I love a guy

di Rivaille_02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Quando ero piccolo mi piaceva un ragazzo. Esatto, un ragazzo. La consideravo una cosa... strana. Mio nonno mi aveva insegnato ad amare le femmine, non i maschi. E allora perché? Non sapevo nemmeno il suo nome... eravamo entrambi dei bambini in vacanza in Austria. Il nostro primo incontro era stato il più strano che mi fosse mai capitato.
Stavo giocando con la mia amica Elizabeta, una bambina ungherese che avevo conosciuto nell’albergo dove sarei stato quell’estate, sulla riva del Danubio con il nonno sulla panchina a guardarci. Ad un certo punto sentimmo delle urla e un bambino che correva nella nostra direzione. Si scontrò contro di me perché non mi ero spostato in tempo. Non avevo dei buoni riflessi.
«Scusami, ti sei fatta male?» mi chiese gentilmente aiutandomi ad alzarmi. Perché aveva usato il femminile? Ero un ragazzo come lui...
«No...» risposi alzandomi. Mi guardò negli occhi e arrossì. I suoi erano di un azzurro limpido come il cielo di quel pomeriggio. Mi ci persi. Era anche biondo. Forse era tedesco...
Vedemmo Roderich, un bambino che io ed Elizabeta avevamo conosciuto lì in Austria, che stava correndo verso di noi con una borsa in mano.
«Ehi tu! Restituiscimi quelle patate!!» urlò, probabilmente, al biondo. Era arrabbiato. Il diretto interessato si scusò nuovamente con me e corse via mentre l’austriaco si fermò accanto ad Elizabeta per riprendere fiato. «Quel dannato ladruncolo...» si lamentò buttandosi a terra. La bambina si avvicinò a me e mi diede una pacca sulla spalla. Girai la testa per guardarla.
«Ti ha scambiata per una femmina anche lui, eh Feli?» scherzò.
«Sarà per colpa del vestito che mi hai fatto indossare?» chiesi prendendo delicatamente la parte inferiore dell’abito con le punte delle dita.
«Forse è anche per il tuo comportamento femminile...» ipotizzò Roderich guardando il gesto che feci. «Insomma Feli, sei un maschio! Perché ti comporti così? Per caso stare con Eliza ti ha fatto cambiare sesso?» si chiese mettendosi a sedere sulla panchina accanto al nonno. Era vero. Mi comportavo come una femmina. Ma che potevo farci? Il nonno diceva sempre che andavo bene così com’ero...
Dopo qualche oretta tornammo in albergo dove continuai a pensare al ragazzo dagli occhi azzurri. Non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Il giorno seguente tornai al parco da solo perché Eliza aveva il raffreddore e il nonno aveva degli impegni in città. Ed ecco che lo rividi: seduto su una panchina a guardare il Danubio. Era come assorto nei suoi pensieri. Mi avvicinai  con cautela.
«Posso sedermi vicino a te?» gli chiesi sorridendo. Lui girò la testa e, appena mi riconobbe, gli si illuminarono gli occhi arrossendo di brutto. Sembrava uno di quei pomodori che piacevano a mio fratello Lovino.
«C-certo... vieni pure» mi rispose facendomi spazio, quindi mi misi a sedere. Notai che mi stava guardando il vestito. Qualcosa non andava? «Se non sbaglio lo indossavi anche ieri...». Annuii.
«Posso sapere perché ieri Roderich ti stava rincorrendo? Sembrava anche piuttosto arrabbiato...» gli domandai.
«Roderich...? Ah, il tuo amico. Avevo solo preso delle patate, non capisco perché si fosse arrabbiato!» si mise le mani dietro la nuca. Nessuno più fiatò.
Il vento soffiava dolcemente facendo oscillare le chiome degli alberi intorno a noi. Erano le prime ore del pomeriggio, proprio come il giorno prima, e il sole splendeva alto nel cielo illuminando gli edifici davanti a noi. Si vedeva che era estate. Il bambino si voltò verso di me.
«Posso sapere il tuo nome?» mi chiese con il tono più dolce che avessi mai sentito. Aveva anche le guance un po’ rosse.
«Feli» risposi sorridendo. «Feli Vargas». Perché non avevo detto il mio vero nome? E cos’era quella sensazione che stavo provando?
«Feli...» sorrise dolcemente. «È un bel nome, proprio come te...» si interruppe arrossendo più di prima. Si voltò imbarazzato. «F-fai come se non avessi detto niente...». Gli presi la mano e appoggiai il viso sulla sua spalla.
«Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, sai? Nemmeno mio fratello e mio nonno! Grazie...» gli dissi chiudendo gli occhi contento. Sentii la sua guancia appoggiarsi sulla mia testa.
«Ti va bene se ci incontriamo anche domani qui, Feli?» sentirlo pronunciare il mio nome mi fece battere il cuore. Lo aveva detto con un tono così dolce...
«Certo! Io sono qui in Austria fino agli inizi di Settembre perché poi inizia la scuola in Italia e devo andarci! Tu di dove sei... ehm... qual è il tuo nome, bambino gentile?». Ero fatto così: partivo da un argomento e finivo per parlarne di un altro, correlato o no.
«Vengo dalla Germania e...» si fermò abbassando lo sguardo.
«Se non vuoi dirmi il tuo nome non importa! Possiamo trovare insieme un soprannome!» proposi sorridendogli dolcemente. Lui mi ringraziò.
Dopo quel pomeriggio, iniziammo ad incontrarci tutti i giorni. Stesso luogo, stessa ora. Ad ogni chiacchierata imparavamo sempre di più l’uno dell’altro. Ad esempio, anche lui aveva un fratello maggiore come me e gli piaceva giocare a calcio! Non sapevo il perché, ma avevo iniziato a vestirmi ogni giorno da ragazza per incontrarlo. Non che prima non lo facessi, ma in quel periodo mi piaceva. E non mi piaceva solo quello, ma anche lui. Grazie ad Elizabeta avevo finalmente capito che quel che provavo per lui non era solo amicizia, ma qualcosa di più. Sia lei che Roderich mi incoraggiavano a dichiararmi ma io avevo paura. E se avesse scoperto che in realtà ero un ragazzo? E se non ricambiava affatto? E se...? Troppe domande mi ponevo. Me lo dicevano anche loro due. Dovevo essere più tranquillo, andare da lui e dirgli tutto quel che provavo. Ma non fui io a fare la prima mossa.
Come ogni giorno, mi diressi al parco in riva al Danubio. Rimasi sorpreso nel vederlo con una valigia in mano. Mi aveva detto che sarebbe partito, ma non avrei mai pensato ad un giorno così vicino. Mi avvicinai a lui chiedendogli se davvero doveva andarsene così presto. Confermò con tono triste. No, non volevo. Non poteva partire così, senza preavviso. Ma doveva. La mia prima cotta che mi lasciava così... avevo bisogno di dargli qualcosa per ricordarsi di me. Gli diedi un ciondolino che avevo comprato poco prima. Aveva una stella come decorazione. A lui piaceva osservare le stelle, proprio come me. Eravamo simili. Accettò il mio regalo mettendoselo in tasca, in modo da non perderlo. Non si girava per andare da suo fratello, che era dietro di lui ad aspettarlo. Era fermo davanti a me.
«Feli... cosa fanno le persone in Italia per dimostrare il loro amore verso la persona che amano?» mi chiese all’improvviso.
«Si baciano» risposi non sapendo le sue intenzioni.
«Si baciano, eh?» mi prese le mani arrossendo. Mi guardò negli occhi nella maniera più dolce che avesse mai fatto. Li socchiuse facendo avvicinare il suo viso al mio e mi baciò. Mi aveva preso alla sprovvista. Non sapevo cosa fare, come reagire. Era solo un piccolo bacio, ma mi fece emozionare parecchio. «Feli, io ti amo» dichiarò abbracciandomi poi forte a sé. Mi sussurrò poi all’orecchio: «So che ricambi, non c’è bisogno che tu dica niente». Mi diede un altro bacio sulla guancia. Avrei tanto voluto che me ne avesse dati altri, ma suo fratello era così impaziente che dovette lasciarmi subito. Quando sentii le sue braccia staccarsi dal mio corpo divenni triste e lui se n’era accorto. Cercò di tranquillizzarmi giurandomi che sarebbe venuto in Italia per stare con me e che non avrebbe amato nessun’altra oltre a me. Mi rese felice in un certo senso. E quel sorriso che fece mi rasserenò parecchio facendomi credere nel suo giuramento.
«Ti aspetterò allora... quando tornerai, ti preparò della pasta!» gli promisi. Dopo qualche secondo a guardarci negli occhi, si girò e andò verso il fratello con il quale salì sulla loro macchina. Ero sicuro che l’avrei rivisto. Avessi dovuto aspettare vent’anni, l’avrei rivisto. Mi aveva fatto credere nelle sue parole, me lo aveva giurato.
Quando compii quindici anni non era ancora tornato. Ma lo aspettavo comunque... l’avrei aspettato per sempre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


«Ohi Feli, svegliati su» si lamentò mio fratello Lovino tirandomi via le coperte.
«Lasciami dormire Lovi...» lo supplicai rannicchiandomi. Mi tirò la guancia.
«Ohi, idiota, oggi è il quindici quindi vedi di alzarti» mi ricordò con un tono più irritato. Il quindici? Le vacanze estive erano davvero finite? No, non volevo crederci. Non poteva essere vero. Aprii lentamente gli occhi sperando di ritrovarmi nella casa di campagna del nonno. Ogni estate la passavamo lì. Rimasi sconvolto quando mi resi conto di essere nella mia stanza, in città. Quindi le vacanze erano davvero finite...
«Che ore sono Lovi?» chiesi alzandomi mezzo addormentato. Lui mi fece vedere la schermata del suo telefono: erano già le sette. «Ehi, Lovi».
«Che c’è? Non vedi l’ora?» domandò scocciato. Gli sorrisi.
«Certo che ti piace proprio il professore di educazione fisica...».
«Di che stai parlando, idiota?» arrossì un po’.
«Guarda la tua schermata di blocco fratellone» lo invitai mettendomi di fianco a lui. La guardò.
«Fatti gli affari tuoi, Feliciano» si mise il telefono in tasca e si avviò alla porta. «Pensa piuttosto a prepararti. Ti aspetto in cucina» mi disse per poi uscire. Quel giorno mio fratello avrebbe iniziato la quarta superiore mentre io la seconda. Frequentavamo lo stesso liceo linguistico a Firenze. Avevamo qualche professore in comune, fra cui quello di educazione fisica. Era uno spagnolo molto simpatico. Io sapevo solo il suo cognome, Carriedo, mentre Lovino il suo nome completo. Questo perché era molto aperto con lui. L’anno precedente, quando arrivai in quella scuola, li vedevo sempre insieme a ricreazione ma mio fratello non voleva mai dirmi di cosa parlavano. Mi sentivo escluso. Quando tornai dall’Austria gli raccontai tutto quel che mi era capitato, tutto quel che avevo detto a quel bambino di cui non sapevo nemmeno il nome. Chissà quando sarebbe tornato da me...
«Feliciano ma quanto diamine ci metti a prepararti!?» urlò Lovino piuttosto arrabbiato. Ero talmente perso nei miei pensieri che non mi ero accorto del tempo che passava. Quindi mi vestii velocemente e raggiunsi mio fratello in cucina. Appena mi vide, mi squadrò. Si soffermò sulla mia maglietta. Non gli piaceva?
«Che c’è fratellone?» gli chiesi confuso.
«La tua maglia». Indicò l’indumento.
«Cos’ha di strano? È una delle cose più carine che ho...».
«La maglia che ti ha dato quel tedesco è carina?».
«Non è tedesco! I suoi genitori hanno origini prussiane quindi è prussiano...» ribattei in sua difesa. Il ragazzo in questione era Gilbert Beilschmidt, il mio compagno di classe e migliore amico dall’anno precedente. Ogni volta che mi vedeva mi veniva incontro felice e mi faceva sempre tanti regali. Mi piaceva, ma solo come amico. Il mio cuore batteva solo per quel bambino tedesco.
«Vabbè Feli, è uguale! Fatto sta che te l’ha regalata quel ragazzo là...» gesticolò cercando di ricordarsi il nome. «Gilbert, giusto?». Annuii. Dei rumori interruppero la nostra conversazione: era il nonno che stava girando le chiavi nella serratura della porta d’ingresso per aprirla. Capimmo che era l’ora di andare a scuola.
«Non voglio che i miei amati nipotini facciano tardi il loro primo giorno di scuola!» esclamò scompigliandoci i capelli divertito. Io risi mentre Lovino cercò di allontanarsi. Si credeva troppo grande per cose come queste. Il nonno sapeva che mio fratello avrebbe reagito così, quindi ci lasciò subito andare prima che qualcuno avesse potuto innervosirsi. Nonostante fosse nostro nonno, non era tanto anziano. Aveva sulla cinquantina d’anni ma era molto attivo. Non dimostrava nemmeno la sua età!
Dopo averci salutati, uscimmo e ci dirigemmo a scuola. Era una bella giornata di sole. Il cielo azzurro senza nemmeno una nuvola e tirava anche un po’ di venticello. Era piacevole stare fuori, soprattutto con mio fratello: appena vedeva una ragazza carina me lo diceva subito. A volte provava a parlarci e, se gli diceva il nome, lui la cercava sui social che aveva, ovvero Facebook e Instagram. Arrivati a scuola, Lovino si fermò prima di arrivare davanti al cancello e si girò verso di me.
«Fai il bravo a scuola. Ricordati di venire da me a ricreazione» mi disse spostandomi i ciuffi e dandomi un bacio sulla fronte. Sorrisi e lo abbracciai contento.
«Non preoccuparti fratellone! Tu non far arrabbiare i professori però! Lo sai che il nonno si arrabbia se prendi un altro rapporto...».
«Sì va bene... ora però dovresti andare dai tuoi compagni Feli...» arrossì. Voleva sentirsi grande davanti ai suoi amici, quindi mi staccai da lui. Io ero il fratellino che si comportava come una femmina, essendo cresciuto come tale insieme ad Eliza. Non voleva che lo prendessero in giro per colpa mia. I ragazzi non si comportano come delle femmine. Io provavo a comportarmi come mio fratello, ma non ci riuscivo. Lui aveva molti più amici di me, era popolare fra le ragazze... tutto il mio contrario. L’unica cosa che avevamo di simile era l’aspetto. Nonostante avessimo due anni di differenza sembravamo due gemelli. Se non fosse per i miei capelli più chiari e la posizione del nostro ciuffo ci avrebbero scambiati di sicuro.
Sentii chiamare il nome. Non ebbi nemmeno il tempo di vedere chi fosse che subito mi ritrovai fra le braccia di questa persona. Riconobbi i capelli argentei.
«Gilbert, buongiorno!» lo salutai sorridendo. Lui si staccò mettendo le mani sulle mie spalle.
«‘Giorno Feli!» ricambiò il sorriso. «Sei carinissimo come sempre! E ti sei anche messo la maglietta che ti avevo regalato... mi rendi così felice!» esclamò commosso. Lovino si mise nel mezzo facendolo andare indietro.
«Non stare troppo attaccato a mio fratello tu...» lo avvisò con aria seria. Sembrava il boss di una banda di teppistelli. Magari lo era. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui tornava sempre tardi la sera...
Dopo una risposta scocciata di Gilbert, io e mio fratello ci separammo. Lui andò dalla sua classe mentre io mi diressi con il mio amico alla porta d’ingresso. Parlammo di come avevamo trascorso quell’estate, di cosa avremmo fatto quell’anno... un po’ di tutto. Poco dopo suonò la campanella e ci dirigemmo in classe. Per le scale vidi un mio amico, Kiku Honda. Era un ragazzo timido e l’unico amico che aveva in classe era un americano che condivideva la sua stessa passione, ovvero i videogames. Lui non mi vide, forse per la marea di persone che stavano salendo le scale. Arrivati in classe, Gilbert prese posto in uno dei due banchi vicino alla finestra ed io mi misi accanto a lui. Come l’anno precedente, eravamo i primi ad arrivare in classe e i nostri compagni non sarebbero arrivati fino al suono della campanella delle otto. Appena mi misi a sedere, Gilbert tirò fuori il telefono.
«Vieni Feli che ci facciamo un selfie!» mi propose facendomi avvicinare a lui. Era solito farsi una marea di selfie e postarli su Instagram per far vedere a tutti la sua magnificenza. E lo dovevo ammettere: era proprio un bel ragazzo. Non mi accorsi nemmeno che aveva scattato la foto che subito me la mostrò. «Quanto sei venuto carino Feli!» esclamò guardando il telefono.
«E tu magnifico come sempre Gilbert» sorrisi. Lui mi guardò con le guance rosse: era sempre così quando gli facevo un complimento. Mi abbracciò dicendomi che gli piacevo quando glielo dicevo. Era sempre così dolce con me.
Ad un certo punto sulla soglia della porta della classe apparve un ragazzo che chiamò Gilbert. Mentre il prussiano si avvicinava a lui, ebbi il tempo per scrutarlo. Non l’avevo mai visto a scuola, ma avevo l’impressione di averlo già incontrato. Capelli biondi, occhi azzurri limpidi come il cielo... quel bellissimo colore... poteva essere lui? No, era impossibile. Però aveva qualcosa di così familiare... non potevo nemmeno chiedergli il nome siccome lui non me l’aveva detto. Magari potevo ricavare qualche informazione da Gilbert, magari era davvero lui... ci speravo così tanto. Ecco, aveva finito di parlare. Il ragazzo se n’era andato e il mio amico stava tornando da me. Presi un bel respiro e parlai.
«Chi era?» chiesi.
«Mio fratello Ludwig» rispose mettendosi a sedere. «Si è trasferito quest’anno e non sapeva dove fosse la sua classe».
«Va in prima?».
«No, in seconda come noi».
«L’ho mai incontrato quando venivo a casa tua?».
«Non mi pare... ma perché tutte queste domande su mio fratello?» mi domandò prendendomi le mani. «Non dirmi che ti piace...» mise il broncio. Che dovevo dire? “Se è quel bambino che ho incontrato allora sì, mi piace”?
«Non è questo... e poi l’ho visto solo ora, no?».
«Perché mi dici sempre quel che voglio sentirmi dire, Feli?» mi abbracciò di nuovo dandomi un bacio sulla guancia. «Se così carino!». Sorrisi. Dovevo chiederglielo? Sì, dovevo. Avevo bisogno di sapere se era lui o no.
«Senti Gilbert, tu e tuo fratello siete mai stati in Austria?». Quegli occhi azzurri limpidi come il cielo...
«Sì, quando avevamo otto anni, perché?». Quei capelli biondi...
«Per caso tuo fratello aveva incontrato una bambina italiana lì?». Doveva essere lui...
«Sì, e gli piaceva pure!». Era lui, non c’erano dubbi.
«E questa bambina si chiamava Feli Vargas?». Alzò la testa.
«Feli, come fai a...» si interruppe guardandomi fra il sorpreso e lo scioccato. «Quella bambina eri...?». Annuii.
«Ho bisogno di parlare con tuo fratello Gilbert, per favore» lo supplicai.
«Come hai fatto a riconoscerlo?» mi chiese stupito.
«Non si può dimenticare il volto della persona che si ama, Gilbert» sorrisi. Abbassò la testa. Aveva un’aria triste. Non prese nemmeno il telefono, ancora fermo sulla nostra foto.
«Quindi ti piace mio fratello?» mi domandò a voce bassa.
«Ora che so chi è, sì!» risposi.
«E se si fosse scordato di te? Voglio dire... è da due anni che siamo in Italia, eppure non ti è mai venuto a cercare...». Da quanto erano qui...?
«Perché dici questo, Gilbert? Non può essersi scordato di me... anche lui mi amava, me lo aveva detto esplicitamente prima che partisse...» provai a sorridere.
«Non sai cos’è successo in questi anni... come puoi esserne così sicuro?». Cosa voleva dire? Era successo qualcosa a lui? Mi stava spaventando...
«Cos’è successo?». Non rispose. «Gilbert...». Niente. Gli presi la mano. «Non dirò niente, prometto. Per favore, dimmi cos’è successo...». Alzò la testa e mi guardò.
«Fai finta che non abbia detto niente Feli, va bene?» sorrise, ma sapevo che non era vero. Era il primo sorriso falso che mi avesse mai fatto. Nonostante ciò, annuii. Mi piaceva stare in silenzio mentre tenevo la mano a Gilbert, ma non in quel momento. Quello era un silenzio preoccupante, non mi piaceva affatto. Cos’era successo a lui che io non potevo sapere? Perché mi aveva detto che forse non si ricordava di me? Mi aveva sempre detto tutto, anche le cose più futili. Ora che aveva tirato un argomento importante, a cui tenevo particolarmente, non mi voleva dire niente?
«Gilbert, mi prometti che un giorno mi dirai tutto?».
«Ti dirò tutto quando sarà il momento giusto, Feli. Come ho sempre fatto» mi sorrise. «Per ora non preoccuparti e stai con me!».
«Volevo stare anche con...» non mi diede il tempo di finire che mise il suo dito davanti alla mia bocca.
«Potrai stare anche con mio fratello, ma per ora ti conviene stare con me Feli. Saprò renderti più felice di quel biondino». Non capivo il perché di quella frase, ma annuii in silenzio. Sapeva che ero felice quando ero con lui, non aveva bisogno di dirmelo. Mi sorrise dolcemente per poi prendermi le mani. «Dopo la scuola andiamo in centro?». Accettai contento. Era la prima volta che uscivo con Gilbert dopo tre mesi. Però non vedevo l’ora di andare da suo fratello per vedere se si ricordava di me. Quello era il mio pensiero principale.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


«Il prossimo autobus passa fra sette minuti...» si lamentò Gilbert guardando gli orari attaccati a un palo. Avevamo perso il bus.
«Che si fa? Ci mettiamo a sedere e aspettiamo?» proposi.
«Sul marciapiede? Sicuro?».
«Non penso che tu voglia stare fermo in piedi per sette minuti...». Accettò e si mise a sedere. Mentre mi stavo abbassando, Gilbert mi prese per la manica e mi tirò a sé. Mi ritrovai sulle sue gambe e con la testa appoggiata al suo petto. Lo guardai confuso.
«Non voglio che ti sporchi» mi disse sorridendo. Mi sentii improvvisamente rosso in viso. Perché? Dovrei arrossire solamente con lui, con Ludwig... dovrei stare in questo modo solo con lui, perché era lui il ragazzo che amavo, non Gilbert. E allora perché? Per l’appunto arrivò suo fratello. Ero così imbarazzato e mi sentivo anche in colpa...
«Ehi, Gilbert» lo chiamò venendo nella nostra direzione. «Che ci fai seduto sul marciapiede?» gli chiese. Non mi aveva visto?
«Cosa vuoi che faccia seduto davanti al palo con gli orari del bus, Ludwig?» domandò retorico con tono ironico. Il biondo guardò verso di me, quindi mi sporsi verso di lui cercando di rialzarmi.
«Ludwig! Finalmente posso rivederti... sono Feli, ci siamo incontrati qualche anno fa in Austria!» corsi da lui entusiasta. Avevo una voglia tremenda di abbracciarlo, di stare solo con lui... però Gilbert aveva detto che forse non si ricordava di me. Non volevo crederci... di sicuro l’avrà detto per spaventarmi!
«Feli...?» mi guardò confuso.
«Esatto, Feli Vargas! Non ti ricordi? Avevamo speso così tanto tempo insieme quando eravamo in Austria! Sono così felice di rive...» mi fermai. Aveva ancora il solito sguardo. Sentii Gilbert afferrarmi la manica.
«Non mi hai confuso con qualcun altro?». Quelle parole mi spezzarono il cuore. Quindi aveva ragione... si era davvero dimenticato di me. Non riuscivo a reggermi in piedi dallo shock.
«Tranquillo Lud, sono passati sette anni, è normale che non ricordi...» gli disse Gilbert reggendomi. Perché si era dimenticato di me...? «Eravate buoni amici quando eravamo in Austria! Tranquillo, pian piano ricorderai tutto!». “Buoni amici”? Ci amavamo...
Dopo che mi ripresi dallo shock, decidemmo di andare tutti e tre in centro, anche se a Gilbert l’idea non piaceva molto. Perché? Per caso non voleva che si ricordasse di me? Mi stava sempre appiccicato e avevo paura che Ludwig si sentisse il terzo incomodo...
Dopo aver fatto un giro nei negozi, andammo in un bar a rilassarci e a mangiare qualcosa. Gilbert era seduto accanto a me mentre suo fratello era davanti a noi. Restammo per un po’ in silenzio. Eravamo nel sottopassaggio della stazione di Firenze e c’era un bel po’ di gente. La vedevo passare dalla finestra del bar. Chi aveva le valigie e chi no. Chissà da dove provenivano quelli con i vestiti bizzarri. I giapponesi li riconoscevo subito perché facevano sempre le foto ovunque! Eccone uno davanti alla vetrina di un negozio. Magari ci sarà stato qualcosa che aveva attirato la sua attenzione.
«Ma voi due...» iniziò Ludwig. Io e Gilbert ci voltammo verso di lui. «Niente, lasciate perdere».
«Dai Lud! Ora sono curioso! Che vuoi chiederci?» domandai curioso. Quando qualcuno iniziava una frase volevo sapere come finiva!
«Volevi chiederci se siamo fidanzati? Beh, per ora no» disse il prussiano appoggiando la schiena alla sedia. Il fratello lo guardò confuso.
«Che intendi con “per ora”?».
«Niente, lascia perdere» imitò il biondo. «Hai paura che te lo rubo?» chiese come per provocarlo. Ludwig sembrava piuttosto irritato da quella domanda. Io stetti zitto. Non sapevo proprio cosa dire... mi sentivo in imbarazzo. Guardai l’orologio appeso al muro: erano di già le tre.
«Scusate ma devo proprio andare... mio fratello mi starà aspettando alla tramvia» avvisai alzandomi. Lasciai due euro sul tavolo. «Sono i soldi per la brioche, ci vediamo domani!» salutai avviandomi alla porta. Appena uscito, mandai un messaggio a Gilbert chiedendogli il perché di quelle sue risposte. Mi rispose poco dopo con un “Stavo solo scherzando!”. Sapevo che non era vero. Una volta arrivato davanti alla tramvia, sentii il telefono squillare: era Gilbert. Perché avrebbe dovuto chiamarmi? L’avevo lasciato con suo fratello... decisi comunque di rispondere.
«Non sei con Ludwig?» gli chiesi appena messo il telefono all’orecchio.
«Sono nel bagno del bar, ho lasciato mio fratello al tavolo di prima».
«Non è una cosa gentile...».
«Volevo solo chiederti una cosa Feli». Quando aveva qualcosa di importante da dire o da chiedere, arrivava subito al punto senza giri di parole. Era un ragazzo diretto. «Non hai paura della reazione di mio fratello se scoprisse che la ragazza che amava è in realtà un ragazzo?». Rimasi scioccato da quella domanda.
«Mi odierà...» risposi con tono basso.
«Lo pensi davvero?».
«Non ho intenzione di dirglielo...».
«Gliel’hai detto prima di andare in centro, Feli». Me n’ero completamente scordato... stare con Ludwig mi aveva fatto dimenticare tutto quel che era successo prima. Andai in panico. Gliel’avevo detto... e ora? «Ne stavamo discutendo giusto ora» mi disse.
«E... che ha detto?» chiesi ansioso.
«È solo confuso. Tranquillo, quando avrà ricordato tutto verrà da te a chiederti scusa per non essere venuto prima» mi rassicurò Gilbert. Tirai un sospiro di sollievo.
«Quindi prima stavi solo cercando di farlo ingelosire?». Mi sentii sollevato quando udii il suo “Sì”. A quel punto ci salutammo e chiusi la chiamata mettendo il telefono in tasca. Feci segno di vittoria. Questo voleva dire che dopo qualche giorno Ludwig si sarebbe ricordato di me, del tempo trascorso insieme, del nostro amore... volevo che quel giorno fosse arrivato subito. Lo volevo con tutto il cuore.
Intravidi mio fratello in mezzo a tutta quella gente. Corsi da lui entusiasta e, una volta davanti a lui, mi accorsi che c’era anche il nostro professore di ginnastica. Pensai subito ad un appuntamento.
«Ciao fratellone!» lo salutai sorridendo. «Ciao anche a lei prof!».
«Dov’è quel tuo amico?» mi chiese Lovino incrociando le braccia.
«È rimasto al bar con suo fratello Ludwig».
«Ludwig? Parli del nuovo studente? Non avrei mai immaginato che fossero fratelli...» disse sorpreso il professore. Mio fratello lo guardò male.
«Non t’intromettere nei discorsi fra me e mio fratello, Antonio» lo rimproverò Lovino. Lo aveva appena chiamato per nome? E il professore stava ridendo? Qui gatta ci cova...
«Per caso uscite insieme voi due?». Feci arrossire entrambi. Mio fratello, come suo solito, iniziò a negare tutto nonostante gli si leggesse la verità negli occhi; il prof, al contrario, confermò tutto facendo irritare Lovino.
Quando arrivò il tramvia, Antonio se ne andò dando un bacio sulla guancia a mio fratello. Una volta che le porte del mezzo furono aperte, entrammo e ci sedemmo nei primi due posti liberi che trovammo. Il tramvia, se preso in centro, era davvero pieno: a malapena potevi entrare.
«Siamo stati fortunati a trovare due posti liberi, eh Lovi?» sospirai sorridendo a mio fratello. Aveva l’aria seria. «Che hai, Lovi? Te la sei presa per prima?».
«Nient’affatto! Anzi, mi sono tolto anche un peso ora che lo sai» mi guardò sollevato. «Che hai fatto prima? Ti vedevo un po’ giù... ». Lovino si accorgeva sempre se qualcosa non andava, anche quando pensavo di non farlo notare. Dopotutto, era mio fratello.
«Ero solo triste per essere andato via così presto, tutto qui» feci il mio primo sorriso falso, e sicuramente se n’era accorto.
«Per caso è successo qualcosa che non vuoi dirmi?». Lo sapevo che me l’avrebbe chiesto, ma non avevo intenzione di dire niente. Mi limitai ad abbassare lo sguardo e continuare a sorridere. Lovino non aprì bocca fin quando non mettemmo piede in casa. Il nonno non era ancora tornato, quindi ci dirigemmo in camera nostra. Io appoggiai lo zaino accanto alla scrivania; mio fratello, al contrario, ce lo buttò, letteralmente. Eravamo diversi caratterialmente, ma di aspetto eravamo simili.
«Feli, ora dimmi che hai fatto» mi disse avvicinandosi a me.
«È lui che...».
«“Lui”, chi? Quel prussiano o suo fratello?». Voleva proprio farmi parlare... doveva averlo capito che non volevo.
«Perché vuoi saperlo?» gli chiesi abbassando la testa. Lo scatto in avanti che fece Lovino mi fece cascare sul letto.
«Per sapere con chi devo parlare domani, ecco perché». Era arrabbiato. Lo era sempre quando ero triste. Sapeva che lo ero per colpa di qualcuno, e quel qualcuno doveva per forza parlare con lui il giorno seguente faccia a faccia. Da un lato mi piaceva, perché sapevo che lo faceva per me. Ma dentro di me non tanto, perché pensavo che alla fine sarei rimasto solo.
Lovino continuava a ripetermi di dirgli chi era stato. Non avevo altra scelta che dirgli tutto. All’inizio non si ricordava nemmeno chi era il bambino tedesco che incontrai in Austria, quindi avevo dovuto rispiegargli tutto.
Ci avevo messo circa un quarto d’ora per dirgli tutto perché non si ricordava molte cose. Una volta appresa la situazione, mi avvertì che da quel momento in poi sarebbe stato più attento ai due fratelli, soprattutto a Gilbert. Ringraziai il cielo che non mi avesse preso per una femminuccia.
Il giorno seguente, come mi aveva promesso, mio fratello salutò il prussiano come sempre. La giornata scolastica passò in fretta e mi sentii stranamente felice. Forse perché avevo avuto l’occasione di parlare con Ludwig durante le ricreazioni. Mi aveva anche domandato se potevamo iniziare ad uscire insieme. Cosa gli aveva detto Gilbert per chiedermi questo? Ovviamente accettai, forse facendo vedere troppo il mio entusiasmo. Così, nei giorni seguenti, iniziammo ad uscire all’insaputa del fratello. Il tempo era bello per quasi tutto Settembre, poi l’autunno aveva cominciato a farsi sentire. Un po’ alla volta, uscita dopo uscita, sembrava che stesse iniziando a ricordare del tempo trascorso insieme e a sentirsi bene in mia presenza. Non ebbi mai avuto il coraggio di chiedere a nessuno dei due come mai di questa perdita di memoria, anche perché Ludwig di sicuro non se lo ricordava e Gilbert non me l’avrebbe mai detto. Lasciai perdere. Mi bastava solo stare con il ragazzo che amavo. Nient’altro che questo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Era già metà Ottobre e Ludwig aveva ricordato quasi tutto. Doveva solo tornargli in mente la nostra promessa...
«Feli? Mi stai ascoltando?» mi chiese Gilbert picchiettandomi il braccio. Mi ero ancora distratto...
«Sì, scusa, stavi dicendo?».
«Ti ho chiesto se volevi venire da me dopo la scuola, ti va?» mi sorrise. A casa sua? Quindi avrei finalmente avuto l’occasione di vedere la loro casa? Era ormai poco più di un anno che ci conoscevamo e ancora non ero stato a casa sua. Strano, vero? Ovviamente accettai. Ero così curioso di vederla...
«Dov’è che vai dopo scuola tu?» sentii la voce di Lovino vicino all’orecchio. Quasi saltai per lo spavento. Guardava Gilbert con aria sospetta, come se lui avesse in mente di farmi qualcosa una volta a casa sua. Non sapevo proprio di cosa si preoccupasse...
«A casa mia, perché?» gli rispose Gilbert guardandolo a sua volta.
«A fare cosa?».
«E dai! Cosa pensi che si faccia?» rise lui. Mio fratello rimase serio. «Sta tranquillo, si gioca solo un po’ alla PlayStation, niente di chè!». Lovino sospirò.
«Va bene, mi hai convinto. Ora però devo parlare con Feliciano» lo avvisò facendomi segno di seguirlo. Mi portò fuori dal bar della scuola, dove avevamo lasciato Gilbert seduto da solo. Mi sembrava piuttosto preoccupato.
Una volta fuori, mi raccomandò di fare attenzione a casa sua perché aveva uno strano presentimento. Gli chiesi di che si trattasse ma non ebbe il tempo di rispondermi che subito arrivò il prof di ginnastica. Salutò prima Lovino scompigliandogli i capelli e poi me con un sorriso. Mi disse che aveva qualcosa per me e tirò fuori alcuni fogli, un po’ tenuti male a dire la verità. Mi sembrava di guardare i fogli su cui mio fratello prendeva gli appunti.
«Cosa sono?» domandai indicandoli.
«Quel che sono riuscito a farmi dire dal tuo amico» rispose lui porgendomi i fogli.
«Hai fatto il quarto grado al prussiano?! Serio?!» esclamò stupito Lovino afferrandogli il braccio. Il prof annuì fiero. «Quanto ti amerò Antonio...». Sia io che lo spagnolo ci girammo verso di lui, io incredulo mentre lui con fare malizioso. Mio fratello subito girò la testa imbarazzato balbettando qualcosa che non riuscii a comprendere. Di sicuro ci avrà chiamati “idioti” come suo solito.
«Sai a cosa somigli ora come ora, Lovi?» gli chiese il prof prendendogli le mani.
«Antonio non-».
«A un pomodoro!» rise. Mi girai per non far irritare ancora di più Lovino. Rividi i fogli che mi aveva portato lo spagnolo. Provai a leggere: parlavano di Ludwig.
«Scusate se interrompo il vostro momento... uhm... fluff? Ma volevo tornare ai vogli che mi aveva portato, prof» dissi guardandoli. Appena l’uomo si voltò verso di me, Lovino si liberò dalla sua presa e si nascose dietro di me.
«Chigi... bravo fratellino, cambia discorso...». Aveva la voce che gli tremava. L’altro ridacchiò.
«Feli ha ragione, torniamo ai fogli».
«Ho visto che parlano di Ludwig» iniziai subito. Mio fratello, sempre dietro di me, appoggiò la testa sulla mia spalla per vedere.
«Esattamente. In questi giorni era un po’ strano... per esempio, in classe sua ci sono alcuni suoi vecchi compagni di scuola ma non riesce a ricordarli, diceva di non averli mai visti. Sembrava quasi avesse perso la memoria...» mi spiegò.
«L’ha fatto anche con me, era come se non ci fossimo mai incontrati...» abbassai la testa.
«L’avevo immaginato, per questo ho richiamato suo fratello per chiedergli il motivo».
«Immagino che non voleva dire niente, quel maledetto... far soffrire così il mio adorato fratellino, me la pagherà quel prussiano...» lo interruppe Lovino irritato. Non dissi niente.
«Proprio così Lovi. Alla fine, però, sono riuscito a farlo parlare».
«Sembra che dovevi fargli un interrogatorio come quelli della polizia, Antonio. Parla normalmente, non come se fossimo in un giallo, ti scongiuro». Mi scappò una piccola risata. «Diglielo anche tu, Feli! Sei un insegnante, non un detective!»  appoggiò la sua testa alla mia. Risi di nuovo. Sapevo che faceva così per farmi stare su di morale.
«Va bene, come volete. Stavo dicendo che alla fine mi ha detto il motivo della sua perdita di memoria, anche se mi ha pregato di non dirtelo, Feli».
«E tu diccelo, idiota. Mica vorrai stare dietro a quel che dice quello là...» ribattè Lovino. Decisi di parlare, anche se sapevo che nessuno dei due sarebbe stato d’accordo con me.
«Se ti ha detto questo allora non dirmelo. Voglio che sia lui a farlo». Mi guardarono entrambi confusi. Mio fratello mi girò verso di lui mettendo le mani sulle mie spalle. Pensai subito che mi avrebbe sgridato...
«Ma sei impazzito?! Ora che finalmente puoi sapere quel che volevi sapere ti rifuiti?!» mi urlò.
«Gilbert mi aveva detto che mi avrebbe rivelato tutto quando sarebbe stato il momento giusto, quindi...». Era vero, me l’aveva detto chiaramente il primo giorno di scuola. Dal suo sguardo, però, si vedeva chiaramente che non ci credeva. Dopotutto, stavamo parlando di Gilbert.
La campanella suonò proprio in quel momento e Antonio dovette sbrigarsi ad andare nella classe successiva. Lovino, invece, mi accompagnò in aula. Ad aspettarmi davanti alla porta c’era Gilbert che, appena mi vide, mi corse subito incontro. Mi prese per mano e mi portò in classe. Appena mi sedetti, tirai fuori il telefono e mandai un messaggio a Ludwig chiedendogli se voleva tornare a casa con noi. Visualizzò e rispose subito di sì. Ero al settimo cielo! Non vedevo l’ora di uscire da scuola.
I miei desideri furono esauditi dall’ingresso del custode che ci informò dell’assenza del professore dell’ultima ora e quindi eravamo liberi di uscire. Superata la porta, vidi Ludwig appoggiato alla parete accanto.
«Ehi, Lud! Che ci fai qui? Non hai il permesso per uscire prima?» gli chiese Gilbert dandogli un colpetto sulla spalla.
«Feli mi ha chiesto se volevo tornare a casa con voi, quindi...» rispose girando la testa. Che carino era...
«Quindi che si fa? Bisogna prendere l’autobus o andate a piedi? È lontana casa vostra?» domandai mettendomi davanti a loro.
«Abitiamo a circa mezz’ora da qui, quindi bisogna prendere l’autobus» mi disse Ludwig. A mezz’ora da qui poteva esserci un paesino o il centro. Mi chiesi in quale dei posti potessero abitare.
Una volta usciti da scuola, prendemmo l’autobus al volo e ci dirigemmo a casa loro. Si trovava in uno di quei paesini calmi vicino a Firenze. Immaginai che abitassero in un appartamento come me, siccome c’erano solo villette a due o tre piani. E infatti scendemmo difronte alla loro abitazione, una villetta a due piani, proprio come pensavo. Appena Gilbert aprì la porta, Ludwig fece per andarsene.
«Lud, dove vai?» gli chiesi prendendogli la manica.
«Mi avevi chiesto se volevo tornare, non rimanere».
«Eh? E dai, Lud! Rimani!» lo supplicai.
«Mi dispiace Feli, ho altri programmi per oggi» si scusò dandomi un bacio sulla fronte. Mi sentii arrossire. Quanto ero arrossito? Oddio, mi sentivo morire... sentii anche Gilbert afferrarmi il braccio.
«Se hai da fare allora ti conviene andare, Lud. Sta tranquillo che ci divertiremo anche noi due da soli! Vero Feli?» si intromise lui mettendosi nel mezzo. Sembrava quasi che non volesse suo fratello. Dopo questa frase, Ludwig sospirò e se ne andò salutandoci. A quel punto Gilbert mi fece entrare. Mi disse di fare come se fossi a casa mia, anche se non potevo fare altro che meravigliarmi difronte a una casa così grande. Il soffitto era anche alto. Lo vidi andare verso la cucina, quindi lo seguii.
«Hai fame Gilbert?» gli chiesi raggiungendolo.
«Un po’. Stavo giusto per cucinare qualcosa» mi rispose guardando cosa c’era da mangiare. Osservai in giro e vidi una scatola di pasta. Decisi allora di prepararla. Come un vero italiano, amavo la pasta. Soprattutto quella alla bolognese: era la mia preferita! Vidi un grembiule attaccato alla porta e me lo misi.
«Non preoccuparti! Ti cucino un po’ di buona pasta, che ne dici?» domandai sorridendogli.
«Sai cucinare Fe...» non terminò la frase che, appena mi vide, arrossì. «Quanto sei carino Feli!» si alzò di scatto prendendomi le mani. Non sapevo proprio che rispondere.
Alla fine mi fece cucinare e mi riempì di complimenti. Finito di mangiare, mi accompagnò in camera sua. Era completamente blu, tranne qualche mobile e la bacheca piena di foto appesa sopra la scrivania. Mi avvicinai proprio lì. C’erano un sacco di selfie suoi e di Ludwig.
«Certo che Ludwig è proprio bello in queste foto!» esclamai attirando l’attenzione di Gilbert che subito si mise accanto a me.
«E io? Come sono?» mi chiese.
«Magnifico come sempre!» sorrisi. Mi saltò all’occhio una nostra foto. Questa, al contrario delle altre, aveva un cuore rosso disegnato con scritto “Il mio magnifico Feli”. «E questa?» la indicai. Vidi Gilbert arrossire.
«Vedi Feli... come posso dirtelo...» abbassò la testa imbarazzato. La alzò subito dopo prendendomi le mani e guardandomi deciso. «Ich liebe dich, Feli».

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