A word, a sign, a time

di Rossella Stitch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** WORD I ***
Capitolo 2: *** WORD II ***
Capitolo 3: *** WORD III ***



Capitolo 1
*** WORD I ***


AVVISO:
La seguente storia è collegata alla oneshot “A NIGHT TO LOVE A LIFE TO STAY”.       
Qualora voleste iniziare questa long, per una maggiore comprensione è necessario che leggiate prima la shot sopra citata, in quanto è da considerarsi come ‘shot zero’, ovvero il punto di partenza dal quale ho deciso di sviluppare quanto segue.

 (Link della oneshot: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3672685&i=1)
 



 
WORD I
 



 
 
Kilig – Tagalog, una lingua delle Filippine
“La vertigine che si prova quando si incontra la persona per cui si ha una cotta.”
 
 



 
Attrazione. Malinconia. Romanticismo. Empatia. Erotismo.          
Se qualcuno le avesse chiesto di descrivere le sensazioni che la pervadevano ogni volta che si trovava in prossimità di un testo scritto, non avrebbe esitato neppure un secondo nel pronunciare quei cinque aggettivi.

L’odore d’inchiostro - così intenso e permeante -  l’attraeva a tal punto da scombussolarle anima e corpo. Il senso di libertà che le serpeggiava su per la schiena quando la fragranza di quel liquido nero le stuzzicava le narici, non lo avrebbe saputo spiegare neppure se avesse posseduto tutte le parole fino ad allora conosciute dall’intera razza umana.

In quel nero così fluido e brillante erano racchiuse parole su parole, significati su significati. L’intenzione di un libro prendeva letteralmente forma grazie al modo in cui l’inchiostro veniva intrappolato dalla carta, rendendo indelebile e reale ogni cosa scritta.           
E solo i suoi stessi occhi erano a conoscenza delle volte in cui aveva tracciato con le dita i contorni di ciò che era impresso tra le pagine dei suoi libri, pagine e parole che spesso le riportavano alla mente momenti passati, ma non per questo meno intensi o portatori di una violenta malinconia.

Ma quelle stesse pagine racchiudevano anche un sussurro dolce ed armonioso. Una melodia che il romanticismo non si sarebbe mai stancato di suonare e che grazie alle storie racchiuse nei libri, avrebbe potuto travolgere irrimediabilmente il lettore fino a trasportarlo in mondi sempre diversi ed entusiasmanti.            
Aveva sempre percepito una connessione particolare con i libri, non li aveva mai considerati come dei semplici cumuli di carta. Credeva fermamente che in quegli involucri apparentemente inanimati in realtà risiedessero tante, infinite anime ed ognuna di esse in qualche modo misterioso fosse connessa alla sua, così solitaria ed evasiva. Per tale motivo considerava la biblioteca il suo rifugio segreto e i libri i suoi migliori amici: in loro trovava comprensione, accettazione, sprono.
Nella biblioteca si sentiva sempre come se fosse… beh, a casa.

Con gli anni aveva scoperto che le pagine di un libro riuscivano a sprigionare un profumo che l’attirava come un’ape viene attratta dal polline.      
E proprio durante una delle sue letture, aveva scoperto che la carta era figlia dagli alberi, i quali contengono lignina, una sostanza che ricordava il sapore della vaniglia e quando le pagine iniziavano ad invecchiare rilasciavano quell’odore caratteristico che per lei era sempre stato irresistibile[1].

Da quando il Wessex era diventato il suo nuovo luogo di residenza e King George le aveva permesso di usufruire di una personale biblioteca piena di manoscritti, disegni e trascrizioni, si era letteralmente barricata all’interno di quelle stanze senza rendersi conto di quanto effettivamente stesse avvenendo intorno a sé.       
Spesso la gradevole compagnia della Regina rendeva più frizzanti i momenti di lettura, poiché talvolta la donna chiedeva a Lena di intrattenerla con una lettura a voce alta prendendo in considerazione un testo a lei più gradito. Con il passare delle settimane però, la compagnia di Queen Gwyneth aveva lasciato il posto ad una nuova presenza – molto più curiosa e intrigante – che aveva donato ai suoi pomeriggi in biblioteca un qualcosa di dinamico e solare, un brio ed una vivace curiosità totalmente estranee alla sua persona.

Da ben trentadue giorni, Lena era costantemente sorvegliata e seguita da Lady Zor-El - il cavaliere che la Regina e la sua migliore amica le avevano scelto affinché potesse sentirsi sempre al sicuro – e nonostante alcune titubanze iniziali, la mora poteva affermare con convinzione di essersi abituata alla presenza dell’altra nella sua vita.

Era seduta ad un’enorme tavolo in legno sui quali erano aperti scompostamente decine di libri, soprattutto scritti di autori classici latini a cui Lena da alcune settimane era interessata. Il suo intento era quello di voler tradurre quanti più testi possibili dal latino all’inglese e poiché il latino l’affascinava soprattutto a causa della morfologia delle parole, non aveva resistito un solo minuto prima di cimentarsi attivamente nella sua nuova idea.
Era immersa nella lettura di alcuni carmi, il cui autore doveva essere sicuramente un tale chiamato Catullo. Le sue letture spesso inciampavano in problematiche strutturali, poiché King George in quella biblioteca possedeva frammenti di pergamene di ogni genere e anche se molte di queste erano catalogate, si faceva ancora fatica a distinguere bene gli autori, ma soprattutto i periodi storici nei quali erano stati scritti.     
Roma e il suo impero erano un argomento spinoso da affrontare in società, soprattutto da quando aveva compreso che nell’immaginario collettivo era percepito come una grande massa di peccatori, i quali avevano idolatrato degli Dei blasfemi e ridicoli agli occhi di ogni cristiano rispettoso della propria fede. Moltissimi affreschi che decoravano le pareti dei sotterranei dello stesso castello, grazie a King George, aveva scoperto che raffiguravano storie, leggende riguardanti le grandi gesta di questi Dei.     
Era assurdo pensare che centinaia di migliaia di persone avessero pregato e donato la propria anima ad un insieme di figure così… volubili, reali e tangibili tanto quanto lo erano gli umani stessi. Al contempo però, Lena trovava affascinante pensare che nel passato ci fosse stato qualcuno capace di venerare delle figure onestamente molto più comprensibili ai suoi occhi di quanto spesso non lo fosse il suo Dio, poiché le Sacre Scritture - da che avesse memoria-  non erano mai state tanto esplicative rispetto a domande che il suo animo si poneva irrazionalmente riguardo la sua fede. Ogni volta che le balenava nella testa qualche quesito, titubanza o il semplice desiderio di approfondire la natura di quanto letto nelle Sacre Scritture, sapeva di peccare inesorabilmente. Il suo animo ribelle e tremendamente insolente non le permetteva di adeguarsi ad un conformismo che – con il passare del tempo – iniziava a stringerle sempre di più la gola e a dirla tutta, anche se avrebbe dovuto, in realtà non si sentiva affatto sbagliata a causa di ciò.

D’un tratto un sospiro estasiato la distrasse dai suoi pensieri e alzando il volto dalla pergamena che stava analizzando, notò Lady Zor-El appoggiata con la schiena ad una parete della biblioteca, le gambe accavallate l’una sull’altra e il viso – in quel momento immerso nella lettura di una pergamena – delicatamente accarezzato dai tenui raggi del sole di settembre.   
La bellezza di quella fanciulla era da togliere il fiato, Lena ne era sempre più convinta ogni volta che il suo sguardo iniziava ad analizzare dettagli dell’altra. Il profilo longilineo del collo, il naso ritto e la lucentezza dei suoi capelli esattamente dello stesso colore del sole.      
Lady Zor-El era come il sole: aveva la capacità di riscaldarla tutta con appena la sua presenza.

Quando si rese conto di star effettivamente sorridendo però, cercò di dissimulare versandosi un calice di sidro di mele, ma una volta portato alle labbra il bicchiere notò che l’altra l’aveva decisamente beccata in flagrante e lo capì dal leggero sorrisetto sbarazzino che cercava i nascondere inutilmente.

“Posso disturbarvi chiedendovi cosa leggete, Duchessa?” Esclamò divertita Kara, guardando ancora la pergamena che aveva in mano, cercando di non ridere.

“Mh?”

“Vi ho chiesto cosa leggete…” Riprovò la bionda, questa volta alzando lo sguardo e puntandolo in quello trasparente ed immenso dell’altra.

“Oh, si.” Rispose lei, focalizzando di nuovo l’attenzione sul suo lavoro. “Sono una sorta di poesie scritte in latino. Un tale Catullo le chiama carmi… sono davvero interessanti, parole davvero avvolgenti. Talvolta sembra quasi di immergersi nel pensiero di quest’uomo.”

“Affascinante.” Disse Kara, allontanandosi dal muro con un colpo di reni e con passi calmi, cadenzati, arrivò alle spalle di Lena, poggiando un braccio sulla spalliera della sua seduta e sporgendo il busto verso il tavolo.          
Osservò brevemente quanto sparso su di esso, voltando poi il capo verso sinistra ritrovandosi il viso di Lena a pochi centimetri di distanza.
Spontaneamente si ritrovò ad osservare con scrupolosa attenzione i dettagli del viso di lei: prima gli occhi, poi la curva piena della labbra ed infine – solo dopo qualche secondo – si rese conto che il respiro di Lena si infrangeva sul suo viso e che le sue guance erano leggermente più rosee del solito.          
Kara non aveva mai avuto occasione di osservarla da una distanza così ravvicinata e se a metri di distanza la ragazza le sembrava l’incarnazione stessa della bellezza, a pochi centimetri si sentì quasi inadeguata dinanzi a tutta quell’accecante meraviglia. E le mancava il fiato… letteralmente.  Senza che riuscisse a prenderne davvero coscienza infatti, una sensazione simile alle vertigini la invase e dovette distogliere lo sguardo, abbassandolo leggermente. Ma nessuna decisione fu più sbagliata, perché dinanzi allo sguardo di una sempre più imbarazzata Kara si presentò tanta, troppa pelle, che - come una cascata di latte - sgorgava a partire dal collo di Lena per sfociare in tutta la sua generosa abbondanza nella sua scollatura. Una scollatura decisamente pronunciata a causa del corpetto che indossava.

“A-affascinante, si.” Sussurrò Lena, che dal suo canto era completamente immersa nel calore e nel profumo dell’altra. Quando lo sguardo di Kara ritornò ad incrociare il suo, notò un bagliore inedito, un guizzo che non era ancora pronta ad identificare, per cui si schiarì leggermente la voce cercando di togliere entrambe da quell’ambigua situazione.

Kara si ritrasse immediatamente all’udire di quel suono gutturale prodotto da Lena e raggiunta una lontananza accettabile, quest’ultima si rese conto di quanto le mancasse già il calore del corpo della giovane.

“Ahm, beh, se volete sarei interessata ad ascoltare ciò che avete prodotto f-fino ad ora.” Incalzò Kara, che nel frattempo aveva raggiunto l’altro lato del tavolo per poi sedersi su una delle sedute in legno. “L-Le vostre traduzioni intendo… se volete…” Continuò, iniziando a gesticolare con le mani, evitando di guardare l’altra.

“C’è qualcosa che vi turba Lady Zor-El?” Domandò a quel punto Lena, consapevole di non essere stata l’unica ad aver percepito una strana tensione tra di loro durante quel fugace incontro ravvicinato. Ma lei era una Luthor, non avrebbe mai permesso alle sue emozioni di dominarla, tanto meno di far capire ad altri ciò che – irrequieto – si insinuava nel suo animo. “Sembrate nervosa, una strana cera vi colora il viso… state bene?”

“I-io…” Cercò di controbattere Kara, insicura sul suo tono di voce. “Si, n-non preoccupatevi per me.” Continuò poi, cercando di apparire tranquilla e risoluta.

Lena, dal suo canto, non volle metterla ulteriormente in difficoltà, perciò decise di far cadere l’argomento e ritornare al suo lavoro.
Per il successivo quarto d’ora nessuna delle due provò ad interagire con l’altra, immerse ognuna nei propri pensieri. Kara soprattutto, non riusciva a spiegarsi quanto era accaduto soltanto pochi istanti prima. Non era mai stata avvolta da una tale instabilità emotiva, ma più di tutto la turbava l’incomprensibilità di quella reazione, in quanto non riusciva a collegare nessun particolare gesto o evento che potesse aver scaturito tale scompiglio nel suo essere.  
Che fosse… che fosse stata la presenza della duchessa a farla fremere in quel modo? Che fosse stato il suo profumo così forte ed avvolgente ad averla introdotta in quella spirale libidinosa?  
Non poteva credere di… non sarebbe stato giusto. Oppure lo sarebbe stato? Oh misericordia, era un cavaliere, le era stato insegnato che in determinati contesti era giusto e doveroso domare i propri istinti e con essi anche tutto ciò che ne poteva conseguire emotivamente. Ma gli occhi infiniti di lei, il suo odore che le ricordava quello dei boschi in pieno inverno, il calore sprigionato dal suo corpo e la voluttà in cui veniva trascinata alla sola visione di parti del corpo di lei così esposte… buon Dio, stava decisamente perdendo i lumi della ragione.

“-dy Zor-El?”

Al suono armonioso della voce dell’altra, le ritornarono alla mente le parole di una traduzione che aveva letto solo qualche giorno prima e nulla come in quel momento le ricordava Lena Luthor se non quelle parole. Così si alzò velocemente dalla sua seduta, sotto lo sguardo incuriosito della mora, la quale senza muoversi continuò a seguirla con gli occhi. La bionda frugò per qualche istante in alcuni cassettoni e dopo una rapida ricerca ne estrasse la pergamena tanto agognata.          
Senza ulteriori pensieri, decise quindi di avvicinarsi di nuovo all’altra, che – sorpresa – si posizionò composta sulla sedia, ritraendo leggermente il busto in un gesto assolutamente inconsapevole.

Kara non vi badò molto e una volta arrivata di fianco a Lena, srotolò la pergamena e con voce tremante iniziò a leggerne il contenuto.

A-afrodite eterna, in variopinto soglio, di Zeus fìglia, artefice d'inganni, o Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio, di noie e affanni.” Iniziò, prendendo poi un lungo respiro per poter continuare la sua lettura. “E traggi or quà, se mai pietosa un giorno, tutto a' miei prieghi il favor tuo donato, dal paterno venisti almo soggiorno, al cocchio aurato giugnendo il giogo. I passer lievi, belli te guidavano intorno al fosco suolo battendo i vanni spesseggianti, snelli tra l'aria e il polo, ma giunser ratti: tu di riso ornata poi la faccia immortal, qual soffra assalto di guai mi chiedi, e perché te, beata, chiami io dall'alto.”[2] Esclamò, fermandosi appena per poterle rivolgere un fugace sguardo. Ed una sola fuggitiva occhiata le era bastata per leggere la commozione e lo sconcerto sul viso di Lena, che dal suo canto non sapeva se tale commozione fosse dovuta al modo in cui l’altra stava declamando quello scritto oppure era frutto di una passione inedita, alla quale prima d’ora non aveva mai voluto dare ascolto.

Kara continuò per qualche altro minuto, parole leggiadre e delicate che – come gocce di rugiada – si depositavano sul cuore di lei, impregnandola d’affetto.

Vienne pur ora, e sciogli a me la vita d'ogni aspra cura, e quanto io ti domando che a me compiuto sia compi, e m'aita meco pugnando.” Concluse la sua declamazione Kara, alzando definitivamente lo sguardo per poggiarlo su Lena, che – a bocca aperta ed occhi lucidi – non sapeva cosa dire o cosa fare.

La bionda a quel punto riavvolse la pergamena e la porse all’altra, che lentamente la afferrò per poi portarsela al petto. Kara indietreggiò giusto di qualche passo, spostando la sedia libera posta di fianco alla mora e vi si sedette, accavallando le gambe e guardandola di nuovo in viso.

“H-ho fatto delle ricerche.” Iniziò a spiegarsi Kara, non ancora del tutto convinta di ciò che aveva appena fatto. “Vi guardo ogni giorno mentre vi perdete tra decine di scritti e ho sempre pensato, sin dal primo momento, che ci fosse qualcosa di magico nel guardarvi lavorare con così tanta passione. E-e così ho deciso di non disturbarvi mai, p-perché non volevo vi pesasse troppo la mia presenza, ecco.”

“T-tu non… non mi disturbi affatto Kara. Mai.” Rispose titubante Lena, uno strano cipiglio che le solcava la fronte e un moto di dolcezza che le esplodeva nel petto al sentire le giustificazioni dell’altra.

“B-beh io… insomma ho scoperto che le parole possono essere molto più antiche dei vostri amati romani e che anche questi uomini amavano… si insomma, p-più di un Dio.”

“Oh” Esclamò sorpresa Lena, oltremodo interessata alle parole dell’altra.

“E insomma, alcune traduzioni sono state complesse da leggere, m-ma il monaco che prima studiava qui ha fatto davvero un bel lavoro.” Spiegò ancora, per nulla convinta delle sue parole.

“C-cosa ho appena ascoltato?” Domandò Lena, con una fame di sapere ed un desiderio ambiguo ad attanagliarle le membra.

“Si chiama Afrodite… ho letto un’invocazione a questa Dea. Probabilmente lo scrittore di questo testo stava pregando in suo nome o q-qualcosa di simile.” Spiegò la bionda, muovendosi poi leggermente sulla sedia e arrossendo improvvisamente. “ H-ha un’eleganza, una dolcezza espressiva e un’accortezza di significato che… si beh, ciò che ho provato la prima volta che ho letto questa preghiera mi ha ricordato ciò che provo ogni volta che vi guardo mentre leggete: è come... c-come se una strana magia vi possedesse tutta e non so…”

“Non sapete cosa?” Sussurrò Lena, sporgendosi esponenzialmente sul tavolo alla ricerca di risposte. Posò le mani aperte sul tavolo, molto più vicine all’altra di quanto volesse e poi aspettò, impaziente.

“E’ a-affascinante guardarvi, ecco.” Rispose infine Kara, arrossendo irrimediabilmente e abbassando lo sguardo, timida come non lo era forse mai stata.

Lena la osservò, cercando di assimilare quanto appena udito e anche se non le era esattamente chiaro quello che stava succedendo quel pomeriggio, decise di assecondare il suo istinto e non nascondersi per una volta.         
Sorrise. Rivolse a Kara un luminoso e dolce sorriso, per poi tornare a sedersi composta sulla propria sedia.

“Sapet-“

“Ve ne prego, gradirei se mi chiamaste con il mio nome.” Incalzò prontamente la bionda, che nel frattempo aveva iniziato a giocherellare con l’impugnatura della sua spada.

“Io sono Lena allora, intesi?”

Un sorrisino timido e un cenno del capo fecero capire a Lena che l’altra aveva acconsentito alla perdita di formalità, per cui rinvigorita riprese da dove era stata interrotta.

“Ogni volta che ti guardo allenarti… a me quello affascina, sai?”

“Davvero?” Rispose dubbiosa Kara, decisa ad incontrare di nuovo gli occhi di lei.

“Davvero.” Concordò ancora Lena. “Vorrei saper fare anch’io ciò che sai fare tu. Sai, il mio amato fratello è un ottimo spadaccino e da bambina mi ha insegnato a maneggiarla piuttosto bene, ma tu… il tuo corpo si muove in una maniera a me sconosciuta durante un combattimento. Ed è oltremodo affascinante.” Concluse, sorridendole ancora, prima di srotolare di nuovo la pergamena donatale da Kara e posare avidamente gli occhi su quanto scritto.

Un rintocco di campane dopo qualche momento però, le avvisò che era giunta l’ora della messa e senza ulteriori parole entrambe lasciarono velocemente la biblioteca per recarsi in chiesa. Lena camminava con risolutezza al centro del corridoio – in quel momento deserto - che le avrebbe condotte alla sala grande, con passo tranquillo e ritmico.

“Lena?” La richiamò gentilmente la bionda.

Ella semplicemente si voltò in risposta e sorrise all’altra, esortandola a continuare.

“Domani niente sidro di mele. Normalmente a quest’ora mi viene sempre fame, per cui ho pensato che potremmo portare della frutta da mangiare in biblioteca. C-che ne dici?”

In tutta risposta Lena scoppiò in una gioiosa risata e Kara d’istinto credette che l’altra si stesse prendendo gioco delle sue parole, per cui tentò subito di controbattere. Ma l’altra non glielo permise, avvicinandosi impercettibilmente a lei. “Si direbbe che ho trovato un’ottima compagna di lettura allora.” Sussurrò giocosa, per poi allontanarsi e riprendere a camminare. Dietro di lei Kara, che dopo qualche secondo di esitazione affrettò il passo per raggiungere la mora.

“ Si beh, sarebbe un piacere per me.”

E prima di svoltare l’angolo e ritrovarsi entrambe nella sala del trono dove Lena era attesa, quest’ultima si fermò un istante, in tempo perché l’altra l’urtasse leggermente.

“Sarebbe un piacere anche per me Kara, immenso.” Rispose furba, incamminandosi poi in direzione della Regina e lasciandosi il cavaliere alle spalle.
E anche se ancora nessuna delle due era pienamente consapevole di quanto stava accadendo, sicuramente erano entrambe convinte di quanto detto: sarebbe stato un immenso, grandissimo piacere farsi compagnia.
 
 
 
 
 





 
 
NOTE AUTRICE:
Buon Lunedì a tutti.            
Se siete giunti fin qui, posso soltanto che ringraziarvi.   
Sono tornata – come promesso – con un seguito a cui ho lavorato per circa due mesi (e a cui sto ancora lavorando, poiché sto scrivendo gli ultimi capitoli) e spero davvero che abbiate apprezzato il primo capitolo.            
Innanzitutto ci tengo a ringraziare tutto coloro i quali hanno deciso di recensire, inserire tra preferiti/ricordati/seguiti la shot che ha permesso a questo progetto di prendere vita, ovvero ‘A night to love a life to stay’. Sono davvero molto orgogliosa di quella shot e a seguito di alcune chiacchiere e consigli avuti da diversi amici, ho deciso di cimentarmi in questa nuova sfida. A tutti gli effetti questa è la prima long alla quale lavoro ed è magnifico poter inserire così tanto di me in quello che scrivo.       
Oltretutto però, è fantastico poter condividere con voi i miei pensieri, le mie emozioni e sapere che in qualche modo apprezziate e condividiate con me tutto ciò.          
Ho intenzione di pubblicare una volta alla settimana, ma non ho ancora deciso esattamente il giorno preciso, perciò per adesso sappiate soltanto che di sicuro ci rileggeremo la prossima settimana.        
Vi ricordo come sempre che mi farebbe molto piacere ricevere un commento, un parere o qualsiasi altra parola per poter discutere insieme di quanto letto, in modo da poter sapere i vostri pareri che mi aiutano sempre a crescere con passione.     
Appuntamento quindi alla prossima settimana e grazie infinite per aver deciso di intraprendere assieme a me questo piccolo viaggetto nel passato che – spero – potrà portare tante soddisfazioni a tutti! 
Un bacione grande e VIVA SUPERCORP ASDFGHJKL
 

[1] La pergamena fu utilizzata come materiale scrittorio fino al XIV sec, dove fu sostituita poi dalla carta di canapa e/o fibre tessili. Nonostante l’incongruenza descritta nel periodo, ho voluto inserire il dettaglio della lignina in quanto a causa di un’esperienza personale sono venuta a conoscenza di tale particolare.
[2] Riferimento sitografico

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Capitolo 2
*** WORD II ***


WORD II
 
 



 
Retrouvailles – Francese
La gioia che si prova quando si incontra una persona amata dopo una lunga separazione.
 
 




Giaceva da più di due ore nel suo morbido letto, ma – nonostante le membra dolenti e il lacerante mal di testa – non riusciva a chiudere gli occhi e spegnere la mente.    
Un pensiero fisso nel cervello, come un chiodo che si insinuava a suon di martellate, non l’abbandonava da giorni e anche quella sera – la sua ultima sera prima del grande giorno – non era riuscita a godersi appieno nulla di quanto le era stato concesso dalla vita.

Qualche settimana prima il generale J’onzz – braccio destro di suo padre – le aveva offerto un’opportunità che di sicuro alla sua età non avrebbe mai immaginato di poter ricevere.  
Nonostante l’anticonformismo che caratterizzava la sua persona, Kara sapeva di essere il cavaliere più preparato tra i giovani che, in quegli ultimi anni, avevano invaso i campi di addestramento militare del Re e sapeva per certo di essere stata anche l’unico cavaliere di appena quindici anni ad aver partecipato alla prima battaglia contro i temutissimi uomini del Nord. E adesso che ne aveva quasi diciotto, poteva vantare esperienze sul campo che l’avevano sicuramente forgiata nel profondo. Il suo animo gentile non lo aveva mai celato in nessuna occasione, perché semplicemente non riusciva ad indossare una maschera e fingere di essere qualcuno che non era. Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato. Ma nei pochi tentativi in cui aveva provato ad essere più rude ed incattivita, aveva fallito miseramente, dimostrandosi ridicola agli occhi di chi in realtà avrebbe dovuto rispettarla.

Ma di tempo ne era trascorso da quando era ancora alla ricerca di una sua dimensione, poiché la risolutezza e la professionalità che la contraddistinguevano con gli anni le avevano permesso sì di mostrarsi agli altri nella sua autenticità, ma anche di far capire a chi le stava intorno che, solo perché possedeva delle naturali inclinazioni gentili e misericordiose, non era da sottovalutare. Anzi.
Aveva dato prova di sé stessa in moltissime occasioni e probabilmente doveva ringraziare la sua testardaggine per l’offerta del generale. L’uomo infatti, dopo un’attenta consultazione con il generale Zor-El, aveva deciso di promuovere Kara e cederle un’intera classe di aspiranti cavalieri. Sarebbe dovuta partire per un intero mese, diretta verso l’isola di Jersey, dove risiedeva un campo di addestramento che King George in persona aveva fatto costruire all’inizio del suo regno.         
L’uomo credeva fortemente nelle sue milizie ed aveva sempre auspicato di riuscire in grandi imprese grazie al suo rinnovato e potente esercito.

Kara era molto entusiasta all’idea di dover insegnare le sue conoscenze a delle giovani mani inesperte. Ricordava ancora con estrema nitidezza quando, da bambina, sorrideva felice all’idea di poter giocare agli spadaccini con suo cugino. Era sempre stato quello il suo sogno: voleva essere d’ispirazione, una guida per gli altri. Ma un mese di lontananza avrebbe comportato soprattutto un mese di assenza dal compito che oramai da più di due anni ricopriva: un mese senza poter assolvere il proprio dovere in quanto personale cavaliere della duchessa Luthor.    
Un mese senza Lena. Un mese senza la fanciulla che amava.

“Posso sentire sin da qui il piccolo scoiattolo che gira in tondo nella tua testa e che probabilmente non si ferma da ore.”

Quando la voce roca di Lena le arrivò dritta alle orecchie, Kara si rese conto di essersi persa nei suoi pensieri e di aver lasciato trascorrere decisamente troppo tempo. Tempo che avrebbe potuto utilizzare per far riposare corpo e mente, invece di sottoporli entrambi a torture psicologiche inutili.

La mora era letteralmente distesa sul corpo di lei, i lunghi capelli corvini a ricoprire sia le sue spalle sia ciò che si poteva scorgere del busto di Kara. Entrambe nude ed avvolte in enormi coperte e pellicce, intrecciate in un groviglio di braccia e gambe che non permetteva quasi di capire dove terminasse il corpo di una ed iniziasse quello dell’altra.            
Kara sentì il naso di Lena iniziare a giocherellare con il suo collo e istintivamente sorrise. Sin dalla prima volta in cui avevano deciso di condividere intimamente il loro amore, aveva scoperto che l’altra era dipendente dall’odore che la sua pelle emanava e senza che potesse opporre alcun tipo di resistenza, ad un certo punto aveva imparato a non esimersi dallo sporgere il collo ed accogliere il naso di Lena, che insidiosa e sbarazzina si inebriava del profumo di Kara, percorrendo con la punta del naso, dall’alto in basso, traettorie invisibili.

“Non riuscirò mai a capire perché ti piace tanto l’odore della mia pelle.” Sussurrò la bionda, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dai leggeri brividi provocati dai tenui tocchi dell’altra.

L’unica risposta che ricevette fu un mugolio estasiato che fuoriuscì dalla labbra carnose di Lena, ancora immersa nel suo virtuoso gioco.

Quando però la mano destra della mora iniziò a strisciare lentamente verso il fianco scoperto di Kara e le dita iniziarono a muoversi scompostamente sulla carne calda, l’altra si rese conto di ciò che stava per accadere e nel modo più imperioso che conosceva, iniziò ad opporsi a quella divertente tortura.

“Non osare Le’, sai che sono più forte di te e potr-“

Ma le proteste cessarono ancor prima di cominciare quando Kara si ritrovò a dover soffocare nei capelli dell’altra un misto tra risa ed urletti divertiti. Il peso di Lena non le permetteva di muoversi con facilità e le risa iniziavano a bruciarle nel petto, facendole mancare quasi il respiro. Così, dopo alcuni attimi, decise di ricorrere a misure drastiche per far si che l’altra – in quel momento anch’ella scossa da risate incontrollate – smettesse di torturarla e senza pensarci troppo decise di addentare dolcemente la spalla nivea di lei.

“Ah!” Esclamò sconvolta Lena, riemergendo dal collo di Kara e guardandola negli occhi con uno sguardo che urlava vendetta. “Kara Zor-El!” Continuò poi, assottigliando la vista e arricciando il naso in una maniera che Kara trovava assolutamente adorabile.

“Si?” Rispose flebilmente l’altra, cercando di riprendere fiato dopo tutto quel ridere.

“Dimmi che non lo hai fatto davvero!” Esclamò impettita Lena.

“Cosa? Io non ho fatto niente!” Controbatté lei, sporgendosi subito dopo verso il naso dell’altra per depositavi un tenero bacio.

Ma Lena si sottrasse da quel gesto d’affetto e in un attimo rotolò dall’altra parte del letto, sgusciando via da baci e carezze per alzarsi e dirigersi verso il grande specchio posto al centro della stanza, senza curarsi minimamente della sua nudità. Quando la sua immagine riflessa la guardò negli occhi, la mora si rese conto di avere il viso completamente stravolto: guance rosse, labbra gonfie e occhi chiari che brillavano come diamanti esposti al sole.            
Quello specchio riportava l’immagine della felicità e Lena non si curò neppure un attimo dei lunghi capelli in disordine o del rossore che la pervadeva interamente, perché adesso aveva scoperto l’effetto visivo che la vicinanza di Kara comportava. Aveva scoperto che effetto aveva su di lei l’amore.

“Non ti ho lasciato alcun segno Lena, sta tranquilla. Torna qui dai…” La esortò Kara, alzando il busto fino ad ora adagiato sui cuscini ed incrociando lo sguardo dell’altra che, nel frattempo, di rimando la stava osservando tramite il riflesso dello specchio. Si stropicciò goffamente gli occhi e poi raccolse i lunghi capelli biondi tra le mani, adagiandoli sulla sua spalla sinistra, iniziando poi a giocarci.

“Sei la creatura più splendida sulla quale abbia mai posato lo sguardo, lo sai?” Sussurrò dopo alcuni istanti la mora, voltandosi verso Kara ed avvicinandosi lentamente al letto, sguardo serio e movimenti appena accennati. “Alle volte sembra quasi tu non appartenga a questa terra.”

In un secondo il viso ed il collo della bionda iniziarono a risplendere di un vigoroso rossore e nulla poté impedire a Lena di sorridere sorniona. Sapeva quanto i complimenti imbarazzassero la sua amata, ma nonostante tutto non perdeva mai occasione per rincarare dolcemente la dose quando poteva. Del resto non aveva detto nulla che non pensasse, anzi. Era fermamente convinta delle sue parole e spesso dubitava anche di essere in grado di dimostrare all’altra ciò che sentiva, non nel modo giusto almeno.

“Un eccesso momentaneo di pudicizia ti ha rubato la lingua?”

Kara rise leggermente, allungando le mani in direzione di Lena in una muta richiesta: quelle mani urlavano contatto, amore, brividi. E la mora non si fece attendere ulteriormente, eliminando la leggera distanza che le separava con pochi passi e senza troppe cerimonie si sedette cavalcioni su Kara.
Braccia forti in un istante le circondarono i fianchi nivei e a sua volta Lena  avvolse le sue attorno al collo di Kara. Seno contro seno, fronte contro fronte e nasi che giocherellavano tra loro come sempre.

“Non è pudicizia…” Rispose quindi Kara, incontrando poi le labbra di Lena in un tenero bacio a fior di labbra. “E’ che mi emoziono q-quando esclami certe parole. Non so… non sono nulla di speciale infondo.” Continuò, un lieve sorrisino timido a confermare quanto in realtà non riuscisse a vedere ciò che invece Lena vedeva ed amava in lei.

Dita gentili si insinuarono tra i capelli chiari di Kara e iniziarono a donarle carezze appena sussurrate, ma allo stesso tempo incisive.

“E’ proprio questo che amo di te…” Disse Lena, guardando fermamente l’altra negli occhi, volendo esprimere in ogni modo ciò che sentiva. “Sei inconsapevole della tua purezza ed è proprio per questo che sei bellissima. Se ne fossi cosciente, in qualche modo cercheresti di ostentare le tue caratteristiche, invece tu… Dio Kara, tu non comprendi quanto sei speciale ed è proprio questo che attrae le persone che ti circondano.” Continuò, baciandola poi ripetutamente, a labbra piene, per evitare che l’altra potesse sminuire quanto detto. “Domani andrai via ed il pensiero di esserti lontana per così tanti giorni mi sta facendo diventare matta. Ma non ti lascerò andare finché non avrai capito cosa vedo quando ti guardo. Intesi?” Sussurrò ancora ad un sospiro di distanza dall’altra.

“H-ho capit-“ Ma Lena non la lasciò parlare ancora, congiungendo nuovamente le loro labbra in un bacio adesso più importante, necessario. I denti della mora arpionarono il labbro inferiore di lei succhiandolo e mordendolo, esortando l’altra a dischiudere le labbra per lasciarla entrare. Kara non la fece attendere affatto e nel momento stesso in cui accolse la lingua dell’altra nella sua bocca, strinse ancor di più la presa intorno ai suoi fianchi, spingendosela addosso come se volesse eliminare anche il più piccolo millimetro di spazio esistente tra loro.       
Si baciarono per alcuni minuti, nei quali entrambi i corpi ripresero a tremare febbrilmente a causa della ritrovata passione. Le gambe di Lena avvolte attorno al busto dell’altra, dita frenetiche che solcavano delicatamente la cute di Kara, la quale non riusciva quasi a capire dove fosse a causa dell’intensità di quel contatto.

Quando una mano di lei iniziò a scivolare verso in ventre di Lena però, la mora capì che doveva fermarsi. Non era ancora il momento di lasciarsi trasportare dalla passione. Voleva che Kara sapesse e che sapesse ora.

“F-ferma…” Ansimò quindi, distaccandosi gentilmente dalle labbra dell’altra e guardandola di nuovo negli occhi. Occhi che in quello stesso istante si schiusero, brillando di un misto tra lussuria e confusione.

“T-ti ho fatto male?” Sussurrò a sua volta Kara, cercando di apportare immediatamente la dovuta distanza tra i loro corpi per sincerarsi che l’altra stesse bene. Ma Lena non la lasciò allontanare di un centimetro, trattenendola per le spalle e stringendo la presa nei suoi capelli.

“Shh… ascoltami.”

Kara riportò le sue mani sui fianchi di lei e sentendo – nonostante tutto – i suoi muscoli ancora doloranti e stanchi, riportò nuovamente la schiena sui cuscini, trascinando con  sé anche l’altra e coprendola poi come poteva con delle coperte.

C’è chi dice sia un esercito di cavalieri, chi dice sia un esercito di fanti, c’è chi dice sia una flotta di navi la cosa più bella sulla terra. Io invece dico che è ciò che si ama.” Esclamò con convinzione Lena, occhi lucidi e fieri.

“S-saffo…” Sussurrò Kara, che ricevette conferma quando vide l’altra sorridere ed annuire flebilmente.

“La prima volta che mi hai dedicato delle parole, è stato grazie a Saffo.” Iniziò a spiegare Lena. “E questo frammento mi ricorda te. Ogni parola. Ti amo, ti amo e ti amo. Così tanto che alle volte mi sembra di sentire qualcosa muoversi dentro di me come se fossi posseduta. T-tu mi hai sconvolto la vita Kara e sappi che non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che sei e per quello che mi dai.” Continuò, guance oramai bagnate e voce tremante. “E v-voglio che tu parta con questa consapevolezza.”

“Partirò solo per poter assaporare il gusto della riunione.” Esclamò in tono dolce Kara, per poi baciare con devozione le guance bagnate di lei. “ T-tu mi vedi per ciò che sono e non per come gli altri vorrebbero che fossi. E ti renderò fiera di me amore, possa la presenza di Dio suggellare questa mia promessa. Tornerò da te Le’ e sarai fiera delle mie gesta.”
 



 
                ****



 
Sette giorni erano già trascorsi da quando il Generale Zoe-El e i nuovi cadetti erano partiti per l’addestramento e con essi, anche Kara aveva temporaneamente lasciato alle sue spalle sia il Wessex sia il suo cuore, accudito dalle mani amorevoli della fanciulla che amava.

La traversata verso l’isola di Jersey era stata tranquilla e pacifica, accompagnata da tenui raggi solari che s’infrangevano con precisione sulla superficie di scudi ed elmi, da una frizzantina aria che solleticava costantemente l’olfatto dei passeggeri ed una trepidante attesa che scorreva nelle vene di tutti i cadetti. Nessuna presentazione ufficiale era stata ancora fatta, per cui i giovani che avevano deciso di prender parte all’addestramento non erano ancora a conoscenza delle fattezze del loro istruttore, tanto meno erano a conoscenza delle metodologie di insegnamento utilizzate da quest’ultimo. Alcuni ex allievi con i quali dei giovani avevano avuto modo di parlare, sostenevano che il buon vecchio cavalier Snapper – dai modi rudi e imperiosi – in realtà in passato si era dimostrato molto più magnanimo e misericordioso di quanto tutti credessero e la maggior parte dei componenti dell’attuale esercito del Re consideravano il saggio insegnante come un mentore ed un modello da seguire.

Proprio per questo Kara aveva chiesto al generale J’onzz di potersi presentare personalmente ai suoi allievi e soprattutto di poterlo fare a tempo debito, ovvero il primo, effettivo giorno di addestramento.

Le mura del plesso che ospitava gli allievi si ergevano imponenti quasi sulle spiagge dell’isola, ai piedi di un’enorme scogliera che – frastagliata e minacciosa – delimitava l’intera struttura dai boschi del luogo, tradizionalmente conosciuti come dimora di creature sovrannaturali.
Nessuno aveva mai creduto davvero alle fantasticherie che i veterani di guerra raccontavano su quel luogo, ma oramai da decadi ogni giovane del Wessex veniva influenzato da tali racconti, tanto da crescere con il timore di poter malauguratamente imbattersi in una strana creatura mostruosa.

Il Generale J’onzz e i suoi uomini invece, risiedevano in un recintato completamente differente rispetto agli alloggi degli aspiranti guerrieri, molto più confortevole ed indicato grazie anche ad una piccola servitù locale che da anni prestava servigio costante per mantenere in buone condizioni il luogo.

Quando Kara appoggiò i suoi effetti personali su quello che doveva essere un letto, si rese conto che non sarebbe riuscita a dormire affatto, per qualche notte almeno. Quella stanza misera e sterile non faceva altro che sbatterle in faccia tutto ciò che aveva lasciato dietro di sé quando aveva messo piede sulla nave che li avrebbe condotti su quell’isola. Più volgeva lo sguardo attorno a sé e più realizzava le differenze: non c’erano le enormi vetrate della stanza di Lena che portavano sempre tanta luce, non c’era neppure un libro, non c’erano specchi e non c’era alcuna traccia di Lena. Era tutto così misero, così insignificante e sapeva di poter quasi risultare eccessiva se la sua reazione fosse stata osservata da occhi esterni, ma davvero non riusciva a capacitarsi dell’aura tetra e cupa che circondava quelle quattro mura.

Ma appunto, i primi sette giorni erano trascorsi e tra preparativi e quant’altro, era arrivato finalmente per gli allievi il giorno di iniziare l’addestramento pratico.

Le onde del mare si infrangevano forti quella mattina, i gabbiani erano già alti nel cielo nonostante fosse appena l’alba e la salsedine già iniziava a depositarsi sulle decine di armi posizionate ordinatamente sul lato interno della grande spiaggia. Kara camminava a piedi nudi sul bagnasciuga, ipnotizzata dal modo in cui l’acqua risucchiasse all’istante le impronte che – un passo dopo l’altro – lasciava alle sue spalle. I suoi stretti pantaloni neri di cotone arrotolati fino alle ginocchia, la casacca blu che le fasciava perfettamente le spalle, le braccia muscolose e il busto, la sua fidata spada che – come un cane dormiente – non lasciava mai il suo fianco destro. Si sentiva pronta quella mattina, nonostante le aspettative e le titubanze lei sapeva di potercela fare e lo avrebbe dimostrato.

Quando iniziò a sentire alcune voci profonde provenire dall’entroterra, legò velocemente i capelli con un nastro in una coda alta e strinse più che poté il nodo. Non voleva affatto che il vento permettesse al nastro di sciogliere la presa sulla sua selvaggia chioma e in più non voleva dare in alcun modo spettacolo, sapendo benissimo che ogni occasione sarebbe stata colta al volo per ricordarle quando di differente ci fosse in lei.

“Benvenuti!” Esclamò a voce alta, tono sicuro e sguardo risoluto, mentre voltava definitivamente le spalle al mare per dedicare la sua attenzione al gruppo di giovani allineati di fronte a lei.           
Sorrise leggermente quando scorse gli occhi sgranati di alcuni e iniziò ad un udire un lieve bisbiglio che – come il ronzare di una mosca – dopo alcuni istanti iniziava quasi a sovrastare il rumore delle onde.

“Immagino abbiate capito già chi sono, ma le espressioni perplesse di alcuni di voi mi dimostrano che non a tutti è ben chiara la mia presenza. Quindi senza indugio adesso mi presenterò, dopo di che non vorrò più udire alcun suono provenire dalle vostre file.” Continuò Kara, ferma di fronte al gruppo, schiena dritta e le mani appoggiate come d’abitudine sulla sua cintura. “Sono Kara Zor-El, secondo cavaliere della corte di King George, consigliere di corte e membro effettivo delle milizie attive da circa quattro anni.” Spiegò pacatamente, esternando in quelle parole tutta la fierezza che ne poteva derivare dalla sua posizione. “E si, sarò il vostro nuovo insegnante per l’addestramento pratico e per i prossimi venticinque giorni vi allenerete per diventare ciò che spero per voi sia un onore, oltre ad essere un dovere: ovvero dei cavalieri.”
 



                                                                                                            ****                                     



 
Era duro soprattutto psicologicamente, se ne stava rendendo conto quando dopo circa dieci giorni dall’inizio dell’addestramento ancora c’era qualche ragazzo che cercava di sfidarla o di voler ostentare in qualche modo una mascolinità che – Kara sapeva per certo – non li avrebbe sicuramente salvati in battaglia, anzi. Ed era proprio mentre cercava di pensare ad un modo per far capire ai suoi ragazzi l’inutilità della forza bruta, che entrò nella sala grande per cenare e inaspettatamente si trovò scrutata da occhi chiari fin troppo conosciuti. Occhi che la fissavano con attenzione e che appena incrociarono lo sguardo sorpreso di Kara si illuminarono a giorno.

“Padre!” Urlò lei, cancellando velocemente la distanza che la separava dall’uomo. Quando le fu abbastanza vicino non ci pensò due volte e con un breve salto si ritrovò avvinghiata alle possenti spalle del generale Zor-El. Fu subito avvolta dall’odore forte di legna che contraddistingueva l’uomo e quando le braccia forti di lui le avvolsero la vita, le venne spontaneo stringerlo ancora di più ed iniziare a ridere di cuore. “ Oh padre, sono così felice di vedervi. Cosa ci fate qui?”

“Ciao mio piccolo eroe…” Sussurrò il padre, affondando il viso nei capelli sciolti di Kara, inebriandosi del suo odore che tanto gli ricordava quello della sua adorata moglie. “Prima di tutto sono venuto a farti visita. Ero curioso di sapere come stessero procedendo le cose qui. Sono davvero tanto fiero di te.”

Dopo alcuni istanti, il generale lasciò andare sua figlia, dirigendosi poi entrambi verso il tavolo già imbandito per la cena. Vino rosso in quantità, tanto pollo e patate bollite: per Kara quella sera sarebbe stata festa grande.

“Sta andando davvero bene padre. Certamente non è stato semplice i primi giorni, soprattutto perché sapete quanto sia complicato – e fatico ancora a capirne il motivo – per gli altri darmi credito, ma sono davvero soddisfatta di come procede l’addestramento. Non sembra apparentemente, ma sono tutti ragazzi dotati ed intelligenti.” Esclamò Kara con fervore, prendendo posto al tavolo e fronteggiando il padre, il quale sorrise divertito notando l’entusiasmo della fanciulla. 

Senza troppi indugi, entrambi iniziarono a consumare il loro lauto pasto e se qualcuno avesse presenziato al banchetto, di sicuro non avrebbe notato alcuna differenza riguardo l’attitudine che entrambi gli El avevano nei confronti del cibo.

Cinque cosciotti di pollo, due caraffe di viso e un’enorme ciotola di patate dopo, padre e figlia erano fin troppo soddisfatti sia della cena sia della felice riunione familiare. L’improvvisa serietà del generale però, acquisita senza che nessuno potesse avere il tempo di capire, fece insospettire Kara, che con delicatezza cercò di comprendere i motivi del suo mutamento d’umore.

“Ditemi padre, siete qui anche per un’altra ragione, non è vero?”

Dal suo canto, l’uomo afferrò saldamente il calice di vino posto sul tavolo oramai spoglio e ne bevve una generosa quantità, come a voler estrapolare dal vino il coraggio che gli mancava per poter parlare. Ed effettivamente quel comportamento risultava ambiguo agli occhi di Kara, così abituata alla risolutezza e l’imponenza che caratterizzavano la figura di suo padre.

“Padre, mi fate preoccupare se continuate ad indugiare…”

“Tua madre ed io abbiamo discusso a lungo qualche giorno fa, mia cara.” Iniziò quindi il generale, posando il calice di fronte a sé e discostandosi poi dal tavolo per iniziare a camminare lentamente per la stanza. “Non credevo di dover essere io a parlartene, ma tua madre ha sagacemente constatato quanto tu sia simile a me,  più di quanto entrambi vogliam credere e quindi ho deciso di parlarti di persona perché volevo prestare onore al legame che da sempre ci lega.”

“C-certo padre, vi voglio molto bene anche io, lo sap-“

“Quando tornerai al castello, tua madre ed io abbiamo deciso che è arrivato il momento di introdurti a corte in veste ufficiale e vorremmo organizzare una cena con Sir Lar Gand[1] e la sua famiglia.” Esclamò perentorio il generale, imponente in tutta la sua stazza mentre si ergeva al centro della sala.

Ci vollero alcuni istanti prima che Kara prendesse coscienza di quanto era stato detto e non appena si rese conto di ciò che avrebbero potuto significare quelle parole, sentì nel petto una strana morsa dolorosa, come se la gabbia toracica stesse stringendo eccessivamente intorno a polmoni, cuore e il tutto si riducesse ad un’enorme ostruzione che non le permetteva quasi di respirare.            
Loro non potevano… loro non sapevano…

“P-padre…” Tentò di pronunciare Kara, alzandosi involontariamente dalla sedia e avvicinandosi di poco al centro della stanza, dove il generale volgeva ancora lo sguardo altrove, probabilmente timoroso di incontrare la figura di sua figlia.

“So che tutt-“

“No padre, voi n-non sapete assolutamente nulla. Nulla!” Esclamò in preda al panico Kara, cercando ancora di capire cosa dire e come comportarsi. “C-che significa che avete discusso? A-avete parlato di me, del mio futuro… mentre io cerco di fare del bene, d-di essere, anzi no, di dimostrare chi sono e di cosa sono capace… v-voi semplicemente decidete che è arrivato il momento per farmi smettere di essere un cavaliere e d’un tratto dovrei fare cosa, di grazia? No, vorrei saperlo.”

“Potresti iniziare a comportarti come una fanciulla comune, Kara!” Esclamò quindi l’uomo, rivolgendo finalmente l’attenzione alla ragazza, la potenza di quelle parole che rimbombava nella stanza come l’eco di una frustata.

“Io sono una fanciulla comune padre, più comune di quanto possiate credere.” Esclamò con foga la bionda, negli occhi un’incredulità dilaniante. “Credete che la mia posizione sociale abbia compromesso la mia femminilità per caso? C-cosa vi fa pensare di poter alludere in questo modo senza mancarmi di rispetto?”

“Bada bene a come parli ragazzina, che se c’è qualcuno che dovrebbe parlare di rispetto, quello sono io. Io Kara, non tu!” Rispose rabbioso l’uomo, puntando il dito conto la bionda ed alzando la voce come poche volte era accaduto. “Ho accettato così tanti compromessi a causa tua. Io sono stato deriso perché a detta altrui ho trasformato mia figlia in un uomo mancato. Io sono stato minacciato a causa dell’inappropriata condizione sociale che da sempre ti caratterizza. Io Kara, quindi non parlarmi di rispetto. E sono fiero della persona che sei nonostante tutt-“

“Nonostante cosa, di cosa parlate padre? Perché improvvisamente emerge tutto questo?” Domandò esasperata Kara, oramai stufa di girare intorno alla questione.

E quando incrociò gli occhi di suo padre, scuri come un mare notturno in tempesta, capì che il danno era più grave di quanto pensasse.

“Che cosa avete fatto? Cosa le avete detto padre?” Sibilò furibonda, avvicinandosi all’uomo in un istante per fronteggiarlo come non aveva mai neppure pensato di poter fare in tutta la sua vita. “RISPONDETEMI!”

“Le abbiamo raccontato tutto perché volevamo un consiglio, visto che è la persona che ti conosce meglio e quando abbiamo finito il nostro discorso, era emaciata e silenziosa come se stesse per avere un mancamento. Ed è lì che ho capito l’assurdità di quanto stava accadendo.” Rispose il generale, azzerando la distanza che lo separava dalla figlia per poi arpionarle le spalle e scuoterla con vigore. “E stava accadendo sotto il mio sguardo, il mio!”

“Che cosa avete fatto… c-che cosa…” balbettò tra i denti lei, cercando di divincolarsi dalla presa intensa del padre alla ricerca di aria. Ma l’uomo non la lasciava andare, anzi. Continuava a scuoterla ed urlare domande sconclusionate, come se in quelle parole stesse riversando mesi e mesi di paure e sospetti, come se stesse esternando tutto il dolore fino ad allora sopito, volutamente accantonato.

“PERCHE’ L’AMO PADRE. IO LA AMO!”

Attimi di glaciale silenzio seguirono le parole di Kara, spezzati soltanto dal respiro affannoso di quest’ultima, che a pieni polmoni aveva urlato ciò che avrebbe sperato di svelare in circostanze molto più accoglienti.

Suo padre era sempre stato un uomo buono, ai suoi occhi appariva da sempre come un marito amorevole, un combattente valoroso ed una persona da stimare in qualsiasi circostanza. E non avrebbe mai pensato che la stessa persona che da bambina l’adagiava delicatamente sulle sue spalle nel vano tentativo di farle toccare il cielo o che l’aiutava a difendersi contro i prepotenti, sarebbe stata in grado di giudicarla così malamente, serbando un rancore ed un dolore assolutamente incomprensibili per lei.      
Da sempre il legame che univa i suoi genitori – nonostante cadute accidentali ed incidenti di percorso – era stato per lei fonte di ispirazione, un qualcosa  cui aspirava con ogni fibra del suo essere. Kara aveva sempre sperato di poter trovare in qualcuno lo stesso amore che i suoi genitori avevano trovato l’uno nell’altra e tanti erano i dolcissimi momenti nei quali si era ritrovata a pensare “un giorno avrò anch’io qualcuno che mi guarderà come si guardano loro.” E ci era riuscita. Inaspettatamente aveva trovato tutto ciò che desiderava ed anche di più, perché Lena andava decisamente oltre ogni aspettativa possibile e perché suo padre non poteva essere felice per lei? Perché doveva sabotare così malamente un’unione di anime che, a suo giudizio, riteneva più forte di ogni volontà?

“Tu l’ami…” Mormorò quindi il generale, esclamando quelle poche parole con un tono così flebile, vuoto. Quasi come se avesse realizzato in quel preciso momento la natura del sentimento che albergava in sua figlia. “L’amore Kara… l’amore ha permesso l’estinzione di intere civiltà, lo sai questo?” Continuò poi, lasciando andare – ora con rinnovata gentilezza – la presa sulle spalle della bionda per poggiare poi le sue mani grandi ai lati del viso di lei, accarezzandone le guance con i pollici incalliti nel vano tentativo di asciugarle e magari donarle conforto. “ Tu non puoi sapere cosa sia l’amore a quest’età bambina mia, tu non lo sai…”

“P-padre, vi prego…” Gemette Kara, non riuscendo in alcun modo a placare i singhiozzi che le scuotevano il petto. Le stavano squarciando le membra così dolorosamente che avrebbe voluto soltanto rannicchiarsi e continuare a piangere, sperando che tutto quel dolore improvviso potesse lasciarla in pace. “I-io non posso… n-non posso vivere senza di lei. N-non riesco…” continuò a balbettare, cercando di prendere fiato ad ogni parola pronunciata. “C-ci ho provato, ma non riesco. Non voglio. I-io non voglio vivere senza di lei… t-ti prego non permettere c-che accada.”

“Oh figlia mia…” Esclamò con commozione il generale, attirando con veemenza la ragazza a sé per stringerla poi al petto, lasciandole il tempo di esternare tramite il pianto tutte le sue emozioni. Le baciò il capo color del grano ripetute volte, ammonendosi mentalmente per essere stato così cieco, così volubile ed assetato dalla voglia di essere socialmente rispettabile. Ma la disperazione della sua bambina – perché nonostante la sua posizione e le sue gesta, l’uomo avrebbe guardato Kara e l’avrebbe sempre vista come la sua bambina dalle lunghe trecce bionde e il sorriso smagliante – lo aveva colpito come un pugno in pieno volto e non era stato capace di dar ascolto a nulla se non al suo amore paterno. “Perdonami Kara, perdonami.”

Kara si strinse spasmodicamente al busto del padre, rifugiandosi nel suo abbraccio come se volesse scomparire in esso. Sentiva, quasi come un riverbero lontano, le scuse dell’uomo e l’affetto sprigionato da quelle parole. Ma il senso di vuoto che l’aveva posseduta da quando quella conversazione stava avendo luogo, purtroppo non la lasciava andare e non riusciva ad  immaginare alcuno scenario futuro senza la donna che amava. Senza Lena niente avrebbe mai potuto avere un futuro. Niente. Ed allora capì.

“Ascoltami mio piccolo eroe, ci penserò io a risolvere questa situazione, d’accordo?” Esclamò l’uomo con un inedito vigore. “Parleremo con tua madre e cercheremo di farla ragionare. Lei ti vuole bene quanto me e sono sicuro che troveremo una soluzione, perché deve esserci una soluzione a tutto ciò.”

Kara, che nel frattempo era riuscita a placare il pianto che la stava devastando, si scostò gentilmente dal petto dell’uomo e con occhi rossi e colmi di lacrime finalmente lo guardò. “Darei la mia vita per lei padre, non sono disposta a nessun tipo di compromesso. E’ bene che sia chiaro questo.” Disse con convinzione, un lampo di puro orgoglio a trafiggerla interamente. “Quando tornerete non parlatele, non avvicinatevi a lei e lasciate tutto in sospeso. Al mio ritorno ci penserò io.”




                                                                                                           ****



 Potevano essere trascorsi attimi, giorni, mesi o addirittura anni.    
Il sole avrebbe potuto cedere il suo posto alle tenebre più fitte senza che lei ne notasse la differenza. Il mondo avrebbe potuto iniziare addirittura a girare su sé stesso come una trottola, per lei non avrebbe avuto alcuna importanza. Nulla aveva più importanza per lei da diverso tempo oramai e nessuno era stato in grado di modificare lo stato emotivo di Lena. Si sentiva come rinchiusa in un’ampolla, con razioni di aria e libertà talmente povere da farla sentire come un animale in gabbia che veniva periodicamente schiacciato dal peso della sua impotenza, tanto da farle mancare il respiro.     
Si sentiva esattamente a quel modo: come un animale indifeso al quale mani forti e grandi stavano brutalmente strappando la vita. Stava soffocando e non riusciva, anzi non voleva affatto capire come porre rimedio a tutto ciò.

Nessun luogo del Wessex era in grado di donarle sollievo, neppure rinchiudersi nella sua amata biblioteca – che da anni era il suo luogo sicuro, il posto in cui riusciva ad evadere con la mente e con l’anima – poteva nulla contro l’oscurità che lentamente si stava facendo strada nel suo essere. E quante volte aveva provato a rifugiarsi nella sua quotidianità per scampare ai continui tumulti interiori che la rendevano prigioniera, ma purtroppo la sua quotidianità comportava la presenza fissa di una persona in particolare, di colei che prima era tutto e adesso era la causa di tutto.

“Duchessa, vi ho portato dei frutti da poco raccolti… dovreste mangiare qualcosa.” Sussurrò la domestica, entrando nella stanza principale della biblioteca con un vassoio ricolmo di frutti freschi. Si avvicinò lentamente al grande tavolo sempre pieno di libri e pergamene, che però in quel periodo era costantemente vuoto e avvolto da una strana aura malinconica e servì il cibo. “Poggio qui, per qualsiasi cosa sono qui fuori Duchessa.”

“Grazie Jane.” Rispose freddamente Lena, in piedi come una statua di fronte ad una delle grandi vetrate della stanza, lo sguardo rivolto verso l’orizzonte ma che in realtà non era focalizzato su nulla in particolare. Semplicemente si posizionava lì e guardava fuori, concentrata ad evitare ogni ricordo di lei e desiderando di poterla incontrare solo per urlarle in faccia tutto il suo rancore.

“Duchessa?” La richiamò ancora la domestica prima di uscire definitivamente dalla stanza.

“Mh?”

“Lei non vorrebbe vedervi in questo stato, lo sapete vero?” Domandò la donna, sperando vivamente di non essere stata in alcun modo irrispettosa.

“Se avesse voluto davvero sincerarsi delle mie condizioni, sono sicura che lo avrebbe fatto di persona Jane.” Rispose la mora, la voce che adesso vibrava di una rabbia repressa e che non avrebbe mai e poi mai fatto emergere. Non voleva dare ulteriori soddisfazioni a nessuno, sapendo benissimo che spesso i domestici – per quanto amabili e cortesi – non potevano sottrarsi agli interrogatori dei membri della corte del castello.  “Non è qui da più di quaranta giorni, non ho notizie da altrettanti giorni e non so se ne avrò mai più, quindi adesso come adesso mi importa ben poco di ciò che vorrebbe o meno!”

“D-duchessa?”

“Puoi andar-“

“Si, puoi andare Jane. Sei sempre efficiente. Ti chiameremo in caso di bisogno.” Esclamò con dolcezza una terza voce.

“Con permesso.” Si congedò quindi la domestica, inchinandosi leggermente per poi lasciare velocemente la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Lena non aveva osato girarsi, nonostante sapesse che Kara era lì a pochi passi da lei. Come poteva presentarsi all’improvviso dopo tutto quel tempo? Chi le dava il diritto di farle così male? Perché era lì poi? Cosa pretendeva?

“Sei tornata!” Esclamò quindi, chiudendo per un attimo gli occhi e cercando di calmare il suo animo in tumulto. Prese un piccolo respiro e senza aspettare risposta si voltò per fronteggiarla, braccia incrociate al petto e sguardo fiero tipico di un Luthor.

“Pochi minuti fa sono arrivata. Ho poggiato i miei pochi effetti personali nel fienile e sono subito corsa qui. Speravo di essere in tempo per la frutta del pomeriggio.” Esclamò timidamente Kara, avvicinandosi lentamente al centro della stanza. Indossava degli abiti diversi rispetto al solito e Lena lo aveva notato immediatamente.   
Una lunga gonna merlettata color sabbia ricopriva interamente le sue lunghe gambe, una casacca di cotone bianco le fasciava armoniosamente il busto, lasciando intravedere – tramite un intreccio di lacci - il petto leggermente abbronzato. Lunghi boccoli  -forse ancora più biondi del solito -  ricadevano morbidi sulle spalle e soltanto dopo qualche attimo Lena notò che la fedele spada di Kara era avvinghiata alla sua schiena. Era semplicemente bellissima, così selvaggia e guerrigliera.

Quando i loro occhi si incrociarono però, Kara capì in un istante che Lena non stava bene. Era pallida, i suoi occhi erano spenti e le spalle ricurve come se portasse un peso immondo sulle spalle. Doveva parlarle e doveva farlo subito.

“Lena io…”

“Non preoccuparti, sono a conoscenza di tutto e non mi devi alcuna spiegazione. Infondo sapevo che prima o poi qualcosa di simile sarebbe accaduto e meglio adesso, visto che siamo ancora giovani e non quando sarebbe stato troppo tardi.” Incalzò Lena, cercando di non far capire all’altra quanto le fosse costato pronunciare quelle parole.

“Tu cos- No!” Rispose con veemenza Kara, avvicinandosi di qualche passo all’altra per poterla fronteggiare. “Tu non sai assolutamente nulla, quindi lascia che ti spieghi. Per l’amor di Dio, perché siete tutti così sicuri di sapere ogni cosa quando poi in realtà non sapete mai nulla?” Continuò, frustrata come poche volte Lena l’aveva vista. “Adesso taci e lasciami parlare!”

Il sopracciglio destro di Lena si inarcò in maniera a dir poco innaturale e la smorfia sarcastica che increspò le sue labbra, fecero capire all’altra che poteva continuare senza timore di essere interrotta.

“Non so cosa ti abbiano detto, quali fandonie ti abbiano raccontato o quali insinuazioni siano state fatte sul nostro conto. Non lo so e non lo voglio sapere.” Iniziò Kara, poggiandosi quindi sul bordo del tavolo e posizionando le mani su di esso, ai lati dei suoi fianchi. “Mio padre è venuto a farmi visita sull’isola qualche tempo fa. Ho scoperto che sa tutto di noi due e che purtroppo si è lasciato sopraffare dalle aspettative di mia madre. Sono delle brave persone e dei genitori amorevoli, lo sai anche tu. Sai quanto mi amino e quanto sia loro affezionata.”

Una breve pausa seguì quelle parole, mentre Lena continuava a scrutarla con diffidenza.

“Si chiama Mon-El, il gentiluomo che mia madre avrebbe voluto fosse il mio futuro sposo. E-e si, immagino che sia un uomo buono e avvenente, ma nulla di tutto questo avverrà mai Lena. Mai.” Continuò la bionda, scostandosi dal tavolo e allungando entrambe le mani verso l’altra.
Sapeva di doverle il suo tempo e per questo si stava approcciando a lei nella stessa maniera in cui ci si dovrebbe approcciare ad un animale indifeso: aveva allungato le mani per far capire all’altra che poteva abbassare la guardia, che poteva smettere di avere paura da sola. Poteva lasciarsi andare ed avere paura insieme a lei, perché – anche se all’apparenza poteva sembrare l’opposto – anche Kara in quel momento era assolutamente terrorizzata.

Lena osservò attentamente quegli occhi imploranti che le chiedevano un atto di fede, scrutò attentamente le sue mani e solo allora notò quella sinistra di lei completamente fasciata fino al polso. “Che cosa hai fatto alla mano?” Le domandò quindi, non riuscendo a nascondere la preoccupazione.

Kara abbassò per un secondo lo sguardo e quando ricordò l’accaduto, rivolse all’altra un sorriso di dolce rassicurazione. “Non è nulla, mi ha trafitto un pugnale per sbaglio e per un po’ non potrò muovere la mano. Ma non è grave come sembra.”

Lena sgranò gli occhi intimorita, azzerando istintivamente le distanze che la separavano dal corpo dell’altra e senza indugiare oltre prese la mano ferita di lei tra le proprie, iniziando delicatamente ad accarezzarne le bende con la punta delle dita.

“Sei scomparsa. N-non ho saputo più nulla di te da quando sei partita e dopo aver parlato con tuo padre n-nessuno mi ha più detto nulla sul tuo conto.” Sussurrò flebilmente la mora, concentrando tutta la sua attenzione sulla mano ferita di Kara ed evitando in ogni modo lo sguardo penetrante di lei, che dal suo canto la scrutava con attenzione, cercando di capire come comportarsi. Non voleva ferirla ulteriormente, anzi. Voleva risolvere tutto e ritornare alla loro vita di sempre, fatta di amore e rispetto reciproco. “Mi hai fatto male Kara…”

La bionda non riuscì a trattenersi oltre e approfittando della vicinanza dell’altra, l’afferrò per la vita e la strinse forte, insinuando il viso nel suo collo e stringendo la presa.

“M-mi dispiace, mi dispiace. T-ti prego perdonami se puoi…”Singhiozzò devastata Kara, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio che per troppo tempo aveva trattenuto. Non voleva dimostrare nulla a nessuno, voleva soltanto che l’altra la perdonasse, che perdonasse i suoi genitori e perdonasse una società che purtroppo non sarebbe stata mai in grado di accettare quello che erano. “N-non sapevo cosa fare, sono stata così male a-a causa d-di mio padre e n-“

“Shh, odio vederti piangere, ti prego calmati.” Disse Lena, alzandosi sulle punte ed avvolgendole le spalle con le braccia, stringendosela addosso più che poté. Una mano ad accarezzarle i soffici capelli e l’altra che stringeva forte parte della sua tunica, come a volersi aggrappare a lei per non lasciarla andare più via.

“N-no, io non…” Tentò di replicare Kara a corto di fiato. “Sono stata sincera,, g-gli ho detto c-che ti amo e che non ci voglio vivere s-senza di te… i-io non voglio stare s-senza di te. Hai capito?” Continuò con disperazione, stringendo convulsamente la vita dell’altra e scossa da tremiti incontrollati. “T-ti prego, ti prego…”

Lena attinse a tutta la sua forza per far si che l’altra riemergesse dal suo collo per far incrociare i loro sguardi e quando accadde, anche Kara notò che il viso dell’altra era solcato da silenziose stille salate. Sentì il suo viso accarezzato da mani gentili e l’odore inebriante di Lena la stava confondendo, così fissò lo sguardo nelle iridi liquide di lei e dopo alcuni respiri profondi tentò di parlare.

“Sono partita perché volevo dimostrare a m-me stessa e a te che possiamo essere entrambe o-orgogliose della persona che sono. V-volevo tu fossi fiera di me e volevo d-dimostrarti che avrei combattuto sempre per ciò che per me è importante.” Iniziò Kara, indietreggiando di qualche passo per appoggiarsi al tavolo, ma non avendo mollato la presa sulla vita dell’altra, Lena fu costretta a seguirla. Quando la bionda si poggiò sulla superficie improvvisamente Lena divenne di qualche centimetro più alta di lei e involontariamente un dolce sorriso sbocciò dalle sue labbra carnose. “E l’ho fatto Lena, te lo giuro. Ho combattuto per me stessa e p-per noi, dichiarando apertamente a mio padre quanto io ti ami, quanto la mia vita sarebbe inutile senza di te e-e quanto io mi senta d-dipendente dall’amore che mi dai.”

Dal suo canto, l’unica risposta sensata per Lena fu avvicinare le sue labbra a quelle dell’altra per unirsi in un tanto agognato bacio. Si sfiorarono lentamente, quasi come fosse il loro primo contatto ed entrambe sospirarono ripetutamente ogni volta che le loro labbra si accarezzavano anche solo per un istante. Ma dopo alcuni attimi, il bisogno di ricongiungersi esplose prepotente nel cuore di entrambe e Lena si ritrovò a spingere di più le labbra contro quelle di lei, mordicchiandone il labbro inferiore alla ricerca di più contatto. Timidamente Kara schiuse le labbra, lasciandosi inondare dal sapore frizzante di lei e in un attimo il resto del mondo scomparve per lasciare posto ad una profonda e necessaria ricongiunzione di anime. Le loro lingue lottarono pacificamente per alcuni minuti, bisognose di esplorare a vicenda la bocca dell’altra nel tentativo di abbattere ogni barriera, ogni timore, ogni tensione.

Ad un tratto però, Kara sentì fuoriuscire un leggero lamento dalla gola dell’altra e titubante si distaccò per capire cosa l’avesse turbata.

“H-ho sbattuto la mano sull’impugnatura della tua spada e mi ha ricordato la sua forza.” Esclamò Lena, rispondendo alla tacita domanda di Kara. “Noi dobbiamo essere unite Kara, perché solo così saremo più forti e capaci di proteggerci a vicenda. Promettimi che non mi terrai mai più allo scuro di nulla, perché non è tenendomi lontana che mi proteggerai. Intesi?” Continuò poi, baciandola di nuovo a fior di labbra e continuando ad accarezzarle il viso con venerazione. “Non ricordavo fossi così bella e vestita così poi… mi manca il respiro.”

“Credevo amassi i miei abiti.” Rispose imbronciata Kara, abbassando lo sguardo sul mento di lei ed iniziando a tempestarlo di baci. “Non accadrà mai più nulla di simile comunque, è una promessa. Non so ancora bene come affronteremo mia madre, ma so che lo faremo insieme e questo mi rasserena molto.”

“Quando dico che ti amo non lo dico soltanto perché ti desidero Kara, non lo dico perché è bello dirlo o perché è qualcosa che si dice quando ci si unisce ad un’altra persona.” Spiegò Lena, guardando l’altra negli occhi con una serietà disarmante. “Quando dico che ti amo lo dico perché sono profondamente, violentemente, inesorabilmente innamorata di te. Provo amore per te, un amore che prima d’ora avevo soltanto potuto conoscere tramite i miei libri e non avrei mai pensato neppure nei miei pensieri più reconditi di poter avere tutto per me un amore come questo. Ma ce l’ho e anche se so che mi ami, so anche che non è questo il punto. Non ti amo perché mi aspetto qualcosa in cambio o perché pretendo di essere ricambiata per ciò che ti offro. Ti amo perché amarti mi fa sentire bene, mi rende migliore e forse sarà anche egoistico, ma non mi importa. Se egoismo significa questo, allora vorrei che tutti lo fossero un po’ di più.”

Il sorriso e gli occhi lucidi di Kara, fecero comprendere a Lena che l’altra aveva capito le sue parole e dopo averle scompigliato bonariamente i capelli, decise di allontanarsi da quel magnifico corpo e lasciarsi alle spalle tutte le emozioni negative che l’avevano marchiata a fuoco in quell’ultimo periodo. Voleva ricominciare, andare avanti con la fanciulla che amava.

“Dai, ero venuta per la frutta perché ho fame, quindi direi che adesso possiamo mangiare. Che dici?”

E quando Kara parlava di cibo, significava davvero che era tutto sistemato tra loro, per cui divertita, Lena aggirò velocemente il tavolo ed iniziò a servirsi. “Si, direi che possiamo mangiare la nostra frutta.”
 
[1] Riferimento a personaggi DC

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Capitolo 3
*** WORD III ***


WORD III
 





 
Cwtch – Gallese
L’abbraccio in cui ci sentiamo protetti, il posto sicuro che ci dà la persona che ci ama, un posto che conferisce una sicurezza che solo quelle braccia sanno dare.
 
 



 
“Ci vuole coraggio per crescere e diventare ciò che si è veramente, senza compromessi.”

Sua madre era solita ripeterlo spesso quando era bambina. 
Ricordava tante notti buie e malinconiche, rannicchiata sotto spesse coperte di lana, aggrappata alla sua veste alla ricerca di calore e sicurezza. Nei momenti di titubanza la donna le parlava di coraggio, di ambizione, di quanto bisognava essere forti e impavidi nella vita se si volevano ottenere dei risultati. Soprattutto per le donne, apparentemente troppo docili e fragili, ma che invece serbavano dentro molto più di quanto nessun uomo avrebbe mai potuto immaginare. E sua madre, in quanto donna, sapeva esattamente cosa si provasse a vivere la vita di una donna.            
Forte, coraggiosa, intelligente e arguta. Quella era sua madre. Tanto arguta da far credere a chiunque, persino al suo stesso marito, di non avere potere su nulla. Quando invece lei, di potere, ne aveva in quantità inimmaginabili e sin da bambina aveva imparato a sfruttarlo nella maniera migliore.

“Ci vuole coraggio per crescere e diventare ciò che si è veramente, senza compromessi.” Le sussurrava all’orecchio, il tono convinto e sicuro di una madre che conosce il suo stesso sangue e sa che in assenza di moderazione è capace di ribollire fino a raggiungere temperature elevatissime. “Ricordalo sempre Lena: per le donne come noi c’è sempre un prezzo da pagare, ed anche piuttosto altro, se vogliamo vivere la vita che Dio ci ha concesso. Sii saggia figlia mia e non credere che le scelte più facili siano sempre le più soddisfacenti. Le scelte difficili invece, quelle sofferte e sentite e devastanti… per quelle ci vuole coraggio. Perché ti distruggeranno, ma spesso questo è il prezzo da pagare se si vuole vivere veramente, senza compromessi.”

Lena non aveva mai capito fino in fondo quelle parole, nonostante il tempo trascorso e la vita che incominciava a correre inesorabile. In quindici anni o poco più, non era stata ancora in grado di trasformare in fatti gli insegnamenti di sua madre.
Poi però era arrivata Kara, si era affezionata a Kara, voleva bene a Kara e d’improvviso tutte le parole che da anni le vorticavano senza sosta nel cervello - insinuandosi in ogni fibra del suo essere - avevano assunto forma e significato.            
Il coraggio e la forza con cui sua madre l’aveva nutrita durante la sua infanzia non aveva idea di come poterli utilizzare a suo piacimento. Sapeva soltanto che, a prescindere i mezzi utilizzati, voleva arrivare al suo scopo: far capire i suoi sentimenti alla fanciulla che le aveva rubato anima e cuore.

Un lieve bussare la distrasse dai suoi pensieri e precedette l’entrata della domestica nelle sue stanze.

“Duchessa, scusate il disturbo.” Sussurrò con delicatezza la donna, avvicinandosi al letto di Lena per cambiarne le lenzuola. “Credevo foste già nelle stalle con il cavaliere, altrimenti sarei pass-“

“Non preoccuparti Jane, fa ciò che devi.” Rispose brevemente la bruna, mentre finiva di intrecciare i lacci dei suoi stivali da cavallo. “Lady Zor-El non credo mi sottoporrà ad alcun allenamento oggi, per cui pensavo di andare a cavalcare nei boschi. E’ da troppo tempo che non dedico attenzioni a Marte.”

Marte era un bellissimo clydesdale, una delle razze equine  più prestigiose esistenti al mondo. Le era stato regalato da King George al suo arrivo nel Wessex come segno di benvenuto in famiglia. Ricordava di essersi recata nelle stalle quasi nell’immediato, assieme allo stalliere, per incontrare il suo ‘regalo’ e quando gli occhietti vispi e scuri di lui avevano incontrato quelli brillanti di lei, pregni come non mai di aspettativa,  entrambi avevano capito subito di aver trovato nell’altro un fedele compagno di vita.         
Il suo Marte era il cavallo più affettuoso del regno, di un’eleganza ineguagliabile e un’agilità che avrebbe fatto invidia a qualsiasi altro cavallo presente nelle stalle. E proprio come Lena, possedeva un animo diffidente a primo impatto, che però con il tempo sapeva trasformarsi in profonda fiducia e sintonia con l’altro. Lena lo aveva definito sin da subito come un cavallo pieno di risorse e da quando le loro strade si erano unite, poteva affermare con fermezza di aver vissuto in compagnia dell’animale alcuni dei momenti più belli della sua giovane esistenza.

Lasciando Jane alle faccende domestiche, non ci volle molto prima che Lena raggiungesse la stalla e successivamente la postazione di Marte, il quale al suo arrivo era profondamente immerso in una goduriosa sessione di coccole da parte dello stalliere, che – ridendo di cuore ad ogni verso dell’animale – lo spazzolava ritmicamente ogni giorno alla stessa ora.

“Buon pomeriggio, Duchessa.” Incalzò subito il giovane, porgendo i suoi omaggi alla mora non appena la vide varcare le soglie della stalla. “Marte è impaziente di stare con voi oggi, sta scalciando da almeno dieci minuti come un forsennato.” Continuò poi, ridendo di gusto ogni volta che il cavallo impattava bonariamente con il muso sulla sua spalla.

“Salve Robin, è un piacere vedere quanto siate sempre così divertito da questo birichino qui presente.” Rispose gioviale lei, avvicinandosi velocemente ai due e prendendo a sua volta una spazzola, recandosi poi al fianco opposto rispetto a quello su cui stava lavorando lo stalliere ed iniziò a spazzolare con vigore il cavallo. “Pensavo di portarlo a passeggio oggi, che ne pensate? Si respira un’aria così frizzante e non potevo di sicuro lasciarlo qui tutto solo.”

Robin alzò leggermente gli occhi per osservare la sua interlocutrice, sorridendo di cuore quando lesse negli occhi e nei gesti di lei solo e soltanto immenso affetto per il suo fedele compagno. Ma l’ora della frutta per la Duchessa era trascorsa decisamente da tempo e Robin spontaneamente si domandò come mai la fanciulla fosse sola in quel bellissimo pomeriggio, invece che essere accompagnata da quella che oramai era definita da tutti come la sua ombra, ovvero Lady Zor-El.

Insicuro sul da farsi, decise però di soddisfare in qualche modo la sua curiosità e in maniera che a suo parere riteneva piuttosto sottile, decise di palesare le sue perplessità. “E’ strano vedervi senza il cavaliere… sembrate essere una sola grande entità oramai. Cosa vi porta a dover riempire la sua assenza, visto il bellissimo pomeriggio che il Signore ha voluto regalarci oggi?”

Per qualche istante la mano di Lena si fermò, suscitando subito fastidio nel povero cavallo, il quale stava godendo amabilmente del trattamento della sua padrona. Lena non credeva fosse così evidente il suo legame con l’altra, ma evidentemente se pure uno stalliere era stato in grado di notarlo, del vero doveva pur esserci in quelle parole.

“Non vi facevo così perspicace Robin, sono impressionata.” Rispose quindi, cercando di dimostrarsi quanto più tranquilla possibile. Non voleva affatto apparire turbata dalla domanda, anche perché non era turbata affatto. Piuttosto era infastidita, perché non voleva che l’intero regno pensasse a lei come ad una fanciulla indifesa, che senza la dovuta sorveglianza e il dovuto aiuto non sarebbe stata in grado di giostrarsi nel mondo. Aveva sempre odiato quel genere di donne e la infastidiva non poco il sol pensiero che anche il suo stalliere la vedesse quasi come una sottomessa donnicciola. Lei non era fragile, indifesa o sottomessa e di sicuro non aveva bisogno di lei per vivere pienamente e serenamente le sue giornate. Affatto.

“Perdonate la mia irruenza Duchessa, è solo che…”

“Parlate chiaramente mio caro, non avrete mica timore di me?” Incalzò la mora con tranquillità.

“N-no, ci mancherebbe. Ma sapete, non sono abituato a conversare così pacificamente con qualcuno del vostro rango. Non sono sicuro neppure di essere in grado di esprimermi nella maniera appropriata, per cui perdonate qualsiasi nefandezza dovesse eventualmente fuoriuscire dalle mie labbra.” 

“Oh suvvia, non siate così severo con voi stesso. In fondo credevo di avervi dimostrato più di una volta che io non sono una comune fanciulla… come posso dire, del mio rango, ecco. Potete stare tranquillo.” Lo rincuorò lei, poggiando poi la spazzola su uno sgabello poco distante dal cavallo e recandosi subito dopo verso una balaustra in legno sulla quale erano poggiate varie tipologie di selle.

“Beh mia Signora, facciamo così.” Propose lui, sporgendosi subito per aiutare Lena quando la vide intenta a preparare il cavallo per l’imminente passeggiata. “Diciamo che se lei volesse fare una passeggiata in particolare, io potrei darvi un posto specifico dove son sicuro che troverete ciò che state cercando oggi.” Continuò, stringendo bene le cinghie che avvolgevano il cavallo nella sua interezza.

Una volta sellato il cavallo, Lena non esitò ulteriormente e salì con agilità in groppa all’animale, aggiustandosi subito dopo il corpetto di spesso cotone che – indossato al di sopra di una camicia bianca anch’essa di cotone – le fasciava amabilmente i fianchi e le permetteva di mantenere fermi i suoi prosperosi seni durante le cavalcate. “Ditemi, quindi…” Rispose, prendendo tra le mani le spesse redini in cuoio e avvolgendosele strette ai polsi.

“Alla spiaggia, sicuramente amerete la spiaggia. Fidatevi, anche se sono soltanto uno stalliere.” Terminò Robin e senza ulteriori parole sfoderò un generoso schiaffo sul sedere all’animale, il quale senza troppe cerimonie partì per la sua passeggiata, portando con sé una Lena pensierosa e sicuramente curiosa di sapere a cosa avrebbero mai potuto alludere i suggerimenti di quel criptico stalliere.



 
                 ****




 
Arrivare nei pressi della costa era stato piacevole e rigenerante. Poter cavalcare in tranquillità e respirare l’odore intenso della natura che l’avvolgeva era appagante come nessun’altra esperienza. Aveva sempre avuto uno spirito selvaggio e il Wessex le aveva permesso di abbracciare questa parte di sé stessa fino ad allora celata persino ai suoi stessi occhi.    
Wessex per Lena era sinonimo di libertà, di indipendenza, di amor proprio e orgoglio. In quel regno aveva trovato ciò che da sempre stava cercando e non aveva intenzione di rinnegarlo a nessun costo, piuttosto avrebbe preferito perdere la possibilità di parlare, ma non avrebbe mai permesso a nessuno di portarle via ciò che era riuscita a conquistare con così tanto duro lavoro e perseveranza.

Quando gli zoccoli di Marte iniziarono a calpestare la sabbia, tirò leggermente a sé le redini. Quel gesto fece capire all’animale che era giunto il momento di arrestare la corsa per lasciare spazio ad un po’ di riposo. Ci volle poco prima che la fanciulla riuscisse a scorgere un appiglio roccioso al quale agganciare il cavallo, per evitare appunto che potesse prendere alcun tipo di iniziativa e fuggire inesorabilmente via.

Esperta, saltò giù dalla sua postazione e mentre accarezzava teneramente il muso scuro del suo fedele compagno, si accorse che agganciata alla parete rocciosa – circa cinquanta passi più avanti da dove sostavano loro al momento – era legato anche un altro cavallo. Conosceva benissimo quel manto bianco e gli occhi grigi di quell’animale, inconfondibili tanto quanto lo erano quelli della sua padrona. Kara era lì, non sapeva esattamente dove, ma era lì a fare solo Dio sapeva cosa.

Dopo essersi sincerata delle condizioni di Marte ed aver depositato un delicato bacio in mezzo ai suoi occhi, decise di incamminarsi verso il bagnasciuga e godersi il meraviglioso spettacolo naturale che solo un tramonto sul mare poteva donare. La fortuna evidentemente le era amica quel giorno, perché appena riuscì a superare le sporgenze rocciose oltre le quali si trovava la spiaggia, scorse l’unica e sola protagonista dei suoi pensieri distesa sulla sabbia.            
La brezza si insinuava armoniosamente tra le ciocche bionde di lei, come una carezza leggiadra dalla quale potersi sentire quasi coccolati. Una casacca marrone abbandonata poco distante dal suo corpo faceva compagnia a calze scure e scarpe di pelle, che un tempo dovevano essere state di un nero brillante. Con indosso soltanto dei pantaloni neri arrotolanti fino alle caviglie e quella che doveva essere una vecchia sottoveste maschile anch’essa scura, Kara in quel momento era pura perfezione agli occhi di Lena. Nessuna vergogna scaturita da quei vivaci pensieri,  poiché solo grazie a quel momento rubato era stato possibile ammirare ogni piccolo dettaglio di lei.  
Anche se da lontano, anche se non aveva alcun permesso per poterlo fare. Ma non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, perché farlo avrebbe significato perdersi il modo in cui i timidi raggi del sole impattavano sulla sua pelle nivea, colorandola di varie sfumature aranciate; farlo avrebbe significato smettere di guardarla mentre – immersa in quelle che doveva essere un’impegnativa composizione scritta – velocemente premeva la punta della piuma sulla carta ruvida che teneva tra le mani. Distogliere in quel momento lo sguardo, avrebbe significato perdersi l’istante preciso in cui Kara aveva alzato gli occhi verso l’orizzonte e - accompagnata da un sospiro malinconico - aveva lasciato scivolare con dignità un’unica, singola lacrima sulla sua guancia sinistra.

La mora iniziò a muoversi automaticamente nella sua direzione, consapevole di star per interrompere un momento intimo e solitario che forse Kara desiderava da tempo. Ma Kara stava male, lo poteva percepire con ogni fibra del suo essere e non poteva permettere a sé stessa di compiere un atto di codardia così immenso, lasciandola lì in pasto a chissà quali demoni interiori soltanto perché aveva timore di affrontare la realtà. Non lo avrebbe fatto.

Quando solo una quindicina di passi separavano le due, Kara si accorse di non essere più sola. Lasciò andare velocemente la piuma che impugnava saldamente con la mano sinistra e altrettanto velocemente si passò una mano sul volto, sperando di poter cancellare con quel solo gesto i segni dei suoi turbamenti. Voltò leggermente il capo verso est, dove un’ombra longilinea aveva oscurato con la sua presenza i suoi effetti personali posti proprio di fianco a lei e quando alzò lo sguardo per fronteggiare il nuovo arrivato, strabuzzò gli occhi in preda a totale sconcerto.

“Posso sedermi?” Sussurrò flebilmente Lena, cercando di non prestare attenzione allo sguardo spaesato che l’altra le aveva rivolto non appena aveva incrociato i suoi occhi.

Un velo di imbarazzo cadde tra loro, impedendo per qualche attimo l’avanzare della conversazione. Kara si sentiva vulnerabile ed esposta come mai le era capitato in tutta la sua vita e non sapeva esattamente se essere felice o rammaricata dalla consapevolezza che la fanciulla di fianco a lei sarebbe stata la prima, sicuramente l’unica, a poter assistere ad uno scenario del genere.

“N-non credo di volerti qui in realtà.” Sussurrò a sua volta Kara, poggiando poi al suo fianco gli strumenti di scrittura per portarsi le gambe al petto, abbracciandole con le braccia. Poggiò il mento sulle sue ginocchia e rivolse ostinatamente lo sguardo verso il panorama. Non voleva guardarla, non adesso, non lei che rappresentava da giorni il motivo di ogni suo malessere.

“Lo so.” Annuì con comprensione l’altra, cercando di rimanere calma e ponderata nelle sue azioni. “Ho capito da giorni che non gradisci la mia presenza, da quando…”

“Già…” Ribadì velocemente Kara, cercando di evitare in tutti i modi di aprire l’argomento. Non voleva parlarne, soprattutto tenendo conto dello stato emotivo in cui si trovava in quel momento.

Lena prese un profondo respiro, prima di staccare gli occhi dal profilo di lei e rivolgerlo a sua volta al tramonto. “Credo che dovremmo parlare.”
“G-già…”

“Kara io…” Iniziò Lena, sicura di doverle delle spiegazioni e sicuramente delle scuse. Ma al solo sentir pronunciare il suo stesso nome, l’altra sobbalzò spaventata, tesa come la corda di un arco. “P-posso parlare?” Si trovò a domandare, cercando di rispettare il suo volere e in qualche modo iniziare già dai piccoli gesti a rimediare ai suoi errori.

“Non potrei impedirti di parlare neppure se volessi…” Si ritrovò a dire la bionda, in modo decisamente più tagliente di quanto volesse. “Se vuoi parlare… ebbene, parla.” Continuò.

“Ti chiedo di perdonarmi.” Parlò dolcemente Lena, imitando la posizione di lei e intrecciando le dita per evitare di gesticolare e rendersi ridicola. “E’ stato sciocco da parte mia pensare che tu potessi in qualche modo contraccambiare i miei sentimenti. Quel gesto avventato dell’altro giorno al fienile… Kara, vorrei soltanto che tutto tornasse come prima e che tu possa perdonare questa povera, sciocca fanciulla che – con il cuore in pezzi – ti sta chiedendo di dimenticare quanto accaduto.”

“Io non voglio dimenticare.” Ribatté Kara, voltandosi di scatto verso l’altra per inchiodare i suoi occhi chiari in quelli liquidi di lei. “Io non voglio dimenticare niente, anche se non nego di averlo desiderato in questi giorni. Ho desiderato tante cose in questi giorni, cose che non sono disposta ad ammettere neppure a me stessa al momento.” Disse ancora, un velo di terrore ad increspare la limpidezza delle sue iridi.

“E allora dimmi cosa vuoi…”

Kara stette per qualche attimo ferma, immobile nella sua indecisione. Vestita soltanto di un’enorme insicurezza che – come uno spesso mantello – l’avvolgeva interamente, non lasciando alcun respiro al suo animo desideroso di chiarezza. Alternò brevemente lo sguardo tra la fanciulla ed il sole - che oramai era diventato un’enorme palla infuocata di un’arancione che sfociava quasi nel rosso - cercando di capire cosa fare.

Che cosa voleva?

 Kara, che cosa vuoi?

“V-voglio capire cosa sta succedendo… cosa mi sta succedendo.” Esalò flebilmente, timorosa come un cucciolo abbandonato al suo destino e assolutamente inerme dinanzi alla vastità del mondo che lo circonda. “Aiutami a capire perché mi sento sempre febbricitante quando sei al mio fianco, perché spesso mi fermo a contemplare la tua figura e il respiro mi si blocca in gola, perché la sera – al sicuro tra le mura delle mie stanze – tra tutti i pensieri che potrei fare alla fine ci s-sei sempre tu in p-prima linea.” Si fermò per qualche secondo, adesso insicura perfino del suo stesso tono di voce. Si schiarì la gola per cercare di riacquistare almeno un brandello di amor proprio e poi riprese a parlare. “Lena, spiegami perché ogni volta che guardo nei tuoi occhi io mi ci perdo, come se mi immergessi ogni volta in viaggi entusiasmanti che mi fanno tremare le gambe e sentire lo stomaco sussultare.”
E mentre quell’enorme sfera incandescente qual era il sole si allineava perfettamente all’orizzonte delimitato dal mare a vista, una lacrima solitaria in contemporanea scivolò lentamente lungo la guancia candida di Lena, che alle parole di Kara non aveva saputo rispondere in altro modo se non con profonda commozione.       

In maniera assolutamente poco dignitosa, cercò di darsi un contegno e mettere insieme alcune frasi di senso compiuto che potessero soddisfare le aspettative dell’altra, ma di parole sembrava che il suo cervello non riuscisse più a produrne. Dove era finito il suo buon senso? Che fine avevano fatto tutti i buoni propositi di cui si era armata nei giorni precedenti? Da quando non riusciva ad esprimere a parole le sue emozioni, facendo invidia ad una bestia mitologica senza coscienza?

“I-io…” balbettò poi, assolutamente inerme dinanzi all’intensità di quella situazione. “N-non sapevo che scrivessi.” Continuò poi. Di cosa diavolo stava parlando, neppure lei lo sapeva.

Colta alla sprovvista, Kara non collegò subito l’allusione al materiale da scrittura che era adagiato di fianco a lei, ma appena riuscì ad emergere dal volo pindarico che Lena aveva appena fatto, si limitò ad annuire lievemente con il capo.

“Posso… potrei leggere qualcosa? Se me lo permetti ovviamente.” Domandò rispettosamente la mora, timorosa di essersi spinta troppo in là.
In un baleno, un plico di fogli le venne scaraventato sul petto e nel modo più agile di cui disponesse, Lena cercò di non farne cadere nessuno. “B-bene… grazie.” Rispose poi, allungando le gambe sui granelli biancastri e poggiando il plico sulle sue cosce.

Appena i suoi occhi poggiarono lo sguardo sulla calligrafia di Kara, in quel preciso istante Lena capì che per il suo cuore non c’erano assolutamente più speranze. Neppure se avesse voluto provare a cercarne ne avrebbe trovate. Era perdutamente innamorata di quella giovane fanciulla così forte e impavida, ma anche così timida e impaurita, che al sol pensiero le girava la testa.

C-che cosa vedo in te?” Iniziò quindi a leggere, il cuore in gola e mani tremanti. “Tutti sono convinti che l’amore di una persona si debba meritare, ma non credo sia veritiero: l’amore che nasce dentro di noi non lascia decidere direzione alcuna, altrimenti sarebbe tutto molto più semplice, meno doloroso.” Continuò Lena, insicura delle sue azioni.

“Volevi leggere… c-continua, su.” La esortò Kara, occhi puntati verso il mare e brividi incessanti che la percorrevano da capo a piedi.
“L’amore nasce e basta: scoppia, ti agguanta a suo piacimento e ti toglie ogni possibilità di scelta. Ed io non capisco però, cosa ci vedrà in te una come me, che sta attenta ai dettagli e a non ferire gli altri, che non riesce ad essere superficiale anche se ci prova praticamente ad ogni ora. Che ci vedrà una come me, razionale ma sognatrice, ambiziosa e generosa, in qualcuno che non è altro che l’opposto di me? Tutti credono che non si possa fare affidamento su di te, che sei egocentrica e calpesti chiunque intralci la tua strada e non importa se nel contempo sotto i tuoi piedi ci finisce anche qualche cuore spezzato.” E a quel punto niente poté più impedire a Lena di singhiozzare senza ritegno, cercando di asciugarsi subito dopo le guance per evitare di bagnarle i fogli. “I-in te ci vedo un’altra te ferita, che dopo le p-percosse e il dolore alla fine non ha potuto farne a meno, ed è cambiata. In… in te ci vedo il coraggio di r-rischiare e nessuna paura di quel che gli altri potrebbero pensare, c-ci vedo l’ironia per combattere ogni mostro che si cela n-nel tuo animo e che per questo ti spaventa anche solo a guardarlo. In te ci vedo qualcuno che non è m-mai stato ascoltato e che non ha a-avuto mai quello che desiderava, qualcuno che ha costruito un muro intorno al suo cuore per non farvi entrare nessuno e che invece ha creato una porta in quel muro, apposta per me.”

Lena dovette fermare la sua lettura, perché di funzionare i suoi polmoni non volevano davvero più saperne ed il respiro era prima diventato irregolare, poi assolutamente inesistente. Annaspava, alla ricerca di aria, che però le veniva tolta ad ogni parola che leggeva, sempre un po’ di più, sempre più asfissiante.

Un corpo caldo all’improvviso si fece strada tra la miriade di sensazioni che stava provando e nel bel mezzo di quell’accumulo di emozioni, riuscì a capire che il calore di quel corpo apparteneva a Kara, la sua Kara. E non pensò alle conseguenze, non pensò ai fogli che probabilmente avrebbero potuto stropicciarsi sul suo addome, non pensò a come avrebbe potuto reagire Kara e non pensò al buio che lentamente stava avvolgendo entrambe. Si buttò tra le sue braccia, sicura che a prescindere tutto, l’altra l’avrebbe stretta. Non appena la sua vita fu avvolta da braccia muscolose ma al contempo delicate, in quello stesso istante Lena ritornò a respirare di nuovo, come se i polmoni avessero ripreso la loro normale funzionalità e fossero riusciti ad incamerare nuovamente tutta la quantità di ossigeno necessaria che le serviva per vivere. Esatto, vivere.

“In te scorgo i miei occhi spalancati, stupefatti, ammutoliti, incantati, persi e proprio perché tu mi vedi, so perché riesco a vedermi anch’io. E fa paura. Perché ci vedo anche una me senza più rabbia in quegli occhi, senza rancore e senza paure, con il petto ricolmo di scoperte e brividi che solcano ogni parte del mio corpo.” Kara continuò a sussurrare all’orecchio di lei, stringendola spasmodicamente al petto come se ne andasse della sua stessa vita. Unite in un bozzolo fatto di insicurezze, dolore e passione, ad occhio esterno non avrebbero saputo distinguere quale parte del corpo appartenesse a chi. Ma loro sapevano che nonostante vivessero in due corpi separati, oramai andavano avanti grazie ai battiti di un unico grande cuore. Un cuore che pompava linfa vitale per entrambe ed era alimentato dall’amore che – anche se inespresso – entrambe sapevano di provare per l’altra.

“Io credo forte… che non sia tanto quel che vedo in te a farmi paura, ma forse quel che vedo in me quando guardo te, quello mi terrorizza. Nei riflessi dei tuoi occhi, per la precisione nella luce forte dei tuoi occhi accesi come stelle nella notte, io se mi ci specchio ho paura, perché ci vedo una me felice.[1] Concluse la bionda, scoppiando poi in lacrime e rifugiandosi nell’incavo del collo di Lena, che in quel momento come mai, le sembrava un riparo perfetto dal mondo intero.

“K-kara no… non f-farlo…” sussurrò Lena, la voce spezzata e attutita dai vestiti dell’altra, arpionando la veste sottile di lei in pugni chiusi, stretti come se sapesse che avrebbe potuto perderla da un momento all’altro. “T-ti prego non avere paura di me. N-non averne.” Continuò, disperata ed afflitta.

Dopo qualche istante immerse l’una nelle membra dell’altra, Kara prese il viso di lei tra le mani, imponendole di guardarla negli occhi. “M-mi hai baciata Lena… t-tu hai… cosa potrebbe mai significare tutto questo per noi?”

“Preferirei bruciare tra le fiamme dell’inferno per l’eternità piuttosto che negare ciò che provo per te Kara.” Ribatté Lena con rinnovato vigore. “Anche io ho paura, sono terrorizzata da ciò che questo potrebbe comportare, ma non ci riesco. Non voglio. Tu sei… mi sei entrata così profondamente dentro che pur volendo non potrei, anzi non riuscirei a mandarti via da me. Io t-“

“N-non dirlo, ti prego…” Sussurrò Kara, un sospiro di distanza a separare le loro labbra. “Voglio… ho bisogno di capire Lena, di abituarmi a tutto questo. Io… noi non dovremmo.”

“E perché mai non dovremmo?” Domandò sconcertata Lena, scansandosi poi dal volto di Kara per inserire anche solo una minima distanza tra loro. “Perché sono una donna? Perché Dio non lo vorrebbe?” Continuò, le sue parole guidate oramai dalla collera che provava e che per troppo tempo aveva lasciato sopita. “Credi che non sappia che non è normale, che non è giusto e che non dovremmo? Ma io lo voglio, lo desidero come non ho mai desiderato nulla in tutta la mia giovane vita Kara e voglio te, non mi interessa di nient’altro. Voglio… v-voglio poterti stringere, baciare e voglio avere paura con te. Lo voglio Kara, tu… t-tu sei la mia migliore amica, sei l’altra metà di me. Lo so come so di essere viva in questo momento. Ti prego…”

“Non pregare me.” Le rispose la bionda, attirandola nuovamente a sé e accarezzandole le guance con i pollici. “ Prega soltanto che almeno se finiremo all’inferno ci f-finiremo insieme…” Esclamò, per poi tuffarsi con impeto sulle labbra piene e rosse di Lena.

Con quel bacio, Kara seppe di essersi assicurata di diritto un posto d’onore tra le prime file dell’inferno. Ma che la sua anima sarebbe bruciata tra le fiamme infernali o sarebbe stata accudita da una schiera di cherubini, niente e nessuno avrebbe mai potuto ripagarla delle sensazioni che stava provando in quel momento, tra le braccia di lei, mentre la baciava per davvero per la prima volta.    
Proprio grazie a quel solo, singolo momento, aveva capito di non poter fare a meno di Lena. Ne era innamorata e non sapeva esattamente come agire o cosa dire, ma Lena si e lei si fidava ciecamente di Lena. Si sarebbe fidata sempre.


















NOTE AUTRICE:
Buonasera a tutti. 
Mi rendo conto di essere stata assente per una quantità infinita di tempo e di non aver rispettato i tempi di pubblicazione che inizialmente mi ero prefissata, ma purtroppo la vita e i cambiamenti hanno avuto la meglio su di me e questo ultimo paio di mesi sono stati pressocchè allucinanti. 
Sono contenta però di essere tornata con questo terzo capitolo. Ricco di elementi nuovi, di riferimenti alla shot zero dalla quale ha preso vita il tutto e soprattutto ricco di sviluppi che permettono di capire come si è evoluto il sentimento che unisce Kara e Lena in questo universo. Questo particolare momento raccontato, è collegato al ricordo inserito nella oneshot (link nel caso qualcuno volesse rileggerla:
 https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3672685&i=1), precisamente alle conseguenze che ci sono state relative al gesto spontaneo di Lena avvenuto nel fienile. 
Ringrazio ovvimente tutte le persone che - con pazienza immensa - leggeranno questo capitolo e soprattutto ci tengo particolarmente a ringraziare tutti coloro che hanno letto, inserito nelle preferenze la storia e soprattutto chi ha avuto un attimo di tempo per lasciarmi due parole nei commenti. Questa storia è davvero importante per me e davvero mi farebbe piacere conoscere i vostri pensieri a riguardo. Capire con voi se l'atmosfera è di vostro gradimento, capire se la caratterizzazione dei personaggi - nonostante la differenza spazio temporale - sia sempre la stessa e se in qualche modo sono riuscita a mantenere fede all'anima delle Supercorp. Insomma, fatevi sentire e discutiamone *-*
Spero di riuscire a pubblicare il prossimo capitolo prima della fine dell'anno, ma purtroppo non posso fare promesse. Vi ringrazio tutti ancora e spero che possiate trascorrere della mangifiche vacanze natalizie <3 <3 
BUON NATALE A TUTTI <3 <3 <3

NB: vi ricordo che, nonostante i salti temporali che intercorrono tra i vari capitoli, il tutto ruota sempre intorno alla shot zero di cui ho messo il link poco sopra. E' tutto collegato, ogni storia e ogni microcontesto, basta soltanto restare al passo con i saltelli tra passato, presente e futuro. Tutto prendendo sempre in considerazione quanto accade nella shot zero. 
 

[1] Liberamente tratto da uno scritto già esistente, anche se inedito. 

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