” mi sussurra all’orecchio.
La mia bocca reagisce in autonomia e mi stampa sulla faccia il mio miglior sorriso.
Lascio che sia lui a parlare con la cassiera, mentre vago con lo sguardo il lungo e il largo.
Trovo una prima telecamera e mi chiedo se dall’altra parte a fissarmi ci siano delle guardie della sicurezza o Rufus e Jimmy.
Devo essermi persa qualche battuta perché Tobias si sente in dovere di richiamarmi: “Signorina, per favore vuole seguire il signor De Villiers entro la fine della giornata?”
Lo ignoro e trotterello dietro a Chris e a un funzionario occhialuto.
Arrivati in prossimità del caveau sento la tensione tornare a lambire i miei muscoli.
“Ehi, respira, devi solo scegliere un gioiello!”mi riprende dolcemente Chris, attirandomi in un abbraccio.
Appoggia la fronte sulla mia spalla.
“Ok ragazzi, adesso si comincia, Red, appena sarete soli nel caveau, ti apriremo l’altra cassetta, dopo di che vi resteranno più o meno cinque minuti per uscire, in bocca al lupo”
Ci stacchiamo con lentezza.
La luce cade sul suo orecchino. È diverso dal solito, è più grande e nero, è un piccolissimo altoparlante.
Mi prende per mano e seguiamo il funzionario all’interno di quella scatola di massima sicurezza.
“Lei resti qui”dice rivolto a Tobias.
 
La stanza è fredda  e piuttosto cupa.
Ci sono cassetti su tutte e quattro le pareti. Al centro parecchi bancali di banconote.
Ci poso lo sguardo per qualche secondo.
“A voi, questa è la valigetta per custodire i gioielli che intendete prelevare, vi lasciamo quindici minuti” si volta ed esce.
Guardo Chris negli occhi.
Lui annuisce e si posiziona di spalle davanti alla telecamera.
Io comincio a frugare tra i gioielli della famiglia De Villiers. Passano meno  di minuti tre minuti.
 
11.05
Clack.
 
“Chelsea, perché ci metti molto? Non devi prendere solo una pietra?”
Via libera. Prendo la valigetta dal pavimento, con attenzione rimuovo lo strato di velluto.
Passo alla cassetta che contiene il nostro obbiettivo. La apro con le mani coperte dal velluto.
Contiene un collier con diverse pietre incastonate, quella centrale sembra contenere qualcosa al suo interno.
La posiziono sul fondo metallico della valigetta e la ricopro.
Chiudo la cassetta con la schiena.
 
11.06
 
Afferro un paio di gioielli della famiglia di Chris e li appoggio sullo strato di velluto.
Sto ancora chiudendo la valigetta quando Chris fa aprire le porte.
Il funzionario è li davanti che ci aspetta sorridendo.
Fa firmare ad entrambi qualche documento e ci fa scortare all’uscita.
 
11.09
 
Aomine passa per primo. Chris mi prende la valigetta dalle mani.
Mi precede di pochi secondi nella cabina di sinistra. La porta della cabina di fronte a me si apre ed entro.
La porta si chiude immediatamente alle mie spalle.
 
11.10
 
La cabina di Chris si apre ed esce.
Mentre la mia comincia ad aprirsi, alzo il piede pronta a fiondarmi fuori.
Scatta l’allarme.
La porta  si richiude intrappolandomi dentro.
“Merda! Potete fare qualcosa?”chiede Chris a Rufus e Jimmy attraverso l’auricolare.
Non sento la risposta, ma l’espressione dei due di fronte a me basta. Per la prima volta sul viso di Aomine non è stampato il solito ghigno da strafottente.
Non possono fare più nulla, il sistema di sicurezza li ha cacciati fuori.
Passano pochi secondi.
A me sembrano un infinità, dietro sento i pesanti passi delle guardie armate fino ai denti  e l’allarme che mi martella i timpani.
Davanti Chris che mi fa cenno di tapparmi le orecchie e di spostarmi il più possibile verso destra.
Il più possibile lontano dal dispositivo che blocca la porta.
Eseguo e l’attimo dopo qualcosa colpisce la serratura automatica ad una velocità tale da farla esplodere in una nuvola di polvere.
Chris mi apre la porta ed io esco.
Alzo lo sguardo, un luccichio dal palazzo di fronte attira il mio sguardo.
Non so quando ha deciso di spostarsi, ma sono felice che l’abbia fatto.
Non ho pensato alla pistola legata alla mia coscia neanche un momento. Appena le porte mi hanno bloccato dentro il mio cervello ha cominciato ad alternare i ricordi alla situazione attuale.
Qualcuno afferra il mio braccio e mi carica in macchina, Aomine è già seduto alla guida.
Ripercorriamo a folle velocità il percorso verso la nostra villetta bianca.
La porta si apre prima che possa afferrare la maniglia e mi piovono addosso le domande degli altri.
Mi sforzo di rispondere anche se li sento appena.
Le mie risposte sono sempre più distratte, ho un pensiero fisso in testa.
Un pensiero che mi logora, che minaccia la mia salute fisica e mentale.
 
Marcus rientra dopo quindici minuti da noi.
Si siede dall’altro lato del tavolo, di fronte a me.
Mi fissa, ma non fa domande.
Meno di mezz’ora fa mi ha salvata, mi fa aperto una via di fuga, e adesso non urla, non mi rimprovera per non aver saputo liberarmi da sola.
A mezzogiorno cominciamo a pensare ad un modo per tornare a Milano. Li sento discutere, fare proposte assurde su proposte assurde, mentre continuo a rivivere i momenti dentro quella cabina.
A tratti i ricordi si confondono, un istante sono nella cabina della banca, quello dopo in un corridoio buio.
Mi sale la nausea.
Corro in bagno.
Alzo il copri water e il mio stomaco butta fuori l’intero contenuto.
I capelli finti della parrucca mi finiscono davanti alla fronte, non provo neanche a spostarli, lascio che si sporchino.
Delle mani calde mi tolgono la parrucca e le forcine che la ancoravano alla mia testa.
Mi fa appoggiare alla vasca e mi mette la sua giacca sulle spalle.
Odora leggermente di polvere da sparo, è di Marcus.
Si siede al mio fianco e appoggia la sua mano sul mio ginocchio lasciato scoperto dal vestito.
“Grazie per oggi”
“Te lo avevo promesso,no?”
Chiudo gli occhi, sento che a lui posso dirlo.
Faccio un grosso respiro. E lo ammetto.
“Forse sono tornata troppo presto” .

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


CAPITOLO SEI
 
Vengo svegliata dalla luce che entra dalla finestra.
Non sono seduta sulle fredde mattonelle del bagno.
Deve avermi messa a letto Marcus.
Afferro qualcosa di pulito dall'armadio e vado in bagno.
La mia faccia assonnata mi guarda dallo specchio. Ho tutto il mascara colato, anche i miei capelli implorano pietà.
Purtroppo non è il momento adatto per una doccia.
Mi lavo faccia e denti, mi cambio e dopo aver litigato con la spazzola per qualche minuto, scendo al piano di sotto.
Stranamente non sento ne urla né risate.
Questo può voler dire solo due cose, o sono ancora tutti a letto, o sono già al piano di sotto a studiare un modo per tornarcene tutti a Milano.
Nel primo caso ho tutto il tempo che voglio per la colazione, nel secondo, se la mia assenza si prolungasse di dieci minuti non farebbe alcuna differenza.
I miei piedi mi portano in cucina. Sento odore di caffè. Qualcuno deve essere già sveglio.
Entro dando il buongiorno a chiunque stia facendo il caffè.
"Ehi, poco zucchero e molto cacao?"
"Chris sei il mio salvatore!" Gli stampo un bacio sulla guancia entrando in possesso della tazza fumante che mi porge.
"Gli altri?”
"Il topo di biblioteca è di sotto e da come profuma il suo alito, direi che non è neanche andato a letto, gli altri stanno ancora dormendo”.
Mugugno qualcosa che dovrebbe assomigliare a un "si ho capito" mentre addento una merendina.
"Ah, dimenticavo, credo che Aomine sia uscito”.
Il boccone mi va di traverso.
“Come credi?”
Mi passa un foglietto firmato da Aomine con qualche parola scarabocchiata sopra in cui avverte che “esco a fare un giro”.
Devo stare calma. Devo. Assolutamente. Mantenere. La. Calma.
Con ogni probabilità non potrei trovarlo senza rischiare di farmi arrestare, abbiamo commesso un furto e dubito che non ci stiano cercando.
Devo ragionare, ma mi agito comunque.
Il mio sguardo comincia a vagare per la cucina. M’incanto a guardare fuori dalla finestra finche non mi accorgo della vicinanza tra i tetti delle case dall’altra parte della strada. Con il nostro allenamento sarebbe facile saltare da uno all’altro.
Resterebbe comunque difficile capire in che direzione è andato e raggiungerlo.
Mi serve qualcosa di più veloce, con un motore magari. Sovrappensiero abbasso lo sguardo.
Nel vialetto è parcheggiato il furgoncino grigio che ha usato Marcus.
Un anonimo e impolverato furgoncino grigio. È perfetto e le chiavi sono state lasciate sul tavolo.
So che quello che mi passa per la testa è una pazzia, ma per una volta che la calma si fotta.
Mi alzo in piedi di scatto e la sedia su chi sono seduta si ribalta. Attraverso di corsa i corridoi e scendo gli scalini del seminterrato due a due.
Mi fermo a respirare giusto il tempo di valutare se scegliere un fucile da caccia o una pistola.  Scelgo una discreta calibro nove.
Mi volto per tornare al piano di sopra e sbatto contro il petto di Chris, che repentino mi toglie l’arma dalle mani.
“Perché tutto questo casino?” chiede Jimmy spuntando in cima alle scale seguito da Marcus.
“Vuole fare la pelle ad Aomine” risponde Chris mente io cerco di mandare giù la rabbia.
“È andato fuori” spiega seccato il bibliotecario “e visto che andare fuori a cercarlo è da idioti, perché non mi date una mano?”
Ha ragione. Mentre Jimmy torna al piano di sopra noi tre ci avviciniamo al tavolo sommerso da cartine stradali e geografiche.
Chris lascia la pistola su un angolo sgombro del tavolo e prende posto davanti al portatile di Rufus, tenendo comunque d’occhio l a mia mano destra a pochi centimetri dal calcio della pistola.
Il bibliotecario comincia a illustrarci le varie strade che ha individuato.
Nel giro di un’ora abbiamo una strategia quasi definita.
 
Forse è perché siamo di nuovo tutti al piano di sotto e in completo silenzio che il rumore si sente così bene.
Sentiamo che la porta è stata aperta con la chiave.
I passi riecheggiano nel corridoio fino alle nostre orecchie.
La porta del seminterrato si apre e tutti si voltano.
La mia mano percorre in un attimo i centimetri che la separano dalla pistola.
Le mie dita si stringono attorno al freddo metallo di cui è rivestita e aspettano.
Nella frazione di secondo in cui Tobias appoggia il piede sinistro sul pavimento, sollevo la pistola prendendo la mira e abbasso il cane.
Subito dopo il mio indice preme il grilletto.
La pallottola passa a un centimetro dall’orecchio destro di Aomine andando a conficcarsi nel muro alle sue spalle.
“Ma sei fuori di testa? Potevi uccidermi!”
“Ti assicuro che se lo avessi voluto lo avrei fatto, ma in quel caso non mi avrebbero pagato e soprattutto la missione non prevede omicidi”.
Gli do le spalle e appoggio la pistola dopo aver estratto e svuotato il caricatore.
“Ti ricordo anche che giusto ieri sei stato complice di un furto, quindi sarebbe carino che tu non mostrassi la tua faccia in giro per la città, e tanto per chiarire le cose, fare di testa tua come questa mattina è disubbidire ai miei ordini”.
Mi volto di nuovo per guardarlo negli occhi,
“Fallo di nuovo e la prossima pallottola ti centrerà dritta in un occhio”.
Non so per quanto ma sono certa che per un po’ non darà problemi.
“Siccome adesso ci siamo tutti, direi che è ora di cominciare, i loro voli partono tra due ore, prendete il furgone e andate” comunica Rufus a Jimmy e Marcus.
Chris non aspetta che gli venga detto, si mette subito al telefono con il proprio avvocato per fornirci la copertura.
“Tu ti fai spiegare il piano da Rufus e poi aspetti in camera tua senza fare cazzate mentre io mi preparo” Aomine annuisce e si avvicina al tavolo del bibliotecario.
Io torno per l’ultima volta in camera mia.
Indosso nuovamente la parrucca castana.
Questa volta però scelgo io cosa mettere. Decido che i vestiti con cui sono arrivata siano più che adatti.
Metto i jeans e la canotta, infilo gli anfibi. Come ultima cosa infilo la mia pistola preferita e un paio di caricatori nella cintura e chiudo la porta alle mie spalle.
Percorrendo il corridoio busso alla porta di Aomine, mi risponde con un grugnito.
Scendo in soggiorno, dove Chris sta ancora discutendo al telefono, mi fa cenno di controllare la chiusura ermetica della valigetta.
La controllo un paio di volte e poi mi butto scomposta sul divano.
Mi giro a guardare il soffitto e aspetto.
Aspetto di sapere se abbiamo una copertura, aspetto di sapere se al nostro arrivo in aeroporto ci sarà un jet o una macchina della polizia.
Aspetto di sapere se tornerò a casa.
Smetto di guardare l'orologio ogni cinque minuti quando capisco che Chris ne avrà ancora per molto. Chiudo gli occhi un istante e scivolo mio malgrado nel sonno.
 
"Ti sembra il momento di dormire?" mi rimprovera Rufus dopo avermi svegliato.
"Christian ha risolto, il vostro jet atterrerà tra quattro ore esatte, il pilota resterà nella cabina, dategli le coordinate e non lasciatelo da solo"
"Ho capito, quindi anche Chris è libero di salire su un aereo?"
"Sì, lo porterete con voi all'aeroporto e lo lascerete lì con la falsa valigetta, io lo aspetterò sull' aereo, prenderemo un volo diretto per Milano" annuisco e mi alzo.
Lui scende a raccogliere le sue cose.
Gli chiamo un taxi, nel giro di mezz'ora arriva e lo porta in aeroporto.
Torno a guardare l'ora troppo spesso e il tempo sembra non passare più.
Non sono mai stata cosi impaziente e agitata durante una missione. Questa consapevolezza non fa altro che aumentare la mia agitazione.
Mi sembra di essere lì ad aspettare da anni quando finalmente comunicano a Chris che il jet è atterrato.
Saliamo su una macchina nera con i finestrini oscurati, lascio che sia Tobias a guidare e prendo posto sul sedile del passeggero con la valigetta sigillata in braccio.
Un corridoio di auto della polizia ci fa strada fino alla pista. La scala è già sistemata e il portellone è aperto.
Aomine ferma la macchina con il fianco destro vicinissimo al bordo della scala e abbassa il finestrino dietro.
Sento dei passi avvicinarsi dal lato sinistro del veicolo. Apro lo sportello e senza fermarmi a controllare che non ci sia nessuno corro piegata in aventi su per la scaletta.
In cima mi appiattisco contro la parete, mi sporgo appena e vedo Aomine uscire anche lui dal lato destro e poi salire le scale. Appena è dentro, chiudiamo il portellone ed entriamo nella cabina di pilotaggio.
"Salve, sarebbe cosi gentile da portarci qui? " gli chiedo con il tono più dolce possibile mentre gli porgo il foglietto con le coordinate
"E magari spegniamo anche tutti i dispositivi che permettono di localizzare l'aereo eh?" Cerco di sorridergli.
"Non posso, mi é stato detto di portarvi in un luogo ben preciso "
Estraggo la pistola e gliela punto addosso prima che Aomine tenti di prenderlo a pugni.
"Forse non hai capito in che situazione sei, non ho tempo per negoziare con te e se non fai volare questo coso immediatamente e verso il punto scritto su quel foglietto, credo che la tua vita finisca qua "
Deglutisce e fa partire i motori, è diventato di colpo pallido e guardingo.
Faccio cenno ad Aomine di occupare il posto del copilota e di non perdere mai d'occhio il pilota.
Esco dalla cabina e prendo posto su uno dei comodi sedili del jet della famiglia De Villiers. Prendo il telefono satellitare dalla tasca e compongo prima il numero di Jimmy e poi quello di Marcus.
Nell'attesa non mi rimane altro che contemplare il pianeta sotto di noi.            
La minaccia di una pistola puntata addosso deve aver fatto capire al pilota che prima ci scaricava meglio era perché Il cielo comincia appena a  scurirsi quando atterriamo all’aeroporto di Dhamar.
Scendiamo e nessuno prova a fermarci quando invece che entrare dentro l’edificio centrale cominciamo a correre verso il deserto.
A qualche centinaio di metri dalla recinzione ci aspetta un fuoristrada nero con Jimmy alla guida.
Ci lascia appena il tempo di chiudere le portiere. Preme sull’acceleratore e inverte il senso di marcia.
In pochi minuti ci immettiamo sulla strada principale diretti ad una piccola città sulla costa nord occidentale dello Yemen.
Non incontriamo molte altre vetture e in un quarto d’ora arriviamo al primo centro abitato.
“Togliti la parrucca” mi ordina Jimmy. Apro la bocca per protestare contro il tono perentorio che ha usato, ma subito dopo mi accorgo dei mezzi delle forze dell’ordine che bloccano la strada.
Non credo che siano per noi, ma è meglio non rischiare. Tolgo a Jimmy il cappellino da baseball
“Mettilo e fingi di dormire” ordino a Tobias passandoglielo.
Inaspettatamente non replica ed obbedisce.
Le guardie ci fermano senza fare domande, confrontano soltanto le nostre facce con quelle in una cartellina.
Una si sporge un po’ di più verso di noi per cercare di vedere sotto il cappello di Aomine lasciandomi intravvedere uno dei volti stampati sul foglio di carta.
È la faccia di Aomine.
Jimmy sposta la mano sul cambio sfiorandomi il braccio. Non serve aprire bocca, mi sta chiedendo se sono d’accordo. Continuo a fissare la strada vuota di fronte a noi ed annuisco appena.
Jimmy schiaccia la frizione, mette la prima e parte.
Il soldato non fa in tempo a spostarsi e viene colpito allo stomaco dallo specchietto destro.
Cade su un fianco tenendo il nostro specchietto come souvenir.
Non so cosa ci abbiano fatto rubare, ma mi sembra ovvio che è qualcosa di veramente grosso.
Per il resto del viaggio non incontriamo altri posti di blocco e in un paio d’ore arriviamo a destinazione.
Abbandoniamo la macchina in un vicolo vicino al porto.
Percorriamo il pezzo di strada che ci separa dal pontile con calma e cercando di non dare troppo nell'occhio.
La gente però ci addita e bisbiglia alle nostre spalle.
Non capisco cosa dicono, ma sembrano tutto tranne che amichevoli.
Istintivamente accelero il passo.
Uno degli uomini fermo all'inizio del pontile tiene la mano su qualcosa legato alla cintura.
L'orologio della Macchina segnava le otto di sera. Nonostante la poca luce vedo chiaramente che quella legata alla sua cintura è una pistola.
Jimmy ha detto che la nostra imbarcazione è la seconda a sinistra. Mancano giusto una manciata di metri. 
L'uomo sul pontile, come altri alle nostre spalle, prepara la pistola tenendola stretta in pugno, ma ancora puntata verso il basso.
E allora corro.
Corro come se fossi in gara per l'oro olimpico nei 50 metri piani. Corro senza voltarmi a controllare che Aomine e Jimmy mi seguano.
Senza fermarmi salto dalla banchina sul ponte della barca.
Atterro in malo modo,  ma mi rialzo in un attimo e continuo a correre con la borsa con dentro la valigetta che mi rimbalza su un fianco.
Trovo la cabina di comando e metto in moto.
Alle mie spalle arrivano Jimmy e Aomine incitandomi a partire.
Non me lo faccio ripetere due volte. Spingo i motori al massimo e punto verso il mar Rosso.
L’odore di carburante diventa in poco tempo difficile da sopportare anche dentro la cabina
Aomine scende a controllare il motore.
“Sono i barili di carburante in più, deve esserci almeno un falla” ansima dopo essere risalito di corsa
“Ci avranno sparato mentre partivamo” riflette Jimmy
“Non possiamo fermarci” ribatto io
“Che facciamo allora?” è la domanda inespressa che aleggia tra di noi.
I lampeggianti delle barche di una qualche forza dell’ordine che illuminano l’orizzonte dietro di noi rispondono per me.
La puzza si intensifica mentre le forze dell’ordine sono sempre più vicine.
Qualcosa non va come previsto e all’improvviso uno dei barili esplode seguito in breve tempo dagli altri.
Senza che io apra bocca Aomine scende in cabina a recuperare il borsone con il canotto di salvataggio.
Passo la tracolla con la valigetta a Jimmy, viro verso sinistra spingendo i motori oltre il limite.
Dobbiamo avanzare il più possibile anche se la barca potrebbe affondare da un momento all’altro.
Siamo ancora troppo lontani dal punto in cui ci aspetta Marcus.
Siamo fregati.
 
Il calore sta diventando insopportabile e il fuoco tinge l’aria di arancio minacciando inesorabile la riuscita del piano.
A quest’ora Chris, completamente assolto dal reato di furto, e Rufus saranno già atterrati a Milano.
Il motore inizia a perdere potenza. Jimmy corre giù dalla scaletta verso prua con la valigetta, io blocco il timone e scendo in cabina. Aomine non ne è ancora uscito.
Qui dentro è ancora più caldo che fuori a causa del fumo che non trova vie di uscita.
Non vedo quasi nulla, ma trovo Aomine riverso sulla sacca vicino al divanetto, fatica a respirare.
Mi carico sulla spalla sinistra il borsone. Pregandolo di aiutarmi faccio alzare Aomine, facendolo  appoggiare alla mia spalla destra usciamo dalla cabina e raggiungiamo Jimmy.
Jimmy mi aiuta a farlo sedere per terra, ci scambiamo le borse.
Lui apre la borsa del canotto gettandolo in acqua, pochi istanti e comincia a gonfiarsi.
Mi metto la borsa con la valigetta a tracolla, faccio passare il braccio sinistro sotto la spalla di Aomine e Jimmy fa lo stesso.
Scavalchiamo il parapetto e saltiamo.
L’acqua a contatto con la nostra pelle accaldata ci fa rabbrividire.
Poche bracciate e raggiungiamo il canotto.
Salgo per prima e aiuto Jimmy a far salire Aomine, è molto pallido, ma adesso respira più facilmente.
Pochi minuti dopo la nostra barca affonda.
“Quanto ci manca secondo te?”
“Perché Marcus possa vederci?  Almeno un centinaio di chilometri, la corrente ci avvicinerà, ma prima che possa vederci potrebbe volerci anche mezza giornata” confermo quello che anche lui temeva, glielo posso leggere in faccia. Vorrei poter fare qualcosa, ma ora come ora possiamo solo aspettare. Ancora.
 
Dopo quelle che mi sembrano dieci ore, un lampo verde illumina l’orizzonte.
Il pensiero che non possa essere lui non mi attraversa la mente neanche un secondo. Prendo il bengala rosso dentro la valigetta e lo accendo.
Pochi minuti e il rombo di un motoscafo ci raggiunge, Marcus ci ha trovati, mi ha salvato ancora una volta.
 
Una volta raggiunta la riva ci consegna i biglietti aerei e saliamo. Per quanto ne sa il mondo i sequestratori di Christian De Villiers sono annegati insieme alla barca e alla refurtiva. I motori si accendono e l’aereo decolla.
Unico scalo Milano.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


Dall'autore:
prima di lasciarvi alla lettura del capitolo ci tengo a scusarmi nuovamente per aver dovuto aspettare (davvero) luglio prima di aggiornare la storia. 
Mi sarebbe piaciuto fare una sorta di riepilogo, sono consapevole che una "pausa" di mesi non favorisca la comprensione di una storia di questo genere,
ma non ne sono capace, il dono della sintesi non l'ho mai ricevuto.
Detto questo ringrazio, uno per uno, tutti quelli che hanno letto la storia, e tutti quelli che iniziano adesso a leggerla.
Ben ritrovati.




CAPITOLO SETTE
 
Giro la chiave nella toppa senza alcun problema.
Apro la porta, non pensavo che questo posto mi sarebbe mancato.
Il mio appartamento è rimasto esattamente come l'ho lasciato. Adesso che sono di nuovo in servizio nessuno si prende più la briga di pulire al posto mio.
La tazza del caffè è ancora nel lavandino e c'è ancora la maglietta che uso come pigiama sul pavimento tra la camera da letto e la cucina.
È l'ultima maglietta di Matteo che mi è rimasta, non ricordo più quando me l'abbia prestata.
La raccolgo e mi faccio finalmente una calda e lunga doccia.
 
                                                                                         ***
 
"Ci vediamo fuori", mi da un leggero bacio sulla guancia, si alza e corre via lasciando la squadra nelle mie mani.
Ci muoviamo uniti e veloci, passiamo da un corridoio all'altro.
Stiamo raggiungendo tutti il limite troppo velocemente e questo posto è un labirinto.
La benda sul mio braccio diventa sempre più rossa.
Il taglio che c'è sotto brucia e pulsa.
Stringo i denti e ricomincio a correre, mi sento osservata.
Di colpo diventa tutto buio e qualcuno alle mie spalle urla.
Torna la luce e mi ritrovo da sola in quel lugubre corridoio.
Estraggo la pistola togliendo la sicura.
Trattengo il fiato e mi sporgo oltre l'angolo per assicurarmi che non ci sia nessuno e poi ricomincio a correre con la pistola carica stretta tra le mani. Comincia a mancarmi il fiato, mi fermo appoggiando al muro la testa e chiudo gli occhi per un secondo. Quando li riapro, vedo il muro di fronte a me venirmi incontro.
La paura si fa strada nelle mie vene. Mi volto e riprendo la mia folle corsa. Il fiato mi si spezza in gola e i corridoi diventano sempre più scuri mentre il muro mi rincorre. Svolto sbandando alla mia destra e mi ritrovo in un vicolo cieco. Nonostante non ci sia luce ci vedo, abbastanza da vedere lo spazio attorno a me rimpicciolirsi ogni istante. Lascio cadere la pistola e inizio a piangere. Mi faccio il più piccola possibile in un angolo tirandomi le ginocchia al petto e aspetto di morire. Sento il muro premere contro la punta dei piedi. Mi alzo appiattendomi contro il muro, ma in pochi secondi le pareti schiacciano il mio torace in una morsa costringendomi a far uscire tutta l'aria contenuta nei miei polmoni. Sento le ossa che scricchiolano.
Vorrei urlare ma non ho fiato.
 
E poi il buio.
                                                                                               ***
 
Mi sveglio urlando.
La sveglia segna le sei e tre minuti. Mi alzo perché tanto non riuscirei più a dormire, non dopo quell'incubo. M’infilo i pantaloni della tuta e accendo la macchina del caffè.
La spia rossa della segreteria lampeggia.
È il capo, è l'unico che chiama nel cuore della notte. Cancello il messaggio senza neanche ascoltarlo, riguarda senza dubbio la missione e non mi interessa sapere altro.
Bussano alla porta.
Da quando mi hanno sistemata in questo palazzo, l'unico inquilino sono io.
Apro il primo cassetto dell'isola al centro della cucina.
Da sotto il falso fondo estraggo la mia Glock personale.
Non mi scomodo a controllare il caricatore, questa pistola è sempre carica.
Stringo entrambe le mani intorno all'impugnatura di metallo.
Mi muovo rapida e silenziosa fino alla porta.
Appoggio la mano destra sulla maniglia, stringo e giro.
Il mio braccio sinistro si alza mentre spingo leggermente la porta con la spalla opposta.
 
 
 “Ti ho sentito urlare”
“Un incubo” annuisco.
“Ti va di parlarne?”
No. Non voglio rivivere di nuovo quel momento.
“Ti va un caffè prima? Ho appena acceso la macchina”.
Marcus mi segue chiudendosi la porta alle spalle. Prendo due tazze pulite dalla credenza mentre lui occupa uno degli sgabelli di legno.
“Non so se hai sentito il messaggio del capo, ma la collana è stata consegnata e a quanto pare la pietra principale era stata sostituita con un falso che conteneva un microchip che”
“Non mi interessa” lo interrompo sedendomi di fronte a lui.
Smette di parlare all’istante, sente il mio nervosismo e aspetta, per una volta qualcuno aspetta che sia io la prima a parlare.
Gioco con la tazza ancora vuota che ho tra le mani, prendo tempo, cerco di dare un ordine a quello che ho in testa.
“Sai, prima pensavo che mi avresti sparato davvero” dice abbozzando un sorriso, cercando di alleggerire l’atmosfera tetra del mio appartamento.
“Non lo avrei mai fatto” e mio malgrado sorrido anch’io.
Mentre il mio sorriso si spegne, abbasso lo sguardo sulla tazza.
Respiro.
“Non è che non mi fidi, ma preferirei che nessuno venisse a sapere quello che potrei dirti”
“Non ho detto niente di quello che è successo a Dubai, non dirò niente a nessuno finché la tua incolumità non dipenderà da qualcosa che mi dirai”.
È serio e sincero. Le sue parole mi si conficcano nella pelle ricoprendo le mie braccia di pelle d’oca.
“Da quando mi hanno trovata in quel campo e riportata a casa, facevo un sogno. Tutte le volte che mi addormentavo, lo stesso identico sogno e mi svegliavo urlando”. Non è necessario che sappia come si conclude il sogno, quindi, tralascio quella parte.
“Credevo di aver superato la cosa, non ho avuto incubi per tutto la durata della missione. Ma quando siamo tornati a casa, e la tensione della fuga si è sciolta, è tornato.” Alzo gli occhi dalla tazza per cercare di interpretare i suoi pensieri, ma i suoi occhi guardano altrove, in un punto indistinto dietro di me. Come se stesse cercando di ricostruire un puzzle.
“È sempre lo stesso incubo?” mi chiede quando si accorge che lo sto fissando.
“Più o meno sì. Sono sempre io che corro, ma questa volta c’era anche qualcos’altro, qualcosa che è successo prima che io mi ritrovassi da sola”. Non riesco a proseguire, non senza dare di matto o cominciare a piangere. E mi piacerebbe smettere di scoppiare a piangere davanti a lui.
Marcus però capisce, appoggia una mano sulle mie accartocciate sul tavolo.
“Riguarda lui vero? Il pezzo in più dell’incubo riguarda Skyrunner, giusto?”
Annuisco afferrando la tazza.
Gli attimi rivissuti questa notte sono l’ultimo ricordo che ho di Matteo.
La macchina ci avvisa che il caffè e pronto, mi sfila la tazza delle mani.
La poggia a pochi centimetri da me piena di liquido fumante e poi si avvia verso l’uscita.
Lo seguo fino alla porta.
“So che non sarà il massimo, ma penso che tra un po’ saremo tutti di sotto”
“Scendo volentieri anche io, magari mi fa bene” concludo al posto suo.
Mi sorride e sparisce dietro la porta del suo appartamento dall’altra parte del pianerottolo.
 
Sono passate da un po’ le sei quando raggiungo gli altri.
Chris mi prende da parte appena varcata la soglia della stanza.
“Tutto a posto?” mi chiede scandagliando la mia faccia millimetro per millimetro.
“Tutto sottocontrollo” rispondo tranquilla, ma non sembra convinto.
“Lo sai, vero, che per te farei quasi di tutto?”
“Marcus non è stato l’unico a sentirmi urlare sta notte giusto?”
“Già”
“Va tutto bene, era solo un brutto sogno”
“Ti credo” mi scompiglia i capelli e mi lascia andare.
Senza che me ne renda conto mi viene messo in mano un controller della console e tirata in mezzo ad una gara di Mario Kart.
Dopo le prime vittorie Aomine la prende sul personale e mi sfida a duello.
Lo straccio ogni singola volta.
Sto ancora ridendo delle sue facce quando esco a prendere una boccata d’aria sul terrazzo.
 
“Che cosa è successo di così divertente?” chiede una voce alle mie spalle.
“Ho battuto Aomine a Mario Kart” rispondo voltandomi.
“Mi hai quasi fatto venire un infarto”
“Scusa” risponde uscendo dall’ombra dell’edificio Marcus.
Il silenzio diventa pesante così decido di porgli una domanda. Una domanda la cui risposta, spero, possa aiutarmi a placare una parte dei pensieri che hanno occupato la mia testa durante il resto della giornata.
Appoggio i gomiti alla ringhiera, un po’ per nasconderne il tremore, un po’ solo per sottrarmi al suo sguardo.
"Perché lo fai? Perché sei così protettivo verso di me?" chiedo tutto d’un fiato.
"Ad essere sincero non lo so neanche io, mi viene istintivo. Ti guardo e vedo te, le tue diverse sfaccettature. Ti vedo forte e combattiva, ti vedo delicata e fragile, ti vedo sicura e protettiva e non mi chiedo quale di queste facce tu sia realmente. So solo che quando il capo mi ha mostrato il tuo fascicolo ho chiesto io stesso di essere nella tua squadra.
Quando ti ho visto quella sera al locale, ho capito che avevo fatto bene".
Deglutisco. Cerco di deglutire anche le lacrime.
Non ho mai pensato che qualcuno potesse scegliere me. Se mi voltarsi adesso so che finirei per perdermi nel rosso dei suoi occhi.
Mi concentro su un pensiero, su una sensazione che quello che ha detto mi ha risvegliato nella mente. Lo afferro e gli do voce.
"Cosa ti ha spinto?"
"Mi ha detto che potevo evitare che tu cadessi in pezzi".
Ed è vero, fino ad ora è sempre stato lì per me.
Dopo aver parlato con lui, mi sono sempre sentita più intera, più me stessa.
Sento la sensazione di prima farsi prepotentemente spazio nelle mie viscere.   
Poiché non aggiungo altro, mi lascia sola sulla terrazza. Lascio vagare lo sguardo sulla città sottostante sentendo solo vagamente il vociare all’interno della stanza.
Quando i gomiti iniziano a farmi male, mi volto.

 
                                                                                              ***

“Brindiamo alla riuscita della nostra prima missione ufficiale!”
“Salute!” rispondiamo in coro e beviamo.
A qualcuno lo spumante va di traverso provocando ulteriormente l’ilarità generale.
Matteo mi poggia un braccio sulle spalle invitandomi a poggiare la testa sulla sua spalla.
A questo genere di ordini obbedisco volentieri.
“Tutto a posto?”
Annuisco. “Mi piace questo posto”.
Lui sogghigna in risposta, “Non intendevo questo, ma se vuoi, possiamo tornare sempre qui”
“Dopo ogni missione?”
Stavolta è lui ad annuire, sorride e posa un leggero bacio sulla mia fonte.
 
                                                                                              ***
                                                                                         
 
Il cellulare comincia a vibrare nella tasca dei pantaloni. Rispondo senza guardare il display.
“Buonasera Red, immagino che come al solito non avrai ascoltato il messaggio prima di cancellarlo. Sarò breve comunque.”
Fa una breve pausa per essere sicuro di avere la mia completa attenzione.
“Nella pietra centrale della collana da voi prelevata a Dubai, era contenuta una memoria usb con informazioni su traffici illeciti di un magnate del petrolio. Da fonti certe sappiamo che il suo braccio destro si trova a Parigi per affari.
Il vostro volo parte alle sei. Ulteriori istruzioni vi saranno fornite a tempo debito”.
Prima ancora che cada la linea ho già un piede dentro la stanza e l’attenzione di tutti su di me.
“Preparatevi, domani andiamo a Parigi”.                                                                                                                                                                                                                                                     



 

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


CAPITOLO OTTO
 
Parigi.
È da molto che non ci torno. 
L'aereo comincia l'atterraggio e Chris si sveglia. Da quando siamo partiti, ha sempre occupato il posto più vicino a me. 
Il terminal dell'aeroporto è affollato come sempre.
Cercando di non perderci di vista in mezzo al trambusto ci avviamo all'uscita.
Sono quasi fuori quando qualcuno mi urta la spalla. Mi volto per scusarmi, ma le mie corde vocali non emettono suoni.
Al ragazzo che mi ha urtato è scivolato il cappuccio dalla testa lasciando liberi di essere visti il cappello da baseball scuro e il tatuaggio sul collo.
È il suo tatuaggio. Nessun sano di mente farebbe un tatuaggio simile.
L’ho visto solo per un attimo prima che scomparisse tra la folla, ma sono assolutamente certa che fosse lui.
Eppure lui è morto e l’ultimo ricordo che ho di lui è la sensazione delle sue labbra premute sulla fronte.
 
 
                                                                                              ***
“Dove stiamo andando?”
“Vedrai, voglio fare qualcosa che resti, questo è un giorno che va ricordato!”
“Sei diventato pazzo? Perché dovremmo voler ricordare la fine di quell’addestramento?”.
Si ferma all’improvviso e quasi gli finisco addosso.
“Davvero non ci arrivi? Siamo rimasti chiusi lì dentro per anni, adesso siamo liberi! Vedremo il mondo, incontreremo gente, avremo una casa vera”
“Sì, liberi di uccidere altre persone per restarci”.
Nel giro di un attimo il suo sguardo si scioglie “Non sei obbligata a venire con noi tutte le volte, Annie”.
Mi sfiora un braccio scendendo fino alla mia mano.
La stringe e torniamo a correre ridendo.
 
                                                                                              ***
 
 
 
Raggiungo distrattamente un bar insieme agli altri.
I miei pensieri si sovrappongono, si accavallano lasciandomi stordita. Vorrei urlare.
Mi alzo e faccio l’unica cosa sensata che mi viene in mente “Scusatemi, devo fare una telefonata, mi ordinate un cappuccino?”.
In pratica corro tra la folla cercando allo stesso tempo un posto isolato e di ripassare quel poco di francese che conosco.
Appena fuori dalla piazza la confusione diminuisce.
Fermo un passante, con un francese insicuro chiedo se posso usare il suo cellulare. Sbuffando e maledicendo i turisti me lo porge.
Mi allontano di qualche passo e compongo il numero dell’ufficio del capo.
Al secondo squillo risponde la segretaria.
“Sono Red, devo parlare con il capo con urgenza” non le lascio neanche il tempo di aprire bocca.
“Questa non è la procedura”
“È una questione al di fuori della missione in corso”
“Abbiamo rintracciato il telefono cellulare, c’è una cabina del telefono funzionante nelle tue immediate vicinanze, il capo ti richiamerà”.
Riattacco e restituisco il cellulare al proprietario.
Raggiungo la cabina nel momento in cui il telefono al suo interno comincia a squillare.
Rispondo.
“Spero davvero che sia della massima urgenza” esordisce minaccioso il capo dall’altra parte della cornetta.
Respiro.
“Ho visto Skyrunner all’uscita dell’aeroporto”
“Quale stupefacente hai assunto?”chiede beffardo.
“Signore, sono sicura che fosse lui, credo che nessun altro abbia il desiderio di farsi fare un tatuaggio del genere sul collo”
“Skyrunner è morto. Torna dalla tua squadra e dimentica quello che hai visto” mi ordina interrompendo la chiamata dopo interminabili secondi di silenzio.
Mi tremano le mani. Con fatica riappendo la cornetta e noto che non solo le mani mi tremano.
Mi lascio scivolare contro il muro e chiudo gli occhi. Respiro profondamente e chiudo i pensieri in una scatola.
Mi rialzo e torno indietro decisa a dimenticare quello che ho visto.
Certa che il mio cappuccino ormai sia imbevibile.
 
“Fammi capire, se io sparisco all’improvviso, vengo quasi ucciso e tu puoi infrangere qualsiasi procedura senza conseguenze?”
“No, ma era una cosa che non poteva aspettare”balbetto nervosa bevendo tutto in una volta il cappuccino.
“Ma questo non è né il momento né il luogo adatto a spiegarvi, è una storia abbastanza lunga e abbiamo già del lavoro che ci aspetta in albergo” paghiamo e prendiamo la strada per l’albergo.
Aomine mi si affianca.
“A Dubai, quando sono uscito, volevo solo cercare un bel souvenir per la mia sorellina” dice a voce abbastanza alta in modo che anche gli altri sentano.
“Se te lo avessi detto sarei potuto uscire?” mi chiede.
“Decisamente no” rispondo mettendo fine alla conversazione.
 
La prima cosa che noto della mia stanza d’albergo è l’elegante busta bianca delicatamente in bilico sul cuscino. Sapevo che sarebbe stata lì ad attendermi. È stato sempre così.
 
                                                                                              ***
 
Passo in esame la camera assegnata a Matteo e me. Mi soffermo su un particolare riflesso sullo specchio.
Sul copriletto blu è appoggiata una busta bianca. ‘Skyrunner’ scritto in nero al centro esatto della busta mi conferma il suo contenuto. Storco le labbra.
“Ma non può usare un modo meno inquietante di farci avere gli ordini?” protesto.
“Ormai dovresti averci l’abitudine”scherza lui.
Sbuffo. Dalla prima volta sono passati anni, ma ancora non ci sono abituata.
 
                                                                                              ***
Mordicchiandomi il labbro inferiore apro la busta e passo in rassegna le scarne informazioni a proposito del nostro obiettivo. Lascio il foglio sul copriletto e disfaccio la valigia.
Mi assicuro che la cassaforte nell’armadio, in cui ho riposto la pistola e i caricatori, sia ben chiusa e faccio con calma una doccia.
 
“Torno in camera e mi metto al lavoro"
"No, da adesso qualsiasi collegamento ad internet va fatto da luoghi pubblici"
"Perché scusa?"
"Perché altrimenti è troppo facile rintracciare il tuo computer"abbaia irritato Aomine.      
"Ha ragione, stiamo per commettere un omicidio, dobbiamo essere il più prudente possibile"conviene Chris.
"Non basta che qualcuno si faccia assumere ed entri nelle sue grazie?"
"No, Aomine, un neo assunto rientra da subito tra gli indiziati"rispondo dando le spalle al gruppo riunito nella mia camera. Dalla finestra vedo i primi lampioni cominciare a illuminare la sera parigina.
"Cerca una biblioteca, collegati da lì e vedi cosa puoi trovare, dovresti sentirti a casa Rufus. Noi altri lo seguiremo a turno".
 
È una settimana che seguiamo i suoi spostamenti senza ottenere nulla di utile.
"Ancora niente di utile?"
"No, anche oggi è rimasto tutto il giorno nel palazzo dove c’è il suo ufficio per poi tornare in un albergo diverso da quello della sera precedente" sbuffa Marcus.
"Che fine a fatto il bibliotecario?"
"Eccomi Ann, questa mattina è arrivato questo, scusa mi sono scordato di dartelo”.
Mi passa un mazzo di fiori con un bigliettino. Non è scritto a mano e non è firmato, ma il capo non poteva essere più chiaro: << Avevi ragione. Se interferisce fai quello che va fatto>>.
Deglutisco. Straccio il biglietto, lo butto nel cestino insieme ai fiori e torno a rivolgere la mia attenzione alla riunione.
"Arrivi tardi solo per portarmi un mazzo di fiori?”
"No, ho brutte notizie, è arrivato un ultimatum, abbiamo solo un’altra settimana"    
"Dimmi che almeno tu hai avuto fortuna oggi"lo supplico.     
"Sì, sembra che nello stesso palazzo dove lavora ci sia un buon ristorante molto apprezzato dalle coppie"
"Ok e allora?"
"Allora, secondo la sua carta di credito, pranza ogni lì ogni giorno”
“E se entriamo nel palazzo senza dare nell’occhio possiamo anche provare a capire in quale albergo dormirà” termino.
“È quello che ho pensato anch’io, infatti, ho prenotato per domani. Andrete tu e Christian, noi aspetteremo fuori” spiega autoritario Rufus.
Nessuno si oppone, neanche Marcus nonostante la sua espressione non sia impassibile come sempre.
Sono quasi le ventitré quando ognuno torna nella propria camera ed io posso mettermi a dormire.
 
 
Chris ed io entriamo mano nella mano nel palazzo. Secondo il cartello il ristorante è al quarto piano, prendiamo l’ascensore.
Arrivati a destinazione le porte si aprono. La prima cosa che noto è l’imponente vetrata panoramica. Mi appunto mentalmente di ringraziare Jimmy che mi ha infilato nella borsa una macchina fotografica.
La tiro fuori ed inquadro il paesaggio oltre il vetro. Il dito mi scivola inavvertitamente sullo zoom.
L’uomo rimasto al centro dell’inquadratura è il nostro obiettivo.
Scatto.
“Fatto?”
“Sì, scusa. Dovevo mettere a fuoco l’obiettivo”gli rispondo sorridente prendendogli la mano e facendolo voltare. Lo vede anche lui.
Affrettiamo un po’ il passo ed entriamo nel ristorante subito dopo di lui.
È fatto sedere di fianco ad una giovane coppia. Noi sediamo qualche tavolo più in là riuscendo comunque a udire la conversazione dei due tavoli.
 
“Facciamo una foto dai!”
“Adesso?”
“Sì, prima che arrivi anche a noi il dolce, spostati un po’ a destra”.
Diligentemente obbedisce e si sposta di quanto basta per permettermi di inquadrare il nostro uomo mentre scambia qualche amichevole parola con gli sconosciuti del tavolo affianco. Scatto e pochi istanti dopo è di nuovo al suo tavolo a sorseggiare un caffè.
Un cameriere si ferma alle mie spalle “Vedo che sono facilmente rimpiazzabile” commenta con voce famigliare.
La risata provocata dalla battuta di Chris mi si blocca nella trachea.
Il mio sorriso si tramuta in una smorfia incredula.
So esattamente a chi appartiene quella voce.
Lo sguardo del ragazzo biondo seduto di fronte a me, mi conferma chi ho alle spalle.
Negli occhi chiari di Christian vedo il mio volto trasformarsi in una maschera di dolore.
Dopo le ultime ventiquattro ore speravo di non sentire più quella voce.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


CAPITOLO NOVE
 
Si siede sorridendo accanto a  me.
“Perché li hai tagliati? Lunghi mi piacevano molto”commenta cominciando a giocare con una ciocca dei miei capelli. Non riesco a smettere di guardarlo, di memorizzare ogni minimo dettaglio del suo viso.      
Per quasi un anno l’ho creduto morto.
Adesso, invece, è davanti a me che scherza come se niente fosse.
“Sapevo che il capo ti avrebbe creato un’altra squadra, ma sono lo stesso un po’ geloso” continua allegro.
Respiro.
“Cosa vuoi?” chiedo ostentando indifferenza.
“Che freddezza! Ma posso capire, infondo è colpa mia se hai passato un anno orribile” .
Passa delicatamente la mano sulla mia guancia mentre sulla sua faccia sparisce ogni traccia di ilarità.
“Mi dispiace di averti abbandonata, ma c’erano cose che dovevo fare, cose che non dovevi sapere” mormora più a se stesso che a noi poggiando la sua mano sulla mia.
“Adesso però è diverso, adesso devi sapere, ti fidi di lui?” mi chiede guardandomi negli occhi.
Sento la gola secca e la lingua intorpidita quindi mi limito ad annuire.
Sono certa che Chris non aprirà bocca.
Mi accarezza la mano un ultima volta e poi comincia a parlare.
Ci parla di quello che gli è successo dopo che si è separato dalla squadra, di come ha capito che l’agguato non era stato un caso.
Mi spiega perché sarei dovuta essere l’unica ad uscirne viva.
“L’ho deciso io - dice - volevo proteggerti e ho supplicato gli altri di tenerti all’oscuro di tutto quello che avevamo scoperto”.
Quando finisce di parlare il locale ormai è vuoto.
Mi lascio condurre da Chris fuori dalla porta e giù nella metropolitana.
Nella mia testa gli stessi pochi pensieri si rincorrono senza tregua.
La consapevolezza che gli altri erano stati fatti sparire perché sapevano troppo ha mandato in frantumi quello che avevo ricostruito.
Mi sento come se fossi tornata al punto di partenza.
 
Fermo Chris prima di uscire dalla metro.
“Non dire una parola su quello che è successo oggi”, mi guarda perplesso.
“il capo gli sta dando la caccia”.
Non mi risponde, semplicemente mi passa un braccio sopra le spalle e mi invita fingere di non essere in uno stato pietoso davanti agli altri.
 
Il resto della squadra ci attende già nella mia stanza.
Integriamo le riprese delle telecamere di sorveglianza del ristorante, in cui non è mai ripreso il nostro tavolo, con quanto ha detto alla coppia all’altro tavolo.
Non trovando niente di interessante in entrambi si dividono i compiti di sorveglianza per il giorno dopo e lasciano tutti la mia stanza.
Resto sotto il getto di acqua calda più del solito, ripenso in continuazione a quello che ci ha detto.
Prima di prendere una qualsiasi decisione ho bisogno di prove. Ho bisogno di qualcosa di tangibile che mi dica che ha ragione.
Dopo la doccia non riesco a prendere sonno, il mio cervello continua a ripetermi che mi sta sfuggendo qualcosa.
Ripercorro le riprese, che Rufus ha lasciato sul mio pc, fotogramma per fotogramma.
Ed eccolo lì. Una tessera di plastica che il nostro obbiettivo lascia sul tavolo.
La stessa carta con cui la coppia paga alla cassa qualche momento dopo.
Sveglio Rufus, che grugnisce nel telefono in risposta. Gli chiedo se può rintracciarla. Maledicendomi riattacca e si mette al lavoro.
Arrivo per ultima al bar dove ci siamo dati appuntamento.
Mi scuso per il ritardo. Rufus ci comunica che sta lavorando sulla carta di credito.
Ci prendiamo una giornata libera, per prepararci ad entrare in azione da un momento all’altro.
 
“Ci siamo!” esordiscono in coro Rufus e Jimmy a cena.
“Ho impiegato tutto il giorno, ma sono riuscito a trovare una camera già prenotata dal nostro amico per domani”
“E io sono riuscito ad inserirti nella lista degli ospiti, dopo ti sistemo e ti aiuto a fare la valigia” conclude Jimmy facendomi l’occhiolino.
 
Alle 8.30 attraverso l’ingresso dell’albergo diretta al check-in.
“Signorina Queen la sua stanza è la 315, ecco la chiave”
“La ringrazio, può occuparsi della mia valigia? È un po’ pesante”.
L’uomo dietro il bancone annuisce. Poco dopo Aomine, vestito da facchino, mi accompagna al terzo piano.
Apre la porta della mia stanza, deposita la valigia sul letto,lascia la chiave sul tavolo e se ne va.
Questa stanza è adiacente a quella della vittima. Tiro le tende.
Apro la valigia. Con attenzione preparo il veleno e assemblo la pistola.
L’auricolare fischia. Lo tolgo ed esco dalla stanza.
Con la chiave magnetica che Tobias mi ha lasciato, nascosta sotto la mia, entro nell’altra stanza.
Dal mio nascondiglio lo vedo rientrare pochi minuti dopo.
È da solo. Con molta calma si avvicina alla finestra per telefonare.
Mi da le spalle.
Aspetto che rinfili il cellulare nella tasca della giacca.
Mi avvicino con la siringa tra le dita. Il mio riflesso nel vetro appare solo quando ormai è troppo tardi.
La mia mano è già appoggiata tra il suo collo e la spalla, l'ago penetra nella sua carne.
Una lieve pressione dello stantuffo. Il liquido chiaro entra in circolo.
I muscoli si contraggono.
Il cuore comincia a battere più veloce.
Gli si gonfiano le vene del collo. La sua pelle si copre di sudore.
Vuole reagire. Inutile.
Gli giro attorno per vederlo in faccia.
Sfilo la pistola dalla tasca della felpa.
Con movimenti rapidi e precisi fisso il silenziatore al suo posto.
Prendo con calma la mira e per poi premere il grilletto.
La pallottole viene espulsa con violenza, in pochi attimi colpisce la fronte dell’uomo.
E li impatta, frantuma, lacera.
Esce.
Dietro di lui schizzi di sangue e brandelli di cervello.
Il corpo cade, sbatte con violenza sul tappeto.
Poche minuscole gocce di sangue arrivano anche sui miei jeans, seccano e scompaiono assorbite dal tessuto scuro.
La puzza del sangue si diffonde nella stanza con rapidità. Il soffio di aria fredda alle mie spalle tradisce la sua presenza.
 “Credevo di averti insegnato meglio” non lo vedo, ma capisco che allude alle macabre chiazze di sangue e materia celebrale che ora decorano la stanza.
Il mio braccio si muove ancora prima di ricevere l’ordine dal cervello. Ruota e gli punta la pistola addosso.
Inspiro. Mi volto con il resto del corpo. Espiro.
Matteo mi sorride appoggiato al vetro.
“Puoi anche mettere via quella pistola, sappiamo entrambi che non intendi usarla contro di me”
“Potresti anche sbagliarti, mi hai insegnato di obbedire sempre agli ordini” rispondo beffarda.
“Morire non è un ordine piacevole da eseguire”
“Perché sei ancora qui?”gli chiedo cercando di nascondere il tremolio della mia voce.
“Voglio una risposta”. Ovvio, vuole sapere se sono un ostacolo o meno se alla fine ci troveremo davvero a puntarci addosso armi mortali.
Vuole una risposta che ancora non ho.
La mia evidente esitazione sembra bastargli.
Si stacca dalla porta, con solo due falcate copre la distanza che ci divide.
“Mi sei mancata Annie” mi sussurra all’orecchio.
Mi infila un foglietto nella tasca della felpa e poi sparisce.
Il tempo di un respiro e dei leggeri colpi alla porta annunciano l’arrivo dei miei compagni per ripulire la stanza e far sparire la pistola.
 
Ho appena chiuso la porta della stanza alle mie spalle che ho già in mano quel foglietto.
Senza leggerlo lo ripongo in una tasca nascosta della mia valigia approfittandone per ripescare il pigiama.
Bussano alla porta.
“Bello il pigiama con i gattini”
“Cosa vuoi Aomine?”
“Servirti la cena e comunicarti che una macchina ti verrà a prendere alle 10 per portarti in aeroporto”
“Prima classe questa volta vero?”
“Lo spero bene!”
 
La cena abbondante mi aiuta a rilassarmi. Per questa notte dormirò bene.

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