A cuore aperto

di Seekerofdreams_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***





Capitolo uno
 

Alec si sistemò la maglietta mentre aspettava impaziente che la macchina del caffè gli servisse la sua agognata bevanda calda. Ne versò in abbondanza in un bicchiere d’asporto e ne buttò giù un sorso generoso sentendo il liquido riscaldargli immediatamente la gola. Respirò con il naso, per poi rilasciare l’aria e aprire gli occhi che, involontariamente, aveva serrato. Si avvicinò alla porta finestra del balcone e scostò la tenda bianca per sbirciare la vita frenetica della sua città.
«Buongiorno, dimmi che hai del caffè anche per me, ti prego.»
Jace fece il suo ingresso nella stanza sedendosi su uno dei tre sgabelli che contornavano l’isola della cucina. Si guardò attorno graffiando il ripiano in legno come faceva tutte le mattine prima di una giornata importante. Alec gli punzecchiò il dorso della mano alzando gli occhi al cielo prima di versare una tazza di caffè e poggiarla davanti al suo amico, a suo fratello.
Erano cresciuti nello stesso palazzo, dirimpettai da quando ne avevano memoria per poi lasciare casa per trasferirsi al college e iniziare a condividere i loro spazi. Da allora non avevano smesso di abitare insieme, si erano trasferiti più volte negli anni, ma non si erano separati mai. Per Alec, Jace era un punto di riferimento fondamentale, rappresentava la sua parte libera e scapestrata e Alec, al contrario, era la parte razionale di Jace. Era sempre stato così. Avevano intrapreso la scuola di medicina insieme, Alec per vocazione e Jace inizialmente per non separarsi da lui, poi era arrivato l’anno da specializzandi in un lampo, avevano studiato insieme, sofferto e pianto di nascosto. Isabelle, la sorella minore di Alec, si era unita a loro ed erano diventati una piccola famiglia in quell’appartamento a Brooklyn che era costato loro mesi di rinunce.
Jace era stato il primo a prendere la specializzazione e diventare strutturato di chirurgia plastica e Alec ancora si chiedeva come avesse fatto a riuscirci prima di lui ma, d’altro canto, la colpa era stata sua che aveva scelto di specializzarsi in Neurochirurgia, sei anni erano già passati, ma l’ultimo anno doveva appena cominciare.
«Oggi arrivano i nuovi specializzandi del primo anno e io sono già sfinito! Tocca a me occuparmi di loro questa volta e so già che finirò per ucciderli.»
Alec odiava le persone, era più forte di lui. Fino a quando il rapporto si limitava alla sfera professionale era ben felice di esporre le sue tesi, ma non era bravo a rapportarsi con loro. Era diffidente e cercava di mantenere le distanze per non farsi coinvolgere in drammi che non gli appartenevano. Jace, al contrario, si faceva coinvolgere anche troppo e spesso raccontava aneddoti sulla vita dei pazienti che, Alec ne era sicuro, nemmeno i proprietari si ricordavano di aver fatto. 
«Ce la farai fratello, ne sono sicuro! Sono solo un gruppo di ragazzi spaventati come lo eravamo noi.»
«Appunto, se sono come te, uscirò pazzo entro fine giornata!»
Alec usò un tono drammatico e Jace rispose con una pernacchia infantile. «Spero ti mangeranno.»
«Sei sempre un tesoro.»
Si guardarono in cagnesco per qualche secondo, le ciocche bionde di Jace caddero davanti ai suoi occhi limpidi e fu costretto a soffiarle per mandarle via. Una smorfia buffa che fece sorridere teneramente Alec. «Forza è ora di prepararci!»
«Buongiorno ragazzi, non vi sembra una giornata bellissima questa?»
Isabelle Lightwood, per gli amici Izzy, non si svegliava mai così energicamente e suo fratello lo sapeva benissimo. «Sai che non puoi fare uso di droghe, vero?»
La ragazza sbuffò, raccogliendo in una coda di cavallo i suoi lunghi capelli mossi. Era una bella donna, era cresciuta, era diventata disinvolta e forte e, anche se Alec non voleva ammetterlo, era anche indipendente. Jace le sorrise tirandogli via l’elastico per farle un dispetto prima di poggiare le labbra sulla sua guancia per salutarla. «E dicci, come mai tutto questo entusiasmo?»
«Oggi arriva il nuovo strutturato di cardiochirurgia!» ribatté euforica versando una porzione abbondante di cereali nella tazza della colazione.
«E a te che fai il medico legale interessa ovviamente» disse ironicamente Alec.
«Un limone. Sei proprio un limone.» rispose sbuffando. «Comunque sono interessata perché è Magnus Bane, non uno qualsiasi!»
Alec alzò un sopracciglio per farle capire di non avere la minima idea di chi fosse questo fantomatico Magnus Bane mentre Jace, accanto a lui, spalancava la bocca incredulo. «Magnus Bane? Nel nostro ospedale?»
Isabelle annuì compiaciuta. «Esattamente. E tu Alec sapresti tutto di lui se ti fossi degnato di venire con noi al galà di ricerca tenutosi quest’estate a Chicago.»
Alec già si era stancato di quella giornata. Jace e Izzy non perdevano occasione di rinfacciargli di essere mancato a quella cena. Lui aveva cose più importanti da fare. La maratona della sua serie tv preferita era per lui una scusa perfetta per evitare di parlare con gente proveniente da ogni parte degli Stati Uniti.
«Devi vederlo Alec è così carismatico.» Isabelle lo guardò in modo sognante mentre Jace annuiva per poi aggiungere: «Carismatico è carismatico, leggermente egocentrico.»
«Tu stai dando dell’egocentrico a qualcun altro?»
«Parla così solo perché quella sera Magnus gli ha rubato la scena più volte mentre lui cercava di fare colpo su qualche dottoressa!»
«Non è vero!» protestò Jace, ma Isabelle lo guardò come se fosse sul punto di rivelare qualche particolare piccante, così sbuffando si alzò dallo sgabello. «D’accordo, è la verità. È un ottimo medico, ma ho deciso che lo odiamo perché è troppo affascinante, capito?» disse indicandoli entrambi.
Alec ridacchiò afferrando la sua borsa. «Quanto bello è questo Magnus Bane per far venire i complessi a te?»
Isabelle stava per rispondere, ma Alec alzò la mano avviandosi verso la porta. «Io devo andare, ci vediamo tra un’ora in ospedale.»
Sorrise a entrambi prima di chiudersi la porta alle spalle e lasciare l’edificio. Scese i tre gradini esterni e si fermò sull’ultimo a respirare l’aria autunnale di Brooklyn. Amava le case di mattoncini rossi che in quel periodo dell’anno sembravano più accoglienti e calde del solito, amava le foglie colorate lungo i marciapiedi e i carretti di dolci e bevande calde agli incroci che emanavano un odore dolciastro per l’intera zona. Riprese la sua camminata e si beò della brezza mattutina e della solitudine. Usciva sempre in anticipo Alec, per godersi quei momenti tutti suoi, attimi di tranquillità nella frenesia esagerata della città.
Alzò una mano sporgendosi verso la strada per fermare un Taxi e sorrise quando riuscì a prenderne uno in soli cinque minuti. Si lasciò cadere sul sedile posteriore e sistemò la borsa al suo fianco. «Buongiorno signore, dove la porto?»
«Institute Hospital, grazie.»
Spostò lo sguardo alla sua destra e si perse nell’osservare la magia dei colori di fine settembre. Le parole di Izzy e Jace tornarono a fargli visita stimolando la sua curiosità, voleva proprio incontrarlo questo Magnus Bane.
Quando il taxi fermò la sua corsa, Alec si apprestò a pagare e scendere velocemente, cedendo il posto a nuovi passeggeri. Sistemò il colletto della sua giacca e si avviò per attraversare i giardini che contornavano l’imponente edificio ai piedi del viale. L’Institute Hospital era composto da una struttura centrale che diramava, a destra e sinistra, in altri tre edifici che erano un po’ lo specchio l’uno dell’altro. O almeno era quello che appariva dall’esterno: stesso numero di finestre, scale antincendio nello stesso punto, la bandiera americana posta sul tetto dell’edificio più alto. Alec, però, sapeva bene che all’interno era tutto ben diverso, diversi reparti, diversi colori, diverse persone. Osservò le ambulanze sostare davanti all’entrata del Pronto Soccorso, colleghi che scambiavano quattro chiacchiere in attesa di iniziare e altri che stavano finendo il proprio turno, agognando una bella dormita.
Chiuse gli occhi cercando di attingere a tutte le sue forze e fece un passo in avanti. Non capì perché lo fece a occhi chiusi, forse, in qualche modo, quel destino a cui era restio a credere voleva dargli una sorta di dimostrazione della propria esistenza. Sentì distintamente la ruvidità del cemento sotto le sue mani e un dolore lancinante al fondo schiena. Ci mise un secondo per capire di essere caduto e quando aprì gli occhi si domandò se tutto quello fosse uno scherzo crudele del destino. Tutto il contenuto della sua borsa era a terra e metà dei fogli erano ormai inzuppati di caffè. Spostò lo sguardo verso l’alto trovando un ragazzo molto più giovane di lui a fissarlo impalato con la bocca aperta. «Io… oddio, mi scusi…ehm, è il mio primo giorno e mi sono distratto a guard…»
Alec alzò una mano per fermarlo e sperò con tutto il cuore che non fosse uno dei suoi specializzandi.
«Sì, sì… vai ora per favore.»
Fece segno con la mano di sparire poi rilasciò un respiro pesante, rimanendo a terra. Guardò i suoi fogli a cui aveva lavorato per l’intera settimana ridotti in poltiglia e si apprestò a cercare dei fazzoletti per sistemare quel disastro. Si inginocchiò recuperando la borsa e si massaggiò la base della schiena un po’ dolorante per la botta presa.
«Brutto inizio di giornata, eh? Ti capisco, però ammetto che trovarti ai miei piedi potrebbe svoltarmi la giornata.»
Alec sentì una voce sconosciuta rivolgersi a lui e alzò il viso infastidito da quel commento. La prima cosa che vide furono un paio di scarpe nere e lucide. Risalì piano la figura davanti a lui, soffermandosi più del dovuto sulle braccia muscolose strette in una camicia nera ricoperta da piccoli pois bianchi. Alzò un sopracciglio sorpreso, poi tutto quello che aveva in mente sembrò sparire per un attimo. Si concentrò sulla bellezza di quel viso mai visto prima. La carnagione dello stesso colore del caramello, le labbra incurvate in un sorriso malizioso, i capelli sistemati perfettamente e gli occhi di un colore che ad Alec ricordava i prati della villa in campagna dove era solito andare da bambino con la sua famiglia. Cercò di darsi un contegno e la battuta dell’uomo gli rimbombò nella testa spezzando quella bolla di sapone in cui era entrato.
«Mh, buon per te» rispose tirandosi su. Chiuse la borsa passando una mano come a voler togliere della polvere immaginaria e si accucciò nuovamente a prendere i fogli da buttare, ma erano più di quelli che riusciva a prendere senza rischiare di sporcarsi interamente. Si voltò nuovamente verso lo sconosciuto con un sopracciglio alzato, in una muta richiesta d’aiuto.
«Cosa?»
Alec gli indicò il resto dei fogli a terra con un’espressione che non lasciava spazio all’immaginazione.
«Sei di tante parole vedo!»
Si piegò sulle ginocchia con una grazia che Alec non aveva visto in nessuno. Lui nemmeno ci faceva caso a quelle cose eppure quell’uomo sapeva come attirare l’attenzione su di sé. Alec lo vide alzarsi e camminare verso un secchio senza voltarsi a vedere se lui fosse al suo seguito. Alec rimase paralizzato ancora una volta, imbambolato a osservare la camminata elegante di quell’uomo per diversi secondi.
«Hai intenzione di rimanere lì per molto o mi mostri dove posso lavarmi le mani?»
Alec riprese coscienza del suo corpo e si affrettò a buttare via tutto. Appuntandosi mentalmente di dover mandare un messaggio a Izzy per chiederle di portargli il suo computer per recuperare una copia dei documenti andati persi.
«Sai che esistono dei bar dotati di bagni in cui potersi lavare le mani, vero?»
«Mi stai invitando a prendere un caffè con te al bar? Guarda che è un modo strano di farlo.»
Alec alzò gli occhi al cielo prima di sbuffare e incamminarsi facendogli segno di seguirlo. «Sai anche di non essere divertente?»
«E tu sai che ci sono ottime probabilità che io sia un tuo superiore?»
Alec strabuzzò gli occhi, balbettando qualcosa di insensato per poi riuscire a formulare una stupida domanda: «Ehm, tu saresti?»
Una risata fragorosa scosse interamente il corpo dell’uomo e Alec inconsciamente si trovò a sorridere di riflesso, fermandosi a pochi passi dall’ingresso dell’ospedale.
«Magnus Bane. Ti tenderei la mano, ma non è il caso… mh, non credo di sapere il tuo nome.»
Magnus Bane.
Magnus. Bane. Ovvio chi altro poteva essere se non la persona che doveva odiare. Alec sbuffò, conosceva troppo bene Jace e il suo orgoglio per non prendere sul serio le sue parole, in più non aveva un quadro completo di tutta la situazione ed era certo ci fosse altro sotto.
Fece una smorfia con il naso prima di presentarsi con un sospiro. «Alec Lightwood.»
Gli tenne aperta la porta perché Alec, nonostante tutto, era troppo buono di cuore e odiare qualcuno senza un motivo non era proprio nella sua indole. Fece strada e cercando di farsi notare il meno possibile si incamminò verso l’ala destra dell’edificio fino a giungere davanti alla sala adibita a spogliatoio per strutturati e specializzandi di livello superiore.
«Beh, benvenuto» disse entrando nella stanza vuota. Alec amava arrivare tra un cambio turno e un altro, era ben consapevole che tra meno di un minuto ci sarebbe stato il caos estremo. Di solito riusciva ad arrivare dieci minuti in anticipo per prepararsi e uscire da lì prima di rimanere incastrato, ma quella mattina aveva giù subito abbastanza contrattempi.
«Tu sei proprio un compagno di chiacchiere, eh?» Magnus sorrise divertito seguendolo mentre Alec si dirigeva verso una porta semi aperta da cui si intravedeva un lungo lavandino bianco. C’erano tra lavabi e si affiancarono silenziosamente imitando in una sincronia spaventosa gli stessi gesti per lavare le mani.
«Vediamo… posso dirti che, sicuramente, non sono un tuo specializzando.»
Alec osservò il riflesso di Magnus sullo specchio e lo vide corrucciare le labbra. «Mh e cosa ti fa essere così sicuro? Quelli che avevi in mano erano fogli da capo degli specializzandi, quindi non sei uno strutturato.»
«No, ma sono all’ultimo anno della specializzazione in Neurochirurgia» disse asciugandosi le mani. «E tu invece aggiusti i cuori, no?»
Senza pensarci usò quel suo modo di chiamare cardiochirurgia come se fosse universale.
«Aggiusto i cuori. Mh, mi piace. La domanda che mi sorge spontanea è un’altra però… tu come fai a saperlo?»
Alec sentì il suo viso andare in fiamme. «Ehm, ero solo a conoscenza dell’arrivo del nuovo strutturato di cardiochirurgia.» Tossì, poi si voltò per uscire dal bagno e raggiungere il suo armadietto nel lato opposto. Cercò di mantenere un respiro normale, mentre Magnus lo affiancava e controllava l’interno dell’armadietto al suo fianco. Erano solo due colonnine in legno scuro, lontane dalle restanti che occupavano l’intera parete dall’altra parte.
«Oh, guarda! Il mio armadietto è vicino al tuo.»
Lo vide staccare l’adesivo che riportava il nome di un vecchio collega trasferitosi mesi prima. Alec era così felice di avere quello spazio tutto per sé eppure non disse nulla sull’altro armadietto lasciato vuoto dal cardiochirurgo precedente, la sua mente si rifiutò di protestare quando Magnus si guardò attorno raggiungendo un piccolo tavolino per prendere un nuovo adesivo. Tornò indietro e lo attaccò con cura sul suo nuovo armadietto guardandolo incredibilmente fiero, come se fosse di chissà quale bellezza. Alec osservò il suo nome scritto in nero, in risalto su quell’anta di legno chiaro.
«Potevi prendere anche un pennarello.»
«Scherzi? Sono tutti neri!»
Alec inarcò un sopracciglio e lo osservò rovistare nella borsa alla ricerca di qualcosa. «Ora ci siamo!» Lo sentì dire.
«Un pennarello fucsia? Sul serio?»
«Non lo trovi bellissimo?»
Magnus scrisse velocemente il suo nome prima di voltarsi a sorridere ad Alec e Alec stava per cercando qualcosa da dire, ma la stanza venne presto invasa da diversi dottori. Alec riconobbe la chioma bionda di Jace avvicinarsi e accorgersi di Magnus al suo fianco. L’espressione sul viso del suo amico cambiò radicalmente e quando fu vicino riuscì a tirare fuori solo un sorriso seccato.
«Bane.» Il tono piatto e lo sguardo scocciato di Jace fecero sorridere Magnus.
«Oh Herondale, ti sono mancato per caso?»
«Se. Certo.» Jace gli diede le spalle voltandosi quasi completamente verso Alec.
«Ho pensato ti servisse prima di un’ora, per prepararti.»
Alec afferrò la borsa del computer che Jace gli stava porgendo e lo ringraziò con un sorriso ampio e caldo, uno di quei sorrisi che Alec riservava solo alla sua famiglia. Magnus li guardo in modo curioso, cercando di capire quale potesse essere la relazione tra di loro.
«Beh, direi che vi lascio soli, devo incontrare il grande capo prima della presentazione ufficiale.»
«E hai sentito il bisogno di dircelo perché…?» Jace sapeva essere un rompiscatole esagerato, Alec lo sapeva e lo rimproverò con lo sguardo prima di sorridere debolmente verso Magnus. «A più tardi immagino…»
Magnus si congedò allontanandosi e Jace sbuffò. «Non stai fraternizzando con il nemico, vero?» chiese e Alec guardò alle sue spalle, in direzione della porta, dove Magnus con un sorriso malizioso gli strizzò l’occhio prima di lasciare la stanza.
«No» rispose Alec scuotendo la testa. «Affatto.»
Chiuse l’armadietto sistemandosi il camice bianco e il tesserino per poi trascinare Jace fuori dallo spogliatoio. «Torni a casa o aspetti qui l’inizio del turno?»
«Mi butterò sul lettino nella stanzetta, non ho voglia di fare avanti e indietro di nuovo.»
Alec annuì. Svoltarono l’angolo per raggiungere la postazione degli infermieri e si bloccarono entrambi osservando Clary, l’infermiera più testarda del mondo a detta di Alec, stretta tra le braccia di Magnus.
Tossì, voltandosi verso il suo amico. «Quindi lo odiamo per lei? Sul serio?»
Jace incrociò le braccia al petto e lo guardò scocciato. «So che non la sopporti molto, ma io sono innamorato di lei Alec. Potresti sforzarti di comprendere.»
Era una vita che si sforzava di farlo. Di comprendere gli altri, le loro reazioni, i loro comportamenti, i loro sintomi. Era costantemente in guerra per comprendere perfino se stesso.
Continuarono a camminare per dirigersi all’ascensore senza farsi vedere, o almeno è quello che voleva Alec, ma Jace non doveva essere dello stesso avviso perché urtò uno dei carelli pronto per essere riempito per il giro di controllo, provocando un rumore sordo che difficilmente qualcuno avrebbe potuto ignorare. Clary si accorse di loro e arrossì staccandosi da Magnus. Si schiarì la voce tossendo imbarazzata mentre Magnus puntava i suoi occhi divertiti su Jace per poi riportare l’attenzione su Clary. «Zuccherino, ci vediamo più tardi a casa, ok?»
Se ne andò senza degnare Alec di uno sguardo e Alec finse di non aver sentito un leggero fastidio. Vide Jace alzare gli occhi al cielo e Clary avvicinarsi per risistemare il carrello.
«Sei sempre il solito Jace!» protestò Clary.
«Ah io sono il solito?»
Alec alzò gli occhi al cielo stanco di dover vedere sempre i soliti teatrini tra di loro. Erano stati insieme per sei mesi, prima di rompere per un motivo ignoto ai più e Clary era arrivata a cambiare i suoi turni per evitare di incontrarlo. Quando succedeva, anche se per sbaglio, iniziavano un battibecco che non finiva nemmeno sotto bombardamento così Alec semplicemente si allontanò. Quando si trattava di Clary, Jace non ragionava e Alec odiava vederlo sgretolarsi, distruggersi, per quella ragazza.
E ancora una volta nessuno si degnò di far caso a lui, non che Alec non fosse abituato a essere trasparente per gli altri, eppure per la prima volta in vita sua, odiò sentirsi un solitario.
Le porte dell’ascensore si aprirono rivelando Magnus indaffarato in una conversazione.
«Dottor Lightwood, buongiorno!»
«Buongiorno capo!» ribatté Alec salutando il primario di chirurgia, il dott. Luke Garroway, ed entrando nell’ascensore.
«Le presento il nuovo strutturato di cardiochirurgia.»
«Oh, abbiamo già avuto il piacere di conoscerci!» Lo anticipò Magnus sorridendo e lui si ritrovò a sforzarsi di sorridere.
«Perfetto allora. Le dispiace far fare un giro dell’ospedale al nostro nuovo arrivato?»
Alec sbatté più volte le palpebre prima di aprire bocca. «Veramente non credo di avere tempo, sono a capo degli specializzandi quest’anno e…»
«Lightwood, non arriveranno prima di quaranta minuti. Può iniziare ora e magari portare il Dottor Bane con lei e i suoi specializzandi dopo, tanto non entrerà in servizio prima di domani.»
Magnus sorrise soddisfatto. «Mi sembra un programma fantastico» disse entusiasta mentre Alec si ritrovò costretto ad accettare. L’ascensore fermò la sua corsa al piano terra e il capo Garroway si dileguò lasciandoli soli.
«Allora, da dove iniziamo?»
Alec chiuse gli occhi per prendere un bel respiro e si voltò a guardarlo. Magnus aveva una strana eccitazione negli occhi che non era abituato a vedere negli altri medici. C’era una fiamma di vita che faceva venir voglia di vivere, ma vivere per davvero, anche a lui.
«Dalla caffetteria.»
«Quanti caffè al giorno bevi? Guarda che assumere caffeina per tanto tempo non fa bene al cuore.»
«Sul serio? Accidenti non lo sapevo. Dovrò proprio consultare un dottore per farlo controllare!» borbottò acido.
«Beh, per tua fortuna io sono uno che i cuori li aggiusta. Se vuoi posso aggiustare anche il tuo.»
Il modo in cui lo disse, calando il tono di voce nella parte finale, provocò un attimo di smarrimento ad Alec. Senza volerlo si chiese se davvero qualcuno avesse potuto riaggiustarlo, ma il suo orgoglio accantonò il pensiero immediatamente. «Chi ti dice che è rotto ancor prima di avermi visitato?»
«Oh, Alexander» disse Magnus afferrando il tesserino sul camice di Alec per sistemarlo. «Ci sono cose che si capiscono senza aver bisogno di supporti tecnici.»
Un moto di rabbia si impossessò di Alec, come si permetteva a parlare in quel modo? Come se lo conoscesse! Si voltò infuriato e accelerò il passo aumentando la distanza tra di loro.
Odiarlo sarebbe stato più facile del previsto.
Forse.
 
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Nda.
I’m back!
Per chi non ha mai letto qualcosa di mio, vi do il benvenuto tra i miei lettori, mentre voi che siete con me da un po’ di tempo, ben ritrovati.
Ho deciso di dare sfogo al pensiero di scrivere una nuova Malec (scrissi una one shot un anno fa) e questa volta dar vita a una storia un po’ più lunga e AU. Spero davvero che vi piacerà la mia idea di fare una Greysanatomy!AU. Mi sono informata sulle diverse gerarchie negli ospedali americani (soprattutto nel modo in cui vengono trattate nella serie tv) ma premetto di non essere un medico e di non studiare medicina quindi se qualcosa non vi torna vi prego di dirmelo in modo che io possa sistemare e imparare qualcosa di nuovo.
Aspetto con ansia di sapere i vostri parere e vi mando un abbraccio.
A presto,
Serena.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Simon Lewis.
Alec lesse il nome scritto sul piccolo badge distrattamente attaccato sul camice bianco di uno dei suoi specializzandi. Rilasciò un piccolo sbuffo quando questo sorrise imbarazzato e riportò lo sguardo sulla cartellina tra le sue mani facendo il punto della situazione prima di iniziare il giro visite.
«Seguitemi» disse semplicemente e il gruppo di sei specializzandi assegnati a lui lo seguirono immediatamente. Ricordava la sensazione di essere l’ultima ruota del carro in quell’immenso ospedale, ricordava la voglia di farsi valere, di imparare e la paura di sbagliare anche le cose più banali e scontate. Le persone non gli piacevano, era vero, e spesso era puntiglioso e autoritario, ligio al dovere, ma aveva imparato anche lui, sbagliato e avuto paura e non aveva intenzione di passare per lo stronzo di turno a cui additare i propri fallimenti. Si fermò a qualche passo dalla stanza numero 43 e osservò quel gruppo composto da due ragazze e tre ragazzi guardarsi attorno come se fossero in un luna park e si sentì in dovere di dire qualcosa.
«Siete qui da soli cinque giorni e siete stati già sommersi dal mondo frenetico degli ospedali. Prima di entrare in questa nuova stanza, affrontare un caso per poi passare alla prossima e fare lo stesso, voglio dirvi una cosa che io, quando ero dalla vostra parte avrei voluto sentire.» Si fermò per qualche secondo, ponderando le parole giuste da dire. «La vita è bugiarda e dispettosa, ti sfida e ti insegna qualcosa solo quando nei hai già pagato le conseguenze. Errare è umano e noi, a discapito delle credenze comuni, siamo umani. Tenetelo sempre bene in mente, ogni volta che entrare in una stanza, ogni volta che leggete un nuovo caso. Lasciatevi invadere dall’eccitazione di fare, dalla voglia di migliorare, ma a fine giornata non fatevi spegnere da tutto questo. Detto questo, non fatemi perdere tempo, forza.»
Entrarono nella stanza 43 e Alec si avvicinò deciso al letto sistemato sulla sinistra, accanto alla finestra. Un uomo sulla sessantina sedeva con aria impaziente.
«Dottore! Sono giorni che mi tiene qui, non è arrivato il momento di tornare a casa?»
Alec sistemò la flebo, aumentando leggermente la cadenza delle gocce e si voltò verso i suoi specializzandi. «Chi vuole presentarmi il caso?»
Una ragazza dai capelli biondi e dal portamento deciso si fece avanti. «Mike Verdon, 62 anni. È stato sottoposto a un intervento di bypass cinque giorni fa e…» si fermò un attimo controllando qualcosa nella sua cartellina. «…presenta valori nella norma.»
Alec osservò il nome sul cartellino e annuì cercando di memorizzarlo. Emma Carstairs. Stava per iniziare a far domande sull’intervento quando una chioma rossa era entrata in stanza di corsa. «Dottor Lightwood! È richiesta urgentemente una sua consulenza in Pronto Soccorso!»
«Dov’è la Dottoressa Grey?»
«Tess, ehm… la dottoressa non è in servizio.»
Alec annuì prima di assegnare velocemente un compito a tutti pregandoli di fare attenzione e non toccare niente.
«Lewis, con me.»
Alec non si voltò, ma percepì il ragazzo alle sue spalle. Alzò gli occhi al cielo quando entrarono in ascensore e lo vide parlottare a bassa voce. Rimase in silenzio però, in attesa.
«Io, ehm… volevo scusarmi con lei per l’incidente dell’altra mattina.» Lo sentì dire. «Con il caffè intendo.»
«Lo ricordo perfettamente» rispose mantenendo l’aria da superiore, le mani dietro la schiena, lo sguardo fisso alle porte di metallo. «Mi scusi ancora, sono un po’ sbadato.»
«Non è una cosa che dovresti dire dentro un ospedale.»
Lo vide abbassare lo sguardo a terra e nascose un sorriso divertito mentre le porte dell’ascensore si aprivano rivelando la frenesia del pronto soccorso.
«Dottor Lightwood!» venne richiamato e si affrettò a raggiungere la stanza d’emergenza numero due. Mantenne lo sguardo su Simon prima di prendere un bel respiro e affrontare qualunque cosa ci fosse dietro a quella porta.
 
*
 
 
Camminare per il pronto soccorso di un ospedale aveva sempre impedito ad Alec di fermarsi a riflettere, la frenesia, le persone sempre diverse, i casi più impensabili. Gli piaceva quella sensazione addosso eppure aveva scelto di lavorare con il cervello delle persone, aveva scelto il silenzio e la concentrazione. Era sempre stato una contraddizione vivente, fin da bambino, quando il suo cuore gli diceva di fare una cosa, ma alla fine faceva quella che gli altri ritenevano giusta per lui.
Lasciò cadere i guanti in un secchio e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie. Quella giornata era cominciata male ed era destinata a peggiorare. Osservò il tabellone degli interventi, scannerizzando ogni riga alla ricerca di un intervento da far vedere alle sue matricole. Sentiva gli occhi di Simon dietro di lui e si voltò a osservarlo attentamente. «Lewis, qualche preferenza?»
«Beh sarebbe interessante assistere alla sostituzione della valvola aortica.»
Alec si girò nuovamente verso il tabellone e lesse il nome accanto all’intervento seppur consapevole di cosa avrebbe trovato. Sospirò rilasciando la tensione avviandosi verso l’ascensore. «Raduna i tuoi colleghi, ci vediamo lì tra poco.»
Non aspettò una risposta, chiamò l’ascensore e si rifugiò all’interno abbozzando un sorriso di circostanza ad altri due medici che lo seguirono. Si fermò all’ultimo piano e si sistemò il camice nascondendo un piccolo brivido per il cambio di temperatura. Era freddo quel posto ed Alec lo sentiva dentro le ossa, dentro l’anima. Si avvicinò a piccoli passi verso la porta e bussò tre volte.
«Izzy?»
Abbassò la maniglia antipanico e si convinse a entrare. Le luci basse e un odore forte e angusto lo accolsero come sempre, si chiedeva ogni giorno come facesse sua sorella a vivere tutti i giorni in quel posto. Lui lo odiava. Sentiva ogni volta una nausea costante e aveva voglia di piangere sotto quella maschera che si ostinava a portare.
«Alec! Che ci fai qui?»
Sua sorella scostò gli occhi da un fascicolo e gli sorrise. Sorriso che Alec ricambiò immediatamente, rilassandosi subito.
«Volevo solo vederti e sapere come stavi, stamattina non ci siamo visti.»
«Lo so, sono uscita di corsa prima che tu ti svegliassi perché avevo da fare qui, ma ti ho lasciato la colazione a tavola!»
«L’ha trovata Jace…»
Risero entrambi scuotendo la testa pensando a quello che era più un fratello per loro che un amico. Alec le sorrise sistemandole i capelli dietro l’orecchio. «Stai bene fratellone?»
«Sì, sì certo. Tutto bene!»
«Sei sicuro?»
Di nuovo un cenno affermativo con la testa e Izzy sorrise debolmente. «D’accordo, quando vuoi parlare sai dove trovarmi!»
«Ora devo andare, ci vediamo più tardi.»
«Buon lavoro.» Alec le lasciò un bacio sulla fronte prima di uscire. Il freddo continuava ad accompagnarlo lungo il corridoio e accelerò il passo per raggiungere le scale lasciandosi alle spalle le porte chiuse del corridoio sterile che conduceva alla zona adibita alle sale operatorie.
Raggiunse il piano superiore e si infilò nella seconda porta, stupendosi di trovare tutte le matricole a riempire i pochi posti a disposizione nell’osservatorio. Si schiarì la voce mascherando la sorpresa e si accomodò in una delle sedie, osservando quanto accadeva al piano di sotto.
«Se avete qualche domanda, sono qui a vostra disposizione!» disse professionalmente per poi tornare a puntare gli occhi in basso. Lasciò scorrere lo sguardo dal paziente sul lettino verso l’uomo in piedi alla sua destra. Alec studiò i movimenti del corpo di Magnus, osservando il suo portamento, le sue decisioni. Era un dottore fuori dal comune, con uno stile tutto suo e una personalità che spiccava persino da un vetro a metri di distanza. Alec ne era affascinato, ma si concentrò a reprimere quell’interesse. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie con i polpastrelli.
«Dottore si sente bene?»
«Sì. Certo, sto bene.»
Mentì. Alec era bravo a farlo.
 
*
 
Magnus aprì l’acqua e la lasciò scorrere sulle mani stanche. Un altro intervento era passato, un’altra vita era stata salvata e si sentiva bene. Fare il medico gli faceva quell’effetto, era come fare magie, qualcuno entrava rotto e lui lo riaggiustava con le sue mani. Si asciugò le mani e si cambiò velocemente indossando nuovamente il camice bianco e riponendo in tasca la sua cuffietta colorata. Era un regalo prezioso per lui, gli aveva sempre portato fortuna nel corso dei suoi studi e un po’ era convinto che la sua bravura fosse dovuta anche a quel pezzo di stoffa, era stupido, lo sapeva, eppure non poteva non pensarci.
Lasciò lo spogliatoio e un sorriso sornione si dipinse sulle sue labbra quando intravide Alec nel corridoio chiacchierare con un gruppo di specializzandi.
«Dottor Lightwood!»
Vide il ragazzo dare istruzioni precise a tutti prima di voltarsi per salutarlo con un sorriso appena accennato mentre gli altri scomparivano dietro le porte dell’ascensore. «Dottor Bane! Abbiamo osservato il suo intervento, spero non le dispiaccia avere pubblico, probabilmente assisteremo ad altri suoi interventi, mi sembravano piuttosto interessati.»
«Spero di non essere stato interessante solo per loro» ammiccò, ma Alec non colse la provocazione, o almeno provò a non far trapelare nessuna emozione.
Magnus sorrise mantenendo un contatto visivo che Alec interruppe immediatamente tossicchiando e concentrandosi a sistemare il cartellino sul suo camice. «Quando ero al loro posto ogni giorno cambiavo idea su cosa volessi fare, è giusto che osservino tutto» continuò Magnus.
«Già…»
Alec non era di tante parole e a Magnus sembrava stranamente…triste, pensieroso e si chiese se avesse detto qualcosa di sbagliato, ma non indagò oltre. «Stavo andando a pranzo, ti va di unirti a me?»
Un invito semplice eppure Alec boccheggiò impreparato prima di riscuotersi. «Devo…mh, ho da fare, mi dispiace.»
«Peccato. Sarà per una prossima volta allora! Risalgo con te intanto.»
Alec annuì e lasciò che Magnus lo precedesse verso l’ascensore e strinse le labbra in un sorriso nervoso mentre aspettavano che le porte si aprissero. C’era un silenzio strano, imbarazzante, eppure a tratti divertente per Magnus. Nessuno dei due sembrava intenzionato a dire qualcosa e, forse, andava bene così a entrambi, poche domande, un’elettricità nell’aria e una sensazione strana nel profondo a cui non sapevano dare un nome.
 
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Nda.
Vi ho fatto aspettare un po’ e mi scuso per il ritardo!
Ecco il nuovo capitolo, so che non c’è molto contatto tra loro, ma sono capitolo che servono per dare una base! Siamo ancora all’inizio, ma spero che questa storia vi stia incuriosendo.
Colgo l’occasione per ringraziarvi per i vostri messaggi e i vostri commenti, sono davvero felice di leggere i vostri pareri!
Vi prometto di non farvi aspettare molto per il prossimo.
Un abbraccio,
Serena.

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