Il mondo dei sogni

di Me91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Questa storia ha partecipato al concorso "È solo questione di apparenza" indetto da Kris_piangente_minatrice e si è aggiudicata il secondo posto con un punteggio di  47,3/50.

Il link della pagina con il concorso è il seguente: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9169075
Buona lettura!


Il mondo dei sogni

 Prefazione

 

Dal diario di un giovane uomo.

18 Aprile

Sognare è bello, ci è dovuto. Mi piace perdermi tra i miei pensieri, immaginare di trovarmi altrove, in un luogo lontano. In quel luogo. Il luogo dei sogni... Nerfea.
Ho impiegato tutta la vita per trovare
la strada. So che c’è, so che esiste: le leggende sono vere, ne sono sicuro.
Sogno continuamente di giungere lì. Un giardino rigoglioso, una cascata, forse il mare. Mi prendono per pazzo, ma almeno io posso sognare. E mi perdo nella bellezza dei miei sogni.
Sognare, ormai, è l’unica cosa che mi è rimasta. Mi hanno tolto tutto... tutto. Persino la libertà. Però non potranno mai appropriarsi dei miei sogni. E io ti raggiungerò Nerfea... se non in questa vita, almeno con la fantasia.
Chissà... forse, lasciando queste memorie, qualcun altro ci riuscirà al mio posto.

Il giovane verrà poi giustiziato pubblicamente.
Era uno stregone.

Continua...

Questa è solamente una breve introduzione... subito a seguire, il primo capitolo.
La storia sarà breve: è composta da quattro capitoli.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

In questo mondo caotico e irrequieto, il male ha tempo piantato le sue radici. Lo ha corrotto e macchiato e tutto si sta lentamente disintegrando.
Da troppo tempo l’aria è fetida e spesso malsana e  il cielo è grigio o nero, sporcato dagli orrendi fumi dei camini delle fabbriche... la gente si sta dimenticando di che colore era prima.
E la paura, la paura si è insidiata nei cuori degli uomini che stanno perdendo ogni credo, ogni valore. La paura della morte, ecco quale paura; perché... perché, può esistere un Dio? Uno qualsiasi, in questo mondo terribile, comandato da uomini spietati, in questa Terra sporcata di sangue... no che non c’è.
Gli unici oppositori ai Signori del Nord, che da tempo hanno edificato il loro regno di morte e terrore, erano gli stregoni; la specie più antica del mondo che viveva in pace e predicava la pace. Non potevano permettere ai Signori di distruggere tutto, rovinare il Bello.
La loro fu una resistenza tanto coraggiosa quanto debole; gli stregoni erano troppo pochi contro un simile esercito di corrotti che, di umano, hanno ben poco. Forse sono demoni, o uomini posseduti da demoni... creature terribili e disumane, questo è certo.
Non ci sono quasi più stregoni da diversi decenni, ormai. Quasi tutti arrestati, quasi tutti giustiziati. Degli altri si sono perse momentaneamente le tracce.
Al loro posto, a dare spettacolo in teatri pieni di nobili o borghesi annoiati, solamente banali uomini, illusionisti e prestigiatori, da frivoli trucchi facilmente risolvibili.
Solo pochi sono davvero in grado di rievocare la vera meraviglia della
Magia. Maestri, incantatori di folle, forse... veri stregoni. 

Dapprima, quando si era aperto il sipario, era calato il silenzio.
Lui aveva fatto la sua entrata con calma; i suoi passi risuonavano nell’aria, rimbombando, per poi dissolversi nella penombra del teatro. Aveva rivolto il suo sguardo ad un pubblico ammaliato dal suo fascino, da quelle sue iridi color del mare e quel viso giovane e fresco; tutto questo sempre nel più assoluto silenzio. Aveva un’aria assorta, pensierosa; gli occhi perennemente lontani e riflessivi. Quell’aria meditabonda non era scomparsa nemmeno quando aveva curvato le labbra in un piccolo sorriso di benvenuto e aveva iniziato ad incantare gli spettatori con le sue parole e le sue magie.
Ora il silenzio è stato spezzato; la sua bella voce ha stregato il pubblico che spesso scoppia in applausi ed acclamazioni.
Ad un ennesimo applauso caloroso, il prestigiatore si inchina un poco per ringraziare.
«Voi applaudite le mie magie, ma in realtà un tempo esistevano persone in grado di compiere grandi meraviglie, degne davvero di questo entusiasmo.» proferisce con un sospiro, raddrizzandosi  «Io non sono che un illusionista. Ben lungi dall’essere un vero mago.»
Tende il braccio in avanti, mostra la mano, vuota, la ruota più volte e la muove in fluidi movimenti che quasi ipnotizzano.
Ad un tratto la chiude, per poi voltarla e riaprirla con il palmo verso l’alto; appena le dita si distendono, una ad una, una candida colomba bianca appare come dal nulla, spiccando poi il volo verso il pubblico meravigliato.
«Illusione.» prosegue il giovane ventenne con una voce calda «Distorsione della realtà. Ciò che è impossibile, diventa possibile. O meglio: così vi faccio credere.» si avvicina al bordo del palco, si china, richiude la mano e allunga il braccio verso una donna seduta in prima fila; dopo aver fatto ruotare il polso, un mazzo di freschissime rose gli compare in mano, facendo sobbalzare la spettatrice. Il pubblico applaude, affascinato.
Dopo aver donato i fiori alla donna, il giovane torna al centro del palco, riprendendo:
«Impossibile capire il trucco; provateci, fallirete. Anzi, vi dimostrerò un’illusione che ha dell’incredibile. Per compierla, ho bisogno dell’aiuto di uno di voi; chi vuol partecipare?»
Molti alzano la mano, chiamando anche a gran voce, ma l’illusionista scende dal palco e sceglie una giovane seduta in terza fila. Mentre l’aiuta ad alzarsi, commenta con una voce suadente:
«Se permettete, preferisco una bella ragazza.»
Alcuni ridono e lui l’accompagna sul palco; è davvero molto bella, dai fluenti capelli neri e gli occhi anch’ella di un azzurro acceso.
Il giovane le afferra quindi una mano e la bacia sul dorso; lei gli sorride delicatamente, lusingata.
Un paio di assistenti portano una cabina di legno scuro con uno sportello per chiuderla davanti; la cabina è posata su dei gambi che la sollevano di un palmo da terra e dietro è priva di pannello, quindi aperta.
«Come notate, dietro non è chiusa; si può dire, quindi, che non esiste nessun “doppio fondo”.» mostra il ragazzo, aprendo lo sportello.
«Inoltre, è rialzata da terra; perciò non è collegata a nessuna botola, se vi fosse venuto il dubbio. Bene.» aiuta la ragazza a salire nella cabina; lei alza di poco la gonna ed entra, per poi rimanere dritta a guardarsi intorno con il capo, mostrando curiosità.
Il giovane illusionista si porta di fianco la cabina e asserisce:
«Ora chiuderò lo sportello e, quando lo riaprirò, la ragazza sarà scomparsa.» volta il capo verso la giovane, che si mostra un po’ impensierita, e la rassicura con tranquillità:
«Andrà tutto bene, non temere; non ti accadrà nulla.»
Lei annuisce, calmandosi.
«D’accordo.» mormora la ragazza.
Lui allunga il braccio con calma e va a richiudere lo sportello. Torna a guardare intensamente il pubblico, che trattiene il fiato, e rimane in silenzio per qualche istante.
«Che cos’è la realtà?» domanda ai suoi spettatori dopo un po’, catturandoli pienamente con la sua voce «Tutto ciò che possiamo vedere, toccare? E il resto? Se tutto questo può essere spiegato con la ragione, la razionalità, il resto, quel che non possiamo vedere o toccare, come può essere spiegato? O meglio... si può dare una spiegazione?» socchiude gli occhi «C’è qualcosa oltre l’illusione? Forse, se c’è, ve la sto per mostrare...»
Posa la mano sulla maniglia e sussurra con enfasi:
«Ed ecco... la magia
L’abbassa e spalanca lo sportello con un colpo secco.
La cabina è vuota.
Il pubblico, dapprima sbigottito ed estasiato, scoppia in un improvviso e fragoroso applauso, acclamando il giovane a gran voce.
Lui non muta quell’espressione posata e assorta e si esibisce elegantemente in un profondo inchino, facendo ondeggiare il lungo mantello bianco. 

Davvero tutti i maghi sono morti? E’ davvero possibile eliminare un popolo, una razza, un così gran numero di individui, in pochi anni? Certo che no. Ce ne sono altri. 

L’unico a non applaudire è l’uomo di mezza età, dalla rada barba e i capelli brizzolati, seduto in una fila in fondo. Si massaggia meditabondo il mento, con lo sguardo attento puntato sul palco. L’altra mano è posata sul bracciolo della poltroncina e le dita tambureggiano ritmicamente.
Ripensa alle parole pronunciate poco fa da quel ragazzo.
Impossibile capire il trucco; provateci, fallirete.
Aggrotta appena le sopracciglia, tirando leggermente le labbra.
«Non c’è trucco.» mormora tra sé, osservando vigile l’illusionista sparire dietro il sipario, ancora prostrato nel suo bel inchino.
L’uomo quindi si alza e si allontana in fretta, non notato. 

2 Maggio

Gli uomini non sanno cosa significhi vedere. Non hanno mai aperto gli occhi. Li tengono lì, sulla faccia, facendone solo un ornamento. Forse non li hanno mai usati perché non sanno dove o cosa guardare.
“Ma cosa c’è da vedere?” non fanno che chiedermelo.
“Tutto” rispondo sempre io.
Immaginate solamente che in realtà voi state vivendo un sogno; che tutto ciò che toccate, che respirate, che vedete - per così dire -, sia frutto della vostra immaginazione... Non vorreste svegliarvi? Alzare le palpebre, sbadigliare ad un sole
vero, guardare vere cose, annusare veri profumi...
Oh, come vorrei svegliarmi. Mi sento prigioniero di questa fantasia, di questo sogno, che m’impedisce di destarmi. Ma come posso raggiungere quella terra meravigliosa? Come?
Non tarderò a scoprire il segreto, se continuerò a cercarlo con tutte le mie forze. 

Qualcuno bussa alla porta e l’illusionista si riscuote, chiudendo il diario che stava leggendo e voltando il capo verso l’uscio.
«Sì, avanti.»
La porta si apre ed entra un uomo di mezza età, con rada barba e capelli brizzolati; lo stesso spettatore che prima non ha applaudito.
«Tu devi essere Aaron.» esordisce l’uomo, chiudendosi la porta alle spalle «L’illusionista.» sembra pronunciare la parola con una punta di disprezzo.
Il ragazzo gli sorride leggermente per cortesia e china di un poco il capo.
«In persona. In effetti, siete nel mio camerino.»
L’altro si dà una fugace occhiata intorno, senza soffermarsi troppo sui mobili scuri, le tre scrivanie ingombre di roba, il piccolo divanetto su cui sono stati gettati diversi vestiti, di quella piccola stanzetta illuminata dalla luce fioca di un unico lampadario al centro. Troppo caos per i suoi gusti.
«E voi siete...?» lo esorta a parlare il giovane, rimanendo composto sulla sua sedia.
L’uomo torna a guardarlo e risponde con un’aria professionale:
«Ispettore Scott Brown. Sezione antitruffa
Aaron mostra un lieve sorriso ironico, prima di commentare:
«Un modo carino per indicare il reparto speciale di polizia anti-stregone. Proprio come il vostro nome; siete sicuramente sottocopertura.»
L’ispettore rimane serio e pacato.
«Sei un ragazzo sveglio.» si complimenta con un tono piatto e incolore.
Il giovane alza le spalle e sospira:
«Immaginavo sareste passati prima o poi.»
«Non lo avresti pensato se non avessi avuto qualcosa da nascondere.» gli fa notare l’uomo.
Aaron ridacchia un attimo, per poi dire:
«Oh, ma io non sono uno stregone. Sono un semplice illusionista.»
«Vorresti farmi credere che i tuoi sono solamente trucchi?» chiede l’ispettore, alzando un sopracciglio.
Il ragazzo appoggia i gomiti sui braccioli della sedia e intreccia le dita con tranquillità.
«Assolutamente.» asserisce con calma.
«E cosa mi dici dell’ultimo trucco?» insiste l’ispettore, ancora serio «Quello della ragazza che scompare.»
«Oh, quello...» il ragazzo volta il capo verso una piccola porticina alle sue spalle.
Anche l’ispettore Brown alza gli occhi in quella direzione. Si odono dei passi e la porticina si spalanca di scatto; una bella ragazza giovane, dai capelli lunghi e biondi e gli occhi di un azzurro intenso, entra trafelata nella stanzetta.
«Uff, per un pelo; stava per piovere.» sbuffa e lancia una borsa sul divanetto al suo fianco, togliendosi intanto il cappotto di pelle «Aaron, questa è l’ultima volta che ti vado a comprare la tisana di rospo bruno; potresti tranquillamente alzare tu le tue chiappe e farti un bel giro fuori, invece di rimanere chiuso qua dentro come un topo nella sua tana, circondato dal suo...» fa un gesto con la mano, mostrando disgusto «... letame!»
La ragazza si interrompe, notando solo in quel momento l’ispettore ancora immobile accanto la porta d’entrata.
«Oh... non sei solo.» constata la ragazza, arrossendo leggermente.
«Ben tornata, Erin.» la saluta Aaron, sorridendo appena, forse divertito, poi indica con un gesto l’ospite «Erin, l’ispettore Scott Brown. Signor ispettore, lei è Erin, mia sorella.»
La giovane sorride calorosamente.
«Onorata.»
L’ispettore fa un cenno con il capo, rimanendo in silenzio. La sta scrutando attentamente.
«Lei sembra...» dice ad un certo punto, increspando un po’ la fronte, come nello sforzo di riconoscere qualcuno.
«Eh sì, ispettore.» annuisce Aaron «Forse con quei capelli non vi viene bene in mente chi sia.» si volta a guardare la sorella «Erin, potresti...?»
Lei alza le sopracciglia.
«Oh sì, certo.» da sopra una sedia afferra una parrucca di lunghi capelli neri e se la posiziona sul capo, coprendo perfettamente la sua chioma bionda. Poi fa un elegante inchino.
«Ecco qua!»
L’ispettore rimane sorpreso.
«E’ la tua aiutante?» chiede subito, guardando l’illusionista.
Aaron annuisce con il capo.
«Suvvia, ispettore; sapete molto bene che noi “maghi” usufruiamo di piccoli aiuti... Mia sorella mi aiuta per il gioco della “scatola magica”.»
«E anche altri.» aggiunge lei, togliendosi la parrucca.
L’ispettore non sembra ancora del tutto convinto.
«E come funzionerebbe questa... “scatola”?» lo interroga.
Aaron rimane pacato, quando risponde:
«Non pretenderete che vi sveli i trucchi del mestiere.»
«In effetti è così.» ribatte l’altro.
Scende un attimo il silenzio.
«Sapete bene che non vi risponderò; nessun illusionista serio lo farebbe.» mormora il giovane, fissando con fermezza l’ispettore negli occhi.
Brown non dice ancora nulla. Il suo viso pare pietra.
«Molto bene, molto bene, Aaron.» si aggiusta meglio il cappotto «Per ora me ne vado. Ma ricorda...» gli lancia uno sguardo di monito «Ti tengo d’occhio.»
Aaron annuisce con il capo.
«Nessun problema.»
L’ispettore tira leggermente le labbra e, senza ribattere, se ne va.
Erin rivolge lo sguardo al fratello, chiedendogli:
«Cosa voleva?»
«Sta indagando.» risponde il giovane, alzandosi in piedi.
«Riguardo che?»
«Crede che io sia uno stregone.» alza le spalle con fare noncurante.
Erin si mostra sorpresa.
«Davvero ti sta sorvegliando per questo?»
«Erin...» lui le rivolge un piccolo sorriso con un’espressione sicura e tranquilla «Va tutto bene, non preoccuparti.»
Lei scuote il capo, sospirando.
«Come faccio a non preoccuparmi per te? Sei sempre in mezzo ai guai.»
«E’ la mia indole.» ridacchia lui «Se non fossi sempre in mezzo ai guai, dovresti preoccuparti davvero.»
Lei gli rivolge uno sguardo tra il divertito e il rimprovero.
Aaron afferra il suo mantello e apre la porta secondaria del camerino.
«Dove vai? Ancora al casinò?» lo interroga subito la sorella, accigliata «Non mi piace che tu vada in quel posto.»
«Eppure vinco sempre, dovresti esserne felice.» ribatte lui tranquillamente.
«Prima o poi si chiederanno il “perché” di questa tua fortuna sfacciata.» insiste Erin, decisa «E tu allora cosa risponderai?»
Aaron mostra un sorriso furbo.
«Non è fortuna, è bravura.» dichiara, sicuro di sé.
Lei scuote il capo.
«Aaron, non andare sta sera...»
«Va tutto bene, Erin.» le strizza un occhio per rassicurarla «Ci vediamo a casa.» dopo di che esce.
Lei sospira ancora.
«Ogni volta che mi dici “va tutto bene”... subito dopo ti succede qualcosa.» 

L’ispettore gira la chiave nella vecchia serratura lentamente, cercando di non fare troppo rumore. Dopo uno schiocco, la porta si apre. Entra in silenzio, accompagnando la porta finché non si chiude, poi posa la chiave su una mensola, lancia il cappello sulla poltrona accanto l’uscio e inizia a slacciarsi il lungo cappotto nero.
D’improvviso viene accesa la luce.
«Manuel... ti ho aspettato tanto.» mormora preoccupata una donna sui quaranta, in abiti da notte, appoggiata con una mano al muro all’entrata del soggiorno.
«Nives, ti avevo detto di non attendermi sveglia.» sussurra l’ispettore, togliendosi del tutto il cappotto e lanciandolo sopra il cappello, per poi avvicinarsi immediatamente alla moglie, prendendole una mano e accarezzandole il pancione «Forza, torna a letto.»
«Dove sei stato tutto questo tempo?» insiste la donna, ancora impensierita «Non ti vedo da questa mattina presto... è quasi l’una...»
«Sono molto impegnato in questo periodo, te l’ho detto.» taglia corto lui, accompagnandola intanto in camera.
«Questo lavoro ti sta uccidendo.» gli stringe con forza la mano «Manuel, hai cinquant’anni, aspetti un figlio da me... perché non trovi un altro impiego?»
«Perché nella città sono il migliore nel mio campo e questo i miei superiori lo sanno bene.» l’aiuta a sedersi sul letto «Non mi lasceranno andare via dalla polizia tanto facilmente.»
«Potrebbero minacciarti?» la donna trattiene il fiato «Lo hanno già fatto?»
L’ispettore si fa scuro in volto.
«No, non l’hanno fatto.» mormora, cupo.
«Manuel...»
«Non preoccuparti.» le accarezza dolcemente una guancia «Non mi accadrà nulla.»
E questo lo spera fermamente. 

«Vedo e gioco tutto!» con decisione, il grasso e calvo uomo con il sigaro in bocca afferra tutto il denaro rimastogli e lo piazza al centro del tavolo con un gesto secco della mano. Poi, riducendo gli occhi a due fessure e dirigendo lo sguardo al giovane biondo seduto alla sua destra, dà una boccata al sigaro, rilascia con calma il fumo in direzione del ragazzo e chiede:
«Che cosa fate voi?»
Aaron, lasciando con indifferenza che il fumo gli accarezzi il volto, curva appena verso l’alto, lentamente, l’angolo destro della bocca, senza staccare lo sguardo impassibile da quegli occhi ridotti a fessure dell’uomo grasso.
«Io lascio.» sospira un uomo dall’aria trasandata seduto al tavolo con loro; un commerciante con il vizio del gioco e ben poca fortuna.
«Anch’io.» sbotta un altro con un’espressione seccata, un ricco borghese in viaggio d’affari, lanciando le carte sul piano, slegandosi la bella sciarpa di raso che ha al collo con uno scatto nervoso e poi abbandonando il tavolo, seguito dalla sua guardia del corpo.
L’uomo calvo e grasso tira le labbra in un sorriso soddisfatto senza distogliere l’attenzione da Aaron.
Il giovane biondo posa con calma la mano sul suo mucchietto di monete d’oro e le spinge sul “piatto” al centro del tavolo.
«Vedo.» afferma senza emozioni, senza scomporsi.
L’uomo grasso ridacchia, facendo sussultare il sigaro che ha ancora in bocca, e scopre le sue carte.
«Poker!» esclama, mostrando quattro carte del medesimo valore, poi torna a guardare il giovane «E voi?» ridacchia ancora.
Aaron dispone le sue carte sul tavolo, ancora impassibile.
«Scala di colore.» annuncia, indicando cinque carte dello stesso seme e in sequenza.
Le labbra grassocce si dischiudono in un’espressione di incredulità; il sigaro cade a terra con quasi una lentezza irreale e finisce su una scarpa lucida del suo proprietario. Le dita sudate stringono convulsamente un bracciolo della sedia, rischiando di spezzarlo.
«Voi siete il giovane più fortunato che abbia mai incontrato.» commenta con un sospiro il commerciante seduto alla destra di Aaron, per poi alzarsi in piedi «Mi ricorderò di non giocare più con voi.» se ne va scuotendo il capo con sconsolazione.
Aaron accenna un sorriso divertito e allunga un braccio per afferrare la vincita.
Con un movimento rapido e un colpo secco, un bastone di legno lucido e lavorato blocca all’improvviso la mano del giovane sul tavolo, a pochi centimetri dai soldi, impedendogli di muoverla.
Aaron dirige immediatamente lo sguardo all’uomo grasso, rimanendo immobile.
«Voi barate.» sibila questi, spingendo con più forza il bastone sul tavolo e continuando, così, a immobilizzare la mano dell’altro.
«Siete voi che non sapete perdere.» ribatte il giovane con gelida calma.
L’uomo grasso avvicina di colpo il volto a quello di Aaron, sussurrandogli a denti stretti:
«So riconoscere chi mi truffa. Di sicuro gioco a poker da molto più tempo di voi.»
«Non avete prove.» ribadisce il ragazzo, deciso.
«Non ho bisogno di prove.» riduce ancora gli occhi a due fessure «Ne sono certo.»
Aaron indurisce i tratti del volto.
«Spostate il bastone.» ordina con fermezza «Devo prendere la vincita.»
«Chi mi truffa finisce male.» chiarisce l’uomo, facendo poi un cenno con il capo a due energumeni seduti ad un altro tavolo alle spalle del giovane.
Aaron lancia un fugace sguardo indietro, notando i due compagni dell’uomo grasso alzarsi con aria minacciosa, quindi torna a guardare l’uomo, che sembra proprio deciso a non lasciarlo scappare, e si mostra tranquillo, dicendo:
«D’accordo, tenetevi la vincita. Io me ne vado.»
«Non credo proprio; oltre la vincita voglio chiarire per bene la questione...» ribatte l’altro, alludendo con sadico divertimento ai due uomini sempre più vicini intenti a scrocchiarsi le dita con fare minaccioso.
Aaron raddrizza la schiena e afferma con sicurezza:
«In questo caso, allora, la mia vita ha un prezzo.»
Il giovane alza un pugno all’improvviso, colpendo con forza l’uomo al mento e facendolo sbilanciare indietro con un gemito; Aaron quindi sfila la mano da sotto il bastone, di un po’ sollevato dal movimento dell’uomo grasso, e lo afferra rapidamente, ruotando su se stesso e colpendo con esso il fianco uno dei due uomini che si stanno lanciando contro di lui. Si abbassa poi per schivare l’altro uomo e afferra la sedia scagliandogliela con forza contro una gamba; l’omone cade a terra con un urlo. Mentre il secondo energumeno tira fuori un pugnale da sotto la giacca e l’uomo grasso si alza dalla sedia urlando di rabbia, Aaron balza in piedi sul tavolo per poi saltare dalla parte opposta e scappare rapidamente tra il caos generatosi nel locale.
In quel momento, l’uomo grasso abbassa gli occhi sul tavolo; i soldi sono spariti.
«Fermatelo!» grida, furioso, e i suoi due uomini partono all’inseguimento.
Appena fuori dal casinò, Aaron continua a correre per la strada, imboccando i vicoli più bui e stretti, evitando più di una volta di un soffio di venire investito da una carrozza, e infine giunge senza fiato davanti la porta di una piccola casetta di pietra. Bussa con forza diverse volte, posandosi intanto con la spalla contro il muro della casa per cercare di regolarizzare il respiro.
Infine, dopo diversi tentativi, la luce viene accesa e un giovane uomo, sui trenta, dai capelli castani arruffati e il torso nudo, apre di un poco l’uscio, chiedendo bruscamente:
«Chi è?»
«Deam, sono io.» si annuncia il giovane, lanciando uno sguardo verso la strada ancora deserta.
Si ode un sospiro sonoro e la porta si apre del tutto. Aaron entra e l’uscio viene richiuso.
I due energumeni raggiungo la strada in quel momento, si guardando intorno rapidamente e proseguono a cercare da tutt’altra parte.
«Ha ragione tua sorella: se non finisci nei guai non sei contento.» sbuffa Deam, grattandosi assonnato la barba, ma mostrando comunque un’espressione seria «Che cosa hai combinato questa notte?»
«Niente, sono andato a giocare.» risponde noncurante l’altro, sedendosi sul divanetto e appoggiandosi stancamente allo schienale.
«Al casinò?» Deam storce le labbra con disappunto «Non dirmelo; hai barato e ti hanno scoperto.»
Aaron si infila due dita in una manica, commentando con un sopracciglio alzato:
«Quell’uomo grasso aveva un occhio attento...» estrae un paio di carte dalla manica, osservandole un attimo per poi gettarle nel posacenere sul tavolinetto davanti a lui.
Deam si passa una mano sul volto, esasperato.
«Aaron, prima o poi ci rimani secco...»
«No, non c’è problema.» lo tranquillizza il biondo, posando il capo indietro contro lo schienale e chiudendo gli occhi.
«Chi c’è Deam?» chiede una giovane mora e minuta, entrando nel salottino in camicia da notte e piedi scalzi.
«Aaron.» Deam indica l’amico con il capo.
Aaron riapre gli occhi e sorride in direzione della ragazza.
«Perdona il disturbo, Lidia... è solo una breve visita.»
«Ah, sì, suppongo.» si limita a dire lei, poco contenta della “visita”, avvicinandosi a Deam e abbracciando i suoi fianchi nudi.
«Torni a dormire, amore?» gli chiede, decidendo di ignorare Aaron.
«Sì, solo un momento.» annuisce lui, accennando con lo sguardo l’ospite.
Lei tira le labbra, scocciata, e se ne ritorna in camera senza aggiungere altro.
«Io posso dormire sul divano; per quando ti sarai svegliato me ne sarò andato da un pezzo.» gli propone Aaron.
Deam scuote il capo, trattenendo a stento un sospiro.
«Inizio a stancarmi di farti da balia.» fa notare, afferrando poi uno straccio da cucina e bagnandolo con acqua fredda.
«E’ un ruolo che ti si addice.» Aaron mostra un piccolo sorriso divertito.
«Ah, fantastico.» sbotta l’altro, avvicinandosi al divanetto e tirando lo straccio contro il petto del biondo «Mettitelo su quella mano: si sta gonfiando.» aggiunge, per poi girarsi e dirigersi in camera.
Aaron abbassa lo sguardo sulla mano colpita dal bastone dell’uomo grasso; in effetti ha un brutto colorito. Vi posa lo straccio freddo e si sdraia supino, appoggiando le gambe sul bracciolo del divano troppo piccolo.
Con gli occhi socchiusi lancia uno sguardo al piccolo pendolo della stanza. A momenti sarebbero state le due e mezzo del mattino. Lentamente abbassa le palpebre, sfinito, e si addormenta.

Continua...

Spero che questo primo "assaggio" sia stato di vostro gradimento... a breve il prossimo capitolo! Grazie in anticipo a chi leggerà. :)

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

«Come avete detto? Un giovane biondo vestito in modo appariscente?»
«Sì, e generalmente di bianco.»
«Ma certo! E’ sicuramente lo stesso che ho sentito abbia truffato in quell’altro locale... quello vicino al fiume!»
«Pare che abbia una bella fama...»
«E ancora la polizia non lo ha arrestato? Roba da matti...»
L’ispettore Brown, seduto al tavolo del bar con il giornale tra le mani, osserva immobile i due uomini ben vestiti allontanarsi per il marciapiede continuando a discutere animatamente tra di loro.
«Interessante...» mormora tra sé e sé, come è solito fare.
Gli torna in mente lo spettacolo di magia a cui ha assistito la sera prima. In particolare si sofferma sul giovane illusionista biondo, vestito di bianco, che si è esibito.
«Parlavano di Aaron, non c’è dubbio.» decide, ripiegando con calma il giornale «A quanto pare, gli piace proprio dare spettacolo.» si alza in piedi e si avvia per strada.
Mentre attraversa il ponte più lungo di tutta la città che permette di superare un profondo baratro nero e silenzioso, una spaccatura del suolo, l’ispettore rivolge lo sguardo all’alto e cupo edificio che si trova al di là del ponte; la base generale della polizia, sotto la quale si estendono le Segrete: prigioni immerse nella penombra o nel buio totale e lambite perennemente da un vento gelido che sa di morte. Le carceri speciali, le quali celle sono destinate ai nemici dei Signori del Nord, a pericolosi assassini, a soldati accusati di alto tradimento, e, negli ultimi tempi, agli stregoni.
L’ispettore increspa la fronte a questo pensiero.
Negli ultimi anni i Signori del Nord pare abbiano trovato un metodo per impossessarsi dell’energia magica degli stregoni. Nell’ultimo periodo, quindi, i pochi stregoni scoperti ancora in vita sono stati imprigionati, ma non ancora uccisi. A quanto sembra, servono vivi.
Non oso immaginare cosa vogliono farsene della magia...
L’ispettore non sa molto; non gli è dato sapere nulla di più.
Cerca di non pensarci per il momento, molto più concentrato su quanto deve fare ora.
Giunto all’ultimo piano dell’edificio, bussa ad una porta in fondo un sontuoso corridoio.
Un attimo di silenzio, poi qualcuno all’interno lo esorta ad entrare.
L’ufficio è raffinato e pulito. I mobili di legno scuro sono lucidi, così come il lampadario di cristallo che illumina la stanza, necessario perché il sole è quasi totalmente coperto dai fumi neri delle fabbriche.
Alle pareti, diversi quadri. Al centro, un quadro che raffigura il re a grandezza naturale; un uomo austero, inflessibile, alto, vestito di scuro, con piccoli baffi neri quanto gli occhi di una terribile freddezza.
Alla scrivania, posta davanti il quadro del re, si trova un uomo. Una figura affascinante, dall’età indefinita; giovane quanto maturo. Sin da quando Brown ha preso servizio, ben venticinque anni prima, quell’uomo ha sempre lo stesso aspetto.
Brown si toglie il cappello e si mette dritto, annunciandosi con aria professionale:
«Ispettore Brown, signore. Mi avete fatto chiamare?»
L’altro posa le braccia sulla scrivania intrecciando le dita; il suo viso non trasmette alcuna emozione e gli occhi chiarissimi, di un azzurro pallido, biancastro, sembrano ghiaccio; risaltano sul quel volto bianco incorniciato da capelli neri ben pettinati indietro.
«Avete qualche notizia per me?» domanda pacatamente l’uomo, scandendo bene le parole con una voce particolarmente chiara e piena.
«Sto controllando un uomo sospetto, signore.» risponde l’ispettore, rimanendo sempre dritto e fermo.
«Credete che sia uno stregone?» chiede allora l’altro.
«Ho ragione di crederlo.» dichiara Brown, sicuro.
L’uomo rimane per un istante in silenzio; posa le mani sulle gambe e si appoggia indietro contro lo schienale della poltrona.
«Molto bene.» sentenzia semplicemente, per poi aggiungere:
«Scrivetemi un rapporto completo. Da quanto tempo tenete d’occhio quest’uomo sospetto?»
«Ormai un mese, signore.»
«E lo avete mai interrogato?»
«Solo una volta. Ieri sera.»
«E dunque?» l’uomo rimane in attesa.
L’ispettore comprende cosa vuole sapere, quindi dice:
«Sono certo che è uno stregone.»
L’uomo annuisce più volte con il capo.
«Molto bene.» ripete, ancora senza emozione.
«Come intendete agire, signore?» chiede allora l’ispettore.
«Voglio fidarmi del vostro intuito, ispettore; finora non avete mai sbagliato.» decide l’uomo, iniziando a scrivere qualcosa su un foglio con una bella penna d’oca dipinta di nero e oro «Nella vostra lunga carriera nella sezione speciale, grazie al vostro talento, possiamo così chiamarlo, sono stati catturati ben quattro stregoni. Questo potrebbe essere il quinto.» rialza gli occhi sull’altro «Per non parlare di tutte le altre mansioni a voi affidate, meno o più importanti, che avete svolto alla perfezione.» termina di scrivere e torna composto, aggiungendo:
«Al termine di questo caso potrei anche concedervi un aumento.»
«Ne sarei lusingato, ma...» l’ispettore esita solo un istante, per poi decidersi «Io vorrei congedarmi.»
L’uomo dapprima non dice nulla, limitandosi a fissare con quello sguardo spento il volto dall’aria risoluta di Brown.
«Intendete lasciare la polizia?» chiede infine senza scomporsi in alcun modo.
«Esattamente, signore.» risponde subito l’ispettore.
L’altro si appoggia indietro contro lo schienale e posa le braccia sui braccioli della poltrona, commentando:
«Se non sbaglio, siete in lieta attesa.»
«Mia moglie dovrebbe partorire a giorni, sì.» conferma l’ispettore.
«Suppongo che, con un figlio in arrivo e l’età che avanza, pensavate di sistemarvi magari in campagna, più tranquilla e sicura della città.»
«Non abbiamo ancora nessun progetto, signore.» spiega Brown, iniziando quasi a temere una qualsiasi risposta alla sua richiesta da parte di quell’uomo, il capo della polizia.
«Capisco...» si limita a dire quest’ultimo, come riflettendoci.
Qualche istante di silenzio, poi l’uomo fa un gesto di noncuranza con la mano, dicendo:
«Ma certo, non ci sono problemi. Al termine di questo caso, presentatemi le vostre dimissioni scritte e io provvederò al resto.»
Brown si inchina leggermente.
«Vi ringrazio.»
«Bene, andate pure.» conclude l’altro, ruotando la poltrona per guardare fuori dalla finestra, ma dando così le spalle all’ispettore.
«Arrivederci, signore.» saluta Brown, uscendo dall’ufficio.
Appena rimasto solo, l’uomo dagli occhi di ghiaccio dirige lo sguardo fuori, verso quel cielo perennemente scuro.
«Forse ci siamo.» mormora tra sé e sé.
Dopo circa un’ora, un uomo in divisa si presenta nel suo ufficio per consegnargli il rapporto completo dell’ispettore Brown. L’uomo smette di scrivere i suoi documenti, afferra il foglio che gli viene porto e chiede:
«Stavo attendendo un ospite. E’ arrivato?»
«Sì, signore, aspetta nella sala adiacente.» risponde subito l’agente, raddrizzandosi.
«Bene, fallo entrare.»
L’agente annuisce con il capo e si allontana.
L’uomo inizia a leggere il rapporto.
«Bianco, biondo, vestito appariscente, una spiccata capacità di finire nei guai...» legge attentamente a mezza voce.
«Non sembra un tipo che passa inosservato.» commenta d’improvviso una voce giovane, sicura di sé «Deve piacergli farsi notare.»
L’uomo alza gli occhi dal rapporto per guardare l’ospite appena entrato dalla porta semiaperta. E’ un ragazzo sui trenta, dall’aria furba e decisa, con un bel viso, rovinato però da una brutta cicatrice accanto l’occhio sinistro, semicoperta dai folti capelli castani. E’ vestito di scuro con sopra un mantello nero, pesante. Il fisico muscoloso è messo in risalto dagli abiti in pelle aderenti e un elaborato pugnale e una splendida pistola d’argento sono appesi alla sua cintura, in bella vista.
«Julian, ti stavo aspettando.» lo saluta l’uomo con la sua gelida calma «Hai fatto presto.»
«So che odiate attendere, Jaziel.» spiega l’altro freddamente.
«Infatti.» asserisce Jaziel, posando il rapporto sulla scrivania, poi torna a guardare il giovane ed esordisce:
«Forse ci siamo, Julian; se il fiuto dell’ispettore Brown non ha fatto cilecca, abbiamo tra le mani la possibile chiave per il potere incontrastato. Potere che aspetta di diritto a noi Signori del Nord e, primo fra tutti, al nostro re Maximus.»
Il ragazzo non commenta, rimanendo serio, ma il suo sguardo mostra una certa insofferenza a quelle parole. Jaziel sembra notarlo.
«E, proprio come ti abbiamo promesso, dopo tutto questo... avrai la tua libertà.»
«L’ultimo incarico.» mormora Julian, cupo.
«Proprio così.» conferma l’altro, annuendo.
Dopo una breve pausa, Julian indica con un cenno del capo il rapporto e chiede:
«Come si chiama il sospetto?»
Jaziel abbassa lo sguardo sul foglio.
«Uhm... Aaron. Pare che sia un illusionista di periferia particolarmente talentuoso.»
«Un illusionista...» sbuffa Julian con un ghigno divertito «Non si riesce proprio a star lontani dalla magia...»
L’altro uomo alza appena un sopracciglio, guardandolo.
«Tu lo sai bene, Julian.»
Il ragazzo tira di un po’ le labbra, senza rispondere.
«Bene, vai ora.» riprende Jaziel, ordinando le carte che ha sul tavolo «Fai un’indagine accurata e portamelo qui. Ti lascio il rapporto con tutti i dati.» gli allunga il foglio, che il giovane afferra in silenzio.
«Mi raccomando.» aggiunge Jaziel prima di staccare la presa dal rapporto «Ci serve vivo.»
«Nessun problema.» risponde Julian semplicemente.
Dopo aver piegato il rapporto ed esserselo infilato in tasca, il ragazzo si volta, pronto ad andarsene, ma Jaziel lo ferma:
«Ah, un’altra cosa, Julian.»
Questi si gira verso l’uomo, attendendo.
 «Mentre ti occupi di questo Aaron, ti affido anche un altro compito.» Jaziel si accomoda meglio sulla sedia, tranquillo, e prosegue:
«Conosci l’ispettore Brown, vero?»
«Un certo Manuel Hunt, se non erro.» conferma Julian, annuendo.
«Proprio così...» Jaziel fa un breve pausa, poi aggiunge con calma:
«Occupati di lui.»
Il ragazzo corruga leggermente le sopracciglia, mostrandosi confuso.
«Che cosa ha fatto?»
«Vuole lasciare la polizia.» risponde Jaziel «Non è un grosso problema, perché ormai non ci serve più. Però sa troppe cose... è un peso.»
Julian comprende. Fa quindi un piccolo inchino e dice:
«Sarà fatto.»
Sta per andarsene che Jaziel conclude:
«Sua moglie attende un figlio. Pensa anche a loro.»
Julian si fa scuro in volto ed evita di rispondere. Se ne va facendo frusciare il mantello e si chiude la porta alle spalle.
E il volto di Jaziel si apre in un piccolo, quasi impercettibile, sorriso di soddisfazione; grande soddisfazione.

Continua...

Per agevolare la lettura, e seguendo i consigli di Namine22, ho deciso di tagliare i capitoli, pubblicandone metà alla volta. Spero che questo vi sia piaciuto. :)

Namine22: Grazie mille dei complimenti, ma soprattutto del consiglio. Scrivo sempre tantissimo, non sono abituata a fare capitoli più "corti" di così (in realtà sono lunghissimi, hai ragione!)! Ora li spezzo a metà, così spero che sia meglio. ;) Probabilmente c'è qualche errore in giro, perché qualcuno me ne sfugge a volte! Spero almeno che la lettura sia scorrevole... Ciao!

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Un rumore di stoviglie fa sobbalzare Erin, assopita su una vecchia poltrona del salotto, che balza subito in piedi e si fionda in cucina.
«Aaron!» esclama, portandosi immediatamente le mani ai fianchi con fare minaccioso.
«Buon giorno, Erin.» la saluta lui, mostrando un sorriso gentile mentre spacca il guscio di due uova sul bordo di una padella ammaccata «La colazione è quasi pronta.»
«Dove sei stato tutta la notte?» lo interroga, avvicinandosi «Non ho chiuso occhio fino le prime luci del mattino! Ero in pena per te! Ma tu? Tu non ti fai vivo fino le sette e mezzo! Aaron, che devo fare con te?»
«Mi sono fermato a dormire da Deam, tutto qui.» risponde tranquillamente il fratello, mescolando le uova con un cucchiaio di legno.
«Da Deam? Oh cielo!» Erin si porta una mano sul viso, scuotendo il capo «Eri di nuovo inseguito da qualcuno che hai truffato...»
«Erin, davvero, non è successo niente.» prova a convincerla lui, afferrando il manico della padella e mostrandogliela «Vuoi le uova o no?»
Lo sguardo della ragazza cade sulla mano che regge la padella, arrossata e un po’ gonfia.
«Che hai fatto alla mano? Sei finito in una rissa?» chiede subito, accigliandosi.
Aaron sospira e si dirige al piccolo tavolino della cucina, commentando:
«D’accordo, le uova non le vuoi...»
«Aaron, prima o poi riusciranno a prenderti e ti uccideranno!» insiste Erin, mostrandosi preoccupata «E se non ti prenderanno loro, ci penserà la polizia, che ti sbatterà in galera a vita.»
«Ti preoccupi troppo, sorellina.» afferma lui, iniziando a mangiare, famelico «Non mi accadrà nulla.»
Lei sospira, decidendo di lasciar perdere per il momento, poi gli chiede:
«Cosa pensi di fare oggi? Hai in mente qualche nuovo numero da provare?»
«No, penso che lavorerò al diario.»
«Aaron...» fa lei, esasperata «Lascia perdere quel diario! Ti porterà solo guai, credimi.»
«Erin, ci sono quasi.» la interrompe lui, guardandola con decisione «Sto per scoprire dove si trova Nerfea.»
«Sì, certo.» sospira la giovane.
«E’ così. Il diario è quasi finito.»
«E magari quello stregone non ha mai scoperto dove si trova Nerfea.» commenta Erin, storcendo le labbra «Aaron, la storia di questa “terra dei sogni” è una favola che si racconta ai bambini!»
«No, qualcosa mi dice che è riuscito a trovarla, che non è solo una favola.» ribatte Aaron, convinto «Purtroppo, però, non l’ha mai raggiunta.» aggiunge, pensieroso.
«E come fai ad esserne certo?» chiede lei, scettica.
«Perché quel diario l’ho comprato da...»
«Rubato.» lo corregge Erin con disappunto «Me lo ricordo bene.»
«... Sì, va bene, rubato.» sospira Aaron alzando gli occhi in alto, poi riprende con serietà:
«Comunque, l’ho preso da un uomo che dice di averlo trovato anni fa in una cella delle Segrete; il suo compito, all’epoca, era di liberare le celle dagli effetti personali dei prigionieri giustiziati e tra le cose c’era il diario. Era dello stregone giustiziato un paio di giorni prima. Il diario se l’è tenuto, credeva contenesse informazioni molto importanti, magari dei segreti sulla magia... però è crittografato e solo con una chiave di lettura è possibile capire cosa c’è scritto. Quell’uomo era troppo ignorante per saperlo... in effetti, il diario custodisce un enorme segreto, ma lui non se n’è mai reso conto.»
«E tu sei assolutamente certo che la chiave di lettura che stai usando è giusta?» Erin alza un sopracciglio, poco convinta «E se magari fosse crittografato così bene che, anche con una chiave errata, è possibile leggerlo, ma quanto letto non è giusto? E se...?»
«Fidati, Erin.» Aaron le mostra un sorriso sicuro «Ho la chiave giusta.»
Lei fa un gesto scocciato con la mano e dice:
«Guarda, non voglio saperne più niente.»
Si volta, dirigendosi verso il salotto, mentre Aaron le continua a parlare:
«Pensa, Erin, che posto magnifico potrebbe essere questa Nerfea... il mondo dei sogni, capisci? Magari... magari c’è anche il mare. Un mare bello, meraviglioso.» chiude gli occhi, fantasticando con la mente.
La ragazza si ferma e abbassa lo sguardo a terra, pensierosa. Sin da piccoli, lei ed Aaron, hanno provato ad immaginarsi il mare. Un mare limpido, di un azzurro intenso, come descritto dai libri. Un mare vero, non come quello poco distante dalla città, nero e fetido a causa dell’uomo.
Scuote il capo, tornando alla realtà.
Raggiunto il divano vi si siede e poi chiede al fratello ancora in cucina:
«Hai incontrato di nuovo quell’ispettore, per caso?»
«Quale ispettore?» fa Aaron a bocca piena.
«Quell’uomo che si è presentato ieri sera nel camerino, ecco quale.» sbotta Erin.
«Ah, no.» risponde in fretta l’altro, bevendo poi un po’ d’acqua.
«Aaron...» Erin esita un istante, mordendosi un labbro, poi si decide a concludere:
«Sei uno stregone?»
Il ragazzo non risponde subito. Posa con calma il bicchiere sul tavolo, esita un attimo, poi si alza e raggiunge lentamente la sorella, fermandosi in piedi a pochi passi da lei. La guarda teneramente.
«Erin, come puoi pensare una cosa simile?»
«E’ solo che...» si interrompe ancora, strizzando la gonna con le mani «Le “magie” che compi durante lo spettacolo, beh... sono fuori dall’ordinario.»
«Sono solamente dei trucchi, Erin, lo sai bene.» le sorride dolcemente.
«Però... la scatola magica, ad esempio.» insiste lei con voce tremante «Quando riapri lo sportello, io effettivamente sono ancora dentro la scatola. Eppure il pubblico non mi vede. Proprio come se... se fossi invisibile.»
«E’ un gioco di specchi, te l’ho spiegato tante volte.» dice Aaron tranquillamente.
«Ma... ma... la colomba, allora? Compare dal nulla! Oppure, la sparizione del piccolo pesco nel vaso? O anche...»
«Erin.» Aaron le si inginocchia davanti, afferrandole le mani e guardandola dritta negli occhi lucidi «Erin, non sono uno stregone.»
«Aaron, io...» le scorrono le lacrime sulle guance «Anche quando ero piccola e tu poco più grande di me... sentivo mamma e papà parlare con te e... e ti dicevano sempre: “Aaron... Aaron, ti prego, non fare più quelle cose strane...”»
«Erin.» ripete lui tirando le labbra e incupendosi un poco.  
«E io mi sono sempre chiesta: “Ma cosa significa? Perché gli dicono così?”» riprende a dire la ragazza, ignorandolo e continuando a piangere «“Che sia uno stregone?”»
«Smettila.» la interrompe lui con fermezza, aumentando leggermente la stretta sulle mani di lei.
Erin lo guarda tremante.
«Io non voglio che i Signori del Nord ti uccidano...» mormora la ragazza con la voce spezzata.
Lui le mostra un lieve e caldo sorriso.
«Non mi accadrà mai nulla, Erin.» le sussurra, asciugandole una guancia con un tocco delicato della mano «Alla morte dei nostri genitori ho promesso di proteggerti finché ne avresti avuto il bisogno. Intendo onorare la mia promessa, sorellina. Ricorda, tutto quello che faccio, che decido e che voglio, è per il tuo bene; non penso ad altro. Fidati di me.»
Lei annuisce più volte con il capo, fremendo.
Aaron allora va ad abbracciarla dolcemente e lei torna a singhiozzare, stringendosi a lui con forza.
Il giovane preme il volto sui profumati capelli della sorella e chiude gli occhi.
Sei tutta la mia vita, Erin... 

E’ tardo pomeriggio.
Il sole è scomparso da un po’ dietro spesse nubi nere, facendo calare sulla grigia città una penombra rossastra a causa delle luci, di un arancio sporco, dei lampioni.
Le strade si svuotano lentamente; gli operai si ritirano nelle loro case per la notte. Lasciano il posto al “popolo del buio”; giocatori d’azzardo, poliziotti, o criminali.
Julian, vestito di nero, passa inosservato nei piccoli vicoli di periferia; con l’ondeggiare del mantello si nota la sua pistola brillare attaccata alla cintura. Non si cura di coprirla, non ce n’è bisogno; a nessuno verrà in mente di fermarlo o arrestarlo.
Si ferma con decisione davanti l’uscio di una piccola casa in pietra, si dà una rapita occhiata intorno e, verificato che non c’è nessuno, posa quindi il palmo della mano aperta sul pomello in ottone. Si ode uno schiocco di serratura, poi il pomello si gira da solo e la porta si socchiude.
Julian posa la mano sul legno e spinge.
Spalancata la porta, entra tranquillamente in casa; i suoi passi sono talmente silenziosi che l’unico suono sembra così essere il leggero fruscio del mantello alla brezza serale.
Ruota su se stesso, osservando il piccolo salottino, con cucina annessa, in cui si trova. Lo sguardo gli si posa su due carte da gioco buttate in un posacenere di ceramica, ma non lo attrae nient’altro. Si avvia quindi verso una porta aperta, ignorando per il momento un’altra porta socchiusa, forse di una camera da letto. Entra quindi in un piccolo studio, con una semplice scrivania e un paio di mensole con dei libri. Si porta davanti la scrivania, dando le spalle alla porta, e allunga un braccio per afferrare un foglio scritto fitto con la vecchia macchina da scrivere posata lì a fianco.
E’ una lista di nomi con accanto segnati dati anagrafici, il mestiere, la quantità di denaro da riscuotere.
Un suono secco, chiaro, di un fucile caricato, fa voltare Julian immediatamente.
«Chi sei?» lo interroga subito Deam, puntandogli contro il fucile con mano ferma ed esperta.
Julian increspa le labbra in un sorriso sicuro.
«Ah, un esattore delle tasse...» alza il foglio che ha in mano con un’aria ironica «Forse uno dei pochi non corrotti, a giudicare da questa abitazione mediocre.»
«Chi sei?» ripete Deam indurendo i tratti del viso.
L’altro posa con calma il foglio sulla scrivania, spiegando:
«Sto cercando una persona. Ho saputo che è tuo amico...» torna di nuovo a guardare il ragazzo, chiedendogli con un sopracciglio alzato:
«Cerco Aaron, lo conosci?»
Deam si fa scuro in volto senza rispondere.
«Oh, bene, vedo che sai di chi parlo.» Julian si appoggia indietro contro il tavolo, incrociando le braccia sempre con quel sorriso ironico «Sai dirmi dove posso trovarlo?»
«L’unica cosa che posso dirti è: va all’Inferno.» dichiara duramente Deam, avanzando di un passo sempre con il fucile puntato contro l’ospite indesiderato.
«Che peccato...» sospira Julian, falsamente dispiaciuto, raddrizzandosi e abbassando le braccia.
Si fa di colpo serio, sussurrando:
«Avrei anche potuto risparmiarti.»
Deam si prepara a sparare, ma non fa in tempo. Con un’agilità fuori dal comune, con una rapidità impossibile secondo le leggi fisiche, Julian estrae la sua pistola e preme il grilletto.
Lo sparo riecheggia per la casa e si sente una donna strillare e poi dei passi concitati dalla camera adiacente; tutto questo mentre Deam, con gli occhi vacui e spenti, cade di peso indietro fino a terra.
Un rivolo di sangue cola dal buco sulla sua fronte sino a terra, allargandosi sul pavimento.
«No!» strilla ancora Lidia, appena giunta, bagnandosi i piedi scalzi con il sangue.
Julian alza ancora la pistola e le spara.
La donna cade a terra di fianco il ragazzo, immobile anche lei.
«Odio quando gridano.» commenta Julian freddamente, rinfoderando la pistola.   
Scavalcando senza problema i due corpi, si sbriga ad uscire di casa prima che giunga la polizia; sempre che alla polizia possa interessare qualcosa di quei due cadaveri. 

10 Giugno

Hanno scoperto dove sono. Presto verranno a prendermi.
Non importa. Li aspetto qui.
Non importa perché... perché io l’ho trovata.
Grazie a loro, i miei giustizieri, ti raggiungerò.
Oh, terra dei miei sogni... aspettami.
Arrivo.

Così si conclude il diario.
Aaron rimane immobile, fissando quell’ultima parola in silenzio.
Arrivo...
Socchiude gli occhi, appoggiandosi allo schienale della sedia.
Ho capito.
Trae un breve sospiro e si alza in piedi. Un brivido gli percorre la schiena, mettendolo d’improvviso in allerta.
Volta il capo verso la finestra, incupito.
«Credo che sia...» lascia in sospeso il pensiero, cupo.
Guarda la scrivania e il diario ancora aperto.
Chiude gli occhi, stringendo un po’ i pugni.
Erin...
Rialza le palpebre e torna a sedersi, afferrando un foglio e una penna e scrivendo così un biglietto per lei.
Si alza, lasciando il foglio accanto il diario, e si sbriga ad uscire di casa senza farsi sentire dalla sorella addormentata nella camera adiacente. Si avvia poi per strada, guidato dall’istinto. 

Mentre la notte si fa sempre più scura, Julian si affaccia da un vecchio ponte di legno, osservando la città illuminata da tante piccole luci. Nel buio risuonano ancora le ruote delle carrozze che stridono sulle pietre della strada, ma anche il suono delle macchine a vapore delle fabbriche che non si fermano nemmeno durante la notte, incupendo ancor di più il cielo con quei fumi neri.
Lo sguardo del ragazzo si ferma su un piccolo gruppo di uomini che sta entrando in un locale notturno al di là del ruscello; appena aprono la porta, il rumore delle sedie e dei bicchieri, e il suono di voci, giungono alle sue orecchie, per poi svanire appena l’uscio viene richiuso.
Inizierò a setacciare tutti i casinò e le locande; magari così riuscirò a trovarlo.
Decide, allontanandosi dalla balaustra di legno del ponte pronto per andare, ma all’improvviso ritorna sui suoi passi, attento.
Sì, non si è sbagliato: affacciato dall’interno al piccolo finestrino dello sportello di una carrozza, ferma momentaneamente per un probabile problema ad una ruota, c’è uno spazientito ispettore Brown intento a guardare il cocchiere chino sulla ruota.
Julian rivolge rapidamente lo sguardo all’orologio d’oro che tiene in tasca, poi mormora tra sé, muovendosi nel buio:
«Mi occupo prima dell’ispettore, allora.»

Continua...

Scusate il ritardo, ma ho avuto dei problemi con la connessione Internet... tutto ok, adesso! ^.^
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo e... a breve il prossimo, con un po' d'azione! ;)

Namine22: Ciao! Che bello risentirti: significa che allora la storia ti piace davvero! xP Manca poco alla fine, nonostante i capitoli ora siano "raddoppiati", quindi dovrai sopportarmi ancora per poco. =P Ho visto che partecipi ad alcuni concorsi in cui sono iscritta anch'io, sarà bello andare a leggere la tue storie appena possiamo pubblicare. ^^  (Sto parlando di "Fantastico peccato" e "Dormono sulla collina"... non so se ce ne sono anche altri!) Alla prossima, ciao!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

«Ne avrete ancora per molto?» sbotta l’ispettore, iniziando a perdere la pazienza.
«Pare che la ruota sia apposto...» commenta il cocchiere, togliendosi il cappello e grattandosi il capo «Non capisco che diamine sia successo... Avete sentito anche voi quello strano rumore, vero signor ispettore?»
«Non ho sentito proprio nulla.» dichiara Brown, scocciato «Vediamo di ripartire.» e chiude la tendina del finestrino.
«Sì, sì, d’accordo.» lo accontenta l’altro, arrampicandosi sulla sua postazione.
«Va tutto bene, Manuel, non sto certo per partorire...» lo calma la moglie, seduta al suo fianco, accarezzandogli un braccio.
La carrozza riparte con uno scalpitio di zoccoli e qualche scossone.  
«Quel dolore che hai avuto è sospetto.» ribatte l’ispettore, posando una mano sul ventre della donna «Meglio che ti veda un dottore.»
«Lo so, lo so...» sospira lei, sorridendogli dolcemente.
«Ehi, voi!» esclama improvvisamente il cocchiere e la carrozza si ferma di colpo.
Poi, di nuovo silenzio.
I due all’interno si guardano, confusi, quindi Brown spalanca lo sportello con l’idea di scendere e andare a vedere.
Si blocca, alzando le sopracciglia con sorpresa, e sua moglie reprime a stento un gemito spaventato.
Di fronte a loro si trova Julian, appena distinguibile nel nero della notte, dritto con la pistola puntata in avanti e uno sguardo freddo e fermo.
L’ispettore si fa allora serio, mormorando:
«Julian. Il sicario.»
«Scendete dalla carrozza, ispettore. Vi concedo una morte dignitosa.» la voce di Julian è priva di colore, piatta.
«Manuel...!» sussurra Nives con le lacrime agli occhi, aggrappandosi con forza al suo braccio.
L’ispettore tira le labbra, irrigidendosi un poco.
«Lascia andare mia moglie.» chiede subito con il volto simile a pietra.
Nives geme, disperata.
«Scendete dalla carrozza.» ripete Julian con gelida calma.
Brown esita ancora un istante, poi si muove lentamente per scendere.
«Manuel!» esclama la donna, piangendo.
Lui la trattiene indietro, dicendole con fermezza, ma senza guardarla:
«Rimani qui.»
Lei, tremante, non si muove, ma continua a singhiozzare.
L’ispettore si mette in piedi davanti il ragazzo, spostandosi entrambi a qualche passo dalla carrozza, e lo fissa dritto negli occhi. Pare rimanere calmo; in realtà dentro è in tormento e teme per la vita di sua moglie.
In quella posa riesce a vedere il corpo del cocchiere, ancora seduto al suo posto e appoggiato indietro contro la carrozza; ha le labbra dischiuse, gli occhi spalancati e uno squarcio sulla gola da cui esce ancora del sangue.
«Bene.» commenta Julian senza emozione, poi ordina:
«Ora inginocchiatevi e portate le mani dietro la nuca.»
«E tu lascia andare mia moglie.» ribadisce l’ispettore con decisione.
Julian gli fa un cenno con il capo.
«Fate come ho detto.» insiste, caricando la pistola.
Brown lancia un fugace sguardo alla moglie, ancora in lacrime dentro la carrozza e pietrificata dal terrore, poi si va ad inginocchiare come gli è stato ordinato.
«Avevi detto “una morte dignitosa”.» fa notare l’ispettore, secco, appena è in “posizione”.
Julian annuisce con il capo.
«Sono un uomo di parola.» asserisce freddamente, voltandosi d’improvviso verso la carrozza e sparando un paio di colpi verso il petto della donna che cade indietro sul sedile con un grido soffocato.
L’ispettore si sente di colpo morire dentro.
«Nives!» urla, sgranando gli occhi e abbassando le mani, pronto a rialzarsi, mentre i cavalli nitriscono, spaventati.
Julian torna quindi a puntargli contro l’arma, fermandolo.
«Nives!» ripete l’ispettore con voce rotta, ancora in ginocchio a terra e le mani al suolo; gli occhi gli si riempiono di lacrime, annebbiandogli la vista.
«Sono un uomo di parola.» ribadisce Julian tranquillamente «In questo modo vi ho evitato di supplicarmi di lasciar vivere vostra moglie, offrendovi una morte molto più dignitosa.»
«Nives...» chiama ancora Brown, incapace di fare altro, chiudendo gli occhi e continuando a piangere.
«Preferisco evitare anche il piagnisteo.» ammette il ragazzo storcendo le labbra «Quindi... addio, ispettore.»
E spara.
Il proiettile parte dalla canna lasciando delle scintille dietro di sé; stride contro il ferro dell’arma, poi fuoriesce, fendendo l’aria notturna con un sibilo.
Julian aggrotta le sopracciglia con una lentezza innaturale, osservando il proiettile avanzare lentamente allo stesso modo verso la fronte dell’ispettore.
Subito dopo, rapido, un giovane biondo, vestito di un bianco accecante in quel buio, appare come dal nulla da un vicolo e si getta contro l’uomo inginocchiato a terra. Lo afferra, lo costringe ad alzarsi e corre di lato, dietro un angolo di una casa, afferrando il mantello e facendolo ruotare fino a coprire interamente l’ispettore. Julian, sempre con quella lentezza infinita, alza lo sguardo sul giovane, incontrando così quegli occhi azzurri, quell’espressione decisa; scompaiono poi d’improvviso, come il resto del corpo e l’ispettore Brown.
In quel momento, il tempo pare come sbloccarsi: il proiettile torna ad essere veloce come sempre e si pianta così a terra con un rumore secco. Julian fa un passo indietro, incredulo, fissando ancora il punto in cui, fino ad un millesimo di secondo prima, si trovavano l’ispettore e quel biondo; Aaron, sicuramente.
«Ha manomesso il tempo...» comprende Julian, rinfoderando la pistola, scuro in volto «E poi è diventato invisibile, facendo sparire anche l’ispettore.» stringe i pugni con forza, ferendosi i palmi con le unghie «E’ uno stregone.»
Parte quindi di corsa nel vicolo in cui è sparito Aaron, deciso a trovarlo. 

Aaron si ferma all’angolo di una strada silenziosa, dopo una corsa stremante, e sposta il mantello in modo da scoprire l’ispettore. Fortunatamente, rendendolo leggero con la magia, non è stato difficile costringerlo a correre via con lui; inoltre, l’ispettore sembra spento, atono, e non ha opposto per nulla resistenza.
Brown incespica indietro e si appoggia di peso contro il muro sporco di un edificio, rimanendo a stento in piedi; ha gli occhi fissi a terra privi quasi di vita, così lontani, così sofferenti.
Il giovane rimane qualche istante a guardarlo in silenzio, meditabondo, poi torna ad osservare la strada da cui è giunto, dove passa solamente un cane zoppicante e poi nient’altro.
«Non credo sia il caso di rimanere qui, ispettore.» commenta Aaron, senza però mostrarsi preoccupato, bensì lucido e calmo.
Torna a rivolgere lo sguardo all’uomo al suo fianco, attendendo una qualche reazione.
L’altro non muta affatto la sua espressione.
«Vattene allora.» mormora Brown, piatto.
«Quello stregone vi ucciderà.» insiste Aaron, continuando a guardarlo.
L’ispettore increspa di un po’ la fronte, alzando gli occhi sul giovane.
«Ma di chi parli?» gli chiede con voce roca.
«Dello stregone da cui stiamo scappando.» risponde il giovane, come se la cosa fosse ovvia.
«Julian? Il sicario?» si sorprende Brown «Ma lui non è...» si interrompe, scuro in volto, mentre un improvviso flash lo fa ricordare di una conversazione di qualche anno prima.

«Ho assunto un sicario, ispettore.» annuncia Jaziel tranquillamente, intrecciando le dita delle mani come è solito fare.
«Un sicario?» ripete Brown, mostrandosi contrariato «Per qual motivo, signore?»
Jaziel si appoggia alla sedia, spiegando con calma:
«Ci sono persone per le quali la giustizia tradizionale non è applicabile. Casi speciali che necessitano di soluzioni estreme.»
«Parlate degli stregoni, signore?» domanda l’ispettore, incupendosi.
«Non solo.» commenta l’altro, alzando appena un sopracciglio «Dovreste sapere bene, ispettore, che le Segrete sono ormai al completo. Preferirei evitare un sovraffollamento. Alla fine, a chi può mai importare se un criminale venga ucciso per strada o giustiziato ufficialmente dopo un processo? L’importante è che non sia più un pericolo per la città, non trovate?»
L’ispettore non risponde, bensì chiede:
«E come sarebbe questo sicario?»
«Tra me e lui c’è un patto.» dice Jaziel, ponderando le parole «Quando concluderà i suoi incarichi, ovvero quando lo riterrò opportuno, avrà in cambio la sua libertà.»
«Vorreste dire che è egli stesso un criminale?» Brown si mostra scettico.
Jaziel torna ad intrecciare le dita, impassibile come sempre.
«Qualcosa di più, a dire il vero.» commenta, senza rivelare nient’altro.

«Uno stregone...» ripete l’ispettore, passandosi stancamente una mano sul volto.
«L’ho percepito chiaramente: deve aver compiuto qualche incantesimo prima che arrivassi al fiume.» spiega Aaron, abbassando però lo sguardo «Credo anche di sapere che cosa ha fatto.»
Nella mente del giovane passa rapida la visione dei due corpi, quello di Deam e della moglie, trovati riversi a terra in un lago di sangue; era passato da loro, intuendo che lo stregone avesse usato in quel luogo un incantesimo... teoria confermata.
«Lo sei anche tu, vero?» chiede a quel punto Brown, fissando il suolo senza emozione «Uno stregone.»
Aaron rialza lo sguardo sull’altro, rimanendo tranquillo e serio.
«Sì.» ammette.
L’ispettore mostra un sorriso amaro.
«Sono proprio bravo...» commenta, spento.
Aaron evita di rispondere, invece insiste a dire con fermezza:
«Dovreste andarvene, ispettore. Andatevene dalla città.»
Brown si incupisce e scuote lentamente il capo.
«Quei bastardi...» mormora, scuro in volto, stringendo i pugni «Nives... Nives non c’entrava nulla. E il bambino...» tira i tratti del viso in un’espressione sofferente, mentre gli occhi gli tornano lucidi «Sarebbe nato a giorni... li ho persi entrambi...»
«Ispettore.» Aaron fa un passo avanti, deciso «Volete farvi ammazzare? Non date loro questa soddisfazione.»
Brown torna a guardarlo, cupo.
«Non darò loro nessun altra soddisfazione...» afferma, risoluto «Si sono già presi abbastanza da me.»
«E allora andatevene.» ribadisce il ragazzo.
L’ispettore tira le labbra.
«Non posso scappare.» dichiara, sofferente.
Aaron sta per dirgli qualcosa, quando si interrompe di colpo e si volta indietro, verso la fine della strada.
Là in fondo una sagoma nera più della notte si staglia nel buio, immobile e sicura di sé.
«Quel Julian ci ha trovati.» sussurra Aaron, indurendo di un poco i tratti del volto.

Continua...

Ormai siamo agli sgoccioli! Nel prossimo capitolo i due stregoni si affrontano. Come andrà a finire?
Grazie a tutti per aver letto. :) 
Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo. A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


«Cosa?» fa l’ispettore, voltandosi a guardare il sicario carico di rabbia «Quel bastardo è mio!»

«State indietro!» ordina Aaron, spingendolo contro il muro con una mano.

L’ispettore va a sbattere di schiena addosso la parete in pietra dell’edificio alle sue spalle, poi rialza lo sguardo sul giovane biondo accanto a lui e inveisce:

«Non metterti in mezzo!»

«Ispettore, da questo momento non posso più sentirvi né vedervi.» spiega Aaron, fissando attentamente il sicario, dapprima sorpreso dalla sparizione di Brown e poi accigliato, che ha iniziato a muoversi verso di lui.

L’ispettore rimane incredulo, tastandosi il corpo.

«Che cosa significa?» chiede, confuso.

«Ispettore, se siete ancora qui vi prego di andarvene.» insiste il biondo, senza staccare lo sguardo da Julian, sempre più vicino «L’incantesimo non durerà molto; per adesso vi ho tramutato in una specie di fantasma, in grado quindi di attraversare la materia ed essere perciò immune a qualsiasi cosa, ma tra un’ora tornerete visibile e percepibile. E quello stregone vi troverà e vi ammazzerà.»

Brown si incupisce, serrando i pugni.

«So bene che siete irato e cercate solo vendetta...» riprende a dire l’altro, con un tono malinconico «Ma sono morte fin troppe persone innocenti in questa stupida lotta di potere... è il momento di dire basta.»

L’ispettore chiude un attimo gli occhi, tremando al pensiero di sua moglie.

«Non so se sarò in grado di uccidere il sicario.» ammette a quel punto Aaron, abbassando un po’ il tono della voce «Non so se troverò il coraggio di farlo.»

Brown rialza gli occhi su di lui, esclamando con forza:

«Io ne avrei avuto il coraggio! Dovevi lasciare a me questo compito!»

Aaron socchiude gli occhi e conclude, senza far finire a parlare l’ispettore:

«Spero mi capirete, ispettore... uccidere lo trovo orribile. Vi chiedo solo di scappare, di mettervi in salvo. Evitate una morte inutile, ispettore.»

Brown scuote il capo, non sapendo cosa dire.

Julian si ferma a pochi metri da Aaron.

L’ispettore volge subito l’attenzione al sicario, trattenendosi a stento nel saltargli addosso per la rabbia e per la disperazione.

Aaron rimane calmo e immobile.

I due stregoni si guardano negli occhi in silenzio.

«E così ci conosciamo, Aaron...» esordisce Julian a quel punto, freddo.

«Molto piacere, Julian.» risponde il giovane biondo tranquillamente, facendo un piccolo inchino con il capo.

L’altro alza un sopracciglio.

«L’ispettore Hunt era ancora abbastanza lucido per dirti il mio nome? Mi sorprende che la morte della moglie non lo abbia scosso fino alla follia...» il commento del sicario è secco e mirato.

«Brutto bastardo, non provare nemmeno a nominarla!» urla Brown lanciandosi contro l’uomo in nero; gli passa attraverso e si sbilancia fino a cadere in avanti sulla strada. Ferma la caduta con le mani, ferendosi i palmi; ansimando si volta indietro, guardando stupito i due stregoni a pochi passi da lui che non si muovono, non si scompongono affatto.

Da questo momento non posso più sentirvi né vedervi.... Una specie di fantasma...

Si ricorda Brown, ancora incredulo.

«L’ispettore ormai non è più qui.» dice allora Aaron, piatto «Ho fatto in modo di metterlo in salvo.»

«In salvo?» ripete Julian, come divertito, e inizia a ridere di gusto «E dove credi si trovi la salvezza?» aggiunge, smettendo a poco a poco di ridere.

«Sicuramente non qui.» risponde il giovane, privo di enfasi nella voce.

Julian torna serio.

«Hai colpito nel segno, Aaron. In questa città non c’è salvezza. Non per gente come noi.»

«In questo mondo non c’è.» specifica Aaron.

«Esatto.» Julian riduce gli occhi a due fessure «Non c’è più giustizia a questo mondo. Chi crede nella lealtà, nella legge... ormai deve rassegnarsi. E’ tutto morto: è morta la giustizia, è morta la società, è morta persino la speranza. La rassegnazione è l’unica cosa che ci è rimasta.»

«Stai parlando di te, Julian?» lo interroga Aaron con calma.

L’altro increspa un po’ la fronte, incupendosi.

«Uno stregone che serve i Signori del Nord.» Aaron indica con un gesto del capo l’edificio della polizia che si staglia non molto lontano da lì «Alquanto insolito.»

«Bisogna adeguarsi ai tempi.» ribatte Julian, secco.

«Io non voglio farlo.» risponde l’altro tranquillamente.

«Infatti tu non devi.» dice subito il sicario, duro «Tu servi per altro.»

«Lo so bene cosa fanno i Signori del Nord a quelli come noi...» commenta Aaron; quasi gli freme il cuore dal terrore, a quel pensiero, ma si mostra distaccato e lucido.

«A quelli come te, a dire il vero.» lo corregge Julian, sadico «A me non faranno proprio nulla.»

«Credi davvero che rispetteranno questo accordo?» Aaron alza appena un sopracciglio, mostrandosi dubbioso «Io non penso.»

«Oh sì, lo faranno.» Julian è sicuro di sé «Il nostro accordo è basato sulla fiducia reciproca. Altrimenti non mi avrebbero lasciato questo.» e indica il bel pugnale che ha alla cintura.

L’ispettore, ancora seduto a terra, si mostra sorpreso.

«Che cosa c’entra quel pugnale?» si chiede a mezza voce, confuso.

Invece Aaron sembra capire.

«Te l’hanno lasciato perché sanno bene che tu, da solo, contro di loro non hai possibilità.» Aaron si mostra serio «Sei solo un pesce piccolo, Julian. E consegnando nelle loro mani quegli stregoni, in questi ultimi anni, sei finito proprio nella rete. Se fossi stato un po’ più furbo, avresti capito che l’unico modo per salvarti era di unirci tutti insieme; uniti contro i Signori del Nord.»

«Certo! Ma come ho fatto a non pensarci prima? Che idiota che sono, vero?» Julian scuote il capo e rivolge uno sguardo irritato all’altro stregone «Noi, quattro o cinque stregoni rimasti in questa città, contro i Signori del Nord? Il tempo delle guerre per la libertà e la pace è finito, Aaron. Svegliati, è questa la realtà: noi abbiamo il destino segnato. Io ho avuto l’opportunità di salvarmi, certamente non me la sarei mai fatta scappare.»

«Ma tu non ti salverai, Julian: loro non te lo permetteranno mai.» sentenzia il biondo, cupo.

Un piccolo vortice d’aria ruota per un istante intorno il sicario, sollevando polvere e qualche foglia, per poi placarsi tutto di nuovo.

«Mi sono stancato di queste chiacchiere.» afferma Julian, innervosito «Dammi il tuo oggetto custode.»

«Non è mia intenzione.» risponde Aaron, senza scomporsi.

Ma di che parlano?

Si chiede l’ispettore, aggrottando le sopracciglia.

«Allora lo prenderò con la forza.» annuncia Julian gelidamente.

Si alza di nuovo il vento che scuote gli alberi della strada; vorticano le foglie, la polvere, la fuliggine. C’è come un lampo quando i due maghi si scontrano e poi un rumore simile ad un tuono, che fa tremare di un poco la terra.

«Ah!» esclama l’ispettore, riparandosi il capo con le braccia; il vento lo sospinge indietro.

I due stregoni sono così rapidi, resi leggeri e veloci dalla magia, che è impossibile per Brown seguire lo scontro. Un paio di volte gli passano sopra, senza che lo percepiscano affatto; lui è ancora a terra e cerca di capire cosa stia accadendo.

Ad ogni incantesimo, un lampo e un rombo; le luci delle case si accendono una ad una e si iniziano a sentire voci concitate, passi in avvicinamento.

Poi d’un tratto, inaspettatamente, Aaron vola indietro di qualche metro, finisce a terra di schiena con un gemito soffocato e striscia per un po’ sulle pietre della strada. Quando il suo corpo si ferma, Julian è immediatamente su di lui; posa con forza un piede sul petto del giovane e con un incantesimo lo blocca a terra. Aaron si sente come se un macigno lo tenga premuto sulla strada, togliendogli il fiato.

Il sicario sta ansimando, ma ha sul volto un’espressione soddisfatta.

«Non sei male, Aaron, ma tra me e te c’è una sostanziale differenza.» si china in avanti, avvicinando il viso a quello del biondo, e sibila con un sorriso sadico:

«Tu combatti per difenderti, ma io combatto per vincere.» e aumenta di un po’ la pressione dell’incantesimo sul giovane.

Aaron tira il volto in una smorfia sofferente, respirando a fatica.

«E poi io sono abituato ad usare la magia per questi scopi.» continua a dire Julian, regolarizzando il respiro mentre fruga con una mano sotto il mantello dell’altro, in cerca di qualche tasca nascosta «Non come te che compi simpatici trucchetti per trattenere il pubblico. Anche se in realtà ti capisco: prima che i Signori del Nord mi trovassero, facevo anch’io l’illusionista. In effetti era l’unico modo per essere quel che sono, senza problemi. Purtroppo, però, in questo modo è facile essere scoperti... ma risulta quasi impossibile per uno stregone non usare la magia qualche volta. Fa parte di noi, ne abbiamo bisogno come una droga.»

Si interrompe, inarcando le labbra in un sorriso soddisfatto.

Si raddrizza, tenendo in mano una piccola bacchetta azzurra, molto anonima.

«Bene, eccolo qua.» commenta con quel sorriso, ruotando l’oggetto tra le dita rapidamente; dopo un paio di giri, la bacchetta muta all’improvviso, allungandosi e brillando. Diviene così un bastone, elaborato e lucido, sulla cui cima si trova una sfera azzurra con all’interno un liquido chiaro, vorticoso.

Julian lo afferra con entrambe le mani, osservandolo attentamente, mentre l’ispettore si alza in piedi e si avvicina, stupito, per guardare.

Aaron socchiude le palpebre, ansimando ancora.

«Che oggetto interessante.» Julian sembra davvero meravigliato «Soprattutto, molto appariscente: non certo l’ideale per racchiudere la magia. Per questo hai dovuto mutarlo in una piccola bacchetta con un incantesimo, per nasconderlo meglio. Un ottima scelta, comunque. E’ molto bello.»

L’ispettore alza le sopracciglia, incredulo.

La magia degli stregoni... in realtà non risiede in loro, bensì viene custodita in qualche oggetto! Ecco in che modo i Signori del Nord hanno intenzione di usare la magia: se possiedono gli oggetti “custodi della magia”, possono sfruttare i poteri degli stregoni! Ma... perché comunque li tengono in vita nelle Segrete? Magari... magari perché, se loro muoiono, la magia che è in loro... si estingue.

Julian riabbassa lo sguardo su Aaron e gli dice tranquillamente:

«Non temere, sarà in buone mani.»

«Sei... un pazzo, Julian.» mormora il giovane a fatica, tra un respiro e l’altro «Quando i... Signori del Nord avranno... abbastanza magia dalla loro... parte... tu non... gli servirai più.»

«Loro ormai ne hanno abbastanza. Mi hanno detto che questo è l’ultimo incarico: poi sarò libero.» Julian è sicuro e per nulla preoccupato.

«Prova a... ragionare.» insiste Aaron «Quanti stregoni sono stati... catturati finora? Intendo... intendo negli ultimi... anni.»

«Vorresti dire da quando è nato il reparto speciale della polizia? L’anti-stregone?» domanda l’altro e Aaron annuisce con il capo.

«Tu sei il quinto.» risponde il sicario.

Il giovane biondo fa così notare:

«E quanti... sono i... Signori del Nord? ... Cinque. Ma, con il... re? ... Sei. Ne manca... solo uno. E per il re... per il re vorranno... la magia più potente e... spietata.» guarda il sicario intensamente «Il tuo incarico... Julian... termina... qui.»

Julian tira le labbra, irritato, e stringe con più forza il bastone magico, aumentando anche la pressione dell’incantesimo su Aaron, che strizza gli occhi, gemendo per il dolore.

«Taci.» sibila il sicario «Ti porto alle Segrete.»

Va ad afferrare Aaron al petto e lo costringe ad alzarsi, annullando l’incantesimo su di lui; il ragazzo può tornare finalmente a respirare. Julian lo fa voltare, gli porta le mani dietro la schiena e gli mette delle manette incantate, che gli impediscono di compiere magie. Poi lancia un fugace sguardo alla piccola folla di curiosi riunitasi, un po’ titubante, in fondo alla via, dietro un angolo. Ignorandoli, afferra Aaron per un braccio e si avvia verso la base della polizia, portandolo via a forza; il biondo cammina con molta fatica, stanco e provato.

L’ispettore li guarda immobile allontanarsi.

La folla si disperde, mormorando, e presto torna il silenzio in quella buia strada.

«E così... è finita.» si dice Brown tra sé e sé, cupo e malinconico «E’ tutto finito.»

Chiude gli occhi, stringendo i pugni.

Aaron è stato catturato. Nives è morta, come è morto il bambino. E lui? Anche lui verrà presto catturato e ucciso.

E i Signori del Nord avranno in mano un incredibile potere; gli uomini saranno loro schiavi e nessuno riuscirà a contrastarli.

E’ proprio la fine.

Dovreste andarvene, ispettore. Andatevene dalla città... Volete farvi ammazzare? Non date loro questa soddisfazione.

«Eh... ragazzo...» sospira Brown, aprendo lentamente gli occhi «Andare dove?»

Volge lo sguardo alla base della polizia, pensieroso.

Tra un’ora tornerete visibile e percepibile.

Sospira di nuovo.

Ho ancora tempo.

Si avvia verso quell’edificio nero a passi decisi.

E c’è ancora una cosa che posso fare.


Continua...

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Ci tenevo a concludere la pubblicazione di questa storia... spero vi sia piaciuta :) Buona lettura!


Capitolo 6

 

Quei tuoni, o forse esplosioni, non molto lontani, fanno d’improvviso destare Erin.

Balza sul letto, volgendo immediatamente lo sguardo alla finestra dalle tende socchiuse. Brilla qualcosa in lontananza che illumina il cielo notturno, così cupo. Da quanto tempo non si scorge più la luna...

«Aaron?» chiama Erin con ancora il volto rivolto ai vetri «Sai per caso cosa sta succedendo?»

Nessuno risponde.

«Aaron?» ripete Erin, girandosi verso la porta chiusa della camera.

Scansa le coperte e scende dal letto.

Le assi di legno cigolano sotto il suo passaggio, mentre esce dalla camera e attraversa il breve corridoio del primo piano in cui si trova, fino a fermarsi di fronte un’altra porta. E’ socchiusa.

Spinge il legno e sbircia all’interno; non c’è nessuno.

«Aaron?» chiama di nuovo la ragazza, preoccupata, entrando nel piccolo studio del fratello.

Un caos totale, come sempre. Però quel foglio ben piegato, lasciato di fianco il diario aperto, attira subito la sua attenzione.

Erin si avvicina lentamente, temendo di leggere qualcosa di orribile.

Guarda fugacemente la pagina del diario aperta, ma è scritta in maniera incomprensibile, con uno strano linguaggio; indecifrabile senza la chiave di lettura. Quindi torna a fissare il foglio e lo afferra.

Non si è sbagliata; è un messaggio per lei da parte di Aaron.

Lo legge rapidamente, tremando.

Gli occhi le si riempiono di lacrime, offuscandole la vista. Si morde un labbro, stringendo forte la lettera.

«Aaron...» piange, chiudendo gli occhi con forza.

 

I suoi passi risuonano per il lungo corridoio, cupi e terribili; rimbalzando sulle pareti di pietra sporche e umide. L’aria è gelida e ad ogni suo calmo respiro fuoriescono piccole nuvole calde dalle bianche narici. Quegli occhi, freddi e biancastri, sono fissi in avanti, verso Julian; fermo a braccia incrociate di fronte a una di quelle celle poste ai lati del corridoio.

Le poche torce che illuminano l’ambiente tremano un attimo quando infine Jaziel si ferma accanto il sicario e poi scende il silenzio.

Julian indica con il capo la cella davanti a loro, poi torna immobile.

Jaziel volge quindi l’attenzione in quella direzione.

Dietro le sbarre, vestito ora solo di stracci e incatenato alla parete, si trova Aaron. E’ seduto a terra e si abbraccia le gambe; si trova di lato rispetto le sbarre e la porta della cella e ha lo sguardo fisso sul pavimento. Trae pesanti respiri, tremando un po’ per il freddo, poco coperto dalla logora e sudicia casacca con cui l’hanno vestito.

Allora l’uomo dagli occhi di ghiaccio, senza staccare lo sguardo da Aaron, dice:

«Molto bene, Julian. Puoi andare; aspettami al piano di sopra.»

Il sicario fa un gesto con il capo e se ne va.

Dopo qualche istante, Jaziel si rivolge tranquillamente al ragazzo:

«E’ un piacere fare la tua conoscenza, Aaron.»

Il biondo non risponde, continuando a fissare il pavimento, inespressivo.

«Spero che la sistemazione sia di tuo gradimento, perché dovrai passare molto tempo qui.» continua l’uomo «Diciamo... più tempo possibile.»

Aaron allora accenna un sorriso amaro.

Jaziel alza un sopracciglio, chiedendo:

«Qualcosa ti diverte?»

«E’ divertente pensare che basterebbe togliermi la vita per rovinare i vostri piani...» mormora il giovane con una voce roca e stanca, ma anche con una punta di sarcasmo «Sarebbe così facile...»

«L’ironia si trova proprio qui.» commenta l’uomo, composto «Voi stregoni siete così attaccati alla vita che per voi il suicidio non è concepibile. La magia che risiede in parte in voi vi impedisce di uccidervi, non è così?»

«Sì, infatti.» sospira Aaron, socchiudendo gli occhi «Davvero ironico. Anche se volessimo, non riusciremmo mai ad ucciderci.» fa una breve pausa, per poi aggiungere cupamente:

«Ci avete privati anche della facoltà di scelta...»

«Affascinante, non trovi? E’ molto facile sottomettervi.» il volto di Jaziel è ancora privo di qualsiasi emozione, come la sua voce «Personalmente, ci trovo molto gusto.»

Aaron non risponde, ancora con lo sguardo fisso al suolo.

«Tratteremo bene la tua magia; ne avremo cura.» lo rassicura l’uomo «Non sarà sprecata.»

Aaron chiude gli occhi, percorso da un brivido più intenso.

Jaziel fa un piccolo inchino e dice:

«Ora perdonami, ma ho molto da fare.»

Si allontana con calma, con i passi che rimbombano ancora per il corridoio.

Infine, di nuovo il silenzio. Un silenzio cupo, gelido quanto l’aria delle Segrete.

Gli unici suoni sono i respiri pesanti e affaticati di Aaron e di qualche altro detenuto di quel corridoio; tra questi, ci sono anche gli altri quattro stregoni arrestati. Un paio sono avanzati negli anni, forse sessantenni. Gli altri due, poco più gradi di Aaron. Uno di questi è una bella ragazza con però uno sguardo spento e malinconico; è smunta, pallida e fragile, al pari degli altri imprigionati da molto tempo come lei. Aaron li ha notati mentre Julian lo accompagnava alla cella; sa che diventerà come loro. Un’anima triste, spenta... un’anima morta.

D’improvviso, quel cupo silenzio viene spezzato da uno sparo.

I prigionieri si voltano tutti verso una cella, a circa metà corridoio, davanti la quale si trova l’ispettore Brown, da pochi secondi tornato visibile e percepibile. Ha la pistola d’ordinanza puntata davanti a sé, verso il corpo, ora privo di vita, di uno dei due stregoni sessantenni: lo ha colpito in pieno petto; è stata una morte rapida.

L’ispettore si sposta verso una cella adiacente, dentro cui si trova l’altro stregone anziano. Questi capisce e rimane immobile, chiudendo serenamente gli occhi. Brown alza l’arma su di lui e spara senza esitazione.

Nella cella accanto c’è la bella ragazza; la strega, mentre l’ispettore si avvicina, allarga le braccia, mettendosi in ginocchio, e gli sorride, pregandolo dolcemente:

«Una morte rapida, ti prego.»

Brown annuisce con il capo e la colpisce in mezzo agli occhi; lei cade di lato con il sorriso sulle labbra.

Quando l’ispettore si ferma davanti la sua cella, l’altro stregone rimasto sospira con un’aria rasserenata:

«Finalmente...»

La pistola spara.

Mentre si odono voci, grida, e passi per delle scale, Brown si porta davanti ad Aaron.

Il giovane non si è scomposto per niente; è rimasto seduto con lo sguardo a terra. Solo un piccolo sorriso puro sulle sue labbra.

«E’ l’unico modo...» mormora l’ispettore con un tono che sa di scusa e gli occhi colpevoli.

«Lo so. E lo sapevano anche loro.» Aaron allude agli stregoni appena morti.

«Mi dispiace.» confessa Brown, sofferente.

«Non preoccupatevi, ispettore. La nostra è una morte necessaria.» Aaron alza gli occhi su di lui e gli sorride ancora «So di una resistenza fuori dalla città... degli stregoni che si stanno preparando per lottare. Avrei dovuto unirmi a loro alla fine di questa settimana; pensavo da un po’ di partire e questo mi sembrava il momento opportuno. Non c’è stato tempo...»

«Mi dispiace...» ripete Brown, non riuscendo a darsi pace.

«Ispettore... va bene così.» Aaron lo guarda pacatamente, forse felice «Raggiungeremo un posto migliore di questo. Anche voi... potrete rivedere vostra moglie, se ci crederete.»

L’ispettore tira le labbra, mentre gli occhi si fanno lucidi e qualche lacrima gli scorre sulle guance barbute.

«Credeteci intensamente, ispettore. Lo farò anch’io. Sto per raggiungere la terra dei sogni...» conclude lo stregone, con gli occhi carichi di contentezza.

Brown annuisce più volte con il capo.

«Ci credo.» sussurra intensamente e alza l’arma verso la fronte del ragazzo «Forse a presto, allora.»

Preme il grilletto.

Un colpo basta e Aaron cade indietro contro il muro.

Subito dopo, udito dei chiari passi in fondo al corridoio, Brown si volta in quella direzione, lasciando cadere la pistola a terra senza provare a fare resistenza.

Tre spari precisi al suo petto che risuonano tra le pareti. L’ispettore scivola al suolo, con Nives come ultimo pensiero.

Julian, in fondo al corridoio, ha ancora l’arma puntata in avanti; ansima, è corso lì, appena sentiti gli spari di Brown.

«Maledizione!» impreca Julian, avanzando e notando tutti gli stregoni morti.

Si ferma accanto l’ispettore, immobile a terra con ancora gli occhi aperti nel vuoto, e dà un’occhiata nella cella di Aaron. E’ morto anche lui.

«Maledizione!» ripete, dando poi un calcio alle sbarre con rabbia.

«Julian.»

Il sicario si volta; a circa metà corridoio, di fronte la cella del primo stregone morto, si trova un freddo Jaziel. Lo sta guardando negli occhi.

«Com’è potuto accadere?» gli chiede Jaziel, gelido.

Julian stringe i pugni, irrigidendosi.

«Credo sia entrato sotto l’effetto di un incantesimo.» suppone il sicario, indicando l’ispettore a terra «Un incantesimo che ha imposto Aaron su di lui poco prima che lo trovassi.»

«Ha ucciso tutti gli stregoni.» fa notare Jaziel, senza però accennare ira o qualsiasi altra emozione «Le loro magie sono ora inutilizzabili.»

«Lo so.» sbotta Julian, secco «Ma questo non è un mio problema. Il mio incarico è terminato, no?»

Jaziel rimane impassibile, quando asserisce:

«Sì, è terminato.»

«Bene. E’ finita.» sentenzia il sicario, sicuro.

Jaziel trae un breve sospiro, indicando con un ampio gesto gli stregoni morti intorno a lui.

«Sì, in effetti dovrò ricominciare tutto daccapo...» commenta, alzando poi un sopracciglio, e aggiunge:

«Posso iniziare direttamente con te.»

Julian fa un passo indietro, raggelando.

«Jaziel, tra noi due c’è un patto!» gli ricorda il sicario, perdendo ogni certezza.

«Credevi davvero che lo avrei rispettato?» fa l’altro, continuando a guardarlo con quel sopracciglio alzato «Abbiamo bisogno della tua magia. In fondo... sei solo uno stregone.»

Julian digrigna i denti ed esclama:

«Non mi farò catturare!»

Alza la pistola, pronto a sparare, ma non fa in tempo.

In una breve frazione di secondo, il volto di Jaziel muta, perdendo ogni sembianza umana; gli occhi si ingrandiscono e il bianco del bulbo scompare, divenendo nero; le labbra si allungano e divengono sottili e bluastre; i canini crescono, simili a zanne. Poi, mentre Julian è colto dentro da un profondo terrore e ribrezzo, il demone scatta in avanti, afferrando il collo del sicario con entrambe le mani, stringendolo con forza e sbattendo il ragazzo a terra.

La pistola finisce sul pavimento, scivolando via.

Jaziel avvicina di colpo il viso a quello dello stregone e gli sibila, con una voce acuta e disumana:

«La feccia come te merita solo la morte. Se ancora non ti ho fatto fuori è solo perché mi servi. Mi sono sempre servito di te e tu, cieco e stupido, non l’hai capito. Farai la fine di quegli stregoni; utilizzeremo la tua magia per i nostri scopi. E la sfrutteremo finché tu, vecchio e malato, non morirai qui dentro, in queste buie prigioni... una fine degna per uno come te.»

Julian è pietrificato dalla paura.

«Faremo fuori tutti quelli come te.» prosegue a dire Jaziel, con gli occhi che gli saettano folli da un lato all’altro del viso dello stregone «E noi Signori del Nord non avremo più oppositori.»

Si tira poi su, facendo alzare con la forza Julian; poi lo spinge dentro una cella vuota, dopo averlo privato del pugnale.

Con un gemito, Julian finisce a terra, tremante.

«Addio.» è l’ultima parola di Jaziel, mentre il suo volto e la sua voce tornano quelli di sempre.

Se ne va poi via e lo stregone si aggrappa con forza alle sbarre, urlando dalla disperazione.

 

*

 

Erin... questa lettera è per te.

Intanto fuori, sul lungo ponte deserto che conduce allo scuro edificio, base della polizia, si trova Erin; dritta, immobile, fissa l’edificio in silenzio. Ha gli occhi gonfi di lacrime e arrossati e in mano stringe ancora con forza la lettera che le ha scritto il fratello. Nella mente, quelle parole...

Questo è un addio. O meglio, un “arrivederci”. Erin... sto per uscire di casa e vado a morire, oppure a farmi catturare. Non c’è altro modo. Lo faccio per te, sorellina, perché se scappo potrebbero rintracciarti e torturarti per farti parlare, per poi imprigionarti a vita... e non voglio che questo accada.

La ragazza chiude gli occhi, fremendo.

Non essere triste, piccola mia. Come ho detto, è solo un arrivederci. Perché, Erin... ho trovato Nerfea. E ora dirò anche a te come raggiungerla, così che potremo incontrarci lì.

La giovane esita un attimo, muovendo un passo in direzione della base della polizia.

Ti chiedo solo di non venirmi a cercare per la città e di fidarti di me.

Lentamente, Erin torna sui suoi passi e si avvicina alla balaustra del ponte. Vi si affaccia, dirigendo lo sguardo a quell’abisso nero sottostante.

Intanto, sorellina... ho una confessione da farti. Sì, sono uno stregone.

Perdonami, perdonami ti prego, ma non potevo dirtelo. Saresti stata in pericolo.

E’ vero, i nostri genitori lo sapevano. E si chiedevano perché... perché ero nato in questo modo?

Nessuno lo sa, Erin, il perché e il come nascano degli stregoni. Tu sei fortunata a non esserlo, in questo mondo maledetto...

Erin trae un sospiro, tremando ancora e continuando a fissare il vuoto sotto di lei. Posa le mani sulla balaustra di pietra e stringe i pugni, mordendosi un labbro.

Fin da piccolo sapevo che ero nato con uno scopo. All’inizio credevo che il mio compito sarebbe stato quello di fare qualcosa di significativo nella lotta contro i Signori del Nord. Ci credevo fermamente, ma ora che sono alla fine... beh, non so se riuscirò. Forse; ho ancora un po’ di tempo.

Ma ora, ora che sto per affrontare una possibile morte, o comunque una vita ricca di sofferenze, ho davvero capito.

Il mio unico scopo era quello di proteggere te, mia amata sorella.

Nuove lacrime sgorgano dagli occhi della giovane, mentre un’aria pungente le fa danzare i capelli; le gocce salate vengono trasportate via dal vento.

E posso farlo, invitandoti a raggiungere Nerfea.

Erin, esiste davvero, ma... ma arrivarci, camminare sotto il suo sole, accarezzare l’erba dei suoi prati, ammirare il suo cielo, ha un prezzo. Un caro prezzo.

La vita.

Erin sta ancora singhiozzando, ma, a poco a poco, si calma, prendendo profondi respiri e cercando di regolare i battiti del cuore.

Trovata la lucidità, sale in piedi sulla balaustra, poi rimane ferma in quella posa.

Nerfea non è altro che l’Aldilà. E’ quasi impossibile da raggiungere semplicemente perché gli uomini, con il passare del tempo, hanno smesso di credervi. Solo credendoci fermamente, infatti, si possono varcare i confini della morte per giungere lì, in quella terra dei sogni. Ognuno la immagina a suo modo e io, che spero di riuscire a raggiungerla, immagino di trovarti lì con me, sorellina.

Ti prego, sognala anche tu come me. Non avere indugio. La morte, poi la vera vita.

Ti voglio bene, piccola mia. Ricordati anche di questo quando sognerai Nerfea... e mi troverai là.

Va tutto bene, Erin. Sta volta va tutto bene davvero.

Erin chiude gli occhi e sospira per un’ultima volta.

«Io ci credo, Aaron.» sussurra al vento, senza indugio alcuno.

Allarga le braccia e si lascia cadere nel vuoto.

Va tutto bene...

 

*

 

Un bianco accecante, una luce fastidiosa.

Erin sbatte più volte le palpebre, cercando di adattare gli occhi doloranti e lacrimanti.

Scosta lentamente il dorso della mano che ha davanti il viso e abbassa quindi il braccio, aprendo del tutto gli occhi e dischiudendo di un poco le labbra, estasiata.

Un prato vastissimo, di un verde acceso, sotto un cielo chiaro, azzurro, azzurrissimo. L’aria è tiepida e piacevole; si slaccia la giacca di lana e la fa scivolare a terra, alzando poi lo sguardo in alto e osservando rapida uno stormo di uccelli passare sopra di lei.

In quel momento, qualcuno le cinge le spalle delicatamente, accostandola al proprio corpo.

Lei si volta di scatto, sobbalzando, e dirige lo sguardo in quello del giovane biondo al suo fianco.

«Ti stavo aspettando, Erin.» le mormora Aaron, con un’espressione così dolce da farle fremere il cuore.

La ragazza porta un braccio intorno i fianchi del fratello e gli sorride.

«Scusa il ritardo.»

«Non importa; qui il tempo non esiste.» Aaron le accarezza una guancia, poi la invita a voltarsi.

Erin si gira lentamente per guardare alle sue spalle.

Le labbra le si dischiudono del tutto e lei rimane così, impalata dallo stupore, con gli occhi sgranati.

«E’ ancora più bello di come lo immaginavamo, vero?» commenta il fratello, stringendola ancor di più a sé.

Davanti a loro, si estende il mare.

Ed è bellissimo.

Erin non riesce a smettere di guardarlo, meravigliata; teme che, appena volterà lo sguardo, quella bellezza scomparirà... ma no, quel sogno è eterno. E i due fratelli rimangono così, abbracciati l’uno all’altra, in mezzo a quel bel prato di quella bellissima terra chiamata Nerfea.

 

Fine

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