Hideaway

di Clonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perfect stranger ***
Capitolo 2: *** Broken Bones ***
Capitolo 3: *** Lone Rider ***
Capitolo 4: *** Someone to stay ***
Capitolo 5: *** Dreaming Of You ***
Capitolo 6: *** Fade ***
Capitolo 7: *** Fly Away With Me ***
Capitolo 8: *** Hurt for me ***
Capitolo 9: *** In the morning ***
Capitolo 10: *** The night we met ***
Capitolo 11: *** Two ***
Capitolo 12: *** Promise ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Perfect stranger ***


 
1 - Perfect Stranger

Tonight I feel something over me
Something I can't change 
Many nights I have spent sailing

With may reasons to be brave
But, Tonight I feel my heart begin to fail me 
And my 
head begin to fall 
Like two ships crossing their paths
I see you like a new dawn 

My perfect stranger
Don't sail away 
It was meant to be 
We met this way 
We met this way

("
Perfect Stranger" Civil Twilight)
 
Erano in quattro, quindi la quantità di coglioni presenti dentro quel drugstore era esorbitante.
“Esorbitante” era la parola del giorno sul calendario di Sammy, sarebbe stato fiero di come Dean era riuscito ad usarla. Forse.
Aveva provato a fare i propri acquisti senza dare fastidio a nessuno, ma quelle montagne dei suoi compagni di scuola - che per altro manco giocavano a football o qualche sport del genere, no, erano nel gruppo della fottutissima chiesa - gli avevano strappato di mano il sacchetto, e tutti i suoi tentativi di distanziarli tra le file del negozio erano andati falliti.
«Whiskey, birra... Winchester, hai un documento falso, per caso
Il più grosso di tutti, un biondissimo esemplare di maschio americano, aveva scoccato uno sguardo d'odio verso il commesso, che aveva alzato i palmi in aria, spaventato. «Ehi, il documento era valido.»
Certo che lo era, l'aveva fatto suo padre, ed era solo una delle identità false che gli aveva affibbiato per truffare le banche, e perché no, per mandarlo di sera a comprargli il whisky quando ne aveva bisogno. Le birre, invece, beh, quelle erano un acquisto personale, ma se le era fottutissimamente meritate.
«Perché non smetti di sorridere e rispondi, Winchester?»
«Perché non sono cazzi tuoi, bello.»
Non c'era stato bisogno di altro per essere preso di peso dagli altri tre e sbattuto nel vicolo fuori. Sperò che il commesso fosse abbastanza intelligente da non chiamare gli sbirri, Dean se la sarebbe potuta cavare da solo.
«Bene, come ve la volete gioca-»
Il pugno lo colpì dritto in bocca, schizzandogli la lingua di sangue. 'Okay', si disse, mentre cercava di divincolarsi dalla presa ferrea che gli teneva entrambe le braccia dietro la schiena, 'forse non posso cavarmela da solo.'
  
Castiel era in ritardo di cinque minuti. Il tragitto per arrivare a casa era di quindici se tagliava la cittadina lungo la via principale, dieci se usava la scorciatoia. Comunque troppo, secondo i canoni di sua zia Naomi. Da quando si era trasferita da loro al ranch - da quando il padre di Castiel era sparito - le regole erano diventate infinite e ferree. L'unica speranza era che Gabriel fosse ancora più in ritardo di lui, come sempre. 
Girò l'angolo del vicolo a fianco al piccolo drugstore, pronto a scattare per saltare la recinzione metallica lì in fondo, quando vide quattro ragazzi dalle facce note - occupavano sempre le panche in fondo alla chiesa, al contrario di Castiel e della sua famiglia - accanirsi contro qualcuno di decisamente meno familiare. 
Si avvicinò, il passo lungo e deciso, e colpì nei reni uno dei tizi, visto che gli stava dando le spalle. Aveva avuto la sua dose di bullismo, quando era piccolo, perché studiava a casa e la sua famiglia era un po' stramba oltre che molto religiosa, quindi aveva imparato ad approfittare subito delle debolezze. Parlare era sempre stato inutile. Il ragazzo si voltò, sorpreso, e Castiel lo colpì rapido anche allo stomaco, facendolo crollare. Gli assestò un ultimo calcio nelle costole che già un altro di loro - gli altri due pietrificati nel loro occuparsi del malcapitato - si stava facendo sotto. 
«Lascialo perdere, non ne vale la pena. Né lui né quest'altro,»  lo fermò quello che si stava sfogando sul loro bersaglio fino a un attimo prima. 
Castiel aveva ancora i pugni serrati ed era pronto a continuare. Ma i tizi lasciarono andare il ragazzo e raccolsero il loro amico dall'asfalto, per superare Castiel dando qualche infantile spallata. 
«Ci vediamo domenica, Novak! Se Naomi ti dà il permesso!» urlò uno di loro quando erano già lontani, seguito dalle risate degli altri. 
  
Dean raccolse il sacchetto e la propria dignità da terra, passandosi la manica sulla faccia per pulirsi dal sangue del labbro spaccato.
A Sammy sarebbe venuto un infarto, ma Dean avrebbe comunque detto di averli stesi tutti lui, fanculo il tizio impalato davanti a lui che era arrivato silenzioso e letale come una dannato serial killer in un film. Doveva avere più o meno la sua età e Dean non lo stava affatto invidiando per averli fatti scappare solo con la sua reputazione, perché solo così si spiegava come li avesse fatti fuggire con un paio di pugni e uno sguardo assassino.
Sputò a terra un miscuglio di saliva e sangue, cercando di non dare nell'occhio mentre lo osservava un po'.
Doveva ringraziare? Magari lo aveva fatto solo per un patteggiamento di conti tra di loro.
Sammy lo avrebbe preso a calci se non l'avesse fatto, però, quindi decise di fare uno sforzo.
«Grazie... credo.»
  
Castiel rilassò la postura: le spalle a incurvarsi leggermente sotto l'enorme impermeabile - lo aveva pescato nell'armadio di suo padre -, la mascella meno serrata, le braccia lungo i fianchi. Scrutò il ragazzo che aveva davanti con attenzione, lo sguardo a scavare come suo solito alla ricerca di qualcosa che non aveva mai trovato negli altri.  
Era un bel ragazzo anche nella penombra, la giacca di pelle e i capelli impeccabili nonostante il recente scontro. Non era di quelle parti, di questo Castiel era certo.  
Nella busta tintinnarono bottiglie di vetro.  
«I tuoi acquisti sono salvi?» domandò, neutro, incerto su come ci si dovesse comportare in quella situazione. 
Non aveva mai avuto occasione di aiutare qualcuno. Forse perché le persone avrebbero preferito cavarsela da sole pur di non essere associate a lui. 
  
Dean pescò fuori una lattina di birra con un sorriso - che si trasformò subito in una smorfia di dolore, dannati stronzi - e l'aprì, per poi buttare giù un lungo sorso accompagnato da un soddisfatto schiocco di labbra.
«Tutto apposto,» allungò il sacchetto. «Vuoi una?»
Alla fine il tipo gli aveva salvato il culo, dignità Winchester o meno, quindi se la meritava. La sua coscienza sotto forma di voce di Sammy gli stava imponendo le buone maniere come sempre.
  
Castiel capì di essere davanti a uno di quelli. Bere, magari fumare, tutto pur di mantenere l'apparenza da cattivo ragazzo che sembrava andare per la maggiore da quelle parti, vista la noia generale delle ragazze. Gabriel diceva che Castiel doveva togliersi il palo dal culo, ma lui non giudicava il gesto in sé. Era tutta la questione delle apparenze ad annoiarlo a morte. Alla fine erano tutti terrorizzati dalla vita allo stesso modo, birre o meno. Spostò lo sguardo che fino a un istante prima era stato fisso sullo sconosciuto, lasciandolo vagare sulla recinzione in metallo alle sue spalle oltre la quale si trovava il tragitto per andare a casa. 
«Non bevo. E sono in ritardo,»  dichiarò, senza però muoversi visto che ancora non sapeva bene cosa fare in quella strana situazione.  
A parte i suoi fratelli, non parlava con nessuno. Nessun essere umano, almeno; gli animali al ranch erano un'eccezione. 
  
Dean alzò le spalle, borbottò un 'okay' e si scolò altra birra, macchiando il bordo di rosso vermiglio.
«Dannazione,» borbottò di nuovo, e si appoggiò la lattina fresca contro il labbro che sentiva gonfiarsi di secondo in secondo.
Quando alzò lo sguardo, il tizio era ancora lì. Aveva detto di essere in ritardo per qualcosa, quindi Dean aveva semplicemente dato per scontato che se ne sarebbe andato.
Gli venne in mente quello che avevano urlato i coglioni prima di defilarsi.
«Ehi, ti serve una mano domenica con quei tizi... fammi sapere, okay?»
Il suo Sammy-interiore gli fece notare che si era offerto di aiutare uno sconosciuto senza manco presentarsi. «Uhm, mi chiamo Dean,» aggiunse, alzando il palmo a mo' di saluto, la faccia ancora premuta contro la lattina.
  
Castiel frugò fra le tasche dell'impermeabile, continuando ad incappare in oggetti che non sarebbero stati utili all'occasione, fino a trovare nella tasca interna superiore quello che stava cercando.  
Allungò a Dean il fazzoletto in stoffa. 
«Sono Castiel,» disse. «E non credo stiano pianificando un agguato fra le panche della chiesa,» constatò poi, serio. 
  
Dean accettò il triangolo bianco per il semplice motivo che non aveva voglia di tornare da quel commesso di merda a chiedere qualcosa per medicarsi - non aveva nemmeno chiamato gli sbirri, che razza di stronzo fa una cosa del genere a un ragazzo?
«Aspetta, in chiesa?», chiese, sostituendo la lattina con il fazzoletto. «Il vostro incontro di domenica sarà...»
Aggrottò le sopracciglia. «Non ti ho mai visto a scuola con loro.»
  
«Non vado a scuola,» si limitò a rispondere Castiel, come fosse un dato di fatto e Dean avesse dovuto saperlo. 
Era strano avere quella conversazione, tutto lì. Ogni singola persona in quella cittadina conosceva i Novak e Castiel non aveva mai dovuto spiegarsi più di tanto. Probabilmente il ragazzo era appena arrivato, ma avrebbe presto imparato ad evitarlo per strada. O a comprare qualche dose da Gabriel, se era il tipo. O a sparlare di Anna e della sua salute mentale. Una delle tre o tutte insieme, perché no. 
  
«Mmh,» mormorò, prendendo un altro sorso. «Hai mollato o è per scelta? Perché in caso vorrei sapere anch'io come si fa a non andarci.»
In realtà non era tanto la legge statale a tenerlo a scuola quanto Sammy. Dean si rifiutava categoricamente di lasciarlo da solo duranti gli anni del liceo, probabilmente quando avesse finito sarebbe rimasto come bidello o qualcosa del genere pur di stargli vicino.
  
«Studio a casa,» rispose Castiel, ancora. «Ma ti basterà chiedere dei Novak per saperlo,» chiarì.  
Da una parte non voleva che accadesse, che anche quella persona spuntata lì da chissà dove lo guardasse come un alieno quando lo incrociava per strada. Era così strano, parlare con un ragazzo della sua età come se fosse normale, che non voleva quel momento finisse. Dall'altra era meglio non farsi illusioni in merito... 
Senza che se ne fosse davvero accorto, il suo sguardo era tornato a studiare Dean con attenzione. 
«Visto che non sei di qui e ancora non lo sai,» aggiunse, quindi. 
  
Dean abbassò lentamente il fazzoletto.
Le cose cominciavano a quadrare, non c'era una faida in corso tra due gruppi di chiesa, semplicemente quel Castiel doveva essere stato dall'altra parte delle botte in più di una occasione.
«Non è che mi importi molto di chiedere alla gente,» asserì, scrollando le spalle come se si liberasse del fastidio di dover dare conto alle voci di paese. Anche i Winchester non avevano una buona nomea, in qualunque città finissero per piantare il culo John trovava sempre il modo di farli conoscere, e anche lì non sarebbe stato diverso.
  
Castiel si sorprese per quella risposta noncurante, poi tornò a dipingersi in viso la sua espressione neutra. 
Forse era vero. Forse no. Non che avesse molta importanza. 
Il vecchio cellulare prese a vibrare in una delle tasche dell'impermeabile proprio mentre formulava quel pensiero vagamente cinico, così diverso dall'attitudine speranzosa che Castiel aveva prima della fuga di Chuck. Si mise a frugare velocemente, fino a trovarlo. Non avevano il permesso di averlo, a dire il vero, ma Gabriel gliel'aveva dato perché potessero chiamarsi in caso di emergenza. 
«Dove cazzo sei finito, Cassie? Naomi sta schiumando di rabbia,» gli sussurrò il fratello dall'altra parte della telefonata. 
«Ho avuto un contrattempo, sarò a casa fra dieci minuti.» 
«Sì, e poi ci resterai per i prossimi dieci anni. Almeno hai una buona scusa? Spero stessi compiendo l'opera del Signore o qualcosa del genere, perché solo quello ti salverebbe,» scherzò Gabriel. 
«Non ho bisogno di una scusa,» rispose Castiel, allontanandosi da Dean in direzione della recinzione.  
Si rese conto di doverlo salutare, probabilmente, così si voltò appena Gabriel mise giù. 
«Buona serata, Dean,» dichiarò, solenne, prima di sparire di corsa. 
  
Dean sventolò una mano goffamente, dato che il ragazzo era già sparito oltre la staccionata.
Lanciò la lattina ormai vuota, sistemandosi meglio il sacchetto tra il petto e l'incavo del gomito, e si avviò verso casa. Sammy sicuramente stava finendo i compiti sul tappeto e John era ormai semisvenuto sul divano, se Dean era fortunato.
Era ormai a due passi dal portone quando si rese conto di essersi tenuto il fazzoletto bianco di Castiel, ormai tinteggiato di ampi cerchi rossastri. 
 
Ehi!
AAAAAAAAAAAAAA
Siamo serClizia e DonnieTZ, questo è il nostro profilo condiviso e questa è la nostra ultima fatica scritta insieme. Essendo già completa, aggiorneremo probabilmente ogni settimana (salvo cataclismi).
E ora sono le due di notte quindi andiamo a letto. 
Grazie per essere arrivati fino a qui! 

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Capitolo 2
*** Broken Bones ***




2 – Broken Bones

 
 
I don't know if I dare
I don't know if I care
You are all I want
I am all I know

Broken bones
Stay alone
Broken bones
Stay alone

("Broken Bones" CRX)
  
Castiel si mosse con parecchio anticipo, quella prima sera di ritrovata libertà, perché i due giorni passati in punizione erano stati l'inferno e non aveva nessuna intenzione di ripetere l'esperienza. Anche perché lui non era come Gabriel, che se ne fregava e sgattaiolava via in ogni caso. Suo fratello avrebbe compiuto diciotto anni in un paio di mesi e non si interessava dell'atmosfera tesa che c'era in casa. Castiel cercava di non pensare più di tanto al futuro senza le sue battute e i suoi stupidi scherzi; a volte lo tollerava a stento, ma era l'unico in grado di farlo sorridere e di aiutarlo quando Anna si impuntava sul fatto di non avere bisogno delle sue pillole.  
Così stava camminando tranquillamente quando notò una figura nella penombra del vicolo che l'avrebbe portato a casa.  
Si mise sull'attenti, indeciso se impiegare i minuti che aveva a disposizione per cambiare strada e usare quella più lunga. 
 
Dean scorse qualcuno avvicinarsi e alzò la testa svogliatamente, quasi certo che anche quella volta Castiel non sarebbe apparso. Lo riconobbe per la postura rigida, come se stesse di nuovo per prendere a pugni qualcuno, e Dean quasi si staccò dal muro per la piacevole sorpresa di avere torto, ma si forzò di mantenere una certa tranquillità, il ginocchio piegato per tenerlo appuntato contro i mattoni rossi. 
«Ehi,» si tolse una mano dalle tasche per salutare Castiel con un sorriso placido, come se non si fosse appostato in quello stesso punto per due giorni di fila sperando di beccarlo. Nell'altra mano teneva la canonica lattina di birra, che fece dondolare nell'aria. «Te ne offrirei un po', ma...»

«Dean,» disse Castiel, perplesso, avvicinandosi con calma. 
Notando la birra dedusse che doveva averlo incrociato - ancora una volta - mentre faceva i suoi acquisti, anche se sembrava in attesa di qualcuno. Castiel si gettò un'occhiata alle spalle, chiedendosi con chi Dean avesse fatto amicizia. Di certo, chiunque quel qualcuno fosse, Dean non avrebbe voluto farsi vedere con lui. Probabilmente ora sapeva. Così Castiel restò impalato senza sapere bene che fare. 
  
«Ehi,» ripeté Dean, perplesso. Castiel era una specie di robot impossibile da leggere, rigido anche mentre si guardava alle spalle, e Dean non capiva se lo avesse infastidito, facendosi trovare lì. Forse in quei due giorni Castiel aveva cambiato strada pur di non rischiare di incontrarlo. 
«Uhm,» cominciò, avvicinandosi rovistando nella tasca della giacca «volevo ridarti questo.»
Gli allungò il fazzoletto, ritornato bianco grazie ai suoi instancabili lavori di polso per mandare via il sangue. Sammy lo aveva aiutato - come lo aveva aiutato a medicarsi sul serio, infatti ora Dean aveva un cerotto sullo zigomo e una crosta ben disinfettata sul labbro. Sorrise mentre porgeva il frutto del suo lavoro a Castiel. 
  
Castiel prese il fazzoletto lentamente, come se l'aria fosse improvvisamente troppo densa, sempre più confuso. L'idea che Dean stesse aspettando proprio lui era assurda, ma...  
Volevo ridarti questo.
«Sei qui per il fazzoletto?» chiese quindi, aggrottando le sopracciglia, gli occhi fissi su Dean. 
  
«Cosa? No, certo che no. Sarebbe strano.»
Le parole gli erano uscite di getto, spinte da quell'aggrottarsi della faccia di Castiel che non prometteva niente di buono. Non voleva farsi prendere a calci, grazie tante. 
Che poi, come gli era venuto in mente di aspettare uno sconosciuto in un vicolo? Patetico. Davvero patetico, Dean. 
«Ero... birra, sai. E... uhm,» prese un lungo, lungo sorso dalla birra, assetato come un uomo perso nel deserto. «Quindi,» disse infine, cercando di cambiare argomento con qualcosa di molto simile alla disperazione, «grazie ancora, sai, per l'altra sera.»
  
«Nessun problema,» disse Castiel, un po' più freddo per mascherare l'imbarazzo. 
Era stato stupido anche solo pensare che Dean stesse aspettando proprio lui, in effetti, ma le persone erano difficili da capire. 
Trascorse qualche secondo di silenzio, finché Castiel non si decise a continuare. 
«Ti auguro una buona serata, Dean, con... chiunque tu stia aspettando. Immagino ormai saprai che non è molto saggio farsi vedere con me, quindi è meglio che vada. Grazie per aver reso il fazzoletto,» riuscì a dire, abbassando lo sguardo sul pezzo di stoffa immacolato.  
Era tutto un po' inspiegabile, ma Castiel non era in grado di distinguere quanto fosse l'intera situazione a non avere senso e quanto fosse incomprensibile solo per lui. 
  
«Ehi, te l'ho detto, non mi interessa cosa dice la gente,» affermò con un sorriso, dandogli un'amichevole pacca sulla spalla e poi riprendendosi la mano in fretta. Aveva agito senza pensare, e di nuovo non aveva idea di come potesse essere preso il suo gesto. 
«Semmai non è saggio farsi vedere con me,» continuò, allargando le braccia. «Sono io quello che viene preso a pugni nei vicoli, no?»
  
Castiel assorbì la pacca con ancora più dubbi, ma decise di tenerseli per sé visto che Dean non aveva fatto niente di male. 
Per ora, aggiunse la mente. 
C'era stata una volta in cui qualcuno era stato amichevole con lui, ma era finita in un disastro. Hannah gli aveva confessato una cotta e avevano iniziato a vedersi di nascosto - l'aveva persino baciato -  ma durante il primo vero appuntamento, nonostante avessero scelto il Roadhouse, poco frequentato da quelli della loro età, avevano incontrato alcuni suoi compagni di scuola che l'avevano presa in giro. Lei aveva detto che era lì con Castiel solo perché aveva perso una scommessa. Castiel avrebbe giurato di piacerle davvero, ma aveva capito di non saperne niente delle persone e si era limitato ad andarsene. 
«Non ti conoscono. Presto ti vedranno bere, il tuo aspetto farà il resto, e diventerai popolare,» constatò Castiel. 
  
«Il mio aspetto?», Dean ghignò. 
Non era riuscito a trattenersi. Sapeva di non essere male, aveva gli occhi chiari della mamma e anche le sue labbra piene, mentre aveva preso la linea dura della mascella da papà. Non era chissà cosa, era sempre un ragazzo al verde con vestiti troppo grossi e di taglie tutte sbagliate, ma compensava con il suo sorriso del cazzo e tanto gel nei capelli. Era bello che i suoi sforzi venissero riconosciuti. 
  
Castiel abbozzò un sorriso involontario, senza sapersi spiegare bene da dove saltasse fuori. 
«Ora stai fingendo di non sapere di essere attraente,» disse, costatando l'ovvio come suo solito, gli occhi sempre fissi su Dean. 
  
Dean lo conosceva da... beh, in realtà no, non lo conosceva da cinque minuti, non lo conosceva per niente, ma non sembrava uno che fosse particolarmente incline a sorridere, quindi segnò quel leggero piegarsi di labbra come una sua piccola vittoria personale. 
Scrollò le spalle, sempre senza smettere di ghignare. «Non lo nego, ma non basta per smettere di farsi picchiare, credimi.»
E quello era un sentiero buio che non voleva intraprendere al momento. «Quindi, oltre ad essere molto attraente, dici che il bere mi garantirà molte amicizie in questo buco di posto?»
Trangugiò un altro po' di birra per buona misura, senza distogliere lo sguardo da Castiel. 
  
«Ragazze, almeno,» chiarì Castiel. «Si annoiano e tu sei una novità.» 
Era dolorosamente vero. Capitava che qualche giovane studentessa si interessasse ai lavoratori stagionali o a qualche straniero di passaggio. Quelli del posto erano materiale da matrimonio e quasi nessuno voleva pensare ad avere una storia seria - con genitori e cene in casa - a diciassette anni. Così si divertivano un po' prima di sottostare alle regole antiquate di quella cittadina; con discrezione, certo. Era tutto insensato agli occhi di Castiel e non lo erano da meno i meccanismi sociali che riguardavano il sesso maschile.
Si rese conto che i minuti a sua disposizione stavano lentamente esaurendosi. 
«Devo andare a casa,» aggiunse quindi. «Non posso fare tardi.» 
  
E tu, ti annoi?
Era una domanda stupida e Dean se la tenne per sé. Si limitò ad annuire e farsi da parte con qualche passo - quando si era avvicinato così tanto a Castiel, tra l'altro? 
«Ci vediamo, allora,» disse, un po' impacciato. Non era il caso di chiedere perché dovesse sempre andarsene così di fretta, né di chiedere in che modo potessero rivedersi. Perché avrebbero dovuto, poi? Dean gli aveva ridato il fazzoletto, le motivazioni di ogni interazione con Castiel si erano esaurite. 
Alzò di nuovo il palmo per sventolare il suo stupido saluto.  
  
Castiel rispose alzando il suo, di palmo, sempre perplesso, e si addentrò nel vicolo. Saltò la recinzione metallica e sparì verso casa, chiedendosi quando avrebbe rivisto Dean ora che aveva infilato in tasca il fazzoletto. 
Quella sera parlò a Gabriel e ad Anna dell'accaduto, dopo cena. Suo fratello gli raccomandò di non fidarsi, che Dean poteva avere intenzioni che Castiel non conosceva, per poi lasciarlo solo con Anna.
«Com'è questo Dean?» chiese lei. 
«Non saprei,» fu la risposta di Castiel.  
Bello, avrebbe voluto dire. 



 

Ehi! Eccoci qui con il capitolo successivo...
GRAZIE a chi ha letto il primo e a chi ha inserito la storia fra le preferite/seguite/ecc. Un GRAZIE enorme a chi ha speso tempo a recensire, vi risponderemo il prima possibile (che spero sia stasera). 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Settimana prossima ce ne sarà uno più sostanzioso e succederanno cose più "succulente"!
Ah, se volete fare un giro dalle parti di facebook, ecco le nostre pagine: Clizia & Donnie.
Nella bio, invece, trovate i profili EFP di entrabe per altre Destiel e simili!
Alla prossima settimana!

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Capitolo 3
*** Lone Rider ***




3 – Lone Rider
  
I have more questions
than before this all began,
Taking my thoughts captive,
but captivated by the thought of you and me
 
I’ll take the long way home tonight,
Hoping that one day I’ll be alright,
But for now, I’m moving on,
Holding on to nothing but my next breath
 
(“Lone Rider” Olde Wise)
 
Sammy era il quindicenne più fastidioso della storia, ma era sempre Sammy, e quindi Dean lo aveva accompagnato in libreria senza fare troppe storie.
Ok, facendo storie, ma comunque ce lo aveva portato, e lo aveva seguito per file e file di libri sgargianti con fare annoiato.
Si concedeva di guardare qualche titolo quando Sammy correva da una parte o dall'altra del negozio sulle sue gambette magre, e solo facendo attenzione che non ci fosse assolutamente nessuno intorno a lui. Aveva una reputazione da mantenere, e quella del nerd non era tra quelle papabili, soprattutto perché a scuola era pieno di gente che leggeva libri - o la fottuta Bibbia - in ogni dove, e Dean sentiva una colossale urgenza di essere per lo meno diverso. Un pochino, non diverso nel senso di strambo, di pazzoide da evitare, per quello ci sarebbe stato tempo. Sarebbe bastato John in città con qualche litro di alcool in corpo e lui che cercava di riportarlo a casa, era roba già vista.
Un paio d'ore dopo erano per strada di ritorno a casa, Sam con le braccia strette intorno ai tre nuovi libri che si era comprato e un sorriso in grado di rivaleggiare con il sole.
Dean stava camminando con le mani in tasca, guardandosi intorno giusto per conoscere un po' meglio la città e fare nota mentale delle quasi inesistenti differenze tra tutte quelle cittadine americane. Non ci si doveva abituare a questa, come non doveva abituarsi a quelle prima o a quelle che sarebbero arrivate dopo, ma che male c'era semplicemente a guardare?
Fu così che intravide Castiel mentre filava a passo spedito sul marciapiede, la sua testa corvina che spuntava sopra i tetti delle macchine parcheggiate.
Dean si fermò di colpo. «Sammy,» disse. «Vai avanti, ti raggiungo a casa. Mi sono ricordato di dover fare una cosa.»
«Ehi... aspetta... che cosa?»
Ma Dean lo ignorò, accelerando il passo dietro a Castiel.
  
Castiel era filato via appena finite le sue mansioni pomeridiane, per farsi una doccia veloce e dedicarsi al suo appuntamento quotidiano, l'unico segreto che non condivideva neanche con Gabriel e Anna.  
Percorse le vie della cittadina velocemente, come suo solito, per poi imboccare la larga strada di campagna costeggiata da campi di granoturco e altri ranch come quello dei Novak, affrettandosi senza guardarsi indietro. Arrivò presto alla fattoria abbandonata, andando dritto verso la stalla – il suo rifugio personale – dove pescò da dietro un cumulo di mattoni la scala a pioli per raggiungere il piccolo soppalco. Il fortino era costituito da una tela cerata sospesa fra le assi del soppalco e il tetto con spesse corde, per proteggere il suo nido dalla pioggia che sicuramente filtrava dal tetto trascurato. Sotto, un materasso logoro, recuperato dalla casa cadente a fianco alla stalla, era avvolto in morbide coperte di ogni tipo che Castiel aveva gradualmente accumulato e da qualche cuscino morbido su cui si era appisolato più volte. Una scatola in plastica conteneva tutti i libri che gli era proibito leggere a casa, il suo blocco da disegno e le sue matite, e qualche vecchia cassetta di suo padre che non poteva ascoltare perché non aveva i mezzi adatti.  
Si tolse l'impermeabile, restando con la maglietta grigia e la felpa bordeaux, prima di abbandonarsi  di schiena sul materasso. 
  
Dean temporeggiò sotto la scala a pioli, sentendosi un completo idiota.
Non era stata sua intenzione seguire Castiel come un maniaco, avrebbe voluto fermarlo e salutarlo, fare conversazione come... okay, non come due persone normali a quanto pare, ma quello camminava come una scheggia e Dean non era riuscito a raggiungerlo, quindi si era limitato ad andargli dietro, convinto che lo avrebbe approcciato una volta che fosse giunto alla sua destinazione.
Avrebbe dovuto capire che sarebbe stato un posto fuori dal comune quando si erano lasciati metri di periferia alle spalle per inoltrarsi nella campagna. Dean avrebbe dovuto fermarsi, tornare indietro, ritentare in un momento più opportuno, ma tra chissà quanto tempo sarebbe ricapitato, e dove? Forse quel vicolo era stato una semplice fortuna sfacciata di un giorno. E poi, doveva ammettere di essere anche stato curioso di sapere dove andava così di fretta uno che non andava nemmeno a scuola...
Contemplò la scaletta e l'evidente nascondiglio a cui portava. Doveva essere un rifugio personale, e forse Dean doveva davvero andarsene. Il punto era che non voleva.
«Ehm,» cominciò, tossicchiando forte per annunciare la propria presenza.
 
Cas sentì il sangue gelarsi nelle vene.  
Qualcuno era lì, nel suo posto, a invadere il suo spazio.  
Camminò carponi fino al bordo e guardò giù, per trovare... 
«Dean?» domandò, perplesso. 
Per un attimo fu quasi una certezza, l'idea che fosse tutto un elaborato scherzo, una trappola di qualche tipo per fargli fare la figura dell'idiota per l'ennesima volta. E non voleva perdere il suo nascondiglio, non voleva gli togliessero anche l'unico posto in cui si sentiva a casa.  
Poi studiò l'espressione imbarazzata di Dean e, in qualche modo, gli sembrò che fossero due facce della stessa medaglia, divisi solo da qualche piolo di legno. 
Era assurdo e stupido e rischioso, perché lui quel ragazzo non lo conosceva per niente. 
«Cosa fai qui?» 
  
Dean alzò i palmi, sentendosi ancora di più uno stronzo di fronte all'espressione confusa di Castiel.
«Mi dispiace, davvero, non volevo invadere il tuo... è che ti ho visto passare e...»
E cosa? E volevo parlarti?
Scosse la testa. «Senti, non la farò lunga. Ero curioso e ti ho seguito, ma non pensavo andassi...», indicò il rifugio di Castiel, «in un posto privato, ecco.»
Si zittì e rimase a guardare in alto, in attesa. Non voleva offrirsi di andarsene per primo.
  
«Io...» Castiel ponderò per un attimo. 
Poteva dare a Dean il beneficio del dubbio e, allo stesso tempo, essere abbastanza furbo da non ritrovarsi come dopo Hannah. Non che Dean e Hannah fossero la stessa cosa, certo.  
«Ti sarei grato se non lo dicessi a nessuno. Posso anche... se... posso condividerlo, non è una mia proprietà, solo non portarci nessun altro. E non toccare le mie cose,» chiarì, prima di tornare e rifugiarsi sul materasso.  
Non sapeva perché il cuore stesse battendo così forte, forse era solo l'idea che qualcuno conoscesse quel posto. 
  
«Oh.»
Castiel non lo aveva mandato via. Era una sensazione sorprendentemente piacevole. Non si era accorto di non sapere se la sua presenza fosse accettata o meno da Castiel, visto che le volte precedenti si era limitato ad andarsene senza troppi preamboli.
Dean appoggiò una mano sul piolo più vicino, per poi esitare. «Posso... posso salire?»
Non gliene fregava niente di una fattoria vuota, tanto, e non aveva di certo intenzione di portarci nessuno.
  
«Sì,» si limitò a rispondere Castiel, sedendosi a gambe incrociate sul materasso.  
Il cuore gli stava davvero martellando in petto e si chiese cos'avrebbe pensato Dean del suo stupido fortino. Non sapeva neanche perché fosse importante. Quando si emozionava, la sua espressione non cambiava poi molto, ma le sue orecchie avevano la spiacevole tendenza ad arrossarsi un po'. 
Attese che i capelli chiari spuntassero alla vista, trattenendo il fiato. 
  
Castiel era seduto su un cumulo di coperte, le mani sulle caviglie e gli occhi un po' strabuzzati.
Doveva essere in imbarazzo quanto Dean, che distolse lo sguardo per guardarsi un intorno mentre si tirava in piedi.
C'era una scatola in plastica appoggiata sull'esterno, qualche cuscino, e nient'altro. Solo Castiel e il suo sguardo allampanato.
«Bello,» disse Dean, quieto.
  
Castiel rilasciò un po' il fiato, abbozzando il sorriso che Dean sembrava in grado di strappargli senza neanche che Castiel se ne accorgesse. 
«Grazie,» disse, facendosi un po' da parte. 
Si accorse che probabilmente Dean non si sarebbe seduto sul materasso, a fianco a lui, ma ormai si era mosso. 
«Così... emh... continuiamo ad incontrarci,» aggiunse, come se non fosse strano o non sembrasse che Dean volesse incontrarlo. 
  
Dean notò il movimento di Castiel e si accucciò per sedersi, grato di non essere costretto a rimanere in piedi, a disagio.
Il suo culo scoprì che non era un cumulo di coperte ma un materasso, basso e scomodo, ma Dean aveva visto di peggio, e si voltò verso Castiel per rispondergli, notando la punta arrossata delle sue orecchie.
Carino, pensò, e poi si accigliò di fronte a quel pensiero.
«Sì, continuiamo ad incontrarci,» cercò di sorridere. «Spero non ti spiaccia.»
  
Dean era vicino. Molto vicino. Castiel poteva sentire il calore del suo corpo e il profumo di gel. Poteva guardarlo negli occhi e scoprire tutte le sfumature di verde delle sue iridi.  
E le lentiggini. Tutte quelle lentiggini. 
La penombra non gli aveva reso giustizia. Presto sarebbe calata anche lì e Castiel avrebbe dovuto accendere la lampada da campeggio se voleva continuare a studiare Dean. 
Si accorse di stare continuando a guardarlo, ma non riuscì davvero a spostare le pupille. 
«Non ci sono abituato,» ammise, «ma non mi dispiace.» 
 
«Non sono abituato nemmeno io a seguire tizi che camminano veloci come Flash,» sfoderò il suo ghigno, «e no, non dispiace neanche a me.»
Non era solo che Castiel profumava di sapone buono, ma anche che quel posto era semplice, scomodo ma in qualche modo... giusto. Dean lasciò gli occhi di Castiel per guardarsi intorno di nuovo.
«È tanto che vieni qui?»
  
Castiel soppesò la domanda, prima di rispondere. 
«Da quando Chuck, emh, mio padre, se n'è andato, più di un anno fa.» 
Avrebbe stranamente detto tutto a quel ragazzo spuntato da chissà dove, ma le parole uscirono abbozzate, mentre il suo sguardo restava su Dean. 
«Tu sei da queste parti da tanto?» 
  
«Mh, qualche settimana.»
Aveva per forza di cose dovuto tornare a guardare Castiel, e non era facile senza niente da tenere tra le mani, non sapeva che farci, così abbracciò le ginocchia e si agganciò al proprio polso.
«Spiace per tuo padre. Ti manca? Voglio dire... non... cioè, io pure non ho più mia mamma e mi manca, dicevo per quello.»
  
Castiel si lasciò andare all'indietro sul materasso, piano, la maglietta a tirarsi un po', scoprendolo appena. 
«Non lo so. Ho pensato di andarlo a cercare, appena farò diciotto anni, chiedergli perché ci ha abbandonati,» ammise, come se non stesse parlando di qualcosa di così importante come quel pensiero che aveva ripetuto nella sua mente miliardi di volte. «Ma mi rendo conto che forse non è lui a mancarmi, ma la libertà di prima. C'erano sempre la chiesa e i lavori al ranch, ma potevo andare in giro, fare le mie cose, leggere a casa,» continuò senza sapere bene perché. «Mi dispiace, per tua mamma,» aggiunse dopo qualche istante, guardando verso Dean con intensità, la voce un po' più bassa. 
  
Dean sentì l'impulso di allungare le dita per coprire la pancia di Castiel, ma se ne dimenticò appena quello si mise a parlare di partire alla ricerca del padre.
«Amico, fidati, non ne vale la pena...», disse, la mascella che gli si serrava come il pulsare di un battito. «Siamo per la strada da anni, a cercare mia mamma. Se n'è andata, succede, ci perde lei. Ci perdono loro
Abbassò lo sguardo sui loro piedi. «Non significa che non faccia schifo, però.»
  
Nella voce di Dean c'era amarezza e Castiel quasi non ci pensò quando allungò le dita e gli sfiorò la schiena. Lasciò ricadere la mano subito dopo, un po' perplesso, il cuore a battergli nel petto come se stesse per morire. 
«Deve essere difficile, viaggiare sempre,» balbettò, scacciando qualsiasi cosa gli stesse succedendo dentro. 
Lo sapeva che non ne sarebbe valsa la pena, cercare Chuck e tutto il resto. Forse era solo una scusa per andarsene da quel posto, andare da un'altra parte, dove non sarebbe stato un Novak, ma solo Castiel. 
  
Dean scrollò le spalle.
Era inutile stare troppo a rimuginarci sopra, era così e basta. Papà non voleva saperne di mollare la presa, e continuava a spostarli di posto in posto alla ricerca di tracce che erano scomparse ormai da anni. La mamma poteva essere morta, per quel che ne sapevano. Il pensiero lo faceva stare di merda, bloccandogli qualcosa nei polmoni, finché non si dava dell'idiota per farsi mancare una persona che ricordava a malapena. Qualcuno che associava per lo più alle crostate, all'odore e consistenza di pelle soffice, lunghi capelli biondi e occhi verdi come i suoi.
«Dev'essere difficile anche come stai vivendo ora. Come diavolo fai a non bere?», scherzò.
  
«Faccio altro per distrarmi,» disse. 
Ora capiva perché Dean lo facesse e gli sembrò superficiale il modo in cui l'aveva giudicato la prima sera. 
Si tirò a sedere e si sporse oltre Dean, sfiorandolo per forza di cose, per trascinare più vicino la cassetta di plastica. Tirò fuori il blocco da disegno. 
«Non... non prendermi in giro,» borbottò, prima di passarglielo. 
Si rese conto che potevano essere fraintesi, tutti quei ritratti di persone mai esistite, ragazzi dai sorrisi divertiti che - nella sua immaginazione - ridevano delle sue battute e passavano il tempo con lui. Da qualche parte doveva anche essercene uno di Hannah. 
  
Dean sfogliò diverse pagine dal blocco, curioso.
Castiel aveva un tratto rozzo ma deciso, non che lui ci capisse niente, ma a suo gusto era bravo.
«Sono belli,» disse solo, un po' a disagio, non volendo fare la figura di quello che fa i complimenti per forza di cose. Non sapeva che dire la verità potesse essere difficile.
«Sono tuoi amici?»
Si ricordò troppo tardi che Castiel probabilmente non doveva averne avuti così tanti. Ma che ne sapeva lui, magari in passato ne aveva avuti a centinaia.
«O familiari?», aggiunse comunque.
  
«No. Non sono nessuno. Voglio dire, non sono qualcuno di specifico, solo facce,» disse. «E non devi... non devono piacerti per forza, solo...» 
Castiel tolse di mano il blocco a Dean. 
«Era per dire che mi tengo occupato in altri modi. Leggo, disegno, vengo qui.» 
Dean stava pensando che era strambo, lo sapeva. Perché stava dicendo tutte quelle cose? Non lo conosceva nemmeno. Forse avrebbe riso di lui appena avesse fatto amicizia con qualcuno, spifferando tutto. In fondo era lì solo da qualche settimana. O forse nella prossima città avrebbe parlato del tizio strano che disegnava persone che non esistevano in un fienile abbandonato. 
Le raccomandazioni di Gabriel gli risuonarono nelle orecchie e Castiel chiuse la sua espressione, tenendo il blocco in grembo come a proteggerlo. 
Non lo aveva mai mostrato a nessuno. 
«Ma si può anche bere, non ne so niente io.» 
  
Dean avrebbe voluto sorridere.
Castiel si era chiuso come Sammy e i suoi libri, o i suoi quaderni pieni delle storie strambe che si inventava quando erano alle elementari. Dean era un po' preoccupato perché c'erano sempre un sacco di trappole mortali e sangue, ma per il resto Sam era sempre rimasto tranquillo quindi non c'era stato bisogno di avere la conversazione sulla violenza. Si premurava sempre di controllargli la cartella perché non si portasse a scuola una delle pistole di papà, però.
«A volte canto. Sai... al karaoke.» Gesticolò stupidamente con le mani. «In qualche città dove nessuno di importante sta fuori fino alle tre di notte, e nessuno si frega che un ragazzino stia fuori fino a quell'ora. Certo, sono anche ubriaco quando lo faccio, ma...», si strinse nelle spalle. «Ognuno ha i suoi modi per tenersi occupato. Sammy ha i libri e...», fece capolino nella scatola da cui Castiel aveva preso il blocco da disegno, notando le pile di volumi disposte metodicamente una sopra l'altra. Sammy avrebbe adorato quel posto, anzi che il loro logoro tappeto e la puzza di piedi di John. Forse avrebbe potuto chiedere il permesso di portarlo lì. Forse.
  
Castiel lo guardò. Un po' dubbioso quando iniziò a parlare, poi sempre più attento. Avrebbe voluto chiedere di Sammy, ma non sapeva fino a che punto fosse giusto fare domande. 
«Ci sono delle cassette, nella scatola, sotto. Non posso ascoltarle da nessuna parte. E non capisco niente di musica. Non so neanche chi siano i gruppi,» disse, spingendo il contenitore più vicino a Dean. «E il Roadhouse ha la serata karaoke, il giovedì sera, ma non ci resta quasi mai nessuno a parte i soliti ubriachi. C'è un diner più carino che frequentano quelli della nostra età, ma il Roadhouse mi piace di più. Ellen e Jo sono gentili. Circa. Insomma, non che ci abbia mai parlato, ma non mi hanno mai trattato male,» spiegò. 
Jo doveva avere più o meno la loro età e aiutava facendo la cameriera. Era una ragazza a posto, anche se un po' ruvida come sua madre. Forse Dean l'aveva incontrata a scuola. Forse, conoscendola meglio, gli sarebbe piaciuta. Erano entrambi molto belli, dopotutto. 
Una punta di fastidio sembrò farsi spazio nello stomaco, a quel pensiero, ma Castiel la ignorò. 
  
Dean si illuminò. Cassette? Quello sì che era pane per i suoi denti!
Cominciò a spostare libri per pescarle dalla scatola, un sorriso grande come un bambino la mattina di Natale. Non solo aveva scoperto una nuova serata karaoke, ma aveva pure scoperto una miniera d'oro!
«Cas, this is awesome
L'avrebbe portato all'Impala, lì poteva sentire tutte le cassette che voleva...
Rialzò la testa con un cipiglio dubbioso, una cassetta dei Metallica e una degli Iron Maiden per mano. «Va bene se ti chiamo Cas?»
 
Cas.
Castiel si aprì in un sorriso, questa volta più convinto. 
Dean si era letteralmente illuminato, contento, gli occhi luccicanti di interesse. E Castiel capì che la soddisfazione che quella visione gli aveva dato poteva creare dipendenza. 
«Cas va bene,» rispose, sentendo la faccia fare un po' male perché non era abituato a quell'espressione. 
  
Dean annuì, il sorriso a tirargli la crosta sul labbro, e riprese a rimestare nel contenitore.
C'erano Bon Jovi, ZZ top,The Doors, un'intera collezione di classici di diversi generi.
Ma dove l'ha pescato tutto questo ben di dio?
«Ehi, senti questa. Per ripagarti di aver condiviso con me questo bel posticino, ti farò sentire queste nella mia macchina. C'è un vecchio stereo e tutto. Che te ne pare?»
  
«Sì,» Cas rispose, forse un po' troppo in fretta. «Sì, mi piacerebbe,» aggiunse, più calmo, tornando il solito, controllato, Castiel.  
Forse... forse Dean sarebbe stato suo amico. 
O forse è solo una trappola e troverai un mucchio di persone a prenderti in giro per qualche motivo, magari insinuando che ti piacciono i ragazzi, gli fece notare la parte cinica di sé che aveva sviluppato nell'ultimo anno. 
Improvvisamente tutta una serie di pensieri che erano sempre stati un rumore di sottofondo, fastidioso e insistente, tornarono a galla. Fu difficile ricacciarli giù, soffocarli e ridurli al silenzio, ma Cas ci riuscì.  
Non stava più sorridendo, ma era stato comunque un successo. 
«Sono libero solo per quest'ora, però, e devo essere a casa prima di cena,» chiarì, il tono neutro. 
  
Dean alzò le spalle come si trovava spesso a fare.
«Possiamo restare qui, la macchina è lontana adesso. Ci andiamo un'altra volta.»
Cercò di rimettere tutto a posto come lo aveva trovato, ricoprendo le cassette con i libri di Cas.
Un'altra volta, eh? Aveva proprio intenzione di appiccicarsi come una zecca a Castiel? Era davvero così... bisognoso?
Si riposizionò con le ginocchia piegate e le dita avvolte intorno al polso, voltandosi verso Cas con un sorriso. Era stupido, ma in quel piccolo rifugio si sentiva... beh, al sicuro.
  
«Mi sembra un buon piano, Dean,» rispose Cas. 
La prospettiva di rivederlo gli serrò lo stomaco e spedì di nuovo il suo cuore a battere come impazzito. 
Parlarono di musica per tutto il resto del tempo a loro disposizione, con Dean che lo istruiva su cosa fosse meglio ascoltare prima e quali fossero i suoi gruppi preferiti e Cas che inseriva le sue domande un po' strane, riuscendo anche a far ridere Dean un paio di volte. Una risata con Cas, non una presa in giro. Alla fine percorsero la strada di ritorno insieme e si salutarono appena la cittadina divenne visibile; Cas che aumentò l'andatura per non fare tardi, perché non voleva assolutamente rischiare una punizione. Si voltò un paio di volte, alzando il palmo, per trovare Dean che camminava quieto e rispondeva al suo saluto agitando la mano e sorridendogli.

 
Salve!
Come ogni martedì, ecco l'aggiornamento! GRAZIE per le recensioni e per essere passat* da queste parti! Siete preziosi! 
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 4
*** Someone to stay ***




4 – Someone to stay
 
You were alone, left out in the cold
Clinging to the ruin of your broken home
Too lost and hurting to carry your load
We all need someone to hold
 
You’ve been fighting the memory, on your own
Nothing worsens; nothing grows
I know how it feels being by yourself in the rain
We all need someone to stay
We all need someone to stay
 
Hear you, falling and lonely, cry out:
Will you fix me up? Will you show me hope?
At the end of the day you were helpless
Can you keep me close? Can you love me most?
 
(“Someone to stay” Vancouver Sleep Clinic)
 
Il giorno successivo, Dean passò la prima metà del pomeriggio a grattarsi la spalla, il ginocchio che gli ballava sotto il tavolo, nervoso.
«Che c'è?», gli chiese Sammy dal tappeto.
«Niente,» brontolò. «Devo andare in un posto.»
«Che posto?»
Avrebbe potuto parlargliene, ma aveva promesso. E poi... e poi non voleva. Non sapeva perché, era così e basta.
«Un posto, fatti gli affari tuoi.»
Sammy gli mostrò la lingua e riprese a scrivere sul suo quaderno, sdraiato a pancia in giù e le caviglie incrociate in aria.
Quando aspettare fu troppo anche per lui, che di appostamenti inutili ci era cresciuto, scattò in camera sua e poi fuori dalla porta prima che Sammy avesse tempo di ribattere. Tanto era abituato a vederlo entrare e uscire a suo piacimento.
Arrivato alla fattoria entrò, tentennando di fronte alla mancanza della scala. Castiel probabilmente non era ancora arrivato, e doveva nasconderla da qualche parte, ma non si azzardò a cercarla o a profanare quel posto senza di lui.
Che poi, chi lo diceva che si sarebbe ripresentato? Avrebbe potuto chiederglielo, ma non ci aveva pensato. Beh, se non fosse venuto, Dean poteva sempre leggersi il libro che si era portato lì in mezzo al fienile. Era sporco e non c'era posto per sedersi, ma il terreno contava comunque, no?
 
Castiel arrivò al fienile un po' di corsa, i capelli scompigliati. Trovò Dean a vagare quieto per il posto, in attesa. Lo osservò un istante senza essere visto, rapito dalla realizzazione che fosse proprio lì. 
Capì di averci sperato parecchio, anche senza razionalizzarlo, e le orecchie si tinsero di rosso all'idea. 
«Dean,» disse soltanto, la voce un po' più grave del solito, come se quel nome pesasse sulla lingua. «Potevi salire,» aggiunse, ricordando solo dopo che la volta prima Dean era già fuori quando Cas aveva nascosto la scala.  
Gli fece vedere dove la teneva, poi la recuperò, la sistemò e iniziò a salire i pioli, cauto. 
 
Dean non rispose che non sapeva se poteva, che non voleva e non gli sembrava giusto salire, quindi si limitò a seguirlo, registrare dove teneva la scala, e arrampicarsi subito dopo di lui.
«Ho portato degli snack,» annunciò, subito dopo essersi seduto sul bordo del materasso come il giorno prima, frugandosi nelle tasche.
Aveva qualche barretta energetica rubata a Sam e un paio di cioccolatini.
«E della birra, ma posso portarti qualcosa la prossima volta. Non sapevo cosa ti piacesse.»
Fissò gli snack che aveva appoggiato sulla coperta blu, improvvisamente conscio di aver portato due schifezze che probabilmente Cas nemmeno mangiava.
 
Cas osservò meravigliato il tutto, prima di alzare lo sguardo.  
«Grazie, Dean,» mormorò, abbozzando uno dei suoi sorrisi per Dean, prima di prendere un cioccolatino e iniziare a scartarlo. 
«Per oggi posso anche bere un po' di birra. Insomma... per festeggiare,» aggiunse, rendendosi conto che poi avrebbe dovuto spiegare cosa voleva festeggiare e suonava un po' triste celebrare l'unica amicizia che avesse mai avuto.  
E non erano ancora amici, dopotutto. 
Il suo cervello sembrava non volersi spegnere, quel giorno, con quel rumore di sottofondo sempre più invadente, a dirgli che c'era un motivo se era corso lì come lo strambo che era. 
 
«Davvero?»
Dean sorrise, felice di non aver fatto una cazzata, e tirando fuori una lattina dall'altra tasca. L'aprì, lasciando che il sonoro fischio si librasse nell'aria tra di loro prima di passarla a Cas, ma trattenendola tra le dita, incerto. Non voleva farlo prendere una cattiva strada.
«Che cosa festeggiamo?»
 
Questo. 
Tu che sei gentile con me. 
Noi.
Cas cercò il modo di dirlo senza che suonasse strano o, peggio, facesse scappare Dean 
«Il nostro posto segreto,» scelse, alla fine. 
Prese la lattina sfiorando le dita di Dean e bevve un piccolo sorso. Era amara e frizzante e forse quel sapore gli avrebbe ricordato Dean per molto, molto tempo. 
 
Dean annuì, e si riprese subito la birra.
«Al posto segreto,» asserì, prima di bere, evitando la parola nostro per qualche motivo.
Dean era abituato a farsi gli amici piuttosto velocemente, ma sicuramente non aveva mai avuto un rifugio appartato o cose del genere. O qualcuno come Cas, sempre così serio, ma che ogni tanto si sbottonava e sorrideva, lasciandosi trapelare tra quelle che dovevano essere mille insicurezze.
«Mi sono portato anche un libro,» lo alzò in aria, mettendo la lattina di lato, ma dalla sua parte, lontana da Cas. «Non voglio importi la mia presenza tutto il tempo, quindi... tu fai quello che fai di solito, leggi, disegna... io me ne sto qua tranquillo a leggere.»
Si lasciò andare all'indietro, buttando la testa sui cuscini, ma senza ancora aprire il volume - che era 1984 di Orwell, titolo che non aveva assolutamente scelto per darsi una certa aria di importanza.
 
Cas annotò il modo un po' distante con cui Dean reagì alla sua proposta di brindisi e sentì le orecchie arrossarsi. Magari Dean aveva solo bisogno di un posto in cui starsene tranquillo e per puro caso era incappato nel suo. Non significava che fossero loro, da festeggiare, né che dovevano riprendere a chiacchierare come la volta prima. 
Per non pensarci armeggiò con la scatola, prendendo blocco e una matita, e si mise a gambe incrociate sul materasso, sbirciando di tanto in tanto Dean per disegnarlo al meglio.  
Non aveva mia avuto un soggetto dal vivo e Dean era davvero... bello. Rilassato, con una mano ripiegata sotto la testa quando non doveva girare le pagine e l'altra a tenere il libro.  
Così il tempo passò e una ventina di minuti dopo, a disegno completato, Cas si rese conto che probabilmente avrebbe dovuto chiedere a Dean il permesso prima di ritrarlo. 
«Emh...» 
 
Dean alzò un sopracciglio per guardare Cas da sopra la pagina. Si era messo a leggere non appena Cas aveva preso il blocco, ma non era stupido, sapeva che lo stesse disegnando, e il suo ego si era gonfiato a dismisura. Aveva cercato di muoversi il meno possibile, sperando di non rovinare il lavoro all'artista.
Che forse adesso aveva finito?
Lascio che la domanda la ponesse il suo sguardo
 
«Spero non sia un problema. Non capita molto che io possa disegnare qualcuno dal vivo e...» 
Cas chiuse il blocco da disegno, guardando dritto negli occhi di Dean. 
«Ti ho disegnato, ma se ti dà fastidio posso buttarlo,» comunicò, risoluto, prima di posare il blocco ai piedi del materasso. 
Non voleva davvero che Dean lo odiasse. Ed era assurdo, perché tutti l'avevano sempre odiato e per lui non era mai stato un problema. 
 
Dean rise, forse perché gli faceva ridere il pensiero che Cas non si fosse accorto che Dean stesse... beh, posando per lui, alla fine.
Gli lanciò il libro in grembo e si tirò per afferrare il blocco prima che Cas decidesse di non farglielo vedere o di buttarlo sul serio.
«Wow,» mormorò, il sorriso un po' più lieve, addolcito sulle labbra. Erano delle belle linee, non troppo spesse, che lo armonizzavano. Dean non pensava assolutamente di essere così nella vita reale, Cas doveva averci aggiunto del suo per abbellirlo. «Ho davvero tutte queste lentiggini?», scherzò, voltandosi a guardarlo. 
 
Cas doveva avere le orecchie davvero in fiamme, a quel punto. Avrebbe voluto parlare, dire che sì, Dean aveva tutte quelle lentiggini ed erano bellissime. Che lo avrebbe disegnato ogni volta che lui si fosse presentato lì, per poterselo ricordare una volta ripartito. Che era la prima persona a cui voleva piacere, di cui gli importava l'opinione. Che nemmeno per Hannah gli era interessato tanto non essere disprezzato. Che era patetico - soprattutto perché non lo conosceva che da un paio di giorni - ma il modo in cui lo trattava, quella gentilezza genuina, gli aveva fatto tornare i vecchi dubbi e che continuavano a fare paura, certo, ma non così tanto. 
«Ne hai un po',» rispose invece, cauto. 
 
Cas era arrossito e Dean sorrise più a fondo.
Non era solito mostrare i suoi lavori? Beh, avrebbe potuto disegnare Dean tutte le volte che voleva e farlo vedere a chiunque avesse voluto, non gli importava. E anche gli altri disegni, avrebbe dovuto... sì, avrebbe dovuto farli vedere a una galleria d'arte o qualcosa del genere.
«A chi non piacciono le lentiggini,» commentò, strizzando l'occhio e pizzicando un orecchio di Cas, per poi sdraiarsi di nuovo sul materasso a leggere. Era a buon punto, aveva sempre voluto finire di leggerlo, quel libro.
«Per ritrarmi nudo devi pagare, sappilo,» buttò là, il naso tra le pagine e la faccia nascosta dalla copertina.
 
Cas arrossì ancora di più. Dean gli aveva pizzicato l'orecchio e lui aveva sentito i polpastrelli un po' ruvidi entrare a contatto con la pelle come una scena a rallentatore. 
«Non sono bravo con le anatomie,» si limitò a rispondere, forse un po' brusco, mentre l'immagine mentale e indelebile di Dean nudo gli si piantava nell'occhio del ciclone di tutti i suoi dubbi. 
Si chiuse di nuovo in se stesso, riponendo blocco e matita per pescare un libro qualsiasi dalla scatola. In realtà li aveva letti e riletti tutti, e fra quelli c'erano anche i libri di suo padre, ma non voleva disturbare Dean o essere evidente nel suo... beh, qualsiasi cosa gli stesse capitando.  
Si sdraiò sul materasso, attento a mantenere le distanze. 
  
Dean non alzò gli occhi dalla pagina, ormai deciso a finire 1984 entro quel pomeriggio.
Sentì il peso di Cas affondare il materasso accanto a lui, e sbirciò per vedere se lo volesse ritrarre da un'altra angolazione, ma si era portato dietro un libro pure lui.
«Che leggi?», chiese, come se non avesse mai distolto gli occhi dalle righe.
  
«Un libro,» rispose Cas, voltando la testa per scrutare il profilo di Dean. «L'ha scritto mio padre, ma Naomi dice che è spazzatura,» spiegò, certo che non bastasse una risposta evidente come “un libro”. 
In realtà era difficile anche solo concentrarsi sull'idea di leggere, perché quel momento gli pesava addosso come fosse stranamente intimo. 
«Ci sono due fratelli e una quantità sostanziosa di creature mostruose. Si ispira alla mitologia cristiana e...» 
Cas smise di parlare, un po' indeciso sulla prossima frase. 
«Forse ti piacerebbe. Per via di te e Sammy. Ieri hai parlato di lui e ho dedotto che è tuo fratello e che siete molto legati. Come i due del libro.» 
  
«Huh.»
Dean si tirò su meglio con la schiena, appoggiandosi Orwell sulla pancia.
«Sembra interessante. Posso vedere?», chiese, mostrando il palmo.
E così il padre di Cas scriveva libri e poi abbandonava la prole. Non sapeva se fosse peggio di sua madre, che non aveva scritto né lasciato niente dietro di lei.
  
Cas allungò il libro a Dean. 
«Ne ha scritti parecchi quando era giovane e con i soldi ci si è comprato il ranch. Non so chi sia nostra madre, non ne ha mai parlato, per questo quando se n'è andato nostra zia è venuta a vivere da noi. In realtà credo abbia sempre voluto mettere le mani sul ranch e basta, ma almeno non siamo dovuti finire chissà dove, separati,» si mise a spiegare Cas, mentre Dean ispezionava il libro, più per riempire il silenzio imbarazzante che per altro. 
E Dean era così vicino... 
Avrebbe potuto toccarlo solo alzando la mano, invece di lasciarla abbandonata sul materasso. 
  
«Ah, quindi è per tua zia che devi correre a casa e rifugiarti in questo posto?»
Sfogliava le pagine, leggendo pezzetti qua e là, maneggiando il libro con cura perché era di suo padre e quindi doveva essere importante per Cas.
Dean sicuramente lo avrebbe tenuto nascosto da qualche parte in casa, a parti invertite. Forse nascosto anche da Sammy, come quelle fotografie in cui erano solo lui e la mamma e Dean era talmente tanto piccolo da avere un caschetto inguardabile e un sorriso ignaro di quello che sarebbe successo dopo.
  
«Già,» rispose soltanto Cas, guardando Dean concentrato sul libro. «Ha buttato quelli di Gabriel, quindi i miei li ho portati qui.» 
Si chiese cos'avrebbe pensato Dean nel vedere la sua stanza, la libreria vuota, le pareti spoglie, niente di niente che potesse essere usato contro di lui. 
Per un attimo, immaginò Dean sul suo letto, sdraiato come si era sdraiato sul materasso, un braccio dietro la testa, lo sguardo verde fisso in un punto imprecisato in cui doveva esserci il Cas della sua fantasia, in piedi poco distante. Era un'immagine così strana e assurda che gli strappò un piccolo sbuffo divertito, nonostante l'accelerare del battito. 
«Puoi leggerli, se vuoi. Le prossime volte... s-se ci saranno altre volte  in cui verrai qui, ovviamente,» disse, un po' sorpreso dalle sue stesse parole. 
  
«Certo che ci saranno. Voglio dire, se non è un problema...»
Stava quasi per chiedere di estendere l'invito a Sammy, ma le parole non gli uscivano. Non che non ce lo volesse lì, anzi, Sammy avrebbe adorato poter leggere là dentro. Forse Dean voleva solamente un posto che fosse solo suo, per una volta. Beh, e di Cas, che era un'aggiunta piacevole.
  
Cas si aprì in un altro sorriso ed era sempre più facile abbandonarsi a quell'espressione. 
Il giorno dopo poteva passare al drugstore con i pochi soldi che Naomi gli permetteva di avere e comprare altro da mangiare, magari qualche bibita che piacesse anche a lui. E poi un giorno sarebbe stato invitato in macchina di Dean e avrebbero ascoltato la musica.  
Erano amici
«Non è un problema,» rispose, quindi, prima di tornare a sdraiarsi e fissare la tela cerata che pendeva sopra le loro teste. 
  
Dean si tenne il libro di fianco per il resto del tempo che a Cas era concesso stare fuori.
Finì 1984 come si era prefissato, mentre Cas rimaneva sdraiato placidamente al suo fianco, e non chiese mai di riavere indietro il volume, quindi doveva essere contento di rimanere semplicemente là a guardare il soffitto e giocherellare con la stoffa dei vestiti. Magari a volte passava così i suoi pomeriggi e Dean non aveva intenzione di disturbarlo.
Quando Cas cominciò ad agitarsi, Dean riuscì a capirlo da un leggero cambio nella respirazione e nel modo in cui non riusciva a stare fermo sul materasso, capì che era giunto il momento di tornare a casa. Dean odiava quella zia, sul serio.
Si salutarono con il solito sventolare di palmo impacciato, e Dean camminò fino a casa con il libro di Chuck stretto al petto, mentre quello di Orwell giaceva a faccia in su sul materasso. Alla fine uno scambio equo era la cosa migliore, no?  



 
Salve!
Come ogni martedi: eccoci!!!
nel prossimo capitolo si entra ancora più nel vivo, ma qui già si scoprono un po' delle fragilità dei due. 
Speriamo vi piaccia e, come sempre, grazie per le letture e le recensioni. ❤❤❤
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 5
*** Dreaming Of You ***


 
5 -  Dreaming Of You
 
Want you, yes I do
Bet you never knew it
Think you'd suit me fine
Want you all the time
And now I'm dreaming of you

("Dreaming Of You" Cigarettes After Sex)
 
Cas adocchiò l'orologio. Era il quinto pomeriggio in cui si sarebbero visti al fienile, lui e Dean, ma sua sorella non aveva nessuna intenzione di collaborare.  
«Avanti, Anna, ormai lo sai che la stronza sta solo aspettano un tuo passo falso per spedirti a sbavare su un letto con le cinghie,» disse Gabriel, un po' annoiato, spostando il leccalecca da una guancia all'altra. 
«Gabriel, non sei d'aiuto,» fece notare Castiel.  
Mezz'ora di ritardo rispetto al solito orario. Cas immaginò Dean in attesa, sul materasso, forse offeso dalla sua assenza. O forse non gli importava, forse era un sollievo. Cas aveva quasi finito 1984 e Dean aveva quasi finito il libro di suo padre. Il problema era che leggevano dieci minuti e passavano il resto del tempo a parlare. Non si facevano chissà quali confessioni - Dean parlava di Sam e della sua auto e della musica -, ma il tempo sembrava volare via quando erano lì, insieme, lontani dal mondo. 
Anna era stata strana, però, gli ultimi giorni. Sempre più assente, sempre meno in controllo delle sue paure. A pranzo aveva perfino nominato le voci davanti a Naomi, e Gabriel e Cas si erano guardati comprendendosi all'istante. 
Dopo i soliti lavori pomeridiani, era stato il momento perfetto per una riunione d'emergenza in una delle loro camere. 
«Sarai d'aiuto tu che non vedi l'ora di andartene dal tuo fidanzatino, Cassie,» lo prese in giro il fratello. 
Castiel arrossì. 
«Oh. Mio. Dio. le cose stanno davvero così.» 
«Gabriel,» sbottò Cas, posando la mano sulla spalla di Anna come a dire che c'erano cose più importanti di cui occuparsi. 
«Avete già... concluso l'affare?» continuò suo fratello.
«Concluso l'affare?» domandò Anna, vagamente stralunata. 
«Smettetela, tutti e due. Dean non... non è interessato. E neanche io, ovviamente. Neanche io. Siamo solo amici, tutto qui. E non cambiate argomento,» riuscì a dire Castiel, sempre più imbarazzato. 
«Ok, ok, d'accordo, ma dovremo fare un discorsetto, io e te. Su api e altre api e pungiglioni.» 
«Non erano api e fiori?» domandò Anna, abbozzando finalmente un sorriso. 
«Non nel caso di Cassie, Anna. Non nel caso di Cassie.» 
«Basta,» disse Cas, alzandosi in piedi dal letto della sorella, per ergersi in tutta la sua rabbia. «La mattina la controlli tu, la sera io. Se salta le pastiglie gliele sciogliamo nel cibo. Ricorda di controllare sotto la lingua,» comunicò a Gabriel, prima di correre fuori. 
Odiava essere così evidente, odiava che un giorno Dean se ne sarebbe accorto e si sarebbe allontanato. Odiava quella città, quella vita, quell'intera esistenza.  
Per questo corse e corse e corse, senza voltarsi indietro, fino a restare senza fiato.  
Quando arrivò al fienile, una macchina nera e lucida era parcheggiata lì davanti. Dentro, addormentato con le braccia conserte, c'era Dean. Cas recuperò il fiato, anche se il cuore non accennò a smettere di battere, e solo dopo bussò piano contro il vetro. 
  
Dean si svegliò di soprassalto, rischiando di sbattere la nuca contro la portiera. 
Cas lo guardava, quasi schiacciato contro il finestrino e un'espressione miserabile in viso. Doveva essere dispiaciuto per il ritardo. Dean lo aveva aspettato per un po', prima di addormentarsi, in effetti. 
«Ehi, Cas,» disse al primo filo d'aria, mentre abbassava il vetro lavorando sulla manovella. Sorrise, perché Cas non aveva nulla di cui scusarsi, Dean era sicuro che avesse tutti i buoni motivi del mondo per essere in ritardo, e poi mica avevano un obbligo di presentarsi ogni giorno. 
  
«È  la tua macchina,» si limitò a dire Cas, senza che fosse una domanda. 
Voleva solo dimenticare. Dimenticare la responsabilità che avevano verso Anna, dimenticare sua zia, dimenticare il modo leggero con cui Gabriel aveva esposto qualcosa che per Cas era importante e, in una certa misura, pauroso. 
Il sorriso di Dean stava già aiutando, anche se faceva quello strano effetto al suo stomaco, come la vertigine quando si cade. 
«È  molto bella,» mormorò, senza riuscire davvero a sorridere. 
Si allontanò appena, come a volerla studiare per bene, la mano a volare fra i capelli, scompigliandoli ancora di più. 
  
«Sì?» 
Il sorriso si accentuò, trasformandosi da rassicurante ad un vero tirare la pelle su fino agli zigomi. Chiunque apprezzava la sua bambina era sicuramente una bella persona, senza dubbio alcuno. 
«Sali, allora.»
Aveva portato l'Impala proprio per ascoltare quelle cassette insieme, d'altronde. John era svenuto sul divano fin da mezzogiorno, non ne avrebbe sentito la mancanza.  
  
Cas lo fece, girando attorno all'auto per sedersi sul sedile del passeggero. Dentro profumava di olio per motori e pelle e alcool. 
In mezzo a quegli odori, poi, c'era Dean. Nuovamente vicino, con un sorriso enorme in viso, gli occhi luccicanti di quella felicità semplice che colpiva Cas dritto allo sterno. Piano, tutto il resto - i problemi e la tristezza e la solitudine - diventò ininfluente, poco importante, scacciato via da quel momento. 
  
«Bene. Da dove...»
Si interruppe, rendendosi conto che le dannate cassette erano su, nel fienile. Avrebbe potuto prenderle mentre aspettava. Idiota. 
«O, uhm... possiamo ascoltare qualcosa della roba che ho qui, perché sono un imbecille e mi sono scordato che le tue cassette sono su, nella scatola.»
Si allungò per aprire lo scomparto davanti alle ginocchia di Cas, mostrando la sua scorta personale. Beh, quella di papà, stessa cosa. 
«Cosa ti va? Metallica? Zeppelin?»
Spinse lo sguardo verso l'alto, per incrociare quello di Cas. 
  
Cas annegò nelle iridi verdi di Dean. Gli sarebbe bastato spingersi leggermente in avanti, chinarsi sull'altro ragazzo, e posare le labbra screpolate su quelle piene di Dean.  
Si accorse che era passato qualche secondo e che il suo sguardo era scivolato verso il basso, sulla bocca di Dean, così spostò l'attenzione sul cruscotto. 
«Quello che preferisci, Dean,» rispose, cercando di riguadagnare controllo. 
Se Gabriel l'aveva capito, doveva essere più cauto. 
  
«Se fai scegliere a me, scelgo sempre gli Zeppelin...», borbottò. Non era sicuro che Cas fosse pronto per quel genere, però, quindi era meglio partire da qualcosa di più commerciale. 
«Conosci i Bon Jovi?» 
Sventolò il loro mix sotto al naso di Cas. L'aveva fatto con Sammy in un momento di noia, perché a entrambi piaceva cantarli a squarciagola quando erano soli. 
  
Cas afferrò il polso di Dean nella sua presa ferrea, per fermare tutto quell'agitarsi di cassetta e mano. 
«No,» ammise, prima di lasciare la presa, le dita a indugiare lievemente più del necessario. 
Si mise comodo sul sedile, in attesa che Dean infilasse la cassetta. 
  
Dean aggrottò le ciglia, stupito da quel contatto improvviso. 
Persino Cas aveva l'aria turbata, come se non sapesse nemmeno lui perché lo aveva fatto. 
«Okay, Bon Jovi sia.» 
Infilò il rettangolo dentro l'autoradio con una buona dose di forza - era tutto vecchio là dentro, e le cose avevano genericamente bisogno di una spinta. 
Si sistemò più comodo con la schiena e si mise ad osservare Cas, curioso. 
La prima canzone era “It's my life”, che per lui e Sammy era un tacito inno contro papà. O una cosa del genere.
  
Cas ascoltò quella canzone con attenzione, come se fosse una questione assolutamente seria, lo sguardo concentrato spinto oltre il vetro del parabrezza, l'espressione leggermente corrucciata come al solito. 
Quando finì, si voltò verso Dean e incontrò il suo sguardo attento, che lo sorprese un poco. 
«Umh... non capisco niente di musica. Sembra liberatorio, però, cantare qualcosa del genere,» constatò. 
  
Dean annuì, convinto. «Lo è. Però, ecco, se non fa per te...», si strinse nelle spalle. «Possiamo sempre provare qualcos'altro. Tipo, non so, andiamo su e prendiamo i Green Day. Magari sono più nelle tue corde?» 
Cominciò a giocherellare con il bordo del sedile, sotto al ginocchio. Perché era così importante che anche a Cas piacesse la sua musica? 
«Che poi non è nemmeno che li ascolti tanto i Bon Jovi, comunque.»
 
«Mi è piaciuta, questa,» rispose Cas, diretto e sincero, posando una mano sul ginocchio di Dean. 
Sembrava che quel giorno avesse bisogno di contatto, dopo il disastro che era stato il suo pomeriggio. Stava orbitando attorno a Dean e invadendo il suo spazio personale più di quanto fosse lecito. 
Così rimosse la mano. 
«Fammene sentire ancora qualcuna, però,» continuò, proprio mentre un altro pezzo iniziava. «Metodo scientifico,» buttò lì, abbozzando un sorriso e piegando la testa perché lo sguardo di Dean incontrasse il suo. 
  
Dean sorrise, compiaciuto. 
«Certo.» 
Si risistemò contro il sedile per ascoltare “Living on a Prayer”, la nuca contro la morbida pelle nera e la mano appoggiata sul ginocchio, perché gli aveva formicolato in modo strano e tenercela sopra sembrava aver fermato quella sensazione senza senso. 
  
Cas si lasciò assorbire dalla canzone, per poi mettersi a guardare Dean. Ogni tanto chiudeva gli occhi, altre volte mimava le parole della canzone e, altre ancora, picchiettava con le dita sopra i jeans, seguendo il ritmo. Ne ascoltarono una, due, tre, e i pareri di Cas si fecero sempre più convinti, fino a che non iniziò ad ondeggiare con la testa in modo un po' sgraziato, preso. 
Quando il lato della cassetta finì ne parlarono ancora un po', Dean entusiasta, evidentemente soddisfatto che Cas si fosse lasciato un po' andare, finché Cas non scivolò sul motivo del suo ritardo quasi per caso. 
«...e quindi dovremmo tornare a controllare Anna e temo che Naomi possa scoprire che la situazione è più grave di quello che crede e mandarla via. Poi Gabriel si è messo a fare l'idiota, insinuando che...» 
Cas spostò lo sguardo su Dean, per poi farlo scivolare sulle proprie mani ferme in grembo. 
«Forse dovremmo ascoltare un'altra cassetta?» provò a dire, titubante. 
  
«Certo, se vuoi. Oppure possiamo continuare a parlare e basta.» 
Non sapeva cosa avesse detto Gabriel, né se fosse quello il punto, era solo che Cas sembrava avesse avuto una brutta giornata, e non si era mai sbottonato così nei giorni precedenti. 
La vita sotto la zia malefica doveva fare davvero schifo, e Dean avrebbe potuto ascoltarlo tutto il giorno se fosse servito a farlo stare un po' meglio. Doveva essere stato parecchio solo, prima. Proprio come Dean. 
  
Cas restò rigido nella sua posizione, le spalle tese. 
«Non vorresti più essere mio amico, dopo. Non so se pensi che lo siamo, ora, ma mi odieresti. Ci sono abituato, a non piacere agli altri, ma non ho mai avuto un amico e...» 
Sentiva il cuore martellare nel petto, ma questa volta era pura paura. Le orecchie ronzavano e scottavano, sentiva pizzicare in modo strano i lati degli occhi e non aveva la più pallida idea del perché stesse parlando. Soprattutto quando avrebbe significato chiudere quei pomeriggi con Dean.  
Dean per cui aveva una cotta senza senso. 
Capì che era per quello che stava parlando, per chiuderla prima che facesse ancora più male. Avrebbe accettato le conseguenze dopo - la rabbia di Dean, le voci per strada, la ritrovata solitudine. 
  
Dean si sporse a pizzicargli la punta rossa di un orecchio. 
«Certo che siamo amici. E non sono “gli altri”, quindi non decidere da te che ti odierò, okay?» 
Sospirò, osservando quegli occhi blu così aperti e candidi e forti. «Senti, non è che io sia... voglio dire, indosso i vestiti di mio padre, ascolto la musica di mio padre, giro con la sua macchina. Bevo perché non ho mai avuto di meglio di fare, e non fumo solo perché non voglio dare un brutto esempio a Sammy, credo. Non è che tu stia parlando con mister popolarità e integrità, qui.» 
Cas aveva detto che il suo bere e il suo aspetto avrebbero attirato le ragazze, ma la verità era che a scuola nessuno gli si avvicinava, fosse per essere arrivato con il labbro spaccato, fosse perché puzzava di povero da chilometri, o perché con il passare dei giorni gli si era spenta la voglia di sorridere e rendersi accattivante agli altri. Non aveva molto da spartire con gli idioti iper-bigotti e ipocriti di quel posto. Cas, invece, beh, Cas era tutta un'altra cosa. 
  
«Ma tu sei... quello che fai per Sam, la forza con cui ti prendi le responsabilità che la vita ti butta addosso, Dean, non ce n'è altri come te. E sei bello e divertente,» disse Cas, deciso, come se tutte quelle cose lo stessero solo intristendo di più, lo sguardo fisso di fronte a sé, concentrato. 
«Io sono solo strambo e in più... Vorrei essere come gli altri, ma non lo sono, e devo accettarlo. Solo che se Naomi dovesse scoprirlo mi manderebbe in uno di quei posti dove cercando di farti piacere le ragazze a tutti i costi. Ci ho provato, davvero. Hannah era carina e gentile, prima che gli altri iniziassero a prenderla di mira per colpa mia, solo che...» 
La voce rauca di Cas si spezzò e restò in silenzio.  
Piano, come se muoversi troppo potesse far esplodere l'intera auto, spostò lo sguardo di iridi blu su Dean, per vedere che espressione stesse facendo. 
  
«Oh.»
E così Cas era... Cioè, certo che lo fosse. Mica se li era immaginati quegli sguardi, come a volte Cas lo guardasse come Dean guardava le crostate. Non ci aveva veramente ragionato sopra, ma in effetti era sempre stato là, lampante sotto i suoi occhi. 
Sei il suo unico amico, Dean.
Richiuse la bocca - l'aveva lasciata semiaperta solo per qualche istante, quindi non contava, no? - e sorrise il suo sorriso più rassicurante. Aspettò che Cas lo assimilasse, per poi tornare serio e scurirsi in volto. 
«Se Naomi prova a mandarti da qualunque parte, la prendiamo a calci. Ho delle pistole a casa, non scherzo.» 
  
Cas osservò con cura quel sorriso e lo trovò sincero, solo un po' sorpreso. Fu come se gli avessero tolto un peso dai polmoni e fosse nuovamente in grado di dilatare la gabbia toracica e incamerare aria. Tutto quello che desiderava - ok, quasi tutto - era che Dean fosse suo amico, che non lo odiasse. 
E sembrava che le cose stessero proprio così. 
«Grazie, Dean,» mormorò, deciso. «Ora ascolterei qualche altro gruppo, se vuoi.»
  
Dean sorrise per l'ennesima volta. E dire che di solito papà lo rimbrottava perché era sempre troppo serio. 
«Allora credo proprio che sia venuto il momento degli Zeppelin.» 
Infilò la cassetta e ascoltarono quella per il resto del tempo, finché Cas non ricominciò ad agitarsi sul sedile e Dean capì che fosse il momento di salutarsi. Prima di farlo, però, si assicurò di scambiare i numeri di telefono con Cas, perché non c'era assolutamente nessuna possibilità che lasciasse che la zia malefica lo portasse via senza farci nulla. 





 
Ehi, gente!
Come state?
Martedì, quindi... eccoci qui. Appena una delle due avrà tempo risponderà alle recensioni. GRAZIE mille a chi spende tempo a lasciarle e a chi legge i capitoli. *Abbraccio di gruppo*
Alla prossima settimana!!!
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 6
*** Fade ***


 


6 - Fade
 
And when I’m just about to pass the point of it all
You come ripping all the air from out of my lungs
Now it’s so hard to breathe
I wish somebody would’ve told me
 
That I’d end up so caught up in need of your demons 
That’d I’d be lost without you leading me astray

("Fade" Lewis Capaldi)

 
 
Dean era a scuola, e dio se si annoiava.
La professoressa di biologia blaterava di qualcosa che non stava assolutamente ascoltando, troppo preso a fare ghirigori sugli angoli del quaderno al posto degli appunti.
Tirò fuori il cellulare dalla tasca - era abbastanza in fondo da non farsi vedere se stava attento - per giocare a Candy Crush o qualche cazzata del genere, ma ci ripensò. Cas era a casa a quell'ora tanto, no?
Ehi, Cas. Cheffai?
  
Cas rientrò in camera, distrutto da quelle ore di studio con Naomi. Aveva un'oretta prima di pranzo e poi c'erano le stalle da sistemare e i cavalli di cui prendersi cura. Le giornate, prima di Dean, erano tutte uguali. Ora non vedeva l'ora arrivasse il momento di poter andare alla fattoria abbandonata. 
Gabriel era uscito quella mattina, prima che si svegliassero tutti, e non si era ancora visto. I primi dieci minuti di studio erano trascorsi con Naomi a fare loro la ramanzina per la sua assenza. Per questo Cas andò all'impermeabile appeso dietro la porta e frugò nella tasca alla ricerca del cellulare, pronto a scrivere al fratello. 
Quando adocchiò lo schermo, però, lesse il messaggio di Dean. Il cuore gli si bloccò in gola e tornò subito sul letto, a gambe incrociate, rileggendo le parole.  
Erano state spedite dieci minuti prima. 
Niente.
Spedito il messaggio, si rese conto che probabilmente non era quello il modo in cui le persone si scrivevano fra loro. Quindi ne mandò subito un altro. 
Tu?
  
Dean sorrise stupidamente al telefono. Era tipico di Cas rispondere a monosillabi, se avesse chiuso gli occhi avrebbe quasi potuto figurarsi la sua espressione seria.
Metempsicosi o qualche merdata del genere. Mi annoio a morte. Sto pensando di fare buca alla prossima ora.
  
Cas sorrise al messaggio, immaginando la voce profonda di Dean dire “merdata” con il suo solito tono sicuro. 
Non ti metterai nei guai?
Poi, dopo qualche attimo. 
Mia zia è in giro alla ricerca di Gabriel e poi è impegnata con la chiesa. Puoi venire qui.
E ancora. 
Non devi venire per forza.
E infine. 
Se vuoi, però, puoi venire qui.
  
Dean si bloccò, il telefono che gli vibrava nel palmo con i messaggi di Cas.
La professoressa girava attorno alla scrivania, annoiando tutta la classe. Solo un paio dei suoi compagni prendeva appunti - dal maglioncino beige, quelli del gruppo della Chiesa, chiaramente - gli altri erano spallati quanto lui. Qualcuno si scambiava bigliettini di nascosto, due ascoltavano la musica in cuffie infilate strategicamente nella manica della maglia, un auricolare a testa, altri si limitavano a fissare il vuoto e contemplare il nulla cosmico della loro esistenza.
Dammi una mezz'ora. E l'indirizzo ;)
  
Cas digitò l'indirizzo quasi in trance. Poi fissò il cellulare, sconvolto. 
Aveva invitato Dean, lì, al ranch. Scattò verso camera di Anna, bussando in fretta. 
«Manca ancora un'ora al pranzo, Castiel. E Naomi ha detto che non tornerà prima delle cinque per la stupida raccolta fondi alla Chiesa, quindi non valgono le sue stupide regole. Puoi cucinartelo da solo se hai fam-» 
Cas spalancò la porta. 
«Dean sta venendo qui.» 
«Come?» 
«Dean. Sta. venendo. Qui,» ripeté. 
«Oh... emh... ok?» 
«Ti va bene?» 
Anna si strinse nelle spalle. In realtà Cas avrebbe voluto qualche consiglio. Cosa fargli vedere prima? Cosa doveva fare? Cosa doveva dire? 
Cercò di focalizzarsi sul fatto che fosse solo e soltanto un suo amico - d'accordo, l'unico amico - e che non fosse necessario agitarsi tanto. Attese davanti ai gradini di casa, però, la felpa buttata addosso e l'espressione emozionata. 
  
Dean parcheggiò l'Impala di fronte al ranch di Cas, un sorriso già sulle labbra non appena lo vide sugli scalini.
Spense subito il motore in caso qualcuno vedesse la sua macchina e spifferasse tutto alla zia malefica.
«Ehi, Cas,» lo salutò, le mani nella tasca della giacca e passo sicuro. «Nice digs.»
Fece un fischio verso l'enorme edificio alle spalle dell'amico.
  
Cas si avvicinò a Dean e lo strinse in un abbraccio veloce, prima di rendersi conto di quello che aveva appena fatto e sentire le orecchie arrossarsi un po'. 
«Tu devi essere Dean.» 
Cas si voltò a quella voce, per trovare Anna che scendeva i gradini, i capelli rossi al vento e una mano a proteggersi dai raggi del sole.  
«Il famoso Dean,» aggiunse, una volta abbastanza vicina da stendere la mano perché Dean la prendesse.
Era evidente come tutti i discorsi di Cas su quanto fosse bello avessero appena trovato conferma.
  
«Sì,» asserì, stringendo la mano alla rossa con uno dei suoi migliori sorrisi. «Il famoso Dean.»
Si risistemò, lanciando un'occhiata a Cas e abbassando di un paio di tacche il sorriso.
«E tu devi essere Anna?»
  
«Sì!» rispose lei, aprendosi un po'. «Non ci credo Che Castiel ti abbia parlato di me.» 
Si voltò verso il fratello e poi dovette leggere la sua espressione, perché sistemò i capelli dietro le orecchie e si congedò raccomandando ai due di sparire di torno prima dell'arrivo di Naomi. 
«Vuoi salire in camera?» domandò Cas. «Tanto poi devo comunque mettermi a sistemare in giro e posso mostrarti dopo tutto il resto,» aggiunse, per chiarire che... 
Beh, per non essere frainteso nelle sue intenzioni.
  
«Certo. Tu fai le tue cose, io ti seguo come un bravo cucciolo.»
Si sentiva meglio ora che Anna li aveva lasciati soli. C'era stata una strana tensione tra loro, una specie di coltre appiccicaticcia di gelo e calore, allo stesso momento.
Sorrise, incoraggiante. Se Cas era preoccupato per la sorella, Dean non avrebbe fatto cazzate dicendo qualcosa di inappropriato alla probabile malata mentale.
  
Cas fece strada e portò Dean in camera sua. Era spaziosa e luminosa, ma vuota. La superficie della scrivania completamente sgombra, la libreria con solo qualche libro scolastico, il letto rifatto impeccabilmente. Niente a che vedere con il calore che Cas sentiva al fortino. 
Chiuse entrambi dentro e lasciò che Dean esplorasse, aspettandolo seduto sul letto addossato alla parete, le spalle contro il muro. 
  
Dean lasciò vagare lo sguardo per la stanza spoglia, niente di sorprendente visto quello che Cas aveva raccontato sulla vita con la zia, e dopo qualche passo verso la libreria, puntò direttamente al letto, sprofondando vicino a Cas.
«Certo che sembra la camera di un monaco. Ti vuole fare diventare un monaco, Cas?», chiese, un sopracciglio alzato.
  
«Forse dovrei pensarci seriamente, visto le opzioni ridotte di questo posto,» ammise. «Non credo ci siano molti ragazzi interessati da queste parti,» aggiunse, per chiarire anche se non era necessario. 
Dean era di nuovo vicino, tanto che le loro gambe si sfioravano. 
Il cuore stava quasi esplodendo in petto ed era certo che Dean lo avrebbe sentito. 
«Ma non credo sia un problema che puoi capire, questo,» tentò di scherzare. 
  
«E come no, mica ho mai baciato un ragazzo.»
Che cavolo aveva appena detto?
Si aggiustò meglio contro il muro, la spalla a sfiorare quella di Cas.
«E tu... tu hai mai baciato... qualcuno?»
  
«Sì,» rispose Cas, semplicemente. «Io e Hannah non facevamo molto altro, a essere onesti.» 
Era stato... interessante. Non coinvolgete, quello no. O emozionante. O da togliere il fiato. 
«Mai un ragazzo, però,» ammise, senza riuscire a guardare Dean come era solito fare. «Tu? Intendo ragazze, ovviamente.» 
  
Ovviamente.
«Sì, un po'.»
Si grattò la spalla. «Okay, molte. Come dicevi tu, il fascino del ragazzo nuovo in città, eccetera.»
Si spostò di nuovo, scomodo per qualche motivo che non capiva.
«Vuoi, uhm...»
No.
Trattenne il fiato quando Cas tornò a guardarlo negli occhi. Dio, gli faceva male lo stomaco. Infuriava di fuoco e aria, bruciava tanto da farlo stare male ed inspiegabilmente bene.
Vuoi provare? Con me?
Andiamo Dean, non puoi... 
Allungò le dita sulle lenzuola e l'avvolse intorno al mignolo di Cas.
Perché?
Non lo sapeva. Al momento, sapeva deglutire e basta.
  
Cas abbassò lo sguardo sulle loro mani, osservandole come lo spettacolo perfetto e inspiegabile che erano. Per paura che Dean cambiasse idea, agganciò piano le sue dita a quelle dell'altro, alzando nuovamente gli occhi sulle iridi incredibilmente verdi che aveva davanti. Dentro sentiva farsi spazio solo un caos di emozioni indistricabili, tutte tenute assieme dalla sorpresa. 
Ingoiò aria a vuoto e si avvicinò di qualche centimetro. Non ci stava neanche pensando, non stava razionalizzando: il suo corpo si stava muovendo perché il suo cuore era passato al comando. 
  
Dean si mosse in avanti verso Cas, sprofondando sempre più in quel calore, annegandoci dentro.
Cas aveva ciglia assurdamente lunghe, mani calde in modo quasi disumano, e Dean aveva perso completamente le fila del proprio cervello perché Cas aveva anche le labbra screpolate, piene e rosee, inumidite, semiaperte.
  
Sembrò che tutto il resto fosse rumore di sottofondo; l'intero mondo era scomparso ed esistevano solo loro. Al centro di tutto ciò che avesse mai avuto importanza per Cas c'era soltanto Dean. Le sue lentiggini e i suoi occhi e le sue mani. C'erano le sue labbra, perfette sul suo viso perfetto. Cas colmò la distanza, fino ad arrivare bocca contro bocca, a sfiorarsi piano. 
  
Dean chiuse gli occhi nello stesso istante in cui le labbra di Cas lo sfiorarono, rilasciando tutta l'aria che aveva nei polmoni.
Ca sapeva di dentifricio alla menta, di una voragine all'altezza dello stomaco in cui sprofondare, e di tante, troppe domande che tardavano ad arrivare.
Si azzardò a muoverle appena, un piccolo esperimento, e quando quelle di Cas presero a muoversi con le sue fu tutto improvvisamente troppo, e si fece indietro, molto lentamente, chiudendo il bacio come se fosse semplicemente uno di quelli brevi.
Riaprì gli occhi e sorrise, sorrise davvero, come se tutto fosse giusto nel mondo.
«E quindi è così che baciano i ragazzi.»
  
Cas sorrise di rimando, ampio e felice. 
«Immagino di sì, Dean,» disse, la voce un po' più bassa e ruvida del solito. 
Si erano baciati.  
Cas stava vivendo in un sogno; forse Dean non era mai arrivato lì e lui si era solo addormentato prima di pranzo. Sentiva la testa leggera , piena di niente: nessuna preoccupazione, nessun dubbio, niente che non fosse giusto. Non era stato solo interessante, era stato coinvolgente, emozionante, da togliere il fiato. E breve, certo, ma che importava? L'espressione mai indossata prima si fece sentire e, nonostante il suo tentativo, non riuscì a riportarla sotto controllo. Era certo che il suo sorriso stesse addirittura scoprendo i denti. 
  
La punta delle orecchie di Cas si era arrossata un'altra volta, quindi Dean la strinse tra le dita ridacchiando. L'altra mano era rimasta serrata in quella di Cas sul materasso, le nocche sbiancate da quanto aveva stretto, e si intimò di allentare la presa, lasciandolo indolenzito fino al polso.
Aveva baciato Cas, e niente era cambiato, il mondo non era esploso, e tutto andava bene.
«Ho finito il libro di Chuck,» disse, riprendendo le fila delle loro solite chiacchiere, «quel finale... è ingiusto, amico! Come diavolo gli è venuto in mente di finire un libro così, con un'incidente e tutti svenuti in macchina!»
Scosse la testa, indignato. «Devi darmi il secondo, Cas. Non posso vivere così.»
  
«Lo so. Tutti i suoi finali sono ingiusti» spiegò Cas, giocherellando spontaneamente con le dita di Dean appena le sentì allentarsi. 
Sembrava fosse tutto come sempre e Cas si chiese se davvero potesse essere così facile: parlarsi e baciarsi e toccarsi. 
«Dopo i miei soliti lavori possiamo andare al fienile insieme e ti posso dare quello dopo,» propose Cas, gli occhi fissi in quelli di Dean, in attesa. «Tanto Naomi torna quando dovrei essere già fuori.» 
 
«Certo. Te l'ho detto,» si puntò il pollice al petto con il solito ghigno. «Bravo cagnolino. Tu fai, io ti seguo. E poi guido la macchina fino al fienile, certo.» Ridacchiò stupidamente, quella assurda sensazione allo stomaco mica se ne voleva andare. Forse era il pollice di Cas che gli accarezzava l'indice come se fosse normale.
Prese a ricambiare il movimento mentre aspettava indicazioni, gli piaceva l'idea di seguire Cas mentre lavorava per il ranch. Gli aveva parlato di animali, e Dean voleva vederli e magari fare delle foto da far vedere a Sammy, una volta tornato a casa.
  
«Credo sia il caso di mangiare qualcosa, prima. So preparare solo dei sandwich. Mia zia vuole che sia Anna a cucinare,» disse Cas, facendo per scivolare giù dal letto, la voce incrinata dalla disapprovazione. 
«Li preparo e te li porto qui? O vieni giù con me?» domandò, una volta abbandonata con riluttanza la mano di Dean e il calore della sua presenza contro il fianco. 
  
Dean non aveva fame, e la cosa lo preoccupò per un istante. Aveva sempre fame.
«Uhm, dipende? Ci sono altri parenti in giro per casa? Non voglio metterti nei guai.»
Si tirò sul bordo del letto, pronto a seguirlo, se Cas avesse dato l'okay.
  
«Solo Anna. Andiamo,» rispose Cas, abbozzando un sorriso. 
Sfiorò la mano a Dean per incoraggiarlo, ma non la prese sul serio nella sua, perché non era comunque il caso di rischiare andando in giro come se non dovesse essere un segreto, qualsiasi cosa stessero facendo. 
Lo guidò fino in cucina, dove Anna si era fatta una tazza di latte con i cereali, la confezione in mano per leggere qualcosa sul retro del cartone e il cucchiaio nell'altro. 
«A mezzogiorno?» domandò Cas, perplesso, superandola in direzione del frigo dopo aver indicato a Dean una sedia. 
Quando si voltò nuovamente, la vide fissare Dean con gli occhi stralunati e fissi. 
«Anna?» 
«Continuano a ripetere che Dean ti farà finire all'inferno. Provo a dirgli che non è vero ma-» 
«Anna,» la bloccò Cas, guardando verso Dean con un'occhiata di scuse tinta di preoccupazione. 
Il fatto che in quel periodo le cure erano state discontinue significava continuare ad assistere ai suoi episodi e quella mattina Gabriel non l'aveva controllata perché non c'era... 
  
Dean aveva preso posto dove indicato, a qualche sedia di distanza da Anna e i suoi occhi strani, i capelli che non lavava da qualche giorno dietro un orecchio.
«Fa niente,» disse, alzando le spalle. «È vero, non sono mica una buona influenza alla fine. E tu?», puntò il mento verso Anna e i suoi cereali. "Dicono che vieni anche tu o hai un'altra destinazione?"
Non pensava che trattarla come una pazza, anche se magari lo era davvero, fosse l'approccio giusto, e nemmeno ignorare la cosa come se non esistesse, chiuderla in una camera e girare la chiave.
  
«Io anche,» rispose lei.
Cas serrò la mascella e si mise ad assemblare pane, insalata, pomodoro e tonno in scatola. 
«Nessuno finirà all'inferno. E se qualcuno dovesse finirci ci penserò io ad andarlo a recuperare,» asserì, convinto. 
Quando finì il primo sandwich lo consegnò a Dean su un piatto. «Schizofrenia paranoide,» comunicò, senza cercare di nascondere la questione.  
Anna conosceva bene la sua diagnosi, più di chiunque altro. Era lei quella che doveva convivere con i sintomi, era lei quella che aveva vissuto peggio la perdita del padre, iniziando a trascurare le cure e a saltare la terapia. 
«Sento le voci,» spiegò lei. «Almeno loro mi fanno compagnia. Qualcuno ha trovato un fidanzato e non mi racconta più niente.» 
«Ti racconto tutto.» 
«Ah, quindi è il tuo fidanzato!» 
«Dovresti stare lontana da Gabriel, stai prendendo le sue pessime abitudini.» 
«Dove finisci ogni pomeriggio?» 
«Questa è l'unica cosa che non ti dico.» 
Il battibecco fu portato avanti mentre Cas si preparava il suo sandwich, si sedeva, prendeva due bicchieri e la spremuta, come se niente fosse. Anna restò con lo sguardo fisso su Dean tutto il tempo, ampio e un po' perso. 
  
Dean seguì l'alterco con un sorriso lieve, sembrava di sentire lui e Sam - se si toglieva la parte del fidanzato, certo.
«Come, non glielo dici dove vai? Il nostro posto super segretissimo?», fece una pausa tattica per far salire il panico in Castiel, e poi ridacchiò, addentando il primo morso di sandwich. «Viene in officina da mio zio, niente di eclatante,» concluse, a bocca piena.
In realtà Dean non andava a trovare Bobby da un po', ma l'alibi avrebbe potuto reggere, se qualcuno avesse controllato. Ridacchiò al pensiero della faccia di Bobby se qualcuno mandato dalla zia malefica fosse andato a fare domande su Dean e chiunque fosse con lui.
In un moto di nostalgia per quella vecchia faccia barbuta, decise che sarebbe andato a trovarlo presto. Magari ci avrebbe portato anche Cas.  
  
Anna assottigliò un po' lo sguardo, poi si aprì in un piccolo sorriso. 
«Glielo dirò, che anche se finisci all'inferno è perché Dean ti piace tanto. Sta simpatico anche a me, quindi è ok,» dichiarò verso Cas, alzandosi senza curarsi di sistemare tazza e cereali. 
«Di' alle tue voci di farsi gli affari loro. E pulisci dove mangi,» si limitò a far notare Cas, anche se Anna era già sparita. 
Finì di mangiare gli ultimi bocconi di sandwich in silenzio, senza sapere bene cosa dire, per poi andare a lavare piatto, bicchiere e tazza di Anna, in attesa che Dean finisse e gli portasse i suoi, di piatto e bicchiere. 
«Scusa,» riuscì a mormorare, lo sguardo abbassato nel lavabo. 
  
Dean si accostò a Cas, allungandogli il proprio piatto e appoggiando l'anca contro la cucina.
«Per cosa?»
E non era una domanda in senso letterale, era pura e semplice retorica. Non c'era niente di cui Cas dovesse scusarsi, o Anna per quel che valeva.
«Piaccio a tutti, e quindi? Tranne a mio padre, succede a tutti. Sono un tipo piuttosto piacevole.»
Strizzò l'occhio, il piatto teso tra loro, schiacciato contro la stoffa della felpa di Cas.
  
Cas gli sorrise, senza voler ammettere di essere sollevato dalla capacità di Dean di sdrammatizzare in ogni situazione. E poi era la verità: Cas non credeva fosse possibile non apprezzare Dean, che suo padro se ne rendesse conto o meno.  
«Non per Anna e come sta. Abbiamo tutti smesso di scusarci per qualcosa che non è una colpa. Solo... per... la storia del fidanzato, principalmente. Lei e Gabriel si divertono a prendermi in giro. Non vuol dire che io creda che... lo so che non è...» 
Prese il piatto di Dean e lo insaponò, concentrandosi più del necessario. 
  
Dean incrociò le braccia, appoggiandosi al bancone di schiena, ma rimanendo col capo voltato verso Cas.
«Quante volte ti devo dire di non interessarti a quello che dice la gente? È faticoso, e non ne vale la pena, fattelo entrare in quella testa.»
Gli spinse l'indice contro la tempia, il polpastrello a premere contro l'attaccatura dei capelli.
Lo stomaco aveva ripreso a fare i suoi strani saltelli di fuoco, oltre a essere troppo pieno per essersi sforzato di mangiare un intero panino senza avere lo spazio sufficiente a tenerlo. C'era troppo calore, e Dean sperava solo che l'incendio si bruciasse via anche il panino, oltre ai pensieri su cos'avrebbe comportato essere il fidanzato di qualcuno. Di Cas.
Se era una cosa che comprendeva altri baci, altri pomeriggi chiusi nella sua bambina ad ascoltare la musica, altre dita intrecciate e sguardi e compagnia, non poteva essere così male.
  
«Tu non sei la gente. Mi interessa quello che pensi,» disse Cas, riponendo l'ultimo piatto per poi asciugarsi le mani.  
Non era a disagio all'idea che Gabriel e Anna lo prendessero in giro, né che pensassero ci fosse qualcosa fra lui e Dean più di qualsiasi cosa stessero facendo in realtà. La sua paura era che Dean si risentisse con lui, che credesse che era lui a essere convinto di significare più di quanto significava. Se Dean si stava togliendo qualche curiosità, andava bene. Se Dean era confuso, andava bene. Se era interessato, andava bene. Cas non si stava facendo illusioni. O, almeno, ci stava provando, anche se il cuore non sembrava d'accordo e tutto il suo corpo si stava ammutinando contro la sua razionalità. 
«Cosa pensi, Dean?» domandò, fermo nel bel mezzo della cucina, gli occhi immersi in quelli dell'altro. 
  
Dean aprì e richiuse la bocca svariate volte.
Con tutto quel fuoco nella pancia era dannatamente difficile pensare.
"Penso che... non mi interessa?"
No, merda, così suonava male. Deglutì a vuoto, perso tra l'uno e l'altro occhio di Cas.
"Non mi interessa come ci chiamano, mi piace passare il tempo con te. A te... a te importa come ci chiamano?"
  
Cas abbozzò un sorriso. 
«No, Dean,» rispose, quel nome pronunciato con voce roca. «Andiamo. Voglio finire in fretta e andare via.» 
Guidò Dean fuori, la luce del sole calda sulla terra battuta del ranch. Sistemò un po' in giro, indicando a Dean recinti e attrezzi, fino a portarlo alle stalle. Lo lasciò ad aspettare fuori qualche minuto, mentre ripuliva in fretta, risparmiandogli gli aspetti più disgustosi di un lavoro a cui Cas era abituato. Quando venne il momento di strigliare i cavalli, lo fece entrare e li presentò uno ad uno, prima di occuparsi di loro e chiacchierare di questioni superficiali con Dean. 
«Michael è... testardo, a dir poco.» 
«Quello è Zachariah. Ormai ha una certa età, credo che Naomi lo farà presto sopprimere.» 
«Joshua è tranquillo. A lui basta un po' di natura ed è contento.» 
Alla fine arrivò al suo preferito. Lo accarezzò a lungo, prima di voltarsi verso Dean. 
«Questo è Samandriel. Io lo chiamo Alfie.» 
Si avvicinò a Dean, lo sguardo intenso, e gli prese la mano, stringendola delicatamente nella sua prima di posarla sul cavallo. 
  
«Ehi, Alfie.»
Sembrava un cavallo giovane, non che Dean ne capisse qualcosa di cavalli che non erano riferiti ai motori delle macchine.
Accarezzò il muso marrone chiaro, la pelle setosa della mascella, su fino alla criniera, trascinando la mano di Cas con sé.
«Wow, Cas. E tu puoi farlo tutti i giorni?»
Non si stupiva più che non fosse mai scappato di casa, a dispetto della zia malefica.
Alfie sembrò apprezzare la sua presenza e gli morse la giacca, facendolo ridere di cuore.
  
Cas assorbì quel suono pieno e profondo, rapito da come lo colpì allo sterno con forza, risvegliando ancora una volta tutte le emozioni che Dean gli suscitava. 
E poi si fece vicino e lo baciò, le mani a toccarsi, ferme nelle loro carezze su Alfie. Labbra contro labbra, come se quella risata potesse contagiarlo solo così, a contatto. Più della prima volta - di cui non ricordava nulla se non il battito del cuore e l'impalpabile perfezione - Cas immagazzinò le labbra morbide di Dean, il suo fiato mozzato dal gesto improvviso, il suo profumo, il suo calore. 
  
Dean superò la sorpresa e si rilassò nel bacio, chiudendo gli occhi, espirando tutta l'aria che aveva nei polmoni proprio come quando erano sul letto.
Provò a ripetere l'esperimento, e questa volta non fu così difficile sostenere le labbra di Cas che si muovevano insieme alle sue, creando una specie di ritmo stentato, come se nessuno dei due fosse certo di quello che stavano facendo.
E forse Dean aveva più esperienza di baci, perché cominciò ad irritarsi di come la testa di Cas fosse ad un angolo sbagliato e troppo lontano, così gli portò la mano alla mascella per avvicinarlo leggermente.
Si separò dopo un istante, trascinando le dita sulla pelle di Cas per farle finire di nuovo al suo fianco.
Stiamo migliorando sempre di più, eh?, avrebbe voluto dire, ma aveva le parole inceppate da qualche parte, quindi si limitò a sorridere di nuovo quel sorriso tutto tirato che gli illuminava completamente il volto e l'anima.
«Scusa, Alfie,» disse infine, e il cavallo scosse la testa, come se volesse davvero dirgli che non gli dispiaceva vederli che si baciavano di fronte a lui.
  
Cas sorrise di rimando, per poi iniziare ad occuparsi di Alfie, Dean appoggiato al legno solido della stalla a guardarlo mentre coccolava il cavallo, mormorandogli qualche aneddoto.  
«Andiamo?» chiese, una volta finito, dando un'ultima carezza ad Alfie come un saluto. 
Voleva davvero rifugiarsi al fortino nel fienile abbandonato, sperimentare cosa significasse stare sdraiato con Dean a leggere, magari sfiorandogli le mani di tanto in tanto. E il viaggio nella sua auto non sarebbe stato da meno, con la musica e la felicità di Dean. Era davvero così fortunato? Tanto da poterlo baciare quando voleva, accarezzare ogni volta che poteva? 
Poteva davvero illudersi che questa volta fosse diversa dal resto della sua vita?

 
Come ogni martedì, appuntamento con questi due!
Speriamo vi sia piaciuto anche questo capitolo (lo sappiamo che con quello che ci succede dentro v'è piaciuto, lo sappiamo XD).
Cazzate a parte, se vi va di lasciare un commento noi siamo solo felici. Anche se abbiamo vite piene e c'è appena il tempo di stare dietro a tutto. Vi risponderemo, promesso. E GRAZIE, i vostri pareri sono sempre molto belli da leggere!
Alla prossima!!!
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 7
*** Fly Away With Me ***


 
 
7 - Fly Away With Me
 
So come and fly away with me
to a place where we could be anyone we wanna be
we can bottle up our fear
brew a taste so sweet
knock us off our feet
and we'll
burn our troubles
inhale them all
paint the future on a fractured wall
so come and fly away with me
to a place where we could anyone we wanna be
 
(“Fly Away With Me” Tom Walker)
 
Dean teneva il quarto volume della saga di Chuck aperto sulle ginocchia, seduto contro il muro sul materasso del loro fienile.
Cas era impegnato a fargli un altro ritratto, il terzo, non che Dean avesse intenzione di tenere il conto.
Ogni tanto alzava lo sguardo sopra le pagine per guardarlo, tutto serio, le sopracciglia unite dalla concentrazione. Sperava che finisse presto. Dopo averlo visto lo avrebbe baciato, come aveva fatto dopo aver visto il secondo.
I disegni erano belli, certo, ma Dean voleva premiare Cas di tutto quel lavoro. Di farlo sentire così importante e così bello. Di farlo sentire come se ne valesse la pena.
Il rombo di un motore che si avvicinava e si spegneva, parcheggiando proprio fuori dal fienile, colse entrambi di sorpresa, trasformando le loro espressioni in qualcosa che andava pericolosamente vicino alla paura.
Paura di essere scoperti, paura di non potersi più vedere per l'inevitabile punizione di Cas, paura che tutta la loro bolla scoppiasse in un secondo. Tutte le volte che si erano tenuti per mano sul materasso, le volte che Dean era andato a prenderlo appena fuori dal ranch per portarlo al fienile in macchina e ascoltare le cassette di Chuck, tutte le volte in cui aveva tenuto il loro segreto persino a Sam.
Dei passi risuonarono sul terriccio, e una voce dall'accento inglese borbottò qualcosa sulla polvere mentre si spazzolava i pantaloni. Dean e Cas si mossero contemporaneamente, avvicinandosi al bordo e facendo capolino con le teste per guardare giù verso l'uomo che aveva improvvisamente invaso il loro territorio. Dean trattenne il fiato, chiedendosi se fosse uno mandato dalla zia di Cas, ma non osando parlare.
  
Cas guardò l'uomo gettare attorno a sé un'occhiata dubbiosa, prima di individuare la scala e guardare in alto. Istintivamente Cas ritrasse la testa, ma fu comunque troppo tardi. 
«Buon pomeriggio,» disse il tizio, una nota ironica nell'accento inglese. 
Cas tornò a guardare giù, senza sapere bene che fare. Lo sconosciuto si guardava intorno come se fosse tutto suo, studiando con sufficienza il legno marcio e le ragnatele; ma quello era il loro posto, suo e di Dean. Lì c'erano mani delicate che si cercavano e si sfioravano, baci segreti, parole che non rivelavano a nessun altro. 
Cas non sapeva se fosse più la paura o la rabbia a premere contro le costole per strisciargli sulla pelle. Si specchiò negli occhi di Dean, consapevole del modo in cui la propria espressione dovesse essere corrucciata. 
  
«Buon... pomeriggio?», rispose Dean, per colpa del suo dannato Sam interiore e le sue stupide buone maniere.
Cas non conosceva il tizio, quindi era una cosa buona... giusto?
Lasciò la sua espressione aggrottata per voltarsi a guardare l'uomo in piedi in mezzo al fienile. Era biondo, vestito di jeans e maglia nera con una giacca grigia buttata addosso. Sembrava un damerino di città, cosa ci facesse là dentro era una cosa che Dean non riusciva a capire. Forse si era perso.
«Possiamo aiutarla?», chiese, più duro di quanto avesse voluto.
  
«Quella sarebbe la mia battuta, visto che siete nel mio fienile. Ma le attrattive della cittadina sono quantomeno scarse, quindi immagino che siate qui per obnubilarvi nei piaceri di droga e alcol,» rispose l'uomo, sollevando appena un telo per scoprire qualcosa, sotto, che gli dipinse in viso un'espressione schifata. 
Lasciò ricadere il tutto e sbatté le mani per pulirle dalla polvere. 
Cas sentì il cuore accartocciarsi nel petto. Qualcuno aveva comprato il loro fienile? La loro fattoria? 
Spostò nuovamente lo sguardo dall'uomo a Dean e, questa volta, seppe con certezza quale emozione gli si fosse gonfiata in petto: tristezza. 
  
Dean aprì la bocca per ribattere che non era vero, ma la richiuse.
Era pur vero che aveva abbassato di molto il numero di birre che si comprava, ma era comunque ben lontano dallo zero. Se il tizio fosse salito, avrebbe trovato tre lattine vuote proprio ai suoi piedi.
Guardò Cas, e lo stomaco gli diede una immediata stretta dolorosa. Stava per perdere il suo unico posto sicuro, fuori da casa, lontano dalle grinfie della zia malefica. Fanculo le sue paranoie e i suoi segreti, Cas aveva la priorità, e Dean gli avrebbe trovato un altro posto sicuro in men che non si dica.
«Possiamo... possiamo prendere le nostre cose e andare via subito, senza...», gesticolò vagamente nel vuoto.
Senza bisogno di chiamare la polizia, magari. 
  
«Ohi, ragazzo, nessuno vi sfratterà nell'immediato futuro. Piuttosto, scendete un po', fatevi dare un'occhiata,» rispose il tizio, facendo quasi il gesto di sedersi sulla pila di mattoni poco distante prima di cambiare idea e sventolare i suoi modi fino a un punto imprecisato del fienile, per poterli vedere meglio quando fossero scesi.  
Cas si mosse carponi per rimettere le sue cose nella scatola, quasi fosse un veloce rituale d'addio. Nascosto alla vista, gettò a Dean una rapida occhiata prima di sigillarla con il suo coperchio.  
Senza dire una sola parola, iniziò a scendere. 
Quando anche Dean fu a terra, studiò il tizio con curiosità: non sembrava in gradi di occuparsi di una fattoria - non era una lavoro semplice, Cas lo sapeva - e aveva l'aria di un uomo di città, ricco e annoiato. 
«Non sembrate intossicati. Non abbastanza per i miei canoni, almeno,» disse, strizzando l'occhio a Cas. «Balthazar,» si presentò, posandosi il palmo sul petto, prima di girare attorno ai due. 
Cas, d'istinto, serrò i pugni lungo i fianchi, pronto a scattare e difendere Dean, se necessario. 
«Non è che volete guadagnare qualche soldo aiutandomi a sistemare questo posto? Ammetto che sembrava un'idea migliore dal sito. Potrete tenervi anche il nascondiglio. In città non ci sono lavoratori disponibili al momento e mi hanno suggerito di mettere un annuncio alla scuola, perché c'è sempre qualche studente in cerca di un lavoretto, ma visto che siete già qui...» 
  
A Dean non piaceva come il tizio disegnasse cerchi sul terreno intorno a loro come se fossero una preda.
E non gli piaceva come aveva fatto l'occhiolino a Cas, lascivo, lasciandogli una sensazione di disagio e allerta su tutta la pelle.
«No, grazie,» rispose di getto, una smorfia acida sul viso. E poi cosa ne sapeva lui di sistemare fienili abbandonati? Non erano mica macchine.
Afferrò la mano di Cas, pronto a portarlo fuori. Sarebbero andati da Bobby. Lì avrebbero trovato un attimo di pace per pensare e trovare un nuovo nascondiglio per Cas.
Male che vada, puoi sempre farlo intrufolare in camera tua.
  
Cas si lasciò trascinare fino all'Impala, per poi sfilare la mano da quella di Dean. Dove potevano andare? Non avevano davvero un posto che fosse loro, non più. Non avevano niente, solo loro stessi. Sulla punta della lingua gli si formò un'idea assurda, che non partì davvero dal cervello. 
«Dean,» esordì, fermo impalato di fianco alla macchina su cui Dean stava già per salire. «Avresti bisogno di quei soldi. Per te e per Sam. Potreste pensare di restare, magari, quando tuo padre vorrà ripartire. Se avessi qualche soldo da parte sarebbe più facile. Presto saremo entrambi maggiorenni. Potremmo...» 
Andarcene?
Stare insieme?
Vivere liberi? 
Scosse la testa, l'idea invadente e stupida a sparire nel silenzio, e salì in macchina. In quel momento Balthazar fece capolino dal fienile, proteggendosi dal sole con una mano e agitando l'altra come un saluto.  
«Pensateci ragazzi!» disse, tentando di farsi sentire anche se i due erano già in macchina. 
  
Dean pigiò il piede sul pedale, schizzando via lontano da quel posto ormai macchiato dalla presenza dello stupido uomo biondo e i suoi stupidi suggerimenti.
«No,» affermò, le mani strette sul volante. «Ci sono altri modi per fare soldi. Vedrai.»
Guidò a tavoletta verso Bobby ignorando le regole stradali, sia lui che Cas chiusi in un silenzio incupito.  
  
Cas osservò fuori dal finestrino per tutto il tempo, pensieroso. Si sentiva scomodo ad aver lasciato la scatola di sopra, con la scala ancora poggiata contro il soppalco, tutto in balia di uno sconosciuto. Si sentiva stupido ad aver proposto che non fosse una pessima idea lavorare per quel tizio. Era preoccupato dalla frase di Dean - ci sono altri modi per fare soldi - e dal fatto che la poca felicità che era riuscito a racimolare rischiasse di andare in pezzi. 
Però Dean non aveva detto che fosse assurdo pensare al futuro. 
E questo... questo era importante. 
Continuò a guardare fuori, ma fece scivolare la mano sul ginocchio di Dean, alla ricerca di un contatto rassicurante. 
 
Dean parcheggiò con uno stridio di freni nel ghiaino di fronte al garage-casa di Bobby, voltandosi verso Cas e rendendosi conto per la prima volta di averlo portato a due città di distanza.
«Siamo da mio zio. Beh, una specie di zio,» disse, mentre Cas guardava i cadaveri delle macchine con fare curioso. «Quando devi tornare a casa fai un fischio, ma intanto... intanto questo è il primo posto che mi è venuto in mente in cui... sai. In cui possiamo stare al sicuro.»
  
Per un attimo, Cas aveva assurdamente pensato che stessero scappando insieme. E, ancora più assurdo, gli sarebbe andato bene. Certo, Dean non avrebbe lasciato Sam e gli piaceva anche per quello. Era stato solo un pensiero dettato dalla tristezza e dalla frustrazione. 
«Esiste davvero uno zio Bobby, quindi» constatò, guardandosi attorno in con curiosità. «Dean. Mi baceresti?» aggiunse, un po' tetro, bisognoso di quel contatto più che dell'aria e della sicurezza. 
  
Dean prese il bavero della felpa di Cas di slancio, schiacciandosi contro le sue labbra con un velo di disperazione.
Andrà tutto bene, ci penso io a te.
Fu un bacio dal sapore diverso, pieno di parole non dette che travasavano su dalla gola, di promesse solenni. Si staccò per primo, come succedeva sempre, e sospirò, per poi mollare i vestiti di Cas e scendere dalla macchina.
  
Cas seguì Dean in mezzo al labirinto di quelle che un tempo dovevano essere state auto, il sapore di Dean ancora sulle labbra, profondo e importante. 
Erano insieme, era questo che contava, nient'altro.  
Ora doveva solo conoscere questo Bobby e sperare che non tutti gli zii al mondo fossero come la sua. 
  
Bobby doveva aver sentito il motore, perché uscì in veranda con il cappello da baseball cascato in testa e il fucile, che abbassò non appena riconobbe quale Winchester stava salendo i suoi gradini.
«Bobby,» lo salutò Dean, alzando il mento, che non erano mai stati tipi da convenevoli.
Bobby lo soppesò un attimo, passò a squadrare Cas e poi tornò su di lui, sul livido ormai sbiadito sullo zigomo e la piccola crosta rimasta sul labbro.
"Ehi. Hai portato compagnia?", spostò la canna del fucile verso le gambe di Cas per indicarlo.
"Sì, questo è... è Cas."
Dean non avrebbe saputo descriverlo in nessun altro modo.
  
Cas restò impalato un attimo, teso, pronto a scattare, ma la reazione di Dean - rilassata e familiare - lo tranquillizzò di conseguenza. 
«Salve,» si limitò a dire, fissando l'uomo con la sua solita espressione. 
Non sembrava esattamente un “esempio”, ma Naomi lo sembrava ed era il peggior essere umano che avesse mai conosciuto. Questo, almeno, gli aveva insegnato a non giudicare le apparenze. 
  
«Mh,» commentò Bobby, per niente impressionato. Si voltò per inoltrarsi di nuovo in casa col suo solito passo stanco, e Dean lo seguì subito.
«Sammy?», chiese Bobby, continuando a camminare verso la cucina, mollando il fucile contro un angolo.
«Ah, lo conosci Sammy. Starà facendo i compiti sul tappeto.»
Lo seguì fino al frigorifero, dove Bobby si fermò per prendere due birre, stapparne una per sé e ficcare l'altra in mano a Dean. Alzò un sopracciglio verso Cas, che scosse semplicemente la testa, così tornò a dare la sua attenzione a Dean.
«E il tuo vecchio?»
«Il solito.»
Alzò le spalle. Il solito significava solo che John beveva fino a non riuscire più ad alzarsi dal divano. Nelle rare volte in cui usciva, diceva che andava a sentire qualcuno per una pista sulla ricerca della mamma, ma Dean sospettava lo facesse solo per prendersi altro alcool, se non peggio.
«E lui?»
«Mh?»
Bobby stava puntando un indice verso Cas, il resto delle dita avvolte intorno alla lattina.
«Lui è Cas, te l'ho detto.»
«E l'hai portato qui per...?»
Dean strinse i denti. Odiava il modo di Bobby di andare dritto al punto.
«Ha bisogno di un posto dove stare... di tanto in tanto.»
Bobby sospirò a lungo.
Si scolò il resto della birra in un colpo solo, la buttò, e piegò l'indice per invitarli a seguirlo. Proseguì lungo il corridoio, camminando sbilenco - forse non era la sua prima birra della giornata - e si fermò di fronte alla porta di una camera. La aprì e mostrò il palmo.
«Tutta tua,» borbottò, per poi girare i tacchi e lasciarli soli.
Dean entrò, era una stanza che conosceva, ci aveva dormito quando era piccolo e nelle volte in cui John decideva di mollarli a casa di Bobby e sparire per settimane alla volta.
Erano anni che non succedeva, ma la stanza era rimasta uguale, il solito letto senza coperte nell'angolo in fondo e un armadio dall'altra parte della stanza. Nient'altro. Si avvicinò per aprire un cassetto e sì, le lenzuola stinte erano ancora là dentro.
  
Cas attese che Dean facesse il letto - gli aveva chiesto se avesse bisogno di una mano, ma Dean si era limitato a un “nah, tranquillo”. Ci approdarono sopra per forza di cose, Cas seduto sul bordo del materasso, quasi in bilico.  
Forse - solo forse - la sua mente aveva associato Dean a un letto e a quello spazio solo per loro, e la mancanza di un rifugio non aveva pesato così tanto. 
Riempire il silenzio con una domanda era meglio dei suoi pensieri, perché sembrava che ovunque fosse Dean sarebbe andato bene stare.
«Sicuro che non sia un problema?» domandò, serio.
Era stata una giornata piena e stressante, solo per questo la sua mente non aveva difese contro il suo cuore.  
  
«Sicuro,» confermò, sistemandosi meglio al fianco di Cas. «Era un po' il mio, di rifugio personale, una volta, sai... non è sempre stato così facile con papà.»
Si grattò la nuca. Era da pappamolle dire tutto?
«Ora... ora è diverso, beve e basta, non parliamo quasi più,» un sorriso amaro gli tirò le labbra. «È ironico, odiavo litigare con lui, vederlo litigare con Sammy, e ora...», si strinse nelle spalle. «E ora mi manca.»
  
«Mi dispiace, Dean,» disse Cas, guardandolo con intensità. 
Avrebbe voluto riavvolgere il tempo ed esserci sempre stato per Dean,. Allungare fazzoletti quando il labbro sanguinava, stargli vicino quando la situazione diventava insostenibile, ascoltarlo raccontarsi, stringerlo. 
Quelle due vite che gli erano capitate erano un disastro continuo, ma ora si avevano. E avrebbe continuato ad essere difficile, ma si sarebbero aiutati a vicenda. Di questo Cas era certo. Si sdraiò sul materasso, le mani stese lungo i fianchi nella solita postura rigida, guardando il soffitto scrostato. 
«Un giorno ce ne andremo,» dichiarò, convinto. 
Insieme aggiunse mentalmente. 
E non importava che fosse impossibile e irrealizzabile. Si meritavano un solo istante di libertà, almeno con la fantasia. 
 
Dean si lasciò andare all'indietro a sua volta, finendo a contemplare il soffitto di fianco a Cas.
Un giorno, forse non quello, forse la prossima settimana, forse quella dopo, John avrebbe fatto le valigie e a nulla sarebbero valse le proteste di Sam, avrebbero caricato la macchina e basta.
"Sì," disse in un sussurro tetro. "Un giorno ce ne andremo."
  
Cas allungò la mano e sfiorò quella di Dean, dorso contro dorso, muovendo le dita per intrecciarle alle sue e poi scivolare via per accarezzarlo e ripetere il tutto da capo, calmando il battito del cuore e il caos dei pensieri. 
Cas voleva fosse vero, più di qualsiasi altra cosa, tanto da mozzare il fiato e incastrare un pianto inesistente in gola. 
  
Quante altre volte era stato in quella stanza, insieme a Sammy e poi con delle coperte per terra quando il letto era diventato troppo piccolo per tutti e due?
Quante volte aveva fissato quel soffitto, sperando e pregando che le cose migliorassero, per poi lasciare che ogni speranza si affievolisse fino a diventare un semplice modo per non fissare direttamente il vuoto?
E quante volte ancora avrebbe dovuto farlo?
E la volta successiva, tra quanto tempo sarebbe stato? Ci avrebbe ritrovato anche Castiel?
«Cas...?», bisbigliò. «Mi abbracceresti?»
  
Cas si voltò sul fianco e si strinse a Dean, con disperazione, come si erano baciati in macchina. In quella stretta, uno ancorato all'altro, cercarono di restare in superficie, di non annegare nell'ingiustizia delle loro esistenze. Cas affondò il viso in Dean, contro il collo, respirando il suo profumo e bevendo il suo calore, immagazzinando ogni ricordo per quando l'unica fortuna della sua vita avesse raggiunto la data di scadenza. 
Non lasciarmi, pensò. 
O forse lo sussurrò contro la pelle di Dean, stringendo gli occhi come quando si esprimeva un desiderio. 
  
Rimasero così, stretti, incastrati l'uno con l'altro, fino a che il familiare agitarsi di Cas non lo avvisò che fosse il momento di riportarlo a casa. Dean si staccò con riluttanza, gli passò il pollice sul lobo dell'orecchio per qualche motivo e si alzò, sistemandosi i capelli intanto che aspettava che Cas lo imitasse.
Salutarono Bobby, che grugnì qualcosa in risposta, e salirono sull'Impala, ripartendo verso casa.
Stavolta fu Dean a cercare la mano di Cas, a stringerla sulla sua sopra al cambio manuale della sua bambina.
Parcheggiò come sempre a qualche isolato dal ranch, il tramonto che disegnava ampie strisce di colori rossastri nel cielo.
«Pensi che... uhm... pensi che sia una buona idea... quella di Bobby? Ti va di tornare domani? Non è... non è l'ideale, lo so, ma... non mi piaceva quel tizio.»
Aveva parlato tenendo gli occhi bassi, fissi sulle loro dita intrecciate che stava tamburellando sul pomolo nero del cambio.
  
«Va bene, Dean. Mi sembra una buona idea,» disse. 
Se a Bobby andava bene e a Dean andava bene, sarebbe andata bene anche a Cas. 
Lo salutò con un veloce bacio sulle labbra, guardandosi attorno furtivo, prima di incamminarsi verso casa. 
Lì, oltre la porta, Naomi era ai fornelli con Anna. Le salutò rapidamente, dicendo che si sarebbe lavato le mani prima di cena. 
«Castiel,» lo richiamò sua zia dalla cucina. 
Tornò sui suoi passi, teso, anche se sapeva di essere in perfetto orario. 
«Siediti, vorrei parlarti,» disse lei, scrutandolo con lo sguardo freddo. 
Castiel obbedì e, quando Anna si girò per riservargli uno sguardo colpevole, capì tutto. 
«Zia...» 
Lei alzò la mano, zittendolo con quel gesto secco. 
«Dean Winchester è un rifiuto della società. Tu smetterai di frequentarlo. Se dovessi mischiarti ancora con lui, mi costringerai a chiamare gli assistenti sociali e a risolvere la situazione che quell'irresponsabile, alcolizzato di suo padre sta creando ai suoi ragazzi. Dovrei farlo lo stesso, in realt-» 
«No, zia, non..» 
«Non lo farò, ho detto, anche se dovrei. Non è un problema della mia famiglia ed è della mia famiglia che devo occuparmi. Da oggi voglio sapere dove vai tutti i pomeriggi. Con chi sei e cosa fai. Se non gradirò quello che mi dirai o scoprirò che stai mentendo, non ci saranno più ore libere in cui girovagare. E sei in punizione per due giorni, ovviamente.» 
Cas sentiva le orecchie ronzare, il profumo di Dean dissolversi dalle narici e il suo calore abbandonare la pelle. 
«Sì, zia.» 
«Ora puoi andare a lavarti le mani.» 
Cas si alzò, scoccò ad Anna un'occhiata omicida e salì le scale a due a due. 
Di sopra, con mani tremanti e il principio di un pianto, spedì un messaggio a Dean. 
Scappiamo insieme.
  
Dean aveva sentito il cellulare vibrare in tasca, ma non si era azzardo a prenderlo mentre guidava.
Parcheggiò davanti casa, scese e lo pescò dalla giacca, mancando un gradino quando lesse il messaggio di Cas.
Scappiamo insieme. 
Scappare. Lasciare John, i flebili ricordi della mamma, e fermarsi in un posto, per una volta per sempre. Lasciare Sam...
Aprì il portone e Sammy era prevedibilmente sul tappeto, un sorriso stampato sul visetto magro non appena lo vide spuntare.
Lo aveva trascurato parecchio in quelle settimane, passando ogni suo tempo libero con Cas.
«Ehi, Dean. Papà è sveglio,» annunciò, come se fosse una cosa positiva.
John si stagliò su di lui, l'ombra lunga sul pavimento, appoggiato allo stipite della cucina.
«Dove sei stato?»
«Da Bobby.»
«Perché?»
Non rispose, sfilandogli davanti per andare a chiudersi in camera sua. Sprofondò nel materasso, sospirando di vite vissute a metà.
«Dean, mi servono le chiavi della macchina.»
John gli parlava dall'altro della porta. Dean l'aprì per ficcargliele in mano, richiuderla e ributtarsi a letto.
Che cos'è successo?, chiese.
Non posso lasciare Sam, pensò.
  
Cas osservò il cellulare per un tempo infinito. Aveva scritto d'istinto, ma doveva pensare. Pensare lucidamente, avere un piano, stabilire le prossime mosse. Non doveva lasciarsi trascinare dal panico. 
Scappare insieme non era mai stata un'opzione, lo sapevano entrambi.  
Si mise seduto sul bordo del letto, sforzandosi di trovare una soluzione, una qualsiasi.  
Ma una soluzione a cosa? Alla sua voglia di vedere Dean? A quell'egoismo infantile? 
No, l'unica cosa che contava era che Dean e Sam stessero bene, che nessun assistente sociale li portasse via e li separasse. Non poteva essere certo che sua zia non li chiamasse lo stesso, ma poteva fare in modo di non complicare le cose. 
Niente. Non parlavo sul serio.
Appena spedito il messaggio, qualcosa nelle sue viscere si attorcigliò spiacevolmente. 
Naomi ha scoperto che il pomeriggio sono con te e non vuole. Ha minacciato di chiamare gli assistenti sociali. Non possiamo più vederci, Dean, mi dispiace.
Appena mandò quel secondo messaggio, sentì il vuoto gonfiarsi dentro di lui e avvolgere ogni cosa. Aveva avuto tutto, per una volta nella vita, e in quel momento avrebbe quasi preferito non aver mai avuto nulla pur di non sentire quel soffocante senso di perdita. 
  
Dean scattò su a sedere.
Cosa? Prché? Coma ha fatto?
Aveva digitato velocemente, sbagliando qualche parola, ma doveva respirare e non farsi prendere dal panico.
Avrebbero trovato una soluzione. Bobby era una soluzione, no?
Non possiamo continuare a vederci da mio zio?
Gli assistenti sociali... a Dean mancava poco meno di un anno alla maggiore età, e poi si sarebbe occupato lui di Sam, ma non l'avrebbe mai lasciato in una casa famiglia per tutto quel tempo. Non l'avrebbe permesso e basta.
Non voglio perderti.
Cancellò l'ultimo messaggio senza inviarlo.
Voglio vederti stasera. Ce la fai a uscire?
  
Dean non capiva quanto sua zia fosse seria. Si mise a digitare in fretta, attento a non lasciarsi sfuggire le giuste lettere. 
Non posso uscire di sera. Non senza rischiare che lei lo scopra. E non posso far correre a te e Sam questo rischio.
E poi ancora. 
Dean, te ne saresti andato comunque, prima o poi.
Infine. 
Accetterò il lavoro al fienile abbandonato e metterò via i soldi. Appena sarò maggiorenne verrò a cercare te e Sam. Promesso. 
Sentì chiamare da sotto, la voce decisa di sua zia a risuonare per le scale. 
Devo andare a Cena. Ci vediamo, Dean.



 
Salve! Come state? Noi siamo reduci da Lucca e stiamo anche affrontando il NaNoWriMo, quindi è a dir poco un periodo pieno!
I capitoli continueranno ad uscire come ogni martedì, però!!!
Cosa pensate della piega che hanno preso gli eventi? GRAZIE per le recensioni, cercheremo di ritagliarci il tempo per rispondervi! Siete preziosissime (e -issimi nel caso).
Al prossimo martedì!
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 8
*** Hurt for me ***




8 - Hurt for me
 
My mind explodes and I can't make it out
I'm falling down
 
I see your face in blurry shades and I reach out for your hand
All your ways I can't explain but I want to understand
 
My love, I only want you next to me
Sweet love, how long before you hurt for me?
Hurt for me, do you hurt for me?
 
(“Hurt for me” SYML)
 
Cas aveva trascorso due giorni a ignorare tutti. Aveva ignorato sua sorella e le sue scuse e quell'ammissione tetra - “Ho bisogno d'aiuto” - che l'aveva fatto sentire in colpa nonostante la rabbia per ciò che Anna aveva rovinato spifferando tutto; aveva ignorato Gabriel - “Non l'ha fatto apposta. Ma, quindi, tu e Dean-o avete...” - che poi era sparito nel nulla un'intera notte, focalizzando su di sé le ire di Naomi; aveva ignorato Dean e i suoi messaggi, sentendosi divorare dalla tristezza a ogni parola, la mancanza un pugno stretto attorno ai polmoni.  
Alla fine della punizione, aveva chiesto a Naomi se poteva andare a lavorare alla fattoria abbandonata. Lei aveva storto un po' il naso, ma aveva acconsentito, purché non ci fosse neanche l'ombra di Dean nei paraggi. Si era andata ad informare - in chiesa tutti sapevano tutto di tutti - e sapeva che altri due ragazzi erano andati ad aiutare il nuovo arrivato a sgombrare l'edificio prima dell'arrivo dell'impresa vera e propria la settimana seguente. Uno dei due, Kevin, era anche parte della comunità, così Naomi si era convinta definitivamente. 
Per quello, dopo un ultimo saluto ad Alfie, Cas si avviò mesto, ripercorrendo una strada che aveva significato tutto, per lui, e ora sembrava solo l'ennesimo percorso che non lo avrebbe portato da nessuna parte. 
  
Dean era avvilito.
Cas non gli rispondeva più ai messaggi, ogni volta che bussavano alla porta non sapeva se ci fossero gli assistenti sociali dall'altra parte, e come se non bastasse papà era sempre fuori con l'Impala, costringendolo a prendere il fottuto autobus per andare a scuola e rimanere a casa per il resto della giornata.
Avrebbe potuto prendere l'autobus che passava ogni ora all'angolo della strada per andare in centro, ma a che pro? A fare cosa? A vedere chi?
Sammy sembrava contento di averlo intorno, quindi almeno quello era positivo, e Dean ci si aggrappava per non rischiare di impazzire, rinchiuso dentro casa.
«Sai, Dean... che puoi parlarmi, vero?»
Dean si girò verso Sam, sdraiato sul tappeto a scrivere qualcosa sul suo quaderno come sempre, che aveva parlato mentre Dean faceva zapping annoiato sul divano.
«In che senso?»
«Nel senso che... qualunque cosa ti stia succedendo, puoi parlarmene. Se vuoi.»
Parlargliene? Parlargli di come avesse trovato qualcuno, non sapeva bene ancora in che senso, ma qualcuno di cui prendersi cura che non avesse legami di sangue con lui? Qualcuno con cui parlare, di tutto e di niente, con cui ascoltare la musica ed essere genericamente felice? Qualcuno che aveva smesso di parlargli per proteggerli entrambi?
«Non mi succede niente, Sammy,» borbottò, gli occhi fissi sul televisore.
 
Cas si affacciò sul fienile stranamente sgombro, osservando con cautela un paio di ragazzi - uno magrolino dai capelli scuri che Castiel riconobbe come Kevin e uno grande il doppio e muscoloso che non aveva mai visto - mentre parlavano con lo sconosciuto. Balthazar, se Cas non ricordava male. 
«Oh ma guarda chi c'è,» disse l'uomo, quando vide Castiel oltre le spalle dei ragazzi, stagliato controluce. «Entra, entra,» lo invitò, gesticolando. 
«Sto spiegando che ora possiamo passare alla casa, visto che il fienile è ripulito,» continuò, nonostante il silenzio che stava ricevendo in risposta. 
Cas lanciò uno sguardo di puro panico al soppalco, senza riuscire a vedere cosa fosse successo al suo rifugio. La scala era ancora poggiata lì e invitava chiunque a salirci. Cas sentì lo stomaco serrarsi, ma spostò lo sguardo su Balthazar giusto in tempo per un suo occhiolino rassicurante. 
«Ma, visto che sei finalmente arrivato e che tua zia mi ha fatto sapere tramite il nostro Kevin, qui, che saresti venuto, lasciamo che questi due guidino fino alla discarica mentre ci aggiorniamo su paga e tutto il resto, vuoi?» disse, congedando gli altri due ragazzi con un gesto della mano - a cui il più grande dei due rispose con uno sbuffo quasi divertito - prima di circondare Cas con il braccio sulla spalla.  
Seguirono i ragazzi fuori, a debita distanza, e Cas li osservò salire su un furgone, il retro pieno di macerie e vecchia legna. 
«Non ti preoccupare. Ho salvato i tuoi averi e li ho portati in casa,» comunicò Balthazar, sorridendo compiaciuto dell'evidente sollievo che rilassò appena le spalle del ragazzo. «Facciamoci un tè mentre loro sgobbano.» 
La casa era cadente, ma meno di prima. Solo che Cas aveva notato la polvere sugli abiti di Kevin e dell'altro ragazzo, mentre i vestiti di Balthazar erano immacolati. 
L'uomo mise su un fornelletto elettrico una teiera, prese posto al tavolo scalcinato della cucina, e accavallò le gambe. 
«Siediti, prego. Castiel, dico bene?» disse. 
«Sì, e... volevo solo sapere del lavoro.» 
«Certo, certo.» 
Così Cas prese posto, titubante. Da lì, la situazione divenne pi facile. Balthazar parlò di orari, di quello che richiedeva loro durante quei pomeriggi, di quanto lo avrebbe pagato e di cosa voleva facessero una volta che l'impresa vera e propria si fosse occupata di restaurare il posto. Sembrava sempre un po' sarcastico, divertito da qualcosa che Cas non afferrava. 
Quando il tè fu quasi finito, si aprì in un sorriso furbo. 
«Pensavo ci sarebbe stato anche il tuo amico, con te. Bei disegni, a proposito.» 
Cas sentì le orecchie arrossarsi senza controllo. 
«Oh, via, stavo solo cercando un modo per contattarvi e ridarvi la vostra scatola,» continuò l'uomo.
«Non... non posso vederlo,» ammise Cas. 
«Oh, ecco perché tutta l'aria da artista maledetto che hai deciso di indossare.» 
Cas aggrottò le sopracciglia a quella presa in giro. 
«Senti, ci siamo passati tutti. Due ragazzi in un fienile, da soli, su un materasso? Il modo in cui ti ha trascinato via? I disegni? Non credere che da dove vengo le cose siano tanto diverse quando si è giovani. Passerà. O imparerete a fregarvene. Io l'ho fatto. Sono qui per una nuova vita, lontano dal mio ex, nello specifico.» 
Cas non riuscì ad impedire a un briciolo di sorpresa di scivolare fuori dal suo sguardo attento. 
«Non credo abbia scelto il posto giusto.» 
«Oh, io credo di sì,» disse Balthazar, strizzandogli l'occhio. «E ora a lavoro, Castiel,» concluse, alzandosi per mostrargli la sala invasa dalle macerie e spiegargli come si erano organizzati gli altri due ragazzi. 
  
Papà tornò verso il finire del pomeriggio.
Dean non aspettò nemmeno che entrasse in casa, corse fuori non appena sentì il motore spegnersi, gli tolse le chiavi di mano e schizzò via senza degnarlo di uno sguardo né di una risposta al suo “Woah, dove stai andando?”
Pigiò sul pedale, sgommando sulle curve, lasciandosi dietro una scia di improperi da una manciata di pedoni spaventati. Rallentò solo quando fu di fronte al fienile, osservando com'era già cambiato in nemmeno una settimana.
C'erano un paio di macchine parcheggiate, cumuli di roba accatastata e pronta per essere portata via - c'era anche la scatola di Cas, in mezzo alle macerie? - l'aria di rifugio privato completamente persa.
Spuntarono due ragazzi dalla casa di fianco, un asiatico bassino e un ragazzo che Dean aveva già visto, anche se ci mise un attimo a ricordare dove. Da Bobby, aveva un furgone scassato che aveva portato a riparare e si era messo a chiacchierare con Dean intanto che aspettava venisse riparato.
«Ehi,» disse Dean, spuntando fuori dalla portiera.
«Ehi!», rispose quello, stupito di vederlo lì quanto lui.
«Cosa ci fai qui?», chiese, guardandosi intorno.
Dov'è Cas?
«Ci lavoro. Cosa ci fai tu qui?»
Si avvicinò tallonato dal ragazzetto, che aveva l'aria di uno che parlava poco, tutto occhi intelligenti che scrutavano il mondo.
«Pensavo abitassi a Sioux Falls,» disse Dean, ignorando la domanda.
«Ci abito infatti. Ho sentito che cercavano per un lavoro... ah, sei venuto per quello? Ti facevo un tipo da ristrutturare macchine più che case.»
«Beh, hai ragione, non lo sono per niente.»
La testa arruffata di Cas spuntò in quel momento in fondo al parcheggio, mentre usciva dalla stessa casa dei due, accompagnato dal biondissimo pervertito.
L'irritazione gli risalì di nuovo su per lo stomaco, facendogli contorcere il viso in una smorfia.
«Cas,» lo chiamò da lontano, alzando un palmo, l'altro gomito ancora appoggiato sulla portiera dell'Impala.
  
Castiel alzò gli occhi a quel richiamo, per poi spalancarli dalla sorpresa. Il primo istinto, chiaro come il sole, fu quello di girarsi e tornare dentro, nascondersi e fare finta che il primo vero istinto non fosse correre da Dean e farsi abbracciare. 
«Se fai quell'espressione è difficile che lui riesca a non venirti a cercare,» scherzò Balthazar, posandogli il braccio attorno alle spalle come aveva fatto parecchie volte, quello stesso pomeriggio. 
Cas decise di affrontare la questione, ignorando qualsiasi insinuazione dell'uomo che non era in grado di cogliere. Marciò deciso verso Dean - e no, non perché desiderava parlargli, non perché gli era mancato da morire - e lo fissò con la solita espressione vagamente accigliata. 
«Non dovresti essere qui,» disse. 
  
Dean occhieggiò un istante i due ragazzi, per poi fregarsene e chiudere la portiera, appoggiandovisi sopra a braccia conserte.
«Sì, beh, fanculo. Volevo.»
Lanciò uno sguardo di fuoco al biondo che li guardava apparentemente divertito dal fondo del parcheggio.
«C'è qualche problema?», sentì dire al ragazzo che conosceva, qualunque diavolo fosse il suo nome.
«No, nessun problema,» asserì Dean convinto. «Cas, possiamo parlare?»
Il tipo spostò il peso da una gamba all'altra, evidentemente a disagio. «A me sembra proprio che ci sia un problema...»
  
«Non...» 
Cas provò a dire che non c'era nessun problema, ma era fondamentale che Dean se ne andasse, altrimenti un problema ci sarebbe stato eccome. 
«Dean,» Cas si guardò attorno, preoccupato che qualcuno potesse vederli, per poi approdare su Kevin con la scomoda certezza che Naomi l'avrebbe saputo, che l'amicizia con Cas - o qualsiasi cosa fosse - avrebbe rovinato la vita a Dean. «Dovresti andartene, davvero,» concluse, deciso. 
Dentro faceva così male che Cas scivolò in uno stato apatico e anestetizzato, come se il cervello stesse cercando di proteggere la sua anima dalla sofferenza. 
  
Dean si staccò dall'Impala per compiere un deciso passo in avanti.
«Cas, andiamo...!»
Il tipo gli si piazzò davanti, i palmi in aria. «Amico, niente scenate. Dai, segui il suggerimento e vattene.»
Dean strinse i denti, lanciando a Cas uno sguardo disperato.
Parlami.
Ti prego.
«Cas, digli per favore che non ti sto importunando e sali su questa cazzo di macchina!»
  
«Ti stai comportando in modo irragionevole, Dean,» constatò Cas, esausto, prima di mettere una mano sulla spalla di Benny, cauto. 
«Va tutto bene. Ora lui se ne andrà a casa da suo fratello. Dean?» aggiunse, spostando lo sguardo dal ragazzo a Dean, rimarcando il messaggio sottinteso. 
Dean aveva l'espressione ferita, tinta di frustrazione e di vaga rabbia. Solo che non c'era nessun altro modo per risolvere la situazione e l'unica possibilità di renderla meno dolorosa era tranciare di netto. Se Dean non se la sentiva di aspettare che fosse possibile stare insieme, Cas non poteva condannarlo. Ma essere lì, in quel momento, significava mettere tutto a rischio. 
  
Dean cominciò a protestare, ma il ragazzo lo placcò con facilità, aprendo la portiera e ficcandolo di nuovo dentro la macchina. Nella stupida colluttazione si era preso una manata nell'occhio e la promessa di essere seguito fino a casa per assicurarsi che ci andasse e non tornasse indietro.
Sembrava stesse succedendo tutto a qualcun altro, in un'altra vita, in un altro fottuto universo.
Guardò Cas con ultimo sguardo denso di tristezza e confusione, prima di accendere il motore e ripartire con una nuvola di polvere. Nello specchietto retrovisore c'era Cas, impalato a guardarlo andare via, mentre il ragazzo entrava nel suo furgone per seguirlo davvero.
La vita faceva schifo, e niente aveva più senso.
  
«Che dire, uno spettacolo interessante.» 
Balthazar era di nuovo vicino, e Cas si voltò piano nella sua direzione. 
Nel farlo incrociò lo sguardo con Kevin e realizzò che era un pericolo e che, se il modo in cui nessuno voleva scontrarsi con lui valeva qualcosa, era il momento giusto per sfruttare la propria reputazione. 
«Non puoi dire a nessuno quello che è successo,» gli ordinò, asciutto, prima di tornare verso casa.  
Non vide Kevin stringersi nelle spalle, né Balthazar seguirlo, un velo ben celato di preoccupazione negli occhi. Non vide niente, perché doveva esercitare tutto il suo controllo per non fare scivolare giù le lacrime. 
  
Dean era sfinito quando parcheggiò di nuovo di fronte a casa.
L'occhio gli pulsava e non riusciva nemmeno ad essere incazzato con il ragazzo che scendeva dal furgone che aveva fermato proprio dietro l'Impala.
Dean uscì mentre quello gli dava un'occhiata, apriva un piccolo frigorifero azzurro appoggiato sul cassone e ne tirava fuori due birre. Ne passò una a Dean, cauto.
«Per l'occhio,» disse.
Avrebbe voluto ridere. Sembrava quasi una cosa ciclica, posarsi lattine di birra sulla faccia ammaccata, l'inizio e la fine di... di qualunque cosa fosse quella con Cas.
L'aprì e trangugiò due sorsi copiosi prima di appoggiarsela sopra l'occhio, appuntandosi contro l'Impala con un fianco. Il ragazzo lo fissava in silenzio, bevendo con tranquillità. Aveva un sacco di barba per essere un adolescente.
«Brutta rottura?»
«Qualcosa del genere,» commentò Dean. Bevve un altro sorso, immagazzinando la presenza dell'altro. «Non ricordo nemmeno come ti chiami.»
«Benny,» gli ricordò, sorridendo lievemente, per niente offeso.
«Giusto. Io sono Dean.»
«Sì, lo so,» rispose, sempre sorridendo.
Aveva degli occhi davvero blu, ma mai quanto quelli di Cas.
  
Kevin andò via qualche minuto dopo, ma Cas aveva tutta l'intenzione di sfruttare al massimo quelle ore di libertà con la scusa del lavoro. 
«Posso vedere la scatola?» domandò a Balthazar, quieto. 
«Certo,» rispose lui, guidandolo nei meandri della casa e poi al piano di sopra, raccomandandogli di stare attento alle scale.  
Cas ci era già stato - era da lì che arrivava il materasso del rifugio ormai perduto -, ma si limitò a stare dietro all'uomo, in silenzio.  
La scatola era posata sul pavimento della camera e Cas si sedette in bilico sul bordo in legno nudo di quello che doveva essere stato il letto. 
«Come stai?» 
Cas alzò gli occhi alla domanda. Balthazar era poggiato contro lo stipite, le braccia incrociate sul petto e un sorriso che voleva comunicare comprensione. 
«Male,» rispose, tornando a guardare tutto quello che possedeva chiuso nella scatola, un ricordo tangibile dei momenti passati con Dean. 
«Posso fare qualcosa?» chiese ancora Balthazar. 
Cas temeva che Dean si sarebbe dimenticato di lui in un attimo, mentre a lui sarebbe servita l'immortalità per toglierselo dalla testa. Se solo avesse avuto la certezza che lo avrebbe aspettato - poco meno di un anno, il tempo di essere entrambi maggiorenni - era certo che il cuore non gli avrebbe fatto così male. Ma perché Dean avrebbe dovuto? Chi lo obbligava a restare fermo in attesa quando poteva... avere tutto? E perché era andato lì? Cos'altro c'era da dire? Cas aveva promesso e avrebbe mantenuto la sua promessa: lo avrebbe cercato appena avesse potuto. Poi Dean avrebbe potuto guardarlo con occhi assenti e chiedergli “chi sei?”, ma una promessa era una promessa. 
«Puoi farmelo dimenticare?» domandò, però, sovrastato dal dolore, alzando gli occhi blu dalla scatola. 
Balthazar si avvicinò, per sedersi al suo fianco, l'espressione a mimmare tutta la sua scomodità. 
«Se potessi lo farei» mormorò, un po' lascivo. 
Cas si tese, le spalle rigide. 
«Stai facendo della “flirtazione” con me?» chiese, mimando le virgolette nell'aria. 
«Io flirto con tutti!» scherzò Balthazar. «Ma sei un tantino troppo giovane e un tantino troppo innamorato, per i miei gusti.» 
«Non...» 
Prima che potesse dirlo, lo sguardo divertito di Balthazar lo zittì. 
Certo che era innamorato. Non sapeva quando fosse successo, esattamente, o come fosse possibile, o anche solo se avesse senso, alla sua età.  
Era così, però. Amava Dean. 
«Posso avere un passaggio? Devo andare a Sioux Falls e lasciare la scatola in un posto.» 
Balthazar gli strofinò la mano fra i capelli, come fosse un cucciolo smarrito. 
«Questo, occhi blu, posso farlo.» 


 
Ciao!
Questo NaNoWriMo ci sta assorbendo completamente e stiamo scrivendo la seconda parte di una serie e stiamo revisionando la prima per la pubblicazione! Insomma, abbiamo quattro mani ma in due non facciamo un cervello e fare tutto sembra impossibru.
Però eccoci qui a pubblicare. Un aggiornamento piccino (e angstoso), ma settimana prossima arriverà un capitolo bello corposo! 
GRAZIE MILLE per le recensioni, le leggiamo sempre e ci fanno tanto contente!
Al prossimo martedì...
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 9
*** In the morning ***




9 – In the morning
 
In the night-time, we'll be fine, we'll move and keep on movin'
'neath the stars of an honest sky, we'll love and keep on lovin'
Lay your guard down honey, we're just here for a little while,
In the morning, will you be mine?
In the morning, will you be mine?

(“In the morning” Fields)
  
Benny tornò a trovarlo il giorno dopo e quello dopo ancora, un paio di birre sul suo cassone e chiacchiere facili, proprio com'era stato al garage di Bobby. 
Parlarono un po' di musica, di macchine, con Dean che continuava a controllare il cellulare ogni qualche minuto. 
«Nessuna risposta, eh?» chiese Benny, puntando il cellulare con il mento. 
«No.»
Avevano evitato il discorso Cas e il discorso fienile, anche quando Benny diceva di doversene andare ed entrambi sapessero dove fosse diretto. 
«Forse ha solo bisogno di tempo, amico.»
Dean sospirò, infilandosi di nuovo il cellulare a fondo nella tasca. 
«L'unica cosa che non abbiamo, è proprio il tempo.»
  
Cas imprecò e Gabriel gli riservò una delle sue occhiate divertite. 
«Penso tu sia ubriaco.» 
«Penso tu sia un idiota, ma...» Cas ondeggiò. «Ma questo è interessante. Avrei dovuto seguire l'esempio di Dean e iniziare prima. Molto prima. Lo aveva detto, lui. Cosa fai se non bevi?» 
«Potrebbe essere quasi un esempio peggiore di me.» 
«No, no, vedi, lui ha posato la lattina dalla sua parte del materasso.» 
«La sua parte di cosa, Cassie?! Ah! Lo sapevo che lo avevat-» 
«No, no, no,» rispose Cas, scuotendo la testa, la stanza a ruotare pericolosamente. «Non è successo niente di quello che pensi che sia successo.» 
Gabriel riprese la bottiglia e diede un lungo sorso. Erano sul pavimento della sua stanza, il pomeriggio a diventare sera fuori dalla finestra. 
Naomi non era in casa. Aveva portato Anna in città per un incontro con l'ospedale e un possibile ricovero. Quella notizia era piovuta su Cas come una doccia fredda, quella mattina, strappandolo al dolore per Dean e riempiendolo di sensi di colpa. Non era riuscito ad occuparsi di sua sorella. L'aveva perfino odiata un po', per essere il motivo del disastro con Dean. Gabriel aveva provato a dirgli che era meglio così, che lei aveva bisogno di professionisti, non di due ragazzini che non sapevano quello che facevano e si affidavano alla parola del dottore di paese. 
E poi, certo, c'era la questione Dean. 
Cas aveva lavorato, quel pomeriggio, e Benny aveva accennato a Dean con Kevin e aveva sorriso in un modo che a Cas aveva fatto male al cuore. Così era entrato a passo di marcia dal fratello, tornato a casa, e aveva detto di voler bere. Ora, subito, adesso.
«Dovresti scrivergli. Anzi, no, dovreste scappare insieme nel tramonto.» 
«Lo amo, Gabriel,» disse Cas, il tono lamentoso. 
«Dovresti scrivergli, sì,» dichiarò di nuovo Gabriel, gli occhi lucidi e un sorriso divertito in faccia. 
Ti amo scrisse Cas. 
E inviò. 
  
Dean fissava lo schermo, la mascella aperta e lo stomaco sceso da qualche parte nei pressi dei piedi. 
«Che c'è? Chi ti ha scritto?» chiese Sammy, fermando il gesto di mettere dello scottex sul tavolo per apparecchiare la tavola. 
Dean non rispose. 
«È quel tuo nuovo amico? Quello con la barba? Sta bene?» 
No, non era lui, era Cas, e... ma con che cazzo di coraggio gli scriveva una cosa del genere? 
Ma che cazzo Cas prima mi pianti in asso e poi mi scrivi qeste cose ma ti pre il caso porcaputtana
Fissò il cellulare ancora un altro po', ignorando gli errori del proprio messaggio. 
John entrò in cucina e lo guardò con un sopracciglio alzato. 
Dopo cena ti chiamo e sarà meglio che RISPONDI AL FOTTUTO CELLULARE
Prese posto e si preparò a mangiare, nonostante gli fosse passato di colpo tutto l'appetito. 
  
***

Appena finito di mangiare Dean lanciò il tovagliolo sul piatto e fece per alzarsi, ma la mano di papà gli calò sul polso. Dean alzò uno sguardo sorpreso, incontrando una strana determinazione negli occhi di John. 
«Siediti, devo dirvi una cosa.»
«Oh-oh,» mormorò Sam, scuro in volto, mentre Dean riprendeva posto al rallentatore. «Ci risiamo.» 
Era così? Era già arrivato il momento di fare le valigie e mollare le tende?
«Stiamo...» Dean deglutì. «Dobbiamo ripartire?»
John sembrò sorpreso della sua domanda, di solito Dean si limitava ad aspettare gli ordini e poi eseguirli senza fare domande. 
«No, non è questo. Io...» si passò una mano sulla barba, e una strana tensione si accumulò nell'aria. 
Cosa? Cosa devi dire, porca puttana?
«Ho trovato la mamma.» 
Il rumore della forchetta di Sam che cadeva sul piatto fu l'unico a penetrare nella mente annebbiata di Dean, ormai dimentico della telefonata promessa. 
  
Cas si era addormentato. Spalancò gli occhi solo quando sentì un vago rumore, guardando il cellulare d'istinto. Gabriel era a fianco al letto, il piatto in mano e l'espressione curiosa. 
«Com'è andata la chiamata?» bisbigliò. 
Cas sentiva la testa pulsare e lo stomaco sottosopra. Per il resto si sentiva stranamente lucido, consapevole di tutte le fitte dolorose e nausenati che il suo corpo gli spediva. 
«Mi viene da vomitare,» disse. 
«Shhh.» 
«Quanto ho dormito?» 
«Non lo so, sono tornato da cinque minuti.» 
Cas guardò l'ora sullo schermo che stringeva in pugno e realizzò che l'ora di cena era passata da tanto.  
Troppo.
Il ricordo del messaggio lo colpì con forza e scattò a sedere. Nel farlo, lo stomaco gli diede la spinta finale e lui corse verso il bagno, a vomitare, il cellulare ancora in pugno. 
  
Dean scivolò fuori dal portone, sedendosi sugli scalini, la giacca stretta addosso per il freddo. 
Tirò finalmente fuori il cellulare, un quintale di mattoni a pesargli sul cuore. 
La mamma.... 
Ho bisogno di vederti, scrisse a Cas, consapevole di quanto avesse dovuto aspettarlo e fosse probabilmente arrabbiato con lui. 
Ti prego
  
«Ehi, Cassie, buttato tutto fuori?» domando Gabriel. 
Cas sentì il cellulare vibrare in quell'esatto momento. Non era una chiamata, ma un paio di messaggi. 
Ti prego
Se Dean chiamava, se Dean pregava, Cas rispondeva. Ci aveva messo un po' a capirlo, ma era così che funzionava. Poteva opporsi, combattere, provarci, ma l'aveva già detto una volta: doveva accettarsi. 
«Gabriel, puoi darmi un passaggio?» 
«Vuoi sgattaiolare via?» 
«No. Voglio andare da una persona e poi... e poi andarmene una volta per tutte da casa.» 
«Cassie? Non sono decisioni da prendere dopo un bel po' d'alcool. O forse sì, in effetti, non c'è momento migliore,» mormorò Gabriel, fingendo di pensarci per poi scrutare il fratello con sguardo divertito. «D'accordo,» rispose, alla fine. «Ma resti in contatto con me e sfrutti le mie conoscenze, ovunque vai, capisce?» 
Cas lo sapeva, che Gabriel era combattuto fra le responsabilità che avrebbe significato prendersi cura dei suoi fratelli e la libertà che ogni quasi-diciottenne meritava di avere. E sapeva che non gli avrebbe ricordato responsabilità e doveri, ma che avrebbe assecondato la sua voglia di libertà. 
Cas annuì. 
«Sì, capisce.» 
Poi riempì lo zaino con qualche vestito e si fece aiutare da Gabriel a uscire di casa senza farsi scoprire. 
  
Dean attese una risposta invano, e finì per rimanere semplicemente seduto a fissare il vuoto e le nuvolette di vapore che uscivano dalla sua bocca, 
Ho trovato la mamma.
Si strinse le braccia intorno al corpo, tirando su col naso. 
Una macchina ruppe il silenzio della notte, e Dean alzò la testa per vedere una vecchia Prius blu parcheggiare dall'altra parte della strada. 
Un ragazzo dai capelli lunghi e un sorriso arrogante gli stava facendo ciaociao con la mano da dietro al volante, mentre dal posto del passeggero... dal posto del passeggero scese Cas, rigido e serissimo, scompigliato in un modo in cui non era mai stato. 
Il cervello di Dean si riattivò non appena Cas chiuse la portiera alle sue spalle, e avanzò a lunghe falcate fino al suo maledetto impermeabile, gettandosi contro di lui, stringendoglisi addosso per un lungo istante, per poi far salire le mani fino al bavero e baciarlo con tutta l'anima.
  
Cas lo baciò a lungo, il sapore di dentifricio ancora in bocca, le ultime nebbie dell'alcool a scivolare via. Quel bacio lo stava rianimando, portandolo in vita dopo giorni e giorni di morte. 
Fu un bacio più profondo degli altri, più disperato, più rabbioso, quasi. 
Fu Cas a staccarsi, per la prima volta, posando un paio di piccoli baci per non separarsi bruscamente dalle labbra di Dean. 
«Ehi, piccioncini, quando avete fatto...» 
La voce di Gabriel riportò l'attenzione di Cas sulla situazione: Dean sembrava sconvolto e Cas voleva sapere cosa fosse successo. Se John l'aveva toccato anche solo con un dito... 
«Ecco qua,» disse Gabriel, facendo il giro dell'auto per aprire la portiera posteriore e allungare lo zaino a Cas. In una delle tasche infilò teatralmente un rotolo di banconote. «Ricordati: Sioux Falls, pompa di benzina, “mi manda Gabe”, ok?» 
«Sì,» rispose Cas. 
«Fate i cattivi, mi raccomando,» concluse Gabriel, scompigliando i capelli di Cas per sparire nella notte lasciandoli soli. 
«Dean...» 
Cas lo guardò a lungo, fermo sul ciglio della strada, lo zaino su una spalla. 
«Cosa succede?» chiese alla fine, allungando la mano per stringere quella di Dean nel tentativo di scoprire cosa nascondesse quell'espressione devastata. 
  
Dean non rispose, riprese a baciarlo, già dimentico dell'interruzione del fratello di Cas. 
Si ancorò alla sua nuca, ai suoi capelli, e spinse la lingua a leccare quella di Cas, esplorando in profondità come non aveva mai fatto prima. 
E ancora non era abbastanza, doveva baciare più a fondo, doveva farsi entrare Cas sottopelle. 
  
Cas si lasciò baciare ancora e ancora. E poi baciò, afferrando la giacca di Dean, rispondendo con lo stesso abbandono, il solito controllo spinto a forza in un punto imprecisato della mente. Per minuti e minuti si fusero uno con l'altro. E Cas sapeva che Dean ne aveva bisogno. Sapeva di averne bisogno quanto lui. 
Ma...
«Dean,» mormorò sulle sue labbra umide, prima di riprendere a baciarlo. «Dean,» ancora, come se fosse impossibile staccarsi ma fosse altrettanto difficile ignorare il desiderio di parlare, di sapere cosa stesse succedendo, di aiutarlo. 
  
Non parlare. 
Si rifece avanti per coprirgli la bocca con altri baci, cominciando a indietreggiare verso l'Impala, ormai guidato da qualcosa che non sarebbe mai riuscito a controllare. 
Fammi stare bene.

Cas lo allontanò, le mani sulle spalle, gli occhi lucidi, le orecchie arrossate, le labbra umide e dischiuse alla ricerca di fiato. 
«Dean. Fermati.» 
Non così. Non dopo giorni di distanza. Non quando stai soffrendo.
«Calmati,» mormorò, prima di abbracciarlo delicatamente, con la vecchia dolcezza, una mano sulla nuca per avere la sua testa sulla spalla e l'altra in vita, a stringerselo contro. 
«Dimmi cosa sta succedendo.» 
  
Dean tornò leggermente in sé, piantato a terra dal rifiuto e dalla consapevolezza che non gli avrebbe fatto cambiare idea. 
Non lo voleva, o almeno non lo voleva adesso, senza sapere che non avrebbe più potuto volerlo. 
«Sei qui,» mormorò stretto contro l'impermeabile, schiacciato contro la spalla di Cas. 
Lasciò che il silenzio li cullasse a lungo. Tirarsi fuori dalla melma di disperazione in cui era precipitato sembrava impossibile. Si sforzò di scrollarsela di dosso, nuotando fino alla riva, annaspando alla ricerca di un po' di luce. 
«L'abbiamo trovata,» disse infine, tremando per il freddo e forse non solo per quello. «Mia mamma.»
Tremò ancora. 
«Partiamo domani.»
  
Cas assorbì quelle parole come uno schiaffo.  
«Tua madre? Domani?» domandò, confuso, come se non fosse possibile comprendere le parole di Dean. «Hai trovato tua madre,» ripeté, meccanico e incredulo. 
Lo zaino diventò improvvisamente troppo pesante, l'idea di essere libero dal peso della sua famiglia assurda. Dean aveva trovato sua madre. E forse...
«Verrò anche io. Prenderò un autobus, farò l'autostop, e ti seguirò finché sarà necessario. E quando mi chiamerai io arriverò,» dichiarò, risoluto. «Dean, non ti lascerò. Non lo farò più. Non ti deluderò.» 
Non può essere un addio. Non ora.

Dean avrebbe voluto sorridere dell'ingenuità di Cas, ma notò finalmente lo zaino sulla spalla, le conversazioni con Gabriel che aveva lasciato fuori dalla percezione del cervello fino a quel momento che si ripetevano nella sua testa. 
Toccò la spallina, il tessuto spugnoso sotto le dita. 
«Davvero? Te ne stai andando di casa? E Anna? E Gabriel? Alfie?» 
Non essere ridicolo, Cas.
  
«Gabriel è più grande di me e non ha bisogno del mio aiuto. Anna... lei... lei starà meglio con un fratello che potrà concretamente aiutarla quando avrà abbastanza soldi. Naomi l'ha fatta ricoverare. Non siamo riusciti a occuparci di lei, non come avrebbe avuto bisogno. Mi assicurerò di aiutarla, ma per farlo non posso essere controllato da Naomi. Non più.» 
Cas si aggrappò a Dean, alla sua giacca di pelle, al suo sguardo incredulo, al suo sorriso amaro. 
«Dean.» 
Non ti lascio, non importa cosa dirai.
  
Dean scosse la testa. 
E così Anna era stata ricoverata. Se fosse stato al suo posto, Dean non avrebbe mai lasciato la città con Sammy chiuso in un qualsiasi istituto. Non avrebbe mai lasciato Sammy, punto. 
«Senti, entriamo in macchina? Ho freddo. Non... non per fare niente, solo stare vicini.» 
  
«D'accordo, Dean,» acconsentì Cas, seguendolo poi nell'Impala, lo zaino buttato dentro da qualche parte. 
Il profumo dell'auto riportò alla mente tutte le volte che erano rimasti lì ad ascoltare la musica, guardarsi, sfiorandosi le dita. 
Restarono un attimo in silenzio. 
Fece quello stesso gesto, carezzando la mano di Dean. 
«Tua madre, Dean,» mormorò, rimarcando qualcosa di importante, qualcosa di rivoluzionario.  
E poi la sua mano vagò, scivolando dal dorso di quella di Dean su per il braccio e poi sulla sua nuca. Lo baciò un poco, tirandoselo contro piano. 
  
Dean si lasciò scivolare contro Cas, la testa a incastrarsi nell'incavo del suo collo. 
«Sì, mia mamma.» 
Sospirò, cercando di non premere troppo con la spalla sullo sterno di Cas. Non aveva per niente voglia di parlarne. 
«Dove dormi stasera?» 
  
«Con te,» stabilì Cas. «Dove vuoi,» aggiunse. 
Non aveva pensato a quella sera. Sapeva che Gabriel gli aveva trovato un colloquio per il pomeriggio seguente - qualcosa su una ragazza con cui dormiva di tanto in tanto - e aveva anche contatti per una stanza un po' scadente in un appartamento. Ma quello era il giorno dopo. E se Dean fosse partito, Cas non avrebbe sfruttato nessuno dei due. Lo avrebbe seguito, non importava quanto fosse impossibile. 
  
Non potevano entrare, John era troppo sobrio, e Sam era sicuramente sveglissimo, lo aveva lasciato ancora sconvolto dalla notizia con gli occhi strabuzzati dalla paura e della confusione. 
«Da Bobby,» suggerì, infilando le dita su per la manica di Cas per tenerle al caldo. 

«Da Bobby,» ripeté Cas, baciandolo piano ovunque potesse arrivare. Fra i capelli, sulla tempia, sulla guancia, e sulle labbra, di nuovo, quando Dean tornò a sollevare il viso. «Dean... andiamo?» Voleva stare con lui, iniziare la loro esistenza, ovunque sarebbe stata, in qualsiasi modo fosse possibile strappare della felicità alla vita.
  
Dean si lasciò baciare e manovrare come un giocattolo rotto. 
Era spoglio, vuoto di ogni cosa che non fosse la presenza di Cas, il suo calore e il suo odore penetrante. 
Si scostò per accendere il motore, ma attirò Cas a sé con una mano sulla gamba, attendendo che fosse pressato contro di lui coscia contro coscia prima di partire. 
Si lasciò accarezzare la nuca per tutto il tragitto, silenzioso, senza neanche un filo di musica a fare loro compagnia nell'abitacolo. 
  
 ***
 
Si limitarono a percorrere la strada, quieti. Quando scesero, fu Cas a prenderlo per mano e a trascinarlo verso la casa di Bobby.  
Quando finalmente l'uomo aprì, gli bastò uno sguardo per grugnire il suo assenso e farsi da parte. Se aveva registrato che si stavano tenendo per mano o l'espressione afflitta di Dean, non disse nulla. Sembrava comunque molto ubriaco e appena risvegliato da un sonno profondo in cui sarebbe ricaduto presto, quindi non pareva essere mancanza di spirito d'osservazione, la sua, ma solo il peso delle circostanze. 
Cas si orientò e finirono presto nella stanza in cui erano stati l'ultima volta. Abbandonò la mano di Dean e li chiuse dentro. 
  
Dean si lasciò di nuovo guidare, incurante di tutto, di Bobby, dell'orario a cui l'avevano svegliato, delle domande sulle loro mani giunte, tanto il giorno dopo non sarebbe più importato nulla. 
La porta della camera chiusa alle loro spalle, si tolse la giacca e la piegò con cura, appoggiandola al lato del letto, per poi scivolarci sopra e rimanere sdraiato, in attesa, guardando Cas mentre si disfaceva di zaino e impermeabile. 
Cas esitò ai piedi del letto, un lungo momento di silenziosa osservazione da parte di entrambi. Dean non ebbe bisogno di allungare le mani per chiedergli di sdraiarsi con lui, di stringerlo forte finché tutto non sarebbe finito in pezzi, Cas lo raggiunse e lo fece e basta. 
  
Dean profumava di familiare. Cas se lo strinse contro, forte fin quasi a perdere i confini. Affondò il viso ovunque fosse possibile trovare la sua pelle calda: il collo e il viso e le labbra. E poi, quando la maglietta e la camicia si spostarono un po', perfino sulla spalla.  
«Dean...» mormorò, senza sapere bene cosa stava chiedendo, dove volesse andare. 
Voleva solo stare con lui, rimetterlo insieme, fargli vedere quanto fosse bello, dentro e fuori, quanto fosse prezioso, quanto meritasse di essere amato come Cas lo amava. 
Il futuro faceva paura, ma non aveva spazio in quella stanza. 
  
Dean sospirò nei baci, nelle dita che esploravano i contorni della schiena, dei fianchi. 
Non si spinse oltre, Cas l'aveva già rifiutato una volta e non aveva intenzione di spingerlo in una direzione verso cui non era pronto. La direzione dove Dean gli avrebbe fatto togliere tutti i vestiti, per vedere ogni centimetro della sua pelle calda. 
Infilò comunque una mano sotto la maglietta, a muoverla con lentezza sulla schiena di Cas. Aveva bisogno di sentirselo contro, vicino, dentro. 
  
«Dean,» mormorò, perché quella mano ad accarezzarlo era troppo e troppo poco, perché voleva essere accarezzato per bene, ovunque. 
Dean - ormai quasi sotto di lui che era sul fianco, sporto per baciarlo - aveva gli occhi lucidi di desiderio, le labbra arrossate dai baci, il fiato spezzato. 
«Vuoi?» aggiunse, mentre faceva per sfilare la camicia di Dean dalle sue spalle. 
  
Dean rispose semplicemente annuendo piano, perché non c'era più spazio per le parole. 
Lasciò che Cas gli togliesse la camicia e, dopo qualche attimo di esitazione, anche la maglietta. 
Tirò il bordo della maglietta di Cas con pressioni gentili e lui capì il messaggio, sfilandosi il capo con fluidità. 
Il petto di Cas era caldo, si alzava e si abbassava in un affanno che forse specchiava il proprio, e Dean lasciò che le mani ci vagassero sopra, soffermandosi solo in un istante sul battito infuriato del cuore, per poi passare oltre, toccare ogni punto, passare le dita sulle costole, su ogni neo, su ogni centimetro di pelle disponibile. 

Dean era baciato dalle lentiggini ovunque e Cas voleva assaggiarle tutte, accarezzarle, impararle a memoria con il tempo e la vicinanza e la condivisione di quell'intimità. L'idea di poterlo avere così ogni volta che gli sarebbe stato possibile era incredibile. 
Esplorò di labbra e di mani, strappando piccoli sospiri alle labbra di Dean, su cui approdò alla fine di quel viaggio. Fu un bacio più profondo, con carezze di lingua e impronte di denti. Cas si sistemò quasi spontaneamente fra le gambe di Dean, i jeans di entrambi a essere una scomoda barriera. Mentre il bacio continuava, Cas si spinse avanti d'istinto, come se il corpo fosse alla ricerca di sollievo senza che la mente riuscisse a registrare quel bisogno. 
  
Dean annaspò, il fuoco che tornava a bruciargli lo stomaco con forza, un piacevole ronzio a fargli da sottofondo nella testa. 
Approdò con i palmi sui fianchi di Cas, le dita un po' sulla pelle e un po' oltre il bordo dei jeans, e strinse, spingendoselo contro. 
Fallo di nuovo.
  
Cas si spinse ancora contro Dean, sentendo l'evidente voglia di aversi che stava abitando entrambi. Affondò il viso fra il collo e la spalla dell'altro, espirando lì quel nome come una supplica, dopo il prolungato contatto che era ogni sua spinta. 
Quando divenne troppo, quando il bisogno iniziò a premere contro la pelle, Cas si ritirò in ginocchio sul materasso, restando fra le gambe di Dean. Lo guardò, affannato e scompigliato, la pelle arrossata di baci e carezze; era semplicemente perfetto. Ed era suo. Lo sarebbe stato il giorno dopo e quello dopo ancora. 
Sfiorò la sua cintura con le dita, una domanda negli occhi blu. 
  
Dean si leccò le labbra gonfie di baci. 
Chissà se in un'altra vita avrebbe sentito vergogna, imbarazzo o paura, confusione, qualunque cose che non fosse quella vibrante attrazione, la voglia di essere reso integro. 
Un altro breve cenno del capo e Cas gli sfilò la cintura e i pantaloni, lasciandolo in boxer stretti e scomodi. Lasciò che Cas si bevesse la sua figura tesa e gonfia, che tornasse a fissare le sue labbra come se fossero la cosa più bella che avesse mai visto. 
Per una volta, Dean voleva proprio che fosse così. 
  
Cas fece fare la stessa fine ai suoi jeans appena la visione di Dean - esposto, pronto per essere suo, pieno di desiderio - smise di incatenarlo a quel momento. 
Tornò a stendersi su di lui, affondando di nuovo fra le sue labbra, tornando a muoversi d'istinto. Tutto era amplificato, senza la ruvida barriera dei pantaloni: Dean era caldo, fatto di punti morbidi e duri, rotondità e spigoli, muscoli e carne. La mano di Cas vagò su quel corpo fino a trovare spazio per accarezzarlo sopra il tessuto, rendendosi conto con acuta consapevolezza che era il momento, che stava davvero scoprendo Dean, che erano loro e loro soltanto, in procinto di regalarsi e prendersi. 
  
Dean rispondeva ai baci chiudendo le palpebre quando Cas si avvicinava per baciarlo, seguendolo con il collo quando si allontanava, e poi riaprendole quando si separava per guardarlo rapito negli occhi, incredulo che tutto stesse davvero accadendo e fosse realmente possibile. 
Teneva sempre porzioni di pelle di Cas sotto i polpastrelli, non importava quali, scoprendo una vera e propria predilezione per la curvatura della schiena, quasi fosse fatta appositamente per le sue mani. 
Le fece passare davanti, tracciando una linea sensuale sul fianco fino al bordo delle mutande, facendogli intendere di spostarsi un po' indietro e dargli accesso a tutto ciò che gli stava premendo contro l'anca.
  
Cas assecondò i movimenti di Dean, finché non sentì la sua mano partire alla ricerca della stessa intimità che stava cercando lui. Si spostò sul materasso, sul fianco, continuando a baciare Dean e ad accarezzarlo attraverso la stoffa dell'intimo, con gesti titubanti e indecisi. 
Dean era bellissimo, da strappargli il fiato dai polmoni, e Cas si sentiva la mente leggera e annebbiata dalla voglia, ma il corpo pesante, così concreto sotto il tocco di Dean.
  
L'incendio rischiò di risalire su per la gola di Dean e bruciare ogni cosa e lasciarlo un cumulo di cenere. 
Era stato già toccato, la mano di un ragazzo, di una ragazza, non faceva differenza, ma sentire qualcosa di completamente diverso sotto le dita era tutta un'altra storia. 
Percorse le linee di Cas con il palmo, così simili e diverse insieme, annebbiandosi ancora di più di baci e contatto e calore bruciante, fino a sentire il tessuto inumidirsi sotto le dita e decidere di voler tentare a fare di più. Riportò le dita sul bordo dei boxer, infilando solo la punta dei polpastrelli, ponendo una domanda silenziosa. 
  
«Sì, Dean,» mormorò Cas, la voce incrinata dal bisogno di sentirlo, pelle contro pelle.  
Fece lo stesso gesto delicato, con tutta l'intenzione di insinuarsi sotto l'elastico e assaggiare invece di divorare, ma la posizione e il tessuto e quella calma pronta a implodere non si incastravano alla perfezione. Così, prima che Dean lo sfiorasse davvero, si mosse per rimuovere il proprio intimo e - come si scopre piano un regalo atteso e voluto - quello di Dean. Tornò a sistemarsi per bene sul fianco un solo istante dopo che l'ultima barriera era stata fatta scivolare sul pavimento. Con sguardo attento, bevve Dean completamente nudo, e il cuore gli esplose in petto in un battito serrato.  
Solo allora sfiorò Dean in punta di dita, proprio dove voleva essere toccato anche lui. 
  
Era probabile che se Cas avesse continuato a guardarlo così, gli sarebbe imploso il cuore nel petto. 
Dean tremò appena, mentre imitava i suoi movimenti, esplorandosi con cautela, come se avessero tutto il tempo a loro disposizione, sigillati in una stanza fuori dallo spazio-tempo. 
I suoni dei loro sospiri saturavano il silenzio, perché avevano smesso di baciarsi, rapiti entrambi a osservare l'uno il movimento dell'altro, congelati in un momento surreale e perfetto.  
  
I movimenti di Cas si fecero più convinti, perché il suo sguardo era attento a registrare le reazioni di Dean, il modo in cui la lingua inumidiva le labbra e la bocca si dischiudeva per lasciar passare sospiri profondi. 
Lo voleva. Lo voleva tanto che non esisteva nient'altro. 
Iniziò a posare piccoli baci fra la clavicola e la spalla, sul petto, sulla pelle tesa sui muscoli e sulle costole, sull'ombelico, attento a non fare solletico. Sfuggì al tocco di Dean, perché ci sarebbe stato tempo per quello, quella notte o in futuro.  
Sempre accarezzandolo con attenzione, si mosse finché il suo viso non fu all'altezza della sua mano e la sua bocca fece il resto, d'istinto, lambendo appena per sentire il sapore di Dean sulla lingua. 
  
Dean si morse il labbro, gli occhi spalancati su Cas e quello che aveva deciso di fare. 
Era un esperto nel settore, aveva avuto diverse ragazze a giocare tra le sue gambe, ma Cas? Cas era... sensuale, tentativo e sicuro allo stesso tempo, che alzava su Dean uno sguardo ferreo che lo teneva incollato sul posto. 
Gli accarezzò piano una spalla, in un muto incitamento a continuare, a non fermarsi, a divorarlo finché di Dean non sarebbe più rimasto niente.  

Cas fece scivolare Dean fra le labbra, attento a non fare male, guidato dal solo istinto, dalla voglia di sentirlo pesare sulla lingua. Si aiutò con la mano, sbirciando verso l'alto di tanto in tanto, quando la bocca si liberava e poteva effettivamente vedere l'espressione rapita di Dean.  
Quando gli parve non fosse più possibile andare avanti senza scivolare oltre il limite, abbandonò Dean controvoglia, mettendosi nuovamente in ginocchio fra le sue gambe. Guardò il suo corpo, seguendo le line morbide o decise, per poi specchiarsi nei suoi lucidi occhi verdi. 
«Dean...» cercò le parole adatte, la voce rauca e profonda come non era mai stata.  
Gabriel gli aveva allungato una bottiglietta e una scatola di preservativi, facendo qualche stupida battuta mentre preparavano lo zaino. Il pensiero di poter andare fino in fondo, se Dean avesse voluto, lo spinse a finire la frase. 
«Dean, se vuoi che mi fermi devi dirmelo.» 
  
Dean scosse la testa, la pelle ricoperta dai brividi provocati dalla voce bassa di Cas. 
Cercò una sua mano per stringerla tra le dita, leccandosi e labbra con un sospiro, e annuire. 
Non fermarti. 
Spazza via tutto, non lasciare più una briciola di me su questo letto.

  
Cas abbozzò un sorriso, scorrendo su Dean per baciarlo sulle labbra. Era stupido essere felice? Sapere che quella prima volta - la prima di tante - sarebbe stata proprio con Dean? 
Scivolò via un attimo per frugare nello zaino e, se Dean aveva domande sul perché Cas fosse pronto, non le fece o non gli importò.  
Cas si inginocchiò nuovamente fra le sue gambe, preparò se stesso, e poi accarezzò Dean con dita umide, spingendo delicatamente con l'altra mano perché le gambe si aprissero al suo tocco. 
«Sei bellissimo così,» confessò, rapito, sospirando le parole più che pronunciandole. 
Piano, con la cura riservata alle cose fragili, continuò a muovere le dita, i sospiri di Dean a riempire la stanza. 
  
Dean stringeva scampoli di lenzuola tra le dita, cercando di non emettere suoni, annaspando col respiro spezzato sotto il tocco di Cas. 
Era arrossito. Sapeva di stare arrossendo, lo aveva percepito quando le parole di Cas gli si erano infrante contro la pelle, bruciandola di rosso vivo dal petto in su. 
«Ca-s,» gli sfuggì, quando tutto divenne insopportabilmente piacevole. 
Sono vuoto, riempimi.
  
Cas venne colpito in pieno petto da quel richiamo disperato. Interruppe il contatto con Dean, piano, dopo averlo esplorato quanto sperava bastasse. Lo osservò un istante, imprimendosi nella mente il modo in cui la sua pelle pallida si era tinta di sfumature più scure, e poi si guidò dentro di lui. Piano, attento a  non fare male, con l'altro pugno serrato contro il materasso per non pesare su Dean. 
  
Cas scottava, o forse era il fuoco che gli usciva dai pori a rendere tutto così caldo. 
O forse il non potersi concentrare sul dolore accecante che gli risaliva per la colonna vertebrale, sfasandolo dalla realtà per un istante. Passò in fretta, ed era sorprendentemente piacevole, perché Cas si era incastrato in lui come gli aveva chiesto, e Dean sperò che mettesse radici e non se ne andasse mai più. 
Lasciò salire il palmo su tutta la lunghezza del braccio per poi accarezzargli il viso, accaldato, che gli conteneva gli occhi spalancati. Dean sorrise, e gli pizzicò un orecchio. 
Non erano nemmeno rossi.
  
Cas voltò la testa e impresse un piccolo bacio sulla mano di Dean. Sapeva di avere i capelli scompigliati, il sudore appiccicato alla pelle, i muscoli tesi. Ma sotto di lui c'era Dean ed era un momento perfetto. Posò la guancia sul suo palmo, abbandonando il viso a quel contatto. 
«Ti sto facendo male?» domandò, la voce scura, tinta di una strana decisione; come se quello fosse il suo ruolo nel mondo, come se avesse trovato l'unica occasione in cui non sentirsi perso e fuori luogo, ma in controllo, dentro fino all'anima in quello che stava facendo. 
Non si mosse ancora, in attesa che Dean confermasse di stare bene. 
  
Dean scosse ancora la testa. 
Era una bella sensazione, l'abbandono. Il cuore che batteva forte, lo stomaco che mandava lampi di fuoco, il ronzio delle orecchie che suggeriva quanto potesse essere bello e quanto ancora lo sarebbe stato. 
E Cas era magnifico. Dean sentiva già le sue radici farsi strada in lui, dirette verso il cuore. 
  
Cas iniziò a muoversi con calcolata lentezza, salvando ogni possibile sensazione: il modo in cui Dean era caldo e stretto attorno a lui, il modo in cui le sue gambe lo circondavano, accogliendolo, il modo in cui il suo sguardo era fatto di pupille allargate dal piacere. 
All'inizio dettò un ritmo quieto, senza la fretta di inseguire il piacere; se avesse aumentato le spinte si sarebbe perso subito e invece voleva dilatare quel momento all'infinito.  Poi i sospiri divennero più pesanti, Cas andò un po' più a fondo, un po' più convinto, sempre di più. 
  
Dean cercava di imprimersi Cas addosso, spingendoselo sottopelle, un palmo ancorato alla sua nuca e l'altro alla schiena.  
L'aumentare del ritmo gli strappò mugolii quieti che aveva cercato di soffocare, annaspando a bocca aperta tra i baci, stringendo i denti, la fronte contro quella di Cas. 
Migrò tra le gambe ad avvolgersi delicatamente nel palmo prima ancora di rendersi conto del gesto. 
«Ca-s,» gli sfuggì ancora, un avvertimento che con quelle spinte determinate non avrebbe resistito a lungo, e andava bene così. 
Era pronto ad andare in pezzi. 
  
Cas aumentò ancora il ritmo al suono del suo nome, consapevole del modo in cui il palmo di Dean lo stesse spingendo sull'orlo del suo stesso baratro. Divenne un po' sgraziato, a inseguire il piacere, tentando di mantenere gli occhi aperti per nutrirsi dell'immagine di Dean mentre la lucidità scivolava via. 
Una, due, tre spinte, e poi si immobilizzò, i muscoli tesi, perso dentro se stesso e dentro Dean, come se fossero la stessa cosa e non ci fossero confini. 
«Dean.» 
Quel nome era fatto per abitare fra i suoi sospiri spezzati. 
  
Dean strinse la presa su se stesso mentre Cas grugniva il suo nome, piantandosi definitivamente in lui, attecchendo, sbocciando e facendolo sbocciare. 
Inarcò la schiena, e lo baciò con forza mentre pioveva su entrambi, coprendo i suoni osceni delle loro gole. 
Tornarono sul piano reale dell'esistenza come un volo sul materasso, sobbalzando e ansimando, stretti l'uno nell'altro come se fosse l'unico incastro possibile e non ci fosse più possibilità di dividerli. 
«Cas...», annaspò riaprendo gli occhi, le dita ancora artigliate alla sua nuca. 
  
«Ti amo,» mormorò Cas, posando un altro piccolo bacio sulle labbra di Dean, perché non importava sentirgli dire nulla, perché quello che era successo bastava e sarebbe bastato, perché era l'inizio delle loro vite insieme ed era una dichiarazione più profonda di tutto il resto. 
Trovò la forza di separarsi da Dean solo dopo lunghi secondi passati ad annegare nel suo sguardo. Se lo strinse contro, con forza, tentando di ritrovare il ritmo del respiro. 
  
Dean sorrise. 
Sapeva che Cas lo avrebbe detto di nuovo, come sapeva che non avrebbe potuto rispondere. Si lasciò avvolgere nuovamente, tanto ormai Cas aveva piantato le radici, che avrebbero continuato a crescere qualunque cosa fosse successa. Che lo stringesse o meno, Dean era ormai fottuto. 
«Ti stai sporcando,» mormorò quando riuscì a ritrovare la voce, il battito che andava rallentando e il respiro che si faceva di nuovo regolare. 
Cas riprese il suo cipiglio e con la serietà di chi ha un lavoro da svolgere, pescò un panno dal suo zaino abbandonato accanto al letto e li ripulì con cura. 
A Dean mancava già la sua solida presenza al suo fianco, quindi lo distrasse dal suo compito allungando le braccia e richiamandolo a sé, flettendo le dita. 
Cas si accigliò, fissando l'asciugamano e il petto di Dean, per poi fare la sua scelta e concludere in fretta la pulizia e tornare ad avvolgerlo con il suo calore. 
Dean sospirò, prendendo a giocherellare con i capelli alla base della sua nuca, soffici e coperti da un velo di sudore. 
Si coccolarono in silenzio nel buio, troppo spesi per parlare di qualunque cosa, e magari non c'era niente da dire, perché per quanto riguardava Dean, le loro azioni avevano già detto abbastanza. 

 
***
  
Dean si svegliò che la flebile luce stava filtrando dalla finestra senza tende della camera di Bobby. 
Non era ancora mattina, né l'alba, era solo quel momento in cui il sole cominciava a spuntare tingendo di colore il nero della notte. 
Cas era sdraiato di fianco, appallottolato verso di lui come un gatto, sotto le coperte in cui si erano infilati quando il freddo li aveva raggiunti. Dormiva profondamente, esausto. Non che Dean si sentisse particolarmente riposato o sveglio, era solo uno che dormiva poco. Guardandolo così, perso nei suoi sogni, Dean desiderò con tutto il cuore essere un qualunque altro ragazzo. Essere uno di quelli ingenui a cui la vita non ha mai servito carte truccate dal mazzo. 
Lo osservò dormire un altro po', ma il timore che si svegliasse cresceva sempre di più, quindi si decise a sfilarsi da loro incastro, recuperare i vestiti e la giacca da terra. 
Non aveva carta e penna, ma cosa avrebbe potuto scrivere? 
Non era ovvio dove stesse andando, e perché? 
Si dilungò più del dovuto, esitando sulla soglia. Se solo Cas si fosse svegliato davvero, se avesse potuto rompere quel magico incanto, magari avrebbe convinto Dean a lasciarlo andare con lui. Magari. 
Si chiuse la porta alle spalle con il sospiro pesante di troppi anni a gravare sulle sue spalle giovani, e lasciò il rifugio sicuro di Bobby, puntando dritto all'Impala. 
Quando arrivò a casa, John e Sammy erano nel pieno degli ultimi preparativi. La partenza era all'alba, come sempre, per evitare il traffico, e Dean li odiò perché nessuno dei due batté ciglio quando lo videro rientrare. 
Sammy gli allungò il borsone con tutta la sua roba dentro, stringendosi il proprio sulla spalla, e John aprì il palmo per farsi dare le chiavi della macchina. Avevano sempre saputo che Dean ci sarebbe stato. 
Perché Dean era così, un’obbediente testa di cazzo fallita. 



 
Salve! Come state?
Anche questo capitolo è andato! Come promesso, più corposo del precedente e... beh, succede ROBA, direi!
Fateci sapere cosa ne pensate, se vi va, e GRAZIE  a chiunque si prenda tempo per farlo, qui o su facebook. Siete personcine preziosissime! 

Alla prossima!!!

serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 10
*** The night we met ***




10 - The night we met

 
And then I can tell myself
What the hell I'm supposed to do
And then I can tell myself
Not to ride along with you

I had all and then most of you
Some and now none of you
Take me back to the night we met
I don't know what I'm supposed to do
Haunted by the ghost of you
Oh, take me back to the night we met

When the night was full of terrors
And your eyes were filled with tears
When you had not touched me yet
Oh, take me back to the night we met

("The night we met" Lord Huron)

Cas si svegliò per la vibrazione del suo cellulare da qualche parte. Si alzò, gli occhi praticamente ancora chiusi, e si avvicinò alla fonte del rumore. Quando avvicinò il telefono all'orecchio, si accorse che erano solo tre messaggi.
Cas si lasciò andare sul pavimento, confuso, e aprì finalmente gli occhi per bene.  
I ricordi tornarono all'improvviso: la fuga, Dean, la notizia di sua madre, l'imminente partenza, il viaggio da Bobby, la notte passata. Abbozzò un sorriso, si passò una mano fra i capelli e realizzò che non c'era nessuno nel letto. Il sorriso si spense subito - avrebbe voluto svegliarsi fra le braccia di Dean -, ma pensò di vestirsi in fretta, perché Dean doveva essere con Bobby a fare colazione. 
Lesse il contenuto dei messaggi: Gabriel gli ricordava gli orari in cui Anna poteva ricevere delle visite all'ospedale in città, il colloquio per cui Cas era “praticamente già assunto”, l'appuntamento per l'appartamento che doveva visitare. Cas si vestì, ignorando tutte quelle informazioni a parte quella su Anna. Avrebbe provato ad andare in città ogni volta che gli fosse stato possibile, ovviamente, ma per il resto avrebbe seguito Dean ovunque; niente lavoro, niente appartamento.
Ormai era deciso. 
Uscì dalla camera con addosso i vestiti della sera prima e lo zaino mollemente buttato su una spalla. Trovò Bobby con una tazza di caffè in mano. 
«Credevo ve ne foste andati, ragazzi. L'Impala non c'è,» borbottò, guardando alle spalle di Cas come se si aspettasse di vedere anche Dean. 
E Cas sentì il mondo crollargli addosso. Si precipitò fuori, il panico a ronzargli nelle orecchie, guardando il punto vuoto in cui avevano parcheggiato al sera prima.  
No, no, no, no, no...
Tornò dentro, estraniato, completamente perso nel terrore che il peggior scenario possibile si stesse dispiegando davanti ai suoi occhi. 
«Dean non c'è?» domandò, la voce spezzata e gli occhi spalancati. 
Quella di Bobby sembrò quasi un'espressione dispiaciuta. Cas, come chi si risveglia da un sogno perfetto ed estremamente vivido, sentì la realtà pesargli addosso, soffocandolo. 
Dean se n'era andato e lo aveva lasciato indietro. 
Dean...
«Hai bisogno di un passaggio da qualche parte?» domandò Bobby, riportandolo alla realtà. 
Cas scosse la testa, tornando fuori, questa volta salutando brevemente Bobby e ringraziandolo per l'ospitalità - in risposta solo l'ennesimo grugnito d'assenso.  
Doveva esserci dell'altro, doveva esserci una spiegazione. Prese il cellulare fra le mani, avviandosi verso quella che pensava fosse la direzione per il centro di Sioux Falls, e chiamò Dean stringendo il labbro fra i denti fino a farlo sanguinare. 
  
Dean sapeva che Cas lo avrebbe chiamato. Era la stessa cosa che avrebbe fatto anche lui. 
Appena aveva sentito la tasca della giacca vibrare, aveva capito. Rimase a guardare fuori dal finestrino, ma poteva vedere nello specchietto Sammy accigliarsi. 
Il ronzio li accompagnò per un po', riempiendo il silenzio dell'abitacolo, finché non si spense. 
Dean si affossò un po' nel sedile, John continuò a guidare indisturbato. 
  
Cas andò avanti per la sua strada come se non fosse più lui, come se fosse possibile essere solo corpo, niente più anima. Gli parve di vedersi da fuori, uno spettacolo che non riusciva a registrare a livello conscio. Girovagò per la cittadina, saltando la colazione e poi anche il pranzo. Era abituato a seguire le direttive degli altri, con sua zia era stato l'unico modo per sopravvivere, così seguì i consigli di Gabriel. Andò al colloquio e la donna gli assicurò che poteva lavorare tutti i pomeriggi, raccomandandogli di salutare "Gabe" al momento di congedarsi. Visitò l'appartamento, stabilendo che non avrebbe mai vissuto con quattro altri ragazzi grandi il doppio di lui che avevano iniziato da subito a fare battutine strane.  
Alla fine, spento e abbattuto, digitò un breve messaggio. 
Addio, Dean. 
Poi fece partire la chiamata verso l'unica persona che gli venne in mente e che non lo avrebbe giudicato per quanto accaduto. 
«Qui Balthazar il magnifico,» rispose dall'altra parte la voce sicura dell'uomo. 
«Sono Castiel. Avrei... avrei bisogno di un posto in cui stare, anche solo per stanotte.» 

I Winchester arrivarono a Boulder, Colorado, dopo dodici ore e due pause per cibo e bagno, che il sole era già calato oltre l'orizzonte. 
Il viaggio era passato per lo più in silenzio, come sempre succedeva con John, e Dean aveva provato più volte a dormire un po', ma si svegliava con il mal di collo e l'umore ancora più amareggiato di prima. 
Chissà se Cas lo odiava già. Il telefono non aveva più vibrato. 
Parcheggiarono di fronte all'ennesimo motel, John prenotò una doppia con un letto in più, e tutti i Winchester si mossero con mosse ormai collaudate e bruciate a fuoco nella memoria motoria. 
Seguire papà fino alla camera, dirigersi ognuno verso un letto, cominciare a togliere la roba dalle borse, solo che stavolta era diverso, perché non stavano cercando una pista del cazzo o aspettando che un appartamento si svuotasse in città, no, stavolta era definitiva. La mamma era in quella città, da qualche parte. John non aveva voluto dare dettagli sul dove fosse o che cosa facesse. 
«Va bene,» disse per spezzare tutto quel silenzio. «A cosa ci dobbiamo preparare?»
Mollò la zip del borsone con un gesto secco. «È morta? È per questo che non dici niente?»
John gli rivolse uno sguardo indurito. «Non dire cose del genere. No, tua madre non è morta. La vedremo domani, a casa sua.» 
«Oh, quindi ha una casa.»
«Sì, Dean, ha una casa.» 
«E sa che stiamo andando da lei?» 
La pausa che seguì fece rimbalzare gli sguardi dall'uno all'altro, ed era tutta la risposta di cui Dean avesse bisogno. 
«Gesù, papà, davvero non gliel’hai detto e ci hai fatto portare il culo qui da un giorno all'altro senza che-» 
«E che cosa avrei dovuto dirle, Dean?», sbottò John, serio. «Cosa diavolo avrei potuto dire, dopo tutti questi anni?»
Dean non aveva niente da ribattere. 
«Come pensavo. Domani... domani vedremo come fare, ora andiamo a dormire.» 
«Tu vai a dormire,» replicò Dean, prendendo la porta a passi lunghi e sparendo fuori, nel corridoio e poi ancora più avanti, oltre l'ingresso e il parcheggio. 
Il cellulare vibrò due brevi ronzii, segno che fosse arrivato un messaggio. 
Addio, Dean.
Dean represse un urlo, lanciando il telefono nella notte con un grugnito. 
  
Cas aveva aspettato Balthazar sul ciglio della strada. Era salito, aveva ringraziato, e aveva ignorato lo sguardo indagatore dell'uomo. 
«Ohi, non sono mica un tassista, spiegami un po' cos'è successo.» 
Cas si strinse nelle spalle. 
«Tua zia mi darà problemi se resti da me?» chiese l'uomo.
Cas ripeté il gesto, fissando fuori dal finestrino. Balthazar sembrò cogliere il messaggio e si portò Cas a casa, ignorando il silenzio. Una volta arrivati - ormai i lavori procedevano bene e la casa sembrava avere un aspetto decente se non completo - preparò un tè caldo e attese che Cas parlasse, lo zaino posato in un angolo e l'impermeabile sullo schienale della sedia. 
«Dean se n'è andato. Pensavo di andare con lui, ma non ha voluto. Non ho intenzione di tornare a casa. Gabriel mi ha trovato un lavoro a Sioux Falls. Mi aveva trovato anche un appartamento, ma...» 
«Topi?» domandò Balthazar, quando il silenzio si dilatò. 
«No, a quello sono abituato,» rispose Cas, per poi spiegare altri inutili dettagli, la voce meccanica e il tono spento. 
«Puoi restare. Se tua zia dovesse dire qualcosa spiegheremo la situazione, dico bene?» disse l'uomo.
Cas si strinse ancora nelle spalle, lo sguardo fisso in un punto del muro. 
«Ti sistemo il divano. Ci sarebbe una stanza degli ospiti, ma non è pronta,» concluse Balthazar, riponendo la sua tazza per poi sparire. 
Così Cas finì per farsi una doccia, lavarsi i denti, infilarsi i pantaloni della tuta e la maglietta che aveva buttato nello zaino per dormire e passò le prime due ore di quella nottata a tentare di chiudere gli occhi. 
Quando non ci riuscì, quando le lacrime iniziarono a scivolare giù dalle guance e la mancanza divenne un vuoto doloroso all'altezza del cuore, si trascinò fino alla stanza di Balthazar. Non disse nulla. Si limitò ad infilarsi nel letto, svegliando il proprietario di casa che si adattò subito al suo silenzio e lo strinse in un abbraccio. 
Non era neanche lontanamente giusto, ma bastò a far crollare Cas in un sonno agitato. 
  
***

Dean venne svegliato da Sammy che lo scuoteva delicatamente per un braccio. 
Alla fine era andato davvero a dormire, fuori era freddo e comunque non aveva più niente da perdere, era vuoto. Aveva dentro le radici di Cas, che gli aveva seminato l'anima, ma senza custodirle, senza curarle con la presenza di Cas, sarebbero morte, lo sapeva, quindi instaurare una battaglia contro il sonno e contro John era completamente inutile. 
Non ci misero molto a prepararsi, chiusi in un silenzio tutto loro, e scesero a fare colazione al diner dall'altra parte della strada. 
Dean ordinò pancakes, Sammy lo imitò, e John chiese che gli riempissero di più la tazza di caffè. Aveva una faccia distrutta.  Non doveva aver dormito molto. 
«Quindi,» esordì Dean, riempiendosi le guance di cibo, spezzando il silenzio e la tensione. «Qual è il piano?» 
Perché John Winchester aveva sempre un fottutissimo piano, o almeno, lo aveva quando non era impegnato ad annegare i neuroni nell'alcool, mentre adesso sembrava solo stanco, e troppo sobrio. 
Si passò una mano sulla faccia, senza alzare lo sguardo né su Sam né su Dean. 
«Ho recuperato un indirizzo. Ha comprato una casa sotto il nome Mary Campbell. È strano, dopo tutti questi anni e chissà quanti alias...», la voce di John si affievolì e bevve un sorso di caffè, lo sguardo perso nel nulla. «Andremo là subito dopo mangiato,» riprese all'improvviso. 
Dean lo squadrò, i capelli scompigliati dalla notte in bianco e dal lungo viaggio, le pesanti occhiaie, i vestiti sgualciti... 
Agitò il coltello nella sua direzione. «E vuoi andarci così?»
John lo fissò per un lungo momento. «Dopo una doccia, allora.»
Dean annuì, mentre con la coda dell'occhio vide Sammy sorridergli come il bambino che, alla fine, ancora era. Così gli piazzò un deciso calcio da sotto il tavolo. 
Finita la colazione, la doccia, e due altre ore di interminabile attesa, accostarono l'Impala di fronte ad una villetta azzurra di periferia. Scesero, i tre Winchester tesi come corde di violino, con Dean che stringeva nel palmo il cellulare che poi era andato a recuperare tra i cespugli del motel. Aveva una crepa ma per il resto era ancora sano, ed era l'unico collegamento rimasto con Cas, e forse con la sua prontezza mentale. 
Arrivarono alla porta bianca, le spalle tese, le teste basse, mentre John cercava di tenere alto il mento, e bussò. 
Mary Campbell Winchester, i capelli corti e riccioli sotto l'orecchio, qualche ruga agli angoli degli occhi, ma a parte quello sempre la mamma, aprì l'uscio, li osservò per bene uno per uno, e sorrise. 
«Vi stavo aspettando,» disse, e si fece da parte. 
Dean strinse ancora di più il telefono. 
Mary li fece accomodare in un salotto molto minimale, giusto un divano e una televisione, senza pareti divisorie tra quella stanza e la cucina. Era una villetta piccola, niente a che vedere con la casa che avevano in Kansas. Perché quando pensava alla mamma, Dean la associava inesorabilmente alle mura domestiche, all'odore di crostata e di farina, alle braccia forti che lo coccolavano a letto e a una voce calda che lo rassicurava, perché “gli angeli stanno vegliando su di te, Dean”.
Adesso c'era solo una casa con pochi mobili, vuota com'era vuota la loro famiglia. 
I Winchester presero posto pesantemente sul divano, mentre Mary si prese una sedia e si accomodò davanti a loro in modo scomposto, quasi mascolino. 
Dean aveva sperimentato diversi tipi di silenzio nella propria vita, con John, con Cas, persino con Sammy, ma questo era uno tutto nuovo. C'erano coltri pesanti di parole appese come grappoli nell'aria, la nebbia di troppi anni di distanza. 
John si schiarì infine la voce. «Ci stavi aspettando?»
«Sì.» Mary sorrise piegando appena le labbra. «Credi che non abbia notato la macchina appostata in fondo alla via per tutti questi giorni? E credi davvero che non abbia usato il mio nome proprio per farmi trovare? Andiamo, John. Ti ho insegnato io tutti i trucchi.»
«E questo che cazzo vorrebbe dire?», chiese Dean, mentre papà perdeva un po' di colorito. 
«Significa, Dean,» gli rispose sua madre, spostando un guardo limpido su di lui, «che il mio lavoro è fare la cacciatrice di taglie. Io e John ci siamo conosciuti così, e dalle vostre espressioni capisco che non ve l'abbia mai detto.»
Dean non rispose. Più che altro perché erano anni che non sentiva la voce di sua madre chiamarlo per nome, e gli si erano seccate le parole in gola. 
«Significa che ci sono tante domande che vorrete pormi, e io sono qui, se volete farmele,» continuò lei, aprendo i palmi. 
«Perché?»
La vocina flebile di Sammy si levò dal divano, e tutti si voltarono a guardare il quindicenne tanto magro che affondava nei vestiti troppo grandi di Dean. «Perché...», ripeté, «te ne sei andata?»
Mary strinse appena le sopracciglia, per poi inviargli un sorriso addolcito. «Perché non ero pronta. Non ero pronta per essere una madre, per essere una moglie, per smettere di fare il mio lavor-»
«Il nostro lavoro,» la interruppe John. «La nostra famiglia.»
Mary aprì la bocca per parlare, ma Dean aveva ritrovato la sua, di voce. «Tutto qui?», sbottò, incredulo. «Hai mollato baracca e burattini perché non eri pronta?»
«Dean...»
«No, Dean un cazzo! Non eri pronta, beh, boohoo, principessa! Pensi che io fossi pronto a fare da... da fratello, da padre e da madre a Sammy? Alle fottuttissime elementari?»
«Dean-»
«No che non lo ero! E l'ho fatto lo stesso, perché noi,» si piantò un dito sul petto. «Noi non abbandoniamo la nostra famiglia. Mai. Per nessun fottutissimo motivo. È un concetto infilato a fondo nel nostro sangue, nel nostro nome, e indovina chi ce l'ha inculcato? Oh, sì, prova un po' ad indovinare.» Una breve risata amara gli uscì dalle labbra. «John Fucking Winchester, ecco chi. Ho passato la mia intera vita tra una macchina e un motel, seguendo mio padre e la sua caccia all'uomo per tutti i fottuti Stati Uniti d'America, e adesso mi state dicendo che è perché non eri pronta?»
«Dean,» cominciò John, ma Dean ne aveva avuto abbastanza. 
«Oh, no, non incominciare tu. Io...»
Si alzò in piedi. Il cuore pompava nel petto, e sentiva le guance arrossate, le mani intorpidite. 
Io ho mollato tutto, per questo.
«Io me ne vado.»
«Dean!», chiamò la vocina di Sam, l'unica in grado di fare breccia, e infatti Dean si voltò a guardarlo. Il suo fratellino, il suo Sammy. «Va tutto bene, Sammy. Ho bisogno d'aria.»
E se ne uscì a grandi falcate. 
Fuori, l'aria era tiepida e la rada erba dei minuscoli pezzetti di giardino brillava luminosa sotto il sole pomeridiano. Dean aprì il palmo, segnato dagli spigoli del cellulare da tanto che lo aveva stretto, e compose il numero di Cas. 
Non era nemmeno arrivato al terzo squillo che aveva una mano spalmata sulla bocca, a contenere i singhiozzi.
 
Cas venne svegliato da Balthazar che lo scuoteva appena. Spalancò gli occhi, confuso su dove si trovasse e perché, - la luce che entrava prepotente dalle finestre, segno che doveva aver dormito più del solito - finché non vide l'uomo in piedi vicino al letto, il cellulare allungato nella sua direzione. 
«Credo tu voglia rispondere a questo, dolcezza,» disse.
Cas lo afferrò, alzandosi a sedere fra le lenzuola, spettinato a stropicciato. C'era il nome di Dean a lampeggiare sullo schermo e Cas per un lungo secondo non seppe cosa fare. Trascinare quell'addio per sempre avrebbe avuto senso?
Il fatto era che, se Dean chiamava, Cas rispondeva. Questo l'aveva già stabilito. Aprì la comunicazione, la voce scura del sonno interrotto.
«Dean.»

La voce di Cas avrebbe dovuto calmarlo, era quello che sperava. 
"Ca-ah-as." 
Non era molto efficace. Alzò gli occhi al cielo, scosso dai tremori e dai singhiozzi. 
Cas, ti prego. 
Ti prego.


Cas scattò in piedi in un attimo.
«Dean. Cosa succede?» sputò fuori, diretto alla ricerca del suo zaino prima di rendersi conto di non sapere dove Dean fosse e di cosa volesse.
Cosa poteva fare per lui dall'altra parte del telefono?
Tornò a buttarsi sul bordo del letto, grato che Balthazar fosse scomparso da qualche parte oltre la porta e non lo vedesse infilarsi la mano libera fra i capelli e tirare appena, sconsolato.

Cosa succedeva? Di tutto, ecco cosa. Era talmente troppo, quello che succedeva, che Dean non sapeva nemmeno lui perché stesse piangendo, sulla base di quale emozione. Non che lui fosse un esperto del campo, ma non era mai stato così confuso, così perso. 
«Cas...», riuscì a dire, tirando su col naso, ma non esistevano parole per spiegare cos'era appena accaduto, per spiegare come stava. 
«Cas.»
Ho bisogno di te.

«Dean. Dimmi cosa succede. Dimmi dove sei.»
Era frustrante, sentirlo così e non sapere se fosse in pericolo, cosa fosse successo per ridurlo a piangere in quello stato. Quell'immagine strideva con il Dean che si mostrava al mondo, ma Cas l'aveva visto aprirsi ed essere se stesso fino al punto che quel pianto sembrava aver tardato perfino troppo ad arrivare.
«Dimmi cosa posso fare.»

«B-Boulder, Colorado, io...» 
Ho visto mia madre e mio padre crollare di fronte a me, sotto il peso di una delusione che non so mettere in parole. Ho sentito mia madre dire che non ero abbastanza da rimanere, rispondendo a una paura che non sapevo di avere.
«Ho bisogno di te, qui.»

Colorado.
«Parto subito.»
Come avrebbe fatto? Non aveva un piano, non aveva una macchina, non era mai uscito dalla sua stupida cittadina in mezzo al nulla.
«Dean. Mi hai sentito? Sto arrivando.»




 
Salve!
Come ogni martedì... eccoci!
Sarete lieti di sapere che non siamo troppo distanti dalla fine, anche se non sapremmo dire di preciso quanti capitoli manchino, perché la stiamo dividendo man mano che la pubblichiamo. 
Io (DonnieTZ) ho un nuovo pc e sono felicia perché è da questo nuovo poderoso mezzo tecnologico che ho caricato il capitolo; ma anche Clizia non è molto che ne ha dovuto comprare uno nuovo. Siamo tecnologgggggiche!!! Niente, così, per tenervi aggiornati sulle nostre vite.
Alla prossima con un capitolo dalle note decisamente migliori! 

serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 11
*** Two ***




11 – Two

 
Like a force to be reckoned with
A mighty ocean or a gentle kiss
I will love you with every single thing I have
Like a tidal wave, we'll make a mess
Calm waters, if that serves you best
I will love you without any strings attached
It's okay if you can't catch your breath
You can take the oxygen straight out of my own chest

(“Two” Sleeping at last)
  
Una giornata d'inferno. La più lunga della sua vita. Aveva chiamato Gabriel, disperato, balbettando di tutto quello che era successo mentre si vestiva, noncurante di Balthazar che lo guardava muoversi per casa come un uccellino in gabbia. Alla fine suo fratello gli aveva dato una risposta semplice. 
«E allora partiamo.» 
Così, come se fosse ovvio. 
Era passato a prenderlo a casa di Balthazar - che Cas aveva ringraziato a lungo, un po' imbarazzato - ed erano partiti. Cas aveva scritto a Dean un messaggio basilare per avvertirlo, consapevole che non ci fosse modo di accorciare la distanza. Gabriel sembrava avere qualche soldo da parte e, parole sue, "niente che gli impedisse un road trip col suo fratellino", sopratutto quando la cosa avrebbe fatto incazzare Naomi. Cas non ne era poi così convinto; forse l'obiettivo della zia era sempre stato quello di disfarsi di tutti loro, anche se in paese avrebbero parlato della sua incompetenza come genitore. 
Durante le lunghe ore per strada, Gabe lo aveva preso in giro per quell'amore travagliato che lo stava rincretinendo, certo, ma Cas era pronto a pagare quel prezzo. Avevano anche parlato di Anna, di quello che potevano fare per lei ora che mancava poco al compleanno di Gabriel.  
«Fammi sistemare un fratello alla volta, d'accordo Cassie?» aveva risposto Gabriel, anche se Cas aveva notato l'ombra scura che gli era passata sugli occhi d'ambra. 
Era scesa la sera da un pezzo quando il cartello li accolse. Cas si sentiva indolenzito, lo stomaco sottosopra per una cena che aveva trangugiato in fretta pur di ripartire, ma aveva un solo bisogno: vedere Dean. 
Siamo entrati a Boulder. Dove sei?, gli scrisse. 
  
Dean fissò lo schermo con occhi stanchi. 
Aveva girovagato per la città, immaginando la mamma fare acquisti là dentro, portare a spasso un cane, e poi l'immagine si era sovrapposta con Mary che andava a caccia di un ricercato, pistola alla mano. 
Si era fermato a prendere un hot dog ad un chiosco per la strada e lo aveva mangiato seduto alla panchina di un parco là vicino. Il pomeriggio era volato via su file e file di bambini in coda per l'altalena e lo scivolo, un vociare di sottofondo che non gli arrivava mai davvero alle orecchie. 
Sam gli aveva mandato un messaggio o due, e Dean aveva risposto a monosillabi, incapace di lasciarlo preoccupato, solo. A quanto pare lui e papà erano tornati in motel, e sarebbero tornati dalla mamma l'indomani. Buon per loro. 
Mandò a Cas le indicazioni per il parco, ormai deserto, e rimase a guardare le attrazioni vuote con le mani in grembo. 
  
Gabriel lo mollò davanti al parco, dicendogli che avrebbe preso due stanze al motel che avevano superato - con occhiolino annesso - e che avrebbe dormito "per tutta l'eternità" visto quel viaggio infinito. 
Cas lo ringraziò sul serio, finendo per abbracciarlo nonostante non fosse qualcosa che facevano spesso. 
Appena vide Dean su una delle panchine, Cas aumentò il passo, il cuore in gola, gli occhi a pizzicare, la paura fra le costole. Non aveva idea di cosa fosse successo, non sapeva niente se non che Dean gli aveva chiesto di raggiungerlo.  
«Dean!» 
  
«Ehi, Cas.»
Dean tirò un sorriso, senza muovere un muscolo da quella panchina. La cosa doveva aver preso Cas in contropiede, perché si mise a sedere pesantemente accanto a lui, esausto. 
Aveva appena fatto un viaggio interminabile solo per vederlo, in effetti. 
E Dean non sapeva come potevano essere, se Cas lo avesse perdonato, se fosse lì in veste di amico, di spalla, ma Dean aveva bisogno di sentirlo sotto lo dita, quindi si gettò in avanti e lo abbracciò, stretto, rilasciando un sospiro che non sapeva di aver trattenuto per tutto il giorno. 
  
«Sono qui, Dean,» disse Cas nella stretta di quell'abbraccio, affondandoci il viso. 
Sapeva di stanchezza anche lui, come se la tristezza gli si fosse appiccicata addosso, e della disperazione che non sembrava averli lasciati dalla sera prima. 
«Mio fratello mi ha preso una stanza,» mormorò, più cauto. 
Pensò assurdamente che la vita criminale dovesse pagare, viste le risorse di Gabe, come se il cervello stesse cercando di rendere normale quell'intera, folle, situazione. 
«Andiamo lì?» domandò, alla fine, staccandosi quanto bastava a scrutare Dean negli occhi cerchiati di rosso. 
Non aveva intenzione di ripetere l'esperienza della sera prima e svegliarsi in un altro letto vuoto, ma aveva bisogno di un posto tranquillo in cui farsi spiegare cosa fosse successo, di una doccia, e di stare finalmente in posizione orizzontale dopo le ore trascorse seduto. 
E aveva bisogno di Dean. 
  
Dean annuì, si lasciò stringere in un altro breve abbraccio e infine seguì Cas, mano nella mano, come un bambino. Un bambino che non era mai stato. 
Più tardi avrebbe scritto a Sammy per avvertirlo che non sarebbe tornato in motel, al momento voleva solo che Cas lo tenesse insieme, che lo rendesse di nuovo integro. 
  
Cas non fece domande e Dean restò in silenzio. Se lo trascinò fino al motel e andò dritto alla stanza che Gabriel gli aveva scritto in un messaggio di occupare. Bussò e si fece consegnare la chiave della sua. 
Gabe sbirciò Dean, osservò le loro mani intrecciate, e si aprì in un sorriso furbo.  
«Divertitevi come farei io.»
Cas espirò la sua esasperazione, prima di trascinare Dean fino alla sua stanza e chiudere entrambi dentro. Suo fratello aveva sistemato lo zaino sul letto e Cas lo abbandonò a terra oltre il bordo, prima di sfilarsi impermeabile e scarpe per buttarsi sul materasso. 
Aprì appena le braccia, giusto un poco, per invitare Dean a farsi stringere e, se lo desiderava, a parlare. 
  
Dean si disfece della giacca con movimenti lenti, quasi al rallentatore, per poi togliersi le scarpe dai talloni, appoggiato in avanti con le punte delle dita sul materasso. 
Quando riuscì a scalciare entrambi gli stivali si distese, andando a collidere perfettamente con il corpo di Cas. Finalmente, pensò, mentre sospiravano entrambi nell'intreccio. 
  
Stringere Dean contro il cuore era come tornare a respirare e l'idea che fosse solo dettato dal bisogno di sostegno, e non dallo stesso sentimento che animava Cas, pulsava dolorosamente nel suo cranio. Non era il momento per quei dubbi, certo, ma c'erano e non se ne sarebbero andati, non importava quanto Cas concentrasse la sua attenzione su Dean. 
«Dean... che sta succedendo?» mormorò, piano, combattuto fra la consapevolezza che Dean avesse bisogno di lui e la paura di ritrovarsi nuovamente ferito. 
  
Dean non avrebbe davvero voluto parlarne, avrebbe preferito farsi stringere per il resto della notte, ma Cas si era precipitato nonostante si fosse svegliato in un letto da solo dopo che... 
Gli doveva delle risposte. 
«Cosa non sta succedendo,» mormorò, amareggiato. Si grattò il naso, tanto per prendere tempo. «Beh, a quanto pare, John ha perso il premio di peggior genitore del mondo, perché almeno lui è rimasto. La mamma a quanto pare aveva da fare, per ben tredici anni è stata talmente tanto indaffarata da non poter rimanere con i suoi figli. Perché, senti questa, i suoi figli non erano abbastanza. E Sammy... Sam aveva solo sei mesi, quindi ero io. Io non ero abbastanza.»
  
Cas allontanò il viso per squadrare Dean a quella notizia, tenendolo comunque vicino con le braccia, nel calore che i loro corpi producevano insieme. 
«Dean, tu sei abbastanza.»
Lo disse come una verità assoluta, qualcosa di innegabile ed estremamente vero. 
«Non hai colpe. Essere genitore non significa solo mettere al mondo qualcuno. Significa prendersene cura, continuare a esserci, amare incondizionatamente. Lei è quella che non è riuscita a farlo,» disse, con la stessa decisione. «Se fossi così fortunato da poterti avere sempre nella mia vita, Dean, te lo ricorderei ogni giorno. Sei abbastanza. Sei molto di più.»
Affondò il viso nell'abbraccio, nuovamente, perché forse non aveva mai parlato così tanto e con così tanta decisione. Perché amava Dean al punto che non gli importava più di proteggersi e avere cura del proprio cuore. Perché, anche se avrebbe fatto male, momenti come quello ne sarebbero valsi la pena. 
  
Dean avrebbe voluto credergli, farsi penetrare quelle parole sotto pelle e sentirle vere. 
Ma alla parte sulla devozione di Cas, a quella sì, credeva. 
«Mi dispiace... Cas. Pensavo... pensavo davvero che non avrei mai potuto vederti, o strapparti alla tua città e alla tua famiglia, e non potevo lasciare Sammy. A quanto pare, non sono in grado di lasciare nessuno, io. E non... non posso lasciare nemmeno te.»
Alzò il mento per guardarlo negli occhi, affrontando di petto la cosa. 
«Non posso e non voglio.»
  
Cas fissò gli occhi blu in quelli di Dean. 
Non posso e non voglio.
«Dean...» 
Posò un piccolo bacio sulle sue labbra, senza l'intenzione di spingersi più in là. 
Se gli avesse parlato, Cas avrebbe capito. E sì, lo avrebbe aspettato lo stesso, anche per anni se necessario, lo sapeva. Invece Dean era scivolato via e adesso Cas aveva paura. 
Soffocò quel pensiero come riuscì, lasciando andare un po' di tensione. Dean lo voleva e, in fondo, era quello che contava. 
«D'accordo, ma non dobbiamo parlarne questa sera,» disse, stringendolo più forte. 
  
Dean annuì, grato che la conversazione non si facesse ancora più seria di così. 
«E quindi quello è il famoso Gabriel,» disse, facendo un cenno del capo verso la vaga direzione dalla camera dell'altro Novak. «Anna?», chiese poi, scurendosi in volto. 
  
«Andrò a trovarla presto. Voglio assicurarmi che sia in un bel posto e, se non sarà così, appena Gabriel compirà diciotto anni dovrà fare domanda per poterla trasferire in una struttura adatta. Forse non cambierà niente. Manca poco più di un mese.»
Cas parlò più a se stesso che a Dean. 
«Quando starà meglio, magari potrà stare con me e Gabriel o...» 
La verità era che non sapeva nulla. La verità - per quanto terribile - era che per Dean avrebbe fatto qualsiasi cosa, nonostante i suoi fratelli. 
«Come sta Sam?» domandò quindi, perché non voleva pensare ad Anna. 
  
«Sta... beh, non lo so come sta.» 
Dean si strinse appena contro il petto di Cas, il senso di colpa che lo salutava come un vecchio amico. 
«L'ho lasciato là, in balia di quei due pazzi. Probabilmente non sa che pesci prendere. Non che nessuno sappia che pesci prendere in famiglia. La tua inclusa.»
Si schiarì la voce, tossicchiando piano. «E direi che ne abbiamo parlato abbastanza, per stasera. Dichiaro le nostre famiglie un argomento vietato in questa camera. D'accordo?»
  
Cas emise un basso verso di assenso. 
«Non andartene senza di me, domani,» mormorò, nascondendo il viso dov'era possibile arrivare, stringendosi contro Dean quasi con disperazione, come se fosse possibile diventare una cosa sola, le mani ancorate alla sua maglietta. 
  
Dean allargò appena gli occhi dalla sorpresa, giusto un attimo prima che il cuore gli scendesse da qualche parte con un tonfo sordo. 
«Non ne ho l'intenzione. Non posso lasciarti, Cas, te l'ho già detto. E non voglio. Te lo proverò quando mi troverai ancora attaccato al tuo culo domattina.»
  
Cas sfregò il naso sulla sua pelle, inspirando il profumo ormai familiare di Dean, a fondo. Con la mano scivolò sotto la maglietta, sistemando entrambi perché fosse possibile accarezzarlo piano, i movimenti rilassati sopra i muscoli tesi. Passò il palmo aperto sulla scapola, lungo la spina dorsale, e poi di nuovo verso l'alto. 
Dean ci sarebbe stato ancora, la mattina dopo. Forse Cas non aveva più una casa e la sua famiglia era in pezzi, ma Dean ci sarebbe stato ancora. 
  
Dean si sporse a baciare piano le labbra di Cas, attirando la sua attenzione, incontrandosi occhi negli occhi. 
Si erano guardati molte volte, anzi, guardarsi era la cosa che più avevano fatto da che si conoscevano. Forse perché riuscivano a scavarsi dentro, a tirare fuori pezzi dell'altro da dietro ogni angolo. 
Non me ne vado senza di te. 
Lo baciò ancora, un semplice sfregamento di labbra, ma stavolta a occhi chiusi.
Ho bisogno di te.
  
Cas approfondì appena il bacio, senza altro motivo che non fosse il bisogno di annullare qualsiasi distanza, la mano ancora ad accarezzare Dean, rilassando entrambi. 
Era esausto, certo, ma questo non significava che non volesse sentire Dean sotto le dita, fin dentro l'anima. 
Fu comunque un bacio lento, un'esplorazione, una rassicurazione per il suo cuore che iniziava a far crollare le difese. 
«Dean...» mormorò sulle sue labbra umide, quando si separarono per prendere fiato, senza sapere bene perché quel nome gli fosse uscito spontaneo dalla bocca. 
  
«Mh?» 
Dean sentiva quella sensazione assurda e bruciante allo stomaco, chiedendosi se sarebbe durata per sempre. Dubitava che avrebbe mai smesso di sentirsi così per Cas, che esistesse qualcosa in grado di spegnere quel fuoco. Infilò le dita sotto il bordo della maglietta di Cas, stringendole sul fianco per spingerselo contro. 
  
Cas si trascinò Dean sopra appena sentì le sue dita accarezzargli appena la pelle. Lo strinse fra le braccia con forza, baciandolo con più convinzione, un po' annebbiato dall'intera situazione. Aveva Dean fra le braccia, a pesargli leggermente sul corpo, ovunque. Erano di nuovo insieme. E la stanchezza non lo aiutava ad esercitare controllo. 
Sentì Dean sistemarsi istintivamente, le sue gambe appena aperte perché potessero incastrarsi uno con l'altro in quella stretta. Passò le mani ancora sotto la maglietta, consapevole che il suo cuore fosse impazzito di nuovo dietro lo sterno. 
  
Dean sospirò nei baci, invitando Cas a proseguire, a sentirsi di nuovo a petto nudo sotto le dita, ma Cas si era distratto nello strofinarsi dei jeans, così gli tirò i lembi della maglia per fargli arrivare il messaggio. 
Cas gli tolse la camicia senza fermarsi, senza aprire gli occhi o rompere il contatto di labbra, e si staccò solo a malapena per togliergli la maglietta. 
Aveva mani caldissime, che gli esploravano il petto, le costole, ma non era a quello che Dean stava puntando. Era la pelle di Cas quella che voleva vedere, baciare, toccare di nuovo, quindi riprese a tirargli i vestiti perché se li togliesse. 
  
«Dean...» 
Ancora, quel nome, come se tutta la sua capacità di parlare si fosse ridotta a quella manciata di lettere. Si spogliò fra i baci e spogliò Dean allo stesso modo, rotolando sopra il copriletto perché ogni barriera di stoffa cadesse sul pavimento della stanza.  
Quando restarono completamente nudi, le labbra gonfie di baci e le pupille ampie di desiderio, Cas si riportò Dean addosso, tirandolo a sé dalla nuca per continuare a baciarlo. 
Erano pelle contro pelle, cuore contro cuore, e sentire ogni linea di Dean aderire al suo corpo lo faceva sentire potente e fragile insieme, in controllo e completamente perso. 
  
Dean si fermò di botto, ansimando a qualche centimetro dalla bocca di Cas. 
Aveva Cas sotto di sé, nudo, che se lo stringeva contro, e si chiese improvvisamente se fossero richieste silenziose. Aveva davvero ignorato la più lampante delle situazioni, ovvero quella in cui non era lui a stare... sotto? Una volta con un ragazzo, e si era già abituato a... 
Non che con le ragazze fosse diverso. Diversi genitali, stessa posizione.
Si leccò le labbra, e si riavvicinò piano a quelle di Cas, riprendendo a baciarlo, ma stavolta più cauto, più attento, come chi maneggia un oggetto delicato. 
Non stava più cercando di sedurlo, di attrarlo per farsi divorare. Esplorò con le dita, tentativo, finendo ad avvolgerle intorno alla lunghezza di Cas tra le gambe, chiedendosi se stesse interpretando bene i segnali. Quando Cas scattò in avanti coi fianchi, mugugnando piano, Dean prese fuoco completamente, arrossendo fino alle punte delle orecchie. 
«Cas...», mormorò, piano, cominciando a muovere il polso con una presa salda. 
  
Cas piantò gli occhi blu in quelli di Dean, perso ed esposto, il palmo di Dean ad allentare la sua presa sulla realtà con i suoi movimenti lenti e accurati. 
«Tutto... tutto quello che vuoi, Dean,» mormorò, rauco, la voce pronta a spezzarsi per il piacere che arrivava a ondate con ogni movimento della mano di Dean. 
Ed era così, sempre: avrebbe fatto tutto quello che Dean voleva. Era lui a decidere dove sarebbero arrivati, come, perché. Era lui il centro della sua esistenza. 
  
Dean si prese cura di lui ad occhi spalancati e attenti, mordendosi appena le labbra quando Cas smetteva di baciargliele per mordergli il collo, la spalla. 
Per dirgli che poteva prendersi tutto quello che voleva. 
La voglia era una bestia affamata che gli scombinava il basso ventre, quindi avvicinò le anche e prese entrambi nel palmo, annaspando forte di piacere. 
«Merda,» gli uscì tra i denti, mentre riprendeva a muovere il polso, spingendo in avanti coi fianchi. 
Merda merda merda merda merda...
Guardò di nuovo Cas, trovando un'espressione gemella sul suo viso, le guance cascanti dallo stupore, gli occhi lucidi e il fiato sempre più corto. 
Spinse ancora i fianchi, mentre le dita si facevano sempre più scivolose, e non ci furono baci, solo sguardi sfocati, occhi negli occhi. 
  
Cas era perso nello spettacolo che era Dean, il viso e il petto arrossati, scompigliato e preso dal momento. Più della visione, il movimento della mano era perfetto, carne contro carne, la stanza piena dei loro sospiri e delle piccole imprecazioni che sfuggivano alla bocca di Dean. Cas unì il suo palmo al movimento, stringendo entrambi, alzando il bacino quanto possibile nonostante il peso di Dean per andare incontro al piacere. 
Gli sembrò quasi impossibile: ogni esperienza con Dean era devastante nella sua profondità eppure mai abbastanza, perfetta eppure così limitata rispetto a quello che sentiva dentro.  
«Dean. Dean, se con-continui io...»
Serrò gli occhi, cercando di frenare la discesa, la mano libera ad artigliarsi alla spalla di Dean, lasciando il segno. 
  
Dean si fermò, battendo le palpebre per tornare un po' più lucido, il cuore che gli martellava nelle orecchie. 
«Vuoi... vuoi che...?» si leccò le labbra tra un soffio di fiato e un altro. «Vuoi finire così o...?»
Tutto pulsava tra le loro mani giunte, caldo ed invitante, e a Dean sarebbe andata bene qualunque cosa purché potesse continuare a sentirsi così bene. 
  
Cas rinsaldò la stretta e riprese a muovere il bacino a ritmo con i palmi serrati, puntando i piedi nel letto, alzando appena Dean. 
«Sei perfetto... così... bravo... per me...» mormorò, perso in quello che stavano facendo, la mano ancora artigliata attorno alla spalla di Dean mentre entrambi ondeggiavano sul materasso. 
Il piacere gli spezzò le parole in bocca, gli tese i muscoli, gli serrò gli occhi e gli strizzò fuori la voce in un verso rauco e profondo.  
  
Dean si lasciò martellare letteralmente in aria, capace solo di annaspare stretto nella presa di Cas, che guardava, rapito, gli occhi serrati e l'espressione più sensuale che avesse mai visto fare a qualcuno. 
Tutta colpa di quella mascella rigida, delle labbra piene e gonfie, da suoni e parole osceni che ne uscivano, e Dean grugnì il proprio piacere, che esplose facendogli scattare la testa in alto, il collo teso, e suoni strozzati che gli uscivano dalla gola. 
Riaprì gli occhi per vedere puntini luminosi e ombre che si inseguivano, le braccia che tremavano fino alle mani, ancora strette nella presa di Cas. 
«Porca puttana,» ansimò. 
  
Cas cercò di riprendere fiato, scendendo dall'euforia del piacere, il sorriso ad allargarsi in viso. Erano sudati, ansanti, tremanti ed esausti, ma l'aria era densa della loro stupida felicità. Quando lasciò la presa sulla spalla di Dean, si accorse dei segni rossi e ci passò sopra i polpastrelli, in una carezza delicata. 
«Ti ho fatto male?» chiese con voce rauca, ancora ansimante, l'espressione preoccupata. 
  
«Huh?» 
Dean seguì lo sguardo di Cas fino alla propria spalla, confuso. 
«Woah,» commentò, il cuore che ancora gli pompava sangue a tutto spiano e il cervello ancora ronzante di piacere, incredulo di fronte all'enorme impronta che aveva sulla spalla. Non che fosse un problema, tutt'altro, era piuttosto assurdo che non si fosse accorto di niente. 
«Beh, non ti facevo così territoriale, Cas.» 
Strizzò l'occhio, concedendosi di lasciare andare il calore tra le gambe che andava via via sgonfiandosi. 
  
Cas scivolò piano da sotto Dean, mentre anche lui seguiva il suo movimento e tornavano a sentire i loro corpi, lentamente. 
«Non sono... territoriale,» borbottò, il sorriso ad aleggiargli comunque sulle labbra. 
Dean era stato perfetto, così bello e abbandonato, come se non ci fosse il peso delle loro famiglie sulle loro spalle e Cas aveva... aveva perso un po' il controllo su se stesso, tutto qui. 
«D'accordo. Forse,» ammise, alzandosi sulle gambe instabili e allungando una mano verso Dean. 
«Doccia?»
  
«Doccia,» confermò con un ghigno, afferrando il palmo di Cas e facendosi tirare in piedi. 
«Sei parecchio forte, lo sai? Voglio dire, non l'avrei mai detto che sotto tutti quei vestiti...»
Si sporse a piazzare una sonora pacca sul sedere nudo di Cas, ridacchiando. «Sei un lupo travestito da agnello, tu,» continuò, per poi fingere un verso di sorpresa. «Spiegherebbe il marchio.» 
Se indicò la spalla con una stupida espressione arrogante in viso. 
Non poteva farci nulla, era felice. 
  
«Ci vuole una certa forza per avere a che fare con i cavalli,» disse serio Cas, massaggiandosi il punto in cui la mano di Dean era entrata in collisione con la sua pelle esposta e accaldata. 
Entrarono in bagno e, sotto la luce cruda del neon, l'impronta sulla spalla era ancora più evidente. Cas la baciò, lieve, un po' dispiaciuto, per poi regolare l'acqua della doccia e buttarsi sotto il getto in attesa di Dean. 
In quel momento, si perse un po' ad immaginare il futuro: una casa, loro due, la quotidianità senza bisogno di nascondersi o scusarsi; Dean avrebbe potuto trovare lavoro come meccanico - era bravo e gli piaceva, gliel'aveva detto più volte - e Cas avrebbe potuto fare qualsiasi cosa gli avesse dato un po' d'indipendenza. Doveva esserci un modo perché Sam fosse affidato a Dean. Forse poteva accordarsi con John, senza bisogno di coinvolgere gli assistenti sociali.  
Si ricordò del lavoro che lo aspettava il pomeriggio dopo e si chiese se Gabriel avesse già parlato con la sua amica. Non doveva più sottovalutare possibilità come quella. Se voleva costruire una vita con Dean, dovevano seriamente pensare a cosa fare e come farlo, anche se significava restare separati per un po'. 
Forse il rumore dei suoi pensieri era arrivato fino a Dean, perché si strinsero un po' prima di iniziare a lavarsi con calma. 



 
In ritardo di qualche ora ma presenti! 
Questo nuovo capitolo è puro p0rn! Fluff0rn, anz
i.
Speriamo vi sia piaciuta questa reunion e ci vediamo al prossimo martedì con - NOTIZIONA - l'ultimo vero capitolo prima dell'epilogo!

serClizia & DonnieTZ
 

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Capitolo 12
*** Promise ***




12 – Promise
 
And meet me there, with bundles of flowers
We'll wade through the hours of cold winter
She'll howl at the walls
Tearing down doors 
of time
Shelter as we go

And promise me this
You'll wait for me only
Scared of the lonely arms
That surface, far below these birds
Maybe, just maybe I'll come home

(“Promise” Ben Howard)

Dean stava sognando
Sognava di correre a perdifiato, in un bosco, gli alberi che sfilavano al limite del suo campo visivo. Corse talmente tanto da chiedersi se, in realtà, non stesse scappando. Corse fino a che il terreno scomparve da sotto i suoi piedi e precipitò, urlando, verso il fondo di una cascata. 
Spalancò gli occhi proprio nel momento dell'impatto con l'acqua, il cuore che pompava nel petto. 
Batté le palpebre e mise a fuoco Cas, che per fortuna non aveva svegliato con il suo improvviso scatto in avanti. «Wow, sonno pesante, eh?» brontolò. 
Cas era di nuovo tutto arrotolato sul fianco, una mano sulla pancia di Dean e una gamba buttata sul suo stinco, il respiro pesante sulla bocca semi-aperta. 
Dean si riaccomodò contro il materasso e lo osservò un poco. Quelle palpebre contenevano gli occhi più blu che avesse mai visto, e già gli mancavano un po'. E poi era un peccato tenerli nascosti così, no? 
Si avvicinò fino a sfiorarsi con il naso e cominciò a baciargli piano le labbra, un lento bacio dopo l'altro finché Cas non si mosse, aprendo finalmente gli occhi, fuori fuoco e confusi per un istante. 
Eccoli qua, pensò Dean, e sorrise un sorriso delicato. 
  
«Buongiorno, Dean,» mormorò Cas, rauco dal sonno, i capelli scompigliati.  
Se lo strinse un po' più vicino, rispondendo ai baci pigri con cui era stato svegliato, le pupille a tornare concentrate sulla visione che era Dean, così vicino, così suo. Lentiggini e occhi verdi e labbra invitanti, tutto compreso. 
Gli si spinse un poco contro, più per istinto che con intenzione, il corpo già sveglio nell'usuale tensione mattutina a cui era abituato, come ogni diciassettenne. 
  
Dean alzò le sopracciglia, ghignando. 
«Buongiorno a te,» gongolò, lanciando un'occhiata in basso. «Buongiorno davvero. Deduco che hai dormito bene, ottimo.» 
Sbuffò una risatina e lo baciò ancora e ancora. Era una cosa fisiologica e lo sapeva, ma non poteva esimersi dal prendersene almeno un pochino il merito, e sperava di continuare a fare quell'effetto a Cas per molto, molto tempo ancora. 
  
Cas si limitò a un piccolo verso basso, come se concordasse con l'evidente soddisfazione nella voce di Dean, iniziando ad accarezzare ampie porzioni di pelle.  
Era mattina e Dean era ancora lì; forse il suo corpo aveva realizzato prima della sua mente quanto fosse fortunato. 
«Tu come hai dormito?» domandò, posando piccoli baci ovunque riuscisse ad arrivare, sullo zigomo, sulla gola, sulla spalla dove la sua mano aveva lasciato un segno rossastro che stava già virando verso il viola. 
  
«Non benissimo, ma il risveglio sta decisamente compensando,» mormorò, scostando il capo per dare più accesso ai baci di Cas. 
Erano ancora nudi sotto le coperte, e Dean non esitò ad allungare le dita per toccare il fianco di Cas, su fino alle costole, slittando fino alla schiena. 
Senza barriere di vestiti, era tutto ancora più assurdamente caldo e piacevole. 
  
Cas si alzò sul gomito, le sopracciglia aggrottate nella solita espressione indagatrice. 
«Ti ho fatto dormire male?» domandò, serio, indagando negli occhi assurdamente verdi di Dean alla ricerca della risposta. 
  
«No, non tu, stupido.» 
Dean strinse la presa sulla schiena di Cas per farlo riavvicinare, imbronciato. 
Aveva dormito male, succedeva, non c'era bisogno di smettere di baciarsi eccetera per questo. 
  
«Mmh.»
Cas tornò sulle labbra di Dean. Baciandolo con attenzione, sperando che la sua delicata venerazione avesse il potere di scacciare la nottata.  
«Dean... voglio... vuoi...»
Una parola, un bacio, e così la domanda non uscì intera o sensata, ma Cas pensò che Dean avrebbe capito lo stesso, visto il modo in cui si stavano sfiorando. 
  
Dean ridacchiò fino ad arricciare il naso. «È quello che stavo cercando di farti capire. Non puoi mica svegliarti così e aspettare che non ci si faccia niente.»
Stampò baci sonori sulle labbra di Cas, con la risata che gli faceva ancora vibrare le gola. 
«Sei adorabile.»
  
Cas sentì le orecchie infiammarsi un po', ma si sporse veloce verso lo zaino, arraffando la boccettina e i preservativi, senza troppe cerimonie. Spinse Dean sul fianco in modo che gli mostrasse la schiena, guidandolo con una mano, per posare baci delicati sulla sua nuca e sulla sporgenza delle vertebre, mentre inumidiva le dita e riscaldava il liquido per non dare troppo fastidio quando i polpastrelli sarebbero entrati a contatto con la pelle accaldata dal sonno di Dean. 
«Va bene così?» domandò, la voce un po' più decisa, qualsiasi ombra d'imbarazzo evaporata. 
  
A Dean morì la risata tra le labbra, battendo le palpebre mentre fissava il muro grigio davanti a sé. 
Si leccò le labbra, preda di una strana aspettativa, lo stomaco che ricominciava coi suoi salti di fuoco, e annuì. 
  
Cas lasciò che le dita carezzassero piano, per poi farsi sempre più decise, restando attente alle reazioni di Dean, alle sue tensioni. Continuò a baciargli il collo, ad affondare il naso fra i corti capelli sulla nuca, a sussurrargli piccole rassicurazioni nell'orecchio. Finché non sentì i muscoli rilassarsi, la resistenza annullarsi un poco. 
  
Dean si aggrappò alle lenzuola, il cuore che sembrava volesse raggiungere il bordo del letto e saltare dall'altra parte. 
Non si era mai sentito così vulnerabile e indifeso, e allo stesso tempo il tocco di Cas era rassicurante in modi che non sapeva spiegarsi. 
Fece un breve verso roco per comunicare a Cas di essere a bordo della dannata nave. 
  
Cas lasciò Dean solo un istante, per prepararsi con gli ultimi strascichi di logica e responsabilità che gli restavano. Tornò presto ad aderire al corpo caldo che aveva davanti, dai piedi fino al bacino, direzionandosi con lentezza esasperante perché si incastrassero uno all'altro, tornando una cosa sola. 
Quando combaciarono alla perfezione, Cas lasciò andare un sospiro pesante che si infranse contro l'epidermide di Dean.  
«Parlami,» mormorò, perché non poteva vederlo in viso e voleva la certezza che stesse bene, che fosse lì con lui e non a chiudersi in se stesso. 
  
La voce di Cas lo riempì di brividi. 
Parlargli...  
Dean raccolse le dita di Cas e se le appoggiò con lentezza sul cuore, sopra quei tonfi sordi che martellavano tutte le parole che non era in grado di dire. 
  
Cas ascoltò la risposta silenziosa e profondamente esplicita di Dean, l'emozione a sbocciargli dentro, riempiendo ogni angolo d'ombra. 
«Ti amo,» mormorò sulla sua pelle, prima di iniziare a muoversi, i muscoli tesi verso Dean e rilassati all'indietro, in continuazione. 
Artigliò la mano al suo petto, come se fosse possibile ingabbiare fra le dita il battito del cuore, poi la fece scivolare sul ventre, ampia e calda, a tenerselo contro. 
Quando aumentò il ritmo, morse Dean fra il collo e la spalla, i segni sulla sua pelle a rendere quell'appartenenza più concreta. 
  
Un verso gli scappò dalla gola, annaspando sui morsi di Cas. 
Gli agguantò la nuca, agganciando le caviglie alle sue gambe, spingendo ancora di più le anche contro di lui. 
Voleva solo annullarsi completamente, in Cas e con Cas, dimenticare ogni cosa che non fosse quell'incastro perfetto. 
«Cass,» sibilò quando sentì avvicinarsi il limite, e gli bastò stringersi appena nel palmo per affogare definitivamente nel piacere liberando suoni osceni dalla bocca spalancata. 
  
Cas sentì Dean stringerglisi contro - pulsare quanto il cuore che aveva parlato per lui -  e gli bastò muoversi qualche altro istante per affondare nello stesso piacere, gli occhi serrati e i muscoli tesi. 
Tornò in sé dopo un secondo o un'eternità, non poteva esserne certo, e si ritrovò a respirare contro Dean, ancorato al suo corpo. 
Lasciò piccoli baci nei punti arrossati che aveva stretto fra i denti, come a chiedere perdono per quella perdita di controllo. 
  
Dean tremava ancora leggermente, il contatto tra i loro corpi ancora bruciante. 
Cas si sfilò con cautela e nessuno dei due si preoccupò più di tanto di pulirsi, erano in un motel dopo tutto. Mentre Cas continuava a baciargli la spalla e la nuca, Dean si appropriò delle sue braccia per decorarsi il corpo e farsi stringere contro il suo petto. 
«Il posto perfetto,» mormorò, cercando di aggiustare il respiro. 
In quel preciso momento lo stomaco di Dean gorgogliò rumorosamente, facendoli ridere entrambi. 
«Quindi... colazione?» chiese poi, piegando il collo per guardare gli occhi ancora lucidi di Cas, la risata che scemava dalle loro labbra. Baciò piano quelle di Cas, come a premiarlo per quella risata bassa che era così aliena su di lui, ma non per questo meno adorabile. 
  
Si trascinarono entrambi in bagno per una doccia veloce e poi fuori, dove il sole sembrava un po' più caldo e un po' più luminoso.  
Dalla stanza vicina - quella di Gabriel - uscirono allo stesso tempo due ragazze e un ragazzo, seguiti dal fratello di Cas con il suo sorriso furbo in viso. 
«Gabriel?» domandò Cas, perplesso, appena gli sconosciuti si furono allontanati. 
«Cosa? Non volevo stare a sentire voi che vi divertivate, così ho dato una piccola festa.»
Cas si limitò a scuotere la testa, ma il fratello gli diede una sonora pacca sulla spalla. 
«Ho un certo affarino di cui occuparmi, stamattina. E non preoccuparti per il lavoro di oggi pomeriggio. Diciamo che inizierai settimana prossima, anche se ho dovuto promettere la mia virtù per questa tua assenza,» concluse Gabriel, allontanandosi dopo un rapido saluto con due dita alla fronte. 
Cas avrebbe voluto chiedere quale virtù, ma si voltò verso Dean con un'espressione vagamente esasperata. 
  
Dean alzò le spalle mentre guardavano la schiena di Gabriel che si allontanava. 
Non si erano nemmeno mai presentati, ma immaginava che ogni cosa nella famiglia Novak seguisse logiche particolari. E forse era il suo Sammy interiore che lo predicava per le buone maniere, come sempre. 
Cas gli tirò la manica e si diressero verso il diner per la colazione. Dean ordinò pancake per due, sorridendo soddisfatto. 
Sarebbe stata un'altra giornata dura, ma almeno la mattina era partita davvero bene, e aveva intenzione di godersela fino all'ultimo. 
  
Cas si chiese come mai Dean non avesse parlato dell'accenno al lavoro fatto da Gabriel, così decise di affrontare il discorso, a metà della sua colazione, le gambe a sfiorarsi un po' sotto il tavolo. 
«Cosa vuoi fare, Dean?» domandò, serio, posando la forchetta al lato del piatto con calma calcolata. «Di noi, intendo,» chiarì. 
  
«Mh?» chiese, la bocca piena di delizioso pancake, alzando lo sguardo su un serissimo Castiel. «Oh. Beh, ho...» si pulì, la bocca col tovagliolo, «ho ricevuto un messaggio da Sammy, stanno tornando da Mary - mia, mh, mia mamma - e pensavo di tornarci. Con te, voglio dire. Se ti va.»
 
Cas ascoltò quelle parole un po' perplesso, per poi acconsentire con la stessa serietà di poco prima. 
«D'accordo, Dean,» disse. «In veste di... amico?» domandò, per essere certo di avere capito cosa Dean volesse dire alla sua famiglia su di loro. «Oppure intendi parlare di noi ai tuoi genitori?» domandò ancora, segnalando che qualsiasi eventualità gli sarebbe andata bene. 
Certo, la sua domanda era più ampia degli appuntamenti della mattinata, si riferiva a un futuro lontano, ma quello che Dean aveva intenzione di fare era importante - aver ritrovato sua madre lo era - e meritava tutta la sua attenzione. 
  
«Io...» Dean si accigliò. «Non mi interessa. Quello che pensano di questo,» sventolò il coltello tra loro, «non sono affari loro. Voglio che tu venga con me e non lo so se verrà fuori l'argomento, ma in caso succeda non lo terrò un segreto, se è questo che mi stai chiedendo.» Fece una pausa. «Qualsiasi sia la cosa che stiamo facendo, ho sentito tuo fratello che lavori al fienile la prossima settimana, e va benissimo, voglio dire...»
  
«In realtà...» 
Cas abbassò lo sguardo sulla sua colazione un istante, riordinando i pensieri, per poi rialzare gli occhi blu su Dean con più convinzione. 
«Il lavoro da Balthazar è finito, ormai. Gabriel mi ha trovato lavoro a un Gas-n-sip a Sioux Falls, Nora è una sua amica. Devo ancora trovare un appartamento o una stanza, però mi permetterebbe di vivere lontano da Naomi e di non essere troppo lontano da Anna e Gabriel. E poi... ho pensato che... in futuro mi avresti potuto trovare là, se mai fossi tornato.»
  
«Oh...»
Dean si era messo in bocca un'altra generosa fetta di pancake ma smise di masticare di botto. Cas l'aveva fatto davvero. Se n'era andato dal ranch, aveva trovato un lavoro, e aveva pensato in tutto quel tempo a rivedere lui. 
«Beh potremmo, ehm,» tossì piano nel palmo, ingoiò il boccone mal masticato rischiando di strozzarsi, bevendo un po' d'acqua per aiutarsi a mandarlo giù. «Potremmo sentire Bobby, vedere se ha qualche posto in zona.» 
Tenne gli occhi ben aperti fissi in quelli di Cas, in attesa, il cuore che rischiava di mancare qualche battito se gli avesse detto di no. 
  
«Mi sembra una buona idea. Gabriel mi aveva trovato anche una stanza, ma i coinquilini erano... preoccupanti e ho preferito dormire da Balthazar. Ma se Bobby ha qualche conoscenza sarebbe sciocco non sfruttarla,» soppesò Cas, riprendendo a mangiare lentamente. 
Per lui non c'erano alternative o scelte possibili. Se Dean avrebbe detto che era stato stupido, da parte sua, lui sarebbe comunque tornato a Sioux Falls e avrebbe comunque sperato di rivederlo, in futuro. 
Ma se il loro futuro era davvero insieme, Sioux Falls poteva essere il punto giusto in cui aspettare che fosse possibile avverarlo. 
  
«Da Balthazaar,» disse Dean, tetro. «Il tipo pervertito.»
Si sistemò meglio sulla sedia. «Hai... dormito... da Balthazaar?» 
  
Cas corrugò la fronte, perplesso. 
«Non avevo esattamente un “piano” quando mi sono svegliato in un letto vuoto a casa di uno sconosciuto senza la persona con cui avrei dovuto “pianificare” dove andare,» spiegò Cas, usando le virgolette mimate con le dita anche dove non era affatto necessario. «E non è successo nulla di quello che stai immaginando.» 
Sospirò. Non aveva importanza, era passato. E la gelosia di Dean lo fece sentire... amato. Per quanto stupido fosse quel pensiero. 
Per questo si aprì in un sorriso divertito dopo qualche secondo, sfiorando con la gamba quella di Dean, sotto il tavolo, per tranquillizzarlo. 
  
«Certo che no,» sbottò Dean, facendo collidere la schiena contro lo schienale. «Voglio dire, una volta che hai assaggiato questo, cosa ci può essere dopo?»
Gli fece l'occhiolino e ghignò, rispondendo al tocco sotto la gamba. Era stupido, probabilmente, ma chi se ne fregava. 
«Ehi,» aggiunse, dando un colpetto al piede di Cas. «Congratulazioni per il lavoro.»
Sorrise e si infilò altro cibo in bocca, affamato come sempre. 
  
Una volta che hai assaggiato questo, cosa ci può essere dopo?
«Stai scherzando, ma la tua considerazione non è niente meno che vera, Dean,» disse Cas, serio, scrutandolo mentre si riempiva la bocca come se non mangiasse da secoli. 
Se anche solo ripensava a un'ora prima, al corpo di Dean, al suo calore, ai suoi suoni, perdeva qualsiasi tipo di concentrazione. Si schiarì la voce, sistemandosi meglio sulla sedia, tornando all'argomento per non trascinare nuovamente Dean in stanza. 
«In ogni caso sarò a Sioux Falls per quando potrai... raggiungermi.» 
Lo disse con una punta di dubbio, anche se quella mattina soltanto avrebbe dovuto avere il potere di spazzare via ogni timore. 
  
«Okay,» disse con un cenno del capo. 
Non aveva idea di come sarebbero andate le cose con Mary. Con Sammy. Il pensiero del suo fratellino da solo con i loro genitori lo spronò a mangiare più velocemente, memore dei brevi messaggi che si erano scambiati, e poi c'era sempre tempo per pensare al dopo. 
Certo che se Cas avesse trovato un posto a Sioux Falls, così vicino a Bobby, non sarebbe stato per niente difficile andarlo a trovare... 
Dopo, Dean.
Spazzolarono la colazione e si alzarono mentre Dean lanciava delle banconote sul tavolino, finendo a camminare stretti sul marciapiede verso casa di Mary. Casa di Mary... faceva ancora strano pensare a sua madre a quel modo. 
Arrivarono dopo una buona ventina di minuti di cammino silenzioso, ognuno perso nelle proprie rimuginazioni, le spalle che si sfioravano per comunicare all'altro la propria presenza. 
Preoccupati, ma non soli. 
Dean salì gli scalini con lo stomaco chiuso per la tensione, la colazione abbondante che rischiava di tornargli su da un momento all'altro, e bussò alla porta. 
«Cristo,» borbottò, e con uno slancio improvviso abbracciò Cas, stringendolo forte sotto le dita, sicuro che il battito terrorizzato del proprio cuore sarebbe passato attraverso i vestiti. 
Mary aprì in quel momento, e Dean si staccò lentamente, assimilando il suo sguardo stranito e decidendo di ignorarlo. 
«Mary,» disse, solenne, «questo è Cas.»
«Salve,» aggiunse Cas, rigido, alzando appena il palmo. 
«Salve...» disse Mary, esitando sulla soglia per fare una veloce scansione completa di Cas, dalla testa ai piedi. «Entrate.»
John e Sammy erano già posizionati sul divano, papà con le spalle curve e Sam affossato come se dovesse essere ingoiato dai cuscini, e si tirò su dritto non appena lo vide. Anche John alzò la testa, e adesso c'erano un sacco di occhi su di lui. E Cas. 
«Questo è Cas,» ripeté, come se spiegasse tutto. 
«Cas vive in città?» chiese Mary, che nel frattempo aveva aggiunto una sedia in più al loro circolo, indicandola all'oggetto di quella discussione. 
«No, Cas non vive in città,» rispose Dean, piccato. «E non è per lui che siamo qui, no? Pensavo fossimo venuti per... a dire il vero non lo so, perché siamo venuti qui, papà?» Prese posto sul divano con slancio, mentre Cas lo imitava sedendosi sulla sedia di fronte a lui. 
Per la prima volta da che Dean avesse memoria, John non aveva una risposta. 
«Siamo qui per rimettere insieme la famiglia... vero?» intervenne Sam con la sua solita vocina. 
Mary sorrise. «Non so se questo è possibile, non così presto, comunque-»
«Cosa, non sei ancora pronta?» sibilò Dean. 
«No, non è questo. Forse voi non lo siete ancora. O forse sì, ma non si può decidere in un giorno.»
Lanciò un'occhiata eloquente verso John. Era lo sguardo di persone che avevano tredici anni di cose da dirsi, e Dean si sentì istantaneamente a disagio, come se stessero guardando qualcosa che non fosse per i loro occhi. John si alzò, una mano sulle guance rasate di fresco. «Possiamo parlare da soli un attimo?» 
Mary annuì con un gesto secco e lo seguì verso una delle porte che si affacciavano sul corridoio. E in un attimo, erano soli. Incredibile quante cose potessero cambiare in una manciata di giorni, e ancora più incredibile era quanto poco ci avevano messo i loro genitori a mollarli un'altra volta, solo che stavolta contemporaneamente. 
Si voltò verso Sammy per comunicargli una battuta risentita sull'argomento, trovandolo ad osservare Cas con fare curioso. 
  
L'atmosfera non era delle migliori, ma dopo tutto quel tempo passato con sua zia, Cas era abituato alle tensioni. Aveva scrutato i genitori di Dean, incuriosito, registrando come entrambi avessero regalato qualcosa a Dean perché fosse così bello: gli occhi, le labbra, la mascella squadrata. Purtroppo non si erano risparmiati le ferite sull'anima e quelle erano un'eredità decisamente più scomoda. 
Alla fine il suo sguardo era approdato su Sam, ricambiato con curiosità. Era strano dare finalmente una faccia a un nome che aveva sentito in continuazione dalle labbra di Dean. Sapeva tante cose su Sam, eppure lo stava conoscendo per la prima volta. Era decisamente più importante che conoscere John e Mary, di questo Cas era certo. Almeno per Dean. 
«Tu devi essere Sam. Dean mi ha parlato tanto di te,» disse, quindi, piegando la testa di lato, il tono serio. 
  
«Mh,» disse Sam, pensieroso. «Dean non mi ha parlato per niente di te, invece.»
«Sammy...»
«Cosa, è vero. Era con lui che passavi sempre il tempo? Pensavo fosse Benny.» 
«No! Cioè, sì... ho passato il tempo con Cas.»
«Mh,» disse di nuovo suo fratello. Dio, Sammy era davvero il quindicenne più irritante nella storia dei quindicenni. 
«Cosa?», ribatté Dean, innervosito per qualche motivo. 
«Niente.» Sammy alzò le spalle. «Lo trovo solo molto... peculiare, tutto qui.» Si girò nuovamente verso Cas. «Andate a scuola insieme?» chiese, proprio mentre Dean borbottava se “peculiare” fosse la sua parola del giorno e Sam lo ignorava. 
  
Cas aveva sentito Benny dire che sarebbe andato da Dean, qualche volta durante il lavoro, ma non credeva che avesse conosciuto Sam. Per un attimo fu geloso di quella possibilità, che a lui era stata data solo in quel momento teso. 
«No, non andiamo a scuola insieme,» rispose con calma, cercando di ignorare l'agitazione di Dean e il sospetto di Sam. «Ci siamo conosciuti per caso, quando si è... spaccato il labbro,» iniziò a raccontare, senza sapere bene fin dove spingersi. «Poi ci siamo incontrati di nuovo nel posto in cui andavo a leggere. Mi ha detto che anche a te piace leggere.»
  
Sammy aggrottò le sopracciglia ma annuì. «E mi piace scrivere, soprattutto. Gli hai spaccato tu il labbro?»
Forse qualcuno che non lo conosceva poteva confondere facilmente Sam per un ragazzino timido, deboluccio, uno su cui non soffermare neanche lo sguardo. In realtà, Sam aveva ricevuto lo stesso identico addestramento di Dean, roba di lotta e utilizzo delle armi, tutto l'armamentario di un cacciatore di taglie, e in quel momento ne aveva tutta l'aria, la mascella dura e lo sguardo di ghiaccio. 
Persino Dean rimase un attimo senza fiato. 
  
Cas continuò con il tono calmo e sicuro. 
«No,» rispose, «ma l'ho aiutato a risolvere quella situazione. Mio padre era uno scrittore.»
Sam sembrava deciso ad andare fino in fondo e Cas sospettava volesse trarre le sue conclusioni. Le due conversazioni parallele - l'interrogatorio da una parte e le vaghe informazioni con cui i due si stavano conoscendo dall'altra - venivano portate avanti sotto una certa tensione e Dean sembrava sempre più agitato. 
  
«Che situazione?» chiese Sammy senza perdere un colpo. «E che tipo di libri scriveva?»
Dean grugnì la propria frustrazione. 
«Mi state uccidendo,» borbottò. Anche se doveva ammettere di essere in parte fiero del proprio fratellino, in parte grato che si volesse prendere cura di lui a sua volta, e in parte orgoglioso di Cas. 
  
«Dei ragazzi lo avevano preso di mira in un vicolo,» rispose ancora Cas, asciutto, senza elaborare troppo perché non sapeva fino a che punto Sam sapesse degli svaghi di Dean a base di birra. «Mio padre scriveva romanzi sovrannaturali. Le avventure di due fratelli a caccia di mostri,» aggiunse, allungando il piede verso Dean per adagiare la sua scarpa a contatto con quella dell'altro, in una sottile rassicurazione. 
  
Lo sguardo di Sam si spostò finalmente su Dean, la fronte aggrottata. 
«Ehi, te l'avevo detto che mi avevano assalito in un vicolo, non guardarmi così. Mi hai anche aiutato a medicarmi la faccia e tutto.» 
«Il libro,» disse Sam, ignorandolo di nuovo. «Quello che hai portato a casa?» 
«Sì,» confermò, strusciando appena la punta contro la scarpa di Cas. «Perché?»
«L'ho letto-»
«Cosa?»
«-mentre dormivi. Non l'ho rovinato, promesso.»
Lanciò uno sguardo di scuse a Cas, tornando ad essere semplicemente Sammy, adorabile piccolo quindicenne. «Posso avere il resto? Non mi è piaciuto il finale.»
  
Non era un problema per Cas che Sam avesse letto il libro. Era quasi certo gli sarebbe piaciuto, visto quello che Dean aveva raccontato del fratello. Certo, il finale non piaceva mai a nessuno. 
«Non sei l'unico deluso dal finale. La prossima volta che...»
Cas ci pensò. Quando si sarebbero visti la prossima volta? Quanto tempo sarebbe dovuto stare senza Dean? Scacciò quel pensiero con forza, muovendo appena la scarpa contro quella di Dean. 
«Le mie cose sono da Bobby, per ora. Se non avrò trovato un posto in cui stare la prossima volta che ci vedremo, puoi passere da lui e prendere in prestito il secondo libro,» concluse. 
  
«Da Bobby?»
Stavolta le sopracciglia di Sam compirono un deciso arco verso l'alto. «L'hai portato da Bobby?» 
«Sam...»
Dean non ne poteva più. Aveva detto che non era un segreto, che non sarebbe stato un segreto, e adesso che c'era dentro... era tutto molto più difficile di quel che credeva, ma Sam era Sam e non c'era motivo di tergiversare oltre. 
«Sì, l'ho portato da Bobby, perché Cas aveva bisogno di un posto dove andare e sì, è importante per me. In quel... in quel senso.» 
Gesticolò in modo assurdo, incapace di fermare le mani. «Facciamo cose insieme e tutta quella roba lì. Usciamo insieme. Non lo so come dicono i ragazzini di questi tempi.»
Le sopracciglia di Sam non si decidevano a scendere. «È il tuo ragazzo?»
«Sì, Sam, è il mio fottuto ragazzo!» 
Nel migliore tempismo nella storia dell'universo, John e Mary scelsero di aprire la porta in quel momento. 
  
Cas aveva assistito allo scambio con il timore di aver detto qualcosa che Dean non voleva rivelare. Poi fra i due fratelli era iniziata quella discussione e Cas aveva spalancato gli occhi blu sempre di più. 
È il mio fottuto ragazzo.
Il cuore di Cas perse un battito e le orecchie gli si colorarono di rosso non appena Dean pronunciò la frase, accaldato. L'immediata comparsa di John e Mary gli fece scattare il piede all'indietro, allontanandolo da Dean. 
Non era il momento di sentirsi felice, non quando l'intera famiglia di Dean stava scoprendo cosa li legasse, ma... 
Ragazzo, si ripeté nella mente. 
  
Dean si voltò al rallentatore verso i propri genitori, incapace di immaginarsi cosa avrebbe potuto trovare sulle loro facce. Quello che non si aspettava per niente, però, era il nulla, un semplice sguardo fugace scambiato tra i due, che tornarono al proprio posto come se niente fosse successo. 
«Quindi,» disse Mary, riprendendo le fila, «vostro padre ed io abbiamo molte cose di cui parlare, e ci vorrà del tempo e nel frattempo... mi piacerebbe che restaste qui.» 
Il cuore di Dean diede uno strattone strano, e si portò una mano sul petto come per massaggiarlo da sopra la carne e i vestiti. 
«Qui?» chiese Sam. 
«Qui, in questa casa,» chiarì Mary. «L'ho comprata per voi.» 
Dean guardò suo padre. Non era più in grado di riconoscerlo, così silenzioso, così sottomesso, così perso in se stesso. 
«Ci hai comprato una casa?» continuò Sam, metà incredulo e metà ancora sotto shock. 
«Sì. So che non avete un posto vostro fisso, quindi...» 
«Resterai anche tu?» chiese Sam. 
Mary gli sorrise quasi come se fosse davvero sua madre. «No, tesoro. Ma questa casa è tutta per voi, niente affitto, niente-» 
«No.»
Tutti, Cas compreso, si voltarono a guardare Dean, che ricambiò gli sguardi, serissimo. «No,» aggiunse, semplicemente. 
  
Cas aggrottò le sopracciglia. Sapeva quanto Dean desiderasse una casa, un posto fisso. Ma desiderava anche una famiglia vera e quattro mura non gliel'avrebbero garantita. Avrebbe voluto stringerlo e rassicurarlo, avrebbe voluto portare lui e Sam lontano da quella che sarebbe stata l'ennesima delusione - qualcosa che lui stesso aveva sperimentato - ma restò impotente ad osservare il disastro che si stava compiendo davanti ai suoi occhi, estraneo alle dinamiche di quella famiglia. 
Si accorse di come la sua mano si era allungata verso Dean, istintiva, e la riportò sul proprio ginocchio. 
  
«No?» ripeté Mary, lentamente, come se lo vedesse per la prima volta. 
«No, certo che no! Non voglio questo... cosa diavolo è questo? Una scusa? Pietà? Pararsi il culo? Qualsiasi cosa sia, non lo voglio.»
«Dean,» cominciò John. «Non è...» si leccò le labbra, «è una casa.»
«Beh, non la voglio.» 
«Ma-» provò Sammy, ma Dean lo interruppe. 
«Ho detto di no, Sam. Ne ho abbastanza di passare da una parte all'altra del continente perché qualcun altro ha deciso così.»
«È proprio questo il punto,» disse Mary, secca. «Con una casa, non devi più andare da nessuna parte.» 
Questo lo dici tu.
"No, tu non hai capito il punto. Non voglio che..." 
Si fermò, troppe emozioni si erano sovrapposte e non sapeva nemmeno lui l'onda di quale stesse seguendo. «Non verrò a vivere qui, a Boulder nel fottuto Colorado. Dammi un numero di telefono, un contatto, e possiamo vederci nel weekend, vedere se si può riallacciare qualcosa. Questa è la mia proposta. Hai molte cose di cui parlare anche con noi, mamma.» 
Fece passare l'indice tra lui e Sam, che li guardava col suo visetto troppo pallido. 
Dopo un lungo momento Mary annuì e Dean rilasciò un sospiro che non sapeva di stare trattenendo. Sam aveva ancora quell'espressione spaurita, e si rese conto di aver preso una decisione unilaterale senza consultarlo. «Se vuoi restare, Sammy, va bene.» 
«No, io...» si affrettò a rispondere. «Io vengo con te.» 
Un sorriso orgoglioso gli sbocciò sulle labbra. Sarebbe andata bene anche diversamente, ma così era molto, molto meglio. 
Tutte le teste si spostarono in automatico verso John, che ironicamente aveva la stessa espressione di Sam, invecchiata di quarant'anni. Espressione che poi si trasformò, e gli irrigidì la mascella. «A quanto pare hai la tua risposta. Io sto con i miei ragazzi, facci sapere come possiamo ritrovarti, e partiremo da lì.» 
Il piede di Dean migrò di sua spontanea volontà verso quello di Cas. 
  
Cas tirò su un angolo della bocca, in un'espressione rassicurante verso Dean, mentre la scarpa dava un piccolo colpetto. Era una decisione importante, quella che aveva appena preso, ma sembrava convinto della sua posizione e Cas l'avrebbe appoggiato in ogni caso, qualsiasi situazione si fossero trovati ad affrontare in futuro.  
 
Mary consegnò loro un bigliettino con tutti i suoi numeri e Dean si sforzò di non sorridere - allora era proprio vero che John avesse imparato tutto da lei, persino i diversi cellulari per diversi contatti e diversi lavori - e la conversazione morì poco dopo. Non c'era rimasto altro da dire, per il momento.
Dean si alzò per primo, tallonato da Cas. Quando aprì il portone per uscire lanciò un'occhiata al salotto, oltre le spalle di John, beccando Sam stretto a Mary. Doveva essersi alzato e averla abbracciata di slancio, gli occhi strizzati, mentre Mary, passato il primo momento di sorpresa, appoggiò le mani sulle sue spalle con delicatezza. Dean distolse lo sguardo e uscì, avvicinandosi in automatico all'Impala.
Il sole brillava nel cielo, facendo scintillare l'impeccabile vernice nera.
Si accorse che qualcuno lo aveva avvicinato, ma non era Cas. Era John. Dean trovò Cas qualche passo più in là, non sapeva se stesse lasciando loro un po' di privacy di sua spontanea volontà o se John gli avesse fatto qualche cenno.
«Stai bene?» chiese John, e Dean lo guardò come se fosse spuntato un alieno al posto di suo padre. Non ricordava l'ultima volta che gli aveva chiesto una cosa del genere.
«Sì...?» rispose, stranito.
Se John si accorse del disagio non lo diede a vedere, perché continuò.
«Bene. E così... è il tuo ragazzo?» puntò un pollice verso Cas, e Dean si irrigidì.
«Sì.»
«Okay,» commentò semplicemente.
Dean si prese un attimo per battere le ciglia e assimilare, fallendo.
«Okay?» ripeté, allibito.
«Cosa vuoi che ti dica? Non dico che non è strano perché... è piuttosto fottutamente strano, ma okay. Sei sempre il mio ragazzo, e... sono fiero di te.»
«Cosa?» sbottò Dean. «Perché mi stai dicendo queste cose?»
Erano per caso lucidi, gli occhi di John?
«Sei stato bravo, là dentro. Io non sapevo come...» si passò l'ennesima volta la mano sulle guance. «Pensavo fosse morta, tutti questi anni. Pensavo che un caso fosse andato male, che avrei trovato il suo cadavere da qualche parte. Per questo non vi ho mai... non avrei saputo come...»
Dean richiuse la bocca. Ripensò a tutte le notti a vegliare Sam, sperando che la febbre che lo aveva colto passasse con un po' di ghiaccio e brodo di pollo che aveva rubato al drugstore, o a quelle in cui le maestre chiedevano colloqui a cui non andava nessuno, nemmeno Dean, spaventato che glielo portassero via. Ripensò a quanto fosse sempre spaventato e poi, crescendo, sempre più arrabbiato. Arrabbiato verso quel padre che non c'era mai per Sam e, alla fine, anche per quello che non c'era mai nemmeno per lui. Ai Natali passati a scambiarsi regali scadenti o rubati, alla collana che dondolava come sempre sul suo petto. E di tutto quell'odio non trovò più traccia, solo una strana amarezza.
«Hai fatto del tuo meglio, papà.»
Il viso di John sembrò collassare su stesso, ma Dean non fece in tempo a capire cosa volesse dire perché Sam corse fuori, diretto verso di lui con una certa velocità, atterrando tra le sue braccia e stringendolo in un abbraccio soffocante.
«Ehi,» disse Dean, sorridendo. «Tutto bene, amico?»
«Tutto bene,» sussurrò, e la stretta aumentò impercettibilmente. «Ti voglio bene.»
Dean deglutì. Tutte quelle emozioni rischiavano di farlo morire lì, nel mezzo di un parcheggio in Colorado. «Anche... anche io.»
Sam lasciò la presa e i Winchester si guardarono, chiusi in una specie di cerchio.
«E ora?» chiese Sam.
Dean lanciò uno sguardo a Cas, che li guardava dalle retrovie, silenzioso ma attento.
«Io vado a Sioux Falls.»
«Me lo aspettavo,» commentò John. Sorrise come se stesse pensando a qualcosa di molto vecchio e molto divertente. «Bobby. Ci manca solo lui. Allora, vieni con noi?»
«No, io...» si avvicinò a Cas. «Ho un altro passaggio.»
Cas sorrise. Dean sospettò che avrebbe continuato a guardarlo sorridendo anche mentre Dean seguiva l'Impala sfilare via lungo la strada. 


Salve! 
Ultimo vero e proprio capitolo, prima di un piccolo epilogo! Speriamo che la storia vi sia piaciuta fino a questo momento e vi ringraziamo per il sostegno qui o sui social!!
Come sempre, ogni riscontro è il benvenuto e ci fa contente!
Al prossimo (e ultimo) martedì!
serClizia & DonnieTZ

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


 


Epilogo
 
Cas si rigirò sul materasso. Il soppalco nel fienile era diventato decisamente più comodo, ora che quella era casa sua.
Casa.
Era un concetto strano, nonostante fossero passati mesi da quella decisione. Balthazar aveva ristrutturato la sua proprietà, ma aveva presto capito che non avrebbe mai funzionato vivere in campagna in mezzo al nulla. Non per lui, almeno. Aveva dato in affitto il posto a Gabriel per un prezzo irrinunciabile e così i due fratelli si erano trasferiti lì - nonostante Cas non sapesse da dove arrivassero tutti i suoi soldi e Gabe continuasse a scherzare sulla sua proficua "carriera nel porno". In cambio della proprietà del ranch di famiglia, Naomi aveva acconsentito a firmare le carte che affidavano Anna alle cure di Gabriel, così anche la sorella era andata ad abitare da loro qualche settimana dopo. Aveva ancora bisogno di essere seguita, ma sembrava stare meglio e prendeva le sue medicine con costanza. Il fatto che Alfie fosse stato lasciato a Cas era segno che Naomi non fosse del tutto cattiva; forse solo troppo avida oppure troppo rigida sulle sue posizioni per rendersi conto di fare del male.
Il rifugio nel fienile era di Cas, adesso, con un vero materasso, una piccola libreria in legno con i libri di Chuck, un tetto senza buchi sopra la testa, una marea di cuscini e le piccole luci bianche appese alle travi. Doveva comunque fare quasi un'ora di viaggio per andare a lavoro a Sioux Falls ogni giorno, ma racimolava abbastanza denaro da contribuire alle spese.
Ed era felice, per la prima volta dopo tanto tempo.
 
Dean sentì Cas muoversi e si spostò a sua volta, lasciandogli spazio di manovra ma tenendolo come sempre vicino, e gli grattò distrattamente uno stinco col piede.
A vedere fuori, sarebbe sembrato un altro dei loro pomeriggi di tanti mesi prima, solo due ragazzi a leggere pacificamente in un fienile.
Ma, guardando più attentamente, di differenze ce n'erano eccome e se Dean avesse potuto le avrebbe elencate una a una. Per prima cosa il posto, nuovo materasso, nuovi cuscini, nuove assi di legno, nuovi libri - e pure quelli vecchi, ma che Dean doveva ancora leggere. In secondo luogo, loro. Cas aveva svestito le vesti di prigioniero, assumendo un'aria da adulto che Dean invidiava in maniera quasi dolorosa. Si stava anche impegnando per prendere il diploma per chi non frequenta la scuola – oltre al lavoro – e Dean stava quasi pensando di mollare e fare lo stesso, ma l'idea di Sammy da solo per anni era l'unica cosa che glielo impediva. Non che Sam fosse infelice, tutt'altro, era contento come una Pasqua di avere finalmente una scuola in cui rimanere e non dover lasciare dopo una manciata di settimane, e un tetto sopra la testa da chiamare casa. Avevano addirittura delle camere separate, come se John avesse cercato un appartamento rendendosi finalmente conto che fossero cresciuti.
Aveva pure smesso di bere, o almeno, di bere compulsivamente. L'ultima volta che Dean l'aveva visto ubriacarsi era stato settimane prima, quando era tornato a casa con un labbro rotto dopo essere andato a trovare Bobby. Nessuno dei due aveva ancora intenzione di rivelare cosa diavolo fosse successo tra loro, ma Dean sapeva che prima o poi avrebbero risolto. E finite le superiori aveva ogni intenzione di lavorare al garage di Bobby, quindi se non l'avessero fatto per allora, ci avrebbe pensato lui.
Dean provò a spiare nel proprio futuro. Andare a lavorare ogni giorno a Sioux Falls, con Cas, non sarebbe stato per niente male. E chissà, magari avrebbero potuto pure prendersi un posto insieme, un giorno...
«Ehi, Cas,» disse, dandogli un calcio leggero sulla gamba, attendendo che gli concedesse la sua attenzione. E l'altro così fece, abbassando foglio e matita e rivolgendogli uno sguardo blu come il cielo di giugno. «Ti amo,» continuò.
Cas sorrise quel sorriso che riservava solo a lui. «Ti amo anch'io, Dean.»


 
Ed eccoci qui, alla fine di questo viaggio, di nuovo dove tutto è iniziato per questi due! 
Prima di tutto un GRAZIE enorme per averci seguite fino a qui, per aver letto e commentato (anche sui social) e per essere personcine preziose! ❤❤❤
Sappiate che al precedente capitolo era sfuggito l'ultimo paragrafetto, quindi se ve lo siete persi andate pure a rileggere e lo troverete lì! 
Altre informazioni di servizio riguardano una notizia quasi segreta che riveliamo qui perché ci avete già lette e potreste essere interessat*: nel 2018 uscirà un libro che abbiamo scritto a quattro mani proprio come questa fanfiction (e, proprio come questa fanfiction, riguarderà una coppia M/M). Se volete restare aggiornat*, potete sempre lasciare un like alle nostre pagine fb (che trovate in firma), dove sicuramente pubblicizzeremo l'avvenimento a dovere al momento opportuno!
GRAZIE ancora per tutto! 

serClizia & DonnieTZ

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