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di Andrws
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I – Nebbia di Guerra ***
Capitolo 2: *** II – Predestinati! ***
Capitolo 3: *** III – Addio ***
Capitolo 4: *** IV – Rinforzi dorati ***
Capitolo 5: *** V – L'invincibile Achille ***
Capitolo 6: *** VI – Punizione Divina ***
Capitolo 7: *** Capitolo Speciale – Achille e Briseide I ***
Capitolo 8: *** Capitolo Speciale – Achille e Briseide II ***
Capitolo 9: *** VII – Pegasus no Gyon ***
Capitolo 10: *** VIII – Il potere concesso solo agli Dei ***
Capitolo 11: *** IX – Attacco al Tempio ***
Capitolo 12: *** X – Il Traditore ***
Capitolo 13: *** XI – Ambrosia ***
Capitolo 14: *** XII – Briseide ***
Capitolo 15: *** XIII – Il maestro dell'inganno ***
Capitolo 16: *** XIV – La tecnica che offese due Dei ***
Capitolo 17: *** XV – La luce del Sacrificio ***
Capitolo 18: *** XVI – Le Catene dell'Esilio ***
Capitolo 19: *** XVII – L'anello della distruzione ***
Capitolo 20: *** XVIII – Kamui ***
Capitolo 21: *** XIX – I profughi di Mu ***
Capitolo 22: *** XX – Il piano di Efesto ***
Capitolo 23: *** XXI – La Daga Deicida ***
Capitolo 24: *** XXII – Sanctuary ***
Capitolo 25: *** XXIII – Il Gigante degli Inferi ***
Capitolo 26: *** XXIV – Il Portale Oscuro ***
Capitolo 27: *** XXV – Consiglio di guerra ***
Capitolo 28: *** XXVI – Partenza ***
Capitolo 29: *** XXVII – Reminiscenze ***
Capitolo 30: *** XXVIII – Verso MU: Approdo a Tikopia ***
Capitolo 31: *** XXIX – Oltre i Dardanelli ***
Capitolo 32: *** XXX – La storia di Pentesilea ***
Capitolo 33: *** XXXI – Super Sensi ***
Capitolo 34: *** XXXII – Ischys ***



Capitolo 1
*** I – Nebbia di Guerra ***


I – Nebbia di Guerra


L’alba rischiarò come ogni giorno il fiorente villaggio di Rodorio, a quell’epoca meta di pellegrinaggio di tutta la Grecia, vista la vicinanza con il Tempio di Athena. Il giovane Gyon svegliato dalla crescente luce, si alzò e come ogni mattina controllò i suoi fratellini, Kyros e Delios. Sciacquatosi il viso, indossò la sua collana conservata gelosamente, col cui ciondolo giochicchiava in continuazione fin da quando ne aveva memoria.
–––
Il ciondolo era l’unica cosa che possedeva da sempre, da prima di quell’incidente in cui perse la memoria.
I suoi fratelli ancora piccoli, non sapevano nulla che lo potesse aiutare a ricordare. Furono trovati sul ciglio del sentiero principale che conduceva a Rodorio, sepolti dalle macerie. Evidentemente qualunque cosa li avesse colpiti aveva distrutto il loro carro, facendolo andare fuori strada e ucciso i loro genitori.
I tre senza nome furono trovati da una bambina, Eiren che insieme alla gente del villaggio si era presa cura di loro. Scelse infatti il nome di Gyon da quel ciondolo, su cui vi era inciso un nome su ogni lato. Sul retro del ciondolo vi era inciso il nome “Seiya”.
Da quel giorno ormai erano passati una decina di anni, e non passava momento che Gyon non si sforzasse di ricordare. Nonostante l’amnesia, a Rodorio vivevano una vita tranquilla e felice, seppure non estranea alle difficoltà, soprattutto quando iniziò la guerra tra Athena e Poseidon. Eiren era stata portata via qualche tempo prima da un guerriero di Athena, in modo che diventasse una delle ancelle della Dea. Solo quando Gyon si intrufolò per la prima volta al Tempio scoprì che in realtà Eiren stessa era Athena.
–––
Il sole era sorto da poco quando uscì di casa per andare a cercare qualcosa per la colazione. Giunto in strada vide diversi carri, scortati da soldati a cavallo entrare al villaggio. Non gli ci volle molto per capire che si dirigevano al Tempio. Prese quindi un cavallo e li seguì incuriosito.
Arrivati lì, dopo pochi minuti a cavallo, si nascose per non farsi vedere dalle guardie che ormai lo conoscevano per i ripetuti tentativi di intrufolarsi. Vide, dal suo nascondiglio, che dal primo carro scese un uomo di media altezza molto robusto, che per come veniva trattato, doveva essere il capo, insieme ad altri due uomini: uno che gli somigliava anche se alto, e l’altro più vecchio e magro. Dagli altri carri scesero altri uomini, sempre serviti e riveriti dai soldati come se fossero re, che raggiunsero l’inizio della scalinata, dove erano i primi tre uomini.
All’entrata del Tempio, alla fine della scalinata, c’era Neven dell’Ariete fedelissimo Generale di Atena. Alla sua destra e un passo indietro c’era lei, Eiren, o meglio Atena, con un vestito bianco e una coroncina d’oro poggiata sui lunghi capelli lilla. Teneva in mano il suo scettro, e al polso sinistro quattro braccialetti, ognuno con un nome inciso. Un’espressione agguerrita nascondeva il suo solito volto trasparente di dolcezza, quasi fosse adirata per qualcosa, ma dietro quella facciata Gyon riusciva a vedere quanto era in realtà nervosa e preoccupata. Non ne sapeva i motivi, ma di lì a poco li avrebbe scoperti. Ai suoi lati c’erano altri due Cavalieri d’oro, che Gyon non aveva mai visto. Dalle Armature dedusse che erano i Cavaliere del Cancro e della Vergine.
Il primo uomo sceso dalle carrozze, s’inginocchiò, e di seguito tutti quelli radunatisi dinanzi alla scalinata, dietro di lui.
Allora Neven disse: “Quale evento porta il Re dei Re dinanzi ad Atena?”.
«La guerra… Cavaliere dell’Ariete… solo la più grande guerra che il mondo abbia visto da quando né ha memoria!» – rispose Agamennone e continuò rivolgendosi alla fanciulla
«Mia Dea, ho portato qui dinanzi a te quasi tutti i re di Grecia, per chiedere la benevolenza degli Dei per il viaggio e la guerra che stiamo per affrontare! Ti preghiamo di fare in modo che il minor numero possibile di soldati perisca in questa epocale impresa. Fa che il sacrificio di ogni soldato, perito in battaglia, sia assolutamente necessario per la vittoria. Fa che i soldati ritornino presto, sani e salvi, dalle famiglie!»
Senza far passare neanche un secondo, rispose:
«Dovrei forse essere impressionata dall’avere quasi tutti i Re di Grecia inchinati davanti a me? Non è devozione la vostra, ma convenienza piuttosto!»
«Oh Re dei Re, non chiedere a me di realizzare queste tue “nobili” speranze quando tu stesso hai il potere di realizzarle. Stai iniziando tu questa guerra. Migliaia di uomini, sia Greci che Troiani, periranno e nessun Dio potrà impedirlo e tutto ciò solo per la cieca ambizione di un Re e il disonore del fratello. Non prendermi per sciocca! Vuoi solo usare i Cavalieri per conquistare Troia. In ogni caso non posso impedire a nessun Cavaliere di combattere per la patria, sia essa un regno di Grecia o Troia, ma potranno farlo come uomini liberi e non come miei Cavalieri. Per questo le Armature rimarranno qui al Tempio. Se hai altre cose da chiedere prima di partire per Troia rivolgiti a un Dio più adatto, ora lasciate queste terre!»
Il silenzio perdurò qualche secondo fino a quando Agamennone si alzò, prontamente seguito dai i Re dietro di lui, dopodiché:
«Mia Dea voi mi stupite! Non per niente siete la Dea della saggezza! Tuttavia, non posso ancora andarmene! Sono qui anche per chiedervi di consegnarmi, i Cavalieri Troiani, e le loro Armature, oltre che le Armature ancora libere. Già i miei migliori soldati stanno setacciando Rodorio, e le abitazioni nei dintorni del Tempio!»
«Come osi rivolgerti ad Atena in questo modo? Con quali diritti avanzi tali pretese?»
Replicò un non molto calmo Neven, che, quando ancora non aveva finito di parlare, si trovò già alle spalle di Agamennone.
«Un capello! Persino un fiore fuori posto qui al Tempio o a Rodorio e …»
Subito i soldati accorsero per attaccare il Cavaliere dell’Ariete che rimase immobile. Decine di spade e lance si spezzarono, infrante da un muro, fatto come di cristallo, che avvolgeva il Cavaliere dorato.
«Ora Basta Neven!» – gridò Atena – «Non vi è ragione di combattere. Re di Grecia! Mi rivolgo a tutti voi, nessuno dei Cavalieri Troiani è al Tempio, sono tutti rimpatriati, non avete motivo di stare qui! Lasciate in pace la gente innocente del villaggio e andatevene!»
Dopo neanche un secondo il muro cristallino attorno a Neven scomparve, e insieme ad esso il Cavaliere stesso, riapparso di nuovo al fianco di Atena.
Gyon non appena sentì, che i soldati erano a Rodorio, prese il suo cavallo e tornò al villaggio sperando che non fosse successo nulla ai suoi fratelli, ma arrivato a metà strada, vide del fumo alzarsi in cielo, perciò si affrettò, ma era già troppo tardi. La gente scappava mentre le fiamme dilagavano in tutto il villaggio. L’aria era irrespirabile. Tutte le case andavano a fuoco mentre lui cercava, disperatamente, tra la folla i volti dei fratelli gridando a squarciagola i loro nomi.
«Delioos! Kiroos!»
Arrivato difronte casa assistette ad uno spettacolo raccapricciante. Il tetto era crollato e la porta era bloccata cercò, invano, di liberare un passaggio, e disperato dal fallimento, chiese aiuto senza ottenerlo. La gente era spaventata e nella confusione pensava solo a mettersi in salvo.
«Gyooon, Gyooon!» – urlavano da dentro la casa crollata.
Erano vivi ma tossivano in continuazione e, incastrati, non riuscivano a liberarsi, figuriamoci uscire spostando i massi che bloccavano la porta.
«Delios, Kiros! Calmatevi, andrà tutto bene, ora proverò a sfondare la porta e vi tiro fuori. Dovete solo restate svegli il più possibile!»
Gyon prova e riprovava a sfondare la porta ma era bloccata dai detriti. In lacrime, disperato e spaventato ripeteva ai fratelli di restare svegli, ma già da un po’ non li sentiva più, né parlare né tossire.
«No! No! Dovete svegliarvi!» – ripeteva gridando.
Non rispondevano più già da qualche minuto, mentre il senso di impotenza e la rabbia crescevano in lui fino ad esplodere in urlo di disperazione. Gyon con tutta la sua forza colpì la porta con pugno che sembrò emanare una luce che disintegrò pure i massi che la bloccavano. Entrò nella casa in fiamme sperando di riuscire a salvare i fratelli. Uno dei fratelli era intrappolato fra due massi, accanto al tavolo che andava a fuoco, mentre l’altro era, parzialmente, sepolto dalle macerie. Riuscì a liberarli e a portali fuori ma non si risvegliavano. Dalla strada principale arrivava un ragazzo, che poteva essere più grande di lui di qualche anno, che lo soccorse. Mise le mani sul petto dei fratelli, poi una luce dorata li avvolse. Dopo meno di un minuto si risvegliarono.
«Grazie!» – ripeté più volte – «A chi devo la vita dei miei fratelli?»
«Il mio nome è Equos della Bilancia, Cavaliere di Atena. Ragazzo non mi devi niente, hai salvato tu i tuoi fratelli, ma a dopo le spiegazioni!»
«Tu sei il Cavaliere della Bilancia?»
«Si! Ora devo andare»
«Riuscite a muovervi?» – chiese a Delios e Kyros
«Si» risposero, vistosamente provati dalla situazione
«Grazie!» – gli urlarono mentre il dorato si allontanava.
Gyon, portati i fratelli fuori Rodorio, raggiunse Equos per aiutarlo a salvare gli abitanti del villaggio.
Salvate quante più persone possibile, il nobile Cavaliere, arse il suo cosmo e lanciò un attacco che assunta la forma di un tornado risucchiò l’aria dal villaggio, spingendola verso l’alto. Così spense l’incendio con un sol colpo.
«Wow!! Ma perché non l’hai fatto prima??» – chiesero stupiti gli abitanti del villaggio
«Non potevo rischiare che durante l’attacco l’eventuale crollo di case potesse uccidere chi vi era intrappolato o stava passando di lì»
Estinto l’incendio, iniziò a costruire, aiutato dagli sfollati e da altri Cavalieri accorsi in aiuto, un accampamento di fortuna poco fuori il villaggio.
Finito il grosso del lavoro si diresse verso il Tempio con molte donne e bambini, per offrir loro un riparo più sistemato. Insistette per portare Gyon con sé, che desideroso da tempo di essere un Cavaliere, non fece tanta resistenza, si assicurò soltanto che i fratelli stessero bene.

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Capitolo 2
*** II – Predestinati! ***


II – Predestinati!

 
Una moltitudine di donne e bambini, con i visi palesemente provati dalla fatica, oltre che logori, seguivano il valoroso Cavaliere della Bilancia in cammino verso il Tempio ormai era vicino. Neven, vedendoli arrivare dalla finestra delle sue stanze, uscì seguito da un manipolo di Cavalieri e guardie per accogliere gli sfortunati. Il piano per fronteggiare l’incursione di Agamennone non era andato come sperava. I Cavalieri e le guardie condussero le donne e i bambini verso le abitazioni rimaste vuote, dopo la partenza dei compagni per la guerra. Equos, disse a Gyon di aspettare fuori dal Tempio e raggiunse il Generale all’entrata:
«Cos’è andato storto?» – gli chiese il Generale
«Siamo stati trattenuti!»
«Vieni, andiamo a parlare dentro!»
All’interno del Tempio, nella stanza di Neven c’era Athena, seduta in attesa del ritorno del Cavaliere. Appena entrarono, la Dea si alzò immediatamente, con volto preoccupato, d’altronde lei aveva percepito tutto quello che era successo. Equos, afflitto dai sensi di colpa, non si dava pace per gli avvenimenti di quella giorno e andare dinanzi alla divina Athena con quei sentimenti, gli faceva pensare di non essere più degno del titolo di Cavaliere. Quasi in lacrime, una volta entrato nella stanza, s’inginocchiò al cospetto della Dea, col viso visibilmente affranto per non aver portato a termine il compito assegnatogli.
«Mi dispiace, divina Athena! Ho fallito e così facendo ho anche tradito la vostra fiducia, non merito il titolo di Cavaliere d’Oro!»
Athena levò la mano verso di lui, toccandogli il viso. Gli sollevò il capo chinato in basso, lo guardò negli occhi e gli sorrise.
«Non disperare, mio nobile guerriero, non hai fallito! Hai protetto e salvato il villaggio, poiché esso è i suoi abitanti. Le case possono essere ricostruite e tutti i Cavalieri e le guardie, che sono rimasti, saranno felici di aiutarli. Quindi alzati, nobile Equos, e guarda dalla finestra quelle donne e quei bambini che hai salvato»
«Sono sani e salvi per merito tuo! Riesco a vedere la riconoscenza che provano nei tuoi confronti, per te che hai salvato le cose cui più tenevano! E non pensare che siano oggetti, o abitazioni, ma i loro cari!»
Rincuorato dalle parole della Dea, Equos si rialzò, asciugandosi due fili di lacrime che gli erano scese e si sedette.
«Allora, cosa vi ha trattenuto? Di chi era quell'enorme Cosmo che forse pure ai confini del mondo hanno percepito?» – chiese Neven, incuriosito.
«Siamo stati attaccati poco prima di arrivare al villaggio da un gruppo di soldati. Erano capeggiati da un guerriero robusto, alto e cosa straordinaria, forte e veloce quasi quanto me. il suo Cosmo era incredibile, di una ferocia inaudita ma anche nobile. Un nostro scontro avrebbe potuto durare anche cento, se non addirittura mille giorni. Gli altri soldati erano abbastanza forti da fronteggiare i Cavaliere di Bronzo che erano con me. Per fortuna, quando le urla della gente ci raggiunsero, si sono ritirati, per farci andare a salvarli, disobbedendo agli ordini che avevano ricevuto. Nel villaggio c’erano altri soldati, tuttavia quelli li abbiamo sconfitti facilmente»
«Chi è costui? Forte quanto te uno dei più valorosi Cavalieri d'Oro?»
«Ha detto di chiamarsi Aiace figlio di Telamone!»
«Capisco! Quindi come avevamo pensato ci sono diversi guerrieri tra gli eserciti della Grecia che potrebbero essere futuri Cavalieri o guerrieri di altri Dei! Davvero interessante! Ma, certamente non avrei mai pensato che ci fosse qualcuno forte quanto noi Cavalieri D’oro! Almeno non più dopo la sconfitta di Poseidon e dei suoi Marine più forti»
«Maledetto Agamennone, hai giocato sporco, se fossimo stati di più avremmo potuto proteggere sia il Tempio che il villaggio» – Il disappunto di Neven era più che giustificato, considerando i Cavalieri Troiani e Greci, partiti per la guerra e quelli ritiratisi dopo la Guerra Sacra, quelli rimasti erano veramente pochi. Si rivolse poi alla Dea evidentemente stanca:
«Divina Athena, perché non si riposa? È stata una giornata lunga, ha esaurito molto del Cosmo per aiutare gli abitanti del villaggio intrappolati! Deve riposare! Ci aspettano giorni difficili!»
«No! Non Posso! Devo aiutare a sistemarsi le donne e i bambini, che stiamo ospitando!»
Uscendo dalla stanza di Neven non si accorse che Gyon era all’entrata del Tempio, esattamente dall’altra parte rispetto alla direzione che prese lei, mentre il tentativo di non far incontrare i due non passò inosservato agli occhi di Equos. Infatti, il cavaliere della Bilancia, conosceva la storia dei due ragazzi, aveva visto Gyon persino intrufolarsi nel Tempio, anni addietro.
«Non si smentisce mai! Se pur esausta, il primo pensiero è di aiutare la gente! Se tutti gli Dei, non me né vogliano male, fossero come lei, vivremmo in una pace eterna!» – commentò, retoricamente, il Generale, non appena Eiren uscì dalla stanza.
«Venerabile Neven, se non oso troppo chiedere… perché non vuole fare incontrare Athena al ragazzo? Forse è colui che, insieme ai fratelli, ne ha più diritto su questa terra!»
«Perché non posso dimenticare mai quel giorno… quando arrivai a Rodorio! La guerra contro Poseidone stava per arrivare e come profetizzatomi da Athena stessa anni prima, avrei dovuto incontrare un’orfana, nel villaggio vicino al Tempio, con un “cosmo gentile e lucente”.
«Almeno così mi disse la Dea, ma per me fu quasi abbagliante. Quando l’incontrai rimasi incantato. Per diversi minuti la osservai giocare vedendo il profondo legame tra lei e quei tre ragazzi… un legame puro, di amicizia e amore incondizionato»
«Capii subito che questo momento sarebbe arrivato, il momento in cui avrebbero messo a repentaglio la loro vita per proteggerla, e ho sempre sentito l’obbligo di non poterlo permettere. Quei ragazzi sono la cosa cui la divina Eiren, tiene di più. È pur vero che come Athena tiene, prima di tutto, alla giustizia e alla salvezza dell’umanità, ma i suoi sentimenti non sono certamente cambiati. Pensavo all'epoca che quando si fosse risvegliata avrebbe cambiato personalità diventando la Dea Athena. Ma lei lo è sempre stata pur quando il suo unico pensiero era giocare con quei bambini»
«Il risveglio della sua divina coscienza, non ha cambiato minimamente i suoi sentimenti o le sue preoccupazioni. Per cui con tutto quello che è successo oggi, sarebbe stato troppo pesante per lei affrontare le sue peggiori paure. Sapere che i ragazzi cui pensa tutti giorni, con cui ha vissuto i momenti più belli della sua vita, combatteranno per lei. La preoccuperebbe molto più di quanto già non lo sia e dopo che ha quasi esaurito le forze per tenere in vita quei due ragazzi sotto le macerie, ho preferito evitare…»
«… anche se penso, che in cuor suo, lei lo sappia… ed effettivamente Equos, hai ragione! Anche se in questi anni ho tardato il loro coinvolgimento, il Destino è come sempre inevitabile! Ho percepito il Cosmo del ragazzo divampare per salvare i fratelli e i sentimenti, che lo hanno fatto ardere, sono gli stessi, se non addirittura più forti, che tutti e tre nutrono per la divina Athena! Perciò penso che sia arrivato il momento, puoi farlo entrare.»
Entrato nella stanza Gyon si mise a sedere senza dire una parola, ancora sconvolto per aver quasi perso i fratelli nell’incendio. Ancora sporco per il fumo e le macerie carbonizzate, stava lì seduto a fissare i due Cavalieri.
«Ciao Gyon, immagino che ti ricordi di me? … Certo che ricordi, così come quel giorno è rimasto e resterà impresso nella mia memoria, rimarrà anche nella tua, immagino. Così come immagino che tu sia arrabbiato con me, perché in questi anni non ti ho permesso di avvicinarla, però…»
«No, non sono arrabbiato! Cioè all’inizio si, ma quando ho scoperto che Eiren è Athena ho capito» – lo interruppe Gyon.
«Eiren, voglio dire, Athena, è una Dea e come tale ha dei doveri, delle vite che dipendono da lei! Molti in nome della giustizia e della pace che lei difende hanno sacrificato la loro vita!»
«Ho visto centinaia di guerrieri morire per mano dei Marine che hanno assaltato il Tempio anni fa, ancor prima che furono create le Armature. Io voglio solo proteggerla, renderla felice, così come i miei fratelli! Darei volentieri la vita se questo significasse salvare la loro! È per questa ragione che voglio diventare un Cavaliere, per proteggere tutte le persone a me care!»
«In effetti era da un po’ di tempo che pensavo di allenare giovani dotati, in attesa che siano scelti come Cavalieri. Farò costruire un’arena qui al Tempio, dove chi aspira a diventare Cavaliere potrà allenarsi. Se i tuoi fratelli vorranno, potranno anche loro!»
«Fantastico!» – rispose il ragazzo, pervaso dall’entusiasmo – «Equos sarai tu ad addestrarmi?» – chiese poi al valoroso Cavaliere.
«No, purtroppo non potrò! Devo partire per una missione della massima importanza»
«Come?!» – chiese con la delusione in volto. Il giovane Gyon guardava il Cavaliere d’Oro, come se il suo eroe non potesse stare con lui. E anche se si conoscevano da poco, per lui era già così, d’altronde aveva salvato un intero villaggio, il suo villaggio, e ancora più importante i suoi fratelli, anche se aiutato da Athena che da lontano vegliava su tutti loro.
«Non preoccuparti!» – intervenne Neven – «Ho già in mente la persona perfetta per addestrarvi! Magari è anche l’occasione giusta per migliorare le difese del Tempio!»

Note dell’autore
In questo capitolo emerge ancora l’inesperienza dei Cavalieri. È pur vero che hanno vinto una Guerra Sacra, ma è la prima generazione. Non esistono addestramenti di nessun genere se non quelli militari. E molti Cavalieri erano, infatti, prima soldati. Dopo la fine della Guerra Sacra si pensava che i Cavalieri fossero gli unici a possedere un Cosmo potente, ma non è così ed infatti Neven, l'astuto Generale, non è affatto sorpreso, se non del fatto che esiste qualcuno forte più o meno quanto Equos. Infatti, appaiono Aiace Telamonio e la sua legione di soldati. Aiace è un guerriero valoroso, ferocie ma anche nobile, non aveva idea che Agamennone avesse mandato dei soldati a bruciare il villaggio. Manipolato dal Re dei Re pensava solo a mettere alla prova le sua abilità combattendo contro un Cavaliere di Athena, divenuti leggendari dopo la missione ad Atlantide, che li vide vittoriosi su un Dio.
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** III – Addio ***


III – Addio

 
Era una giornata tranquilla a Ftia, mentre il Re dei Mirmidoni si allenava già da diverse ore nel cortile Sud Est del palazzo. Con lui c’era l’amico Patroclo, che sin dai tempi della Guerra Sacra lo seguiva in battaglia. Una sensazione, all’improvviso, pervase Achille, che si fermò a fissare il vuoto, o almeno così sembrava al compagno. Era da tanto che non percepiva qualcosa del genere. Patroclo lo fissava confuso, finché non percepì egli stesso la medesima cosa. Due guerrieri con Cosmi eccezionali si stavano battendo, nella direzione del Tempio di Atena.
«Ma è Equos?» – chiese Patroclo, riconoscendo il cosmo del Cavaliere della Bilancia – «L’altro però non lo conosco!»
«L’altro è Aiace, mio cugino!» – rispose il Pelìde.
«Tuo cugino? Ma che avete nella vostra famiglia? Avete tutti Cosmi del genere?»
«Più o meno!»
«Ma che sta succedendo? Perché tuo cugino si sta battendo con Equos?»
«A quanto pare i Re si stanno muovendo!»
«Si ma perché attaccare il Tempio?»
«Probabilmente Agamennone punta a uccidere tutti i Cavalieri che aiuterebbero Troia»
«E osa spingersi a tanto?» – chiese Patroclo, quasi sconcertato dalle ipotesi di Achille
«Si, però credo proprio che sia rimasto deluso! Nessuno dei suoi bersagli è al Tempio»
«Come fai a dirlo?»
«Perché Sarpedonte sarebbe stato uno dei primi, se non il primo obiettivo! Come degno figlio di Zeus non avrebbe mai permesso che qualcuno di estraneo alle vicende della guerra, lottasse al suo posto contro un nemico di Troia. Non si sarebbe trattato di combattere come Aldebaran, ma come Re della Licia, di Ilio alleato… è probabile, quindi, che Atena abbia rimandato in patria i Cavalieri Troiani e alleati»
«Ma il Tempio rimane esposto a possibili attacchi! Il numero di Cavalieri è più esiguo che mai!»
«Non ti preoccupare anche se in pochi Neven e gli altri daranno battaglia a qualunque nemico!»
Seguirono momenti di silenzio, durante i quali, entrambi i guerrieri rifletterono sui cambiamenti di forze degli ultimi giorni.
«… Certo che però è strano» – rifletteva il Pelìde, ma fu interrotto da un servo.
«Mio Re, abbiamo visite!»
Achille fissò il servo, incuriosito per un momento, poi levò lo sguardo verso la strada che conduceva al palazzo, ben visibile dal cortile. Vide una quarantina di soldati a cavallo, che si dirigevano proprio verso la sua dimora. Ben armati, quei soldati arrivavano velocemente. Sembrava che andassero di fretta.
«Aaah! Di già? Agamennone non perde tempo!… Vieni Patroclo andiamo a dare il benvenuto ai nostri ospiti»
Si diresse verso l’entrata della reggia, seguito dall’amico e alcuni servi. Nel frattempo i soldati erano ormai arrivati. Achille puntò verso di loro armato di spada e lancia e senza che nessuno avesse il tempo di reagire si fiondò sul primo di loro, che rimase fermo immobile, quasi pietrificato. La punta della sua spada premeva sul collo dell’impavido Ulisse, mentre la lancia aveva trapassato il suolo proprio accanto al suo piede.
«Sei sempre molto ospitale! Comunque non ci sono cascato neanche per un momento!»
«Ah davvero?» – rispose Achille – «I tuoi soldati non sembrano dello stesso avviso!»
Giratosi il Re di Itaca vide i suoi uomini indietreggiati e impauriti a tal punto che non capirono lo scherzo, non che fosse facile capirlo.
«Beh, immagino sia lecito ai comuni mortali avere paura qualora il leggendario Achille andasse incontro loro, armato di spada e lancia, con aria minacciosa, no?…  Sai ora che ci penso in battaglia può essere davvero utile anche avere solo il potere di incutere un tal timore nei nemici!»
«Vedo che non hai perso il tuo sarcasmo! Amico mio, come va?» – disse salutando il Re di Itaca.
«Bene, bene! Ah Patroclo, immaginavo di trovare anche te qui! Come stai?»
«Non c’è male!» – rispose Patroclo rimasto indietro.
«È Agamennone che ti manda?» – chiese Achille, senza girarci troppo intorno.
«Ti devo parlare!» – rispose Ulisse, con tono improvvisamente più serio. Achille allora invitò Ulisse e i suoi soldati ad entrare nel palazzo, per rifocillarsi. Entrambi sapevano il motivo della visita, ma, in quanto Re, preferivano non parlarne davanti ai soldati. I soldati andarono a rifocillarsi perché stanchi dal viaggio, mentre Achille e Ulisse seguiti da Patroclo, passeggiavano per il cortile. L’unico ostacolo agli scopi di Ulisse era l’orgoglio e l’odio per Agamennone che il pelìde nutriva profondamente. Passeggiando per il cortile del palazzo notò che stavano facendo molti lavori di ricostruzione intuendone il motivo.
«Vedo che ti tieni sempre in forma, anche se a farne le spese è il tuo palazzo!»
«Eh si!» – rispose Achille – «Io e Patroclo ci alleniamo ogni giorno… e ogni tanto perdiamo il controllo della situazione…  distruggiamo qualcosa… come ad esempio quel muro»
«Capisco! Sei sempre il solito sbadato, ma veniamo al dunque…»
«Non combatterò per lui!» – lo interruppe Achille
«Allora dimmi, il pelìde a chi concederà l’onore della sua forza? Ai Troiani?»
«Nessuno se non me stesso! Non combatterò questa guerra! I Troiani non mi hanno fatto niente… L’unica colpa che hanno è aver uno stupido principe infilatosi nel letto sbagliato! È assurdo che l’intera Grecia debba battersi solo perché un Troiano ha insultato un Greco! Greco con fratello avido di potere oltre ogni immaginazione!»
«Si vede che era il Greco sbagliato da insultare! E poi Agamennone non è un semplice pazzo con manie di grandezza!»
«Quell’atride è senza onore!» – urlò l’eroe adiratosi improvvisamente. Prese qualche secondo per calmarsi e continuò – «Abbiamo percepito uno scontro tra due Cosmi! Erano…»
«Equos e Aiace, sì lo so» – lo interruppe Ulisse – «Ma, anche se non condividi i metodi di Agamennone… e a ragione…  qui non si tratta di combattere per lui. E guardati intorno, Achille, guarda questo posto. Ogni notte ti stendi a letto accanto a tua moglie, solo per alzarti al mattino e combattere ancora! Combattere è la tua vita! Sarà la più grande guerra che il mondo abbia mai visto e deve essere combattuta dai guerrieri più grandi!»
«E tu combatteresti per questo?»
«Sai benissimo perché combatto! Itaca non può permettersi un nemico come Agamennone, né economicamente né militarmente. Anche se siamo forti, non siamo onnipotenti.
«Fai male a sottovalutarli, un disegno degli Dei muove gli Atridi. Da entrambi i genitori discendono da più di una divinità, quali Zeus, Dione e Ares. Che ruolo giocano nella divina scacchiera? Te lo sei mai chiesto almeno?»
«Quindi cosa dovrei fare? Combattere solo perché è la guerra più grande? O perché gli Dei vogliono così, o perché hanno scelto gli Atridi come condottieri della Grecia?»
«Achille, amico mio! Non lasciare che il tuo odio verso Agamennone offuschi il tuo giudizio! Neanch’io condivido le sue azioni, e m’inorridisce che stia attaccando il Tempio, cosa che ti giuro sulla vita di mio figlio, non sapevo. Ho capito, quando ho percepito combattere Equos e Aiace»
«Non dubitiamo del tuo onore!» – intervenne Patroclo che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
«Lo so Patroclo»
Il silenzio scese fra i tre finché Ulisse non concluse, dicendo:
«Questa guerra segnerà la storia dei secoli a venire, e i nomi degli eroi che la combatteranno diventeranno leggenda, come leggenda diventerà la guerra stessa. Amico mio… sei nato per combattere questa guerra. È una verità che non puoi negare a te stesso!»
Detto ciò, Ulisse si allontanò dai due rimasti in silenzio, e mentre camminava aggiunse:
«Salpiamo fra tre giorni! Ci vediamo alle navi!» – sorrise mentre raggiungeva i suoi soldati, e montato in sella al suo cavallo si rimise in viaggio.
I due rimasero in silenzio per qualche minuto, finché da dietro i cespugli si intravide una figura femminile. I lunghi capelli biondi si poggiavano delicatamente al petto fino alla vita, curvati dalla forma di una futura nascita. Era la principessa di Sciro, figlia di Licomede e moglie del pelìde.
«Partirai?» – chiese Deidamia al marito a qualche metro di distanza.
«Ancora, non ho deciso»
«Io devo… andare….!» – intervenne Patroclo, un poco imbarazzato, senza ben sapere come continuare. Voleva solo lasciarli soli e si allontanò senza pensarci troppo. Deidamia che aveva assistito, di nascosto, alla discussione con Ulisse, si avvicinò al marito. Poggiò la fronte sul suo petto, e lui rispose stringendola tra le braccia e baciandola ripetutamente sulla fronte. Allora sul punto di scoppiare in lacrime disse:
«Tieni tra le braccia, i più importanti motivi per non partire! Mi chiedo amor mio perché non ti bastino? Non vuoi veder crescere tuo figlio, educarlo… gioire per i suoi successi… consolarlo per i suoi dispiaceri… punirlo per i suoi sbagli e vederlo diventare un uomo migliore di quanto possa essere nelle nostre speranze? Non vuoi rimanere con me e condividere il nostro amore insieme a tutto ciò?»
Achille indugiò qualche secondo nel rispondere, finché sua moglie non si accorse della realtà.
«Lui ha ragione... Hai già deciso! Non ricordi le parole di tua madre? È questo che vuoi? Vai incontro a morte certa solo per essere ricordato nei prossimi secoli?»
«Ti ripeto che non ho ancora deciso!»
«Bene! Allora ti risolvo io il problema!» – adirata perché il marito non le dava le risposte che voleva sentire, si allontanò in fretta andando nelle sue stanze. Achille raggiunse Patroclo nell’altro cortile, dove era seduto a fissare l’orizzonte.
«Ti ha fatto una bella sfuriata eh?»
«Eh si… Si aspettava che le dicessi che rimarrò con lei senza riflettere sulla possibilità di partire!»
«E le dai torto? Ti conosce… sa che già il fatto stesso che ci stai pensando significa che partirai!»
Achille non rispose, ma rimase pensieroso.
«Dai… Lo sappiamo entrambi. Vuoi partire ma da una parte odi Agamennone e preferiresti che i Greci perdano questa guerra piuttosto di vederlo vincitore, dall’altra ti senti obbligato a rimanere per lei e il tuo futuro bambino. Ma credo proprio che quest’ultima parte stia per andarsene!»
«Cosa?» – disse confuso, poi guardò dove Patroclo gli indicò e vide i servi che caricavano diversi carri, diretti da sua moglie. La raggiunse quindi per chiederle spiegazioni.
«E questo che intendevi con “ti risolvo io il problema!” ? Cosa pensi di risolvere così?»
«Probabilmente niente! Ma se non ci sei, non ho motivo di rimanere qui, per cui preparo i carri per Sciro… in caso tu domani scelga di partire e non di rimanere.»
«Perché dai per scontato che parta?»
«Non do scontato che tu parta… Anzi spero fermamente che tu non lo faccia… però ti conosco e so che vuoi farlo… sei il solo che ancora si dà tempo per ammetterlo!»
Deidamia continuò a dare ordini ai servi su cosa portare, mentre Achille pensieroso si ritirò nelle sue stanze.
 
Le parole di Teti, che ebbe una specie di visione del futuro, il giorno in cui Agamennone iniziò a prepararsi alla guerra:

“Verranno a cercarti figlio mio… Un tuo caro amico manderanno… vogliono che tu combatta contro Troia! Se rimarrai troverai la pace… Vivrai felice… avrai figli e figlie che ne avranno a loro volta… E tutti ti ameranno… E ti ricorderanno quando morirai… Ma dopo loro il tuo nome sarà disperso. Se invece vai a Troia, verrai ricoperto di gloria… Il tuo nome verrà scolpito nella storia e si parlerà di te finché gli uomini avranno fiato per proferir parola. Ma non tornerai… né il figlio che aspetti, né tua moglie né io ti rivedremo più. Gloria e morte, separate entrambe non potrai aver! Così la tua prole subirà la stessa sorte!”

 
La mattina dopo, Patroclo rimasto in piedi tutta la notte andò in cortile, semidistrutto dagli allenamenti, si sedette sotto un albero per riposare, alzò lo sguardo e vide che sul balcone che affacciava al cortile c’era Achille che fissava l’alba.
«Non hai dormito?» – gli chiese.
«Splendidamente!» – rispose Achille.
«Ma come fai? Io non ho chiuso occhio!»
«Peccato! Non penso che avrai occasione di farlo oggi!»
«Cioè?» – chiese Patroclo confuso sul perché non potesse riposare.
«Preparati! Partiamo fra due ore!»
Mentre Achille rientrava nel palazzo Patroclo assonnato gli urlava:
«E non potevi restare indeciso fino a oggi pomeriggio… ?» 
«… Almeno così avrei potuto dormire!» – aggiunse poi a più bassa voce.
«Non ti lamentare» – gli rispose Achille da dentro il palazzo.
«Quanto non lo sopporto quando fa così!» – commentò fra sé e sé mentre si alzava. Si diresse poi verso le sue stanze per prepararsi alla partenza. Rientrato, vide Deidamia dire addio al marito.
«Non voglio crescere mio figlio, dove non mi sento amata e se non accanto a te, l’unico posto dove sono in grado di farlo è a casa mia! Ti prego, resta con me! Oppure seguimi a Sciro, lì non riuscirebbero a trovarti!
«Mi dispiace amor mio! Non posso! È quello che sono… un guerriero! Alle più grandi guerre sono sopravvissuto, e a questa, che è la più grande in assoluto, sopravvivrò, in un modo o in un altro, riuscirò a tornare da te… e qualora non ci riuscissi… qualora mia madre avesse ragione e il mio destino è legato fatalmente alla mia distruzione, sappi che l’ulMa che sta succedendo? Perché tudolce sorriso… l’ultima cosa che udirò sarà il suono delicato della tua voce… l’ultima che sentirò sarà il calore meraviglioso del tuo bacio!»
Fissò, per lunghi istanti, il volto della moglie singhiozzante, chinandosi verso di lei solo per darle un ultimo e lungo bacio. S’inginocchiò toccandole il gravido grembo, per rivolgere le prime e ultime parole alla sua futura prole.
«La cosa più importante che i genitori possono insegnare ai loro figli è come andare avanti senza di loro e spero figlio mio, che questa lezione io possa insegnarti, ma se così non fosse sappi che tuo padre ti vuole bene più di ogni altra cosa. Non lasciarti sopraffare dal peso della mia assenza. Un addio è necessario prima che ci si possa ritrovare, e in una vita o nell’altra… ti prometto che ci ritroveremo!»
 
Note dell’autore
Atride significa figlio di Atreo, come Pelìde significa figlio di Peleo.
Gli Atridi sono Agamennone e Menelao.

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Capitolo 4
*** IV – Rinforzi dorati ***


IV – Rinforzi dorati

 
Da quel fatidico giorno, gli abitanti di Rodorio, aiutati da alcuni Cavalieri e guardie del Tempio, ricostruirono il villaggio in poco tempo. Neven così poté realizzare l’arena da lui ideata e l’ampliazione del Tempio insieme al miglioramento delle sue difese. Da quando Poseidon aveva fatto strage dei guerrieri di Atena, il Tempio non mai stato così poco difeso. Neven affidò ad alcuni Cavalieri la missione viaggiare alla ricerca di giovani da addestrare e in caso da riportare al Tempio. Intanto, molti ragazzi di Rodorio, tra cui Gyon e i suoi fratelli attendevano con ansia il Cavaliere che avrebbe dovuto addestrarli. Secondo le parole di Neven era un Dorato, che aveva combattuto con loro in passato, partecipando alla celebre spedizione ad Atlantide, e che dopo la fine della Guerra Sacra si era ritirato, come molti, per motivi personali.
Apparve in lontananza il valoroso guerriero, in sella a un cavallo bianco, talmente veloce che pareva fendere il vento. Si recò al cospetto di Atena, dopo cinque anni dall’ultima volta che la vide. La giovane lo fissò per diversi istanti, intuendo in lui una tristezza infinita mista ad altrettanta voglia di riscatto. Sul viso i segni degli anni cominciavano a vedersi così come tra i lunghi capelli biondi ne spuntava qualcuno grigio. Arrivato al cospetto di Eiren s’inginocchiò rivolgendole i saluti dovuti.
«Mia Dea, quanto tempo ormai! Vedo con piacere, che siete cresciuta molto, in questi anni. Il Generale ha fatto un ottimo lavoro. Mi presento al vostro cospetto per riprendere, col vostro consenso, il ruolo che anni or sono lasciai per curarmi della mia famiglia»
«Ho saputo delle sventure che ti hanno colpito e scorgo benissimo sul tuo viso le cicatrici che ti hanno lasciato. Sono felice di constatare che nonostante tutto non ti sia perso d’animo!»
«La ritrovata grinta la devo a voi, che avete mandato Equos a cercarmi. Se non fosse arrivato al momento giusto, probabilmente sarei morto nel sonno, schiacciato dal crollo della mia amata Argo! E perciò, devo ringraziare, oltre che lui, anche voi. Non so esprimere la mia gratitudine per questa provvidenziale chiamata, se non col dare tutto me stesso nel compito di essere Cavaliere»
«Alzati nobile discepolo di Crotus! Sarai nuovamente il custode del Sagittario»
«Grazie, mia Dea non vi deluderò!»
La Dea con lo scettro indicò il nobile guerriero e accanto a lui si materializzò lo scrigno d’Oro della sacra Armatura. Gli occhi gli luccicarono alla vista dello scrigno, i ricordi di un tempo più felice si ammassavano l’uno sull’altro in un’euforia di gioia e nostalgia. Prese allora lo scrigno e lo caricò sulle spalle. La Dea rientrò nel Tempio, mentre lui stava per dirigersi in quella casa, dove un tempo aveva abitato. Durante il tragitto ebbe una bella sorpresa.
«Ohhh! Giasone, amico mio!» – esclamò Neven che tornava dal villaggio per osservare i lavori, ben fatti dai suoi Cavalieri. Era seguito, da una dozzina di giovani, che riconosciuto il nome quasi leggendario, si entusiasmarono – «È bello rivederti. Mi dispiace per tutto quello che ti è capitato in questi anni!»
«Non si preoccupi Generale!»
«Ancora con quel Generale, ti ho sempre detto di chiamarmi semplicemente Neven! Comunque sia, guarda cosa ti ho portato. Questo sarà il tuo primo compito. Dovrai addestrarli e chi di loro sarà meritevole, diventerà Cavaliere!» – I ragazzi erano in fermento, onorati di essere addestrati dal grande Giasone in persona.
«Ora dirigetevi all’arena, che noi stiamo arrivando!» – ordinò ai ragazzi in preda all’entusiasmo.
Entrarono nel Tempio e andarono nelle stanza di Neven. Sedutisi al tavolo, Giasone confuso e incuriosito, chiese al Generale.
«Addestrarli? Nessuno è mai stato addestrato all’essere Cavaliere, tranne forse Keren ma lui ci è nato. A proposito è diventato Cavaliere? Mi ricordo che seguiva il giovane Ulisse come se fosse la sua ombra…»
«Si ha preso proprio il suo posto»
«È vero che i Cavalieri vengono scelti se meritevoli, tuttavia non è detto che non si possa crescere qualcuno, o meglio addestrare qualcuno in modo che sia meritevole. In ogni caso, a causa della guerra siamo rimasti in pochi al Tempio e abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile per fronteggiare i nemici che sicuramente approfitteranno del momento»
«Capisco, quindi la situazione è grave! Mentre il gemello rimasto come ha preso la notizia che la sorella sta causando la più grande guerra che si sia combattuta»
«Non è al Tempio! Anche lui si è ritirato poco dopo di te, anche se non ne conosco i motivi. Si dice adesso che entrambi i dioscuri siano morti!»
«Immagino invece Achille e Patroclo siano già partiti! Ci avrebbero fatto comodo quei due scalmanati! Per non parlare di Ulisse! Aveva sempre un piano, pur se contro un Dio!» – scosse la testa sorridente, ricordando i valorosi compagni.
«Non perdiamoci nei ricordi, né avremmo un’infinità!» – tagliò corto Neven – «Addestrerai quei ragazzi, spiegando loro, nel modo migliore che riesci a trovare, il Cosmo. Tra quei ragazzi, c’è chi lo ha già manifestato spontaneamente… Non so se ricordi quel bambino che cercava di intrufolarsi nel Tempio per giocare con la Divina Atena?»
«Certo che ricordo!» – disse ridendo – «Io stesso, in più di un’occasione, lo allontanai, non troppo gentilmente! E perciò quella peste ha manifestato il Cosmo! Interessante… ma c’era da aspettarselo immagino»
 
I giovani aspiranti Cavalieri erano giunti all’arena e attendevano già da diversi minuti l’arrivo del Cavaliere. Uno di loro, allora avanzò una proposta:
«Perché non iniziamo ad allenarci? Almeno così passiamo il tempo! Gyon, vuoi farti sotto oppure te la fai sotto!»
«Farmela sotto?! Per chi mi hai preso!»
I due iniziarono ad azzuffarsi e durante la lotta Gyon si accorse che c’era qualcuno nascosto all’entrata e distratto dai lunghi capelli lilla, ebbe la peggio. Rialzatosi cercò di nuovo con gli occhi la giovane Eiren ma non la rivide. “Sarà stata una mia impressione!” pensò tra sé.
Gli altri ragazzi cominciarono ad allenarsi e non ad azzuffarsi senza un vero e proprio motivo come erano soliti fare i tre fratelli.
Giasone, raggiunta l’arena, si accorse che la Dea era lì ad osservare i ragazzi che si allenavano.
«Atena!» – esclamò – «Non dovrebbe andare in giro da sola!»
La giovane non rispose, abbassò lo sguardo evidentemente rattristata. Giasone intuendo cosa potesse preoccuparla, le sorrise e si sedette ai piedi della colonna di fronte a lei.
«Immagino cosa vi possa turbare, ma su via, non si preoccupi…» – le porse la sua mano e continuò – «Lasci che la riaccompagni al Tempio, le prometto che li addestrerò nel miglior modo possibile!»
 
Nel frattempo Neven stava riposando nella sua stanza quando una luce dorata che veniva da fuori lo svegliò. Accorso all’entrata quasi gli prese un colpo per ciò che vide.
«Non ci posso credere!» – esclamò il Cavaliere dell’Ariete, alla vista di un fascio di luce che era arrivato proprio davanti l’entrata del Tempio. Avvolto dal manto lucente c’era Polluce dei Gemelli, sempre giovane come un tempo, quasi che quegli anni per lui non fossero passati.
«Quanto tempo, nobile Neven!»
«Saluti a te Dioscuro! Sono lieto di vedere che le voci che giravano sulla tua morte siano false»
«Scusate se ho tardato… purtroppo notizie allarmanti! Non appena ho saputo, subito il mio pensiero si è rivolto alla sicurezza del Tempio!»
«Perché sei qui? Il tuo posto non dovrebbe essere accanto alla tua amata sorella?»
«Elena non vuole la mia protezione! Ilio intera la sta proteggendo e poi non posso più salvarla dai problemi che causano i suoi spasimanti. Ormai il danno è fatto! Il suo sventurato amore porterà alla rovina Re di ogni dove. Nessuno vincerà questa guerra e nel frattempo il Tempio rimane vulnerabile.»
Neven sapeva che anche se non lo dava a vedere, Polluce era veramente preoccupato per la sorte della sorella, tuttavia il Dioscuro sapeva perfettamente che Troia non sarebbe caduta in poco tempo e tal fatto forse lo rassicurava. In ogni caso, Neven rimase dubbioso sul perché Polluce non fosse accanto alla sorella. Forse perché l’altra sorella era sullo schieramento opposto, in quanto moglie di Agamennone? Per qualche ordine divino? Si diceva, infatti, che i Dioscuro vivesse sull’Olimpo, anche se alcune dicerie negli ultimi anni lo ritenevano morto. Quale che fosse la verità certamente il figlio di Zeus era davanti a lui, pronto per combattere ancora una volta al fianco di Atena e qualunque fosse il motivo, Polluce diventava sempre cupo quando si trattava dei suoi fratelli, perciò Neven non volle indagare oltre.
«Capisco» – concluse Neven, mentre accanto a lui compariva lo Scrigno d’Oro dei Gemelli – «Beh se questo è ciò che vuoi… Sarai di ancora una volta il custode dell’Armatura dei Gemelli. Ma piuttosto, raccontami cosa hai scoperto!»
 
Giasone, dopo aver riportato Atena nelle sue stanze, si recò presso i giovani che lo attendevano nell’arena.  Avevano già iniziato ad allenarsi, anche se a lui sembravano un mucchio di ragazzini che facevano confusione. Era fermo lì a guardarli senza fare niente, preoccupandosi di non avere la pazienza necessaria ad addestrarli.
«Fanno più paura dei Marine, vero?» – gli chiese scherzosamente Polluce che lo ebbe raggiunto dopo aver “fatto rapporto”.
«Eh si! Non so proprio da dove iniziare, sono confusionari al limite dell’assurdo»
«Ti aspetta un lavoraccio, ma permettimi di aiutarti almeno nell’inizio!»
Il Dioscuro levò la mano e in particolare l’indice verso i ragazzi che all’improvviso caddero come se fossero svenuti.
«Che hai fatto?» – chiese Giasone sotto “shock”.
«Ah! Tranquillo si sveglieranno fra un’ora o due… magari anche tre. È una versione modificata e molto leggera del mio Genrō Ken, stanno facendo solo un brutto incubo… per fargli capire cosa li attende»
«Non sono pronti per una cosa del genere!» – replicò Giasone, inizialmente un po’ infuriato.
«Ovviamente non sono pronti! Ma da un fallimento si può solo imparare»
«Beh non so se ringraziarti, oppure colpirti!» – rispose poi con più calma –«Non mi piacciono le manipolazioni, cosa in cui tu sei sempre stato molto bravo. Anche sull’Argo dovevi sempre fare qualche giochetto mentale!»
«Dai su! Che ti aspetta un lavoro infinito… Piuttosto hai saputo di Medea?»
«Che cosa dovrei sapere?»
«Si dice che sia tornata in patria dal padre Eeta dopo…»
Il silenzio scese tra i due, al pronunciar, di Polluce, quelle parole. Polluce si accorse subito di essere stato insensibile e dopo qualche secondo si scusò.
«No preoccuparti… E così è tornata dal padre… il dolore deve averli fatti riconciliare, piuttosto non so se ti è arrivata la notizia di Teseo?
«Intendi che insieme a Piritoo sarebbero sopravvissuti alla Guerra Sacra e in seguito imprigionati nel Tartaro? Si ho sentito queste voci, ma se sono vere non credo che li rivedremo presto!»
«Beh non si può mai dire!»
«Sai qualcosa che ignoro?»
«Venendo al Tempio mi sono fermato in un villaggio, e ho visto due uomini che sono quasi sicuro che fossero loro. Se sono riusciti a liberarsi ciò potrebbe significare che siano passati dalla parte di Hades. D’altronde sospettiamo che Hades recluti fin dalla Guerra Sacra contro Poseidon!»
«Potrebbe essere che Hades stia reclutando ma che si muova ora né dubito. Hades non è stupido e sa di non aver ancora la forza per fronteggiare Atena, invece è da Ares che dovremmo guardarci!
«Da Ares? Perché?»
«Ha già assemblato intere legioni di guerrieri… Si fanno chiamare Berserkers… Ho visto Efesto, incatenato, forgiare loro Armature di mirabile fattura… Sono simili alle nostre, ma Ares ha aggiunto un ingrediente: Il sangue… soprattutto di animali feroci, ma non solo… anche uomini e in alcune addirittura il suo. Queste armature, chiamate Hauberks, sono ricoperte dalle pelli degli animali feroci che i loro possessori hanno ucciso… rendono i guerrieri dieci se non cento volte più forti, per non parlare di ferocia e crudeltà. Ho visto l’effetto su uno di loro e da che i suoi poteri potevano essere pari a quelli di Cavalieri di Bronzo è diventato forte quanto un Dorato. Mentre combatteva sembrava posseduto dalla furia stessa di Ares, una furia inaudita… In tutta la mia vita non ho visto una cosa del genere. Chiamano quella furia Berserksgangr…»
«Quindi saranno loro il nostro prossimo nemico! Questi guerrieri psicopatici?»
«Ho tenuto d’occhio in questi anni i possibili nemici di Atena e posso dire con certezza che l’unico ad aver radunato guerrieri è Ares. Inoltre lui così come la maggior parte di loro, non si è reincarnato né sta possedendo il corpo di un umano. Ciò da un lato costituisce un vantaggio perché da ciò che ho potuto capire frequentando l’Olimpo è che loro tengono moltissimo al loro corpo originale… quindi dopo quello che è successo a Poseidon saranno cauti per evitar di perderlo. Dall’altro un Dio nel suo corpo originale è molto più forte di quando possiede o si reincarna in corpo umano. Perciò è assolutamente necessario rinfoltire i ranghi in vista di una nuova Guerra Sacra»
«Non si rendono conto quanto sono importanti» – disse infine riferendosi ai quei giovani ancora privi di conoscenza.
Un silenzio perdurò, poi tra i due, per diversi minuti, mentre erano intenti a fissare i giovani ragazzi che affrontavano la loro prima prova.
«Avranno davanti a loro una vita difficile!» – disse Giasone – «Ma a quanto pare ti sbagliavi, Polluce!… Guarda i primi tre si stanno rialzando e non è passata neanche mezz’ora!»
«Interessante! Voi tre dite i vostri nomi!»
«Gyon»
«Altair»
«Deneb»
 
Note dell’autore
I Berserkers come molti di voi sapranno sono guerrieri della mitologia norrena, tuttavia Kurumada li nomina nell’ipermito come guerrieri di Ares. D'altronde “dall’ipermito derivano in qualche modo tutte le mitologie” [cit], almeno questa è la giustificazione che dà.

 

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Capitolo 5
*** V – L'invincibile Achille ***


V – L’invincibile Achille


Erano passati diversi giorni da quando le 1186 navi partirono dall’Aulide e gli Achei avevano già subito delle perdite. Infatti, durante il viaggio, un incidente li costrinse ad abbandonar uno di loro sull’isola di Lemno.
Il Pelìde, pensieroso sulla sua pentecontera1, guardava all’orizzonte cercando di scorgere la prossima terra su cui combattere. Era lì, a poche centinaia di metri, l’isola di Tenedo, il primo nemico da sconfiggere per assediare Troia. Non sarebbe stato un nemico difficile per l’esercito Acheo, l’unico problema era il Re dell’isola, Tenes. Molti sostenevano che il sangue del Dio del Sole scorresse nelle sue vene. In realtà nessuno lo sapeva con certezza. Non importava più di tanto che fosse il figlio di Apollo o semplicemente suo protetto, poiché il “padre” (forse semplicemente putativo) era Cicno, figlio di Poseidon e Re di Colone. Si diceva che Cicno fosse talmente forte da poter distruggere un esercito di uomini da solo. Figlio di Apollo o nipote di Poseidon, era stato allevato da Cicno e, infatti, aveva fama di essere un guerriero formidabile quasi quanto lui.
«Tenetevi vi pronti Mirmidomi» – urlò a squarciagola ai suoi soldati.
La nave stava per toccare le spiagge dell’isola mentre il Pelìde fremeva di entusiasmo solo al pensiero di affrontare un tale nemico. Pur vero che non aveva la sua sacra Armatura, ma di certo quella che indossava sicuramente era una delle migliori dei Greci. Sbarcati sulla spiaggia, subito furono colpiti da gigantesche nuvole di frecce, ma la maggior parte dei greci riuscì a pararsi con lo scudo. Centinaia di soldati si frapponevano tra Achille e il palazzo del Re e in neanche un secondo il Pelìde si aprì un varco tra quelle truppe. Solo due tra più di cento uomini, che osarono affrontarlo, si salvarono. Increduli di fronte a tale potenza, caddero sulle ginocchia con un’espressione di terrore tale che Achille, sorpreso dal fatto che fossero sopravvissuti al suo attacco fulmineo, desistette dagli omicidi intenti. Altre schiere di soldati gli andavano incontro e il Pelìde, quasi stesse passeggiando faceva strage di nemici. Quasi nessuno resisteva alla sua furia e i pochi sopravvissuti si nascondevano, dove meglio potevano. Nel contempo una voce familiare sembrava che parlasse al Pelìde.
“Non ucciderlo” – gli ripeteva – “Non attirare su di te, altra ira divina. Uccidere colui che stai per affrontare scatenerà l’ira di Apollo!”
Dalla lontana Ftia, Teti, pregava affinché il figlio ascoltasse le sue parole.
Incurante delle parole della madre, Achille continuò ad avanzare finché non cominciò una melodia incantevole, che echeggiava su tutta l’isola. Si sentiva strano, tutti e cinque i sensi erano intorpiditi e ad un certo punto la melodia divenne così forte che molti soldati persero i sensi e Achille stesso era piuttosto indebolito.
«Ora basta» – esclamò il Pelìde che percepiva un grande Cosmo permeare l’intera isola. Levò in aria il braccio ed urlò
«Lightning Plasma» – centinaia di raggi di luce colpirono i soldati nemici, ma né uccise meno di quanto se né aspettasse.
«Non posso perdere altro tempo» – si ripeteva mentre cercava di resistere a quella melodia. Improvvisamente lanciò, col Cosmo che riuscì a bruciare in quelle condizioni, un Lightning Bolt, che si diresse verso il palazzo reale.
Il colpo distrusse quasi completamente, gli ultimi piani. La melodia s’interruppe e i soldati greci, compreso Achille, si ripresero in fretta. Anche se “sfoltiti”, erano comunque abbastanza da poter fronteggiare i rimanenti nemici.
«Mi dispiace madre, ma non posso lasciar un individuo talmente pericoloso in vita!»

Nel frattempo nel palazzo, il Re Tenes, coperto da macerie, si liberò e il suo primo pensiero fu per la sorella Emitea. Cominciò a cercarla spostando le macerie. Sotto un pezzo di tetto c’era lei, priva di vita, alla cui vista Tenes impazzì. Furibondo per la morte della sorella, il Re dell’isola, si sporse dall’apertura che il colpo del Pelìde aveva inferto al palazzo. Vide, il valoroso Re di Ftia, avanzare nel tentativo di raggiungere il palazzo.
Salto giù, arrivandogli alle spalle. Il Pelìde, quasi agghiacciato dall’inaspettata comparsa del nemico, cercò di colpirlo con un calcio, ruotando su sé stesso. Tenes parò il colpo e rispose a sua volta. Combatterono corpo a corpo per qualche minuto. Achille sembrava aver la meglio, ma Tenes si allontanò di qualche metro e stava per iniziare a suonare il suo flauto. Achille sapeva benissimo che se Tenes avesse cominciato a suonare da quella distanza ravvicinata, gli effetti della melodia sarebbero stati peggiori rispetto a prima, forse anche lui sarebbe potuto svenire, se non peggio. Senza pensarci un attimo scagliò uno dei suoi potenti colpi contro il nemico. Tenes parò il colpo con una barriera circolare, “disegnata”, davanti a sé, usando il flauto.
«Ma quel flauto…» – esclamò il Pelìde, riconoscendo la fattura dell’oggetto.
«Conosci questo flauto?!» – chiese incuriosito, poi capì – «Ma certo, sei un cavaliere d’Oro! Si beh… questo è il flauto di Cicno di Seiren, Re di Colone e figlio di Poseidon, nonché mio padre. Me l’ha affidato per vendicare la sconfitta contro il Cavaliere dell’Ariete. Ma dimmi quale dei 13 bastardi sei? Anzi quale degli 8 che osarono invadere Atlantide?»
«Sono Achille del Leone!»
«Achille del Leone!» – disse quasi stupefatto da chi avesse davanti, ma poi stranamente felice ridette per qualche secondo
«La tua fama ti precede, e devo ammettere che è ben meritata! Sei pur riuscito a localizzarmi molto in fretta. Nessuno, se non mio padre, c’era mai riuscito!»
«Beh la tua strategia ha un punto debole!» – replicò il Pelìde – «Hai permeato l’isola intera del tuo Cosmo, prima che arrivassimo, cosicché le tue melodie risuonassero apparentemente da ogni direzione. Ma ad ogni cambio di nota il suono non cessa dappertutto nello stesso istante. Alla fine di ogni nota restringevo sempre di più l’area da colpire. Così dopo decine di note ti ho trovato!»
«Eccezionale… Vorrei risparmiar a chiunque le sofferenze atroci che stai per affrontare, ma col tuo colpo hai ucciso mia sorella!»
«Dead End Climax2
Senza che il Pelìde avesse il tempo di reagire il nemico stava già suonando. La dolce melodia intonata dal suo flauto causava fortissimi dolori ad Achille, così come a tutti i soldati greci sbarcati su Tenedo. Urlanti, venivano trucidati senza alcuna difficoltà dai nemici.
“Devo pur fare qualcosa… se continua così ci lascio le penne appena sbarcato!”
Insieme alla melodia, la voce di Tenes sembrava rimbombare nella sua testa.
“Hai capito bene, mio valoroso nemico. All’ultima nota di questa melodia tu e i tuoi compagni morirete!”
Mentre la melodia continuava, alcuni soldati dell’isola raggiunsero i due alle porte del palazzo. Stavano per uccidere Achille in agonia al suolo.
«Il leggendario Achille inerme sta per morir di mia mano» – disse uno dei soldati.
Levò la spada verso il giovane eroe, ma mentre stava per infliggerli il colpo fatale, Achille si stava rialzando.
«Hai fatto male i tuoi conti!» – disse con voce tremante il Pelìde, quasi ridacchiando alla fine.
«Cosa?»
Espanse il suo Cosmo e gli effetti della melodia cessarono su di lui, anche se Tenes stava ancora suonando.
“Come è possibile” – si chiese Tenes .
“È impossibile” – si ripeteva.
Continuava a suonare ma Achille sembrava immune dalla sua melodia.
«È tutto inutile!» – affermò Achille che si stava riprendendo in fretta. – «Ho colpito la parte del mio cervello, che riceve i suoni, con delle piccole scariche elettriche, inducendo uno stato temporaneo di sordità!»
«Neanche la tua melodia può colpirmi adesso!» – sorrise sicuro di sé
«Lightning Plasma!»
Il colpo fu di dimensioni tali che travolse tutto nel raggio di centinaia di metri, compreso Tenes e moltissimi soldati. Achille, allora, si avvicinò al corpo in fin di vita del Re, per distruggere il flauto, ma mentre stava per prenderlo, si dissolse come se fosse stato teletrasportato.
Tenes rise e ormai senza forze e aggiunse:
«È nelle mani del legittimo possessore! Lui... lui… ti ucciderà!»
Quelle furono le sue ultime, tremanti, parole, che Achille capì leggendo le labbra.
“Interessante!” rifletteva mentre tornava alle navi. “Quindi significa che Cicno è sopravvissuto alla distruzione di Atlantide… E ora ha il flauto… Ciò significa che i Greci già sbarcati sulla spiaggia di Troia sono in gran pericolo. Devo sbrigarmi!”.
Intanto i soldati dell’isola rimasti si arresero all’evidente superiorità del nemico, che aveva persino sconfitto il loro Re.
Raggiunte le due pentecontere sulla riva dell’isola notò che solo alcune navi erano sbarcate sulle spiagge di Troia. Ricordando la profezia di Calcante3, Achille fu rincuorato nel vedere che tra le navi non c’era neanche una delle sue, in particolare quella comandata da Patroclo.
«Signore! Le navi di Protesilao4, Re di Filache, sono già sbarcate! Le raggiungiamo subito o sistemiamo le cose qui?» – gli chiese Eudoro, uno dei cinque generali del suo esercito.
«Tu rimani qui e imprigiona i soldati rimasti! Io con gli altri vado sulla spiaggia ad aiutar quegli sventurati!»
Eudoro si congedò andando a svolgere il compito assegnatogli.
Imbarcatosi con una ventina di soldati, Achille pian piano riacquistava l’udito. Arrivati a un centinaio di metri di distanza ordinò ai rematori di fermarsi e di gettare l’ancora, a quei tempi una grossa pietra.
«Restate qui! Se Cicno sta combattendo con i Troiani, sulla spiaggia, allora è più sicuro che voi rimaniate qui!»
Con un salto poderoso giunse sull’isola e vide i soldati di Protesilao in parecchia difficoltà contro i nemici. Lo stesso Re di Filache era appena stato ucciso da un troiano, che rimase sbalordito dal gigantesco salto del Pelìde. Achille vedendo la scena si avvicinò armato di spada e scudo. Il troiano, vedendolo andargli incontro, scagliò la sua lancia. Anche se a distanza ravvicinata, il piè veloce, non ebbe certo difficoltà a schivarla. Il soldato prese, allora, un’altra lancia da terra e si mise in posizione da combattimento con lo scudo in avanti.
«Mio principe!» – disse una voce in lontananza – «Lasciate a me questo nemico! Io e il Pelìde abbiamo un conto in sospeso!»
Il principe Troiano, allora continuò la battaglia a fianco dei suoi compatrioti contro gli invasori. Achille sulla sommità della spiaggia, noncuranti della battaglia in corso, vedeva una figura avvicinarsi lentamente. Risplendeva in controluce la sua armatura, alla cui vista il Pelìde né fu quasi scioccato!
«Ma quella è una Scaglia!»
«Si, questa è la Scaglia di Seiren!»
«Perciò tu devi essere Cicno! Credevo che fossi morto per mano di Neven!»
«Sarebbe stato così se non fosse stato per mio padre! All’ultimo istante, prima che la Stardust Revolution del Cavaliere dell’Ariete mi colpisse, mi teletrasportò sull’isola di mio figlio. Egli mi curò e così seppi dell’inganno che mia moglie aveva ordito contro di lui. Ci siamo riappacificati in quell’occasione e a causa tua non lo potrò rivedere!» – disse sempre più adirato contro colui che gli aveva ucciso il figlio.
«Indossa la tua armatura Cavaliere!»
«Non sono più un Cavaliere, Cicno!»
«Beh ciò non vuol dire che l’ucciderti sarà meno appagante!»
Achille l’attaccò prima che Cicno potesse iniziare a suonare il flauto, riottenuto dopo lo scontro Tenes. I due iniziarono, quindi, a combattere, ma anche se Achille era molto più veloce dell’ex Marine, era comunque in svantaggio senza la sua sacra Armatura. A fronte di ciò il Pelìde cercava di evitare tutti gli attacchi possibili per ridurre lo svantaggio. Ma Cicno era pur sempre un semidio ed infatti non gli fu difficile allontanarsi per suonare il suo Requiem finale. La melodia gli causava dolori più forti di quella di Tenes, mentre Achille rimuginava sulla possibilità di usare la stessa strategia usata contro il nemico precedente.
“Se già usando una volta quella tecnica, ho rischiato di rimanere sordo a vita, se la usassi una seconda… è quasi certo! E chissà quali altre ripercussioni potrei subire. Devo trovare un’altra soluzione… e in fretta… altrimenti tutti i soldati sulla spiaggia periranno!”
«Qualunque cosa tu tenta di fare è inutile! La mia melodia è diversa da quella di mio figlio, colpisce direttamente tutto il cervello… non puoi inibirla semplicemente come hai fatto prima! Dovresti ucciderti! – La voce di Cicno si diffondeva con la melodia, così come faceva il figlio. Appena terminò il suono della sua voce, dei fulmini squarciarono il suolo sotto di lui. Resistette al colpo ma perse il flauto caduto vicino al Pelìde che ancora a terra per i forti dolori, lo avvicinò a sé. Cicno, per fargli lasciare il flauto, lo colpì ripetutamente con dei calci, ma il Pelìde non desisteva. Ripresosi dopo la fine della melodia parò l’ennesimo calcio del nemico colpendolo a sua volta sul volto. Achille allontanatosi dal nemico di qualche passo, distrusse il flauto.
«Piaciute le mie zanne di fulmini5?» – chiese il Pelìde compiaciuto del suo piano.
«Come? Come sei riuscito a bruciare il Cosmo in quelle condizioni?»
«Basta una distrazione! Sono riuscito a distrarmi dalla tua melodia e dal dolore provocatomi da essa, così come quando non presti attenzione a una persona che ti sta parlando, o non fai caso per un po’ al dolore di una ferita. Sono riuscito a farlo abbastanza da permettermi di usare parte del mio potere. Sapevo che in quelle condizioni, le zanne di fulmini non sarebbero mai bastate ad ucciderti, infatti, il mio obiettivo era il tuo flauto prenderlo e distruggerlo una volta che mi fossi ripreso»
«Troppo tardi per i tuoi compagni!» – Infatti, Achille fu in quel momento circondato dalle centinaia di soldati troiani rimasti in vita dalla battaglia. Tutti i soldati di Protesilao, lui compreso, erano morti.
«Pensi che mi spaventino cento o anche duecento soldati! Lightning plasma!» – il colpò lanciato su tutta la spiaggia lasciò in vita poche decine di soldati. –
«Ritiratevi! Questa è una battaglia personale tra me e lui! Altrimenti morirete come i vostri compagni!»
I troiani rimasti allora si ritirarono lasciando soli quei due disumani.
«La vera battaglia, comincia adesso!» – disse Cicno – «Pensi che la mia unica possibilità fosse il flauto delle sirene?! Ricorda che son sempre figlio del Dio dei mari! Grazie Amphitrite!»
Il tridente di Poseidon si materializzò in mano a Cicno, che ringraziò la matrigna per averglielo consegnato dopo la disfatta del padre.
Achille rimase quasi pietrificato nel vedere di nuovo quell'arma terrificante, stavolta era davvero in difficoltà, senza armatura e contro una delle armi più potenti mai esistite, doveva completare il suo piano il più velocemente possibile. Delle sfere di luce gli apparvero intorno, sembrava fossero delle stelle.
«Photon drive» – disse il Pelìde e tutte quelle sfere di luce si diressero contro Cicno, che tentò invano di difendersi con il tridente del padre, ma le sfere di luce attraversarono qualunque cosa, anche la sua Scaglia entrando dentro di lui.
«Photon Burst!» – urlò Achille e dall’interno del nemico cominciò l’esplosione di luce che lo travolse.
Dopo l’attacco, Achille cadde a terra quasi fosse svenuto, ma con le ultime forze si rialzò dirigendosi verso il nemico. Stavolta non avrebbe lasciato che un’arma, quale era il flauto delle sirene o il tridente di Poseidon, tornasse nelle mani del nemico. Lo prese in mano ma si trasformò in acqua. Stremato dagli sforzi di quell’ultimo attacco, si sedette ad aspettare che i suoi soldati sbarcassero ancorati qualche centinaio di metri dalla riva.
«Il tridente di Poseidon può essere tenuto in mano solo dal Dio dei Mari in persona o dai suoi discendenti diretti. Per questo quando lo hai preso in mano si è trasformato in acqua!» – disse una voce alle spalle di Achille.
«Chi sei?» – chiese il Pelìde senza neanche girarsi
«Non importa chi sono! Importa ciò che ti dico, invincibile figlio di Peleo!»
«E cos’è che dici?»
«Dico che puoi trovare l’immortalità, se giochi bene le tue carte!»
«Non cerco l’immortalità!»
«No, tu cerchi la gloria! Ma con l’immortalità potresti ottenerla e vivere con tua moglie e tuo figlio!»
Il Pelìde si girò, ma l’uomo scomparve.

Note dell’autore
  1. La pentecontera è una nave greca.
  2. Dead End Climax è la “Dolce Melodia di Requiem” o anche “Acme finale”.
  3. Calcante profetizzò che il primo acheo a toccare la terra troiana, dopo essere sbarcato con la sua nave, sarebbe morto per primo.
  4. Protesilao era il principe della Tessaglia e Re di Filache.
  5. Zanne di fulmini = Lightning Fang

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Capitolo 6
*** VI – Punizione Divina ***


VI – Punizione divina

 
La notte era scesa sul campo Acheo e la maggior parte dei soldati, tranne ovviamente quelli di guardia, erano andati a dormire. Difficilmente qualcosa che lo preoccupasse lo teneva sveglio, ma quella volta il Pelìde non chiuse occhio. Era incuriosito, anzi quasi ossessionato, dalle parole di quell’oscura presenza che apparve dopo lo scontro con Cicno. Ancor più confuso era dal suo Cosmo, gigantesco oltre che oscuro. Non si dava pace. Doveva sapere chi fosse.
All’improvviso, un Cosmo apparve non lontano. Non lo conosceva, e non sembrava essere neanche quello percepito dopo la battaglia con il semidio.
Il Pelìde di colpo si alzò, si preparò e radunò i suoi cinque generali, davanti alle sue tende.
«Mio signore, perché ci avete destato a quest’ora?» – chiese Eudoro
«Ho percepito un Cosmo d’incredibile ferocia verso il monte. Ci dirigeremo lì per vedere cosa sta succedendo!»
«Ma Agamennone ha ordinato di restare al campo, finché non torna dalla battaglia contro Pedaso!» – disse Patroclo opponendosi alla decisione dell’amico.
«Da quando t’interessano gli ordini di Agamennone?»
«Non m’interessano, ma se partiamo adesso lasceremmo il campo vulnerabile a possibili attacchi!» – replicò Patroclo.
«Troia a questo punto starà inviando truppe per difendere Pedaso, nel frattempo noi andremo verso il monte, e questo è tutto! Altre obiezioni?»
«No mio signore!» – rispose Eudoro cercando di evitare altre discussioni.
«Allora andiamo!»
Raccolto un piccolo contingente di Mirmidoni, si diressero il più velocemente possibile verso il monte Ida. Più si avvicinavano, più quel Cosmo diventava forte, ma non solo… Achille così come Patroclo percepivano una ferocia immensa per non parlare della crudeltà che insieme ad essa si evinceva. Era sicuro che non fosse lo stesso uomo che gli apparve dopo aver sconfitto Cicno, ma dovevano essere collegati in qualche modo. Inoltre più tempo passava e più aveva la sensazione che ci fosse qualcosa sotto. Durante il tragitto, ancora lontani dal monte, Patroclo con il suo carro si avvicinò a quello dell’amico.
«È quello che hai percepito durante la battaglia contro Cicno?» – gli Patroclo
«No! Quello era molto più potente e oscuro! Questo per la brutale ferocia con la quale si espande sembra quasi un animale!»
«Chi pensi ci sia dietro?»
«Non lo so, ma è proprio quello che voglio scoprire! E poi… non so… ho come la sensazione che altre forze, oltre quelle degli Atridi, muovono questa guerra… Il punto è capire chi… Piuttosto perché non mi hai appoggiato prima?»
«Perché potrebbe essere una trappola. Non tanto per noi quanto per gli Achei all’accampamento! Tra le loro fila ci sono ancora guerrieri formidabili, capaci quanto Cicno di fare strage di mille uomini, perciò abbiamo il dovere di non fare mosse avventate!»
Improvvisamente quel Cosmo che si percepiva così distintamente, scomparve e Achille non commentando le sue parole, lo incitò a muoversi.
«Dobbiamo sbrigarci! Forza uomini, acceleriamo!»
Affrettarono il passo, ormai le pendici del monte erano vicine. Già in lontananza si vedeva l’inizio del sentiero che risaliva il monte. Era tortuoso e sembrava piuttosto impervio. Scesero da carri e cavalli, e solo un piccolo gruppo di soldati accompagnò il Pelìde e Patroclo sul monte. Eudoro e Fenice restarono invece accampati proprio vicino l’inizio del sentiero. Mentre risalivano l’impervio monte un banco di nubi si raccolse sopra tutta la Troade, e in poco tempo iniziò un acquazzone come pochi se n’erano visti negli ultimi tempi. Continuarono la scalata, incuranti del diluvio, raggiungendo un specie di piccolo villaggio. In realtà erano solo poche case e grandi campi. S’intravedevano da lontano mandrie di buoi e greggi fermi di fonte ad una delle case: erano stranamente ferme, anche troppo. Si avvicinarono con cautela, ma già prima di arrivare si accorsero che erano state tutte sterminate. Sotterrati dalle carcasse di buoi e capre c’era della gente barbaramente uccisa. Decisero di seppellire quelle povere persone e mentre spostavano le carcasse degli animali si resero conto di essere osservati: bastò solo il rumore di un rametto calpestato qualche metro distante. C’era, infatti, qualcuno nel campo, nascosto dalla notte e dalle piante.
I Mirmidoni cercarono, allora, di circondarlo tagliandogli ogni possibile via di fuga.
«Come ti chiami ragazzo?» – chiese il Pelìde ad alta voce
«Enea, figlio di Anchise» – rispose il ragazzo che resosi conto di essere accerchiato si alzò in piedi.
«Conoscevi questa gente?»
«Si! Tra di loro c’erano due principi di Troia. La pagherete cara per questo» – di scatto Enea cercò scappare, ma fu tempestivamente bloccato da due soldati.
«Inutile scappare, figlio di Anchise» – disse Patroclo.
L’acquazzone in quel momento stava peggiorando: i tuoni e i lampi che squarciavano il cielo si fecero più frequenti.
«Ah! Io non né sarei tanto sicuro!» – rispose Enea.
In quel momento sia Achille sia Patroclo capirono ciò stava per accadere.
«Toglietevi di là!» – urlarono ai soldati che sbarravano la strada ad Enea, ma non fecero in tempo che furono folgorati da un fulmine. Enea non perse l’occasione e scappò, lasciando dietro di lui i due corpi praticamente carbonizzati.
Era veloce e sia Achille sia Patroclo avrebbero voluto seguirlo all’istante, ma i Mirmidoni furono bersagliati da innumerevoli fulmini, che Achille e Patroclo prontamente respingevano per proteggere se stessi e i soldati che non né erano in grado. Ad un certo punto Achille ebbe un’intuizione
«Lightning Spread» – diffuse nell’ambiente intorno a sé la sua elettricità. I fulmini diminuirono sia d’intensità di numero, finché non si estinsero completamente.
«Che è successo?» – chiesero in coro alcuni soldati spaventati
«Dev’essere un protetto divino e neanche uno qualunque! Non è per tutti la protezione delle folgori di Zeus!» – spiegò Patroclo.
«E allora perché non siamo morti?» – d’altronde dai racconti si sapeva che nessuno sopravviveva alle folgori di Zeus.
«Perché non è Zeus che protegge quel ragazzo, altrimenti lo saremmo tutti! La mia tecnica rende carico di elettricità ciò che mi sta intorno. Più un corpo è carico di elettricità più energia e destrezza sono necessarie per colpirlo con dei fulmini» – spiegò Achille
«Evidentemente qualche altro Olimpico sta usando le folgori per proteggere quel ragazzo»
Il silenzio scese tra i Mirmidoni che capirono di essere stati molto fortunati
«Voglio sapere ciò che è accaduto qui! Quel ragazzo ha sicuramente visto qualcosa!» – aggiunse in seguito Achille.
«Io non credo!» – osservò Patroclo – «Ha detto che la pagheremo… quindi probabilmente pensa che siamo stati noi a compiere questo macello! Tuttalpiù possiamo seguirlo in caso il responsabile lo stia cercando per finire il lavoro!»
«Vado da solo!» – disse Achille – «Seguite la scia… Lightning Spread» – passò qualche secondo – «Trovato!» – esclamò.
«Lightning Rush» – in quell’istante Achille scomparve, lasciando una scia di luce sul suo percorso.
«Avanti, seguiamolo!»
Così, incitati da Patroclo i Mirmidoni seguirono la scia di luce lasciata dal Pelìde.

Achille si ritrovò su una strada di città, davanti ad Enea esausto per la fuga che sobbalzò dalla paura all’apparizione del Pelìde, avvolto da molte scariche elettriche. Si alzò cercando di correre, ma Achille, velocissimo, gli sbarrò la strada.
«Tranquillo figlio di Anchise, non voglio farti del male, altrimenti saresti già morto! Se l’orientamento non m’inganna siamo a Lirnesso, o mi sbaglio? Che è successo sul monte Ida? Chi ha fatto strage di animali e mandriani?»
Enea non rispose, cercava solo di riprendere fiato. Achille sospirava piuttosto spazientito.
Alcuni soldati in strada videro la scena, incuriositi, o meglio, insospettiti si stavano avvicinando.
«È un Acheo!» – urlò furbamente Enea.
In decine accorsero per dar battaglia al Pelìde che li respingeva senza far fatica, mentre Enea si allontanava scortato da alcuni soldati.
«Soldati di Lirnesso, non sono qui per combattere, ma solo per scoprire cosa è successo sul monte Ida questa notte»
Le sue parole, furono tuttavia ignorate, e fu attaccato ancora e ancora. Tra i soldati di Lirnesso nessuno era in grado di fronteggiarlo, tuttavia si limitava ad ucciderne il meno possibile.
Uno scoppio improvviso interruppe la lotta.
«Viene dal palazzo… Re Mines è in pericolo!»
«…Ha bisogno di noi!» – urlarono alcuni soldati e così in molti si diressero al palazzo.
Achille uccise in fretta quelli rimasti ad affrontarlo e seguì gli altri a distanza.
Non avrebbe mai immaginavo le orrende scene che avrebbe visto. Il Re di Lirnesso, Mines (o Minete), era disteso morente. Davanti a lui c’era un uomo imponente, quasi gigante, ricoperto di pelle di animali. I soldati gli saltavano addosso, ma lui non faceva una piega. Anzi li prendeva e gli spezzava le ossa quasi fossero dei giocattoli, li torturava uno ad uno, godendo delle urla di dolore dei suoi nemici. I soldati cercavano di tenerlo lontano dalla regina, impaurita all’angolo, senza via di fuga. Ogni soldato che cercava di salvarla cadeva nel sadismo di quell’uomo. L’ultimo soldato che tentò l’impresa, venne dapprima scaraventato al suolo, poi l’uomo lo prese per la testa e la schiacciò come una noce tra le mani. Il sangue misto a pezzi di cervello gli schizzò in faccia. Ancora non fece una piega, anzi sorrise, come se fosse divertito. Scoppiò, infatti, a ridere a crepapelle. Aveva gli occhi iniettati di sangue e un’espressione deviata, sembrava quasi in trance. Achille arrivò proprio nel momento in cui si svolgeva quell’orrida scena. Rimase di stucco nel vedere tanta brutalità. L’uomo si diresse verso la sua preda, la bellissima regina di Lirnesso. La prese per il collo e con sorriso sadico, la sbatté al muro. Si avvicinò e le leccò la guancia ridendo divertito dal terrore che vedeva nella fanciulla. In quel momento Achille, perse la calma e l’attaccò.
Gli tranciò il braccio con il quale spingeva al muro la giovane, che cadde per terra. Il sangue schizzava ovunque, tuttavia quell’uomo non accennava a mostrare il suo dolore. Neanche sembrava sentirlo. Gli ruppe l’altro e lo scaraventò a qualche metro di distanza. Sembrava piuttosto divertito e ciò faceva adirare ancor di più Achille che in preda alla furia lanciò un Lightning Bolt tinto di rosso (solitamente è blu).
Lanciò l’attacco con tanta foga che si lacerò la mano: un osso gli era uscito dalla carne. Il sangue che uscì confluì nel colpo, che sembrò essere insolitamente potente. Il colpo squarciò la testa dell’orrida belva. Il sangue era dappertutto anche quello dello stesso Achille che né perdeva tanto. Fece quindi rientrare l’osso nella mano e chiuse la ferita con delle scariche elettriche che gliela cauterizzarono.
Soccorse quindi la dolce ragazza visibilmente spaventata.
«Stai bene?» – le chiese dopo essersi calmato un po’.
«S…si!» – rispose terrorizzata. Si diresse verso il marito, che ormai aveva esalato l’ultimo respiro, e pianse al suo capezzale.
Pochi secondi dopo il corpo di quel mostro scomparve nel nulla e alcuni soldati di Lirnesso arrivarono.
«Mia regina, state bene?» – chiese uno di loro. Vedendo poi Achille lo attaccarono subito senza che neanche la loro regina potesse spiegar loro ciò che era successo. Achille neanche si mosse perché intervenne Patroclo arrivato con i Mirmidoni. Scoppiò quindi una battaglia tra i rimanenti soldati di Lirnesso e i Mirmidoni, appena giunti nella città. Achille si assicurò che la regina stesse bene e la portò in altra stanza del palazzo orma semidistrutto.
Lo scontro volgeva a termine, quando si percepirono distintamente due Cosmi non molto lontani. Non erano Achei, ma assomigliavano molto al Cosmo di quella feroce bestia abbattuta dal Pelìde.
Achille decise quindi di affrettare la conclusione di quella battaglia. Doveva capire cosa stava succedendo. Chi erano quei guerrieri? Qual era il loro scopo?
La città era ormai in mano dei Mirmidoni. Terminata la battaglia prese in braccio la giovane regina di Lirnesso, ancora traumatizzata dagli eventi e raggiunse i suoi generali.
«Eudoro! Prendi la regina e portala alle mie tende… Prenditene cura finché non ritorno!»
«Tu Fenice rimani qui a gestire la situazione!»
«Dove sei diretto, mio Re?» – chiese Eudoro, confuso, dopo aver preso la giovane fanciulla.
«Patroclo ed Io ci dirigiamo verso quei Cosmi, ma solo noi due, non voglio che i Mirmidoni affrontino quelle bestie!»
«Come desiderate mio Re!» – risposero Eudoro e Fenice.
I due valorosi guerrieri s’incamminarono verso la sorgente di quei Cosmi, in direzione del Tempio di Apollo vicino Lirnesso. Si affrettarono e giunti all’entrata della città videro infuriare la battaglia tra i soldati di Agamennone e le guardie del Tempio.
“Possibile che quei guerrieri siano al servizio del Dio del Sole? No, non può essere. Apollo predilige i Troiani non si schiererebbe contro gli alleati di Ilio, come sembra aver fatto quello che ho sconfitto prima, che si è schierato pure contro di me, quindi deve essere una terza parte.!”
I ragionamenti del Pelìde erano corretti, tuttavia non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Entrati nel Tempio, videro gli Atridi affrontare due enormi guerrieri, in tutto simili a quello sconfitto da Achille: corporatura, armature ricoperti da pelli di animali, occhi iniettati di sangue, come se fossero in stato di trance.
Dietro Agamennone c’era un vecchio abbracciato a una giovane donna, in preda al terrore.
Patroclo avanzò per affrontare i due nemici, che ancora non si erano accorti del nemico alle spalle. Da buon Cavaliere, o almeno ex, gli si piazzò davanti, tra loro e gli Atridi.
«Patroclo fatti da parte» – gli ordinò Menelao
«No, perché? Lascia che sia lui ad affrontarli, io intanto prendo con me questa giovane!» – replicò Agamennone
L’Atride si girò e prese la giovane fanciulla, strappandola con la forza dalle mani del vecchio accanto a lei, che si disperava.
Achille e Patroclo iniziarono a lottare contro i due avversari sconosciuti. Nel frattempo Agamennone con la ragazza e Menelao uscirono dal Tempio, lasciando ai due giovani ex Cavalieri il compito di sconfiggere quelle belve.
«Padre… Padre!» – urlava la ragazza
«Criseide, no! Vi prego lasciatela andare!» – urlava disperato disperava, il vecchio
«Apollo vi punirà per i vostri misfatti… O potente Dio del Sole punisci quei viscidi infami che hanno rapito mia figlia!»
Ma nulla successe.
«Non sprecare le forze, vecchio! Il Dio del Sole non si cura di te, né tantomeno di noi!» – replicò Achille.
A quel punto Patroclo allontanò il suo avversario e Achille fece lo stesso, prese due rose bianche e…
«Bloody Rose!» – le rose si conficcarono nel petto degli avversari, che caddero a terra mentre le rose si coloravano lentamente di rosso.
I due uscirono dal Tempio, lasciandovi il vecchio dentro, e raggiunsero gli Atridi che sui propri carri stavano per ripartire.
«Dove state andando?» – chiese Patroclo
«Come dove stiamo andando? C’è ancora Lirnesso da conquistare, piuttosto voi perché siete venuti? Avreste dovuto stare all’accampamento!» – rispose Agamennone
«Siccome ti dispiace che vi abbiamo salvato la pelle!» – replicò il Pelìde con tono di sfida nei confronti del Re dei Re. Dopo qualche secondo continuò – «a causa di un imprevisto ci siamo mossi e abbiamo già conquistato Lirnesso!»
«Ah l’avete già conquistata… bene… molto bene... restate qui allora a gestire la situazione noi torniamo al campo» – intervenne Menelao.
Mentre gli Atridi si allontanavano, i due rientrarono nel Tempio per capire chi fossero quegli uomini di animale ferocia, ma come il primo sconfitto da Achille, erano scomparsi così come il vecchio.
«Ma dove sono?» – si domandò Patroclo
«Qualcuno lì ha recuperati! È successa la stessa cosa con quello che ho sconfitto a Lirnesso» – spiegò Achille.
«E il vecchio?»
«Non saprei!»
“Crise, il mio Sacerdote, sta bene. Piuttosto voi umani dovreste pentirvi per aver dissacrato il mio Tempio e rapito la figlia del mio Sacerdote” – esclamò una voce che non sembrava provenire da nessuna parte.
Comparve poi, di fronte ai due guerrieri, un ragazzo alto con nobili lineamenti, occhi azzurri come il cielo più sereno e i capelli rossi come il più bel tramonto.
«Apollo!?» – esclamò il Pelìde pietrificato nel vedere Dio comparir dinanzi a loro.
«Pagherete per aver dissacrato il mio Tempio!»
«Divino Apollo non siamo stati noi a dissacrare il Tempio, ma due uomini che non fanno parte del nostro esercito!» – intervenne Patroclo, inginocchiatosi, temendo il giudizio divino.
Achille era rimasto in piedi, non era mai stato amante degli Olimpici, l’unica Divinità cui era fedele era Athena.
«Alzati Patroclo! Non è lui il Dio cui devi obbedienza!
«Come osi?» – disse il Dio indignato nel sentir tali offese da parte del Pelìde.
Levò la mano che si circondò di luce.
«Perirete per tutti peccati che avete commesso!»
Lanciò un attacco di luce che avrebbe messo fine alle giovani vite di Patroclo e Achille.
L’esplosione fu accecante ma non colpì i due, perché a fargli scudo comparvero due Armature d’Oro: quella del Leone e dei Pesci. Le armature quindi si scomposero e i due le indossarono come un tempo.
«Cosa? Dorate Armature? Come Osa Athena interrompere il mio castigo?... Così siete Cavalieri di Athena! Non l’avrei mai detto! Ringraziate la vostra Dea che è intervenuta proteggendovi… ma ciò non vi salverà dalla mia ira! Tutti i Greci sbarcati in queste terre pagheranno per i peccati commessi oggi!»
Dopo aver avvertito i due della punizione divina che si sarebbe abbattuta sugli Achei, il Dio scomparve.
«Uuh! L’abbiamo scampata questa volta! E solo grazie a te Athena!» – esclamò Patroclo tirando un sospiro di sollievo. Notò poi che l’amico era molto pensieroso – «Che c’è Achille?»
«Niente mi domando se lo scopo di quei guerrieri fosse proprio di attirare verso di noi l’ira di Apollo!»
L’osservazione del Pelìde lasciò i due nel silenzio, mentre le armature si staccarono dai due giovani e partirono di nuovo verso il Tempio di Atena. I due guardarono la scia di luce dorata, lasciata in cielo dalle Armature rimanendo in silenzio.
«Secondo quale punizione ci aspetta da Apollo?» – chiese Patroclo ancora intento a fissare il cielo.
«Non lo so!»
I due stanchi dopo tutti gli avvenimenti di quella notte tornarono insieme agli altri soldati all’accampamento.
Rientrato nella sua tenda vide la giovane regina di Lirnesso indietreggiare in un angolo timorosa delle intenzioni del Pelìde.
«Non preoccuparti! Non devi temermi… Come ti chiami?» – le chiese dolcemente.
«Bri.. Briseide!»
«Tranquilla Briseide non ti succederà niente te lo prometto! Piuttosto mangia!» – disse porgendole un vassoio pieno di frutta. La ragazza stette immobile.
«Mio signore!» – una voce tremante, fuori la tenda, chiamava Achille.
Uscito, vide Eudoro molto spaventato.
«Dimmi Eudoro, che è successo?»
«La peste, mio signore!»

Alcuni chiarimenti sulle mosse usate da Achille
Il Lightning Spread è una mossa che Achille usa solitamente come radar per individuare i nemici. Consiste nel caricare l’ambiente circostante di elettricità e nell’interpretare il segnale di ritorno. Lo usa per difendersi dalle folgori, poiché ha imparato che, per colpire con un fulmine un corpo carico di elettricità, è necessario maggiore cosmo e maggiore destrezza nel manipolare i fulmini. Sarebbe una sorta di spiegazione empirica del concetto di differenza di potenziale. Non c'è corrente elettrica senza differenza tra i due poli.
Il Lightning Rush è un attacco con cui Achille si carica di elettricità e si schianta sui nemici a velocità inimmaginabile, lasciando una scia di luce sul suo percorso. In questo caso lo usa solo per raggiungere Enea il più velocemente possibile non schiantandosi contro di lui, mostrando nel contempo il percorso da seguire ai suoi soldati.

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Capitolo 7
*** Capitolo Speciale – Achille e Briseide I ***


Capitolo Speciale – Achille e Briseide I

L'assedio di Lirnesso era stato catastrofico per la regina e sacerdotessa di Apollo che aveva visto morire il marito Mines davanti ai suoi occhi, senza contare quell'orrida creatura che aveva attentato alle sue grazie. Se non ci fosse stato il Pelìde a salvarla… beh… è stata fortunata. Tuttavia nella mente di lei inizialmente non c'era gratitudine per l'Acheo, poiché riteneva fossero che i Greci la causa della disfatta di Lirnesso e di suo marito. Probabilmente a ragione, perché in uno/due giorni avrebbero probabilmente invaso anche alla città di Mines. Tuttavia i brutali omicidi cui aveva assistito di certo non erano opera di qualche greco fuori di testa.
Achille era appena rientrato dal campo di battaglia e riuscito dalle tende subito dopo, chiamato dal fedele Eudoro.
 
Briseide da dentro le tende aveva sentito che alcuni soldati avessero la peste.
"Bene!" – pensò – “Gli Achei avranno ciò che meritano".
Il Pelìde rientrò subito dopo e vide fanciulla mangiare dal vassoio che le aveva porto, prima di uscire e sapere da uno dei suoi più fidati comandanti che la peste dilagava.
«E così la punizione di Apollo è già arrivata!» – commentò sprezzante la ragazza.
«Punizione per cosa? Non abbiamo attaccato noi il suo Tempio, ma quelle immonde creature che avrebbero ucciso anche te se non fossi!»
«Non prendermi per stupida. Erano i tuoi compagni che hanno ucciso la mia gente e che stavano per…» – la giovane non riuscì a finire la fresa ancora sconvolta per gli avvenimenti.
«Perché uccidere dei miei compagni? No… Non lo erano… Erano solo delle luride bestie e come bestie sono morte! Ti ho salvato da loro, io era a Lirnesso non per conquistarla ma per inseguire un giovane, che aveva assistito ad un massacro sul monte Ida, e da cui volevo ottenere informazioni»
«Voi avete dissacrato il suo Tempio, ucciso i suoi ministri, e ora la sua vendetta si abbatte su di voi! Inutli sono i tentativi di nascondere la verità! Al Divo Apollo non sfugge nulla!»
«Credi che sia la sua vendetta? E allora perché non mi ha ucciso quando dinanzi a me è apparso? Avrebbe potuto quantomeno affrontarmi e ha deciso di non farlo! Forse il tuo Dio ha paura di me!»
«Paura? Apollo il radioso non teme nulla! Che puoi saperne tu degli Dei... tu che sei solo un assassino?!
«Più di quanto tu creda! Sono nato da una divinità, sono cresciuto in mezzo a loro, li ho affrontati per evitare che la loro sete di potere annientasse tutto ciò che ci circonda. Tra loro ci sono poche eccezione a vigliaccheria e avidità! Athena, Dea della Giustizia, è l’unica che abbia mai ricambiato l’amore che l’umanità prova per gli Dei… si prodiga per essa… si immola per noi… ci protegge ogni volta che il mondo ne ha bisogno. Apollo, invece, è una delle divinità più avide che abbia mai toccato questo mondo e la sua mente conosce alti valori morali solo per nascondere le sue vere intenzioni… la sua sete di potere… il suo immenso ego. Se il tuo Dio è così potente e nobile perché non mi fulmina per le offese che gli ho arrecato e che sto continuando ad arrecargli davanti a una sua sacerdotessa»
«Perché non mi affronti? Perché non salvi la tua sacerdotessa?» – urlò in aria – «e se sei tu la causa di questa peste prenditela con me e risparmia i greci!» – aspettò qualche secondo e niente successe
«Come vedi il tuo Dio non verrà!»
Dopo qualche secondo di silenzio le si avvicinò, pulendole il viso e curandole le ferite, mentre lei immobile lo fissava negli occhi con disprezzo.
«Li conosco gli uomini come te!»
«Davvero?»
«Tu come tutti i cinquanta mila Greci venuti qui non siete diversi dai soldati di Troia… capite solo la guerra, la grande battaglia, la gloria che da essa deriva… la pace vi annienta… andate alla deriva nei pochi momenti pace… provo pietà per voi… perché la vostra anima non conoscerà mai la quiete, la tranquillità se non nella morte.»
«Mio marito era come voi! Infelice in tempo di pace, brioso dell’arrivo della guerra, non si curava di me, non gli importava»
«Beh principessa dei soldati sono morti per proteggerti! Forse meritano un po’ di gratitudine per il loro sacrificio e non soltanto la tua commiserazione»
Briseide si zittì mentre Achille ancora le curava le ferite.
«Perché hai scelto questa vita? La vita del grande guerriero?»
«Non ho scelto di essere così. Il destino, non appena tenti di sfuggirli ti ricorda chi è che prende le scelte. Io sono fatto così, sono un guerriero… tu invece perché hai scelto di amare gli Dei? Ti accorgerai che è un amore non corrisposto»
«Ti diverti?» – chiese infastidita dalle provocazioni del Pelìde.
«Tu, ignorata dal tuo defunto marito, hai dedicato la vita agli Dei… a Zeus… ad Apollo… tu li servi!»
«Si certo!»
«E ad Ares, Dio della guerra che fa strage di nemici per divertimento? Che fa coperte con le loro pelli, che ride sulle loro carcasse, che va in estasi dopo le sue carneficine…»
«Tutti gli Dei vanno temuti e rispettati!» – disse lei messa in difficoltà dalle parole del Pelìde
Achille la guardò negli occhi in silenzio mettendole i lunghi capelli castani dietro l’orecchio.
«Ti dirò una cosa sugli Dei che non insegnano nei templi e che nessuno osa neanche pensare e chi l’ha pensata si guarda bene dal dirlo…»
«… Gli Dei ci invidiano! Ci invidiano perché siamo mortali! Ogni istante è unico e più bello per noi perché può essere l’ultimo! E tu dolce Briseide non sarai mai più bella di quanto lo sei ora… alcuni s'incarnano per provare ciò che proviamo noi, per essere come noi, ma restano sempre divinità…»
La fanciulla colpita dalle parole del Pelìde si stava perdendo nel suo profondo sguardo azzurro.
«Sei diverso da come mi aspettavo» – disse lei poco prima che Achille si avvicinasse ancora.
«Che stai facendo?» – gli chiese
Achille non rispose ma le diede un lungo, tenero e dolce bacio dopodiché si alzò e uscì dalla tenda.
Quel bacio aveva spazzato tutti i timori di Briseide e con essi anche le inquietudini, si toccò le labbra e sorrise.

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Capitolo 8
*** Capitolo Speciale – Achille e Briseide II ***


Capitolo Speciale – Achille e Briseide II

Era passato poco più di un mese dall’assedio a Lirnesso e da quel giorno gli Achei riportarono numerose vittorie. La peste però li accompagnò mietendo vittime anche più dei troiani. “Qual è la causa di tutto ciò?” Achille spesso si poneva quella domanda. “Perché il radioso Apollo ci ha minacciati? È lui che ha scatenato la peste sul campo Acheo?”
Nonostante fosse preoccupato da tali interrogativi, la vita del Pelìde non era stata mai così serena. Dopo la Guerra Sacra contro Poseidon, le guerre umane per lui non contavano molto, credeva che Troia fosse l'eccezione, per questo era partito, tuttavia le cose cambiarono in quel periodo. Aveva perso la solita aria di inquietudine per assumerne una radiosa, quasi più radiosa di Apollo stesso. Il biondo risplendeva di una gioia immensa e la motivazione era solo una e di belle guance Omero la chiamò Briseide.
 
Il giovane Pelìde tornava dall’ennesima battaglia, vittorioso, portando doni di ogni genere che ancora una volta sarebbero spettati all’ingordo Atride che di tutti gli Achei si vantava di essere il primo. Nelle tende di Agamennone, ancora una volta, l’adunanza dei vari regnanti Greci era al cospetto del Re dei Re, per onorarlo portando ognuno parte dei propri bottini di guerra. Achille sempre in ritardo a queste riunioni, entrò vedendo Nestore, in ginocchio difronte ad Agamennone seduto comodamente, porgere l’ennesima preziosa anfora come dono. Ulisse come al solito a stento tratteneva le risate e vedendo entrare Achille, in ritardo, chinò il capo, coprendosi la bocca per evitare di far vedere le sue risate. Agamennone dopo aver accettato l’ennesimo dono, si accorse del Pelìde e ordinò a tutti i Re di uscire dalle tende. Rimasero solo in tre: Achille, Ulisse ed Agamennnone.
«Com’è che sei sempre in ritardo, quando si tratta di onorare il Re dei Re?» – chiese Agamennone non appena fu solo con Achille e Ulisse.
«Ero a combattere Re dei Re! Ora hai incominciato a parlare di te in terza persona?»
«Falla finita! – sbottò Agamennone, non apprezzando l’ironia del Pelìde che vedeva l’ego dell’Atride gonfiarsi di giorno in giorno.
«Ulisse! Ho saputo che prima della battaglia volevi parlarmi, cosa volevi?»
«La peste, Re dei Re. Noi vinciamo la maggior parte delle battaglie, ma contro la peste poco possiamo fare. Achille ti disse dopo Lirnesso, quando quelle creature attaccarono sia noi che i nostri nemici, che Apollo aveva giurato vendetta sugli Achei. Può essere che questa peste sia il risultato dell’ira del Dio Radioso? E in tal caso cosa avremmo fatto per meritarcelo? E cosa potremmo fare per placare una simile ira?»
«Potresti avere ragione quindi mi consulterò con Calcante per fargli leggere i presagi! Ora lasciatemi!» – ordinò il grasso Atride.
Achille perplesso non tornò alle sue tende ma fece una passeggiata per la spiaggia. Ogni giorno s’interrogava su quei mostri che avevano attaccato Lirnesso, sullo scempio di capre, buoi e mandriani sul monte Ida, e la cosa che proprio lo tormentava era quell’uomo apparsogli dopo lo scontro con Cicno. Non gli aveva parlato più, però ogni tanto sentiva la sua presenza aleggiare sul campo Acheo, per poi scomparire così com’era apparsa. Era arrivato, camminando, sulla cima di una scogliera che dava sull’isola di Tenedo (o Leucofri). Vedere lo splendido tramonto per un istante spazzò via i suoi dubbi, che tuttavia riaffiorarono poco dopo. Ed ecco che nuvamente sentì la presenza di quel Cosmo oscuro e gigantesco aleggiare sul campo Acheo.
«Fatti vedere!» – urlò a vuoto
«Ancora quella presenza?» – chiese l’amico Patroclo che l’aveva seguito
«Si! Tu non la senti?»
«Non proprio… non sento un Cosmo, ma come se avessi freddo. È più una sensazione di morte!» – spiegò Patroclo
«Io invece riesco a percepire un Cosmo portentoso, non mi sembra divino, ma potrebbe anche superare i nostri»
«Così potente?»
«Si!»
«Quando arriverà il momento sarò pronto ad affrontarlo!» – esclamò Patroclo – «adesso però torniamo! Si sta facendo buio!»
I due eroi tornarono all’accampamento nelle rispettive tende, però prima di entrare Achille prese qualcosa da mangiare per lui e per la ragazza “bella di guance” dentro la tenda.
Entrò nella sua tenda portando da mangiare posandolo su un piatto davanti Briseide.
«Forza mangia!» – disse Achille addentando quella che aveva tanto l’aria di essere una coscia di cinghiale.
La ragazza iniziò a mangiare, fissando con gli occhi verdi brillanti fissi sul Pelìde che ricambiò lo sguardo. Lei sorrise imbarazzata, chinando il capo mentre Achille le si avvicinò.
«Perché ridi?»
«Niente … così!»
Erano a poca distanza, le loro bocche si sfioravano appena fin quando Achille prendendola di forza, la baciò e la distese. Lei rispose al virile e al tempo stesso dolce bacio, poi cercò di togliergli la maglia ma Achille la fermò, fissandola per lunghi istanti. Migliaia di piccolissime scariche elettriche di un blu intenso, illuminarono i corpi di entrambi incenerendo le loro vesti e solleticando, infine, la pelle nuda e candida di lei.
Lei si chiedeva perché ancora stesse indugiando, poi le scariche elettriche cessarono tranne che tra i loro petti.
Dal suo seno al largo petto del Pelìde, centinaia di sottili fili luminosi creavano una sorta di intreccio.
«È bellissimo! Cos’è?» – chiese Briseide
«È l’intreccio delle nostre anime» – rispose Achille – «È il simbolo del nostro amore, qualcosa che va aldilà delle semplici parole, qualcosa di estremamente reale… che puoi quasi toccare! Lo senti?! Il mio cuore batte grazie anche a te così come il tuo batte grazie anche a me! Senti in te la mia vita così come in me sento la tua! Se qualcosa più grande di noi ci dovesse separare, rimarremo veramente spezzati! Il mio cuore non batterebbe più come adesso, né il tuo, mia amata! Siamo di più di noi stessi perché portiamo parte dell’altro nella nostra anima!»
Lei sorrise alle parole del biondo eroe, poi strinse le gambe alla sua vita e ruotò. Era ora sopra di lui, mentre il Pelìde completamente assorto dal suo incantevole seno iniziò a baciarla sul delicato petto.

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Capitolo 9
*** VII – Pegasus no Gyon ***


VII – Pegasus no Gyon

 
La guerra ormai durava da diversi mesi mentre al Tempio il clima era piuttosto nervoso. Equos dopo essere rientrato dall’ultima missione non faceva altro che aiutare gli abitanti di Rodorio: arava i campi, aiutava nella forgiatura di utensili, procurava ogni genere di bene necessario. Riceveva sempre la gratitudine di chi avesse aiutato, tuttavia per primi i contadini, che ricevevano maggiormente aiuto, iniziarono a non vederlo di buon occhio. Si era diffusa l’idea che tutte le disgrazie del villaggio fossero dovute alla presenza dei Cavalieri, a partire dall’incendio. Alcuni non ci credevano né davano peso alle chiacchere, ma altri iniziarono a pensar seriamente di fare qualcosa a riguardo. I Cavalieri si ritrovarono a sedare varie schermaglie e talvolta a esserne vittima. Gli episodi non erano preoccupanti se presi singolarmente, ma insieme mostravano una forte insofferenza della popolazione.

Athena da quella “notte di fuoco”, come la chiamavano gli abitanti del villaggio, si riteneva responsabile degli attuali risentimenti della gente di Rodorio nei confronti dei suoi Cavalieri. Si struggeva ogni volta che Equos le raccontava come andavano le cose al villaggio. Da quelle piccole schermaglie, la situazione avrebbe potuto degenerare facilmente, eppure lo scopo dei Cavalieri, così come il suo, era soltanto quello di aiutare. Doveva pur fare qualcosa, trovare una soluzione per placare gli animi…

Il Sole stava sorgendo e i primi raggi di luce colpirono il delicato volto della Dea, che in quell’istante aprì gli occhi. Il primo pensiero fu proprio per la gente di Rodorio, d’altronde quel giorno, dopo anni, sarebbe tornata nel suo villaggio natale. Era emozionata al pensiero di rivederli. Mentre si preparava, le mani le tremavano talmente che le scivolò uno dei bracciali. Lo riprese da terra e vide il nome incisovi anni addietro, “Gyon”. Le scappò un sorriso e strinse con l’altra mano gli altri bracciali ancora al polso. Sentì bussare alla porta e in fretta si rimise il bracciale e rispose.
«Si?»
«Divina Athena la scorta è pronta, quando volete possiamo partire»
«Si Neven, grazie»
Eiren si sbrigò a prepararsi, prese il suo scettro e uscì dalle stanze.
 
Poco distante dal Tempio nell’arena Gyon e molti altri giovani, inclusi i fratelli, si allenavano aspettando Giasone che stranamente era in ritardo. Solitamente spaccava il secondo ma quel giorno proprio non si vedeva. Era passata più di mezzora quando nell’arena entrò un Cavaliere di bronzo. Veniva di fretta e appena raggiunse i giovani aspiranti nell’arena si riposò qualche secondo. Era molto alto e aveva i capelli castani schiacciati dall’elmo dell’armatura.
«Salve ragazzi! Sono Kitalpha di Equuleus, e da ora in avanti vi allenerò io»
«Perché? Dov’è il nobile Giasone?» – chiesero i ragazzi confusi.
«Beh ha avuto un altro compito di estrema importanza, quindi per un po’ sarò io ad allenarvi, capisco di non essere all’altezza del nobile Giasone, però vi posso assicurare che non rimarrete delusi»
«Su dai cominciamo, chi è il primo?
«Il primo?» – chiesero ancora più confusi.
«Beh… Il primo che vuole lottare contro di me? Non avete mai lottato contro il nobile Giasone?»
Il silenzio dei ragazzi sembrava essere più che eloquente, anche se diversamente da quanto si Kitalpha potesse pensare, ognuno dei ragazzi aveva combattuto diverse volte contro il Dorato Sagittario: era proprio quello il problema. Kitalpha allora cercò di incoraggiare quei ragazzi, che non sapevano se essere felici perché avanzavano con l’addestramento o avere timore di scontrarsi, anche se solo per allenamento, contro un Cavaliere di Athena. Difatti avevano già visto cosa Giasone era in grado di fare, senza sforzarsi un minimo.
«Forza ragazzi, non abbiate timore, ci andrò leggero. Il nobile Giasone non avrà voluto provare prima per darvi tempo di rinforzarvi i muscoli, e spiegarvi del Cosmo!»
«Abbiamo combattuto diverse volte con il nobile Giasone» – fece il più piccolo con lo sguardo verso il basso
«Ah ora capisco… Avevo del tutto frainteso. Bene, allora facciamo una piccola introduzione. Chi mi sa dire cos’è il Cosmo?»
Tutti i ragazzi iniziarono a parlare quasi all’unisono ma Kitalpha lì fermò.
«Ok… Ok! Il nobile Giasone ve l’ha spiegato per bene, ma ora ditemi quanti di voi sanno dire cosa si prova a bruciare il Cosmo… ad espanderlo… cosa sentite mentre lo fate?»
«Tutto!» – intervenne uno di loro – «solo per un piccolissimo, quasi insignificante, istante percepisci tutto ciò che ti circonda, come se fossi un’unica cosa con l’ambiente circostante… il vento… la terra… gli animali… poi all’improvviso una devastante esplosione e l’energia, irruenta come un fiume in piena, ti travolge e continuerebbe ad arrivare se il limite non stesse in te… i sentimenti… amore… rabbia… divampano come se fossero immense fiamme e i sensi si accendono come il primo raggio di luce della giornata rischiara il buio… come se ad un tratto vedessi, ascoltassi, toccassi per la prima volta»
Tutti erano rimasti in silenzio nell’ascoltare l’esperienza del giovane, un po’ invidiosi di non sapere ciò di cui il compagno stesse parlando.
«Interessante descrizione, ragazzo, come ti chiami?» – chiese Kitalpha
«Gyon»
«Bene Gyon, allora sarai tu il primo. Per favore ragazzi fateci spazio»
I ragazzi si andarono a sedere sugli spalti, mentre al centro dell’arena Gyon e Kitalpha si fissavano.
«Allora Gyon prima di inizia…» – Gyon lo interruppe attaccandolo. Kitalpha schivò un paio di colpi poi gli fece lo sgambetto facendolo cadere per terra.
«Allora stavo dicendo… prima di iniziare…» – gli disse porgendogli la mano.
«Eh eh… scusa» – fece Gyon rialzandosi.
I due si distanziarono, quindi, di qualche metro e allora Kitalpha continuò il discorso interrotto.
«Cerca di rimanere il più immobile possibile… chiudi gli occhi e respira lentamente»
Gyon stavolta ascoltò le parole del Cavaliere.
«Per quanto tempo dovrò farlo?» – chiese Gyon dopo neanche un minuto ansioso di iniziare la lotta.
«Zitto e concentrati» – gli urlò Kitalpha colpendolo con un pugno in testa.
«Voglio che tu faccia come ti ho detto… chiudi gli occhi e respira lentamente… concentrati su ciò che hai dentro… su ciò che c’è intorno a te… amplia la mente… ricorda cosa hai provato bruciando il tuo Cosmo… non a parole ma le sensazioni… riprovale!»
Passarono diversi secondi di silenzio, Gyon era molto concentrato e all’improvviso scattò qualcosa.
Stava bruciando il suo Cosmo, gli allenamenti di Giasone erano serviti pur a qualcosa.
«Bravo!» – si complimentò Kitalpha.
Anche alcuni compagni lo incitarono mentre la maggior parte erano visibilmente indispettiti. Gyon cadde sulle ginocchia dopo qualche secondo. Sembrava esausto. Ma dopo essersi rialzato una strana sensazione, lo turbò.
«Eiren!?» – disse sottovoce. Si avvicinò, quindi, a Kitalpha e disse – «Eiren sta andando a Rodorio… È in pericolo!»
Dopodiché iniziò a correre come il vento uscendo dall’arena. Kitalpha restò qualche secondo confuso. All’inizio non sapeva se seguirlo o no, poi senza pensarci oltre decise di rincorrerlo.
Gyon doveva essere veloce perché Kitalpha già non lo vedeva più neanche in lontananza. Aumentò quindi il passo ma raggiunte le abitazioni dei Cavalieri una voce lo fermò.
«Lascialo andare, Kitalpha!»
Kitalpha riconobbe subito quella voce.
«Mi..io signore?» – disse titubante guardandosi attorno, cercando l’origine di quella voce.
Nascosto in controluce, c’era Polluce di Gemini risplendente della propria Sacra Armatura, disteso sul bordo di un’altura dietro Kitalpha.
«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi “mio signore”, mi dà sui nervi! Sei Cavaliere di Athena da anni e ancora mi chiami così»
«Si mio Sign.. ehm.. nobile Polluce!»
Polluce fece un verso, quasi infastidito dall’eccessiva riverenza con cui era trattato e scese dal tetto con un balzo.
«Già va meglio… comunque ti dicevo di lasciarlo andare, bado io a lui… tu torna dagli altri ragazzini»
Il Cavaliere di bronzo si congedò quindi seguendo l’ordine del gemello dorato. Polluce s’incamminò verso Rodorio per riprendere Gyon.
Athena nel frattempo passeggiava per le vie di Rodorio col volto coperto dalla maschera. Neven era preoccupato che qualcuno del villaggio riconoscesse Eiren e pensasse che fosse un’impostora, poiché ancora non era conoscenza diffusa che gli Dei potessero reincarnarsi, quindi quando, anni addietro, condusse Eiren al Tempio ordinò che tutte le donne del Tempio dovessero portare la maschera, sia che si trattasse di sacerdotesse, di ancelle ma anche di Cavalieri. Era una precauzione quasi eccessiva, ma anche dopo anni non era difficile che la fanciulla venisse riconosciuta e visto il clima non troppo felice tra gli abitanti, né Neven, né Athena vollero correre rischi inutili. È incredibile poi come certe regole vengano mantenute nel corso dei secoli!
La gente del villaggio era entusiasta di vedere Athena e anche se c’era malcontento nei confronti del Tempio, la visita di una Dea era sempre un evento straordinario, a maggior ragione nel caso di gente comune come quella del villaggio. Inoltre resistere alla dolcezza e gentilezza del suo animo e del suo Cosmo era impossibile per gli abitanti di Rodorio. Così una grande folla si radunò per salutare la Dea, la gente portava doni di ogni genere, che tuttavia Athena rifiutava.
«Gente di Rodorio non privatevi di beni per donarli a me in segno di devozione, usateli per voi stessi e per aiutare i meno fortunati e per me già questo è un dono sufficiente. Siete stati colpiti da molte sventure… alcune recenti… ma nonostante tutto avete resistito… vi chiedo, quindi, di non rendere vani i vostri sacrifici… godete della ritrovata stabilità!»
La folla acclamava le parole della Dea ma in quel momento una freccia nera volava verso Athena. Equos intervenne proteggendola con il suo scudo dorato.
«Divina Athena, state bene?» – chiese preoccupato mentre Giasone e Keren partirono all’inseguimento.
«Si, grazie Equos!»
I due dorati lanciati all’inseguimento dell’attentatore furono fermati da una luce che atterrò proprio davanti a loro.
«Polluce!» – esclamarono – «perché ci sbarri la strada?» – continuò poi Giasone – «Stiamo inseguendo…»
«Lo so!» – lo interruppe il Dioscuro
«Qualcun altro è già intervenuto, seguitemi!»
I due dorati confusi dal comportamento di Polluce lo seguirono, fino ad arrivare al luogo dello scontro.
Lì, in una delle vie di Rodorio, un giovane dai capelli castani affrontava un uomo alto e snello ricoperto da un’armatura viola e pellicce di qualche animale, forse di cervo. Aveva un arco in mano ed era abbastanza ovvio che fosse lui l’attentatore. Gyon, impavido e inesperto, non protetto da un’armatura, lo stava affrontando ma il nemico riusciva facilmente ad evitare i suoi attacchi (pugni e calci sostanzialmente). Keren stava per intervenire ma Polluce, lo fermò ancora una volta sbarrandogli la strada con un braccio.
«Vediamo come se la cava!» – disse poi
«Ma non possiamo rischiare la vita di un ragazzo per i tuoi giochetti» – intervenne Giasone
«Nessun gioco! Quel ragazzo, non so come, si è accorto della minaccia prima di noi. Vorrei capire come ha fatto e di cosa è capace, inoltre quel guerriero sembra indossare un Hauberk, quindi dev’essere un Berserker e sa di non poter fuggire con noi tre qui… pensate che non si sia accorto di noi? … aspetta solo una nostra mossa… per questo non sta affrontando seriamente quel ragazzo»
Dopo che Polluce finì di parlare il Berserker contrattaccò mettendo al tappeto facilmente Gyon, che faticava a rialzarsi. 
Il Berserker a quel punto prese una freccia e la scoccò, ancora una volta Polluce fermò i suoi compagni per intervenire, stavolta, lui stesso per salvare Gyon. Tuttavia non fu necessario poiché un Cosmo intenso protesse Gyon. Sembrava provenire da lui stesso ma qualcosa era comparsa bloccando la freccia. Era l’armatura di Pegasus che dopo aver fermato la freccia, si scompose aderendo perfettamente al corpo di Gyon. Era diventato finalmente un Cavaliere. Forte dell’armatura, si scagliò sull’avversario senza pensarci un attimo, colpendolo ripetutamente. Tuttavia il nemico non sembrava indebolito dagli attacchi del neo Cavaliere. Il Berserker contrattaccò spedendo Gyon ancora una volta a terra. A quel punto Polluce decise di affrontare il nemico. Spuntò alle spalle del Berserker che si girò percependo arrivare il dorato.
«Basta Gyon, hai fatto un ottimo lavoro, ma lascialo a me!» – Poi senza che il nemico potesse accorgersene, arrivò davanti a Gyon per aiutarlo a rialzarsi dopo i ripetuti colpi subiti. Il Berserker si rigirò nuovamente.
«Polluce non intervenire, è mio!» – disse mentre si rialzava, poi una volta in piedi spinse Polluce verso destra. Arse con tutte le sue forze, il Cosmo delle tredici stelle disegnandole con le braccia – «Pegasus Ryusei ken!»
Centinaia di colpi raggiunsero il Berserker che tuttavia riusciva a schivarli senza apparente difficoltà, però uno degli 85 al secondo andò a segno riuscendo a disarmarlo. L’arco del nemico finì a diversi metri di distanza ai piedi di Giasone e Keren.
«Pensi che l’arco sia la mia unica arma?» – disse il Berserker. Dopodiché concentrò il suo Cosmo urlando «Berserksgangr!»
I suoi muscoli aumentarono di dimensioni, le pupille si dilatarono, l’iride si colorò di rosso sangue, mentre un ghigno diabolico apparve sul suo viso. Giasone e Keren s’interposero tra Gyon e il nemico.
«Ora lascialo a noi Gyon! Sei stato bravo però adesso è il nostro turno!» – dissero i dorati.
«Perciò è questa la Berseksgangr di cui mi hai parlato?» – chiese Giasone rivolgendosi a Polluce.
«Si ma lascialo a me!» – rispose il semidio.  
Polluce avanzò preparandosi ad affrontarlo, lasciandosi alle spalle i compagni dorati e Gyon, che non capiva cosa stesse succedendo.
«Genrō Maō-Ken!» – urlò mentre dirigeva il suo pugno contro l’avversario.
L’illusione di Polluce sembrava aver funzionato… il Berserker era quasi in catalessi.
«Qual è lo scopo di Ares?» – gli ordinò il dorato
«Il mio nome è Egil del Cervo Sbranato… Egil del Cervo Sbranato…» – il Berserker ripeteva in continuazione quelle parole, non sembrava in grado di dire altro neanche sotto l’illusione di Polluce, che si spazientì in fretta.
«Vabbè se non è in grado di rispondere… non mi rimane altra scelta! Galaxian Explosion!» – un’esplosione di luce travolse il Berserker senza lasciarne traccia.
 
Nel frattempo Neven, Equos e Amida della Vergine erano accanto ad Athena per proteggerla. Gli abitanti erano tornati alle loro quotidiane attività mentre la Dea passeggiava per Rodorio salutando e rasserenando la gente che si era preoccupata. Anche lei stessa era agitata ma l’avere i tre dorati accanto, per un certo verso la tranquillizzava.
Mentre attraversavano la principale via di Rodorio furono raggiunti da un Cavaliere di Bronzo, Kitalpha di Equuleus.
«Kitalpha! Che ci fai qui? Ti avevo detto di addestrare i giovani» – disse Neven con tono autoritario.
«Mi dispiace, ma uno dei ragazzi si è precipitato in direzione del villaggio, ma il Nobile Polluce mi ha ordinato di lasciarlo andare e che lo avrebbe seguito lui. Poi allenando gli altri ragazzi ho percepito uno scontro e ho visto un’armatura dirigersi verso il villaggio. Siccome ho gestito io, i turni di guardia al perimetro del villaggio vorrei capire come i nemici lo abbiano superato e cos’è accaduto alle guardie e ai due Cavalieri con loro»
«Ok allora sbrigati, e fammi rapporto al più presto!»
Kitalpha di corsa si diresse all’esterno del villaggio per capire cosa fosse successo ai soldati e ai Cavalieri di guardia.
«Divina Athena sarà meglio rientrare considerato l’accaduto!» – le consigliò sottovoce Amida.
Athena fece un segno di approvazione con la testa e insieme ai dorati si diresse verso il Tempio con tranquillità, come se stesse continuando la “passeggiata” per il villaggio, in modo da non far preoccupare ulteriormente gli abitanti, già agitata dall’accaduto.

 

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Capitolo 10
*** VIII – Il potere concesso solo agli Dei ***


VIII – Il potere concesso solo agli Dei

Kitalpha era devastato, ancora per certi versi incredulo per ciò che aveva visto poco prima. Ricoperto di sangue camminava tra le abitazioni dei Cavalieri verso il Tempio, intento a ripensare a quelle scene raccapriccianti. Più ci ripensava più si agitava. Aveva il respiro corto mentre si sentiva quasi soffocare, la vista per qualche secondo si annebbiò, poi arrivò la nausea. “Forse sarebbe meglio” penso, ma non riusciva a vomitare nonostante la nausea fosse tremenda. Ancora la sensazione di soffocare lo opprimeva, il cuore gli batteva all’impazzata, mentre tutto attorno iniziò ad apparirgli stranamente confuso, ma non annebbiato come se stesse per svenire, sembrava piuttosto un posto estraneo, eppure quelle strade le percorreva ogni giorno, d’altronde abitava lì, proprio in una delle case all’angolo della strada. Non sapeva più orientarsi per raggiungere il Tempio nonostante fosse in piena vista. “Non posso farmi bloccare così… non in questo momento! Il nobile Asclepio mi ha ordinato di fare rapporto a Neven sulla situazione” si ripeteva per darsi coraggio. Era un Cavaliere dopotutto, aveva già assistito alla brutalità però mai a quel livello. Si dovette sedere perché non riusciva a proseguire. Appoggiato al muro di una casa si ripeteva “Calmati… alzati e cammina”. Ogni tentativo, ogni pensiero sembrava inutile.

Polluce che stava passando di lì per andare anch’egli al Tempio, lo vide e si avvicinò.
«Kitalpha! Che hai? Che è successo?»
Kitalpha non riuscì neanche a rispondere.
In quel momento Polluce gli urlò contro – «Kitalpha! Riprenditi Cavaliere!» – poi lo colpì in viso ma Kitalpha quasi neanche sentì le urla né il colpo del dorato.
Erano molto vicini al Tempio e Athena si affacciò al balcone delle sue stanze vedendo i due Cavalieri. Anche Neven sentì le urla di Polluce e uscì dal Tempio con Giasone e Keren.
«Che succede?» – chiese il generale
«Niente ha bisogno di un po’ di tempo per riprendersi, però non saprei cosa possa aver ridotto così» – cercò di spiegare Polluce.
«Venite dentro, beviamo qualcosa e magari cerchiamo di capire cos’è successo!»
Ancora sporco di sangue entrò nelle stanze di Neven aiutato dai dorati con cui si sedette a tavola. Neven uscì del vino e lo versò ai Cavalieri.
«Beveteci un po’ su! Forza Kitalpha bevi!»
Kitalpha era ancora molto agitato anche dopo un paio di coppe di vino. Nel frattempo Giasone, Keren e Polluce raccontarono come si era svolto lo scontro contro il Berserker e come Gyon avesse ottenuto l’Armatura di Pegasus.
Il Cavaliere di bronzo sembrava essersi ripreso mentre Polluce raccontava l’accaduto. Quando ebbe finito Neven versò un altro po’ di vino ai cavalieri, guardò Kitalpha e gli chiese «Perciò che è successo?»
«Beh è preferirei non parlarne… ma sono obbligato… si ricorda che quando ci siamo incontrati a Rodorio le ho detto che sarei andato a controllare i soldati di guardia al perimetro del villaggio per capire come il nemico fosse entrato»
«Si certo!» – rispose l’Ariete
«Beh ho iniziato dal sentiero principale, ma anche avendo percorso molta strada non ho trovato nessuno dei soldati assegnativi né il Cavaliere con loro, così decisi di percorrere il sentiero nascosto e… lì… lì li ho trovati!»
«Erano ammassati nel fosso che si trova appena si risale la prima parte del monte. Erano squarciati… macellati… come se Cariddi li avesse masticati e risputato i resti. Una scena davvero raccapricciante… nessuno è riuscito al salvarsi! Sentii dei versi… più che versi erano gemiti di dolore… provenivano da poco più avanti. Nella mia mente si accese una luce di speranza che qualcuno fosse sopravvissuto… luce che subito venne soffocata quando riguardando il fosso…li vidi tutti… un viso, la cicatrice sul braccio di Elias… tutti… erano tutti lì» – prese una pausa singhiozzando, poi continuò
«Mi chiesi quale nemico potesse essere in grado di compiere uno scempio simile senza che nessuno al Tempio si accorgesse di nulla… Poteva essere lì ferito per la battaglia che gemeva pochi metri più avanti? Non trovai un nemico ma un ragazzo, che poteva avere poco più di venti anni anni, disteso agonizzante per innumerevoli ferite. Era senza una gamba, che sembrava essere stata strappata a morsi… vari tagli profondi in tutto il corpo e sputava sangue come se vomitasse. Aveva lo stesso tipo di ferite dei nostri compagni, per cui molto probabilmente qualunque cosa sia responsabile della strage delle guardie e dei due Cavalieri con loro, è anche responsabile delle ferite di quel ragazzo. Ciò almeno mi parse abbastanza ovvio fin da subito… Era in fin di vita e nonostante tutto il sangue che lo soffocava, è riuscito a dire “Sono scappati”. L’ho caricato sulle spalle e ho corso con tutte le mie forze per raggiungere Asclepio in modo che lo curasse, ma non sono molto fiducioso. Avevo appena superato le porte di Rodorio e già mi sembrò che il cuore non battesse più. Asclepio sta provando a salvarlo… è solo un ragazzo… non merita di morire così!» – disse, infine, con un nodo alla gola, sbattendo il pugno sul tavolo… una lacrima solcò poi il suo viso chinato verso il basso. Stringeva i denti tentando di reprimere le lacrime, e quell’unica che non riuscì a trattenere cadde nella coppa di vino che stava bevendo. Poi continuò tenendo sempre il viso chinato in basso per nascondere gli occhi lucidi…
«Non credo che il Berserker responsabile dell’attentato ad Athena sia anche responsabile della strage delle guardie»
«Perché dici così?» – chiese Keren
«Per due motivi» – rispose Kitalpha – «mi è parso di capire che fosse un arciere, e nessuno di loro aveva ferite da frecce ne né ho viste. In più quel ragazzo ha parlato di più persone… quindi doveva esserci almeno un altro e se fossero stati insieme a compiere la strage, perché non era con l’arciere quando lo avete affrontato? Gyon addirittura prima di voi l’ha intercettato e non si accorto di nessun altro, è andato dritto sull’arciere»
«Certo! È molto probabile che tu abbia ragione, Kitalpha!» – lo interruppe Neven – «Piuttosto, vatti a dare una rinfrescata, ne hai bisogno!»
«No non posso!» – disse quasi singhiozzando, ormai stava per crollare quando le porte delle stanze di Neven si aprirono.
Era Athena, ferma all'ingresso in lacrime. Si avvicinò a Kitalpha, lo abbracciò e in pochi secondi di silenzio assoluto il Cavaliere di Equuleus riuscì finalmente a calmarsi.
«Vai e riposa mio valoroso Cavaliere!» – disse ancora in lacrime, interrompendo il silenzio.
«Come desiderate, mia Dea!»
Kitalpha si alzò piano piano e si diresse verso l’uscita ma arrivato alla porta della stanza si fermò.
«Se avete notizie da Asclepio fatemelo sapere»
Appena il Cavaliere di bronzo uscì, Neven si alzò.
«Cavalieri tutti fuori, lasciatemi con Athena!»
I dorati si alzarono e lasciarono le stanze di Neven, lasciando Athena e l’Ariete soli.
«Perché? Perché torna a perseguitarci?» – chiese Athena, con tono quasi retorico.
«Mia Dea non disperate, non è sicuro che sia lui! C’è la possibilità che sia stato un gruppo di Berserkers!»
«Neven non mi dare false speranze, le scene descritte da Kitalpha non lasciano dubbi. Ancora ricordo quel giorno come se fosse ieri, quando ci penso il dolore non sembra essere mitigato dagli anni passati. Le stesse scene sono scolpite nella mia memoria, da quando da semplice bambina mi risvegliai»
«Divina Athena molti nemici si stanno preparando ad affrontarci, dobbiamo rinforzare le difese territoriali del Tempio. In questi mesi abbiamo fatto molti cambiamenti ma forse ora è arrivato il momento di rivoluzionare un po’ la situazione…»
«Che intendi?»
«Questo non potrà essere più un semplice luogo di culto facilmente raggiungibile dalle genti di tutto il mondo! Ciò la espone a considerevoli pericoli! Dobbiamo far qualcosa a riguardo!»
«Cosa proponi?» – chiese la Dea
«Polluce mi ha consigliato qualche tempo fa di distruggere il fianco del monte così da impedire l’utilizzo del sentiero principale per accedere a Rodorio. In tal modo l’unico sentiero percorribile sarebbe quello nascosto, piuttosto impervio per chiunque»
«Ma Rodorio?»
«Certamente distruggendo il sentiero principale, la gente di Rodorio si troverebbe in difficoltà per tutti i beni che arrivano da fuori che verrebbero a mancare. Per proprio quelli indispensabili potrebbero usare i carri, ma attraversare il sentiero nascosto non è uno scherzo neanche per loro che lo conoscono bene. Non gliel’avevo proposto prima proprio per queste ragioni, tuttavia adesso la situazione è cambiata, hanno attentato alla sua vita e non possiamo permetterlo ancora»
Il silenzio tra i due si fece palpabile per diversi istanti mentre Neven cercava di capire come la Dea stesse reagendo alla notizia.
«Gli si deve dire! Gli abitanti devono saperlo, così potranno scegliere se rimanere o andarsene» – così la Dea interruppe il silenzio.
«Perfetto farò in modo che Equos e Polluce informino tutti al villaggio e si assicurino che chiunque voglia possa andare via prima della distruzione del sentiero»
L’Ariete dorato si stava congedando, uscendo dalla stanza, quando Athena lo fermò.
«Ah Neven, se è stato davvero Teseo…» – Eiren con un'espressione molto preoccupata non continuò la frase ma non ce ne fu bisogno.
I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi Neven fece un cenno con la testo dicendo:
«Non serve aggiungere altro!» – sapendo benissimo quale fosse la preoccupazione della Dea.
 
Nell’abitazione di Asclepio intanto il ragazzo portato da Kitalpha si stava riprendendo dalle ingenti ferite subite. L’Ofiuco dorato era riuscito a curarle tutte e il ragazzo sembrava non essere più in pericolo di vita, per quanto ancora privo di sensi. Asclepio era uscito per sciacquarsi le mani piene di sangue e rientrando trovò Kitalpha senza la sua Armatura seduto accanto al letto del ragazzo.
«Che ci fai qui, Cavaliere?» – chiese il dorato.
«Volevo sapere come sta… vorrei anche sapere chi è stato a compiere tanta crudeltà su un ragazzino»
«Non saresti in grado di batterlo!»
«Cosa? Tu sai chi è?» – chiese Kitalpha quasi incredulo.
«Dimmelo!» – gli urlò andandogli incontro. Gli prese la maglia tirandola verso di sé dopodiché glielo richiese
«Dimmelo!»
Asclepio non fece un cenno, quasi ignorando il comportamento poco rispettoso ed esagerato del cavaliere. Dopo un po’ lo guardò dritto negli occhi, quasi incenerendolo con lo sguardo e allora Kitalpha si calmò, lasciandogli la maglia e abbassando le mani. L’Ofiuco si sistemò la maglia sgualcita, si girò prendendo una coppa poggiata sul davanzale della finestra ad asciugare e si versò del vino.
«Beh sola una volta ho visto ferite del genere, e non erano di certo inferte da un nemico qualunque» – spiegò il dorato sorseggiando la sua coppa di vino.
«Perché non corri a dirlo a Neven?»
«Perché sicuramente lo avrà già capito! Non potrà mai scordare il responsabile della morte della moglie!»
«Chi ha combinato questo macello ha anche ucciso la moglie del nobile Neven? Se non mi ricordo male, la nobile Shenir morì durante l’assedio dei Marine di Poseidon. Vuoi dire che è uno di loro?»
«Esatto! Un nemico del passato, Teseo Cavallo del Mare, ultimo figlio di Poseidone»
Un’espressione di terrore apparve sul volto del Cavaliere di Bronzo, sentendo solo il nome del leggendario guerriero.
«Dal desiderio di vendetta al terrore! Andiamo bene!» – commentò Asclepio – «Se è così che reagisci al suo nome non ti consiglio di affrontarlo!»
«Ma Poseidon non è sconfitto? Che cosa vuole ancora?»
«Non saprei, ma la vendetta è sempre un movente più che valido alle stragi compiute dagli uomini, ma in questo caso sospetto che ci sia di più sotto. Non è un caso se l’attentato ad Athena sia stato in concomitanza con la sua ricomparsa. Potrebbe essersi alleato con Ares e in tal caso sarebbe ancor più pericoloso…
Il ragazzo riprese i sensi in quel momento. Alzò il braccio toccando Kitalpha, attirando l’attenzione dei due Cavalieri.
«N…o.. non è così» – disse sforzandosi
«No! Ti sconsiglio vivamente di parlare!»
«A…a…» – tentava di dire qualcosa, ma esalò i suoi ultimi respiri nel tentativo.
“Perché? Avevo guarito tutte le sue ferite!” si chiedeva il dorato medico.
«Ragazzo! Ragazzo!» – urlava il Cavaliere di Bronzo, commosso per la sua ingiusta e cruenta fine.
«Sposati Kitalpha, devo farlo stavolta!»
«Eh?! Che vuoi dire?»
Asclepio prese il suo bastone, si lacerò il fianco destro facendo schizzare il suo sangue sul corpo del giovane. Poi con il suo bastone, alla cui sommità splendeva una luce dorata, colpì il giovane sul petto.
«Che gli Dei possano perdonarmi! Altrimenti affronterò presto la loro ira!» – disse il figlio di Apollo.
D’improvviso il suo sangue sul corpo del giovane iniziò a brillare e una luce immensa li avvolse, diffondendosi per tutti i dintorni del Tempio.
«Ritorna ragazzo, ritorna!» – urlò infine il Cavaliere dell’Ofiuco
Come all’improvviso era apparsa, all’improvviso, la luce che tutto avvolse, scomparve.
Il ragazzo disteso esanime respirò di nuovo. Era ritornato. Kitalpha stupefatto gridò al miracolo. Asclepio esausto per l’immane impresa, si sedette, quasi cadendo per la stanchezza. Posò il bastone all’angolo del muro e riprese la sua fedele coppa di vino. Sapeva che prima o poi avrebbe pagato per ciò che aveva compiuto. Secondo i racconti del padre divino, quelle poche volte che l’aveva incontrato, riportare un anima dal mondo dei morti era uno dei più grossi peccati che un uomo potesse commettere. Quel potere era concesso solo agli Dei.
Kitalpha lo guardava confuso, come poteva…
«Come? E soprattutto dopo ciò che hai fatto come puoi continuare a bere come se non avessi fatto nulla di significante?»
«Bevo, mio caro Bronzo, perché non so fra quanto, ma in ogni caso non né avrò più l’occasione! E io adoro il vino!»
 
 

 

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Capitolo 11
*** IX – Attacco al Tempio ***


IX – Attacco al Tempio

Erano passate diverse ore e ancora il ragazzo riportato in vita dal Cavaliere dell’Ofiuco non si svegliava. Era riuscito nell’impossibile? Solo il tempo avrebbe potuto dare risposta a tale quesito che sia Kitalpha sia Asclepio si ponevano. Il dorato andò a riposarsi nell’altra stanza lasciando Equuleus ad occuparsi del ragazzo. Nel frattempo Athena dopo la discussione con Neven riguardo le vie di accesso a Rodorio, decise di andare lei stessa al villaggio per comunicare la decisione di distruggere il sentiero principale, cosa che avrebbe reso più difficile entrare o uscire dal villaggio. Il Cavaliere dell’Ariete, stavolta, era rimasto al Tempio per dirigere altri lavori per rinforzare le difese, inviando però Polluce a sostituirlo nella scorta. Così sempre quattro dorati erano intorno alla Dea, sempre al centro del cerchio formato da loro. La gente del villaggio andò in subbuglio alla notizia ma le guardie e alcuni Cavalieri riuscirono a mantenere la situazione sotto controllo. Gyon si era recato a Rodorio per aiutare a sedare eventuali malcontenti, ma nessuno lo ascoltava: nonostante fossero passati solo alcuni mesi, nessuno lo considerava più come uno di loro. Alcuni tentarono addirittura di aggredirlo, lasciandolo in lui solamente inquietudine e tristezza. Eiren, rammaricata vedendo gli inutili tentativi di Gyon, uscì dal cerchio della sua scorta dorata (i quattro dorati le erano intorno formando un cerchio) e si avvicinò alle spalle del Cavaliere prendendogli la mano.
«Basta!» – gli sussurrò all’orecchio, toccandolo sulla spalla con l’altra mano.
Al solo avvicinarsi della Dea, il giovane Pegaso sentì un brivido scorrere in tutto il corpo. Uno strano calore lo pervase. Erano anni che non provava quella sensazione, ma non sembrava cambiata, era esattamente come la ricordava. Restarono entrambi immobili per lunghi istanti finché non intervenne Polluce.
«Forza Cavaliere, torna al Tempio, non puoi più fare niente per convincere questa gente!» – disse dandogli una pacca sulla spalla, mentre Athena non appena si avvicinò il dorato indietreggiò tornando al centro della sua scorta.
«No! Non posso lasciarli andare così!»
«Invece devi, Cavaliere!» – intervenne Keren puntandogli contro il dito.
Meno di un secondo dopo Gyon era sparito.
«Dove l’hai mandato?» – chiese Polluce, anticipando Giasone.
«Al Tempio!»
«Carina questa tua abilità!» – commentò Polluce, guardando il parigrado con uno sguardo stranamente ghiotto.
«Che c’è?» – chiese il Cavaliere del Cancro
«Niente!» – rispose sorridendo il semidio.
Athena poco dopo fu riportata al Tempio mentre solo qualche centinaio di persone era rimasta al villaggio, tutti gli altri decisero di lasciarlo. Alcune migliaia stavano già percorrendo il sentiero sorvegliato dai Cavalieri, sentiero che di lì a poco sarebbe stato distrutto.
 
Intanto Asclepio si era destato dal suo riposo, ma ancora il ragazzo era privo di sensi. Kitalpha instancabile era rimasto al suo capezzale per tutto il tempo.
«Hai dormito un po’?» – chiese il dorato
«No! Non riesco a prendere sonno!»
«Beh vai! Tanto adesso né tu né io possiamo fare niente! È solo questione di tempo prima che si svegli, quindi vai tranquillo… e se proprio non vuoi riposare c’è un’orda di ragazzini che aspetta con ansia di essere allenata da te!»
Kitalpha si era proprio dimenticato di andare allenare i ragazzi, ma in quel momento il dubbio sulla correttezza del compito affidatogli occupò i suoi pensieri.
«Come posso allenare quei ragazzi sapendo che affronteranno tali atrocità?»
«Non è una tua scelta, è loro almeno in parte, per il resto è del Destino! Tutto dipende in parte da esso e da noi! Ovviamente tu puoi scegliere di non allenarli ma se è nel loro Destino, farai solo in modo che lo affrontino impreparati. Se invece li alleni saranno in grado di affrontare ciò che li attende! Non ti fare bloccare da queste tragedie, siamo ancora all’inizio!»
«Hai ragione!» – disse il Cavaliere alzandosi.
«Penso che andrò proprio ad allenarli!» – aggiunse poi sul punto di uscire dall’abitazione.
Si diresse quindi verso l’arena, dove ormai i ragazzi lo stavano aspettando da un po’.
Era quasi arrivato quando una strana, ma alquanto familiare, sensazione lo pervase, perciò si fermò proprio davanti l’ingresso dell’arena. Subito dopo un’esplosione gigantesca scosse la terra facendo crollare parte dell’arena, quanta era la forza di quell’onda d’urto. Si voltò in direzione del Tempio, mentre i ragazzi dentro l’arena lo raggiunsero fuori per vedere cosa fosse successo.
«Il Tempio…» – esclamò sgomento – «Restate qui ragazzi!» – aggiunse infine.
Corse immediatamente in direzione dell’esplosione cercando di capire il punto esatto, ma la nube di polvere e terra era talmente grande e fitta che anche dall’esterno era difficile determinare il punto esatto. Si addentrò nella coltre fuligginosa, riuscendo a stento a respirare, continuando ad avanzare seppur alla cieca. A memoria si diresse verso l’abitazione dell’Ofiuco, ma in tutta quella confusione non era certo di essere nella giusta direzione. Sentì ad un certo punto urlare qualcuno che cercava Athena. Sembrava una voce familiare.
«Divina Athena, dove siete?» – urlava, mentre Kitalpha cercava di capire chi fosse.
Avvicinandosi non ebbe dubbi: era il Cavaliere dell’Ariete.
La nube si stava diradando e finalmente ritornava a vedere, ma forse sarebbe stato meglio non assistere a quello spettacolo: era desolante, il Tempio di Athena era caduto, niente se non macerie ricopriva ciò che prima era un luogo sacro. Le abitazioni dei Cavalieri erano anch’esse ormai cumuli di macerie.
“Chissà se Asclepio e quel ragazzo sono riusciti a cavarsela! Sicuramente! È un Dorato dopotutto!” pensò tra sé Kitalpha. Appena diradata la coltre di polvere subito individuò il generale che cercava la Dea scomparsa nel caos.
«Nobile Neven, che è successo?»
«Ah Kitalpha! Beh non saprei, ero nella mia stanza mentre stavo pianificando le prossime modifiche per il Tempio, poi all’improvviso qualcosa, anzi qualcuno, ci ha colpito… con un colpo così devastante che ha spazzato via tutti i dintorni. Comunque adesso la nostra massima priorità è trovare la Divina Athena! Aiutami a cercarla!
«Sissignore!»
I due si misero a cercare spostando macerie e urlando il nome della Dea, nella speranza di ritrovarla.
Kitalpha riconobbe le tende del balcone della Dea ormai strappate e logore per terra, si fermò un attimo ricordando la prima volta che le vide, mentre Neven dall’altra parte ancora cercava la Dea.
«È inutile che cerchiate! Athena non è più in questi luoghi!» – una voce prese di sorpresa il Cavaliere intento a ricordare eventi passati.
«Chi va là?» – rispose Kitalpha
Da sotto le macerie sbucarono decine e decine di uomini che si disposero dietro ad un ragazzo candido, biondo e di regali lineamenti.
“Un momento! Conosco quel ragazzo! Non posso dimenticare quegli occhi! Azzurri come il più profondo dei mari!” pensava Kitalpha che fu raggiunto immediatamente da Neven.
«Chi siete?» – chiese il Dorato.
«Il mio nome è Ippolito, figlio di Teseo e loro sono Berserkers miei sottoposti!»
«Quindi era tutta una farsa? Che fine ha fatto Asclepio?» – chiese Kitalpha infuriato per l’inganno.
«Beh direi che è all’altro mondo, ormai! Ironico non trovi? Ha salvato me ma non è riuscito a salvare sé stesso! Ahahahah!»
Kitalpha non resistette molto e così si scagliò sull’avversario senza minimamente pensarci.
«Fermo Kitalpha!» – urlò Neven
Un gigantesco mostro vermiforme apparve davanti al Cavaliere inghiottendolo completamente.
«No, Kitalphaaa!» – urlo ancora il dorato.
Il mostro scomparve e di Equuleus non rimase alcuna traccia.
«Dov’è finito?» – chiese quindi Neven.
«Nello stomaco di Cariddi!» – esclamò con tranquillità il giovane.
I Berserkers dietro di lui ridevano alle sue parole, mentre Neven pensava disperatamente ad un modo per ritrovare Athena e sconfiggere tanti nemici dalle sconosciute abilità.
“L’incognita maggiore è Ippolito… se la sua forza eguagliasse quella del padre Teseo, sarebbe un problema affrontare lui e i Berserkers insieme” – rifletteva attentamente il Generale.
«Preparati Cavaliere!» – disse Ippolito tendendo il braccio verso di lui – «Charybdis Gorge!» – esclamò infine.
Ancora lo stesso mostro che aveva risucchiato Kitalpha apparve e il dorato generale anche ergendo il suo muro di cristallo non riuscì a resistere al vortice che l’inghiottì.
 
Tutto era diventato buio, mentre si sentiva immerso in acqua anche se l’odore era completamente diverso. La pelle scoperta gli bruciava come fosse a contatto con delle fiamme. Cercò di espandere il suo udito riuscendo a sentire solamente un rumore simile a quello delle onde che s’infrangano su una scogliera. D’un tratto colpì qualcosa schifosamente viscido. Erano le pareti di quel posto ricoperte di una melma maledettamente puzzolente, così come l’acqua nel qual era immerso. Alzò l’indice sulla cui punta si accese una luce.
“In che razza di posto sono finito?” – pensò il dorato, esplorando con la vista il luogo tenebroso nel quale era stato scagliato.
In lontananza intravide una serie di figure ammassate una sull’altra. Si avvicinò, quindi per capire cosa fossero, ma arrivato abbastanza vicino rimpianse di averlo fatto. Erano scheletri umani privi della carne che solitamente li ricopre. Tuttavia non sembravano completi né mancavano parti consistenti, poi vide un teschio con l’elmo delle guardie del Tempio e capì.
“È così che sono finiti a pezzi! Kitalpha paragonando i resti delle guardie ai rigurgiti di Cariddi ci ha proprio azzeccato!” “A proposito dovrebbe essere da queste parti!”
«Kitalpha» – urlò ripetutamente senza ricevere alcun segno di risposta.
“Che sia già morto? No non può essere!” – pensò, continuando a cercare.
 
Al Tempio la situazione precipitava, i Cavalieri sopravvissuti avevano ingaggiato una battaglia contro la legione di Berserkers comandata da Ippolito, mentre il giovane ragazzo sembrava sparito dopo aver usato quella tecnica su Neven. 
“Dove sono il Nobile Polluce e gli altri dorati? Perché non tornano al Tempio?” si chiedevano i Cavalieri in difficoltà affrontando la furia dei Berserkers.
Dopo pochi minuti una figura coperta da un mantello con cappuccio arrivò al Tempio e non appena i Berserkers se né accorsero, si bloccarono all’istante. I Cavalieri quasi esausti e increduli ne approfittarono attaccandoli, ma una forza improvvisa li schiacciò a terra.
«Se volete continuare a vivere, state lì!»
I Berserkers scoppiarono in grasse risate e noncuranti dei Cavalieri al suolo si allontanarono. La figura incappucciata rimase lì, ferma per qualche minuto, ignorando le varie domande dei Cavalieri, poi scomparve.
Dissolta nel nulla, un’altra esplosione colpì, spazzando via tutto ciò che era rimasto dalla precedente.
 
Nei pressi di Rodorio, Equos, svenuto sul sentiero principale si stava riprendendo, accudito da un vecchio signore del villaggio che molto spesso era stato aiutato dal Cavaliere della Bilancia.
«Bene… Ti sei ripreso! Che è successo?»
«Mmh… non ricordo bene!» – rispose Equos ancora parzialmente stordito.
«Tieni, bevi!» – disse il vecchio porgendo dell’acqua al Cavaliere logoro in volto, sporco di terra.
«Keren e Amida? Dove sono?» – chiese di soprassalto dopo aver bevuto
«Non saprei nobile Equos… abbiamo sentito delle urla al villaggio e siamo venuti qui a controllare ma c’era soltanto lei privo di sensi al suolo… poi ci sono state le esplosioni al Tempio e alcune guardie rimaste al villaggio sono andate a controllare…
«Aspetta, aspetta un secondo!» – lo interruppe bruscamente Equos – «Esplosioni al Tempio?»
«Si, gigantesche ahimè! La terra ha tremato per diversi istanti e la coltre di polvere, alta in cielo, era ben visibile anche da qui!»
Equos si girò all’istante vedendo ancora i residui di polvere alti in cielo sovrastare il Tempio.
«Per Zeus!» – esclamò atterrito il dorato, restando poi diversi secondi in silenzio.
«Grazie di tutto!» – disse mentre si alzava
Equos, quindi, si mise a correre velocemente verso il Tempio.
“Cos’è successo? Chi mi ha colpito alle spalle? È stato Polluce?  Era l’unico che avessi alle spalle, che abbia tradito?” “Che fina ha fatto? E Amida e Keren? Gli abitanti di Rodorio che stavano lasciando il villaggio sono riusciti a salvarsi?” “Chi o cosa ha causato quelle forti esplosioni? E dove sono finiti tutti i Cavalieri?”
Queste erano le domande, senza risposta, che affliggevano il Cavaliere della Bilancia mentre correva veloce quanto la luce verso il Tempio o almeno quel che ne restava.
Era appena arrivato e lo sconforto l’assalì nel vedere tutta la devastazione delle esplosioni. Alcune guardie cercavano di aiutare alcuni Cavalieri feriti. Erano davvero pochi, visibilmente amareggiati, per non dire sconfitti nell’animo. I giovani aspiranti Cavalieri cercavano di mettere in piedi dei rifugi, utilizzando le macerie.
Alla vista di Equos tutti i sopravvissuti tirarono un sospiro di sollievo, ma la situazione anche con il dorato non era per niente migliore.
«Nobile Equos!» – esclamarono in coro
«Che è successo?» – chiese il dorato
«Il nemico è apparso dal nulla…» – rispose Kleiros di Altar, mentre una guardia gli ricuciva le ferite riportate sulla schiena – «subito dopo l’esplosione sono apparsi… all’improvviso… da sotto le macerie… mentre Kitalpha e Neven cercavano la divina Athena, dispersa, li abbiamo visti venire inghiottiti da una mostruosità che alcuni affermano essere Cariddi!»
«È colpa nostra! È colpa nostra!»
«Che vuoi dire Kleiros?»
«Abbiamo invitato i lupi a cena! Quel ragazzo… quello salvato da Kitalpha… lui era il nemico! E noi lo abbiamo portato quanto più vicino Athena fosse possibile!» – disse l’argenteo visibilmente sopraffatto dal dolore, quasi in lacrime per gli eventi appena successi
«Abbiamo fallito!» – continuava a ripetere.
«Kleiros!» – lo interruppe il dorato – «La Divina Athena?!
«Rapita, probabilmente!»
Equos già lo sospettava: Nessuno dei Berserkers avrebbe potuto uccidere Athena, nemmeno qualora ella non si fosse difesa, quindi, nel peggior dei casi, l’avevano rapita, per portarla da Ares, affinché nel peggiore dei casi la uccidesse, ma anche il Dio della guerra in persona non poteva uccidere la Dea con leggerezza, per quanto pazzo si racconti che fosse.
Equos allora si recò dinanzi la statua della Dea, l’unica cosa rimasta in piedi, spostò le macerie cercando il vecchio sigillo che Neven voleva che tutti i dorati sorvegliassero. Non sapeva cosa ci fosse sotto la statua, ma sapeva che quel sigillo era stato creato da Zeus in persona. Fortunatamente il sigillo era intatto, come intatta era la statua della Dea e quindi la sua Armatura.  
«Non disperate, Cavalieri! Non siamo ancora sconfitti!» – disse Equos con un’espressione agguerrita e determinata, mentre aveva una mano poggiata sulla statua di Athena.
Delle urla da lontano chiamavano il Cavaliere –
«Nobile Equos!» – urlavano Delios e Kiros mentre di corsa raggiungevano il Cavaliere.
«Ha visto Gyon?» – chiesero i fratelli appena tornati dalle ricerche.
«All’appello a parte i Cavalieri d’Oro, escluso lei, mancano Eiren e Gyon!» – aggiunse Delios.
«No mi dispiace non so dove sia!»
«Che abbiano rapito anche il fratellone?» – chiese Kiros.
Equos non rispose mentre Kleiros si alzò andando poi verso il dorato.
«I nobili Polluce, Amida, Keren e Giasone sa dove sono?»
«No… non so che fine abbiano fatto!» – rispose il dorato. Poi ad alta voce si rivolse a tutti.
«Allora ascoltate tutti! Oggi Ares ci ha sferrato un colpo micidiale! Athena probabilmente è stata rapita! Molti valorosi Cavalieri sono morti o scomparsi, ma non dobbiamo abbatterci! Il nostro compito è proteggere Athena e combatteremo per lei fino a quando l’ultimo di noi avrà fiato in corpo per combattere! E anche dall’Ade non ci daremo per vinti se la nostra Dea è in pericolo! Cavalieri, guardie e giovani aspiranti noi riporteremo Athena al Tempio e sconfiggeremo Ares e i suoi Berserkers una volta per tutte!»
Tutti acclamarono le parole del dorato, che era riuscito a riaccendere il fuoco della lotta in tutti Cavalieri, guardie e aspiranti rimasti. Fece un gesto con le mani per sedare il clamore facendo intendere di aver ancora qualcosa da dire.
«Per prima cosa dobbiamo allestire un accampamento! Continuate a usare le macerie e tutto ciò che trovate! Facciamo un riepilogo dei morti e degli scomparsi e contiamo quanti siamo rimasti! Forza ci aspetta una durissima battaglia per riportare Athena sana e salva!»
«Sissignore! – risposero in coro.
 
Nel buio rischiarato dalla luce del Cosmo di Neven, il dorato cercava insistentemente Kitalpha. Immerso in quella melma acquosa logorante, nuotava tra detriti di ogni genere: pezzi di navi, di abitazioni, resti umani… mentre ancora veniva ustionato da quella melma acquosa che bruciava dappertutto dove non ci fosse l’armatura.
Nuotando, si trovò una nave intera di fronte e volendo evitare di immergersi completamente per scansarla decise di distruggerla lanciando un colpo. Dalla nave in frantumi saltò Kitalpha gridando.
«Chi è là?»
«Kitalpha, sono io!» – rispose il generale, mentre il Cavaliere di bronzo ricadeva dopo aver schivato il colpo del dorato.
Ricaduto nell’acidume Kitalpha risalì velocemente a galla.
«Dobbiamo uscire in fretta da qui o questa melma ci digerirà vivi!»
«Non c’è fretta!» – Esclamò Neven poi concentrando il suo Cosmo creò una semibarriera di cristallo che avvolse i due Cavalieri, proteggendoli dall’acido, fungendo da galleggiante.
I due si guardarono per qualche minuti senza proferir parola fin quando Neven interruppe il silenzio.
«Che devi dirmi Kitalpha? Vedo che sei combattuto… che ti stai torturando l’animo se dirmi qualcosa oppure no! Che c’è? Parla tranquillamente!»
«Signore l’esplosione che ha distrutto il Tempio… anche se mi strappassero gli occhi riconoscerei quell’attacco! Era la Galaxian Explosion!»

 

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Capitolo 12
*** X – Il Traditore ***


X – Il Traditore

Il Sole stava tramontando e Polluce e Ippolito seguivano ancora i Berserkers guidati dall’uomo incappucciato, mentre uno dei seguaci di Ares portava su di una spalla la giovane Athena priva di sensi grazie ai poteri del dorato che a lei avrebbe dovuto essere fedele.
Si dirigevano verso il palazzo di Ares, luogo sconosciuto persino ad alcune Divinità, e si diceva che a guardia di tale palazzo ci fosse persino una Dea, Eris, sorella gemella di Ares. Tuttavia nessuno sapeva niente con certezza, giravano solamente voci.
Già da un po’ il dorato si era accorto che qualcuno li aveva seguiti dal Tempio e non era l’unico ad averlo notato.
«Polluce chi è il ragazzino che ci segue?» – chiese l’uomo incappucciato.
«È solo un nuovo Cavaliere! Me ne occupo io se è un problema!»
«Fallo subito!» – intimò l’uomo – «Non vogliamo che qualcuno, seppur inutile, sappia dove si trovi il Palazzo del sommo Ares!»
«Ok!» – rispose Polluce con ancora indosso l’armatura dei Gemelli.
«Ciao Gyon!» – disse sbarrando la strada al neo Cavaliere.
Gyon indietreggiò preparandosi ad affrontarlo, non capendo che Polluce stava solo prendendo tempo affinché i Berserkers si allontanassero, tuttavia erano rimasti fermi a guardare lo scontro.
«Andate!» – gli urlò – «Posso cavarmela in pochi secondi»
«Ha ragione andiamo!» – ordinò l’incappucciato che prima di andare tuttavia si rivolse al dorato
«Non fare scherzi perché lo saprei!» – dopodiché si allontanò insieme ai Berserkers, seguiti da Ippolito.
«Non pensavo saresti sopravvissuto alla mia Galaxian Explosion!» – si rivolse a Gyon non appena il gruppo fu lontano
«Beh avresti dovuto mirare un po’ meglio!»
«Non che fosse diretto a te, però avresti fatto meglio a non se…
«Sporco traditore!» – lo interruppe Gyon con sdegno.
«Sporco traditore? Io? Sto facendo solo quel che è giusto!»
«Quel che è giusto? Distruggere il Tempio e rapire Eiren? Uccidere molti dei nostri compagni? Ti sembra giusto tutto questo?» – gli urlò contro.
«Non mi aspetto che un popolano come te capisca!»
Gyon senza aspettare un secondo di più scagliò il suo pugno contro il volto del dorato, che tuttavia rimase immobile come se il colpo del bronzeo Cavaliere fosse un leggero alito di vento, scoppiando poi in una fragorosa risata.
«Ahahahah! Cosa pensi di fare? Sei Cavaliere da “due minuti” e pensi davvero di poter sconfiggermi? Non sai nulla Pegaso! Non sei neanche in grado di percepire l’abissale differenza tra noi due!»
«La differenza? Vedo solo una differenza! L’anima nera che nascondi sotto quella splendente Armatura!»
«Vedo che Giasone ti ha addestrato bene a parole! Ma con i fatti non vedo molti progressi! Sei troppo cieco per vedere il netto divario tra i nostri due Cosmi!»
«E quale sarebbe?»
«Il settimo senso, Cavaliere! Preparati! Genrō Maō-Ken!»
Gyon cadde a terra svenuto, mentre il dorato si allontanava.
Era riuscito a raggiungere i Berserkers nonostante non sapesse dove fossero diretti, solo seguendo il loro Cosmo.
«Perché non l’hai ucciso?» – chiese stranito l’incappucciato mentre correvano.
«Perché ci sono stati già troppi morti oggi e non era necessario ucciderlo! Dovevo solo evitare che potesse seguirci al palazzo del sommo Ares e così ho fatto! Si sveglierà come minimo stanotte e a quel punto noi saremo lontani se non già a destinazione!» – commentò il dorato.
Tutti si fermarono, mentre l’incappucciato si avvicinò a Polluce.
«Un guerriero di Ares non l’avrebbe mai risparmiato! Dovrei imparare a comportarti come tale!»
«Io non sono un guerriero di Ares! Il fatto che vi stia aiutando non vuol dire che mi metterò una di quell’orrende Hauberk addosso e che mi farò chiamare Berserker. Non sono uno di quegli idioti che ti porti dietro e ti prego di ricordare la differenza! Sono un alleato di Ares non un suo seguace!»
I due erano a testa a testa e la tensione cresceva ad ogni istante di silenzio che seguì alle forti parole del dorato traditore.
«Ahahaha! Hai fegato ragazzo! E hai le tue ragioni! Ma parlami un’altra volta con quel tono e t’incenerisco all’istante!» – disse infine raggelando il sangue del dorato che stette immobile qualche secondo mentre gli altri ricominciarono la marcia.
 
Intanto nell’oscuro antro nel quale erano malcapitati Kitalpha e Neven, il Cavaliere di Equuleus aveva appena riferito che l’esplosione al Tempio era stata provocata dalla Galaxian Explosion!
«È così nobile Neven, ne sono certo! Ed essendo il nobile Castore morto, ormai da anni, l’unico in grado di scagliarla è il nobile Polluce. Trovo incredibilmente difficile pensare che egli, così devoto alla Divina Athena, possa averci tradito, ma non vedo come possa essere altrimenti!»
«Capisco Kitalpha! In ogni caso è ora di uscire da qui!» I due si teletrasportarono di nuovo al Tempio, o meglio ciò che di esso era rimasto.
«Ma che è successo?» – si chiese il bronzeo.
«Ho usato il Teletrasporto per ritornare al Tempio!»
«Per la miseria… Questo è il Tempio?! È peggio di come ricordassi!» – esclamò sconcertato Kitalpha.
«Nobile Neven!» – urlò in lontananza Equos vicino ad un accampamento.
Neven e Kitalpha lo raggiunsero per capire cosa stesse succedendo.
«Per fortuna siete in salvo!» – disse il Cavaliere della Bilancia tirando un sospiro di sollievo.
«La divina Athena?» – chiese con apprensione il dorato Cavaliere d’Ariete.
«Rapita!» – rispose Equos
«Come immaginavo!» – commentò ancora il Generale.
«Che è successo dopo la nostra scomparsa?» – chiese Kitalpha.
«Un’altra esplosione ha colpito il Tempio!» – spiegò Kleiros di Altar.
«Un’altra?» – commentò sgomento.
«Senti Kleiros, hai per caso riconosciuto il colpo che l’ha causata?» – intervenne Neven
«Nossignore! Poco prima di essa combattevamo i Berserkers fin quando non comparve un uomo incappucciato! Non so come, ma una forza gigantesca ci schiacciò a terra, mentre i seguaci di Ares si allontanavano… poi l’uomo scomparve nel nulla e ciò che era rimasto di integro del Tempio in un’altra esplosione perì! Solo la statua di Athena è sopravvissuta, come potete appurare voi stessi!»
«Equos il sigillo?» – chiese Neven di colpo, ricordandosi il primo compito affidatogli dalla Dea Athena.
«Ancora integro fortunatamente, Signore!»
«Signore… Perché, se posso, ha chiesto se avessimo riconosciuto il colpo? C’è stato, forse, un tradimento?» – chiese Kleiros.
«Niente di cui ti debba preoccupare, Cavaliere!» – rispose Neven, poi si rivolse a Kitalpha – «Vai ad aiutare a preparare l’accampamento, a gestire i turni di guardia, a fare tutto ciò che puoi per aiutare!»
Il Cavaliere di Equuleus si stava già muovendo, quando il generale lo richiamò.
«Ah Kitalpha! Un’ultima cosa!» – si avvicinò al bronzeo Cavallino – «Quella discussione… che rimanga tra noi! Intesi?» – disse infine sottovoce, ricevendo un cenno di conferma dal Cavaliere.
«Equos, quanti Cavalieri sono rimasti?» – chiese poi al dorato.
«Dei 58 Cavalieri, contando voi e Kitalpha, siamo rimasti in 31! Di sette siamo riusciti a trovare i corpi, ma degli altri niente… anche alcuni dorati mancano all’appello, anzi di essi siamo rimasti solo noi due…»
«Capisco! Gyon?! Era con la divina Athena al momento dell’esplosione! Sai per caso dov’è?
«No e non abbiamo trovato il suo corpo!»
«Allora vieni a cercarlo con me! Kleiros hai tu il comando per adesso!»
«Sissignore!» – rispose l’argenteo.
Neven posò la mano sulla spalla del Cavaliere della Bilancia dopodiché si teletrasportarono.
 
“Cos’è questo? Ancora un’illusione di Polluce? Oppure è un sogno?” si chiedeva Gyon, trovandosi al Tempio che con suo stupore era ancora integro. Era difronte una delle abitazioni dei Cavalieri, mentre la luna piena illuminava i dintorni. Cercò di aprire la porta ma non ci riuscì, passandole attraverso, come se fosse evanescente. “Sono un fantasma?” – si chiese. Poi un braccio dorato lo attraversò in pieno petto aprendo la porta.
Era il braccio di Polluce che stava entrando nella sua abitazione del Tempio.
«Infame traditore!» – gli urlò contro Gyon attaccandolo, ma gli passò attraverso.
Entrato in casa si tolse l’elmo dell’armatura dopo aver acceso una torcia e si sedette come se tutto andasse bene e Gyon non fosse lì. Prese la bottiglia di vino che era sul tavolo, semivuota, e bevve direttamente senza versarlo in una coppa.
«Troppo vino ti fa male!» – intervenne una voce nell’oscurità dell’altra stanza.
«Ah! Sei tu!» – disse incurante il dorato che continuò a bere vino.
«A che punto siamo con il piano?» – chiese Neven uscendo dal buio.
Gyon stupefatto non capiva cosa stesse succedendo.
«Anche tu Neven?!» – chiese completamente ignorato.
«Abbiamo fatto un passo avanti, proprio oggi ho fatto un incontro curioso!» – rispose Polluce.
«Ci possiamo fidare?»
«Sì, direi proprio di si! Ci darà una mano!»
«Bene! Chi degli altri è informato del piano?»
«Al momento nessuno a parte noi, ma penso che dovremo coinvolgere Asclepio! So che non sei entusiasta della sua partecipazione ma credo proprio che sarà necessario quanto meno qualche giorno prima di attuarlo!»
«Asclepio… Come fa una persona ad essere tanto altruista e egocentrica allo stesso tempo non saprei!» – commentò sprezzante Polluce.
«Beh non credo che importi, il suo contributo in battaglia è inestimabile!»
«Ok!»
«C’è altro che dovrei sapere?»
«No! Piuttosto quando direte del piano alla Divina Athena?»
«Quando sarà il momento!» – disse congedandosi dal Cavaliere.
Un bagliore bianco avvolse Gyon che si risvegliò su un terreno di pietruzze, diverso dal luogo in cui aveva combattuto contro il dorato.
“Dove sono?” si chiese stordito. Alzandosi e guardandosi intorno riconobbe il posto molto familiare.
“È il sentiero principale per Rodorio, e quella è la gente che se ne sta andando!”
«Equos, Giasone!» – urlò ai cavalieri mentre facevano la guardia al sentiero, insieme ad Amida.
Testardo com’era Gyon ci riprovava ma anche questa volta rimase ignorato.
«Genrō Maō-Ken» – esclamò Polluce dietro di lui colpendo Equos, che cadde a terra svenuto.
«Polluce che fai?» – chiese sconcertato e allo stesso tempo stupefatto, Giasone, mentre Keren si mise in posizione da combattimento, urlando alla gente di affrettarsi.
«Pensi di sconfiggere tre Cavalieri d’Oro insieme?» – commentò Amida rimasto composto, levitando seduto con le gambe incrociate.
«Non serve sconfiggervi!» – disse una voce che sembrò provenir da dovunque.
Poi una figura incappucciata apparve accanto al dorato traditore.
«Forza Polluce, fallo adesso!»
«Another Dimension!»
Tutto intorno apparve uno sfondo di stelle e Galassie, strane forme ricurve e soprattutto oscurità.
«Dove siamo?» – chiese Keren.
«È il mondo dei Dioscuri, chiamata anche Dimensione Oscura! Un luogo da cui nessuno se non un Dio può fare ritorno!» – spiegò molto pacatamente Amida.
«Ho visto tante persone finire in questo posto! Polluce solo di rado ha utilizzato questo colpo! Era più suo fratello che lo amava, facendosi consumare dall’oscurità che da esso scaturisce!» – intervenne Giasone – «A Tanto osi spingerti contro i compagni?! – urlò poi contro il traditore.
«S…» – stava per dire qualcosa Keren, prima di scomparire insieme ai compagni nell’oblio più totale.
Di nuovo quel bagliore avvolse Gyon e dopo aver assistito a quelle scene si svegliò di colpo sul sentiero in cui aveva affrontato Polluce. Era solo, ormai il dorato era lontano, giunto insieme ai Berserkers a destinazione.
 
«E il palazzo di Ares sarebbe dentro quella grotta? – chiese sarcasticamente il dorato.
«Ahahah!» – risero i Berserkers
«Seguici e stai zitto!» – intimò l’uomo incappucciato.
Il dorato e Ippolito seguirono l’uomo misterioso e i Berserkers dentro quell’antro.
Era una grande grotta con alti soffitti e varie pozzanghere rinvigorite anche dall’acqua che cadendo nei secoli dal soffitto aveva generato molte stalattiti e stalagmiti. Il luogo era tenebroso ma le torce accese dai Berserkers illuminarono la caverna. Giunti alla fine della gigantesca entrata c’era una sorta di apertura.
«Forza dobbiamo entrare lì!» – disse uno dei Berserkers rivolgendosi a Polluce che tuttavia lo ignorò, ma fu proprio lui il primo ad entrare sollecitato con lo sguardo dall’uomo incappucciato, che senza proferir parola gli diede una torcia. Persino il dorato era intimorito dalla sua presenza.
Il passaggio era veramente stretto tanto che dovettero procedere in fila con la testa chinata per quanto fosse basso, mentre un filo d’acqua scorreva nella direzione opposta.
Avevano già percorso parecchi metri quando Polluce si accorse che di lì a poco il passaggio si sarebbe allargato.
«Penso che ci siamo!»
Il passaggio si allargava improvvisamente dando accesso ad una camera gigantesca.
«Alla luce delle torce centinaia se non migliaia di pipistrelli aggredirono il gruppo, ma il più viscido dei Berserkers alzò il dito e i pipistrelli ritornarono a coprire l’intero soffitto dell’immensa camera della caverna per poi scomparire.
«Tranquilli! Erano soltanto i miei pipistrelli!» – spiegò quel Berserkers.
«Pipistrelli?» – chiese Ippolito che non aveva mai incontrato tali creature.
«Si sono solo dei topi con le ali!» – commentò Polluce attirando l’ira di quel Berserker, che tuttavia fu ignorata dal dorato.
«Questo luogo è immenso? Più di quel che riusciamo a vedere! Non è così?» – chiese Polluce.
«La tua fama è degna del tuo nome!» – commentò l’incappucciato.
«Voglio vedere!» – e non appena lo ebbe detto illuminò tutto come se egli stesso fosse il Sole.
Il posto era veramente enorme e dritto davanti loro a decine di metri di distanza non c’era una parete rocciosa che ma una parete di acqua. Un’imponente massa d’acqua chiudeva la caverna, come se qualcosa la bloccasse lì ferma, mentre avrebbe dovuto dispiegarsi e riempire quell’antro immenso.
«Cos’è questo posto?» – chiese Ippolito
«Questo è l’accesso al palazzo del sommo Ares per chi non è un Berserker!»
«Per chi non è un Berserker?» – domandò incuriosito
«Grazie alle nostre Hauberk possiamo direttamente accedere al palazzo del sommo Ares senza dover sprofondare in questi luoghi. Ma non possiamo portare nessuno di estraneo. Quindi per voi abbiamo dovuto prendere questa via, nascosta in modo che nessuno lo trovi per caso!» – spiegò il Berserker più robusto che portava Athena ancora priva di sensi.
«Immagino che quella massa d’acqua sia una difesa per eventuali intrusi! Rilasciandola non molti riuscirebbero a sopravvivere! Anzi probabilmente chiunque resterebbe annegato!» – intervenne Polluce.
«Continui a sorprendermi! Con te abbiamo fatto un ottimo acquisto!» – disse l’incappucciato, poi si diresse verso la parete alla sinistra del passaggio dal quale erano venuti, appena prima che cominciasse uno strapiombo.
Toccò la parete irregolare e un simbolo lucente apparve su di essa. Sullo sfondo del simbolo c’era uno scudo d’alloro circondato, su cui un fuoco divampava e due spade incrociate scintillanti. Un bagliore rosso fuoco emesso dal simbolo lì avvolse e all’improvviso erano fuori. La luna splendente illuminava il luogo nel quale erano stati trasportati.
«Benvenuti al Palazzo e Tempio del sommo Ares!» – disse un Berserker di guardia che lì accolse.
«Ma è un’isola! E quello è il Mar Nero!» – commentò Ippolito.
L’incappucciato si girò di scatto prendendo Ippolito alla gola.
«Come fai a saper che quello è il Mar Nero?»
Ippolito lo spinse via allontanandolo di qualche passo, ma l’incappucciato di nuovo si erse davanti al giovane.
«Come fai a saperlo? Non voglio ancora dovertelo chiedere!» – intimò al ragazzo.
«Sono figlio di Teseo, figlio di Poseidone! Il mare è la mia casa! Posso riconoscere tutti i mari pur quelli che nessun marinaio abbia mai solcato»
«Ah già!» – rispose l’incappucciato che poi si girò avvicinandosi al Berserker che portava Athena – «Andate a riposare!» – disse, quindi, dopo aver preso con sé il corpo incosciente della Dea. Poi scomparve come dissolto nell’aria.
Un rumore subito dopo attirò l’attenzione del gruppo: era il corno di Ares, suonato quando il Dio decideva di farsi vedere fuori il suo Palazzo, o nelle sale del Tempio o anche decideva di fare una passeggiata per i boschi.
I Berserkers al suono subito s’inginocchiarono e così fecero, anche se con qualche secondo di ritardo, Ippolito e Polluce. Al centro della scorta di ben venti Berserkers che usciva dal palazzo del Dio, non v’era egli tuttavia, ma una donna di una bellezza indescrivibile. Era come se pur un momento tutto quanto esistesse solo per lei, come se tutto il Cosmo servisse lei, ogni disputa, ogni altro pensiero in quel momento fu spazzato via dalla sua visione.
«Salutate Aphrodite!» – urlò un servitore annunciando la Dea dell’amore.
«E pensare che si dice che il Principe Patroclo abbia visto apparir nude Aphrodite, Athena ed Hera per la contesa della mela d’oro. Come abbia fatto a non svenire mi domando!» – commentò sottovoce Ippolito rivolgendosi al dorato.
Polluce trattenne le risate, ancora incantato dalla visione della Dea.
“Le parole di Ippolito saranno pure quelle di un ragazzo che ha conosciuto poche volte i piaceri di una donna, ma in questo caso non ha poi tutti i torti” – pensò il Dioscuro.
La Dea sfilava tra i Berserkers e dietro di lei, incrociate sulla sensuale schiena, scintillanti, vi erano due folgori Olimpiche. Solo poche volte Polluce le aveva viste nella forma pura. Erano anch’esse bellissime seppur letali, forse si trattava dell’arma più letale dell’universo. E in questo momento era sulle spalle della Dea Aphrodite, amante di Ares.
“Incredibile! Perché Zeus le ha affidato delle folgori? Solo chi con il suo Cosmo è in grado di generare fulmini se ne può occupare!” rifletteva il dorato che sapeva come funzionasse l’Olimpo e quanto fosse difficile controllare le folgori per chi non avesse delle doti naturali per i fulmini. Tuttavia la situazione era cambiata già da qualche anno, ma in pochi ne erano a conoscenza.
 

 

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Capitolo 13
*** XI – Ambrosia ***


XII – Ambrosia

Gyon si era risvegliato già da alcune ore senza riuscire a raggiungere i nemici, né a seguirli, tuttavia ritrovando le impronte di Polluce era riuscito a raggiungere la grotta.
“Se le impronte finiscono qui può solo significare che siano entrati in quella grotta! Ma queste sono solo le impronte di Polluce, non ne vedo altre! Che sia una trappola? D’altronde perché Polluce non ha nascosto le sue impronte? E perché non mi ha ucciso, quando avrebbe potuto facilmente? E soprattutto perché mi ha mostrato quei suoi ricordi? Che cosa avrebbe voluto che capissi? Che cosa le parole non avrebbero potuto spiegare?”
Temendo una trappola e tormentato dalle visioni che Polluce gli aveva mostrato, concluse che fosse più saggio rincamminarsi verso il Tempio e consultarsi con Neven. D’altronde Polluce aveva ragione “Era Cavaliere da due minuti!”.
Aveva fatto un passo nella direzione del Tempio e subito si rigirò entrando nell’antro oscuro.
“Non posso lasciare Eiren così! Ha bisogno di qualcuno che la protegga!” – pensò mentre, stavolta, fermo nella sua decisione attraversava l’entrata della grotta. Andava però alla cieca le impronte erano state cancellate dall’acqua.
«E ora da dove inizio?» – pensò ad alta voce il Cavaliere.
«Beh dovresti usare i tuoi sensi, espandili!» – esclamò una voce non troppo lontana.
«Chi sei?!» – chiese Gyon.
«Finalmente!» – esclamò un’altra voce.
«Dove siete?» – domandò ancora Gyon.
«Dietro di te!» – disse il generale apparendo con Equos appena dietro il bronzeo Cavaliere.
Gyon scattò allontanandosi dai due non appena apparvero.
«Calma Gyon siamo noi!» – cercò di calmarlo Neven
«Ah per fortuna!» – esclamò il Cavaliere già pronto, in posizione, a battersi. – «Ci sono tante cose che devo dirvi!»
«Sappiamo tutto!» – lo interruppe Neven – «Ma non devi preoccupartene!»
«Come sapete tutto? Mi ha fatto vedere delle cose strane… delle illusioni di morte… poi sono comparso in quelli che sembravano i suoi ricordi… nella prima visione si stava ubriacando e c’eri anche tu Neven e avete parlato di un piano che ancora non avevi riferito ad Eiren e di coinvolgere Asclepio… dopo sono apparso durante l’assedio al Tempio prima dell’esplosione… Polluce era con Giasone, Keren, Amida e te Equos… dopo che ti ha messo KO con la stessa tecnica che ha usato anche su di me… ha spedito gli altri in luogo che Amida ha chiamato la dimensione dei Dioscuri!
«Ah e questo che successo dopo che Polluce mi ha colpito!» – esclamò Equos
«C’è un’altra cosa! L‘ho visto sia nella memoria di Polluce sia mentre li seguivo… un uomo incappucciato… che sembrava essere il capo… è forte oltre ogni immaginazione… persino Polluce sembrava in soggezione… non ha rivelato niente di sé a parte un ghigno malefico e una voce schizofrenica!»
«Capisco!» – disse Neven – «Non devi preoccuparti di Polluce né di quest’uomo incappucciato! Presto sarà tutto finito!»
«Che vuoi dire? E che c’entri tu con Polluce?»
«Per adesso è meglio non parlarne, piuttosto è qui che sono entrati?» – chiese Neven riferendosi alla grotta.
«Si, ma le impronte che mi hanno condotto qui sono solo quelle di Polluce, degli altri neanche una traccia, e non credo che sia così stupido da lasciare le sue impronte in bella vista, perciò ho sospettato di una trappola!»
«Beh probabilmente non le ha cancellate pensando che non saresti stato in grado seguirle, o che ti fossi risvegliato troppo tardi e che il tempo avrebbe provveduto da sé!» – spiegò Equos.
«Mi sembra una forzatura per un individuo così attento alle macchinazioni!» – concluse Gyon.
Neven rimase in silenzio disinteressandosi delle teorie dei due, scrutando invece la grotta.
«In ogni caso dobbiamo trovarli!» – esclamò Neven iniziando ad addentrarsi.
Equos e Gyon rimasti un poco indietro e Gyon stava per seguire il generale dentro la grotta.
«Aspetta Gyon!» – lo fermò Equos.
«Che c’è ancora?»
«Ti volevo solo insegnare come avresti potuto capire se si trattasse di una trappola o no!»
«Come?»
«Ti ricordi poco fa ti ho detto che avresti dovuto espandere i tuoi sensi!»
«Espandere i sensi?» – chiese confuso Gyon – «C’entra per caso il settimo senso?
«Che sai del settimo senso?» – domandò Equos sorpreso che Gyon lo conoscesse.
«Niente, l’ha nominato Polluce prima di mandarmi al tappeto, dicendo che è la differenza tra noi due!»
«Beh ha ragione ma ancora è presto per parlare di settimo senso! Ci arriverai se e quando sarai pronto! Quello che intendevo per espandere i tuoi sensi è che devi espandere il tuo spazio personale!»
«Spazio personale?»
«Ricordi di essere scattato appena hai sentito qualcuno dietro di te?»
«Si ma solo perché avete parlato!»
«No… riflettici… sei scattato pochi istanti prima di sentire la voce di Neven… eravamo dietro di te, non ci potevi vedere, non avevamo fatto rumore ancora eppure sei scattato. Sai perché? Ragionaci… in ogni caso per trovarli devi usare quella tua stessa sensazione di prima, quella che ti ha fatto scattare di colpo!» – gli spiegò
«Vero!» – esclamò riflettendoci – «come ho fatto?»
«È un’intuizione di quasi tutti i giorni… quando qualcosa si avvicina a noi, più è vicina, più le nostre sensazioni ci avvertono. Quando un oggetto o una persona invade lo spazio che circonda il nostro corpo, lo percepiamo e se tramite i nostri sensi non lo riconosciamo e non sappiamo valutare l’oggetto o la persona, reagiamo, così come hai fatto tu! Prima di sapere che fossimo noi, non sei riuscito a valutare se fossimo ostili o no e quindi ti sei allontanato per precauzione! È un istinto di conservazione! Se avessi sentito prima la voce di Neven dietro di te, probabilmente avresti reagito in maniera diversa! Capito?»
«Ehm… no!» – rispose Gyon confuso
«Vedi i nostri sensi nella nostra coscienza non rimangono separati, ma si integrano… si uniscono… formano un immagine di noi… dei nostri confini, limiti… dello spazio introno a noi… dello spazio più distante da noi… fino ad un limite che è insito nella capacità dei nostri sensi… nella capacità di vedere… nella sensibilità del nostro tatto del nostro udito… del nostro olfatto… e così via… grazie al Cosmo possiamo espandere le nostre sensazioni… espandere le nostre percezioni… e acquisire più informazioni ed espandere quella ricostruzione integrata di tutti i sensi che noi normalmente abbiamo… così puoi percepire quell’uccellino… che sul quindicesimo ramo, a partire dal basso, del quarto albero sulla sinistra a circa venti metri di distanza da noi… sta dando da mangiare, sul suo nido, al suo figlioletto»
Gyon guardò nella direzione indicatagli dal dorato e vide il nido e riuscì a vedere quell’uccellino.
«Come hai fatto?» – gli chiese
«Il principio è lo stesso di come hai percepito la nostra presenza… solo l’ho espanso… attraverso il Cosmo puoi percepire tutto ciò che accade intorno a te… Prova!»
«Fantastico!» – esclamò Gyon – «Quindi dici che posso riuscirci pure io?!»
«Esatto! Forza prova e dimmi tutto ciò che riesci ad intuire su quella grotta!»
«Ragazzi non è il momento!» – gli urlò Neven da dentro la grotta – «Venite credo di aver trovato un passaggio!»
 
Nel palazzo di Ares nel frattempo Athena si era svegliata in una stanza molto lussuosa e circondata da diverse ancelle. Incatenata al letto sia ai polsi sia alle caviglie la giovane Dea tentò di spezzare le catene, fallendo nel tentativo.
«Dove sono?» – chiese piuttosto confusa.
«Nella dimora del sommo Ares! Egli attende con ansia il vostro risveglio! Tenga, beva!» – disse una delle ancelle porgendole un po’ d’acqua. I lunghi capelli biondi e occhi rossi come il sangue sembravano familiari alla Dea che però non riusciva a ricordare dove avesse visto la fanciulla.
All’improvviso le porte si spalancarono e l’uomo incappucciato entrò nella stanza.
«Lasciateci!» – intimò mentre tutte le ancelle tranne quella che aveva dato da bere ad Athena uscirono dalla stanza.
«Vedo con piacere che vi siete svegliata!» – disse poi rivolgendosi alla Dea.
«Chi sei?» – chiese la Pallade agguerrita, riconoscendo il suo rapitore.
«Non credo che v’importi tanto della mia identità! Invece, perché non mi chiedete cosa v’interessa saper davvero?»
«Che cosa avete fatto ai miei Cavalieri?» – il fuoco era ben visibile negli occhi della Dea infuriata e preoccupata allo stesso tempo.
«Ahhhh! Riesco a percepire il vostro ardore, la vostra potenza… unita alla vostra impotenza! La vostra frustrazione m’appaga! E per rispondere alla vostra domanda… beh… non saprei con certezza, ma se non sono tutti morti solo in pochi saranno rimasti in vita!» – rise l’uomo.
La Dea reagì urlando e cercando di liberarsi dalle catene, inutilmente. L’uomo incappucciato si sedette ai piedi del letto sul quale era distesa, le si avvicinò prendendole il polso incatenato con una mano e sfiorandole le dolci e candidi gote con l’altra. Eiren in un gesto di ribrezzo chiuse gli occhi corrugando nel contempo il viso.
«Dove credete di andare? Non potete fuggire proprio da nessuna parte! Quelle catene sono state forgiate da Efesto in persona, neanche voi con il vostro divino Cosmo potete romperle!» – disse avvicinandosi ancor di più alla Dea mentre lei sopprimendo il ribrezzo che provava per l’uomo, lo guardò dritto negli occhi con disprezzo e rabbia mentre lui annusando il dolce odore divino vaneggiava.
L’uomo si alzò di colpo e si rivolse all’ancella dall’altra parte del letto.
«Armonia!» – esclamò l’uomo – «Prepara la Dea Athena e portala al cospetto del sommo Ares!»
«Armonia?» – chiese Athena capendo finalmente chi fosse la fanciulla.
«E così è già tornato?» – chiese la fanciulla mantenendo lo sguardo verso il basso.
«Si!» – rispose l’incappucciato uscendo dalla stanza.
Armonia aspettò qualche secondo dopo che uscì, poi, tirando fuori una chiave cercò di aprire le catene che imprigionavano la Dea.
«Presto Athena! Dobbiamo fare presto! Non abbiamo molto tempo!»
«Che succede?» – chiese Athena confusa.
«Deve andarsene subito da questo posto! Mio padre cerca disparatamente una fonte di ambrosia per guarire dalle ferite che Eracle gli inflisse anni orsono, e se riuscisse nel suo intento, userebbe il potere della sacra fonte per piegare il mondo al suo volere. Perciò vi ha rapito, poiché voi come custode delle Terre voi conoscete i luoghi delle preziose fonti»
«Capisco!» – annuì la Dea toccandosi i polsi dolenti appena liberati, mentre Armonia provvedeva a liberarle le caviglie.
«Forza andiamo!» – esclamò la figlia di Aphrodite ed Ares e così le due uscirono dalla stanza.
Un enorme corridoio si distendeva davanti alle due giovani mentre correvano in direzione della scalinata.
«Dobbiamo sbrigarci» – incitò Armonia temendo di essere scoperta dal padre.
«Armonia!» – una voce profonda e cupa rimbombò nell’ampio corridoio – «Dove stai portando Athena?»
Ares era apparso difronte le fanciulle, insieme ad alcuni suoi seguaci. Il Dio dai capelli rossi e iniettati di sangue, indossava una poderosa armatura rossa e arancione, con un grande scudo ad una mando e una lancia portentosa all’altra.
«Padre!» – esclamò la giovane
«E così mi stai tradendo!» – costatò il Dio – «Perché?»
«Il perché lo sai benissimo!» – rispose determinata.
«Athena… e così è questo l’aspetto di un Dio reincarnato! Beh io non sono molto propenso alla reincarnazione, al massimo una possessione… ma mischiare il mio sangue con quello di un umano mi fa ribrezzo! Ma perché non venite nella sala del mio trono almeno così possiamo parlare!»
 I Berserkers alle spalle del Dio circondarono le due fanciulle prendendole con la forza.
«Che modi sono!» – commentò il Dio – «sono pur sempre delle divinità» – disse poi facendo un gesto con la mano – «Le catene forgiate da Efesto vi terranno a bada!» – concluse il Dio.
E così difatti apparse le divine catene che legarono i polsi e le caviglie di entrambe le fanciulle.
«Su via seguitemi!»
 
Arrivati nella sala del trono Ares si sedette nel suo posto accanto a quello dell’amante Aphrodite che lì, li attendeva.
«E così questa giovane è Athena? Si riesco a percepire il suo divino Cosmo!» – parlò così la Dea dell’amore – «E perché Armonia è incatenata?» – chiese infino al compagno di letto.
«Ci stava tradendo, mia amata! Stava conducendo Athena fuori dal palazzo!»
«Perché Armonia?» – chiese alla figlia, poi con lo stesso gesto compiuto da Ares, sciolse entrambe le fanciulle dalle catene.
Armonia stavolta non rispose, mantenendo lo sguardo fisso sulla madre, con un’espressione di tristezza e risoluzione allo stesso tempo.
«In ogni caso Athena, c’è un motivo per cui sei qui!» – intervenne il Dio della guerra cui non sembrava importare granché del tradimento della figlia.
«Dimmi dove sono le sacre fonti di Ambrosia e potrai tornare incolume dai tuoi Cavalieri, sempre che ne sia rimasto qualcuno in vita!» – continuò il brutale.
«Le sacre fonti? Beh non so proprio di cosa tu stia parlando» – rispose Athena.
«Io vado!» – esclamò Aphrodite scomparendo nel nulla.
“Perché lei può uscire così tranquillamente da questo luogo e io non riesco neanche portarmi fuori!” – si chiedeva Eiren.
«So cosa ti chiedi!» – esclamò Ares.
«Davvero?»
«Perché non riesci a andare via usando i tuoi poteri! Beh grazie ad un consiglio di mio fratello in effetti! Usando della polvere di stelle e il mio sangue oltre a quello di Aphrodite questo posto è inaccessibile mediante qualunque tipo di teletrasporto se non a me e a lei. Niente può si può teletrasportare da dentro a fuori e viceversa, se non con il mio consenso. L’unico ingresso per questo palazzo è la porta principale!»
«Capisco!» – rispose la Dea – «Ma ciò non cambia molto…»
«Che vuoi dire? – chiese il Dio confuso dalle dichiarazioni di Athena
«I miei Cavalieri, verranno, ti sconfiggeranno mettendo fine ai tuoi scopiuoi sensi, espandili!» – esclamòo e miei Cavalieri ti sconfiggeremo!» – esclamò risoluta.
Ares scoppiò in una grossa risata, che durò anche troppo, tanto da sembrare forzata.
«E che vengano… quelli rimasti… truciderò ogni tuo prezioso Cavaliere davanti ai tuoi occhi… beffeggerò i loro cadaveri… ti costringerò a nutrirti della loro carne… e solo dopo anni di questa tortura… infine ti ucciderò! Ora hai due scelte, o mi dici dove sono le sacre fonti o questo tetro futuro io dovrò realizzare… a te la scelta… mi divertirò molto in entrambi i casi!»
 
Nel frattempo Neven, Equos e Gyon avevano appena attraversato quel scomodo passaggio giungendo in un antro gigantesco, lo stesso che raggiunsero i Berserkers con Polluce, Ippolito e Athena.
«Questa camera nasconde più di ciò che il buio nasconde!» – esclamò Neven – «Starlight Revealing!»
Come già Polluce aveva fatto prima di lui, Neven divenne come il Sole, illuminando il gigantesco antro.
«Dobbiamo sbrigarci!» – disse Equos – «Quella parete d’acqua non mi convince molto!»
«Si, hai ragione!» – concordò Neven.
«Cos’è quello?» – chiese Gyon indicando una delle pareti dell’antro.
Il sigillo di Ares, che il gruppo di Berserkers aveva usato per teletrasportarsi all’esterno del Tempio del Dio, rispondeva alla luce emessa dal generale, brillando di luce propria, rossa come il fuoco.
«Proprio quello cercavo!» – disse Neven
«Cos’è?» – chiesero insieme Gyon ed Equos.
«È un emblema di Ares usato per il teletrasporto!» – spiegò Neven – «Probabilmente non potremo utilizzarlo come passaggio, però forse riesco capire dove porta così da teletrasportarci autonomamente»
«Davvero? Puoi farlo?» – chiese Equos
«Si!» – rispose Neven che si stava concentrando sul sigillo, poggiandogli una mano.
«Ehm ragazzi!» – intervenne Gyon
«Non ora!» – gli urlò contro Neven
Equos si girò mentre qualunque cosa tenesse ancorata la parete d’acqua si sciolse e la massa d’acqua, impetuosa, si dirigeva verso di loro.
«Ci sono!» – esclamò Neven e i tre si teletrasportarono poco prima di essere raggiunti dall’ondata.
 
Apparvero in una foresta, strana, ma bellissima, con alberi giganteschi.
«Dove siamo?» – domandò Gyon
«Poco distanti dal palazzo di Ares»
«Perché non ci hai teletrasportati lì direttamente?» – chiese Gyon.
«Come puoi fare una domanda così stupida?!» – urlò Equos dandogli un pugno in testa.
«Non potevamo rischiare di apparire e di essere scoperti senza sapere molto sulle possibilità del nemico. Inoltre per quanto riguarda l’interno del palazzo deve essere protetto del Cosmo di Ares perché non avrei potuto teletrasportarmici. Anche il sigillo di Ares stesso porta appena fuori il palazzo. Ho preferito evitare quel luogo perché come punto di accesso sarà ben sorvegliato. E dobbiamo sapere cosa affrontiamo per portare Athena fuori sana e salva!»
«Come sai che è ancora incolume?» – chiese Gyon
«Ares ha bisogno di qualcosa altrimenti non avrebbe rapito Athena… l’unica cosa che mi viene in mente che voglia è sapere dove si trovano le sacre fonti di Ambrosia!»
«Sacra fonti di che?»
«Ambrosia… Esistono da tempo immemore, in alcuni luoghi della Terra, delle sacre fonti che ogni ferita guariscono e che lunga vita conferiscono. Un potere enorme viene donato a chi s’immerga in codeste fonti, o chi dell’ambrata se ne nutra. Si dice che possa essere estremamente liquida, come acqua ambrata, oppure estremamente densa e rossiccia. Gli Dei hanno prosciugato le fonti conosciute per aumentare a dismisura il loro potere. Ora le ultime rimaste si trovano in posti sconosciuti e solamente la custode della Terra li conosce, in altre parole Athena. Quando Zeus ha affidato le terre ad Athena, le ha affidato anche il compito di proteggere tali fonti e di non permettere a nessuno di nutrirsene né di immergersi, sigillandole con le folgori. Solo un potere simile alle folgori può spezzare il sigillo di Zeus.
«Eiren non direbbe mai, dove si trovano!» – esclamò Gyon
«Esatto e proprio per questo che Ares non la ucciderà né le farà del male, aspetta una nostra contromossa in modo da far leva sui suoi sentimenti… aspetta di avere sottomano qualcuno di noi per farlo… per questo credo che abbia rapito anche qualcuno dei nostri… la mia preoccupazione più grande era che avesse preso te e in quel caso avrebbe avuto in mano la più potente arma per far leva sui sentimenti della nostra Dea! Per fortuna non è a conoscenza del vostro legame, e per sicurezza sono tentato di rimandarti al Tempio, per non correre pericoli… ma so che è inutile perché ritorneresti qui anche a nuoto, perciò è meglio se resti con noi, e fai tutto ciò che ti dico!»
Gyon annuì poi riflettendo sulle parole di Neven capì.
«Ma se questo era il piano di Ares e Polluce non mi ha catturato quando poteva… allora…»
«Esatto!» – commentò Neven
 
Polluce era nella stanza assegnatagli dall’uomo incappucciato, rifocillandosi dopo l’estenuante battaglia e il lungo viaggio che ne seguì. Il dorato, spoglio della propria Armatura, fu richiamato da un Berserker.
«Polluce, il sommo Ares richiede la tua presenza!» – gli conferì dall’esterno della stanza.
Il dorato si sciacquò il viso e uscì. Camminò, scortato dal Berserker, lungo lo stesso corridoio che poco prima Athena aveva percorso con Armonia e fu raggiunto da Ippolito, anch’egli convocato e scortato.
«Polluce!» – gli urlò
«Ah Ippolito, dove vai?
«Da Ares» – spiegò il giovane – «anche tu?»
Polluce annuì con la testa, cambiando però di espressione.
“Perché Ares ci sta convocando? Che sappia? Che sospetti di uno dei due? In tal caso sarei subito scoperto!” – si chiedeva il dorato.
Entrarono nella stanza del trono vedendo Athena in ginocchio, incatenata insieme ad un’altra fanciulla, difronte ad Ares ed alcuni Berserkers. I due Berserker che li avevano accompagnati si disposero insieme agli altri.
«Ci ha convocati, sommo Ares?» – esclamò Polluce, frenando le sue pulsioni.
«Come sommo Ares?» – chiese Athena sconvolta – «Polluce! Come hai potuto? Tu che più di ogni altro dovresti sapere di cosa è capace Ares, ti schieri con lui?»
«Silenzio!» – ordinò Ares
«Pensi di poter zittirmi così?» – gli rispose Athena.
«No, infatti…» – rispose stranamente calmo, poi colpì la Dea al volto ferendola.
«Non vuoi stare zitta… allora dimmi dove si trovano le fonti?» – gli urlò.
Polluce e Ippolito reprimevano il disgusto per il comportamento non proprio da divinità.
«Che c’è non approvate?» – gli chiese Ares
Mentre il Dio fissava i due, un Berserker entrò di colpo.
«I Cavalieri mio sire, sono dentro il Palazzo!» – urlò il Berserkers entrando di corsa.
«Cosa?» – chiese il Dio mentre il dioscuro accanto al Berserker appena entrato lo incenerì.
«Per rispondere alla tua domanda Ares, No! Decisamente non approvo!» – disse Polluce, mentre la dorata armatura appariva indosso al Cavaliere.
«Osi minacciarmi Polluce? Solo perché ho picchiato una fanciulla che simula di essere Dea?»
«Beh… si! E perché se non ti fosse ancora chiaro non ho mai tradito Athena! Secondo te come sono entrati i Cavalieri nel Palazzo senza che le guardie all’esterno se ne accorgessero?» – rivelò il Cavaliere con un grande senso di soddisfazione.
I Berserkers al fianco di Ares prontamente si frapposero tra il Dio e Polluce. Ippolito allontanatosi dal dorato, si preparò per affrontarlo accanto ai Berserkers.
Polluce scoppiò a ridere a crepapelle.
«Non aspettavo altro!» – esclamò, poi, il Cavaliere e in quel momento Ippolito scagliò il Charybdis Gorge sui Berserkers spedendoli nello stomaco del mostro.
«Ippolito anche tu?» – chiese Ares sorpreso ma piuttosto rilassato e tranquillo – «Pensate davvero di potermi anche solo toccare?»
Ippolito corse subito da Athena e Armonia ma venne scagliato lontano da un attacco di Ares. Il ragazzo si rialzò e si posizionò accanto al Cavaliere.
«Non sei il primo Dio che affronto!» – rispose Polluce – «E non siamo soli! Dimension Release!»
Da un gorgo dimensionale Amida, Keren e Giasone uscirono dalla dimensione oscura.
«E così che ci sei riuscito! Li hai fatti entrare dalla tua dimensione oscura! Complimenti! Ma neanche cinquanta di voi basterebbero a sfiorarmi!»
I Dorati si schierarono pronti all’azione.
«Ippolito vai fuori, è il momento di lanciare il segnale!» – gli ordinò Polluce
«Quale segnale?» – chiese Giasone tenendo lo sguardo fisso su Ares.
«Neven ed Equos, forse con Gyon, saranno già qui fuori!» – spiegò il dioscuro
«Avete organizzato tutto alla perfezione tu e mio padre! Ma almeno qualche indizio lo potevate lasciare!» – commentò Keren un poco indispettito.
«E il bello dov’era?!» – rispose Polluce
«Hai pure la faccia tosta di scherzare!» – intervenne Amida, sempre composto con gli occhi chiusi levitando, seduto a gambe incrociate.
Ares scagliò una potente sfera di energia gridando – «Finitela!»
«Kān» – urlò Amida, generando una potente barriera che protesse i quattro dorati dalla sfera di energia del Dio.
Keren si teletrasportò accanto ad Athena e Armonia portandole all’interno della barriera del Cavaliere della Vergine.
«Om! – urlò mentre ancora la divina sfera si scontrava con la barriera.
L’esplosione della sfera in seguito all’Om di Amida devastò tutta la sala tranne intorno al Dio e all’interno del Kān.

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Capitolo 14
*** XII – Briseide ***


XII – Briseide

Cantami, o Musa, del Pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Zeus
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' Prodi Atride e il divo Achille.
                                                                      Omero
 
Erano passati sei mesi circa dall’inizio della guerra e la peste continuava a dilagare contrastata solamente dai tentativi di Macaone e Podalirio, figli di Asclepio. Salvavano più di venti persone al giorno dalle grinfie della peste, riuscendo a circoscrivere l’epidemia solo in parte.
Erano state numerose le conquiste degli Achei e la prima battaglia diretta contro l’esercito troiano sarebbe scoppiata nei giorni a venire. Fino a quel momento le truppe troiane erano intervenute per difendere le città della Troade, senza attaccare mai direttamente il nemico, così come gli Achei fino a quel momento non attaccarono mai direttamente Ilio.
Altrettanti mesi erano passati dal sequestro di Criseide, rapita da Agamennone, e lo sventurato sacerdote Crise da allora, molte notti insonni passò a pregare il divo Apollo di riportargliela. Ignorato dal Radioso, decise di prendere l’iniziativa, utilizzando le varie ricchezze raccolte in quei mesi come riscatto da pagare all’atride. Discese quindi al campo Acheo, consegnandosi spontaneamente alle guardie del muro greco, con la richiesta di essere condotto da Agamennone.
 
Nelle tende del Re dei Re, gli Atridi in consiglio di guerra con Nestore e Ulisse pianificavano l’attacco diretto a Troia.
Due soldati entrarono portando, legato e tenuto stretto, Crise avente in mano lo scettro e le bende del Dio.
«Mio signore» – uno dei soldati invocò le attenzioni di Agamennone.
«Vi avevo detto di non disturbarci!» – urlò il Re guardando ancora il tavolo su cui stavano pianificando l’attacco. Poi alzando lo sguardo vide i due portare un prigioniero. – «Ah! Chi è costui?»
«Sono Crise, di Astinome sventurato padre»
«Ah! Sei venuto a farmi da schiavo anche tu? O per caso vuoi infilarti anche tu nel mio letto? Guarda che sono di tutt’altri gusti io!»
Commentò sarcastico l’Atride, suscitando il riso di tutti nella tenda tranne ovviamente quello di Crise, che saggiamente ignorò la provocazione di Agamennone. Il sacerdote implorò l’atride in nome del divo Apollo affinché restituisse la figlia.
«O Atridi e voi coturnati Achei… che gli Dei del cielo vi concedano di espugnare Ilio e di far salvi, ritorno in patria… Vi prego! Liberate mia figlia rispettando il saettante figlio di Zeus e di ricchezze sarete ricoperti e la peste da queste terre sparirà!»
«Mi sembra una proposta ragionevole!» – sussurrò Ulisse all’orecchio dell’Atride.
«Silenzio!» – intimò l’Atride
Anche se ben consigliato, Agamennone non era incline a piegarsi davanti a nessuno e malamente cacciò il sacerdote.
«Fa in modo, vecchio, che io non ti trovi mai vicino alle concave navi, non aspettare adesso e non tornare in futuro, che non ti debbano più servire a niente lo scettro e la benda del dio. Io non libererò tua figlia: prima la raggiungerà la vecchiaia, nella mia casa ad Argo, lontano dalla sua patria, mentre va e viene dal telaio e accorre al mio letto quando io faccio un cenno. Adesso vattene, non irritarmi, se sano e salvo vuoi partire»
Il vecchio sacerdote intimorito dalle minacce di Agamennone si avviò lungo la riva del mare pregando ancora il Radioso di far qualcosa per liberare la figlia.
“O Divino Apollo, se mai ti onorato come si deve agli Dei, ti prego esaudisci questa mia preghiera: che i Greci paghino le mie lacrime con la tua ira!”
Crise continuava a camminare fin quando Apollo in persona non gli apparve. I capelli rossi, fiammeggianti sulle punte, al vento sembravano come un fuoco alimentato. La regale postura era proprio quella di un Dio. Egli levitava davanti al sacerdote, protetto da una dorata Armatura che alle sue spalle raffigurava una stella da cui migliaia di raggi si dipartivano. Tra una punta e l’altra della stella, c’era una sfera di luce, per un totale di sei, disposte in cerchio.
«Mio nobile sacerdote, le tue preghiere non sono state ignorate! I greci già subiscono per mio volere, anche se non per mia mano, le sofferenze della peste ma oggi, recandoti ulteriore offesa, pagheranno direttamente con le fiamme dei Soli! Ora va, torna alla città dalle possenti mura che io e Poseidon abbiamo eretto generazioni orsono e lì resta, guardando bruciare i tuoi nemici!»
Apollo allora si portò su di un’altura vicino al campo Acheo dopo aver teletrasportato Crise a Troia. Levò il braccio verso l’alto con la mano aperta e le sfere alle sue spalle iniziarono a roteare, ingrandendosi a turno. Quando una s’ingrandiva, veniva scagliata sul campo, e un’altra alle spalle del Dio si generava. Così devastazione e morte scesero sugli Achei bruciando tutto ai piedi del Radioso.
 
Achille riposava nella sua tenda, nudo in compagnia della dolce Briseide, quando i tumulti all’esterno li svegliarono.
Il pelìde di colpo si rivestì.
«Resta qui!» – disse alla fanciulla poco prima di uscire dalla tenda.
Appena fuori vide le sfere di luce provenire da quell’altura sulla quale era solito riflettere da solo, e qualche volta in compagnia dell’amico Patroclo.
«Achille!» – urlò Patroclo da lontano – «È Apollo!»
«Lo vedo!»
Achille e Patroclo in quel momento usarono il loro Cosmo per bloccare gli attacchi di Apollo, facendo esplodere quelle sfere di luce prima che toccassero terra.
«Per fortuna che mi hai insegnato il Lightning Bolt!» – commentò Patroclo, mentre i due si davano da fare per respingere gli attacchi del Dio – «Né il puro Cosmo né le rose avrebbero funzionato contro queste sfere di luce!»
Anche Aiace e Ulisse si unirono ai due valorosi amici. Tutti gli attacchi di Apollo venivano respinti prontamente dai quattro greci, così Apollo decise di far loro una visita.
Gli apparve proprio difronte raggiante come ci si aspetterebbe dal Dio del Sole.
«Osate opporvi al mio volere ancora una volta? Si mi ricordo di voi due! Siete i due protetti di Athena!»
«Tre!» – esclamò Ulisse – «Ora Achille!»
Aiace da dietro con la sua gigantesca mole afferrò il Dio, cercando di stritolarlo con tutta la forza che avesse in corpo, tuttavia Apollo non sembrava per niente turbato.
Achille era andato dietro Patroclo e Ulisse accumulando Cosmo.
«Come ad Atlantide!» – spiegò Ulisse
«L’avevo immaginato! Anche se adesso siamo senza Armature e non abbiamo né Polluce né Amida!»
«Sì, però ci sono Patroclo e Aiace, anche se ti do ragione! Non so che darei per un Kān in questo momento!»
Achille e Patroclo si misero a ridere, mentre Aiace venne scaraventato lontano da Apollo, che neanche mosse un dito rimanendo imperturbabile.
«Io sono pronto ma senza un contenitore mi sarà difficile mantenerlo separato quindi sbrigati» – urlò Ulisse all’amico Achille.
«Perfetto ci sono!» – urlò Achille, in quel momento Ulisse si apprestò a lanciare la sua mossa più potente.
«Sekishiki Shīru Tamashī! (積尸気シール魂) (Sigillo di anime dello Tsei She ke)
Una freccia di fuoco trafisse Ulisse prima che l’attacco fosse completato. L’eroe cadde al suolo ferito.
«Ulisse!» – urlano i tre in piedi
«Sto bene!»
«Stolti! Pensavate che non sapessi come avete sconfitto Poseidon? E che anch’io potessi cadere in un simile tranello? Non riuscirete mai a sconfiggermi!»
«Non importa! Ormai è pronto! Cosmos Open!» –molte stelle luminose apparvero intorno al Pelìde
«Photon Drive!»
Le stelle luminose appena comparse si diressero verso Apollo, che levando in avanti il braccio creò una barriera, tuttavia le stelle la trapassarono come se non esistesse.
«Cosa?» – si chiese Apollo stupefatto poi sorrise
«Capisco»
«Photon Burst!» – urlò il Pelìde, e un’esplosione gigantesca colpì il Dio. Una fitta nube di polvere si levò in cielo, oscurando tutto intorno ai quattro eroi.
Achille visibilmente provato per lo sforzo si sedette a terra. Aveva messo tutto sé stesso in quell’attacco, tuttavia non appena la nube si schiarì, videro Apollo ancora in piedi seppur lievemente ferito alla mano.
«Come hai osato, mortale?» – urlò adirato il Radioso
Puntò proprio la mano ferita contro il gruppo – «Morite!»
«Solar super Flare!»
Un’onda di luce e fiamme stava per investire i quattro eroi quando qualcuno s’interpose, facendo ai quattro da scudo con il suo Cosmo. L’esplosione che ne seguì diede vita ad uno spettacolo di luci stupendo, se non fosse per il fatto che una vita si stava spegnendo. Un Cosmo gentile e incredibilmente puro li aveva protetti, scarificando la propria vita. Dopo l’esplosione si chiesero chi avesse avuto tanto coraggio da sacrificarsi per proteggerli. Achille lo sapeva e già piangeva. Si avvicinò al corpo carbonizzato mentre la fanciulla di belle gote esalava gli ultimi respiri. Apollo rimase confuso dall’accaduto.
«Come ha potuto fermare il mio attacco?» – si chiese. Poi, percependo il suo Cosmo residuo, capì.
«Ma certo è chiaro! Era una delle mie sacerdotesse!» – esclamò il Dio – «Conosceva il mio attacco ed è riuscita a fermarlo sacrificando la sua vita! Ecco il perché di quelle meravigliose luci. Erano i Cosmi in risonanza!» – commentò Apollo, venendo ignorato dai Greci.
«Perché?» – chiese ripetutamente, con voce tremante il Pelìde al capezzale di Briseide.
«Perché ti amo!» – rispose a fatica la fanciulla.
«Anch’io! Ti amo!» – le ripeteva, ma ormai era troppo tardi.
Achille piangeva sul corpo dell’amata, mentre il divo Apollo restò fermo fissando l’eroe struggersi per la perdita subita.
«Perché, O Radioso? Perché aggiungere alle sofferenze della peste, la tua furia divina su di noi? Cosa ti ha spinto?» – si rivolse al divino, Achille in lacrime.
«Il vostro Re si è rifiutato di restituire la figlia di Crise in cambio di un cospicuo riscatto! Per quanto riguarda la peste, anche se è per mio volere che si sia abbattuta sul campo, non è per quel rapimento che è arrivata!»
«O divino se tu ora risparmierai i Greci dalla tua ira, giuro su quanto ho di più caro che la figlia al sacerdote venga restituita!» – affermò Achille
«Dalla peste non posso liberavi. Tuttavia non era mia intenzione prendere una così pura e giovane vita! Liberate la figlia del sacerdote e nessun altro dovrà sopportare il fuoco della mia ira!» – disse scomparendo in un lampo di luce.
Achille ancora in lacrime, prese tra le braccia il corpo esanime della fanciulla e lo portò alle sue tende, insieme ai tre amici. Arrivati lì prese un velo bianco nel quale avvolse i resti dell’amata.
«Ora che facciamo?» – chiese Aiace
«Andiamo da Agamennone!» – esclamò il piè veloce, asciugandosi il viso dalle lacrime.
Il Pelìde agguerrito si diresse alle tende dell’Atride seguito dai compagni. Entrarono, ignorando le guardie all’entrata che invano tentarono di fermarlo.
«Achille che ci fai qui?» – chiese Agamennone – «Ah ci siete pure voi!» – disse vedendo entrare anche Patroclo, Ulisse e Aiace.
«Sai perché i Greci soffrono le pene dell’inferno? Per te, O valoroso, Atride! Solo per la tua avidità, che al sacerdote del Radioso Apollo, tu, non hai voluto restituire l’amata figlia!» – gli urlò contro Achille – «Ora restituiscila prima che la mia ira si abbatta su di te!» – lo minacciò il Pelìde, mentre Aiace cercava di tenerlo dal braccio, evitando che trucidasse il Re dei Re.
«Come sai che solo perché non ho voluto restituire la ragazza, Apollo scagli la sua punizione sugli Achei!»
«Perché lui in persona l’ha detto a noi!»
«Davvero? E guarda caso son io che dovrò concedere il mio premio per fa salvo al campo! Non fraintendete! Son disponibile a restituirla se ciò può placare l’ira del Radioso, ma preparatemi subito un premio, affinché non io solo
senza abbia da perdere fra gli Argivi, ché non conviene! Su, stabilite voi tutti che premio in compenso mi tocchi!»
«La tua avidità è senza limiti! Sento la puzza della tua anima putrefatta provenire dalla tua carne!» – esclamò sconcertato Achille.
«Come Osi?» – urlò l’Atride – «Se tanta è la tua impudenza, forse la tua dolce Briseide potrà essere la mia ricompensa!»
«Otre di vino!» – urlò il Pelìde portandosi indietro i lunghi capelli biondi – «Lasciateci!» – urlò più volte a tutti nella tenda, compreso Nestore e Menelao che erano con Agamennone.
Aiace guardò il Pelìde titubante, poi Patroclo gli prese il braccio e disse: – «Su, andiamo Aiace, puoi star tranquillo!»
Tutti nella tenda compresa le guardie, uscirono, intimoriti dall’ira funesta del Pelìde.
Achille guardò Agamennone negli occhi, sguainò la spada puntandola alla gola dell’Atride.
«Non osare mai più pronunciare il suo nome! Già la tua avidità l’ha raggiunta! Già me l’hai strappata! Solo questo può essere il tuo premio!» – disse infine riponendo la spada nel fodero.
«Che vuoi dire?» – chiese l’Atride confuso.
«È morta! A causa tua… della tua ingordigia! Perciò sì, già me l’hai strappata! E che tu altre pretese non abbia!»
«D’accordo! Restituirò a Criseide al vecchio!» – annuì Agamennone – «Ma tu non osare puntare mai più la spada contro di me o te né pentirai!»
«Tranquillo, la mia spada, in queste spiagge, contro più su nessuno verrà puntata! Né su di te né sui Troiani!»
Achille poi uscì dalle tende e se ne andò.
 
Era già calata la sera quando si svolsero i funerali. Il corpo della fanciulla era coperto da un velo bianco che lasciava trasparire appena la pelle bruciata e più lui la guardava più la sua ira cresceva, mentre Eudoro e Patroclo l’adagiavano sul piccolo palco in legno, rialzato, che poi sarebbe stato bruciato.
«Addio, amor mio!» – disse baciando la propria mano e poggiandola sulla fronte coperta dal velo.
Achille piangeva mentre mise una torcia accesa alla base di quel funebre altare, aspettando che il fuoco si propagasse.
«Non combatteremo più!» – confidò il Pelìde all’amico Patroclo
«Lo immaginavo!»
Il fuoco alto divampava restituendo alla terra che l’aveva generata e nutrita, in forma di cenere, Briseide.
La pioggia tempestosa iniziò a cadere sulla spiaggia, mentre Achille osservava ancora il fuoco bruciare ed estinguersi lentamente soffocato dal temporale. Tutti se ne andarono lasciando Achille al proprio dolore. Il Pelìde vi rimase finché il fuoco non si spense, poi sotto la pioggia battente, camminò lungo la spiaggia, fino a risalire quell’altura da dove il Radioso Apollo scagliava le sue stelle ardenti sul campo Acheo. Seduto lì rimase per ore sotto il temporale. I tuoni e saette squarciavano il cielo, mentre i suoi fulmini, che un tempo avevano suggellato il suo amore per Briseide, si erano esauriti nel dolore della perdita. Così la sua mente tornava agli insegnamenti del maestro Fenice, che anni prima gli spiegò uno dei significati più profondi del suo potere. “Che cos’è un fulmine, Achille? … Il fulmine è una connessione… una connessione di due punti! Per poter esistere un punto deve essere in grado di cedere energia… e un altro deve essere in grado di accettarla… quando un fulmine si crea, si instaura una connessione tra quei due punti finché non sono in equilibrio, finché non risuonano insieme allo stesso modo!”
Come poteva adesso il cuore del Pelìde privato della sua metà battere ancora, quando parte della sua vita si era spenta con la giovane fanciulla? Quella parte, che nella notte più bella della sua vita, aveva donato alla fanciulla, usando le connessioni che meglio conoscesse! I fulmini!
«Finché morte non ci separi» – pensò Achille ad alta voce.
«Ma la morte non è la fine, amor mio» – la voce di una ragazza sembrava provenire da dietro al Pelìde.
Achille subito si girò e la vide. Come poteva essere lei? Era morta quello stesso giorno! Eppure era lì, difronte all’eroe, bagnata come lui, dalla pioggia interminabile.
 
Note dell’autore
So benissimo che nell’Iliade Briseide non muore, ma viene strappata ad Achille da Agamennone dopo che restituì Astinome (=Criseide). È una mia personale rivisitazione del mito. Spero che vi piaccia! :)

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Capitolo 15
*** XIII – Il maestro dell'inganno ***


XIII – Il maestro dell’inganno

Achille, dopo i funerali della dolce amata era salito sulla cima della scogliera che dava su Tenedo, e da cui si poteva tranquillamente vedere il campo Acheo e la distruzione causata dal Radioso Apollo proprio da lì. Rifletteva sul senso della vita, della guerra, della morte, soprattutto com’è facile immaginare, della morte dell'amata, che neanche il Dio, stando alle sue parole, avrebbe voluto. La pioggia dirompente veniva giù a fiumi mentre tuoni e lampi squarciavano il cielo. Più volte Achille in un impeto di rabbia, quasi sfidando la potenza della natura e in proiezione del Destino, che con lui era stato crudele, aveva lanciato i suoi attacchi contrastando i fulmini che dal cielo si propagavano nell’aria, e quelli che cadevano sia sulla terra, sia sull’acqua. Dopo qualche Lightning Bolt si calmò e si risedette. La sua mente tornava agli insegnamenti del maestro Fenice, quando stava ancora imparando a controllare le sue capacità elettriche.

La splendida Ftia ritornava nei pensieri del Pelìde, in uno dei tanti giorni splendenti trascorsi al palazzo, allenato da Fenice e Chirone.
«Il fulmine è potere assolutamente raro!» – Gli spiegava Fenice – «Sai anche Zeus stesso ha quel potere, e pochi altri lo possiedono. È il potere più malleabile in natura, si può utilizzare per tantissime cose… ma è anche il più pericoloso degli elementi… Ora che hai imparato un po’ ad utilizzarlo, sapresti dire cos’è un fulmine, Achille?» – chiese l’affettuoso Fenice al giovane principe di Ftia.
«Il fulmine è una connessione… una connessione di due punti! Per esistere un punto deve essere in grado di cedere energia… e un altro deve essere in grado di accettarla! Il fulmine va dal punto a maggiore energia a quello con minore energia!»
«Sì… è corretto… ma non solo!»
«Come non solo?» – chiese il giovane Achille con espressione contrariata dall’aver sbagliato, almeno in parte.
«Quando si crea un fulmine, s’instaura una connessione tra due punti finché non sono in equilibrio, finché non risuonano insieme allo stesso modo! Il fulmine è soprattutto distruttore ma può anche essere usato in altra maniera!»
«Per che cosa? Non capisco!»
«Mi spiego meglio! Affinché il fulmine esista, deve esistere un legame tra quei punti che il fulmine sugella. È la più grande allegoria dell’amore. L’amore è la più forte delle connessioni umane. Come il fulmine è intenso più di ogni altra cosa in natura. Ci innamoriamo quando meno ce lo aspettiamo, improvvisamente, senza che la mente possa fermarsi a riflettere sull’eventuale possibilità. È istantaneo quasi come un colpo di fulmine. È quel fulmine che sugella i legami»
 
Quel legame che il potere del Pelìde aveva suggellato tempo prima, adesso non c’era più.
Come poteva il suo cuore, privato della sua metà, battere ancora quando parte della sua vita si era spenta con la giovane fanciulla? Quella parte che nella notte più bella della sua vita aveva donato a Briseide, usando i legami che meglio conoscesse! I fulmini! Solo la morte avrebbe potuto spezzare il loro legame e così fu…
«Finché morte non ci separi!» – pensò Achille ad alta voce con voce profondamente cupa.
«Ma la morte non è la fine, amor mio!» – la voce di una ragazza sembrava provenire da dietro al Pelìde.
Achille subito si girò e la vide. Come poteva essere lei? Era morta quello stesso giorno! Eppure era lì, difronte all’eroe, bagnata come lui, dalla pioggia interminabile.
 “Com’è possibile?” si chiedeva, paralizzato solo per un istante dallo stupore. Poi corse ad abbracciarla con tutte le sue forze.
«Non fare più una cosa del genere!» – disse sottovoce mentre l’abbracciava.
«Tranquillo adesso sono qui!»
I due si baciarono e abbracciarono a lungo sotto la pioggia incessante, scambiandosi dolci parole d’amore, quando d’un tratto, la fanciulla divenne evanescente. L’abbraccio del Pelìde le passò attraverso come se fosse di solo spirito.
«Che succede? Che artificio è mai questo?» – chiese confuso Achille.
«Salvami!» – lo implorò la fanciulla mentre una forza l’allontanava, per poi scomparire nel nulla.
Improvvisamente percepì un Cosmo oscuro e imponente che gli sembrava molto familiare.
«Non è un artificio!» – una voce a distanza rimbombava in tutta l’altura – «La tua amata adesso è solo un’anima in mio possesso. Posso disporne come più mi aggrada e volendo non vedo perché una così bella fanciulla, debba finire i suoi giorni su questa terra!»
«Tu! Mi ricordo di te, sei apparso quando ho sconfitto Cicno. Rivelati!» – urlò Achille.
Non ebbe alcuni risposta ed dopo qualche secondo essendo ignorato chiese:
«Chi sei? Che cosa vuoi?»
«Non importa chi sono. Ma poni attenzione alle mie parole, se tieni alla vita della tua amata che ancora non è persa!»
«Che vuol dire “non è persa”? Chi sei?»
Achille urlò ancora contro quella voce, fin quando un bagliore non gli appannò la vista. Il Cosmo che aveva percepito più di una volta era scomparso. Riacquisita la vista si ritrovò a terra come se fosse stato svenuto, eppure, era in piedi fino a qualche secondo prima e non si ricordava di essere caduto. Era già mattina e la pioggia sembrava aver smesso da un po’ visto che sia la terra sia il giovane eroe erano asciutti.
“Che fosse un sogno? No, non può essere! Un’illusione? Ma chi? Chi osa farmi illudere l’amata che appena ieri ho perduto?”
«Chi di tanta crudeltà s’appaga?» – pensò ad alta voce.
Si girò per guardare il campo Acheo e vide i soldati prepararsi alla grande battaglia che di lì a poco sarebbe scoppiata. Aveva deciso di non scendere più in battaglia, e ora sapeva cosa fare. Doveva cercare quel Cosmo che più volte aveva percepito. Scese quindi alle sue tende richiamando Eudoro e Fenice.
«Si, mio Re!» – dissero entrambi i generali inginocchiandosi al cospetto del Pelìde.
«I Mirmidoni non scenderanno in battaglia! Né quest’oggi né nei giorni a venire!»
«Ma mio Re!» – esclamò Eudoro venendo interrotto dal braccio teso del parigrado Fenice
«Come desiderate!» – parlò poi il generale che aveva addestrato il piè veloce.
I due generali uscirono dalla tenda di Achille e annunciarono alle truppe che non avrebbero combattuto.
Ulisse assistendo al raduno dei Mirmidoni intorno ai due generali, si era avvicinato abbastanza da sentire e capendo i sentimenti dell’amico, decise di raggiungerlo nelle sue tende, per cercare di convincerlo.
«Perciò non combatterete!» – esclamò il Re di Itaca appena entrato nella tenda, mentre Achille disteso rimuginava su quanto accaduto.
«No! Non combatterò più questa guerra!»
«Amico mio, comprendo il tuo dolore, ma non punire l’intera Grecia per un solo Acheo, seppur colui che l’intera Grecia comanda. Lascia uscire il tuo dolore altrimenti distruggerà te e coloro che più ti sono vicini!»
«Non né voglio parlare! Ora lasciami da solo, hai una battaglia da combattere, dovresti concentrarti su di essa, altrimenti potresti perirne!»
«Ah!» – ghignò Ulisse – «Come se la morte non mi circondasse in ogni istante! Le anime dei morti mi seguono, in forma di fuoco ovunque vada. Spero solo che la tua anima non mi seguirà mai!» – disse infine congedandosi dall’amico.
Achille dopo che Ulisse uscì dalla stanza, guardò il braccialetto di fiori che anni prima la Dea gli aveva regalato in segno di amicizia.
“Se dovessi vedermi ora, saresti infuriata con me!” – pensò il Pelìde, sorridendo. Si alzò e uscì anch’egli dalle tende.
Salì sul suo carro, trainato dai suoi fedeli destrieri, con l’intento di cercare quell’oscuro Cosmo e capire una volta per tutte chi erano quei feroci guerrieri che avevano attaccato Lirnesso ed il Tempio di Apollo.
Stava per partire ma Patroclo gli sbarrò la strada.
«Impedisci al tuo esercito di scendere in battaglia e te ne vai subito dopo?»
«Fatti da parte Patroclo! Ho intenzione di vederci chiaro in questa faccenda! Quel qualcuno che mi apparve dopo lo scontro con Cicno, sta giocando con noi, come il gatto gioca con il topo! Non escludo che possa essere lui la causa della peste!»
«Se è così, vengo con te!» – disse salendo sul carro dell’amico.
«Non posso proprio farti cambiare idea?»
«No!»
Achille quindi frustando i suoi destrieri, gli ordinò di riprendere la marcia.
«Da dove iniziamo?» – chiese Patroclo
«Faremo il percorso inverso che abbiamo fatto quel giorno!»
 
In dieci minuti circa raggiunsero i dintorni di Lirnesso e Pedaso e già in lontananza s’intravedeva il Tempio di Apollo. Appena arrivati, scesero dal carro e videro solo desolazione. Ormai dopo l’assedio prima di quelle creature, poi dei Greci, il luogo sacro al Dio era abbandonato al suo destino.
«Che cerchiamo?» – domandò Patroclo mentre il Pelìde già sui gradini davanti all’entrata del Tempio, stava per entrare.
«Qualunque indizio che ci possa far capire contro chi in realtà stiamo combattendo!»
«Perché lo stiamo facendo adesso?»
«Che vuoi dire?» – chiese Achille
«Era da tempo che non ripensavi a quella persona, un po’ per l’intensificarsi della guerra, un po’ perché preso da Briseide…. Ma oggi il giorno dopo la sua morte, la seconda cosa che fai, dopo l’ordinare ai Mirmidoni di non scendere in battaglia, è indagare sui quegli eventi che fino a ieri non ti preoccupavano più di tanto…e adesso pensi addirittura che dietro la peste ci sia lui… anche se per volere forse di Apollo il Radioso… che dovrebbe significare? Vuoi dirmi che succede?»
Achille si fermò giunto ormai all’entrata del Tempio, mentre Patroclo dietro di lui era ancora sugli ultimi gradini.
«Allora? Vuoi dirmelo oppure no?»
«Non fin quando non né sono sicuro!»
«Odio quando fai così!» – esclamò Patroclo entrando nel Tempio superando l’amico che stette ancora fermo.
I due quindi perlustrarono tutte le sale del Tempio, non trovando nessuna traccia se non i cadaveri di alcuni sacerdoti in putrefazione.
«Sono i Sacerdoti di Apollo trucidati da quelle creature! Nessuno ha dato loro un degno luogo di riposo! Che gli Dei possano perdonare questo sacrilegio!» – esclamò Patroclo guardando quei poveri resti putrefatti.
«Non distrarti! Dobbiamo trovare qualcosa che ci permette di capire chi è quell’uomo!»
Nonostante le intenzioni del Pelìde, non trovarono nessun indizio utile, così spazientito Achille uscì dal Tempio.
«Andiamo! Non c’è niente qui!»
«Aspettami fuori un attimo, c’è una cosa che devo fare!»
Achille era già sul carro pronto a partire, mentre Patroclo commosso nel vedere i corpi innocenti dei Sacerdoti di Apollo lasciati così a marcire, decise di dedicar loro una degna sepoltura. Ricoprì il pavimento del Tempio delle sue più fresche e profumate rose, avvolgendo così i loro resti.
«Riposate, avvolti nel manto
    Delle rose di fatale incanto!
Raggiunse quindi l’amico fuori dal Tempio.
«Hai fatto?» – chiese Achille frettoloso di ripartire.
Patroclo annuì e così si rimisero in marcia, in direzione di Lirnesso, dove il Pelìde aveva incontrato il primo di quegli uomini mostruosi.
 
Giunti a Lirnesso, entrarono nella cittadina che piano piano si rimetteva in piedi, controllata da alcune truppe Achee. I soldati greci che lì erano stanziati si stupirono nel vedere i due famosi guerrieri in quel luogo. La più grande battaglia, che quella guerra avesse visto fino a quel momento, si stava svolgendo proprio in quegli istanti e loro non c’erano. Achille e Patroclo ignorando il chiacchiericcio dei soldati, si diressero, dritti per la loro strada, alla tenuta di Mines (Minete) dove Achille aveva salvato Briseide.
 
Achille era proprio nel punto in cui aveva salvato Briseide dalle grinfie di quell’orrido uomo. Vide che frammenti dell’armatura di quel nemico erano ancora a terra. Si chinò quindi per prenderne qualcuno ed esaminarlo.
«Hai pensato che forse quegli orridi bruti non siano connessi con quell’oscura presenza che è apparsa dopo lo scontro con Cicno?» – gli chiese Patroclo
«Sì certo che l’ho considerato, ma mi sembra davvero poco probabile!» – rispose Achille mentre guardava con attenzione il frammento che aveva raccolto.
«Di cosa pensi sia fatto?» – chiese quindi Patroclo riferendosi al frammento raccolto dall’amico
«Non saprei, ma sicuramente ha una base simile alle Armature di Athena… guarda risuona al Cosmo!» – rispose il piè veloce, porgendogli il frammento.
«Polvere di stelle! Ma c’è dell’altro che non saprei dire cosa! È qualcosa di cruento, insaziabile e selvaggio!» – esclamò Patroclo esaminando anch’egli quel frammento
«Anch’io ho percepito la medesima cosa!»
 
I due si fissarono più confusi di prima. Qualche Dio aveva forgiato Armature simili a quelle di Athena e alle Scaglie di Poseidone. Un altro nemico? E in quel caso perché far partecipare quei guerrieri alla guerra senza apparentemente schierarsi da nessuna delle parti?
Ripresero quindi la marcia verso il monte Ida, dovendo aggirare il campo di battaglia che in quel momento vedeva il primo scontro diretto tra i Troiani e gli Achei.
In quel momento i due eserciti si stavano dispiegando fuori le mura Troiane. I due principi, Ettore e Paride, guardavano il ben più imponente esercito Acheo minacciare la patria. Gli Achei erano rimasti distanti qualche centinaio di metri, mentre due carri dalla testa dell’esercito Greco si portavano avanti. Agamennone stringendo la spada posta orizzontalmente, non dal manico, bensì dall’inizio della lama, segnalava a tutto l’esercito di mantenere la posizione, mentre lui, insieme al fratello e ad altri regnanti Achei, si avvicinavano allo schieramento Troiano. I due principi si avvicinarono a loro volta scendendo dai loro maestosi destrieri. Gli Atridi scesero dal loro carro così come gli altri Re che li seguivano.
«Siete venuti ad accogliere i vostri nuovi Comandanti, con una parata?» – chiese sarcastico Agamennone deridendo l’esiguità del contingente Troiano in confronto al vasto esercito Acheo.
«Spiritoso!» – rispose Ettore con un’espressione tutt’altro che divertita, quasi incenerendo con i suoi occhi marroni, l’Atride che davanti gli si ergeva.
«Calma, Principe!» – intervenne Nestore alle spalle di Menelao, che a sua volta era alla destra e poco più indietro del fratello.
«Principe!» – commentò sprezzante Menelao – «Quale Principe degno di questo nome, accetterebbe l’ospitalità di un uomo, mangiando il suo cibo, bevendo il suo vino, fingendosi amico per poi rubargli la moglie non appena cala la notte!»
«Beh ho accettato anche di condividere per un po’ anche tua moglie! E poi c’era il giorno quando tua moglie ti ha lasciato! Adesso che ci penso, era giorno anche quando sul tuo talamo, mentre eri con una delle tue donzellette, ho fatto l’amore con lei, la prima volta!» – rispose Paride
Impazzendo dalla rabbia Menelao cercò di infilzare la propria lancia nel petto del rivale. Ettore, velocissimo, parò il colpo. La punta della lancia scontrandosi con la mano del principe si distrusse in mille frammenti. Gli Atridi guardarono con stupore Ettore, che sarebbe dovuto essere trafitto dalla lancia, che invece si era frantumata. Poi ancor più velocemente colpì Menelao in pieno petto con il palmo della mano, scaraventandolo a qualche metro di distanza. Agamennone così come chi lo seguiva, sguainò la spada. Ettore rimase fermo, immobile.
«Dimmi, ora Nestore! Perché dovrei mantenere la calma quando minacciate la mia famiglia, la mia città? Cinquantamila greci difronte a me aspettano soltanto un vostro cenno per attaccare la mia gente! Dimmi come dovrei rimanere calmo?»
«Puoi ancora salvare Troia!» – gli rispose Nestore
«Si in effetti, potrei ancora decidere di ritirare l’esercito» – disse Agamennone, ancora con la spada in mano, mentre il fratello si rialzava – «Ma per farlo ho solo due desideri! Primo, Elena ritorna a Sparta con mio fratello e secondo Troia dovrà sottomettersi al mio comando! Manterrete la vostra reggenza, tuttavia combatterete per me, quando io lo ordino! Quando io ho desiderio di una qualunque minuzia e mi rivolgo a voi, dovrete esaudirla!»
«Solo questo? Nient’altro?» – rispose Ettore – «Avanzi tali proposte nella convinzione che io tremi difronte al tuo esercito! Ebbene lo guardo, ma non tremo! Bensì mi viene una gran voglia di sedermi sopra il tuo cadavere! Perciò ti dico e che ti rimanga scolpito nella mente, se ce la fai a ricordarlo, perché non lo ripeterò! Andatevene ora e non ti sgozzerò come si fa con maiali davanti al tuo “poderoso” esercito! Nessun Troiano s’inchinerà mai a un sovrano straniero!»
«Dovrei io, ora temere le tue minacce? Non mi fai paura principe! E se così rispondi alla mia generosa proposta, di Troia e dei suoi abitanti non rimarrà neanche la cenere!»
I due erano molto vicini, quasi testa a testa, sul punto di iniziare le ostilità durante quello che doveva essere un trattato. Poi Agamennone sorrise e si voltò per raggiungere il suo carro.
«C’è una soluzione a questo conflitto!» – intervenne Paride – «Questa è una disputa fra due uomini, non una guerra! Io amo Elena, e dovrai passare sul mio cadavere per riportarla a Sparta. Pertanto battiamoci noi due. Chi vince la reclamerà, e che ciò ponga fine alle ostilità» – così il principe Troiano sfidò Menelao.
«No!» – decretò Agamennone, voltandosi indietro per tornare al carro.
Il fratello lo fermò poco prima di salire sul carro, cercando di convincerlo ad accettare, parlando sottovoce.
«Ti prego fratello! Accetta l’incontro!»
«Non sono venuto qui per le grazie di tua moglie, ma per conquistare Troia!»
«Ti prego fratello! Mi insulta solo respirando! Io sono venuto per difendere il mio onore! Lascia che lo uccida e poi ordina l’attacco!»
«In effetti potrebbe essere un’idea!»
Agamennone si girò quindi verso i principi Troiani, che stavano rimontando a cavallo.
«Accetto la tua proposta, principe!»
Il Re di Sparta si avvicinò quindi al principe Troiano.
«Saluta tuo fratello, principe, perché fra cinque minuti i corvi assaggeranno la tua tenera carne, e sorriderò vedendo i tuoi resti mutilati!»
Paride rimase pietrificato dalle parole del rivale, che stava rientrando con i gli alleati verso il suo schieramento per prepararsi allo scontro. Ettore scosse il fratello per farlo riprendere.
«Non ti fare intimorire dalle sue parole. Ora rientriamo nello schieramento, prendi il tuo elmo e lo scudo e lo affronti. Ricorda che la spada che porti con te è la spada dei nostri avi, combatti valorosamente come chi in passato l’ha impugnata. Aspettalo, para quanti più colpi puoi. Devi farlo stancare, poi quando è rallentato dalla stanchezza colpiscilo con tutta la forza che hai alle gambe e vincerai lo scontro!»
«Più facile a dirsi che a farsi!»
«Non preoccupartene! Pensa solo al motivo per cui stai facendo tutto questo!»
Menelao e Paride si prepararono, quindi, allo scontro.
Migliaia di uomini li stavano guardando, oltre a Elena e a tutta la famiglia reale, che dall’alto delle mura troiane pregava Apollo e Afrodite affinché il principe vincesse.
Il combattimento era impari, per quanto Paride fosse un valente arciere, non aveva mai impugnato una spada e Menelao incalzante come un gigante era nettamente superiore. Nonostante tutto sembrava che il principe belloccio riuscisse a difendersi, almeno fino quando Menelao non si stancò di giocare. Il Re di Sparta stufo della pochezza di Paride, come avversario, distrusse il suo scudo e gli inflisse una brutta ferita all’addome. Il principe cadde a terra sulle ginocchia, poi si accasciò al suolo, mentre Menelao era pronto e fremente per dargli il colpo di grazia.
La sua spada si fermò però a poca distanza dal collo regale di Paride. Una barriera proteggeva il principe e appena dietro di lui era apparsa una giovane donna, di una bellezza mozzafiato, con i capelli e gli occhi lucenti, vestita di un’armatura radiosa, che le copriva appena il bacino, il seno e gli arti. Sulla schiena possedeva incrociate due oggetti lanciformi irregolari, che emanavano una luce blu intensa.
«Spostati donzella! Non vorrei che ti facessi male!» – gli disse
«Come osi rivolgerti a me in questo modo!»
«Scappa!» – gli urlò Ulisse – «Menelao scappa!»
Il re di Sparta ignorò le parole di Ulisse che era uno dei pochi ad aver compreso il pericolo davanti al quale Menelao si trovasse. Provò a colpire nuovamente Paride, tuttavia stavolta la barriera spezzò la spada.
«Osi ancora colpire un mio protetto?»
«Chi sei?» – chiese Menelao confuso
«Io sono la Dea dell’Amore! Aphrodite! E questo giovane è un mio protetto!»
La dea alzò il braccio puntando la favolosa mano verso l’Atride.
«Io di solito non combatto, ma il tuo comportamento va punito!»
Un’ onda d’urto spaventosa lo colpì, scaraventandolo a centinaia di metri, in mezzo alle truppe Achee. Agamennone urlò il comando di attaccare alle sue truppe che prontamente risposero. Così la battaglia stava per scoppiare.
La Dea nel frattempo era scomparsa portando con sé il principe ferito.
 
Achille e Patroclo durante la strada percepirono il Cosmo della Dea, e perciò si avvicinarono al luogo dello scontro e videro che alle spalle portava le folgori.
«È stata lei quella notte!» – esclamò il Pelìde – «È stata lei ad aggredirci con quelle folgori! Non può essere una coincidenza!»
«Perché avrebbe dovuto?»
«Hai visto come ha difeso il principe Troiano! Evidentemente parteggia per i Troiani e quella notte sarà stata la sua volontà a difendere quel giovane da chiunque avesse compiuto quella strage, così come l’ha difeso attaccandoci con le folgori!» – spiegò Achille – «in ogni caso, voglio vederci chiaro in questa faccenda!»
I due quindi continuarono il viaggio verso il monte Ida. Lì cercarono per ore senza trovare alcuna traccia.
«Dai Achille, non troveremo niente! Sono passati sei mesi ormai! Già siamo stati fortunati a Lirnesso nel rinvenire quel frammento!» – si lamentò Patroclo.
«Tu continua a cercare non si sa mai!»
«Fino a quando?»
Achille non rispose mentre Patroclo lo fissava cercare insistentemente. Un rumore, proveniente dal sentiero attirò la loro attenzione. Erano due uomini incappucciati che seguivano lo stesso percorso. Achille e Patroclo si nascosero in mezzo ai campi vedendoli proseguire oltre il gruppetto di case dei pastori. Sembravano possedere un Cosmo eccezionale, seppur diverso da quello che cercava il Pelìde.
«Seguiamoli!» – decise Achille
«Ancora?» – rispose Patroclo parecchio seccato – «Sono ore che cerchiamo e ora vuoi seguire due sconosciuti senza avere alcuna idea di chi siano! Tra l’altro hanno un Cosmo portentoso, forse anche più nostro. E ti ricordo che mi avevi promesso di insegnarmi il Boost Brain che hai usato contro Tenete, per evitare gli effetti della sua melodia»
«Già sai usare il Bolt e il Plasma, ora anche il Boost Brain, io non ti chiedo di imparare le tue tecniche»
«Perché non ci sei portato, ma se tu come me fossi portato a replicare le tecniche degli altri, ti insegnerei volentieri le mie, perché potrebbero rivelarsi utili. E poi sai che se potessi vedere questa tecnica non avrei bisogno di averla insegnata, ma svolgendosi dentro il corpo e quindi non si vede né si percepisce, non ho dati per poterla replicare. E poi contro Apollo ho usato il Bolt per difendere il campo dai suoi colpi. Sai che in quel caso il puro Cosmo non avrebbe funzionato! Figuriamoci le Rose! Quindi vedi che si è rivelato utile?»
«È vero! Però se vuoi imparare il Boost Brain dovrai seguirmi senza lamentarti!»
Finita la discussione a bassa voce, iniziarono a seguire il sentiero intrapreso da quegli uomini, seguendo la traccia del loro Cosmo.
Quel sentiero portò all’intero di un bosco in mezzo al quale sorgeva un edificio che sembrava proprio una casa, però aveva i caratteri di un Tempio. Sul frontone della porta c’erano delle iscrizioni cancellate.
«Cosa pensi che sia?» – chiese Achille
«Sembra un misto tra un Tempio e una casa!»
«Già!»
I due si avvicinarono all’edificio mettendosi ai due lati, facendo attenzione a nascondere la loro presenza. Cercarono quindi di capire cosa stesse avvenendo dentro, e chi fossero quei due. All’improvviso un altro Cosmo comparve, sembrando provenire da dentro l’edificio.
«È lui!» – esclamò sottovoce Achille – «è dentro!»
Achille d’impulso sfondò la porta vedendo i due incappucciati difronte una figura che non avrebbe mai immaginato.
«Fenice?»
Achille e Patroclo all’unisono furono sconvolti nel capire che il Cosmo oscuro che il Pelìde aveva percepito dopo lo scontro con Cicno, fosse di Fenice. Lo stesso Cosmo responsabile di quell’illusione della notte precedente.
«Fenice! Che ci fai qui? E perché il tuo Cosmo è così diverso? Fin da bambino percepisco il tuo Cosmo gentile, mentre ora sento solo oscurità!» – chiese Achille incredulo.
«Ti fai chiamare così?» – chiese uno dei due incappucciati al precettore del Pelìde, e suo fedelissimo generale.
«Questa riunione finisce qui, andate!» – esclamò Fenice
«Come osi rivolgerti a noi in questo modo? Sporco umano!» – rispose l’altro dei due incappucciati.
I due scomparirono nel nulla.
«Achille, ragazzo mio, avrei voluto parlartene tante di quelle volte, ma non ho mai avuto il coraggio!»
«Parlarmi di cosa?»
«Di chi sono veramente!»
«Chi sei?» – chiese Patroclo anticipando l’amico.
«Il mio vero nome è Eaco figlio di Zeus, e padre di Peleo!» – disse mentre il suo aspetto mutava radicalmente forma.
I suoi capelli rossi come il fuoco, divennero blu come la notte. Il suo volto ringiovanì. Sembrava avere la stessa età dei due biondi increduli che lo fissavano. Una violacea armatura lo rivestiva, con delle ali dietro, sembrava raffigurare un’aquila bellissima.
«Eaco? Mio nonno, Eaco? È morto prima che io nascessi, non puoi essere tu!»
«Beh nipote mio, non posso spiegarti molto, ma ciò che posso dirti è che ciò che hai visto stanotte corrisponde a realtà! Puoi davvero riabbracciare Briseide se lo vuoi!»
«Lightning Bolt!»
Eaco venne scaraventato a terra dal fulmine del piè veloce.
«Sei diventato più forte di quanto potessi immaginare!» – esclamò rialzandosi. Si asciugò il sangue dal mento e si avvicinò al nipote.
«Adesso forse sei il guerriero più potente sulla faccia della terra, ma senza l’Armatura del Leone non puoi battermi. Come vedi, il tuo colpo, sebbene sia centinaia di volte più potente di quando ti allenavo, mi ha lievemente ferito!»
«Mi hai ingannato tutta la vita! E come se non bastasse, mi hai fatto rivedere Briseide per strapparmela di nuovo, e continui ora ad affermare che io possa riabbracciarla! Come puoi farmi una cosa del genere?»
«È la verità!»
«Non lo stare a sentire Achille!» – lo interruppe Patroclo
Eaco sorrise e puntò il suo indice verso l’amico del nipote, che cadde a terra come svenuto.
«Vai a nanna, ragazzino. Sono questioni di famiglia!»
Achille soccorse l’amico, cercando di farlo rinvenire.
«Che gli hai fatto?» – gli chiese mentre teneva l’amico tra le braccia.
«Non preoccupartene, è solo addormentato, avrà un paio d’incubi, ma è tosto e non avrà problemi a risvegliarsi. Ciò che ti dovrebbe interessare è quello che succederà dopo!»
«Che vuoi dire?»
«Nipote mio, perché sei partito per Troia? Sei partito per smettere di combattere proprio quando la guerra sta per raggiungere la sua acme? Sei un guerriero! Sguazzi nella morte degli altri fin da quando sei nato. Sei destinato ad essere il più forte, ad essere ricordato nei secoli a venire, è per questo che sei partito. La morte della tua amata non potrà sottrarti a lungo dalla battaglia. Lo sai anche tu! E se morirà Patroclo o chiunque altro a te caro, cosa farai? Ti andrai nuovamente a nascondere? Farai a pezzi chiunque capiti sulla tua strada? Io posso evitarti tutte queste sofferenze. Posso fare in modo che tu e chiunque altro tu voglia, non dobbiate preoccuparvi della morte. Non dovrai preoccuparti di non conoscere tuo figlio. Potrai ottenere l’immortalità non solo nella memoria degli uomini!»
«Ah è così? Hades! È lui che servi!» – commentò Achille mentre si rialzava, lasciando il corpo di Patroclo adagiato al suolo
«È lui che ti ha permesso di vivere oltre la tua morte! Ma quelle immonde bestie che hanno attaccato Lirnesso non erano seguaci di Hades, altrimenti le loro armature risuonerebbero di una putrida oscurità come quella che indossi! Invece quelle emanavano pura rabbia e ferocia! Si addice di più ad Ares, e il fatto che Aphrodite, la Dea meno combattiva in assoluto, sia intervenuta in persona in questa guerra, conferma il fatto che il suo letale amante abbia qualche interesse per le sorti di Ilio! Ma Hades che ci guadagna? Anime? Solo per questo?»
«Ahahah!» – Eaco scoppiò in una grassa risata – «Lo dicevo io che sei il guerriero più intelligente che abbia mai visto! Intuisci bene, non ci guadagniamo solo anime! E se servirai il sommo Hades, egli sarà felice di renderti l’anima della tua dolce amata!»
Briseide comparve accanto ad Eaco, splendida come nel suo giorno migliore, avvolta in una maestosa luce bianca.

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Capitolo 16
*** XIV – La tecnica che offese due Dei ***


La tecnica che offese due Dei

Polluce con un abile stratagemma è riuscito ad infiltrare nel Palazzo di Ares, ventisei Cavaliere, tra cui i tre dorati che insieme a lui stavano per affrontare il Dio. Cavalieri di Bronzo e Argento affrontavano i Berserkers in tutto il palazzo, mentre quelli di guardia all’esterno convergevano dentro per eliminare gli intrusi. Ippolito, figlio di Teseo, che aveva aiutato il Cavaliere dei Gemelli nel suo piano, stava ora cercando il modo per distruggere la barriera che rendeva inaccessibile il Palazzo al Teletrasporto. Così si ripeteva in mente le parole di Neven, quando appena tornato dal mondo dei morti, si era risvegliato nella casa del dorato Ofiuco. C’era Kitalpha addormentato su una sedia accostata al letto, mentre Polluce, Asclepio e Neven, seduti al tavolo, sorseggiando un po' di vino, lo fissavano straniti delle sue condizioni.
«Ti sei svegliato, finalmente» – esclamò Asclepio – «Per un attimo mi hai fatto presumere il peggio!»
«Che è successo?» – chiese Ippolito ancora un po' stordito
«Diccelo tu!» – ribattè Polluce – «Chi ti ha ridotto così?»
Ippolito rimase in silenzio per qualche secondo sforzandosi di ricordare, ma solo alcuni flash riuscivano a tornargli in mente.
«Non riesco a ricordare! Ho solo alcuni spezzoni!» – spiegò il ragazzo
«Ci penso io!» – disse Polluce toccando la fronte del giovane ancora disteso – «Genro Mao Ken!» –  sottovoce Polluce pronunciò il nome della sua più potente tecnica mentale – «Ora rivedrai ciò che non riesci a ricordare!»
In pochi istanti Ippolito riacquisì la memoria, sobbalzando per ciò che rivisse.
«Mio padre» – disse agitato – «È stato mio padre»
Il sudore gli colava dalla fronte, e Asclepio sapeva che in quelle condizioni, agitarsi era pessimo per la salute.
«Calmati, adesso! Cerca di rilassarti altrimenti ti si potrebbero riaprire le ferite» – gli disse tentando di farlo quietare.
«Lo so! Adesso mi è tutto più chiaro!» – rispose Ippolito sempre piuttosto agitato – «Mi ha seguito di nascosto fino al sentiero che conduce al Tempio e appena ho incontrato i soldati di guardia, mi ha attaccato. Non era solo! Lo seguiva un gruppo di guerrieri che indossavano strane armature. E cosa ancora più preoccupante sapeva che sono alleato di Ares! Sapeva le stesse parole che ho usato per farmi credere alleato dal Dio della guerra! Poi mi ha chiesto come mai fossi venuto al Tempio! Ovviamente non ho risposto e ci siamo scontrati!»

«Il ragazzo ha ragione! Teseo è vivo! Anche Giasone l'ha visto, prima di ritornare al Tempio mesi fa!» – intervenne Polluce – «Ti ha fatto intendere di sapere del tuo doppio gioco con Ares?» – chiese poi preoccupato
«No, non mi è sembrato, anche se con lui, tutto è possibile!»
«Hai detto che un gruppo di guerrieri lo seguiva! Non erano quindi Berserkers?» – chiese Neven
«No, nobile Neven!» – rispose, cercando di mettersi seduto, ma essendo ancora debole Asclepio glielo impedì – «Avevano delle Armature violacee, di strane forme, mentre mio padre indossava la sua Scaglia! Lui è quello che mi ha salvato la vita?» – chiese infine guardando Kitalpha dormire sulla sedia.
«Si, lui è Kitalpha! Ma per ora è sotto una mia illusione, non può sentirti!» – spiegò Polluce – «Anzi forse è meglio che ti fai trovare addormentato al suo risveglio, sia per evitare che rimanga qui quando scoppierà il finimondo, sia perché hai comunque bisogno di riposare. Ritornare dal mondo dei morti non è cosa da poco!»
«Sì, probabilmente hai ragione! Ma prima, dimmi della barriera attorno al palazzo di Ares! Avevi detto che avresti raccolto delle informazioni!»
«Non so molto, praticamente ciò che sappiamo sono tutte deduzioni di Neven! Ho sentito parlare alcuni Berserkers di una barriera che impedisce qualunque tipo di teletrasporto, è per questo che quando si teletrasportano lì, arrivano fuori il posto di blocco delle guardie. Entrare all’interno con il teletrasporto sarebbe quindi impossibile, così come uscire» – spiegò Polluce
«Dovrete quindi cercare in tutto il palazzo, il fulcro del potere di questa barriera!» – intervenne Neven – «Se il palazzo di Ares è protetto da questa specie di barriera al teletrasporto, allora probabilmente esso sarà costruito da un nucleo, che conterrà il suo sangue, e poi uno scheletro in muratura fatto di polvere di stelle. Il palazzo probabilmente sorge su questo scheletro, un po’ come i muscoli e le ossa. Bisogna trovare e distruggere il nucleo, per due motivi: distruggere parte dello scheletro annullerebbe gli effetti solo in quel punto, e il teletrasporto potrebbe essere la nostra via di fuga considerato che non si aspettano da noi la possibilità di usarlo! Inoltre non sappiamo, dove Ares tenga Efesto imprigionato e il teletrasporto può rivelarsi utile per setacciare il palazzo! Per quanto riguarda la divina Athena, non perdetela di vista! Probabilmente Ares vorrà torturarla per ottenere le informazioni! Date il via al piano se tale evenienza si dovesse verificare, anche se ancora non avete trovate il fulcro. Non possiamo permettere che le venga torto neanche un capello»


Ricordando quelle parole, Ippolito seguiva sulle pareti, le parti costruite con polvere di stelle, perché logicamente esse si sarebbero dovute originare dal nucleo della barriera. Ebbe la sensazione di perdersi più volte, e, infatti, nel seguire la maggiore quota di polvere di stelle nei muri dovette cambiare strada alcune volte. Si doveva sbrigare perché una volta distrutto il nucleo avrebbe dovuto dare il segnale a Neven, e il tempo scarseggiava. Adesso c’era solo un'unica strada, e riusciva a percepire il potere di Ares scorrere in tutte le pareti. Ciò poteva significare solo una cosa: si stava avvicinando al suo obiettivo e così fu.
Si ritrovò in una stanza chiusa, l’unico accesso era quello da cui entrò. Al centro della stanza c’era un’enorme colonna, fatta di luce, con dei rami sia sul tetto sia sul pavimento. Al centro della colonna s’intravedeva una sfera rossa per lo più con molte decorazioni, di cui poche si distinguevano per via della luce che emanava. Dalle aperture di questa sfera in alto e in basso, il flusso di puro Cosmo fluiva impetuoso, creando appunto quella colonna di luce. Lanciò un potente colpo di pura energia ma attraversò la colonna, distruggendo il muro dall’altra parte.
“E ora come la distruggo?”
Provò a spedirla nel Charybdis Gorge, ma la tecnica inghiottì soltanto alcuni pezzi che riuscì a staccare dai muri attorno. Così ebbe l’idea di spezzare il collegamento tra la colonna di luce e lo scheletro del palazzo, fatto di polvere di stelle.
Distrusse i muri attorno, sopra e sotto la colonna ma niente successe. Era ancora pienamente funzionante, e capì di non aver risolto nulla. Poi arrivò l’illuminazione.
“Se il nucleo della barriera è fatto con il Cosmo e il sangue del Dio, vuol dire che è simile al flusso di Microcosmo all’interno di un corpo! Bene, allora proviamo con questo!”
Forse era il compito più adatto a lui, anche se non semplice, trattandosi del Cosmo di un Dio, e il sangue di due, considerata Aphrodite.
«Death Touch!» – urlò, colpendo la colonna con la mano semiaperta, nel tentativo di sopprimere il Cosmo Divino che la permeava. Tuttavia, nonostante riuscì, solo per un istante, a fermare il flusso dell’energia nella colonna, esso riprese e il contraccolpo lo scaraventò a terra. Si rialzò, e determinato a non arrendersi, provò ancora, venendo scaraventato nuovamente a terra. Doveva riuscire a trovare una soluzione. Per quanto il Death Touch sembrasse funzionare per un istante non era in grado di fermare il flusso del Cosmo di un Dio. Ci voleva qualcosa di più deciso, che lo interrompesse istantaneamente. Così bruciò tutto il Cosmo che aveva a disposizione, eseguendo quella tecnica che si era autoproibito per via del padre.
«Death Stroke!»
Con il suo pugno cercava d’interrompere il flusso, con l’obiettivo di raggiungere quella sfera che a metà altezza sembrava levitare. Il potete flusso di Cosmo che da essa scaturiva sembrava respingerlo, ma usando fino in fondo tutte le sue forze, Ippolito riuscì ad affondare il colpo fino alla reliquia distruggendola. Così la colonna si estinse e il giovane esausto si dovette sedere.
Quello era uno dei colpi più potente che Teseo gli avesse tramandato, e che usava senza un minimo di contegno, uccidendo chiunque sulla sua strada. Per questo Ippolito avverso alla violenza gratuita e disgustato dall’uso improprio che il padre faceva del suo potere, aveva creato la versione meno potente della tecnica, ovvero il Death Touch, che diminuisce il flusso di Microcosmo dell’avversario, senza ucciderlo, così da impedirgli il combattimento, mentre il Death Stroke lo interrompe bruscamente uccidendolo.

Ora non rimaneva altro che segnalare la sua posizione, richiamando con le sue ultime forze il Cosmo che gli rimanesse.
Nel frattempo, infatti, fuori dal Palazzo di Ares, la tensione per la battaglia era palpabile nell’aria e Neven, Equos e Gyon attendevano che il momento giusto arrivasse. Neven aspettava il segnale per teletrasportarsi all’interno. Grazie alle sue conoscenze come alchimista, confidava nel fatto che Polluce e Ippolito sarebbero riusciti, seguendo le sue istruzioni, ad annullare la barriera. Trovato e distrutto quel punto cardine, le diramazioni in polvere di stelle, che diffondevano il potere del Dio in tutto il palazzo, sarebbero servite a poco. Così non appena riuscì a percepire lo spazio interno al Palazzo, doveva trovare il Cosmo di Ippolito, che espanso avrebbe dovuto attirarlo.

«Ci siamo!» – esclamò il Generale – «La battaglia è cominciata!»
«Allora che aspettiamo!» – chiese Gyon già due passi avanti ai dorati.
«Fermo! Non è ancora il nostro momento!» – lo richiamò Equos.
«Ma adesso i nostri compagni stanno lottando con il nemico, non possiamo stare qui a non far nulla!» – protestò Gyon
«Fanno ciò che devono, così come noi! Perciò aspetta Cavaliere, non è ancora arrivata l’ora d’intervenire!» – intervenne Neven.
Gyon rimase in silenzio dopo il rimprovero del generale, fissandolo mentre si concentrava.
«Ecco! È il segnale!» – disse sottovoce, poi si teletrasportò portando con sé i due Cavalieri.
Apparvero difronte a Ippolito seduto per terra, visibilmente esausto per lo sforzo.
«Che è successo?» – gli chiese
«Niente! È stato più difficile del previsto! Il nucleo era sfera che emanava un potentissimo flusso di Cosmo, creando una specie di colonna continuamente manteneva la barriera, per estinguerla ho dovuto penare. Se questo è solo una minima parte del potere di Ares, siamo spacciati. Se l’avessi avuto difronte, le mie tecniche non lo avrebbero minimamente indebolito, mentre anche un dorato avrebbe difficoltà a contrastarle.
«È così potente il suo Cosmo?»
«Sì! Nobile Neven, deve subito raggiungere gli altri. Sono in serio pericolo, non possono farcela da soli!»
«Tranquillo ragazzo, al più presto porterò tutti quanti fuori da questo posto!»
«Spero solo che riescano a resistere fino a quel momento!» – disse Ippolito poco prima di svenire.
«Hai fatto più di quanto dovevi!» – disse rivolgendosi al ragazzo svenuto.
Neven pose quindi la mano sulla fronte del giovane ragazzo e un simbolo apparve per un breve istante, poi il giovane venne avvolto da un intensissima luce dorata. Ippolito si risvegliò improvvisamente restando stordito qualche secondo.
«Come hai fatto?» – chiese Gyon al generale.
«Le spiegazioni a dopo!» – poi si rivolse ad Ippolito che aveva ripreso conoscenza – «Ti ho marchiato con il sigillo del teletrasporto cosicché quando ci ritireremo io possa teletrasportarti anche essendo distante da te! I Cavalieri portati da Polluce lo possiedono! Ora raggiungili il combattimento è tutt’altro che finito! Noi dobbiamo cercare la prigione di Efesto! Dov’è Athena?»
«È con Polluce e gli altri dorati! Mentre per quanto riguarda Efesto, ho sentito da alcuni Berserkers che è nei sotterranei»
«Perfetto! Liberato Efesto, ci ritireremo! Su, vai!»
Ippolito corse subito dagli Cavalieri, mentre Gyon, piuttosto confuso da ciò che gli accadeva, aveva bisogno di qualche chiarimento. I due dorati però iniziarono la corsa alla ricerca del Dio.
«Non andiamo a salvare Athena?» – chiese raggiungendo i due dorati che in pochi secondi l’avevano distanziato.
«Athena è già salva! La proteggono quattro dorati, sta tranquillo! Noi dobbiamo liberare Efesto!» – gli spiegò Equos
«Dalle informazioni di Polluce sappiamo che è stato costretto a costruire le Hauberks dei Berserkers nelle sue fucine, poi è stato portato qui! Polluce l’ha visto imprigionato con delle catene, probabilmente fatte di un materiale speciale che gli impedisce di usare il proprio Cosmo!» – spiegò Neven
«E come lo libereremo?»
«Ho già un piano!» – lo tranquillizzò il Generale.
I tre erano arrivati in una stanza gigantesca e videro alla fine di questa delle scale che scendevano.
«Guardate!» – esclamò Equos – «Quelle scale probabilmente conducono ai sotterranei!»
«Si forza! Andiamo!» – Gyon con il suo vivido entusiasmo accelerò.
Mentre stavano attraversando la gigantesca sala, una figura incappucciata gli sbarrò la strada.
«Sporchi umani, dove pensate di andare?»
I tre si dovettero fermare difronte l’imponente Cosmo dell’avversario.
«Tu!» – esclamò l’incappucciato – «Mi ricordo di te, avevo detto a Polluce che era meglio ucciderti! Ora ho capito perché non l’ha fatto! Quello sporco umano ci ha tradito! In tal caso mio padre gli darà ciò che si merita!»
«Togliti dalla nostra strada!» – gli urlò Gyon, scagliandosi contro di lui a tutta velocità.
Una barriera lo respinse scaraventandolo dietro i due dorati.
«Gyon, fa attenzione, colui che stiamo affrontando possiede un Cosmo superiore al nostro!» – gli disse Equos, mentre il cavaliere di Bronzo si rialzava.
«Cosa? Superiore al vostro?»
«E non di poco!» – commentò Neven – «Abbiamo difronte una Divinità! Riesco a percepire la stessa scintilla che percepisco nella Divina Athena!»
«Esatto umani! Il mio nome è Phobos, Dio della Paura!» – disse l’incappucciato, togliendosi il mantello che né celava l’aspetto.
Era protetto da un’armatura di un rosso scuro prevalentemente, decorata con delle figure curve di un rosso più chiaro ma sempre intenso. I lunghi capelli di color castano chiaro, quasi grigio, avvolgevano un volto delicato, che nonostante fosse angelico riusciva ad incutere timore solo al vederlo, insieme al nero sguardo agghiacciante. Il Cosmo che lo avvolgeva era quanto di più malvagio e potente Gyon avesse mai percepito.
«Fai davvero paura, sei proprio brutto!»
«Come osi?»
Accanto a lui, comparve quello che sembrava essere il suo gemello, fisicamente opposto. I capelli scuri, gli occhi chiari, l’armatura di sfondo rosso molto chiaro e le stesse decorazioni però in rosso scuro. Il Cosmo era invece molto simile, e un infinito terrore per lo scontro assalì i tre Cavalieri.
«Un altro?» – chiese, quasi disperato, Equos
«Tu invece devi essere Deimos!» – constatò Neven, ignorando lo sconforto di Equos per l’immane sfida che li attendeva.
«Come osi dare tanta confidenza ad una Divinità?» – chiese inorridito Phobos.
«È ormai vicino all’Ade, lascia peccare l’umano quanto desidera, ciò potrà solo inasprire il destino che lo attende!»
«Questo è tutto da vedere!» – rispose a tono Neven, per niente intimorito dalle Divinità del terrore.
Prese Gyon dal braccio e lo lanciò contro i due nemici, poi lanciò uno dei suoi colpi micidiali.
«Starlight Extinction!»
Il colpo s’infranse sulla barriera che proteggeva le due divinità, che scoppiarono in una stucchevole quanto grossa risata.
«Hai solo disintegrato il tuo piccolo compagno a causa del contraccolpo con la barriera!» – commentò divertito Phobos.
«Non direi!» – replicò soddisfatto Neven, vedendo che la sua idea aveva funzionato.
Gyon, infatti, era stato teletrasportato aldilà del blocco delle due divinità, ancora ignare del fatto.
Il giovane Cavaliere di Bronzo era appena riapparso dietro i due figli di Ares, impugnando una spada dorata. Era la spada della Bilancia di Equos. Evidentemente Neven l’aveva presa dal compagno e gliel’aveva affidata. Così Gyon pensando di dover attaccare usando la spada, si fece un passo verso le due divinità.
«No! Va avanti!» – gli urlò Neven
Gyon fermandosi di colpo, seguì l’ordine del generale e iniziò ad percorrere le scale alla fine della sala.
Phobos e Deimos si accorsero di Gyon troppo tardi, infatti, i colpi lanciatigli contro, distrussero l’accesso alle scale, senza ferirlo poiché lo aveva già attraversato.
«Sporco umano!» – sprezzante e infuriato Phobos, si diresse a grande velocità verso Neven, e prima che il dorato potesse ergere il suo muro di cristallo, il Dio l’aveva già scaraventato a terra, colpendolo ripetutamente al torace, il tutto in pochissimi istanti. Equos stava per intervenire, ma fu anch’egli travolto dalla furia divina, stavolta di Deimos.
«Ti truciderò a mani nude, come si addice a dei sporchi blasfemi come voi!» – ringhiò Phobos
«Di voi non rimarrà altro che polvere di ossa!» – aggiunse Deimos
Le divinità stavano pestando letteralmente i due dorati, con colpi devastanti che impedivano loro ogni tentativo di difesa. I loro volti erano riempiti di sangue, così come le loro armature erano crepate in molti punti. Le divinità smisero di pestarli, indietreggiarono di alcuni passi e alzarono entrambe le braccia in alto, con le mani aperte verso l’interno. Tra le mani di entrambi, si generò un’imponente sfera rossa.
«È giunta l’ora della vostra morte!» – esclamò Deimos
«Ripeto, non direi!» – disse Neven, mentre tutte le ferite gli si rimarginavano, emanando una luce dorata.
I due Dei rimasero impassibili difronte alle capacità rigenerative del dorato, che ancora era a terra.
«Vediamo come ti rigenererai quando sarai polvere!» – gli rispose Phobos lanciando la sua sfera insieme al fratello.
L’esplosione fu dirompente ma qualche istante prima Neven ed Equos si teletrasportarono a qualche metro dietro le spalle delle divinità, avvolti in un muro di cristallo. Neven curò il dorato compagno, avvolgendolo in una specie di crisalide di luce, che in meno che non si dica, lo guarì. Le due divinità si girarono subito dopo l’esplosione, accorgendosi del teletrasporto di Neven.
«E così puoi curare anche gli altri, oltre che te stesso! Poco male!» – commentò Phobos
«Significa che dovremo essere più veloci!» – aggiunse Deimos
«Non né avrete la possibilità stavolta! Starcores Collapse!» – esclamò Neven.
Le due Divinità erano circondate da una moltitudine di punti luminosi che improvvisamente s’ingrandirono. Disegnavano nello spazio la costellazione dell’Ariete, poi così come si erano ingrandite collassarono, trasformandosi in supernove e una gigantesca esplosione di luce li travolse.
«Rozan Hyakuryūha!» – Equos, appena ripresosi, scagliò una delle sue mosse più potenti, forse la più potente in assoluto.
L’esplosione che si generò dalla confluenza dei due colpi fu micidiale e la gigantesca sala né fu devastata. Le macerie erano dappertutto, eppure le due Divinità apparvero illese non appena il polverone si diradò.
«Non penserete davvero di poterci sconfiggere così?» – sembrava piuttosto divertito Deimos nel pronunciare quelle parole.
«No ma le vostre Hauberks sì! Per quanto superiori a quelle dei comuni Berserkers, non possono resistere alla potenza di quei colpi!» – esclamò Neven anticipando di qualche istante la formazione di numerose crepe nelle Armature delle divinità. Le crepe più importanti ruppero le furiose Armature, cogliendo di sorpresa i due fratelli.
«È impossibile che un semplice umano possa esser arrivato a tanto!» – stupefatto e furioso Deimos, fissava con i suoi occhi gelidi i dorati mentre il fratello passava già ai fatti.
Phobos, infatti, era già pronto al contrattacco. Il suo Cosmo era ai limiti estremi e sia Neven sia Equos, erano esterrefatti dalla potenza del nemico.
«Tremate difronte il potere di un Dio! Last Nightmare» – puntando il suo dito contro i Cavalieri Phobos lanciò il suo colpo.
I due dorati caddero al suolo, sprofondati in un sonno profondo, in cui avrebbero dovuto affrontare le loro peggiori paure.

Gyon nel frattempo era giunto alla fine della scalinata trovandosi difronte una delle più grandi prigioni mai esistite. Un lungo, quasi infinito, corridoio separava due file di grandi celle. Non riusciva a vederne la fine. La situazione già scoraggiante, iniziò a farsi più pesante man mano che rifletteva sul modo di trovare e liberare il Dio senza l’aiuto di Neven. Grazie allo stratagemma del dorato era riuscito a scappare uno scontro, che per quanto non gli piacesse ammetterlo, non avrebbe potuto vincere. Tuttavia la missione era più importante, nonostante non né comprendesse a pieno le ragioni. Grazie alla concessione Equos aveva la spada dorata della Bilancia in mano. Capì che doveva usarla per liberare Efesto, tuttavia si chiedeva se ciò bastasse, considerando che neanche il Dio stesso riuscisse a liberarsi con le sue forze. Avanzava lungo il corridoio a piena velocità, esaminando le varie celle che incontrava. Avevano delle sbarre nere, grandi quanto lui, separate da spazi così miseri che era difficile capire chi ci fosse dentro. Poi pensò “Ma come lo riconosco Efesto? Non l’ho mai visto!”
Iniziò ad urlare il nome del Dio a squarciagola, ma il silenzio che seguì alle sue urla non fece altro che scoraggiarlo.
Continuò a correre sperando di trovare una cella diversa dalle altre. D’altronde quella di un Dio doveva avere qualcosa di speciale per contenerlo. Per quanto spesse potessero essere quelle sbarre, non avrebbero potuto adempiere tale compito. O almeno è ciò che si ripeteva per darsi coraggio. All’improvviso la strada gli fu sbarrata. Nuovamente le due divinità erano comparse dal nulla.
«Se vuoi siete qui, significa che… » – commentò Gyon incredulo.
«Sembri sperduto umano! Ecco che succede quando si manda un ragazzino a fare il lavoro che neanche un uomo potrebbe compie…»
Deimos fu interrotto dal Ryusei ken lanciato da Gyon, che tuttavia s’infranse senza colpire il bersaglio.
«Tu! Come osi, anche solo pensare di colpire un Dio?» – Deimos era furioso.
«Non ho paura di te!» – esclamò a gran voce, anche se dall’espressione e dall’atteggiamento non né sembrava molto convinto, indietreggiò, infatti, di qualche passo.
Deimos subito gli lanciò contro una grande sfera rossa di puro Cosmo. L’esplosione fu devastante tuttavia Gyon riuscì a rimanerne illeso, parando il colpo del Dio con la spada della Bilancia, che però rimase crepata.
“Che faccio adesso? La spada della Bilancia non reggerà un altro colpo di quelli! E non ha dovuto neanche sforzarsi! Non voglio immaginare di cosa è capace se si concentra! E come se non bastasse, sono in due!”
Deimos lanciò un’altra sfera, ridendo quasi come se giocasse, sicuramente era divertito nell’incutere timore. Stavolta la sfera era persino più potente e Gyon sapeva che stavolta sarebbe stata più dura. L’esplosione, infatti, distrusse persino le celle vicine, uccidendo persino gli occupanti. Gyon era a terra, con l’armatura in frantumi, la spada della Bilancia seppur più crepata di prima, era ancora integra. Il Cavaliere riuscì ad alzarsi, seppur con estrema fatica, impugnò la spada e si scagliò contro Deimos, che alzando due dita verso di lui, lo paralizzò. Non riusciva muovere un muscolo, rimasto immobile con la spada puntata verso il Dio dagli occhi gelidi.
“Che succede? Non riesco a muovermi! Gli basta puntarmi contro due dita per paralizzarmi così?” – Gyon era frustrato dall’evidente superiorità dell’avversario, che sembrava quasi che si prendesse gioco di lui.
«Terrifying Massacre»
Com’era accaduto ai due dorati prima di lui, cadde a terra privo di sensi, sprofondando in una tortura che di lì a poco lo avrebbe portato alla morte. Le due divinità aspettarono in silenzio qualche secondo.
«Ecco! Il suo cuore si è fermato!» – esclamò Phobos che era rimasto in disparte stavolta – «Possiamo andare!»
Sicuri della morte dell’avversario, i figli di Ares scomparvero.

Tre piani più su, quattro Cavalieri d’Oro erano alle prese con il Dio della Guerra. L’esplosione della sfera di Cosmo lanciata da Ares, in seguito all’Om di Amida devastò tutta la sala tranne che intorno al Dio e all’interno del Kān, che proteggeva i quattro dorati e dietro di loro, Athena e Armonia. Polluce senza perdere tempo si scagliò contro il Dio, lanciando la sua Galaxian Explosion, che tuttavia s’infranse sulla barriera del Dio, ritornando qualche istante dopo indietro a piena potenza. Il Cavaliere cadde a terra, colpito dal suo stesso attacco.
“Come con Poseidon, tutti gli attacchi tornando indietro” – pensò rialzandosi.
«Nessun mortale può colpire un Dio! Chi tenta nell’impresa, pagherà per con la sua stessa mano!» – disse divertito Ares.
«Beh allora punisci questo peccatore!» – esclamò Giasone che da dietro Amida si portò avanti superando Polluce.
«Siamo Cavalieri, e nonostante il nostro avversario sia un Dio, abbiamo l’obbligo di combattere uno contro uno! Perciò lasciatelo a me, voi andate!» – continuò poi il Sagittario.
I compagni increduli nel sentire quelle parole, erano molto titubanti nell’accettare questa situazione, e Athena ancor più di loro, non voleva che Giasone si sacrificasse.
«No Giasone, non… » – la Dea fu interrotta da un gesto del Cavaliere, che sorridente sembrava tranquillo e sicuro della propria scelta.
«Va bene così, divina Athena! Se non dovessi farcela, voglio che sappia che servirla è stato l’onore più grande della mia vita!»
«Credete che io vi lasci andare via vivi da qui! Seppur il vostro amico, qui, crede di potermi tenere a bada!» – esclamò Ares quasi infastidito dalla scena – «non lascerete questa sala, se non per andare nell’Ade!
Il Dio scattò verso i nemici, e Giasone grazie ai suoi pronti riflessi, l’intercettò scagliandosi contro il Dio e in breve istante spiccarono il volo, sfondando il tetto della sala. In cielo, sopra l’isola, si scontravano a inaudita velocità, venendo visti da tutti i Berserkers e Cavalieri che combattevano all’entrata e dento il Palazzo. Sembravano due comete, una dorata e una rossa, che si scontravano ripetutamente e sistematicamente la dorata veniva respinta. Il combattimento fisico era il prediletto del Dio che, infatti, riusciva a schivare e a respingere i fulminei colpi di Giasone. Quando distanti, durante le piccole pause dalla lotta, si riuscivano a distinguere bene, venendo riconosciuti dai rispettivi alleati che si erano fermati per guardare lo scontro.
I tre dorati insieme ad Athena, preoccupata, e Armonia fissarono il combattimento finché Ippolito non li raggiunse.
«Che è successo?» – chiese il giovane figlio di Teseo
«Giasone sta combattendo da solo con Ares, non so quanto tempo potrà guadagnare!» – rispose Polluce
«Neven sta già cercando Efesto, presto lo libererà e potremo andarcene!» – spiegò poi Ippolito aggiornando Polluce e gli altri sulla situazione – «Ma che sta facendo la divina Athena?» – chiese quindi ai dorati
Athena aveva fatto qualche passo più avanti e stava espandendo il proprio Cosmo. Richiamò a sé il proprio scettro e spiegando le esili braccia, come se fossero ali, avvolse l’intero Palazzo con il proprio Cosmo, come in un enorme e affettuoso abbraccio.
«Divina Athena?» – fecero incuriositi i Cavalieri
«Sta vegliando sui Cavalieri che stanno combattendo al Palazzo di mio padre! Sento il suo potente Cosmo che li protegge, li supporta, l’incoraggia a resistere e a combattere!» – intervenne Armonia ancora seduta a terra.
«Quindi che facciamo adesso?» – chiese Ippolito
«Possiamo arrostire altri Berserkers, quantomeno!» – esclamò Keren che richiamò a sé centinaia di fuochi fatui – Sekishiki Kasai no Ame! (lett. Pioggia di fuoco del sekishiki)
Dal suo dito puntato verso l’alto, migliaia di fiamme azzurre si sparpagliarono per il cielo, per poi ricadere sulla terra come gocce di pioggia.
«Che stai facendo?» – chiese Ippolito
«Brucio vivi i Berserkers! Il mio Sekishiki Kasai no Ame crea piccole fiamme azzurre che raggiungono i miei avversari per estrargli l’anima e una volta fatto posso usare il Sekishiki Konsoha per assorbirne l’energia e farle esplodere in un sol colpo! Così potrei riuscire quantomeno a ferire Ares!»
«Carina! Sadica quasi quanto noi!» – commentò Phobos che apparì, sempre insieme al fratello, pochi metri da Athena.
Alzando il bracco verso il cielo creò un’onda d’urto che estinse i fuochi fatui di Keren, annullando così la sua tecnica.
Indossavano ancora le loro Hauberks che per il fatto che fossero danneggiate in più punti, suscitarono la curiosità dei Cavalieri. Stavolta gli Dei fratelli tenevano in mano una splendida spada, in tono con le armature.
«Athena! Che squallida Dea!» – sprezzante Deimos era raccapricciato dal desiderio di Athena di proteggere i propri Cavalieri con il suo potere.
«Sei uno spreco di potere!» – aggiunse Phobos, poco prima di infilzare la Dea con la sua spada.
Amida, che già si era mosso, non fece in tempo a proteggere Athena dalla spada del Dio, però riuscì a bloccare il calcio che stava scagliando contro il corpo ferito della Dea.
«Noto con piacere che non siete protetti dalla barriera contro gli attacchi fisici, ma solo contro quelli di Cosmo!» – commentò Amida
«Come se così potessi sconfiggermi!» – rispose Phobos che si liberò dalla presa del Cavaliere, lanciandolo a parecchi metri di distanza, utilizzando la gamba che Amida gli aveva bloccato.
Il Cavaliere, rimasto illeso dalla contromossa del Dio, atterrò tranquillamente dopo aver eseguito due capriole in aria per mettersi nella giusta posizione. Keren si teletrasportò in fretta accanto alla Dea, portando poi il corpo ferito ad Armonia, affidandola alle sue cure e alla protezione di Ippolito.
Polluce sbucò alle spalle di Deimos, rimasto poco più indietro rispetto al fratello, calciando il Dio sui cavi poplitei (parte posteriore del ginocchio).
«Su da bravo, inginocchiati!»
«Come osi!» – gli urlò contro Deimos che, infuriato per l’affronto subito, come una furia si rialzò in un attimo travolgendo Polluce con la sua ira.
Il Cavaliere non ebbe il tempo di difendersi che il Dio lo aveva già colpito più di cinquanta volte.
Keren si teletrasportò, in mezzo ai due figli di Ares, cingendo la vita di Deimos con le sue gambe. Era pronto per il suo Acubens, tuttavia, prima che potesse eseguirlo, il Dio riuscì a liberarsi facilmente colpendolo con il gomito in pieno viso. Ciò dette il tempo a Polluce di colpirlo alla schiena, così Keren, usando ancora il suo teletrasporto, portò i due dorati compagni vicino a Ippolito e Armonia che stavano cercando di guarire Athena. Nonostante i colpi messi a segno dai Cavalieri sia Phobos che Deimos, rimasero completamente illesi.
«Perché non ci porti molto lontani da qui?» – chiese Ippolito a Keren
«Perché ci seguirebbero! Il loro teletrasporto è molto probabilmente superiore al mio!»
Armonia si alzò in piedi dirigendosi verso i fratelli.
«Basta così, fratelli miei!» – la figlia di Ares s’interpose tra i Cavalieri e gli Dei – «Questi sono uomini valorosi che non fanno altro che proteggere la loro Dea e il mondo intero!»
­«Armonia!» – rispose Deimos, alzando il braccio puntandolo verso di lei, così come fece anche Phobos.
«Non sei bene accetta, traditrice!» – dissero entrambi lanciando ognuno una sfera di energia.
«Kān!» – la barriera di Amida non fece in tempo a proteggere anche Armonia, che rimase brutalmente uccisa dalla sconsiderata crudeltà dei fratelli. Di lei solo brandelli rimasero e indignati per l’orrida scena, i Cavalieri furibondi tremavano per la rabbia.
«E voi vi fate chiamare Dei?» – urlò Keren
«È arrivato il momento di vedere quanto è potente quella tecnica!» – esclamò Polluce, che tra i tre sembrava essere il più furibondo.
«Intendi forse?» – chiese Keren
«Esatto! «Ma Athena…!» – intervenne Amida subito interrotto da Poluce.
«Lo so, Athena ci ha proibito di usarla fin da quando Neven l'ha ideata, ma sono pronto ad accettare le conseguenze della sua collera pur di sconfiggere questi due!» – continuò infuriato Polluce
«Che cosa confabulate?» – chiese sarcastico Phobos
«La vostra dipartita!» – rispose Keren
I tre Cavalieri si affiancarono l’uno all’altro. Polluce al centro, Amida a destra e Keren a sinistra. Polluce si mise con un ginocchio a terra, congiungendo i polsi e aprendo le mani dirette verso i nemici, quasi descrivendo un calice. I due suoi compagni, rimasti in piedi, si misero poco meno di un passo dietro di lui, con le schiene rivolte una contro l’altra, separate dallo spazio occupato in parte da Polluce. Posizionarono le braccia specularmente, rivolte sempre contro i nemici.
Presa posizione, iniziarono a bruciare tutto il loro Cosmo espandendolo fino ai limiti estremi dell’Universo.
«Che Cosmi miseri!» – ridacchiò Deimos
Le due Divinità erano divertite da quello che secondo loro era un tentativo inutile, poi accorgendosi che il Cosmo emanato dai tre dorati, non accennava ad arrestarsi, forse capirono che era il momento di preoccuparsi.
«Cosa? Com’è possibile che abbiano un Cosmo del genere?» – lo stupore di Phobos sembrava quasi paura e Polluce non mancò l’occasione di farlo notare.
«Ma guardate ragazzi, stiamo facendo tremare di Paura, il Dio della Paura!»
«In nome di Athena!» – urlò Amida
«Athena Exclamation!»
Insieme i tre lanciarono un’onda di pura luce che tutto travolse, l’esplosione interruppe tutte le battaglie che si svolgevano in quel momento, persino quella tra Giasone e Ares.

Note
La battaglia tra Giasone e Ares sarà descritta nel prossimo capitolo, sperando intanto che questo vi sia piaciuto.
Una precisazione sulle tecniche di Phobos e Deimos, molto simili per certi versi: si tratta di tecniche mentali che incutono una paura tale da provocare la morte del nemico, anche se in modi diversi.
La tecnica di Phobos stimola le paure più profonde ed intense del nemico facendole vivere attraverso i ricordi ovviamente manipolati per renderli più spaventosi, mentre quella di Deimos stimola nell’avversario il terrore della guerra, di una battaglia o di un combattimento creando delle illusioni davvero vivide che inducono nel nemico disperazione e voglia di fuggire; quando l'avversario compie (nell'illusione) un gesto di codardia, muore. Se qualcosa non vi è chiaro basta chiedere. In ogni caso vi saranno più chiare nel prossimo capitolo, quando ci saranno le descrizioni delle illusioni vissute da Equos, Neven e Gyon.

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Capitolo 17
*** XV – La luce del Sacrificio ***


XV – La luce del Sacrificio

 
Che cosa si dovrebbe pensare o provare andando incontro a morte certa? Si dovrebbe provare dolore? Paura? Rimpianti? Eppure Giasone era sereno nel momento in cui salutò la sua Dea. D’altronde aveva già provato il dolore più grande che una persona possa affrontare. Perdere i propri figli, sangue del suo sangue, per mano della donna che li aveva messi al mondo. Atterrito, per anni si era rifugiato nel vino, nella sensazione di ubriachezza che gli dava, che gli impediva di pensare e di provare quel dolore opprimente, che lui, nei suoi pensieri, spesso descriveva così:
“È come se mi avessero strappato le braccia e le gambe, lasciandomi impotente nei confronti del mondo! Sono annientato e inerme, privo di ogni slancio, sia morto che vivo, aspettando che l’ineluttabile Destino si compia!”
Equos l’aveva salvato, strappandolo al (probabilmente non tanto dolce) abbraccio di Thanatos. Sfuggire alla morte che l’amata Argo, crollando, gli avrebbe dato, lo fece rinascere. Non era pronto allora, ma adesso che aveva avuto l’onore di servire Athena ancora una volta, che aveva avuto la possibilità di incontrare quei, poco docili, fanciulli, che tanto desideravano diventare Cavalieri e che molto gli ricordavano i suoi figli. Le esperienze di quei mesi – vissuti ad addestrare quei ragazzi, scherzando con loro, facendogli un po’ da padre, un po’ da amico, insomma da fratello maggiore – gli avevano riempito il cuore, prima colmo solo di dolore. Era arrivato il momento, ormai convinto del suo Destino, o forse più che Destino, era una sua scelta, la scelta che lo avrebbe ricongiunto agli innocenti figli, strappati alla vita troppo presto. Si sentì quasi obbligato a ringraziare la Dea Athena, il cui richiamo e gentilezza lo avevano aiutato a vivere in tranquillità e ad apprezzare i momenti felici che visse in quei mesi.
Ora che nuova forza scorreva in lui, si sentiva pronto. Pronto al compito che più arduo è per un uomo. Affrontare un Dio, consapevole della morte che lo avrebbe atteso.
Il dorato si era scagliato sul Dio e sospingendolo verso l’alto, sfondarono il tetto. Giasone cercò di portarlo il più in alto possibile però Ares, dopo pochi secondi, riuscì a liberarsi dalla sua presa. Si librarono in aria per diversi istanti, senza muovere un dito, solamente fissandosi.
 
«Pensi davvero di salvare la tua Dea? I tuoi amici?» – gli chiese Ares – «Quanta stoltezza in te, Cavaliere! L’uomo che si erge contro il Divino è destinato a fallire!»
«È anche Destino che i figli superino i padri, così come gli Dei superarono i Titani, ora è la volta dell’umanità!»
Giasone, urlò tali parole, sfrecciando in aria verso il nemico, che tuttavia riusciva, quando non a schivarlo, a respingerlo senza problemi. La sua barriera era diversa da quella di Phobos e Deimos. Era non solo molto più potente ma lo difendeva anche dagli attacchi fisici. Dopo qualche tentativo di attacco da parte del Dorato, Ares passò al contrattacco. Impetuosa fu la furia dei suoi pugni, tale che il Cavaliere non riuscì nemmeno a difendersi.
Giasone stava cadendo appena fuori il palazzo, per via dell’ultimo colpo del Dio, ma a pochi metri dal suolo riuscì a frenare la discesa. Spiccò di nuovo il volo, per impedire ad Ares, armato di scudo e lancia, di raggiungere nuovamente la sala del trono dalla quale il Dorato l’aveva allontanato. Infatti, mentre il Dio stava raggiungendo Athena e gli altri dorati, Giasone a tutta velocità lo colpì con tutta la sua forza, almeno così sembrò. Il bagliore generato dai suoi fulmini alla velocità della luce si espanse in tutta l’isola, tuttavia il colpo del Dorato s’infranse sulla barriera del nemico. Ares non aveva neanche usato un briciolo del suo potere, eppure il Cavaliere era in netto svantaggio. Si allontanò, sempre in volo di parecchi metri dal Dio, che era rimasto imperturbabile difronte al colpo direttogli contro. Sfoderò quindi il suo arco d’oro, forgiato dagli alchimisti di Mu, partendo da quello di Eracle, dono del guerriero alla Dea Athena prima della sua apoteosi. Le frecce di quell’arco erano state intinse nel sangue dell’Idra di Lerna. La Cosmic Star Arrow, generata da una di quelle frecce, avrebbe potuto, secondo Giasone, uccidere il Dio. D’altronde si diceva che Eracle stesso con una di quelle frecce, avesse ferito il Dio in uno scontro.
«Lo riconosci Ares?» – gli urlò il Dorato – «Quest’arco è stato forgiato su quello di Eracle, e questa freccia d’oro è stata forgiata da quelle che, intinse nel sangue dell’Idra, già una volta ti hanno ferito!»
«Come fai ad averlo?» – chiese il Dio che stavolta perse un po’ della sua sicurezza.
«Cosmic Star Arrow!»
Giasone scagliò la freccia, infondendole quanto più Cosmo poté. Brillante, il dardo di luce s’infranse sulla barriera del Dio, che derise l’ennesimo tentativo fallito del Cavaliere.
«Ahahahah! Seppur quella che impugni, sia un’arma capace di ferirmi, nelle tue mani è solo un bell’arco! Davvero pensi di essere pari ad Eracle? Lui ha il sangue di mio padre e nonostante ciò, ha dovuto dar fondo a tutto il suo potere per superare le mie difese! Tu malconcio come sei, a malapena sei riuscito a far vibrare il dardo!»
Mentre il Dio derideva il Dorato, una miriade di fiammelle azzurre, provenienti dalla sala del trono, salivano in cielo.
In mezzo a quella moltitudine di fuochi fatui Giasone riconobbe il Cosmo che le permeava.
“Keren”
«E queste piccole fiammelle che dovrebbero fare?» – chiese Ares divertito da quelli, secondo lui, inutili attacchi degli avversari.
Non appena terminò l’ennesimo sprezzante commento, un’onda d’urto proveniente sempre dalla sala del trono, estinse tutte le cerulee fiamme del Sekishiki Kasai no Ame.
«Cosa?» – sbalordito Giasone guardò subito in basso.
Ares rimase immobile già sapendo chi fosse il responsabile di quel colpo.
«Sono i miei figli!» – esclamò il Dio – «Phobos e Deimos! I tuoi amici non hanno speranze!»
«Io non li sottovaluterei, se fossi in te! Come non sottovaluterei il tuo avversario!»
«Finora non ti sei mostrato degno del mio rispetto, Cavaliere! Non ho usato un briciolo della mia forza contro di te! Ti sei illuso di avere il controllo della situazione, hai dato l’opportunità ai tuoi compagni di scappare, ma nonostante la barriera al teletrasporto sia caduta, sono rimasti! Insieme al fatto che Polluce mi abbia preso in giro, o almeno così crede, devo dedurre che tutta questa messa in scena abbia uno scopo! Quale sarebbe? »
«Liberare Efesto? – chiese retoricamente dopo una breve pausa – Beh, in tal caso, potete mettervi l’anima in pace! Nessuno di voi è in grado di distruggere le catene che lo imprigionano… catene che assorbono il Cosmo di chi è vicino! Inoltre i miei figli hanno la custodia delle prigioni e dato che sono nella sala del trono, significa che chiunque si stesse dirigendo lì è già morto!
Giasone rimase pietrificato dalle parole di Ares che sembrava in pieno vantaggio non solo in battaglia ma in tutta la situazione. Il piano di Polluce, per quanto brillante, sembrava aver già fallito. Poi realizzò. Aveva percepito il Cosmo di Neven, Equos e Gyon, e adesso invece sembravano scomparsi. Un fuoco improvviso gli arse lo stomaco, la rabbia lo travolse e non vide altro che vendetta, forse instillando tutta la rabbia per le passate sventure.
«Muori Ares! – urlò – Atomic Thunderbold!
 
Neven ed Equos avevano dato fondo a tutte le loro forze per sconfiggere le divinità nemiche, tuttavia erano stati costretti a piegarsi dinanzi la loro superiorità. La loro preoccupazione era per Gyon, cui avevano affidato la spada della Bilancia, con la volontà che la usasse per liberare Efesto dalle catene che lo imprigionavano. Cedendo alle oscure illusioni di Phobos, che sicura morte gli avrebbero dato, non erano riusciti a dar al giovane Cavaliere, abbastanza tempo da portare a termine il compito.
Neven provava un profondo senso di colpa per la serie di fallimenti e sconfitte che aveva subito, in primis per le perdite subite nella messinscena attuata da lui e Polluce.
 
“Ben sette Cavalieri hanno già perso la vita nella battaglia al Tempio, mentre chissà quanti altri sono periti oggi e quanti ancora ne periranno, per la mia scelleratezza?”.
Non gli piaceva il piano ma capiva le necessità di attuarlo e in ogni caso non aveva potuto obiettare, poiché quando Athena seppe cosa comportasse, ella preferì rischiare la sua vita piuttosto quella di moltissimi Cavalieri, nel tentativo di sfondare le difese del palazzo di Ares in un attacco frontale.
“Abbiamo modificato il piano più e più volte al fine di renderlo perfetto, ma resta dunque un fallimento?”
Erano questi i pensieri di Neven negli istanti in cui cadde al suolo, pochi istanti prima di perdere conoscenza.
Il buio lo avvolse e tutto ciò che sentì dopo furono solo urla di dolore.
Si risvegliò nelle sue stanze del Tempio, in piena notte, sentendo esplosioni e urla provenire da ogni direzione. La moglie accanto a lui preoccupata, prese il piccolo Keren.
«Amore che facciamo?» – chiese al marito
“Shenir! Come? Com’è possibile che tu sia qui?” – pensò tra sé, poi capì
“No! Ho già vissuto questo momento… no! Non posso riviverlo!” – pensò mentre si sforzava di fare qualcosa di diverso da ciò che ricordava, ma il suo corpo ripeteva esattamente le stesse azioni, le stesse parole.
“Maledetto Phobos!”
«Porta Keren nei sotterranei del Tempio e aspetta lì che la battaglia finisca! – disse alla moglie
Così Shenir e Keren uscirono dalle stanze e si diressero subito ai sotterranei mentre Neven notò due nemici che erano riusciti entrare nel Tempio. Portavano delle armature di un blu come il più profondo dei mari. Usò il Muro di Cristallo per difendere la moglie e figlio nella loro corsa.
«Sono io il vostro avversario! – esclamò
I due si scagliarono contro il futuro Cavaliere dell’Ariete che li annientò in un sol colpo.
«Starlight Extinction!»
«Finite i vostri ultimi istanti in mondo pieno di luce, il Sole!» – aggiunse mentre i suoi avversari si estinguevano nella luce da lui creata.
Uscì dal balcone della sua stanza e vide la battaglia infuriare. Guerrieri protetti da scintillanti armature si facevano strada tra i ben più numerosi, benché svantaggiati guerrieri di Athena. Riconobbe subito la fattezza di quelle armature e sapeva benissimo quanto ciò li rendesse inferiori. I nemici erano i Marine di Poseidon, protetti da armature indistruttibili, le Scaglie. I soldati con spade e archi di ogni genere non riuscirono minimamente a scalfirli, rimanendo travolti dalla furia impetuosa della volontà del Dio dei Mari.
Considerato l’andamento sfavorevole della battaglia, Neven corse subito alle stanze di Eiren, la giovane fanciulla che si sarebbe risvegliata, in seguito, come Athena. Entrò nelle sue stanze, spalancando la porta e la vide rannicchiata in un angolo, terrorizzata. La portò con sé teletrasportandosi, dapprima nei sotterranei per prendere la moglie e il figlio, ma non trovò nessuno. Così, insieme ad Eiren, sempre usando il teletrasporto, setacciò il Tempio non riuscendo però a trovarli. A malincuore dovette interrompere le ricerche per adempiere il compito di protettore di Athena e si teletrasportò in luogo sicuro, che i Marine non avrebbero mai potuto raggiungere. Si era teletrasportati in una casa, che sembrava essere abbandonata.
«Qui sarà al sicuro! Tranquillizzatevi e riposate!» – le disse, mostrandole il letto.
«Dove siamo?» – chiese Eiren mentre si distendeva
«In un posto sicuro! Ora cercate di riposare!» – ripeté nuovamente.
Si avvicinò al letto e piegandosi sulle ginocchia, come un padre amorevole, le accarezzò il volto – Io ora devo tornare! Hanno bisogno di me! Voi cercate di riposare e di stare tranquilla!
Neven voleva tornare a cercare la famiglia e combattere, dopo averla messa al sicuro, ma Eiren tirandolo per la maglia gli fece capire di non voler rimanere da sola.
«Non si preoccupi! Tornerò sano e salvo, non resterà sola a lungo, qui nessuno potrà farle del male!
Neven tornò sul campo di battaglia cercando moglie e figlio, ma tra un combattimento e un altro, non riuscì a trovarli da nessuna parte. La battaglia, nonostante lo svantaggio delle Scaglie, sembrò volgere a loro favore grazie alle gesta di giovani come Achille, Amida e dei più esperti come Polluce, anche se al costo d’immani perdite. I morti non si contavano superavano di gran lunga i sopravvissuti.
Il Sole era orma sorto e la battaglia volgeva al termine tra fuoco e fiamme. I Marine seppur inferiori di numero avevano fatto una strage e sebbene dovettero ritirarsi subirono perdite esigue. Dei guerrieri di Athena su 1234 ne restarono meno di 200. I cadaveri coprivano tutto il terreno, e la disperazione e lo sconforto tra i sopravvissuti dilagava.
Neven cercò nei dintorni Keren e Shenir, ma senza successo e ancora una volta anteponendo i suoi doveri verso Athena si teletrasportò dalla giovane Eiren, rimasta sola tutta la notte. Era lì distesa sul letto dove un tempo dormiva Neven, nella sua vecchia casa, poco distante dalla città di Heraion, una delle principali di Mu. Riposava in tranquillità e gli sembro quasi un peccato svegliarla da quel dolce sonno, solo per farle affrontare le atrocità che i suoi guerrieri per difenderle avevano dovuto affrontare.
«Divina Athena!» - “No… Eiren!”
La giovane stropicciandosi gli occhi si alzò, e senza aggiungere altro niente disse – Andiamo!
“Si è risvegliata?” – si chiese – “No! Sembra però più sicura e determinata! Un divino ardore riesco a distinguere nel suo sguardo!”
Ritornarono al Tempio vedendo tanta devastazione, mista a sconforto. Neven stesso, come Generale, si sentiva responsabile della disfatta. Eiren era salva, ma più di mille guerrieri aveva perso la vita in una sola notte, e tutta la responsabilità era sua che non era riuscito a soddisfare le richieste della Dea. In più si aggiungeva la preoccupazione per la famiglia che non aveva trovato, nonostante l’avesse cercata tutta la notte.
«Nobile Neven!» – gli urlò Ulisse da lontano, mentre lo raggiungeva, seguito da un ragazzino.
«Ulisse, dimmi!» – gli rispose e non appena riconobbe il ragazzo dietro al giovane principe di Itaca, il suo cuore si riempì di gioia – Keren, ti ho cercato tutta la notte, ma dov’eravate? La mamma dov’è? – gli chiese abbracciandolo
Keren si stropicciò gli occhi rimanendo in silenzio, mentre Ulisse si avvicinò al Generale sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
«Dovrebbe recarsi all’abitazione di Asclepio!»
Eiren, non riuscì a sentire ma intuì di cosa si trattasse.
Neven, nel profondo, sapeva cosa fosse successo già nel vedere il figlio comportarsi in quel modo e al consiglio di Ulisse impallidì definitivamente. Corse subito all’abitazione di Asclepio.
«Ulisse resta con Keren e Athena!» – gli ordinò mentre istantaneamente scomparve.
Raggiunta l’abitazione vide ciò che si aspettava ma che non voleva accettare: il corpo di Shenir priva di sensi, distesa sul letto, mentre Asclepio tentava ogni possibilità per mantenerla in vita. La sua tecnica medica era rinomata in tutto il mondo, e lui in quel momento era nel pieno delle cure. Aveva le mani su due diverse ferite mortali, mentre cercava con il Cosmo di rigenerarle.
«Asclepio! Come sta?» – gli chiese frenetico
«Neven…»
«Non mi dire che…» – lo interruppe il Generale
«No, non ancora, ma non posso far niente per salvarla, è solo questione di tempo! Ho cercato di mantenerla il più possibile in vita affinché le potessi dir addio!»
In quel momento, l’ultima speranza di Neven fu spazzata via dalla realtà, e un enorme sconforto lo assalì. Tra il dolore e il senso di colpa era sul punto di esplodere. Tuttavia riuscì a tener duro e senza fare una piega, si avvicinò alla moglie accarezzandole il volto, sporco di sangue e terra fino alle tempie.
«Sembra già…» – disse Neven riuscendo a reprimere le lacrime.
«No! È solo priva di sensi!» – gli spiegò Asclepio – «La tenevo in questo stato per ritardare… l’inevitabile. Sei pronto? Ora la sveglio!»
Neven non disse nulla, non riusciva a dir nulla, quasi sopraffatto dai sentimenti, fece quindi solo un cenno con la testa e il futuro Ofiuco dorato obbedì. Asclepio pose la mano sulla fronte di Shenir, creando con essa una luce dorata, mentre bisbigliava strane frasi incomprensibili. Improvvisamente Shenir si destò.
«Ehi! Come ti senti?» – Neven premurosamente con la mano le accarezzò il volto, poi finì di pulirle il volto dal sangue.
«Sento freddo…» – disse ansimando, poi dopo qualche secondo cambiò sguardo.
«È colpa tua! È colpa tua se sono morta! Se i soldati sono stati trucidati! È colpa tua se Keren ha preso il posto di Ulisse! È colpa tua per ognuna delle morti in questa battaglia che stai affrontando!
“Perché? Non è andata così!” – Neven rimase spiazzato, sapendo in realtà come si fossero svolti i fatti.
«Hai fallito come marito, come padre, come Generale! Hai anteposto l’incolumità di una bambina a quella della tua famiglia, di tuo figlio! E continui a farlo, continui a sacrificare persone per una divinità che non combatte da sola le sue battaglie!» – continuò ad inveire contro di lui, la moglie morente.
“Phobos bastardo!” – pensò mentre l’oblio gli oscurava la vista.
«Sei un fallimento Neven! Non sei riuscito a difendere la tua famiglia, la tua Dea e nessuno dei tuoi sottoposti» – la voce di Sherin, nell’oscurità che avvolgeva il dorato, continuava ad infierire.
“È vero!” – pensò tra sé – “Mia moglie è morta per causa mia! Non sono riuscito ad impedire che mio figlio diventasse un Cavaliere di Athena, e rischia la vita tutt’ora! Ho permesso che Athena rischiasse la vita per liberare Efesto, fallendo miseramente!”
All’improvviso si ritrovò in una gigantesca sala, guardandola dall’alto. C’era il figlio che, da solo, lottava strenuamente contro Phobos. Era nettamente in svantaggio, contro quello stesso Dio che aveva messo sconfitto anche lui senza troppe difficoltà.
«No Keren! Scappa, non puoi vincere!» – urlò Neven ma nessuno sembrava sentirlo
Keren si avventò sul nemico ma Phobos lo respinse usando una sfera di puro Cosmo, scaraventandolo a distanza. Il giovane Cancro dorato, riuscì a rialzarsi e puntare nuovamente il nemico.
Neven non riusciva muoversi dal quel punto, nonostante desiderasse con ogni fibra
«Muori Phobos!» – esclamò Keren
Scagliandosi contro il Dio, il dorato rimase infilzato dall’imponente spada. Phobos sollevò in aria, con la spada, il corpo quasi esanime di Keren che agonizzante sembrava volere dire qualcosa al padre che dall’alto l’osservava.
«È colpa tua!» – gli ripeteva
Quella sequela d’immagini, sia della morte della moglie, sia del figlio, si ripeté centinaia di volte senza che Neven riuscisse a fermarla, anzi sprofondava sempre di più nell’oblio, fino a quasi la morte.
 
Anche Equos era caduto in un simile ciclo di torture, tra ricordi passati alterati e possibilità future temute, ma all’improvviso una luce rischiarò l’oblio nel quale versavano i due Cavalieri. Era un Cosmo puro, gentile e infinito, che spazzò le loro inquietudini, i loro timori e i loro sensi di colpa. In effetti, in quel momento Eiren stava espandendo il proprio Cosmo per proteggere i suoi Cavalieri. Ad un tratto quella presenza scomparve.
«Athena!» – urlarono risvegliandosi
Al loro risveglio videro Asclepio che tentava di curarli.
«Vi siete svegliati prima di quanto mi aspettassi!» – esclamò l’Ofiuco
«Ho avuto la percezione che il Cosmo della Divina Athena fosse scomparso!» – disse Equos
«Anch’io ho avuto la stessa percezione!» – intervenne Neven
«È così, infatti, è successo un paio di minuti fa, forse di più! Ma tranquilli, è ancora viva e non è in pericolo di vita, e inoltre percepisco qualcuno che la sta curando!»
«Capisco…» – fece Neven
«E Gyon, invece? È riuscito a liberare Efesto?» – chiese Equos
«No, purtroppo! È stato raggiunto da Phobos e Deimos prima che io arrivassi… nonostante abbia tentato di salvarlo, non percepivo alcun battito in lui e l’aver salvato Ippolito mi ha gravemente indebolito! Tuttavia mentre vi curavo, è successo qualcosa che non mi riesco a spiegare!»
«Cioè?» – chiesero curiosi i due dorati
«Il suo Cosmo ha ricominciato a risplendere! Potete percepirlo distintamente se vi concentrate un attimo!»
«È vero!» – esclamò Neven – «Se hai detto che non aveva battito, e che non hai potuto usare l’Umarekawari, perché usarlo con Ippolito, ti ha parecchio indebolito, come fa ad essere…»
«Non saprei!» – lo interruppe Asclepio – «In ogni caso sarà meglio affrettarsi!»
 
Infatti, Gyon, nonostante le terribili illusioni di Deimos, era riuscito a risvegliarsi con le proprie forze, non sapendo, neanche lui, effettivamente come. Tuttavia adesso aveva un obiettivo importante, liberare Efesto. Correva lungo il corridoio della prigione alla ricerca del Dio, e nel frattempo non riusciva a non pensare a quelle strane visioni che aveva avuto dopo gli attimi di terrore che Deimos gli aveva provocato.
“Non credo sia stato Deimos a provocare quelle immagini! Pensavo di essere morto e probabilmente lo ero, almeno fino a quel momento… Nel momento in cui ho visto Eiren morire!”
Difatti Gyon oltre alle tremende e cruente immagini che Deimos gli aveva mostrato portandolo almeno apparentemente alla morte, vide strane immagini, forse dei ricordi perduti.
Nei primi momenti di quella visione si trovava in un Tempio enorme, con alcuni Sacerdoti che compivano alcuni riti su un gigantesco altare. In quel momento era più piccolo, poteva avere quattro anni al massimo. Con lui c’erano una giovane donna castana e un uomo altrettanto giovane ma con i capelli rossi scuri. Sia l’uomo che la donna portavano in braccio un bambino, con una mano e con l’altra tenevano la mano a Gyon.
«Su dai, Akakios! La venerabile Pythia (=suprema sacerdotessa di Apollo) Mantos, ci sta aspettando! Finalmente sapremo qualcosa in più su di voi, sulle vostre origini, non sei contento?» – gli chiese la giovane donna sorridendo
Gyon (chiamato Akakios dalla donna) non rispose e chinò il capo un po’ timoroso.
«Non avere paura! Qualunque cosa succeda, io e Talia ci prenderemo sempre cura di te!»
«Leandros ha ragione! E poi siamo nel Santuario del Radioso Apollo, non è concesso a tutti sai consultare la Nobile Pythia!»
«Ora chiudi gli occhi per cinque minuti!» – disse Leandros coprendogli occhi con la mano, per evitare che Gyon vedesse i Sacerdoti sacrificare la capra da loro “donata”!
«Ok!» – rispose titubante Gyon
I Sacerdoti compirono il sacrificio al Dio, mentre il sangue scorreva nei solchi delle sculture dell’altare, che lo convogliarono tutto attorno all’altare. Così si creò un grosso cerchio di sangue, cavo, attorno all’altare sacrificale. Il sangue defluì poco a poco, attraverso dei fori nel pavimento. Dopo che tutto il sangue defluì via, la famiglia ebbe il permesso di proseguire verso l’Adyton, la camera inaccessibile del Tempio (nei sotterranei), dove consultando Mantos, avrebbe ottenuto i responsi del Dio. Il Sacerdote che eseguì il sacrificio mostrò loro la strasa da intraprendere per raggiungere l’Adyton, indicandogli un corridoio, nascosto da un gioco illusorio. Infatti, dietro l’altare, la parete non era unica, anche se così potesse sembrare. Erano, in realtà, due pareti che si accostavano l’una all’altra separate da un piccolo spazio.
«Il sangue ha aperto il cammino!» – disse il Sacerdote – «Proseguite e troverete le risposte che cercate! Passato, presente o futuro che sia, se soddisfatte le richieste del Radioso, risposte troverete, ma fate attenzione, soprattutto se è il futuro che cercate! La conoscenza di ciò che accadrà è sempre un fardello per chi s’avventura nel cammino, la conoscenza di ciò che accaduto porta spesso sofferenze e il presente non soddisfa quasi mai le aspettative!»
«Eh?» – fece Gyon confuso dalle parole del Sacerdote.
Talia lo rassicurò stringendogli la mano, lo fissò e gli sorrise – «Tranquillo, dai proseguiamo!»
Così la giovane coppia, con i bambini al seguito, si avventurò nello stretto corridoio, apertosi dietro l’altare, dopo il sacrificio. Dopo la strettoia iniziale tra le due pareti giustapposte, il corridoio si allargava improvvisamente, così da permettere il passaggio anche a tre persone contemporaneamente. Proseguirono per diverso tempo, senza arrivare a destinazione, fino a quando non raggiunsero l’inizio di una scalinata. Alla fine di essa c’era finalmente l’Adyton. Era una stanza, molto illuminata, nonostante fosse sotterranea. Non si capiva tuttavia da dove provenisse, tutta quella luce. Era molto grande e al centro c’era una piccola tavola rotonda, dove era seduta una giovane donna vestita di bianco. Aveva gli occhi chiuso e un velo che le copriva i capelli, tenuto da una coroncina dorata.
«Sapevo che sareste arrivati!» – disse la giovane
«Venerabile Mantos?» – chiese un po’ titubante Leandros, avanzando di qualche passo.
«Venite… Leandros, Talia… accomodatevi!»
I due quindi raggiunsero il tavolo, insieme a Gyon, portando in braccio i due bambini.
«Nobile Mantos, siamo qui perché…» – Talia, dopo essersi seduta, stava iniziando a spiegare le loro domande, ma venne interrotta
«So perché siete qui! Avete ricevuto il dono della vita, quando tu Talia non puoi portare in grembo un figlio per la ferita che hai da quando eri poco più di una bambina! Eppure porti in braccio un bambino, tuo marito pure, ne tenete in mano un altro! Non vi appartengono! Volete sapere da dove vengono! Ma non riesco a vedere il loro passato né il loro futuro! Qualcosa lo annebbia, lo nasconde alla mia vista!»
«Vuol dire che abbiamo fatto tutta questa strada per niente? Che abbiamo pagato quell’ingente somma per nulla?» – Leandros si alzò di botto abbastanza infuriato.
«Calma Leandros, nonostante, ad una prima vista, i miei occhi siano ciechi, non vuol dire che non possa aiutarvi!»
«Che vorrebbe dire?»
«Vorrebbe dire che c’è un modo di vedere il passato del giovane Akakios ma può essere pericoloso. Tramite questa tecnica è possibile vedere il futuro o il passato o entrambi, tuttavia anche Akakios vedrà ciò che io vedrò, per cui se saranno episodi spiacevoli della sua vita, è come se li vivesse cento, se non mille volte, più intensamente di quanto non farebbe nella vita reale… siete d’accordo?»
Talia e Leandros si guardarono negli occhi timorosi e preoccupati.
«Ok!» – rispose Gyon sorprendendo la giovane coppia che si prendeva cura di lui
«Sei sicuro?» – chiese preoccupata Talia
«Si!»
Gli occhi speranzosi di Gyon convinsero Talia e Leandros, mentre Mantos si intenerì alla vista del suo innocente sguardo.
«Sei un bambino molto coraggioso, sai! Comunque iniziamo… su dammi le mani…»
Mantos prese le mani del giovane Akakios, creando così un cerchio attorno alla sfera di cristallo, posta al centro del tavolo. Iniziò a recitare alcune preghiere al Radioso Apollo affinché il rituale si compisse con successo.
Un Cosmo bianco avvolse Gyon e Mantos, e in pochi istanti persero coscienza, scaraventati in una visione di futuro e passato.
 
Si ritrovarono nel tempio di Athena e videro Gyon ed Eiren rincorrersi nelle sale del Tempio.
«Su Gyon, non riesci a starmi dietro…» – disse la ragazza ridendo
«Aspetta, Eiren!»
“Ma quella è…” – pensò Mantos
Un rumore interruppe i due giovani che si nascosero dietro alla statua di Athena. Videro Neven e Polluce passare di lì, con indosso le loro Sacre Armature. Stavano parlando di una guerra, ma essendo distanti non riuscirono a comprendere bene il discorso tra i due dorati.
Eiren e Gyon erano molto vicini, i loro sguardi si incrociarono per diversi attimi di silenzio, mentre piano piano le loro bocche si avvicinavano.
«Non ti entusiasmare!» – fece Gyon sarcastico
Eiren reagì con una smorfia, un po’ imbarazzata e un forse po’ infastidita ma divertita – «Scemo!» – gli rispose, mentre Gyon continuava ad avvicinarsi.
Un altro rumore li interruppe. Era la porta delle stanze di Neven che si chiuse. I due distratti dal rumore si allontanarono e si risero imbarazzati.
«Credo che di dover andare!»
«Ehm… si, forse è meglio!» – rispose Eiren
Mentre Gyon si allontanava ed Eiren tornava nelle sue stanze, qualcuno le sbarrò la strada.
Era un uomo alto, con i capelli lunghi e neri, lineamenti più che fini, se non divini. I suoi occhi azzurri la fissavano, ma sembravano persi nel vuoto. Indossava un chitone nero, che gli lasciava scoperte le braccia. Accanto alla testa si intravedeva il manico di una spada che sveva alle spalle. Eiren rimase impietrita.
«Che cosa fai qui?» – chiese la giovane Dea, anche se dal tono sembrava più un’intimidazione ad andarsene che una domanda
«Che domande!» – rispose avvicinandosi
Si chinò su di lei, parlandole quasi all’orecchio.
«Sono venuto ad ucciderti!» – disse mentre la trapassava con la spada
Gyon, sentendo le urla di Eiren, accorse subito attaccando lo sconosciuto nemico.
«Lasciala stare!» – gli urlò – «Pegasus Ryuseiken!»
I colpi del giovane tuttavia vennero riflessi da una barriera mandando al tappeto Gyon. Faticava a rialzarsi, e a mantenersi sveglio, e le ultimi immagini che vide, furono il nemico che scompariva portando con sé Eiren.
 
Akakios tremava in preda alle convulsioni.
«Akakios! No!» – urlavano Talia e Leandros, confusi per l’accaduto, mentre cercavano di farlo rinvenire.
I bambini, che la coppia aveva adagiato sul tavolo, piangevano all’impazzata e nel frattempo Mantos ancora non si era svegliata. I due cercarono di interrompere il rituale, cercando di separarlo dalla Pythia, ma la connessione fra i due era così forte che la loro stretta di mani era indissolubile.

«Lo immaginavo che non avrebbe resistito alla durata intera del rituale, tranquilli!» – disse Mantos appena ripresasi
Mise una mano sulla fronte del bambino e lo avvolse con il proprio Cosmo. Le convulsioni si fermarono, ma Akakios rimase in uno stato di semicoscienza.
«Tranquilli si riprenderà! Venite, portatelo nella mia stanza, così potrà riposare insieme ai fratelli!»
Leandros e Talia così seguirono la giovane Sacerdotessa nelle sue stanza e adagiarono i bambini sul letto abbastanza ampio. Mantos toccò la fronte dei due fratelli di Gyon e così anche loro si addormentarono.
«Riposeranno per qualche ora! Ora possiamo parlare!»
Pose quindi la mano su Gyon stesso, facendolo sprofondare in un sonno ristoratore.

Gyon a quel punto si risvegliò nel corridoio in cui Deimos e Phobos l’avevano lasciato privo di vita.
 
Percorrendo il corridoio in cerca di Efesto, ripensava continuamente a tutto ciò, senza riuscire a dare una risposta conclusiva. Adesso in ogni caso, la priorità era liberare il Dio dalla prigionia. Così si affrettò, ma qualcosa scosse tutto il palazzo attirando l’attenzione di tutti; Cavalieri e Berserkers tutti percepirono l’immane esplosione del colpo proibito da Athena.
 
Neven fu il primo ad accorgersene. Ancora prima che l’esplosione scuotesse l’intero palazzo di Ares, lui riconobbe i tre Cosmi portati ai massimi estremi dell’Universo.
«No, non può essere!» – esclamò il Generale – «È l’Athena Exclamation!»
Rimasero stupefatti da ciò che percepivano, Polluce, Amida e Keren avevano infranto il divieto di Athena di utilizzare quella tecnica.
«Equos ce la fai ad alzarti?» – gli chiese Neven che era già guarito
«Si!» – rispose alzandosi con un po’ di fatica
«Io e Asclepio raggiungiamo Athena e gli altri! Tu Equos raggiungi Gyon e liberate Efesto!» – così ordinò il generale e i tre dorati si divisero.
 
Anche Giasone e Ares furono interrotti, l’Atomic Thunderbolt non aveva dato gli effetti desiderati e il dorato era sul punto di soccombere all’avversario. L’esplosione tuttavia interruppe Ares dal dar il colpo di grazia all’avversario.
«Phobos! Deimos!» – il Dio della guerra era evidentemente preoccupato per la sorte dei figli
«Vi avevo detto di non sottovalutare i Cavalieri di Athena!»
“L’Athena Exclamation! Sono forti a tal punto da infrangere il divieto di Athena?” – pensò Giasone – “Se sono forti come Ares probabilmente non basterà, comunque”
Giasone preoccupato per i compagni non lasciò trapelare la sua incertezza davanti al Dio, approfittando dell’attimo concessogli per allontanarsi.
«Pensi che allontanandoti tu sia più al sicuro?» – gli chiese Ares mentre ancora aveva lo sguardo rivolto verso la sala del trono.
«Niente potrà sottrarti alla mia furia!» – disse poi scagliandosi contro il dorato che tuttavia scomparve
“Ma dove?” – si chiese
«Sono qui Ares! Ora assaggerai la tecnica suprema del Cavaliere del Sagittario!»
Giasone iniziò a muoversi circolarmente intorno al Dio, lanciando Atomic Thunderbolt a ripetizione.
«Hai già utilizzato più volte questa tecnica! Pensi che lanciarla a ripetizione da più punti possa funzionare?»
Ares, sicuro della sua superiorità, non si mosse neanche di un centimetro convinto che la sua barriera avrebbe respinto ogni colpo.
Dopo qualche minuto tuttavia il Dio iniziò a sentire gli effetti del colpo di Giasone.
Un senso di nausea lo pervase, la vista gli si offuscava, sulla mano notò dei rossori che gli prudevano.
“Impossibile non mi ha colpito neanche una volta! Come è possibile? Ha pure smesso di lanciare quegli inutili thunderbold! Si limita a girarmi attorno alla velocità della luce avvolto dal suo Cosmo elettrico! No non mi sta girando attorno… sono all’esterno del cerchio che descrive!”
«Non sarà che…! – stavolta Ares era davvero preoccupato
«Si Ares! Questa la mia luce ultima, Synchrotron Light!»
Ares s’indeboliva sempre più fino a quando iniziò a precipitare al suolo. Anche Giasone stremato, e subendo in parte gli effetti del suo colpo, cadde al suolo.
Alcuni Berserkes soccorsero il Dio, e notando il dorato svenuto poco distante, lo raggiunsero prendendolo a calci.
«Fermi!» –urlò il Berserker che stava curando Ares
«Quel dorato è mio!» – urlò Kratos, figlio di Stige
Stava per ucciderlo definitivamente, quando Neven apparve portandolo via.

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Capitolo 18
*** XVI – Le Catene dell'Esilio ***


XVI – Le Catene dell'Esilio

 
Nella sala del trono, l’esplosione dell’Athena Exclamation aveva devastato ogni cosa. Le colonne splendidamente decorate e le virtuose sculture erano ormai solo polvere.
I tre dorati, stremati dallo sforzo, si ergevano a fatica, con le armature logore, convinti di esser riusciti a prevalere sui nemici. Tuttavia, quando il polverone si disperse, lasciò intravedere le ombre dei figli di Ares.
Nonostante l’immenso potere dell’Athena Exclamation, le due Divinità non avevano alcuna ferita, neanche un graffio, anche se altrettanto non si può dire delle loro Hauberks ridotte cenere sui loro vestiti logori. Le loro spade erano rimaste integre, scagliate a svariati metri di distanza.

«Ma di che cosa sono fatti?» – Keren, sfinito, stentava a credere a ciò che i suoi occhi gli mostravano.
«È piuttosto semplice!» – commentò Amida – «Sono Dei, non c’è altro da dire!»
«Pagherete per questo affronto!» – Phobos, in preda all’ira, era pronto a scagliarsi contro i nemici.
Una miriade di sfere di energia oscura che emanavano una possente luce viola, si materializzarono intorno alle due personificazioni del terrore.
«Si mette male! Non ho abbastanza energie per un Kān!»
Anche in caso avesse avuto abbastanza forze per lanciarlo era troppo tardi, le sfere dei nemici li aveva già raggiunti.
L’esplosione avrebbe sicuramente messo fine alle vite dei Cavalieri, tuttavia…
«Charybdis Gorge» – Ippolito riuscì a risucchiare le sfere nell’oblio del ventre di Cariddi.
«Tu!» – urlò Deimos in preda all’ira
Ippolito rimase in silenzio, con un fuoco nello sguardo, che Polluce aveva visto solo un’altra volta nel volto del giovane, ovvero quando si conobbero durante la Guerra Sacra contro Poseidon. Coraggiosamente Ippolito si ribellò al padre, Teseo, aiutando il dorato a proseguire la sua missione. Ancora una volta Ippolito, come quel giorno, era pronto ad affrontare un nemico di gran lunga più potente. I due Dei gli si ergevano di fronte e all’improvviso balzò velocemente contro Phobos. Il Dio, portandosi avanti con un salto, voleva colpirlo con una sfera di energia, ma Ippolito, con un scatto improvviso sotto il nemico, riuscì ad evitarlo, poi con una velocità impressionante, lanciò sia dal piede sinistro sia della mano destra, potenti attacchi di Cosmo puro, tali che privi di Hauberks i due Dei dovettero difendersi creando una barriera con le mani. Phobos, essendo in ritardo per il balzo, non si accorse che per pararsi dal colpo, diede le spalle ai tre dorati. Il colpo di Ippolito, non sortì alcun effetto sui nemici, che più adirati che mai stavano per scagliare la loro punizione sul giovane. Uno di fronte a lui, l’altro dietro, avevano già generato due sfere di energia in ogni mano. Si lanciarono entrambi contro il giovane, ma poche frazioni di secondo prima che lo colpissero, Keren lo teletrasportò via, facendo così scontrare tra loro le sfere dei due Dei. A quel punto intervenne Polluce che con le sue ultime energie lanciò, contro i Divini, il colpo che frantuma le Galassie.
«Galaxian Explosion!»
«Dov’è Ippolito?» – si chiese Keren, poiché non ricomparve accanto ai dorati così come egli avrebbe voluto.
«Non l’hai salvato?» – gli chiese Polluce
«L’esplosione delle sfere di energia di Phobos e Deimos deve aver interferito con il teletrasporto! Spero solo che non si apparso dentro un muro!»
Phobos e Deimos erano rimasti illesi dallo scontro dei loro colpi e la Galaxian Explosion non aveva sortito gli effetti desiderati. L’ira per i ripetuti affronti subiti da quei putridi esseri umani li rendeva ciechi. Non si accorsero nemmeno che Ippolito era scomparso, e senza pensarci un istante si scagliarono contro i tre dorati.
All’improvviso un bagliore misto di verde e oro illuminò l’isola e tutti, persino i furiosi figli di Ares vennero distratti da quella luce.
Spostando lo sguardo verso il cielo notarono il dorato Sagittario fendere l’aria ricoperto di fulmini.
«Impossibile!» – esclamò Polluce – «La luce di Sincrotrone!»
Pochi istanti dopo, quel bagliore si affievolì, e i corpi di Ares e Giasone precipitarono rovinosamente dal cielo.
«No! Padre!» – urlò Deimos che scattò in volo verso Ares, mentre Phobos, immobile, fissava i Cavalieri con uno sguardo colmo d’ira. A pochi metri dal suolo una luce, tanto improvvisa quanto accecante, sbarrò la strada a Deimos respingendolo.
«Non passerai di qui finché avrò respiro!» – esclamò Asclepio, splendente per la sua dorata Armatura e il bastone già leggendario a quei tempi.
«Spostati sporco umano!» – Deimos, inferocito era sul punto di colpire il Cavaliere dell’Ofiuco.
Una barriera invisibile respinse il colpo del Dio, che per il contraccolpo cadde al suolo.
Asclepio atterrò davanti ai suoi tre compagni ormai esausti.
«State bene?» – gli chiese
«Si! Ma…» – gli rispose Amida ma prima che potesse continuare, Asclepio si diresse verso Athena, distesa priva di sensi alle spalle dei tre Cavalieri.
In un lampo istantaneo Asclepio curò la ferita della Dea, poi avvicinò il suo Bastone poco sopra la testa della giovane ed emanando una flebile luce, lo mosse lungo tutto il suo corpo, come se la stesse scansionando. Nel frattempo Deimos, adirato per l’affronto, si rialzò e insieme al fratello lanciarono un’infinità di sfere di Cosmo puro.
Senza interrompere ciò che stava facendo, tese l’altro braccio verso i nemici, e senza che nessuno degli altri presenti capisse come, tutte le sfere, lanciategli dai due fratelli, convergerono sulla mano aperta dell’Ofiuco e scomparvero nel nulla. Anche Phobos e Deimos rimasero di stucco e non appena smisero di lanciare sfere di Cosmo, dalla mano di Asclepio si generò un’onda d’urto che scaraventò i due nemici a a terra. Qualche secondo dopo, ebbe finito di “setacciare” il corpo della Dea con quel flebile bagliore.
«Tutto apposto, per fortuna!» – disse sottovoce, tirando un sospiro di sollievo, quindi si alzò e avanzò verso i nemici che si stavano rialzando.
I tre compagni erano stupefatti dalla sua potenza.
“Phobos e Deimos, anche se parecchio indeboliti e senza Hauberks, restano comunque delle Divinità e lui sembra in netto vantaggio senza neanche sforzarsi. Come può?” – si chiedeva tra sé Polluce
«Come ci riesci?» – Keren, al contrario di Polluce, glielo chiese direttamente.
“Io l’ho sempre visto come un pazzo barbuto! E invece…!” – pensò poi tra sé.
Asclepio continuò ad avanzare in silenzio, lasciandosi dietro i compagni che lo guardavano stupefatti.
«Ora vi scontrerete con me, patetiche imitazioni di una Divinità!»
«Come o…» – Deimos non ebbe il tempo di finire che, insieme al fratello, furono travolti da una furiosa onda di luce.
«Lighting Ramplage!»
La luce era così forte che persino i suoi compagni dovettero coprirsi gli occhi, a parte Amida cieco dalla nascita.

La tecnica suprema del Sagittario, la luce di Sincrotrone, sembra aver penetrato le, apparentemente insuperabili, difese del Dio della guerra. Tuttavia anche Giasone aveva risentito gli effetti del suo letale bagliore e se non fosse stato per il tempismo perfetto di Neven, Kratos l’avrebbe sconfitto facilmente considerate le sue condizioni. Nel frattempo Gyon aveva ripreso le ricerche del Dio del fuoco, in quella che sembrava una prigione immensa. Correva lungo il corridoio ripensando a quell’immenso Cosmo che aveva fatto tremare le pareti, che gli ricordava una delle varie crisi che il Tempio aveva affrontato in quegli anni.

“Per Athena! Cosa è stato?”
Fermatosi di colpo Gyon per un istante riuscì a percepire distintamente il Cosmo dei tre Dorati.
“Non è possibile! Giurerei che sia…! Ma cosa… cosa li ha spinti a tanto? Athena quel giorno, proibì a tutti di usarlo, pena l’infamia, pensa l’elisio! Mi devo sbrigare!”
Riprese a correre, dopo aver capito quanto la situazione stesse precipitando. Allora non era Cavaliere, ma andava spesso al Tempio, nella speranza di incontrare Eiren. Proprio una di quelle volte coincise con la forse più buia e triste giornata che Tempio affrontò dopo la fine della Guerra Sacra con Poseidon.
Ricordava quel giorno molto chiaramente, quando per la prima volta il colpo teorizzato da Neven, fu messo in pratica da uno dei dorati che più fedeli erano stati ad Athena, almeno fino a quel momento. Dodici Cavalieri d’Argento, morirono quel giorno, travolti dall’esplosione più devastante che Gyon avesse visto, seguita da una uguale ma ancor più devastante, usata per sconfiggere il traditore, causando la morte di uno dei più forti e leggendari d’oro ornati.
“Chi userà questo colpo verrà considerato un traditore, porterà il marchio dell’infamia, dell’assassino, e dovrà sopportare l’esilio, finché la morte non gli concederà perdono”
“Le sue parole riecheggiano ancora adesso nella mia mente! Mi ricordo come se fosse ieri l’immagine del suo viso, logorato dalla tristezza, solcato dalle lacrime e il suo cuore trafitto dal tradimento! Da quel giorno decretò che l’Athena Exclamation non era colpo per mortali! Eppure, adesso, persino Polluce, che in segno di lutto lasciò il Tempio, ha osato infrangere tale divieto! La situazione sta precipitando e io ancora non ho neanche raggiunto Efesto!”
In quel momento un'altra perturbazione nel Cosmo attirò l’attenzione di Gyon. Il Cosmo del suo maestro si era espanso al punto che sembrava provenire da qualunque direzione.
“Giasone!” – preoccupato Gyon si fermò solo per un brevissimo istante, riprendendo subito a cercare in ogni dove il Dio del Fuoco imprigionato.
“Non ho mai sentito il Cosmo di Giasone espandersi così tanto! Ci ha fatto vedere tutte le sue tecniche e non ho mai percepito né un tale livello né una tale forma di Cosmo! È immenso…”
Gyon continuava a correre in cerca di Efesto con il pensiero tuttavia rivolto al maestro, che era sul punto di sacrificarsi, mentre un ricordo molto preciso balzò alla mente del giovane.
“Ma certo quella volta mi disse che ancora non conoscevo la sua tecnica ultima…”
Quella cui ripensò Gyon, fu una notte serena, Giasone lo sorprese mentre si allenava di nasconsto nell’Arena.
«Che ci fai?» – gli chiese – Non puoi allenarti a quest’ora!
«Il problema non è se posso o no, io devo… devo diventare Cavaliere il più presto possibile, anche allenandomi tutte le notti e tutti i giorni, devo riuscirci!»
Giasone rimase stupito dalla volontà e dallo sguardo del giovane, così trovò una soluzione che avrebbe messo d’accordo entrambi.
«Facciamo così: che ne dici se ti faccio vedere la tecnica che mi ha permesso di sconfiggere Eufemo del Kraken? Così forse un giorno, quando sarai Cavaliere, ti aiuterà a sconfiggere i nemici!
«Oook!» – rispose Gyon entusiasta, con un sorrisetto ebete.
«Però dopo vai a dormire, domani a te e ai tuoi compagni vi aspetta un duro allenamento!
«Va bene, ma qual è la tecnica?»
«Si chiama Atomic Thunderbolt! Sta a vedere!»
Così il dorato mostrò il suo fulmine più potente, che squarciò il cielo notturno di Atene, illuminando quasi tutta la Grecia in un sol istante.
«Incredibile!» – Gyon rimase sbalordito nel vedere tale spettacolo
«Ora andiamo!»
I due si misero in marcia verso la casa dove Gyon abitava con i fratelli da quando si erano trasferiti al Tempio.
«Conosci altre tecniche a parte questo thun..qualcosa e la freccia?»
«La freccia? Intendi la Cosmic star Arrow! Guarda che non è semplice una freccia!» – indispettitosi un pochino stava per spiegare la Cosmic Star Arrow poi guardò Gyon ridere sempre col suo sorrisetto ebete – «Beh si alla fin fine è una freccia!»
«Perciò ne hai altri o solo questi due?»
«Ne ho un'altra! È la mia tecnica ultima, forse la più pericolosa, perché se la mantenessi attiva per troppo tempo mi ucciderebbe!»
«Davvero? Ma che tecnica è se ti uccide?»
«Beh in teoria l’avversario muore prima che io raggiunga il limite! Però se l’avessi usata contro Poseidon, non so chi dei due avrebbe resistito di più! Probabilmente lui!»
I due smisero di parlare finché non raggiunsero le abitazioni.

Ripensando a quei momenti, la paura che Giasone avesse usato quella tecnica lo tormentava, quando ad un certo punto, mentre correva nel corridoio ne vide la fine. Era giunto in una sala piuttosto grande, completamente buia, accese così una torcia appesa alla parete e la prese. Vide numerose celle, ma stavolta le sbarre erano più larghe lasciando intravedere chi ci fosse all’interno. Erano quasi tutte vuote tranne alcune con uomini raggrinziti, sporchi pieni di ferite, privi di sensi o forse morti. Inorridì a quelle scene e una volta finito di controllare la fila sulla sinistra della stanza stava per controllare la fila destra, ma in quel momento si sentì chiamare.
«Gyon!»
Si fermò di colpo e scrutando il buio alle sue spalle con la torcia, vide un riflesso dorato.
«Equos?»
Il Cavaliere della Bilancia era appena entrato nella zona illuminata dalla torcia di Gyon.
«Per fortuna stai bene, novellino!» – disse il dorato
«Novellino a chi?» – rispose Gyon con evidente disappunto.
«Non c’è tempo per questo, temevo solo che quei due ti avessero fatto fuori, sono davvero felice che tu stia bene!»
«Anch’io pensavo di non farcela! Quando li ho visti apparire, ho temuto che foste morti e credevo davvero di fare la stessa fine!»
«Si beh ce la siamo visti brutta! Comunque ora dobbiamo cercare quale di queste celle è quella di Efesto!
Gyon fece un cenno col capo, e così i due si rimisero alla ricerca della cella capace di rinchiudere un Dio.

Nel frattempo Neven si era teletrasportato al Tempio, o meglio a quel che ne rimaneva, portando con sé un Giasone stremato dalla sua stessa tecnica, e altri tre Cavalieri in fin di vita. Non appena Neven comparve, Kleiros e altri due Cavalieri uscirono dalle tende.
«Nobile Neven! Che è successo? Dove sono Equos e gli altri?» – chiese sorpreso Kleiros, mentre i compagni presero Giasone e gli altri feriti portandoli dentro le tende.
«Non c’è tempo Kleiros, rimanete qui e fate attenzione! Solo una parte delle truppe di Ares protegge il Palazzo, gli altri Berserkers potrebbero attaccare in qualunque momento»
«Chirone… Chirone… aiutatelo…» – disse ansimante uno dei Cavalieri, mentre veniva portato dentro le tende
«Calmati Regor, dimmi!»
Neven, quindi, si avvicinò al Cavaliere delle Vele per capire cosa intendesse.
«Chirone sta affrontando… Bia… vi prego salvatelo… ha perso già un braccio per… proteggermi!» – ansimante Regor della Vele, a stento riusciva a parlare considerate le profonde ferite al petto e alla gola.
«Tranquillo, lo aiuterò, tu riposa!»
I Cavalieri che lo tenevano in spalla, lo portarono dentro le tende, per curarlo, mentre il Generale rimase fuori con Kleiros.
«Nobile Neven che sta succedendo? Abbiamo percepito quella che sembrava essere l’Athena Exclamation, è stata davvero…»
«Purtroppo sì!» – lo interruppe il Generale – «Rimandiamo a dopo le spiegazioni e i giudizi! Per adesso restate qui e tenete gli occhi aperti! Per quel che ne sappiamo le restanti legioni di Berserkers potrebbero attaccarci da un momento all’altro!»
«Sissignore!»
Neven quindi si teletrasportò cercando di raggiungere Chirone ma riapparve appena fuori il Tempio, qualcosa o meglio qualcuno gli aveva impedito di arrivare nella sala del trono di Ares.
«Dov’è il tuo compagno, che ha osato colpire il sommo Ares?» – gli chiese un uomo alto, calvo con un pizzetto, protetto da una splendente Hauberk, di un innaturale bianco cadaverico. Aveva una cicatrice che dalla parte destra della fronte scendeva fin sotto lo zigomo destro passando per l’occhio. Alle sue spalle la battaglia tra Cavalieri e Berserkers infuriava. Cercò quindi di individuare Chirone, ma senza successo.
«Sei stato tu ad interferire con il mio teletrasporto? Chi sei?»
«Il mio nome è Kratos della pura Potenza, aguzzino di Prometeo ed Efesto»
«Lasciami passare, Berserker e prometto che non ti verrà fatto alcun male!»
«Ah» – ghignò lo sfregiato – «come se tu possa riuscirci!»
I due si fissarono per diversi secondi, quando all’improvviso Neven scattò contro l’avversario colpendolo al volto con un calcio, ma Kratos rimase immobile, come se non l'avesse minimamente sentito .
«Sarebbe questa la famosa forza dei Cavalieri d’Oro, coloro che hanno prevalso su un Dio? Beh Poseidon non è degno del suo titolo se è stato piegato da questa misera cosa!»
Neven indietreggiò quindi di qualche passo aspettando una mossa dell’avversario, che in un fulmineo scatto piegò in due il dorato con una ginocchiata in pieno addome. Neven non aveva subito mai un colpo fisico così potente, neanche da quelle furie che erano i figli di Ares.
Kratos puntò quindi la sua poderosa mano difronte al volto del Cavaliere in ginocchio per il colpo subito.
«Chains of Exile!»
In un istante Neven venne legato da innumerevoli catene nere, resistenti quanto il metallo più duro.
«Sai Cavaliere, quando Prometeo ha tradito l’Olimpo, Zeus per infliggergli una punizione esemplare, aveva bisogno di qualcosa che potesse imprigionare un immortale per l’eternità! Qualcosa da cui nemmeno un Dio potesse fuggire neanche in migliaia di anni! Così Zeus affidò tale compito ad Efesto, e il risultato fu la creazione di queste catene. Tuttavia Zeus non credeva che Efesto avrebbe mai potuto imprigionare Prometeo, per via del loro stretto legame, così affidò tale compito a me e a mia sorella, Bia! Così Efesto fu costretto ad insegnarci come creare queste catene e, ironia della sorte, ora imprigionano anche lui! Se nemmeno loro due sono riusciti a liberarsi, tu resterai sopraffatto dalla loro forza!»
«Stardust Revolution!» – Neven con tutte le sue forze cercava invano di liberarsi, senza inizialmente rendersi conto di ciò che gli stava accadendo.
«È inutile dimenarsi!»
Kratos sembrava divertito dalla scena, tuttavia anche se in pieno controllo della situazione per qualche motivo aspettava a dare il colpo di grazia al dorato.
Dopo diversi secondi Neven si rese conto che le forze lo abbandonavano sempre più.
“Che succede? Non riesco a muovermi, il mio corpo non risponde più! Non posso… non posso cedere ora!”
«Ancora non hai capito, Cavaliere? Più cerchi di liberarti più le Chains of Exile assorbono e disperdono il tuo Cosmo! Se continui ti ucciderai da solo!»
«Bene! Meglio morire cercando di liberarmi dalla tua morsa, che perdere la speranza e arrendermi! Athena e i miei compagni hanno bisogno di me! Non mi arrenderò mai e se questo dovesse costarmi la vita, accoglierò la morte a braccia aperte!»
«Sei valoroso, Cavaliere! E questo lo rispetto! Non molti umani hanno il coraggio, l’onore e la fedeltà alla propria Divinità che tu stai dimostrando! Per questo ti finirò velocemente!»
«Absolute Oblivion!» – in meno di un secondo una fitta coltre di nubi nere avvolse il dorato, inghiottendolo nell’oscurità, così Kratos, convinto della vittoria, si diresse verso il palazzo.

 

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Capitolo 19
*** XVII – L'anello della distruzione ***


XVII – L’anello della distruzione


Il teletrasporto di Keren avrebbe dovuto portare Ippolito vicino ai tre dorati, ma per via delle esplosioni causate da Phobos e Deimos, il giovane figlio di Teseo si ritrovò in un luogo a lui completamente estraneo: una stanza senza porte né finestre, per stile e decorazione completamente diversa da qualunque idea di stanza o sala conoscesse.
“Come sono finito qui?” – si chiedeva il giovane – “Il teletrasporto di Keren avrebbe dovuto portarmi accanto a lui! Cosa è andato storto?”
“Non penso che avrebbe voluto portarmi qui, sempre ammesso che conosca questo posto!”
“L’unica spiegazione plausibile è che l’esplosione abbia interferito con la sua telecinesi!”
“Ma che razza di posto è questo? Non ho mai visto nulla di simile!
“Non sembra nessuna delle stanze del palazzo di Ares! Sono finito da un'altra parte?”
Si concentrò per un istante, riuscendo a percepire il Cosmo di Polluce.
“Eccolo! Sono sopra di me! Ma sempre ammesso che sia finito al secondo piano, che io mi ricordi non c’è nessuna stanza del genere […] anzi nessun passaggio segreto, considerato che non ci sono porte né finestre da cui si possa entrare.”
“Pensavo ormai di conoscere bene il palazzo di Ares, eppure nasconde più segreti di quanto io e Polluce potessimo immaginare! Beh… devo trovare comunque il modo di tornare dagli altri! Significa solo che dovrò crearmi un’uscita!”
Lanciò quindi un potente attacco di Cosmo contro la parete dietro di lui, ma il colpo s’infranse su di essa come se fosse indistruttibile. Decise quindi di provare con le altre, ma dopo il secondo tentativo, qualcosa attirò la sua attenzione: un altare circolare, alto fino alla vita, posto in fondo della stanza, quasi attaccato alla parete.
“E quest’altare? Non sembra essere dedicato a nessuno, per lo meno a nessuna delle divinità che conosco!”
Lo sguardo del giovane fu rapito da alcuni simboli scolpiti in basso rilievo, in modo apparentemente casuale. Al centro l’altare era scavato, a creare una sorte di vasca come se dovesse accogliere qualche pozione rituale.
“Questi simboli non sembrano greci, non sembrano neanche di questo mondo! Chissà cosa significheranno…”
Spostando lo sguardo a quella specie di vasca, posta al centro dell’altare, notò alcuni residui di un liquido ambrato piuttosto denso.
“Sembra che di recente ci fosse qualche sostanza liquida, forse Ambrosia!”
“E questi che cosa sono?”
Diverse strutture di pietra, tubiformi collegavano i lati dell’altare alla parete retrostante, su cui tali strutture convergevano creando una specie di nicchia, su cui erano incisi gli stessi simboli scolpiti sull’altare.
“Queste strutture… queste ramificazioni… sembrano fatte di polvere di stelle, anzi sicuramente… riesco a percepire distintamente una risonanza al mio Cosmo! Questi simboli sono gli stessi di quelli dell’altare però qui sono disposti a raggiera e non a caso, come invece sull’altare! Tutto lascia intendere che riempendo la pozza si ottenga qualcosa che esca proprio da questa nicchia sulla quale convergono le ramificazioni! Ma non penso che gli Dei sprecherebbero dell’Ambrosia per una cosa simile, a meno che non sia davvero importante!”
Avvicinandosi alla nicchia per esaminarla, toccò involontariamente il simbolo posto appena sotto quello centrale, e al tocco del giovane si illuminò.
“Ma che…?”
Provò quindi a toccarlo nuovamente e ancora una volta si illuminò. Provò a toccarne un altro e un altro ancora e il risultato era sempre lo stesso, tranne quando toccava quello centrale, al cui tocco non conseguiva nessuna risposta.
“Tutti i simboli si illuminano quando li tocco tranne quello centrale… sarà una specie di sigillo a combinazione? E la combinazione giusta sblocca quello centrale? Oppure quello centrale si sblocca riempendo la vasca sull’altare? Probabilmente per ottenere ciò che è nascosto qui, saranno necessarie entrambe le cose… Beh se è così non mi rimane altra possibilità!”
Le sue iridi, dal profondo azzurro iniziarono a scurirsi, fino a diventare di un nero innaturalmente brillante!

Nel frattempo, nella stanza principale del piano terra del palazzo, quattro Berserkers, cercavano di curare il Dio dagli effetti della Luce di Sincrotrone, tuttavia non avevano alcuna idea di come riuscirci. Ares era disteso su un tavolo abbastanza alto, mentre i servi tentavano qualunque cosa pur di fare cessare i fastidi del Dio.
«Sommo Ares, non riesco a lenirle il dolore, non ha ferite fisiche evidenti, a parte qualche eritema… mi rincresce dirle che non so davvero come potrei aiutarla!» – disse il più anziano
«Non preoccuparti in qualche ora dovrei riprendermi! La tecnica di quell’umano è letale per qualsiasi uomo ma non per un Dio!» – disse Ares piuttosto pallido e sfinito
In quel momento un brivido attraversò il Dio, qualcosa aveva attirato la sua attenzione.
“Non è possibile! Ippolito ha raggiunto la stanza sospesa! Come ha fatto, anche per i telecineti quella stanza è invisibile, l’ho creata appositamente perché solo io e neanche Aphrodite possa accedervi! Proprio lui che possiede la Psychonthéa, l’unica capacità che potrebbe superare il meccanismo dell’altare!”

La Psychonthéa, il potere di pochi eletti dal Fato, in grado attraverso di essa di percepire il flusso interno del Microcosmo dell’avversario, capacità che scurisce le iridi quando la si usa.
Attraverso tale abilità Ippolito analizzò il flusso di Cosmo all’interno di tutta la struttura, notando all’interno del muro dietro l’altare, in corrispondenza della nicchia, un’area completamente oscura come se il Nulla lo abitasse.
“Ma certo! Era ovvio! Riempendo la scavatura si sblocca il simbolo centrale e con la combinazione giusta di simboli si accede all’interno della nicchia! Il simbolo centrale probabilmente sarà quello che aprirà la nicchia! Posso ovviare tranquillamente al riempire la scavatura, sostituendomi come sorgente del Cosmo fino a percepire la giusta potenza e frequenza, sperando di poterle raggiungere, mentre per la combinazione l’unico modo è osservare come la struttura reagisce al tocco dei singoli simboli! L’unica cosa che non capisco è quella macchia scura all’interno? Che diamine nasconde questa stanza?”

Ares era diventato molto preoccupato e ciò non era sfuggito agli occhi dei tre Berserkers che lo accudivano, soprattutto a Krein il più anziano ed esperto dei tre, cui molto spesso veniva affidato il comando della sua legione in assenza di Phobos, considerata la sua vasta esperienza come druido e guerriero.
«Krein! Vai nelle mie stanze al piano superiore e lì troverai un otre, contenente ambrosia dentro lo scrigno posto sotto al talamo… è l’ultima ambrosia in mio possesso, difendila con la vita!»
Krein rimase piuttosto confuso: nessun Berserker aveva il permesso di accedere alle stanze del primo e del secondo piano, ma solo alle sale di raccolta, tanto più se si trattava delle stanze private del Dio. L’unica volta che un Berserkers per sbaglio entrò in una delle stanze del primo piano fu incenerito da Kratos. Inoltre tutti i soldati di Ares sapevano quanto fosse preziosa per il Dio, l’Ambrosia, soprattutto dopo che fu cacciato dal Sacro Monte e non aveva più le riserve Olimpiche. Ancor di più dopo lo scontro con Eracle, poiché usò quasi tutta l’Ambrosia in suo possesso per cercare di guarire dalle ferite inflitte dalle frecce del semidio, e tuttavia a causa del potere del sangue dell’Idra di Lerna non guarì completamente. Per questo il Dio aveva mandato le sue legioni di Berserkers a setacciare il mondo intero alla ricerca di altra Ambrosia, ma senza successo. L’unica a sapere dove fossero era Athena.
“Perché sprecare una così preziosa risorsa per guarire da qualcosa che non costituisce un pericolo? Ha detto lui stesso che guarirebbe perfettamente in qualche ora, e la battaglia volge a nostro favore per cui non c’è bisogno che scenda nuovamente in campo, quindi perché affrettare la guarigione quando non ve ne è motivo?” si chiedeva il Berserker.
«Mio signore, possiamo respingere i Cavalieri di Athena anche senza il vostro intervento, e avevo capito che in qualche ora vi sareste ripreso completamente! Quindi mi chiedo, se posso, perché sprecare l’ultima Ambrosia in vostro possesso per accelerare la guarigione?»
«Krein se ti avessi chiesto di pensare, avresti eseguito il mio ordine, ma siccome non è così…» – Ares afferrò la gola del Berserker, stringendo la presa finché il suono del “crac” non rimbombò nella sala.
«Ora Fenrir non voglio ripeterlo, esegui l’ordine che avevo dato a Krein!»
«Sissignore!» – il Berserker più anziano tra i rimasti, senza fare un cenno dinanzi alla morte del compagno, subito si diresse verso le scale.
«Sköll, Hati, scendete alle prigioni e assicuratevi che nessuno dei Cavalieri abbia trovato i passaggi per la prigione di Efesto! Uccidete chiunque vi dovesse sbarrare la strada!»
«Sommo Ares, se posso…» – Hati si interruppe aspettando un cenno del Dio, che arrivò dopo qualche istante – «Che sta succedendo?»
«Non preoccupartene! Ora andate!»
“Non posso rimandare ancora, devo fermare quel ragazzino! In più adesso più che mai ho bisogno delle Folgori! Ma che fine ha fatto Aphrodite?”

Equos e Gyon cercarono e ricontrollarono tutte le celle della sala ma di Efesto non v’era traccia. Equos, molto più veloce ricontrollò anche il corridoio, ma senza trovare nulla.
«Trovato?» – chiese Gyon vedendo Equos tornare
«No! Ho controllato tutte le cell…» – il dorato fu interrotto quando un rumore, come se qualcuno fosse caduto, attirò la loro attenzione. Proveniva da una cella prima vuota, così i due si avvicinarono con cautela.
«Chirone!» – esclamò Equos, vedendo l’argenteo del Centauro ridotto in fin di vita, senza un braccio e con l’Armatura in pezzi. Era parecchio stordito, tant’è che non rispose alle domande dei due, emettendo solo dei gemiti.
«Gyon spostati!» – il dorato prese in mano la spada che aveva dato precedentemente al giovane e con un colpo distrusse le spesse sbarre di nero metallo. Subito Gyon accorse al morente Chirone, sollevandolo un poco mentre Equos si occupò di fermare la copiosa emorragia del braccio, ma quando iniziò a bruciare (cauterizzare) la ferita con il Cosmo, Chirone urlò dal dolore per poi svenire dopo qualche secondo. Lo misero seduto cercando di farlo rinvenire con degli schiaffi in volto, ma il più anziano tra i Cavalieri, non si svegliò.
«Forza dai! Svegliati!» – gli urlò Equos
«Come è arrivato qui?» – chiese Gyon al dorato – «L’ha portato chi l’ha ridotto così o qualche altro Berserker? Chiunque sia dovrebbe essere qui, ma non percepisco nessuno!»
«Non credo che qualcuno l’abbia portato fisicamente qui, ma piuttosto che sia stato teletrasportato!»
Fermata l’emorragia, e curate al massimo delle loro capacità, le altre ferite, Chirone era ancora privo di sensi ed Equos lo portò sulle spalle fuori dalla cella, quando sentirono un altro rumore.
Gyon prese la spada di Equos rimasta per terra e si avvicinò alla cella dalla quale, poco più avanti, sembrava provenire il rumore.
«È Neven!» – urlò Gyon – «è incatenato alle pareti!»
«È ferito?» – chiese il dorato mentre si avvicinava.
«Non sembra, però è svenuto!»
Gyon si apprestò a distruggere le sbarre con la Spada della Bilancia, ma Equos gli bloccò la mano.
«Perché?»
«Dammi la spada, se ci sono io non c’è bisogno che un altro Cavaliere utilizzi armi, a meno che non sia Athena a consentirlo!»
«Ma prima quando combattevi con Phobos e Deimos mi hai affidato la tua spada!»
«Te l’ho affidata solo perché Phobos e Deimos sono avversari già fuori dalla mia portata figuriamoci dalla tua! La necessità di liberare Efesto, e la situazione contro due Divinità mi hanno obbligato a quella scelta! Era più logico che io e il nobile Neven affrontassimo i due, perché avremmo guadagnato più tempo rispetto a lui e te! Tempo che serviva a trovare Efesto e liberarlo!»
«Ok!» – rispose Gyon confuso e forse un po’ demoralizzato.
“Ha ragione! Io ero inutile, forse addirittura un peso in quello scontro! Non sono avversari che potrei mai sconfiggere! Non sono neanche riuscito a ferire quel Berserker a Rodorio, mentre Polluce in un attimo l’ha reso suo schiavo per poi disintegrarlo in un colpo! Devo diventare più forte al più presto, solo così riuscirò a proteggere Eiren da quel tizio”
«Su Gyon non è momento di demoralizzarsi!» – gli disse il dorato vedendolo pensieroso
Così adagiò Chirone al suolo, e impugnando la spada distrusse le sbarre della cella di Neven.
«Nobile Neven!» – lo chiamò Equos, ma il Generale dei Cavaliere non rispondeva a nessuno stimolo neanche al pugno che Gyon subito dopo gli sferrò.
«È morto?» – chiese Gyon
«No, ma penso che sia sotto gli effetti di qualche tecnica!»
«Come quella di Phobos e Deimos?»
«No! Il Cosmo che avverto è completamente diverso!»
Cercò quindi di liberarlo dalle nere catene, ma esse non si spezzarono neanche sotto i duri colpi dell’arma dorata.
«Ma di che diavolo sono fatte queste catene? Neanche sotto i colpi della mia spada si frantumano! Se è così allora…»
Equos caricò la sua spada con tutto il Cosmo che gli era rimasto, ma al contrario delle attese, l’urto risultante non fu più forte prima, e le catene erano ancora intatte.
«Non è possibile! Le catene hanno assorbito il cosmo che avevo concentrato nella spada! Che razza di maleficio è?»
«Sono le Catene dell’Esilio» – disse una voce graffiante alle spalle dei Cavalieri
«Chi sei?» – chiese Gyon
«Sono Hati del Járnviðr!»
«Hati? Ho già sentito questo nome!» – Gyon riconobbe il nome dalle leggende che gli anziani del villaggio narravano ai bambini, con opportune modifiche rispetto alla realtà.
«Si! Hai capito bene chi è costui!» – intervenne Equos – «È colui che secondo i racconti, innamorato di Selene, la rapì per sposarla, ma al rifiuto della Dea della Luna, non resistette all’abusare di lei. In seguito venne punito da Artemide per tale infame peccato. Fu condannato a vagare per le terre selvagge del Nord, in forma di uomo durante il giorno e di lupo la notte, poiché la luce della Dea, di cui tentò di abusare, rivela l’animale che è in realtà e che mostrò di essere quella notte! Così come suo fratello Sköll, che stessa sorte subì per aver tentato di violentare Eos. Apollo gli diede una simile punizione, lupo non di notte ma all’alba, poiché solo l’Aurora è testimone della sua vera natura!»
«Vedo che conosci la mia storia, ma il sommo Ares ha concesso sia me che a mio fratello Sköll di mutare a comando, oltre che queste magnifica e indistruttibile Hauberk!»
«Indistruttibile è tutto da vedere!» – Gyon spavaldo, pensava che fosse la sua occasione per dimostrare il suo valore.
«Gyon, tu vai, lascia a me, questa lurida feccia!»
«Ma sei sfinito, non hai più forze!»
«Non sottovalutare mai un Dorato, novellino! Ora prendi la spada e va!»
Equos era stato molto diretto e quasi infuocato dal suo dorato Cosmo era determinato a scontrarsi col nemico.
Gyon allora prese la spada e si diresse verso il corridoio, ma Hati, velocissimo, gli bloccò la strada.
Il cavaliere di Bronzo si fermò per un solo istante, poiché Equos fiondatosi sul nemico, gli sferrò un pugno diretto sullo zigomo sinistro che lo fece schiantare sulla parete.
Hati si rialzò molto velocemente, ma Gyon era ormai entrato nel corridoio ed Equos, pronto allo scontro, impugnò l’altra spada di Libra.
«Ora a noi due Berserker!»

Gyon percorreva quello stesso corridoio che lo aveva condotto lì, nel tentativo di trovare qualcosa, come un passaggio nascosto, che lo conducesse al Dio del Fuoco. Correva in cerca di una risposta e a circa metà del percorso pensò di averla trovata.
“Sarà questo simbolo? È quello che porta i Berserkers dalla grotta fino a qui… e che a permesso a Neven di localizzare questo posto, ma secondo lui solo i possessori di un Hauberk possono usarlo. Io adesso come faccio? Sempre che non sia una semplice decorazione, anche se non credo, visto che non c’è in nessun altro mattone!”
Ad un certo punto sentì il rumore di una corsa, così indietreggiò di alcuni passi fino a potersi nascondere grazie ad un allargamento del corridoio. Appoggiato alla parete di una cella vuota, guardava dal bordo se arrivava qualcuno, quando un soffio di vento gli fece il solletico sul collo quindi si girò verso la fonte. C’era uno spiraglio nella parete del corridoio dopo l’allargamento. Infilandovi dita tentò di farla scorrere, ma anche sforzandosi parecchio non ci riuscì.
“Sarà questo il passaggio per forza e il simbolo indica in quale dei vari allargamenti e restrizioni ci sono dei passaggi! Ma come si apre?”
Il rumore dei passi si avvicinava e Gyon, per la tensione e un po’ di frustrazione, colpì con il pungo la parete, che in seguito al colpo, iniziò a ruotare su un perno, lasciando Gyon lo spazio per passare.
“Evviva ce l’ho fatta, con un po’ di fortuna però ci sono riuscito!” – pensò
Si affrettò a percorre il corridoio che iniziava proprio con la porta nascosta, ed arrivò ad una sala simile a quella dove aveva trovato Neven e Chirone, però questa era completamente illuminata e tutte le celle erano piene di prigionieri.
Riconobbe subito le catene che Equos aveva cercato inutilmente di spezzare ed essendo presenti in una sola cella dedusse che fosse Efesto. Era un giovane molto pallido e sudato, appena cosciente, muscoloso come pochi e anche abbastanza basso. Aveva una barbetta incolta e sporca del sangue che gli colava da una ferita alla testa.
“Cavolo! È proprio brutto come dicono i racconti” – pensò Gyon – “Chissà se è pure zoppo! C’è solo un modo per scoprirlo: lo devo liberare! Chissà cosa la gente ci trova in questi Dei come lui! Capisco Athena ma lui…”
Distrusse con la spada di Libra le sbarre della cella e colpì più volte le catene senza riuscire a spezzarle.
«È inutile ragazzo!» – gli disse il Dio, rassegnato e molto stanco – «Ho costruito io queste catene e solo una potenza eccezionale, al pari di una Divinità potrebbe romperle ed è chiaro che non sei in grado di farlo!»
«Ho il compito di liberarti! I miei compagni stanno lottando là fuori solo per questo, ovvero darmi la possibilità di farlo! Troverò il modo di riuscirci, anche se queste dovesse voler dire di diventare un Dio per un istante!»
«Ah ah ah» – Il Dio scoppiò in una grossa risata smorzata solo dalla sua evidente condizione di stanchezza.
«Avrebbero dovuto mandare qualcuno in grado di farlo!»
Gyon continuò nel suo intento, inutilmente mentre Efesto osservava il ragazzo, incuriosito dalla sua determinazione, nonostante un Dio gli dicesse di smettere perché impossibile. Notò, da gran fabbro qual era, l’origine della spada della Bilancia.
«L’arma che impugni e l’armatura che indossi, ne riconosco la fattura! Vieni da Mu?»
«No! Sono un Cavaliere di Athena, Gyon di Pegasus!»
«Beh Gyon di Pegasus, smetti di tentare di liberarmi con quella spada dorata! Anche se di fattura di gran lunga superiore alla tua armatura non è in grado di spezzare le catene! E se usassi il Cosmo per potenziare l’attacco…»
«Lo so verrebbe assorbito!» – lo interruppe Gyon, quasi sorprendendo il Dio
«Come lo sai?»
«Il nostro generale è stato fatto prigioniero durante la battaglia e provando a liberarlo siamo incappati nello stesso problema, poi per una serie di circostanze mi sono dovuto separare dal mio compagno di missione che è rimasto lì a combattere!»
«Capisco! Credo che anche tu sarai costretto a combattere!»
Gyon si girò di colpo, vedendo un Berserker entrare nella sala.
«Cavaliere di Athena, allontanati dal Dio del Fuoco, se ci tieni alla pelle o sarò costretto mangiarti crudo!»
«Sköll del Járnviðr!» – esclamò Efesto – «Mio fratello si è ridotto a reclutare la feccia della feccia come te!»
«Sköll, il fratello di Hati?» – domandò Gyon
«Vedo che conosci i nostri nomi! Hai incontrato mio fratello?» – chiese il Berserker
«Si, a quest’ora il mio compagno starà facendo un banchetto a base di lupo!» – rispose spavaldo Gyon

Nel frattempo al terzo piano del palazzo, in quella che era la sala del trono (almeno prima di un’Athena Exlamation, varie sfere di energia, un Lighting Rampage, qualche Om e qualche Galaxian Explosion) le infinite scariche di luce accecante avevano ferito visibilmente i due gemelli che mostravano i segni di ustioni molto brutte che tuttavia, miglioravano a vista d’occhio.
«Sono stupito dal fatto che voi, divinità abbastanza inferiori, abbiate tali capacità di rigenerazione!» – esclamò Asclepio – «ma non pensate che siano infinite! Uno di voi eccome se può morire!»
«Basta Asclepio!» – urlò Athena che si era ripresa
«Divina Athena!» – esclamarono tutti dorati
«Per fortuna si è già ripresa! Avevo timore che nelle vostre spoglie umane ci metteste più tempo a riprendervi, sono felice di vedere che non è così!» – Disse Asclepio che non si mosse neanche di un centimetro fissando i due gemelli, affaticati ma pieni di ira e odio.
«Beh se mi sono ripresa anche così in fretta è soprattutto merito tuo, perciò grazie!» – disse avvicinandosi all’Ofiuco, mentre Phobos e Deimos riprendevano energie e guarivano dalle ustioni.
«Non deve ringraziarmi!
«Invece devo!» – rispose poggiandogli la mano sulla spalla e mostrando uno dei suoi incantevoli sorrisi che avevano la capacità di rasserenare anche il cuore più inquieto, e difatti il Cavaliere non appena si voltò verso di lei si quietò.
Phobos, approfittò della distrazione di un po’ tutti per prendere la spada ad alcuni metri di distanza, e con un balzo quasi arrivò a colpire Athena che ancora stava sorridendo al suo Cavaliere. Ma ad ella, ciò non sfuggì tanto che appena il Dio si avvicinò, con suo scettro generò un’onda d’urto che lo rimise a sedere accanto al fratello rimasto a guardare.
Si voltò decisa verso i due Dei gemelli guardandoli con uno sguardo ben diverso da quello mostrato al suo Cavaliere.
«Non avete abbastanza potere per sconfiggere me o i miei Cavalieri, perciò arrendetevi, non vi è ragione di combattimenti inutili!» – Puntò quindi il suo scettro verso loro che scoppiarono in una grossa risata.
In un attimo le loro Hauberks riapparvero come se non fossero mai state distrutte.
«Le nostre spade, tra i vari poteri che hanno, possono fendere e ricostruire qualsiasi cosa! Ora non so se la situazione è come l’hai descritta tu Athena, traditrice del tuo sangue divino!» – rispose Deimos.
I due gemelli si alzarono protetti ancora una volta dalle Hauberks che Polluce, Amida e Keren avevano faticato tanto per distruggerle.

Fenrir era appena entrato nella stanza del Dio e una volta preso lo scrigno sotto il talamo lo aprì trovandovi un otre. Controllò che fosse ripieno di Ambrosia, facendone cadere una goccia sul dito. A quel punto non ebbe dubbi e si diresse immediatamente verso le scale. Le percorse molto velocemente e arrivato al primo terra s’imbatté in un Cavaliere.
«Fermo Berserker!» – urlò Alderam dell’aquila.
Il biondo fissava determinato il Berserker, con un’espressione seria e impassibile, e al contempo calma e decisa. Il suo sguardo azzurro sembrava una lancia che trapassa la carne.
«Fatti da parte, Cavaliere, o mi vorresti uccidere con il tuo sguardo penetrante? – lo derise Fenrir
«Vediamo se riderai dopo questo! Eagle Tow Flash!» – Il Cavaliere scagliò il suo supersonico calcio contro il nemico, scagliando Fenrir a qualche metro di distanza.
«Tutto qui?» – disse rialzandosi – «Non ho tempo da perdere! In altre circostanze mi divertirei a giocare con le tue ossa, a sgranocchiarle per bene! Ma non posso trattenermi oltre!»
Impugno così la sua portentosa spada splendente, forgiata in argento e oricalco e polvere di stelle. La sua lama brillante emanava tuttavia un enorme Cosmo oscuro, tale per cui Alderam indietreggiò.
«Che razza di spada è?»
«È la spada che Ares in persona ha forgiato per me, e che ora porrà fine alla tua vita!»
Alderam indietreggiò ancora di qualche passo, per mettere distanza tra lui e quella spada.
A quel punto, preso dalla fretta, il Berserker si avventò sull’avversario, che riuscì a schivare i primi fendenti, tuttavia ad un certo punto Fenrir lanciò in aria la spada, che come se avesse avuto una volontà propria, sbucò da dietro le spalle del Cavaliere, che fu costretto a girarsi per bloccare la sua lama.
“Che stregoneria è questa?” – pensò mentre a mani piatte e serrate si sforzava di fermare la spada
Subito dopo Fenrir, approfittando del fatto che Alderam gli avesse dato le spalle anche solo per un secondo, grazie alla sua velocità, colpì con la sua furia il Cavaliere che riuscì a girarsi deviando la spada alla sua destra, ma non appena si girò la furia del Berserker arrivò su di lui.
«Dōmō Urufu Ken» (獰猛ウルフ拳)
Fenrir con una furia di pugni e zannate (con gli artigli della sua Hauberks), lacerò e squartò l’Armatura di Alderam, fino al colpo finale che attraversò da parte a parte il bacino del Cavaliere, lasciandolo morente e sfigurato sulle scale del primo piano. Si affrettò, quindi, a raggiungere il sommo Ares, che era rinomato per la sua scarsa pazienza e reazioni abbastanza focose.
«Eccomi mio signore!» – esclamò non appena entrò nella stanza
«Quanto ci hai messo, Fenrir! Se solo avessi tardato un altro po’…» – il Dio prese con violenza l’otre dalle mani del Berserker e lo bevve in fretta e furia.
«Mi scuso sommo Ares! Sono stato trattenuto!»
«Immaginavo, non preoccuparti!» – lo tranquillizzò Ares non appena ebbe finito.
In pochi secondi, il Dio si riprese completamente, i rossori sulla sua pelle svanirono, il suo colorito si accese a vista d’occhio, la nausea sparì anche il senso di stanchezza e oppressione. Una perturbazione scosse l’intero palazzo cosicché si alzò di colpo.
“Non è possibile… di già?” – pensò il Dio
«Fenrir raggiungi Hati e Sköll, il più velocemente possibile!» – il Berserker fece un cenno e si diresse subito verso le prigioni, mentre Ares, dopodiché si teletrasportò scomparendo nel nulla.

In tutt’altra parte del palazzo, forse anche su un altro piano di esistenza, Ippolito aveva già fatto diversi tentativi per trovare la giusta frequenza e potenza di Cosmo, per sostituire l’Ambrosia o qualunque liquido andasse versato nella scavatura dell’altare. Era già riuscito a trovare la corretta potenza, ma per la frequenza risultava più complicato. Tentò alcune decine di volte, fin quando grazie alla sua Psychonthéa era sicuro di esserci riuscito. Passò quindi a provare varie combinazioni dei simboli, che per lui erano incomprensibili ed in effetti anche tra gli Dei erano in pochi a saperli leggere. Aveva trovato la sequenza dei primi tre poi osservando meglio come erano disposti i corrispondenti simboli sull’altare e paragonandoli alla raggiera della nicchia, capì.
“Come ho fatto a non pensarci! Papà ripeteva spesso nei suoi racconti che gli Dei amano nascondere i loro tesori in bella vista, e se non proprio i tesori, i modi per trovarli! Non avrei mai pensato che i suoi racconti mi sarebbero serviti!”
I simboli sull’altare disegnavano con la loro posizione, il simbolo centrale della raggiera, quindi la giusta combinazione era proprio nel simbolo centrale: bastava quindi riportare il simbolo sulla raggiera, ovvero replicando quel disegno (cioè il simbolo centrale) utilizzando la raggiera di simboli sulla nicchia si otteneva la giusta combinazione. Inserì quindi la combinazione e non appena toccò per ultimo il simbolo centrale, dalla nicchia partì un’onda di energia che attraversò tutte le ramificazioni, illuminandole, fino ad arrivare all’altare. Una volta arrivata, da esso si generò una perturbazione che si diffuse rapidamente, schiantando Ippolito sulla parete della nicchia. Appena il giovane si rialzò lo vide levitare sopra l’altare: un anello dall’aspetto simile ad una gemma preziosa, in parte trasparente ma di un rosso brillante misto in gradiente al nero più oscuro. Lo prese in mano osservandolo più da vicino, rimanendo quasi ipnotizzato dalle parti rosse che fluttuavano nel nero come se fossero due liquidi molto densi che confluendo l’uno nell’altro si uniscono. Lo poggiò sulla punta del dito con l’intenzione di indossarlo, quando d’un tratto percepì una presenza, Ares apparve subito dopo difronte a lui, arrivando nel momento in cui il giovane stava proprio scorrendo il dito nel prezioso e incantevole gioiello. Il Dio ebbe appena il tempo di accorgersi che Ippolito l’aveva indossato quando un’esplosione di proporzioni immani distrusse ogni cosa intorno al giovane figlio di Teseo.

 

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Capitolo 20
*** XVIII – Kamui ***


XVIII – Kamui

Ippolito, finito per caso nella stanza sospesa di Ares, riuscì a comprendere e a sbloccare il meccanismo a protezione della preziosa reliquia, un anello dall’aspetto simile ad una gemma preziosa, in parte trasparente ma di un rosso brillante misto al nero più oscuro. Appena il giovane indossò il gioiello appena rinvenuto, una violenta esplosione scaturì da esso, annichilendo ogni cosa intorno. Solo desolazione e macerie erano rimaste sull’isola, quando il Dio della Guerra riapparve su essa.
“Per fortuna sono riuscito a teletrasportarmi all’ultimo istante, altrimenti avrei potuto subire danni seri! Dannato Ippolito!” – Ares era infuriato al solo pensiero di essere stato costretto alla fuga, ma si trattava di potere aldilà di qualunque immaginazione.
“Considerando le capacità di Ippolito, mi aspettavo che l’energia emanata dall’anello distruggesse completamente l’isola e che devastasse le coste limitrofe, invece è stata contenuta.” – commentò osservando la devastazione assoluta che dominava su tutta l’isola, e nonostante ciò, il Dio era sorpreso perché secondo le sue previsioni, tutta l’isola non doveva essere che un mero ricordo.
“Com’è possibile?” – si chiese – “Che Ippolito abbia celato le sue vere capacità affinché lo sottovalutassimo? Per riuscire a equilibrare la potenza dell’anello in questo modo deve aver come minimo un’ottima comprensione del settimo senso… o forse addirittura…! Deve essere così! È da escludere lo zampino di Athena, non poteva limitare così i danni con il poco preavviso, considerando che la dislocazione spaziale della stanza ha disperso l’energia dell’anello fin quando non è stato completamente liberato!”
“Ahahahah! Il Fato… il Destino è piuttosto divertente!” – commentava tra sé e sé – “I Cavalieri hanno distrutto la barriera al teletrasporto dei piani superiori e ciò ha praticamente condannato ogni essere umano sull’isola! Non appena Ippolito ha sbloccato il meccanismo che manteneva nascosto l’anello anche la dislocazione della stanza è cessata e non essendoci più la barriera al teletrasporto è tornata nella sua originaria posizione al secondo piano del palazzo! Così l’esplosione ha ucciso tutti i presenti, Cavalieri e Berserkers compresi! Forse solo quelli alle prigioni si sono salvati! Ma mentre a me rimangono ancora più di tre legioni a disposizione, di Cavalieri credo a questo punto che ne siano rimasti ben pochi!”
“A proposito, dove sono i loro cadaveri? Ne vedo molti di Berserkers, ma non ne vedo di quegli sporchi seguaci di Athena!”
Il Dio, intuì in quel momento cosa effettivamente fosse successo e ciò lo mandò su tutte le furie.
 
Poco prima che l’esplosione distruggesse tutto sull’isola, nella sala del trono Athena cominciava infatti a vederci chiaro sulle intenzioni del Dio della guerra. I due gemelli, figli della pura bellezza e della pura furia, avevano riacquistato le Hauberks e lo scontro era tutt’altro che chiuso.
«Io? Traditrice del mio sangue?» – Athena mantenendo sempre la sua calma divina rispose all’offesa di Deimos
«O vostro padre, che pure Zeus, per le immonde nefandezze che ha compiuto sul mondo, l’ha cacciato dall’Olimpo!»
«Tu non sai niente! Sei sicura di conoscere la verità? O solo il raccontino che Zeus ha usato per giustificare l’espulsione di nostro padre da quello che era un suo diritto?»
Un brivido, scorse lungo la schiena della Dea, così come anche nei due gemelli: era un’energia oscura, appena percettibile.
«Divina Athena, che succede?» – Amida, che insieme agli altri compagni si era avvicinato alla Dea, notò la sua espressione turbata.
“Questa Energia…” – rifletteva dubbiosa la Dea
“L’ho percepita anche prima, ma ora è più forte… sembra molto familiare! No non è possibile!”
«L’anello di Lios!» – sussurrò la Dea
 
Nello stesso istante anche Efesto, nonostante fosse semicosciente, riuscì a percepire quel fremito nel Cosmo, mentre osservava Gyon combattere con tutte le sue forze contro l’avversario.
“Non è possibile… Ares l’ha rubato! Se usasse quel potere… Athena non avrebbe speranza di vincere, anche se il suo giovane Cavaliere è qui davanti a me, a combattere per la mia libertà! Devo escogitare un modo per rompere queste catene, anche se io più di tutti so che è impossibile!”
Gyon si difendeva a stento dai colpi di Sköll, a lui superiore probabilmente in tutto.
«Che succede Cavaliere? Dove è finita tutta la spavalderia di prima?»
Gyon non rispose troppo impegnato a parare e a schivare i velocissimi pugni dell’avversario.
Ad un certo punto, tra la raffica di attacchi di Sköll, Gyon riuscì a vedere un’apertura all’altezza del pettorale destro, così concentrando la sua forza in un pugno, colpì l’avversario mettendo così una certa distanza tra di loro.
«Complimenti Cavaliere! Allora non sei completamente inutile! Non ti trattenere, perché ora si fa sul serio!»
Sköll si scagliò come una furia contro Gyon, scaraventandolo con un calcio contro la parete della cella di Efesto. Allora il Berserker concentrò il suo Cosmo sulle punte delle dita, poco prima di sferrare il suo colpo letale.
«Subirai uno dei destini più crudeli della morte, la prima delle tre vie di Ker: la via dell’Ytre Smerter»
«Fiery Sker!»
Sköll generò così dalle sue dita, centinaia, se non migliaia, di piccoli artigli di fuoco che colpirono il Cavaliere lacerando e contemporaneamente ustionando la sua carne.
 
Le urla di dolore di Gyon, giunsero perfino alle orecchie di Equos e Hati che poco distante lottavano quasi alla pari.
«Ti vedo stanco, Cavaliere! È qui tutta la tua forza? Non lasciarti distrarre dalle urla del tuo infimo compagno, mio fratello lo starà arrostendo per bene!» – lo provocò Hati
«Non cantare vittoria, Berserker! E non pensare che il dolore o la stanchezza basti a sconfiggere un Cavaliere! Dorato o Bronzeo che sia!» – anche se co il fiatone, Equos difendeva l’onore dei guerrieri di Athena con grande convinzione.
«Prepara piuttosto la tua difesa! Rozan Shoryuha!»
L’onda di smeraldea energia divampò in un istante travolgendo Hati, che tuttavia riuscì a resistere, anche se con l’Hauberk piuttosto malconcia.
 
Nel frattempo Athena, avendo appena percepito il Cosmo sprigionato dall’anello, era rimasta sbalordita, perché il fatto che lo avesse Ares comportava un pesante tradimento, non tanto nei suoi confronti ma di tutto l’Olimpo, e ogni tradimento dell’Olimpo, secondo le leggi di Zeus, andava punito con una punizione di egual peso. In quanto vicaria di Zeus sulla terra era difatti suo compito, punire tale tradimento.
«L’anello della distruzione, uno dei sette tesori, l’avete avuto per tutto questo tempo voi!» – disse stupefatta, rivolgendosi ai due gemelli.
«Ma certo! Ora capisco! Ares l’ha rubato affinché uno di noi venisse bandito dall’Olimpo e lui reintegrato! Hestia, quindi, era innocente! Ma chi tra gli Olimpici gli ha permesso di entrare! Chi è stato?» – pochi attimi di silenzio seguirono alla domanda, anche se Athena sapeva già la risposta.
«Quindi è stata davvero Aphrodite!» – con amarezza Athena giunse a quella conclusione, sarebbe stato un suo dovere punire Aphrodite, cosa che andava contro alla sua natura gentile e onesta, provocandole un certo dissenso.
«Il vostro piano, comunque, non ha funzionato perché il posto di Hestia è stato donato a Dioniso»
«Non hai capito ancora molte cose Dea della saggezza!» – disse una voce soave, poco prima che la bellezza incarnata apparisse.
«Figli miei, ci sarà tempo per lottare contro Athena, ma abbiamo cose più urgenti di cui occuparci»
«Madre, che succede?» – le chiese Deimos
«Dovete portare questa a vostro padre! – disse porgendo loro una delle folgori che portava sulla schiena
«Allora hai trovato il modo in cui distruggere il sigillo? – chiese Phobos
«Sì! È già calibrata per farlo!
«Come puoi tradire così nostro padre? – Athena era amareggiata difronte al tradimento di Aphrodite, e la vista delle armi del padre accese il suo senso di giustizia. Solo a Zeus, infatti, era consentito usare le folgori e approfittando della mancanza del padre dal pianeta, Aphrodite aveva rubato quelle rimaste sul Sacro Monte. Tale gesto aggravava di molto il suo tradimento, già imperdonabile.
«Tu che da Dea hai scelto di vivere come mortale, come una creatura inferiore, quale diritto hai di poter fare prediche? Tu che da sempre sei ritenuta la divinità più saggia, non riesci a vedere aldilà della gentilezza del tuo animo! Ingenua come un infante, lasci che certi eventi accadano, accontentandoti di spiegazioni al limite del plausibile, solo in nome della fiducia in colui che chiami padre!»
«Basta Deimos!» – intervenne Aphrodite – «Non c’è tempo da perdere, andate!»
«Madre per adesso, è impossibile, nostro padre si trova nella stanza sospesa!»
«Non può essere!» – esclamò la Dea – «Lo percepisco perfettamente, se fosse nella stanza non potremmo percepirlo così distintamente!»
«Allora chi c’è nella stanza? Chi ha tale potere?» – chiese Deimos
«Non è possibile, Ippolito!» – Phobos capì in quel momento il pericolo incombente, tanto che Athena e i Cavalieri, sparirono ai suoi occhi, come se non importassero più – «È lui che sta liberando l’anello! L’esplosione deve aver interferito con il teletrasporto di quel Cavaliere, catapultandolo lì!»
«Ma come è possibile?» – chiese il fratello.
«È l’unica spiegazione! E se è così…»
«Fra poco questo posto sarà ridotto in cenere» – disse Aphrodite interrompendo il figlio
In un istante, madre e figli scomparvero nel nulla lasciando Athena e i suoi cavalieri piuttosto confusi.
Eiren visibilmente turbata, come se non riuscisse a credere a ciò che aveva appena sentito, si voltò indietro e fece qualche passo.
«Va oltre ogni mia immaginazione!» – esclamò la giovane, appena fermatasi.
Allargò le eleganti braccia, con il suo scettro alla mano destra espandendo il suo Cosmo oltre ogni limite visto in passato dai Cavalieri. Una barriera apparve intorno ai dorati lì presenti, così come intorno a tutti i Cavalieri lì al palazzo.
«Divina Athena, che sta succedendo?» – chiese Asclepio
«Non c’è tempo per le spiegazioni adesso! Ho già dato a Neven troppo tempo, ora la situazione è cambiata non potete stare qui!»
«No! Non può rimanere da sola!» – urlò Keren, ma nell’istante in cui pronunciò l’ultima sillaba si trovava già al Tempio, insieme a tutti i suoi compagni. Tutti i Cavalieri partecipanti all’assedio al palazzo vennero teletrasportati da Athena al Tempio. La Dea rimasta nella sala del trono, sapeva ciò che di lì a poco sarebbe successo. Dopo qualche secondo, infatti, la furia dell’anello si percepì distintamente e un’onda d’urto scosse il pavimento e ciò che restava delle pareti, che tremando cadevano in pezzi.
“Ci siamo!” – pensò
“Se Ippolito indossasse l’anello, non riuscendo a controllare la sua energia, quella in eccesso verrebbe rilasciata, causando probabilmente un’esplosione di dimensioni immani che potrebbe coinvolgere le popolazioni che abitano intorno alle coste, non posso permettere che accada!”
Continuò ad espandere il suo Cosmo cercando di coprire tutta l’area, quando all’improvviso, l’onda di energia oscura spazzò via ogni cosa, lasciando solo detriti e cenere.
 
Al Tempio Kleiros e Kitalpha impazienti per l’esito dello scontro, erano di guardia sull’altura che dava sul villaggio di Rodorio ormai semideserto dopo che la maggior parte della gente lo lasciò. Il buio e il silenzio della notte accentuavano l’estenuante tensione dell’attesa cui si aggiungeva la possibilità di un nuovo attacco dei Berserker. Dopo ore di guardia, la luce dell’alba indicava la fine del loro turno e i due quindi presero il sentiero verso il villaggio per poi tornare all’accampamento di fortuna costruito dopo la distruzione del Tempio. Erano ormai a pochi metri dalle tende, quando un’immensa luce bianca si diffuse in tutta la zona e non appena si disperse, i due rividero i compagni, teletrasportati da una preoccupatissima e saggia Athena.
«Nobile Polluce!» – urlò Kitalpha avvicinandosi ai dorati.
«Sono contento di rivedervi! Ci ha fatto prendere uno spavento con quella Galaxian Explosion! Ma che è successo? E dov’è la Divina Athena?»
Il dorato, inizialmente non rispose scambiandosi sguardi preoccupati con i compagni dorati altrettanto in apprensione. Si guardavano attorno alla ricerca del loro Generale, ma di lui e di altri nessuna traccia. Quando tuttavia gli altri Cavalieri, disorientanti e confusi dall’essersi ritrovati al Tempio senza Athena, si radunarono attorno ai dorati pretendendo spiegazioni, Polluce intervenne.
«Allora, la situazione è piuttosto complessa! Non sappiamo di preciso perché Athena ci abbia riportato al Tempio, prima del previsto, ma la missione non poteva essere più portata avanti! La nostra missione, difatti non era solo liberare la Divina Athena, perché vi posso assicurare che non è mai stata in pericolo. Abbiamo pungolato Ares per fargli mostrare le sue carte, o meglio i suoi obiettivi, perché nonostante mi fossi infiltrato tra le sue fila, insieme al giovane Ippolito, non avevo scoperto granché! L’unica cosa di cui ero certo, è che Ares tenesse imprigionato Efesto nel suo palazzo, tenutomi sconosciuto fino a due giorni fa! Per questo abbiamo inscenato, su suggerimento della stessa Dea Athena, il suo rapimento, perché fosse portata al palazzo del Dio della Guerra, e avere la possibilità di liberare Efesto! Tuttavia durante la battaglia sono emerse delle informazioni che non abbiamo capito in fondo! Solo la Divina Athena sa di che si tratta e ha ritenuto che fosse troppo pericoloso per noi affrontare la situazione attuale! Sul perché ha deciso di rimanere non ho spiegazioni, quello che vi posso dire è che comunque ci sono ancora Cavalieri, con lei! Il Nobile Neven, Equos, Ippolito, Chirone e Gyon sono rimasti lì e cercheranno in tutti modi di proteggere la Divina Athena! Quello che adesso possiamo fare, è seguire la decisione della nostra Dea, fidandoci, come abbiamo sempre fatto, del suo giudizio! Grazie a lei i nostri compagni, caduti in battaglia, sono tornati con noi, quindi per prima cosa seppelliamo i valorosi Cavalieri e riorganizziamoci, disponendo una solida linea di difesa e un’eventuale squadra di soccorso!»
Le domande e i commenti dei Cavalieri si sommavano creando il caos, fin quando Asclepio e Polluce non urlarono insieme – «Basta!»
«Se avete delle domande, vi prego di farle una alla volta!» – intervenne Amida
«Perché Athena non ha riportato indietro anche loro? Regor, quando il nobile Neven ha riportato qui alcuni feriti, tra cui appunto lui, ha riferito che Chirone era in grave difficoltà contro Bia, e aveva già perso un braccio, quindi perché scegliere lui invece che voi, che seppur stanchi siete ancora in grado di combattere? Lo stesso dicasi per Gyon, che per quanto possa essere determinato, è ancora inesperto!» – chiese Kleiros
«Non credo che Athena, abbia scelto volontariamente di non teletrasportare anche loro! Anzi sono convinto che il suo obiettivo fosse di riportare tutti Cavalieri al Tempio, lo testimonia il fatto che ha riportato anche i caduti in battaglia!» – rispose Keren.
«Da questo e da ciò che mi riferisci tu riguardo le condizioni di Chirone, possiamo dedurre che probabilmente il nucleo anti-teletrasporto che Ippolito ha distrutto non fosse l’unico, e che le prigioni, luogo in cui si trovavano mio padre, Equos e Gyon, intenti a cercare il Dio del Fuoco, fosse effettivamente protetto da un altro nucleo a parte, o da un altro meccanismo che blocchi il teletrasporto! Considerando le condizioni di Chirone, non è da escludere che sia stato fatto prigioniero e per questo anche a lui è stato impedito di tornare! Per quando riguarda l’assenza di Ippolito, sono proprio le circostanze in cui si è trovato che hanno indotto Athena a riportarci qui!»
«Ora basta con le spiegazioni, abbiamo dei doveri da compiere!» – intervenne Polluce – «Chi è gravemente ferito vada con Kitalpha e Asclepio alle tende, si occuperanno di voi. Chi invece riesce ancora a stare in piedi, segua Keren per l’organizzazione di una linea di difesa, chi ha ancora forza in corpo, mi aiuti a seppellire i nostri compagni e a ampliare l’accampamento. Non è ancora il momento di riposarsi, su a lavoro!»
 
Intanto Ares, furioso per la beffa subita dalla Sorte, cercava tra le macerie il cadavere di Ippolito, per recuperare il prezioso gioiello che tanta morte aveva disseminato.
«Sommo Ares!» – Kratos e Bia, protetti dalle loro Hauberks ancora intatte, erano apparsi al cospetto del loro comandante.
«Sono lieto di vedere che siete riusciti a sfuggire all’esplosione indenni!»
Subito dopo apparirono anche Phobos, Deimos e Aphrodite.
«Oh, finalmente, ma dove sei stata?» – chiese alla Dea
«Ho trovato il modo di distruggere il sigillo, o meglio, di annullarlo! Le folgori hanno il potere di distruggere e sigillare, ma lo stesso potere che permette di sigillare permette anche di annullare i sigilli, solo che per farlo occorre una destrezza nell’usarle che solo il padre degli Dei possiede, ma nonostante ciò ci sono riuscita!»
«Allora dovremmo fare in fretta, perché se, come temo, l’esplosione abbia liberato Efesto, non c’è molto tempo!»
Un rumore, in quel momento, attirò la loro attenzione, così Phobos con una perturbazione di energia, spostò le macerie alla sua destra, rivelando Gyon ricoperto di tagli profondi e brutte ustioni, con l’Armatura in frantumi, che a stento riusciva a muoversi.
«Ah ma guarda!» – esclamò Phobos – «Quella mezza cartuccia che era nelle prigioni è sopravvissuta, non solo al tuo attacco Deimos, ma anche all’esplosione!»
I suoi gemiti di dolore sembravano quasi divertire Phobos, quando da sotto le macerie a qualche metro di distanza uscirono due Berserker, con in spalla un altro.
«Sköll, Fenrir! Che è successo ad Hati?» – chiese Ares
«Un Cavaliere è riuscito a sconfiggerlo, ma per fortuna non è morto, solo svenuto» – rispose Fenrir
«Capisco!»
«Sommo Phobos, mi concede il permesso di finire quel Cavaliere?» – chiese Sköll riferendosi al povero Gyon gemente a terra – «Abbiamo iniziato uno scontro e vorrei che finisse con la sua morte!»
«Non vedo perché no! Uccidilo, ma fallo lentamente, mi piace sentirlo urlare!»
«Ok!» – rispose Sköll e dopo essersi avvicinato, iniziò al colpire il giovane Cavaliere con forti pestoni, provocando urla di dolore che riecheggiarono in tutta l’isola, ormai semideserta.
«Lasciatelo in pace!» – disse Efesto apparso istantaneamente a qualche metro dai nemici, libero dalle catene anche se piuttosto malconcio.
Era affiancato da Equos, che portava in spalla Neven e Chirone, privi di sensi. Il Dio del Fuoco, indugiava lo sguardo verso Aphrodite che, ormai non più sua, ricambiava con un’espressione di sdegno. Fece quindi finta di niente, nonostante in realtà ancora gli pesasse il tradimento della moglie.
«Chi l’avrebbe detto? Vero fratello? L’arma più potente nelle tue mani mi ha liberato! L’esplosione generata dall’anello, ha distrutto le Catene dell’Esilio, liberando anche questo Dorato Cavaliere! Non è esilarante che un umano abbia indossato quel gioiello, quando nessun Olimpico, ha mai osato farlo? Anzi proprio voi, fratello, moglie, nipoti, e voi miei aguzzini, che avete fatto per non farti coinvolgere nell’esplosione? Scommetto che ve la siete data a gambe!»
«Sono stupito che tu abbia ancora la forza di reggerti in piedi, fratello!» – rispose spavaldo il Dio della guerra
«Beh… Quando secoli orsono, costruii il tuo palazzo, per rinforzare le pareti delle prigioni, usai una lega, ancora in fase di perfezionamento all’epoca, ma che poi si rivelò la più resistente del Cosmo! Quella che poi divenne la base delle Kamui! Se sono quasi illeso, lo devo a quel materiale, così come questi Cavaliere devono ad esso la loro vita, e ora di al tuo Berserker di togliere il piede dal petto di quel giovane…»
«Perché? Cosa pensi di fare?» – lo interruppe Ares – «Sei piuttosto in svantaggio, non credi? Arrenditi e sarò clemente!»
«Clemente? Tu? Ah! Stavo per ridere!» – rispose Efesto, nonostante la sua espressione non fosse stata mai così seria. «Mi hai già sottratto la moglie, la libertà, i miei apprendisti, trucidati o messi in fuga dalle loro terre, invase dai tuoi invasati soldati! Mi hai ricattato affinché costruissi per loro le Hauberks e pensi davvero che ora che sono libero mi arrenda?»
«Hai ragione un vero Dio non lo farebbe! Ma tu non lo sei mai stato, non è vero? E giusto per la cronaca Aphrodite non è mai stata tua!»
«Basta!» – urlò Athena, logora e affaticata, con il vestito strappato in diversi punti che lasciava intravedere la sua candida pelle. Era distante una decina di metri alle spalle del Dio della Guerra e si avvicinava sempre più ai nemici, appoggiandosi al suo scettro che usava quasi come un bastone.
«Athena! Quindi non te sei andata con tutti i tuoi sporchi Cavalieri?» – disse Ares
«Divina Athena non si avvicini a loro!» – urlò Equos
Aphrodite scagliò in quel momento una delle Folgori sul marito, disintegrando la sua Hauberk. Una miriade di scariche elettriche si generarono dal sigillo di Zeus sul petto di Ares colpendo tutta l’area circostante. Fu in quell’istante che Gyon, con uno scatto che fece quasi cadere Sköll, difese la sua Dea facendole scudo con il proprio corpo.
«Gyon!» – sussultò Eiren, che lo vide resistere a decine si scariche fin quando Equos, non lanciò il suo scudo sulla schiena del giovane, che cadde, urlante dal dolore, tra le braccia della Dea.
Le scariche si erano ormai disperse quando accanto ad un sorridente Ares, apparve la sua Kamui.

Note
Per chi non lo sapesse, Kurumada con l'ipermito e le puntate finali della saga di Hades (Elysion chapter) ha rivelato che gli Dei dell'Olimpo possiedono armature perfette chiamate Kamui; tuttavia non sono mai state usate nelle vicende del manga e Kurumada non ha pubblicato un disegno di Kamui, se non la parte superiore di quella di zeus. Gli Dei nel manga, infatti, non hanno le Kamui ma armature simili a quelle forgiate per i loro guerrieri, anche se più forti e resistenti: Athena ha una cloth, Hades un surplice e Poseidon una Scale.
Riguardo l'anello di Lios beh è una mia creazione e come potete vedere è ben diverso da tutti gli anelli magici o leggendari esistenti, lo dico solo per non ricevere messaggi della serie "ah vabbè ma è l'anello di Sauron!" perchè è chiaro che è completamente diverso e non solo di aspetto.
Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto e come al solito vi invito a recensire, soprattutto se avete delle critiche da fare.
Al prossimo capitolo :)     

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Capitolo 21
*** XIX – I profughi di Mu ***


XIX – I profughi di Mu

 
Tutti i Cavalieri in missione al palazzo di Ares erano stati riportati al Tempio, tranne Neven, Chirone, Equos e Gyon che si trovavano nelle prigioni. Intatti le segrete del palazzo di Ares erano protette da un secondo nucleo di energia “anti-teletrasporto” indipendente da quello distrutto da Ippolito.
 
Adesso la situazione al Tempio era al limite della tensione. Nessuno parlava, nessuno rideva allegramente, tutti facevano solo ciò che veniva detto loro, ovvero il turno di guardia, aiutare a ricostruire le case, posare le colonne per il nuovo Tempio, ma nonostante ciò, nonostante la mente fosse impegnata in un’attività, l’attesa, l’incertezza e il senso di fallimento angosciava ogni singolo Cavaliere. In quei momenti si sarebbero decise le sorti di Athena e per estensione del mondo intero, in tale situazione era quasi un supplizio sapere la propria Dea in pericolo e non poter fare niente. Non che effettivamente non potessero, ma semplicemente Athena aveva deciso così. Chiaramente era un ordine difficile da accettare e la sofferenza per i morti aggiungeva solo dolore, ingrigendo uno dei giorni più tristi che molti ebbero mai affrontato. L’attesa era ancor più snervante per i feriti che, essendo dentro le tende a riposare e non tenendo la mente impegnata in altre attività, si torturavano l’animo immaginando migliaia di possibili scenari, per la maggior parte catastrofici. Fortunatamente Asclepio aveva rimedi anche per questo, ovvero, una dose massiccia di buon vino. Già alcuni dopo alcuni minuti dormivano come bambini e il Dorato, da buon medico, ne fu felice o quantomeno sollevato, considerando non solo il clima teso, ma soprattutto il dolore causato dalle ferite. Polluce, insieme ad un Giasone ancora convalescente, aveva preso il comando, e per prima cosa rafforzò la guardia a Rodorio e al sentiero. Fu scelto Keren per quella al sentiero per ovvi motivi: oltre ad essere un formidabile guerriero, la sua telecinesi era utilissima per affrontare nemici dalle capacità sconosciute, soprattutto per il teletrasporto come rapida via di fuga. Se avesse dovuto trovarsi in difficoltà avrebbe dovuto semplicemente ritirarsi nel punto di guardia di Rodorio, chiedere soccorso e riferire le informazioni apprese sul nemico durante lo scontro. In questo caso Polluce non si trovò d’accordo con la decisione di Giasone: infatti il Dioscuro, anche se non disse nulla in proposito, era convinto che Keren, come tutti i Dorati, si sarebbe immolato per non fare passare nessuno senza chiedere aiuto, per proteggere i propri compagni. Proteggere i più deboli d’altronde era uno dei doveri dei Cavalieri, i Dorati poi sentivano tale responsabilità anche nei confronti dei propri compagni di qualunque grado che fossero.
 
Il Sole era completamente sorto solo da poco quando Keren, mentre si aggirava per il sentiero sulla montagna, sentì dei rumori provenire da poco più lontano. Svariati carri trainati da cavalli e molte persone sia a piedi sia a cavallo camminavano lungo la difficoltosa via per Rodorio. Molti soprattutto donne e bambini erano visibilmente provati e spaventati. In particolare un giovane ragazzo attirò la sua attenzione, stretto a braccio a quella che doveva essere sua madre. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e occhi azzurri chiari, come quelli della madre, una donna di eccezionale bellezza, che poco aveva da invidiare alla Dea Aphrodite.
 “Non sembrano rappresentare una minaccia! Sembra gente comune spaventata, sembrano profughi in cerca di un rifugio! Anche se alcuni possiedono Cosmi eccelsi, in particolare l’anziano in testa alla fila! In ogni caso devo fare il mio dovere…”
«Fermi!» – esclamò il Dorato bloccando loro la strada – «Chi siete?»
L’uomo anziano in testa della fila si avvicinò al Cavaliere. Era alto come pochissimi in Grecia e nonostante dimostrasse una certa età, era in forma smagliante. Si interessò subito alle strane sopracciglia del Dorato e liberando la fronte dai lunghi platinati, quasi argentei, capelli rivelò sorridente le sue uguali.
«Devi essere il piccolo Keren! Ormai non più piccolo! Quanto sei cresciuto! Ricordo quando superavi appena le mie ginocchia e avevi difficoltà a pronunciare il nome di mio figlio! Ahahaha!» – la piacevole risata del vecchio stonava con le espressioni tristi e spaventate della gente che lo seguiva.
Il giovane Cavaliere rimase di stucco, stentando a riconoscere l’uomo che aveva difronte, ricordando una sfocata immagine di quando, da bambino, era andato a trovare, insieme ai genitori, i parenti di un’altra città.
“Non è possibile!” – si ripeteva
«Nobile Bor… siete voi?» – chiese, probabilmente un po’ intimorito dal ricordo che aveva dell’uomo.
«Vedo che ti ricordi, nonostante tu fossi piccolissimo l’ultima volta che ci siamo visti!»
«Eh sì… credo che nessun Muriano potrebbe dimenticare o non sapere chi siate! Piuttosto portate molti feriti, donne e bambini… cosa vi è capitato?»
«Vieni, parliamo un momento» – rispose al giovane prendendolo per il braccio e allontanandosi di alcuni metri dalla gente che lo seguiva.
«Vorrei che la Divina Athena mi conceda udienza! Devo informarla di fatti della massima importanza!» – disse con tono estremamente serio.
«Purtroppo Nobile Bor, non è possibile!» – rispose il Dorato che per motivi di segretezza non avrebbe mai potuto spiegare la situazione, senza almeno il permesso di Athena o di suo padre, o come in quel particolare momento di chi fosse al comando.
«Perché no? Stai dicendo che tenterai di impedirmelo?» – chiese sempre più serio
«Anche se ne fossi in grado, non ne vedo motivo! Ma la Divina Athena non è al Tempio, al momento!»
«Cosa? Ha lasciato il Tempio?» – diversi attimi di silenzio seguirono quelle domande e l’espressione dubbiosa sul viso di Bor scomparve – «Capisco! Quindi anche qui avete avuto problemi… lo sospettavo! Speravo di arrivare prima che la situazione fosse degenerata! Tuo padre è ancora…»
«Non so!» – lo interruppe il giovane con espressione quasi rassegnata.
«Speriamo in bene, ma veniamo a noi! Potete darci rifugio?»
«Beh al Tempio non vedo come, tuttavia molta gente ha abbandonato il villaggio, lasciando le case disabitate. Abbiamo avuto difficoltà, per questo prima che distruggessimo il sentiero principale, se ne sono andati. Gli abitanti rimasti, sono per la maggior parte gentili, di buon cuore, non penso che vi faranno problemi purché facciate la vostra parte!»
«Certamente! Beh allora facci strada, e Keren…»
«Si?»
«Sarei molto lieto di parlare con chi è adesso al comando!»
«Una volta arrivati al villaggio e sistemati i feriti vi condurrò da lui!»
«Perfetto ragazzo mio!»
Bor si riavvicinò alla sua gente insieme a Keren, salì su un carro per spiegare a tutti la situazione e il da farsi.
«Allora, ascoltatemi tutti! Ci dirigeremo al villaggio di Rodorio che ha molta disponibilità di abitazioni. Lì ci daranno una mano a curare i feriti e noi contribuiremo in tutte le maniere a noi possibili! Ci aiuteremo a vicenda, poiché anche qui hanno avuto le loro disavventure e non vogliamo che la situazione si complichi a causa della nostra presenza! Quindi raccomando massima disponibilità, poiché rimarremo qui finché non troveremo una soluzione!»
«Questo ragazzo…» – disse indicando Keren – «… è uno dei dodici Dorati Cavaliere di Athena, Keren di Mu, e ora ci farà strada verso il villaggio e ci presenterà alla popolazione per essere accolti nella maniera migliore possibile!»
«Il villaggio non dista molto da qui, quindi vi prego di fare un ultimo sforzo!» – aggiunse il giovane Dorato.
Keren iniziò quindi a condurre i profughi al villaggio avendo ben chiaro il motivo che li aveva condotti lì, nonostante il vecchio Bor lo avesse, fino a quel momento, taciuto.
«Ragazzo non vuoi sapere cosa è successo alla tua gente?»
«I Berserker vi hanno invaso, no?»
“Già lo immaginava…! Neven è stato sempre un genio non c’è da stupirsi che suo figlio abbia ereditato il suo incredibile intuito!”
«Allora sai che il Maestro è stato imprigionato da Ares e dai suoi tirapiedi!»
«Si ne siamo a conoscenza! Mi stupisco piuttosto di come siano riusciti a sconfiggere il Divino Efesto, inoltre non vedo vostro figlio né i vostri nipoti!»
«A parte Hodur» disse indicando il ragazzo cieco stretto alla madre – «Gli altri sono in missione»
«Hodur?» – chiese confuso Keren che non ricordava chi fosse
«Si, non puoi ricordarlo perché è nato dopo che tu e i tuoi genitori avete lasciato Mu!»
«Capisco»
«Per quanto riguarda la nostra sconfitta…» – continuò Bor – «beh possiamo dire di essere stati colti di sorpresa! Non dimenticare mai ragazzo che l’amore che nutri verso i tuoi cari può essere usato come arma contro di te e non esiste Dio che faccia eccezione alcuna, anche il mio maestro!»
 
“Dove sono? È tutto buio, che posto è mai questo?”
“Sono morto?”
“Dunque queste su cui galleggio sono le acque dell’Acheronte?” – si domandava il giovane figlio di Teseo, mentre vagava disperso su acidule acque nere, circondato dal buio più pesto.
“No, ora ricordo! Quando ho indossato è come se fossi stato investito da un’esplosione e istintivamente mi sono rifugiato dentro Cariddi, con il Charybdis Gorge. Ma ora capisco che è stato inutile, sono stato io a produrre quella esplosione, perciò l’ho portata con me!”
Ippolito sollevò la mano e facendo luce con il proprio Cosmo osservò il tanto incantevole, quanto letale gioiello ancora indosso al suo dito. Per un istante si perse al rischiar della fusione di quei colori alla luce del suo Cosmo.
“È incantevole! Non ho mai visto niente di più bello! Eppure è così letale!” – incantato rimase in silenzio per diversi secondi se non forse anche dei minuti, finché non rinsavì.
“Giusto!” – sobbalzò fra sé
“L’esplosione si è generata quando l’ho indossato, ma perché? Cos’è in realtà? Percepisco una strana ed incredibile energia! Portentosa quanto e forse anche più di quella di un Dio! Ma chi metterebbe mai una tale energia in un gioiello?”
“Che domande, solo un Dio! Sono ancora un po’ intontito! Beh ma non ho tempo, devo tornare al palazzo e aiutare la Divina Athena!”
«Inverse Gorge!»
 
Sull’isola di Ares, Aphrodite aveva appena scagliato una delle Folgori sul Dio della guerra, annullando il sigillo impressogli da Zeus in persona. Sigillo che aveva impedito ad Ares, fin da quando era stato cacciato dall’Olimpo, di indossare la Kamui. Adesso grazie alla Dea della Passione, della Bellezza e dell’Amore, aveva nuovamente la facoltà di indossare una delle Armature che neanche la furia dei Titani riuscì a scalfire. La tanto agognata Kamui rosso sangue aleggiava accanto al Dio ed emanando un’intensa luce si scompose per aderire perfettamente al corpo del Brutale distruttore di uomini.
La portentosa Kamui aveva possenti spallacci decorati con il simbolo del Dio, due coppie di armi disposte a raggiera sulla sua schiena coperta dallo scudo: le due lance in diagonale, le due spade di cui una in verticale e l’altra in orizzontale. Fini decorazioni erano presenti su tutta l’Armatura, mentre il lato ulnare degli avambracci era provvisto di piccole lame dal bordo tagliente di un rosso accesso, come se emanasse luce.
«Finalmente è di nuovo mia, ahahahah! Ora potete andare! Aphrodite, Phobos, Deimos recatevi nell’altro palazzo, portate Hati con voi e conducetelo dai druidi di Pan! Kratos, Bia con Sköll e Fenrir tornate a Mu e dirigete le squadre di ricerca!»
Senza che nessuno rispondesse, tutti obbedirono agli ordini del Dio della guerra e così si teletrasportarono nei rispettivi luoghi.
«Athena mi rivolgo a te, la più saggia dell’Olimpo! Puoi salvare questi tuoi fedeli guerrieri, puoi evitare la morte di un Dio tuo pari, puoi preservare la tua stessa vita! È sufficiente dirmi dove si trovano le fonti di Ambrosia, affinché io possa curare la ferita infertami anni or sono da quell’arco maledetto! È solo questo che desidero, di altro non m’importa!» – Ares rivelando capacità dialettiche non di poco conto era convinto che tale esercizio nell’arte, che solo secoli più tardi apparterrà a Platone, fosse sufficiente a convincere la Dea.
«Non lo faccia Divina Athena!!» – urlò Equos che si trovava dall’altra parte, accanto ad Efesto.
La Dea, chinata sul giovane Gyon, martoriato e privo di sensi, non si mosse né tantomeno rispose per alcuni secondi.
«Se fosse vero ciò che affermi… che desideri solo curarti da una ferita che se non è già guarita, guarirà in pochi anni… che lasceresti in vita i miei Cavalieri… che non tenteresti di uccidere me o Efesto, allora in quel caso avrei esaudito il tuo desiderio!» – rispose mentre si alzava, aiutandosi con il suo scettro.
«Ma i tuoi obiettivi non prevedono solo questo! Sei sempre stato ambizioso, Dio della guerra, le tue belle parole non possono nascondere la bramosia di sangue e potere che da sempre insaziabile, ti pervade! Or non tentare di celarla! Sappiamo entrambi che se avessi l’ambrosia, anche di una sola fonte, la useresti per impadronirti della Terra e schiavizzare l’umanità!»
«Adesso basta!» – aggiunse infine agguerrita, brandendo lo scettro ed espandendo il Cosmo
«Eccola, finalmente la Dea guerriera, che è in te, ha deciso finalmente di venire fuori!» – disse puntando la mano verso la giovane.
«Devastating Explosion!»
L’onda di pura energia stava per colpire Athena, quando Equos, con scatto rapidissimo riuscì ad intercettare l’attacco e a parare il colpo, con il suo scudo, lasciando i suoi compagni (Neven e Chirone) accanto ad Efesto. Tuttavia la potenza dell’attacco di Ares era tale, che neanche il dorato scudo della Bilancia riuscì a resistere, andando in frantumi. L’energia quindi travolse il Cavaliere, Athena e Gyon, alzando un polverone immenso, ma al contrario delle aspettative del Brutale, al diradarsi di esso, si intravide una barriera che similmente ad una bolla di sapone rifletteva la luce con varie tonalità di colore. Era la barriera di Athena che avvolgeva anche i due guerrieri.
«Equos, stai bene?» – chiese Eiren, avvicinandosi al Dorato immobile a terra.
“Per fortuna!” – tirò quindi un sospiro di sollievo, dopo essersi accorta che il Cavaliere era solamente svenuto.
«Non credo che la tua barriera resisterà ad un altro dei miei colpi! Anche se tu fossi in grado di sopravvivere, i tuoi preziosi Cavalieri resterebbero uccisi! Perciò ti ripeto l’offerta e questa sarà l’ultima volta! Dimmi dove sono le fonti di Ambrosia!»
«Non ti serviranno dove sei diretto Ares, Sai che non lo farà mai!» – intervenne Efesto mentre accumulava la sua residua energia in una sfera di fuoco tra le mani.
«Che vorresti fare? Hai forgiato tu le Kamui, sai benissimo che quell’energia non è sufficiente a scalfirla! Quindi cosa speri che quella sfera possa fare?»
«Preoccupati solo di difendere la tua vita!»
La terra iniziò a tremare violentemente mentre il Cosmo di Efesto cresceva sempre più, fin quando il Dio lanciò la sfera contro il fratello e in meno di una infinitesimale frazione di secondo la potenza di dieci milioni di vulcani colpì il Dio della guerra. L’esplosione fu immensa tanto che la barriera di Athena resistette a malapena, e Ares era stato investito in pieno. Tuttavia, nonostante l’incredibile portata dell’attacco di Efesto, il Dio dalla Kamui rosso sangue, non subì alcun danno, d’altronde indossava una delle indistruttibili Armature e il Dio del Fuoco era sfinito a causa delle Catene dell’Esilio.
«Tutto qui fratello? Adesso è il mio turno!»
Ares materializzò una sfera di pura energia emanante una possente luce rossa, ma Ippolito, ritornato in quel momento grazie all’Inverse Gorge, veloce quanto la luce, scagliò il micidiale colpo di suo padre.
«Death Stroke!»
“No!” – pensò tra sé Efesto
“Speriamo che il colpo del giovane non riveli ciò che ho fatto!”
La sfera di energia si disperse all’istante e Ares rimase immobile come una statua per diversi istanti. Ippolito indietreggiò pian piano verso Efesto, poi si accorse che Athena era alle spalle del Dio della guerra, così approfittò del momento per raggiungerla.
Mentre stava superando l’immobile Ares, un’onda d’urto di immane potenza investì in pieno il giovane scagliandolo a qualche metro di distanza, molto vicino ad Athena.
«Ippolito, stai bene?» – gli chiese la Dea preoccupata
«Si» – rispose con affanno.
«Sei sopravvissuto alla deflagrazione di energia dell’anello, notevole!»
«Mi dispiace deludere le tue aspettative!»
«Oh non hai deluso le mie aspettative, la mia unica delusione è che il tuo potenziale vada sprecato al servizio di Divinità che non meritano di esser considerate tali! Sai nessun umano aveva mai superato la mia barriera, anche se il tuo colpo non ha sortito alcun effetto» …
 
“Bene, non se n’è accorto! Ha solo pensato che il giovane ci sia riuscito con le sue abilità! Per fortuna non eccelle in ingegno!” – rifletteva Efesto mentre il fratello era intento a minacciare il giovane Ippolito
 
… «Comunque ciò che adesso m’importa è attorno al tuo dito! Hai due scelte: puoi consegnarmelo senza opporre resistenza, oppure la sorte di Prometeo ti sembrerà l’Elisio in confronto a ciò che subirai!»
 
 “Eccola! La sacra reliquia che nessuna Divinità ha mai indossato, adesso in mano ad umano! È proprio stupendo come ricordavo! Mi sono spesso ispirato ad esso per creare gioielli!”
“Già quasi dimenticavo” – pensò Athena – “L’anello di Lios, il più instabile dei sette Tesori!”
 
«Beh sei anche più spregevole di mio padre e, nonostante avesse i suoi momenti positivi, sappiamo entrambi che fine ha fatto!» –  gli rispose Ippolito
«Scegli il dolore, quindi! Allora preparati ad assaggiare le strazianti lame del tormento!»
«Torture ways: Blades of Torment»
Migliaia di lame nere come l’oscurità più profonda, dal flebile bagliore rosso si diressero verso il giovane senza che egli avesse il tempo di disporre un qualunque tipo di difesa, tuttavia, qualcosa lo protesse.
Un martello di rune inciso superò Ippolito, frapponendosi fra lui e l’attacco di Ares. Al suo passaggio emanò tante scariche elettriche quante erano le lame, estinguendole, per poi tornare indenne indietro.
Il forse non troppo misterioso oggetto ritornò indietro volando decine di metri alle spalle di Athena, in mano al suo possessore.
«Chi ha osato?» – urlò furente il Dio, sempre più sul punto di esplodere d’ira, esattamente come uno dei suoi Berserkers.
«Ci rivediamo, Ares!» – disse il ragazzo che lo impugnava mentre si avvicinava insieme ad altri due alla sua destra, uno più giovane, l’altro più anziano. I tre si somigliavano molto, tutti biondi, alti, dagli occhi azzurri come il cielo più limpido. Indossavano pelli pregiate ed elmi splendenti con fini decorazioni dorate.
«Finalmente!» – esclamò Efesto – «Ce ne avete messo di tempo!»
«Perdonateci Maestro, ma abbiamo avuto dei contrattempi» – disse il più anziano dei tre, al centro.

 

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Capitolo 22
*** XX – Il piano di Efesto ***


XX – Il piano di Efesto

 
Al Tempio i lavori procedevano bene e l’integrazione dei profughi di Mu non creò problemi al villaggio, facendo stare più tranquilli i Cavalieri che avevano già molto cui pensare. Keren come promesso, condusse il vecchio Bor da chi aveva assunto il comando, ovvero Polluce e Giasone, che si trovavano nella tenda dove il Sagittario riposava.
Le urla dei battibecchi si sentivano quasi fino a Rodorio, e ogni tanto si vedeva anche qualche esplosione di luce.
 
«Con permesso, porto una visita!» – si annunciò Keren entrando nella tenda.
All’interno c’era Giasone ancora disteso su un letto di fortuna, con una tavola di legno che fungeva da schienale rialzato, mentre dall’altra parte Polluce, inseparabile dalla sua sacra Armatura, era seduto con espressione piuttosto contrariata, mentre riempiva la sua coppa di vino, bevanda che non mancava mai.
«Chi è costui?» – chiese Giasone, vedendo l’altissimo uomo entrare con un otre legato a tracolla con una corda.
«È il nobile Bor di Mu!»
«Ah il sommo Sacerdote di Mu, allievo del Divino Efesto!» – intervenne Polluce poco prima di poggiare le labbra sulla sua coppa di vino.
«Ah avevo giusto un paio di domande da farle!» – disse Giasone
«Prima di rispondere alle vostre domande vorrei ringraziarvi per l’aiuto che ci state dando. Asclepio e Kitalpha si sono subito dati da fare per soccorrere i feriti. Inoltre vi informo che mio figlio con due dei miei nipoti, sono andati in soccorso del Divino Efesto e della Divina Athena al palazzo di Ares. Se i miei calcoli sono esatti, dovrebbero aver già raggiunto il luogo dello scontro!»
«Capisco, ma la Divina Athena ci ha ritirati dalla battaglia, con l’ordine di restare qui, probabilmente per timore di un’arma in possesso di Ares! Non credo sia saggio mandare civili in quella zona, una mia squadra è già pronta partire nonostante gli ordini della nostra Dea! Non possiamo lasciare che ella corri questo pericolo per proteggerci, quando è invece nostro dovere proteggerla affinché possa portare la giustizia nel mondo» – rispose Giasone
«Beh se mi permetti Giasone, non conosci mio figlio, né i miei nipoti. Posso assicurarti che sono perfettamente in grado di adempiere al loro compito!»
Una perturbazione nel Cosmo dette conferma di quanto annunciato da Bor, la battaglia era iniziata. I tre Cavalieri la percepirono distintamente rimanendo piacevolmente sorpresi della potenza dei Thor, Odin e Baldur.
 
I tre erano appena apparsi sull’isola riuscendo a salvare Ippolito da una sorte atroce, ovvero una delle Torture ways di Ares. Il martello di uno di loro aveva, infatti, disperso l’attacco di Ares emanando centinaia, se non migliaia, di fulmini.
 
«Finalmente!» – esclamò Efesto – «Ce ne avete messo di tempo!»
«Perdonateci Maestro, ma abbiamo avuto dei contrattempi» – disse il più anziano dei tre, al centro.
«Ares, pagherai per tutte le malefatte che hai compiuto sul mio popolo… per tutta la sofferenza che gli hai arrecato!»
«Thunderous Hammer Stroke!» – urlò il giovane lanciando con tutta la sua forza il proprio martello che si ricoprì di una nube di fulmini.
Tuttavia prima che colpisse l’obiettivo, Ares brandendo una delle due spade che aveva sulla schiena, schiantò il martello a terra, assorbendo poi tutti i fulmini che da esso si generavano. Il martello tornò subito dal suo proprietario, rimasto piuttosto sorpreso dalla semplicità con cui il Dio avesse fermato il suo attacco.
“E così è tale, il potere di Ares… che con tanta semplicità respinge attacchi di quella portata!”
«Tu sei Thor, giusto?» – gli chiese il Dio con uno sguardo truce, che avrebbe fatto paura persino al più coraggioso degli uomini.
«Bene, ragazzo… sarai il primo a morire tra atroci sofferenze!» – disse subito dopo, appena ricomparso alle sue spalle, mentre con la spada stava per trafiggerlo.
“Che velocità!” – rimase stupito
«Cristal Wall!» – urlò Baldur che con la sua barriera protesse il fratello.
Tuttavia il muro di Cristallo si infranse sotto il fendente del Dio della guerra, causando un’onda d’urto che allontanò i tre biondi verso Athena ed Ippolito.
«Ora padre!» – urlò Baldur, mentre Odin con il dito rivolto verso l’alto stava richiamando a sé centinaia di fuochi fatui, risplendendo di un Cosmo di pura luce.
 
“Víli… Vé… fratelli miei… e mi rivolgo a tutti voi caduti, discendenti di Buri… donatemi la forza affinché io possa vendicare la vostra, non meritata, morte… Unitevi a me in questa giusta battaglia… Bruciamo il nostro Cosmo per sconfiggere il Dio che con tanta leggerezza ha decretato la vostra sorte!”
 
«Sekishiki Tenryoha!»
La moltitudine di anime converse sulla punta del suo dito, fino al punto in cui da esso si generò un’enorme sfera di energia, che Odin scagliò contro il nemico.
«Pensi che un attacco del genere possa nuocermi? Stolto!»
Ares con la mano libera (la destra, nell’altra aveva la spada) fermò il Tenryoha per poi estinguerlo con il fendente della sua spada leggendaria, che alla leggenda passò con il nome di “Mietitrice di anime”.
 
«È Incredibile la facilità con cui respinge i nostri attacchi!» – commentò Baldur
«Come lo affrontiamo adesso?»
“Fategli usare quanto più Cosmo potete!» – disse Efesto usando la telepatia – «Gli ho impresso il mio sigillo con il Planet Blast. Il sigillo abbassa le capacità di risonanza delle Kamui, così quando Ares cercherà di utilizzarne tutto il potere, la Kamui andrà in sovraccarico e si staccherà dal suo corpo. Non lo riconoscerà solo per un breve istante che sfrutterò per teletrasportarla nel mio Tempio sull’Olimpo dove Ares non può accedere senza usare le Folgori, e da quanto ho capito ne ha solo un’altra. Pensavo che per difendersi dall’esplosione stessa del Planet Blast, bruciasse tanto Cosmo da far scattare la tecnica, tuttavia le Catene dell’Esilio mi hanno sottratto troppo potere perché ciò avvenisse. Ora sta voi, miei discepoli!”
“Capito, Maestro” – rispose Odin
“Ragazzi, guadagnate tempo, ho un’idea!” – comunicò Odin telepaticamente ai suoi figli.
 
Intanto nelle tende di Giasone la discussione tra i Cavalieri e Bor continuava.
«Keren mi ha raccontato come è andata al Palazzo di Ares e posso spiegare, almeno in parte la scelta di Athena!» – affermò Bor.
«Si spieghi» – fece incuriosito Giasone
«Secondo quanto mi ha detto Keren, Athena avrebbe nominato l’anello di Lios, è corretto?»
«Sì, poco prima di teletrasportarci al Tempio, proprio quando un Cosmo estremamente potente è apparso a sprazzi sull’isola! È stato in quel momento che Aphrodite, Phobos e Deimos si sono teletrasportati via, mentre Athena è voluta rimanere!» – rispose Polluce
«Capisco benissimo il perché, ora vi spiego: secondo i racconti del mio Maestro, l’anello, insieme ad altri quattro gioielli di incredibile fattura e potere, sarebbero stati oggetto, in passato, di numerose guerre tra gli Dei primordiali. Sono sette, i Sacri Tesori di Lios, ma gli Dei dell’Olimpo, ne rinvennero solo quattro alla fine della Titanomachia. Zeus probabilmente ne tenne uno per sé, gli altri li smistò tra gli Dei, mantenendo segreti i dettagli dell’assegnazione. L’unico di cui si sa qualcosa, proprio perché venne trafugato, è l’anello della Distruzione. Venne dato ad Hera come dono di nozze, ma la Dea non l’indossò mai, per via dell’instabilità del potere che contiene. Se usato a sproposito potrebbe annichilire l’intero pianeta. Perciò la Dea lo sigillò nel suo Sacro Tempio sull’Olimpo, finché, circa due secoli or sono, qualcuno ruppe il sigillo e lo rubò. Zeus richiamò dinanzi a sé tutti gli Olimpici, poiché solo loro avevano il permesso di accedere al Sacro Monte. Il primo sospettato fu ovviamente Hades, verso cui il padre degli Dei ha sempre nutrito una certa diffidenza, ma poiché egli si trovava negli Inferi, i sospetti caddero su Poseidon, Demetra ed Hestia gli unici altri a ad avere l’abilità e i poteri necessari ad annullare il sigillo. Tuttavia Poseidon si trovava ad Atlantide e Demetra era con Athena perciò la colpa venne ricadde su Hestia. Così Zeus cacciò la sorella dall’Olimpo, imprimendole con le Folgori, come successe tempo prima ad Ares, un sigillo che le impedisce di indossare la propria Kamui oltre che di accedere all’Olimpo. Adesso sappiamo che dietro il furto si celava Ares, sebbene non riesca ad immaginare come ci sia effettivamente riuscito!»
«In che senso?» – chiese Polluce – «Sarà stato aiutato da Aphrodite, immagino!»
«Probabilmente hai ragione, ma per prima cosa c’è da chiedersi come venne a sapere che effettivamente Hera custodisse l’anello e dove lo custodisse! Inoltre accedere ai Sacri Templi dell’Olimpo con il sigillo di Zeus è cosa ardua persino per il Dio della guerra, e cosa altrettanto ardua, se non di più, anche con l’aiuto di Aphrodite, è distruggere il sigillo di Hera, la Dea più esperta in sigilli, dopo Zeus!»
 
La battaglia continuava senza esclusione di colpi, ma Ares continuava ad essere in vantaggio sugli avversari. Thor si scagliò contro il nemico cercando di costringerlo ad uno scontro corpo a corpo. Anche Baldur, qualche istante dopo, si lanciò nella lotta. Thor tentò di colpirlo un potente gancio sinistro che Ares prontamente schivò, piegandosi alla sua sinistra (=destra di Thor). Baldur contemporaneamente, teletrasportatosi alla sinistra del Dio, con con un calcio tentò di colpirgli il ginocchio, ma senza successo. Ares infatti con la gamba sinistra colpì Thor evitando, allo stesso tempo, di essere colpito da Baldur. Il tutto si svolse in una frazione di secondo. Thor venne scaraventato ad una decina di metri, quasi ai piedi del padre che nel frattempo stava accumulando tutte le sue forze. Baldur cercò nuovamente di colpire il nemico che ancora non aveva poggiato a terra la gamba con cui colpì Thor, ma Ares con uno slancio fece una giravolta colpendolo a piedi uniti in pieno volto.
“Padre quanto tempo ti serve ancora” – gli chiese Thor comunicando telepaticamente
“Ti pare quant’è passato? Solo pochi secondi!”
“Lo so ma contro di lui non so quanto potremo resistere! Se iniziasse a fare sul serio ci troveremmo in difficoltà!”
«Che avete da confabulare voi due?» – chiese il Dio avvicinandosi a Baldur ancora a terra
«Se tardate ancora questo ragazzo farà una brutta fine!» – disse puntandogli la spada alla gola
Thor si rialzò quando all’improvviso il suo martello dall’alto dei cieli puntò il nemico colpendolo a massima velocità (sfruttando anche la gravità) alla testa protetta dall’elmo della Kamui. L’onda d’urto fu devastante, tanto da scavare un cratere profondo, ma dopo l’impatto né di Baldur, né di Ares, vi erano segni. La nube di polvere era immensa e pochi istanti dopo, Baldur riapparve accanto ad Odin e Thor, mentre il martello tornò nelle mani del suo possessore.
“Quando l’hai lanciato?” – gli chiese Baldur
“Poco dopo che mi ha colpito e un istante prima che colpisse te. In quell’istante Ares si è impegnato per fare quell’acrobazia con cui ti ha colpito e non aveva una buona visione di ciò che stavo facendo ed ho scommesso tutto che neanche ci facesse caso!”
“Grande! Almeno siamo riusciti a colpirlo in modo che non se lo aspettasse”
 
«Pensate davvero che colpi del genere abbiano qualche effetto su di me?» – urlò fiero il Dio nascosto dalla nebbia di polvere e detriti alzata dall’impatto, che si andava diradando.
«Avevo visto il tuo martello, Thor… ma non è mai stato un problema!» – continuò poi
 
“Ragazzi mi serve ancora un altro po’ di tempo, resistete!” – fece Odin intento a concentrarsi
«Ora basta! Non ho altro tempo da perdere con voi!»
«Galactic Hecatomb» – pur stando immobile il Dio della guerra richiamò dallo spazio profondo i residui di una galassia estinta. Migliaia di asteroidi apparvero nel cielo limpido, oscurando l’intera zona in cui erano i suoi nemici.
La vista di ciò che si sarebbe abbattuto su di loro sbalordì tutti, persino Efesto e Athena.
L’impatto fu talmente devastante tanto da cancellare quasi metà dell’isola. Il mare in rivolta invase ciò che prima era occupato dal suolo. Tuttavia grazie alla barriera di Athena tutti rimasero indenni, ma per l’ennesimo immane sforzo che la Dea affrontò, perse i sensi. Prima che cadesse al suolo Ippolito prontamente la sorresse.
«Divina Athena!» – disse il giovane biondo ancor più stupefatto dalle gesta di Athena, di quanto lo fosse per l’enorme portata dell’attacco di Ares.
«Dovete sopravvivere, no… dovete vivere!» – La Dea si lasciò andare tra le braccia del giovane svenendo definitivamente, dopo aver pronunciato delle parole che Ippolito conserverà sempre nel suo cuore.
Si libravano in aria sospesi dalla barriera di Athena che non appena si disperse fu sostituita da quella di Efesto che attingendo alle sue ultime forze trasportò tutti al suolo rimasto integro. Dopodiché si avvicinò alla Dea e la distese accanto ai suoi Cavalieri ormai anch’essi privi di sensi (Gyon, Equos, Neven e Chirone).  
«Ares!» – urlò il figlio di Teseo, pervaso dall’ira – «Questa sarà la tua fine!»
 
Le notizie rivelate da Bor riguardo all’anello dovevano ancora essere digerite dai Cavalieri di Athena, ma le sorprese non erano ancora finite.
L’enorme esplosione fu avvertita persino al Tempio al punto che in loro crebbe molto timore per le sorti della battaglia.
«Che diamine è stato?» – fece Keren
«Credo che Ares abbia appena iniziato a fare sul serio!» – rispose Polluce
«Ares è davvero pieno di sorprese!» – commentò Bor – «Si sta rivelando un avversario molto più potente di quanto avessi preventivato! Se è riuscito a sciogliere il sigillo di Hera vuol dire che il suo potere è cresciuto molto dalla fine della Titanomachia! Ma non preoccupatevi Odin e i suoi figli gli daranno filo da torcere! Però mi chiedo ancora come ci siano riusciti!»
«In questo momento, come abbiano fatto a trafugare l’anello, non credo che importi più di tanto, almeno a noi» – affermò Giasone – «Ciò che mi incuriosisce è la natura di questi Tesori, che cosa sono in realtà? Qual è il potere in grado di intimorire persino gli Dei?»
«In realtà non so molto delle loro origini, sebbene una volta il mio maestro si lasciò sfuggire una sua teoria, ovvero che sarebbero state forgiate dalle divinità primordiali nate all’alba dei tempi, che una volta incarnatesi, divisero in cinque oggetti il potere di distruggere e creare interi universi!»
«Capisco, ma cosa succede se si indossa l’anello? O meglio se uno di noi lo indossasse?» – chiese Keren
«Dipende dalle capacità di chi lo indossa. Beh per spiegarvelo userò un’analogia! Immaginate che quest’otre sia l’anello e che l’idromele che contiene rappresenti l’energia in esso racchiusa. Ora indossare l’anello equivale a creare un collegamento con l’esterno, cioè è come se bucassi l’otre. Ora grazie alla mia telecinesi riesco a mantenere l’idromele dentro l’otre, ma se la mia telecinesi non fosse sufficientemente potente, uscirebbe l’esatta quantità di idromele che mi sarebbe impossibile gestire con la telecinesi! Se non avessi la telecinesi uscirebbe tutto l’idromele! Ciò non significa che la telecinesi è il segreto per contenere il potere dell’anello. È soltanto un’analogia! Ritornando all’anello, l’energia in esso racchiusa è pressoché infinita, per questo anche gli Dei la temono! Perciò per rispondere alla tua domanda, indossando l’anello, se chi lo indossa non è in grado di contenere il suo potere, esso (l’anello) cercherebbe un equilibrio con la persona, rilasciando una quantità di energia pari alla differenza tra quella sua basale e quella del suo possessore! In ogni caso ammesso che si sopravviva all’esplosione risultante, utilizzare l’anello sarebbe escluso, perché significherebbe rompere l’equilibrio instauratosi. In altre parole significherebbe espandere il Cosmo in esso contenuto, aumentando la quota di energia non in equilibrio, che verrebbe quindi rilasciata causando una nuova esplosione! È un circolo vizioso!»
«Per questo la divina Athena ci ha teletrasportati al Tempio! Percependo quel Cosmo oscuro, ha capito che qualcuno stava per indossare l’anello e supponendo realisticamente che fosse Ippolito, ha ritenuto fosse la soluzione più sicura!» – intuì Keren
«Non credo sia solo per questo!»
«Che intende dire?»
«Quanto è forte questo Cavaliere?» – chiese Bor
«Pur non essendo un Dorato e anche senza la sua Sacra Armatura possiede un Cosmo pari a noi!» – spiegò Polluce
«È proprio come immaginavo. La Divina Athena avrebbe potuto proteggervi anche se foste rimasti, ma il suo scopo non era solo proteggervi, ma anche di contenere la portata dell’esplosione, ed essendo voi lì, nelle immediate vicinanze, diminuire il raggio dell’esplosione non vi avrebbe salvato e proteggere singolarmente ognuno di voi non avrebbe smorzato la deflagrazione, così ha optato per la scelta più logica! Probabilmente se Athena non avesse agito in questa maniera, l’onda d’urto sarebbe arrivata anche qui al Tempio, causando notevoli danni in tutto il Mediterraneo Orientale!»
«Nobile Bor è possibile che Ares cerchi le fonti di Ambrosia per padroneggiare i poteri dell’anello?» – chiese Polluce
«Spiegati!» – gli disse Giasone
«Beh l’Ambrosia non è propriamente il cibo degli Dei! È un liquido miracoloso, denso e solitamente ambrato, che infonde un immane potere in qualunque essere vivente se ne nutra. Le fonti per questo sono circondante da oasi di vegetazione e selvaggina dalle proprietà spettacolari, quasi divine! Sappiamo che Ares è in cerca dell’Ambrosia, ma la Divina Athena ha sempre ritenuto che il motivo non fosse il voler guarire dalla ferita infertagli dall’arco di Eracle seppure le sue frecce fossero state intinse nel sangue dell’Idra di Lerna. È vero che è impossibile guarire dalle ferite riportate da quelle frecce ma solo per i mortali e secondo Athena, Ares avrebbe dovuto essere quasi completamente guarito ormai. Adesso che sappiamo dell’anello mi è venuto istintivo chiedere se l’intenzione di controllare appieno il suo potere possa essere invece la reale motivazione della ricerca.»
«È molto probabile che tu abbia ragione Polluce, anche considerato ciò che i Berserkers stanno facendo a Mu!»
«Piuttosto le va di parlare di cosa è successo?» – chiese Giasone
«Certamente, beh vedete dopo la sconfitta del mio Maestro, io e tutti i guerrieri che avevamo a disposizione li abbiamo affrontati, subendo diverse perdite, tra cui…» – la voce di Bor era diventata improvvisamente più fioca, quasi gli mancasse il fiato.
«… anche due miei figli, Víli e Vé!» – disse, infine, stringendo il pugno addolorato
«Ci dispiace!» – fecero i tre Cavalieri
«Grazie…» – rispose cordialmente per poi continuare il racconto, dopo una piccola pausa –
«Comunque sia, siamo stati imprigionati nelle segrete costruite dal Divino Efesto da cui evadere è stato molto arduo. Appena ci siamo riusciti, abbiamo liberato quanta più gente possibile, soprattutto donne, bambini e anziani e li abbiamo condotti qui. Quello che inizialmente mi ha lasciato perplesso è la permanenza dei Berserkers a Mu. Perciò mi sono chiesto cosa cercassero, e l’unica risposta che sia riuscito a trovare è che cerchino proprio le fonti di Ambrosia. Ciò appunto confermerebbe quanto ipotizzato da Polluce»
«Perché cercarle proprio nelle vostre terre?» – chiese Giasone
«Perché da secoli gli Dei sono affascinati dalla selvaggina e dalla flora di Mu, tanto che probabilmente Ares crede che la causa di tale particolarità sia proprio la presenza di fonti di Ambrosia sotterranee o nascoste»
«Ammesso che esistano delle fonti a Mu, quante probabilità ci sono che i Berserkers le trovino?» – chiese Giasone
«Non saprei dire, ma qualora esistano, credo proprio che siano sotterranee, e conoscendo le mie terre avrei in mente una decina di posti in cui cercare, quindi penso che se non le hanno già trovate non gli ci vorrà molto a questo punto!»
Il silenzio era sceso per diversi istanti tra gli interlocutori, quando Polluce espresse un suo dubbio.
«Quello che non capisco, nobile Bor, è come Ares sia riuscito a costringere Efesto a forgiar le Hauberks per il suo esercito» – intervenne Polluce
«Vedete anche gli Dei, in fin dai conti hanno i loro punti deboli, e il mio Maestro non fa eccezione. La risposta alla tua domanda Polluce, sta nel nome della più bella Dea che sia mai apparsa nell’immensità del Cosmo, Aphrodite! Si è lasciato ingannare da colei che ama, nonostante l’abbia tradito più volte nei secoli. Ella inoltre ha il potere di manipolare le menti, e nelle condizioni in cui Efesto si trovava, imprigionato dalle Catene dell’Esilio, non poté resisterle! Perciò è stato costretto a forgiar loro le Hauberks, non di sua volontà!»
«A tal punto si spinge il potere di Aphrodite?» – chiese Keren
«Probabilmente è il nemico più pericoloso che affronteremo in questa battaglia, perché è pur vero che Ares è quasi invincibile, ma per noi Aphrodite è anche peggio perché contro di noi non ha bisogno di combattere!» – spiegò Polluce
«Hai perfettamente ragione, Dioscuro, ma ci sono altre cose cui dobbiamo rivolgere i nostri timori» – intervenne Bor
«Sarebbe a dire?» – chiese il Sagittario
«Molto tempo fa, proprio in occasione del bando di Ares dal Sacro Monte, Zeus ordinò ad Efesto una missione della massima segretezza, tuttavia ne sono a conoscenza poiché aiutai il mio Maestro nel rendere possibile, l’impossibile!»
«Di che si tratta?» – chiese Polluce
«Zeus ordinò la costruzione di un’arma che avesse in sé, il potere di uccidere un Dio!»
 
Sull’isola ormai in brandelli, Ippolito era furioso con il Dio e rinvigorito dall’ira si unì alla battaglia. Odin era ancora intento a concentrare il suo Cosmo poiché in seguito all’attacco di Ares aveva utilizzato il potere accumulato per proteggere i figli, il suo maestro, Athena i Cavalieri privi di sensi, ma grazie alla Dea non fu necessario.
«Ippolito non tentar confronto con gli Dei! Non hai ancora capito la differenza che ci separa?»
Il giovane non sopportando le spocchiose parole del Dio si scagliò all’attacco seguito da un Thor altrettanto furioso.
I due sembravano combattere all’unisono nonostante neanche si conoscessero, ma Ares riusciva comunque ad evitare e respingere tutti gli attacchi.
“Spostatevi” – urlò Baldur telepaticamente
Odin era pronto finalmente.
«Rune Collider: Stars collision!»
Un simbolo apparve ripetuto sei volte intorno al Dio, come se egli fosse al centro di un cubo sulle cui superfici c’era proprio la runa “collisore”.  Dalle sei si materializzarono altrettante stelle brillanti che collisero proprio sul Dio che non ebbe né il tempo né lo spazio necessario ad evitare l’attacco.
L’esplosione fu catastrofica ma Baldur utilizzando tutte le sue forze tentò di contenerla usando il muro di cristallo. A malapena il giovane riusciva nel suo intento e fu allora che Ippolito e Thor gli cedettero il potere che gli rimaneva fino a quando l’esplosione non si estinse.
Ares fiero, tranquillo, quasi imperturbabile, si librava in aria ancora indenne, nonostante la tecnica di Odin fosse così potente da scavare un cratere profondo decine e decine di metri, nonostante il Muro di Cristallo di Baldur ne avesse contenuto gli effetti sull’ambiente circostante, tentando di concentrarla sul Dio.
«È impossibile! Neanche dopo quell’attacco ha avuto un minimo danno?»
“Neanche la tecnica del maestro è iniziata! Cosa faremo Adesso?” – Odin era piuttosto afflitto dall’impotenza difronte un tale avversario.
«Ve l’ho detto! Non tentate confronto con gli Dei! Non sono alla vostra portata!» – disse spavaldo tentando un fendente di puro Cosmo con la spada, ma allorquando tentò, la Kamui si divise dal suo corpo. La trappola di Efesto era scattata.
«Ma cosa? Che sta succedendo perché la Kamui mi rifiuta?»
A quel punto Ares capì che l’attacco di Efesto aveva un doppio fine.
«Tu!» – gridò pieno di indignazione e rabbia
“Adesso Maestro”
«Te l’ho detto che devi temere per la tua vita, fratello!» – Efesto senza perdere il momento propizio la teletrasportò nel suo Tempio sull’Olimpo, facendo andare su tutte furie il dio della Guerra
«Dove l’hai mandata?» – urlò fuori controllo
«Dove ti costerà caro riaverla!»
«Non ve ne andrete vivi da qui… ve lo assicuro!»
«Devastating Explosion!»
L’enorme sfera di energia del Dio quasi istantaneamente raggiunse i suoi nemici, ma Efesto gli si oppose.
«Adesso che sei senza la Kamui sono in grado di contrastare i tuoi attacchi nonostante le Catene dell’Esilio mi abbiano prosciugato le forze.»
«Ne sei sicuro? Se a stento riesci a resistere all’avanzata di uno dei miei attacchi, figuriamoci a tre contemporaneamente!»
Altre due sfere si aggiunsero alla prima lanciata da Ares, mentre Efesto con le sue forze residue tentava di contrastarla. I secondi passavano ma ormai tutti erano allo stremo e non avevano le energie per aiutare il Dio del Fuoco, ma all’improvviso, quando sembrava che Efesto stesse per cedere e tutto sembrava perso…
«Starlight Extinction!» – urlò Neven appena rinvenuto
Teletrasportò così l’esplosione che si generò dalla collisione dei due attacchi proprio sul Dio della Guerra.
«Adesso!» – urlò il Generale e tutti gli si avvicinarono e scomparvero istantaneamente, mentre l’esplosione gigantesca che colpì in pieno il Dio, devastava ciò che rimaneva dell’isola.
 
Note dell’autore
Piccola nota per chi non conosce o si ricorda poco la Starlight extinction; cito dalla wiki di Mur dell’Ariete: “è un colpo indiretto, che tramite una potente onda di luce teletrasporta all'istante l'avversario in un posto deciso da Mur; nel caso Mur voglia ucciderlo, il colpo funziona anche in maniera offensiva, come avviene nel caso dello Specter Papillon”. Qui Neven lo usa sulle tre sfere lanciate da Ares che Efesto stava tentando di fermare. Era una situazione di stallo e Neven ha usato il colpo in maniera offensiva: l’onda di luce ha fatto esplodere le sfere e contemporaneamente ha teletrasportato l’esplosione che si stava generando su Ares. Se avete ancora qualche dubbio non esitate a contattarmi. Detto questo spero che il capitolo sia di vostro gradimento e come sempre vi invito a lasciare anche un piccolo commento.

 

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Capitolo 23
*** XXI – La Daga Deicida ***


XXI – La Daga Deicida

La notizia di un’arma capace di uccidere un’immortale era decisamente sconvolgente, tanto che il silenzio regnò gli attimi seguenti alla rivelazione. Gli interrogativi che ciò sollevava erano molteplici e tutti alquanto pericolosi.
«Uccidere un Dio?» – Polluce, come anche gli altri Cavalieri, era più che stupefatto
«Perché mio padre avrebbe fatto una richiesta del genere?» – chiese ad alta voce il Dioscuro
«Non saprei, ma è chiaro che nei secoli è cresciuta molta diffidenza nell’Olimpo ed evidentemente Zeus ha voluto prendere precauzioni»
«Perché allora quell’arma è rimasta a Mu? Non è stata consegnata a Zeus?»
«Si, ma il padre degli Dei ha affidato al mio maestro il compito di custodirla»
«Di che tipo di arma stiamo parlando?» – chiese Giasone
«Una daga! Non c’è bisogno che vi dica che se dovesse finire nelle mani di Ares, ci troveremmo in serie difficoltà. Immaginate solo il potere di tale arma e le immense abilità di Aphrodite. Potrebbe benissimo manipolare un Cavaliere e affidargli la daga affinché uccida Athena quando ne ha l’occasione»
Questa evenienza non era poi così lontana dalla realtà, considerato ciò che sappiamo avvenire in futuro, ovvero quando il lato oscuro di Saga prenderà il sopravvento, tentando di uccidere Saori ancora in fasce.
«Che precauzioni possiamo prendere?» – si domandò Giasone
«Ho già qualche idea a riguardo, non preoccuparti di ciò. Ridurremo al minimo tale evenienza. Tuttavia ci sono altre cose di cui preoccuparsi»
«Altre?»
«Beh sì! Tra le armate di Ares, militano diverse divinità, a parte i suoi figli. Kratos e Bia, da quel che ho sentito li avete già incontrati, ma ve ne sono altri due: Ker e Kyodamos. Cosa che ci ha incuriosito molto è che i Berserkers possedevano delle armi forgiate dall’alchimia già quando hanno attaccato Mu. Si tratta di un diverso tipo di alchimia, non certo la nostra e non avendo potuto consultare Efesto in proposito, non ho molte informazioni, ma posso dire con certezza che si tratta di un’alchimia simile a quella variante dell’alchimia simbolica che Efesto stava sviluppando proprio negli ultimi tempi insieme a mio figlio Odin!» – spiegò Bor
«Che tipo di variante stavano sviluppando?» – Keren da alchimista, come suo padre, era molto incuriosito.
«L’alchimia runica, basata sul potere di simboli, chiamati rune, in cui viene fatta confluire l’energia derivata dal Cosmo. Tuttavia anche rispetto a questa, quella dei Berserker è differente, a partire dall’energia imbrigliata nelle armi, senza contare che i materiali utilizzati siano privi, sia di Oricalco, che di polvere di stelle.»
«E come si mantengono integri? Di cosa sono fatti?» – non riusciva a spiegarsi Keren
«In che senso?» – chiesero Polluce e Giasone
«Beh vi spiego, per costruire oggetti in cui si vuole imbrigliare energia derivata dal Cosmo, sono necessari materiali specifici e tecniche particolari, altrimenti si degrada fino a rompersi e a risultare inutilizzabile. Il segreto è costituito da minerali quali l’Oricalco, il Gammanion e la sabbia di polvere di stelle e molti altri, ma leghe migliori sono tra questi tre, che raggiungono una stabilità superiore a quelle costituite usando gli altri minerali» – spiegò Keren
«Keren ha ragione, ed infatti non mi è ancora del tutto chiaro come le armi dei Berserkers mantengano l’energia imbrigliata in essi, pur rimando intatti, ma penso che il Divino Efesto ne sappia di più in proposito, soprattutto considerato che è stato costretto a ricoprirle di uno strato di lega di Oricalco, per legarle alle Hauberks e quindi le ha potute esaminare»
In quel momento poco lontano dall’accampamento costruito dai Cavalieri, erano appena arrivati nei pressi del Tempio, i tre Aesir e i Cavalieri rimasti sull’isola, insieme naturalmente ad Athena ed Efesto.
La loro presenza fu subito rilevata…
«Eccoli, sono tornati» – esclamò Bor
«Keren, valli a prendere» – gli ordinò Giasone e subito il Cavaliere del Cancro si teletrasportò nel luogo dove erano comparsi.
«Oh Keren, figlio mio!» – fece Neven appena il Dorato li raggiunse
«Padre, che è successo? Il tuo Cosmo è così… debole…» – commentò il Dorato
«Tante cose, ragazzo mio!» – rispose Odin, anch’egli piuttosto provato dallo scontro
«Nobile Odin… Thor… Baldur, mi fa piacere rivedervi!»
«Keren avrei bisogno di una mano!» – s’intromise Ippolito tenendo in braccio Athena semicosciente
«Accompagna la Divina Athena, Equos, Chirone, Ippolito e Gyon da Asclepio. Hanno bisogno di cure!» – gli ordinò infine Neven
«Si subito, però padre vieni anche tu!»
«No, ho molte cose da fare prima di concedermi un po’ di riposo»
«No Neven, vieni con noi, prima devi riposare» – disse Athena
«Come desidera, mia Dea!»
Così Keren teletrasportò tutti alle tende di Asclepio, dove il Dorato aiutato da Kitalpha stava curando molti dei profughi di Mu. Erano apparsi in una tenda enorme piena di gente in attesa delle cure dell’Ofiuco, che nella stanza accanto curava le persone di turno. Tra la gente c’era Kitalpha che si prendeva cura estemporaneamente delle persone in attesa.
«Divina Athena!» – esclamò il Cavaliere vedendo apparire Keren e gli altri
 
«Athena?»
«La divina Athena?»
«La divina Athena è ferita?» – Mormorava la gente in attesa dopo aver sentito l’esclamazione del Cavaliere
 
«Anche voi nobile Neven! E Tu?» – fece poi vedendo Ippolito – «Come osi farti vedere qui?»
«Tranquillo Kitalpha» – lo fermò Neven – «Lui è sempre stato dalla nostra parte!»
«Non capisco!»
«Non è tra i tuoi doveri capire!» – tagliò corto l’Ofiuco, uscito dalla stanza insieme ad una ragazza rinvigorita come se non fosse mai stata ferita.
«Piuttosto, Keren portali tutti nell’altra stanza»
Si rivolse quindi alle persone in attesa delle sue cure…
«Capisco i vostri disagi ma vi chiedo un po’ di pazienza, abbiamo delle urgenze di cui occuparci, per cui vi chiedo di aspettare un po’ finché non avremo risolto la situazione!»
«Per la divina Athena questo ed altro!» – fece un ragazzino che poteva avere al massimo sette/otto anni pieno di contusioni, anche in viso, e con un braccio legato ad una stecca di legno e tenuto al collo con una corda.
La gente e i Cavalieri sorrisero all’esclamazione e alla dimostrazione di forza del giovane.
«Che ragazzino giudizioso!» – commentò Asclepio
«Certamente, nobile Asclepio. Avete già fatto tanto per noi, e la Divina Athena ha la precedenza su tutti. E poi quei poveri Cavalieri stanno molto peggio di noi» – intervenne una vecchia signora, anch’ella piuttosto malridotta.
 
Nel frattempo nelle tende di Giasone arrivarono i tre della famiglia Aesir che erano intervenuti in soccorso di Athena, seguiti dal Dio del Fuoco.
«Odin… per fortuna ce l’avete fatta»
«Sì, la missione è andata come previsto»
Subito dopo entrarono Thor e Baldur che aiutavano Efesto piuttosto stanco.
«Maestro, sono felice di vedervi sano e salvo!»
«Divino Efesto, siamo lieti di avervi qui!» – fecero i due Cavalieri dorati
«Vorrei potermi inginocchiare, come il mio compagno, ma purtroppo ho perso temporaneamente l’uso delle gambe» – spiegò Giasone quando Polluce si inginocchiò
«Non fa niente, e tu alzati, Cavaliere. È merito vostro se sono riuscito fuggire. I vostri sforzi e i compagni caduti non saranno dimenticati. Vi ringrazio inoltre per l’ospitalità che avete dato alla gente che mi è tanto cara e che numerose sofferenze ha subito»
«Venga, si sieda!» – fece Polluce porgendogli una sedia
«Polluce vai ad allestire una tenda, dove il Divino Efesto possa riposare» – gli ordinò Giasone
«Già è stato fatto, Giasone! È proprio accanto alle tende allestite per la Divina Athena. Se desidera la conduco immediatamente lì»
«Si sarebbe davvero rigenerante, però prima vorrei darvi tutte le informazioni che ho raccolto in questo periodo di prigionia» – rispose il Dio – «Nel frattempo a loro un po’ di riposo non guasterebbe!» – disse infine indicando Thor, Odin e Baldur.
«No, maestro, non ce n’è bisogno» – rispose Thor
«Su ragazzi andate!» – insistette Bor
 
Così i tre Aesir accompagnati da Polluce, uscirono dalla tenda diretti a quella preparata per Efesto, ma poco prima di raggiungere la destinazione, i quattro fecero un incontro inatteso.
«Nobile Polluce, dove state andando?» – chiese l’argenteo Cavaliere che aveva sostituito Neven fin quando Giasone non si riprese.
«Sto conducendo questi valorosi guerrieri alle tende che abbiamo allestito per il Divino Efesto. Hanno aiutato a riportare la Divina Athena e il Dio del Fuoco dall’isola di Ares. Sono Odin, Thor e Baldur di Mu»
«Kleiros di Altar al vostro servizio!» – esclamò il Cavaliere inginocchiandosi «Grazie a voi la divina Athena è tornata! Non so come…»
«Si Kleiros, ma mantieni l’entusiasmo, ancora non si deve sapere!» – lo interruppe Polluce
«Perché?» – chiese l’argenteo
«Non fare domande, a dopo le spiegazioni. Invece perché non conduci tu questi tre ospiti alle tende di Efesto?»
«Certamente» – rispose Kleiros
«Perfetto allora io vado, che ho delle cose da controllare» – fece il Dioscuro allontanandosi
«Bene, se volete seguirmi» – fece Kleiros
Così i tre Aesir seguirono il Cavaliere d’Argento per il resto della strada che rimaneva.
«Va bene» – fece Baldur – «Ho davvero bisogno di una bella dormita!»
«Il solito ragazzino» – commentò Thor
«Vorrei vedere te in quelle condizioni a contenere quell’esplosione! In più se non fosse stato per il mio muro di cristallo saresti stato fatto a fettine dal fendente di Ares a battaglia appena iniziata»
«Si certo! E se non fosse stato per me la tua gola sarebbe stata aperta come …»
I due fratelli si stavano accapigliando, suscitando il sorriso di Kleiros e un po’ la rabbia di Odin che pensava di avere ormai due figli cresciuti.
«Smettetela voi due, vi comportate come dei bambini!» – intervenne colpendo in testa entrambi i figli.
«Piuttosto Kleiros, dove pensi sia andato Polluce?» – chiese poi l’Aesir
«In questo momento ci sono molte cose da fare, perciò non saprei! Invece avrei una domanda da…»
«Sta bene» – lo interruppe Odin – «È fisicamente provata, ma sta bene, non preoccuparti»
«E invece i miei compagni? Quanti di loro siete riusciti a riportare?»
«Beh tutti quelli che erano sull’isola. Non credo che qualcuno sia rimasto lì»
«Il nobile Neven e Chirone pure? Ho saputo che ha affrontato Bia e…»
«Beh da quel che ho visto era molto malconcio, però se Asclepio è bravo quanto dicono le voci su di lui non dovrebbero esserci problemi!»
«Grazie ci avete veramente dato un aiuto inestimabile!»
«Anche voi accogliendoci qui…»
«Beh sì… comunque siamo arrivati. Queste sono le vostre tende» – disse il Cavaliere indicando l’enrome complesso di tende preparato per Efesto
Baldur e Thor subito entrarono senza neanche salutare il Cavaliere, provati dallo scontro avevano bisogno di riposo.
«Grazie ancora Kleiros» – concluse Odin entrando nella tenda
 
Efesto nelle tende di Giasone rispondeva ai diversi interrogativi che Bor e il Sagittario avevano sulla battaglia appena combattuta.
«Maestro, mi chiedevo se quello che ho percepito era corretto»
«Cioè Bor?»
«Ares ha indossato la Rosso Sangue
«Si, ma ho provveduto temporaneamente!»
«Rosso sangue?» – chiese incuriosito Giasone
«È la sua Kamui, una delle Armature che forgiai anni or sono, durante la Titanomachia, per gli Dei! Da allora non erano mai state indossate. Oltre ad essere praticamente invulnerabile la Kamui di Ares, possiede cinque armi. Due lance e due spade e uno scudo. Ognuna di queste armi possiede inoltre un potere particolare, per esempio una delle due spade è in grado di mandare direttamente l’anima, di chi viene colpito, negli inferi, senza passare dallo Yomotsu Hirasaka. Per questa abilità venne chiamata Mietitrice di Anime. L’altra spada è chiamata Flagello Divino, poiché la lama può cambiare forma oltre che diventare flessibile similmente ad un flagello. I suoi fendenti sono ad ampio raggio e possono distruggere tranquillamente qualunque cosa. Una delle lance è Pioggia di Fuoco, una lancia a lunga gittata che nella fase di caduta della traiettoria si moltiplica ed ognuno dei cloni si infiamma; è utile per colpire più nemici e non appena raggiunti i bersagli i cloni si dissolvono. L’altra lancia è Energia trivellante: è in grado di perforare ogni cosa e una volta colpito il bersaglio, dalla sua lama si dipartono tantissimi spuntoni di energia che trapassano il nemico dall’interno, in tutte le direzioni. Infine lo scudo è chiamato Contraccolpo: è praticamente indistruttibile e respinge ogni attacco con una potenza dieci volte superiore. Inoltre un colpo con questo scudo a media potenza può scaraventarti a diversi stadi di distanza (1 stadio = 185 metri) e nelle mani di Ares anche di più. Tutte le armi sono legati alla Kamui così una volta colpiti i bersagli si teletrasportano nelle mani di Ares»
«Che intendeva dire dicendo che provveduto temporaneamente?» – chiese Bor
«Intendevo che siamo riusciti ad infliggergli una bella rogna! Ovvero per usare la sua Kamui dovrà esaurire l’ultima Folgore in suo possesso. Il che ci dà un vantaggio»
«Quindi ancora la guerra contro Ares non è finita?» – domandò, quasi retoricamente, il Sagittario
«No, anzi oserei dire che è appena iniziata» – rispose il Dio – «Inoltre ora sappiamo che ha rubato lui l’anello di Lios dall’Olimpo e non Hestia, ciò potrebbe fare luce sulle sue intenzioni. Ora l’abbiamo noi, o meglio quel ragazzo, il nipote di Poseidon»
«Cosa comporta avere l’anello? Mi sembrava di aver capito che nessuno può od osa rischiare di utilizzare il suo potere» – chiese confuso il Sagittario
«Può voler dire tantissimo oppure nulla! Il ragazzo ha piena consapevolezza di non poter usare l’enorme energia contenuta nel gioiello, tuttavia la reliquia si è adattata a lui e ciò è un fatto non solo molto insolito, ma direi unico. Nessuno da migliaia di anni ha mai tentato di indossare l’anello della distruzione. Tutte le storie che lo riguardano, non finiscono bene per chi indossa l’anello, ovvero nessuno è riuscito ad indossarlo e restare indenne, per qualche motivo lui si. Il fatto che Ares avesse tentato di reclutarlo non mi fa stare molto tranquillo. Non sto mettendo in discussione la lealtà del giovane, ma ho il presentimento che mio fratello avesse previsto che sarebbe sopravvissuto. Non ho prove di ciò, è solo un presentimento che potrebbe benissimo rivelarsi errato» – spiegò Efesto
«Se non è stato Ares sicuramente c’è lo zampino del Fato» – affermò Giasone
«Comunque sia, credo che per adesso sia meglio lasciarlo al ragazzo, tenendolo d’occhio»
«Sta forse suggerendo di usarlo come esca, nell’evenienza che si tratti di un piano di Ares?»
«Non lo sto suggerendo, è proprio quello che faremo!» – affermò il Dio
«Perdonatemi, divino Efesto, ma non farò nulla del genere se non è la Divina Athena ad ordinarmelo!»
«Giasone non credo che tu abbia questa possibilità!» – intervenne Bor
«Io sono Giasone del Sagittario, di Athena Cavaliere, non di Efesto, né tantomeno di Bor!»
«Mi piace questo ragazzo!» – rispose Efesto sorridendo, smorzando così il tono del Cavaliere
«Ora se non ti dispiace, andrei a riposarmi» – disse infine il Dio congedandosi, senza dare troppa importanza al comportamento di Giasone
«Se aspettate Polluce, vi accompagnerà lui alle vostre tende»
«Non sarà necessario! Bor, andiamo»
I due uscirono dalla tenda del Sagittario e si diressero verso dove percepivano la presenza di Thor, Odin e Baldur.
«Non capisco perché non hai punito quel Cavaliere per essere stato irrispettoso» – disse Bor – «Ci sforziamo tanto per mostrar i modi che gli uomini debbano avere nei confronti di un Dio, e poi transigi su tali atteggiamenti?»
«Amico mio, quel Cavaliere è stato solo fedele alla sua Dea, punirlo perché poco rispettoso sarebbe stato inutile. Sai bene, inoltre, che non è per la forma, o per il rispetto che un uomo deve ad un Dio, che davanti agli altri abbiamo rapporti più formali. Non possiamo rischiare che si venga a sapere e sai perché. È pur vero che se anche Athena lo venisse a sapere, non costituirebbe un problema, perché sarebbe dalla nostra parte, ma l’Olimpo ha molti occhi e orecchie e non possiamo rischiare che neanche un uomo lo sappia. Come se non bastasse le regole che hanno regnato il mondo per secoli stanno cambiando adesso, perciò dobbiamo agire con molta cautela»
 
Nelle tende di Asclepio, l’Ofiuco aveva appena finito di esaminare le condizioni di Athena, distesa sul letto, mentre Equos, Gyon e Chirone, completamente privi di sensi erano stati distesi sul tavolo, mentre Ippolito era andato a riposare in un’altra tenda.
«Mi sembra che la ferita della spada di Phobos sia completamente guarita, non ci sono segni di ferite interne, né di superficiali. Serve soltanto un po’ di riposo!» – concluse accarezzandole la fronte.
«Grazie Asclepio!» – gli sorrise Eiren
«Dovere, Divina Athena!»
«Andiamo a questi tre, baldi, incoscienti!» – disse poi dirigendosi al tavolo.
«Per la miseria!» – esclamò stupefatto guardando le condizioni di Gyon
«Cosa ha colpito questo r…»
«Aspetta Asclepio se la Divina Athena non ha solo bisogno di riposo non è consigliabile trasferirla nelle sue tende?» – lo interruppe Neven
«Si certamente!» – rispose il Dorato
«Keren vai!»
Così Keren prese in braccio la giovane Dea e si teletrasportò alle sue tende.
«Sei preoccupato per come la Divina Athena possa reagire ad eventuali brutte notizie riguardanti il ragazzo?»
«Più che altro per il momento!» – rispose Neven – «È molto provata dal combattimento, vorrei che eventuali brutte notizie le siano riferite quando sarà più in forze!»
«Capisco, ma il problema non è di quel genere!»
«Che vuoi dire?»
«Gyon ha riportato ferite di vario genere, tra cui ustioni gravi, diverse fratture, tagli profondi ma ce ne sono alcune in particolare che mi preoccupano. Sono le più recenti e a volte si sovrappongono a quelle subite in precedenza, ma la cosa che mi turba è che ci sono segni di Folgori Olimpiche!»
«Folgori Olimpiche? Capisco e che mi dici delle altre?»
«Le altre ferite sono per lo più tagli ed ustioni anche se molto brutte posso guarirle in tempi rapidi, ma quelle da Folgori no!»
«Puoi guarirle?»
«In teoria per gli uomini le ferite da Folgori sono permanenti, tuttavia ho sviluppato qualche rimedio, ma è piuttosto doloroso e i tempi di recupero sono lunghi!»
«Capisco, fai tutto ciò che in tuo potere!» – disse il Generale diventando sempre più pallido.
«Neven ti senti bene?» – gli chiese l’Ofiuco
«Tutto ben…» – rispose Neven interrompendosi perdendo i sensi
Asclepio grazie alla sua prontezza di riflessi riuscì ad evitare che cadesse.
«Generale, cosa ti ha ridotto così?» – disse distendendolo sul letto
«Vediamo un po’!»
Lo esaminò a fondo fin quando non scoprì l’origine del malessere di Neven.
«Per gli Dei! Che cosa ha un potere tale da abbassare l’attività del suo organismo così?»
“Poco importa, devo trovare una soluzione! Di questo passo in poche ore sarà morto! Chissà se…”
Si girò guardando Chirone per qualche istante, si avvicinò quindi al Cavaliere del Centauro privo di sensi.
“Come sospettavo! Anche lui è stato colpito dalla stessa cosa ed è anche in condizioni peggiori!”
“Intanto è meglio guarirgli le ferite e ricostruirgli il braccio!”
Si tagliò il fianco affinché il suo sangue dai poteri curativi sgorgasse e bagnasse il moncone del Cavaliere.
Poi con il suo leggendario bastone emise una luce che colpì il compagno rimarginando tutte le ferite e pian piano anche il suo braccio andava guarendo.
Mentre la luce della ricostruzione corporea illuminava tutta la stanza, Keren ritornò con il teletrasporto.
«La divina Athena sta riposando!» – esclamò appena ricomparso
«Ma che?» – disse stupefatto dai poteri dell’Ofiuco
Poi si girò in cerca del padre e percependo un Cosmo debolissimo si preoccupò al vederlo completamente privo di sensi.
«Padre!» – esclamò – «Non sta dormendo, Asclepio che è successo?»
«È svenuto! Qualcosa non solo gli ha prosciugato e gli sta ancora prosciugando le forze. Tutte le attività del suo corpo, battito cardiaco, reazione agli stimoli esterni, attività mentale ecc. è tutto rallentato e continua preoccupantemente a rallentare!»
«E perché non fai qualcosa?» – urlò il Dorato   
«Beh perché la stessa cosa ha colpito anche Chirone e lui è ridotto anche peggio e ho bisogno di raccogliere informazioni per capire come agire!»
«E devo inoltre assicurarmi che Equos non sia stato colpito dalla stessa cosa, quindi perché non ti calmi e vai a raccogliere informazioni da chi era lì e non è svenuto?» – rispose Asclepio insolitamente poco calmo
«Gyon invece… ?» – chiese dopo la sfuriata dell’Ofiuco
«No Gyon non è stato colpito, da qualsiasi cosa si tratti! Forse Equos potrà far luce su questo… l’unica cosa che puoi fare adesso è portarmi qualcuno dei presenti, possibilmente anche Efesto perché conosce molti dei nemici e le loro tecniche»
L’Ofiuco esaminò allora il Cavaliere della bilancia che non mostrava i segni preoccupanti di Chirone e Neven.
“Per fortuna!”
 
In tutt’altra zona del mondo, allora ritenuta selvaggia e barbara, il palazzo secondario del Dio della guerra sorgeva quasi nel nulla assoluto di una landa desolata, circondata da elevate vette in ogni direzione. Ares era appena apparso poco distante dall’entrata dell’enorme edificio, facendo sussultare i dieci Berserkers di guardia.
«Sommo Ares!» – dissero sorpresi, non solo di vedere il Dio, ma anche delle sue condizioni.
Spoglio di una qualunque armatura, con le vesti logore e strappate, con il viso sporco come se fosse scampato ad un immane battaglia. Effettivamente era così, anche se era stato in vantaggio per la maggior parte del tempo, Ares aveva subito un’imperdonabile smacco dal fratello. Il Dio aprì le gigantesche porte e proseguì per le scale fino alla stanza dove era solito riposare insieme all’amata, soprattutto nei mesi estivi quando si recavano in quel palazzo. Entrando nella stanza la vide nuda, come era solita aspettarlo dopo le numerose battaglie.
«Ho una sorpresa!» – disse non appena l’amante entrò nella stanza – «Kyodamos l’ha trovata ben nascosta nelle fucine di Efesto. Appena l’ha vista ha notato qualcosa di strano e me l’ha consegnata. È proprio quello che mancava, la daga di cui si è solo vociferato della sua esistenza, divenendo in questi secoli poco più che un mero mito» – continuò mostrando la daga dorata, appesa al collo da una collana, tra i due tanto ammalianti quanto perfetti seni
«È tutto pronto adesso! Possiamo cominciare» – disse avvicinandosi alla giovane e sollevando la punta della lama letale anche per un Dio.
«Come è finita? Il piano è andato a buon fine?» – chiese poi Aphrodite
«Direi di sì!» – rispose, un attimo distratto da quelle splendide linee
«Bene!» – esclamò stringendolo e baciandolo sulle labbra
«Anche se, in effetti, ho avuto un imprevisto!» – continuò dopo Ares
«Che imprevisto?» – chiese la Dea allontanandosi di qualche centimetro, improvvisamente preoccupata.
«Efesto ha lanciato un sigillo che mi ha reso impossibile usare la Kamui per un istante che ha sfruttato per teletrasportarla sull’Olimpo, probabilmente nel suo Tempio»
«Accedere all’Olimpo non è un problema, lo sai!» – rispose dando poco conto alla cosa, si avvicinò nuovamente al Brutale baciandolo sul collo più volte
«Si è vero ma credo che Efesto ha preparato una trappola per farci utilizzare l’altra Folgore che ci è rimasta»
«Davvero lo pensi?»
«Credo proprio di sì»
«Allora lo faremo, ce la riprenderemo» – fece la Dea che non ricevendo neanche una risposta dall’amato distratto, gli diede uno schiaffo.
«Mi hai sentito!? Ce la riprenderemo a qualunque costo e a quel punto non dovremo far altro che aspettare che l’energia dell’anello faccia il resto»
«Si mia amata» – rispose il Dio che preso dallo splendido corpo dell’amante, la baciò, focoso, tentando di spingerla sul letto. Tuttavia la Dea lo fermò, ma continuarono a parlare e a baciarsi.
«Il piano di far uccidere il ragazzo dal padre ha funzionato mi pare, no?»
«Si Asclepio l’ha resuscitato… l’ho percepito chiaramente quando l’ho affrontato!»
«Perfetto, allora questo è solo un piccolo imprevisto che non ci rallenterà neanche» – concluse Dea eccitata
A quel punto il Dio non resistendo più al fascino della amante la spinse brutalmente sul letto per giacere finalmente con lei. Avevano già parlato troppo per i suoi gusti.

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Capitolo 24
*** XXII – Sanctuary ***


XXII – Sanctuary

 
Nelle tende di Asclepio la situazione precipitava. Neven e Chirone peggioravano in fretta e sembrava che ogni rimedio venisse in mente al dorato medico non sortisse alcun effetto. All’improvviso davanti a lui apparve il Dio del fuoco, insieme a Keren, pronti ad aiutarlo come richiesto.
«Fortunatamente siete arrivato sommo Efesto, non capisco che sta gli succedendo… è come se qualcosa gli prosciugasse tutte le forze! Stanno morendo lentamente e sono riuscito a malapena a rallentare il processo»
«Non è possibile» – esclamò il Dio incuriosito e confuso – «L’effetto delle Catene dell’esilio non è progressivo… neanche per un essere umano!»
«Le Catene dell’esilio? Sono stati imprigionati dalla vostra creazione? …Come?»
«Calma cavaliere… non è stato per mio volere, ma probabilmente sono stati Kratos e Bia, gli unici oltre me a saper creare le Catene dell’esilio»
Il Dio continuò ad osservarli inquieto per diversi istanti, fino a quando un’espressione di stupore si materializzò sul suo viso.
«Certo, deve essere andata così!» – esclamò a quel punto – «I tuoi tentativi di ristabilirli, per quanto potenti, non possono fermare il processo ma solo rallentarlo» – aggiunse poi, rivolgendosi ad Asclepio
«Sì, cercavo di guadagnare tempo per capire cosa fare. Piuttosto sa cosa li ha ridotti in questo stato?»
«Beh penso che sia un effetto secondario dell’Absolute Oblivion di Kratos o di Bia! Ricordo effetti simili in Prometeo quando fu liberato dal suo esilio da Eracle, tuttavia essendo un Titano non rischiava la vita, ma era comunque molto indebolito. Allora fu Pan a guarirlo… credo il potere di quei due stia lentamente prosciugando le loro essenze, e il fatto che Neven sia stato imprigionato dalle catene dell’esilio lo ha reso vulnerabile, altrimenti con i suoi poteri avrebbe potuto resistere quantomeno con molta più forza»
«L’unico modo è estirpare l’energia di Kratos e Bia dai loro corpi, ma sono ancora troppo debole per via delle Catene dell’esilio e Athena ha quasi prosciugato le sue forze durante la battaglia contro Ares…»
«…Capisco» – lo interruppe Asclepio – «Allora non mi rimane altra scelta!»
«Che vuoi fare» – gli chiese il Dio, vedendolo alzare il bastone in aria.
Il Dorato stava espandendo il proprio Cosmo così oltre i suoi limiti, tanto che persino Efesto rimasse sorpreso del suo potere, nonostante sapesse molto di lui.
«Fermo Asclepio!» – ordinò una voce femminile
«Divina Athena» – i presenti si chiesero da dove provenisse la voce della Dea non vedendo la giovane
«Keren, per favore porta tuo padre e gli altri nelle mie tende… mi occuperò io di loro» – ordinò ancora la voce della dea che dalle sue tende, dove riposava, aveva percepito l’imminente pericolo per il suo Generale e il sempre gentile Chirone.
«Anche Equos e Gyon?» – chiese il Dorato confuso
«Si anche loro»
«Ma Divina Athena, ha bisogno di riposarsi, non può fare sforzi!» – esclamò Asclepio
«Non temere mio fedele Cavaliere, hai fatto un ottimo lavoro, continua ad aiutare i poveri abitanti di MU che ne hanno bisogno e lascia alle mie cure i tuoi compagni»
«Non penso che tu possa contraddire una Dea così cocciuta, Cavaliere» – intervenne Efesto
Così Keren si teletrasportò con i quattro Cavalieri alle tende della Dea e fu seguito inaspettatamente dal Dio del fuoco. Athena era in piedi ad attenderli con lo scettro in mano con lo sguardo risoluto che solo la Dea della Giustizia possedeva. Vide comparire i guerrieri che levitavano intorno a Keren ed Efesto.
«Efesto sei venuto pure tu!»
«Si Athena, volevo parlarti…»
«Dopo!» – tagliò corto la Dea
«Keren adagiali a terra!» – ordinò poi al Cavaliere
«Divina Athena potete salvarli?» – chiese Keren preoccupato
«Sì!» – rispose la Dea avvicinandosi a Keren e mostrandogli il confortante sorriso che solo lei possedeva – «Ora però dovete farmi spazio, anzi è meglio se uscite dalle tende!» – concluse
«Ok» – rispose il Dio – «Forza andiamo ragazzo»
I due uscirono fuori dalle tende della Dea lasciando i Cavalieri alle sue cure.
Un Cosmo immane, quale poteva essere solo quello di una Dea, si diffuse in tutte le terre del Tempio lasciando stupefatto chiunque fosse in grado di percepire un Cosmo. Quello non era certo il Cosmo di chiunque, era quello di una Dea che dava fondo a tutte le forze che gli erano rimaste per poter salvare due dei più valorosi Cavalieri che avevano rischiato tutto per salvarla.  
 
In quegli istanti nella residenza estiva di Ares, Aphrodite si era appena risvegliata.
«Come ancora non li avete trovati? Non è accettabile… che razza di scansafatiche» – Le urla dell’amato riecheggiavano in tutto il palazzo, insieme a diverse esplosioni che facevano tremare le mura. Così, incuriosita, si rivestì della sua sacra Kamui e raggiunse Ares nella sala del trono. La sala era piuttosto malconcia devastata dai colpi del Dio, furioso contro due Berserkers che evidentemente non portavano buone notizie.
«Che succede?» – l’interruppe la Dea
«Ah Aphrodite sei tu…» – fece il Dio
«Divina Aphrodite, non siamo riusciti ancora a trovare gli alberi gemelli!»
«E allora vi consiglio di continuare a cercarli!» – rispose diretta la Dea
«Andate… che aspettate!» – gli urlò
Così i Berserkers uscirono di corsa dalla sala del trono, lasciando soli i due amanti.
«Distruggere i tuoi palazzi ti rasserena? Perché sai almeno questo vorrei che rimanesse intatto!»
«Taci! Distruggere gli alberi gemelli è fondamentale per il piano! Solo così posso essere sicuro che primo o poi di alchimisti fedeli ad Athena non ce ne saranno più»
«So che il sacrificio di quei due Muriani sugellato dal potere di Athena, protegge le terre di MU, ma le abbiamo invase… ormai sono nostre!»
«Mia amata… non sono solo le terre di MU ad essere protette, ma sopratutto la sua stirpe! E voglio assicurarmi che prima o poi non ne rimangano più!»  
 
Al Tempio i lavori di ricostruzione procedevano bene, mentre Neven, Chirone, Equos riposavano nelle tende della Dea, mentre Asclepio dava le ultime cure a Gyon colpito dalle leggendarie Folgori di Zeus.
Dopo qualche ora di riposo, Athena ed Efesto si riunirono ai campi erbosi nelle vicinanze del Tempio.
«Dimmi Athena, ho percepito il potere di Asclepio ed è strabiliante per un essere umano, seppure figlio di Apollo»
«Qual è domanda, Efesto?»
«Beh la domanda è… pensi che sarà in grado di controllare il potere che sta acquisendo o si lascerà sopraffare come altri prima di lui?»
«Potrei farti la stessa domanda riguardo i tuoi protetti, non ti pare? Soprattutto se consideriamo i precedenti… Comunque sia, ho fiducia in ognuno dei miei Cavalieri e non posso essere che orgogliosa che qualcuno di loro raggiunga una tale comprensione del Cosmo… e certamente Asclepio è forse uno dei pochi che merita tanto… è forse il cavaliere con più compassione che abbia conosciuto»
«Capisco, ma se vuoi un consiglio dall’esterno… da chi c’è passato, stai attenta… non vedo solo compassione in quell’uomo, ma anche tanta ambizione…»
«Non preoccuparti, sono certa che riuscirà dove altri hanno fallito!»
«Capisco la tua fiducia, d’altro canto è la stessa che ripongo nei miei discepoli… ma venendo a cose più urgenti, mi preoccupano molto le mosse di Ares, e anche se è stato difficile sia per me che per i tuoi Cavalieri affrontare questa sfida, ho la sensazione che faccia tutto parte dei piani di mio fratello… ti sei fatta qualche idea di quale sia lo scopo di tutto questo?»
«Non saprei, il fatto che abbia trafugato l’anello di Lios, può voler dire solo che si sta preparando ad una guerra tanto aspra, quanto quella che si è combattuta tra Dei e i Titani. Spero solo che non si arrivi a tanto… Piuttosto quanto è riuscito a scoprire riguardo MU? Sa dove si trovano gli alberi gemelli?»
«No, fortunatamente sono riuscito a resistere ad Aphrodite almeno per questo, ma non passerà molto tempo prima che riesca a trovarli e distruggerli»
«Quindi sa da chi discende la stirpe di MU?»
«A questo punto penso proprio di si, ma non credo che gli importi più di tanto, perché se lo rivelasse, Zeus in persona scenderebbe sulla Terra annientando sia MU che lui, quindi penso che se Ares voglia davvero distruggere MU e la sua stirpe gli converrebbe farlo con le sue mani piuttosto che rivelare il segreto e rischiare che Zeus rovini i suoi piani, che in qualche modo comprendono ciò che sta succedendo a Troia in questo momento»
«Non penso che ci sia lui dietro a Troia… almeno non direttamente!» – replicò Athena – «Certo non mi fraintendere sarebbe una coincidenza alquanto improbabile che sia scoppiata la più grande guerra tra gli uomini di quest’era, alle porte della più grande guerra tra Divinità dopo due millenni di pace. Detto questo Ares non può averlo fatto direttamente, altrimenti avrebbe perso oltre che la sua amata, anche un potente alleato. D’altronde Aphrodite ama tantissimo Troia e non penso che voglia vederla distrutta, tanto che è intervenuta più volte a favore dei Troiani. Se Ares avesse agito direttamente per causare la guerra Aphrodite se ne sarebbe accorta e non l’avrebbe di certo aiutato in quello che sta progettando. È evidente che Ares ha qualcuno che lo aiuti agendo nelle tenebre e l’unico che mi viene in mente è…»
«Hades!» – la anticipò il Dio – «Anch’io ho fatto lo stesso ragionamento! Ci dobbiamo infatti aspettare che Hades presto o tardi parteciperà a questa guerra! Ma non penso sia ancora pronto ad affrontarla, ciò nondimeno ti serve maggiore protezione perché se Hades dovesse iniziare le ostilità per il possesso delle emerse, non finirà di certo in questo secolo»
«Che intendi con maggiore protezione?»
«Abitando nel Tempio anche se circondata di guardie e Cavalieri sei troppo esposta!»
«Quindi che proponi?» – chiese incuriosita la Dea
«La costruzione di un Santuario, protetto dal tuo sangue e dal tuo Cosmo»
«Come il palazzo di Ares?»
«Si ma più potente, perché aggiungerò il mio potere al tuo! Inoltre avevo pensato di costruire tredici case, custodite dai tuoi più valorosi Cavalieri, in un percorso che conduce alle tue stanze, dove abiterai. Il tuo Cosmo permeerà ogni centimetro del Santuario, impedendo ai nemici di raggiungerti con il teletrasporto, mentre i tuoi Cavalieri impediranno a qualsiasi stolto tenterà l’impresa delle 13 case. È chiaro che qualora un Dio volesse raggiungerti, potrebbe farlo volendo, ma a quel punto dovrebbe vedersela con la Dea guerriera che c’è in te!»  
 
La notte era ormai calata da ore, quando Gyon rinvenne, disturbato dalla voce di Neven.
«Dove sono?» – chiese il giovane
«Finalmente sei rinvenuto!» – esclamò Equos accanto al generale – «Siamo nelle tende della divina Athena che in questo momento è con il sommo Efesto!»
«E chi sarebbero questi tre?»
«Porta rispetto, Gyon! Siamo salvi solo grazie a loro!» – rispose duramente Neven – «Sono Odin, Thor e Baldur da Asgaror, miei cugini» – aggiunse poi il generale
«Tuoi cugini?»
«Si, hai capito bene Cavaliere! Io ed Odin siamo cugini e oro sono i suoi figlil»
«Capisco… i miei fratelli? Stanno bene, vero?»
«Si non preoccuparti» –  lo tranquillizzò Equos – «Stanno aiutando a ricostruire il Tempio!»
«Beh allora sarà meglio che vada» – disse mentre cercava di alzarsi – «Li avrò fatti preoccupare non poco…» – continuò poi, ma non riuscendo a stare in piedi, si risedette
«Bene… non riesco a stare neanche in piedi!» – commentò sarcastico, suscitando un sorriso da tutti
«Tranquillo ragazzo!» – fece Thor scherzoso, dandogli una pacca sulla spalla – «Ti rimetterai in men che non si dica!»
«E quella sarebbe una pacca? Sei certo di non volermi distruggere una spalla, o tutta la schiena»
«Dai non fare così» – rispose Thor, dandogli un’altra delle sue pacche “leggere”
Tutti rimasero divertiti dalla scenetta quando la voce profonda di Efesto li interruppe.
«Sarà meglio che impari a resistere almeno a quelle pacche, Cavaliere, ci aspetta molto di peggio!» – esclamò Efesto seguito da Athena – «Athena avrà bisogno che ognuno dei suoi cavalieri sia al massimo per proteggerla in questi tempi bui!»
«Eiren!» – esclamò il Gyon, felice di vedere la giovane sana e salva
«Su forza, Gyon, andiamo che Athena ha bisogno di riposare» – intervenne subito Equos anticipando qualsiasi risposta della Dea
«Fermi!» – rispose Athena – «Radunate tutti ai resti del Tempio!» – ordinò poi
Così Gyon aiutato da Equos insieme a Neven e ai tre Aesir uscirono dalle tende, lasciando Efesto ed Athena da soli.
«Che vuoi fare, Athena?»
«Voglio erigere adesso il Santuario, davanti a tutti, cosicché possa riaccendere la speranza sia nei Cavalieri, abbattuti dagli ultimi eventi, sia negli abitanti di Mu! Avere una nuova casa certamente risolleverà il morale di tutti!»
«Non è il caso che ti riposi, hai subito un notevole stress per limitare l’esplosione dell’anello di Lios… e curare i due Cavalieri non ti ha certo rinvigorito!» – argomentò il Dio del Fuoco
«Non preoccuparti, ce la posso fare!»
«Come desideri, io aggiungerò tutto il potere che ho in questo momento, poi quando mi sarò ristabilito completamente dalle Catene dell’Esilio, rafforzerò le protezioni»
«Quanto ti ci vorrà a riprenderti del tutto?»
«Non saprei con certezza… a Prometeo ci vollero diversi mesi, ma lui restò imprigionato per secoli, a me basterà qualche giorno, massimo una settimana»
«Perfetto allora così sia!»  
 
Poco meno di un’ora dopo, alle prime luci dell’alba, tutti i Cavalieri erano riuniti insieme a molti profughi di Mu, nell’attesa dell’annuncio dell’atteso annuncio della Dea, incuriositi dalle novità che di lì a poco sarebbero state rivelate.
«Cavalieri…» – iniziò Athena – «Quella stiamo ammirando all’orizzonte è una nuova alba… moltissime cose cambieranno nei tempi a venire, ma ciò che non dobbiamo mai perdere è la speranza… la speranza di un futuro migliore, in cui un giorno la pace verrà ristabilita e non ci saranno guerre né tra Dei, né tra uomini e in attesa di quel giorno la nostra nuova casa sta per sorgere insieme a questa nuova alba»
«Per l’umanità intera noi ci saremo, saremo l’eterno baluardo alla difesa della giustizia… e il nuovo Tempio… anzi il nuovo Santuario rappresenterà per sempre la luce della giustizia, della speranza»
«Miei Cavalieri diffondete e difendete questa luce… non soltanto dai vostri nemici, ma soprattutto dallo sconforto delle perdite subite… e di quelle che verranno ancor, perché se voi difensori di essa, perdete la speranza allora non ci sarà nessuno che la diffonderà!»
A quel punto Athena, insieme al Dio del Fuoco, espansero i loro Cosmi al limite dell’immaginabile lasciando tutti ancora una volta sbalorditi. Dalla terra intorno a loro cominciò a fluire un’immensa luce che accecò tutti i presenti per diversi istanti. Materializzandosi poco a poco, quell’incredibile energia formava le tredici case dello Zodiaco, in un percorso che saliva nel cielo, fino a giungere alla quattordicesima casa, ovvero le stanze di Athena e del futuro Kyoko.
«Queste tredici case unite dalla scalinata, saranno le case dei Cavalieri d’Oro poste a protezione della vostra Dea» – spiegò Efesto – «Per gli altri Cavalieri e per le guardie abbiamo creato delle abitazioni attorno al Santuario, dove potrete continuare a vivere se vorrete, dopo che questa guerra sarà finita!»
«Profughi di Mu, potete stare qui quanto lo desiderate, c’è abbastanza spazio per tutti voi» – aggiunse Athena
«Ora un Cavaliere si occuperà delle assegnazioni delle abitazioni… Equos se non ti dispiace, occupatene subito» – disse poi rivolgendosi al Cavaliere della Bilancia
«Agli ordini, Divina Athena»
«Efesto, tu e i tuoi discepoli potete alloggiare con me alla quattordicesima casa…»
«La ringrazio per la vostra generosità, divina Athena!» – esclamò Bor non appena udì l’invito della giovane Dea
Lo stesso fece subito Odin, e tutta la sua famiglia.
 
Qualche settimana più tardi nella fredda notte buia di Mu, un manipolo di Berserkers pattugliava le terre disabitate della regione di Asgaror alla ricerca dei leggendari alberi gemelli, che secondo le informazioni in possesso di Ares, proteggevano da tempo immemore le terre di Mu e la sua stirpe, da sempre fedele ad Athena ed Efesto. Ad un tratto si imbatterono in un personaggio incappucciato, avvolto da una mantella nera. In pochissimi secondi lo circondarono, impugnando le armi. Quindi uno dei Berserkers avanzò verso lo strano soggetto.
«Chi sei? Rivelati!» – urlò Malfinas del Falcone, capo del gruppo
«Il mio nome è Loki, Berserker, forse mi hai già sentito nominare dai tuoi superiori…» – disse lo sconosciuto togliendosi il cappuccio e mostrando la folta chioma nera come la pece, gli occhi profondi e tetri
«Si ho già sentito quel nome e avremmo l’ordine di lasciarti libero, qualora ti avessimo incontrato…»
«Come se foste in grado di catturarmi… divertente… comunque… se sai chi sono cosa aspetti ad ordinare ai tuoi cani di abbassare le armi… sai non mi piace la gente che mi minacci!»
«Non posso far abbassare le armi ai miei perché non mi hai mostrato alcuna prova che tu sia veramente chi dici di essere!»
Loki scomparve in un istante per riapparire subito dopo proprio a pochi centimetri dal Berserker – «Se sicuro di quello che fai?» – disse quindi avvicinandosi in maniera alquanto ambigua al guerriero fedele di Ares, provocandogli un certo disgusto.
«Stai lontano» – urlò il Berserker, cercando di colpirlo al volto, ma il colpo sembrò passargli attraverso come se fosse evanescente. Ciò incusse parecchio timore nei Berserkers, al punto che tutti indietreggiarono, tranne Malfinas.
«Pensi che mi lasci ingannare e spaventare da trucchetti di prestigio così scarsi…?» – esclamò fiero
«Trucchetti di prestigio?» – rispose un po’ contrariato Loki – «Vediamo che mi dici di questo…» – a quel punto fece un cenno con la mano e le Hauberks si separarono da tutti i Berserkers accumulandosi alla sua destra
«Di questo che mi dici di questo, Berserker? Ti piace come trucchetto?»
 
“Come ha fatto?” –  si chiese Malfinas – “Solo Ares sa fare cose del genere! Come può costui controllare le Hauberks in questo modo?”
“Ora ricordo… Tra i Berserkers di alto rango si vociferava che Ares fu aiutato da un certo Loki nella costruzione della Hauberks… fu allora che sentii per la prima volta quel nome, ecco perché quando il sommo Kyodamos mi diede quella lista di intoccabili di MU, quel nome già mi suonava familiare… è quindi probabile che sia veramente chi dice di essere”
“Sì… deve essere così, non c’è altra spiegazione”
“D’altronde riesce a controllare le Hauberks come potrebbe fare solo Ares, in persona… e solo chi le ha costruite potrebbe farlo” –  fu allora che un attimo di paura pervase il guerriero
“Se è allora veramente Loki, mi sono messo in guai seri, devo subito scusarmi!”
 
A quel punto Malfinas, s’inginocchiò mostrando a Loki il rispetto che meritava fin dall’inizio.
«Scusate la mia irriverenza sommo Loki, non avendovi mai incontrato prima, cercavo di essere il più cauto possibile, considerate le ingegnose resistenze che ci oppongono agli abitanti di queste terre. Vi prego di accettare le mie più sentite scuse!» – tutti i Berserkers seguirono l’esempio di Malfinas, inginocchiandosi a loro volta
«Ora ci siamo Berserkers… le vostre scuse sono accettate!»
«Seguitemi, in poche ore vi condurrò a ciò che state vanamente cercando, così potrete dire al vostro Dio, che ho mantenuto l’ultima parte del nostro accordo, e che è arrivata l’ora che lui mantenga la sua!»

Note
Ragazzi per chi avesse seguito la mia storia: lo so, è da un poì che non pubblico e mi dispiace, ma purtroppo ho avuto molto da fare ed è passata quindi in secondo piano. Come al solito invito chiunque volesse a recensire, più che altro essendo la mia prima long vorrei quanti più pareri, consigli e critiche possibile. Detto questo spero vi sia piaciuto :). Per qualunque domanda o chiarimento non esitate a contattarmi


 

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Capitolo 25
*** XXIII – Il Gigante degli Inferi ***


XXIII – Il Gigante degli Inferi

 
Seguito del capitolo XIII
 
L’incantevole visione dell’amata scosse l’eroico Achille, più di quanto in quella situazione egli avrebbe voluto. È pur vero che troppo poco tempo era passato dalla di ella dipartita, ma il pelìde avrebbe voluto poter affrontare il suo nemico, con meno conflitto nell’animo, e a chi lo conosceva da una vita intera era abbastanza chiaro. Almeno lo era per il suo maestro Fenice, nonché, come aveva appena appreso, suo nonno Eaco, che adesso gli si ergeva contro, indossando una scintillante armatura nera, avvolta da un gigantesco Cosmo oscuro, tanto oscuro come il Dio della Morte che evidentemente l’aveva creata.
Achille era per una volta senza parole, ammaliato dalla luce di Briseide, contrapposta all’oscurità emanata da Eaco proprio accanto a lei.
“Non accetterà mai, lo so, anche se tentato, ma ci devo pur sempre provare” – pensava Eaco mentre nel frattempo Achille si torturava nell’animo.
“Per riottenere la tua luce, o mia amata, dovrei cedere a tale oscurità? Dovrei prostrarmi ai piedi di questo scagnozzo di Hades, per adempiere ai suoi voleri! Anche se volessi farlo so che mai me lo perdoneresti… e d’altronde neanch’io perdonerei me stesso” – pensò
«Ti vedo silenzioso, mio caro nipote… Non è da te! Posso quindi presumere che tu stia considerando la mia offerta?»
Con un cenno di disprezzo Achille si voltò verso il nemico – «Osi propormi di allearmi, facendo leva sulla mia sofferenza… sul mio amore per Briseide… e pensi davvero che io stia considerando la tua offerta? Forse allora non mi conosci bene quanto credi! Sebbene sappia che Hades ha il potere di ridarmi la mia amata, so anche che qualunque siano i suoi scopi, di certo porteranno allo sfacelo questo già tanto imperfetto e caotico mondo… perciò no… non ho minimamente preso in considerazione»
«Se è così…» – a quel punto la splendente immagine della bella di gote scomparve nel nulla
«Peccato!» – continuò Eaco – «Mi sarebbe piaciuto averti tra le mie fila…»
«Devo chiedertelo, Fenice… anzi Eaco… ti ho sempre ammirato come un uomo retto, maestro severo e al tempo stesso affettuoso, rispettoso sempre della vita e dei diritti degli altri… come puoi stare dalla parte di Hades, che forse più di tutti tra gli dei è il più lontano da ogni tuo ideale di vita?»
«Vivi in un mondo che non conosci, nipote mio… ognuno di vive il mondo limitato delle sue esperienze e percezioni della realtà, ma esso è solo un’illusione, una mezza verità… anzi per meglio dire un’infinitesima parte di verità… e come se non bastasse non è detto che quella verità sia realmente tutta vera… perciò in fin dei conti, si può dire che la visione del mondo che possiedi, che io stesso possedevo quand’ero giovane, è solo un’illusione costruita dalla nostra mente, dalla nostre convinzioni e sentimenti»
«E così Hades ti avrebbe mostrato la vera e completa verità?»
«Non proprio… sai una volta ero considerato il più giusto tra gli uomini, a tal punto che anche gli Dei dell’Olimpo lo riconobbero, e così di comune accordo mi fu concessa l’eterna giovinezza oltre che il compito di Giudice degli Inferi. Non fui il solo, anche altri due figli di Zeus furono scelti per simili mansioni, Radamante e Minosse. Almeno all’inizio eravamo fieri e orgogliosi di essere stati scelti, ed effettivamente pensavamo di essere in grado di giudicare qualsiasi crimine, ma ovviamente non era cosi. Con il tempo, guardando e giudicando i peggiori peccati compiuti dall’umanità, tutti e tre maturammo la convinzione che la giustizia che impartivamo non servisse a nulla, o meglio non a molto. Certo l’obiettivo sarebbe punire e redimere i peccatori, ma per la mia esperienze è molto difficile. Il mondo è rimasto crudele, insensato e tempestato dalla scelleratezza umana senza migliorare di nulla. Le società sono dominate dalla logica del potere, asservendo la giustizia fantoccia che promuovono agli scopi dei potenti. Ma allora il nostro ruolo di Giudici degli Inferi a che serviva? Punire i peccatori nell’aldilà? È una giustizia fine a sé stessa… Non potevamo fermarci ad una giustizia che non tenta di migliorare il mondo… non lo riuscivamo più ad accettare… sentivamo l’obbligo morale di fare più… il mondo va guidato nel suo percorso finché non potrà procedere da solo, ma Athena è troppo indulgente e lascia gli affari e la giustizia degli uomini, agli uomini, quando è palese che non ne sono in grado… serve un Dio che abbia la forza di guidare il mondo verso una vera pace, una vera giustizia… non quella fittizia degli uomini e non quella, nella maggior parte dei casi, fine a sé stessa, degli Inferi. Hades incarna per noi tutto questo, la visione di un modo libero da quella, a dir poco molesta, specie, che è l’umanità. Solo sotto il suo controllo si potrà avere la vera pace, la vera giustizia! Athena, così come Zeus prima di lei hanno fallito in questo! Il mondo non è mai stato pronto ad essere libero di autogestirsi… eppure gli Dei ormai intervengono sempre meno nelle umane faccende e Athena stessa, per giunta, è intervenuta quando Poseidon, mosso da simili ideali, volle provare a redimere i vivi ricostruendo da zero un nuovo mondo»
«Mi sembrano tante belle parole, messe insieme con il solo tentativo di ingannare, o meglio mascherare gli egoistici giochi di potere tra Divinità, che Hades vuole mettere in moto. Sta di fatto che il mio ideale di giustizia, come quello di Athena e di ognuno dei suoi cavalieri, sia ben diverso dalla visione distorta del tuo Dio e sai… anche se non indossiamo più l’armatura, rimarremo sempre Cavalieri e ogni uomo e donna che abbia combattuto, credendo nella giustizia, che abbia combattuto insieme alla Dea Athena per sconfiggere Poseidon, darà volentieri la vita per fermare Hades… e così farò io!»
«Lightning Plasma!» – la fitta rete di raggi luminosi generati dalla mano di Achille sembrò intrappolare Eaco, ma in realtà il colpo non sortì alcun effetto disfacendosi con la stessa velocità con cui era stato lanciato.
«Tutto qui?» – rispose spavaldo Eaco – «Capisco che sei senza armatura e io ho la mia Surplice, ma pensavo che saresti stato un avversario più temibile… o forse la debolezza dei pugni è dovuta al vacillare delle tue convinzioni? Forse anche tu adesso ti rendi conto, seppure a poco poco e probabilmente neanche coscientemente, che combattermi non ha senso…»
Mentre parlava, Eaco, aveva già iniziato ad espandere il suo Cosmo, impressionando a tal punto il giovane pelìde che egli stesso iniziò ad indietreggiare.
“Che energia portentosa! Non si sta nemmeno impegnando, eppure ha un Cosmo nettamente superiore al mio… non pensavo che un essere umano, potesse sprigionare un simile Cosmo! Solo un Dio può essergli superiore e forse…”
In quel momento, solo per la seconda volta nella sua vita, Achille cominciò a provare la sensazione di trovarsi difronte ad un vero e proprio Gigante.
«Forse adesso capisci che non hai alcuna speranza contro di me!»
«Hisô Byaku Renge» (氷槍白蓮華 = Fredde lance del loto bianco)
 
Nel frattempo al Tempio…
 
L’enorme Cosmo di Eaco, non passò inosservato neanche al neo Santuario di Athena, dove la Dea si era distesa da appena pochi minuti per riposare, dopo gli immani sforzi degli ultimi due giorni. Svegliatasi di sobbalzo, la giovane Eiren subito percepì il pericolo per il suo Cavaliere, o per meglio dire ex Cavaliere. Così si recò immediatamente alla quinta Casa, sperando che l’armatura, dotata di propria volontà, fosse andata in soccorso del suo ultimo possessore. Tuttavia, una volta ivi giunta, vide che la speranza fu vana. L’armatura era ancora lì, incutendo timore nella giovane per le sorti del pelìde Achille.
«Divina Athena che fate qui nella quinta Casa?» – chiese incuriosito Keren, che percependo la Dea, la raggiunse immediatamente.
Così fece anche Amida, che intento nelle sue meditazioni, aveva anch’egli percepito il possente Cosmo del Gigante degli Inferi.
«È preoccupata per le sorti di Achille, Divina Athena?» – chiese il biondo Cavaliere
La giovane rimase per diversi istanti in silenzio, quando un altro Cavaliere raggiunse la Casa, incustodita, del Leone.
«Che succede qui?» – chiese Neven appena arrivato
«La divina Athena è scesa per controllare se l’armatura del Leone fosse andata in protezione di Achille» – spiegò Amida
«Achille… come se avesse bisogno di protezione» – commentò Keren
«Non saprei…» – replicò Amida – «Ho percepito un Cosmo eccezionalmente potente provenire dai dintorni di Troia, e poco prima avevo percepito quello di Achille… se si sta scontrando con quest’entità senza la sua armatura dubito che abbia possibilità di vincere!»
«Suvvia è di Achille che stiamo parlando, uno tra i più forti Cavalieri d’oro, se non il più forte in assoluto, solo un Dio potrebbe essergli superiore e ha già dimostrato contro Poseidon di sapersela cavare egregiamente!»
«Ti sbagli, Keren» – intervenne suo padre – «Achille affrontò Poseidon, insieme ad Amida, Polluce e Ulisse… senza il tempo di accumulare energia per il Photon Burst, e senza il Sekishiki di sigillo di Ulisse unito al vaso contenente il potere di Athena, Achille per quanto forte non sarebbe mai riuscito a sconfiggere Poseidon»
«Ciò non toglie che Achille è forse l’uomo più forte sulla terra, chi a Troia potrebbe mai sconfiggerlo?»
«Non sono i Troiani il problema, Keren» – rispose Amida
«Il Cosmo che ho percepito va oltre quello di qualsiasi uomo, sebbene non raggiunga il Divino ci è molto più vicino di quanto possa esserlo Achille»
“È vero! Amida ha perfettamente ragione, il Cosmo di prima è ben superiore a quello di Achille e senza la sua Armatura dubito che gli possa tener testa, ma Athena mi sembra troppo turbata!” – pensò Neven
«Basta, tornate alle vostre Case!» – ordinò ai due Cavalieri, poiché vedendo la giovane molto scossa, dubitava della spiegazione di Amida, e riteneva che la motivazione fosse almeno in parte un’altra.
Aspettò, quindi, insieme ad Eiren, che i due Cavalieri fossero lontani per chiedere spiegazioni. Qualcosa non gli tornava.
“È pur vero che è stata sempre molto legata al giovane Pelìde” – rifletteva – “ma la sua preoccupazione mi sembra eccessiva… quando scese Apollo a Troia, la prima volta, Athena mandò le Armature del Leone e dei Pesci a difendere Achille e Patroclo, pur sapendo che a poco sarebbe servito contro il Dio del Sole, tuttavia Apollo risparmiò i due Cavalieri per rispetto verso Athena. In quel caso le mandò probabilmente solo per far sapere ad Apollo che quelli erano suoi protetti, sperando nella reazione che poi il Dio ebbe. Ma adesso il nemico per quanto forte non è un Dio, o almeno il suo Cosmo, seppure immenso, non sembra divino, quindi mandare l’Armatura del Leone potrebbe realmente aiutare Achille nello scontro e in ogni caso Athena avrebbe potuto farlo dalle sue stanze o in ogni momento passato qui, invece non l’ha ancora fatto, perché? Inoltre l’Armatura del Leone, anche se non come prima, è ancora legata ad Achille, lo riesco a percepire… sta tentando di raggiungere il Pelìde, ma qualcosa la blocca! L’unica che può farlo è Athena, ma perché dovrebbe?”
“No! Non è Athena, è Efesto! Adesso riesco a distinguere il Cosmo che tiene l’Armatura al Santuario… perché Efesto dovrebbe?”
 
 
Congelando le particelle di acqua presenti nello spazio intorno a lui, Eaco creò con il potere del suo Gigante Cosmo, un’infinità di lance di ghiaccio dirette tutte insieme verso il suo adorato nipote. Sapeva fin dall’inizio che Achille non avrebbe mai accettato di passare dalla parte di Hades, ma doveva fare tutto il possibile per evitare di dover fare quello che Hades gli aveva ordinato fin dall’inizio.
“Mi dispiace, nipote mio! Non avrei voluto arrivare a tanto e spero con tutto il mio cuore e l’affetto che provo per te, che le colpe commesse in vita non ti portino davanti al mio giudizio e che tu possa vivere felice nei Campi Elisi”
«Hisô Byaku Renge» – Non lasciando trasparire all’esterno un accenno di emozioni, Eaco scagliò le sue fredde lance di ghiaccio contro il Pelìde, augurandogli nei suoi pensieri una vita felice nell’aldilà.
Il colpo fu micidiale, devastando l’intero costruzione che lì i Troiani gli avevano dedicato per ringraziarlo di aver costruito (insieme a Poseidone e Apollo) le mura di Troia.
Diradatasi, la nube di detriti e polvere che si era innalzata, Achille era ancora in piedi seppure visibilmente provato, mentre si teneva la spalla nuda e ferita, infilzata dalle lance del nemico.
«Ora… è il mio turno» – Achille con il fiatone deciso ad attaccare, cadde però sulle ginocchia, la vista gli si annebbiava, mentre Eaco lo guardava fermo senza infierire.
Il Pelìde dopo alcuni secondi di silenzio, certo che Eaco non stesse per attaccarlo, si alzò in piedi e si estrasse le sole due lance che l’avevano colpito alla spalla.
«Perché non mi hai finito?» – chiese sorridendo, quasi spavaldamente – «Non è ciò che ti ordinato il tuo Dio? Non ti ha ordinato forse di uccidermi, se non mi fossi unito a voi?»
Seguirono diversi altri istanti di silenzio prima che Eaco rispondesse. I due si fissarono, Achille visibilmente privo di forze ed Eaco, fresco come le rose di Patroclo.
«Hai già perso, nipote mio, le forze ti abbandonano, e non tanto per le mie lance, poiché abilmente le hai schivate, lasciandoti colpire solo da un paio di esse. No…! Sei senza forze proprio perché le hai schivate… hai imparato ad utilizzare delle microscariche elettriche per potenziare riflessi e i muscoli, ma non ti sei ripreso completamente dallo scontro con Apollo e utilizzarle per evitare il mio attacco ti ha prosciugato! Non sei più in grado di combattere, quindi…»
«… Galactical Illusion»
Il pelìde a quel punto svenne colpito dalle ripetute illusioni del suo maestro.
 
«Hai già capito perché sono scesa alla quinta Casa, vero Neven?» – gli chiese Eiren, non appena i due Cavalieri si allontanarono.
«Non proprio divina Athena» – rispose – «Ho capito che il sommo Efesto sta bloccando l’Armatura qui al Santuario, e la cosa all’inizio mi ha stupito, anche se riflettendoci lui mi ha insegnato a lavorare l’oricalco quindi non c’è da stupirsi che possa riuscirci! In ogni caso devo dedurre che siate d’accordo con la sua decisione perché altrimenti avresti potuto mandarla tranquillamente in aiuto di Achille. Il vostro potere sulle Armature è molto più intenso di quello che può avere il sommo Efesto»
«Infatti è così!» – rispose la giovane – «Tuttavia Achille non può affrontare il suo nemico indossando l’Armatura del Leone»
«Allora il nemico che sta affrontando adesso Achille è davvero un seguace di Hades!»
«Vedo che hai capito… io stessa ero titubante nel fermare l’Armatura, comunque Efesto mi ha preceduta e anche senza chiedergli spiegazioni ho compreso il motivo per cui l’ha fatto»
«Certo… mandare l’Armatura in aiuto di Achille, significa dichiarare aperte le ostilità! Non sappiamo effettivamente se Hades sia pronto per una guerra, ma per noi affrontare sia Ares che Hades in questo delicato momento ci impedirebbe sicuramente la liberazione di Mu dalle armate di Berserkers, superiori numericamente, lasciando in balia della loro malvagità le popolazioni che sono lì rimaste… però Divina Athena, se posso, sebbene non sia più un Cavaliere, non possiamo lasciare che Achille…»
«Tranquillo, Achille, non rischia la vita… sono scesa alla quinta Casa per accertamene… mi sono collegata ad Achille tramite l’Armatura… l’avrei fatto dalle mie stanze ma non mi sono ancora ripresa appieno dallo sforzo di contenere l’esplosione causata dall’anello di Lios e mi serviva il legame tra l’Armatura ed Achille…»
«Che cosa avete percepito?»
«Forse non hai riconosciuto il Cosmo che sta affrontando, perché d’altronde è stato davvero abile nell’inganno, ma non appena è divenuto percepibile qui al Tempio, subito ho riconosciuto la presenza distinta di Fenice»
«Fenice? Il precettore di Achille?»
«Si, beh in realtà si tratta di Eaco, uno dei tre Giudici degli Inferi e non a caso, nonno di Achille»
«Avrebbe finto di essere un altro per stare insieme a suo nipote? A che scopo?»
«Forse perché così era l’unico modo per non far scoprire di essere ancora vivo e stare al tempo stesso vicino a suo nipote o forse mira a reclutare Achille tra le fila di Hades fin da quando era piccolo o chissà magari entrambi… quello che importa è che per quanto Eaco sia facendo finta che non gli importi, Achille è la persona più importante per lui, il legame tra di loro è molto forte e nessuno dei due ha intenzione di uccidere l’altro»
 
Lo scontro tra Eaco e Achille, non passò di certo inosservato anche tra le fila di Hades, a scontro ormai finito accorse Radamante, che tuttavia non avrebbe mai pensato di vedere una scena simile.
Achille e Patroclo, distesi a terra, mentre Eaco seduto in mezzo a loro, con il petto sporco di sangue, affaticato per l’enorme ferita sulla parte sinistra del costato, in vicinanza del cuore, non più protetta dalla Surplice, in quella zona perforata.
“Chi può aver fatto tanto?” – pensò Radamante – “Addirittura perforare la Surplice di Eaco, la più resistente degli Inferi, insieme alla mia e quella di Minosse, dopo quella del sommo Hades!”
“Può tanto la mano del Pelìde?” – si chiedeva Radamante
“Ora capisco perché Eaco consigliava di reclutare quel ragazzo… pur in svantaggio perché privo della sua Dorata Armatura è riuscito a fare tanto?”
«Radamante, vedo che sei venuto in mio soccorso o, forse, solo per verificare che io facessi quel che andava fatto…»
«Infatti! È vedo che comunque che i due Cavalieri sono ancora vivi, nonostante siano svenuti! Se volevi solo catturarli, perché non hai usato la Galactical Illusion, per stordirli?»
«Radamante, presumi troppo! Non mi ero preparato a questo scontro, contavo di rimandarlo, ma bensì sono stato scoperto per una serie sfortunate di coincidenze, tra cui i due idioti figli di Ares che non si sono accorti di essere seguiti! Inoltre Achille grazie alle sue doti del fulmine può uscire da qualsiasi illusione manipolando le sue stesse percezioni, sempre se si accorge di essere in un’illusione! Inoltre anche il suo amico se avesse avuto la sua dorata armatura sarebbe stato immune dalle mie illusioni, o comunque avrebbe potuto subirle, ma non sarei riuscito a farlo svenire. I loro Cosmi sebbene siano inferiori ai nostri sono comunque eccezionali e gli conferiscono capacità incredibili! Se non fossi riuscito a far cadere Achille in un’illusione talmente realistica da sembrare perfettamente vera, si sarebbe liberato prima di utilizzare tutte le sue energie e a quel punto la battaglia per me si sarebbe fatta più difficile»
«Che intendi?»
«Beh… il suo micidiale colpo, mi aveva già ferito la prima volta seppure lievemente, incrinandomi una costa, il secondo esattamente nello stesso punto ha perforato la Surplice e mi ha aperto il torace!»
«Fortunatamente avevo appena lanciato un’illusione su di lui, ma sapevo dagli scontri con Tenete e Cicno che le sue capacità gli avrebbero permesso di sfuggirgli qualora se ne fosse accorto. Quindi ho lanciato le mie lance di ghiaccio affinché usasse quelle capacità per aumentare i suoi riflessi e la sua velocità sperando che esaurisse le forze… sapevo che non era al massimo della forma a causa degli ultimi combattimenti, tuttavia usare una sola volta le microscariche non è bastato… però le lance hanno avuto anche lo scopo di distrarlo dall’illusione… gli avevo fatto credere di essere rimasto indenne suo Lightning Plasma e al contempo che si fosse stancato di più quanto non avesse fatto!»
«Era ancora in grado di evitare qualunque illusione gli avessi lanciato, tuttavia non sapeva di esserci già caduto e convinto che fossi nel pieno delle forze si è praticamente arreso alla Galactical Illusion»
«Sei sempre incredibile… hai elaborato una strategia vincente e sei riuscito a metterla in atto, senza farti scoprire, perché sapevi che uno scontro fisico non l’avresti retto! Ma sei dovuto ricorrere a questo sotterfugio perché ti sei lasciato sorprendere ed è disdicevole per uno di noi tre farsi sorprendere in quel modo! Però capisco che il tuo avversario non era da poco… perforare le nostre surplici non è impresa da uomini comuni ed inoltre il tuo evidente coinvolgimento emotivo continua a spingerti a lasciarlo vivere e forse è anche responsabile del fatto che ti sia fatto cogliere di sorpresa!»
«Sei fortunato che il sommo Hades non è sulla Terra e non ha potuto percepire il vostro scontro, altrimenti saresti probabilmente nei guai… Li porterò io nelle prigioni degli Inferi e dirò al sommo Hades che sono stato io a catturarli… consideralo una ricompensa per quel favore che mi facesti tempo fa…»
Radamante prese quindi i due giovani sulle spalle e poi scomparve nel nulla lasciando Eaco sanguinante a terra.
 
«Divina Athena, lo scontro sembra finito» – esclamò Neven
«Si, Radamante ha probabilmente portato Achille e Patroclo negli Inferi»
«Che facciamo, adesso?»
«Ho un piano!» – rispose la Dea
«Ma prima… Neven… è una cosa che volevo fare prima, ma volevo che tutti i profughi, Cavalieri e guardie si sistemassero nelle abitazioni, così poi ti avrei potuto organizzare una cerimonia di nomina ufficiale»
«Cerimonia di nomina?»
«Ma vista la situazione a Mu e al fatto che Hades che si stia muovendo… a dopo le cerimonie ufficiali, da adesso, ti nomino Gran Sacerdote (Kyoko) del Santuario e risiederai alla quattordicesima Casa. Da oggi in poi sarai non soltanto capo dei Cavalieri, ma anche mio Vicario!»
Il Cavaliere a qual puntò s’inginocchiò davanti alla Dea, onorato per la nomina.
«Sarò all’altezza del compito, Divina Athena… può contare su di me!»
 
Note
Cronologicamente è il seguito del capitolo XIII: Il Maestro dell’inganno. Tutta la battaglia Ares è precedente agli eventi narrati in quel capitolo di due giorni circa. La fondazione del Santuario risulta perciò precede di circa mezz'ora  l’incontro tra Eaco e Achille.

 

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Capitolo 26
*** XXIV – Il Portale Oscuro ***


XXIV – Il Portale Oscuro

La fredda notte buia di Mu veniva riscaldata dalle prime luci dell’alba, quando la truppa di Berserkers, guidata da Loki, giunse di fronte al fianco di un immenso monte. L’Astuto alla testa del gruppo correva velocissimo, tanto che a stento i Berserkers riuscivano a tenere il passo. Erano già passate troppo ore senza risultati e Malfinas stava iniziando ad agitarsi. Aveva ricevuto l’ordine di trovare al più presto gli Alberi Gemelli e considerati gli ultimi eventi successi a Mu in quei giorni, la situazione risultava molto critica, così molto impaziente, si avvicinò all’Astuto, raggiungendolo alla testa del gruppo.
«Nobile Loki» – stavolta gli portò moltissimo rispetto – «Abbiamo scadenze strette e sono ore che già vi seguiamo… è quasi l’alba ed entro mezzodì di domani dovremmo fare rapporto… andare dal Sommo Ares con un nulla di fatto, in questo momento così delicato, mi metterebbe in una brutta situazione! Se posso chiedere… quanto distano gli Alberi Gemelli?»
«Malfinas, non pensare ad Ares, hai cose ben più importanti per cui preoccuparti» – tagliò corto l’Astuto
«Che intendete?» – l’espressione di Malfinas era più che eloquente.
«Semplice… non pensare che una volta trovati gli Alberi Gemelli, distruggerli sia impresa di poco conto… ci sono molti ostacoli nel nostro cammino, creati da qualcuno più potente di voi, il cui compito è solamente uno… impedire che chiunque possa torcere anche solo una sola foglia a quegli Alberi»
«Chiunque sia, non riuscirà a sconfiggerci… e avendo voi dalla nostra parte sarà anche una semplice passeggiata»
«Non essere così fiducioso, Berserker! Non conosci i poteri del tuo nemico né tantomeno chi sia! Ti posso assicurare che sottovalutarlo ti costerebbe la vita nei primi due secondi di combattimento!»
«I suoi poteri sono eccezionali e alquanto fastidiosi, per non dire che potrebbero superare i miei, anche se in realtà, non saprei dirlo con certezza… ormai è molto tempo che non lo vedo! Così come sembra essere passata un’eternità dall’ultima volta che vidi il mio maestro e gli altri miei parenti…» – il volto di Loki sembrò quasi riempirsi di nostalgia al pronunciar tali parole, tanto che anche Malfinas se ne accorse
«Altri parenti… Volete dire che costui sarebbe un vostro parente?»
«Non ti riguarda in realtà…»
«Certo che mi riguarda!» – rispose categorico Malfinas, preoccupato della lealtà di Loki – «Se dobbiamo affrontare un vostro parente, devo essere certo che siate con noi e che non abbiate ripensamenti durante la battaglia o magari vedendolo morire! Forse sarebbe meglio informare il sommo Ares di costui!»
«Tranquillo, Malfinas, Ares è già stato informato di tutto ciò»
«Beh allora se è così forte come dite voi sarebbe il caso che ci ragguagliate sulle sue capacità e ideare insieme la strategia migliore per sconfiggerlo»
«Lo farò, ma prima dobbiamo raggiungere il posto adatto!»
«Il posto adatto? Sarebbe?»
«Eccolo!» – rispose Loki – «Laggiù, c’è l’ingresso!»
A centinaia di metri, sul fianco del monte alla loro destra c’era, infatti, l’entrata di una delle più antiche miniere di Gamanion, in disuso dai tempi dell’ultima guerra che sconvolse MU, diversi secoli addietro.
Già dopo pochi metri dall’entrata, il buio si faceva imperscrutabile e i Berserkers iniziarono ad agitarsi poiché neanche con i loro sensi più sviluppati riuscivano minimamente ad orientarsi.
«Il modo migliore di procedere arrivati a questo punto è in fila, con una mano poggiata sulla spalla di chi avete davanti» – spiegò Loki
“Che posto è questo? Perché ci ha condotti qui?” – si chiedeva Malfinas, così come i suoi sottoposti
«Nobile Loki, che posto è questo?» – chiese uno dei Berserker più vicini all’Astuto
«Questo è forse la più antica miniera di Gamanion conosciuta all’uomo, usata a lungo dai Liósálfar durante un periodo di Grandi Guerre, vinte secoli or sono dal mio maestro, Bor!»
«Bor?» – chiesero i Berserker in coro
«Lo stesso Bor reggente di MU e allievo di Efesto? Colui Che abbiamo imprigionato durante l’invasione?» – chiese Malfinas
«Si proprio lui!»
«Ma come è possibile che sia ancora vivo, se queste guerre si svolsero secoli or sono?»
«Noi Muriani siamo molto longevi, poiché i nostri centri abitati sorgono sopra delle profondissime sorgenti d’Ambrosia, inarrivabili per chiunque, anche per un Dio, pur tuttavia le profonde falde acquifere che le toccano, vengono purificate, di conseguenze le piante che si nutrono di tali divengono benefiche per qualunque essere vivente se ne nutra. La carne degli animali che bevono da tali fonti e si nutrono di tali piante diviene altrettanto benefica, così come quella degli animali carnivori che si nutrono di animali erbivori e così via… il ciclo arriva fino all’uomo… chiunque si nutra della nostra fauna per anni, beva per anni dalle nostre incontaminate fonti, acquisisce purità dall’ambrosia nelle profondità di queste terre. Tuttavia questo non basta per spiegare l’incredibile longevità e potere del mio maestro, poiché nessuno a MU è come lui, d’altronde la conoscenza e il potere acquisiti venendo addestrato da Efesto hanno in qualche modo risvegliato l’ambrosia assorbita vivendo in queste terre, concedendogli incredibili poteri, oltre che capacità di guarigione superiori a qualsiasi uomo e di conseguenza anche la sua resistenza alla vecchiaia»
«Lo stesso vale per i suoi figli e discepoli, me compreso» – aggiunse poi l’Astuto
«Capisco» – fece Malfinas – «Ora è chiaro perché il sommo Ares teneva tanto alla conquista di questo continente… e anche la sua reazione pochi giorni fa quando sono iniziate le insurrezioni! Tuttavia perché la luce sembra non esistere in questo luogo? Abbiamo fatto pochi metri eppure è già buio pesto e voi non avete neanche tentato di accendere nessun fuoco per illuminare la strada, piuttosto ci avete ordinato di procedere in fila»
«In questo posto la luce non può esistere, viene come risucchiata dalle viscere della terra! Si racconta che secoli or sono si svolse una leggendaria battaglia, che sconvolse il tessuto stesso dello spazio e del tempo! Da allora la luce non può diffondersi, si perde nei meandri della più profonda oscurità che l’uomo possa mai cogliere! Anche se cercaste di illuminare la strada con il fuoco, o anche con la luce del vostro Cosmo, continuereste a non vedere nulla, neanche il vostro naso, perciò non ci provate!»
«Ma perché ci ha condotti qui?» – chiese un Berserker più indietro
«Vi ho condotti qui perché diversi anni fa, addentrandomi nelle profondità di queste grotte spinto dalla curiosità di scoprirne i segreti, venni catapultato in un altro luogo, mi sembrava un altro mondo… solo con il tempo mi accorsi che era un luogo che avevo visto da bambino, luogo in cui avevo desiderato tornare per tanti anni, tuttavia con il passare del tempo l’avevo dimenticato! Erano le foreste del Nord, vostra patria natia, dove per la prima volta incontrai Ares! Solo di recente ho realizzato che questo luogo rappresenta un portale verso qualunque luogo si desideri, ma lo si deve conoscere! Per vostra fortuna io in quanto allievo di Bor, ho visitato spesso gli Alberi Gemelli, ma raggiungevo quel luogo venendo teletrasportato dal mio maestro o da Odin, suo figlio, poiché non possiedo la telecinesi e non avendo mai scoperto dove si trovano realmente, non vi ci posso condurre…»
«… tuttavia utilizzando il potere di questo luogo potremmo raggiungere il nostro scopo e la battaglia che seguirà con il Guardiano, farà da faro agli altri Berserkers e ad Ares stesso!»
 
             Sei giorni prima circa al Santuario…
 
Athena aveva appena nominato Neven suo Gran Sacerdote (Kyoko), che da adesso in avanti avrebbe parlato in sua vece. Tornati alla quattordicesima Casa trovarono Bor, Odin, Thor e Baldur ad aspettarli. La motivazione era chiara, d'altronde anche Neven provava i loro stessi sentimenti in quanto Muriano ed infatti riusciva benissimo a vedere la loro determinazione e la voglia di riscatto solo dallo sguardo nei loro volti.
Non appena i quattro videro avvicinarsi Athena e Neven si inginocchiarono di fronte alla Dea, in segno di rispetto, non che ce ne fosse realmente il bisogno, sia Athena che Bor conoscevano le loro origini.
«Nobile Bor e tutti voi miei cugini, alzatevi!» – fece Neven – «La divina Athena mi ha nominato suo vicario, per cui da adesso in poi farò io le sue veci!»
I quattro Aesir quindi si rialzarono facendo le dovute congratulazioni al cugino per l’importante incarico ottenuto.
«Complimenti, Neven» – si congratularono Bor, Odin e Baldur, molto pacatamente, ma non per questo meno contenti.
«Allora si deve festeggiare! Quando tutto sarà finito e MU sarà salva, festeggeremo così tanto che il Valhalla ci sembrerà un luogo come un altro!» – irruento come sempre, Thor mostrò tutto il suo entusiasmo per il cugino cui era molto affezionato. Infatti per lui e Baldur era stato sempre come un fratello maggiore, almeno fino a quando per servire Athena non lasciò la sua terra natia.
«Grazie! Ma non è ancora il momento di gioire! C’è moltissimo da fare!»
«Hai perfettamente ragione» – intervenne Bor
«Divina Athena, andate a riposare che da quando siamo tornati non ne avete avuto la possibilità, ci penserò io a mettere in atto il vostro piano per salvare Achille! Non temete andrà tutto bene»
«Conto su di te!» – rispose Eiren, un po’ più sorridente di prima, forse perché distratta dal quadretto familiare del suo Sacerdote, che tanto aveva sacrificato per lei in quegli anni
La giovane quindi entrò nelle sue stanze, mentre i cinque Muriani restarono lì a discutere sul da farsi.
«Hai detto salvare Achille?» – intervenne quindi Bor – «Quindi presumo che la battaglia che si è percepita prima era combattuta proprio dal leggendario Pelìde»
«Chi era il suo nemico?» – chiese Odin – «Il suo Cosmo era tanto oscuro e potente come pochi se ne sono visti tra i comuni mortali»
«La tua analisi è come al solito precisa… difatti non credo si possa definire mortale, il nemico affrontato da Achille! Figlio di Zeus e di un’umana, Eaco, nonno del Pelìde, fu reso immortale dagli Olimpici per adempiere al ruolo di Giudice degli Inferi»
«Immortale?» – fece Thor confuso – «Non può morire in nessuna maniera, o è come noi?»
«Probabilmente è come voi, quindi incredibilmente longevo, in più come sottoposto di Hades, probabilmente potrebbe avere l’abilità di tornare in vita qualora qualcuno riesca a sconfiggerlo!»
«Anche tu saresti come noi se avessi completato il tuo addestramento!» – intervenne Bor – «Non fraintendere le mie parole Neven, hai avuto un’ottima ragione per averlo interrotto, tuttavia finché non avrai raggiunto l’ultimo super senso della condizione umana non potrai esprimere appieno il tuo potenziale!»
«Piuttosto c’è la possibilità che Hades intervenga in questa guerra al fianco di Ares?» – domandò preoccupato
«Ne dubito, almeno per il momento. La Divina Athena e il Sommo Efesto hanno impedito che la sacra Armatura del Leone intervenisse proprio per scongiurare ogni possibilità che ciò si verificasse in questo momento delicato… i rapporti tra Athena ed Hades non sono mai stati ottimi, tuttavia non ci sono mai stati presupposti per uno scontro aperto… ma adesso le intenzioni del Dio degli Inferi sembrano più ostili anche se rimane nell’ombra, intervenendo cautamente solo in situazioni che ci costringono a non reagire… tuttavia la divina Athena ha un piano per gestire questa inconvenienza ed inoltre potete star certi che partiremo al più presto per MU con l’obiettivo di liberarla dalla piaga dei Berserkers»
«Ottimo!» – rispose Odin – «Dov’è Sherin, non ho avuto modo di salutarla? Tra l’altro è da tanto che Frigg e Freya volevano venirla a trovare…»
«Sherin purtroppo è morta da più di cinque anni!» – lo interruppe Neven visibilmente scosso nel riferire la notizia, nonostante fossero passati anni dalla di ella dipartita.
I quattro Aesir rimasero di stucco e lo sconforto perdurò per diversi istanti lasciando in silenzio i presenti.
«Ci dispiace moltissimo» – rispose quindi Bor – «Avresti dovuto riportare il corpo ad Asgaror dove avremmo potuto darle degna sepoltura… persino tuo padre, nonostante i vostri dissapori, nonostante sia anche troppo ligio al dovere, per l’occasione non sarebbe mancato» – aggiunse poi
«Pensavo che ve lo avesse detto… con i suoi sensi incredibili sicuramente l’ha percepito!»
«Probabilmente è così, ma penso che abbia voluto evitarci il dispiacere» – intervenne Odin
«Con il nuovo potere che hai acquisito non hai potuto salvarla?» – chiese quindi Bor
«Nuovo potere?»
«Si, il sommo Efesto ci ha detto che durante la guerra contro Poseidon hai acquisito un potere che potrebbe persino renderti completamente immortale un giorno… conoscendoti sono sicuro che avresti sacrificato qualsiasi cosa per salvarla» – intervenne Thor
«Certamente l’avrei fatto… ma non l’avevo ancora…»
«Di che potere si tratta?» – chiese poi Odin
«È il potere del Vello d’oro, creato dal manto del leggendario Ariete alato che si dice fosse nato dall’ambrosia più pura… ma purtroppo non lo possedevo ancora ed inoltre è difficilissimo da controllare. Ottenni quel potere durante l’ultima battaglia contro Poseidon, quando rimasi in fin di vita dopo lo scontro con Cicno. Giasone, allora possessore del Vello, decise di provare ad usare il suo potere, poggiandolo come aveva fatto con Medea, anni prima, salvandole la vita. Tuttavia non funzionava sempre e con chiunque, secondo le parole di Giasone il Vello sceglie di per sé… in ogni caso non appena lo posò sul mio corpo accadde qualcosa di inaspettato… una reazione di pura luce e Cosmo mi avvolse e lo assorbii non volontariamente… Da allora sono in grado, soprattutto in situazioni difficili, di utilizzare una minima parte del suo potere, ma non credo al mio livello attuale di poter salvare una persona in fin di vita»
«Capisco» – fece Bor – «Non c’è da stupirsi della reazione che il Vello ebbe su di te, né tantomeno se sei diventato proprio Cavaliere dell’Ariete, non è solo la tua costellazione protettrice ma è proprio la tua essenza… l’eredità di tuo padre, non peer niente è soprannominato l’Ariete Guardiano»
«Avete ragione, ma ditemi… di lui avete notizie?» – chiese un po’ preoccupato
«No purtroppo no! Ma conoscendolo non si sarà mosso dagli Alberi Gemelli, nonostante l’invasione… non gli ci sarà voluto molto per capire che ciò che protegge faccia parte degli obiettivi di Ares» – spiegò Bor
«Capisco, allora non c’è tempo da perdere! Riunirò oggi stesso un consiglio di guerra con tutti i Cavalieri d’Oro e i più forti d’Argento e vi prego di essere presenti! Vorrei che ci fosse anche il Sommo Efesto, ma ho capito che si è allontanato dal Santuario, sapete dov’è andato?»
«Mi ha detto solo che questioni urgenti richiedevano la sua presenza e possiamo dedurre che per essere più urgenti della situazione attuale ci può essere solo il richiamo di Zeus!»
 
Nel frattempo in una delle abitazioni appena erette, Ippolito cercava di riposare, tuttavia diverse erano i pensieri che tormentavano il suo animo. In primis la strana sensazione che qualcosa in lui era cambiato notevolmente dall’incontro con il padre Teseo. Poi tutta la vicenda legata all’anello gli sembrava strana quasi fosse stata pianificata. Ma chi può pianificare qualcosa del genere, d’altronde Ippolito capitò per un fortuito caso nella camera sospesa di Ares. Ma ciò che più di tutto lo inquietava era stato l’incontro con il padre.
“Com’è possibile che sia ancora? Chi può averlo salvato? Ero sicuro all’epoca che il suo cuore fosse fermo! Io e Polluce avevamo sconfitto sia lui che Piritoo… allora probabilmente quelle voci che sulla sua discesa negli Inferi erano probabilmente vere… però lo davano anche imprigionato nel Tartaro per mano di Hades quindi o si è riuscito a liberare o è passato dalla sua parte”
“Papà… perché sembra che nonostante passino gli anni il nostro destino sembra inesorabilmente lo scontro? Quando ti ho rivisto un fuoco di felicità si è acceso dentro di me, così come è sparito il senso di colpa per aver preso la tua vita… al contempo è nato un barlume di speranza…”
“… speranza di un futuro in cui potremmo vivere in tranquillità tra le bellissime terre glaciali che in questi anni ho esplorato in Siberia… sono sicuro che ti piacerebbero… in particolare quel villaggio della mia amata Kira, il blu che circonda quelle terra è proprio della tonalità che più amavi”
«Sempre a sperare, immagino, vero Ippolito?» – la voce di Polluce proveniva appena fuori dall’abitazione
«Entra pure!»
Così il Dorato entrò dalla porta, mentre Ippolito si alzava.
«Dovresti riposare invece di riporre vane speranze nel tuo ritrovato padre! Sai benissimo chi è e di cosa è capace, non puoi essere così buono da sperare ancora che lui cambi e possiate vivere in un fantomatico futuro in pace…»
«Come fai a sapere…»
«Ti conosco Ippolito!» – lo interruppe Polluce – «Sei una delle persone più buone del mondo e ti sei tormentato ogni giorno da quando abbiamo affrontato insieme Teseo e sapevo benissimo che se avessi saputo che era ancora vivo avresti reagito così, nonostante ti abbia fatto a pezzi… anzi ti sia lasciato fare a pezzi»
«Scommetto che non hai reagito!» – aggiunse poi
«Da quanto sapevi che era ancora vivo?»
«Che intendi?»
«Quando sono rinvenuto a casa di Asclepio e mi hai fatto tornare la memoria, hai detto che Giasone l’aveva visto mesi fa, considerando che entrambi siete qui da sei mesi, devo presumere che tu lo sappia da allora… Conoscendoti l’avrai pure cercato» – l’espressione del giovane era molto risoluta, quasi infuriata
«Immagino che avrei dovuto dirtelo prima… da un anno circa circolano delle voci, quelle che presumo abbia sentito anche tu, però appena rientrati come Cavalieri d’oro, sei mesi fa appunto, Giasone mi giurò di averlo visto venendo qui, per cui ho iniziato a raccogliere informazioni»
«L’hai trovato? Sai dov’è?» – di colpo il giovano biondo si avvicino al Dioscuro
«Davvero ragazzo… non ti piacerebbe saperlo!»
«Allora è alleato con Hades!»
«Perché dici che è alleato con Hades?»
«L’hai detto stesso più volte che l’unico ad essersi mosso in questi anni di pace è Ares, ma che anche Hades aveva qualcosa in mente! Per cui quei guerrieri non essendo Berserkers, perché totalmente diversi, è probabile che siano guerrieri di Hades e ciò coinciderebbe sulle voci riguardo questo viaggio negli Inferi!»
«No quelle voci, riguardavano l’intenzione da parte di Piritoo di rapire Persefone e riportare Fedra in vita»
«Fedra? Perché è morta?»
«Da quello che ho sentito è morta suicida e tu dovresti intuirne il motivo»
«Diceva di essersi innamorata di me, ma io l’ho respinta… non posso credere che si sia suicidata per questo» – Ippolito addossandosi la colpa di quel gesto, si portò le mani al volto scioccato, portandosi poi indietro i suoi luminosi biondi capelli.
«Non ti addossare le colpe del mondo ragazzo» – asserì Polluce – «Fedra aveva accettato il tuo rifiuto inizialmente, tuttavia quando Teseo, circa un anno e mezzo fa, fece ritorno, lei non resistette e raccontò che voi vi eravate innamorati… si dice che per il senso di colpa allora si uccise, ma molto probabilmente l’ossessione per te e il tuo rifiuto ritornarono ad alimentare la sua pazzia, così nella sua logica contorta diede un motivo a tuo padre per ucciderti!»
«Come se non ne avesse già uno…» – commentò Ippolito
«Se tuo padre avesse voluto vendicarsi per quello che tu consideri un tradimento e per il suicidio di Fedra l’avrebbe probabilmente fatto appena tornato. Da quel che sono riuscito a scoprire lui è riapparso insieme a Piritoo, circa un anno e mezzo fa, vicino a Sparta, poi da lì sono andati ad Atene e sono rimasti in città per qualche mese. Solo dopo ha raggiunto Fedra, quindi penso che abbia un piano ben preciso e se è alleato con Hades probabilmente lo fa solo per convenienza»
«Si hai sicuramente ragione…» – con espressione delusa, quasi rassegnata, il giovane dagli occhi Oceano, pronunciava quelle parole, confermando al Dioscuro, che nonostante suo padre lo avesse ucciso a sangue freddo, Ippolito ancora sperava.
«Invece parlami di quella cosa che simula essere un anello, che porti al dito» – gli chiese poi il Dorato per cambiare argomento
«Ah hai saputo, quindi!»
«Sì»
«Beh non so molto, ma da ciò che ho capito l’anello è una sorta di contenitore per un potere immenso… quando l’ho indossato, si è creata una sorta connessione liberando l’energia in eccesso affinché il legame fosse stabile»
«Capisco, c’è altro?»
«Sì, ma vorrei che quanto sto per dirti rimanesse tra noi per il momento, sarò io dirlo al Nobile Neven quando sarò pronto… almeno questo me lo devi»
«Certamente!»
«Credo che l’anello mi abbia quasi scelto… non so come spiegarlo ma ho la sensazione che se un altro, chiunque fosse, indossandolo sarebbe morto con l’esplosione! È per questo che mi risulta difficile credere che finire in quella stanza sia stato un caso!»
«In tal caso sarebbe opportuno consegnare l’anello alla Divina Athena, anche se non sappiamo come potrebbe reagire quell’equilibrio per cui per adesso almeno è più sicuro ora al tuo dito e se non vuoi parlarne con Neven allora sarà meglio che resti sempre al mio fianco, così da ridurre le possibilità che il nemico ti catturi» – rispose Polluce – «In ogni caso prima o poi dovrai dirlo a Neven»
«Si ma per adesso voglio capire meglio come funziona questo legame»
«Ippolito» – si sentiva una voce da fuori chiamare il giovane, finché il Cavaliere di Equuleus non entrò nell’abitazione.
«Kitalpha!» – fecero in coro
«Nobile Polluce, pensavo foste alla casa dei Gemelli» – esclamò il Cavaliere
«Perché sei qui?» – chiese quindi il Dioscuro
«Il Nobile Neven mi manda a chiamare Ippolito per un consiglio di guerra. Ovviamente tutti i Cavalieri d’Oro devono essere presenti quindi anche lei Nobile Polluce»
«A parte noi sei Dorati e Ippolito, partecipano anche altri?» – chiese Polluce
«Sì, parteciperanno anche il Nobile Kleiros, il Nobile Chirone e i capi della gente di Mu, di altri non saprei» – spiegò Kitalpha
«Allora dovremmo affrettarci!» – esclamò Ippolito
Così i due si diressero verso la scalinata della prima casa con l’obiettivo di raggiungere la quattordicesima, sede delle stanze di Athena e del Sacerdote.
 

 

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Capitolo 27
*** XXV – Consiglio di guerra ***


XXV – Consiglio di Guerra
 

Alla quattordicesima casa erano riuniti tutti i Cavalieri più forti di Athena, i sei Dorati, Ippolito, i due più esperti Argentei e ovviamente i quattro Aesir, esponenti di MU e diretti interessati delle questioni che si sarebbero affrontate durante il dibattito. Neven, neo nominato Gran Sacerdote, sedeva alla fine della sala in un trono degno di un Re, mentre gli Aesir, accanto a lui, erano impazienti di sapere le decisioni che sarebbero state prese. Che la riconquista di MU fosse uno degli obiettivi anche per i Cavalieri di Athena era fuori di dubbio, ma il punto era sapere con quanta forza il Santuario li avrebbe sostenuti. D’altronde, Ares era stato indebolito solo minimamente dalla battaglia al suo Palazzo in Tracia e ciò destava non poche preoccupazioni. Come se ciò non bastasse, sembrava che, per alcune Divinità, Troia fosse il pretesto per scendere in campo senza dichiarare apertamente guerra.
Gli ultimi ad arrivare furono proprio Polluce ed Ippolito che avevano avuto un ruolo chiave nella missione al Palazzo di Ares, considerato che solo grazie a loro due i Cavalieri di Athena riuscirono ad infiltrarvisi. Inoltre tutti sapevano del ruolo centrale del biondo figlio di Teseo nella vicenda dell’anello e dell’esplosione che ne seguì.
«Perfetto, ora che ci siamo tutti possiamo cominciare» – esclamò Neven una volta il Dioscuro ed Ippolito entrarono nella sala.
I due come anche gli altri Dorati non poterono fare a meno di notare che Neven era l’unico seduto, d’altronde ancora non sapevano della sua nomina e sebbene fosse già il Capo dei Cavalieri, essere Gran Sacerdote e quindi fare le veci di Athena era compito ben più importante e di ben più alte responsabilità.
Pronti per cominciare, Bor fece apparire dal nulla un tavolo con esattamente quindici posti, Athena, qualora avesse voluto partecipare, i tredici Cavalieri d’oro e il Gran Sacerdote: non era detto che in futuro sarebbe sempre stato uno dei Dorati o che ricoprisse contemporaneamente entrambe le cariche come Neven. C’erano molti posti vuoti considerata la mancanza dei Cavalieri di Toro, Leone, Scorpione, Acquario, Capricorno e Pesci, ma alcuni vennero occupati ovviamente dai quattro Aesir e dagli Argentei presenti.
«Perciò Nobile Neven, perché ci hai radunati?» – chiese Ippolito
«Vi ho radunati per affrontare diverse faccende, a partire dalla decisione della Divina Athena di nominarmi suo Gran Sacerdote, per cui da adesso in poi farò le sue veci»
La notizia sorprese molti dei Cavalieri, soprattutto Ippolito e Kleiros, ma non di certo i Dorati o Chirone.
«Nobile Neven, ciò che cambiamenti comporta?» – chiese Giasone
«Nulla di particolarmente significativo per voi, solo che la Divina Athena si farà vedere molto più di rado, soprattutto in situazioni tese come queste, per cui anche per i suoi decreti sarò io, e chi mi succederà, ad annunciarli» – spiegò
«Capisco» – rispose il Sagittario che iniziò a tossire insistentemente, era palese che non si era ancora ripreso del tutto dall’ultimo combattimento, nonostante le miracolose cure del Dorato che accanto gli sedeva.
Asclepio quindi subito poggiò subito la mano illuminata dal suo Cosmo al fianco posteriore sinistro del parigrado, liberandolo dal fastidio.
«Meglio così?»
«Si grazie, Asclepio, ora sto meglio»
«Riprendendo il discorso» – continuò quindi Neven – «Negli ultimi giorni gli equilibri stanno cambiando, ormai con Ares è guerra aperta e Hades come ci aspettavamo si sta muovendo, rimanendo tuttavia al di fuori del conflitto. Uno dei tre Giudici degli Inferi ha catturato Achille e Patroclo nelle vicinanze della città di Troia. È quanto mai evidente che il sovrano dell’Oltretomba stia muovendo i fili della guerra che lì si combatte, ma dobbiamo ancora capire quali interessi abbia. Inoltre anche se Achille e Patroclo non fanno più parte delle nostre schiere non possiamo lasciarli nelle loro mani. Perciò è necessario mandare subito qualcuno, per chiarire la situazione, senza intraprendere nessun tipo di scontro, considerando che non possiamo permetterci un nemico come Hades in questo frangente»
«Chi pensavate di mandare?» – chiese quindi Polluce, che cercava di nascondere il desiderio di proporsi come volontario
«A dire il vero pensavo di mandare te insieme ad Ippolito ed un altro Cavaliere a tua scelta» – spiegò Neven
«Nobile Neven con tutto il rispetto non sarebbe più saggio mandare qualcun altro al posto di Ippolito?» – chiese Kleiros di Altar
«Concordo con Kleiros!» – esclamò Bor – «Non fraintendere Neven, il mio è solo un consiglio. Il ragazzo indossa l’anello di Lios e abbiamo percepito tutti il suo potere distruttivo. Considerando che separarlo dall’anello è decisamente rischioso per la sua vita, lo è altrettanto mandarlo in una missione così delicata esponendolo all’occhio di Hades, senza contare che Ares potrebbe provare a riprenderselo. Sicuramente qui è più al sicuro, Ares non attaccherebbe mai il Tempio visto che il grosso delle sue forze sta setacciando MU probabilmente in cerca degli Alberi Gemelli. Inoltre è possibile, anche se improbabile, che Hades non sappia che Ippolito indossi l’anello di Lios, mandarlo in missione a Troia sarebbe come dirglielo e dargli l’occasione di impossessarsene, considerando che Giudici controllano le sue sponde»
«Nobile Bor, sta forse suggerendo di tenermi recluso?»
«Non offenderti ragazzo, non ho nulla contro di te, me è quella cosa che hai al dito che mi spaventa e mi spaventa quello che farebbero gli Dei per averla, quindi sì per il tuo bene, ma soprattutto per il bene di tutti è consigliabile che tu non ti muova da questo luogo»
«Concordo con il nobile Bor» – si espresse Asclepio, sostenuto anche da Kleiros, Giasone e Keren
Seguì il silenzio per diversi istanti mentre Ippolito avrebbe voluto urlare dal profondo del suo animo, d’altronde la missione a Troia poteva significare tanto per lui, ma razionalmente capiva perfettamente le ragioni di Bor.
«Nobile Bor probabilmente lei ha ragione!» – intervenne Polluce – «Mandare in missione Ippolito costituisce un rischio da prendere in considerazione…»
Ippolito rimase quasi attonito nel sentire quelle parole da Polluce, ma prima che egli potesse reagire il Dorato concluse il suo discorso – «…tuttavia…»
«Dobbiamo anche considerare che un nostro vecchio nemico è riapparso, ovvero Teseo, nonché suo padre, seguito da guerrieri dotati di Kyoshin, diverse sia dalle nostre sia dalle Hauberks»
«Altre Kyōshin?» – rifletté Bor – «Pensi che ci sia Hades dietro questi guerrieri, dico bene?»
«Kyōshin?» – chiese perplesso Equos
«Le Kyōshin sono le armature capaci di entrare in risonanza la Cosmo di chi le indossa, ne esistono poche tipologie: in primis le Kamui degli Dei Olimpici, le Ars Magna degli Dei Primordiali, le Soma dei Titani, le nostre, che Athena chiamò Cloth, le Scale dei Marine e le Hauberks dei Berserkers. Quando Ippolito è stato attaccato siamo venuti a conoscenza di quest’altro tipo di Kyōshin, che abbiamo anche percepito indosso ad Eaco nello scontro con Achille» – spiegò Neven
«Sì infatti è certo che tali guerrieri siano seguaci di Hades, pertanto mandare in missione Ippolito potrebbe far uscire allo scoperto Teseo e farci scoprire le sue intenzioni. Inoltre, in base alle informazioni in nostro possesso, andando a Troia, è molto probabile imbattersi in seguaci di Hades e la battaglia sarebbe dunque inevitabile. Tuttavia se Hades fosse pronto per una guerra avrebbe di certo aperto già le ostilità! Certamente potrebbe solo voler aspettare l’esito della guerra con Ares, per scontrarsi con l’eventuale vincitore che sarebbe enormemente indebolito rispetto alla situazione attuale. Inoltre attaccare Achille e Patroclo può voler dire che sia interessato alle sorti della guerra di Troia o che stia cercando guerrieri forti da reclutare, ma le due possibilità non si escludono a vicenda, anzi è probabile che siano entrambe vere. Tirando le conclusioni, mandare Ippolito a prescindere dall’anello potrebbe farci capire quanto Hades sia pronto o meno alla guerra. Se Hades sta facendo attenzione alle sorti di questa guerra, e lo sta facendo, sa già che Ippolito possiede l’anello, perché l’esplosione sicuramente non è passata inosservata e il Cosmo di Ippolito era ben percepibile. Teseo ovviamente lo avrà riconosciuto e lo avrà riferito. Se ad Hades interessasse l’anello sarebbe già intervenuto mentre eravamo disorganizzati. Inoltre credo poco che Ares cerchi di riprenderselo… chiamatelo intuito, ma secondo me quanto è accaduto in Tracia rientrava perfettamente nei piani di Ares»
«Effettivamente, padre» – intervenne Odin – «Polluce potrebbe averci visto giusto! Dai racconti del Sommo Efesto basta poco per far infuriare Ares e quando lo abbiamo affrontato mi è sembrato quasi che si frenasse nel combattimento. Noi siamo forti ma lui è un Dio e nonostante abbia dimostrato un’enorme superiorità, riflettendo a mente lucida quando siamo tornati mi sono accorto che la potenza che ha sprigionato è superiore di poco a quella del Sommo Efesto e lui ha sempre sostenuto che Ares in battaglia è cento volte più forte di lui!»
«Sospettavo che Ares stesse architettando qualcosa del genere, ma non pensavo che tale possibilità fosse così concreta, però a dire il vero anche il Sommo Efesto mi ha confidato le stesse perplessità» – fece Bor
«Potrebbe essere perché era indebolito dalla mia tecnica?» – pensò Giasone
«No Giasone, per chi ha assistito al combattimento, analizzandolo è stato quasi lampante! Ed io mi sono perso gran parte della battaglia, ma quel poco che potuto vedere è stato sufficiente a darmi la stessa impressione» – rispose Neven
«Quello che non capisco è il perché lasciarci andare via con l’anello?» – chiese Thor
«Credo la questione sia leggermente diversa!» – s’intromise Amida, rimasto in silenzio fino a quel momento
«Ah ci sei pure tu?» – fece Polluce sarcastico
«Falla finita, Polluce» – rispose autoritario Neven
«Che vuoi dire Amida?» – chiese poi Thor
«Vuole dire che Ares non ha lasciato andare via voi con l’anello, ma ha lasciato andare via Ippolito con l’anello» – spiegò Polluce non facendo parlare il parigrado della Vergine
«Esatto» – confermò Amida
«Come fate ad esserne certi?» – domandò Asclepio, visibilmente stranito da tali affermazioni
«Phobos e Deimos, quando si accorsero che Ippolito si trovava nel luogo in cui era nascosto l’anello, erano preoccupati per la capacità particolare di Ippolito, ovvero la Psychonthéa, la vista dell’anima, inoltre hanno affermato di non poterlo raggiungere e fermarlo perché quel luogo sarebbe stato volontariamente raggiungibile solo da Ares in persona, che in quel momento era indebolito dagli effetti dalla tecnica di Giasone, evidentemente era una sceneggiata»
«Ora che ci penso, durante lo scontro sei stato teletrasportato via al momento di un’esplosione ed ero sicuro di non aver fatto in tempo a teletrasportarti» – aggiunse Keren rivolgendosi ad Ippolito – «Poi non percependoti più, pensai che l’esplosione avesse interferito con la mia tecnica portandoti chissà dove, invece non è stato così, ma piuttosto l’esplosione ha mascherato una tecnica di teletrasporto lanciata da Phobos e Deimos, simile alla Starlight Extinction di mio padre, quindi è molto probabile che loro volessero che tu prendessi l’anello usando la Psychonthéa»
«In effetti senza usarla non avrei potuto prendere l’anello, c’era una sorta di meccanismo, che nessuno avrebbe potuto sbloccare senza la mia abilità» – spiegò il giovane biondo
«È quindi più che chiaro che Ares volesse che tu e solo tu prendessi l’anello, ma perché proprio tu? Perché creare un meccanismo simile per accertarsi che solo tu potessi prendere l’anello?» – si chiese quindi Keren
«È probabile che il meccanismo esistesse a protezione dell’anello già da prima e che Ares lo abbia solo sfruttato all’occasione» – suppose Bor
«Ciò spiegherebbe il perché Ares ti ha permesso di infiltrarti nelle sue schiere insieme a Polluce, se non ricordo male mi avete detto che Ares sembrava essere a conoscenza del vostro doppio gioco, no?» – chiese Neven
«Si è così! Non sembrava per nulla sorpreso del nostro tradimento, anzi ha picchiato la Divina Athena palesemente solo per provocarci» – rispose Polluce
«Purtroppo non siamo in grado di stabilire il perché di questo sotterfugio, ma non passerà molto prima che la verità venga a galla!» – intervenne Bor
«Siamo quindi d’accordo che Ippolito possa partecipare alla missione per Troia?» – chiese quindi Polluce
Nessuno obiettò per diversi istanti, fino a quando Asclepio rimasto visibilmente turbato dalla questione si alzò di scatto.
«Vogliate scusarmi, c’è una questione di cui devo occuparmi! Continuate pure senza di me» – disse quindi lasciando la sala, mentre tutti rimasero straniti dall’atteggiamento dell’Ofiuco
Mentre il Dorato lasciava la sala, tutti notarono che qualcosa alla sua sinistra catturò lo sguardo dell’Ofiuco, come se ci fosse qualcosa dietro la colonna d’ingresso. Solo Ippolito non se ne accorse, preoccupato di essere il responsabile del comportamento di Asclepio
«Asclepio?» – lo chiamò, infatti, dispiaciuto
«Lascialo andare» – intervenne il Gran Sacerdote
«Ma nobile Neven…»
«Tranquillo, non è colpa tua» – lo interruppe Polluce – «Piuttosto chi dovrò portare con me e Ippolito in questa missione? Va bene il ragazzino qui fuori che origlia tutte le nostre conversazioni?»
«Vieni fuori Gyon!» – gli ordinò Neven
Così il ragazzo scoperto entrò nella sala e tutti rimasero sorpresi nel vedere che indossava la sua armatura, anche se in brandelli.
«Perché indossi l’armatura?» – gli chiese Neven
«Perché non si fida di me!» – esclamò Polluce
«In che senso?» – domandò Bor
«Nel senso che mi ha seguito da quando si è svegliato!» – spiegò Polluce, che vedendo la faccia sorpresa del ragazzo accennò un sorriso – «Cosa? Pensavi che non me ne fossi accorto? O pensavi davvero di origliare questa conversazione senza che nessuno di noi se ne accorgesse?»
«Basta!» – intervenne Neven – «Gyon perché non ti fidi di Polluce?»
«No, non è che non mi fidi, ma c’è qualcosa che non mi convince! Chiamalo istinto!»
«Il ragazzo ha del fegato… mi piace!» – fece Polluce divertito dall’impertinenza di Gyon sia nei confronti di Neven che nei suoi
«I modi, Cavaliere, ricorda con chi stai parlando!» – s’intromise Keren infastidito dal tono poco rispettoso con cui si rivolgeva a Neven
«Tranquillo Keren, piuttosto, è necessario finire le riparazioni delle armature, puoi cominciare da quella di Gyon che partirà insieme a Polluce e Ippolito in missione per Troia!»
«Come?» – chiese Gyon stranito
«Dai ragazzino! Se davvero non ti fidi di me, dovresti essere contento, ti ha appena dato il permesso di controllarmi a vista in una missione importante!»
«Polluce spero che per te non sia un problema?» – chiese quindi Neven al Dioscuro
«No anzi tutt’altro, l’ho proposto io prima e poi mi fa simpatia questo sprovveduto! Ha del potenziale però devo dire che non ha avuto un buon maestro!»
«Sempre il solito, vero!» – rispose Giasone alla frecciata
«Che permaloso! Piuttosto Keren la sua armatura ha davvero bisogno di una bella sistemata, cerca di fargliela il più resistente possibile perché da quel che ho visto ne ha davvero bisogno!»
«Ancora…» – fece Giasone, più divertito che infastidito dalle frecciatine.
«Quelle di tutti andrebbero sistemate!» – aggiunse Neven – «Inizia con quelle di Polluce e Gyon ed ovviamente la tua, mentre noi decidiamo chi partirà in missione per MU!»
«Sissignore!»
«Ippolito, la tua armatura? È pronta?» – chiese quindi al giovane
«Si, nobile Neven, è pronta!»
«Perfetto, portala con te! Ora andate»
Così Keren seguito da Polluce, Ippolito e Gyon, uscì dalla sala dirigendosi alla quarta Casa.
«Passiamo ad altre faccende!» – esclamò quindi il Gran Sacerdote – «Equos, Amida, Kleiros scegliete due Cavalieri a testa e recatevi da Keren poiché anche lui dovrà scegliere due Cavalieri. Odin, Bor e Keren si occuperanno delle riparazioni delle armature in modo tale da ultimarle entro stasera. Domani all’alba partirete per MU, accompagnando i miei cugini e tutti i guerrieri Muriani che potranno portare! Sistemate le questioni al Santuario, vi raggiungerò quanto prima, mentre Chirone e Giasone faranno le mie veci»
«Nobile Neven, non è più saggio che lei rimanga qui?» – chiese Equos – «Capisco che voglia liberare la sua patria natia dall’immonda feccia dei Berserkers, ma, non me ne vogliano Chirone e Giasone, abbiamo bisogno che stia al fianco della Divina Athena ora più che mai!»
«Concordo con Equos» – intervenne Chirone
«Anch’io» – si aggiunse Giasone – «È più saggio aspettare che mi rimetta e mandare me in aiuto aggiunto, non concordate? A detta di Asclepio in pochi giorni con le sue cure dovrei riprendermi perfettamente»
«In effetti non potrei lasciare il Santuario ora che sono diventato Gran Sacerdote, tuttavia la Divina Athena stessa mi ha spinto a partire, prima che io avessi il tempo di pensarci. In ogni caso ha lasciato questa decisione a me e onestamente in cuor mio non posso non andare»
«Si ma il Santuario risulterebbe troppo esposto ad eventuali attacchi, no?» – chiese Equos
«In effetti le nostre forze non sono state mai così esigue!» – constatò Chirone
«I Cavalieri che rimangono saranno in grado di proteggere il Santuario e la Divina Athena!» – rispose secco Neven
«Neven dovresti dargli ascolto…» – disse Odin venendo interrotto dal cugino
«Odin, ho deciso ormai e la Divina Athena è con me, non serve discuterne ulteriormente!»
«Come desideri, in fondo la decisione è tua…» – rispose il cugino

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Capitolo 28
*** XXVI – Partenza ***


XXVI – PARTENZA

 
Non appena giunti alla quarta casa (del Cancro) Keren si apprestò ad iniziare le riparazioni delle armature, partendo, come richiesto dal padre e Gran Sacerdote, da quella di Gyon.
Tuttavia non c’era molto da riparare: l’armatura di Pegasus era ormai più polvere che altro e come se non fosse abbastanza, la luce, che fino a qualche tempo prima le dava vita, era ormai estinta. Gyon, indossandola, aveva subito percepito che qualcosa non andava, anche se non avrebbe mai saputo spiegarlo a parole, ma aveva capito che Neven e anche lo stesso Keren se ne accorsero durante la riunione alla quattordicesima casa, tanto che il talento del Cancro aveva già pensato ad una soluzione che fosse meno pericolosa e più sbrigativa per tutti.
 
Gyon rilasciò i residui dell’armatura che stava indossando e quando si riunirono, formarono solo un’immagine spezzata e mancante del leggendario cavallo alato.
«Cosa si può fare?» – chiese così il giovane, speranzoso, Cavaliere di Pegasus al Dorato della quarta casa
«Beh in questi casi non ci sono molte alternative!» – rispose Keren
«Affinché si riaccenda la scintilla che animava la tua armatura, devi cospargere buona parte del tuo sangue su di essa, con una buona probabilità che tu muoia nel farlo»
«Keren ha ragione!» – aggiunse Polluce – «In una situazione meno critica, avrei permesso che tu ci provassi, anche per farti rendere conto che la tua armatura non va usata come un semplice oggetto che ti protegge, ma va preservata e rispettata come se fosse una parte del tuo corpo! Tu invece alla prima battaglia che ti sei trovato ad affrontare hai permesso ai tuoi avversari di distruggerla! Ciò non deve accedere mai più!»
«Su via Polluce, Gyon si è trovato in una situazione che un neo Cavaliere non avrebbe potuto affrontare diversamente, anzi il fatto che ne sia uscito vivo è già di per sé un miracolo!» – intervenne in sua difesa Ippolito
«Effettivamente in altre circostanze anch’io ti avrei fatto una ramanzina simile a quella che ti sta facendo Polluce, ma in questo caso mi trovo più d’accordo con Ippolito! Ciò non toglie che ciò che ha detto Polluce è alla base dell’essere Cavaliere… L’armatura va preservata e rispettata come se fosse un’estensione del tuo corpo! Ricordalo altrimenti sarà davvero arduo il tuo cammino!»
«Detto questo…» – continuò dopo un sospiro, spazientito dallo sguardo di Gyon, tipico di chi non aveva capito – «Tutti e tre avvicinate le braccia sopra l’armatura e feritevi in modo che il vostro sangue si riversi su di essa. Essendo in tre, il dissanguamento non dovrebbe debilitarvi. Dovreste perdere così circa 3 cotili di sangue a testa… non è troppo, ma potreste sentirvi disorientati»
Il sangue era iniziato a fluire, mentre Keren raccolse un po’ di quello di Gyon in una sorta di vaso o una coppa con strani simboli incisi sopra. Prese quindi diverse scaglie di metallo che fuse con il suo Cosmo e le mischiò al sangue insieme ad una strana polvere brillante.
«Cosa sono?»  – chiese Gyon incuriosito
«Stardust sand e alcuni metalli come Oricalco e Gammanion, i costituenti principali delle armature»
Mescolò quindi la mistura di sangue, polvere di stelle, Oricalco e Gammanion, dopodiché la riversò sull’armatura di Gyon, o meglio su ciò che di essa rimaneva, mentre dalle tre braccia continuava a fluire sangue in abbondanza.
Keren iniziò ad espandere il proprio Cosmo ed emanando sottili filamenti di energia, che reagirono con l’armatura e la polvere di stelle riversatagli sopra, ricostituì la forma grezza dell’armatura di Gyon, che rifinì poco dopo facendo apparire due strumenti dal nulla, un martello e uno scalpello. In circa dieci minuti l’armatura era di nuovo integra anche se ancora spenta.
«Wow, è diventata molto più bella!» – esclamò Gyon stupefatto
«Appena la indosserai sentirai anche una certa differenza!»
«Che intendi?»
«Lo vedrai!»
Mentre i due discutevano, Keren continuava a far brillare il proprio Cosmo per rifinire l’armatura e al contempo iniziare il processo che avrebbe riacceso in essa la vita. Gyon tuttavia già avvertita un po’ di annebbiamento contrariamente a Polluce e Ippolito, fisicamente superiori, forti del loro sangue in parte Divino.
«Su Gyon, resisti! Manca poco» – lo incoraggiò Ippolito, percependo l’annebbiamento del giovane
«Non è stanchezza, è impazienza! Non sto più nella pelle» – rispose il giovane, stropicciandosi gli occhi per schiarirsi la vista, suscitando un sorriso in Polluce
“Orgoglioso il ragazzo, ha carattere, mi piace” – pensò il Dioscuro tra sé e sé
Pochi istanti dopo una luce abbagliante venne emessa dall’armatura, mentre un’onda di energia rinvigorì Gyon, non appena tale luce lo raggiunse.
Stava indossando la nuova armatura di Pegasus, più splendente e magnifica che mai. A differenze delle altre Bronzee, aveva adesso uno stile più raffinato, più simile ad un’Argentea in tal senso, anche se ovviamente aveva meno Oricalco nella sua composizione.
«È fantastica Keren! Sento una potenza e una risonanza che prima mi non avrei mai immaginato, grazie!»
«È merito anche di Polluce e Ippolito… non dimenticare che in loro scorre sangue divino, inoltre, il tuo sangue non è servito solo a ridar vita all’armatura, ma ne ho mischiato un po’ alla lega che la costituisce, in modo da creare una connessione indissolubile tra te e l’armatura che ti permetterà di controllarla meglio. È questo che percepisci, l’aumento di risonanza di cui parlavi prima viene proprio da questo!»
«Davvero?! Incredibile, sei un genio!»
«No, non è una mia idea» – spiegò Keren – «Alle prime battaglie in cui furono usate le Armature, contro i Marine di Poseidon, molti neo Cavalieri non sapevano controllarle perfettamente, almeno non quanto i Marine sapevano controllare le loro Scale, d’altronde loro le avevano da molto più tempo, così mio padre sperimentò questa tecnica e ha funzionato»
«Capisco» – fece Gyon quasi disinteressato, preso dalla sua nuova Armatura e dalla potenza che percepiva
«Ora basta!» – spazientito Polluce prese di peso Gyon caricandoselo sulla spalla
«Grazie Keren! Scusa la mia fretta, ma non c’è tempo» – ringraziò il Dorato parigrado dirigendosi verso l’uscita, mentre Gyon si dimenava
«Fammi scendere» – ripeteva
«Scusa il suo atteggiamento, in certi momenti è davvero insopportabile!» – Ippolito, rimasto indietro, si scusò con Keren per l’atteggiamento dell’amico.
«Non preoccuparti, vai adesso altrimenti ti lascia qui!»
«Dai Ippolito, siamo già in ritardo!» – gli urlò Polluce
«Si arrivo» – rispose il giovane biondo raggiungendoli
«Dobbiamo passare da…»
«Si lo so, Ippolito, proprio per questo ti dicevo di sbrigarti» – lo interruppe Polluce – «Dove l’hai nascosta?»
«Non troppo lontano»
«Cosa hai nascosto?» – chiese Gyon ancora sulla spalla di Polluce – «La tua armatura?»
Qualche istante di silenzio calò tra i tre mentre Gyon impaziente continuò
«Va bene non faccio più domande, ma mi metti giù, per favore! Posso camminare anche da solo grazie!»
Così i tre iniziarono il viaggio verso Troia mentre Keren era di nuovo a lavoro per riparare le armature degli altri Cavalieri che sarebbero partiti con lui in missione per Mu.
Nel frattempo nella residenza estiva del Brutale Dio della Guerra, i Berserkers si preparavano ad una nuova spedizione in cerca degli Alberi Gemelli, i leggendari nati dal sacrificio degli antenati di MU nel tentativo di proteggere la loro terra e i suoi abitanti da uno dei cataclismi più devastanti che il nostro pianeta ebbe mai visto.
«Malfinas!» – urlò il Brutale, richiamando il sottoposto
«Raggiungi Kyodamos, nelle terre di MU, lui ti darà una lista di Muriani da trattare con riguardo se dovessi incontrarli, dopodiché con i tuoi sottoposti, inizierai, seguendo le indicazioni di Kyodamos, le ricerche degli Alberi Gemelli!»
«Sissignore!»
«Non c’è più molto tempo, Athena si sta riorganizzando e in poco tempo manderà i suoi più valorosi guerrieri ad aiutare i Muriani a riprendersi le terre e se non dovessimo riuscire a distruggere gli Alberi Gemelli prima di allora, può darsi che i Muriani ci scaccino via da quel continente. Capisci bene l’importanza di questa missione! I gruppi che finora ho mandato falliscono miseramente ogni giorno che passa! Confido nelle tue capacità Berserker, non mi deludere!»
«Non la deluderò Sommo Ares, ha la mia parola!»
«Purtroppo delle parole me ne faccio poco, Malfinas, voglio i fatti e ancora tu non sei neanche partito, quindi che aspetti?! Non ho bisogno che perdi tempo a rincuorarmi, PARTI E SBRIGATI» – gli urlò contro distruggendo quel poco che ormai rimaneva della sala»
Dopo che Malfinas e i suoi sottoposti uscirono dalla sala, Phobos e Deimos si teletrasportarono al cospetto del padre.
«Phobos, Deimos, a voi aspettavo!»
«Padre, tutto procede come pianificato a Troia, mentre per quanto riguarda la ricerca degli Alberi Gemelli, pensiamo che Loki sappia raggiungere il luogo in cui si trovano» – spiegò Deimos
«Siete sicuri di ciò?»
«Non del tutto, abbiamo provato a far parlare Skoll e Hati, ma loro non lo sanno, però nelle loro menti c’è la convinzione che loro padre sappia dove si trovino, in tal caso credo che dopo aver spremuto Loki dovremmo ucciderlo visto che non ci ha informato prima»
«Non essere così precipitoso Phobos! Loki è un pragmatico opportunista, se ha un’informazione preziosa per qualcuno non la rivela se non gli fa comodo e dal momento che per i suoi interessi ci ha aiutato a pianificare l’invasione di MU, non credo che ci tenga tanto alle sorti della sua gente per cui aspettava solo di poter ottenere qualcosa da noi per potercelo dire!»
«In effetti ha senso!» – constatò Phobos
«Ma allora cosa vuole?» – chiese Deimos
«Non saprei, quello che sappiamo è che abbiamo un alleato comune con Loki, per cui direi che sia arrivato il momento di sfruttare questa alleanza comune per trovarlo e ottenere queste informazioni, non siete d’accordo?» ­
«Si!»
«Perciò andate e fatevi aiutare a trovarlo! Quel serpente è sempre difficile da trovare, si nasconde nell’ombra e trova sempre il modo per cui sia tu a dover chiedere qualcosa a lui! Bastardo che non è altro, se non fosse per il fatto che ho bisogno di lui lo truciderei all’istante! Andate e non tornate finché non l’avete trovato»
«Sissignore!» – rispose in coro i figli, teletrasportandosi all’istante
 
Nel frattempo al Santuario l’alba stava sorgendo e Odin, Bor e Keren avevano finito da poco le riparazioni di tutte le Armature e solo con un paio d’ore di riposo dovettero prepararsi per la partenza. Il punto d’incontro, dove avrebbero ricevuto ulteriori istruzioni su come organizzarsi, era la prima casa dell’Ariete, e Neven insieme ad Athena erano ad attendere già da qualche minuto.  
Inaspettatamente il primo ad arrivare fu Chirone che non sarebbe dovuto partire.
«Chirone che ci fai qui?» – chiese incuriosito Neven
«Ho saputo da Kitalpha che Therium partirà con Kleiros, ma non sono riuscito ad incontrarlo per cui lo saluterò adesso» – spiegò il Cavaliere del Centauro
«Capisco, sei molto affezionato a quel ragazzo, vero? Come penso a tutti i tuoi discepoli»
«Si è vero li amati tutti come se fossero figli miei, a partire da Asclepio stesso, uno dei più difficili che abbia mai avuto, per non parlare di Achille, il più arrogante in assoluto, ma anche se sono già due anni circa che lo alleno Therium è ancora pieno di potenziale inespresso»
«Certo, ti capisco benissimo, provo lo stesso con mio figlio, nonostante ormai sia diventato un Dorato. Mi preoccupo sempre per lui, anche se non dovrei, perché sa farsi valere, ma conosce ancora poco del mondo e mi preoccupa sempre il fatto che possa sottovalutare alcune situazioni in virtù della sua inesperienza, anche se ho sempre cercato di insegnargli ad analizzare ogni situazione in tutte le sue possibili sfaccettature»
«È questo che ci tocca adesso, forse siamo ormai diventati vecchi, forse tu no, ma io lo sono parecchio… con gli altri miei discepoli sono stato molto più incosciente, al punto in cui è Therium, li avevo già lasciati andare per la loro strada, forse perché ho sempre avuto un altro discepolo più piccolo cui badare e quindi sono stato meno protettivo… non saprei… mi preoccupo troppo per quel ragazzo»
«Se ti servono preoccupazioni so io come dartele…» – disse divertito Neven
«Che intendi?»
«L’ultimo cui era stato affidato il compito di allenare i giovani aspiranti è Kitalpha che partirà in missione, quindi potresti prendere il suo posto che ne dici? Chi meglio di te dopotutto»
«Lo immaginavo che sarebbe finita così! Va bene, me ne occuperò io»
«Parlando di giovaniı – continuò poi Chirone – «Keren è riuscito a riparare l’armatura di quel tipetto insolente? Sembrava messa piuttosto male»
«Si ci è riuscito anche grazie al sangue di Ippolito e Polluce, ormai dovrebbero essere partiti da diverse ore. Anzi, conoscendo Polluce, non si saranno neanche riposati un attimo, neanche dopo aver dato letteralmente il sangue per riparare l’armatura di Gyon»
«Ai suoi ritmi potrebbero essere arrivati già a Troia» – concluse con una battuta sapendo che la partenza di Gyon avrebbe preoccupato Athena
«Quindi Polluce, Ippolito e Gyon sono partiti per Troia?» – chiese la giovane Dea, cercando di nascondere la sua preoccupazione quantomeno nella voce, non curandosi dell’espressione celata dalla sua maschera
«Si divina Athena, potete stare tranquilla, ho piena fiducia in quei tre riusciranno a completare la missione e a tornare sani e salvi»
«Non sono preoccupata» – rispose la Dea ancora mascherando la preoccupazione nella sua voce
“Perché fa così? Sa che c’è bisogno di nascondermi la preoccupazione per Gyon… forse per Chirone…” – perplesso Neven si chiedeva perché Eiren celasse la sua preoccupazione
Nel frattempo Bor, Odin, Thor e Baldur arrivarono dinanzi la scalinata della prima casa, seguiti da una ventina di compatrioti pronti a muovere guerra al Brutale.
Gli ultimi ad arrivare furono proprio Keren, Kleiros, Amida ed Equos seguiti dai Cavalieri sottoposti scelti per la missione. Appena giunti al cospetto della Dea e del Gran Sacerdote si inginocchiarono tutti, anche i Muriani.
«Perciò chi partirà con voi, per questa missione?» – chiese con tono riverente il neo Sacerdote
«Io» – rispose per primo Kleiros – «ho scelto due valorosi Cavalieri: Therium del Lupo, Cavaliere di Bronzo e Paun del Pavone, Cavaliere d’Argento e mio fratello» – continuò indicando i due giovani Cavalieri, il primo con lunghi capelli castani e occhi scuri come la notte più buia, mentre il secondo a vista si riconosceva come il fratello di Kleiros, di una somiglianza sconcertante considerando che si trattava di un fratellastro. Entrambi, infatti, avevano evidentemente i tratti del padre, alti e possenti fisicamente, capelli platinati e occhi verdi come il mare di un atollo tropicale.
«Kleiros, mi raccomando, tieni d’occhio il mio giovane e incosciente discepolo» – intervenne Chirone, suscitando anche un certo disappunto in Therium che corrugò il viso.
«Non vi preoccupare Nobile Chirone, non lo perderò di vista un attimo, ma sono sicuro che non ce ne sarà bisogno» – gli sguardi d’intesa tra i due sembravano suggellare quasi un accordo non verbale
«Io, Sommo Sacerdote, ho scelto KItalpha di Equuleus, Cavaliere di Bronzo e Mirs del Cane Maggiore, Cavaliere d’Argento»
«Signore… Divina Athena… non vi deluderemo e porteremo a termine la missione che ci avete affidato nel minor tempo possibile… riporteremo una vittoria così schiacciante che riecheggerà nei Secoli a venire» – disse con veemenza l’Argenteo, con la sua portandosi davanti il Dorato suo comandante e inginocchiandosi difronte la Dea.
«Sono sicuro che sarà così» – rispose Neven – «Ma non sottovalutare i Berserkers, sono avversari formidabili, per non parlare del rispetto per le gerarchie, rispetta il tuo comandante e non scavalcarlo nelle situazioni decisive di una battaglia, mi raccomando»
«Nobile Neven, non c’è bisogno che puntualizziate questi atteggiamenti, Mirs voleva solo rassicurarvi del fatto che darà il suo meglio… non è così Mirs?!» – intervenne Equos
«Mi assicuro solo che la sua irruenza e la sua voglia di mettersi in mostra non mettano a rischio la missione, né tantomeno le vostre vite!» – rispose secco e autoritario Neven
«Nobile Neven» – intervenne Amida cambiando discorso e stemperando così i toni – «Io porterò con me Alchiba del Corvo, Cavaliere di Bronzo e Medos dell’Indiano, Cavaliere d’Argento»
«Divina Athena… gente di Mu… faremo del nostro meglio per riportare la pace nelle vostre terre» – aggiunse il moro e cupo Alchiba mentre il rosso Medos rimase in silenzio.
«Io padre ho scelto Altarf del Cane Minore, Cavaliere di Bronzo e Menkar della Balena, Cavaliere d’Argento» – concluse Keren, al centro tra i due bestioni.
«Così… queste sono le squadre di Cavalieri che parteciperanno alla liberazione di Mu?» – chiese Bor alzandosi e avvicinandosi a Neven, Athena e Chirone.
«Si» – rispose Chirone
«Cavalieri…» – esclamò Neven, iniziando l’ultimo discorso prima della partenza – «Costui è Bor di Mu, il più anziano e saggio tra i discepoli di Efesto e reggente di Asgaror, la città di uomini più grande e potente di MU. Da questo in poi, fino alla fine della missione, seguirete i suoi ordini alla lettera, nessuna eccezione» – «Intesi?!» – urlò infine
«Sissignore!» – risposero in coro
«Adesso, disponetevi vicini intorno a me» – esclamò a gran voce Bor – «Purtroppo Ares ha modificato le difese di MU, in particolare mi riferisco alla barriera contro il teletrasporto… di conseguenza non riusciremo a teletrasportarci direttamente lì. Finché non riotterremo il controllo di Asgaror e quindi anche delle sorgenti delle barriere di difesa, nulla potrà entrare o uscire da MU con il teletrasporto… per cui lo useremo solo per avvicinarci, risparmiando diverse settimane di cammino… perciò vi teletrasporterò tutti in un’isola poco distante… da lì proseguiremo a nuoto!»
«Preparatevi Cavalieri, stiamo per partire!» – aggiunse Odin, pochi istanti prima di far scomparire tutti in una fioca luce blu.

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Capitolo 29
*** XXVII – Reminiscenze ***


XXVII – REMINISCENZE


Dopo circa un giorno e mezzo di corsa senza sosta, Polluce, Ippolito e Gyon erano giunti nel Chersoneso Tracico, fermandosi nella foresta che separava le antiche città di Sestus ed Elaeus.
Quella stessa mattina avevano superato Sestus, ma l’obiettivo non era infatti entrare nella città, né Sestus né tantomeno Elaeus, ma bensì attraversare lo stretto dei Dardanelli in uno dei punti in cui la traversata risultasse più breve e semplice.
Ormai, il Sole stava iniziando a tramontare, quando Gyon cominciò ad accusare i primi segni di stanchezza, d’altro canto non poteva sostenere all’infinito i ritmi dei due compagni.

«Basta così per oggi, fermiamoci qui!» – Polluce, accorgendosi della stanchezza del Bronzeo, decise di fare una pausa
«Ma potremmo raggiungere la Troade stanotte e riposarci una volta arrivati» – replicò Gyon
«Non discutere i miei ordini, ragazzino!» – rispose, secco, il Dioscuro
«Preparate un fuoco, mentre vado a cacciare qualche cinghiale per la cena» – aggiunse mentre si allontanava dai due compagni
«Dai su mettiamoci a lavoro» – intervenne dopo pochi secondi, Ippolito, prima di mettersi a raccogliere legna per il fuoco
«Perché fa così?» – gli chiese Gyon
«Non credo ci sia una ragione in particolare. Piuttosto sei sempre pronto a contestare gli ordini, ma cerca anche di comprenderli. Non che tu non avessi ragione, potremmo davvero raggiugere la Troade stanotte, tuttavia arriveremmo stanchi, tu già accusi parecchia stanchezza, e non ti nascondo che anche Polluce ed io arriveremmo stanchi, considerando il fatto che abbiamo versato parecchio sangue per ridare vita alla tua armatura. In tali condizioni non potremmo mai fronteggiare nemici del calibro di quelli che hanno rapito Achille e Patroclo… già in piene forze avremmo serie difficoltà» – spiegò Ippolito
«Capisco… certo ha più senso riposare qui, dove è meno probabile incontrare nemici, mentre in quelle regioni è meglio essere in forze, perché è più probabile che qualcuno ci scopra»
«Si ed è anche per questo che non abbiamo utilizzato il teletrasporto per raggiungere la Troade»
«Certo!» – esclamò Gyon, il cui volto sembrava essersi illuminato – «Non ci avevo riflettuto, se ci fossimo teletrasportati è possibile che, non tutti ma i più esperti, ci avrebbero rilevato»
«Non si tratta di esperienza, piuttosto di abilità. Il teletrasporto classico come quello di Neven o Keren, ha infinite possibilità, proporzionali alle abilità di chi lo possiede, ma lascia tracce. Se qualcuno tra le schiere del nemico possedesse la telecinesi, sarebbe in grado di rilevare il teletrasporto e potenzialmente anche di localizzarci, anche senza percepire il nostro Cosmo» – spiegò meglio Ippolito – «Su dai, adesso accendiamo il fuoco, altrimenti se Polluce tornasse primo di averlo fatto ci farebbe a fettine» – ironizzò
 
Fermi, attorno ad un fuoco, circondati da alti alberi di una fitta foresta, i tre stavano mangiando i due cinghiali, cacciati da Polluce, mentre il Dioscuro istruiva i giovani compagni sul da farsi.
«Avete capito? Parlo soprattutto con te Gyon…» – fece Polluce cercando di ottenere l’attenzione del Cavaliere mentre addentava una coscia di cinghiale.
«Cosa? Si si, ho capito» – rispose mentre masticava, infastidendo non poco il Dorato Cavaliere – «Per prima cosa andremo a cercare Ulisse, l’ex Cavaliere del Cancro, giusto?» – continuò non appena ebbe ingoiato il boccone
«Si, prima di intraprendere una qualsiasi spedizione negli Inferi, dove probabilmente sono stati imprigionati, dobbiamo verificare che si trovino effettivamente lì! Keren non è riuscito ad appurarlo con certezza con il suo Sekishiki, per cui dobbiamo sapere cosa hanno scoperto Agamennone e i suoi che sicuramente saranno andati a cercarli» – aggiunse Ippolito
«Si e mi pare di capire che Ulisse rappresenta la scelta più ovvia, considerando che è stato un Cavaliere e collaborerà volentieri con noi» – concluse Gyon
«Sono stupito» – esclamò Polluce – «Allora ascolti ogni tanto…»
«Certo che ascolto! Piuttosto volevo chiederti un favore» – rispose Gyon
«Ma come, sospetti che io sia un traditore e mi chiedi un favore?»
«Quella è stata una tua deduzione, basata sul fatto che ti seguivo, ma lo facevo, non perché non mi fidassi ma per chiederti aiuto. Poi davanti al Consiglio, sono stato preso alla sprovvista e, non volendo spiegare perché mi servissi, ho confermato la tua versione»
«Capisco… allora per cosa ti serve il mio aiuto?» – chiese incuriosito il Dorato
«Beh… non è facile da spiegare. Non credo che tu sappia come sono arrivato a Rodorio»
«Non sei nato lì?» – chiese Ippolito
«No, a dire il vero, non so neanch’io dove sono nato. Anni fa, dei passanti trovarono me e i miei fratelli, sul ciglio del sentiero che conduceva al villaggio, nei resti di un carro distrutto. Li trovarono anche due cadaveri, quelli che avevo sempre pensato fossero i miei genitori. Nessuno al villaggio li conosceva, per cui ho sempre immaginato che fossero dei pellegrini in visita al Tempio di Athena. Non ricordo molto, prima di quegli eventi, forse perché nell’incidenti caddi, sbattendo la testa e i miei fratelli erano troppo piccoli per ricordare. Da quel giorno, Eunomia, una signora anziana, che si prendeva cura di molti orfani del villaggio ci prese con sé dandoci una casa. Ai tempi non ricordavo neanche quale fosse il mio nome ed infatti probabilmente Gyon non è il mio vero nome. Lo scelse Eiren dal ciondolo di questa collana» – disse, mostrandogliela – «Quest…»
«Fammela vedere» – lo interruppe Polluce
«Perché?» – gli chiese, il giovane, mentre gliela consegnava
«Perché questa sembra proprio uno dei gioielli, indossati dai sacerdoti di Apollo» – affermò, esaminandola – «se non addirittura dalla Pythia in persona. Non ricordi dove l’hai presa?» – gli chiese poi riporgendogliela.
“Non posso credere che questa collana sia passata inosservata agli occhi di Athena… anche se era solo una bambina, quando l’ha vista la prima volta, una volta risvegliatasi, deve averla riconosciuta… mi viene pure difficile pensare che Neven non se ne sia mai accorto in questi anni” – pensava tra sé e sé Polluce
Le parole di Polluce scossero molto Gyon, considerato che confermavano quanto visto nell’ultima visione avuta dopo le tremende illusioni di Deimos.
«Che succede Gyon? Sembri quasi pietrificato!» – gli chiese Ippolito, vedendo il giovane Cavaliere visibilmente scosso, mentre Polluce, estremamente, incuriosito e dubbioso, si stava chiedendo, cosa Gyon volesse chiedergli, raccontandogli tutto ciò.
«SI beh… non sapevo la natura di quella collana, ma ciò confermerebbe quanto ho visto in una visione…»
«Visione?» – Polluce già incominciava a capire quale fosse l’aiuto, di cui il bronzeo Cavaliere avesse bisogno.
«Si, non ho avuto una vera e propria visione, ma Deimos, quando l’ho affrontato nelle prigioni di Ares, mi ha colpito con una tecnica tremenda, che mi provocato visioni di terrore e massacro, fino a quando non credevo di essere morto.
Tuttavia, d’un tratto, ebbi questa visione ed immediatamente ripresi i sensi»
«Reminiscenze!» – esclamò Polluce
«Reminiche?» – chiese Gyon
«Sono ricordi, talvolta sepolti nei meandri della memoria, che quando si viene colpiti da tecniche illusorie possono manifestarsi, a volte senza alcun apparente motivo. Ma io suppongo che tale fenomeno sia in qualche modo collegato alla natura della tecnica illusoria in sé.
Modificando le percezioni dell’avversario, possibilmente, si stimolano proprio attraverso quelle illusioni, ricordi lontani nel passato» – spiegò Pollluce
«Un po’ come il sentire un odore particolare, legato a ricordi affettivi lontani, può rievocarli?» – intervenne Ippolito
«Esattamente» – confermò il Dorato
«Capisco, quindi queste visioni, che ho avuto, sarebbero dei ricordi?»
«Si, possibilmente si, ma non farci troppo affidamento... detto questo, presumo che l’aiuto che vuoi da me è farti rivivere quelle esperienze attraverso le mie tecniche illusorie?» – chiese infine il Dioscuro
«È possibile?» – chiese Ippolito sorpreso
«Se Deimos c’è riuscito involontariamente, è teoricamente possibile replicare il processo, ma non per questo semplice» – spiegò Polluce – «Non avevo mai pensato di utilizzarle in questo modo le mie tecniche, però…»
«Quindi puoi farlo?» – lo interruppe, Gyon, speranzoso di avere risposte sul suo passato
«Ci posso provare Cavaliere, ma non pensare che al primo tentativo otterrai le risposte che cerchi… posso verosimilmente rievocare quei ricordi e anche altri ad esso legati, ma se li ha rievocati Deimos, vuol dire che sono anche legati ad un’emozione in particolare, il Terrore!
L’unico modo, quindi è farti rivivere quel terrore affinché la tua mente rievochi quel ricordo, ma non sarà facile! Ci vorranno diversi tentativi e non è detto che ci riesca!»
«Va bene! Farò qualunque cosa per riacquistare la memoria!»
«Piuttosto, riuscirai a vedere ciò che vedo?»
«Per quanto riguarda le illusioni, sì, per le reminiscenze di solito non succede»
«Capisco…» – rispose il giovane
«Sembri deluso, speravi che le vedessi anch’io?»
«Si lo speravo, perché ciò che ho visto non riguarda solo me, ma anche Eiren»
«Anche la Divina Athena?» – domandò incuriosito Ippolito – «Scusami, non capisco… avevi detto che si trattava del tuo passato, prima che arrivassi a Rodorio, e prima che conoscessi Athena di conseguenza» – aggiunse poi il giovane
«Lo so ed effettivamente è così però in quel ricordo»
«Sei dalla Pythia a Delfi e lei ti mostra una visione del futuro?» – intuì il Dorato
«Esatto! Come lo sapevi?»
«Ho collegato la tua reazione alla domanda sulla provenienza della collana» – spiegò
«Capisco…»
«Quindi, non c’è un modo in cui tu possa vedere quei ricordi?»
«Si potrebbe esserci, ma potrebbe, anzi, quasi sicuramente, ci rallenterà…»
«Non importa… è indispensabile che tu veda pure quei ricordi!»
«Perfetto… avvicinati… per vedere anche una reminiscenza devo mantenere una connessione il più forte e stabile possibile con le tue percezioni e sottopormi anch’io agli effetti della mia stessa tecnica, replicando le tue percezioni trasformandole in illusioni su di me» – Polluce quindi poggiò le mani sulla testa del giovane di fronte a lui, toccando la fronte con i pollici e circondando l’intero cranio con le restanti dita
«Eh?» – fece Gyon
«In pratica, dopo averti rievocato i ricordi, mi sottoporrò agli effetti della mia tecnica per replicare istantaneamente ciò che vedi»
«Genrō Maō-Ken!» – così il Cavaliere di Gemini, iniziò il primo tentativo, il primo di una lunga serie
Dopo circa ore di tentavi falliti, sembrava che il Dioscuro, fosse riuscito nell’impresa
«Ci siamo!» – esclamò il Dorato, poco prima che Gyon svenisse
«Anche mezz’ora fa, hai detto la stessa cosa, ma hai ottenuto solo le urla di Gyon» – fece, annoiato, Ippolito
«Quanta fiducia che hai in me, ragazzo!»
«Non è questione di fiducia… ma sono ore che sento urlare quel ragazzo»
«L’ha voluto lui, d’altronde, ma sembra che stavolta ci sia riuscito davvero!» – esclamò il Dorato, prima di perdere i sensi
«Polluce?!» – sorpreso, Ippolito si preoccupò per il Dioscuro
«È solo svenuto» – constatò
“Immagino sia l’unico modo, per vedere i ricordi di Gyon” – pensò quindi il giovane figlio di Teseo
 
Così Gyon e Polluce si trovarono ad assistere a quei ricordi che il giovane Pegaso vide sulla soglia della morte. Si ritrovarono nel Tempio di Apollo a Delfi, grandissimo e maestoso, Polluce lo ricordava bene.
“E così, è stato davvero a Delfi nella sua vita…” – pensava il Dioscuro
«Su dai, Akakios! La venerabile Pythia, Mantos, ci sta aspettando! Finalmente sapremo qualcosa in più su di voi, sulle vostre origini, non sei contento?» – gli chiese la giovane donna sorridendo
“Sarebbe dunque Akakios, il suo nome? Non è detto, d’altronde, a quanto sembra, questi due giovani, non sono i veri genitori, né di Gyon, né dei suoi fratelli”
Gyon (Akakios) non rispose e chinò il capo un po’ timoroso.
«Non avere paura! Qualunque cosa succeda, io e Talia ci prenderemo sempre cura di te!»
«Leandros ha ragione! E poi siamo nel Santuario del Radioso Apollo, non è concesso a tutti sai consultare la Nobile Pythia!»
“Ha ragione, è molto difficile ottenere udienza presso l’Adyton, eppure questi due giovani ci sono riusciti, devono essere stati molto facoltosi o importanti”
«Ora chiudi gli occhi per cinque minuti!» – disse Leandros coprendogli occhi con la mano, per evitare che Gyon vedesse i Sacerdoti sacrificare la capra da loro “donata”!
«Ok!» – rispose titubante Gyon
“Che premurosi! Gli hanno coperto la gli occhi, per non farlo assistere al sacrificio della capra… dovevano essere dei genitori affettuosi” – il Dioscuro, s’intenerì per le disavventure di Gyon, vedendo che in un momento della sua vita, qualcuno si preoccupava per lui come solo un padre e una madre avrebbero potuto.
[…]
Arrivati nell’Adyton, notarono subito l’incredibile illuminazione della stanza, fatto abbastanza stano per una camera sotterranea. Era molto grande e al centro c’era una piccola tavola, rotonda, dove era seduta una giovane donna vestita di bianco. Aveva gli occhi chiusi e un velo che le copriva i capelli, tenuto da un diadema dorato.
«Sapevo che sareste arrivati!» – disse la giovane
«Venerabile Mantos?» – chiese un po’ titubante Leandros, avanzando di qualche passo.
Stavolta Gyon, come pure Polluce, notarono entrambi la collana della giovane sacerdotessa, quasi identica a quella del Cavaliere. L’unica differenza erano le incisioni dei due nomi sulle due facce del ciondolo.
«Venite… Leandros, Talia… accomodatevi!»
I due quindi raggiunsero il tavolo, insieme a Gyon, portando in braccio i due bambini.
«Nobile Mantos, siamo qui perché…» – Talia, dopo essersi seduta, stava iniziando a spiegare le loro domande, ma venne interrotta
«So perché siete qui! Avete ricevuto il dono della vita, quando tu Talia non puoi portare in grembo un figlio, per la ferita che hai da quando eri poco più di una bambina! Eppure porti in braccio un bambino, tuo marito pure e ne tenete in mano un altro, ma non vi appartengono. Volete sapere da dove vengono, ma non riesco a vedere il loro passato, né il loro futuro. Qualcosa lo annebbia, lo nasconde alla mia vista»
“Davvero? Com’è possibile? È quasi impossibile che una tale evenienza possa accadere, e allora come ha fatto a mostrargli… non mi dire che ha usato la metanthropopois”
«Vuol dire che abbiamo fatto tutta questa strada per niente? Che abbiamo pagato quell’ingente somma per nulla?» – Leandros si alzò di botto abbastanza infuriato.
«Calma Leandros, nonostante, ad una prima vista, i miei occhi siano ciechi, non vuol dire che non possa aiutarvi!»
«Che vorrebbe dire?»
«Vorrebbe dire che c’è un modo di vedere il passato del giovane Akakios, ma può essere pericoloso. Tramite questa tecnica è possibile vedere il futuro o il passato o entrambi, tuttavia anche Akakios vedrà ciò che io vedrò, per cui se saranno episodi spiacevoli della sua vita, è come se li vivesse cento, se non mille volte, più intensamente di quanto non farebbe nella vita reale… siete d’accordo?»
“Avevo ragione, ha usato proprio quella! Circa dieci anni fa ne è stato limitato l’uso per i pesanti effetti sulla persona, tanto che iniziavano a girare voci su donne e uomini scomparsi, dopo aver ricevuto il responso. Io stesso ho visto una giovane donna morire per gli effetti di quella tecnica” – rifletteva Polluce, mentre ascoltava la discussione
Talia e Leandros si guardarono negli occhi timorosi e preoccupati.
«Ok!» – rispose Gyon sorprendendo la giovane coppia che si prendeva cura di lui
“Quindi anche da bambino è sempre stato incosciente… era solo un bambino non poteva rendersi conto”
«Sei sicuro?» – chiese preoccupata Talia
«Si!»
Gli occhi speranzosi di Gyon convinsero Talia e Leandros, mentre Mantos si intenerì alla vista del suo innocente sguardo.
«Sei un bambino molto coraggioso, sai! Comunque iniziamo… su dammi le mani…»
Mantos prese le mani del giovane Akakios, creando così un cerchio, attorno alla sfera di cristallo, posta al centro del tavolo. Iniziò a recitare alcune preghiere al Radioso Apollo, affinché il rituale si compisse con successo.
Un Cosmo bianco avvolse Gyon e Mantos, e in pochi istanti il persero e la coscienza, furono scaraventati in una visione di futuro e passato.
Si ritrovarono nel tempio di Athena e videro Gyon ed Eiren rincorrersi nelle sale del Tempio.
«Su Gyon, non riesci a starmi dietro…» – disse la ragazza ridendo
“Divina Athena!” – rimase quasi sorpreso Polluce, non tanto di vedere Athena ma più che altro della scena di serenità cui assisteva
«Aspetta, Eiren!»
“Sembrano felici, quasi che non ci fosse nulla per cui preoccuparsi, allora che intendeva Gyon?”
Un rumore interruppe i due giovani che si nascosero dietro alla statua di Athena. Videro Neven e Polluce passare di lì, con indosso le loro Sacre Armature. Stavano parlando di una guerra, ma essendo distanti non riuscirono a comprendere bene il discorso tra i due dorati.
“Ma quello sono io! Non riesco a sentire ciò che dico, o meglio dirò, forse. Evidentemente Gyon non riuscirà a sentire”
Eiren e Gyon erano molto vicini, i loro sguardi si incrociarono per diversi attimi di silenzio, mentre piano piano si avvicinavano.
«Non ti entusiasmare!» – fece Gyon sarcastico
Eiren reagì con una smorfia, un po’ imbarazzata e un forse po’ infastidita ma divertita.
Un altro rumore li interruppe. Era la porta delle stanze di Neven che si chiuse. I due distratti dal rumore si allontanarono.
«Credo che di dover andare!»
«Ehm… si, forse è meglio!» – rispose Eiren
Mentre Gyon si allontanava ed Eiren tornava nelle sue stanze, qualcuno le sbarrò la strada.
Era un uomo alto, con i capelli lunghi e neri, lineamenti più che fini, se non divini. I suoi occhi azzurri la fissavano, ma sembravano persi nel vuoto. Indossava un chitone nero, che gli lasciava scoperte le braccia.
Accanto alla testa si intravedeva il manico di una spada che sveva alle spalle. Eiren rimase impietrita.
“Chi è costui? Com’è riuscito ad introdursi nella quattordicesima Casa? Quello sguardo… gelido, inespressivo… perso nel vuoto, mi ricorda quasi… no… non può essere…”
«Che cosa fai qui?» – chiese la giovane Dea, anche se dal tono sembrava più un’intimidazione ad andarsene che una domanda
«Che domande!» – rispose avvicinandosi
Si chinò su di lei, parlandole quasi all’orecchio.
“Perché, io e Neven non ci siamo accorti dell’intrusione? Perché non interveniamo?”
«Sono venuto ad ucciderti!» – disse mentre la trapassava con la spada
“Divina Athena!” – Polluce era incredulo difronte a tutto ciò – “Quella spada… è sicuramente lui!”
Gyon, sentendo le urla di Eiren, accorse subito attaccando lo sconosciuto nemico.
«Lasciala stare!» – gli urlò – «Pegasus Ryuseiken!»
I colpi del giovane tuttavia vennero riflessi da una barriera, mandandolo al tappeto. Faticava a rialzarsi, e a mantenersi sveglio, e le ultimi immagini che vide, furono il nemico che scompariva portando Eiren con sé.
 
Akakios tremava in preda alle convulsioni.
«Akakios! No!» – urlavano Talia e Leandros, confusi per l’accaduto, mentre cercavano di farlo rinvenire.
I bambini, che la coppia aveva adagiato sul tavolo, piangevano all’impazzata e nel frattempo Mantos ancora non si era svegliata. I due cercarono di interrompere il rituale, provando a separarlo dalla Pythia, ma la connessione fra i due era così forte da rendere indissolubile la loro stretta di mani.
«Lo immaginavo che non avrebbe resistito alla durata intera del rituale! Tranquilli!» – disse Mantos appena ripresasi
Mise una mano sulla fronte del bambino e lo avvolse con il proprio Cosmo. Le convulsioni si fermarono, ma Akakios rimase in uno stato di semicoscienza.
«Tranquilli si riprenderà! Venite, portatelo nella mia stanza, così potrà riposare insieme ai fratelli!»
Leandros e Talia così seguirono la giovane Sacerdotessa nelle sue stanza e adagiarono i bambini sul letto abbastanza ampio. Mantos toccò la fronte dei due fratelli di Gyon e così anche loro si addormentarono.
«Riposeranno per qualche ora! Ora possiamo parlare!»
Pose quindi la mano su Gyon stesso, facendolo sprofondare in un sonno ristoratore.
 
I due Cavalieri si svegliarono improvvisamente, riuscendo a malapena a respirare.
«Che succede? Ha funzionato?» – chiese subito Ippolito – «Siete riusciti a vedere…»
«Si» – lo interruppe Polluce, ancora con il fiatone – «Ma c’è dell’altro»
«In che senso?» – gli chiese Gyon, anch’egli ancora provato
«Nel senso che non abbiamo visto la Pythia darti la collana, quindi è probabile che ci siano ancora ricordi di quel giorno legati alla Pythia, forse dopo che sei rinvenuto… e in quei ricordi magari ha spiegato le sue opinioni sulla visione… certo non è detto che sia andata così, ma dobbiamo riprovarci per saperlo» – concluse il Dioscuro
«Anche se fisicamente riusciste a reggere, non credo che abbiate la possibilità di ritentare» – intervenne Ippolito
«Perché?» – fece Gyon che poco a poco si stava riprendendo
«Siamo circondati!» – esclamò Ippolito
«Come siamo circondati?» – chiese il Cavaliere di Pegaso
«Quanto tempo siamo rimasti privi di sensi?» – gli chiese Polluce
«Pochi minuti, ma nel frattempo sono arrivati almeno tre individui» – rispose Ippolito, mentre Polluce e Gyon si guardavano intorno
«Ne conto sei in totale» – fece Polluce a bassa voce
«Si, presumo infatti che gli altri ci stessero già osservando»
«Possibile… sei riuscito a capire chi sono? Non sembrano Berserkers» – gli chiese Polluce
«No, ma non sembrano essere guerrieri di alto livello» – rispose Ippolito
«Si, beh in ogni caso dobbiamo fare attenzione! Gyon non è nelle condizioni migliori per uno scontro e anch’io risento un po’ degli effetti di queste ore di Genrō Maō-Ken, ma posso ancora cavarmela, tu forse sei quello più riposato»
«Io penso di farcela ad affrontarne uno» – intervenne Gyon – «Quindi che facciamo? Combattiamo?»
«Se la situazione rimanesse invariata, potremmo tranquillamente cavarcela, magari con qualche graffio» – rispose Polluce – «Tuttavia, dubito che durante il combattimento, la situazione rimanga la stessa»
«Che intendi?» – gli chiese Ippolito
«Se questi ci hanno seguito da prima, lo hanno fatto tenendosi ad una certa distanza, ciò potrebbe voler dire che siamo stati osservati tutto il giorno e se è così è possibile che ne arrivino altri…  e se non sono Berserkers, è possibile che siano dello stesso schieramento di quei guerrieri che seguivano tuo padre, quando ti ha attaccato…» – concluse infine il Dioscuro
«Quindi? Qual è la nostra mossa? Far perdere le nostre tracce?» – chiese Gyon 
«Si, ma non solo… Ippolito tieniti pronto!» – fece Polluce
«Aspetta che significa?» – chiese Gyon confuso
«Galaxian Explosion» – così Polluce, raccogliendo le energie residue, lanciò in aria il colpo più micidiale nel suo arsenale
«Charybdis Gorge!»
Non appena Polluce lanciò la sua Galaxian Explosion, Ippolito portò tutti e tre nel ventre di Cariddi, per proteggerli dagli effetti del colpo del Dorato e nasconderli al tempo stesso. Difatti, il colpo di Polluce dopo essersi diviso in più parti, colpì il suolo distruggendo gran parte della foresta nella quale si trovavano.
 
 

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Capitolo 30
*** XXVIII – Verso MU: Approdo a Tikopia ***


XXVIII – Verso Mu: Approdo a Tikopia

Odin aveva teletrasportato i dodici Cavalieri di Athena e tutti i guerrieri Muriani disponibil nel bel mezzo di un fitto bosco ai piedi di un vistoso vulcano.
I guerrieri Muriani, i Cavalieri di Bronzo e persino alcuni argentei sembravano disorientati, ma nessuno ne capiva il motivo.
 
«Che succede Therium?» – gli chiese Keren, vedendolo provato
«Non saprei, sono passati pochi minuti da quando siamo qui, eppure ho sempre più una strana sensazione… non saprei spiegarlo… un disorientamento che non avevo mai provato» – rispose l’abile segugio, allievo di Chirone
«Siamo in un’isola molto vicina alla costa Sud–Occidentale di Mu! Si chiama Tikopia ed è controllata dalla civiltà di Lapita. Considerando che Ares si aspetterà un nostro tentativo di liberazione di Mu, sicuramente avrà invaso queste isole e reso schiava la sua gente. Per cui il minimo che possiamo fare, è liberare questo popolo che soffre pena simile alla nostra» – spiegava Bor
«Fatto ciò… non sarà facile arrivare a Mu, nonostante le acque che ci separano siano prive…» – l’illustre Muriano si interruppe bruscamente un momento, per poi riprendere – «… dicevo… nonostante siano prive di forti correnti e nonostante la distanza che separa la costa Muriana, sia abbastanza breve» – concluse l’illustre, per svanire nel nulla qualche istante dopo, lasciando tutti abbastanza confusi.
Riapparve solo quasi un minuto dopo, alle spalle del gruppo, trascinando due Berserkers tramortiti.
«Nobile Bor… ma come?» – fecero i Cavalieri rimasti attoniti, eccezion fatta per i Dorati che avevano anch’essi percepito i nemici nelle vicinanze.
I Muriani non rimasero tanto sorpresi, ma anzi si inorgoglirono delle straordinarie abilità del loro leader. Ovviamente, ciò sollevò i commenti dei giovani guerrieri sia Muriani che Cavalieri di Athena.
«Non siate stupiti, Cavalieri… non siete riusciti a percepirli perché non sono due Berserkers comuni, ma sono specializzati in ricognizione e mimetizzazione, uno dei due ha commesso un piccolo errore, facendosi individuare» – spiegò subito Bor, tuttavia non tutti avevano colto la spiegazione e tale perplessità era ben visibile nei volti di alcuni Cavalieri bronzei, ma anche in molti tra i giovani Muriani.
«Sono Berserkers che hanno sviluppato doti e tecniche particolari, attraverso cui riescono a celare la loro presenza ai sensi, anche alla vista, persino ampliati dal Cosmo» – spiegò meglio Odin
«Detto questo, bisogna stabilire un perimetro e allestire un accampamento temporaneo… dobbiamo capire che situazione si prospetta alla spiaggia» – continuò Odin – «Cavalieri di bronzo e d’argento occupatevene voi, i Muriani vi aiuteranno»
«Sissignore»
«Baldur, insieme ai migliori ricognitori tra i Cavalieri, fate un veloce sopralluogo delle spiagge ad Est della nostra posizione» – gli ordinò il padre
«Mirs, Therium, voi andrete con Baldur, mentre Paun, Menkar e Medos, insieme ai rimanenti Cavalieri di Bronzo e guerrieri Muriani, vi occuperete del perimetro» – aggiunse Equos
Ognuno dei Cavalieri e dei guerrieri Muriani, iniziò il compito assegnato, mentre i Dorati insieme a Kleiros e agli Illustri iniziarono a discutere sul da farsi.
 
Una volta ricevute istruzioni, Baldur, Mirs e Therium si misero subito in cammino verso le spiagge, cercando di restare celati, il più possibile, ai sensi straordinari dei nemici. Tuttavia nei due Cavalieri, c’era molta inquietudine per gli eventi appena accaduti. Per Mirs e Therium era l’ulteriore prova del loro fallimento, della loro inferiorità rispetto ai nemici. D’altronde avevano preparato loro insieme a Kitalpha, il perimetro del Tempio e di Rodorio, il giorno in cui, il Berserker Egil, riuscì ad infiltrarvisi senza essere minimamente percepito. Da quel giorno loro si ritennero responsabili dell’attentato alla vita di Athena. Il peso della sconfitta si leggeva nei volti dei due giovani e Baldur se ne accorse immediatamente.
 
«Che succede?» – chiese allora il secondogenito di Odin – «Sembrate atterriti… c’è qualcosa che non va?»
«Nossignore» – risposero immediatamente i due
«Sicuri? Se avete dubbi, è meglio che li svisceriate, cosicché non influiscano sulla vostra attenzione»
«Possibilmente è un po’ di spossatezza, un po’ tutti l’abbiamo avvertita quando siamo arrivati sull’isola» – rispose Mirs
«Therium non sembra d’accordo» – rispose Baldur osservando l’espressione del giovane Cavaliere
Il silenzio dell’allievo di Chirone fu piuttosto eloquente…
«Su, forza sputate il rospo» – li incitò
«Sono solo alcune perplessità…» – fece Mirs
«Credevamo fosse impossibile nascondere odori, la propria immagine, i rumori fatti spostandosi» – intervenne di getto Therium – «Persino ai sensi dei Cavalieri d’Oro o anche ai Vostri che certamente inferiori non sono. Eppure, il nobile Bor stesso ha ammesso, che se non avessero commesso alcuni errori, non li avrebbe intercettati. Perciò mi chiedo una ricognizione in territorio ostile, con avversari di questo calibro, è una buona idea? Non fraintendete, non è paura la mia, ma più una consapevolezza di non poter fronteggiare tali abilità, non con lo scopo di ricognizione, per cui credo che facilmente il nemico ci possa individuare e di conseguenza si apra uno scontro… tale evenienza quando è così fortemente probabile non rende inutile una ricognizione?» – chiese perplesso Therium
«Therium, giusto? Allievo di Chirone?» – chiese Baldur
«Sissignore»
«Non conosco bene il tuo maestro, l’ho visto solo poche volte, e tutte in questi ultimi giorni… ciononostante conosco la sua fama e alcune storie, raccontatemi da mio padre e mio nonno… e una delle frasi, a detta lor s’intende, che il tuo maestro sarebbe solito pronunciare difronte a situazione bizzarre è che “c’è sempre…”»
«C’è sempre il trucco…» – intervenne pronto Therium – «Si è vero lo dice sempre…»
«Quindi da abile ricognitore ti sarai fatto un’idea di come facciano questi Berserkers?
«Per alcune cose si, per altre brancolo nel buio…» – rispose subito il Cavaliere – «Tra l’altro sia io che Mirs abbiamo aiutato il Nobile Neven e il Nobile Equos a migliorare le difese del Tempio… eppure i nemici si sono infiltrati senza che neanche ce ne accorgessimo…»
«È vero» – confermò il compagno – «Nemmeno i Cavalieri D’Oro si accorsero di Egil, finché non scoccò una freccia verso Athena»
«Ma tra le vostre fila si vocifera di un giovane Cavaliere che abbia affrontato per primo Egil… presumevo fosse uno di voi due, ma deduco adesso che non sia così…» – commentò Baldur
«No, infatti» – rispose Mirs – «Si tratta di un giovane Cavaliere di Bronzo… ma di lui sappiamo solo le voci degli abitanti del villaggio suoi compaesani… adesso non ricordo il suo nome… era qualcosa con la G»
«Gyon di Pegasus» – intervenne Therium – «Anch’io ho sentito le medesime voci, ma quando ho chiesto spiegazioni al mio maestro su costui, non ha saputo darmene… so solo che è un ragazzo che viveva a Rodorio»
«A questo punto credo che non abbia voluto» – replicò Mirs – «Ho chiesto la stessa cosa ad Equos, il mio maestro, che sempre secondo gli abitanti del villaggio, avrebbe portato lui il ragazzo al Tempio, dopo l’incendio di Rodorio diversi mesi fa. E neanche lui mi ha dato spiegazioni, né su come fosse entrato Egil, né su questo Cavaliere. Inoltre, il mio maestro era presente a quegli eventi, poiché faceva parte della scorta che protesse Athena, quindi di sicuro sa qualcosa…»
«Forse ho capito di chi state parlando… l’ho visto sull’isola di Ares e un’altra volta al consiglio di Guerra mentre cercava di origliare… ovviamente è stato scoperto… mi è sembrato sicuramente coraggioso e leale, ma ancora molto molto inesperto… non credo che abbia particolari abilità di percezione» – li rassicurò Baldur
«Eppure un Berserker è riuscito a superare i nostri confini, senza farsi individuare, neanche dai Dorati… solo lui si è allarmato, vorrei tanto capire come ha fatto» – replicò Mirs – «Detto questo, i dubbi di Therium non sono infondati, dobbiamo prendere atto della superiorità del nemico nell’infiltrazione»
«Therium… Mirs…» – rispose Baldur – «capisco le vostre perplessità… Tuttavia di questi tipi particolari di Berserkers, non ce ne sono molti. Per fuggire da Mu con la mia gente abbiamo fronteggiato diverse legioni e abbiamo notato che sono divise in gruppi, variabili da 10 a 50 Berserkers. Neanche il gruppo da 50 aveva più di una decina di “Berserkers da ricognizione” se così vogliamo chiamarli. Quindi considerando la vastità dei territori di Mu e che solo dal versante Sud-Ovest, ci sono circa 8 isole da cui si può tentare la traversata a nuoto o con piccole imbarcazioni, presumo con ragionevole certezza che Berserkers da ricognizione, in un’isola così piccola non ce ne siano più di due. Inoltre questi due erano particolarmente dotati anche nelle percezioni, combinazione ancor più rara, lo conferma il fatto che ci hanno individuato subito. Da questo ritengo che qualora ci sia un altro Berserker ricognitore, non credo sia altrettanto dotato di capacità percettive, altrimenti staremmo fronteggiando un’orda di Berserker…
Quindi sebbene i vostri dubbi e perplessità sull’eventuale utilità di questa ricognizione siano fondati, sono già stati vagliati e, come vi ho appena spiegato, superati…
Perciò adesso, concentratevi» – concluse Baldur
«Sissignore»
 
I tre erano ormai vicini alla spiaggia, quando Therium, alla testa del gruppo, si accorse di una trappola ben piazzata dai Berserkers.
«Nobile Baldur… venga qui!» – fece il giovane Cavaliere
«Una trappola! Sembra essere uno dei sigilli di Ares…» – commentò Mirs
«No!» – rispose secco Baldur, non appena vide la runa abilmente nascosta
 «È una runa alchemica… uno dei simboli usati dagli alchimisti per creare sistemi ordinati di energia… possono servire per centinaia di scopi diversi, ma questa in particolare credo serva a creare una barriera intorno all’isola… e possibilmente non è l’unica» – spiegò Baldur
«Una barriera?»
«Si una barriera di indebolimento… il disorientamento che avvertite… chiaramente ha più effetto su di voi… ma non penso che l’indebolimento sia l’unico scopo di questa barriera»
«Guardate con attenzione… la runa è disegnata con dei solchi su terreno, quindi risulta facile annullarla, inoltre vedete questi segni qui…?» – disse indicando la parte inferiore della runa – «Non sono necessari per creare una barriera di difesa… sembra che in qualche modo queste modifiche creino una sorta di rete parallela di energia… rete dipendente dal simbolo principale»
«Sembra quasi…» – fece Therium
«Un sistema di allarme» – intuì Mirs
«Si è molto probabile…» – concluse Baldur – «Se si annulla anche una di queste rune, la barriera di indebolimento rimane invariata, tuttavia la mancanza di una, altera la rete secondaria, mostrando a chi la controlla, che una delle rune è stata annullata… devono essere disposti, in maniera ordinata, su tutta l’isola e forse tra le diverse isole, in modo che l’alchimista che controlla queste reti di energia, possa risalire alla posizione della runa annullata»
«E quindi localizzare chiunque annulli anche involontariamente questi sigilli, considerando che se non ce ne fossimo accorti, calpestandola avremmo distorto i solchi e quindi annullato la runa…» – continuò Therium
“Non esattamente, o meglio non solo” – fece una voce che sembrava provenire dal nulla  
«Padre…»
«Stavo per dire di avvertire subito gli altri, ma a quanto pare…» – esclamò Mirs
«Si ci avevo già pensato, così ho contattato telepaticamente mio padre» – spiegò Baldur
«Padre, è come penso io?»
“In parte” – fece Odin – “Se guardi attentamente la runa, c’è una parte di simboli che non mi convince molto… sono collegati al gruppo in basso, che mantiene la rete secondaria, ma non hanno senso, non servirebbero a nulla nel mantenimento di una rete di energia secondaria, a meno che…”
«Si ma certo…» – esclamò Baldur con volto illuminato, mentre i due Cavalieri a stento riuscivano a seguire ciò che i due stavano dicendo
«Non appena la runa viene interrotta, l’energia che scorre in essa, prima di ritornare alla sorgente passa per contatto al corpo che l’ha distorta!»
“Esatto!” – confermò Odin – “Solo così avrebbero senso… in questo modo l’alchimista, o gli alchimisti più verosimilmente, che stanno supportando queste reti di energia, riescono anche a valutare se chi interrompe una runa sia stato un animale, un albero caduto o un nemico” – spiegò meglio Odin
“Baldur a questo punto, prima di andare alla spiaggia, perlustrate la zona attorno al perimetro, e segnalatemi di volta in volta la posizione delle rune, nel frattempo insieme a Keren cercheremo un modo di alterare il flusso di energia delle rune, in modo tale da rendere indipendenti le due reti…” – continuò Odin
“Certo!” – pensò Therium – “Così possiamo annullare la rete che sostiene la barriera, senza farci scoprire dal nemico…»
«Credi di riuscire ad intercettare la fonte della barriera con la posizione di altre rune?» – chiese Baldur
“Si pure con un buon margine… ma non so di quante rune mi servirà sapere la posizione…”
«Certo, questo dipende da quanto la barriera sia grande e da come sono disposte…» – rispose Baldur
“Riflettendoci su, ritengo che se avessero un minimo senso pratico, anche se una singola barriera coprisse più di un isola, comunque la rete di energia secondaria dovrebbe essere controllabile da ogni isola, in modo da poter gestire più fronti contemporaneamente senza troppe perdite di tempo… detto ciò presumo che la fonte della barriera di indebolimento sia unica, con abbastanza Rune non disperdibili da poterla diffondere in tutta la zona interessata, mentre ogni isola abbia un sistema di controllo delle rune mobili, che servono a questo punto a mascherare la rete secondaria all’interno delle rune per la barriera di indebolimento”
«Che intende per Rune non disperdibili?» – chiese Therium
«Sono Rune diverse da quelle quella che abbiamo difronte, non tanto nella forma, il disegno probabilmente è lo stesso, tuttavia non è creata da solchi nel terreno in cui scorre energia pura, per cui è sufficiente spezzare il solco per rimuoverla, ma piuttosto da un circuito solido che difficilmente potrà essere distrutto» – spiegò Baldur
«Quindi tutto questo aveva un doppio scopo… se non ci fossimo accorti delle rune prima o poi ne avremmo fatta scattare una, ma se invece ce ne fossimo accorti, speravano che le avremmo distrutte ritenendole responsabili della barriera di indebolimento, localizzandoci in ogni caso e non intaccando comunque la barriera stessa» – dedusse Therium
«Probabilmente hai ragione» – fece Baldur – «Nella loro arroganza non ritenevano possibile che ci accorgessimo di tutto ciò»
“Non è arroganza…” – rispose Odin – “Non credo che un sistema così elaborato sia frutto dell’ingegno di qualche Berserker o alchimista al servizio di Ares… che io sappia nessuno a parte me, ha mai sviluppato un alchimia runica, e questo sistema sebbene sia enormemente più avanzato parte dalle basi della mia alchimia, per cui ritengo che sia frutto della mente del nostro maestro, che imprigionato dalle Catene dell’Esilio e sotto l’influenza di Aphrodite abbia ideato il tutto e sempre per i poteri della Dea non se rammenti nemmeno”
«Ma certo, non avranno nemmeno considerato l’idea che qualcuno a parte il Sommo Efesto riuscisse a comprendere un’alchimia così complessa… non potevano sapere che hai ideato tu le basi dell’alchimia runica e che il Sommo Efesto in quelle condizioni si sia limitato a superarne i limiti per i loro scopi»
“Si e se è così, credo proprio che entrare a MU sarà più difficile del previsto”
«Che intendi padre?»
“Se hanno usato un sistema così avanzato per difendere queste isole, non oso immaginare fin dove la mente del Sommo Efesto, plagiata da Aphrodite, si sia spinta per modificare e migliorare le barriere di difesa di MU”
“Questi Muriani sono incredibili, in pochi minuti hanno potuto dedurre tutto questo” – pensò tra sé Mirs – “Se non ci fossero stati loro, saremmo caduti sicuramente nella trappola”
«Nobile Odin… avere un’idea di come i Berserkers abbiano organizzato questa griglia di difesa dei confini può aiutarci a trovare un modo di entrare Mu indisturbati?» – chiese Therium
«Intendi se si può trovare un modo, per usare questa rete contro di loro?» – gli chiese Baldur
«Si qualcosa del genere e se non proprio direttamente contro di loro…»
“Un diversivo” – lo anticipò Odin
«Esattamente»

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Capitolo 31
*** XXIX – Oltre i Dardanelli ***


XXIX – Oltre i Dardanelli

La Galaxian Explosion scagliata da Polluce si divise in diverse parti, distruggendo gran parte della foresta nella quale si trovavano, colpendo in pieno i misteriosi individui che seguivano i tre Cavalieri. Ippolito, un istante prima che il colpo del Dorato raggiunse il suolo, utilizzò il Charybdis Gorge per nascondersi insieme ai compagni, evitando così l’esplosione. Le torbide e urenti acque del ventre della bestia erano così dense da sembrare una melma, tanto gelide quanto ardenti, nel quale nuotare diventava sempre più difficile con il passare del tempo.
 
«Polluce… Ippolito» – urlava Gyon, in cerca dei compagni, che già esausto, aveva difficoltà a restare a galla avvolto da quella melma. Il sacro scrigno che portava sulle spalle diventava sempre più pesante mentre l’odore stantio di putrefazione, forte come non avesse mai provato, neanche difronte ad un cadavere, gli toglieva il fiato. Poi all’improvviso, quando le sue speranze sembravano svanire, comparve in lontananza, una luce calda e dorata.
«Gyon, siamo qui!» – urlava il giovane Ippolito 
«Forza, ragazzo, non possiamo stare qui a lungo!» – lo incitò Polluce
Gyon risollevato nuotò con più forza, ma era esausto, difatti una decina di secondi dopo, sentì le forze che lo abbandonavano e così smise di nuotare.
Lentamente affondava in quella melma putrescente mentre i sensi lo abbandonavano. L’ultima cosa che udì prima di perdere conoscenza fu il suono di un tuffo.
Era Polluce che lanciandosi dai resti della poppa di una nave sulla quale si era salito con Ippolito per evitare quelle urenti acque, si gettò per raggiungere il compagno. Subito dopo anche Ippolito fece la stessa cosa e dopo pochi istanti si ritrovarono improvvisamente su una spiaggia.
Le piccole onde che si infrangevano sulla battigia furono l’ultima immagine che Gyon vide prima di svenire.
«Dove siamo?» – chiese Polluce, mentre si caricava Gyon sulla spalla
«Dall’altra parte dei Dardanelli…» – rispose Ippolito – «Volevo portaci dentro la foresta, ma l’inverse Gorge non è un teletrasporto, più mi allontano dal luogo in cui ho aperto il vortice più perdo di precisione rischiando anche di finire dentro a qualche cosa. Ho potuto raggiungere l’altra parte dello stretto grazie alla percezione che ho dell’acqua altrimenti non mi sarei potuto allontanare così tanto»
«Capisco, con la Dimension Release avevo lo stesso problema anche se ho trovato una soluzione» – rispose il Dorato, anch’egli visibilmente provato.
D'altronde Gyon e Polluce si erano sottoposti per ore al Genrō Maō-Ken e gli effetti erano abbastanza evidenti anche sul Dorato, non solo sul giovane che per tale motivo non resistette per più di cinque minuti nel ventre di Cariddi.
«A proposito di altre dimensioni… ha funzionato? Li hai presi tutti?»
«Ah, te ne sei accorto…» – rispose il Dorato
«Era evidentemente diversa dalla Galaxian Explosion che conosco… il resto è stato una conseguente deduzione» – fece Ippolito, resosi conto che Polluce oltre a sferrare il suo micidiale colpo sui nemici, usò l’energia della Galaxian Explosion anche come vettore per l’Another Dimension, trasportando così gli sventurati nemici nella più tetra oscurità.
«Si li ho presi tutti e sei e sicuramente due sono ancora in vita» – spiegò il Dorato, compiaciuto
«Perfetto! Ora abbiamo una possibilità concreta di scoprire gli obiettivi del nemico» – fece Ippolito entusiasmato per le ottime notizie
«Si ma non qui, serve un luogo sicuro…» – rispose Polluce
«Certo, piuttosto, ti vedo stanco… vuoi che lo porto io» – gli chiese il giovane
«No, non c’è bisogno» – disse Gyon rinvenendo
«Ah sei sveglio ragazzo… ce la fai a camminare?» – gli chiese il Dorato
«Si» – disse un po’ disorientato – «Un giorno, Ippolito, mi spiegherai che razza di posto era quello…» – fece poi sempre un po’ intotito – «Mmh aspetta… riflettendoci non sono sicuro di volerlo sapere»
Sia il Dorato che Ippolito sorrisero alle parole del giovane Pegaso
«Su forza, dobbiamo sparire velocemente da qui» – fece Polluce
I tre Cavalieri iniziarono macinare terreno, almeno per un’ora all’interno della foresta che costeggiava la spiaggia fino a quando sfiniti si fermarono in luogo non tanto diverso da dove si erano accampati in precedenza.
 
«Basta, fermiamoci» – fece Ippolito – «Dovete riposare! Orami dovremmo essere al sicuro…»
«Concordo» – fece Polluce
«Non sarebbe meglio se qualcuno rimanesse sveglio per fare la guardia?» – propose Gyon con il fiatone
«È un’ottima idea, stavo proprio per proporlo» – rispose il Dioscuro
«Allora inizio io» – fece Ippolito – «Sono il più riposato e tramite la Psychonthéa posso percepire nemici anche a distanza, nonostante non brucino il Cosmo»
«Si… stavolta la devi usare, non abbiamo molta scelta» – fece Polluce
«Perché prima non l’hai usata?» – gli chiese Gyon
«Perché, se qualcuno nelle vicinanze avesse anch’egli questa abilità, mi percepirebbe immediatamente senza neanche usarla» – spiegò il giovane
«Non capisco, perché?»
«Sei proprio ottuso…» – fece Polluce
«È un concetto più semplice da capire di quello che credi…» – intervenne Ippolito – «Immagina di essere al buio e quindi accendi quindi una torcia per vedere meglio… se non fossi troppo distante da te, ti vedrei, no? Anche senza usare una torcia a mia volta»
«Ah certo! ora capisco» – rispose imbarazzato il giovane Pegaso – «Però il secondo turno lo faccio io»
«Non scherzare, ragazzino. Hai subito per ore gli effetti del Genrō Maō-Ken…»
«Va bene… non insisto» – rispose Gyon
«Ippolito, fra circa mezz’ora prova ad usare la Psychonthéa e controlla che nessuno sia sulle nostre tracce»
«Sissignore!»
«Va bene adesso riposiamo, i turni saranno di un’ora circa, quindi Gyon cerca di riposare e non pensare troppo a ciò che hai visto»
«Beh… facile a dirsi…» – rispose il giovane – «Non hai detto una parola a riguardo, durante il cammino» – gli fece notare dopo
«Non c’è molto da dire. È molto probabile che ciò che abbiamo visto sia una fusione tra ricordi e illusioni generate da Deimos, quindi puoi dormire sonni tranquilli»
“Altro che illusioni di Deimos… avrebbe più ovviamente mostrato Ares uccidere Athena… anche perché, Gyon non ha mai visto Hades, quindi, non può aver paura di qualcosa che non conosce… inoltre Deimos associa i tratti più cruenti della guerra alle sue illusioni… l’unico che avrebbe potuto crearle in tal modo è Phobos piuttosto, ma Gyon ha specificato che si trattava di Deimos ad averlo attaccato… pertanto è da escludere che si tratti di illusioni, reminiscenze senza dubbio… tutto sommato forse è meglio tranquillizzare Gyon, non possiamo permetterci distrazioni da parte sua”
«Dai… ora riposa!» – aggiunse infine Polluce, anche se dal tono sembrava più un’intimidazione che un consiglio, mentre Ippolito non si lasciò sfuggire la preoccupazione celata del Dorato.
 
Passò circa mezz’ora, e come detto da Polluce, Ippolito attraverso le sue abilità cercò di percepire ciò che accadeva intorno a loro. Qualcosa poco distante attirò l’attenzione del giovane, proprio non distante dal luogo dal quale erano fuggiti. Un uomo, che sembrava possedere l’anima del guerriero, almeno, alla Psyconthea, si disperava.
 
«Dannazione!» – esclamò Ippolito
«Cosa vedi, ragazzo?» – gli chiese Polluce
«Ah, sei sveglio… Non hai proprio dormito, vero?»
Polluce non rispose alla domanda dell’amico, rimanendo immobile, girato dall’altro parte.
«Sei preoccupato per chi ci insegue o più per quello che hai visto nei ricordi di Gyon?» – chiese, ancora il giovane
Polluce ancora una volta non rispose alle domande di Ippolito.
«Ah… è così… mentre la possibilità che qualcuno ci inseguisse l’avevi considerata già prima di partire, non ti aspettavi assolutamente ciò che hai visto nella mente di Gyon…»
«Non curarti di cose che non ti riguardano, che già ne hai abbastanza di cui temere…» – tagliò corto Polluce – «dunque cosa hai percepito?»
«Un uomo! Vicino a dove ci eravamo accampati, tra Sestus ed Elaeus… sembra essere un soldato… è afflitto per la perdita dei compagni, è l’unico della guarnigione ad essere sopravvissuto… riesco a vedere la sua disperazione… è quasi lacerante… ora ha iniziato pure a sentirsi in colpa» – spiegò Ippolito
«In colpa perché?» – gli chiese il Dorato
«Perché è felice di essere sopravvissuto…»
«Ah» – sospirò sconfortato Polluce – «Così ci sono già stati i primi danni collaterali! E non abbiamo ancora iniziato… è stata l’esplosione ad ucciderli?»
«Non hai controllato che non ci fosse nessuno nel raggio dell’esplosione, prima di lanciarla?» –
«È ovvio che l’ho fatto! Mi stupisce che tu debba chiederlo» – fece Polluce indispettito
«Scusa hai ragione… comunque no non sono morti nell’esplosione, si sono verosimilmente imbattuti in quei guerrieri»
«Da cosa lo deduci?»
«Sono avvolti da ragnatele fittissime…»
«Non mi stupisce che abbiano guerrieri con abilità insidiose… chissà quante sorprese ci riserveranno queste guerre»
«Che intendi con queste guerre?»
«Di solito sei molto più intuitivo… beh non credo che quei guerrieri fossero dei Berserkers… e se non sono Berserkers chi sono, che Divinità seguono? E tuo padre invece?»
«Capisco le tue preoccupazioni riguardo ad Hades» – continuò dopo una piccola pausa – «ma hai detto tu stesso che non gli conviene intervenire in maniera aperta finché il conflitto con Ares non sarà concluso…»
«Esatto» – lo interruppe Polluce sconfortato – «A quel punto, quando saremo sfiniti e decimati, allora colpirà… e con l’esercito che è in grado di disporre non so se riusciremo a sconfiggerlo! Quanti dovranno perire in queste guerre e soprattutto quanti innocenti? Oggi non è stata colpa mia… ma in un momento come quello, sbagliare a calibrare della potenza del colpo, non è poi così inverosimile… ora tutto questo che senso ha se poi alla fine…» – il Dorato s’interruppe bruscamente, lasciando Ippolito in un silenzio attonito, abbastanza evidente.
Chiaramente non era nelle intenzioni di Polluce far preoccupare il giovane, che aveva già i suoi motivi personali per esserlo.
«Scusa Ippolito…» – fece dopo qualche profondo sospiro – «Non curarti delle stolte parole di questo vecchio… che ha vissuto troppo… troppo a lungo… solo di guerra e che non conosce più quale sia il significato di pace…»
«Non me ne curerò… ma solo se la smetterai di crogiolarti in questo pessimismo e in questa autocommiserazione» – rispose Ippolito, suscitando un sorriso al Dioscuro – «anche perché, davvero, non ti si addice»
«Piuttosto» – fece dopo qualche istante rompendo il silenzio quasi imbarazzante che si era creato – «Quando pensi di interrogare quei due guerrieri che sono sopravvissuti alla tua Galaxian Explosion?»
«È troppo rischioso farli uscire dalla Dimensione Oscura finché non in un luogo in cui il nemico difficilmente potrà attaccare»
«Certo, capisco…»
«Ma non dovevamo dormire…?» – fece, assonnato, Gyon, rigirandosi a faccia in giù
«Si è vero… Ippolito dai riposa! Sto io di guardia adesso»
«Va bene… Gyon guarda che fra un’ora tocca a te!» – fece Ippolito, che non ricevendo alcuna risposta dal compagno già riaddormentatosi, sorrise – «Mmh… Se avesse le stesse capacità che ha nell’addormentarsi, in combattimento, potrebbe porre fine alla guerra da solo» – commentò scherzosamente
In realtà Gyon, in dormiveglia, aveva ascoltato tutta la conversazione. Inizialmente non fu scosso dalle preoccupazioni del Dorato, era d’altronde in dormiveglia per cui non ci rifletté nemmeno, ma a un certo punto la reazione eccessiva di Polluce lo scosse improvvisamente. Infatti, subito dopo aver chiesto ai compagni di fare silenzio, un pensiero iniziò a farsi strada nella sua mente, un pensiero che non solo gli impedì di riaddormentarsi ma al tempo stesso lo pervase completamente.
“Deve essere così… avrà riconosciuto Hades o qualcuno legato a lui, in quel viso” – pensava tra sé e sé – “No Hades in persona… solo lui potrebbe fare una cosa del genere. Per questo Polluce si è preoccupato tanto… d’altronde discorsi simili, riguardo alla guerra, li avevano già fatti durante la riunione alla Quattrodicesima Casa, quindi perché preoccuparsene così tanto adesso, se non per le visioni? Per il resto la situazione è rimasta la stessa, è l’unica conclusione plausibile. Deve aver riconosciuto Hades!”
Questi pensieri assorbirono completamente l’attenzione del giovane Pegaso, tant’è che non rispose neanche ad Ippolito subito dopo. Il silenzio di Gyon, difatti, non fu intenzionale, ma una reazione involontaria… aveva dato un nome a quel volto. Nonostante fossero passati pochi giorni, era già diventato un’ossessione per il Cavaliere. Adesso aveva un nome, e sebbene chiunque ne sarebbe stato intimorito, lui era diverso. Il sapere di chi si trattasse fu quasi un sollievo, quasi lo rassicurò, come se lo rendesse più affrontabile. In parte era così, ma Gyon in un momento forse di incoscienza, di delirio di onnipotenza o di lucida follia, pensava di potersi preparare adeguatamente a tale minaccia. 
 
La notte volgeva ormai al termine e le prime luci dell’alba rischiaravano la foresta nella quale i tre Cavalieri erano accampati, ormai non troppo distanti da Troia.
Gyon sveglio per il suo turno di guardia, si alzò per sgranchirsi un po’ le gambe.
Fece una breve perlustrazione e la ripeté un paio di volte, cercando di prestare attenzione se ci fossero nemici nelle vicinanze, tuttavia la sua mente inevitabilmente ritornava a quel pensiero avuto prima.
Ad un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione, qualcosa che lo fece voltare immediatamente.
“Era solo uno scoiattolo” – percepì sollevato
«I tuoi sensi stanno migliorando!» – si complimentò Polluce – «Tuttavia non mi avevi percepito!»
«Si invece… mi hai seguito anche per tutto il giro precedente!»
«Bravo! Ma non abbassare mai la guardia, soprattutto per le tue preoccupazioni personali!»
In quel momento un brivido fece trasalire i due Cavalieri e d’istinto Polluce spinse via Gyon, facendo al contempo un balzo indietro. Un istante dopo due frecce piombarono sulle precedenti posizioni dei due compagni.
 
«Siamo circondati!» – fece Gyon – «Cos’è che dicevi sul non abbassare mai la guardia?»
«Sei lontano da casa, Cavaliere dei Gemelli»
Una giovane donna, col viso coperto da una maschera d’oro e lunghissimi capelli castani, emerse come dal nulla, avanzando con spavalderia. La voce soave ma al tempo stesso determinata della guerriera non sembrava familiare al Dorato.
“La sua voce non mi dice nulla, eppure sembra che mi conosca, o quantomeno che conosca qualche Cavaliere e che abbia riconosciuto la fattura delle armatura” – pensava Polluce
«Chi sei?» – chiese Gyon, in posizione di guardia e stranamente concentrato sul nemico
“Mi sarei aspettato che Gyon attaccasse senza neanche pensarci due volte, ma stavolta sembra giustamente cauto… che stia maturando?!”
«Il mio nome è Pentesilea, Regina delle Amazzoni… siete circondati! Arrendetevi e prometto che non soffrirete»
«Ah» – sghignazzò Gyon, prima di scattare improvvisamente verso l’amazzone.
Allo scatto di Gyon tutte le guerriere rimaste nascoste si avvicinarono allo scontro, rimanendo tuttavia a distanza, vedendo la loro Regina cavarsela egregiamente.
Pentesilea con abile maestria schivò tutti gli attacchi del giovane Pegaso e con estrema semplicità lo atterò con una scivolata, il tutto davanti ad un immobile Polluce.
Quando l’amazzone stava per trafiggere Gyon, con la sua lancia dorata, intervenne Ippolito, comparso dal ventre di Cariddi, che bloccò il braccio di Pentesilea, appena in tempo.
Gyon si vide la punta della lancia sfiorargli il naso e subito si rialzò grazie alla copertura di Ippolito.
«Basta così» – fece determinato il giovane figlio di Teseo
«È bello rivederti!» – fece poi sorridente alla bellissima Amazzone

 

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Capitolo 32
*** XXX – La storia di Pentesilea ***


XXX – La storia di Pentesilea

Gyon sveglio per il suo turno di guardia, si alzò per sgranchirsi un po’ le gambe.
Fece una breve perlustrazione e la ripeté un paio di volte, cercando di prestare attenzione se ci fossero nemici nelle vicinanze, tuttavia la sua mente inevitabilmente ritornava a quel pensiero avuto prima.
Ad un certo punto qualcosa attirò la sua attenzione, qualcosa che lo fece voltare immediatamente.
“Era solo uno scoiattolo” – percepì sollevato
«I tuoi sensi stanno migliorando!» – si complimentò Polluce – «Tuttavia non mi avevi percepito!»
«Si invece… mi hai seguito anche per tutto il giro precedente!»
«Bravo! Ma non abbassare mai la guardia, soprattutto per le tue preoccupazioni personali!»
In quel momento un brivido fece trasalire i due Cavalieri e d’istinto Polluce spinse via Gyon, facendo al contempo un balzo indietro. Un istante dopo due frecce piombarono sulle precedenti posizioni dei due compagni.
 
«Siamo circondati!» – constatò Gyon – «Cos’è che dicevi sul non abbassare mai la guardia?»
«Sei lontano da casa, Cavaliere dei Gemelli» – una giovane donna, col viso coperto da una maschera d’oro e lunghissimi capelli castani, emerse come dal nulla, avanzando con spavalderia. La voce soave ma al tempo stesso determinata della guerriera non sembrava familiare al Dorato.
“Sembra che mi conosca, o quantomeno che conosca qualche Cavaliere e che abbia riconosciuto la fattura delle armatura, ma io sono sicuro di non conoscerla” – pensava Polluce
«Chi sei?» – chiese Gyon, in posizione di guardia e stranamente concentrato sul nemico
“Mi sarei aspettato che Gyon attaccasse senza neanche pensarci due volte, ma stavolta sembra giustamente cauto… che stia maturando?!”
«Il mio nome è Pentesilea, Regina delle Amazzoni… siete circondati! Arrendetevi e prometto che non soffrirete»
«Ah» – sghignazzò Gyon, prima di scattare improvvisamente verso l’amazzone.
Allo scatto di Gyon tutte le guerriere rimaste nascoste si avvicinarono allo scontro, rimanendo tuttavia a distanza, vedendo la loro Regina cavarsela egregiamente.
Pentesilea con abile maestria schivò tutti gli attacchi del giovane Pegaso e con estrema semplicità lo atterò con una scivolata, il tutto davanti ad un immobile Polluce.
Quando l’amazzone stava per trafiggere Gyon, con la sua lancia dorata, intervenne Ippolito, comparso in quell’istante dal ventre di Cariddi, che bloccò il braccio di Pentesilea, appena in tempo.
Gyon si vide la punta della lancia sfiorargli il naso e subito si rialzò grazie alla copertura di Ippolito.
«Basta così» – esclamò determinato il giovane figlio di Teseo
«È bello rivederti!» – disse poi sorridente alla bellissima Amazzone
«Ippolito, nipote mio!» – rispose incredula la donna, abbracciandolo subito dopo
«Credevo fossi morto con tuo padre ad Atlantide»
«No, grazie a Polluce mi sono salvato. Ora sono un Cavaliere di Athena!»
«Capisco, vedo il tuo scrigno!»
«Siete lontani dal Tempio di Athena… siete qui per la guerra?»
«No… o meglio non la guerra cui ti riferisci tu»
«Non capisco»
«Potremmo farvi le stesse domande, ma magari parliamone davanti un coppa di vino e non circondati dalle tue guerriere con le lancie puntate su di noi» – intervenne Polluce
«Certamente, seguitemi… possiamo parlare alla nostra base. Non è troppo distante, purtroppo però, abbiamo solo due cavalli liberi» – rispose Pentesilea
«Non fa niente, Gyon verrà con me» – rispose Polluce
«Scusa ma perché io? Non può venire con te Ippolito»
«Fa silenzio!» – urlò Polluce – «Credevo stessi maturando, invece ti comporti sempre come un moccioso, ora sali e non discutere i miei ordini!»
«Sissignore» – rispose demoralizzato
Così Pentesilea e le altre venti amazzoni che la seguivano si misero a Cavallo e condussero i tre Cavalieri al loro accampamento, diverse decine di stadi di stanza.
«È impressione mia o sono tutte donne?» – sussurrò Gyon a Polluce
«Non hai mai sentito parlare delle amazzoni?» – gli chiese Polluce
«Emh no!»
«Sono un popolo guerriero di sole donne, che vivono in Meotide, una regione montuosa del Caucaso. La loro forza è leggendaria, si dice che superi di gran lunga la forza degli uomini, e che il loro addestramento e la loro agilità gli conferiscano un vantaggio ineguagliabile in battaglia»
«E Ippolito come le conosce?»
«Beh vedi Pentesilea è sorella di Antiope, la madre di Ippolito, anch’ella un’amazzone»
«Quindi Ippolito sarebbe il figlio di un’amazzone?» – esclamò Gyon sorpreso
«Si, e non di una qualunque, ma di una regina, che per sfortunati eventi, purtroppo, morì alla festa nuziale di Teseo e Fedra, per mano di Pentesilea stessa…»
«Come per mano di Pentesilea?»
«Beh non so tutti i dettagli, ma pare che scoppiò una rissa tra Pentesilea e alcuni invitati che avrebbero provato ad attentare alle sue virtù con la forza. Antiope intervenne per cercare di sedare gli animi, tuttavia si mise in traiettoria del fendente sferzato dalla sorella.
Pentesilea, per il senso di colpa, pregò Ippolito di prendere la sua vita, ma quel ragazzo è forse una delle persone più buone su questa Terra, figurati se lo avrebbe mai fatto»
«E poi cosa successe?» – chiese quindi Gyon, sempre più interessato alla vicenda
«Beh dopo il rifiuto di Ippolito, Teseo intervenne, disprezzando il figlio per quella che egli riteneva una debolezza e lo insultò più volte… poi prese una spada e con Pentesilea in lacrime e in ginocchio davanti a lui vibrò un fendente che tuttavia venne fermato dalla mano di Ippolito, anch’egli in lacrime, che disse “Ho perso una persona di troppo stasera”… e alla vista di suo figlio così provato anche il cinico Teseo desistette, insultandolo una volta di troppo»
«Uhh, certo che ne ha passate di tragedie…» – commentò Gyon, guardando il giovane biondo alla testa del gruppo ridere con la zia ritrovata.
«Come sai tutte queste cose?» – chiese poi al Dorato – «Eri anche tu un invitato?»
«Io invitato? Ahaha, no… a quel tempo non conoscevo Ippolito… e io e Teseo siamo stati sempre nemici, anche prima della Guerra Sacra contro Poseidon»
«Davvero? Perché?»
«Beh innanzitutto ha rapito mia sorella…»
«Se dovessi considerare nemico chiunque rapisca tua sorella, ti inimicheresti il mondo intero» – continuò, facendo della facile ironia
Polluce non rispose alla battuta di Gyon, tuttavia la cavalcata si faceva lunga e il Dioscuro si rese conto che per raggiungere l’accampamento delle Amazzoni si stavano allontanando da Troia.
Così avanzò alla testa del gruppo raggiungendo la regina delle Amazzoni ed Ippolito.
«Pentesilea… quanto dista il vostro accampamento?»
«Siamo quasi arrivati, non manca molto. Cosa ti preoccupa Cavaliere?»
«Nulla, era solo curiosità»
«Ecco» – esclamò l’Amazzone, pochi istanti dopo – «Siamo arrivati»
 
 
Dall’altra parte del mondo Baldur, Therium e Mirs avevano ormai quasi concluso il giro di perlustrazione alla ricerca delle rune alchemiche attorno l’accampamento temporaneo allestito dai Muriani e dai Cavalieri. Equos, nel frattempo aveva appena dato le ultime indicazioni a Kitalpha e agli altri Cavalieri sulla disposizione del perimetro dell’accampamento, soprattutto per il lato che guardava la spiaggia, che stando alle informazioni raccolte da Baldur era quello più denso di rune.
Raggiunti gli altri Dorati e gli Illustri Muriani vide Odin e Bor segnare su una mappa le posizioni delle rune individuate dai tre giovani in ricognizione.
«È una mappa della zona?» – chiese sorpreso Equos – «Come l’avete avuta?»
«L’ho presa dalla biblioteca di Asgaror prima di scappare, insieme alle altre mappe delle isole confinanti, perché sapevo che ci sarebbero servite» – spiegò Odin
«Ecco anche l’ultima runa è segnata» – intervenne Bor
“Baldur, adesso fate velocemente una ricognizione della spiaggia” – gli ordinò Bor
“Sissignore!”
«La disposizione dovrebbe seguire uno schema preciso, ma non sembra essere deducibile dalle posizione delle rune in nostro possesso» – osservò Keren
«Infatti… che cosa sei?» – si chiedeva retoricamente Odin, osservando la mappa
Dopo diversi minuti di riflessione da parte di tutti, Kleiros ebbe un’intuizione.
«Nobile Bor» – avanzò l’Argenteo – «Forse sto sbagliando, ma se giriamo un po’ la mappa… sembra quasi parte della costellazione della Balena… per maggiore certezza possiamo chiedere a Menkar»
«Menkar è il Cavaliere della Balena?» – chiese Bor
«Si» – rispose Kleiros – «Lo vado a chiamare… sta facendo il suo turno di guardia»
«Non è necessario» – intervenne Odin – «Hai ragione, Cavaliere»
«Probabilmente hanno disegnato intorno a MU tutte le costellazioni dello zodiaco…» – aggiunse dopo qualche istante
«E se è così, abbiamo un problema» – aggiunse Bor
«Quale?» – chiese Amida
«Non essendo presenti comunicazioni tra un gruppo di rune ed un altro, probabilmente la sorgente è all’interno di MU… e l’unico posto da cui poter sorreggere un barriera del genere è il Grande Tempio di Heraion, la città al centro MU, che sorge alla base di un enorme vulcano silente da tempo immemore» – spiegò dopo
«Quindi, non possiamo annullarle se non entrando a MU?!» – constatò Equos
«E allora come ci muoviamo?» – chiese Kleiros
«Per il momento attendiamo notizie da Baldur» – rispose Bor
“Finito?” – chiese Odin telepaticamente
“Padre… la spiaggia è presidiata da tre Berserkers, non sembrano di alto livello, tuttavia ci sono molte altre rune attorno alla spiaggia, probabilmente il resto della proiezione della costellazione della Balena”
“Sembri scoraggiato Baldur, che succede?” – intervenne poi Bor
“Avvicinandomi alla spiaggia ho avvertito la barriera al Teletrasporto… arriva fino alla battigia”
“Addirittura” – rispose Odin
“Capisco… invece come gestiscono la barriera di indebolimento e di allarme all’accampamento”
“Hanno una mappa che ricalca la volta celeste… possibilmente iscritta sulla mappa di MU… non posso dirlo con certezza la luminosità dei disegni delle costellazioni non mi permette di vedere la mappa stessa”
“Non importa” – gli rispose Odin – “Ottimo lavoro… ora tornate qui”
«Baldur, ha completato la ricognizione» – annunciò Bor
«Quindi? Qual è il piano?» – gli chiese Equos
«Beh non potendo annullare queste barriere se non entrando a MU, presumo che non abbiamo molta scelta… ascoltatemi attentamente»
 
 
Nelle tende di Pentesilea, Polluce stava spiegando la situazione del Santuario all’Amazzone, mentre Ippolito e Gyon erano rimasti fuori ad allenarsi. Ippolito avrebbe voluto partecipare, tuttavia il Dioscuro insistette molto sulla necessità di allenare Gyon.
[…]
«Capisco, così sospettate che Hades sia coinvolto nel rapimento di Achille e Patroclo e che non sia una semplice iniziativa personale di Eaco… mentre d’altra parte Ares si è mosso direttamente con Athena, rapendola addirittura…»
«Si, esatto» – annuì il Dioscuro – «Tuttavia sia io ma anche i Nobili di MU, sospettiamo che il rapimento di Athena, sia servito ad Ares per mettere in moto eventi che ancora non comprendiamo»
«Non sembra molto da Ares, anche se certamente Aphrodite non è nuova a simili strategie…» – esclamò l’Amazzone – «Di certo c’è che Ares abbia qualcosa in mente… e da quanto ne so ha ancora molte armi nel suo arsenale»
«Che intendi?» chiese Polluce incuriosito
«Dalla descrizione delle battaglie che avete affrontato mi è stato semplice dedurre che tra l’attacco al Tempio e la battaglia sull’isola di Ares avete affrontato solo due legioni di Berserkers. Vedi… ogni legione di Berserkers è guidata da due Comandanti: la prima è guidata dai figli legittimi di Ares, Phobos e Deimos, la seconda da Kratos e Bia, che si allearono con lui poco dopo che fu cacciato dall’Olimpo, la terza da Ker e Kyodamos e la quarta… beh della quarta non saprei con esattezza…»
«Come fai hai ottenuto queste informazioni?» – la interruppe sospettoso Polluce
«Ares è mio padre…»
 
Nell’isola Tikopiana, Amida, Keren e i rispettivi sottoposti (Alchiba del Corvo, Medos dell’Indiano, Altarf del Cane Minore e Menkar della Balena), guidati da Thor erano a poche decine di metri dall’accampamento dei Berserkers sulla spiaggia.
“Dov’è la runa, di cui parlavi” – chiese telepaticamente Keren a Baldur
“Molto vicino alla vostra attuale posizione, circa 20-30 passi davanti a te” – rispose Baldur
«Thor, tieniti pronto» – esclamò il giovane Dorato, mentre Thor era quasi in trance.
Le scariche elettrostatiche lo circondavano squarciando le foglie delle piante intorno.
Medos e Amida erano si separarono dal gruppo dirigendosi verso la parte opposta dell’accampamento dei Berserkers, sempre rimanendo nascosti dalla foresta e seguendo alla lettera le indicazioni che telepaticamente Baldur gli forniva per evitare le rune.
“Trovata?” – Baldur
“Si” – rispose Keren, osservando la runa sul suolo
«Thor sei pronto?»
«Si» – rispose avvicinandosi – «Modificala come ti ha mostrato mio padre e cedigli la quantità giusta di energia telecinetica, facendo attenzione al flusso, altrimenti potresti sovraccaricarla rivelando la nostra posizione inutilmente»
Keren iscrisse la runa attorno ad un cerchio, collegandolo ad essa mediante alcuni segmenti che modificarono sostanzialmente la forma della runa stessa.
“Visto che siete pronti io vado ad aiutare mio padre” – disse Baldur
Bor e Odin erano seduti a terra uno di fronte all’altro, circondati dai Cavalieri e da alcuni Muriani.
«Che sta succedendo?» – chiese Paun del Pavone, appena rientrato dalla guardia del perimetro, insieme a Kitalpha e a molti dei Muriani.
«Il Nobile Bor sta creando una barriera di occultamento temporanea, in modo tale che nessun Berserkers, nemmeno quelli presenti nelle altre zone di confine di MU si accorgano che una runa della rappresentazione della costellazione della Balena sta per scomparire e del cosmo di Thor» – gli spiegò suo fratello Kleiros
«Quindi stiamo per far scattare la barriera di allarme distruggendo una runa?»
«Si!» – gli rispose Therium
Difatti, dopo le modifiche di Keren alla runa in prossimità della spiaggia, Thor la dissolse con un pugno.
«Ma così non ci faremo localizzare?»
«Si e no» – rispose Equos – «Come vi abbiamo spiegato in precedenza, queste rune nel momento in cui vengono disattivate rilasciano l’energia che contengono. Tale energia attraversa, per contatto, il corpo che ha distorto la runa per poi ritornare alla sorgente»
«Fino a qui c’eravamo» – esclamò Kitalpha, anch’egli rimasto finora all’oscuro del piano di Bor.
«La barriera di occultamento non può impedire all’energia delle rune di tornare, perché la potenza è troppa considerata l’area però può impedire al segnale proveniente dalla sorgente di raggiungere le mappe dei Bersekers che invece è un segnale molto debole» – spiegò Kleiros
«Il nobile Odin ha quindi insegnato a Keren come modificare una runa, ma non una qualunque, quella a maggiore contenuto energetico, rappresentazione della stella più splendente della costellazione della Balena, perché avendo maggiore energia richiede maggior stabilità… ed essendo più stabile…»
«È più resistente delle altre ad eventuali modifiche» – intuì Kitalpha
«Esatto» – rispose Equos
«Ma la modifica a che serve?»
«Beh qui la faccenda si interessante… a quanto pare Thor possiede la capacità di creare fulmini a distanza… un po’ come Achille, tuttavia la distanza massima dalla quale può generarli è limitata, a meno che non ci sia un vettore, che funga sia faro che segnali la posizione dal quale generarli, sia sia da ponte… ed è qui che entra in gioco la modifica di Keren»
«Come?» – gli chiese Paun, mentre i Muriani ascoltavano assorti in silenzio
«Beh… la modifica di Keren prevedeva l’aggiunta di parte della sua energia telecinetica alla runa, secondo un paradigma preciso, un paradigma affine all’elettricità e che è quindi capace di attrarla… così quando la runa si disperde anche l’energia di Keren viaggia con essa e passando attraverso Thor si lega a parte dell’elettricità che lui ha accumulato appositamente prima e tronando alla sorgente della barriera è vero che segnala la nostra posizione, ma così facendo…»
«Segnala anche a Thor dove colpire ed essendosi già caricato non dovrebbe perdere troppo tempo a farlo» – lo interruppe Paun, avendo intuito lo scopo di tutto ciò
«Certo è geniale… se il Nobile Bor, Odin e Baldur riescono a mantenere l’occultamento abbastanza a lungo perché Thor colpisca, tutta la barriera di indebolimento e allarme si disattiverà contemporaneamente… o almeno ciò sembrerà a tutti gli accampamenti di confine dei Berserkers» – osservò Kitalpha
«Thor ha già colpito!» – esclamò Equos poco che lo squarcio generato dal fulmine generato da Thor arrivò ad essere udito anche a Tikopia, mentre il lampo da esso generato non fu visibile (alcuni minuti prima) perché coperto dall’enorme vulcano silente, che venne riattivato dall’enorme potenza del colpo.
Il silenzio scese sia tra i Cavalieri che tra i Muriani, sbalorditi dalla potenza di cui Thor era stato capace. Persino Equos e Kleiros rimasero senza parole.


«Ma perché le modifiche non le ha fatta il nobile Odin in persona, o anche il Nobile Baldur?» – chiese un giovane Muriano, interrompendo quello strano silenzio
«Perché mentre Keren ha facilmente imparato come apportare la modifica alla runa, non avrebbe imparato altrettanto velocemente la tecnica di occultamento… che anche per il nobile Bor è difficile mantenere a lungo, soprattutto se consideriamo la vastità dell’area sui agire, per questo ha bisogno di anche di Odin e Baldur che già conoscono tale tecnica» – spiegò ancora Equos
«E per quanto riguarda altri Berserkers sull’isola? Ce ne sono altri alla spiaggia come sospettava il Nobile Bor?» – chiese Paun
«Si c’è un accampamento alla spiaggia... ma sono solo in tre… se ne stanno occupando Amida e Medos» – rispose Kleiros
«Certo!» – esclamò Kitalpha – «Le abilità di Medos sono perfette, se poi potenziate dal Cosmo del Nobile Amida non hanno scampo»
«Che abilità possiede Medos?» – chiese un altro giovane Muriano
«Ha abilità ipnotiche… Il suo colpo migliore consiste di un’ipnosi, con cui è riuscito a controllare persino alcuni Cavalieri d’Argento di certo non inferiori a lui, e potenziata dal cosmo del Nobile Amida non c’è nessuno capace di esserne immune» – spiegò Kitalpha
«Perché utilizzare un ipnosi e non ucciderli direttamente?» – chiese un altro guerriero Muriano
«Perché è più utile lasciarli in vita, con la convinzione che di qui sia passato nessuno, almeno ci permette di entrare a Mu inosservati»
«Perché pensi che non siamo all’altezza di sconfiggere chiunque ci si pari davanti?» – urlò lo stesso
«Si siamo superiori alla maggior parte dei Berserkers» – rispose Odin alzandosi – «Di gran lunga superiori… tuttavia se uno tra me, mio padre o i miei figli, dovesse essere scoperto, è probabile che venga raggiunto da uno dei comandanti delle legioni, Ker o Kyodamos, o anche Kratos o Bia considerando che non c’è più il palazzo di Ares da proteggere… e affrontare loro adesso anche nella migliore delle ipotesi ci rallenterebbe tanto, dando il tempo ai Berserkers di radunarsi e affrontarci in massa e sono molti di più di noi… mentre adesso sono dispersi per tutte le terre di MU, il ché è un enorme vantaggio che non va assolutamente sprecato» – concluse Odin
«Capisco» – rispose un po’ contrariato il guerriero Muriano
«E con i due che il Nobile Bor ha sconfitto?» – chiese Paun
«Sono già stati ipnotizzati da Medos… si sveglieranno senza rendersi…» – un lampo di luce proveniente dalla spiaggia interruppe Odin
«Ecco il segnale» – esclamò Bor mentre si rialzava
«È stata una scocciatura» – fece Baldur
«Non fare il solito pigro» – lo riprese Odin
«Avvicinatevi» – ordinò Bor – «Ora vi porterò tutti alla spiaggia, oltre non possiamo andare per via della barriera al teletrasporto»
 
Nella tenda di Pentesilea Polluce era piuttosto teso alla rivelazione dell’amazzone, tanto da rimanere spiazzato dal suo atteggiamento, perlomeno ambiguo, considerata la sua parentela con il nemico.
«Puoi stare tranquillo Cavaliere, non sono tua nemica… anzi tutto il contrario» – lo rassicurò l’Amazzone.
“Allora non deve essere in buoni rapporti con Ares… d’altronde non si sarebbe comportata così se fosse al suo servizio… in ogni caso è sempre meglio mantenere una certa cautela” – pensava il Dorato
«Dopo la morte di Antiope, tutto mi rimandava a quella sera… il senso di colpa divenne un’ossessione che non mi lasciava riposo…»
«La maledizione delle Erinni!» – esclamò Polluce – «La conosco bene…» – aggiunse con espressione amara
«Si…» – annuì l’amazzone – «Mi sentivo così in colpa per la sua morte che la desideravo a mia volta… ma tutte le volte che ero sul punto di farlo, la prospettiva mi sembrava una soluzione troppo dolce alle mie sofferenze… ed era un sollievo che non sentivo di meritare… inerme difronte gli eventi di ogni giorno, mi resi conto ben presto di non poter guidare le Amazzoni… così iniziai il mio esilio alla ricerca di qualcosa che mi aiutasse ad espiare la mia colpa e permettermi il dolce eterno riposo. Tuttavia non ebbi fortuna… e un giorno, non molto tempo dopo, presa da un impeto, mi lasciai cadere da un dirupo e in quegli istanti la serenità mi travolse, tanto che ritrovai la pace, finché… un momento prima di raggiungere il suolo liberatore, Ares mi salvò. Si disse deluso che una guerriera valorosa come me si fosse ridotta in quello stato. Mi rivelò le mie origini e mi portò con sé a Palazzo, dove con il tempo e la sua guida riuscì a rimettermi in sesto. Ritrovai così nuova forza, nuova determinazione e per un paio di anni fui la sua prediletta, sebbene fossi una figlia illegittima. Tanta era la sua fiducia che mi raccontò la sua visione di un mondo libero da sofferenze, guerre e pestilenze, ma per farlo avrebbe dovuto scendere in guerra per il controllo dell’Olimpo.
Se vuoi la pace preparati alla guerra, questo è uno dei paradossi dell’esistenza, persino per gli Dei” è quello che ripeteva sempre.
Il suo piano prevedeva un esercito di guerrieri spietati, cresciuti nelle nere foreste del Nord, guerrieri che al suo servizio si sarebbero chiamati Berserkers»
«Non sai a chi ha affidato il comando della quarta legione, perché doveva essere affidata a te» – intuì Polluce
«Si!» –
«Chi era l’altro? Chi sarebbe stato l’altro comandante?» – gli chiese con veemenza
«Mi disse che era una sorpresa, ma me ne andai prima di scoprirlo»
«Capisco» – esclamò con amarezza Polluce
«Mi spiegò come avrebbe organizzato gli schieramenti» – continuò Pentesilea – «E io stupidamente ero entusiasta, perché sentivo di far parte di qualcosa… qualcosa di importante… Qualche tempo dopo, tuttavia, scoppiò la Guerra Sacra tra Athena e Poseidon e rimasi sconcertata dalla devastazione che essa portò agli esseri umani, per questioni che nemmeno li riguardavano. Iniziai a diffidare di Ares e della sua visione e chiaramente lui non ci mise molto ad accorgersene, finché un giorno lo affrontai direttamente. Infuriata, gli chiesi se aveva i medesimi scopi di Poseidon.
Rispose che Athena era solo il primo obiettivo e che non era importante, ma quando specificai cosa intendevo, ovvero se la Guerra Sacra che aveva intenzione di scatenare contro Athena avrebbe coinvolto esseri umani civili ed innocenti, lui sai che rispose?
“E come potrei piegare ai miei voleri una Dea come Athena se non così”. Lo sguardo gelido e compiaciuto mi disgustarono e quasi in lacrime gli urlai che non avrei mai partecipato a simili orrori solo per soddisfare la sua bieca ambizione e me ne andai, tornai dalle Amazzoni»
Polluce rimase senza parole e dopo diversi momenti di silenzio
«Ma non finì lì» – aggiunse
«Quasi un anno fa, fummo attaccate dai Berserkers e costrette alla fuga… Ker in persona guidò l’assalto e mi affrontò in battaglia, sconfiggendomi senza neanche impegnarsi veramente... mi lasciò quasi esanime credendomi morta… fu un massacro! Eravamo più 16.000 e ora siamo appena mille»
«Quindi sei diventata un bersaglio?» – constatò Polluce – «Significa che Ares ti ha dato qualche informazione che ritiene vitale che rimanga segreta»
«No… se fosse stato così Ares mi avrebbe incenerita nel momento in cui gli voltai le spalle»
“Effettivamente conoscendo Ares l’avrebbe trucidata all’istante se avesse avuto informazioni che ritenesse importanti” – pensò il Dioscuro
«Forse hai ragione, ma ciò non significa che le informazioni che possiedi non possano rivelarsi utili... magari Ares all'epoca non le ritenne tanto impotanti da ucciderti, ma potrebbero esserlo diventate con il tempo ed è per questo che ha ordinato l'attacco»

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Capitolo 33
*** XXXI – Super Sensi ***


XXXI – Supersensi

Ormai era trascorso più di un giorno dalla partenza dei Cavalieri alla volta di MU e la nuova alba sul Santuario era piuttosto cupa, tuoni e lampi squarciavano il cielo, mentre la pioggia si faceva attendere. Nonostante ciò i giovani apprendisti Cavalieri avevano già iniziato l’allenamento da più di un’ora mentre Chirone, era intento ad osservarli.
In poco tempo la pioggia iniziò a cadere incessantemente, mentre i ragazzi nel fango non desistevano nemmeno per un momento dall’allenamento. Così il valoroso Cavaliere del Centauro decise di farsi avanti.
«Fermatevi, e venite qui»
«­­Venerabile Chirone!» – impietriti i giovani, tentennarono qualche secondo prima di raggiungere Chirone poco più avanti dell’ingresso dell’arena, quella che oggi forse chiameremmo un piccolo precursore degli anfiteatri.
«Forse per molti di voi non ho bisogno di presentazioni… comunque sia, io sono Chirone…»
«…del Centauro Cavaliere d’Argento, maestro di Achille de Eracle… per citarne solo alcuni» – lo interruppe Deneb, suscitando lo stupore di molti tra i compagni
«Ha veramente addestrato lei il grande Eracle?» – gli chiese Kiros, il più piccolo del gruppo
«Si… beh… non che la sua forza venga dal mio addestramento… era già fortissimo quando l’ho incontrato, tuttavia anche un talento come il suo ha bisogno di una guida, non solo per l’allenamento fisico, ma anche e soprattutto mentale, motivazionale»
«Motivazionale?» – chiese Delios
«Beh proprio di questo vorrei parlarvi oggi»
«Quindi ci addestrerà lei, Venerabile Chirone?» – chiese entusiasta Deneb
«Si e per iniziare devo porre ad ognuno di voi una domanda fondamentale…»
«Sarebbe?» – fece quasi infastidito Altair, impaziente di ricevere gli insegnamenti del leggendario Maestro
«Non avere fretta, questa domanda e la vostra risposta sono fondamentali per l’addestramento» – rispose Chirone, lasciando titubanti i giovani aspiranti
«Cos’è che vi spinge a voler diventare Cavalieri? Non pensiate che la risposta sia quella immediata, che probabilmente sta passando nelle vostre acerbe menti… ovvero il proteggere la Divina Athena… questo si può applicare ad ognuno dei Cavalieri presenti al Tempio e per tutti voi certamente… ma questo elemento indispensabile per diventare Cavalieri da cosa nasce? Ci avete mai riflettuto? Perché dedicare la vita, rischiare di perderla, per proteggere una Dea?»
«Perché combattere per la Divina Athena significa combattere per la giustizia nel mondo» – rispose il più grande del gruppo
«Come ti chiami, ragazzo?»
«Bael»
«Da dove vieni Bael? Il tuo nome non sembra Greco…» – commento Chirone
«No, infatti… io e la mia famiglia siamo di Byblos in Fenicia. Mio padre, come molti lì, era un marinaio e come tale stava spesso in mare. Ha viaggiato in lungo e in largo per anni, visitando molte città, in Egitto, in Grecia, nella penisola Italica, Iberica… è stato un po’ dovunque. Non era mai stato un tipo religioso, da quel che ricordo, ma la Grecia per lui era un sogno. Raccontava tutto ciò che riusciva a scoprire, della sua religione, della sua cultura. Aveva imparato le basi della lingua, durante uno dei suoi viaggi e così quando tornò, le insegnò pure a noi. Visto il suo entusiasmo, divenne responsabile dei commerci con molte città Greche e ciò non fece altro che aumentare il suo desiderio di vivere in quella, per lui idilliaca, società. Così un giorno decise di portarci ad Atene e di venire qui al Tempio di Athena. Non che sapesse nulla a riguardo della Guerra Sacra o della presenza della Divina Athena qui. Sapeva solo che visitare i Templi di Athena e di Apollo a Delfi, fosse un’esperienza trascendente e sperava in cuor suo di trovare una sorta di approvazione Divina per trasferire la sua famiglia. È stato a lungo combattuto nella scelta, di dove andare… se qui o a Delfi, ma “in fondo la Divina Athena è la Dea della Giustizia e della Saggezza, chi meglio di lei può consigliarci no?” così ripeteva… al nostro arrivo trovammo invece una situazione tragica. Arrivammo il giorno dell’assedio dei Marine, fortunatamente a battaglia conclusa… alla vista della strage piansi per ore, con mia madre che tentava di consolarmi trattenendo a stento le lacrime, ma per mio padre fu un segno! Non ebbe il minimo dubbio che il suo amore per la Grecia, il motivo che l’aveva spinto a venire qui, era proprio aiutare il Tempio e Rodorio nel momento più buio della loro storia. Così fece quello che sapeva fare meglio. Rimise in piedi i commerci di Rodorio e ci stabilimmo qui. Rimasi molto scosso vedendo la sofferenza di quel giorno, che avrebbe potuto colpire anche noi se non ci fossimo messi in cammino tardi. Questo pensiero mi smosse qualcosa dentro… da bambino capriccioso qual ero, divenni disciplinato, determinato con l’obiettivo di fare quanto in mio potere per evitare che simili sofferenze possano accadere ad altre persone innocenti. Questo è il motivo per cui voglio diventare Cavaliere… seguire la strada della Divina Athena per me significa questo»
«Capisco…» – rispose Chirone – «È esattamente questo di cui parlo! Prendetevi tempo per rifletterci… trovate la vostra motivazione… non c’è bisogno che la comunichiate se non volete né a me né agli altri… serve solo a voi… nel momento del bisogno sarà quella motivazione a farvi rialzare contro un nemico più forte di voi, a permettervi di superare i momenti bui che vi attendono, a dare il tutto per tutto per proteggere la Divina Athena. Appena l’avete trovata tornate qui ed inizieremo l’addestramento»
 
Polluce e Pentesilea continuarono per diverso tempo, invano, cercando di capire cosa avesse spinto Ares, dopo anni, ad attaccare le Amazzoni. Nel frattempo Gyon e Ippolito si stavano allenando, d’altronde l’addestramento di Gyon non era completo e lui ne era perfettamente consapevole.
La superiorità di Ippolito fu evidente fin da subito. Ad un certo punto Gyon si fermò di colpo.
«Che c’è? Se sei stanco ci possiamo fermare…» – fece Ippolito, vedendo Gyon pensieroso
«No non è questo… stavo pensando ad una cosa che mi ha detto Polluce quando stavate andando via con i seguaci di Ares»
«Cioè?»
«Mi disse che ero troppo cieco per vedere il netto divario tra i nostri Cosmi… ovvero il Settimo Senso»
«Ah! Capisco…»
«Anche tu sei evidentemente più forte di me in tutto… velocità, forza, tecnica e il tuo Cosmo è quasi pari a quello di un Dorato… penso quindi che tu sappia di cosa si tratti!»
«Si… ma per spiegarti di cosa si tratti, prima devo parlarti delle proprietà degli esseri viventi»
«Ah si le conosco ce ne ha parlato Giasone…» – disse Gyon, mentre gli ritornavano in mente i ricordi di quel giorno in cui il Dorato non li fece allenare per parlare di concetti che allora e forse tuttora non aveva compreso appieno.
 
«Oggi faremo un allenamento un po’ diverso… anzi direi che non è propriamente un allenamento» – spiegò Giasone all’inizio della mattinata
«Cosa faremo quindi?» – chiese Altair
«Oggi vi spiegherò un po’ di teoria»
«Teoria? Teoria di che?» – esclamarono in coro i giovani aspiranti Cavalieri, confusi
«Il mio maestro mi ha sempre criticato di essere “troppo pratico”, qualunque cosa volesse dire, “e carente nella teoria”. Comunque sia oggi parleremo degli aspetti basilari di ogni essere vivente»
«Aspetti basilari?» – chiese titubante Delios
«Per aspetti basilari intendo dire che ogni essere vivente possiede delle caratteristiche fondamentali… vedetele come ad esempio un arto, un braccio, ovvero una parte del tutto. La prima di cui vi parlerò è il Nous, comunemente identificato con la mente, anche se tale paragone è almeno in parte errato. Il mio maestro, il Venerabile Chirone mi ha sempre bacchettato per questo paragone, che durante la mia giovinezza veniva spontaneo» – questa affermazione suscitò le risate dei giovani ragazzi, divertiti nell’immaginarsi il loro Maestro, bacchettato come se fosse un loro pari
«Il Nous» – continuò poi Giasone – «è la proprietà attiva dell’essere vivente ed è costituito da alcuni elementi: Intelletto, Volontà, Coscienza e Percezione. Attraverso il Nous ogni essere vivente può interagire attivamente con l’ambiente circostante ed è qui che entra in gioco la Volontà, ma oltre ad interagire attivamente può farlo anche in maniera passiva, tramite i sensi. Tutti i sensi arrivano a livello Cosciente, tramite i nostri organi sensoriali, gli occhi per la vista, orecchie per l’udito e così via. Abbiamo anche altri tipi di sensi, per così dire inferiori, che spesso passano inosservati perché appunto meno evidenti… parlo ad esempio della posizione degli arti, dello stato di contrazione dei muscoli e naturalmente del dolore. Avrete sperimentato tutti il dolore, fisico come quello di una ferita od emotivo quale può essere il lutto per la perdita di qualcuno. Il tutto arriva alla Coscienza che raccoglie tutte queste informazioni e fin qui si parla di Sensazione. Adesso entra in gioco l’Intelletto che analizza ed integra tutte queste informazioni in modo istantaneo e ancora passivo. Il tutto ritorna alla Coscienza, a questo punto parliamo di Percezione. Questo stesso percorso è quello che porta all’intuizione, un processo assolutamente passivo. Ma il Nous l’abbiamo definito forza attiva e difatti l’elemento che conferisce questa caratteristica è la Volontà. La Volontà, influenzata dalle informazioni analizzate dall’Intelletto e ritornate alla Coscienza può a sua volta spingere l’Intelletto affinché determini, se necessario, azioni da compiere in linea con la Volontà stessa. Azioni come per esempio ulteriori analisi sulle informazioni ed è così che nasce la deduzione. Ma questo dialogo interno al Nous, tra Coscienza, Volontà ed Intelletto determina non solo la deduzione, che era infatti un esempio, ma ogni azione, ogni pensiero.
Un’altra proprietà degli esseri viventi naturalmente è l’Essenza, che è facilmente identificabile con l’Anima, ma non fatevi trarre in inganno perché non è così, ci soffermeremo su questo punto fra poco. Anche detta Ousia, l’Essenza degli esseri viventi è l’elemento imprescindibile, la base, di ogni essere vivente che influenza tutte le altre proprietà e che ci rende diversi gli uni dagli altri, ma chiaramente questa influenza è sempre biunivoca, bidirezionale. L’Essenza chiaramente interagisce con il Nous e potete indovinare principalmente con quali delle sue componenti?»
«Con la Volontà, ma anche con la Coscienza» – esclamò Deneb
«Esatto proprio con queste due componenti. Queste interazioni all’interno sono così strette che alcuni pensano che la Volontà non sia altro che un aspetto della Coscienza, oppure altri ancora pensano che sia il risultato dell’interazione tra questa e l’Essenza. Sono ipotesi verosimili se ci pensate, ma non preoccupatevi non serve che lo facciate. Serve solo che comprendiate le basi e le interazioni tra queste… poi il resto verrà da sé»
«Ma quindi, Nobile Giasone, la Volontà è parte del Nous o dell’Essenza?»
«Beh nella teoria classica è parte assolutamente del Nous, ma se è vero che essa è il risultato dell’interazione tra Essenza e Coscienza allora possiamo dire di nessuna e allo stesso tempo di entrambi, sarebbe infatti una proprietà dinamica, esistente solo allorquando questa interazione è presente. Comunque ripeto non è importante ai fini della lezione di oggi. La terza proprietà è l’esatto opposto dell’Essenza, ovvero, il Nulla o Vuoto e questo forse è quello che vi risulterà più complicato da capire, ma proverò a spiegarvelo al meglio delle mie capacità. Pensate ad una statua e ad uno scultore. Prima di arrivare alla forma desiderata, unica, della statua, si parte dalla materia grezza, appunta l’Essenza, mentre il Vuoto, invece, è lo scultore, ovvero la forza che modella e dà forma all’Essenza e che la rende unica»
«Ma non capisco nobile Giasone» – fece Bael – «Quindi l’Essenza non è unica di base, allora come fa a renderci quello che siamo se ha bisogno del Vuoto per esserlo?»
«Ragazzi posso capire che la metafora dello scultore possa avervi tratto in inganno. Non è che nasciamo e poi il Vuoto dall’esterno viene a modellarci a poco a poco… no… è processo passivo in eterno svolgimento dal momento della nostra nascita a quello della morte. L’unicità di ognuno di noi nasce dal dinamico ed indissolubile Equilibrio che esiste tra Essenza e Vuoto e questa coesistenza produce l’Anima, il prototipo assoluto di proprietà dinamica sebbene sia anche statica, essendo quest’interazione eterna»
«Ma se io posso replicare una statua copiandola, non è possibile che magari una volta, anche una sola, si possa generare un’anima uguale ad un’altra?» – chiese Altair
«Fantastica domanda! Assolutamente sì. Questo è il processo di reincarnazione umana, o meglio passiva» – esclamò Giasone
«Reincarnazione umana? Perché umana? Non erano elementi presenti in tutti gli esseri viventi? Quindi anche gli animali, no? O gli Dei» – intervenne Bael
«Per gli animali e tutte le forme di vita inferiori agli Dei la risposta è assolutamente sì, ma per Dei, Titani, Primordiali e così via, è impossibile»
«Perché è impossibile? La Divina Athena si è reincarnata, no?» – chiese Delios
«Si ma la reincarnazione Divina è processo attivo messo in moto dalla Volontà del Dio, in questo caso della Divina Athena e comunque si svolge mediante un meccanismo differente. La Divina Athena per reincarnarsi ha trasferito l’intera sua Esistenza, non solo la sua Anima, dal suo corpo originale a quello di una futura bambina compatibile»
«Eiren» – intervenne Gyon, rimasto in silenzio fino ad allora
«Esatto, quello di cui parlavamo prima, invece, è il risultato di processo con infinite variabili, che per Caso, Fato o Destino, se preferite, porta ad un medesimo risultato già ottenuto in passato. Quindi se lo vogliamo definire più correttamente è un processo di Reincarnazione passiva, al contrario di quello Divino che è attivo»
«E non è possibile quello passivo per le Divinità?» – chiese Deneb
«Beh in teoria sì, ma in pratica no, non è possibile ma vi spiegherò fra poco perché»
«Ma a questo punto vi chiederete perché vi parlo di tutto ciò? Beh sostituite questa domanda con “Che relazione ha tutto ciò con il Cosmo”»
Il silenzio perdurò alcuni istanti finché non iniziò un brusio prodotto dalle chiacchere sottovoce dei ragazzi nel tentativo di capire come tutto ciò si relazionasse con il Cosmo
«Tranquilli ragazzi, non mi aspettavo di certo che qualcuno ci arrivasse. Anche per chi manifesta il Cosmo questi possono essere concetti estranei. Non è detto che tutti i Cavalieri abbiano queste conoscenze, tuttavia i grandi Maestri trasmettono questi concetti affinché siano utili nella progressione di chi abbia già manifestato il Cosmo. Ora vi stiamo addestrando anche se non lo avete ancora manifestato e forse questi concetti una volta compresi appieno possono esservi molto utili»
«Quindi nobile Giasone qual è la relazione?» – chiese Deneb
«Il Cosmo non è qualcosa che si acquisisce, non è qualcosa che prima non c’è e poi un giorno compare con il duro allenamento… assolutamente no. Il Cosmo è presente in ogni essere vivente ed è il collegamento tra l’essenza di ogni essere vivente e l’Universo. Didatticamente e anche nell’esperienza dividiamo il Microcosmo, ovvero il Cosmo presente dentro ognuno di noi dal Macrocosmo, l’Universo stesso. Ma è solo una distinzione per rendere il concetto, nella realtà dei fatti non esiste Micro e Macrocosmo, che sono delle realtà soggettive, che dipendono dall’individuo, ma solo l’Universo in quanto realtà oggettiva onnicomprensiva. Ma procediamo per gradi…»
«Scusi nobile Giasone, se il Cosmo è presente in ognuno di noi, perché solo alcuni riescono a manifestarlo ed altri no»
«È lì che stavo arrivando, Kiros, il Cosmo si può manifestare quando il Nous ed in particolar modo l’Intelletto riesce ad interagire con l’Essenza…»
«Ma se l’Essenza è in continuo divenire con il Vuoto, significa che l’Intelletto deve interagire con l’anima?» – chiese Deneb
«Esattamente! Sono fiero di voi» – disse Giasone, quasi commosso
«Quindi nobile Giasone, per poter manifestare il Cosmo dobbiamo comprendere con l’intelletto la nostra Essenza ed interagire con essa» – chiese Altair
«Esatto, così anche il Sesto Senso da semplice sensazione potrà divenire percezione, chiara, distinta e comprensibile, allo stesso modo. Senza questo passaggio voi è come se vedeste ciò che vi circonda senza riuscire a comprenderlo… è questo il Sesto senso… quello che vi permetterà di utilizzare il Cosmo»
“Io ero un pessimo studente… e nonostante questo almeno uno ha capito questi concetti… se il Venerabile Chirone potesse vedere questo momento sarebbe la mia rivalsa dopo tutte le sgridate” – pensava Giasone, fiero dei suoi studenti e anche delle sue capacità d’insegnante
 
«Se il Nobile Giasone ti ha già spiegato le proprietà degli esseri viventi, saprai anche che il Sesto Senso nasce quando l’Intelletto riesce ad interagire con l’Essenza. Riuscendo a comprendere la propria Essenza, si può anche attingere energia da essa. È così che nasce il Microcosmo»
«Si, ma Giasone diceva che in realtà il Microcosmo non esiste in quanto tale»
«Si nel senso che il Microcosmo è una realtà soggettiva, ovvero una parte del Macrocosmo concentrata nella tua Essenza, da cui più facilmente si può attingere. Ma in realtà questa è solo una parte del tutto e di conseguenza è possibile attingere energia oltre che dal Microcosmo anche dal resto dell’Universo. Ciò è possibile quando il Nous, in particolare l’Intelletto riesce a comprendere che l’Essenza di ogni individuo è la stessa di ogni cosa nell’Universo. Tuttavia saprai anche che l’Essenza di un essere vivente è in eterna Interazione ed Equilibrio con il Vuoto per cui questo passo che costituisce la comprensione del Settimo Senso rappresenta un passo quasi impossibile»
«Mmh quindi più comprensione ho dei Sensi più riesco ad espandere il mio Cosmo?»
«Si ma non è solo questione di potenza, ma anche di velocità alla quale puoi lanciare i tuoi colpi e anche soprattutto di tecnica»
«Tecnica? In che senso?»
«Nel senso che con il tempo, aumentando la tua comprensione del Sesto Senso, riuscirai ad adattare i tuoi colpi alle situazioni… cosa che in battaglia è fondamentale»
«Capisco… quindi è possibile che anch’io riesca a raggiungere il Settimo senso?»
«Si in teoria è possibile, ma non credere che sia una passeggiata…»
«Non importa come farò… lo raggiungerò e se possibile lo supererò…»
«Ragazzino prima di fare esternazioni sensazionalistiche cerca di comprendere appieno il tuo potere attuale, solo così potrai iniziare il percorso verso il Settimo Senso» – esclamò Polluce uscendo dalle Tende, insieme a Pantesilea.
«Il mio potere attuale?»
«Indossi l’Armatura da pochi giorni, hai preso consapevolezza del Cosmo da pochi mesi, prima di poter pensare al Settimo Senso devi ancora comprendere appieno il tuo Microcosmo»
«Capisco» – rispose un po’ demoralizzato
«Siete stati via per ore, di che avete parlato?» – chiese Ippolito incuriosito
«Di tante cose… ma adesso è arrivato il momento di interrogare quelli che ci seguivano nella foresta…»
«Come interrogarli, i loro cadaveri staranno marcendo nella foresta…»
«Non ti ricordi Gyon?» – gli chiese Ippolito
«Cosa?»
«Polluce aveva lanciato sia la Galaxian Explosion che l’Another Dimension, infatti, il suo colpo aveva una potenza notevolmente ridotta rispetto al solito… ne abbiamo parlato quando siamo ritornati sull’altra sponda dei Dardanelli.»
«Ah già è vero, scusate, ma ho ricordi un po’ confusi di quei momenti…»
«Dimension Release» – così Polluce fece riemergere dalle profonde oscurità della sua Dimensione i sei individui che li avevano seguiti.
«Come è possibile?» – esclamò il Dorato – «Dopo la Galaxian Explosion ero sicuro che almeno quattro di loro fossero morti!»
I sei guerrieri rivestiti di Armature nere, forse quanto, se non più dell’oscurità dell’Another Dimension, sembravano in perfette condizioni, pronti allo scontro.
«Amazzoni in posizione!» – urlò Pentesilea, così le guerriere, lì presenti, circondarono all’istante i nemici, seguendo il richiamo della loro regina.
«Non è possibile» – fece ancora Polluce, incredulo
«L’abbiamo capito che pensavi di averli sconfitti…» – gli rispose Pentesilea
«Non è questo, loro sono… loro sono… i Cavalieri periti durante lo scontro con Ares!» – spiegò infine, a denti stretti per la rabbia, avendo riconosciuto i compagni.
«Alderam dell’Acquila, Stinfalo della Freccia, Alexios della Giraffa, Nubis dello Scudo, Fomalhaut del Pesce Australe, Lefteris del Pesce volante. Ci avete tradito?»
Gli ex Cavalieri non esitarono un attimo ad iniziare il combattimento, attaccando per primi i compagni, ignorando solo inizialmente le Amazzoni.
«Vi abbiamo seppelliti, come avete fatto?» – si chiedeva Ippolito, mentre era intento a schivare i colpi degli avversari.
«Non chiederti come sia possibile, ma piuttosto combatti!» – gli urlò Gyon, anche lui impegnato nello scontro
«Ora bastaaa!!» – urlò Pentesilea – «Rising Rage!» – all’improvviso l’amazzone venne avvolta da un Cosmo talmente vasto che stupì persino Polluce ed Ippolito.
“Il suo Cosmo continua a crescere a dismisura… in questo stato sembra pari a un Dorato… Sarà questo il potere del Settimo Senso?... No persino io riesco a capire che questo va ben oltre…” pensò pietrificato Gyon
Il Cosmo di Pentesilea ardeva al tal punto che il giovane Pegaso non riusciva a più a muovere un muscolo, non che ce ne fosse il bisogno. Difatti l’amazzone, con la sua alabarda, si fiondò sui nemici trafiggendoli così tante volte che fece delle loro purpuree armature nient’altro che un mucchietto di polvere.
«Questa è il potere della nostra regina» – commentò fiera un’amazzone
«Rising Rage… sembra quasi una versione pura della Berserkgangr…» – esclamò Polluce stupefatto
«In effetti si può considerare così… d’altronde Ares ha creato il rituale della Berserkgangr nel tentativo di copiare la mia abilità» – spiegò Pentesilea, mentre il manto del suo Cosmo furioso si dissolveva lentamente
«Il tuo potere andava ben oltre il Settimo Senso… sembrava quasi…» – fece Ippolito
«Ne parliamo dopo» – lo interruppe Polluce – «Abbiamo un interrogatorio da svolgere, prima che questi resuscitino un’altra volta»
«C’è il rischio che resuscitino un’altra volta?» – chiese Gyon stranito
«Beh sono resuscitati dopo essere morti la prima volta, poi nonostante la Galaxian Explosion e l’Another Dimension di Polluce sembravano fossero addirittura in piena forma, quindi presumo che, con il tempo, quelli morti resuscitino e quelli in fin di vita si riprendano completamente, nonostante le condizioni esterne proibitive come quelle dell’Another Dimension» – dedusse Ippolito
«Alderam sembra quello messo meglio… iniziamo da lui» – fece Polluce – «Genrō Maō–Ken!»
Così il Dorato attraverso le sue illusioni cercò per più di mezz’ora di carpire informazioni dal suo ex compagno, e nonostante continuasse a cambiare strategia illusoria, niente sembrava funzionare, finché sepolto nei meandri della mente di Alderam, trovò lui stesso incatenato.
“Alderam?!” – pensò sorpreso – “Se questa è il suo Nous ed è relegato così in profondità nella sua mente vuol dire che, fin ora, era un’altra Volontà a governare il suo corpo” – Polluce incominciava a capire perché non era ancora riuscito ad ottenere informazioni
“Il potere di resuscitare e controllare i morti, nonostante siano Cavalieri di Athena… non può che essere… Hades” – pensò il Dorato tra sé
“Alderam… mi senti?” – tentò di così di contattare il compagno
“Pollu… ce” – a sento il Cavaliere dell’Aquila riusciva a percepire Polluce, tale era il potere che lo teneva confinato in un recesso buio della sua mente
“Alderam, dimmi che è successo? Chi è che vi ha fatto questo? È stato Hades?”
“Non… direttamente” – rispose a fatica l’argenteo – “è stata una donna vicario di Hades”
“Perché ci seguivate? Hades ha intenzione di dichiarare guerra ad Athena?”
“No… gli interessa solo l’anello… vi seguivamo per quello”
“Capisco! Quindi Hades non ha intenzione di scendere in guerra, almeno per ora” – pensò sollevato Polluce
“Mi liberi Nobile Polluce, la prego! Liberando la mia coscienza tornerò nel regno dei morti!”
“Che vuoi dire? Se libero la tua coscienza non rinascerai più?”
“Si credo che funzioni così!”
“Cosa te lo fa pensare, Cavaliere?”
“Non penso che Hades lascerebbe mai in giro un guerriero, immortale per suo volere, che non sia sotto il suo controllo… tantomeno un Cavaliere di Athena… quindi penso che il suo potere di controllo e quello autorigenerante siano in qualche modo connessi…”
“Quindi liberando la tua coscienza dovrebbero annullarsi entrambi… ha senso, proviamo allora!” – rispose il Dorato
 
Nel frattempo la spedizione a MU proseguiva secondo i piani. La compagnia era riuscita ad infiltrarsi nel continente senza dare idea al nemico di dove fosse avvenuta la falla. Il vantaggio era ovviamente temporaneo, prima o poi i Berserkers si sarebbero accorti che l’infiltrazione era avvenuta da Tikopia, ma i Cavalieri ed i Muriani contavano sul fatto che nel frattempo avrebbero guadagnato terreno. Avevano già allestito una base da cui gestire le operazioni, protetta da una barriera di occultamento sensoriale, creata da Bor ed Odin in persona.
I guerrieri Muriani facenti parte della spedizione, erano stati mandati in ricognizione. Ovviamente conoscendo il territorio erano i più adatti a tale missione. La città più vicina alla loro posizione era Heraion, la città natale di Neven e Keren. Tuttavia il giovane Therium aveva qualche perplessità sulla strategia decisa da Bor.
«Nobile Bor, non voglio sembrare irrispettoso, ma le posso chiedere alcuni chiarimenti sulla strategia?» – chiese il giovane Cavaliere del Lupo
«Therium!» – lo riprese Equos
«No tranquillo Equos, non credo che Therium voglia contestare i miei ordini, non è così?»
«No… mi chiedevo solo come mai ha mandato così pochi uomini in ricognizione vicino ad Heraion, attenzionando piuttosto il villaggio di Heragala… d’altronde ci sono tutti i Cavalieri qui, pronti per missioni del genere… quindi perché non mandare anche noi, coprendo così più territorio?»
«Non mi sorprende questa domanda… non l’ho spiegato prima perché ai miei uomini non serviva, perché conoscendo il territorio hanno compreso all’istante le mie intenzioni. Heragala è sì un piccolo villaggio ma occupa una posizione strategica, trovandosi tra Heraion e le fucine del Sommo Efesto, anzi considerata la vicinanza, possiamo dire che le fucine del Sommo Efesto si trovano appena fuori Heragala. Quindi sebbene si trovi d’altra parte di Heraion rispetto a noi, è fondamentale sapere qual è la situazione, perché è probabile che i Berserkers la utilizzino come punto di appoggio per il rifornimento di armi alla città e per le riparazioni delle Hauberks. Inoltre dal versante di Heragala c’è un passaggio segreto che conduce all’interno della città e dubito che i Berserkers lo conoscano, ma non possiamo attaccare Heraion senza informazioni certe. Inoltre se attaccassimo prima Heraion, i Berserkers presenti ad Heragala potrebbero tranquillamente dirigersi in fretta verso altri avamposti, richiamando rinforzi o quantomeno allertando il nemico. Gli altri villaggi vicini sono tutti piuttosto distanti da Heraion e la strada più breve passa per Heragala, quindi se tutto va secondo i piani, attaccando dapprima Heragala e da lì poi Heraion, lo scontro potrebbe non essere percepito dai Berserkers negli altri avamposti e potremmo ancora godere di una certa copertura»
«Capisco… quindi questo è anche il motivo per cui non avete mandato nessun Cavaliere in ricognizione?»
«Esatto, dobbiamo riconoscere le abilità del nemico e le loro capacità sensoriali sono più avanzate di quanto ci aspettassimo, quindi se uno di voi Cavalieri fosse scoperto, subito l’allarme verrebbe mandato agli accampamenti vicini e in poco tempo saremmo circondati. Difatti ai miei uomini ho dato l’ordine di arrendersi, se venissero scoperti, in modo tale da mantenere la nostra copertura»
«Certo in quel caso penserebbero ad abitanti del luogo intenti a scappare, riconoscendoli come Muriani!»
«Esatto!»
«Avreste potuto mandare anche Keren, allora, anche lui ha quel tipo di sopracciglia strane» – fece Mirs del Cane Maggiore
«Beh si teoricamente avrebbe potuto mandare anche me» – intervenne Keren – «Tuttavia io ho combattuto con Phobos e Deimos e la mia descrizione potrebbe già circolare tra i Berserkers, senza contare quelli che mi hanno visto direttamente, che una volta che il Palazzo di Ares è stato distrutto potrebbero essere stati mandati qui»
«Quindi nel momento in cui attaccheremo, dovremmo usare al minimo il Cosmo se ho capito bene» – chiese Paun del Pavone
«Dipende da chi state affrontando… non siamo tantissimi e la vostra vita vale di più della copertura in sé…» – spiegò Bor
Finita la conversazione Keren si avvicinò alle spalle di Mirs
«Prendi in giro ancora le mie sopracciglia e non dovrai preoccuparti dei Berserker!» – gli disse sottovoce Keren raggelando il giovane Mirs
«Su forza, Cavalieri, prepariamo alla battaglia, forza, studiamo qualche strategia» – fece poi molto allegramente con nonchalance, inquietando ancor di più il Cavaliere del Cane Maggiore

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Capitolo 34
*** XXXII – Ischys ***


XXXII – Ischys
 
Nei pressi di Heraion i Cavalieri e Murani si stavano preparando alla battaglia. Tutti i Muriani andati in ricognizione avevano fatto rapporto, mentre Odin e gli altri stavano escogitando un piano che permettesse loro di assediare Heraion, senza tuttavia essere percepiti nel resto di MU. 
Odin aveva segnato sulla mappa della città lo schieramento di forze e le difese erette dai Berserkers.  Lo sguardo d'insieme della situazione da affrontare rese tutti piuttosto scoraggiati. 

«Per tutti i Vulcani!» – fece Baldur sbattendo il pugno sul tavolo improvvisato, sul quale Odin aveva disteso la mappa – «Tra i Berserkers che presidiano Heraion e quelli a Heragala, ci sono quasi 200 Berserkers»
«Quindi un’intera legione! Non vedo molte opzioni che evitino uno scontro aperto!» – fece Amida
«Beh voi lasciate i Berserkers a me, ci penso io a metterli fuori gioco!» – esclamò fiero Thor
«Non avere tanta fretta, figlio mio. Le tue tecniche sono molto utili contro nemici numerosi, tuttavia sono anche difficili da celare. Anche con una barriera di occultamento che celi il tuo Cosmo, non possiamo nascondere gli effetti che il tuo colpo provocherebbe nell'ambiente. Lo squarcio che i tuoi fulmini creerebbero, sarebbe udito in tutta MU. L'abbiamo utilizzata con efficacia per eliminare la barriera di allarme e indebolimento presente su tutto il Continente, perché ci trovavamo molto distanti dal luogo colpito. Adesso utilizzare la stessa tecnica, sarebbe come mettere i manifesti che segnalino la nostra posizione» – spiegò Odin
«Nobile Odin, crede che sia per questo che Heraion è presidiata con tale impiego di forze? D'altronde, in base alle vostre informazioni e a quelle che Polluce ed Ippolito ci hanno fornito, parliamo di quasi un quarto del contingente di Ares» – chiese Keren
«No la motivazione è sicuramente un'altra! Come potete vedere sulla mappa, i ricognitori hanno segnalato la presenza di sei torri ai confini della città, al di fuori delle mura, immagino che tu Odin sappia cosa significa questo!» – osservò Bor
«Si! Quei maledetti...» – rispose indignato
«Torri?!» – chiese Kleiros entrato in quel momento dentro la tenda 
«Si, sono state segnalate delle strutture, con segni luminescenti convergenti sulla cima, alte più di 5 stadi (10 metri circa), presidiate ognuna da almeno due Berserkers» – spiegò Equos
«Di cosa si tratta? Dalle descrizioni sembrano dei dispositivi alchemici» – chiese quindi Keren
«Effettivamente lo sono. Fanno parte di un progetto di difesa della città che avevo ideato diversi mesi fa, con l'obiettivo di generare una barriera di allarme perennemente funzionante. Queste torri sono collegate tra loro e a un generatore di Cosmo da condutture in oricalco e polvere di stelle. Il generatore semiperpetuo di Cosmo è stato posizionato al centro della città e fornisce alle torri l'energia necessaria ad alimentare la barriera, in maniera totalmente automatica. 
Le torri sono costituite da grandi quantità di Oricalco, cosa che le rende quasi indistruttibili. 
Ma c'era una ragione se i lavori di costruzione non erano stati completati, ovvero che la barriera è parzialmente penetrabile al teletrasporto. Sfruttando questa vulnerabilità, secondo i miei calcoli, potrei teletrasportare al massimo due persone senza far scattare l'allarme. Ma anche riuscendoci e senza contare i Berserkers di guardia, distruggere le torri farebbe comunque scattare l'allarme»
«Nobile Bor, per quale motivo l'uso di questo sistema di allarme, le ha fatto presumere che Heraion sia tanto sorvegliata, non per la nostra presenza, ma per altre motivazioni?» – chiese Equos
«Per una questione tempistica, perché come ha detto Odin, i lavori erano stati interrotti, e per terminarli ci sarebbero volute settimane, non certamente una notte. Quindi i Berserkers sicuramente l'hanno fatto per proteggere o sorvegliare qualcosa all'interno della città! Cosa onestamente non saprei»
«Non importa comunque in questo momento, tantomeno se non siamo in grado di trovare un modo efficace per infiltrarci in città senza farci notare. Una volta dentro, protetti da una barriera di occultamento, potremmo dar battaglia in città, ma dovremmo anche riuscire in qualche modo ad impedire qualsiasi comunicazione con l'esterno. Solo così potremmo farcela... ma davvero non saprei come...» – spiegò Odin
«Se riuscisse a teletrasportarsi all'interno, non potrebbe annullare la barriera agendo su queste torri, magari non distruggendole, ma modificandole oppure distruggendo il generatore?» – chiese Equos
«No... modificarle farebbe scattare l'allarme da parte delle altre... è per questo che oltre al generatore sono connesse tra di loro e anche teletrasportandomi davanti al generatore, distruggerlo non passerebbe di certo inosservato e distruggere invece le connessioni che collegano il generatore alle torri farebbe scattare l'allarme, a meno che non si distruggano contemporaneamente, ma le interconnessioni sono tantissime e come ho detto posso teletrasportare solo due persone» – rispose Odin
«Capisco! Cosa succede se scatta l'allarme? Come se ne accorgerebbero i Berserkers?» – chiese ancora il Dorato
«Il palazzo principale di Heraion, all'interno del quale è posto il generatore, è stato costruito con una scheletro di oricalco e qualora l'energia del generatore non venisse più condotta alle torri, confluirebbe direttamente nel palazzo facendolo brillare» 
«Non è possibile spegnere il generatore?» – chiese Amida
«In teoria sì, ma gli alchimisti che lo hanno attivato percepirebbero all'istante che è stato spento» – intervenne Bor – «Inoltre considerando il livello medio degli alchimisti che ho visto tra i Berserkers, dovrebbero essere stati almeno in sei per avviare un simile dispositivo»
«È possibile identificarli dal Cosmo che raggiunge le torri?» – chiese Keren
«Vorresti eliminarli prima di spegnere il generatore?» – chiese Bor
«Potrebbe funzionare!» – fece Thor
«No! Se sono così tanti ad aver avviato il meccanismo, sarebbe quasi impossibile isolare le firme dei loro singoli Cosmi, dal momento che nel generatore sono diventate un tutt'uno indissolubile!» – rispose Odin
«L'unica soluzione è far scattare l'allarme!» – esclamò Keren, lasciando tutti perplessi – «Ho un piano»
 
Erano passate solo alcune ore dall'incontro tra i giovani aspiranti Cavalieri e Chirone, quando i ragazzi ripresero ad allenarsi. Chiaramente ciò non sfuggì all'occhio del Maestro che pertanto li raggiunse.
«Spero che abbiate riflettuto bene sulle mie parole di prima...» – esclamò il Cavaliere del Centauro apparendo improvvisamente al centro dell'arena
«Sissignore!» – risposero, titubanti, i giovani, sorpresi dall'improvvisa comparsa del maestro
«Bene allora possiamo iniziare con la prima lezione»
«Cioè?» – chiese Deneb
«La prima lezione sarà teorica...d'altronde essendo stato Giasone ad avervi allenato fin adesso, non abbiate speso troppo tempo sulla teoria...»
L'affermazione di Chirone suscitò le risate dei giovani ragazzi, rievocando nelle loro menti il ricordo delle lezioni del Dorato e i ripetuti racconti di quando veniva sgridato dal suo maestro.
«Intuisco che Giasone vi abbia raccontato di quanto sia stato sgridato per la sue mancanze nella teoria» – dedusse Chirone
«Già!» – rispose Altair, tra una risata e l'altra – «Comunque il Nobile Giasone ci ha già spiegato molto sulla natura degli esseri viventi, sul Nous, sull'Essenza (Ousia), sull'Anima e che il Cosmo si può manifestare solo quando l'Intelletto prende consapevolezza dell'Essenza e dell'interazione che essa ha con il Vuoto e quindi con l'Anima»
«Capisco, mi fa molto piacere che Giasone vi abbia spiegato tutto ciò, mi sorprende ed è la massima aspirazione di ogni maestro restare sorpresi dai propri allievi, anche se ormai è tanto tempo che non lo considero più tale»
«Comunque sia, direi di passare al capitolo successivo» – aggiunse poi il Cavaliere del Centauro
«Cioè?» –  chiese Kiros
«L'Ischys»
«Ischys?» – chiesero confusi i giovani
«Per spiegarvi meglio è opportuno fare un passo indietro. Ogni aspetto degli esseri viventi è in continua Interazione con gli altri e da tali interazioni si determinano altre proprietà. Avete imparato da Giasone che il Cosmo scaturisce dall'interazione tra Nous ed Essenza, che a sua volta è in eterna e dinamica interazione con il Vuoto. Quindi l'interazione tra Nous e l'essenza si traduce inevitabilmente nell'interazione con l'Anima. Allora perché solo alcuni esseri viventi manifestano il Cosmo, se esso scaturisce da un'interazione tanto basilare? ... Perché la manifestazione del Cosmo, ne presuppone, non solo la consapevolezza, ma soprattutto il controllo, anche non totale magari, ma comunque è necessario. Tuttavia per essere controllato tale interazione deve arrivare all'Intelletto. Il Cosmo è l'elemento cardine di un Cavaliere, ma ci sono altri elementi utili, la cui conoscenza può essere fondamentale. Uno di questi è appunto l'Ischys. Ma cos'è? Da cosa nasce? L'Ischys nasce dall'interazione tra l'Essenza (Ousia) in ognuno di noi e l'Essenza di ciò che vi circonda. Ciascuno di noi, così come la natura che ci circonda, è costituito dalla stessa Sostanza, dalla stessa Essenza appunto e sebbene il Vuoto determini certe differenze, ci sono degli aspetti che rimangono comuni. Questa contrapposizione determina inevitabilmente un Interazione, che a sua volta dipende dall'Interazione tra il Vuoto e la nostra Essenza. Poiché l'Interazione tra Essenza e il Vuoto in noi è indissolubile, poiché determina la nostra Anima, l'interazione tra la nostra Essenza e quella del mondo circostante, l'Ischys appunto, è piuttosto debole. Questo almeno in condizioni normali. 
Ma quando espandiamo il Microcosmo per accumulare energia, questa entra direttamente a contatto con l'Essenza di ciò che ci circonda e quindi l'interazione che ne scaturisce può manifestarsi. Quindi più si espande il Microcosmo più è facile utilizzare l'Ischys»
«Nobile Chirone ancora non capisco cos'è l'Ischys» – chiese Deneb
«La parola Ischys vuol dire letteralmente Forza ed infatti si palesa con le forze presenti nell'Universo, chiaramente può essere diverso per ognuno di noi e dipende dalle affinità che rimangono tra il risultato dell'interazione tra Essenza e Vuoto, quindi la nostra Anima, e l'Essenza dell'Universo. Ad esempio l'Ischys di Achille è l'elettricità ed è uno dei massimi esperti nel suo utilizzo, forse il migliore, dopo chiaramente Zeus. Ma ci sono molte tipologie di Ischys e dipendono come dicevo dalla vostra affinità per i componenti della natura»
«Ad esempio il fuoco?» – chiese Altair
«Beh non proprio il fuoco. Così come l'acqua o il vento, il fuoco rientra in un sottotipo di Ischys, anche se in pratica si, anche il fuoco. Metterei da parte per ora la spiegazione degli Ischys elementali, magari un'altra volta»
«Qual è l'Ischys del Nobile Neven? E il suo Nobile Chirone?»
«Beh quello del Nobile Neven è un po' complesso da spiegare, è molto raro tra gli esseri umani, e riguarda un costituente essenziale della Realtà stessa ed è lo Spazio. Grazie al suo Ischys, il Nobile Neven è in grado di modificare la forma dello Spazio stesso, potendo interagire con gli oggetti intorno solo con il pensiero. Tale abilità si chiama Psicocinesi e grazie ad essa il Nobile Neven oltre che muovere oggetti o teletrasportarsi è anche in grado di comunicare con gli altri con il pensiero. Sebbene quest'ultima abilità sia un'ulteriore estensione della Psicocinesi, chiamata Telepatia. Per tale motivo personalmente preferisco il nome usato dal Nobile Equos, che per quanto ne sappia comprende entrambe le abilità»
«Perché il nobile Equos la chiama in un altro modo?» – chiese Altair
«Non so quanti di voi lo sappiano, ma il Nobile Equos viene da un posto estremamente distante dalla Grecia, potremmo dire che viene dall'altra parte del mondo. Anche lì hanno dato un nome a tutti questi concetti e la Telecinesi viene chiamata Nenriki. Anche il suo nome in realtà non è Equos, ma Zheng Shan»
«Zheng Shan?!» – mormoravano i ragazzi confusi
«Si, il Nobile Equos arrivato qui era piuttosto...» – Chirone si interruppe improvvisamente per diversi secondi
«Lascerò che sia lui a raccontarvi la sua storia, d'altronde pochi al mondo hanno vissuto esperienze del genere e sicuramente potrete imparare molto, ma solo lui può trasmettervele al meglio»
 
Nell'accampamento delle amazzoni, Polluce aveva liberato le coscienze dei suoi compagni caduti sotto il controllo di Hades. La deduzione di Alderam era esatta. Non appena Polluce liberò le loro coscienze dal controllo del Dio, la loro Anima tornò nel regno dei morti e non tornarono più in vita.
«Adesso potete riposare in pace, amici miei» – disse Polluce adagiando i corpi dei Cavalieri al suolo pronti per essere nuovamente sepolti
«Su ragazzino datti da fare» – disse poi rivolgendosi a Gyon, guardandolo minacciosamente
«Quindi Hades li ha mandati solo per l'anello di Lios!?» – fece retoricamente Ippolito – «Kleiros e il Nobile Bor avevano ragione, dovevo rimanere al Santuario. Come se non bastasse il rischio che Hades si impossessi dell'Anello, la mia presenza mette in pericolo anche questa missione! A questo punto dovrei tornare al Santuario»
«Effettivamente al Santuario sarebbe più protetto» – intervenne Gyon, guardando Polluce – «Forse non è una brutta idea che lui torni indietro»
«No!» – rispose il Dorato – «Abbiamo una missione da portare a termine il prima possibile e se lui tornasse adesso al Santuario, lo dovrebbe fare da solo e ciò lo esporrebbe a nuovi attacchi e non possiamo permetterlo. Se restiamo insieme, Ippolito sarà più protetto e di certo avremo maggiori possibilità di completare la missione»
«È troppo rischioso, Polluce, rimanendo metterei a rischio la missione, inoltre è probabile che Achille e Patroclo siano imprigionati negli Inferi, quindi per liberarli dovremo recarci lì e sarebbe come portare l'anello direttamente ad Hades. Toglierlo per nasconderlo da qualche parte è anch'esso troppo rischioso, dal momento che non avendo il controllo sul suo potere, ciò porterebbe ad un nuovo punto di Equilibrio e non sappiamo cosa può accadere al quel punto»
«Anche tornare da solo al Santuario ti esporrebbe a dei rischi, saresti più vulnerabile da solo, però sono d'accordo con te... se sarà necessario andare negli Inferi per salvare Achille e Patroclo, non ti porterò di certo con noi, ma in ogni caso non sarai da solo» – affermò il Dorato
«Non capisco... la missione ha sempre implicato l'eventualità, se non la certezza, di dover andare negli Inferi per liberare Achille e Patroclo... quindi se non hai mai avuto intenzione di portarmi lì, perché hai insistito affinché partecipassi a questa missione? Gli altri erano quasi tutti contrari a farmi lasciare il Santuario, tu invece hai praticamente preteso la mia presenza»
 
Polluce rimase in silenzio, ma il giovane aveva già intuito la risposta
«... mi hai portato con te perché non volevi che rimanessi al Santuario! Avevi timore che, attraverso me, potessero usare l'anello come arma per distruggerci senza nemmeno scendere in battaglia»
«Che intendi?» – chiese quindi perplesso Gyon
«Polluce crede che la battaglia al Palazzo di Ares sia stata manovrata affinché io prendessi l'anello per condurlo al Santuario e una volta lì avrebbero utilizzato l'instabilità del suo potere per distruggerci... è così?»
«Non penso fosse questo il fine di Ares, però a prescindere dal suo scopo iniziale, è una possibilità concreta che non possiamo non prendere in considerazione» – rispose il Dorato – «Dubito fortemente del modo in cui sei riuscito a prendere l'anello... credi sia una coincidenza? Sei per caso giunto in un luogo sospeso tra le dimensioni, solo perché un'esplosione di energia ha interferito con la tecnica di teletrasporto di Keren!? Lui stesso ne dubitava... addirittura non era certo nemmeno che la sua tecnica ti avesse raggiunto in tempo!»
«E rifletti ancora...» – aggiunse Polluce prima che Ippolito potesse rispondere – «Hai risolto tutti quei meccanismi di protezione nel tentativo di uscire da quel limbo e ottieni un Anello, non è una cosa normalissima, avrai dedotto che quello non era un semplice gioiello e la prima cosa che fai è indossarlo?!... non puoi dire che non ci sia qualcosa di strano sotto, inoltre io ti conosco e so che non sei così avventato!»
«Che vuoi dire quindi? Qualcosa avrebbe costretto Ippolito ad indossare l'anello?» – chiese Gyon
«Non qualcosa, ma qualcuno. A mio avviso Phobos o Deimos ti hanno indotto in uno stato di trance quando sei stato teletrasportato in quella stanza»
«Come fai ad esserne sicuro?» – chiese Ippolito
«Perché non hai provato ad usare il Charybdis Gorge per tentare di tornare alla battaglia contro Phobos e Deimos»
«Già è vero, non ci ho riflettuto... perché non ci ho provato?! Uso sempre il Charibdis Gorge in situazioni simili, sebbene dubito che in quella situazione avrebbe potuto funzionare non ho neanche tentato» – rifletteva il giovane figlio di Teseo
Diversi secondi di silenzio spezzarono la conversazione, quando Ippolito fece la domanda che Polluce temeva all'inizio della conversazione
«Perché proprio io?»

 

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