Una cosa sbagliata

di bouncing05
(/viewuser.php?uid=1006124)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Treni ***
Capitolo 2: *** Pancakes ***



Capitolo 1
*** Treni ***


Salii sul treno e buttai lo zaino sul posto davanti al mio. Ero inquieta, avrei voluto che invece di un treno fosse una specie di teletrasporto e contemporaneamente avrei voluto precipitarmi fuori dl vagone e tornarmene indietro.

Già, ma indietro dove, esattamente?

Il giorno prima ero uscita sbattendo la porta dalla redazione del piccolo quotidiano per cui lavoravo dopo aver affibbiato offese di ogni genere al direttore e al caporedattore. Per quasi 4 anni avevo dato anima e cuore per quel giornale, lavorando su turni massacranti e cercando sempre di dare il massimo. Diverse foto che avevo scattato erano state riprese da altri quotidiani più importanti e a volte anche da emittenti televisive durante servizi del tg. Ero diventata una fotoreporter più per caso che per scelta, ma quel lavoro mi aveva rubato l'anima.

Il treno si mosse con un piccolo strattone e improvvisamente mi sentii molto meno arrabbiata, meno delusa e soprattutto molto più tranquilla. Come ogni dannata volta, quando ormai il danno era fatto, subentravano la lucidità e la freddezza. Mi raccolsi i capelli in una crocchia arruffata con l'elastico rosso che tenevo sempre al polso e mi misi a osservare il panorama dal grande finestrino del treno.

Per quasi quattro anni ero riuscita a mostrare il mondo come lo vedevano i miei occhi, senza mai una volta scendere a compromessi. Odiavo le falsità e le montature, e mai e poi mai mi sarei abbassata a divulgare qualcosa di cui non fossi sicura. Ma tant'è, alla fine mi ero resa conto che in realtà la quasi totalità del giornalismo moderno si basa proprio su questo, sulla divulgazione di false notizie, sullo "sbatti il mostro in prima pagina" e sullo sfruttare fino all'ultima lacrima la sofferenza delle persone. Fotografare incidenti, incendi, cadaveri e disgrazie varie non aveva mai rappresentato un problema per me. Ma due giorni prima mi ero rifiutata, per la prima volta, di fare un servizio. Spiegai le miei ragioni, chiesi una sostituzione, ma nessuno se ne curava: per quanto fossi amata da ogni tipo di forza dell'ordine, associazioni e semplici cittadini, in altrettanto modo ero osteggiata dai miei colleghi, che vedevano nella mia capacità di stare in armonia con chiunque, una minaccia alla loro posizione, al loro status. Capita, quando entri in un bar e il procuratore, che sta bevendo un caffè con una collega giornalista molto più esperta e navigata di te, si alza e ti viene incontro per salutarti con un bacio e un abbraccio. Questo episodio girò per diverso tempo fra i corridoi della redazione, e il fatto che addirittura mi avesse chiamato per nome, lasciando la mia collega Rose al tavolo, mi attirarono ancora di più le ire delle brave persone con cui lavoravo gomito a gomito ogni giorno

 

Niente falsità ma umanità. Non ero disposta a cambiare totalmente i miei principi solo per uno stupido servizio, a dir la verità non lo avrei fatto neanche in nome di un premio Pulizer. L'avidità di visualizzazioni e copie vendute cambia l'anima delle persone in questo lavoro, ma io non potevo. Non potevo e soprattutto non volevo.

Avevo passato una notte oltremodo agitata, mi ero rigirata per un po' inutilmente nel letto, per poi passare allo zapping selvaggio sul divano. Alla fine ero uscita, due passi in mezzo al parco mi avrebbero aiutato a calmarmi, o almeno così credevo. In realtà c'era una sola cosa che avrebbe potuto calmarmi veramente, solo che cercavo con tutta me stessa di pensare ad un metodo alternativo.

Tornai a casa salutata dalle prime luci dell'alba, e ancora l'adrenalina della discussione del giorno prima non accennava a scemare. Mentre l'ascensore saliva, il mio stomaco cominciò a brontolare "Oh bene, un segno di vita" pensai. Nel momento in cui la porta fece clac all'ultimo giro di chiave, mi resi conto che in realtà da mangiare c'era poco o niente. Sbuffai mandando indietro a la testa, per poi dare una sonora testata alla porta "una che vada bene, una!! Chiedo così tanto?!?!" Acchiappai al volo chiavi e casco appesi proprio accanto al citofono e mi buttai di corsa giù per le scale, la lentezza dell'ascensore non era tollerabile quella mattina.

Guidai la mia Ninja arancione senza pensare minimamente a dove stessi andando, ma quando mi fermai mi resi conto che a guidare ci aveva pensato il mio stomaco. Filter, la mia caffetteria preferita. Adoravo quel posto, adoravo le proprietarie e l'atmosfera che si respirava li dentro. Entrai facendo suonare l'insopportabile campanello appeso sopra la porta e sentii un fracasso infernale dalla cucina

"Ellie sono Sophie, fai con calma"

"Ooohh Sophie aspetta due min..." e di nuovo rumore di stoviglie, padelle e posate che rimbalzavano sul pavimento.

Il primo sorriso della giornata. Non avevo dubbi che quel posto mi avrebbe migliorato l'umore.

Mi sedetti al tavolone di legno davanti alla cassa, il posto in cui mi ero sempre seduta dalla primissima volta che avevo messo piede nel locale. Non c'era ancora nessuno, era veramente prestissimo e la mia stanchezza ancora non arrivava. Ma in compenso la fame c'era, eccome.

"Ellieee?"

La voce di Ellie mi arrivò da dietro la porta della cucina "Il solito?"

"Si grazie, ma bello abbondante"

Un piatto mi atterrò davanti "come sempre, quando mai ne prendi mezza porzione?"

Mi aveva preparato la mia mega razione di pancakes, annegati nello sciroppo d'acero e accompagnati da rotelline di banana e spicchi di fragola. Senza che dicessi niente.

La guardai sorridendo "Quando mi piombi qua dentro prima delle 9 vuol dire che hai avuto una nottataccia. E soprattutto che hai fame. Tazza grande?"

Annuii grata, un bel caffè bollente ci voleva.

Andai al bancone aspettando che la macchinetta filtrasse la polvere, sfogliando distrattamente un menù, che conoscevo a memoria. Quando Ellie mi passò la tazza, entrò il primo gruppetto di clienti assonnati. Me ne tornai al mio posto, con una manciata di bustine di zucchero. Il primo boccone di pancakes mi sembrò quasi ambrosia da quanto era buono, e mi sembrò che un pochino dell'amaro che avevo dentro venisse mitigato dallo sciroppo. Mi affascinava guardare Ellie mentre si destreggiava all'immensa macchina del caffè, la velocità con cui sfornava caffè lunghi, espressi, cappuccini e ogni sorta di bevanda con caffeina era quasi ipnotica. Come riuscisse a memorizzare gli ordini diversissimi di ogni cliente, continuava per me a rimanere un mistero. Mangiai abbastanza velocemente, ma sorseggiai il mio caffè con calma, godendomi la sensazione di calore ad ogni sorso che buttavo giù: la notte a zonzo e il successivo viaggio in moto mi avevano un po' raffreddata, ma non me ne ero resa conto. Dopo quasi un'ora mi alzai, raggiunsi il bancone quasi nuotando fra la miriade di clienti che si accalcavano per ordinare e buttai 10 dollari vicino a Mandy, la compagna di Ellie che era venuta a dar manforte per l'ora di punta.

"Aspetta, il resto"

"Nah, anticipo per la prossima!"

Troppo caos, dovevo uscire da li.

"Ok Soph, ci vediamo domani!"

Un sorriso veloce ed ero finalmente fuori.

 

Il sole era sorto ma non ancora alto, anche se si preannunciava una giornata calda, molto calda per essere metà settembre.

Cercando di riordinare le idee, buttai giù una lista di quello che dovevo fare: sicuramente, la spesa.

 

 

Mi avviai verso casa, ma senza realmente pensare a dove stessi andando, ero troppo occupata a godermi l'aria sulla faccia, che mi scompigliava i capelli che uscivano da sotto il casco. Girai intorno al parco, che a quell'ora era il regno incontrastato di cani che correvano dietro a legnetti, palline o altri cani. Alla vista di due cani lupo che giocavano non riuscii a trattenere un sorriso: "lui adora questi cani". Di nuovo, scossi la testa. Possibile che qualunque cosa vedessi, qualunque cosa facessi, lui mi venisse in mente, sempre!?!?

Andai a parcheggiare la moto proprio sotto le finestre di casa mia e mi avviai al negozietto del signor Wong, proprio dietro l'angolo. Aveva di tutto, dal pane fresco ai calzini. Adoravo soprattutto la sfilza infinita di spezie che teneva dietro al bancone, ogni tanto mi faceva andare dietro e potevo annusarle. Tentava anche di spiegarmi il loro utilizzo nei vari piatti orientali, ma tanto era inutile, io riuscivo a cucinare solo pancake e muffin di ogni genere, ma andare oltre era improponibile. Non avevo voglia neanche di stare a pensare cosa poter comprare, più che altro sapevo che non avrei avuto voglia di mettermi a cucinare. Pane, prosciutto, burro d'arachidi...praticamente la spesa per un asilo. Distrattamente posai nel cestino anche una bottiglia di sciroppo d'acero, insieme a del burro, latte e una confezione di biscotti. Salutai il signor Wong e mi avviai a casa, con la testa che mi ronzava dai mille pensieri, senza riuscire a isolarne uno in particolare. Sentivo un'inquietudine che mi montava dentro, un'inquietudine che solo una persona al mondo riusciva sempre a placarmi. Sempre. Ogni dannata volta. Mi bastava una telefonata, qualche minuto al telefono con lui e le nubi si diradavano. Non sempre erano esiti fausti, spesso l'unica maniera per andare oltre era farmi piangere, e lui lo sapeva. Maledetto, l'aveva sempre saputo. Riusciva a sapere perfettamente cosa fare con me, in ogni circostanza. Sapeva quando avevo bisogno di supporto, quando avevo bisogno di essere lasciata volare in solitaria, quando avevo bisogno di conforto o di una strigliata. Scossi la testa cercando di far uscire questi pensieri dalla mia mente, perché dovevo smetterla di pensare a lui, mi ero messa nei guai con le mie mani e da sola dovevo uscirne, o per lo meno trovare la maniera di salvare il salvabile. 

 

Ma imporsi di pensare ad altro quel giorno era meno utile del solito. Poggiai la borsa di tela grezza sul tavolo e iniziai a sistemare le poche cose che avevo acquistato. Il latte in frigo, una fetta di prosciutto mangiata al volo mentre svuotavo la busta dei biscotti nella scatola di latta col tappo blu. E poi...lo sciroppo d'acero. Fu un attimo, un lampo. Non so come la bottiglietta di sciroppo finì nel mio zaino, insieme alla reflex, un taccuino con la matita, un cambio e lo spazzolino. Portafoglio e telefono erano ancora nella giacca, che ripresi al volo dall'attacapanni per correre alla Pennsylvania Station.

 

Le quattro ore di viaggio passarono abbastanza velocemente, in viaggio sono sempre peggio di una bambina, sempre col naso attaccato al finestrino. Ma a mia difesa il paesaggio fino a Boston è di una bellezza disarmante, le coste del New England hanno un fascino selvaggio ogni volta che le guardo. Spiagge e scogliere intervallate da paesini di pescatori, con i pescherecci che mi danno l'impressione di pezzi di costa che si staccano dalla terraferma per andare a giocare nelle acque profonde dell'oceano.

 

Paesaggio ma anche un paio di sonnellini, che devo dire furono provvidenziali, visto la mia nottata passata in bianco.

 

Quando il treno entrò nella South Station e presi lo zaino per scendere, ebbi di nuovo un'esitazione, anche se molto piccola. Cosa stavo facendo? Cosa stavo andando a fare, perché mi ero fatta quel viaggio, perché stavo andando da lui? Cosa stai cercando Sophie?

Domande alle quali cercavo una risposta da anni, domande che mi frullavano nella testa ogni volta che mi perdevo nei suoi occhi color del mare, ogni volta che mi stringeva a se'. Domande che dopo anni pretendevano una risposta. Cercai il primo taxi disponibile e mi ci infilai dentro, con alcune delle domande che piano piano si creavano delle risposte.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pancakes ***


Ero stata solo una volta in quella casa, diversi anni prima, e la cosa che mi aveva rapito il cuore era quel portico. Passammo una serata intera a mangiare schifezze e parlare delle nostre vite. Una serata che custodivo gelosamente fra i miei ricordi più belli, la prima volta che il desiderio di potergli stare più vicina, di poter essere più di una semplice amica, era diventato quasi doloroso.

Tirai fuori dallo zaino la bottiglietta dello sciroppo d'acero e suonai alla porta. Passarono quei 20 secondi in cui mi sentii una completa idiota, mi resi conto che mi ero lasciata la giacca della moto: ero a 300 km di distanza da casa mia, con uno zaino sulle spalle e una bottiglia di sciroppo d'acero in mano, sotto al portico della casa dell'unica persona che volevo vedere. Si, decisamente un'idiota.

Non riuscii a finire di offendermi mentalmente, che si aprì la porta: e come ogni volta che piantava i suoi occhi nei miei, tutto il resto cessava istantaneamente di avere importanza. Ero con lui, qualunque cosa stesse succedendo intorno, nella mia vita, non suscitava più il minimo interesse.

"Ciao Andrew...sono venuta a farti i pancakes"

Rimase un attimo li, fermo, sulla soglia, scalzo, con i pantaloni cargo, l'immancabile camicia bianca e un'espressione indecifrabile sul viso. 

Un attimo soltanto, dopodiché mi strinse a sé, quell'abbraccio che tanto mi mancava e che tanto avevo desiderato nelle ultime ore. Quell'abbraccio che mi serviva per respirare, per allentare la tensione, per scaricare la frustrazione che avevo accumulato. Iniziai a piangere, senza freno, senza vergogna. Stretta a lui, finalmente potevo dismettere i panni della dura, i panni della donna d'acciaio. 

Mi tolse lo zaino dalle spalle e mi portò in casa, verso la sala. La mia stanza preferita, con un divano enorme quanto vecchio, proprio vicino al caminetto. Mi fece sedere e si mise accanto a me, cingendomi le spalle con un braccio

"Scusami, davvero...io non..."

"Sssshhhh, non preoccuparti. Quando ti sarai ripresa, mi racconterai. Ora l'importante è che ti rilassi. Qualunque cosa sia successa, vedrai che la sistemiamo"

Ero ancora scossa dai singhiozzi, ma annuii, anche se con poca convinzione. Andrew mi sfilò l'elastico e mi sciolse i capelli, poi prese una coperta patchwork che era piegata sul bracciolo del divano e me la mise addosso. Fra il tepore della coperta e il calore del suo corpo, il sonno che mi aveva evitato dal giorno prima mi arrivò tutto insieme, e mi addormentai.

 

 

Aprii gli occhi dopo non so quanto, ma dalla finestra non entrava più la luce del giorno. Sulla poltrona davanti al divano, Andrew stava seduto, con una birra in mano e un'espressione indecifrabile sul viso.

"Ciao"

"Ciao"

Mi stropicciai gli occhi e mi stiracchiai un po', addormentarsi raggomitolata non era il massimo.

"Quanto ho dormito?"

"Credo tre ore, ma non ne sono sicuro"

"Tre ore!?!? Oh Dio mi dispiace...ma tu che hai fatto? Mica sarai stato lì seduto tutto il tempo"

"Oh si invece. Le tre ore meglio spese degli ultimi anni"

Lo guardai aggrottando la fronte "Bella roba..."

"Ti ho guardata. Senza dovermi preoccupare che tu te ne accorgessi, o che se ne accorgesse qualcun altro"

Continuai a guardarlo perplessa, ma il cuore cominciò ad accellerare i battiti. Possibile?

Posò la bottiglia di birra per terra vicino alla poltrona e fece un respiro profondo, senza mai staccare gli occhi dai miei.  Si venne a sedere sul divano vicino a me, io credevo che il cuore potesse spaccare la cassa toracica e andarsene in giro per la stanza. Mi tirai a sedere e istintivamente cercai l'elastico per legarmi i capelli, che mi ricadevano in riccioli impazziti sulla faccia. Lui mi scostò una ciocca dal viso, abbozzando un sorriso "Lasciali in pace"

Sentivo la sua mano fra i capelli, il suo respiro, accellerato, come il mio. La mia mano si mosse verso di lui, seguita dal mio sguardo, e la posai sul suo petto. Un battito impazzito, come e più del mio. Rialzai lo sguardo giusto in tempo per perdermi di nuovo nei suoi occhi, solo per un attimo. Mi tirò a sè, lento ma deciso. Potevo sentire il calore delle sue labbra, vicinissime alle mie. Chiusi gli occhi e nel momento esatto in cui le sue labbra si posarono sulle mie, sentii un'esplosione in mezzo al petto. Un bacio dolce. Leggero. Ma desiderato e sognato da anni. 

Avevo paura di muovermi, paura di rovinare tutto se solo avessi mosso un solo muscolo. 

Schiuse leggermente le labbra, per un nuovo bacio che di leggero non aveva neanche il ricordo. M sentivo prendere fuoco, dalla pancia alla testa, il pensiero razionale era scomparso del tutto. D'improvviso, si alzò.

"Manca qualcosa...dammi due minuti" lo guardai spostarsi verso il camminetto, armeggiare brevemente per sentire quasi istantaneamente il crepitio del fuoco.

"Non sapevo tu fossi anche un provetto fuochista" gli dissi sorridendo, anche se ogni singola fibra del mio corpo desiderava solo che tornasse vicino a me. Forse aveva già deciso di tornare sui suoi passi? Mi aveva baciato per errore? Una manciata di secondi di puro panico.

"Semplicemente lo tengo sempre pronto per essere acceso, così in un minuto lo accendo..." 

Tornò verso il divano e tirandomi per le gambe mi fece sdraiare. Scivolò su di me, sorridendomi e spostandomi di nuovo una ricciolo dal viso. I miei occhi passarono dalle sue labbra ai suoi occhi, vidi che mi guardava fisso, serio. 

Mi baciò, di nuovo. E di nuovo, quella sensazione di calore, ovunque. Il contatto della sua mano sulla pelle della mia pancia mi fece quasi sobbalzare.

"Scusa...io..." lo sentii irrigidirsi, quasi lo avessi rifiutato. Che era tutto il contrario di quello che volevo. Gli sfilai la camicia dai pantaloni e passai la mia mano sulla sua pelle, dalla pancia al petto. Un suo gemito e mi resi conto che eravamo sulla via del non ritorno. E quanto mi piaceva.

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3710330