Banali frammenti di vite ordinarie

di Alixia700
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rabbit Heart. ***
Capitolo 2: *** Peacock Vanity. ***
Capitolo 3: *** Vulture Claws. ***
Capitolo 4: *** Deer Eyes. ***
Capitolo 5: *** Lion Pride. ***
Capitolo 6: *** Wolf Soul. ***
Capitolo 7: *** Viper Venom. ***
Capitolo 8: *** Hummingbird. ***
Capitolo 9: *** Seahorse. ***



Capitolo 1
*** Rabbit Heart. ***


Rabbit Heart.

 

Sorride.

Gli angoli della bocca si increspano leggermente, creando piccole rughe che con gli anni, sorriso dopo sorriso, andranno a scavare profondi solchi ilari sul volto ovale, rendendolo ancor più luminoso.
Le labbra si stirano, assottigliandosi, scoprendo i piccoli denti bianchi irregolari, che a pensarci bene ti ricordano quel pomeriggio assolato nel cortile della scuola, quando lei ti mostrava orgogliosa il primo dente caduto, provocandoti non poca invidia.
Le guance si colorano di rosso mentre affonda maggiormente negli innumerevoli giri di sciarpa, imbarazzata, cercando di nascondere la smorfia buffa che fa quando non riesce a trattenere le risate.
Gli occhi si strizzano in una linea dritta, contornati da lacrime, impossibili da trattenere nel moto di ilarità che la coglie, sconquassandole il petto, obbligandola ad appoggiarsi alla tua spalla per non accasciarsi su se stessa.
Le dita sottili cosparse di anelli scendono a tenersi la pancia, cercando di imporre immobilità al movimento convulso degli addominali, che si contraggono e stirano incontrollati.

Adori vederla ridere, ma ti piace ancor di più essere il fautore di quei piccoli momenti di pura estasi contemplativa.
Quegli istanti in cui, isolandovi da tutto ciò che vi circonda, esistete solo tu e lei, il suono della sua risata roca e la tua mano tra i suoi capelli.

Ma sono solo brevi attimi, prima che la realtà ripiombi prepotente su di voi, facendo scoppiare la bolla in cui ti eri rifugiato.

La tua migliore amica si ricompone, ti spinge affettuosamente per il gomito, incassando la battuta che le hai rivolto, e ricomincia a raccontare da dove si era interrotta.
A parlarti di lui.

 

E codardo sorridi a tua volta, annuendo, nonostante tu stia lentamente morendo dentro.

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Capitolo 2
*** Peacock Vanity. ***


Peacock Vanity.

 

La guardò mentre arricciava il naso in quella maniera un po' buffa, un po' spocchiosa, che sapeva dargli sui nervi. Intuiva come quel gesto solitamente spontaneo assumesse un significato totalmente diverso in quell'occasione, ma d'altra parte non riusciva a capacitarsi di come il cambio di scenario nella loro storia avesse potuto portarli a diventare due perfetti sconosciuti.
Fissava come ipnotizzato quelle labbra carnose, che fin dal loro primo incontro gli avevano ispirato le più vivide fantasie, assottigliarsi fino a quasi sparire in una piega crudele, mentre sputavano veleno su tutto quello che fino a poche ore prima avrebbe definito un sentimento comune.

Non riusciva a reagire a quella valanga di recriminazioni, rimpianti ed insulti, troppo concentrato sui movimenti nervosi e scattanti delle sue mani, dalle unghie mangiate fino alla carne.

- … e forse se avessi provato a capire anche le mie esigenze -

- Cosa hai fatto ai capelli? -

La fissò scioccato, incapace di proferir altro.
La sua informe massa di boccoli, sinonimo di vanto da quando la conoscesse, ricadeva lungo le esili spalle appiattita, ordinaria.
Quei capelli selvaggi che aveva imparato ad amare nonostante gli invadessero la bocca nei momenti più inopportuni, quelle ciocche per le quali aveva combattuto strenuamente quando lei gli aveva rivelato la sua intenzione di rasarsi a zero per essergli più vicina, insensato gesto romantico che non aveva esitato un attimo a sbandierare ai quattro venti nonostante alla fine non l'avesse mai compiuto, erano spariti, domati.

- In un momento come questo l'unica cosa che sei in grado di dire riguarda il mio stupido taglio di capelli? Comunque visto che ti interessa tanto saperlo, volevo cambiare, essere diversa -

Per lui.

Si morse le labbra a sangue per non vomitarle addosso quella risposta acida, per evitare di trasformare i tormenti e vaneggiamenti di persona ferita in accuse di tradimento; in fondo poteva esserci un'altra spiegazione a quel nuovo taglio, a quell'insolito profumo muschiato che sentiva sui suoi vestiti, a quei giorni di totale silenzio.
Conosceva da sempre il bisogno dell'altra di non sentirsi chiusa in gabbia, di non essere soffocata dalle responsabilità delle proprie azioni. Per questo aveva voluto parlarle chiaro fin dal giorno della diagnosi, perché sapeva quanto fosse ingiusto incatenarla ad una relazione le cui regole erano cambiate in corso di gioco.
Le aveva chiesto, tremante, di finirla lì, per il bene di entrambi.
E lei lo aveva rassicurato, si era aggrappata a lui con maggior trasporto, nella sciocca ed illusoria convinzione che quella potesse essere un'interessante piega di un rapporto, che come nelle migliori storie d'amore dei romanzetti rosa che leggeva si sarebbe risolta in un lieto fine, in cui l'eroina ha strenuamente fatto sfoggio di tutta la sua forza d'animo e buon cuore, in cui l'eroe sopravvive incolume al mostro di turno.
Ma come amaramente avevano potuto constatare, i tumori non non sono un mostro così facile da sconfiggere, e gli umani spesso si sopravvalutano.

E ora eccoli lì, due perfetti sconosciuti aggrappati al fantasma di un fugace sentimento ormai smarrito, inafferrabile, incapaci di andare avanti, impossibilitati a tornare indietro.

In balia delle proprie mancanze, puntando il dito su quelle dell'altro.

Soli.

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Capitolo 3
*** Vulture Claws. ***


Vulture Claws.

 

 

La prima cosa che ho notato di voi sono state le mani.

Piccole unghie laccate di colori sgargianti a stringere nervosamente lo stelo di un calice di vino, facendo percorrere i polpastrelli su e giù lungo al vetro, come a volersi assicurare che questo non scompaia.
Grandi mani dalla pelle screpolata a sventolare su e giù il cellulare ultimo modello, sempre pronte a scattare veloci per immortalare e condividere piccoli momenti di quella serata a cui in realtà vi interessava ben poco partecipare.

Così diverse ad un primo sguardo, così uguali ad una conoscenza approfondita.

 

Entrambe muovete le mani in gesti evidenti quando parlate, accompagnando il vostro dire in modo cadenzato, in un gesticolare senza sosta che spesso confonde l'interlocutore.
Fate ondeggiare su e giù l'indice con biasimo mentre criticate l'operato di taluno, rivolgete i palmi esasperate verso il cielo mentre biasimate talaltro. Andate a toccare con le dita quelle della compare per richiamare la sua attenzione sull'errore di un amico, pronte ad incombere su di lui come se fosse una succulenta carcassa da spolpare.
Ormai è da molto che osservo da vicino l'innalzarsi fulmineo del vostro dito medio.

Da quanto tempo non sorridete di cuore?
Da quanto tempo la vostra bocca è distorta in un ghigno amaro, derisorio?


Da quando avete dismesso la vostra umanità per vestirvi della pelle di arpie?

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Capitolo 4
*** Deer Eyes. ***


Deer Eyes.

 

 

Tira su con il naso, voltando il viso, cercando di contenere il montare prepotente di quel pianto che gli mozza il respiro, costringendogli la gola.
Sei seduto vicino a lui sul divano. Puoi percepire chiaramente la tensione del suo corpo da quel muoversi frenetico della gamba, su e giù, accompagnato dal suono stridente della scarpa da ginnastica sul parquet, da quel guizzo dei muscoli di collo e mascella, che spiccano tesi nella figura di profilo.

Non sai bene cosa fare, imbarazzato dalla situazione.

Vorresti solamente allungarti verso di lui ed abbracciarlo, sussurrargli tra i capelli che andrà tutto bene.
Ma hai paura di farlo, perché siete due ragazzi, perché nella vostra amicizia l'unico contatto fisico previsto è sempre stato quello dato da una stretta di mano o una pacca amichevole sulla schiena.
Esiti, indeciso, cercando disperatamente di incontrare quegli occhi lucidi che restano bassi, sfuggenti, insicuri.
Tergiversi, incespicando nelle parole, provando più volte ad iniziare il discorso ma bloccandoti sempre sulla prima sillaba del suo nome.
Vorresti dirgli così tante cose, vorresti fargli capire che non è colpa sua, che non è proprio colpa di nessuno, che le cose si aggiusteranno ed andranno per il meglio. Vorresti riuscire a comunicargli quanto profondamente tu riesca a capire quello che prova; vorresti dirgli che anche se vi hanno sempre raccontato che la perdita crea un vuoto incolmabile la verità è che il dolore è talmente incontenibile che esce dal corpo e ti sommerge, facendoti lentamente annegare.
Vorresti solo lenire quella sofferenza standogli vicino come faceva l'altro, toccandolo come faceva lui; vuoi ma non puoi, perché il tuo amore è di un tipo completamente differente.

Come a leggerti nel pensiero lentamente si volta, sollevando lo sguardo su di te.

Ha gli occhi grandi il tuo amico, cerchiati di rosso per le notti insonni e le troppe sigarette.
Sono fissi nei tuoi, sgranati, privi di ogni difesa; sono gli occhi di un bambino impaurito, sono gli occhi di un uomo sperduto.
Ha gli occhi grandi il tuo amico, di quelli che hanno il potere di illuminarsi durante un sorriso, sinceri.
Ed è quando li vedi riempirsi di lacrime, ormai impossibili da trattenere, che mandi a fare in culo tutti i preconcetti e le seghe mentali e lo tiri a te, stringendolo forte contro il tuo petto, permettendogli di sciogliersi in singhiozzi liberatori contro la tua spalla.
E siete rigidi, e siete impacciati in quell'abbraccio inusuale, ma che sentite entrambi così necessario.

Dopo un po' i singulti diminuiscono, fino a spegnersi, lasciandovi immersi in un tranquillo silenzio.
La sua testa è ancora lì, fronte contro petto, le tue mani abbandonate mollemente sulle sue spalle.
E poi parla, la voce nasale distorta a rimbombare diretta sulla tua cassa toracica.

- Non mi ero mai accorto fossi diventato così alto -

Scoppia a ridere, tirando su con il naso, coinvolgendo anche te nell'ilarità data da quella scena surreale. E nel bel mezzo della risata sussurra qualcosa, con tono così soffocato che ancora oggi a volte ti domandi se lo abbia detto davvero o se sia stato solo tu ad immaginarlo.

Grazie.

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Capitolo 5
*** Lion Pride. ***


Lion Pride.

 

 

Di inquadrarti non ti è mai importato molto, così come di inquadrare gli altri.

Sei sempre stata una persona pratica, diretta, ma soprattutto con una chiara idea di te stessa che ti ha sempre aiutato a non vacillare davanti all'opinione altrui.
Per questo non ti sei mai sentita in dovere di essere politicamente partecipe, schierata per l'ambiente o cose simili, perché non hai mai ritenuto di dover rendere conto a nessuno sui tuoi ideali e sulla tua vita.

Almeno fino ad oggi.

Quando la tua sorellina si è affacciata alla tua porta, ed impacciata ti ha ha confessato quello che riteneva inconfessabile, timorosa della tua reazione, ti sei infiammata, di un sentimento che non avresti mai creduto di possedere.
Ti sei infuocata perché ritieni inconcepibile che ancora oggi si debba temere di esprimere se stessi, con la paura di essere respinti anche dalle persone più vicine.
Ti sei incendiata perché hai visto, nella viscerale ansia della donna davanti a te, i fantasmi dei rifiuti che ha ricevuto in passato, delle ferite ancora troppo fresche per rimarginarsi.
Sei esplosa perché hai riconosciuto in te stessa quell'indifferenza verso cui fin troppo spesso ti sei fatta scudo.

Marci mano nella mano con tua sorella in un giubilo di colori e musica, guardandoti intorno sorpresa, affascinata, euforica.
Osservi ipnotizzata quel mare di volti così diversi farsi portavoce di un unico messaggio, che risuona potente, assordante, che senti tuo.


Come il ruggito di un leone.

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Capitolo 6
*** Wolf Soul. ***


Wolf Soul.

 

Ho pensato a lungo se scriverti questa lettera.
Forse è troppo tardi, forse è troppo presto.
Ma comunque ho la sensazione che sia il momento più giusto.

Ti ricordi quella sera in cui, alienata dal vino, ti eri accovacciata dietro ad una colonna ed impedivi a chiunque di avvicinarsi, rispondendo alle domande venate d'ansia sempre con la stessa frase?

''Nessuno mi vede davvero''

Ci avevi spaventati a morte con la tua improvvisa alienazione dalla realtà, da cui neanche il tuo fidanzato di allora era riuscito a strapparti. Quindi perché in quel tuo momento di chiusura totale al mondo, mi hai permesso di toccarti, di avvolgerti tra le braccia, di sussurrarti all'orecchio che sarebbe andato tutto bene?
Allora non me ne ero mai preoccupata troppo.
Non mi sono mai soffermata a pensarci neanche negli anni avvenire, neanche quando giorno dopo giorno mi accorgevo di come cercassi di allontanarmi sempre più, avvelenando silenziosamente ogni ricordo del tempo speso insieme.
Tutto è apparso chiaro, cristallino, il giorno in cui hai voltato il viso dall'altra parte, facendo finta di non avermi visto, così da evitare di aggiungere un'altra conversazione vuota ed amara all'enorme pila pericolante che con buona volontà abbiamo costruito negli ultimi mesi.
La consapevolezza ha appesantito il mio stomaco, facendomi sprofondare.

Sai cosa è la cosa che fa più male ora guardando indietro?
Il sapere che io sia stata l'unica in grado di scrutare dietro i numerosi strati di maschere sotto i quali ti celi, che sia stata l'unica che abbia avuto il desiderio di conoscerti davvero.
E sai cosa è la cosa più buffa di tutta questa storia?
Il realizzare che nel momento in cui la bolla della tua paura irrazionale di solitudine sia esplosa, l'unica vittima a perire nella detonazione sia stata proprio quella che è riuscita a tirartene fuori.
Ironico no?
Il principe bacia la principessa e viene giustiziato poco dopo per averla toccata senza il suo consenso. Una favola moderna, neanche troppo lontana dalla verità.

Oggi è una di quelle giornate grigie in cui la malinconia sembra l'unico sentimento umano provabile, in cui l'autocommiserazione fa a pezzi l'orgoglio, continuando a mostrarmi schegge appuntite del nostro felice passato.
Spesso mi sono sentita inadeguata per questa sofferenza straziante della quale non riesco a liberarmi. Tutti intorno a me sembrano aver superato la fine di un amicizia, o lutti ben più gravi.
E allora perché mi viene da vomitare ogni volta che ti vedo in lontananza?
Ogni volta che mi guardi con indifferenza, sorridendomi cordiale, vuota.

Se mai riuscissi a leggere questa lettera, probabilmente a questo punto il tuo cuore perderebbe un battito, facendoti sgranare gli occhi.
Colpo di scena.
Rullo di tamburi.
Un sospiro risuona a stento trattenuto tra gli spettatori.
L'altra è sempre stata innamorata della nostra eroina, il suo dolore struggente ora è più comprensibile e tangibile, perché dato dall'esperienza comunemente conosciuta come rifiuto.
Sapessi quanto mi piacerebbe fosse così, quanto sarebbe più semplice.
Ma l'amore per un altro essere umano non è mai facilmente comprensibile, ne classificabile.
Lo sai bene, no?
Ne sono consapevoli le tue mani impazienti, le tue labbra affamate?
Comunque l'intento con cui ti ho scritto questa lettera non vuole essere accusatorio.
Lo so che molte delle nostre incomprensioni derivano proprio da questo, dal tuo travisare le mie azioni, quindi mi scuso per tutte le volte in cui sono stata troppo diretta, troppo aspra, troppo me stessa.

Non posso neanche giustificare il mio modo di essere adducendo ad un'educazione differente, perché proprio come te sono sempre stata iniziata alla repressione del proprio io, in favore di quello che gli altri si aspettano da noi.

La mia è un'egoistica esigenza capisci?

L'ho realizzato a distanza di anni.
Il problema non sei mai stata tu, ma sono sempre stata io.
Io e la mia pretesa che tu fossi libera dal peso dell'opinione altrui, dalle tue insicurezze, delle tue paure; credevo di farlo per il tuo bene, quando in realtà l'unico motivo che mi spingeva a cercare di strapparti dal tuo bozzolo era il mio bruciante bisogno di non sentirmi sola.
È così disdicevole desiderare di essere compresi ed accettati? Bramare che il nostro ululare straziante giunga fino alle orecchie di un nostro simile?
Forse si, forse non a queste condizioni.

Per questo motivo non ti consegnerò mai queste parole.

Rimarranno a galleggiare alla deriva insieme alle altre, in un rumoroso sciabordio che resterà ancora una volta inascoltato.

E sia ben chiaro questa volta non lo faccio per me.
Anche se forse è troppo presto per dirlo, o troppo tardi.
Ma comunque mi pareva giusto.

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Capitolo 7
*** Viper Venom. ***


Viper Venom.

 

Deglutì a vuoto, il gusto amaro della bile a raschiargli la gola.
Per quanto da giorni cercasse di liberarsi di quel sapore, questo inesorabile tornava, coprendo ogni altra sensazione, avvelenando ogni singolo pensiero.
Aveva tentato di ridurre la caffeina, eliminare l'aceto, di mangiare speziato; aveva persino addentato una di quelle ciambelle glassate che tanto odiava, nella speranza di addolcire il fiele sulle sue labbra.
Ma nonostante tutti i suoi sforzi questo persisteva, infettando le sue giornate.
Aveva anche provato ad andare da un medico, preoccupato che quello potesse essere il primo sintomo di qualche grave malattia, come aveva letto su internet, ma tutte le analisi erano risultate negative.
Era sano come un pesce, ma quel nodo allo stomaco pareva inscioglibile.

Eppure la sua vita finalmente aveva preso la piega che da sempre desiderava, perché quindi preoccuparsi di un particolare insignificante come quello?
Il lavoro aveva iniziato ad ingranare: i suoi superiori, un tempo indifferenti, si congratulavano per gli improvvisi progressi, per l'instancabile costanza, per la sua meticolosità che andava ben oltre l'orario d'ufficio.
Sì, forse il rapporto con i colleghi si era raffreddato, sempre più raramente passava con loro le pause pranzo o vi scambiava più di un brusco saluto; ma cosa potevano essere delle futili chiacchere in confronto alla gratificazione?
Sì, forse ora passava sempre meno tempo a casa, erano settimane che non vedeva i suoi famigliari o amici, però finalmente era riuscito a mostrare quanto valesse; un giorno avrebbero compreso i suoi sacrifici, condividendo il suo successo.
Tutto andava come aveva programmato andasse, allora perché non riusciva a levarsi di dosso quella sensazione di soffocante disgusto?

Le mani si strinsero intorno alla gola come serpi squamate, attanagliandola tra le spire, le unghie curate a lasciare viscide scie rosse sulla pelle, nel tentativo di liberarsi di quel groppo persistente.
Il sapore dei succhi gastrici, e del rimorso, strisciava nella notte, sommergendolo, ma senza trovare mai via d'uscita.
Anche se di giorno era così abile a mentire da ingannare persino la propria mente, le tenebre facevano luce sulla verità, manifestandosi come vivido incubo ricorrente di quella volta in cui aveva voltato le spalle a se stesso, in cui aveva scoperto fin dove può spingersi la bassezza umana, e quanto siamo disposti a sacrificare di noi per continuare a sopravvivere.

Quello in cui aveva finalmente capito perché la vipera scegliesse di rischiare ogni volta di morire annientata dal suo stesso veleno, abbandonandosi a quell'istinto primordiale di mordere, davanti alla spiazzante possibilità di un pericolo incombente.

Meglio essere lentamente annientati dallo stillicidio del proprio senso di colpa, piuttosto che in balia delle mostruosità altrui.
 

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Capitolo 8
*** Hummingbird. ***


Hummingbird.

 

Corri a perdifiato sul selciato irregolare delle vie della piccola località balneare, scostando i passanti ed evitando i banchetti del mercato, gli occhiali da sole a scivolare lungo il naso sudato.
Ti fermi sotto una palma a riprendere fiato, le ginocchia leggermente piegate, lo sguardo a correre frenetico all'orologio da polso, come se il tuo continuo controllare l'ora potesse davvero rallentare il tempo, cristallizzare la realtà circostante permettendoti di fare quello che hai rimandato fino ad oggi, facendoti pentire di tutti quei minuti, quelle ore, sprecati a crogiolarti nell'insicurezza.
Ma ormai non puoi buttare neanche una manciata di quei preziosi secondi per i tuoi dubbi.
Ricominci a correre, le scarpe a sprofondare nella sabbia fine, frugando con gli occhi la rada folla della spiaggia, costituita da un paio di vacanzieri mattinieri e qualche nottambulo con i postumi della serata precedente.
E poi finalmente lo vedi.
È seduto sul bagnasciuga, i piedi nudi immersi in acqua, la felpa con il cappuccio sollevato, lo sguardo perso a scrutare l'orizzonte.

La frequenza del battito alare del colibrì può raggiungere anche i settanta-ottanta battiti al secondo, producendo così il caratteristico suono vibrante.

È questo ciò che scaturisce dalla tua mente nell'udire lo sfarfallio prepotente del tuo cuore, che batte impazzito, accelerando ancora e ancora.
Ti lasci cadere di fianco a lui, le pulsazioni cardiache non intenzionate a diminuire.

- Pensavo fossi già partita -

Non sposta lo sguardo su di te nel rivolgerti quelle parole sussurrate, velate di tristezza.

- La mia nave salpa tra un'ora, ma non potevo andarmene senza aver prima fatto questo... -

Gli volti lentamente il viso, vedendo riflessa nei suoi occhi quella miscela di sentimenti e sensazioni che anche tu stai provando da giorni e giorni.
Stringi tra le dita la felpa grigia mentre le vostre labbra si scontrano, voraci, disperate, curiose; puoi sentire la sua mano tra i capelli, il rumore della risacca nelle orecchie, il profumo di salsedine della sua pelle.
Ed è allora che lo percepisci sotto i polpastrelli, il medesimo vibrare impazzito del cuore, lo stesso sentimento che ha avuto a malapena il tempo di nascere per essere immediatamente eradicato dall'amara realtà.

 

Ed è l'immagine del librarsi in aria del colibrì quella che ancora oggi ti ricorda il tuo primo amore.

Quella e due occhi castani velati di malinconia per tutto quello che sarebbe potuto essere, ma che non è mai stato.

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Capitolo 9
*** Seahorse. ***


Seahorse.

 

 

Fissi la luce filtrare pigra attraverso le persiane, rimanendo ipnotizzato da quei fasci che paiono quasi solidi nella penombra della stanza.
Sollevi la mano, come facevi da bambino, provando ad afferrare le minuscole particelle di pulviscolo che levitano sopra di te: sorridi quando vi passa attraverso, godendoti il piacevole tepore del sole.
Era un gioco che facevi sempre quello di strizzare gli occhi fino a quando la tua mano non ti appariva sfuocata, i contorni a sparire in tutto quel vorticare polveroso; dicevi sempre che così il mondo poteva essere scrutato in due modi, quello della mente e quello del cuore, che era il tuo superpotere.

Perché a volte era un bene provare a guardare le cose da un'altra prospettiva.

Ma ormai è da un paio di anni che non riesci più a credere nelle tue illusioni di bambino, che sei consapevole che tutti possono socchiudere le palpebre per vedere le cose in modo differente, solo che nessuno è interessato a farlo.
Il tuo eroe è morto, e con lui tutta la tua voglia di giocare, volatilizzata, sparita, nel momento in cui le tue certezze sono crollate, nel momento in cui sei dovuto crescere di botto, nonostante l'altezza sia rimasta invariata.
La prima volta che hai visto tuo padre piangere, spezzarsi.
La prima volta che hai realizzato che non fosse invincibile, ma fragile, forse anche più del te bambino.
La prima volta che la sua testa si è posata sulla tua spalla, e non viceversa, quando hai dovuto farti carico del dolore altrui.

 

Le tue labbra si incurvano verso l'alto nel allungare la mano verso quella più piccola, guidandola in quella corrente di oro fuso.
Ti senti più leggero nell'udire il verso di sorpresa di tuo figlio al suo tentativo di intrappolare i granelli tra le dita, il suo cercare il tuo sguardo e la tua approvazione.
Non commetterai gli stessi errori di tuo padre.
Non sarai per lui un eroe invincibile, perché anche il più forte dei superumani ha un punto debole.
Non sarai per lui un esempio inarrivabile, perché ogni percorso di crescita è unico e irripetibile.
Sarai semplicemente tutto quello che gli servirà che tu sia: un eroe, una guida, un amico, un muro con cui scontrarsi, una fonte inestinguibile di amore...

O quello che gli prepara i pancake e trasmette l'amore per i fumetti, con cui stare sdraiato sul tappetto di domenica mattina per vedere la vita da un'altra angolazione.

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