Cacciatori di Sogni

di Jordan Hemingway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Roundtable Rival ***
Capitolo 2: *** Smooth Criminal ***
Capitolo 3: *** Move like U stole it ***
Capitolo 4: *** Fight like a girl ***
Capitolo 5: *** Shadows ***
Capitolo 6: *** Hold my Heart ***
Capitolo 7: *** Explosive ***
Capitolo 8: *** Simphony ***



Capitolo 1
*** Roundtable Rival ***


Cacciatori di Sogni
 
 
Cap.1 Roundtable Rival
 
 
Il mezzogiorno di una giornata di mercato a Colle Storto poteva evolversi in due modi, a seconda dell’umore popolare.

Nel primo, una contrattazione finita male o una caccia non soddisfacente sarebbero sfociate in un dibattito, in uno scambio di opinioni sulle morali delle madri delle parti in causa e in una rissa che il Sindaco avrebbe cercato di fermare senza successo fino a quando i Mastri delle Gilde a cui i cacciatori appartenevano non avessero inviato i propri guardaspalle per placare i bollenti spiriti - di solito tramite minacce più o meno velate e distribuzioni di distillati alcolici in grado di stordire un branco di orchi in calore.
Il secondo modo era una carneficina sulla pubblica piazza.

“Quel mandato era nostro.” Crizia Dantes, comandante delle Schiere Rosse, con il supporto di metà dei suoi cacciatori aveva circondato Corin Lance, Petyr il Guercio e l’ultimo arrivato nelle Luci Grigie, Tales Aghios detto il Monco (con suo grande disappunto ma tant’era, un braccio in meno non era un dettaglio su cui sorvolare nemmeno nel caso di un Minotauro che superava i due metri di altezza) e sembrava decisa a risolvere un contenzioso in ballo da mesi.

“Quel mandato era nostro” ripeté Crizia. “Avete rubato la nostra caccia.”

Corin Lance si strinse nelle spalle senza perdere di vista le mani di Crizia posate sui pugnali alla cintura. “Siete stati lenti” affermò mentre il Guercio sogghignava. “Tre mesi sulle tracce di un Kelpie senza risultati. Ci sono bastati tre giorni e due cacciatori: il vostro cliente è stato più che contento di essersi rivolto a noi.”

“Il nostro cliente non aveva ben chiaro lo Statuto.” La Rossa strinse le dita attorno alle impugnature dei pugnali. “In questo momento sta riflettendo su alcune clausole riguardanti i vincoli di esclusività presso il nostro quartier generale.”

“Appeso per i pollici” precisò uno dei cacciatori dietro di lei.

Corin indietreggiò casualmente fino a trovarsi spalla a spalla con i compagni.  “Mastro Sael ha sempre amato far riflettere il prossimo.”

“Come mi conosci bene.” La voce proveniva dall’alto di una rampa di scale.

Colle Storto - come il nome indicava - si ramificava sulla superficie e all’interno di una collina che per forma e dimensioni ricordava la pancia di un gigante affetto da aerofagia. Quando le prime gilde di cacciatori, attirati dalla sua posizione strategica tra due valli e una pianura sterminata, avevano stabilito lì il loro quartiere generale non avrebbero mai immaginato i paradossi architettonici che generazione dopo generazione avevano reso Colle Storto degno del proprio nome. Tra questi si annoveravano file e file di scale scavate direttamente nella pietra nera della collina per rendere possibile il passaggio tra edifici altrimenti raggiungibili solo tramite ramponi e corde.

Sulla cima di una di queste scale era apparsa una donna avvolta in una tunica rossa come i capelli. Un fermaglio dorato le fissava sulla testa la moltitudine di trecce aggrovigliate.
“Rayla. Un onore inaspettato.” Corin accennò un inchino ma i suoi occhi si assottigliarono alla vista della donna che scendeva dalle scale per affiancarsi ai cacciatori della sua gilda.

“Non ne dubito.” Il Mastro della Schiera Rossa affondò le mani nelle tasche della tunica. “Dal momento che il vostro Mastro Valdemar non esce mai dalle mura del suo palazzo.”

“Le Luci Grigie preferiscono nascondersi nell’ombra per rubare mandati, mia signora,” lo sguardo di Corin non prometteva nulla di buono ma rimase in silenzio mentre Crizia concludeva, “non amano affrontare i propri avversari a viso aperto.”

“Questo è…” Inspirando profondamente Tales mosse un passo in avanti: venne spinto indietro da una gomitata del Guercio e da uno sguardo glaciale di Corin.

“La caccia è finita.” Il comandante delle Luci Grigie riportò gli occhi su Rayla e Crizia. “Non abbiamo più nulla di cui discutere.”

“Sono d’accordo.” A un cenno di Rayla le Schiere Rosse puntarono le armi contro Corin e i suoi. “Passiamo ai fatti concreti, ovvero la vostra resa.”

Corin alzò un sopracciglio. “Non ne sarei così sicuro.” E fischiò.

Dagli edifici che circondavano la piazza spuntarono teste e armi di almeno trenta Luci Grigie. “La prossima volta insegna ai tuoi cani a mordere prima dell’arrivo del padrone.”


 
A Colle Storto ogni Gilda rispettabile annoverava tra i propri elementi almeno uno specialista per ogni tipo di caccia: lancieri e mazzieri per la cattura e soppressione degli Orchi, balestrieri e reziari per catturare Draghi in volo, picconieri per sfondare la testa corazzata dei Goblin, pescatori per la cacciagione che viveva in acque profonde, segugi per quella che preferiva un territorio montano, spadaccini per inseguire ricercati di ogni specie, maghi per affrontare creature più complesse.

Le Luci Grigie e le Schiere Rosse si collocavano in cima alla scala sociale delle Gilde di Colle Storto, quindi quella che con altri partecipanti sarebbe stata catalogata e accantonata come rissa da strada stava rapidamente sfociando in un disastro per l’urbanistica, la viabilità e la sopravvivenza della città.

“Prima volta?” Il pugnale del Guercio abbatté un reziario proprio mentre stava per lanciare la sua rete contro Tales, a sua volta intento a schivare i colpi di una mazza ferrata.

“Ho servito nell’esercito, primo reggimento, terzo battaglione,” ogni parola del Minotauro era sottolineata da un colpo di mazza avversario andato a vuoto, “ci vuole altro per impressionarmi.” Concluse afferrando la mazza ferrata con l’unico braccio e gettandosela alle spalle seguita dalla Schiera che la impugnava.

Il Guercio scosse la testa. “Non sei più nell’esercito, Monco. Questo è uno scontro tra cacciatori,” con un unico movimento Petyr scagliò un pugnale alle spalle di Tales, proprio in mezzo agli occhi di uno spadaccino Rosso, “cerca di restare vivo.”

Il Minotauro mugghiò qualcosa che purtroppo si perse tra le urla della battaglia e fece sbattere le teste di due Rossi incauti contro il bordo di una scalinata.

“Un’altra cosa.” Il Guercio sparò sui suoi avversari e colpì uno di quelli di Tales con la pistola ormai scarica. “Non attaccare Mastro Sael.” Indicò Rayla, in piedi all’estremità della piazza: la donna estrasse una daga dalla tunica e andò incontro a uno spadaccino Grigio.

“Perché?” Il Grigio parò i primi colpi di Rayla indietreggiando senza cercare di attaccarla a sua volta, notò Tales.  Perfino gli arcieri parevano mirare in modo da evitare di colpirla per sbaglio. “Magia?” Ipotizzò, scrutando la tunica rossa. Lo spadaccino Grigio aveva approfittato di un muro crollato per sottrarsi al duello con il Mastro delle Schiere, i cui occhi ora vagavano sul combattimento in corso attorno a lei.
“Ho affrontato i maghi di Velletri ai tempi della ribellione: la magia non mi fa paura.”

“Non è per questo.” Il Guercio afferrò il bavero della giacca del Minotauro e lo costrinse a piegarsi verso di lui – impresa per nulla facile considerando che Tales sovrastava il compagno di almeno due teste. “Mastro Sael deve restare in vita a qualunque costo. Sono stato chiaro?”

“Per nulla.”

“Forse ti sarà di aiuto guardare da quella parte.” Sbarazzatosi di tre spadaccini Rossi il Guercio indicò l’altro angolo della piazza, dove il comandante Lance stava intervenendo in soccorso di alcune Luci in difficoltà.

La spada di Corin sembrava una semplice estensione della sua volontà: l’acciaio penetrava nelle gole nemiche senza sforzo apparente e senza movimenti superflui, una danza mortale di cui il comandante era un artista indiscusso.

Un dettaglio attirò l’attenzione del Minotauro. “Non attaccano.” Con occhi spalancati dallo stupore seguì più attentamente il combattimento. “Le Schiere si limitano parare senza colpire!” Si voltò verso il Guercio. “Impossibile!”

Una freccia gli scheggiò un corno: il balestriere Rosso che lo aveva puntato stava già ricaricando la sua arma. Tales si gettò a terra per evitare il nuovo dardo.

“No!” Il Guercio cercò di intercettare la traiettoria con il proprio corpo ma ormai era troppo tardi: la freccia puntava dritta alle spalle di Corin Lance.

Il Minotauro non poté far altro che guardare impotente la scena.

La freccia svanì in uno sbuffo di cenere rossa.

Gli occhi di Corin, grigi e freddi come la sua spada, cercarono immediatamente un punto preciso nella piazza.

Mastro Sael ricambiò lo sguardo, abbassando la mano.

“Se lui muore, lei cesserà di vivere” mormorò il Guercio. “Se lei cessa di vivere, lui morirà: la fine dell’uno è la fine dell’altra.”

I due comandanti rivali ripresero a combattere come se nulla fosse accaduto.

“Un incantesimo?” Tales si girò verso il Guercio. “Una maledizione?”

“Uno sbaglio.”

Il suono di un corno sovrastò il caos generale.

“Le guardie del Sindaco!” Rossi e Grigi si irrigidirono e, accantonati momentaneamente i loro dissapori, iniziarono a fuggire dalla piazza.

Il Minotauro si voltò di nuovo ma sia Mastro Sael che Corin Lance erano spariti.

“Andiamo, Monco!” Il Guercio lanciò un rampone sul tetto di un palazzo che doveva aver visto giorni migliori. “Prima che il Sindaco decida di abbellire le mura del Colle con le tue corna.”

Le prime guardie del Sindaco costrinsero Tales a ricacciare indietro una risposta adeguata e ad arrampicarsi al seguito di Petyr sopra il palazzo in rovina.

I due si issarono sul tetto e si affrettarono a gettarsi su quello successivo, accompagnati da parte delle Luci Grigie sopravvissute alla battaglia.

Dopo i primi cinque palazzi, venti rampe di scale e due tunnel Tales, il cui fisico era più adatto a uno scontro aperto – preferibilmente con un’ascia in mano e su un terreno piano, appoggiò il braccio a un muro e chiuse gli occhi.

“Forse le mura del palazzo del Sindaco non sarebbero così male” ammise ansimando.
Dietro a lui qualcuno si schiarì la gola. “Ricordami perché ho deciso di farti entrare nelle Luci.”

Il Minotauro raddrizzò la schiena e serrò i talloni - un lascito della sua permanenza nell’esercito- cercando di recuperare quel poco di dignità rimasta. “Comandante Lance, signore.”

Corin agitò la mano. “Riposo: non sei più nel tuo terzo reggimento.”

“Primo reggimento, sign… Comandante.”

Corin lo ignorò e si voltò verso il Guercio. “Recupera tutti quelli che possono ancora reggersi in piedi.” Mostrò a Petyr un sottile rotolo di pergamena. “Un messaggio da Mastro Valdemar: mentre ci divertivamo con le Schiere qualcuno ha ordinato una Caccia.”

“Qualcuno?”

“Qualcuno di molto speciale dal momento che è stato il falco personale del vecchio Valdemar a consegnare questo messaggio.” Corin si concesse un sorriso sbilenco. “Per la gioia futura di Mastro Sael e di tutti i Rossi.”




Ciao! Questa storia è stata scritta per un contest in cui i protagonisti dovevano essere cacciatori (di draghi, di rape, ma cacciatori). 
Ogni capitolo ha una sua colonna sonora, se cliccate sul nome del capitolo dovreste essere rimandati al corrispondente video YT (se ciò non avviene vi prego avvisatemi, io e l'html abbiamo questa relazione di amore e odio a causa di cui riesco raramente a pubblicare nel modo che vorrei ^^') 
Grazie per essere arrivati fin qui e a presto!^^
Jordan

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Capitolo 2
*** Smooth Criminal ***


Cap.2 Smooth Criminal

 
 
Quando l’Illustre Mastro Falda, fondatore delle Luci Grigie, si era trovato a dover decidere dove stabilire il proprio quartier generale – un problema, in effetti, che nonostante la sua nota abitudine a procrastinare non poteva più essere rimandato: le faide tra Gilde lo avevano lasciato con le spalle al muro, la spada spezzata e tre membri sopravvissuti di una banda che ne aveva contati almeno cinquecento – aveva pensato che la soluzione più efficace era quella più semplice.

Impugnato il moncone della lama e declamando versi scelti dell’Epopea del Primo Cacciatore si era inabissato nel terreno di Colle Storto avvolto in una coltre di fumo grigio e portando con sé i tre superstiti.

Questo secondo la leggenda.

“Il vecchio era ubriaco” asserì Petyr il Guercio versandosi altro vino. “Farsi battere a quel modo: nemmeno un terrazzano con le braghe calate in un bordello si sarebbe fatto prendere alle spalle dalle Lame Nere.”

“Lame Nere?” Tales allungò l’unico braccio per afferrare la brocca e svuotarla nel proprio boccale. Alcune gocce finirono sul fitto vello che gli ricopriva parte del torace e del collo. “Pensavo fossero una Gilda dei piani bassi.”

“Infatti.”

L’intervento divino che aveva permesso la traslazione di Mastro Falda all’interno di Colle Storto era anche stato responsabile della creazione di una rete di grotte e gallerie sotterranee collegate ai punti più importanti della città.

Una combinazione di eventi che aveva permesso alle Luci Grigie di risollevarsi dal colpo mortale, vendicarsi delle Lame Nere e diventare una delle Gilde più importanti di Colle Storto.

“Inciampò in un canale di scolo e fece finire tutti in un cunicolo” si intromise la cacciatrice seduta al loro tavolo. “Il nonno del nonno di mio nonno era tra quei tre scampati alla strage: tutti pensavano si fossero rotti il collo nella caduta”, ridacchiò, “e invece trovarono questo.” Indicò lo spazio attorno a loro.

L’antica rete di gallerie era stata allargata da secoli di lavori: un labirinto di roccia e terra che solo le Luci Grigie sapevano decifrare per arrivare al proprio covo, ovvero una caverna che si reggeva su enormi stalagmiti di pietra lavorata dall’acqua e dal tempo. 

Le pareti erano state scavate per ricavare stanze, armerie e rifugi mentre lo spazio centrale fungeva da cortile e sala principale per i raduni indetti da Mastro Valdemar, attuale capo delle Luci Grigie. Ovviamente, dato che il libero commercio non si fermava davanti a niente e nessuno, alcuni cacciatori dotati di istinto imprenditoriale (e privati per cause non naturali di arti o organi essenziali per la carriera di cacciatori) avevano creato una sorta di taverna a cielo aperto – o meglio, a grotta aperta – per quelle Luci che non si arrischiavano a uscire dal covo o semplicemente per sfruttare i numerosi comizi e raduni come un’ulteriore fonte di entrate.

Era a uno di questi tavoli che Tales e l’intera Gilda stavano aspettando l’apparizione di Mastro Valdemar e altre notizie sulla nuova caccia: date le quantità di beveraggi a disposizione non era un’attesa silenziosa.

A Tales ricordava molto i propri periodi di ferma nell’esercito.

La cacciatrice, Gerda Rei, si accoccolò al suo fianco riprendendo l’argomento. “Se solo fossero stati più furbi avrebbero potuto farsi mettere fuori gioco vicino al Picco e lasciare alle Schiere il privilegio di lasciarsi marcire le ossa in questa umidità.” Afferrò la brocca ormai vuota e la agitò in aria per segnalare all’oste di portarne un’altra. “Certe notti fa così freddo che una coperta non basta a scaldarmi.” E si strinse ulteriormente contro il torso scuro del Minotauro.

“Ho sentito dire che esistono gallerie anche per raggiungere il Picco.” Tales si spostò e cercò di mascherare il proprio disagio: non c’era nulla che non andasse in Gerda ma aveva l’impressione che se avesse risposto alle avances della cacciatrice il Guercio non avrebbe esitato a recidergli il braccio rimasto.

“Dicono ci siano, certo.” La nota di delusione nel tono di Gerda era appena percettibile. “Ogni tanto qualcuno ci prova, a cercare di scoprire un passaggio per entrare al Picco Rosso e farlo crollare sopra tutte le Schiere. Peccato che nessuno sia mai riuscito a trovare la strada per tornare indietro.”

“Le gallerie sono pericolose.” Petyr fissò Tales: sotto la frangia scura uno dei suoi occhi era nero, cupo, l’altro era azzurro e vitreo. “Ti ho detto come è finita con quel succhiacazzi di Bill l’Idiota.”

“Quello morto nel tentativo di tracciare una mappa delle gallerie inesplorate?”

“Lo ritrovammo con la bocca ancora incollata a una stalagmite: aveva cercato di bere le gocce d’acqua condensate.”

“Si dice che,” Gerda sfoderò un sogghigno e preso il muso di Tales lo fece voltare verso di lei mentre muoveva l’altra mano verso il basso, “il fantasma di Bill l’Idiota si aggiri per le gallerie, assetato, e che se qualcuno lo incontrasse la povera anima si avventerebbe immediatamente su quello che era abituato a succh…”.

“Mastro Valdemar!” Tales si alzò di scatto facendo crollare Gerda sul pavimento.  Alzandosi il Guercio la tirò su senza troppe cerimonie, alzando gli occhi verso destra come tutti gli altri cacciatori.

La parete della caverna destinata alle stanze personali del Mastro si distingueva per i fregi e bassorilievi scavati nella pietra grezza e per il grande balcone ricavato da uno spuntone di roccia granitica da dove ogni Mastro per secoli aveva pronunciato discorsi, giudicato e a volte giustiziato Luci ribelli.

Mastro Valdemar amava ripetere di non essere più giovane: un vero e proprio eufemismo dal momento che l’ormai novantenne – così si diceva - guida delle Luci Grigie si reggeva a stento sul bastone laccato mentre avanzava fino al bordo del balcone. Al suo fianco c’era l’erede designato e fidato luogotenente Corin Lance, impassibile come un esattore a un funerale di stato.

“Abbiamo ricevuto un mandato.” La voce del vecchio, bassa e roca, ricordò a Tales che cosa era successo a quei pochi che avevano fatto l’errore di sottovalutarlo. Da quel che gli avevano raccontato non era stato uno spettacolo piacevole. “Un mandato di venti milioni di corone d’oro se portato a termine nei tempi stabiliti.”

Tutte le Luci trattennero il respiro prima di scoppiare a parlare nello stesso momento. Venti milioni di corone d’oro: nemmeno il Sindaco in persona, con tutti i suoi possedimenti, poteva disporre di una somma del genere.

A un cenno di Mastro Valdemar Corin sparò un colpo in aria. Nel silenzio che seguì Gerda prese la parola. “Di che cosa si tratta?” I suoi occhi brillavano di eccitazione.

“Questo potrà spiegarvelo il committente in persona.”

Una terza persona era comparsa sul balcone: una donna avvolta in un mantello da viaggio straripante di gale e piume.

Immediatamente il baccano riprese più forte di prima: se definire sbalorditiva la ricompensa era poco, la presenza di un committente estraneo alle Luci Grigie nel loro quartier generale era  incredibile.

Un nuovo sparo di Corin zittì in parte il chiasso. “Mastro Valdemar ha acconsentito alla committente di essere presente a questa riunione.”

“Voglio essere sicura del mio investimento.” Dichiarò la donna, gettandosi il cappuccio sulle spalle. Un viso coperto di biacca e trucco assortito e un enorme posticcio di capelli rossi decorato con piume e fiori finti furono vagliati attentamente dai membri della Gilda. “Il mio nome è Catrina Miranda Ines Jacinta Josefina Felicia Maria, contessa Della Veglia Consalves: mia zia è la cugina acquisita del fratello del marito della duchessa di Chiras.”

Dal suo punto di osservazione Tales vide molte Luci assumere un’espressione perplessa. “Ma è autentica?” sussurrò Gerda al Guercio con una gomitata.

“Le sue credenziali sono autentiche, Gerda Rei. ” Fu la risposta di Mastro Valdemar, le cui orecchie non avevano risentito dell’età avanzata.  La cacciatrice ammutolì arrossendo.

“Così come autentiche sono le corone che vi offro.” Con un gesto teatrale Catrina Miranda e - vattelapesca, Tales aveva già dimenticato più della metà dei nomi – gettò una manciata di monete in aria.

“Non siamo in una taverna, signora” la redarguì Corin. Il comandante aveva l’aria di mettere in dubbio la risaputa lungimiranza di Mastro Valdemar nello scegliere i committenti.

“Vedo però tavoli e vino.” Catrina allargò le braccia e scrollò le spalle. “Ma torniamo a noi: Chiras è disposta a investire metà del tesoro ducale,” sollevò le sopracciglia con fare drammatico, “nella caccia e successiva uccisione delle tre Sfingi che hanno rapito la duchessa Martina Alexandra Corrada Nives Aurelia Chloé Berenice Degli Auberti Ramini.”

La rapida sfilza di nomi passò in secondo piano: Sfingi.

“Brutte bestie, le Sfingi.” Gerda si unì al brusio generale.

“Stronze” aggiunse lapidario il Guercio. “Un enigma fatto per non essere mai risolto e il tuo fegato diventa la portata principale del loro prossimo pasto. E si parla di tre di loro.” Ingollò in un sorso il vino rimasto nella brocca ancora sul tavolo. “Ora capisco i venti milioni di corone.”

Tales si grattò il moncherino del braccio. “Eppure non è impossibile” rifletté ad alta voce. “Ho combattuto presso Chiras durante la Guerra del Confine Occidentale: una Sfinge aveva attaccato il Quinto Battaglione durante un’esplorazione. Ne rimasero in vita dieci ma la Sfinge fu costretta a lanciarsi in uno dei burroni che circondano la capitale fracassandosi la testa.”

“Vedo che ho avuto ragione a rivolgermi alle Luci Grigie.” Catrina Miranda si sfregò le mani gongolando. “Tu!” Indicò Tales.

Il Minotauro trattenne l’impulso a irrigidirsi e battere i talloni nel saluto militare.

“Se è vero quello che dici voglio che tu sia parte della missione.”

“Un momento signora.” Data la sua faccia, il luogotenente Corin sembrava soffrire di una grave forma di mal di denti. “Non abbiamo ancora deciso se accettare il vostro mandato.”

“Accettiamo!” Ululò Gerda gettandosi cavalcioni sulle spalle di Tales, impresa notevole dal momento che la cacciatrice arrivava sì e no ai fianchi del Minotauro. “Sfingi? Ho abbattuto più di venti draghi: una puttana grifone non mi terrà lontana da quei venti milioni di corone!”

L’urlo di assenso delle Luci accompagnò la sua dichiarazione. Dall’alto del balcone Corin intercettò lo sguardo dell’occhio buono di Petyr e sospirò.

“Corin, ragazzo” ridacchiò Mastro Valdemar. “Ti preoccupi troppo.”

“Giusto, Onorabile Mastro.” Catrina Miranda fece per gettare un braccio attorno alle spalle di Corin ma il comandante si scansò con prontezza. “Siete troppo rigido: dovreste prendere esempio dai nostri ufficiali a Chiras. Sempre allegri, i nostri ragazzi, anche durante le battaglie peggiori.”

“È tempo che ve ne andiate signora.” Fu la replica piuttosto fredda. “I nostri uomini saranno più che lieti di riaccompagnarvi attraverso le gallerie.” Fece un cenno al Guercio e a Tales.

Catrina Miranda sbatté le ciglia. “Speravo in qualche bicchiere di quel vino che mi avete tanto decantato, Mastro Valdemar.”

“Così ho detto, sì.” Il vecchio sembrava divertirsi molto nel mettere alla prova la pazienza del suo luogotenente. “A suo tempo. Per oggi questo ammasso di vecchie ossa indifese ha bisogno di riposare. Non sono più giovane come un tempo e inizio a sentire il peso dell’età.”
“Credo voi siate tutto tranne che un povero vecchio indifeso.”

Gli occhi di Mastro Valdemar brillarono furbi. “Ci rivedremo presto per mettere a punto i dettagli per il pagamento: in quell’occasione vi farò assaggiare il miglior vino che abbiate mai gustato.”

“La considero una promessa.” Con una riverenza la donna si spostò per lasciar rientrare il vecchio Mastro e porse il braccio a Petyr, comparso alle sue spalle. “Vogliamo andare?”

“Assicuratevi che non ritrovi la via.” Mormorò Corin a Tales mentre questo si preparava a seguire il Guercio. “Avete dei sospetti, sign… Comandante?”

Corin fissò il mantello multicolore di Catrina allontanarsi nel buio delle stanze di pietra. “Una sensazione, niente di più. Sorvegliala e dì al Guercio di tenere l’occhio aperto.”
 


 
“Signori, è stato un piacere fare affari con voi” affermò Catrina Miranda quando il Guercio le tolse la benda dagli occhi, il sacco di tela dalla testa e le slegò gambe e braccia. “Anche se mi sarei aspettata un trattamento un po’ più consono al mio rango,” aggiunse togliendo alcuni fili di paglia dalla chioma rossa. 

“La vostra scorta vi aspetta ai piedi della collina. Ringraziate di non essere stata costretta a trovare la via da sola,” sibilò Petyr, spegnendo una lampada da minatore e indicando l’uscita dell’ampia grotta in cui erano sbucati dopo parecchie gallerie di cammino. “Cinque minuti e avreste detto addio a tutti i vostri nomi.”

Ho perso ogni mio nome tranne il più prezioso: il tuo. Che cos’è la morte con te accanto?” Declamò la donna con l’aria di aspettare una risposta. “La Leggenda degli amanti di Terranera. No?” Non ricevendo commenti si strinse nel mantello: “A presto dunque. Verrò tra due settimane con la prima parte del denaro come stabilito con il vostro Mastro: spero di trovare tutto pronto per la spedizione.”

“Agli ordini signora.” Le parole del Guercio sarebbero potute sembrare rispettose non fosse stato per la parodia di inchino che le rivolse ma Catrina sembrò non accorgersene.

“Torniamo indietro.” Gerda, aggiuntasi all’ultimo alla scorta per motivi puramente egoistici, afferrò il braccio di Tales e cercò di smuoverlo senza successo. “Scommetto che il vino migliore è già finito.”

Il Guercio fissava la sagoma di Catrina mentre questa usciva dalla grotta e si incamminava verso una carrozza circondata da soldati. “Potevi restare con gli altri.”

“Ho seguito il Monco” specificò la cacciatrice. Petyr si voltò verso di lei: “E adesso seguirai me per organizzare la caccia che tu in quanto capoccia dei cacciatori di Draghi hai contribuito ad accettare” intimò afferrandola per il collo della casacca di cuoio e costringendola a rientrare nelle gallerie. “Monco?”

Tales era rimasto accanto all’uscita della grotta. “Ordini del comandante Lance: resto a controllare che sua grazia se ne vada davvero.”

Petyr borbottò qualcosa sulle maledette manie di controllo di Lance ma non protestò, limitandosi a tenere salda la presa su Gerda. “Raggiungici alle armerie: dobbiamo capire di quanti e quali uomini avremo bisogno.”

“E ricordati,” aggiunse Gerda sfuggendo dalle mani di Petyr, “se tornando nelle gallerie senti un’ombra singhiozzare dietro di te, chiedendo da bere, tieni bene al sicuro il tuo…”

Il Guercio la riacchiappò e se la caricò sulle spalle a mo’ di sacco di patate. “A dopo.” E lanciandogli una delle lampade sparì nelle gallerie.

Tales respirò profondamente: decisamente il suo ambiente era sopra la terra, non sotto.
Oltretutto, metà delle vie d’accesso era troppo stretta: le sue corna continuavano a cozzare contro i soffitti delle gallerie.

Ai piedi della collina il cocchiere agitò le briglie e la carrozza partì. Il Minotauro tornò nell’oscurità della caverna e riaccese la lampada prima di imboccare il tunnel.

Dopo un paio di svolte Tales si rese conto che, nonostante le settimane di addestramento, tornare indietro era più difficile di quel che sembrava: segni e simboli incisi per aiutare gli iniziati si confondevano con quelli lasciati per confondere gli ospiti indesiderati. Inoltre era la prima volta che rientrava non accompagnato.

I cunicoli erano appena sufficienti a contenerlo: il Minotauro rabbrividiva ogni volta che la pietra gelida sfiorava il moncherino del suo braccio.

Doveva essere entrato nel settore non ancora esplorato, decise dopo quasi un’ora di continue deviazioni.

Alle armerie il Guercio stava con tutta probabilità maledicendo il giorno in cui Lance aveva deciso di accettare il Minotauro tra i Grigi. La luce della lampada si affievolì: Tales si domandò quanto tempo aveva prima di cadere nell’oscurità totale. 

Un lamento flebile - il soffio dell’aria tra i cunicoli – lo fece sobbalzare: nessuna meraviglia che circolassero leggende di spettri e fantasmi.

Infine la galleria iniziò a salire: il Minotauro affrettò il passo fino a quando non intravide una luce che si faceva via via più intensa ad ogni passo.

Infine sbucò all’aperto: un mozzicone di terra incuneato tra le rocce che si innalzavano sulla sommità di Colle Storto.

Sopra di lui il sole cocente e uno stormo di corvi formavano uno strano comitato di benvenuto. Sotto di lui appena un passo lo separava da uno strapiombo e da una morte certa.

Un corvo si posò su uno spuntone di roccia accanto a lui. “E’ stato difficile?” domandò il corvo grattandosi un’ala con il becco.

Il Minotauro badò a tenersi il più distante possibile dal dirupo. “Sono un Minotauro: la mia gente costruiva labirinti quando la tua ancora non volava.”

I corvi erano diventati due.

“Ottimo.” Uno dopo l’altro l’intero stormo si riunì sulla stessa roccia, talmente vicini da potersi fondere assieme.

Il che avvenne qualche momento più tardi.

Qualche penna lunga e nera rimase nell’aria svolazzando lentamente giù per il dirupo: accanto a Tales rimase una donna avvolta da un prezioso mantello colorato.

“Allora,” chiese grattandosi la parrucca rossa, “come sono andata?”

Tales sospirò. “Benissimo: fra due settimane ti getteranno in una cella e butteranno la chiave.”


NdA: Salve! Grazie a chiunque abbia letto fin qui: al solito, se cliccate sul titolo del capitolo dovreste essere rimandati al link di YT della colonna sonora corrispondente, in questo caso Smooth Criminal nella versione per violino di David Garret (sì, sono un po' in fissa con i violini, scusate). Sto cercando di correggere tutti gli errori che solo adesso scopro di aver fatto in grammatica e punteggiatura: se vedete qualche orrore segnalatemelo e lapidatemi. E dire che avevo cercato di fare le cose fatte bene dato che si trattava di un contest T.T Ecco, ringrazio ancora tutti quelli che hanno letto e/o commentato il primo capitolo: spero di riuscire a rispondervi/pubblicare al più presto! ^^ Alla prossima!
 

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Capitolo 3
*** Move like U stole it ***


Cap.3 Move like U stole it

 
 
Tre mesi prima
 
“Lo sai? Dovresti essere più ottimista.”

Se a Tales Aghios fosse stata donata la possibilità di tornare indietro nel tempo per modificare un particolare momento della sua vita, il Minotauro si sarebbe trovato in serio imbarazzo. Che cosa scegliere tra la battaglia nella quale aveva perso il braccio e il giorno in cui la sua strada aveva incrociato quella della faerie più pazza e ricercata nel mondo magico – e responsabile del crollo dell’intera casa padronale presso cui Tales si stava riciclando come manodopera a basso costo dopo aver abbandonato l’esercito.

Una scelta non facile.

“Ottimista.” Il Minotauro soppesò la parola. “Stiamo per incontrare il capo di una banda di cacciatori famosi per perdere la calma facilmente per chiedere loro di aiutarci – gratuitamente - a stanare una creatura impossibile da cacciare” elencò. “Ero più ottimista durante la Ribellione di Velletri” concluse gettando un’occhiata alle mura che contornavano le rocce del picco, da dove varie decine di Schiere Rosse li sorvegliavano discreti.

Una manata sulla spalla (quella sana) gli segnalò che il sottinteso delle sue parole non era stato colto. “Ti preoccupi troppo. “ Cecilia sfoderò un gran sorriso. “Ho già lavorato per Rayla, so come trattare con lei.”

Da quel poco che aveva potuto intuire di Cecilia nel viaggio fino a Colle Storto, questa non sembrava la migliore delle garanzie di lunga vita.

“Inoltre non abbiamo scelta,” ammise allegramente la donna, scuotendo i ricci biondi. “Il tuo padrone deve avere parecchia fretta per averci imposto il Nero.” Sollevando la mano fino all’altezza degli occhi Cecilia controllò la situazione del marchio sul suo palmo: una spirale nera larga quasi fino alla base delle dita.

Due giorni prima era stata delle dimensioni di una moneta di rame.

Tales mugghiò. “Se tu non avessi deciso di distruggere la tenuta di un Principe Alchimista…”

“È stato tutto un malinteso.”

“… Ora non avresti quel marchio e io nemmeno. Avrei invece un lavoro e un tetto sopra la testa.” Il Minotauro abbassò le orecchie.

“Non eri uno degli schiavi agricoli?” Cecilia si sedette su un masso al sole. La strada per arrivare al picco era stata lunga e resa ancora più difficile dalla cecità temporanea indotta da un preparato delle Schiere Rosse che li avevano portati fin lì. Sotto di loro le strade e le case di Colle Storto si intrecciavano in un caos di pietra grigia e ciottoli scuri, assumendo forme impossibili da ricreare, cosa che nessuno aveva mai avuto intenzione di fare del resto.

“Era un lavoro sicuro.”

“Indubbiamente.”

“Voi due.” Una delle loro guide spuntò dalla casa di mattoni bianchi in cui era scomparsa qualche minuto prima. “Entrate. Vi vuole vedere.” Dal tono Tales capì che era deluso.

Ignorando l’impulso a mettere le mani all’ascia – requisita prima di partire – seguì la compagna all’interno.

“Cecilia.” Per essere la stanza di un capo era stranamente piccola e disordinata. Le corna del Minotauro si impigliarono ai cespi di erbe essiccate appese al soffitto, sull’unico tavolo erano disposti alambicchi di ogni dimensione, il profumo intenso di fiori appena colti era tanto intenso da dare alla testa.

Nemmeno Rayla Sael, Mastro delle Schiere Rosse, era come Tales se l’era immaginata: alta, il viso severo, la tunica rossa di foggia semplice che indicava la sua familiarità con la magia, gli ricordò più un chierico che il capo di una Gilda di cacciatori infallibili.

“Pensavo che non saresti mai stata così stupida da tornare dopo l’ultima volta.”

Quelle invece erano proprio le parole che si era aspettato di sentire.
 

 
“Di che cosa parli?” Cecilia parve cadere dalle nuvole.

Rayla la fissò incrociando le braccia. “Tre chimere, due rinocorni e tredici olifanti persi in un’ora a causa tua.” Rilasciò il respiro. “Più l’ultima fiala esistente di elleboro di Atlantide. La caccia peggiore dell’intera storia di Colle Storto.”

“Incidenti di percorso.” La faerie fece del suo meglio per mostrarsi contrita – una mossa che con i creditori non aveva mai funzionato.

“E adesso vorresti l’aiuto mio e delle Schiere. Le voci sono vere: sei completamente pazza.”

Alla faccia della contrizione.

Era il momento di iniziare a contrattare. Cecilia respirò profondamente e si fece avanti.

“Risparmiami le tue offerte” la bloccò Rayla alzando una mano. Le labbra della faerie continuarono a muoversi senza produrre suono.

Cecilia impiegò qualche secondo per capire che qualcosa non andava. Iniziò a gesticolare e a indicare Tales – il quale, a giudicare dall’espressione, stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di ritornare nell’esercito – e Rayla a intervalli regolari producendosi in un complicato balletto nel contempo.

“Puoi andare Cecilia.” Rayla si girò senza più degnarla di attenzione.

Sotto l’influenza delle smorfie e dei calci della compagna il Minotauro si schiarì la voce. “La prego di riconsiderare la nostra richiesta, signora.”

“Tu che cosa saresti? Il suo nuovo animale domestico?” La maga iniziò a riordinare un tavolo.

“Fino a cinque giorni fa ero uno degli schiavi del Principe Alchimista Johannes di Mallérs.”

Cecilia continuò ad agitare le braccia.

“Il vecchio Johannes? Ho saputo che la sua attività ha subìto alcuni intoppi di recente.”

“Il suo palazzo è saltato in aria assieme a metà della tenuta.”

Sotto lo sguardo di Tales e di Rayla Cecilia smise di agitarsi e simulò un profondo interesse per un alambicco di vetro verde.

“Il responsabile – la responsabile – ha promesso di portargli qualcosa di pari valore,” proseguì Tales, “e io sono stato incaricato di assicurarmi che il lavoro venga portato a termine.”

“Il tuo padrone deve fidarsi molto di te.”

“Si fida molto dei suoi metodi di persuasione.” Il Minotauro alzò il palmo dell’unica mano, dove la macchia scura si confondeva tra le dita callose e quasi altrettanto scure. Cecilia si affrettò a fare lo stesso, aprendo e chiudendo la bocca senza interruzioni.

“Il Nero. Tipico di Johannes.” Rayla stirò le labbra. “E quale sarebbe il risarcimento per una tenuta alchemica?”

“…Medusa!” L’incantesimo aveva esaurito il suo potere, così la voce di Cecilia risuonò forte e chiara per tutto il Picco.

Calò il silenzio.

“Una Medusa.” Rayla appoggiò entrambe le mani al bordo del tavolo. “Volete il mio aiuto per catturare una creatura impossibile da guardare, impossibile da afferrare e con cui è impossibile parlare.”

Il sorriso di Cecilia era luminoso quanto il primo sole estivo. “Esatto!”

“Ora posso dirlo con certezza: sei pazza.” Rayla inspirò con lentezza. “Vattene.”

“Questa è Colle Storto o sbaglio?” Cecilia si parò davanti alla maga. “Pagate e sarà catturato,” continuò con aria di sfida, “è il vostro motto o no?”

“Ci sono delle eccezioni.”

“Ti ho vista affrontare uno stormo di Grifoni e rimanere in piedi su un tappeto di piume e carcasse. Sei l’unica a poterci aiutare.” La faerie fissò Rayla dritta negli occhi.

Le due donne si squadrarono in silenzio per qualche minuto.

“Una Medusa” disse infine Rayla. “Perché proprio una dannata Medusa?”

“Chiedilo a Princeps Johannes.”

“Forse, e ripeto, forse potrei avere una vaga idea di come iniziare la caccia” affermò lentamente. “Ma esigo un pagamento particolare.”
 
°°°
 
“Lo sai? Dovresti essere più ottimista.” Seduta sull’orlo del dirupo, Cecilia si stava godendo i raggi del sole. “Non diresti mai quanto siano scomode queste parrucche” osservò, valutando la matassa rossa che aveva indossato fino a poco prima.

“Duchessa di Chiras.” Tales sembrava in preda a un forte mal di mare: curioso, pensò Cecilia, dal momento che si trovavano sulla vetta di un monte. “Perché non regina di Shiraz? O imperatrice di Scarborough?” Il Minotauro si grattò con furia il moncherino del braccio sinistro.

“Che divertimento sarebbe altrimenti?”

“Qualunque foglio tu abbia mostrato al vecchio Valdemar non è bastato a convincere Lance. Per cui quando il corvo che avrà sicuramente mandato a Chiras tornerà indietro…”

“Quel particolare corvo non darà nessun problema.” La donna si passò le mani tra i capelli finalmente liberi. “Creature intelligenti, i corvi: capiscono subito quando è il caso di sparire.”

“Alla fine scopriranno che la duchessa di Chiras non esiste.”

“Esiste!” Cecilia si inalberò. “È un’assurda vecchina con delle tremende abitudini alimentari, ma è viva e vegeta.”

“Il piano…”

“Il piano avanza in modo eccellente.”

Il Minotauro alzò il palmo della mano: la macchia scura aveva raggiunto le prime falangi delle dita. “Anche il Nero. Spero tu abbia fatto progressi con Mastro Sael: il tempo per catturare quella Medusa sta scadendo.”

“Ci stiamo lavorando.”
 
°°°
 
“Guardare una Medusa dal vivo equivale a morte certa.” Rayla camminava per la stanza a grandi falcate, radunando barattoli e pozioni.

“Ne ero consapevole” la informò Cecilia seduta sul tavolo.

“Dubito tu possa esserlo.” La maga iniziò a trafficare con un distillatore di rame. “Secondo le leggende alcuni cacciatori usavano specchi di metallo per riflettere l’immagine e avvicinarsi mentre le Meduse dormivano: quasi nessuno ci riusciva.”

“Quindi?”

“Quindi per catturare la tua Medusa dovrai incontrarla e batterla sull’unico terreno sicuro per me e, di conseguenza, anche per te.” I tubi del distillatore si riempirono di vapore mentre un profumo acre si diffondeva ovunque. Gocce dense caddero nel bicchiere che Rayla teneva pronto. “In un sogno.”
 
°°°
 
“Ci state lavorando?” Sbuffò Tales, dimenticando per un momento la sua paura dell’altezza e alzandosi in piedi. “Hai idea di quel che ho dovuto fare per entrare nelle Luci e per far sì che il comandante si fidasse abbastanza da non mettermi qualche spia alle spalle come fanno con tutti i nuovi arrivi?” La vista dello strapiombo lo riportò a toni più pacati. “Hai avuto mesi per dormire.”

Sognare,” precisò Cecilia, “è più complicato.”
 
°°°
 
“Ti aspetti che lo beva?” Il distillato somigliava – e puzzava – come i resti di una capra sbranata dai lupi. Cecilia arricciò il naso.

“Se vuoi davvero liberarti del Nero prima che ti divori, sì.” Rayla spinse il bicchiere davanti alla faerie. “Pensavo bastasse dormire.”

“Devi sognare: vale a dire raggiungere il mondo onirico, quello che separa la realtà – la nostra realtà – dal mondo del caos. Dormendo è possibile oltrepassare la barriera che li separa, ma accade poche volte: per questo entra in gioco la mia magia.”

“Magia dei sogni: una caccia al sogno.”

“Se così vuoi chiamarla,” assentì Rayla. “Noi Schiere usiamo questo trucco per impadronirci di creature particolarmente ostili. Nel mondo onirico non ci sono armi, solo la propria mente: una volta tracciata la preda è possibile farla cadere sotto il dominio della propria volontà e farsi rivelare nascondiglio e punti deboli. O spezzarla completamente.” La maga fissò Cecilia. “Sarai in grado di farlo?”

“Lo scopriremo.” La faerie portò il bicchiere alla bocca ma fu fermata dalla presa salda di Rayla.

“Dobbiamo prima parlare del pagamento.”
 
°°°
 
“Se Rayla muore, Corin muore con lei. E viceversa,” ricapitolò Tales. “Sia le Luci che le Schiere sanno che i due devono restare in vita a qualsiasi costo, anche sacrificandosi davanti ai loro colpi.”

“Un incantesimo sbagliato, secondo Rayla e le Schiere,” aggiunse Cecilia. “La vecchia maestra di Rayla –il precedente Mastro delle Schiere - voleva proteggere la pupilla ed erede da ogni pericolo, vincolando la sua vita a quella di un ragazzo destinato a essere tenuto in catene nelle prigioni delle Schiere.”

“Se non fosse che il ragazzo ha rotto le catene ed è diventato il comandante dei loro nemici giurati.”

“Come in un dramma in tre atti: due vecchi amici che si affrontano su campi nemici. Un vero problema per entrambi i fronti.” Cecilia ridacchiò. 


N.d.A Grazie a chi è arrivato fin qui!^^ Come al solito il titolo del capitolo nasconde il link alla colonna sonora, try it! ^^ 

 

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Capitolo 4
*** Fight like a girl ***


Cap. 4 Fight like a girl
 
 
Tre mesi prima
 
“L’incantesimo è impossibile da spezzare ma può essere modificato” affermò Rayla. “Ho avuto fin troppo tempo per studiarne i principi e credo di aver trovato il modo di cambiarne il funzionamento.”

Cecilia tirò un ricciolo e lo arrotolò attorno all’indice. “Non vedo come io possa esserti utile: in quanto faerie la mia magia è diversa dalla tua, è qualcosa di naturale. Quando non sono io,” indicò se stessa, “sono i miei corvi. E’ più uno stato di essere che un atto di volontà,” spiegò.

“Infatti non ti sto chiedendo di modificare l’incantesimo: non oso nemmeno immaginare il disastro che provocheresti.” La maga infilò le mani nelle tasche della tunica. “Voglio che tu e il tuo guardaspalle mi portiate Corin Lance e Mastro Valdemar. Vivi.”

Cecilia aggrottò la fronte. “Potresti farlo fare alle tue Schiere: sono loro i cacciatori.”

“Credi che non abbia mai provato?” Sbottò Rayla: il fermaglio sulla sua testa si spostò, facendo cadere alcune trecce rosse sulle sue guance. La maga le scostò bruscamente. “In tutti questi anni, cercando un modo per liberarmi da questa maledizione?”

“Maledizione…” Mormorò Cecilia sovrappensiero. “Non è la parola che avrei usato: se tu muori, io muoio con te. Se io vivo, vivremo assieme. Gli amanti di Terranera” chiarì di fronte allo sguardo di Rayla, “credevo sapessi leggere…”

“Risparmiami le tue citazioni, peraltro sbagliate.”

“Quindi conosci la storia.”

La maga la ignorò e ricominciò a camminare per la stanza. “Corin sa che io lo voglio in mio potere, come un tempo, e ha preso le sue precauzioni. Quanto a Valdemar, lui non esce mai da quelle dannate caverne.”

“Perché anche il Mastro?”

“L’unico modo per eliminare una Gilda, a Colle Storto, è costringere il Mastro a scioglierla davanti al Sindaco e all’Alto Consiglio dei Cacciatori.” La maga sbuffò. “Non siamo selvaggi purtroppo: abbiamo uno Statuto.”
 
°°°
 
“Disperderli è l’unica soluzione” considerò Tales. “A parità numerica le Luci sono impossibili da battere nelle grotte, anche sfruttando il passaggio che ho usato per arrivare fin qui: se dovessero scoprire che Corin e Valdemar sono stati rapiti ci sarebbero subito addosso.”

“Mi domando come mai a nessuno sia venuto in mente di tracciare una mappa completa dei tunnel.”

“Che bisogno hanno di una mappa? Nessuno è così stupido da rischiare di morire di fame e di sete in un labirinto di roccia sotterraneo.”

“Tranne un Minotauro.”

“Tranne un Minotauro e una donna corvo pazza alla caccia di una Medusa.”

“Vedo che inizi a capire il mio modo di lavorare” esplose allegra Cecilia con una nuova pacca sulla spalla buona di Tales. “Valdemar non si muove dalle grotte? Saranno le Schiere a scendere dal picco per fargli cambiare idea.”

“Mastro Sael ha accettato di rischiare che le Schiere entrino nelle gallerie?”

“Ha insistito perché i suoi migliori cacciatori ci aiutassero nel rapimento e ci tenessero d’occhio.” La faerie si strinse nelle spalle. “Vai a capire il perché.”

Tales tossicchiò.

“Fra due settimane allora.” Si accarezzò le corna scheggiate. “Se non il Nero ci divori prima che tu riesca a trovare la tua Medusa.”

“Per trovarla, l’ho trovata. Ho solo avuto qualche intoppo” ammise Cecilia.

Scuotendo la testa il Minotauro sospirò. “Perché la cosa non mi stupisce?”
 
°°°
 
“Cosa sai delle Meduse?” Domandò Rayla.

“Serpenti, sguardo di pietra – letteralmente – e carattere difficile?” Buttò lì Cecilia. La maga si massaggiò le tempie.

“Come prima cosa sono creature innaturali.” Sospirò. “Non esistono Meduse bambine o villaggi di Meduse, altrimenti sarebbe tutto più semplice. Sono il prodotto di una maledizione.”

“Da chi?”

“Mariti, amanti, maghi o alchimisti in vena di esperimenti… È necessario un potere notevole per cambiare una donna in Medusa: il loro corpo diventa quello di un mostro, la loro mente si spezza. All’improvviso tutto quello che amavano non c’è più, rimane solo la rabbia e l’odio per chi è rimasto normale.”

Cecilia alzò la testa. “Provi pietà per loro?”

“Pietà?” Rayla scosse il capo. “Per qualcosa che non esiterebbe a divorarti viva? Meglio una sana paura.”

Si avvicinò a Cecilia, costretta dalle circostanze a doversi coricare su un letto improvvisato fatto di fieno secco, e le porse il bicchiere di distillato.

“Una Medusa non può morire ma può essere uccisa,” aggiunse secca.

“Princeps Johannes la vuole viva.”

“Questo rende le cose più difficili. Se spezzi una mente durante un sogno il proprietario potrebbe morire nel mondo reale. Dovrai limitarti a soggiogare la sua volontà per capire dove trovarla e come attaccarla senza suicidarti.”

“Avrò bisogno dei tuoi cacciatori in quel caso.”

“Intanto trovala.” La maga aspettò che Cecilia ingurgitasse il distillato senza curarsi delle sue smorfie di disgusto.

“Spero che il sapore sia un segno di efficacia.”

“Ti aspettavi latte caldo con miele?”

“Te lo devo dire, Rayla Sael,” commentò Cecilia mentre le sue palpebre iniziavano ad abbassarsi, “più il tempo passa e più diventi acida.”
 
 

Era l’esperienza più strana che Cecilia avesse mai vissuto.

Un momento prima era nel laboratorio di Rayla e subito dopo si era trovata… Non sapeva nemmeno come definire il luogo in cui si trovava.

Le sembrava di fluttuare in un’ enorme nuvola che, lo sentiva, se manipolata si sarebbe trasformata in qualunque scenario avesse voluto.

Considerò per un attimo di ricreare casa propria ma decise che non era una buona idea.

Si trovava lì per lavoro dopotutto.

Lasciò che la sua mente si concentrasse sull’idea di Medusa, come le aveva insegnato Rayla, espandendo il proprio pensiero alla ricerca di qualcosa che vi corrispondesse.

Secondo Rayla le Meduse tendevano a dormire, se lasciate a se stesse, forse per rivivere nel sogno quello che non potevano più avere nella vita reale.

Perciò non sarebbe dovuto essere difficile localizzarne una.

I sensi di Cecilia, amplificati per effetto della pozione, sorvolarono varie entità: umani, faerie, creature di ogni specie che il sonno aveva portato fin lì. Nessuno però che si avvicinasse a una Medusa.

Attorno ai sognatori la nuvola aveva assunto forme a loro familiari: case e famiglie sedute attorno a un tavolo, bordelli, prati di colori sgargianti.

La faerie si avvicinò a una macchia di alberi attorniata da fiori: un laghetto e una siepe fiorita completavano il paesaggio idilliaco. Qualcuno era seduto sulla riva e osservava l’acqua chiarissima: uno dei pochi sognatori svegli. Una ragazza dai lunghi capelli neri, le mani strette attorno alle ginocchia, gli occhi fissi davanti a sé.

Qualcosa scattò nella consapevolezza di Cecilia.

Cercando di evitare che i propri pensieri fuoriuscissero dalla bolla della propria individualità – impresa non facile in un mondo fatto di pensiero puro – si sedette accanto alla riva a qualche metro dalla ragazza, la quale non la degnò di attenzione.

Forse sarà più facile di quel che credevo.

“Se credi che sarà facile catturarmi allora sei più stupida di quel che sembri.” Le labbra della ragazza bruna erano rimaste chiuse ma Cecilia non aveva dubbi sul fatto di aver individuato la sua preda.

“Ti facevo più…”

L’altra la fissò come se fosse un animale da circo. “Se ti aspettavi serpenti e denti affilati posso rimediare subito.”

“Va benissimo così” si affrettò a chiarire Cecilia. “Bel posto comunque. La tua casa?”

“Non ti riguarda."

Per la faerie si presentava un grosso problema: fino a quando aveva dovuto dare la caccia a un mostro assetato di sangue e vendetta non si era posta particolari problemi sulla moralità della spedizione.

Tuttavia quella ragazza era…Normale. Bella, molto bella, ma non sembrava sul punto di pietrificarla o aprirle la gola a morsi.

“Posso sempre provare.”

Inoltre pareva che le protezioni mentali della magia di Rayla non funzionassero per nulla con lei.

Capelli a parte le ricordava incredibilmente una delle ragazze con cui era solita incontrarsi in un certo bordello – si affrettò ad accantonare il pensiero prima di distrarsi – e quando lo capì si diede da sola della stupida.

“Hai assunto questa forma di proposito!” Se avesse potuto si sarebbe colpita la fronte con il palmo. “Stai cercando…”

“Di distrarti.” Il sorriso storto della Medusa annullò ogni somiglianza. “E ha funzionato bene.”

All’improvviso Cecilia si ritrovò immobilizzata – per quanto una mente che vaga in un sogno possa esserlo – mentre la voce della Medusa le risuonava in testa.

“Potrei aprirti per prendere i tuoi ricordi” sussurrava, “potresti svegliarti e non camminare più. Oppure potrei farti restare qui, chiusa in un limbo con i tuoi peggiori incubi.” C’era qualcosa di lascivo nel tono di quelle minacce, l’eccitazione di qualcuno rimasto solo per troppo tempo. “Ma sembra che per questa volta io debba lasciarti andare.”

Era davanti a lei e la osservava con occhi azzurri come il lago che aveva creato. “Non ritornare” la avvertì lasciando la presa.

Cecilia si riprese. “Perché non ne parliamo…?” Ma la ragazza era già sparita e la realtà, lo capì dalla morsa allo stomaco, la stava attirando di nuovo nel mondo reale.
 
°°°
 
“Intoppo non è la parola giusta.” Tales si coprì il muso con la mano. “Disfatta è il termine giusto.”

“Tu pensa a convincere Corin a far partire il maggior numero di Luci possibili per Chiras.” Con un sorriso Cecilia si alzò e si avviò verso l’orlo dello strapiombo. “Lascia che ai sogni ci pensi io.”

“L’ultima volta in cui ho sentito una frase simile ci ho rimesso un braccio e i gradi.”

“Finché non si tratta della testa va tutto bene, giusto?” La faerie si lanciò nel vuoto ridendo.
Uno stormo di corvi si alzò in volo e si disperse nel cielo privo di nuvole.


NdA: Grazie a chi è arrivato fin qui. In particolare, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito (io vi amo gente, davvero, e e spero di rispondere al più presto alle vostre recensioni). La canzone del capitolo è la soundtrack che collego a Medusa. Penso capirete il perchè. 
A presto!

 

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Capitolo 5
*** Shadows ***


Cap. 5 Shadows

 

 

“Gli archi non bastano” sentenziò Tales scuotendo la testa. “Servono balestre.” Si girò verso Gerda che in quanto capo – autonominato – della spedizione per Chiras stava esaminando alcune picche dall’aria usurata.

“In che cosa spendiamo i soldi destinati all’armeria?” Si lamentò gettando da parte un’asta scheggiata. “Che ne dici delle balestre per i draghi? Sulle loro condizioni potrei impegnare mia madre.”

“Tua madre si è già impegnata in un bordello tre volte per pagarsi da bere” le ricordò Petyr.

“Troppo pesanti: dovremmo usare dei muli per portarcele dietro e le Sfingi ci sarebbero addosso subito se mancassimo il bersaglio.” Tales si grattò il moncherino: nonostante fossero passati anni dalla perdita del braccio a volte provava ancora la sensazione di averlo appena lasciato sul campo di battaglia.

Di solito capitava nei momenti di maggiore tensione.

“Ci saranno addosso in ogni caso, perché preoccuparsi di un paio di balestre su ruote?” Gerda incrociò le braccia. “Ci sarebbero quelle normali, ma…”

“Con frecce rinforzate andranno bene” la interruppe il Minotauro. “Basta che siano in grado di penetrare la pelliccia di un orso, che da quel che ricordo è quasi uguale a quella di una Sfinge.”

“Non avremmo dovuto accettare.” Petyr era seduto in disparte, accanto a una rastrelliera, e sembrava occupato a finire la maggior quantità di vino nel minor tempo possibile. “Che cosa si sarà bevuto il vecchio questa volta?”

Gerda alzò un sopracciglio. “Qualcosa di meglio del tuo veleno per topi.” Indicò la bottiglia del Guercio, il quale la ignorò e proseguì nella sua esposizione.

“È diventato pazzo,” ingollò un altro sorso, “anni fa avrebbe fatto scuoiare chiunque si presentasse con una richiesta non ragionevole, senza badare ai soldi: Sua Grazia di Chiras non avrebbe nemmeno messo piede a Colle Storto.”

“Dovresti evitare di bere, Guercio.” Una voce alle loro spalle fece sobbalzare le tre Luci. “Diventi pesante” lo informò Corin Lance, appena entrato nell’armeria con una faccia che prometteva tempesta – ma non verso di loro, dato che come prima cosa si versò in gola metà del contenuto della bottiglia di Petyr.

“Il vecchio è impazzito” annunciò lasciandosi cadere su una sedia. Il Guercio annuì con passione e si fece avanti per riprendersi la bottiglia. “Più della metà delle Luci lasceranno Colle Storto per andare a Chiras.”

“Impossibile!” Perfino Gerda era attonita. “Se succedesse qualcosa…”

“Ve l’ho detto: con l’età è diventato pazzo” biascicò Petyr esaminando la bottiglia ormai vuota. “Da quanto tempo è in circolazione, voi lo sapete?” Domandò guardandosi intorno. “No, perché nessuno lo sa!” Concluse trionfante.

“Perché a nessuno interessa.” Corin chiuse gli occhi.

“Nessuno ricorda di averlo mai visto giovane.” Petyr abbassò la voce. “Nemmeno il decano degli scrivani del Sindaco.”

“Sarà stato più furbo degli altri.” Corin si passò una mano sulla fronte. “È la prima volta che lo vedo in questo stato: sembra certo che la spedizione e i soldi siano sicuri.”

“Ha mai sbagliato a valutare una caccia?” Tales sperò che il nervosismo nella sua voce passasse in secondo piano.

“Mai.” Gerda giocherellava con una spada da allenamento. “Nemmeno una volta.”

“Perché dovrebbe sbagliarsi proprio questa volta?”

“Già. Perché?” Corin scrollò le spalle. “Forse ha ragione lui, mi preoccupo troppo.” Si alzò e si avvicinò a Tales. “Entro due giorni voglio tutti i preparativi conclusi. Potete prendere quel che volete: balestre, reti, qualunque cosa tu pensi possa servire contro quelle figlie di puttana.”

“Sì capo.”

“Conto su di te Monco. Anche se sei ancora un novellino hai dimostrato di sapertela cavare bene in questi mesi.”

“Il capo spedizione sarei io” ricordò Gerda stizzita ma Corin era già sulla porta.

“Non deludetemi.”

Prima che se ne andasse il Guercio parlò. “Credo più al fantasma di Bill il succhiacazzi che all’identità di Sua Signoria.”

Corin si girò. “Vai a cercarlo allora. Un fantasma è proprio quello che manca a questa spedizione.”

 

 

Quando Cecilia entrò nel sogno la seconda volta capì subito che le cose si sarebbero fatte interessanti.

Questa volta il mondo onirico sembrava in balìa di una tempesta: nonostante non ci potessero essere né lampi né tuoni la sensazione era quella, come se ci fosse qualcosa che distorcesse il tessuto di cui era composta quella dimensione.

Oltre ai corvi naturalmente.

Centinaia di corvi immobili, gli occhi vitrei e i becchi ancora spalancati: bloccati prima di avere il tempo di crocidare per il terrore.

La donna accarezzò un paio di ali spalancate cercando di controllare i conati che iniziavano a salirle dallo stomaco. Come faerie Cecilia possedeva la capacità di scindersi in uno stormo di corvi, quindi era affine a loro per natura ma non era solo questo: c’era qualcosa di profondamente sbagliato in tutto quel sogno, come se ondate di marciume tentassero di farsi strada nelle menti di chi era presente in quel momento.

Era ripugnante e Cecilia non era sicura di poterlo sopportare senza danni per molto tempo.

“Apprezzo lo sforzo ma non il tuo stile” dichiarò al nulla. “Ragione per cui non tornerò indietro.”

Un sibilo la fece voltare di scatto ma dietro di lei c’erano solo altri corvi morti.

“Hai paura.” Questa volta il sussurro era a un passo dalla sua nuca. “Stai cercando in tutti i modi di respingere la mia tempesta perché non sai che cosa aspettarti.”

“So per certo che non sarà nulla di buono.” La faerie lottò contro i tremiti innaturali che iniziavano a scuoterla. Quella non era solo paura: forse la Medusa aveva iniziato ad attaccare la sua mente.

“Ce ne hai messo di tempo per accorgertene” rise la creatura. Cecilia si concentrò sul proprio respiro: sapeva che la pozione di Rayla conteneva elementi in grado di rafforzare le sue difese mentali, ma se gli attacchi fossero continuati sarebbe stato tutto inutile.

“Sono colpita: pensavo che la tua categoria si limitasse a minacciare con veleno di serpenti e sguardo di pietra,” si complimentò cercando di guadagnare tempo, “o anche questa è una diceria di chi vi trasforma?”

“Serpenti per capelli, denti che dilaniano e occhi che tramutano in pietra: le paure degli uomini antichi.” Ora la Medusa si trovava accanto a lei, ma la sua forma era ancora quella della ragazza pensosa in riva al lago. “Il primo di loro a creare questa maledizione ha voluto dare corpo a quelle leggende, i suoi successori si sono limitati a tramandarne la forma. Questa,” indicò se stessa con un sorriso amaro, “non esiste più nella realtà.”

Suo malgrado Cecilia si trovò a chiedere: “C’è mai stato un modo per…”

“La maledizione è irrevocabile: vivere in eterno nella forma che ci viene data oppure morire per mano di qualcuno troppo stupido per pensare al pericolo.” Guardò Cecilia: “Se pensavi di giocare la carta della salvatrice, scordatelo.”

“E non vorresti…,”la faerie esitò, “che quel qualcuno lo facesse davvero? Che ti uccidesse?”

Si ritrovò immobilizzata: la Medusa le passò le dita sul viso. “Questo è davvero stupido. Nessuno vuole o può davvero uccidermi: nemmeno tu.”

“Che cosa ne sai?”

“Io so tutto di te.” Le dita della Medusa si spostarono sui ricci di Cecilia. “Vedo chi sei, che cosa hai fatto, quello che vuoi fare, quel che hai di più prezioso… La tua maga dei sogni dovrebbe riconsiderare il potere dei suoi incantesimi: un mazzo di foglie secche sarebbe stato più difficile da abbattere.”

Il mondo roteò attorno a loro e prese le sembianze di una casa. Scaffali colmi di libri, una scrivania, mappamondi e mappe attorno a una ragazza curva su di essi.

“Tua sorella? Che creatura graziosa,” commentò la Medusa. “Sarebbe un peccato se qualcuno si infilasse nei suoi sogni.”

Contrariamente ad ogni aspettativa Cecilia sbottò a ridere.

“Provaci, ma non te lo consiglio: l’ultima volta che qualcuno ha cercato di entrare nella testa di mia sorella ci ha quasi rimesso la vita.” La donna si rese conto che la stretta mentale della Medusa si era allentata e ne approfittò per liberarsi. “Dopotutto la pozione di Rayla non è da buttar via.”

“Tu…”

“Guarda tu stessa.” Cecilia si fece avanti e afferrata una mano della Medusa la posò sulla propria fronte. “Se vuoi sapere qualcosa su di me basta chiedere. Ricordalo per la prossima volta” le disse mentre sentiva la realtà trascinarla di nuovo nel suo mondo.

 

 

“Abbiamo visite” la informò secca Rayla al risveglio.

Cecilia si raggomitolò nel pagliericcio. “Dì a Tales di tornare un altro giorno: voglio dormire sul serio.”

“Se entro tre giorni non avrò quella Medusa dormire sarà tutto quello che potrai fare.” La voce, roca e indubbiamente maschile, ebbe il potere di far alzare di scatto Cecilia e farle sbattere la testa contro un’asse. “Princeps Johannes. Pensavo foste rimasto a Mallérs per…”

“Per le riparazioni?” Il vecchio alchimista si alzò dalla sedia in cui Rayla lo aveva – suo malgrado – fatto accomodare. “La mia tenuta è distrutta: le mie piante sono morte, la mia collezione di libri bruciata: ci vorranno anni prima di rimettere le mani su almeno una piccola parte di quello che tu hai devastato.”

“Un semplice malinteso, ve l’ho già spiegato…”

“Taci.” Princeps Johannes chiuse gli occhi: senza le due fessure color ghiaccio la testa del vecchio era in tutto e per tutto simile a una noce rugosa. “Sono venuto qui per accertarmi che la mia Medusa venga catturata in tempi brevi. E che cosa ti trovo a fare?” Indicò il letto di fieno. “Dormire.”

“Dormire e sognare sono due cose diverse” intervenne Rayla, il cui profilo sembrava più severo del solito – Cecilia ricordò che tra maghi e alchimisti non scorreva buon sangue – affondando le mani nelle tasche della tunica. “Mi aspetto che un Principe Alchimista lo sappia.”

“Attenta a come parli, strega.”

“Ho capito, ho capito.” Cecilia si affrettò a interrompere quello che sembrava l’inizio di una strage. “Devo sbrigarmi. Che ci crediate o meno, Princeps Johannes, mi manca poco.”

“Vorrei sperarlo.” Rayla storse la bocca. “Con quel che mi costano gli ingredienti della tua pozione. E devo ancora vedere il mio pagamento.”

“Anche per quello siamo a buon punto” assicurò Cecilia avviandosi verso la porta.

“Dove credi di andare?” Johannes puntò il suo bastone contro la sagoma di Cecilia. “Voglio quella Medusa entro tre giorni altrimenti lascerò che il Nero ti distrugga. Sono stato chiaro?”

“Entro tre giorni voglio Corin e Valdemar, mi hai sentita?” Ribadì a sua volta Rayla.

Cecilia indietreggiò fino a raggiungerli e li guardò negli occhi – e poiché la faerie sovrastava di almeno due teste il vecchio Johannes quest’ultimo si sentì vagamente a disagio: “Ho scalato montagne, impersonato contesse, bevuto intrugli disgustosi, pianificato rapimenti e affrontato creature squilibrate per farvi contenti: non potreste mostrare un minimo di comprensione?” Scosse la testa. “Fra tre giorni avrete quel che volete – ammesso sia veramente quel che volete,” fissò Rayla con intenzione, ma la maga non si scompose, “lasciatemi lavorare e vedrete,” concluse uscendo.

Johannes si schiarì la voce. “Mi domando perché l’ho lasciata in vita.”

“Ogni tanto me lo chiedo pure io” concordò Rayla.




Salve: ho deciso di concludere la pubblicazione di questa storia dopo quasi un anno di assenza da efp. Purtroppo per motivi personali faccio ancora fatica a rileggerla/ricordare eventi successi mentre la scrivevo, quindi pubblicherò tutto in un colpo e senza ricontrollare. Sorry not sorry.
Grazie a Nirvana_04 la cui recensione mi ha incoraggiato a concludere la pubblicazione (e a chiudere il cassetto). 
La soundtrack potete trovarla qui : 
https://www.youtube.com/watch?v=JGCsyshUU-A (se i violini non esistessero il mondo non dovrebbe esistere).

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Capitolo 6
*** Hold my Heart ***


Cap. 6 Hold my heart

 

 

“Dobbiamo sbrigarci.” Il corvo sfregò gli artigli sul corno di Tales. “Prima che Princeps Johannes decida di procurarsi da sé una Medusa.”

“Puoi smetterla di appollaiarti sulle mie corna?” Il Minotauro agitò una mano senza risultato, il corvo rimase ben saldo sulla sua testa. “Tra le grotte e i tuoi artigli sono piene di graffi” si lamentò.

“Quando partirete?” Cecilia – o meglio uno dei corvi che erano parte di lei – lo ignorò e iniziò ad affilarsi il becco sull’altro corno.

“Fra tre giorni: siamo riusciti a preparare tutto nei tempi stabiliti.”

“Non appena sarete fuori da Colle Storto metà delle Schiere vi attaccheranno a sorpresa: approfittane per tornare di sotto e aiutarmi con Valdemar e Corin.”

La giornata era particolarmente luminosa: il cielo terso si stendeva sopra Colle Storto e le sue vie di ciottoli mentre il Minotauro camminava verso il palazzo del Sindaco. Più che camminare era un salire e scendere file di scalinate erose per il troppo utilizzo, che si inerpicavano tra gli edifici spuntati nei posti più improbabili. Davanti a lui, a una certa distanza, Corin e Petyr erano immersi in una discussione tecnica su meriti e svantaggi dei vari tipi di caccia alle Sfingi. Era stato facile rallentare per permettere a Cecilia di ragguagliarlo sulle ultime novità dal Picco.

“Cacciatori,” commentò Cecilia indicando con la punta dell’ala le due Luci, “non capirò mai le loro regole. Che bisogno c’è di avvisare il Sindaco per una semplice spedizione?”

“Senza il permesso del Sindaco non possiamo partire per Chiras.” Questa era stata la spiegazione del Guercio quando Tales gli aveva rivolto la stessa domanda quindi il Minotauro si limitò a ripetere la frase.

“Burocrazia.” Il corvo scosse la testa. “L’unico vero nemico comune.”

“Monco!” Petyr si era girato verso di lui. “Smetti di parlare agli uccelli e allunga il passo: non abbiamo tutta la giornata.”

“Ha passato una notte difficile” spiegò Tales mentre Cecilia si alzava in volo. “Incubi per il troppo bere.”

“Lo capisco benissimo.”

 

 

Il palazzo del Sindaco si notava immediatamente per due cose: l’assenza di altri edifici tutt’attorno – a differenza di ogni altra parte di Colle Storto, dove ogni muro era addossato a scale, portici o altre mura – e per la serie di teste e crani impalati che decoravano la facciata principale.

“I trofei delle caccie migliori vengono offerti al Sindaco,” spiegò Corin davanti all’espressione di Tales, che pur avendo sentito parlare di quelle decorazioni le vedeva di persona per la prima volta. “Il Guercio non ti ha mai fatto passare da queste parti?”

“E chi ne ha avuto il tempo?” Borbottò quest’ultimo.

I tre passarono sotto il portico d’ingresso e salirono per varie rampe di scale fino a una stanza ingombra di carte e pergamene.

Furono accolti dalle parole di un uomo striminzito che continuò a scrivere sui suoi registri senza alzare la testa: “Nome, Gilda di appartenenza e dettagli sulla caccia.”

“Anche per me è un piacere, vicesindaco.” Corin si guardò intorno. “Vedo che avete ampliato gli archivi.”

“Troppe caccie in questa città, troppi permessi” borbottò il vicesindaco. “E troppi tagli al personale.”

A un cenno di Corin Petyr estrasse un mazzo di carte e lo posò sul tavolo, dove centinaia di fogli come quello aspettavano di essere registrati.

Corin si inchinò, facendo attenzione a non far volare via qualche documento. “Con permesso, vicesindaco, vi auguriamo buon lavoro.” Tales notò una certa urgenza nella voce del suo comandante.

“Corin Lance delle Luci Grigie?” Tuonò una voce dalla stanza accanto. “Vieni qui ragazzo! Vieni a salutare il tuo Sindaco!”

“Ci risiamo.” Il Guercio sospirò e fece segno a Tales di seguire Corin.

“Che cosa vuole il Sindaco dal comandante Lance?”

“Una coltellata nello stomaco, se non smetterà di chiamarlo ragazzo.” Fu il pronostico del Guercio.

Anche gli uffici del Sindaco erano colmi di scartoffie: il Minotauro si domandò quale potesse essere il collegamento tra tutta quella burocrazia e la relativa mancanza di morale dei cacciatori a Colle Storto.

“Corin!” Il Sindaco, un colosso che pareva appena uscito da una battaglia, cercò di alzarsi dalla propria scrivania con il risultato di rovesciarla e spargere a terra le decine di documenti in attesa di firma.

“Passa sempre troppo tempo tra ogni tua visita.”

Il comandante si inchinò lievemente. “Le Luci Grigie sono una Gilda molto impegnata, Sindaco.”

“Lo so bene, lo so anche troppo bene!” Il Sindacò indicò il bailamme di carte attorno a lui. “Metà di questi sono permessi per voi e per le Schiere di Rayla.” Scrollò le spalle. “Ho sentito dire che c’è stata qualche rissa di recente.”

“Voci, solo voci” assicurò Corin spalleggiato dall’annuire furioso del Guercio e di Tales.

“Voglio sperarlo,” il tono del Sindaco divenne meno gioviale, “altrimenti sarei costretto a prendere provvedimenti e tu sai che non mi piace, Corin, non mi piace doverlo fare. Eppure devo farlo: Colle Storto non resterebbe in piedi nemmeno per un pomeriggio senza uno Statuto.”

“Ne siamo tutti consapevoli.” Corin strinse le labbra in un sorriso. “Potete stare tranquillo, Sindaco.”

“Bene, bene.” Il Sindaco onorò Corin di una poderosa pacca sulla spalla. “Un vero peccato però che tra le Luci e le Schiere ci siano tutti questi dissapori. Se le due Gilde migliori di Colle Storto collaborassero…”

“Temo sia impossibile.”

“Davvero?” Il Sindaco assunse un’aria sconfortata. “Per molto tempo ho sperato che tu, cresciuto assieme a Mastro Sael, avresti potuto mediare.”

Corin si irrigidì. “Crescere un bambino e tenerlo prigioniero per usarlo come scudo protettivo in un incantesimo sono due cose diverse.”

“Uhm, sì, in effetti,” bofonchiò l’altro, “anche se a quel tempo nessuno sapeva che cosa avesse in mente Mastro Helga per Rayla.” Sospirò. “Ricordo ancora voi due che giocavate a rincorrervi per le scalinate che portano al Picco.”

“Se avete finito con i permessi, vostra Eccellenza, noi toglieremmo il disturbo” intervenne il Guercio prima che Corin, livido in faccia, potesse replicare.

“Certo, certo!” Il Sindaco si riscosse dalla sua rievocazione. “Fatevi dare i moduli da compilare per quando tornerete dalla caccia. È stato un piacere Corin: cerca di passare più spesso” li congedò sollevando da terra la scrivania rovesciata e tornando al suo lavoro.

“Da bere.” Furono le prime parole di Petyr una volta usciti dal palazzo alle calcagna di Corin. “Prima che il comandante decida di porre fine al Sindaco e al suo Statuto.”

 

 

Questa volta la dimensione onirica aveva preso la forma dei ricordi rubati a Cecilia. Le librerie e i mappamondi erano dove lei si aspettava di vederli e sicuramente anche i titoli dei libri sarebbero stati quelli che era abituata a notare nel mondo reale. Tuttavia, a differenza della volta precedente e della realtà, ad attenderla sul pavimento non c’era la sorella con un libro in mano e gli occhiali sul naso, bensì la Medusa.

“Stai cercando di mettermi a mio agio o solo di entrare nella mia testa?” Cecilia si lasciò cadere per terra a gambe accavallate. “Perché ti avverto, Rayla ha migliorato le sue prestazioni: la pozione di oggi era imbevibile.”

“Credi davvero che la magia dei sogni possa tenerti al sicuro? Se lo volessi potrei aprirti e rovinare per sempre la tua mente.”

“Quindi perché non lo hai ancora fatto?”

La Medusa si passò le mani attorno alle ginocchia. “Ho tutto il tempo che voglio per decidere quando distruggerti.”

“Ma non lo hai ancora fatto” fece notare Cecilia. “Forse perché sono la prima a rivolgerti la parola in – quanto? Anni, decenni, secoli?”

“Ti dai troppa importanza.”

“Detto da chi ha appena affermato di potermi aprire la testa e manipolarmi a suo piacimento.”

Con uno sbuffo di irritazione la Medusa si alzò. “Potrei farlo proprio adesso.”

“Provaci.”

Le due donne si fissarono in silenzio.

“Credo di capire perché hanno mandato te a cercarmi” dichiarò infine la Medusa.

“Perché sono incredibilmente abile e coraggiosa intendi?”

“Perché sei incredibilmente stupida.” Fu la replica. “Nessun essere dotato di buon senso si metterebbe a discutere con una Medusa nella sua tana.”

“Devo contraddirti, ma credo che questa sia casa mia.” Cecilia indicò lo spazio attorno a loro e la Medusa represse un gesto di stizza.

“È così perché io voglio che abbia questa forma.” Le pareti si sfaldarono. All’improvviso si trovarono in un deserto, attorniate da una tempesta di sabbia. “Posso decidere qualunque cosa, creare qualunque cosa, mi basta sognarla.”

“Mentre la realtà è diversa, vero?”

La tempesta si intensificò. “La realtà… La realtà è quello che ho dovuto subire.” La voce della Medusa era amara. “Tradita da chi credevo mi fosse amico. Che cosa ne puoi sapere tu?”

“Saresti sorpresa.” Cecilia aveva perso la sua solita espressione allegra, ma la Medusa continuò senza ascoltarla: “Che cosa ne sai del dolore che si prova a essere trasformati in un mostro?” Le sue sembianze cambiarono e il suo viso divenne grigio, gli occhi rossi: serpenti le partivano dal cranio calvo e si sollevavano sibilando sulla sua testa. “Vedersi rifiutata dalla famiglia, cacciata come una bestia feroce.” Lasciò cadere le braccia, simili a rami secchi, lungo i fianchi. “Perdere il proprio nome.”

Si scostò quando Cecilia cercò di avvicinarsi. “Lasciami in pace: ci sono altre creature come me, vai da loro. Se sarai fortunata potrai trovare qualcuna disposta a lasciarsi catturare, qualcuna di giovane e non rassegnata al proprio destino.”

Cecilia inspirò lentamente. “Tu invece hai accettato questa sorte?” Domandò seria. “O ti sei lasciata sconfiggere da essa?”

“Non puoi capire.”

“Ci sto provando!” Sbottò la faerie. “Ma hai ragione: non riuscirò mai a capire perché qualcuno si rassegni a un destino del genere. Se mi si presentasse la minima possibilità di liberarmene io la afferrerei subito. Tu ti limiti a piangere su te stessa.

“Stai passando il limite.”

“È tempo che qualcuno lo passi!” Cecilia fronteggiò la Medusa. “Devi reagire. Non importa da quanto tempo tu sia qui, reagisci!” Sentì la familiare morsa allo stomaco e maledisse la brevità della durata della pozione.

“Come posso reagire se sono bloccata in un incubo?”

“Ricordi ancora il tuo nome?”

Con un certo sforzo la Medusa pronunciò qualcosa a bassa voce.

“Helena.”

“Un bel nome.” Cecilia sorrise e si preparò a svegliarsi. “A presto Helena.”

 

 

La notte era calata ma né Petyr né Corin accennavano a volersi alzare dal tavolo della locanda.

“Mastro Valdemar non sarà contento,” mormorò Tales posando l’ennesimo boccale.

Con uno schiocco di dita Gerda – ufficialmente mandata a cercarli ma che ne aveva approfittato per unirsi alla bevuta – ordinò un altro giro. “Rilassati. Per una volta non morirà nessuno.” Si versò altro vino dalla nuova brocca e riempì poi il boccale del Minotauro.

“Com’è possibile bere così tanto con un corpo così piccolo?” Si lasciò sfuggire Tales che, abituato a reggere molto più degli umani in quanto Minotauro, non si capacitava ancora della quantità di vino che Gerda aveva ingollato come fosse acqua fresca.

“Ti sembro una ragazzina?” Gli rispose lei alzandosi con un sorriso molto esplicito. “Posso dimostrarti il contrario.”

“Mettiti a sedere prima di rovesciare qualcosa.” Le ordinò il Guercio con voce impastata e calò una mano sulla sua spalla per riportarla sullo sgabello.

Irritata la cacciatrice si liberò dalla sua stretta. “Dovresti rilassarti anche tu: perché non spendi la tua paga per farti scaldare il letto, Petyr?” Indicò il fondo della locanda, dove alcune donne truccate pesantemente ammiccavano verso di loro.

Ritirando la mano come se fosse rimasto scottato il Guercio la fissò con l’unico occhio rimastogli. “Me lo domando anch’io.” E alzatosi si diresse con passo storto verso quella direzione per poi sparire con una delle prostitute al piano di sopra.

Gerda lo seguì con lo sguardo. “Deve essere un miracolo: mi ha ascoltato davvero.” A Tales sembrò che la voce le tremasse leggermente, ma forse era solo un effetto dell’alcool.

“Credi che ti aspetterà in eterno?” Corin non aveva alzato gli occhi dal suo bicchiere da quando erano entrati. “Mentre tu passi le notti con chiunque ti interessi?”

La cacciatrice alzò le spalle. “Capo, non capisco di che cosa tu stia parlando. Il Guercio passa le sue notti al bordello da quando è sbarcato dalla sua nave per unirsi alle Luci” chiarì in tono aspro.

“Puoi far finta di non capire, Gerda Rei.” Lo sguardo di Corin era indecifrabile per Tales. “Ma in tal caso non rimanere delusa quando lui decide di andare a puttane.”

“Tempo di far ritorno al quartier generale.” Gerda si scostò dal tavolo senza più guardare il comandante. “Con il vostro permesso, capo.” E uscì dal locale.

“Che cosa è successo tra quei due?” Si arrischiò a chiedere Tales dopo un lungo silenzio.

Corin scosse la testa. “A Gerda piace far perdere la testa agli uomini, mentre Petyr non è disposto a perderla nemmeno se avesse davanti la Dea Rossa.”

“La Dea Rossa?”

“Dimenticavo che tu non sei del posto.” Corin finì il contenuto del suo boccale. “La dea Rossa è la patrona delle prostitute di Colle Storto.” Indicò un’effige appesa accanto al bancone. “La creatura più bella su cui un uomo – o una donna – possa posare gli occhi. Lunghi capelli rossi, sguardo di fuoco, corpo caldo e accogliente…”

Il vino aveva reso Tales audace. “Come Mastro Sael” concluse.

Il comandante sembrava perso in una sua visione personale. “Già, proprio come…” Si interruppe.

“Era vero quel che diceva il Sindaco oggi?” Insistette il Minotauro. “Che voi e Mastro Sael siete cresciuti assieme?”

“Se è vero?” Corin, tornato alla realtà, sputò le parole come se fosse veleno. “Oh, è tutto vero: sono stato cresciuto da Mastro Helga, la maestra di Rayla e capo delle Schiere. Ero un orfano e credevo quella fosse la mia famiglia. Sarei dovuto essere il comandante di Rayla, il suo cacciatore più fidato, dicevano tutti. Tutti d’accordo nel mentire a un ragazzino.” Si fermò per un istante.

“Quando Rayla – Mastro Sael – fu abbastanza grande da poter recitare incantesimi complessi,” riprese, “Mastro Helga mi portò nella sua stanza e mi disse di stare tranquillo, che avrebbe fatto male ma che sarebbe finito tutto subito: ricordo un dolore così grande da farmi svenire e al risveglio mi ritrovai incatenato in una prigione. Non potevano rischiare che il loro prezioso Mastro si facesse uccidere per causa mia.”

“C’è una cosa che non capisco.” Tales parlò lentamente. “Secondo l’incantesimo se voi morite, capo, lei muore con voi e viceversa. Questo non implica che non possa essere uccisa da qualcun altro: non la rende immortale. Che senso ha fare un incantesimo del genere?”

“Mastro Helga deve aver avuto intenzione di completarlo in seguito: sono riuscito a fuggire prima che ciò accadesse.”

“In che modo?”

Il comandante non rispose.

“Rimane comunque strano. Più che un incantesimo di difesa sembra una promessa d’amore.”

Corin alzò gli occhi e quel che Tales vi lesse lo indusse a non aggiungere altro.

“Si è fatto tardi: rientriamo.”

 

 

Cecilia iniziava ad abituarsi alla sensazione che la pervadeva entrando nel reame dei sogni: muoversi e darsi un corpo ormai erano diventate azioni scontate, l’incertezza dovuta alla mancanza della realtà era scomparsa.

Quella era la realtà almeno fino a quando non si fosse svegliata.

“Helena.” Questa volta si trovavano di nuovo in riva al lago dove Cecilia l’aveva trovata la prima volta.

“Perché non ti arrendi?” Le domandò l’altra fissando le acque tranquille. “Lasciami in pace.” Le sue sembianze erano di nuovo quelle della ragazza bruna e pensosa.

“Come vuoi.” Cecilia si sedette accanto a lei. Ormai anche questo era diventato un’abitudine. “Questa era casa tua?” Indicò il lago e il prato tutt’attorno.

“Può darsi.”

Le nuvole scorrevano nel cielo creato dalla Medusa, bianche e soffici come quelle reali.

“Sembra un bel posto: mi piacerebbe vederlo davvero.”

L’altra strinse le mani attorno alle ginocchia. “Non so nemmeno se esista ancora. Questo è tutto quello che mi rimane.”

“Quando questa storia sarà finita lo cercherò per te” promise la faerie d’impulso, causando la risata amara di Helena.

“Andresti alla caccia di un sogno?” Chiese sarcastica.

“Non è quello che facciamo tutti?” Fu la replica. “Cercare una creatura come te, un modo per spezzare un incantesimo finito male… Alla fine è solo un modo come un altro per inseguire i propri sogni.”

“Anche distruggere una vita?”

Calò il silenzio.

“È stato rapido?” Cecilia colse uno stelo e iniziò a intrecciarlo.

Helena strinse le labbra. “No,” mormorò. “Lui voleva che io provassi dolore per molto tempo.”

“Lui chi?”

“Ha importanza ora?” La Medusa chiuse gli occhi.

“Perché a te?”

“Perché mi amava.” La risposta lasciò Cecilia senza parole. Gettò lo stelo e afferrò Helena per le spalle.

“Come può averti fatto una cosa del genere se ti amava?”

“Tu evidentemente non sai che cosa sia capace l’amore.” Helena la fissò con sarcasmo. “Ha voluto essere certo che io fossi parte della sua vita, ad ogni costo. In un certo senso ci è riuscito.”

“Che cosa significa?”

“Niente che ti riguardi.” Le mani di Cecilia erano ancora sulle spalle della Medusa. Helena non accennò a volersi liberare dalla stretta.

“L’amore non è questo,” affermò la faerie con sicurezza.

“Allora torna nel tuo mondo.” Fu la replica. “Nel mio non troverai niente che corrisponda a quello che tu definisci amore.”

“Tu lo amavi?”

La testa di Helena si avvicinò a quella di Cecilia.

“Non più.”

Le sue labbra erano morbide, il suo corpo contro quello della faerie era caldo come se fosse reale, la sua mente aperta come un fiore sbocciato.

Forse la realtà è sopravvalutata, fu l’ultimo pensiero razionale di Cecilia.

 

N.d.A.; Soundrtrack del capitolo qui: https://www.youtube.com/watch?v=uCTWBHP6lV0

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Capitolo 7
*** Explosive ***


Cap.7 Explosive

 

 

“Ti avevo dato tre giorni.” Princeps Johannes, avvolto nel suo tabarro nero, somigliava in modo incredibile a una vecchia cornacchia, constatò Cecilia aprendo gli occhi.

“Sono passati tre giorni,” proseguì l’alchimista, “e ancora non vedo la mia Medusa.”

“Ah, beh, certo… Ci sono stati degli intoppi.” Cecilia si produsse in uno dei sorrisi migliori del proprio repertorio.

“Sono stanco dei tuoi intoppi: preparati a essere divorata dal Nero.”

“Non prima di avermi portato Corin e Valdemar” intervenne Rayla avvicinandosi al letto di fieno. Afferrata Cecilia per una spalla la fece alzare senza troppe cerimonie. “Dopodiché per quel che mi riguarda potete anche gettarla giù dal Picco, Princeps.”

La faerie sul cui destino si stava discutendo sbadigliò. “Questa è l’ospitalità delle Schiere?” Si lamentò stiracchiandosi. “Brodaglie disgustose e minacce di morte?”

“Ho fatto quel che potevo per aiutarti,” la maga scrollò le spalle, “se non sei riuscita a localizzare una Medusa è solo colpa tua.”

“Quindi pagherai con la vita” concluse Johannes.

Cecilia continuò a sbadigliare. “A dire il vero, un’idea di dove possa essere ce l’ho.”

La maga e l’alchimista si irrigidirono.

“E che cosa aspettavi a dircelo?” Proruppe quest’ultimo rosso in volto. “Dove si trova?”

“Qui a Colle Storto.”

“Impossibile.” Rayla scosse la testa. “Una Medusa in una città di cacciatori? Sarebbe finita a ornare il palazzo del Sindaco in meno di un’ora.”

Johannes divenne da scarlatto a livido. “È solo un altro dei tuoi trucchi per prendere tempo!”

“Siete liberi di non crederci. E di rischiare qualsiasi cosa rappresenti quella Medusa.” Cecilia guardò l’alchimista. “Perché deve esserci un motivo molto interessante se un Principe Alchimista decide di salire fin qui per accertarsi che una Medusa venga catturata in pochi giorni.”

“Tu…”

“Prima il dovere, Princeps, sono desolata,” sorrise la faerie indossando una voluminosa parrucca rossa, “il pubblico mi aspetta.”

“Tu non andrai da nessuna parte senza di me” la contraddisse il vecchio con stizza. Rayla strinse gli occhi: “Se pensate di rovinare il mio piano…”

“Questo non mi riguarda: io devo proteggere il mio interesse.”

“Calmatevi!” Cecilia si infilò tra i due contendenti. “Non vedo il problema: farà parte del mio corteo – peraltro inesistente – ed eviterà di parlare. Che ne dite Princeps?”

“Assurdo.” Fu la risposta dell’alchimista.

Rayla gli si avvicinò truce: “Provate solo a farci scoprire e la Medusa sarà l’ultimo dei vostri problemi.”

Avvolgendosi nel mantello voluminoso della contessa di Chiras Cecilia roteò su se stessa. “Si va in scena!” Esultò prima di essere colpita dal bastone di Johannes e da una provetta di Rayla.

 

 

Al quartier generale delle Luci Grigie i preparativi erano giunti al termine.

“Le balestre sono troppo piccole, i picchieri protestano per la mancanza di armi, i carri non bastano a portare tutto: dobbiamo rimandare la partenza” dichiarò il Guercio. “Senza contare le proteste dei reziari.”

“Che protestino.” Gerda Rei lo ignorò: Tales notò che sia lei che Petyr avevano lunghe ombre scure sotto gli occhi.

“Possiamo trovare altri carri lungo la strada,” Tales cercò di calmare le acque, “anche se preferirei farne a meno: meglio non farsi notare troppo.”

“Per cui partiremo a mezzogiorno come stabilito.” Gerda continuò a preparare la sacca che avrebbe costituito il suo bagaglio.

Il Guercio non replicò, limitandosi a scegliere una daga da una rastrelliera e iniziare ad affilarla come se ne andasse della vita.

Per Tales gli ultimi giorni non erano stati facili. La prospettiva della buona riuscita del piano – e della conseguente liberazione dal Nero – erano uno stimolo sempre più debole in confronto al tradimento, non c’era altro modo per definirlo, verso quelli che ormai erano diventati i suoi compagni.

Poco serviva guardare il Nero che si ingrandiva sul palmo: più la partenza e l’attacco a sorpresa delle Schiere si avvicinavano e più Tales sentiva il peso del senso di colpa.

“In caso di attacco i carri sarebbero solo di intralcio” buttò lì.

“Chi mai potrebbe volerci attaccare?” Il Guercio lo fissò scettico. “Siamo cacciatori in partenza, non dei fottuti mercanti di schiavi.”

“Forse qualcuno che voglia cavarti anche l’altro occhio,” bofonchiò Gerda quasi impercettibilmente.

Quasi.

“Se devi dirmi qualcosa, Gerda Rei, parla chiaro.” Il Guercio posò entrambe le mani sul piano del tavolo.

“Non ho nulla da dirti.”

“Mi era parso il contrario l’altra sera alla locanda.”

Improvvisamente la discussione aveva preso una piega che fece rimpiangere a Tales le marce serrate dell’esercito.

“È tutto pronto per l’arrivo della contessa?” Si affrettò a chiedere prima che la situazione degenerasse. Gli altri due lo guardarono come se si fossero resi conto solo allora della sua presenza.

“Sua signoria sarà soddisfatta di come ha speso i suoi soldi.” Il Guercio tolse i pugni dal tavolo. “E se non lo fosse mi impegno a farle cambiare idea.”

“Immagino il modo,” commentò Gerda con acidità.

“Tu…”

“Le gallerie sono sicure?” Intervenne di nuovo Tales. “Se la scorta dovesse provare a entrare…”

“Si troverebbe a vagare per l’eternità assieme a Bill l’Idiota.” Gerda sogghignò. “Un destino che non auguro a nessuno – o quasi.”

“Le gallerie sono davvero pericolose.” Il Guercio non diede segno di aver colto le ultime parole della cacciatrice. “Se anche soltanto la metà delle leggende che girano su di esse fossero vere, preferirei farmi succhiare l’uccello dal fantasma di Bill piuttosto che mettere piede nella parte inesplorata di quel labirinto.”

Gerda sbuffò. “Scommetto che ti piacerebbe.”

“C’è una cosa che non capisco.” Tales si grattò con furia il moncherino. “Se le gallerie vi spaventano tanto perché continuate a utilizzarle?”

“Perché spaventano anche le altre Gilde.” La risposta del Guercio fu più secca del dovuto.

Gerda fissò la propria casacca di cuoio al torace. “Credo che ai tempi di mio nonno le Luci fossero più coraggiose” ammise. “Quando ero bambina si parlava di tracciare una mappa dettagliata esplorandole tutte, ma il progetto fu abbandonato.”

“L’intera squadra di esplorazione svanì nelle gallerie,” aggiunse il Guercio. “A differenza di Bill, di loro non ritrovammo neppure i corpi: inghiottiti dalla terra.”

Gerda sospirò. “Il comandante Lance – che all’epoca era ancora il capoccia dei cacciatori di draghi – si impegnò personalmente a evitare che incidenti del genere accadessero di nuovo. Eppure ogni tanto c’è sempre qualche Bill che ci riprova.”

“Perfino Mastro Valdemar ci andò pesante” ricordò Petyr.

La cacciatrice annuì: “Caddero parecchie teste calde: i soliti metodi del vecchio.”

“Nessuno può dire che Mastro Valdemar non sappia come si controlla una Gilda.”

“Quindi è da parecchio tempo che nessuno esplora le gallerie.” La domanda di Tales spezzò l’accordo che sembrava essersi ricreato tra i due cacciatori. Con grande sconforto del Minotauro Gerda riprese a ignorare il Guercio, il quale si avviò verso la porta. “Da quando Corin Lance è piombato qui fuggendo dalle Schiere a quindici anni, trovando per miracolo la strada per il quartiere generale.”

 

 

“Sono impressionata.” Catrina Miranda di Chiras, in tutto il suo splendore, stava ammirando la fila di cacciatori schierata davanti al balcone di Mastro Valdemar. Accanto a lei il suo accompagnatore, avvolto in un tabarro nero, aveva l’aria di non concordare con lei.

“Questo potrebbe convincervi in favore di un aumento della ricompensa?” Ridacchiò Mastro Valdemar aggrappato al proprio bastone.

“Temo non sia in mio potere,” confessò Catrina. “Tuttavia se il lavoro sarà svolto in fretta mia cugina sarà certamente lieta di aggiungere parte del suo tesoro personale al pagamento per la sua liberazione. Non è vero, zio Johannes?”

“Senza dubbio,” rispose costui, che pareva affetto dalla stessa forma di mal di denti di cui sembrava soffrire il comandante Lance.

Mastro Valdemar si avvicinò alla balconata.

Dritti davanti al resto dei cacciatori, Gerda e Tales alzarono gli occhi sul loro Mastro.

“Comportatevi come Grigi.” Fu la raccomandazione che ricevettero. “E abbattetele senza pietà.”

Gerda si portò una mano al petto mentre si inchinava. “Aye, Mastro Valdemar.”

“Mi raccomando Gerda Rei: nessuna distrazione.” Questa volta a parlare era stato Corin, in piedi come sempre accanto al Mastro.

“Ci puoi contare capo.”

“Sbalorditivo.” Anche la contessa di Chiras sembrava voler dire qualcosa. Tales dovette sforzarsi per non mugghiare esasperato. “Zio” Johannes li chiuse con una smorfia. “Sembrate un vero esercito, come i miei ragazzi a Chiras, sapete? Tutti quei bravi soldatini…” Ricordò con emozione malcelata. “Sono certa di potermi fidare di voi per togliere la duchessa dalle mani – dalle grinfie – di quelle bestiacce.”

“Avrà bevuto?” Mormorò qualcuno alle spalle del Minotauro, che in quel momento era incline a dare un parere positivo.

“Miei prodi cavalieri!” Catrina allargò le braccia e piume e nastri svolazzarono dal suo mantello fino a quello di Johannes, il quale iniziò a starnutire e si scostò con ribrezzo. “Che le mie modeste preghiere possano portare la misericordia degli dèi su di voi e sulla nostra impresa.”

Sotto di lei le Luci cercarono inutilmente di immaginare sua signoria con una balestra in mano.

“Andate!” Ordinò con un gesto teatrale.

Le Luci Grigie fissarono incerti Corin e Valdemar.

“Andate ragazzi miei e cercate di tornare interi.” Ricevuta la conferma del Mastro i Grigi iniziarono ad avviarsi fuori dal quartiere e dentro le gallerie, da dove sarebbero sbucati direttamente alle pendici di Colle Storto.

Catrina Miranda si voltò verso Mastro Valdemar. “Se non sbaglio si era parlato di vino la scorsa volta.”

“Avete un’eccellente memoria, mia cara.” Il vecchio agitò una mano respingendo sul nascere le proteste di Corin. “Vorreste degnarvi di cenare con questo rudere? Ovviamente l’invito è esteso anche al vostro caro zio.”

“Che esagerazione,” chiocciò la contessa, “siete ancora negli anni più interessanti della vita. Accettiamo con piacere” rispose ignorando il moto di esasperazione dello “zio” e afferrando il braccio che Valdemar le tendeva con galanteria – a dispetto della sua precaria capacità motoria.

“Spero che questo sia l’inizio di una proficua collaborazione.”

Tales, Gerda e il Guercio, i quali per monitorare la partenza erano rimasti tra gli ultimi, ebbero una fugace visione del loro Mastro che si allontanava a braccetto con la contessa in pompa magna e di Corin che, alle loro spalle, si metteva una mano davanti agli occhi con evidente sconforto.

“Hai capito il vecchio!” Fu il commento ammirato di Gerda prima di entrare nelle gallerie.

 

 

Impiegarono poco meno di un’ora per uscire alla luce del sole.

La boscaglia non nascondeva del tutto le ultime case di Colle Storto sopra di loro, edifici che parevano essere ancora in piedi solo per un intervento divino.

Carri e provviste li aspettavano alle pendici della collina assieme alla scorta di Chiras: peccato che Tales sapesse fin troppo bene che sotto le uniformi dei soldati si nascondevano le Schiere Rosse, protette da un incantesimo di dissimulazione di Rayla.

“Sei nervoso” osservò Petyr montando a cavallo.

“Ti sbagli.”

“Sei nervoso e cerchi di non mostrarlo.” Il Guercio alzò un sopracciglio. “L’esercito era composto da vitellini come te?”

“Non eri tu ad avere dubbi su questa spedizione?”

“Ormai è tardi per averne.” Petyr si strinse nel mantello. “Che mi piaccia o meno siamo a bordo. Tanto vale issare le vele.”

Tales rifletté che quel principio era valido pure per lui. Eppure non riusciva a reprimere il senso di colpa e il disagio per ciò che sapeva sarebbe successo di lì a poco. Poteva solo sperare che almeno il Guercio e Gerda riuscissero a scampare ai colpi dei Rossi.

“Puoi sempre tornare indietro, o scappare.” Il moncherino gli prudeva ma si trattenne dal passarci le unghie. “Ti capirei se lo facessi.”

“Sono un cacciatore.” L’occhio sano dell’altro esprimeva tutto il suo pensiero. “Scappare di fronte a una preda non è un’opzione.”

“Nemmeno se la preda fosse impossibile da catturare?”

“Sarebbe la prima volta.” Gerda si affiancò al Minotauro. “Se stai pensando di disertare, Monco…”

“Per nulla!” Si affrettò a negare Tales. La cacciatrice gli scoccò un’occhiata dubbiosa.

“In marcia allora.” Il Guercio sfiorò il ventre del cavallo con gli arcioni e partì al galoppo.

 

 

“Davvero un vino eccellente,” si complimentò Catrina Miranda servendosene un altro bicchiere. “Degno dell’attesa.”

“Mi fa piacere che sia di vostro gradimento.” Mastro Valdemar era stato particolarmente allegro per tutta la durata del pranzo. “Non capita spesso a un vecchio come me di ricevere ospiti della vostra portata.”

La – finta – contessa arricciò le labbra. “Siete troppo modesto, Mastro Valdemar.”

“Zio” Johannes, che per tutta la durata del pasto aveva aperto bocca sì e no tre volte, sbuffò irritato.

“Qualche problema, zio?”

“A parte il tempo che sto perdendo?”

“Il tempo.” Mastro Valdemar sospirò. “Come passa velocemente: giorni che diventano mesi, mesi che diventano anni… Alla mia età si finisce per non farci più caso.”

“Non tutti sono nella vostra posizione” replicò Johannes secco. “Per alcuni il tempo è ancora fondamentale, fossero anche pochi minuti.”

“Vi capisco, vi capisco,” annuì il vecchio Mastro, “e mi scuso per essermi dilungato.”

“Niente affatto!” Catrina Miranda sorrise. “Potrei rimanere ad ascoltarvi per ore gustando questo nettare delizioso.”

“Peccato che tutto debba giungere a una fine, mia cara.”

Il calice che la contessa stava portando alla bocca si bloccò in aria. “Che cosa intendete?”

“La contessa di Chiras.” Mastro Valdemar si passò le dita sottili sul mento. “Un travestimento notevole: perfino le referenze erano ineccepibili. Le Schiere Rosse sono sempre più abili nelle loro messe in scena, devo concederlo.”

Con un sospiro Cecilia posò il calice. “Lo avete sempre saputo.”

“Ovviamente, mia cara.” Il vecchio le sorrise condiscendente. “Ho apprezzato comunque la tua interpretazione.”

 

 

“Stiamo per uscire dai confini di Colle Storto” annunciò il Guercio.

Secondo il piano stabilito con Rayla le Schiere li avrebbero attaccati non appena raggiunta la strada maestra, abbastanza lontani dalla città per impedire che le guardie del Sindaco intervenissero e abbastanza vicini da permettere al Minotauro di ritornare indietro per aiutare Cecilia.

“Io starò nelle retrovie.” Tales espirò profondamente. “Voglio controllare che a nessuno venga voglia di seguirci.”

“Posso farlo io” ribatté Petyr. “Tu sei il vice di Gerda in questa spedizione: dovresti stare con lei alla testa delle Luci.”

“Gerda è in grado di cavarsela da sola, come sai bene anche tu” tagliò corto Tales. L’attacco poteva iniziare da un momento all’altro: si trattenne dallo scrutare i boschi attorno a loro alla ricerca di sagome nascoste tra il fogliame.

“Ti ringrazio, Monco.” La cacciatrice era comparsa alle loro spalle. “Sembra che Petyr abbia sempre qualche problema a ricordarsene.”

“Ho mai detto il contrario?” Esplose il Guercio.

“No, ma ti comporti come se dovessi salvarmi da un drago” commentò lei.

“Sono i draghi che dovrebbero fuggire da te.”

Il battibecco sembrava sul punto di trasformarsi in un litigio: il Minotauro decise di approfittarne e di retrocedere alla coda del gruppo.

“Come mai hai così tanta voglia di stare in fondo, Monco?” Gli chiese Gerda a bruciapelo. “Forse c’è qualcosa che non vuoi dirci?”

Tales si bloccò.

“Non ci volevo credere.” Con un unico movimento di briglie il Guercio portò il suo cavallo dietro Tales impedendogli la ritirata. “Tuttavia il comandante aveva ragione.”

“Eri uno di noi.”

Eri.

A un cenno di Gerda le Luci estrassero le armi e si gettarono sui componenti della finta scorta di Chiras mentre il Guercio teneva Tales sotto tiro con una balestra.

“Avrei davvero voluto cacciare le Sfingi con te” sospirò la cacciatrice.

“Invece ti toccherà perdere l’altro braccio e la vita assieme alla tua finta contessa” concluse il Guercio. “E io che mi ero pure affezionato a un traditore.”


N.d.A: Soundtrack qui: https://www.youtube.com/watch?v=Qk7UE65iGwk

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Capitolo 8
*** Simphony ***


Cap. 8 Simphony


 

“Lo avete sempre saputo” ripeté Cecilia. “Tuttavia avete continuato a fingere: volevate avermi qui in vostro potere,” dedusse rapidamente, “e volevate anche le Schiere.”

“Un vero peccato non avervi dalla mia parte, mia cara.” Mastro Valdemar sembrava davvero afflitto al pensiero.

“Perché?”

“Per distruggere finalmente le Schiere Rosse e Mastro Sael.”

Cecilia sbuffò. “Avreste potuto farlo molto tempo fa. Perché servirvi di me?”

“Le Schiere sono sempre state caute: questa era l’occasione perfetta per averli tutti in mio potere.”

“State mentendo di nuovo.” La faerie cercò di prendere tempo: non sapeva che cosa avesse preparato Valdemar per lei, ma forse non aveva calcolato la presenza di Johannes. Un Princeps Alchimista al quale doveva una Medusa: questo era il momento di intervenire per proteggere il suo investimento, Cecilia sperò lo capisse in tempi brevi. “Anche distruggendo le Schiere ci sarà sempre una Gilda pronta a prenderne il posto: siete troppo intelligente per non averci pensato. A meno che…”

Un pensiero le trapassò la mente, in ritardo.

“Continuate.”

“A meno che la fine delle Schiere non diventi un monito per ogni altro cacciatore che decida di mettersi contro di voi, Sindaco compreso.” Sentiva la testa farsi pesante.

“Sono sempre più dispiaciuto di non potervi avere tra le Luci.”

Il Mastro sorrideva e Cecilia si ritrovò a capire il perché della paura che quel vecchio incuteva a chiunque lo avesse conosciuto. Era il sorriso di un bambino che non fa differenza tra accarezzare un gatto e strappargli la coda, perché apprezza in ugual modo le fusa e i miagolii di dolore. Il sorriso di una persona lucida e amorale.

“Sembrate non avere dubbi su questo punto.” Radunando le forze che scemavano la faerie pestò un piede a Johannes, il quale si limitò a scostarlo con una smorfia.

“Vedete, mia cara, c’è già qualcuno che vi reclama.”

“Avrei preferito qualcuno di meno rumoroso.” Princeps Johannes si alzò dal tavolo proprio nel momento in cui Cecilia vi crollava per effetto del filtro che le aveva versato nel bicchiere. “Tuttavia una volta trasformata in Medusa andrà benissimo.”

“Voi…” Cecilia cercò di parlare. “Avete perso la vostra tenuta… Non siete in grado di trasformare nemmeno il piombo… In oro…”

“Esatto!” Sbottò Johannes. “Per questo sono dovuto venire fin qui: ho perso tutto.” Sollevò la faerie per i capelli senza che lei potesse opporre resistenza. “Compresa la mia pietra filosofale: la mia vita finirà tra qualche giorno.” Fissò Cecilia con rabbia. “Tu sei responsabile del disastro, tu diventerai la mia Medusa per l’eternità.”

“È stata una buona occasione per rivederci dopo tanto tempo, Princeps.” Mastro Valdemar schioccò le dita e alcune Luci entrarono nella sala per prendere in consegna Cecilia. “Ho finalmente potuto ricambiare il favore per quella vecchia faccenda.”

Johannes recuperò la calma. “Ed io sono lieto di vedere che i risultati di quel mio piccolo esperimento siano stati positivi: quanti anni sono passati? Più di cento? E siete invecchiato come se ne fossero passati venti: l’alchimia è più stabile della magia nel caso di una Medusa legata a un padrone. Anche se questa volta non potrò agire di persona e dovrò affidarmi proprio alla magia.” Storse la bocca.

“Avevo ragione allora.” Cecilia riuscì a sorridere. “Siete voi, Mastro Valdemar… La lunga vita… Le gallerie… Tutto torna: siete voi il padrone della Medusa… Di Helena.”

“Helena…” Il Mastro assaporò il nome sulla lingua. “Da quanto tempo non sentivo pronunciare il suo nome: è stata colpa sua, sapete?” Incontrò lo sguardo di Cecilia. “Se non avesse cercato di lasciarmi… Sfortunatamente non è il momento per i ricordi.” Un altro schioccò di dita e questa volta le Luci che entrarono portavano con loro Corin Lance, le cui mani erano legate dietro la schiena. “Abbiamo visite.” Valdemar si alzò traballando. “Dobbiamo accogliere Mastro Sael con tutti gli onori se vogliamo che si presti alla nostra piccola trasformazione.”

 

 

Quando Tales vide Rayla Sael sul balcone del Mastro e buona parte delle Schiere nello spiazzo antistante, per un istante credette che il piano fosse andato a buon fine nonostante tutto.

Capì che la situazione era ben diversa vedendo che non solo le Schiere erano tenuti sotto tiro da quasi l’intera Gilda delle Luci Grigie – che era evidente fosse riuscita a sopraffare la finta scorta di Chiras e tornare indietro in tempo per accerchiare i Rossi in missione – ma che sia Rayla che Corin erano legati e nelle mani della guardia personale di Valdemar e che il corpo di Cecilia era stato buttato a terra accanto alla balaustra senza nemmeno sprecare lacci o corde per immobilizzarla.

“Che storia è questa?” Gerda spalancò gli occhi al vedere il comandante imprigionato e si mosse verso il balcone. Il Guercio riuscì a fermarla ma anche lui pareva sbalordito.

Che cosa stava succedendo?

“Ho sempre pensato che fosse un incantesimo interessante: morire alla morte dell’altro.” Il Mastro stava ridacchiando come al solito ma questa volta Tales sentì brividi corrergli lungo la spina dorsale fino alla punta della coda. “Aspettavo da anni un’occasione per poterlo sfruttare.”

“È per questo che mi avete accolto tra le Luci Grigie?” La voce di Corin esprimeva tutta l’amarezza e la rabbia di chi viene tradito da un familiare.

“Certo.” Il Mastro sembrava stupito dalla domanda. “Forgiare un buon comandante è facile ma un’esca per un futuro Mastro,” guardò Rayla gongolando, “non lo è per niente.”

 

 

“Dovresti svegliarti.” La voce di Helena veniva da molto lontano. “Prima che sia troppo tardi.”

Cecilia sentiva la propria testa pesante, ovattata. Sarebbe stato bello stendersi e dormire, sognare per un po’, smettere di affrontare problemi che ogni volta diventavano più grandi del previsto.

Una folata di vento – o almeno qualcosa che vi assomigliava molto – le attraversò la mente, spazzando via il sonno e l’effetto del narcotico alchemico.

“Svegliati.” Furono le parole di Helena. “Prima che risveglino me.”

 

 

“Ho bisogno di tempo.” Rayla era pallida ma manteneva la sua aria fiera. “Tipico di un alchimista credere che la magia possa risolvere tutto in tempi brevi” fu la frecciata verso Johannes.

“Niente scuse, strega.” L’alchimista sbatté il bastone sulla balaustra scolpita nella pietra. “Fallo adesso.”

“Non farlo.” Corin parlò con voce sicura. “Anche se dovessimo morire: non farlo.”

“Ah, ma questo è il punto di tutta la questione.” Mastro Valdemar sfiorò la guancia di Rayla con le dita incartapecorite. “Lei vuole farlo. Non è così, ragazza mia?”

Gerda seguiva la conversazione senza perdere una parola così come tutte le Luci, notò Tales. A giudicare dalle loro espressioni imprigionare Corin Lance non sembrava essere stata una mossa lungimirante da parte del vecchio Valdemar. “Vuole evitare la morte fino a questo punto?”

Guardano il viso di Rayla il Minotauro finalmente capì quale fosse il tassello mancante. “Penso sia per il motivo opposto.” Sia il Guercio che Gerda trattennero il fiato. “Mastro Sael farà qualsiasi cosa per impedire che il comandante muoia.”

Rayla continuava a esitare. “Ci lascerai andare?” Domandò a Mastro Valdemar indicando le Schiere.

“Chissà.”

“Non lo farà mai.” Era di nuovo Corin. Il bastone di Valdemar calò rapido sul suo viso: il colpo lasciò una striscia rossa sul viso del comandante e il brusio che proveniva dalle Luci aumentò.

“Stiamo negoziando la tua vita e quella della persona con cui a quindici anni hai stretto un patto, rinunciare a sopravvivere se lui fosse morto. E viceversa.”

“Taci” sibilò la maga ma il Mastro continuò.

“Mastro Helga era furiosa: la sua erede designata che mette in pericolo anni di addestramento per un ragazzino qualunque. Non potendo ucciderlo si limitò a fare l’unica cosa sensata: rinchiuderlo dopo avergli inflitto una buona dose di dolore.”

“Puro buonsenso” borbottò Johannes.

“Peccato che il ragazzino inizi a odiare l’erede designata, incolpandola di tutto, e che quest’ultima decida di liberarlo,” Mastro Valdemar rise, “e di spedirlo nel luogo più sicuro per lui con ogni mezzo, anche facendosi odiare tanto da spingerlo a unirsi ai nemici storici delle Schiere.”

“Lo hai fatto per questo?” Corin dovette alzare la voce per farsi sentire, dato che il brusio tra Luci e Schiere era diventato una cacofonia di voci sovrapposte. “Mi hai scacciato per tenermi al sicuro?”

Rayla non rispose.

“Stiamo perdendo tempo!” Sbottò Johannes. “Tu, strega,” si rivolse alla maga, “dammi la mia Medusa adesso.”

“Ho un ottimo metodo per affrettare il processo.” Valdemar puntò il bastone a terra. “Risvegliati,” ordinò al vuoto, “E vieni qui.

 

 

La prima cosa sbagliata fu il tremore nelle pareti di roccia attorno a loro, talmente forte che per un attimo Tales credette a un terremoto.

Le lanterne che illuminavano l’ampia caverna oscillarono tutte assieme per effetto del vento improvviso che proveniva dalle gallerie, precisamente dai corridoi che portavano alla parte inesplorata del labirinto di cunicoli.

Nel panico le Luci e le Schiere, abbandonando i rispettivi ruoli di carcerieri e prigionieri, si lanciarono verso le uscite ma non riuscirono a muovere un passo.

Tales sentì il proprio respiro farsi pesante: faticò a riconoscere la sensazione di oppressione al petto – era la paura della preda di fronte al predatore.

Tutto si fermò.

Mastro Valdemar rise.

Quello fu il momento che Cecilia scelse per rinvenire e saltare in piedi.

“Chiudete gli occhi!” Riuscì a urlare, ma era troppo tardi.

All’imboccatura di una galleria era comparsa la Medusa.

 

 

“Chiudete gli occhi! Non guardatela in faccia!” Cecilia capì di essere in ritardo non appena gridato l’avvertimento.

Dalla propria postazione riusciva a vedere la Medusa – Helena – solo in parte: il corpo deforme e scolorito, gli artigli da cui grondava il sangue delle Schiere e delle Luci che trovava sul suo cammino.

Schivando le mani di Johannes, contrariamente a ogni buonsenso scavalcò la balaustra e si precipitò verso la creatura.

“Dove credi di andare?” Le urlò Tales parandosi davanti a lei.

“Monco, che cosa credi di fare?” Dietro di lui si materializzarono Gerda e Petyr. “Dobbiamo andarcene da qui!”

La faerie prese lo slancio e si issò sulle spalle di Tales, ignorandoli. “Vado a risolvere il problema” li informò saltando su un tavolo per evitare la fiumana di cacciatori in fuga. “Voi!” Il Guercio e Gerda si immobilizzarono. “Aiutate Tales a liberare Mastro Sael e quel vostro comandante Lance prima che sia troppo tardi.”

“Hai un piano?” Chiese il Minotauro.

“No.”

“Ci farai ammazzare tutti!”

“Perché nessuno si fida mai di me?”

“Sarebbe lei il motivo per cui ci hai traditi?” Proruppe Gerda guardando la faerie allontanarsi. “Hai rifiutato me per una pazza scatenata?”

Il Guercio alzò l’occhio al cielo. “Sbrighiamoci. Se devo morire, voglio farlo in fretta.”

 

 

Era un’idea folle e Cecilia ne era pienamente consapevole.

Non erano più nel mondo dei sogni: quella era la realtà e in essa Helena era niente di più che un mostro assetato di vendetta e privo di ragione.

Eppure doveva provare lo stesso.

Correndo verso il punto da cui tutti scappavano Cecilia si concentrò sui momenti trascorsi con Helena: rievocò le loro conversazioni, i loro baci, ogni cosa.

Ormai si trovava alle spalle della Medusa: attorno a lei i corpi pietrificati di Luci e Schiere le indicavano quale sarebbe stata la sua sorte di lì a poco.

“Helena!” Urlò con la voce e con la mente.

La Medusa si girò.

 

 

Tales si faceva strada tra i cacciatori in fuga tallonato dal Guercio e da Gerda.

“Non li troveremo mai!” Gridò quest’ultima sovrastando il frastuono. “Potrebbero essere ovunque.”

“Mastro Valdemar può controllare quella creatura” ragionò il Guercio. “Non fuggirà assieme agli altri.”

“Cecilia doveva essere trasformata.” Tales raggiunse finalmente il balcone del Mastro, ormai vuoto e si addentrò nelle sale di pietra. “A Princeps Johannes rimaneva poco tempo: avranno bisogno di qualcun'altra per completare l’incantesimo…”

“Sapevo mi saresti stato utile, schiavo.” Prima che Tales potesse reagire Johannes, comparso dal nulla, aveva afferrato Gerda e le aveva puntato un pugnale alla gola. Mastro Valdemar apparve dietro di lui assieme a due uomini della sua guardia privata che portavano Rayla e Corin.

“Ottimo lavoro, Monco.”

Il Guercio emise un suono strozzato. “Quando avrò finito con te vorrai non essere mai nato” minacciò rivolto all’alchimista.

“Lasciatela andare!” La striscia di sangue che comparve sul collo della cacciatrice dissuase Tales dal fare un ulteriore passo avanti

“Procedi, strega, se vuoi che il tuo amico rimanga in vita e tu con lui.”

Rayla guardò Corin e alzò una mano iniziando a pronunciare un incantesimo.

Il Guercio si lanciò verso di lei a spada tratta: le guardie di Valdemar gli sbarrarono la strada ma Petyr rispondeva colpo su colpo con la disperazione di chi non ha più nulla da perdere.

La maga continuò a recitare parole arcane: sia lei che Corin caddero sul pavimento.

Vedendo una possibilità Tales lanciò la propria ascia su Johannes: per schivarla l’alchimista lasciò andare Gerda e si gettò di lato, rovinando addosso a Mastro Valdemar.

La testa del Mastro sbatté contro la parete di pietra.

 

 

La Medusa aveva chiuso gli occhi.

“Helena.” Cecilia sussurrò il nome come una preghiera.

I serpenti sulla testa della Medusa sibilarono sputando veleno e sangue.

In quel momento tutto si fermò di nuovo.

Uccidimi.

L’immagine di Helena, la ragazza accanto al lago, riempì la mente di Cecilia.

Uccidimi prima che lui riprenda il controllo.

Cecilia estrasse la propria daga e la portò davanti al viso.

La Medusa aprì gli occhi: il suo sguardo si riflesse nella lama d’acciaio, che si ruppe in mille pezzi.

Grazie.

Helena morì, dissolvendosi in polvere di pietra.

 

 

Mastro Valdemar si rialzò in piedi. “Tu!” Artigliò le dita attorno al collo di Johannes mentre la sua pelle iniziava lentamente a trasformarsi in polvere.

L’alchimista cercò di liberarsi dalla presa ma Valdemar sembrava impossibile da smuovere. “Vecchio idiota, lasciami andare o moriremo entrambi!” Le pieghe di pelle del collo di Johannes si colorarono di grigio, proprio come la pelle di Valdemar. “Lasciami!” Urlò di nuovo l’alchimista ma ormai era troppo tardi.

I due vecchi si rattrappirono mentre la loro carne si frantumava in pulviscolo grigio, lasciando scoperti ossa e muscoli che a poco a poco si dissolvevano nello stesso modo.

Le urla di Johannes furono le ultime a svanire.

“Gerda!” Il Guercio ne aveva approfittato per finire le guardie con l’aiuto di Tales e ora stringeva il corpo inerte della cacciatrice. “Gerda!”

“Piantala di perforarmi i timpani.” La cacciatrice socchiuse gli occhi e portò una mano alla gola ferita. Petyr la fissò senza parlare: con un unico movimento la strinse a sé e la baciò con trasporto.

Da quel che Tales poteva vedere, a Gerda la cosa non dispiaceva per nulla.

Imbarazzato tossicchiò e si grattò il moncherino del braccio, accorgendosi che sul palmo della mano rimastagli non vi era più nessuna traccia del Nero.

La morte di Johannes doveva aver posto fine a ogni sua opera.

“Credo che dovremmo uscire di qui.” Un corvo si appollaiò sulle sue corna.

“Sei viva!”

Cecilia gracchiò. “Perché tutti si stupiscono sempre?”

Tales notò che il suo becco era più lucido del solito, come se fosse stato bagnato con acqua.

“Che cosa è successo?”

Il corvo non rispose.

Le scosse ormai erano sempre più ravvicinate e la caverna sembrava sul punto di crollare da un momento all’altro.

Altri corvi svolazzarono nella sala e becchettarono Gerda e Petyr, i quali sembravano aver perso la cognizione del tempo. “Dobbiamo andarcene prima che crolli tutto!” Crocidarono con foga.

“Dove sono Rayla e Lance?”

Il Minotauro si voltò verso la maga e il comandante e si bloccò.

 

 

“Come è successo?” Chiese il Sindaco.

La luce del tramonto era accecante. Tales sbatté le palpebre bovine cercando di riadattare la vista dopo l’oscurità delle gallerie. Il rombo sotto i suoi piedi indicava che i giorni del quartier generale delle Luci Grigie si erano ormai conclusi.

Le Schiere e le Luci superstiti avevano formato un semicerchio nella piazza davanti al palazzo del Sindaco.

Cecilia, di nuovo in forma di donna, guardò Rayla stesa a terra. Le mani di Corin erano ancora strette a quelle inerti di lei.

“Testarda come sempre” sussurrò chinandosi a chiudere gli occhi dell’amica. “Piuttosto che cedere hai preferito morire.”

Corin alzò la testa. “Perché?”

Tales capì che era una domanda alla quale il comandante non poteva aver risposta, perlomeno non da lui.

“Perché sei vivo? O perché lei è morta?” Replicò Cecilia. “Se tu muori, io muoio con te. Se io vivo, vivrò assieme a te” citò. “Gli amanti di Terranera. La promessa d’amore del secondo atto: quell’incantesimo… L’avete deciso assieme?”

“Eravamo ragazzi.” Corin parlava con aria assente. “Avevamo trovato quel libro nella biblioteca di Mastro Helga. Lei era tutto per me ed io per lei: ci sembrò l’unica promessa degna di essere fatta.”

“Non è mai stato un incidente.” Il Sindaco sembrava invecchiato di colpo.

Cecilia lo guardò scuotendo la testa. “Una promessa d’amore non è mai un incidente.”

“Se solo…” Tales sospirò: l’esercito lo aveva abituato alla morte, all’incapacità di trovare una ragione al lutto, eppure ogni volta era come la prima. In fin dei conti era quello, e non il braccio mancante, il vero motivo per il quale aveva lasciato la vita militare.

 

 

“Se solo avessimo fatto più in fretta.”

“L’incantesimo poteva essere modificato ma non annullato.” Cecilia ricordò le parole di Rayla. “Credo che non ci sia mai stato un modo per far vivere entrambi senza di esso. Rayla credeva che Corin la odiasse, per cui ha deciso di liberarlo dalla promessa e di morire per non dover vivere senza quel legame.”

“L’ho odiata.” La voce del comandante era spenta. “L’ho odiata perché non riuscivo a odiarla. L’ho odiata perché l’amavo ancora.”

“Testardi tutti e due.” Cecilia guardò i palazzi e le finestre storte illuminate dai raggi rossi del tramonto. “Il vero motivo per cui le storie d’amore falliscono.” Si incamminò verso una rampa di scale passando accanto a Petyr e Gerda, il braccio dell’uno attorno alla vita dell’altra.

A un cenno del Sindaco le Schiere Rosse sollevarono il corpo di Rayla per portarlo all’interno del palazzo, seguiti da tutti i restanti cacciatori. Il destino delle due Gilde sarebbe stato deciso in seguito, non in quella notte.

Il Minotauro richiamò indietro la faerie. “Dove andrai?”

Cecilia alzò una mano per ripararsi dagli ultimi raggi del tramonto. Il palmo era vuoto, nessuna spirale nera.

L’immagine di un lago circondato da un prato fiorito le attraversò la mente.

Helena.

“A mantenere una promessa.” Nella luce che svaniva il suo corpo sembrava sfocato, tremolante. “Alla caccia di un sogno.” La sua immagine si spezzò e uno stormo di corvi prese il volo svanendo tra le nuvole della sera.


N.d.A.: Soundtrack del capitolo finale (e che aveva ispirato un po' tutto) qui: https://www.youtube.com/watch?v=aatr_2MstrI
Mi scuso per l'anno di stallo e ringrazio chi ha continuato a seguire/chi ha dato un'occhiata random a questa storia. 
Spero di riuscire a riprendere questi personaggi in futuro nonostante tutto.
Grazie!

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