Exposed

di bittersweet Mel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VI.5 ***
Capitolo 8: *** VII ***
Capitolo 9: *** VIII ***
Capitolo 10: *** IX ***
Capitolo 11: *** X ***
Capitolo 12: *** XI ***
Capitolo 13: *** XII ***



Capitolo 1
*** I ***


Exposed
 
I

 
 
Roxas non era mai stato ad una festa universitaria degna di quel nome e in un certo senso, prima di allora, nemmeno ne aveva mai sentito il bisogno.
Certo, si era imbucato un paio di volte a qualche festino di suo cugino Sora – principalmente per provare a divertirsi come i ragazzi normali- , ma da lì a dire che aveva partecipato ad una festa coi fiocchi, quelle che ti smerciano in televisione in seconda serata, non era la stessa cosa.
Nelle festicciole a casa di Sora era tutto legale, a partire dalle piccole quantità di alcool alla musica contenuta, perfino gli invitati non superavano mai la decina, quindi Roxas non era mai riuscito a sgattaiolare da qualche parte, e magari provare un po’ di vodka senza che nessuno se ne accorgesse.
Questa volta invece era tutto diverso.
Questa che era una festa universitaria ai limiti del legale, con tanto di musica ad alto volume, fiumi di alcool e gente mezza nuda che strimpellava in giro con chitarre immaginarie.
Quella era l’idea che aveva il biondo di “ festa”, specialmente se associata a studenti burrascosi e il periodo di fine corsi.
C’era anche da dire che Roxas, effettivamente, non era né uno studente del The World College, né un membro della confraternita, ma questo poco importava.
Forse avrebbe fatto una minima differenza solamente se la polizia fosse entrata in quella casa proprio in quel momento, ma unicamente in quel caso, perché Roxas non solo non era uno studente universitario, era molto lontano dall’ essere perfino maggiorenne.
Ancora due anni, ma al momento quel bicchiere di cartone rosso – sì, come nei film che guardava da piccolo- non conteneva di certo coca cola. Forse coca-cola e rum, ma non sarebbe stato facile da spiegare a sua madre, eventualmente.
Ma a parte qualche piccolo intoppo con la legge, Roxas era stranamente soddisfatto di trovarsi in quella baraonda di suono e rumori, con i colori delle maglie che si mescolavano al ritmo della musica e degli schiamazzi.
Per una volta avrebbe dovuto ringraziare Hayner, che l’aveva praticamente costretto ad imbucarsi a quella festa solamente perché “ le studentesse la danno via più facilmente”, come se l’amico avesse poi chissà quale possibilità.
In ogni caso era sempre interessante vedere come Hayner  si struggeva davanti a tutte le belle ragazze che gli passavano davanti, per poi atteggiarsi da duro davanti ai loro occhi e fingersi più grande di quello che era.
La verità era che avevano entrambi sedici anni e li dimostravano in tutto e per tutto.
Roxas ancora si chiedeva, in effetti, come diavolo fosse riuscito a farsi servire da bere senza aver destato alcun sospetto.
Molto probabilmente il ragazzo dietro al bancone aveva altro a cui pensare – con il suo sguardo corrucciato dietro il grosso ciuffo blu scuro e l’espressione tetra-, che non all’età dei ragazzi che andavano da lui a chiedergli un refix del bicchiere.
Quindi Roxas poteva ritenersi soddisfatto di come stava proseguendo la serata, anche se in meno di dieci minuti si era ritrovato da solo, circondato da sconosciuti, e con la musica che veniva pompata dalle casse direttamente nelle sue orecchie.
Per essere la sua prima vera festa, si diceva, stava andando alla grande.
Aveva bevuto due bicchieri di Coca e Rum, sentiva il corpo decisamente più leggero del solito, e le canzoni che il dj sceglieva erano tutte fantastiche.
Addirittura accennò ad un passo di danza, per qualche secondo, ma non appena si ricordò di non essere solo evitò accuratamente di imitare gli altri ragazzi al centro della sala.
Certo, le persone saltavano al posto di ballare, le mani in aria tese verso il soffitto, ma Roxas non si sentiva a proprio agio nemmeno nel compiere un’azione simile davanti a tante altre persone, figurarsi in mezzo a degli sconosciuti, senza nessun amico al fianco.
Come se avessi degli amici, poi, si ripeteva di tanto in tanto, quindi, giusto per frenare quel poco di frenesia che sentiva.
Allora si limitò ad affondare ancora una volta il volto nel bicchiere di carta e prendere un'altra sorsata di alcool, prima di voltare le spalle alla sala e riprendere a camminare.
Spesso la timidezza non giocava a suo favore, ecco perché normalmente preferiva dedicarsi a serate ben diverse, magari davanti al computer a scrivere, sotto la tetra luce della sua unica lampadina.
Quella sera, però, doveva essere una boccata d’aria fresca, una prova da superare e dimostrare a se stesso che poteva divertirsi come tutti gli altri adolescenti normali.
Con un cenno del capo, con cui cercava di auto convincersi, ricominciò a muoversi tra le altre persone.
Arrivò in cucina, dove lo spettacolo lo divertì e disgustò al tempo stesso; anche lì, proprio come nei film, c’erano i classici ragazzi intenti a bere a più non posso, e fin lì nulla di male, ma gli occhi di Roxas non riuscivano a staccarsi dal volto di un giovane dai capelli biondi che, con gli occhi arrossati, si sporgeva dentro al lavandino per vomitare.
Quello gli fece cambiare decisamente traiettoria, portandolo a camminare verso il corridoio.
Da lì guardò verso il primo piano, arcuando appena le sopracciglia nel vedere ragazzi e a ragazze che salivano verso le stanze.
Anche questo era abbastanza ovvio, quindi decise immediatamente che avrebbe evitato il piano superiore come la peste; di imbattersi in giovani intenti a  fare sesso non era proprio il caso, non avrebbe giovato all’imbarazzo che già sentiva scorrergli in volto ogni volta che vedeva le persone semplicemente baciarsi.
Con un ultimo sorso Roxas finì di bere e si voltò in cerca di una pattumiera, girando il capo prima da una parte e poi dall’altra, quando si sentì tirare via dalla mano il bicchiere vuoto.
Allora si girò nuovamente, leggermente stranito, e si ritrovò a fissare il volto sorridente di un altro ragazzo.
Senza nemmeno sapere il perché, automaticamente, si ritrovò a ricambiare con un accenno di sorriso.


« Ehm … grazie, direi?»
« Figurati, sono qui per questo.«»
«  Per raccogliere i bicchieri usati? », domandò, con la voce leggermente più ironica di quanto volesse. Semplicemente le parole gli uscirono dalle labbra repentinamente, mentre osservava il sorriso sulle labbra del ragazzo.
Vide l’altro accennare ad una risata veloce, mentre scuoteva leggermente il bicchiere vuoto stretto in mano.


«  Per offrire nuovamente da bere al ragazzo più bello della festa, piuttosto.»

Roxas abbozzò un altro sorriso, mentre un leggero rossore di imbarazzo gli solleticava le orecchie.
Con un colpo di tosse si schiarì la voce e si passò la mano sul retro del collo, cercando di non apparire troppo sgarbato né con le parole né con le espressioni.

« Mi dispiace, ma non … non credo di essere interessato.»

Il ragazzo accennò ad una risata leggera che contagiò gli occhi, lucidi e di un vivido verde dietro le luci al neon impiantante nel soffitto della confraternita.
I lunghi capelli rossi erano raccolti in una coda bassa e le dita lunghe e pallide del ragazzo persero qualche secondo a giocare con le ciocche spioventi prima di rispondere.

« Intendi che non sei interessato a me oppure a tutti gli uomini? »

«  Agli uomini in generale, direi.»
L’altro scrollò le spalle, borbottando un: " davvero un peccato” prima di sorridere ancora una volta e allungare il braccio verso di lui, il palmo verso l’alto e la mano tesa in avanti.
Roxas allungò a propria volta il braccio, stringendo la mano dell’altro ragazzo con un po’ di indecisione.


«  Mi chiamo Axel comunque, piacere.»

«  Uhm, Roxas. »

« Uhm è il tuo primo nome?», Axel lo prese leggermente in giro, allontanando la mano affusolata e ridacchiando ancora una volta.
Roxas sbuffò nuovamente, sospirando l’attimo dopo.
Non sapeva parlare con gli estranei, era un altro dei suoi innumerevoli punti deboli. Quello e la paura costante di fare tutto quello che più gli piaceva a testa alta.
Come quella volta che aveva progettato un viaggio in spiaggia, ma il giorno stesso che si era ritrovato alla stazione non era riuscito a prendere i biglietto con la scusa involontaria del:”  magari domani potrebbero interrogarmi, non posso mancare, devo studiare, cosa farà Ventus senza di me? E la mamma?”.


«  Non è il mio … è che non so … non so cosa dirti sinceramente.»

Roxas schioccò le labbra l’una contro l’altra e si portò una mano allo stomaco, stringendoselo leggermente con il braccio, prima di tornare ad osservare il ragazzo di fronte a lui.
Eppure Axel non sembrava affatto a disagio in quella conversazione mozzicata e traballante, al contrario continuava a sorridere leggermente, gli occhi attenti ad ogni movimento del biondo.


« Per sciogliere il ghiaccio ti consiglio un altro bicchiere, che ne dici? Senza pretese, davvero.»

Si affrettò a dire il fulvo, sollevando entrambe le mani davanti al volto non appena Roxas aprì la bocca per controbattere.
Senza pretese.
Si ripeté Roxas, osservando il volto dell’altro che appariva sincero.
Allora accettò, lanciandosi un ultimo sguardo in giro come se si aspettasse di arrivare qualcuno da un momento all’altro che lo potesse fermasse.


«  D’accordo, solo un bicchiere. E senza pretese.»

Axel sbatté entrambe le mani l’una contro l’altra, per quanto il bicchiere glielo permettesse, e sorrise soddisfatto.
Roxas lo sentì esclamare un: “ perfetto!”, mentre schiudeva ancora le labbra in un sorriso e i denti luccicavano sotto le luci intense della confraternita.
Roxas si ritrovò a fissarlo ancora per un secondo prima di seguirlo verso al bancone dove, a quanto gli stava dicendo Axel sopra la musica, c’era un suo amico a servire da bere.
 

 
                                                                                                    ***

 
 
«  E così, così!, mi sono ritrovato completamente nudo, in giro per il campus, con tutte le altre matricole che mi fissavano come se fossi pazzo.»

Axel continuava a ridere, le lacrime agli occhi e le guance arrossate dalla mancanza di fiato.
In mano teneva un bicchiere stracolmo di vodka e, mentre raccontava una delle sue disavventure a Roxas, continuava a far traballare il contenuto a destra e a sinistra.
Stranamente anche il biondo, seduto sopra le gradinate della casa, si sentiva di buon umore.
Forse era l’alcool, magari l’aria fresca che gli accarezzava il volto, ma trovava Axel estremamente simpatico, alla mano.
Gli faceva venire in mente, con quella parlantina sicura e lo sguardo allegro, il classico protagonista dei libri per ragazzi.
Un giovane simpatico, ambizioso, sempre pronto a controbattere con parole taglienti e al tempo stesso giuste.
Un paio di volte era arrivato vicino al dirglielo, ma le parole gli erano morte in bocca non appena l’altro ricominciava a raccontare.
A quanto pareva il primo anno di college di Axel non era stato dei migliori: un giovane ragazzo del piccolo paese Radiant Garden, pieno di aspettative e sogni, che si era imbattuto nelle grigie mura del College, dei compagni che non gli prestavano attenzione e dei professori che nemmeno ricordavano il tuo nome.
Aveva passo un anno a racimolare quei pochi crediti che poteva e aveva passato le ultime vacanze a bere e a svegliarsi nei posti più disparati, senza la più pallida idea di come ci fosse arrivato.
La vita di Roxas, al confronto, pareva così noiosa che aveva quasi paura di raccontargliela.
Il biondo aveva divagato su ogni risposta, ignorando alcune domande e cambiando tempestivamente argomento, ma c’era una cosa che Axel proprio voleva sapere, su cui continuava ad insistere.


«  Allora dai, ci sarà pur qualcosa che ti piace fare.»

Roxas, ancora una volta, non poté far altro che mordersi l’interno guancia e gettare uno sguardo sopra al proprio bicchiere, prima di darci un altro sorso.
Era inutile cercare di evitare quella domanda, tanto entro pochi minuti sarebbe tornata lì come una spina nel fianco.
Alla fine si arrese e allungò la gamba destra a terra, lungo gli scalini, e voltò il capo verso Axel.


«  Mi piace scrivere », ammise alla fine, come se provasse chissà quale moto di vergogna nell’ammettere una cosa del genere.
Amava scrivere fin da piccolo, quando si nascondeva nell’armadio di nonna Tatty e accendeva la piccola lucina sbilenca, osservando le ombre delle ragnatele sopra le pareti rosa.
Lì, rinchiuso in quel piccolo spazio, creava mondi infiniti, eroi incredibili, mostri spaventosi.
Quando i suoi nonni si erano trasferiti e avevano venduto Fantasia – era così che chiamava la loro casa, una bella villa di due piani, dai colori pastello e mille oggetti fantastici che addobbavano ogni ripiano- Roxas si era ritrovato a piangere per giorni interi.
Ora, anni dopo, ogni volta che passava davanti alla vecchia casa, adesso completamente diversa, sentiva lo stomaco contrarsi dolorosamente alla sola vista.


«  Fammi indovinare: scrivi poesie!», Axel corrugò la fronte, facendo tornare alla realtà la mente di Roxas. «  Sì, hai la faccia da poeta. »

Il biondo sollevò un sopracciglio, appoggiando le mani a coppa sopra il bicchiere.
«  E che faccia dovrebbe avere un poeta? »

Il fulvo mosse la mano destra, ruotandola, come se stesse per spiegare la cosa più ovvia del mondo.
Gli occhi verdi scivolarono sopra al volto dell’altro, come a squadrarlo per bene e individuarne le caratteristiche che reputava idonee.

«  Lo sai, insomma, quell’espressione, lo sguardo distante, gli occhi un po’ apatici, sembri non essere nemmeno qui quando ti parlo. Non per la maggior parte del tempo, se non altro.»

Roxas accennò ad un sorriso, sapendo esattamente di essere stato colpito nel segno.
Era ben consapevole che molte volte la sua mente spaziava via, ma più che un pregio lo vedeva come un difetto, come una piccola increspatura sopra al volto.
Non gli piaceva essere associato a qualcuno di distante, spesso sovrappensiero.


«  Non doveva essere un insulto, io lo trovo adorabile. Qui non si trovano molti ragazzi così, sai? Tutti sono sempre sicuri, parlano troppo e spesso dicono troppo poco.»
Axel aveva ripreso a parlare, ora con un tono di voce leggermente più basso, come se volesse farsi sentire solamente da Roxas, nemmeno gli stesse confidando un segreto.
La verità era che lì non c’era nessun altro, a parte loro due.
La musica sembrava lontana, chiusa dalle finestre e dalle porte, e così anche le persone.
Solamente di tanto in tanto quella leggera quiete veniva interrotta dalla porta che strideva, allora la musica si riversava nella strada per qualche secondo, finché non si sentiva lo sbattere delle imposte.


«  Non mi sono offeso,  solo che ... beh, hai sbagliato di grosso, decisamente.»

«  A sì? »

«  Sì, non mi piace scrivere poesie, sono imbarazzanti, troppo intime, non leggerei mai una mia poesia a qualcuno.»

Axel sorrise ancora, annuendo come se capisse esattamente cosa intendesse.
Anche lui allungò entrambe le gambe oltre gli ultimi due gradini, superando di gran lunga i piedi di Roxas.
Il rosso mosse distrattamente gli arti, come se potesse sentire la brezza notturna tra le dita e non sulle scarpe, e appoggiò il bicchiere al suo fianco.


«  Ti capisco davvero, anche io mi imbarazzerei un sacco a scrivere un atto e portarlo poi a teatro.»

L’attenzione di Roxas si focalizzò sopra quelle parole, accendendo un altro bagliore di interesse nei suoi occhi.
Prima ancora che potesse domandare qualcosa Axel lo zittì, precedendolo con un sorriso a trentadue denti.


« Lo so, non si direbbe eh? Sono qui a studiare economia ma il mio sogno è di fare l’attore.»
 
Le labbra del biondo si sollevarono leggermente, mentre il ragazzo seduto al suo fianco assumeva ancora di più l’aspetto di un personaggio fatiscente, creato dalle mani di un abile scrittore.
« Così vuoi fare l’attore, eh? Anche tu ce l’hai, la faccia da attore, così come io sembro avere la faccia da poeta.»

Axel schioccò le labbra, avvicinandosi leggermente di più a Roxas, ora gli occhi leggermente socchiusi, come quelli di un felino appisolato.
Il biondo serrò automaticamente le labbra, il corpo più teso di pochi secondi prima.
Gli occhi blu scivolarono sopra al volto dell’altro ragazzo, mentre quello apriva la bocca e riprendeva a parlare.


«  Ma così come prima mi sono sbagliato io, ora sbagli tu. Non voglio essere un semplice attore, no, vorrei essere qualcosa di meglio, qualcosa di spettacolare. L’attore teatrale, mettere sul palcoscenico le commedie e le tragedie, i monologhi e perfino i musical. »

Roxas si ritrovò ad incassare il collo tra le spalle, mentre una leggera risata lo faceva sobbalzare appena.
Un attore teatrale, sì, un ragazzo con quel carattere e quel modo di fare sarebbe stato grandioso sopra un palco illuminato, tra i tendaggi rossi e la musica di sottofondo.


«  Quindi possiamo arrivare alla conclusione che nessuno è quello che sembra? E’ abbastanza profondo. », disse Roxas, mentre Axel annuiva e ancora una volta si avvicinava leggermente, le ginocchia che quasi si toccavano.
«  Vero, ma possiamo anche dire che forse non siamo quello che sembriamo, ma ci avviciniamo molto a quello che mostriamo. »

Roxas sbatté le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco il volto dell’altro ora così vicino.
Sapeva di doversi allontanare almeno di qualche centimetro, di voltare il capo e cambiare discorso, ma il suo corpo, ebbro e accaldato, voleva inspiegabilmente sentire la vicinanza di Axel.


«  Credo che i tuoi siano i classici discorsi da ubriaco.»
Axel annuì, gli occhi leggermente lucidi e sulle labbra un sorriso decisamente più dolce di prima, come quello di un amante quando guarda il proprio compagno.
Le labbra fini erano secche dalle troppe parole, il volto ancora più roseo dalla discussione accalorata, e il volto così vicino che Roxas poteva osservare le piccole lentiggini che si rincorrevano sopra le sue guance.
Le trovò graziose, come quelle di una ragazza.
Automaticamente allora non tirò indietro il volto, nemmeno quando lo vide sporgersi in avanti, neppure quando si disse che non era giusto rubare un bacio ad un ragazzo, quando a lui gli uomini non piacevano nemmeno un po’.
Nonostante tutto Roxas sentì la gola ardere allora, mentre il profumo di vodka si avvicinava e il calore nello stomaco prendeva il sopravvento.
Eppure non arrivò nessun bacio, perché la musica tuonò all’improvviso e la quiete si ruppe.
Entrambi sollevarono il volto di scatto, mentre dietro di loro, sopra gli scalini, barcollava un ragazzo biondo, dalla faccia completamente stravolta.


« Oh, cazzo, amico, ma che diavolo!?»

Axel si alzò di scatto, lo sguardo preoccupato, un movimento veloce e i piedi che si affrettavano a raggiungere il ragazzo sopra di loro.
Anche Roxas si alzò, osservando come le braccia fini del fulvo afferrassero per le spalle l’altro e lo accompagnassero, lentamente, verso il basso.
Né Axel né Roxas riuscirono a spiaccicare una sola parola, prima che il giovane riprendesse a vomitare, proprio vicino alle scarpe del rosso.
Axel si esibì in una smorfia.


«  Demyx, amico, sei fottuto. Zexion non ti farà mai entrare in casa sta notte. »

« No, no, sto bene, davvero, io …»

Ma un altro conato di vomito lo fece piegare sulle ginocchia e Axel si allontanò di un passo, mettendosi affianco a Roxas.
Entrambi osservarono il ragazzo che si rimetteva in piedi a fatica, prima di prendere grandi boccate d’aria fresca.
Il volto completamente sudato e l’espressione di uno appena uscito da una lunga ed estenuante corsa ad ostacoli.


«  Visto? Che ti avevo detto, sto bene. Avevo solo bisogno di un po’ d’aria.  »

Axel lo guardò con un po’ di biasimo, prima di sospirare e tirare fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto distrutto di sigarette.
Ne porse una a Demyx, che gli lanciò uno sguardo di gratitudine come se gli avesse appena salvato la vita.
Ora, sotto la leggera luce dei lampioni, Roxas riuscì a guardarlo in faccia e in un attimo lo riconobbe.


«  Hey, sei quello che prima vomitava nel lavandino. »

Demyx si voltò verso di lui, notandolo per la prima volta. Gli occhi scivolarono prima su Axel, poi nuovamente sul biondo e alla fine sospirò.
Subito si passò una mano sul retro della testa, mortificato.


«  Diciamo che questa sera non ho dato il meglio di me. »

«  Diciamo pure che questa sera hai fatto schifo, amico », gli mormorò Axel, la fronte leggermente aggrottata mentre gli occhi verdi scivolavano sopra al volto di Demyx con un cipiglio impietosito.
L’altro sospirò ancora, abbandonandosi sopra gli scalini, nell’esatto punto in cui poco prima stavano chiacchierando gli altri due.
Entrambi, allora, rimasero in silenzio.
Era calato nuovamente quel leggero velo di imbarazzo sopra Roxas, che gli impediva di parlare apertamente come stava facendo fino a pochi minuti prima.
Il tempo sembrò passare lentamente, quei secondi di silenzio apparvero pesanti come ore, tanto che perfino il fulvo riuscì a sentire che quel silenzio era tutt’altro che quieto.
Allora si avvicinò a Demyx, che nel frattempo si era acceso la sigaretta e ne prendeva grandi boccate, per poterlo controllare più da vicino.
La maglia sporca di vomito, il volto coperto da piccoli puntini rossi dovuti allo sforzo, e gli occhi che parevano strabuzzati, quasi a palla.
Non era nelle migliori condizioni, questo era poco ma sicuro.
Con un sospiro Axel levò lo sguardo sopra Roxas, desideroso di scusarsi per quell’interruzione, ma al tempo stesso indeciso su cosa dire.
L’aveva quasi baciato e ora sembrava essere passato un secolo, da quando aveva avuto le labbra del biondo così vicine alle proprie.
Chissà se l’avrebbe mai più rivisto, chissà se l’avrebbe incrociato per le strade di The World, oppure al College, tra qualche anno.
Il fulvo schioccò le labbra e rimase in silenzio, prima di aguzzare le orecchie nel sentire la porta della confraternita che si apriva ancora una volta, liberando l’accozzaglia di suoni che proveniva dall’interno.
Ne uscì un ragazzo biondo cenere, troppo piccolo per essere uno studente, tutto indaffarato a cercare il cellulare nella tasca dei pantaloni militari per prestare attenzioni a loro due sulle scale.
Però i suoi occhi notarono Roxas e allora scese le scale più velocemente.


«  Ah, sei qui. Andiamocene Roxas, non c’è nessuno di interessante.»

Axel voltò il capo verso il biondo, lì in piedi con l’espressione un po’ atterrita, le labbra gonfie che si aprivano in un leggero sospiro.

«  Non hai trovato nessuna ragazza, eh? »

L’altro gli dedicò uno sguardo arrabbiato, quasi ferito, e si ficcò entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni.
Axel lo sentì borbottare un: “ non ce n’era nessuna bella” che appariva tanto come una scusa.
Roxas annuì e mormorò un d’accordo tutt’altro che convinto, prima di voltare il capo verso il fulvo.
Lì gli sguardi si incrociarono in un secondo e Roxas si ritrovò a dedicargli un mezzo sorriso, come se volesse scusarsi.
Si affrettò a dire a Hayner di aspettare un attimo e si avvicinò ad Axel e Demyx, ancora lì sopra le scale, uno in piedi e l’altro mezzo sdraiato.
Le labbra del biondo si contrassero in un leggero “uhm”, prima di parlare.


«  Insomma … grazie per la serata, mi sarei annoiato senza di te. »

Demyx sollevò il capo, passando gli occhi da un ragazzo all’altro, prima di puntare lo sguardo sopra al volto di Axel, con un leggero sorriso sornione sopra le labbra.
E bravo il nostro Ax, io vomito e lui rimorchia, pensava con un leggero tocco di divertimento.
Il fulvo non gli prestò attenzione e si limitò a passarsi una mano sul retro del collo.


«  Figurati, è stato un piacere conoscerti, Roxas. »

Ancora quel leggero silenzio teso, come se entrambi si aspettassero qualcosa.
La voce di Hayner, seguita da uno sbuffo, ridestò immediatamente il biondo, che voltò il capo verso l’amico e annuì.
Doveva andare.
Salutò con un sorriso leggero, quasi invisibile, e si lasciò andare ad un “ ciao “ poco sentito, prima di voltargli le spalle e prendere a camminare.
Dopotutto non significava nulla, non erano diventati amici in una notte, non lo conosceva nemmeno.
Roxas non riusciva a spiegarsi il perché di quella vena melanconica che gli pervadeva il corpo come una ventata d’aria soffocante.
Poi sentì la manica della maglia blu tirare e si ritrovò Axel lì accanto, un foglietto scribacchiato tra le mani.
L’attimo dopo Roxas si ritrovò a stringere il foglio leggermente ruvido dalle spiegazzature.


«  Se mai avessi voglia di un caffè,  senza pretese.»
Il biondo sorrise, allora,  «  Senza pretese, d’accordo. »

Gli voltò ancora le spalle, ma questa volta il vento non appariva torrido come quello del deserto, bensì fresco e guizzante come in alta montagna.
Hayner al suo fianco lo guardò con un sopracciglio alzato, l’aria guardinga e dubbiosa.
Roxas scrollò le spalle, ficcandosi il biglietto nella tasca dei jeans.


«  E’ un tipo simpatico, sai. Non mi farebbe male provare a parlare con qualcuno, forse.»

Un po’ dubbioso il ragazzo distolse lo sguardo, le mani nuovamente in tasca e l’espressione decisamente seccata.
Roxas gli diede una leggera gomitata amichevole, mentre gli occhi si sollevavano al cielo stellato, limpido in quella notte primaverile.
La sua prima festa al college era scivolata via velocemente, lasciando spazio a tutti quei pensieri che l’avrebbero tenuto sveglio per tutta la notte.







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Qui mancano le Akuroku, ma nessun problema, qui ho tanto da scrivere.
Pian piano la storia si svilupperà, sia nel rapporto tra Axel e Roxas che intorno alle loro famiglie e alla città, quindi enjoy the akuroku way.
Mel.

 

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Capitolo 2
*** II ***


II
 


 
Axel aveva passato la nottata più strana di tutta la sua vita, per lo meno da che ne avesse memoria.
Probabilmente anni addietro c’erano state notti peggiori, passate con le coperte tirate sopra la testa, il cuore in gola e il sudore freddo sulla schiena, con la paura dei mostri nell’armadio e sotto al letto, ma Axel non le rammentava affatto, se non come fugaci visioni e rimembranze lontane.
Se avesse chiesto a sua madre molto probabilmente avrebbe trovato le risposte ai suoi vuoti di memoria, con le sue storie su come Axel avesse bagnato il letto fino ai sette anni e su come fosse sempre stato un bambino così emotivo, ma al momento preferiva lasciare tutti quei ricordi nel suo inconscio più profondo.
Questo però non toglieva nulla al fatto che quella notte l’avesse passata in bianco, le mani appiccicaticce dal sudore e le guance bollenti come se avesse la febbre.
Gli stessi sintomi che rammentava avere da piccolo, quando guardava un film horror insieme a suo fratello Reno, per poi correre velocemente in camera durante i titoli di coda.
Su per le scale con il cuore in gola e il corpo scosso dalla paura.
Eppure quella sera non aveva visto nulla di spaventoso, al contrario qualcosa di così bello da togliere il fiato.
Il volto di Roxas gli era apparso tutta la notte davanti agli occhi, che li avesse aperti oppure no.
Le guance tonde, i capelli dorati, gli occhi sempre abbassati, ma di uno splendido color cobalto.
C’era qualcosa che l’aveva scosso in quel ragazzo dal primo momento in cui l’aveva visto là, nella hall della confraternita.
Lo sguardo leggermente smarrito, l’espressione corrucciata, con quella meravigliosa riga d’espressione verticale tra le sopracciglia.
L’aveva trovato meraviglioso, vestito con la maglia blu e i jeans chiari, le scarpe con le stringhe spaiate.
Poi gli aveva parlato e quello era stato il colpo di grazia.
La voce bassa, le parole che parevano sussurri afrodisiaci alle sue orecchie, i suoi pensieri a voce che sfumavano da una parte all’altra, con quello sguardo trasognato e distante.
Roxas.
Aveva ripetuto il suo nome di tanto in tanto, quella notte, mentre il ticchettio dell’orologio si fondeva con il russare rumoroso di Demyx sul divano e gli sbuffi di Zexion nell’altra stanza.
Roxas.
Gli piaceva come suonava sulle sue labbra, come una melodia d’altri tempi, con la “ R” dura e ruvida che si fondeva con la dolcezza delle vocali.
Aveva passato la notte così, nominando il suo nome, ripensando alle sue labbra, al suo sguardo, componendo sonetti immaginari, recitando un loro possibile incontro, finché l’alba non era sorta.
Le strade di The World si erano animate ai cinguetti mattutini, abbandonando il frinire dei grilli, e di tanto in tanto si udiva lo sfrecciare delle prime automobili lungo la via.
I primi bar avevano aperto e dalle finestre aperte della camera di Axel il profumo dei croissant si espandeva nell’aria calda come una ventata di umido piacere.
Lo stomaco del ragazzo si lamentò sonoramente con un gorgoglio, ricordandogli che era giunto il momento di mettere qualcosa sotto ai denti.
Con un sospiro stanco Axel si alzò dal letto, gettando uno sguardo stralunato sopra la sveglia a led adagiata sul comodino.
Le 6:13.
Il giovane sbadigliò automaticamente, perdendo qualche secondo per contare mentalmente le ore che aveva passato a letto.
Troppo poche per potersi permettere una giornata fruttuosa.
Si passò una mano tra i capelli scompigliati e uscì dalla camera da letto, dirigendosi verso il bagno.
Fortunatamente lo trovò vuoto.
Convivere con altri due ragazzi, alle volte, poteva rivelarsi molto fastidioso, specialmente quando Demyx perdeva un’intera ora a farsi la doccia bollente, come piaceva a lui.
Quella mattina, però, l’intera casa stava ancora dormendo e Axel ne approfittò per allungare un po’ i suoi tempi.
Impiegò mezz’ora per lavarsi e ficcarsi addosso un paio di pantaloni puliti e una maglietta asciutta, gettando quella sudata dentro la lavatrice.
Poi si diresse verso la cucina, frugando nel portafoglio alla ricerca di qualche spicciolo per potersi comprare una brioche.
« Axel », gli giunse alle orecchie non appena mise piede in salotto, diretto alla cucina adiacente. «  Axel. Sei sveglio? »
Il fulvo sospirò, ruotando gli occhi al cielo nel sentire la voce strascicata dell’amico.
Abbandonò l’idea di andare nel piccolo cucinino e si fermò ai piedi del divano, dove arrotolato malamente in un lenzuolo giaceva Demyx.
Il volto pallido, le occhiaie scure, e gli occhi ancora arrossati.
«  Bella nottata, eh?»
Lo punzecchiò il fulvo, osservando la chiazza di sudore che copriva entrambi i lati della canotta grigia che l’altro indossava.
I mesi estivi erano insopportabili in quella città, dove i fumi del traffico e delle aziende ammorbavano l’aria con i loro gas.
Demyx si sollevò a fatica, mettendosi seduto scompostamente sopra quello che era stato il giaciglio per la notte.
« Zexion non mi ha fatto dormire con lui, dice che puzzavo troppo. »
« Fidati, puzzavi davvero, davvero, troppo.»
Il biondo gli lanciò un’occhiata tremendamente offesa, prima di appoggiarsi una mano sotto l’ascella destra per poi annusarsela.
L’espressione disgustata che comparve sul suo viso decretò che, molto probabilmente, l’odore era tutt’altro che svanito.
Con un sospiro si rigettò sdraiato sopra al divano, gli occhi chiusi e un lamento lungo che gli usciva dalle labbra.
«  Aaaah, muoio di sete. Di sete e di fame. Stai uscendo per caso? »
Axel fu tentato di dirgli di no, che si era vestito solamente per occupare un po’ di tempo, ma era inutile negare l’evidenza, specialmente quando Demyx aveva i postumi di una sbronza.
Diventava tremendamente insistente ogni volta che si risvegliava dopo aver bevuto.
Insistente e melodrammatico com’era già di sua indole.
« Ti serve qualcosa? In frigorifero mi pare di aver visto un po’ di latte, ieri. »
«  E’ scaduto da più di una settimana. »
Axel concordò mentalmente con lui. Effettivamente era quasi un mese che non andavano a fare la spesa, ma i soldi stavano scarseggiando.
Demyx non suonava da nessuna parte da più di due settimane e l’ultima volta l’avevano pagato in birre, piuttosto che in soldi, e gli assegni mensili che i genitori di Zexion gli spedivano erano stranamente cessati dopo che il figlio gli aveva detto di avere una relazione con un uomo.
Axel, invece, faticava ad arrivare a fine mese tra un lavoretto e l’altro.
«  D’accordo, ti porto su un caffè macchiato, che ne dici? »
« Hai i soldi? », gli domandò con voce strozzata il ragazzo, aprendo un solo occhio per poterglielo puntare addosso.
Axel annuì, mostrandogli una banconota da cinque dollari.
«  L’altro ieri mi hanno pagato, al Jimbo’s, pensa un po’. Ben cinquanta dollari, siamo ricchi, fino al prossimo mese possiamo comprare tutto quello che vogliamo», esclamò con ironia, rificcandosi in tasca i soldi e incrociando le braccia al petto.
Axel lavorava part-time al drive in di uno squallido fast food locale, con tanto di cappellino rosso in testa e maglietta a righe. Un po’ ridicolo, certo, ma riusciva a pagare una minima parte dell’affitto. Quello, più il lavoro nella mensa del College, che gli permetteva di comprare almeno il cibo precotto.
«  Amico, non scherzare troppo che poi potrei crederci. Comunque vada per il caffè », Demys si fermò dal parlare, lasciandosi scappare un lungo sbadiglio, «  e se quando torni mi trovi morto seppelliscimi insieme al mio Sitar e sulla mia lapide incidi: “  lui avrebbe voluto così.” »
«  Sì, sì, come vuoi, ora vado.»
« Grazie Axel, sei il migliore. »
Quando si richiuse la porta alle spalle, Axel, stava ancora ridendo.
Solamente una piccola parte della sua mente non riusciva a ridere insieme alle sue labbra, quella minuscola fetta che ancora si chiedeva come mai Roxas non gli avesse scritto nessun messaggio, come mai ancora non l’avesse chiamato.
Si disse che era ancora troppo presto, che non aveva senso aspettarsi nulla, ma mentre scendeva le scale del suo squallido appartamento non poté fare a meno di gettare  uno sguardo alla schermata del cellulare, trovandola ancora vuota.
 


 
***


 Roxas mosse a “L” il cavallo, mangiando con un leggero tlock il pedone  bianco di Tatty.
La nonna sospirò leggermente, fissando la scacchiera piena di pedine nere, tranne quelle tre sopravvissute della sua schiera.
Re, Regina e una singola torre.
Roxas accennò ad un sorriso e attese la mossa della nonna, le  braccia incrociate al petto e l’espressione concentrata sopra la tavoletta a quadri.
«  Da quando sei cresciuto non è più divertente giocare con te» cominciò a parlare la donna, mentre si scostava delicatamente un ciuffo grigio dal volto.
Cercò di legarselo dietro alla nuca, dove lo stretto chignon le teneva compatti i lunghi capelli ingrigiti dal tempo.
Roxas accennò ancora una volta ad un sorrisetto mesto, osservando le lunghe dita rugose che prendevano la torre e la postavano in avanti, cercando di proteggere il più possibile il Re.
Il biondo, con quasi tutti le pedine immacolate, contrattaccò con l’alfiere.
«  Scacco al Re », dichiarò, con una leggera soddisfazione. Sua nonna era sempre stata un’ottima stratega e fino a pochi anni prima, Roxas non era mai riuscito a vincere una partita che fosse una.
Ora la situazione si era invertita, ma per bontà di cuore il biondo evitava di vantarsene troppo, nonostante la soddisfazione che sentiva montare in petto ogni singola volta.
Ventus, lì accanto a loro, fissava la scacchiera con occhi assonnati, sbadigliando di tanto in tanto.
L’orologio segnava le cinque del pomeriggio e quella giornata pareva non passare più.
Quando era piccolo, Ventus, adorava passare intere giornate a casa di nonna Tatty, nella sua vecchia casa azzurra e fantastica; ora, che di anni ne aveva sedici – e il nuovo appartamento appariva ridicolo rispetto alla vecchia villa-  pensava che non ci fosse nulla di emozionante nel passare la giornata con Tatty, che non faceva altro che cucinare dolci, giocare a scacchi e guardare il telegiornale con sguardo critico.
E poi c’era suo fratello Roxas che a quanto pareva, al contrario di lui, bramava quelle giornate con talmente tanta intensità da svegliarsi presto e preparare con minuziosità ogni attività per la giornata.
Ventus sospirò un'altra volta, sperando di riuscire ad attirare l’attenzione del gemello, cercando di fargli capire che iniziava ad annoiarsi.
Non ricevette nemmeno uno sguardo, allora sospirò ancora una volta.
Allungò le gambe sotto al tavolino, per poi fare lo stesso con le braccia, finendo con l’appoggiarsi del tutto sopra al vecchio tavolo di quercia.
Osservò con disinteresse Tatty, la fronte aggrottata e gli occhi concentrati dietro la montatura fine degli occhiali, mentre spostava il Re di una sola casella, sperando di fuggire alle mosse di Roxas.
Ventus sbadigliò sonoramente, socchiudendo gli occhi.
« Pensavo … potremmo fare una passeggiata nel parco, che ne dici nonna?», domandò alla fine, reprimendo un altro sbadiglio e pulendosi con l’indice le due piccole lacrimucce agli angoli degli occhi.
Era certo che si sarebbe addormentato da un momento all’altro, se non fosse riuscito ad andarsene  il prima possibile da quella casa.
Tatty sollevò lo sguardo dalla scacchiera per osservare il nipote, l’espressione leggermente più dolce.
«  Scusami piccolo, ti stiamo annoiando, lo so, dopo possiamo andare a prendere un gelato, se vuoi.»
Roxas scrollò le spalle, prima di alzare a propria volta lo sguardo e puntare gli occhi azzurri su quelli del fratello.
Di certo lui non aveva voglia di un gelato e nemmeno di fare un giro all’aria aperta.
Gli piacevano i pomeriggi sonnacchiosi con la nonna e di certo non li avrebbe mai voluti sostituire con qualche ora in compagnia di altre persone.
«  Possiamo passarci insieme più tardi io e te. Più tardi, magari domani », borbottò alla fine Roxas, tornando a chinare il capo.
Ventus arrivò ad appoggiare il mento sopra al tavolo, lamentandosi a bassa voce.
Sia la nonna che Roxas tornarono sopra la scacchiera, concentrati su quella partita che oramai aveva già un vincitore certo.
Ventus osservò ancora per qualche secondo le pedine e alla fine tirò fuori il cellulare, piazzandoselo davanti allo sguardo.
Ad ogni problema, alla fine, c’era sempre una soluzione applicabile, così gli avevano sempre insegnato durante le tediose lezioni di matematica.
Aprì Whatsapp e cliccò sopra al gruppo “ Wayfinder” in cerca di aiuto: di sicuro i suoi amici non lo avrebbero abbandonato nel momento del bisogno.
Nemmeno qualche secondo dopo arrivò il messaggio di Terra, seguito da quello di Aqua.
Accennò ad un sorriso e prontamente si tirò su a sedere, stiracchiandosi le ossa.
Ventus si schiarì la voce e si passò la mano tra i capelli, ficcandosi il cellulare nella tasca dei pantaloni e avvicinandosi al tavolino lì affianco, dove Tatty e Roxas ancora rimanevano chinati.
«  Vado a fare un giro con i miei amici, non è un problema, vero nonna? »
La vecchietta scosse il capo e sorrise ancora una volta, mormorando un: “ va pure, va, ma torna qui per le 17”, ovvero l’orario in  cui sarebbe arrivata loro madre a prenderli.
Chi la sentiva, Naminè, se non avesse trovato entrambi i gemelli ad attenderla nel piccolo salotto della nonna!?
Ventus sorrise soddisfatto e si voltò verso il fratello, tentando un’ultima volta di convincerlo.
« Vieni anche tu?», gli domandò, speranzoso, aggiungendo quanto avrebbe fatto piacere ai suoi amici rivederlo, almeno una volta ogni tanto.
Roxas nemmeno alzò lo sguardo dalla scacchiera, si limitò a scuotere le spalle.
« Non ho voglia di uscire, magari la prossima volta. »
Per Roxas, “ la prossima volta”, non esisteva quasi mai.
Ventus allora fece spallucce e gli diede un leggero colpetto sopra la testa, come se lo stesse ammonendo per una marachella da poco, poi con un saluto veloce uscì dalla sala e, successivamente, dalla porta.
Roxas sentì il cancelletto del condominio aprirsi e richiudersi, allora sollevò lo sguardo e sospirò leggermente.
Sua nonna alzò il capo e il volto le si addolcì incredibilmente, tanto che le rughe sopra al volto parvero rilassarsi e attenuarsi leggermente.
«  Dovresti uscire un po’ di più, tesoro, non ti fa bene stare sempre in casa. »
« Anche tu stai sempre in casa », rispose il biondo, appoggiandosi allo schienale imbottito per farsi scrocchiare il collo.
La donna scosse la testa e controbatté con un: «  io sono vecchia, tu sei giovane. »
« Sarò vecchio dentro, che ci posso fare?»
Roxas ritornò sopra gli scacchi e mosse la Regina in avanti di tre caselle, sorridendo poi con soddisfazione.
Osservò il Re della nonna sotto scacco, tenuto sotto mira dalla Torre, dall’Alfiere e infine dalla Regina.
Sbatté le mani e guardò la nonna.
«  Ho vinto.»
« Uhm, mi sa che hai proprio ragione », iniziò Tatty, abbandonando la partita con un sospiro leggero, «  ma questo non toglie che dovresti uscire un po’ di più con tuo fratello o con i tuoi amici. »
Roxas tamburellò le dita sopra al tavolino, ora leggermente a disagio.
Gli parve addirittura di sentire un rivoletto freddo corrergli lungo la schiena. Si mosse, quindi, leggermente sopra la sedia, schiarendosi la voce.
«  Non ho amici », ammise alla fine, anche se credeva che la nonna già lo sapesse, « non veri per lo meno. »
Certo, c’era Hayner, ma non era certo che fosse realmente suo amico. A scuola parlava con lui, di tanto in mensa sedeva al suo stesso tavolo, ma non avevano l’intimità necessaria per poter essere considerati “ amici”.
La loro relazione era più di convenienza, dove si scambiavano qualche parola quando entrambi ne avevano voglia e si tenevano compagnia nei momenti più noiosi, ma per il resto non avevano molto da spartirsi.
Roxas sospirò appena e guardò la nonna, osservandola scuotere la testa leggermente in apprensione.
«  E quella simpatica ragazzina con cui uscivi? »
« Lei non è mia amica, nonna, è solo …», si fermò, non sapendo esattamente cosa dire, «  non lo so. »
La donna sorrise ancora di più allora, con le labbra -coperte da un leggero rossetto color pesca, come suo solito-  che si sollevavano e solcavano maggiormente le rughe attorno alla bocca.
«  La tua ragazza? »
Roxas serrò le labbra, scuotendo velocemente la testa.
«  Dio, no, proprio no. Non so mai di cosa parlare con lei. E’ simpatica, anche carina, ma dopo mezz’ora … mi perdo.»
Era la nuda e cruda verità.
Roxas conosceva le persone, ma non era loro amico. Con nessuno dei suoi compagni di scuola riusciva ad intavolare un discorso troppo lungo, perfino con Hayner, che solitamente copriva i lunghi  silenzi  di Roxas con le sue parole dette un po’ a vanvera.
Poi c’era Xion, una ragazza che aveva conosciuto nel corso di arte e che, all’inizio, aveva pensato potesse essere la fidanzata perfetta.
Interessata ai libri, alla pittura e alla musica, un’anima dedita alle arti, ma alla fine si era riscoperta una delusione. Piacevole alla vista, certo, con i corti capelli scuri a caschetto e i vestiti troppo larghi per la sua taglia, ma pian piano Roxas ne aveva perso interesse. Solo la sua voce lo attraeva, tanto soffusa e leggera che la faceva apparire come una specie di dolce pettirosso.
Ma nulla di più. Di tanto in tanto Roxas usciva con lei, a mangiare un gelato insieme, ma dopo la prima mezz’ora a parlare delle solite cose l’attenzione del biondo scemava via e lei rimaneva in silenzio a mangiucchiare il suo gelato al fiordilatte senza aprire bocca.
Roxas si era arreso al proprio carattere e alla sua incapacità di farsi amici, non gli pesava neanche più come succedeva  all’inizio.
« Roxas, tesoro, sei davvero uguale a tua madre su certe cose. »
Era una frase che Roxas si era sentito dire talmente tante volte da averne la nausea.
Da piccolo, quando al doposcuola passava il pomeriggio a disegnare piuttosto che andare a giocare. A casa, durante le cene di famiglia, quando tutti alzavano lo sguardo e lo guardavano con quegli occhi quasi addolorati e gli sussurravano quella frase.
Inizialmente Roxas, quando era piccolo, non aveva capito cosa ci fosse di male nell’assomigliare a sua madre, che era una donna fragile e al tempo stesso brillante e intelligente, bella e da un sorriso talmente dolce nemmeno il miele.
Alla fine aveva capito – una volta cresciuto e aperto gli occhi- che sotto quelle parole c’era un velato insulto alla personalità vacua di Naminè, indifferente a tutto e a tutti, interessata solamente alla sua arte piuttosto che al mondo intero.
Il biondo si imbronciò leggermente, fissando la nonna con un’espressione stranamente ostile.
«  Non guardarmi così, tesoro, non stavo cercando di offenderti. Amo mia figlia così come amo te, ma mi si distrugge il cuore a vedervi sempre da soli. Dai a tua nonna una soddisfazione, provaci almeno.  »
Roxas abbassò lo sguardo, pensando a quanto le parole di Tatty fossero una mossa talmente bassa da dover essere considerata illegale.
Era sbagliato far leva sui sentimenti dei propri nipoti fino a farli sentire in colpa.
Alla fine sollevò lo sguardo e sbottò un: « che palle.»
« Attento alle parole, mi farai venire un infarto. »
«  Ma se urli sempre contro la vicina! Ho sentito l’Inferno aprirsi settimana scorsa. Il Diavolo ha un posto apposta per te, al suo fianco.»
La donna rise un po’, sollevandosi dalla sedia e avvicinandosi al nipote. Roxas la guardò attentamente, finché non sentì la sua mano secca e vecchia sopra la nuca.
Si lasciò accarezzare la testa, scostare i corti capelli biondi, abbandonandosi per qualche secondo alle lunghe dita talmente magre da apparire scheletriche.
« Allora, piccolo, ci proverai a farti qualche amico? Sono sicura che là fuori ci sarà qualcuno fatto apposta per te, qualcuno con cui riuscirai a parlare fino a farti venire la gola secca. »
Istantaneamente la mente di Roxas rievocò un volto ben preciso, un viso che aveva cercato di celare nella memoria il più possibile. Eppure sapeva che con sua nonna avrebbe potuto parlare anche di questo, perfino di un ragazzo sconosciuto che aveva quasi baciato. Tatty avrebbe sicuramente trovato le parole giuste per rassicurarlo e levargli dalla testa tutte le preoccupazioni che l'avevano tormentato negli ultimi giorni.
Le labbra gli si serrarono appena, mentre gli occhi tornavano ad abbassarsi sopra la scacchiera.
Con l’indice fece ondeggiare un pedone, prima di lasciarsi andare ad un sospiro.
«  In realtà ho conosciuto una persona … simpatica, diciamo », poi, come a volersi difendere, disse: « Però ci ho parlato solo una volta.»
La mano della nonna si irrigidì sopra la sua testa e l’istante dopo Tatty gli si parò davanti, le braccia incrociate al petto e lo sguardo emozionato come quello di un adolescente.
Il più delle volte Tatty Lys appariva come una giovane donna, piuttosto che una simpatica vecchia.
Indossava vestiti a tubino, le scarpe col tacco, e si acconciava i capelli puntualmente dal suo parrucchiere di fiducia. Si era rifiutata di tingerli, andando fiera del suo grigiore, ma non mancava mai il suo appuntamento settimanale per cotonarli proprio come piacevano a lei.
In più si truccava leggermente le palpebre e le labbra.
Faceva tutto questo con estrema grazia ed eleganza che mai una volta in vita sua era apparsa volgare oppure esagerata.
Ora, con le palpebre colorate di azzurro e le labbra pesca, la donna lo guardava con una leggera soddisfazione.
«  Beh? Non dici nulla a tua nonna? »
Roxas, notando il suo sguardo, si sentì in dovere di rispondere subito, con una leggera ansia alla base dello stomaco.
Portò addirittura le mani davanti al petto, come se volesse discolparsi di chissà quale reato.
«  Guarda che non è una ragazza, non pensare subito male. »
«  E chi ha pensato male, piccolo? Dimmi, dimmi. »
Il biondo ruotò gli occhi, osservando il soffitto bluastro, con le sfumature bianche, che rendeva quel posto tanto simile ad una radura a cielo aperto.
Il tendaggi verde erano le chiome degli alberi, i mobili in legno i tronchi e quello splendido tappeto verde acido – vecchio e malconcio, con dei piccoli fili morbidi che sporgevano ai lati- era uno verdeggiante prato di quadrifogli.
Così come Fantasia era stato un abisso incantato, ora l’appartamento era un piccolo prato sereno, l’unico posto dove Roxas poteva parlare tranquillamente, senza sentirsi giudicato.
Alla fine, allora, decise di raccontare ogni cosa.
Prese una profonda boccata e corruciò le labbra, osservando gli occhi attenti di sua nonna mentre apriva la bocca e iniziava a parlare.
Raccontò a Tatty della festa a cui si era imbucato – strappandole un leggero mormorio di disapprovazione-, alla serata passata in solitaria, ma al tempo stesso esaltante, e alla fine arrivò a parlare di Axel.
Un ragazzo giovane, studente del College, dai vispi occhi verdi e dalla chioma fatiscente; gli parlò della sua voce cadenzata e ritmata, dei movimenti delle sue mani ogni volta che parlava, del modo in cui le sue labbra fini si sollevavano ogni volta che incrociava il suo sguardo.
La nonna ascoltava tutto con interesse, senza interrompere, limitandosi a sorridere oppure ad aggrottare la fronte, finché, alla fine del racconto, non schioccò le labbra un paio di volte.
«  E allora, tesoro, perché non gli hai ancora scritto? »
Roxas serrò le labbra, sbuffando leggermente. Incrociò le braccia al petto, chiudendo delicatamente le dita attorno alla maglia bianca che indossava.
«  Credo ci stesse provando con me e non vorrei dargli l’idea sbagliata. »
Tatty sbottò un: “ ma cosa dici!”, prima di riprendere a parlare. «  Probabilmente gli farebbe piacere uscire di nuovo con te. Dovresti semplicemente essere sincero e dirgli che vorresti essere suo amico. »
«  Non si può andare da una persona e chiedergli se vuole esserti amico, non funziona più così. »
« Beh, è sbagliato. Ai miei tempi era tutto più facile, credo. »
Roxas se ne rimase in silenzio per un intero minuto, limitandosi ad osservare Tatty che si alzava dalla sedia, si posava entrambe le mani dietro la schiena – aveva qualche acciacco, Roxas si dimenticava sempre che era vecchia, e non giovane come appariva- e si allontanava verso la cucina.
Allora tornò a pensare, a sfruttare quei minuti di solitudine per ripensare ad Axel.
Non che non ci avesse pensato a lungo, in quei quattro giorni.
L’aveva addirittura sognato due volte, in un garbuglio di pensieri che non riusciva nemmeno a ricordare.
Aveva, però,  desistito all’idea di scrivergli. Si era tenuto lontano dal suo numero, scribacchiato malamente sopra un pezzo di carta e salvato sul cellulare, e aveva cercato di ignorarlo.
Gli sembrava impossibile uscire con Axel, quando quel ragazzo aveva palesemente dimostrato di essere gay.
Roxas non lo era e non gli sembrava giusto uscire con lui e magari dargli false speranze.
Una piccola parte della sua mente, però, bramava ancora la sua voce, i suoi pensieri aguzzi e frizzanti, quel modo di parlare che, per una volta, l’aveva incantato e appassionato.
Nessun altro era mai riuscito ad interessarlo così tanto, ma il pensiero che fosse proprio un uomo lo rendeva ansioso.
La nonna fece in tempo a tornare, con due tazze fumanti di tè Rooibos, che Roxas ancora non aveva trovato una soluzione ai propri pensieri.
«  Roxas, ascolta tua nonna, scrivigli un messaggio e digli che ti piacerebbe tanto vederlo. »
«  Ma così- »
La donna gli spinse la tazza di tè praticamente tra le mani, interrompendo ogni parola pronta ad uscire.
Roxas corrugò la fronte e afferrò l’antifona, rimanendosene in silenzio a soffiare sopra il tè bollente.
Due zollette di zucchero e poi tornò a guardare Tatty.
«  Ci uscirai insieme, parlerete, e lì gli dirai che ti sta simpatico e che ti piacerebbe essere suo amico. I vecchi modi di fare funzionano sempre, stellina, guarda Ventus! E’ sempre pieno di amici, non è mai da solo. A te basterebbe solo una persona, e perché sprecare un’occasione d’oro? »
Roxas scrollò le spalle, non sapendo cosa rispondere.
Le idee di sua nonna erano strane alle volte, ma sapeva quanto quella vecchietta fosse irremovibile.
Allora afferrò il cellulare – e lì il sorriso di Tatty lo contagiò per qualche secondo- e aprì un nuovo messaggio.
La nonna gli si avvicinò, arrivando addirittura ad abbandonare la tazza bollente sopra al tavolino, solo per sporgersi sopra la sua spalla e guardare le dita del nipote scrivere, un po’ incerte, un messaggio striminzito.
Allora sorrise, lasciando un bacio al sapore di pesca sopra la guancia di Roxas, che istantaneamente si era fatta di un bel rosso intenso, come il tè Rooibos.






***
Piccola nota a margine: aggiornerò ogni 10 giorni all'incirca, magari un po' prima, magari dopo, ma cercherò ugualmente di non esagerare con i ritardi.
In ogni caso in questo capitolo ho introdotto un personaggio originale, Tatty, che apparirà di tanto in tanto nella storia come supporto morale e Jiminy della situazione.
Btw, per chi segue, commenta -!?-, ecc, ci vediamo al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 3
*** III ***


III
 



 
Axel si passò le dita tra i capelli per la quinta  volta di fila, cercando di sistemarsi la matassa rossa che portava in testa.
Non importava quanti minuti avesse passato davanti allo specchio quella mattina – con Demyx e Zexion che si lamentavano fuori dalla porta-, i suoi capelli non ne volevano sapere di assumere una forma decente.
Alla fine era uscito dal bagno con un diavolo per capello, letteralmente, e si era lamentato per una decina di minuti con Demyx, che prontamente era corso sopra la tavoletta del bagno.
Mentre l’altro sospirava e cercava di fare pipì, Axel era rimasto accanto a lui, seduto sopra il bidet, spiegandogli come mai quel giorno ci tenesse più del solito al proprio aspetto.

«  Lo so, lo sappiamo!», aveva esclamato il biondo, seguito da un’esclamazione disperata di Zexion, appoggiato allo stipite della porta.
«  Oggi devi uscire con l’uomo dei tuoi sogni. »
Eppure i suoi capelli erano rimasti crespi e informi, portandolo ad uscire di casa con l’espressione atterrita come se gli fosse morto il cane.
Era arrivato in anticipo di una buona mezzora davanti al bar che lui e Roxas avevano scelto due giorni prima – il Jolie, nell’east side  – e aveva passato ogni minuto a guardarsi riflesso nella sporca vetrina del bar.
Alla fine aveva optato per una coda bassa, cercando di legare ogni ciocca ribelle con meticolosità.
Nonostante i capelli, però, Axel si sentiva particolarmente fiducioso della giornata che doveva arrivare.
Aveva piagnucolato con i suoi coinquilini, cercando di fargli capire quanto fosse un’uscita importante e che, quindi, doveva tenersi qualche soldo da parte, e alla fine era riuscito ad intascarsi ben 10 dollari, con sua enorme soddisfazione.
Certo, si sarebbe limitato a mangiare un po’ di pane in bianco per qualche giorno, ma almeno avrebbe fatto la figura del galantuomo e avrebbe offerto a Roxas una colazione decente.
Solo nel ripensare al nome di quel ragazzo, e al fatto che di lì a poco l’avrebbe rivisto, sentiva un intero zoo nello stomaco, altroché farfalle!

«  Axel.  »
Non appena sentì la voce di Roxas, il ragazzo per poco non saltò sul posto, vedendosi strappato dai suoi pensieri.
Si voltò velocemente, incrociando il volto del biondo per la prima volta dopo il week end scorso.
Quello che vide lo convinse ancora di più che quel ragazzo era meraviglioso, perfino sotto il caldo afoso della città e il leggero sudore che gli imperlava la fronte.
Il ragazzo sorrise apertamente e sentì montare dentro di sé una piccola nota di soddisfazione, nel notare che anche il biondo si era presentato con qualche minuto di anticipo.
Axel gli si avvicinò prontamente, schiarendosi la voce.

«  Ce l’hai fatta a trovare questo posto, alla fine! »
Roxas accennò ad un sorriso leggermente imbarazzato, grattandosi il retro del collo e appoggiando lo skate-board a terra.
Effettivamente si era perso due o tre volte, lungo quelle vie mai percorse, ma alla fine era riuscito ad arrivare in orario, anzi, addirittura prima del previsto!

«   Non ero mai stato da queste parti », ammise alla fine, passandosi una mano sopra la maglia beige, tirandosela verso il basso, leggermente a disagio nel trovarsi di fronte ad un ragazzo che ancora non conosceva.
Axel schioccò le labbra e si avvicinò di un solo passo, lo sguardo leggermente esterrefatto.

«  Non puoi dire di abitare a The World se non sei mai stato nei bassifondi, ragazzo. »
Roxas accennò ad una risata, tre secondi netti, e tornò a lisciarsi la maglietta chiara. Nonostante avesse deciso di indossare i vestiti più leggeri che avesse nell’armadio, così come l'altro ragazzo, sotto al sole estivo si moriva di caldo.
Axel sentiva lo stesso, un po’ per il sole, un po’ per l’agitazione; si sentiva ribollire il sangue nelle vene.
Alla fine il fulvo fece la prima mossa, indicando con un cenno del capo il piccolo e lugubre bar.

«  Allora, che ne dici di entrare? Ti mostro come ci comportiamo noi del ghetto », scherzò, iniziando ad incamminarsi verso l’insegna rossa, seguito dal biondo.
Dentro al locale la temperatura scendeva già di qualche grado grazie ai due ventilatori ronzavano costantemente da destra a sinistra.
Le vetrine oscurate dal vetro spesso e colorato- come un fondo di bottiglia-  rendevano la stanza più piccola di quel che era, ma Roxas si ritrovò incantato dalle luci basse e dall’odore di sigarette e di caffè amaro.
Il biondo si guardò intorno per qualche secondo, incuriosito da un uomo seduto al bancone, il capo chino e la maglia sgualcita, un bicchiere di scotch già di prima mattina.
Un tavolo accanto al biliardo era interamente occupato da cinque ragazzi, sulla ventina, che ridevano e si scambiavano battute rumorosamente, applaudendo di tanto in tanto e lasciandosi andare a risate sguaiate.
La cameriera, una donna dai corti capelli scuri a caschetto, se ne stava dietro al bancone a pulire un paio di bicchieri con lo strofinaccio.
Roxas perse così la cognizione del tempo e dello spazio, rimanendo imbambolato al centro del bar a fissare ogni movimento, ogni ronzio delle mosche, il frusciare dei ventilatori, i colpi di tosse di un vecchio seduto da solo al suo tavolino nell’angolo.
Axel, decisamente a proprio agio, salutò il barista con un cenno del capo e poi si voltò verso Roxas.
Sorrise nel vedere la sua espressione rapita e quasi si sentì in colpa a strapparlo con forza dai suoi pensieri.

«  Ti va bene quel tavolo? Solitamente mi metto lì. »
Roxas annuì, raggiungendo il tavolino quadrato a ridosso del muro, sedendosi sopra la sedia e lasciando ad Axel il divanetto dall’imbottitura rossa.
Abbandonò lo skate-board ai propri piedi e sedette compostamente, osservando come Axel appoggiasse i gomiti al tavolo e sorridesse leggermente, felice.
Arrivò la cameriera, che dedicò ad entrambi uno sguardo annoiato, e chiese cosa volessero.

« Allora, cosa vi porto?»
Roxas corrugò appena la fronte e si voltò verso la donna,  optando per un caffè americano e una brioche alla marmellata, Axel ordinò lo stesso, ma con una ciambella al cioccolato.
La donna si allontanò, ficcandosi una forcina tra i capelli, e sparì dietro al bancone.
La macchina del caffè rombò rumorosamente e Roxas tornò a guardare Axel, cercando di allontanare quell’agitazione che  l’aveva lasciato in uno stato di dormiveglia per metà della notte.

«  E’ un bel posto, mi piace. Mi ispira un sacco. »
« Vero? I posti più belli sono quelli più nascosti. Prendi questa vecchia bettola! Non c’è un solo tavolo uguale all’altro, puzza come se ci venissero a dormire dei barboni, ma ti giuro che hanno i dolci più buoni che abbia mai mangiato, e non si lamentano mai se rimani qui per ore intere senza comprare nulla. »
 « Vieni qui spesso, allora? », domandò Roxas, sporgendosi leggermente in avanti, appoggiando a propria volta il gomito sinistro sopra al tavolino di legno scuro.
Axel annuì, guardandosi intorno con un certo affetto.

« Vengo qui praticamente ogni giorno da quando mi sono trasferito. E’ una specie di seconda casa. »
Le ordinazioni arrivarono prontamente, prima che Roxas potesse anche solo aprire bocca, ed entrambi si ritrovarono davanti due grosse tazze di caffè e un piattino con sopra il dolce.
Il biondo non perse tempo e staccò l’estremità della brioche, assaggiandola.

«  Oh, avevi davvero ragione, è proprio buona! »
«  Che ti avevo detto? », Axel ne sembrava fiero come se l’avesse cucinata lui.
Con un sorriso soddisfatto il fulvo addentò la ciambella, sentendo il sapore dolce del cioccolato contro al palato. Ogni giorno, di mattina, si svegliava con quel dolce profumo sotto casa e, puntualmente, gli veniva da strapparsi i capelli nell’osservare il portafoglio vuoto.
Spesso e volentieri, però, quando finiva di lavorare, raggiungeva di corsa il Jolie e il barista gli faceva scegliere una brioche tra quelle che non aveva venduto.
Era un brav’uomo, Xaldin,  anche se l’espressione scorbutica che aveva sul volto spesso allontanava le persone.

«  Pensa che tutti i giorni muoio di fame ogni volta che passo qui di fronte. »
Roxas versò la terza bustina di zucchero e sollevò il capo, osservando l’altro ragazzo con un leggero interesse. Non voleva farsi troppo gli affari dell’altro, ma non riuscì a trattenere la domanda: «  abiti qui vicino? »
L’altro schioccò le labbra ed esclamò un “ bingo!”, prima di riprendere a parlare.
«  Proprio qui di fronte. Al terzo piano di quell’orribile condominio. Quello pieno di graffiti. »
Roxas se lo ricordava.
L’aveva osservato per qualche secondo prima di notare il bar proprio lì di fronte. Si era perso ad osservare le scritte bombate dai colori sgargianti, cercando di capire che cosa potessero significare.

«  Sembra bello poter vivere lontano da casa. »
L’altro ragazzo annuì, prendendo un lungo sorso del suo caffè americano, prima di leccarsi le labbra e riprendere a parlare.
«  E’ davvero bellissimo, ma i soldi sono sempre un problema. Sai, a casa non dovevo pagare nulla, qui invece devo sborsare ogni mese un sacco di soldi per ogni cosa », poi addentò la ciambella, masticando per qualche secondo, «  fortunatamente non sono da solo, sto con altri due ragazzi. Uno l’hai conosciuto, ricordi? Quel ragazzo ubriaco, hai presente? »
Roxas annuì, mentre nella sua mente andò a delinearsi un’immagine un po’ sfocata di un ragazzo biondo, dinoccolato, dalla faccia rossa.
«  Non credo riuscirò a dimenticarmi tanto facilmente di lui, dopo averlo visto vomitare in un lavandino. »
Axel rise, scuotendo leggermente il capo come una mamma apprensiva, divertita e al tempo stesso sconcertata dal comportamento di suo figlio.
Bevve ancora, imitato da Roxas, e per qualche altro secondo tornò il silenzio.
Stranamente il biondo non si sentiva affatto oppresso dalle labbra chiuse dell’altro o da quei silenzi che di tanto in tanto intercorrevano tra di loro; sembrava tutto naturale, come due amici normali, e per una volta ammise che forse Tatty aveva ragione.
Non riuscì a nascondere il leggero sorriso dalle labbra, tanto che Axel si riscoprì a ricambiarlo automaticamente, senza nemmeno saperne il motivo.

«  Dimmi un po’ di te, ora, Roxas! Vivi ancora a casa tua, immagino. »
L’altro sollevò il capo dalla tazza di caffè oramai vuota e giocherellò leggermente con metà della brioche, lasciandosi andare ad un leggero “ uhm” prima di poter rispondere.
«  Vivo con mia mamma e mio fratello, siamo in main street, nel Villaggio del Sole, dove ci sono le villette a schiera, quelle con i mattoni rossicci. »
Axel fischiò leggermente.
Aveva imparato a conoscere The World alla perfezione, nonostante ci abitasse da meno di due anni, e quelle belle villette le conosceva bene.
Ci era passato di fronte di tanto in tanto, in sella alla sua bicicletta, e ogni volta non aveva potuto fare a meno di immaginarsi chi ci abitasse e che bella vita potesse avere.
Dopotutto quel “ Villaggio del Sole” non era posto per gente come lui, squattrinata e con un doppio lavoro; era un posto da ricchi, con i giardini curati dall’annaffiatoio elettrico e i roseti curati vicino alle porte.
Eppure Roxas non gli dava affatto la sensazione del classico stronzetto dal cucchiaio d’argento – come spesso Demyx si ritrovava ad apostrofare i compagni di Università più benestanti-, tutt’altro.
Sembrava genuino e fresco, come una spiga di grano, un paragone povero, ma al tempo stesso perfetto per uno come lui.
Alla fine tornò a parlare, notando come i propri pensieri l’avessero distratto dalla conversazione.

«  Certo che lo conosco, sono davvero delle belle case.  »
Roxas scrollò le spalle, indifferente. Casa sua non gli faceva né caldo né freddo, non lo entusiasmava così come non lo disgustava.
Lo trovava un posto asettico, un luogo irrilevante dove potersi riposare, cambiare i vestiti e mangiare, ma non aveva nulla a che fare con la sensazione di calore che gli donava la casa di sua nonna.
La sua vita, alla fine, si svolgeva con una monotonia disarmate di azioni sempre uguali, di luoghi bianchi e neri. Era una vita fatta delle stesse case, delle stesse persone, degli stessi sentimenti.
Non conosceva il mondo, non sapeva percorrere nemmeno la metà della città senza sentirsi come un pesce fuor d’acqua.
Axel! Axel invece era proprio il contrario.
Roxas lo vedeva come uno spirito libero, capace di parlare di argomenti disparati, in grado di alzarsi dalla sedia e andarsene via, verso luoghi sconosciuti, come un pirata dal sorriso sornione e le cicatrici di vecchie battaglie addosso, come un pirata!
Istantaneamente il biondo si alzò dalla sedia, afferrando la brioche in mano e guardando Axel con una decisione che sentiva ribollirgli in corpo.

«  Fammi vedere l’east side. »
«  Come? », domandò Axel, un sopracciglio arcuato e l’espressione leggermente stupita. Il fulvo era ancora seduto comodamente sulla poltroncina, la ciambella stretta nella mano destra e il caffè  a metà poggiato davanti. Il giovane sbatté le palpebre un paio di volte e poi schioccò le labbra, sollevandosi a propria volta, scrollando le spalle
«  Vuoi davvero visitare questo buco? »
Roxas annuì, le labbra serrate e la convinzione di un soldato pronto a partire per il fronte.
Fin da piccolo sua madre si era raccomandata con i figli di non andare mai nella parte est della città, di tenersi lontano da quei sobborghi poveri e pieni di gentaccia.
Roxas riusciva a sentire la voce di Naminé, solitamente delicata, alterarsi ad ogni perché di Ventus o di Roxas.

«  Non potete andare lì, se lo farete vi rapiranno e lo sapete cosa faranno, poi? Quegli sporchi vi drogheranno e poi vi ruberanno gli organi, e sapete cosa? Quando piangerete io non sarò lì, perché oramai sarà troppo tardi. »
Nonostante la visione pessimistica della donna, ora Roxas sentiva la voglia di esplorare la città ribollirgli in corpo.
Non era mai stato pieno di spirito d'avventura, ma quella mattina, con Axel di fronte, aveva voglia di camminare e guardarsi in giro, di scoprire quanto c'era di vero nelle parole di sua madre.

«  Fammi vedere dove vivi di solito, dove vai, cosa fai. La prossima volta farò lo stesso. »
Il sorriso sopra le labbra di Axel si aprì ancora di più.
La prossima volta.
Sbatté le mani l’una contro l’altra, pulendosele leggermente – la ciambella era sparita con due morsi, un lieve residuo di cioccolato sull’angolo destro delle sue labbra – prima di porgerla a Roxas, come se volesse stringere un patto.
Il biondo l’afferrò e la scosse una singola volta.
Affare fatto.
Entrambi rilasciarono le mani e sorrisero leggermente, senza nemmeno sapere perché sentissero il cuore così gonfio da sembrare sul punto di esplodere.


 
***
 


Le luci di casa erano spente.
Quando Roxas rincasò, camminando lentamente con lo skate sotto braccio, si fermò davanti al cancelletto di ferro battuto, osservando minuziosamente la faccia tetra di casa sua.
Gli irrigatori giacevano, silenziosi e immobili, ai lati del giardino e nemmeno un filo di vento smuoveva le foglie delle querce secche.
Il cielo all’imbrunire lanciava gli ultimi accenni di luce sopra le abitazioni, allungando le ombre fino a distorcerle.
Roxas deglutì, appoggiando la mano sopra al piccolo cancello d’ingresso, e lo spinse con un cigolio.
Se lo richiuse alle spalle e camminò sopra al lastricato di mattoni, raggiungendo la porta di casa.
Ancora una volta si sporse da una parte all’altra, cercando di scorgere anche una sola luce in tutte le alte finestre della villetta.
Niente, era come se a casa sua stessero già tutti dormendo.
Erano solamente le otto di sera, eppure sembrava non esserci anima viva.
Automaticamente il biondo si voltò verso la strada, sperando quasi di scorgere il profilo di Axel in lontananza, ma l’altro ragazzo era già sparito tra la luce morente del sole.
Sospirò appena, allora, e tirò fuori le chiavi di casa.
Una volta entrato lo attese lo stesso silenzio che regnava all’esterno, solo un leggero rumore in lontananza, talmente lieve da essere quasi inudibile.
Roxas abbandonò a terra la borsa e lo skate- board, e seguì lentamente quel singolo suono.
Percorse il corridoio e, svoltando a destra, raggiunse la sala totalmente al buio, tranne che per la piccola lampada al neon sopra al tavolino.
Seduto scompostamente sopra al divano c’era Ventus, una tazza di cereali davanti al volto e il cucchiaio che affondava svogliatamente di tanto in tanto.
Il fratello, all’arrivo di Roxas, sollevò la testa e lo salutò allegramente con un cenno del capo.

«  Wow », disse solamente Ventus, annuendo con una certa ammirazione. « Non posso crederci. »
Roxas ruotò gli occhi al cielo – immaginandosi perfettamente per cosa fosse rivolta quell’esclamazione- e gli si avvicinò.
Si sedette sopra al bracciale della poltrona bianca e si guardò attorno.

«  La mamma non c’è? », preferì domandare, piuttosto che dover dire dove fosse stato fino a quel momento.
In un certo senso riusciva quasi a capire lo stupore di suo fratello nel vederlo ritornare a casa a quell’ora, quando solitamente Roxas nemmeno usciva da camera sua se non era per andare a scuola oppure da Tatty.
Ventus, alla domanda del fratello, scrollò le spalle e si portò alla bocca una cucchiaiata di cereali e latte, masticando rumorosamente.

«  E’ su che lavora su qualche nuovo quadro, non ho ben capito, ma ha detto di non fare rumore, così sono qui. »
Così sono qui.
In totale silenzio, con le luci spente, senza nemmeno uno straccio di rumore a tenergli compagnia. Roxas si sistemò un po’ meglio sopra al bracciolo e si tirò al petto il ginocchio sinistro, stringendoselo tra le braccia.
Schioccò le labbra, gettando uno sguardo alla tazza di cereali e poi a Ventus.

«  Non c’è altro da mangiare? », chiese poco dopo, ascoltando il proprio stomaco contrarsi all’idea che l’ora di cena fosse già passata da un po’ e che ancora non avesse messo nulla sotto i denti.
Lui e Axel non avevano cenato insieme, preferendo continuare a camminare e a parlare, piuttosto che rimanere fermi in un posto soltanto.
Ora le lunghe ore di camminate sotto al sole si stavano facendo sentire. Roxas sentiva il corpo bollente, il naso spellato, e lo stomaco completamente vuoto.
Dallo sguardo un po’ afflitto di Ventus, però, immaginò che non ci fosse nulla da mangiare.

«  Mamma è nel suo studio da sta mattina, non è ancora uscita, quindi non c’è nulla di pronto. »
Lo stomaco di Roxas si lamentò, ora più rumorosamente, e il biondo dovette mettersi una mano sopra la pancia per impedirgli di emettere un suono ancora più forte.
Serrò le labbra e sospirò, alzandosi dalla poltrona e passandosi una mano sopra la fronte leggermente sudata.

«  Vado a vedere », disse solamente, prendendo a camminare verso le scale a chiocciola e ignorando l’esclamazione di Ventus che lo invitava a rimanere lì con lui.
A fare cosa, poi?
Mentre risaliva le scale, gradino per gradino, si domandava cosa ci trovasse di bello Ventus nel passare il tempo sempre al cellulare.
Lì, a mangiare una misera ciotola di cereali dietetici, con la televisione spenta, senza un solo libro davanti, nulla che non fosse il cellulare appoggiato tra le gambe.
Il biondo raggiunse la porta dello studio di Naminé poco dopo, osservando con un certo astio il cartello: “ bussare prima di entrare” come se fosse un ufficio vero e proprio, e non la semplice porta di una camera.
Roxas non bussò affatto, allora, tirò semplicemente la maniglia ed entrò nella stanza più caotica della casa.
Le finestre sbarrate da fogli di giornale – tutti rigorosamente con degli articoli riguardante le mostre di sua madre- e una cupa luce che illuminava a malapena la scrivania dov’era china la donna.
Ogni mobile era stipato di ogni sorta d’oggetto, che fosse utile o meno. Un’intera mensola era dedicata a delle sveglie dalle forme più disparate, così come quella lì affianco sosteneva una quantità di pietre di forme e dimensioni diverse.
Fogli e  cartacce in giro, pennelli a terra e sopra al davanzale.
Le macchie di pittura riempivano il pavimento, sporcando fogli immacolati e rendendo più vivi disegni lasciati a metà.
Roxas calpestò qualche vecchio lavoro e si fece strada fino alla scrivania, dove Naminé rimaneva china, senza nemmeno alzare la testa.

«  Mamma? », la chiamò, incrociando le braccia al petto. «  Mamma?», ritentò poco dopo, quando non ricevette alcuna risposta.
«  Devi bussare tesoro, te l’ho detto », rispose alla fine Naminé, sollevando la testa dal foglio e lamentandosi appena per un leggero dolorino al collo.
La donna si passò le dita dietro la testa e ruotò il capo da una parte all’altra, prima di puntare lo sguardo sopra al figlio.

«  Cosa c’è? Sto lavorando, tesoro. »
«  Non c’è nulla di pronto da mangiare », affermò solamente Roxas, con la voce che cercava di suonare come un’accusa. E lo era per davvero, come ogni volta.
Capitava spesso che, tornando da casa di Tatty, Roxas trovasse tutte le luci spente e nulla da mangiare.
Solitamente succedeva quando la madre aveva qualche grosso lavoro tra le mani, ma nell’ultimo periodo accadeva almeno una volta a settimana.
Naminé sospirò appena e si passò una mano tra i capelli biondi, tirandosi indietro il ciuffo corto.

«  Dovreste imparare a cucinare da soli, oramai siete grandi. Non avete di certo bisogno che qualcuno badi a voi, altrimenti non avrei licenziato la domestica. »
A dir la verità, e Roxas la conosceva bene, la domestica si era licenziata da sola, così come le precedenti.
Gli orari erano allucinanti, la paga scarsa, e trattare con Naminé era quasi impossibile, quando la sua mente vagava per le sue idee e non voleva sentire ragioni a contrastarla.
Roxas strinse maggiormente le braccia al petto, voltando il capo verso la finestra chiusa, poi ancora sopra la tinozza d’acqua sporca lì, ai piedi del tavolo.
C’era odore di vernice e pittura ad olio, di china e acqua rafferma; la puzza era tanto forte da fargli venire il voltastomaco.

«  Non sappiamo cucinare perché nessuno ce l’ha mai insegnato.»
La donna lo ammonì con lo sguardo, sollevando l’indice contro di lui. «  Non cercare di darmi la colpa come al solito, Roxas. »
Il ragazzo scrollò le spalle, mormorando un: “ figurati” che fece sollevare la donna dalla sedia.
Sbatté entrambe le mani sopra la scrivania, facendo rotolare a terra una delle tante matite consunte.

«  Io sono qui che lavoro per voi, giorno e notte, non dirmi che non penso alla mia famiglia. »
Anche  in questo caso Roxas sapeva che sua madre lavorava principalmente perché amava la pittura, non di certo per mantenere i suoi figli, che da quel che si era sempre sentito dire  assomigliavano tremendamente all’ex marito.
Non che Roxas o Ventus avessero mai conosciuto loro padre. Forse ne aveva un ricordo sbiadito, ma non sapeva se quell’immagine distante fosse vera oppure se l’avesse solo creata col tempo, per poter  avere anche solo un’idea di come potesse essere un padre.

«  D’accordo, hai ragione tu », esalò alla fine, abbassando il capo, usando il solito tono accondiscendente che riusciva a calmare la madre. Dopo tre lunghi secondi di silenzio, infatti, Naminé tornò a sedersi.
La testa le si chinò nuovamente verso il foglio e la mano destra cercò a tentoni una matita del calibro giusto.

«  Scusami tesoro, la mamma è molto stanca », cominciò, strofinandosi le dita sopra le tempie, «  ora lasciami lavorare, va giù con Ventus a mangiare qualcosa. Fatti un panino, fallo anche a lui, non lo so. »
Roxas annuì ancora una volta, tutt’altro che d’accordo con le parole della madre, e abbandonò quella stanza puzzolente con enorme piacere.
Si richiuse la porta alle spalle e si appoggiò al muro lì affianco.
Con un lungo sospiro richiuse gli occhi, cercando di calmare il battito accelerato del cuore, sperando di poter placare la rabbia che sentiva ribollire in corpo.
Pian piano i muscoli si distesero e il biondo sollevò le palpebre, osservando il corridoio buio di fronte a lui.
Si chiese come sarebbe stata la serata se solo avesse accettato di rimanere a mangiare a casa di Axel.
Un leggero sorriso gli fece sollevare le labbra. Sicuramente meglio di così, ovviamente.
La mano destra strisciò sopra i capelli leggermente spettinati e se li tirò all’indietro, poi con un movimento veloce percorse il corridoio fino a scendere nuovamente le scale.
Gettò uno sguardo a Ventus sopra al divano, il cellulare in mano e la ciotola vuota appoggiata affianco, e afferrò lo skate-board.

«  Vado dalla nonna », disse alla fine, prendendo improvvisamente quella decisione.
Sì, Tatty sapeva come migliorare la serata, lei sapeva sempre come accoglierlo a braccia aperte e prestargli attenzione.
Ventus sopra al divano scrollò le spalle e gli gettò un’occhiata veloce.

«  Salutamela. »
Roxas annuì e uscì di casa.
Il cielo si era fatto più scuro e i lampioni lungo la via illuminavano le strade deserte.
Il quartiere, sempre silenzioso, era ammantato dal buio della sera e quando Roxas uscì dal cancello perse qualche istante a fissare ogni casa identica, le recinzioni di fine metallo che dividevano ogni giardino dall’altro e, infine, se ne andò.
Scivolò velocemente per la strada del Villaggio del Sole e imboccò la prima usciva a destra, spingendo con la gamba destra più forte che poteva.
Arrivò a casa della nonna in meno di quindici minuti, con le gambe che dolevano e il fiato corto.
Il biondo si passò velocemente la mano sopra le guance bollenti e suonò al citofono.
Le tende verdi del secondo piano erano leggermente illuminate dalla luce dell’abat jour  e Roxas non riuscì a trattenere il sorriso all’idea che di lì a poco avrebbe rivisto Tatty.
Non vedeva l’ora di sedersi di fronte alla nonna, con una tazza di tè e dei biscotti, e raccontargli quella giornata così fantastica da sembrare quasi un sogno.
A casa non aveva nessuno con cui parlare.
Ventus l’avrebbe ascoltato a malapena, con la mente occupata dai suoi pensieri, dai suoi amici e dalle sue felici giornate in giro.
Sua madre avrebbe fatto altrettanto, e per quanto Roxas le volesse bene – inspiegabilmente, certe volte, sentiva il desiderio di andare da lei e abbracciarla forte, nonostante passasse più tempo a litigare con lei che altro- non riusciva a sopportare i suoi silenzi e le sue risposte secche.
“Mh”, “ sì”, “certo”, era sempre così.
Roxas suonò ancora una volta, spingendo l’indice sopra al bottone con foga, finché non sentì un click.

« Sì, chi è? », arrivò la voce dal citofono e Roxas si identificò con un semplice: «  sono io. »
Il cancello si aprì con un suono metallico e il giovane camminò verso l’appartamento il più veloce possibile.
Ignorò la stanchezza – che ora sembrava scemare gradino dopo gradino- e finalmente raggiunse la casa della nonna.
Non appena la donna aprì la vecchia porta di compensato Roxas sorrise, entrando senza dare il tempo a Tatty di aprir bocca.

«  Non è che avresti dei biscotti? Devo raccontarti un sacco di cose!»
Tatty sorrise e si chiuse la porta alle spalle, osservando il volto del nipote; sentì un dolce calore scaldargli il petto nel vedere il sorriso sincero di Roxas, quella felicità infantile che non gli vedeva sul viso da anni.
«  Ma certo tesoro, ora dimmi tutto. »








***

Well, well, con un piccolo ritardo ma ci sono, sono viva e vegeta, uscita da un po' di influenza e poca voglia di accendere il pc.
In ogni caso FINALMENTE Axel e Roxas si sono incontrati - piccoli di mamma, loro!- e da questo capitolo in poi rimarranno sempre in contatto.
Ho voluto inserire metà capitolo con la famiglia di Roxas giusto per introdurre Naminé che, lo giuro, sembra una donna stronza e decisamente menefreghista, ma non rientra nei " cattivi" classici dei libri.
A voi i commenti, quindi.
Mel.

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Capitolo 4
*** IV ***


IV


 
 
 
Giovedì e sabato erano gli unici giorni liberi di Axel, dove poteva tenersi lontano dai libri di scuola – che ugualmente non toccava quasi mai-, ma soprattutto non doveva lavorare al Jimbo’s.
Erano quei due giorni liberi che fino a qualche settimana prima aveva considerato sì preziosi, ma non così speciali come ora.
Da due settimane a quella parte, Axel e Roxas avevano deciso di vedersi puntualmente sia il giovedì che il sabato, anche solo per un paio di ore, e passare del tempo insieme.
“ Senza alcun impegno”, avevano sottolineato entrambi più di una volta, e a tutti e due andava più che bene.
Andava bene a Roxas, che non cercava affatto una relazione con un uomo, e andava altrettanto bene ad Axel, che poteva ugualmente bearsi della compagnia dell’altro ragazzo.
Così entrambi avevano deciso di ritrovarsi al Jolie alle 10 di mattina, utilizzando il vecchio bar fuori mano come punto di ritrovo.
Pian piano stavano diventando azioni abitudinarie, le loro.
Un “ buongiorno” al mattino, qualche messaggio durante il pomeriggio e infine la buonanotte. Solamente il mercoledì e il venerdì sera quei messaggi cambiavano, si riempivano di aspettativa e di speranze, perché l’indomani si sarebbero rivisti.
Roxas non dava troppo peso alla sua voglia continua di incontrare Axel, preferiva lasciare ogni dubbio al caso, concentrandosi piuttosto sulla giornata a venire.
Fatto strano, per una persona come lui, che solitamente analizzava ogni momento della sua vita, attanagliato da ansie e paura, da aspettative e desideri.
Il fulvo, invece, ogni mattina che rivedeva Roxas arrivare sul suo skate-board, avvertiva una piacevole quanto dolorosa stretta allo stomaco, che per qualche secondo gli mandava in tilt il cervello.
Oh mio dio, lui è quello giusto.
Però Axel non poteva aprire bocca e lasciarsi sfuggire quei pensieri, così sorrideva al biondo e lo invitava con un cenno della mano ad andare a sedersi al loro posto, lo stesso che avevano occupato la prima volta.
Nonostante i loro incontri fossero diventati quasi un’abitudine – per quanto due settimane potessero plasmare così tanto la vita di due persone-, ancora non erano riusciti a visitare insieme la parte ovest della città, così come si erano promessi la prima volta.
Ogni volta che si incontravano avevano altro da fare, cose di cui discutere, argomenti insensati che fossero da controbattere.
Rimanevano seduti al tavolo per due ore intere, mangiando lentamente, sorseggiando caffè freddi, finché non arrivava l’ora di pranzo e allora si allontanavano, confabulando talmente vicini che le spalle quasi si toccavano.

Anche quel giorno avevano deciso di abbandonare l’idea di passeggiare per la main street –il caldo afoso rendeva impossibile ogni movimento- e avevano cercato riparo dal sole presso un piccolo teatro della zona del east side.
Il più bello di tutto il mondo, stando a sentire le parole esaltate di Axel.
L’ Edoné non era altro che un piccolo locale adibito a teatro, qualche fila di sedie e poltrone in giro e  un palcoscenico malconcio, con le travi di legno che scricchiolavano sotto ai piedi.
I tendaggi rossi erano pesanti, gettati ai lati del palco, e le luci polverose rimanevano appese solo a dei lunghi fili cadenti e intrecciati in malandate trecce.
Le pareti, dipinte di porpora lungo i lati,  lasciavano intravedere vecchi dipinti a muro un po’ sbiaditi dal tempo, crepati verso l’alto, dove anni addietro – o almeno così raccontava Axel – la pioggia e la muffa avevano fatto crollare una parte del soffitto.
Nonostante l’aspetto non fosse dei migliori – tra le apparecchiature scadenti e gli sfondi disegnati malamente- quel piccolo teatrino di periferia aveva attirato l’attenzione di Axel dalla sua prima settimana in città.
Il fulvo raccontò di come, appena arrivato e con ben pochi soldi in tasca, fosse passato davanti al teatro in cerca di qualche appartamento in affitto a basso costo, e fosse rimasto colpito dalle locandine dell’opera settimanale.
Una storia originale, un dramma scritto dagli stessi attori della compagnia locale.
Aveva speso 15 dollari, ma lo spettacolo l’aveva riempito di sentimenti così “ come l’acqua piovana avrebbe fatto con una bacinella”, aveva detto, aggiungendo una strizzatina d'occhio.
Si era trovato a sobbalzare sulla sedia, a commuoversi, a battere le mani con talmente tanta enfasi da farsi male, e alla fine era rimasto dopo lo spettacolo, congratulandosi con ogni singolo attore, dal protagonista alla spalla.
Roxas era rimasto in silenzio ad ascoltare ogni parola che Axel gli mormorava fitto fitto all’orecchio, finché entrambi non tacquero per qualche secondo e si rilassarono sopra le poltrone che avevano occupato.
Axel conosceva il proprietario del Teatro: Luxord, un signore decisamente eccentrico, una lunga fila di orecchini che occupavano entrambe le orecchie, i capelli decolorati e uno sguardo decisamente attento e malizioso.
Quel pomeriggio aveva permesso ad entrambi di rimanere dentro all’Edoné, a condizione che non dessero fastidio a nessuno degli attori.
Allora Axel e Roxas si erano fermati in fondo alla sala, sopra due vecchie poltrone, e si erano messi a parlare a bassa voce.
Di tanto in tanto rimanevano in silenzio a fissare il palcoscenico, osservando i giovani attori muoversi da una parte all’altra, provare le battute oppure ridere di qualche sbaglio.
Con un colpo di tosse Axel tornò ad attirare l’attenzione di Roxas, desideroso di riavere i suoi occhi addosso.
Il biondo si voltò subito allora, incrociando entrambi i piedi a terra e facendoli dondolare leggermente.
Lì dentro l’aria condizionata soffiava ventate piacevolmente fredde alle loro spalle, provocando qualche brivido sopra le braccia scoperte; decisamente molto meglio del caldo di luglio che c'era là fuori.

« Così anche questo è uno dei tuoi posti preferiti. Ne hai un sacco. Me ne racconti di uno più o meno alla settimana. », puntualizzò Roxas, sollevando un sopracciglio e squadrando il fulvo al suo fianco.
Axel accennò ad una risata, scrollando poi le spalle.
Si passò una mano dietro la nuca, dove i capelli sciolti che gli tenevano caldo alla base del collo.

«  Giuro che i miei posti preferiti sono quasi finiti, ne mancano solo un paio, in giorno te li farò vedere, te lo prometto », e ,come a voler sottolineare le sue parole,  annuì.
Roxas si imbronciò leggermente, affilando lo sguardo e lamentandosi con un leggero borbottio; lui, di " posti speciali", non ne aveva. Certo, c'era la casa di sua nonna, ma non era un luogo dove poteva portare Axel ogni giorno, o solo per fare un giro..

«  Va bene, d’accordo, continua a vantarti di avere una gran vita sociale in giro per la città, vorrà dire che io non ti farò vedere un bel niente. »
«  Oh andiamo, dov’è finito il giovane Roxas che ho conosciuto qualche settimana fa? Così gentile e timido? »
Il biondo gli diede una manata sopra la spalla, facendo scattare subito una risata dalle labbra di Axel.
Troppo rumorosa, visto che un alto “ ssht” dal centro del palco li ammonì al silenzio.
Entrambi si guardarono, leggermente costernati, e allora tornarono a ridere il più piano possibile.

«  Davvero, prima eri così gentile, così timido e carino, ma guardati ora! Sono così orgoglioso di te, stai iniziando a crescere. »
«  E smettila, non sono così piccolo», sbottò il biondo, incrociando le braccia al petto con un cipiglio falsamente irritato. Alla fine Roxas era riuscito a dire ad Axel che no, non era decisamente maggiorenne ed era anche abbastanza lontano dall’iscriversi al College dove si erano incontrati.
Inizialmente aveva visto l’espressione del fulvo rammaricarsi un poco, le labbra tese e la fronte leggermente aggrottata, ma alla fine aveva scollato le spalle e con tono scherzoso aveva detto: “ tanto la pedofilia nel ghetto non è un reato”.
Roxas non ne era poi così sicuro, ma aveva evitato di discuterne.

«  In ogni caso, Roxas, devi imparare ad apprezzare il teatro. Guardati intorno, si respira arte. »
Il biondo serrò appena le labbra e tornò a guardarsi in giro, ma l’unico odore che sentiva era quello leggermente rinsecchito delle travi di legno.
Però poteva capire cosa intendesse seriamente l’altro ragazzo, quindi annuì ancora una volta, più a se stesso che ad Axel.
Avevano passato due intere settimane a discutere dei rispettivi interessi, quindi Roxas aveva iniziato a farsi un'idea ben precisa della mente di Axel e di come funzionasse.
Alcune volte in modo malato, altre volte con una genialità e perspicacia che il biondo faticava ad associare al carattere sempre spensierato e allegro dell'altro.

«  Non riesco ad appassionarmi alle opere. Da futuro scrittore ti dico, ancora una volta, così magari ti entra in testa, che non-mi-piace leggere una storia a copione. », sbotò dopo un po' Roxas, sprofondando leggermente nella poltrona, così da affondare la schiena contro lo schienale morbido.
Axel si lasciò andare ad un “ aah” esasperato, stanco, e abbassò il capo.
Scosse la testa, lasciando ondeggiare i lunghi capelli sopra le spalle, e posò entrambe le mani sopra le cosce.
Le dita allisciarono la stoffa leggera dei jeans estivi e per qualche secondo se ne rimase in silenzio, rimuginando.

«  Dovresti venire al prossimo spettacolo, metteranno in scena delle leggende metropolitane. Nulla di troppo complicato, ma è davvero interessante da guardare », disse alla fine, tornando a sollevare il capo.
Roxas scrollò le spalle.

«  D’accordo, non credo di avere altri impegni », poi arricciò le labbra, lasciando spazio ad un sorrisetto di sfida, « Vediamo se riesci a farmi cambiare idea sul teatro.»
Axel sorrise leggermente, soddisfatto.
«  Sicuro che ce la farò, diventerai un appassionato accanito, un nerd del teatro, mi supplicherai di portarti qui una volta alla settimana », poi schioccò le labbra, diventando appena più serio, « Non ti da fastidio uscire così tante volte con me? »
«  Cielo, no! Altrimenti non mi farei problemi e te lo direi. »
Axel, soddisfatto, si sistemò meglio sopra la poltroncina rossa e sembrò addirittura gongolare, mentre Roxas al suo fianco non poteva fare a meno che ridacchiare sotto i baffi, divertito da quel comportamento infantile.
Anche il biondo, allora, tornò a rilassarsi contro lo schienale, osservando gli attori sopra al palco, troppo lontani per poterne vedere bene ogni movimento.
Lasciò correre ugualmente gli occhi azzurri sopra la fila di persone che si muoveva laggiù sul palcoscenico, immaginandosi cosa stessero provando.
Una delle due storie che avrebbero messo in scena la settimana prossima, poco ma sicuro. Allora Roxas si sforzò di ricordare ogni leggenda che vagava per le strade, tutte quelle storie che gli raccontavano da piccolo e che, ai tempi, gli mettevano sempre una grande paura.
Per qualche minuto regnò il silenzio tra i due ragazzi, entrambi concentrati su due spettacoli ben diversi.
Roxas, lo sguardo fisso davanti a sé e la mente che cercava di associare un possibile dialogo ai movimenti che vedeva, e Axel, che al contrario si fingeva interessato al palco, ma lasciava scivolare gli occhi a sinistra, lentamente, solo per poter osservare il volto di Roxas.
Arrossato, con delle leggere occhiaie sotto agli occhi, con le ciglia scure nonostante il biondo dei capelli.
In poche settimane Axel era riuscito a scorgere tanti piccoli particolari del suo volto che gli sembrava di saperlo leggere come una mappa.
L’aveva visto sorridere, con due piccole fossette ai lati delle labbra, l’aveva visto con la fronte corrugata, leggermente preoccupata, e solo una volta, invece, aveva notato gli occhi bassi e vacui, con una tristezza che si poteva leggere sulle labbra carnose e screpolate.
Axel, da quando lo conosceva, non aveva fatto altro che immaginarsi la sua voce e il suo corpo, inseguendo un desiderio impossibile come un disperato.
Il fulvo inspirò lentamente, costringendosi a guardare ovunque, tranne che il volto dell’altro, e tornò sopra al palco.
Vedeva Luxord in lontananza, che fissava a braccia incrociate i lavori; di tanto in tanto annuiva, altre volte si voltava verso i tecnici delle luci e si lamentava per qualcosa.
Axel decise di concentrarsi su di lui, finché non avvertì la mano di Roxas sopra il proprio gomito.
Si voltò a guardare il biondo, che lo fissava con l’espressione seria e composta, come l’adulto che ancora non era.

«  Voglio farti una domanda che sembra un po’ stupida.»
«  Sono le mie preferite », ammise Axel, voltandosi del tutto verso l’altro ragazzo.
Incrociò le mani tra le gambe, mentre Roxas lasciava andare il suo braccio, annullando lentamente quel piccolo contatto tra la loro pelle.

«  Ok, non …  Non  prendermi per un idiota, ma non capisco perché preferisci il teatro al cinema. »
Roxas ci aveva pensato e ripensato, mentre sentiva il maggiore parlare concitatamente di ogni forma di recitazione, osannando il teatro sopra ogni altra cosa.
Solitamente i giovani amavano cose ben più moderne – lo vedeva in Ventus, oppure nei suoi compagni di classe-, ma non Axel.
Il fulvo, in un certo senso, assomigliava a Roxas stesso più di quanto il biondo riuscisse a capire.
Axel schioccò le labbra e si prese qualche secondo per sé per riordinare tutte le idee e le risposte che gli vagavano confusamente per la testa.
Allora parlò.

«  Non fraintendermi, anche io adoro un buon film, una buona grafica, le riprese, le soundtrack, e tutto il resto, ma il teatro è diverso », si schiarì la voce, sollevando gli occhi verso le arcate di legno, osservando qualcosa di indefinito. « Quando guardi un opera sei lì, in quel momento, e vedi una storia prendere vita davanti ai tuoi occhi, la vedi mutare sulle facce degli attori, assisti di persona ad ogni espressione, ogni errore o acclamazione, e vieni coinvolto talmente tanto da entrare anche tu a far parte dello spettacolo », si fermò ancora, inumidendosi le labbra, tornando ad abbassare il capo. « Il teatro è … magico. Lo vivi, lo senti. Non posso trovare le parole giuste per spiegartelo, Roxas, ma è … la cosa più bella del mondo.»
La cosa più bella del mondo.
Le labbra di Roxas si sollevarono lentamente, seguendo l’onda dei suoi sentimenti.
Inspiegabilmente sentiva un moto di affetto e calore verso Axel, per il suo modo di parlare, per la voce alta e sicura, per ogni parola che diceva tranquillamente, come se stesse raccontando una storia.
Tutto quello che diceva era capace di coinvolgere Roxas in ogni sua più piccola sfumatura, di fargli perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
Erano ancora nel teatro a parlare, oppure fuori, seduti sopra una delle tante panchine del parco?
Era ancora pomeriggio, oppure quella luce leggera che vedeva era la luna?
Senza nemmeno rendersene conto le dita di Roxas si erano strette sopra il braccio del ragazzo ancora una volta, muovendosi verso di lui senza che la mente del biondo potesse rendersene conto.
La gola si seccò istantaneamente – “ dannato caldo”, pensò Roxas- e le dita strinsero ancora di più la carne bollente di Axel, tirandolo appena verso di sé.

«  Roxas? »
Si sentì chiamare e istantaneamente le mani si staccarono.
Il teatro tornò nitido davanti agli occhi del biondo e tutti i suoni attorno a lui presero a tuonare nelle orecchie.

«  Scusa, ero … »
«  Non importa, puoi farlo, non mordo mica. »
Roxas poteva stringerlo, toccarlo, avvicinarsi a lui e fargli tutto quello che voleva.
Axel glielo avrebbe permesso perfino dal loro primo incontro.
Ogni volta che vedeva il biondo vicino a sé desiderava il suo tocco, le sue attenzioni, e poi si sentiva inevitabilmente un’idiota, un ventenne disperato che cercava le attenzioni di un ragazzino.
Si odiava per questo affetto a senso unico, ma c’erano quelle volte, quando Roxas si estraniava dal mondo, che si sentiva ricambiato.
Inspiegabilmente, senza un motivo valido, quando Roxas lo toccava, oppure lo guardava, sapeva che sotto sotto anche per l’altro era lo stesso.
Attrazione.
Mentale, fisica, potevano chiamarla come diavolo volevano, ma Axel la riconosceva.
Rimaneva zitto, impaurito – lui!- di poter dire una parola di troppo, di fare un movimento sbagliato, e troncare ogni cosa.
Se avesse detto a Roxas un: “ so che ti piaccio”, tutto sarebbe finito. Il biondo se ne sarebbe andato via, avrebbe negato ogni cosa. Axel lo capiva perfettamente, dopotutto la prima volta che si era sentito attratto da un uomo era stato orribile, si era sentito spaesato, fuori luogo, lontano dalla realtà che fino a quel momento aveva vissuto.
Non voleva mettere in alcun modo a disagio Roxas, allora, così, taceva.
Solo alcune volte non riusciva a tenere la bocca chiusa; era impossibile controllare quella piccola speranza che nasceva ad ogni azione di Roxas.

«  Non mi da fastidio », parlò ancora Axel, sollevando la mano e appoggiandola sopra quella di Roxas.
Sentì le dita dell’altro irrigidirsi appena, ma la mano del biondo non sgusciò via.
Rimase sotto le lunghe dita di Axel e si lasciò trascinare nuovamente sopra al suo braccio.
Allora Roxas inspirò profondamente, come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato, e strinse ancora il suo braccio.
Sorrise appena, Axel con lui.

« Visto? Non succede niente.»
«  Sì, hai ragione. »
Rimasero in silenzio, assaporando quel breve momento.
Le dita di Roxas presero a muoversi leggermente sopra il braccio dell’altro ragazzo, sfiorando la pelle calda, le piccole lentiggini, mentre Axel serrava appena le labbra.

«  Roxas? »
Lo chiamò ancora una volta, ma ora il biondo non allontanò la mano, si limitò a sollevare il capo.
«  Cosa? », gli chiese, incrociando lo sguardo del maggiore.
Axel sorrise leggermente, schiudendo le labbra e mormorando un “ aah” lento, prima di proseguire.

«  Mi è venuta un’idea, anche se non so quanto possa piacerti.»
Roxas si schiarì la voce e si strinse velocemente nelle spalle, sollevando la mano libera per scostarsi un ciuffo biondo dagli occhi, « sentiamo, allora.»
Axel annuì e si mosse appena sopra la poltrona.
«  Vorrei poter recitare una tua storia », poi si affrettò ad aggiungere, «  seriamente, vorrei tanto, tantissimo, poter mettere in scena qualcosa di tuo. Una commedia, un dramma, qualunque cosa, perfino delle barzellette. »
Roxas schiuse le labbra e rimase in silenzio per qualche secondo, prima di schiarirsi la voce.
«  Non credo di saper scrivere qualcosa del genere, solitamente … solitamente scrivo cose fantasy, qualche storia, ma non ho mai concluso nulla. Inizio, scrivo qualche capitolo, e dopo non riesco mai ad andare avanti. »
Axel scrollò le spalle, appoggiando la mano destra sopra la spalla del biondo, stringendola lievemente.
Ignorò il leggero brivido che gli corso lungo la schiena per quel singolo movimento.

«  Non devi dirmi di sì oggi, pensaci solamente. Se mai vorrai provarci, sai già a chi chiedere. »
Roxas schioccò la lingua contro al palato, in un certo senso lusingato dal desiderio di Axel, e annuì.
«  Credo che potrei farlo, ci proverò. Appena mi verrà in mente qualcosa, per lo meno. »
«  E’ fantastico, sarebbe incredibile. Pensa: Axel e Roxas, fenomenale duo, un attore e uno scrittore, solo per questa sera, a 20 dollari! »
«  Stai già correndo un po’ troppo, mi sa », esclamò però il biondo, dandogli una leggera manata sopra al braccio, facendo storcere le labbra ad Axel.
Lo sentì mormorare un “ affatto” che gli fece ruotare gli occhi al soffitto.

«  Se ne sei convinto tu … ma 20 dollari sono decisamente troppo pochi per il nostro duo, come minimo 30! »
Axel soffiò ancora una volta un’esclamazione esaltata e Roxas non riuscì a non farsi coinvolgere da quella leggera felicità che aleggiava attorno al corpo dell’altro ragazzo.
Avevano un altro obiettivo da compiere, la lista, pian piano, continuava ad allungarsi e Roxas si chiedeva cosa sarebbe riuscito a fare, fin dove il suo coraggio l’avrebbe portato.
Così anche Axel domandava a se stesso per quanto tempo Roxas sarebbe rimasto con lui, fin quanto la loro amicizia sarebbe durata.
Le domande aleggiavano così come ogni volta, ma ancora non era il momento di porle, non era ancora ora delle risposte.
Preferivano ancora ridere e scherzare, mentre il ventilatore ronzava alle loro spalle e la compagnia teatrale si alzava in piedi sul palco per l’applauso finale.
Il teatro stava chiudendo.
 

 
***
 


 

«  E così andrai a teatro settimana prossima? Ah, ai miei tempi ci andavo sempre, con tuo nonno. Era un gentiluomo sotto ai riflettori, un po’ meno tra le mura di casa. »
Tatty sembrava ancora più felice di Roxas all’idea dello spettacolo imminente.
Il biondo, seduto al tavolo, divorava un toast al formaggio e prosciutto senza prendere fiato. Non rispose nemmeno alla nonna, la bocca troppo piena per poter emettere un solo suono.
Ugualmente, la donna, continuò a parlare, agitando le mani con enfasi.

« E quand’è che conoscerò questo Axel? Vorrei proprio conoscere il ragazzo che riesce a farti uscire di casa. »
«  Siamo solo amici », biascicò di rimando Roxas, prendendo una lunga sorsata di acqua per poter riprendere fiato, « smettila di parlarne come se fosse il mio ragazzo.»
«  Oh tesoro, come se fosse un problema, poi! Ma non importa, non importa»,  continuò dopo aver notato l’occhiataccia del nipote, «  vorrei conoscerlo lo stesso, sembra davvero un bravo ragazzo. E gli piace il teatro, ah! Ho sempre detto che gli uomini migliori sono gli amanti dell’opera e del teatro, così eleganti e sopraffini, con un bello smoking e l’aria raffinata. »
Roxas ridacchiò, allungandosi sopra al tavolo per afferrare una mela rossa.
Se la rigirò tra le dita prima di parlare.

«  Stai proprio sbagliando persona, non mette né lo smoking e non è di certo elegante. Però, beh, credo ti piacerebbe seriamente.»
Tatty sbatté entrambe le mani con un clap sonoro e si alzò dalla sedia, abbandonando il tavolo decorato con una semplice tovaglia beige e due singoli piatti.
«  Allora è perfetto, siamo d’accordo. »
«  Eh? Su cosa? Nonna? Hey, dove … », Roxas corrugò la fronte, appoggiando sopra al tavolo la mela morsicata. Sollevò un sopracciglio e osservò la nonna nella piccola cucina, la testa praticamente dentro al frigorifero.
«  Che stai facendo?»
« Ti sto invitando a mangiare qui insieme al tuo amico », lo disse come se fosse un’ovvietà, tanto che non si preoccupò nemmeno di voltarsi a fissare l’espressione stupita del nipote.
Roxas scosse la testa.

«  No, no, non credo che possa, lavora, e poi deve studiare, e magari si annoierebbe, sai, non è che facciamo poi molto, qui », iniziò Roxas, rigirandosi la mela tra le mani, lo sguardo leggermente basso e un leggero rossore sopra le guance.
Evitò lo sguardo di Tatty, ora tornata in sala.

« Non ti starai mica vergognando di tua nonna, spero. »
Roxas scosse il capo, senza aprire bocca. Tornò piuttosto ad addentare la mela e guardare le macchie sopra la tovaglia chiara; tutto, purché non guardare negli occhi sua nonna e ammettere che non era di lei che si vergognava, ma dello stile di vita che lui stesso conduceva.
Axel era sempre in movimento, tra la scuola e il lavoro, gli amici e i compagni del College. Roxas, invece, aveva una vita così monotona che temeva di annoiare Axel.
Concentrato sui propri pensieri – e la mela tra le mani- non si accorse dello sguardo fisso della nonna finché non sentì la sua mano tra i capelli.
Allora sollevò il volto e incontrò il viso sorridente di Tatty, lo sguardo rassicurante, il rossetto leggero sulle labbra, e le rughe sempre lì, al solito posto, famigliari come le ragnatele su in soffitta.

«  Non preoccuparti, sono certa che tu gli piaccia così come sei.  »
Roxas sbatté le palpebre un paio di volte, ripassandosi quelle parole nella testa, e alla fine serrò le labbra.
Cercò di scrollare le spalle con indifferenza, come se non gli interessasse piacere o meno ad Axel.
La verità bruciante, quella che più temeva, era che gli importava eccome.

«  Però devi cucinare qualcosa di buono, d’accordo? Non il solito riso in bianco e qualche altra diavoleria. »
Tatty esultò con un leggero “ ah-ah!” che ricordava tanto l’esclamazione di una giovane donna, la voce alta e vibrante, e poi tornò a scompigliare i capelli del nipote.
Si chinò sopra la guancia di Roxas e gli stampò un bacio, con tanto di schiocco.
Il ragazzo storse appena il naso, ma non si ripulì ugualmente dal leggero alone rosato.

«  Devo invitare anche Ventus? »
«  Assolutamente no, per il momento … è meglio di no. Inizierebbe a voler uscire anche lui con noi due. »
La donna sospirò appena e tornò a sedersi al tavolo, allungando il braccio per poter afferrare a propria volta la frutta, scegliendo una bella arancia matura, annusando il profumo agrumato della buccia.
«  Non sarebbe male farlo uscire un po’ con voi, non pensi? »
Roxas scosse la testa, impuntandosi, « no, sarebbe orribile, non voglio. »
La spiegazione, nella sua mente, gli fece contrarre leggermente le budella, come se portarsi dietro  un pensiero simile fosse un errore.
Voleva Axel solo per lui, era per caso egoista? Voleva le loro giornate in solitaria, i loro discorsi, senza nessun altro in mezzo.
Serrò le labbra e si schiarì la voce, sollevando lo sguardo per puntarlo sopra l’orologio a pendolo.
Con un sospiro si alzò dalla sedia e si pulì la bocca con il dorso della mano.
 
« Devo andare a casa, è tardi », poi si voltò verso la cucina, «  posso portare a Ventus un toast? »
La donna sorrise, le rughe attorno agli occhi che si rilassavano un poco.
La voce le si incrinò appena, tristemente consapevole che Naminé si era dimenticava ancora una volta di avere dei figli di cui prendersi cura.

«  Tranquillo tesoro, prendi tutto quello che vuoi. Portagli anche una fetta di torta, d’accordo? E’ quella con le mele, so che gli piace tanto.»
Roxas osservò il corpo della nonna muoversi lentamente nella stanza e l’osservò sparire in cucina.
Se non ci fosse stata lei, molto probabilmente la vita sarebbe stata un inferno.







***
Eheh, finalmente un altro capitolo molto gay per Axel e Roxas.
" Posso toccarti il braccio?"
" Ma certo, non succede niente"
E fu così che Roxas divenne gay.
Comunque, a parte queste piccole precisazioni, la storia sta procedendo leeeentamente e per arrivare ai primi baci e zozzate varie manca ancora molto, molto tempo.
Mi disp- :c

 

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Capitolo 5
*** V ***


V


 
 
bip bip bip
 
Con un grugnito Axel sollevò la mano e cercò a tentoni la vecchia sveglia sopra al comodino.
Si era ripromesso più volte di usare il cellulare, di mettere una suoneria decente e di svegliarsi felicemente con qualche canzone, ma ogni volta se ne dimenticava.
Forse la pigrizia, oppure l’abitudine, lo portavano puntualmente a impostare l’ora sopra la vecchia sveglia mezza distrutta.
Il fulvo si mosse appena nel letto, sbattendo un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza.
Gli occhi bruciavano ogni volta che tentava di tenerli aperti per più di qualche secondo, e il corpo – leggero come se fosse ancora nel mondo dei sogni- si rifiutava di dargli ascolto.
Allora rimase immobile per un intero minuto, gli occhi chiusi e il respiro stanco ancora prima di iniziare la giornata.
Il ventilatore ronzava nella stanza da una parte all’altra, ma per tutta la notte l’aria calda era girata nella camera come una coltre afosa.
Axel era riuscito a dormire sì e no qualche ora, lì tra le lenzuola leggere e la finestra aperta.
Gli piaceva l’estate, il sole e le vacanze, ma aveva iniziato ad odiare il caldo appiccicoso della città, così differente da quello secco del suo paese natale.
Lì a Radiant Garden l’estate era piacevole, un concerto di fringuelli tra gli alberi, i profumi dei fiori e della frutta matura, ma a The World tutto era asettico, anonimo, un susseguirsi di rumori meccanici e ripetitivi.
Il suono delle macchine per le vie, le aziende che già di prima mattina aprivano e battevano i loro macchinari con una persistenza da fargli mancare il fiato.
“ E’ il rumore della città”, si continuava a ripetere, le palpebre chiuse e le labbra serrate, “ avanti Axel, su, svegliati e risplendi.”
Era perfino inutile incoraggiarsi, nelle giornate come quella.
La voglia di alzarsi era inesistente, il coraggio di alzarsi dal letto e andare al lavoro ancora meno.
Ma quella era la sua vita, e come in un tunnel infinito lui doveva continuare a muoversi, a fare, a vivere.
Axel si passò svogliatamente la mano sopra al volto, massaggiandosi lentamente la pelle accaldata, prima di grugnire un'altra volta e sollevarsi dal materasso.
Osservò la chiazza umida sopra al copriletto e sospirò, trattenendo uno sbadiglio.
Così era la vita, se l’era scelta lui.
Aveva deciso di abbandonare la sua piccola casetta tra i boschi e andare a vivere quella che un tempo aveva definito “ la vita vera.”
Non era stato affatto piacevole come si era aspettato.
C’erano giorni in cui si rammaricava di non aver ascoltato i consigli di suo fratello; Reno, scapestrato ma al tempo stesso coscienzioso, gli aveva subito detto che andarsene da casa sarebbe stato un grosso errore.
Axel, invece, tronfio della sua giovane età e dei suoi sogni, non gli aveva dato retto nemmeno una volta, prendendo in giro quel suo comportamento abitudinario, fatto di casa, lavoro e famiglia.
Ora gli dava ragione, e si pentiva di non aver ascoltato le sue parole con un po’ più di attenzione.
Il giovane si alzò dal letto e si diresse in bagno, osservando la porta chiusa della camera da letto opposta alla sua.
Demyx e Zexion stavano dormendo, e ancora una volta sentì una fitta di tristezza penetrargli nelle vene.
Voleva bene ai suoi coinquilini, col tempo erano diventati grandi amici, ma non riusciva a capire il loro stile di vita.
Scosse la testa ed entrò nel piccolo bagno, una stanzetta minuscola dove si faticava a stare in due.
Aprì il getto d’acqua fredda e ci ficcò sotto la testa, chiudendo gli occhi e beandosi per qualche secondo dei brividi lungo la schiena.
Sì, Demyx aveva una vita decisamente strana. Indifferente ai problemi di soldi, viveva bene anche con pochi spiccioli a settimana e sembrava felice anche nel tugurio in cui vivevano.
Zexion, invece, disprezzava la vita in povertà, ma non si impegnava ugualmente per guadagnare qualche soldo. Non aveva ancora cercato un lavoro, nonostante fosse passato già un mese da quando aveva chiuso i rapporti con i suoi genitori.
Axel interruppe il getto d’acqua e si tirò su, tamponandosi il volto con l’asciugamano appoggiato sopra la lavatrice.
Inspirò lentamente e si disse:” sì, sei pronto, avanti, andiamo al lavoro.”
Non c’era troppa convinzione neppure nei suoi pensieri.
In verità non desiderava altro che qualche giorno di pausa, magari una settimana, dove poter fare quello che più gli piaceva.
Passeggiare per la città, andare a teatro, scattare qualche foto, viaggiare, stare con Roxas.
Axel schioccò le labbra in un suono smorzato e si guardò allo specchio, osservando le occhiaie scure sotto gli occhi e il volto stanco.
Roxas.
Gli sarebbe piaciuto passare l’intera giornata con lui, parlando per le strade, sorseggiando un Cappuccino, comportandosi come una delle tante coppie da serie tv.
Sorrisi, risate, le mani che lentamente si avvicinano e le dita che si intrecciano.
Sarebbe stato bello camminare fianco a fianco, mano nella mano, senza dover preoccuparsi di nulla al mondo.
Forse sognava troppo, Axel, andava avanti con la mente, fantasticava su un futuro che non sembrava poi così probabile.
Eppure Roxas non gli aveva mai parlato di una ragazza a cui fosse interessato, non aveva mai accennato nemmeno minimamente al suo interesse verso le donne; semplicemente, la prima volta che si erano visti, aveva detto di non  essere gay.
“ Magari scherzava. Anche se non sembra il tipo che scherza troppo.”
Si scrollò di dosso il pensiero, oltre che qualche ciuffo bagnato, e tornò in camera da letto.
Afferrò i vestiti del lavoro – quella squallida tuta rossa e bianca- e se li infilò con così poca voglia che ci impiegò più del dovuto ad abbottonarsi i pantaloni e la maglia.
Alla fine, con un sospiro, abbandonò l’appartamento per andare incontro alla sua splendida giornata.
Attraversò la strada, camminò accanto al Jolie – salutando Xaldin con un cenno del capo- e percorse quel mezzo chilometro che lo separava dal Jimbo’s.

« Guarda un po’, oggi Axel è addirittura in anticipo. Non sono neanche le 8 e già devo vedere la tua brutta faccia? »
Larxene, una ragazza tutta d’un pezzo. Un pezzo marcio, cattivo e guasto, ma alcune volte tirava fuori una vena di allegria che sorprendeva tutto lo staff.
Axel aveva faticato a dividere  i turni assieme a lei durante la sua prima settimana. Larxene parlava tanto, ma non diceva mai nulla di importante.
Principalmente criticava il lavoro, i clienti, i colleghi, usciva a farsi lunghe pause per fumare sigarette, e poi tornava dentro al fast-food ancora più arrabbiata di prima. Col passare del tempo, alla fine, si era ritrovato ad apprezzare il tempo con lei a scambiarsi battute acide e sarcastiche.

«  Non stressarlo troppo, non lo vedi in faccia? Il mio cane ha un aspetto migliore. »
Axel sospirò, osservando il giovane dietro la cassa, «  Non hai un cane, Marluxia. »
L’altro scrollò le spalle, tamburellando le dita sopra il bancone, «  Se ce l’avessi avrebbe un aspetto migliore del tuo, amico. »
Axel ruotò gli occhi al soffitto e lasciò gli altri due a ridacchiare alle sue spalle. Lei, i capelli biondi tirati su in una coda da cavallo, e Marluxia, i denti sempre scoperti in un sorriso ironico e i lunghi capelli colorati di rosa.
Axel odiava quella tinta, ma Marluxia era il supervisore di quella scadente catena di fast-food e di certo poteva permettersi di venire al lavoro come meglio pensava.
Con un grugnito stanco sorpassò il bancone e si diresse nel retro, passando svogliatamente il tesserino delle presenze sopra la macchinetta.
Osservò con occhi vacui il proprio nome comparire sopra al computer, dando inizio alla sua giornata lavorativa.

«  Hey Axel, Axel!! »
Passandosi una mano tra i capelli il giovane voltò solamente il capo, osservando il volto di Marluxia comparire dietro lo stipite della porta.
Un sorrisetto soddisfatto gli faceva sollevare le labbra e già Axel sapeva che qualunque cosa gli stesse per dire non sarebbe stato affatto piacevole.
Come volevasi dimostrare l’uomo sorrise ancora di più e ammiccò nella sua direzione.

« Oggi ti sposto a pulire i tavoli, buon lavoro. »
Axel ricambiò con un sorriso a trentadue denti, talmente falso che si rammaricò di non essere un attore poi così bravo come pensava.
«  Perfetto », gli disse, osservandolo sparire nuovamente dalla porta di servizio, « Adoro pulire i tavoli. E anche i bagni. E’ il sogno della mia vita. »
Con le labbra serrate e un fastidioso dolore alla tempia destra, il fulvo afferrò uno strofinaccio usurato e il disinfettante, pronto per la sua fantastica giornata lavorativa.
Dirigendosi verso i tavoli sporchi dalla sera precedente – di tanto in tanto si chiedeva come mai non li pulissero prima di chiudere, piuttosto che poco prima di aprire-, riusciva a sentire il chiacchiericcio di sottofondo degli altri due e la musica leggera trasmessa dalla radio.
Gli sarebbe piaciuto trovarsi dovunque, tranne che lì.
Magari al Jolie, di fronte a Roxas; solo loro due, senza nessun altro.
Sarebbe stato bello se il biondo fosse stato lì anche in quel momento, lui sì che avrebbe saputo come confortarlo in un momento del genere, quando si sentiva come uno degli uomini più insignificanti del mondo, con addosso un completo imbarazzante e uno strofinaccio maleodorante tra le mani.
Roxas riusciva a farlo sentire in capo al mondo, non sul fondo dove si trovava.
 
 
I raggi del sole non lasciavano scampo a nessuno, nemmeno ad Axel, che aveva il volto coperto dalla visiera del cappello e il corpo completamente all’ombra del Jimbo’s.
Nonostante l’ora di pausa, il ragazzo non riusciva a gustarsi appieno quel poco tempo di libertà che gli era concesso durante il suo orario lavorativo.
Il caldo appiccicoso lo faceva respirare a fatica e ad ogni movimento sentiva una goccia di sudore percorrergli il retro del collo.
La sigaretta che teneva tra le dita non aiutava a combattere il caldo di fine luglio.
Il fumo sembrava ardergli in gola ogni volta che lo aspirava, e tra le dita sembrava stringere un bastoncino infuocato invece che una cartina.
Eppure era la sua unica pausa, quella sigaretta, il suo stacco personale dove poteva permettersi di rimanere a fissare il vuoto davanti a sé senza apparire un idiota.
Axel se ne stava con la schiena appoggiata al muro grigio del fast-food, le braccia incrociate e il volto sfinito nonostante fosse solo l’una di pomeriggio.
Sentiva gli occhi bruciare ogni volta che sbatteva le palpebre e quasi una volta al minuto doveva reprimere uno sbadiglio.
L’unica consolazione erano i messaggi di Roxas. Brevi, veloci, scritti frettolosamente.
Se chiudeva gli occhi, Axel riusciva quasi ad immaginarselo; vedeva il biondo sopra al letto, sdraiato a pancia in giù, lì a digitare con foga sopra al cellulare per rispondergli il prima possibile.
Quel pensiero riusciva sempre a strappargli un sorriso.

Nuovo Messaggio da “Rox”, ricevuto alle ore 13:07
“A che ora finisci?”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle ore 13:07
“ Tra troppo, troppo tempo.”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:08
“ Voglio vederti con quella divisa, mandami una foto, ti prego.”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:09
“ Nemmeno se mi paghi.”

Si fermò per qualche secondo, inspirando una boccata di fumo e aggrottando appena la fronte.
Poi riprese a scrivere velocemente, fissando la schermata del cellulare con un sorriso impossibile da trattenere.

Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:09
“ … Ok, scherzavo, se mi paghi ti mando un set completo.”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:10
“ TI PREGO, fallo. Un selfie con lo scopettone.”
Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:10
“ Mi dispiace, baby, sono a pulire i tavoli, niente bagni oggi. Però se vuoi ho uno splendido strofinaccio da mostrarti, sei interessato?”
Nuovo Messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:11
“ Molto sexy, è così che rimorchi solitamente?”
Axel ridacchiò appena, gettando a terra la sigaretta. La calpestò con il tacco della scarpa e osservò il mozzicone spiaccicato a terra.
Nuovo messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:12
“ Solitamente offro qualcosa da bere, sai?”
Nuovo messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:12
“ Oddio, davvero? Quindi ci stavi provando con me l’altra volta, non l’avevo capito!”
Nuovo messaggio da “ Axel”, inviato alle 13:12
“ Ora che lo sai puoi anche smetterla di fingere, lo so che ti ho stregato con il mio charme.”
Nuovo messaggio da “ Rox”, ricevuto alle 13:13
“ Solo se mi mandi il selfie.”

Axel schioccò la lingua contro al palato e alla fine, per quanto stessero scherzando – era piacevole ridere su certe cose, senza troppo imbarazzo-, sollevò il cellulare e si scattò una foto.
Il rosso risaltava incredibilmente.
Cappellino, la tuta e perfino i capelli.
La inviò a Roxas con un semplice: “ ora mi devi la prossima colazione” e uno smile ficcato a caso a fine della frase.
Axel sospirò appena, soddisfatto, strofinando il capo contro al muro del Jimbo’s.
Socchiuse gli occhi in attesa della risposta di Roxas, finché non sentì il cellulare vibrare.
Chiamata in arrivo da “ Bro”
Sollevò un sopracciglio e rimase imbambolato per qualche secondo a fissare lo schermo del cellulare, dove la faccia sorridente di Reno lo fissava con quella solita espressione bonaria.
Poi rispose alla chiamata, portandosi il cellulare all’orecchio

«  Guarda un po’ chi ha tempo per il suo fratellone! Se dovessi aspettare una tua chiamata per poterti parlare a quest’ora sarei già un cadavere, yo.»
«  Che diavolo è quel yo? Non hai più l’età per usare certi slogan », borbottò solamente Axel, cercando di figurarsi il volto del fratello maggiore mentre si comportava come un ragazzino.
Scosse il capo, cercando di levarsi quell’immagine dalla testa.

«  Parlo come voglio, ricordati chi ha sempre ragione. Io, il maggiore, capito? »
«  Certo, certo », continuò Axel, allungando la gamba destra in avanti, dondolandola appena, «  io ricordo solo che davi sempre la colpa a me, a prescindere da chi avesse ragione. »
«  Non ringraziarmi, tranquillo, ti ho forgiato il carattere.»
« Ti prego, dimmi che non mi hai chiamato solo per questo. »
Intercorse un intero minuto di silenzio, dove Axel riusciva solamente a sentire il respiro di Reno e qualche suo “ mmh” leggero, soffocato.
Il fulvo si passò una mano sul retro del collo, inorridendo nel trovarlo completamente umido.
Se solo non ci fossero stati Larxene e Marluxia dentro al fast-food sarebbe rientrato al fresco a parlare, ma l’idea di vederli confabulare alle sue spalle gli faceva di gran lunga preferire il sole cocente.
Alla fine sentì la voce di Reno farsi viva.

«  D’accordo, sarò sincero. Ti chiamo perché siamo tutti un po’ preoccupati. Come va lì? Con i soldi tutto bene? »
Ah, ecco!, pensò Axel.
Il vero problema della sua famiglia era quello: nessuno si fidava di lui.
Il figlio minore, il povero e piccolo Axel che da piccolo non riusciva a dormire senza la luce accesa sopra al comodino. Axel che a sette anni aveva paura del topolino dei denti e piangeva quando la mamma andava al lavoro.
Nessuno di loro, né suo padre, né sua madre, e quanto meno suo fratello, riuscivano a credere che Axel riuscisse a cavarsela senza il loro aiuto.
Leggermente accigliato si allontanò dal muro, stringendo maggiormente il cellulare tra le dita.

«  Va tutto splendidamente, non c’è nessun problema. Mi pagano bene, qui al lavoro, e la scuola va a gonfie vele. Sto bene. E sono felice. »
«  Mangi abbastanza? La mamma vuole sapere se fai tre pasti al giorno e se porti i vestiti in lavanderia. »
«  Sì, sì, mangio bene, mi lavo i vestiti e quando mi ricordo mi faccio anche la doccia, immagina un po’. »
Dall’altro capo del telefono arrivò uno sbuffo sonoro, prima di un:” che idiota.”
«  Smettila di scherzare, siamo seri. Se mai vorrai tornare ricordati che la casa è sempre qui per te, bro. Anche se pensavo di usare la tua stanza come ripostiglio. »
«  Piuttosto non è arrivata per te l’ora di spiccare il volo e allontanarti dal nido, bro », lo rimbeccò Axel, digrignando appena i denti. Poi preferì lasciar perdere quell’argomento e sbuffò, troncando la conversazione, «  Comunque ora devo andare, è finita la pausa, d’accordo? Ciao, ti chiamerò io. Salutami tutti. »
«  Aspetta Axel, noi- »
Troppo tardi.
Con un sospiro stanco il fulvo chiuse la chiamata e rimase qualche secondo a fissare lo schermo, indeciso perfino su cosa pensare.
Ogni volta che ripensava alla propria famiglia, alle  cure amorevoli di sua madre, alla salda educazione del padre, e all’affetto del fratello, non poteva che sentire la mancanza di Radiant Garden; eppure altre volte si sentiva fiero di sé, orgoglioso del buco schifoso dove viveva, della sua vita così diversa da prima, arrivando perfino a ripensare alla sua vecchia casa con rabbia.
Eppure nessuno, nella sua famiglia, sembrava avere una sola parola di merito per lui.
Serrò le labbra e osservò i messaggi in arrivo.
Roxas gli aveva risposto mandandogli una foto del suo computer, un telefilm stoppato sopra lo schermo, e un piccolo ventilatore bianco lì vicino.
Una breve panoramica sulla stanza di Roxas, dai colori azzurri e leggeri, sapeva di freschezza.
Automaticamente Axel si sentì più tranquillo.

Nuovo Messaggio da “ Axel”, inviato alle 13.42
“ Scusa, ero al telefono con mio fratello. Ora devo tornare al lavoro, ma hey, bel computer, me lo regali in cambio di un altro selfie?”

Schioccando le labbra il fulvo si ficcò il cellulare in tasca e osservò la strada.
Sollevò il capo verso il sole, schermandosi il volto con il palmo della mano; faceva caldo, le macchine sfrecciavano lungo la strada principale dell’east side, dietro di sé sentiva l’odore di patine fritte e hamburger, eppure qualcosa lo faceva sorridere.
Era una vita strana, difficile, ma Axel pensava, nel suo ottimismo, che se qualcuno riusciva a rendere una vita dura come la sua così bella, beh, allora doveva essere un ragazzo davvero speciale.
 

 
***
 

 

« Xion ti sta cercando. »
Era la seconda volta che Ventus bussava alla porta del gemello, senza ottenere nessuna risposta, quindi passò direttamente all’attacco.
Urlò quella frase ancora una volta, dando un colpo col pugno alla porta chiusa a chiave.
Nessuna risposta.
Il biondo tese l’orecchio, cercando di captare anche un solo rumore dalla camera di Roxas, ma lì tutto taceva.
Con un sospiro appoggiò la mano alla porta, tamburellando le dita un paio di volte prima di schiarirsi la voce.

«  Roxas », iniziò, la voce lamentosa, «  Rooooxas », ancora niente. Si accigliò leggermente, sbuffando, arricciando le labbra in un broncio leggermente infantile. «  D’accordo, va bene, ignora tuo fratello e ignora anche la tua ragazza, sono affari tuoi. »
«  Non è la mia ragazza. »
Finalmente giunse la voce di Roxas dalla camera, soffocata dalla porta di legno e dalla distanza che li separava.
Ventus ruotò gli occhi al soffitto – straordinario come suo fratello rispondesse solo a quello che voleva lui!- e fece un passo indietro, allontanandosi dalla porta della camera.

«  Come vuoi te, comunque ha chiamato due volte, dice che non rispondi da qualche giorno e si sta preoccupando. »
E non era l’unica.
Anche Ventus sentiva una leggera stretta allo stomaco ogni volta che vedeva il volto del gemello.
Crescendo erano cambianti entrambi, i volti tondi e infantili si erano allungati, i corpi erano cresciuti, l’età adulta si stava affacciando sempre più veloce, eppure fino a qualche settimana prima in Roxas quei cambiamenti apparivano poco visibili.
Aveva mantenuto, con gli anni, un atteggiamento infantile, ancora fanciullesco, che ora stava scemando via giorno dopo giorno.
Ventus aveva capito immediatamente che qualcosa era cambiato, solo che non riusciva a capire cosa.
Vedeva Roxas uscire di casa, e quasi lo spaventava.
Era abituato a immaginare suo fratello sempre chiuso in casa, al sicuro tra le mura domestiche, eppure ultimamente si svegliava presto, usciva di casa, di tanto in tanto afferrava il cellulare e spariva per un’ora intera, per poi ritornare in sala con un leggero sorriso sulle labbra.
La cosa che davvero preoccupava Ventus, però, erano le risposte vaghe di Roxas.
Il giovane serrò le labbra, osservando la porta chiusa del gemello, e sospirò leggermente, cercando di soffiare via la preoccupazione che gli albergava nei polmoni.

«  Ti va di parlare un po’? », gli chiese alla fine, attendendo una risposta.
Per qualche secondo non sentì nulla, ma alla fine il leggero tock dei passi sopra al parquet lo fece sorridere.
La porta si aprì l’attimo dopo e spuntò fuori il volto di Roxas, leggermente assonnato, i capelli scompigliati.

«  Di che vuoi parlare, Ven? »
Il fratello scosse le spalle, sorridendo appena. Non diede nemmeno il tempo a Roxas di dire altro che lo spinse indietro, entrando nella sua camera.
Si guardò attorno e storse il naso: le tapparelle abbassate, qualche cartaccia in giro, i vestiti sparsi a terra e un sacco di disordine.

«  Wow, sembra la stanza della mamma. »
Roxas, con le braccia incrociate al petto, se ne stava ancora vicino alla porta aperta; con uno sguardo leggermente accusatorio osservò Ventus al centro della stanza e poi sbuffò.
Richiuse la porta e raggiunse il letto, lasciandosi cadere sul bordo con un sospiro.

«  La sua fa schifo, la mia è vissuta. »
«  Sembra più il rifugio di un senzatetto », esclamò Ventus, osservando dei piatti sporchi impilati sopra la scrivania.
Poi si voltò verso Roxas, guardando il letto sfatto e il computer che ronzava sopra al copriletto.
Gli si avvicinò e si sedette accanto al gemello, schiarendosi la voce.

«  Che guardavi?», gli domandò, sporgendosi a destra per osservare lo schermo del pc.
Roxas sollevò la mano e occupò la visuale del gemello, mormorando un: “ un telefilm splatter”, per poi incrociare nuovamente le braccia.

«  Ven, che vuoi? Se è per Xion dille che non ho voglia di uscire, sono stanco. »
Ventus schioccò le labbra e dedicò un’occhiata acida al gemello, leggermente offeso dalle sue parole.
Roxas non parlava mai con lui. Non usciva mai con lui. Non facevano più nulla assieme.
Il ragazzo ricordava con invidia i vecchi tempi, quando erano piccoli e passavano tutte le ore del giorno insieme, sia quando dormivano che quando erano svegli.
Ventus aveva sempre amato Roxas. Da piccolo si vantava con i suoi amici di quanto fosse bello avere un gemello, di come condividevano quasi misticamente i pensieri e le emozioni, come se fossero due anime spezzate a metà, in due corpi separati ma ugualmente legati.
Ora, mentre guardava Roxas seduto accanto a lui, non c’era più nulla del genere.
Entrambi avevano due vite diverse, distanti, a malapena si incontravano per i corridoi di casa.
Una leggera sensazione di disagio pervase il corpo di Ventus, che si ritrovò a stropicciare le mani l’una contro l’altra, un leggero sudore che scivolava sopra i palmi.

«  Uhm …», cominciò a parlare, dimenticandosi perfino di cosa volesse dire fino a poco prima, «  non lo so, volevo solo passare un po’ di tempo con te.»
Roxas accanto a lui serrò appena le labbra, dondolando il piede sollevato nell’aria, senza aprire ancora bocca.
Ventus lo guardò per qualche secondo, prima di riprendere a parlare.

«  Se hai altro da fare non importa, insomma … tra poco uscirò comunque con Terra e Aqua, quindi … »
«  Quindi? », gli domandò Roxas, sollevando un sopracciglio.
Ventus serrò le labbra, esalando un: “ quindi niente”, prima di rimanere in silenzio.
Rimasero zitti per un po’, Roxas che si guardava la punta del piede e Ventus che intrecciava le dita delle mani.
Alla fine Roxas spezzò il silenzio, voltando il capo verso il fratello e sospirando appena, stanco.

«  Forse chiamerò Xion, per sentire cosa vuole, quindi … ora puoi anche andare. »
Ventus deglutì, umettandosi le labbra con la punta della lingua, prima di sollevarsi dal letto con il leggero cigolio delle doghe.
Il biondo osservò il gemello sopra al letto, prima di sorridere un po’ tristemente.
Scosse la testa, leggermente, e deglutì ancora una volta, cercando di buttare giù quel leggero groppo alla gola che gli impediva di respirare decentemente.

«  Mi dispiace di non essere come vuoi te, Roxas. Ora ti lascio stare. »
Roxas sollevò il capo e corrugò la fronte, stupito dalle parole del fratello. Sembrava genuinamente perplesso dal volto triste di Ventus, dalle sue parole, allora aprì la bocca per rispondere qualcosa, qualunque cosa, ma non uscì una sola parola.
Ventus allora si schiarì ancora la voce, cercando di ridere, di sembrare felice come sempre.
Gli diede una pacca sopra la spalla, chinandosi in avanti, avvicinandosi al volto del gemello.
Arrivò a toccare la fronte di Roxas con la propria, talmente vicino a lui che se teneva gli occhi aperti non riusciva nemmeno a mettere a fuoco il volto dell’altro.
Le mani di Ventus risalirono sopra le guance di Roxas, stringendole leggermente, impedendo all’altro di allontanarsi come già stava cercando di fare.

«  Mi manchi, Roxas, ti voglio bene. »
Subito dopo si allontanò da lui, talmente veloce da lasciare Roxas sbigottito, l’espressione interdetta e le labbra socchiuse.
Ventus lo abbandonò così, praticamente correndo via dalla stanza, ignorando il leggero bruciore agli occhi che presagivano lacrime.
Non sentì affatto la voce di Roxas, leggera e flebile come un soffio di vento, che gli diceva: " ovvio che ti voglio bene anche io."












***

Ed eccomi qui con il quinto capitolo, wow, era da una vita che non portavo avanti una long.
Vabbé, non siamo qui per questo, parliamo un po' del capitolo: Axel e Roxas non si sono visti - ahimé-, ma continuano a sentirsi tutti i giorni, queste tue patate ghei.
Come potete vedere -  oh, voi due uniche lettrici presenti- ho introdotto dei nuovi personaggi che di tanto in tanto appariranno, quindi parliamone un attimo: chi vi piace di più? Reno ( il fratellone apprensivo), Marluxia ( il finto gay ) oppure Larxene ( l'amica scorbutica )?
E Ventus, è o non è un amore di fratello?
Alla prossima, dove Axel e Roxas torneranno a passare del tempo assieme, urrà!

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Capitolo 6
*** VI ***


VI


 
 
Xion aveva passato un’ora intera davanti al guardaroba per poter indossare il suo vestito più bello, abbinandolo al meglio con i braccialetti d’oro bianco, infine era corsa fuori casa con un sorriso smagliante.
Si sentiva meravigliosa, con quel grazioso vestitino bianco a maniche corte, la gonna a sbuffo che sembrava soffice come una nuvola.
I corti capelli neri erano acconciati con un semplice cerchietto chiaro, mettendo in mostra il piccolo viso fine.
I piedi, coperti dalle lucide scarpe nere con un po’ di tacco, continuavano a fare avanti e indietro lungo un breve tratto della main street.
Di tanto in tanto gli occhi blu correvano sopra il cellulare, osservando i minuti che passavano e la cartella dei messaggi ricevuti completamente vuota.
Roxas aveva accetto di uscire con lei quel pomeriggio e sentiva delle leggere scosse alla bocca dello stomaco ogni volta che ci ripensava; non dava molto peso al ritardo del ragazzo, dato lo stato d'eccitazione in cui si trovava.
Solamente qualche volta sospirava, emettendo un leggero sbuffo scocciato.
La ragazza attivò la fotocamera frontale del cellulare, osservando il proprio volto ricambiare lo sguardo.
Con il mignolo sfumò leggermente l’ombretto chiaro, per poi passare a rimpolpare un po’ il lucidalabbra fruttato che via via stava scomparendo.
Roxas era in ritardo di una decina di minuti, ma ancora non perdeva la speranza di vederlo apparire dietro all’angolo, magari con un mazzo di fiori per giustificare quei minuti che l’aveva fatta aspettare.
In ogni caso non le dispiaceva attendere qualche minuto da sola, aveva occupato il tempo rassettandosi il vestito, pulendosi qualche piccola macchiolina dalle scarpe, e infine si era perfino sistemata il trucco; non aveva altro da fare, se non rimanere immobile sotto i portici ad aspettare l’arrivo del biondo.
Le labbra di Xion si aprirono ancora una volta in un sospiro stanco, gli occhi nuovamente sopra l’orologio analogico.
Le 15:12, il ritardo stava aumentando.
Pensò di chiamare Roxas, anche se sapeva benissimo che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, come sempre.
Certe volte non poteva fare a meno di chiedersi perché perdesse tempo a correre dietro proprio a lui, quando suo fratello gemello era identico, bello uguale, ma con un carattere decisamente più affabile.
Ci aveva pensato più volte, di andare da Ventus e chiedergli di uscire, ma sapeva che non sarebbe riuscita a passare più di un pomeriggio in compagnia di qualcuno che non fosse Roxas.
Dalla prima volta che aveva visto il biondo, seduto da solo al banco nell’aula d’arte, l’aveva trovato incredibilmente attraente, con quell’espressione indifferente e le labbra spesso corruciate.
Non parlava con i compagni di classe, rimaneva in silenzio a scrivere e ad ascoltare musica, e pareva vivere su un altro pianeta.
Non appena Roxas gli aveva rivolto la parola per la prima volta, poi, si era sentita la ragazza più fortunata di tutta la scuola.
Così Xion, con il passare del tempo, si era persa a fantasticare su un futuro insieme; il primo bacio, il ballo scolastico di fine anno, la loro prima volta quella stessa sera, poi le giornate passate insieme, le pause in sala mensa, il diploma, il College, la convivenza.
Nella sua testa era tutto già così chiaro e nitido, come una fotografia, e non aspettava altro che una mossa da parte del ragazzo.
Ogni volta che uscivano insieme Xion gli si avvicinava, ma automaticamente Roxas faceva un passo indietro, perdeva interesse e spariva per giornate intere.
Il pensiero le fece sorgere sul viso un leggero broncio.


«  Scusa il ritardo. »
La ragazza si ridestò dai suoi pensieri e si voltò verso Roxas, aprendo il volto in un gran sorriso. Gli si avvicinò e depositò un leggero bacio sopra la guancia del ragazzo in segno di saluto, poi indietreggiò di un solo passo.
«  Non preoccuparti, non sono qui da molto. »
Roxas schioccò le labbra e si guardò attorno, indeciso.
Erano settimane intere che non camminava per le vie della main street e si era quasi dimenticato degli alti portici, delle piante lussureggianti ai lati delle strade, delle persone che camminavano lentamente con le borse tra le mani.
Si sentì stranamente a disagio in quel posto, dove un tempo era solito andare.
Forse, si diceva, c’era più vita dall’altra parte della città, dove le strade erano aspre e prive di alberi, dove i negozi tiravano giù le serrande con circospezione e le persone si guardavano le spalle, quando la notte calava.
La main street, ora, aveva perso tutto il vecchio interesse che aveva spinto Roxas a visitarla.
Era noiosa, sempre uguale, con il chiacchiericcio alto delle persone e le boutique che mettevano in mostra vestiti di moda o scarpe costose.
Nonostante la sua scarsa voglia di uscire, però, aveva deciso di chiamare Xion e passare almeno un’ora con lei.
Era stato Ventus a convincerlo, senza nemmeno rendersene conto.
Il pomeriggio precedente, quando aveva visto il gemello andarsene via con quell’espressione triste sul volto, Roxas aveva sentita un’orribile sensazione farsi strada nel corpo.
Non gli ci era voluto molto a capire di cosa si trattasse: sensi di colpa.
Per come trattava Ventus e, infine, per come stava illudendo Xion.
Non era mai stata sua intenzione ferire nessuno dei due, né suo fratello né tanto meno la ragazza, era semplicemente fatto così.
Non gli interessava passare le giornate con loro, per quanto di tanto in tanto si sforzasse di uscire di casa.
Allora era qui, a schermarsi il viso dal sole del pomeriggio, per dire apertamente a Xion che gli dispiaceva, ma non aveva intenzione di continuare ad uscire con lei, se non altro non come fidanzato.
Le parole, però, risultavano troppo crude nella sua mente, nonostante le avesse provate e riprovate più volte.
Era sicuro che Xion si sarebbe offesa, si sarebbe sentita punta sul vivo, ma Roxas non sapeva che altro fare.
Si schiarì la voce e osservò il volto felice della ragazza, mentre dei nuovi sensi di colpa riaffioravano con prepotenza.

«  Ehm …», iniziò, non sapendo esattamente cosa dire. Si guardò intorno e decise che quello non era di certo il posto migliore dove parlare, « ti va di andare a prendere qualcosa da bere?»
Xion annuì, affiancandosi subito al ragazzo, sollevando la mano per stringerla sopra l’avambraccio del biondo. Roxas serrò appena le labbra, ma non l’allontanò, nonostante il leggero disagio.
«  Possiamo andare all’attico, va bene? »
Roxas concordò con poche parole, prendendo a camminare fianco a fianco con Xion.
Rimase in silenzio, ripetendosi mentalmente il discorso che si era preparato la sera precedente, mentre la ragazza al suo fianco iniziava a parlare del più e del meno, raccontandogli di come stavano procedendo le sue vacanze estive.
Qualche festa a casa di amici, Hayner che di tanto in tanto le chiedeva che fine avesse fatto Roxas, e Olette che non riusciva a uscire con un solo ragazzo.
Roxas teneva le sue parole come un leggero sottofondo musicale, ascoltando solamente qualche pezzo di frase, ignorandone il contenuto.
Non gli importava poi molto dei suoi compagni di classe, per quanto fosse costretto a vederli quasi per un anno intero.
Certo, era gentile con loro, gli passava i compiti e rispondeva alle loro domande, ma non voleva passare le sue vacanze con nessuno di loro; perfino con Hayner, che riusciva a metterlo a disagio dopo un po’ con le sue continue chiacchiere sulle ragazze.
Mentre camminava lungo la via affollata, allora, concordò mentalmente con se stesso che Axel era una compagnia gran lunga migliore di qualsiasi altra.
Dopotutto quelle erano le vacanze estive più belle che avesse mai vissuto, superavano perfino quelle al mare, dove andava da piccolo insieme alla mamma e Ventus.
Era merito di Axel.
Accennò ad un leggero sorriso, che Xion gli ricambiò immediatamente, scambiandolo per un segno di apprezzamento.

«  Vero? Anche a me piacerebbe andare in vacanza insieme agli altri. Stavamo pensando di andare a Destiny Island. »
Roxas sbatté le palpebre un paio di volte e focalizzò, finalmente, la sua attenzione sulle parole di Xion.
Si rese conto della gaffe commessa e subito cercò di rimediare, scuotendo il capo.

«  Insomma … non mi piace molto il mare. Da piccolo mi divertiva molto di più.»
La ragazza scosse la testa, ridacchiando appena, civettuola, assumendo quel comportamento che non era solito avere.
«  Ma insieme sarebbe divertente. Io, te, Hayner e Olette. »
Sarebbe così romantico.
Le labbra di Xion faticarono a trattenere quella singola frase, tanto che dovette mordersi le labbra.
Roxas scrollò le spalle, svoltando verso destra, dove c’era l’Attico.
Era un locale arredato con vecchi mobili d’epoca, le ampie vetrate e un grosso giardino dove prendere il tè.
Era uno dei posti preferiti di Xion, e quella era la terza volta che ci andavano insieme.
Roxas salì lentamente le scale all’esterno, osservando davanti a sé il bar e il giardino tutto intorno.
Era un bel posto, lo ammetteva anche lui; gli ispirava una di quelle vecchie storie romantiche, con i due amanti che si rifugiavano in giardino, sotto al gazebo di legno, nascosti dietro ai fiori profumati, e lì si scambiavano il primo bacio.
Deglutì leggermente, sentendo lo stomaco contrarsi, mentre un leggero rossore gli andava inspiegabilmente a colorare il viso. Serrò le labbra e distolse lo sguardo dal parco, cercando di scacciare via ogni pensiero.
Raggiunse il bar affianco a Xion e ordinarono entrambi due frappé, uno alla vaniglia e l’altro alla fragola, prima di mettersi seduti fuori, sotto uno dei tanti ombrelloni chiari.
Attesero un minuto prima di ricevere gli ordini e allora Roxas si rilassò leggermente, prendendo coraggio.
Era il momento di essere chiaro con lei, di smetterla di girarci intorno; senza rendersene conto aveva aumentato le speranze della ragazza, senza mai dirle apertamente che sì, certo, inizialmente l’aveva trovata davvero interessante, ma che con il passare del tempo tutto era cambiato.
Ignorò con un leggero fastidio il pensiero involontario che scivolò ad Axel, come a volergli rammentare che c’era qualcosa che lo teneva lontano da Xion ancora più di prima.

«  Allora, Roxas, sono felice di essere uscita con te, lo sai? Non ci speravo neanche più. »
La prima mossa l’aveva fatta Xion, ora toccava a lui andare avanti.
Roxas appoggiò entrambe le mani sopra al tavolino di vetro, allungando leggermente le gambe, sistemandosi compostamente.
Per qualche secondo rimase in silenzio, poi sospirò.

«  In effetti volevo parlarti proprio di questo », proferì, corrugando leggermente la fronte. Cercò di spronarsi, prima di riprendere a parlare. 
«  Non credo … non credo di voler uscire con te in quel senso. »
Il biondo si sforzò di allontanare lo sguardo dal volto di Xion, cercando di evitare l’espressione della ragazza il più possibile, eppure con la coda dell’occhio non poté fare a meno di vedere come il suo volto si trasformava.
Prima leggermente incuriosita, poi sconcertata, e infine colma di tristezza.
Il volto sconvolto, le labbra schiuse, senza parole, e gli occhi che cercavano una risposta.

«  Cosa? », disse solamente, boccheggiando un paio di volte, prima di passarsi una mano tra i capelli, incappando nel cerchietto.
«  Perché adesso? »
Ecco, si disse Roxas, era il suo momento di spiegarle con chiarezza ogni cosa, di scusarsi per il suo pessimo carattere, per la sua poca voglia di parlarle.
Era il suo momento, eppure non trovò la risposta.
Ora toccò a Roxas boccheggiare per un secondo, con lo sguardo che scivolava lontano.
Si ripeté ancora e ancora quello che voleva dirle, tutte quelle parole che aveva perfino provato a letto, con gli occhi chiusi, immaginandosi la scena.
Solo ora si rese conto che non aveva una spiegazione vera e propria, non c’era un perché vero e proprio.
C’erano le sue colpe, c’era Xion che non gli interessava, ma non sapeva esattamente cosa gli avesse fatto scattare questi pensieri.
Perché ora? Perché proprio in queste settimane?
Con un nodo alla gola il biondo chinò il capo, scuotendo la testa.
Che idiota, sono … un idiota. Il perché …
Era così ovvio, ma non voleva ammetterlo, non voleva nemmeno pensarci.
Il perché era nato lentamente, strisciandogli sotto la pelle, insinuandosi nella sua mente, riversandosi nelle sue giornate.
Il perché lo faceva sorridere la mattina, lo faceva uscire di casa, gli faceva perdere il fiato con ogni risata sguaiata e ogni camminata.

«  Mi dispiace, semplicemente … Non mi interessi », decise di dire, tornando a guardare la ragazza, specchiandosi nei suoi occhi blu.
La vide serrare le labbra, mentre il suo sguardo evitava quello di Roxas.

«  Cazzate », disse Xion alla fine, scuotendo la testa. «  Cazzate! »
La voce rimbombò nel giardino e qualche ragazzo si voltò nella loro direzione, abbandonando le proprie conversazioni per poterne osservare un’altra.
Roxas deglutì e sollevò la mano destra, cercando di far abbassare la voce alla ragazza.
Eppure Xion non lo ascoltò.

« Non puoi venire qui oggi e dirmi che non ti interessa. Siamo usciti insieme altre volte, abbiamo passato interi pomeriggi insieme! Sei stato tu la prima volta a sederti di fianco a me, sei tu che … che …», la voce di Xion si perse lentamente, mentre sbatteva le palpebre. Probabilmente l’aveva capito anche lei.
Roxas la vide passarsi l’indice sopra gli occhi umidi.

«  Oddio, tu non hai mai fatto nulla », riprese a parlare, la voce leggermente tremula, «  sono sempre stata io ad invitarti, a chiederti di venire da me, di uscire con me. »
Roxas rimase in silenzio, lo stomaco che sembrava essersi trasformato in marmo.
Sentiva i palmi delle mani sudati, ma per una volta non era colpa del caldo. Era agitato e dispiaciuto.
Xion scosse ancora la testa e si strofinò nuovamente le dita sopra gli occhi, tirando su col naso.

«  Non ti sono mai piaciuta?», gli domandò alla fine, appoggiando la mano destra sopra al tavolino.
Roxas evitò il suo sguardo, sospirando appena.

«  Sì, all’inizio sì, credo. Non lo so, non so esattamente come … funziona. »
La vide scuotere il capo e subito dopo emettere una risata amara, leggermente ironica. Roxas la guardò di sottecchi, concentrandosi sopra la matita sbavata attorno agli occhi, piuttosto che sul volto.
« Perché, secondo te io so come funziona? Tu saresti dovuto essere il primo. Il mio primo ragazzo, io … »
Questa volta il biondo non poté evitare il volto di Xion. Si costrinse quasi a guardarlo, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e le labbra si serravano con forza, cercando di trattenersi, di non mostrarsi debole.
Automaticamente Roxas allungò la mano, appoggiandola sopra quella della ragazza.
Lei la scansò via, alzandosi l’attimo dopo.
La giovane lo guardò dall’alto in basso, ora le guance umide dalle lacrime che non era riuscita ad intrappolare tra le lunghe ciglia.

«  Non voglio un gesto di pietà, Roxas, io volevo stare con te. Volevo te, non la carità. »
Il suono dei tacchi di Xion accompagnò i pensieri di Roxas per qualche secondo, mentre la guardava scendere velocemente le scale.
Le persone lì attorno ancora guardavano il loro tavolo, con lo stesso sguardo impietosito che probabilmente aveva dovuto avere anche Roxas pochi minuti prima.
Il biondo sospirò e posò lo sguardo sopra ai lunghi calici di frappé. Osservò sconsolato le goccioline che scivolavano verso il sottobicchiere.

« Che spreco», disse solamente.
 

 
***
 

«  Ecco il suo resto signore, a presto.»
Il sorriso di Axel scivolò via non appena il cliente si allontanò, lasciando spazio ad un sospiro annoiato.
Fortunatamente quel pomeriggio al Jimbo’s scarseggiava la clientela, si erano visti sì e no una decina di clienti da quando aveva iniziato il turno pomeridiano.
Nonostante non dovesse muoversi più di tanto – oggi gli era toccata a lui la cassa, con suo enorme piacere- Axel si sentiva ugualmente stanco.
Sbadigliò, mentre Marluxia al suo fianco lo fissava attentamente, mezzo appoggiato al bancone e con il mento sostenuto dal palmo aperto della mano.

«  Stanco, dolcezza? », lo apostrofò l’uomo, sollevando un sopracciglio chiaro.
Axel gli lanciò una sola occhiata e poi si scrollò le spalle, appoggiandosi al bancone con la schiena.

«  Della vita? Tutti i giorni, non devi chiedermelo ogni volta. »
L’altro ridacchiò appena, sollevandosi e sgranchendosi la schiena con un sospiro pesante.
Marluxia schioccò le labbra e si guardò intorno; c’erano solo tre persone in tutto il locale, due ragazzi che parlavano in fondo e un signore in giacca e cravatta che lavorava al computer.
Era un pomeriggio sonnacchioso, sia per lui che per Axel, ma sempre meglio dei giorni affollati, dove non riusciva nemmeno a concedersi una sigaretta in santa pace.

«  Piuttosto che lamentarti della vita, pensa che fortuna: siamo qui, soli soletti, potremmo anche- »
«  Taci, ti prego, non ci voglio nemmeno pensare », lo interruppe subito Axel, scuotendo il capo e storcendo le labbra.
Marluxia si divertiva tremendamente – con quell’umorismo che piaceva solo a lui- prendere in giro Axel con quel giochetto.
Da quando aveva scoperto che il suo collega era gay, Marluxia aveva iniziato a punzecchiarlo di tanto in tanto, quando non erano sotto gli occhi di Xigbar, il supervisore dell’intera catena.

«  Andiamo, una sveltina veloce nei bagni! Non me lo sono mai fatto succhiare da un uomo», continuò l’uomo, tamburellando le dita sopra al bancone.
Axel ruotò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto, non così seccato come poteva sembrare; in un certo senso quegli scambi di battute facevano passare il tempo velocemente, sempre meglio che guardare Larxene che passava infastidita tra i tavoli a pulire.

« Amico, davvero, sarò pure gay, ma i miei standard sono alti», poi guardò Marluxia da capo a piedi, «  troppo alti per te.»
L’altro si appoggiò la mano sopra al petto, mormorando un: “ ah, questo brucia”, mentre le labbra si sollevavano in un sorriso sfacciato.
Axel annuì, allora, tremendamente serio, e si passò una mano tra i capelli.

«  E dimmi, fiammetta, che aspetto hanno questi tuoi standard elevati »
Il fulvo schioccò le labbra un paio di volte, prima di fare spallucce, fingendo una certa nonchalance.
Nella mente aveva un’immagine ben precisa, ma preferiva non compromettersi troppo; quanto sarebbe risultato sconveniente dire che si sentiva attratto da un minorenne?

«  Non ti riguarda. Ti dico solo che deve essere un ragazzo bello, intelligente e simpatico. »
«  Cazzo, buona fortuna. Già non ci sono così tanti gay in giro, figurati poi se ne vuoi trovare uno perfetto. »
Axel ruotò nuovamente gli occhi al soffitto – suo malgrado si concentrò sopra la tinta giallognola, un tempo bianca- e si lasciò andare ad un “mmh” indeciso, prima di riprendere a parlare.
«  Non ho detto che lo voglio perfetto, ma deve avere delle qualità. »
L’altro sbuffò una risata e tornò a tamburellare le dita sopra il ripiano, giocherellando poi con i tasti della cassa, aprendola e richiudendola.
«  Ammettilo e basta, l’importante è che sia bello e che venga a letto con te », prima ancora che Axel potesse ripetere ancora una volta che quello non gli importava, Marluxia ammiccò nella sua direzione e indicò la vetrata, «  che ne pensi di quel tipo? Non male.”
Axel si voltò automaticamente a guardare, incuriosito, e rimase qualche secondo a fissare il ragazzo dietro la vetrina, che si guardava da una parte all’altra.
Per qualche secondo il fulvo rimase fermo, poi si voltò verso Marluxia e tentennò appena.

«  Ehm … mi dai un minuto? »
L’altro sollevò il sopracciglio, prima di dire: «  anche due, perché? »
Axel indicò con un cenno del capo la vetrina, dove Roxas continuava a guardare dentro, ora lo sguardo concentrato sopra al corpo del ragazzo.
«  E’ un mio amico, ecco. E visto che non c’è gente, ecco, vado un attimo da lui. »
Marluxia sollevò le labbra in un mezzo sogghigno, scimmiottando l’ecco  di Axel.
«  Va, va », gli disse solamente, scuotendo il capo, « non pensavo di averci azzeccato seriamente, con il tuo tipo di ragazzo perfetto. »
Axel lo lasciò con uno sbuffo imbarazzato e scavalcò il bancone, uscendo nella calura estiva.
Raggiunse Roxas e sollevò la mano, sorridendo subito.

«  Hey, come mai da queste parti? »
Il biondo serrò le labbra e fece giusto un passo avanti, scrollando le spalle come se accidentalmente fosse capitato da quelle parti.
«  Nessun motivo, avevo solo voglia di vederti. »
«  Oh, diretto, mi piace », esclamò Axel, ridacchiando appena. Guardò dentro al locale, dove incrociò lo sguardo interessato di Marluxia, e si voltò con sospiro. 
«  Vuoi qualcosa da mangiare? Anche se io ti consiglio di non farlo, i panini fanno davvero schifo. Però il gelato è buono. »
Roxas scosse la testa, incassando le spalle.
«  Questa volta passo.»
Axel lo guardò attentamente, da capo e piedi, e il sorriso scemò appena dalle labbra.
Non era difficile capire quando Roxas era triste oppure giù di morale. Parlava molto di meno, sembrava chiudersi in se stesso, e specialmente non lo guardava direttamente negli occhi.
Nonostante il pensiero che l'altro non fosse di umore spumeggiante, Axel non poté trattenere un altro piccolo sorriso.
Se davvero Roxas era triste, quello era il primo posto dov’era andato: da lui.
Lo accompagnò all’ingresso, aprendogli la parola, mentre Roxas sbuffava con un mezzo sorriso.

«  Che galanteria, fai entrare così tutti i clienti. »
«  Solo quelli che mi piacciono, ma ora …», afferrò il biondo per la spalla, facendolo voltare verso la cassa, « mi serve il tuo aiuto per schiodarmi in anticipo dal lavoro. Fingi con me, d’accordo? »
Prima ancora che Roxas potesse chiedere anche solo cosa dovesse fingere, Axel al suo fianco assunse un’espressione affranta, dispiaciuta, tanto che il biondo pensò stesse improvvisamente male.
Poi lo sentì parlare all’uomo dietro la cassa, e allora resse il gioco.

«  Marluxia, lui … lui è Roxas, un mio amico » la voce di Axel si spense lentamente, così come i suoi occhi si abbassarono e scivolarono sopra al biondo al suo fianco, «  mi dispiace chiedertelo così, lo sai, ma … ho un favore da chiederti. »
Roxas alzò lentamente lo sguardo, fingendosi mortificato per qualcosa che nemmeno sapeva, e guardò di sottecchi l’espressione di Marluxia farsi più divertita.
Lo vide sollevare un sopracciglio e guardare Axel con diffidenza, prima di dirgli di proseguire pure.
Allora il fulvo si schiarì la voce e scosse il capo, mestamento, appoggiando una mano sopra la spalla di Roxas.

«  E’ venuto di corsa fin qui – sai, abitiamo vicini, per fortuna- per chiedermi se potevo portare suo fratello in ospedale. Sta male. »
Roxas si ritrovò a schiarirsi la voce, annuendo. «  Sì, ha mangiato qualcosa di strano e ora sta male, ma non ho la macchina, quindi … »
«  Quindi ha pensato di chiedere a me. Posso prendere la macchina di Zexion e portarlo al pronto soccorso. »
Marluxia, in tutto questo, continuava a guardare da una parte all’altra con interesse, senza però levarsi il sorriso dalle labbra.
Alla fine schioccò le labbra e si limitò a dire un: 
«  ah, ma davvero? »
Sia Axel che Roxas annuirono contemporaneamente, mentre il fulvo lasciava qualche buffetto sopra le spalle del più piccolo, come a volerlo consolare.
Marluxia sospirò stancamente e tornò ad appoggiarsi al bancone, puntellando il gomito sopra al ripiano e adagiando il volto contro la mano.

«  Non sono un cretino, Rais, ma puoi andare lo stesso », poi lanciò uno sguardo al fast-food, «  ma solamente per questa volta, e solo perché non c’è nessuno. »
Axel esalò un “ eheh”, colto sul vivo, e diede una pacca più forte sulle spalle di Roxas.
Effettivamente non era stata una delle sue improvvisazioni migliori, ma non si poteva dire che non ci avesse provato.

«  Quando ti troverai meno soldi a fine mese, però, non venire qui a piangere da me. Non ti pago queste due ore, chiaro? »
Axel gli sorrise, prima di annuire.
«  Va bene, va bene, l’ho sempre detto che in fondo, in fondo, sei una persona gentile. »
Gli angoli della bocca di Roxas tremolarono leggermente, in procinto di sorridere, mentre Marluxia scacciava via Axel con un movimento della mano.
«  Grazie », aggiunse allora il biondo, sia all’amico che a Marluxia, prima di voltarsi e iniziare ad uscire.
Axel dietro di lui sollevò il pollice al collega, che gli rispose con il dito medio sollevato.
Se non altro ci aveva guadagnato due ore di libertà. Meno soldi, ma più tempo libero, era un duro compromesso, ma ne valeva la pena.
Uscirono entrambi all’esterno – un bel cambiamento, dall’aria fresca del Jimbo’s- e iniziarono ad incamminarsi lentamente lungo la strada.
Sembrava di camminare nel deserto, tanto che l’asfalto davanti a loro pareva andare a fuoco, sfumato all’orizzonte.

«  Allora, dimmi …», incominciò Axel, ficcandosi una mano in tasca e afferrando la sigaretta, « come mai sei venuto qui? »
Roxas scrollò le spalle, osservando l’accendino dell’altro dar fuoco alla punta della cicca.
« Ho appena fatto piangere una persona. »
Axel si voltò verso di lui, facendo un tiro e passando la sigaretta a Roxas.
Lui la fissò, un po’ indeciso, e alla fine strinse la cartina tra le mani. Si portò il filtro alle labbra e fece un tiro un po’ troppo lungo, finendo col tossire l’attimo dopo.
Axel ridacchiò appena, e Roxas con la voce leggermente gracchiante lo mandò a fanculo.

«  Come mai hai fatto piangere qualcuno? Non hai la faccia di una persona capace di farne piangere un’altra. »
Roxas sbuffò, afferrando ancora una volta la sigaretta, sperando che il nuovo tentativo non lo intossicasse come prima.
Inspirò lentamente e buttò fuori il fumo, soddisfatto.

«  Non volevo, infatti, ma … »
Scrollò ancora le spalle e Axel lo guardò di sottecchi, serrando appena le labbra.
Il fulvo, senza nemmeno pensarci, gli passò la mano sopra la testa, in un gesto veloce, sfiorando i capelli biondi, prima di lasciar correre le dita verso la nuca.

«  Ma ci sei rimasto male lo stesso? »
Il biondo annuì, fermandosi e sollevando lo sguardo verso Axel.
Quello che era successo con Xion, così come con Ventus, non riusciva a dargli pace; era davvero una persona crudele? Capace di interessasi per pochi giorni a qualcosa e poi abbandonarla?
Roxas deglutì, inspirando lentamente.

«  Credo ci sia qualcosa che non vada nella mia testa. Forse sono uno stronzo e nemmeno me ne accorgo. »
Axel scosse la testa e tornò ad accarezzargli il capo, prima di appoggiare la mano sopra la sua spalla e dargli un leggero colpetto d’incoraggiamento.
Non poteva dire di conoscere Roxas come il palmo della sua mano, certo, ma sapeva con sicurezza che non era né cattivo né crudele.

«  Sai Rox, quando ero piccolo mio fratello mi diceva sempre che ero un cagasotto e d’accordo, aveva ragione, ma pensa che me lo dice ancora. A chilometri di distanza, anni e anni dopo, ancora continua a dire che ho paura di qualunque cosa », Axel schioccò le labbra, ora voltandosi del tutto verso Roxas; gettò a terra la sigaretta e appoggiò anche l’altra mano sopra la spalla del biondo,  « però io so che non è vero. Certe volte per le persone è più facile anteporre le loro supposizioni e i loro pensieri, prima di una persona, e così non vedono com’è realmente. Forse ti diranno che c’è qualcosa che non va con il tuo modo di fare, ma questo non vuol dire che sei la persona che descrivono.»
Roxas si morse l’interno guancia, mentre le parole dell’altro continuavano a volare nella sua mente.
Com’era possibile che Axel riuscisse sempre, sempre, a dire qualcosa di buono su di lui?
Il biondo si ritrovò a sospirare, come se fossero bastate le parole dell’altro per allontanare tutti i brutti pensieri, e si avvicinò di slancio al corpo dell’altro.
Roxas spiaccicò la faccia contro al petto di Axel, affondando il naso contro la maglia a righe dell’altro, socchiudendo gli occhi.
Per qualche secondo le mani del fulvo tentennarono, ma poi si strinsero contro al corpo di Roxas, mentre un leggero sorriso spuntava sopra le sue labbra.

« Grazie Axel », mormorò Roxas, deglutendo, cercando di aggiungere qualcosa che non sapeva nemmeno lui.
Conosceva quel ragazzo da un mese, ma era l’unico che riusciva a farlo sentire così bene.
Axel, d’altro canto, scrollò le spalle e strinse maggiormente il corpo del biondo contro al proprio, sperando che Roxas non sentire il cuore che, dio, stava battendo all’impazzata per quel singolo contatto.

«  E di che? A cosa servono gli amici, se non per questo? »
Roxas accennò ad una risata, sollevando il capo e guardando Axel in volto, dall’alto in basso, incrociando gli occhi verdi dell’altro, la chioma che pareva rilucere sotto la luce del tardo pomeriggio.
«  Già, è bello avere degli amici. »
Subito dopo averlo detto si sentì un’idiota, tanto che si allontanò dal corpo dell’altro, facendo un passo indietro. Si passò una mano tra i capelli biondi, schiarendosi subito dopo la voce.
«   E comunque … la tua maglietta puzza da impazzire. »
Axel sgranò appena gli occhi,fingendosi offeso, e poi si tirò verso il volto il colletto della maglia del Jimbo’s, annusandola.
«  Oh cazzo, hai ragione, che schifo. Sa di patatine e hamburger scadenti. »
Roxas ridacchiò leggermente, ficcandosi una mano in tasca; osservò l’ora sul cellulare e sospirò.
Non aveva voglia di tornare a casa, non voleva vedere Ventus in silenzio sul divano, sua madre nello studio, e stranamente, per la prima volta in vita sua, non aveva ancora voglia di andare da sua nonna.
Guardava Axel, lì davanti a sé, con il naso ancora sepolto nella maglietta, e voleva stare con lui.

«  Posso rimanere a dormire da te, sta sera?», non seppe dire esattamente come gli uscì fuori quella frase, come trovò il coraggio di pronunciarla, ma le parole scivolarono fuori dalla sua bocca da sole.
Axel per qualche secondo lo guardò interdetto, poi annuì.

«  Certo, certo che puoi », poi si passò una mano tra i capelli, tirando all’indietro qualche ciuffo sfuggito alla coda, «  ma per cena non aspettarti granché, credo di avere solo delle uova e del pane. »
Roxas annuì, con un gran sorriso sulle labbra, mentre una nuova scarica di felicità lo fece annuire altre due volte.
«  Hai mai provato un toast con l’uovo nel buco? »
Axel lo guardò con un cipiglio quasi schifato, scuotendo il capo quasi con disapprovazione.
 
«  Che cos’è ‘sta roba sofisticata? »
Roxas sbuffò, ruotando gli occhi al cielo; ecco un’altra delle tante cose per cui Axel lo prendeva in giro, oltre che l’età.
« Fidati, lo preparo sempre quando non c'è niente di pronto, uscirà una meraviglia. »
Effettivamente era l’unica cosa che Roxas era in grado di cucinare ai fornelli.
Il fulvo scrollò le spalle con indifferenza e mormorò un: 
«  se lo dici tu » poco convinto, prima di guardare la strada davanti a loro.
«  Ora muoviamoci, non vedo l’ora di assaggiare questa prelibatezza »
Roxas sbuffò ancora, dandogli una gomitata leggera contro al braccio, e riprese a camminare affianco a lui, lasciandosi alle spalle ogni problema.
















***
Oh-oooh.
Roxas forse ha capito qualcosa? Forse la sua eterosessualità era solo un miraggio lontano? Chi lo sa! ( Io lo so, ovviamente, ma la domanda retorica era obbligatoria.)
Il prossimo capitolo sarà un po' più corto, un piccolo bonus tutto per Axel e Roxas a casa da soli, come ogni futura coppietta dovrebbe fare.
Le domande di questo capitolo:
1) 
Con Xion è finita qui o la ragazza serberà un po' di rancore? Giusto un pochino?
2) Axel può essere più ghei di così?
3) Marluxia è oppure no gay?
4) Niente Tatty? 

Al prossimo capitolo, folks-

 

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Capitolo 7
*** VI.5 ***


VI.5


 
 

«  Beh … non è uscito proprio come lo volevo », borbottò Roxas, osservando con malcelata delusione il panino completamente ricoperto dall’uovo, «  insomma … Avrebbe dovuto avere un aspetto migliore. »
Axel si sporse sopra la sua spalla, osservando incuriosito il tegame e l’uovo che colava sopra al toast.
Corrugò la fronte e si prese qualche secondo prima di emettere un giudizio, sforzandosi di non essere troppo negativo.

«  Dai, non è male, è solo un po’ storto. E un po’ bruttino », borbottò alla fine, mordicchiandosi l'interno guancia per non lasciarsi scappare una piccola risata.
«  Fallo te, voglio vedere se ti esce!», lo rimbeccò subito Roxas, voltandosi con uno scatto verso di lui e minacciandolo con l’indice sollevato.
Solitamente a casa sua quel piatto gli usciva bene, spesso lo preparava la mattina anche per Ventus, quando non c’era nulla di pronto in casa.
E certo, le sue doti culinarie erano pressoché inesistenti, ma per lo meno si era impegnato a preparare qualcosa per il rosso. Non contava il pensiero, per lo meno?
Axel sollevò entrambe le mani e scosse la testa.

«  Hey, è già tanto che so cucinarmi il cibo precotto, figurati se mi metto a fare un uovo nel cestino», scrollò le spalle, «  al massimo avrei fatto un uovo sbattuto e il toast fritto. »
Roxas guardò sconsolato il secondo panino nella pentola e sospirò, afferrando una forchetta per punzecchiare il tuorlo troppo liquido.
«  Forse avrei dovuto fare così anch'io », esalò alla fine, come se stesse ammettendo la propria sconfitta. Roxas e i fornelli? Proprio non andavano d'accordo.
Axel ridacchiò nuovamente e  si allontanò solo per afferrare due piatti di plastica, piazzandoli sopra la tavola sgombra.
«  A me piacciono, non sono usciti malaccio», continuò subito il fulvo, cercando di lodare, per quanto fosse possibile, il piatto dell'altro ragazzo.
Era felice di avere Roxas lì in casa con lui e ancora più felice nel vederlo muoversi per la cucina come se abitasse lì già da tempo.
L'aveva osservato attentamente, mentre si spostava a prendere la pentola e i panini, mentre corrugava la fronte e cercava di rompere l'uovo esattamente al centro del toast.
Axel l'aveva trovato adorabile in ogni più piccolo movimento e, mentalmente, si era ritrovato a pensare a quanto diavolo fosse sexy con addosso quell'espressione concentrata.
In ogni caso Roxas non poteva leggere di certo i suoi pensieri e al momento continuava ad apparire deluso e un po' scorbutico.
Il biondo guardò Axel con un cipiglio contrariato, prima di afferrare la pentola da entrambi i manici e portarla verso il tavolo.
L’appoggiò sopra il sottopentola in legno, per poi tornare verso il vano cucina e afferrare una spatola.

«  La prossima volta possiamo comprare qualcosa di pronto al supermercato, magari cibo italiano, mi piace un sacco. »
Axel si accomodò sopra la sedia, allungando una gamba sotto al tavolo e accavallando l’altra.
Scosse la testa e appoggiò entrambi i gomiti sopra al tavolo, osservando Roxas che adagiava attentamente i panini nei loro piatti.

«  Non ho mai mangiato italiano, al massimo della pasta scotta di tanto in tanto. »
Il biondo lo guardò come se fosse un alieno, esclamando un: « Non l’hai mai mangiato? » come se Axel si fosse perso una delle meraviglie del mondo.
Il fulvo rise e gli indicò la piccola cucina malconcia, talmente angusta che faticava a starci quel singolo tavolo.

«  Hai visto dove vivo? Non posso permettermi di mangiare qualcosa del genere. »
Roxas sbuffò appena, sedendosi di fronte all’altro ragazzo, e gettando un’occhiata in giro.
Effettivamente era un appartamento piccolo e malmesso, dove la cucina non era altro che un quadrato ritagliato dal soggiorno.
Un solo divano, una televisione degli inizi del 2000 e quasi nessun ornamento in giro.
Era tutto così diverso da dove abitava lui, eppure gli pareva più famigliare quella casa che la propria; forse perché quel poco che c'era era ammassato in un unico punto e non lasciava nessuno spazio vuoto. Non come la sua villa, dove predominava il bianco e ogni piccolo oggetto era appositamente messo in mostra e non andava assolutamente spostato.
Roxas sollevò la forchetta e infilzò il tuorlo, torturandolo appena.

« Mi piace qui, è carino», ruotò il polso e affettò una parte del panino all’uovo, faticando a tagliare il toast croccante, « e la prossima volta ti offro la cena, visto che ogni volta paghi te la colazione. »
Axel scosse la testa, prendendo a sezionare il proprio toast con una certa curiosità; l’aspetto non era certamente dei migliori, ma aveva un buon profumo. Sentiva la frittura del panino, il profumo dell’uovo e del prezzemolo, e già la pancia reclamava almeno un assaggio.
«  Non spendere i tuoi soldi così », disse alla fine, iniziando a mangiare con gusto; era una cena povera, certo, non c’era poi molto nel piatto, ma erano mesi che non apprezzava così tanto un singolo pasto.
Roxas ne era in buona parte responsabile.

« Tu lo fai sempre », sottolineò il biondo, portandosi alla bocca la prima forchettata.
"E’ ok", approvò con un certo sollievo.
Poi afferrò la bottiglia d’acqua frizzante e si riempì il bicchiere.
Axel allungò il piede sotto al tavolo e gli tamburellò con la punta delle dita nude sopra al ginocchio, scatenando nello sguardo dell’altro un leggero cipiglio divertito.

«  Io ho uno stipendio, ragazzino, sono un uomo di mondo con un gran bello schifo di lavoro. »
Roxas ruotò gli occhi al cielo, riprendendo a mangiare, senza però staccare gli occhi dal volto dell’altro.
Erano entrambi stranamente tranquilli, come se mangiare insieme fosse un’abitudine; parlavano del più e del meno, scherzavano, e quei brevi momenti di silenzio erano rilassanti, consueti.
La bocca di Roxas si sollevò in un sorriso soddisfatto, concordando ancora una volta tra sé e sé che rimanere lì da lui era stata la scelta migliore.
Continuò a mangiare, dividendo l’uovo dal panino, masticando velocemente per poter rispondere all’altro ragazzo.

«  Quando troverò un lavoro, allora, ti dovrò un sacco di colazioni arretrate. »
«  D’accordo, affare fatto », esclamò Axel, prendendo un sorso d’acqua e rituffandosi a capofitto nella cena.
Poco dopo il fulvo posò la forchetta sopra al piatto vuoto e tornò a rivolgersi a Roxas, che stava finendo l’ultimo pezzettino di albume arrostito.

«  Hai visto? Era davvero buono. »
Il biondo annuì, anche se non sembrava ancora del tutto soddisfatto. Axel si annotò mentalmente di non nominare mai più questa impresa culinaria, se non voleva far immusonire ancora una volta l’altro ragazzo.
Roxas sembrò ridestarsi con uno sbuffo.

«  I tuoi coinquilini non ci sono oggi? Quasi quasi ci tenevo a vedere il tizio ubriaco. »
Axel scosse la testa, prima di sorridere; Demyx era riuscito a farsi affibbiare un nuovo soprannome, “ il tizio ubriaco”, che alla fine era di gran lunga migliore di tutti gli altri che gli avevano donato i suoi compagni di università.
«  Sono fuori a cena, sai, credo sia il loro mesiversario o qualche altra stronzata del genere. A Demyx piacciono da impazzire tutte ‘ste cose romantiche, anche se non so dove trovino i soldi ogni volta», Axel scosse la mano destra, come se volesse scacciare via il pensiero dei suoi due amici a cena.
Quei due lo facevano arrabbiare, con la loro relazione felice e duratura, ma al tempo stesso si ritrovava ad ammirarli con approvazione, come una vecchia mamma soddisfatta.
Sono così fiero di voi”, sembrava dire di tanto in tanto il suo sguardo, quando li vedeva scambiarsi il bacio del “ buongiorno” oppure li osservava uscire di casa mano nella mano.
Sperava, un giorno, di poter fare la stessa cosa con il ragazzo di fronte a lui.
Roxas si allungò sopra al tavolo per riprendere il bicchiere e corrugò appena la fronte.

«  Non sapevo stessero insieme. Demyx e … Ze- Zenion? »
« Zexion », lo rimbeccò Axel, mentre il più piccolo gli lanciava un’occhiata divertita, tamburellando sopra al tavolo.
Roxas sapeva tutti i nomi dei suoi amici, dei suoi colleghi e perfino della sua famiglia, ma si divertiva ugualmente a storpiarli di tanto in tanto.

«  Non si lamenteranno che mi fai rimanere qui a dormire?», domandò il biondo, dondolando un piede a terra, guardando dietro di sé la porta di casa come se temesse di vederla aprirsi da un momento all’altro.
Axel  cancellò i suoi dubbi con una sola occhiata ironica.

« Nessun problema, poi starai in camera mia, nemmeno ti vedranno », poi il ragazzo si passò la mano tra i capelli, tirandosi qualche ciocca rossa dietro le orecchie, «  piuttosto non da fastidio a te dormire nel mio stesso letto? »
Roxas scosse subito il capo, gettando uno sguardo al divano usurato, decisamente troppo vicino alla cucina e alla porta d’ingresso.
All’inizio aveva pensato di poterci anche dormire, che forse accucciandosi di lato sarebbe perfino passato inosservato, ma alla fine l’idea di rimanere così esposto, in casa d’altri, lo aveva fatto desistere.

«  Direi che preferisco te al divano. »
Per un secondo Axel fu tentato di dire all’altro che forse avrebbe anche potuto dormirci lui, in salotto, ma perché potersi privare di un’intera notte accanto al biondo?
Non aveva intenzione di toccarlo neanche con un dito, non l’avrebbe nemmeno sfiorato – se l’era ripetuto più e più volte-, ma l’idea di potersi addormentare nella stessa stanza con lui  lo rendeva felice.
Alla fine Axel si schiarì la voce e interruppe quella discussione, indicando con un cenno del capo la televisione lì accanto.

« Che ne dici di un film? Ho un registratore talmente vecchio che, pensa, possiamo ancora guardarci delle videocassette. »
Roxas sollevò lo sguardo, leggermente stranito alla parola videocassette, prima di schiudere le labbra ed emettere una mezza esclamazione di giubilo.
Per poco non saltellò sopra la sedia, seriamente felice di poter vedere all’opera un vecchio lettore, come quelli che aveva visto nei negozi di antiquariato.

« Davvero? Hai il mangianastri? Figo, potrebbe essere un pezzo da collezione oramai. »
Axel lo ammonì con un “hey” fintamente offeso, alzandosi dal tavolo e afferrando entrambi i piatti.
Percorse quei pochi passi che lo dividevano dalla cucina e li lasciò nel lavandino, per poi voltarsi verso Roxas e scuotere con rammarico la testa.

«  Adesso non esagerare, se lo insulti la smette di funzionare, è un tipo sensibile. »
Il biondo si alzò a propria volta, il volto felice come quello di un bambino davanti alle caramelle.
Non aveva mai visto una videocassetta vera e propria, era decisamente troppo piccolo per potersele ricordare, quindi sotto sotto non vedeva l’ora di vedere come funzionasse quell’affare.
Molto probabilmente come un lettore dvd, ma si sentiva ugualmente esaltato. Sicuramente era la semplice presenza di Axel a renderlo così, allegro e disinibito, come un normale adolescente alla prima cotta.
Sempre che cotta fosse la parola giusta da usare, Roxas ancora non lo sapeva.
Allontanando il pensiero da quel rimuginare, il biondo si avvicinò al mangiacassette, osservando con occhi critico.

«  Non vorrei mai, mai, offendere un elettrodomestico. Sai, nel caso in un futuro prossimo prendessero vita e se la legasse al dito. O alla presa»
Axel sbuffò una risata gutturale, poi semplicemente diede le spalle al tavolo della cucina e indicò a Roxas il divano.
Il biondo percorse quei pochi passi che lo separavano dalla sua meta e si lasciò cadere sopra ai cuscini, continuando ugualmente ad osservare la vecchia televisione e, poco più sotto, il lettore.
Axel, inginocchiato lì affianco, trafficava dentro un cassettone per tirare fuori un paio di videocassette.
Ne sollevò due.

«  Cosa preferisci? Profondo Rosso oppure Shining»
Roxas non poté che sorridere nel sentire i titoli, quindi appoggiò la schiena contro al cuscino e mormorò un “uhm” indeciso; vecchi film dell’orrore? Era perfetto, Axel aveva di certo trovato pane per i suoi denti.
«  Vada per Shining allora, adoro vedere come impazzisce lassù. »
«  Crudele, mi piace », commentò solamente Axel, raggiungendo l’altro ragazzo e sedendosi al suo fianco.
Senza dire nessun’altra parola sollevò il telecomando e accese la televisione.
Il ronzio del mangiacassette invase la sala e Roxas sorrise sotto i baffi nel sentire la cassetta riavvolgersi lentamente, riuscendo ad immaginare il nastro che scorreva tra gli ingranaggi e rimandava indietro la pellicola.
Poi Axel fece partire il film e per qualche minuto regnò il silenzio.
Caldo, corposo, che sembrava avvolgerli come una coperta confortevole.
La gamba destra di Axel sfiorava il ginocchio di Roxas, ma né lui né il biondo sembravano curarsene troppo.
Si sentivano semplicemente a loro agio in quella posizione, vicini sopra al divano, le gambe che di tanto in tanto si sfioravano, gli occhi che cercavano di prestare attenzione al film, ma che non potevano fare a meno di scivolare sopra al volto dell’altro.
Lo schermo illuminava flebilmente i loro profili e ogni volta che entrambi si riscoprivano a guardarsi, allora sorgevano quei sorrisi imbarazzati, un po’ timidi.
Axel ne era felice.
Probabilmente avrebbe dovuto mettere fine a quella strana emozione che sentiva montargli in corpo ogni volta che vedeva Roxas, ma non ci riusciva.
Si ripeteva che era troppo piccolo, che non poteva pensare a lui in quel modo, eppure non desiderava far altro.
Voleva solamente afferrarlo per le spalle e tirarlo a sé, baciarlo fino a perdere il fiato, fargli sentire il caldo della sua pelle addosso, l’umidità della sua lingua contro al collo.
Voleva tantissime cose, ma si limitava a guardarlo di sottecchi e ricambiare il suo sorriso.

«  Mi piacerebbe vivere  tempo da solo, sicuramente non avrei problemi a starmene rinchiuso all' Overlook Hotel », disse Roxas dopo un po’, schiarendosi la voce.
Gli occhi azzurri fingevano interesse per il film – una pellicola che amava, ma che ora non riusciva proprio a guardare- , gettando lì una frase come un’altra per dimostrare che la sua attenzione fosse per lo schermo della tv, piuttosto che per Axel.
Il fulvo scosse la testa.

«  Probabilmente impazzirei anche io », disse alla fine, corrugando appena la fronte e provando ad immaginarsi lassù, in un vecchio hotel di montagna, completamente da solo, senza internet, senza telefoni.
Scosse la testa, mentre Roxas al suo fianco gli dava una spallata; non si allontanò subito dopo, rimase con il corpo appoggiato al suo.

«  Se ci fossimo stati noi due, lì, non saremmo di certo impazziti», Roxas schioccò le labbra, muovendo indistintamente la spalla contro quella di Axel, «  non pensi? »
Il fulvo deglutì, rispondendo alla leggera pressione del corpo dell’altro.
Mi stai prendendo in giro?Illudendo? Oppure …
Scosse il capo, socchiudendo gli occhi, abbassando un minimo le palpebre.

«  Di certo non avrei cercato di farti fuori con un’accetta », disse infine, mentre Roxas accanto a lui sbuffava una risata soffocata, quasi inudibile sotto le parole del film.
Tornò ancora il silenzio, il film scorreva pian piano davanti ai loro occhi, e il biondo non voleva allontanare il corpo da quello di Axel.
Non sapeva perché, ma non voleva altro che quel contatto.
La pelle contro quella dell’altro ragazzo, il calore che scivolava dal braccio fino allo stomaco.
Non sapeva dare un nome alla relazione che aveva con Axel e non voleva ancora farlo. Gli piaceva così com’era, sembrava perfetta.
Roxas non era stupido, ovviamente sapeva esattamente che qualcosa stava cambiando, sia nella realtà che nella sua mente, ma non voleva affrettare nulla; aveva ancora tante cose da pensare, tanti dilemmi da porsi.
Allora si disse che andava bene così, lì vicini sopra al divano, ognuno con i propri pensieri per la testa, mentre le tacchette dell’orologio scorrevano pian piano e gli occhi di entrambi che, assonnati, non facevano altro che rincorrersi.
Fino all’una di notte rimasero adagiati l’uno contro l’altro, guardando il film, chiacchierando durante le scene più belle, finché non raggiunsero la camera da letto talmente stanchi da non rendersi nemmeno conto dei loro corpi che, sotto il lenzuolo leggero, si avvicinavano sempre di più.






***
Ritardo? Sono in ritardo? Eh sì, temo di sì, ma sapete com'è, la vita, questa brutta cosa.
In ogni caso questo è un piccolo capitolo di stacco, leggermente più corto degli altri ( solo due pagine, orsù ) e totalmente dedicato ad un piccolo spezzone di vita quotidiana dei nostri due bei pimpi.
Quindi, facciamo sempre il gioco delle domande? Sì, so che vi piace. Circa.
1) Roxas ha capito che cosa esattamente?
2) Axel ammazzerebbe Roxas con un'accetta?
3) Ma il bacio? IL BACIO!?

 

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Capitolo 8
*** VII ***


VII


 
 
Roxas aprì gli occhi lentamente, la luce smorzata del sole che gli pungeva il volto attraverso le persiane socchiuse.
Ci mise qualche secondo prima di mettere a fuoco la stanza e ricordarsi immediatamente di non essere tra le mura di casa sua.
Per qualche minuto rimase immobile nel letto, a fissare le strisce di luce che filtravano dalle imposte e si perdevano nel chiarore della stanza.
Osservò la polvere volteggiare lentamente, placida, prendendosi qualche secondo per rimettere insieme le idee e svegliarsi del tutto.
Si era addormentato insieme ad Axel non appena aveva toccato il letto, la stanchezza troppo pesante da poterla contrastare, e si era svegliato solamente ora, con la luce del sole che pungeva come aghi sopra al corpo.
Aveva avvertito il calore della mattinata di pieno luglio come se si fosse immerso in un bagno bollente, tanto caldo quanto torrido, e alla fine gli occhi si erano aperti controvoglia.
Affianco a sé il letto era vuoto, il cuscino sgualcito e le lenzuola spinte dalla sua parte malamente, in un groviglio intricato.
Roxas sbatté un paio di volte le palpebre prima di sollevarsi dal materasso e appoggiare la schiena contro la spalliera, uno sbadiglio che premeva per uscire.
Si passò la mano tra i capelli scompigliati e stiracchiò le gambe in avanti, guardandosi intorno.
Quella stanza gridava il nome di Axel a gran voce, a partire dall’anta dell’armadio aperto che faceva intravedere i suoi vestiti – rossi, neri, con nomi di vecchie band e loghi mai visti prima- fino alla scrivania piena di libri ammucchiati.
Il biondo non poté fare a meno di accennare un sorriso morbido, delicato, nel riscoprire come ogni oggetto portasse l’invisibile, ma perfettamente percepibile, marchio del fulvo.
Contemporaneamente a quei pensieri sollevò la mano e andò alla ricerca del cellulare sopra al comodino.
Non lo trovò. Effettivamente non l’aveva lasciato lì la notte precedente, allora andò ad esclusione.
Si tastò le tasche dei jeans – dove trovò qualche moneta e un fazzoletto sgualcito- e alla fine si sdraiò sopra al materasso, così da raggiungere i piedi del letto e ficcare le dita dentro la propria  tracolla.
Dopo mezzo minuto di ricerca ritrovò il cellulare, la batteria quasi scarica, tre chiamate perse e cinque messaggi.
Corrugò la fronte e si issò sopra il materasso, mettendosi a gambe incrociate e iniziando a controllare ogni notifica.
Ignorò le due chiamate di Ventus e quella di sua madre, andando direttamente ai messaggi.


Nuovo Messaggio da Ven, ricevuto alle 22:50
“ Dove sei?”
Nuovo Messaggio da Ven, ricevuto alle 23:46
“ Non torni a casa? Scrivimi.”
Nuovo Messaggio da Ven, ricevuto alle 00:21
“ D’accordo, non torni, ma potevi almeno avvertirmi!!”
Nuovo Messaggio da Ven, ricevuto alle 00:24
“ Ti ho coperto con la mamma, Rox, ma domani mi devi delle spiegazioni. E rispondi quando ti chiamo!”
Nuovo Messaggio da Axel, ricevuto alle 8:39
“ Buongiorno bella addormentata, sono andato a lavorare e non volevo svegliarti.
Fai come se fossi a casa tua, ma ricorda che il cibo ha un prezzo.
E non dimenticarti che sta sera andiamo a teatro, quindi fatti trovare alle 17 davanti al Jolie.
Ps: quando russi perdi metà del tuo fascino.”

 
Roxas sbuffò una mezza risata, passandosi una mano tra i capelli, allontanando dagli occhi i ciuffi biondi che gli solleticavano le palpebre.
Poi rispose al messaggio del ragazzo, ripromettendosi di scrivere anche a Ventus, più tardi.

Nuovo Messaggio da Roxas, inviato alle 10:23
“ Non russo affatto. A più tardi.”

Ripose il cellulare nella borsa a tracolla e si alzò dal letto.
Lentamente si scrocchiò il collo e stiracchiò le braccia verso l’alto, finché non si decise ad uscire dalla stanza.
Non appena aprì la porta sentì due voci sconosciute – che subito associò ai coinquilini di Axel- e per qualche secondo rimase fermo sulla porta, mezzo nascosto dallo stipite, ma ugualmente davanti alla sala.
Lì riuscì a vedere Demyx e Zexion a tavola insieme, due bottiglie di birra aperte e un pacchetto di patatine mezzo vuoto.
Inizialmente pensò di fare dietro front e sparire silenziosamente da lì, prima che potessero vederlo, ma il danno oramai era inevitabile.
Demyx sollevò il capo, intento a ridere ad una battuta dell’altro, e il suo sguardo incontrò quello di Roxas.
Inizialmente il giovane vide il ragazzo sgranare leggermente gli occhi, ma alla fine il volto di Demyx si aprì in un sorriso e la mano destra sventolò in aria.

«  Ciao Roxas, ciao! », contemporaneamente alla sua voce squillante, anche Zexion alzò lo sguardo e lo salutò pacatamente, con un semplice: « buongiorno. »
Roxas si schiarì la voce e per un po’ tentennò sulla porta, finché non si disse: “ hey, sono amici di Axel, non mi ucciderà mica parlargli un po’”, che lo convinse a raggiungerli a tavola.
Si sentì leggermente a disagio nel ricordarsi di non essersi nemmeno lavato la faccia o i denti, di indossare ancora i vestiti del giorno prima tutti spiegazzati, ma alla fine si sedette accanto a loro.

«  Sei rimasto qui a dormire allora! Quell’idiota non ci ha detto nulla nemmeno sta mattina, se n’è andato di tutta fretta come se niente fosse », commentò Demyx, scuotendo la testa e sbuffando appena.
«  Era di fretta, probabilmente nemmeno ci ha pensato», continuò Zexion, prendendo un sorso di birra e guardando di sottecchi Roxas, come se volesse studiarlo.
Il biondo si schiarì la voce e intrecciò le mani sotto al tavolo, leggermente a disagio.

«  Beh, spero … che non sia un problema. »
Demyx ridacchiò leggermente, scuotendo poi il capo; afferrò una manciata di patatine e se lo portò alla bocca, masticando rumorosamente.
Aveva le dita callose e arrossate, il Sitar appoggiato accanto all’ingresso; Axel gli aveva spiegato che il ragazzo, ogni volta che si svegliava presto – quelle rare volte- usciva per strada a suonare, sperando di racimolare qualche spicciolo.

«  Anche Demyx un anno fa ha fatto la stessa cosa: è rimasto una sera a dormire da me e pian piano non se n’è più andato. Prima ha lasciato qui qualche vestito, poi i libri, e infine il suo aggeggio », spiegò Zexion, afferrando la propria birra e porgendola a Roxas, «  ma credo che la situazione fosse molto diversa, effettivamente. »
«  Totalmente, totalmente diversa », aggiunse subito Roxas, declinando gentilmente la bottiglia con un mezzo sorriso; birra di prima mattina? No grazie.
 
«  E’ stata una cosa improvvisata, non avevo voglia di tornare a casa. »
Demyx ridacchiò ancora più forte, schioccando le labbra.
«  Rapimento di minore, Axel è fottuto », disse poco dopo, allungando i piedi sotto al tavolo e facendo l’occhiolino al fidanzato.
Zexion sorrise sotto i baffi.

«  Non mi ha rapito », sottolineò ugualmente Roxas, scrollando le spalle, guardandosi intorno lentamente, osservando la casa sotto la luce del mattino.
«  In effetti  non credo che il suo intento sia rapirti, piuttosto portarti a- »
«  Demyx, non essere troppo esplicito.»
Ma oramai la frase era scivolata nelle orecchie di Roxas e le aveva rese bollenti come lava, rosse come una rosa.
Il biondo serrò le labbra, abbassando lo sguardo, con quell’unica frase per la mente.
Non credeva affatto che Axel l’avesse fatto rimanere lì solamente per un doppio fine, ma la conferma che il fulvo, sotto sotto, poteva ancora pensare una cosa del genere lo imbarazzava un po’.
Forse non con lo stesso timore di un tempo.

«  Siamo solo amici », disse alla fine, tornando a sollevare il capo e cercando di mantenere uno sguardo serio.
Zexion ruotò gli occhi al cielo e sorseggiò la birra, prima di riprendere a parlare.

«  Anche io lo dicevo all’inizio, poi mi sono innamorato di questo svampito. »
Demyx gli mandò un bacio con la mano, prima di voltarsi verso Roxas; un leggero sorriso sopra le labbra piene e lo sguardo soddisfatto.
«  Sono irresistibile, per la cronaca », si passò una mano tra i capelli, in un modo talmente simile ad Axel da far aggrovigliare lo stomaco di Roxas, «  e non dovresti vergognarti. »
«  Vergognarmi?», domandò solamente il biondo, corrugando la fronte.
Roxas non si stava imbarazzando per nulla, poco ma sicuro; certo, si sentiva un po’ a disagio per essere uscito dalla stanza di Axel di prima mattina, ma non c’era nulla, nulla, di male.
Zexion intervenne subito dopo, puntualizzando e spiegando le parole dell’altro.

«  Demyx intende dire, a modo suo, che non c’è nulla di male nel provare interesse per un altro uomo. »
Roxas sentì il calore scivolare dalle orecchie al volto, prima di serrare maggiormente le mani sotto al tavolo della cucina.
Sentiva le punte sudate e fredde, nonostante il calore che sembrava pervadere la stanza.

«  Non sono affatto interessato agli uomini, Axel è … è solo Axel, mi piace stare con lui, tutto qui. »
Non gli sembrava un concetto così difficile da spiegare e al tempo stesso da capire, per quanto la sua mente smentiva quelle parole con la stessa facilità con cui la bocca le aveva pronunciate.
Certo, Roxas passava le sue giornate in compagnia del fulvo perché lo faceva stare bene, perché con lui riusciva a parlare delle proprie passioni, ma c’era qualcosa di più.
Stava con Axel, nonostante sapesse del suo interesse, perché non gli dava fastidio.
Alcuni suoi compagni trattavano gli omosessuali con diffidenza, sentendosi minacciati intimamente, ma per Roxas non era così.
Non lo seccava il fatto che Axel provasse qualcosa per lui, non lo turbava l’idea che l’altro potesse baciarlo, non gli dava fastidio nulla del genere.
Se ne sentiva stranamente lusingato e, inspiegabilmente, se ne sentiva al tempo stesso attratto, come se la relazione con Axel potesse portarlo ad esplorare mondi nuovi, ascoltati solo da lontano.

«  Davvero, non … non sono interessato. »
Non sapeva nemmeno perché, oramai, si sforzasse così tanto a negarlo.
Era palese perfino per lui che Axel non gli era indifferente, non del tutto per lo meno. Non era la paura di essere gay, oppure il terrore che in giro qualcuno lo sapesse, semplicemente voleva tenersi tutto per sé.
Il suo segreto, che ancora non sapeva del tutto decifrare.

«  Io non insisto, ti dico solo come la penso», proruppe Demyx, finendo l’ultimo sorso di birra con uno schiocco soddisfatto delle labbra, «  ma secondo me sareste una coppia proprio carina. Magari quando compirai diciotto anni, giusto perché Axel ci serve a casa per pagare le bollette.»
Zexion sollevò la bottiglia di birra per fare un brindisi a quelle parole e subito dopo abbandonò la tavola, lasciando Roxas solo ai suoi pensieri e Demyx alle sue patatine alla paprika.
 
 

 
***
 

 
Erano a malapena le 16:20 quando Roxas saltò giù dallo skateboard e si fermò davanti alla vetrata oscurata del Jolie.
Era tornato velocemente a casa quella mattina, giusto per farsi una doccia fredda e mettere qualcosa sotto i denti.
Aveva visto di sfuggita sua madre – occupata a fumare una sigaretta e osservare con sguardo critico l’ultimo quadro- ed era riuscito a scampare la ramanzina che aveva in serbo per lui.
Naminé se n’era uscita con un semplice: “ ne riparliamo a cena” che aveva fatto scrollare le spalle al biondo, prima che la donna se ne tornasse a lavorare sopra la sua nuova opera.
Poi, una volta sceso al piano di sotto, profumato e con i vestiti puliti, aveva incrociato Ventus, il cellulare in mano e i movimenti frenetici.
Stava per uscire ed era di fretta, quindi Roxas riuscì ad evitare perfino i suoi rimproveri e le sue domande, limitandosi a salutarlo e a sentire la stessa identica cosa che gli aveva detto la madre poco prima.
Ne riparliamo a cena”, una frase che era riuscita a fargli passare la voglia di tornare a casa anche quella sera.
Era rimasto a girovagare per casa per qualche ora, facendo zapping in televisione, gettando qualche sguardo al cellulare – abitudine che aveva preso da poco-, e infine camminando su e giù per le scale, in attesa di uscire.
Alla fine non aveva resistito e, con lo skateboard sottomano, era uscito di casa prima del previsto.
Ora si ritrovava al punto di ritrovo con largo anticipo, senza nulla da fare.

«  Potrei prendere da bere », mormorò tra sé e sé, guardando attraverso la vetrina sporca e osservando Xaldin che si muoveva dietro al bancone.
Alla fine decise che un caffè non l’avrebbe di certo ucciso ed entrò nel locale.
Come al solito l’odore di sigarette lo investì in pieno, insieme alla ventata d’aria fredda che fuoriusciva dai ventilatori appesi alle pareti.
Roxas osservò per qualche secondo le strisce di tessuto che svolazzavano dalla bocchetta dell’aria condizionata, poi si diresse al bancone e attirò l’attenzione di Xaldin con un “ ciao” smorzato.
L’uomo si voltò verso di lui e accennò ad un sorrisetto soddisfatto.

«  Guarda un po’ quale marmocchio ha deciso di passarmi a trovare. Oggi niente colazione, eh? Non dirmi che tu e Cappuccetto Rosso mi state tradendo con un altro bar! »
Roxas scosse la testa e si sedette sopra uno degli alti sgabelli, faticando a tenersi in bilico.
Adagiò entrambi  i gomiti sopra al bancone e si sporse in avanti, avvicinandosi all’uomo come se stesse per dirgli un segreto, tanto che abbassò perfino il tono della voce.

«  Sto per confessarti una cosa, una cosa orribile », iniziò a parlare, mentre Xaldin sollevava un sopracciglio e gli si avvicinava un po’, «  c’è un bar sulla nona che fa delle brioches molto più buone delle tue. »
«  Impossibile! Nessuno batte le mie meraviglie », esclamò a gran voce l’uomo, corrugando addirittura il volto per apparire ancora più furente. Sbatté lo strofinaccio sopra al bancone e scosse la testa, « Su, va, va via, vai in quel bar allora, Funghetto, e non tornare mai più. »
Roxas rise soffusamente e si rilassò sopra lo sgabello, allungando le gambe a terra e rammaricandosi dei piedi che non riuscivano a toccare il pavimento di una buona spanna.
Li dondolò ritmicamente nell’aria e poi schioccò le labbra.

«  Dai, portami un caffè americano. E mi puoi mettere sopra anche il cioccolato? Era davvero buono. »
L’uomo grugnì qualcosa e sbuffò, mormorando un «  dai, ai miei tempi non ci si rivolgeva agli adulti con un dai, portami un caffè.»
Roxas continuò a ridacchiare sotto ai baffi, mentre l’uomo si allontanava verso la macchinetta continuando a bofonchiare tra sé e sé.
Il biondo incrociò le braccia sopra al bancone e scivolò leggermente in avanti, felice di essere riuscito a fuggire indenne da casa sua e di essere lì, al Jolie, un posto così lontano dal mondo dove viveva che pareva essere in un'altra dimensione.
La sua e quella di Axel.


«  Ventus?! »
Roxas sollevò prontamente il capo, richiamato dal nome del fratello, e voltò il corpo così velocemente che per poco non si sbilanciò.
Sbatté le palpebre un paio di volte, stupito nel ritrovarsi davanti Terra Knot, il migliore amico di  suo fratello.

« Mi sembrava strano vedere qui Ventus, ma … è strano anche vederci te, in un posto del genere », iniziò a parlare Terra, avvicinandosi al bancone e sedendosi proprio accanto allo sgabello del biondo.
Roxas si irrigidì immediatamente, serrando le gambe e osservando l’altro ragazzo con diffidenza.

« Perché, sei un abituè di questi posti, tu? », gli domandò allora, affilando leggermente lo sguardo per poter fissare Terra con un cipiglio leggermente guardingo.
Il bruno scosse la testa e si appoggiò per metà contro al bancone, guardandosi intorno con un certo orrore.

«  Per l’amor del cielo, no, decisamente no. E’ una specie di topaia questo posto, qui e tutta questa parte della città. Sono qui per lavoro », disse il moro, adocchiando Xaldin dietro al bancone che lo guardava di sottecchi.
Allora accennò ad un leggero sorrisetto.

«  Ricordi? Lavoro nell’impresa edilizia di mio padre? Terra chiama Roxas»
Roxas rimase in silenzio, fissando l’altro ragazzo con un disinteresse malcelato.
Terra non gli piaceva, ma effettivamente a lui piacevano ben poche persone. Comunque Terra rientrava tra gli uomini che ben poco sopportava, non tanto per il carattere, che sapeva essere gentile quanto autoritario, quanto più per il suo attaccamento a Ventus.
Ne era stato geloso, anni addietro, e per quanto infantile fosse sentiva ancora un rimasuglio di gelosia che lo spingeva a non farsi piacere quel ragazzo.
Il biondo corrugò appena la fronte, allora, e allontanò lo sguardo da lui.

«  Sei qui per rilevare questo bar, quindi? Non ci faresti poi così tanti soldi », commentò, ringraziando Xaldin non appena gli posò davanti l’ordinazione.
Afferrò la zuccheriera e la capovolse verso il bicchiere, prima di riporla attentamente a posto.
Terra affianco a lui sollevò la mano e ordinò un caffè.

«  Non sono qui per questa bettola, stiamo comprando un edificio in zona, pensiamo abbia del potenziale. Pensavamo di comprarlo ora che vale poco e poi sistemarlo a basse spese e rimetterlo in mercato. Questa zona inizia ad interessare anche alle zone più alte. Secondo te? »
«  Che ne dovrei sapere io? » domandò Roxas, stizzito, prendendo un sorso di caffè per trattenere le parole leggermente sarcastiche e pungenti che aveva voglia di rivolgerli.
Terra bevve in un solo sorse il caffè, socchiudendo gli occhi.

«  Sei qui, quindi se un ragazzo del west side si trova qui, significa che qualcosa di interessante dovrà pur esserci », insinuò con voce cantilenante, afferrando il cellulare e sollevando l’indice verso Roxas, come a dirgli di attendere un attimo.
Pronto?”, lo sentì dire, e lì il biondo decise che era il momento di andarsene.
Abbandonò a malincuore il caffè americano a metà e lasciò i soldi sopra al bancone, salutando velocemente Xaldin e ignorando Terra che gli diceva un “ hey, aspetta”.
Uscì all’esterno velocemente, socchiudendo gli occhi alla luce accecante del sole pomeridiano, e si schermò il volto per potersi guardare attorno.
Era ancora presto per poter veder apparire Axel, ma la speranza era l’ultima a morire.
Terra aveva toccato il suo posto segreto, ed era certo che entro mezz’ora tutti l’avrebbero saputo. Ventus, Acqua, Xion, perfino sua madre.
Tutti avrebbero saputo dove andava Roxas quando non stava a casa, e il biondo detestava l’idea di poter trovare anche solo uno di loro lì dentro.
Serrò le labbra, seccato, e afferrò il cellulare, mentre la porta dietro di sé si apriva.

Nuovo Messaggio da Roxas, inviato alle 16:49
“ Stai arrivando? Dimmi che stai per arrivare Axel, avanti.”

Sospirò di sollievo nel vedere che il messaggio era stato ricevuto, rificcandosi il cellulare in tasca, mentre dietro di sé arrivava la voce di Terra, decisamente irritata.

«  Sai, certe volte non capisco proprio come faccia Ventus a difenderti e a sopportarti! », Terra lo afferrò per la spalla, facendolo girare verso di lui, strattonandolo appena e ignora il “ lasciami” che era sibilato dalle labbra del biondo,  «  sei davvero … cazzo, non lo so. »
Roxas lo guardò con freddezza, strattonando il braccio dalla presa dell’altro senza buoni risultati.
« Se non lo sai non c’è bisogno di parlare a sproposito allora. »
Terra strinse più forte la presa sopra al braccio, scuotendo la testa e avvicinandosi leggermente all’altro ragazzo, tanto vicino da potergli soffiare contro ogni cosa che aveva da dirgli.
«  Esattamente, questo, questo! Ti dai tante arie, con quell’espressione da finto solitario, super intelligente e maturo, ma non hai idea di cosa passi Ventus solo per te.»
«  Ci vivo in casa, lo conosco sicuramente meglio di te », ribatté prontamente Roxas, sollevando il capo e fronteggiando lo sguardo rabbioso di Terra.
Non si sopportavano entrambi, era sempre stato abbastanza ovvio a tutti, tranne che a Ventus.
Erano entrambi gelosi in un modo o nell’altro del ragazzo, Roxas come fratello, Terra come migliore amico, e nessuno dei due avrebbe ceduto tanto facilmente quella guerra di sguardi.
Terra scosse la testa, prima di far apparire un mezzo sorriso ironico sopra le labbra.

«  Certo, lo conosci così bene!  Allora avanti, dimmi almeno una cosa di lui: il suo colore preferito, che cibo gli piace, i suoi hobby magari? », Roxas non rispose, si limitò a fissarlo malamente, senza proferire parola.
Terra schioccò le labbra, soddisfatto, 
«  Lo sapevo, silenzio, com’è giusto che sia, no? Io voglio bene a tuo fratello, è il mio migliore amico da anni, e se certe volte cerco di parlarti oppure invitarti ad uscire con noi, lo faccio solo per lui.»
Roxas strattonò ancora una volta il braccio, cercando di sfilarlo dalla presa dell’altro, prima di alzare ancora di più la voce, arrivando per poco ad urlargli dritto in faccia.
«  Allora non farlo proprio, non ho bisogno della tua pietà.»
Le dita di Terra si strinsero maggiormente sopra al braccio del biondo, la bocca aperta pronta a parlare, quando non venne spinto all’indietro con forza.
La schiena del moro sbatté contro al muro tanto forte da fargli serrare gli occhi per un secondo, finché non li riaprì.

« Hey amico, qualche problema? », la voce di Axel suonò più tetra del solito, con una sfumatura arrabbiata che Roxas non gli aveva mai sentito prima.
Il biondo rimase lì, a pochi passi di distanza, a guardare il braccio di Axel premuto contro al petto dell’altro; non riuscì a pronunciare neanche una parola.

«  Stavamo solo parlando, fatti gli affari tuoi », gli sbottò contro Terra, il fiato corto per il colpo e il leggero spavento. Si mosse contro al muro, ma Axel aumentò la presa finché il moro non si spazientì, «  lasciami subito, cazzo, lo conosco quel tipo, stavamo solo parlando! »
Allora Axel si voltò verso Roxas, guardandolo attentamente in volto, cercando di cogliere ogni sua espressione, prima di rivolgersi a  lui.
«  Vi conoscete? »
Roxas annuì, rassicurando Axel con un mezzo sorriso. Fece un passo avanti e appoggiò la mano sopra al suo braccio teso, facendogli così allentare la presa sopra al petto di Terra.
Axel lo lasciò andare del tutto l’attimo dopo, indietreggiando di un singolo passo solo per mettersi affianco a Roxas.
Terra si allontanò dal muro e si tastò il petto, prima di dedicare un’occhiata sprezzante ad entrambi.

«  Fantastico, l’ho sempre detto che sto posto è pieno di coglioni», scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli, «  e non pensavo che frequentassi gente del east side, voglio proprio vedere che faccia farà Ventus quando glielo dirò. »
« Vaffanculo, non sono affari vostri », si affrettò a rispondere Roxas, ancora più furente di prima ora che c’era Axel al suo fianco e Terra si permetteva di insultare il luogo in cui viveva, «  va pure a dire a Ven quello che vuoi, non cambia il fatto che ora sono qui e ci rimarrò fino a sta sera. »
«  Che carini, andate a fare un giro romantico per la città? Attenti ai borseggiatori », continuò Terra, a voce alta, accusatoria.
Roxas sollevò il dito medio nella sua direzione e afferrò Axel per il gomito destro, tirandolo verso di sé e, poi, sospingendolo a camminare via da lì.

«  Bene Roxas, va bene, va pure, d’accordo, ma non finisce qui, ne riparleremo! »
Fortunatamente quelle furono le ultime parole che il biondo sentì uscire dalle labbra di Terra per quella giornata.
Fino a quel momento non erano mai arrivati a discutere in quel modo, solitamente si limitavano a gettarsi occhiate infastidite agli angoli delle stanze, magari si scambiavano qualche parola secca, ma mai prima di allora erano arrivati tanto vicini a prendersi a pugni.
Roxas aveva sentito il braccio fremere per metà della conversazione, trattenendo il bisogno impellente di spaccargli il naso.
Solitamente era una persona pacifica, addirittura gentile, ma con Terra era impossibile parlare, per lo meno se il tuo nome era Roxas Lys.
Con un sospiro stanco rallentò l’andatura e tornò a camminare tranquillamente al fianco di Axel, che continuava a guardarlo di sottecchi.
Allora gli occhi azzurri incontrarono quelli verdi dell’altro.

«  Mi dispiace, non intendevo coinvolgerti. »
Axel scosse la testa, ficcandosi la mano destra nella tasca dei pantaloni scuri.
« Nessun problema, sono intervenuto volentieri. »
Roxas accennò un sorriso leggero, guardandolo con una certa ammirazione dal basso verso l’alto.
«  Molto virile da parte tua. »
Il fulvo non si scompose più di tanto, si limitò a gonfiare un po’ il petto, ringalluzzito e fiero, prima di abbassare un poco il capo e raggiungere in parte l’altezza di Roxas.
«  Fortunatamente non si è arrabbiato troppo, faccio schifo a fare a pugni, e quel tipo è fottutamente muscoloso. Inquietante. »
Questa volta Roxas non riuscì a trattenere una risata vera e propria, osservando Axel e l’espressione leggermente corrucciata che gli dipingeva il viso.
Gli diede una leggera pacca di conforto sopra la spalla e sospirò, ora più tranquillo.

«  Da piccolo seguiva corsi di boxe, se ti può rassicurare. »
Il volto di Axel si fece cinereo a quella notizia, quindi il fulvo si lasciò scappare un leggero mormorio di disapprovazione.
«  Potevi dirmelo prima, che ne so … un messaggio, avresti potuto mandarmi un messaggio scrivendo: “ hey, qui c’è un tipo pericoloso, portami via, ma non fare l’eroe, ne va della tua vita.” »
«  Scusa, sarà per la prossima volta. »
Axel schioccò le labbra e annuì, approvando l’idea.
Tirò fuori dalla tasca dei jeans il suo immancabile pacchetto di sigarette e se ne portò una alla bocca, accendendola e inspirando la prima boccata di fumo.

«  In pratica ti ho salvato la vita, mi devi un favore », esalò un’altra boccata di fumo e svoltò a destra, verso la strada per il teatro.
Era ancora presto, ma era certo che Luxord gli avrebbe fatti entrare ugualmente.
Roxas ruotò gli occhi al cielo e lo seguì, allungando una mano e chiedendogli una sigaretta; era la serata giusta per provare a fare due tiri senza soffocare, oltretutto ogni volta che si portava alle labbra una Malboro gli sembrava di sentire il sapore di Axel sulla lingua.

«  Affare fatto, appena finisce lo spettacolo sei invitato a casa mia. »
Il fulvo lo guardò come se fosse pazzo, tanto che scosse la testa un paio di volte prima di riprendere a parlare.
«  Non vorrai mica presentarmi alla tua famiglia, vero? E’ un passo troppo grande. »
Roxas sbuffò, prima di accendere la punta della sigaretta. Il fumo scivolò nella sua bocca e non appena raggiunse i polmoni, il biondo sentì gli occhi bruciacchiare dalle lacrime.
Buttò fuori il fumo e inspirò lentamente, schiarendosi poi la voce.

«  Mia madre non se ne accorgerà nemmeno e Ventus sarà sicuramente in giro con Terra – che è il tipo di prima, giusto per fartelo sapere- e i suoi amici. »
Axel parve pensarci un po’ prima di rispondere, alla fine scrollò le spalle e accettò semplicemente l’invito.
Si fermò davanti all’ Edoné, appoggiando la schiena al muro, dove la tettoia lo riparava dai raggi morenti del sole.

«  Va bene, ma voglio cibo italiano allora. »
Roxas fece mente locale della cucina, del poco cibo in dispensa, e sperò di avere almeno dei barattoli di sugo precotto e degli spaghetti.
Alla fine decise di tentare la fortuna.

«  Dovrei avere qualcosa, sì, ma dobbiamo cucinare noi. Questa volta farò meglio della scorsa notte, lo giuro. Gli spaghetti non sembrano difficili.»
Axel lo guardò dall’alto in basso, un cipiglio poco convinto, ma alla fine non riuscì a dire di no a Roxas, al suo sguardo che sembrava pieno di aspettative.
Annuì semplicemente, socchiudendo lo sguardo e fissando il biondo davanti a sé, lo sguardo felice, il viso ancora adolescenziale e leggermente arrotondato.
Oramai era impossibile tornare indietro, Axel non aveva più via di scampo.
Si era aperto a Roxas, gli aveva mostrato la sua vita, i suoi sogni, se stesso, e così aveva fatto il biondo.
Come potevano tirarsi indietro ora, che avevano abbassato ogni difesa, ora che si riscoprivano così esposti, spogli da ogni maschera, l’uno davanti all’altro?
Axel sorrise leggermente, gettando a terra il mozzicone e bussando una singola volta sopra il portone dell’Edoné.
Luxord gli aprì poco dopo, la faccia truccata per metà e l’espressione leggermente scocciata.
Appena riconobbe Axel, e subito dietro di lui Roxas, sospirò amaramente e si allontanò dall’ingresso, facendoli accomodare.

«  Come se foste a casa vostra, ragazzi.»
In un certo senso, oramai, lo era per davvero; il teatro, il bar, le strade, il parco, era tutta una lunga via che portava a casa.






***
TA DA DA DAAAN, ecco arrivare Terra, il nostro caro e possessivo Terra, una new entry che rimarrà a lungo nella storia.
Comunque sì, sono in ritardo di due giorni? Tre? Insomma, fa freddo e ho le dita ghiacciate, quindi ho tutte le scuse del mondo, sì.
In ogni caso il capitolo è arrivato, nel bene e nel male, quindi passerò direttamente alle mie splendide domande:
1) Terra odia davvero Roxas oppure no?
2) Axel è abbastanza macho?
3) Il salvataggio della principessa in pericolo è sempre bello da leggere o troppo banale?
4) Demyx, quanto non è un cinnamol rolls? 

Al prossimo capitolo, Mel!

 

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Capitolo 9
*** VIII ***


VIII

 


 
«  Signori e Signore, siamo lieti di presentare il nostro terzo e ultimo spettacolo: la Morte Bianca. »
Uno scroscio di applausi partì dalla tribuna, insieme ai fischi e le acclamazioni dell’intera sala.
I primi due spettacoli erano stati incredibili: sangue finto in scena, urla talmente vere da far accapponare la pelle, e costumi di scena favolosi.
In una sola ora di spettacolo Roxas aveva iniziato a capire cosa attirasse Axel del teatro.
Inizialmente, non appena il palco si era illuminato e i tendoni si erano sollevati, aveva applaudito insieme agli altri, un po’ scettico, ma dopo nemmeno dieci minuti si era ritrovato con gli occhi incollati al palco, il cuore che batteva forte man mano che  la storia andava avanti.
Le storie di paura erano il suo punto debole, il suo tallone d’Achille: non riusciva a non apprezzare una buona storia dell’orrore, rimaneva con lo sguardo incollato finché la vicenda non si concludeva, nel bene o nel male.
Axel aveva scelto bene, aveva capito i suoi gusti e l’aveva portato a vedere uno spettacolo davvero interessante, tre piccoli drammi inquietanti che erano riusciti addirittura a farlo irrigidire sopra la poltrona.
Perfino Axel al suo fianco era rimasto con lo sguardo incollato agli attori, in un misto di felicità e invidia facilmente leggibile nei suoi occhi.
Roxas aveva sentito il bisogno più volte di stringergli la mano e dirgli che anche lui, un giorno, sarebbe stato lì sopra.
Aveva desistito a fatica, infilzando con le unghie la pelle rigida della poltrona, prima di tornare a guardare lo spettacolo.
E ora eccoli lì, all’ultima esibizione, una storia ambientata nella Scozia rivoluzionaria, dove una piccola bambina veniva ritrovata uccisa in un bosco e misteriosamente ogni membro della sua famiglia moriva dolorosamente, gli arti amputati da una forza sovrannaturale.
Il palco aveva cambiato totalmente aspetto, con il fumo grigiastro che volteggiava ai piedi del soppalco, uscendo dalle bocchette appositamente nascoste dai finti cespugli sintetici; i dipinti sullo sfondo mostravano una foresta cupa e buia, la luna illuminata dalle luci fuori scena che appariva come un’enorme palloncino pallido, gli alberi che come alti scheletri oscuri lanciavano lunghe ombre verso il pubblico.

«  Ora vorremmo portarvi nei meandri di un tempo passato, in una Scozia fredda e solitaria; le campagne infinite, i boschi oscuri e pieni presagi. Signori e signore, chiudete gli occhi per un secondo, immergetevi nel freddo pungente della notte, nei suoi rumori tetri come sussurri, e preparati a vivere insieme a noi quest’ultima piccola, terrificante, avventura.»
Nel silenzio della sala la voce di Luxord risuonò cupa così come da copione, accompagnata dall’ululato del vento e dallo scricchiolio delle foglie.
Roxas accennò ad un sorriso ammirato, sporgendosi verso Axel l’istante dopo.

«  Sono proprio bravi, non credi? »
L’altro ragazzo annuì, guardandosi intorno come se l’intera sala facesse parte dello spettacolo, poi tornò a voltare il capo verso Roxas.
Si fece ancora più vicino, così da non disturbare l’uomo che sedeva accanto a lui con le loro chiacchiere.
Axel l’aveva sentito già ben due volte schiarirsi la voce con fastidio, così decise che era meglio non minare troppo la sua sopportazione.

«  Devono aver sistemato le casse in tutta la sala. Senti il vento? Sembra di avercelo nelle orecchie. »
Roxas annuì, muovendo leggermente il capo, ascoltando il fischio dell’aria, come se dentro al teatro ci fosse qualche spiffero.
L’aria nella piccola sala era tiepida, senza neanche un fiato di vento, eppure sembrava di essere seriamente nella foresta che si trovava davanti ai loro occhi.
C’era addirittura il rumore dei passi, lo scricchiolio dei rami secchi sotto le suole, l’eco lontana di un ululato.
Roxas si strinse leggermente nelle spalle, come se fosse lui il ragazzino perso nella foresta, non l’attrice che camminava con circospezione sopra al palco.

«  Mi piacciono queste storie, sono inquietanti.»
«  Ti piacciono oppure ti inquietano?», si informò Axel, puntualizzando, appoggiando il peso contro al bracciolo sinistro, così da potersi sostenere lì, accanto al biondo.
Roxas non ci pensò su molto, prima di rispondere.

«  Sia l’uno che l’altro. Mi inquieta, ma mi piace un sacco », era piacevole sentire la paura scorrere nel corpo, farlo fremere d’adrenalina, e poi ritornare nel mondo reale e ricordarsi che era stata tutta una finzione, «  ti fanno paura queste cose? »
Axel accennò ad un singolo sorriso, sbattendo un paio di volte le palpebre prima di rispondere; poi si passò la mano tra i capelli, spettinandoli leggermente.
«  Quello era il vecchio Axel, adesso non mi fanno né caldo né freddo, lo giuro », gli uscì una risatina leggermente stridula, incerta, che obbligò Roxas a soffocare una risata.
«  Certo, come no », iniziò il biondo, punzecchiandolo leggermente, «  Sei hai ancora paura puoi anche ammetterlo. Scommetto che tremerai come un bambino una volta finito lo spettacolo. »
Axel sbuffò, muovendo una sola volta la testa a destra, così da dare una leggera zuccata a Roxas. Non troppo forte da fargli male, ma con un colpo abbastanza deciso da fargli pulsare la tempia per qualche secondo.
Ignorando la lamentela dell’altro tornò a parlare.

«  Se mai mi vedrai tremare dalla paura allora vorrà dire che sarà arrivato il momento di ucciderti. Dovrai portarti quel ricordo nella tomba, Rox, perché nessun altro dovrà mai saperlo. «»
Il biondo ruotò gli occhi al soffitto, prima di voltarsi verso il palcoscenico.
Lo spettacolo stava andando avanti e senza volerlo, ancora una volta, ne aveva perso un pezzo.
Axel lo distraeva di tanto in tanto, e così altre volte faceva Roxas.
Spuntavano fuori alcune scene impossibili da non commentare, altre talmente ben fatte da lasciarli senza fiato per qualche secondo, ma non riuscivano a rimanere in silenzio troppo a lungo.
Immancabilmente si ritrovavano ad avvicinare il volto, ricercandone l’attenzione, finché non scivolavano lentamente verso il profumo dell’altro.
Lo spettacolo durava poco e via via che le scene correvano sopra al palcoscenico, man mano che la musica aumentava, i suoni si facevano più cupi, Axel e Roxas scivolavano sempre di più contro al bracciolo che li divideva.
Intorno a sé Roxas sentiva le donne trattenere il respiro, gli uomini respirare tranquillamente, qualche bambino portato a teatro dai genitori scalciare contro la poltrona di fronte oppure strillare di tanto in tanto, ma nonostante tutto l’attenzione di Roxas non vacillava nemmeno un po’.
Peccato che la sua concentrazione non fosse più sullo spettacolo: gli occhi erano scivolati a destra, verso Axel, e ne guardavano il profilo in ombra, la forma sfumata nel buio della sala, il colore dei capelli che appariva più bruno che rosso.
Lo spettacolo era solamente il sottofondo, le voci degli attori dei suoni lontani che non riusciva ad interpretare.
Ora che guardava Axel, lì a pochi centimetri da lui, non riusciva a non pensare a quanto fosse bello.
Bello, semplicemente.
Con la camicia a maniche corte sgualcita, i pantaloni larghi con le borchie, gli anfibi troppo pesanti da indossare in una giornata estiva; era bello per come si vestiva, per come parlava, per il naso affilato e le labbra sottili, per gli occhi verdi e i capelli rossi.
Immediatamente Roxas sentì il cuore battergli direttamente in gola, un tum-tum talmente assordate da fargli fischiare le orecchie.
Era la prima volta che si rendeva conto di quanto fosse bello Axel, quanto fosse felice di averlo incontrato.
Se solamente un mese prima non fosse andato a quella festa, ora, chissà dove sarebbe stato.
Forse chiuso in camera sua, a leggere un libro, a struggersi sopra pagine e pagine di storie incomplete.
Non sarebbe di certo stato lì a teatro, felice di aver abbandonato la sua vecchia vita.
Felice di essere vicino ad Axel.
Ancora una volta il cuore tornò a tormentargli le orecchie.
Il corpo sembrava non rispondere più ai suoi comandi: la bocca secca, un nodo alla gola, le mani che sudavano, il petto che fremeva.
Roxas socchiuse gli occhi e respirò lentamente, chiedendosi cosa ci fosse che non andava in lui.
Era lì per vedere uno spettacolo, eppure l’unica cosa che guardava era Axel?
Il biondo abbassò del tutto le palpebre e trasse qualche profondo respiro, finché non sentì la mano dell’altro stringersi attorno alla sua.
Allora gli occhi tornarono vispi e accesi, sopra al volto di Axel.

« Tutto bene? », il fulvo parlò a bassa voce, con lo sguardo preoccupato e la fronte leggermente corrugata.
Perfino nel buio della sala Roxas riuscì a vedere gli occhi verdi rilucere di timore.
Il biondo si limitò a scuotere la testa, perché non c’era nulla che non andasse, andava tutto bene.
Roxas deglutì a fatica, senza perdere il contatto visivo con Axel.
Non poteva staccare gli occhi da lui nemmeno volendo; era troppo vicino, così vicino …
Il biondo non riuscì a controllare il proprio corpo e la propria mente.
La mano stretta dalla presa di Axel si mosse lentamente, e non appena il fulvo abbassò lo sguardo per osservare le loro dita intrecciate, Roxas si sporse in avanti.
Chiuse gli occhi, mentre le labbra sfioravano delicatamente la bocca di Axel.
Per qualche secondo nessuno dei due si mosse, le labbra vicine, i respiri incatenati, finché Roxas non trasse un sospiro profondo e si allontanò.
Il ragazzo sentiva il volto in fiamme, le orecchie bollenti, ma nulla a che vedere con l’espressione esterrefatta di Axel: gli occhi sgranati, le labbra ancora socchiuse e l’espressione incredula.
Roxas avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa – anche se non sapeva esattamente cosa- , ma non aprì bocca.
Axel al suo fianco si rilassò ugualmente, le labbra che si stendevano in un sorriso e le dita che tornavano sulla mano del biondo.
Non parlò nemmeno lui, anche se la sua mente gli stava urlando tante e più cose; rimasero in silenzio a guardare lo spettacolo, le mani unite e i volti accaldati.


 
***
 
 
 
La mano di Roxas è sudata, considerava Axel lungo la strada.
Era calda e sudata, stretta nella sua.
Camminando fianco a fianco verso il westside le loro mani si erano avvicinate lentamente, finché le dita non si erano sfiorate.
Allora un leggero velo di imbarazzo infantile era calato su entrambi per qualche secondo fino a quando la mano del fulvo non si era decisa a stringere quella dell’altro.
Piano, con delicatezza, come se stesse sfiorando i petali di un fiore.
Lì Axel era arrivato alla conclusione che la mano di Roxas era sudata e calda, ma non per questo sgradevole.
Il maggiore non sapeva spiegare esattamente cosa fosse successo dal teatro in poi, la sua mente vagava confusa tra i tutti i pensieri che l’affollavano.
C’era il ricordo delle labbra di Roxas sulle proprie, indelebile sulla pelle come un tatuaggio, poi le voci degli attori che li circondavano, fino ad arrivare a quella lunga camminata silenziosa.
Di tanto in tanto Axel aveva gettato qualche occhiata al suo fianco, indeciso se parlare o meno, ma l’espressione pensierosa dell’altro l’aveva fatto desistere a lungo.
Roxas non sembrava seccato oppure pentito, semplicemente camminava al suo fianco, mano nella mano come se niente fosse, con un’espressione sì pensierosa, ma al tempo stesso felice.
“Perché mi ha baciato?”
“ Posso rifarlo?”
“Gli piaccio oppure no?”

La testa di Axel sembrava sul punto di esplodere, così come le labbra assottigliate per impedirgli di parlare e tempestare di domande l’altro ragazzo.
Era stupido rivolgersi a Roxas in quel momento, forse il biondo aveva solo bisogno di tempo per pensare.
, concorda Axel con se stesso, solo del tempo per mettere le idee in chiaro.
Allora avevano continuato a camminare nel silenzio della sera, senza dire una sola parola, finché Roxas non aveva finalmente aperto bocca.

«  Siamo arrivati. »
Axel si allontanò forzatamente dai propri pensieri per ritornare sulla Terra, dove il cartello “ Villaggio del Sole” indicava la via dove abitava Roxas.
Si guardò attorno, osservando le villette meravigliose che si trovavano lungo la via.
Poi si voltò verso il biondo, accennando un sorriso.

«  Facciamo cambio di casa? »
Il ragazzo ruotò gli occhi al cielo e strinse un po’ di più la mano in quella di Axel, conficcando le unghie sopra al dorso.
Nonostante il gesto quasi stizzito, Axel riuscì a compiacersi del leggero rossore sopra le guance del più piccolo.

«  Se vuoi vivere con mia madre e mio fratello accomodati pure, sono uno spasso. »
Axel schioccò le labbra, continuando a guardare le varie villette e i giardini perfettamente curati.
Alcune case avevano addirittura delle statue in giardino come addobbo; cristo, Axel avrebbe venduto un rene per potersi permettere una statua greca, e magari anche un giardino dove mettercela.

«  Potrei sopportare di tutto per una casa del genere. »
Roxas lo strattonò leggermente in avanti, così da fargli aumentare il passo e raggiungere l’ingresso di casa sua.
Non era molto distante dall’inizio della via, ma Axel camminava talmente piano che quel breve tragitto durò interi minuti.
Il fulvo era intento a guardare ogni villa, ogni giardino, ogni singolo oggetto lussuoso che tanto desiderava per sé.
Come la piscina! Quella casa aveva una splendida piscina!

«  Davvero, direi addio a Demyx e Zexion anche sta sera in cambio di una macchina del genere », disse poco dopo Axel, indicando un’automobile sportiva parcheggiata proprio di fronte alla villa di Roxas.
Il biondo scrollò le spalle, non era affatto interessato al denaro, forse perché era cresciuto tra gli sfarzi di una vita agiata.
Al suo fianco Axel continuava a borbottare su quanto gli sarebbe piaciuto avere una macchina, specialmente una costosa e con molti cavalli.

«  Se ti volti da questa parte puoi anche guardare casa mia », gli disse poco dopo Roxas, sbuffando una mezza risata nel vedere l’espressione euforica del maggiore.
Sembrava un bambino davanti ad un pacchetto di caramelle.
Axel si lasciò sfuggire un “ wow”, mentre squadrava da vicino la casa del biondo.
L’aveva vista da lontano una sola volta, quando aveva riaccompagnato Roxas a casa una sera, ma non si era mai addentrato lungo l’intera via, e non era di certo mai stato all’ingresso del giardino.
Era un passo importante, nella mente di Axel; sembrava un primo appuntamento vero e proprio, dove si erano scambiati un bacio un po’ impacciato, poi si erano tenuti per mano e infinite andavano a casa insieme a preparare da mangiare.

« Potrei anche abituarmici, ad una vita del genere », borbottò con un mezzo sorriso, mentre faceva largo a Roxas.
Il biondo continuò a guardarlo con quel mezzo sorriso divertito sopra le labbra e poi aprì il cancelletto.
Axel lo seguì a ruota, osservando il giardino ber curato, l’erba ancora bagnata dalla recente annaffiata, e infine l’intera casa.
Alta e maestosa, bellissima come poche case avesse avuto l’occasione di vedere.
A Radiant Garden le “ville” erano diverse, assomigliavano più a vecchie case d’epoca, un po’ rovinate e usurate, non di certo a quelle piccole regge in miniatura.

«  Se ti muovi riusciamo a cuocere gli spaghetti in tempo, non ho idea di quanto ci voglia», lo rimbeccò Roxas, già alla porta di casa che trafficava con le chiavi.
Axel abbandonò con sommo dispiacere il giardino e lo raggiunse davanti all’uscio, guardando il mazzo  che tintinnava tra le mani dell’altro.

«  A che ti servono tutte quelle chiavi? »
Roxas scrollò le spalle, infilando quella giusta nella serratura; mentre girava la chiave nella toppa, riprese a parlare, «  vediamo … una è per la casa, l’altra per il garage, una per il motorino, una è per l’armadietto di scuola, poi c’è quella della cassetta della posta e ah, già, anche quella di mia nonna.»
«  D’accordo, d’accordo, puoi aprire l’intera città, ora non vantartene troppo », lo derise il fulvo, dandogli una leggera spallata quando l’altro aprì la porta, «  ok, wow, dentro è ancora più bella. »
Axel se ne rimase fermo all’entrata, guardandosi intorno come se si trovasse su un set cinematografico, piuttosto che in una vera casa.
Roxas al suo fianco scrollò le spalle. Per lui non c’era niente di fantastico o emozionante, era cresciuto in case belle come quella, era abituato alla paghetta settimanale e al lusso. A lui stupivano gli oggetti vecchi e logori, i posti disabitati e le vecchie rovine.

«  Quello è un vero candelabro? Ti prego, dimmi che è fatto di diamante.»
Roxas sollevò il capo, proprio dove il dito di Axel indicava, e poi sbuffò dal naso.
Appoggiò a terra la tracolla e girò attorno al fulvo, appoggiando entrambe le mani sopra le sue spalle per spingerlo a camminare.

«  No, ovviamente sono Swarovsky. Solo nei film ci sono candelabri del genere. Sarebbe un vero spreco di soldi farlo tutti di diamante.»
Axel soffiò ugualmente un “ ooh”  ammirato, lasciandosi guidare verso la cucina da Roxas.
Anche lì il maggiore rimase per un po’ a guardarsi intorno, storcendo il naso al pensiero che la cucina dell’altro fosse sì e no grande come metà della sua casa.
Poi seguì gli ordini perentori di Roxas – impartiti addirittura con un gesto secco delle mani- e si sedette sopra la sedia, incrociando le braccia sopra al tavolo.
Per qualche secondo osservò il biondo alle prese con la pentola e la scatola di spaghetti, poi sorrise leggermente al ricordo che nessuno dei due era un cuoco poi così portato.

« Non c’è tua madre o tuo fratello, allora? », domandò poco dopo, con gli occhi verdi che seguivano i movimenti di Roxas lì affianco.
Il biondo scrollò le spalle e si voltò, abbandonando a se stessa la pentola dietro di sé.
Ne mancava di tempo prima che l’acqua bollisse.

«  Ven è via con dei suoi amici e mia mamma …», si fermò, osservando la porta della cucina socchiusa, «  credo sia su di sopra », e sperava vivamente che ci rimanesse, anche se era quasi ora di cena e prima o poi sarebbe scesa a prendersi almeno qualcosa da bere.
Roxas contava di aver già finito di cenare entro un’ora prima di vedere Naminé scendere le scale in cerca di qualche alcolico pesante.
Axel, vedendo il volto dell’altro leggermente a disagio, si schiarì la voce e si alzò dalla sedia.

«  Non fare quella faccia, se continui così sarò costretto a fare qualcosa per levarti quel broncio», cominciò a parlare, avvicinandosi al biondo con un mezzo sorriso.
Roxas ricambiò lo sguardo, le guance leggermente più rosse del normale e le braccia che si incrociavano davanti al petto.

«  Ah sì? Tipo cosa? », gli domandò con una certa arguzia che fece aumentare il sorriso di Axel.
Dio, come se non lo sapesse!
Axel impazziva ogni volta che vedeva quell’espressione in volto a Roxas, quegli occhi arzilli e saccenti, le labbra che si incurvavano in un sorrisetto provocatorio.
Forse era solo un gioco, uno scambio di battute come tutte le altre volte, ma Axel si fece avanti ugualmente.
Le mani del fulvo scivolarono verso il volto dell’altro, le dita corsero subito ad accarezzare le guance bollenti.

«  Non lo so, pensavo innanzitutto di far sparire quella sottospecie di broncio, non ti dona affatto », iniziò a dire, lasciando scivolare le mani verso i fianchi di Roxas.
Il biondo serrò appena le labbra, irrigidendosi un poco, senza però scostarsi o cacciare via l’altro.
Axel lo prese come un buon segno.
Le mani strinsero leggermente di più la carne dell’altro, sentendo il calore della pelle sotto la maglietta leggera.

«  La mia faccia non cambia tanto facilmente », ribatté a bassa voce Roxas, indeciso perfino se parlare o meno.
Parlò solamente per non rimanere in silenzio, solo per spezzare l’imbarazzo che si sentiva premere addosso.
Axel scrollò le spalle, chinando lentamente il capo verso il basso.

«  Io potrei farla cambiare tutti i giorni », disse, socchiudendo gli occhi, il cuore che prendeva a battere talmente forte nel petto da fargli mancare il fiato, «  ogni giorno », continuò, la gola secca e la sensazione di essere tornato indietro nel tempo, alla sua prima cotta.
Roxas se ne stava fermo contro al lavello, gli occhi incollati a quelli di Axel, l’espressione neutra, il volto bollente.
Solamente le labbra si erano schiuse appena, in un invito troppo stuzzicante per poterci rinunciare.
Axel si chinò verso la bocca di Roxas in un impulso impossibile da trattenere.

«  Che diavolo state facendo!? »
La voce di Naminé risuonò come il rintocco di una campana, riuscì ad immobilizzare l’intera scena, pietrificando sia Axel che Roxas.
Entrambi voltarono il capo verso la donna, il biondo con gli occhi sgranati ed Axel con talmente tanta mortificazione in corpo che sarebbe voluto morire lì sul colpo.

«  Io non … scusi signora, stavo solo scherzando un po’», provò a parlare Axel, allontanandosi subito da Roxas con uno scatto, prima di scuotere la testa e guardare altrove.
Tutto, tranne che gli occhi furiosi della donna e il suo viso paonazzo.
Naminé ignorò le parole del fulvo, mentre gli occhi dardeggiavano verso suo figlio.

«  E’ per questo che non torni a casa? E’ per lui che te ne stai in giro tutto il tempo in quello schifo di posto?«», Roxas aprì la bocca, ma Naminé lo precedette, «  Sì, sì, lo so dove vai, in che razza di posti vai. Nel east side, in quella … quella fogna! »
«  Mamma », provò a parlare nuovamente Roxas, ora il volto congestionato non più dall’imbarazzo, ma dalla rabbia, «  è la stessa città, è sempre The World, non cambia niente! »
«  Cambia tutto Roxas, tutto », la donna scosse il capo, gli occhi lucidi. Naminé si passò la mano sopra il volto, indietreggiando leggermente, «  guarda le persone che ci sono lì, guarda cos’hanno fatto al mio bambino. »
Axel si sentì talmente a disagio da sentire il bisogno di correre via da lì il prima possibile.
Il volto della donna sembrava sul punto di spezzarsi, gli occhi lucidi e prossimi alle lacrime.
Per non parlare degli sguardi che aveva lanciato poco prima ad entrambi!
Axel sentiva i sensi di colpa scavargli nello stomaco. Era stato lui a provarci con suo figlio, aveva tutte le ragioni del mondo per disprezzarlo.

«  Mamma, ascoltami, davvero …», Roxas ancora provava a parlare con lei, ora si era anche avvicinato di qualche passo, lo sguardo leggermente più apprensivo, «  non centra niente che sia nella parte est oppure ovest, la città non cambia affatto. Io sono sempre io, ovunque sia. »
La mano della donna si mosse così velocemente che Roxas non riuscì ad evitarla.
Ciaff.
Il suono rimbombò per tutta la cucina, trascinandosi dietro qualche secondo di silenzio.

«  Sta’ zitto ora e va’ in camera tua. Tu non sei così, tu non vai in giro con straccioni del genere e non baci i ragazzi! »
A quell’ultima frase Axel si sentì avvampare talmente tanto che nascose il volto dietro la mano destra.
Fece un passo avanti, abbassando il capo.

«  Mi dispiace, ora me ne vado, capisco che … non importa, io, ecco, mi dispiace », si morse la lingua nel parlare, il capo chino e l’intero corpo che supplicava la resa.
Sentiva il cuore in gola, il corpo teso e sudato come se avesse corso per miglia e miglia senza fermarsi.
Sotto sotto, d’altronde, sentiva lo stomaco contrarsi all’idea di andarsene e lasciare lì Roxas, di andarsene via senza difendere né lui, né i sentimenti che provava.
Ma cosa poteva fare?
Axel guardò Roxas tristemente, l’altro ricambiò lo sguardo, quasi supplichevole.
Era minorenne, ed Axel non avrebbe dovuto essere lì.

«  Mi scusi per il disturbo, mi scusi », si scusò ancora una volta, cominciando ad incamminarsi verso l’uscita, mentre la voce di Roxas gli raggiungeva le orecchie, insieme al suono della porta della cucina che sbatteva.
Axel corse praticamente via, fuori dalla porta di casa, lungo il giardino, senza pensare nemmeno un secondo alla possibilità di tornare indietro e portarsi Roxas con sé.
Non fece nulla, la codardia lo fece solamente correre verso il cancello d’uscita, dove andò a sbattere contro un volto talmente famigliare da fargli contrarre le budella.
Roxas,  pensò subito, ma non appena incrociò gli occhi straniti del ragazzo a terra, si diede dell’idiota.  Roxas era in cucina.
Senza dire nemmeno una parola lasciò Ventus contro il marciapiede, riprendendo a camminare velocemente lungo la via del Villaggio del Sole.









***
Bene, bene, bene.
Si avvicinano le vacanze natalizie e il prossimo aggiornamente dovrebbe cadere proprio il giorno di Natale, quindi temo che salterò di una settimana, sì, mi prenderò una settimana sabbatica.
QUINDI, visto che per Natale non sarò qui ad ammorbare EFP con questa storia, ho messo un piccolo regalo in questo capitolo. Un piccolo ed innocente bacino da bambino piccino picciò.
Bravo Roxas, stai migliorando.
E ora come di consueto: LE DOMANDE!
1) Perché Axel non ha messo la lingua?
2) Quanto è ricco esattamente Roxas?
3) Naminé è davvero stronza oppure ha solo paura per i propri figli?
4) Ventus come reagirà alla vista di sexy Axel che lo sbatte a terra?

Al prossimo capitolo che, ahimé, arriverà tardi.
( Ps: la storia che racconta Luxord all'inizio è una vera leggenda davvero molto, molto carina, andate a leggervela ;c )

 

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Capitolo 10
*** IX ***


IX


 
 
 
“ Hola, sono Axel, in questo momento non posso parlare, lasciate un messaggio e vi richiamerò alla velocità di  3 × 108  m/s”
Era una bugia bella e buona.
Roxas aveva provato a chiamare Axel dal giorno precedente, ma non aveva ricevuto nessuna risposta e, quanto meno, nessuna chiamata alla velocità della luce.
Con uno sbuffo spazientito Roxas gettò il cellulare sopra al letto, trattenendosi a forza dal non gettare il telefono contro al muro.
Axel se n’era andato due giorni prima da casa sua e ancora non si era fatto sentire.
Certo, non era passato poi così molto tempo, ma Roxas era ugualmente preoccupato; temeva che il fulvo potesse sparire del tutto, era nervoso al solo pensiero che quella notte sarebbe stata l’ultima trascorsa insieme.
Aveva un ricordo vivido del teatro, delle labbra di Axel contro le proprie, ma quello che sfolgorava nella sua mente con maggiore intensità era il barlume di colpevolezza che era passato sul volto di Axel non appena Naminé li aveva visti vicini.
Roxas non riusciva a levarsi dalla testa l’immagine del ragazzo che se ne andava via di tutta fretta, e quel ricordo lo rendeva inquieto.
Da quella notte, c’era anche da dire, che di tempo per pensare e piangersi addosso ne aveva avuto a sufficienza.
Naminé l’aveva messo in “ punizione” – per quanto Roxas le avesse urlato contro che non era più un bambino- e non era riuscito a mettere un solo piede fuori dalla camera da letto.
Mangiava solamente quando sua madre gli diceva di scendere e cercava in tutti i modi di evitare lo sguardo compassionevole di Ventus.
Il gemello aveva provato a sgattaiolare in camera sua un paio di volte, ma prontamente Roxas aveva girato la chiave nella toppa e aveva ignorato le sue domande.
Non aveva voglia di parlare con Ventus e quantomeno di rispondere alle sue domande.

«  E’ vero quello che mi ha detto Terra? »
«  Chi era quel ragazzo? »
«  Come mai la mamma si è arrabbiata? »
Tutte domande a cui Roxas non aveva voglia di dare una spiegazione, per quanto ovvia che fosse.
Terra aveva ragione, quello era il ragazzo con cui passava il tempo e sua madre era arrabbiata perché non accettava la più semplice delle situazioni.
Ma la cosa che premeva maggiormente a Roxas, alla fine, non era la sua famiglia, tutt’altro.
Era Axel.
Axel che non rispondeva nemmeno ad un dannatissimo messaggio!
Con rabbia il biondo afferrò nuovamente il cellulare e tentò per l’ennesima volta a digitare il numero del fulvo, sperando di sentire la sua voce e non quella pre-registrata di quella stupida segreteria telefonica.
Ovviamente non ebbe successo nemmeno questa volta.
Roxas si lasciò scappare un sospiro esasperato e si lasciò scivolare sopra al letto sfatto, gli occhi che sorvolavano sopra al soffitto azzurro.

«  Cos’ho fatto di male?», domandò al cemento sopra di sé, come se si aspettasse una vera risposta, «  era solo un bacio. »
Socchiuse gli occhi, cercando di cacciare via il bruciore che sentiva scivolargli nel naso.
Piangere non era la soluzione giusta. Non aveva versato una lacrima alla morte del nonno, non aveva singhiozzato quando il loro cane era sparito da un giorno all’altro, non avrebbe pianto perché Axel non gli rispondeva al cellulare.
Doveva solamente uscire da quella stanza e andare da lui, lì non avrebbe più potuto ignorarlo e allora Roxas gli avrebbe detto le cose come stavano.
Demyx e Zexion avevano detto la verità, quella mattina a casa loro: non aveva senso negare qualcosa, quando si era sicuri di provarla.
A Roxas piaceva Axel, il biondo lo sapeva. Aveva ignorato quei sentimenti, un po’ spaventato e un po’ indeciso, ma ora che rischiava di perdere ogni cosa era pronto ad andare dall’altro ragazzo e dirgli tutto.
Voleva dirgli che gli piaceva la sua voce, gli piacevano le sue mani, il suo profumo – sì, anche quando puzzava di patatine fritte e disinfettante-, gli piaceva parlare con lui e aveva scoperto che gli piaceva anche baciarlo.
Eccome se gli piaceva.
Sua nonna aveva dato una svolta decisa ai suoi pensieri e gli aveva fatto ammettere a voce alta, alla fine, qualcosa che non era mai riuscito a pronunciare prima in vita sua.

«  Nonna, mi piace una persona »
Era rimasto al telefono con Tatty quella stessa mattina, ascoltando la voce soffusa della nonna dall’altro capo del telefono, felice anche solo di sentirla parlare, con quella voce che sembrava balsamo per le sue ferite.
Tatty gli aveva detto di non preoccuparsi, che la vita era fatta di alti e bassi, ma che prima o poi tutto si sarebbe aggiustato. Roxas non ne era tanto sicuro, ma aveva sorriso alle sue parole e l’aveva lasciata tornare ai suoi dolci alla cannella.
Roxas si passò la mano destra sopra al volto, massaggiandosi le tempie, quando il bussare alla porta lo distrasse dai suoi pensieri.
Toc toc toc.
Non rispose e i colpi ritornarono a risuonare nella stanza.
Con un sospiro esasperato Roxas si sollevò sopra al materasso, gettando a terra col piede due confezioni vuote di cioccolato.

«  Che vuoi Ven? Sono occupato. »
Dall’altro capo della porta non rispose nessuno, solo un colpo di tosse.
Roxas sbuffò, spazientito, e scalciò nuovamente a terra dei fogli di carta spiegazzati.
Aveva una gran voglia di prendere a pugni tutto e tutti, al momento.

«  Davvero, che cosa diavolo vuoi? Non ho voglia di stare qui a parlare con la porta. »
Finalmente la voce del gemello si fece sentire, leggermente più fioca del solito, quasi stanca.
«  Rox … mi vuoi dire che sta succedendo? »
Ecco, era questo il vero problema! Non era successo niente, tutto era perfettamente normale, eppure tutte le persone che lo circondavano erano convinti che fosse successo qualcosa di orribile.
Anche Ventus era uscito un paio di volte con una ragazza, e allora? Nessuno ne aveva fatto una tragedia.

«  Non c’è niente da dire, va via », rispose semplicemente il biondo, serrando le labbra e guardando la porta come se fosse Ventus stesso.
Incrociò le braccia al petto e rilassò leggermente le gambe sopra al materasso, continuando a guardare la porta.

«  Posso entrare? »
«  Solo se io posso uscire. »
Ventus non rispose e Roxas digrignò appena i denti.
Quante volte Roxas aveva violato le regole della madre per fare felice Ventus? Quante volte si era beccato ramanzine su ramanzine perché aveva coperto il gemello?
Ora invece Ventus se ne rimaneva immobile a guardare quell’ingiustizia senza fare nulla.
Roxas si alzò dal letto con un balzo e raggiunse la porta in pochi passi, picchiando il pugno contro il legno duro.
Più tardi sarebbe spuntato fuori un bel livido, ma al momento non gliene importava proprio nulla.

«  Cazzo Ventus, fammi un favore, solo uno, per una volta! Fammi uscire di casa senza fare la spia. »
Dall’altra parte della porta il gemello temporeggiò, prima di guardarsi intorno con una certa paura.
«  Ma la mamma ha detto … »
«  Cosa? Che sono in punizione? Davvero? Vorrei proprio capirne il motivo », sibilò Roxas di fronte la porta, trattenendosi dal prenderla a pugni per davvero.
Il biondo serrò gli occhi e appoggiò la fronte contro il legno, strofinando il capo per qualche secondo.

«  Per favore Ven, devo andare via un attimo, dopo … ti giuro che ti dirò tutto.»
Ventus tirò verso il basso la maniglia e senza aspettare il permesso di Roxas – che tanto non l’avrebbe mai fatto entrare nella sua stanza- aprì la porta.
Il biondo indietreggiò non appena sentì i cigoli stridere leggermente e se ne rimase fermo davanti all’uscio, le braccia incrociate e lo sguardo rancoroso.
Ventus nemmeno lo guardava in faccia.

«  Non mi dirai niente, già lo so, ma questo non vuol dire che non ti voglio bene e che ti lascerò qui dentro a marcire», poi sollevò lo sguardo, incrociando il volto ostile del gemello, «  ci sono Hayner e Xion qua fuori, non li ho fatti entrare perché la mamma ha detto che non puoi ricevere visite, ma farò finta di non averli nemmeno visti.»
“Perfetto”, pensò Roxas, “l’ultima persona che voglio vedere è l’unica con cui posso parlare.”
Il biondo ci mise un po’ prima di rispondere a Ventus, prendendosi del tempo a guardare l’espressione leggermente colpevole sul volto del gemello.
Sembrava dispiaciuto, certo, ma al tempo stesso credeva di dare una mano a Roxas lasciandogli vedere quelli che secondo lui erano suoi amici.
Per un secondo Roxas sospirò, poi cercò di sembrare leggermente più felice.
Un’impresa, ma le labbra si sollevarono leggermente verso l’alto, a fatica.

«  Grazie », disse semplicemente a Ventus, superandolo e uscendo dalla camera.
Solo fare le scale gli diede una leggera sensazione di libertà che gli alleggerì il petto.
Ora doveva solamente parlare con Hayner o Xion per qualche secondo, tenere sotto controllo Ventus, e andarsene al momento migliore.
Il gemello, mentre Roxas congetturava una possibile via di fuga, l’aveva accompagnato giù dalle scale ed era corso alla porta a chiamare gli altri due.
Roxas si fermò nell’atrio, guardando la porta socchiusa e subito dopo il candeliere appeso, che scintillava ai fasci di luce solare.
Accennò ad un leggero sorriso.
Dall’ingresso apparve solamente la nuca scura di Xion, i capelli lucenti sotto la luce del sole.
Roxas non riuscì a non accennare un leggero sorriso nel vederla, ricordandosi perfettamente cos’era successo l’ultima volta che aveva posato lo sguardo sopra al suo viso.
Era rigato dalle lacrime, ma in un certo senso molto più sereno di quanto non fosse ora.
La ragazza indossava il suo sguardo più stizzito, accentuato dalle braccia strette al petto e le labbra assottigliate.
Ventus se ne andò poco dopo, lasciandoli da soli con un solo sguardo incuriosito, e sparì verso la cucina.
Si udì solamente il rumore della porta del frigo che si apriva e si richiudeva, poi nient’altro.

«  Quindi …», incominciò Roxas, non sapendo nemmeno dove andare a parare, «  come mai sei qui? »
Forse suonò un po’ più rude di quello che avrebbe dovuto essere, ma il biondo non aveva seriamente idea del perché la ragazza fosse andata a trovarlo. Credeva che l’avrebbe rivista solamente nei corridoi scolastici, magari a qualche lezione in comune, ma nulla di più.
Invece Xion era lì, a guardarlo malamente, come se non volesse affatto essere lì. Ecco perché la domanda era uscita dalle labbra di Roxas così spontaneamente.

«  Sono venuta solamente per farti le mie congratulazioni. »
Roxas corrugò leggermente la fronte, mentre gli occhi scivolavano dal volto della giovane fino alla porta socchiusa.
Aveva solo una gran voglia di spingerla di lato e andarsene via, ma ancora una volta non riuscì a trattenere le parole che gli solleticavano la lingua.

«  E per che cosa, si può sapere? »
Lo sguardo di Xion si stizzì ancora di più, arrivando quasi a dardeggiare nella direzione del biondo.
Roxas la vide schiudere le labbra, per poi serrarle nuovamente.
Solo le braccia della ragazza si erano mosse, portando una mano ad aggiustarsi una ciocca ribelle di capelli.

«  Per non avermi detto niente, per avermi fatto sprecare tempo a venirti dietro», parlò alla fine Xion, sollevando le labbra in un leggero sorrisetto ironico, «  se l’avessi saputo non mi sarei nemmeno avvicinata ad uno come te.»
Roxas sbatté le palpebre un paio di volte, prima di rispondere alle sue parole.
«  Uno … come me? E che diavolo dovrebbe significare?», le chiese, scuotendo la testa, fingendo di non capire.
In fondo già lo sapeva, dove voleva arrivare a parare la ragazza; Roxas sentiva un leggero senso di timore nel petto, un masso nello stomaco.
Xion schioccò le labbra e lo guardò da capo a piedi, arricciando le labbra.

«  Se avessi saputo che baciavi i ragazzi, con quelle labbra, non me le sarei mai sognata la notte.»
Esattamente a questo, ecco dove voleva arrivare Xion.
Roxas sospirò amaramente e scosse la testa, cercando di levarsi dal petto quell’orribile sensazione di ansia che sembrava mangiarlo vivo.

«  Non sai nemmeno di cosa parli, andiamo.»
«  Terra me l’ha detto, l’ha detto a tutti, sai? A me, a Ventus, ad Acqua, a tutti quanti. »
«  Terra non c’era nemmeno e tutti voi gli date retta?», sbottò prontamente Roxas, infastidito dalla piega della conversazione.
Certo, era vero, aveva baciato Axel, l’avrebbe rifatto volentieri, ma non apprezzava affatto l’idea di essere guardato in quel modo. Con sottile ribrezzo e compassione gratuita.
Fece un passo avanti, non tanto per raggiungere Xion quanto la porta, ma la ragazza indietreggiò, come se temesse perfino di essere toccata.

«  Non lo neghi però, vero? Non mi dici che si sbaglia, non mi dici che sei etero, non dici proprio nulla!», la voce di Xion rimbombò nell’ingresso, infrangendosi contro le pareti.
Roxas si fermò di colpo, come se l’eco delle parole della ragazza stessero ancora risuonando nella stanza.
Impallidì leggermente, portando prontamente lo sguardo verso la cucina, poi dietro di sé, lungo le scale.
Sollevò la mano, nella speranza di zittire l’altra.

« Non c’è bisogno di urlare, se vuoi parlare allora d’accordo, ma non qui e non adesso.»
Xion indietreggiò, continuando a sorridere amaramente, scuotendo la testa.
I capelli corti e lisci ondeggiarono da una parte all’altra, qualche ciocca riuscì a sfuggire dalla presa delle forcine bianche.

«  Perché non qui? Per caso hai paura che qualcuno ci senta? Ma che importa, sto dicendo solamente la verità. Sei gay, gay! Nemmeno me lo dici in faccia! »
«  Ti ho detto di star zitta!», tuonò Roxas un secondo dopo, esplodendo a voce alta come mai aveva fatto. Non urlava mai, il biondo, non l’aveva mai fatto in vita sua.
Non da piccolo, quando Ventus gli rubava i giochi, e nemmeno da adolescente, quando in classe lo prendevano in giro.
Non urlava mai, eppure adesso la voce era uscita dalle sue labbra con talmente tanta forza da parere un ruggito.
Con le mani strette a pugno fece un altro passo avanti, mentre la nuca di Ventus spuntava fuori dalla cucina, senza avanzare oltre.

«  Ma che cazzo di problemi avete tutti, si può sapere? Cosa c’è che non va nelle vostre teste?», domandò a voce alta, guardandosi intorno come se ci fosse anche sua madre lì con loro, «  spiegami cosa c’è di sbagliato? Cosa rende una persona inferiore, se vuole stare con qualcuno del suo stesso sesso?»
Xion non rispose, si limitò a sibilare un: “ che schifo” prima di dargli le spalle e andarsene via, aprendo del tutto la porta socchiusa.
Roxas osservò la luce proveniente dalla strada e poi si voltò verso Ventus.
Si specchiò nei suoi occhi – talmente simili ai suoi che temette di trovarsi davanti ad uno specchio- e non trovò altro che delusione.
Era così che stavano le cose, allora? Anche suo fratello lo disprezzava per una cosa del genere?
Roxas serrò le labbra e scosse piano il capo, osservando la porta aperta e avanzando senza esitare.
Non gli importava di essere messo in punizione per un anno, non gliene fregava nulla se sua madre l’avrebbe preso a schiaffi ancora una volta, ora voleva uscire.
E così fece.
Spinse del tutto la porta contro al muro e uscì fuori, all’aria aperta, sotto al sole caldo dei primi giorni d’agosto.
L’estate sorgeva rigogliosa davanti ai suoi occhi, con il caldo accecante del sole e le lucertole sopra ai marciapiedi, ma Roxas – il corpo ancora tremante di rabbia e umiliazione- andò dritto lungo il vialetto del cortile, senza gettare un solo sguardo al mondo attorno a sé.
Ignorò anche la voce di Ventus, fermo sulla porta, che chiamava il suo nome.

«  Roxas, ti prego, non –»
Ma non disse altro. Ventus rimase fermo, le mani aggrappate alla soglia come se temesse di mettere un solo piede fuori casa.
Roxas non si voltò nemmeno a guardarlo, ora i suoi occhi erano calati sopra Xion e  Hayner poco distanti da lì, che camminavano lungo il marciapiede.

«  Hey», iniziò ad urlare, «  Hey!»
Entrambi si voltarono, osservando il biondo mentre gli si avvicinava. Xion teneva ancora le braccia incrociate al petto, mentre l’altro ragazzo le lasciava ciondolare lungo i fianchi.
«  Non ci parlare, Lys.»
Roxas si fermò davanti ad Hayner, scuotendo il capo, osservandolo con rabbia; per qualche secondo rimasero in silenzio a fissarsi, a pochi centimetri di distanza, gli occhi che dardeggiavano rabbia.
«  Adesso sono Lys, non Roxas?», domandò alla fine, il capo sollevato a fronteggiare quello dell’altro, «  molto intelligente, non c’è che dire.»
«  Sta zitto », gli sibilò contro Hayner, sollevando la mano destra e spingendo leggermente Roxas all’indietro, allontanandolo da sé, «  non starmi così vicino, finocchio.»
Roxas rise leggermente, con disprezzo, mentre un leggero rossore di vergogna gli colorò le orecchie e il collo.
«  Davvero? Sei serio?», gli domandò solamente, scuotendo il capo, «  non ti toccherei nemmeno con un dito, non preoccuparti.»
La mano di Hayner tornò a spingerlo all’indietro, questa volta con un colpo un po’ più forte.
Xion al loro fianco non emise nemmeno un fiato, sembrava paralizzata e immobile, con gli occhi fissi sopra la scena.
Roxas sentì la rabbia montare in corpo ancora di più.

«  E’ così allora? Quando va bene a voi dovrei essere vostro amico, non è vero? Roxas, il ragazzo silenzioso che solo voi potete capire, ma quando gira una voce su di me nemmeno pensate di venirmi a parlare, almeno a chiedermi cosa ne potrei pensare?!», gli occhi del biondo saettarono prima sopra al volto della ragazza, poi su quello di Hayner, prima di abbassarsi nuovamente, «  siete voi a farmi schifo, non io a voi. E’ ridicolo, davvero … ridicolo.»
«  E’ ridicolo il fatto che il mio compagno di classe sia una checca. Ci siamo cambiati insieme, nella stessa classe! Che schifo.»
Non fingeva.
Il volto di Hayner pareva contratto nell’orrore, disgustato come se si trovasse davanti ad una carcassa di animale, piuttosto che al ragazzo che aveva più volte chiamato “ amico”:
Era questo che faceva ribollire il sangue a Roxas, questo che lo spingeva a riavvicinarsi a lui e fronteggiarlo.
Hayner era l’unico in tutta la classe che si era proclamato suo amico e aveva continuato ad invitarlo ad uscire, anche se ogni volta Roxas rifiutava.
Hayner era sempre stato l’unico gentile, che non lo lasciava mangiare da solo durante l’intervallo; era il ragazzo che la mattina gli chiedeva di fargli copiare i compiti, che a mezzogiorno divideva il suo panino con lui, era il ragazzo che il pomeriggio lo invitava a giocare ai videogame e sorrideva ai suoi no.
Non erano mai stati amici, non nel vero senso della parola, ma vedere le sue labbra contrarsi in quel modo e sibilare quelle offese era terribile.

«  Hayner, io …»
Io non sono gay.
Avrebbe voluto pronunciare quelle parole, ma non riuscì a continuare. Non sapeva cosa l’avesse portato a provare certi sentimenti per un uomo, ma nemmeno gli importava.
Axel,  d’altronde, era qualcosa di diverso.
A Roxas non piaceva solamente perché era un uomo di per sé, avrebbe anche potuto essere una ragazza e nulla sarebbe cambiato.
Axel gli piaceva per com’era, per la sua essenza, non per il suo fisico. Forse molte altre persone si sarebbero schifate all’idea di provare dei sentimenti per qualcuno dello stesso sesso, ignorando i propri desideri, sotterrandoli sempre più a fondo, Roxas aveva solamente fatto il contrario.
Non era corso via da quello che provava e non se ne pentiva.

«  Forse mi piace un ragazzo, ma non sono affari vostri », disse alla fine Roxas, rilassando leggermente le braccia, che fino a quel momento erano rimaste rigide e tese lungo i fianchi.
Hayner scosse la testa e come se niente fosse sollevò la mano destra.
Le nocche si scontrarono contro la guancia di Roxas e lo fecero indietreggiare di un passo solo, mentre gli occhi azzurri si sollevavano con stupore verso il ragazzo.

«  Hayner, fermo!», la voce di Xion spezzò quei pochi secondi di silenzio, ma non fermò affatto il ragazzo.
Hayner aveva lo sguardo puntato contro il volto di Roxas, la rabbia che gli faceva tremare ancora la mano stretta a pugno.
Il ragazzo si avvicinò a Roxas e strinse prontamente il bavero della maglia del biondo, così da tirarselo vicino, mentre Roxas lo fissava in un misto di disprezzo e spavento.

«  Volevo essere tuo amico e tu non mi hai detto nulla», gli sibilò contro, il volto talmente vicino che Roxas riuscì a sentire il profumo di frappé al cioccolato sotto al naso.
Il biondo scosse la testa, boccheggiando leggermente.

«  Non dovrebbe importarti.»
«  Invece mi importa eccome! »
Arrivò un altro colpo, più forte di prima, che fece strizzare gli occhi a Roxas.
Poi un altro e un altro ancora, finché il biondo non sentì il sapore di sangue in bocca e il volto in fiamme. Tossì il sapore ferroso e si divincolò dalla presa dell’altro, finché non si ritrovò a terra l’attimo dopo, quando la mano di Hayner mollò la sua maglietta.
Per qualche secondo rimase steso sopra al marciapiede, la testa che girava e la guancia bollente che pulsava al ritmo del suo cuore.
Poi aprì gli occhi e vide Hayner con il braccio alzato, la mano ancora stretta a pugno, e Xion lì affianco che gli tratteneva il braccio.

«  Ti prego, andiamo via, lascia stare », supplicava la voce della ragazza, mentre l’altro continuava a fissare Roxas in un misto di incredulità e rabbia.
Gli occhi castani scesero sopra il volto pesto del biondo, sullo zigomo arrossato, sopra il taglio ben visibile sulla guancia, e poi si allontanò.
La rabbia era svanita di colpo e il volto di Hayner si rattristò in un secondo, fiacco e molle come quello di un vecchio; abbassò il braccio e guardò Xion al suo fianco, mormorando qualcosa che Roxas non riuscì a sentire.
Semplicemente gli diede le spalle e iniziò a camminare, senza guardarsi indietro nemmeno una volta.
Xion temporeggiò per qualche secondo, osservando Roxas a terra e poi la schiena del suo amico.
Alla fine serrò le labbra e corse dietro ad Hayner, al suo fianco, finché entrambi non svoltarono la via.
Il biondo si portò la mano sopra la guancia, serrando le labbra nel sentire lo zigomo sporco di sangue e gonfio.
Si voltò di lato e sputò a terra un po’ di saliva rosata e socchiuse gli occhi, cercando un fazzoletto di carta nella tasca dei jeans.

«  Roxas…»
Ventus era ancora là, sulla porta di casa oltre il giardino recintato, sotto una piccola scia di luce che lo illuminava a metà,  e lo fissava.
Non fece un solo passo per raggiungerlo, non disse altro.
Roxas si alzò a fatica da terra e, barcollando leggermente, proseguì per la sua strada.
 

 
***
 
 
Il tavolo era talmente lucido da portercisi specchiare sopra.
Axel riusciva a vedere il proprio riflesso sopra al tavolo numero 15 del Jimbo’s eppure continuava a muovere ritmicamente la mano sopra la superficie con un movimento meccanico.
Spruzzava lo spray, appoggiava il contenitore di lato, e riprendere a pulire quell’unico punto con una cura quasi maniacale.
Poco gli importava degli sguardi incuriositi di Marluxia o delle lamentele di Larxene, il fulvo continuava a pulire lentamente, concentrandosi su ogni piccola macchia di unto.

«  E’ il mio lavoro, devo farlo bene.»
Continuava a ripetersi, lo sguardo corrugato, le labbra serrate e le mani indolenzite.
I clienti non gli facevano neppure caso, aggirandolo con un sorriso tra le labbra e i propri pensieri per la testa.
Axel riusciva solamente a sentire il chiacchiericcio dei ragazzi, le risate che scrosciavano verso i tavoli in fondo, e si chiedeva come mai lui non potesse permettersi la stessa frivola felicità: uscire con i suoi amici, andare a mangiare un panino, ridere e scherzare.
No, la vita così non faceva per lui.
Axel era attratto da tutto ciò che era complesso e impossibile da avere.
Prima la sua idea del teatro, poi i soldi, infine Roxas; tre cose che non sarebbe mai riuscito ad ottenere.
Chi voleva prendere in giro? Era un ventenne senza un soldo, oramai troppo vecchio per poter entrare nel giro della recitazione, e Roxas era troppo piccolo per lui, ancora un ragazzino.
Aveva visto lo sguardo ferito del biondo, la sera in cui sua madre l’aveva visto insieme a lui, e si era detto che così non poteva andare.
Non poteva permettersi di rovinare la vita di Roxas in quel modo, allontanandolo dalla sua famiglia senza sentirsene nemmeno in colpa.
Allora aveva iniziato ad ignorare i suoi messaggi e le sue chiamate, dedicandosi ad intense giornate di lavoro.
Erano due giorni che aveva chiesto a Marluxia di mettergli un doppio turno nella speranza di tenere la mente occupata e il portafoglio più pieno.
Se non altro a fine mese la busta paga sarebbe stata più gratificante del solito, certo, ma per quanto riguardava i suoi pensieri ...
Axel serrò le labbra, abbassando nuovamente lo sguardo sopra al tavolo lustro.
Osservò la forma sbiadita della sua faccia, un riflesso distorto e confuso, prima di sospirare.
“ Intenti pulire ancora per molto?”, gli domandò Marluxia, comparso improvvisamente al suo fianco.
Il giovane uomo strofinò l’indice sopra al tavolo e si voltò verso Axel, sollevando un sopracciglio.

«  E’ talmente pulito che potrei leccarlo.»
« Sarebbe ugualmente disgustoso», si limitò a dire il fulvo, arricciando le labbra in una falsa smorfia disgustata.
Sollevò lo strofinaccio e se lo sbatté sopra la spalla destra, dove lo lasciò ciondolare leggermente verso la schiena.
Marluxia scrollò le spalle e incrociò le braccia al petto.

«  Allora ...», cominciò a parlare, schiarendosi la voce, «  tutto bene, Raggio di Sole?»
Axel storse maggiormente le labbra a quel soprannome – uno dei tanti, che cambiavano settimanalmente- e incassò il collo tra le spalle, come a voler dire un: “ che diavolo ne so?”
Marluxia si schiarì la voce ancora una volta, tossicchiando leggermente in cerca delle parole da dire.

«  Oggi sono portatore di buone notizie », dichiarò alla fine, sbattendo il palmo della mano destra sopra la spalla di Axel.
Lo strofinaccio cadde a terra, facendo sbuffare il giovane. Axel si chinò a terra per afferrarlo mentre Marluxia gli dedicava un altro sorrisetto.

«  Hai finito il turno, sei libero di andare! Felice? Niente più Jimbo’s e schifezze da pulire fino a domani.»
Dal largo sorriso che incorniciava le labbra del suo capo, Axel si rese conto che per Marluxia quella doveva seriamente essere una “ buona notizia.”
Non era lo stesso per il fulvo, invece, dove l’idea di uscire dal lavoro significava solamente ritrovarsi da solo con il proprio cervello.

«  Potresti anche sorridere un po’, così mi allontani tutti i clienti »
Axel serrò ancora di più le labbra, mentre gli occhi verdi si sollevavano verso l’altro e andavano a squadrare l’uomo davanti a sé.
Non aveva affatto voglia di scherzare, non in questi giorni.
Probabilmente se n’erano accorti tutti, a partire dai suoi coinquilini fino ad arrivare a Larxene, che stranamente non gli aveva rivolto nemmeno una parola sgarbata.

« Tanto ho finito di lavorare », mormorò poco dopo, notando che Marluxia lo stava guardando già da un po’ in attesa di una risposta.
L’uomo sorrise appena e sbuffò, prima di scuotere il capo.

«  Però sei ancora qui. Ti vedono e si spaventano.»
Axel mimò una risata secca, totalmente priva di gioia, e si sfilò il cappellino rosso dalla testa.
Con un sospiro si passò la mano tra i capelli e se li ravviò all’indietro, socchiudendo gli occhi.

«  Domani vengo anche di mattina, d’accordo? »
«  Cos’è, vuoi superare il record di ore che faccio io? », gli domandò Marluxia, afferrando il cappellino dell’altro e prendendo a passarselo di mano in mano come se fosse una pallina.
Axel osservò il suo berretto e poi nuovamente l’alto.

«  Ho solo bisogno di qualche soldo in più », si limitò a dire, tutt’altro che intenzionato a rispondere alle domande che di tanto in tanto l’altro gettava lì come se niente fosse.
Erano due giorni che Marluxia gli si avvicinava di soppiatto e bum, come un tuono a ciel sereno gli avvolgeva le spalle con un braccio e gli domandava con voce seria: 
«  amico, tutto bene? Come stai?»
Axel non aveva intenzione di rispondere ad una sola delle sue domande, perché era abbastanza ovvio che l’altro sapesse già la risposta.
Marluxia aveva solamente voglia di sentirsi dire in faccia che Axel stava male e che, dio, la sua vita faceva proprio schifo.
“ Tutto per colpa di un ragazzo”, pensava Axel con rammarico, ricordandosi poi che non si trattava affatto di un ragazzo qualunque.
Era un bellissimo, splendido, simpatico, intelligente, ragazzo.
Non uno che puoi trovare tutti i giorni in giro per strada, no, era uno su un milione, un diamante tra i sassi, era Roxas.
E l’idea di doverlo lasciare aveva ricordato ad Axel quante altre cose non era stato in grado di tenere o raggiungere.
Una vita fatta di fallimenti, si poteva dire.
Il fulvo sospirò affranto a quei pensieri, mentre Marluxia lì di fronte aveva preso a parlare su quanto, effettivamente, i soldi facessero la felicità.
Ecco un altro dei motivo per cui Axel non poteva dirsi felice: era talmente povero che non poteva nemmeno permettersi una nuova catena per la bicicletta e ora quella giaceva davanti al condominio, legata alla bella e meglio con un catenaccio.
Entro notte sicuramente qualcuno se la sarebbe fregata, poco ma sicuro.

« Senti, visto che qua ho finito ora vado, d’accordo?», Axel decise di interrompere il monologo di Marluxia, strappandogli dalle mani il proprio capello e consegnandoli in cambio lo strofinaccio e il detergente.
L’uomo fece una smorfia nel ritrovarsi tra le mani lo straccio umido e si lasciò andare ad un: “ ugh, schifo” leggermente acuto.
Axel sollevò appena le labbra, in un mezzo sorriso quasi caritatevole.

«  A domani, Zuccherino », esclamò Marluxia, sollevando la mano libera per poterla muovere in direzione di Axel.
Il ragazzo lo ignorò totalmente, passandogli affianco per raggiungere l’uscita.
L’aria tiepida della sera lo fece sospirare ancora di più, l’idea di dover tornare a casa, invece, gli fece solo venir voglia di accendersi una sigaretta e scappare il più lontano possibile.










***
Le feste sono finite e io sono riuscita a tornare a scrivere qualcosa, quindi " BENTORNATA MEL", me lo dico da sola così risparmio tempo.
Quindi quindi eccoci qui, un bel capitolo pieno di cosucce simpatiche, quindi non perdiamo tempo!
1) Xion è dispiaciuta oppure no?
2) Ventus farà qualche mossa prima o poi?
3) Roxas troverà Axel e riuscirà a parlarci?
Al prossimo capitolo, con qualche risposta in più!


Mel.

 

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Capitolo 11
*** X ***


X
 


 
 
Axel aveva camminato lentamente lungo la via di casa, proprio come si era ripromesso di fare.
Una sigaretta tra le labbra, la borsa a tracolla che ciondolava al suo fianco ad ogni passo, e il corpo stanco per l’intensa giornata di lavoro.
Il ragazzo aveva perso tempo a guardare le vetrine dei locali che più gli piacevano, sostando all’ingresso solo per osservare le persone che entravano e uscivano, finché il cielo non era andato via via a scurirsi.

« E’ il momento di tornare a casa », aveva mormorato allora, pronto a mangiare un panino e poi mettersi a letto, cercando di ignorare il desiderio di afferrare il cellulare e rimangiarsi la parola data.
Non avrebbe chiamato Roxas così come non gli avrebbe scritto, per lo meno per qualche giorno.
Non sapeva ancora cosa gli avrebbe detto o come si sarebbe giustificato, ma sicuramente, pensava, qualcosa avrebbe trovato.
Di  certo, alla fine,  non si aspettava di affrontare quella conversazione proprio quella sera; si era immaginato tante volte la scena, lui, seduto davanti ad un tè caldo, il biondo con le dita che torturavano le pellicine vicino all'unghia, ed Axel che parlava tranquillamente, sorseggiando la bevanda calda, spiegando tutto quello che gli era passato per la mente in quegli ultimi giorni. Una scenetta tranquilla, in un pomeriggio estivo, col sole al tramonto e il suono lontano delle automobili che si allontanavano dal centro città.
Axel aveva immaginato Roxas talmente tante volte in quei giorni che nemmeno si stupì nel vederlo davanti all’ingresso della sua palazzina proprio quella sera.
All’inizio l’aveva scambiato per l’ennesima fantasia – lì, all’ombra del condomino, lontano dall’unico lampione funzionante- , ma via via che gli si era avvicinato si era reso conto che quello era il vero Roxas, in carne ed ossa.
Allora il fulvo si era irrigidito immediatamente, fermandosi addirittura a pochi passi da lui come se gli occhi di Roxas avessero il potere di trasformarlo in pietra.
Una versione moderna di Medusa con i capelli biondi senza i serpenti e degli attributi in più tra le gambe.
Axel si leccò distrattamente le labbra secche e continuò a guardare Roxas poco lontano, appoggiato contro il muro pieno di graffiti, finché trovò il coraggio di andare lì da lui.
Si era aspettato una visita dell’altro ragazzo in quei giorni, dopotutto anche lui avrebbe fatto lo stesso se Roxas avesse smesso all’improvviso di rispondere alle sue chiamate, eppure ne era rimasto stupito e impreparato. 
Axel riprese a camminare, un passo nervoso dopo l’altro, e si fermò ancora una volta, non appena la flebile luce del lampione lontano non illuminò il volto del giovane.

«  Oddio, che hai fatto?! », riuscì a dire solamente, gli occhi che si sgranavano leggermente alla vista del sangue incrostato e dei vari lividi marcati sopra la guancia.
Roxas davanti a lui scrollò semplicemente le spalle, gli occhi puntati verso il volto di Axel.

«  Ora mi parli? », fu l’unica risposta che uscì dalle labbra del biondo, mentre il suo sguardo si faceva leggermente astioso, ma al tempo stesso offeso.
Gli occhi di Axel si socchiusero, colpevoli, e un leggero sospiro gli uscì dalle labbra.
Compì gli ultimi passi che lo separavano da Roxas e si fermò ad un solo passo di distanza da lui, gli occhi verdi che seguivano il contorno arrossato del livido più grande.

«  Davvero, che ti è successo?», domandò nuovamente Axel, mentre nella testa si diceva che non poteva essere stata Naminé, che una madre non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere.
Eppure era quella la sua preoccupazione e Roxas parve intuirla, come se Axel l’avesse detto apertamente e non tra le righe come aveva appena fatto.

«  Ovviamente non è stata mia mamma. Cazzo Axel, non è quel tipo di donna », sbottò Roxas in risposta, scuotendo la testa e passandosi una mano tra i capelli, leggermente seccato.
Certo, sua madre non era la donna migliore del mondo, ma non era mai andata oltre ad uno o due schiaffi o qualche ciabatta lanciata nel corridoio quando trovava in giro troppo disordine.
Axel incassò le spalle, sentendosi un grandissimo stronzo per aver anche solo pensato una cosa del genere.

«  Scusa », mormorò solamente il fulvo, mentre allungava il braccio e passava delicatamente l’indice sopra lo zigomo del biondo.
Roxas gli scacciò via la mano l’istante dopo, occupando prontamente con il palmo aperto della mano l’intera guancia.

«  Scusa », bisbigliò ancora una volta il maggiore, ritraendo la mano solo per lasciarla ciondolare lungo il fianco.
Ancora gli occhi di Axel non riuscivano ad allontanarsi dai lividi di Roxas, attirati come una calamita al ferro.
Per qualche secondo calò un silenzio tetro, spezzato solamente dalle televisioni sintonizzate ad alto volume del condominio.
Axel sollevò il capo e guardò le finestre spalancate e le luci accese, ascoltando la televisione del primo piano che trasmetteva il telegiornale della sera.
Poi sospirò.

«  Davvero ….», cominciò a parlare, tornando ad abbassare lo sguardo verso Roxas, « che ti è successo? »
Roxas continuava a toccarsi la guancia, lasciando che gli occhi azzurri scivolassero sopra al volto di Axel con una certa indecisione.
Sembrava sempre sul punto di dire qualcosa, di aprire la bocca e dire ogni cosa gli passasse per la testa, ma per un motivo o per un altro non spiccicava parola.
Voleva dire ad Axel che gli era mancato, che era stato davvero uno stronzo a non rispondergli, ma soprattutto voleva dirgli apertamente che finalmente aveva capito che cosa voleva, chi voleva.
Eppure le labbra del biondo si limitavano a schiudersi, ma nessuna parola voleva uscire.
Axel inspirò piano, con il caldo della città che gli si appiccicava sulla pelle, e poi sospirò.
Prese a frugare nella borsa a tracolla alla ricerca delle chiavi.

«  Andiamo, vieni su in casa, ti do qualcosa per quei lividi. »
«  Non ho bisogno di niente», ribatté prontamente il biondo, allontanando la mano dalla guancia ferita e portandosi entrambe le braccia al petto.
Axel sospirò ancora una volta, le labbra che si assottigliavano leggermente.
Non aveva idea di cosa dire, di come spezzare quell’aria tesa che si riusciva a respirare tra di loro.
E di è la colpa?”, si domandò subito, dandosi dell’idiota.
Sua e di nessun altro.
Il fulvo si schiarì la voce e abbandonò la ricerca delle chiavi, lasciando scivolare la borsa contro la coscia.

« Roxas, se sei venuto qui dovrai pure volere qualcosa. »
Quella frase parve colpire nel vivo il ragazzo, perché finalmente l’espressione del biondo mutò leggermente.
Qualche piccola cambiamento qua e là, tra gli occhi e le sopracciglia, nella piega delle labbra e nel colorito delle guance.
Axel lo vide mormorare qualcosa e poi schiarirsi la voce.

«  Perché non hai risposto alle mie chiamate? E’ per questo che sono qui, voglio saperlo», Roxas si schiarì nuovamente la voce prima di continuare, « se non vuoi più vedermi almeno dimmelo, perché … perché sono rimasto due giorni interi a pensarti, a chiedermi che cosa diavolo ti avessi fatto, ed è stato così stupido che … che … »
Roxas serrò le labbra e scosse la testa, le parole che pian piano scemavano lentamente nel silenzio della notte.
Ancora una volta la televisione al piano di sopra suonò nella via e Axel sospirò.
Il fulvo si passò la mano tra i capelli e si sentì ancora peggio di poco prima; i sensi di colpa pian piano si fecero strada nel suo corpo e gli lasciarono la bocca secca.
Poi, finalmente, riprese la parola.

«  Hai solo sedici anni », disse alla fine, come se l’età di Roxas fosse l’unica causa dei quei giorni di silenzio.
Il biondo accusò il colpo, ma scosse la testa, negando le parole dell’altro.

«  Lo sapevi dall’inizio, mentre ora è un problema? »
«  No, cazzo, non è l’unico problema. Ti sei visto in faccia per caso? Quello è un problema, e non vuoi nemmeno dirmi cos’è successo », perché Axel era certo, sicuro al cento per cento, che ne fosse lui la causa.
Quante possibilità c’erano che Roxas fosse caduto ripetutamente dalle scale? Zero.
Quante probabilità c’erano, invece, che per colpa sua e di quel bacio ora il biondo si trovasse in qualche situazione scomoda? Molte di più.
Axel serrò le labbra e tornò a guardare il livido arrossato sopra lo zigomo di Roxas e sentì la pancia contrarsi dolorosamente. Represse a fatica l’istinto di avvicinarsi a lui e accarezzarlo nuovamente, di stringerlo a sé come se fosse il tesoro più prezioso.

« Questo non è importante », cominciò il biondo, indicandosi la faccia, «  non per me. »
« Ma per me sì, invece. Non voglio metterti in una brutta situazione. »
Era questo che temeva Axel, l’idea di poter trascinare Roxas in qualche dramma troppo grande per un sedicenne.
Era ancora un ragazzino, come poteva uscirne indenne?
Axel scosse ancora la testa, ma prima che potesse parlare il biondo tornò all’attacco.

«  Sono gli altri ad avere dei problemi, non io. Io voglio … Io voglio provare a stare con te, perché non dovrei stare insieme all’unica persona che mi fa sentire importante? »
Il fulvo si umettò le labbra, immagazzinando lentamente le parole di Roxas.
Voleva stare con lui.
Roxas.
Il ragazzo che aveva incontrato più di due mesi prima, il ragazzo che gli aveva tolto il fiato dalla prima volta.
Una sensazione di euforia e calore gli colorò le guance ma, al tempo stesso, non riuscì a dire semplicemente di sì, ad esultare ed esserne felice come avrebbe voluto davvero.
Axel scosse la testa, sospirando, mentre un sorriso amaro gli si formava sopra le labbra.

«  Tu non sei gay, Roxas », gli disse semplicemente, abbassando lo sguardo.
Non lo era due mesi prima, come poteva esserlo ora?
Roxas aprì la bocca per ribattere, ma Axel continuò a parlare, imperterrito.

«  Tu non baci i ragazzi, a te non piacciono gli uomini. Sei solo confuso. »
«  Non puoi saperlo te per me! »
Roxas fece un passo avanti, offeso come se Axel gli avesse appena tirato uno schiaffo in pieno volto.
Il maggiore osservò l’espressione ferita del biondo e deglutì, continuando ugualmente a parlare.

«  Prenditi due o tre giorni per pensare e ti renderai conto che  non vorrai passare il resto dei tuoi giorni insieme a me, insieme ad un ragazzo. Non è così semplice come sembra, non è facile dire a tutti “Ciao, sono gay” e aspettarti che il mondo intero lo apprezzi.
Roxas, ti prego, pensaci davvero.
»
Axel ne sarebbe stato felice, felice per davvero, e fino a qualche giorno prima avrebbe pagato quei pochi soldi che possedeva pur di sentire Roxas dire quelle parole, eppure ora voleva solo ricacciargliele in bocca.
Dopo aver visto lo sguardo di Naminé, dopo aver sentito le sue parole.
Come poteva prendere Roxas con sé sapendo che sua madre lo avrebbe detestato?
Axel scosse ancora la testa e fece un passo indietro, grattandosi nuovamente la nuca.

«  Non voglio costringerti a litigare con la tua famiglia, magari con i tuoi compagni di classe, non voglio essere io a farti stare male. »
«  Non sono un bambino, so esattamente cosa mi fa stare male e cosa mi fa stare bene! Axel…», Roxas avanzò di un passo, quello che Axel aveva compiuto a ritroso poco prima, «  mi piaci. »
«  No, ti prego, pensaci. »
«  Mi piaci », Roxas diminuì nuovamente la distanza tra di loro, tanto che Axel riuscì a notare ogni più piccolo dettaglio del suo volto.
Il sangue incrostato attorno al naso, poi, lo fece indietreggiare nuovamente.

«  Roxas, per favore. »
Il biondo compì un altro passo, spezzando il respiro del maggiore.
Axel mise una gamba all’indietro, già pronto a fuggire; non poteva non guardare i lividi sopra al suo volto, così come non riusciva ad ignorare la forma delle sue labbra quando pronunciava quelle parole, la decisione nel suo sguardo mentre avanzava.

«  Voglio stare con te, mi piaci.»
Oramai Axel non trovò più il coraggio di indietreggiare, gli occhi erano incatenati a quelli di Roxas e le orecchie incantate dalle sue parole.
Quel ragazzino, un dannatissimo sedicenne, aveva più coraggio di lui.
Il fulvo scosse la testa, ma non aveva più niente da negare.
Non riuscì a parlare nemmeno una volta, nonostante avesse ancora così tante cose da dire.
Non lo fare. Non venire così vicino. Non posso resisterti. Non …”
Baciarmi.
Le labbra di Roxas si appoggiarono alle sue delicatamente, così come le sue mani scivolarono sopra al volto di Axel.
Un bacio leggero, soffice come una nuvola, che strappò un respiro roco al maggiore.
Inizialmente Axel rimase immobile, così come la bocca di Roxas contro la sua, perfino il tempo parve fermarsi.
Era stupido pensare che i secondi potessero immobilizzarsi solo per loro due, eppure era così.
Nella testa di Axel il tempo non contava più niente e, dio, quanto avrebbe voluto che il Mondo si fermasse proprio ora, in quel momento.
Senza nessun problema, senza nessun dramma, solamente le loro labbra unite, il profumo secco dell’aria calda e quello dolce di Roxas.
Solo quello.
Eppure la televisione tornò a suonare nell’aria e il respiro di Roxas si spezzò sopra le sue labbra.
Il tempo scorreva e Axel non poteva lasciarlo sfuggire via così.
Quella sera aveva detto tante cose – alcune brutte, altre meno- ma non poteva allontanarsi dal biondo proprio adesso.
Era impossibile non appoggiare le mani sopra al suo corpo e stringerlo a sé, era impossibile allontanare le labbra e continuare a respingerlo.
Allora Axel chinò il capo e schiuse le labbra, lasciando correre la mano destra dietro la nuca di Roxas.
Strinse i suoi capelli come aveva sognato spesso di fare e lo avvicinò a sé, la bocca umida e desiderosa solamente di assaggiare sempre di più lo splendido sapore del biondo.
Al teatro ne aveva avuto un assaggio leggero e quello gli aveva fatto volare il cuore fino in gola, ma ora …
Ora sentiva il respiro di Roxas infrangersi contro la sua bocca, le sue mani tremolanti sopra il volto, e il cuore non era più in gola, stava esplodendo nelle sue orecchie.
Tum-tum-tum
Un rombo sordo che attutiva tutti gli altri suoni, tranne il leggero schioccare delle loro bocche unite.
Axel ricambiò ogni secondo di quel bacio, lasciando scivolare la bocca sopra quella di Roxas, spingendo il volto in avanti fino a far scivolare la lingua tra le labbra schiuse dell’altro.
Il fiato gli si mozzò in gola nel sentire il corpo del biondo tremare appena, nel percepire il respiro di Roxas mischiarsi al proprio.
Lo baciò a lungo, stringendolo a sé, dimenticandosi di tutti quei “ non posso e non voglio”, perché baciare Roxas era bello proprio come aveva sognato, se non di più.


 
***


 
 
«  Ahia, mi fai male! »
«  Se tu stessi fermo te ne farei molto di meno. »
«  Ho capito, ma devi proprio strofinarci la carta igienica sopra? Non puoi tamponare? »
Roxas era seduto sopra la tavoletta del bagno, l’espressione sofferente e le labbra corrugate.
Axel, in piedi davanti a lui, tentava di tamponargli la guancia con un pezzo informe di carta igienica mal arrotolato, cercando di ripulire quei pochi residui di sangue.
Il fulvo si lasciò scappare un sospiro e scosse la testa, allontanando la mano dal volto del biondo.

«  Chi è l’adulto qui? Io, oppure te? », gli domandò semplicemente, tornando a punzecchiare la guancia dell’altro con la carta igienica imbevuta di disinfettante.
Roxas affilò lo sguardo e si limitò ad un 
«  ‘fanculo » appena udibile.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e rimase fermo, perfino quando Axel si divertiva a tirargli indietro i capelli e tamburellare le dita sulla guancia destra.

«  Comunque se vedo in giro quel tipo giuro che gli faccio male, anche se potrei finire in carcere per aggressione di minore. Insomma, ne varrebbe la pena. »
Roxas scrollò le spalle e si limitò a sbuffare un’altra volta, cercando di non commentare in nessun modo.
Non voleva mettersi a parlare di Hayner e di Xion, non adesso che le cose sembravano aver preso una piega così piacevole.
Pochi minuti prima erano sotto casa a baciarsi appassionatamente e ora riuscivano a parlare come al solito, senza alcun imbarazzo; perché rovinare tutto e parlare dei giorni passati?!

«  Hey Axel. »
Il fulvo abbassò il capo nella sua direzione e sollevò un sopracciglio, rispondendo con un semplice: “dimmi baby” che strappò un mezzo sorriso al biondo.
«  Questa sera posso rimanere qui, vero? », e dietro quel semplice “ vero?” c’era una sorta di minaccia velata, in attesa dietro ai suoi occhi chiari.
Se  Axel l’avrebbe scacciato via gliel’avrebbe fatta pagare cara, perché non aveva alcuna intenzione di tornarsene a casa.
Non voleva rivedere sua madre e nemmeno Ventus.
Il fulvo corrugò appena la fronte e gettò nel cestino la carta igienica – oramai un ammasso informe e umido-, prima di pulirsi le mani sopra ai pantaloncini del Jimbo’s.

«  D’accordo, ma solo per ‘sta sera. Non puoi sparire da casa e stare qui da me, lo sai. »
Roxas si alzò dal gabinetto e si tastò la faccia, umida di disinfettante e leggermente rigonfia, poi incrociò le braccia al petto.
«  E perché non potrei, uhm? »
Axel schioccò la lingua al palato e mimò un “ tsk” stizzito prima di rispondere alla domanda dell’altro.
Il fulvo allargò le braccia attorno a sé e prese a parlare.

«  Punto primo: già in tre facciamo fatica a camminare nella stessa stanza, in quattro saremmo delle sardine», indicò se stesso, prima la sua faccia, poi il suo petto, «  e punto secondo: tua mamma ha visto la mia faccia e potrei finire sul telegiornale della sera come rapitore e molestatore di minori. Dio, vorrei finire in televisione, ma non per questo. »
Roxas gli dedicò un’occhiata impietosita e alla fine sbuffò un: « d’accordo, d’accordo » prima di abbandonare il piccolo abitacolo e uscire verso la sala.
Era solo la seconda volta che entrava lì dentro, ma quelle quattro mura lo rendevano felice.
Si avvicinò alla cucina e domandò un: 
«  posso?» rivolto al frigorifero.
«  C’è una fetta di formaggio, dell’acqua, della birra e credo, credo … forse del prosciutto », cominciò Axel, avvicinandosi al biondo e aprendo per lui lo sportello.
Osservò la desolazione che regnava all’interno del frigorifero e sospirò, afferrando una bottiglia di Heineken e porgendone una a Roxas.
Il biondo accettò e aspettò che Axel le aprisse entrambe, prima di fermarsi sulla soglia della cucina, a pochi centimetri dall’altro.
Axel, adagiato contro al tavolino, riprese a parlare.

«  Non tornerai a casa, domani, vero? », gli domandò semplicemente, scrutandolo in volto.
Se c’era una cosa che aveva imparato in quei due mesi, era che Roxas appariva come una persona abbastanza ostile e difficile da decifrare, ma sotto sotto, se riuscivi a riconoscere i segni, diventava come un libro aperto.

«  Andrò da mia nonna per qualche giorno, poi tornerò a casa quando si saranno calmate le acque. »
«  Credi si calmeranno mai, se te ne vai via senza dire una parola?», Axel prese un lungo sorso dalla bottiglia, sospirando, «  quando gli dirai che ufficialmente stai insieme ad un ragazzo ci sarà una specie di tsunami, piuttosto. »
Roxas serrò appena le labbra, mentre un leggero filo di imbarazzo gli fece contrarre lo stomaco.
Ah, era vero, ora era ufficialmente il ragazzo di Axel.
Il ragazzo di Axel.
Il ragazzo di Axel.
Per quanto continuava a ripeterselo suona difficile da credere.
Senza nemmeno volerlo le sue labbra si torsero in un piccolo sorriso.

«  Ti rende felice lo tsunami? Dio, come sei contorto », borbottò Axel in risposta al suo sorriso.
Roxas allungò la gamba destra e punzecchiò la coscia dell’altro, prima di borbottare un: 
« non era per quello. »
Come se Axel non l’avesse già capito.
Da quando erano saliti nell’appartamento, il fulvo non aveva fatto altro che sorridere sotto i baffi, completamente dimentico dei drammi che aveva messo in tavola fino a poco prima.
Roxas era certo che ancora ci stesse pensando – all’età differente, ai problemi con Naminé, alla scuola-, ma sembravano pesargli molto di meno.
Le sue risate erano tornate libere e cristalline, gli occhi più sereni e, soprattutto, di tanto in tanto le sue labbra erano tornate a posarsi sopra quelle di Roxas senza alcun motivo o avviso.
Semplicemente in quegli ultimi minuti Axel si era chinato sopra al suo volto solo per lasciargli un bacio, come se non potesse seriamente credere a quella situazione.
Effettivamente era un po’ surreale perfino per Roxas.
Chi l’avrebbe mai detto, mesi prima, che entro poco il biondo sarebbe cambiato tanto?
A bere birra a casa del suo ragazzo, talmente vicino a lui da sentirne il profumo secco e forte.
Ancora una volta le labbra di Roxas tornarono ad accennare un piccolo sorriso.

«  Ti ricordi qualche giorno fa, quando sono venuto qui?» , gli chiese alla fine, guardando prima Axel, poi la piccola sala lì affianco.
Il più grande annuì, schioccando le labbra.

« Certo.» 
« Quella sera … Hai pensato di baciarmi?», era una domanda che gli ronzava nella testa da un paio di giorni, amplificata dalle parole di Demyx e Zexion.
Axel arrossì leggermente sopra le orecchie, mentre la mano destra risaliva velocemente lungo il retro della testa e si grattava distrattamente la nuca.

«  Sinceramente?»
Roxas voleva togliersi questo dubbio, perché nella sua testa, quella notte passata insieme, era considerata come il punto di svolta, la notte che gli aveva fatto capire che Axel gli piaceva davvero, e non solo come un amico.
«  Sì, sinceramente», disse allora, annuendo e tornando con lo sguardo sopra al fulvo.
Axel accennò ad un mezzo sorriso, forse un po’ imbarazzato, dal modo in cui le labbra si tendevano e tremolavano.

«  D’accordo. Ho pensato a baciarti dalla prima volta che ti ho visto, quindi sì, quella notte avrei tanto voluto farlo, accidenti. », Axel si schiarì la voce, schioccando le labbra e allargando ancora di più il sorriso sopra le labbra. Allungò la mano destra e l’avvicinò alla nuca di Roxas, sfiorandogli qualche ciocca bionda, «  poi alla luce di Shining eri ancora più bello, con quell’aria un po’ da sociopatico che ti dona tanto.»
Roxas sbuffò una mezza risata e afferrò la mano di Axel, allontanandola dai propri capelli solo per poterla stringere tra le dita.
Il pensiero di poter fare un gesto del genere, un semplice stringersi di mani, gli fece aumentare il battito cardiaco.

«  Grazie, do il meglio di me con i film horror.»
«  Ci credo, non preoccuparti », commentò Axel, allontanandosi dal tavolo per compiere quei due passi che lo dividevano da Roxas.
Gli strinse maggiormente la mano nella propria e chinò il capo verso di lui, appoggiando le labbra sulla bocca del ragazzo.
Inspirò lentamente, lasciando a Roxas la possibilità di fare altrettanto.

«  Quindi d’ora in poi posso dire che sei il mio ragazzo?», gli chiese Axel, adagiando la nuca contro quella del più piccolo.
Roxas si limitò ad annuire, sollevando il volto per poter schioccare un altro bacio.
Era normale comportarsi così? Già dal primo giorno?
Che diavolo ne sapeva Roxas, dopotutto. Aveva un sacco di cose da chiedere ad Axel: come funzionava una relazione, cosa dovevano fare d’ora in avanti, oppure se Axel avesse già …
Roxas socchiuse gli occhi e osservò il volto dell’altro ragazzo, socchiudendo le labbra.
Sì, probabilmente Axel sapeva come si faceva sesso e l’aveva anche già fatto.

«  A che pensi, ‘xas?», tornò la voce di Axel nelle sue orecchie, allontanandolo da quei pensieri.
Roxas si schiarì appena la voce e scosse un po’ il capo.

«  Ti va di vedere un film horror? Possiamo guardarlo in streaming dal tuo pc.»
Axel sollevò un sopracciglio e ridacchiò leggermente, allontanando il capo da quello di Roxas solo per schiarirsi la voce e scuotere, ancora, la testa.
«  Se avessi un computer sarei la persona più felice del mondo. Diciamo che ho un cellulare, possiamo vedere qualcosa da lì. Su youtube ci sono diversi film horror.»
«  Passi le notti così di solito?», gli chiese Roxas, mentre Axel gli cingeva la vita con un braccio e tirava fuori il cellulare dalla tasca.
Il fulvo iniziò a trafficare tra i tasti, cercando qualche film che ancora non aveva visto.

«   Ovviamente, quando non sono troppo occupato a seppellire cadaveri. Sei ancora certo di voler rimanere a dormire qui? »
Roxas ridacchiò soffusamente, prima dondolare leggermente sul posto e spostare il corpo dell’altro verso la sala.
Il biondo osservò il divano striminzito e poi Axel al suo fianco.
Sì, era decisamente sicuro di voler passare la notte lì con lui. Meglio di casa sua, meglio della casa di sua nonna.
Quel piccolo appartamento era perfetto, per quando Axel continuasse a denigrarlo e desiderare qualcosa di più bello.

«  Al cento per cento », dichiarò semplicemente, seguendo l’altro sopra al divano e stravaccandosi al suo fianco.
Axel sollevò le gambe e appoggiò il cellulare sopra le ginocchia, così da mostrare lo schermo ad entrambi.
Roxas gli si avvicinò sempre di più, finché non si appoggiò del tutto sopra al corpo caldo dell’altro.
Axel sorrise semplicemente, fece partire il film, e si disse che il caldo non era poi così insopportabile, se poteva avere Roxas così vicino.







Mel;
Sono in ritardo, non ho nemmeno tenuto il conto di quanto, ma lo sono.
Mi dispiace incredibilmente, ma avevo così poca voglia di scrivere che ogni volta che aprivo e fissavo la pagina bianca scrivevo lentamente e uscivano solo schifezze e pensieri insensati.
Quindi mi duole, mi rammarico, mi costerno!!, ma la pubblicazione del prossimo capitolo arriverà dopo 15 giorni, non più 10.
Grazie ugualmente a chi legge e a chi segue.

 

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Capitolo 12
*** XI ***


XI
 



 
 
Quando Roxas aprì gli occhi ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la camera di Axel e, in seguito, l’intera situazione.
Le membra ancora intorpidite dal sonno fremettero appena nel ricordarsi tutto quello che era successo il giorno prima, a partire dal gonfiore alla faccia fino ad arrivare ai baci con Axel.
Il biondo sospirò lentamente e rotolò su un fianco, affondando il volto sopra al cuscino lì accanto.
Profumava di Axel e di quello strano shampoo che usava sempre; era un buon profumo, gli faceva pizzicare le narici.
Roxas non si sforzò nemmeno di trattenere un sorriso a quel pensiero, limitandosi a sospirare beatamente ancora una volta e richiudere gli occhi.
Ancora immerso nel profumo dell’altro ragazzo e in qualche residuo di sonno, rimase in ascolto dei flebili rumori che sentiva nella stanza accanto.
Qualche passo soffuso, il suono della caffettiera che gorgogliava e il rumore delle posate.
Erano suoni piacevoli, così diversi dal silenzio ammorbato di casa sua, dove sua madre si limitava ad un: “ buongiorno ragazzi” e Ventus spariva l’attimo dopo.
Roxas iniziava a pensare che i soldi non facessero davvero la felicità, nonostante quello che gli avevano sempre insegnato.
Certo, a casa sua non mancava mai il cibo in frigorifero e di certo non faticavano a pagare le bollette, ma l’aria era gelida e solamente in camera sua si sentiva a proprio agio.
In questo appartamento invece tutto era diverso; era piccolo e sudicio, ma in ogni angolo, perfino nel più piccolo, si respirava un’aria calda e piacevole, confortevole come un tempo erano state le braccia di Naminé.
Roxas socchiuse gli occhi ancora una volta e tese leggermente le orecchie, cercando di captare la voce di Axel lì fuori.
Lo sentì borbottare qualcosa, ma era troppo distante per poter capire esattamente cosa stesse dicendo.
Con un piccolo sforzo si sollevò dal letto, appoggiando i piedi a terra e soffocando uno sbadiglio.
Roxas abbassò lo sguardo e si premurò di essere presentabile e, dopo essersi dato una strofinata veloce ai capelli, uscì dalla camera di Axel.
Il profumo di caffè bruciato lo investì in pieno, così come le voci degli altri ragazzi.
Non appena mise un piede in avanti raggiunse gli occhi di Demyx e l’attenzione del biondo si spostò completamente sopra Roxas.

«  Dobbiamo chiamare la polizia?», lo sentì solamente dire, con gli occhi azzurri leggermente in apprensione e il cellulare già tra le mani.
Roxas aggrottò appena le sopracciglia, non riuscendo ad afferrare il discorso. Si fece semplicemente più vicino, schiudendo le labbra.

«  Come? », chiese semplicemente alla fine, spostando lo sguardo da Demyx a Zexion lì accanto, indaffarato e cerchiare qualche offerta di lavoro con il pennarello.
«  Sì, insomma, rapimento di minore parte due?», gli rispose subito Demyx, scuotendo il cellulare in aria con nonchalance.
Roxas sbuffò leggermente, abbozzando un sorrisetto divertito.
Axel fece altrettanto, avvicinandosi a lui e stringendogli appena la spalla destra.

« Oh state zitti, lasciatelo stare », borbottò semplicemente il fulvo, lanciando un’occhiata ammonitrice agli altri due. Poi tornò a voltarsi verso Roxas, aprendosi in un sorriso decisamente più caldo, «  devo correre al lavoro, chiamami appena arrivi da tua nonna, e voi due fate i bravi o lo verrò a sapere. »
Roxas non fece nemmeno in tempo a dire “ a” che Axel già gli aveva lasciato un bacio sopra le labbra ed era corso via, il cappellino del Jimbo’s in testa e la fretta alle calcagna.
Roxas rimase immobile per qualche secondo, il sapore delle labbra di Axel e del caffè ancora addosso, e sperò vivamente di non essere arrossito come un bambino davanti agli altri due.
Si limitò allora a tossicchiare, mentre Demyx alzava la voce e cercava di farsi sentire da Axel, oramai sottocasa.

«  Ciao splendore, buon lavoro. »
Ovviamente non si sentì alcuna risposta, Axel doveva già essere corso via.
Roxas si umettò le labbra e andò a sedersi sopra l’unica sedia libera, schiarendosi la voce e adocchiando una tazza di caffè.

«  Quella è per te, te l’ha preparata Axel, quindi sicuramente sarà imbevibile » iniziò Zexion, sospirando leggermente e sfilandosi gli occhiali dal naso. Li depose nella custodia e si alzò dalla sedia.
« Ragazzi, passate una bella giornata, io devo dare ripetizioni ad un marmocchio di sei anni, che spasso. »
« Non ammazzarlo al primo errore », ridacchiò Demyx, sollevando il capo in cerca del suo saluto personale.
Zexion si chinò e gli schioccò un veloce bacio sopra le labbra, prima di scuotere la testa.

«  Mi conosci, tenterò di soffocarlo solo a terzo errore. Non sono un mostro dopotutto, gli do delle possibilità di salvezza. »
«  Caritatevole », commentò semplicemente Roxas, le labbra ancora stese in un leggero sorriso; era abbastanza di buon umore da permettersi di conversare perfino con due sconosciuti.
Zexion annuì, come se gli avesse seriamente fatto un complimento, e subito dopo li salutò entrambi con un cenno del capo, prima di andarsene.
Allora Roxas allungò un braccio e si tirò la tazza vicino, annusando il profumo di caffè bruciacchiato e zucchero.

«  E così …» iniziò Demyx, allungando entrambe le gambe sotto al tavolo, «  alla fine hai deciso? »
Roxas si schiarì la voce e rimase a fissare il liquido marrone nella tazza, prima di annuire.
Sì, aveva deciso e per di più era stato addirittura lui a forzare Axel a prendere la stessa identica decisione.
Roxas sollevò il capo e adocchiò Demyx lì davanti, prima di mordicchiarsi con un po’ di indecisione il labbro inferiore.

«  Axel crede che sia troppo piccolo e ha paura che possa rimanerci male. »
«  Beh, tu sei troppo piccolo, ma non ci vedo nessun problema. Insomma, non hai dodici anni ed Axel non è per davvero un cacciatore di minorenni, alla fine.»
Roxas storse il naso, scuotendo la testa.
«  E’ un pessimo modo per dare del pedofilo ad una persona, lo sai? »
Demyx sbuffò una risata e tamburellò le dita sopra al tavolo, seguendo una melodia che Roxas aveva già sentito da qualche parte.
«  Ogni persona ha un aggettivo attaccato al culo, dovresti saperlo. Dalle tue parti, noi dell’ east side siamo feccia, ladri, sporchi e cattivi, così come per noi voi siete dei leccaculo, avidi e stronzi.
Vedi? 
»
Roxas aggrottò la fronte, prendendo il primo sorso di caffè.
Era tiepido e straordinariamente amaro nonostante lo zucchero rappreso sul fondo.

«  Per me non siete nulla del genere, siamo tutti uguali. »
Demyx ridacchiò appena, mormorando un: “ ah, la gioventù” prima di tornare a farsi più serio.
Le dita smisero di tamburellare sopra al tavolo e un sospiro più greve gli uscì dalle labbra.

«  Davvero, non ha importanza da dove tu venga o chi tu sia, ci sarà sempre qualcuno che ti metterà addosso una dannatissima etichetta.
Axel pensa che d’ora in poi sulla tua ci sarà scritto sopra “ gay” e non vuole che qualcuno possa prendersela con te.
»
Roxas automaticamente si strofinò la guancia, dove sentiva la pelle più calda e gonfia del normale.
Si sfiorò leggermente il livido con la punta delle dita e poi scosse la testa, abbandonando l’idea di finire quel caffè.
Axel era stato gentile a prepararglielo, ma si appuntò mentalmente che d’ora in avanti sarebbe stato lui ad occuparsi della colazione.

«  Non mi interessa. Lo dico davvero, non sto fingendo, non mi importava seriamente. La gente può dirmi alle spalle quello che vuole, ma non mi tocca.»
«  Magari adesso, per una settimana o qualche mese, ma dopo un po’ ti stancherai », la voce di Demyx suonava seriamente stanca e preoccupata, ma Roxas si chiedeva come fosse possibile essere così negativi.
Le persone non erano tutte uguali, non erano tutti perfidi come sembrava descriverli.
Magari qualcuno lo avrebbe preso in giro, forse si sarebbe beccato qualche occhiata disgustata e magari un altro pugno in faccia, ma Roxas non riusciva a credere che nessuno, da ora in avanti, non avrebbe provato simpatia per lui solamente per la sua sessualità.

«  Roxas, dico solo … che io ci sono passato, anche io all’inizio credevo che sarebbe stato facile, che non sarebbe cambiato nulla, ma questa città è malata. Se non sei come ti vogliono, per le persone non vali nulla, è la realtà. Se sei diverso, e non parlo solamente del sesso o altro,  sei automaticamente sbagliato. Insomma … non sono la persona giusta con cui parlarne, non sono bravo in queste cose. »
Demyx si passò la mano sopra la fronte, tirandosi all’indietro qualche ciocca ribelle.
Roxas lo osservò per qualche secondo, in un certo senso grato per quella piccola conversazione.
Poi si schiarì la voce e tentò un sorriso.

«  Però so che sei molto bravo a suonare, no? Mi fai sentire qualcosa? »
Demyx gli dedicò un sorriso talmente largo da far sembrare la luce di quella mattina di agosto ancora più luminosa del solito.
Forse farsi nuovi amici non era poi così difficile come aveva sempre creduto.
 
 
***
 
 

«  Guarda, guarda chi è tornato di buon umore!», esordì Larxene di punto in bianco, cantilenando quella frase come se ci fosse un insulto velato tra le parole.
Gli occhi azzurri della ragazza lampeggiavano sopra al volto di Axel e lo squadravano attentamente, come a voler cogliere ogni nuova sfumatura felice.
Il ragazzo si limitò a scrollare le spalle e tornò a lavarsi tranquillamente le mani nel bagno riservato ai lavoratori.
Il sapone era praticamente inodore, di una qualità pessima, ma se non altro riusciva a dargli l’illusione di essersi levato di dosso l’odore di hamburger.

«  Effettivamente sì, sono decisamente più felice di ieri. »
«  Che palle, ti preferivo quando stavi zitto e sembravi sul punto di impiccarti nel magazzino. »
Axel si scrollò le mani e se le tamponò sopra la divisa, prima di allungare le labbra in un ampio sorriso volutamente felice.
«  Ah, che bello essere felici », iniziò, scuotendo dolcemente la testa, « e che bello sapere che ti da fastidio. »
La ragazza sollevò un sopracciglio e lo sguardo si fece ancora più stizzito. Le braccia si andarono a incrociare sul petto e il piede sinistro, che calzava il solito tacco 9, prese a tamburellare a terra.
«  Non è colpa mia se ti porti appresso quella faccia da demente da sta mattina», decretò alla fine, la voce ancora inasprita.
Axel oramai ci aveva fatto l’abitudine, le parole della ragazza non gli davano più fastidio come un tempo.
Sotto sotto, il fulvo, sapeva che non era acida come sembrava, al contrario sapeva essere premurosa e particolarmente gentile, soprattutto se ti chiamavi Marluxia e le facevi un complimento di tanto in tanto.
Certo, per Axel non aveva mai una parola di riguardo, ma non gliene importava nemmeno un po’, dopotutto  adesso era riuscito ad avere una delle tre cose che più aveva desiderato: Roxas.
Certo, gli mancavano ancora i soldi e la possibilità di diventare un attore, ma il primo passo era fatto.
Se era riuscito a mettersi insieme ad un ragazzino, probabilmente eterosessuale e decisamente più piccolo di lui, beh, anche la possibilità di riuscire a recitare in un teatro non era poi così lontana.
Una parte della sua felicità derivava anche da quello, ecco perché sorrise ancora e si allontanò dal lavabo.

«  Quando me ne andrò da qui sentirai la mia mancanza, fidati. »
Lei scosse la testa e sbottò un:” come no”, seguito da un leggero movimento delle labbra che avrebbe dovuto mimare un verso stizzito.
Axel ruotò gli occhi al cielo e tornò dietro al bancone, dove Marluxia controllava gli importi delle casse.
Quando li vide arrivare sollevò il braccio e schioccò le labbra.

«  Agosto è il mese più orrido dell’anno. Vengono qui solo ragazzini deficienti e non si prendono altro che qualche gelato. Guardate le casse, sono praticamente vuote, nessuno che si prende qualche menù o altre schifezze. »
Axel si passò la mano sopra la fronte e osservò, effettivamente, il registro cassa decisamente scarno.
«  Beh, con sto caldo nemmeno io verrei qui a mangiare.  »
Marluxia chiuse lo sportello della cassa con un colpo secco e scosse la testa.
«  No, nessuno di noi verrebbe mai a mangiare qui perché sappiamo che il cibo fa schifo, è diverso. »
« Beh, anche quello », concordò Axel, levandosi il cappello di dosso prima di legarselo alla cintura dei pantaloni.
Poi afferrò il cellulare, accennando un sorriso nel trovare due messaggi non letti.
 
Nuovo Messaggio da Demyx, alle ore 14:58
“ Quel ragazzino mi piace, non farlo scappare. Poi è pure ricco ;) “
Nuovo Messaggio da Rox, alle ore 16:07
“ Sono sano e salvo da mia nonna, questa sera vieni a cenare con noi.
Mi raccomando: metti lo smoking e qualche goccia di Bvulgari!”



Axel sbuffò per entrambi i messaggi e si limitò ad un veloce : “ vaffanculo, amico” rivolto a Demyx, prima di tornare a rivolgersi agli altri due.
Per qualche secondo preferì non interrompere il loro scambio di battute – dopotutto era sempre divertente vedere come Larxene pendesse dalle labbra del suo “ amore segreto”-, ma l’idea di potersene andare da lì lo premeva particolarmente.

«  Visto che anche questa splendida giornata di lavoro è finita direi che posso anche andarmene. »
Era il modo migliore per congedarsi oramai, e gli altri due non potevano che aggregarsi con qualche insulto sopra la giornata.
Faceva caldo, vicino ai fornelli c’era un’ odore di fritto talmente intenso da mettere i brividi, e lavorare durante il pomeriggio significava solamente addormentarsi sopra al bancone.
Axel si allontanò velocemente allora, senza lasciare a Marluxia l’opportunità di invitarlo per un drink o un’uscita.
Finalmente fuori dal Jimbo’s ritirò fuori il cellulare ed osservò per qualche secondo l’icona di Roxas sopra al messaggio prima di rispondere.

Messaggio Inviata da Axel, alle ore 18:15
“ Dammi il tempo di lavarmi e mettermi l’abito più costoso che ho, aspettami.
Con impazienza.
E magari con qualche bacio a disposizione.”


Axel si rificcò il cellulare in tasca e osservò il cielo scuro sopra di sé, un piccolo spicchio di mezzaluna e qualche sputo di stelle tra i grattacieli della città.
Era una bella serata, senza un soffio di vento, ma ugualmente piacevole nonostante il caldo che aveva trasportato il sole durante tutte le ultime ore.
Era una serata perfetta per un gelato e una lunga camminata per le strade, ma anche l’idea di andare a mangiare qualcosa a casa della nonna di Roxas non era male.
Il biondo gli stava per presentare una delle persone più importanti della sua vita e sotto sotto si sentiva tremendamente agitato, oltre che felice.
Con quel pensiero nella testa Axel mise velocemente un piede dietro l’altro fino a raggiungere il suo appartamento.
Salutò velocemente Demyx e Zexion, appollaiati l’uno contro l’altro sopra al divano, e si adoperò al meglio davanti allo specchio.
Aveva un solo completo buono e forse era il caso di tirarlo fuori dall’armadio e rispolverare un po’ di charme per quella serata.
Una volta vestito, con tanto di cravatta – leggermente di traverso-, stentò quasi a riconoscersi allo specchio: elegante, i capelli tirati all’indietro, e l’aspetto di un giovane uomo di successo.
Viaggiò subito con la mente, immaginandosi vestito così per il resto della sua vita, con il completo del Jimbo’s gettato in un cassonetto della pattumiera, ma quel veloce sogno ad occhi aperti finì quando si rese conto dell’ora.
Erano quasi le 20 e doveva ancora uscire di casa.
In fretta e furia inviò un messaggio a Roxas e si precipitò fuori dall’appartamento, lasciando un saluto veloce ai coinquilini.
Percorse i gradini due alla volta, saltellando sopra al pianerottolo, finché non uscì nuovamente all’aria aperta.
Afferrò la bicicletta – e ancora una volta sospirò, desideroso di avere una macchina, o almeno una moto- e puntò dritto verso il westside, nelle zone residenziali.
Pedalò come un forsennato per i primi cinque minuti, per poi prendere un’andatura più tranquilla; forse era meglio evitare di sudare, altrimenti con che faccia si sarebbe tolto la giacca?!
Con un pensiero e l’altro per la mente, Axel raggiunse i condomini che gli aveva indicato Roxas la sera prima, trovando l’altro ragazzo appoggiato vicino all’ingresso.
Il sorriso del biondo si aprì immediatamente alla sua vista ed Axel ricambiò inconsciamente, smontando dalla bicicletta a pochi passi da lui.

«  Sono elegantemente in ritardo », dichiarò alla fine, trascinando il suo mezzo di trasporto per il manubrio.
Roxas sollevò leggermente il sopracciglio destro prima di annuire.

«  Ti piace farti aspettare, come ogni prima donna. »
«  No, no, no, non prima donna: come ogni diva », Axel scosse la testa, come se le parole dell’altro l’avessero seriamente offeso.
Si lasciò guidare verso l’interno del giardino e appoggiò la bicicletta contro la parete, sicuro che da quelle parti non si sarebbero di certo messi a rubare un catorcio come quello.
Roxas gli si fermò di fianco l’attimo dopo e lo prese sotto braccio, prima di lasciarsi andare ad un sospiro stanco.

«  Ti avviso già, Tatty può essere …» si fermò, aggrottando le sopracciglia, « leggermente invadente ed espansiva, quindi non farti prendere alla sprovvista. »
Axel si batté una mano sopra al petto, orgoglioso, «  nessuno mi prende contropiede, non preoccuparti, piuttosto, parlando di cose serie, tua nonna sa che mi piace da impazzire baciarti? Perché sarebbe abbastanza imbarazzante se mi vedesse fare una cosa del genere all’improvviso, sai … gli infarti, cose del genere.»
Roxas sbuffò dal naso, ruotando gli occhi al cielo.
Aveva quelle piccole fossette ai lati delle labbra che facevano tanto impazzire Axel.

«  Sì, lo sa, ma potresti anche evitare atteggiamenti da infarto, sai com’è! »
Il fulvo annuì, segnandosi mentalmente di evitare baci all’improvviso e battute un po’ troppo sconvenienti, anche se da quello che gli aveva raccontato Roxas, Tatty sembrava decisamente spigliata per avere la sua età.
« Quindi entriamo? », domandò poco dopo, osservando la porta d’ingresso della palazzina.
Roxas al suo fianco annuì, stringendogli leggermente il braccio.
Probabilmente era ancora più in ansia di Axel.

«  Entriamo», esclamò solamente, spingendo entrambe le ante in avanti.
 
 
***
 
 

Perfino dopo quattro portate complete Axel riusciva ancora a trovare un piccolo spazio nello stomaco per quella fantastica torta alle mele.
La cucina di Tatty era fantastica, degna di un ristorante a cinque stelle, e il ragazzo non riusciva a smetterla di commentare ogni singolo morso con un deliziato: “ uhmmm, oddio, è, è, è delizioso” che strappava ogni volta un gran sorriso sopra le labbra della vecchia signora.
Tatty era più che felice, a propria volta, di riempire il piatto del ragazzo, spiegandogli che spezie aveva aggiunto sopra al maiale e che la cannella, ma solo un pizzico, rendeva il dolce migliore.
Axel ascoltava ogni parola come se fosse oro colato e si chiese perché diavolo sua nonna al posto di cucinare dolci preferiva andare nei boschi a caccia e passava il week end  a scacciare le volpi che le attaccavano le galline.
Roxas guardava sua nonna e Axel con una certa soddisfazione malcelata nello sguardo, seguendo i loro movimenti e cercando di cogliere ogni piccolo dettagli nei loro sguardi; andavano d’accordo, questo poteva ben dirlo,e  per il momento gli bastava sapere quello.

«  Non ho mai mangiato una torta più buona, Tatty, ma devo dirtelo, conosco un uomo tremendamente bravo a fare dolci che potrebbe competere con te», iniziò a parlare Axel, pulendosi un piccolo residuo di panna montata dalle labbra.
Roxas tintinnò con la forchetta sopra al piatto e sollevò il capo, puntandolo verso l’altro ragazzo.

«  Parli di Xaldin, vero? »
«  Assolutamente », commentò prontamente il fulvo, annuendo e leccandosi distrattamente le labbra, «  la prossima volta ti porterò una fetta delle torte che fa lui, hai delle preferenze?»
La donna si passò l’indice sopra le labbra e rimase per qualche secondo in silenzio, mentre Roxas trascinava la sedia a terra e si avvicinava leggermente a lei, così da poterle bisbigliare i propri suggerimenti.
Axel allungò la gamba sotto al tavolo e lo punzecchiò appena, giusto per farlo smettere, finché Tatty non schioccò le labbra e prese una decisione.

«  Sa cucinare una torta Rocher? », domandò alla fine, portandosi alle labbra un piccolo pezzo di torta. Lo masticò per bene, osservando l’espressione leggermente corrucciata di Axel.
Alla fine il ragazzo fece spallucce, accennando una risata.

«  Non ho nemmeno idea di che cosa sia, ma sicuramente la saprà fare », decretò alla fine, mentre Roxas tornava a strusciare la terra a sedia così da avvicinarsi all’altro ragazzo.
Arrivò il momento di dare qualche suggerimento anche a lui.

«  Cioccolato, nocciole e mascarpone, è una torta buonissima », gli mormorò praticamente all’orecchio, mentre Tatty rimaneva lì a guardarli con una certa soddisfazione.
Axel sbuffò dal naso e voltò il capo verso il biondo, piantandogli una mano in faccia, così da strizzargli appena le guance.

«  Ssssht, non farmi spoiler, voglio scoprirlo quando potrò assaggiarla» borbottò l’attimo dopo, mentre Roxas cercava di allontanare la mano dell’altro dal volto.
Si ritrovarono a lottare leggermente, nemmeno si fossero dimenticati della nonna, finché non raggiunsero il compromesso di stringersi le mani pur di tenerle ferme.
Le lasciarono ciondolare sotto al tavolo, tranquillamente, mentre Roxas tornava a rivolgersi alla nonna con un colpo leggero di tosse.

«  Visto che hai cucinato per un esercito, insomma, potresti …?», lasciò la frase in sospeso, raggiungendo lo sguardo della nonna con una leggera supplica sotto le ciglia.
Le labbra di Roxas si inclinarono leggermente, mentre Tatty si esibiva in uno sbuffo.

«  Non hai proprio intenzione di tornare a casa, eh? Se vuoi che porti gli avanzi della cena a Ven, allora dovrai venire con me. E non ammetto discussioni, zuccherino »
Axel soffocò una risata, esibendosi in uno strano verso dal naso, mentre mormorava un leggero:” zuccherino” rivolto a Roxas.
Il biondo gli stritolò la mano nella propria, mimando un sorriso soddisfatto.

« Non ci torno a casa oggi, nonnina », sibilò Roxas, e in un solo secondo Axel capì a chi assomigliasse l’altro ragazzo.
Di certo non all’austera Naminé, neppure da Ventus che sembrava tanto affabile, ma di certo da Tatty, che senza troppi indugi si faceva strada a suon di sarcasmo e sincerità.
La donna sospirò e l’attimo dopo ruotò gli occhi al cielo, alzandosi dal tavolo e iniziando a sparecchiare.

« Sei impossibile. Non so come farai a sopportarlo Axel, buona fortuna », e con un’occhiata che non nascondeva un po’ di divertimento, la donna prese a portare in cucina i piatti, impedendo con un cenno autoritario ad Axel di alzarsi per aiutarla.
«  Non ho di certo cent’anni », la sentirono borbottare dalla cucina, mentre apriva l’acqua e la lasciava scorrere nel lavabo.
Roxas sbuffò e si voltò verso Axel, ma prima ancora che potesse parlare le labbra dell’altro lo zittirono.
Un movimento leggero, un piccolo sfioramento, finché il calore non avvolse le membra del biondo e il ragazzo non si rilassò contro la bocca del fulvo.
La sala echeggiò di piccolo schiocchi umidi, finché entrambi non ripresero fiato.

«  Ecco, bravo, vedi?Ogni volta che stai per arrabbiarti fai così: non andare in escandescenze e baciami. Funziona, sono un ottimo rimedio naturale, ma ovviamente ho il mio prezzo.»
Roxas si leccò le labbra e inspirò piano.
« Ti va bene se ti pago con del cibo?»
«  Scherzi vero? Comprami un dolce al giorno e sarò tuo per il resto della mia vita.»
«  Cristo Axel, fai schifo, ti svendi per un dolce »
Il maggiore rise di gusto, prima di lasciarsi scivolare sopra la sedia, stanco dalla giornata di lavoro e appesantito da tutto quello che aveva mangiato.
Socchiuse gli occhi e mosse appena la mano destra per aria, come a voler scacciare le parole dell’altro.

« Mi svenderei anche per il cibo di tua nonna, è fantastica, e non solo in cucina. Mi piacerebbe tornare qui a farle visita. »
Roxas annuì, gettando uno sguardo alla porta aperta della cucina, chiedendosi se Tatty avesse sentito quello scambio veloce di battute.
Se l’aveva fatto sicuramente ora se ne stava lì, con le mani immerse nell’acqua e sapone, tutta soddisfatta di suo nipote.
Il biondo allungò le gambe sotto al tavolo e si passò la mano tra i capelli, tirandosi qualche ciuffo all’indietro.

«  Vieni qui quando vuoi, sicuramente le farà piacere. Adora il teatro e da come ti parlava oggi probabilmente adora anche te, quindi … »
« Quindi l’ho rimorchiata. Wow », commentò Axel, lo sguardo che immediatamente si faceva soddisfatto e anche un po’ incredulo.
Gli arrivò una leggera gomitata nello stomaco, seguita da un’occhiata tutt’altro che entusiasta.

«  Che schifo, non lo voglio immaginare.»
Axel gli cinse pian piano le spalle con il braccio, avvicinando il capo al suo fino a farglielo scivolare sopra la spalla.
«  Fidati, nemmeno io voglio immaginarmi con una donna, né giovane né vecchia, brrr. »
Roxas soffocò una mezza risata e se ne rimase lì, adagiato contro al corpo caldo dell’altro, e guardò fuori dalla finestra posta di fronte a loro.
Era una bella serata e così come gli aveva insegnato Axel, sorrise.
“ Se vedi qualcosa di bello sii felice, se vuoi ridere ridi, se vuoi gridare grida! La vita è bella solo se siamo noi a renderla tale.
Roxas, avanti, guarda lì, lo vedi? Il sole. Non è bellissimo? Perché non sorridere ad un mondo così bello”,
le parole di Axel ancora rimbombavano nella sua testa come un eco soave.










THE END?
No, scherzo, non è la fine, siamo circa a metà storia, urrà!
Finalmente Axel e Roxas sono riusciti ad andare a questa fantomatica cena dalla nonna e finalmente sono una neocoppietta felice e smielata.
Ora non manca che scoprire cosa sta succedendo a casa di Roxas, no?
Al prossimo capitolo, e grazie a tutti quelli che seguono/leggono/recensiscono (!?)
Mel

 

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Capitolo 13
*** XII ***


XII


 
 
 
Roxas non tornava a casa da sei giorni. Ventus l’aveva aspettato tutte le notte appollaiato sopra al divano, le orecchie attente e il cellulare in mano, finché la stanchezza non prendeva ogni volta il sopravvento.
Erano stati sei giorni lunghissimi e disperati, dove ogni sua chiamata veniva ignorata e ogni messaggio non veniva nemmeno visualizzato.
Ventus aveva passato tutti i pomeriggi in casa, lo sguardo incollato alla finestra, nella speranza di vedere la testa bionda del gemello fare capolino dall’angolo della strada, ma non era mai successo.
Naminé era furiosa, sbatteva le porte ogni volta che usciva da una stanza e di tanto in tanto Ventus la sentiva urlare al cellulare, minacciando sua madre di rispedire Roxas a casa.
Tatty era stata irremovibile a tal proposito: Roxas sarebbe tornato quando se la sarebbe sentita e non avrebbe di certo fatto un torto a suo nipote.
Ventus avrebbe tanto voluto andare da lei e dirgli che stava facendo proprio quello, perché c’era anche lui, non solo Roxas.
Anche lui era suo nipote, anche lui aveva bisogno di ricevere il suo affetto, non esisteva solo Roxas.
Nonostante tutto, però, non era affatto arrabbiato con il gemello, semplicemente gli mancava.
Gli mancava come quando a sette anni Naminé aveva deciso che erano abbastanza grandi da dormire in stanze separate, decidendo di distruggere il letto a castello che li aveva ospitati per tutta la loro infanzia.
Ventus aveva pianto per un mese intero, nascosto sotto le coperte della sua nuova camera troppo grande per una persona. Aveva rimpianto il vecchio letto cigolante che li aveva ospitati per sette anni, quel bellissimo letto a castello dove Roxas inventava sempre nuove avventure per giocare. Una settimana erano prodighi cavalieri, l’altra degli alchimisti, l’altra ancora uomini coraggiosi pronti a scalare una montagna.
L’unica differenza col passato era che un tempo, durante la notte, quando la mamma dormiva, Ventus riusciva a sgattaiolare fuori dalla sua camera e intrufolarsi dentro quella di Roxas, mentre ora sapeva non esserci nessuno là dentro.
Il ragazzo sospirò amaramente e appoggiò la guancia sopra il tavolo della cucina, guardando con malinconia la grande finestra che dava sul giardino.
Osservò il sole ancora basso, pronto a sorgere nel cielo, e si chiese perché le cose andavano sempre male in quella famiglia.
“Quando è iniziato a rovinarsi tutto quanto?”
Ventus corrugò la fronte, assottigliando leggermente gli occhi azzurri nello sforzo di concentrarsi.
Probabilmente la spaccatura iniziale l’aveva creata Roxas, il giorno in cui aveva deciso di chiudersi in se stesso e vivere la sua vita chiuso in casa.
Pian piano le cose erano peggiorate e qui Ventus si prese una piccola fetta della colpa: Roxas lo ignorava? Bene, allora lui si sarebbe fatto un sacco di amici e si sarebbe divertito più di lui.
Aveva passato anni interi a stringere amicizia con chiunque, chiacchierando alla fermata dell’autobus, intavolando discorsi al bar e salutando tutti i suoi compagni di scuola.
Infine era arrivato il colpo definitivo, la causa della rottura finale, era stato quel ragazzo dai capelli rossi.
Ventus non conosceva nemmeno il suo nome, ma lo detestava con tutto se stesso.
Roxas era cambiato da quando l’aveva conosciuto e aveva iniziato a stare fuori di casa – Roxas! Roxas che faceva fatica perfino ad andare a scuola!- , a divertirsi come una persona normale, ma senza Ventus.
Il ragazzo aveva sempre creduto di essere lui la persona più importante per Roxas, quello con cui ridere e scherzare, con cui uscire e divertirsi.
Lui, Ventus, non quel ragazzo dai capelli rossi.
Il ragazzo sospirò, affranto, e scivolò lentamente in avanti, fino a stravaccarsi completamente sopra al tavolo della cucina.
La pancia si lamentò leggermente, a digiuno dalla sera precedente, ma Ventus ignorò ogni piccolo bruciore e gorgoglio, preferendo chiudere pian piano gli occhi e pensare ad una soluzione.
Doveva trovare Roxas e riportarlo a casa a tutti i costi. Poi, una volta che suo fratello sarebbe tornato al sicuro tra le mura domestiche, Ventus gli avrebbe fatto cambiare idea su quel ragazzo.
Insomma … Roxas non era gay, non aveva mai mostrato nessun interesse verso i ragazzi, eppure all’improvviso aveva deciso di mettersi insieme ad un uomo.
C’era qualcosa che non lo convinceva. Nella testa di Ventus Roxas aveva semplicemente bisogno di compagnia e all’improvviso aveva conosciuto qualcuno che poteva stargli accanto, ecco tutto.
Non era amore, non era infatuazione o nulla del genere.
“ Chissà se hanno già …”
I pensieri di Ventus si interruppero di colpo, senza nemmeno riuscire ad immaginarsi il continuo di quella frase.
No, Roxas era troppo piccolo, troppo inesperto, non poteva fare certe cose, non prima che fosse stato Ventus a farle per lo meno.
Il biondo scrollò la testa e strofinò la fronte sopra al marmo bianco, mentre un sospiro gli scivolava lentamente fuori dalle labbra.
Era inutile stare a casa a fare certi pensieri, doveva muoversi e agire; sicuramente anche Roxas l’avrebbe fatto per lui.
“ Vado a prenderlo”
Decise alla fine, fermamente convinto della sua riuscita.
Si alzò dalla sedia con una nuova forza di volontà e si passò la mano sopra al volto assonnato.
Gettò un ultimo sguardo alla cucina vuota e silenziosa, poi intascò il cellulare e uscì di casa.
 
 
Come aveva previsto Tatty l’aveva fatto entrare in casa senza troppi problemi.
L’aveva accolto con un gran sorriso e gli aveva poggiato le labbra prima sulla guancia destra, poi sulla sinistra com’era solita fare.
Ventus per qualche secondo era rimasto in silenzio a guardarsi intorno, in cerca di suo fratello, ma dopo essersi reso conto che lì dentro c’era solo sua nonna si era lasciato andare ad un sospiro stanco.

«  Nonna …» iniziò a parlare, lo sguardo basso come se si fosse appena beccato un rimprovero, «  nonna, dov’è Roxas? »
La donna stiracchiò leggermente le labbra e gli passò la mano destra sopra la nuca, accarezzando i capelli biondi e scompigliati.
«  E’ uscito più di due ore fa, tesoro », gli rispose con la solita voce zuccherosa e apprensiva.
Ventus sospirò ancora, mordendosi il labbro inferiore.
Sollevò lo sguardo per puntarlo sopra al volto della donna e rimase in silenzio ancora una volta, concentrandosi sopra l’espressione di Tatty per non perdersi nessuna sfumatura del suo volto.
Stava mentendo? Nascondeva Roxas da qualche parte?
Era un dato di fatto che Tatty preferisse di gran lunga passare il suo tempo con Roxas, piuttosto che con lui, ma pensava fosse oltremodo scorretto farglielo notare così palesemente.
Allora si accigliò.

«  Davvero nonna, dov’è? Deve tornare a casa, non può stare qui, deve tornare a casa con me »
«  Tesoro… »
«  No, ti prego nonna, per favore, io … », si bloccò, le labbra contratte e la voce che via via preferì azzittirsi piuttosto che ammettere che aveva più bisogno lui di suo fratello di quanto Roxas ne avesse di lui.
Poteva sembrare il contrario a prima vista, dove Ventus appariva un ragazzo solare ed energico, circondato da amici e sempre felice, ma non era affatto così.
Roxas stava bene nella sua solitudine, non sentiva la mancanza di nessuno e non soffriva nel ritrovarsi da solo nella sua camera, ma Ventus non era così.
Lui smaniava per le attenzioni, voleva vivere circondato dalle persone e quando rimaneva da solo a lungo, nella sua stanza, sentiva il corpo debole e stanco, senza energie.
Ecco perché aveva bisogno di Roxas, ecco perché lo rivoleva con lui.
Tatty socchiuse gli occhi e gli accarezzò ancora una volta la nuca, passando delicatamente le mani tra i capelli.

«  Ascoltami bene, Ventus Lys, perché non voglio ripetertelo ancora una volta: Roxas ti vuole bene, a te e a Naminé, ma ha bisogno di un po’ di tempo per sé. Non è sparito per sempre, tornerà a casa presto e tutto tornerà come prima.»
Ventus fece un passo indietro e si allontanò dalla mano della nonna, scuotendo la testa.
La gola si strinse in una morsa bollente e le pulsazioni del cuore iniziarono a farsi sempre più rumorose.
Bum bum bum, le sentiva nel petto, nella gola, perfino in testa.

«  Non è vero. Roxas preferisce passare il tempo con un tizio appena incontrato che con la sua famiglia, le cose non torneranno mai come prima. Ci ha tradito, ci ha lasciati da soli, e ora è giusto che torni con noi e sistemi tutto », dopo aver pronunciato quelle parole perfino Ventus si rese conto di quanto fossero sbagliate e ingiuste, ma oramai le aveva dette. Erano scivolate nell’aria e scomparse subito dopo, ma avevano ugualmente raggiunto le orecchie di Tatty.
Il volto della nonna si indurì leggermente, ma non perse ugualmente la delicatezza degli occhi.
Poteva pur sempre essere arrabbiata, ma non riusciva a controllare quell’irrefrenabile istinto materno che provava verso i suoi nipoti.

«  Axel è un bravo ragazzo e Roxas è felice di passare il tempo con lui. E’ giusto che sia felice », parlò Tatty, allungando nuovamente il braccio per poter accarezzare Ventus.
Il ragazzo, però, si allontanò ancora una volta e scosse la testa.
Axel.

«  E io? Io non posso essere felice? », le domandò, gli occhi che stupidamente si inumidivano, «  per te c’è sempre solo Roxas, Roxas, Roxas. Ci sono anche io e non è giusto, non è giusto, che lui se ne sia andato come se niente fosse, senza pensare a me nemmeno una volta. »
Il volto di Tatty si contrasse leggermente e le rughe sembrarono farsi ancora più scavate ed evidenti.
Si portò una mano sopra la bocca e scosse la testa, come se le parole di Ventus le avessero tolto il respiro.

«  Oh, tesoro, non sai quanto ti sbagli. Io vi amo entrambi come se foste figli miei. Dal primo momento in cui vi ho visto, due piccoli fagiolini appena nati, gli occhi ancora chiusi e le mani così piccole da sembrare quelle di una bambola … Ventus, ti prego, non pensare mai che io non ti voglia bene.»
Il biondo incassò il colpo e il petto si strinse dal senso di colpa.
Gli occhi azzurri scivolarono sopra al volto ferito della nonna e le gambe lo implorarono di correre via e andarsene da lì il prima possibile.
Tatty era sempre stata buona con loro, Ventus si ricordava di tutti i pomeriggi passati a casa sua, dove le tende erano blu e il profumo dei biscotti impregnava il copridivano.
Era stato ingiusto a dire quelle cose, ma non poteva impedire alla sua mente di pensarle.
Il ragazzo scosse la testa, allora, e tentò di salvare la situazione, di curare la ferita che aveva appena inferto a sua nonna.
Le afferrò la mano tra le proprie e l’accarezzò, prima di sollevare a fatica le labbra verso l’alto.

«  Mi dispiace, scusami, ma … mi manca davvero tanto Roxas. »
La donna socchiuse gli occhi e se lo tirò a sé, stringendo il corpo del nipote contro al petto, affondando la testa contro la sua spalla.
«  Siete così uguali, voi due », mormorò semplicemente, scuotendo appena la testa.
Ventus ridacchiò appena, anche se gli occhi continuavano a bruciare dal desiderio di piangere.

«  Nemmeno un po’, nonna. »
Lei scosse la testa e si allontanò di un passo, così da lasciar libero l’altro ragazzo; le labbra decorate dal lucidalabbra si sollevarono leggermente e la mano tornò sopra la nuca del biondo.
Ventus non la scacciò, ma non riuscì ugualmente ad incrociare il suo sguardo.

« Prova a parlare con Roxas, d’accordo? Non lo obbligare a tornare a casa, è testardo tanto quanto te. »
Ventus deglutì e scrollò le spalle; l’avrebbe costretto a tornare a casa con ogni mezzo possibile, era inutile chiedergli di fare il contrario.
L’avrebbe portato via dalla casa di Tatty e allontanato da Axel a tutti i costi.

«  Sai dov’è andato, allora? »
«  Al Jolie, un bar nel eastside.»
 
 
***



«  Ti ho chiamato più di un’ora fa, perché ci hai messo tanto? », sbottò Ventus, le labbra corrucciate e lo sguardo che pareva fulminare il viso stanco di Terra.
L’amico scrollò le spalle e chiuse la portiera dalla macchina, parcheggiata proprio davanti alla casa di Tatty.

«  Buongiorno anche a te, Ven, e tranquillo, non ringraziarmi per essere uscito prima dal lavoro ed essere venuto da te il prima possibile », lo punzecchiò il maggiore, avvicinandosi all’amico e dandogli una veloce pacca sopra la spalla.
Ventus lo ignorò totalmente e sospirò, ficcandosi l’ipod nella tasca dei jeans dopo aver arrotolato malamente le cuffie.
Appena uscito dalla casa di sua nonna, Ventus aveva chiamato di tutta fretta il suo migliore amico, chiedendogli di raggiungerlo il prima possibile.
Quando Terra gli aveva risposto con un: “ ma certo, nessun problema”, il biondo si era aspettato di vederlo apparire dietro l’angolo entro una decina di minuti, non dopo un’ora intera.

« Potevi scrivermi un messaggio, almeno. »
« Sei di cattivo umore, eh? », gli rispose solamente Terra, schioccando le labbra e sollevando la testa verso l’appartamento di Tatty, «  hai visto Roxas per caso? »
Lo sguardo di Ventus si fece ancora più cupo e le labbra si stirarono maggiormente verso il basso.
«  No, non era qui. »
Il moro esalò un: “ aaah” comprensivo e si passò la mano tra i lunghi capelli scuri che gli tenevano caldo sopra il retro del collo. In pieno agosto era una tortura vestirsi in giacca e cravatta e tenersi i capelli sciolti, ma non poteva di certo disubbidire al suo datore di lavoro, nonché padre, Xehanort; era un uomo con cui non si poteva di certo discutere, no signore!
«  Quindi mi hai chiamato perché….? », continuò a parlare poco dopo Terra, anche se in cuor suo già sapeva, e temeva, la risposta.
Non aveva voglia di passare il pomeriggio giocando a “ cerchiamo Roxas” nella topaia dove si era sicuramente rintanato, avrebbe di gran lunga preferito starsene al fresco in qualche bar insieme a Ventus.

«  Sai dov’è il Jolie, nell’east side?», gli domandò il biondo e Terra borbottò un: «  cazzo, lo sapevo» che non sfuggì alle orecchie del migliore amico.
Ventus si imbronciò maggiormente e il moro, quando lo vedeva con quell’espressione in volto, sapeva esattamente cosa sarebbe successo da lì a pochi minuti.
Prima di tutto Ventus lo guardava con occhi imploranti e arrabbiati, poi si lamentava appena, in seguito Terra cedeva e, alla fine di quel piccolo teatrino, il moro si ritrovava a fare esattamente quello che l’altro ragazzo voleva.
Succedeva lo stesso anche ad Aqua: nessuno dei due sapeva dire di no al biondo.
Allora sospirò, arrendendosi già in partenza, e si rigirò le chiavi della macchia tra le dita.

«  Forza, salta su, andiamo a prendere quel cazzone di tuo fratello », sbottò, mentre il sorriso di Ventus si apriva all’improvviso.
 
« Sei il migliore, il migliore del mondo, »gli disse, aggrappandosi contro di lui per un abbraccio fugace. Nemmeno tre secondi dopo Ventus si era già attaccato alla portiera della macchina, aspettando che l’altro l’aprisse.
Con uno sbuffò Terra schiacciò il telecomando e aprì le portiere, andando a sedersi nuovamente al posto di guida.
Girò la chiave nel quadro e la macchina partì per le strade di The World.

«  Sai, secondo me dovresti lasciarlo stare », iniziò a parlare Terra dopo qualche secondo, tamburellando le dita sopra al volante.
Ventus al suo fianco si mosse appena, leggermente a disagio, e guardò fuori dal finestrino.

« Continuate a dirmelo tutti, ma voi non sapete cos’è un bene per lui, io sì », sbottò, mordicchiandosi il labbro inferiore, « e stare lontano dalla sua famiglia non va bene. E non va bene nemmeno che frequenti gente strana  »
Terra sollevò un sopracciglio, distogliendo lo sguardo dalla strada solamente per gettare uno sguardo veloce all’altro ragazzo.
«  Intendi gay, per caso? »
Ventus storse il naso, «  sì, intendo quello. »
«  Bigotto »,mormorò poco dopo Terra, sbuffando leggermente dal naso.
«  Parli tu? Ci saranno quaranta gradi e sei in giacca e cravatta!», borbottò poco dopo Ventus, sollevando un sopracciglio e osservando il migliore amico al suo fianco, vestito di tutto punto, sempre pronto a mostrare alla gente i suoi bei vestiti firmati e le gocce di profumo costoso che si picchiettava sopra i polsi e dietro al collo.
Terra sollevò leggermente gli angoli della bocca e inserì la sesta.
La macchina tirò dritta, a tutta velocità, verso le strade sgombre del pomeriggio; di tanto in tanto qualche passante voltava lo sguardo alla vista dell’automobile che gli rombava affianco, ma non faceva nemmeno in tempo a vedere chi ci fosse alla guida.
I limiti di velocità, per Terra, non erano mai stati importanti.

«  Almeno io non sono omofobo», disse dopo qualche secondo di silenzio, mentre gli occhi azzurri scivolavano sopra al sedile del passeggero.
Ventus scosse la testa.

«  Nemmeno io, ma non voglio che mio fratello faccia certe cose con un uomo.»
Terra sbuffò, rallentando leggermente all’ingresso dell’eatside, superando qualche macchina parcheggiata malamente agli angoli della strada.
Il moro storse leggermente il naso.

«  Vedi, il vero  problema e unico problema è che quel tipo è un povero sfigato senza soldi. »
«  Scusa, chi era il bigotto tra noi due?», lo punzecchiò immediatamente Ventus, mentre le labbra di Terra si stiracchiavano nell’ennesimo sorriso.
Parcheggiò poco dopo, parcheggiando proprio davanti al vecchio bar dove si era ritrovato a discutere di affari non molti giorni prima.
Scese dalla macchina insieme a Ventus, ma al contrario del biondo non provò nemmeno a muovere un solo passo verso quella bettola.
Terra appoggiò la schiena contro la macchina e incrociò le braccia al petto, pronto ad aspettare pazientemente.
Il biondo si voltò verso di lui e sollevò un sopracciglio.

«  Non vieni? »
«  Col cazzo, non abbandono la mia piccola qui da sola », commentò, dando un leggero colpetto alla macchina, « non me la voglio far rubare così facilmente. »
Ventus scrollò le spalle e lo lasciò lì insieme alla sua “ piccola”, entrando dentro al Jolie a passo svelto.
L’aria fresca dei ventilatori gli fece correre i brividi sopra le braccia e l’odore dei dolci gli fece storcere il naso; quel posto era orrendo, non riusciva ad immaginarsi Roxas in un posto del genere, seduto sopra una di quelle squallide sedie a conversare insieme ad Axel.
Axel.
Quel nome aveva ancora un sapore amaro sopra le sue labbra.
Ventus prese a guardarsi in giro allora, sperando di riuscire a trovare Roxas il prima possibile, trascinarlo fuori da lì e riportarlo a casa com’era giusto che fosse.
Scrutò attentamente i pochi clienti e non trovò nessuna testa bionda.

«  Che mi venga un colpo, sei praticamente identico a Roxas! »
Una voce profonda lo fece sobbalzare e, nel sentire il nome del fratello, Ventus si voltò automaticamente verso l’uomo dietro al bancone.
Incrociò le braccia al petto e si avvicinò di qualche passo, mentre l’uomo sulla quarantina si sporgeva in avanti e continuava a squadrarlo.

«  E’ il mio gemello, è ovvio che ci assomigliamo. »
Quello eruttò in una risata, sbattendo lo strofinaccio sopra al bancone.
«  E non sono d’aspetto, da quel che sento. »
Ventus sospirò; non aveva tempo per conversare insieme a sconosciuti, aveva una missione da portare a termine.
Schioccò le labbra e si schiarì la voce, sollevando lo sguardo verso l’orologio appeso vicino alle mensole piene di alcolici.

«  Mi hanno detto che Roxas era qui, giusto? »
«  Esatto, esatto », commentò Xaldin, afferrando un bicchiere pulito e riempiendolo con la coca cola alla spina. Spinse il bicchiere verso Ventus, che rifiutò con un cenno del capo.
«  Sai dov’è andato?», il biondo proruppe con una nuova domanda, facendo un passo indietro, il più lontano possibile da quel bicchiere di coca cola, come se temesse di cedere alla tentazione.
Poteva essere gentile quanto voleva, quel tipo, ma Ventus sapeva bene che non ci si poteva fidare di quelli dell’estside. Sua madre glielo ripeteva sempre.
Xaldin scosse la testa e borbottò qualcosa di incomprensibile, riprendendosi il bicchiere tra le mani e dandoci una lunga sorsata.

«  E’ andato via insieme ad Anna dai capelli rossi, hai presente, no? »
Suo malgrado Ventus ce l’aveva ben presente.
Serrò appena le labbra e lo intimò a continuare: 
«  ok, e dove sono andati? »
Xaldin finì di svuotare il bicchiere e lo abbandonò dentro al lavandino, afferrando nuovamente il suo fidato straccio e tornando a ripulire il bancone.
«  Al Jimbo’s, la catena di fast-food,  capisci? Quello vicino all’autostrada, »l’uomo corrugò appena la fronte e tornò a guardare Ventus, «  è un po’ lontano da qui, sicuro di non volerti portare via almeno un gelato? Lo metto in conto a tuo fratello, tanto.»
Il biondo scosse la testa e si limitò a borbottare un: “ sono in macchina”, prima di abbandonare quel posto il prima possibile.
Raggiunse la porta in pochi secondi e, una volta fuori, si lasciò scappare un lungo sospiro.
Se ne rimase immobile per qualche istante, mentre un leggero senso di nausea gli fece contrarre le budella.
Era stato gentile, quell’uomo, e tutto perché era il gemello di Roxas; suo fratello aveva più amici di quello che pensava e la sola idea lo faceva sentire solamente peggio.
Si riscosse dai suoi pensieri e scosse la testa, tornando a camminare verso la macchina.

«  Allora?», gli chiese l’amico, una sigaretta tra le labbra e la mano sinistra che si schermava il volto dal sole.
«  Allora non è qui », sbottò semplicemente, seccato.
Terra sollevò le labbra – sotto sotto quella sottospecie di caccia a Roxas stava diventando interessante- e aprì la macchina.
Gettò il mozzicone a terra e tornò a sedersi; accese l’aria condizionata e si voltò verso Ventus, accendendo l’automobile e lasciando rombare un po’ il motore.

«  Qual è la prossima meta? »
Il biondo serrò appena le labbra e si voltò verso il moro.
«  Sei sicuro di volermi accompagnare ancora? », gli chiese, la voce che, stranamente, aveva perso quella sua solita vitalità.
Terra scrollò le spalle, arricciando leggermente le labbra.

«  Sei il mio migliore amico, Ven », cominciò, allungando il braccio solo per poter scompigliare i capelli dell’altro, «  ti aiuterei a fare qualsiasi cosa. Forza, non fare quella faccia!»
Il biondo non rispose per qualche secondo e Terra si ritrovò a sbuffare leggermente, con la mano ancora sopra la nuca dell’altro.
La lasciò scivolare sopra la spalla di Ventus e la strinse leggermente; non era bravo con le parole, non lo era mai stato, ma in certi momenti sapeva che dar voce ai propri pensieri era l’unico modo per migliorare la situazione.

«  Ascolta, perché non lo ripeterò ancora una volta. Sai bene  quanto io detesti Roxas, davvero, ma sono disposto a girare tutta la città per poterlo trovare, d’accordo? E dopo, quando andrai da lui, gli dirai che sia io, che te, che tua madre, tutti, ci siamo dati da fare per cercarlo.»
«  Ah, ti prego, a te piace Roxas», sbottò Ventus, accennando ad un piccolo sorriso, « quand’eravamo piccoli giravi sempre vicino a lui e ignoravi me.»
Terra ruotò gli occhi al cielo.
«  Ero piccolo e ignorante, d’accordo?», poi tornò a farsi più serio, le labbra dritte e leggermente inclinate verso il basso, «  andiamo a prendere tuo fratello, parlagli, ma ti do un consiglio: non obbligarlo a fare niente, sai bene come reagirebbe.»
Ventus avrebbe tanto voluto aggiungere un : “ ma”, un “però”, eppure non aprì bocca.
Sapeva perfettamente che Terra aveva ragione, così come ce l’aveva avuta sua nonna Tatty.
Se non altro voleva provare a convincerlo e, magari, chiedergli di fargli quell’unico e piccolo favore.
Ventus si umettò le labbra e alla fine si arrese sopra al sedile della macchina.

« Andiamo al Jimbo’s, vicino all’autostrada.»
La macchina di Terra partì con un rombo.
 
***
 


A questo “ famoso” Jimbo’s, Ventus non aveva affatto trovato Roxas.
Aveva incontrato Axel, però, e quella breve discussione era riuscita a lasciargli l’amaro in bocca più del previsto.
Quel ragazzo, Axel,  era intelligente, spigliato e sembrava addirittura simpatico, ma Ventus era riuscito a stento a trattenere ogni tipo di insulto che gli frullava per la mente.
Il biondo aveva visto il fulvo dietro al bancone, lì a chiacchierare con un altro ragazzo dai capelli rosa, e subito aveva provato un moto di rabbia premergli sullo stomaco.
Si era avvicinato con risolutezza al bancone, le mani strette a pugno e l’espressione più dura che potesse indossare, ma non era di certo a provocare alcun timore nello sguardo di Axel.
Al contrario il fulvo si era lasciato andare ad un gran sorriso un po’ imbarazzato e gli aveva confessato che si aspettava una sua visita da un momento all’altro.

«  Roxas non è qui, forse è all’Edoné, un piccolo teatro in cast street », gli aveva detto, ma Ventus si sarebbe mozzato la lingua piuttosto che ringraziarlo per quell’informazione.
Se n’era andato sconsolato, stanco, dando le spalle al fulvo e sperando vivamente di non doverlo mai più rivedere.
Il solo avergli parlato per più di qualche minuto era riuscito a dargli nausea, quindi: “ arrivederci e a mai più”, si era ritrovato a pensare non appena uscito da quello squallido fast-food.
Terra lo stava aspettando appoggiato con la schiena contro la sua automobile, una mano a schermarsi dal sole calante e un sorriso sghembo sopra le labbra.
Non aveva bisogno di chiedergli nulla, l’espressione di Ventus la diceva già lunga.
Ovviamente non aveva trovato Roxas, e ovviamente suo fratello era in giro chissà dove per l’east side.

«  Non ho più voglia di cercarlo, portami a casa », aveva dichiarato, la voce stanca e dalla tonalità sconsolata.
Era la verità, la dannatissima e sacrosanta verità: era stanco di andare in giro per una città che non conosceva a cercare suo fratello, che a quanto pareva non voleva affatto essere trovato da lui.
Roxas aveva nuovi interessi, nuovi amici, e probabilmente non aveva bisogno di suo fratello.
Quell’idea era riuscita a far calare Ventus in un silenzio tombale per tutto il viaggio di ritorno, tanto che nemmeno Terra era riuscito a spiaccicare parola a propria volta.
Era stata una giornata stressante, dolorosa, e alla fine l’unica cosa che riusciva a sollevare un po’ l’umore di Ventus era l’idea di tornare a casa, sdraiarsi sopra al letto e dormire.
Eppure, non appena il ragazzo si era congedato da Terra, trovò qualcosa ad infrangere quel piccolo spicchio di felicità: Roxas.
Suo fratello se ne stava seduto a gambe incrociate sopra le scale della veranda, una sigaretta tra le labbra e lo sguardo perso verso il cielo al tramonto.
Ventus l’aveva cercato tutto il giorno ed ora eccolo lì, come se niente fosse, proprio davanti casa.
Il ragazzo strinse la mano sopra al cancelletto del giardino e se lo richiuse alle spalle, sbattendolo con fin troppa forza, e strappando Roxas dai suoi pensieri.
Gli sguardi si incontrarono per la prima volta in sei giorni e Ventus avvertì una stretta al cuore talmente dolorosa che temette di poter stramazzare a terra da un momento all’altro.
Si fece coraggio – “ l’hai cercato tutto il giorno, ora affrontalo”, aveva mormorato tra sé e sé- e andò a sedersi silenziosamente affianco al gemello.
Nessuno dei due emise un solo rumore ed entrambi rimasero in silenzio ad ascoltare i caldi rumori estivi che li circondavano.

«  Non pensavo fumassi », disse alla fine Ventus, “ non pensavo di trovarti qui”, pensò.
Roxas al suo fianco scrollò le spalle, abbassando lo sguardo sopra la sigaretta a metà, per poi fare un tiro veloce.

«  Non è un vizio, più uno sfizio », commentò qualche secondo dopo, corrugando appena la fronte.
Ventus al suo fianco tentò un sorriso forzato, mentre fissava il volto del gemello; aveva un piccolo livido giallognolo sotto all’occhio e il labbro era ancora leggermente gonfio dove si riusciva ad intravedere un piccolo taglio, ma per il resto sembrava star bene.
Non era morto sgozzato in vicolo dell’east side se non altro.
Ventus sospirò leggermente e allungò le gambe davanti a sé, appoggiando entrambe le mani sopra le scalinate di mattoni.
Osservò il cielo che sfumava in caldi colori; rosso come le foglie d’autunno, arancio come il frutto maturo e lassù, più in alto, quella leggera sfumatura di azzurro che ricordava i loro occhi.

«  E così … sei gay?», la voce gli uscì dalla bocca senza nemmeno accorgersene. Le parole fluirono sopra la lingua e scivolarono tra le labbra di Ventus senza alcun controllo, ma oramai non aveva senso trattenere quella domanda.
Gli occhi del ragazzo scivolarono sopra al volto di Roxas al suo fianco, cercando di scorgere un leggero cambiamento della sua espressione, ma il volto del gemello rimase uguale: un leggero sorriso sopra le labbra e gli occhi puntati sopra al cielo.

«  Devo per forza essere qualcosa? », gli domandò Roxas, abbassando il braccio e togliendosi la sigaretta dalle labbra. La spense contro il gradino, lasciando una chiazza di cenere nera.
«  E’ così che funziona », gli rispose semplicemente Ventus, mentre la domanda dell’altro gli ronzava nella testa come un’accusa velata.
Il ragazzo serrò leggermente le labbra e iniziò a giocherellare con le proprie dita, mentre Roxas al suo fianco si lasciava andare ad una risatina amara, così diversa da quelle che un tempo condividevano.

«  Davvero Ven, il mondo fa davvero schifo se tutti la pensano in questo modo. Gay. Ha un suono strano, non credi, porta con un sé un certo insulto, un tono dispregiativo, qualcosa che non riesco bene a capire. Gay ...», Roxas mormorò quella parola tra sé e sé come se stesse cercando di studiarla e capirla, ma alla fine si zittì e la rughetta sulla fronte si appiattì tanto velocemente quanto  era comparsa.
Ventus rimase in silenzio pensando a propria volta, un leggero senso di colpa allo stomaco che non riusciva a levarsi di dosso.
Era anche lui come tutti gli altri? Aveva trattato Roxas come tutti gli altri?
Il silenzio continuò per un minuto intero finché Ventus non scosse la testa e sospirò.

«  Sai, oggi ti ho cercato tutto il giorno. Volevo trovarti e riportarti a casa a tutti i costi, ma alla fine non è servito a niente. Sei tornato da solo.»
«  Non intendo rimare qui », lo interruppe prontamente Roxas, ma l’altro ragazzo scosse la mano destra in aria, come a scacciare via quelle parole.
«  Non importa », continuò Ventus, «  sei tornato qui per parlare con me, no? Mi basta sapere che non mi hai abbandonato del tutto.»
Il ragazzo serrò appena le labbra e tirò su col naso l’istante dopo, cercando di ricacciare indietro quel fastidioso bruciore agli occhi.
Roxas al suo fianco se ne rimase in silenzio ancora una volta, ma gli occhi non erano più rivolti verso il tramonto, ora erano fissi sopra al volto del gemello.

«  Roxas, non mi importa se sei gay o etero, o qualsiasi cosa tu non voglia essere, te lo giuro.»
«  Ah sì? Non ti da fastidio che mi piace un ragazzo?»
Ventus si ritrovò a serrare maggiormente le labbra e cercò di ricacciare indietro quel “ sì” che gli premeva sopra le labbra.
«  Cercherò di farmelo andare bene, se questo vuol dire farti tornare a casa.»
Roxas schiuse le labbra come se volesse parlare, ma alla fine non disse nulla; rimase affianco a Ventus e tirò fuori il pacchetto di sigarette di Axel, giocherellando con il cartone.
«  Mi dispiace di essere un stronzo », disse alla fine, allungando il pacchetto verso il gemello; Ventus afferrò una sigaretta e se la rigirò tra le mani.
«  Dispiace anche a me, stronzo », borbottò, afferrando l’accendino e prendendo la prima boccata di fumo l’attimo dopo.
Roxas osservò le labbra del gemello schiudersi e il fumo risalire verso il cielo e alla fine sospirò.
 “Non pensavo fumassi”, disse alla fine, allungando a propria volta le gambe lungo i gradini.
Ventus accennò un sorrisetto.

«  Non è un vizio, più uno sfizio.»







***
Ecco, insomma, un mese di ritardo, ma l'importante è non arrendersi mai, no? NO?
Esatto, quindi eccoci qui con un nuovo capitolo dedicato a Ventus, forza, entriamo un po' nella testolina del gemello di Roxas per  vedere cosa succede.
Spero sia una bella lettura, cari lettori, alla prossima!
Mel.

 

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