Cuore di Donna

di S_Austen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


13 Settembre 1917

Pov Isabella

Uscii di casa in quella frizzante mattina di metà settembre con una gioia insolita nel cuore.
Non era una gioia entusiastica ne tantomeno quel tipo di gioia euforica che ti toglie il fiato. Quella mattina mi sfegliai con quell’alone di felicità impalpabile che hanno certi giorni speciali tipici delle ricorrenze, daltronde quella mattina era il mio compleanno.
Compievo diciannove anni, non che fosse un traguardo di grande rilevanza per una giovane donna alle porte della vita adulta, ma comunque un’evento da festeggiare. Quel giorno era IL giorno in cui mi sarei permessa qualche libertà in più.
Corsi a perdifiato (per quanto mi consentiva la lunga gonna dell’abito e il traffico delle strade) attraverso l’affollata Chicago tenendo ben stretto al petto il borsello contenente i miei pochi risparmi incrementati un poco da qualche spicciolo regalatomi da mia madre e mio fretello per l’acquisto del mio regalo.
Svoltai di corsa un angolo e mi ritrovai nel quartiere più ricco e mondano di Chicago.
Attraversai a passo sicuro le belle vie borghesi, attraversate dai ricchi che nei loro eleganti completi si scambiavano convenevoli tra loro mentre proseguivano nella loro passeggiata della domenica mattina. Arrivai diretta alla mia meta, un grazioso negozio d’interesse femminile.
Lì esposto in vetrina c’era il mio tanto desiderato regalo di compleanno: un cappellino color avorio estremamente semplice col classico rispvolto della tesa e come unica decorazione una spilla dorata dalla forma che ricordava una foglia di pioppo e dai particolari ghirigori.
Non ero mai stata una ragazza frivola, nient’affatto, ma quel cappello della forma così sobria ed elegante m’aveva conquistato e con la modesta venità di una timida ragazza della terza classe desideravo concedermi quel piccolo piacere.
Entrando nella boutique vidi che c’erano già un paio di clienti al suo interno e la proprietaria era intenta a dispensare sorrisi cortesi ed amichevoli a tutti.
A tutti tranne che a me.
Anzi, quando mi vide entrare mi squadrò con aria sdegnosa prima di voltarsi e ignorarmi ostinatamente.
Ma sebbene il trattamente poco cordiale non potei offendermi, bastava guardare il mio abbigliamento per comprendere che di certo non appartenevo a una di quelle ricche famiglie borghesi che solitamente frequentavano questo negozio.
Il mio posto era in fabbrica e il mondo della borghesia era quanto di più lontano dalla mia misera situazione sociale. Mi avvicinai cautamente al bancone senza alzare lo sguardo dalle mie mani (ancor più consapevole di quanto fossero sporche e ricoperte di tagli dovuti al pesante lavoro al telaio) quel luogo mi metteva una strana soggezione, mi ricordava più che mai che quello non era il mio posto, sembrava urlarmi di tornare da dove ero venuta, certamente erano quelli i pensieri della proprietaria del negozio.
Aspettai e aspettai, ma nessuno arrivò a servirmi, perciò, come al solito, decisi di fare di testa mia.
Mi avvicinai alla vetrina e feci per prendere il delizioso cappellino in esposizione, ma altre mani lo presero prima di me.
Immaginando che fosse la proprietaria mi voltai subito per scusarmi della mia sfacciataggine, ma al posto di quella grassoccia donnina mi ritrovai di fronte ad un uomo che doveva avere pressappoco la mia età, molto alto, il fisico tonico e asciutto come quello di un atleta, vestito di abiti eleganti d’alta moda. Il volto bellissimo e pallido era incorniciato da una zazzera di capelli ramati malamente pettinati all’indietro in una tentativo di tenerli in ordine e per occhi aveva due smeraldi verdi ed intensi che mi scrutarono nel profondo attirandomi e ammaliandomi come il topolino nella trappola del serpente.

Pov Edward

Passeggiavo lungo i viali di Chicago in compagnia della deliziosa signorina Tanya Denali e ovviamente seguiti a distanza da mio cugino Garret.
In realtà non ero particolarmente interessato alle donne, avrei preferito concentrarmi sulla carriera militare, ma sebbene avessi tutte le capacità fisiche e la motivazione per prender parte alla guerra i miei genitori si erano opposti con così tanta forza dal lasciarmi partire per il fronte che fui costretto a restare a guardare i successi del mio paese che combatteva nella Grande Guerra trastullandomi tra giovani ragazze borghesi in cerca di marito e partite a poker con gli amici.
La signorina Denali era senza dubbio una delle creature più belle che io avessi mai visto, non mi sarebbe dispiaciuto se in futuro ci fossimo sposati, come tanto desideravano i nostri genitori. Sapevo bene però che la signorina Denali era una cacciatrice d’ori, ambiva al matrimonio con me solo per i soldi che avrebbe guadagnato sia dalla più che cospicua eredità dei miei genitori (mio padre medico e mia madre insegnante di filosofia e arte in un’accademia femminile che a loro volta avevano ereditato buona rendita dai miei avi) che dall’alto rango sociale che la mia famiglia poteva offrirle.
Certo, il mio bell’aspetto non guastava di certo nella sua scelta come futuro consorte.
Spesso venivo definito “uno degli scapoli più ambiti di Chicago” e a quest’affertmazione non potevo che riderne sebbene inondo sapessi che era una verità.
Mi dispiaceva per le signore, ma i miei occhi al momento erano solo per la guerra e quel poco di interesse che avevo per le donne ormai l’avevo dedicato a Tanya.
Lei non era il tipo di donna che desideravo sposare, con quegli occhi freddi come il marmo e quel cuore di ghiaccio, ma per lo meno l’avrei potuta esibire al mio fianco come una donna trofeo ed ero sicuro che a lei non sarebbe dispiaciuto affatto in cambio di qualche bell’abito di seta o un paio di scarpe costosissime, di certo i soldi per me erano un problema. Mentre parlavamo del più e del meno ci fermavamo ogni tanto in qualche negozio che sapevo l’avrebbe resa contenta, entrammo in una boutique e la signorina Denali cominciò a guardare gli ombrellini da sole, ammirandone con estremo interesse e attenzione ogni rifinitura, merletto e ghirigoro.
Avevo sempre trovato le compere un passatempo noioso ed inutile, adatto alle donne non certo ad un uomo come me, ma si sa, per piacere a una donna bisogna fare buon viso a cattivo gioco, perciò me ne rimanevo li a guardarla ammirare uno ad uno quegli ombrellini e limitandomi a rispondere con cortese meraviglia ed approvazione ad ogni domanda che mi rivolgeva. Il campanello all’ingresso trillò annunciando l’arrivo di un altro cliente, mi voltai annoiato per vedere di chi si trattasse e con mia grande sorpresa vidi una ragazza vestita con abiti dozzinali e un cappotto lercio avvicinarsi a testa bassa al bancone e aspettare li.
Strano, questa non era di certo una boutique frequentata da straccioni e operai, ma allora cosa ci faceva qui una donna del suo ceto sociale? Il mio interesse per la sconosciuta cessò subito e ritornai a prestare la mia attenzione a Tanya, ma quando anche quest’ultima cominciò ad annoiarmi mi guardai attorno distrattamente, ammirando con poco interesse gli articoli esposti. Vidi un grazioso cappellino esposto in vetrina, era pesante stoffa color avorio decorato con una particolare spilla dorata, molto semplice ed elegante.
Chi sa se alla signorina Denali può piacere?” mi chiesi.
Quel cappellino non era proprio il genere di cose che piacevano a Tanya, lei avrebbe proferito qualcosa di più vistoso, magari con piume e gioielli, ma io trovavo quel cappellino grazioso per la sua semplice eleganza e sobrietà. Lo presi in mano nello stesso istante in cui una piccola mano affusolata e bianca come la neve si allungava per prendere il cappello. Alzai lo sguardo affogando in due pozze scure come il più prezioso cioccolato del Brasile.
Chi mi stava di fronte era la ragazza stracciona.
Era piccolina, un volto d’avorio incorniciato da lunghi capelli color mogano stretti in una crocchia disordinata e con quei due occhi così scuri e profondi che sembravano scrutarti l’anima e in cui io mi ci stavo perdendo.
Piano, paino le guance della ragazza si tinsero di un grazioso rossore, mentre lei abbassò prontamente lo sguardo, forse intimidita dal mio che avevo preso a scrutarla in modo assai inopportuno.
No! Doveva rialzare il volto, volevo vedere ancora quegli occhi, perdermici ancora dentro.
Ma sebbene l’istinto mi diceva di farle rialzare quel bel volto di porcellana per ammirare ancora quelle pozze di cioccolato, la ragione mi impediva di fare una mossa così avventata.
– Mi scusi. – dissi con tono sicuro, sfoggiando il mio miglior sorriso che sapevo far capitolare ogni donna. Non servì a molto visto che lei continuava a tenere lo sguardo basso senza osare rialzarlo per incontrare il mio.
– Mi … mi scusi lei. – balbettò a mezza voce facendo un passo indietro.
Ok, dovevo tentare di nuovo, ormai mi ero messo in testa che avrei rivisto quegli occhi e niente e nessuno mi avrebbe impedito di farlo
– Aveva visto prima lei questo cappellino? – le chiesi cortesemente.
– Ehm … si … ma se lei vuole … – balbettò e potei notare come le guance le si tinsero ancor più di rosso e come gli occhi le si riempirono di lacrime.
Quella vista mi lasciò impietrito. Cosa avevo fatto? Perché ora piangeva?
– No, no, è suo. – dissi porgendole il cappellino – A proposito, che maleducato, io sono il signor Edward Cullen. – dissi afferrandole con gentilezza la mano che timidamente aveva alzato per afferrare il cappello e chinandomi vi posai delicatamente le labbra percependo con mia grande sorpresa la sua pelle morbida e vellutata.
La sentii trattenere il respiro, colta di sorpresa, sicuramente nei bassi fondi non erano dediti a questo genere di galanteria.
Quando mi rialzai, nella speranza di poter vedere gli occhi, lei fece un timido e un po’ goffo inchino, ma senza alzare la testa.
– I- Isabella Swan … piacere di conoscerla signor Cullen. – disse con voce tremante.
– Il piace è mio signorina Swan. Mi permetta di congratularmi per la scelta del cappello, è molto grazioso. – dissi.
Un timido sorriso affiorò su quelle labbra rosse e carnose e mi ritrovai ancora più attratto.
– La ringrazio signor Cullen, è un regalo. – disse, sembrando rinvigorirsi.
– Oh, davvero? E per chi, se mi posso permettere di chiederlo? –
– Ehm … per me … oggi è il mio diciannovesimo compleanno. – balbettò avvampando se possibile ancora di più.
Rimasi di stucco, quel giorno era il compleanno della ragazza!
– Per bacco! Queindi questo è un giorno speciale! Mi permetta di farle un regalo allora! – esclamai entusiasta.
Per qualche ragione che non comprendevo bene desideravo veder sorridere quella ragazza dall’aria tanto tenera ed emaciata.
La giovane finalmente alzò lo sguardo su di me sgranando quegli enormi occhi scuri dalla sorpresa e arrossendo ancora.
– Mr Cullen non serve… dico davvero… non mi permetterei mai di chiederle una cosa simile … –
– Insisto. – e così dicendo le voltai le spalle guardando ora con un nuovo interesse gli articoli esposti fino a trovare quello che cercavo.
Mi scostai per mostrarle la lunga collana di perle da avvolgere più volte attorno al collo e che, ne ero sicuro, avrebbe reso ancor più regale il suo candido collo affusolato.
Sgranò gli occhi ed avvampò riabbassando di nuovo lo sgurdo incredula.
La vidi torcersi le mani attorno a un lacero borsello di pelle ed improvviso cambiò espressione diventando cerulea e quando rialzò lo sgurdo sul mio vi vidi un’indignazione profonda.
– Non ho intenzione di accettare la sua carità signor Cullen, lei è senza dubbio generoso, ma io non sono una pezzente in cerca di elemosina. – sentenziò a denti stretti.
Rimasi sbigottito da questo suo cambio repentino e mi sentii in dovere di riproportle la mia offerta.
– Non se la prenda a male, signorina, voglio solo farle un favore. –
– Come le ho già detto Mr Cullen, per quanto magnanimo lei sia – e sputò tra i denti l’aggettivo ‘magnanimo’ come se vi leggesse una macabra ironia – io non chiedo la carità, o come li chiama lei “favori”, da chicchesia. – e dicendo ciò mi voltò le spalle dirigendosi al bancone col suo cappellino.
La proprietaria del negozio le si avvicinò di malavoglia per farle pagare l’acquisto ma quando la ragazza rovesciò il contenuto del borsello sul piano di legno e vide quei pochi spiccioli che non coprivano neanche miseramente il costo di quel cappello la vidi sgonfiardi e le sue spalle prendere a tremare lievemente.
Mi avvicinai a passo sicuro e senza pensarci due volte posai teneramente un mano alla base della schiena della ragazza mentre con l’altra possavo sul bancone una banconota.
– Se non vuole che le regala la collana almeno mi permetta di contribuire all’acquisto del suo delizioso cappello – mormorai.
La sentii rabbrividire un’istante sotto il tocco della mia mano ma subito rizò la schiena e alzando lo sgurdo su di me vidi quei bellissimi occhi pieni di lacrime trattenute e carichi di un orgoglio profondo.
– Non voglio essere trattata da stracciona. – disse con la voce bassa ma secura.
– Suvvia non se la prenda a male per una sciocchezza simile! È un dono che offro volentieri ad una bella signorina come lei, la prego di prenderlo e non far storie. – provai a sorriderle ma lei non mi guardava neanche più.
Si mordeva il labbro inferiore pallida in volto, poi titubante prese il cappellino.
– La ringrazio mr Cullen, le auguro una buona giornata. – e così dicendo uscì dal negozio senza alzare più lo sgurdo.
Rimasi fermo dov’ero, bruciato dal desiderio di correrle dietro e fermarla, per chiederle cos’avessi sbagliato, per farmi perdonare, o semplicemente per supplicarla di guardarmi ancora con quegli occhi che m’avevano stregato.
Ma non feci nulla, rimasi fermo fin quando non mi riscossi dal mio torpore per poi tornare da Miss Denali ora intenta ad ammirare dei nastri colorati, per tutto il tempo non si era accorta di niente, o almeno speravo.
– Beh, almeno sa stare al suo posto.– commentò malignamente la signorina Denali tenendo lo sguardo sempre puntato sui nastri colorati.
No, Tanya aveva visto tutto e aveva anche ragione: quella ragazza sapeva dov’era il suo posto e lì ci restava, al contrario di me che mi stavop mettendo in ridicolo. Lei era una ragazza dei bassi fondi, viveva tra il carbone e i macchinari delle fabbriche che circondavano la città e li sarebbe rimasta, io ero un borghese, la mia famiglia era conosciuta dalle più importanti famiglie di Chicago e avevo un nome e un onore da portare alto.
Ma infondo quando si aveva soldi e potere si poteva fare tutto, e ormai avevo preso la mia decisione: avrei fatto il possibile per rivedere gli occhi di Isabella Swan.


Salve a tutti! volevo riproporvi questa mia vecchia ff con dei piccoli moglioramenti. spero che vi piaccia!
Buonanotte
S.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Pov Edward

Percorrevo in auto le affollate strade di Chicago, ma essendo l’ora di punta il via vai dei lavoratori era più intenso rendendo impossibilmente lento proseguire in automobile. In quei giorni ero costantemente annoiato, nessun avvenimento intrigante m’aveva interessato, poco o nulla sembrava riuscire a scalfire la spessa patina di noia ed insofferenza che da due giorni mi perseguitava abbandonandomi ad alla svogliataggine; persino gli incontri con la bellissima Tanya Denali avevano perso ogni genere di attrattiva. Ero così ridotto da quella fatidica domenica in cui incontrai la deliziosa ragazza del cappellino; non capivo cosa mi stesse succedendo, mi sentivo mortalmente in colpa nei confronti di quella ragazza sebbene non capissi effettivamente cosa le avessi fatto di tanto male.
Ma ormai non avevo più motivo di pensarci, in fondo con ogni probabilità non ci saremmo più rivisti, Chicago era così grande che sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.
Ma questa consapevolezza mi mortificava ancor di più: volevo rivedere quegli splendidi occhi color cioccolato, volevo perdermici dentro ancora una volta, ma non potevo, i nostri ranghi ci impedivano quasi anche solo di comunicare, figuriamoci rimanere ammaliati l’uno dell’altra.
Sbuffai.
No! Avrei fatto qualcosa, qualsiasi cosa, pur di rivedere quegli splendidi occhi, poi non l’avrei più importunata, l’avrei lasciata in pace alla sua vita… forse.
Ad ogni modo avrei dovuto prima pensare a un modo per reincontrarla, sarei dovuto andare nella zona industriale, nei sobborghi operai, ma in quella zona non ero in grado di orientarmi.
Sospirai sconfitto.
Non sapevo più che pesci prendere.
La mia mente vagò al discorso che era avvenuto con mia madre la sera stessa dell’incontro con Miss Swan.

Bussarono alla porta della mia camera.
Si? –
– Edward, sono io. – mi rispose la voce di mia madre Esme dall’altra parte.
– Entra pure. –
La porta venne aperta lasciando entrare mia madre, una donna piccola, con i lunghi capelli ramati come i miei e gli occhi nocciola ed il sorriso più dolce che avessi mai visto.
– Come stai? – mi aveva chiesto venendosi a sedere sul letto vicino a me e accarezzandomi i capelli con fare materno, come se fossi ancora un bambino.
– Sto bene. – dissi scansando infastidito la sua mano.
– Come è andato il pomeriggio con la signorina Denali? – chiese lei.
I miei genitori sapevano bene quanto avrebbe giovato alla famiglia stringere rapporti con i Denali, erano ricchi e rispettabili, nonché il signor Denali, Eleazar, era buon amico di mio padre, il dottor Carlisle Cullen. Ma mia madre sapeva, per quanto avesse preso in simpatia Carmen, la moglie del signor Denali, che le loro tre figlie, Tanya, Irina e Katherine, fossero ragazze viziate e superficiali e, come ogni buona madre, desiderava per suo figlio una compagna di vita capace di innalzzarlo a valori più alti che il mero denaro e piacere.
E in effetti aveva ragione, non amavo questo lato del carattere di Tanya, ma considerando che la vita matrimoniale non era tra i miei interessi potevo felicemente accontentarmi.
– È stato un pomeriggio divertente, la signorina Denali è molto estroversa e piena di spirito. –
– Bene … – prese fiato e poi proseguì – Tesoro, volevo parlarti di una cosa molto importante. – iniziò.
– Cosa? –
–Tuo zio Aro ultimamente non sta tanto bene, tempo fa aveva avuto un forte malore, ma grazie al cielo si è ripreso e in caso di una sua ricaduta che potrebbe risultargli fatale la sua eredità e i suoi possedimenti spetterebbero a te considerando che non ha né moglie né figli. –
Rimasi senza parole.
Avrei ereditato le aziende di mio zio, tutti i suoi immensi averi e il suo ingente denaro sarebbero diventati miei!
– Ma … non capisco… perché io? Tra tutti i soci e i parenti di mio zio? –
– Aro non avendo diretti discendenti a cui passare tutta la sua eredità deve darla al fratello minore, tuo padre, ma Carlisle ha già un lavoro con una buona rendita e comunque non ha tempo per badare anche alle fabbriche e alle proprietà di tuo zio, perciò l’unica soluzione sarebbe passare tutte le aziende in mano tua, essendo l’unico figlio maschio dei Cullen. – mi spiegò mia madre.
Non ci potevo ancora credere avrei posseduto delle fabbriche creando così il mio impero aziendale.
Mio padre faceva il medico e sapevo che accarezzava l’idea di passare a me il mestiere di famiglia, ma la medicina non era mai stata nelle mie corde sebbene avessi intrapreso un anno di collage per gli studi di medicina, prima reiscrivermi a economia, e avessi svariate volte assistito mio padre nei casi meno gravi all’ospedale.
Invece diventare un ricco imprenditore andava oltre ogni mia più rosea aspettativa e sarei stato un folle a rifiutare.
Bastava soltanto che quel vecchio di mio zio mezzo matto e solo come un cane morisse e io avrei avuto in mano tutto il suo potere.

Ero perso in queste riflessioni quando all’improvviso qualcosa attirò la mia attenzione: una donna con i capelli castani legati alla meno peggio in una crocchia e coperti da un grazioso cappellino color avorio con un’elegante spilla dorata.
Quello era il cappellino!
Non ci potevo credere! L’avevo ritrovata! La ragazza dagli occhi color cioccolato!
Ultimamente la fortuna girava a mio favore.
– Dimetri, fermati! – ordinai all’autista che fermò subito l’auto per farmi scendere.
Cominciai a correre, inseguendo quella figura che andava a confondersi col resto della marmaglia di persone che mi circondava.
– Isabella … – sussurrai senza rendermene neanche conto e pronunciando per la prima volta il suo nome – Signorina Swan! – urlai più forte per farmi sentire, ma lei non si fermava. La rincorsi urlando il suo nome perché lei mi notasse.
Alla fine riuscii a raggiungerla e pronunciando un’ultima volta il suo nome l’afferrai per la spala così che si voltasse, ma quando lei mi guardò sbigottita non mi ritrovai davanti alla ragazza dagli occhi di cioccolato, bensì a una donna di mezz’età, il volto stanco, mortalmente pallido e segnato dalla stanchezza, gli occhi castani velati e i capelli scuri screziati di grigio.
– Ha bisogno di aiuto signore? – domandò la donna lievemente preoccupata.
Solo ora notavo la netta somiglianza tra lei ed Isabella: sia il fisico, che i capelli e persino gli occhi (sebbene quelli della donna di fronte a me fossero più vacui e privi di quella luce speciale che per qualche istante avevo potuto ammirare in quelli di Isabella) erano simili.
– Ehm … no, mi scusi, l’ho scambiata per un’altra persona. – mormorai sconvolto.
– Oh, non si preoccupi. Buona gio … – non fece tempo a finire di parlare che dei forti colpi di tosse la percossero, mentre il volto le si faceva cereo, il corpo rigido mentre si piegava in due dallo sforzo.
– Signora, sta bene? – le chiesi preoccupato.
La donna si portò alla bocca un fazzoletto e continuò a tossire incessantemente e non mi sfuggirono delle macchie scarlatte a sporcare la stoffa candida.
Infine rialzò gli occhi supplicanti prima che si facessero bianchi e i muscoli si sciogliessero lasciandola crollare rovinosamente a terra priva di sensi.
Riuscii ad afferrarla prima che cadesse e sollevandola tra le mie braccia, corsi alla macchina depositando la donna svenuta sui sedili posteriori.
– Dimetri, portami subito a casa, sbrigati! – ordinai all’autista che subito ripartì verso Villa Cullen.
Ero molto più vicino a casa mia che all’ospedale e poi lì ero sicuro che la donna avrebbe ricevuto cure mediche.
Nel giro di pochi minuti eravamo già arrivati e subito presi la donna tra le braccia portandola alla porta dove venne ad aprirmi una domestica.
– Alice, aiutami con la signora, si è sentita male in strada. Va a chiamare mio padre e prepara la camera degli ospiti. – Alice Brandon, una delle domestiche di Villa Cullen, nonché cara amica di infanzia, mi fidavo così cecamente di lei che le avrei ceduto la mia stessa vita.
– Certo signor Cullen, subito. – e corse via.
Mi diressi in salotto dove mia madre stava placidamente distesa sul divano intenta a leggere un romanzo.
– Oh per l’amor del cielo! – esclamò Esme portandosi una mano alla bocca vedendomi entrare e depositare la donna sul divano. In quel momento entrò mio padre a passo sicuro e visitò velocemente la donna dopo che gli ebbi spiegato cosa era accaduto per strada.
Carlisle non aveva dubbi: tisi. La signora venne portata al piano superiore, nella stanza degli ospiti, tenuta sempre sotto controllo da una domestica.
Quando riprese i sensi la prima persona con cui volle parlare fui io. Mi stupii di come prese la notizia della sua malattia, quando mio padre le disse che lei era affetta da tubercolosi polmonare lei sorrise e annuì.
La donna sembrava essere serena, come se se lo aspettasse, accettava con ammirabile tranquillità e calma la sua probabile morte. Ma la cosa che più mi colpì della signora fu il suo sorriso: non era rassegnato come quello che vedevo in molti dei pazienti di mio padre, bensì sereno, immune da tutto il male del mondo. Forse era questo che la morte portava con se, almeno per questa donna: la pace, l’assoluzione da tutti i mali commessi e subiti, perché, ne ero certo, quella donna doveva aver visto davvero tanto dolore, glielo si leggeva in quegli occhi spenti e ormai privi della gioiosa vitalità della sua spensierata giovinezza.
Ma dopo aver fatto quelle osservazioni sull’insolito comportamento della signora, ella non disse niente della sua malattia ma espresse la sua gratitudine nei miei confronti.
– La devo ringraziare signor Cullen, non so dove sarei adesso senza il suo intervento. –
– Non c’è di che ringraziarmi signora …? –
– Swan. Renée Swan. –
Swan … non mi dire che …!
– Qualche giorno fa ho incontrato una certa signorina Swan, in un negozio. – lanciai uno sguardo al cappellino che era stato messo sulla poltrona in fondo al letto assieme al soprabito.
– Oh, ma non c’è dubbio! Lei è il gentile gentiluomo che ha fatto quel generoso regalo a mia figlia. –
Mi compiacqui sentendomi definire un “gentiluomo”, ne ero davvero lusingato, i miei genitori ci tenevano all’educazione e di conseguenza mi avevano sempre istruito per farmi diventare un uomo dalle maniere amabili e dai modi impeccabili.
– La signorina Isabella è sua figlia? – chiesi stupito.
Beh, forse non tanto stupito, ormai avevo intuito che tra la donna e la ragazza ci fosse un certo legame.
– Si, la mia Bella è la più piccola dei miei due figli. –
– Allora quando tornerà a casa può scusarsi da parte mia con Miss Swan, purtroppo durante il nostro primo ed unico incontro senza volere le ho recato offesa. –
Mrs Swan, con mia grande sorpresa, scoppiò a ridere – Non si preoccupi signor Cullen, a volte mia figlia è molto permalosa, ma non la prenda a male, ha apprezzato molto la sua generosità e sono certa che le è infinitamente grata per aver reso il giorno del suo compleanno ancora più speciale. –
– Io non ho fatto niente, anzi è stato un piacere per me rallegrare un giorno così speciale per sua figlia, come dice mia madre “infondo si compiono diciannove anni solo una volta nella vita!” – scherzai.
– Purtroppo Bella pecca d’orgoglio e anche se le portassi le sue scuse non le accetterebbe, è troppo testarda! Ma sono sicura che le sarà eternamente grata per ciò che ha fatto per me. Mia figlia a volte è così apprensiva, questa mattina era restia anche a farmi uscire per via della malattia, oh se le avessi dato ascolto! –
Un’inspiegabile moto di orgoglio virile m’invase a quelle parole, in un certo qual modo l’idea che Miss Swan mi fosse eternamente grata (in debito nei miei confronti oserei dire) mi dava un’innata scarica di potere e compiacimento del quale il mio egoismo si nutriva ferocemente.
– Se non sono indiscreta le posso chiedere un ultimo favore Mr Cullen? –
– Certamente. –
– Mi può aiutare a scrivere una lettera ai miei figli? Le restituirò al più presto i soldi dei francobolli. –
– Non dica sciocchezze Mrs Swan, i francobolli non sono certo un problema e sarò lieto di aiutarla a scrivere la lettera per lei, anzi se lei gradisce farò accompagnare qui i suoi figli a farle visita finché lei sarà ospite a casa mia. –
E detto questo mi feci portare carta e penna e sotto dettatura della signora Swan cominciai a scrivere.


 

Pov Isabella

Continuavo a percorrere avanti e indietro la piccola stanza che fungeva da cucina a grandi falcate.
Ero nervosa, continuavo a torturarmi le mani in preda all’ansia.
Ero uscita quella mattina per andare a lavorare in fabbrica e dissi a mia madre, che quel giorno sembrava star bene, che se voleva uscire doveva coprirsi bene e le avevo persino dato il mio cappellino nuovo per ripararsi il più possibile dal freddo autunnale.
Erano ormai le cinque del pomeriggio e mia madre non era ancora tornata a casa.
Per l’amor del Cielo, dov’era finita? E se le fosse successo qualcosa? Se avesse avuto un malore lungo la strada e ora si trovava in un vicolo dimenticato da Dio a patire le pene dell’inferno in fin di vita? Oddio, non volevo neanche pensarci!
Sentii la porta aprirsi e corsi in entrata.
– Mamma?! … ah no, sei solo tu. – dissi vedendo sulla porta mio fratello maggiore.
– Oh che che calorosa accoglienza! – si finse stizzito stizzito Emmet.
Mio fratello era un uomo di venticinque anni, alto e robusto che con quell’aria provata e l’aspetto smunto dalle troppe ore di lavoro ai pesanti macchinari della fabbrica ad un occhio esterno avrebbe dato l’idea di un’uomo senza dubbio minaccioso, ma per me lui era il mio dolce fratello maggiore, troppo impegnato a voler bene a me e mia madre per apparire anche solo lontanamente intimidatorio.
– Hai finito prima il tuo turno oggi. Cosa succede? – mi chiese.
– Si, dei lavoratori hanno fatto sciopero e ci hanno fatto tornare a casa prima. Ma non è questo l’importante! Oggi la mamma è uscita e non è ancora rientrata! – singhiozzai ormai sull’orlo della disperazione.
– Bella calmati. – ordinò Emmett – È tutto sotto controllo, va tutto bene. – disse in tono sicuro per rassicurarmi.
In quel momento sentimmo un esile bussare alla porta e ci precipitammo entrambi verso l’entrata nella speranza che fosse nostra madre che rientrava.
Ma per la seconda volta rimasi delusa: sulla porta non c’era mia madre, bensì un ragazza minuta e con i capelli neri e gli occhi scuri, i vestiti suggerivano che fosse una domestica ma il taglio corto ed accurato e la raffinatezza delle mani stonavano con l’ingombrante divisa da lavoro.
– Ehm … salve. – dissi alla sconosciuta.
– Salve, sono Alice Brandon, al vostro servizio. – ci rispose con un inchino elegante – Voi siete il signore e la signorina Swan? – ci chiese con voce trillante.
– Si, siamo noi. – rispose mio fratello altrettanto confuso.
– Bene. Questa è una lettera di vostra madre, mi hanno detto di consegnarla a voi. – disse la ragazza porgendoci una busta che mio fratello prese.
– Una lettera? – chiesi strappandogliela di mano e aprendola.
La scrittura mi era completamente sconosciuta elegante e spigolosa.


Cari Emmett e Bella sto bene. Questa mattina, mentre mi dirigevo al mercato, mi sono fatta prendere da un malore, ma il gentile signor Cullen mi ha soccorsa. Al momento sono ospite a Villa Cullen, dove il dottor Carlisle Cullen mi sta curando, è un uomo molto generoso come il figlio e gli sono molto grata. Non preoccupatevi per me, mi sto già riprendendo e tra un giorno potrò tornare a casa. Fate i bravi durante la mia assenza.

P.S.: Il signor Cullen vi invita a farmi visita a casa loro. Seguite le istruzioni che vi darà la domestica.

Mrs Renée Swan Mamma

 

 

– Mr… Cullen? – mormorai impallidendo. 



Ciao a tutte! Ecco un nuovo capitolo! Spero che vi piaccia anche se dobbiamo ancora entrare nel vivo della storia! 
Un saluto e un grande grazie a tutte quelle che mi hanno recensito nel capitolo precedente, tutte quelle che hanno messo questa storia tra i seguiti o addirittura tra i preferiti, mi avete resa davvero felicissima! :) 
A presto, bacioni a tutte!
S.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Pov Isabella


– Se volete seguirmi. – ci disse la domestica.
Di tutta la missiva solo un nome mi era rimasto impresso a fuoco nella mente: Edward Cullen.
Era stato proprio quel Edward Cullen a soccorrere mia madre? No, era impossibile, solo Dio sapeva quanti altri Edward Cullen c’erano a Chicago, era davvero improbabile che tra tutte le persone che abitavano la capitale proprio quell’uomo doveva incontrare mia madre.
Io e mio fratello seguimmo Miss Brandon giù per il condominio fatiscente in cui abitavamo.
Fuori ci attendeva un’automobile e un quarto d’ora dopo eravamo arrivati a villa Cullen, una graziosa villetta in un quartiere borghese.
La prima a scendere fu Miss Brandon (che per tutto il tempo non aveva fatto che parlare delle condizioni di nostra madre) e ci andò ad aprire la porta.
Ad accoglierci all’entrata c’erano un uomo molto distinto, alto e bello, che riconobbi essere il dottor Carlisle Cullen, l’avevo visto di sfuggita qualvolta accompagnavo mia madre ad una visita medica, e al suo fianco una donna piccolina, i capelli acconciati in un’elegante chignon color caramello, gli occhi nocciola chiaro davano un non so che di intelligente e sveglio a quel viso dolce e materno.
Infine il mio sguardo ricadde sul loro unico loro figlio ed il mio cuore perse un battito.
Talvolta il destino sembra giocare con le vite delle persone, quel giorno mi parve che il fato non solo m’avesse giocato un brrutto tira ma che si stesse accanendo contro di me.
Tra tutti i ragazzi di Chicago mi madre doveva imbattersi proprio in quel ragazzo.
Era innegabille il fatto che il ragazzo in questione fosse senza dubbio di bell’aspetto, affascinante, elegante e ricco, ma non potevo dimenticare l’offesa arrecatomi quel giorno alla boutique, e anche se quell’incontro e quell’infelice scambio non fosse avvenuto e di lui avessi un’opinione più gradevole di certo egli era troppo al di sopra di ogni mia possibilità.
– Salve, io sono il dottor Carlisle Cullen e loro sono mia moglie Esme e mio figlio Edward. Benvenuti. – ci accolse il dottor Cullen con un sorriso smagliante, porgendo prima ad Emmett e poi a me la mano.
Lo stesso fecero la moglie e il figlio, ma il giovane Cullen ripeté lo stesso gesto che fece al nostro primo incontro alla boutique: si inchinò prendendomi la mano e posandovi delicatamente le labbra, tenendo il suo sguardo a calamita fisso nel mio e inevitabilmente arrossii.
Solo in quel momento mi resi conto in che condizioni eravamo io e mio fratello. Emmett era ancora con la sua canottiera lercia e sporca di sudore e olio per i macchinari di fabbrica ed i pantaloni tutti rattoppati. Io indossavo il mio vestito più smunto, quello che usavo per andare in fabbrica, avevo le mani sporche e piene di tagli per aver passato tutto il giorno con le dita tra i filamenti dei telai.
Mentre loro erano vestiti di tutto punto, con i loro abiti eleganti e all’ultima moda.
Di sicuro ai loro occhi apparivamo come degli straccioni usciti da chi sa quale vicolo malfamato di Chicago.
– Salve, io sono Emmett Swan e lei è mia sorella minore, Isabella. -- ci presentò mio fratello che al contrario di me non era per nulla in imbarazzo per le nostre condizioni – Vi siamo immensamente grati per aver accolto e aiutato la mia povera madre e speriamo di non crearvi disturbo, staremo qui il meno possibile, non preoccupatevi, non vogliamo approfittare della vostra gentilezza e cortesia. – disse.
Mi stupii del tone educato e formale con cui si espresse mio fratello, famoso per il suo linguaggio spesso troppo scurrile e i modi grezzi.
– Nessun disturbo signor Swan, anzi se volete accomodarvi, vi accompagno al piano superiore dove riposa vostra madre. – disse il dottore.
– Certo dottor Cullen. – e così dicendo seguimmo il padrone di casa che ci condusse su per l’elegante scalinata fino alla zona notte, portandoci di fronte ad una stanza.
– La signora Swan è qui dentro. – disse abbassando il tono di voce e poi se ne andò, lasciandoci entrare.
Entrammo in silenzio nella camera buia, le imposte erano state chiuse e sul grande letto a baldacchino c’era distesa supina nostra madre che fissava pensierosa il soffitto. Quando ci sentì entrare alzò la testa e un grande sorriso le si dipinse in volto.
Era tanto che non la vedevo sorridere così felice, rilassata e riposata, forse perché lei non dormiva in un letto così grande, comodo e che profumava di pulito da … beh, mai.
Le corsi incontro sedendomi sul bordo del letto e chinandomi per abbracciarla.
– Oh, mamma! Ero così in ansia per te! Non ti ho trovata a casa ed ero così preoccupata … – cominciai a singhiozzare.
– Shh … tesoro, non piangere … sto bene, va tutto bene. – mi consolò lei accarezzandomi i capelli con il suo fare materno.
– Allora mamma, com’è farsi trattare come dei ricconi? – scherzò Emmett venendosi a sedere a fianco a me sul letto.
Come al solito mio fratello non poteva fare a meno di scherzare su ogni cosa, ma infondo aveva preso lo stesso umorismo e il carattere vivace di mia madre.
– Si sta che è una favola! Qui sono tutti gentili e pieni di attenzioni, non ringrazierò mai abbastanza i signori Cullen per ciò che hanno fatto per me. –
– Ti hanno dato medicine? –
– Si, il dottor Cullen mi ha dato un paio di antibiotici, ora sto meglio, anche se un po’ scombussolata. –
– Dovremmo ripagarli, le cure costano e sono stati davvero gentili ad ospitarti. – meditai io.
Certamente i medicinali e le cure avranno rappresentato un costo ingente da ripagare ai signori Cullen, probabilmente avremmo dovuto dare fondo ai nostri risparmi per ricompensarli.
– Ci penseremo a tempo debito tesoro. – mi rassicurò Renée.
Parlammo ancora per un po’ fino a quando mia madre, troppo stanca per continuare a chiacchierare, ci congedò e noi la lasciammo riposare.
Io ed Emmett ci dirigemmo nel salotto dove padre e figlio stavano discutendo.
– Dottor Cullen? – lo chiamò Emmett.
Il dottore alzò i suoi occhi ferini come quelli del figlio su di noi e con un sorriso si avvicinò.
– C’è qualche problema? – mi chiese.
– Assolutamente no … le volevo chiedere quando dobbiamo riportare a casa nostra madre, non vogliamo approfittarci della vostra generosità, e anche le vorrei ridare i soldi delle cure che le ha fornito. –
Il dottore scoppiò in una sonora risata – Signor Swan, le ripeto che per noi non è affatto un problema ospitare vostra madre, né tanto meno offrirle delle cure mediche efficienti per quanto semplici e in ogni caso non accetterei i suoi soldi, no signore! Sua madre non ci reca alcun disturbo, anzi è un vero piacere conversare con lei. Perciò non si faccia di questi problemi e lasci a noi prenderci cura di vostra madre, lo facciamo con piacere, davvero. –
– Beh … in tal caso … – disse titubante e io mi sentii in colpa ad accettare la loro esagerata generosità.
– Ah, a proposito, vi vorrei chiedere se uno di voi due rimanesse un paio di giorni da noi, per stare accanto a vostra madre, le farebbe molto piacere avere accanto un suo familiare. –
– Io non credo di poter accettare … – si mortificò Emmett.
– Ma se non lei signore allora vostra sorella. –
– Se è per il bene di mia madre, mi va bene … sempre che io non disturbi. – dissi.
– Lei non disturba affatto signorina Swan, sarà un piacere per noi averla qua! … Victoria! – chiamò e subito una delle domestiche corse da noi.
Era molto bella, alta, i capelli rossi ricci e indomabili e due occhi azzurri e ferini che ti guardavano con un aria saccente e di superiorità.
– Miss Swan, questa è Victoria Jonson. Victoria, cortesemente mostra la seconda stanza per gli ospiti alla signorina Isabella. –
– Si, signore. Miss Swan, mi segua per favore. – disse la domestica.
– Ehm, si … Emmett, torno presto e torna a trovarci. – dissi rivolgendomi a mio fratello e dandogli un veloce bacio sulla guancia alzandomi in punta dei piedi prima di seguire la domestica.
Salimmo le scale ed entrammo nella stanza accanto a quella di mia madre.
Era meravigliosa, grande e luminosa, sebbene il sole stava ormai tramontando.
Mi buttai a peso morto sul grande letto a baldacchino tirando un profondo sospiro.
Che giornataccia!
In fabbrica era stato un inferno tra i macchinari e lo sciopero degli altri lavoratori, certamente io non potevo permettermi di scioperare, sebbene le condizioni pessime in cui lavoravo assieme alle mie colleghe, ma dovevo contribuire a mantenere me, mio fratello, mia madre e le sue cure.
Chiusi gli occhi e senza rendermene neanche conto scivolai in un sonno profondo e senza sogni.


Pov Edward

Bussai più volte alla porta ma senza ricevere mai risposta.
Cominciavo a pensare che la dea bendata m’avesse baciato senza che me ne accorgessi.
La ragazza che tanto avevo desiderato negli ultimi giorni si trovava ora sotto il mio stesso tetto e avevo la possibilità di vedere i suoi magnifici occhi che avevano popolato i miei sogni quando mi andava.
Ma ora più bussavo e più mi innervosivo non ricevendo risposta.
– Forse è uscita dalla sua stanza. – disse Alice che teneva tra le mani la bacinella d’acqua calda con i sali.
– Impossibile, nessuna l’ha vista per la casa, al massimo può essere andata dalla madre. – risposi –Io entro. – sbottai spazientito.
– Edward, forse non è il caso … – provò a fermarmi ma ormai io avevo già aperto la porta.
Entrai ma e mi bloccai sulla porta quando vidi che Isabella era distesa sul letto e dormiva serenamente.
Una forza interiore a me sconosciuta mi spingeva ad avvicinarmi a quel letto, ad accarezzare quel tenero volto incosciente, ad ammirare quel corpo candido ora rilassato nel sonno.
Ma mi dovetti trattenere cosciente di non essere solo e che il mio comportamente sarebbe stato scandaloso.
– Lascia la bacinella lì Alice, poi puoi pure andare. –
Lei eseguì in silenzio ma poi rimase ferma sulla porta titubante – Non penso sia il caso che ti fermi qui… non è sicuro Edward – mi ammonì.
Fui inizialmente perplesso a quelle parole.
Che pericolo poteva rappresentare per me un’indifesa e debole ragazza? E così capii.
Presi imprevvisamente coscienza del mio corpo di uomo: la mia corporatura imponente, la mia forza, la mia prestanza fisica.
Tutto di me poteva essere una minaccia per lei, così minuta e debole in confronto a me che avrei potuto sopraffarla quando volevo.
Ma poi i miei occhi si posarono su quel dolce viso, ammirai le sue labbra così carnose e rosse e anche screpolate dal freddo così invitanti, guardai le sue lunghe ciglia scure abbassate sui suoi grandi occhi che producevano ombre sulle sue guance rossee e la sua pelle pura e candida come la luna.
Chi avremme mai avuto il coraggi di far del male ad una creatura così eterea e bella? Piuttosto io l’avrei venerata.
Tornai a guardare alice che era rimasta ferma e titubante di preoccupazione sulla porta e le rivolsi un sorriso dolce – Non ti preoccupare, Alice. –
Lei parve pensarci un’altro istante, poi posando lo sguardo prima su Isabella e poi su di me sorrise con uno dei suoi strani sorrisetti furbi e una scintilla di comprensione le attraversò lo sgurdo.
Annuì vivacemente e ridacchiando uscì dalla stanza lasciandomi solo.
Scossi la testa divertito: chi sa cosa le passava per la testa quando aveva quello sguardo furbo?
Una volta rimasto solo nella stanza assieme alla mia ospite mi sedetti su una sedia in un angolo della stanza e attesi il suo risveglio.
Probabilmente stava facendo un bel sogno visto perchè un esile sorriso le si era dipinto su quelle labbra rossee non potei impedirmi di tornare ad osservare il suo viso elegante e quel corpo minuto coperto da vestiti cenciosi.
Mi soffermai a guardare più del dovuto le sue belle gambe che spuntavano dalla gonna a metà polpaccio.
Sussultai.
Non mi ero mai soffermato così tanto nell’ammirare una ragazza e quasi mi vergognai di aver fatto certe osservazioni su una misera ragazzetta.
Sbuffai spazientito.
Non ero mai stato bravo a pazientare ma mi sforzai di attendere in silenzio fino al risveglio di Miss Swan.
Quando quest’ultima aprì gli occhi non sapevo neanche quanto tempo avevo passato fermo su quella sedia ad osservarla.
Si guardò attorno, un po’ spaesata senza rendersi conto della mia presenza.
Sembrava serena e riposata, tutto l’opposto di questo stesso pomeriggio dove l’avevo vista stanca e provata.
Alla fine decisi i palesare la mia presenza con due colpi di tosse e quando si voltò sorpresa verso di me non potei trattenere un sorriso divertito alla vista del suo volto perfetto così stupito e scarmigliato.
– Buona sera Miss Swan. – la salutai cordialmente.
– B- buon giorno … cioè … buona sera anche a lei signor Cullen. – era evidentemente agitata ed imbarazzata e certamente non potevo biasimarla, era stato davvero sconsiderato da parte mia fermarmi nella sua stanza mentre dormiva, ma con tutta onestà non me ne pentivo minimamente.
– Mi sono permesso di portarle dell’acqua calda con dei sali benefici. – esordii per rompere quel silenzio imbarazzato che si era creato tra noi – Prima non ho potuto fare a meno di notare le sue mani. –
Potei ammirare come i diversi sentimenti che provava si alternavano sul suo volto trasparendo dai suoi scuri occhi espressivi.
Primo tra tutti ci fu l’imbarazzo dove chiuse le mani a pugno nascondendole dietro la schiena e potei notare una punta di dolore in questo suo gesto, poi la rabbia, prima verso se stessa e poi nei miei confronti e infine fu lascito il posto al suo orgoglio.
– La ringrazio signor Cullen, ma non ho bisogno del suo aiuto, le mie mani non hanno niente che non va. – affermò, ma la sua sicurezza era tutta artefatta, una palese menzogna dettata dall’orgoglio di non voler ammettere davanti a me il suo dolore.
– Non sono convinto Miss Swan. La prego, si lasci medicare le mani. Sa, questi sono sali provenienti dalle indie, importati direttamente dalla Cina. –
– Se per questo poteva anche risparmiarsi di fare un viaggio così lungo per procurarsi quei granelli di sale costosi solo per la loro fama. – rispose acida.
Ormai lo avevo capito, lei disprezzava me e la mia ricchezza e disdegnava qualsiasi cosa lei potesse considerare superfluo e che costava oltre la sua portata.
Probabilmente mi considerava una persona avida, che sperperava i suoi soldi in maniera sciocca, avrei voluto dimostrarle il contrario, io non ero così, conoscevo il valore dei soldi e la loro importanza, ma sapevo altrettanto bene che lei non mi avrebbe mai ascoltato.
Ma ciò non mi avrebbe persuaso dal convincerla di farsi me – Insisto. – dissi con un tono apparentemente gioviale ma implicitamente perentorio, non ammettevo repliche.
Miss Swan sospirò rassegnata poi si alzò, senza dire una parola andò a sedersi alla scrivania e voltandomi le spalle immerse le mani nell’acqua ormai tiepida della bacinella.
Si lasciò sfuggire un mugolio di dolore, probabilmente le bruciavano i tagli sulle mani, ma non disse altro.
– Ha riposato bene? – le chiesi rompendo quel silenzio che m’innervosiva.
– Splendidamente. – disse soltanto.
– Mi posso permetterle di chiederle come si è procurata quei tagli alle mani? –
– Lavoro in fabbrica, signor Cullen, al telaio. – disse e con questo suo tono sembrò voler rimarcare la differenza tra noi due, sembrava volermi dire “probabilmente voi, signor Cullen, non l’ha neanche mai vista una fabbrica, e un telaio poi! Non ha neanche idea di cosa sia!
– E suo fratello? –
– Emmett lavora alle macchine. –
Restammo in silenzio qualche altro minuto a rimuginare fin quando una domanda mi sfuggì dalla labbra prima che mi potessi fermare.
– Lei è fidanzata, Miss Swan? – diedi voce ai miei pensieri senza neanche rendermene conto della sfacciata domanda che le avevo posto.
Lei sobbalzò stupita da questa mia inspiegabile curiosità e si volto verso di me sgranando gli occhi ed arrossendo.
– Io … ehm … no signor Cullen, non sono fidanzata né ho in programma di esserlo per il momento. –
– In che senso, se mi posso permettere? –
– Io non mi voglio unire in un matrimonio senza amore, sarebbe ingiusto verso me stessa, nei confronti del mio consorte e dei nostri figli. Non crede? –
– La sua è una giusta osservazione, signorina Isabella, ma in molti casi questi ideali non possono essere sostenuti, chi per motivi economici o chi per convenienza si sposa con qualcuno per il quale non si prova il minimo sentimento d’amore. Anche se col tempo si impara ad apprezzare e stimare la persona con cui si condivide il letto. – ragionai.
– È vero, ma sarebbe davvero uno spreco passare la propria vita affianco a una persona che non si ama, come si può sperare di essere per il proprio compagno un punto di forza, qualcuno a cui sei pronto a donare la tua vita se a mala pena si riesce a convivere? –
– Si può sempre imparare ad amare, forse non sarà un amore forte come quello dettato dal cuore, ma sarà comunque sufficiente per crescere assieme una famiglia. –
Del perché stessi discutendo con lei su un argomento di cui ero poco avvezzo ad espormi non lo sapevo nemmeno io.
Da quando ragionavo dell’importanza dei sentimenti in un matrimonio?
Mai mi ero posto questo genere di domande, e ora cercavo di convincerla della mia ragione, la persuadevo del fatto che in una coppia di coniugi non fesse essenziale il sentimento.
In poche parole la stavo inducendo, inconsciamente, a un ipotetico matrimonio con una persona che non amava.
E non comprendevo il motivo di questo mio comportamento insensato.
– Ma lei signor Cullen, non è fidanzato? – mi pose la domanda a un certo punto della conversazione.
– No, non ancora. Frequento una nobildonna, la signorina Tanya Denali, ma non ci siamo ancora fidanzati, anche se so che il nostro matrimonio sarebbe molto gradito dai nostri genitori. –
– E lei non desidera che la signorina Denali provi amore per lei? Non vorrebbe essere amato dalla persona con cui condividerà il resto della sua vita. – Sorrisi amaramente.
Ah! Come se Tanya fosse in grado d provare snetimenti sinceri
– Francamente, Miss Swan, non ne sono interessato. Mi sposerei solo per fare cosa grata ai miei genitori e per dare alla famiglia Cullen degli eredi, ma al momento né la signorina Denali né nessun altra donna è riuscita ad invaghirmi a tal punto da farmi aspirare a un matrimonio felice e pieno d’amore. Probabilmente un giorno io mi sposerò con Miss Denali solo per convenienza e sia a me che a lei va bene così. –
Ma improvvisamente anche la mia certezza di un futuro matrimonio con Tanya stava riscoprendo dei dubbi che fino ad ora non mi ero posto.
Essere il consorte della signorina Denali non mi dava più nessuna soddisfazione. Non mi interessava più che lei potesse essere bellissima, perfetta da esibire a qualche cena d’elittè al mio fianco, né mi importava che le nostre famiglie ne avrebbero guadagnato dalla nostra unione.
Improvvisamente compresi che Tanya Denali non era più ciò che volevo.


Ciao a tutte! Pronte per ricominciare la scuola? (Ok non uccidetemi per avervelo ricordato XD ) Io sono all'ultimo anno di liceo T-T e voi? Dai in fondo non manca molto alle vacanze di Natale vero? VERO????
Spero che almeno questo nuovo capitolo vi abbia rallegrato un pochino l'inizio settimana u.u
Vi ringrazio per recensioni che mi rendono sempre felice! spero che questo nuovo capitolo vi piaccia :) 
Bacioni e auguri (a chi ricomincia scuola)  di buon rientro!

S.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Pov Edward

Mio zio Aro era una di quelle persone superbe che non guardano in faccia niente e nessuno, convinti che loro, facendo parte di qualche famiglia borghese, avessero più dignità di una qualsiasi persona. Ricordavo che sin da quando ero un bambino usava ripetere la frase della rinomata regina francese di fronte ad ogni disgrazia che affliggeva la fascia popolare: “che mangino brioche!”.
Non ero mai andato d’accordo con quel suo modo di fare, ma non potevo neanche dargli torto, infondo noi ricchi avevamo molti più diritti e la nostra vita agiata ci permetteva di elevarci da quei miseri popolani.
Quella mattina al mio risveglio di Isabella non c’era nessuna traccia, le domestiche dissero che era uscita presto per andare al lavoro e che sarebbe tornata la sera.
Non che mi importasse dove andava e cosa faceva quella ragazza, eppure non mi piaceva l’idea che se ne fosse andata senza nemmeno salutare e per di più al lavoro, probabilmente in una squallida e sporca fabbrica.
Che le serviva lavorare se ora era sotto la protezione della mia famiglia?
– Signor Cullen! È un piacere rivederla! Mi dolgo per la malevola sorte che s’è abbattuta sul vostro povero zio! Fin tanto che ha lavorato che noi a dirigere quest’impresa è stato un grand’uomo, ma ora siamo lieti di avere suo nupote come nuovo dirigente. – mi accolse il signor Caius Hale collaboratore di mio zio e padre di una mio caro amico. Era un uomo alto e smilzo, molto più vecchio di me, i capelli e gli occhi chiarissimi e i tratti affilati, sul volto un sorriso gelido di finta amicizia – E questo è mio fratello nonché collega, Marcus Hale. – disse indicando l’uomo al suo fianco, tra i due era il più anziano, i capelli e gli occhi neri, i tratti duri solcati da profonde rughe.
Quest’ultimo non sorrise neppure, si limitò a stringermi con riluttanza la mano e a biascicare in tono annoiato: – Sono addolorato per la precaria salute di vostro zio signor Cullen, spero che si rimetta presto. –
Non esistevano parole più false.
Sapevo bene che quelle due serpi camuffate da gentiluomini non vedevano l’ora che mio zio andasse all’altro mondo e si auguravano per me la sua stessa sorte.
A metà del secolo precedente mio nonno, Cornelius Cullen, fondò la CC Auto nota azienda automobilistica che successivamente passò nelle mani di mio zio Aro (fratello maggiore di mio padre) che in seguito alla forte crisi dovuta alla Grande Guerra dovette dividere le azioni dell’azienda coi fratelli Hale.
Tra i tre soci mio zio possedeva la parte di azienda più sostanziosa e dopo la sua mote, se non avesse lasciato tutto a me, sarebbe stata divisa tra i fratelli Hale.
– Anche per me è un piacere conoscervi signori. – risposi educatamente, stringendo la mano ad entrambi.
Ero andato quella mattina alla fabbrica di mi zio per vedere quale sarebbe stato il mi posto nella società che presto avrei diretto assieme agli altri due uomini di fronte a me. Sapevo sin dall’inizi che non sarebbe stato affatto facile avere il loro rispetto, ma ci sarei riuscito.
Tutti temevano Aro e a lui restava sempre l’ultima parola, ma non ero sicuro che mi avrebbero riservato lo stesso riguardo.
Mi vedevano solo come un ragazzetto borioso che affrontava qualcosa più grande di lui, ma li avrei dimostrato che si sbagliavano di grosso, se volevano mettermi sotto come non erano riusciti a fare con mio zio avevano trovato pane per i loro denti.
Dapprima mi portarono al vecchio ufficio di mio zio e mi mostrarono diverse pratiche e documenti, “le scartoffie” come le chiamava mio padre.
Poi mi accompagnarono a visitare i diversi stabilimenti.
Durante la guerra la CC Auto ebbe un calo di entrate, ma nulla di così preoccupante perché l’esercito aveva sempre bisogno di vetture, trasporti e marchingegni di ogni genere. Le fabbriche erano riunite in grandi complessi, i diversi settori si riunivano in capannoni dove si trovavano le macchine per la produzione.
Ci fecero entrare nello stabilimento dove si lavoravano i pezzi di metallo per costruire le auto vetture e proseguimmo attraverso i diversi settori del grande complesso industriale.
– E questa è lo stabilimento dove si cuciono i vari rivestimenti delle autovetture: sedili e intelaiature. -- mi indicò il signor Newton, il giovane uomo che stava a capo del settore tessile della fabbrica.
Oramai non ascoltavo nemmeno più e il fastidioso brusio che era diventato il continuo chiacchiericcio del signor Newton venne totalmente coperto dall’incessante rumore dei telai che lavoravano velocemente e provocando un rumore assordante. Al telaio lavoravano solo donne, tutto vestite di abiti laceri e smunti, tutte con un fazzoletto legato in testa a raccogliere i capelli, tutte concentrate sul proprio lavoro, i volti stanchi e le mani doloranti per il continuo sforzo.
Camminammo tra le due corsie di telai in modo che potessi ammirare il lavoro delle operaie che non mi degnavano di un sguardo mentre facevano funzionare la grande macchina. Stavamo tornando verso l’uscita quando intravidi qualcosa che da subito non ci feci molto caso ma che appena me ne resi conto mi lasciò spiazzato.
Tra tutte quelle donne solo una attirò la mia attenzione: Isabella.
Con una scusa convinsi il signor Newton ad andare avanti mentre io sarei rimasto li ancora un po’ prima di raggiungerlo, e dopo essermi liberato dell’uomo mi diressi al telaio dove avevo visto la ragazza che avrei riconosciuto fra mille.
La osservai mentre lavorava concentrata, le dita affusolate che agili si infilavano tra i filamenti per tirarli e sistemarli, al su fianco un'altra ragazza che assisteva il suo lavoro continuando con rapidi movimenti a far funzionare il marchingegno.
Non l’avevo mai vista così bella, sebbene fosse ancora vestita con gli stessi abiti lerci del giorno prima e il suo volto era stanco e affaticato, era semplicemente meravigliosa. La fronte aggrottata era imperlata di sudore e le mani erano arrossate e piene di piccoli graffi provocati dai fili che continuava ad adoperare con dimestichezza.
-- Signorina Isabella? -- la chiamai per farmi notare, ma il troppo rumore che c’era nel capannone coprì la mia voce.
Provai a chiamarla un altro paio di volte ma lei non si accorse della mia presenza.
Alzai una mano per poterle sfiorare una spalla così che si accorgesse di me, ma la lasciai sospesa a mezz’aria, indeciso se disturbarla o no.
Poi il braccio mi ricadde lungo i fianchi.
Sulle labbra mi nacque un sorriso amaro e una strana malinconia mi avvolse il cuore mentre lei continuava a guardare il suo lavoro senza rendersi conto della mia presenza alle sue spalle.
Sospirai, poi mi votai e tornai dal signor Newton che mi attendeva all’uscita, neanche mi resi conto che il fazzoletto da taschino mi cadde.


Pov Isabella

Al mio risveglio mi ritrovai nella stessa camera sfarzosa ed elegante della sera prima quando mi ero coricata.
Allora non era stato tutto un sogno!” fu la prima cosa che pensai.
Mi alzai dal letto e mi rivestii con i miei soliti abiti da lavoro. Scesi al piano di sotto e andai in cerca delle cucine.
Li, indaffarata ai fornelli, c’era una donna piccola e dalla pelle scura, i lunghi capelli neri come il carbone erano raccolti minuziosamente in una crocchia tenuta su da una rete per capelli.
– Mi scusi? È permesso? – chiesi facendomi avanti.
La donna si voltò verso di me con aria stupita e poi mi sorrise con calore.
– Buongiorno. Lei è l’ospite! Io sono Sue, la cuoca di Villa Cullen, al vostro servizio. Non dovrebbe trovarsi qui Miss Swan. –disse. Come molti afroamericani faceva un evidente fatica a parlare correttamente l’inglese.
– Buongiorno a lei, signora. La prego, mi chiami pure Isabella. – la rassicurai. Infondo oltre al colore della pelle e alle nostre origini non avevamo altre disparità, eravamo entrambe della classe sociale più bassa.
La donna mi sorrise e si mise subito a lavorare ai fornelli.
– Cosa desidera per colazione, Isabella? –
– Mi dia pure del pane nero e del latte se c’è. –
La donna si voltò verso di me sconvolta – Non se ne parla, signorina Isabella, lei qui è l’ospite. La prego, si faccia portare una colazione più sostanziosa. –
Con tutta onestà non avevo idee su cosa mangiare d’altro oltre a il pane nero e al latte di capra. – Io non saprei signora Sue … scelga lei per me. –
Poco dopo la cuoca mi servì una colazione ricca di croissant al cioccolato, frutta fresca e ogni altro genere di ben di Dio che io non avrei mai osato neanche immaginarmi di poter mangiare un giorno.
Mangiai più che potei e mi feci preparare un pranzo al sacco che misi nel mi tascapane ma quando vidi l’orologio dovetti correre per non ritardare ulteriormente.
– Ma … Miss Swan! Dove sta andando? – esclamò Miss Brandon quando io ero già alla porta pronta per dirigermi alla fabbrica in cui lavoravo.
– Devo andare al lavoro. Per favole, dica al dottor Cullen che sono uscita e che rientrerò alla sesta ora della sera. Con permesso. – dissi e feci appena in tempo a scansare un giovanotto smilzo e dai capelli scuri che s’era apprestato a bussare alla porta di casa prima di correrre verso la fabbrica.
Villa Cullen si trovava nel quartiere residenziale di Chicago e distava molto dalla fabbrica perciò fu inevitabile che arrivai in ritardo al mio telaio.
– Buongiorno Bella. – mi salutò Angela Weber, una mia cara amica.
Lei lavorava al telai affianco al mio, aveva all’incirca ventitre, era alta e aveva capelli e occhi scuri coperti da un paio di occhiali.
Mentre, al mio stesso telai lavorava anche un’altra nostra amica, Jessica, una pettegola come poche ma comunque dalla compagnia piacevole, con lei non mancavano mai gli argomenti di conversazione. Era piccolina e dal seno prosperoso, i capelli color caramello e gli occhi nocciola, forse un po’ freddi e superficiali.
– Buongiorno Angela, ho così tante cose da raccontarti! – vista l’assenza di Jessica colsi l’occasione per parlare alla mia amica della sera prima.
Le raccontai di mia madre, dei signori Cullen (in particolare del figlio), della loro gentilezza e della cena avvenuta quella sera: non avevo mai mangiato così tanto e così buone pietanze in vita mia.
Alla fine del mio racconto Angela era senza parole.
– Perbacco! Hai dormito a casa di borghesi! Posso solo immaginarmi il loro lusso! –
– Pensa, hanno persino la cuoca che li prepara la colazione e ho contato almeno cinque domestiche! –
– Ohibò! Non ci posso credere! – esclamò sgranando gli occhi.
– Ti dico di si invece! Ma la cosa che più mi ha stupito è stata la loro cortesia, poche persone si sarebbero comportate nella medesima maniera se si fosse trattato di persone del nostro rango. Certo, altrettanto non posso dire per il figlio, lo trovo un uomo così altezzoso ed egocentrico! –
– In tutta onestà, cara Bella, credo che un uomo del suo ceto sociale abbia tutto il diritto di essere altezzoso ed orgoglioso. –
– Hai pienamente ragione, Angela, io non avrei nulla contro il suo orgoglio se lui non avesse mortificato il mio. –
– E come avrebbe fatto questa povera anima a mortificare a tal punto il tuo orgoglio precludergli la tua amicizia? –
Risi di cuore – Angela, credo proprio che un gran signore come lui non aspiri certo all’amicizia di un operaia e di sicuro non è povero a giudicare dalla villa in cui risiede, solo l’argenteria mi avrebbe fatto campare per il resto dei miei giorni, me e miei futuri nipoti! –
– Perbacco! Questo signor Cullen è davvero molto ricco! –
– Chi è questo signor Cullen? – chiese una voce alle nostre spalle.
Ci voltammo e trovammo Jessica che finalmente era arrivata.
– Nessuno di importante. – rispose per me Angela, sapeva bene che non ero capace di mentire e mi conosceva abbastanza da sapere che preferivo che quello che era accaduto con i Cullen rimanesse tra noi.
Come sempre Jessica le credette.
– Salve signore! – disse il capo reparto, Mr Mike Newton, entrando, come ogni mattina aveva un sorriso enorme, per lui era facile parlare quando tutto quello che doveva fare ogni giorno era passeggiare tra le corsie di telai e guardarci lavorare.
– Oggi verrà un ospite molto speciale a visitare la fabbrica perciò lavorate sodo! –
Si avvicinò a noi. – Salve Bella. Angela. Jessica. – ci salutò con un lieve cenno del capo.
– Salve signor Newton. – rispondemmo noi tre.
Poi si voltò verso di me e fece per dire qualcosa.
Ecco una delle sue solite moine!” pensai infastidita dalle attenzioni poco gradite del mio superiore.
Ma per fortuna in quel momento suonò la sirena che avvertì dell’inizio del turno così ognuno tornò alle proprie postazioni, mi misi il cotone nelle orecchie per proteggerle dall’assordante rumore dei telai e ci mettemmo a lavorare.
Rimasi ferma per ore china sul mio telaio, Jessica al mio fianco ad assistermi nel lavoro.
Dopo un paio d’ore di lavoro interminabile le mani già cominciarono a bruciarmi.
Ma a differenza di tutti gli altri giorni accadde qualcosa di insolito mentre lavoravo: un odore inaspettato mi travolse mentre continuavo a filare.
Era un profumo buonissimi, virile.
Non osai girarmi e continuai il mio lavoro fino a quando il profumo, pochi minuti dopo, sparì.
Non so precisamente quanto tempo trascorse poi, ma finalmente suonò la sirena della pausa pranzo. I telai si fermarono e tutte le operai si alzarono dai loro posti indolenzite per essere rimaste ferme troppe ore.
Quando mi alzai pestai qualcosa e abbassando lo sguardo vidi un fazzoletto bianco sotto la mia scarpa.
Mi chinai e lo raccolsi, incuriosita.
Era un candido fazzoletto di lino, finemente ricamato ai bordi e sull’angolo destro due iniziali: E.C.
– Cos’è? – mi chiese Jessica alle mie spalle osservando incuriosita il fazzoletto.
– Un fazzoletto, l’ho trovato qui. –
– L’avrà perso qualche operaia. –
Me lo portai al naso e annusai e improvvisamente di nuovo quel profumo virile mi travolse.
Era un profumo pungente eppure piacevole e ammaliante, sapeva di dopo barba, acqua di colonia e il classico odore che avevano gli uomini, ma non ne avevo mai sentiti di così buoni.
– No, non è di nessuna operaia, è di un uomo. – dissi – E.C. – rilessi pensierosa le due iniziali – Chi potrebbe essere? – chiesi.
– Non ne ho la minima idea, potrebbe appartenere a chiunque. –
– Questo profumo … l’ho sentito prima, mentre filavo, per un attimo è passato qualcosa con questo profumo. – dissi allungando il fazzoletto a Jessica che lo annusò chiudendo gli occhi anche lei estasiata da quel buonissimo profumo.
– Mmm … è buonissimo … oserei dire che appartenga ad un angelo! – esclamò.
Risi – Si, il mio Angelo Custode E.C.! –
E.C. … chi sa per cosa sta? – chiese mentre ci incamminavamo nel cortile centrale dove ci fermavamo nella pausa pranzo. 
– Mmm … Elliott Cox? – proposi.
– O magari Edmund Carter! –
– E se E fosse il cognome? – chiese Angela che aveva assistito alla conversazione – Quindi … che so … Evans? –
– Christian Evans! – disse Jessica.
Ridemmo tutte insieme, poi infilai il fazzoletto in una tasca del vestito, tirammo fuori dalle nostre borse il pranzo e cominciammo a mangiare.
A fine giornata mi diressi verso Villa Cullen.
Solitamente attendevo mio fratello all’uscita della fabbrica per tornare a casa assieme, ma questa volta non lo attesi neanche per salutarlo, troppo persa nei miei pensieri. Finchè camminavo per strada estrassi dalla tasca il fazzoletto e me lo portai ancora una volta al volto, era tutto il giorno che ripetevo quel gesto annusando con avidità quel profumo che mi aveva stregata, non potevo farne a meno.
Era possibile innamorarsi di una persona sentendone solo il profumo? Risi tra me delle scempiaggini che stavo pensando, ma nel profondo del cuore mi rimase il dubbi di chi fosse il fantomatico Christian Evans. 



Buongiorno a tutte! Sono tornata! Scusate l'immenso ritardo per questa pubblicazione ma sono stata via la settimana scorsa e non ho fatto a tempo XD 
Lo so è un po' corto... ma per farmi perdpnare pubblicherò un altro capitolo questa settimana! 
Spero che vi sia piaciuto! :)
Bacioni
S.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Pov Isabella

La sera successiva io e mia madre tornammo a casa, appena lei si sentì meglio.
Alloggiammo a Villa Cullen solo tre giorni, mi sentivo in colpa ad approfittare così della profonda gentilezza dei padroni di casa.
In quei giorni, sebbene la maggior parte del tempo la passassi in fabbrica, legai molto con una delle domestiche, Alice Brandon, ma anche la signora Cullen si dimostro una donna dal cuore grande e dalla gentilezza infinita.
Potei conoscere meglio tutti i membri dell’illustre famiglia borghese.
Il dottor Carlisle era un uomo molto intelligente, uno spirito solitari e meditabondo, ma anche capace di scaldarti il cuore con i suoi sorrisi sinceri e i suoi modi impeccabili. Una sera, dopo la cena (avvenuta nella grande sala da pranzo, serviti da camerieri che portava leccornie di ogni genere) mi permisi di vagare per la grande villa e, casualmente, mi ritrovai nella vasta biblioteca della casa.
Lì di fronte a un caminetto acceso, seduto su un elegante poltrona in pelle a fumare il sigaro e leggere un grosso tomo di medicina c’era il Dottore.
Conversammo per un po’ fino e quando, incuriosita dalle centinaia di libri che ricoprivano gli scaffali che correvano per tutte le pareti della grande stanza, feci vagare lo sguardo incantata.
– Ha letto tutti questi libri Dottore? – chiesi senza fiato.
Lui ridacchiò alle mie spalle – Si può dire di si, anche se molti (devo ammetterlo) erano così noiosi che mi sono addormentato durante la lettura!Ma a dire il vero è mia moglie la lettrice di casa. –
Risi alle sue parole ma tornai subito seria mentre un pensieri si faceva strada in me.
– Mi insegnerebbe a leggere? –
– È analfabeta Miss Swan? – chiese stupito.
– Oh no! Ho ricevuto una minima istruzione da bambina, ma solo quel che serve per scrivere e leggere una lettera e far di conto. Purtroppo non ho molta dimestichezza con le parole. –
Il Dottore mi studiò per qualche istante, meditabondo – Non si direbbe, siete così ben’educata ed intelligente, in grado di esprimere correttamente i vostri pensieri che davo per scontato che foste un’appassionata lettrice. – arrossii al suo complimento – Ma quel che sembra non ha importanza, figliola! Prendi quel libricino blu sullo scaffale… esatto, quello… ed ora siediti qui al mio fianco… –
Così il Dottore, con molta pazienza si mise ad aiutarmi a leggere qualche libro e non demorse fino a quando non riuscii a leggere con scioltezza.
Grazie a lui avevo scoperto la bellezza di un buon libro, capace di farmi volare attraverso nuovi mondi tra quelle pagine che profumavano di cartaceo.
Inoltre mi affezionai molto ad una delle domestiche, Miss Brandon, e presto scoprii del perché del suo singolare rapporto con la famiglia Cullen.
Tutto mi fu rivelato una sera in cui dovetti far ritorno a villa Cullen ad un orario più tardo del solito, oltre l’ora di cena, e passando daventi al salotto sentii un leggero mugolare così andai a vedere pensando di poter porgere i miei saluti alla padrona di casa, ma al suo posto trovai Miss Brandon intenta a rigirarsi su uno dei divani di Mrs Cullen profondamente addormentata, e temendo che se qualcuno della casa l’avesse trovata in quello stoto avrebbe passato dei guai la svegliai.
Dapprima mi guardò con un certo disappunto, con il sonno ad appesantirle ancora le palpebre, ma poi riconoscendomi tornò a rinvigorirsi come ogni volta che l’avevo vista.
– Miss Swan! Che ci fa qui a quest’ora?! –
– Potrei chiederlo io a voi Miss Brandon! Non teme che la signora si arrabbi se la trovasse a dormire qui? –
Per tutta risposta lei ridacchiò – Figuriamoci se Esme si arrabbia per qualcosa! Gradisce una tazza di tea? –
Sbigottita dalla reazione di quella domestica così indisponente mi limitai ad annuire, ammutolita, mentre lei si alzava dal divano per poi andare in cucina a prendere il tea. Tornò con la teiera fumente, un piattino di biscotti e due tazze, poi si sedette affianco a me sul divano servendo il tea ad entrambe.
Restammo in silenzio qualche minuto finché non la vidi sorridere enigmatica.
– Immagino che si starà chiedendo come mai una domestica come me si permette di comportarsi così in casa dei suoi padroni. –
– No… non mi permetterei di… –
Lei mi interruppe scoppiando in una fragorosa risata – Lasci perdere! Le bugie non fanno per lei Miss Swan! –
– Mi scusi… –
– Non si scusi, e lasci perdere anche tutti quei toni formali che non mi piacciono, mi chiami Alice perfavore. – e mi sorrise con quel genere di sorriso in grado di scaldarti il cuore, così misi da parte ogni mia preforma per sorriderle con calore a mia volta. Per qualche ragione qualcosa in lei ispirava una profonda complicità, qualcosa nei suoi occhi di cenere portava a credere di essere per lei la persona più importante della sua vita, annebbiandoti con la sua travolgente limpidezza.
– Allora anche tu chiamami solo Bella. –
– Così mi piaci Bella! – rise – comunque non ho ancora risposto alla tua domanda. –
– Io non ho posto nessuna domanda. –
– Però l’hai pensata. – mi sorrise ancora con quel suo strano sorriso – Ebbene, è vero che mi comporto in modo differente dalle altre domestiche, ma questo perché non sono come le altre domestiche. – mi confessò.
– Che intendi dire? –
– Mia madre fu la balia di Edward. La povera Esme non è fisicamente portata per avere figli così, quando finalmente concepì Edward, non aveva le forze per prendersene cura per il primo anno di vita, così dovette assumere una donna che avesse appena partorito per allattarlo, non riuscendoci da sola. Fu così che diede l’incarico a mia madre quando mi aveva appena messo al mondo. In pratica io ed Edward siamo fratelli di latte. – ridacchiò – E anche quando Edward crebbe lei gli stette sempre accanto ed io crebbi assieme al giovane Cullen, siamo amici da sempre io e lui. Poi, in seguito alla sua improvvisa dipartita i signori Cullen mi fecero la grazia di prendermi a lavorare per loro, ma nessuno riesce a trattarmi come se fossi davvero una domestica, piuttosto mi trattano come una figlia ed una sorella. –
Era incredibile con quanta serenità m’avesse rivelato la sua storia, senza batter ciglio nemmeno parlando della morte della madre.
– Mi dispiace così tanto per tua madre Alice… – mormorai prendendole una mano che lei strinse con gratitudine.
– Non te ne devi dispiacere, non ha neppure sofferto. Fu un attacco di cuore, così dissero i dottori. Un istante prima stava lucidando l’argenteria e l’attimo dopo… non c’era più. Ma sai com’è: quando Dio ti chiama a se non puoi che rispondere –
Mi morsi il labbro angosciata – Io ho perso mio padre, era nella fanteria di prima linea sul fronte nord, in Germania. – mormorai.
– Oh no! Povera Bella… a cosa serve tutta questa guerra se alla fine non ci sarà più nessuno per cui combattere? – sussurrò abbracciandomi.
– Tuo padre invece? – le chiesi nella speranza di cambiare argomento. – Oh mio padre è un pastore protestante, dalla morte di mamma lui viaggia sempre per fare opere di carità nei paesi non civilizzati. Ora si trova in Cile. – disse orgogliosa, ma con una punta di malinconia negli occhi scuri.
– È ammirevole, però ti ha lasciata da sola. –
– No non mi ha lasciata sola! – mi sorrise – Mi ha lasciata nelle migliori mani in cui potesse ripormi: sotto le ali della mia famiglia. –
Dopo quella chiaccherta sul divano di Mrs Cullen io ed Alice creammo un profondo legame d’amicizia. Mi legai così tanto a Miss Brandon e Mrs Cullen che anche dopo il mio breve soggiorno a casa loro continuammo a vederci, a fare passeggiate nei parchi nelle giornate di sole o ritrovarci a bere un caffè e chiacchierare in una caffetteria del centro.
Alla fine il giudizio sia mio che di mia madre fu molto positivo e non potemmo fare a meno di elogiare i caratteri e i modi amabili dei nostri due ospiti.
Opinioni contrastanti avevamo, invece, sul loro figlio.
Renée sosteneva che fosse uno di quei rari gentiluomini con tutto ciò che serviva per essere amato ed apprezzato sia nel pubblico che nel privato, era senza dubbio affascinante, ma quanto riguardava la gentilezza, la cortesia, la dignità, l’umiltà non ero dal tutto d’accordo.
Anzi, per niente d’accordo.
Dal conto mio sostenevo che fosse un uomo arrogante, altezzoso, prepotente e senza la minima considerazione per il prossimo.
Tutto l’opposto dei genitori.
Ma infondo conoscevo abbastanza bene mia madre da poter affermare con sicurezza che lei aveva sempre una buona opinione di tutti e riusciva sempre a vedere il meglio nelle persone, perciò la sua opinione a riguardo era alquanto opinabile.
Però di una cosa dovevo lodarlo: era un ottimo musicista.
Lo venni a scoprire la sera in cui tornai alla villa dopo il mio turno in fabbrica.
Quando mi venne ad aprire la domestica sentii chiaramente la dolce melodia di un pianoforte provenire dal salotto.
Una musica così dolce e struggente che ti faceva vibrare l’anima dalla sua bellezza e armonia perfetta che quasi non si poteva sostenere.
Quello che sentivo non era un semplice pianista ma l’angelo della musica.
Lo capii quando di soppiatto mi avvicinai al salotto e vidi il signor Cullen suonare, lo sguardo concentrato sulle sue mani che correvano veloci sui tasti bianchi e neri, perfetto e bellissimo in tutta la sua magnificenza e la musica non era una semplice sinfonia, ma il riflesso di quell’anima a me così misteriosa ed oscura.
Solo allora potei intravedere uno spiraglio del suo cuore e capii che era triste.
Sebbene la sua melodia arrivasse a sfiorare note talmente alte da far correre un brivido lungo la spina dorsale era una musica malinconica capace di smuovere i curi più insensibile.
Quando lui alzò gli occhi su di me continuando a suonare fremetti e rimasi immobile, trattenendo il fiato.
Qualcosa di strano brillò nei suoi occhi mentre rimanevano incatenati ai miei, una sorta di determinazione, come se nell’istante in cui i nostri occhi si incontrarono avesse fatto un voto senza ritorno.
Ebbi quasi paura di quel suo sguardo così ciecamente risoluto, così prima di poter scorgere dell’altro in quegli occhi verdi come smeraldi abbassai lo sguardo e me ne andai lasciandomi Edward Cullen e la sua musica ammaliante alle spalle.
Ma la mia rovina iniziò quando, un giorno come tanti, dopo essere ritornata alla mia quotidianità, andai in fabbrica.
Come ogni giorno andai al mio telaio pronta per mettermi a lavorare appena la sirena avrebbe suonato per segnalare l’inizio del nostro turno di lavoro. Ma diversamente da tutti gli altri giorni qualcosa di insolito attirò la mia attenzione.
Appoggiata sul telaio nella mia postazione c’era una splendida rosa rossa, appena sbocciata, sul gambo senza spine c’era un fioco di seta scarlatta con ricamate le iniziali E.C.
Rimasi senza fiato e presi con riverenza la rosa tra le mani portandomela al naso per annusare quel buonissimo profumo floreale, dolce e delicato.
Come potevo allora immaginare che quella splendida rosa avrebbe per me rappresentato l’inizio della fine? Sfiorai il nastro di seta con le due iniziali.
Ancora lui, il mio Angelo Custode, colui che avevo deciso di soprannominare Christian Evans.
Cosa voleva significare questa rosa?
Non riuscivo a trovarne una risposta, ma mi sbrigai a mettere il delicato fiore nella mia borsa e mettermi al lavoro.
Quella fu la prima volta che accadde, ma non certo l’ultima.
Ogni giorno trovavo una rosa al mio telaio, e ogni giorno il nastro di seta del ficco cambiava colore: una volta rosso, un’altra porpora, verde, azzurro, arancio …
E sempre quelle due iniziali che mi assillavano.
Ogni giorno una rosa, e più i giorni passavano più la mia infatuazione per il misterioso ammiratore cresceva fino ad elevarsi ad un vero innamoramento.
Ma come potevo essere così sciocca? Così frivola da invaghirmi di un uomo del quale conoscevo solo le iniziali e il meraviglioso profumo.
Profumo che, ogni sera, provavo ad espirare da quel fazzoletto candido che tenevo egoisticamente nascosto sotto al cuscino, desiderando sempre più ardentemente che un giorno il suo proprietario vemisse da me.
Ogni giorno che passava il desiderio di conoscere il misterioso E.C. si faceva sempre più presente.
Ero talmente disperata e forse anche talmente cieca ed innamorata, che arrivai al punto di scrivergli una lettera e, a fine giornata, lasciargliela sul mi telaio, ben sapendo che l’avrebbe ricevuta appena sarebbe passato a lasciarmi la rosa.
Il giorno seguente al mio folle esperimento non trovai più né la mia lettera né la rosa.


Pov Edward

Era successo tutto troppo all’improvviso.
Era cominciato quello stesso giorno in cui ero andato a visitare la fabbrica.
Quando l’avevo vista lì che non mi rivolgeva neanche uno sguardo, bellissima e irraggiungibile.
A fine giornata ero tornato a casa e mi ero subito messo al pianoforte e quando anche Isabella rientrò cominciai a suonare uno dei miei pezzi migliori, uno di quelli che sapevo riuscire ad irretire chiunque.
E così finalmente non poté fare a meno di notarmi, di essere attratta dalla mia melodia e da me.
Se questo non fosse altro che l’ennesima dimostrazione che il mio egocentrismo aveva sempre la meglio oppure qualcosa di più non me l’ero neppure chiesto, l’importante era che avere le sue attenzioni mi facesse sentire bene.
Ma qualcosa nel mio piano andò drasticamente storto.
Quando i suoi profondi occhi color del cioccolato incontrarono i miei rimasi sopraffatto.
Mi sentii travolto.
Non sapevo in che altro modo definire quelle emozioni che senza preavviso mi avevano invaso il petto.
Mi facevano sentire fragilissimo eppure non mi ero mai sentito tanto forte e sicuro di me come in quel momento.
Fino a pochi istanti prima volevo che fosse lei a strisciare ai miei piedi, ma quegli occhi scuri furono capaci di mettere in dubbio tutte le mie certezze e ora mi ritrovavo io qui a chiederle, anzi a supplicarla di … non sapevo nemmeno cosa tanto agognavo e le scongiuravo di donarmi.
Così, mentre mi perdevo nei suoi occhi caldi e profondi presi la mia decisine: qualsiasi cosa io desiderassi da lei l’avrei avuta.
Ero chiuso nella mia stanza, giorno dopo giorno mi rinchiudevo qui dentro per riuscire a districare il groviglio dei miei sentimenti sconnessi che erano improvvisamente sfuggiti al mio controllo.
Disteso a letto mi rigiravo tra le mani quella maledetta lettera che mi aveva recapitato e che era riuscita a distruggermi.


Caro E.C. la ringrazio per le sue continue attenzioni nei miei confronti, sono sinceramente lusingata.
Ma la prego, voglio conoscerla, non posso più logorarmi nell’immaginare chi lei sia e non posso continuare ad accettare le sue rose rimanendo per me pur sempre uno sconosciuto.
Forse la mia richiesta è un po’ avventata, ma la prego di incontrarmi.
Le assicuro che il mio non è un frivolo capricci, ma mi sembra d’obbligo, dopo tutte le sue attenzioni nei miei confronti, che almeno io conosca il volto del mio ammiratore. La prego, incontriamoci al Likefront Millennium Park lungo il viale sulla riva del lago domenica alle 16:00 p.m.
La aspetto con ansia.

Cordiali saluti
Miss Isabella Swan


Sospirai affranto.
Perciò non aveva ancora compreso che il misterioso signor E.C. fossi io.
Beh, forse era meglio così, se l’avessi tenuta nell’ignoranza ci sarebbero stati molti meno danni.
Sapevo bene che questo mio comportamento era sconsiderato e autodistruttivo, non sapevo nemmeno perché mi struggevo tanto per quella insulsa ragazza.
Risi amaramente davanti alla sconsideratezza di Miss Swan.
Come le passava per la testa di volersi incontrare con uno sconosciuto che le faceva delle avance? Se non fossi stato certo che ero io stesso il suo ammiratore, e quindi che non le avrei fatto niente, mi sarei seriamente preoccupato e (per qualche strana ragione dettata dal mio cuore in subbuglio) ingelosito.
Ah, la gelosia!
Conoscevo fin troppo bene questo sentimento che andava a braccetto con l’avidità e di certo io non ne ero immune.
Ogni giorno mandavo Alice a comprare una rosa rossa e i nastri di seta su cui la sarta vi aveva cucito le mie iniziali.
Inizialmente era un indizio per farmi riconoscere da lei, ma dopo due settimane era diventata la mia firma.
Poi, prima che arrivassere gli operai, lasciavo la rosa sulla postazione di Isabella così che ogni mattina potesse ricevere il mio regalo, fatto ciò mi dirigevo nel mio ufficio. Ripetei questa routine per quasi due settimane fin quando, una mattina, trovai una lettera indirizzata proprio a E.C. e quando la lessi decisi di andarmene portando con me sia la rosa che la lettera.
Quella che fu l’iniziale meraviglia si tramutò presto in sconforto e amarezza all’idea che Miss Swan non avrebbe mai potuto conoscere il suo misterioso E.C., sarebbe stata la rovina per entrambi, e poi non sarebbe servito a niente se non a complicare la vita a tutti e due.
Così dovetti prendere la mia drastica decisine: E.C. sarebbe scomparso dalla vita di Isabella.
Passarono i giorni in cui non la vidi né ebbi più notizie di lei. Mia madre ed Alice la incontravano spesso, ma io non la vedevo dal giorno in cui era tornata a casa sua.
Nel frattempo avevo cominciato a lavorare alla fabbrica nelle veci di mio zio; Rosalie, la sorella gemella del mi migliore amico Jasper Hale, si era fidanzata ufficialmente con Royce King, e in onore del fidanzamento i King avevano dato una festa per la settimana prossima; persino la Grande Guerra pareva avere qualche risvolto positivo nell’ultimo periodo, o almeno era quello che dicevano i giornali.
Ma sebbene tutte queste gioiose novelle io continuavo a pensare unicamente che a Miss Swan.
E mentre mi crogiolavo nei miei pensieri bussarono alla porta della mia camera.
– Avanti. – dissi senza nemmeno preoccuparmi di alzarmi dal letto.
Entrò mia madre che si diresse verso il letto fino a sedersi al mio fianco.
– Sembri stanco. – disse a bassa voce guardandomi con preoccupazione.
– Ho solo bisogno di riposo. – risposi scrollando le spalle.
Mia madre mi osservò con quell’inquietante attenzione con cui solo le madri sono capaci di osservati, scrutandoti nel profondo dell’anima.
– Sembri … insolito. Più distratto, distante direi. – sentenziò in fine.
– È per questo che sei venuta qui a parlarmi? –
Lei annuì in silenzi poi aggiunse – C’è qualcosa che non va? Qualche problema alla fabbrica che ti preoccupa? –
Scossi la testa – Il lavoro non centra. –
– Sono questioni sentimentali allora? – chiese e con la solita inquietante precisione di arrivò dritta al fulcro dei miei problemi.
– Si. – sospirai, senza forze posandomi il bracci sugli occhi per ripararmi dal debole chiarore del sole al tramonto che entrava dalla finestra.
– È per la signorina Swan, non è vero? –
Scostai improvvisamente il braccio per poterla guardare negli occhi, stupefatto della sua arguzia.
Come aveva fatto ad indovinare subito il nome del mio tormento?
Annuii in silenzi e lei sorrise amorevole, allungandosi sul letto per accarezzarmi con affetto i capelli.
– Lo sapevo! – affermò felice in un sussurro.
– E come? – le chiesi sempre più stupito.
– È dal giorno in cui è arrivata a casa nostra … o forse dal giorno in cui è piombata nella tua vita che sei … diverso. Hai una luce insolita negli occhi, una luce che una donna non può confondere. –
– Quindi? Qual’è la diagnosi dottore? – chiesi ironico.
Lei fece un grande sorriso che le illuminò di gioia il volto dai lineamenti dolci, mi prese la mano e la strinse con calore – Tu sei innamorato figliolo! –
Sbuffai – Esageri! Sono sicuro che questo mio … interessamento non è amore – affermai sicuro.
Lei rise della mia cociutaggine – Oh tesoro! Sei ancora così giovane, non conosci ancora la portata dei tuoi sentimenti, ma un giorno capirai… – sorrise ancora e con un ultima carezza se ne andò.
Poi arrivò domenica e non riuscii a fare altro che tormentarmi, pure durante la messa del mattino non riuscii a trovare pace fino a quando non trovai una soluzione.
Convinsi mia madre ed Alice a fare una passeggiata al parco, lungo il lago Michigan e fu li che la trovai: stava seduta su di una panchina tomentandosi ansiosa le mani, i bei capelli raccolti in un nodo di trecce dietro la nuca e l’abito buono della domenica, vagava con lo sguardo da una parte all’altra della strada cercando febbrilmente qualcuno che certamente ero io, o almeno l’io di cui lei attendeva con tanto fervore di incontrare.
Anche lei alla fine si era presentata al nostro appuntamento clandestino e, a modo mio, anch’io.
– Che piacevole sorpresa vederla qua Isabella! – esclamò mia madre andandole incontro assieme a me che la tenevo a braccetto.
– Oh! Mrs Cullen! Che splendida giornata, non mi aspettavo di incontrarla! – le rispose con un sorriso prima di rivolgersi a me – Mr Cullen, è un piacere rivederla. – disse pacata, solo per pura cortesia mi rivolgeva la parola, ma si poteva ben vedere l’astio nei miei confronti palesarsi nei suoi occhi limpidi e sinceri.
– Isabella, vuole unirsi a noi? – le chiese Alice e dopo un po’ di titubanza e qualche tentativo di diniego acconsentì, forse un po’ a malincuore per lasciare il luogo d’incontro col suo ammiratore.
Le porsi il braccio come un vero gentiluomo e lei vi si aggrappò.
Il contatto con lei mi fece lievemente sussultare per l’emozione, ma non lo diedi a vedere e mi godetti la sua vicinanza mentre chiacchierava animatamente con mia madre e io mi perdevo nei miei pensieri.
Solo quando sentii nominare Jasper ritornai in me, rendendomi conto troppo tardi del terribile disastro che Esme stava combinando.
– A casa dei King si terrà un ricevimento, una festa di fidanzamento in onore del figlio e della signorina Hale. Ovviamente noi, che siamo grandi amici degli Hale, non possiamo mancare, Carlisle sarà il mio cavaliere, ma Edward è senza una dama che lo possa accompagnare. Che ne dice di venire anche lei? Sono sicura che ad Edward non dispiacerà affatto averla al su fianco per la serata, vero Edward caro? – mi chiese con un finto sorriso d’innocenza.
Mi aveva messo alle strette, non potevo certo rifiutarmi di avere come accompagnatrice Isabella, perciò non mi restò altro da fare se non acconsentire sorridente – Certamente, sarà un onore per me accompagnarla al ricevimento. –
Ancora una volta Isabella provò a declinare l’invito, ma mia madre, determinata come solo lei sapeva essere, insistette fino a farla cedere.
E nel giro di poco tempo Esme l’aveva già invitata per la settimana successiva a casa nostra per prepararsi e poi andare tutti assieme alla festa di fidanzamento di King e Hale, mia madre accompagnata da mio padre e io, che giustamente necessitavo di una dama, mi sarei presentato a fianco della donna che mi aveva irrimediabilmente stregato.  

Buonasera a tutte belle ragazze!
Come va? che ne dite di questo nuovo capitolo?
Ci risentiamo la settimana prossima! 
Baci baci 
S.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


25 Ottobre 1917

Pov Isabella

– Oh per la miseria! – esclamai senza fiato estraendo dalla scatola bianca posata sul letto l’elegantissimo abito da sera.
– È una meraviglia! – esclamò Alice.
Mi trovavo a Villa Cullen, la sera della cerimonia a casa dei King, e la signora Cullen ed Alice mi stavano aiutando a prepararmi per l’importante serata.
– Si … è davvero … davvero … non trovo le parole! Mrs Cullen io … non posso accettare, questo è davvero troppo. –
– Non dire sciocchezze Isabella. Certo che puoi accettare, anzi è un abito di seconda mano, apparteneva a mia nipote (la cugina di Edward), così ho pensato che sarebbe stato perfetto per te, magari se ci aggiungiamo qualche gioiello sarà perfetto. –
– Beh penso che di gioielli che ne siano già abbastanza… – mormorai ammirando quell’abito che era una cascata di gocce di diamante.
Mai avrei pensato di indossare un abito del genere in vita mia.
– Oh Bella! Tutti gli uomini al ricevimento cadranno ai tuoi piedi! Già m’immagino l’espressione di Edward quando ti vedrà! – rise Alice.
– Io non vado a quella festa per cercar marito, tantomeno le attenzioni del signor Cullen. – risposi piccata.
Potei fare a meno di notare come Esme mi guardò con uno sguardo saccente che io non compresi.
– È il momento di prepararsi signorine! – esclamò poi la signora – Alice prepara a Miss Swan il bagno e poi aiutala col vestito. –
– Certamente signora. – rispose Miss Brandon e con un leggero inchino si congedò, dirigendosi verso il bagno.
Rimasi sola nella grande camera da letto che m’aveva ospitata durante il mio breve soggiorno a villa Cullen.
Mi accostai alla finestra guardando il panorama fuori di essa, le strade erano tranquille quella sera ma un forte vento invernale soffiava sulla città, si preannunciava essere un inverno particolarmente freddo quell’anno.
In quel momento qualcuno bussò alla porta e pensai fosse la signora Cullen.
– Avanti. –
– È permesso? Spero di non disturbare i preparativi di voi signore ma… – il signor Cullen si bloccò nell’instante in cui mi voltai altrettanto stupita – Oh Miss Swan… siete sola? – sembrava improvvisamente in imbarazzo di fronte a me.
– Si io… Alice è andata a prepararmi il bagno quindi… –
– Oh capisco. –
Ne seguì un lungo ed imbarazzato silenzio nel quale lui si dondolò sui talloni mentre io mi tormentavo le mani a disagio.
Infine, stanca di quella ridicola situazioni presi un respiro per parlare.
– Sono venuto a darle questo. –
– Cosa ci fa qui? –
Parlammo all’unisono e quando ce ne rendemmo conto ridacchiammo imbarazzati per poi cadere nuovamente nel silenzio.
Finalmento poi lui si schiarì la voce – Sono venuto a portarle questo… è un regalo da parte mia per voi, nella speranza che possiate indossarlo questa sera. – disse porgendomi una scatola bianca, quadrata e piatta.
Mi avvicinai titubante e prendendo la scatola mi sedetti sul letto studiandola. Sciolsi il fiocco di raso doroto sempre più preoccupata e quando la aprii mi trovai tra le mani un’autentico tesoro di perle e diamanti.
– Oh per l’amor del Cielo! Mr Cullen io non posso assolutamente accettare … –
Deve accettare invece. – rispose sorridente.
Rimasi a bocca aperta, troppo abbacinata per dire qualcosa, ma supplicandolo con lo sguardo di riprendersi il suo assurdo regalo.
Lui s’avvicinò fino ad inginocchiarsi di fronte a me, il suo sorriso sempre così sicuro mi abbagliava e quei suoi occhi ferini incantavano la mia coscienza.
– Vi prego Miss Swan, non desidero altro che vedervi risplendere questa sera. – mormorò seducente come il diavolo.
– Ma questo è troppo Mr Cullen –
– Niente è troppo per lei. – e sorridendo ammaliante s’alzò in piedi dirigendosi verso la porta, ma prima di chiudersela alle spalle mi sorrise un’ultima volta con quel suo sguardo da predatore – Vi prego, Miss Swan, fatemi solo questo favore, sarete un’incanto sta sera. –
Poi rimasi sola.
Sola ed impietrita mentre quel gioiello dall’inestimabile valore splendeva tra le mie mani reclamando la mia attenzione.
Pochi minuti dopo Alice rientrò annunciandomi che il bagno era pronto ed io fui svelta a nascondere la scatola bianca e svestirmi.
Mi feci un lungo bagno caldo, ma neppure l’acqua calda e la schiuma all’essenza di rose riuscì a sciogliere i miei nervi a fior di pelle.
Ero troppo nervosa per la festa di quella sera.
E se non fossi stata all’altezza degli altri invitati? E se si fossero resi conto che ero un povera operaia? E se con la mia inettitudine avessi fatto sfigurare i signori Cullen?
E poi quell’assurdo regalo di mr Cullen… non volevo neppure pensarci.
Una volta che ebbi finito mi feci aiutare da Alice ad indossare l’abito e quando mi guardai nel grande specchi dorato rimasi senza fiato.
Per la prima volta in vita mia mi vidi bellissima.
L’abito da cerimonia in leggero tessuto color avorio era tempestato di pietre simili al diamante a forma di gocce capaci di imprigionare la luce con le loro mille sfaccettature che, più abbondanti sul busto, diventavano sempre meno man mano che arrivavano a terra fino all’altezza del polpaccio dove ormai le pietre erano sparite del tutto per lascia spazio solo al tessuto leggerissimo dell’abito che lasciava chiaramente intravedere le gambe ricadendo in un lungo e morbido strascico da trattenere in mano.
Il taglio del vestito era estremamente semplice e lineare come dettava la moda corrente e un profondo scollo a V lasciava intravedere i solchi del costrato e buona parte del solco tra i seni candidi in una linea in perfetta armonia con l’erotico e l’elegante.
Indossai scarpette color avorio ed Alice insistette per truccarmi rendendo scuro il contorno dei mei occhi e le mie ciclia, la cipria per rendere più uniforme la mia pelle ed infine un rossetto color del sangue per far risaltere le mie labbra carnose.
Mi legarono i capelli in un’acconciatura tesa sul capo che terminava in un elaborato nodo su un lato del collo, appena sotto l’orecchio sinistro, risaltando così il mio candido collo affusolato.
– Sei un incanto! Solo un pazzo non cadrebbe ai tuoi piedi! – esclamò Alice portandosi le mani al petto.
– Non ci credo! È una meraviglia! – dissi voltandomi cercando di ammirarmi allo specchio.
– No Bella, sei tu la meraviglia! Ti manca solo qualche gioiello … vado a chiedere alla signora se te ne può prestare. – poco dopo tornò con un portagioie che aprì mostrandomi il tesoro più prezioso che avessi mai visto.
– La signora ha detto che puoi scegliere tra questi. Io ti consiglio questi orecchini. – ed estrasse un orecchino a goccia tempestato di diamanti – E questi. – e prese due bracciali di perle.
– Sono … incantevoli! – esclamai senza fiato.
– Lo so! Dai, indossali! –
– Avrei… avrei anche un altro gioiello da indossare questa sera… – mormorai e presi da sotto la stoffa del mio vestito semplice (che era rimasto abbandonato sul letto) il cofanetto bianco che il signor Cullen mi aveva donato.
Lo aprii sotto lo sguardo curioso di Alice.
– Accidenti che meraviglia! E questo dove lo hai preso? – esclamò sgrnando gli occhi.
Arrossii vergognosamente – È un regalo… del signor Edward. –
Alice rimase a bocca aperte ma subito tentò di ricomporsi e lanciandomi un sorrisetto furbo non disse niente limitandosi a prendere il gioiello dalla scatola.
Era una tiara da legare dietro la nuca così da incorniciare la fronte, tutta impreziosita da minuscoli diamanti che creavano forme geometriche fino ad arrivare a un piccolo cerchio di diamanti e perle che dava inizio a tre piume di diamanti e sotto di esse, a ricadere morbidamente sulla tempia destra, tre file di perle pendenti.
Quando finì di allacciarmi la tiara dietro la nuca mi infilaii le scarpette color avorio e mi diressi verso l’entrata.
Mentre scendevo la grande scalinata potei vedere i due signori che ci attendevano all’ingresso.
Entrambi elegantissimi nei loro smoking col papillon che mi ammiravano scendere, il dottore con un sorriso di piacevole meraviglia, mentre il figlio aveva sgranato gli occhi e trattenuto il respiro e non staccò gli occhi da me fino a quando non li raggiunsi.
Ebbene si, Mr Cullen, anch’io posso essere una donna di classe!”pensai soddisfatta.
– Miss Swan è una vera visione questa sera! – esclamò il dottore prendendomi la mano e baciandola.
– La ringrazio dottore. – risposi arrossendo.
Un leggero tossire alle mie spalle mi fece voltare trovandomi di fronte Mr Cullen a guardarmi col suo sguardo freddo e distaccato, pretendendo la mia attenzione.
– Non posso fare altro che confermare le parole di mio padre, Miss Swan, è incantevole. – disse ripetendo lo stesso gesto del padre.
– Ringrazio anche lei signor Cullen. – risposi altrettanto freddamente.
– Oh! Ecco la signora! – esclamò il dottore alle nostre spalle che guardava verso la scalinata da cui vi stava scendendo Mrs Cullen, elegante e raffinata nel suo abito verde smeraldo.
– Possiamo andare? – chiese quest’ultima prendendo sotto braccio il marito e incamminandosi assieme verso la porta.
– Certamente. – rispose il signor Edward al mio fianco prendendomi a sua volta a braccetto e accompagnandomi alla macchina.
Arrivammo alla grande villa dei King dove ci accolsero con tutti gli onori.
Oltre il grande portone d’ingresso si apriva uno spettacolo magico.
Sembrava d’essere entrati in un regno incantato fatto di feste spettacolari, dame incantevoli e gentiluomini raffinati.
Tutto sembrava trasudare spettacolo e ostentata ricchezza: la musica, il salone, il cibo, persino gli abiti dei commensali.
Era tutto sfarzo e lusso più sfrenato. Era tutto fuori dalla mia portata. Non ci volle molto perché cominciassi a sentirmi a disagio in quel mondo che non mi apparteneva.
Al contrario, Edward sembrava completamente a suo agio, nel suo ambiente.
– Carlisle! – esclamò a un certo punto un uomo venendoci incontro.
Era giovane e affascinante e al suo fianco c’era una giovane donna che non avrei esitato ad affermare che fosse la più bella nella sala.
– Royce! Congratulazioni! – rispose il dottore.
– La ringrazio. Dottor Cullen, Mrs Cullen, signore e … – disse facendo un inchino ad ognuno di noi per poi fermarsi su di me.
– Lei è Miss Isabella Swan, Mr King, la mia accompagnatrice. – rispose per me Edward. Mr King sorrise e, chinandosi, mi baciò la mano.
– Incantato. – rispose facendomi arrossire, poi aggiunse rivolgendosi nuovamente a Edward – La sua dama è un vero splendore, Mr Cullen! Ma mai quanto la mia Rosalie! – esclamò, mostrando a tutti la ragazza al suo fianco.
Era bellissima, aveva i capelli dorati come il grano maturo acconciati in morbidi boccoli, un fisico snello e slanciato messo in evidenza dall’elegante sontuoso abito di piume color cipria, e gli occhi azzurri come il cielo nelle terse giornate estive.
– Signori, sono lieto di presentarvi la mia bellissima fidanzata, Rosalie Hale! – esclamò soddisfatto Mr King vantandosi della futura moglie che nel frattempo rimaneva in silenzio, al suo posto a dispensare tutti con sorrisi.
Sicuramente quella ragazza, che avrà avuto pressappoco la mia età, era fiera di sé, della sua bellezza e della sua fortuna.
– Rosalie, sei un incanto! – disse Mrs Cullen abbracciandola.
Anche il Dottore si congratulò prima col signore e poi con la sua fidanzata, persino io mi congratulai, ma sempre rimanendo un po’ in disparte e in silenzio, ma quando poi toccò ad Edward a rivolgendosi alla ragazza le chiese qualcosa sottovoce.
Dopo di che lui mi prese sotto braccio e congedandosi dal padrone di casa e mi condusse altrove.
Dall’altra parte della sala tre uomini che ci davano le spalle chiacchieravano animatamente.
Erano tutti e tre alti e magri uno di questi aveva i capelli neri, gli altri due, che si assomigliavano di più, erano biondi.
– Signori. – si annunciò Mr Cullen.
I tre uomini si voltarono e ci squadrarono per qualche istante. I due biondi erano indubbiamente padre e figlio e il più giovane tra questi (che portava in capelli lunghi fino alle spalle legati in un codino in un’acconciatura decisamente eccentrica e fuori moda per un giovane uomo) aveva un che di familiare.
– Signor Cullen che piacere vederla! – esclamò l’uomo biondo, il più anziano tra i due.
– Signori Hale! – esclamò di rimando Edward.
– Signori Hale? – mormorai così che solo il mio accompagnatore potesse udirmi.
– Signor Cullen, ci può presentare la sua incantevole dama? – chiese ancora l’uomo.
– Certamente. Signori, lei è Isabella Swan, la mia accompagnatrice. Isabella, questi sono i miei due soci: Caius e Marcus Hale, nonché, rispettivamente, padre e zio della futura sposa. E lui è Jasper Hale, mio caro amico e fratello di Rosalie. – mi presentò i tre uomini.
– Onorata. – risposi inchinandomi e mantenendo lo sguardo basso, troppo intimidita dalle tre paia di occhi azzurri che mi scrutavano.
Dopo un altro paio di convenevoli i quattro uomini cominciarono a discutere di affari e io mi estraniai, facendo divagare la mia mente altrove e solo quando il più giovane dei signori si rivolse a Edward per dirgli che voleva presentargli un suo amico mi riscossi.
Così venni nuovamente trascinata da una parte all’altra della sala, tra presentazioni, convenevoli e chiacchiere inutili.
Eravamo di fronte al buffet assieme a dei conoscenti di Mr Cullen e Mr Hale, gli uomini stavano parlando di politica mentre le donne ogni tanto si intromettevano nel discorso, altre parlavano tra loro oppure, come me, rimanevano in silenzio.
L’unica evidentemente incapace di non parlare era la signora Leah Black, moglie del signor Samuel Black, un “nuovo ricco” (come li chiamavano loro coloro che facevano fortuna senza essere nati nel lusso) che anni prima aveva trovato la fortuna trovando una miniera d’oro nel Sudamerica. Entrambi i signori Black avevano la carnagione abbronzata, gli occhi e i capelli scurissimi e la signora aveva il ventre molto gonfio tipico del sesto mese di gravidanza.
Era una donna fiera e caparbia, non temeva di esporre la sua opinione e di farsi valere persino con gli uomini. Non era maleducata ma forse dai modi un po' grezzi, ed era per questo che le altre signore le riservavano un trattamento di fredda cortesia se non addirittura la ignoravano.
Quando Mr York, troppo irritato per mettersi a discutere sul governo sostenendo che gli avrebbe rovinato l’umore, sbuffando propose di cambiare discorso.
– Si, forse è meglio cambiare argomento! – esclamò Mrs Black, poi si rivolse a me parlando sottovoce – Detesto parlare di politica! Uomini che parlano di uomini che combattono con uomini per questioni di uomini! – esclamò sbuffando – Ridicolo! –
Ridacchiai.
– Ma com’è che ti ritrovi qui in mezzo a questi piranha, dolcezza? – mi chiese ammiccando in direzione dei ricchi signori che chiacchieravano indisturbati.
– Come scusi? – ero stata presa in contropiede.
– Senza offesa cara, ma ho capito fin da subito che non sei di questo ambiente come me. –
Sorrisi – Ha ragione Mrs Black, questo non è per niente il mio ambiente, ma sono qui perché sono amica della signora Cullen e, molto cortesemente, mi hanno invitato alla festa. –
– I Cullen … mh … persone molto cortesi ho potuto constatare questa sera. –
– È assolutamente vero, ma non poso altrettanto dire del mio accompagnatore, Mr Cullen. – aggiunsi a bassa voce.
– Non ti sta molto simpatico, eh? –
Scossi la testa – È così … altezzoso … come gli altri uomini in questa sala del resto. –
Mrs Black rise di cuore – Hai ragione cara. Gli uomini ricchi credono tutti di avere il mondo ai loro piedi! –
Dopo di che fui richiamata ancora una volta da Edward e lanciando a Mrs Black un’occhiata lei mi rispose con un sorriso incoraggiante.
Poco più tardi ci accomodammo a tavola.
Al nostro tavolo c’erano Royce King con al suo fianco la fidanzata con il fratllo, il padre e lo zio di lei, dopo di che c’erano i signori Denali con le loro tre deliziose figlie, il dottor Cullen con Esme, il signor Cullen, io e al mio fianco i due coniugi Black.
Cominciarono a servire le portate e posso giurare di non aver mai mangiato così tanto in vita mia.
Rimasi sconvolta dalla quantità vertiginosa di posate di cui ognuno disponeva, e solo guardando di sottecchi Edward potei capire quali usare.
Durante la cena non potei fare a meno di notare come Royce King trattasse la fidanzata come un oggetto da esposizione, senza mai degnarla di chiederle un parere nemmeno su cosa lei volesse mangiare. Ma tutti i commensali rimasero indifferenti a questo comportamento, anzi lo trovavano normalissimo, quasi ovvio, tutti tranne Mrs Black che non poté fare a meno di fare una frecciatina delle sue.
Finche stavano servendo il dolce la seconda delle signorine Denali, Tanya, si rivolse a me. – Mi dica Miss Swan, com’è la vita da operaia? – mi chiese con un sorriso da vipera.
Il tavolo si fece improvvisamente silenzioso e tutti si voltarono verso di me, tutti tranne il dottore e sua moglie che, invece, facero finta di nulla sorseggiando i loro calici di vino.

Arrossii di rabbia ed imbarazzo e strinsi a pugno le mani facendomi male da sola quando i tagli che si erano riformati cominciarono a bruciare – È molto impegnativa e a volte stancante, ma è altrettanto appagante vedere che tutti i tuoi sforzi alla fine sono serviti per garantire il pane alla tua tavola. – risposi tenendo lo sguardo basso e continuando a torturarmi le mani.
– Allora le voci che ho sentito erano vere! – esclamò Miss Denali soddisfatta, rompendo l’attonito silenzi che si era creato dopo la mia rivelazione – Lei è solo una semplice operaia! – rise e con lei anche le altre due sorelle e pian piano anche i resto dei commensali.
Mi trovavano ridicola, un misero scarto della società.
Ridevano tutti tranne i Black che rimanevano impassibili lanciando occhiatacce a chi rideva, anche i Cullen erano rimasti completamente indifferenti al divertimento, soprattutto Edward che al mio fianco teneva la mascella rigida e con un sguardo di fuoco raggelò tutti i commensali, in particolare Tanya.
Ma soprattutto fui sorpresa che Miss Hale era restia a ridere, anzi faceva un sorrisetto tirato, più triste che divertito, al contrario del fidanzato che al suo fianco moriva delle rasate. All’improvviso sussultai quando sentii qualcosa posarsi sulle mie mani che continuavo a rigirarmi provocandomi forti fitte di dolore.
Abbassai lo sguardo e rimasi basita nel scoprire che era la mano del signor Cullen che si era posata sulle mie per calmarmi, credo.
Alzai gli occhi verso di lui ed egli ricambiò con uno sguardo di ghiaccio, poi tornò a prestare la sua attenzione alla tavolata.
– Voi ridete, ma infondo non è forse vero che il nostro paese si regge sulle spalle degli onesti lavoratori? – disse Edward zittendo tutti gli ospiti – Se le persone come Miss Swan non ci fossero noi non saremmo qui a mangiare squisitezze di ogni genere e parlare del più e del meno. Perciò io più che ridere di lei la ringrazierei perché è solo grazie ai lavoratori che noi siamo quel che siamo. – concluse.
Lo guardavo, sbigottita dalle sue parole e con me tutto il resto dei commensali.
Poi dal silenzi si levò un applauso – Parole sante! – esclamò Mrs Black che guardava con fierezza l’uomo al mio fianco.
– Ai lavoratori. – propose un brindisi Miss Hale, alzando il suo calice, Mr King le lanciò un’occhiataccia e dopo qualche istante di esitazione tutti alzarono i loro calici e degli esili “Ai lavoratori” si levarono dalla tavola.
Carlisle guardò il figlio con orgoglio e quest’ultimo, dopo aver sorriso al padre, si girò verso di me sorridendomi lievemente e io gli feci un gran sorriso luminoso per ringraziarlo.
Qualcosa nei suoi occhi sembrò addolcirsi ma non feci tempo ad assicurarmene che subito tornò a guardare gli ospiti che già avevano intavolato un altro argomento.
Per tutto il tempo la sua mano rimase sulle mie, sotto al tavolo, lui non accennava a volerla scostare e io non avevo il coraggi di farglielo notare.
Quando anche il dolce fu finito si aprirono le danze.
Alcune dame accompagnate dai loro cavalieri si alzarono dirigendosi al centro della sala, mentre io rimanevo lì seduta a guardarli incantata.
Mi pareva di essere dentro a una di quelle fiabe che da piccola mia madre mi raccontava.
Un leggero tossire mi fece voltare e trovai Edward in piedi alle mie spalle che mi tendeva la mano con un sorriso.
– Le va di ballare Miss Swan? – mi chiese.
Arrossii violentemente – I- io non credo di esserne capace … – provai a rifiutare e lui rise.
– Non si deve preoccupare di ciò, deve solo seguire me, sono un bravo ballerino, vedrà che imparerà presto. – rispose sicuro, poi mi prese per mano e senza permettermi di ribattere mi portò fino alla pista da ballo.
Senza preavviso prese la mia mano con la sua, l’altra me la fece appoggiare sulla sua spalle e sussultai quando poggiò la sua sul mio fianco, attirandomi a se.
Puntualmente arrossii e abbassai lo sguardo sui nostri piedi che, prima esitanti, poi sempre più sciolti, cominciavano a muoversi a ritmo di musica. Non era per niente difficile, Edward guidava le danze in maniera impeccabile.
La musica era lenta ma vivace e sebbene il mio cavaliere era per me tra i meno graditi, dovevo dargli ragione sul fatto che fosse un ottimo ballerino.
Per la prima volta mi sentii elegante e leggiadra come le farfalle che, splendenti e bellissime nei loro luminosi colori, fluttuano con eleganti battiti d’ali nell’aria nei parchi in estate.
Alzai all’improvviso gli occhi verso quelli verde smeraldo del mio cavaliere.
Non gli avevo mai visti così belli.
Forse solo una volta, quando l’avevo guardato negli occhi la prima volta che lo vidi e come all’ora i suoi occhi mi incatenarono alle loro profondità verdi come lo smeraldo, soggiogandomi e stregandomi.
Il suo sguardo era intenso, concentrato sui miei occhi, ed era così profondo che per un attimo credetti di potermici perdere.
–Sa… – cominciò lui con un sussurro così vicino che il suo fiato mi sfiorò il viso, il suo calore così vicino alle mie labbra – Ballare è come fare l’amore… – e la sua presa si fece più sicura sui miei fianchi – Bisogna continuare a guardarsi negli occhi, in un contatto così puro e così intimo tra uomo e donna… – I suoi occhi si fecero più cupi e seducenti, la sua presa più ferrea mentre il suo volto s’avvicinava inesorabilmente al mio ed io per un’istante persi la ragione, non desiderando altro che quelle labbra perfette toccassero le mie.
Non m’importava di chi ero io, non mi importava di chi era lui, non mi importava della gente che ci circondava e di ciò che avrebbe pensato.
Mi importava solo del suo corpo caldo stretto al mio, del suo sguardo ammaliatore, del suo profumo che...
Mi impietrii.
Quell’odore, quel fantastico profumo che tanto mi ossessionava.
Non ci potevo credere.
L’E.C. che io conoscevo e di cui mi ero ormai invaghita era un uomo dolce e sicuramente dal cuore grande e compassionevole, sicuramente una persona piena d’amore. Come poteva essere in realtà quest’uomo prepotente e superbo, senza rispetto per gli altri?
Eppure era così ovvio.
E.C., Edward Cullen.
La risposta ce l’avevo propri sotto al naso, letteralmente.
Come avevo fatto a essere così stupida?


Pov Edward

Quella sera Isabella Swan era la creatura più incantevole che avessi mai visto e se fin prima faticavo a tenere a freno i miei pensieri ora era inevitabile che io pensasi di lei di un angelo venuto dal cielo.
La sua carnagione candida era messa in risalto da quell’abito che le fasciava il corpo in quella maniera sublime.
Non riuscii a frenare i miei pensieri di fronte a quelle labbra rosse come il peccato, a quella pelle candida esposta al mio sguardo. Oh quel dannato collo bianco come la luna, così sottile ed aggraziato… ogni pensiero più sconveniente mi venne alla mente quando vidi il suo collo e il suo petto così tremendamente facili da raggiungere con le mie mani e con le mie labbra.
E poi ammirai quell’abito tempestato di pietre scintillanti, era così che avrei volute vedere sempre Isabella: ricoperta di ogni genere di preziosità, il gioiello più prezioso di un tesoro inestimabile.
Vederla qui, in mezzo alle persone come me, mi fece dimenticare di quale classe sociale fosse.
Sembrava ambientarsi alla perfezione, era impossibile non scambiarla per una di noi, così perfetta, bellissima ed elegante, una vera donna.
Per la prima volta un pensiero si fece strada in me e desiderai avere Miss Swan come avrei potuto facilmente avere una qualsiasi delle dame presenti nella sala.
Vedevo i festeggiati che felicemente accoglievano i complimenti dagli invitati.
Sembravano davvero felici insieme, lui orgoglioso della propria fidanzata e lei piacevolmente arresa a lui.
Così doveva essere una coppia che si rispetti, almeno tra i ricchi.
E mi ci vedevo perfettamente in quella parte: io a sorridere ai miei ospiti e al mio fianco Isabella altrettanto felice di annunciare di essersi concessa a me e a me soltanto. Più ci pensavo e più quest’idea che pian piano stava prendendo forma dentro di me mi piaceva.
Ma il mio sogno venne presto frantumato da Tanya che crudelmente la derise davanti a tutti per la sua bassa classe sociale.
Ma ancora una volta non potei resistere e invece di rimanere al mio posto dove era più opportuno che restassi, presi le sue difese e mi azzardai a mettere in dubbio l’importanza della mia classe sociale.
Mai avevo odiato tanto me stesso, Miss Denali e Isabella, lei e le sue dannatissime origini.
Ma la mia rabbia fu ben presto ricompensata dall’orgoglio di mi padre, ma soprattutto per il sorriso grato che Miss Swan mi rivolse, uno di quei sorrisi capaci di scaldarmi dentro, che le illuminavano il volto grazioso rendendola ai miei occhi ancora più splendida.
Poi si aprirono le danze ed io non potei fare a meno di invitarla a ballare con me.
E fu l’esperienza più destabilizzante della mia vita fino a quel momento.
Poterla toccare, stringerla tra le braccia e guidarla nella danza, fu per me qualcosa di unico.
Averla così estremamente vicina, tanto da poter sentire il suo profumo e il suo calore, poterle sussurrare parole suadenti su quelle labbra perfette che mi chiamavano, ammaliarla ed irretirla.
Ci guardammo negli occhi per tutto il tempo ed io potei annegare nei suoi occhi scuri e limpidi in grdo di esprimere una così profonda dolcezza che non mi facevano desiderare altro che proteggerla da ogni male di questo mondo.
Vidi i suoi occhi farsi languidi sotto il mio sguardo, sentii il suo cuore agitarsi contro il mio petto ed il suo respiro accellerare mentre, lentamente, mi abbassavo sul suo volto… sulle sue labbra.
Ma d’improvviso tornò in se sgranando gli occhi, l’espressine sconvolta.
Con una delle sue piccole scarpette mi pestò con gran poca casualità un piede strappandomi un’imprecazione. In verità non mi feci gran che male ma il tacco delle sue scarpette impiantato sul mio piede fu comunque doloroso.
– Oh per la miseria! Sono mortificata! – esclamò ma fu palese quanto le sue parole erano in realtà di finta cortesia – Io … non volevo, signor Cullen! Mi perdoni! Ora è meglio che vada, con permesso. – e velocemente si dileguò lasciandomi solo in mezzo alla sala.
Che fosse una pessima bugiarda non c’era alcun dubbio, era troppo trasparente e i sui occhi troppo sinceri ed espressivi per potermi ingannare.
Avevo immediatamente compreso che qualcosa era improvvisamente cambiato in lei.
Sospirai e provai a cercarla con lo sguardo ma di lei non c’era più nessuna traccia, non mi restava altro che tornare al mio posto, e così feci.
Attesi nella speranza di rivederla ma poi cedetti e invitai a ballare altre dame.
Fu mentre ballavo con Katherine Denali che la vidi.
Stava ballando anche lei, forse un po’ goffamente, ma bellissima come sempre, tra le braccia di Mr James Davis.
Quell’immagine fu per me terribile.
Il suo effetto era simile a una stilettata al cure, ma molto più dolorosa perché non era il corpo a subire ma lo spirito e quella maledetta lama era intrisa di veleno.
Un veleno che sapeva di odio e possesso.
Qualcosa dentro di me voleva urlare contro quel damerino di Mr Davis di non toccarla, Isabella era mia, di non osare avvicinarsi ancora a lei se non voleva che lo ammazzassi.
– Cosa sta guardando Mr Cullen? – mi chiese la signorina Denali offesa dalla mia scarsa attenzione nei suoi confronti.
– Oh, niente Miss Denali … ero solo un po’ distratto. – le mentii sorridendo.
– Non ha trovato esilarante l’osservazione di mia sorella sull’inadeguatezza di Miss Swan, poco fa a tavola? – chiese ancora ridendo.
Cosa potevo risponderle? Desideravo ardentemente urlarle di no, che nessuno doveva più fare certi riferimenti ad Isabella, ma il mio buon senso me lo impedì.
– La domanda della signorina Denali è stata arguta da porre a Miss Swan. – risposi freddamente.
In quel momento potei vedere chiaramente con la coda dell’occhio Isabella e il signor Davis ridere in modo complice mentre continuavano a danzare.
Un'altra stilettata, stavolta diversa dalla precedente.
Questa era una gelosia più viscerale, intrisa nel profondo del mio cuore e una strana malinconia mi avvolse vedendo che Miss Swan preferiva quell’individuo, a mio avviso poco raccomandabile, a me.
E ciò fece nascere nella mia mente milioni di domante che non riuscivano a trovar risposta.
Perché lei sorrideva a lui e non a me? Perché accettava le avance di altri uomini ma non le mie? Cosa avevo sbagliato? Cosa non andava nel mio modo di approcciarmi con lei? Cosa c’era che non le piaceva di me?
Ma fu a fine ballo, quando vidi Mr Davis abbassarsi su di lei e lasciarle un lieve bacio sulla guancia facendola avvampare di quel delizioso rossore che fu la fine per i miei poveri nervi.
Con tutte le mie forze desideravo andare la e strappargliela dalle braccia, ammazzare lui e sgridare lei per essersi avvicinata a individui come lui, famoso per imbrogliare le giovani donne e poi spezzarle il cuore dopo averle rubato la virtù.
Un puttaniere, se si voleva usare un francesismo, ma Isabella non sarebbe mai stata la sua puttana, lo giurai sul mio onore!
E per l’ennesima volta presi una decisione forse un po’ avventata che avrebbe cambiato la mia vita.
Non ero sicuro di provare per Isabella quel sentimento che romanzavano tanto, quell’amore che mia madre sosteneva che io provassi nei confronti di quella deliziosa ragazza.
Ma di una cosa ero certo: se volevo che il dolore che la gelosia continuava ad infliggermi cessasse dovevo togliermi questo desiderio.
Isabella sarebbe diventata mia, e se lei era ciò che davvero volevo non mi restava altro che sposarla.
Dovevo solo rafforzare le mie avance, farle una corte serrata e poi sarebbe diventata mia a tutti gli effetti.
Anzi, me l’avrebbe chiesto in ginocchio di farla sua, avevo tutte le capacità di renderla la donna più felice del mondo, ero un ottimo partito e di certo non mi avrebbe mai rifiutato, questione di principio o di cuore.
Non mi ci sarebbe voluto niente perché le mettessi un anello al dito e ben presto lei avrebbe accettato di diventare mia moglie.


 

Ciao a tutte! Come state?? Che ne pensate di questo nuovo capitolo?
Voglio farvi una piccola nota: l’abito è ispirato (sebbene nella mia immaginazione l’ho un po’ modificato ma tenendo sempre lo stile degli anni ‘20) al vestito che indossa Daisy nel film “Il grande Gatsby” durante la festa e la tiara che le regala Edward è la stessa che Daisy indossa sempre nella stessa scena (sono diventata matta per riuscirla a descrivere nel mio racconto nel modo più dettagliato possibile XD ).
Leggendo altre ff ambientate negli anni ‘20 ho notato che c’è una certa confusione riguardo agli abiti: spesso i vestiti vengono confusi con uno stile appartenente ancora alla fine del 1800 ma storicamente l’inizio del ‘900 è stata la svolta totale sia sulla sessualizzazione femminile (per cui parlo di gambe in discreta vista, abiti appariscenti, spalle scoperte e profonde scollature) e della moda… se vi può chiarire qualcosa a riguardo guardate le meravigliose opere dell’artista novecentesco
Klimt con le sue donne dorate che sono un inno alla sensualità oppure guardate i quadri di Tamara de Lempicka (che oltre ad essere stata una grandissima pittrice di inizio ‘900 fu anche una famosa stilista dell’epoca) in cui rappresente donne sensuali ed eleganti. E poi questi sono gli anni del Charleston in cui per la prima volta la donna si libera dagli ingombranti gonnelloni e si permette di ballare “alla pari di un uomo”, in movimenti spesso civettuoli in cui mette per la prima volta in bella mostra braccia e gambe (sempre al di sotto del ginocchio ovviamente). E non dimentichiamoci che in questi anni nasce il famosissimo personaggio Disney “Batty Boop” (P.S.: ricordatevi questo personaggino dei fumetti che ci tornerà utile… una bambolina con corti capelli neri, un fisico minuto e sempre alla moda… vi ricorda qualcuno? Ma niente spoiler eh!).
Inoltre la prima frase che pronuncia Leah l’ho ripresa da una scena di “Bel Amì” (se non l’avete visto guardatelo, ve lo consiglio ;) ).
Un ultima lenzioncina di storia! Chi sa dirmi cos'accadde il 25 ottobre 1917?..... qualcuno si ricorda la bellissima principessa Anastasia che ha fatto sognare tutte noi da bambine? Ebbene si gente! ho voluto giocare un po' con le date... e il discorso xche fa Edward in difesa di Bella non è a caso: il 25 ottobre del 1917 in Russia venne definitivamente fatto cadere lo Zar e si instaurò l'URSS fondata su la filosofia marxista che inneggiava alla rivoluzione operaia.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima!

Baci

S.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


31 Ottobre 1917

Pov Emmett

BEEP
La fottuta sirena suonò segnando la fine della giornata e la conclusione di un’altra fottutissima settimana di lavoro.
Le fottute macchine cominciarono a fermarsi mentre gli operai correvano a chiudere le manopole della pressione e gli interrutori elettrici venivano spenti per fermare i potenti macchinari.
Sputai per terra un grumo di tabacco che stavo masticando mentre goccioline di sudore mi imperlavano la fronte e i capelli sudati per il fottuto calore all’interno della fabbrica.
Sbattei i palmi delle mani sulla canottiera lercia che indossavo durante il turno.
‘Fanculo, era ancora sporca di sangue.
Quel giorno un operaio che lavorava vicino a me era stato risucchiato da una fottutissima turbina ed era stato un fottuto disastro. Io e gli altri miei compagni siamo riusciti a tirarlo fuori ma una gamba gli era stata fottutamente maciullata.
Che fottuto schifo.
Non pensavo che sarebbe mai più tornato a lavorare quell’operaio, ma a casa aveva quattro fottutissimi bambini e una maglie da mantenere.
Beh, ad ogni modo, non erano affari miei, io avovo già i miei fottuti problemi a cui pensare.
La fottutissima malattia di mia madre peggiorava ogni fottuto giorno mentre Bella diventava ormai adulta e più di un fottuto ammiratore le girava attorno.
Sorrisi distrattamente mentre indossavo il vecchio cappotto e mi dirigevo all’uscita della fabbrica.
La mia sorellina… così sciocca e testarda el tempo stesso così matura e responsabile.
Se mai ci fosse stato un fottuto uomo degno di lei lo avrebbe fatto penare quel fottuto poveretto. Lei era fottutamente come nostro padre, più silenziosa e meditabonda di me e nostra madre (sempre solari e dalla fottutissima parlantina), ma capace di un’integrità morale e una forza d’animo che le ho sempre fottutamente invidiato.
Sospirai pensando a nostro padre.
‘Fanculo, mi mancava da morire, ma infondo ero stato fottutamente fortunato in confronto a Bella, io ho avuto la possibilità di averlo accanto durante tutta la fottuta infanzia, lui ha potuto vedermi diventare uomo.
Quand’è morto io avevo già vent’anni, mentre Bella era ancora un ragazzina.
Non dimenticherò mai quella fottuta sera di febbraio in cui due uomini vestiti con la fottuta divisa militare vennero a bussare alla nostra porta per informarci della fottuta morte di mio padre, consegnandoci la sua divisa e qualche fottuta medaglia all’onore. Alla fine la cosa più preziosa che c’è rimasta su questa fottuta Terra di nostro padre è una lapide di pietra con inciso sopra:

CHARLIE HAROLD SWAN
17 AGOSTO 1874
3 FEBBRAIO 1915
COMBATTÈ PER LA PATRIA E MORÌ CON ONORE

Ma quale onore? Che onore c’era nel morire tra il fango e la merda con una pallottola nel cervello e due nella milza? Cosa volevano dimostrarci con quelle fottute medaglie? Che il sacrificio di mio padre era stato utile? No, fottutamente no! Mio padre era morto in una fottuta guerra inutile che dopo tre anni dal suo inizio non si era ancora conclusa e intanto mandava a morire altri migliaia di fottuti uomini.
Tenevo lo sguardo fisso a terra mentre camminavo spedito verso casa rimugginando su queste fottute questioni quando un forte vento mi investì costringendomi a stringermi di più nel cappotto.
Cartacce e polvere volarono in giro e un volantino si impigliò alle mie scarpe. Provai a scuotere il piede ma questo non volevava staccarsi.
‘Fanculo.
Lo raccolsi da terra e feci per appallottalarlo e gettarlo via quando una scritta attirò la mia attenzione.

BOSTON’S NAVAL COMPANY

Cercavano manodopera, giovani uomini forti disposti a lavorare nelle navi che attraversavano l’Atlantico, trasportando carichi mercantili e persone in viaggio.
Boston.
Oceano.
Europa.
La retribuzione era quasi tre volte quella che prendevo in fabbrica e vitto e alloggio erano garantiti all’interno della nave nella zona riservata ai braccianti.
Boston era sull’estrema costa est degli Stati Uniti, avrei potuto vivere su quella nave, spedire mensilmente i miei guadagni a casa senza pesare su mia madre e mia sorella, avrei potuto vedere il Vecchio Continente (beh magari solo il porto di qualche grande città, ma tanto mi bastava).
Era la fottuta occasione della mia vita. Passai freneticamente le mani sul volto guardandomi attorno.
Da dove diavole era sbucato quel fottuto volantino di offerte di lavoro di Boston a Chicago?
‘Fanculo, poco m’importava. Ripensai a quella fottuta gamba maciullata nelle eliche dalla turbine, i volti depressi degli operai, la fottutissima monotonia che ti uccideva lentamente e le condizioni schifose in cui costringevo a vivere mia madre e mia sorella.
Potevo dare a loro una vita migliore, magari non di molto ma comunque migliori, ed io potevo andarmene da tutto questo schifo, cambiare aria, ricominciare una nuova vita.
‘Fanculo a tutti, me ne andavo in Europa!


 

1 Novembre 1917

Pov Edward

Leggevo il giornale bevendo tranquillamente il mio caffè mentre Sue mi serviva la colazione di omelette.
– Gli inglesi sono arrivati in Francia a dar man forte agli alleati dell’Intesa, mentre la Russia è in una grave crisi, ma i tedeschi sembrano resistere e avanzano. – lessi ad alta voce a mia madre che stava facendo colazione assieme a me.
Sospirai scuotendo il capo e bevendo un altro sorso di caffè.
– Per la miseria! – bofonchiò lei sconsolata.
Era sempre stata contraria alla guerra, in verità Esme era sempre stata contraria ad ogni tipo di violenza.
Misi giù il giornale, non erano notizie da apprendere di prima mattina.
– Cosa vuoi fare oggi, caro? – mi chiese mia madre.
– Oggi è giorno feriale perciò non so, potrei farmi una passeggiata al parco … – risposi scrollando le spalle.
– Gli Hemilton ci hanno invitato questo pomeriggio a prendere il the da loro … hanno invitato anche Isabella, alla festa dei King la settimana scorsa l’hanno trovata così simpatica … vuoi accompagnarci? – mi chiese con finta indifferenza.
Isabella … avevo pensato a lei tutta la settimana, l’avevo anche incontrata qualche volta, sempre accompagnato da mia madre o da Alice.
In questo periodo avevo imparato di lei molte cose e ogni giorno che passava sentivo il mio … affetto (perché ancora ero restio dal definirlo un vero e proprio innamoramento, era se mai un profondo senso di protezione e desiderio nei suoi confronti) per Isabella crescere, in certi momenti sentivo il bisogno di lei mancarmi come l’aria ed era sempre più una tortura per me vederla così distante ed indifferente nei miei confronti.
Beh, forse indifferente non proprio, sapevo che agli occhi del genere femminile ero un bell’uomo ed ero certo che lei non era immune al mio fascino.
Lo potevo intuire vedendo come le sue guance si tingevano di quel delizioso rossore che la rendeva, se possibile, ancora più incantevole ogni volta che la guardavo intensamente o le sorridevo.
Si, avevo scoperto che le piacevano i miei sorrisi, uno in particolare, quello che Alice definiva “sghembo”.
E poi ero sicuro che le piaceva il mio profumo, ogni volta che le stavo accanto, magari più vicino del solito, lei inspirava profondamente per poi arrossire e non avere più il coraggio di guardarmi in faccia.
Questa era stata per me fonte di grande soddisfazione.
Ma sebbene lei mi trovasse sicuramente attraente faceva ancora il possibile per evitarmi.
Era sfuggevole, a volte potevo chiaramente percepire il suo astio nei miei confronti.
Non capivo il perché, non sapevo cosa le avevo fatto di mele e come potevo rimediare.
Ormai le mie intenzioni con lei erano fin troppo palesi, in pubblico, anche se la compagnia era prevalentemente femminile, prestavo sempre più attenzioni a Isabella, cercavo sempre di interagire con lei nei discorsi oppure semplicemente la nominavo, giusto per farle comprendere che le avevo riservato un posto d’onore nel mio cuore.
– Si, mamma, verrò volentieri. –
– Perfetto! Questa mattina devo andare a fare compere, vuoi venire con me? –
Passai così tutta la mattina in compagnia di mia madre e Miss Brandon che, ignorandomi totalmente, chiacchieravano fra loro mentre passavano da un negozio all’altro.
Nel frattempo io ero in trepidante attesa che il pomeriggio arrivasse presto e quando finalmente le mie preghiere furono esaudite tutto la mia felicità fu distrutta nel ritrovarmi di fronte quel viscido individuo che era il signor Davis.
Lui stava lì, a chiacchierare tra tutti gli altri uomini con un bel sigaro in mano come se fosse la cosa più normale di sempre, come se lui fosse davvero degno di trovarsi in mezzo a persone elevate come noi.
Mr Davis continuava a sorridere sornione e a compiacere i signori con i suoi racconti da quattro soldi che, puntualmente, facevano ridere tutti.
Tutti, tranne me.
Tanto era per me l’astio nei suoi confronti che mi chiedevo come facesse il signor Hemilton ad averlo invitato. Io lo trovavo un uomo così odioso, così orrendamente lascivo e completamente privo di morale.
Nel frattempo facevo buon viso a cattivo gioco e scambiavo chiacchiere amichevoli ed argute osservazioni con gli altri uomini, compreso il mio nemico, mentre le signore erano allegramente riunite a prendere il the.
Poi, dopo qualche minuto di fremente attesa, lei arrivò.
Fu per me una meravigliosa visione veder arrivare Isabella, vestita come sempre con i sui abiti semplici, ma che probabilmente era uno dei migliori del suo guardaroba. Aveva i capelli ben stretti in uno chignon impeccabile e le guance erano lievemente arrossate mentre teneva sempre lo sguardo basso e rivolgeva a tutti timidi sorrisi che mi intenerivano.
Da quando ero diventato un uomo così smielato non lo sapevo, ma se cera una cosa che mio padre mi aveva insegnato era che la tenerezza verso la propria donna non significa mai essere uno smidollato, anzi, ti portava ad elevarti ad un livello più alto sia mentale che spirituale.
Ero sempre stato convinto che mio padre fosse la personificazione di questo pensiero. Egli era un uomo molto intelligente, certamente uno degli uomini più colti di tutta Chicago e anche perseverante nel suo lavoro, ma al tempo stesso padre e marito amorevole, dal cuore grande pieno d’amore per la sua famiglia. Spesso lui mi raccontava come l’aver conosciuto mia madre lo aveva radicalmente cambiato, inducendolo a diventare l’uomo fantastico che era ora.
Mi chiesi distrattamente se un giorno, avendo al mio fianco la mia meravigliosa Isabella, sarei potuto diventare anch’io un uomo come lui, perché io stesso ammettevo di non essere minimamente paragonabile alla grandezze e alla bontà d’animo di mio padre.
Ridacchiai tra me.
Già di principio consideravo Miss Swan una mia proprietà senza che nemmeno avessi fatto grandi ostentazioni nel farle la corte.
Ne avevo parlato con Alice in proposito e lei mi aveva rimproverato per non essermi impegnato abbastanza a corteggiarla.
– Miss Swan, oggi è incantevole. – sentii dire a Mr Davis mentre lo osservavo prendere una mano della mia Isabella e baciargliela, sempre con quel suo schifoso e viscido sorriso lascivo.
E mentre lui le sorrideva imperterrito con il desiderio dipinto in faccia io mi sentivo morire dentro, inutile e con le mani legate, mentre vedevo la mia dolce Isabella sorridere a quel maledetto donnaiolo.
– Le piace il mio vestito? L’ho fatto io! – disse orgogliosa.
– Ma non mi dica! Bella, intelligente e pure talentuosa nel cucito! –
– Ma non dica sciocchezze Mr Davis! – rise civettuola – È una semplice passione la mia. –
Lo vidi avvicinarsi pericolosamente a lei… troppo vicino.
– Allora mi correggo Miss Swan: bella, intelligente e passionale… – le sorrise lascivo mentre lei non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, arrossendo – Un giorno signorina dovrà cucirmi un vestito su misura, me lo promette? –
Brutto … schifoso … maledetto …” non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero sensato tanta era la rabbia che mi corrodeva le viscere.
Quell’essere abominevole continuava a sorriderle senza pudore, gli si leggeva negli occhi quel suo schifoso desiderio di lussuria nei confronti di Isabella.
Verso la mia Isabella.
Verso la mia futura sposa.
Verso la mia donna.
Lei rideva alle sue battute, discorreva con lui con naturalezza, arrossiva persino, quando lui le faceva un complimento o le prestava attenzioni, mentre a me … semplicemente mi ignorava.
Ironia della sorte, tutte le altre donne nella sala, che fossero nubili o sposate, mi prestavano fin troppe attenzioni, sembravano fare a gara per attirare il mio interesse su una di loro, e io, che desideravo le attenzioni dell’unica donna che, guarda caso, mi ignorava deliberatamente, le ignoravo a mia volta.
Credetti di esplodere dalla rabbia quando vidi Mr Davis e Miss Swan sedersi l’uno a fianco all’altra, ma grazie al cielo fu mia madre ad intervenire salvando la situazione e la faccia di quel damerino da strapazzo che se no avrebbe fatto una brutta fine.
Ma sebbene il suo intervento era stato alquanto tempestivo, non era stato granché pianificato visto che mi cedette il suo posto per mettermi io a fianco a Miss Swan, costretto così a sorbirmi le loro inutili chiacchiere e risatine che mi facevano montare la rabbia, nuovamente impotente.
– Ho vissuto parecchi anni a Richmond, in Virginia, poi mi sono trasferito a Bristol per continuare i miei studi. – stava dicendo il signor Davis sotto lo sguardo incantato ed ammirato di Isabella.
Sbuffai tra me e me.
Era risaputo che Mr Davis dopo la morte dei genitori se n’è andato chi sa dove con tutti i soldi del padre per spenderli al gioco d’azzardo e solo dopo la fuga del fratello maggiore, rimasto senza un soldo e con l’impresa editoriale di famiglia in declino, che è stato costretto a mettere la testa a posto (per così dire) e venire qui a Chicago per rimettere in carreggiata il giornale di famiglia.
Ma si sa: il lupo perde il pelo ma non il vizio.
E sebbene ora potesse apparire un uomo per bene si sapeva che quando non era in pubblico lui se la spassava in qualche lurido pub di periferia a dilettarsi con donnette da poco e gioco d’azzardo.
– Anche lei, signor Davis, è stato in Virginia? – mi intromisi nella conversazione.
– Si, sono nato lì. – rispose infastidito dalla mia intromissione.
– Sa, anch’io sono andato spesso in viaggio in Virginia … beh, per la verità in tutto il nord America. – mi pavoneggiai cercando di dimostrarmi migliore agli occhi di Isabella.
– Ah si? È stato anche nel Massachusetts? – colse la sfida implicita che avevo lanciato, attaccando a sua volta.
– Certamente! Ci sono stato l’estate scorsa, per il lavoro di mio padre. Boston è fantastica. –
– Davvero? Io invece l’anno scorso sono dovuto andare a Philadelphia, in Pennsylvania. –
– So dove si trova Philadelphia. – risposi a denti stretti – Probabilmente dovrò viaggiare molto ora che possiedo le fabbriche di mio zio, si parlava addirittura di un trasferimento delle fabbriche in Australia. –
Miss Swan si voltò verso di me con gli occhi sgranati pieni di meraviglia e sorpresa. – L’Australia? Vuole dire dall’altra parte dell’Oceano? – finalmente avevo tutta la sua attenzione solo per me.
– Certamente Miss Swan, L’Australia! Crediamo che investiremmo bene le nostre industrie là. Si immagina? La terra del sole, immense praterie e montagne rocciose, il mare più bello del mondo. Ho letto così tanti libri su quei posti esotici che non posso neanche crederci che forse un giorno potrò andare in quei luoghi di cui tanto ho letto ma che non ho mai potuto vedere con i miei occhi. –
… e forse un giorno potrà esserci lei al mio fianco, ad accompagnarmi in questa nuova terra che potrà essere anche sua, Miss Swan.
– Le piace leggere, signor Cullen? – mi chiese e un lampo di curiosità nei miei confronti le illuminò gli occhi bellissimi che ora mi scrutavano con attenzione.
– Certamente. Non c’è niente di meglio della compagnia di un buon libro a rasserenare giornate particolarmente noiose, lei non trova Miss Swan?--
– Sono pienamente d’accordo con lei, Mr Cullen, ma purtroppo per me non dispongo di molti libri, perciò mi devo accontentare di leggere e rileggere i vecchi testi che possiedo. –
– La mia biblioteca è sempre a sua disposizione Miss Swan, sarebbe un onore per me poterle prestare qualche buon libro che possa rallegrare le sue giornate. – colsi l’occasione al volo.
-- Signor Cullen. Lei percaso sta insinuando che le giornate di Miss Swan sono noiose? -- si intromise Mr Davis.
Maledizione!
L’attenzione di Isabella, l’inconsapevole premio di quella tacita disputa, tornò alla mia spina nel fianco.
E per l’ennesima volta mi chiesi il perché l’avessero invitato.
– Oh no, non mi permetterei mai di dire una cosa simile, ma so bene che Miss Swan è una donna molto impegnata. – risposi alludendo implicitamente al suo lavoro in fabbrica, poi mi arrischiai ad agiungere: – l’ammiro per questo, sono sicuro che lei è una donna molto responsabile e generosa, una donna fantastica direi, come se ne incontrano di rado di questi tempi. Sono certo che, su chiunque cadrà la sua scelta, chi la sposerà sarà un uomo molto fortunato. E la sua non sarà di certo una scelta casuale, ma bensì le spetterebbe un uomo forte ed intelligente, sicuro di se e capace di proteggerla e di darle una vita dignitosa, come lei merita. –
Tutto della mia descrizione sembrava dire “Edward Cullen”.
Lei mi fissò qualche istante negli occhi cercando di comprendere il significato delle mie parole, ma non disse niente per istanti infiniti.
Poi, ancora un po’ disorientata dalle mie parole, si alzò scusandosi e dirigendosi verso il bagno, lasciandomi in compagnia di Mr Davis.
– Davvero lei crede di riuscire a conquistarla con queste belle ma vuote parole? – mi schernì l’uomo al mio fianco, sogghignando.
– Perché, lei con i suoi inutili discorsi sulle sue origini spera di riuscire ad ottenere le sue attenzioni? –
Lui rise – Lo ammetta a se stesso, signor Cullen, Miss Swan preferisce di gran lunga me a lei, è inutile negarlo e i suoi ridicoli vanti su ciò che l’aspetta in futuro non servono a niente. –
– Questo lo dice lei, Mr Davis, sono curioso di sentire cosa dirà quando Isabella sarà all’altare al mi fianco. –
– Onestamente, Mr Cullen, dubito che riuscirete ad infilarle un anello al dito. –
– Onestamente, Mr Davis, dubito che riuscirete ad infilarvi nel suo letto. – risposi fumando di rabbia ed accendendomi alla svelta una sigaretta.
– Staremo a vedere, signor Cullen. – rispose con un ghigno per poi alzarsi e andare dai padroni di casa e congedarsi, andandosene.
Mi alzai dirigendomi verso il bagno delle signore dove attesi che ne uscisse Miss Swan.
Quando lei ne uscì sobbalzò trovandomi ad aspettarla furioso.
– Signor Cullen, cosa …? – ma non la lasciai finire. Ero pieno di rabbia ed esplosi, riversando tutta la mia ira su di lei.
– QUELL’INSOLENTE DAMERINO! SCIOCCO VIEVEUR! ADULATORE DA STRAPAZZO! – urlai fuori di me cominciando a camminare avanti e in dietro per il corridoio.
Lei rimaneva in silenzio, le mani intrecciate sul petto, tremante, impaurita e assoggettata dalla mia rabbia folle.
A quella vista mi sentii morire.
No!
Mi voltai verso di lei, l’ira distruttrice che mi aveva invaso mi luccicava ancora negli occhi, ma piano, piano il rimorso si faceva strada in me.
Per l’ennesima volta in sua presenza mi ero lasciato andare, ero stato preso dalla rabbia e mi ero scordato di ricoprire il mio ruolo di dignitoso e controllato uomo d’affari, ma purtroppo con lei era sempre così, riusciva a tirare fuori un lato nascosto di me, l’Edward Cullen più soggetto alle emozioni.
Ma se c’era una cosa che odiavo oltre che un altro uomo le si avvicinasse era che lei avesse paura di me.
Addolcii lo sguardo e mi imposi di calmarmi per poi avvicinarmi a lei di qualche passo – Perdonatemi, non volevo spaventarla. – le dissi e, con mio profondo rammarico, una piccola lacrima le sfuggì e io reagii d’istinto.
Avvicinai una mano al suo volto e con una lieve carezza le asciugai la lacrima che, traditrice, le era sfuggita.
Arrossì deliziosamente, scostandosi velocemente dal mio tocco.
Per me era un gesto fin troppo naturale avvicinarmi a lei e accarezzarla, coccolarla.
Era un comportamento senza dubbi inopportuno ma inevitabile da parte mia.
Ma a quanto pareva lei non gradiva questo mio comportamento forse troppo dolce nei suoi confronti.
Ma quale donna non desiderava essere riempita di premure e dolcezze da parte di un uomo come me? Un uomo che avrebbe potuto mettere il mondo ai suoi piedi, che le avrebbe donato anche la luna se solo lei lo avesse chiesto.
– La prego di non riferirsi più così al signor Davis. Egli è un uomo amabile e rispettabile al contrari di ciò che lei ha affermato. – ribatté decisa.
Quelle parole mi colpirono con una violenza inaudita.
Rabbia.
Dolore.
Umiliazione.
Gelosia.
Tutti quei sentimenti dolorosi mi corrodevano il fegato e ora più che mai desideravo uccidere con le mie stesse mani quel farabutto.
Volevo disintegrarlo.
Perché lei lo difendeva? Perché lo riempiva di complimenti mentre a me era riservato solo uno sguardo di disprezzo? E da quell’insolita dolcezza che fino a prima avevo provato per lei tornò la furia.
– Lei non conosce abbastanza bene il signor Davis da poterlo giudicare. Anzi, gradirei che non lo conoscesse affatto. Voglio che lei smetta di frequentarlo, non deve più rivolgergli la parola. – dissi pacato, in un tono che non ammetteva repliche, cercando di trattenere la rabbia.
– Cosa? Lei non può dirmi cosa devo e cosa non devo fare! –
– Oh si che posso Miss Swan. E le assicuro che lo farò. – le dissi in tono minacioso.
– La prego di non immischiarsi nei miei affari personali. – disse con voce tagliente.
Queste parole mi ferirono nel profondo, mi voleva allontanare, non voleva nulla a che fare con me … beh, come se gliel’avessi permesso di lasciarmi fuori dalla sua vita.
– È mio dovere immischiarmi nei sui affari e lei, volente o nolente, farà come le dico: non incontrerà più il signor Davis. –
Lei arrossì dalla rabbia e strinse le labbra per non rispondermi in malo modo – La prego di spiegarmi il perché di questa sua perentoria decisine di non permettermi di avere alcun genere di rapporto con un gentiluomo come un altro? –
– Semplicemente perché Mr Davis è una persona poco raccomandabile, è famoso per la sua fama da donnaiolo, uno “sciupa femmine” se così mi è permesso dire. Perciò diffidi della sua galanteria e rifiuti tutte le sue offerte. –
Fu improvviso e nemmeno me l’aspettavo.
Uno schiaffo mi arrivò dritto in faccia mentre assistevo al meraviglioso volto della donna di fronte a me passere dallo sconcerto alla rabbia, ma non fu il dolore fisico a ferirmi, ma il suo gesto.
Mi aveva schiaffeggiato pur di farmi tacere e non dire altre ingiurie nei confronti di quel maledetto.
Mi sentii malissimo, il dolore del suo rifiuto era quasi insostenibile.
Era ormai palese come lei preferisse di gran lunga lui a me.
Lei, la donna che mi ero giurato di proteggere e difendere dal mondo.
Lei, la cui bellezza, purezza e semplicità mi avevano stregato in ogni modo.
Lei che volevo al mio fianco per il resto della mia vita.
Che davvero mi fossi innamorato? Ormai non ero più neanche certo del contrario.
La desideravo in ogni modo possibile all’uomo.
Amavo tutto di lei al punto da desiderarla solo per me, per sempre.
Ma sebbene tutto lei mi stava ancora rifiutando, non mi voleva al suo fianco, mentre io la desideravo disperatamente.
Mi si avvicinò infuriata e quando fu a un palmo dal mio viso sibilò – Almeno il signor Davis ha il coraggio di dimostrarsi uomo e non nascondersi dietro a una ridicola maschera pur di proteggersi dalle illusioni. Lui non
 è un vigliacco al contrario di lei. – sputò con rabbia contro di me prima di superarmi e andarsene.
Che si stesse riferendo ad E.C.? Che avesse compreso tutto? Ma sebbene tutti i miei sforzi era questo che dovevo subire? Sentirmi definire un vigliacco e paragonato a quel lurido verme?
Non lo potevo accettare.
Mi dispiace amore mio ma che tu mi ami o no sarai comunque mia.


 

Ciao a tutte! Come va? Che ne pensate di questo nuovo capitolo? Vi è piaciuto il Pov Emmet? Non ve lo aspettavate eh?! u.u Grazie per tutte le vostre bellissime recensioni che mi rendono felicissima! Nel capitolo ho fatto un piccolo accenno al fatto che Bella si sia cucita da sola l'abito che indossa, in realtà non è nulla di strano, all'epoca in molti quotidiani femminili c'era una pagina dedicata ai vestiti in cui settimanalmente riportavano il cartonato e le misure per fare un vestito ogni volta diverso così che le donne  a casa potessero cucirseli da se (basta che chiediate alle vostre nonne che sicuramente potranno raccontarvelo), ma tenetevi questo dettaglio a mente perchè potrà tornarci utile più avanti ;) 
Buonaserata e al prossimo capitolo

Bacioni 
S.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


1 Novembre 1917

Pov Isabella

Tornai a casa al calar della sera, ancora infuriata per le parole di Mr Cullen.
Come si era permesso di impormi di non vedere più Mr Davis? E poi denigrarlo con quelle ingiurie così cattive e completamente immeritate.
Se prima ero insicura ora ero completamente certa: il signor Cullen era un uomo superbo, cattivo, volgare, cinico, presuntuoso e magari anche violento.
Che persona odiosa!
Mi aveva praticamente ordinato di non frequenta più un uomo amabile come il signor Davis.
Ma chi era lui per dire e fare ciò? Nient’altro che un superbo signorino ricco e viziato con la puzza sempre sotto al naso e che crede di avere tutto il mondo ai suoi piedi.
Non voglio nemmeno pensarci a quel farabutto!” sbuffai tra me e me imponendo al mio pensiero di non soffermarsi più sul signor Cullen e concentrarmi a preparare la cena.
Una volta a tavola, mentre mangiavamo tutti insieme la nostra zuppa a base di cavolo come ogni sera, Emmett e mia madre cominciarono a chiedermi come avevo passato il pomeriggio a casa degli Hemilton.
Mia madre era elettrizzata per questo evento, era convinta che la sera della festa dai King avessi debuttato e che d’ora in poi mi si prospettava un futuro nell’alta società.
Ovviamente ciò che lei si aspettava da me era che trovassi un buon partito da sposare con cui avrei arricchito tutta la famiglia e messo al mondo i suoi futuri nipoti.
Rabbrividii all’idea.
Dubitavo che tra quei palloni gonfiati imbellettati quali erano i borghesi (tranne rari casi, ovviamente) sarei riuscita a trovare l’uomo che avrebbe rappresentato per me il mio compagno e mi ripugnava l’idea di dover un giorno condividere la mia vita (e addirittura il letto) con un uomo che per me non rappresentava niente e soprattutto mettere al mondo dei bambini nati da un unione senza amore.
Non mi sembrava di chiedere tanto, solo amare ed essere amata dal mio compagno di vita.
Ripensai a un discorso fatto un pomeriggio con Edward in una delle stanze degli ospiti di Villa Cullen … ecco!
Il mio pensiero era tornato a lui!
– Allora Bella racconta, hai conosciuto qualcuno di nuovo dagli Hemilton? – mi chiese mia madre con evidente eccitazione.
– No, tutte le signore e i gentiluomini presenti avevo avuto il piacere di conoscerli la settimana scorsa al ricevimento. –
– E … tra i gentiluomini … c’è qualcuno in particolare che ti sta in simpatia? – mi chiese con finta indifferenza.
Persino Emmett, che per tutta la sera era stato concentrato sul suo piatto di zuppa, alzò lo sguardo lievemente ansioso.
Arrossi ma tenni lo sguardo basso sulla mia minestra – Si … si chiama James Davis … è un vero gentiluomo mamma, sono sicura che ti piacerebbe. –
– E che lavoro fa questo Mr Davis? –
– È nell’editoria. – risposi nella speranza che questa informazione soddisfacesse mia madre.
Ella storse il naso e seppi subito cosa stesse pensando: metteva a confronto il signor Davis col signor Cullen.
Fin dal giorno in cui lui l’aveva soccorsa era entrato nelle sue grazie e ormai non passava giorno in cui lei non mi chiedeva se lo avessi incontrato e come stava. Sapevo perfettamente che lei aveva delle preferenze nei suoi confronti e di certo, se era davanti alla scelta tra un editore e un imprenditore di buona famiglia, sceglieva, senza ombra di dubbio Edward.
– Qual è la sua rendita? –
– Mamma! ma che domande sono?! – la rimproverai.
– Ero solo curiosa … comunque quanto guadagna? – mi ripeté la domanda.
– Non lo so mamma. – dissi stizzita.
– Credo che devo conoscerlo questo signor Davis, e visto che ci sono anche il signor Cullen, l’ho visto solo di sfuggita … sembrano due buoni partiti. – soggiunse Emmett un po’ pensieroso.
Lo guardai basita rendendomi conto che era la prima volta che lo vedevo entrare nel suo ruolo di padrone di casa.
– Non sono in cerca di marito! – scattai, arrabbiata.
– Per l’amor del cielo, Isabella! Non dire certe sciocchezze! Certo che tu devi cercare marito! – esclamò mia madre.
– Ma nessuno di quei signori mi interessa. –
– Baggianate! Se non trovi interessante la persona pensa a quanto sono intriganti i suoi soldi! –
Boccheggiai – Ma … io non posso … –
– Certo che puoi! Anzi, devi! Ovviamente baderemo che tu possa sposare un giovane uomo amabile e rispettabile, ma la sua rendita è una cosa fondamentale. –
– Perché? Non mi hai mai fatto di questi discorsi prima d’ora. –
Mia madre sospirò con stanchezza poggiando i gomiti sul tavolo e passandosi le mani sugli occhi lividi.
Non avevo notato quanto fosse pallida ultimamente.
– Bella, tesoro mio… io mi sono sposata per amore… e guarda ora cos’ho da offrire ai miei figli: nessun padre che si prenda cura di loro, una madre malata che è solo un peso e una soffitta piena di muffa… – si guardò attorno nella piccola cucina dagli spogli muri bianchicci e scrostati, gli occhi pieni di una rassegnata malinconia, poi riportò lo sguardo su di me, dolce come non lo avevo mai visto – non è mai stata questa la vita che sognavo per voi, ma io non ho avuto altre possibilità, non ho avuto la fortuna di prendere parte ad importanti eventi sociali, non ho mai potuto conoscere persone di spicco… ma tu, tesoro mio, tu sei stata graziata dalla Signore, Lui ti ha dato la possibilità di cambiare il tuo destino, tu non dovrai accontentarti di sposare un semplice operaio che ti condannerà a questa stessa misera vita. –
Abbassai lo sguardo – E se a me non dispiacesse vivere così? Se volessi sposare un semplice operaio? – mormorai e quasi sperai che non mi sentisse.
– Non dire sciocchezze Bella! – mi liquidò mia madre con uno scocciato gesto della mano per poi tornare a mangiare la sua zuppa.
– Bella … – Emmett prese la parola, un po’ a disagio – Vedi, l’equilibrio economico della nostra famiglia è molto fragile. Per me è solo questione di tempo prima che… Ah al Diavolo! Speravo di potervene parlare in un momento migliore. – sbottò passandosi nervosamente una mano tra i capelli e guardandosi attorno agitato mentre io e mia madre lo guardavamo preoccupate e in attesa che parlasse. Lui prese un profondo respiro mantenendo lo sguardo sulle sue mani strette a pugno, ma la sua voce fu ferma – Ho intenzione di lasciare il lavoro in fabbrica per andare a Boston, stanno cercando macchinisti e manovali per le navi transatlantiche. Non ho più intenzione di restare a lavorare in quella fottutissima fabbrica e questa è la mia occasione per andarmene e vedere un po' il mondo… circa. Ed inoltre la paga è molto maggiore rispetto a quella che prendo adesso e la non avrò bisogno di pagarmi niente quindi tutti i soldi che guadagnerò li spedirò a voi. –
Nella stanza calò il silenzio interrotto solo dallo scalpiccio e dal vociare provenienti dagli appartamente vicini.
Poi mia madre si lasciò sfuggire un singulto e si lasciò andare indietro sulla sedia portandosi una mano al petto, lo sguardo sconvolto perso nel vuoto.
Sentii un freddo innaturale ghiacciarmi le ossa ed intirizzirmi le mani, sentii i miei occhi ginfiarsi e la testa pulsare mentre tentavo di mandar giù un nodo amaro che mi si era bloccato in gola.
– Qundo partirai? – mormorai tentando di mantenere un po' di contegno nella voce, ma non fui molto brava.
– Non lo so ancora… presto, spero. – rispose mio fratello sempre con lo sguardo basso.
– Te ne vai… mi stai lasciando… – ansimò sconvolta mia madre.
Emmet alzò di scatto il capo per guardarla dritta in volto ansioso.
– No mamma, non ti sto lasciando, non sto lasciando ne te ne Isabella, solo… volglio farmi una nuova vita e potermi comunque prendere cura di voi e quasta è un’ottima soluzione. – allingò la mano afferrando quella bianchissima di Renèe – Prima o poi comunque me ne andrò di casa per costruirmi una mia vita, sono un uomo adulto ormai ed è ora che cominci a prendere la mia strada, ma non posso neanche abbandonare te e mia sorella da sole, so che è una scelta difficile ma così facendo posso garantire una vita migliore a tutti. Pensaci mamma, lo so che sarai d’accordo con me. –
Nostra madre chiuse gli occhi qualche istante stringendo in uno moto di disperato amore la mano di Emmet.
Poi riaprì gli occhi che sembravano ancora più stanchi e provati di poco prima e senza dire una parola annuì.
– Hai sentito tuo fratello? Perciò ora è ancor più ugente che tu ti ammogli con un buon partito. – abbaiò mia madre verso di me che ero stata fino a quel momento in silenzio, ammutolita – due donne sole è assolutamente fuori luogo – borbottò fra se abbassando per un’istante gli occhi, poi li riportò nei miei fiammegginati di collera trattenuta e di una ferrea decisione – è il momento che anche tu faccia il tuo dovere e guadagnati il pane come meglio puoi. –
– Ma mamma… – tentai mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
– Nessun “ma”, non voglio essere contraddetta su questa questione, ormai è deciso! –
– Io non voglio sposare nessuno di quei palloni gonfiati che la gente chiama “gentiluomini”! … voglio solo che voi non mi costringiate a sposarmi con un uomo che non amo. –
– Figlia ingrata! Noi facciamo di tutto per assicurarle un futuro felice, guarda cosa è disposto a fare tuo fratello per te! E tu come lo ripaghi? Disubbidendo! – urlò con cosi tanta foga che all’improvviso venne scossa da forti conati facendola accasciare a terra, sputando sangue.
Io ed Emmett corremmo subito a soccorrerla e quando finalmente la tosse finì e la ripulimmo dal sangue che le aveva sporcato il vestito e la bocca e la facemmo sedere di fronte al camino.
– Smettila con questi sciocchi capricci Isabella! Non ne posso più di te e delle tue insensate frivolezze, vai in camera tua senza mangiare! – mi ordinò ansante, mentre riprendeva fiato.
– Va bene. – sussurrai e mi diressi nella mia stanza che condividevo con mia madre.
Mi misi la camicia da notte, mi coricai e nel buio e silenzio della stanza iniziai a piangere.
Rimuginai per ore su ciò che mi avevano detto Emmett e mia madre.
Sembrava che per loro io fossi solo un peso ed ora volevano sfruttare la mia situazione per facilitarsi la vita senza badare ai miei sentimenti.
Ed ora pure mio fratello ci lasciava a noi stessi in cerca di una vita migliore in mezzo all’Oceano.
Mi sentivo così tremendamente sola, io contro la mia famiglia, contre lo convinzioni sociali e, in fondo, anche contro me stessa.
Perché per quanto mi ribellassi alla ripugnante idea di una vita passata al fianco di un uomo che non amavo permettendogli di starmi accanto e toccarmi, i sensi di colpa nei confronti della mia famiglia si facevano strada nel mio animo in tumulto.
Mi immaginai sposata con il figlio degli Yorkie, o magari col giovane vedovo signor Dawson, o forse col signor Jones che sebbene avesse la sua età non era ancora sposato e ciò poteva far sorgere dei dubbi sul perché nessuna donna lo avesse mai accettato.
Rabbrividii.
No, mia madre avrebbe sicuramente fatto di tutto perché io andassi a nozze col signor Cullen, ne ero certa.
L’idea era raccapricciante.
Non solo avrei dovuto sposarmi con un uomo che non amavo ma che odiavo persino. E con questi tetri pensieri passai le ore struggendomi fino a quando il buoi non mi accolse nel caldo e rassicurante abbraccio dell’incoscienza.


Pov Alice

Mi strinsi più forte nel cappotto rabbrividendo.
Non era stata una buona idea indossare l’abito verde smeraldo prima di uscire.
Certo, era un completo stupendo che metteva in risalto alla perfezione la mia carnagione chiara ed i miei capelli scuri, ma quella camicetta leggera in quel momento mi stava facendo patire le pene dell’inferno.
I signori Cullen mi avevano dato l’intera giornata libera e me l’ero goduta passeggiando col mio abito migliore ammirando le vetrine dei negozzi nei quartieri alti, ma ormai il sole stava calando e le strade cominciavano ad essere illuminate dai lampioni a gas.
Guardavo le coppie passeggiare per la strada parlando concitatamente fra loro, un gruppo di ragazze camminare a passo di marcia e tutte strette fra loro mentre parlavano e ridacchiavano di chi sa quale pettegolezzo, una combricola di studenti universitari passò sfrecciando su un’auto mobile ricolma di persone che quasi mi chiesi come facessero a non cadere giù dalla vettura.
Amavo quel momento della sera: quel momento in cui tutto pareva spegnersi, i pudore si metteva a dormire e la giovetù si svegliava.
C’era della musica in lontananza, una tromba suonava ad un ritmo sfrenato sulle note di un movimentato pezzo jazz e più mi avvicinavo all’angolo della strada da cui proveniva quella musica coinvolgente e più i suoni si moltiplicavano: chiacchere, risate, tintinnare di calici e bottiglie che venivano stappate.
Svoltai l’angolo incuriosita e vidi in fondo ad una via laterale una villetta in stile moderno piena di luci, colori, persone e manifesti, un musicista di colore suonava la sua tromba come se fosse la sua unica ragione di vita sul grande balcone del primo piano mentre le persone, tutte troppo eleganti e dall'aria troppo eccentrica ed intellettuale per essere li solo per una festa.
Mi avvicinai ad uno dei tanti manifesti appesi lungo la via che riportava scritto a grandi lettere rosse “THE GREAT SHOW OF ART DECÒ by the artist JAZZ”.
Una mostra d’arte. Mi voltai verso la villetta affollata e timorosa cominciai ad avvicinarmi.
Al mio passaggio gli eleganti ospiti dlla mostra mi ignoravano preferendo conversare di astratti pensieri filosofici e nuovi movimenti artistici, tutte cose di cui io non ne capivo niente.
Mi accostai alle pareti potendo così finalmente ammirare le opere esposte, trovandomi difronte ad un nudo femminile dalla bellezza struggente. Le donna ritratta coi lunghi boccoli dorati ad incorniciare un volto diafano ti guardava con un’angoscia così profonda nello sguardo da toglierti il fiato, le sue mani affusolate che raccoglievano al petto nudo un panno bianco, in un gesto di pudore ma che racchiudeva in se una potente carica erotica mentre col volto leggermente inclinato all’indietro sembrava invitarti a giacere con lei ma con la consapevolezza che ciò ti avrebbe risucchiato nello stesso dolore che lei portava nei suoi profondi occhi blu.
E così molti altri dipinti, la maggiorparte erano donne, spesso nude e dallo sguardo tormentato ti esprimevano un misto tra desiderio e paura.
Una voce squillante e sbarazzina mi destò dai miei pensieri.
– Hai l’aria sperduta. –
Mi voltai con un sussulto verso la giovane donna dai capelli chiari e gli occhi un po' troppo distanti ma anche inquietantemente attenti che si era rivolta a me.
– Oh salve! Ero incantata dai dipinti. – dissi sorridendo.
– Ti piacciono? A me lasciano un po' perplessa sono così… – fece una pausa alzando gli occhi al soffitto e lasciando divagare la mano che reggeva un calice di scotch – irrequieti, agitati, nervosi, smaniosi, turbati. – concluse infine soddisfatta 
– Probabilmente era esattamente quello che provava l’artista mentre dipingeva. –
– Oh e io che ne so? Puoi chiederlo a lui se vuoi, ci sta parlando in questo momento il mio accompagnatore. – si voltò verso un angolo della sala – Scott! Ehi Scott porta qui Jazz! –
Tra la folla si fece largo un uomo allampanato e dai tratti spigolosi seguito a ruota da un altro uomo che conoscevo fin troppo bene.
Vestito in abiti eleganti come non lo avevo mai visto, i capelli color dell’oro troppo lunghi per essere di moda tirati all’indietro con la cera, gli occhi azzurri gioiosi e un po' annebbiati per qualche bicchiere di troppo.
Lo avrei riconosciuto ovunque.
Quel bambino che un tempo mi faceva i dispetti in compagnia di Edward nascondendomi le bambole o mostrandomi gli insetti, quel ragazzo che passava i pomeriggi in compagnia del signor Cullen anche una volta diventati grandi e che crescendo aveva abbandonato il suo modo canzoniero di chiamarmi per nome per rivolgersi a me in un formale “Miss Brandon”, quel giovane uomo che qualche anno prima lo avevo visto venire a congedarsi dai Cullen in divisa militare pronto per partire per il fronte europeo, quello stesso uomo che era tornato dalla guerra totalmente cambiato, più silenzioso, più riflessivo e misterioso di quando era partito.
Mr Hale lo avrei riconosciuto ovunque.
– Ecco signorina… aspetta, come ti chiami tesoro? … – fece la giovane donna voltandosi verso di me corrucciata.
Ma non feci in tempo a rispondere che una voce stranita rispose per me – Miss Brandon… –
Alzai gli occhi su quelli azzurri e un po' vacui dall’uomo difronte a me.
– Mr Hale siete anche voi qui sta sera. – provai a sorridere.
– Ma allora lo conosci già l’artista! – esclamò la ragazza che ci osservava scettica ed io sussultai alle sue parole – Potevi dirlo prima… oh ma che toni formali che usate! Jazz questa è tua amica? –
– Zelda, tesoro, non t’immischiare negli affari degli altri! – la rimproverò bonariamente l’uomo dai tratti spigolosi.
– Oh ma sta’ zitto Scott, tu non fai altro che immischiarti nella vita degli altri! – disse l’altra alzando gli occhi al cielo infastidita e così dicendo si voltò scomparendo tra la folla e lasciando li impalato Scott che fissava il vuoto quasi incantato per poi ricomporsi e rivolgersi a Mr Hale con una leggera punta d’imbarazzo, ma egli fu più veloce di lui nel parlare – Va a recuperarla Fitzgerald, quella donna è una mina vagante. – disse ridacchiando e Mr Scott Fitzgerald fece un gran sorriso per poi dileguarsi tra la folla dietro alla sua accompagnatrice.
Rimasi immobile a fissare Mr Hale mentre egli, con lo sguardo ancora rivolto al punto in cui i due eccentrici signori se ne erano appena andati, prendeva un gran respiro prima di voltarsi verso di me con un sorriso tirato e uno sguardo ansioso.
– È… una bella serata… – tentai sorridendo e inclinando il capo.
Lui continuava a fissarmi basito, come se fossi un’apparizione, poi parve riprendersi e schiarendosi la volce disse: – Si… già… proprio una bella serata… è una bella serata non trova anche lei Miss Brandon? – balbettò arrossendo.
Trattenni una risata davanti al suo impaccio – Può smetterla di chiamarmi Miss Brandon, non crede, almeno per questa sera? I suoi amici la chiamano per nome, no? –
– Si… ha ragione… il mio amico Fitzgerald e… Zelda… si loro… loro mi chiamano Jazz o Jasper… o Hale se preferisce… o magari Mr Jasper… o Mr Jazz… no no Mr Jazz sembra strano… – parve bloccarsi qualche istante ormai senza fiato per aver detto tutto senza nemmeno un respiro poi butto fuori dai polmoni tutta l’aria lasciando cadere le spalle rigide e chinando il capo, imbarazzato – mi chiami come prefesce Miss Bran… cioè… Alice. – e mi rivolse un timido sorriso.
– Jazz … – dissi gustandomi il suono di quel nome e più ci pensavo e più mi rendevo conto che gli si addiceva quel nomignolo al suo aspetto così eccentrico, mondano eppure insolito. – Jazz. Mi piace come suona. –
– Allora… come mai sei qui Alice? – disse in un finto tono distratto, grattandosi la nuca mentre faceva vagare lo sguardo.
– Oh è stato un caso, passavo di qui e ho sentito la musica. –
– Eh si Freddy è un gran musicista… –
Ne seguì un imbarazzato silenzio. – Quindi… è lei l’artista? Il Jazz del manifesto? –
– Oh io… io si… sono io… –
Mi voltai verso i dipinti alle mie spalle – Incredibile. Non sapevo che sapeste disegnare! –
– Prima della guerra non lo sapevo nemmeno io … – mormorò, lo sguardo turbato e distante in ricordi forse troppo cruenti per essere rivissuti.
– Chi sono queste donne? – provai a chiedere nella speranza di distrarlo dalle sue oscure memorie.
Lui si riscosse d’improvviso e resosi conto della mia domanda arrossì furiosamente – L-loro sono signore… e signorine… ehm molto disponibili… si… disponibili diciamo… –
Non ero una sciocca, sapevo cosa volesse intendere e cosa significasse quel suo mortale imbarazzo ed avvampai a mia volta guardando altrove fingendomi indifferente – Sono state molto gentili a posare per lei… –
Mr Hale arrossì ancora di più se possibile – Si… molto gentili… già… gentili e disponibili… –
Rimanemmo in silenzio guardando altrove nel più totale imbarazzo, poi lo vidi prendere fiato e torturandosi le mani rialzò lo sguardo su di me.
– Mi… mi stavo chiedendo se voleste venire a vedere il mio studio un giorno… sa, dove dipingo… –
Lo guardai attonita, totalmente impreparata alla sua proposta ed egli vedendo la mia titubanza sbiancò e si affrettò ad aggiungere: – Ma se la trovate una cosa stupida lasciate stare, non voglio farle perdere tempo per … –
– Verrò! –
Mr Hale alzò di scatto il capo puntando i suoi occhi cerulei nei miei – Come avete detto, Miss Brandon? – chiese con un filo di voce e mi parve di distinguere nel suo tono e nel suo sguardo limpido una lievissima scintilla speranzosa.
Sorrisi divertita – Ho detto che verrò molto volentieri, se per lei non è un disturbo. –
Lui scosse in fretta il capo, il suo bel viso si apriva in un sorriso grato.
Intanto mi risestemai il giacchetto e misi bene la borsetta sotto al braccio voltandomi verso l’uscita.
– Comunque, mi chiami Alice. – gli feci un’occhiolino giocoso prima di voltarmi ed uscira da quella bizzara casa in festa, lasciando Mr Hale impalato a fissarmi.
Jazz .



Ok ok ok... finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare! questa è stata una settimana super impegnata che proprio non ho trovato il tempo per postare il niovo capitolo? allora che ne pensate? La nostra Bella sta cedendo ai sensi di colpa o no? E povera Renèe provo così tanta pena per lei sebbene abbia un comportamento duro con la figlia.
Che ne dite del Pov Alice?? è stato un piccolo esperimento, nella stesura originale non c'era e l'ho aggiunto un po' all'ultimo! Spero che vi sia piaciuto :D e avete indovinato chi sono i due amici di Jasper?? Sono Scott e Zelda Fitzgerald (in realtà in quel periodo non si trovavano a Chicago ma diciamo che mi sono presa una piccola licenza narrativa) una delle più famose coppie che hanno fatto la cultura artistica, filosofica e letteraria del XX secolo americano, nel 1917 i due si erano appena conosciuti e avevano cominciato a frequentarsi e nel 1920 si sposarono ed ebbero una figlia. adoro questi due personaggi anche se non ho in programma di farli apparire ancora nella storia), erano il simbolo della nuova generazione americana, la loro vita fu sfrenata e piena di eccessi e svaghi. Insomma, loro si che si sapevano divertire! 
Spero tanto che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e vi prometto che nel prossimo ci sarà una sorpresa ;) Recensite in tante che sono sempre felicissima quando mi scrivete e mi invogliate a scrivere sempre di più!
Bacioni
S.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


 

Actention please! A fine capitolo ho lasciato un piccolo sondaggio per delle nuove piccole ff che vorrei scrivere, per favore scrivetemi quale delle 3 che ho riportato brevemente qui sotto vi ispira di più! :)
Buona lettura!


7 Novembre 1917

Pov Edward

Presi un profondo respiro, mi trovavo sotto al fatiscente condominio in cui viveva Isabella.
Guardai per l’ennesima volta l’orologio da taschino per controllare l’ora: erano le 11 e mezza di mattina.
Perfetto.
Controllai il vestito. Avevo indossato il mio abito più elegante, il completo bianco.
Impeccabile.
Guardai l’enorme mazzo di rose che tenevo tra le mani. Erano tutte rigorosamente rosse come il sangue e appena sbocciate.
Ottimo.
Mi tastai la tasca dei pantaloni e deglutii rumorosamente percependo sotto il tessuto la scatolina il velluto.
Benissimo, era tutto a posto.
Ora dovevo solo salire e chiedere la mano alla mia amata Isabella. Non poteva certo dirmi di no, vero? Si, era impossibile che mi rifiutasse.
E allora perché ero così nervoso? Beh, in fin dei conti stavo facendo il passo più importante della mia vita, stavo chiedendo in sposa la donna che amavo e con cui ero pronto a passare il resto della mia vita.
E di nuovo la mia mente divagò in quegli scenari perfetti in cui io tornavo a casa dal lavoro e trovavo la mia Isabella circondata da bellissimi bambini in un caldo e accogliente salotto che incorniciava la sua elegante e raffinata figura mentre mi sorrideva con amore.
Inspirai bruscamente.
Wow, quell’immagine stava diventando peggio dell’oppio.
Non vedevo l’ora che le mie fantasie si realizzassero, anche le mie fantasie meno caste … soprattutto quelle … per Dio, Isabella era davvero bellissima e alla sola idea di stringerla nuda ed arrendevole … così calda e profumata … così perfetta per le mie mani e il mio corpo … No! Non era il momento di pensarci!
Va bene, ero pronto.
A passo sicuro entrai nell’edifici percorrendo la rampa di scale pericolanti fino a trovarmi di fronte alla porta del suo appartamento.
Bene: era il momento.
Bussai alla porta e venne ad aprirmi quel mastodonte di suo fratello che mi guardò sbigottito prima di sorridermi con calore.
– Mr Cullen, che onore averla qui! Se avessimo saputo della sua visita avremmo sistemato meglio la nostra umile casa. Ma entrate, entrate pure! – esclamò facendomi spazio ed io entrai.
– Emmett, chi è? – sentii dire dalla flebile voce arrochita dalla malattia della signora Swan provenire da una delle tre stanze adiacenti al piccolo salotto-sala da pranzo-cucina.
– È il signor Cullen, mamma. – rispose ad alta voce il figlio mentre mi guidava dentro a una delle camere da letto.
Era piccola con solo un comò mangiato dalle termiti e due piccoli (e apparentemente scomodi) letti, uno occupato dalla povera donna, bianca come un cencio.
– Signor Cullen, è un piacere vederla qui, mi scuso per la mia poca eleganza, ma come può ben vedere, non sono nelle mie piene forze. – si giustificò la signora con un sorriso stanco.
– Non si preoccupi Mrs Swan. -- risposi con un rassicurante sorriso stringendole la mano e accomodandomi sul letto affianco che effettivamente era molto scomodo – Sono venuto qui per parlare con Miss Swan, lei è in casa? –
Una scintilla d’interesse vivacizzò quegli chi ormai spenti – Sono spiacente, ma mia figlia non è in casa al momento, è uscita a prendere il pane, ma dovrebbe tornare tra poco. –
– Va bene, in ogni caso è con lei e con Mr Swan che devo parlare prima di tutto. –
– Mi scuso ancora signor Cullen, ma mio marito, il signor Swan, è deceduto parecchi anni fa, ora è mio figlio Emmett a fare le veci del padrone di casa. –
– Oh … io non lo sapevo, non volevo essere indiscreto … condoglianze. – mi scusai preso in contropiede e rammaricato.
Che il destino con Isabella fosse stato crudele non c’era alcun dubbio, ma ormai per lei c’ero io che avrei fatto di tutto per renderla la donna più felice del mondo al mio fianco.
– Non si preoccupi, signor Cullen, vada avanti. – mi esortò a proseguire col mio discorso.
– Certamente. – mi voltai verso il signor Swan che era rimasto sulla porta in rigoroso silenzio – Mr Swan, si accomodi pure, è ad entrambi che devo parlare. –
Mr Swan fece come gli fu detto sedendosi sul bordo del letto della madre.
Presi un respiro profondo, poi cominciai a parlare – Mr e Mrs Swan, sono venuto qui per chiedere la mano di Isabella. I miei sentimenti per lei sono forti e sinceri, ma sebbene il mio corteggiamento non è stato molto evidente e mi sono trattenuto dall’espormi è in realtà da tempo che la osservo e la desidero e ora mi sono deciso a chiederla in sposa. –
Guardai in volto i miei ospiti, in attesa di una risposta.
La signora esalò un picclo sospiro di gioia prima che sul suo viso emaciato comparisse un sorrisetto compiaciuto, mentre il figlio era completamente e piacevolmente stupito.
– Signor Cullen, siamo onorati di entrare a far parte della sua famiglia, mia figlia le sarà immensamente grata e le prometto che sarà per lei una moglie amabile, devota e fedele. –
– Di questo non ne dubito. – risposi con un gran sorriso, soddisfatto della risposta affermativa.
Mi voltai verso il signor Swan che invece mi scrutava seriamente e nel profondo dei suoi occhi scuri, simili a quelli della sorella, una traccia di rimorso.
– Sono più che disposto a concederle la mano di mia sorella … ma mi permetta una domanda, signor Cullen: lei la ama davvero? – mi chiese, una strana scintilla gli brillava negli occhi, un misto tra rammarico, determinazione e speranza.
Gonfiai il petto guardando quell’uomo imponente dritto negli occhi mentre affermavo: – Certamente, con tutto me stesso e sono pronto a condividere con lei il resto della mia vita. –
Lui sorrise compiaciuto, nel suo sguardo non c’era più traccia né di rimorso né di titubanza.
– Perfetto allora! Benvenuto in famiglia! – esclamò con fare amichevole e giocoso che stonava col suo essere così intimidatorio.
La madre gli lanciò un’occhiataccia, ma lui continuava a sorridere benevolo in un modo che ti contagiava facendo ridere pure me. Sorrisi orgoglioso e soddisfatto fino a quando non vidi Mrs Swan tornare seria e rabbuiarsi.
– Signor Cullen … la salvi. – mi supplicò con gli occhi velati dalle lacrime – Io ho visto tanto dolore e ho vissuto nella miseria, sia da bambina che dopo il mio matrimonio il mio destino era la povertà, ma ora lei sta dando alla mia adorata Isabella una nuova possibilità, le sta offrendo una vita migliore e piena di prospettive. La prego, la supplico … la salvi da questa vita. –
Boccheggiai.
Sapevo cosa rappresentavo per le condizioni di Miss Swan e per la sua famiglia.
Sapevo che la madre mi avrebbe ceduto la mano di sua figlia senza riserve solo per i miei soldi e questo mi andava bene, ma ciò che mi turbò scuotendomi nel profondo fu l’improvvisa consapevolezza che ora ero davvero la salvezza di Isabella.
Isabella.
Così forte e fragile al tempo stesso.
Per la prima volta provai per lei un sentimento strano, viscerale.
Fu come se tutta la mia concezione di desiderio si spostasse su una nuova asse, il mio piacere non era diretto a me, ma a lei, come se la mia felicità improvvisamente dipendesse da quella di Miss Swan.
Per un istante sentii le viscere contorcersi e i polmoni comprimersi, un calore innaturale mi scaldò il petto ed il viso, i miei occhi erano pieni di una nuova consapevolezza.
Mi sporsi sul letto di Mrs Swan prendendole con gentilezza una mano e le sorrisi: – Non desidero altro, signora. –
Seguì un attimo di silenzio fino a quando non udimmo la porta d’entrata aprirsi.


Pov Isabella

Diedi i soldi in mano al figlio del fornaio mentre mi sistemavo meglio la sacca col pane in grembo.
Salutai con calore il giovane prima di dirigermi a casa.
Era una splendida mattina sebbene il vento soffiasse la fredda aria invernale tra i viottoli sporchi della città.
Quando giunsi sotto al mio condominio notai l’insolita presenza di un auto (sicuramente appartenente a qualche ricco signore) parcheggiata lungo la strada, sotto al mi palazzo. Ma non ci badai più di tanto e salii al mio appartamento.
Aprii la porta di casa ma non trovai nessuno nel salotto, ma sia mia madre che Emmett erano in camera da letto ad attendermi e con mia grande sorpresa in compagnia del signor Cullen.
Mio fratello appena mi vide balzò in piedi e mi abbracciò rivolgendomi un grande e luminoso soriso del quale non ne compresi il motivo. Anche mia madre era raggiante e al suo fianco il signor Cullen sembrava teso, la mascella rigida e le spalle ampie irrigidite.
Era vestito … diversamente, più elegante, più impeccabile del solito nel suo completo bianco.
Teneva lo sguardo fisso su di me, il fuoco della determinazione gli brillava negli occhi.
Poi, quando vidi l’enorme mazzo di fiori che teneva in mano, cominciai a temere il peggio.
Avanzò a passo sicuro verso di me fino a fermarmisi di fronte.
– Salve Miss Swan. – mi salutò con cordialità.
– Mr Cullen, sono lieta di rivederla. – il mio, al contrario, era un tono più freddo e distaccato.
– La prego di accettare queste rose in dono. – disse porgendomi il mazzo di bellissime rose rosse, talmente grande che dovevo tenerlo con entrambe le braccia, come fosse un bimbo in fasce.
– L- la ringrazio … – deglutii intimorita e sentendomi avvampare.
E questo cosa stava a significare?
– Signori, potete gentilmente lasciarmi solo con Miss Swan. – si rivolse a mia madre e mio fratello che con un grande sorriso andarono nella camera da letto chiudendosi la porta alle spalle, concedendoci un po’ di privacy.
Mi guardai attorno nervosa cercando qualcosa, qualsiasi cosa con cui distrarlo.
– M-Mr cullen gradisce un té o un caffè… qualcosa … – dissi cominciando ad affaccendarmi per il cucinino.
Posai il pane e le rose sul tavolo mentre cercavo freneticamente la teiera per scaldare l’acqua.
Mr Cullen parve interdetto dal mio comportamento – No, la ringrazio, ma sono a posto così … –
– DELL’ACQUA! – il tono di voce mi uscì troppo acuto che quasi urlai. Tentai di ricompormi tossendo lievemente – Il signore gradirà un bicchiere d’acqua per rinfrescarsi… in questa zona l’aria è pesante… – mi torsi le mani guardandomi attorno.
Egli fece un passo nella mia direzione, lo sguardo concentrato mentre allungava una mano per sfiorare le mie.
Saltai come una molla a quel suo gesto – Oh Dio le rose! Appassiranno se non le metto subito in un vaso! – strinsi l’enorme mazzo di rose al petto usandolo come barriera tra me e lui – Il suo è stato davvero un gesto carino far visita alla mia povera madre e portarle questi splendidi fiori… – la voce mi morì in gola quando mi resi conto di non sapere più che fare per sfuggire a quell’assurda situazione.
Mr Cullen sorspirò bruscamente e con un gesto deciso si fece vicino afferrandomi la mano.
I miei occhi che fino a quel momento avevano vagato freneticamente per la stanza alla disperata ricerca di un appiglio si puntarono nei suoi, fuoco imprigionato nella giada, e lo guardai come il cerbiatto davanti al lupo prima che questo gli salti alla giugulare.
Poi lui si inginocchiò ai miei piedi.
No, no, no! Stava andando tutto storto per la miseria!
Non volevo che succedesse ciò.
No!
– Signorina Swan, nutro per voi forti sentimenti che per troppo tempo ho dovuto assopire nel profondo di me, ma oramai non posso più negarli né a me stesso né a lei. Miss Swan io la amo profondamente e le chiedo di diventare mia moglie. – concluse estraendo dal taschino un anello bellissimo, in oro bianco, ma anzicchè avere il classico solitario questo aveva una placca dalla forma ovale tempestata di diamanti.
Senza darmi il tempo per rispondere mi prese la mano e fece per mettermi l’anello.
Allarmata, ritirassi in fretta la mano e lui alzò il volto verso di me, il sorriso di vittoria che lo aveva illuminato alla fine della sua arringa era totalmente scomparso lasciando il posto alla preoccupazione.
– Mi rincresce signor Cullen, ma mi trovo costretta a declinare la sua offerta. I suoi sentimenti, anche se sinceri, non sono ricambiati. Mi scuso se le ho dato l’impressione di essere interessata a lei. – dissi tutto d’un fiato.
Rimase in silenzi, gli occhi pieni di sorpresa e delusione, ma fu solo un attimo.
Si alzò in piedi, la mascella contratta dalla rabbia, gli occhi freddi come il ghiacci ma al tempo stesso fiammeggianti d’ira.
– Perciò mi state rifiutando? Non volete diventare mia moglie? –
– Esattamente, sono mortificata di averle fatto nutrire false speranze. –
Chiuse gli occhi come ad incassare il colpo.
Quando gli riaprì sembravano aver ripreso la calma ma bruciavano ancora di orgoglio ferito che lui provava a celarmi. 

– Miss Swan … Isabella, potrei darle tutto ciò che vuole quando lo vuole, ma questo solo se acconsente a sposarmi. Non rifiutatemi, io saprò renderla felice, non le farò mancare niente. Avremo soldi, una grande casa, più di una se lei desidera, entrerà in società, farà parte del mi mondo. Avremo figli, potrà vedere sua madre e suo fratello, e i saprò essere un bravo marito. Sono certo di poter esser l’unico a poterla rendere felice, in confronto a me Mr Davis o Mr Newton non sono niente! –
Come faceva a sapere delle fastidiose e poco gradite attenzioni del signor Newton?
– Lo so bene come quell’uomo la guarda mentre lei lavora al suo telaio,e devo dire che più di una volta mi sono trovato a bruciare dalla rabbia alla vista degli sguardi lascivi che le rivolgeva. –
La sua laconica risposta alla mia domanda inespressa mi turbò profondamente ma decisi di ignorarlo e tornare su un altro discorso.
– So cosa mi aspetta se acconsento a sposarla, vivrei nell’agio e assicurerei ai miei futuri figli una vita dignitosa, ma non è ciò che io desidero. –
Mi si stringeva lo stomaco a dover parlare di queste cose, mentre nella mia mente in subbuglio si susseguivano le parole che mia madre mi aveva rivolto la sera prima.
– Che cosa desidera allora? – aveva l’espressione di chi era disposto a tutto per ottenere ciò che desiderava.
Presi un gran respiro prima di guardarlo fermamente negli occhi – Amore. –
Edward sgranò gli occhi sorpreso dalla mia risposta, poi sospirò passandosi la mano tra i capelli in quel gesto nervoso che ripeteva continuamente.
– Isabella, io la amo, cosa devo fare per farvelo capire? Sono disposto a mettere il mondo ai suoi piedi se solo lo desidera. Ne ho già parlato con sua madre, lei è d’accordo con la nostra unione. –
– Cosa? … Mia madre … sapeva? Lei è d’accordo? Senza consultarmi?! È impossibile! No! –
– Le dico di si, Miss Swan, sia sua madre che suo fratello sono più che felici che lei diventi la mia sposa. –
Mi sentivo tradita, pugnalata alle spalle dalle persone che più amavo.
Come avevano potuto loro, la mia famiglia, coloro per cui avrei dato la vita, che gli amavo sopra ogni casa, avermi concessa, quasi
venduta direi, ad un uomo per il quale non nutrivo il minimo rispetto, odioso e altezzoso senza curarsi minimamente dei miei sentimenti?
Mi accasciai sulla prima sedia che trovai prendendomi la testa tra le mani e piangendo in silenzio.
Lui fece per venirmi in contro e consolarmi, ma io alzai una mano per tenerlo lontano.
– Se ne vada! Esca immediatamente da casa mia signor Cullen! Non voglio più rivederla! – urlai, ma lui rimase lì, impietrito e con gli occhi sgranati.
Poi, oltre ogni mia immaginazione, lui scoppiò a ridere, lasciandomi spiazzata.
– Ho sentito dire più volte che le signorine hanno il vezzo di respingere le profferte dell’uomo che si propongono segretamente di accettare per farsi corteggiare di più. Perciò le assicurò, Miss Swan, che non mi scoraggio per il suo primo rifiuto, anzi, ora più che mai desidero ben presto condurla all’altare. – concluse con un sorriso sornione e pieno di se. Furiosa mi alzai per andargli incontro e quando mi ritrovai faccia a faccia con lui lo schiaffeggiai così da levargli quel sorriso odioso dalle labbra.
Lui barcollò all’indietro, stupito, toccandosi la guancia lesa e arrossata con la mano.
– Signor Cullen, la informo che non mi diletto a giocare con i sentimenti altrui, ne sono incline ad alimentare la mia vanità solo per sentirmi corteggiata. Perciò la invito nuovamente a lasciare la mia casa e di non farsi più rivedere. – dissi pacata.
Avevo distrutto la sua ennesima speranza di avermi in moglie.
Ora tutto quello che potevo leggere nel suo sguardo era ira, una rabbia implacabile che solo una volta gli avevo visto, mi fece paura.
Mi venne incontro e mi inchiodò con un sguardo raggelante.
– Lei diventerà mia , Miss Swan, ma più continua a rifiutarmi più io distruggerò lei e la sua famiglia. Non avrà scampo Isabella. – disse con un sorriso cattivo.
Sapevo che le sue erano parole dettate dall’ira, che quelle cose non le pensava veramente, ma tutta quella rabbia nei suoi occhi mi terrorizzò.
Davanti alla mia paura il suo sguardo si addolcì, non era sua intenzione spaventarmi.
Mi sorrise dolcemente e inaspettatamente, facendo un altro passo verso di me, mi strinse a se e poi mi baciò.
Fu un bacio lieve e dolce che durò pochi istanti.

Il mio primo bacio.
Scostò il volto per guardarmi negli occhi e sorridermi.
– Un giorno sarai mia, Isabella. – era una promessa.
Sciolse l’abbraccio e senza aggiungere altro se ne andò sbattendo la porta.
– Figlia ingrata! – esclamò mia madre irrompendo nella stanza in lacrime – Come hai potuto fare questo alla tua famiglia?! – urlò accasciandosi a terra.
– Mamma io … –
– Bella. – Emmett venne verso di me prendendomi per le spalle e scuotendomi con malagrazia, non lo avevo mai visto così serio – Cosa hai detto al signor Cullen? – mi chiese, ancora, ma io non riuscivo a rispondere, ancora basita dal bacio che mi aveva rubato.
– Bella, mi senti? – mi scosse mio fratello per farmi tornare alla realtà.
– L’ho rifiutato, gli ho detto che non volevo sposarlo. – risposi. – Bella lui è la tua unica possibilità. Il signor Cullen è un uomo ricco, ti darebbe tante possibilità e poi ti ama! Che cosa puoi chiedere di più? –
– Io non lo amo. – sussurrai.
– Chi se ne importa se lo ami o no! Quell’uomo se vuole può avere la luna! Ora tu vai da lui e dici di aver cambiato idea. – sbraitò isterica mia madre per poi essere scossa da forti conati.
– Ti prego mamma, io non voglio … –
– Non importa! Volente o nolente tu lo sposerai! E ora corri a fermarlo. – mi ordinò, e seppi che non avevo altra scelta.
Senza dire una parola e piangendo tutte le mie lacrime corsi in strada e vidi la macchina del signor Cullen svoltare l’angolo.
Cominciai a correre verso la mia condanna, urlando contro l’automobile che quando mi notò accostò a lato della strada e ne scese Mr Cullen, il mi futuro
carceriere.
Gli corsi incontro fino a trovarmi di fronte a lui.
Mi guardò con uno sguardo di ghiacci, freddo e distaccato, forse l’avevo davvero ferito rifiutandolo.
– Io … – boccheggiai qualche istante non trovando le parole – … mi scusi, ero confusa e disorientata dalla sua proposta, ma non era mia intenzione rifiutarla né ferirla … – dissi tenendo sempre lo sguardo basso e trattenendo le lacrime che lottavano per sgorgare dai miei occhi che non osavano incontrare i suoi – … Perciò accetto la sua proposta. –
Alzai il volto per guardarlo e lo trovai lì, bellissimo come sempre, lo sguardo attento che tentava di capire e le sopraciglia aggrottate per la confusine.
Poi sorrise, rilassandosi, ma nel suo sguardo c’era una luce malinconica.
– Signorina Isabella, per quanto io la ami e la desideri non posso accettare di averla così. –
– C- cosa? No, io … –
– No, Isabella, io non voglio legarmi a lei senza che entrambi proviamo i medesimi sentimenti. Ora sono io a rifiutarla Miss Swan, ma non intendo rinunciare a lei. Non mi sono comportato com
e un gentiluomo, non l’ho trattata con la dovuta gentilezza che lei merita, non l’ho nemmeno corteggiata come si deve. Come posso pretendere che lei si sia innamorata di me? Mi sono sopravvalutato, ho dato per scontato che lei mi apprezzasse e mi amasse, e questo è stato il mio più grande errore. Ora io la lascio andare, ma un giorno sarà mia moglie e per all’ora mi amerà e sono sicuro che il nostro sarà un matrimonio felice finché lei proverà per me anche solo la metà di tutto l’amore che io nutro per lei. –
– No, io … io la amo … e io voglio diventare sua moglie … davvero … – dissi con un tono talmente lamentoso che le mie stesse parole sembravano finte persino al mio orecchio.
Lui rise di un riso amaro – Isabella, la prego, non mi guardi così, mi fa sentire il suo carceriere e io non voglio rappresentare questo per lei. –
Ero confusa
– Allora cosa vuole essere? –
– Il suo migliore amico, il suo confidente, il suo amante, la lista è lunga. Per lei vorrei essere tutto tranne che il su nemico, no, questo non lo sopporterei … ma è evidente che al momento rappresento questo. – disse con infinita tristezza, lo sguardo ferito.
– Non è vero signor Cullen, lei non rappresenta un nemico, lei si sbaglia! –
– Mi permetta di dirle che lei è una pessima bugiarda. – rise e io lo fulminai con lo sguardo.
Mi sorrise con tenerezza poi si avvicinò e mi accarezzò il volto con estrema delicatezza, come se fossi fatta di cristallo e le sue mani fossero delle piume che mi sfioravano appena la pelle diventata ormai rossa.
– Ora devo andare, ma ci rincontreremo presto, Miss Swan. – disse con quello sguardo carico di … amore? Ma era possibile?
Si avvicinò ancora di più e quando pensavo che mi avrebbe di nuovo baciato sulle labbra lui posò semplicemente le sue sulla mia fronte.
Si scostò quasi subito, sorridendomi sghembo per poi allontanarsi ed entrare di nuovo in macchina che nel giro di poco tempo era già ripartita per le strade di Chicago, lasciandomi lì intontita e disorientata dall’assurdo comportamento di quell’uomo affascinante ed odioso.
Presi un profondo respiro.
Non si voleva proprio arrendere quel testardo.    

Buonasera bella gente! Lo so lo so, mi sono fatta attendere ma vi giuro che in queste due settimane sono state pienissima di impegni! spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto! Finalmente Edward si è deciso a dichiararsi apertamente... anche se non gli è andata tanto bene u.u' 
Ho un piccolo sondaggio da farvi! ho voglia di scrivere una nuova ff (una cosetta corta di pochi capitoli) ma sono indecisa tra 3 trame... mi aiutate a decidere?

1- Edward è un ragazzo dai poteri singolari che lo hanno portato ad estraniarsi dal mondo, ma quando il progetto governativo che lo ha sotto tutela decide di integrarlo nella società inserendolo in una casa assieme ad altri ragazzi "dotati" lui incontrerà Bella, una semplice liceale che presto capirà che è meglio non scherzare con il paranormale.  

2- Bella è una semplice (e un po' acida) ragazza americana e fin dall'infanzia scopre di essere sosia di un'aristocratica inglese e negli eventi ufficiali deve fare da contro figura alla giovane Lady spacciandosi per lei, ma quando la nobildonna scappa con un cantante lasciandosi alle spalle un matrimonio combinato e una famiglia esigente, lei si dovrà fingere una giovane aristocratica fino al suo ritrovamento.

3 - Siamo all'inizio di Twilight, quando Edward vede per la prima volta Bella e a stento reprime l'impulso di ucciderla scappando dal clan di Denali. Ma se lungo la strada verso l'Alaska avesse incontrato una vecchietta in grado di predire il futuro e gli avesse rivelato che la giovane dalla mente muta sarà la sua anima gemella, la sua sposa e la madre di sua figlia? Bella rappresenta per Edward tutto ciò che ha desiderato nella sua esistenza dannata: una famiglia sua e tanto amore. L'incontrollato desiderio di Edward di realizza questo suo profondo desiderio lo porteranno a bruciare le tappe del rapporto con una Bella totalmente inconsapevole di tutto, stravolgendo così l'intera storia. 

Vi prego di aiutarmi a scegliere!!!
Bacioni
S.       

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