Dopo la fine

di Destyno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Si svegliò ed il mondo era così incredibilmente, profondamente e irrevocabilmente sbagliato che per un istante gli sembrò tutto normale.

Il materasso sul quale era sdraiato era soffice. Un leggero lenzuolo lo copriva, una soffice barriera contro l’effimero freddo che poteva entrare dalla finestra in una notte d’estate inoltrata.
Era in una cameretta, dal soffitto dipinto di azzurro e una scrivania disordinata, libri di scuola, quaderni e compiti delle vacanze finiti a metà sparsi su di essa.
Ricordava quella stanza.
Era la sua, quando aveva sedici anni.

Si guardò le mani e quasi urlò. Quelle mani non erano le sue.
Se le ricordava bene, le sue mani. Non ricevevano mai troppa attenzione da parte sua, vero – chi cerca di memorizzare attivamente le proprie mani? – ma era certo al cento per cento che quelle non erano le sue mani.
Però lo erano state.

Kevar Frostbane si era guadagnato il suo nome a furia di battaglie contro gli Spettri, nelle Foreste Gelide di Emarra, combattendo fianco a fianco di Elvenna Firesword e di Urghai Willweaver, falciando a migliaia di quelle creature ghiacciate e infine salvando le Heartlands dal Re dell’Inverno, trapassando il suo cuore di ghiaccio con la leggendaria lancia Dente di Drago.
E nelle Heartlands, dove era riverito come uno dei tre legittimi eroi che le Nove Dee avevano scelto, erano in pochissimi a sapere che un tempo egli aveva avuto un altro nome.
Kevin si passò, tremante, una mano sull’occhio destro.
L’orbita era piena e tonda, e non vuota come la ricordava. Non vuota, come lo era stata per diciannove anni.
Diciannove anni!
Si mise seduto, la schiena appoggiata contro lo schienale del letto, piangendo.
“No,” sussurrò, stringendo tra le mani il lenzuolo, “Dee del cielo, vi prego, no. Ho scelto di restare.”

Strinse così forte da farsi quasi male.
Tra quelle braccia aveva stretto Urghai, quando la battaglia era finita. A quel collo aveva portato il dolce peso dell’Amuleto del Dolore, quando il suo gentile ed iracondo orco si era perso tra le Nebbie. Con quelle labbra l’aveva baciato, e con quelle mani aveva accarezzato Miko, il giovanissimo orfano che avevano preso con loro.
Singhiozzò.

Non poteva essere stato un sogno. Non poteva, semplicemente, perché se era stato un sogno allora tutta la vita di Kevar – tutto il dolore che aveva sofferto, tutte le gioie che aveva provato – non era stata altro che una stupida fantasia e Kevin non sarebbe mai stato in grado di vivere una vita normale.

Poi sua madre aprì la porta.

Non era bella come l’aveva sognata, in quei ventidue anni passati lontano da lei. Ma era lì.
E le era mancata così tanto.

Si alzò e corse verso di lei, incespicando, insicuro sui propri stessi passi, e l’abbracciò stretta, stringendola a sé come se potesse sparire da un momento all’altro.
Oh, quanto era più bassa di lui, già a sedici anni!, pensò, sorridendo tra le lacrime. Chissà cosa avrebbe detto, se lo avesse visto con una lancia fatta di ossa di drago in mano, comandando un esercito contro una potente entità che minacciava il mondo con un eterno inverno?

“Beh, buongiorno anche a te, Kevin,” rise sua madre, sorpresa, ma abbracciandolo comunque, “a cosa devo l’onore?”
Il ragazzo si asciugò le lacrime e rise, e la sua stessa risata gli suonava aliena e bizzarra.
Tossì.
“Nulla, mamma.” Mormorò. “Ho solo fatto un brutto sogno.”


Hail and well met!
Comincio col dire che non ho tante idee di dove andrò a parare con questa storia. E sì, lo so che ho almeno altre cinque storie ancora da completare, ma non sono bravo a finire le cose, rip
Però c'avevo voglia di far soffrire qualcuno e i miei personaggi ci sono andati di mezzo come al solito, poracci
Poi boh, per una volta non mi sono ammazzato di worldbuilding come faccio di solito, quindi se notate incongruenze ditemelo pls
Adieu

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Abituarsi di nuovo ad essere un sedicenne fu difficile.
Il suo stesso corpo pareva rivoltarsi contro di lui. Era abituato ad essere veloce, agile e forte, uno dei guerrieri più forti del continente, uno dei tre Eroi della Profezia dell’Estate, ed invece era goffo e debole.
Era abituato ad avere una barba, e non averla lo faceva sentire strano, nudo. E riscoprì anche il grande terrore di tutti gli adolescenti: l’acne.

Ma il dolore più grande lo soffriva la sua anima.
Nelle Heartlands era stato iniziato ai misteri della stregoneria, e benché non fosse mai diventato un maestro, sapeva bene come combattere – e vincere – un duello arcano e come alterare la realtà secondo i suoi desideri. Ma lì, sulla Terra, dove la magia era una favola per bambini o un imbroglio tessuto da cartomanti e sedicenti medium, la sua anima si spingeva a toccare la Sorgente della Magia e semplicemente… non la trovava. Era straziante.
Ma ancor più dolorosa era l’assenza di Urghai.

Ricordava benissimo quando si era accorto di essersi innamorato. Il ricordo era come impresso a fuoco nella sua memoria, e finché aveva respiro in corpo, ne era sicuro, mai l’avrebbe dimenticato.
Era stato prima che affrontasse il Re dell’Inverno, prima ancora che l’antico Kharnozak gli affidasse la lancia Dente di Drago, prima, addirittura, che ricevesse il Battesimo delle Stelle e iniziasse a studiare la magia.

 

Da mesi si allenava al tempio di Menastria, Signora del Tempo. Arrivato solo da poco nelle Heartlands grazie all’incantesimo di evocazione delle Nove Sacerdotesse, si era adattato in fretta a quella vita che, benché durissima, era anche molto appagante.

Si stava allenando con lo stocco, quel giorno. Era estate, e faceva un caldo incredibile, ma la sua istruttrice non gli avrebbe mai permesso di saltare un allenamento ed assecondare i capricci degli elementi – una volta gli ordinò di fare il giro delle Mura Esterne di Mestria durante una tempesta di fulmini, e rimase a letto per un mese con la febbre – quindi era là, in cortile, a torso nudo, cercando disperatamente di colpire la sua istruttrice con la spada di legno.
“Sta’ più dritto! Le tue gambe non sono in posizione! Cosa credi, che basterà un fendente male assestato per sconfiggere il Re dell’Inverno? Ho detto più dritto con la schiena!”
E andava avanti così da ore. Era anche riuscito a mettere a segno una manciata di colpi, ma ormai era distrutto. Le gambe non lo reggevano più, e le braccia si erano fatte molli e deboli.
La sua istruttrice, una nana di mezza età dai corti capelli bianchi, scosse la testa, nel vederlo in quello stato. Non disse nient’altro, ma gli fece un cenno, ad indicare che era stato congedato.
Kevin – all’epoca ancora nessuno lo chiamava Kevar – ringraziò in quel poco di nanico che riusciva a masticare, e si precipitò fuori dal tempio, verso la fontana.

 

Fu allora, che, correndo tra i vicoli deserti, vide Urghai.
Non era la prima volta che lo vedeva; come Elvenna, era uno degli Eroi della Profezia dell’Estate, e quindi si aspettavano tutti che sarebbero diventati, se non amici, almeno compagni d’arme.
Onestamente, Kevin non aveva mai prestato particolare attenzione a loro, se non per il fatto che erano un orco e una sirenide. Ma lì, in quel vicolo secondario di quel pomeriggio afoso, lo vide davvero per la prima volta.

Un gruppo di ragazzini – il più piccolo doveva avere dodici anni, il più grande forse diciassette – stavano spintonando brutalmente un piccolo drow dai grandi occhi perlacei.
L’elfo scuro piangeva in silenzio, cercando di sfuggire ai suoi assalitori, ma senza successo. Poi un pugno più forte degli altri lo spinse contro il muro.
Kevin voleva intervenire, ma fu semplicemente troppo lento
“Andatevene!” Gridò una voce forte, dall’altro capo del vicolo. Urghai era lì, le sopracciglia folte corrugate in un’espressione irata. Uno dei ragazzini, quello più alto e grosso, si fece avanti e disse qualcosa, probabilmente un insulto, ma Kevin non aveva ancora una comprensione totale della lingua comune, e non lo comprese.
Ma Urghai sì, e tese una mano, scariche elettriche che serpeggiavano tra le dita, e il ragazzo indietreggiò istintivamente, spaventato.
“Andatevene.” Ripeté, più calmo e per questo, forse, ancor più minaccioso.
Presto i ragazzini scomparvero, e rimase solo il piccolo elfo scuro dagli occhi perlacei, tremante.

Il giovane orco gli tese una mano.
“Tutto a posto?”
Sorrideva, le grosse zanne che gli pungevano piano le guance, ma con gli occhi azzurri attivi e inquisitori, a cercare qualsiasi possibile livido o ferita sul corpo del ragazzino. E fu in quel momento, con il sole soffocante che si avviava al tramonto e che pareva cingerlo di un’aura quasi divina, che Kevin si innamorò perdutamente di Urghai.

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Capitolo 3
*** 3 ***


Doveva far buon viso a cattivo gioco. Era inevitabile.
Sospirò, aprendo il libro di matematica.
Alcune cose le ricordava, ma erano molte, molte di più quelle che aveva dimenticato, nel corso di quegli anni.
Quantomeno, pensò, l’estate era appena iniziata. Aveva tempo per rimettersi in pari.
Passò quasi tre ore sui libri, cercando di ricordare, e scoprendo che, alla fine, studiare stregoneria alla Torre di Vetro era molto, molto più difficile.

Risolto – più o meno – il problema dello studio, il prossimo obiettivo di Kevin era quello di riprendersi il fisico che aveva sviluppato con il suo allenamento al tempio della Signora del Tempo.
Ma, mentre stava per iniziare a fare flessioni, una musica improvvisa ed altissima partì senza alcun preavviso, facendolo scattare immediatamente in posizione difensiva contro una minaccia che non poteva vedere.

Ma era solo il suo cellulare, ancora in carica sulla sua scrivania, che sparava a tutto volume le note di quella che, una volta, era la sua canzone preferita.
Lo prese in mano. Sullo schermo piatto brillava il nome di Joshua Hillis, e, più in basso, due icone, una verde e una rossa.
Un ricordo antichissimo lo spinse a cliccare su quella verde, e ad avvicinare il telefono all’orecchio.
“Oi Kevin!” Urlò una voce maschile molto familiare. “Allora, ci sei per il sushi stasera?”
“Uh…” borbottò, incerto. Aveva vaghissimi ricordi di cosa fosse il sushi, che il più delle volte si ricollegavano a notti passate insonni per il dolore. “Non…”
“Non dirmelo, ti sei dimenticato che oggi c’era la serata sushi.” Il ragazzo all’altro capo del telefono sospirò. “Ho ragione, vero?”
Kevin annuì, solo per poi ricordarsi che quel Joshua dall’altra parte non poteva vederlo. Così assentì.
“Lo sapevo.” Un altro sospiro. “Senti, facciamo così, fatti trovare sotto casa alle otto, ti passo a prendere io.”
Una pausa.
“Prima che tu me lo chieda, perché so già che sei un rimbambito, sto parlando di casa tua, e che al sushi ci stanno anche Jade e un paio di suoi amici che tu non conosci. Tutto chiaro?”
Kevin si morse il labbro. Non sapeva cosa pensare. Vedere quelli che erano stati suoi amici dopo così tanto tempo lo spaventava. Incontrare nuove persone lo spaventava. Il mondo di fuori, così caotico e rumoroso e complicato lo terrorizzava, al punto che usciva di casa solo per andare a correre e anche allora non incrociava mai lo sguardo di nessuno.
Ma al diavolo la paura. Era Kevar Frostbane, ed aveva affrontato e sconfitto il Re dell’Inverno. Quanto poteva essere terribile una cena con degli amici?
“Chiarissimo.”


La serata iniziò decisamente col piede sbagliato.
Ricordava abbastanza bene Joshua - alto, capelli biondi, con una fastidiosa tendenza a parlare troppo - ma aveva completamente rimosso il fatto che avesse una motocicletta.
Si strinse più forte a lui, terrorizzato, mentre correvano a velocità folle sulla strada.
“Potresti andare più piano?”
Joshua si girò a guardarlo, perplesso, e Kevin si sentì morire dentro perché stavano andando troppo veloci e Joshua non stava guardando la strada.
“Kevin, stiamo andando a cinquanta all’ora. Che ti prende?”
“Guarda la strada Joshua.” Si morse forte il labbro. “Guarda la strada oppure appena scendiamo ti ammazzo.”
Il ragazzo rise, e tornò a guardare la strada.
“Ecco dov’era il mio migliore amico!”
E poi accelerò, tra le proteste e i pittoreschi insulti di Kevin.

Il ristorante era… calmo.
A parte per il fatto che c’erano davvero poche persone, l’arredamento piuttosto spartano gli dava un senso di pace e benessere.
Era molto diverso dalle taverne caotiche e chiassose a cui era abituato.

Joshua lo condusse ad un tavolo già occupato da tre persone: una ragazza di origini asiatiche con dei grossi occhiali tondi - Jade, gli sussurrò un ricordo - e due gemelli dai capelli rossi che conosceva particolarmente bene.
Digrignò i denti, e le Volpi ghignarono all’unisono.

“Kevin, ciao!” Jade si alzò e lo abbracciò, baciandolo su entrambe le guance. “Loro sono Mason e Jason.”
“Non preoccuparti se ti confondi,” rise Joshua, facendo un cenno ai tre e sedendosi al tavolo, “penso che nemmeno la loro madre riesca a distinguerli.”
“Molto piacere.” Borbottò Kevin tra i denti. Il ghigno sui volti delle Volpi si fece più largo.
“Oh, ma il piacere è tutto nostro.” Dissero contemporaneamente.
Jade rise, rimettendosi seduta.
“E dai, smettetela! Manca solo che vi mettiate a dire “vieni a giocare con noi” e allora siamo a posto.”
I gemelli risero, e Kevin, ancora sospettoso, si sedette assieme ai suoi amici, accanto a Joshua.

Jade e Joshua ordinarono tantissima roba, giustificandosi con debole “tanto è un all you can eat!”. Kevin, abituato a pasti più frugali, optò per un pasto più leggero, e le Volpi lo imitarono, forse per scherno.

“Allora, Kevin,” chiese Jade all’improvviso, “come è andata l’estate per te?”
“Oh, uhm. Bene, credo?”
La ragazza sbuffò, e le Volpi ridacchiarono.
“Voglio i dettagli. Voglio quei bei dettagli succosi della tua vita privata.”
Kevin si portò il bicchiere alle labbra, pronto a trovare una scusa per guadagnare un po’ di tempo.
“Te la sei trovata una ragazza?”
Per poco non le sputò l’acqua in faccia. Si riprese giusto in tempo, buttando giù tutto insieme e tossendo.
“Ah, ecco…”
Si morse il labbro. Qualcosa glielo poteva dire, vero? Dopotutto, Jade e Joshua erano stati suoi amici.
Per quanto riguardava le Volpi… beh, loro sapevano già. Ma con loro avrebbe parlato dopo.
“... in un certo senso, sì.”
Gli occhi di Jade brillarono, e Joshua lo guardò storto.
“Kevin.” Disse la ragazza, proprio mentre arrivavano le prime portate. “Voglio sapere tutto di lei.”
“Oh, anche io.” Aggiunse Joshua, cominciando a mangiare il suo ramen. “Da quant’è che stai con lei?”
Kevin sorrise. Le Volpi ridacchiarono sotto i baffi, cominciando a mangiare senza dire nulla.
“Beh, la prima cosa da sapere, amici, è che non è una lei.”


“Sei gay?”
“Potresti non urlare?”
Joshua scosse la testa, sospirando. Lo guardò.
“Quando…?”
Kevin non distolse lo sguardo. Forse una volta l’avrebbe fatto.
“Non da molto.”
“Mh.”
Joshua rimase in silenzio, appoggiato alla moto, e sospirò, il viso rivolto al cielo.
“Avevi paura di fare coming out con me?”
“Onestamente, no. Solo che non riuscivo a trovare il momento giusto.”
“Povera Jade. Le è quasi preso un colpo.”
Kevin ridacchiò e, per un po’, tra loro ci furono solo il silenzio e l’aria fredda della notte.
“Di che dovevi parlare con i gemelli?”

 

“Avete cinque minuti per spiegarmi cosa ci fate nel mio mondo e come avete fatto ad arrivarci, o vi spezzo il collo.”
Le Volpi sorridevano.
“Oh, andiamo, Kevar,” risero in coro, per nulla intimoriti, “è così che si salutano dei vecchi amici?”

 

“Niente.”

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


La prima cosa che provò, mentre il sonno svaniva lentamente, lasciando il posto alla veglia, fu un terribile senso di perdita.

Urghai si alzò di scatto, ansimando, una mano sul petto. Qualcosa non andava. Qualcosa nel mondo non era come sarebbe dovuta essere.
Girò lo sguardo alla sua destra, e il cuore gli si strinse.
Giaceva solo nel suo letto.
“Kevar.” Chiamò, a voce alta. Forse è solo andato di sotto, pensò, forse sta preparando la colazione.

Non ci fu risposta.
Colto da un oscuro presagio, intessé una divinazione nel tessuto della realtà, ogni stilla della propria volontà volta ad un solo obiettivo.
Ma la magia non gli rispose. Nessuna visione del suo amato gli riempì gli occhi, nessun indizio su dove egli si trovasse apparve nella sua mente, nessuno spirito dell’aria gli sussurrò all’orecchio dove fosse andato.
La sua magia aveva funzionato, di questo era certo; solo, ovunque fosse il suo amato marito, non poteva raggiungerlo.
Scattò in piedi, si vestì in fretta e uscì, diretto alla stalla, con Nube già sellato e pronto a partire.

“Papi?”
Miko era in piedi, sull’entrata della stalla. Aveva in mano il suo orsacchiotto di pezza che Elvanna gli aveva regalato per il suo quinto compleanno, gli occhi assonnati e perplessi.
“Papi, dove stai andando?”
Urghai lo raggiunse e lo strinse in un abbraccio.
“Vado da zia Elvenna, tesoro. Non starò via molto, ma se hai bisogno di qualcosa vai dalla signora Kesselle, va bene?”
“Dov’è il babbo?”
L’orco lo baciò sulla fronte.
“Non preoccuparti, Miko. Andrà tutto bene.”
L’undicenne inclinò la testa, confuso, ma Urghai non disse nient’altro, così rimase in silenzio, mentre suo padre montava in sella al cavallo e lo salutava un’ultima volta, prima di sparire tra gli alberi dopo la prima curva.
Miko strinse forte l’orsacchiotto.
Sapeva che gli aveva mentito.

 

Urghai entrò nel tempio come una furia, l’eco dei suoi passi che rimbombava attorno a lui col fragore del tuono.
“Valynne!” Chiamò, negli occhi un fuoco che Elvenna aveva visto solo in un’altra occasione. “Dov’è lui?!”

Il tempio di Noval, la Dea del Sangue, era molto modesto per essere dedicato ad una delle Nove Dee. Ma, d’altra parte, Noval era la più temuta - e la meno venerata - delle Nove.
Vi era solo una sacerdotessa, una minuta elfa dal cranio rasato, coperta da semplici vesti rosse, inginocchiata all’altare, che dava le spalle alla porta e ad Urghai ed Elvenna.
Per un istante, il mondo rimase immobile. Anche il pulviscolo parve fermarsi a mezz’aria, a seguito del richiamo lanciato dall’Eroe della Profezia dell’Estate.
Poi Valynne, Somma Sacerdotessa di Noval, si alzò in piedi e si girò, piantando i suoi terrificanti occhi rossi in quelli azzurri di Urghai.

“Urghai Willweaver. Elvenna Firesword.” Li salutò, inchinandosi rispettosamente, e avvicinandosi con passi lenti e silenziosi. “A cosa devo l’onore?”
“Kevar è sparito.” La informò Elvenna, anticipando l’orco con voce pacata. “Gli incanti di Urghai non riescono a trovarlo. Sembra che sia svanito nel nulla.”
Nulla cambiò nell’espressione della Sacerdotessa.
“E dunque?”
“E dunque?!” Ringhiò Urghai. “Voi Nove Sacerdotesse lo avete portato in questo mondo. Saprete anche se adesso è tornato nel suo mondo d’origine.”
Un piccolo sorriso increspò le labbra di Valynne.
“Evidentemente le Dee lo preferiscono sulla Terra, non credete?”
“Stronzate.”
“Urghai- !”
“No, Elvenna, è una stronzata e lo sai meglio di me.”
La Somma Sacerdotessa sorrideva apertamente, adesso, ma solo con le labbra.
“Se anche non fosse stata opera delle Dee, adesso è oltre la nostra portata. L’incantesimo che abbiamo usato non funzionerà di nuovo.”
Elvenna posò l’unica mano che le restava sulla spalla di Urghai, cercando di rassicurarlo.
“Ci sono altri poteri in grado di aprire le porte tra i mondi.” Mormorò, pacata.
Il mago si girò a guardarla, quasi inorridito.
“Elvenna, non-” si morse le labbra e prese un bel respiro “-non starai…”
La sirenide distolse lo sguardo.
“Lo ami. E lui ama te, più di ogni altra cosa al mondo, non è così? Le Nebbie ti hanno già rifiutato una volta, vero; ma adesso il tuo cuore è puro, e hai una luce che ti guiderà attraverso le porte della Casa degli Specchi.”
Urghai l’abbracciò stretta, quasi d’impulso.
“Ho paura di non farcela.” Le sussurrò all’orecchio. “L’Amuleto del Dolore non funzionerà un’altra volta.”
Elvenna gli sorrise, gli occhi verde scuro velati di lacrime.
“Ce la farai. So che ce la farai.”

 

Tirò le redini di Nube, ed il cavallo sbuffò, obbedendo al comando e fermandosi al limitare del precipizio.
Urghai smontò da cavallo, tendendo gli occhi fissi sull’abisso, il cui fondo sfuggiva alla sua vista, nascosto da banchi di capricciosa nebbia, che fluiva come acqua, avvolgendosi in spire e scorrendo in impetuose correnti.
“Elvenna,” chiamò, senza distogliere lo sguardo, “prenditi cura di Miko, va bene?”
Forse la sirenide annuì, dietro di lui, forse no; non volle restare a scoprirlo.

E dunque, con una grazia insospettabile per un orco della sua età, Urghai si lasciò cadere nell’abisso.



Hail and well met!
Ho solo due messaggi veloci per voi, tranquilli, poi me ne vado.
Primo: se volete qualche chiarimento sulle Heartlands non esitate a chiedere, eh! Dubito che troverò il modo di spiegarlo qua in mezzo, quindi non fatevi problemi.
Secondo: se volete lasciarmi una recensione, anche piccolina, mica mi schifo eh. Anche due righe vanno bene. Vi prego, sono un povero autore senza autostima, lo so che vi faccio pena.
Vabb, io ci ho provato
ciau

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


“Forte Tempesta è caduta. Non possiamo più rimandare.”
“Sono solo dei ragazzi!”

Ed ora era lì, in piedi, una spada levata contro quel cielo autunnale, centinaia di occhi pieni di dubbio e speranza fissi su loro tre. E sentiva il peso di quella speranza che lo schiacciava e lo faceva affondare giù, nel fango, tra la terra, il sangue e l’odore della morte.
Stavano arrivando, lo sapeva. Doveva alzarsi e combattere, perché tutto dipendeva da lui, e lui era l’ultima speranza di questo mondo e lui non poteva farcela.
E poi vennero gli Spettri, e le urla furono tutte attorno a lui, e i corpi dei soldati cadevano e lo spingevano ancora più a fondo nel fango e l’odore della morte e del sangue lo riempiva e-

“Patetico.”

Una mano ghiacciata lo sollevò in aria quasi senza sforzo, tenendolo per il collo, mostrandolo ad un’armata sconfitta e in preda alla disperazione. Si sentiva soffocare, con il ghiaccio che gli riempiva la gola e gli perforava i polmoni.
Cominciò a piangere, con gli occhi serrati, ma le lacrime si gelavano a metà  percorso, lasciando brillanti scie sulle sue guance.

“Mi prenderò un ricordo di questa vittoria.”

L’altra mano corse sul suo volto come un grosso e gelido ragno albino, fermandosi sul suo occhio destro.
Poi fu tutto dolore, sangue e ghiaccio.

 

Si svegliò urlando, la fronte pregna di sudore e l’occhio che pulsava orribilmente, il ricordo di quell’orribile sogno che ancora lo tormentava, troppo vivido e troppo vero per essere normale.
“Kevin?”
Sua madre era in piedi sulla porta di camera sua, con indosso un pigiama semplice e i capelli raccolti in un disordinato chignon. Aveva l’aria preoccupata, ma non pareva intenzionata ad avvicinarsi.
“Vuoi una tazza di cioccolata?”
Kevar non rispose; si alzò in piedi, una mano sull’occhio e l’altra al muro, per sorreggersi, e lentamente la seguì in cucina.

“Incubi?”
Annuì, sorseggiando piano. Non se la sentiva ancora di parlare.
Sua madre lo guardò, una luce strana nei suoi occhi. Sospirò.
“Kevin.” Chiamò piano, e qualcosa nel suo tono strinse il cuore di Kevar in un modo che aveva provato solo un’altra volta prima d’allora. “Cosa ti è accaduto?”
Deglutì a vuoto, e posò la tazza sul tavolo.
“Non è niente.” Mormorò, e la sua voce era così strana in quel momento - non sembrava nemmeno la sua. “Davvero.”
“Una volta non eri così bravo a mentire.” Commentò lei, senza guardarlo. “Ma continui a storcere il naso e sospirare ogni volta che lo fai.”
Rise.
“Lo faceva sempre anche tua nonna.”
Kevar non sapeva cosa dire, così tornò a sorseggiare la cioccolata. Poi sua madre parlò di nuovo.

“Quanti anni hai?”

E in quel momento Kevar quasi si mise a piangere, perché sua madre sapeva, lei sapeva e pareva che un peso enorme gli fosse stato levato dalle spalle.
“... trentacinque.”
Udì sua madre soffocare una risata triste.
“Come facevi a-”
“Come facevo a saperlo?” Lo interruppe lei, guardandolo. Aveva gli occhi lucidi. “Una mattina ti sei svegliati con gli occhi di un altro. All’inizio pensavo fosse la mia immaginazione, ma sapevo che non era così. In qualche modo sei stato via molto più di una notte.”
Kevar chiuse gli occhi e non rispose.
“Dove sei stato, Kevin?” Chiese. “Che cosa ti è successo, tesoro mio?”
“Molte cose, mamma. E troppe che non vuoi sapere.”
Alzò lo sguardo. Sua madre non stava piangendo, ma lo guardava fisso negli occhi.
“Racconta.”

E così cominciò a raccontare. Le parlò delle Heartlands e del Re dell’Inverno e della Profezia dell’Estate, di Urghai ed Elvenna e del piccolo Miko, della battaglia tramutata in massacro a Forte Tempesta. Le raccontò di come il Re aveva conquistato tutte le Terre, tramutandole in una desolata terra di ghiaccio e miseria, e di come lui, Urghai ed Elvenna avevano recuperato la lancia Dente di Drago, e di come con essa egli avesse trafitto il cuore del Re dell’Inverno nel tremendo assalto a Rakhenaria, la Fortezza Ghiacciata.
Le raccontò di come lui ed Urghai si innamorarono l’uno dell’altro, e del matrimonio celebrato poco dopo la loro vittoria, di come il suo amato si perse nelle Nebbie che separano i mondi alla ricerca di conoscenze arcane e di come lo aveva riportato a sé attraverso lo spazio ed il tempo, l’Amuleto del Dolore pesante come un macigno attorno al suo collo ma la sua luce come un faro in mezzo alla tempesta per il mago disperso.
Le raccontò questo e molto di più, mentre la mezzaluna, sopra il loro tetto, portava avanti la sua danza attraverso il cielo notturno, e quando il racconto fu terminato a oriente lampeggiavano già le prime luci rosate dell’aurora.

E fu allora che qualcuno bussò alla loro porta.



Boh raga non so che dirvi ma siamo quasi alla fine della storia credo quindi non aspettatevi troppi plot twist (ah sembra che io abbia chissà che audience)
vabb
non so manco perché mi spreco tbh 
adios

 

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