Dark Shines

di Arial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bring me to life ***
Capitolo 2: *** Through the glass ***
Capitolo 3: *** Poison ***
Capitolo 4: *** Falling inside the black ***
Capitolo 5: *** Angels are watching over you ***
Capitolo 6: *** Comfortably numb ***
Capitolo 7: *** Sympathy for the Devil ***
Capitolo 8: *** Stairway to Heaven ***
Capitolo 9: *** Dark Shines ***



Capitolo 1
*** Bring me to life ***


deanmela






“Just waiting to clothe you in crimson roses
I will be the one that’s gonna find you
I will be the one that’s gonna guide you
.
(Whispers in the dark, Skillet)
 
 
 
Avverto il calore del sole sulla pelle, i suoi raggi mi solleticano le palpebre ancora chiuse. Le serro con forza, intimandomi di non sollevarle: sono di nuovo qui. Lo intuisco dallo scroscio dell’acqua della fontana, che cancella qualsiasi altro suono; dal modo in cui a ogni respiro l’aria mi serra la gola e minaccia di rinchiudermi nel suo abbraccio claustrofobico.
Ma sono mai andato via? Ho una vita al di fuori di questo posto?
Non lo so.
È come se i miei ricordi fossero bloccati, inaccessibili. Una fitta nebbia li offusca e li adombra, confonde i miei pensieri e mi impedisce di concentrarmi.
Ci sono questo giardino, la sensazione di soffocare e Lui. Dopotutto, che razza di prigione sarebbe, senza un carceriere?
“Non sei imprigionato, potresti uscire in qualsiasi momento.”
La voce cristallina, una leggera sfumatura di disapprovazione a colorire le sue parole. È come se lo sentissi per la prima volta, ma non è così. So cosa dirà, i suoi inganni, le sue lusinghe e… la sua offerta. Non conosco il suo nome né ricordo il mio; non so neppure perché continuo a rifiutare la sua richiesta. Qualcosa mi dice che è sbagliata, che anche lui lo è. Sospiro, non so più cosa pensare. Sto perdendo la testa.
“Apri gli occhi, Dean. Hai dormito abbastanza” riprende, suadente.
Vorrei urlargli che no, non ho dormito abbastanza e che decido io quando riaprire i miei fottutissimi occhi, ma sarebbe uno spreco di tempo: l’immagine di lui che si china su di me, che traccia le linee del mio viso, che mi sfiora e mi costringe a guardarlo è troppo vivida; se non ubbidisco immediatamente, mi obbligherà a farlo. È già accaduto.
Faccio come dice.
“Questo è il mio ragazzo” sussurra, un sorriso sulle labbra.
Sollevo lo sguardo su di lui, chiedendomi distrattamente perché questa frase abbia catturato la mia attenzione o perché il modo in cui l’ha pronunciata mi abbia dato i brividi.
“Non sono tuo” mormoro, improvvisamente arrabbiato.
Chino il capo, per sfuggire alla luce accecante e alla calma sicurezza che leggo sul suo volto.
Mi carezza una guancia; le dita, gelide, seguono la linea della mandibola, per poi fermarsi sul mento. Lì la sua morsa si fa ferrea, possessiva. Mi spinge la testa verso l’alto, bloccandomi fra la fontana e il suo corpo.
“No, non ancora” mi concede. Il suo ghigno si allarga, adesso ha un che di famelico. Si inumidisce le labbra con la lingua e mi convinco che voglia davvero mangiarmi. Una versione folle, maniacale e cannibale del lupo cattivo…
“A dire il vero, preferisco altre fiabe, Dean” dice, ridendo.
È un suono morbido, limpido… sensuale. Mi domando se trovare sensuale la risata del proprio aguzzino sia uno dei primi segni della sindrome di Stoccolma.
“Davvero? Hansel e Gretel? Pinocchio? Aspetta, Cenerentola era uno schianto…” ribatto.
“Io pensavo a Biancaneve.”
Questa volta tocca a me ridere. “La pollastrella morta? Amico, tu sei malato.”
“Può darsi” riprende, pensieroso. “Ma, come lei, amo le mele.”
Congiunge le mani e nel loro incavo compare, dal nulla, un piccolo pomo. Rosso, lucido, perfetto. Me lo offre.
“Andiamo, sappiamo entrambi che fine ha fatto Biancaneve” rifiuto.
“Io non sono la strega cattiva. Coraggio, Dean, un morso, uno soltanto, e sarai libero.”
Solleva la mano, portandomi la mela alle labbra. Ne sento anche l’odore adesso: intenso, ricco, penetrante. Poggio la bocca contro il frutto, immaginandone il sapore. La lingua che corre lungo la buccia; i denti che ne strappano un minuscolo frammento, questo che si scioglie, pastoso, sul palato…
Scuoto la testa.
“Non essere sciocco, vuoi restare qui?” domanda, con dolcezza.
No, non voglio, ma non sono stupido: se l’addento, non potrò mai lasciare questo posto.
Ricordo la storia di Proserpina: sei semi di melograno la condannarono per sempre. Non farò lo stesso errore.
“Questo non è l’Inferno, Dean” comincia, tranquillo. “Ma avevi ragione, è una prigione. La mia.”
 Riesco ad avvertire l’impazienza e la rabbia appena sotto la superficie, vengono fuori nonostante i suoi sforzi. Non si può nascondere la propria natura troppo a lungo, immagino.
Spalanca le braccia, cingendo con lo sguardo l’ambiente circostante. La cifra dominante è il bianco, un intenso, abbacinante bianco. È un giardino, ma non c’è alcun segno di vita: né il canto degli uccelli né il frinire degli insetti, neppure piante e fiori. Tutto è immobile e fisso, alienante ed ostile: una prigione tanto per il corpo che per lo spirito.
Deglutisco. “Da quanto tempo sei rinchiuso?”
“Oh, non ne hai idea.” Sorride nuovamente, le mani fra i miei capelli. “La vostra specie era ancora così giovane, ma il tuo destino era già scritto, Dean, anche allora. Tu sei la chiave che mi lascerà uscire, il corpo che mi renderà la libertà… È la tua unica possibilità, altrimenti resterai qui, per sempre.”
Chiudo gli occhi, rifugiandomi nel suo tocco, stranamente confortante; cullandomi nell’idea che una via d’uscita, per quanto sgradevole, ci sia. Ovviamente non accetterò, ma quel che conta è sapere di avere una scelta.
Sbuffa, poi ricomincia, leggermente esasperato. “Secondo me non ti rendi ancora conto di quello che ti sto offrendo.” Lascia cadere la mela sul mio grembo e si rimette in piedi.
L’osservo qualche istante, soppesandola. È soltanto una mela, ma allo stesso tempo molto di più. È un simbolo, ma di cosa? Conoscenza, disobbedienza, peccato?
“Potere.”
“Potere? Quello di tirar fuori un coniglio dal cilindro o di trasformare l’acqua in vino? Sii più specifico.”
Scuote la testa. “Sai, Dean, mi piaci molto più di Eva.”
Si interrompe, aspettando che reagisca alla sua rivelazione. Scrollo le spalle, che vuole che dica? Pensava non l’avessi ancora capito? Non sono molti quelli che ti offrono mele magiche in giardini incantati…
“Mele magiche, eh? La mia versione della storia era più impressionante. Vuoi che ripeta le parole di allora? Sarai simile a Dio, Dean.”
“Già, il pensiero avrà consolato Eva dopo la cacciata dal Paradiso…”
“Fuori ha trovato qualcosa che lì non aveva.”
“Davvero, e cosa? La fatica, la disperazione, la morte?”
“La libertà di decidere per sé stessa, a dispetto delle conseguenze. La libertà che Dio nega a tutte le sue creature.”
“Non è Dio a tenermi qui, sbaglio?” ribatto, ma è tutta scena.
Il cuore mi martella contro le costole, la mela improvvisamente più pesante.
Vi stringo intorno le dita, sembra bruciare nel mio palmo. È l’unica cosa che vedo, l’unica che desideri. L’avvicino alla bocca, le labbra si schiudono intorno ad essa…
Una scarica di dolore si irradia dalla spalla sinistra al resto del corpo. Lascio cadere il frutto, mentre una voce imperiosa si insinua nella mia testa.
“Fermo, Dean. Non cedere ora, sai che è sbagliato.”
Vengo ricoperto da una cappa di oscurità e silenzio.
Sono solo.
Che Diavolo è successo?
Batto più volte le ciglia, sperando di cominciare a distinguere qualcosa, e sono di nuovo contro la fontana. Riabituatomi alla luce, metto a fuoco Lucifer.
Il suo viso, deformato dalla rabbia, è a pochi centimetri dal mio.
“Bel trucchetto il tuo angelo” sibila. “Assicuriamoci che la cosa non si ripeta.”
Mi afferra per la gola, sollevandomi da terra. L’altra mano si posa sul mio petto, insinuandosi sotto i vestiti. Resta lì, un caldo peso contro il cuore.
“Non sono il tipo che si concede al primo appuntamento, mi dispiace” rantolo, tentando di scacciarla via.
“Non ti facevo così timido” mormora, la sua rabbia svanita. “Comunque, rilassati: si tratta solo di affari.”
La sua presa si fa più decisa; artiglia maglia e camicia, lacerandole e scoprendomi il braccio.
Che cazzo è quella?
Una profonda cicatrice, rossa e rialzata, spicca sulla mia spalla. È l’impronta di una mano. Peggio, è l’impronta di una fottutissima mano, impressa a fuoco nella mia carne.
Lucifer vi poggia il suo palmo, le dita combaciano alla perfezione.
“Figlio di puttana, sei stato tu!”
Sorride. “No, io non avrei mai rovinato la mercanzia… Scusa, questo farà un po’ male, Dean.”
Le unghie penetrano la pelle con facilità. Il suo tocco si fa incandescente. Onde di fuoco liquido mi risalgono lungo il braccio, diffondendosi presto al torso, alle gambe, alla testa.
L’aria si riempie delle mie grida, mentre lotto per restare cosciente. Le mie ginocchia cedono e lui mi ancora al suo corpo, impedendomi di cadere.
“Ssshh…” sussurra, la bocca contro il mio orecchio. “Va tutto bene, è finita. Tranquillo.”
Mi rimette seduto, riservandomi uno sguardo che, se non sapessi chi ho davanti, avrei definito di sincero pentimento.
Lottando contro la nausea che minaccia di sopraffarmi, l’attiro a me. “Vaffanculo” bisbiglio, imitando il suo gesto.
“Sfogati pure su di me, ma i tuoi amici hanno giocato sporco. Io ho solo riequilibrato le cose” dice, descrivendo ampi cerchi sulla mia pelle, nuovamente liscia. La cicatrice è scomparsa, come se non fosse mai esistita. Era quella che ha permesso all’angelo di parlarmi? Cancellarla ha reciso il nostro legame? Sono completamente solo, ora?
“Perché, incasinarmi i ricordi e rinchiudermi qui dentro è giocare pulito?” ribatto, stancamente.
“Non sei stato lobotomizzato e sai benissimo chi sono e cosa voglio; inoltre le regole non le detto io: in questo momento siamo entrambi delle pedine, Dean” afferma, con convinzione.
“Già, sei davvero un povero Diavolo tu” replico, caustico.
Mi rimetto in piedi.
Ho la gola completamente riarsa, non so se attribuirlo alla mossa da wrestler di poco fa o al tentativo di bruciarmi vivo. Probabilmente entrambi.
“Io non berrei da quella fonte, Dean.”
“Bene, non farlo” dico, chinandomi sull’acqua.
La superficie è increspata, ma il mio riflesso è facilmente distinguibile.
“Scommetto che lo trovi divertente…” comincio, senza voltarmi.
Non posso guardarlo in faccia, l’idea stessa mi dà il voltastomaco: quei grandi occhi verdi, incorniciati da folte ciglia scure; le labbra piene, distese in un odioso sorrisetto; i tratti virili, ma perfetti…
“Certo che non sei molto modesto, Dean,” mi canzona. “Comunque, devo ammetterlo, quest’aspetto è un gran bel bonus. Non vedo l’ora di farmi un giro nell’originale” conclude, allusivo.
“Fottiti. Marcirò qui con te, piuttosto che lasciarti uscire.”
Scoppia in una sonora risata. È così spontanea, incontrollabile, divertita…
“Che cazzo hai da ridere?” chiedo, furente.
Si avvicina, asciugandosi gli occhi. Istintivamente cerco di indietreggiare, ma la fontana me lo impedisce. Lucifer mi avvolge le braccia intorno al collo, poggiando la fronte contro la mia. È così vicino che le sue ciglia mi carezzano le guance; quando parla, le sue labbra sfiorano le mie.
“Onestamente, Dean? Sei tu. Proprio non capisci, vero? Ho aspettato millenni per averti, cosa credi che siano un anno, due o anche dieci in più? Prima o poi cederai, puoi starne certo, e allora sarai mio…”
Chiudo gli occhi, cercando di scacciare via l’alone di profezia che aleggia nelle sue parole.
Non mi darò per vinto. Mai.

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Capitolo 2
*** Through the glass ***


“From the depths of my soul
You are calling me
.
(Singing over me, Building 429)
 
 

 
“Ehi, Dean, sei sveglio?”
Spalanco gli occhi, momentaneamente disorientato.
È buio. Un odore stantio permea l’aria.
Dove sono?
Ho le labbra bagnate, vi passo sopra la lingua e avverto un sapore salato, leggermente ferroso. È sangue.
Provo a mettermi seduto, ma qualcosa mi blocca le gambe.
Che cazzo succede?
“Dean, tutto bene?”
Sam?
Un leggero clic e la stanza si illumina: è il nostro motel. Sono sveglio.
Mi sollevo, liberandomi dal groviglio di lenzuola che mi intrappolava.
Sam mi osserva, preoccupato.
“Tutto bene?” ripete.
“Alla grande” ribatto, in automatico.
Peccato per la voce tremante e il sangue sulle labbra: Sam non lascerà correre.
“Certo, e quello come lo spieghi?” chiede, indicando il casino sulla mia faccia.
Come volevasi dimostrare.
“Sogni agitati?” offro, con un sorriso.
Solleva maggiormente le sopracciglia, sono paurosamente vicine all’attaccatura dei capelli, adesso.
Anche il suo tono si è alzato di un paio di ottave. Rischia una crisi isterica.
“E cosa sognavi?”
“Ero in un giardino e un tipo bellissimo continuava a offrirmi da mangiare. Un incubo” dico, ripulendomi.
Sam sbuffa, ma per ora non aggiunge altro. Meglio non sfidare la sorte, comunque.
Scatto in piedi, deciso a troncare sul nascere qualsiasi discussione. Il bagno mi sembra la soluzione ideale, peccato che il mio corpo non sia così collaborativo: la testa mi pulsa con ferocia, il repentino cambio d’altezza mi ha dato le vertigini e le mie gambe hanno la consistenza della gelatina.
Mi rimetto seduto, evitando accuratamente lo sguardo di mio fratello.
Come se fosse mai servito in passato: più mi chiudo, più Sam cerca di entrare; più mi sforzo di tener su una facciata di normalità, più si insospettisce. Insiste e pressa finché le mie barriere non crollano, finché non ha ottenuto la sua preziosissima confessione. Questa volta non andrà come pensa, però: non gli dirò nulla, non posso.
“Dean…” incomincia.
“Cosa?” scatto, più stanco che minaccioso.
Scuoto la testa. Ti prego Sam, sta’ zitto.
Si sposta al mio fianco. Le sue ginocchia sfiorano le mie.
Non mi toccare.
“Dean, ascolta…”
Mi poggia una mano sulla gamba, cercando di rassicurarmi.
“Non mi toccare” sibilo, ritraendomi: Sam ne ha avute abbastanza per tutta la vita di schifezze demoniache.
“Va bene” mormora, ferito. Si schiarisce la voce, poi riprende. “Qualsiasi cosa ti stia succedendo, puoi parlarmene, Dean. Non possiamo andare avanti così, ho bisogno di sapere come aiutarti…”
“Tranquillo, Sam, non sto bevendo sangue di demone” taglio corto.
“Cosa?” chiede, incredulo.
“Sai, il sangue di cui andavi a caccia con la tua sgualdrinella; quello con cui ti sei dopato per uccidere Lilith, liberando Lucifer… Quel sangue, fratellino. Non sono neppure in grado di esorcizzare demoni con la mente, i miei segreti sono decisamente meno interessanti dei tuoi…”
Sam spalanca la bocca, poi la richiude. Gli tremano le mani, i suoi occhi sono spaventosamente lucidi.
“Come preferisci” sussurra, rialzandosi.
In pochi minuti si veste e lascia la stanza, senza mai avermi rivolto la parola o aver incrociato il mio sguardo.
Al suono della porta che sbatte, mi concedo di rilassarmi. Non volevo andare tanto oltre, ma ho ottenuto quello che volevo: sono solo.
Sento le labbra incurvarsi per l’ironia della cosa: ho lottato tutta la vita per averlo al mio fianco e ora… So che Sam tornerà, non mi abbandonerebbe mai. Non adesso, comunque. Dovrei lasciarlo io? Se gli dicessi la verità se ne andrebbe? No, certo che no.
Merda, non so cosa fare. Mi sento sfinito, e non solo nel fisico: la nebbia del sogno fatica a dissiparsi, il mondo mi sembra sempre meno reale. Quanto ancora posso andare avanti così? Be’, a giudicare dall’ultima volta, non molto. Un brivido mi corre lungo la schiena al pensiero di quanto sia stato vicino a cedere. Non fosse stato per Castiel… Non potrò più contare sul suo aiuto, però: non ho bisogno di sollevare la maglia per scoprire che la sua cicatrice è scomparsa e, con essa, il legame che ci univa. Sorrido nuovamente. Questa è in assoluto l’idea meno virile che abbia mai partorito,  persino Sam ne sarebbe imbarazzato.
Mi poggio contro la testata del letto e comincio a fissare il muro. Un’altra prova di quanto sia prossimo a fottermi il cervello. Distolgo lo sguardo solo quando la carta da parati mi dà la nausea e il bisogno di pisciare diventa insopprimibile.
Oltrepasso lo specchio a capo chino, chiedendomi distrattamente di che colore siano gli occhi di Lucifer: bianchi come la sua prigione o rossi come le sue mele?
Strofino velocemente le mani e sono pronto ad uscire, qualcosa però mi dice di controllare il mio riflesso. È stupido, lo so, ma devo essere sicuro di… Sospiro, sicuro di cosa? Di essere ancora io? Che non mi siano spuntate corna e coda?
Sollevo gli occhi e li punto in quelli del mio doppio: tutto normale.
Libero l’aria che avevo inconsciamente trattenuto e mi appoggio pesantemente al lavandino. Che idiota, cosa mi aspettavo di vedere?
“Sei un coglione” mi dico, cominciando a ridere.
In quel momento i miei occhi cambiano colore. È soltanto un attimo, un veloce lampo di rosso che in qualsiasi altra occasione avrei creduto di immaginare. Allo shock che so essersi dipinto sul mio viso, il Dean dello specchio risponde con un sorriso consapevole. È troppo.
Fletto il braccio all’indietro, chiudo le dita a pugno e colpisco il vetro con tutta la mia forza.
Va in mille pezzi, portando via con sé quel ghigno detestabile. Vaffanculo!
Prima che possa gioire della mia piccola vittoria, una fitta di dolore si irradia dalle dita già intorpidite alla mano, risalendo lungo il braccio fino ad arrivare alla spalla.
Le ginocchia mi cedono, ma la mano incastrata mi impedisce di cadere. È intrappolata fino al polso nell’anta del mobiletto; quando provo a liberarla, schegge di vetro e frammenti di legno penetrano più profondamente nella pelle. Non posso restare così, conto fino a tre e poi do un violento strattone.
Mi ritrovo a terra.
Resto immobile qualche secondo, cercando di riprendere fiato. Non riesco a muovere le dita, devo aver reciso tendini e terminazioni nervose; il sangue zampilla rosso e brillante, di sicuro ho reciso un’arteria. C’è già troppo sangue, devo assolutamente comprimere la ferita. Afferro un asciugamano e lo stringo intorno alla mano, si inzuppa immediatamente. Ho bisogno di aiuto, devo chiamare Sam.
Cerco di rimettermi in piedi, ma le gambe non mi sostengono.
Ho la nausea. Respiro affannosamente, il cuore batte troppo in fretta: sto per perdere conoscenza.
Che cazzo ho fatto? A Sam verrà un infarto quando vedrà questo casino. E se dovesse pensare che è colpa del nostro litigio, se si ritenesse colpevole?
No, Chuck lo avviserà. Magari lo scriverà pure nei suoi libri: Dean Winchester, angeli e demoni lo volevano morto, ma lui è riuscito a uccidersi tutto da solo…
Mi si chiudono gli occhi, scivolo in avanti e aspetto di incontrare il pavimento. Quando non succede, mi sforzo di riaprirli, ma senza successo.
Delle braccia si stringono intorno a me, tenendomi la testa sollevata.
Che diavolo succede?
“Dean, stai bene?”
Chi cazzo è ‘sto deficiente? Ti sembra che stia bene, idiota?
“Ehi, Dean, guardami!”
Il suo tono è imperioso, ma è come se sotto vi si nascondesse dell’altro: esasperazione, preoccupazione?
Sam?
Tempismo perfetto, fratellino.
Affondo il viso nell’incavo del suo braccio e smetto di lottare per restare sveglio: sono al sicuro ora.
Presto sarò in un letto, imbottito di morfina. Certo, l’idea dell’ospedale non è così allettante, ma meglio dell’alternativa…
Mi artiglia la mano, lacerando ulteriormente la carne già martoriata. Un calore improvviso avvolge l’arto. Sto bruciando. Merda, questo non è Sam.
Ecco la prova decisiva che Dio ce l’ha con me: non stavo morendo abbastanza dolorosamente?
Provo a ritrarmi, ma la presa dell’altro si rafforza.
“Lasciami andare, figlio di puttana!” grido, scacciandolo via.
Riesco a parlare, sono in piedi e… ancora vivo: forse Dio non mi odia poi tanto. Di certo sto simpatico a uno dei suoi angeli.
“Prego” mormora Castiel, leggermente annoiato.
“Dai, Cas, stavolta almeno non ti ho pugnalato” dico, massaggiandomi il polso: sono del tutto guarito.
Scuote la testa. “Occuparsi di te è un lavoro a tempo pieno, Dean.”
“Dovresti chiedere un aumento al tuo sindacato” ribatto, sorridendo.
Si rimette in piedi e si avvicina ai frammenti dello specchio, poi mi guarda.
Distolgo lo sguardo.
Se gli dicessi che sono inciampato ci crederebbe?
“Non c’era nessuno nello specchio” dichiara.
“Cosa?” domando, allibito. “Certo che no, ti stai confondendo con la tv.”
“Sai a cosa mi riferisco, Dean. È tutto nella tua mente, Lui non può raggiungerti qui.”
Ovviamente, Castiel sa.
“Peccato che io torni da lui ogni volta.”
Esco dal bagno: qualsiasi conversazione voglia avere, non sarà qui dentro.
Mi siedo sul letto, continuando a dargli le spalle.
“Non è una tua decisione” prova.
Perché cazzo cerca di consolarmi? Non ha visto quello che ha fatto?
“Se tu non mi avessi fermato…”
Lascio cadere la frase, sappiamo entrambi come si conclude.
“Proprio non capisci, vero?” chiede dopo un po’.
Sollevo gli occhi su di lui, sta sorridendo.
Be’, questa non me l’aspettavo. Che abbia bevuto? Dopotutto è un angelo fuggitivo, magari ha cominciato a godersi la vita in vista dell’Apocalisse…
“Lucifer è la tentazione. Un terzo delle schiere angeliche è caduto per seguirlo e tu gli resisti ormai da mesi…”
“Dovrei festeggiare, Cas: uno stupido essere umano che riesce dove gli angeli di Dio hanno fallito. Incredibile, no?” concludo, sarcastico.
“Dovresti essere grato, Dean: tu sei speciale e questo non fa che dimostrarlo. Dovresti avere fede e, soprattutto, dovresti confidarti con Sam.”
“Confidarmi con lui? E cosa dovrei dirgli che neppure il Diavolo può resistermi?”
Castiel scompare e la porta del motel si spalanca. “Sam.”
I suoi occhi sono fissi nei miei, sul volto un’espressione sconvolta: ha sentito quello che ho detto? Ha capito tutto?
“Sam, io…”
Prima che possa spiegarmi, mi è già addosso. “Dean, che cazzo è successo?”
Mi porta le mani alla gola: perfetto, cercherà nuovamente di strangolarmi? Il suo tocco è delicato, professionale… pensa che sia ferito?! Merda, il sangue!
“Sto bene, lasciami andare.”
Niente.
“Sam, ti ho detto che sto bene. Lasciami!”
Ubbidisce, ma non si allontana troppo.
Sospiro, insicuro su come continuare. Non posso dirgli che è ketchup, no?
“Dobbiamo parlare” dico, tutto d’un fiato.
Sam annuisce e si siede al mio fianco.
“Ho colpito lo specchio del bagno. La cauzione per la stanza è persa” incomincio, dopo qualche minuto. “Ho perso molto sangue, è arrivato Castiel e mi ha guarito.”
“Perché l’hai fatto?”
“Le prime rughe mi hanno sconvolto. Sai, questo stile di vita è troppo…”
Sam mi interrompe, esasperato. “Dean.”
“Ok, ho creduto di vederci Lucifer. Soddisfatto?”
I suoi occhi si dilatano, si allontana leggermente: ha paura di me?
“Dean, hai ripreso a bere?” domanda, preoccupato. “Capisco che tutta questa storia del prescelto e degli angeli possa averti scombussolato, ma…”
Cosa? Pensa che abbia un crollo nervoso?
“Sam, mi dispiace, ma non ho bisogno di uno psichiatra. Un esorcista però non sarebbe una cattiva idea.” Continuo, prima che possa interrompermi ancora. “Da quella notte in Maryland ho avuto dei… sogni. Mi ritrovo in un giardino, c’è un essere col mio aspetto che vuole che morda una mela e…”
“Dean, di cosa stai parlando? Chi è quell’uomo?”
“È Lucifer, e ha bisogno di un corpo. Ti chiedevi perché non piovessero ancora rane, ecco la risposta.”
Scuote la testa, incredulo. “No, non è possibile. Tu devi fermarlo, non può…”
Si blocca, ha capito: quale corpo migliore del mio? Tolto di mezzo me, nessuno sarà in grado di fermarlo…
“Cosa dicono gli angeli? Castiel?”
Resto in silenzio, sappiamo entrambi che Castiel è il solo angelo appollaiato sulla mia spalla e che ha lasciato il Paradiso. Qualsiasi cosa abbiano in mente quei pennuti figli di puttana, non prevede l’aiutarci…
Sam si passa una mano fra i capelli, lo sguardo determinato. Sento un sorriso tendermi le labbra: il mio fratellino sta già pensando al modo in cui salvarmi.
“Ecco spiegati il sangue, le grida…”
Grido durante la notte? Sam pensava fossero ancora gli strascichi dell’Inferno?
“Mi dispiace” mormora, dopo un po’.
“Va tutto bene” ribatto, stupidamente. Se conosco mio fratello, questa è decisamente la risposta sbagliata.
E infatti. “No, Dean, non va bene” scoppia. “Lucifer vuole possederti, gli angeli sono andati a farsi fottere, tu hai le allucinazioni e il tuo corpo sta cedendo. Dimentico qualcosa? Ah sì, la colpa di tutto questo è solo mia.”
Che cazzo sta dicendo?
“Non è colpa tua, Sam.”
Incomincia a ridere, un suono isterico che mi dà i brividi.
“No? Come mi hai ricordato tu prima, sono stato io a liberare Lucifer, Dean.”
Mi si serra lo stomaco, prima di parlare sono costretto a schiarirmi la voce. “Non è colpa tua e non avrei mai dovuto dire quelle cose, sono un coglione. Ascoltami, Sam, volevo solo che mi lasciassi in pace e…”
“E hai pensato che se mi avessi ferito, me ne sarei andato? Lo so, Dean. Ti conosco. Questo non significa che tu non avessi ragione.”
Abbassa la testa. Mi inginocchio ai suoi piedi, costringendolo a guardarmi. “Sam, tu volevi fermare Lilith, non sapevi che lei fosse l’ultimo sigillo. Non avresti mai dovuto fidarti di un demone e probabilmente te lo rinfaccerò per tutta la vita; sei stato un idiota e a ogni occasione ti ricorderò anche questo, ma chiunque al tuo posto avrebbe fatto lo stesso e mi dispiace di aver detto quelle cose. Siamo a posto, ora?” chiedo, finalmente.
Sam solleva un angolo della bocca. “A posto.”
Sorrido a mia volta. “Ehi, Sammy, non starai per metterti a piangere? Guarda che non mi sono dichiarato…”
“Idiota” borbotta, spingendomi via.
Finisco col culo per terra e quello stronzo si mette a ridere. “Hai bisogno d’aiuto, principessa?”
“Approfitta del vantaggio, Samantha” minaccio, a denti scoperti.
Mi porge la mano, ma la rifiuto. “Ce la faccio…”
Presto mi rendo conto che non è così: il mio corpo è troppo pesante, non riesco a rialzarmi. È come muoversi sott’acqua.
“Si è rotto qualcosa laggiù?” ghigna Sam.
“Temo di sì” ribatto, a fatica. Mi sento la bocca impastata, la testa ovattata, come quando sei troppo sbronzo o troppo assonnato per parlare.
“Non riesco a stare sveglio” mormoro.
Sam mi è subito accanto, mi sposta sul letto.
“Non credo sia una buona idea, Sam. Vuole che dorma.”
Cerco di mantenere la testa sollevata e di non chiudere gli occhi, ma è difficile.
“Appunto, neppure un’endovena di caffè potrebbe aiutarti ora. Ti addormenterai, ma alle nostre condizioni. Torno subito, resta sveglio.”
Provo a fermarlo, ma si lancia fuori dalla porta.
Sono solo.
La paura, seppur attutita come tutto il resto, comincia a farsi strada dentro di me.
Non riesco a controllare il mio corpo, non era mai successo prima. E se questo fosse solo l’inizio? Se potesse arrivare a me anche senza il mio consenso? No, non funziona così.
Sam, ti prego, sbrigati.
“Ehi, Dean…”
La sua voce mi gela il sangue, non mi ero accorto fosse tornato.
Si china su di me, stringe qualcosa… un martello?
“Pensi che se finisco in coma non potrà raggiungermi?” domando, vagamente preoccupato.
“Il martello non è per la tua testa, Dean. Servirà ad appendere questo” dice, mostrandomi l’altra mano.
“Vuoi salvarmi con un acchiappasogni, Sam?”
Mio fratello fa una smorfia, non gli è sfuggito il mio scetticismo. “Gli indiani lo utilizzavano per allontanare i sogni dannosi e gli spiriti maligni che turbavano l’animo del possessore.”
“Zitto, Sam. Mi addormenterò prima altrimenti…” sussurro, affondando la testa nel cuscino.
“Idiota.”
“Mmh…”
Sento la mano di Sam sulla spalla. “Torna da me, Dean” bisbiglia.
Poi più nulla.

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Capitolo 3
*** Poison ***


“O muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo.”
(Batman, Il cavaliere oscuro)
 
 
 
Non riesco a sollevare le palpebre, sono troppo pesanti.
C’è un calore intollerabile, l’aria brucia contro la mia pelle. È così densa da soffocarmi.
Dove cazzo sono?
Sento qualcosa farsi strada dentro di me. È una presenza fisica, quasi.
So che non è possibile, ma è come se delle dita si fossero serrate intorno al mio cuore.
No, non il cuore. È qualcosa di più profondo, di più intimo. La mia anima?
La cosa mi parla, dice che sono una minaccia, che devo scomparire.
Perché non mi uccide allora?
“Non vuole ucciderti, ma trasformarti” dice qualcuno, poco distante.
La sua voce scatena una serie di immagini: un ragazzo che mi mostra qualcosa… un acchiappasogni? Un uomo che mi avvicina una mela alle labbra. Un avvertimento a non cedere.
Non riesco a metterle insieme, mi scoppia la testa.
“Qui sei un’aberrazione, un’anomalia” riprende. “Questa prigione non è per gli esseri umani, la tua anima stravolge tutti gli equilibri e il posto si difende come può.”
Le sue parole in qualche modo calmano il dolore. Ti prego, non smettere.
Si avvicina, è sopra di me.
“Io ti proteggevo da tutto questo, ma tuo fratello ora me lo impedisce” dice, sfiorandomi i capelli.
Ho un fratello? E perché si comporta così? Vuole che soffra?
Si china, siamo alla stessa altezza adesso.
Non metto ancora a fuoco il suo viso, sto troppo male per riuscirci.
“Sei molto malato. Non vuoi che ti aiuti, Dean?” sussurra.
“Torna da me, Dean.”
Sam? È questo il nome del ragazzo? È mio fratello?
Vomito.
Quando gli ultimi singulti si spengono, resto tremante a pochi centimetri da una polla maleodorante.
“Dean, non abbiamo molto tempo. Ho bisogno del tuo consenso” mi incoraggia l’uomo.
“Non lo so” rispondo, esitante. Queste poche parole mi costano uno sforzo enorme, eppure sono ancora restio a fidarmi di lui… Perché?
“Per stavolta sarà gratis, te lo prometto.”
Gratis? Che vuole dire?
Non ho il tempo di rifletterci su: le dita riprendono a stringere con più forza di prima e altri ricordi sfilano dinanzi ai miei occhi. Provo a serrarli, ma è inutile: quel fiume di luoghi, persone e cose non si placa. Ho di nuovo la nausea. Peggio, ottenuta una buona presa, le dita hanno cominciato a tirare. Sento che fra poco otterranno quello che vogliono: qualcosa si sta lacerando.
Grido.
Le mani dell’uomo si stringono intorno a me, sorreggendomi.
“Dean?” domanda, dolce.
“Sì! Sì, aiutami” gracchio, appena la voce me lo consente.
Mi afferra, i suoi palmi sono freschi contro la mia faccia accaldata. Vi affondo ancora di più il viso, godendo dell’inaspettata sensazione di benessere.
Chi diavolo è quest’uomo? Perché la sua sola presenza è sufficiente a farmi stare meglio?
Comincia a recitare una formula. Non credo sia nella nostra lingua. Le parole hanno un suono dolce e una cadenza troppo musicale, sembra quasi che stia cantando… o pregando.
Le dita scompaiono, veloci. Anche la nausea e l’arsura si affievoliscono.
“Stai bene?” chiede.
Annuisco.
“Allora apri gli occhi.”
Sollevo le palpebre e affondo in un immenso mare di verde.
Non sono occhi umani, nelle sue iridi risplende un’innaturale luce ambrata.
Il cuore mi martella nel petto, ho paura che stiano per cambiare colore. Rossi, stanno per diventare rossi.
Da dove viene questa certezza?
Il rosso che macchia il verde, uno specchio che va in pezzi… Scuoto la testa, tentando di restare concentrato.
“Stanno tornando, vero?”
So che parla dei miei ricordi. “Sì.”
“Finché ti assaliranno, non potrai essere completamente lucido e quello che ho fatto non durerà in eterno. Ho bisogno che li riacquisti alla svelta.”
Perché?
“Che devo fare?” chiedo, invece.
Un bicchiere colmo d’acqua gli compare fra le mani.
“Bevila” ordina.
Lo prendo e mando giù qualche sorso.
“Addio conversazione civile” gli sento dire.
Poi una fitta mi attraversa la testa e il bicchiere mi sfugge dalle dita. Si disintegra, come la nebbia che mi offuscava la mente.
Ricordo tutto.
“Figlio di puttana!” grido, colpendolo al volto.
“Bentornato, Dean” annuncia, rimettendosi in piedi. “Possiamo saltare questa parte, per favore? Abbiamo poco tempo” conclude, la bocca sporca di rosso.
Sta sanguinando, l’ho ferito. Posso ucciderlo?
“Non qui, non ora” mi sorride.
Mi alzo anch’io e mi allontano di qualche passo, senza mai dargli le spalle.
“Già, e tutto d’un tratto sei diventato affidabile.”
Spalanca le braccia. “Vuoi provarci, Dean?”
Un’onda di potere mi investe. L’aria si carica di elettricità statica, intirizzendo la corta peluria sul mio collo; l’acqua della fontana si cristallizza, mentre profonde crepe si incidono nel terreno.
“Lo show andrà ancora avanti per molto?” chiedo, deglutendo.
“È inutile, lo sento che hai paura” dice, rimettendosi seduto. “Comunque, hai ragione, meglio finirla qui. Perché non ti siedi?”
Tutto di nuovo normale, è tornato Jekyll.
Mi metto a gambe incrociate sul bordo della fontana, non mi va di stare alla sua altezza.
Il bastardo sorride ancora, ma non commenta.
“Credi di avere maggiori chance adesso che ricordo?”
“Be’, di certo non posso averne meno.” Mi strizza l’occhio. “Dean, stavolta non ti lascerò uscire, non ti resta che accettare. Che alternative hai?”
“Posso restare qui a marcire con te. Dopotutto, sei un tipo carino” ribatto, facendogli a mia volta l’occhiolino.
Fa una leggera smorfia, ma i suoi occhi non tradiscono nulla.
“Perché non vuoi?” domanda, serio.
“A parte l’ovvio?”
Solleva le sopracciglia, sembra realmente interessato.
Sospiro, non può leggermelo nella mente?
“Voglio che me lo dica tu.”
“Ok, tanto vale fare conversazione. Prima le ragioni nobili o quelle egoistiche?”
“Quelle egoistiche” risponde.
Naturale.
“Tanto per cominciare, dovrei cederti il mio corpo e lasciartene il completo controllo. Anche gli appuntamenti a due finirebbero in un’orgia…”
“E tu non ne faresti mai, vero?” ghigna. “Non sarebbe una possessione, Dean. Pian piano la tua anima diverrebbe una sola cosa con la mia essenza, saremmo una sola creatura.”
“E questo sarebbe un incentivo?”
“Sì” risponde. Per la prima volta, mi sembra del tutto sincero. “Disporresti di un potere senza limiti, della capacità di soddisfare qualsiasi tuo desiderio. Non sei tentato?”
Scuoto la testa. Non voglio un simile potere, non mi interessa. Inoltre, non sarei io a pagarne il prezzo.
“Temi che voglia annientare l’umanità?”
Mi prende alla sprovvista. “Non è tipo… parte del piano?” chiedo.
Scoppia a ridere.
Sono sempre più confuso: non è forse quello che tutti loro vogliono?
“Sono rinchiuso da millenni e credi che il mio primo pensiero, una volta fuori, sarebbe rivolto alla vendetta? Tu al mio posto non ti godresti la vita?”
Ripenso al mio ultimo anno, prima che il patto scadesse. Sì, lo farei. “Io non sono un demone, però.”
“Neppure io” ribatte, pronto. “E per i demoni, be’, non sono affar mio.”
“Come sarebbe?”
Ricordo le parole di Casey e quelle dello stesso Castiel: Lucifer è il loro dio.
“I demoni diventano quello che sono all’Inferno e quello è opera del vostro Dio.”
Resto in silenzio qualche secondo, non avevo mai considerato le cose da questo punto di vista. Non che voglia accettare o cosa, ma…
“Se lo stesso Dio vuole il male, che speranza hai tu di riequilibrare le cose? Il male è necessario, Dean.”
“Ti prego, risparmiami ‘ste cazzate su bene e male, yin e yang e qualsiasi altra cosa ci sia nel pacchetto: la mia risposta è comunque no.”
Alza le mani, in segno di resa. “Aveva ragione Valéry: non c’è nulla di peggio che provare a sedurre un imbecille.”
“Non ha mai avuto la fortuna di passare cinque minuti con te, allora.”
Sorride. È un ghigno crudele, tutto denti.
Temo di averlo fatto incazzare.
La temperatura torna incandescente, l’aria soffocante. Non riesco a respirare.
Mi porto le mani alla gola, imponendomi di calmarmi: se mi lascio prendere dal panico, avrò bisogno di più ossigeno.
Sollevo lo sguardo su Lucifer. Mi guarda dall’alto in basso, sul viso un’espressione soddisfatta. Questo perché non era vendicativo…
“Non sto facendo nulla, Dean. Ti ho detto che avevamo poco tempo.”
E si aspetta che gli creda?
“Che tu mi creda o meno è irrilevante, se resti qui morirai.”
Scuoto la testa, cercando di schiarirmi la vista e le idee.
Non ha senso quello che dice, è tutto un bluff: gli farebbe comodo se morissi, perché tentarmi?
“Quando ti ho portato qui, si è instaurato un legame fra noi: la tua morte mi indebolirebbe. Inoltre, ormai, è una questione di principio: nessuno mi dice di no.”
“Continui a darmi buoni motivi per farlo” sussurro, lasciandomi scivolare a terra.
“Ti si prospetta un destino peggiore della morte, come puoi essere tanto ostinato?”
La sua voce è controllata, ma riesco a scorgervi un principio di isteria. Non stava mentendo, è davvero nei casini. Gli angeli vinceranno.
Povero bastardo, il suo piano gli si è ritorto contro.
Sento un sorriso incresparmi le labbra, quanto mi piacerebbe godermi la sua faccia quando lo rigetteranno in questo buco… o peggio.
Sarebbe un trionfo su tutta la linea, se solo non mi toccasse abbandonare di nuovo Sam. Le sue ultime parole mi assillano, nonostante non sia riuscito a estorcermi assurde promesse.
La risata di Lucifer mette fine alle mie riflessioni. Che cazzo ha da ridere? Si è fottuto il cervello?
“Sai, Dean,” incomincia, avvicinandosi, “non ti ho mai rivelato chi fosse la mia prima scelta.”
Di che parla?
Lentamente, si trasforma. Sam.
“Non provarci neppure, figlio di puttana” sibilo.
“Perché? Una volta tolto di mezzo te, potrò attenermi al programma originario. Non vorremo sprecare tutti gli sforzi del caro Azazel?” continua, tutto miele.
Mi si inginocchia di fronte, poggiando le braccia contro la bassa costruzione, intrappolandomi fra la fontana e il suo corpo.
“Sam non accetterà mai” ribatto, con convinzione.
“E a cosa credi servisse il sangue di demone?”
“Cosa?”
“Il piccolo Sammy non può scegliere, Dean. Non gode più di un simile lusso. Se volessi lui, sarebbe già mio” conclude, sorridendo.
“Perderai comunque. Nel momento in cui lascerai questo posto, ti faranno a pezzi.”
Il suo sorriso si allarga. “Porterò il tuo fratellino con me però.”
Si rialza, dandomi le spalle. Sappiamo entrambi che ha ottenuto quello che voleva: non posso lasciargli Sam.
“Va bene.”
“Va bene che prenda Sam?” chiede, divertito.
“Accetto, stronzo. A una sola condizione: devi stargli lontano. Qualsiasi cosa accada, non fargli del male.”
Ride nuovamente. “Mi dispiace, Dean, io non scendo a patti. Con nessuno. Puoi sempre sperare di riuscire a controllarmi quando ce lo troveremo davanti, o temi di non amarlo abbastanza?”
“Figlio di puttana.”
“Attento, potresti essere fulminato. Lo prendo come un sì?” dice, sedendosi al mio fianco. “Sai, questa è la parte che preferisco.”
Mi cinge le spalle con un braccio; nell’altra mano compare l’immancabile mela.
“Sei ossessionato” commento, osservando il frutto.
“È la più bella, l’ho colta io stesso” dice, soppesandola.
“Se l’avessi usata per prepararci una torta, avrebbe perso la sua aura biblica?”
Gliela prendo dalle dita e la porto alle labbra.
“E quando ne mangerai, i tuoi occhi si apriranno e diverrai simile a Dio, conoscendo la differenza fra il bene e il male” sussurra.
Ignoro la sua voce e le sue parole; persino il dolore delle unghie che, possessive, penetrano nella carne resta al livello dell’inconscio: il mio mondo è limitato al semplice pomo che stringo fra le dita.
Sollevo la testa e punto i miei occhi nei suoi, poi la mordo. Ha il sapore del sangue.
“Finalmente!” gli sento dire.
Un lampo squarcia il cielo e i miei occhi si aprono…

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Capitolo 4
*** Falling inside the black ***


“I’m falling in the black
Slipping through the cracks
Falling to the depths can I ever go back”
(Falling inside the black, Skillet)
 
 
 
Quella che ai miei occhi di prima era parsa una bianca e sterile prigione è in realtà un luogo brulicante di vita. C’è un continuo susseguirsi di voci, sussurri, richiami.
Una strana eccitazione permea l’aria, tutto si muove.
Vedo degli alberi in lontananza, avvolti dalla bruma. I loro rami nodosi, scossi da un vento invisibile, sembrano quasi ossute braccia protese verso il cielo.
Qualcosa di viscido mi sfiora una mano; la ritraggo immediatamente, inorridito, ma non c’è più nulla.
Sento la presenza di centinaia di creature, eppure nessuna di esse mi si avvicina. Restano in agguato, appena al di fuori del mio campo visivo. Mi lasciano solo sapere che ci sono, in attesa.
Persino Lucifer è scomparso.
Che cazzo succede?
“Scommetto che lo trovi divertente” grido, d’un tratto.
L’unica risposta che ottengo è la mia stessa voce, amplificata dall’eco.
Che sia già dentro di me?
No, non mi sento diverso.
Mi rimetto in piedi, attento a non perdere mai di vista il profilo della fontana: è il mio unico punto di riferimento.
La nebbia sta salendo in fretta, trasformandosi in una muraglia lattiginosa e impenetrabile. Mi ha ormai avvolto nel suo claustrofobico abbraccio, lasciandomi cieco e sordo.
Sono del tutto inerme: solo e alla mercé dei mostri che, invisibili, strisciano intorno a me.
Le gelide mani della paura mi stringono lo stomaco in una morsa ferrea. Il cuore batte così forte da sentire il sapore del sangue in gola.
Muovo qualche passo all’indietro, spostandomi a tentoni verso il centro del giardino.
La fontana è immersa in una vasta pozza di luce, non riesco a individuarne la fonte. Il cielo è completamente nero, non viene da lì.
Le sue acque sono buie, sembrano limacciose e profonde. Non riesco a scorgervi neppure il mio riflesso.
“Dean.”
È la sua voce. È venuto a prendermi.
“Dove sei?” chiedo, deglutendo.
Silenzio.
“Dove cazzo sei, figlio di puttana?” urlo nel vuoto.
Una risata spontanea, divertita. “Di cosa ti lamenti? Hai ottenuto quello che volevi, Dean: Sam è salvo.”
Viene dall’acqua.
Mi chino sull’oscura superficie e la sfioro con la punta delle dita. A quel lieve contatto si increspa e una figura compare dalle sue profondità, Lucifer.
Non ha più l’aspetto di Sam, è di nuovo il mio doppio perfetto. Be’, escludendo le enormi ali che gli spuntano dalla schiena.
Non sono quelle che normalmente si associano agli angeli: niente soffici piume, bianche come le nuvole o nere come il peccato; sono come quelle di un grosso pipistrello, una leggera membrana sorretta da un’impalcatura di ossa sottili.
“Batman” sussurro, ghignando.
Incurva le labbra in un sorriso indulgente, gli occhi improvvisamente più luminosi.
Non riesco a distogliere lo sguardo da quel viso.
Mi abbasso ancora di più, ormai a pochi millimetri dal suo riflesso.
“Dean” mormora.
La sua voce mi risveglia da questa sorta di trance, mi blocco di colpo: non voglio toccare quell’acqua, non voglio toccare lui.
Sollevo la testa, deciso ad allontanarmi.
In quel momento le sue braccia mi afferrano e cominciano a trascinarmi verso il basso. Provo a fare resistenza, ma sono sbilanciato in avanti e non riesco a trovare alcun appiglio.
Finisco nella fontana.
L’acqua è gelida, in pochi secondi mi ghiaccia sino alle ossa. Scalcio nel tentativo di tornare a galla, ma la sua morsa mi impedisce di risalire.
Non sono riuscito ad accumulare ossigeno prima di cadere, mi manca già l’aria. Come se non bastasse, quel bastardo sta cercando di soffocarmi. Sento le sue dita che si stringono intorno alla gola. Lo colpisco al volto e al collo, non cede.
Mi lacrimano gli occhi, ho il petto in fiamme.
Merda, fra poco perderò conoscenza.
Smetto di dibattermi e mi abbandono contro di lui. Mi lascia andare.
Perfetto.
Mi avvinghio alle sue ali e le strattono con tutte le forze. Si lacerano in più punti.
Le prime grida si levano alte e soddisfacenti nel piccolo specchio d’acqua: ho trovato il suo punto debole.
Gli do un calcio nelle palle e mi isso fuori dalla fontana.
Mi lascio cadere a terra, tossendo, vomitando.
Vaffanculo. Goditi il tuo bagnetto, figlio di puttana.
“Non è molto onorevole colpire sotto la cintura, Dean.”
La voce viene da davanti a me. Non alzo neppure la testa.
“Lo sarebbe, se ci fosse qualcosa da colpire: voi non l’avete in dotazione, amico” ribatto, mettendomi seduto. Sono esausto, non ho più voglia dei suoi giochetti. “Cosa vuoi ancora? Il mio corpo l’hai già preso.”
Mi squadra qualche istante, ammirato. “Allora l’hai capito. Sei davvero in gamba. Una spina nel culo, ma bravo.”
“Quando hai finito coi complimenti…”
Sorride. “Questo è quello che potremmo definire… il nostro inconscio. Il tuo spirito avrebbe dovuto sopirsi, una volta morsa la mela, ma è molto più potente di quanto credessi. Non condivideresti molte delle mie future decisioni e ho bisogno di metterti a dormire. Niente di personale, Dean, sai che mi piaci” conclude, avvicinandosi.
Alcune goccioline imperlano il terreno ai miei piedi.
È ancora bagnato, penso con distacco.
Si china.
Mi poggia una mano sulla gamba. “Ssshh, tranquillo” sussurra, descrivendo un lento arco verso l’alto. Cerco di ritrarmi, ma sento il corpo troppo pesante. Non riesco a muovermi.
Facendo appello a tutte le mie forze, gli tiro un calcio allo stomaco.
Resta impassibile.
“Ho detto basta, Dean,” dice, spingendo la gamba verso il basso.
Sono entrambe bloccate. Non è una semplice perdita di sensibilità, non sento alcun formicolio. È come se fossero morte.
Mi schiaccia contro la fontana. Avverto il suo alito sul viso e mi costringo a guardarlo negli occhi: sono due fredde profondità senz’anima.
No, no, no. Non voglio diventare questo!
Lacrime di frustrazione e rabbia mi rigano il viso. Ti prego, lasciami.
Mi prende una mano fra le sue e posa le labbra su ogni nocca. Le bacia con dolcezza, come un gentiluomo d’altri tempi; dopodiché mi lascia e l’arto ricade, inerte.
“Sei un fottuto bastardo” mormoro, con un filo di voce.
“Dovevo immaginare che non mi avresti implorato, sei un guerriero. Ora, però, riposa” ordina, chiudendomi gli occhi con le labbra.
Sono al buio.
Poggia il palmo sul mio petto, mentre la sua bocca si schiude sulla mia.
Ho paura. Cazzo, sono terrorizzato, eppure il cuore pulsa sempre più piano. Il suo respiro si fonde col mio, diventando una parte di me.
Mi sento scivolare via.
Le sue braccia si stringono intorno a me, ancorandomi al suo corpo.
“Dormi, Dean” bisbiglia, cullandomi.
Affondo nell’oscurità.

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Capitolo 5
*** Angels are watching over you ***


“All this time spent in vain:
wasted years, wasted gain
.
All is lost, hope remains
and this war's not over
.
(Shattered, Trading Yesterday)
 
 
 
“Dean, svegliati!” grido, scuotendolo.
Dorme da ore ormai e sempre più profondamente.
All’inizio si agitava, mormorava di continuo. Poi ha smesso, di colpo.
L’ultima parola che sono riuscito a distinguere con chiarezza è stata il mio nome, un segnale decisamente poco incoraggiante.
Sfioro il suo viso accaldato e un rivolo di sangue gli scivola dalle labbra. Il battito cardiaco si indebolisce col passare dei minuti, i respiri si fanno più lievi e distanti.
“Tieni duro. Tieni duro, ti prego” sussurro, sull’orlo delle lacrime.
Come se potesse sentirmi… Mio fratello lotta contro il Diavolo e il massimo cui riesco a pensare per aiutarlo sono straccetti bagnati e manufatti indiani!
Ti prego, apri gli occhi. Ti prego, ti prego.
Gli stringo con forza la mano, sforzandomi di non notare la pelle gelida e sudata, illudendomi di poterlo tenere al mio fianco.
Le sue dita si muovono, rispondendo alla mia stretta. Si sta svegliando!
“Coraggio, Dean” lo sprono.
Forza, torna da me…
“Sam, vattene via.”
Castiel. Mi è comparso alle spalle.
Lo guardo senza capire. Dove vuole che vada?
“Ti ho detto di allontanarti” ripete, spingendomi lontano da Dean.
Si china su mio fratello, sollevandogli la testa e bisbigliando qualcosa in una strana lingua.
Riconosco soltanto un termine, Helel: il nome di Satana.
Dean batte le ciglia, cercando di abituarsi alla luce. Poi apre gli occhi.
Un’ombra scarlatta macchia le sue iridi, che risplendono innaturali. Ha ceduto.
“Castiel, non eravamo così intimi un tempo” ghigna Lucifer, togliendosi l’angelo di dosso.
Il suo tocco sembra gentile, delicato, ma la pelle di Castiel si riempie di piaghe. Un forte odore di zolfo e carne bruciata satura l’aria, mentre le prime grida si diffondono nella stanza.
“Lascialo andare, subito” ordino, con rabbia.
Lucifer allenta la sua presa e Castiel scivola a terra, in ginocchio.
“Ti sei trovato un angelo custode?” commenta, sarcastico. “Spero ti protegga meglio di quanto tu non abbia fatto con suo fratello” conclude, ripulendosi la bocca.
Figlio di puttana.
“Non puoi restare nel suo corpo” gracchia Castiel. “Non ti è consentito, Helel.”
Il Diavolo sorride. “Da millenni nessuno usava quel nome, sei in vena di sentimentalismi? Comunque, il tuo eroe ha accettato spontaneamente.”
“E ti aspetti che ci creda? Liberalo, ora!”
“Calmati, Cas, l’ira è un peccato molto grave. Non vorrai cadere?” chiede, sprezzante. “Anche se più in basso di così…”
“Parla quello che si è nascosto per mesi, aspettando che Dean si togliesse di mezzo. E tu saresti l’angelo che si è ribellato a Dio? Sei patetico” vomito, prima di riuscire a fermarmi.
“Zitto, Sam!” mi ammonisce Castiel.
Troppo tardi: l’attenzione di Lucifer è tutta per me adesso.
Il sorriso gli è morto sulle labbra. Si avvicina di qualche passo, calciando via l’angelo.
Sono nella merda fino al collo, penso con un brivido.
“Ed ecco il nostro Sammy, il mio piccolo anticristo” sussurra. “Non sai quanto ti devo, e non parlo solo della cara Lilith: non fosse stato per te, Dean non avrebbe mai ceduto.”
Mi serra le dita intorno alla gola, sollevandomi da terra con una sola mano. Provo a calciarlo via, ma non batte ciglio. Esercita una pressione sempre maggiore: l’ossigeno smette di riempirmi i polmoni, mi si annebbia la vista. Mi rendo conto di stare per morire e l’unica cosa cui riesca a pensare è che è stato tutto inutile. Che il sacrificio di Dean è stato vano. Poi Lucifer mi lascia andare.
Le ginocchia cedono e mi ritrovo ai suoi piedi.
Che cazzo è successo? Perché si è fermato?
Mi crolla addosso, portandosi le mani alla testa.
“Brutto figlio di puttana” sibila.
Prova a rialzarsi, senza riuscirci.
Che gli prende?
Mi chino su di lui, scostandogli delicatamente i palmi dal viso. I suoi occhi sono umidi, brillanti e… verdi: Dean.
“Dean” mormoro, speranzoso.
Ma Lucifer scompare e il corpo di mio fratello con lui.
Resto seduto a riprendere fiato.
“Stai bene?” chiede Castiel.
La domanda più arguta del secolo…
Annuisco. Dopotutto, respiro ancora.
Indico le sue braccia annerite. “E tu?”
“Non è grave.”
Mi schiarisco la voce. “Diceva la verità?” domando.
L’angelo mi osserva, a disagio. “A che riguardo?”
“Dean ha accettato per me?”
Castiel scuote la testa. “Tuo fratello è il solo responsabile delle sue azioni, Sam.”
Allora è così: Dean ha rinunciato alla sua vita per me. Un’altra volta.
“Non è troppo tardi, Sam. Possiamo salvarlo” mi rincuora.
“Cos’hai in mente?”
“Lucifer non riesce a controllarlo, l’hai visto anche tu. Significa che lui e Dean, per ora, sono due entità distinte: basterà uccidere il primo, per riavere il secondo.”
“No, Dean deve morire.”
Mi volto in direzione della voce: chi cazzo è ‘sto tipo?
“Il mio nome è Zachariah” dice, in risposta alla domanda che non ho posto. “E tu, Sam, ci condurrai alla vittoria.”
Si siede sul letto di Dean, sistemandosi l’elegante vestito.
“Lucifer ha un corpo, idiota. Peggio, ha il corpo del vostro campione: dove cazzo dovrei condurvi io?”
L’angelo sorride, ma resta in silenzio. Uno spocchioso pezzo di merda con la faccia da culo, direi che la definizione di Dean gli calza a pennello.
Sospira profondamente. “Hai lo stesso caratteraccio di tuo fratello. Mi dispiace solo di non avere il tempo sufficiente a inculcarti un po’ di sano rispetto.”
“Allora?” lo incalzo, ignorando la tirata.
Il suo sorriso si allarga. “Allora, Lucifer si è comportato esattamente come speravamo facesse. È sempre stato un tipo prevedibile, in fondo…”
“Tu volevi che prendesse Dean” sussurra Castiel, inorridito.
“È così.” Incrocia le braccia e riprende, tronfio. “Dean è mai stato posseduto prima, Sam?”
Scuoto la testa. No, mai, neppure prima del tatuaggio. Dove vuole andare a parare?
“Non ti sei mai chiesto perché? Nel vostro campo dovrebbe accadere di frequente, o sbaglio?”
“Scommetto che non dipende dalla sua fortuna” ribatto, senz’allegria.
“Il merito è nostro. Diciamo che Azazel non era l’unico a battezzare bambini…”
Lascia la frase in sospeso, godendo dell’espressione dipintasi sul mio viso.
“E quando sarebbe successo?” chiede Castiel. A quanto pare ne sapeva quanto noi.
“Subito dopo Sam. Scoperti i piani di Azazel, abbiamo adottato delle… contromisure. Sapevamo che era alla ricerca di un corpo adatto ad ospitare Lucifer, sapevamo dei patti: mentre lui sceglieva il suo paladino, noi facevamo lo stesso.”
Ero io il corpo destinato a Lucifer? No, non è possibile: tutta la nostra vita sarebbe il risultato delle loro scelte? Siamo solo pezzi della loro scacchiera?
“Perché Dean? Perché noi?” domando, sgomento.
“Be’, c’è il fattore genetico: vostra madre e il suo incredibile potenziale. Azazel ti ha scelto per quello; io ho scelto Dean a causa tua: dovevate essere fratelli.”
Fratelli? Cosa cazzo c’entra questo con la loro guerra?
“Il sacrificio” sussurra Castiel. Sembra che almeno lui c’abbia finalmente capito qualcosa.
“Quando vorrete condividere col resto della classe” incomincio, spazientito.
“Lucifer può essere ucciso solo a costo di un terribile sacrificio, Sam.”
“Come il fratricidio…” concludo, sgomento.
No, è assurdo: non avrebbero mai potuto prevedere tutto. E se Dean non mi avesse riportato in vita? Se avesse vinto Jake?
“Abbiamo corso i nostri rischi, è vero. La nostra strategia è già cambiata più volte, come quando ci siamo resi conto che Dean non ti avrebbe mai ucciso… Tutto sommato, questa è la soluzione migliore: Lucifer è più debole nel corpo di tuo fratello; inoltre, dopo stanotte, ho la prova che non può farti del male: ci riuscirai!”
Finalmente afferro il senso delle sue parole. “Volete che uccida Dean.”
Mi mette una mano sulla spalla, incoraggiante. “Hai dimostrato di saper interpretare lo schema generale molto meglio di lui, Sam. Non ti stiamo chiedendo di ucciderlo, ma di liberarlo: Lucifer morirà, tuo fratello sarà in pace e tu… avrai salvato il mondo. Un bel lieto fine per tutti, no?”
Resto in silenzio, incapace di rispondere. L’angelo lo prende come un assenso. “Ci rivediamo quando sarai pronto,” conclude, scomparendo.
“Castiel!” urlo, voltandomi verso di lui, ma sono rimasto solo.
Immagino che anche per lui quello prospettato da Zachariah sia un lieto fine: quale ricompensa maggiore del Paradiso, dal punto di vista di un angelo?
Ma Dean? E io?
Brutto bastardo, scommetto che ci gode ad abbandonarmi in simili situazioni. È facile sacrificarsi, quando sono io quello a cui tocca raccogliere i pezzi… Deglutisco, sforzandomi di non pensare che l’ultima volta “i pezzi” erano quelli del suo corpo dilaniato.
Questa volta non andrà così: non posso perderlo ancora. Si fottessero gli angeli, si fottesse il Mondo… Lo salverò e la scala per il Paradiso gliela farò salire a calci nel culo.
“Capito, figlio di puttana?” grido alla stanza vuota.
Colpisco il muro, rendendo più seria la mia minaccia e lesionandomi tre nocche allo stesso tempo. Dopotutto, ora che Dean è occupato a scorrazzare in giro Lucifer, sono l’unico che può tenere alto il buon nome di famiglia…
Rido sommessamente, cercando di non farmi prendere dalla disperazione: una soluzione c’è. E io la troverò.

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Capitolo 6
*** Comfortably numb ***


“I can see, I can still find.
You're the only voice my heart can recognize, 
but I can't hear you now.
I'll never be the same, I'm caught inside the memories
the promises, our yesterdays, when I belonged to you
.
(Never be the same, Red)
 
 
 
“Dean, sveglia.
Sam?
Socchiudo leggermente le palpebre, solo per serrarle subito dopo: c’è troppa luce.
Mi scoppia la testa, le tempie mi pulsano con ferocia. Sento caldo, ho la gola riarsa e il sonno è un rifugio decisamente troppo allettante per resistervi. Sam può aspettare.
“Dean, apri gli occhi!”
Il suo tono si è fatto perentorio, ma è colorito da una lieve sfumatura d’isteria. Che cazzo gli prende?
“Sta andando a fuoco la stanza, Sam?” chiedo, puntellandomi sui gomiti. “Lo spero per te, altrimenti…”
La minaccia mi muore sulle labbra: dove diavolo sono? Dov’è mio fratello?
Il sole filtra attraverso un intricato soffitto verde, alberi maestosi mi circondano e sento mormorare un ruscello poco distante. Mi sono addormentato in un parco nazionale?
Mi rimetto in piedi, sorreggendomi a un tronco ricoperto di muschio. Il cambio d’altezza mi dà le vertigini, ma un paio di respiri profondi sistemano la cosa. Ok, sembra proprio che non sverrò, adesso non mi resta che capire cosa cazzo ci faccio qui. O dove cazzo sia “qui”, per quello che vale.
Di certo non è per praticare il trekking, rifletto, osservando i miei piedi nudi e la sottile biancheria intima che indosso. Ho deciso di campeggiare senza equipaggiamento per sentirmi più vicino alla natura? Una pupa hippie mi ha convinto a seguirla in un viaggio alla riscoperta della madre terra? Scuoto la testa, queste ipotesi sono l’una più improbabile dell’altra.
“Ti prego, svegliati!”
Sono sveglio, Sam,” sbotto, infastidito.
Ecco, ora parlo da solo nella foresta. Anzi, peggio, rispondo agli ordini assurdi impartitimi dalla voce immaginaria di mio fratello.
Mi dirigo verso il corso d’acqua: ho bisogno di bere; inoltre, in mancanza di un sentiero, il modo più facile per tornare alla civiltà è seguire la corrente di un fiume.
Sento un ringhio in lontananza. Un brivido mi corre lungo la schiena, immagino non sia l’orso Yoghi a caccia di cestini… Mi chino sulla fonte. Quest’acqua andrebbe depurata, peccato non abbia portato con me l’attrezzatura da scout.
Bevo qualche sorso. I sintomi più comuni di avvelenamento sono spossatezza, confusione, diarrea, nausea, febbre. Non me li aspettavo davvero, non così presto almeno, ma erano decisamente meno improbabili dell’esplosione di dolore e delle frammentarie immagini che mi invadono la testa.
Le ultime ore tornano finalmente alla luce: Lucifer e la sua offerta, la mela, il piccolo show contro la fontana… Merda, quel figlio di puttana se ne sta andando in giro nel mio corpo, mentre io sono intrappolato qui. E Sam, che ne è stato di mio fratello?
“Sveglia!”
“Ho capito, Sam. Sta’ zitto.”
Mi passo una mano sul viso, tentando disperatamente di concentrarmi. Come cazzo esco?
Vengo distratto da un leggero fruscio, poi dal rumore di un ramo che si spezza. Sollevo lo sguardo e intravedo qualcuno dall’altra parte del fiume. Una ragazzina con un vestito bianco. Che cazzo ci fa nella mia testa?
“Ehi, aspetta!” le grido.
Si inoltra nella foresta.
Scatto all’inseguimento, ma sul bordo dell’acqua mi fermo: non voglio immergermi, ricordo ancora troppo distintamente quello che è successo l’ultima volta.
Non posso perdere di vista la ragazza, però, forse è una sorta di guida.
Mi guardo intorno. Non c’è neppure una liana per improvvisarmi Tarzan: mi toccherà tuffarmi.
Prima che possa farlo, una manciata di sassi grigi e piatti compare dal nulla nel piccolo ruscello. Sono così vicini fra loro da permettermi di attraversarlo con facilità. Che diavolo…
Poggio un piede sul primo, esitante. Sembra reggere il mio peso. Trattengo il respiro e mi ci sposto su, resta a galla. Salto su quello successivo. Sono a metà del percorso, quando noto uno strano riflesso sull’acqua. No, non può essere: ci sono delle persone infilzate sugli alberi tutt’intorno, sembrano festoni su un abete. Il loro sangue macchia le piante di rosso, gli occhi spenti sono fissi su di un paesaggio invisibile ai miei… Distolgo immediatamente lo sguardo, disgustato. La pietra su cui sono trema violentemente, pronta ad inabissarsi. Mi sposto velocemente su un’altra e poi sulle successive, fino ad arrivare alla riva opposta.
Mi volto indietro e il macabro spettacolo è scomparso: era una trappola. Ho fatto apparire io i sassi e quando mi sono distratto, hanno cominciato a scomparire. Quel figlio di puttana voleva che finissi a mollo, sa che sono sveglio e cerca di ostacolarmi. Allora anche la ragazza era un trucco?
“Ti stai divertendo, vero?”
Nessuna risposta, ma gli uccelli cominciano a cinguettare più allegramente. Mi chiedo se dovrei prenderlo come un sì.
Mi metto in cammino.
“Dean, per favore
Ci sto lavorando su, fratellino.
Dopo qualche tempo il mio stomaco comincia a rumoreggiare, stimolato dagli splendidi frutti che pendono dai rami vicini. Non c’è verso che sfiori quelle porcherie, mi toccasse morire di fame. Un attimo, forse non c’è bisogno che digiuni. Chiudo gli occhi, concentrandomi qualche secondo. Quando li riapro, stringo fra le mani un enorme sacchetto di M&M’s.
Un ghigno mi tende le labbra, potrei abituarmi a fare la bella vita qui dentro…
“Odio questo posto” mormora una vocetta alla mia sinistra.
Mi porto una mano al cuore, tentando di tenere a freno i suoi battiti impazziti. Poi mi volto, ma non vedo nessuno. Una fitta vegetazione mi separa dal tizio, chiunque lui sia.
Merda, questo buco è davvero troppo affollato.
Mi acquatto dietro un cespuglio di rovi e do un’occhiata al nuovo arrivato. Sono io. O, meglio, ero io. Circa vent’anni fa.
È seduto per terra, a gambe incrociate. Diverse lacrime gli rigano le guance, sul viso l’espressione di chi pensa che il mondo ce l’abbia con lui: una femminuccia, praticamente.
Mi rialzo, pronto ad instillare un po’ di buon senso in quella versione giovane e smidollata di me stesso, quando noto il biglietto accartocciato fra le sue dita. Una morsa mi serra la gola, lo riconosco immediatamente. Qualcuno lo aveva infilato nel mio armadietto. Era tutto decorato da pentacoli e croci capovolte e al centro spiccava un’unica, semplice parola: mostro.
Fu il mio primo scontro con la realtà, la presa di coscienza di quanto fossi diverso dagli altri. Fino ad allora mi ero sentito il ragazzino più figo della terra: mio padre era un fottutissimo eroe e il mio fratellino mi guardava con uno sguardo carico di meraviglia e ammirazione, come se avessi potuto fare qualsiasi cosa.
A scuola era tutto diverso, lì ero semplicemente lo strambo dell’ultimo banco con quaderni pieni di cazzate sataniste e un coltello a serramanico nello zaino.
La figura dinnanzi ai miei occhi comincia a svanire, anche il paesaggio intorno a essa si fa indistinto. Sfuocato. Scatto in avanti, facendomi strada attraverso le spine, ma il ragazzino è già scomparso. Sono di nuovo solo.
Mi lascio cadere contro un albero, cercando di riordinare le idee. Questo è il mio inconscio, questi ricordi sono del tutto normali. Cioè, per lo meno, lo sono per me. Se li raccontassi in giro, anche il più smaliziato degli psicanalisti mi farebbe rinchiudere: le fantasie dei pazienti di Freud non andavano cacciate col fucile a sale…
“Rimettiti in piedi, Dean!”
Sam? Riapro gli occhi. Che strano, non mi ero accorto di averli chiusi.
Avverto un flebile odore di carne bruciata. Diventa sempre più forte, trasformandosi ben presto in un tanfo nauseabondo. Da dove viene?
Una nuova immagine compare nel mio campo visivo. È una pira funebre.
Il fuoco sta lentamente morendo, ma le ultime fiamme lambiscono, tenaci, i resti di un corpo.
Mi avvicino su gambe tremanti. Il fumo, denso e acre, si fa strada lungo la gola, riempiendomi gli occhi di lacrime.
“Papà” sussurro. Poi tutto scompare.
Resto immobile, attonito.
“Dean?” chiede Sam.
La sua voce si è fatta più distante. Mi giunge tenue, ovattata.
Scuoto la testa, devo restare concentrato.
E devo sbrigarmi a uscire di qui. Rivivere certi momenti mi indebolisce, se non mi do una mossa tornerò presto nel mondo dei sogni; inoltre, mi sembra chiaro il trend che stanno seguendo e c’è un solo ricordo peggiore di quello della morte di papà. Non posso affrontarlo di nuovo.
C’è una soluzione di emergenza che ho adottato l’ultima volta che non riuscivo a svegliarmi. Speravo di non doverla riutilizzare, ma in mancanza di meglio… Raccolgo un pezzo di legno. Non sembra molto affilato, ma dovrebbe andar bene: cazzo, ho visto uno uccidersi con una matita appuntita!
Lo porto alla gola. Sorrido mestamente, magari se mi sforzassi riuscirei a evocare una splendida geisha con tanto di katana, per aiutarmi a fare harakiri.
Non sento più Sam.
Mi chiedo se stia facendo la cosa giusta. E se non servisse a nulla? Se mi lasciassi dietro solo un cadavere che marcisce e una busta di M&M’s?
Prendo un profondo respiro. “Uno, due…”
Una leggera risata, delle voci eccitate: sono dei bambini, è mio fratello.
Lascio cadere il ramoscello e mi metto a correre in quella direzione. Voglio vederlo, almeno un’ultima volta.
“Sembri un pupazzo di neve, Sam.”
“È colpa tua se sono caduto: non riesco a muovermi con tutti questi vestiti” risponde il bambino, petulante, tirando una palla di neve.
Manca il bersaglio. Di parecchio.
Scoppio a ridere, subito imitato dalla mia versione in piccolo.
“Così impari a voler uscire in mezzo a una tormenta.”
Tormenta? Questi quattro fiocchi striminziti?
Certo che all’epoca ero un gran rompiscatole.
“Volevo provare i pattini nuovi” comincia Sam, lamentoso.
Merda, ricordo questo giorno.
“Papà ha detto che non possiamo. Il ghiaccio è troppo sottile, è pericoloso.”
Mio fratello scatta verso il laghetto, già all’epoca ignorava completamente i miei ordini.
L’afferro per il cappuccio e lo tiro via. Cioè, lo fa l’altro Dean… Se continua così, diverrò schizofrenico.
“Mi hai fatto male!” grida.
“Come mi dispiace” risponde l’altro, ironico. “Resta qui, vediamo se regge.”
Muove qualche passo sulla superficie ghiacciata, incerto. Poi fa un paio di salti.
“Sta’ attento,” lo incoraggia Sam, trattenendo il fiato.
Arrivato a metà, si volta indietro e gli sorride. “Se sostiene me, figuriamoci un nanetto come te.”
“Sta’ attento!” urlo.
Non mi sentono. Provo allora ad avvicinarmi e qualcosa me lo impedisce. Dean è ormai quasi a riva, ma so che il ghiaccio si spezzerà.
Un altro passo e sotto di lui si forma una larga crepa. Si ferma di colpo, terrorizzato.
Sento anch’io la sua paura, è talmente potente da impedirmi di pensare.
Un tremendo crac e scompare sott’acqua.
Avverto il colpo. È come un violento pugno alla bocca dello stomaco, che ti risucchia l’aria dai polmoni. Cado in avanti.
Il lago è gelido, perdo immediatamente sensibilità agli arti.
Dean comincia a scalciare, frenetico: vuole tornare a galla. Ha bisogno di respirare, e anche io. Poi smette di agitarsi. I suoi muscoli si rilassano, chiude gli occhi. Seguo il suo esempio.
Cazzo, no. Non posso addormentarmi di nuovo!
Tossisco. Riesco nuovamente a respirare. Com’è possibile?
Ah, è vero, Sam mi tirò fuori dall’acqua.
“Dean!”
“Dean!”
È Sam, sta piangendo.
“Dean, guardami, per favore.”
“Dean, apri gli occhi!”
Sollevo le palpebre e provo a rialzarmi. Riesco solo a spostarmi sulla schiena. Il cielo è incredibilmente azzurro…
“Dean, resta sveglio, capito? Io vado a chiamare papà.”
Papà? Papà è morto, Sam. No, un attimo, era ancora vivo allora…
“Dean, ti prego!”
Chiudo gli occhi.
“Papà sta arrivando,” mi rassicura il piccolo, allontanandosi.
No, ti sbagli, Sam, qui non sta arrivando proprio nessuno.

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Capitolo 7
*** Sympathy for the Devil ***


Just as every cop is a criminal
and all the sinners saints
as heads is tails,

just call me Lucifer,
‘cause I'm in need of some restraint.
(Symphaty for the Devil, Rolling Stones.)
 
 
 
Non riesco a respirare. Sono fradicio, e nudo. Tremo incontrollabilmente, ma di questo sono in qualche modo grato: sono gli unici movimenti ancora concessi al mio corpo.
Socchiudo le palpebre, cercando di vincere la paura che mi attanaglia le viscere. Non può essere, non voglio. Le serro nuovamente, ho avuto la mia conferma dal bianco che mi circonda: sono tornato nella mia prigione. Quanto tempo ne sono rimasto fuori? Un pugno di minuti? Vorrei gridare la mia rabbia, ma persino la voce mi viene a mancare. L’ombra di un sorriso mi sfiora le labbra: è tipico dei regimi mettere a tacere chi alza la testa. Peccato che nel mio caso il contrappasso sia letterale…
Maledizione, perché non posso almeno avere la soddisfazione di morire in battaglia, trascinando con me qualcuno di quei miserabili bastardi? Perché sono confinato qui dentro impotente, dimenticato, solo? Lo trovi divertente, Padre?
“Non ha l’aria di essersi divertito troppo.”
Una zaffata d’alcol e sporco mi colpisce in pieno viso. Cosa succede?
“Il solito addio al celibato degenerato. Almeno ha dei soldi con sé?”
“E dove vuoi che li tenga, nelle mutande? È molto carino, comunque. Non esattamente il mio tipo, ma…”
Una mano mi risale lungo la coscia. Aggressiva, avida, perversa.
Spalanco gli occhi, furente. È un essere umano. I suoi pensieri sfilano davanti a me come le parole di un libro: vorrebbe possedermi, convinto che sia in difficoltà. Una creatura tanto infima sicura di sopraffarmi... Poco male, sono ancora sulla Terra, nel corpo di Dean. Mi ha contrastato per impedirmi di uccidere suo fratello, ma lo sforzo gli è costato caro: il suo spirito si è indebolito. Posso sentirlo, mentre lotta per restare cosciente, per riprendere il controllo. Si è però scelto un avversario molto al di sopra delle sue capacità. Come questi due.
“Oh, si è svegliato!” esclama il barbone, afferrandomi il viso. “Punta su di me quei begli occhioni, figliolo. Non ti hanno detto che frequentare i bassifondi è pericoloso?”
“Sì? Grazie per il consiglio” ribatto. “Permettimi di ricambiare: dovresti stare più attento alle tue tasche, il tuo amico lì ti ha sottratto i venti dollari che avevi preso a quella giovane coppia.”
“Cosa? Che cazzo dici, ragazzino?” sibila, afferrandomi il collo.
Oh, cerca di spaventarmi.
“Al tuo posto, darei un’occhiata. Aspetta, non dimenticare questo” dico, porgendogli un lungo coltello.
“E questo da dove spunta?” chiede l’uomo, vagamente spaventato.
“È un regalo, usalo bene” rispondo, strizzandogli l’occhio. I suoi si spengono immediatamente.
Mi lascia andare, per poi gettarsi sul suo compare. Le grida dell’altro sembrano inseguirmi, mentre mi allontano dal vicolo maleodorante.
“Bravo, falla pagare al traditore” sussurro, con un sorriso.
La pallida luce lunare bagna le strade deserte, conferendo all’umile arredo urbano un’aura quasi fiabesca, irreale. Gli uomini e i loro vani tentativi di elevarsi dal grado di bestie striscianti, penso con commiserazione. Almeno a loro è concessa la libertà… Be’, io la mia me la sono conquistata!
Prendo profondi respiri, godendomi l’aria fresca della notte. Il cuore di Dean batte, forte e ritmico, contro le costole, obbedendo al mio minimo comando. Lui è ormai mio, tutto il resto invece…
Alzo gli occhi al cielo, fissandoli sul volto martoriato della Luna. Non è così diverso da come lo ricordavo; qualche cratere in più lo solca, sottili rughe a testimonianza della sua età. Adesso è piena e come l’occhio di un ciclope, mi spia. Una manciata di ore e Nessuno l’accecherà. E finalmente, durante il novilunio, potrò liberare il mio esercito. I miei fratelli sono sempre stati attaccati a inutili formalismi. Puoi uccidere, ma rispetta il bon ton e le tradizioni. Mah, stavolta starò alle loro assurde regole. Dopotutto, perché rafforzare la mia reputazione di pecora nera della famiglia?
Oltrepasso qualche negozio buio, fermandomi di fronte alla vetrina di una boutique. Persino i manichini esposti indossano degli abiti. La moda ha fatto decisi passi avanti dai tempi di Adamo, probabilmente dovrei adeguarmi. Mi concentro qualche istante, per poi frugare fra i ricordi di Dean. Non incontro la minima resistenza. Che si sia arreso? Mi sorprendo a provare delusione e disappunto. Ma andiamo, era solo un essere umano, che mi aspettavo?
Ecco fatto, questi sono i vestiti che portava solo qualche ora fa.
Qualcosa attira la mia attenzione, il ciondolo che ho al collo. Mi sembra un oggetto familiare. Le luci al neon l’accendono di riflessi, lo prendo fra le dita per osservarlo meglio. Al mio tocco il metallo si riscalda, sembra quasi condurre elettricità statica.
“Grazie, Sam. Lo adoro.
Una fitta mi attraversa la testa, mi aggrappo al vetro per non rovinare a terra. Maledizione, Dean si risveglia al minimo accenno a suo fratello.
“La tua monomania ti tiene in vita” sussurro, orgoglioso. Il cacciatore è ancora qui. “Be’, possiamo continuare a divertirci…”
Mi rifaccio nuovamente alle sue memorie, alla voce svago sono elencate tre parole: Sesso. Musica. Cibo.
“Sembra abbia trovato il mio Virgilio” ironizzo, incamminandomi verso una vicina tavola calda.
Vengo accolto nel locale da un leggero scampanellio e da un odore decisamente poco rassicurante. Nonostante i presupposti, il mio stomaco comincia a rumoreggiare. Merda, sono ancora troppo umano. Il posto è deserto, eccezion fatta per una giovane cameriera e un cuoco di origini slave. Scelgo un tavolo in fondo.
“Cosa ti porto, tesoro?” domanda la ragazza.
“Quello che preferisci.”
Si incupisce. Vorrebbe degli ordini diretti?
“Della torta e… del caffè. Nero” dico, accontentandola.
Grazie, Dean.
Appunta tutto su un blocchetto, apparentemente soddisfatta. “Torta in arrivo” annuncia, allontanandosi.
Il comportamento umano è sconcertante: sono liberi, eppure alla costante ricerca di una guida, di approvazione; potrebbero coesistere in pace, ma scelgono di distruggersi per i motivi più futili. Non è strano che molti miei fratelli siano caduti nella speranza di comprenderli. Il punto è capire le loro motivazioni: perché concentrarsi su creature del tutto irrazionali e prive di logica?
“Eccola qui” incomincia la cameriera, distogliendomi dalle mie riflessioni. “Era rimasta solo quella al cioccolato, ma è la preferita di tutti, no?” conclude, sorridendo.
Non ne ho la più pallida idea. Rispondo però al suo sorriso: mi ricorda qualcuno.
Torno al mio dolce. Ha un buon sapore, ma non vengo raggiunto da alcuna epifania. Se gli uomini conoscessero le grandezze dell’Universo, non si emozionerebbero per un semplice impasto di farina e uova, suppongo. No, non è così: al caffè mi ricredo. Ha un aroma intenso, un gusto deciso… è incredibile!
“Vuoi dell’altro?” mi sorprende ancora la ragazza.
Scuoto la testa. “Me la riempiresti?” chiedo, porgendole la tazza.
“Come sei educato… Non l’avrei mai detto, con quell’aria da duro e tutto il resto” esclama, strizzandomi l’occhio. Adesso capisco chi mi rammenti, Lilith. È simile a lei subito dopo la cacciata dall’Eden; quand’era ancora umana, prima che la corrompessi…
Mi rimetto in piedi, allungando sul tavolo una banconota da venti. “Tieni pure il resto” le dico, a mo’ di saluto.
Non risponde nulla, troppo impegnata a chiedersi cos’abbia fatto di sbagliato.
Niente, tesoro, ma ho già un’altra Sybil Vane sulla coscienza. Mi lascio il locale alle spalle, domandandomi distrattamente cosa mi renda più simile a Dorian, l’aver lasciato che una donna morisse per amor mio o  l’ipocrisia di averne lasciato in vita un’altra, quando ho intenzione di annientare l’umanità intera.

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Capitolo 8
*** Stairway to Heaven ***


“In paradiso un angelo non è niente di particolare.
(George Bernard Shaw.)
 
 
 
Sottili fili d’erba mi solleticano il viso. Piccole gocce di rugiada li imperlano, per poi scivolare delicatamente lungo il fusto. Ne seguo pigramente il percorso con lo sguardo, lasciandomi cullare dai suoni e dai profumi portati dal vento.
È così diverso dalla mia prigione. Lì avevo provato a ricostituire la vita come la ricordavo, ma la mia creazione e quella di mio padre erano incomparabili: un’opera d’arte e la sua sbiadita imitazione. Ottima esecuzione, ma dov’è il pathos? Il mio mondo era freddo e spento come il marmo. Morto. C’era da immaginarselo, comunque: Michael è il fuoco, lo slancio, la passione; io la semplice prova dell’abilità del fabbro. Un bel quadro da ammirare, nulla più. Non ero nato per pensare, provare… ribellarmi.
Guidato dal pensiero di mio fratello, sollevo gli occhi al cielo. La Luna risplende, brillante. Nel Medioevo credevano che le scure macchie sulla sua superficie fossero prodotte dall’ombra di Caino, esiliato per la sua colpa. Le scoperte scientifiche hanno dimostrato che si tratta di semplici crateri formati dall’impatto di centinaia di meteore, ma per me sarà sempre la casa del traditore. Sei lì adesso, fratello?
Mi rimetto in piedi, un’orribile sensazione alla bocca dello stomaco. Devo distrarmi, lui non c’ha messo molto a scordarsi di me…
Dean ha due soluzioni per queste evenienze: una sbronza colossale e una corsa sulla sua piccola, mai accoppiate però. Credo farò un’eccezione alla regola. Mi concentro e sul prato compare la sua auto, scintillante come non mai. Ad attendermi, sul sedile del passeggero, una confezione da sei di birra.
Sono subito sulla strada. L’asfalto è una linea continua che scivola via sotto le ruote. Velocità, ebbrezza, libertà, ecco cosa rappresenta questa ferraglia per Dean; oltre a essere l’unica altra casa che abbia mai conosciuto, la prima l’ha svista troppo presto svanire fra le fiamme. Be’, poco male: io dalla mia sono stato bandito… Metto in funzione lo stereo, sperando che le sue voci mettano a tacere quelle nella mia testa. Un leggero sorriso mi increspa le labbra, pare proprio che parte della sfiga di Dean mi si sia attaccata addosso: sono gli Zeppelin, Stairway to Heaven. 
All’assolo iniziale di chitarra, mi ritorna in mente un versetto della Genesi: “Ed ecco una scala appoggiata sulla terra, la cui cima toccava il cielo; ed ecco gli angeli di Dio, che salivano e scendevano per la scala.”
Già, peccato che io l’abbia discesa col culo…
“Ancora a rimuginare sul passato, fratello? Sei sempre stato portato al melodramma!”
La risata cristallina di Gabriel si diffonde nell’abitacolo.
“E tu ad impicciarti degli affari altrui. Dopotutto, sei la sua postina, sorella” ribatto.
L’atmosfera resta distesa, quasi serena. Merito di Gabriel, la più moderata, impassibile e irritante delle creature di Dio. L’unica a cui, ancora oggi, possa pensare con affetto.
“Molto gentile da parte tua, Helel, ma sappiamo entrambi che non è su di me che si affollano i tuoi pensieri” sussurra, lieve.
Stringo con forza le dita sul volante, fino a sbiancarmi le nocche e a crepare il fragile oggetto. “Fine della riunione di famiglia, Gabriel. Fa’ la tua ambasciata e poi vattene a cagare” ringhio, furioso.
“Un linguaggio che non si addice alla Stella del Mattino” continua, per nulla intimidita. “Sono qui di mia iniziativa, Helel. Voglio aiutarti” conclude, posando una mano sulla mia gamba.
“Vuoi cadere per me, sorellina?” chiedo, scettico.
Scuote la testa. “Eviteremmo certi fraintendimenti, se provassi ad ascoltare la mia mente.”
Sorrido. “La violazione della privacy è uno dei motivi per cui sono andato via.”
“Non si tratta di intrusione, ma di comunione” afferma, convinta. Resta in silenzio qualche istante, prima di ricominciare. “Ecco, non avrei saputo dirlo meglio!” esclama.
“Cosa?”
“Yes, there are two paths you can go by, but in the long run there’s still time to change the road you’re on…” modula, con dolcezza.
“Ti sbagli, sorella, questa canzone non ha nulla a che fare con me.”
“Strano, so di migliaia di fan dei Led Zeppelin pronti a giurare il contrario.” Mi rivolge un sorriso stanco e riprende, persuasiva. “Non puoi vincere, e lo sai. Torna a casa: c’è sempre perdono per coloro che lo implorano.”
Senza rallentare, fisso lentamente i miei occhi nei suoi e resto colpito da quello che vi leggo: determinazione, tristezza, ma soprattutto rassegnazione. Gabriel conosce già la mia risposta.
“Prima di tutto, quella del figliol prodigo era una semplice favola; inoltre, dovresti aver capito che preferirei morire libero, piuttosto che strisciare ai suoi piedi.”
“Stai pur certo che otterrai quello che desideri” scatta, dura. “Mi dispiace soltanto che tu abbia vanificato il suo sacrificio.”
“Di che parli?”
Una smorfia amara le deturpa il viso. “Credi davvero che mi sarei presa tanto disturbo per te, stupido, capriccioso traditore? Sono qui perché Michael mi ha chiesto di proteggerti, di nuovo.”
Le sue parole gettano sale su vecchie ferite mai rimarginate, alimentando rabbia e rancore. “Proteggermi? Certo. Credo che le nostre definizioni della parola differiscano. La mia non prevede percosse, umiliazione e tradimento…”
“Aveva l’ordine di ucciderti e tu più di tutti dovresti sapere qual è il prezzo della disobbedienza, Lucifer.”
Inchiodo la macchina, augurandomi quasi di vederla sfondare il parabrezza, accartocciandosi poi a terra. Ovviamente, non si smuove di un millimetro.
“Vattene” sibilo. “Prima che distrugga te e questo angolo insignificante dell’Universo.”
“Oh, non pensavo che la verità ti avrebbe sconvolto così tanto… È il tuo cuore di burro o il tuo ego smisurato a parlare, fratello?”
“Fuori!” esplodo, rispedendola in Cielo e distruggendo il corpo che la conteneva.
Affondo la testa nella morbida imbottitura del sedile, provando a riprendere fiato. Un dolore bruciante mi stringe il petto, impedendomi di respirare. L’aria si è fatta incandescente, soffocante.
Dean trema da capo a piedi, incapace di sostenere un simile potere. Non avrei mai dovuto attaccare Gabriel, non ora. Ho sbagliato, ma mi consola l’idea che lei stia molto peggio.
“Questa è comunione, stronza” mormoro.
Serro le palpebre, cercando di tenere a freno la nausea.
È di questo che dovrei sentire la mancanza? Amarezza, inganni, menzogne?
Gabriel non prese posizione all’epoca, decisa a non alzare la mano contro un membro qualsiasi della sua famiglia. Amore? Codardia? Al momento propendo per la stupidità: come ha potuto pensare che le credessi, quando le ultime parole di Michael sono incise a lettere di fuoco nel mio cuore? Quando ricordo ancora perfettamente la delusione e l’odio che adombravano il suo sguardo mentre mi colpiva?
Michael ha smesso di considerarmi un fratello nel momento in cui ho alzato la testa, troppo limitato per capire che la mia rivolta poco aveva a che fare con lui e col nostro rapporto. L’aver sviluppato un cervello mi ha automaticamente reso indegno del suo amore e del suo rispetto; provare a liberarli da morso e catene mi ha trasformato in un pericolo, in una creatura da eliminare… Come può l’angelo che proteggeva il trono di nostro padre con la sua spada fiammeggiante aver disobbedito per me?
“Sai, io non sono papà. Noi siamo fratelli. Siamo una famiglia. E… non importa quanto male si mettano le cose, questo non cambia…”
Mi porto una mano al viso, sopraffatto da una serie di immagini e ricordi. Ecco, ci mancava l’apporto del fratello dell’anno.
“Non tutti siamo così perfetti, Dean,” sussurro, stremato. “Io non sono il tuo Sammy e di certo Michael non è te…”
Magari lo fosse, penso con rammarico.
Le prime lacrime mi rigano le guance. Le lascio cadere, illudendomi che sia Dean a versarle.
Gabriel voleva soltanto indebolirmi, e c’è riuscita. Non posso affrontare tutto questo da solo, non di nuovo. Al diavolo l’etichetta, il ciclo lunare e quei coglioni dei miei fratelli. Ho bisogno di Belial, subito.

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Capitolo 9
*** Dark Shines ***


“Paradise comes at a price
that I am not prepared to pay
.
What were we built for?
Could someone tell me please?”
(Megalomania, Muse.)
 
 
 
Metatron è la Voce. Il contatto diretto con Dio, colui che impartisce le sue disposizioni.
A noi è concesso vederlo, bagnarci nella sua luce, ma non ascoltare la sua voce. Non che qualcuno se ne lamenti, beninteso. Nessuno vorrebbe essere al posto di Metatron. È una larva, una creatura distrutta e irriconoscibile.
Era come noi un tempo? Michael sostiene di sì, io non ricordo. Per me Metatron è un relitto che vegeta su di un trono d’oro, un mero contenitore che si contorce e supplica in attesa di essere riempito. È forse vita la sua?
Nostro padre avrà mai pietà della sua condizione? Perché non nomina un successore, concedendo a Metatron un misericordioso oblio?
La compassione mi spinge ad augurarmi questo per il mio sventurato fratello, la mia parte razionale è decisamente più accorta e spietata: solo un serafino potrebbe prendere il posto di Metatron e io non ho alcuna intenzione di immolarmi per lui. Raphael e Gabriel sono troppo deboli e l’idea che la scelta possa cadere su Michael è semplicemente intollerabile.
Gli avevo confidato i miei timori e aveva fatto spallucce. “Metatron contempla la grandezza di Dio e conosce i suoi più intimi pensieri, sarebbe un grande onore…”
“Cosa? Una vita da cerebroleso?” avevo gridato, furioso.
Lo sguardo di Michael si era addolcito. “Non credo potrebbe mai scegliere uno di noi, Helel: io non sono abbastanza intellettuale e nessuno condividerebbe mai spontaneamente la sua mente con te.” Un sorriso, poi. “Ci ha creato affinché eseguissimo i suoi ordini, ed è quello che faremo.”
Sembra che mio fratello avesse torto…
“No.”
La mia voce risuona forte e chiara dinanzi all’assemblea, sovrastando persino quella di Metatron e ammutolendo i cori per la prima volta in millenni. Tutti gli occhi si posano su di me, compresi quelli bianchi e ciechi del Reggente.
Per un attimo tutto si ferma, poi Metatron ripete la sua richiesta: più facile credere che sia diventato sordo, piuttosto che disobbediente.
“Non ho alcuna intenzione di fare da balia a un branco di scimmie appena scese dagli alberi, è un insulto. E lo stesso dovrebbe valere per voi” dico, voltandomi verso i miei fratelli.
Abbassano lo sguardo, vergognosi, spaventati. Insicuri.
Sento un sorriso affiorarmi alle labbra: sono bastate poche semplici parole a instillare il dubbio nei loro cuori.
“Gli ordini che impartisco provengono da Dio stesso, Helel” ricomincia Metatron.
“Ne sono consapevole” ribatto. “Ugualmente, non li eseguirò.”
È un affronto! Perché dovrei abbassarmi a servire creature tanto inferiori? Non accadrà, mai!
Il Reggente solleva la testa; una smorfia gli deturpa il viso, quando parla il suo tono è calmo, sprezzante. “Quanta ingiustificata superbia, figliolo. Odi gli uomini, perché? Forse perché a loro ho concesso quello che tu non avrai mai? Brami la libertà, Lucifer?”
“Padre?” chiedo, stupefatto.
Metatron scoppia a ridere. Il suo corpo provato sussulta in preda agli spasmi. Bava e si dimena, emettendo versi animaleschi. È uno spettacolo disgustoso, grottesco.
D’un tratto provo l’impulso di colpirlo a dispetto delle conseguenze: voglio solo che taccia.
Mi scaglio contro di lui, il pugno levato, ma non è Metatron che ferisco.
“Michael,” mormoro, inorridito, “perché ti sei intromesso?”
Se non mi fossi fermato in tempo, l’avrei ucciso.
Mi chino su di lui, provando a rimetterlo in piedi. Mi spinge subito via. “Volevi forse prendere il suo posto?” sibila, infuriato. “Che ti è saltato in testa, Helel?”
“Io…” incomincio.
Il Cielo trema, squarciato da lampi e boati tremendi.
“Vattene” ordina Michael, gelido.
Il trono di Metatron si spacca e il vecchio angelo cade a terra. Tutti gli altri si stringono fra loro, terrorizzati.
“Ti ho detto di andartene, fratello. ORA!” grida, esasperato.
“Tornerò, Michael” gli assicuro, scomparendo…
Sollevo cautamente le palpebre, solo per serrarle subito dopo contro l’accecante riverbero.
Sono nauseato e sconvolto, ma soprattutto terrorizzato: perché mai ho sognato una cosa simile?
“Non era un semplice sogno, e lo sai. Stai diventando una sola cosa con lui, come ti aveva assicurato, ragazzo.”
Bobby? Be’, è normale che la mia testa associ a lui la parte didattica.
Non mi disturbo neppure ad aprire gli occhi, so di essere solo.
Razionalizzata la notizia, diventa molto più facile digerirla; dopotutto non c’è molto che possa fare per cambiare le cose…
“E così ti stai arrendendo. È forse questo che ti ho insegnato, figliolo?”
Papà.
Le sue urla mi trapanano il cervello, ma è il suo tono rassegnato a mandarmi in bestia. Non è sorpreso o deluso, indignato o arrabbiato: se l’aspettava. Quando ricomincia, le sue parole hanno assunto una sfumatura di ironico disprezzo. “Sei crollato dopo appena trent’anni, Dean, il passo successivo era diventare la puttanella di Satana… Avrei fatto meglio a lasciarti morto.”
Spalanco gli occhi, furioso.
“E assumerti la responsabilità di fermare Sammy? La verità è che hai colto la prima via d’uscita disponibile, scaricandomi tutto addosso. Davvero eroico, bastardo!” grido al deserto che mi circonda.
“Oh, Dean, mi stupisci: ti avevano descritto come il figlio rispettoso…”
Sam. No, Lucifer.
La sua ombra si staglia sul terreno rosso, argilloso. Non è l’ennesimo parto della mia mente, è davvero qui.
“So che non sei lui” ringhio.
Sorride. “Ovvio che lo sai, non sei uno stupido” ribatte, gentile.
Sempre gentile.
Mi rimetto in piedi, di nuovo vigile: questa potrebbe essere la mia unica occasione per fermarlo.
“Che diavolo vuoi?” domando, avvicinandomi. “Cambia aspetto, subito.”
“No, non lo farò. È il mio regalo, Dean: meriti di vedere il tuo fratellino un’ultima volta.”
Un altro passo. “Cosa? Vuoi uccidermi adesso?”
Ci separa meno di un metro, ci siamo quasi.
“Morirai comunque, io ti offro semplicemente la possibilità di non soffrire.”
“Quanta premura” dico, rispondendo al suo sorriso. “Peccato che i buoni siano sempre i primi ad andarsene.”
Mi riserva un’espressione confusa e abbasso gli occhi ai suoi piedi. “Non saresti mai dovuto venire, figlio di puttana.”
Osserva l’intricato simbolo inciso intorno a lui e scoppia a ridere. “Una trappola del Diavolo? Sul serio, Dean? Dimentichi che io sono un angelo.”
“Qui sei solo la mia puttana, amico” mormoro.
“Credo sia meglio farti un ripasso su chi fotte chi, ragazzo” mi schernisce, acido.
Si scaglia contro di me, ma il sigillo gli impedisce di raggiungermi. Funziona!
“Godi nel farmi perdere tempo, eh?”
Faccio spallucce. “Mi sentivo tanto solo…”
“Piantala con questo atteggiamento” incomincia. “Questo è solo un misero contrattempo e tu sei solo umano.”
“Devo prepararmi all’ennesimo discorso sulla superiorità della razza?” chiedo, beffardo.
Sorride ancora. “No, Dean. Guardati in giro, ricordi la rigogliosa foresta di prima? Adesso è solo uno squallido deserto. Brullo, arido, senza vita. Rappresenta la tua anima. Sei allo stremo, quanto credi di poter resistere?”
Sfiora il pentagramma e una morsa mi serra il petto. Porto una mano al cuore, sforzandomi di calmarne i battiti impazziti e di schiarirmi la vista.
“Abbastanza da riuscire a farti rispedire all’Inferno” rantolo, concentrandomi sul simbolo.
Lucifer ritrae la mano con un sibilo di dolore, le dita annerite e contorte. Vaffanculo!
Mi gira la testa, un calore intollerabile mi opprime. Non riesco a respirare.
Cado in ginocchio. Mi si chiudono gli occhi, ma continuo a visualizzare la trappola e Lucifer al suo interno. L’importante è che quel mostro resti dov’è…
“Mi dispiace, Dean. Sei troppo provato e io sono immensamente più potente di te” sussurra, dolce.
È sopra di me, è libero.
Un lamento mi sfugge dalle labbra. Mi passa le braccia intorno alla vita, per poi sollevarmi di peso.
“Sta’ calmo” mi intima, ancorandomi al suo corpo.
Incomincia una cantilena nella sua lingua sconosciuta. La terra trema. Fa un passo indietro e un orrendo abisso si spalanca sotto di noi. È profondissimo, sconfinato.
“E questo cosa sarebbe? Sapevi che volevo visitare il Gran Canyon?”
“Questa, Dean, è la fine. Nel momento in cui cadrai, cesserai di esistere.”
Mi trascina fino al bordo e mi lascia andare.
“Ora,” dice, “gettati.”
Nonostante la mortale serietà della situazione, mi ritrovo mio malgrado costretto a ridere. “Perché mai dovrei farlo?”
“Perché no?” ribatte, genuinamente curioso. “Preferisci forse restare qui? Ben presto finirai per credere a quello che dicono le voci; il tradimento e l’angoscia ti cambieranno, trasformandoti in un mostro.”
“Come te?”
Si lascia scivolare addosso la mia insinuazione, incurante. “È davvero una scelta la tua, quando dall’altra parte ci sono oscurità e silenzio? Pace.
Mi sporgo dal ciglio. Chiudo gli occhi, disorientato da una momentanea vertigine. Un vento fresco mi sfiora il viso e i capelli, l’aria sa di buono.
Per la prima volta non sento contro le palpebre la presenza degli squallidi colori del posto, pronti ad intrappolarmi in un folle caleidoscopio di rossi e bianchi. C’è solo buio, anche se nelle sue profondità mi pare di scorgere riflessi luminosi. Sì, l’oscurità brilla. È questo che significa essere liberi?
Muovo un passo in avanti, alla cieca. Il mio piede è sospeso nel vuoto; mi basterebbe spingermi solo un altro po’ e sarebbe tutto finito.
Riapro gli occhi, mettendo fine a questa fantasia. Non posso, non voglio farlo.
“No, preferisco restare nel paese delle Meraviglie. La tana del Bianconiglio è troppo tetra per i miei gusti.”
Mi giro a fronteggiarlo e il mondo si inclina sul suo asse. Sento mancarmi il terreno sotto i piedi e la forza di gravità schiacciarmi verso il basso, poi la caduta si arresta.
“Come preferisci, Alice” esclama Lucifer, afferrandomi.
Mi getta di malagrazia contro le pietre e si allontana dal baratro.
“Perché l’hai fatto?” chiedo, riprendendo fiato.
“Per funzionare doveva essere una tua libera scelta, Dean. Non il frutto della tua poca coordinazione.”
“Stai mentendo” replico con un sorriso.
“Pensa quello che ti pare” mormora, seccato.
Mi metto seduto e si accomoda al mio fianco.
“Ehi,” domando, a disagio, “sei poi tornato da lui?”
“Da chi?”
“Michael.”
La sorpresa si disegna sul suo viso, insieme a qualcos’altro che non riesco ad identificare. Dolore, rimpianto?
“L’ho visto in un sogno” mi affretto ad aggiungere.
“Ah, giusto” concorda, ancora stranito. “Perché non riposi, Dean? Magari riprenderai il sogno.”
“Non puoi semplicemente…”
D’un tratto le palpebre mi si fanno pesanti. Perdo lucidità e mi trovo a lottare per restare sveglio. “Che cazzo combini, brutto… Sam?”
Sam, che diavolo ci fa qui?
“Ssshh, ti ho trovato. Ora sei al sicuro, Dean.”
Mi stringe in un abbraccio, facendomi poggiare contro il suo petto. Questo è Sam. La sua voce, il suo corpo, il suo profumo.
“Chiudi gli occhi. Non sei stanco?”
“Sam, dobbiamo andarcene, lui potrebbe…”
“È tutto finito. Abbiamo vinto, non ricordi?”
No, non è così. Noi…
“Ssshh, va tutto bene” mormora, carezzandomi i capelli.
La sua mano si ferma sul mio collo. Calda, familiare. Rassicurante.
“Va tutto bene” sussurra, ancora una volta.
Un rumore secco, definitivo; una scarica di dolore bruciante, poi più nulla.

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