Teen Tyrans

di Jackthesmoker7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lotta nella caverna ***
Capitolo 2: *** Leccarsi le ferite ***
Capitolo 3: *** Crollo ***
Capitolo 4: *** La morte dell'innocenza ***
Capitolo 5: *** Thogal ***
Capitolo 6: *** Frammenti ***
Capitolo 7: *** Buio ***
Capitolo 8: *** Inferno ***
Capitolo 9: *** Terrore ***
Capitolo 10: *** Quiete ***
Capitolo 11: *** Intermezzo JLA ***
Capitolo 12: *** Furore ***
Capitolo 13: *** Dolore ***
Capitolo 14: *** Bestie ***
Capitolo 15: *** La curiosità... ***
Capitolo 16: *** ...uccide il gatto ***
Capitolo 17: *** Regalo ***
Capitolo 18: *** Intermezzo JLA 2 ***
Capitolo 19: *** Fango, pioggia e fuoco ***
Capitolo 20: *** Sorprese ***
Capitolo 21: *** Nel verde ***
Capitolo 22: *** Vicoli bui ***
Capitolo 23: *** Wrathchild ***
Capitolo 24: *** Oggi qualcuno morirà ***
Capitolo 25: *** Peccati del passato ***
Capitolo 26: *** Sangue e ossa ***
Capitolo 27: *** Sollievi e dispiaceri ***



Capitolo 1
*** Lotta nella caverna ***


Erano le sei del mattino a Jump City.
La Titans Tower era immersa nel silenzio, tranne che nella palestra.
Lì un ragazzo alto, coi capelli corvini e con gli occhi blu cielo coperti da un’onnipresente mascherina stava tempestando di colpi un sacco da boxe da oltre un’ora.
Faceva sempre così quando si svegliava a causa di un incubo.
Sperava che in questo modo il dolore sarebbe diminuito.
Una falsa speranza.
Continuò per altri tre quarti d’ora prima che si stancasse.
Quando finì di tormentare il sacco si diresse verso la doccia, forse almeno quella l’avrebbe aiutato.
Nel corridoio che separava il bagno dalla palestra trovò l’altro membro della squadra che non dormiva fino a tardi.
<< Ciao Corvina. >> salutò Robin.
<< Ciao Robin. >> rispose la maga.
<< Ti ho svegliata con le mie emozioni? >> chiese il leader, conscio del legame psichico che li univa, ottenuto quando l’aveva salvata dal padre demone.
<< Si, ma non preoccuparti. Tu piuttosto, mai pensato di chiedere aiuto per questi incubi? >>
Il ragazzo meraviglia esibì un sorrisetto triste prima di rispondere alla mezzodemone: << No, grazie. >>
Lo sguardo di Corvina era molto eloquente.
<< Passeranno da soli. >> la assicurò il ragazzo.
Dal tono di voce sembrava convinto di ciò che stava dicendo.
Sembrava.
<< Ci sono modi migliori per farsi del male. Piantarsi chiodi nel braccio, farsi calpestare da una mandria di tori, o pulire la camera di BB senza protezioni. >> rispose a sua volta la maga, ridacchiando.
<< Se ne sei convinta... >> Il ragazzo meraviglia chiuse il discorso ed entrò in bagno.
<< Se mi cercate sono sotto la doccia. >> disse mentre accendeva l’acqua.
La maga sorrise e tornò nella Main Ops room, dove prese un libro e cominciò a leggere.
Dopo qualche ora anche gli altri Titans si svegliarono.
Il primo fu Cyborg, che dopo aver fatto colazione corse a sistemare la loro auto, la sua “bambina”.
Poi toccò a Stella e a BB, che si svegliarono insieme.
<< Buongiorno amica Corvina. >> salutò Stella, solare come sempre, seguita da un BB ancora mezzo addormentato: << ’Giorno gente. >> Anche appena svegliato era fastidioso.
Corvina sollevò appena il naso dal suo libro per salutarli con il solito tono cupo: << Salve. >> e sprofondò di nuovo nel libro.
Stella si guardò in giro, probabilmente cercando Robin, ed infatti: << Amica Corvina hai visto Robin? >>
<< L’ultima volta che l’ho visto si stava facendo una doccia. >>
La tamaranhiana avvampò: un po’ per la risposta leggermente equivoca, un po’ perché immaginò il ragazzo che amava che si faceva la doccia.
<< O-ok, l’aspetterò. >> disse Stella, ancora un po' rossa in viso.
Neanche a volerlo Robin entrò nella stanza in quel preciso momento.
<< Chi aspetterai? >> domandò il ragazzo, che intanto si era vestito.
Appena lo vide l’aliena lo salutò saltandogli addosso ed abbracciandolo con forza: << Ciao Robin! >>
Passò un’istante prima che lei si accorgesse di ciò che aveva fatto e si staccò, provando un certo imbarazzo.
<< C-ciao anche a te Stella. >> la salutò il leader, a sua volta imbarazzato.
BB intanto si era avvicinato a Corvina: << Che leggi? >> chiese curioso il mutaforma.
<< È un libro di magia. Parla di come tagliare le corde vocali ad un rompiscatole semplicemente muovendo tre dita. >> rispose la maga, scontrosa come al solito.
La pigmentazione verde della pelle del burlone divenne di qualche sfumatura più chiara: << D-davvero? >> domandò spaventato.
<< Stavo scherzando. >> lo tranquillizzò Corvina con un sorrisino. << Quindi tu sai scherzare. >> la incalzò BB. Intanto Stella e Robin stavano ancora provando a formulare un discorso un minimo sensato cercando di superare l’imbarazzo.
Corvina stava aprendo la bocca per continuare a punzecchiare il ragazzo verde quando l’allarme suonò.
Robin fu il primo a raggiungere la consolle di controllo, e dopo una breve occhiata allo schermo urlò ciò che temeva: << ALLARME SLADO! >>
I ragazzi che erano già nella Main Ops room gli si avvicinarono mentre Cyborg stava entrando nella stanza, tutto coperto da olio per motori e grasso. << Che succede ?>> chiese il mezzo robot: << È scattato l’allarme speciale che ho installato nel caso Slado si muova! >> spiegò il ragazzo meraviglia tutto d’un fiato.
Lo schermo si accese. Mostrava le immagini di diversi luoghi della città, posti in cui Slado era già comparso, poi si scurì. Dall’ombra emersero la testa e le spalle di Slado, coperte dal solito costume.
Era uguale alle altre volte che lo avevano visto: alto, vestito come un paramilitare e con indosso la maschera.
La maschera che molto spesso compariva negli incubi dei ragazzi che stavano guardando quello schermo; un pezzo di ferro diviso in due metà: una arancione ed una nera; quella nera senza il foro per l’occhio.
<< Buongiorno. >> esordì il criminale.
<< Cosa vuoi? >> chiese Robin.
Ci fu breve risata da parte di Slado: << Sono contento che tu me lo chieda, mio ex apprendista. >>
<< Non sono mai stato il tuo apprendista! >> rispose il ragazzo furioso.
<< Comunque, vi ho contattato perché voglio farla finita, una volta per tutte. >> I Titans erano tutt’orecchie: << Vi mando le coordinate, ci vediamo lì. >>
Lo schermo divenne nero e comparvero nei numeri: longitudine e latitudine.
Robin guardò Cyborg chiedendogli: << Hai controllato? >>
Il mezzo robot premette qualche tasto della pulsantiera sul suo braccio prima di rispondere: << Sì, sono le coordinate di un luogo non lontano da qui, se usiamo la T-car la raggiungeremo in poco tempo. >>
<< Allora andiamo. >> e corsero fuori dalla Main Ops room.
Scesero in garage e salirono in auto, Robin in moto, e partirono verso il posto indicato da Slado.
Non ci volle molto, infatti dopo mezz’ora videro la montagna che Slado aveva indicato.
Arrivati ispezionarono ovunque: sotto ogni roccia, dietro ogni cespuglio, fra gli alberi, alla ricerca di qualsiasi cosa li avrebbe aiutati a trovare Slado.
<< Non ho trovato niente. >> disse Stella a rapporto.
<< Nulla. >> continuò Corvina.
<< Mi sembra un posto niente male, avremmo dovuto portare i cestini da picnic. >> scherzò BB, cercando di alleviare la tensione. Ovviamente venne ignorato.
<< Rilevi niente? >> chiese Robin a Cyborg.
<< No, niente. Forse... >>
BOOOOM!
L’esplosione proveniva dall’interno della montagna: si era aperta una grotta sul versante opposto di quello dove si trovavano.
Quando tutti i detriti si posero al suolo i ragazzi si avvicinarono.
Il primo a parlare fu BB: << Ehm... direi che abbiamo trovato l’entrata. >>
Cyborg puntò tutti i suoi strumenti verso la grotta, e, terminate le analisi, rivelò ciò che aveva scoperto al resto del gruppo: << Qualcuno ha scavato molti tunnel qua dentro, secondo i rilevatori di terra ne è rimasta ben poca. In caso di battaglia non colpite le pareti, in nessun modo, altrimenti ci cadrà addosso la montagna. >>
<< Ok. >> risposero i Titans in coro.
Entrati si trovarono ben presto davanti ad un bivio: << Cyborg: tu, Corvina e BB andrete a sinistra, mentre io e Stella a destra. >> ordinò Robin.
<< Va bene. >> e si divisero.
Mentre si inoltravano sempre di più nella montagna Robin sentiva crescere dentro di se un certo disagio. Stare da solo con Stella, poi, non aiutava. La amava da più tempo di quanto ricordasse, ma non era mai riuscito a rivelare i suoi sentimenti.
Si rimproverò da solo, non era il momento di pensare a queste cose, quindi rivolse i suoi pensieri verso Slado, e sentì montarsi la rabbia.
Dopo essere stata tanto tempo in silenzio Stella parlò, facendo sfumare la rabbia del ragazzo: << Robin, stavo pensando... appena finita questa storia, ti andrebbe di, ecco... di uscire insieme? >>
Robin avvampò, ed al diavolo la concentrazione: << C-cosa? >>
Stella sembrò dispiaciuta: << Non vuoi? >> chiese, facendo degli occhioni troppo teneri perché il leader potesse resisterle.
<< N-no, no... Cioè si, sì che voglio uscire con te. Dopo che questa storia sarà finita certo che usciremo insieme. >>
Stella era felicissima, a dimostrazione di ciò esibì un enorme sorriso.
<< P-prima però finiamo qui, ok? >>
<< Certo! >> rispose l’aliena, fantasticando già sull’appuntamento.
Ripresero a camminare e, dopo ciò che per loro sembrò un’eternità, si trovarono in un enorme caverna dal soffitto alto, sgombra tranne che per una figura lontana, proprio davanti a loro.
<< Ce ne avete messo di tempo. >> disse la figura.
<< Slado! >> ringhiò Robin, e si lanciò all’attacco.
Lui prontamente schivò l’attacco e colpì il ragazzo alla schiena, disarmandolo. Poi lo lanciò accanto a Stella.
<< Robin! >> gridò la ragazza, che piena di rabbia caricò il criminale.
Slado le lanciò qualcosa e lei sentì come bruciare, poi svenne.
L’aveva colpita con un dardo a forma di disco, che l’aveva fatta svenire.
Robin intanto si era rialzato in tempo per vedere Stella, la sua Stella, la ragazza che amava, cadere a terra esanime: << Stella! >>
Corse da lei, ma Slado fu più veloce. Gli lanciò addosso degli shuriken esplosivi che lo lanciarono contro la parete della caverna, su cui andò a sbattere per poi cadere a terra.
Sentiva dolore ovunque, ma riuscì ad alzare lo sguardo per vedere Slado che gli si avvicinava.
Il criminale gli sollevò la testa prendendolo per i capelli e quando parlò le parole erano piene di rancore: << Avresti potuto avere una vita grandiosa accanto a me.
Avremmo governato insieme la città, ma non tu non hai voluto.
Saremmo stati grandi insieme, però tu hai voluto continuare a fare l’eroe con i tuoi amichetti. Sappi che la colpa di tutto ciò che sta per accadere è tua, solo tua. >>
Lo lasciò andare e si avvicinò a Stella. Se la mise in spalla e si voltò verso il ragazzo, e ciò che disse lo spaventò a morte: << Anche tutto ciò che accadrà a lei sarà per colpa tua. >>
Robin ebbe appena il tempo di gridare: << NO! >> che Slado tirò fuori un telecomando e premette un pulsante. Subito sentì delle esplosioni provenire da sotto.
<< Alla prossima Robin. >> e si dileguò in un tunnel, portandosi dietro Stella.
<< N-no. >>
Tutto ciò che gli arrivava era attutito: le esplosioni, la caduta delle rocce, le urla.
<< Robin... >>
Non poteva essere vero.
<< Robin... >>
Stella.
Gli sembrò di sentire qualcuno che lo chiamava.
<< Robin... >>
Perche?
<< Robin... >>
Perché lei e non lui?
<< Robin... >>
Avrebbe dovuto proteggerla...
L’ultima cosa che vide fu un piede metallico su uno sfondo nero, poi svenne.
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La prima cosa che sentì fu un rumore come di elettricità.
Lentamente aprì gli occhi e mise a fuoco l’ambiente circostante. Si trovava in una stanza avvolta nella penombra, illuminata solo da una lampada appesa al soffitto, proprio sopra di lei.
Era legata ad un tavolo di ferro con degli strani bracciali. Provò a tirare con tutta la sua forza, senza successo.
Erano bracciali che inibivano la sua forza!
Slado aveva dei bracciali a prova di tamaranhiano! Dove se li era procurati?
<< Ti sei svegliata finalmente. >> disse una voce nel buio.
Avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.
Era la voce che tormentava il suo amato.
<< C-che vuoi Slado? >> chiese, sperando di non sembrare spaventava.
Slado si avvicinò e la ragazza sentì nella sua voce un che di spaventoso, più del solito:<< Oh Stella, ci divertiremo. >>
<< Robin mi troverà, mostro! >> urlò Stella, stavolta senza esitazione.
Slado intanto aveva preso uno strano aggeggio, una specie di trapano, e lo avvicinò alla faccia di Stella: << Lo spero proprio. >>




E così finisce il primo capitolo della mia storia, scusate se ci ho messo tanto.

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Capitolo 2
*** Leccarsi le ferite ***


Stava facendo un incubo.
Un altro.
Stavolta però non riguardava i suoi genitori.
Nei suoi incubi c’era Stella.
E Slado.
Che la rapiva.
Che le faceva del male.
E lui era lì, a guardare, senza fare niente.
Incubi. Come ogni notte.
Ma su Stella.
Si svegliò sentendo gli occhi pizzicare.
Erano lacrime.
Non piangeva da così tanto che non credeva che gli sarebbero scese di nuovo.
Per fortuna era solo un’incubo. Uno spaventoso incubo, ma pur sempre un incubo.
Stella era salva, al sicuro.
Poi realizzò che non si trovava in camera sua. Era in un’infermeria: le pareti bianche, le apparecchiature...
Strano, perché si trovava nell’infermeria della torre?
Sentì una porta aprirsi. Voltò la testa e vide due figure entrare nella stanza: una era alta e massiccia, con il corpo che rifletteva la luce, l’altra era più piccola e sottile, con la pelle verde.
<< Finalmente ti sei svegliato! >> esclamò contento Cyborg, seguito da BB: << Stai bene? >>
Non avevano una faccia troppo felice, anche se erano contenti che il loro capo si fosse svegliato.
Robin li salutò con un sorriso: << Certo che sto bene, perché non dovrei esserlo? >>
Robin notò subito la loro infelicità.
<< Ragazzi, che succede? Perché siete così giù? E perché sono in infermeria?>>
I ragazzi si incupirono ancora di più: << Non siamo riusciti a salvarla. >> disse BB.
Robin era confuso: << Di che state parlando? >>
BB lo guardò stupito: << Ma, non ti ricordi? >>
<< Cosa dovrei ricordarmi? >> chiese il ragazzo meraviglia, sempre più confuso.
BB stava per rispondergli, quando Cyborg lo interruppe: << Sai da quanto tempo sei qui? >>
<< Eh? No. Da ieri? >>
<< Sei qui da tre giorni... >>
<< C-cosa... >>
<< ... Slado ti ha colpito tremendamente forte. Hai delle costole rotte ed un polmone perforato. Se non ti avessimo medicato in tempo saresti morto. >>
<< COME TRE GIORNI?! >> esplose Robin cercando di alzarsi. Si fermò quando sentì un dolore tremendo al petto e delle corde che lo legavano, tenendolo bloccato sul lettino.
I due compagni gli furono subito accanto, cercando di tenerlo fermo mentre si dibatteva, il viso contorto in una smorfia di dolore: << Fermo! Sta fermo! >> ripetevano.
Piano piano si calmò e smise di agitarsi.
<< Non ti muovere, rischi di farti solo del male. >> lo ammonì Cyborg.
<< Cos’è successo in questi tre giorni? >> chiese Robin quando riuscì parlare di nuovo lucidamente.
<< L’abbiamo cercata in lungo e in largo, ma non l’abbiamo trovata. Neanche un indizio. >>
Un dubbio atroce si inoltrò nella mente di Robin, che con voce tremante chiese: << D-di chi state parlando? >> sperando di sbagliare.
Sperando che non fosse lei.
<< Non l’abbiamo trovata. Non abbiamo trovato Stella. >>
Il ragazzo ricoverato sentì il mondo intero cadergli addosso. Non poteva essere vero.
Non poteva!
Poi i ricordi lo assalirono violentemente; rivide Slado che la colpiva e lei che crollava a terra, Slado che lo scartavetrava contro la parete della caverna, che portava via Stella.
La sua Stella. La sua luce.
Sentì le lacrime scorre di nuovo.
Stella.
STELLA!
<< DOBBIAMO CERCARLA! >> gridò il leader cercando di alzarsi, tremante.
I suoi amici si precipitarono a bloccarlo di nuovo.
<< Scusaci Robin... >> disse Cyborg infelice: << ... ma non puoi uscire da qui finché non ti rimetterai, hai tre costole rotte e se esci non farai che peggiorare la tua situazione! >>
<< DEVO TROVARLA! DEVO SALVARLA! >> urlò lui disperato.
<< No! Uscirai solo quando sarai guarito! >> gli rispose Beast Boy.
<< Ma... >> il leader tentò di replicare ma BB lo fermò: << Non c’è ma che tenga, resterai qui finché non guarirai, dovessimo narcotizzarti. >>
Robin guardò i suoi compagni con uno sguardo disperato sotto la maschera: << Ma è Stella. >>
<< Lo sappiamo amico... >> lo rincuorò il mezzo robot: << ... ma non la salverai ridotto così. Lascia a noi la ricerca, la troveremo. >>
Robin a malincuore si arrese: << Avete ragione, resterò qui a guarire. Fate il possibile per trovarla, poi vi aiuterò quando starò meglio. >>
Dentro però era comunque distrutto, e il pensiero dei suoi amici che la cercavano non lo aiutò molto.
I due si guardarono ed una specie di sorriso attraversò i loro volti, poi slegarono il loro leader.
<< Bene, qui ci sono dei sonniferi... >> Cyborg gli porse un flacone ed un bicchiere d’acqua: << ... cerca di dormire. >>
Robin fissò i medicinali, sicuramente non sarebbe riuscito a dormire senza di essi.
Allungò la mano e li prese.
<< Grazie >>
BB e Cyborg lasciarono la stanza, lasciandosi dietro il loro leader con il flacone ed il bicchiere ancora in mano, con la mente che correva verso Stella.
Nel corridoio vennero raggiunti da Corvina: << Come sta? >>
<< Fuori sta bene, le ferite stanno guarendo, ma dentro è distrutto. >> le rispose Cyborg.
<< Posso parlargli? >>
<< Sì, ma potrebbe aver già preso i sonniferi che gli ho dato. Se non li ha presi allora non stressarlo troppo. >>
<< Ok, grazie. >>
Fece per entrare, ma BB la fermò: << Aspetta, prima devo parlarti. Amico, ci lasci soli? >>
Cyborg si stupì del comportamento dell’amico, ma acconsentì a lasciarli soli.
Il mutaforma prese parola: << Allora, come ti senti? >>
La ragazza fece una faccia stizzita: << Mi sento bene. >>
Il ragazzo non sembrò convinto: << Davvero? Cioè, mediti tutto il giorno. Va bene che Stella è scomparsa e stai usando i tuoi poteri per cercarla, ma dovresti riposare... >>
Corvina lo interruppe: << Riposerò quando Stella sarà salva, fino ad allora continuerò a cercarla. >> disse in uno scatto d’ira.
BB indietreggiò allarmato: << Ok, ok. Mi stavo solo preoccupando per te. >>
<< Beh, puoi anche smetterla. >> ed entrò in infermeria, lasciandosi dietro un ragazzo triste e sfibrato. Ormai in quella torre le persone senza ossessioni si contano sulle punte delle dota.
Intanto, in infermeria...
Corvina trovò Robin che teneva ancora un flacone di sonniferi in mano ed un bicchiere nell’altra. Non sapeva che fare, sapeva solo che voleva essere lì, accanto a lui.
Percepì ancora una volta le sue emozioni, erano un vortice di tristezza, rabbia e rimorso, ma con qualcosa di nuovo, di nero.
Odio.
Si avvicinò, cercando di aiutarlo: << Robin... Come stai? >> anche se era ovvio che stava malissimo.
Il leader sollevò appena lo sguardo e biascicò un: << Ciao Corvina >> le sue parole uscivano lente, cariche di una tristezza infinita: << Sto bene. >> disse.
Restarono in silenzio per un minuto buono, poi Robin cominciò a farle delle domande: << Cos’è successo dopo che ci siamo separati? >>
La ragazza ci mise un po' a capire di cosa stesse parlando, però quando ricordò che nella montagna si erano separati ad un bivio rispose: << C’erano delle bombe, decine di bombe nelle gallerie sotto la montagna. Abbiamo provato a chiamarti ma non c’era campo, quindi abbiamo provato a disinnescarne il più possibile, però quando eravamo a buon punto sulle bombe rimanenti si è attivato un timer, e siamo corsi via. Siamo arrivati da te un momento prima che la montagna ci crollasse addosso. Cyborg ti ha sollevato e siamo usciti, poi siamo corsi qui e ti abbiamo medicato.
<< Sei rimasto svenuto per qualche giorno, ma immagino che tu lo sappia. Cyborg e BB hanno cercato Stella dappertutto, fino a ieri avevamo una buona pista ma adesso siamo in un vicolo cieco.
Io l’ho cercata usando i miei poteri divinatori, ma niente.
Non ho trovato ne lei ne Slado.
Mi spiace. >>
Durante tutto il racconto Robin non si mosse, quasi fosse in trance. L’unica reazione la ebbe quando Corvina si scusò, finendo di parlare.
Lui si mise a fissarla intensamente da sotto la maschera, tenendole lo sguardo incollato addosso.
La maga cominciò a sudare freddo. Aveva paura, tanta paura. E la causa di quella paura era in quella stanza, sul lettino davanti a lei.
Sentiva che si era rotto qualcosa dentro di lui, in profondità. Qualcosa che tutti i traumi che aveva subito nella vita non avevano ancora attaccato.
Robin smise di fissarla, poi prese a parlare con tono freddo e duro: << Grazie >> disse: << Per favore lasciami solo, devo dormire. >>
<< O-ok, rimettiti. Ciao >> Corvina uscì, però era inquieta.
“Robin, che ti sta succedendo?”
In contemporanea nella stanza da dove era uscita, il ragazzo sul lettino stava per prendere i sonniferi, ma la sua mente non era lì con lui.
“Dove sei Stella?”
Non riusciva a smettere di pensare a lei. Si sentiva vuoto. Solo.
Gli venne in mente una notte di qualche mese fa.
Si erano scontrati con Megablok e lui era stato colpito in pieno da un enorme pugno di pietra. I suoi amici lo avevano trasportato alla torre per curarlo.
Si era svegliato nello stesso lettino in cui stava adesso, solo che quella volta accanto a lui c’era Stella. Gli era rimasta vicina tutta la notte.
Se la ricordava benissimo: la testa era appoggiata accanto alla sua gamba, i bellissimi capelli vermigli erano sparsi sul letto, la bocca socchiusa in una piccola e tenera smorfia.
Per un secondo pensò di essere in paradiso e che lei fosse un bellissimo angelo, il più bello del cielo.
Poi tornò con i piedi per terra, ma non smise di fissarla.
Non seppe mai quanto tempo passarono, ma lei cominciò ad agitarsi, a sussurrare: << N-no, Robin, no. >>
Un incubo.
La ragazza continuava ad agitarsi in preda a brutti sogni e Robin voleva aiutarla, così alzò una mano e la posò sulla testa di Stella in una goffa carezza.
Non sapeva che altro fare per lei ma per fortuna la ragazza sembrò calmarsi, e le si formò un piccolo sorriso.
Fu in quel momento che il ragazzo meraviglia, il leader dei Teen Titans, Richard Grayson alias Robin, si accorse di quanto amasse quella stupenda ragazza aliena piovuta dal cielo, e promise a se stesso che mai le sarebbe successo qualcosa di male, mai.
Ma adesso Stella non era accanto a lui, era stata rapita e lui non era riuscito ad impedirlo.
Maledisse la sua debolezza, avrebbe dovuto proteggerla ma non l’aveva fatto.
Non l’aveva fatto!
Qualsiasi cosa Slado le stesse facendo l’avrebbe pagata cara!
Ma non sarebbe servito a niente se non fosse stato al massimo della forma, questo lo sapeva bene.
Prese i sonniferi, conscio che altrimenti non sarebbe mai riuscito a dormire e, mentre quelli stavano facendo effetto, pensò a Stella, la sua Stella.
Ed a quanto l’amava.







Spero che il capitolo vi sia piaciuto, perché dopo questo punto le cose cambieranno.
Il prossimo capitolo sarà molto controverso ed alcuni di voi fans dei Titans, se non tutti, forse mi odieranno.
Ma la mia storia deve andare così.
È licenza d’autore 😈

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Capitolo 3
*** Crollo ***


Due settimane dopo.

Erano le tre del mattino, eppure Robin era ancora sveglio.
Stava davanti agli schermi, a indagare.
Non staccava gli occhi dallo schermo da sei ore, prima o poi gli sarebbero bruciati.
Non sentì nulla ma non parve sorpreso quando Corvina gli comparve accanto: << Robin, dovresti dormire. >>
La risposta da parte del ragazzo fu secca: << Riposerò dopo che Stella sarà salva. >>
<< Ma, Robin... >>
Lui si voltò a fissarla con sguardo duro: << Quando sarà salva. >> il tono non ammetteva repliche, e tornò a guardare gli schermi.
Corvina non poté far altro che fare girare i tacchi e tornare in camera sua.
Avevano passato due settimane d’inferno alla ricerca dell’aliena, nella speranza di ritrovarla.
Cyborg aveva cercato in rete ogni possibile indizio ed aveva controllato tutti i filmati delle telecamere di Jump City, BB aveva cercato per cielo, per terra e per mare una traccia che portasse a Stella, ma non avevano trovato niente.
Lei stessa ha spinto i suoi poteri divinatori al massimo, ma senza successo. Non sapeva come, ma Slado si era schermato anche dai suoi poteri.
Ma la persona che si era impegnata più di tutti nonché la più coinvolta era Robin. La prima settimana l’ha passata in infermeria, a guarire dalle ferite ricevute durante lo scontro precedente, imbottito di sonniferi. Dopo un po' ha cominciato a prendere anche degli antidepressivi. Avevano fatto di tutto per tirarlo su di morale, ma non è migliorato.
Da quando era guarito non aveva fatto che indagare per conto suo, ma non aveva ancora trovato niente.
Però c’era da dire che era diventato molto più violento.
In quei cinque giorni che era in piedi non era mai andato a dormire se non costretto e visitava bar malfamati, bische clandestine, in pratica ogni rifugio della feccia criminale alla ricerca di qualcuno che gli potesse dire dove trovare Stella. Ha interrogato persone su persone e ne ha mandate all’ospedale nove con numerose fratture e ferite più o meno gravi.
Quello messo meglio aveva un braccio spezzato in più punti ed un occhio in meno.
Ogni giorno il suo costume era macchiato di sangue altrui.
“Cristo Robin, perché ti torturi così?” pensò Corvina mentre tornava in camera sua, in sottofondo il rumore di tasti schiacciati.

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La Titans Tower era immersa nel silenzio, mentre una figura nera e arancione si arrampicava sulla parete esterna, fino a raggiungere il tetto. Salito cominciò ad armeggiare con la porta che conduce all’interno della torre.
Però non era solo.
<< SLADO! >> urlò Robin mentre calava la sua asta in testa al nemico.
Il criminale era accasciato a terra, sembrava morto.
Il ragazzo lo prese e lo girò; i loro visi erano vicinissimi: << Dov’è Stella? >> chiese con una voce che trasudava furore, i denti stretti.
Ricevette però in risposta un rumore di radio fuori sintonia, un robot. Robin non lo lanciò giù dalla torre solo perché la maschera cadde rivelando uno schermo, su cui comparvero dei numeri.
Forse altre coordinate.
Il leader sentì la rabbia rientrargli dentro, nel profondo, mentre apriva la porta e si tirava dietro il robot, trattandolo come si tratterebbe un sacco dell’immondizia.
Lo buttò sopra il tavolo della cucina ed attivò l’allarme intrusione.
Subito i tre ragazzi suoi compagni uscirono dalle stanze con ancora addosso il pigiama: << Che succede, che succede? >> chiese BB.
Corvina gli rispose: << È l’allarme intrusione. Aspetta, quello è... >> ed indicò il robot sul tavolo.
<< È un visitatore inatteso. Cyborg, qui ci sono dei numeri, decodifica. >> ordinò Robin con voce tanto fredda da sembrare robotica, mentre spegneva l’allarme.
Il ragazzone rimase spaesato un secondo, poi si riassestò: << Va bene, dammi solo un secondo che... >>
Robin gli si avvicinò: << Ora! >>
Cyborg impallidì e si mise subito al lavoro: << Certo Robin >> disse, leggermente impaurito.
Corvina sentì provenire dal leader una profonda rabbia ed un enorme voglia di vendetta, da lui covata da ben due settimane, pronte ad esplodere: << Robin, cosa succederà se Stella... >> provò a parlare, venendo però zittita dal ragazzo meraviglia: << Non dirlo! Non provare a dirlo! >>
Il ragazzo stava raggiungendo il limite di sopportazione, non dormiva da giorni, mangiava poco ed era emotivamente distrutto, come facesse a non crollare a terra piangendo lei non lo sapeva.
Però era sicura che il troppo stress lo avrebbe ridotto male.
Intanto BB era dietro di loro e stava dormendo in piedi, venendo notato da Robin: << Sveglialo. Deve aiutarci. >> le ordinò mentre Cyborg stava decifrando i numeri.
Un minuto dopo BB era sveglio e Cyborg aveva finito: << È come l’ultima volta, sono coordinate. Slado ci ha dato un altro appuntamento. Stavolta al porto. >>
Robin si rivolse verso i compagni, quasi con lucidità: << Preparatevi, partiamo fra cinque minuti. >> e Robin si fiondò sulle scale, da solo.
Cinque minuti dopo erano tutti giù al garage, vestiti e pronti per lo scontro. Cyborg aveva persino installato un nuovo cannone, dato che con Slado non si poteva mai sapere.
Il leader prese la moto mentre gli altri salirono sulla T-car, e partirono per il luogo dell’appuntamento.

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Il magazzino numero 9 si trovava davanti a lui, le porte arrugginite che minacciavano di cadere.
Stella si trovava lì dentro, e lui l’avrebbe trovata.
Costi quel che costi.
Dietro i suoi compagni erano pieni d’ansia: Stella stava bene? L’avrebbero salvata?
<< O-ok, entriamo? >> chiese BB, ottenendo come risposta uno sguardo nervoso da Cyborg, ugualmente teso.
<< Entriamo >> e Robin lanciò un birdarang addosso alla parete, che esplose con fragore. Poi come se nulla fosse il ragazzo entrò nel magazzino.
I ragazzi rimasti fuori si scambiarono uno sguardo nervoso, ed entrarono.
Trovarono immediatamente quel che cercavano: l’entrata di un tunnel, un lungo tunnel illuminato da lampade al neon che si dirigeva sottoterra, sotto il mare, verso il nascondiglio di Slado.
Camminarono per ore, scendendo ed allontanandosi dall’entrata sempre di più.
L’aria era molto tesa, persino BB era restio a fare battute.
Robin invece aveva l’aria di chi non si sarebbe fermato nemmeno se lo avesse ostacolato il diavolo in persona.
Finalmente videro quella che sembrava un’uscita, un’enorme porta blindata che interrompeva la galleria.
<< E questa? Come facciamo ad attraversarla? >> urlò BB, spazientito. Ma gli bastò vedere che Cyborg si stava preparando a colpire con il suo cannone a ridargli speranza.
<< State a guardare >>
Fece partire un raggio.
KABOOM!
La porta blindata del nascondiglio esplose, mostrando l’uscita.
Robin commentò il tutto con: << Ottimo lavoro. Entriamo. >> incamminandosi senza aspettarli.
Il nascondiglio era una sorta di meccanismo gigante, come la prima volta che si incontrarono.
Gli ingranaggi si intersecavano tra di loro, tra lo sbuffo di pistoni di diversa grandezza e il rumore del vapore che usciva dalle tubature.
<< A Slado piace davvero questo tipo di arredamento. >> cercò di ironizzare BB, senza successo
Erano tutti nervosi, solo il ragazzo meraviglia aveva un aspetto diverso, lui sembrava incazzato nero.
Se Corvina avesse voluto leggere nella sua mente avrebbe trovato solo due pensieri: “Stella” e “Slado”.
Era in bilico sul baratro della follia.
<< Finalmente siete arrivati >> disse una figura nascosta fra gli ingranaggi.
Slado.
<< Robin, mi deludi. Non credevo che ci avresti impie... >>
Non riuscì a finire la frase perché il ragazzo lo colpì con il suo bastone, o almeno cercò di colpirlo.
Il criminale schivava ogni suo colpo.
<< DOV'È STELLA? >> gridò.
<< Intanto preoccupati di te stesso, poi parleremo di lei! >> ribatté il criminale, sfoderando anche lui il bastone telescopico.
In un attimo tutti i Titans rimanenti gli erano addosso; lui però non non aveva problemi a combatterli tutti.
Senza Stella era più difficile da combattere.
Continuava a schivare bastonate, laser, sfere energetiche, artigliate e colpi vari come se nulla fosse
<< Stavolta non potrete sconfiggermi attaccandomi tutti insieme! >> esclamò Slado colpendo BB trasformato in gorilla sulla nuca e facendolo svenire.
Poi toccò a Cyborg, che venne colpito in mezzo agli occhi e per poco non gli si aprì in due il cranio robotico.
Corvina per la prima volta si sentì pervadere dal terrore, i suoi amici erano stati annientati con facilità irrisoria, ed adesso sembrava che toccasse a lei.
Slado la caricò, e dopo l’impatto violentissimo si beccò una scarica di pugni fra stomaco e gola per poi finire sbattuta a terra con forza, svenendo.
Una scia di sangue le scendeva dalle labbra.
Non aveva avuto nemmeno il tempo per gridare.
Durante tutto il combattimento Robin aveva cercato di colpite Slado, ma non era riuscito. I suoi colpi non lo avevano raggiunto!
L’avversario sembrava piegarsi tanto fluidamente si muoveva.
<< Siamo rimasti solo noi Robin. Che ne dici di mettere giù il bastone? Devo farti vedere qualcosa di importante >>
Gli occhi del ragazzo erano iniettati di sangue, stava per crollare; prima lei, ora gli altri.
<< RIDAMMELA! >>
La rabbia si mischiava alla disperazione.
<< Riguarda proprio lei! >>
<< CHE LE HAI FATTO! >> Robin gli si scagliò contro, pronto sferrare un colpo mortale, ma venne fermato.
Non da Slado, da qualcun altro.
Subito si voltò per identificare il suo nuovo nemico.
La vide.
<< Non toccare il mio amore! >>
Ed il mondo crollò.









Scusate il ritardo, ma non ho avuto molto tempo per scrivere.
Credo che ora abbiate capito il perché temevo che i fans si sarebbero arrabbiati con me.
Va be’, spero che il capitolo vi sia piaciuto.

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Capitolo 4
*** La morte dell'innocenza ***


Lo avevano distrutto.
Quelle poche, semplici parole per lui erano state devastanti.
Uno squarcio nel petto avrebbe fatto meno male.
Ma non riuscì a distogliere lo sguardo, non riuscì a smettere di guardarla, nemmeno quando lei lo lanciò contro un pistone di acciaio.
La guardava con un'aria insieme felice, sorpresa e implorante: felice perché era ancora viva, sorpresa perché sembrava stesse bene, implorante perché non poteva credere a quello che aveva sentito, né a quello che aveva visto.
Adesso vestiva con una specie di uniforme da militare rosso sangue con una S sul petto, stivali e guanti neri, orecchini a forma di S ed un cerchietto nero.
Poi però notò che in realtà anche l’abito era nero. Il rosso era quello delle macchie di sangue che lo imbrattavano.
<< Mio amore... >> disse lei mentre tirava su Slado.
<< Tesoro, come sta il nostro ospite? >> le chiese lui.
La bocca di Stella si deformò in un ghigno sadico: << Oh, è ancora vivo. Ma è pronto per un’altra ripassata. >>
Al ragazzo meraviglia sembrava di vivere un incubo, anzi non un incubo. Qualcosa di peggio di un incubo.
<< Ottimo cara. Intanto che si riprende per favore potresti portare i nostri ospiti nelle loro celle? >>
“N-non è vero”
Il sorriso sul volto dell’aliena si allargò: << Altra carne da macello mandata dal nostro nemico? >> finì la frase gettando uno sguardo di puro odio a Robin, che giaceva ancora a terra shockato.
“NON PUÒ ESSERE VERO!”
Gli occhi di Slado luccicarono: << No, guardali bene. Li riconosci? >>
Stella si guardò intorno, posando lo sguardo sui ragazzi svenuti.
Un espressione di orrore sostituì il ghigno: << N-no ragazzi! State bene? >> stava per gettarsi su Cyborg per vedere era vivo, ma venne fermata dal criminale.
Al contatto con lui sembrò calmarsi un pochino: << Calmati tesoro, ma ricordati che questi non sono i tuoi amici. Sono delle versioni corrotte, trasformate e devastate dei tuoi amici.
Sono simili a loro, ma non lo sono.
Ma ancora per poco. >>
Se prima la tamaranhiana sembrava sconvolta, adesso sembrava una ragazzina che stava per ricevere un bellissimo regalo dal padre, o in questo caso dal suo grande amore: << Hai finito la macchina ripristina-mente! >> disse entusiasta.
Slado le accarezzò i capelli: << Certo amore. Ovviamente ci vorrà un po' perché abbia effetto, però farà effetto. Riavremo i nostri amici. >>
Stella saltava su e giù dalla gioia: << Evviva! Che gioia! È tutto grazie a te. >> e finì la frase con un bacetto sulla maschera.
Robin aveva visto tutto e dentro di sé erano passate a gran velocità diverse emozioni: prima la rabbia, poi la disperazione, la tristezza e infine la sorpresa.
Ma ciò che vedeva adesso gli fece provare un odio ed un furore mai sentiti prima.
Saltò in piedi e si lanciò contro Slado, incurante del fatto che i suoi compagni erano svenuti e che Slado non era solo, pensando solo a come l’avrebbe ucciso.
Tale era la rabbia che non riusciva nemmeno a parlare, dalla bocca usciva schiuma invece che parole.
Ma l’attacco non andò a segno. Stella lo aveva intercettato.
<< Stella... >> fu l’unica parola che disse mentre lei lo stava tenendo sospeso per il collo.
L’odio diell tamaranhiana nei suoi confronti riaffiorò subito, facendogli scemare l’odio e la rabbia.
Al loro posto vennero la paura, la disperazione e ciò che rimaneva dell’amore che provava nei suoi confronti: << Tu, cosa credi di fare? Non osare toccarlo. >>
Lo lanciò di nuovo contro la parete, dove sbatté con forza.
L’aliena lo prese per il collo con una mano mentre con l’altra caricava uno dei suoi colpi stella e gli urlò contro, con odio: << Come osi, dopo tutto quello che ci hai fatto, venire qui.
Meriti di morire per le tue azioni.
Meriti di morire per quello che hai fatto all’uomo che amo. >>
Gli disse tutto questo guardandolo negli occhi, e lui vide l’intensità del suo odio.
Era lo stesso sguardo di quando poco più di due settimane prima guardava Slado, ma più intenso, più profondo.
Più malvagio.
Avrebbe venduto l’anima al diavolo perché lei lo guardasse con i bellissimi occhioni verdi di sempre.
Gli occhi della bellissima e stupenda ragazza che conosceva.
Gli occhi che amava.
Ma non era possibile.
Quello sguardo spezzò definitivamente il ragazzo.
Dopo tutto ciò che aveva passato e dopo tutta la disperazione che aveva provato, il suo cuore si ruppe in milioni di minuscoli pezzi.
Ed ogni pezzo andò a conficcarsi nella sua anima, facendogli provare un dolore mai provato prima.
Al posto del cuore cominciò a crescere un blocco di ghiaccio.
Stella, la sua Stella, la ragazza solare ed energica che conosceva e amava non c'era più.
Slado l'aveva corrotta, rovinata, aveva ucciso una parte di lei.
Non avrebbe più potuto vedere il suo sorriso, il suo bellissimo sorriso, adesso sostituito da un ghigno grottesco.
Sentì le lacrime scorrergli sotto la maschera.
Si sentì morire.
Il colpo però non arrivò.
“Perché? Perché tenermi ancora in vita, sapendo che mi odia con tutta sé stessa?” chiese, ed alzò lo sguardo.
Slado le stava trattenendo il braccio.
<< No! >> ordinò lui: << Ci serve vivo. Ho un progetto per lui. >>
Lei si divincolò e si voltò a guardarlo con uno sguardo furente: << Perché? Sai cosa ci ha fatto, come mai vuoi tenerlo in vita? >>
La voce arrivò gelida: << Perché lo farò soffrire. Patirà quello che ho patito io.
Alla fine si pentirà di essere nato. >>
Sulla faccia della ex-Titans comparve ancora una volta quello spaventoso ghigno e lo abbracciò.
Lo spettacolo era orrendo, lei coperta di sangue e con un sorriso sadico e lui spaventoso come sempre, ma anche tenero, in qualche modo: << Questo sì che è l’uomo che ho sempre amato. >>
“ L’uomo che ha sempre amato.
Non mi ha mai amato, ha sempre amato lui.”
<< E adesso che facciamo? >> chiese lei, rivolgendo a Robin uno sguardo di disgusto misto a odio.
Anche se non aveva sentito quelle tremende parole,  sentì lo stesso un dolore spaventoso.
<< Adesso io e lui ci faremo una lunga chiacchierata... >> Stella stava per replicare, ma Slado non glielo permise: << Non preoccuparti, andrà tutto bene. Tu intanto porta i nostri amici nelle celle speciali.
Di loro ce ne occuperemo dopo. >>
<< Ottimo. >> disse l’aliena, con quel sorriso che prima d’ora aveva riservato solo al suo leader.
Ma che adesso non gli avrebbe mai più rivolto.
Mai più.
Stella si mise in spalla BB e Corvina e prese Cyborg in braccio, poi si diresse verso un lungo corridoio dal lato opposto rispetto a quello da cui erano entrati i Titans, sparendo.
Nel covo erano rimasti solo Robin e Slado e, quando l’eco dei passi della ragazza sparirono, il secondo si rivolse al primo.
<< Ti vedo sorpreso Robin. Che c'è, non sei contento di rivedere la tua amichetta? >>
<< Che le hai fatto bastardo? >> cercò di urlargli, ma a causa dello shock subito uscì poco più di un sussurro.
Slado lo prese per il mantello e lo trascinò di peso per il nascondiglio, diretto verso una stanza piuttosto lontana.
<< Di questo potremo parlare con calma, ma prima devo prendere delle precauzioni. >>
Durante il tragitto la mente di Robin non poté far altro che pensare a Stella, a tutti i bei ricordi passati insieme, e a tutti i sogni che ha fatto su di lei.
Ormai non aveva che questo su di lei, ricordi e sogni.
Arrivati la stanza si rilevò piuttosto angusta, arredata in modo spartano: c’erano solamente due sedie, appoggiate contro pareti opposte. Una era rinforzata in ferro e fissata al terreno.
Ovviamente era quella riservata a Robin.
<< Siediti >> ordinò Slado con tono severo, lanciandolo sulla sedia.
Il ragazzo meraviglia era ancora perso nei luoghi recessi della sua mente e non si accorse di quando Slado tirò fuori dalla cintura delle manette e gliele strinse ai polsi, né di ciò che disse dopo: << Spero non ti dispiaccia, ma so che hai preso il vizio di perdere facilmente la pazienza. >>
Sistemato il ragazzo, Slado si sedette sull’altra sedia.
Rimase a fissarlo a lungo e, quando sembrò essere tornato nel mondo dei vivi: << Adesso possiamo parlare. >>






Ed è finito il quarto capitolo.
La storia andrà avanti per ancora un bel po' di capitoli, spero che siate contenti.
Ora, se qualcuno volesse inviarmi un ritratto di questa nuova Stella mi farebbe un enorme favore, ma fate voi.
E sono proprio contento che questa storia venga letta da così tante persone, davvero!
Alla prossima.

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Capitolo 5
*** Thogal ***


Salve.
Scusatemi per l’enorme ritardo, ma finalmente ho finito questo capitolo.
È la fine della prima parte della mia storia, devo ancora buttare giù la seconda parte ma prima o poi ci arriverò.
Dopo questa storia ne ho in mente delle altre, non necessariamente sui Titans, e spero che leggiate anche quelle.
Vi lascio alla storia.




Il silenzio era assoluto.
Slado stava fissando Robin da minuti che sembravano ore, mentre il ragazzo stava ancora cercando di rimettersi insieme, di non collassare.
La voce del criminale risuonò come un tuono: << Come stai Robin? >>
Il leader dei Titans non gli rispose: << Perché non mi parli? Normalmente mi avresti urlato contro con odio dicendomi che sono un bastardo figlio di puttana o cose così, ma perché non mi dici niente? >>
Il ragazzo non parlava ancora.
Slado sospirò: << Va bene, ho capito. È colpa mia. Non avrei dovuto rapire lei. Ma come potevo pensare che la cosa ti avrebbe ridotto così male? Pensavo che... >>
Si interruppe quando sentì un sussurro provenire dal suo prigioniero: << Che le hai fatto? >>
<< Cosa? >>
Robin scattò con furia inaudita: << CHE LE HAI FATTO MOSTRO? >>
Non avrebbe dovuto stupirsi che il ragazzo reagisse così, dopotutto gli aveva reso la vita un inferno, ma lo stesso non poteva credere che fosse diventato così aggressivo.
<< L’ho resa mia. >> rispose Slado, dopo un lungo silezio.
<< C-cosa? >>
<< Le ho cancellato dei pezzi fondamentali di memoria e li ho sostituiti con alcuni creati da me appositamente, poi l’ho sottoposta a qualche seduta ipnotica, e dopo è diventata completamente devota a me. >>
<< N-no >>
<< Sì invece, ora lei è mia. Ora mi ama, come è giusto che sia.  >>
<< N-no, non è vero >> Robin stava ormai piangendo dalla disperazione.
La sua psiche ormai in pezzi aveva subito un altro terribile colpo, cancellandogli la speranza di rivedere la sua Stella. La sua luce nell’oscurità che lo stava condannando.
Slado rimase a fissarlo a lungo, chiedendosi se avesse capito che aveva portato la ragazzo dalla sua parte solo per poter avere anche lui: << Anche tu avresti potuto diventare mio socio, non come lei, ma come un apprendista, no di più, come un figlio.
Saresti potuto diventare mio figlio. >>
Il Robin di qualche mese prima gli avrebbe urlato contro, dicendogli che non sarebbe mai diventato suo assistente, che poteva andare al diavolo, ma quello di adesso no.
Non si poteva nemmeno paragonare a quel Robin.
Se la mente di quel ragazzo prima era una biblioteca organizzata con i libri classificati per numero e per colore, adesso era un caos totale con gli scaffali rotti e i libri bruciati.
Questo Robin poteva solo piangere.
Slado continuò: << Ma guardati, è bastato così poco per trasformarti nella ameba che sei adesso.
Mi hai deluso.
Ma hai ancora un paio di possibilità, anche se speravo di non dover ricorrere a tanto. >>
Si alzò, dirigendosi verso la porta: << Aspetta qui, non ti muovere >> gli ordinò, ma non è che potesse andare molto lontano nelle sue condizioni.
Le luci si spensero.
Il ragazzo meraviglia non si chiese nemmeno cosa stava per succedere, tanto era a pezzi.
Le lacrime non avevano ancora smesso di uscire.
Potevano essere passati minuti, ore, giorni o anni interi per quanto gli riguardava, quando la porta si riaprì ed un’esile figura entrò nella stanza.
La riconobbe dalla voce, alle sue orecchie estremamente dolce e melodiosa, ma anche spaventata: << Robin? >>
Una voce che avrebbe riconosciuto in mezzo a un temporale.
Subito smise di piangere e si voltò verso la vocina: << Stella? >>
La sua voce traspirava disperazione.
Sentì che una fonte di calore gli si avvicinava, fino a sentirla accanto: << Robin, che ti è successo? >> chiese, sempre più spaventata.
<< Stella, ma... Ti ho vista... >>
Lei si avvicinò di più: << Oh, Robin. Mi ha fatto fare delle cose... È stato orribile.
Ma sono qui ora.
Ti prego aiutami. >>
Se fosse stato qualcun altro a chiederglielo, Robin non avrebbe reagito come avrebbe fatto con Stella. Subito spezzò le manette con un colpo secco e si alzò dalla sedia, barcollando.
Cadde subito, ma riuscì a rialzarsi: << Vieni >> disse, << Andiamocene da qui. >>
Stella lo prese per mano ed insieme si diressero verso l’uscita. Il ragazzo benedisse quel contatto con la mano dell’amata, ed era così contento che non si chiese come mai la ragazza si stava comportando così se la sua mente aveva subito i cambiamenti di cui gli aveva parlato Slado.
Tutto ciò che gli importava era che Stella era tornata da lui.
Stella.
La sua Stella.
Era tornata.
Non era vero che amava Slado, era una bugia, un’invenzione.
Era un semplice incubo, che finalmente stava per finire.
E lui gliel’avrebbe detto.
Le avrebbe detto che la amava.
<< Stella aspetta. >>
La ragazza si fermò: << Robin, che c’è? Dobbiamo fuggire da qui. >>
Non gli sembrò strano che non stavano andando verso l’uscita, né che c’era uno strano odore nell’aria, e neanche che lo stava conducendo in una stanza buia nel profondo della base di Slado.
Non notò nemmeno che Stella aveva ancora addosso i simboli di Slado, simboli che dovrebbe odiare a morte: << Stella, devo dirti una cosa che mi sono tenuto dentro troppo a lungo. >>
Finalmente, stava per farlo: << Stella, io ti amo. >>
L’aveva detto.
Subito sentì un peso enorme liberarsi dallo stomaco ed il cuore farsi più leggero, che bella sensazione.
Ma non poteva durare.
<< Era ora che glielo dicessi. >> disse una voce dall’oscurità.
Slado.
Robin si voltò verso il vecchio nemico, ricordando in un istante tutta la sofferenza che gli aveva provocato: << Tu... non avvicinarti. >>
<< Stai cominciando a reagire. È un bene sai?
Avevo quasi perso le speranze con te. >> il criminale cominciò ad avvicinarsi al ragazzo.
<< NON L’AVRAI! >> gli urlò contro.
<< Chi? La dolce Stella? Te l’ho detto, lei è mia. >>
Robin si girò a guardare la stupenda ragazza che amava, ma ciò che vide fu il suo volto trasfigurato in una spaventosa espressione malvagia.
Nello stesso sorriso grottesco di quando lo aveva visto a terra, distrutto.
Sconfitto.
Avevano fatto una cosa tremenda: gli avevano dato la speranza che fosse tutta una recita, come aveva dovuto fare lui in passato, e che lei non fosse mai diventata davvero la sua allieva, la sua apprendista, la sua amante, e gliel’avevano strappata dalle mani con atroce violenza.
Ricominciò a piangere disperatamente.
L’aveva persa di nuovo. Se l’uomo possedesse un udito appena più fine, avrebbe sentito l’anima del ragazzo urlare per il dolore.
Slado cominciò a parlargli: << Vedi, è stata tutta una sua idea >> indicò la ragazza << speravamo che così tu ti saresti rialzato, che la rabbia ti ricaricasse, che la vendetta diventasse il tuo scopo di vita, ma a quanto vedo non ha funzionato. >>
Il tono della voce di Slado divenne più freddo del solito: << Non ti ho mai visto come un allievo. No, per me eri il figlio che non ho mai avuto: coraggioso, testardo, fiero e deciso, ti volevo bene; ma adesso guardati.
Lo indicò con fare accusatorio: << Sei una delusione, sei debole e non sei più nessuno. Sei crollato subito quando l’ho rapita, saresti dovuto rimanere integro e forte ma invece sei collassato!
Sei un insulto alla mia vista. >>
Robin non ribatteva, era troppo occupato a piangere e a disperarsi.
Slado lo guardò disgustato: << Sei un fallimento, ma voglio farti provare l’ultima . Stella, prepara il thorgal. >>
<< Sì amore. >> disse, uscendo.
Il maestro fissò intensamente l’allievo rinnegato.
Era disteso a terra, in posizione fetale. Non aveva ancora smesso di piangere.
Sotto la maschera la sua espressione si addolcì.
I singhiozzi rimasero l'unico suono udibile nella stanza.
Il criminale gli si inginocchiò accanto, posandogli una mano su un fianco, e gli parlò con voce rassicurante e paterna: << Non piangere, su. Passerà. >>
Come aveva immaginato, il ragazzo non lo ascoltò: << So come funziona, ci sono passato anch'io. Fa male, molto male, ma è una cosa che ti aiuta, ti rende forte, ti fa crescere.
Non volevo che crollassi, volevo rinforzarti, volevo che fossi abbastanza forte per accettare quello che sto per darti.
Non avrei mai voluto ricorrere al thorgal; è un rituale, una prova spirituale in cui la tua anima morirà e resusciterà per poi diventare più forte, per affermare le tue decisioni.
Starai in una grotta per 78 giorni, senza contatti o stimoli esterni, proverai una pazzia pura, peggiore di quella in cui ti trovi adesso, e.. >>
Si fermò per riguardarlo attentamente ancora una volta; i suoi occhi erano arrossati per un pianto che non terminava più, mentre tutto il corpo era scosso dai tremiti.
<< Robin, ho pensato molto a quello che mi... che ci è successo: ho cercato di farti diventare mio allievo con la forza, Terra, la mia morte, Trigon... >> la sua voce si incupì << ...ma ho capito dove ho sbagliato. Non avrei dovuto costringerti, non ti saresti mai unito a me di tua volontà.
Non saresti mai diventato il figlio che non ho mai avuto. >>
Robin aveva finito di piangere, ma senza smettere di tremare.
Slado si alzò: << Ho quindi deciso che tu potrai scegliere, se venire da me, assieme a Stella... >> il ragazzo sussultò << che non ti odierà più... o continuare a combattermi. Ma non sceglierai ora, lo farai quando finirai il thorgal.
Se lo finirai >> disse le ultime parole sottovoce, sperando che lui non lo sentisse.
Il criminale prese in braccio il ragazzo ed uscì dalla stessa porta da cui era uscita Stella: << So che una parte di te si sta ancora ponendo delle domande, ma non preoccuparti, sto per mostrarti le risposte. >>
Raggiunsero una porta d’acciaio che, non appena rilevò la presenza di Slado, si aprì di lato.
Dentro era predisposto un laboratorio scientifico all’avanguardia: c’erano microscopi, centrifughe, computer, migliaia di provette e altri macchinari difficilmente identificabili. Slado si avvicinò ad uno di essi.
<< Vedi quel macchinario davanti a noi? >> chiese al ragazzo quasi incosciente << Quello è lo strumento che ho usato per cambiare Stella. >>
Stava indicando un attrezzo simile ad un trapano, con la punta a sfera e con attaccato alla parte posteriore un contenitore di vetro contenente un inquietante liquido nero.
A sentire ancora il nome dell’amata il ragazzo sussultò: << Stella... >>
<< Già, povera ragazza. Sai che interventi le ho dovuto fare?
Le ho dovuto iniettare nel cervello questa sostanza. Ora il suo cervello associa le emozioni che prova per te a me, e viceversa.
Per questo è stata così cattiva con te.
Invece i ricordi fasulli che le ho inserito riguardano il suo passato. Adesso ricorda che sei tu quello a cui piace riscrivere la memoria, a lei e agli altri ragazzi.
Per questo ti odia con tutta se stessa.
Ricorda che formavamo i "Teen Tyrans", un gruppo di mercenari e criminali, prima che tu li rapissi e li obbligassi a fare gli eroi. >>
Fece una pausa per permettere al ragazzo di assimilare la notizia.
<< Un gruppo che stiamo per ripristinare. >>
Robin cercò di aprir bocca, di dirgli qualcosa: << M-m... >>
<< Dimmi ragazzo mio, dimmi. >> avvicinò l'orecchio alla bocca del ragazzo.
<< M-mostro >> biascicò.
Se Slado si fosse tolto la maschera, la sua faccia avrebbe mostrato un'immane e totale tristezza: << So che può sembrare una brutta cosa, ma dopo il thorgal la penserai in modo diverso, ne sono sicuro. >>
Ritornarono nel corridoio, stavolta diretti verso una stanza nuova, più grande delle altre.
Era completamente vuota, tranne che per un enorme masso posto accanto ad una piccola grotta. Stella li stava aspettando lì vicino.
Slado adagiò Robin nella grotta, trattandolo come se fosse di vetro, come se temesse di spezzarlo con una mossa sbagliata. La ragazza non approvava ciò che il suo amato stava facendo al loro peggior nemico, ma non voleva andargli contro.
Sapeva che per lui era importante.
<< Qui starai bene. >> disse Slado con fare quasi paterno << Se sopravvivrai avrai un posto d'onore nella nostra futura gerarchia, te lo prometto. Insieme saremo felici. >>
Il ragazzo boccheggiò in risposta, ma riuscì solo a pronunciare alcuni vocaboli sconnessi.
Non aveva ancora smesso di piangere.
<< Shhh, stai tranquillo. Non piangere, shhh. >> lo rassicurò accarezzandolo.
L'aliena dovette reprimere il sempre più forte istinto omicida che provava verso Robin.
Come poteva?
Come poteva non odiarlo come lo odiava lei, come poteva?
Perché voleva renderlo uno dei loro?
Slado si rivolse alla ragazza: << Chiudi la grotta. >>
<< Sì >> rispose, esitando un secondo.
Il criminale, l'uomo più pericoloso del mondo, l'uomo terribilmente solo e triste che aveva rinunciato alla sua vecchia vita solo per il potere si rivolse al ragazzo che ha sempre desiderato chiamare "figlio": << Ciao Robin, ci vediamo fra 78 giorni.
Conoscerai i nuovi Tyrans quando uscirai. >>
E la grotta si chiuse, mentre la psiche devastata del ragazzo cominciava una lenta e dolorosa rigenerazione.
Le lacrime smisero di scendere.
Erano finite.


E così finisce la prima parte della mia storia.
Non so quando riuscirò a buttare giù la trama della seconda parte, ma vi prometto che questa serie non rimarrà senza finale.

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Capitolo 6
*** Frammenti ***


L'organo.
Una delle sue passioni più segrete.
Rimaneva ore a suonarlo, lo aiutava a pensare, a ideare i suoi piani malvagi.
Se così si potevano definire.
Ma in quel momento stava suonando per sgomberare la mente.
Per cercare di non pensare al ragazzo che considerava suo figlio, ormai rinchiuso nella grotta dove l'aveva confinato da ormai sei settimane.
Continuava a pensare che era per il suo bene, che lo faceva per renderlo più forte, come avevano fatto altri con lui.
Si ricordava ancora di quei giorni rinchiuso nella grotta, durante il suo thorgal.
Non avrebbe mai potuto dimenticare.
Mai.
Ma era comunque combattuto: era giusto che Robin dovesse subire quello che aveva subito lui?
Lo avrebbe aiutato?
Lo avrebbe davvero guarito, come era successo a lui, più di vent'anni fa?
A volte progettava di interrompere il rituale e di liberarlo, ma subito gli venivano in mente le immagini di come erano ridotti coloro che avevano interrotto il thorgal a metà.
Non era un bello spettacolo.
Slado sentì la porta aprirsi ma le sue dita non smisero di muoversi, nemmeno quando il delizioso profumo che accompagnava la bellissima ragazza appena entrata si sparse per la stanza, neppure quando Stella gli si avvinghiò addosso, abbracciandolo da dietro: << Ehi, amore. Perché ti sei alzato? Stava andando tutto così bene a letto. >>
Le dita del mercenario si intrecciarono con quelle dell’amata, interrompendo la musica: << Scusa tesoro. Avevo bisogno di suonare.
Dovevo distrarmi. >>
<< Che cos’è che ti turba bellezza? Per favore, dimmi che non si tratta di “quello”. >> disse, riferendosi all’odiato ragazzo imprigionato nella cella “speciale”.
Le mani continuarono a muoversi lungo il braccio di Stella: << No. O almeno, non del tutto. Stavo guardando indietro, nel mio passato. >>
<< Oh >> esclamò l’aliena << Forse posso fare qualcosa io per distrarti. >> una delle sue mani affusolate scivolò lungo il corpo dell’uomo, scendendo molto in basso.
Slado si alzò dalla sedia e si girò per guardarla dritta negli occhi, con un’intensità spaventosa, tale che Stella indietreggiò, intimorita dal suo amante, e ciò che gli uscì dalle labbra fu per lei come un pugno in pieno stomaco: << Rimembra. >>
Fu come se le si fosse aperta la mente.
Come se qualcuno avesse appena sfondato un muro che bloccava una parte sua memoria, quella che conteneva i ricordi della sua “vita” passata, prima del lavaggio del cervello.
Un’improvviso fiume di ricordi si fece strada nella sua mente, rivelando ciò che aveva dimenticato, la sua vita su Thamaran, l’arrivo sulla Terra, il suo incontro con i Titans.
No, aspetta. Con i Tyrans. Sì, con i Tyrans.
Poi il fiume continuò la sua corsa.
Vide una ragazza simile a lei che cercava di mandarla in prigione al posto suo, vide una ragazza bionda immolarsi per uccidere qualcuno, ma non riusciva a capire chi, vide un demone che bruciava il pianeta a cui era tanto affezionata.
E poi vide lui.
Lui sulla ruota panoramica, coi fuochi d’artificio di sfondo, sul tetto della torre, con davanti il tramonto, lui così vicino a lei, che si avvicinava, e l’istante dopo...
<< Ahhhh >> Stella urlò per il dolore causato dai ricordi.
Sentì la terra sotto di lei cedere, ma venne sorretta in piedi da Slado.
Lui la abbracciò forte: << Shh, stai tranquilla. Il peggio è passato. >>
Quando tutto finì la ragazza, ancora tremante, chiese: << C-che cos’era? Che cos’era quella roba? >>
Slado la fece sedere accanto a lei sullo sgabello dell’organo: << Sono i ricordi fasulli che si sovrappongono a quelli veri. Cercano di sostituirsi a quelli veri, ma non preoccuparti. Si sistemeranno col tempo. >>
Si rannicchiò accanto a lui, visibilmente scossa: << Erano... così... così... >>
<< Shh, va tutto bene. Presto tutto si sistemerà, e gli incubi spariranno. Andrà tutto bene, te lo prometto. >>
<< Sì... certo.
Andrà tutto bene.
Andrà tutto bene. >>
“Sembra convinta” pensò lui: << Ora scusami se ti lascio da sola, ma vorrei controllare come sta andando coi ragazzi di là.
Non vorrei che capitasse qualche imprevisto. >>
Si alzò ed uscì dalla porta ancor prima di sentire la risposta. Sentì solo “tutto bene”.
“Perfetto, il condizionamento ipnotico le sta ricombinando la memoria come volevo io.
Sta cancellando del tutto il suo vecchio passato. Ero preoccupato che sognando alcuni ricordi non modificati potessero tornare a galla, ma per fortuna non è così.”
Recuperò alcuni attrezzi e si diresse verso la stanza dedicata al lavaggio del cervello.
Ma per farlo dovette passare davanti alla grotta di Robin.
Si fermò, davanti all’ingresso, senza tuttavia entrare, pensoso.
“Robin... vorrei tanto sapere come stai, ma così rovinerei tutto il tuo duro lavoro. Il thorgal è diverso per ciascuno di noi, ma le prove da superare sono più o meno le stesse, cambiano solo i dettagli.
Spero che tu stia bene.”
Si allontanò da quel posto, dal masso che copriva la grotta, dal suo silenzioso prigioniero, dirigendosi verso la sua destinazione.
Entrò in un salone vasto, spazioso, le cui pareti erano coperte da cavi, fili elettrici, leve e macchinari. La maggior parte dei cavi partiva da dei generatori elettrici, passava per strumenti vari, tra cui si notava un cubo contenente un liquido scuro, e si collegava a tre grandi cilindri.
Cilindri con all’interno gli ultimi tre membri dei Teen Titans.
“Quelle capsule sono prodigiose.” pensò Slado, “Sono piene di un liquido speciale, trattato in modo che annebbi i sensi di chi ne viene a contatto: impedisce di ascoltare i suoni, di percepire gli odori, di sentire le superfici.
Si sentono come se fossero sospesi nel buio, al sicuro.
Come nel grembo materno.”
Era talmente preso a rimuginare da solo che si accorse di non essere da solo.
C’era la loro loro "ospite": una ragazza che la sua Stella si divertiva a torturare, adesso buttata in un angolo, come se fosse immondizia.
<< Mi continuo a chiedere perché continui a farti soffrire così. >> esclamò Slado, degnandosi finalmente di prestarle attenzione.
<< Si vede che non le piaci. >>
La prigioniera era lì, immobile, sdraiata su un fianco, seminascosta da un tavolo da lavoro. Non poteva muoversi, Stella le aveva spezzato braccia e gambe.
Per divertimento.
Per vederla urlare.
L'unica cosa che era in grado di fare era piangere per il dolore.
Slado le si avvicinò: << Se non ricordo male le hai quasi rubato il fidanzato, o no?
Che peccato che tu non ci sia riuscita, davvero. Se ce l'avessi fatta sarebbe stato tutto molto più semplice. Per me e per te. >>
La prigioniera singhiozzò e continuò a piangere: << Sono un esperto nel rimettere insieme i cocci mentale della gente, ma nel tuo caso credo che ti lascerò così. O magari ti fonderò con un gatto, tanto per tener fede al tuo nome. >>
Kitten non rispose.
Stava ancora piangendo.
<< Vabbè >> Slado si voltò: << Tu non ti muovere, finisco con i miei amici e poi sarò subito da te. >>
Per oltre un'ora gli unici rumori che si sentirono erano di tasti premuti, leve tirate, scosse elettriche e liquido che bolliva.
Tutti quei suoni spaventavano Kitten, le facevano venire la pelle d'oca.
Temeva che ciò che li produceva venisse rivolto verso di lei; voleva piangere, ma aveva finito le lacrime.
Quasi sorrise per il sollievo quando non li sentì più.
<< Non dovresti essere contenta che io abbia finito qui. >> la paura tornò ad impossessarsi della ragazza << Adesso tocca te. >>
Slado le si avvicinò di nuovo, fermandosi con lo stivale a pochi centimetri dalla faccia della ragazza.
Nonostante tutto non sembrava avesse delle intenzioni ostili.
Almeno in apparenza.
<< Sai, non ho ancora raccontato a nessuno il mio "piano malvagio", vuoi conoscerlo? >>
Prima che Kitten potesse anche solo respirare Slado cominciò a spiegare: << Ho elaborato questo piano quando ho ripensato agli ultimi avvenimenti importanti della mia vita. >>
Mentre parlava camminava avanti e indietro: << Ho ricordato il periodo in cui ho tentato di portare dalla mia parte Robin per farne il mio allievo.
Ho fallito a causa dell’intromissione dei suoi amici. >>
A sentire quel nome Kitten spalancò gli occhi, ormai simili a quelli di un ragazzo che il criminale conosceva benissimo: << Robin >> sussurrò.
<< Ho ripensato a quando ci ho provato con Terra, quella dolce e confusa ragazza. Ho fallito anche con lei.
E sono morto. >>
La prigioniera continuava a sussurrare: << Robin >>
<< Sì, anche se poi sono stato meglio. Mi ha resuscitato un demone interdimensionale di nome Trigon, il padre di Corvina. >>
<< Robin >>
Slado stava alzando sempre più la voce: << Per lui ho compiuto numerose azioni malvagie, ho tormentato i Titans, ho rapito Corvina e gliel’ho servita su un piatto d'argento, e cosa ho ricevuto in cambio? >> ormai stava urlando.
<< Robin >>
<< Niente!
Mi ha mandato a bruciare all'inferno! >> si voltò a guardarla, visibilmente furioso anche con la maschera: << Ho subito torture atroci, ho affrontato demoni di fuoco, ho scalato pareti di roccia roventi, ma mi sono vendicato.
Gli ho guastato le feste e l'ho rispedito a calci da dove era venuto.
Ma non da solo. >>
<< Robin >>
Slado si era calmato: << Esatto.
Mi ha aiutato.
Senza di lui non ce l'avrei mai fatta.
È come un figlio per me, gli voglio troppo bene per renderlo una versione distorta di sé stesso.
Trattamento che riservo per gli altri. 
Se mai vorrà passare dalla mia parte, lo farà di sua spontanea volontà. >>
<< Robin >>
<< Li sto alterando mentalmente, come ho fatto con Stella.
Sto invertendo la loro bussola morale.
Ho anche invertito l'immagine di Robin con la mia, così penseranno a me come il loro amico e leader. >>
<< Robin >> ripeté Kitten, stavolta a voce leggermente più alta.
Slado si voltò a fissarla per un secondo, poi continuò a parlare: << Il piano originale era diverso: attirarli in trappola e mandargli contro orde di robot finché non sarebbero morti; poi però ho pensato a tutti questi avvenimenti, e ho capito.
Ho capito che non aveva senso avere i Teen Titans come nemici.
Era meglio averli come amici. >>
<< Robin >> con voce un pochino più alta.
<< L'ho fatto a Stella e lo sto facendo a loro. >> disse indicando i ragazzi nei cilindri << Li sto rendendo più simili a me, quando usciranno saranno criminali, assassini, ladri, saranno i miei apprendisti. >>
<< Robin >>, la voce diventava sempre più forte.
<< Il procedimento ha funzionato in fretta con Stella per via della sua biologia aliena. Con gli altri ci vorrà più tempo.
Ma del resto ce ne vuole prima che apra la grotta di Robin. >>
La testa di Kitten scattò: << È qui? >> ormai stava facendo gli stessi errori dell’ex leader dei Titans: gli occhi emanavano scintille di follia, i muscoli ancora integri erano tesi, i nervi a fior di pelle. Ancora poco e ci sarebbe caduta anche lei.
Slado sapeva tutto questo ma, a differenza del suo pupillo, di lei non ne importava niente: << Sì >> disse con voce glaciale << Proprio qui accanto. >>
Kitten non ce la faceva più.
Tutte le torture, gli shock e il tempo passato rinchiusa da sola l’avevano logorata, ma non spezzata.
Ma bastava nominare l’ultimo essere per cui provasse ancora dei sentimenti e sapere che era lì accanto, così vicino, per farla crollare, per farla impazzire.
<< Ahhhhh... ROBIN!!!! >> cominciò ad urlare, a dimenarsi, a schiumare dalla bocca, ignorando il dolore atroce proveniente da ogni parte del suo corpo: << ROBIN, ROBIN!!!! >>
Slado si voltò a fissarla, stavolta scrutandola con attenzione: “Sono giorni che non dorme, non mangia da ancora più tempo ed è fortemente disidratata, senza contare le ossa rotte e tutti i danni ai muscoli ed ai nervi, eppure a sentir parlare di Robin riesce ancora a reagire così, uhm... Devo approfondire la cosa.”
Uscì, lasciando Kitten ai suoi deliri. Voleva tornare da Stella, per stare con lei, ma passando davanti alla grotta di Robin indugiò.
Dalla sala delle capsule provenivano ancora le grida della prigioniera, mentre nella grotta-prigione doveva regnare un assoluto silenzio, una calma totale.
Ma Slado sapeva che non era così, che le allucinazioni in quel momento del rituale erano potentissime e non lasciavano un secondo di tregua, che era il momento cruciale, il momento in cui l’anima comincia a morire per poter rinascere più forte di prima.
Il criminale si avvicinò all’entrata sigillata un’ultima volta, appoggiando la sua mano guantata sulla fredda e liscia pietra e pronunciando parole d’affetto nei confronti del ragazzo prigioniero: << Presto uscirai figliolo, presto.
So che è difficile, ma so anche che ci riuscirai, che supererai la prova e risorgerai più forte di prima.
Da qui non posso aiutarti, ma sappi che ci sono. Che ci sarò sempre per te.
Ti auguro la buonanotte.
Al tuo risveglio, la famiglia sarà di nuovo unita.
Stavolta per sempre. >>





Scusate per l’enorme ritardo, ma è stato un periodo un po' così.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vogliate continuare a seguire le mie storie.
Alla prossima.

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Capitolo 7
*** Buio ***


Buio.
Era buio da tanto tempo.
Giorni, settimane, mesi.
Forse anni.
Tempo passato fra allucinazioni che lo perseguitavano ogni giorno di più e gli inutili tentativi di uscire, di tornare alla luce.
Credeva di essere abituato al buio, aveva passato anni a Gotham, la città buia per eccellenza, ma non sapeva niente del vero buio.
Si prendeva gioco di lui. Gli dava false speranze. Lo cullava nel suo dolce tepore.
La pazzia sembrava averlo abbandonato, ma non sapeva se fosse una fortuna o una sfortuna.
Aprì gli occhi ormai inutili; la grotta era come ogni altro giorno: piccola, buia, umida, silenziosa.
Molto silenziosa.
Il silenzio non faceva che peggiorare la situazione.
Era un silenzio assoluto ed opprimente che lo assillava ogni momento di quella notte eterna.
Un silenzio spaventoso.
Ma il buio ed il silenzio erano nulla rispetto alla tortura che subiva ogni volta che chiudeva gli occhi: pensare.
Non poteva più distrarsi pestando criminali o seguendo un’indagine, non poteva smettere di tormentarsi pensando agli orrori che erano accaduti.
Stella non l’amava più, amava un altro, e su questo argomento aveva pianto tutte le sue lacrime, presenti e future.
Gli altri Titans saranno diventati apprendisti di Slado. Se li immaginava già con quelle orrende divise grigio e arancio, ad ascoltare gli ordini di quel mostro, pronti ad ubbidire come cani alle sue parole.
E se ancora opponevano resistenza, presto avrebbero ceduto.
E lui era lì, con la consapevolezza di non poter far altro che aspettare, e sopravvivere.
Poi, qualcosa cambiò.
Dopo tanto tempo sentì un debole rumore provenire dalla parete.
La roccia.
Slado stava liberando l’uscita.
Un fievole raggio di luce filtrò dalla fessura e dopo mesi la luce filtrò nella cella, accecandolo.
Pian piano il masso venne spostato del tutto e Robin fu inondato dalla luce delle lampade appese al soffitto.
La sua pelle aveva perso ogni traccia di colore diventando bianca cadavere, i capelli sembravano più neri che mai ed erano lunghi fino alle spalle, mentre il fisico, un tempo sinonimo di perfezione fisica e di nobiltà, era debole e scheletrico. Le guance scavate, gli occhi infossati e la pelle quasi trasparente lo facevano somigliare ad un non-morto appena tornato dall’oltretomba.
Nonostante non potesse ancora aprire gli occhi non ebbe problemi a distinguere il suo aguzzino in mezzo ai suoi vecchi compagni.
Purtroppo non si stupì del fatto che i suoi compagni abbiano cambiato fazione.
Slado era capace di questo ed altro.
<< Buongiorno Robin. Complimenti, vedo che non hai fallito la prova. Sono molto fiero di te. >> disse Slado.
Robin non si prese la briga di rispondere, doveva abituare gli occhi alla luce prima.
Slado continuò, incurante che il ragazzo lo stesse ascoltando o meno: << Come ti senti? Stai male? Il rituale ha avuto effetto? >>
Slado poteva chiamarlo thorgal, rituale, prova... ma Robin lo avrebbe chiamato solamente inferno, ma doveva aspettare prima di tentare la fuga. Aspettare che i suoi occhi si abituassero alla luce ed i suoi muscoli si risvegliassero dal torpore.
<< Hai avuto problemi? Qualcuno ti ha dato fastidio? >>
Finalmente gli occhi di Robin si abituarono un pochino alla luce, non del tutto ma abbastanza perché possa usarli. Cominciò a strisciare fuori dal buco, e mentre lo faceva si stirava bene i muscoli.
<< Robin per favore, dimmi qualcosa. Ti prego, non farmi preoccupare. >>
Gli occhi misero il mondo a fuoco, individuarono l'uscita in mezzo ad un mare arancio e grigio.
I muscoli scattarono, liberando quell'energia che solo gli animali con le spalle al muro hanno, lanciandolo verso l'uscita.
La mente registrò pochi elementi di quel momento: una parete rocciosa, una bestia verde che si preparava a saltare, un lampo verde seguito da uno nero, un ordine urlato a squarciagola: << LASCIATELO STARE! >>
Poi i ricordi si confondono: un dolore intenso si spalma sul lato sinistro del petto, sangue, brandelli di carne svolazzanti, un lunghissimo tunnel, una luce, dolore, tanto dolore.
Una torre altissima, a forma di T, buio.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< PERCHÉ NON L'HAI UCCISO??? >>
Stella era furiosa, gli occhi emettevano scariche d'energia e le mani erano circondate da un alone pericolosamente verde.
Si erano riuniti nella sala del trono, tutti i Tyrans erano insieme. Cyborg indossava degli impianti bionici diversi da prima, neri e arancio, con degli spuntoni e delle borchie sparse per le placche protettive, BB era vestito con una variante del costume da apprendista di Robin, più piccola e con i colori invertiti.
Ma la vera novità era Corvina, che era l’unica a non indossare l’arancione, uno dei colori-simbolo di Slado: aveva scambiato il mantello blu per uno nero con una S rossa sangue dipinta lungo la schiena, il top era anche quello nero, con la cintura rossa decorata con zanne ed effigi demoniache. Indossava dei guanti neri che arrivavano al gomito, con altre scie rosse che seguivano le vene. Degli stivali neri completavano il tutto.
Sotto il cappuccio quattro occhi rossi.
<< Perché hai salvato la persona che ci ha rovinato la vita? Che ti ha rovinato la vita?
Ti ricordo che è colpa sua se devi indossare quella maschera! >>
"Almeno gli impianti mnemorici funzionano alla perfezione." cercò di consolarsi Slado.
Il rifiuto da parte di Robin gli aveva spezzato il cuore. Suo figlio lo aveva tradito.
Era doloroso, ma il ragazzo aveva preso la sua decisione, ed il piano doveva continuare, Robin o non Robin.
Presto avrebbe dominato la città.
Molto presto.
<< Ho lasciato andare il ragazzo perché ha fatto la sua scelta, d'ora in poi non riceverà più nulla da me. >>
Si rivolse ai suoi apprendisti: << Cyborg, prepara i robot, assicurati che siano al massimo dell'efficienza; Beast, sintonizza i satelliti sulle frequenze delle comunicazioni; Corvina, carica l'energia demoniaca nelle batterie. Dobbiamo essere pronti per mezzanotte.
Attaccheremo a quell'ora. >>
Le tre figure nell’ombra fecero appena un cenno della testa prima di andare a occuparsi delle loro mansioni, nessuna battutina, nessun commento ironico.
Solo cieca devozione.
<< NON IGNORARMI! >> urlò Stella ormai del tutto incazzata: << Non ho intenzione di rimanere qui mentre lui a quest’ora starà già preparando un piano per farci fuori tutti! Adesso uscirò di qui ed andrò a massacrare quel figlio di... >>
L’aliena non poté terminare la frase. Slado si era alzato ed in mezzo secondo aveva superato la distanza che li divideva e la aveva sollevata da terra prendendola per il collo: << Tu non farai niente di tutto ciò! >> le disse Slado arrabbiato: << Non ho la minima intenzione di ucciderlo, ma lo farò se necessario e ripeto, solo ed unicamente se sarà necessario ed in quel caso sarò io l’unico e il solo che potrà farlo! Ci siamo capiti? >>
Stella terrorizzata annuì con la testa e lui la lasciò andare, per poi uscire dalla porta che stava per varcare l’aliena.
La ragazza tossì e si massaggiò il collo, cercando di lenire il dolore: << Perché ci tieni tanto a lui? Sai che non è davvero tuo figlio. >> chiese.
Slado si fermò e si girò a fissarla negli occhi per un lunghissimo istante, poi parlò con un tono di voce infinitamente triste: << Perché è la persona che ci va più vicino. È stato creato per questo. >>
Con queste parole misteriose Slado scomparì dietro la parete rocciosa, lasciando Stella con numerose domande in testa.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Cosa starà facendo il capo con Stella adesso? >> chiese Cyborg.
<< Mah, probabilmente si starà facendo fare da lei un trattamento “speciale”. Dovresti farmelo anche tu Rae. >> disse BB mentre stava trafficando con un enorme computer incassato nella roccia, un sorrisetto sul volto.
<< Zitti idioti! Devo concentrarmi. >> gridò Corvina seccata, in posizione di meditazione al centro di una grossa sfera ricoperta di simboli magici.
La ragazza aveva un compito particolare: scaricare il maggior quantitativo di energia all'interno della sfera, in modo che questa l'assorba e la converta in batterie demoniache.
<< Ah, che frigida! Amico, appena abbiamo finito qui ti va di andare a spassarcela? >>
<< Una sfida a chi uccide più persone in GTA? >>
<< Pensavo più ad un giro della città, ma uno dei “nostri” giri. Fra poco sarà l'ora di punta e ci saranno un casinò di auto da far esplodere. >> disse il mutaforma tutto eccitato.
<>
<< Sì, stupendo! >>
Al cyborg ci vollero solo cinque minuti per regolare le impostazioni dell'ultimo robot: << Finito! Andiamo. >>
<< Sì! >> e si diressero verso l'uscita, tutti eccitati.
"Che coppia di deficienti" pensò Corvina dopo che i suoi compagni uscirono: "Spero che un’esplosione li faccia saltare in aria!"
Quando anche lei finì il suo lavoro si diresse verso la sua stanza, per rilassarsi e magari leggere un bel libro di magia oscura, ma la sua lettura doveva essere rimandata.
Uno dei robot di sorveglianza della città aveva individuato qualcosa di importante.
Lo sapeva perché era collegata ai robot grazie ad un legame magico, un legame che Slado le aveva ordinato di fare ed adesso poteva controllare la città 24 ore su 24.
"Sento che ha visto qualcuno... Rosso 3, inviami le immagini."
Nella sua testa entrò un'immagine sfocata, che pian piano divenne più chiara: si vedeva una torre, una torre a forma di T, in rovina.
La Titans Tower.
La definizione dell'immagine migliorava lentamente, adesso si vedeva una figura fra le macerie, un ragazzo probabilmente, un ragazzo sdraiato in una stanza ancora integra, su un letto.
Quando l'immagine si fece nitida lo riconobbe: Robin.
L'odiato Robin: "Devo avvertire Slado!"
Si mise a correre per tutta la base, alla ricerca del capo.
Lo trovò nella grotta dove avevano tenuto prigioniero il ragazzo fino a poco tempo fa: << Slado, ho trovato Robin! Dopo che è scappato quel bastardo si è rifugiato nella... >>
<< Titans tower. Lo so. >> disse il criminale, lasciando Corvina spiazzata.
<< L-lo sai? Allora perché non ci hai ancora ordinato di... >>
<< Di fare cosa? >> la interruppe lui, senza guardare la mezzodemone: << Di catturarlo? Di ucciderlo? No Corvina. Non l'ho ordinato perché non ho intenzione di fargli niente. >>
La ragazza era sempre più confusa: << Perché? Lo sai che cosa ci ha fatto! Come puoi permettere che se ne vada in giro impunito?! >>
Slado si voltò, per guardarla dritto negli occhi, e sospirò. Un altro sospiro immensamente triste: << Gli ho offerto due strade: unirsi a me e governare il mondo, oppure andarsene e fare ciò che vuole. Ha scelto la seconda.
La cosa migliore che possiamo fare è rispettare la sua decisione e non avere pietà quando ce lo troveremo davanti. >>
Quella specie di spiegazione non la aiutò: << N-non capisco... >>
<< E non devi capire! Ora torna al tuo lavoro e non discutere! >> le urlò contro rabbioso.
La ragazza non poté far altro che tornare alla sfera con la coda tra le gambe, ma con delle nuove domande in testa: "Perché si comporta così col nemico? Dovrebbe essere furioso considerando quello che ci ha fatto, allora perché mi ha detto di non attaccarlo, di rispettare delle decisioni che ha fatto? Perché?"
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Ahhh!!! >> si svegliò urlando in preda al panico. Pessima scelta, la testa gli faceva un male cane.
Lentamente aprì gli occhi, aspettandosi di vedere le sbarre di una cella, ma stranamente non ne vide.
Vide invece il soffitto della sua stanza: << Ma... cosa? >>
Si guardò intorno: era nella sua stanza, nel suo letto, alla Titans Tower.
Non c’erano tracce né di Slado né di amici passati dalla parte dei cattivi, era l’unico nella stanza.
“Meno male, era solo un sogno” pensò lui, contento di essersi sbagliato. Guardò l’orologio, erano le 8:00 del mattino.
“Strano, di solito mi sveglio molto prima. Vabbè, qualche volta anch’io potrò alzarmi tardi, no? Dubito che gli altri siano in pensiero per me solo perché sono stato a letto un po' più a lungo.”
Andò in bagno, si tolse il costume e si mise sotto la doccia: “Che strano, perché l’acqua non scende?” si chiese mentre cercava di far funzionare il rubinetto.
Perplesso rinunciò alla doccia e si mise uno dei suoi costumi di riserva, ma notò che era piuttosto largo per lui: “Un’altra stranezza, che sia dimagrito senza accorgermene?”
Solo allora lo vide.
Uno sconosciuto, proprio davanti a lui.
La sua mano corse alla cintura, dove teneva i birdarang. L’altro fece la stessa mossa.
<< Fermo! Non ti muovere! >> non si mosse.
<< Chi sei? Cosa vuoi? Ti ha mandato Slado? >> non rispose.
<< Parla, se non vuoi che ti faccia male! >> il nemico non fece né disse niente, ed allora Robin fece la sua mossa.
Il birdarang lo prese in pieno, ma il nemico non cadde.
Si frantumò.
Aveva colpito il suo specchio, quello che teneva accanto all’armadio.
“Ma che...”
Prese un frammento e ci guardò dentro: vide ancora quello sconosciuto, solo che era lui!
<< No! >> lasciò cadere il frammento.
Corse nel corridoio, guardando dentro tutte le camere da letto. Erano tutte vuote ed in parte distrutte.
<< NO! >> il frammento toccò terra.
Entrò nella Main Ops Room, o in quello che ne rimaneva.
<< NOOOO! >> il frammento si ruppe in mille pezzi.
Una scheggia riflette l’immagine di un’enorme S disegnata sul muro.








Ecco un altro capitolo della mia storia, spero vi piaccia.
È poco movimentato, ma nel prossimo proverò a metterci più azione.
Intanto ho presentato i nuovi Teen Tyrans, di cui fa parte anche Slado anche se non è esattamente un adolescente ma vabbè, non guardiamo al capello.
Alla prossima.

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Capitolo 8
*** Inferno ***


Avevano distrutto Jump City.
L’avevano distrutta ed adesso sembrava una città morta, post-apocalittica.
Le strade erano interrotte in più punti, molti grattacieli erano a pezzi ed alcuni di quelli ridotti peggio penzolavano, dando il timore di essere pronti a cadere al minimo soffi di vento.
Quando alzò gli occhi vide la cupola energetica che li teneva bloccati lì dentro.
Slado non era stupido, sapeva che prendere il controllo di una città americana avrebbe portato ad una risposta pesante dall’esercito americano, per questo quella cupola era lì, per tenere dentro gli abitanti e per tener fuori i soldati accampati nei dintorni della città.
Erano in trappola, senza via di fuga.
"Come è potuto succedere?" si chiese Robin.
Era passata una settimana da quando si era svegliato ed ancora non riusciva a credere a quello che era successo.
Da quel che era riuscito a capire ascoltando dai pochi sopravvissuti, Slado aveva lanciato il suo attacco nello stesso giorno in cui aveva spostato quella roccia. In pratica, lo avevano aspettato per attaccare.
L'invasione era stata preannunciata con degli attacchi terroristici, per avvertire la popolazione, ed erano morte venti persone, fra cui tre bambini.
Il giorno dell'attacco è morto il 60% degli abitanti, e da allora la percentuale cresce sempre più.
"Devo trovarlo!" pensò Robin: "Devo fargliela pagare!"
Scese dal condominio abbandonato in cui si era rifugiato quella notte, un posto abbastanza sicuro, ma era meglio non rischiare. Anche se lo avevano lasciato andare, non era sicuro che lo avrebbero lasciato in pace, non con tutti quei droni di sorveglianza che pattugliavano le strade.
Doveva vendicarsi, ma prima doveva pensare ai bisognosi. Neanche dopo tutte quelle torture Slado gli aveva impedito di fare quello che aspera fare meglio, aiutare i bisognosi.
Un urlo attirò la sua attenzione, un civile era in pericolo: “C’e qualcuno in pericolo!”
Robin corse subito verso la fonte del grido, a qualche isolato di distanza.
Una pattuglia di quattro S-BOT stava attaccando una ragazza caduta in una buca profonda, era in trappola.
<< AIUTO! AIUTATEMI!!! >>
Il tempo si ferma.
Robin alza la mano e distende il suo bastone, lo lancia e trafigge la testa di un BOT, un birdarang esplode in faccia ad un altro, trasformandolo in un mucchio di rottami.
Gli altri due BOT si accorgono di lui, ma è comunque troppo tardi.
Prima ancora che riuscissero a sparare erano già spazzatura.
Il ragazzo tirò fuori il suo bastone dal cranio metallico del BOT e lo ripiegò, poi si avvicinò alla ragazza: << Stai bene? >>
La ragazza tirò fuori a sorpresa una pistola: << Chi sei? Dammi tutto quello che hai, subito! >>
Robin non si scompose, osservò con più attenzione la ragazza: capelli neri, occhi castani, aveva massimo quindici anni ed era vestita con una T-shirt sgualcita e degli short anch’essi ridotti malaccio. Chissà da quant’è che non mangiava qualcosa di decente.
<< Dovrei essere conosciuto... Sono Robin, il leader dei Titans. >>
<< I Titans non esistono più. Sono diventati dei mostri, e tu sei il loro leader. Tu hai permesso questo! >>
Il dito della ragazza premette il grilletto ma la pistola era già lontana quando il colpo partì.
Robin aveva colpito l’arma con il bastone disarmando la ragazza.
<< Ero... indisposto. >>
<< Indisposto un cazzo! Le persone come te non ci sono mai quando servono!
Quando i tuoi amici ci hanno attaccati siamo morti a migliaia ma gli altri eroi c’erano per aiutarci! Ma tu eri “indisposto”, ma vai all’inferno e restaci! >>
La ragazza avrebbe dovuto restare zitta: << STAMMI BENE A SENTIRE RAGAZZINA, TU NON HAI LA MINIMA IDEA DI COSA SIA L’INFERNO! HO PASSATO TRE MESI IN UN BUCO ISOLATO DA TUTTO E DA TUTTI, NON VENIRE A DIRMI CHE COSÈ L’INFERNO! >>
La mora si ritrasse nel fondo della buca spaventata, temendo
Mi ricordo che c’erano Aqualad, Speedy ed altri ragazzi, ma non tu.
Se sei un nemico dei Tyrans, perché non ci hai aiutati?! >>
Robin rimase sbigottito.
Aveva girato in lungo e in largo per la città, ma non aveva trovato nessuno che potesse dargli informazioni sull’altra squadra di eroi della città, i Titans East.
<< Sai cosa gli è successo? >>
<< A chi? >>
<< Ad Aqualad ed agli altri eroi. >> Stava perdendo la pazienza: << Sono vivi? Sono ancora qui? >>
Il ragazzo meraviglia sperava con tutto se stesso che fossero in salvo, sarebbe stato un sollievo sapere che Slado non aveva messo le mani su di loro.
<< No, li hanno catturati tutti.
Non è rimasto nessuno. >>
Robin sprofondò.
Fu come quando sparì Stella, una tremenda rabbia saliva mentre la lucidità lasciava il posto di guida alla parte più malvagia e pazza di lui.
La voce divenne gelida: << Dove si trovano? >>
Se la ragazza prima era spaventata adesso era terrorizzata da ciò che aveva di fronte.
Davanti a lei c'era un ragazzo che aveva conosciuto l'inferno e che era disposto a tutto pur di ritrovare le persone che amava, lei lo sentiva, e questo la terrorizzava.
<< N-non lo so, alla t-torre credo. >>
<< La mia torre? >>
<< N-no. La loro, quella a est. >> disse indicandola col dito.
Robin si rivolse verso la direzione indicatale dalla ragazza: << Vattene, nasconditi. Io ho delle faccende da sistemare. >>
La luce che si era accesa dentro di lui si affievolì, facendosi quasi dominare dall’oscurità che portava dentro. Si diresse verso la torre est, fregandotene del destino della ragazza: << Aspetta >> disse lei: << Non puoi lasciarmi qui. >> raccolse la pistola da terra e lo seguì con cautela, temendo per la sua vita se avesse fatto arrabbiare il suo salvatore.
<< N-non mi sono ancora presentata, mi chiamo Cassandra, per gli amici Cassie. Piacere di conoscerti. >>
<< Bah, non starmi tra i piedi. >> rispose lui.
“Sempre più simpatico, eh” pensò lei, premunendosi di non dirlo ad alta voce.
Oltrepassarono quartieri in rovina, edifici crollati e strade distrutte, fracassando ogni S-BOT che incontravano, lui manifestando una rabbia spaventosa, lei nascondendosi e stringendo forte la pistola.
Dopo un po' che camminavano Cassie cercò di parlare a Robin: << Allora, che si fa? >>
<< Tu mi lasci stare, io vado a spaccare qualche cranio. >>
<< Sì, ma come? Come pensi di raggiungere Slado ed i suoi amici? Molto ci hanno provato e sono tutti...
La mano di Robin raggiunse la gola di Cassie in un decimo di secondo, e quello dopo lei penzolava già a mezzo metro d’altezza: << Ti ho già detto di lasciarmi stare, quindi se devi proprio seguirmi devo farlo in silenzio, totale ed assoluto silenzio. Sono stato chiaro? >>
Cassie annuì, quasi svenendo per lo sforzo, e Robin la lasciò andare.
<< Ma sei pazzo?! >> gridò lei. << Temo di sì. Probabilmente lo ero anche prima, cioè, per lavoro mi vesto da pettirosso e catturo criminali senza facendo il vigilante. Probabilmente è per questo che poi succedono queste cose. >>
<< C-cosa? >> chiese Cassie, confusa.
<< Niente, non ha importanza, ma da adesso fai silenzio, non voglio attirare pattuglie. >>
Camminarono in silenzio, evitando con attenzione i robot assassini, fino a raggiungere la East Tower: << E adesso? >> chiese Cassie.
<< Adesso saliamo. >>
Robin premette un pulsante sulla cintura, aprendo una porta nella parete della torre: << Entra >> ordinò lui.
Salirono nella Main Ops room, trovandola vuota.
Era più grande di quella dell'altra torre, molto più grande.
Le pareti ed i soprammobili erano pieni di polvere e si sentiva un vago odore di chiuso, ma per il resto era a posto.
<< Non hanno toccato niente.
L’hanno ignorata. >>
<< Probabilmente non pensavano che sarei venuto qui, dopotutto non c’è niente di importante.
In apparenza. >>
Robin raggiunse la consolle di comando al centro della stanza e premette una serie di tasti. Comparve un enorme pulsante rosso in mezzo al pavimento, proprio in mezzo alle gambe di Cassie.
<< Ah >> esclamò lei: << Ma che... >>
Il ragazzo premette il pulsante.
Una sezione al centro del pavimento si aprì, e dal buco uscì una piattaforma.
Era una piattaforma invasa da cavi, lucine e pulsanti, con un grosso cilindro fissato in mezzo, abbastanza grande da contenere una persona.
Robin premette dei pulsanti sulla piattaforma, tirò delle leve e girò delle manopole, mentre Cassie lo guardava confusa: << Ma che cos'è? >>
<< È un teletransfer d'emergenza >> disse Robin preso dal suo lavoro.
<< E tradotto in questa lingua? >>
Robin sospirò: << È una macchina del teletrasporto. Mi consentirà di raggiungere un certo posto fuori dalla cupola.
E prima che tu lo chieda no, non puoi venire.
Perché? Perché è un posto segreto, perché è impostato sul mio DNA, perché c'è abbastanza energia per solo due viaggi di una sola persona e perché non ti voglio tra i piedi laggiù.
E non rompere, qui sei al sicuro. >>
BOOM!!!
Sulla parete opposta alla loro si era aperto un buco enorme, e attraverso la polvere si intravidero due figure stanziarsi contro il cielo.
<< È permesso? >> urlò Cyborg.
<< Non perderti in chiacchiere trovali >> lo rimproverò Corvina.
<< Non mi lasci mai divertire. È molto meglio con BB. >> rispose lui armando il cannone sul braccio.
<< Ci hanno trovati! >> sussurrò Cassie spaventata a morte.
Al momento dell’esplosione Robin l’aveva spinta dietro la piattaforma, nascosta dalla vista dei nemici.
<< Maledizione! Presto, tienili impegnati. Tornerò subito. >>
<< M-ma che dici? Mi uccideranno. Mi faranno a pezzi e mi daranno da mangiare al loro gatto di guardia.
Ti prego, non farmelo fare. >>
Robin le prese la mano e la costrinse a guardarlo negli occhi: << Guardami. Guardami! Ora io entrerò in quel teletrasportatore, andrò nel mio posto segreto e tornerò con qualcosa che mi permetterà di sconfiggere quei due e tutti gli altri, ma ho bisogno del tuo aiuto.
Devi distrarli per quei pochi secondi che mi serviranno per andare e tornare. Non starò via molto, solo pochi secondi.
Che dici, mi aiuterai? >>
<< Ho paura >> disse Cassie piangendo.
Robin sbirciò fuori, ormai erano vicinissimi: << E quello cos’è? >>
<< Non lo so. Però so che farà un bel rumore quando esploderà. Cannone alla massima potenza. >>
Il ragazzo sentì il rumore del cannone che si carica.
<< Lo so che hai paura, ma ti prometto che se mi aiuterai, ti porterò via di qui, porterò via te e fermerò quei bastardi che ci hanno fatto questo. Ma ci riuscirò solo se farai quello che ti dico, hai capito. >>
<< S-sì, ho capito. >> disse lei dopo un attimo d’esitazione, una lacrima le rigava il volto.
<< Ok, bene. Al mio tre corri il più lontano possibile da quella parte. >> indicò un corridoio dall’altra parte della stanza << Corri e non fermarti. Mi hai capito? >>
<< Sì, ho capito. >>
Robin e Cassie si misero in posizione << Uno, due, TRE! >>
Cassie scattò e come un fulmine entrò nel corridoio.
<< Tu fermati. >> le urlò dietro Cyborg prima di lanciarsi all’inseguimento.
Quando anche il mezzorobot uscì dalla sala, Robin lanciò delle bombe fumogene che oscurarono la visuale di Corvina, l’ultimo ostacolo tra lui e il teletrasportatore.
Il ragazzo meraviglia scattò, superò la piattaforma con un salto ed entrò nel cilindro.
Doveva solo premere un pulsante e si sarebbe trovato nell’unico posto che poteva ancora chiamare casa, doveva solo premerlo, ma una voce lo trattenne.
La voce di Corvina.
Ma era diversa da come la aveva sentita l’ultima volta, era più melodiosa, più suadente.
Era migliorata con la magia.
<< Robin? Sei tu, non è vero?
Mi se mancato.
Mi sei mancato moltissimo.
Ti prego, vieni con me. Sarà divertente.
Lasciati andare tra le mie braccia, vieni da me, lasciati andare Robin.
Lasciati andare. >>
Sentiva che se le avesse dato ascolto si sarebbe sentito bene come mai prima di allora, come se nel momento in cui si fosse abbandonato a lei tutti i suoi problemi si sarebbero dissolti, come se non fosse successo niente.
Come se tutto andasse bene.
<< Certo. Come no? >> e premette il pulsante.
La torre tremò.
“Cos’è stato? Oh, no. Sta arrivando.”
Cassie scappava, correva più veloce che poteva per sfuggire al suo inseguitore: << Ma cosa...? Eh no, fermati ragazzina, oppure per te finirà molto male. >>
Cassie non ascoltava e correva, senza guardare indietro. Sentiva solo il rumore dei suoi passi e di quelli più pesanti del suo inseguitore. Ormai era vicino.
Vide una porta aperta e ci si buttò dentro, sperando che lui passasse oltre senza notarla.
Non fu così fortunata.
<< Tesoro? Sono a casa.
Non vieni a salutarmi? >>
Cyborg si avvicinava, il cannone pronto a sparare, i muscoli metallici pronti a scattare e a colpire.
Ma si fermò.
Un altro scossone fece tremare la torre, seguito da un altro, un altro e poi un altro ancora.
“ Stavolta sono più di uno. Che stai facendo Robin?
Ti prego, aiutami.
Vieni a salvarmi.”
Ma non arrivò Robin: << Trovata! Ora ti...
Un’enorme e mostruosa mano nera si chiuse sulla testa del cyborg, sollevandolo a due metri da terra.
Cassie non poteva vedere cosa succedeva dal suo nascondiglio, ma l’unica cosa che sentì furono il rumore di metallo contro metallo e tremende urla di paura e di dolore mentre il cannone del cattivo sparava all’impazzata, senza mai colpire il mostro che stava combattendo.
Poi il mostro lanciò via l’avversario, e ci fu solo silenzio.
Cassie uscì allo scoperto, piano, con timore, e vide il mostro.
Enorme, nero, spaventoso. In una mano c’era un braccio robotico, nell’altro la ragazza demoniaca di prima.
<< Robin, sei tu?
Sei tornato davvero... per salvarmi? >>
Il mostro si aprì rivelandosi un’enorme armatura high-tech che sembrava uscita dall’inferno, e lui uscì fuori.
<< Sì, sono tornato.
Preparati, è arrivato il momento della vendetta.







Ecco un nuovo capitolo per il nuovo anno, con protagonista Robin e la sua nuova amica Cassie.
Come alcuni possono immaginare, Cassie è ispirata a Cassandra, la terza batgitl, ed in genere a varie ragazze DC, mentre l’armatura mostruosa è la Hellbat, un’armatura che Batman ha usato su Apokolips, il pianeta degli dei malvagi.
Da adesso le cose si faranno divertenti 😈

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Capitolo 9
*** Terrore ***


Jump City era immersa nel silenzio.

Un silenzio fatto di paura e di polvere.
Un ragazzo stava attraversando questo silenzio di corsa, con molta fretta, la pelle risplendente al sole.
Non era pelle, era un'armatura che aveva costruito il giorno prima con una nuova lega in titanio e oro, praticamente indistruttibile. Eppure si notavano graffi profondi ed ammaccature enormi, gli mancava un braccio e gli mancava un occhio, quello bionico.
Il panico si era impossessato di lui. Ogni volta che sentiva un rumore dietro di lui accelerava la corsa, senza avere il coraggio di voltarsi indietro per la paura di rivedere quel mostro.
Ogni tanto si fermava per pochi secondi, per poi accostarsi ad un muro e sbirciare fuori.
Ma poi continuava a correre. 
Senza fermarsi.
Riuscì a raggiungere la Titans Tower, ormai ribattezzata Tyrans Tower, l’avamposto di Slado.
Era cambiata molto rispetto a poco prima.
C’era un ponte d’acciaio che collegava la terraferma all’isolotto su cui sorgeva la Tower ed un enorme muro fatto di una lega sconosciuta la circondava. Slado aveva deciso di costruirli per ovviare alcune debolezze tattiche che lui stesso aveva usato per attaccarli tempo prima, ed infatti funzionavano benissimo.
Cyborg attraversò il ponte in un lampo e raggiunse l’enorme porta metallica che permetteva di oltrepassare il muro, l’unica entrata: << Aprite! Aprite! >> gridò Cyborg terrorizzato: << Vi prego, aprite! >>
BB in quel momento era di turno nella sala di sorveglianza e quando sui monitor comparve l’immagine del suo amico come al solito non lo prese sul serio: << Ehi amico, come mai tutta questa fretta? Dimmi invece, come è andato il raid? È dov'è Corvina? Si è ancora fermata per "ripulire" la zona? >>
<< Apri BB, presto! Potrebbe arrivare da un momento all’altro! APRI! >>
BB si allarmò, non aveva mai visto il suo amico così terrorizzato: << Va bene, ti apro subito. >>
Premette una sequenza di pulsanti ed i meccanismi di apertura della porta si attivarono, aprendola con un cigolio metallico.
Cyborg ci si fiondò dentro non appena si aprì abbastanza per permettergli di entrare.
Con le sue ultime energie corse nella la main ops room, dove si trovava Slado: << Slado! Slado, aiuto!
Alza gli scudi presto! >>
Il criminale stava lavorando a qualcosa sul tavolo hi-tech al centro della stanza aiutato da Stella; sembrava un lavoro importante.
E segreto, perché quando Cyborg piombò dentro spense tutto.
Il criminale si rivolse a Cyborg, e dal tono di voce si intuiva che era scocciato: << Che c'è? >>
Cyborg si mise proprio davanti a lui: << Dobbiamo andarcene! Sta arrivando! >> gridò, la voce tremante dalla paura.
<< Ma chi ti ha ridotto così? >> domandò Stella indicando i graffi, le ammaccature e soprattutto il braccio mancante.
Ma lui non l'ascoltava, continuava a urlare che dovevano scappare.
<< Che è successo? >> chiese Slado.
<< Via, presto! >>
<< Fermo, sta fermo. Per favore calmati Cyborg, dov'è Corvina? >> disse Stella, preoccupata per l'amico.
Appoggiò le mani sulle spalle del ragazzo e cercò di guardarlo negli occhi, di calmarlo, ma vide il terrore nel suo occhio umano: << Di cosa hai paura Cyborg? Che cos'è che ti spaventa tanto? >> chiese Slado che stava perdendo la pazienza.
Il ragazzo robot sbiancò.
Alzò ciò il suo unico braccio e col dito indicò le finestre.
Riuscì solo a sussurrare: << È qui. >>
Slado si voltò nella direzione indicata dal cyborg, e quando comprese ciò che stava per succedere chiamò immediatamente i rinforzi.
<< BB, mi senti? Vieni immediatamente nella Main Ops room. Porta le armi. >> ordinò lui prendendo in mano il comunicatore.
<< Ok capo, ma quante armi? >>
Slado continuava a fissare ciò che si trovava oltre le pareti di vetro della stanza.
Un incubo sarebbe stato meno spaventoso: << Tutte le armi. >> disse il criminale, osservando l'armatura Hellbat atterrare davanti alle mura.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Slado, che facciamo?
Ho controllato gli archivi, e non abbiamo nulla su questo tizio. Potrebbe benissimo essere un idiota, ma anche uno in grado di annientarci in un attimo. >>
<< Calmati tesoro. Chiunque sia sappiamo che ha ridotto Cyborg in quello stato, quindi è piuttosto forte, ma tu sei sempre stata molto più forte di lui, non è vero? >>
A Stella spuntò un sorrisetto sadico: << Verissimo. >>
Lei sembrava sicura, ma il criminale dentro di se non era altrettanto certo che in uno scontro con quel mostro lei potesse uscirne vincitrice.
Intanto la Hellbat rimaneva ferma immobile sulla cinta muraria, in attesa.
BB entrò nella room senza fiato, le braccia cariche di armi di ogni genere, dai fucili d'assalto alle bombe a mano, dalle armi più futuristiche ai coltelli da lancio: << Ragazzi, ecco qui le armi. Adesso potete dirmi perché ho dovuto fare una simile faticaccia? >> poi notò Cyborg tremante a terra, Stella con l'espressione di quando sta per fare un macello solo per il gusto di farlo e Slado che fissava una figura nera fuori dalle finestre: << Mi sono perso qualcosa? >>
<< Stella, aggiornalo. >> disse Slado.
L'aliena in un minuto riuscì a spiegare tutto al mutaforma in meno di un minuto, da che cos'era quella sagoma scura al perché delle armi, e quando ebbe finito lui disse: << Perché non lo attacchiamo adesso.
Cioè, guarda ciò che ha fatto quel mostro a Cyborg! >> disse indicando l'amico steso a terra: << E pensa a ciò che potrebbe essere successo a Corvina! Potrebbe essere in guai terribili! >>
<< Ti ho già detto perché non possiamo attaccarlo adesso, potrebbe farci a pezzettini in un istante. Quindi calmati e ragiona lucidamente, altrimenti ti farò ragionare io a forza di sberle. >>
Il ragazzo indietreggiò mostrando il suo disappunto, ma non disse niente.
Stella soddisfatta si avvicinò al suo compagno: << Allora tesoro, che si...
La Hellbat alzò la mano che teneva il braccio di Cyborg, la portò dietro la schiena e caricò il braccio.
Lanciò.
<< TUTTI GIÙ!!! >> gridò Slado.
CRASH!!!
Le finestre si ruppero al passaggio del braccio robotica che le attraversò, cospargendo il pavimento di frammenti taglienti.
<< State tutti bene? >> chiese Slado cercando di rialzarsi.
Il proiettile l'aveva sfiorato.
Per sua fortuna tutti gli altri stavano bene e non si erano fatti niente.
Solo lui era un po' ammaccato.
Si voltò a guardare il nemico.
Aveva Corvina nell'altra mano, e sembrava pronto a lanciarla.
Se l'avesse fatto, addio Corvina. Non sarebbero mai riusciti a prenderla al volo in sicurezza.
Prima che avvenisse il lancio, il mostro parlò: << Slado, esci!
Fatti vedere, o succederà qualcosa di spiacevole. >> alzò Corvina per farla vedere bene. A parte il fatto che era svenuta, sembrava a posto.
<< Non scherzo. >>
I Tyrans rabbrividirono, non avevano mai assistito annulla del genere: << Che razza di mostro è? Neppure noi faremmo una cosa così! >> disse BB.
<< Quindi è questo che intende fare. Parlarmi. È sicuramente lui. >> disse il criminale: << Ho capito chi è il nostro nemico. È Robin >>
Stella è BB emisero un mugolio di sorpresa, mentre Cyborg rimase rannicchiato in un angolo, tremante.
Stella gli si avvicinò: << Stai dicendo che... >>
<< Robin è là dentro. Ha trovato il modo di uscire e poi è rientrato con quell'armatura. >>
<< Lui? Non è possibile! Ma come avrà fatto ha trovare quella cosa?!! >> chiese BB, assalito dalla preoccupazione: << Non è che ucciderà Corvina, vero? Non ha mai ucciso nessuno prima, non può cominciare adesso, vero? Vero? >>
<< Non preoccuparti, probabilmente sta bluffando.
Lo conosco bene. >>
<< Che faremo adesso? >>
<< Adesso amore, tu e BB preparerete i fucili e li punterete su Robin.
Lo terrete d'occhio mentre parlerò con lui, e se farà qualche movimento sospetto, gli scaricherete addosso tutto quello che abbiamo. >>
<< No, aspetta. Vuoi veramente andare a parlare con lui?
Faccia a faccia? >>
Il silenzio del mercenario valse più di mille parole.
Stella non riuscì a trattenere le lacrime: << No, ti prego non andare.
Non voglio perderti.
Non posso perderti! >>
Lei lo abbracciò forte. Lo abbracciò forte con il timore che scappasse.
Che se lo avesse lasciato andare, poi non sarebbe più tornato.
Il criminale non si scompose; qualche mese prima l'avrebbe presa a schiaffi senza pietà e le avrebbe gridato contro, mentre lei restava scioccata a fissarlo sul pavimento.
Prima.
Invece le prese il viso tra le mani, e le disse: << Tornerò, non preoccuparti. Non ti lascerò. >>
Piano piano Stella lo lasciò andare: << Prometti? >>
Slado stava per uscire quando sentì quell'ultima parolina.
Era piccola, ma carica di significato.
Una promessa.
Le parole per la prima volta gli si bloccarono in bocca. Non sapeva cosa dire.
Quindi si voltò verso di lei, verso la ragazza che aveva traviato e corrotto, la cui purezza era ormai solo un ricordo, riuscendo a dire solo: << Lo prometto >>
Uscì.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Robin da dentro l'armatura aveva assistito a tutto, ma i suoi sentimenti erano indecifrabili anche per il più bravo psicologo al mondo.
Però provava rabbia, tanta rabbia.
Quando vide Slado uscire dalla porta della torre, dovette reprimere l'impulso di saltargli addosso e stritolarlo. Ma non poteva.
Era pur sempre un eroe.
Slado prese le scale sotto le mura e salì sulle mura, dove trovò Robin.
L'armatura lo rendeva alto due metri e mezzo, mentre il nero lo faceva somigliare troppo ad un demone.
Lui non era così, Slado lo sapeva. Sapeva che non avrebbe mai usato l'armeria pesante se non l'avesse costretto lui. Ma ormai era tardi per i rimpianti.
Ormai erano faccia a faccia.
Rimasero fermi, simili a gargoyle a difesa di una cattedrale per un tempo che sembrava infinito.
Poi Robin, furente: << Perché? >> chiese.
Slado non era sorpreso: << Perché? Perché no? >>
L'armatura si abbassò finché le maschere non si poterono guardare nei buchi per gli occhi: << Non scherzare. >> disse il ragazzo, la voce fredda come il ghiaccio.
<< Non scherzo >> rispose il criminale: << Non l'ho fatto per una ragione specifica, ma per te. Perché so chi sei. >>
<< Tu non sai niente! >> 
<< Sì invece. Tu sei mio figlio. >>
Un brivido di rabbia percorse la schiena di Robin: << Non. Sono. Tuo. Figlio! >>
Con quell'affermazione allungò una mano dell'armatura e prese Slado per il collo, sollevandolo da terra: << Tu non sei mio padre! Lui è morto! >>
Il mercenario non cercò di divincolarsi, anzi restò immobile. Avvertì pure i suoi compagni di non sparare.
<< Sì invece. Ma non puoi saperlo. >>
<< Io non sono tuo figlio! >>
Robin strinse la presa: << Non sono tuo figlio. >> disse scandendo bene le parole.
Slado annaspò, ma riuscì comunque a parlare: << S-sì... sì invece. Lascia che... te lo mostri. >>
Detto questo premette un pulsante sulla cintura, liberando una nube di fumo.
Robin riuscì ad arrivare la visione termica dell'armatura, ma Slado si era già liberato dalla sua presa.
Si guardò intorno, ma non vide niente, finché un urlo non attirò la sua attenzione: << Robin! >>
Si voltò, guardando in faccia il suo grande nemico, che lo guardava a sua volta, e che con voce glaciale disse: << Lo vedrai, ma non ancora. >>
Con il piede premette un pulsante nascosto, sul pavimento, ed un campo di forza si diffuse per le mura.
Un campo di forza che sbalzò via la Hellbat.
Lontano, verso Jump city.
Quando Slado lo vide impattare bruscamente contro alcuni edifici sulla costa, non si preoccupò.
<< Tornerai. Lo so.
Del resto, sei mio figlio. >>

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Capitolo 10
*** Quiete ***


L’impatto contro il primo edificio fu duro.

Non gli fece male, ma lo fece arrabbiare.

Fu quando ne attraversò altri dieci che sentì qualcosa di simile al dolore, ma lo fece solo arrabbiare di più.
Non aveva tempo per accusare la fatica che porta l’uso dell’armatura, doveva andare a punire Slado.
Doveva catturarlo, magari non troppo vivo.
Attivò i propulsori e ripartì a razzo verso la Tyrans Tower, con il campo di forza ad aspettarlo.
Robin ci si scagliò contro a massima velocità, ma l’unica cosa che ottenne fu un altro volo fino a Jump City.
Era furioso: il suo più grande nemico, l’uomo che gli ha rovinato la vita, era lì davanti a lui, nella sua casa, e non poteva farci niente. Niente.
Tornò davanti al campo di forza, e si sforzò di osservarlo con attenzione. Era una cupola che circondava completamente la torre, sembrava fosse costituita da una fitta rete di raggi energetici.
Era una protezione efficiente, che non lasciava buchi o punti deboli che lui potesse sfruttare.
Era frustrato, molto frustrato, ma a malincuore dovette rinunciare.

Non c'era modo di riuscire ad entrare.
“Ma in qualche modo dovranno pur uscire” rimuginò Robin, e si segnò come promemoria di controllare se ci fossero tunnel sotterranei, dopo.

Era così concentrato ad analizzare lo scudo che si era dimenticato di Corvina, sbalzata sul ponte. Era ancora svenuta ma il suo corpo era pieno di ferite, e sanguinava da una brutta ferita alla testa.
Per sua fortuna, Robin si ricordò di non essere venuto da solo.
<< Eccoti qui >> disse lui, individuandola con i sensori dell'armatura: << Mi puoi ancora aiutare. >>
Manovrò l'armatura per prenderla in mano e si librò in volo, diretto verso l'altra torre: << Non finisce qui, Slado! >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Cassie finalmente decise di uscire dal suo nascondiglio.
Era spaventata.
Per lei era troppo. Non poteva sopportare tutto quello. 
Aveva conosciuto Robin appena qualche ora fa, eppure sembravano già passati anni. Aveva già rischiato la vita milioni di volte a causa sua!
Quando l'aveva lasciata sola temeva sarebbe morta, ma lui era tornato in tempo e l'aveva salvata, aveva punito i cattivi che volevano farle del male, ma poi l'aveva lasciata ancora da sola.
Provava dei sentimenti contrastanti per il ragazzo, ma erano soprattutto rabbia per averla lasciata sola ed una specie di attrazione e riconoscenza, in quanto era l'eroe che le aveva salvato la vita.
E poi c'erano la paura, l'ansia e l'angoscia, ma quelle le provava già da parecchio prima.
Si riscosse quando sentì il rumore dell'armatura di Robin atterrare pesantemente sul tetto, scuotendo la torre.
Doveva raggiungerlo.
“Dove diavolo sono le scale? Dove?”
Riuscì a trovare una scala a chiocciola che la portò sul tetto.
La vista era stupenda. Il sole stava tramontando, e colorava il cielo di sfumature di arancio, rosa e violetto.
Era bellissimo. Riusciva quasi a farle dimenticare gli orrori di quegli ultimi giorni.

Vide Robin, guardava anche lui il tramonto. 

Ma a differenza di Cassie, non gli piaceva.
Gli ricordava Stella, quando insieme salivano sul tetto per guardare il tramonto. Era così bella quando veniva colpita dalla luce morente del sole.

Ma Slado aveva rovinato tutto, anche il tramonto. Non sarebbe stato mai più lo stesso per lui, lo sapeva, perché avrebbe pensato a lei. Per sempre.
<< Robin >>
Lui si girò: << Cassie. Stai bene? >>
Lei gli si avvicinò, e Robin la scrutò attentamente: era sporca, più sporca di quando l’aveva incontrata, i capelli erano sparati qua e là, come se le fosse scoppiata una bomba in testa, i vestiti erano strappati in più punti e piccoli tagli le percorrevano il lato sinistro del corpo, dalla caviglia al viso, che si notano attraverso i vestiti strappati. La maggior parte se li era procurati durante la fuga da Cyborg, ma alcuni erano stati causati dalla sua furia quando era dentro la Hellbat.
<< Sì, sto bene. Non ho niente di rotto. Solo qualche graffio. >>
<< Vedo... seguimi, qui c'è un'infermeria. >> disse Robin e prese Cassie per mano, trascinandola giù per le scale ed attraverso mezza torre.
La portò in una stanza grigia, col soffitto alto, arredata con un tavolo operatorio nel mezzo e vari armadi contenenti medicinali e ferri medici e annessi macchinari da ospedale schiacciati contro le pareti.
Fece sedere Cassie sul tavolo ed aprì un cassetto, estraendo bende, cerotti e disinfettante: << Ti fanno male? >> chiese, indicando le escoriazioni.
<< No, non tanto >> disse lei, anche se non era la verità. Le facevano un male cane, ma non voleva far preoccupare Robin più del dovuto.

Chissà perché si comportava così.
Il ragazzo stava preparando le garze ed il disinfettante, quando Cassie notò un particolare dettaglio: << Ehi, dove hai messo quella cosa spaventosa? Non c’era quando ti ho visto sul tetto. E neanche quella ragazza emo che avevi portato cn te. >>
Robin aveva preparato le garze e stava per posarle sui graffi della spalla: << Questo farà un po' male >> e premette.
Quando il disinfettante toccò la ferita scoperta all’inizio Cassie provò un forte bruciore, che però scemò velocemente, limitandosi ad un lieve prurito.
Subito Robin avvolse le bende intorno all’area ripulita e cominciò a preparare delle altre garze: << L’armatura Hellbat è in grado di riporsi da sola nell’area a lei destinata per la ricarica delle batterie. In quanto a Corvina, l’armatura l’ha lasciata in una cella che neutralizza i suoi poteri.
Non preoccuparti, ho una certa esperienza quando si tratta di neutralizzare certi individui. >>
E ce l’aveva davvero: il suo mentore gli aveva ricordato spesso che “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, praticamente il suo credo, ed infatti aveva preparato in entrambe le torri dei piani in caso gli altri Titans fossero passati oltre la linea.
Cassie lo fissò incerta, ma disse solo: << Okay, mi fido di te. >>
"Ragazza, tu riponi la tua fiducia negli altri troppo in fretta" pensò lui, ma evitò accuratamente di dirlo.
Quando finì di fasciarla, Cassie sembrava per metà una mummia, ma i graffi sarebbero guariti in fretta ed a lei sembrava piacere il suo nuovo look.
Robin mise a posto le bende e i medicinali, e stava per uscire quando Cassie disse qualcosa che lo fece indugiare sulla porta: << Grazie >>
Sembrava così irreale che dopo mesi a stare in un buco buio e silenzioso, fuori dal mondo, sentire la voce di qualcuno così gentile.
Era come se qualcuno ti regalasse un milione di dollari un minuto dopo che sei uscito di prigione, e poi ti desse un bacio.
Dopo tanto dolore, quella gentilezza era troppo inaspettata, troppo bella per essere vera.
Si riscosse, ma Cassie notò un attimo di esitazione prima che dicesse << Di niente >> e uscì, facendosi seguire dalla ragazza.
Entrarono nel salotto distrutto nella lotta di poco fa.
Prima doveva essere molto lussuoso, infatti si notavano un enorme televisore a schermo piatto, ormai distrutto, a terra, con i frammenti dello schermo sparpagliati sul pavimento, una consolle hi-tech scardinata da terra ed accasciata sulla parete, in una posizione anormale.
Infine divani, poltrone sfondate, mobili distrutti, lampade tirate fuori a forza dalle pareti, pezzi di cemento dei muri e frammenti di un tavolo da Ping pong erano sparsi ovunque, come dopo una tempesta di vento e metallo.

Cassie non aveva notato questi dettagli la prima volta che era entrata, ma del resto era spaventata a morte.
Robin raggiunse uno dei divani e lo tirò su, sistemò i cuscini e ci si sedette, assorto.
Doveva pensare ad un piano, altrimenti non avrebbe mai fermato Slado.
Dopo un po' che era così, Cassie gli si sedette accanto: << Robin, tutto bene? >> disse lei dopo un po' che erano così: << Lo so che ti conosco da molto poco, ma se hai bisogno io sono qui. >>
Robin si voltò a guardarla e si ricordò quelle lezioni sulla fiducia e sulle persone a cui offrirla, e si ritrovò a pensare: “Che sta facendo? Che vuole da me? Perché è ancora qui? Potrebbe scappare e trovare rifugio in una di quelle piccole comunità di sopravvissuti che aveva visto mentre girava in strada, ma non lo fa.
Perché? Cos’è che la muove?”
Cassie cominciò ad avvicinarsi al ragazzo, piano piano, fini a quasi toccarlo: << Non hai nessun motivo per fidarti di me, lo so, ma voglio dare una mano. Ho imparato a fare molte cose da quando tutto è iniziato.
Posso aiutarti, solo permettimelo.
Ti prego. Per favore. >>
La ragazza era molto vicina.
Troppo per Robin.
Alcune idee nacquero nella mente del ragazzo, e non c'entravano niente con Slado.
Gliele facevano venire in mente il suo profumo, la sua pelle, le sue labbra, i suoi capelli...
Stava muovendo una mano, nemmeno lui sapeva perché o per fare cosa, ma si fermò.
E si ricordò di un altro insegnamento del suo maestro.
Uno dei più importanti.
Si ricordava benissimo ogni dettaglio di quella sera: era appena tornato da un appuntamento con una ragazza stupenda quando lui gli aveva proposto un incontro d'allenamento, per vedere come se la cavava nelle arti marziali.

Lo stava allenando da ben tre anni ormai.
Gli aveva promesso di andarci piano, ma fu lo stesso molto difficile tenergli testa.
Robin era stato mandato al tappeto per la terza volta quando lui disse: "Fai attenzione con le donne. Ti distraggono, ti indeboliscono.
E tu devi essere sempre concentrato, forte, altrimenti..."
Si ricorda che lui gli urlò contro: "Non sono affari tuoi!"
Cercò di colpirlo con un calcio volante, ma non riuscì, e finì al tappeto per la quarta volta.
Il suo maestro torreggiava sopra di lui, immerso nell'ombra, per impartirgli la lezione: "Mai distrarsi ragazzo. Mai!"
"E adesso posso permettermi di distrarmi?" si chiese, tornando alla realtà.
Poi allontanò lo sguardo da Cassie, e capì cosa doveva fare.
Si alzò: << Vieni, ti mostro dove dormirai. >> disse, e guidò la ragazza lungo i corridoi e le scale della torre, verso gli alloggi. Li conosceva bene dato che aveva aiutato a costruirli.

Riuscì a trovare una stanza integra:
<< Ecco, qui ti troverai bene. >> disse lui aprendole la porta: << Se hai bisogno di qualcosa, chiama. >>
Cassie entrò e si sedette sul letto, testandone la morbidezza: << Ok, grazie. >>
<< Ora devo andare, devo fare una cosa. Buonanotte. >> 
<< N-notte Robin. >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Cassie si distese sul letto, improvvisamente esausta.
Si sentiva delusa, io perché non lo sapeva neppure lei, ma sperava che succedesse qualcosa.
Che lei e lui facessero qualcosa.
Raccolse le gambe e si mise in posizione fetale: non aveva mai  dormito al sicuro dall’attacco di quel terrorista, non si era mai fermata da quando tutto era iniziato.
Ed in quel momento non poteva fare più niente per evitare di pensare a tutto ciò che le è successo, e le lacrime cominciarono a scorrere.
E continuarono per tutta la notte.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
“Strano, mi è sembrato di sentire dei singhiozzi” ma non aveva tempo per questo, c’era qualcosa di più importante da fare.
La tuta gli aveva inviato un messaggio avvertendolo del risveglio della prigioniera, e stava andando a parlarle.
La cella speciale era tre piani sottoterra e l’ascensore era stato distrutto nell’attacco, quindi doveva usare le scale.
A metà strada lo colpì una fitta tremenda, che si ripercuoteva in tutto il corpo: "Cosa..."; sentì le gambe cedere e cadde dalle scale, finendo lungo disteso per terra, su un pianerottolo che intervallava le rampe.
"A...iu...to. Aiuta...temi". Non riusciva a parlare dal dolore; alle fitte si aggiunse anche il dolore della caduta. Forse aveva una costola rotta.
Dopo un minuto che sembrava durato ore il dolore passò e riuscì a rialzarsi, incerto sulle gambe, e continuò a camminare, diretto verso il piano inferiore.

Non poteva mollare proprio ora.
Era questo il prezzo da pagare per usare la Hellbat, un enorme dolore, un pezzo di vita in meno da vivere.
Quando aveva indossato la tuta, aveva percepito l'enorme potere che poteva dargli, ma sentiva anche ciò che pretendeva in cambio.
Era la sua ultima possibilità per rimettere a posto le cose, e non l'avrebbe sprecata.
"Non posso pensare a me stesso. Ho cose più importanti da fare" pensò mentre si trascinava malconcio, sopportando anche una caviglia storta.
Raggiunse un piano apparentemente vuoto, spazioso, con il soffitto alto ma senza finestre o pareti di vetro.
Premette un pulsante nascosto sotto il colletto del suo costume, e si collegò alla scatola nera della torre, o almeno ciò che ne rimaneva.
Il pavimento si aprì e ne fuoriuscirono dei cubi.
Erano cubi particolari, in quanto erano ideati per contenere ciascun membro dei Teen Titans o di affiliati nel caso fosse stato necessario.
Era la sua prigione segreta.
Non era il primo e neanche lontanamente l'ultimo segreto che aveva nascosto ai suoi compagni, ma era un bene che l'avesse fatto.
Il primo cubo era per Cyborg, ed all'interno delle onde elettromagnetiche avrebbero impedito ai suoi sistemi di funzionare o di connettersi a internet; la seconda era una gabbia con pareti laser costantemente sorvegliata da telecamere, in modo che se BB si fosse trasformato in un essere minuscolo per scappare lo avrebbe notato è fulminato.
Poi veniva la cella per Stella, che era rinforzata con un metallo riflettente ed in grado di resistere senza problemi all'impatto di un meteorite di grosse dimensioni. Era stata la più difficile da costruire, non tanto per la reperibilità del materiale, quanto al pensiero di doverla rinchiudere là dentro, ma l'aveva costruita lo stesso.
Infine, lontano dalle altre, si stagliava una porta diversa dalle altre.
Era di color grigio perla, più grande delle altre. Ogni centimetro era percorso da simboli magici, per bloccare le capacità magiche del prigioniero.
Non si poteva neanche accedere normalmente: bisognava pronunciare la parola d'ordine al contrario.
Robin arrancò fino a toccarla è pronunciò la parola: << Azzerucis >>
La porta cominciò a muoversi, scorrendo piano di lato, fino a scomparire.
Il ragazzo riuscì a entrare a stento, prima di svenire.
L'ultima voce che sentì fu quella di Corvina che lo salutava: << Ciao Robin. Ti vedo bene. >>






Ecco qui. Scusate il ritardo, ma febbraio è stato un mese un po' così.
In compenso il capitolo è piuttosto carino.
Non preoccupatevi, il prossimo arriverà senza ritardi.

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Capitolo 11
*** Intermezzo JLA ***


L'ultimo capitolo è uscito in ritardo, quindi intendo rimediare con questo intermezzo sulla JLA.
Si combinano le serie della Lega con i Titani.



Era notte in città.
Il cielo era limpido come uno specchio, la luna ridotta ad una minuscola striscia bianca: sembrava avesse paura di guardare ciò che stava succedendo sulla Terra.
Le stelle erano poche e fiacche, misere in confronto alla seppur seminascosta luna; colpa dell'inquinamento luminoso causato dalle grandi città.
Una figura nera mantellata si stagliava alta sopra un grattacielo, indistinguibile tranne che per gli occhi: bianchi e senza pupille, sospesi nell'oscurità.
In mano reggeva un binocolo, puntato verso una città lontana, un ammasso di strade e palazzi ricoperto da una cupola cristallina.
Da lì sembrava che coprisse solo una città, ma l'area era ben più estesa. Comprendeva infatti un pezzo di Steel City ed un quarto di Central City, oltre che tutta Jump City.
<< Batman a Justice League, come procede? >>
<< Qui Superman, ancora nulla.
Chiunque sia stato, ha inserito delle particelle di kryptonite nella composizione di questa barriera.
Non posso fare niente da qui. I ragazzi dell'esercito stanno tentando di tutto, ma temo che anche loro non otterranno nulla. >>
La frequenza cambiò, ed uno ad uno ogni membro della Lega fece rapporto a Batman: << Qui è Martian Manhunter.
La cupola emette forti scariche elettriche e quando cerco di oltrepassarla a bassa densità vengo fulminato. Non riesco ad entrare. >>
<< Qui Flash. Neanche io riesco a passare. Chiunque sia stato è bravo, la cupola emette vibrazioni che impediscono alle mie molecole di vibrare alla frequenza corretta. Mi spiace Bats. >>
<< Qui Wonder Woman, niente da fare. La cupola resiste ai miei colpi ed anche a quelli di Lanterna Verde.
Per un po' Hawkgirl a provato a romperla a mazzate, ma non ha sortito alcun effetto. >>
Il cavaliere oscuro impostò il trasmettitore sulla frequenza di Aquaman: << Aquaman, rapporto. >>
<< Niente. Si estende anche sotto terra e nel mare.
Non riusciremo a entrare finché qualcuno non spegnerà questa diavoleria dall'interno. >>
"Finché qualcuno non la spegnerà dall'interno" rimuginò lui: << Va bene, proverò a contattare Zatanna ed il Dottor Fate per farmi aprire un portale, voi intanto continuate a tentare. >>
Batman abbassò il binocolo, lo attaccò alla cintura, si lanciò, allargò il mantello e catturò il vento, planando verso il campo base dell'esercito.
Lungo il tragitto fu colpito dai ricordi: "Robin..."
Si ricordava di quando lo trovò. Un ragazzino disperato per la morte dei suoi genitori, rotto dal pianto.
L'aveva preso con se, l'aveva cresciuto, l'aveva addestrato.
La prima notte che lavorarono insieme, fu quasi ucciso da Due Facce. Alfred ci fece una ramanzina che durò per tutta la notte.
Quando se ne andò per dimostrare che era più di una spalla, Bruce si sentì svuotato, triste come capitava raramente.
Eppure aveva mantenuto un atteggiamento freddo, distaccato, lontano, come se non gliene importasse nulla di lui. Di una delle pochissime persone che erano in grado di capirlo.
I sensi di colpa lo tormentavano moltissimo.
"Non accadrà mai più" si ripeté fra se.
Atterrò davanti alla tenda predisposta a quartier generale temporaneo: "Non temere Dick, sto arrivando."

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Capitolo 12
*** Furore ***


 
<< Secondo voi è sopravvissuto? >> chiese BB, dopo aver visto l'enorme massa nera che era la Hellbat venire sbalzata lontano, contro le sagome degli edifici di Jump City.
Cyborg era ancora a terra a tremare, quindi toccò a Stella rispondergli, che con tono di superiorità gli disse: << No, non è possibile. Questo scudo potrebbe fulminare un elefante e non lasciarne nemmeno le ossa. Non può essere... >>
Sbang!
I ragazzi rabbrividirono per lo spavento.
Il demone era tornato indietro ed aveva cozzato di nuovo contro la cupola, senza sortire alcun effetto, anzi venendo rispedito dove si era schiantato poco prima.
Gli ex compagni di squadra di Robin sapevano benissimo che poteva colpire quanto forte voleva.
Non sarebbe mai riuscito a scalfirla. Era una barriera che poteva reggere ai colpi di Superman, agli attacchi magici, persino una bomba atomica!
Non poteva entrare.
Però, mentre i ragazzi guardavano quell'enorme essere, quel diavolo infernale, assediare senza sosta e con furia inaudita la sottile barriera che li separava, provarono paura, ma una paura diversa da quella che conoscevano.
Provarono una paura nuova.
Provarono terrore.
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"Ha smesso" concluse Slado.
Doveva ammettere che non credeva sarebbe ritornato indietro.
Credeva che una scossa sarebbe bastata, ma tutta quell'energia non aveva minimamente danneggiato l'armatura. Doveva pensare a qualcos'altro per neutralizzarla.
Intanto Robin aveva smesso di bussare, avendo capito che non poteva entrare con lo scudo alzato. Quindi rimase lì, immobile, sospeso a mezz'aria.
Stava analizzando il problema.
"Non troverà niente. Non ho tralasciato nulla" pensò il mercenario, osservando il ragazzo che lasciò perdere.
Sembrava stesse per andarsene quando si ricordò di non essere venuto da solo.
Raccolse Corvina da terra e se ne andò.
Slado poteva considerarsi fortunato che lo scudo fosse così potente. Aveva passato ore a curarne i dettagli. Ogni singola cellula energetica è stato un eccellente acquisto.
Il mercenario si riscosse dai suoi pensieri e si decise a ritornare nella torre, illeso ma turbato nel profondo.
Prima di entrare nel passaggio che l'avrebbe portato dai suoi compagni, alzò lo sguardo al cielo.
Non si ricordava l'ultima volta che l'aveva fatto.
Di sicuro prima che cominciasse tutto. Prima che si arruolasse nell'esercito, prima di diventare una delle loro cavie, prima di perdere suo figlio...
"Non ho tempo per questo"
Percorse un lungo corridoio illuminato da lunghe strisce di lampade al neon, e per poco non cadde quando Stella gli volò incontro abbracciandolo forte: << Amore! Ho avuto così tanta paura! >> si staccò un poco per guardarlo negli occhi: << Ti prego, non farlo mai più! Mi sono spaventata a morte! >>
Slado la accarezzò, spostandole dei capelli ribelli dietro l'orecchio: << Non preoccuparti per me. Ti avevo promesso che sarei tornato, ed io mi impegno a mantenere le promesse >>
Stella lo riabbracciò più forte di prima, soffocando il viso sul petto di lui. Era così contenta che fosse vivo.
<< Quando avrete finito, vi ricordo che avremmo delle cose importanti da fare >> si intromise BB, raggiungendoli: << Come ad esempio pestare a sangue il bastardo che ci ha attaccato e che ha rapito Corvina. >>
Stella si staccò definitivamente da Slado, insieme imbarazzata e irritata, e volò via. Quando se ne fu andata, Slado si rivolse verso il mutaforma, con disappunto: << Si può sapere che ti prende? Ti avevo già avvertito di dare una regolata a questo atteggiamento! >> era così arrabbiato che il verdolino poteva considerarsi fortunato a non raffigurasti già come concime biologico per il giardino: << Non osare mai più parlarmi con quel tono!
Non sei tu a comandare qui! >>
BB indietreggiò intimorito, ma la rabbia lo rese incosciente e spavaldo: << Non pensarci neanche! Devo vendicarmi! 
Non puoi negarmelo!
Ha traumatizzato Cyborg, ci ha attaccato, ha rapito Corvina! Dimmi perché non dovrei prenderlo e farlo a pezzi seduta stante! >>
Era furioso. Dentro di se provava rabbia, odio, paura... stava per esplodere.
Ma Slado non aveva problemi ad occuparsi di persone ridotte in quello stato.
Infatti raddrizzò la schiena e lo fissò dritto negli occhi: << Perché ti ammazzerebbe! Ti schiaccerebbe come una formica usando solo una mano di quel suo costume robotico! >> disse, scandendo bene le parole.
BB non indietreggiò una seconda volta: << Me ne frego! Farò a pezzi quella cosa che indossa e gliela farò ingoiare a quel bastardo! E tu non mi fermerai! >> detto questo si trasformò in un falco e schizzò lungo il tunnel, verso l'uscita esterna.
Non riuscì neanche a fare due metri, che Slado con uno scatto quasi sovrumano lo agguantò al volo e lo schiantò al suolo, schiacciandolo sotto il suo stivale
<< No! Non osare disobbedirmi! >> urlò rabbioso.
Non voleva che lui andasse a combattere Robin, sarebbe stato uno spreco di risorse se fosse morto.
E poi, nessuno poteva trasgredire i suoi ordini e passarla liscia.
BB si trasformò e Slado finì a terra. Era diventato una tigre.
Slado si rialzò appena in tempo per evitare una zampata e si lanciò di peso contro il suo avversario, menando un pugno contro l’occhio destro del mutaforma.
Mentre la tigre indietreggiava, il mercenario gli saltò in groppa e le avvolse le braccia intorno al collo, stringendo forte.
BB cercò di liberarsi.
Provò a saltare avanti e indietro, a schiantarsi contro le pareti, a mordere il suo nemico ma niente. Slado non mollava.
Quindi provò a cambiare forma.
Si trasformò in un orso, ma la situazione non cambiò. Anzi, Slado stringeva più forte di prima.
<< E va bene BB, ultima possibilità! Torna umano immediatamente oppure finirà molto male per te >> disse lui, facendo infuriare il ragazzo ancora di più.
Mutò in una mangusta e sgusciò tra due braccia ormai troppo grandi per lui, e per un istante credette di essergli sfuggito.
Non aveva mai sbagliato di così tanto.
Slado fulmineo lo afferrò per la coda e lo fece roteare sopra la testa.
Doveva semplicemente continuare così finché non lo avesse fatto svenire ed a quel punto rinchiuderlo in una cella rinforzata, ma era troppo arrabbiato.
E la rabbia lo rese cieco.
Calò con tutta la sua forza l’animale sul pavimento di cemento, dove risuonò con un forte schiocco di ossa rotte e .
BB non si rialzò per combattere.
Non avrebbe farlo per un po'.
Slado si erse in piedi vittorioso, posando lo sguardo freddo e tagliente sullo sconfitto. Poi, mentre il ragazzo ritornava lentamente umano, gli disse, con voce rabbiosa: << Ecco cosa succede quando mi disobbedisci Logan! Ecco cosa succede! >> 
Si voltò, e senza voltarsi indietro lo lasciò lì, esanime, e si diresse verso la porta che conduceva ai piani superiori.
Prima di varcare la porta però, gettò un solo sguardo sul corpo straziato del ragazzo, compiacendosi del suo operato.
Provò la stessa sensazione di quando si arruolò mentendo sulla sua età. Quella sensazione di quando sai di aver fatto qualcosa che dovrebbe essere proibito, eppure ne vai lo stesso orgoglioso.
“Non avresti dovuto farlo Logan. È colpa tua.
Non mi dispiace per niente!”
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Ah, tesoro eccoti qui! >> disse Stella quando lui salì nella Main Ops Room.
L'aliena era in cucina, dove cercava di alleviare la tensione preparando dello strano cibo alieno immangiabile.
<< Sai dov'è BB? Non l'ho visto rientrare. >>
Slado ripensò a ciò che si era lasciato dietro, alle ossa rotte ad al sangue, e sotto la maschera sorrise: << Non preoccuparti dolcezza, gli ho detto di preparare una squadra di androidi e di fare un giro di ricognizione.
Non rientrerà prima di domani. >> rispose, avvicinandosi alla ragazza da dietro.
Le appoggiò le mani sui fianchi: << Cyborg? >>
<< Ancora niente >> lo informò, scurendosi in volto: << È spaventato a morte. Credo che rimarrà così per un bel po'. >>
Slado la girò, facendole distogliere l'attenzione dal qualunque-cosa-sia che stava cucinando: << Non preoccuparti tesoro. Quando tutto sarà finito, quando il mio piano avrà successo, ti prometto che non dovrai più preoccuparti di nulla. >> le prese le mani: << Penserò io a tutto. >>
L’umore di Stella migliorò un poco: << Grazie tesoro. Che fortuna averti qui, con me. >>
Fece per avvicinarsi, come a baciarlo sulla maschera, quando sentì odore di bruciato: << Oh no, il quaglok! >>
Si precipitò alla fonte del fumo e tirò fuori una specie di mattone grigio carbonizzato stretto in una forma per torta circolare.
Mentre Stella dissipava il fumo, Slado se la squagliò: << Tesoro, tu occupati del fumo, devo fare una cosa. Torno subito >> disse mentre se la squagliava verso l'interno della torre.
Si diresse verso la stanza di Cyborg. Quando aprì la porta, gli venne da credere che fino ad un attimo fosse passato un tornando di lamiere per la stanza: i mobili erano rotti ed i frammenti erano sparpagliati per terra, senza lasciare zone libere dalle schegge; gli schermi che mostravano le condizioni del ragazzo e le partite di calcio erano stati fracassati, ed i frammenti facevano compagnia alle schegge. Alcuni avevano segni di graffi profondi, e rivelavano i circuiti interni.
Non c’era traccia della panca hi-tech che Cyborg usava per ricaricarsi, ma dalla finestra rotta e dai bulloni scardinati sparsi a terra si poteva capire che qualcuno l’aveva scardinata e lanciata contro il campo di forza, dove doveva essersi vaporizzata.
Cyborg era seduto in mezzo alla stanza, con le ginocchia cromate raggomitolate a sé. Dondolava tremante come prima, senza cambiamenti visibili.
<< Alzati, non ho intenzione di improvvisarmi psicologo! >> ordinò Slado: << Non ho farmi sprecare tempo ed energie per uno smidollato come te! Non ti conviene!
Datti una mossa! >>
Cyborg all’improvviso si lanciò verso il mercenario e lo sollevò da terra, tenendolo alzato con le mani sul collo: << Tu non hai la minima idea di che cosa mi sia successo! >>
Il suo occhio umano era lo specchio della paura, e si perdeva in un abisso scuro e frastagliato. Il software non riusciva a gestire tutte quelle emozioni, stava per collassare: << È un mostro! È un demone! È un… >>
Slado lo interruppe colpendolo con un bastone elettrificato dritto in testa, facendolo svenire. 
<< Adesso vediamo che succede dentro la tua testolina bullonata. >> disse, poi tirò fuori da una tasca una chiavetta USB.
Prese il ragazzo e lo appoggiò contro la parete, poi estrasse dal bracciale un cavo e lo attaccò ad una delle sue prese sulla nuca, poi attivò lo schermo ologramma sull’avambraccio.
Premette qualche tasto ed individuò subito il problema: << Ecco che cos’hai. Un virus polimorfo disturbante. Non ti cancella niente in memoria, ma incasina tutti i tuoi dati. Disturba la tua componente robotica lasciando intatto il tuo lato organico.
Intelligente. >>
Premette altri pulsanti ed aprì una mappa del sistema cibernetico del ragazzo, rivelando l’area colpita dal virus: << Eccoti qui! Nel sistema percettivo. Ora proviamo con… >>
Inserì la chiavetta, premette pulsanti su pulsanti, provò diverse combinazioni numeriche ed inserì alcuni codici antivirus e dei nuovi firewall preventivi. Dopo un’ora Cyborg era pronto e poteva tornare a combattere.
<< Ecco qui, come appena uscito dalla confezione. Ora dovresti valere di nuovo qualcosa. >>
Cyborg si mosse meccanicamente, molto rigido sulle giunture, e si mise in piedi sull’attenti: << Signor Slado, attendo ordini. >>
Slado era sorprendentemente contento del suo operato. Aveva reso Cyborg il soldato perfetto: forte, deciso, perfettamente disciplinato.
“Peccato che durerà solo qualche giorno. Ma del resto non voglio che Stella si preoccupi troppo per lui.
Almeno non dovrò fare niente, ci penserà la sua componente biologica.”
Gli diede un paio di ordini e lo lasciò lavorare.
Tornò in cucina, e sorprese Stella a sonnecchiare sul divano.
Aveva pulito la cucina e si era buttata lì, esausta. Troppe emozioni, anche per lei.
“È così bella” pensò, sedendole accanto.
Le accarezzò i capelli, pensando a ciò che voleva dirle ma che non poteva.
La ragazza aprì un occhio: << Mmmh, amore? Che c’è? >> disse con voce stanca.
<< Niente, pensavo solo che sarebbe meglio se andassimo in camera nostra. Insieme. >> disse lui prendendola in braccio.
Stella sorrise contenta: << Che tesoro che sei. >>
Guardandola, il mercenario cominciò a chiedersi se fosse giusto ciò che stava facendo.
Quando l’aveva soggiogata, non poteva neanche immaginare di potersi innamorare ancora, non dopo ciò che era successo alle persone che amava. Ad Adeline. A Grant.
Ma non voleva pensarci. Voleva godersi il momento fino all’ultimo.
Fino alla fine.
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BB non riusciva a sentire le gambe. A stento respirava.
“Mi ha conciato proprio male” pensò: “Devo provare a trasformarmi. Di solito così guarisco dalle ferite.”
Si sforzò al massimo per trasformarsi in un animale, soprattutto in uno minuscolo. Per qualche minuto non accadde niente, e lui restò a terra inerme.
Poi le sue membra si ritirarono. La pelle cominciò a raggrinzirsi e a riempirsi di peli. Gli spuntò una piccola coda.
Cominciò a rimpicciolirsi, dapprima piano, poi sempre più veloce, fino a diventare grande quanto la sua mano.
Si era trasformato in un topo: “Che ironia” commentò.
Si controllò tutto il corpo: non aveva segni o ferite, le ossa erano integre e non c’erano fuoriuscite di sangue.
Però era esausto. Più di quando si trasformava in un grande animale.
Lentamente, faticosamente, riuscì ad arrivare in camera sua senza essere visto. Lì si ritrasformò in umano, si buttò a peso morto sul letto e cercò di dormire.
Non ci riuscì. Continuava a tornargli in mente il pestaggio di poco prima: la violenza di Slado, la sua forza, il dolore che era riuscito a causargli così facilmente.
Gli occhi cominciarono ad inumidirsi di lacrime: "Perché l'ha fatto? Capivo la punizione, ma perché così tanto? E perché così violentemente?
Noi dovremmo comandare tutto insieme!"
Era così sconvolto che le sue orecchie non colsero il lieve fruscio di pelo proveniente dall'altro lato della stanza.
Non lo immaginava, ma non era solo lì dentro.
"Corvina, se solo fossi qui. Anche solo vederti mi farebbe sentire meglio".
Una creatura dai tratti felini aprì gli occhi, grandi e penetranti, e li puntò su BB.
"Tu non lo immagini neanche cosa provo per te."
Lenta e silenziosa, essa si accovacciò su quattro zampe, sfoderando lunghi artigli affilati, pronta a balzare sulla preda ignara.
"Corvina io..."
Spiccò un balzo verso il ragazzo.
"Io ti amo"

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Capitolo 13
*** Dolore ***


La creatura colpì.
BB venne ricoperto da un vortice di denti e artigli, ed che lo ferirono.
Per il dolore emise un urla inumane.
Prima che riuscisse anche solo a pensare l'assalitore lo fece volare attraverso la stanza, schiantandolo contro la parete.
Normalmente in occasioni simili si sarebbe trasformato in un grosso animale ed avrebbe contrattaccato, ma era troppo stanco ed il nemico non gli lasciava riprendere fiato.
Una mano artigliata lo prese dietro la nuca e lo sbatté a terra, ripetutamente.
SBAM!
Le ossa si ruppero.
SBAM!
Il sangue sgorgò a fiumi.
SBAM!
Il pavimento si tinse di sfumature scarlatte.
E così via, sempre di più, sempre più sangue, sempre più dolore. Il pavimento si incrinò.
Il ragazzo percepì la sua forza vitale lasciare il suo corpo.
Poi accadde.
Fu come un fulmine. L'aria si saturò di elettricità, accompagnata da un rumore come di transistor, ed un colpo di laser centrò in pieno la creatura, sbalzandola via. Essa si accasciò di colpo in un angolo, svenuta.
C'era odore di carne e pelo bruciato misto all'acre aroma del sangue, ormai sparso per il pavimento.
Il colpo proveniva dal cannone sonico di Cyborg, ritto davanti alla porta. Fu l'ultima cosa che il mutaforma vide prima di svenire.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Che vuol dire coma?! >>
Slado era in piedi insieme a Stella davanti al lettino da ospedale su cui giaceva il corpo immobile di BB.
La sua testa era stata bendata ed una flebo iniettava costantemente del liquido endovena. Era collegato a delle macchine che lo monitoravano minuto per minuto, rilevando attività cerebrale, i battiti del cuore ed il respiro.
Slado si voltò per guardare il ragazzo. Le ferite si estendevano per tutto il corpo, alcune delle quali molto profonde che mostravano carne, muscoli e ossa attraverso le bende insanguinate. Una delle orecchie a punta era lacerata e pezzi di pelle morta dondolavano pigramente dallo squarcio.
Puzzava di morte.
Il mercenario teneva in mano una tac che rilevava i danni cerebrali del verdino. Erano gravi.
Cyborg si era posizionato davanti a lui, un po' meno rigido di prima. Nonostante la nuova programmazione la sua ansia si notava già: << Purtroppo la prigioniera gli ha causato danni ingenti. Ha numerose fratture al cranio ed ha perso parecchio sangue.
È stato fortunato, avevo appena finito di ricaricare il cannone che ho notato dei rumori provenire dalla sua stanza. >>
Stella era china su di lui, e piangeva. Era vestita con un lungo pigiama troppo grande per lei, che sembrava quasi comico nonostante la situazione.
Slado spostò lo sguardo un attimo per guardarla affranto.
Si chiese se non sarebbe stato meglio modificarle un po' di più la memoria per evitarle così tanto dolore, ma ormai non poteva farci più niente. Non poteva usare la macchina due volte sulla stessa persona.
<< Va bene. >> ritornò su Cyborg: << Dove l’hai messa? >>
<< La prigioniera è al sicuro nei sotterranei. La prima gabbia aveva il difetto di avere delle sbarre troppo sottili. Questa è migliore. >>
Slado si mise a guardare il mezzorobot di traverso: << Cioè il mio esperimento è scappato dalla gabbia rompendo le sbarre? >>
<< Sì, signore. >>
A Slado parve venire in mente un’idea.
Guardò un’altra volta verso Stella. Stava ancora piangendo.
Le si avvicinò, e le posò una mano sulla spalla: << So che è dura per te, ma dobbiamo continuare la nostra opera. Lui vorrebbe così. E non vorrebbe che noi perdessimo tempo a rimpiangerlo. È un grande soldato, si riprenderà. >>
Stella si girò a guardarlo. Aveva gli occhi arrossati per via delle lacrime e le tremava la voce: << Ti prego, lasciami stare qui ancora un poco. >>
<< Va bene tesoro >> le rispose lui condiscendente: << Tornerò tra dieci minuti. >>
La lasciò lì ed obbligò Cyborg a venirgli dietro: << Vieni! >>
<< Ma... >>
Il criminale si voltò a guardarlo dritto negli occhi furioso: << Vieni! Ora! >>
Appena varcarono la porta cominciò a dettargli istruzioni: << Da adesso ti occuperai delle mansioni di BB fino a quando non si sveglierà.
Dovrai inoltre tenerlo d'occhio ed alla minima variazione della sua situazione dovrai avvertirmi immediatamente. >>
Raggiunsero un ascensore: << Ora portami dal mio esperimento. >>
Cyborg premette un tasto e le porte si chiusero, poi l'ascensore cominciò a scendere.
<< Un'ultima cosa >> disse il mercenario a metà del tragitto. Con la rapidità di un fulmine tirò fuori un taser tascabile dalla cintura e lo puntò in faccia al ragazzone: << Se mai ricapiterà un avvenimento del genere, ti considererò completamente responsabile. >> fece una pausa per gustarsi le gocce di sudore freddo del ragazzo: << Ci siamo capiti? >>
Cyborg rispose, ma sembrò che parlasse con una palla da tennis in bocca: << C-ca-capito capo! Ho capito! >>
<< Bene >> rimise l'arma nella cintura.
<< È bello sapere che andiamo d'accordo. >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Non riusciva a smettere di piangere.
BB, il suo migliore amico, ridotto in quel modo. E lei che lo aveva sempre trattato con sufficienza.
Come poteva perdonarselo?
Lui c'era sempre stato per lei, non le aveva mai voltato le spalle e le aveva salvato la vita in più occasioni.
Perché proprio lui?
Avrebbe fatto volentieri uno scambio.
Starsene lì, a guardarlo respirare artificialmente, era tremendo. Devastante.
Era un'aliena che sparava laser dagli occhi, volava, sollevava tonnellate con una mano sola, eppure non poteva aiutare una delle persone a cui teneva di più al mondo.
Scesero molte altre lacrime, che lei non poté fermare.
Poi si rese conto di una cosa: << Ma io... Da quanto ti voglio così bene? >>
Da quando ne ha memoria non provava quel tipo di emozioni verso il mutaforma.
Anzi tutt'altro.
Quando sembrò che stesse per capire, cominciò.
Fu come se le avessero aperto il cranio con un piccone. Si raggomitolò a terra e cominciò a dimenarsi, piangendo stavolta per il dolore.
Le si appannò la vista, e davanti agli occhi le comparvero delle macchie nere. 
Quando il dolore raggiunse il culmine, iniziarono le visioni.
Vide se stessa, in un parco, su una coperta da picnic. Accanto a lei c'erano BB, Cyborg e Corvina, e mangiavano insieme a lei. Non sembravano i soliti: BB indossava una tuta viola e nera, Cyborg non aveva spuntoni ne altri accessori aggressivi, inoltre aveva cambiato i colori optando per il blu ed il grigio. C'era anche Corvina che se ne stava in disparte, ed indossava un mantello blu con un top nero-bluastro. Ma la cosa più strana era che lei non avesse un aspetto demoniaco! Sembrava una vera e propria ragazza terrestre!
Erano così diversi, eppure avevano un non so che di... naturale.
Sorridevano, mangiavano, BB si metteva dei ramoscelli nel naso, e scatenava l'ilarità di Cyborg trasformandosi in animaletti buffi, mentre Corvina si concentrava sul libro che aveva in mano, ignorandoli.
Però aveva l'impressione che mancasse qualcuno, ed infatti nella visione l'aliena continuava a guardarsi intorno ansiosa, come a cercare qualcuno.
Quindi spuntò fuori lui.
Bassino, capelli neri, maschera bianca, costume variopinto: Robin. Quello che doveva essere il suo nemico mortale.
Eppure quando lo vide il suo sorriso si allargò ancora di più, tanto che si capiva che provava sentimenti di molto profondi per lui.
Le si sedette accanto, e cominciò a mangiare.
Sembravano così felici.
La visione si concentrò su Robin, sull'immagine del suo viso.
Si stava avvicinando, sicuramente per baciarla. Ma ad un centimetro dalle sue labbra, il volto del ragazzo cominciò a trasformarsi.
Metallo liquido sgorgò da occhi, bocca, narici, dai pori della pelle, e cominciò a vorticare, a mutare e a gorgogliare. In pochi secondi ogni centimetro del suo viso si coprì di metallo, che lentamente si solidificò e si modellò.
Il metallo prese la forma di una maschera, che si colorò di arancione e nero. Un solo buco per un unico occhio.
I dettagli della visione cambiarono. Sotto di lei l'erba del prato prese fuoco e bruciò diventando cenere, che ad ogni suo movimento scricchiolava; il cielo cambiò colore, scurendosi e arrossandosi, mentre l'aria si riempì dell'odore del fumo e di polvere in un mix pungente.
Lui le porgeva la mano, in piedi sulle macerie, e la invitava a salire. Lei era indecisa.
Prima che accadesse qualcosa però, gli occhi le si riempirono di colori accecanti. Vide il mondo crollare.
Poi tutto divenne nero, e svenne.
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Lentamente e con fatica, Robin aprì gli occhi.
Era disteso scomposto su un pavimento, ma dove? Cos'era successo?
Riuscì a mettersi seduto, e provò a guardarsi intorno. Era davanti ad una specie di cella, solo che non si ricordava del perché si trovava lì.
Cercò con lo sguardo una finestra, o un orologio, o qualsiasi cosa che gli potesse rinfrescare la memoria e fargli dimenticare il male di testa che lo assaliva da quando si era svegliato. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva perso i sensi, ma secondo il dolore delle articolazioni dovevano essere passate alcune ore.
Non trovando niente lasciò perdere e tentò di fare mente locale.
Lentamente cominciarono a riemergere alcuni dettagli: Cassie, la cupola, Slado, la Hellbat...
"Cazzo! La Hellbat" pensò, proprio quando cominciò a ricordare ciò che gli aveva detto il suo mentore a proposito dell'armatura: "Robin, questa armatura è stata costruita da me con l'aiuto di tutti i membri della Justice League. È in grado di tenere testa ad un dio in quanto a potere, ma ricordati che se nel caso qualcuno la usasse essa gli assorbirebbe energia vitale drenandogliela dal suo metabolismo. È una bara di ferro mobile.
Usala solo nelle situazioni di estrema emergenza."
Era stata quella cosa a ridurlo in quello stato. Per quel poco tempo che l'aveva indossata ne era stato quasi completamente prosciugato. Aveva un gran bisogno di cibo, tanto cibo: "Chissà se Cassie sa cucinare." si chiese.
Distratto dai suoi pensieri non vide la prigioniera davanti a sé interrompere la meditazione, alzarsi ed osservarlo riprendersi.
Stanca ed alquanto seccata, decise di intromettersi e di ricordargli la sua presenza: << Cavolo, speravo proprio non ti rialzassi. >>
Robin scattò ed assunse la posizione di combattimento, pronto a menare le mani. Quando si accorse che non c'erano avversari a portata di sguardo, tentò di girarsi.
Immediatamente crollò a terra.
Mentre cercava di rialzarsi, la sentì ridere.
<< Sei proprio penoso sai? Devi essere caduto proprio in basso per mostrarti così, Robin. Ma che peccato >>
Lui da terra alzò lo sguardo verso la prigioniera. I glifi sulle pareti le impedivano di usare i suoi poteri, e le avevano fatto tornare l'aspetto umano.
Ma Robin ci aveva inserito anche un piccolo scherzetto tra i glifi. Dopo settimane di ricerche aveva trovato un glifo particolare, che non solo aumentava la potenza degli altri, ma costringeva la ragazza nel suo aspetto infantile.
Era poco più di una bambina in punizione segregata nella sua camera: << È così che pensi di sconfiggerci? Svenendo ogni volta che cerco di parlarti?
Sei patetico. >>
Robin riuscì a strisciare fino ad una parete, su cui si appoggiò di peso. Non riusciva a rialzarsi.
Dalla bocca gli uscì una risatina isterica, quasi nevrotica: << Sarei io quello patetico? Tu piuttosto, non è ora del riposino? Se no poi sei nervosa. >>
La bambina arrossì di rabbia e prese a urlare contro il vetro, ma Robin premette un pulsante sul pavimento e la cella si insonorizzò. Quando lei smise di urlare per riprendere fiato Robin riattivò il sonoro: << Corvina, devo dirti una cosa importante, e voglio che mi ascolti. Poi sarai tu a parlare mentre io ascolterò le tue risposte a certe mie domande, e mi aspetto che tu parli sinceramente. >>
<< Non parlarmi come se fossi davvero una bambina stronzetto! Uff... E va bene, sentiamo. >> disse lei, un po' adirata.
Robin sembrò scegliere con cura le parole, poi cominciò: << Sai, voglio iniziare dicendoti che saremmo stati benissimo insieme. Probabilmente se non avessi provato quello che provavo per Stella mi sarei innamorato di te, e forse tu avresti ricambiato e saremmo stati felici in qualche modo.
Forse le cose sarebbero cambiate, in meglio o in peggio.
Ma non è andata così, anche se in ogni caso io e te siamo molto in sintonia, e ti voglio bene come a poche altre persone al mondo. >>
Fin qui aveva avuto la sua attenzione, sebbene lei lo guardasse come se fosse pazzo.
Ma del resto, come poteva aspettarsi di sentirsi dire quello dal suo nemico giurato? Come mai le stava dicendo che ci teneva a lei? 
"Che sia completamente pazzo?" pensò lei.
<< È vero che non è colpa tua e che Slado ti ha modificato dei ricordi, ma sarò chiaro. >>
Si alzò a fatica e si avvicinò al vetro, e si mise così vicino da appannare il vetro con il suo respiro. Poi, con voce fredda e sinistra le disse: << Farò qualsiasi cosa pur di riportarla da me. Qualsiasi. >>
C'era qualcosa, nel suo sguardo, che riusciva a bucare il tessuto.
Per farglielo vedere bene si tolse la maschera.
Sorrise.
<< Se non rispondi dovrò fare cose molto spiacevoli, ho paura che potrei divertirmi. Sai, c'era un clown a Gotham che si divertiva molto a fare del male alla gente, ed io ho imparato un paio di cosette dai suoi ultimi lavori. 
Allora, sei disposta a parlarmi? >>
Le perle di sudore freddo di Corvina furono una risposta chiara, ma lei rispose lo stesso: << S-sì, cosa vuoi sapere? >>
Il sorriso del ragazzo si allargò un po' di più: << Ottimo, cominciamo... >>
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Robin uscì barcollando dal piano prigione. Aveva ottenuto le sue risposte, senza che dovesse fare del male alla ragazzina.
"Le cose piano piano migliorano" pensò mentre saliva le scale gradino per gradino, aggrappato al poggiamano per non cadere. Quando arrivò in cima riusciva già a camminare senza aiuti, seppur zoppicando.
Quando arrivò agli alloggi pensò subito di attivare le misure di sicurezza e poi buttarsi sul letto, ma aveva un'ultima cosa da fare.
Si ritrovò davanti alla porta della stanza dove dormiva Cassie.
Ci sbirciò dentro. Lei era sdraiata scomposta sul letto, profondamente addormentata.
"Bene, campo libero."
Raggiunse la Main Ops Room della torre e cercò di attivare il tavolo. Non si accese.
Riprovò. Niente da fare.
Per la frustrazione Robin tirò un pugno sul vetro, su cui si formò una ragnatela di crepe. Era rotto.
<< Fantastico. Non ho qui gli strumenti per ripararlo. Devo trovare un altro modo per contattare l'esterno. >>
Il suo sguardo vagò per la stanza fino a posarsi sulla piattaforma che aveva usato per teletrasportarsi, ma scartò subito l'idea. Troppo rischioso, non poteva né sprecare corrente né lasciare la torre sguarnita, anche se per poco.
Però doveva trovare un modo per contattare l'esterno. Doveva trovare un modo per comunicare con i militari ed i supereroi che si erano ammassati fuori, ed escogitare un piano.
Gli venne in mente un'idea. Tirò fuori da una tasca il suo comunicatore portatile ormai mezzo rotto, e tentò di usarlo come una radio.
<< Devo solo trovare la sequenza giusta... >>
Provò e riprovò, finché non riuscì ad intercettare un segnale proveniente dall'esterno della cupola.
Quindi collegò il suo comunicatore ad un piccolo schermo ancora integro sulla parete e si inserì: << Qui Robin dei Teen Titans. A chiunque ci sia lì fuori, mi ricevete? Mi ricevete? >>
Passarono diversi minuti, ma dallo schermo provennero solo dei rumori statici.
Ritentò un'altra volta. Niente.
Non mollò, e fece molti altri tentativi, ma niente. Non c'era nessuno ad ascoltare.
Robin in preda alla rabbia scattò in piedi e cominciò ad urlare: << No. No! Perché cazzo non risponde nessuno? >> prese da terra un coccio di vetro frastagliato: << Rispondete cavolo. Rispondete! >>
Lanciò il frammento sullo schermo, su cui rimbalzò e ricadde a terra, senza sortire effetto.
Robin stava per abbandonare tutte le sue speranze, quando sentì una voce bucare il silenzio.
Proveniva dal comunicatore.
<< Robin...bzzz...i se...bzzz... Robin >>
Tentennò per un secondo, ma superò presto lo stupore. Conosceva quella voce.
C'era cresciuto con quella voce.
Non credeva che tra tutti avrebbe risposto proprio lui.
Comunque non si lasciò prendere dall'emozione, ed assunse un tono di voce piatto.
<< Ah... sei tu.
Ciao papà. >>

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Capitolo 14
*** Bestie ***


Il sole bucò lentamente l'orizzonte, giovando la città in rovina sotto di lui dei suoi freddi raggi di luce.
Robin era sveglio, e tentava di godersi la rinascita della sfera dorata dalle finestre della torre.
Non ci riusciva. Troppe cose a cui pensare.
"È ora di andare"
Si diresse verso il garage, raccogliendo nel tragitto le chiavi della sua nuova moto. L'aveva raccolta durante uno dei suoi giri per le strade, sotto un lampione, e da allora la usava per spostarsi. Non era come quella vecchia, però non si era danneggiata ed era veloce, il che era stupendo contando che viveva in una città distopica separata dal resto del mondo. Doveva solo fare attenzione alla benzina.
Raggiunse il pianterreno ed il garage della sua nuova moto. Era una splendida Kawasaki nera, che grazie alle sue modifiche ed alla tecnologia presa dalla torre poteva raggiungere i 200 km/h in dieci secondi. 
"Se solo i miei amici mi vedessero ora con questa bellezza" pensò mentre inforcava la sella, ma scacciò subito quel pensiero. Non aveva tempo per la malinconia.
Non voleva usare la Hellbat. Dall'ultima volta aveva deciso di usarla il meno possibile
Si piegò per raggiungere il casco che aveva appoggiato accanto alla moto. Quando si rimise dritto Cassie spuntò fuori ed entrò come un treno: << Fermo lì tu! >>
Robin alzò lo sguardo dal cruscotto: << Sì? >>
Cassie indossava gli stessi vestiti di quando l'ha tirata giù dal letto, ossia gli stessi del giorno prima, e probabilmente del giorno prima ancora, ed aveva i capelli disordinati che le sballonzolavano in testa come le zampe di un ragno ubriaco. Gli occhi erano scuriti da delle piccole occhiaie: << Non osare andartene così! Non puoi tirarmi giù dal letto mentre sto dormendo e pretendere di andartene immediatamente dopo avermi detto di... di... >>
Robin sospirò con rassegnazione: << E va bene, te lo ripeto. Io devo andare in un posto dove spero di trovare persone che ci possano aiutare con quella... >> disse alzando un dito ad indicare il cielo, ingiallito per via della barriera: << Quindi tu devi fare attenzione mentre non ci sono: non aprire la porta mai e poi mai, non gironzolare senza meta per la torre e soprattutto non fare casini. C'è una cucina al piano dove dormi, ho controllato ed è ancora piena.
Tornerò tra qualche ora. Ma se non succedesse devi premere...
<< Sì, sì, me lo ricordo questo. Me l'hai ripetuto fino allo sfinimento quando mi hai buttata giù dal letto a tradimento. >>
<< Allora non avrai problemi a ripetermelo >> disse il ragazzo con tono di sfida.
Cassie gli rispose allo stesso modo: << "Premere il pulsante rosso sulla console nella stanza grande per attivare la blindatura totale della struttura"; sì grazie, molto d'aiuto.
Quello che non capisco è perché mai vuoi andartene così all'improvviso, potevi almeno avvertirmi con un minimo d'anticipo! >>
Si era ormai avvicinata alla moto abbastanza da poterlo guardare negli occhi e, con un tono più contenuto, per dirgli cosa la innervosiva tanto: << Non mi piace restare da sola. >>
Robin intravide la paura negli occhi della ragazza, tanto che lei aveva cominciato a tremare: << Non preoccuparti >> le disse, accarezzandole i capelli per tranquillizzarla: << Tornerò prima di quanto pensi, e quando sarò di nuovo qui le cose miglioreranno. >>
Cassie si calmò un pochino: << Prometti? >> chiese, singhiozzando un poco.
Per un momento i due ragazzi non udirono alcun suono, tanto che sembrava che il tempo si fosse fermato. Il ragazzo non se la cavava bene con le promesse. Fu la voce di Robin a rompere il silenzio: << Prometto >>
Detto questo, Cassie si allontanò dalla moto. Robin mise la mano sulla leva dell'acceleratore, e si voltò per guardare in viso Cassie un'ultima volta. Poi mise la marcia e diede gas, schizzando fuori a razzo.
Robin sentì un sapore amaro salirgli in bocca.
Non gli piaceva mentire.
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A Jump City come al solito era molto silenziosa.
La città, prima illuminata, chiassosa e piena di gente, era diventata un raggrumo di macerie su cui si stagliavano palazzi spenti. Non c'era anima viva a portata di sguardo.
L'unico rumore era quello provocato dai passi dei robot di Slado, che a gruppi setacciavano le rovine in cerca di sopravvissuti. Per poi eliminarli o imprigionarli. Qualche volta si sentiva un urlo, ma erano sempre più rari.
Robin era diretto verso un punto della parete più vicina della cupola, a circa 15 km a sud della torre.
Era lì che lui e Batman si erano dati appuntamento.
Doveva solo passare in mezzo a centinaia di robot assassini senza che quelli lo notassero, evitare le centinaia strade interrotte, i ponti interrotti e le buche, e soprattutto doveva cercare di non morire.
Era già a buon punto, a circa a metà del viaggio, e le teste di latta non gli avevano ancora creato problemi.
Ogni tanto si nascondeva, e ne aspettava qualcuna, per colpire. Non ce la faceva a starsene con le mani sempre sul manubrio.
Voleva combattere, dargli la caccia, colpirlo finché non diventavano un ammasso indistinto di rottami. Lo eccitava. Per lui era un piacere sentire il rumore del ferro che si rompeva, dei bulloni che saltavano, i circuiti che friggevano. A volte si sorprendeva a sorridere dopo averli distrutti, ma ormai non gli importava molto. Si stava spingendo troppo in là, ma non gli interessava.
Dopo ogni strage saltava di nuovo in sella alla moto e riprendeva la strada verso la meta.
Non si accorse però dell'ombra che lo seguiva nascosta nel buio, in attesa del momento in cui il ragazzo avrebbe abbassato la guardia per poterlo uccidere.
Alcune volte lui riusciva a scorgerla con la coda dell'occhio, ma solo per un istante. Quando si voltava, quella era già sparita. Non ci poneva troppa attenzione, aveva i suoi problemi a cui pensare.
Ben presto raggiunse il luogo del suo appuntamento, ossia una lurida strada stretta fra un enorme parcheggio a più piani ed un piccolo edificio condominiale al confine della città e della cupola.
La particolarità dei due edifici era che la barriera li aveva trapassati e tagliati in due perfette metà. Erano gli unici che, stranamente, non erano crollati quando fu eretta la barriera. La sua improvvisa accensione aveva distrutto numerose auto e tantissime case lungo tutta la sua circonferenza. Robin poteva solo supporre quanto fosse larga, ma temeva che si estendesse oltre Jump City, che l'epicentro fosse altrove.
Per terra erano sparpagliati frammenti bruciati di lamiere, pezzi di ferro, tubi, mattoni e le ruote delle macchine saltate in aria, il tutto ricoperto da strati di polvere e di ceneri.
C'era il solito odore di metallo bruciato ed il puzzo di morte, ma con delle nuove sfumature date dal vecchiume e dai ratti. Robin notò uno scheletro appoggiato contro una parete del parcheggio. Aveva ancora qualche pezzetto di pelle incartapecorita attaccato alle ossa giallastre.
Il ragazzo meraviglia scese dalla moto e la spinse dentro il condominio, sollevandola sulle scale. Dovette aprire le porte scorrevoli a mano, ma non trovò troppa resistenza e l'ascensore era abbastanza spazioso che la moto entrò dentro senza problemi. L'avrebbe lasciata parcheggiata lì fino alla fine della chiacchierata.
Non si premurò di richiudere le porte tanto era sicuro che la moto fosse lontano da occhi indiscreti. Non aveva notato pattuglie nelle vicinanze, tantomeno sopravvissuti.
Non si avvicinavano mai ai confini. Gli ricordava che erano in trappola.
Robin uscì dal condominio e si piantò a pochi passi dalla cupola, in attesa.
Non erano ancora arrivati. Era in anticipo, aveva tempo.
Ripensò a ciò che era successo la sera prima, quando era riuscito a comunicare al di fuori di quella prigione. Le frasi che aveva scambiato con il suo mentore erano state interrotte da un forte ronzio statico, ma furono sufficienti a fornire un orario ed un posizione.
Mancavano circa cinque minuti.
Aspettò.
Il primo che che vide fu la scia rossa. Flash come sempre era arrivato sul posto prima degli altri. Gesticolava con le mani verso di Robin, ed aveva un sorriso larghissimo. Poi arrivò Superman, in volo ad alta velocità, anche lui entusiasta che il ragazzo fosse ancora vivo. Infine vide gli sbuffi di polvere causati dall'atterraggio dell'aereo invisibile di Wonder Woman. Il portellone si aprì e lentamente scesero Lanterna Verde, Martian Manhunter, Aquaman e la stessa Wonder Woman.
Robin erano contento di rivederli, per lui erano come una famiglia allargata, gli zii che non aveva mai avuto. Gli venne in mente un ricordo di qualche anno fa, prima che si allontanasse da Batman e formasse i Teen Titans.
Era il suo compleanno ed era appena ritornato dalla ronda notturna col suo maestro. Quella notte Gotham era quieta, tranquilla. Quasi noiosa.
La bat-caverna era stranamente buia, più del solito. Stavano scendendo dalla bat-mobile, quando improvvisamente si accesero le luci. Si ricordava della reazione esagerata che aveva avuto, temeva che qualcuno si fosse introdotto nel loro rifugio segreto. Non era del tutto falso.
Quando i suoi occhi si abituarono alla luce, loro erano lì. Tutto era arredato come ad una festa di compleanno: palloncini, festoni, torte, patatine, bibite gassate. Tutta la Justice League si era riunita a per festeggiare il suo compleanno!
Si era voltato a guardare Batman, stupefatto, e quando lo vide aveva una torta in mano.
<< Buon compleanno Robin >>
"La festa più bella della storia" 
Ma quello era prima. La situazione era cambiata. Era bellissimo rivederli, ma con tutto quello che era successo non se la sentiva più di restare con loro. E non era ancora arrivato il pezzo forte.
Scese da solo, in disparte come lo obbligava il su ruolo. Ovvio.
"È Batman no?" pensò Robin.
Si diresse verso la barriera, davanti al ragazzo, impassibile. Al suo passare i supereroi si facevano da parte.
I suoni non attraversavano la cupola, quindi i due presero mano al comunicatore. Riuscirono a recuperare il segnale della notte prima, e finalmente riuscirono a sentire oltre. Era più facile da vicino.
Batman chiese ai suoi compagni di allontanarsi e di non ascoltare. Era una conversazione tra padre e figlio. Loro si tennero da parte pur rimanendo a portata di mano, nel caso succedesse qualcosa e servisse il loro aiuto.
Finalmente sono soli, uno davanti all'altro, a guardarsi negli occhi, senza fare il minimo rumore. 
Passarono alcuni secondi di silenzio tra i due, senza che nessuno avesse il coraggio di parlare per primo.
Robin fu il primo a tentare: << Ti ricordo che Superman ha il super udito. >>
Batman sembra aver perso la sua solita compostezza: << Mi ha promesso che non l'avrebbe usato. >>
Altro silenzio.
Robin ricomincia, ancora per primo: << Senti, io... >>
<< Come hai potuto lasciare che accadesse? >> lo interruppe lui: << Questa gente contava su di te, e tu l'hai delusa! Era una tua responsabilità Robin! E come ti sei permesso di rubare la Hellbat?! Hai idea di quanto sia pericolosa? >> disse a voce molto alta, quasi gridando.
Robin non si sorprese di ricevere critiche così dure. Rispose a tono: << Come oso io?! Come osi tu! Io ho fatto il possibile per difendere questa città, proprio come mi hai insegnato tu, solo che io l'ho fatto meglio! >>
<< E da quando fare meglio di me consiste in un'invasione con tanto di isolamento? Perché non mi hai chiamato, avrei potuto portare i rinforzi! >>
<< Ah sì? Vedo che state facendo un bel lavoro lì fuori. Me la stavo cavando benissimo da solo. Non ho bisogno del tuo aiuto! Ogni volta che lavoriamo insieme tu prendi il controllo senza fidarti di me neanche una volta. Anche a Gotham era così. Mi limitavi. Volevi essere tu l'eroe, e lasciavi fare a me la spalla. La spalla!
Ti rendi conto di quanto sia degradante non essere considerato? Di essere tenuto da parte?! >> sbottò Robin, dando voce alla sua frustrazione.
<< Tu non dovresti volere attenzione. Tu dovresti salvare vite! >> rispose risoluto il cavaliere oscuro.
<< E lo faccio da quando sono qui! Ma a te non è mai importato vero?  Per te sono solo un aiutante usa e getta. Come con Jason! >>
Quest'ultima accusa colpì Batman come un muro di mattoni, anche se non lo diede a vedere: << Robin, adesso smettila. >>
<< No, non puoi rimproverarmi come un bambino quando si comporta male. Tu non sei mio padre. >>
La maschera inespressiva che Batman aveva indossato fino ad allora crollò con quest'ultima frase.
Credeva di aver blindato i suoi sentimenti, di avere un controllo completo su se stesso. Credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime quella sera di tanti anni fa.
Per questo anche lui fu sorpreso quando i suoi occhi si inumidirono, la sua voce si spezzò, e quando sentì il sapore salato delle lacrime: << Io non sarò tuo padre, ma tu sei mio figlio! >>
Per Robin fu come un colpo in un punto scoperto. Batman, il suo maestro e punto di riferimento da quando era un poppante, era lì, davanti a lui, che piangeva disperato.
Solo allora il ragazzo vide le occhiaie, le piaghe, i segni della stanchezza su tutto il corpo. Era visibilmente dimagrito. Non mangiava mai tanto, ma probabilmente non si era più nutrito da quando aveva scoperto della cupola, ed aveva passato tutto il suo tempo a trovare una soluzione per salvare il suo pupillo, rischiando anche la sua copertura.
<< Robin, non sono mai stato un buon genitore. Ho commesso tanti errori fin dall'inizio, quando ti ho coinvolto in questa guerra al crimine personale. Ogni volta che ti mettevo in pericolo avrei voluto sacrificarmi per te senza pensarci due volte.
Quando ho saputo di... >> ruotò le braccia in cerchio per indicare tutta la situazione: << ... questo, ed ho creduto che ti fosse successo qualcosa di brutto, io... >>
Il ragazzo meraviglia sentì la rabbia cedere, lasciando posto alla vergogna. Come aveva potuto?
<< Voglio rimediare. >> disse il crociato incappucciato guardandolo negli occhi: << Voglio tirarti fuori di lì e ci riuscirò. Te lo prometto. >>
Dietro di lui i supereroi guardavano la scena stupefatti ed emozionati. Dentro, ognuno di loro si pose la muta promessa che avrebbe fatto di tutto ed anche di più pur di aiutare Batman nel suo intento, in ogni modo possibile.
Anche Robin è commosso. Era più sicuro, più certo che ce l'avrebbero fatta. Avrebbero salvato tutti. Sarebbe andato tutto bene.
Ma gli imprevisti accadono.
Quando Batman la notò era troppo tardi: << Dick attento! >>
Robin era troppo concentrato sulla conversazione per notare l'ombra dietro di lui, ma purtroppo i lievi fruscii che generava muovendosi erano impossibili da sentire anche per qualcuno con un udito sovrumano.
Robin però aveva i riflessi pronti.
Si chinò proprio mentre un set di coltelli da bistecca fissati su una grande mano pelosa gli saettò sopra la testa. L'unica cosa che tagliarono furono delle ciocche di capelli, ma c'era mancato davvero poco. Ancora qualche centimetro e ZAC!
Si salvò da altri colpi solo grazie alla sua agilità, per poi mettersi a distanza di sicurezza dal nuovo nemico roteando per terra.
"Le sorprese oggi non finiscono mai" pensò, notando l'aspetto bestiale della creatura innanzi a lui.
Sembrava un enorme gatto antropomorfo, alto almeno due metri e dotato di una coda lunga e pelosa. Era quasi del tutto ricoperto di peli neri tranne che in faccia, sulla pancia, sulle spalle fino ai gomiti e sulle cosce. Il resto del corpo era coperto da un tappeto peloso nero ed irregolare.
Il fisico, lungo e flessuoso, era però cosparso di orribili piaghe poste a intervalli irregolari, lembi di pelle strappati a causa della trasformazione avvenuta troppo velocemente su quel corpo mutato, che lasciavano intravedere la pelle ed i muscoli sottostanti, questi ultimi molto sviluppati e definiti.
Nonostante tutto era un corpo stranamente proporzionato, come se qualcuno ci avesse lavorato con cura e dedizione. O almeno il minimo indispensabile per non farlo apparire grottesco.
Gli artigli, lunghi circa 10 cm, erano macchiati di sangue fresco, così come i lunghi canini della bocca.
Anche così deformata però la riconobbe dai lineamenti, dalle movenze e dagli occhi, rimasti inalterati: era Kitten.
<< ...Kitten? Che ti è successoooh? >> lei si gettò sulla preda sferzando i lunghi artigli, ma il ragazzo meraviglia si abbassò e non venne ferito.
Robin si allontanò ancora ed il combattimento continuò così, fra assalti e schivate.
Poi però Robin tirò fuori dalla cintura il suo bastone telescopico e lo allungò: << Okay Kitten, non costringermi a farti del male. >>
La risposta fu un'unghiata diretta al volto, subito parata dalla sua asta di ferro: << Allora vuoi il gioco duro, eh? Ti accontento. >>
Cominciarono a combattere seriamente.
Robin la colpiva quanto più forte poteva nei punti scoperti, mentre Kitten accusava le botte e contrattaccava con furia animale. Ogni loro movimento serviva per attaccare, parare, schivare e restituire colpi.
Fuori intanto Batman aveva assistito impotente all'inizio del combattimento, e si stava scervellando sulla cintura per trovare un modo di entrare, non importava quanto rischioso. Se avesse guardato il ragazzo sarebbe stato fiero di lui, della sua grinta, della sua abilità in combattimento, delle sue tecniche. Almeno non vide quando venne ferito.
<< Aahhhh!! >>
Agli occhi del ragazzo il mondo sbiancò. Sul suo fianco destro si era aperto un lungo squarcio frastagliato, da cui cominciarono a sgorgare fiotti di sangue scarlatto. Il ragazzo cercò di tamponare la ferita con il mantello, ma l'emorragia non si fermava.
Quando il cavaliere oscuro udì il grido dal comunicatore, quando alzò gli occhi un secondo dalla cintura, e vide il sangue uscire dalla ferita del suo protetto, non ci vide più. Cominciò a prendere a pugni la barriera noncurante del dolore, appena attenuato dai guanti isolanti.
In pochi secondi tutta la League stava cercando di aprire a pugni un'entrata nella barriera, ma inutilmente. Non potevano entrare.
All'interno la lotta continuava e Robin stava perdendo. La ferita lo rallentava e perdeva troppo sangue per lottare come prima. Ben presto Kitten gli fu addosso. 
Le ferite si moltiplicarono, senza che lui riuscisse a difendersi bene. In seguito ad un assalto molto violento il bastone volò via, conficcandosi a terra.
Kitten si avvicinò, avvolgendogli stretta la coda attorno al collo. Lo sollevò da terra pronta a colpirlo, ma con calma, assaporando il momento. Estrasse le unghie della mano destra lentamente, come il predatore felino che era, preparandosi e gustando le gocce del fiume di sangue proveniente dal fianco di Robin. Era il momento più bello, la fine della caccia e la degustazione della preda. Non come la volta prima, con il verde. Li era stata interrotta, ma stavolta non c'era nessuno a mettersi in mezzo
Muscoli tesi si mossero, la mano si levò in alto, pronta a cadere, in un istante che parve infinito.
Dal comunicatore uscivano urla disperate, gemiti e pianti, infiniti tonfi ad alta frequenza sempre più veloci. Ma potevano sforzarsi quanto volevano, tanto non sarebbero entrati.
Kitten abbassò la mano.
Il mondo si tinse di rosso.
 
 
 
 
Ecco il nuovo capitolo.
Spero vi sia piaciuto, perché ho intenzione di inviare un capitolo ogni tre settimane fini alla fine della storia.
Alla prossima!

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Capitolo 15
*** La curiosità... ***


Vi ringrazio per la pazienza, ma ecco qui il nuovo capitolo, con stavolta Cassie come protagonista.
Quando avrete finito vi prego di leggere le note finali, soprattutto quelli che di voi sono artisti disposti a collaborare con me.
Spegnere le luci
Motore
Buona visione
 
 
 
<< Ahia! >>
Cassie mollò il coltello con cui si era ferita e si mise a succhiare il dito. Il taglio non era profondo, ed almeno non usciva neanche tanto sangue.
"Maledizione!"
Era andata in cucina con l'intenzione di prepararsi qualcosa da mangiare, e per schiarirsi le idee a stomaco pieno. Robin era partito l'ora prima, e lei era ancora preoccupata per lui.
Guardò il suo dito, poi il coltello e infine le goccioline di sangue sul pavimento: "Non ho più fame."
Rimase in cucina giusto il tempo necessario per ripulire il pavimento dal sangue, e lasciò il cibo avanzato sul tavolo.
Le sarebbe piaciuto sapere dove fosse Robin, anche solo per dirgli un paio di parole molto poco carine: "Come ha potuto lasciarmi sola così?! Che bastardo! Da quando gli ospiti vengono lasciati soli così?
Spero davvero che ritorni tutto intero, così almeno lo posso prendere a sberle!"
Però era davvero preoccupata per lui. Da quando l'aveva conosciuto si era finalmente sentita al sicuro, e poi non aveva ancora compreso cosa provava per lui. O anche solo se provava qualcosa per lui.
<< Non risolverò niente continuando così, tanto vale farmi un giretto per la torre. Sono proprio curiosa di vedere se è come me la sono sempre immaginata. >>
Robin le aveva detto di non combinare guai, ma non le aveva detto che non poteva farsi un giro per la torre.
Uscì quindi dalla cucina e cominciò ad esplorare l'ex quartier generale dei Titans East, sperando di sfuggire alla noia. Decise di cominciare sul piano in cui si trovava, lo stesso in cui dormiva. Non c'era molto che non avesse già visto: la Main ops room quasi completamente distrutta, una decina di alloggi, un bagno (in cui aveva passato ore dal giorno in cui era arrivata), la cucina, l'infermeria ed una sala proiezioni: << Hanno un cinema personale? Che figata! >>
Il proiettore era acceso, mostrando lungo il telo bianco un'immagine messa in pausa. Il telecomando era per terra, sotto un sacchetto di pop corn stantii mezzo pieno. C'era già un film nel proiettore, lasciato in pausa poco dopo i titoli di testa. Chi c'era prima era stato interrotto, e non era potuto tornare a finirlo.
Appeso alla parete c'era un portadischi pieno di DVD, ognuno targato con un'etichetta: "Proprietà di Aqualad", "Proprietà di Speedy, non toccare!", "Propriedad de Mas y Menos, no tocar por favor."
Guardandosi intorno le parve di sentire le risate di quei ragazzi che potrebbero essere morti, e le si smorzò l'entusiasmo: << Forse è meglio non entrare qui... >>
Quando capì di aver visto tutto ciò che poteva vedere cambiò piano.
Salì un paio di rampe di scale ed entrò nell'hangar, una specie di enorme soffitta piena di velivoli, aerostati ed addirittura un razzo: << Ecco finalmente spiegato a che serve la forma a T! Per tenere tutti questi... cosi volanti. >>
Fece un giro in mezzo ai velivoli sperando di trovare qualcosa di interessante. Purtroppo trovò ben altro.
Appena svoltò un angolo la vide. Era lì, così vicina da poterla toccare, seminascosta nel buio. Ma la si notava benissimo, soprattutto per via della quantità abnorme di cavi che partiva da terra e si collegava all'enorme busto robotico color ossidiana.
La Hellbat.
Il solo vederla rese molli le ginocchia di Cassie, che cadde pesantemente al suolo. Aveva sperato vivamente di non dover rivedere mai più quell'incubo puzzolente di sangue e zolfo. Ogni volta che la guardava temeva che si sarebbe mossa da sola e l'avrebbe uccisa da momento all'altro: "Perché diavolo Robin non ha preso un'armatura meno raccapricciante? Sono sicura che ne abbia altre decine molto meno spaventose. E perché deve usarla? Non può farcela da solo?"
Guardò i cavi con più attenzione, per non guardare direttamente l'armatura, e ne distinse a centinaia fuoriuscire dal muro, e solo una decina fornivano energia al resto dell'hangar: << Infatti notavo la mancanza di elettricità in cucina. Ma quando beve questo orrore? Spero non esaurisca l'energia. >>
Guardando di nuovo la Hellbat le parve di vedere il demone spaventoso a cui somigliava, che al posto dell'aria respirava la polvere, e che invece dell'energia elettrica si nutriva del sangue, che a Cassie parve di vedere scorrere all'interno dei cavi, il denso liquido rosso che si riversava all'interno del torace dell'essere, nutrendolo e sfamandolo in vista della prossima battaglia.
A quel punto la ragazza non sopportò più di rimanere lì e scappò via. Cominciò a correre più forte che poteva, e non smise fino a quando le gambe non le fecero male e dovette fermarsi a riprendere fiato.
"Robin..." pensò, esaurita: "Dove sei? Ho bisogno di te."
Gli occhi si inumidirono. Scesero delle lacrime, poi dentro di se sentì salire la rabbia ed il ricordo di chi non c'era più. Di chi l'aveva aiutata a sopravvivere.
Smise di piangere: << No, loro non vorrebbero vedermi piangere come una bambina spaventata. Devo essere degna di loro, e combattere! >> si asciugò le lacrime e si tirò su in piedi, pronta a fare il possibile per ripagare i debiti immensi che doveva a chi l'aveva salvata. Doveva aiutare Robin e l'avrebbe fatto, in un modo o nell'altro.
<< Sì, insieme salveremo la città! >> disse, ritrovando in se la sicurezza che aveva perso.
Fu improvviso: "Ih ih ih ih"
<< Cosa? >> era una risata fredda e beffarda, priva di gioia, ripetitiva: "Ih ih ih. Ih ih ih"
<< Chi c'è? Dove sei? >> Cassie si guardava in giro, guardinga, ma senza vedere nessuno.
Solo allora si rese conto di essersi persa.
Non era mai stata in quella stanza, e la trovava molto strana. A differenza delle altre era quasi completamente vuota, c'era solo una specie di piccolo pannello di controllo, pieno di leve e lucine, con 5 grandi pulsanti rossi. Si fiutava un vago odore di incenso misto a ruggine.
Cassie si avvicinò alla tastiera, senza smettere di guardarsi intorno, e risentì quella risatina fastidiosa: "Ih ih ih ih"
<< E va bene, ora basta! Esci immediatamente chiunque tu sia! >>
La risposta le arrivò direttamente nella mente, ma sembrava confusa, distante, difficile da comprendere: "Okay, allora premi."
La ragazza non sapeva che c'entrassero i pulsanti, ma le sembrava di capire che per parlare con l'intruso doveva premerli. Lentamente e con cautela si avvicinò e ne premette uno. Alla sua sinistra il pavimento si aprì, e da sotto uscì una specie di cella con delle sbarre elettriche alle pareti.
"Che ci fa una cosa così qui dentro?" si chiese, ottenendo sorprendentemente risposta: "Quella è una gabbia speciale creata apposta per BB, Beast Boy. Prova a indovinare chi l'ha ideata."
Cassie si ritrasse verso l'uscita: << Riesci anche a leggermi nel pensiero ora? >> ancora non riusciva a vedere chi altro c'era con lei. "Si, è uno dei pochi poteri a me concessi di usare, ma è molto indebolito rispetto a prima. Comunque, premi un altro pulsante."
E Cassie premette. Stavolta uscì dal pavimento una grande cella pesantemente blindata, che emetteva un rumore elettronico e sembrava elettrificata.
La voce si fece risentire, ma più chiaramente; sembrava una bambina: "Questa era per Cyborg. Hai presente? Il tizio alto, per il 90% di ferro, armato fino ai denti? Per lui ha pensato a questa cella che gli dovrebbe impedire di comunicare con l'esterno. Ingegnoso eh?"
<< Ma chi diavolo sei? Esci allo scoperto! >> urlò Cassie cominciando a perdere le staffe: "Tu continua a premere ed uscirò, vedrai."
Cassie aveva notato che il tono di quella voce era più facile da distinguere, e le parole si facevano più chiare. Premette un altro pulsante, rivelando l'ennesima cella, che però scese dal soffitto. Era notevole, simile alle altre ma più piccola. Era completamente traslucida e trasparente, ma sembrava molto più resistente della cella per il cyborg e più carica di energia rispetto a quella per il mutaforma.
"Stella stellina, la notte si avvicina... Per l'aliena. Non hai idea di quanto soffrisse lui al pensare di doverla rinchiudere lì dentro. Ma sono sicura che dopo un po' gli sarebbe passata."
Cassie colse una punta di amarezza nella voce, sepolto sotto tanta ironia. Che fosse arrabbiata? Oppure solo triste?
Premette anche il quarto pulsante, pronta a tutto. Non successe niente.
"No, no, no ragazzina, non è così che funziona. Ripeti dopo di me: azzerucis."
<< Az... azzre... azzerucis? Ma che significa? >> 
Dal fondo della stanza provenne una strana sensazione di gelo, ma non si notarono cambiamenti. "Significa che adesso devi guardarti intorno cocca."
Cassie provò a premere di nuovo il pulsante, ma non successe niente. Fu quando si allontanò dalla pulsantiera per andarsene che all'improvviso comparve davanti a lei, come se ci fosse sempre stata.
Quella cella non aveva sbarre o restrizioni simili. Era piuttosto un grosso masso di roccia nera di forma rettangolare, alto fino al soffitto e largo la metà: "Come in quel film, Odissea nello Spazio!" pensò la ragazza, "Che tipa sveglia!" la prese in giro la voce.
Cassie la ignorò; alzò una mano e delicatamente la mosse verso il monolito. Prima che potesse avvertirne la fredda superficie sotto i polpastrelli quella si spaccò in due e si aprì, mostrando l'interno della cella.
Dentro c'era una bolla enorme, rotonda e cosparsa di glifi e piccoli disegni che rilucevano fosforescenti, illuminando di viola le pareti nere. Non toccava terra, ma levitava a mezz'aria.
Quando le fu vicina sul pavimento comparve una striscia, anche quella viola e fosforescente, che da davanti alla sfera si collegava ad una specie di pulsante sul pavimento, che lei avrebbe benissimo potuto raggiungere allungando un piede.
Guardando bene la sfera notò che era trasparente, e che all'interno c'era qualcuno. Sembrava una ragazzina, e mostrava circa dieci anni.
Era molto piccola, aveva gli occhi color ametista, i capelli viola e la pelle bianchissima.
Indossava un piccolo top bianco ed un mantello dello stesso colore, che le faceva sembrare la pelle ancora più cerea. Era così pallida che sembrava illuminare la cella.
Cassie si avvicinò alla ragazzina, pur mantenendo una distanza di sicurezza dalla bolla. Quando fu vicina la ragazzina aprì gli occhi, e sorrise: << Ehi, ce l'hai fatta ragazza! E adesso, che pensi di fare? >>
Eccola lì la voce, la stessa che aveva sentito in testa fino a poco fa! << Una... bambina? >>
Corvina sbuffò con scherno: << Ed io che pensavo fosse Robin il detective. >> commentò, burlandosi di lei.
La ragazza non apprezzò il sarcasmo, infatti: << Chi diavolo sei? E come ti permetti di parlarmi così! >>
La prigioniera mantenne il suo ghigno antipatico: << Calma ragazza, non serve a niente arrabbiarsi. Perché non ti siedi e parli un po' con me, sono sicura che non ti annoierai a discutere, che ne dici? >> 
L'aveva appena conosciuta, però già la detestava. Sarà stata l'atmosfera pesante della cella, i bagliori accecanti dei glifi, o il fatto che la faccia di quella bambina antipatica cercasse continuamente di mutare in un quella di un minidemone idrofobo munito di corna (senza riuscirci), ma le sembrava che quella ragazzina fosse davvero malvagia, e che ci fosse un motivo se era imprigionata, ma lei che poteva saperne?
Seccava un po' per Cassie rimanere con quella bambina, ma meglio dell'ansia perenne e della noia: << Ok, dammi un motivo per restare ad ascoltarti. >>
<< Bene bene bene, cominciamo. Sei comoda, vuoi una tazza di tè? Una bibita? >> disse Corvina mantenendo il suo tono antipatico ed il suo sorrisetto, ma vedendo la faccia di Cassie smise di scherzare: << No? Ok, allora stammi bene a sentire...
Corvina raccontò di lei, di Slado e di cosa è successo davvero alla città. Voleva condire la storia con delle bugie, ma la magia della prigione glielo impediva, quindi si limitò a raccontare la verità omettendo alcune parti: << Io e i miei compagni abbiamo attaccato questa città qualche settimana fa, come ben sai, alla testa di un enorme esercito. Abbiamo cominciato a devastare non appena la cupola si fu completata, mentre eravamo isolati dal mondo. Che goduria è stata! 
Avresti dovuto vedere come le persone erano disperate! In quanti si buttavano contro la barriera cercando di scappare, o in quanti si buttavano dai grattacieli pur di sfuggirmi.
Ahhh, mi eccito sempre a pensarci. >>
"Non è possibile" pensò Cassie, "com'è possibile che una bambina possa essere così sadica? È proprio un mostro!"
La ragazza però non si accorse degli sforzi di Corvina che stava cercando di entrarle in testa per impiantarle un'idea, l'idea di liberare la bambina che aveva davanti agli occhi dalla sua angusta prigione. Magari anche controllarla mentalmente se avesse avuto una volontà abbastanza debole. Se ci fosse riuscita sarebbe tornata libera, senza nemmeno che l'altra se ne sarebbe accorta.
<< Dopo il massacro iniziale abbiamo operato al dettaglio, mandando in giro piccole pattuglie programmate per uccidere tutto ciò che si muove, ma solo in questa città. Nel resto dei territori sotto la cupola abbiamo costruito enormi mega schermi, che mostrano registrazioni di quello che abbiamo fatto qui, per far capire alla gente chi è il capo. Sai com'è, propaganda, minacce velate, >> chiuse gli occhi per rivedere quelle scene << sangue. >> Le sfuggì un sorrisetto a pronunciare quella parola.
Si stava inoltrando sempre di più al centro della mente di Cassie, e lei non si accorgeva di nulla. Ormai c'era vicina.
Doveva solo continuare a distrarla, e Cassie ormai era rapita dalla sua storia grottesca: "Ci sono quasi, ancora un paio di minuti."
Dentro la ragazza stava rimescolando continuamente una torbida miscela di emozioni, fra cui rabbia, angoscia, semplice paura ed altre, alcune delle quali stranamente fuori posto, innaturali. La più notabile era sicuramente l'odio, nuovo per lei, ma anche roba complessa, che non aveva mai provato prima: una specie di attrazione per il sangue e per il dolore altrui ed una gran voglia di uccidere: "Che mi sta succedendo?" si chiese "Stare vicino a questa psicopatica mi sta facendo male."
Cassie pensò questo, ma i pensieri non rimasero nella sua testa abbastanza a lungo e se ne dimenticò. Opera di Corvina, ormai arrivata al centro della sua testa, che operava in modo da farle evitare pensieri a lei nocivi. Ma la vicinanza delle due menti rischiava di fonderle, per questo Cassie aveva in mente sensazioni mai provate prima.
<< Ci sono... >> sussurrò la bambina. << Cosa? >> nonostante la parete trasparente che le divideva, Cassie aveva udito la voce della bambina, ma non aveva compreso.
Piuttosto le era venuta in mente una buffa idea: perché non liberare quella bambina prigioniera?
Scosse la testa e rimosse quell'idea, ma quella persisteva. Era come se un enorme altoparlante gliela urlasse continuamente in testa senza sosta, insistentemente. Poi Cassie smise di pensare. Come in trance si mosse verso la console dietro di lei, con passi lenti e misurati.
Corvina vedeva attraverso i suoi occhi, e fece spostare la mano della ragazza fino al pulsante nascosto sotto la console. << Vedi ragazza, non serve che tu sia un genio per capire che ho preso controllo del tuo corpo, ma devi sapere che ora grazie a te potrò tornare a divertirmi là fuori. >>
Parlando inviava numerose immagini disturbanti alla mente di Cassie, ricordi dei massacri e delle torture da lei compiute per il suo divertimento, così da distrarla ed impedirle di fare resistenza. Ma la ragazza combatté, si oppose fino allo stremo per impedire a Corvina di agire, ma non servì a nulla.
La volontà di Corvina era più forte.
Click
Per un secondo non successe niente; Cassie tirò un sospiro di sollievo.
Poi sulla la sfera spuntò un'incrinatura. Quella su allargò lungo tutta la superficie, finché la ragnatela fu dappertutto sulla bolla. Infine esplose, sparando frammenti ovunque.
La bambina che era chiamata Corvina saltò in piedi, esultante e vittoriosa, e venne avvolta completamente da un mantello nero.
Quello che Cassie vide uscirne fuori fu un essere completamente diverso dalla piccoletta pallida di prima, un essere sviluppato, maturo. La bambina era diventata una splendida ragazza dalle forme sinuose, vestita degli stessi indumenti di prima, solo più grandi. Il viso identico, ma più adulto, e se possibile con uno sguardo ancora più spaventoso.
Ma rimase così solo un istante.
In un lampo i suoi vestiti cambiarono diventando più aggressivi, scurendosi e macchiandosi di nero e rosso in più punti ed aggiungendo degli spuntoni. La sua pelle divenne color rosso sangue, le spuntarono altre due paia di occhi e delle corna, oltre che zanne e artigli per farla somigliare ancora di più ad un demone.
La trasformazione durò appena un secondo, ma fu come se per le due ragazze fossero passate delle ore.
Cassie cercò di scappare, ma uno dei frammenti della prigione l'aveva colpita alla gamba. Cadde a terra sanguinando copiosamente, mentre Corvina incombeva su di lei: << Chi è la bambinetta ora? Ah ah ah >> e scoppiò in una sadica risata. Cassie cominciò a piangere per la paura.
Nella mano di Corvina si formò una sfera nera crepitante. Il proiettile colpì la ragazza sulla gamba non ferita, incrinandole le ossa: << Oh cavolo, dovresti bere più latte, hai delle ossa troppo sottili. >> la schernì lei, preparando un altro colpo. La sfera crepitò ancora, crescendo ed avvolgendole il braccio: << Ora mi divertirò un po' di più! >> disse ghignando.
Corvina si avvicinò alla ragazza ferita, che immobile a terra poteva solo guardarla avvicinarsi con un luccichio sadico negli occhi.
Quando fu su di lei, accadde qualcosa. Corvina aveva l'aspetto di un demone e sopra di lei era davvero spaventosa, pronta a picchiarla a sangue, a torturarla lentamente. Ma prima ancora di menare un singolo pugno venne interrotta da uno scuro oggetto volante, che si fermò levitando a mezz'aria.
<< Ma che ca... >> non finì la frase che cadde a terra priva di sensi. L'oggetto si era aperto ed aveva liberato del gas che aveva messo a dormire Corvina.
Cassie non poteva esprimere a parole il suo sollievo e la sua gioia quando riconobbe l'oggetto che l'aveva salvata dalla sua aguzzina.
Un birdarang.
Quando Cassie si voltò nella direzione del suo salvatore, e vide Robin appoggiato allo stipite della porta, grondante di sangue, che colava a terra formando un sentiero scarlatto: << Ti avevo detto di non causare guai. >>
 
 
 
 
Ok, ok, sentite qui.
Vorrei chiedere a chiunque di voi se vorrebbe disegnare i personaggi come appaiono nella storia e se potesse inviarmi il suo lavoro, che allegherò al prossimo capitolo di questa serie.
Ringraziamenti dovuti per aver seguito questa serie fin qui, alla prossima!

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Capitolo 16
*** ...uccide il gatto ***


<< Avanti, vieni. Ti tiro su io. >> Sentire la voce di Robin era come ricevere una scossa elettrica ad alto voltaggio nel cervello, ma Cassie non poteva lamentarsi. Corvina era appena stata rinchiusa di nuovo nella sua cella magica, il cui vetro si era riformato magicamente non appena Robin aveva premuto qualche pulsante sulla pulsantiera, ed in quel momento lui la stava sorreggendo mentre salivano lentamente le scale, un passo alla volta. << Ma non potevate mettere l'ascensore? >> domandò la ragazza con un filo di voce.
<< Non mi sono occupato da solo della costruzione di questa torre. Ti giuro che io mi sono occupato unicamente della stanza che hai appena visto, delle difese e di poco altro. >> disse lui con la voce roca, mentre finiva la prima rampa di scale.
<< Ok, brava... ci siamo quasi. >> la incoraggiò lui sollevandola un po' di più. << Mi giuri eh? Per ora non hai ancora infranto nessuna delle promesse che hai fatto, quindi mi sa che devo fidarmi. >> disse lei, ridacchiando nervosamente.
<< Intanto che fai la spiritosa, perché non mi spieghi come mai ti è sembrata una buona idea liberare uno degli esseri più pericolosi di questo mondo dalla sua prigionia? Voglio divertirmi anch'io. >> la prese in giro Robin, quasi curioso.
<< Non essere cattivo con me, non è stata colpa mia! >> cercò di giustificarsi lei: << Quella stronza mi stava controllando... non so bene come, ma non ero più padrona delle mie azioni. >> raggiunsero la metà della rampa, e lì si fermarono per recuperare le forze. Si sedettero, e Robin le controllò lo squarcio sulla gamba: << Appena ti porto su devo sistemarti questa ferita, perdi troppo sangue. >>
<< Oh, che carino! Ti preoccupi per me? Da quando sei così dolce. >> commentò lei con sarcasmo. Robin le gettò una brutta occhiata da sotto la maschera: << Da quando rischi di macchiarmi di sangue la moquette. Sai quanto è difficile togliere le macchie di sangue? >> le rispose lui con ilarità, pur cosciente del fatto che dei due era lui quello che sanguinava di più.
<< Ah ah... ah >>
Rimasero sulle scale per un po', in silenzio. A nessuno dei due veniva voglia di sprecare energia a parlare.
Ma il silenzio stanca presto, soprattutto una ragazza a cui veniva in mente una domanda al quale non sapeva rispondere: << Ehi, ora che mi ricordo... Se quella stanza l'hai costruita tu, ed i Titans cattivi sono quattro, come mai i pulsanti sono cinque? La quinta è per il loro capo? >>
Robin la guardò dritta negli occhi, poi distolse lo sguardo e sembrò che stesse cercando con cura le parole, per poi rivolgersi di nuovo a lei: << Sì, in un certo senso. È stata costruita per me. >>
<< Per te? Che significa? Perché hai costruito una cella anche per te? Cioè... voglio dire... che te ne fai di una cella creata apposta per te? >> chiese lei confusa, ricordandosi intanto delle teorie che faceva sulla torre e sui suoi occupanti.
<< Vedi, mi sono successe molte cose brutte nella vita, ed ho imparato soprattutto da quelle. Ho visto persone che credevo miei amici rivoltarsi contro di me e cercare di uccidermi, ed ho pensato "se accade a loro, perché non dovrebbe accadere a me?". Ecco perché l'ho costruita. Ormai succede così spesso. >> le rispose lui, con una certa malinconia nella voce.
<< Oh! >> fu l'unico commento: << Certo che la vostra vita è proprio diversa da come me la immaginavo. Pensavo... >>
<< Sì, so come la pensate. Su, riprendiamo a salire. >> disse lui, poi prese la mano della ragazza e la issò in spalla, sostenendo il suo peso. Ricominciarono a salire, un passetto alla volta.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Ah... ahi... Ahia! Fermofermofermo. >> Il disinfettante le bruciava sotto la pelle, facendo agitare la ragazza ed impedendo a Robin di ricucirla per bene.
<< Sta ferma! Non vorrai che faccia un buco nel posto sbagliato. >> la avvertì lui con l'ago in mano. Robin si era premunito di medicare lei per prima non appena erano entrati nell'infermeria, di levarle il frammento di simil-vetro dalla gamba e di disinfettarla, anche se con una certa difficoltà e poco aiuto da parte della paziente in questione: << Non urlare! Sta ferma! Se non ti disinfetto la ferita rischia di infettarsi, e non ho voglia di perdere tempo ad accudirti mentre ti gonfi di pus. >> disse lui mentre spargeva un liquido freddo e dall'odore acre sulla ferita della ragazza. Prima era imbarazzata a spogliarsi per lasciarsi medicare da un ragazzo più grande di lei, ma quel sentimento sparì non appena il disinfettante iniziò a funzionare.
Infatti era troppo impegnata a lamentarsi per decidere a cosa pensare: << Ahia! Smettila! Fa male! >>
<< Certo che fa male. Serve per non ammalarsi, quindi chiudi il becco e soffri in silenzio. E possibilmente immobile. >> la ammonì Robin, tenendola bloccata sul lettino mentre cominciava a praticarle dei punti.
Lottando duramente per tenerla ferma riuscì a ricucirla sufficientemente bene, cosicché non sanguinasse più e non faccesse infezione.
<< Ed anche questa è fatta. >> annunciò sollevato il ragazzo meraviglia ammirando la sua medicazione, risvegliando in se un minimo di orgoglio per il suo lavoro; quasi sorrise.
Poi sentì le gambe cedergli e si ritrovò seduto per terra, con le ferite che gocciolavano sangue denso e rosso, che macchiava il costume e le ruvide bende improvvisate che lo fasciavano.
<< Robin! Che succede? Stai bene? >> chiese allarmata Cassie, con la voce carica di preoccupazione per lui.
<< Proprio bene non direi, ma non credo di potermi sistemare da solo. Mi devi aiutare. >> disse Robin cercando di limitare il flusso di sangue con le mani: << Devi ricucirmi tu. Prendi l'ago e segui le mie indicazioni. Devi... >>
<< Ricucirti? Io?! >> disse lei, muovendo lo sguardo tra l'ago bagnato di sangue, gli occhi del ragazzo (vabbè la maschera) e di nuovo l'ago: << Perché io? Non posso. N-non sono capace di farlo. Non so se... >>
<< Cassie ti prego. Devi farlo. Se non mi curi morirò dissanguato. Ti supplico, aiutami. >> la implorò Robin, che sentiva la sua stessa voce affievolirsi.
Cassie non poteva. Non ne era in grado. Era solo una ragazza, un adolescente in piena crisi ormonale, costantemente stressata emotivamente e psicologicamente ed in mezzo a qualcosa più grande di lei, che non avrebbe mai neanche immaginato di poter sopravvivere così a lungo in un posto tanto ostile. Ma poi prese una decisione.
Decise di tirare fuori le palle e di darsi una sveglia. Non era il momento di fare la ragazzina piagnona. Serviva qualcuno di utile.
<< Okay, dai qua. >> esclamò lei decisa, strappandogli ago e filo di mano.
<< Bene. Avvicinati. Non preoccuparti, non è difficile. Devi solo infilare l'ago sotto la pelle che circonda la ferita, e tirare per richiuderla. Così per ognuna. Non preoccuparti di quanto filo usi, ne abbiamo a sufficienza. >>
Robin si tolse le bende che aveva sullo stomaco, rivelando tre grossi squarci violacei che grondavano torrenti di sangue attraverso il costume sul pavimento. Cominciò con quelli.
<< Ah. Ok ok. Vai così, ci sei.
Cazzo!
No, non ti fermare. Non preoccuparti se mi fa male, continua. Fregatene di quello che dico, non smettere. >>
Cassie stava cercando di reprimere l'impulso di vomitare quel poco che aveva mangiato quella settimana, ma la vista del sangue, della carne scoperta e di quello che sembrava un organo interno, ma riuscì a completare il ricamo: << Rimarranno le cicatrici. >>
<< Oh bene >> disse Robin tra i gemiti mentre ci versava sopra il disinfettante e si bendava: << Così ingrandirò la mia collezione. Avanti, devi ricucirmi ancora solo un paio di volte. >>
La ragazza lo aiutò a sedersi sul lettino; lui si tolse la parte superiore del costume e scoprì la mappa di lividi, segni, cicatrici e muscoli che componevano il suo corpo, che Cassie ebbe il piacere di ammirare. Anche se ridotto malissimo era il più bello che avesse mai visto.
"Ma cosa ha passato? Che razza di vita ha avuto?"
La ferita si trovava sotto la spalla sinistra, proprio sul dorsale sinistro. Doveva aver reciso il muscolo, perché Robin aveva difficoltà a muovere il braccio all'indietro.
<< Non importa, lo sistemerò quando sarò fuori da qui. Per ora tu occupati della ferita e basta. >> disse, e lei ubbidì, ricucendo la ferita e bagnandola con il disinfettante.
<< Ahh... Bene, sta passando. Sta passando. Ahhh >> disse, dolorante.
Quando il dolore finalmente scemò Robin si tirò in piedi, e fece un paio di passi barcollanti. Se non fosse stato per Cassie, anche lei dolorante ma in condizioni migliori, lui sarebbe subito crollato a terra, ma lei veloce lo sorresse e lo riportò sul lettino: << Ecco, siediti. Ci sei? >>
<< Sì. Sì, ci sono. Ci sono... >> disse lui, amareggiato.
Cassie notò l'astio presente nella voce del ragazzo: << C'è qualche problema Robin? >>
A quel punto Robin scoppiò. Riversò su Cassie tutta la rabbia, tutta la frustrazione, tutto quello che si era tenuto dentro, che non era riuscito a sfogare dal giorno in cui aveva rivisto la luce del sole, quando era fuggito, sotto forma di dure parole: << Se c'è un problema? Certo che c'è un problema, stupida! È fuori, non lo vedi? Tutta la città, forse tutto lo stato è in mano ad un pazzo psicotico che ha trasformato i miei migliori amici in mostri senz'anima, li sta usando contro di me ed io non ho la benché minima idea di come fermalo! Non so nemmeno cos'abbia intenzione di fare!
So solo che sono l'ultimo, l'unico rimasto che può fermarlo, e che se fallisco lui vincerà ancora! E tutti perderanno! 
E tu mi chiedi se c'è qualche problema! >>
Lo schiaffo di lei lo svegliò dal delirio. Si fermò per un momento, e si rese conto di ciò che stava facendo. Si era alzato in piedi ed aveva sollevato da terra Cassie, tenendola per il bavero della maglietta.
Se non fosse stato per lei, probabilmente le avrebbe fatto qualcosa che un supereroe non dovrebbe mai fare. Ma dentro era crollato, non riusciva più a sopportare tutto l'orrore ed il dolore che si portava dietro, sia da prima che dopo la prigionia. Com'era possibile che in meno di due mesi fossero riusciti a fargli toccare il fondo, quando non era successo dopo anni di dolore?
Ma ormai il tappo era stato tolto, e l'angoscia in un qualche modo doveva pur essere sfogata. Crollò addosso alla ragazza, e scoppiò in lacrime.
Cassie non si aspettava una reazione simile. Per quanto ne sapeva quando un ragazzo incazzato riceveva uno schiaffo si incazzava ancora di più e diventava pericoloso, mica aveva un collasso emotivo. Ma non se la sentiva di dire niente, perché percepiva la sua tristezza. Lasciò quindi che Robin si adagiasse sulle sue ginocchia e desse libero sfogo alle sue emozioni, restando così finché Robin non si calmò. Quando finì di singhiozzare e smise di piangere, si rivolse a Cassie dispiaciuto per le sue azioni: << S-scusa. Mi-mi dispiace per averti fatto m-male. Mi dispiace. >> sollevò lo sguardo verso quello della ragazza e la guardò dritta negli occhi, e per un istante, per un singolo istante, rivide gli occhi di Stella: "Stella."
Qualunque cosa stesse per succedere fra quei due, non successe. Vennero interrotti dal cicalio dei sistemi d'allarme, che rilevavano la presenza di un corpo in movimento ai piani inferiori. Robin si riscosse, si alzò dalle ginocchia di Cassie e rimise la maglietta mentre correva verso la Main Ops room, dove gli schermi lampeggiavano di una luce rossa d'emergenza. Si sedette alla consolle, e venne raggiunto da Cassie immantinente: << Robin, che succede? Che c'è? >>
Robin smanettò con la tastiera, premette pulsanti, azionò levette, ed infine sui monitor apparvero le immagini delle telecamere di sicurezza. Le immagini erano poco chiare e le lenti erano piene di polvere, ma si riusciva notare un'ombra indistinta ai limiti delle inquadrature di alcuni schermi, per poi perdere il segnale.
<< Dannazione! Sta distruggendo le telecamere. >> Robin aveva già pronto in mano il bastone e si stava dirigendo alle scale: << Ma che cos'è? >> disse Cassie, che cercava di stargli dietro, conscia che non era una buona idea spingersi in bocca al mostro, e rischiando più volte di capitombolare.
<< Non cosa, ma chi. Deve avermi seguito, entrando qui dentro poco dopo di me.
Cassie, Kitten è dentro la torre! >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Era stato facile trovarla. Anzi, era stata lei a trovare loro.
Ingaggiarono uno scontro duro, artigli contro bastoni, ma nessuno di loro si ferì in alcun modo. Nemmeno Robin, che a stento riusciva a camminare.
Infatti la battaglia non durò che pochi secondi, i necessari affinché Robin scagliasse l'ibrido contro una parete. Si stava posizionando per difendersi da un altro attacco, testa abbassata, asta alta, quando Cassie si avvicinò abbastanza da toccarlo.
<< Cassie, che fai?! Nasconditi presto! Sta per... >> cercò di avvertirla lui fermandosi però a metà, quando vide l'enorme corpo felino adagiato alla parete, moribondo, immobile se non per il lieve sollevarsi ed abbassarsi del petto.
Allora notò le ferite. Segni di laser, squarci, morsi auto inflitti, lividi. Ed era diversa da poco prima. La pelle si era increspata, strappandosi più di prima e mostrando organi interni, muscoli e ossa. Il canino superiore sinistro e quello inferiore erano cresciuti, sporgendo dalla bocca come lame acuminate, mentre il pelo si era diffuso per quasi tutto il corpo, lasciando poca pelle visibile. Un ginocchio si era rivoltato all'indietro, impedendole di muoversi correttamente e di mettersi a quattro zampe. La coda invece era diventata un'orrenda massa tumorale, bulbosa e pulsante, lunga quanto un uomo medio e irta di peli ispidi e stopposi, di colore giallastro.
Se non fosse stato per il rumoroso ansimare della bocca e per la condensa del fiato si poteva pensare che fosse già morta.
<< Che le è successo? >> chiese Cassie, la voce scossa dalla pietà.
Robin strinse il suo bastone con tanta forza che le nocche sotto i guanti sbiancarono: << Cassie, vai di sopra e non voltarti indietro mentre sali. Sbrigati! >>
La ragazza obbedì, e dal tono spaventoso che aveva Robin era meglio non fiatare.
Il ragazzo si avvicinò al corpo esausto della creatura che un tempo era la ragazza di nome Kitten, e le si inginocchiò accanto. Poi fece una cosa che in qualsiasi altro tempo e luogo non avrebbe mai fatto: l'accarezzò. La sentì fare le fusa; ormai era più un animale che una persona, ma aveva ancora un ricordo dell'attrazione che provava per lui. Si interruppe quando gemette per il dolore. La mutazione stava continuando.
Se Robin avesse avuto più tempo e più risorse probabilmente sarebbe riuscito a salvarla, ma ormai era allo stremo. Non sarebbe sopravvissuta alla notte.
<< Non preoccuparti, finirà presto. Pensa a qualcosa di bello, pensa ai gioielli, ai vestiti, alle scarpe... >> prese in mano due birdarang, li unì e formò una spada, poi la posò sul suo collo scarnificato: << Dove andrai avrai tutto ciò che vorrai, te lo prometto. >>
La guardò un'ultima volta negli occhi, le cui pupille erano ormai a metà della trasformazione, e le fece una solenne promessa: << Mai più! >>
Mosse la mano. Le pareti vennero bagnate di nuovo del sangue di un innocente.
Fuori cominciò a rannuvolarsi.
 
 
 
 
Ed ecco finalmente uno dei disegni dei personaggi stupendamente illustrato ed interpretato da Raven06, della coppia StarRaven56. Non sono sicuro di riuscire a mostrare l'immagine perciò se non la vedete includo un link di un sito su cui potrete andare a vederla.
Ecco a voi... Corvina
 

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Capitolo 17
*** Regalo ***


Il sangue sapeva di metallo arrugginito, era acido, disgustoso. Non lo sopportava, gli faceva venir voglia di strapparsi la lingua. Ma per quando si sforzasse non riusciva ad ignorarlo. Aveva già da tempo imparato il sapore, e sempre nei modi peggiori. Ma non si sarebbe mai abituato.
Il sangue di Kitten gli era schizzato in bocca e con il suo aroma continuava a ricordargli ciò che aveva giurato di non fare mai e poi mai e che invece aveva fatto: uccidere. Ma aveva dovuto: non poteva sopportare di vederla soffrire, ne lasciarla ad una morte lenta e dolorosa. Affrettare la cosa non poteva che essere un atto di bontà, ma questo pensiero non lo tirava su.
I punti erano saltati, il suo sangue si mischiava con quello sui guanti e gocciolava a terra mentre saliva le scale, accanto alla scia di appena qualche minuto prima.
Quando arrivò nella Main Ops Room trovò Cassie seduta in terra ad un passo dalla porta, le spalle appoggiate alla parete, spaventata. Appena lo vide però scattò in piedi e si precipitò dal ragazzo, quasi travolgendolo, però si fermò non appena vide il sangue che lo copriva, soprattutto quelli agli angoli della bocca. Poi però riprese coraggio e gli si avvicinò: << Robin, stai bene! Ma dov'è quel mostro? L'hai fatto fuori? >> queste ed altre domande, che però Robin scelse di ignorare. Le passò davanti degnandola appena di uno sguardo, e si sedette sul divano sfondato in mezzo alla stanza, senza dire una parola. Lei dapprima non si mosse, temendo di aver detto qualcosa che potesse averlo offeso in qualche modo, poi si riscosse e gli si sedette accanto.
Nessuno dei due fiatò, sebbene Cassie fosse preoccupata ed anche un po' offesa dal comportamento del ragazzo, ma guardando il sangue che lo sporcava tutto non osava chiedergli più niente. Robin non si muoveva, a malapena sembrava respirasse ed era molto pallido. Cassie notò che la ferita si era riaperta, e stava per chiedergli se poteva ricucirla, ma venne interrotta da un forte suono proveniente dall'esterno.
BOOOM!
Robin scattò come un felino e prendendo Cassie per mano si buttò dietro al divano sdraiandosi a terra. Il cuore di Cassie batteva all'impazzata: "No, ti prego! Non ancora! Basta!"
Rimasero entrambi accucciati dietro il loro riparo di fortuna aspettando un altro botto, un'esplosione o qualcos'altro che seguisse il rumore di prima. Invece ci fu solamente il silenzio.
Se Cassie tremava per la paura, non si poteva dire lo stesso di Robin che si era scosso dallo shock ed aveva acceso i monitor di sorveglianza. Quei pochi che funzionavano ancora gli mostrarono la città, i suoi enormi palazzi, il mare che ne lambiva le coste. Una spessa coltre scura dominava la vista, coprendo tutto ciò che era a portata di sguardo. Robin zoomò sugli schermi, riuscendo a quasi a distinguere ciò di cui era composta.
Robot. Centinaia di migliaia di robot circondavano la torre in assetto da battaglia sotto la pioggia: alcuni immersi in acqua fino al petto, altri sospesi in volo ad oscurare il cielo, armi in mano e pronti ad attaccare in qualsiasi momento. "Da quanto sono qui, e come diavolo ho fatto a non notarli?" si chiese mentalmente Robin, rimproverandosi per la sua incompetenza. Spostò l'inquadratura lungo l'enorme esercito che si estendeva a perdita d'occhio tra terra, cielo e mare, cercando di contare quanti fossero, ma erano un numero a dir poco esagerato. Perso nell'esaminare il nemico non aveva notato Cassie che dietro di lui che stava morendo di terrore, ed aveva perso la lucidità. Robin tornò a rendersi conto della sua presenza quando la sentì urlare isterica: << Nooo! No, basta! Basta! Non ancora! Non ancora! Non voglio morire! >> gridò in lacrime. Robin fu subito al suo fianco e le tappò la bocca con la mano. Si portò un dito sulle labbra e le fece cenno di star zitta, poi le disse, sottovoce: << Zitta. Non urlare. Se avessero voluto ucciderci a quest'ora saremmo già morti. >>
Dalle telecamere sembrava che non si muovessero, poi un uomo si fece strada in mezzo all'armata in cielo. La maschera che mandava bagliori come se la luce del sole rimbalzasse sul metallo, con un unico foro per un occhio solo: << Slado in persona... >> commentò Robin: << Quale onore. >>
Al suo passaggio gli automi formavano una passerella così che potesse camminare verso la torre senza cadere. Ad una certa distanza però si fermò, ed aspettò.
In un istante il comandante del suo esercito gli fu accanto restando sospeso a mezz'aria sui suoi propulsori: << C'è anche Cyborg. Fantastico... >> disse Robin amaro: << Però non vedo nessun altro dei Tyrans. Questo può essere un buon segno. >>
Intanto Cassie si dibatteva esasperata cercando di liberarsi dalla presa di Robin, che aveva continuato a tenerla immobilizzata per tutto il tempo senza accorgersene. Quando morse Robin si ricordò di lei e la mollò: << Aah! >> imprecò lui tenendosi il dito << Dovevi proprio?! >>
<< Sì che dovevo! Ti eri impallato e stavo soffocando! Secondo te che avrei dovuto fare, eh? >> rispose Cassie riprendendo fiato.
<< Restare calma e non dare di matto, o almeno farlo in silenzio. >> disse lui trascurando le dita e voltandosi verso gli schermi. Cassie aprì la bocca per replicare, ma la richiude subito quando risentì il panico avvolgerla e sentì stava per ricascarci, ma con uno sforzo sovrumano riuscì a scacciare il terrore: "Non ci aiuterà se perdo il controllo ogni due secondi. Devo sforzarmi di non perdere la calma." Robin non lo diede a vedere, ma aveva notato ciò che era riuscito a compiere la ragazza. Non era un'impresa facile, ne era sorpreso: "Forse adesso ho... abbiamo qualche possibilità in più."
L'attenzione dei due ragazzi venne attratta ancora una volta dai monitor, che mostravano una scena davvero particolare: Slado stava avanzando da solo, senza una scorta, diretto verso la torre. Aveva abbandonato la passerella di prima a favore dei robot galleggianti, e camminava sulle loro teste come se formassero un grande pavimento. Si fermò solo quando scese a terra, sull'isoletta su cui sorgeva la torre occupata da Robin e Cassie.
All'improvviso gli schermi si spensero, impedendo ai due ragazzi di spiare l'esterno.
<< Cosa succede Robin? >> chiese Cassie con una sfumatura di ansia nella voce.
<< Deve essere stato Cyborg >> le rispose Robin << Lui conosce bene questa torre: è stato lui a costruire la struttura, a programmare i computer, a preparare i veicoli. Conosce questo posto molto meglio di me. >>
All'improvviso gli schermi si riaccesero, ed a dominare sulla visuale c'era la maschera di Slado.
<< Robin >> disse lui formale.
<< Slado >> ribatté il ragazzo usando lo stesso tono.
<< Voglio parlarti, ma non così. Ti chiedo quindi di scendere e discutere faccia a faccia. >>
<< Perché mai dovrei? Come posso fidarmi di te? >> disse Robin lasciando trapelare un filo di rabbia.
<< Perché te lo prometto, e sai bene che io mantengo sempre le promesse. >>
<< Mhh... >> si voltò a guardare Cassie cercando una risposta, come faceva prima con Stella, ma non trovò risposta, non con lei. Quanto gli mancava Stella, ma non poteva pensare a lei in quel momento o avrebbe perso il controllo. Si rivolse di nuovo al mercenario, con la voce impregnata di odio: << Arrivo. >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Fai bene a fidarti di me. >>
Il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli ed il vento che si alzava fungevano da sottofondi mentre la tensione era così palpabile che era possibile tagliarla con una lama.
Slado era immobile davanti al ragazzo, le mani intrecciate dietro la schiena, e continuava a fissarlo dritto negli occhi: << Ci sono cose che devo chiederti prima che cominci... tutto questo. >> disse indicando tutto intorno, i robot, la torre.
Robin non rispose e rimase zitto, senza trasparire emozioni.
Slado continuò imperterrito, irritato dal comportamento del ragazzo: << Robin, ti conviene smettere con questo atteggiamento! Ti rendi conto di cosa sta per accadere? Non voglio doverti uccidere. Quando dovrò attaccare non avrò pietà, e questo significa che non mi fermerò quando stringerò le mie mani sulla tua gola. >>
Robin continuò a rimanere in silenzio: << Voglio essere generoso per un ultima volta. Ultima possibilità, unisciti a me ed insieme saremo inarrestabili. Tutti ci temeranno e nessuno ci fermerà. Allora, che mi dici? >>
Silenzio.
Slado sospirò deluso: << Va bene. Ci rinuncio. >>
Fece per voltarsi ma si fermò, rivolgendosi un'ultima volta verso il suo ex-pupillo: << Ah, giusto. Me ne stavo per dimenticare. Ti ho portato un regalo di compleanno. >>
Robin esitò per un istante, sembrava che Slado fosse riuscito ad incrinare la sua maschera di indifferenza: << Scusa il ritardo figliolo, ma credo che questa sia l'occasione migliore per dartelo. >> Slado allungò una mano chiusa a pugno verso il ragazzo. Quando la aprì gli mostrò una scatoletta impacchettata, e la fece cadere a terra; Robin la seguì con lo sguardo finché non toccò terra: << Buon compleanno ragazzo. >>
Slado fece per andarsene, stava per risalire sulla passerella, quando per la prima ed unica volta quel giorno Robin si rivolse a lui, ponendogli un'unica domanda: << Cos'hai fatto a Kitten? >>
Il mercenario si arrestò, e si girò stupefatto: << Kitten... mi chiedi di Kitten adesso? Va bene, se me lo chiedi tu allora...
Mi è venuta l'idea di mutarla quando ho visto con quale... passione Stella Rubia si divertiva a torturarla, sai le piaceva proprio, ed allora mi sono ricordato di quando sono stato assunto per rubare un progetto di rimodellazione genetica/mistica dal Cadmus, un'organizzazione governativa top secret, e che ne ho fatto una copia prima di consegnarlo al mio cliente. Poi con tutte le volte che Stella la sfotteva chiamandola gatta morta l'idea è nata da se.
Quindi ho giocato un po' con il suo DNA con l'aiuto di Corvina, e dopo alcuni primi sbagli siamo riusciti ad iniziare una trasformazione lenta e costante sul corpo e sulla mente, che in poco tempo l'ha resa quella macchina omicida che ti ho mandato contro. Però mi è sembrato di capire che te la sia cavata egregiamente, nonostante qualche lieve ferita. >>
<< La mutazione aveva però un difetto, era instabile, inarrestabile e comportava una costante degradazione fisica e mentale che avrebbe reso il soggetto più bestia che uomo. Sopravvivrà ancora per un paio di settimane al massimo, settimane piene di strazianti e lancinanti dolori in tutto il corpo, oltre alla sensazione di andare in fiamme. >>
Vide che Robin non chiedeva altro: << Aspetta... perché me l'hai... Oh, non dirmi che l'hai già incontrata. >> il ragazzo non replicava ancora, ma Slado riusciva a leggere il suo viso come un libro aperto << E se l'hai già incontrata, vuol dire che è successo qualcosa. Aspetta, ora capisco il sangue. Non è solo il tuo vero? >>
Non era difficile intuire che sotto la maschera il mercenario stava esibendo un sorriso enorme: << Quindi finalmente hai oltrepassato quel confine. Che bella notizia! Mi hai reso felice ragazzo mio. Te lo sei proprio meritato quel regalo.
A domani Robin. Addio. >>
E se ne andò così come era venuto, senza guardarsi indietro.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
La prima cosa che Robin fece una volta rientrato fu attivare la blindatura totale della torre, sbarrando così ogni finestra, ogni porta ed ogni singola apertura con una lastra di Promezio* secondario. Solo quando ebbe ricontrollato in maniera paranoica per una mezza dozzina di volte che non ci fossero spiragli aperti o malfunzionamenti poté finalmente rivolgersi a Cassie, che era rimasta seduta sul divano a guardarlo agitarsi sulla consolle di comando, ponendo un paio di timide domande ogni tanto. Non poteva fare di più, era ancora shockata per prima.
<< Robin, cosa stai facendo? >> Con quella domanda per poco Robin non si sbottò un'altra volta in maniera incontrollata, ma riuscì a controllarsi. Si concentrò, accumulò tutta la sua rabbia in un posto solo, pensò che si concentrasse tutta sulle nocche del pugno della mano sinistra, e colpì la parete con tutta la sua forza.
Si spaccò la mano.
In quel frangente Cassie credette davvero che fosse diventato un pazzo pericoloso, e che le avrebbe fatto del male se non fosse scappata immediatamente, come se non fosse diverso da quei mostri che le avevano rovinato la vita, ma quando lo vide sollevare la mano, guardarla penzolare inerme verso terra con le ossa ed i tendini distrutti, e sentirlo parlare con quel tono, con quella sua voce: << Scusa se ti ho spaventato, ma ormai non so più neanch'io cosa potrei fare. Mi sono rotto la mano per sfogarmi dalla rabbia. Quando ho parlato con Slado... mi ha detto delle cose... ed io ho...
Non ha importanza. >> si fermò e le si sedette accanto. La ragazza avrebbe dovuto spaventarsi di fronte al sangue che lo ricopriva tutto, al suo aspetto tremendamente trasandato o alla sua sfuriata di poco fa, ma sentiva ancora quella sensazione di sicurezza che solo lui era riuscito a darle da quando si era ritrovata da sola: << Ok. Ero solo preoccupata per te. >>
Robin la guardò dritta negli occhi, sembrava che cercasse di dirle qualcosa, ma preferì rimanere in silenzio, e non pensò neanche per un secondo alla sua mano rotta.
<< Non ti fa male? >> gli chiese lei.
<< Non abbastanza. >> fu la sua risposta.
Cassie esaminò le ferite riaperte e la mano, poi si alzò per andare a prendere il kit di pronto soccorso: << Devo medicarti ancora: la ferita sulla spalla si è riaperta e devo fare qualcosa per quella mano, non posso lasciarla così. >>
Prima ricucì la ferita, non senza qualche difficoltà, e poi si occupò della mano. Quando finì di medicarlo era in grado appena di muovere la mano: << Grazie Cassie, più di così non credo si possa fare. Ora per favore passami quella siringa lì. Non quella, quell'altra... Sì quella. Grazie. >> e si iniettò il contenuto dentro il braccio. Lasciò cadere la fiala di antidolorifico sul pavimento e si accasciò sul divano.
Quando fu di nuovo in grado di pensare lucidamente rivelò a Cassie del "regalo di compleanno" di Slado, e delle ultime ore di vita a sua disposizione: << Cassie, tu non centri niente con tutto questo, quindi non ti biasimerò se vorrai andartene via. Non è la tua battaglia.
Però c'è un'ultima cosa in cui vorrei chiedere il tuo aiuto.
Te la senti? >>
Dopo quello che aveva visto Cassie non sapeva più che rispondere, ma che altro poteva fare. Ormai combattere è diventata la sua sola ragione di vita: << Ok, ti ascolto che devo fare? >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Perché diavolo sprechi queste occasioni d'oro?! Avevi il nostro nemico a portata di spada, e non l'hai nemmeno sfiorato! Perché? >>
Slado stette a guardare la sfuriata di Stella finché non dovette fermarsi a riprendere fiato: << E soprattutto perché non lo attacchiamo ora, perché hai dovuto dargli altro tempo? Perché... >>
Slado con una mossa fulminea le afferrò il mento con una presa di ferro: << Tesoro, quello che ho in mente io non è affar tuo. Smettila chiaro? Non disturbarmi più finché non finirà l'attacco. >> Infine la spinse a terra e le intimò malamente di tornare alla torre: << Qui non mi servi. >>
Stella avrebbe potuto incenerirlo in un'istante, strapparlo a metà con una mano, lanciarlo fuori dall'atmosfera se avesse voluto. Ma non fece niente, non poteva ucciderlo. Aveva bisogno di lui, non poteva vivere senza Slado. Lo amava. Semplicemente si sollevò in volo e puntò verso la Tower.
Una goccia di pioggia le bagnò il viso, mescolandosi tra le lacrime, e ben presto cominciò scendere una pioggerella leggera. Quando atterrò sul tetto della torre era bagnata fradicia, ma non le importò. Armeggiò con la maniglia della porta delle scale, ed arrancò lentamente sui gradini: "Cos'ho che non va? È colpa mia? Io lo amo, ma sono degna di lui? In cosa devo migliorare per meritarlo? Cosa?"
Fu inaspettato, tremendamente più forte e doloroso degli altri. Questa volta sentì arrivare il ricordo da un punto molto in profondità del cervello, e l'impatto fu devastante. Si strinse la testa fra le mani e si raggomitolò a terra, subendo il ricordo. In compenso il flash durò molto meno degli altri, solo qualche istante, il tempo di un respiro. Poi il dolore finì con la stessa velocità con cui era iniziato, si rialzò in piedi e si sentì diversa. I ricordi di una seconda vita passata si mescolavano alla prima, mentre due file di eventi simili si intersecavano paralleli in una girandola di ricordi e sensazioni, dove volteggiavano immagini del passato. Slado e Robin dominavano la scena alternandosi e mutando continuamente d'aspetto, mentre le immagini delle violente battaglie dei Tyrans si sostituivano con altre, meno brutali, combattute sempre insieme con i suoi amici, ma in una realtà diversa.
Fu un brutto shock per lei, e metabolizzare fu un'agonia. Non osava più a pensare a niente, e le lacrime uscivano come fiumi in piena: << Ma che succede? Perché ho queste visioni? Smettetela, smettetela. >>
Riuscì a strisciare fino alla sua stanza, dove crollò sul letto, improvvisamente esausta.
Pianse per ore ed ore, finché riuscì ad addormentarsi in un sonno buio e freddo, dove non trovò altro che incubi.
Intanto, due piani più in basso un rumore sordo echeggiò nell'infermeria, mentre una voce arrochita dal silenzio prolungato pronunciò con difficoltà il nome di una persona cara: << Cor...vina >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Mancava un'ora all'alba. Robin e Cassie erano in piedi davanti all'entrata di uno dei passaggi segreti che l'avrebbe portata in città, in completa sicurezza. Vissero insieme un ultimo momento prima che lei se ne andasse.
Poi lei dovette partire per la sua missione mentre lui la guardò uscire, sperando che fosse l'ultima volta in cui una persona a cui voleva bene correva dei rischi al posto suo.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Alba.
Slado si stagliò contro i pochi raggi argentati della luna morente come una potente figura mitologica, pronto a scatenare l'armageddon sul suo nemico. Mentre i robot si accendevano, Cyborg caricò il suo cannone più potente.
Dalla torre Stella osservava il campo di battaglia, chiedendosi chi è chi e cercando una risposta.
Da un vicolo di Jump City Cassie si guardò attorno nervosa, poi continuò la corsa verso il suo obiettivo.
Infine Robin osservava la Hellbat, prendeva nota dei graffi, delle ammaccature ed anche dei granelli di polvere che si posavano su di essa, controllando se ci fossero dei danni e nel caso pure la loro portata. Sentì il proprio corpo stremato intorpidirsi, e settimane di azione, di trascuratezza e di notti bianche gli gravarono sulle spalle, senza più l'adrenalina o gli antidolorifici a sostenerlo. Sentiva la mano pulsare.
Per colpa di un momento di debolezza si sentì invadere dalla paura, ma con un'ultima sforzo la scacciò via. Non aveva abbastanza tempo per avere paura, doveva essere deciso, risoluto, ferreo. Ma non riuscì ad evitare di chiedersi se la storia non sarebbe andata diversamente se fosse rimasto insieme all'uomo che lo aveva adottato, o se avesse fatto meglio il suo lavoro, o se fosse stato più bravo.
E se fosse stata tutta colpa sua?
Ma scacciò anche quei pensieri.
Poi, con la mano sana sfiorò l'enorme pettorale color pece striato di rosso ed accese l'armatura. Lentamente si infilò nei meccanismi, posizionandosi nell'imbracatura del pilota. Aspettò che i comandi si attivassero e che i dati del computer valutassero la situazione della tuta, per poi riferirgli i dati: "Batteria al 45%. Consigliabile una ricarica completa. Danni rilevati al sistema motorio, braccio destro operativo al 61%, gamba sinistra operativa al 21%, meccanismo di alterazione della tuta operativo solo nelle ali. Si chiedono riparazioni urgenti."
Robin ignorò la maggior parte degli avvertimenti ed iniziò a manovrare l'armatura. Riusciva a camminare con difficoltà a causa della gamba malfunzionante, quindi premette il pulsante per dispiegare le ali. I propulsori non erano danneggiati e le ali erano in buone condizioni: "Sarà un combattimento prevalentemente aereo."
Aprì il tetto della torre e diede un'occhiata al cielo. Venne subito investito dalla pioggia battente, ma non se ne curò. Allargò le ali e si sollevò da terra, uscendo all'esterno. Atterrò sul tetto, mostrandosi all'esercito innanzi a lui.
Mancavano due minuti all'alba. Riusciva anche a sentire il rumore delle armi che si caricavano e del metallo che sbatteva.
Chiuse gli occhi, e si concentrò. Lasciò che la rabbia, l'angoscia e l'orrore dentro di lui prendano forma, trasformandoli in carburante per la battaglia.
Quando li riaprì raggiunse l'apice, e chiuse l'armatura.
Cadde un fulmine, e per un secondo il silenzio fu totale.
Un raggio di sole nascente penetrò a fatica.
Cominciò a piovere.
 
 
*Note dell'editor: il Promezio è un metallo immaginario indistruttibile dell'universo DC, per la precisione quelli di cui è composto Cyborg, qui rivisto più facile da rompere.

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Capitolo 18
*** Intermezzo JLA 2 ***


La Batcaverna. Un posto considerato una leggenda metropolitana, popolata da pipistrelli grandi quanto un cane e da topi enormi, il cui sovrano viene temuto alla stregua di un mostro, o un demone, o un'essere infernale, una specie di ibrido tra un uomo ed un pipistrello che aveva come scopo quello di assediare il crimine di Gotham, di cacciare e di scovare ovunque i criminali si nascondano, catturarli ed imprigionarli, per poi sparire nel buio della notte. Già alla ricerca di altri. Ogni singolo giorno della sua vita.
La polizia della città collabora con lui e lo lascia agire, ma non tanto perché hanno credono sia nel giusto, quanto al fatto che nessuno potrebbe fargli smettere di volteggiare su Gotham City alla caccia dei criminali e dei pazzi che la avvelenano.
Tranne che nelle ultime settimane, dove era rimasto rinchiuso nelle profondità della caverna. In questo periodo di tempo il crimine ne aveva approfittato, impaurendo i cittadini che avevano paura ad uscire la notte, e quando erano obbligati alzavano sempre lo sguardo tra i tetti, nella speranza di vedere una figura scura vegliare silenziosa sopra di loro. Ma quella figura di cui avevano tanto bisogno era lontana, nel suo laboratorio circondato da sostanze chimiche, computer, macchinari al limite della fantascienza, alla disperata ricerca di un modo per salvare una persona a lui molto cara.
La sua concentrazione era tale, e tanto era esausto per via della mancanza di sonno, che non la sentì neanche entrare. Fu solo quando sentì la sua calda mano morbida posarsi sulla sua spalla che la notò: << Oh, Diana! Che ci fai qui? >> disse il cavaliere oscuro rivolto alla stupenda guerriera che gli era comparsa accanto.
Wonder Woman sembrava molto più in salute e più riposata del collega, probabilmente per via del suo retaggio divino, ma neanche lei in quei giorni aveva dormito molto: << Qualche progresso? >> chiese lei con tutto il tatto che possedeva, mentre il suo sguardo indugiava sui vassoi ancora pieni di cibo ormai marcio buttati a terra, ai fogli pieni di numeri che uscivano a frotte dalla stampante ed infine sugli schermi, probabilmente tenuti accesi per giorni interi.
Batman tornò a guardare questi ultimi, visibilmente esausto: << No, niente. >> disse lui autoritario << Ancora niente. >>
Diana conosceva bene quell'uomo e, nonostante cercasse di nasconderlo, non l'aveva mai visto così provato: << Bruce, da quant'è che non ti riposi? >>
Il vigilante era esausto, non era quasi in grado di pensare lucidamente. Si stava sforzando in maniera quasi sovrumana, aveva quasi raggiunto il suo limite: << Diana, come puoi dirmi di riposare quando Robin in questo esatto momento sta lottando per la sua vita sotto quella cupola? Come posso riposarmi con la consapevolezza che probabilmente lui è già morto? Ha preso la Hellbat, ti rendi conto? Tu sai esattamente quanto me le controindicazioni dell'usarla. Se non è già morto morirà presto. Devo aiutarlo. Devo... >> sbottò lui pieno di rabbia.
Ebbe un mancamento, e sarebbe stramazzato a terra se l'amazzone non fosse stata più veloce di lui. Lo sollevò da terra e cercò di portarlo di sopra, nella villa, ma lui la fermò: << No, lasciami qui. Non ho finito. >>
Lei cercò di fermarlo: << Non dire sciocchezze Bruce, sei troppo stanco per continuare. Devi riposarti, altrimenti... >> ma lui non l'ascoltò. Si dimenò tra le sue braccia e si staccò da lei, cadendo a terra. Ansimando per il dolore riuscì a rimettersi in piedi, rifiutando l'aiuto che l'amazzone cercava di porgli.
Appoggiandosi alla parete riuscì ad arrancare fino alla poltrona del bat-computer, dove cadde di peso: << Diana, devo continuare. Sento di essere vicino alla soluzione, so che manca poco, pochissimo... >>
Wonder Woman temeva che sarebbe svenuto di nuovo, ma non poteva fargli da balia per sempre: << Va bene, so di non poterti costringere a fare qualcosa che non vuoi. >>
Silenzio. La fatica si faceva sentire, era solo una questione di tempo ormai e Batman temeva di non farcela: << Ieri, quando Robin si era salvato per un pelo... ricordi? Quando quella squadra di robot aveva interrotto la lotta tra lui e la donna-gatto. Ho davvero temuto il peggio quella volta. Non voglio vedere di nuovo una scena simile, e non poter fare niente. >> si tolse i guanti delle mani, rivelando la pelle ustionata per via del contatto con la barriera energetica.
Wonder Woman osservò le bruciature ed i solchi lasciati dal calore, e non poté fare a meno di sentirsi in colpa per non essere riuscita a fermarlo e per impedirgli di farsi del male: << Bruce, so che per te è angosciante, ma non è ancora finita. So che presto avrai un'illuminazione e capirai come penetrare là dentro, ne sono sicura. Ma lasciati aiutare, per favore. >> implorò lei, cercando di aiutarlo con tutto il cuore.
Il cavaliere oscuro ne fu commosso, e si ricordò del motivo per cui aveva deciso di unirsi alla Justice League: per unire le forze e per sostenersi l'un l'altro: << Va bene Diana, mi hai convinto. Ora per favore dammi una mano ad alzarmi. Portami sul tuo aereo. Voglio tornare laggiù. >>
Lei non fece domande e lo aiutò a rialzarsi e lo condusse fuori dalla batcaverna usando l'uscita vicina alla cascata, e poi fuori nel folto bosco che nascondeva la caverna. Il jet invisibile era parcheggiato sulla strada sterrata davanti alla rampa per la batmobile, e l'unico dettaglio che permetteva di individuarlo erano dei piccoli solchi sottili lasciati dalle ruote durante l'atterraggio.
Prima di salire Batman si rivolse alla collega: << Diana, per favore lasciami. Voglio camminare da solo adesso. >> Lei esaudì il suo desiderio, e si fece da parte. Batman riuscì a rimanere in piedi, non senza sforzarsi, ma fu in grado di ricoprire da solo la distanza tra l'aereo e la cascata; Diana lo seguiva a distanza, per sicurezza. Lo guidò fino al portellone aperto e, quando fu certa che non avesse problemi, si mise ai comandi.
Batman raggiunse il sedile e si sedette ed allacciò la cintura: << Bruce >> lo chiamò Wonder Woman, che gli porse il panino. << Oh, grazie Diana. >> e cominciò a mangiarlo.
I motori si riscaldarono, il jet cominciò il decollo verticale ed i propulsori si accesero. In pochi secondi erano già in volo a 600 km/h verso il luogo dove sorgeva il lato meridionale della cupola, dove Robin era stato visto l'ultima volta.
Mentre erano in volo Batman si sentì rincuorato dalla forte presenza di Wonder Woman, che era sempre stata per lui un punto di riferimento, una specie di luce nel buio. Non avrebbe mai potuto ringraziarla abbastanza per il suo supporto. << Ehi, vedo che ti sei spazzolato il panino. Se Alfred li fa così buoni magari qualche volta gli chiedo di prepararmene qualcuno. >>
Batman sorrise sarcastico: << Per te scroccare rimane un'abitudine, eh. >> insieme risero di gusto, per la prima volta da tanto tempo, e finalmente sentirono la tensione allentarsi.
Mancavano pochi minuti all'arrivo, la cupola si vedeva in lontananza all'orizzonte, quando il jet invisibile venne bagnato dalla pioggia battente. Inizialmente non la notarono, però quando furono a destinazione, mentre sorvolavano lo spazio aereo sopra la cupola, Batman notò un particolare che lo fece scattare come una molla: << Diana, la barriera. Guarda! >> e puntò un dito verso l'ammasso energetico.
Wonder Woman seguì con lo sguardo la direzione indicata del cavaliere oscuro, ma non notò niente di particolare: << Cosa Bruce? Non capisco che intendi. >>
<< Atterra, svelta! Ho un'idea. Chiama immediatamente Metamorpho ed Aquaman. Abbiamo bisogno di loro. >>
L'amazzone iniziò la procedura di atterraggio verticale, per poi tornare a rivolgersi al collega: << Ma perché? Ti decidi a spiegarmi? >>
<< La pioggia Diana. Guarda nella cupola! >> disse Batman, che continuava a fissarla. Al che lei guardò con più attenzione, ma non riuscì lo stesso a notare ciò che aveva notato il suo collega: << Bruce, continuo a non capire. Per favore spiegati chiaramente. >> disse lei, che stava cominciando a perdere la pazienza.
Batman si mise a camminare nervoso per tutta la lunghezza dell'aereo, mentre in testa gli si formava un piano: << È la pioggia. Non so né come, né perché, ma la pioggia riesce ad attraversare la barriera. Vedi quelle pozze laggiù? Lì la pioggia le sta increspando. E la cupola non arriva sopra le nuvole. >>
Raggiunse il portello e si aggrappò ad una maniglia che spuntava dalla parete: << Devo scendere ed analizzare quell'acqua. Forse è qualcosa nella composizione chimica di quel tipo di acqua piovana, oppure la barriera permette il passaggio ai liquidi, ma c'è qualcosa che passa, e noi sfrutteremo questo nuovo fattore a nostro vantaggio. Ed ora atterra. 
C'è una città da salvare ed un ragazzo da trovare. >>

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Capitolo 19
*** Fango, pioggia e fuoco ***


 
Pov Robin
Sento l'ago penetrare nel mio braccio, poi la tuta comincia a pompare l'antidolorifico endovena. È un composto creato da Batman, me lo ricordo; praticamente una droga che impedisce al cervello di metabolizzare il dolore e la fatica. Non è stata una sorpresa trovarla inserita all'interno di un'armatura concepita per combattimenti estremi; è quasi piacevole.
Aspettando che la droga cominci ad agire lascio che i nemici si sfogano contro le lastre in promezio. Tanto non riusciranno mai a penetrarle.
Appena la sento agire, ossia quando la testa si alleggerisce e la bocca si riempie di saliva, ritiro le protezioni e mi butto nella mischia. Ho appena il tempo di godermi la pioggia battermi sul petto prima che l'armatura si sigilli che già mi sono addosso.
Distruggo i primi androidi di oggi cadendo, frantumandoli sotto il peso di tre metri di lega sconosciuta. Appena tocco terra l'armatura affonda nel fango e sembra incastrarsi. La gamba cede; sprofonda nel fango freddo e viscido per metà, lasciandomi scoperto. I nemici approfittano del fatto che non riesco ad alzarmi abbastanza in fretta e subito mi sono addosso. È un dieci contro uno, e sono bloccato riverso nel fango. Tre mosse possibili in questa posizione. Scelgo di andarci leggero e decido di lasciare dei crani ancora integri. So che sono solo dei robot, e lui sa che così posso sfogarmi quanto mi pare.
Mi sollevo e la pioggia mi scrosta via la fanghiglia, ripulendomi. Alzo lo sguardo dallo scarso comitato d'accoglienza e vedo un plotone di quei cosi circondarmi. Bastano poche mosse e nelle pozzanghere si sparpaglia il paradiso bagnato di un meccanico.
Quando ne arrivano altri urlo. Ma non per il dolore.
Preferisco credere che quelle grida agghiaccianti non siano le mie. E neanche le risate.
Mi butto nel pieno centro dell'esercito sparpagliando i ranghi e dandomi il tempo di pestarli come farebbe un fabbro con un pezzo di ferro grezzo appena uscito dalla fornace. Afferro uno di quelli che non si sono rotti subito e lo uso come mazza. Lo lascio andare solo quando mi rimane in mano solo il suo piede.
Un gruppo che è riuscito a riunirsi in fretta mi inonda con una pioggia di laser, ma la Hellbat è un'armatura resistente, pensata per reggere il confronto con gli dei. Dei semplici laser non le fanno niente, nemmeno se è già danneggiata ed in pessimo stato. Quegli stupidi lo capiscono troppo tardi.
Mi giro alla ricerca di Slado, e vedo che quel bastardo che si gode anche lui la pioggia guardandomi da lontano, ancora sospeso in aria senza la minima intenzione a scendere. Prendo un'altro dei suoi e glielo mando a mo' di regalo mentre è distratto, ma Cyborg lo polverizza prima che lo raggiunga.
Carico le gambe, mi preparo a saltare verso di loro, ma qualcosa non va. Sento la testa girare ed i miei occhi si riempiono di puntini neri. Cado a terra in ginocchio, ed un secondo è tutto il tempo che serve ai suoi tirapiedi per travolgermi.
Stavolta mi attaccano in massa, formando una gigantesca onda di metallo che si abbatte su di me con furia cieca. Mi sento soffocare sotto il loro peso e tutto si fa buio. Come nella buca.
"Non ancora."
La buca, il buio.
"Non ancora."
Il sangue cola sulla roccia.
"No."
Dolore.
"NO!"
Distendo le ali e mi sollevo, portando con me metà dell'esercito aggrappato all'armatura. Me li scrollo di dosso.
Il dopo è confuso, non me lo ricordo più. Sarà stata la droga, o la rabbia, o qualsiasi altra cosa. Quando capisco di essere ritornato in me scopro di aver compiuto un massacro.
Il computer dell'armatura mi rivela che nella furia ho perso l'avambraccio destro, quello danneggiato, e che anche la gamba non se la passa bene. La droga non era abbastanza forte.
Loro ritornano senza lasciarmi il tempo di riprendere fiato. Per ogni robot che distruggo altri due ne prendono il suo posto. Non gli conviene tirare così tanto la corda. Attivo il sistema metamorfico dell'armatura, e trasformo le ali in uno stormo di pipistrelli neri, dalle ali affilate e gli artigli taglienti, che si scagliano sulle legioni di robot.
Sento che sto per vincere, che manca poco ormai.
Poi il mondo si riempie di rosso ed esplode.
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Cassie attraversava la città distrutta correndo sotto la pioggia, senza preoccuparsi di attirare delle pattuglie. Non si fermava davanti a nulla: saltava buche e fossati, schivava spuntoni di roccia ed evitava di calpestare i frammenti di vetro sparsi per terra e cercando di non scivolare nelle pozze, fregandosene di fare rumore. Tanto i rumori della battaglia e della pioggia da cui era scappata coprivano tutto il resto. Prima faceva attenzione, ma non c'era nessuno in giro.
Sembrava che tutti gli androidi fossero occupati a cercare di uccidere Robin.
Il ragazzo le aveva dato una missione, che lui aveva definito fondamentale: doveva raggiungere la Tyrans Tower e seguire le istruzioni che lui le aveva dato per entrare. Robin era riuscito ad ottenere i codici necessari per entrare nella torre: le password dei cancelli, i codici d'accesso delle entrate secondarie, i comandi vocali, oltre che una planimetria abbastanza precisa della torre. Alla sua domanda su come aveva saputo tutto questo Robin aveva sogghignato soltanto, senza darle una risposta abbastanza soddisfacente, ma la ragazza pensò che fosse meglio non approfondire.
Dietro di se i rumori della lotta aumentavano d'intensità e si facevano più vicini, quindi lei senza pensarci due volte accelerò. Si voltò una volta sola, quando dietro di lei la terra tremò ed il fracasso di un'esplosione potentissima la fece inciampare e capitombolare su un pezzo d'asfalto bagnato, inzaccherandole i capelli ed i vestiti.
Si rimise subito in piedi e spese qualche istante a fissare le volute di fumo nero che salivano verso il cielo, bloccandosi dove la cupola si chiudeva e non lasciava passare più niente, se non la pioggia. Si mise una mano nella tasca e ne tirò fuori un piccolo oggetto circolare, grande come il suo palmo, che controllò meticolosamente. Se si fosse danneggiato avrebbe fallito miseramente.
Felice che fosse tutto a posto e che non si fosse rotto riprese a correre; era vicina ormai.
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<< Mhh... il ragazzo se la cava bene. >> disse Slado guardando Robin combattere. Era difficile distinguerlo tra la fitta pioggia ed il colore scuro dell'armatura che si confondeva con il buio del mattino, ma il mercenario lo vedeva chiaramente; lo percepiva lì in mezzo, tra il fango e la pioggia. Vedeva il metallo luccicare e mandare freddi bagliori luminosi, ed udiva il rumore dei suoi colpi attutiti dall'incessante scrosciare dell'acqua piovana.
Thump
Thump
Thump
Cyborg era accanto a lui; il ragazzo cercava di seguire lo scontro usando i suoi visori notturni ed i suoi radar di ecolocalizzazione , fallendo. Con un ringhio di rabbia spense il visore notturno installato nell'occhio bionico, ed imprecò: << Dannazione! Maledetta pioggia. Proprio oggi che lo ammazziamo doveva diluviare. >>
<< Calma, mio giovane amico >> disse Slado con la sua solita calma impenetrabile, toccando con una mano la spalla del suo luogotenente << Non vorrai guastarti i circuiti. Qui non servirai per un po', quindi perché non vai alla torre a vedere come sta Stella? Non ha più risposto alle mie chiamate da quando le ho risposto male. Ho paura di essere stato troppo duro con lei. Dille che mi dispiace e che... >>
Venne interrotto da uno dei suoi soldati robot. Che gli stava volando addosso.
Per sua fortuna Cyborg lo vaporizzò con un colpo di laser.
Della polvere e dei frammenti arrivarono lo stesso addosso a Slado, ma non erano più che un fastidio tanto erano piccoli: << Mhh... Fa niente. Forse è meglio se rimani. >> continuò Slado, senza che il suo tono cambiasse di una virgola. Sotto di lui Robin era come andato in berserker, e stava distruggendo tutto ciò che era ancora in grado di muoversi << Piuttosto, ti vedo alquanto nervoso. >>
<< Certo che sono nervoso, capo. Quel bastardo mi ha quasi fuso l'hard drive. Voglio scendere laggiù e spaccargli il culo a calci. >> disse il ragazzo con foga, picchiando un pugno sul palmo dell'altra mano, impaziente di menare le mani.
<< Ah, me n'ero quasi dimenticato. Beh, sembra che lì sotto ci sia bisogno di un'aiuto. Ma anche che il ragazzo stia perdendo qualche pezzo per strada. >>
<< Ma capo... come fai a vedere così bene nonostante tutta questa pioggia? E con un occhio solo poi. >> chiese Cyborg curioso.
<< Vedi Cyborg, per ottenere certe cose non puoi sempre cercarle o fabbricartele da solo. A volte le ottieni senza volerlo. Come credi che abbia fatto Robin a vederci? Dopo tutto quel tempo passato in quella buca nel buio più totale vedere attraverso questa pioggia è una bazzecola. >>
<< E tu capo, come mai riesci a vederci bene anche tu? >>
Slado guardò Cyborg come un comandante guardava un soldato semplice che faceva più domande di quante gliene fossero permesse, e lui tenuto sotto pressione lasciò perdere. Però prima che saltasse giù: << Aspetta. A che punto è il travaso di energia demoniaca nel proiettore? >>
<< Oh, guardo subito. >> Cyborg accese immediatamente il suo computer interno e tramite la rete si collegò alle intelligenze artificiali della piccola squadra di androidi che non si era unita all'esercito, poiché aveva un compito altrettanto importante.
Ricaricare il generatore del campo energetico che circondava la città era un compito fondamentale, affidato a robot speciali, diversi agli altri e più forti; erano dotati di processori più veloci, armature più resistenti in promezio ed alimentati dalla stessa energia che trasportavano.
Senza quelle batterie caricate con la magia nera di Corvina lo scudo non funzionerebbe, ne impedirebbe ai super guastafeste di entrare. Il computer diceva che le batterie erano appena partite, e non c'erano problemi.
<< Il convoglio è appena partito. Dovrebbe arrivare a destinazione tra pochi minuti. >> disse lui disconnettendosi dalla rete.
<< Tutto va secondo i piani. Vai pure. E portamelo vivo. >>
Cyborg sorrise esaltato, sentendosi carico come una molla e pronto a menare le mani. L'adrenalina entrò in circolo, i circuiti prepararono i componenti bionici del suo corpo al combattimento ed il software cominciò a caricare i programmi di combattimento. Si accovacciò per spiccare un balzo, ed i transistor caricarono nelle gambe l'energia necessaria a disintegrare un palazzo, mentre circuiti hi-tech interni la contenevano senza farla uscire.
Slado ebbe appena il tempo di considerare quanto fosse fortunato quel ragazzo a poter sfruttare quella secondo occasione per avere un rematch contro il suo peggior nemico ed alla sfortunata assenza di Corvina, quando il rombo di un'esplosione immensa interruppe lo scorrere dei suoi pensieri.
Lo scoppio della torre generò un fortissimo spostamento d'aria che per poco non fece cadere dalle passerelle i due criminali. L'esplosione sollevò un'enorme quantità di acqua, macerie e fece volare in aria numerosi robot, che sfrecciavano come proiettili devastanti. Una scheggia di vetro centrò in pieno la maschera di Slado, dove i doveva essere l'altro occhio, rimbalzando e finendo il suo viaggio sulla passerella.
Ma fu solo un'istante, e poi un ghigno euforico increspò il viso dei due criminali.
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Per qualche scherzo del destino si era svegliata esattamente all'alba, giusto in tempo per vedere l'inizio del rissone finale. Era salita sul tetto della torre e seguiva meticolosamente tutto ciò che era in grado di vedere e di sentire da lì: esplosioni, schianti di metallo contro metallo, suoni di laser e quant'altro.
Aveva paura per il suo amore, che qualcosa andasse male nella battaglia e non lo facesse tornare mai più. Un'altra situazione nuova per lei da quando era arrivata sulla Terra. Su Thamaran le donne combattevano insieme agli uomini nelle guerre. Slado lo sapeva, eppure le aveva ordinato di non immischiarsi. La ragazza era molto confusa.
"Slado... perché ti comporti così? Prima mi volevi bene. Perché adesso non più. Ti prego, fa in fretta a tornare. Ho bisogno di parlarti."
Con un sospiro rassegnato si arrese e decise di tornare nella torre senza sapere esattamente cosa fare, così rimuginò intensamente sui fatti che stavano accadendo in quel momento, focalizzandosi soprattutto sui suoi flash. Come mai erano così forti se i ricordi erano finti? Era possibile che Robin glieli avesse impiantati così tanto in profondità che ormai facevano parte di lei, o c'era sotto qualcos'altro?
Era persa in queste riflessioni, quando la sua attenzione fu catturata da un rumore lontano, proveniente dai piani inferiori, che echeggiava sulle pareti della torre ormai vuota tranne che per lei e...
D'un tratto Stella realizzò. Scese due rampe di scale volando ad alta velocità, dirigendosi verso l'infermeria della torre. Quando svoltò l'angolo del corridoio ed entrò nell'infermeria vide per terra una scia di tubi, di lenzuola e di vestiti che usciva dalla porta che aveva appena varcato.
Notò con sorpresa che c'erano anche i vestiti di BB, quelli che gli aveva dato Slado e con cui l'avevano lasciato in coma. Subito realizzò che il corpo del ragazzo era sparito.
Confusa ed in preda alla preoccupazione andò in giro per la torre alla ricerca del ragazzo: << BB! Dove sei? >> gridò Stella, provando un principio di ansia. Se il ragazzo si era appena svegliato e non aveva cercato nessuno doveva essere confuso, o forse aveva un trauma cranico, o era malato, oppure andava in giro come uno zombie sbavando e gemendo senza una mente propria. Doveva trovarlo!
Ebbe un'intuizione; dato che il ragazzo si era spogliato, e che non poteva di certo andare in giro nudo, doveva essere andato in camera sua, a cercare dei vestiti. Ma era un ragionamento che poteva funzionare solo se il ragazzo fosse completamente cosciente.
Decise che non era importante e verificò se aveva ragione.
Velocemente raggiunse la porta della stanza di BB, rimasta intatta da quando era andato in coma, ma lì non c'era nessuno. La stanza era disordinata e devastata esattamente come l'avevano lasciata, e Stella pensò fosse strano: "Ma perché Slado non ha mandato qualcuno a sistemarla? Va bene che aveva dovuto ammassare un esercito in tutta fretta, ma anche solo uno di quegli automi sarebbe andato bene. Mica posso fare tutto io". Ma lasciò perdere e tornò a cercare BB.
Provò allora a cercare nel guardaroba, ma non lo trovò neppure lì. Però qualcuno aveva rovesciato i cassetti e sparpagliato per la stanza i vestiti prima di andarsene.
"Come mai BB farebbe una cosa simile senza un qualsiasi motivo?" si chiese "Che sia... impazzito? Che il mio amico abbia contratto una forma di pazzia nel sonno del coma? No, oh no. Tutto ma non questo."
Senza più idee ed ancora più preoccupata per il ragazzo cominciò a girare per la torre a caso, senza seguire uno schema preciso, in totale angoscia, quando infine tornò di nuovo sul tetto dalla torre, sperando di vederlo all'esterno. 
Fu allora che lo trovò. Da lontano lo vide sulla cima delle mura che circondavano la base, che volgeva lo sguardo verso la città distrutta e verso la battaglia che infuriava come una tempesta nell'oceano.
<< BB... BB!!! >> lo raggiunse in un lampo, e l'impeto dell'abbraccio quasi li fece cadere a terra.
Stella lo tempestò di domande e di abbracci, dicendogli che era contentissima di vederlo e che l'aveva fatta preoccupare da matti, poi le venne anche un accenno di pianto, subito represso da dentro.
Eppure lui continuava a fissare le rovine, senza dare segno di averla notata. Subito la preoccupazione le tornò a galla.
Allora lei lo scosse con forza, temendo che il coma gli avesse provocato qualche danno cerebrale: << BB! Ascoltami, ti sei svegliato dopo essere stato in coma. Può essere successo qualcosa di brutto, quindi adesso ti riporto giù e... >>
Si interruppe quando notò che non indossava una delle sue solite tenute, bensì indossava il costume di prima che Slado li salvasse da Robin. Quello da "eroe".
<< BB, perché indossi quel costume? >> voleva pensare che indossare quel costume fosse scandaloso, una specie di tradimento, ma stranamente non sentiva che fosse così.
Finalmente BB si girò verso di lei e, parlandole sottovoce con un'espressione sconvolta su un viso di qualche sfumatura più verde del solito, le disse: << Stella... sei tu? Non sembri tu. >>
<< Sì, BB. Sono io. Sono Stella. E per favore, torna di sotto. Devi riposare, ti sei svegliato adesso. >> gli disse lei, rilassandosi un poco a sentire la voce di BB.
<< Stella, che ci è successo? Noi dovevamo essere i protettori della città, non i suoi aguzzini. Come abbiamo potuto lasciare che ci usasse così? Come? >> ribatté BB, i cui occhi si erano spiritati e guardavano ai suoi piedi.
<< Ma come... >> cercò di rispondere lei << Che intendi dire? Parla chiaro BB. >>
Lui alzò lo sguardo e lo puntò su di lei, squadrandola da capo a piedi come se davanti a lui ci fosse una sconosciuta: << Stella... Come sei vestita? Perché... dove... >>
Si fermò un'istante, rimanendo a fissare un punto lontano sopra la spalla della ragazza. Poi fu come se avesse colto qualcosa che aveva capito solo lui.
Dietro di loro un'esplosione violentissima scosse la terra
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Erano così vicini che riusciva a sentire i rumori della lotta. Poteva quasi toccarli tanto erano vicini.
Ma la cella le permetteva soltanto di sfiorare quelle piccole menti. Se fossero state più vicine ed avesse avuto un po' di tempo sarebbe riuscita a controllare e plasmare una di quelle più deboli, ma erano troppo lontani.
Li sentiva combattere. Sentiva la rabbia e la frustrazione di Robin, la voglia di rivalsa di Cyborg e da lontano e con difficoltà la tristezza e la confusione di Stella, mentre Slado era indecifrabile. Ma erano flebili, non riusciva a percepirli bene come prima, quando era libera.
E le sfumature erano completamente assenti.
<< Dannato Robin! Se solo non mi avesse bloccata qui dentro >> disse Corvina adirata tra se e se. Stare tanto tempo da sola dentro una piccola sfera-prigione magica non le permetteva di conoscere molta gente.
Cercò ancora una volta di forzare la cella espandendo al massimo suoi poteri, spingendo e rilasciando energia.
La piccola sfera si gonfiò di oscurità come una bolla, espandendosi e contorcendosi in continuazione, seguendo il potente e costante flusso di quelle energie.
Corvina continuò a spingere: << Azarath. Metrion. Zintos! >> ripeté in continuazione fino a che non le fece male la gola. La bolla si gonfiò, si gonfiò... per poi tornare alle dimensioni originali reprimendo l'energia ed obbligandola a ritornare all'interno della bambina.
Corvina fallì, ma tentò comunque di usare l'enorme quantitativo di energia concentrata dentro di se per creare un portale e fuggire prima che si disperdessero; ma sempre a causa dei sigilli sparsi sulla prigione, per via del suo corpo da bambina che non era in grado di contenere l'energia necessaria e per evitare di esplodere dovette rilasciarla. La bolla poi raccolse ed assorbì quell'energia volatile, raffinandola e sfruttandola per rafforzare i sigilli.
Lo sforzo fu enorme per lei, che si accasciò a terra esausta. Il corpo non le obbediva più.
I rumori della lotta erano stati per tutto il tempo un continuo sottofondo, incessante. Come mai prima di allora quel rumore le riempì il cervello, sovrastando solennemente ogni altro pensiero e cancellando ogni piano di fuga. Quel rumore le echeggiò in testa facendo restringere le pareti e togliendole il fiato, mentre lo spazio diminuiva e l'aria si faceva sempre più rarefatta ed inalarla era sempre più simile al respirare lame di ghiaccio.
E sempre con quei rumori onnipresenti, lei saltò in piedi e prese a pugni la bolla sperando di fermare quel rumore. Poco importava il dolore, doveva fermarlo. Non bastavano le sue stesse urla, né il suono dei suoi pugni. Poco importava che si coprisse le orecchie, o che urlasse più forte, quel rumore era sempre lì, e non se ne sarebbe mai andato e lei non sarebbe più uscita e quella prigione le si sarebbe chiusa addosso.
Poi ci fu qualcos'altro.
Qualcosa era entrato nel suo raggio telepatico, una creatura piccola, facile da controllare.
Era un topo. Un minuscolo topolino era entrato dalla porta delle prigioni, rimasta aperta. Corvina lo contemplò con attenzione. Aveva un corpo lungo poco più del suo dito indice con il pelo di colore grigio spento, con una lunga coda tranciata verso la fine, vicini a dove prima c'era la punta.
Con cautela raggiunse la sua mente, che si rivelò debolissima e facile da controllare. Nei suoi ricordi scoprì la presenza di un'enorme colonia di topi qualche piano di sotto di loro.
<< Quanti... Ce ne sono davvero tanti. >> disse Corvina, sempre a se stessa. Fu allora che le venne in mente un piano che forse aveva qualche chance.
Prese controllo della mente del topo, poi richiamò i suoi simili e, lentamente e non senza difficoltà, prese a controllarli tutti insieme, diffondendo la sua mente come un'epidemia fra i roditori.
Controllandoli come un architetto controlla i suoi operai li fa impilare l'uno sull'altro, formando una piramide di topi alta fino alla bolla. Poi, quando giudicò che fossero sufficienti, li costrinse a grattare via dalla prigione un pezzetto di uno dei sigilli portanti con i loro dentoni. Molti topi si fulminarono toccando la parete ma alla infine, svanendo in una vampa di fuoco, uno dei roditori riuscì a rimuovere quel pezzetto, nullificando il sigillo ed indebolendo la bolla.
E fu così che Corvina fuggì, in un'enorme esplosione.
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L'esplosione lo aveva sbalzato via insieme a buona parte dell'esercito nemico e della città.
Il ragazzo meraviglia si risvegliò così in mezzo ad un enorme cratere dove un tempo c'era la baia di Jump City, dove ormai non c'era che devastazione ed odore di bruciato. Le analisi dell'armatura rivelavano che il braccio destro era del tutto fuori uso, infatti lo vedeva pendere inerte sul fianco dell'armatura, e che la placca che copriva il torace era stata rimossa del tutto. Il ragazzo non riusciva a capire com'era possibile. Quella era un'armatura con cui avrebbe potuto tener testa a Superman, eppure era stata quasi distrutta.
Nonostante l'antidolorifico Robin sentì le costole muoversi nel petto ed il sangue che gli inumidiva la schiena; erano dei brutti segni.
Volse lo sguardo verso l'origine dell'esplosione, verso la torre, ed il sangue gli si gelò nelle vene. Corvina era libera. Rimanendo imbambolato a guardarla elevarsi in cielo circondata da energie mistiche non si accorse di Cyborg, che da dietro gli sparò con il cannone sonico, colpendolo e buttandolo a terra un'altra volta.
Mentre cercava di mettersi in piedi con una mano sola e con una gamba malfunzionante sentì Cyborg e Corvina salutarsi: << Ciao Corvina! Contento che tu sia ancora viva e vegeta. >> cominciò Cyborg.
<< Grazie Cyborg >> gli rispose Corvina, << Anch'io sono contenta di vederti. Noto che siamo in assetto da guerra. >> disse lei, indicando i resti dell'esercito ed il loro generale, Slado, che lo comandava da lontano.
<< Eh, sì. Quel piccoletto laggiù ci ha fatti dannare mentre tu eri in vacanza. Che ne dici di restituirgli il favore? >>
Corvina non ebbe bisogno di pensarci: << Ok, facciamogli pentire di essere nato. >>
Insieme assalirono la Hellbat diretti verso il suo pilota.

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Capitolo 20
*** Sorprese ***


Per un secondo, per un solo secondo Robin si perse. Cioè, sapeva dove si trovava, e sapeva anche come ci era arrivato; era la sua testa quella che si era persa.
Gli passarono davanti agli occhi come foto tanti piccoli momenti passati, degli spezzoni di diversi film compressi e mandati avanti a velocità X30. Non riuscì a cogliere nessuna immagine distintamente, e quando ci provò quelle svanirono come cancellate.
"Che stia per morire? Ho sentito spesso che quando uno sta per morire tutta la vita gli passa davanti, ma non ci avevo mai creduto. E poi, perché non riesco a distinguere niente? Perché non riesco a vedere la mia vita?"
Quei pensieri attraversarono la mente di Robin come un proiettile, entrando da un lato del cranio ed uscendone dall'altra parte, quasi senza che lui se ne accorgesse, tanto era stato veloce. Scosse la testa con forza, scacciandoli e tornando così lucido e concentrato.
Non era vicino alla morte, ma il rischio era comunque molto alto data la situazione in cui si trovava: "Doveva essere stata la droga. Forse avrei fatto meglio a non usarla.
Bruce diceva sempre che il dolore era utile, una specie di sistema di allarme per il corpo che ci dice che cosa non va. Ma ormai non posso farci niente. Devo tornare alla battaglia."
Ma dei suoi nemici non c'era traccia; si erano nascosti. La lotta li aveva spostati dalla baia, dove si erano scambiati i primi colpi, in una zona più urbana della città, piena di palazzi, cambiando di fatto il terreno di lotta.
Lì Cyborg e Corvina avrebbero potuto nascondersi ed attaccarlo da qualsiasi direzione senza che lui se ne potesse accorgere.
Robin tentò di attivare la visuale infrarossi ed i raggi X, sperando che fossero ancora integri, ma i sistemi erano troppo danneggiati per funzionare. Non poté fare altro che usare i propri occhi e basarsi sul proprio udito, ma con la forte pioggia battente le orecchie non riuscivano a captare bene i rumori.
Riuscì però ad udire distintamente dietro di se un ringhio bestiale. Si voltò a guardare la nuova minaccia e vide che era comparso un enorme demone cornuto di colore nero, dall'aspetto animalesco e grosso come una casa, tanto grande da sovrastare anche la Hellbat. La sua bocca era dotata di tre file di denti taglienti come quella di uno squalo, da cui usciva una lingua lunga ed articolata, dotata anch'essa di una piccola bocca irta di denti.
La bocca era sostenuta da un muso rugoso e schiacciato, come se fosse stato colpito numerose volte sul naso con un martello, che era piccolo ed incassato nel cranio. Non aveva le orecchie, ma in compenso gli occhi erano enormi e lattiginosi, ed occupavano tutta la fronte, dagli zigomi fin quasi alle corna, che erano lunghe e massicce.
Il resto del corpo era simile a quello di un orso senza peli, ma con artigli enormi e senza la coda.
E lo guardava con la bava alla bocca.
Il portale da cui era stato appena evocato stava ancora vorticando alle sue spalle quando il demone caricò verso di Robin con le sue enormi corna ricurve, colpendo in pieno l'armatura e facendola schiantare contro la parete di un edificio, per poi cadere a terra. Il demone ci salì sopra, cominciando a schiacciarla sotto il proprio enorme peso.
Tenendolo fermo sotto di lui cominciò pestarlo con i suoi enormi piedi e ad artigliarlo con forza, sollevando ad ogni graffio minuscole scintille, subito spente dalle gocce di pioggia, e staccando piccole schegge baluginanti di metallo nero.
"Questo mostro è abbastanza forte da scalfire l'armatura" realizzò Robin guardando i frammenti rimbalzare sul cemento, "Devo sbarazzarmene, ed in fretta, se voglio sopravvivere!"
Robin annaspò sotto il ventre della creatura, cercando una leva o uno spazio libero, cercando allo stesso tempo di sfuggire alla lunga lingua del mostro, che cercava di prenderlo.
La pioggia copriva le loro voci, ma Robin sapeva che i suoi due aguzzini stavano ridendo di lui. Gli sembrava di vederli sganasciarsi dalle risate mentre si divertivano a vederlo annaspare sotto quel bestione demoniaco.
Non poteva di certo lasciare che se la spassassero così, gratuitamente.
Riuscì a far scivolare il braccio superstite sotto il ventre molle del mostro, percorrendolo per tutta la sua lunghezza e fermandosi sulla gola, premendo con forza sul collo e caricando l'energia lungo il braccio. Lentamente, ma inesorabilmente, il demone si sollevò da terra dimenando furiosamente nell'aria le zampone nere nel tentativo di colpirlo alla cieca.
Un artigliata fortunata riuscì a penetrare nella maschera dell'armatura con un rumore come di vetri rotti, sfiorando il labbro del ragazzo e provocandogli un minuscolo buco appena sotto il naso, da cui il sangue cominciò subito a fuoriuscire in un piccolo torrente rosso vermiglio.
"L'armatura sta per lasciarmi!" realizzò Robin, sconvolto che fosse così vicino al punto di rottura della tuta: "Devo finire in fretta prima che venga distrutta del tutto."
Le dita premettero con più potenza sulla gola del mostro, scavando solchi nerastri sulla pelle scura, che cercava di sfuggire divincolandosi come un pazzo. Tentò anche di morderlo con la lingua dentata, ed allora Robin premette sull'acceleratore. Lo sbatté ripetutamente a terra con forza, sfruttando al massimo la forza concessa dall'armatura semi-danneggiata. Mano a mano che ripeteva la mossa sulla strada si formò un buco con la forma del mostro, sempre un po' più profondo ogni volta che lo colpiva.
Dopo poco tempo lo lasciò andare facendogli fare un volo in aria. Il demone atterrò esattamente entro i bordi della sagoma e rimase lì, stordito ma vivo, ma non in grado di rimettersi in piedi. 
Lentamente e senza fretta, lo raggiunse... e si preparò a finirlo.
Caricò il braccio. Sentì i circuiti caricare di un enorme quantitativo di energia l'arto metallico; energia che voleva essere rilasciata con potenza addosso all'obiettivo. L'aria crepitò e scintille uscirono dall'unica mano rimanente dell'armatura, chiusa in un pugno che sembrava un possente martello pronto a battere un enorme chiodo.
In un istante, colpì. Ma la creatura non c'era più.
Era svanita nelle ombre, e non sarebbe più tornata in quel mondo.
A Robin non servì alzare lo sguardo per vedere Cyborg e Corvina uscire dai loro nascondigli per tornare ad affrontarlo di persona; li avrebbe percepiti anche un uomo in coma.
In quel momento il ragazzo vide accadere tre cose:
1- Corvina alzò le mani in dei gesticoli convulsi. Si preparò a ricevere un chissà quale colpo letale, ma non arrivò. Piuttosto sentì qualcosa muoversi dentro di se, qualcosa che si stava raggruppando e premeva per uscire. Il risultato fu che ebbe un conato, e vomitò fuori una palla di liquido fluttuante. Gli si fermò davanti agli occhi per un solo istante, poi svanì in uno sbuffo di fumo.
Guardando le volute nebbiose e tentacolari del composto chimico che gli aveva permesso di combattere fino ad allora fuoriuscire dalle crepe della maschera, li sentì ghignare beffardi, sicuri, vittoriosi. Non avevano del tutto torto.
2- Vide il mondo cambiare colore alla velocità di un caleidoscopio mentre le ferite riprendevano a fare il loro lavoro; produrre atroci dolori in tutto il corpo.
La spalla venne trafitta da innumerevoli schegge di ghiaccio, mentre le costole gridavano la loro agonia e mano rotta riprendeva a pulsare così forte che Robin cominciò a temere che sarebbe esplosa. Poi si unì tutto il resto del corpo, costringendo il cervello ad indurre uno stato di semi-coscienza.
Piombò a terra come un sasso, a stento consapevole di ciò che avveniva intorno a lui.
3- Infine, li vide attaccarlo. Si diressero verso di lui con ferocia, le mani luminose ed i cannoni carichi. Scaricarono su di lui tutta la loro potenza su di lui sotto forma di laser e di energia oscura, e la Hellbat, in uno sferragliare di metallo bruciato, gli venne scorticata di dosso. Se non fosse già mezzo svenuto avrebbe gridato.
Ma, prima del colpo di grazia, dei lampi verdi tagliarono la pioggia colpendo in pieno i due ragazzi, mentre nella pioggia si mescolò il ringhio di una bestia feroce, subito seguito dal puzzo di un animale bagnato.
Erano arrivati i rinforzi, in una forma inaspettata.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Cassie stava ancora correndo, saltando e scivolando sui detriti e sulle tubature delle fogne divelte da terra, quando si accorse che stava per prendere parte a qualcosa di unico. 
In quel momento stava attraversando una delle strade più grandi della città, una di quelle vicino al centro, con un grande incrocio per far passare le auto, quando si fermò di colpo per nascondersi dietro la carcassa di un'auto distrutta.
Sbirciando tra le lamiere vide che qualche metro davanti a lei stava passando un'insolita sfilata: una dozzina di robot percorrevano la strada evitando le macerie e gli ostacoli, scortando un grosso veicolo corazzato, simile ad un furgone portavalori.
Fu quando il blindato era quasi a pochi metri davanti a lei che successe. All'improvviso quello si bloccò di colpo, ed un rumore di vetro infranto venne seguito dallo sfarfallio delle fiamme sul cofano del blindato. Una molotov.
I robot si fermarono e si guardarono intorno, alla ricerca del tiratore. Oltre al suono delle fiamme si udì anche un rumore che Cassie aveva sentito molte altre volte da quando aveva visto arrivare gli invasori: il rumore di ferro oliato che scorre velocemente su altro ferro, il clic del caricatore che inserisce il primo proiettile, e lo schiocco della leva quando torna nella posizione originale.
I robot, un momento prima confusi, mossero la testa verso il fondo della strada, dove era necessario che passassero. Per dove dovevano andare era rimasta solo quella strada, e Slado li aveva programmati per non deviare in alcun modo il loro percorso.
Anche Cassie girò lo sguardo in quella direzione, e vide qualcosa che le fece mozzare il fiato.
La strada si stava riempiendo di persone!
Uomini, donne, vecchi e ragazzi, che uscivano dai tombini, dalle porte, dai vicoli, armati di tutto ciò che erano riusciti a trovare. Avevano bastoni, aste di ferro, bottiglie come quella lanciata prima, un paio erano addirittura armati di mitra e pistole. Alzando lo sguardo ne vide altri, appollaiati sui tetti o alle finestre, che stavano ammassando mattoni, palle di ferro, lamiere, portiere di auto, copertoni ed esplosivi da lanciare di sotto.
La folla crebbe sempre di più, fino a diventare una banda che riempiva tutta la strada, circondando i robot anche da dietro ed esibendo e battendo le loro armi l'una contro l'altra ritmicamente, producendo un forte fracasso.
I robot si strinsero tra di loro, posizionandosi ai lati del blindato. Anche se erano privi di emozioni umane a Cassie non fu difficile credere che fossero spaventati.
Infine la folla si aprì in due, accelerando il ritmo dei clangori, lasciando passare quello che doveva essere il capo.
Poteva essere un ragazzo, per certi versi simile a Robin, forse un po' più alto e slanciato; per via della pioggia e della poca luce lei non riusciva a vederlo bene in faccia. Indossava una specie di sciarpa rossa sopra una tuta nera stracciata e piena di buchi, che un tempo doveva assomigliare a quelle dei ninja, ma che sembrava essere passata attraverso un trita rifiuti e poi in un inceneritore. Aveva anche dei guanti senza dita grigiastri, strappati e malconci. Ai piedi stivali bianchi dello stesso materiale plastico dei guanti.
Teneva nella mano destra una molotov ricavata da una bottiglia di birra e nell'altra un accendino acceso, con la fiamma che ballava alta nonostante la fitta pioggia.
Lentamente, con tutta calma, avvicinò la fiamma al pezzo di stoffa intriso di benzina che usciva dal collo della bottiglia e per un secondo rimase a guardarlo prendere fuoco. 
Il fragore generato dell'esercito andò in un crescendo mentre il fuoco divampava, e diveniva sempre più forte e più frequente di secondo in secondo.
Quando i clangori furono così veloci da sembrare un suono solo, il ragazzo caricò il braccio all'indietro.
Per un momento il tempo si fermò, dilatandosi per un istante che parve infinito, in un attimo in cui le gocce di pioggia sollevavano schizzi dalle pozzanghere nelle buche, e scorrevano nei piccoli canali di scolo ai lati delle strade. Sempre in quell'attimo la fiamma illuminò il viso del lanciatore.
O almeno quello che doveva essere il viso.
Infine, in un unico gesto fluido, lui lanciò la bottiglia. Cassie seguì l'arco luminoso del fuoco rosso emesso dalla molotov mentre il mondo ammutoliva, anche lui ipnotizzato dalla scena.
La bottiglia esplose addosso ad un robot, che si dimenò nel disperato tentativo di sfuggire al fuoco assassino che gli stava divorando i circuiti. Dopo qualche istante quello si abbatté in una pozza ridotto ad un rottame fumante scosso dai tremiti.
I robot rimanenti aprirono il fuoco sulla folla, che come uno tsunami si abbatté su di loro da due lati, coinvolgendo anche Cassie.
Ebbe appena il tempo di rivedere la faccia del capo illuminata alla luce del fuoco prima di venire travolta.
E, in mezzo a tutto, luminosa come una stella, sul suo occhio spuntava una fiammeggiante X rossa.

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Capitolo 21
*** Nel verde ***


Si era risvegliato solo da pochi minuti e già gli sembrava che il mondo intero lo stesse trattando come l'ultima ruota rotta del carro.
Ma a quella sensazione BB c'era abituato. Non si stava nei Teen Titans per tutti quegli anni senza provarla spesso; dopotutto in un gruppo formato da un uomo-robot, un'aliena superforte, una maga quasi onnipotente si sentiva inutile spesso e volentieri.
Si chiedeva spesso come facesse Robin a sopportarlo considerando che lui era il più normale del gruppo, quello senza neanche un potere. Ma poi quando pensava di chiederglielo realizzava che tra tutti il più pericoloso era proprio lui, quello più furbo.
Ed il disagio non spariva, anzi.
BB però non si rendeva conto di quanto sia stato importante per il gruppo, di quante volte aveva salvato la vita ai suoi amici o alla città.
Il problema era che quando in effetti gli venivano in mente quegli atti di eroismo poi gli tornava in mente Terra.
E così l'ansia rientrava in circolo per un altro giro della vittoria.
Però per un breve periodo la corsa si era fermata, e quella brutta sensazione di inadeguatezza era stata abbandonata in fondo al magazzino scenografie del suo cervello, a prendere polvere. 
Era stato quando Slado lo aveva condizionato, ma lui di quel periodo voleva dimenticarsene, al più presto.
Appena aveva realizzato dove si trovava si era tolto con furia quei vestiti che lo caratterizzavano come criminale e nell'impeto aveva rovesciato un tavolino, facendo cadere numerosi attrezzi chirurgici e vasetti di medicine.
Il rumore lo fece sobbalzare: "No... ora sanno che sono sveglio. Devo scappare!" pensò sudando freddo, e con uno scatto uscì mezzo nudo dall'infermeria, alla ricerca della prima via d'uscita che trovava.
Il ragazzo era prossimo ad un attacco di panico e si sentiva come colpito da una scarica elettrica, che lo manteneva costantemente all'erta e con i nervi a fior di pelle. Entrava ed usciva dalle stanze della torre a caso, lasciando perdere quelle chiuse e cercando un buco o una finestra che si rivolgeva verso l'esterno per trasformarsi e scappare.
Ma dato che non ne trovava nessuna era obbligato a passare dalle scale, ma ogni volta che saliva perdeva l'equilibrio e cadeva sbattendo e ferendosi contro gli spigoli acuminati dei gradini.
Ma tenne duro e continuò a salire le rampe di scale, piano dopo piano, finché non raggiunse la Main Ops Room.
La sala era vuota e non era cambiata da prima dell'attacco di Slado, con i mobili al loro posto e lo schermo gigante incassato nella parete.
Cominciò subito ad elaborare un piano di fuga: "È inutile pensare alle vetrate, Slado le ha rinforzate a prova di bomba, ma magari posso uscire da una delle stanze adiacenti."
Le esaminò tutte di fretta, con la consapevolezza (o meglio con l'assillante paura) di essere cercato per la torre da uno dei suoi amici.
"A proposito..." riuscì a notare con una ritrovata lucidità, "ma dove sono finiti i ragazzi? Cosa mi sono perso in poco più un giorno di coma?"
Non aveva comunque il tempo per pensarci; il suo istinto gli diceva di sbrigarsi ad uscire.
Provò a cercare in una sala adiacente alla Main Ops Room, una che non ricordava molto bene ma che credeva di aver già visto.
Appena entrati si accedeva ad un lungo corridoio dal soffitto basso, con le pareti ed il pavimento in acciaio senza rivestimenti. Non c'erano finestre ne porte tranne quella da cui era entrato.
Appoggiati alle pareti metalliche c'erano piedistalli squadrati sormontati da cupole di vetro, al cui interno si potevano vedere oggetti ed armi di ogni genere. C'erano dei bastoni da combattimento attaccati ad una rastrelliera, un fantascientifico telecomando per la TV, un paio di tirapugni elettrici che gli sembrava di aver già visto da qualche parte, dei bracciali metallici, un arco con una faretra piena di frecce, una tromba dorata, una spada e tanto altro. C'erano persino alcune delle maschere di Slado.
E infine, fissato con dei chiodi alla parete di fondo, c'era il suo vecchio costume. Era stato appeso su una parete con dei lunghi chiodi metallici che lo facevano somigliare ad un crocifisso, e che puzzava di vecchio ed era coperto da uno spesso strato di polvere grigia.
Accanto ad esso sulla medesima parete erano stati appesi allo stesso modo altri quattro costumi, quelli dei vecchi Titans: il mantello di Corvina, la vecchia corazza di Cyborg, i vestiti alieni di Stella ed infine, in mezzo ad essi, c'era uno dei vecchi costumi di riserva di Robin. Su una piccola mensola attaccata proprio al di sotto del suo costume erano stati messi in bella mostra le armi di Robin: un bastone stereoscopico, alcuni birdarang, la sua cintura ed un rampino.
Sembrava una specie di collezione privata di manufatti appartenenti al passato dei Titans, solo che ad un certo punto la sala sembrava dividersi in due metà. Da una parte c'erano gli oggetti appartenuti ai criminali affrontati dai Titans, mentre dall'altra... c'erano quelli appartenuti agli eroi sconfitti e catturati dai Tyrans.
BB trattenne a stento un tremendo conato di vomito: "Devo uscire da qui e trovare Robin! Ed alla svelta. Non posso farmi vedere da loro."
Velocemente strappò il suo costume dai chiodi alla parete e se lo indossò. Gli stava stretto in più punti e le maniche erano strappate dove avevano piantato i chiodi; non se ne curò ed uscì dalla sala dei trofei il più veloce che poté, diretto verso il tetto della torre e verso il cielo aperto.
Prese le scale senza curarsi di fare rumore, pensando solo a scappare ed a mettersi in salvo e facendo uno sforzo enorme per non ripensare a quanti fossero i trofei che riempivano quella stanza, ma si era dimenticato di ciò che avrebbe visto non appena varcata la porta del tetto, appena dopo l'hangar dei velivoli.
Uscì sfondando la porta, già pronto a mutare forma per la prima volta dal suo risveglio, ma la vista del panorama lo immobilizzò.
Aveva già dei ricordi della città dopo essere stata divisa dal resto del mondo tramite la cupola che la sovrastava, e ricordava di averla guardata centinaia di volte senza avere mai avuto un sussulto. Ma c'era da considerare che in quel momento BB non era esattamente BB, e che la sua testa era stata sgombrata come una vecchia soffitta e riempita con ricordi e sensazioni orribili.
Per questo non riusciva a smettere di fissare il fradicio cumulo di cemento, metallo e vetri rotti che aveva sostituito Jump City. Non era pronto a ricevere il colpo.
Rimase immobile, le braccia penzoloni lungo il busto con le gocce che gli cadevano dalle dita, cercando di metabolizzare la cosa.
"Devo scappare" pensava, "Fuggire lontano, in un posto dove possa recuperare" ma il corpo non gli obbediva.
Non sentì Stella arrivare in volo dietro di lui, ma la sua voce riuscì a riscuoterlo un tantino dal torpore: << BB... BB! >> gridava la ragazza.
Si riscosse del tutto quando lei gli saltò addosso per stringerlo in un abbraccio bagnato, ma lui continuò lo stesso a volgere la testa verso la città.
<< BB! Ascoltami, ti sei svegliato dopo essere stato in coma. Non puoi stare sotto la pioggia, potresti ammalarti. >> continuava a spiegargli Stella: << Può esserti successo qualcosa di brutto, quindi adesso ti riporto giù e... >>
Sentiva la preoccupazione della sua voce trasformarsi in sgomento e in sorpresa: << BB, perché indossi quel costume? >>
Indicò il vecchio costume strappato come se lo vedesse per la prima volta.
BB quindi si girò finalmente verso di lei, e sottovoce le disse: << Stella... sei tu? Non sembri tu. >>
Quello che aveva detto doveva averla colpita profondamente, perché la sua espressione si fece speranzosa: << Sì, BB. Sono io. Sono Stella. E per favore, torna di sotto. Devi riposare, ti sei svegliato adesso. >> gli disse lei, rilassandosi un poco a sentire la voce di BB.
Il ragazzo continuò a parlare con voce sconvolta: << Stella, che ci è successo? Noi dovevamo essere i protettori della città, non i suoi aguzzini. Come abbiamo potuto lasciare che ci usasse così? Come? >>
<< Ma come... >> cercò di rispondere lei, << Che intendi dire? Parla chiaro amico BB. >>
Il ragazzo mutaforma la fissò intensamente come se davanti a lui ci fosse una persona sconosciuta: << Stella... Come sei vestita? Perché... dove... >>
Si azzittì per un'istante, rimanendo a fissare un punto lontano sopra la spalla della ragazza.
Poi ci fu una tremenda esplosione.
Questo è quello che è successo prima.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
"Che brutto modo di morire" aveva pensato Robin quando l'armatura era stata disintegrata in minuscoli pezzi, "Ucciso dai miei migliori amici. Che cosa orribile."
Dalla posizione in cui era riusciva a guardare il cielo. La cupola sfumava le nuvole di ocra scuro su un grigio chiaro uniforme mentre la pioggia cadeva.
"Che buffo" pensò Robin, "La pioggia passa, mentre tutto il resto no.
Che cazzata. Ho appena scoperto un punto debole della cupola che posso sfruttare e sto per morire.
Ci dev'essere qualcuno che ce l'ha con me."
Cyborg e Corvina gli si avvicinarono con una snervante lentezza, pensata apposta per fargli salire l'ansia in gola.
Si fermarono ad un metro da lui, abbastanza vicino perché potesse vedere attentamente i movimenti fulminei delle mani della maga, ed il ragazzo meraviglia realizzò che ciò che gli stava salendo si per la gola non era certo ansia.
Usando un pizzico di magia, Corvina gli fece vomitare l'anti dolorifico.
Non riuscì a girarsi per sputarlo su un fianco, quindi fece come le fontane dei parchi. Lo sputò verso l'alto in un getto di liquido, ma senza che gli cadesse addosso come aveva previsto. Anzi, in volo formò una pallina che lentamente e con grazia fluttuò nel palmo aperto di Corvina, dove si posò delicatamente.
In un secondo, la pallina si dissolse in uno sbuffo di fumo.
Robin nel momento in cui vide lo sbuffo di fumo dissolversi in alto nel cielo capì di essere fregato. Lampo di dolore gli attraversarono tutto il corpo, facendolo sussultare come se avesse le convulsioni. Non aveva mai provato un dolore simile, era come passare sotto uno schiacciasassi dalle ruote puntute insieme ad un'enorme mietitrebbiatrice, ma più agonizzante.
Gli sembravano passati giorni interi ma alla fine cadde in uno stato di semi-coscienza in cui il dolore scemò. Rimaneva sempre presente però, come un fantasma che infestava un vecchio maniero, pronto a mostrarsi all'improvviso o a farsi notare solo con la coda dell'occhio.
Di quello che successe dopo ricordò solo alcuni dettagli sfocati, come se li avesse visti con le cataratte agli occhi.
Prima vide una piccola esplosione di un verde abbagliante che allontanò Cyborg e Corvina appena un istante prima che lo uccidessero, poi si sentì alzare da terra e posarsi su un quello che forse era un tappeto dalle setole irte che gli irritava le ferite. Un tappeto che emanava un puzzo di animale bagnato e sudore umano.
Vide le gocce di pioggia cadergli addosso, frammentandosi in goccioline nell'impatto col suo corpo Aveva un effetto strano su di lui: non gli faceva accapponare la pelle per il freddo che gli doveva congelare le ossa, anzi era calda. La pioggia era calda; troppo calda per essere naturale.
"La cupola" realizzò in un momento di lucidità "La pioggia scende ad una bassa temperatura e la cupola in un secondo la riscalda. Chissà se è così che la pioggia riesce a passare. Se lo shock termico è la soluzione per attraversare la cupola, o se è solo un caso..."
Perse di nuovo i sensi, perdendo anche il filo delle sue delucidazioni, lasciando che il suo salvatore lo portasse dove meglio credeva.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
La distanza aveva ormai affievolito il fracasso quando BB riuscì a trovare il posto adatto dove scaricare Robin. Lo scantinato divelto di un edificio che ormai sembrava la casa di Fred Flinstones andava più che bene: "Coperto, appartato, senza robot in vista, e soprattutto lontano dagli occhi di Slado; il perfetto rifugio in cui nascondersi e riprendere fiato."
Sapeva di essersi allontanato abbastanza dato che l'eco del frastuono della lotta tra super eroi si udiva in lontananza.
Scese una breve rampa di scale ed entrò in una piccola tavernetta abbandonata arredata in modo spartano, probabilmente appartenuta dal vecchio custode dell'edificio: c'era un grosso letto scassato appoggiato alla parete di fondo accanto alla stufa dell'acqua, una piccola TV con lo schermo spaccato che mostrava i circuiti interni, un mini frigo appeso alla parete, un minuscolo comodino ed infine un paio di cornici di foto sparse sul pavimento costituivano l'arredamento, mentre il resto erano resti di mattoni. Il tutto era pesantemente coperto di polvere e di sassolini.
Adagiò Robin sul letto, che lo risucchiò nel punto in cui la rete si era rotta, e tornò in forma umana.
Assicurandosi che non cadesse si assicurò di posizionarlo in modo che sentisse meno dolore possibile, poi cominciò a saccheggiare il mini frigo. Dentro c'erano solo una lattina di coca-cola calda ed un pezzo di formaggio ammuffito circondato da scarafaggi e formiche. Disgustato sbatté con forza lo sportello contro il bordo gommoso del frigo, ma esagerò e quello si staccò dal muro e cadde a terra facendo un gran rumore.
BB si bloccò all'istante, tendendo le orecchie a cogliere il minimo suono, ma non udì niente. Si ritenne fortunato e riprese a controllare la stanza.
Doveva fare in fretta e tornare subito da Stella, non poteva lasciarla combattere da sola contro due avversari, ma prima doveva mettere Robin al sicuro.
Aprì l'armadietto del comodino, e con sorpresa ci trovò delle medicine: antidolorifici, antibiotici, antinfiammatori, sonniferi varie capsule e compresse a cui non dedicò attenzione. A lui interessavano gli antidolorifici ed i sonniferi.
Tirò fuori un paio di pillole da ogni confezione e corse a prendere la lattina di coca-cola sul pavimento; poi si diresse verso Robin, che sembrava sul punto di svegliarsi di nuovo: << Avanti Robin, lo so che la cola calda fa schifo ma ti tocca. Tieni, ingoia. >>
Gli alzò la testa e gli mise le pastiglie sulle labbra. Robin annaspò un attimo senza riuscire a prenderle, poi le trovò e le fece scivolare in bocca mentre BB apriva la lattina e versava il liquido scuro nella sua gola.
Robin tossì e si ingozzò, rischiando di sputare le compresse, ma riuscì a mandarle giù lo stesso.
BB a quel punto si alzò certo di non poter essere più di alcun aiuto, ma proprio quando stava per uscire Robin trovò la forza per parlare: << BB... >> sussurrò, << BB... non andare ancora. >>
Il mutaforma non riuscì ad ignorare la sua richiesta. Sapeva che stava perdendo del tempo che poteva essere vitale per lui e per Stella, ma in quel momento non poteva abbandonare Robin senza prima chiedergli scusa per tutto ciò che gli aveva fatto, sebbene indirettamente.
Per questo si fermò sul primo gradino delle strette scale che portavano verso la superficie, e fece dietrofront. 
Dopotutto poteva anche essere l'ultima occasione in cui si sarebbero visti.
Velocemente gli fu accanto, come un visitatore accanto al lettino ospedaliero di un amico, pronto ad ascoltarlo. 
Robin aprì la bocca per parlare, ma la chiuse subito. Poi sembrò cercare le parole, sceglierle e soppesarle come se fossero oggetti molto fragili e costosi.
Infine, si decise: << BB... mi dispiace. >>
Il verdolino fu subito pronto a ribattere, a dirgli che non era lui che doveva chiedere scusa, che la colpa non era sua, ma Robin non gli lasciò dire niente: << Mi sono lasciato distrarre dalla rabbia e dall'odio, per questo non sono stato in grado... di aiutarvi.
Ho lasciato... che lui l'avesse vinta. Ho giocato al suo gioco. Temevo non sareste mai più tornati indietro e che avrei dovuto fermarvi a tutti i costi come avrei fatto con Slado, e invece eccoti qui che ancora mi salvi la vita, quando l'ultima volta che ti avevo visto stavi tentando di uccidermi.
<< Ho sbagliato a volervi trattare come nemici. Dovevo ricordarmi che in realtà voi siete e sarete sempre i miei amici, non importa in che condizioni.
Che cretino sono stato. >>
Quelle parole scossero BB nel profondo. Sentire Robin affossare il suo orgoglio in quel modo l'aveva sconvolto a tal punto che si era quasi dimenticato di Stella e degli altri.
Stava... anzi doveva dirgli che stava sbagliando e che non era affatto un cretino, ma non riuscì.
La vergogna l'aveva ammutolito.
Quando finalmente trovò le parole, Robin si era abbandonato al sonnifero e dormiva, e finalmente sembrava sereno.
BB capì che non aveva più niente da fare laggiù, e che doveva andare.
La terra tremò con così tanta intensità che quasi perse l'equilibrio.
Lo scontro si stava intensificando, doveva fare in fretta.

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Capitolo 22
*** Vicoli bui ***


La battaglia stava andando male. I robot erano stati attaccati di sorpresa  e per questo erano poco organizzati, oltre che estremamente in minoranza, ma si erano ripresi in fretta ed erano corazzati ed armati di mitragliatori laser, mentre i rivoltosi avevano in mano solo bastoni, aste di ferro, mattoni e bottiglie riempite di benzina, oltre che essere fatti di carne. Inoltre mentre ai robot la fitta pioggia non causava fastidi, accecava le persone e le faceva scivolare per terra, distraendole facendole cadere vittima dei robot. Pur essendo di più, non avrebbero retto ancora a lungo.
Oggetti duri e pesanti cadevano in continuazione dall'alto senza un bersaglio segnato, e quando colpivano i crani delle persone questi si appiattivano e spargevano schifosa pappetta cerebrale rosa, mentre quando per pura fortuna centravano i loro veri obiettivi, i robot, si otteneva solo di rallentarli per qualche secondo, graffiandoli appena.
Cassie era circondata dagli scontri. La gente non le permetteva di rimettersi in piedi, era costretta a muoversi strisciando per terra, sbucciandosi le ginocchia ed i palmi delle mani.
Doveva fare attenzione a tutto quello che le si avvicinava, perché il problema non erano solo i robot, ma anche le persone, che avrebbero potuto schiacciarla o pestarla a morte per errore, e che tra una raffica di fucile e l'altra le sarebbero potute rovinare addosso.
Ma non si sarebbe più dovuta preoccupare della gente, poiché all'improvviso dalla massa indistinta della folla saltò all'occhio uno dei robot. Sparava all'impazzata sulla gente, cambiando costantemente il bersaglio del fuoco e falciando tutti quelli che gli stavano a tiro.
Con una raffica abbatté tutti i tizi intorno a Cassie, e si trovò da sola con un fucile puntato verso di lei a pochi centimetri dal suo naso. Un colpo non solo l'avrebbe ammazzata e avrebbe sparso il contenuto della sua testa fra le buche delle strade, ma le avrebbe anche dato fuoco ai capelli, che sarebbero bruciati come un mazzo di carta straccia sfiorato da un fiammifero. Quei pochi che non sarebbero saltati in aria.
Chiuse gli occhi con forza. Strinse le palpebre più forte che poté per non vedere il laser che l'avrebbe colpita, sperando che così il robot sparisse per sempre.
La paura la immobilizzava e le attanagliava le viscere in una morsa tremolante.
I secondi passarono lentamente, ma il colpo mortale non si decideva ad arrivare. 
"Strano" pensò.
Aveva creduto di aver visto attraverso la pioggia il dito indugiare sul grilletto, pronto a sparare, e invece no, niente, zero.
"Che mi voglia uccidere ad ansia?" ironizzò Cassie per esorcizzare la propria paura, anche se quasi non riusciva a sentirsi i pensieri con tutto quel fracasso, "Oppure se ne è andato pensando che io non fossi una minaccia. Oppure è stato distratto e la sua attenzione è stata rivolta temporaneamente altrove. O magari invece..."
<< Ti senti bene? >> chiese una voce attutita dalla pioggia.
Cassie non colse appieno le parole, ma non abbassò la guardia.
Lentamente e con cautela, provò ad aprire gli occhi, aspettandosi di vedere ancora una volta la canna di un fucile laser, stavolta illuminata dal proiettile laser che partiva diretto verso la sua testa, e che la voce che aveva sentito fosse in realtà del robot assassino, che voleva malignamente giocare con le sue speranze.
Ma davanti a lei il robot non c'era più. O meglio, c'era la sua testa.
Solo la sua testa.
E dietro la testa, torreggiante sopra di lei, Red X si stagliava statuario contro la luce del fuoco e dei laser, e tendeva una mano verso di lei.
<< Afferra la mia mano >> le diceva.
Cassie ebbe la tentazione di obbedirgli, aveva già allungato il suo braccio, ma all'ultimo si ritrasse. Non le piaceva quel tipo.
<< Sbrigati! Non puoi stare qui. >> continuava ad avvertirla e ad avvicinarsi, ma Cassie non smetteva di ritrarsi al suo tocco.
"Aspetta ragazza... forse dovresti fidarti" rifletté lei, "Vuole che tu vada via, ed è quello che vuoi anche tu, no? Quindi perché non lo ascolti e..."
Quella conversazione mentale era durata appena due secondi, che erano comunque troppi per X.
Il ragazzo perse la pazienza e, tirando un'imprecazione dietro l'altra, afferrò il polso di Cassie, la sollevò di peso e la prese in braccio, con l'unico avvertimento di: << Tieniti stretta a me! >>
La ragazza non poté nemmeno provare a rispondergli dato che dovette ascoltarlo per forza. Infatti, non appena Red X cominciò a correre, Cassie si trovò obbligata ad aggrapparsi con forza al collo del ragazzo, stretta al suo caldo petto bagnato, se non voleva cadere a terra.
Il ragazzo era velocissimo. Saettava in mezzo alla gente che accorreva a combattere come un fulmine, scansando, scartando di lato, saltando ed una volta anche piroettando sopra le teste di un folto gruppo di combattenti, troppo presi dalla loro frenesia per sollevare lo sguardo, e rubando un gridolino di paura a Cassie, senza neanche scivolare nelle pozze d'acqua. Lei non lo sapeva, ma quello stupido giochino che le proponeva X lo stava facendo sorridere come un ragazzino che gettava un petardo nello spogliatoio della squadra femminile di pallavolo.
Alla fine della corsa, i due si nascosero, ancora interi e zuppi, in un piccolo vicolo puzzolente incassato nel mezzo di due edifici condominiali, dietro a un cassonetto stracolmo di sacchi della spazzatura.
Era stato un brutto vicolo già da prima che la città finisse giù per lo scarico di un WC, e quando Cassie passava di lì con sua madre per tornare a casa da scuola, lei le ricordava sempre: << Non entrare mai in quel vicolo da sola. E se ma dovessi passarci vicino non parlare mai con nessuno, intesi? >>
"Eh, mamma" pensò amaramente Cassie, "Se mi vedessi ora..."
<< Bel posticino per un appuntamento >> esclamò ironicamente Red X, << Non è vero? >>
Cassie si accorse solo allora di dove X avesse ancora le mani: << E mollami! >>
<< Come desideri >> rispose lui, e la mollò. Cassie cadde a terra come un sacco di patate, picchiando il fondoschiena: << Ahia. Che male >>
Improvvisamente quel tizio le ispirava ancor meno fiducia di prima: << Ma come ti permetti! La prossima volta che fai una cosa simile ti riempio di schiaffi. >>
<< Oh, sto tremando come una foglia. Dico davvero, guarda qua. >> X fece finta di avere i tremori, << Piuttosto, che ci faceva una ragazzina come te in mezzo a quella baraonda? >>
<< Stavo cercando di non farmi pestare a morte dalla banda di esagitati che tu mi hai mandato addosso. Era tanto difficile aspettare che me ne andassi?
E non chiamarmi ragazzina. >>
<< Ma è quello che sei, o no? Voi ragazzine sembrate tutte della stessa età. Comunque, se ci tieni alla tua vita, cosa che non mi sembra, non uscire da questo vicolo finché non torno io. >>
Red X fece per andarsene alla stessa velocità con cui era arrivato, ma Cassie riuscì ad afferrargli la sciarpa in tempo prima che partisse a razzo.
<< Aspetta, non andare ancora. >> disse Cassie con voce decisa.
<< Che cavolo vuoi ancora? >> disse X, furente per essere stato strangolato dalla sciarpa strattonata << Ti avverto, mi stai facendo perdere la pazienza. Sbrigati a dire quello che devi dire, io ho un regime dittatoriale da rovesciare. Non ho tempo per il tè. >>
La ragazza cominciò a giocare nervosamente con l'orlo della maglietta: << Tu... sei Red X, vero? Cioè, quel Red X? >> chiese lei, cominciando ad avere dei ripensamenti.
X sbuffò di impazienza, le si avvicinò di qualche passo e si sedette sui talloni, così da poterle parlare dritta negli occhi: << Certo che sono Red X. Proprio quel Red X. Quello famoso e figo come nessun altro.
Ora, se ho soddisfatto la tua curiosità, dovrei andare. >> le prese velocemente le mani e le scosse pigramente, << Piacere. Ciao. >>
<< No, aspetta. >>
Stavolta X non si era nemmeno mosso, ma non riuscì a trattenersi dallo sbuffare, << Uff, che c'è ancora? >>
Cassie si sollevò in piedi, così da poter guardare X dall'alto in basso: << Se sei davvero tu, ho bisogno di aiuto. È importante! >>
<< Sono sicuro che potrà aspettare >> si alzò i piedi anche lui e si girò verso l'uscita del vicolo.
<< Aspetta, ho bisogno d'aiuto. >>
<< Sono certo che non c'è fretta. >> i suoi passi si fecero più veloci.
<< Invece mi serve adesso. È una cosa che mi ha chiesto Robin! >>
Quell'ultima frase lo fermò, stavolta definitivamente.
<< Robin... hai detto? Okay, hai cinque minuti. >>
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Quindi tu ti chiami Cassie, sei stata aiutata da Robin e adesso stai andando a fare quella cosa per lui?
Tutto qui? >>
In lontananza proseguiva il rumore degli spari e dei tonfi dei mattoni, che venivano amplificati dalla stramba eco della città.
<< Sì, tutto qui. >> rispose Cassie, con la sensazione di disagio che stava subendo un'impennata: << Non mi interessa altro per ora. >>
<< Ma davvero... >> esclamò X, che in quel momento stava covando un'idea alquanto perversa.
<< E dimmi, >> continuò il ragazzo: << Cosa ci ricavi? >>
<< Che intendi dire? >> chiese lei.
<< Intendo dire, come mai vorresti farlo? Sei una outsider in tutto questo casino, come me, ma a differenza di me tu non sei nient'altro che un piccolo cucciolo di cane smarrito in mezzo alla strada. 
Un cucciolo di cane con in bocca una roba pericolosa come... quella. >> concluse lui maliziosamente.
Cassie si allontanò da lui di un passo, dato che le si era avvicinato pericolosamente: << Non provare a confondermi con dei trucchetti  presi da un qualsiasi libro per ragazzine di serie C! >> ribatté con forza, << Non sono quel tipo di ragazza, una di quelle che ti cade tra le braccia alla prima moina. So cosa hai in mente, e ti dico già che con me non attacca! >>
X non demorse: << Okay, Okay. Va bene.
Hai controllo, hai potere. Mi piace in una lei, ma voglio continuare a spiegarti la situazione, perché si vede lontano un miglio che non ne hai capito un tubo.
<< Robin ti sta solo usando >> le spiegò il ragazzo agguantandola per una spalla e traendola a se. A Cassie sembrò di essere stata catturata da un animale predatore.
<< Sta sfruttando il fatto che sei in salute ed in grado di correre e saltare al posto suo. Ti sta usando come sostituta a terra poiché lui è troppo impegnato a discutere con gli adulti dall'altra parte della sala pranzo, al tavolo dei grandi. Ti sta facendo correre dei rischi inutili, e sai per cosa? >>
<< Come per cosa? Per abbassare quella maledettissima cupola e salvare quel che resta della città! Cosa sennò? >> gli rispose Cassie urlando, che intanto era riuscita a sfuggirgli dalle mani e ad allontanarsi di nuovo. Lui continuò a seguirla, come in uno strano ballo il cui ritmo era scandito dalle scariche dei mitra e delle grida dei molti che ci finivano sotto.
<< Non hai mai voluto essere padrona di te stessa? Guardati intorno, questo posto è tutto nostro.
È la nostra isola che non c'è, ed è reale. Abbiamo un posto che può diventare tutto nostro, dove noi possiamo diventare i padroni.
Quindi perché non distruggere Slado e poi mantenere le cose come stanno? Non sarebbe divertente? >>
<< Divertente? Migliaia di persone sono morte a causa di quella barriera! Compresa la mia famiglia!
Non venirmi a dire che sarebbe divertente giocare al Signore delle mosche! >> sbottò Cassie.
<< Pensavo di più a Berlin, ma va bene lo stesso. Aspetta...
Hai sentito? >> X si fermò, e anche Cassie, e per un poco si persero insieme ad ascoltare in lontananza.
<< Io non sento niente. >> disse la ragazza.
<< Appunto. Dove sono finiti gli spari? >>
Red X si avvicinò all'angolo di un edificio che dava sulla strada da cui erano venuti. Si affacciò un secondo solo, poi ritrasse la testa di scatto: << Ci hanno sconfitti. Impossibile! >> gridò.
<< Oh no >> Cassie si mise accanto a lui, e diede anche lei una sbirciata.
Quello che vide le fece gelare il sangue una volta di più. 
Numerosissimi cadaveri erano sparsi tra le macerie. Alcuni cadaveri erano bucati dai laser e si sarebbe potuto ancora identificarli, ma altri erano appena poco più di una poltiglia bruciacchiata informe spiattellata a terra, come delle uova al tegamino bruciacchiate che attaccate al fondo della padella, ed altri erano stati sforacchiati così tanto che non c'erano più punti integri.
In compenso, gli scheletri di metallo sparsi per la strada erano poco più di mezza dozzina. Un numero misero in confronto a quello
I robot, che prima le erano sembrati poco più di una dozzina, avevano ingrossato le file ed erano diventati una ventina. 
Cassie vide che il blindato aveva aperto un grande sportello laterale, da cui uscivano ancora androidi in assetto di battaglia. Sul tettuccio si erano alzare delle blindature che andavano a formare una specie di piccola e tozza torretta, da cui spuntavano dei fucili automatici ancora fumanti.
Dell'orda dei rivoltosi era rimasta in vita solo una donna, ma non ancora per molto. Era rimasta ferma, senza riuscire a muoversi, davanti ad uno dei robot, che in mano aveva un fucile laser.
La donna, che doveva avere poco più di vent'anni, tremava. Cassie vedeva che tremava persino dal vicolo dove si trovava.
La donna indossava sporchi indumenti logorati dall'uso continuo, ed emanava un pesante odore di vecchio. I capelli le cadevano flosci a coprirle il volto, scarno e ricoperto di segni.
Nelle mani guantate teneva una corta spranga di ferro, probabilmente rimediata da una finestra distrutta o da un cancello divelto. Lo teneva puntato verso il robot, e sembrava che volesse usarlo.
E infatti, all'improvviso e con rapidità, sollevò il bastone sopra la testa e lo sbatté con tutta la propria forza sul collo del robot, all'altezza della scapola.
Lui non tremò nemmeno.
La donna lasciò cadere la sbarra, e si buttò in ginocchio, con le dita delle mani lesionate, gridando di dolore.
In risposta il robot prese la mira con calma, prendendosi tutto il tempo del mondo. I suoi sensori non indicavano la donna come minaccia immediata, quindi poteva lasciarla gemere dal dolore per un pochino prima di finirla.
Quando Cassie vide la donna cadere a quel punto smise di pensare.
Con uno scatto uscì in strada, pronta a correre verso la donna in pericolo, con pronto in gola un grido di guerra. Non sapeva come aiutarla, ma magari avrebbe preso uno dei fucili dei robot caduti, o un bastone, o qualunque cosa che si potesse usare per frantumare quel cumulo di rottami ambulanti, ma in un istante quel pensiero sfumò.
Una mano vigorosa e dalla stretta d'acciaio l'afferrò e la tirò a se con forza, facendola tornare dietro l'edificio tra le braccia di X, che immediatamente con una mano le cinse la vita per impedirle di scappare ancora, mentre con l'altra le coprì la bocca.
<< Che stavi pensando di fare! Hai rischiato che ci scoprissero.
E non provarci neanche a mordere, sto cercando di salvarti la vita! Se ci trovano ci uccideranno come faranno con lei.
Sta ferma! >>
Ma lei non riusciva a stare ferma, doveva vedere.
Spingendo e scalciando riuscì a sporgersi abbastanza per vedere.
La donna era ancora in ginocchio, ma aveva alzato la testa dalle dita delle mani.
Il robot si era arrestato, e sembrava che stesse controllando l'aria. Forse l'aveva attirato.
Il robot per loro fortuna lasciò perdere, ma rivolse la sua attenzione di nuovo verso la donna.
Red X si sporse con lei: << Possiamo solo stare a guardare. E non dimenticare. >>
Stavolta il fucile si mosse più in fretta. 
Sulla fronte della donna spuntò un minuscolo fiore rosso.
La donna crollò sul duro cemento della strada, stavolta per sempre.
Cassie non riuscì a distogliere lo sguardo. Se X non le avesse tappato la bocca, avrebbe gridato.
<< Non possiamo fare più niente per lei. Dobbiamo andare via finché siamo in tempo. >> le sussurrò all'orecchio.
Red X la lasciò andare, dato che ormai aveva smesso di agitarsi: << Devo andarmene via di qui. Presto si accorgeranno di noi. Non dovevo distrarmi. >>
Il ragazzo premette un pulsante sulla fibbia della cintura, che attivò un dispositivo di occultamento. In un istante la metà destra del corpo di X si mimetizzò perfettamente con le ombre del vicolo fino a diventare del tutto invisibile. Sarebbe sparito del tutto se all'ultimo istante Cassie non l'avesse frenato, catturando la sua attenzione appena prima di sparire: << Aspetta un attimo Red X. >> disse lei.
Il ragazzo interruppe lo svanimento a metà: << Che cosa vuoi ancora, ragazzina? >> chiese decisamente seccato e con una certa fretta; i robot si stavano avvicinando. Erano ormai ad una ventina di metri da loro, e tra poco sarebbero stati in grado di individuarli.
Cassie implorò il ragazzo: << X, ho bisogno di aiuto. Devo andare alla Titans Tower. Ti prego, aiutami ad arrivare fin laggiù, non ce la posso fare da sola. 
Accompagnami. >>
Red X sembrò davvero fermarsi a rifletterci su attentamente, valutando i pro ed i contro dell'aiutare sul serio la ragazza, ma scoprì che prendere una decisione simile era proprio difficile. Ad ogni scelta che poteva fare c'erano enormi rischi, e probabilità di morte quasi certa dietro ogni angolo.
Intanto i robot si avvicinavano sempre di più, e lo sferragliare delle corazze di ferro si faceva sempre più forte. Ormai erano a dieci metri da loro. Uno dei robot mosse la testa nella direzione dei due ragazzi, attivando una decina di visioni diverse, riuscendo a scorgere due indistinte forme di calore. Allungarono il passo.
Cassie aspettava con apprensione la decisione del ragazzo che avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte di lei e delle centinaia di persone ancora vive sotto la barriera energetica che si stagliava perennemente sopra di loro. Aspettava, inquieta che la sua vita fosse tra le mani di una persona di cui non poteva minimamente fidarsi.
Il tempo sembrava rallentare fin quasi a fermarsi mentre Red X teneva Cassie col fiato sospeso riguardo alla scelta che stava per compiere, ma poi all'improvviso il ragazzo esclamò: << Ho preso la mia decisione! >>
Cassie sussultò dall'emozione, e rivolse tutta la sua attenzione verso il ragazzo con la maschera bianca.
<< Cassie... Accetto di accompagnarti fino alla torre. >>
In un attimo, gran parte delle preoccupazioni della ragazza svanirono come se non fossero mai esistite. Ora grazie al ragazzo ninja sarebbe riuscita a conseguire il suo obiettivo senza grossi problemi, e sarebbe anche riuscita a salvare il mondo da un pazzo criminale, e soprattutto sarebbe riuscita a prendersi la sua parte di vendetta verso di lui.
<< Ma voglio qualcosa in cambio. >> proruppe X.
Cassie non si scoprì sorpresa dalla rivelazione. Nessuno fa nulla per nulla, anche se in caso di riuscita X forse avrebbe raggiunto il suo sogno: un mondo senza scocciatori. Ma del resto, gli extra non fanno male: << Certo, qualunque cosa. Qualunque cosa purché tu mi aiuti. >>
I robot erano a cinque metri dall'entrata del vicolo; venti secondi e lo avrebbero raggiunti.
<< Voglio che tu ti unisca a me nel mio nuovo mondo. >>

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Capitolo 23
*** Wrathchild ***


Lampi verdi e neri saettavano ed esplodevano con fragore fra le strade della città, fulminando le due ragazze mentre compivano acrobazie ed avvitamenti tra i palazzi, entrambe con l'obiettivo finale di sopraffare l'altra. 
Ogni volta che un colpo centrava il bersaglio, un grido di dolore strozzato dalle smorfie di rabbia riecheggiava fra i canyon di cemento e acciaio, facendo accapponare la pelle ai pochissimi sopravvissuti che fuggivano strisciando dai buchi in cui si erano rintanati, solo per finire dalla padella alla brace davanti ai soldati di Slado, che facevano fuoco.
Slado le osservava da lontano, al sicuro sopra una piattaforma volante, protetto da un piccolo campo di forza prodotto allo stesso modo della cupola.
"Che spettacolo meraviglioso!" pensava il criminale, "Peccato essere il solo a poterlo ammirare."
Stranamente, il suo animo era pervaso da un triste sentimento di malinconia, e per un secondo distolse lo sguardo dal cielo abbassando la testa: "Vorrei tanto che Robin fosse qui, al mio fianco. È un vero peccato che si perda lo spettacolo. Ma ho il timore che si perderà anche tutti gli altri spettacoli che verranno" tornò a rivolgere la sua attenzione allo scontro aereo, giusto in tempo per vedere Stella contorcersi dal dolore provocato da un attacco di Corvina.
Ma la principessa si riprese rapidamente, ed preda alla rabbia cominciò a colpire l'ex compagna con i laser oculari.
"Un vero... peccato."
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La pioggia continuava a cadere sulle rovine di Jump City, sebbene fosse molto diminuita di intensità.
Meno pioggia garantiva anche un campo visivo migliore per gli occhi, cosa che inaspriva ancora di più il già violento scontro volteggiante che stava avvenendo fra i grossi canyon di ferro e acciaio della città.
Corvina riusciva a stento ad evitare i dardi-stella dell'aliena, che era così tanto vicina alla strega che ormai riusciva a sentire il suo alito alieno sul collo. Ogni volta che tentava una manovra evasiva per scollarsela di dosso e seminarla fra gli edifici, in modo potersi nascondere e riprendere fiato, Stella spuntava fuori all'improvviso e le sparava una raffica di colpi. La strega rispondeva a sua volta parando con uno scudo magico e rispondendo al fuoco con la stessa grinta dell'avversaria, tanto che non si era in grado di comprendere chi delle due fosse in vantaggio.
Per tutta la città scoppiavano esplosioni verdi e nere, distruggendo ciò che era già distrutto
Ma poi, durante uno scambio particolarmente brutale, Stella venne ferita. Una sfera magica era riuscita a ferirle di striscio il fianco destro mentre compiva un avvitamento azzardato, che se fosse riuscito l'avrebbe messa in posizione di vantaggio.
Stella perse l'equilibrio necessario per volare dritto e sorpassò Corvina senza toccarla, scontrandosi contro la finestra a specchio di un edificio di uffici. Riuscì appena ad alzare le braccia per proteggersi prima che l'impatto con il pavimento la facesse rimbalzare fra le scrivanie vuote, distruggendole e disorientando la ragazza.
Corvina ne approfittò immediatamente per nascondersi tra le macerie di un edificio sventrato, in modo da poter tirare il fiato e riprendersi dai colpi subiti. Entrò da un buco aperto in uno dei piani inferiori, per poi salire attraverso le aperture del pavimento, fino a raggiungere una stanza di piano ancora sufficientemente riparata da muri non del tutto crollati.
Lì poté fermarsi per riposarsi un secondo. Atterrò bruscamente in mezzo ad un pavimento di legno coperto da un sottile strato di moquette verde scolorita dal tempo, su cui aleggiavano schegge dei vetri delle finestre e frammenti di intonaco, che le si conficcarono nella pelle delle ginocchia.
Corvina strinse i denti e contrasse il viso una smorfia per il dolore, ed usando una piccola magia in un secondo estrasse le schegge frastagliati e pulì un pezzettino di pavimento da tutti gli oggettini taglienti. Lì vi si sedette a leccarsi le ferite, lasciando che, lentamente e dolorosamente, la magia chiudesse i graffi e riducesse gli ematomi.
Nella stanza si sentiva distintamente la puzza di muffa e di topi morti, e questo non fece che acuire la sua rabbia.
<< Ugh. Figlia di... >> imprecò in un sussurro la strega, cominciando a tastare bene i lividi e le ammaccature che Stella le aveva procurato. Numerosi bozzi di colore neo-violaceo le stavano spuntando sul petto, sull'addome e sulle gambe, il viso era pieno di tagli, sentiva che le costole si erano incrinare in diversi punti dove era stata colpita con più forza, e sentiva una sensazione di calore pulsarle sotto l'occhio sinistro. La magia la stava curando, ma il processo era lento e le procurava enorme dolore.
<< Brutta stronza! >> proseguì a voce più alta.
<< È così che vuoi fare? Vuoi sconfiggermi ed umiliarmi come una misera puttana?
Te lo scordi! Non me ne frega niente di sapere perché diavolo mi stai attaccando, né perché tu voglia difendere quella feccia umana, ma hai commesso un grave errore a provocarmi così!
Io ti ucciderò e mangerò le tue budella sorseggiando il tuo sangue da un bicchiere che ricaverò staccando il tuo cranio dal collo!
Dopo di questo non ti lascerò vivere, stronzetta! >>
Corvina si concentrò cominciò a raccogliere dentro di se ogni singola oncia del suo tremendo potere.
Man mano che cresceva sempre di più, sentì l'enorme potere mistico che veniva caricato nel proprio corpo straripare in volute di pura energia oscura. Sentì un fuoco impuro bruciarla dentro, distruggendola e rimodellandola cellula per cellula, mentre la pelle tornava a colorarsi del sangue di un sacrificio umano e delle lunghe corna ricurve le spuntavano dalla fronte. I canini si allungarono spaventosamente, e quando riaprì gli occhi si mossero tre paia di palpebre.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
<< Ahh... Che botta. >> disse Stella massaggiandosi nel punto in cui aveva sbattuto la testa. Sentiva già crescerle il bernoccolo.
Ma non aveva tempo per questo: Corvina era sparita.
Stella la cercò con lo sguardo al di fuori della finestra che aveva attraversato, ma non vide alcun segno di lei.
"Dove diamine si sarà nascosta?
Non può essere fuggita, è troppo orgogliosa per lasciar correre in questo modo, quindi dove sarà?
Devo essere pronta a tutto."
Si alzò in piedi e cominciò a levitare da terra, ma prima di riuscire a sfrecciare in cielo come prima una forte fitta di dolore le tarpò le ali, facendola cadere scompostamente su un fianco.
<< Dannazione! >> imprecò tra sé, << Quanto fa male. Ma come può essere? >>
Abbassò lo sguardo verso l'origine del dolore, e vide spuntarle dalla carne molle del fianco destro un grosso frammento di vetro frastagliato, della larghezza di 5 centimetri.
<< Ma come ha fatto a penetrarmi la pelle? Avrebbe dovuto frantumarsi al contatto con la mia pelle, ma invece... >>
Lasciò cadere la frase nel vuoto perché la domanda non aveva bisogno di risposta. In un secondo rivide la scena in modo scomposto e fumoso; volava fra i grattacieli compiendo acrobazie per sfuggire alle sfere magiche di Corvina, quando all'improvviso lei comparve da dietro l'unica guglia ancora integra della città con le mani rivestite di energia oscura. Stella la colpì per prima, ma poi sentì un dolore lancinante infiammarle il fianco destro.
Tornando in fretta alla realtà, comprese che Corvina colpendola le aveva ammorbidito la pelle abbastanza da permettere al vetro di lacerarla.
Con una mano raggiunse il frammento seghettato, ed usando due dita lo afferrò ai bordi, e tirò.
Pian piano trascinò la lama fuori dalla ferita, da cui cominciò a sgorgare sangue copiosamente, sporcando l'ufficio con una grande pozzanghera di sangue alieno. Premette la mano destra contro lo squarcio
"Dannazione, sta uscendo troppo in fretta. Devo ricorrere a misure estreme."
Stella caricò la mano libera con un energia a bassa intensità, creando un dardo-stella di dimensioni estremamente ridotte. Con attenzione avvicinò la mano col dardo al fianco ferito.
<< Okay. Lentamente... Con cautela. >> disse, cercando di concentrarsi nonostante il dolore lancinante al fianco. Dolore che sarebbe aumentato entro pochi secondi.
Muovendo le mani con una velocità tale da distinguerle a malapena, Stella tolse la mano dalla ferita e vi schiacciò sopra quella che reggeva il dardo fiammeggiante.
Dapprima non sentì alcun dolore, solamente una sensazione di calore mentre l'aria si riempiva dell'onore della carne al sangue arrostita. Ma quella sensazione durò solo un istante, dopodiché arrivò subito l'intenso dolore dell'ustione, mentre il resto del corpo sembrava sciogliersi come un gelato messo dentro un forno.
La carne nella vicinanza dello squarcio cominciò a bollire come se si trovasse sopra la piastra di un barbecue, mentre i potenti muscoli delle gambe e dell'addome si contrassero fino allo spasimo cercando di attutire il dolore accecante, che voleva espandersi dal fianco fin dove poteva. Fu solo grazie alla sua grandissima forza di volontà che Stella non gridò per il dolore; era stata allenata fin da piccola a sopportare il dolore, tutta la sua vita l'aveva passata imparando a resistere al dolore, e dopo tutto quello che aveva vissuto ed a cui era sopravvissuta, una bazzecola quella non era degna neanche di lucidarle gli stivali.
L'aliena dopo qualche secondo smise di alimentare il dardo e tolse la mano dalla ferita, rivelando una ustione sulla sua pelle a forma di mano, ma che grazie al suo metabolismo extraterrestre stava già cicatrizzando. Pian piano il dolore si attenuò, pur continuando a pulsare, ed una leggera brezza filtrò attraverso la finestra rotta rimuovendo l'odore di carne arrosto dagli uffici.
Facendo attenzione a mantenere l'equilibrio per non cadere Stella si alzò in piedi, reggendosi ad una scrivania, e tentò di volare.
I suoi piedi riuscirono a staccarsi dal pavimento cosparso di vetri rotti al primo colpo. Stella riuscì a levitare traballando leggermente, ma dopo pochi secondi di volo di prova quel problema sparì.
Dopo mezzo minuto riuscì già a volteggiare in aria come un'acrobata su delle funi invisibili, e dopo un minuto intero era tornata in forma come prima di essere ferita.
A quel punto sentì le forze ritornarle in massa, mentre il suo corpo bramava il combattimento e la sua anima la vendetta.
<< Slado... >> disse, uscendo in volo dal buco della finestra, << Sto arrivando. >>
E in quel momento, i suoi occhi vennero ricoperti da un velo nero.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Non aveva perso conoscenza.
Corvina l'aveva avvolta con un velo crepitante di energia oscura, creato dal suo potere assoluto. 
Per lei non era stato difficile individuare una traccia così evidente della sua presenza etera usando i suoi sensi amplificati dalla magia, per poi seguirla librandosi in aria fino a trovare il punto dove era precipitata.
La ragazza si era librata senza peso nello spiazzo dell'incrocio davanti al quale sorgeva anonimo in mezzo a decine simili l'edificio a cui portava la pista lasciata da Stella. 
Nonostante fosse così tremendamente malmesso che per un secondo Corvina aveva temuto che sarebbe crollato da un momento all'altro, la finestra che Stella aveva sfondato risaltava come il cadavere di un moscerino spiaccicato su un parabrezza, e soprattutto era da lì che proveniva la traccia eterea dell'aliena. Corvina l'aveva percepita da venticinque piani più in basso, dalla strada, come se ci fosse stata davanti.
"Eccoti qui" aveva pensato la demone esibendo un ghigno sadico, mai stata più demone di adesso, "Vengo a prenderti piccola..."
Si era preparata a schizzare da terra come un jet supersonico diretta verso la finestra settanta metri più in alto, il potere scoppiettante dentro di lei che bramava di essere scatenato, quando all'improvviso un pensiero drammatico, più veloce di quanto lei avrebbe mai volato, le attraversò la mente: "Se la attacco avventatamente potrei essere sconfitta di nuovo come una stupida principiante, nonostante adesso abbia più potenza di fuoco di lei.
Se i ruoli si invertono ed è lei quella che prende me di sorpresa, sono fregata.
Devo evitare di lasciarmi andare, ed essere cauta."
Allora per prima cosa aveva raccolto dentro di se la grande energia straripante che crepitava come elettricità viva dal suo corpo, poi si era avvicinata con attenzione alla posizione di Stella, tenendosi al riparo contro la parete, e salendo lentamente nel caso la principessa potesse sentire il lieve rumore che produceva il suo mantello quando sbatteva contro la sua schiena. Quando non mancarono che poco più di due metri al buco nella finestra allora si era fermata, galleggiando come un pallone aerostatico in mezzo alle nuvole, aveva raccolto a se il suo mantello, ed aveva aspettato, in agguato come un predatore affamato attende che la preda sfinita esca dal suo rifugio con la guardia abbassata.
Nell'attesa, aveva captato nell'aria un odore particolare, pungente e intenso; le aveva fatto venire in mente i barbecue che avevano fatto insieme ai suoi compagni di squadra.
L'odore della carne arrostita.
"Questo sì che è un odore che mi piace." aveva pensato, estasiata da quello che per lei era diventato un vero e proprio aroma, quasi un afrodisiaco.
E poi, inebriata dalla nube di profumo, quasi non vide la bella aliena levitare fuori dalla finestra, incauta come aveva potuto essere Corvina. Quasi non se ne accorse tanto era distratta.
Quasi.
Quando lei uscì, lei se ne accorse, e da una sua mano aperta era scaturito un velo di magia oscura. Quel velo aveva raggiunto Stella viaggiando alla velocità del pensiero, e l'aveva avvolta in un bozzolo scuro di forma umana.
L'aveva catturata. E tra poco l'avrebbe anche distrutta.
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Corvina si avvicinò al bozzolo fluttuando.
<< Ora non fai più tanto la sbruffona, non è vero cocca del capo? >> le inveì contro con veemenza. Nel velo Stella si dibatteva come una dannata per uscire.
<< Non hai idea di quanto segretamente ti odiassi per come gli facevi gli occhietti da cerbiatta e da come ti fingevi debole e indifesa accanto a lui. Ti ho proprio odiato! >>
Corvina liberò il suo potere, ed intorno a lei crebbe una grande aura di energia oscura, che sfrigolava e si dibatteva intorno alla sua figura come se fosse viva e che, ogni tanto, prendeva la forma di un oscuro demone cornuto.
<< E mi hai anche attaccata, nonostante non ti avessi ancora fatto niente!
Ma non è importante. Non mi interessa il motivo per cui l'hai fatto.
Ma mi hai finalmente dato l'opportunità per sbarazzarmi di te! >>
Contrasse le dita della mano in un pugno e contemporaneamente il velo  si strinse attorno a Stella come un serpente, facendola restare senza fiato.
La sentiva dimenarsi nella sua presa come un pesce nella rete, e ne godeva ogni singolo istante: << Ed ora, per aver tradito i nostri compagni, ma soprattutto per aver osato attaccare me, ti condanno... a morte! E che sia il più dolorosa possibile! >>
Il bozzolo continuò a stringersi lentamente, diventando sempre più stretto ad ogni secondo che passava, e le ossa della prigioniera cominciarono a scricchiolare in modo allarmante.
<< Ecco, ti stai divertendo Stellina? Perché io me la sto spassando un mondo! >>
La strega scoppiò in una spaventosa risata malvagia, da supercattivo con tanto di diploma.
Ma si sa, un cattivone non ride mai a lungo.
All'improvviso, all'interno del guscio cominciò a brillare una tenue luce verde. La luce lentamente si ingrandì, diventando sempre più intensa e luminosa, fino a bucare il telo nero ed a fuoriuscirne come raggi laser.
Corvina smise di ridere e, per la seconda volta da quando venne eretta la cupola, sentì l'orribile odore della paura.
Della sua stessa paura.
Il bozzolo si distrusse in una potente esplosione di verde, che accecò i sei occhi della strega e la colpì in pieno, nonostante essa si fosse protetta con un grande scudo magico.
La forza dell'impatto scagliò Corvina contro le porte di un palazzo, che vennero sfondate dal corpo della ragazza.
Con un grido di guerra che avrebbe fatto accapponare la pelle ai gladiatori spartani, l'aliena raggiunse la sua avversaria in un battito di ciglia e cominciò a tempestarla di pugni che avrebbero potuto spaccare il cemento, senza neanche darle il tempo di respirare. Stella era furiosa, ed i suoi occhi emanavano scariche di energia di colore verde chiaro.
I suoi colpi erano veloci e pesanti, oltre che precisi e micidiali. Corvina fu in grado di pararne alcuni con i suoi poteri, ma alcuni pugni riuscirono ad oltrepassare la sua guardia incerta, facendole molto, molto male.
Stella non accennava a smettere, quindi la strega fu costretta ad agire velocemente se non voleva finire spiaccicata come una mosca. Con un calcio colpì la gamba di Stella, che era già stata danneggiata dai precedenti attacchi. Con un gemito di dolore la principessa guerriera cadde in ginocchio, e quando rialzò lo sguardo vide Corvina rialzarsi in piedi;  la sua aura di potere la circondava sempre, ma sembrava più piccola, indebolita dallo sforzo gigantesco del combattimento.
<< Arrenditi Corvina. Io non voglio ucciderti! >> disse Stella impassibile, fredda come il ghiaccio. Non dimostrava niente alla sua avversaria in quel modo, proprio come le avevano insegnato su Thamaran, ma dentro di se si sentiva esausta ed a quel ritmo sarebbe crollata dopo appena qualche scambio di colpi.
Anche la strega era sfinita, ma il rancore e l'odio che provava nei confronti di Stella la facevano restare in piedi. Con furore rispose a Stella: << Mai! >> e le lanciò contro una potentissima onda telecinetica. Il colpo raggiunse Stella ma la mancò di pochissimo, provocandole solo una leggerissima ferita sul braccio, subito ripulita dalla pioggia. Dopodiché, Corvina stramazzò al suolo.
<< Corvina, per favore smettila. Il tuo corpo è troppo provato dallo scontro; rischi che la prossima volta che cadrai, sarà l'ultima. Ragiona, e lascia che ti aiuti. >> stavolta una vena di preoccupazione incrinò la voce della Thamaraniana, che cercava di trattenere dietro una facciata di pietra il turbinio delle sue emozioni.
<< No >> sussurrò Corvina incespicando per rimettersi in piedi. Al primo tentativo scivolò su dei sassolini e cadde di faccia, ferendosi il volto, ma poi riuscì a rimettersi in piedi. Alzò poi una mano e se la passò sulle ferite del viso, e cominciò a ridere sommessamente.
Gradualmente le risa si trasformarono da dei lievi sogghigni in autentiche risate isteriche. Nel suo sfoggio di ilarità, sollevò la mano ricoperta dal suo stesso sangue, e fissò Stella dritta negli occhi venati di rosso. La sua risata si interruppe di colpo e, mormorando sommessamente, si rivolse all'aliena un'ultima volta: << Sei morta. >>
All'improvviso accadde di tutto. Corvina alzò la mano insanguinata, ed insieme mosse le labbra per formare le parole appartenenti ad un linguaggio sconosciuto proveniente da un'altra dimensione, e pronunciò la formula di un antico incantesimo: << Azerat Metrion Zinthos! >>
Immediatamente, Stella sentì l'aria divenire più densa, tanto che le sembrava di muoversi nel miele, e di botto smise di piovere. Il tempo sembrava muoversi in modo incomprensibile attorno a loro, saltando e schizzando avanti e indietro come in un flipper, mentre le due restavano inalterate. Infine, le mani di Corvina si ricoprirono improvvisamente di tatuaggi, in cui fluì il sangue sulla sua mano.
I tatuaggi presero velocemente il possesso di tutta la pelle della strega, trasformandola in una sorta di feticcio tribale, penetrando dentro lei e nutrendola di energia oscura.
I segni ricordavano quelli che erano improvvisamente comparsi mesi prima sul corpo di Corvina; erano simili, ma avevano lo stesso significato. La ragazza stava cedendo al suo lato demoniaco, e questa era una notizia orribile.
Di fronte agli occhi intimoriti di Stella Corvina crebbe, ingigantendosi e gonfiandosi di potere. Divenne gigantesca, alta il doppio di Stella, ed i suoi muscoli crebbero e si ingrossarono fino a sporgere dalla pelle come funghi.
Il suo aspetto divenne sempre più simile a quello di suo padre, il demone Trigon. Le corna divennero più accentuate, e la pelle si tinse di una sfumatura più simile al rosso del sangue; le crebbe una coda da diavolo, ed i canini si allungarono come quelli di un vampiro.
Raggiunto il culmine della trasformazione, Corvina ammirò il suo nuovo corpo, ebbra del potere che emanava, e sembrò che avesse perso interesse nei confronti di Stella.
L'eroina dalla pelle arancione era inorridita dalla trasformazione appena compiuta, ma appena si riebbe approfittò della distrazione e muovendosi velocemente lanciò verso la strega un potente dardo-stella. A Corvina bastò una mano sola per pararlo, quasi svogliatamente, senza neanche usare la sua magia, e rispose all'attacco a mani nude; in un secondo ricoprì la distanza che le separava, ed il suo pugno fu così forte che quando si schiantò sul viso della nemica l'onda d'urto fece tremare gli edifici.
La ragazza-demone era convinta di aver annientato definitivamente la sua nemica, poiché era sicura che il suo pugno fosse stato così forte da distruggerla definitivamente. 
Perciò Corvina reagì con stupore quando venne colpita all'improvviso da un potentissimo raggio di energia verde, che la prese in pieno. Il raggio le fece attraversare mezza città, facendole oltrepassare parecchie pareti ancora intatte e demolendo alcuni edifici, fino a raggiungere la baia della Tyrans Tower, dove si fermò dopo aver aperto un grosso fosso nel terreno.
<< Corvina... >> sentirono le orecchie della strega: << Io non ti voglio fare del male, ma non ho intenzione di lasciare che questa storia continui, perché mi sta facendo perdere tempo preziosissimo.
Quindi ti sconfiggerò, a costo di rompere ogni osso del tuo corpo! >>
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Stava per morire, se lo sentiva dentro.
Ha vissuto molte avventure, ed in molte delle quali la morte gli aveva alitato sul collo, quindi sapeva riconoscere la fine quando la vedeva. Ma non era soddisfatto.
Aveva ancora molti conti da regolare prima di passare all'altro mondo: << Non posso morire. Non ancora. >> disse con un fil di voce cercando di sollevarsi dal letto << Devo salvare i miei amici e... e Stella. >>
Mise una mano tra se ed il materasso e spinse. Lentamente il suo corpo ferito si sollevò, ma quando cercò di raddrizzarsi il braccio cedette e ricadde di lato' scivolando poi lungo il pavimento.
<< Dannazione Robin >> disse a se stesso: << Alzati coglione! I tuoi amici hanno bisogno di te. Alzati e vai a salvarli! Alzati e... e... >>
I tremori della febbre gli percorrevano tutto il corpo, ed il torpore che prima lo avvolgeva stava sparendo velocemente. Mancava poco ormai.
La candela stava per spegnersi per sempre.
Ma ad un tratto, Robin si sentì sollevare da terra, verso l'alto. Verso il cielo.
Credeva di essere morto, ma non era vero.
<< Sei stato bravo Dick. Ora ce ne occupiamo noi. >>

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Capitolo 24
*** Oggi qualcuno morirà ***


Ecco un nuovo capitolo; scusate l'estremo ritardo ma stavo male, e non riuscivo neanche a guardare lo schermo. Dal prossimo la periodicità sarà la solita, e comunque spero che questo vi piaccia.

 

 

 

 

 

<< Avanti ragazzina, non ho tutto il giorno. >> disse X innervosito. Cassie, qualche decina di metri dietro al ragazzo mascherato, quasi sentiva le gambe scricchiolare e gemere per lo sforzo.

Avevano corso tantissimo sul terreno accidentato e scivoloso per la pioggia pur di raggiungere la torre velocemente, ed X le era sempre rimasto davanti per punzecchiarla e spingerla a correre. “Ma questo qui non sa fare altro che stare antipatico?” si era chiesta più volte mentre lui le volteggiava accanto sparando cazzate a raffica, di cui la maggior parte erano anche sessisti (per scherzo, forse).

Era esausta, ed a stento era riuscita a superare il ponte sospeso ed a raggiungere le grandi mura che cingevano la torre, che la circondavano come le spire di un serpente avvolgevano una preda, stringendosi per soffocarla ed ingoiarla ancora viva.

<< E va bene chica >> cominciò X scanzonato, senza neanche avere il fiatone, << ho accompagnato te ed il tuo preziosissimo carico fin qui e siete sani, salvi e perfettamente integri. Ora tocca a te. Va, e fa la tua magia. >>

“Questa è stata la parte facile”, avrebbe tanto voluto dirgli in faccia Cassie, ma non riusciva neanche a parlare. Correre le aveva fatto perdere tutto il fiato che aveva, e lei non era neanche allenata.

<< Anf… dammi… dammi un minuto. Sono… ahh. >> rispose lei mettendo da parte una certa dose di dignità. Sentiva i polmoni stritolati da delle mani ghiacciate.

Red X la fissò divertito, ma acconsentì alla pausa, purché non durasse troppo. Insieme si accoccolarono in un punto nascosto ed abbastanza difendibile nell'area degli scogli nelle vicinanze delle mura, una piccola rientranza nel terreno al riparo dall’acqua, dove Cassie avrebbe potuto recuperare le forze in relativa tranquillità.

“Adesso bisogna entrare, e spero proprio che Robin abbia avuto ragione quando mi ha parlato dei passaggi di fuga di emergenza.” pensò Cassie mentre le gocce di sudore si mischiavano alla pioggia, sempre meno fitta, e le attraversavano il viso, ma recuperando il fiato velocemente.

Per tutto il tempo in cui si riposava X le mise ansia con la sua insistenza ai limiti dell'insopportabile: << Allora? Ti sei ripresa? >>, << Forza, non ho voglia di aspettare. >>, << Datti una mossa ragazzina! Voglio entrare e spaccare culi a ripetizione! >> ed altre esclamazioni molto più colorite.

"Giuro che appena questa storia finisce, questo qui lo seppellisco vivo." pensò lei esasperata.

Questo andò avanti ininterrottamente per un paio di minuti, finché all'improvviso i due non sentirono dei forti scoppi di esplosione. Allarmati si sporsero dal rifugio, ed in alto videro Stella e Corvina combattere accanitamente. Ogni volta che uno dei loro colpì energetici mancava il bersaglio esplodeva in aria oppure contro gli edifici, che tremavano sotto la forza di quegli attacchi.

<< Stai giù! >> la avvertì lui, ma lei non gli diede retta. Era una visione stupefacente per una ragazzina che non apparteneva a quel mondo, ma X ne faceva parte da parecchio, e conosceva esattamente quali pericoli che stavano correndo in quel momento.

Vide il proiettile appena in tempo. Fulmineo si gettò sul corpo di Cassie, che ancora rapita dallo show non aveva notato il pericolo, buttandola a terra cosicché non venisse decapitata da un dardo volante.

<< Svelta, alzati! Dobbiamo andarcene. >> gridò lui tirandola per una mano fuori dal loro riparo ormai inutile.

<< Oh, vaffanculo! Sei troppo lenta! >> esclamò irato; prese Cassie e la sollevò come una piuma come aveva fatto prima. Lei divenne rossa come un pomodoro, ma non reagì.

Uscirono di nuovo allo scoperto e Red X si diresse come un pazzo verso le alte mura di cinta saltando sugli scogli come uno stambecco, ma avvicinandosi sempre di più cominciò a ricordare di non avere la benché misera idea di come riuscire ad attraversarle.

Frenò bruscamente. Le mura sembravano così alte da laggiù...

<< Ehm... Tu sai come si fa ad entrare, non è vero Milady? >> le chiese, accorgendosi del suo grande errore.

L'espressione della ragazza valeva più di mille parole. E nessuna era adatta ad un prodotto per famiglie: << Da quella parte. >> disse alzando un dito per indicare la direzione.

<< Oh, certo. >>

<< Ehi, X... >>

<< Yeah? >>

<< Mettimi giù.

E non rifarlo mai più. Villano. >>

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Il passaggio indicato da Robin si rivelò essere un piccolo e stretto tunnel subacqueo, nascosto dall’immagine olografica di uno scoglio lontano qualche metro dall’isolotto, coperto da un pesante tombino di ferro.

Il tombino era chiuso a tenuta stagna con dei grossi pistoni d’acciaio che penetravano direttamente nella roccia, e disponeva solo di una maniglia infossata e di un piccolo quadrante numerico, su cui la ragazza digitò la combinazione che le aveva fornito Robin. “Siamo stati attaccati spesso in casa nostra” le aveva rivelato il ragazzo meraviglia, “quindi ho pensato che fosse una buona idea installare delle entrate segrete di emergenza. Però non ho mai avuto l’occasione di parlarne con gli altri. Ma devo avvisarti: ho fatto in modo che fosse molto più facile uscire piuttosto che entrare.”

Dapprima non successe niente, gli spessi pistoni che chiudevano il passaggio rimasero fermi dov’erano, ma poi lentamente questi si mossero cigolando per la salsedine, liberando la maniglia che scattò verso l’alto ed emanando uno sbuffo di vapore.

<< Spostati ragazzina, ora lascia che ci pensi un vero uomo qui. >> esclamò Red X posizionandosi davanti alla maniglia. La afferrò con una mano e cominciò a tirare. Il coperchio non si mosse di un millimetro.

<< Grrr... >> mugugnò rabbioso il ragazzo. Afferrò la maniglia con entrambe le mani, puntellò i piedi e tirò con tutte le sue forze.

Lentamente e con difficoltà il tombino cominciò a spostarsi e, con un forte schiocco di salsedine che saltava, smise di fare resistenza e si spalancò di lato cigolando.

Il cunicolo era stretto, largo abbastanza per far passare solo una persona per volta, e si immergeva in profondità sott’acqua per un paio di metri, per poi curvare in fondo e deviare nella direzione della torre. Era fiocamente illuminato da delle torce led che si arrampicavano sulle pareti disegnando delle lunghe strisce color verde acqua. Secondo Robin li avrebbe portati ad uno dei piani più profondi. 

Fin lì tutto quello che lui le aveva detto si era rivelato vero. Ora bisognava vedere se Slado avesse o meno trovato il passaggio e soprattutto se avesse installato delle misure antintrusione.

<< Sembra piuttosto profondo. Sicura di poter trattenere il fiato abbastanza a lungo? >> le chiese Red X.

<< Cos’è? All’improvviso decidi che è una buona cosa preoccuparsi per me? >>

X non rispose, ma fissò guardingo il fondo del cunicolo, quasi come se da un momento all’altro potesse fuoriuscirne un mostro marino pronto a mangiarli. O stringerglisi addosso e stritolarlo.

Ormai aveva smesso di piovere, ma il sole non osava ancora bucare le nuvole. Cassie si levò la giacca e la usò per assicurarsi alla cintura il prezioso oggetto di Robin.

<< Allora ragazzone, vai tu per primo. Io aspetto che i sistemi di allarme ti tagliuzzino a morte e poi, quando si scaricano, passo io. >>

X volse lo sguardo verso la città. Notò che Stella e Corvina avevano smesso di combattere, anche se era più probabile che si fossero allontanate; da un po’ non aveva più sentito nulla.

<< Mi sembra corretto. >> le rispose, prese un bel respiro, e si tuffò. Dopo qualche secondo anche Cassie entrò in acqua.

Il passaggio era molto stretto e liscio, privo di appigli a cui aggrapparsi, e l'acqua era fredda ed immobile; doveva fare attenzione a dove metteva le gambe, per evitare di incastrarsi e rimanere bloccato.

Le pareti erano così vicine che generavano in X un forte senso di disagio e di malessere: sembravano stringerglisi addosso come viscidi tentacoli, togliendogli l’aria dai polmoni, facendo diventare tutto buio e freddo…

Raggiunta la curva in fondo X si sforzò di mettere da parte quelle brutte sensazioni, e divincolandosi contro le pareti vicinissime si contorse per riuscire a prendere la curva. Il cunicolo non si restringeva dopo la curva, anzi sembrava leggermente più largo dell'entrata, abbastanza da essere in grado di lasciar passare almeno due persone magre, ed era lungo almeno una decina di metri fino ad un grosso portellone uguale a quello da cui erano entrati; a prima vista sembrava anche che fosse del tutto libera da trappole.

X riuscì a piegare la testa in modo da riuscire a vedere come se la stesse cavando Cassie, e la vide a qualche palmo dietro di lui, con la faccia rossa per lo sforzo di trattenere l’aria nelle guance.

Sembrava uno scoiattolo a cui era andata una noce di traverso. Era un’immagine troppo divertente per non scoppiare a ridere, ma non poteva permettersi di sprecare aria, pena un Red X in salamoia.

Comunque sembrava in grado di mantenere il fiato, quindi non era ancora diventata un problema o un peso.

Lasciò che lo affiancasse alla curva. Lei lo guardò intensamente negli occhi, come per dirgli qualcosa. X sapeva esattamente cosa: “Stai attento alle trappole, coglione”, oppure “Ti prego non morire. Tu sei la persona più importante della mia vita. Ti amo.” Ma probabilmente riguardo una delle due si era sbagliato.

Per risposta lui le fece un segno con la testa, e con uno scatto di reni si spinse dentro. Per sicurezza si tenne lontano dalle pareti, e si mise a nuotare usando solo la spinta fornita dai piedi. Non ebbe problemi ad attraversare il condotto. Era arrivato a metà e dalle pareti non era ancora uscito niente che cercasse di farlo fuori. E la ragazza era dietro di lui che poteva godersi la visione del suo bellissimo sedere.

In quel momento pensò veramente che avrebbero avuto delle possibilità di riuscita, e che forse sarebbero anche sopravvissuti.

Ma anche se quelle possibilità ci fossero state nel grande grafico a torta che era il destino, e probabilmente c'erano state davvero, la loro freccetta andò a conficcarsi nella zona rossa. Su cui c'era scritto a caratteri cubitali "MORTE".

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Cassie si era davvero decisa a restare almeno ad un passo dietro il suo accompagnatore, e nessuno l’avrebbe convinta a stargli più vicino. Ed anche adesso, che erano immersi in un tubo ricolmo d’acqua salmastra, era assolutamente convinta delle proprie intenzioni.

Da quando l’aveva conosciuto, si era sempre sentita in pericolo. Come poteva un tipo così simile a Robin scatenarle sentimenti così diametralmente opposti? Era un mistero. Se non fosse che si sentiva in debito con lui per averle salvato ripetutamente la vita, a quell’ora l’avrebbe piantato in asso e sarebbe proseguita da sola, a costo di essere trovata da uno dei soldati robot e…

“Ma che vado a pensare? X non è poi così male. Ed è solo grazie a lui che sono arrivata così vicino. Dovrei essergli grata. Non troppo però.”

Ma lui ti fa sentire a disagio, perennemente in pericolo. Non sarebbe molto meglio mollarlo qui ed andarcene?, rispose quella vocina nella testa che si poteva chiamare coscienza.

“No, non sarebbe giusto. Sono in debito con lui, non intendo lasciarlo così.”

Qualche centimetro davanti a lei intanto Red X aveva raggiunto la curva del condotto, e si stava contorcendo per riuscire a passarci. Cassie lo affiancò, e poiché era più piccola non ebbe problemi a posizionarglisi accanto. Di fronte a lei il tunnel si allargava quasi ad accoglierli, e Cassie si sentì sollevata poiché la pressione delle pareti troppo vicine del condotto si sarebbe allentata.

Tuttavia l’aria stava cominciando a mancare, e quindi dovevano fare in fretta.

Si voltò verso X, e si scoprì a fissarlo intensamente negli occhi. Lui non sembrò notarlo e piuttosto le fece un segno col mento, e poi si lanciò nel condotto.

“Chissà cosa avrà capito” pensò lei seguendolo a ruota, ma più cautamente.

Avrà pensato che tu volevi fargli il filo, come fa sempre, rispose la vocetta della ragione.

“Ma no, non è così presuntuoso. Cioè, probabilmente lo è; ma non è cattivo come vuole farmi credere. Non è egoista, è solo... strano. E stupido."

Ragazza, hai letto troppi libri per adolescenti. Basta, io mi licenzio; e non sentì più quella vocina per un bel po' di tempo.

Ma quella conversazione tra se e se, per quanto fosse stata veloce, la distrasse per qualche istante, e fu questo a causare la rovina. Perché, senza porre attenzione a quello che stava facendo, in quel momento udì il suono del suo piede che toccava per errore un punto delle pareti di ferro del cunicolo.

Si sa, quando sei sott’acqua hai una visuale ridotta, e di sicuro non puoi utilizzare il naso per odorare. Ma quando sei sott’acqua c’è un senso che funziona molto meglio degli altri, ma solo quando sei sott’acqua: l’udito.

Infatti quando urtò uno dei pannelli di ferro che ricoprivano il cunicolo con la punta della scarpa, quello fece uno scatto improvviso che Cassie e Red X sentirono immediatamente come se ci avessero messo sopra l’orecchio.

X si voltò allarmato, e ciò che vide e sentì gli fece risorgere la paura nel cuore. Nelle pareti vicine alla curva d'entrata si stavano aprendo un numero incalcolabile di pannelli di ferro, e da quei pannelli uscivano tentacoli meccanici con la punta tagliente, spuntoni metallici, fruste decorate di rovi già rossi e raggi laser che facevano friggere l'acqua che toccavano, producendo minuscole bollicine. E se ne stavano aprendo sempre di più, sempre più vicini.

Cassie girò anche lei la testa, e lasciò scappare un grido che si perse in un centinaio di bollicine.

Arrancarono a nuoto verso il portellone in fondo, lasciando indietro ogni cautela e cercando di muoversi il più velocemente possibile. Le trappole si aprivano sempre più vicine, e se li avessero presi non avrebbero avuto scampo.

La claustrofobia di X non aveva tempo di venire a galla, ma ciononostante era una presenza continua nella sua testa, e la morte che si avvicinava gliela accentuava, congelando in piccole schegge di ghiaccio il poco fiato trattenuto nei polmoni e raspandogli la gola nell'acqua gelata. Ma continuava a nuotare; nuotare per mettersi in salvo.

C'era vicino ormai, poche decine di centimetri e sarebbe arrivato al portello; pochi secondi ancora ed avrebbe varcato la soglia. Finalmente al sicuro e all'asciutto.

Ma no, proprio allora un tentacolo catturò la caviglia Cassie.

Proprio allora dovette voltarsi a guardarla.

Proprio allora dovette porsi la scelta fra salvare lei o salvare se stesso. Perché se fosse tornato indietro a tirarla fuori dai guai soltanto uno di loro l'avrebbe scampata, e di certo non lui.

"Ma vaffanculo!"

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Cassie sentiva il tentacolo salirle lungo la caviglia e cominciare a stritolarle la gamba. Gridò per il grande dolore che la stretta le provocava, così forte che non riusciva a pensare ad altro. 

Seguendo il primo tentacolo, altri strumenti di morte la raggiunsero. Sentiva distintamente il calore del raggio laser verso il quale la stavano trascinando, mentre le lame taglienti dei punteruoli fuoriuscendo tagliavano i primi strati di pelle, saturando l'acqua del suo sangue.

Cercò di liberare dalla presa la gamba strattonandola, ma non ottenne nessun risultato, anzi l'arto metallico si strinse più forte intorno alla caviglia.

Sopra la sua testa le bolle del suo fiato formavano un piccolo strato d'aria imbottigliato per sempre sul soffitto del cunicolo, uno strato che continuava ad ingrandirsi man mano che la ragazza urlava dal dolore.

Poi, a un certo punto, smise di lottare con l'ardore di prima. Il tentacolo prese il sopravvento sulla mancanza di aria, e troppo velocemente Cassie scivolò in un sogno nero e buio, da cui non si sarebbe mai risvegliata.

Non poteva più vedere niente intorno a se, ma se avesse potuto avrebbe visto il suo corpo venire trascinato inerme verso un potente raggio laser che aspettava solo di tagliuzzarla come un pezzo di carne da maciullare.

Il calore era forte, e scaldava l'acqua intorno a se; formava piccole bollicine che si muovevano verso l'alto: ossigeno liberato dall'idrogeno a causa del grande calore. Scaldava anche i piedi di Cassie, anche se non poteva notarlo. Lei era quasi svenuta, quasi nel dormiveglia.

Le sembrava di essere sommersa in un mare tiepido, come un viaggio nel passato nell'utero materno.

Si sentiva così bene. Voleva solo addormentarsi. Chiudere gli occhi ed addormentarsi.

Ma qualcuno non era d'accordo.

All'improvviso una forte mano grande e vigorosa strinse il polso di Cassie con una forza tale da svegliarla e dissipare il buio che l'aveva circondata, e la tirò con una forza tale da liberarla dalla stretta della trappola.

Cassie vide Red X, con la sciarpa che volteggiava nell'acqua torbida, tirarla verso di se e poi scagliarla con tutta la sua forza verso il portellone. Per lei fu come essere scagliata dalla bocca di un tubo lanciasiluri verso la carena di una portaerei, tanto fu forte l'impatto con la parete metallica. Per un secondo fu confusa dalla botta, ma poi subito si accorse di essere arrivata davanti all'uscita da quell'incubo.

Trovò subito le leve di apertura, e le tirò. A differenza dell'altro portello quelle erano in buono stato, ed anche una ragazzina minuta come lei non ebbe problemi a spostarle.

Il portello si aprì senza opporre troppa resistenza, ed oltre le bullonature Cassie vide un altro tombino, uguale agli altri due in tutto e per tutto. Lo spazio in mezzo ai due però doveva essere una specie di camera di decompressione, come quelle che aveva visto nei musei dove esponevano i modellini dei sottomarini. Cassie vi entrò, e davanti a lei notò un pulsante coperto da un leggerlo strato di ruggine.

"Questo dovrebbe rimuovere l'acqua dalla camera. Bene, perché non riesco più a trattenere il fiato. Ma aspetta... dov'è finito X? Era davanti a me fino ad un secondo fa..."

La ragazza si voltò verso il passaggio da cui era entrata, ed una smorfia di orrore comparve sul suo viso contratto dai tentativi di trattenere l'aria.

Il suo corpo era completamente avviluppato dai tentacoli, che lo trattenevano ad appena un metro da lei. Lui si dimenava in agonia mentre gli arti metallici cominciavano lentamente a stringere.

<< Mhh... >> cercò di urlare Cassie, ma l'acqua le entrò in gola.

Ma all'improvviso, Rex X si raggomitolò su se stesso e scattando come una freccia si avvicinò alla ragazza, tirandosi dietro gran parte delle trappole ancora aggrappate a lui.

Con difficoltà raggiunse il boccaporto. Cassie lo stava aspettando sporgendosi fuori dal portello, le guance gonfie ed il viso rosso di una che non riusciva più a resistere senza ossigeno.

X fluttuò nell'acqua davanti a lei per un solo istante, penetrandola con lo sguardo, allungò le mani, la spinse indietro e chiuse il portello.

"E con questo, ho finito." pensò X galleggiando in acqua mentre dei tentacoli metallici lo circondavano di nuovo, "Quindi è così che finisce, in un tunnel senza nome sotto una gigantesca T. Ho sempre pensato che sarei morto in un'esplosione di portata demenziale causata da me, di certo non così."

Degli spunzoni uscirono dalle pareti, e lo trafissero ripetutamente. Ululò dal dolore.

Il suo ultimo pensiero che ci è dato sapere, fu: "Ma in fondo, chissenefrega"

 

 

 

 

 

Okay, ecco che vi parlo dopo un sacco di tempo.

Che finale, eh.

Ecco... non un gran bel modo per iniziare l'anno nuovo, ma tanto si sa già come andrà. Spero che il vostro nuovo anno sia meglio di come me lo immagino.

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Capitolo 25
*** Peccati del passato ***


“Mhhh… Si sono allontanate troppo.”

Slado sedeva tranquillo sulla sua piattaforma magnetica sospesa ad una ventina di metri dal suolo. Teneva le gambe incrociate, quasi a voler meditare.

Aveva osservato il combattimento fra Stella e Corvina con grande interesse; aveva sempre voluto testarle per scoprire chi tra le due fosse la più forte. Ma era un tipo di combattimento difficile da seguire per un uomo normale, ma soprattutto difficile da far accadere. Anche se fossero ancora ai suoi ordini e le avesse ordinato di lottare fra di loro senza risparmiarsi, loro non avrebbero mai accettato.

“Se almeno la cupola non bloccasse anche i segnali radio avrei potuto hackerare uno dei satelliti di Google Earth e sarei stato in grado di seguirle dall’alto, ma ho fatto un lavoro fin troppo perfetto.”

Voltando appena la testa vide di sotto Beast Boy e Cyborgazzuffarsi in una lotta senza quartiere, ma era uno scontro molto meno interessante: “Però Beast Boy una volta mi ha sconfitto. Me lo ricordo, mi fece male. Magari sarebbe divertente scendere e riempirlo di botte, come lui fece con me.”

Slado rimase a fissarli a lungo. BB era incredibilmente veloce, e cambiava velocissimo forma per evitare di farsi colpire da Cyborg, che sparava raggi in continuazione, ma senza mai colpire l’ex-amico. Di contro però, il mutaforma non lo attaccava mai direttamente.

“Ah, è chiaro. Si è svegliato, e non vuole far del male al suo amico di sempre. Che spreco di energie.”

“Non fa niente” alzò le spalle con se stesso in segno di resa: “Comunque adesso ho altro di cui occuparmi.”

Si alzò in piedi con un unico movimento fluido delle gambe, e mise mano al dispositivo di movimento direzionale. Inserì i comandi pre-programmati per dirigersi verso il generatore di energia centrale che dava vita alla cupola.

La piattaforma fece un mezzo giro su se stessa e schizzò in avanti come un sasso che rimbalzava lanciato sulla superficie di un lago.

Nonostante gli imprevisti che erano sorti nel suo piano, Slado si sentiva incredibilmente tranquillo, calmo come un ruscello di montagna, che gorgogliava pigramente lungo i dolci versanti erbosi, diretto verso una tranquilla valle erbosa.

Il tipo di ruscello però che lungo il suo corso può accelerare all’improvviso, diventando senza preavviso pericoloso per lunghi tratti, con scogli taglienti come rasoi e tronchi sommersi appena poco sotto il livello dell’acqua.

Era quello il dono che il Thogal gli aveva lasciato. Giorni interi di completo isolamento da tutto il mondo lo avevano segnato nel profonda della sua anima contorta, ma in cambio gli avevano conferito la capacità di raggiungere una calma interiore ed una lucidità unica ed assoluta, una tenacia senza pari ed una presenza di spirito tale che anche nelle situazioni più pericolose non avrebbe vacillato in alcun modo.

Era diventato freddo come il ghiaccio ed affilato come una spada. Non che prima non lo fosse già, ma dopo il Thogal quelle caratteristiche si acuirono in maniera incredibile.

Ma questo controllo quasi assoluto di se era scomparso da quando si era ripreso l’anima dopo aver ucciso Trigon. Era come se un pezzetto di se stesso mancasse, come se il demone se lo fosse portato via con se in un luogo ormai più che inaccessibile, e la sensazione era talmente disagiante, talmente asfissiante e dolorosa, che da allora era impazzito nella ricerca di un modo per ritornare intero.

Aveva cercato una soluzione ai quattro angoli del mondo, aveva consultato i pochi monaci che non l’avevano cacciato per via del suo cuore nero, aveva parlato con guru e mistici esperti dell’anima.

Ed alla fine, aveva trovato qualcosa. Un trucco per riattaccare il frammento perduto.

Fra i resti di un’antica biblioteca appartenuta ad un antico culto di adoratori del demone Trigon, situata nelle vicinanze della Darvaza Turkmena, trovò un’antica pergamena antica di migliaia di anni, ma in uno stato di conservazione tale che sembrava essere stata scritta in giornata.

Sopra c’era scritto il rituale per estirpare l’anima da un corpo ed inserirla in un altro, e l’assoluto controllo della stessa da parte di chi officiava il rituale.

Era in quel modo che intendeva ricompletarsi, ma per funzionare non poteva usare una persona qualsiasi. Serviva un parente prossimo, maschio, che doveva acconsentire a lasciarsi prendere l’anima senza porre resistenza.

Per la precisione, era necessario sacrificare lo spirito di uno dei propri figlio.

Ma il figlio originario di Slado era morto tanto tempo fa, durante una schifosa guerra ai confini del mondo, a cui partecipava in quanto il sovrano locale aveva comprato i servigi. Sovrano che Slado aveva ucciso con le proprie mani.

Ma non fu in quel momento che il mercenario concepì il suo piano definitivo di vendetta e di conquista. Bensì quando, ritornando ad uno dei suoi vecchi nascondigli, ritrovò sepolte in profondità sotto le macerie i resti di alcuni macchinari molto speciali.

Le capsule di clonazione che aveva rubato al progetto Cadmus, ancora integre.

Quando aveva sentito la notizia che questo progetto segreto governativo stava creando un esercito in provetta aveva subito compreso le potenzialità dell’idea, ma preferì aspettare il momento propizio per agire.

Quando apprese da una fonte attendibile che il Cadmus stava per essere smantellato, lui fece la sua mossa e si intrufolò nella base eriuscì a rubare uno dei camion che trasportavano le capsule da clonazione. Nel rimorchio ce n’erano cinque, proprio quelle con cui erano stati creati i Justice Lords originali, la squadra governativa che avrebbe potuto fronteggiare e sconfiggere la Justice League.

L’unico problema era che dopo un breve lasso di tempo i cloni si sfaldavano in polvere, e gli scienziati del progetto non avevano fatto in tempo a sviluppare un metodo per riuscire ad allungare la loro vita.

Poi si ricordò che, tempo addietro, tanto tempo prima di conoscere i Titans e di diventare un criminale internazionale, era alle dipendenze come mercenario di un ecoterrorista l’arabo noto al mondo come Ra’s Al Ghul, che si manteneva in vita da secoli sfruttando un certo liquido con proprietà rigeneranti chiamato Lazzaro.

“Forse, se adatto le capsule per accogliere il Lazzaro posso allungare le vite dei cloni. Devo solo trovare abbastanza Lazzaro da riempire tutte quelle capsule.”

Ma se voleva davvero utilizzarlo, c’era un altro problema a cui avrebbe dovuto pensare: la pazzia momentanea che ne portava l’utilizzo.

Una volta aveva potuto osservare il trattamento da vicino: l’arabo si era immerso completamente nel liquido verdastro che sembrava un debole vecchio coperto di rughe, e quando ne uscì era un uomo nel pieno della vita, forte, sano, vivo. In quel momento però i dottori che assistevano insieme a lui al trattamento lo costrinsero a ripararsi dietro delle spesse porte di vetro antiproiettile. Lui non ne aveva capito il perché, fino a quando il terrorista non aprì gli occhi. Allora Ra’s al Ghul lanciò un urlo gutturale, e si scagliò con tutta la sua forza contro il vetro, sbavando e ringhiando come un animale.

Quando Slado chiese del perché si comportasse così, i medici gli riposero: << È desiderio della testa del demone che sia lui stesso a spiegartelo. Dovrai aspettare dietro al vetro per la mezz’ora necessaria affinché il padrone possa riottenere le proprie facoltà mentali e parlare con te. Noi non possiamo dirti niente, obbediamo ciecamente al padrone. >>

E così, seppur riluttante e seccato, Slado non poté fare altro che acconsentire ed aspettare che l’uomo che lo pagava tornasse in se.

Puntualmente mezz’ora dopo Ra’s smise di tremare ed a schiumare come un animale rabbioso, ed allora il vetro venne rimosso.

Cosicché i due potessero parlare liberamente, l’arabo ultracentenario ordinò ai medici di uscire dalla camera del Lazzaro. Quando i due rimasero da soli, Ra’s gli venne incontro. Era madido di sudore, esausto, e delle piccole bolle di schiuma gli bagnavano la barba.

<< Slado, in te vedo del grande potenziale. Un giorno, forse tu prenderai il posto del Detective come miglior candidato per guidare la Setta degli Assassini, come nuova Testa del Demone.

Hai ambizione, talento, ed hai provato il dolore della morte di un tuo caro, un carburante molto potente, che brucia forte e a lungo. Però manchi di dedizione. Ma è una cosa che si può aggiustare in fretta, se ti lasciassi insegnare. >>

Si girò, mostrandogli le spalle, e si avvicinò alla grande finestra che occupava tutta una parete della stanza. Dallo spesso vetro, brillante come un cristallo, si godeva la vista delle catene montuose su cui si affacciava il castello e base operativa della Lega. Sulle grandi montagne infuriava una grande tempesta di neve, che restringeva la visuale.

<< Ma in quanto mercenario, la tua vita la possiede chi offre il prezzo più alto, e questo è disonorevole. Comporta mancanza di fedeltà.

Potresti compiere grandi opere, e scrivere il tuo nome nella pietra della storia, quindi pensa attentamente a quello che risponderai quando ti porrò la mia domanda, poiché te la chiederò una volta sola: vuoi accettare la mia proposta, lasciare indietro tutto quello che sei in questo momento, tua moglie e tuo figlio, e prendere il mio posto, come Testa del Demone, capo della setta degli assassini? >>

Era una proposta parecchio allettante. Il controllo totale e assoluto su una setta di ninja assassini e di mezzo mondo, una vita che andava ben oltre l’agiatezza. Sarebbe stato da pazzi rifiutare.

<< Ascoltami vecchio, >> gli aveva risposto lui: << Io non sono l’uomo che cerchi. Non ho la benché minima intenzione di rinunciare al mio passato, né alla mia famiglia. Trovati qualche altro burattino da manovrare. Io qui ho finito. >> quindi girò i tacchi, deciso ad uscire noncurante della tempesta che furoreggiava al di fuori delle mura.

<< E dimmi, cosa intendi farci con quella mappa che tieni nascosta dentro la manica? >>

Slado si arrestò di colpo. Gocce di sudore freddo gli scesero lungo il collo.

Le particelle dell'aria si immobilizzarono per un istante che parve durare ore.

Poi Slado corse via. Immediatamente i ninja gli furono addosso, tentando di catturarlo per far avere al padrone il piacere di ucciderlo di persona. Ma il mercenario era molto più furbo.

Riuscì a scappare nella tormenta senza un graffio, e due settimane dopo si era già trasferito con la sua famiglia in un luogo più sicuro.

E sulla mappa che aveva rubato c'erano scritte le ubicazioni di tutti i pozzi di Lazzaro al mondo. Pensava di venderla al migliore offerente, l'immortalità e l'eterna giovinezza avranno un grande valore al mercato nero, ma preferì tenerla. Era troppo rischioso esporla ad occhi altrui. La nascose in uno dei suoi vecchi nascondigli segreti, pensando, anzi sperando, di non doverla tirare fuori mai più.

Da quando aveva rubato le capsule aveva studiato diversi sistemi, che più o meno avrebbero funzionato, ma utilizzare il Lazzaro era rimasto il piano con la maggiore percentuale di successo.

Cominciò quindi a viaggiare intorno al globo, diretto verso il pozzo in Medio Oriente, che era il più vicino ed il meno frequentato. Riuscì a saccheggiare una buona quantità di liquido prima che la Setta degli Assassini lo costringesse a fuggire, ma era appena sufficiente per riempire tre capsule.

Non si disperò, anzi approfittò della buona sorte che gli aveva arriso e si preparò ad adattarle in modo che il Lazzaro fluisse libero dentro ai tubi di quelle tre.

Slado guardò con orgoglio le tre camere di clonazione, che fremevano impazienti di essere utilizzate; aspettavano solamente di ricevere il materiale genetico per cominciare a costruirne il corpo.

“Ottimo, ma ora da cosa comincio? Potrei travestirmi da medico e rubare dei campioni di capelli e di sangue da alcuni dei membri della Justice League, oppure posso provarci con quel gruppetto di ragazzini che si è formato qui a Jump City.

Quant’è difficile scegliere.”

Ma alla fine, il suo sguardo cadde sulla foto della sua famiglia che portava sempre con se. i bordi erano stati consumati dal tempo, ma la foto riusciva a mostrare ancora una scena delle loro rare vacanze: erano su una spiaggia ai Caraibi, Slado era appena uscito dall’acqua e gocciolava acqua salata sui capelli di sua moglie, che era seduta su un telo da mare con in braccio Grant, che all’epoca aveva solo sei anni.

“Grant.”

Rimase a fissare quella foto per un momento lunghissimo, quindi capì che non aveva intenzione di compiere una scelta diversa. Grant dominava nei suoi pensieri. Doveva resuscitare suo figlio, il resto era superfluo.

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La parte successiva fu per Slado molto più difficile che rubare ad uno dei terroristi più pericolosi del pianeta: recuperare il DNA di Grant. E non perché non sapesse dove trovarlo.

Scavare due metri di terra sotto la gelida pioggia della notte fu la parte più semplice. Mentre calava la pala contro il morbido terreno che copriva la bara cercò di non pensare a quello che avrebbe visto quando avrebbe toccato il legno, affondando i colpifino al bastone ed estraendo quintali di terra. Sangue fresco gli gocciolava ancora dalle mani, a ricordo del guardiano morto che si era messo in mezzo ai piedi, e che lui aveva ucciso a sangue freddo aprendogli la gola a mani nude.

Finalmente la pala urtò il coperchio della bara con un sonoro “TOC!”. Slado spostò con le mani la terra umida che copriva il coperchio e rimase immobile ad ammirarla, nonostante i vermi e l’umidità l’avessero rovinata irrimediabilmente.

Erano trascorsi 15 anni da quando da lontano l’aveva vista calare buca. Da quel giorno non aveva più osato tornare, neanche per guardarla da lontano, forse per la vergogna che lo colmava, o forse perché qual giorno avevano seppellito il suo cuore.

“È il momento della verità” aveva pensato, ed afferrando la bara con entrambe le mani tirò.

Il legno si spezzò come carta velina, rivelando lo scheletro del morto di cui cercava di proteggere il riposo. Il vestito elegante con cui era stato seppellito era stato quasi del tutto mangiato dalle tarme, e le ossa sembravano così sottili che se le avesse sfiorate sarebbero mutate in polvere.

Il teschio gli sorrideva con i denti contratti in un ghigno immobile, e tutto ciò che gli rimaneva dei capelli erano delle piccole ciocche secche sparse qua e là sul capo. Le sue orbite vuote venivano attraversate da gocce di pioggia, e sembrava che volessero biasimarlo della sua morte.

Slado non riusciva più a muoversi. Il teschio lo fissava con intensità, e la mascella sembrava muoversi per sussurrargli qualcosa, ma quelle parole si perdevano nel vento e nel gocciolio delle pozzanghere.

Alla fine Slado riuscì a sbloccarsi dalla trance in cui era entrato, e con sovrumana attenzione allungò una mano per afferrare uno dei radi ciuffi di capelli sul teschio, facendo attenzione che non si disfacesse al vento, e lo infilò in una provetta da laboratorio, che chiuse con un tappo di plastica.

Sollevò la provetta davanti agli occhi.

“Presto figliolo, presto.”

Richiuse la bara e la seppellì con cura, poi ritornò al suo nascondiglio. Appena arrivato riempì le capsule con il Lazzaro ed inserì in ognuno degli sportelli un campione di capelli. Subito la macchina cominciò a processare i dati e ad analizzare il DNA. Sarebbe stata solo questione di tempo.

Passarono le settimane, ma alla fine nelle capsule si formarono tre corpi distinti. Tutto sembrava andare secondo i piani, i corpi crescevano, raggiungendo in quel momento l’aspetto che Grant aveva avuto intorno ai 16 anni, e Slado passava giorni interi a fissarle, nell’attesa che uscissero. Sarebbe mancato poco alla maturazione.

Ma alla fine lo trovarono.

Come un incubo che perseguitava infestando il sonno, la Justice League lo individuò. Probabilmente avevano rintracciato il segnale delle capsule rubate, o forse Superman era riuscito a distinguere il suo battito cardiaco. Non era importante, ma nel combattimento che seguì le teche si ruppero davanti agli occhi di Slado, ed i corpi vennero sepolti sotto ammassi di roccia.

Lui riuscì a scappare, ma non avrebbe mai dimenticato ciò che accadde quel giorno. Di come la League avesse ucciso suo figlio una seconda volta.

Ma alla fine si sarebbe vendicato. Il come o il quando non sarebbe importato. Aveva pazienza lui. Tanta pazienza.

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“La Justice League è qui, fuori dalla cupola, lo so. Quando avrò conquistato il mondo decorerò le guglie del mio palazzo con le loro teste, e farò in modo che tutti le vedano”

Slado era sceso a terra vicino al generatore, e da lì poteva vedere il fascio di energia che dal reattore centrale sparava in cielo l’energia che alimentava la cupola, una miscela di misticismo e tecnologia del futuro, “gentilmente regalata” da un tizio proveniente dal futuro chiamato Warp, che in quel momento si stava godendo delle meritate ferie alla fine del tempo.

Quel raggio era il suo più grande trionfo, la sua vittoria finale. Da quel momento il regno sotto la cupola si sarebbe espanso, fino ad inglobare tutta la terra, mentre i suoi più accaniti difensori sarebbero periti tra atroci sofferenze, ma non prima di guardare con i loro occhi cosa avrebbe fatto al mondo che tanto amavano.

<< Sì, è così che andrà. E poi, riotterrò la mia anima completa, ed infine con Grant al mio fianco, finalmente avrò ottenuto la mia vendetta. Distruggerò tutto, davanti ai loro occhi. Li costringerò a guardare come hanno fatto guardare a me la sua morte! >>

Ma, nei suoi vaneggiamenti, Slado aveva dimenticato qualcosa. Una persona. Una persona che aveva sottovalutato sin dal primo istante in cui le capitò all’occhio, dandola per scontato come una debole ed innocua civile sopravvissuta. Una civile a cui Slado aveva tolto tutto.

La sua casa.

I suoi amici.

La sua famiglia.

Tutto.

Ma in quel momento, mentre lui si era perso in deliranti vaneggiamenti, e sebbene ad ogni passo le sembrava di camminare con dei blocchi di cemento ai piedi, quella stessa debole ed innocua ragazzina stava per annientarlo. Sebbene esausta per la nuotata sottomarina, ed in lacrime per la morte del suo salvatore, Cassie era riuscita a raggiungere la Main Ops Room della Tyrans Tower, il quartier generale di Slado.

Zoppicando vistosamente e rischiando più volte di inciampare e cadere per terra, Cassie tirò fuori l’oggetto ovoidale, grande come una pallina da baseball, che le aveva dato Robin. L’ultima ricetrasmittente dei Titans.

“Devi solo appoggiarla sulla consolle principale, e lei farà tutto il resto. Quando l’avrai fatto, esci fuori a gambe levate” le aveva detto Robin, e lei obbedì.

Appoggiò la trasmittente, e si girò per andarsene.

“Tutto qui?" pensava guardandosi alle spalle, mentre la macchina compiva il suo dovere, "È stato così facile? Dopo tutto quanto abbiamo passato, basta fare così? Che fottuta ironia”

E corse via, arrancando come poteva, mentre nella sala la consolle esplodeva e si agitava come un animale morente, spruzzando scintille dappertutto, che attecchirono e presero fuoco.

Viaggiando tramite l'aria, dei segnali radio fecero aprire il cancello che chiudeva il ponte, permettendo a Cassie di fuggire via, una volta per tutte.

Dall'altro lato della cupola, dei comandi diversi avevano raggiunto il generatore del campo di forza. Quei segnali penetrarono in mezzo ai sistemi principali di controllo dell'energia, dribblarono i firewall protettivi ed inserendosi fra gli inibitori di sicurezza, e li spensero.

In un solo, velocissimo istante, si attivarono i protocolli di sicurezza, ed il generatore smise di produrre energia, autodistruggendosi per via dell'energia residua nel reattore.

La cupola, che per mesi aveva coperto la città, era crollata come un castello di carte.

<< No. NO! Come è possibile >> gridò Slado. Per la prima volta dal Thogal, la sua calma interiore si arrese al caos della sua pazzia. Aveva fallito.

Cadde in ginocchio. Iniziò a piangere.

<< No, no. No no no. Non può essere vero. >>

Ma poi si ricordò che, dato che non c'era più niente che gli impedisse loro entrare, sarebbero arrivati a prenderlo.

<< Non così. Devo scappare; formulare un piano migliore. >> disse al vento, riavendosi lentamente.

<< Sì, scappare. Nascondermi. La prossima volta... >>

<< Non ci sarà una prossima volta! >> disse qualcuno, che colpì Slado così forte da farlo volare contro le macerie ancora fumanti del generatore.

Lui aveva visto solo un lampo giallo attraversato da un fulmine rosso: << La faccenda finisce qui, e ora. >>

Era Kid Flash, che era riuscito ad evitare la cupola, e non era da solo.

Un uomo, alto e vestito come un diavolo nero, uscì da un'ombra. Teneva in braccio un ragazzo dai capelli scuri, che respirava appena: << Sì, hai ragione. Finisce qui. >>

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Capitolo 26
*** Sangue e ossa ***


Ottimo, ci siamo.

Questo è il momento che spero molti di voi hanno sperato di vedere: il combattimento finale, nonché uno dei capitoli finali. Prima di cominciare, vorrei precisare qual è il costume Batman, perché la tuta del cartone è sì bella, ma per questa storia non va bene.

Quindi se Slado indossa la tuta classica della serie animata, possiamo dire che Batman può indossare il costume di Arkham City, o a scelta qualsiasi costume con i guanti e gli anfibi corazzati.

 

Si fissarono negli occhi.

Alla sua presenza Slado sembrò recuperare una parvenza di compostezza: << Batman. In persona. Quale onore. >>

Lui non rispose, ma i suoi occhi sembravano volerlo trafiggere da parte a parte senza pietà.

Il silenzio di odio sembrava quasi solidificarsi nella polvere che turbinava in piccoli mulinelli, spinta da un vento che non aveva soffiato più per molto tempo, e che adesso finalmente era penetrato in quel posto fatto ormai di aria viziata.

Fu il giovane Flash ad rompere il silenzio: << Bastardo! Hai ucciso tutte quelle persone! Ora ti faccio a pezzi. >> urlò, scattando verso Slado a supervelocità.

Stava per colpirlo con un pugno supersonico che probabilmente gli avrebbe rotto la maschera, il naso ed alcuni denti, ma si fermò appena prima di toccarlo: << Kid, aspetta. >>

Le sue nocche si fermarono ad un soffio dall’apertura dell’occhio sinistro. Lo spostamento d’aria bastò a far arretrare di qualche centimetro il mercenario; si girò verso Batman, che gli aveva dato quell’ordine. << Perché? Voglio spaccare le ossa a questo essere disgustoso e vendicare tutti quei morti. Cosa c’è di sbagliato? >>

Il pipistrello gli fece segno di tornare da lui, e riluttante ubbidì.

Come se lo avesse completamente ignorato, gli porse il ragazzo: << Prendi Robin e portalo all’infermeria più vicina, in fretta. Sta faticando a respirare. Poi con la tua velocità aiuta gli altri a cercare e curare i sopravvissuti, se ce ne sono. >> disse, lanciando alla fine uno sguardo di ghiaccio verso Slado, che si stava ancora riprendendo dalla sorpresa del grande pericolo che può portare un velocista.

Kid Flash lo guardò incredulo: << Ma… No, voglio restare qui e fare a pezzi quel bastardo! Robin è anche un mio amico! >>

<< Calmati Kid >> avvertì una terza voce, che immobilizzò il ragazzo sul posto. In un lampo rosso, era arrivato anche il Flash adulto.

<< So quello che provi, lo provo anch'io in questo momento. >> rivelò il velocista, squadrando Slado con rabbia: << Ma non è un affare nostro. >>

<< Lui è mio. >> chiuse il discorso Batman, come per confermare ciò che aveva già affermato il rosso.

<< Ma... e Robin? >> fissò il ragazzo che pendeva ancora dalle braccia del pipistrello.

<< Prendilo e portalo via da qui, e fa in fretta. Io ti raggiungo. >> ordinò quindi Flash, con il tono serio che era abituato ad usare quando la situazione diventava importante.

Kid allungò le braccia ed esitante raccolse il suo corpo inerte.

<< Ed ora va. >>

Kid Flash rimase a fissarli per un lungo istante, prima Flash, poi Batman e Slado, ma alla fine ascoltò il suo mentore e partì a supervelocità, lasciando ai tre uomini campo libero.

<< Sicuro di voler restare solo Bat? Quel tipo è pericoloso. >>

Slado si ricompose, ed intercettò lo sguardo assassino di Batman, rispedendoglielo addosso uguale.

<< Non quanto me. >> rispose il pipistrello, glaciale.

A quel punto anche il Flash adulto lasciò che se la vedessero da soli, ritirandosi per aiutare gli altri.

Il gioco di sguardi continuò imperterrito; ognuno squadrava con attenzione il proprio avversario, studiandolo ed aspettando che facesse lui la prima mossa. Cominciarono a muoversi in cerchio, osservandosi con attenzione. Erano guerrieri esperti: tutti e due sapevano che l’avversario era pericolosissimo, e che il minimo errore o che anche solo un microsecondo di ritardo nei movimenti li avrebbe portati alla sconfitta.

All’improvviso, si arrestarono. Per quello che sembrò solo un lunghissimo istante, i due rimasero immobili nei mulinelli di polvere sollevati dal vento.

Slado ruppe il silenzio per primo. Piegò tutto il suo peso sulle gambe e spiccò un balzo verso suo avversario. Raccolse le gambe ed esplose un calcio.

Batman lo afferrò a mezz’aria e lo proiettò a terra, ma lui atterrò con le mani e roteò su se stesso, colpendo con un altro calcio.

Il cavaliere oscuro indietreggiò, stordito dal colpo, e Slado si avventò ferocemente su di lui .

Partì con una scarica di pugni al plesso solare ed al mento, ma lui li parò o li schivò tutti rispondendo con un pugno sulla mascella, che fece prendere il volo al criminale. Ma lui si riprese al volo ed attutì la caduta con una capriola.

Si rimise in piedi e ripresero a studiarsi. Batman si pulì la boccada un rivolo di sangue, mentre Slado non aveva ferite visibili.

<< È per via di quello che è successo qualche anno fa? >> chiese il cavaliere oscuro, riprendendo il loro balletto.

<< Tre anni, due mesi e quindici giorni fa. >> gli rispose il criminale, << È difficile non contarli. >>

Stavolta fu Batman a trovare un’apertura. La sua mano scattò verso la cintura e fulmineo un batarang attraversò lo spazio che separava i due. Nel tempo che sprecò per schivarlo, Batman gli era già davanti.

In posizione inadatta al combattimento ravvicinato, Slado venne colpito una volta al ventre con una ginocchiata, seguita da un pugno alle costole ed un calcio nel retro del ginocchio. Riuscì a liberarsi dalla morsa dei colpi, ma li aveva accusati troppo per un combattimento prolungato. La gamba rispondeva a fatica, e tutto il fiato che aveva accumulato era sparito.

<< Ed hai passato tutto questo tempo tormentando il mio protetto? Pessima mossa. >>

Si lanciò su di lui, una terribile creatura della notte che dalla rabbia era uscita dalla sua caverna in pieno giorno, ma Slado rispose con un velocissimo calcio della gamba buona, ed in seguito gettando una bomba fumogena.

“Così almeno potrò riprendere fiato. Devo nascondermi ed ordinare ai robot di raggiungermi, ed alla svelta” pensò, inoltrandosi nella cortina fumogena.

Quando pensò di essere fuori dalla sua portata, sentì una voce distorta dalla rabbia, a cui seguì un pugno mostruoso: << Non osare! >> urlò Batman, colpendolo con tutta la forza che aveva.

Slado fece un giro su se stesso prima di riprendere l’equilibrio: << Non ti permetterò di scappare così! Sei finito Wilson! Questa è l’ultima volta! >>

Lo raggiunse mentre stava ancora roteando, e centrò sulla nuca con un calcio rotante. Slado stramazzò al suolo, ansimando e gemendo.

<< Non ti permetterò di andare via finché non mi avrai detto perché! >>

Gli si buttò addosso ed afferrò il bavero della sua tuta, sollevando la sua testa penzolante; Slado teneva gli occhi chiusi: << So che sei lì e che mi senti. Comincia. >>

Il criminale aprì il suo unico occhio, e ciò che vide non gli piacque affatto. Batman era infuriato, digrignava i denti, e sembrava che fosse davvero tentato di oltrepassare quel limite che molti avevano testato. Forse quella era la volta buona. Slado sembrò capire la situazione, ma capì anche che quello era il momento di rivelare le sue intenzioni. Non ce ne sarebbero stati altri.

<< E va bene. Come vuoi. >>

Dalla sua manica comparve un piccolo ago fulminatore, ed il cavaliere oscuro cadde scosso da una forte scarica elettrica.

<< Vuoi davvero saperlo? Ti accontento! >>

Il criminale si rialzò e cominciò a spezzargli le costole a calci.

<< Ho atteso un momento così per anni, da quando tu e la tua piccola gang avete ucciso mio figlio. >>

<< Ucciso? Non capisco… >>

<< TACI! >> gridò Slado, cambiando bersaglio al volto.

<< No, non puoi capire. Nessuno di voi ha mai capito cosa successe quel giorno. Ci ripensi mai? Ti ricordi di quelle capsule, e di quei corpi all’interno? >>

Lo afferrò per il mantello e facendo leva lo scagliò su un cumulo di mattoni e macerie: << Io sì. Ogni giorno! >>

Afferrò una spranga di ferro caduta dal mucchio e gli si avvicinò zoppicando vistosamente. << Di chi pensavi che fossero cloni mentre li distruggevi? Di me? Del kryptoniano? Sbagliato! >>

Alzò la spranga con due mani e la calò sul viso del pipistrello, ma lui si riprese dall'impatto e la schivò: << Non sono stato io. Lo sai anche tu che non è andata così! >>

<< Bugiardo! >>

Stavolta Batman non riuscì ad evitarla e la spranga lo colpì appena sotto la spalla sinistra, sul braccio e vicino all'articolazione. Il metallo passò attraverso i muscoli ed incrinò l'osso, staccandone minuscole schegge che penetrarono nelle vene e nei nervi del braccio.

L'adrenalina ridusse di poco la sensazione di dolore, abbastanza da non farlo svenire.

<< Bugiardo. Sai bene quello che hai fatto. >>

<< No... >> del sangue gli salì lungo la gola, e si interruppe per sputarlo: << Non è andata così. Sei stato tu a distruggerle. Mi stavi sparando, cercavi di uccidermi, e nella confusione i proiettili sono rimbalzati ed hanno rotto i circuiti delle capsule, che sono esplose. Quindi, se credi che gettare la colpa su di me ti dia sollievo non mi da problemi... >>

Slado non riuscì più ad ascoltare: << Adesso basta. Ora muori! >>

Calò la spranga con tutta la sua forza verso la testa del pipistrello, deciso a farla finita per sempre.

Nell'aria vibrò il tremendo "CRACK" che nasce quando un osso veniva stressato fino a raggiungere il punto definitivo di rottura.

<< Ma hai osato vendicarti attraverso un’altra persona, uno dei pochi verso cui abbia mai provato affetto... >>

Il piede del cavaliere oscuro si ritrasse dal ginocchio spappolato di Slado, mentre il criminale cadeva scomposto per via dello sbilanciamento del peso. Improvvisamente il suo ginocchio, già danneggiato prima, non rispondeva più.

<< ...è stato l'errore peggiore che potessi fare. >>

Slado cadde a terra afferrandosi la rotula fratturata, cominciando ad avere paura che fosse finita. Era solo una sensazione, ma quando vide gli occhi del cavaliere oscuro, capì che non c'erano più possibilità.

Gli si avventò contro in un goffo tentativo di colpirlo di nuovo con il punteruolo elettrico, ma in uno sbuffo di mantello il pipistrello schivò e gli si avventò contro, afferrandogli forte il braccio armato.

<< E adesso pagherai, per tutti quanti! >>

Tirò forte e dislocò il braccio dall'articolazione, che si staccò con un secco CROCK, per poi prendere l'altro ancora intero in una presa di sottomissione, e spezzarlo in due punti. Slado urlò, scalciando l'unico arto integro.

Non per molto ancora però.

Batman piroettò sul suo corpo martoriato, afferrò la gamba e si alzò in piedi, tenendola ferma con forza.

<< E questo non è per le persone che hai ucciso, o per le famiglie che hai separato o per i sogni che hai soffocato. Questo è per Robin! >>

<< No! >>

CRACK!

Nella silenziosa desolazione della grande città rovinata, echeggiò un tremendo grido di dolore.

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Il cavaliere oscuro si allontanò ansimante dai resti del corpo spezzato e tremante del suo avversario. Slado era svenuto per il dolore che gli aveva causato: gli aveva spezzato entrambe le gambe ed un braccio penzolava rotto in una posizione innaturale, mentre dei rivoli di sangue gli fuoriuscivano dalla maschera. Ogni tanto la sua carcassa ancora viva era scossa da brutte convulsioni ed emetteva gemiti di dolore, segno sicuro che il criminale era ancora vivo. Sicuramente aveva anche delle emorragie interne e qualche costola doveva aver viaggiato nel suo torace fino a bucare un polmone o qualche altro organo.

Batman aprì il suo comunicatore: << Batman alla Justice League, ho finito. >>

Dall’altro lato del comunicatore provennero un gran numero di voci concitate col tono carico di preoccupazione che gli posero un gran numero di domande senza alcuna tregua. Lui rispose solo: << Venite in fretta, serve una squadra di paramedici. Seguite il mio segnale satellitare.

Fate presto. >>

Chiuse la linea e fece per mettere via il comunicatore all’interno della cintura, ma a metà strada quello gli scivolò via di mano, cadendo in mezzo alle macerie.

Batman crollò a terra, terribilmente esausto e dolorante: il dolore al petto gli impediva di respirare, mentre una terribile emicraniagli stava facendo esplodere la testa, e dal braccio dislocato non riusciva a sentire più niente se non una brutta sensazione diintorpidimento.

Passò cercando di rimanere cosciente quelli che gli sembrarono giorni, aspettando i soccorsi che aveva chiamato, sorvegliando Slado, e solo quando udì il suono delle sirene e le voci dei suoi compagni che lo chiamavano, si lasciò andare, nel buio.

Il suo ultimo pensiero prima di cadere fu: “Robin…”

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Capitolo 27
*** Sollievi e dispiaceri ***


<< Come sta? Si salverà? Potrà rimettersi in fretta? >>
<< Per ora è sotto pesanti sedativi e stiamo usando dei macchinari per aiutare il suo metabolismo a guarirlo, ma ci vorrà del tempo, e per ora sembra fuori pericolo. >>
La voce di Wonder Woman era calma e pacata, completamente opposta all'ansia ed alla preoccupazione che si percepiva in Stella. Si trovavano entrambe davanti al vetro di monitoraggio di una delle sale di terapia intensiva della Torre di Guardia, che in quel momento stava orbitando sulle coordinate dei resti di Jump City. All'interno c'era Robin, bendato e circondato da ultratecnologiche apparecchiature mediche, fra cui un elettrocardiogramma che misurava il lento battito cardiaco segnalandolo con un sonoro "Bip", ed un piccolo polmone d'acciaio che lo aiutava a respirare. Ogni tanto dei medici entravano per controllare la temperatura o i dati dei macchinari, e quando la porta veniva aperta l'odore del disinfettante e dei farmaci faceva pizzicare il naso a Stella.
<< Poco fa Kid Flash ce l'aveva consegnato in questo stato; sono riusciti a teletrasportarlo qui appena in tempo per salvargli la vita. Ora la sua vita dipende dalle macchine che gli hanno attaccate, e per un bel po' non potrà più farne a meno. >> continuò l'amazzone, mentre Stella non distoglieva lo sguardo dal ragazzo. Non riusciva a rinunciare a pensare che la colpa di tutto fosse sua. Se non si fosse lasciata catturare da Slado...
<< ...poi ti abbiamo visto combattere con quel mostro e... Stella, mi stai ascoltando? >>
<< Eh, cosa? >>
La principessa amazzone sorrise debolmente: << Voi ragazzine innamorate... >>
Dolcemente e con tatto, le disse: << Vedrai che presto si riprenderà. Ma quando riaprirà gli occhi e chiederà di te devi ricordare una cosa: non è stata colpa tua, anche se non vuoi crederci. >>
I suoi tentativi non riuscivano a consolare Stella, ma le era comunque riconoscente per il suo supporto. Da quando era stata portata nella torre non aveva ricevuto altro che occhiate di sospetto per quello che era successo, ed un sorriso amichevole era d'aiuto.
<< Ti dicevo che una nostra piccola squadra è riuscita a penetrare la cupola sfruttando le abilità magiche degli stregoni mista alla idrocinesi di Aquaman. La barriera permetteva il passaggio dell’acqua piovana, quindi alcuni di noi sono passati facendosi ricoprire da uno spesso strato di acqua. Poi, non appena la cupola è crollata, siamo corsi subito ad aiutarti e grazie al prezioso aiuto di Zatanna e di Doc Fate Corvina è tornata al suo aspetto normale, ma questo tu già lo sai. Adesso stanno sondando la sua mente alla ricerca della tua vecchia amica. >>
<< Nella camera di Corvina c’era uno specchio che permetteva a chi vi si specchiava di entrare nella sua testa. Magari si può provare con quello. >>
<< Se intendi la sua vecchia camera nella Titans Tower, devi sapere che sarà dura trovare ancora qualcosa di integro. Quando siamo arrivati il posto era mezzo distrutto dalle fiamme. Siamo riusciti a domare l’incendio, e poi ai piani più bassi abbiamo trovato una ragazzina che dice di aver aiutato il tuo amico trasportando con se una delle vostre ricetrasmittenti, di averla collegata alla consolle principale e di aver fatto partire qualcosa che ha distrutto il generatore dello scudo.
E a quanto ne so potrebbe aver ragione. >>
“Un piano di Robin, di sicuro. È sempre stato un passo avanti a noi.” si ripeté Stella.
<< Gli altri tuoi amici li abbiamo trovati vicino al cratere creato dall’impatto con il suolo dell’armatura Hellbat. Il ragazzino verde era esausto ed aveva ferite in tutto il corpo, mentre il robot… >>
<< Cyborg non è un robot! >> la interruppe Stella con vigore: << È un umano, ed il suo vero nome è Victor Stone. Ha avuto un incidente e suo padre gli ha sostituito le parti del corpo irrecuperabili con dei componenti robotici. Non definirlo un robot, o lo ferirai. >>
Wonder Woman parve dispiaciuta dal suo intervento, e questo fece stare male Stella.
<< Ehm, scusa. Non volevo sbottare così. >>
<< Non fa niente. >> replicò l’amazzone senza dare peso alla faccenda: << Dopo quello che hai passato è normale che ti senta così. Ma adesso per favore lasciami finire.
Dicevo, i ragazzi sono stati portati in infermeria, dove due squadre di medici e di scienziati si stanno dando da fare per rimetterli in piedi. Poco fa mi hanno comunicato che il… Cyborg… sembra essere svenuto per via di uno shock mentale. Dicono che forse la sua componente robotica ha interferito con quella umana, dando origine ad un conflitto che ha fuso alcuni circuiti del cervello. Mi spiace, non so altro. >>
<< Va bene lo stesso, grazie. >>
All'improvviso la porta del corridoio che separava le sezioni dell'infermeria si aprì di lato, lasciando entrare Batman. Il vigilante aveva un braccio ingessato che gli penzolava al collo come una collana troppo grossa e pesante per lui, ed avanzava con barcollando e a passo incerto, ma se stava provando dolore fisico non ne diede sentore.
<< Quali sono le sue condizioni? >> chiese in maniera piuttosto rude, ma la donna non sembrò prendersela. Anzi, sembrava esserci abituata.
<< È stabile, ma non potrà muoversi per un bel po’ di tempo. >>
Tutta l'attenzione del cavaliere oscuro sembrò concentrarsi su Robin, dall'altra parte del vetro.
L'amazzone gli si avvicinò e gli appoggiò una mano, vigorosa come quella di un guerriero ma anche leggera come quella di una ballerina, sulle spalle, come per ricordargli che per ogni cosa lei era lì, ed uscì dalla stanza da dove era entrato lui, lasciando soli i due supereroi a condividere il proprio rammarico.
Calò un silenzio tombale, rotto solo dal ticchettio delle macchine e dai loro respiri; Stella non sapeva cosa dirgli: era Batman, il tutore e maestro di Robin, ed aveva un gran timore che se la prendesse con lei per averlo quasi ucciso, ma allo stesso tempo sapeva che ritardare quella conversazione non avrebbe portato che altri problemi. Ma lui era così intimidatorio: un uomo che aveva trasceso l'umano, un'ombra del cuore dei criminali, ma che metteva ansia anche alla maggior parte dei giovani supereroi che avevano appreso la sua leggenda.
Tutto ciò che Stella sapeva su di lui glielo aveva detto Robin. Quando lui saltava fuori come argomento Robin lo descriveva come "Un tipo freddo e distante, ma sempre concentrato su quello che fa. L'ho visto compiere imprese impossibili per un comune umano; a volte penso che non sia umano. Mi ha salvato la vita decine di volte."
Non le aveva mai spiegato il perché se ne era andato.
Il silenzio adesso era soffocante; il suo viso granitico le incuteva un ansia ed un timore sconosciuti.
<< Mi dispiace >> esordì Stella, << È tutta colpa mia. >>
Il cavaliere oscuro si voltò e sembrò guardarla come se la vedesse per la prima volta: << Molti di voi dicono che non è vero, ma è colpa mia. Perché sono stata debole, mi sono fatta catturare e da lì... >>
Le emozioni la travolsero come una marea, e le sfociarono fuori dagli occhi in forma di lacrime.
Si aspettò che lui replicasse in qualche modo, ma invece rimase zitto, e continuò a fissarla mentre piangeva da sotto la maschera.
<< Sì, la colpa è stata tua... >> le rispose dopo una decina di minuti.
Quelle parole non la abbatterono più di quanto già lo era.
<< Solo una piccola parte però. Il resto, è tutta sua. >>
La principessa risollevò sorpresa lo sguardo.
Il crociato incappucciato era ancora intento a guardare fisso davanti a se: << Il vero colpevole in questo momento sta per essere trasportato in un nuovo carcere orbitale di massima sicurezza per metaumani finanziato dalle Nazioni Unite. Non uscirà mai più. >>
La freddezza nella sua voce le dava i brividi, ma si sentì sollevata.
<< Ma adesso hai altro di cui preoccuparti. >> disse grave.
<< Che vuoi dire? >> chiese lei ansiosa. In quell’istante notò che Batman stava tenendo in una mano un tablet, aperto su una pagina con stampato il simbolo del Dipartimento degli Stati Uniti per gli affari Metaumani. Quello che c’era scritto non era affatto bello.
<< Niente di immediato per ora, ma presto potrebbe essere un problema. Quella che hai in mano è uno dei tanti ordini governativi inviati dalla casa bianca, che intende ordinare l’arresto immediato di te, e di tutte le persone coinvolte nel tentativo di colpo di stato Slado non gli è bastato. Hanno intenzione di imprigionarvi tutti. >>
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Da dietro il vetro della parete Beast Boy non aveva più smesso di fissarla, sin da quando l’avevano delicatamente appoggiata sul morbido materasso del lettino da ospedale. Non si era lasciato medicare da nessuno, anzi, non appena lo avevano portato sulla Torre non aveva permesso a nessuno di toccarlo, anche quando insistevano, ed un paio di volte aveva anche agito violentemente.Li aveva spaventati a tal punto che adesso, quando qualcuno doveva passargli accanto, quasi si schiacciava contro la parete opposta pur di evitarlo.
Ma le ferite non gli facevano male. Non più di quelle che si sentiva crescere dentro.
Non si distrasse nemmeno quando da una porta laterale entrò Stella, seguita ad un passo di distanza da Batman.
<< Amico BB! >> disse Stella, esaltata dalla presenza dell’amico.
<< Meno male che stai bene! Ho avuto così tanta paura per te. >>
Ma quando cercò di avvicinarsi, lui le gettò uno sguardo pieno di rabbia, e disse: << Non ti avvicinare! >>, per poi interrompere una trasformazione a metà.
Anche se lui non la completò, la ragazza riconobbe subito quella forma, anche se interrotta a metà. Era la stessa che aveva sviluppato quando Corvina era in pericolo per colpa di Adonis, una forma bestiale e molto pericolosa, di cui lui stesso non aveva il completo controllo. Artigli affilati, zanne aguzze, ma soprattutto occhi vuoti e senza pupilla. Dalla bocca aperta usciva un filo di bava, e dalle ferite, sporche di sangue secco, sparse su tutto il corpo ripresero a sgorgare minuscoli torrenti rossastri. 
Quando BB parlò, la sua voce fece lo stesso suono di denti chemordevano dei sassi: << Tu l’hai quasi uccisa! È lì dentro, in quello stato, perché tu non hai voluto risparmiarti, perché ti divertivi a lottare con lei. Ti ho visto. >>
<< BB, lei era impazzita. Cos’altro potevo fare? >> chiese Stella, brutalmente colpita dal voltafaccia dell’amico.
<< Tutto, ma non questo! >> alzò un dito ricoperto di peli e dalle unghie innaturalmente lunghe verso il letto dov’era distesa la strega, bendata e collegata a delle macchine.
Proprio come Robin.
<< Adesso basta ragazzo. >>
In un battito di ciglia il cavaliere oscuro si inserì in mezzo ai due, prendendo in mano la situazione temendo che il mutaforma potesse saltare addosso alla ragazza in qualsiasi momento: << Non sei il solo che ha perso qualcosa qui. Tu e questa ragazza siete sulla stessa barca, e se ti fossi degnato di pensare per un momento anche agli altri te ne saresti accorto. Robin è nella stanza accanto, ed è ridotto peggio di lei. >>
La voce profonda e perentoria di Batman lo riscosse un pochino, infatti tornò lentamente umano. Le zanne si ritrassero, le unghie si accorciarono, il pelo rientrò nei follicoli, mentre le pupille ripresero la loro forma corretta. Ben presto BB tornò il solito ragazzino basso dalla carnagione color erba. Anche lo sguardo che dava a Stella sembrava leggermente diverso.
<< Robin… Robin! >> gridò, come folgorato dal pensiero: << Come sta? È salvo? E Cyborg, invece? Dov’è? >>
Come lo vide preoccuparsi dei suoi due amici, il cavaliere oscuro sembrò abbassare dolcemente la guardia, pur mantenendosi cauto: << Sta bene, se vuoi vedere Robin è qui accanto. Dato che per Cyborg le normali infermerie sono quasi inutili, l’abbiamo trasferito nei laboratori al piano inferiore. Chiedi e ti diranno dove. Ma fai in fretta, e poi raggiungici nel salone centrale. Abbiamo molto di cui parlare. >>
Il ragazzo sparì dietro lo stipite della porta, ma non prima di gettare un’ultima occhiata a Stella. La ragazza vi lesse dentro un grande dolore, ma anche dispiacere, prima che si voltasse definitivamente.
All’improvviso il segnalatore di Batman squillò: << Ti ascolto… >>
La chiamata durò almeno un minuto, durante il quale non venne emesso alcun rumore.
<< Arriviamo subito. >> disse chiudendo il comunicatore.
<< Brutte notizie? >> chiese preoccupata Stella.
<< Nel salone centrale abbiamo ricevuto una videochiamata dal Presidente. Sta parlando a proposito di voi. Dobbiamo andare. >>
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Stella fu scortata da Batman nell’enorme salone centrale della Torre di Guardia; preferirono lasciare BB dov’era. Durante la corsa frettolosa si unì a loro anche Wonder Woman, che era rimasta fuori nel corridoio.
Il posto brulicava di eroi che correvano, volavano, tenevano lo sguardo incollato sui monitor di sorveglianza o chiacchieravano, ed in genere esponevano agli altri i loro pensieri e commenti riguardo agli ultimi avvenimenti. Al loro ingesso molti si azzittirono.
Al centro della sala c’era Superman, il più grande eroe del mondo, che discuteva con il presidente degli Stati Uniti.
<< Signor presidente, comprendo benissimo quello che sente, masono solo dei ragazzi. Il colpevole è già stato catturato. Era lui che controllava le loro azioni. >>
<< Questo non è affatto pertinente, Superman! Non mi importa di quanti anni abbiano, o che fossero sotto il controllo di qualcuno. Ci sono milioni di americani la fuori che vogliono giustizia per i loro cari, per le tantissime vite che i vostri ragazzi hanno stroncato. E le vogliono adesso. >>
<< Signor presidente, lei non può agire così. >>
<< Ho già detto tutto. >> lo interruppe bruscamente: << Non lascerò più vagare in giro senza controllo degli adolescenti alieni uccisori di massa. Li voglio quaggiù, in dietro le sbarre, e prima di subito. Sono stato chiaro? >>
Lo sconforto era perfettamente leggibile sul volto del Kryptoniano. Perdere a parole non era facile da sopportare per un uomo in grado di spostare montagne con una mano.
Stella era quasi terrorizzata. Non credeva che si sarebbero spinti a tanto. Ma il problema non era solo quello: sapeva anche che, non appena la notizia della sua incarcerazione avesse raggiunto il suo pianeta natale, sarebbe anche potuta scoppiare una guerra. In confronto alla tragedia della cupola una guerra con Tamarhan sarebbe stata disastrosa. Doveva agire lei stessa.
Prese fiato per parlare, attingendo a tutte le sue capacità diplomatiche, ma non fu in grado di dire niente. Perché a difenderla prese posizione Wonder Woman.
<< No, signor Presidente. Se agisce in questo modo, non solo condannerà degli innocenti, ma farà anche il gioco di Slado. Questi ragazzi sono supereroi, ed anche da così giovani hanno salvato il mondo più volte di quante si possa contare. E se intende ancora incolparli di un crimine non loro, dovrà passare sul cadavere mio, e di tutta la Lega. >>
Nel salone scese il silenzio. Tutti avevano ascoltato ispirati le parole di Wonder Woman e dentro erano tutti con lei, anche quelli che dapprima avevano guardato Stella con sospetto.
La ragazza guardò con ammirazione ancora maggiore di prima alla principessa di un’isola lontana. Era come essere in presenza di una dea che si batteva, che si esponeva al tuo posto contro il mondo, solo per te.
<< Mhhr… E va bene. Vedrò cosa si potrà fare. Ma non pensate di cavarvela impudentemente. >> concluse il Presidente, chiudendo la chiamata.
Ci fu un secondo di silenzio. Poi la sala esplose in un applauso fragoroso.
<< Whew. Non pensavo avrebbe funzionato davvero. >>
Stella si gettò ad abbracciarla con le lacrime agli occhi.
<< Grazie! Grazie! >>
L’amazzone sorrise: << Adesso vai dal tuo amico. Scommetto che la prima persona che vorrà vedere al suo risveglio sarai tu. >>
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Finalmente era da solo.
Era stato così felice di rivedere Stella finalmente in se. L’avrebbe certamente abbracciata se avesse potuto alzarsi dal letto, ma l’aveva abbracciato lei, quindi valeva lo stesso. Il suo dolce profumo era inebriante come la prima volta che l’aveva annusato.
Venne a trovarlo anche Bruce, e Robin notò che faceva davvero fatica a trattenere le emozioni, ed anzi era contento anche lui.
Alla fine i medici li fecero uscire, poiché doveva riposare. In effetti non si era mai sentito così esausto, e piombò subito nel mondo dei sogni.
Ma quello che non si aspettava, era che qualcuno gli facesse visita.
Nel suo sogno, gli apparve un uomo. Era alto, e vestito di nero.
<< Robin, sono venuto a portarti un regalo. >> disse, con voce limpida che sembrava la sabbia del deserto che passava attraverso una clessidra.
L’uomo tese una mano, e Robin, inconsciamente, la tese a sua volta. Quando la ritirò, vi trovò in mano un pacchetto. Il regalo di Slado.
<< Ora me ne devo andare. Salutami i tuoi amici. E dì a Corvina che è stato bellissimo conoscerla. Addio. >>
E svanì, in una nuvola di fumo.
Quando si svegliò, scoprì che aveva in mano il pacchetto.
Lentamente, tirò via la carta grigiastra.
Dentro c’era un piccolo pezzo di ferro, su cui era stato dipinto uno strano simbolo. Una specie di clessidra stilizzata, intrecciata con delle righe.
Gli ricordava qualcosa, ma non capiva bene cosa.
Alla fine decise che non gli importava, ma lo rimise con cura nella scatoletta, deciso a dimenticare tutto. Si tirò su le coperte, e si addormentò. Stavolta nessuna specie di David Bowie Goth lo disturbò.

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