Harry Potter e l'inganno dei fedeli

di _Polx_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Informazioni riservate ***
Capitolo 2: *** Gruppo docenti ***
Capitolo 3: *** Agata e Alastor ***
Capitolo 4: *** Prove e supposizioni ***
Capitolo 5: *** Cassandra Goodman ***
Capitolo 6: *** Cenone di Natale ***
Capitolo 7: *** Il processo ***
Capitolo 8: *** Art Nouveau ***
Capitolo 9: *** Un favore da Hagrid ***
Capitolo 10: *** Un altro favore da Hagrid ***
Capitolo 11: *** L'Augurey in gabbia ***
Capitolo 12: *** Lezione di Babbanologia ***
Capitolo 13: *** Rimpatriata ***
Capitolo 14: *** Parenti serpenti ***
Capitolo 15: *** Avada Kedavra ***
Capitolo 16: *** Interrogatorio ***
Capitolo 17: *** Un bocciolo venefico ***
Capitolo 18: *** Grimmauld Place ***
Capitolo 19: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 20: *** Pianificazioni ***
Capitolo 21: *** La cascata ipogea ***
Capitolo 22: *** Inganno e orgoglio ***
Capitolo 23: *** Epilogo. Diciassette anni dopo ***



Capitolo 1
*** Informazioni riservate ***


Cercò di svegliarlo con le buone, ma non ci riuscì. Alla fine, pur consapevole che un simile azzardo avrebbe potuto fruttargli un richiamo, lasciò che dalla punta della sua bacchetta prorompesse un leggero scoppio.
Albus sobbalzò terrorizzato: “se non la finisci con questi scherzi, Malfoy, uno di questi giorni ti farò svegliare senza orecchie".
“Minaccia di grande effetto da parte di uno che non riesce a studiare per più di venti minuti in biblioteca senza addormentarsi” replicò Scorpius “ma non è questo il punto”.
“Dillo al mio timpano”.
“Dopo il match devo parlarti. Assolutamente. Con estrema... davvero estrema urgenza”.
“Non abbastanza, se puoi aspettare per un'intera partita di Quidditch”.
“Non capisci, Rose sarà sugli spalti... a guardare me! Non posso tirarmi indietro proprio oggi”.
“Rose sarà sugli spalti per sostenere Lilia Lollington e tiferà per Corvonero. Non sarà certo lì per te”.
“Ah” esclamò Scorpius, disgustato dal suo cinismo “tu non capisci” ribadì “ad ogni modo, fatti trovare in sala grande puntuale. In sala grande e puntuale, Albus! Altrove attireremmo troppa attenzione”.
“Di che diavolo si tratta, si può sapere?”.
“Potrei aver scoperto qualcosa d'interessante su Delphi”.
Albus balzò in piedi e puntò minacciosamente un dito contro di lui: “non osare, Scorpius. Non osare rigettarci in un simile grattacapo. Per poco non siamo stati espulsi”.
“Colpa tua: ti fidi delle persone sbagliate”.
“Come ti permetti? Tu...” ma ormai Scorpius se n'era andato, corso a perdifiato lungo il corridoio e da lì verso le scale, prima che queste cambiassero capricciosamente e lo sviassero dalla sua meta: il campo di Quidditch era infatti già gremito e il capitano dei Serpeverde stava probabilmente imprecando tra sé, chiedendosi dove fosse finito il loro miglior cercatore che, ad ogni modo, arrivò in tempo. L'agitazione per quanto aveva da riferire ad Albus, però, rischiava d'impedirgli di giocare una partita decorosa: fortunatamente, a contrastarla vi era la consapevolezza che Rose fosse tra il pubblico, a guardarlo e ad ammirare il suo talento.
Scese in campo motivato e distratto al tempo stesso e si rimproverò severamente quando il boccino gli sfuggì di mano per un soffio, a soli dieci minuti dall'inizio della partita, ma non lo perdeva d'occhio un istante ed era certo che se la sarebbero cavata in breve tempo.
Nella fretta, vedendo un lampo d'oro alla sua sinistra, si lanciò temerariamente, sporgendosi con troppo zelo dalla propria scopa e, sebbene infine catturò l'esile preda, nessuno ebbe il tempo di notarlo, perché un battitore dei Corvonero lo investì fallosamente, disarcionandolo. Nella foga della caduta la mano di Scorpius si aprì e il boccino scivolò via come una piuma ribelle. Riuscì ad attutire l'atterraggio con un efficace incantesimo molliare, ma la sua caviglia si torse dolorosamente e non sarebbe certo stata necessaria la diagnosi di Madam Pomfrey per intuire che fosse slogata.
Nonostante questo, lui esultò e avrebbe saltato di gioia e soddisfazione se non fosse stato per il dolore lancinante. Presto però il trionfo tramutò in delusione e il suo ampio sorriso si trasformò in una smorfia di rabbia, perché l'arbitro dell'incontro non aveva prove del fatto che il cercatore dei Serpeverde avesse effettivamente afferrato il boccino, dunque la partita sarebbe continuata, ovviamente una volta che il giovane Malfoy fosse stato accompagnato in infermeria.
“Lei è un venduto! Quando mio padre giocava a Quidditch, eravamo noi Serpeverde a rappresentare tutto ciò che di più scorretto vi fosse in questa scuola. Ora subiamo i nostri stessi falli: quale vergogna!” questo urlava Scorpius e ostentava il tono più sornione e altisonante che riuscisse a imporre alla propria voce “e da quando una caviglia dolorante impedisce a uno sportivo degno di chiamarsi tale di continuare la competizione?”.
“Da sempre, signor Malfoy” sbuffò la professoressa Hooch, trascinandolo con sé di malavoglia “mi mancano i tempi in cui i membri della sua famiglia si lagnavano terribilmente per una sola unghia rotta”.
“Va bene, professoressa, va bene, ma dica a Madame Pomfrey di fare alla svelta”.
“Non tornerà a gareggiare quest'oggi, signor Malfoy” assicurò la Hoock “la sua squadra troverà un sostituto”.
“Oh, sì, non ne dubito. La mia preoccupazione è per altre incombenze”.
“Be', avrà modo di esporle personalmente a chi di dovere” e accompagnatolo in infermeria, lo lasciò per tornare dove la sua presenza era più richiesta.
Scorpius dovette attardarsi solo un paio d'ore tra le cure di Madam Pomfrey, poi fu libero di andarsene, perfettamente ristabilito.
“Fortuna che temevi un ritardo da parte mia” lo accolse subito Albus “hai fatto un ben volo, solo nella direzione sbagliata”.
Scorpius finse una grassa risata affettata: “cosa farei senza la tua proverbiale simpatia?”.
“Allora, di cosa non dovresti parlarmi?” troncò l'altro con sospiro d'arresa.
Scorpius si accomodò accanto a lui e gli si avvicinò con fare ben più sospetto di quanto non fosse necessario: “sono trascorsi tre anni dal nostro... incidente”.
“Intendi la catastrofe temporale che per poco non ha distrutto tutto ciò che amiamo e conosciamo?”.
Scorpius rifletté su quelle parole e infine scrollò le spalle: “un incidente. Ebbene, molti movimenti loschi stavano scuotendo le fondamenta del mondo magico prima che scoprissimo la verità su Delphi”.
“Sono stati tutti sgominai nel momento in cui il Ministero della Magia ha preso in mano la situazione”.
“O questo è ciò che ci hanno detto” avendo atteso con cura il momento propizio per scoprire le proprie carte, Scorpius badò di farlo col giusto stile e poggiò un fascicolo accanto ad Albus con la stessa cura che avrebbe dedicato a una maledizione proibita fattasi tangibile.
“Di che si tratta?”.
“Testimonianze: negli ultimi tre anni nulla è cambiato, semmai la situazione è peggiorata e il Ministero tace per evitare di diffondere il panico. Non posso certo dargli torto, ma in ogni caso non credo sia un atteggiamento corretto”.
“Cos'ha a che vedere questo con Delphi? Lei è ad Azkaban, isolata dal mondo. Non può certo essere a capo di queste azioni criminali”.
“Ho la forte sensazione che in tutto questo Delphi sia sempre stata una semplice pedina. Un mezzo, inconsapevole di esserlo, che infine è sfuggito dal controllo di chi cercava di governarlo”.
Gli occhi di Albus si assottigliarono e il tono della sua voce divenne terribilmente sospettoso: “come hai ottenuto queste informazioni?”.
“Mio padre è andato al Ministero della Magia. Ha risposto a una convocazione e io l'ho accompagnato, ma non ha voluto condividere le motivazioni del richiamo. Non nego di essere preoccupato, soprattutto perché vedo quanto lo è lui”.
“Non hai risposto alla domanda”.
“Be'” cercò di procrastinare, ma infine si convinse a parlare “dato che non sono stato ammesso al dialogo tra mio padre e il Ministro nel salone dei ricevimenti, ne ho approfittato”.
“Per insinuarti nell'ufficio di mia zia?” ringhiò Albus estremamente contrariato.
“Come se fosse la prima volta” sminuì l'altro “probabilmente riteneva che ben pochi avessero interesse in questa documentazione, perché non era protetta né sigillata. O forse, le era appena arrivata e non aveva avuto tempo per occuparsene” sospirò tra sé “quanto vorrei fare un giro ad Azkaban”.
Albus scosse la testa, contrariato e al contempo atterrito: “sei peggio di me. E questo lascia intendere quanto distruttive siano le tue idee”.
Furono interrotti dalla voce della preside McGranitt che risuonò per tutta la scuola amplificata da un incantesimo sonorus: “si prega gli studenti di recarsi celermente in sala grande: il corpo docenti ha una novità da riferirvi”.
“Che fortuna” commentò Scorpius ironicamente “non dobbiamo neppure alzarci”.

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Capitolo 2
*** Gruppo docenti ***


Presto l'intero gruppo docenti fu presente, a eccezion fatta per il professore di Pozioni, che in tutto l'inizio dell'anno s'era dimostrato una figura alquanto evanescente e ardua da reperire.
“Sappiamo, purtroppo, che il professor Solari ha accettato con piacere la cattedra offertagli, ma che troppo tardi abbia compreso di non potervisi dedicare con la giusta presenza” cominciò la preside McGranitt “s'è dunque sentito in dovere di ritirarsi dall'incarico e noi tutti ci siamo adoperati perché la sospensione delle lezioni fosse breve e rapidamente risolta. Perdonerete il suo ritardo: tra poco si presenterà a voi il nuovo docente di Pozioni” quasi per coincidenza, una figura si avvicinò discretamente al grande tavolo, sgusciando dall'ombra in cui era immerso uno degli ingressi secondari alla Sala Grande e, coi cordiali saluti della preside McGranitt, si accomodò accanto al professor Paciock che, dal canto suo, non ne sembrava particolarmente gratificato. Non troppo alto e non certo imponente, il nuovo venuto dava tutta l'impressione d'esser nato e cresciuto in un mondo di gran classe. Eppure il suo sguardo, più freddo del marmo, era velato da un'ombra di repulsa, come se disprezzasse il luogo in cui era o, quanto meno, non desiderasse trovarvisi.
Il bizzarro silenzio che piombò sull'intero salone fu improvvisamente spezzato da un'esclamazione proveniente dai Serpeverde, dove un giovane era balzato in piedi nonostante l'amico al suo fianco tentasse di trattenerlo: “è uno scherzo?” inveì Scorpius.
La preside McGranitt alzò allora la voce per sovrastare la sua, nella speranza di metterlo a tacere: “il signor Draco Malfoy sostituirà il professor Solari per l'anno in corso: voi studenti, in particolar modo coloro che a inizio estate dovranno sostenere gli esami del settimo anno, siete molto fortunati ad averlo, perché la sua preparazione è lodevole”.
“Come no” insistette Scorpius, parlando sommessamente, ma non ancora al proprio posto, troppo sorpreso e oltraggiato per sedere docilmente e soffocare le molte obiezioni.
Fu Albus che, afferrata saldamente la manica della sua divisa, lo strattonò con tale foga da costringerlo ad abbassarsi: “non fare spettacolo” ringhiò a denti stretti “la nostra prossima lezione sarà Pozioni. Gli parlerai di persona, che ne dici?”.
“Sarò lo zimbello di tutti”.
“Sei già lo zimbello di tutti”.
“Parli per esperienza personale, immagino” replicò con acida prontezza.
Il loro battibecco fu interrotto dal commiato dei professori, che congedarono i presenti e li incitarono a raggiungere i propri dormitori. Questo generò un'ulteriore polemica da parte del giovane Malfoy che, anziché godersi il banchetto serale assieme agli altri studenti, s'era dovuto accontentare del leggero pasto concessogli da Madam Pomfrey in infermeria.
Di certo quella sera Albus non giovò di una compagnia particolarmente allegra, perché Scorpius sembrava sinceramente turbato dal fatto che suo padre fosse entrato a far parte del personale di Hogwarts: “questo deve avere a che fare con la sua convocazione al Ministero. Per tenerlo d'occhio, l'hanno spedito qui. E io ne pago le conseguenze”.
“Cosa potrebbe mai avere a che fare Hogwarts col Ministero?”.
“La storia. Questa sconosciuta, vero, Albus? A dire il vero, non penso possa neppure considerarsi davvero storia, se risale a meno di trent'anni fa”.
“Quei tempi sono finiti. Rilassati, rimpinzati di zucchero come tuo solito, quando sei troppo nervoso. Io ho sonno” e così sfuggì alle sue martellanti rimuginazioni.
Come Scorpius temeva, il giorno seguente molti sguardi si puntarono su di lui e avevano espressioni decisamente troppo canzonatorie. Ringraziò soltanto che il talento per il Quidditch, ben celato ma pur sempre coltivato in quegli ultimi anni, avesse incrementato esponenzialmente la sua popolarità tra le fila dei Serpeverde, rendendolo una personalità degna di timore e rispetto anche agli occhi dei giocatori delle altre casate.
Al contrario di Albus, curioso più che perplesso di sapere Draco loro nuovo insegnante e desideroso di scoprire quanto valido o mediocre sarebbe stato, Scorpius sedeva rigido come un giunco al proprio posto ed era di malumore come di rado si aveva la sfortuna d'incontrarlo.
Entrambi furono grati quando, al suo arrivo, Draco li ignorò e sedette semplicemente alla cattedra. In realtà, la sua indifferenza sembrava rivolta generalmente all'intera classe.
Badò ai fatti propri per qualche minuto, poi finalmente si abbandonò sullo schienale della sedia e disse con cruda schiettezza: “mi hanno chiamato per questo posto vacante e non mi hanno dato possibilità di sottrarmici, quindi vediamo di recuperare ciò che quell'incompetente del mio predecessore non ha avuto l'accortezza di insegnare, causando impressionanti lacune nel programma, e passiamo i N.E.W.T senza troppe storie. Ho un immenso podere di pace e fatti miei cui tornare”.
Prima che potesse prendere fiato per pronunciare la frase successiva, la mano di Scorpius balzò in aria: “domanda d'ufficio: come dovrei chiamarti?”.
Seccato da quella che sapeva essere una provocazione innocente ma ben ponderata, Draco respirò a fondo e rispose con sorriso teso: “potresti cominciare col non chiamarmi affatto. In tal modo, la lezione scorrerebbe liscia come l'olio”.
Quella risposta strappò un sorriso poco cameratesco ad alcuni dei ragazzi, mentre gli occhi di Scorpius si assottigliarono e le sue dita picchiettarono nervosamente sulla superficie del banco. Albus sapeva che il suo cervello si stava arrovellando alla ricerca di un modo per far breccia nella solidissima impassibilità del professor Malfoy, per quanto bizzarro gli sembrasse accostarlo a quel titolo.
“Di tutti coloro a cui potevano rivolgersi, hanno scelto proprio lui” borbottò Scorpius quando la lezione ebbe inizio e la sua distrazione non gli permetteva di constatare che la formazione personale di Draco fosse più che degna del compito affidatogli “un nullafacente privo d'interesse ed esperienza per una cattedra come questa”.
“Dopo Silente, la preside McGranitt è una dei più grandi luminari della scuola di Hogwarts” ribatté Albus “sa quello che fa”.
“Sempre che sia stata lei a decidere”.
Solo allora si accorsero dell'altera presenza che incombeva su entrambi, ma non si voltarono. Semmai, serrarono le labbra e attesero.
“Sottrarrei punti alla vostra casata, se non fosse l'unica di cui m'importi qualcosa” sibilò la voce di Draco Malfoy alle loro spalle, poi punzecchiò la loro disattenzione con un'ostica domanda sul siero di ninfea sanguigna coltivata dalle Veela e la relazione intercorrente tra la sua sintetizzazione mal riuscita e il disastroso fallimento di un'intera fabbrica sperimentale di burrobirra avvenuto nel 1852, nonché con la più che plausibile bocciatura di entrambi, se non fossero stati in grado di rispondere a una domanda simile in sede d'esame. Tuttavia, con sua grande sorpresa e prendendosi gioco del totale disorientamento di Albus, Scorpius gli diede la risposta che cercava e questa fu precisa ed esaudiente: per la prima volta da quando aveva messo piede ad Hogwarts, il giovane Malfoy trovò immensa soddisfazione nell'aver aperto un libro scolastico prima che gli venisse chiesto.
Indispettito, Draco fu costretto a fingere indifferenza nei loro confronti e tornare alle proprie spiegazioni.
“Neppure un misero punto” borbottò Scorpius in fil di voce.
“Mi sembra ovvio” replicò Albus “ce l'ha con noi”.
“La cosa certo non mi stupisce: è la persona più indisposta del mondo, come se camminasse costantemente con delle spine sotto i piedi. Oggi, però, sembra proprio avercela con tutti: siamo oltre metà lezione, ormai, e non ha ancora assegnato un misero punto a nessuno della classe, indifferentemente dalla casata. Pare che gli abbiano chiesto di agire in maniera politicamente corretta e, ond'evitare incomprensioni, finge neutralità”.
“Dagli tregua: è la prima vera lezione di Pozione che abbiamo dall'inizio dell'anno”.
“Gli darò tregua quando avrò delle risposte” troncò seccamente e più non parlò, né tanto meno ascoltò, per il resto dell'ora.
Quando la lezione si concluse, lentamente la classe si svuotò, finché non rimasero che pochi ragazzi, oltre ad Albus e Scorpius, e ognuno badava per sé.
“Non ho idea di cosa tu voglia fare” borbottò Albus “ma so già che è stupido, quindi vado. Ringrazio di non avere lezione con te, ora, o ti dovrei sorbire per tutto il giorno” e, detto questo, prese i propri libri e uscì discretamente dall'aula.
Quando finalmente Scorpius restò l'unico studente presente all'appello e Draco ancora sedeva al proprio posto senza prestare alcuna attenzione agli alunni che si congedavano, il ragazzo prese la propria sedia e si accomodò accanto alla cattedra.
“Dunque” esordì “non posso negare, papassore, che mi hai profondamente stupito”.
Già pronto a sbuffare seccamente e a ordinargli di andarsene come tutti gli altri, Draco si bloccò, ripensando tra sé a quel bizzarro epiteto: “come?”.
“Non posso certo chiamarti 'papà' davanti a tutti: sarebbe fuori luogo. Allo stesso modo, il titolo di 'professore' mi suona davvero ridicolo. Ho trovato una via di mezzo. Dunque” tornò prontamente al discorso che più gli premeva “da quando i Malfoy si dedicano a degli impieghi onesti e onestamente remunerati? Siamo al verde?”.
“Non vengo remunerato per questo incarico”.
“Ah no?” chiese Scorpius ostentando sorpresa “dunque perché ci troviamo qui?”.
“Evidentemente perché non hai nulla di meglio da fare”.
“Ha a che vedere col Ministero? Ti ho visto punzecchiare parecchio il tuo braccio sinistro, ultimamente. Qualcosa lo infastidisce? Qualcosa di nero e molto compromettente?”.
“A volte un braccio prude, sia esso decorato o meno. Ora, se tu hai tempo da perdere, lo stesso non vale per me” e fu lui ad alzarsi, prendendo le proprie cartelle e marciando speditamente verso la porta.
“Mamma me l'avrebbe detto” esclamò Scorpius per sovrastare la distanza che ormai li separava.
“Tre punti vengono sottratti a Serpeverde” fu la pronta risposta di Draco che non si voltò neppure, ma continuò a camminare imperterrito per il maestoso corridoio immerso nella tenue luce della mattinata autunnale.
Scorpius fu così sconvolto da quelle parole che per una buona manciata di secondi rimase impietrito come una bambola di pezza a fissarlo mentre si allontanava. Poi colpì la cattedra, anche se con forza contenuta, e imprecò tra sé mentre la sua mente ancora rimuginava su un modo per estorcergli qualche misera informazione di bocca.

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Capitolo 3
*** Agata e Alastor ***


“Ho persino nominato mia madre, ma invece che essermi d'aiuto ha solo peggiorato le cose”.
“Pensavi che coinvolgere tua madre potesse rabbonire tuo padre? Persino io avrei capito che il tuo piano era fallimentare”.
Camminavano speditamente nella speranza di arrivare puntuali alla lezione di Difesa contro le Arti Oscure.
“Non era un piano” lo contraddisse Scorpius “e mio padre è una persona complicata, d'accordo? Si deve tentare di tutto: a volte va bene, a volte va male”.
“A me sembra che ti vada sempre male”.
“Almeno noi ci guardiamo in faccia quando parliamo”.
“Touché”.
“Oh” esclamò Scorpius, come ricordando improvvisamente un grande scoop “vuoi sapere una novità incredibile?”.
“Certo!” esclamò Albus fingendo entusiasmo e, sebbene l'altro ne fosse consapevole, proseguì ignorando il suo sarcasmo: “Linda Sneak mi ha invitato a bere qualcosa a I Tre Manici di Scopa, questo fine settimana... per chiacchierare un po', così ha detto”.
Per una volta, Albus non riuscì a nascondere il proprio sincero stupore: “quella Linda Sneak? La stupenda Serpeverde del quinto anno?”.
“Stupenda...” ripeté Scorpius con un accenno di sufficienza “graziosa” corresse allora.
“Graziosa? Graziosa?! Sei ridicolo”.
“È chiaramente rimasta impressionata dalle mie prodezze durante l'ultima partita di Quidditch” sospirò orgoglioso “cosa farebbe la mia squadra senza di me?”.
“Abbiamo comunque vinto la partita... cinquantaquattro minuti dopo l'ingresso del tuo sostituto”.
“Ma la partita era già vinta!” ribatté Scorpius punto nel vivo “il boccino era in mano mia e nessuno me ne ha dato credito”.
“Sarà come dici tu, ma ciò non toglie che non abbiamo vinto per merito tuo”.
“Sei il miglior amico più irritante che abbia mai camminato tra queste mura”.
“Ma tu sai quanto amore ho per te. Ora che ci penso, perché non vieni con me a I Tre Minaci di Scopa, questo fine settimana? Lascia perdere quella Sneak: nel tuo cuore non dovrebbe esserci spazio che per me” il suo intento era puramente scherzoso, pure Scorpius rispose con convinzione: “perché no? Prendiamoci mezzo pomeriggio lontano dai libri. Non può certo farci male”.
“Sei impazzito?” strillò allora Albus con tono particolarmente acuto “non puoi piantare in asso Linda Sneak!”.
“L'ho già fatto”.
“Come?” la sua voce stava raggiungendo vette notevoli.
“Non posso tradire Rose in questo modo”.
“Tradire?” ripeté “tradire? Scorpius, ti ha concesso una burrobirra al quarto anno per sbarazzarsi di te. Non ti sopporta e non posso neppure agire da intermediario perché mi sorbisce ancor meno di quanto non sorbisca te” prese un respiro profondo e scandì “devi. Lasciar. Perdere”.
“Solo quando mi sarò arreso all'idea di morire abbandonato e dimenticato, perché nessuna può prendere il posto di Rose”.
Il collo di Albus si afflosciò e i suoi occhi fissarono il soffitto con immensa demoralizzazione mentre i loro piedi continuavano a camminare speditamente.
Proprio questa sua momentanea distrazione gli impedì di notare l'immenso ostacolo che si frappose tra lui e la classe ormai vicina quando, svoltato l'angolo, ci si schiantò contro.
“Hagrid” esclamò riconoscendo il titano erto a pochi centimetri dalla sua faccia “perché fai il palo?”.
“Palo?” borbottò quello, vagamente a disagio “no, no, nessun palo. Io, ecco, cercavo te, in realtà”.
“Me?”.
“Eh, sì, te. So... so che brutte cose sono successe negli anni passati e te sei stato più sfortunato degli altri studenti della scuola... di tutti gli altri studenti della scuola, perché sembra che sei l'unico che può vedere i Thestral”.
“Thestral?”.
“Sì, erano in programma per oggi. Sai” sorrise fieramente “per i ragazzi del terzo anno”.
“Cosa ti è stato ordinato di fare con gli animali pericolosi nelle ore di lezione, Hagrid?”.
Quello lo squadrò oltraggiato: “pericolosi? Questa è bella. Non c'è creatura più dolce e innocua di loro” ma lo sguardo vagamente borioso di Albus lasciava a intendere che non fosse del medesimo parere.
“Anche io vedo i Thestral” si unì Scorpius, poi ridacchiò “ho assistito a più morti di lui” ma a quelle parole Hagrid s'irrigidì e cominciò a farfugliare.
“Se serve aiuto, in due lavoreremo meglio” insistette il ragazzo “sarebbe una buona scusa per saltare lezione”.
Albus fu sconvolto da quelle parole: “vuoi saltare lezione... tu?”.
“Andiamo, Al, quella professoressa è pessima. Posso benissimo studiare per conto mio sui libri e sono bravo con la pratica”.
“C'è qualcosa che abbia a che fare con questa scuola in cui non sei bravo?” sbuffò l'altro.
“Farmi degli amici all'infuori di te” rispose prontamente “avremo il permesso per assentarci, professor Hagrid?” deviò appena gli fu possibile.
“Be', sì, certo, ho già accennato la cosa alla preside”.
“Bene” lo interruppe con entusiasmo “filiamocela. Sa, professor Hagrid, ho chiesto di poter sostenere l'esame della sua materia pur senza frequentarne le lezioni. Pare che la preside sia propensa a darmi il suo consenso” e, volente o nolente, Hagrid dovette accettare la presenza di entrambi.
Raggiunsero il limitare settentrionale dalla Foresta Proibita e lì una ventina di ragazzi attendeva supervisionato da Ranaerta, custode di Hogwarts dai tempi dell'allontanamento, se così poteva definirsi, del guardiano Gazza e, nonostante questo, terribilmente simile al proprio predecessore, tanto nell'aspetto quanto nell'odiosità del carattere. Fu più che felice di piantare in asso la classe e tornare alle proprie questioni, quando li intravide in lontananza.
“Vedete” stava spiegando Hagrid ai due ragazzi “Agata non è mai stata molto forte fisicamente e ci siamo stupiti quando il piccolo Alastor è nato in salute. Sembrava andar tutto bene, ma stamattina, quando sono arrivato con gli studenti di terza, l'ho trovata a terra e il cucciolo affamato al suo fianco. Sapete, quella Thestral è di costituzione fragile e ha zampe deboli: non vorrei che quel piccolo diavolo l'abbia sfiancata”.
“Perché ti serviamo?” chiese Albus.
“Be', vorrei che mi aiuti con lei, spalmarle un po' di questa pomata di rucola arcigna preparata da Neville... voglio dire, dal professor Paciock, mentre io la sostengo per te. Su, giovanotti, via, via” esclamò poi facendosi largo tra gli studenti del terzo anno che attendevano accalcati nella piccola piana.
“E io?” si unì Scorpius.
Hagrid titubò: “ehm, aspetta lì, con loro”.
“Resto a guardare?”.
“Meglio non farti correre rischi”.
“Stiamo correndo rischi, Hagrid?” domandò Albus, titubante, ma l'altro aveva già sollevato la giumenta come fosse un fuscello e lo incitava a fare quanto chiestogli.
Il puledro Alastor non sembrava apprezzare il trattamento riservato alla madre, così continuava a punzecchiare le mano del ragazzo e a calciare le possenti gambe di Hagrid: “non capisce, il piccolo diavolo” rideva lui “non sa che lo facciamo per il loro bene” eppure Albus non si stava divertendo e, all'ennesima beccata, le sue dita cominciarono a sanguinare.
“Hai davvero intenzione di restare a guardare?” inveì contro Scorpius e quello si riscosse, circondato da ragazzini smarriti e perplessi che non avevano idea di cosa stesse accadendo. Finalmente si fece avanti e, senza esitazione, afferrò saldamente le ali del puledro, che interpretò il gesto come una proposta di gioco e si rivoltò contro lo sconosciuto che aveva osato indispettirlo.
Improvvisamente Hagrid impallidì e la sua stretta sulle spalle di Agata vacillò, tanto che la Thestral per poco non cadde su Albus.
“Attento!” gli urlò “sarà anche magra, ma mi schiaccerebbe ugualmente come un sandwich”.
“Sì, be', scusa, è che... hai finito?”.
“Sì” sbuffò il ragazzo spazientito e, posata la giumenta a terra con grande cautela, Hagrid si precipitò da Alastor, che aveva ormai atterrato Scorpius.
Il ragazzo combatteva fieramente per immobilizzargli zampe e ali. Restò deluso quando gli fu strappato di mano.
“È un cucciolo, è un cucciolo” farfugliava Hagrid “non sa quel che fa. Non avercela” probabilmente si riferiva alle mani sanguinanti di Scorpius e all'unico, lungo graffio che gli arrossava il mento.
“Stavamo giocando” replicò “perché è così in ansia? Porta malattie?” chiese, improvvisamente in allerta.
“Malattie? No, no” assicurò l'altro “è che è vivace, capisci? Non voleva farti male”.
“Che male, professor Hagrid?” rise “le testate che ci diamo io e Albus: quelle fanno male. Lui è un bambolotto al confronto”.
“Mio padre mi ha raccontato che il tuo ha quasi fatto decapitare l'ippogrifo di Hagrid, durante il loro terzo anno” spiegò Albus “e per molto meno di quanto Alastor non abbia fatto a te”.
“Hagrid” esclamò allora Scorpius balzando in piedi “mi sta paragonando a quella ragazzina petulante che era mio padre?” poi si rese conto di ciò che aveva detto di fronte all'intera classe che, quel pomeriggio, avrebbe avuto lezione di Pozioni con quella ragazzina petulante che era suo padre “non ditelo a lui” si sbrigò ad aggiungere e furono molti a ridacchiare del suo imbarazzo.
“Be', se è così” gongolò Hagrid “ho finalmente trovato qualcuno disposto ad aiutarmi. Siete bravi ragazzi” aggiunse con orgoglio.
“No, Hagrid, hai frainteso...” contestò Albus, ma Scorpius lo sovrastò: “certo che lo siamo”.
Prima che chiunque altro potesse replicare, l'attenzione di Hagrid fu catturata dal custode Ranaerte che, in lontananza, si sbracciava per ordinare agli studenti di tornare in classe. Sembrava esserci trambusto nei pressi della scuola.
“Che succede?” chiese Albus.
“Sembra che la visita del Ministero sia stata anticipata” borbottò Hagrid.
“Visita del Ministero?” ripeté Scorpius.
Hagrid si accorse in quel momento di aver parlato troppo.

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Capitolo 4
*** Prove e supposizioni ***


Si precipitarono in Sala Grande, dove il corpo docenti era riunito e i Prefetti fallivano miseramente nell'intento di tenere gli studenti alla larga da quanto accadeva.
Purtroppo, una grande calca era già riunita e fu difficile insinuarvisi. Dei due, Albus era il più basso e quello che più sforzava il collo per sbirciare oltre le molte teste. Scorpius, al contrario, sembrava aver ereditato la stazza dei Greengrass, se non in corpulenza, almeno in altezza, e coi sei piedi che aveva lentamente raggiunto nell'ultimo paio d'anni riusciva a svettare con minor fatica.
“Con tutta la gente che poteva capitarmi davanti, proprio quel marcantonio di Alfred Finch” borbottava Albus “che sta succedendo?” ma gli occhi di Scorpius erano fissi in lontananza e la sua mandibola contratta in una morsa che avrebbe probabilmente disintegrato la pietra, se gliene fosse stata messa tra i denti.
“Scorpius, che succede?” insistette “devo preoccuparmi?”.
“Stanno arrestando mio padre” rispose l'altro con voce fredda come ghiaccio, poi le sue labbra si storsero in un sorriso acido “pare che il tuo se ne stia occupando”.
Ci fu un attimo di smarrimento, poi Albus scattò come una lepre e cominciò a divincolarsi nel tentativo di farsi largo tra la folla e raggiungere gli Auror che già scortavano il prigioniero verso un'area esterna a Hogwarts, dove potersi Materializzare e raggiungere il Ministero.
Non fu difficile per lui raggiungere suo padre perché, in quanto capo della sicurezza, chiudeva il corteo per accertarsi che non scaturissero disordini o che i ragazzi non sfruttassero il momento di caos per circuire qualche regola scolastica.
Harry sospirò profondamente quando, nel chiasso, sentì i richiami di Albus. Per qualche istante pensò persino di ignorarli e procedere per la propria strada, ma infine si fermò, disposto a concedergli qualche istante.
“Che diavolo state facendo?” ringhiò Albus quando gli fu di fronte.
“Il nostro lavoro”.
“Qui? Davanti a tutti? Era necessario?”.
La smorfia che storse il naso di Harry lasciò intendere che lui stesso non apprezzasse gli ordini ricevuti dal Ministero.
“Scorpius merita di sapere cosa sta succedendo” insistette Albus.
“Non posso parlarne con persone tanto vicine a Malfoy”.
Le labbra del ragazzo si socchiusero, come se la sua mente faticasse a elaborare lucidamente ciò che il suo istinto voleva che dicesse: “credi che anche Scorpius sia coinvolto in qualcosa?” chiese infine in fil di voce.
“Certo che no” sbuffò l'altro come se si sentisse costretto a dar risposta a una domanda estremamente stupida.
“Il Ministero lo crede?”.
Questa volta Harry fu meno avventato e il suo sospiro più di disagio che d'impazienza: “sì” rispose infine “ne ha il sospetto, ma non le prove”.
“Quindi avete prove contro suo padre?”.
“Ne abbiamo” ma Albus intravedeva profonda incertezza nel suo sguardo.
“Non ne sei affatto convinto” replicò schiettamente.
“Ascolta, Al” lo zittì “ora non ho tempo e non posso parlare con Scorpius, ma” rettificò di fretta per mettere a tacere ogni possibile obiezione “posso parlarne con te, almeno in via ufficiosa e se promettiamo di mantenere la massima discrezione. Ci incontreremo nell'ufficio della Preside e cercherò di chiarire qualche dubbio”.
“Quando?”.
“Stasera”.
Albus annuì e non lo trattenne oltre.
Cercò Scorpius in lungo e in largo, saltando persino una lezione pomeridiana e il pasto serale per trovarlo, ma sembrava scomparso e, prima di rendersene conto, fu convocato nell'ufficio della Preside.
La professoressa McGranitt uscì non appena lo vide arrivare e, pur titubante, il ragazzo sedette accanto a Harry, che l'aveva atteso come promesso.
“Le cose non stanno andando molto bene nella comunità magica” cominciò.
“Lo so” replicò Albus di getto.
“E come?”.
“Meglio passare oltre” troncò alla svelta e, per una volta, Harry lasciò correre: “gli Auror lavorano giorno a notte” continuò “nel tentativo di capire da dove provengano gli ordini che smuovono una simile mole di forze nemiche e il motivo che le spinge a farlo”.
“Il motivo?” Albus ridacchiò, ma c'era cinismo e amarezza nel suo sorriso “che motivo vuoi che abbiano? Sono criminali, psicopatici, che inseguono ciecamente i loro ideali malsani e vogliono distruggere chiunque cerchi di contrastarli”.
Era molto convinto di ciò che diceva e Harry lo guardava con sospetto: “chi credi ci sia dietro?”.
“I seguaci di Voldemort, chi dovrebbe esserci?” rispose come fosse la cosa più ovvia del mondo “vent'anni e oltre sono sufficienti a riorganizzarsi. Hanno provato a causar danno con Delphi e non ci sono riusciti: ora avranno pensato di abbandonare la discrezione che lei, da sola, gli garantiva per affidarsi a...” incespicò “be', non so quante forze siano all'opera né di che tipo, quello di scoprirlo è lavoro vostro, ma di certo non andranno al risparmio”.
“Albus, come sai tutto questo?”.
“Io non so nulla” assicurò “Scorpius ha fatto qualche ricerca... in buona fede, papà” zittì immediatamente qualsiasi sospetto “era preoccupato per suo padre”.
“E cosa ha scoperto?”.
“Nulla che non potessimo intuire per conto nostro, però la cosa mi ha fatto pensare molto, in questi giorni”.
“A quali conclusioni sei arrivato?”.
“Ti importano le opinioni di uno studente di Hogwarts a malapena diciassettenne, quando hai un'intera squadra di Auror al tuo servizio?” punzecchiò.
“Mi importa” Harry ignorò la sua provocazione.
“Non ho mai smesso di riflettere su quanto accaduto con Delphi” confessò il ragazzo “e concordo con Scorpius sul fatto che quella povera pazza non fosse a capo di niente. Voglio dire, c'è davvero chi crede alla storia dell'erede di Voldemort?” rise “che idiozia. Qualcuno ha visto potere in lei, un immenso potere, così come una mente fragile e le ha messo in testa un sacco di assurdità. Quel qualcuno sperava in un disastro, nello sfociare dell'anarchia tra la comunità magica, ma poi Delphi si è lasciata prendere la mano. Si è convinta di poter cambiare il passato e plasmare il futuro sul proprio operato, ma io penso che nessuno desideri davvero un mondo dominato da Voldemort e coloro che lo volevano sono tutti morti. Certo, è loro obbiettivo dominare sul suo retaggio, ma sapendosi ben al sicuro dalla sua follia. Così, quando noi siamo riusciti a fermarla e a metterla in gabbia, nessuno si è fatto avanti per aiutarla... e, pa', non fingere che non ne avessero modo, perché sappiamo entrambi quanto forti sono, nonostante agiscano nell'ombra”.
“Non ho intenzione di fingere”.
“Draco ci ha aiutato a combatterli. Perché ora lo ritenete loro complice?”.
Harry sospirò e spiegò concisamente: “nella tenuta Malfoy ci sono molti oggetti magici potenti ed estremamente pericolosi, racimolati dalla famiglia nel corso di secoli e conservati gelosamente. Draco non ha mai smesso d'esserne affascinato, ma fortuna vuole che il suo interessamento abbia a che vedere con la sete di scoperta piuttosto che di potere. Pare, però, che il... nemico” si limitava a definirlo tale, perché era degradante per lui dover ammettere di non sapere ancora con chi avessero a che fare “abbia messo le mani su molti di essi e ciò non sarebbe stato possibile senza l'aiuto diretto di chi li possiede”.
“Perché pensate questo?”.
“Perché la tenuta Malfoy è uno dei luoghi più protetti e sicuri che io conosca, dopo Azkaban, il Ministero e Hogwarts”.
“I quali, in passato, hanno più volte dimostrato di avere falle considerevoli”.
“È sempre sembrato mediocre a causa del nome che porta e della sua attitudine, ma in realtà Draco è un abile mago, studioso e diligente. Molte delle protezioni alla magione sono state da lui affinate e potenziate. Molte erano pressoché impenetrabili ancor prima che lui avesse la capacità di pronunciare un Wingardium Leviosa. Se tante brecce vengono aperte in un simile sistema di sicurezza e tante armi magiche risultano scomparse, significa che qualcuno dall'interno facilita tali movimenti e nessuno a parte Draco sarebbe all'altezza del compito”.
“Hai detto di avere prove, ma a me queste sembrano pure supposizioni”.
“È tutto ciò che abbiamo e di cui dobbiamo accontentarci, per ora. Te ne sto parlando in buona fede, Albus, sapendo che manterrai la riservatezza che ti chiedo e ti comporterai ammodo con Scorpius. Ci conto”.
Albus era confuso e contrariato, ma comprendeva la gravità della situazione e annuì con sincerità: “farò il bravo”.

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Capitolo 5
*** Cassandra Goodman ***


Quella notte Scorpius raggiunse i dormitori quando tutti erano già addormentati e se ne andò prima che gran parte degli studenti si svegliasse. Così, solo durante la mattinata Albus riuscì a scoprire dove si fosse rifugiato per tutte quelle ore, avvalendosi di una delle rarissime ore buche concesse ad Hogwarts, dato che la Preside non aveva ancora avuto tempo né modo di sistemare la spinosa questione della cattedra di Pozioni.
“Sei talmente depresso che persino Mirtilla Malcontenta preferisce starti alla larga” nonostante la delicata situazione, Albus non finse più tatto del solito quando lo trovò seduto ad una finestra del bagno femminile al primo piano, sempre guasto e sempre infestato “è un buon luogo per stare alla larga dai seccatori”.
“Be'” lo assecondò l'altro e a gran fatica tamponava con l'ironia la cocente demoralizzazione “di certo la mia posizione non è delle più invidiabili e conosco la gente che bazzica questa scuola: non farebbe che infierire” sospirò “prima etichettato come progenie di Voldemort, ora come figlio di un criminale recidivo”.
“Direi che la tua posizione è migliorata, dando un'occhiata al quadro generale”.
“Prima erano voci. Ora sono fatti. Non è migliorata” lo zittì categorico.
“Andiamo, Scorpius, non hai motivo di abbatterti in questo modo. Mio padre mi ha confidato cosa hanno contro Draco e... non hanno nulla. Nulla, capisci? Niente prove, niente concretezze. Dà loro il tempo di renderlo ufficiale e in men che non si dica lo riavrai alla sua cattedra”.
“Mi chiedo se tu sia ingenuo o stupido” replicò Scorpius, ma non era scherzoso come suo solito e in altre circostanze il suo tono secco avrebbe offeso l'amico, che invece tacque e aspettò “il Ministero non ha bisogno di prove. Il Ministero non vuole prove. I Malfoy sono una spina nel fianco e ora dispongono di un capro espiatorio con cui annientare ciò che ne rimane. Non capiscono, Albus? Non capiscono che non resta più nulla di noi? Siamo io e mio padre. La grande famiglia Malfoy. Presto il nostro nome cadrà, non saremo che macchie nella storia della comunità magica: non c'è bisogno di accanirsi a tal punto”.
“Presto?” ripeté Albus perplesso.
“Probabilmente trascorreranno decenni prima che il nostro nome sia solo una parola su qualche lista nera, questo è vero, ma cosa credono che possa accadere nel frattempo?”.
“Forse che tu, a malapena diciottenne tra un paio di settimane e con un'intera vita davanti, possa un giorno farti una famiglia e arricchire il mondo di tanti piccoli Malfoy”.
“In tal caso, neutralizzami per tempo”.
“Scorpius” sospirò “corre un abisso tra l'essere potente e l'essere onnipotente: il Ministero è solo la prima delle due cose. Tutte le volte che ha tentato di scavalcare i propri doveri sporcandosi le mani ne ha pagato le conseguenze: si è corrotto, si è indebolito, ha persino rischiato di sgretolarsi e sparire. Non tutto il mondo magico è contro di voi: lascia che chi di dovere faccia il proprio lavoro e ciò che va sistemato si sistemerà”.
Scorpius sorrise debolmente: “nessun altro a parte te avrebbe ancora il coraggio di farsi vedere in giro con me”.
“Tu per anni hai avuto il coraggio di farti vedere in giro con me” replicò e tese una mano per aiutarlo a scendere dal davanzale senza inzupparsi le scarpe nelle pozze d'acqua disseminate sul pavimento dai capricci di Mirtilla.
Prima che potessero uscire, però, la porta del bagno si aprì e per un istante trattennero il fiato, temendo che fosse Ranaerte già intento a inveire contro di loro, o un professore con qualche nuova terribile notizia da riferire a Scorpius. Invece, era solo Rose.
“Ciao, ragazzi” s'introdusse senza troppi convenevoli “ieri ho scritto a mia madre. Ha capito che mi premeva ricevere subito risposta e me l'ha inviata nel pieno della notte: si terrà un processo contro Draco Malfoy l'anno prossimo, che sappiamo non essere una quantità di tempo così considerevole, dato che siamo già a metà dicembre. Scorpius, mia madre non è contro tuo padre: si è ritrovata invischiata in questa situazione. Volevo che lo sapessi”.
“Non preoccuparti” bofonchiò lui, ma Rose riprese subito a parlare: “sia io che lei pensiamo che questo non possa essere affrontato come un normale processo: porre l'accusato contro giudice e giuria, senza nessuno a difenderlo o sostenerlo, non gli gioverebbe affatto. Draco non è molto diplomatico e il Ministero...” sospirò “il Ministero ce l'ha con voi”.
“Non me me ero reso conto” commentò Scorpius con sarcasmo.
“Vi serve qualcuno che stia dalla sua parte e ne dimostri l'innocenza, ma nessuno nel mondo magico si accollerebbe una simile responsabilità. Nessuno, tranne...” cominciò a frugare nella tasca della sua divisa, ma impiegò parecchio tempo a trovare ciò che cercava.
“Allora?” la incitò Albus, impaziente.
Finalmente estrasse un pezzo di carta che consegnò a Scorpius. Su di esso erano scritti un nome e una serie di numeri: “Cassandra Goodman” lesse lui “e questi che significano?” chiese poi.
“È il numero di un telefono babbano”.
“Telefono babbano?” chiese Albus, perplesso.
“Lilia Lollington mi ha dato questo contatto. Dice che si tratta di qualcuno davvero in gamba, su cui si può contare e... credo ciecamente a quella ragazza”.
“Lilia Lollington è una nata babbana” constatò Albus “questo spiegherebbe le sue conoscenze bizzarre” disse riferendosi al numero di telefono.
“Credi si tratti di qualche strega paranoica che usa mezzi di comunicazione babbani per estraniarsi dal sistema?”.
“Quasi certamente è così, ma non mi sembra il caso di fare gli schizzinosi” troncò Rose “questo avete e questo dovrete farvi bastare. Mi sono presa la briga di contattarla: sul retro del foglio sono riportati il luogo e l'ora in cui è disposta a ricevervi, oggi: non preoccupatevi per i protocolli della scuola, dato che il Ministro della magia in persona è dalla vostra... ad ogni modo, cercate di non farvi scoprire. Quando la incontrerete, datele... ” stavolta si perse a frugare nella propria cartella, finché estrasse un tomo di fascicoli “il materiale concernente il caso. Sono copie realizzate da mia madre, in via ufficiosa, così che questa Cassandra abbia tutto il necessario su cui lavorare”.
Scorpius li prese, ma era titubante: “perché fai tutto questo, Rose?”.
“Andiamo, ragazzi” replicò lei con una scrollata di spalle “dopo tutto, siamo amici” poi si dileguò e non la videro per il resto della giornata, perché non avevano lezioni in comune.
Scorpius non aveva del tutto torto sul modo in cui la diffusione del nuovo scandalo di famiglia avrebbe influito sulla sua popolarità, ma invece che schernirlo e degradarlo come  in passato, ora gli altri studenti si limitavano a girargli al largo, senza ricambiare il suo sguardo e zittendosi sospettosamente quando lo vedevano passare per i corridoi: “non è forse come dicevo?” commentava lui rivolgendosi ad Albus “le minacce vere sono più intimidatorie delle dicerie”.
“Le nostre lezioni terminano alle quattro del pomeriggio, oggi” deviò Albus prontamente “abbiamo tutto il tempo per recarci a questa... George Inn”.
“È un locale babbano, a Londra” constatò Scorpius.
“E una scelta assennata” continuò l'altro “niente occhi indiscreti da parte della comunità magica”.
“Stiamo già diventando paranoici quanto questa Cassandra”.
“Credo non possa che farci bene”.
Conclusasi l'ora di Storia della Magia, i due si dileguarono con grande abilità, ma non sarebbero andati molto lontano senza l'assistenza di Hagrid, che scoprirono essere complice del piano del Ministro Granger e, probabilmente da lei informato, disposto a scortarli al di fuori di Hogwarts, così che potessero Materializzarsi nel luogo a loro conosciuto più vicino a George Inn. Da lì procedettero a piedi per qualche minuto.
Faceva incredibilmente freddo e, sebbene il quartiere fosse perfettamente illuminato, stava scendendo la sera, perciò le strade erano poco affollate.
“Vedi qualcuno che possa corrispondere a Cassandra Goodman?” chiese Scorpius.
Albus scosse il capo: “solo babbani”.
D'un tratto, però, una figura discreta si allontanò dalla vetrina che osservava da parecchio tempo, in attesa, e si diresse verso di loro.
“Guarda” bisbigliò Albus “quella babbana deve avermi notato. Allontanati di qualche passo” ordinò a Scorpius spintonandolo di lato e quello volse lo sguardo verso la bizzarra sconosciuta, cercando di capire per quale motivo il suo amico mostrasse tanto entusiasmo. Quando l'ebbe inquadrata, non poté negare che lo zelo di Albus fosse motivato, perché era una ragazza più che graziosa, la pelle mulatta, gli scarmigliati capelli neri domati da un cappellino di lana color del lillà e il corpo esile avvolto in abiti babbani per loro strambi, ma che lei indossava splendidamente.
“Malfoy, Potter” li salutò con un cenno quando li ebbe raggiunti e gli sguardi dei due ragazzi si fecero improvvisamente disorientati.
Lei tese la propria destra e loro esitarono a stringerla, ma cedettero di fronte alla sua insistenza.
“M'è stato detto che avete bisogno di un legale” continuò la ragazza “qualcuno con esperienza”.
“Sì” annuì Albus “sei qui in sua vece?”.
“Non trovo necessario presentarmi in vece di me stessa”.
Gli occhi di Scorpius si sgranarono: “sei Cassandra Goodman?”.
“Sono io, Scorpius Malfoy. Piacere di conoscerti”.
“Come sai...”.
“È il lavoro per cui sono stata incaricata. Dunque, quello è il materiale che avete per me?” indicò i fascicoli che il ragazzo teneva sotto braccio. Si fece avanti per prenderli, ma lui si ritrasse: “sei babbana?”.
“Non mi serve la magia per difendere tuo padre” replicò prontamente.
“Mi prendi in giro?” ringhiò lui di rimando e, notando che troppa tensione cominciava a  inasprire l'aria, Albus lo prese in disparte: “da quando hai problemi coi babbani? Credevo che i Malfoy fossero cambiati negli ultimi tempi”.
“Non ho nessun problema coi babbani, ma il nostro non sarà un processo babbano all'interno di un tribunale babbano. Ci serve competenza e... l'hai vista? Quanti anni credi che abbia?”.
“Ventuno” rispose Cassandra con loro grande sorpresa “sì, ragazzi, sono proprio qui, vi sento: ne ho ventuno” ribadì.
“Non ha neppure quattro anni in più di noi” commentò Scorpius senza più alcuna remora.
“Ma da quattro anni studio legge” lo interruppe lei “non vanto ancora alcun titolo, ma non dovrebbe essere un problema per gente che, come voi, deve sorbirsi un sistema penale che pretende di assolvere o condannare un imputato senza concedergli difesa alcuna al di fuori di qualche testimone e della, non così certa, benevolenza del giudice. Sono tutto ciò che hai” concluse schiettamente “e, senza fingere inutile modestia, poteva andarti peggio. Ora dammi quei fascicoli: ci rivedremo al processo”.
“Al processo?” esclamò Scorpius “tutto qui?”.
“Ho meno di tre settimane per preparare una contro accusa efficace” lo zittì Cassandra “se dovessi avere bisogno di me, sai dove chiamarmi” e così si congedò, lasciandoli immobili come pali nel gelo, storditi e incapaci di elaborare quanto fosse appena accaduto.
“Una babbana difenderà Draco Malfoy nel tribunale del Ministero della Magia” ricapitolò Albus dopo qualche istante di silenzio “questa vicenda entrerà a far parte della storia” concluse con un entusiasmo che di certo Scorpius non condivideva.

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Capitolo 6
*** Cenone di Natale ***


“Tra quattro giorni bisognerà sloggiare” constatò Albus fingendo indifferenza.
Scorpius non replicò: continuò a giocherellare col cibo che aveva nel piatto, troppo per la fame che doveva saziare in quel momento.
“Se resterai a Hogwarts, avvertirò i miei e rimarrò anch'io” continuò l'altro.
“Resterei per farmi insultare da tutti? No, tornerò a casa”.
“Da solo?”.
“Meglio solo che qui”.
Albus pensò a quel punto di aver spianato la strada quanto necessario per farsi avanti con la proposta accordata assieme all'intera famiglia: “passa il Natale da noi. Non è la prima volta che te lo chiediamo”.
“Non voglio essere di peso. Casa mia andrà più che bene. E avrò molto spazio e silenzio per pensare”.
“L'ultima cosa che ti occorre è pensare” insistette “mia mamma ne sarebbe felice e trascorreremmo le feste alla Tana: mia nonna è una cuoca eccezionale”.
“Con l'età che ha le sobbarcate ancora l'organizzazione dell'intero banchetto?”.
“Non farti sentire da lei o ti pentiresti d'avere una lingua con cui parlare... e non è così vecchia” poi rincarò “andiamo, Scorpius: ci saranno i miei genitori e i miei fratelli, tutti i miei zii Weasley, mia zia Hermione. Ci sarà persino Rose”.
“I Weasley odiano i Malfoy e non senza ragione. Rovinerei la festa a tutti quanti”.
“Vuoi una pacca sulla spalla, un fazzoletto in cui asciugare le lacrime o un pugno in faccia?”.
“Tutti e tre, grazie. Scegli tu l'ordine”.
“Purtroppo non ci saranno né Teddy né mio zio Charlie” sospirò l'altro, ignorandolo “entrambi in Romania, l'ospite e il veterano”.
Scorpius scosse il capo: “mi piacerebbe avere a che fare con dei maledetti draghi”.
“Vedi perché tu e Hagrid andate così d'accordo?” vi fu un istante di silenzio, poi Albus proruppe con un deciso: “allora siamo d'accordo! Tutti da mia nonna Molly. Sarà uno spasso” e non vi fu modo per Scorpius di dissuaderlo, così, ond'evitare di sembrare scortese, alla fine accettò.
Quando pochi giorni dopo sedette alla tavola della famiglia Weasley, pensò tra sé di non aver mai trascorso una festa in compagnia di così tante persone.
“È sempre così a casa tua?” bisbigliò ad Albus, accomodatosi proprio in quel momento accanto a lui.
“Be', come ho detto, quest'anno mancano un paio di persone”.
“Oh sì, Scorpius è un asso negli incantesimi senza bacchetta”.
Sentirsi preso in causa con tanto entusiasmo da parte di James Potter lo riscosse: “cosa?” s'intromise “un asso? A mala pena so sollevare una piuma d'oca e solo se impiego entrambe le mani”.
“Che diavolo dici?” replicò l'altro “ti ho visto praticare un Expelliarmus con la sinistra e ha funzionato”.
“Investendo tre persone anziché la sola che avevo per bersaglio”.
“Meglio, no?”.
“Di che parlate?” chiese Lily, affascinata e perplessa.
“Tu avevi altre classi cui pensare quel giorno, per questo non lo ricordi” troncò James.
“L'anno scorso gli studenti del sesto e settimo anno hanno partecipato ad un corso tenuto da un esimio professore della Scuola di Ilvermorny” spiegò Rose “perché là studiano ancora con molto interesse le pratiche dei nativi, i quali non fabbricavano bacchette, ma incanalavano e rilasciavano la loro magia attraverso mani e braccia. È una tecnica molto potente, perché non ha filtri, ma anche difficile da padroneggiare”.
“Lui c'era portato” insistette James “al contrario di Albus: frana come suo solito”.
“James!” lo rimproverò Ginny prontamente.
“Albus sarebbe bravo in tutto, se solo avesse interesse in qualcosa” mediò Scorpius che, però, più che difendere l'amico, sembrò sfruttare la situazione per esprimere schiettamente una critica che lo pungolava da tempo.
“Ho interesse in parecchie cose” si difese Albus “ma non tutti possono considerarsi l'Hermione Granger della nuova generazione”.
“Non paragonarmi al Ministro della magia” mormorò Scorpius “il mio ego ne verrebbe pericolosamente gonfiato”.
“Uno splendido libro è stato scritto al riguardo” Hermione in persona si unì alla discussione “'Magia nel nord delle Americhe', dello storico Edmund Sunset”.
“L'ho letto” affermò Scorpius “e concordo: è stato illuminante riguardo molti aspetti dell'impiego della magia sprigionabile senza l'ausilio di una bacchetta”.
“Seriamente?” esordì Albus “ci troviamo a un cenone di Natale e abbiamo intenzione di parlare di questo?”.
“Perché no? È cultura” replicò Hermione, soddisfatta d'aver trovato un interlocutore che comprendesse i suoi interessi.
“Voglio duellare con te, Malfoy” esclamò James a quel punto “bacchetta contro mani nude... ovviamente quello armato sarei io”.
Scorpius rise sguaiatamente: “non se ne parla”.
“Invece se ne parla eccome. Andremo in giardino: c'è un sacco di spazio”.
“Non sono venuto qui a distruggere la casa dei tuoi nonni” ma da capotavola Molly sospirò distrattamente: “oh, non badate a noi”.
“In nome dell'ancestrale rivalità tra Grifondoro e Serpeverde, è una sfida da accettare” insistette James.
“Non appartieni più a Hogwarts” replicò Scorpius.
“E tu non porti più la traccia da un sacco di tempo. Non prendere scusanti”.
“Se la metti così, Potter, ci sto” accettò punto nel vivo, ma in parte anche divertito “e chi perde...” tacque, perché non gli veniva in mente una valida punizione.
“Chi perde berrà una burrobirra aromatizzata col mio sputo”.
“Per Silente, Albus, che schifo!” inveì James, oltraggiato dalla proposta del fratello.
“Solo se perdi, vigliacco” lo punzecchiò l'altro.
Scorpius era tanto inorridito da non sapere che dire: “ci sto” mormorò infine con tutta la forza che il suo spirito riusciva a infondergli.
Dopo cena, ridacchiando già al pensiero di quali svolte ridicole quel duello avrebbe potuto prendere e del caos che ne sarebbe seguito, Harry illuminò il giardino della Tana.
I due sfidanti si misero in posizione.
“Conoscete le regole, quindi non perderò tempo nel ripeterle” esordì Harry “per quanto mi riguarda, potreste anche dimenticarvene... ci sarebbe da ridere” ma una gomitata di Ginny lo costrinse a ricredersi “niente follie” rettificò prontamente.
“Durante il loro unico duello ad Hogwarts, tuo padre ha attaccato il mio a tradimento” provocò James.
“A me non occorrono simili trucchi” replicò Scorpius, inscalfibile, e di fatti si fece avanti solo quando fu dato loro il via libera.
Entrambi scagliarono un Expelliarmus, o per lo meno fu loro intenzione: l'incantesimo di Scorpius, infatti, risultò debole e a mala pena rallentò quello di James, costringendo il ragazzo a schivare il colpo con un secco balzo laterale. Guardò la propria mano sinistra con delusione, ma non con sorpresa: sebbene si fosse allenato per l'intera estate nella propria tenuta, dall'inizio della scuola non aveva più sperimentato la tecnica ed era ancora lontano dal padroneggiarla abbastanza bene da non necessitare più di esercizio. Probabilmente demoralizzato da questa consapevolezza, le sue prestazioni ne risentirono: i suoi attacchi si fecero incerti e imprecisi e, più James intuiva di metterlo in difficoltà, meno conteneva entusiasmo e frenesia, tanto che, senza ovviamente pensare di causare del male, ma guidato da pura esaltazione, scaraventò uno Stupeficium contro l'avversario.
Fu a quel punto che, sentendosi terribilmente in trappola, Scorpius reagì con più impeto di quanto desiderasse. Protese le mani avanti a sé e il suo istinto agì con tale prontezza che non dovette neppure pronunciare il nome dell'incantesimo: un Expulso proruppe dai suoi palmi e fu così forte da sfondare l'attacco di James e scaraventarlo dall'altra parte della staccionata.
Subito Scorpius se ne pentì e, accompagnando i propri passi con un dispiegarsi di terminologie non proprio signorili, corse dallo sfidante sconfitto assieme al resto dell'intera famiglia.
Lo trovarono disteso nell'erba, abbandonato pancia all'aria come una balena arenata su una spiaggia: “cavolo, James, mi dispiace” farfugliò Scorpius tendendogli una mano “te l'avevo detto che non sono bravo a padroneggiare questo genere di magia”.
L'altro non badò a lui. Le sue braccia restavano spalancate a terra, il suo sguardo fisso sulla volta stellata: “è stato iperbolico!” urlò improvvisamente balzando in piedi “che botta! Mi fa male dappertutto... dovrò farmi assorbire qualche livido da mia nonna. Cribbio, che botta!” ripeté “se ti mettessimo contro un drago di zio Charlie lo spezzeresti a metà”.
“Sì, come no” replicò l'altro con sarcasmo “datemi un basilisco: gli caverò gli occhi”.
“Gente, avete visto? Una bomba” continuava a blaterare James, ma infine lo convinsero a tornare in casa dove Molly si rifiutò di porre rimedio alle sue idiozie e gli diede piuttosto degli impacchi di ghiaccio da porre su testa e contusioni.
Poi ovviamente Albus sputò nel suo bicchiere e James quasi vomitò nell'eroica impresa di bere l'intero contenuto.
 “Scorpius” fu Hermione la prima a interrompere quel momento di spensieratezza e già dal suo tono di voce fu chiaro a tutti che la conversazione avrebbe assunto toni più seri “hai avuto modo di parlare con tuo padre, in questi giorni?”.
“No” rispose il ragazzo con lieve disagio “la sicurezza del Ministero è rigida. Potrò vederlo al processo, tra un paio di settimane”.
Il silenzio piombò come un macigno e sul volto di buona parte dei presenti era visibile del sincero dispiacere per la situazione di Scorpius, ma anche una certa soddisfazione per quanto accaduto a Draco Malfoy, quasi che la divina provvidenza avesse finalmente messo ordine a uno squilibrio perpetratosi troppo a lungo.
Il ragazzo lo intuì chiaramente: “io non lo ritengo innocente” disse allora con grande sincerità “ha commesso reati gravi, molti anni fa, se non attuandoli personalmente, prendendone parte. Non è mai stato punito, il che è ingiusto. Però ciò di cui ora è accusato non ha a che vedere con questo. Ora è accusato di mali che non ha fatto. Mio padre ce la mette tutta, dico davvero. Molti di voi lo sanno: ha combattuto al vostro fianco contro il nemico di cui ora dicono sia alleato. Perciò credo che il processo contro di lui sia irragionevole: lo stanno punendo per il crimine sbagliato”.
Nonostante fosse tra coloro che più profondamente gioivano per i tormenti della famiglia Malfoy, le parole di Scorpius le sembrarono così sincere e accorate che Molly andò da lui e pose una mano sulla sua spalla: “non preoccuparti, ragazzo mio” gli disse con sorriso materno “il processo deve ancora cominciare e non è detto che andrà male come credi. Ora pensiamo al pudding” gli diede due pacche bonarie sulla guancia e tornò in cucina per il dolce.

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Capitolo 7
*** Il processo ***


Arrivò infine il quindici gennaio, giorno fatidico in cui si sarebbe tenuto il processo contro Draco Malfoy. Poche ore prima c'era stata alla Tana un'allegra festa su richiesta di Albus per il diciottesimo compleanno di Scorpius, ma lui non riuscì a godersela e nessuno gliene fece una colpa.
Pensava e ripensava a quella bizzarra ragazza babbana, l'unica ad aver modo di consultare i documenti contro suo padre, l'unica che avrebbe parlato in suo favore in presenza del Ministero a lui avverso, e si chiedeva cosa mai avrebbe potuto ottenere, lei sola ed estranea al mondo magico nel fronteggiare niente meno che il mondo magico stesso.
Fu consegnato loro un messaggio che esortava Albus, Harry e Ginny Potter, così come Ronald Weasley e il Ministro in persona a presentarsi in aula in qualità di testimoni assieme al figlio dell'imputato. Tale messaggio era firmato a nome di Cassandra Goodman.
Veniva inoltre chiesto loro d'arrivare in abbigliamento consono e formale, pretesa che parve bizzarra, ma a cui non si opposero.
Raggiunsero il Ministero in gruppo, ma trovarono l'ampia aula delle assemblee ancora sbarrata. Avanti al portone attendeva la giovane Goodman: vestiva in stile babbano, ma anche ai loro occhi sembrò splendidamente elegante.
Non si perse in convenevoli: "quando varcheremo questa soglia, la sedia dell'imputato, avanti all'intera giuria, sará ciò che più d'ogni altra cosa balzerà all'occhio, ma dietro di essa attendono altri posti a sedere e quelli sono per voi. Non si aspettavano un numero simile di testimoni, dunque non saranno sufficienti per tutti, ma sfrutteremo l'inconveniente a nostro vantaggio. La prima fila accoglierà la signora Granger, poiché avere il Ministro della magia bene in mostra non può che giovarci; il signor Potter, che la affiancherà per le medesime ragioni; e Albus".
"Io?" chiese quello "Scorpius dovrebbe stare in prima fila".
"Per quanto si voglia imporre alla mente di agire in maniera diversa, il cervello si lascia sempre condizionare dall'aspetto esteriore di ciò che vede e... non metto certo in dubbio il fascino del qui presente signor Malfoy, ma tu, giovane signor Potter, sei un figurino e alle giurie piace pensare che un bel faccino dai tratti simmetrici e dall'aria innocente stia dalla parte dei buoni. Allo stesso modo, Scorpius ha un portamento cui, perdonami se te lo dico tanto schiettamente, tu non potrai mai ambire e" sorrise maliziosamente "veste come un Malfoy. Per questo è colui che starà in piedi, accanto a voi. Sapete, alle giurie piace anche pensare che un giovanotto di buon stile sia affidabile e di giudizio".
"Queste analisi mi puzzano di idiozia" borbottò Ron.
"La nostra situazione è tanto nera da doverci affidare anche ad esse" lo zittì Cassandra prontamente "e poiché lei e la signora Potter avete meno risonanza nell'immaginario comune rispetto agli altri presenti, a causa delle vostre vite discrete e di basso profilo... no, signora Potter" rispose senza esitazione a un'occhiata quieta ma vagamente indignata di Ginny "essere un'ex giocatrice di Quidditch e supervisore della Gazzetta del Profeta non è sufficiente; ebbene, a causa di questo e senza offesa alcuna, voi vi accomoderete in seconda fila. Possiamo procedere".
I battenti si spalancarono e loro li varcarono, sebbene l'unica a mostrarsi impassibile e fiera fosse proprio la giovane Cassandra. Ovviamente dentro sé ribolliva d'ansia, ma non l'avrebbe dato a vedere.
Un uomo s'era accomodato sullo scranno più alto, un anziano mago eletto a giudice. Molti altri avevano fatto altrettanto.
Draco Malfoy sedeva giá di fronte a loro e sudava freddo, nonostante fosse composto e impettito come un ritratto del Ministero.
Il suo umore si fece ancor più cupo quando notò che la babbana era giá al suo fianco. Pochi in aula sapevano che la giovane Goodman non era una strega e purtroppo lui era tra questi.
"Buon giorno, Vostro Onore" Cassandra salutò ossequiosa "a nome di tutti noi, chiedo che vengano esposti i capi d'accusa per cui il mio assistito è preso in causa".
Quella domanda lasciò perplessa l'intera giuria: "sappiamo tutti perché ci troviamo qui" sorrise il giudice, sornione.
"Dunque non sará un problema ribadirlo" insistette Cassandra.
Una strega seduta alla destra dell'alto scranno l'accontentò: "il qui presente Draco Malfoy è accusato di complicità negli spiacevoli avvenimenti verificatisi a opera della terrorista Delphy Diggory".
"E a quali di essi il qui presente Draco Malfoy avrebbe materialmente preso parte?".
La donna titubò: "a quelli che hanno quasi condotto al ritorno di colui che non dev'essere nominato".
"Voldemort, signora. La guerra è finita" la corresse Cassandra "persisto nel non avere una risposta specifica".
"Non vi è bisogno di tale risposta" troncò il giudice.
"Avete accennato a quegli... avvenimenti" ripeté ostentando tutto il proprio scetticismo "che hanno quasi condotto al ritorno di colui che non dev'essere nominato" citò testualmente "le carte del Ministero parlano di uno scontro tra forze Auror, sebbene sappiamo che vi fosse il solo signor Potter ad agire al fianco di civili, e la sopraccitata terrorista Delphy Diggory. In esse è esplicitato che il signor Malfoy fosse presente: potete chiarificare per quale fazione abbia combattuto?".
"È risaputo che fosse al fianco del signor Potter".
"Pure è sotto processo come se fosse suo nemico".
A tale affermazione, non seppero ribattere.
"Signor Malfoy" Cassandra si rivolse all'imputato con grande naturalezza, senza chiedere il permesso ad alcuno "lei ha un Marchio Nero su di sé, dico bene?".
Draco la guardò con disprezzo e tacque.
"Signor Malfoy, le conviene rispondere se non vuole che la accusi personalmente di oltraggio alla corte".
Consapevole che quella minaccia non fosse poi così infondata, lui cedette: "è così".
"Quanti altri con quel marchio bazzicano ancora liberamente il mondo magico?".
"Nessuno".
Cassanda si rivolse di nuovo alla giuria: "sappiamo tutti come i Malfoy siano sempre stati i soli ad eludere sistematicamente la legge e trovare giustificazioni o rimedi ai propri misfatti".
"Con ciò a cosa allude?" la interruppe la strega, sempre più irritata.
"Agli strafalcioni giudiziari che il sistema penale magico non s'é trattenuto dal compiere, in passato".
"Ciò che afferma è oltraggioso e falso".
"Lo chiederei a Sirius Black, se non fosse morto durante la guerra contro Lord Voldemort mentre il Ministero ancora lo riteneva colpevole di crimini che non aveva commesso... signor Malfoy" deviò rapidamente, così da anticipare e mettere a tacere i più che probabili rimproveri della giuria "hanno esposto esaustivamente le sue accuse quando è stato preso in custodia, anche solo in via privata?".
"No".
"Be', signor Malfoy, allora dovremo trovarne noi" disse con gran nonchalance e il suo sorriso era splendido, ma i presenti ne rimasero disorientati più che allietati.
"Era alleato di Lord Voldemort?" continuò Cassandra.
Draco tacque e lei sorrise di nuovo: "questa domanda è solo una formalità, signor Malfoy. Abbiamo giá stabilito che lei possiede un Marchio Nero: tutti sappiamo che ha combattuto per Lord Voldemort. Tuttavia, ci occorre una sua risposta".
"Sì".
"Era alleato di Delphini Diggory?".
A quella domanda, lui sbuffò una risata sdegnosa.
"Signor Malfoy...".
"Ha quasi ammazzato mio figlio e m'accusate di essere suo alleato?".
"Io non l'accuso, io la difendo. Tuttavia, non ero là".
"Loro sì" accennò alle proprie spalle.
"Per l'appunto" Cassandra batté le mani con convinzione "sono abituata a un sistema giudiziario ben più complesso di questo, dunque perdonerete la mia goffaggine".
"Scusi, signorina Goodman" la interruppe il giudice, ostentando una cortesia che certo non era sincera "da dove viene?".
"Londra" rispose prontamente lei.
"Dunque a quale sistema giudiziario si riferisce?".
"A quello babbano".
Cadde il più greve dei silenzi.
"Un gesto significativo da parte del signor Malfoy, quello di ingaggiare una babbana quale assistente legale, non trovate?" ovviamente non accennò al fatto che si era personalmente insinuata nel Ministero per occuparsi del caso senza che il suo assistito ne avesse alcuna idea.
"In data incerta, dati gli evidenti squilibri temporali che la vicenda ha causato, si è verificato uno scontro diretto tra la terrorista Delphini Diggory e un gruppo di maghi e streghe che ha impedito la riuscita dei suoi piani tanto strampalati quanto potenzialmente apocalittici. È riportato che tra di essi fosse presente il mio assistito e che, invece di appoggiare il nemico come sostenuto dall'accusa, chiunque essa sia, egli abbia combattuto... dalla parte dei buoni, perdonate il semplicismo. So che qui usa l'alzata di mano, dunque chiedo ai testimoni: quanti di voi erano effettivamente presenti, quel giorno?".
Sei mani si alzarono.
"E quanti hanno visto il signor Malfoy battersi al fianco di Delphini Diggory?".
Le sei mani si abbassarono.
"Quanti l'hanno invece visto battersi al fianco del signor Potter e del Ministro in persona?".
Di nuovo si alzarono.
Fatto ciò, Cassandra diede l'impressione di non avere più tempo da perdere: "avete ciò che vi occorre per deliberare" disse fermamente e si fece da parte senza aggiungere altro.
Si diffuse un certo disorientamento. Infine, però, la giuria cominciò il confronto, parlando sommessamente ma con grande animo.
Trascorse una buona manciata di minuti prima che acconsentissero ad esporsi in un verdetto: quindici mani si alzarono in favore di una condanna, ventitré a favore dell'assoluzione.
Ci fu sollievo in gran parte del banco testimoni.
Cassandra tese la propria destra: "è stato un piacere, signor Malfoy" ma lui si limitò a guardarla con sdegno, senza nemmeno fingere di voler ricambiare il gesto. Lei sorrise ampiamente e c'era un misto di disprezzo e indifferenza sul suo volto: "le farò recapitare un gufo con la mia parcella" e, detto questo, se ne andò a testa alta, ma la sua marcia fu interrotta prima ancora che potesse varcare il portone della grande aula: Scorpius le sbarrò la strada e stavolta fu lui a porgere la propria destra.
"Grazie, Cassandra Goodman".
Lei la strinse: "è stato un piacere, signor Malfoy".
"Scopius" la corresse "niente formalità. E ti chiedo perdono se io o mio padre siamo stati scortesi nei tuoi confronti. Hai fatto molto per noi".
"Non preoccuparti" sminuì con una scrollata di spalle "siete Malfoy: per voi la scortesia è routine".
Fece per andarsene, ma dopo pochi passi si fermò di nuovo.
Tornò da lui e gli consegnò un biglietto da visita: "nel caso avessi perso i miei contatti e desiderassi qualche risposta alle domande che di certo ti bazzicano ancora per la testa. Stammi bene, Scorpius Malfoy" salutò infine.
"Perché mi hai aiutato?".
Le porse quella domanda con troppo ritardo: Cassandra era ormai lontana.
"Cerca una cabina telefonica" fu la sola risposta che gli concesse. Poi, senza voltarsi, se ne andò con un ultimo cenno di congedo.

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Capitolo 8
*** Art Nouveau ***


“È seriamente stata una delle esperienze più trascendentali della mia vita: ascoltare una babbana mettere a tacere l'intero Wizengamot e calpestare con la grazia d'un tank l'orgoglio di tuo padre” Albus sembrava davvero estasiato nel ricapitolare l'accaduto. 
“Quello soprattutto è stato soddisfacente, anche se non altrettanto rilevante” annuì Scorpius, poi soppesò i propri pensieri prima di proseguire “mi ha lasciato intendere che dovremmo parlare”.
“Oh, no, io l'ho ascoltata bene: ha lasciato intendere d'aver inteso che tu voglia parlarle”.
“Che differenza fa?”.
Albus scolò l'ultimo sorso della sua burrobirra: “un'immensa differenza. Non ha forse ragione?” chiese poi.
“Certo che ne ha”.
“Allora cerca un telefono babbano e contattala. Prova però ad incontrarla nel fine settimana: non ti conviene perdere altre lezioni”.
“Albus Potter mi fa la morale su questioni scolastiche? Il mondo sembra davvero essersi capovolto”.
Albus simulò una risata affettata: “non sono uno studente così mediocre”.
“No, infatti, devo ammettere che sei migliorato negli ultimi anni... e seguirò il tuo consiglio”.
Quando il sabato seguente lasciò Hogsmeade per infiltrarsi discretamente nel mondo babbano - come era possibile, entro certi limiti, per gli studenti che erano ormai in età adulta - e digitò il numero di Cassandra da una cabina telefonica, impiegò qualche istante a comprendere che la voce a rispondergli fosse registrata. Ricambiò infatti un saluto al “salve, qui è Cassandra Goodman”, ma la ragazza continuò imperterrita nel proprio monologo, invitandolo a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico. Disorientato e vagamente interdetto, non reagì con abbastanza prontezza e dopo il 'bip' seguì un lungo silenzio: “sì, be'... ciao, Cassandra” incespicò “sono Scorpius... Malfoy, ma credo non ci fosse bisogno di specificare. Avevi proposto un incontro e...”.
“Ciao, Scorpius”.
Lui sobbalzò: “credevo non fossi presente”.
“Lascio scorrere la segreteria quando non voglio essere disturbata, ma per te farò un'eccezione”.
Lui dovette scacciare la sorpresa e concentrarsi parecchio per memorizzare l'indirizzo che lei gli riferì: “è un piccolo Caffè nella mia zona: ci si trova bene e c'è quiete, nonché un buon servizio. Vediamoci oggi pomeriggio”.
Su snervante esortazione di Albus, di cui ad ogni modo non aveva bisogno, si presentò puntuale. Cassandra già lo attendeva sulla soglia del locale, discreta ed elegante come sempre. Sorrise soddisfatta quando lo scorse in lontananza ed entrò prima che lui la raggiungesse.
Messo piede nel Caffè, Scorpius la trovò già seduta: aveva scelto il tavolo più vicino alla vetrina. C'era musica lieve e un tepore delizioso.
“Avevi ragione: si sta davvero bene, qui” ammise.
“Troppo Art Nouveau per alcuni, ma non per me”.
Lui le si accomodò di fronte.
“Mary, due delle tue cioccolate alla cannella” ordinò Cassandra e da dietro il bancone arrivò il “subito, tesoro” della corpulenta ma bonaria barista.
“Vedrai” bisbigliò la ragazza con aria soddisfatta “è squisita”.
“Non lo metto in dubbio” replicò lui con impazienza “però io sarei qui per...”.
“Lola Lollington non mi ha contattata: io ho contattato lei. Mi tengo ben informata sugli eventi che si verificano nel mondo magico e quel processo era una valida occasione per abbandonare la mia tediosa routine e dedicarmi a qualcosa di grande”.
“Come sai di noi? Voglio dire, sei una...”.
“Babbana, certo” concluse per lui “ma non tutti in famiglia erano come me. Mia sorella ha frequentato Hogwarts, casata Corvonero. Una brillante studentessa...e una brillante collaboratrice del Ministero, sebbene la sua carriera non sia stata né lunga né particolarmente gloriosa: non ne ha avuto il tempo”.
“Che le è successo?”.
Cassandra sospirò: “è morta tre anni fa”.
“Mi spiace”.
“Mai quanto a me, ma amava il rischio e certo non è stata una sorpresa”.
“In che modo collaborava col Ministero?”.
“Era una giornalista. Una reporter, così sarebbe stata chiamata nel mondo babbano. È stata uccisa durante una retata a opera di creature magiche malevole, marchiate con le ali di un Augurey”.
Gli occhi di Scorpius si sollevarono dalla cioccolata fumante appena posata avanti a lui e la squadrarono con innegabile stupore: “è per questo che ci hai aiutati. Non certo per carità, ma per poter consultare i documenti che ti abbiamo consegnato”.
C'era accusa nella sua voce.
“Ovviamente non l'ho fatto per carità: il mio è stato un ottimo servizio e pretendo d'essere pagata, come sono certa che sarà. Ma, no, non è per quelle informazioni che mi sono intromessa. Ho i miei contatti e sono molto brava in ciò che faccio, Scorpius: so già tutto ciò che si possa scoprire da dei pezzi di carta. Ad esempio, sapevo che tuo padre aveva combattuto contro Delphi e non per lei. Sapevo che il Ministero aveva l'uomo sbagliato. Sapevo che stava cominciando a nascondere i propri fallimenti dietro un capro espiatorio come molto spesso aveva fatto in passato. E non potevo accettarlo, perché quanto accaduto a opera di quella pazza merita d'essere punito con serietà e con rispetto: non accadrà mai se lasciamo che i poteri forti nascondano la verità dietro a menzogne di comodo. Mia sorella... la sua memoria, almeno, merita più di questo”.
Era una giovane forte e tenace, ma i suoi occhi s'erano fatti lucidi e Scorpius ne fu al contempo sorpreso e rattristato.
“Se mio padre avesse saputo tutto questo” le disse “avrebbe ricambiato quella stretta di mano".
Cassandra sorrise, con un misto di pietà e compassione: “no, non l'avrebbe fatto. Ma tu sì” precisò subito dopo “e te ne sono grata”.
“Era solo una stretta di mano” poi deviò, nel tentativo di rasserenare la tensione che era calata tra loro “Corvonero, eh? Credo che anche tu saresti stata smistata in quella casata se, be'... se fossi stata una strega come tua sorella”.
“Tu dici?” ridacchiò Cassandra.
“Ambiziosa, intelligente, ben istruita. Al processo hai usato la carta babbana per ultima: è stata una mossa acuta”.
“Io sono acuta”.
“E anche modesta, noto” la punzecchiò con innocenza.
“La modestia è per coloro che sottovalutano sé stessi. Ti ritieni modesto?”.
“Per quanto possa esserlo un Serpeverde e un Malfoy”.
Lei sorrise: “se non modesto, almeno sei onesto”.
“In realtà, se la metti così, credo d'essere modesto più di quanto non sia onesto”.
“Bizzarro, non trovi?”.
“Non saprei. Certo è” continuò, cambiando ancora una volta discorso “che coi tuoi studi babbani dev'essere stato complicato restare al passo con tutto ciò che c'è da imparare sul mondo magico e tu ne sai davvero molto... sembri una di noi”.
Stavolta il sorriso di lei si fece dolce e melanconico come poche volte Scorpius ne aveva visti prima di allora e, per quanto ricordava, solo sul volto di sua madre: “ho ancora tutti i suoi libri. Tutti quanti. Li ho letti e riletti, decine di volte. A che scopo, ti chiederai: all'inizio perché volevo essere come lei, poi perché volevo ricordarmi di lei”.
“I tuoi che ne pensavano d'avere una strega in famiglia?”.
“All'inizio ne erano spaventati. Poi contrariati. E infine orgogliosi. Lei era indomita e brava in tutto: impossibile non ammirarla. E quando è morta... mio padre non è più stato lo stesso. Se ne è andato con lei poco meno d'un anno dopo, annientato dal dolore” ridacchiò amaramente “io non sono mai stata abbastanza per lui”.
“Non credo che questo fosse il suo pensiero, ma ti capisco: si colpevolizzano sempre coloro che se ne vanno pur di non farlo con sé stessi”.
“Oh, sì, tu ne sai qualcosa”.
“Ne so qualcosa” assentì.
“Siamo le persone più deprimenti dell'intero Caffè”.
Risero e bevvero qualche sorso di cioccolata.
“Qual è il tuo obbiettivo, ora?” chiese lui quando furono pronti a salutarsi.
“Diventare un vero avvocato, che sia accettato anche tra i miei simili”.
“Sai, non apparteniamo a specie diverse...”.
“Quasi” tagliò seccamente “dopodiché, o meglio, nel frattempo, proseguire le ricerche”.
“Cosa speri di ottenere?”.
“Questo ancora non lo so. Ma qualsiasi cosa sia lo otterrò, stanne certo”.

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Capitolo 9
*** Un favore da Hagrid ***


“Albus, ti rendi conto che mancano appena due mesi ai nostri N.E.W.T.?”.
A quella domanda, Albus capì di doversi tappare le orecchie e canticchiare un motivetto tra sé per ignorare gli imminenti sproloqui di Scorpius, perché ormai sapeva quanto logorroico riuscisse a diventare quando l'ansia da esami prendeva il sopravvento.
Stavolta, però, aveva in mente un metodo migliore con cui contrastare la sua irrequietezza: “oh, non fingere che i N.E.W.T. siano il tuo pensiero primario”.
Scorpius impallidì: “hanno aggiunto una nuova prova?”.
“Cosa? No” esclamò “da che ti conosco, in vista di un qualsiasi esame, tu ti rintani in biblioteca a studiare, giorno e notte, sette giorni su sette. Da un po', però, hai di meglio da fare, il sabato pomeriggio”.
“Che c'entra questo adesso?”.
Albus gli si sedette accanto, con posa scomposta e ghigno goliardicamente provocatorio: “sembra che tu e Cassandra continuiate ad avere molto da dirvi”.
“È così” lo zittì “non incontri tutti i giorni una babbana che ne sappia di magia quanto un purosangue, pur senza poterla usare. Lei è appassionata del nostro mondo e io sto imparando molto del suo”.
Il sorriso di Albus si estese in modo quasi inquietante: “ti piace” stuzzicò.
“A chi non piacerebbe?”.
“Credevo prediligessi le fulve”.
“Non ho un colore preferito di capelli... e non metterti in testa strane idee”.
Albus cominciò a punzecchiarlo tirandogli fastidiosi colpetti di nocche sulla spalla: “mi prendevi in giro perché sembrava mi piacessero più grandi”.
“Tre anni, che saranno mai? E ti ho detto di non metterti in testa strane idee” inveì “ora apri quel maledetto libro di Storia della Magia, perché per oggi puoi sognarti i miei appunti, seccatore” e, pur essendo consapevole di averlo profondamente irritato, Albus non ne era dispiaciuto bensì soddisfatto, perché sapeva di aver toccato i tasti giusti.
Per questo mise in atto un piano molto semplice, ma verso cui nutriva grandi speranze: inventò una bella storia da propinare a Rose, così che lei si convincesse ad unirsi a Scorpius per un'uscita amichevole a Hogsmeade e, siccome ormai conosceva entrambi a sufficienza, riuscì nell'intento. Ovviamente il diretto interessato non ne sapeva un bel niente e, quando vide l'amico parlare in disparte con la cugina, pensò si trattasse d'una qualche questione familiare.
Poi però, Rose trotterellò da lui e con onore e sorpresa la aspettò nel mezzo del corridoio, i libri già sottobraccio per la successiva lezione di Difesa contro le Arti Oscure.
“Ehi, Scorpius” esordì lei “Albus mi ha detto di questo sabato pomeriggio” al che lui già aggrottò la fronte “che ne dici di andare a Hogsmeade insieme? Possiamo prenderci qualcosa ai Tre Manici di Scopa”.
Scorpius sgranò gli occhi, sbalordito da quella proposta, e l'impulso gli disse di accettare senza alcuna remora, ma qualcos'altro lo trattenne e per qualche istante vi fu silenzio.
Albus osservava in disparte.
“Mi spiace, Rose” rifiutò infine, pur a malincuore “non so cosa Albus ti abbia detto, ma ho un altro impegno, questo sabato”.
Vi fu un grido entusiasta e solo allora Albus uscì allo scoperto: “sai che significa, Rose?” chiese con euforia, cingendo le spalle di Scorpius “che puoi andare in pace. Qualcuno ha preso il tuo posto e un'era di delusioni e sfiancanti sogni a occhi aperti si è finalmente chiusa” esultò con un fischio assordante, poi congiurò un boccale di burrobirra “venite, venite tutti! Brindiamo!” ma Scorpius si liberò dalla sua presa e lo costrinse a tacere: “che diavolo urli? Che succede?”.
Albus finse d'essere sull'orlo del pianto e gli diede un bacio sulla fronte: “succede che il mio piccolino cresce, anche se con troppa calma. Abbandona l'adolescenza per dedicarsi a vere aspettative, veri amori, veri principi!” sospirò “devo dirlo a mia mamma” poi voltò loro le spalle e se ne andò prima che potessero fermarlo, decine di occhi perplessi puntati su di lui.
Ovviamente Scorpius ne era terribilmente imbarazzato: “scusa, Rose” borbottò “credo abbia inalato qualcosa a Pozioni” e, senza aggiungere altro, le passò accanto per dileguarsi quanto più rapidamente possibile.
Ad ogni modo, Albus poté sfoggiare la propria gioia solo per breve tempo perché pochi giorni dopo, mentre pranzava serenamente alla grande tavola dei Serpeverde, un tocco lieve gli sfiorò la schiena e lui, voltatosi fulmineamente, rimase sorpreso di trovare sua sorella dietro di sé: “Lily, cosa c'è?” e notando lo sguardo incerto di lei rincarò “James ti stuzzica ancora coi G.U.F.O.? Te l'ho già detto, Lily, lascialo perdere: sei un'ottima studentessa e li passerai senza problemi...”.
“Non ha a che fare coi G.U.F.O.” lo zittì cupamente.
Albus balzò in piedi: “quell'idiota di Eric Regan ti ha fatto qualcosa? Quante volte ti ho ripetuto che quel ragazzo non è adatto a te? Dimmi dove trovarlo e lo farò pentire di non esser nato magonò”.
“Albus, vuoi stare zitto? Non ha a che fare neppure con Eric Regan e di certo non posso parlartene qui. Vieni con me”.
Stranito da tanta diffidenza, Albus la seguì.
Si fermarono solo quando raggiunsero un luogo che per i gusti di Lily era sufficientemente appartato e in penombra.
“Ieri sera nostra zia Hermione è venuta qui, ad Hogwarts, per parlare con la preside”.
“A volte capita”.
“Papà era con lei”.
Albus si fece più perplesso.
“Hanno convocato Draco Malfoy e sembra che quello fosse lo scopo della loro visita, perché a mala pena hanno salutato la McGranitt prima di chiamarlo. Evidentemente non avevano tempo da perdere”.
“Lily, come sai tutto questo?”.
Lei sbuffò: “avevo lasciato il mio dormitorio...”.
“Per pomiciare con Eric Regan” l'accusò acidamente.
“Questi non sono fatti tuoi. Ho riconosciuto le loro voci e mi sono nascosta in corridoio per poter origliare”.
“Draco è ancora nei guai?”.
“No, chiedevano il suo aiuto: pare che il Ministero sia più gentile con lui, da quando ha pubblicamente rischiato di spedirlo ad Azkaban senza motivo. Gli hanno chiesto del Marchio Nero: se lo infastidisce, se riverbera a qualche richiamo”.
La voce di Albus si ridusse a un mormorio: “ed è così?”.
“Sì. Pare bruci come un'ustione”.
“Non ne ha fatto parola a Scorpius”.
“Non ne ha fatto parola ad altri che non fossero zia Hermione e papà. Così gli è stato chiesto e, ad ogni modo, è abbastanza intelligente da riconoscere una possibile fonte di panico, quando ne vede una. Hanno irrigidito la sorveglianza di Delphi, ma non capiscono come possa aver interagito con altri, soprattutto perché non ne ha alcun interesse. Non ha aperto bocca da quando è stata incarcerata, è come una statua, o un morto. Mangia quel che le serve per sopravvivere, dorme il necessario per non perdere la ragione, sempre che ne abbia mai avuta, e tace. Hanno richiamato degli esperti di Occlumanzia per cercare di comprendere se comunichi con l'esterno in qualche altro modo, anche se le difese impenetrabili di Azkaban dovrebbero impedirlo, ma lei non oppone alcuna resistenza: la sua mente è aperta e non le importa che venga letta”.
“E cosa racconta?”.
“Il passato. Non guarda mai al futuro. Hanno trascritto tutto, ma non sanno quale aiuto possano ricavarne per la situazione che devono affrontare ora: qualcuno controlla gli eserciti di Delphi e non capiscono né chi, né come”.
Albus scosse il capo: “Scorpius me ne aveva accennato, anche se non in modo così esaustivo. Dovremmo ancora avere il fascicolo preso dall'ufficio di zia Hermione”.
“Cosa?”.
“Lascia perdere” troncò subito “c'è bisogno di qualcuno che prenda in mano l'indagine. Non i nostri Auror, che sono guerrieri più che investigatori, non i membri del Ministero, di cui personalmente non mi fiderei. Serve qualcuno che abbia un passato candido, che sappia lavorare in silenzio senza correre rischi e che abbia valide motivazioni personali per prender parte alla causa. Non ne so molto, ma Scorpius me ne ha parlato a sufficienza da credere di conoscere la persona giusta”.
“Dovrei capire di chi parli?”.
Albus la ignorò, ormai completamente preso dai propri pensieri: “fingi di non aver mai sentito quella conversazione e che questa non sia mai avvenuta. Stai alla larga dai guai. Io ho un gufo da inviare” e si dileguò come un'ombra.
Approfittando della pausa, si precipitò al limitare della Foresta Proibita dove, ancor prima di scorgere la baita di Hagrid, vide il monumento a dimensioni naturali dedicato a Thor, lì posizionato qualche anno prima dal padrone terribilmente addolorato per la morte del fedele e vecchissimo amico.
Bussò alla porta con insistenza, ma il suo impeto si smorzò quando, ad aprirgli, trovò un Hagrid estremamente abbacchiato e dagli occhi gonfi di lacrime: “che succede?” gli chiese con apprensione.
L'altro dovette schiarirsi la gola più volte prima di riuscire a rispondere: “la povera Agata non ce l'ha fatta”.
“Agata? La Thestral?”.
“Proprio lei” tirò su rumorosamente col naso.
“Hagrid, non so che dire. Mi... mi dispiace” e senza preavviso l'altro lo strinse in un abbraccio stritolante.
“No, Hagrid, non è il caso” lo rimbrottò con scarso successo.
“E ora non so che fare col piccolo Alastor” lo ignorò il mezzo gigante “sai, non è nato molto bene. Ha un'ala un po' difettosa e non potremo mai addestrarlo per il traino delle carrozze” finalmente lo lasciò libero “quel vigliacco di Ranaerte per poco non gli spezzava le zampe per gettarlo nel lago” pianse ancor più rumorosamente “dobbiamo trovargli una casa, un posto sicuro, capisci?”.
“Certo, lo capisco” lo sostenne con titubanza e ad Hagrid venne un'idea: “a Scorpius piaceva e nella sua tenuta c'è un sacco di spazio. Ormai è adulto e può prendere questo tipo di decisioni... credi che accetterebbe di adottarlo, per me?”.
Albus lo squadrò piuttosto perplesso: “non ne ho idea. Forse dovresti parlargliene... ascolta, Hagrid, mi spiace per Agata, davvero, ma sono venuto qui per una questione importante”.
“Oh, certo, certo” cercò di ricomporsi “dimmi pure”.
“Serve che tu spedisca una lettera a mio padre da parte mia”.
Hagrid lo squadrò incerto: “ma, Albus, hai forse dimenticato come si scrive?”.
“Ascolta, ho bisogno di incontrarlo e di chiedergli un favore... un grande favore”.
“Vi siete parlati, qui ad Hogwarts. Chiedigli di farlo di nuovo”.
“Ci siamo parlati perché lui era già in sede. Non si scomoderebbe unicamente per me, probabilmente non avrebbe neppure il tempo di prendermi sul serio, ma se fossi tu a mettergli fretta... a te dà ascolto, ti rispetta e si fida ciecamente. Chiedigli di venire qui. Per piacere”.
Hagrid era confuso, titubante e dubbioso, ma non osò negargli il favore.

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Capitolo 10
*** Un altro favore da Hagrid ***


 
“Ti rendi conto di ciò che mi chiedi?” Harry faceva nevroticamente avanti e indietro per l'ufficio del professor Paciock, più discreto di quello presidenziale, ma altrettanto sicuro.
Se si fosse trattato di qualcun altro, di sicuro non ne avrebbe accettato la presenza, ma si fidava di Neville più di quanto non si fidasse di sé stesso e desiderava il suo consiglio, quindi il vecchio amico attendeva in disparte e ascoltava silenziosamente.
“Papà, cos'altro potremmo fare?” replicò Albus con altrettanto impeto “qualcuno deve parlare con Delphi. Il Ministero non lascia avvicinare voi Auror perché non si fida. Voi non lasciate avvicinare gli uomini del Ministero perché non vi fidate. E chissà che gli uni o gli altri non abbiano ragione...”.
“Credi che ci siano agenti corrotti tra noi?” lo interruppe Harry bruscamente.
“Tu lo credi?” il ragazzo non cercò di addolcire la pillola, né di rimangiare la grave insinuazione e la sua schiettezza ebbe effetto, perché Harry si ammutolì.
“Prima del processo mi hai parlato dei manufatti magici conservati nella tenuta Malfoy e di come alcuni di essi siano spariti nonostante l'alto livello di protezione e sorveglianza. Non è stato Draco a consegnarli al nemico, lo sappiamo. Allora chi? Chi ha accesso a quella magione?”.
“Il Ministero e, per estensione, gli Auror” mormorò Neville.
“Per favore...” grugnì Harry, ma quello insistette “io darei retta al ragazzo. Di certo tu non hai nulla a che vedere con questo, Harry. E neppure Hermione. Ci metterei entrambe le mani sul fuoco. Però... puoi dire lo stesso di chiunque altro lavori al Ministero?”.
Seguì un silenzio di piombo.
“Cassandra è pulita, papà” rincarò Albus “e pressoché nessuno nel mondo magico sa di lei. È l'opzione più sicura”.
“Mi chiedi di lasciare una babbana in compagnia della strega più pericolosa di cui abbiamo avuto notizia dai tempi di Voldemort”.
“Una strega in gabbia”.
“E sorvegliata da decine di Auror” aggiunse Neville, ma Albus ebbe da ridire al riguardo: “se anche solo uno di loro complottasse col nemico e avesse modo di ascoltare la conversazione, l'operazione risulterebbe compromessa ancor prima di cominciare”.
“Non c'è alcuna operazione” inveì Harry.
“Allora diamoci una mossa” insistette il ragazzo, ma l'altro lo guardò con tale fermezza da metterlo a tacere: “Cassandra non metterà piede in quella cella” concluse categorico ed Albus capì d'aver fallito.
Ingoiò il boccone amaro e finse che quella conversazione non fosse mai avvenuta, anche se faticava a ignorare gli sguardi inquieti e preoccupati di Neville che, ogni qualvolta incrociasse il suo cammino, non riusciva a trattenersi dallo sbirciare di sottecchi con chi il ragazzo stesse parlando o se vi fosse qualche lettera nascosta nei libri che portava con sé: evidentemente non si era lasciato abbindolare dalla finta rassegnazione del giovane Potter e sapeva bene che nuove idee e pianificazioni avventate continuavano ad arrovellarsi nei suoi pensieri.
Forse non intuiva quanto difficile fosse per Albus trovare un'alternativa alla via fin troppo semplice che aveva tentato d'imboccare sperando nell'aiuto di suo padre: era ancora fermamente convinto che Cassandra fosse l'unica possibilità di avvicinarsi a Delphi senza creare scalpori e, al contempo, ottenere qualche risposta degna di chiamarsi tale. Allo stesso modo, però, sapeva di non poterne parlare con Scorpius perché, se solo fosse venuto a conoscenza della proposta che intendeva avanzarle e del rischio a cui lei sarebbe andata incontro, l'avrebbe legato, imbavagliato e gettato nel Lago Nero senza alcun ripensamento.
Ciò nonostante, doveva mettersi in contatto con Cassandra e non c'era altro modo se non per vie babbane, dunque tornava sempre e irrimediabilmente al punto di partenza: Scorpius aveva il numero del suo telefono, ma lui non sapeva come entrarne in possesso.
Rimuginò tanto a lungo che alla fine decise di tentare col più grezzo e semplice degli approcci: una notte rovistò silenziosamente tra gli averi dell'amico finché non trovò un lembo di carta ormai sgualcito, ma su cui ancora s'intravedevano dei numeri. Non fu così stupido da prenderglielo, però lo copiò. Lo rimise poi accuratamente al suo posto e attese il mattino seguente.
“Rose, mi serve il tuo aiuto” mormorò quando raggiunse la cugina a un soffio dall'aula di Antiche Rune. Fu difficile per lui trovare un istante di quiete in cui parlarle: non si preoccupava per Scorpius, che avrebbe facilmente creduto in qualche nuova confabulazione ai suoi danni, ma preferiva comunque limitare al minimo il rischio d'essere colto in fragrante.
“Il nonno non ha accettato quella proposta di pensionamento, vero?” le chiese.
“Certo che no” ridacchiò lei “e credo che non lo farà per la prossima ventina d'anni”.
“Bene. Mi serve un telefono babbano. Uno di quelli portatili”.
A questo punto, lo sguardo di Rose si fece comprensibilmente dubbioso: “perché?”.
Lui sbirciò in giro estremamente circospetto, poi le si avvicinò con l'intenzione di condividere i propri piani, ma all'ultimo si ritrasse: “se te lo dicessi, non mi aiuteresti mai”.
“Mettimi alla prova”.
“Sai quella babbana di cui tu stessa ci hai parlato... Cassandra?”.
“Sì...” borbottò incerta.
“Lei è la nuova fiamma di Scorpius”.
Gli occhi di Rose si sgranarono: “un Malfoy... e una babbana? Io non credo”.
“Procurami quel telefono e te ne porterò le prove”.
Lei sbuffò: “Albus, non mi piace quando semini zizzania”.
“Ma quale zizzania!” sorrise furbescamente, continuando la farsa con grande talento “sarà uno scherzo innocente e divertirà persino loro. Andiamo, Rose, so che ormai sei troppo curiosa per rifiutarti”.
Incredibile ma vero, lei si convinse e, se solo avesse avuto idea di quanto ostica fosse l'alternativa, Albus sarebbe stato grato d'avere a che fare con un modello vecchio, estremamente semplice e con una tastiera ampia e ben visibile a portata di pollice.
Purtroppo non tenne conto del fatto che la magia di cui tutta la scuola era pregna interferiva terribilmente col segnale e la telefonata che ebbe con Cassandra fu confusa e molto disturbata. Ad ogni modo, riuscì a stabilire con lei un punto di ritrovo in zona babbana e la ragazza intese chiaramente la gravità della situazione.
A quel punto, ad Albus non restò che tornare da Hagrid.
“So che ho già preteso un favore” gli disse, sorseggiando un tè nel suo accogliente rifugio “ma quello che sto per chiederti è decisamente più grande e ti capirei se preferissi starne fuori”.
Hagrid non nascose la propria preoccupazione.
“Devi incontrare Cassandra Goodman a King Cross e portarla ad Azkaban. Qui parlerai con gli Auror e loro ti ascolteranno senza far domande, perché da quando mio padre è al loro comando tu sei diventato uno dei maghi più rispettati della nazione: dirai d'esser stato mandato da Harry Potter, così che lei possa interrogare Delphi e tornare a casa sana e salva con te al suo fianco”.
La bocca del mezzo gigante si apriva sempre più mentre ascoltava le sue parole, tanto che rischiò d'inzuppare la folta barba grigia nella scodella colma di tè che teneva in mano.
Da che ricordasse, non aveva mai rifiutato di concedere un favore tanto fermamente quanto fece quella sera di fronte al giovane Albus.
“Ascolta, Hagrid” insistette il ragazzo, sempre più determinato “so di non essere all'altezza di mio padre”.
“Non ho detto questo”.
“So di non avere il talento che tutti vorrebbero vedere in me”.
“Non ho detto neanche questo”.
“So di essere un idiota...”.
“Albus, perché ti dici queste cose?”.
“Ma non sono uno stupido. So quando sono nel giusto e quando gli altri sbagliano... be', non sempre. Ma stavolta sì, Hagrid. Mio padre si sbaglia, io no... guardami” ordinò con tale fermezza che l'altro non osò più distogliere i propri occhi da lui “ha bisogno d'aiuto, ma non accetta il rischio. Io lo accetto, Hagrid. Io me ne prendo la responsabilità e... tu non hai sentito Cassandra in quell'aula di tribunale. Non hai visto il Wizengamot pendere dalle labbra di una babbana come probabilmente mai era accaduto prima nella storia del mondo magico: lei deve... deve” ribadì con veemenza “parlare con Delphi. Deve farlo, almeno quanto tu devi fidarti di me”.
La risolutezza di Hagrid cominciò a vacillare.
“Tante volte ti sei fidato di mio padre. Tante volte ti sei fidato di Harry Potter. Davvero ti riesce così difficile fidarti di Albus Potter?”.
“Oh, e va bene!” inveì il mezzo gigante “so già che non dovrei farlo. Oh, se lo so. Lo so e me ne pento prima ancora d'averlo fatto!”

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Capitolo 11
*** L'Augurey in gabbia ***


 
Cassandra non aveva mai visto un mezzo gigante, per quanto conservasse nella memoria i racconti della sorella dai tempi di Hogwarts; non aveva mai volato su una motocicletta incantata; non si era mai trovata faccia a faccia con una folle omicida, strega o babbana che fosse.
Eppure tutto questo accadde e in brevissimo tempo, tanto che ne rimase stordita e in parte spaventata. Odiava Delphi perché una delle persone a lei più care era morta a causa sua, ma sapeva di essere un granello di sabbia gettato nella risacca a suo confronto. Sapeva anche che le celle di Azkaban erano progettate perché isolassero i prigionieri dalla magia, ingabbiando persino quella contenuta in loro stessi, ma così grande era il potere di quella donna che molti si chiedevano quanto efficacemente il sistema funzionasse su di lei.
Molti Auror ormai sapevano della giovane babbana, perché nel Ministero le voci circolavano rapidamente, e gran parte di loro storsero il naso all'idea di lasciarla interloquire con uno dei detenuti più pericolosi e compromettenti dell'intera prigione. Ad ogni modo, non misero in dubbio le parole di Hagrid - anche se sembrava insicuro e terribilmente teso - e organizzarono un incontro tra lei e Delphini, nella cella dell'assassina. Sarebbero state sole e avrebbero potuto parlare in riservatezza, con la supervisione dell'intera vigilanza di Azkaban.
Quando Cassandra mise piede in quella cella, un brivido le percorse la schiena come acqua ghiacciata e per un istante le sue gambe si rifiutarono di avanzare quel poco che servisse a entrare nel fascio di luce filtrante dall'alto e presentarsi alla prigioniera. In ogni caso, Delphi non le avrebbe prestato attenzione: giaceva a terra in ginocchio, lo sguardo basso, i polsi incatenati al muro. Borbottava quietamente tra i capelli sudici che le incorniciavano il volto. Le sue mani e le sue ginocchia sanguinavano per le piaghe, ma non sembrava importarle. Pare che a volte le guardie tentassero di spostare le catene e forzarla a cambiare posa, ma lei diventava ostile e, pur priva di gran parte della propria magia, li aggrediva come una iena.
“La solitudine non giova alla tua follia” commentò Cassandra, facendosi forza. Sedette sulla sedia di legno tarlato che avevano posto in mezzo alla stanza, proprio di fronte alla sua interrogata.
“Mi hanno concesso poco tempo per prepararmi a questo incontro, ma ho revisionato attentamente tutto il materiale di mia sorella che ho conservato negli anni, ho consultato quello concessomi dal Ministro della magia e ci ho messo molto del mio. Per quanto frammentarie siano le informazioni che ne ho ricavato, sono brava a ordinare i tasselli di un puzzle e, più è complicato, più ci trovo gusto. Quindi, posso dire di averti inquadrata con sufficiente chiarezza”.
Le sue parole non sembravano neppure scalfire la mente offuscata di Delphi.
“È stato ostico scoprire della tua vera identità. Diggory sarà pure il tuo cognome ufficiale, ma è falso. In queste poche settimane ho rovistato e rovistato, ma non ho ottenuto alcunché. Alla fine mi sono arresa al fatto che non hai una vera identità: tu per il mondo magico non esisti, non sei registrata in Ministero, non si ha alcuna documentazione concernente la tua nascita o la tua formazione. Sei un'ombra”.
Di nuovo sbatté contro un muro d'indifferenza, ma non si diede per vinta.
“Sei stata cresciuta in segretezza da una certa Euphemia Rowle perché così le è stato chiesto da...” estrasse una delle carte che teneva nella propria cartella “Letitia Ursul. Lo sappiamo perché la stessa Euphemia l'ha riferirlo a uno di questi Auror, quando è stata interrogata quasi quattro anni fa, dopo la tua cattura. Purtroppo non vi erano prove sostanziali del suo coinvolgimento nel tuo piano e non hanno potuto arrestarla, ma non è più un problema, dato che è morta la scorsa estate. Ad ogni modo, nessuno è riuscito a rintracciare Letitia Ursul: è uno spettro ancor più intangibile di quanto non lo sia stata tu prima del colpo di testa che ti ha portata qui, segregata a vita. Chi è?”.
Il tombale silenzio di Delphi non si scalfì.
Cassandra strinse i denti, irritata, ma continuò: “c'è dell'altro” estrasse nuovo materiale dalla propria cartella, ma stavolta si trattava d'un vecchio libro, rilegato in pelle nera e ingiallito dal tempo “questo è una sorta di... diario personale, scritto da niente meno che Narcissa Malfoy. Suo figlio l'ha ceduto al Ministero pochi anni prima del triste incidente da te causato, ma in qualche modo è passato inosservato” ridacchiò “lo so, è assurdo: si tratta di una delle prove più sostanziose su cui esaminare il tuo caso, ma suppongo che tu abbia provocato tanto danno da costringere funzionari e Auror a dimenticarsene e dedicarsi a questioni più impellenti. Sei curiosa di sapere cosa c'è scritto sul tuo conto?”.
Delphi non si mosse ma Cassandra notò che il suo respiro s'era fermato per un istante e sorrise ampiamente: “sì che lo sei. Ebbene, la prima parte è tediosa e di poca utilità. Passiamo alle ultime pagine” si schiarì la voce “8 marzo 1998: 'io e Lucius cominciamo a temere per il nostro domani. Tutti si mostrano fieri servitori dell'Oscuro Signore, tutti fingono di credere ciecamente nella sua vittoria... molti temono che essa possa non arrivare mai. Il mondo è diventato un luogo ostile per tutti: il nemico desidera la nostra disfatta; l'amico è folle e logorato dalla smania di potere che ha avuto modo di assaporare'”.
Cassandra sorrise: “che vena poetica. Avrebbe dovuto dedicarsi alla scrittura” poi proseguì “'l'Oscuro Signore è tanto assorbito dal proprio odio e dal bruciante desiderio di portare a termine ciò che ha iniziato da non notare la faida che comincia a dividerci. Ad ogni modo, il suo ego è ormai tanto indomabile che, anche se ne avesse sentore, non vi baderebbe affatto: chi oserebbe opporsi a lui, dal momento che tutti noi ne conosciamo la crudeltà e l'infinito potere? Questo certamente è ciò che si chiederebbe. Ebbene, Letitia Ursul osa. Uno dei suoi più vecchi alleati, uno dei suoi più discreti sicari, viscida quanto la sua serpe, corrotta quanto la sua anima. Se Bellatrix combatte al fianco dell'Oscuro Signore per totale, ottusa e inspiegabile lealtà, lei lo fa perché le pare il modo più semplice per raggiungere il potere. Tutto questo trascina caos con sé e il caos è ciò che lei desidera. Tuttavia, lamenta le più palesi incertezze riguardo ai risvolti di questa guerra e teme che l'Oscuro Signore possa perirvi... già pensa a ciò che accadrà dopo, a come mantenere viva la sua missione, al tempo che le occorrerebbe e ai mezzi di cui dovrebbe disporre. Vorrebbe rimpiazzarlo, ma sa di non poterlo fare, dunque pianifica nell'ombra con la volontà di trovare un sostituto che lo faccia al posto suo. Io lo so perché ascolto e osservo con discrezione, ma Ursul si guarda bene dall'esprimere le proprie intenzioni apertamente, persino a coloro che più le sono fedeli.
“'In gran segreto ha introdotto un estraneo nella nostra casa, una bambina, di qualche mese appena. Una creatura fragile e indifesa, protetta unicamente dalla terribile arroganza di quella donna, convinta che non vi sia luogo più sicuro per celare un segreto del quartier generale in cui nessuno mai si sognerebbe di trovare macchia all'integrità del nostro operato. Ho origliato ciò che Letitia Ursul una notte ha detto a Rodolphus Lestrange, uomo pazzo e meschino quanto la donna che vanta in moglie: se mai l'Oscuro Signore dovesse perire, in futuro vi sarebbe un erede che possa prendere il suo posto. Certo, non si tratterebbe che d'una menzogna, ma in qualche modo Ursul pare convinta di poterla rendere reale e il mondo ne tremerebbe. Lei potrebbe crogiolarsi nel caos che tanto ama, giovando del potere esercitato sulla creatura da lei plasmata e dominata come mai ha potuto fare con l'Oscuro Signore. Così perpetrerebbe il suo retaggio'”.
Cassandra interruppe la lettura e ancora una volta si rivolse a Delphi: “capisci ciò che è scritto? Capisci cosa sei realmente?”.
“Sono la figlia dell'Oscuro Signore e di Bellatrix Lestrange” sibilò la prigioniera e quasi Cassandra sobbalzò sulla sedia perché non credeva che sarebbe realmente riuscita a riscuotere il suo interesse: “no” replicò nonostante lo stupore “non lo sei, sebbene questo sia il messaggio che desideravano lasciar trapelare al mondo: Voldemort ha un erede, la guerra non è ancora finita... è una menzogna: non sei figlia né dell'uno, né dell'altra.”.
“Taci, feccia” sputò con disprezzo “lo sono”.
“A quanto pare, questa Letitia Ursul ha incredibili doti persuasive: ha convinto Euphemia Rowle a prenderti con sé e Rodolphus Lestrange a sostenere la farsa della figlia illegittima della moglie perché, diciamocelo, il suo è un nome prestigioso nel vostro ambiente”.
Delphi digrignò i denti.
“Hai mai avuto a che fare con Letitia Ursul?”.
“Ovviamente” replicò in un ringhio e finalmente alzò i propri occhi su di lei: due occhi folli, specchio di una mente ferita e contorta.
Cassandra finse di non esserne intimidita: “mi serve sapere chi lei sia e dove possa trovarsi”.
Delphi sputò ai suoi piedi e tornò a fissare il pavimento.
“Che ti ha fatto?” chiese Cassandra e la sua voce era poco più che un mormorio “come ti ha reso ciò che sei? Così potente, così simile al padrone che ha avuto?”.
“Non è opera sua, ma della mia eredità che...”.
“Come ha plasmato la tua psiche a tal punto da annullare ogni tuo istinto di autoconservazione, instillare così profondamente nella tua mente bugie tanto folli e convincerti a dedicare anima e corpo a un ideale terribile come quello che lei ha servito per anni?” la ignorò l'altra.
“È mio dovere” sibilò Delphi “perché io...”.
“Nel mio mondo c'è un termine specifico per coloro che vengono trattati alla tua stregua: cavie” la sovrastò Cassandra “creature tenute in gabbia e assuefatte alla prigionia, che subiscono ogni sorta di trattamento in nome di uno scopo più grande. Quanto hai sofferto a opera di Letitia Ursul, Delphini? Quante volte il pianto dell'Augurey che sola ti faceva da amica ha accompagnato il tuo? E tutto per le folli ambizioni di quella donna. Ti ha usato come un cacciatore sadico usa il proprio segugio, gettandolo senza riserve nella tana del cinghiale a farsi massacrare, se il sacrificio è necessario a raggiungere l'obbiettivo”.
“Taci!”.
Stavolta Cassandra sobbalzò visibilmente sulla sedia e le catene di Delphi cigolarono sinistramente mentre lei si dimenava: “Letitia Ursul mi ha resa ciò che sono. Lei è la mia signora. Il male che ho patito in suo nome è giusto e io sono onorata delle speranze che lei nutre per me, perché sono la figlia dell'Oscuro Signore, ma il mio corpo e la mia magia avevano bisogno d'essere rafforzati, d'essere resi migliori affinché io potessi tenere alto il suo nome. Lei ha raccolto i nostri eserciti, lei si è procurata i mezzi necessari per farlo, perché la sicurezza della magione Malfoy è uno scherzo infantile a confronto delle sue capacità. E con lei creeremo il mondo che mio padre desiderava, ma per cui ha fallito”.
Cassandra ascoltava con occhi incerti e labbra socchiuse, stranita da tanta folle dedizione. Non c'era modo di convincere Delphi che lei fosse solo una povera strega trovata chissà dove e strappata a chissà chi quando ancora non aveva memoria per trasformarla nel mostro che ora era. In compenso, aveva ottenuto molte informazioni e, pur intuendo che la corda fosse ormai prossima al rompersi, azzardò ancora: “chi è Letitia Ursul e dove si trova?”.
Sentendo di nuovo quel nome pronunciato dalla sua bocca, l'ira di Delphi esplose definitivamente e senza controllo scosse le proprie catene, inveendo contro di lei: “tu sei feccia e una traditrice” ruggì “e sarai una dei primi contro cui la nostra collera si rivolgerà quando Letitia Ursul sarà pronta a colpire”.
Le pareti cominciarono a tremare, trucioli di pietra caddero dal soffitto e il cielo plumbeo al di là della piccola grata affacciata sull'immensa distesa marina divenne ancor più cupo. Cassandra si alzò e indietreggiò verso la porta, improvvisamente presa da viscerale paura.
Il piccolo registratore che stringeva in mano divenne bollente, tanto che fu costretta a lasciarlo cadere e avvolgerlo nel fagotto che fece della propria giacca per poterlo raccogliere.
Quell'istante di delirio fu interrotto da un gruppo di Auror che intervenne con grande prontezza. Uno di loro accompagnò fuori Cassandra e presto lei poté di nuovo respirare l'aria limpida dell'esterno.
Hagrid l'attendeva accanto alla propria motocicletta e, venendola tanto scossa e pallida, si colmò di preoccupazione.
“Sto bene” lo precedette lei “mi porti a King Cross, subito” poi aggiunse “per favore” nel tentativo di rimediare alla propria rudezza.
Appena rimise piede in terra babbana, Cassandra controllò freneticamente il proprio registratore, terrorizzata all'idea che l'esplosione di magia repressa di Delphi l'avesse fuso e tutto ciò in esso contenuto fosse andato perso. Fortunatamente, il piccolo dispositivo s'era ormai raffreddato e ogni informazione era ancora al proprio posto.
“Lo consegni a Harry Potter” ordinò a quel punto ad Hagrid “se non riesce a farlo funzionare, chieda a Scorpius e lui provvederà”.
Detto questo si voltò e, ancora terribilmente scossa ma altrettanto determinata, si dileguò tra la folla.
 

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Capitolo 12
*** Lezione di Babbanologia ***


 
Quando Albus fu chiamato nell'ufficio della Preside senza aver infranto alcuna regola si chiese quale nuova seccatura avrebbe dovuto affrontare e dentro sé temeva che vi fosse lo zampino di suo padre.
Ovviamente non si sbagliava, ma dovette attendere per averne prova.
Qualsiasi rimuginazione arrovellasse la sua mente passò in secondo piano quando la professoressa McGranitt gli disse con tono fiero e fermo: “il signor Avellock non può proseguire nel proprio incarico. Dunque, signor Potter, lei prenderà il suo posto quale Prefetto”.
Albus ne rimase a tal punto spiazzato che non riuscì immediatamente a replicare: “manca un solo mese al termine dell'anno” balbettò infine, tanto contrariato quanto sorpreso “un mese agli esami più ostici che questa scuola abbia da offrire”.
“Lei è un buon studente... per lo meno, lo è diventato. Non sarà un problema”.
“Ma, Preside, io non capisco. Non ho fatto richiesta... non voglio diventare Prefetto”.
“Se riesce a organizzare l'incontro tra una giovane babbana e un sorvegliato speciale di Azkaban senza che il capo Auror, nonché suo padre, lo venga a sapere, di certo potrà far fronte a questo incarico”.
Albus sbuffò e borbottò tra sé: “evidentemente, lo è venuto a sapere”.
Nonostante sussurrasse appena, la Preside lo sentì: “con eccessivo ritardo, oserei dire. Desidera che vi sia più controllo su di lei e quale modo migliore di questo?”.
“Mi aspettavo di trovarlo qui e di dovermi sorbire una delle sue peggiori sfuriate. Perché non è così?”.
“Perché è soddisfatto del risultato che abbiamo ottenuto e troppo orgoglioso per dirtelo apertamente”.
Albus si stupì di sentire quella voce quasi quanto di sapersi nuovo Prefetto: “Cassandra” finalmente intravide la sua discreta figura in un angolo dello studio immerso nella penombra “che ci fai qui?”.
Quella si alzò e lo raggiunse, ma la professoressa McGranitt parlò prima di lei: “suo padre, signor Potter, desidera che vi sia più controllo anche sulla signorina Goodman, per questo sarà brevemente nostra ospite, mentre cercano di acquietare le acque che voi avete così impunemente agitato. Affiancherà la professoressa Melisan nel corso di Babbanologia”.
“Non remunerata” sussurrò Cassandra all'orecchio di Albus.
“Certo che no” replicò seccamente la Preside, col suo solito udito felino “lei è la prima babbana a metter piede in questa scuola da... be', da sempre. Dovrebbe esserne onorata”.
“Oh, ma lo sono. Non desideravo sembrare scortese” si ricompose rapidamente.
“Il nostro guardiano Ranaerte sta provvedendo a sistemare un alloggio per lei che sia il più confortevole e accogliente possibile, signorina Goodman. Sarà pronto entro stasera, dopo la cena cui lei parteciperà, alla tavola dei docenti” così la professoressa McGranitt concluse e li congedò.
Albus si guardò attentamente dal riferire a Scorpius quanto accaduto e, in quel caso più per curiosità che per timore, non gli confidò della temporanea permanenza di Cassandra ad Hogwarts: il giovane Malfoy lo scoprì solo durante il pasto serale quando, alzando distrattamente lo sguardo, la scorse nell'angolo più remoto della lunga tavola. La professoressa Melisan sembrava non darle tregua, mentre Cassandra avrebbe desiderato solo un po' di quiete e di tempo per scacciare il disorientamento.
D'istinto Scorpius balzò in piedi, come se questo potesse aiutarlo a inquadrarla meglio e dissipare ogni dubbio, ma subito la mano della ragazza si mosse verso di lui e, per quanto discreto fosse quel gesto, il ragazzo lo comprese chiaramente. Sedette di nuovo al proprio posto, più stranito che mai.
Poco prima di ritirarsi per la notte, Scorpius la seguì per un corridoio e la raggiunse di corsa: “Cass” la chiamò a gran voce “perché ti trovi ad Hogwarts?”.
Lei accampò sbrigativamente una scusa, perché non era certo il caso che lui sapesse quanto accaduto ad Azkaban, ma era disorientata dal labirinto scolastico in cui stava vagando e poco incline a pensare, tanto che si dimenticò persino d'accennare che Albus fosse diventato nuovo Prefetto. In realtà fu un bene, perché lui stesso le aveva raccomandato di non spargere la voce, ma in quel momento era troppo in ansia persino per ricordarsi di questo: “mi sono persa” ammise infine “le mie stanze dovrebbero essere vicine a quelle di un certo Ranaerte, ma credo di essermi lasciata sviare dalle scale e...”.
“Non ti preoccupare” la rassicurò lui “ti ci accompagno io. Quindi” deviò poi “ti hanno invitata qui per ripagarti dell'aiuto che hai concesso a mio padre”.
Cassandra lo squadrò stranita, poi comprese: aveva accennato al Ministero, al suo coinvolgimento nel processo contro Draco Malfoy e a come la McGranitt fosse interessata a farla interagire con gli studenti, che spesso e volentieri non vedevano babbani se non a distanza e con lo stesso interesse che avrebbero dedicato a un animale da circo: “sì” continuò a improvvisare “dopotutto, ormai è un professore. Ho fatto un favore alla scuola, scagionandolo”.
“Qual è il tuo programma per domani?”.
“Affiancherò la professoressa Melisan durante l'ora di Babbanologia”.
“Una babbana a Babbanologia: ha senso, anche se non è mai accaduto prima”.
“Mi sento già a disagio”.
“Niente panico. Salterò Storia della Magia per farti da supporto morale”.
Lei rise: “davvero?”.
“Certo. Sarò la tua spalla: mi limiterò a starmene sulla porta e guardarti in silenzio, ma la mia energia positiva ti colmerà di coraggio e fiducia in te stessa”.
Parole rincuoranti, non c'è dubbio, ma che valsero a poco quando Cassandra si ritrovò di fronte a una classe di ventitré studenti in parte annoiati e in parte incuriositi dalla sua presenza. Erano alunni del quarto anno e, in realtà, la maggioranza dei ragazzi si interessò molto più al suo bel viso e alle sue gambe che non al suo essere babbana.
Pensò tra sé d'aver affrontato uno dei più pericolosi criminali del mondo magico uscendone incolume e che una classe di Hogwarts sarebbe stata una bazzecola al confronto. Poi sbirciò Scorpius che sorrideva incoraggiante dalla soglia, proprio come le aveva promesso, e si sentì molto rinfrancata.
La professoressa Melisan la introdusse con entusiasmo e, come suo solito, cercò di prendere in mano le redini della lezione, relegando Cassandra al ruolo di interessante ma quieto ospite. Non ebbe successo e presto una mano balzò in aria: “perché secondo te alcuni maghi disprezzano i babbani, ritenendovi inferiori a noi?” fu la prima domanda.
Cassandra ridacchiò e la professoressa Melisan si sentì improvvisamente a disagio: “nessuno disprezza nessuno, qui”.
“No, no, la sua domanda ha senso” la interruppe la ragazza “e io credo di avere una risposta”.
Sedette sulla cattedra e quel gesto irritò lievemente la professoressa, che comunque non commentò.
Cassandra continuò: “secondo la legge del taglione, potremmo persino dire che quei maghi ne hanno diritto, in qualche modo: i babbani sanno essere ottusi e odiano ciò che non conoscono o li spaventa, per questo hanno perseguitato molti di voi in passato. Ad ogni modo, tutto questo è accaduto troppo tempo fa per poterlo ancora accettare quale giustificazione. Il vero motivo, probabilmente, sta nel fatto che siete più rapidi di noi”.
“Più rapidi in cosa?”.
“In ogni cosa: la magia vi aiuta, vi consente di raggiungere i vostri obbiettivi con minor fatica, siano essi piccoli o grandi. Con una bacchetta in pugno avete il mondo intero a disposizione. Date a me una bacchetta e non sarò altro che una babbana con un bastoncino in mano... e anche piuttosto pericoloso. Così come sono non posso nulla. Certo, questo cambierebbe se mi fossero concesse le magie ottenute dalla nostra tecnologia. Datemi un telefono, o una torcia, o un'automobile. Datemi un computer. Datemi Internet. A quel punto, potrei tenervi testa. Ma ciò che per voi è immediato, per noi babbani spesso è proibitivo, costoso e, ad ogni modo, estraneo a noi stessi”.
“Come sai tanto di noi?” chiese una ragazza, comprensibilmente perplessa.
“Mia sorella ha studiato qui”.
E un altro domandò con fare provocatorio: “non la invidi?”.
“Certo” esclamò Cassandra con grande sincerità “mai l'ho nascosto e mai ho finto che non fosse così. Aveva un potere splendido e a me precluso: non era speciale all'interno della comunità magica, ma lo era per noi; io non sono speciale tra i babbani, figurarsi tra voi” ridacchiò e ancora più studenti arrossirono di fronte al suo sorriso “ora la cosa non mi tocca, ma da bambina non era altrettanto semplice”.
“Di che ti occupi, nel tuo mondo babbano?”.
“Studio, come voi”.
“Cosa?”.
“Studio come persuadere le persone. Come farle ragionare. Come difendere coloro che ne hanno bisogno e accusare coloro che sono colpevoli. In un mondo ideale questo è ciò che farebbe un avvocato. Non temete, però, la corruzione e gli animi loschi non appartengono unicamente al mondo magico. Ci sono molte mele marce tra noi, come tra voi”.
La discussione durò a lungo, ma alla fine la lezione terminò e fu una delle rare occasioni in cui i ragazzi ne sembrarono scocciati.
“La signorina Goodman resterà con noi per qualche giorno” assicurò la professoressa Melisan “trattiamola con riguardo e impegniamoci perché si senta a casa”.
“Un discorso piuttosto modesto per qualcuno che afferma di non esserlo” commentò Scorpius quando Cassandra uscì dall'aula.
“Penso ciò che ho detto”.
Lui si limitò a sorridere, senza replicare.
“Che c'è?” insistette lei, intuendo che vi fosse un pensiero imbrigliato nella sua mente.
“Niente... voglio dire, qualcosa ci sarebbe, ma suonerei stucchevole e, conoscendoti, ti sgorgherebbe latte dalle ginocchia”.
Furono interrotti da una stretta portentosa che cinse le spalle di entrambi e Albus sbucò tra i due: “dunque!” esclamò nelle loro orecchie “ora che sono il terzo incomodo, direi di fare ciò che è di dovere a ogni terzo incomodo: mettermi in mezzo e rovinarvi la festa”.
“Io sono il terzo incomodo, Albus” lo corresse Cassandra.
“Sei adorabile, ma temo che ti sbagli. Allora, come è andata?”.
“Bene... credo”.
“Molto bene” la corresse Scorpius.
“Questa ragazza è nata per comandare”.
“Non ho comandato nessuno” replicò Cassandra e faticava a ignorare la calca di studenti che fingeva di fluire nei corridoi, ma che in realtà gravitava attorno al trio con immenso interesse, incuriosita dall'ospite babbana.
Solo la corpulenta stazza di Hagrid riuscì ad aprirsi un varco per correre dai ragazzi: probabilmente li stava cercando da un pezzo e li chiamò con voce tonante.
“Che succede?” chiese Albus, allarmato.
“Nulla, nulla” assicurò il mezzo gigante, riprendendo fiato “ma tra poco ho lezione e dovevo parlarvi subito. Sapete, visto che l'interrogatorio di Cassandra a Delphini è andato così bene...”.
A quelle parole Albus s'irrigidì come un lampione.
“Cosa hai fatto?” mormorò Scorpius, allibito dalla notizia.
Cassandra rimase ammutolita.
“Non dovevo dirlo” borbottò Hagrid, a disagio “ma...” cercò goffamente di rimediare “l'idea di Albus è stata buona e...”.
“Tu l'hai portata da lei?” stavolta la voce di Scorpius proruppe potente e colma d'accusa, riversandosi sull'amico.
“Non avrei dovuto dire neanche questo” si rimbrottò di nuovo Hagrid, ma presto la sua figura, per quanto colossale, divenne invisibile ai ragazzi, che diedero il via a una discussione molto animata: “non parlargli come se fosse responsabile delle mie azioni” rimproverò Cassandra “mi ha fatto una proposta e io l'ho accettata”.
“Hai idea di chi Delphi sia?” scandì Scorpius parlando a un soffio da lei, come se temesse di non poter essere compreso con la dovuta chiarezza.
“Certo che ne ho” replicò la ragazza, sorpresa dalla sua foga.
“No, non ne hai” la zittì lui “non l'hai sentita vaneggiare mentre si librava in aria come un demone, non l'hai vista uccidere per puro divertimento, non hai provato sulla tua pelle la crudeltà delle sue maledizioni”.
“Immagino che voi, invece, sì” concluse Cassandra, ma non c'era ironia o scherno nella sua voce, solo disorientamento.
“Io sì” la corresse Scorpius con convinzione “ho sopportato un dolore che non credevo fosse possibile sopportare, più volte e solo perché rifiutavo di piegarmi al suo volere” sospirò, deluso e terribilmente preoccupato “farai la fine di tua sorella, Cassandra”.
“Il mio mondo patisce il suo male non meno del tuo” si giustificò lei.
“Quindi sobbarcati il peso di entrambi” inveì Scorpius con amaro sarcasmo “devi starne fuori, Cass. Devi lasciar perdere questa faccenda e non m'importa se ti senti offuscata dall'ombra di un tuo caro che ha compiuto qualche impresa nobile e stupidamente eroica prima di morire. Agire senza badare al rischio pare un vostro difetto di famiglia e non mi stupisco delle conseguenze che tua sorella ha dovuto subire se questo era il suo modo di...” fu interrotto da un sonoro schiaffo.
Il silenzio piombò come un macigno e persino la folla di curiosi era muta come una catasta di stoccafissi.
Lo sguardo di Cassandra si colmò di rabbia e offesa e lei non badò allo stupore di Scorpius, né alla sua guancia paonazza: “puoi ritenerti superiore a me, Scorpius Malfoy, ma non lo sei” sibilò a quel punto “non sei il mio capo, non sei il mio padrone e non puoi darmi ordini o impormi dei divieti” detto questo gli voltò le spalle e andò via con passo di marcia.
“Cass, hai frainteso” lui cercò di rimediare, ma con troppo ritardo.
Stette a guardarla finché gli fu possibile, poi la figura di Cassandra sparì oltre le scale e anche lui si voltò per allontanarsi in direzione opposta.
La folla si dissipò. Alcuni erano colmi d'imbarazzo, altri soddisfatti dello spettacolo cui avevano assistito.
Rimasero solo Albus e Hagrid, impalati nel corridoio come statue.
“Credo sia colpa tua” fece notare il professore. Le sue parole erano schiette e innocenti, ma non per questo evitarono di pungere dolorosamente l'animo del ragazzo.
“Grazie, Hagrid”.
Il mezzo gigante non era certo che vi fosse del sarcasmo nella voce di Albus, ma la sua mente, per quanto ingenua, fu fortemente sfiorata dall'idea.
 

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Capitolo 13
*** Rimpatriata ***


 
Era ormai sera inoltrata.
Scorpius bussava insistentemente, senza ottenere risposta.
Quando Cassandra si arrese alla consapevolezza che avrebbe continuato tutta la notte fino a sfondarsi le nocche se solo non gli fosse stato concesso qualche minuto, aprì la porta di controvoglia e gli si piazzò di fronte con sguardo scocciato e altezzoso.
“Cass, per favore, non volevo mancarti di rispetto” cominciò Scorpius prima ancora che lei potesse aprir bocca “ma tu hai frainteso e hai reagito nel modo sbagliato”.
Lei tacque, continuando a fissarlo, e quel silenzio sembrava smangiarlo: “andiamo, Cass, cosa vuoi che faccia?”.
“C'è una parola, molto semplice ma d'incredibile valore, se detta col cuore. Pare che gli appartenenti alla tua casata fatichino parecchio a pronunciarla” rispose la ragazza.
“Tutto qui?”.
“Ancora non l'ho sentita”.
Scorpius sospirò: “mi dispiace per ciò che ho detto e ti chiedo scusa” scandì chiaramente.
Cassandra sospirò con un mezzo sorriso: “e io ti chiedo scusa per lo schiaffo. Non avrei dovuto. Soprattutto, non avrei dovuto mentirti”, ma lui scrollò le spalle: “immagino tu avessi previsto la mia reazione”.
“È così... quindi, a domani” concluse.
“A domani” ricambiò il ragazzo, ancora incerto, ma non accennava a muoversi.
Cassandra ridacchiò e fu con molta più affabilità che gli augurò la buona notte, così che si mettesse il cuore in pace.
Finalmente Scorpius rimase solo nel corridoio, o così credeva.
“È stato facile”.
La voce di Albus lo fece sussultare e come un'ombra l'amico uscì allo scoperto dopo aver con ogni probabilità assistito all'intero confronto: “credo di dovermi unire alle scuse, anche se per motivazioni più... spinose, diciamo così”.
Con lui Scorpius non fu né paziente, né amichevole: “fottiti, Potter” replicò voltandogli le spalle e incamminandosi speditamente verso i dormitori.
“Cosa?” esclamò Albus seguendolo “con lei le scuse sono bastate. Che ne è del nostro invalicabile amore fraterno? Ho fatto ciò che ritenevo giusto, abbiamo ottenuto un ottimo risultato e nessuno si è fatto male”.
“Almeno ricordi di cosa Delphi sia capace?” inveì Scorpius a quel punto, affrontandolo “ricordi cosa ci ha fatto? Tu hai lasciato che Cassandra la interrogasse. Una babbana, sola, nella stessa stanza di quella pazza maniaca”.
“Era incatenata all'interno di una cella di Azkaban” replicò esasperato.
“Era e rimane Delphini Diggory” lo zittì, poi sospirò “Cassandra... lei non è un giochetto adolescenziale o una sfida con me stesso. Lei è importante, lo capisci? Non... non rischiare la sua vita” e, detto questo, se ne andò una volta per tutte.
“Lei è importante” Albus gli fece il verso una volta rimasto solo “è geniale e determinata, ecco cos'è” continuò a parlare per conto proprio “sarebbe stupido fingere il contrario”.
Vi fu un lampo nel buio, timidamente filtrato dalle fronde del Platano Picchiatore, e quasi senza rendersene conto Albus si avvicinò a una delle finestre del corridoio. Vide ben poco di ciò che si celava nel paesaggio, perché la sera era ormai inoltrata e l'illuminazione interna cozzava con la sua tenebra. Si affacciò ai vetri e vide solo il proprio riflesso, ma non se ne preoccupò, perché la sua mente vagava ancora in caotici pensieri e a malapena s'era accorto di quell'insolito squarcio nella quiete notturna.
Dopo pochi istanti, però, un'ombra guizzò alla sua sinistra e solo per pura fortuna Albus fece in tempo a scorgerla. Svoltò l'angolo con rapidità, ma senza abbandonare l'approccio furtivo.
Una figura snella e austera camminava speditamente nella penombra e lui impiegò un solo istante a riconoscerla. Chiamò il suo nome a gran voce e Draco Malfoy si voltò come se una vampata di fiamme avesse minacciato d'arroventargli il volto. Di certo aveva riconosciuto la voce del ragazzo, ma questo non smorzò la sua sorpresa, perché era piuttosto distratto, in quel momento, e i suoi pensieri si concentravano su altre questioni.
“Perché non sei nel tuo dormitorio?” chiese malcelando la più profonda irritazione.
Albus sorrise sornione, scostando la tasca della propria uniforme per mostrare la spilla da Prefetto: “supervisiono i corridoi”.
“Sappiamo entrambi che supervisionare i corridoi sia l'ultimo dei tuoi pensieri”.
Era ben noto che Albus e suo padre non parlassero molto, ma qualche volta Harry gli aveva accennato del professor Severus Piton e del suo atteggiamento costantemente ostile e disgustato. Ovviamente lui non poteva esserne certo, ma lo sguardo e il tono di voce che Draco gli rivolse in quel momento dovevano somigliargli parecchio.
“Tu che ci fai in giro?” era trascorso molto tempo dall'ultima volta in cui l'arroganza e il forzato disprezzo di Draco Malfoy erano riusciti a intimidirlo.
“Questioni da professore che non ti riguardano”.
“Che ha il tuo braccio?”.
Draco ormai non poteva nascondere la mano che da troppo tempo carezzava il suo avambraccio sinistro. Sbuffò esasperato e gli voltò le spalle: “Scorpius è più che sufficiente, non mi occorri anche tu”.
Tuttavia, Albus lo seguì: “mi hai paragonato a lui. È adorabile. Problemi con qualche ex Mangiamorte? Ti chiamano per una rimpatriata?”.
Draco non rallentò d'un solo passo e parlava guardando dritto avanti a sé: “sono l'unico Mangiamorte a piede libero” ma Albus rise: “il Ministero non conosce il vero numero di coloro che erano stati marchiati da Voldemort e dai suoi sottoposti nel corso della guerra magica, prima della vostra... scusa, della loro sconfitta. Allora? Credi che ti divertirai?”.
Quasi sbatté contro il mento di Draco quando questi si voltò di botto, fermandosi nel mezzo d'una rampa di scale: “ascoltami bene. Sei Prefetto. È ciò che hai detto, o sbaglio?”.
“Purtroppo lo sono” rispose molto titubante.
“Allora dà una mano a noi professori. Raccogli i Serpeverde dei primi quattro anni e accompagnali nella Foresta Proibita”.
“Gli studenti non possono...”.
“Possono, se hanno il permesso diretto della Preside” lo zittì “troveranno Hagrid ad attenderli. Quel vecchio demente dovrà badare a decine e decine di studenti in una notte come questa” borbottò a denti stretti.
“Una notte come questa?” Albus cominciava a mostrare sincera preoccupazione e lo sguardo che Draco gli inviò non lo aiutò di certo: “ci sarà una rimpatriata, ma nessuno si divertirà” detto questo gli voltò le spalle e se ne andò lesto e schivo come un'ombra.
Albus era troppo scosso per seguirlo ancora. Aveva cercato di provocarlo, di attirare la sua attenzione, punzecchiandolo nelle questioni che più sapeva lo infastidissero, ma mai avrebbe immaginato d'essere vicino al vero.
Non aveva idea di cosa stesse accadendo, ma ne intuì la gravità. Gli studenti erano in pericolo e i più piccoli dovevano essere portati al sicuro quanto prima. Mentre procedeva a passo di marcia verso i dormitori pensò a una qualche scusa che potesse convincere i suoi compagni a scomodarsi dai loro letti senza seminare il panico.
“Il guardiano Ranaerte ha dimenticato di diffondere i necessari avvisi e i professori non hanno avuto modo di farvene parola perché è arrivata conferma solo stamattina” parlò a perdifiato non appena un gran numero di giovani Serpeverde cominciò ad accalcarsi insonnolita e disorientata nella sala comune “Fiorenzo e la professoressa Cooman aspettano gli studenti di Hogwarts, purché non abbiano oltrepassato la soglia del quarto anno scolastico, per una lezione astronomica all'interno della Foresta Proibita”.
Il coro di protesta fu portentoso.
“Lo so, ragazzi” Albus finse empatia, ma non era bravo a nascondere la propria ansia “sapete che la Preside tiene a questo genere di scambi interculturali. Non saranno che un paio d'ore”.
Si stava avviando con la giovane squadra quando Scorpius sbucò dal nulla e lo prese in disparte: “che succede?” chiese.
“Per Silente, sei proprio mio degno allievo” replicò Albus, preso alla sprovvista dalla sua entrata improvvisa.
“Allora?” insistette.
Albus sospirò e si guardò attorno, come temendo orecchie celate oltre i muri e occhi puntati su di loro da dietro ogni angolo: “qualcosa si è smosso e non è una buona cosa”.
L'altro gli impedì di voltargli le spalle: “come lo sai?”.
“Tuo padre me ne ha parlato”.
La voce di Scorpius era appena udibile: “cosa si è smosso?”.
“Mangiamorte”.
“È assurdo: non ci sono più Mangiamorte”.
“Ti sbagli. E ti conviene avvisare Cassandra di non muoversi dalle sue stanze: se sapessero di una babbana tra queste mura, la farebbero a pezzi sotto gli occhi di tutti” lo squadrò con preoccupazione “a essere in te, mi nasconderei con lei”.
“Sai qualcosa che io non so?”.
“Eccome” ammise senza troppe remore “tutto ciò che Cassandra ha scoperto nel corso del suo interrogatorio a Delphi. Fidati di quel che ti dico e sta in guardia” detto questo, non permise più a nulla di distoglierlo dal proprio compito e, quando Scorpius gli chiese perché mai l'incarico di scortare le prime classi al di fuori della scuola fosse stato affidato proprio a lui, Albus lo stupì mostrandogli di sfuggita la spilla da Prefetto che fino a quel momento era così efficientemente riuscito a nascondere.
Si allontanò dall'amico con passo spedito e i ragazzi lo seguirono diligentemente solo quando mostrò la spilla così come aveva fatto con Scorpius. Non capivano perché il loro Prefetto li facesse passare per corridori secondari e camminare all'esterno della scuola con tanta circospezione, procedendo nell'ombra e nel silenzio, ma immaginarono che fosse una qualche imposizione della Cooman, così da prepararli spiritualmente all'incontro che si sarebbero dovuti sorbire ben oltre gli orari di lezione.
Né Albus né Hagrid parlarono quando il ragazzo consegnò gli studenti nelle mani fidate del professore, ma sul volto di entrambi era leggibile preoccupazione e paura.
“Resta con noi” propose il mezzo gigante quando l'altro s'incamminò.
“Non posso” rifiutò “mia sorella è dentro” e si allontanò rapidamente, così da non cadere in tentazioni che considerava meschine e terribilmente vigliacche.
Per un istante credette che l'angoscia di saperla in pericolo facesse frusciare nella sua testa la voce acuta e spaventata di Lily, ma scoprì presto che la realtà fosse ben peggiore e, solo perché il buon senso era più forte del suo istinto, ebbe l'accortezza di ripararsi all'ombra di una siepe anziché scaraventarsi stupidamente allo scoperto.
Vide così due uomini possenti e abbigliati in vesti scure contendesi la ragazza che inveiva contro di loro e cercava inutilmente di sfuggire alla cattura.
“È una Potter” ringhiava uno di quelli “è purosangue”.
“Con una nata babbana per nonna materna” fece notare l'altro “che purezza è mai questa? Meglio un Flint, o un Macmillan”.
“Ma qui ora abbiamo una Potter!” inveì ancora “e magari il marmocchio che era con lei ci avrebbe fatto altrettanto comodo, se non se la fosse svignata come un sorcio”.
Un lampo saettò verso l'uomo che strattonava il braccio di Lily: questi fu sbalzato contro un muro di pietra e lì rimase, privo di sensi.
L'effetto sorpresa di Albus s'era già bruciato. Dovette uscire allo scoperto per affrontare il secondo energumeno, perché questi stringeva Lily a sé e lui temeva di colpire il bersaglio sbagliato.
“Oh, Tim, è un peccato che tu ora sia steso” rise l'uomo e vi era qualcosa di terribilmente bestiale nel suo sguardo e nella sua voce “ora i Potter sono due”.
“Lasciala” intimò Albus.
“Altrimenti, marmocchio?”.
Albus non replicò: aveva paura di far del male a Lily e non sapeva come offendere efficacemente quello che la teneva in ostaggio senza coinvolgerla.
Uno scoppio secco e acuto vibrò attraverso le vetrate di una delle torri settentrionali e l'uomo fu distratto: il suo sguardo si alzò, la presa su Lily s'allentò e lei cercò di sfruttare quell'istante di disattenzione per divincolarsi e fuggire. Ci riuscì e, prima di darsela a gambe, prese saldamente la mano del fratello per trascinarlo con sé: corsero a perdifiato mentre l'uomo li inseguiva inferocito. Avevano quasi raggiunto la capanna di Hagrid quando un lampo rosso colpì Albus al petto e quello stramazzò a terra dolorante.
Un terzo uomo in nero avanzò tra le ombre della sera e non era né impacciato, né teso quanto gli altri due. Camminava con aria fiera, ostentatamente arrogante e, alto e massiccio com'era, dava l'impressione d'essere un guerriero temibile. Disarmò Lily prima ancora che lei potesse alzare la bacchetta. La ragazza ignorò i brontolii di Albus che le intimavano di scappare. Rimase al suo fianco e tremava di paura, ma lo aiutò a mettersi a sedere e non abbassò un solo istante lo sguardo da quella figura scura che si faceva sempre più vicina.
Fu un volto maturo, bello e meschino quello che infine riuscirono a scorgere nella pallida luce lunare e ad Albus sembrò di conoscere quegli occhi, affilati e celesti, ma non ne capiva il motivo.
L'uomo era ormai a un passo da loro quando una voce risuonò nell'intera piana, espandendosi per tutta Hogwarts; la voce di una donna che parlava quietamente, ma con malignità: “non desideriamo inutili disordini. Che tutti gli studenti vengano condotti in Sala Grande, dove potremo parlare e confrontarci civilmente. Non fatevi attendere, ragazzi” proseguì, simulando accondiscendenza “i professori sono già tutti qui e così gran parte dei vostri compagni”.
Poi cadde di nuovo il silenzio.
L'uomo ghignò: “siete fortunati” con un solo colpo di bacchetta incatenò le mani dei due ragazzi e li costrinse al suo fianco perché lo seguissero “Letitia vi vuole vivi, per ora”.
 

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Capitolo 14
*** Parenti serpenti ***


 
C'era una donna nella Sala Grande. Una donna abbigliata in nero e argento, alle cui spalle scalpitava un vero e proprio esercito, decine di maghi che occupavano una buona metà dell'intero ambiente. Lei era impaziente ma austera e, sebbene fosse ormai prossima ai sessanta, dava l'impressione d'essere forte e vigorosa.
Non era soddisfatta dalla mole di prigionieri che era riuscita a raccogliere attorno a sé: meno della metà degli studenti di Hogwarts attendeva irrequieta alle spalle dei propri professori. Neville non faceva che inviare occhiate angosciate ma decise alla Preside McGranitt, perché la vedeva fiera e integerrima, ma anche scossa da profonda angoscia, per quanto impegno mettesse nel nasconderlo.
“Ricordavo questa scuola molto più popolosa” commentò la donna con voce tonante, ampliata da un incantesimo sonorus “posso immaginare dove abbiate rintanato i vostri pupilli più giovani, ma non temete: non sono di mio interesse. È il prodotto migliore che abbiate da offrire quello che ora vedo di fronte a me” e sorrise con grande soddisfazione.
Le mani di Neville attendevano frementi, già pronte a impugnare la bacchetta. Quelle della McGranitt, invece, si stringevano l'una nell'altra, ostentando indifferenza di fronte alla minaccia.
Forse anche per questo Neville continuava a sbirciarla con sguardi fugaci e irritati: desiderava che stesse pronta, ma in quel momento a lui sembrava d'esser l'unico disposto a ingaggiar duello pur di proteggere i ragazzi: i suoi colleghi attendevano sull'attenti, ma non davano l'impressione d'essere sul piede di guerra; la professoressa Melisan tremava come una foglia e, per quanto ne sapeva, Draco Malfoy non era presente.
“Non si affanni troppo, Preside” rise acidamente la donna “non ha colpe, se un tale numero di... forestieri è riuscito a penetrare nella sua adorata scuola”.
“Mi piacerebbe conoscere il nome di colei che invade la mia casa” il contegno della McGranitt era strabiliante.
Quella sorrise: “Letitia Ursul. Forse avrete sentito di me: ero braccio destro di Lord Voldemort, quando la guerra imperversava per l'intera nazione e oltre” attese, ma c'era solo smarrimento e dubbio negli sguardi di coloro che ricambiavano il suo “no?” chiese sardonicamente, poi rise di nuovo “certo che no. Io ho impedito che il mio nome divenisse di dominio pubblico. Ora, purtroppo, mi trovo costretta ad agire”.
“Perché mai, se mi è concesso saperlo?” insistette la Preside.
“Il tempo dell'ozio è finito. Le ferite sono sanate. È giunto il momento di rivendicare ciò che è mio. Melisan, mia cara”.
La donna interpellata fu scossa da un tremito che quasi la fece barcollare.
“Non temere” Ursul tese una mano verso di lei “vieni da me” e, sotto gli occhi increduli di colleghi e studenti, quasi fosse trascinata da una forza che non le apparteneva, la professoressa di babbanologia si fece avanti per raggiungerla.
“Io ti ringrazio” scandì Ursul quando le sue mani si strinsero sulle spalle di lei “per l'aiuto che ci hai dato”.
“Melisan!” esclamò la McGranitt, sconvolta e inferocita.
“Oh, no” la zittì Ursul “non abbiatene con lei: la colpa è mia. Per meglio dire, la colpa è della sua mente facilmente dominabile e del mio talento innato per la manipolazione: la maledizione Imperio è tremenda” rise aspramente “per mesi ho guardato attraverso i suoi occhi e per mesi ho agito attraverso le sue mani” carezzò il volto di Melisan come se fosse di seta “lei ci ha permesso di entrare”.
“Idiozie” sbottò Neville “un idiota avrebbe notato tutti questi maghi oltre il confine. Se non desideri parlare, almeno non mentire e dicci cosa vuoi”.
“Oh, ma io non mento. Il più astuto degli uomini non vede ciò che non può essere visto”.
I denti di Neville digrignarono: “neppure Voldemort in persona avrebbe potuto congiurare un incantesimo d'invisibilità così esteso”.
“Non ho parlato d'incantesimi” Ursul scrollò le spalle con sufficienza “io ho parlato di tempo e dedizione, di fatica e fallimenti, che infine hanno condotto a un eccelso risultato. Dov'è l'ormai esponente dei nostri antichi alleati? Dov'è Draco Malfoy? Era un ragazzo, l'ultima volta che l'ho visto”.
Neville e la McGranitt si inviarono uno sguardo scettico: avevano temuto che l'unico professore in quel momento assente avesse mostrato il lato più meschino della propria personalità, schierandosi un'ultima volta dalla parte del nemico, ma se Letitia Ursul chiedeva di lui e affermava di non avere sue notizie da così lungo tempo, allora di certo non erano in combutta. Ciò che la donna aggiunse subito dopo, però, fece vacillare le loro supposizioni: “i miei ringraziamenti vanno anche a lui”.
“Ti piace perder tempo, Letitia” la incalzò Neville e a fatica Ursul trattenne la propria irritazione, perché cominciava a detestarlo, ma per ragioni che loro ancora non conoscevano non desiderava fargli del male.
“Ho saputo che gli è stata concessa la cattedra di Pozioni. Ottima scelta, Preside McGranitt” lo ignorò invece “tuttavia, non avete mai compreso il suo potenziale, persino quand'era studente. Arrogante, prepotente e vizioso. Questo sembrava... questo era” ammise “e il suo talento ne è sempre stato offuscato. Ma se aveste saputo cosa è riuscito a compiere, quali obbiettivi ha saputo raggiungere, in tutti questi anni di silenziosa solitudine cui si è costretto, allora avreste dato più credito al suo operato e alla sua ricerca. Il nostro Draco era consapevole dei rischi che potevano derivare dalle sue creazioni. Molte le ha messe sotto chiave. Le ha rese irraggiungibili... o così sperava. Sono occorsi quattordici mesi per la realizzazione di quello che sono certa sia il miglior prodotto magico dai tempi della grande guerra e ora decine di uomini si ergono davanti a voi, dopo esservi scivolati sotto il naso senza nemmeno che lo sospettaste”.
Finalmente ebbero spiegazione a molti degli interrogativi che per mesi avevano arrovellato i loro pensieri, ma non ne furono soddisfatti: innanzitutto, scoprirono che non ne avrebbero ricavato alcun aiuto e, in secondo luogo, quelle risposte non fecero che creare nuove domande.
“Quel vigliacco desidera davvero farla franca” ghignò Ursul “non me ne farò un cruccio. Non è l'unico Malfoy presente” schioccò le dita e la schiera di maghi alle sue spalle si aprì. Due uomini ammantati si fecero avanti con un prigioniero al seguito. Lo gettarono malamente a terra e strapparono il cappuccio che avevano calato sul suo capo.
La McGranitt avanzò d'un passo senza pensare e Neville estrasse la bacchetta, ma quando altri professori diedero cenno di voler fare altrettanto, l'intera schiera nemica si armò e nessuno ebbe più il l'ardire di farsi avanti. Poche bacchette e molti studenti spauriti contro decine di maghi esperti e spietati: persino il più impavido era costretto a dar retta al buon senso, in una situazione simile.
Ciononostante, dal naso di Scorpius colava un rivolo di sangue e non dava l'impressione d'esser stato trattato coi migliori riguardi.
“L'abbiamo trovato mentre cercava riparo per l'ala orientale del castello, assieme a una giovane babbana che...” Ursul strinse i denti, disgustata “è riuscito a far fuggire”.
In quel momento, in lei c'era solo disprezzo per i due scagnozzi incompetenti che, seppur capaci di prelevare il giovane Malfoy, s'erano lasciati scappare la ragazza. Ancora non sapeva che, desiderosi di porre rimedio al terribile fallimento, s'erano addentrati nei padiglioni esterni di Hogwarts alla ricerca della fuggitiva e ancora una volta avevano fallito, facendosi bagnare il naso dai due giovani Potter.
Letitia si chinò accanto a Scorpius che, per quanto terrorizzato, sosteneva il suo sguardo caparbiamente. Lei gli prese il volto con la destra: “somigli a tuo padre, ma c'è molto dei Greengrass in te: un animo ardito e un coraggio ingenuo, ma temibile. Tuttavia, resti pur sempre un Malfoy e non posso pretendere troppo da ciò che sei. Un uomo non può scegliere di ripudiare la propria vigliaccheria”.
“Credi che io sia un vigliacco?” bofonchiò Scorpius, le cui labbra erano tagliate e gonfie per il colpo secco che aveva ricevuto al mento. Sputò sangue e disprezzo sul volto di Ursul che ne fu così sorpresa da non riuscire a scansarsi in tempo.
“Ecco la mia vigliaccheria” sibilò il ragazzo.
Uno degli uomini di Letitia si fece avanti per allontanarlo e punirlo a dovere, ma lei lo fermò. Si pulì il viso e sorrise ampiamente.
C'era un'ombra tangibile di follia nel suo entusiasmo: “sì” annuì estasiata “sì... non ci occorre suo padre se abbiamo lui. Marchiatelo” ordinò poi con rinvigorita autorità.
Due uomini presero il ragazzo per le spalle e sul volto di lui sorse finalmente sincero e viscerale panico.
“La tua pupilla ha tentato di uccidermi più d'una volta” azzardò disperatamente “ora tu vuoi che sia dei vostri?”.
Ursul sospirò, fingendo sconforto e rassegnazione: “Delphini, povera miserabile. Vedete perché sono stata costretta ad agire? Non delegare ad altri ciò che dovresti fare tu stesso: ne otterresti solo delusione e contrattempi. Sono felice ed estremamente sollevata che se ne stia a marcire in una cella” lo guardò per un lungo istante, in silenzio “marchiatelo” ribadì infine.
Di certo Scorpius non semplificò il loro lavoro: due maghi cercavano di tenerlo fermo mentre una strega ammantata di blu muoveva fluidamente la propria bacchetta per eseguire l'ordine della sua signora, ma non era semplice se il soggetto su cui applicare il marchio si agitava come un'anguilla.
Quando Ursul fu a un passo dal perdere del tutto la pazienza, il suo nome risuonò per la Sala, pronunciato da una voce carica e tonante.
Lei si rizzò come un avvoltoio: “temevo ti fossi perso” commentò con sarcasmo.
“Prendi decisioni simili senza di me?” la provocò l'uomo in nero che avanzava trascinando dietro dius3 sé due ragazzi ammanettati da catene incantate.
“Sono forse due Potter, quelli?” chiese Ursul.
“In carne ed ossa”.
“Lascia che vadano dai loro cari professori, tutti impietriti come statuine. Hanno così paura di far scatenare una battaglia e veder morire qualche studente, da permettere che uno di loro venga torturato” la provocazione della donna colpì Neville come una saetta e lei ne era consapevole, perché lo guardò di sfuggita, ma a sufficienza da scorgere il cocente odio che s'annidava nei suoi occhi. Era certa che nella testa dell'eroico Paciock s'arrovellassero le più varie pianificazioni su come intervenire senza causare un disastro. Ovviamente non trovava alcuna soluzione, perché i professori erano soli, i ragazzi non erano pronti a combattere e non un Auror sarebbe accorso, dato che nessuno al di fuori di Hogwarts sapeva quanto stava accadendo.
L'uomo la raggiunse: “ne sei sicura?” mormorò a un soffio dal suo viso, timoroso che altri potessero sentirlo “sono tenaci e lui sembra avere una bella tempra”.
“Ne sono sicura” sibilò Ursul, infastidita dalle sue obbiezioni.
Lui si arrese con molta facilità e liberò i ragazzi. Albus fu spintonato con forza verso gli altri studenti nel momento stesso in cui cercò di raggiungere Scorpius.
“Andiamo, Al” lo implorò Lily in fil di voce “non fare cose stupide. Resta con me” sapeva che quello fosse l'unico modo per convincerlo a non farsi ammazzare.
Pur trasudando astio, Albus cedette e raggiunse la Preside, arretrando con cautela, costringendo la sorella dietro di sé e forzando il proprio sguardo sul nemico, senza perderlo d'occhio un solo istante.
“Non sono d'accordo” borbottò nuovamente l'uomo in nero.
“Il giorno in cui irretirò un Potter non mi chiamerò più Letitia Ursul” replicò lei in un sibilo “anche se si unissero a noi di loro spontanea volontà, sarebbero una piaga per la nostra causa”.
“Come desideri” tagliò corto lui, poi andò da Scorpius, ancora carponi a terra, e si erse al suo fianco come un pilastro di tenebra.
Si tolse il cappuccio: “cosa abbiamo qui?” chiese ostentando un sorriso affettato.
Gli occhi di Scorpius si sgranarono: “Tom?” chiese con immensa sorpresa “Tom Greengrass?”.
L'altro rise: “vedo che riconosci ancora tuo zio. Sei cresciuto bene, ragazzo” poi si rimboccò le maniche, scoprendo il marchio nero celato sotto la sinistra: “da bravo, ora: dammi il braccio”.
 

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Capitolo 15
*** Avada Kedavra ***


 
Scorpius urlò. Un urlo straziante e ferale, perché sembrava che le sue carni venissero strappate dal braccio con fuoco ed elettricità.
“Fa male, se ti opponi” lo redarguì Tom. In realtà era molto colpito e positivamente sorpreso dall'atteggiamento combattivo del giovane Malfoy: nonostante il dolore atroce e la consapevolezza che sarebbe bastato abbassare il capo e accettare il marchio per smettere di subire quel tormento, si ostinava a ribellarsi e non accennava a cedere.
Nondimeno, alla fine sul suo avambraccio sinistro spiccò un simbolo nero e maligno, che bruciava e pulsava come la più profonda delle ustioni.
Tom Greengrass gli diede una salda pacca sulla spalla e l'urto fu così forte per lo stomaco scombussolato di Scorpius che questi dovette trattenere un conato.
“Ci troviamo qui con la prerogativa di reclutare” spiegò Ursul a quel punto “e non intendo farlo nascondendo il mio volto dietro una maschera di odio e superiorità. Trovo deplorevole che, giunto all'apice della propria carriera, il Signore Oscuro avesse deciso di seppellire il proprio nome e farsi chiamare con un titolo tanto altisonante quanto sciocco” ridacchiò impunemente e molti tra le sue fila la guardarono con un misto di sorpresa e sgomento “Lord Voldemort” rise più forte “quale rivoluzionario verrebbe preso sul serio con un nome simile? Era Tom Riddle, mago che, seppur mezzosangue, vantava uno dei lignaggi più nobili nella nostra nazione. Vedete, un tempo gli ero fedele. Un tempo ero sua mano e suo orecchio. Non capitava mai che parlasse di me, che m'invitasse ad assemblee o consigli di guerra: per lui, io ero troppo preziosa. Sapeva che, perdendomi, avrebbe perso anche gran parte delle sue possibilità di vittoria, perché lui era arrogante, un megalomane che difficilmente riusciva a cavare un ragno dal buco senza impiegare il pugno di ferro e ancor più difficilmente impiegava il pugno di ferro nella maniera confacente ai suoi scopi. Era estremamente astuto e intelligente, ma anche accecato dal proprio ego. Io... io ero un soldato nella sua schiera. Un soldato. Umile e servizievole, tuttavia capace di farlo vincere. Non è un caso che, senza di me, il suo impero sia andato in declino, ma ormai avevo compreso che fosse una causa persa: aveva un ideale, ma sostenuto nella maniera sbagliata, e io non desideravo più farne parte. Harry Potter dovrebbe darmi un pizzico di credito per la sua vittoria”.
Albus si lasciò sfuggire con non troppa involontarietà uno sbuffo sprezzante.
“Per questo sono qui” lo ignorò Letitia Ursul “un mondo magico migliore, libero da contaminazioni, ma non per questo sterile o cieco. Non ripeteremo i medesimi errori, statene certi”.
Si rivolse agli studenti di Serpeverde: “molte delle vostre famiglie sono state grandi sostenitrici di Voldemort, in passato. Dovreste tener alto il loro nome”, ma i ragazzi presenti erano troppo giovani, terrorizzati da quanto stava accadendo e completamente estranei alla passata guerra magica per prender posizione. Inoltre, uno di loro era in mano nemica proprio in quel momento, ancora ansimava per le torture subite, ancora non erano riusciti a piegarlo, e apparteneva alla loro stessa casata. Per orgoglio più che per ideale, nessuno si fece avanti.
“Vuoi purosangue, Letitia? Ecco un volontario”.
Tom Greengrass riconobbe immediatamente quella voce e sbuffò spazientito: “ce ne hai messo di tempo, Malfoy. Credevo te la fossi data a gambe”.
Draco avanzò lungo il lato orientale della sala, perché da lì si era avvicinato silenziosamente.
Gli occhi di Ursul s'indurirono: “vi avevo ordinato di cercarlo” ringhiò ai propri uomini, che indietreggiarono d'un passo, intimoriti dalla sua rabbia e disorientati dal proprio fallimento.
“Avere il Marchio Nero può essere di grande aiuto” spiegò Draco, fermandosi nel mezzo della zona grigia che divideva i Mangiamorte di Ursul dalla schiera di studenti impauriti “posso percepire la vostra vicinanza, posso intuire la vostra posizione o prendermela comoda se comprendo d'essere solo. Basta saperci comunicare. Evidentemente, i tuoi leccapiedi non sono bravi quanto me nel farlo”.
Ursul rise: “sono bravi quanto te pressoché in nulla. Per questo ti cercavamo”.
“Ed eccomi qui... dopo aver avvisato gli Auror della vostra presenza, ovviamente”.
Tra l'esercito di Ursul si diffuse un mormorio irrequieto.
“La Preside di certo non se la prenderà a male” continuò Draco “ho ritenuto che, proprio grazie al piccolo vantaggio di cui dispongo, fossi l'unico in grado di aggirarvi e avvisare l'autorità. Ora, lasciate il ragazzo, prendete me e andiamocene prima che Potter arrivi con i suoi mastini”.
“Ormai è marchiato, Malfoy” lo zittì Tom Greengrass “non ci occorri”.
“È un bravo principiante” ammise Draco “ma non è me”.
“No, infatti” assicurò l'altro “tu non potrai mai vantare il suo coraggio, anche se...” diede una lieve gomitata a Letitia, sorridendo sornione “hai visto, capo? Malfoy mostra un po' di fegato quando c'è di mezzo il ragazzo” rise “sarebbe stato divertente, disporre di entrambi”.
“Uno ci basta” concluse Ursul sbrigativamente “ritiriamoci, prima che facciano irruzione. Non desidero che uno solo di noi finisca in mano al Ministero, questa sera”.
“Tu gli credi, capo?” insistette Tom “sta bluffando e in modo patetico. Il ragazzo ormai è nostro e vedrai che con un po' di sana persuasione lo convinceremo ad abbassare il capo. Basta sondare un po' la sua mente per comprendere che non ha neppure la metà del talento di suo padre per l'Occlumanzia. Lo convertiremo”.
“Siete venuti per me e me avete” sibilò Draco, ma la risata di Tom sovrastò la sua voce: “l'hai sentito, capo? Il suo egocentrismo è sempre stato uno spasso. Qui per lui, dice. Non hai ascoltato Letitia?” esclamò poi, rivolgendosi nuovamente a Malfoy “siamo qui per reclutare”.
“E che gran lavoro state facendo” borbottò Scorpius.
Il mago che lo costringeva in ginocchio lo colpì con forza allo zigomo destro.
Draco fece un passo avanti: “cosa vuoi, Letitia? Un giuramento? Un rinsaldamento del vincolo che è il mio Marchio? Avrai ciò che desideri, se lasci andare Scorpius”.
Il ragazzo sputò sangue: “sei sempre stato bravo a sostenere la fazione sbagliata” lo accusò, sebbene ormai riuscisse a malapena a parlare “prenderanno te, si terranno me e sei un idiota se speri in qualcosa di diverso”.
Fu colpito di nuovo.
“Letitia, hai la mia parola” insistette Draco, sempre più preda dell'angoscia.
Ursul scalpitava, perché non era certa quanto Tom che quello di Draco Malfoy fosse un bluff: osservava le ampie vetrate in attesa che uno stormo di Auror in volo le sfondasse da un momento all'altro per invadere la Sala Grande.
“Ti farò sapere dove trovarci, Draco” concluse malcelando la propria fretta “ritiriamoci per ora” mormorò a Tom, ma Draco intuì lei sue intenzioni: “non è questo il patto che ti ho proposto” affermò avanzando, ma ormai la sua vicinanza poteva considerarsi rischiosa e due seguaci di Ursul si fecero avanti per bloccarlo.
Fu in quel momento che Tom Greengrass ebbe riprova delle parole del cognato: non con un'imboscata, né con un assalto d'alto profilo, ma infiltrandosi silenziosamente tra le ultime file dei loro uomini gli Auror si fecero largo tra le forze di Ursul e, quando queste se ne accorsero, ormai era caos.
Sul volto di Greengrass era leggibile il più profondo e viscerale disprezzo: “sei sempre stato un doppiogiochista, Malfoy, ma questo...” ringhiò, indifferente al pericolo e a Letitia che lo esortava a prendere o abbandonare il giovane Scorpius e svignarsela: lo splendido spettacolo che avevano messo in atto era stato compromesso e avrebbero dovuto rimandarlo.
Ma Tom la ignorò: “che i traditori imparino, Letitia, o il nostro domani non sarà migliore di quello che abbiamo affrontato venticinque anni fa”.
Alzò la propria bacchetta e neppure lo sguardo irremovibile ma visibilmente impaurito di Scorpius fu sufficiente a dissuaderlo dal proprio intento: sprigionò un incantesimo e un lampo verde colpì il petto del ragazzo con estrema violenza, scaraventandolo a terra.
Scorpius cadde esanime. I suoi occhi fissavano il soffitto stellato dell'imponente Sala Grande, ma non vi erano più immagini a balenare nella sua mente, né suoni a infastidire le sue orecchie.
Bastò un solo istante e fu buio e silenzio.

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Capitolo 16
*** Interrogatorio ***


 
Fu molto difficile ricostruire ciò che avvenne a partire da quel momento.
Letitia diede ordine ai propri uomini di sparire e così fecero, perché lei certo non era una sprovveduta e aveva organizzato un piano di fuga: con una pozione d'invisibilità s'erano fatti largo tra le insidie di Hogwarts e con la stessa pozione d'invisibilità se ne districarono.
Ovviamente Draco non aveva avuto modo di esporre la situazione in maniera esaustiva e gli Auror rimasero terribilmente disorientati, così gran parte di coloro che già sembravano in loro custodia si liberarono e le forze magiche rischiarono seriamente di restare a mani vuote. Fortunatamente, Harry recuperò la propria prontezza di spirito abbastanza rapidamente da ingannare l'invisibilità di uno degli uomini di Ursul e impedirgli di fuggire: sembrava un pazzo che si dimenava avvinghiato al nulla, ma alla fine il prigioniero si arrese e, ancora circondato da caos e anarchia, Harry lo trascinò all'esterno della scuola per condurlo al Ministero, dove avrebbe atteso che l'incantesimo svanisse per poter guardare negli occhi il proprio interrogato.
Gli studenti di ciascuna casata furono relegati nei loro dormitori e gli ingressi sigillati per quella notte. Gran parte dei ragazzi ne fu grata, ma non tutti accettarono passivamente la decisione: non importava quanto Albus imprecasse e inveisse contro la porta, nessuno al di là di essa badava a lui. Eppure doveva uscire. Doveva. Aveva visto il suo migliore amico accasciarsi, vittima di una maledizione proibita, ma non sapeva cosa ne fosse di lui. Era stato trascinato via dalla calca impazzita, sommerso in pochi istanti da panico e grida, e non era riuscito a tornare indietro. Doveva vedere Scorpius, perché non accettava che quel lampo verde fosse bastato a causare tanto male. Era solo un lampo... non aveva alcun significato. Per questo dovevano farlo uscire e permettergli di raggiungere l'infermeria: Scorpius si trovava lì. Doveva trovarsi lì.
Urlò e sbraitò così tanto che alla fine la sua voce smise di sopportarlo, ma non l'avrebbero fermato in ogni caso, perché i suoi compagni erano tutti pressoché sconvolti quanto lui e non era mai capitato di vedere Albus così fuori di sé.
Nessuno, neppure quando cadde il silenzio, dormì quella notte.
Quello di Lily fu il primo volto che Albus vide quando, il mattino seguente, poté finalmente mettere piede nei corridoi della scuola. Lo aspettava, gli occhi grandi e gonfi che titubavano sul viso teso e pallido del fratello, le mani ancora tremanti.
“Hai avuto notizie di Scorpius?” chiese subito lui “hai controllato in infermeria? Perché, se non l'hai fatto, allora quella sarà la mia prima destinazione. Vieni con me: il pericolo è passato, ma non voglio che ti aggiri da sola per la scuola” la prese per mano con l'intenzione di trascinarla dietro di sé, ma lei non si mosse.
Albus la squadrò perplesso: “che aspetti?” la rimproverò “muoviamoci: non abbiamo tutto il giorno”.
“Albus” mormorò lei “non c'è nessuno in infermeria. Gli Auror hanno agito bene e non ci sono stati feriti”.
A lui quelle notizie sembrarono assurde: “allora dove diamine si trova Scorpius?”.
“L'hanno preso”.
Albus sbiancò: “e mio padre l'ha permesso?”.
“Aveva altro a cui badare. Albus” squittì di nuovo “non l'hanno fatto prigioniero: hanno solo portato via il suo corpo”.
Vi fu un lungo istante di silenzio, poi il pallore di Albus svanì, le sue guance s'arrossarono e i suoi denti batterono dalla rabbia: inveì contro Lily, che diceva idiozie; inveì contro Scorpius, che avrebbe semplicemente potuto tacere e lasciar perdere il suo odioso orgoglio; inveì contro suo padre e il maledetto ritardo degli Auror; inveì contro Draco che certo poteva pianificare con più criterio la propria entrata in scena. Inveì contro il mondo intero e le persone che lentamente furono attratte da quel baccano lo guardavano in disparte, avvilite e al contempo disorientate, mentre Lily sembrava l'unica a non rimproverargli lo sfogo e attendeva pazientemente.
Il ragazzo ignorava i suoi “mi dispiace” mormorati al nulla e gli occhi di Lily piansero anche per lui, perché la rabbia di Albus era così forte che non c'erano lacrime a minacciare di rigare il suo viso. Solo quando lei si fece avanti e, per rinfrancare sé stessa almeno quanto consolare lui, lo strinse in uno degli abbracci più tristi ed accorati che quei corridoi avessero mai visto, che la fermezza di Albus s'incrinò e finì col singhiozzare così amaramente da inzupparle la spalla.
In quel momento era troppo scosso per pensare al fatto che altri lo fossero tanto quanto, se non più, di lui. Al Ministero, ad esempio, il terribile evento stava mettendo a dura prova il rispetto dei protocolli ed Harry ribolliva di rabbia, perché il suo approccio si stava rivelando fallimentare: di tutti gli uomini di Ursul che poteva catturare, gli era capitato uno dei più tenaci e fedeli. Non riuscivano a scalfirlo, era abile a sigillare la propria mente e non c'era ricatto che potesse smuoverlo. Harry pensò perfino che, in realtà, la cattura non fosse stata merito suo, ma che facesse parte del piano di Ursul: avendo un prigioniero in mano, gli Auror avevano allentato la presa, abbandonando la causa persa della battaglia e accettando di tornare alla base col poco che avevano ottenuto... un prigioniero che speravano avrebbe parlato. Probabilmente, invece, quel mago era consapevole che quello sarebbe stato il suo destino: Ursul l'aveva scelto per questo.
Dopo ore di tentativi andati in fumo, Harry ed Hermione decisero di confrontarsi fuori dalla sala interrogatori, ma le loro idee non convergevano: Harry era pronto a usare il pugno duro pur di ottenere quanto occorreva, ovviamente nei limiti della propria morale; Hermione, dal canto suo, temeva tremendamente le conseguenze d'una simile presa di posizione.
Discutendo, non si accorsero della figura sfuggevole che, guidata da cruda determinazione, camminò speditamente alle loro spalle per entrare nella stanza.
“Oh no” Hermione fu la prima a rendersene conto, quando un grugnito sommesso giunse alle sue orecchie da oltre la porta e, precipitatasi dall'interrogato, vide un altro uomo chino di fronte a lui, la bacchetta in pugno.
“Draco, come sei arrivato fin qui?” chiese lei in un singulto sorpreso.
Lui le fece cenno di tacere: “sono stato gentile con te” disse piuttosto all'interrogato “continuerò ad esserlo se mi dirai dove posso trovare Tom Greengrass”.
“A noi serve prima di tutto Letitia” obiettò Harry.
“Letitia è con lui” lo zittì Draco “dunque?”.
Il prigioniero tacque, come aveva fatto fino ad allora.
“Dov'è Tom Greengrass?” sibilò Draco “dove ha portato Scorpius?”.
Quello ridacchiò odiosamente: “ormai l'avranno gettato ai Thestral”.
Draco non reagì, né replicò. Lo guardò attentamente e, senza alzarsi, ripose la bacchetta. Poggiò i gomiti sulle proprie ginocchia, quasi cercasse una posizione più comoda per riflettere sul da farsi.
“Crucio” fu appena un mormorio.
Non impiegò la bacchetta e non c'era rabbia o disperazione nella sua voce, ma la quiete con cui chiunque pronuncerebbe un banalissimo Wingardium Leviosa. Eppure l'uomo ancorato alla sedia urlò atrocemente e si contorse come una serpe sul fuoco.
Hermione balzò sul posto e cercò di precipitarsi da loro per interrompere la tortura, ma Harry la fermò.
“Tutto questo è inaccettabile” esclamò lei.
“Io non ho visto né sentito nulla” Harry scrollò le spalle “ti serve qualche minuto, Draco?”.
“Sì, Potter, grazie” rispose l'altro senza distogliere un solo istante lo sguardo dal prigioniero.
Harry uscì trascinando Hermione con sé: “tutto questo è illegale” bisbigliò lei nervosamente “tutto questo è inumano”.
“Loro sono inumani” replicò lui, camminando spedito per allontanarsi quanto più rapidamente possibile dall'interrogatorio incriminato.
“Non puoi davvero ammettere di appoggiare il genere di trattamento che Draco gli sta riservando” insistette Hermione, trotterellando per stargli dietro.
“Ammetto che se Albus fosse al posto di Scorpius, se io fossi al posto di Draco... non sarei gentile quanto lui”.
Hermione si fermò, lasciando che se ne andasse, perché ormai aveva capito d'aver fallito, ma per lei fu orribile ignorare le grida che, seppure attutite dalle pareti di pietra, sentiva provenire da oltre la porta di quella stanza.
 

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Capitolo 17
*** Un bocciolo venefico ***


 
Su una cosa Harry dimostrò d'aver ragione: Ursul aveva pianificato e, soprattutto, aveva scelto; scelto uomini che il mondo magico credeva retti e giusti e che lei aveva convertito al proprio credo.
No, quella non era la definizione corretta: lei non era Voldemort, non era Tom Riddle, e non era così folle da pensare che la propria crociata potesse trasformarsi in una dottrina, una sorta di fede in cui avviluppare schiere di fanatici. Animi folli come quelli di Bellatrix Lestrange l'avevano sempre ripugnata. La sua, semmai, era una politica, forte e autorevole che avrebbe persino assunto le sembianze di dittatura, se necessario. Una volta plasmate le menti a suo piacimento e messi a tacere gli sciocchi rivali che ancora tentavano capricciosamente di metterle i bastoni tra le ruote, allora tale dittatura avrebbe lasciato spazio al dialogo.
Potter aveva catturato un testimone perché così lei aveva voluto, i suoi seguaci erano riusciti a sfuggire con tale facilità dalla trappola di Hogwarts perché una reale trappola non c'era mai stata: gran parte degli Auror era ormai sotto il suo controllo, i più deboli d'intelletto per conversione, i più forti per ricatto, gli incorruttibili per tortura. Si trattava d'un processo cui lei aveva lavorato per anni e che ora poteva considerare concluso. Ne andava molto orgogliosa, ma soprattutto andava orgogliosa del fatto che mai il loro leader avesse avuto sentore del marcio che lentamente s'insinuava tra i propri uomini. Non gliene fece una colpa: neppure i retti del Ministero avevano badato alla sua corruzione ai tempi di Lord Voldemort, finché le conseguenze di una tale svista non balenarono davanti ai loro occhi come una luce intermittente.
Voldemort aveva tentato di vincere sfruttando il potere formale e aveva fallito. Lei aveva deciso di tentare col potere materiale e ora era giunto il momento per l'intero mondo magico di esserne consapevole.
“Non rovinate la fortezza” ordinò ai suoi “Azkaban è un angolo d'oblio splendido e terribile: desidero che sia preservato. E non liberate i Dissennatori: non voglio quelle bestie indomite tra i piedi”.
Proprio mentre lei camminava per gli anditi dell'immensa prigione, un Mangiamorte le corse incontro e la donna procedeva ad andatura tanto spedita che lui quasi non ebbe modo di rallentare la propria: “mia signora, ancora nessuna notizia da Tom Greengrass”.
Ursul sbuffò: evidentemente la cosa non la stupiva, ma neppure la soddisfaceva.
“Appena torna all'ovile, avrà una bella ramanzina da sorbirsi” borbottò.
“Mia signora, avremmo dovuto usare la maledizione Imperio per piegare la volontà di quel ragazzo. Tanto vale averlo sfruttato per mostrare al nemico ciò che siamo disposti a compiere pur di raggiungere il nostro obiettivo”.
“La tua completa dedizione alla causa mi commuove, Rowl, ma dimmi: cosa ha permesso di dare il via al nostro piano, quando il tutto sembrava ancora ricadere sulle spalle di Delphini?”.
“Il marchingegno dei Malfoy”.
Lei si fermò per guardare il proprio sottoposto negli occhi: “e chi ha creato la Pozione che ci ha permesso di infiltrarci ad Hogwarts senza incappare in seccature di qualsivoglia genere?”.
“Draco Malfoy”.
“Pare che questo Draco Malfoy e ciò che nasconde nella sua baracca possano esserci di grande utilità”.
“Pare di sì”.
“Allora mi spieghi” inveì dando sfogo alla propria frustrazione “come potremo convincerlo a passare dalla nostra parte ora che quell'idiota di Tom ha ammazzato suo figlio?”.
Rowl deglutì rumorosamente e faticò a non abbassare lo sguardo: “non lo so, mia signora”.
“Non possiamo” rispose per lui, malcelando un sorriso esasperato “non so cosa farei senza quell'uomo” sospirò ricomponendosi “Tom è il mio braccio destro, il terzo e quarto occhio che altrimenti non avrei, la forza fisica che mi manca, ma la sua impulsività sarà la fine della nostra lotta, se non imparerà a frenarla”.
“Quali sono i miei ordini?”.
“Va a cercarlo. E non tornare senza di lui”.
Quello annuì e si congedò con un lieve cenno del capo.
Ursul cercò di liberarsi da tutta la frustrazione e la delusione che la tormentavano e, preso un profondo respiro, raggiunse l'ultima cella dell'ala settentrionale, per la quale era già stato ordinato di ridurre restrizioni e sorveglianza. La prigioniera ancora rinchiusavi vagava come una tigre nervosa e affamata: i suoi occhi s'illuminarono quando videro Letitia varcare la soglia e richiuderla cautamente dietro sé. Un Auror entrò alle sue spalle e si appostò accanto alla porta per precauzione.
“Delphini, mia cara” salutò con sorriso accorato.
In un istante, la ragazza fu da lei e Ursul prese le sue mani: “perdonami, mia cara. Perdonami davvero, se ho dovuto perpetrare questa sceneggiata più di quanto avrei voluto, se per anni ti ho costretta in questo buco, mentre so che avresti valorosamente combattuto al mio fianco”.
“No, Letitia” la interruppe Delphi “non giustificarti. Tutto ciò che ho patito è stato in tuo nome, tutto ciò che ho fatto è stato in tuo nome, persino quando ero costretta a rinnegarti, a fingermi al di sopra di te. Sono io a doverti chiedere perdono, se talvolta il mio operato è stato troppo affrettato o arrogante”.
Ursul rise teneramente, carezzandole il volto pallido: “mia cara Delphini, sei giovane, sei intrepida e può capitare di perdere la via, quando non si ha sufficiente esperienza. Tu sei l'unica in cui io creda ciecamente, mia cara Delphini. Ancor più di quanto non creda in Tom”.
Quelle parole la onorarono moltissimo, perché sapeva quanta stima e fiducia Ursul riponesse in Tom Greengrass: “ma, Letitia, lui è il tuo campione. È così che l'hai sempre chiamato” le fece notare, non per mettere in dubbio le sue parole, ma perché Ursul le ribadisse e lei ne fosse lusingata un altro po'.
“Mi dai torto per questo, mia Delphini?”.
“No”.
“Credi che esistano altri maghi o streghe all'altezza del suo ruolo?”.
“No” ammise di nuovo.
“Eppure io lo credo”.
Quell'affermazione la stupì: “chi?”.
“Tu, mia Delphini” e per poco gli occhi della ragazza non si colmarono di lacrime.
“Tu avresti potuto prendere il suo posto, se solo non fossi stata così giovane” continuò Ursul “se solo avessi avuto più esperienza, più consapevolezza e autocontrollo”.
“Oh, ma li avrò, Letitia” esclamò in preda all'euforia “seguirò la tua guida, imparerò. Col tempo imparerò e non avrai più nulla da temere”.
“Non ne dubito, mia Delphini, non ne dubito affatto e questa...” estrasse la propria bacchetta e la mostrò alla ragazza come se fosse sul punto di donargliela “questa sarebbe stata tua”.
Delphi la guardava estasiata: “mia?” mormorò.
“Sì, ma, vedi, mia Delphini, per ottenere un risultato affidabile e soddisfacente sarebbe occorso del tempo. Tempo che più non abbiamo. E molti sarebbero stati i rischi, perché hai dimostrato di saper essere impulsiva e... piuttosto instabile. Rischi che non ho intenzione di correre. Avrei potuto tenerti rinchiusa qui, ma per far questo occorrerebbe vigilanza, dunque uomini che dovrei sottrarre alle mie forze. Sacrificio cui non ho intenzione di sottostare”.
Lo sguardo di Delphi cominciò a perdere parte del proprio entusiasmo e a tingersi di dubbio.
“Sei un bocciolo venefico, mia Delphini, che da un momento all'altro rischia di cedere e distruggere tutto ciò che lo circonda” lasciò che la punta della sua bacchetta scivolasse sulle spalle della giovane, fino a fermarsi nell'incavo della sua esile gola “capisci quanto difficile sia la mia posizione, Delphini? Riesci a immaginare quanto dolore una simile decisione mi provochi e, al contempo, quanto inevitabile sia per la sicurezza della nostra missione?”.
La giovane iniziò ad annaspare, mentre numerose ferite si aprivano sul suo corpo impietrito e molto sangue cominciava a spillarne.
“Mi spiace, mia Delphini”.
La mente di Delphi era sconvolta, preda del più ancestrale terrore, ma le sue mani sembravano non ascoltarne più i pensieri. Non poté muoversi né ribellarsi e infine crollò a terra come un sacco vuoto.
Letitia sospirò: “Tom è un abilissimo sperimentatore e gli incantesimi di sua creazione sono sempre eccelsi, ma questo perfezionamento del Sectum Sempra è alquanto deludente”.
“Perché mai, mia signora?” chiese la guardia, ancora impettita accanto alla porta, come se nulla di ciò cui aveva assistito l'avesse scalfita in qualche modo.
“Uccide troppo rapidamente”.
Ripose la bacchetta e uscì dalla cella scavalcando il corpo di Delphi: “falla sparire” ordinò.
 
 

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Capitolo 18
*** Grimmauld Place ***


 
Fu sufficiente aprire gli occhi e puntarli involontariamente sulla fioca luce di una lampada perché fosse scosso dal più violento dei conati. Per fortuna, il suo stomaco era vuoto.
“Piano” ordinò una voce che conosceva, ma a cui in quel momento non riusciva ad attribuire un volto. Due mani salde lo costrinsero a poggiare di nuovo le spalle al morbido schienale della poltrona su cui era stato accomodato.
Lentamente, mise a fuoco il volto di fronte a lui.
“Tom Greengrass?” bofonchiò con voce tanto fioca che a malapena risultò percepibile.
“Ricordi il mio nome, bene” si complimentò quello “ricordi anche il tuo?”.
“Scorpius Malfoy” borbottò di nuovo.
“Splendido” si allontanò pochi istanti per tornare con una barretta di cioccolato in mano.
“Tieni” gliela consegnò e Scorpius la prese con gesto pressoché inconscio.
“Non hai avuto a che vedere con Dissennatori o altre diavolerie parassite, ma il cioccolato ti sarà ugualmente utile”.
“Sono morto?” chiese Scorpius dai fumi del peggior intorpidimento che avesse mai sperimentato in vita sua.
“Sì” fu la pronta risposta “o almeno, questo è ciò che credono tutti”.
“Ma tu mi hai colpito”.
“È così”.
“Con un Avada Kadavra”.
“Me l'hai sentito pronunciare?”.
Scorpius non rispose. Era troppo confuso per pensare a simili dettagli.
“Si trattava di un banalissimo Stupeficium” spiegò allora Tom “modificato e potenziato a dovere. A primo acchito potrà sembrare un'idiozia, ma sai quanto difficile sia plasmare i lampi d'un incantesimo perché mutino il proprio colore? Ci lavorerò su ancora un altro po', comunque: sei rimasto fuori gioco troppo a lungo e questo è un effetto collaterale che non avevo preso in considerazione. Tuttavia doveva essere credibile, quindi cerca di capire”.
Fischiò e l'acuto fu così penetrante che la testa del ragazzo parve scoppiare. Un gufo dal piumaggio scuro e gli occhi d'ambra entrò dalla finestra, sgusciando agilmente tra le inferriate. Tom gli affidò una lettera accuratamente arrotolata in un bel laccio di raso rosso: “Lok, consegnala a Ted, da bravo” gli chiese carezzandone le ampie ali e il magnifico rapace spiccò il volo.
“Eh, ragazzino” sbuffò l'uomo “guai a te se a causa di quanto accaduto la mia copertura salterà. Per Letitia e i suoi compari, ora mi sto sbarazzando del tuo preziosissimo corpo”.
Scorpius lo ascoltava appena. La sua testa pareva un'orchestra di fischi e sibili. Si guardò attorno: era sommerso dalla penombra della sera, in una stanza ampia, dall'architettura austera e nobile.
“Pare un palazzo di tutto rispetto, anche se evidentemente abbandonato da tempo” mugugnò.
“E tu, in quanto Malfoy, ne sai qualcosa di simili ostentazioni” replicò Tom sarcasticamente “ad ogni modo, è così. Questa è Grimmauld Place”.
“Quella Grimmauld Place?”.
“Proprio così. Tirata a lucido, anche se con non troppo impegno, come tu stesso hai ben notato. Questo posto era abbandonato dai giorni della guerra e nessuno... nessuno” ribadì “badava più ad esso. Abbiamo deciso di restituirgli l'onorevole ruolo dei tempi della prima resistenza, ora che è tornato sicuro. Io sono tuo amico, non tuo nemico”.
“Non nego che la cosa mi stupisca. E mi sembra davvero assurdo che la tua signora ci sia cascata”.
“Sono realmente stato ciò che ora fingo di essere. Questo mi ha facilitato il compito”.
Proprio quell'affermazione parve dissipare parte del torpore che appestava la mente di Scorpius e lui sentì improvvisamente la fortissima necessità di avere spiegazioni: “tu hai partecipato alla guerra magica. Hai partecipato, schierandoti dalla parte di Voldemort. I Greengrass sono sempre stati neutrali. Non è un segreto che propendessero per la politica della purezza del sangue, ma non si sono mai esposti a tal punto. Tu sì e, quale conseguenza della tua presa di posizione, la famiglia ti ha rinnegato”.
“Non mi ha rinnegato. Ha preso le distanze” lo corresse.
“Perché l'hai fatto?” insistette Scorpius.
Tom perse la propria bonaria arroganza, non finse più indifferenza e spocchia. Sospirò profondamente e il suo sguardo lasciava trasparire vergogna e rammarico: “perché Voldemort avrebbe vinto” rispose infine “Voldemort avrebbe vinto. Tutti lo pensavano” ridacchiò amaramente “chi davvero dava fiducia, chi cedeva la propria speranza al ragazzo che era sopravvissuto? Nessuno. Voldemort avrebbe vinto e io ero giovane. Ero troppo giovane, ma avevo già famiglia. Mia figlia è nata lo stesso anno in cui esplose la guerra. Dovevo... capisci? Dovevo schierarmi con la fazione vincente”.
“Eppure ha perso” gli fece notare il ragazzo.
“E noi ci siamo rifugiati oltre oceano” sospirò di nuovo “sapevo che Ursul aveva preso in mano le redini della situazione. Lo sapevo. Sono rimasto in disparte, ma... non dormivo la notte pensando a ciò cui avevo contribuito. A tutto il male che ne era seguito. Coloro a cui tenevo erano al sicuro, ormai... o almeno lo speravo. Avrei potuto rimediare”.
“Hai ingannato Ursul”.
“E c'è cascata” ridacchiò “diamine, se c'è cascata. E io le fingo fedeltà come lei ha fatto col proprio signore”.
“Mia cugina... Lydia, lei sa? Sa ciò che stai facendo?”.
Lo sguardo di Tom si oscurò: “lei non ha nulla a che vedere con questo”.
“Era l'unica della tua famiglia con cui mia madre gradisse trascorrere del tempo. Le piaceva. E io lo ricordo: è una grande strega”.
“Lei non ha nulla a che vedere con questo” la sua voce si alzò e Scorpius ne fu ammutolito, per un istante: “desidera combattere al tuo fianco, non è vero? E tu glielo impedisci” azzardò.
“Da due anni non parlo con lei”.
“Non hai sue notizie?”.
“Certo che ne ho, ma non mi rivolge parola in via diretta. Si trova negli Stati Uniti e non desidera lasciarli finché la situazione resta così com'è. Non accetta le mie decisioni”.
“Nemmeno io le accetterei, se fossero prese da te al posto mio”.
“Non permetterò che lei muoia in questa nuova guerra”.
“Non è detto che accada”.
“La buona fede non è sufficiente” lo zittì, poi parve cambiare discorso, ma Scorpius sapeva che non fosse così: “non avrei permesso a Letitia di prenderti. Tuo padre è un bastardo, ma ama la sua famiglia e so cosa significa” gli lanciò un'altra barretta “mangia finché non ti verrà la nausea. Poi prendi un altro paio di morsi e il tuo stomaco si sistemerà” spiegò.
“Le tue istruzioni non hanno senso” si lamentò Scorpius.
“Fidati”.
Un sonoro scoppio fece sobbalzare entrambi, mentre dal camino fuoriuscì una fredda vampata verde e, con essa, una figura allampanata che barcollò scompostamente prima di recuperare l'equilibrio e spolverare la fuliggine dalle proprie vesti.
“Diamine, Ted” inveì Tom “ho appena mandato Lok a riferirti un messaggio: quel povero gufo sta viaggiando a vuoto”.
“Credo che sopravvivrà” replicò il nuovo venuto. Solo per caso vide il ragazzo seduto in disparte: “grazie a Dio!” urlò “non l'hai ammazzato!”.
“Credevi davvero che l'avessi ucciso?” replicò Tom cercando di sovrastare la sua voce “e, comunque, questo era il contenuto del mio messaggio”.
Ted si sfregò il volto tra le mani e redarguì il giovane Malfoy puntandogli contro un dito inquisitore, quasi fosse colpa sua se s'erano improvvisamente ritrovati in una posizione tanto scomoda.
Dissipata la sorpresa e messo a fuoco il volto di quel ragazzo, Scorpius pensò di riconoscerlo: “Teddy? Teddy Lupin?”.
“Tu...” lo ignorò Ted “tu non hai idea di che caos imperversi in questo momento a casa”.
“Che sta succedendo?” guaì Scorpius.
“Lui, purtroppo, è mio socio” spiegò Tom indicando il giovanotto sorridente.
“Non si soffierebbe neppure il naso senza il mio aiuto” lo provocò quello, ma fu zittito da un secco scappellotto.
“Cosa siete? Una sorta di... resistenza?”.
“Come ai vecchi tempi” sorrise Ted, radioso “io ne faccio parte da poco, ma sono anni che Tom lavora su questo progetto. Ursul crede di agire in piena libertà: non immagina neppure che il nemico si stia riunendo e organizzando tra le sue stesse fila. Abbiamo dalla nostra forze magiche di altri stati, membri del Ministero e un buon numero di Auror che Ursul crede ormai dalla propria”.
“Sì, be', raccontata da Ted sembra una sfilata tra rose e mughetti” lamentò Tom “non è così. Ci sono ancora molti punti interrogativi, a malapena possiamo fidarci di noi stessi e forse falliremo, ma combattiamo per vincere e faremo di tutto per riuscirvi”.
A quelle parole, i capelli di Ted si allungarono, diventando crespi e ribelli, sul suo volto crebbe una barba ispida ma ben curata e gli occhi si tinsero di turchese: pareva una scimmiottatura di Tom e questo era esattamente il suo scopo.
“Vinceremo col mio ottimismo” disse a Scorpius con sguardo goffamente ammiccante.
Un secondo scappellotto, decisamente più brusco del primo, gli fece riacquistare le proprie sembianze in un istante.
“Ho avvisato Lydia” deviò come se nulla fosse stato “è entusiasta di sapere che sia finalmente arrivato il suo momento di agire”.
Tom sbiancò: “che hai fatto?” sibilò a denti stretti.
“Ha degli ottimi agganci ad Ilvermorny che sono disposti ad aiutarci: ne abbiamo bisogno”.
Tom guardò istintivamente Scorpius, che ricambiò a disagio: “è assurdo” borbottò “ne abbiamo appena parlato... appena parlato. Le mie istruzioni erano semplici!” inveì a quel punto e Ted s'impietrì.
“Non puoi lasciarla fuori” replicò nonostante la cocente soggezione.
“Ascoltami attentamente” Tom poggiò una mano alla sua spalla e strinse con tale forza che Ted storse il naso “quando ti ho ordinato di ignorare le lettere di Lydia, di impedire che lei venisse al corrente dei nostri sviluppi... quando ti ho chiesto da amico d'aiutarmi a tenere mia figlia al sicuro, non era questo che intendevo”.
“Non puoi lasciarla fuori” ripeté semplicemente “domani sarà qui e lei crede fermamente che tu sia d'accordo e ben disposto ad averla fra noi. Non deluderla” gli voltò le spalle e s'avviò al camino, ma stavolta fu Scorpius a fermarlo: “Albus credeva che ti trovassi in Romania con suo zio Charlie”.
“Ed è così: stiamo lavorando con dei draghi”.
Dopo tutte le informazioni che era stato costretto ad assimilare, Scorpius non credette che quello di Teddy fosse stato un innocente soggiorno estero in nome della cultura e dello studio di creature magiche: “perché?”.
Ted fu molto felice di sentirsi rivolgere quella domanda. Frugò nelle tasche interne del proprio cappotto e ne tolse una fotografia un po' sgualcita: lui e Charlie Weasley sorridevano soddisfatti al fianco di una bestia il cui muso era tanto possente che a stento riusciva ad entrare pienamente nell'immagine. Scalpitava per ribellarsi, ma non osava farlo.
“Lui è Baldo, un drago Nero delle Ebridi insolitamente docile... per gli standard della sua specie, ovviamente” spiegò Ted “non ne incontravamo uno così pacifico da quando il Congresso neozelandese ci ha permesso di studiare il più anziano esemplare di Opaleye degli Antipodi dal continente australiano. Ad ogni modo, Baldo è stato il punto focale d'un progetto sostenuto da me e Charlie...”.
“E che io non ho mai appoggiato” chiarificò Tom immediatamente.
“Perché se il mondo fosse stato creato a immagine e somiglianza dalla noia avrebbe la tua faccia” lo zittì il ragazzo “vedi, Scorpius, Baldo è... addomesticato. Certo non ama eseguire gli ordini e una volta Charlie ha rischiato di rimetterci entrambe le mani, ma si fida di noi due e ci rispetta. Albus mi ha detto che sei appassionato a questo genere di studi”.
“Eccome” ammise Scorpius, stordito e al contempo affascinato dalla fotografia che ancora osservava.
“Appena tutto questo sarà finito, ti inviterò in Romania per uno dei tirocini più affascinanti e costruttivi che potresti mai sperare d'intraprendere”.
“Se tutto questo finirà” Tom non tardò a smorzarne l'entusiasmo “ora come ora abbiamo altro cui badare. Hogwarts è stata recuperata, sebbene Ursul ancora non ne sia al corrente, ma sono stati arrecati molti danni”.
Una paura improvvisa raggelò il sangue di Scorpius: “che ne è degli altri?”.
“Nessuno studente, professore o Auror è stato ferito”.
Quella risposta non era completa quanto sperava: “e Cassandra?”.
Tom impiegò qualche istante a comprendere: “ah, la babbana. Fanciulla ardimentosa. Non so. Non ero presente quando vi hanno trovati, ma pare sia scappata”.
“Sì, sono riuscito a guadagnare un po' di tempo e a trovarle una via di fuga”.
“Speriamo l'abbia sfruttata”.
Ancora caracollante, Scorpius si alzò in piedi: “devo trovarla”.
“Ascolta, ragazzo” Tom lo fermò prendendolo saldamente per le spalle “tra gli uomini di Ursul non è circolata alcuna notizia che riguardasse la cattura o l'uccisione di una babbana. È viva e non è in mano loro. Rilassati”.
“Ma io devo parlarle. E devo parlare con mio padre... con tutti. Per Silente, mi credono morto!”.
“Rimedio io” esclamò Ted “d'ora in avanti dovremo prestare più attenzione: il numero di alleati consapevoli del tuo doppio gioco,Tom, sta per aumentare e la nostra discrezione potrebbe risentirne, ma è ancora presto per uscire allo scoperto con Ursul, quindi in guardia” e in un istante scomparve in una nuova vampata di fiamme smeraldine.
Tom sospirò: “conoscendolo, entro mezzora li avremo tutti alla porta”.
 

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Capitolo 19
*** Incontri e scontri ***


 
Teddy non fu avventato quanto Tom temeva: un'ora dopo, Lok tornò da loro con un messaggio tra gli artigli che li incitava a raggiungere la Tana entro quindici minuti.
“La Tana?” chiese Tom, perplesso.
“Casa Weasley” spiegò Scorpius.
“Questo lo so bene, ma perché sceglierla quale punto di ritrovo?”
“Scommetto che sarà presente l'intera famiglia”.
“L'intera famiglia?” ridacchiò Tom “certo non t'invidio per questo, ma tuo padre è l'intera famiglia che t'è rimasta, o almeno così hai creduto fino a oggi”.
“I Weasley e i Potter non sono del medesimo avviso”.
Inutile dire che Scorpius avesse intuito correttamente.
Non ricordava una simile profusione d'entusiasmo nei suoi confronti dai tempi in cui, alla finale di Quidditch di due anni prima, i Serpeverde avevano ottenuto la vittoria in meno di otto minuti grazie alla sua presa ferrea e, soprattutto, alla sua sfacciata fortuna.
Tom sorrideva divertito, ma restava in disparte e, in realtà, gli veniva concessa ben poca attenzione, perché Teddy aveva assicurato che si trattasse d'un alleato affidabile... e nessuno metteva in dubbio le parole di Teddy.
Eppure, bastò un solo istante per incrinare quell'attimo di pura gioia: qualcuno si fece burberamente largo tra la calca e un silenzio di piombo precipitò su tutti loro, perché il suo sguardo era vitreo e spiccava su un volto teso, quasi ostile.
Persino Scorpius s'irrigidì, a disagio: “ciao, papà... giuro” si giustificò, come se avesse colpa di quanto accaduto, e indietreggiava cautamente, perché con sospetto Draco gli si avvicinava e non sembrava né sollevato né felice quanto gli altri “che non avevo idea di cosa zio Tom avesse in mente”.
Non ebbe modo di azzardare ulteriori scuse, perché una stretta salda quanto una tenaglia gli compresse le ossa e mai avrebbe immaginato che suo padre potesse essere tanto forte.
Il ragazzo ne rimase così perplesso che ebbe a malapena la prontezza di ricambiargli un paio di pacche sulla schiena. Tuttavia si ritrasse di nuovo, come un cagnolino che teme di ricevere un buffetto sul naso, quando Draco si allontanò d'un passo e puntò contro di lui un dito minaccioso, le labbra serrate, pronte a sfogare uno sproloquio così crudo e snervato che la mente non riuscì a elaborarlo a dovere. Alla fine, infatti, si arrese e semplicemente gli voltò le spalle, scuotendo il capo e prendendo profondi respiri. Solo allora notò la presenza di Tom: la sua mano andò istintivamente alla bacchetta e si sarebbe scaraventato contro di lui se Harry non l'avesse trattenuto: “no, Malfoy, manteniamo la calma. Non c'è nessuno da punire, qui”.
“Sono mortificato per questo inconveniente, ma non potevo fare altrimenti” fu la sola scusa che Tom concesse loro.
I saluti di bentornato, ad ogni modo, non erano finiti: prima ancora che Scorpius potesse chiedere dove fosse il suo migliore amico, la porta d'ingresso si spalancò e una figura mastodontica la riempì con la propria mole. Tra un improperio e l'altro, per la maggior parte rivolti allo stesso Scorpius, Albus sgusciò all'interno e si catapultò da lui. Pochi secondi dopo, entrambi i ragazzi furono ingabbiati nella morsa portentosa delle braccia di Hagrid.
Scorpius non era mai stato vittima di tanti abbracci in vita sua.
Districandosi dalla presa soffocante, scorse finalmente un'ultima presenza, sottile e discreta, rimasta oltre la soglia, nel buio della sera, celata fino a quel momento dall'imponenza di Hagrid. La sola per cui lui mostrò più sollievo di quanto non ve ne fosse negli occhi di lei, perché era l'unica di cui non avesse ottenuto notizie certe dal suo risveglio e aveva sinceramente temuto che le fosse accaduto qualcosa di terribile durante l'attacco ad Hogwarts: “oh, Cass, meno male che sei qui. Avevo paura che...” tacque di colpo perché, quando la raggiunse, Cassandra indietreggiò d'un passo e si sottrasse al suo tocco.
“Cassandra Goodman!” Tom Greengrass l'insinuò tra loro senza alcuna remora. Tese la mano destra: “ero impaziente di conoscerti”.
Cassandra la strinse ed entrò.
“Pare tu abbia salvato Malfoy dalla gogna. Impressionante per una babbana” continuò lui.
“Ho solo esposto i fatti”.
“Ovviamente” sorrise goliardico “vorrei che venissi con noi a Grimmauld Place. Sono certo che in questi due giorni non sei rimasta con le mani in mano e non oso immaginare cosa tu abbia scoperto”.
Cassandra non replicò, ma neppure negò.
“Due giorni?” ripeté Scorpius, sconcertato “l'attacco non ha avuto luogo ieri?”.
“No” ammise Tom “ha avuto luogo tre giorni fa... ho già ammesso di dover rimaneggiare quello Stupeficium”.
“Direi che dovresti rimaneggiare anche il tuo Marchio Nero” gli fece notare Scorpius “è ancora sul mio braccio”.
“Quello è reale”.
Gli occhi del ragazzo si sgranarono: “cosa?”.
“Mi spiace. Non c'è modo di contraffare un Marchio Nero”.
“No... no, non lo accetto. Toglimelo”.
“Non posso”.
“Sono un Mangiamorte?” inveì fuori di sé.
“Ma no” esclamò Tom “è solo un simbolo. Era necessario, per salvarti e mantenere la mia copertura”.
“Devi togliermelo” scandì.
“Non posso”.
“Questa è la tua più grande preoccupazione?” rimproverò Draco “per due giorni ti abbiamo creduto morto e tutto ciò a cui pensi è il Marchio Nero?”.
“Io non sono un seguace di Ursul” ringhiò Scorpius “io non sostengo i folli ideali di Voldemort. E non voglio questo marchio”.
“Ma dovrai tenertelo” troncò Teddy. Evidentemente, riteneva che il tempo a loro disposizione fosse finito: “Tom, ormai Lydia sarà a Grimmauld. Dovremmo muoverci”.
Il naso di Tom si storse a quelle parole, neanche gli avessero ustionato la pianta dei piedi.
“Aspetta di vederti” insistette Teddy “è felice di saperti qui e di rincontrarti dopo tanto tempo. Dovrebbe essere lo stesso per te”.
“Taci, Lupin” lo zittì burberamente “va avanti. Arriveremo uno alla volta, sfruttando la Polvere Volante”.
“Sarà un gran via vai” constatò Cassandra “e non escludo che la casa sia sorvegliata. Il nemico potrebbe insospettirsi”.
“La babbana pensa bene” annuì Teddy, ma subito la tranquillizzò, avvicinandosi al camino “in questa casa c'è sempre via vai. Nessuno perde più tempo in inutili intercettazioni. Non temere, io penso a tutto” e subito svanì in una vampata di fiamme verdi.
 
In breve tempo furono tutti stipati in uno degli ambienti più piccoli e soffocanti di Grimmauld Place.
“Bene, seguitemi” esordì Ted, che li accompagnò al piano superiore, dove gli spazi erano decisamente più ampi e l'aria meno stantia “Harry conosce bene queste stanze, non è così?”.
Harry non rispose. Da anni non metteva piede in quel luogo: gli sembrava d'aver appena compiuto un tuffo nel passato, colmo di ricordi e malinconia.
Infine raggiunsero il salone principale, dalle pareti un tempo tappezzate di raffinati teleri e gli alti soffitti affrescati. Ad attenderli, c'era una giovane donna, alta, slanciata e fiera come una valchiria, i lunghi capelli d'ambra e un volto che somigliava molto a quello di Tom, a eccezione per i grandi occhi affilati, verdi come smeraldi.
“Tu devi essere Teddy” esordì raggiungendoli e tendendo la propria destra “è un piacere incontrarti finalmente di persona”.
“Piacere mio” ricambiò il ragazzo con un ampio sorriso.
“Papà” salutò Tom con un cenno del capo “è un piacere ancora più grande rivedere te di persona, dopo tutto questo tempo”.
C'era tumulto nello sguardo di Tom, sebbene fosse difficile da definire: un caotico miscuglio di felicità, profonda e sincera; di adorazione quieta ma insolubile per quella ragazza di cui troppo a lungo aveva sentito la mancanza, a causa dell'orgoglio che entrambi mascheravano dietro una coltre di caparbia razionalità; di muta, raggelante paura. Mai prima di allora, mai come avendola davanti ai propri occhi, aveva compreso quanto la volesse estranea a quella follia, al pericolo che avrebbe corso prendendone parte, alle conseguenze che avrebbe dovuto pagare.
Desiderava dirglielo, a costo di rigettare su di sé tutto il suo odio e la sua delusione, a rischio di doverle parlare attraverso parole inchiostrate su carta per il resto della loro vita, se questo le avesse assicurato un ritorno sicuro e un'esistenza serena dall'altra parte del mondo, dove nulla del suo passato poteva toccarla.
Purtroppo, ormai era tardi e lui lo sapeva.
Lydia non comprese a pieno perché Tom attendesse di fronte a lei, impalato come uno stoccafisso, senza proferir parola. Sorrise un po' beffarda, scosse il capo e lo strinse nell'abbraccio di benvenuto che lui non sembrava intenzionato a darle.
Poi si prodigò in brevi presentazioni ed era palesemente onorata di poter stringere la mano a una celebrità come Harry Potter. Allo stesso modo, era impaziente d'incontrare il Ministro della Magia e gli altri eroi di guerra che il giovane Lupin aveva assicurato avrebbero preso parte all'operazione. Tuttavia, fu proprio Teddy a smorzare il suo entusiasmo: erano stati giorni di grande tensione e incertezza e avevano tutti bisogno di un buon riposo. Avrebbero ripreso la discussione il giorno seguente.
Ciascuno si ritirò negli alloggi assegnatigli. Solo Scorpius si attardò per i meandri dell'immensa dimora dei Black e non demorse finché non trovò chi cercava.
Bussò quietamente sullo stipite e Cassandra sobbalzò: si trovava in una delle stanze più arieggiate e vagava nei pressi delle finestre tenendo alto un piccolo oggetto luminoso.
“Non troverai campo: magia e tecnologia non vanno d'accordo” le ricordò lui.
“Già” si limitò a replicare. Improvvisamente calò un amaro imbarazzo, una tensione che lui non riusciva a spiegarsi e che, in qualche modo, lo spaventava.
“Cassandra, lo giuro, non ho partecipato consapevolmente al piano di mio zio”.
“Sì, no, certo” incespicò la ragazza e stavolta non arretrò quando lui le si avvicinò “lo so”.
“Allora perché ce l'hai con me?”.
Gli occhi di Cassandra si sgranarono e in quel momento capì che fra loro vi fosse una terribile fraintendimento: “non ce l'ho con te” esclamò.
“Non mi hai rivolto parola da quando ci siamo incontrati alla Tana. Non mi guardi neppure in faccia. Io non capisco...”.
“Ti chiedo scusa” troncò a disagio “sono solo un po' scossa. Credevo d'averti... è stato strano” ridacchiò un po' impacciata “erano anni che non piangevo apertamente davanti ad altre persone”.
Scorpius sorrise lusingato: “hai pianto per me?”.
Anche lei sorrise: “ho pianto per te”.
Seguì un imbarazzato silenzio, durante il quale nessuno dei due sapeva cosa fare o cosa dire.
Cassandra sdrammatizzò: “suppongo vorrai sapere come sono riuscita a fuggire da Hogwarts nel pieno d'un attacco magico”.
“Lo ammetto”.
“Domani te lo racconterò” ma, nonostante desiderasse sfruttare la suspense di quella promessa per un buon congedo, non se ne andò. Tentennò qualche istante prima di prendere un'iniziativa che lo stupì profondamente: scostati i molti capelli scarmigliati dal proprio volto, gli diede un bacio lieve, il primo che osassero scambiarsi. Poi lo superò e abbandonò la stanza.
Scorpius rimase solo, o così credeva.
C'era una seconda porta, più discreta e appartata, che immetteva in uno dei tanti corridoi: dall'ombra della soglia comparvero due mani impegnate in un aulico applauso e, poco dopo, il volto orgoglioso di Albus.
“Fai sul serio?” sobbalzò Scorpius, stizzito “ti diverte così tanto spiarmi?”.
“Dovevi morire prima di riuscire a farti baciare da una ragazza” lo ignorò.
“Vuoi darmi un bacino anche tu?”.
Albus, lo guardò maliziosamente: “non provocarmi” poi poggiò le spalle al muro “avete fatto di tutto per evitarlo, ma la cosa si sta ufficializzando per conto proprio: non credo che tuo padre ne sarà felice”.
“Se ci pensi è poetico” replicò Scorpius “lui ha voltato le spalle alla propria famiglia per mia madre. Accetterebbe di correre lo stesso rischio con me?”.
Albus espirò rumorosamente: “perdindirindina, se mi dici questo, significa che le cose tra te e Cassandra sono persin più serie di quanto immaginassi”.
“A quanto pare è così”.
Furono interrotti da una lontana discussione, che loro riuscirono a malapena a percepire, dall'angolo remoto di Grimmauld Place in cui si trovavano.
Si scambiarono uno sguardo d'intesa e, con gran discrezione, s'incamminarono verso il salone principale del palazzo dove, tra il silenzio incerto degli altri presenti, Lydia e Tom s'erano abbandonati a un battibecco tutt'altro che amichevole: a quanto pareva, Tom aveva infine espresso apertamente il desiderio che la figlia rifacesse i bagagli per tornarsene al riparo dall'altra parte dell'Oceano Atlantico e lei non l'aveva presa bene.
Lydia rinfacciò la lunga lontananza, che suo padre aveva imposto a entrambi a causa della sua snervante apprensione, e l'amarezza d'esser rimasta estraniata da qualsiasi sua azione per più di due anni, come se lei non fosse stata altro che un intralcio all'operazione, una zavorra che era meglio evitare.
“Non desideravo...”.
“Non desideravi che tornassi” lo sovrastò, poi gli si avvicinò e parlò in fil di voce “be', io sono tornata e non me ne andrò. Posso lavorare con te, ma se ti ostini a tal punto per impedirmelo, allora lavorerò sola. Pondera le possibilità, considera i rischi maggiori e rifletti sulla scelta più saggia” detto questo, carica di rancore, abbandonò la compagnia sgradita.
Scorpius e Albus non potevano vederla, perché stava spiando da un altro lato del salone, altrettanto discreto e recondito, ma Cassandra aveva assistito quanto loro alla scena e, appena comprese che Lydia se ne stava allontanando, agì d'impulso. La seguì a passo svelto per il portico interno, chiamandola a distanza.
Lydia se ne stupì, ma attese che la raggiungesse: “cosa c'è?” chiese bruscamente.
“Perdonami” si scusò Cassandra e doveva tenere alto lo sguardo per incrociare i suoi occhi “ma mi ha colpito la tua fermezza di spirito e desideravo parlarti”.
“Tu sei la No-Maj, giusto?”.
Lei impiegò qualche istante a comprendere, “oh, la babbana. Sì, sono io”.
Lydia riprese a camminare e Cassandra la seguì: “sai, credo che le scelte di tuo padre siano state opinabili e certo non lo giustifico, ma sono sicura che abbia agito in buona fede”.
“Non serve certo che sia tu a dirmelo”.
“Ma...” incitò l'altra,
“Ma la mancanza di fiducia che dimostra nei miei confronti è vergognosa” concluse la ragazza, aprendo la porta dei propri alloggi.
“Non lo metto in dubbio” Cassandra entrò senza chiedere permesso “però l'intera faccenda è davvero spinosa e i rischi sono molti. Quanto sai al riguardo?”.
“Poco” rispose Lydia, dandole le spalle “troppo poco”.
“Posso rimediare”.
Quelle parole catturarono la sua attenzione. Si voltò di nuovo verso quella giovane e bizzarra No-Maj: “allora rimediamo” acconsentì infine.
 

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Capitolo 20
*** Pianificazioni ***


 
Lydia e Scorpius sedevano l'uno di fronte all'altro, in attesa. Grimmauld Place s'era popolato in poche ore come non accadeva da decenni e Tom aspettò che fossero tutti presenti per cominciare a esporre le proprie spiegazioni. Spiegazioni di cui Lydia e Scorpius non avevano bisogno.
"M'è stato detto che sei bravo nella magia libera" fu lei a rompere il ghiaccio.
Lui non capì.
"La manipolazione della magia senza l'impiego della bacchetta".
"Oh... no" negò fermamente, in lieve imbarazzo "mi diverte soltanto".
"Non è ciò che ho sentito".
"Ricordo quando mostravi a mia madre i tuoi progressi negli studi a Ilvermorny: eri incredibile nel gestire la magia col solo ausilio della voce e delle mani. Un vostro professore ha accettato di tenere alcune lezioni ad Hogwarts e io non ho perso occasione per affinare la mia tecnica. Nulla di paragonabile a ciò che sai fare tu, ad ogni modo".
"In poche parole, non sapresti neppure mimare un Wingardium Leviosa" lo stuzzicò.
E la provocazione andò a segno.
Scorpius non si limitò a sollevare la teiera che aveva davanti a sé, ma con un fluido gesto della mano versò un po' di te alla menta in due tazze. Quella di Lydia fluttuò pigramente da lei per posarsi tra le sue mani.
"Carino" sorrise la ragazza "senza neppure l'ausilio della voce".
"Se non mi trovo sotto stress, funziono alla grande".
"È un vero peccato che questo genere di abilità serva prevalentemente in situazioni di estremo stress" punzecchiò ancora, prendendo un sorso.
"Un bravo esibizionista, non è vero?".
Scorpius sobbalzò: "Cass, tu e Albus siete le peggiori delle ombre".
Cassandra varcò la soglia e si sedette con loro: "posso favorire?".
Scorpius versò una terza tazza di te, senza mente o bacchetta, ma con l'ausilio delle più convenzionali mani.
"Ti hanno esclusa dalla riunione?" chiese Lydia.
"Oh, no, ho semplicemente ascoltato quanto necessario" poi deviò "sembra che quella di tuo padre sia stata un'operazione a lungo termine: vi ha persevarato per anni prima di farsi avanti" commentò la ragazza.
"È bizzarro vedere un Mangiamorte che, solo, si schiera contro la fazione cui un tempo apparteneva" si unì Scorpius.
"Lui si era unito alla combriccola di Voldemort nella disperata speranza di preservare la propria immagine e, possibilmente, quella di mia madre" spiegò Lydia "non c'è riuscito, ha rischiato grosso e si è rifugiato con noi dall'altro capo del mondo".
"Preservare la propria immagine?" ripeté Cassandra, perplessa.
"Le famiglie che sostenevano la causa di Voldemort erano marce fin nel midollo, ma ci tenevano a mantenere una solida parvenza d'integrità morale di fronte alla comunità magica. Quando sono nata, i miei genitori erano giovani viziati e viziosi, poco più che coetanei del ragazzo che era sopravvissuto. Ero una bastardella e, come se non bastasse, mia madre era una Mezzosangue, il cui lato magico della famiglia veniva considerato piuttosto mediocremente all'interno del cenobio purosangue".
"Questo giustificherebbe la collaborazione con uno dei peggiori maghi della storia?" provocò Scorpius.
"Domanda divertente, se posta da un Malfoy" replicò Lydia prontamente "ad ogni modo, sappiamo come è andata. Mia madre faticava a vivere lontano di tutto ciò che conosceva, a causa di quello che lei e mio padre avevano fatto, delle idiozie che avevano compiuto... a causa mia. Credo abbia finito con l'odiarmi. Se ne è andata quando io avevo otto anni e da quel momento mio padre è cambiato: idee pericolose hanno cominciato a frullargli nella testa. Ha lasciato gli Stati Uniti quando ancora frequentavo Ilvermorny, proprio perché mi sapeva al sicuro, tra quelle mura. Le incomprensioni fra noi hanno iniziato a sorgere quando, crescendo e maturando, mi sono resa conto di quanto sostenessi la sua causa. Volevo farne parte e lui me lo impediva. Ora, ad ogni modo, non può più farlo" prese un altro sorso, soddisfatta.
"Cass?" Scorpius cambiò drasticamente argomento "come sei riuscita a fuggire da Hogwarts nel pieno d'un attacco magico?" la citò parola per parola.
"Grazie alla Stanza delle Necessità" rispose con tono pigro, soffiando sul te bollente.
Scorpius e Lydia s'inviariono un'occhiata perplessa.
"Cass" insistette lui "puoi essere un po' più specifica?".
"Sai meglio di me come funziona: basta sapere dove guardare e lei si mostra. È ciò che ho fatto quando mi hai dato modo di fuggire. Quella Stanza non ha pregiudizi: funziona coi maghi e con le streghe tanto quanto con i babbani, evidentemente".
"Come era?" chiese Lydia.
"Sembrava un porticato, direi. L'ho percorso e, attraversato l'ultimo arco, mi sono ritrovata a King Cross".
Lo sguardo che stavolta Scorpius e Lydia si scambiarono era di puro stupore.
"Mio padre non ha mai accennato al fatto che la Stanza delle Necessità fosse la trasposizione spaziale di una Passaporta" commentò lei.
"Non credo lo sia" replicò Cassandra "semplicemente, di cos'altro potrebbe mai aver bisogno una babbana invischiata in una guerra magica, se non d'una via di fuga?".
Un lieve martellare di nocche interruppe la loro conversazione e i tre si voltarono in un sol gesto. Teddy li osservava discretamente dalla porta: "Cassandra, pare che avessi qualcosa da dire a tutti noi".
Lei confermò con sorpresa degli altri due.
Il giovane Lupin, invece, annuì disponibile: "bene, allora. Vieni".
Si unirono all'assemblea: fu quasi impressionante vedere tanti volti noti in un unico luogo.
Cassandra si erse di fronte a tutti loro, incerta e nervosa, le mani che si torturavano l'un l'altra e lo sguardo vibrante di tensione.
"D'accordo" si schiarì la voce con un colpo di tosse "se mi trovo qui ora è solo merito di Hagrid, che ha avuto l'accortezza di venirmi a cercare dopo la mia fuga a King Cross, e per questo gli sono grata".
Il mezzo gigante le sorrise bonariamente e lei proseguì.
"Tom è stato chiaro, la situazione non lo è affatto. L'operato di Ursul ha radici profonde, tuttavia sappiamo che ha osato spingersi troppo oltre, allungando le proprie grinfie persino sugli Auror. Molti si sono arresi a lei, altri hanno finto d'accettare la sua supremazia per tener salva la vita, ma non per questo le sono fedeli. Si stanno arrischiando in un terzo gioco estremamente pericoloso".
"O è ciò che desiderano farci credere" commentò Draco con sprezzante scetticismo.
"Questo è ciò che Tom ci ha riferito, dunque questo è" replicò lei "non vi è giudizio cui possiamo affidarci se non il suo" e suonò tanto categorica che non seguirono ulteriori obbiezioni.
"Ovviamente Tom conosce il luogo di ritrovo delle forze di Ursul, il loro covo, se tale può chiamarsi, ma anche il signor Potter è riuscito a risalire ad esso grazie alle ricerche degli ultimi due giorni: quella donna non si affida più alla discrezione. Il problema, dunque, non è individuare il posto: il problema è comprendere come entrarvi, perché Tom ha accennato ai suoi folli sistemi di difesa magica e sarebbe un suicidio cercare di varcarli, non solo per il rischio che essi stessi rappresentano, ma perché risulterebbe impossibile aggirarli con discrezione e ogni tentativo di attacco furtivo ne verrebbe bruciato".
"Dove vuoi arrivare?" incalzò Teddy, impaziente e incuriosito al tempo stesso.
"Un antico monastero erto al di sopra di ancor più antiche catacombe, questo è il covo di Ursul" parve ignorarlo lei "una trappola mortale per qualsiasi mago o strega sia estraneo alla sua cerchia. Una banalissima destinazione turistica per coloro che lo visitano con l'inconsapevolezza dei babbani. Tom è stato chiaro al riguardo: non vi sono trucchi di camuffamento magico. Il covo è sotterraneo, a metri e metri di profondità, e l'unica magia ad esso applicata ha a che vedere col solo, complesso sistema difensivo. Tuttavia, non occorre la magia per scendere qualche rampa di scale".
I presenti cominciarono a comprendere.
"Proponi d'inoltralci nelle profondità di quelle catacombe per vie babbane?" chiese Harry.
"Sotto questo punto di vista, Ursul è molto più simile al proprio mentore di quanto non vorrebbe: dubito fortemente che abbia preso in considerazione un tale rischio".
"Come sai di quel passaggio?" domandò Scorpius.
Lei gli concesse una risposta che sapeva non gli sarebbe piaciuta affatto: "l'ho cercato, l'ho trovato, l'ho percorso".
Si diffuse un mormorio generale. Scorpius sbiancò come predetto.
"Ovviamente non mi sono addentrata in profondità. Tuttavia, ho avuto modo d'intravedere qualche ceffo di Ursul interloquire in modo sospetto. Mi sono dileguata prima che potessero accorgersi di me".
"Con questo cosa desideri dimostrare?" incalzò Tom.
"Che è folle" borbottò Scorpius.
"Che l'intera resistenza da opporre a Ursul non può certo affidarsi a quell'angusto accesso per infiltrarsi nelle catacombe, ma un buon diversivo sì. Tu, Tom, puoi ancora vagarvi liberamente, per quanto ne sappiamo".
"Posso eccome" assicurò lui.
"Tuttavia, sarebbe sospetto mostrarti a coloro che ti considerano alleato mentre disattivi ogni barriera, rendendo il covo vulnerabile senza motivo appartente. In quanto estranea alla magia, fatico a immedesimarmi in simili scenari, ma mi pare di capire che Ursul abbia aperto un varco magico invisibile a occhi babbani che consente ai suoi uomini di abbandonare il nascondiglio in forze, quando necessario, così com'è accaduto in occasione del grande attacco ad Hogwarts".
"È così" le confermò Tom "e ovviamente è lì che si concentrano le peggiori difese di Ursul".
"Che tuttavia tu sapresti gestire" azzardò Cassandra.
"Mi pare ovvio".
"Ebbene, non c'è difesa al mio piccolo passaggio. Che ne siano all'oscuro, il che mi pare davvero improbabile, o che non vi ripongano alcuna attenzione, ben più verosimile, quel varco è sicuro. Lo so. L'ho attraversato. Da lì passerà il nostro diversivo, ciò che attirerà l'attenzione del nemico su di sé permettendo a Tom di agire indisturbato. Ciò che aprirà la strada all'esercito del signor Potter".
"Tom, sapevi del passaggio babbano di cui parla?" interrogò Harry.
Quello scosse il capo: "ammetto la mia mancanza".
"Che però ci fa ben sperare" si unì Teddy con entusiasmo "se Tom non sa, è difficile che altri sappiano".
"Dunque qualcuno dovrebbe arrischiarsi tra quella feccia e tenerla impegnata il tempo necessario perché Tom annienti ogni protezione e permetta alle nostre forze di far breccia" concluse Albus in un sospiro sconsolato.
"Non ne so molto, se non ciò che mio padre ha riferito al riguardo" si unì Lydia "ma pare che Ursul si sia concessa un tetro sfarzo, all'interno di quel covo: un'alta cascata vela le pareti del salone centrale della catacomba, precipitando per metri e metri. Moltissima acqua, uno splendido diversivo. Ebbene, svariati incantesimi di rilevamento si basano sulla percezione della bacchetta che un mago porta con sé, connettendo la barriera magica al nucleo in essa contenuto, ma io domino perfettamente la magia libera e non v'è il rischio che qualcosa al di là di quel passaggio babbano intuisca la presenza d'uno strumento magico su di me, perché non ne porterei".
"Giusto" esclamò Teddy.
"Folle" lo zittì Tom.
"Sono un'ottima strega: le forze magiche di New York avevano già accettato la mia domanda per entrare in lizza alla nomina di Auror, prima che partissi per raggiungervi. So quel che faccio".
"Presta attenzione che i buoni propositi non si mischino alla spocchia e all'arroganza".
"La nostra famiglia ha contribuito a questo sfacelo ed è giusto che la nostra famiglia faccia il necessario per porvi rimedio" replicò lei a tono "la mia proposta è assennata, limiterebbe i rischi e mi pare che non vi siano altri, oltre a te, così contrari al piano" e, in effetti, nonostante la tensione dovuta all'improvvisa discussione tra Lydia e Tom, nessuno sembrava aver imboccato una linea di pensiero distante da quella di Teddy, subito esaltato all'idea di agire come la ragazza aveva proposto.
“Dunque approvi o ritieni che qualsiasi contributo da parte mia sia superfluo?” fu la stentorea domanda con cui Lydia intendeva concludere il battibecco.
Tom tacque, senza ricambiare il suo sguardo, perché non sapeva come ribattere all'asprezza di lei e ogni volta che doveva farvi i conti gli sembrava più dura della precedente.
“Bene” concluse Lydia e, così dicendo, si congedò.
Tom esitò qualche istante, poi si alzò e la raggiunse prima che fosse troppo tardi. La chiamò con titubanza, perché prevedeva la fredda avversione con cui gli avrebbe risposto.
“Andremo insieme”.
Lei sorrise acidamente: “perché io possa affidarmi alla tua guida?”.
“Alla mia protezione”.
Il sorriso di lei si fece più ampio e il suo tono più pungente: “non ho bisogno della tua protezione”.
“Ma io ho bisogno che tu l'abbia”.
Lydia non riuscì a conservare la propria ostilità di fronte a quelle parole. Suo malgrado, l'espressione del suo volto si addolcì e così il suo giudizio: “d'accordo... ma solo io sfrutterò il passaggio. Tu entrerai per la porta principale”.
Tom annuì.
 

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Capitolo 21
*** La cascata ipogea ***


 
Lydia ammirava la giovane No-Maj che s'era guadagnata tanto rispetto all'interno della bizzarra combriccola incontrata a Grimmauld Place: era intraprendente e intrepida, acuta e sicura di sé. Tuttavia, non negava di avere dubitato di fronte alle sue parole: l'idea che una babbana avesse scovato un passaggio al covo di Ursul e avuto il fegato di addentrarvisi, seppure per poco, le sembrava davvero assurda.
Scoprì invece che era tutto vero, perché proprio grazie ad esso riuscì a scendere in profondità per gli angusti e umidi cunicoli della cripta e, infine, si ritrovò sola in un ambiente immenso, illuminato da fiaccole stregate che inviavano ovunque i propri bagliori verdi, acidi come veleno. Le altissime pareti, più nere della pece e scavate barbaramente nella roccia, ne erano inondate, così come gli ampi pavimenti, il cui lastricato andava ormai deformandosi e corrodendosi a causa dell'usura e del tempo.
Ma fu la grande cascata a mozzarle il fiato: sapeva che l'avrebbe trovata a scrosciare lungo il clivo più imponente e ripido, sapeva che ne avrebbe udito il rombo perdersi nelle profondità del baratro in cui le sue acque precipitavano, ma questo non bastò a smorzare la sorpresa. Due figure di sirena si stagliavano nella pietra e, dall'alto della loro immensa stazza, versavano fiotti d'acqua dalle anfore che stringevano tra le braccia.
Ursul era l'artefice di una simile ostentazione, ne era certa. Per decenni nessuno aveva messo piede in quel covo all'infuori dei suoi uomini, ma lei aveva un debole per tutto ciò che era mortifero e grandioso.
Lydia restò troppo a lungo a fissare le impressionanti sculture e per poco due scagnozzi di Ursul non la scovarono, passandole accanto. Fortunatamente erano distratti, completamente immersi nella propria conversazione, e lei fece in tempo ad acquattarsi nell'ombra.
Una volta lontani, pensò fosse finalmente giunta l'ora di uscire allo scoperto, ma non aveva notato tre Mangiamorte che, all'altro capo del salone, sedevano a un tavolo, così esile nell'immensità del luogo in cui si trovava e, per quel poco che Lydia riusciva a vedere dal suo punto di vista, potevano tanto discutere di futuri piani di conquista quanto giocare a dama.
Decise quindi di restare in disparte e s'inerpicò agilmente sulle taglienti increspature della roccia fino a trovare un rilievo sufficientemente spesso e ampio da potervisi accomodare. Prese un profondo respiro e protese le mani verso la terribile mole d'acqua.
Vi fu un crepitio, come di legna ardente, che presto divenne lo scoppiettio dei primi ciottoli a precedere la frana. Infine, uno schianto assordante.
Le braccia delle sirene si spezzarono, le loro anfore precipitarono, la parete si squarciò e un'ondata d'acqua dalla forza devastante invase l'intero salone.
I tre ne furono sommersi tra grida di stupore e terrore.
Lydia s'affrettò ad arrampicarsi ulteriormente ed evitò per un pelo d'essere investita dalla gelida onda che si schiantò contro la roccia.
Presto l'ampio antro della cripta si gremì di Mangiamorte, tutti preda del panico più inaspettato. A malapena riuscirono a domare la violenza dell'acqua, prima che qualcos'altro, ancor più tragico, catturasse la loro attenzione: il piano era andato a buon fine, Tom non aveva fallito e Lydia sentì, poiché non riusciva a vederle coi propri occhi, le forze di Potter invadere il covo dal varco apertosi nell'ala opposta alla sua per proclamare guerra a Ursul.
Così come s'erano raggruppati nel salone, i Mangiamorte di nuovo si dispersero.
Lei avrebbe desiderato unirsi alla battaglia, perché ne percepiva il trambusto, il caos violento imperversare per l'intera cripta, ma l'acqua stava ancora drenando sotto di lei. Vi sarebbero stati solo vortici gelidi ad accoglierla, se si fosse calata dal nascondiglio in cui era riparata, e abbattere un'intera parete di roccia col solo ausilio del suo corpo l'aveva intorpidita.
Quindi fu costretta ad attendere, senza sapere come gli eventi si stessero evolvendo, ma le grida e gli ordini concitati dei Mangiamorte le lasciarono intendere che la fazione di Ursul avesse visto giorni migliori: molti degli Auror che Letitia aveva irretito attendevano solo il momento opportuno per ribellarlesi e, all'assalto esterno, si aggiunse una ribellione interna. L'esercito di Ursul si ritrovò improvvisamente in minoranza numerica, ma questo non bastò ad assicurare la vittoria alle forze di Harry Potter. Qualcos'altro sarebbe intervenuto di lì a poco per soffocare qualsiasi tentativo di ribellione da parte del nemico: Lydia riconobbe la voce di Ted Lupin sovrastare il frastuono e impartire ordini estremamente semplici, ma autoritari. Seguirono un ruggito e una vampata di fiamme di cui lei poté scorgere solo l'alone di fumo e luce trasparire dai cunicoli sotterranei.
Baldo e Charlie Weasley: non potevano che essere loro. Avrebbe voluto vederli, l'avrebbe voluto con tutta sé stessa: un addestratore di bestie fameliche e un drago ammansito eppure letale che rispondeva ai comandi suoi e del suo folle socio.
Paradossalmente, questo fu ciò che pensò quando si calò dal proprio riparo, atterrando sul pavimento fradicio, ma finalmente percorribile: la curiosità e l'entusiasmo di una bambina molto più del desiderio di combattere la spinsero ad abbandonare la penombra e cercare di raggiungere gli ambienti interni della cripta. Tuttavia, proprio perché l'immenso atrio era ormai sgombro dall'inondazione, alcuni Mangiamorte tornarono a occuparlo e la trovarono, in bella vista, disarmata, sola.
Ogni frivolezza sparì dalla mente di Lydia e lei si mise in guardia. Non si era pavoneggiata per nulla dichiarando d'essere arrivata a un passo dalla nomina di Auror, perché in poche mosse disarmò il primo avversario che le si scaraventò contro e gli sottrasse la bacchetta, dato che si sentiva spossata, le sue dita formicolavano e aveva bisogno d'incanalare la propria magia in uno strumento idoneo, se desiderava combattere per vincere.
Non dovette affrontare molti nemici, perché gran parte dei maghi era sparsa in ogni angolo del labirinto sotterraneo, ma lei era pur sempre sola e, nonostante ciò, si fece valere.
Non combatteva per uccidere: non l'allettava l'idea di creare martiri per quei folli che, nel mondo esterno, ancora sostenevano i dettami maniaci d'un Lord da tempo sconfitto e, ancor più, non voleva sporcarsi le mani di sangue. Azkaban aveva spazio sufficiente per tutti.
Così, molti caddero privi di sensi e Lydia sorrideva euforica, esaltata dall'adrenalina della battaglia.
Nulla riuscì a smorzare il suo entusiasmo: non l'arrivo continuo di nuove forze, non i lampi verdi che talvolta la sfioravano e minacciavano di ucciderla, non la consapevolezza d'essere priva di qualsiasi supporto nella propria battaglia. Fu un'ombra a strappare il sorriso dal suo viso, una figura scura e austera che avanzò nel trambusto con passo lento e mani basse. La furia di tutti i presenti parve spegnersi al suo arrivo, compresa quella di Lydia.
“Ursul” mormorò la ragazza.
“La giovane Greengrass” replicò l'altra “la vergogna di Tom. L'onta che grava sul suo nome. La macchia che così faticosamente cerca di ripulire. O almeno questo è ciò che mi ha detto”.
Nessuno osava interrompere il suo incedere e la battaglia sembrava essersi congelata.
Solo Lydia rialzò la bacchetta che teneva in pugno, ma la sua mano era improvvisamente tremante.
“Ho sempre creduto di dovere molto a quell'uomo. L'ho creduto fino ad oggi” continuò Letitia “se davvero ritiene che tu sia un'onta, dunque ripagherò il mio debito; in caso contrario, sarà lui a ripagare il tradimento col più tremendo dei dolori” anche lei alzò la bacchetta e la scosse con vigore. Un lampo cobalto ne sprigionò e Lydia lo respinse prontamente, ma l'impatto della magia di Ursul contro la sua fu tremendo e solo allora la ragazza ebbe prova della forza che s'annidava in quella donna. Una forza che lei ancora non padroneggiava e che certo, stanca com'era, non sarebbe riuscita in quel momento a raccogliere dentro di sé.
Il loro non fu un duello, perché Lydia cercava unicamente di difendersi e indietreggiava sempre più, mentre Ursul marciava con arroganza verso di lei. Infine, fendette l'aria con un colpo di bacchetta, neanche impugnasse una sciabola, e Lydia non riuscì a schivare il colpo.
Il muto incantesimo tagliò la carne, penetrò profondamente nel suo ventre e, per quanto cercasse di combattere l'intorpidimento del corpo e l'appannarsi della vista, Lydia infine cadde in ginocchio e presto si ritrovò stesa sulla fredda pietra, gli occhi ottenebrati che a stento riuscivano a seguire i bagliori acidi delle lanterne stregate.
“Bene” sospirò Ursul, al contempo seccata e amareggiata “tornate nella mischia. Lasciate che si dissangui”.
E ancora una volta, la quiete precipitò dove fino a pochi minuti prima era il roboante scrosciare della cascata ipogea.
 

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Capitolo 22
*** Inganno e orgoglio ***


 
Tom combatté e lo fece valorosamente, ma prestò attenzione a mantenere un basso profilo, perché molti alleati di Potter lo credevano ancora nemico e molti seguaci di Ursul lo credevano ancora amico. Una situazione scomoda che, però, poteva fruttare dei vantaggi.
La battaglia procedeva a gonfie vele e ormai il panico cominciava a trasparire dai volti dei Mangiamorte che con sempre più fatica cercavano di tenere alte le difese.
Stavano vincendo, ma Tom aveva altro per la testa: da quando il caos era esploso, non aveva più avuto notizie di Lydia. Sperava che si fosse unita agli alleati, ma dentro sé temeva che fosse rimasta isolata.
Vagò in lungo e in largo fino a raggiungere il grande atrio e fu così che la trovò, completamente abbandonata a sé stessa, nella più glaciale solitudine.
Per un istante le sue gambe persero sensibilità e non risposero ad alcun comando, poi una scarica di cruda e ancestrale paura lo scosse da capo a piedi e si precipitò da lei.
La ragazza respirava a stento, versava immobile in una pozza di sangue e i suoi occhi guardavano fissamente il nero che li sovrastava.
Subito Tom estrasse la propria bacchetta e cercò di applicare alcuni incantesimi di guarigione, ma la ferita non si rimarginava e il sangue continuava a sgorgare pigramente.
“Questa è magia nera” la sentì mormorare con pietosa fatica “non si può rimediare”.
Lui sussultò all'udire la sua voce, ma ne fu anche molto sollevato: “non temere, troveremo una soluzione” incespicò affannosamente. Ma non la trovò.
Finì con l'imprecare tra sé, sibilando a denti stretti e maledicendo la propria inutile magia, mentre il panico minacciava di annebbiare ogni suo giudizio e fargli perdere il controllo.
“Ascolta, bambina mia, ora ti porterò fuori da qui” assicurò ad un tratto, guardandola con occhi grevi e lucidi “e farò in modo che ti curino alla vecchia maniera, in un ospedale babbano”.
“Non puoi portarmi fuori” gorgogliò lei.
“Certo resterà un brutto segno” la ignorò “ma a chi importa? Dobbiamo solo...”.
“Papà” la mano di Lydia annaspò alla ricerca di quella di lui e infine la strinse “cosa credi che direbbe la mamma, se sapesse cosa mi è successo?”.
Tom si asciugò sbrigativamente il volto: “non c'è nulla che dovrebbe sapere perché nulla ti succederà. Hai capito? Nulla”.
“Morirò qui”.
“No, bambina mia, non morirai qui”.
La sua mano quasi stritolava quella di lei, ma Lydia aveva perso sensibilità e non se ne accorgeva.
Tom si guardava attorno spasmodicamente, alla ricerca d'un appiglio, un dono del fato che gli permettesse di aggirare le barriere che in quel covo impedivano ogni incantesimo di Materializzazione per portare Lydia lontano da quell'incubo.
“Papà... mi avevi detto di restarmene a casa”.
“Oh, te l'avevo detto. Eccome se te l'avevo detto” l'assecondò incespicante, ma il suo sguardo continuava a vagare.
“Papà...”.
Il corpo di Tom fu scosso da un brivido che per un istante gli contorse le viscere e gli appannò la vista: “no, Lydia. Non fare così. Stavi andando bene” le carezzò la fronte mentre cercava di scuotere la sua mano.
“Lydia, sono ancora qui con te. Devi fare altrettanto. Impegnati, bambina mia” ma non c'era più risposta che potesse ottenere.
“Lydia, ti prego. Non fare così. Ti prego” le sue lacrime bagnavano ormai anche il volto di lei, ma il loro caldo tocco non poté riscuoterla.
E così Tom rimase, chino al suo fianco, a singhiozzare mentre ancora le stringeva la mano.
E così Ursul lo trovò.
Non badò affatto a lei, quando la sentì avvicinare con passo lento e altero.
“Purtroppo è questo che accade, Tom, quando un cane morde la mano del proprio padrone. Non credere che uccidere la tua sciocca ragazza mi abbia arrecato soddisfazione o gioia, ma andava fatto, lo capisci?”.
Non ottenne alcuna risposta. Gli occhi di Tom erano per Lydia e così tutto il suo dolore.
“Ma non dimentico ciò che hai fatto per me, Tom. Che fosse per inganno o per orgoglio, mi hai prestato un grande servizio. Soprattutto, ti sei rivelato il più astuto tra i nemici e un combattente rispetta colui che, dimostrandosi migliore, riesce a batterlo. Dunque dimmi, c'è qualcosa che vuoi da me, prima della conclusione di tutto?”.
Finalmente le rispose, alzando lo sguardo pesante e stanco: “hai ucciso lei. Ora uccidi me”.
Letitia annuì, con rispetto e compostezza. Quindi estrasse la propria bacchetta e fece quanto le era stato chiesto.
 
“Rowl” chiamò con un amaro sospiro “aggiornamenti?”.
Il suo sottoposto tentennò, incerto su come rispondere.
“Dunque?” insistette lei.
“Abbiamo perso terreno e forze, mia signora. Temo... temo che...”.
“Proclamate la resa” ordinò, dando le spalle ai propri uomini “che ognuno di voi scelga per sé come concludere questa guerra. Arrendetevi, fuggite, sacrificatevi. Il vostro destino non è in mano mia” si allontanò e alcuni cercarono di seguirla, ma lei li liquidò: “ora lasciatemi sola”.
Scese in profondità, fino a fronteggiare un'antica porta in ferro e ottone, un tempo ingresso a un nobile mausoleo che lei aveva convertito a ufficio personale.
Si sedette sul maestoso seggio e posò un piccolo oggetto sulla cattedra che lo affiancava: un anello, la cui pietra scura era spaccata a metà. Il metallo pareva opaco e il suo colorito smorto, come se da esso fosse stato prosciugato uno spirito profondo e ormai muto da tempo.
Nessuno seppe mai spiegare come Letitia Ursul avesse ritrovato l'anello di Orvoloson Gaunt, ma per molti anni lo custodì gelosamente, senza mai indossarlo o mostrarlo ad altri. Lo tenne piuttosto al sicuro, memoria d'un retaggio che lei amava e al contempo disdegnava.
“Avrei dovuto imparare la lezione” disse guardandolo intensamente “tu avevi fallito, mio signore, e io fallisco dopo di te, ma non cadrò ai loro piedi alla stregua di un manichino spoglio come hai dato loro modo di fare col tuo corpo. No, Letitia Ursul non cade per mano di nessuno. Letitia Ursul cade per mano propria”.
C'erano molte cianfrusaglie su quella cattedra e lei ne scelse due che fossero pesanti e massicce. Ad esse ancorò la propria bacchetta, perché puntasse dritta al suo petto.
“Ora, vecchia amica, ti chiederò un favore. Dovrai agire ignorando le mie mani, perché non potranno aiutarti, e ascoltando unicamente la mia voce. Mi sei sempre stata fedele e so che non verrai meno al tuo compito proprio ora”.
Sospirò profondamente e si accomodò come meglio poté.
“Avada Kadavra”.
Un lampo verde sprigionò dalla bacchetta.
Quando Harry e gli altri si precipitarono nella stanza, era ormai troppo tardi. Ursul giaceva sull'alto scranno, la sua bacchetta ancora ben salda nell'appoggio d'ottone: la battaglia si era conclusa, ma loro avevano solo pesci piccoli da raccogliere nella rete, perché il loro capo s'era già infilzato all'amo per sua stessa volontà.
 
I ragazzi non avevano partecipato allo scontro, per questo attendevano in angoscia a Grimmauld Place. Tirarono un immenso sospiro di sollievo quando Hagrid vi si precipitò, tumefatto e sfinito, ma salvo, per dir loro cosa fosse accaduto.
Purtroppo si contavano caduti anche tra le loro fila, seppur in numero limitato, e Ted Lupin ricevette molte pacche sulla spalla e accorate consolazioni, quando fu scovato a piangere per la morte di Tom.
Trovarono i Greengrass stesi l'uno accanto all'altra, le loro mani ancora strette. Furono dedicati loro grandi onori, quando si tenne una cerimonia pubblica presso il Ministero, per omaggiare coloro che erano morti in battaglia e festeggiare la distruzione d'un retaggio odioso, che per poco non aveva trascinato il mondo magico in un'epoca di terrore e odio così come Voldemort aveva fatto ormai venticinque anni prima.
Ancora stordito dall'assurda rapidità con cui gli eventi s'erano succeduti e con cui il mondo era tornato ai propri affari, come se gran parte di quanto accaduto non fosse stato che un brutto incubo, Harry si ritrovò catapultato dal campo di battaglia alla propria scrivania. Un grande caos regnava ancora sovrano e tutto il Ministero era in preda al trambusto, perché molte erano le cose che necessitavano d'esser sistemate: per una volta, si sentì in pace e al sicuro tra le infinite scartoffie che doveva ordinare.
In quelle settimane, a stento mise piede dentro casa. Contava di rimediare al più presto, ma gli risultava difficile immaginare quando gli sarebbe effettivamente stato possibile.
Era semmai Albus ad andare da lui, ormai libero dagli impegni di Hogwarts, ormai terzo uomo in carica nella famiglia e colui che più di tutti, tra loro, era stato toccato dal folle operato di Ursul.
Quella sera in particolare si fece avanti senza troppi convenevoli: non aveva molto di cui parlare. A dire il vero, non aveva alcunché di cui parlare. Voleva solo assicurarsi che suo padre non fosse caduto preda di qualche allucinazione dovuta all'astinenza da sonno.
Harry lo salutò con un lieve cenno del capo, quando lo sentì entrare in ufficio per fermarsi di fronte alla scrivania, ma non alzò lo sguardo.
“Immagino che ormai Azkaban sia affollata come di rado le è capitato d'essere in passato” commentò il ragazzo.
“È così: questa terribile faccenda sta per essere chiusa una volta per tutte, sul piano burocratico quanto su quello pratico”.
Albus lo guardò a braccia conserte: “avete vinto la guerra”.
“Sì, l'abbiamo vinta” Harry si stese sullo schienale della sedia e sospirò profondamente “e adesso, Albus?” chiese, come se il ragazzo potesse davvero dare risposta a una simile domanda.
“Aspettiamo la prossima, pa'” e, detto questo, gli diede le spalle, uscendo dall'ufficio con passo tranquillo
Harry lo seguì con lo sguardo per qualche istante, poi scosse il capo, ridacchiando tra sé, e tornò a firmare le proprie carte.
 
 

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Capitolo 23
*** Epilogo. Diciassette anni dopo ***


 
Sospirò contritamente, strofinandosi gli occhi con insistenza.
“Non credevo di trovarti qui”.
Sobbalzò: “Rose... sono tornato due ore fa dalla Svezia: una capata al Ministero era d'obbligo, per mettere in ordine qualche carta”.
“Qualcosa che non ami particolarmente fare”.
Sbuffò, preparandosi a sorbire l'usuale ramanzina.
Un brivido gli percorreva la schiena ogni volta che ripensava all'incarico di Ministro della Magia propostole l'anno precedente e rifiutato per puro dono divino: Rose supervisionava gran parte dei settori del Ministero e averla quale diretto superiore era già sufficientemente stressante.
“Va a casa, Scorpius, sembri distrutto”.
La fronte di lui si corrugò: la ramanzina non s'era conclusa come immaginava.
La guardò perplesso.
“Ci vediamo stasera” concluse lei con sorriso comprensivo, poi lasciò il suo ufficio.
Finalmente, Scorpius chiuse l'ultimo fascicolo e si alzò stiracchiando le membra intorpidite.
Alzò gli occhi al cielo e digrignò i denti quando, incamminatosi per i corridoi, la voce stridula d'un collega lo richiamò affannosamente.
Si voltò: un uomo paffuto correva goffamente per raggiungerlo, le braccia straripanti carte e documenti.
“Horatio, dovevo assentarmi dalla nazione un solo giorno e ne sono trascorsi tre. Come se non bastasse, ho due mesi di ferie arretrate” cercò subito di liquidarlo.
“Aspetta, Scorpius, ti prego: dobbiamo convincere gli ungheresi a cederci due neonati prima che diventino troppo feroci e sconvenientemente ingestibili”.
“Charlie Weasley è ambasciatore della nostra sezione ministeriale in Ungheria e in gran parte delle nazioni straniere che abbiano a che fare con grosse comunità di draghi. Rivolgiti a lui”.
“Non abbiamo tempo, Scorpius” gli si parò di fronte “tre rappresentati sono già seduti attorno a un tavolo e attendono di conferire con uno di noi”.
“Perfetto. Buona fortuna”.
“No, no, no, tu non capisci. Non hanno alcuna intenzione di cederci quei neonati e hanno davvero bisogno d'essere persuasi”.
“Buona fortuna” ribadì.
“Scorpius, ascolta” lo implorò “non mi daranno mai retta. Io sono... insipido” ammise storcendo il naso “ma guardati, invece: alto, biondo, fascinoso”.
“Ci stai provando con me, Horatio? Perché sono risaputamente impegnato”.
“Troverai sicuramente un modo per convincerli”.
Scorpius poggiò una mano alla sua spalla, fingendo accorata empatia: “Horatio, non hai idea di quanto freddo faccia nel nord della Svezia in questo periodo dell'anno: voglio solo tornarmene a casa per starmene al caldo e festeggiare il compleanno dei gemelli. Non ho alcuna intenzione di deluderli con la mia assenza, ci siamo capiti?”.
“Oh, certo, i gemelli. Quanto compiono?”.
“Cinque anni”.
“Ah, che bell'età...” cercò disperatamente d'addolcirselo.
“Splendida, non lo nego” gli diede un paio di pacche sul braccio “buona fortuna” ripeté per l'ultima volta, poi gli voltò le spalle e, impietosamente, se ne andò.
Raggiunse l'atrio del Ministero senza ulteriori intoppi e quasi spezzò la penna con cui giocherellava insistentemente nella propria tasca quando, a un passo dall'uscita, qualcun altro chiamò il suo nome. Quella voce, ad ogni modo, era molto più pacata e rispettosa dello snervante Horatio e questo fu un valido incentivo perché Scorpius accettasse di concedere un paio dei propri minuti: “buongiorno, Ling”.
Un uomo addetto alla posta ministeriale, minuto e ingobbito, lo raggiunse con passo claudicante: “buongiorno, signor Malfoy. Se ne va prima della fine del turno?”.
“È così”.
“Fa bene. Non bisogna accantonare la famiglia a causa del proprio lavoro”.
“Credo d'essere il primo Malfoy a prodigarsi in un impiego degno di definirsi tale dopo generazioni e generazioni trascorse nell'ozio. Non ho le necessità finanziarie né i presupposti genetici per perdermi nel mio lavoro, Ling: non se ne preoccupi”.
Quello sorrise timidamente: “ritengo comunque di doverle mostrare qualcosa” con mano titubante gli consegnò un foglio ingiallito “l'ho trovato questa mattina appeso a uno degli ingressi del Ministero”.
Scorpius lo scorse rapidamente: vi erano apportati dei nomi che lui conosceva.
“Sono le Sacre Ventotto” commentò con indifferenza, ma subito Ling indicò un cognome tra i molti e Scorpius comprese perché si fosse tanto affrettato a mostrarglielo: il nome dei Malfoy era sbarrato. “Impuri”: questo vi era stato aggiunto al fianco.
“Non sappiamo chi possa esser stato e purtroppo temo che molti abbiano fatto in tempo a vedere la lista prima del mio intervento, ma l'ho tolta appena ne ho avuto modo” assicurò Ling.
“E perché mai?”.
Quella domanda lo lasciò perplesso: “perché è una mancanza di rispetto, signor Malfoy”.
Scorpius impugnò la penna che già teneva in mano e apportò una firma ben visibile a piè pagina, dopodiché prese la propria bacchetta e, con un incantesimo Geminio, moltiplicò il numero di fogli: “ci tappezzi pure il Ministero” concluse cedendo il malloppo a Ling e, finalmente, poté volgere verso casa.
Era un cottage grande e confortevole, indubbiamente proprietà d'una famiglia abbiente, ma che nulla aveva a che vedere con la magnificente megalomania di Villa Malfoy. Quando varcò la soglia, fu accolto da due bambini giubilanti che subito si gettarono tra le sue braccia. Se non fosse stato per il nome che portavano, nessuno avrebbe intuito il loro lignaggio: sguardi felici, lineamenti dolci, carnagione d'ambra e ricci capelli corvini.
“Avevi detto che saresti stato via un solo giorno”.
“Lo so, Atlas”.
“Sei stato via più d'un giorno”.
“So anche questo, Penelope”.
“È stato il giorno più lungo nella storia dei giorni lunghi”.
“Così lungo che ha fatto in tempo a diventar notte per due volte”.
“Basta lamentarvi: sono tornato in tempo per la torta, no?”.
“Che meriteresti di non mangiare affatto” stavolta la voce che lo rimproverò suonò molto più severa e autoritaria.
“Mi spiace, Cass” si scusò salutandola con un bacio discreto “ci sono stati degli inconvenienti”.
“Lo credo bene”.
“Vi ho tenuti aggiornati: avete sempre avuto mie notizie”.
“Sì, sì” lo liquidò “togliti quegli stivali o bagnerai tutta la casa”.
“Credevo di trovare molta più folla” ammise lui, facendo quanto ordinatogli.
“Dato che non ero certa d'averti a casa per tempo, ho rimandato la festa ufficiale di qualche ora” spiegò Cassandra, andandosene.
“Dobbiamo aspettare fino a stasera per colpa tua” lo accusarono Atlas e Penelope.
Scorpius rise, scompigliando i capelli già scarmigliati di entrambi: “lo so, piccole pesti, mi dispiace”.
Poi si voltò e scorse per caso un intruso abbandonato sul divano, immerso fino alle orecchie nelle calde coperte natalizie della signora Weasley: “Cass” urlò “perché Albus dorme sul nostro divano?”.
“Perché avrebbe dovuto aiutarmi, ma s'è rivelato alquanto inutile” fu la risposta che lo raggiunse da oltre la porta della cucina “sveglialo”.
Scorpius lo colpì seccamente al fianco e la testa di Albus subito sbucò dalle coperte. Impiegò qualche istante a inquadrarlo, perché i suoi occhi erano disorientati e impastati di sonno: “ben tornato” mugugno “che vuoi?”.
“Hai del lavoro da fare”.
“Tua moglie non vuole che impieghi la magia” si giustificò voltandosi dall'altra parte.
“In cucina, Albus, il resto della casa è tuo” ribadì Cassandra senza esitazione.
Quello sbuffò: “d'accordo, d'accordo. Non s'è mai visto un ospite costretto al lavoro” si lamentò prima d'incamminarsi verso la sala da pranzo.
“Non eri più ospite di questa casa già da prima che l'acquistassimo” lo zittì Scorpius.
“Vi muovete?” Cassandra sbucò dalla porta, stizzita “tra due ore questa casa si riempirà e siamo ancora in alto mare”.
“Subito” Scorpius estrasse la propria bacchetta e cominciò ad apparecchiare la grande tavola.
“Si può sapere cosa ti ha trattenuto in Svezia per tre giorni?” chiese lei, alzando la voce per sovrastare la distanza.
“Sì, Scorpius, si può sapere?” si unì Albus, mentre accatastava pigne di piatti.
Quello lo squadrò con astio: “burocrazia, come vi ho già detto e ridetto. Odiosa burocrazia”.
Le sue orecchie si tesero quando percepì il suono conosciuto d'una vocina acuta e squillante chiamarlo da oltre lo steccato del giardino: “cosa c'è?” urlò di rimando.
“Atlas è salito da solo su Alastor”.
Scorpius si Materializzò in un singulto. Rientrò pochi istanti dopo dalla porta d'ingresso, tenendo il bambino scalpitante sotto braccio, mentre Penelope li seguiva a breve distanza sorridente e impettita, orgogliosa della propria soffiata.
“Alastor è buono con noi” si lamentava Atlas.
“Non lo metto in dubbio, ma i Thestral non sono animali adatti a voi bambini” lo rimproverò Scorpius, poggiandolo a terra.
“Perché?”.
“Perché non lo vedi, Atlas!” esclamò “non sai neppure quale sia il davanti e quale il dietro”.
Il bambino scrollò le spalle, come se la cosa gli apparisse irrilevante, poi prese la sorella per mano e la trascinò al piano superiore.
Il campanello suonò e Scorpius alzò gli occhi al cielo: tutto ciò che chiedeva era un attimo di quiete.
“È ancora presto per la festa” sbuffò aprendo la porta “l'accoglienza sarà magra” ma si zittì sorpreso quando riconobbe l'imponente figura impalata sullo zerbino: “Hagrid?”.
“Perdonami se sono in anticipo” si scusò l'anziano e irsuto mago, varcando la soglia “ma ti ho portato un pensierino. Con questo non potrai mai dimenticarti della bella zuffa che tu e Teddy avete avuto con quel Basilisco svedese”.
Si sentì un cozzare di stoviglie dalla stanza accanto e Hagrid vi puntò gli occhi, sorpreso. Quando tornò a guardare Scorpius, lo scoprì rigido e improvvisamente pallido, la fronte aggrottata, le labbra serrate.
“Hagrid” bisbigliò appena, ma era troppo tardi.
Cassandra si era già affacciata all'ingresso: “Basilisco?” ripeté in un sibilo.
“Non è come sembra” assicurò Scorpius, recuperando improvvisamente tutte le proprie energie “era giovane, piccolo, mezzo cieco e...”.
“E per fortuna avevo qualche lacrima di fenice con me” si unì Hagrid “non è stato bello vedere il braccio di Scorpius nella sua bocca”.
Persino il viso di Cassandra impallidì: “ti ha morso?”.
“No” negò lui fermamente.
“Non dovevo dirlo” borbottò Hagrid in sottofondo.
Dopo un infinito istante di muto stallo, Cassandra voltò loro le spalle.
“Diamine, Hagrid” ringhiò Scorpius in preda al panico “vuoi distruggere il mio matrimonio?”.
“Che ne sapevo che lei non sapeva?”.
“Eravamo andati in Svezia per dei Mollicci, Hagrid. Certo non le racconto che siamo incappati in uno stramaledetto Basilisco”.
“Ma era difettoso. Quel delinquentello d'un mago aveva seguito male le istruzioni. Non era così pericoloso”.
“Vallo a dire a Cassandra” poi prese un respiro profondo e, fattosi forza, raggiunse la cucina.
“Burocrazia” commentò lei prima ancora che varcasse la soglia e Scorpius ringraziò di non essere l'impasto che in quel momento stava amalgamando, data la furia repressa con cui vi immergeva le mani.
“Cass, ascolta...”.
“Ci tieni proprio a lasciare orfani i tuoi figli”.
“Ma no, Cass! È stata una sfortunata casualità. Non era mai accaduto prima, non accadrà mai più in futuro. Ci siamo semplicemente imbattuti nel folle esperimento di un mago mezzo matto”.
“Odio quando mi racconti balle”.
“Non capita mai”.
“Già questa lo è di per sé”.
“Cass, ascolta, non volevo preoccuparti inutilmente. Lo faccio in buona fede, davvero”.
“Ti sarei grata se smettessi”.
Lui annuì contrito: “d'accordo, perdonami”.
“Dunque?” insistette lei, sfregandosi le mani in un panno per pulirle dalla farina “cosa potrà mai averti portato Hagrid?”.
“Una cosa bellissima” esclamò il mezzo gigante, scansando malamente Scorpius e invadendo lo spazio che li separava. Consegnò a Cassandra un piccolo oggetto bianco e appuntito: una zanna lunga un paio di pollici.
“Purtroppo ormai sono troppo vecchio per partecipare a simili avventure” si lamentò Hagrid “ma ad avere una di quelle, me ne vanterei di sicuro”.
Cassandra non poteva negare d'essere affascinata da quel piccolo osso un tempo intriso di veleno, ma ciò non bastò a sbollire la sua rabbia. Qualcos'altro giunse in soccorso di Scorpius, a tal riguardo.
La voce di Albus proruppe dal salotto: “Cassandra, Lok è entrato con una lettera per te”.
Subito la casa si animò: a quelle parole, i bambini scesero di corsa le scale ed entrarono in cucina, Albus li seguì a ruota e Hagrid rimase dove si trovava, perplesso e incuriosito al tempo stesso.
Atlas e Penelope si presero per mano, in preda alla più bruciante impazienza. La bambina tese la destra ad Albus: “zio Al, fa il tifo con noi”.
Lui la strinse.
“Non tieni per mano anche me?” lo punzecchiò Scorpius.
“Certo, tesoro... controlla attentamente il mittente” si raccomandò poi con Cassandra.
“Non preoccuparti, Albus” replicò lei, aprendo cautamente la busta “viene da Ilvermorny”.
“Quindi sapremo come hanno risposto alla tua domanda”.
Dalla faccia di Cassandra, compresero il contenuto della lettera ancor prima che lei lo leggesse: “siamo impazienti di ospitare la prima professoressa No-Maj della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, prodigatasi nello studio della Babbanologia, così definita secondo la specifica terminologia britannica. I nostri studenti sarebbero inoltre interessati a seguire alcune conferenze incentrate sul mondo della legge e della giurisprudenza in cui la dott.ssa Goodman si è specializzata all'interno della comunità No-Maj” saltellò sul posto come una bambina esagitata. Gli altri presenti applaudirono. Scorpius, invece, si astenne.
“Andiamo” Albus lo colpì con forza alla spalla “ora che hai persino un dente di Basilisco da sfoggiare, farai scintille”.
“Non ho alcuna intenzione di andare” assicurò l'altro.
Vi fu un'esclamazione generale di sdegno e lui continuò: “mi avevano già invitato, senza neppure che io li stuzzicassi al riguardo, e poi mi han dato buca. Se lo sognano”.
“La tua conferenza si sovrapponeva a un incontro col Presidente del MACUSA, Scorpius” gli ricordò Cassandra “credi di essere all'altezza del Presidente del MACUSA?”.
“Credo che gli impegni vadano rispettati”.
Cassandra gli sventolò il foglio davanti agli occhi e lui proseguì nella lettura di malavoglia: “saremmo infine onorati di avere finalmente tra noi il signor Scorpius Hyperion Malfoy, esperto di Creature Magiche e Arti Oscure, per la quale precedente assenza siamo mortificati. Speriamo trovi tra noi la migliore delle ospitalità” scacciò la mano di Cassandra “non importa! Loro sono ipocriti e tutto ciò che dicono baggianate”.
Lei lo fissò in silenzio ed era evidentemente incerta su come replicare a tanta caparbietà. Decise infine di farsene una ragione e passare oltre: “bambini, andiamo a Ilvermorny!” esclamò alzando le mani in segno d'esultanza.
Atlas e Penelope fecero altrettanto, poi si diedero un cinque e il contatto tra le loro manine trasfigurò una lieve pioggia di polvere dorata.
“Niente magia, bambini” li rimproverò Cassandra “o insozzerete l'impasto e mi toccherà farne di nuovo”.
“Aspettate un istante” s'intromise Scorpius “andrete tutti? Mi lascerete qui, da solo, per due settimane?”.
“Ci sarò io con te!” esclamò Albus, ma non gli prestarono attenzione.
“Tu l'hai scelto” replicò invece Cassandra con una scrollata di spalle.
Lo sguardo di Scorpius incrociò quello di Penelope, ma subito la bambina si ritrasse: “non guardare me: io voglio andare a Ilvermorny. Lo dirò al nonno, appena arriva” esclamò poi.
“Perché tu?” protestò Atlas.
“Glielo direte entrambi” li placò subito Cassandra, ma Scorpius era rimasto un passo indietro: “sul serio, ragazzi? Mi lasciate a casa, così?”.
“Sì, Scorpius” assicurò lei “o vieni, o resti. A noi non importa”.
“A me importa” s'oppose Atlas.
“Grazie, bimbo” annuì lui, soddisfatto e riconoscente.
“Quindi resterai a casa con papà?” chiese Cassandra.
“No”.
Le mani di Scorpius si agitarono in un gesto di esasperata sorpresa: “sapete che vi dico?” si arrese infine “per una volta farò buon viso a cattivo gioco e verrò. Solo per farvi contenti”.
All'esultanza dei gemelli si unì quella di Albus: “fantastico! Casa tutta mia per due settimane”.
“Approfitti a tal punto di noi da farmi prendere in considerazione la possibilità d'aprire un contratto d'affitto a tuo carico” gli fece notare l'amico.
Ovviamente, Albus lo ignorò e si mise piuttosto a frugare per tutta la cucina: “dov'è quel vostro champagne babbano?”.
 

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