Var lath vir suledin, vhenan.

di Sarahblack94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sogni spezzati ***
Capitolo 3: *** Sussurri e Ombre ***
Capitolo 4: *** Promesse d'amore ***
Capitolo 5: *** Vuoti incolmabili ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Prologo



Aprì gli occhi tutto d'un tratto, destandosi dal sonno. Era diverso dagli ultimi sogni; non ansimava, non vi erano gocce di sudore sulle sue tempie, né sul collo. Non vi erano ansia, né paura, né rabbia.
Non c'era Corypheus nei suoi pensieri, né le ultime parole di Hawke a turbare il suo animo, solo una sensazione difficile da descrivere, da accantonare in una pila di parole fuori luogo.

Era una sensazione che le era già capitato di provare, nell'intimità di un bacio, in un fugace attimo ritagliato in una scuderia, mano nella mano, dita intrecciate.
Vicinanza che divenne calore, respiro sempre più vicino, forte. Il clangore dell'armatura contro gli stivali. Una parola mormorata, tra un respiro e l'altro, un bacio lento, un bacio vorace. Mani che strinsero i fianchi magri, calore, desiderio.

Un nome diverso, che non aveva a che fare con quegli attimi che ancora tratteneva nella memoria, ma era ciò che più si avvicinava a quell'emozione.
Sapeva, però, che si trattava di qualcosa di più. Si strofinò gli occhi, espirando, turbata. Non c'era tempo per pensare, ultimamente. Lasciò cadere le gambe verso terra, destandosi del tutto. Sfiorò coi piedi il pavimento della sua stanza, che non è mai stata tanto fredda come quella notte. Il suo respiro era condensa e sentì le sue esili spalle tanto deboli, nonostante in molti contavano su di esse. Le strinse, reprimendo un brivido. La stanza era immersa nel silenzio. Spesso le capitava di udire la voce di Cullen che elargiva ordini con decisione, o il clangore delle spade delle nuove reclute durante le esercitazioni, o il canto delle sorelle giunte per portare speranza ai feriti.
Ora, solo il freddo aveva un suono pungente, quanto le voci che ancora le mormoravano nella mente. In particolare, una voce familiare. Abbassò lo sguardo.

Si fissò le cosce, occultate dalla stoffa della sua veste da camera, di seta bianca. Josephine aveva già dimostrato più volte di tenere molto alle apparenze, ma non avrebbe mai immaginato che quest'ultime si estendessero anche all'intimità della sua stanza, lontana da qualsiasi sguardo.  Anche tutto il resto era stato preparato apposta per lei, per valorizzare il suo ruolo a capo dell'Inquisizione. Ringraziò, sempre, per ogni gentile concessione o premura, poiché sapeva quanto sarebbe parso ingrato e sgradevole un rifiuto. Nel suo clan non le furono mai riservate simili attenzioni, non perché non fosse importante, ma erano semplicemente altre le cose che contavano davvero.
Le mancava sua madre, suo fratello. Le mancava il suo intero clan. Spesso, di notte restava sola al centro di quel letto troppo grande, immaginando di mollare tutto.
Amava volgere lo sguardo oltre la balconata, mentre l'aria fresca le sfiorava il viso. Fantasticava, chiedendosi se le sue lenzuola sarebbero state abbastanza lunghe da condurla quantomeno al piano inferiore di quella torre, a Skyhold.

Al momento, tuttavia, la sua mente era assorta da qualcosa in grado di farle scordare tutto quanto.
Si alzò, senza meta, infilandosi le sue graziose ciabatte orlesiane per poi dirigersi verso le scale, ignorando l'armadio o qualunque altra priorità avesse in mente l'intera nobiltà ospite al castello prima di palesarsi al pubblico. Aprì la porta, scorgendo dall'alto l'ingresso del castello. Lasciò scivolare lo sguardo poco più in là. Era la porta della sala in cui una persona era solita trascorrere il suo tempo, a cui poche volte aveva fatto visita prima della loro ultima conversazione.
Una conversazione capace di dare forma ad un sogno che ricordò quasi come fosse uno dei suoi viaggi.

Decisa, sospirò, dirigendosi verso la stanza di Solas.



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Capitolo 2
*** Sogni spezzati ***








Capitolo I


Entrò. Lo sguardo rovistò perfino sulle pareti, nella speranza di vederlo. Non c'era.
Avanzò nell'atrio, volgendo gli occhi al soffitto di quella torre, che ospitava la biblioteca in cui Dorian era solito trascorrere il tempo e la soffitta del suo capospia, più vicina al cielo di quanto immaginasse. Non ricordava di avergli fatto visita negli ultimi tempi e iniziò a domandarsi se il suo sonno non fosse durato secoli.
Era così silenzioso da essere lugubre, tanto che anche la stoffa della sua veste da notte era troppo rumorosa. Istintivamente si avvicinò alla scrivania dell'elfo, rovistando tra i suoi appunti senza una ragione precisa. Lentamente quel calore che premeva come una tormenta di lapilli nel suo stomaco si placò appena, cedendo il posto alla curiosità mista al senso di spaesamento che l'attanagliò di lì a poco. Sempre di più. Scartò qualche foglio poco interessante, finché lo sguardo non si soffermò su una calligrafia familiare:

Fen'Harel,
è così che dovremmo chiamarti?
Ti aspetterai delle scuse da parte mia, ma non dimenticare che è soprattutto grazie alle mie conoscenze se sono riuscita a contattarti.
Dopo la dipartita dell'Inquisizione nessuno avrebbe potuto prevedere quale sarebbe stato il mio ruolo in tutta questa storia.
Sono tuttavia onorata di aver fatto la tua conoscenza,
nell'attesa del nostro prossimo incontro.

M.


Corrucciò la fronte in una smorfia perplessa, cercando di fare chiarezza nei suoi pensieri. Fen'Harel? Quel Fen'Harel?
Si toccò la fronte. Il suo ultimo ricordo aleggiò nella sua mente con la delicatezza di una piuma, divenendo sempre più tangibile. Ne sentì il peso, senza soccombere. Lo accolse, come una folata di vento tiepido in una notte gelida. La sensazione le solleticò una mano, come fosse uno spiritello dispettoso. Il marchio era ormai cicatrizzato, come un ricordo lontano.

"Devo aver bevuto davvero tanto ieri notte"

Sorrise, ritornando sulla lettera appena letta. M.
Le sembrò semplice ricordare quel nome, ma al momento non riuscì. Era a disagio. Non capiva perché.
Nonostante l'affiorare della realtà su quella notte nebbiosa, non aveva idea di chi potesse essere questa misteriosa donna. O per meglio dire, non aveva un'idea chiara, al momento.
Prima di poter anche solo indietreggiare, percepii una sensazione di calore sulla nuca e un tenue pizzicorìo alla testa. Esitò, ma venne accolta da un abbraccio delicato, di cui riconobbe in brevi attimi l'artefice.

Le mani dell'inquisitrice cercarono quelle dell'antico elfo, sfiorandone i dorsi con gentilezza, all'altezza del proprio ventre. La cinse, toccando i suoi capelli color ebano con la punta del naso. Hazel inclinò appena la testa, lasciando che i capelli raccolti in una mezza coda scivolassero appena sulla spalla opposta. Percepì il suo respiro, reprimendo un brivido.

«Vhenan...» Solas era un'ombra, difficilmente ci si accorgeva della sua presenza, a meno che non fosse lui a palesarla.
«Credevi me ne fossi andato?» Sussurrò l'antico, con ilarità. «Avrei tutti i motivi per pensarlo» Replicò lei, appena più cupa. Non vi fu risposta.
Non si sorprese di pensare ciò. Anche se al momento era confusa, niente al mondo avrebbe potuto cancellarle dalla mente il ricordo della dipartita di Solas.

Lui le sfiorò la punta delle orecchie con le labbra, lasciando trascorrere qualche secondo prima di mormorarle «Sei turbata. I tuoi sogni vengono ancora disturbati dal marchio?»
Non aveva idea di cosa c'entrasse il marchio, ma ne avevano già parlato. Non era la prima delle sue notti insonni, probabilmente non sarà l'ultima.
Non era strano che lui sapesse, che lui si accorgesse della sua confusione. Era sempre stato in grado di "leggerla", dacché la conosceva.
Hazel socchiuse appena gli occhi, rilassando lo sguardo. Riflettè. «Forse» Non era più sicura di ciò che provava, del motivo per cui lo stava cercando; di quella sensazione ormai sepolta. Lui tacque, lasciandole il tempo di elaborare i suoi pensieri. Non era nella sua natura forzarla nell'esprimersi, essendo bensì come un'ombra in perenne ascolto, onnipresente nella sua vita. Le mani che cingevano il suo ventre le carezzarono i fianchi, percorrendone il contorno, per poi tornare sul ventre. Il petto premeva appena contro le esili spalle dell'elfa, infondendole calore.

Il marchio non era che una ferita cicatrizzata, che di tanto in tanto tornava a ricordarle della sua esistenza.
Il suo sonno era tormentato, ma non era certa se definire quel disagio come una sensazione disturbante.
Riusciva, oltre che a non ricordare, a provare fastidio fisico. Il marchio doleva, tanto quanto lo stomaco. Spesso si sentiva debole ed era inappetente.
Misteriosamente, era in grado di viaggiare, intrattenersi in un'attività e la sua immagine allo specchio non era disturbante, anzi.
Non riusciva a spiegarsi cosa non andasse, ma rammentò le parole di Solas durante la loro ultima conversazione.
La rassicurava, spiegandole le origini di quel marchio e numerosi effetti collaterali di cui soffriva solo in parte. Le sembrò, ancora una volta, un problema da archiviare.
Solas le sfiorò i lobi con le labbra, poggiandole un bacio sul collo. Hazel reprimette l'ennesimo brivido. Le venne la pelle d'oca.

«Stai cercando di sedurmi per distrarmi dalla mia curiosità?» Sussurrò divertita l'inquisitrice, lasciandolo fare.
«Non è forse tra le mie specialità?» Replicò l'elfo, accordandosi alla sua ironia sussurrata.
«Tanto quanto nascondermi le cose» Riconobbe lei, appena più seria. Le mani dell'elfo si fermarono, inducendola a pensare di aver toccato un argomento dolente, di cui avevano già discusso molte volte. Si morse le labbra, celandogli un'espressione vagamente colpevole, quanto esitante. "Tanto se lo merita" pensò, non troppo convinta. La lasciò e il gelo s'impossessò del suo corpo, quanto la paura. "Non andartene, ti prego" Non fece in tempo a voltarsi, che Solas la colse di sorpresa. Sorrise appena, nell'intravedere la sua espressione spaventata. Le cinse i fianchi con decisione, spingendola col proprio corpo verso la scrivania. La fronte contro la propria.
Sentiva le sue paure e desiderava offrire loro un rifugio sicuro.

«Non lo nego. Vorrei tuttavia assicurarmi che non ti sia dimenticata quali sono le mie altre specialità, ieri notte»

La sorprese. In un impeto di passione gli gettò le braccia al collo, abbandonandosi a lui, contro il suo corpo. Contro la scrivania. Si sedette, allargando appena le gambe per ospitarlo mentre le loro labbra si sfioravano. Accolsero la sua lingua, il sapore della pelle del suo collo. Si morsero, si desideravano. Si inebriò col suo profumo, toccando la stoffa della sua palandrana con veemenza, bramosa.
Le mani dell'antico rovistarono tra le pieghe della sua veste orlesiana fino a trovarne l'orlo e riscoprire il contatto con la pelle calda della sue cosce.
Le strinse, tirandole a sé, lasciandosi ospitare da esse. L'inquisitrice sospirò, come se non trovasse pace. Carezzò la sua nuca, mentre l'elfò scivolò verso il basso, baciandole il collo.
Scese ancora, armeggiando tra le fessure che quella veste leggera le lasciava esposte, tra un'asola e l'altra.
Le baciò il solco tra i seni, al di sotto della stoffa, prima di indurla a stendersi sulla schiena. Tenne in alto le sue gambe, permettendole di rilassarle oltre le proprie spalle.
S'inginocchiò, continuando a baciarle ogni lembo di pelle, sempre più calda. Si spinse ben oltre i limiti del pudore, lasciandole ospitare il proprio volto tra le cosce.
L'inquisitrice miagolò di piacere diverse volte, non riuscendo a far a meno di irrigidire i muscoli delle gambe con una certa costanza; sempre più spesso.

Non ebbe tempo di riflettere, né di chiedere altro. Non solo perché la situazione non le permetteva di perdersi in chissà quali argute riflessioni, ma perché la sua mente sembrò acquisire quelle informazioni, man mano che il tempo trascorreva. La confusione andò via, cedendo il posto allo scrosciante piacere provocato da colui di cui ricordò essere innamorata.
Pianse di piacere, pianse di gioia. Solas l'avvolse col proprio corpo, stringendole i capelli, spingendosi contro di lei. Dentro di lei.

«Lama, ara las mir lath. Bellanaris» L'amò, giurandole che sarebbe stato così per l'eternità.
«Ar lath ma...» Sibilò lei tra i denti, trattenendo l'esplosione di piacere che di lì a poco avrebbe travolto entrambi.

Non c'erano più domande, poiché tra le sue braccia potè trovare solo certezze.
Quel vuoto nel cuore venne sapientemente colmato dall' amore di Solas.
Fino all'alba del giorno dopo.

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Capitolo 3
*** Sussurri e Ombre ***









Capitolo II

Le tremarono le palpebre.

« Non abbiamo più tempo per riportarla indietro »
« Solas... »

Non era la sua voce, ma il suo ultimo ricordo la riportava a lui.

« Lavellan! »

Era la voce di Cassandra, che percepiva in lontananza. Era come se la stesse chiamando dall'alto, mentre lei giaceva sul fondo di un pozzo, nelle profondità della terra.
La sua voce era come un eco di speranza. Si sentiva debole, incerta, tra il sonno e la veglia. Troppo lontana.


« Cassandra...» Ma non fu che un sibilo tra le sue labbra deboli.
« Hazel! Ascoltami, guardami! » Ma Hazel non aveva occhi per vedere. Era tutto troppo sfocato.
« Lasciala dormire »

Una voce intervenne, profonda e aspra. Una voce che non conosceva. La spaventò.
Lottò contro il sonno che l'ancorava alla terra, contro un dolore che improvvisamente le rammentò il suo destino.
Il marchio bruciò, come se l'avesse colpita un fulmine sul palmo della mano. Gridò, contorcendosi dal dolore. Chiuse gli occhi e quelle voci le parvero più vicine.


« Vuoi prolungare la sua sofferenza? » La voce profonda parlò ancora, impassibile al dolore dell'inquisitrice.
« Forse c'è ancora una speranza! Non sappiamo cosa stia facendo laggiù! »

Cassandra lottava per difendere i suoi intenti. L'ardore era da sempre la sua più grande qualità, oltre alla cocciutaggine.

« E' con lui! Ecco cosa sta facendo! Dobbiamo riportarla indietro! » Cullen. Lo avrebbe riconosciuto tra oltre mille voci diverse. Gemette, provò a parlare ma non ci riuscì.
« Forse sarebbe il caso di svegliarla prima...»

Un tonfo, seguito da un clangore deciso.

« No! » Un grido contrariato. Altri rumori. Qualcuno si stava scontrando. Le voci continuarono a discorrere, ma erano sempre più lontane.

« A-s-p-e-t-t-a-t-e...»

Erano ormai troppo lontane affinché la sentissero. Affinché le sentisse.
Spalancò gli occhi, destandosi nel panico.
Le mancava il respiro e una scarica di dolore le trafisse il marchio cicatrizzato, come se la punta di una lama ne stesse incidendo uno nuovo.
Si tenne la mano, accasciandosi sul giaciglio che aveva condiviso con Solas la notte prima. Di lui, nessuna traccia.
Premette il viso contro le pelliccie ammassate sul pavimento, gemendo di dolore, senza nessuno che fosse lì ad aiutarla.
Si distese su un fianco, premendo le dita contro il marchio dolente nella speranza di attenuare la sua sofferenza.
Socchiuse gli occhi, imperlati di lacrime.
« Solas...» Riuscì a sussurrare, come una supplica.

Lui era la sua luce. La sentinella che vegliava su di lei, nel giorno e nella notte. Perché non era lì adesso?


--


Trascorse un tempo infinito, in cui il dolore le impedì di muoversi.
Era inerme, impotente, vittima di qualcosa che non comprendeva. Confusa.
Quelle voci smisero di parlare, lasciando solo il silenzio a riempirle la mente. Silenzio che portava via i ricordi, silenzio che dilaniava il suo spirito.


« Cassandra.. ascoltami Hazel.. Cullen.. è con lui, dobbiamo riportarla indietro...» Ripeteva, con un filo di voce, per non dimenticare.
Respirava piano, a fatica, sibilando tra i denti. Era certa di avere le visioni, di essere in preda alla febbre alta o a qualche malattia di cui nessuno le aveva parlato.

Erano ombre scure quelle che circondavano il suo giaciglio, indefinite e prive di contorni. Si muovevano, come nuvole di fumo nero, emulando movimenti umani.
La tormentavano, vorticandole intorno, senza rivolgerle la parola. Hazel le fissava, ma non riuscì a dar loro un senso.
Temeva che se non avesse tenuto la mente occupata a ricordare ciò che dicevano i suoi amici avrebbe ceduto al loro inganno, perdendo la ragione.

«Vuoi prolungare la sua sofferenza...» Sospirò, cercando di collocare la voce sconosciuta nella sua lista dei suoi conoscenti.
Era talmente profonda da essere difficile da confondere, o dimenticare. Ritornò a Cassandra, a Cullen. Ai rumori di quello scontro.

Pur patendo le pene dell'Inferno non riuscì a non preoccuparsi per loro. Era questo pensiero a tenerla ancorata a terra, nonostante si sentisse mancare.
Ha sempre dato importanza all'amicizia e non ha mai pensato di abbandonare i suoi amici neanche una volta. Neanche quando era in gioco la sua stessa vita, come in quel momento.


« Cosa volete?» Un suono fragile, ma intinto di diffidenza. Strinse i denti, cercando di tirarsi sù, con aria di sfida.
Era caparbia, ne aveva passate tante e di certo non si sarebbe lasciata spaventare da qualche spirito in vena di burle.
Non vi fu risposta, ma le ombre si fermarono. Hazel lo notò.
« Si, ce l'ho con voi» La voce appena più indurita. Trovò la forza di mettersi seduta, sfidandole così.

Erano trascorsi diversi attimi e le ombre sembravano non voler comunicare con l'inquisitrice, ormai iraconda.
Decise di ignorarle e riuscì, lentamente, ad alzarsi. Era debole, ma abbastanza forte da camminare.
Si trovava ancora al piano inferiore della torre di Skyhold, dove Solas trascorreva il tempo.
Si appoggiò con una spalla contro la parete, guardando la stanza. Sollevò lo sguardo, in cerca dei suoi amici, nella speranza che fossero al piano superiore, ancora impegnati a discutere. Non era strana come supposizione, considerando che a Skyhold anche i muri avevano le orecchie e non era strano ascoltare conversazioni nel bel mezzo dei corridoi senza capire da dove provenissero.

Decise di indagare, di andare a parlare con loro.
Si trascinò contro il muro, passo dopo passo, nell'intento di attraversare la sala e raggiungere la porta che l'avrebbe condotta al piano superiore.
Il murales elfico della stanza l'aveva incantata fin dal primo momento, così simile a quelli intravisti nei vari templi elfici visitati nel corso dei suoi viaggi.
Era così assorta che fino a quel momento non aveva più guardato in direzione delle ombre, ma si accorse subito che erano ancora lì, senza volto né forma, immobili.
Si sentiva osservata, vulnerabile. Strinse i denti, rabbiosa, inviperita per via delle scariche di dolore che ancora l'attanagliavano.

Era ormai vicina alla porta, tanto che potè fermarsi al centro dell'uscio.


« Andate via! » Ringhiò, nell'intento di spaventarle, ma la verità è che nel profondo era lei ad avere paura.
Il suo marchio poteva aver aperto un varco da qualche parte mentre lei dormiva? Era per questo che continuava a soffrire? Il solo pensiero l'allarmava.
Accresceva la sua rabbia, anche per l'assenza di Solas. Lui doveva essere lì. Non poteva prometterle amore e abbandonarla così. Il marchio si fece sentire, ancora.


« Ritornate nel maledetto Oblio!!! » Strillò con tutto il suo fiato, contraendo lo stomaco.
Era ormai mattino e se davvero aveva creato uno squarcio nel cuore della notte Skyhold non era più al sicuro.
Tutti dovevano essere svegliati, vigli e pronti a reagire ad un eventuale invasione di demoni. Gli errori del passato le hanno insegnato fin troppo.


« ... »

Non si aspettava una risposta, una reazione. Forse avrebbe scommesso che sarebbero scomparsi, ma non questo.
Una risata, buia, roca. Una risata femminile, arida di sentimenti e intimidatoria rimbombò nell'intera torre come un tuono prorompente.
Il pavimento tremò e Hazel si tenne a stento in piedi. Spalancò gli occhi, restando a bocca aperta. Si guardò intorno, forse aveva attirato l'attenzione di qualcuno.
Anche gli scaffali della biblioteca di Solas tremarono, ma era innaturale e improbabile che tutti i libri disposti lì sarebbero caduti, come spinti da una forza misteriosa.
Invece accadde. Era come se fossero stati scagliati, seguirono una traiettoria imprecisa ma mirata. Uno di questi tentò di colpire l'inquisitrice, prima che lei scappasse su per le rampe di scale.

Corse con tutta la forza che aveva in corpo e il marchio le bruciò ancora, in maniera persistente.
Si accasciò sugli ultimi gradini, trascinandosi con gli avambracci, digrignando i denti.
Nessuno era sveglio, nessuno gridò, nessuno corse da lei.

Le voci che udì poco prima le sembrarono un eco ancor più lontano, mentre si sentì sprofondare all'interno di quel pozzo inesistente.

Sola.



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Capitolo 4
*** Promesse d'amore ***


Capitolo IV


Trascorsero brevi attimi prima che tutto tornasse alla normalità.
Chiuse gli occhi, ma quando li riaprì ci fu qualcosa di nuovo ad attenderla.
Un nuovo scenario, una nuova realtà, una nuova sensazione. Tepore.
Lo scricchiolìo della legna arsa unito al baluginìo delle fiamme vispe la riportarono ad uno dei suoi viaggi del passato.
C'era solo uno strato di tessuto di tela grezza a dividerla da ciò che c'era al di fuori.
Era adagiata su diverse pellicce di animali selvatici, in una tenda posta in chissà quale accampamento. Si chiese se fosse un altro sogno.

Si strofinò la faccia con le mani, stanca di quel senso di impotenza a cui non era affatto abituata.
Notò che il marchio non le faceva più male, ma dovette faticare per vederlo -sigillato- sulla propria mano.
Gli occhi ci misero un po' per abituarsi a quella semi-oscurità, tenuta viva solo dal bagliore del fuoco all'esterno.
Immaginò di trovarsi in un bosco, poiché non udiva il mare, ma solo il sibilo del vento che carezzava le fronde degli alberi e lo scoppiettìo del fuoco.
La tenda era disseminata di pergamene scribacchiate, ammucchiate in un angolo.
Solo una di esse, ancora arrotolata, sembrava richiamare la sua attenzione, tanto era vicina al suo giaciglio.
La raccolse, istintivamente, sebbene il sentimento prevalente non fosse la curiosità, quanto più un'insofferente apatia.
Iniziava ad essere stanca e più dormiva più si sentiva debole. Lesse, velocemente.


Fen'Harel,
ti sei concesso più tempo del dovuto.
La Luna è piena e i sussurri reclamano ciò che ti appartiene.
Conduciti alle porte dell'Oblio, ma ricorda che non potrai più tornare indietro.
Hai scelto il tuo fato molto tempo fa e non c'è altro che io possa fare per te.
Rammenta il nostro accordo.

M.


Represse un brivido che -come una goccia gelida- le corse lungo la schiena.
Questa volta, decise di portare la pergamena con sé. Cercò una tasca in cui infilarla, ma trovò qualcosa di meglio: una cintura.
Ricordava di indossare una camicia da notte orlesiana, il che contribuì a rendere l'idea che ciò che ricordava era solo un altro sogno. Un sogno nel sogno?
Eppure, M era sempre presente, come se la perseguitasse. O perseguitasse Solas. L'ipotesi non la faceva stare meglio.


« I tuoi pantaloni sono lì, vhenan. Non credevo di avere un lancio così potente..»

Se non fosse stata sorpresa avrebbe pensato che quella era la cosa più stupida che le avesse mai detto. Tra le tante, a suo avviso.

Lo guardò, precisamente nel punto in cui la voce si propagò -ironica- arrochita da un sonno appena interrotto.
Non si era mai svegliato dopo di lei, anche questa era una novità.


«...»

Non aveva davvero nulla da dire, o forse non sapeva come esprimere il "tutto". Si sentiva abbandonata, iraconda e delusa da lui.
Tuttavia, come poteva esserlo se ciò che ricordava era davvero un sogno? Potrebbe non essere mai accaduto, ma è come se lo fosse stato. Che colpa ne avrebbe avuto lui?
Forse, se fosse stato reale, Solas sarebbe rimasto con lei. Forse.
Nascose la pergamena nella parte posteriore della cintura, che le cingeva la vita sottile.
Indossava una lunga camicia bianca, che sfiorava a malapena le sue cosce nude, dalle maniche a sbuffo, un po' consunte.
Ai lunghi capelli d'ebano sfuggiva qualche ciocca sulle spalle nude, riunendosi in una treccia bassa, un po' sfatta.
Aveva addosso il suo profumo, selvatico. Si inebriò, accogliendo quella sensazione di calore che avvampò nella parte bassa del suo ventre.
Lo sentiva, nelle viscere, ricordando il loro ultimo momento. L'amore con Solas era ipnotico, senza controllo. Non riusciva a farne a meno.
Lo guardò, nella penombra, sotto la coperta di pelliccia, mentre si destava per guardarla meglio.
La sua mente si perse per un attimo nella malsana idea di ricongiungersi a lui, di nuovo.

E se si fosse svegliata, ancora, senza ricordare nulla?

Scacciò l'idea, dandogli le spalle. Allungò il braccio verso l'orlo della tenda nell'intento di guardare fuori.
L'accampamento non era deserto, stranamente. C'erano alcuni soldati di spalle, chinati su chissà quali misteriose carte, ad indagare su altrettanti misteriosi problemi.
Riconobbe l'esploratrice Harding, che manco a farlo apposta le fece un cenno del capo, intimandole con un gesto della mano di restare lì.


« Inquisitore, spero che le nostre chiacchiere non vi abbiano svegliata»

Era la prima volta da un po' di tempo che qualcuno a parte Solas le rivolgeva la parola. Si sentii subito più tranquilla.


« Ci sono novità?»

Chiese, non troppo certa che fosse il caso di farlo. A stento sapeva dire in quale anno si trovassero, figurarsi in che situazione.
Sentì che Solas la stava guardando, ma non solo. Era palpabile il suo sgomento e Hazel dovette faticare per ignorarlo.


« Nulla di abbastanza importante da disturbare il vostro sonno» Rispose, affabile, Harding. Le sorrise.
« Temo di aver dormito abbastanza, in verità» Si giustificò, con una nota d'ilarità, l'Inquisitrice.
« D'accordo. Vi lascio il tempo di rivestirvi, dopodiché ci confronteremo» Promise la nana.

Gli altri soldati sembrarono troppo occupati per dedicarle anche un solo sguardo. Era tutto normale. Si sentì improvvisamente meglio, come se nulla fosse cambiato.
Fece mente locale, rammentando la possibile locazione dei suoi compagni di viaggio.
Tutti, nella sua mente, avevano trovato il loro posto nel nuovo mondo che aveva contribuito a preservare.
Tutti, tranne uno.

« Ci sono notizie di Tom?» Blackwall. Le tornò alla mente, di getto. Era l'unico tassello mancante nel suo epilogo.
Lo sguardo di Solas alle sue spalle divenne di fuoco. Si sentì pervadere da un senso di colpa che non le apparteneva.

La nana riflettè per qualche secondo, guardando l'inquisitrice di sottecchi.
« Non ne avevate già discusso col comandante, Inquisitrice?»
La domanda la confuse, ma lo sguardo di Harding si tinse in una nota di preoccupazione. Esitò, ma riuscì a simulare un sorriso cortese.
Forse, non ricordava proprio tutto. Le sviolinò uno dei suoi sorrisi imbarazzati, innegabilmente adorabili.


« Certo... vorrà dire che andrò a cercarlo nella sua tenda più tardi. Continuate pure

Si sforzò più del dovuto per assumere un'aria sicura, prima di rientrare nuovamente nella tenda. Sospirò, nuovamente in penombra.
Sapeva di doversi preparare ad un confronto con Solas, ma non era certa di cosa dire. Specialmente dopo la lettura della pergamena.
Sentì il fruscìo della carta e si voltò. Stava raccogliendo tutti i suoi documenti con straordinaria accuratezza. Era chiaramente arrabbiato.


« Disapprovi la mia preoccupazione per Tom, Solas?» Si fece coraggiosa e irriverente, sollevando il mento per darsi un tono.
« Disapprovo» Chiuse l'elfo. Non era una novità.

Hazel intrecciò le braccia al petto, serrando le labbra in una smorfia indispettita.


« Disapprovi...» Ripetè sottovoce.
« ...che tu dedichi il tuo tempo a preoccuparti per un traditore?»
« Credevo avessi cambiato opinione su di lui» Replicò lei, severa.
« Credevo che non t'importasse più del tuo amante, che fosse ormai morto e sepolto!»

Non avevano mai avuto né il tempo né la necessità di discutere della sua precedente relazione col custode.
Questa improvvisa gelosia da parte di Solas le strappò un'espressione sorpresa.
L'elfo continuò
« Non se lì fuori stiamo riesumando qualcosa di ben più importante! La nostra storia, i nostri antichi saperi!»
Hazel corrugò la fronte, sentendosi in parte in colpa di non ricordare ciò che l'Inquisizione stava facendo per lei. Per la sua gente.


« Non m'importa un cavolo degli antichi saperi elfici, Solas!» Lo sorprese, sorprendendo anche se stessa in verità.
Si sentii un'ingrata, ma era onesta con se stessa. Aveva problemi più importanti a cui pensare, al momento.


« Chi è M?>> Chiese di getto, astiosa. Solas la guardò senza capire. « Ma che stai blaterando, vhenan?» Replicò, sempre più irritato.
« Lei!» Afferrò la pergamena che aveva nascosto nella sua cintura, srotolandogliela davanti alla faccia.
Gliela cedette così, prima di inziare a guardarlo con occhi di brace traboccanti di aspettative. Aveva un'aura di innegabile autorità.


« Sono stanca di essere presa in giro e voglio sapere chi è questa donna che si appella a Fen'Harel!»
La parte di lui che ha faticato ad accettare, che nell'Oblio neanche era riuscita a collegare a Solas.
Lui non perse il controllo, sebbene l'atteggiamento di Hazel lo stesse mettendo alla prova.
Era nella sua natura fuggire, ma lei sapeva di averlo messo spalle al muro; e di star sorvegliando l'uscita come un lupo feroce.


« Tu sei a conoscenza del legame antico tra Fen'Harel e Mythal, Hazel.
Ti sorprende che siano riusciti a tradurre gli antichi scritti ritrovati e che li sottopongano alla mia attenzione?
»
Aveva senso. Rimase sbigottita.
« Vuoi dire che non ha niente a che fare con te, adesso?» Lui era composto, lei sulla difensiva.
Quasi gli ha inveito contro e continuava a fissarlo, nell'intento di far cadere la sua difesa.
Solas lasciò andare la pergamena, con un'espressione delusa.
«Mi chiedo se riuscirai mai a fidarti di me, Vhenan, sebbene la risposta sia piuttosto evidente»

L'unica difesa che cadde fu quella di Hazel, oltre alla sua rabbia, che cedette il posto all'incertezza.


« E' che...» Balbettò lei, ma lui l'interruppe sul nascere.
« Erano giorni che non riuscivamo a svegliarti da quando il tuo marchio è entrato in contatto con quel manufatto. Prima di ieri notte.»

D'un tratto lui la guardò, glaciale come solo lui sapeva essere. Lei era un mare in tempesta, lui un placido bosco notturno, magnetico e misterioso.


« Ho dovuto cercarti, ancora una volta, per riportarti indietro. Solo che questa volta non c'era più solo un'elfa accusata di omicidio in fin di vita, ma la mia stessa anima
Hazel trattenne il respiro, guardandolo con occhi increduli e confusi. Forse le cose stavano iniziando a combaciare, ma le iniziarono a tremare le gambe.
Solas le diede le spalle. Oltre quel velo gelido lei sapeva che era fuori di sé dalla rabbia e dovette combattere l'istinto di stringerlo, per farsi perdonare.
Lo lasciò continuare, poiché desiderava anche sapere la verità.


« E quando ti sei risvegliata il primo volto a cui hai pensato è stato il suo» Hazel impiegò un attimo più del previsto a collegare il discorso a Tom.
Non poteva negare, non perché non fosse vero, ma perché non ricordava il momento del suo effettivo risveglio. 

« Il primo nome che hai cercato...» Solas lasciò morire la frase, stringendo i pugni. Tornò a guardarla. Gli occhi velati di delusione accecarono Hazel, che indietreggiò appena.
« Hai giaciuto con me e al tuo risveglio io sono stato il tuo ultimo pensiero» Concluse, abbassando lo sguardo verso terra, ritrovando la pergamena.
Scelse di non infierire ancora, tuttavia.

L'Inquisitrice sentì illuminarsi di una nuova verità, ma anche di aver ferito il suo amore, di cui ha scelto di dubitare. Si sentì tremendamente in colpa per averlo ferito in quel modo.
Riflettè qualche secondo, mentre Solas si infilava nella sua casacca elfica, rigirandosi i polsini con gelida compostezza.


« Mi dispiace...>> Furono le prime parole dell'elfa. Si morse le labbra, un po' incerta su cosa replicare.
« Io credo di averlo vissuto, ma diversamente... Ricordo l'Oblio come un sogno, come se fossimo ancora a Skyhold e... ricordo le ombre, le voci...»

Solas continuava a rivestirsi, raccogliendo le sue cose ed Hazel ebbe la certezza di aver poco tempo per rimediare all'errore commesso.


« Ricordo di essere stata sola. Mi sono sentita abbandonata, anche da te. Credevo... di essere stata ingannata»

Solas sospirò. Lei non riuscì a capire se fosse un buon segno, ma non ebbe altra scelta che continuare.


« So di averti deluso, di aver dubitato ancora di te, però... dovresti capirmi. Non ho tutti i torti.» Ammise, coraggiosa.
Aprì le braccia in segno di resa. Solas la scorse con la coda dell'occhio, ma tacque.

« Sono stata nell'Oblio ed era così reale da essermi persa. Ho cercato te, sei stato il mio primo pensiero senza neanche ricordare il perché.»
Le parole abbandonavano cautamente le sue labbra.


« E se al mio risveglio ho cercato Tom come dici, di certo non è per i motivi che credi tu.» Fece un passo verso di lui, incontrando il suo sguardo fermo, indurito.
« Non so neanch'io perchè, però posso assicurarti una cosa, di cui sono assolutamente certa

Si avvicinò al suo amato, riuscendo a sfiorare la sua schiena con la punta delle dita, fino a carezzarla. Lui la studiava, dandole il profilo. 
Lei ignorò la sua aura minacciosa, aggirandolo, delicata, in un fruscìo di stoffa.  Ritrovò il suo volto. I suoi occhi cerulei, in cui desiderò perdersi.


« Tom non era lì con me e neanche nei miei pensieri.» La mano che toccava la sua schiena aggirò il suo fianco, lambendo il suo torace fino alla spalla sinistra dell'elfo.
« Non è stato lui a stringermi...» Solas finalmente smise di guardarla di sottecchi come un avvoltoio. Le carezzò i fianchi, in un gesto spontaneo.
« Non era tra le mie braccia, né sulle mie labbra, né tra le mie cosce...» La voce divenne sempre più simile ad un sussurro delicato, suadente.

L'elfo chiuse gli occhi, nell'intento di dominare il desiderio che la piccola Inquisitrice era in grado di destare in lui, come nessun'altra mai.


« Vhenan...» Come una supplica, la pregò di smetterla mentre le sue dita sfiorarono tremanti i fianchi dell'amata. Il suo corpo non era d'accordo e Hazel lo percepì chiaramente. 
« Non era a lui che dichiaravo il mio amore, né lui che lo dichiarava a me a sua volta» Riprese lei. La voce soffusa, meno sensuale ma confortante.

Gli prese il volto tra le mani, costringendolo quasi a perdersi nei suoi occhi di sabbia e smeraldo. Lui le carezzò la schiena, lasciando andare la rabbia, accogliendo l'amore.


« Io ero lì con te e ho scelto te. Sceglierò sempre te, Solas» Lo rassicurò con una promessa. Solas sospirò, quasi affranto.
Lei lasciò andare le lacrime e sorrise. L'elfo non rispose, ma le asciugò il viso coi pollici in un gesto affettuoso.

« E non c'è divinità o manufatto elfico che possa impedire ciò. Il nostro amore spazzerà via ogni cosa.»
Hazel si sciolse dunque da quell'abbraccio, a malincuore.


« Te lo prometto»

Si ritirò poco più in là nella tenda, prendendosi un momento per condividere con lui le sue riflessioni.
Solas rispettò quel momento, restando esattamente dov'era. Le carezzò la schiena con gli occhi, amandola in silenzio.


« Tom mi rendeva l'Inquisitrice che temevo di non essere, mi idealizzava. Mi ancorava alla realtà, che era ciò di cui avevo bisogno per sconfiggere una minaccia, fin troppo reale
Tutti loro sapevano, ma oltre all'Inquisizione, il mondo per cui lei lottava era pronto a seppellire il suo cadavere senza rimpianti. Blackwall era il muro oltre cui ripararsi.

« Quando mi sento confusa e incerta se credere o no ai miei occhi è a lui che mi appello.» Confessò, fissando un punto a caso di quella tenda.
« Ero nell'Oblio e nulla sembrava reale. Era... spaventoso»

Solas abbassò lo sguardo, come se si sentisse colpevole. Per lui l'Oblio era un rifugio sicuro, per lei un antro gelido da cui evadere.


«Ir abelas, vhenan»

Hazel si voltò, cercando nuovamente i suoi occhi.


«Tel'abelas!» Replicò, spontanea, facendo un passo verso di lui.

L'elfo non le diede risposta, ma continuò ad evitare il suo sguardo per diversi attimi, finché non fu Hazel a proferire.


«Perché?» Chiese, cautamente. Di cosa si stava scusando adesso?

Solas si avvicinò all'uscita della tenda, scostandone l'orlo col braccio. La guardò, intimandole con lo sguardo di seguirlo.
Non sentì il bisogno di chiedergli una spiegazione. Esitò solo un momento, concedendosi un respiro profondo.


«Ma ghilana, vhenan»

Guidami.

Era pronta.

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Capitolo 5
*** Vuoti incolmabili ***


Capitolo V

L'accampamento era accogliente.
Lo scoppiettìo del fuoco vivo suscitava un piacevole tepore solo alla vista, mentre la Luna piena vibrava di luce propria.
Una leggera brezza carezzava le fronde degli alberi, come se volesse sussurrare ai soldati riuniti intorno al focolare parole rassicuranti.
C'era un brusìo leggero, ebbro di parole sibilate e racconti di vita quotidiana, mentre la selvaggina appena pronta veniva consumata di gusto.
Hazel lanciò uno sguardo, lasciandosi stuzzicare dal suo profumo.

«Vuoi  fermarti?» Solas le cercò una mano per donarle una carezza, mentre Hazel ritrovò i suoi occhi, esitante.
«Posso parlare con loro al nostro ritorno»

Lui tacque, concedendole uno sguardo pacato ma distante. Lei colse una triste verità, su cui tuttavia non indagò.

«Ho dimenticato alcune cose in tenda. Fai con calma, vhenan»

E la lasciò, ritirandosi, non prima di aver colto un cenno d'assenso da parte sua.
Hazel sospirò, rimanendo a fissare l'entrata della tenda per qualche attimo.
Ancora una volta, non capiva cosa stesse succedendo. La sua vita con Solas era turbolenta, ben lontana dal placido amore che aveva immaginato tempo addietro.

Dove voleva portarla?

Fece un giro nell'accampamento, senza una meta in particolare. Quel luogo era così caldo e accogliente e allo stesso tempo così estraneo.
Provò ad origliare qualche discorso, ma ogni parola svaniva misteriosamente in qualche angolo della sua mente lontano dalla memoria.
Cercò Harding, ma non vi erano che carte vuote al tavolo su cui poco prima stavano discutendo così animatamente.
Sfogliò la mappa su cui erano tanto concentrati, ma non c'erano segni di alcun tipo.
Lasciò cadere ogni foglio nell'intento di cogliere un qualche tipo di indizio, ma non c'era nulla.
Frustrata, si diresse a passo spedito verso la tenda di Cullen, con l'intenzione di chiedere spiegazione su quei rapporti 'inesistenti'.

Trattenne il respiro per un tempo indecifrabile.
L'armatura da leone del Ferelden scintillava al tenue bagliore delle candele disposte nella tenda, mentre dava le spalle all'ingresso.
Era chino, col capo rivolto verso qualcosa che non riusciva ad intravedere, posto sulla scrivania.
Mormorava, ma non riusciva a capire cosa dicesse. Si avvicinò.

«Cullen?»

Il corpo del comandante s'irrigidii, avvolto in una cortina di nebbia leggera, come fosse intangibile.

Come fosse uno spettro.

Si avvicinò, cauta, allungando una mano nell'intento di sfiorare la sua spalla e attirarne l'attenzione.
Sgranò gli occhi verdognoli, mentre una ruga di velata preoccupazione si fissò tra le sue sopracciglia.

«Comandante...»

Indietreggiò, mentre un brivido gelido le oltrepassò il palmo della mano.
Era come se avesse toccato un bozzolo di nebbia gelida, come se Cullen non fosse reale, tangibile. Come fosse un'illusione della sua mente.

Annaspò, nel panico. Si sentii gelare.
Trattenne l'istinto di gridare, chiamare aiuto. D'un tratto la mente ricordò della strana sensazione provata nell'accampamento poco prima.
Tentò di calmarsi, restando esattamente lì dov'era. Respirò, tremante.
Quella sensazione di gelo si fece appena più intensa, sicché dovette stringersi il palmo per dominarla.
Era una sensazione così fredda che le sembrò di bruciare, paradossalmente.
Sibilò tra i denti, premendo le unghie contro il palmo, come se volesse offrire un contrappeso a quel dolore atroce.

"Non ti ringrazierò mai abbastanza per ciò che hai fatto per me"

Hazel alzò lo sguardo verso le spalle di Cullen. Giurò di averlo sentito parlare.

"Voglio dire... la faccenda del Lyrium. Chiunque... qualunque... Inquisitore non si sarebbe fatto scrupoli a sostituirmi.
O anche solo a controllarmi. L'hanno già fatto in passato.
"

«Cullen? Parla con me!»

Hazel riprovò ad affrontare la nebbia, questa volta senza esitare. La scarica di gelo la travolse ancora, inglobandola totalmente.
Si scontrò contro la scrivania, mentre la sagoma di Cullen si sfocò appena, come fosse un riflesso su una distesa d'acqua, improvvisamente smossa da un sassolino.  
L'elfa rimase china contro il tavolo, a mani giunte, lasciandosi scivolare verso terra. Lottò contro il dolore lancinante, respirando con forza.

"Non ti ho mai ringraziato abbastanza, ma avrei voluto farlo, avrei voluto che ciò che vidi attraverso la tua gentilezza, il futuro che immaginai per noi... che fosse..."

«Cullen... ma dove sei...» Sibilò afflitta, guardando l'interno di quella tenda nella speranza di cogliere un reale segno della sua presenza lì.
Si spinse di schiena contro la scrivania per tirarsi su. Non voleva arrendersi. Sentì di star tralasciando un dettaglio in quella stanza.
«Non posso essere tornata nell'Oblio. Solas era qui con me poco fa. Eravamo svegli, entrambi. Era tutto così...»

"...Reale."

Si tenne alla scrivania con entrambe le braccia. Fu solo in quel momento che vide l'oggetto verso cui Cullen era rivolto.
Una consapevolezza più grande di qualsiasi altra cosa potessero raccontargli, che i suoi occhi potessero vedere, che le sue dita potessero toccare, s'impadronì di lei.
Indietreggiò, spalancando la bocca, col fiato sospeso. Gli occhi sbarrati, possessori di una nuova, crudele verità.

"Ma non lo è stato... niente sembra più reale da quando non sei più con noi."

Cullen stava parlando con lei, ma non era in quella tenda.
La voce del comandante scivolò in un silenzio che Hazel percepì come un ennesimo brivido.
Molte volte l'Inquisitrice conobbe la solitudine, ma mai come in quel momento.
 
«Perché non è reale

Trasse quella conclusione come fossero le sue ultime parole. Lo sguardo fisso sull'Eluvian che giaceva sulla scrivania.
Vide il volto di Cullen, chino sul suo capezzale a mani giunte. Le parlava a bassa voce, con gli occhi velati di lacrime.

«Non è reale.» Ripetè, schiudendo le labbra, come se facendolo riuscisse a prenderne maggiormente atto.
 La vicinanza al portale risvegliò l'antico dolore del suo marchio, come tutte le volte in cui si era trovata nelle vicinanze di un artefatto elfico, nell'Oblio.

«Non ho mai smesso di sognare, sono sempre stata qui»

Alzò appena la voce, come se le servisse a contrastare le fitte crescenti sul suo palmo.
Si guardò le mani, come se facendolo riuscisse a vedere in lei una prova contraria, una qualsiasi dimostrazione che tutto ciò che aveva appena scoperto fosse in realtà falso.
Il marchio era vivo, ebbro di un bagliore verdognolo e l'unica persona in grado di controllarlo non era lì.
Improvvisamente, si sentì più vicina alla propria morte, la stessa che l'Eluvian le stava mostrando. Specchio crudele.
Cullen desiderò attraversare le porte della realtà, pur di far dono all'Inquisitrice dei propri pensieri.
Seppure accecato dalla sua fedeltà ad Andraste, riuscì a trovare una chiave per accedere parzialmente a quel regno ignoto, custode di anime, emozioni e ricordi.

«Volevi che io lo vedessi... non potevi parlarmene» Udii un respiro che non le apparteneva, alle proprie spalle.
«Hai lasciato che lo capissi da sola.» La voce ferma, la mente troppo instabile. Abbassò lo sguardo.

«Dolore. La delusione ha il suono di un lutto per un corpo mai ritrovato. Un pensiero costante, gelido. Avevano qualcosa in comune.»

Hazel non sentii il bisogno di girarsi, poiché riconobbe la sua voce.
Non si trattava di Solas.
Cole era lì.

"Forse avrei potuto impedire tutto questo, renderti migliore ogni momento prima della tua morte..."
 
Cullen le parlava ancora, sottovoce. Era una nenia, una condanna contro se stesso. Stava elaborando il dolore della sua perdita ed era solo.

Dov'erano finiti tutti i suoi amici? L'avevano abbandonata tutti?

«Cole...» Gli occhi di Hazel erano vuoti, velati di tristezza.

«Quando?»

Quando è successo?

«Tentava di stringerla a sé, ma non aveva più un corpo da reclamare. Solo un'anima. Sola, ma luminosa. Sapeva che l'avrebbe ritrovata.
Sapeva di non avere troppo tempo, ma continuava a perderla


Hazel percepì una stretta al cuore. Un'emozione che fino ad ora aveva ignorato la sorprese, sgorgando dai suoi occhi.
Pianse la propria morte, a capo chino. Le lacrime percorsero i contorni del suo vallaslin.

«Entrambi nascosero la verità. Non erano nemici, ma si contendevano un cimitero. Entrambi desideravano le sue ossa, ma non nella stessa maniera.»

L'elfa si voltò, senza guardarlo. Gli lanciò le braccia al collo, stringendosi a Cole.
Niente le suggerì che fosse realmente lì, ma lo era. Poteva toccarlo, poiché era uno spirito ed era lì, esattamente come lei.

"Non so bene dove sei, adesso, né se il creatore reclamerà la tua anima... forse dovremmo farti una cerimonia elfica, o qualcosa del genere"

Cullen continuava a parlare tra sé e sé, mentre Hazel trovò riparo nell'abbraccio del suo amico spirito.
Ci furono brevi attimi di silenzio, prima che un clangore metallico scosse quel clima funereo.

«Non ha ancora finito di lamentarsi?»

Una voce sprezzante, scura, penetrò il silenzio.
Hazel sollevò lo sguardo. L'aveva già sentita da qualche parte.

«Più tempo perdete a piangervi addosso, più sarà difficile tornare indietro.»

Lingua tagliente avanzò come un'ombra nel bel mezzo del nulla.
La tenda era svanita, così come il resto dell'accampamento. L'illusione si spezzò, quanto le certezze di Hazel.
Cole si distaccò dall'abbraccio dell'elfa con discrezione, nell'intento di coprire l'Eluvian ormai sospeso nel vuoto con un panno di stoffa.
La sua ricerca interiore l'ha indotto a riconciliarsi con l'Oblio ed essere in grado di controllarne certi aspetti, tanto quanto Solas.
La voce di Cullen si spense sotto lo strano mormorìo del ragazzo spirito, che desiderò offrire pace e serenità alla sua mente spezzata.

«E tu chi saresti?» Chiese l'Inquisitrice, rivolgendosi alla nuova figura con una nota di evidente sfiducia.

Lingua tagliente cercò l'elsa del suo spadone, per assicurarsi che fosse ancora lì, offrendo all'elfa un profilo innegabilmente elvhen.
Nella penombra di quel luogo dimenticato Hazel riuscì ad intravedere la pelle scura dell'elfo, su cui s'inerpicavano tralci azzurrognoli, in cui percepì l'essenza del Lyrium.
Intrecciò il proprio sguardo al suo, percependo la repulsione altrui attraverso i suoi occhi cerulei, ridotti a due fessure sospettose.

«Chi non muore si rivede, eh?» Una voce familiare la distrasse del tutto, lasciandola sbigottita.
«Varric!» Sprigionò il primo vero sprizzo di gioia della giornata, precipitandosi ad abbracciare il suo amico nano,
compagno di bevute e sventure nella sua battaglia contro Corypheus. Era spuntato dal nulla, proprio come gli altri.
Quest'ultimo la strinse in una morsa di affetto, affondando la testa bionda contro lo stomaco esile dell'elfa.

«Amico mio! Mi spiace proprio deluderti, ma ancora una volta dovrò sconvolgere le tue convinzioni!»
 Varric sollevò la testa, inarcando un sopracciglio, pregustandosi già una delle pessime battute di Hazel.

«A quanto pare anche chi muore si rivede.» Concluse lei, ironica, sebbene incapace di nascondere l'amarezza.
Il nano inclinò la testa, fissandola qualche attimo con uno sguardo che aveva tutta l'aria di essere un rimprovero.

«Ragazza mia, te l'ho sempre detto che l'influenza di quell'elfo pelato ti avrebbe mandato in pappa il cervello.
Siete entrambi troppo melodrammatici e tu non sei morta!
»
Hazel aggrottò la fronte, interdetta.

«Non ancora, almeno» La voce scura fuori campo non si trattenne dal dire la propria, con lo stesso disprezzo con cui si era manifestata fino ad ora.
Varric arricciò il naso, intimando all'elfo di darci un taglio con una serie di gesticolazioni noncuranti, prima di afferrare Hazel per un braccio.

«Dettagli insignificanti! Ma lascia che te ne parli qualcuno che ne capisce sicuramente più di me e... a proposito! Lui è Fenris!»

L'Inquisitrice si lasciò portare a braccetto da Varric, lanciando uno sguardo verso l'elfo, di cui ora conosceva il nome.
Curiosamente, anche lui la stava guardando, di sottecchi, in un modo che non le piaceva neanche un po'.  
Aveva sentito la sua voce quando venne circondata dalle ombre, nella sala da lettura di Solas.
Era gelida e sprezzante, mentre intimava ai suoi amici di non svegliarla. Aveva senso, non sarebbe stata una buona idea. Tuttavia, si chiedeva il perché.

Una stretta allo stomaco accompagnò le fitte di dolore al marchio. Ricordò di chi si trattasse, chi fosse quell'elfo misterioso.
Ricordò la tristezza di Varric, del nome che vergò sulle lettere da spedire dopo il suo viaggio nell'Oblio.
Il dolore che la sua scelta causò - ciò che reputò il "male minore" - distrusse la vita di qualcun altro.
Per sua decisione Hawke era morta e quella voragine di odio negli occhi di Fenris le scatenava un senso di colpa dannatamente pesante.

L'Inquisitrice cercò di dire qualcosa, ma l'elfo si tirò sù il cappuccio dell'armatura, accellerando il passo fino a superare entrambi.
«Onorato.» Pronunciò, aspro.

Hazel non ebbe il tempo di riflettere ulteriormente sulla situazione.
Proprio quando credette di essere giunta alla verità nuovi dubbi erano pronti ad attanagliarla e quello aveva tutta l'aria di essere il preludio di una nuova battaglia.
Si ritrovò così insieme agli altri ad attraversare una coltre di nebbia fitta, senza la minima idea su dove li avrebbe condotti.

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