La vita segreta di un Rivoluzionario

di Enjoltaire_forever
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Enjolras ***
Capitolo 2: *** II. Combeferre ***
Capitolo 3: *** III. Courfeyrac ***
Capitolo 4: *** IV. Bahorel ***
Capitolo 5: *** V. Jehan ***



Capitolo 1
*** I. Enjolras ***


LA VITA SEGRETA DI UN RIVOLUZIONARIO

Parte I: Enjolras.

Un leggero mormorio generale e un sorriso incoraggiante da parte di Jehan misero fine anche a quella faticosa giornata.
La vita da Leader degli Amis non era affatto semplice. Meno che mai da quando erano diventati un partito vero e proprio, e agli incontri non c'erano solo loro nove, ma anche altre persone.
Senza dubbio così il lavoro era molto più gratificante, ma estremamente più faticoso e snervante. Il loro nucleo "familiare" c'era ancora, certo, ma dovevano anche comportarsi in un determinato modo per fare una buona figura, e non era sempre facile.
Soprattutto con Grantaire che beveva come se non ci fosse stato un domani.

Raccolse da terra la sua borsa, ci infilò i libri che aveva estratto durante l'assemblea e iniziò a riordinare le sedie e i tavoli.
Circa mezz'ora dopo era in strada diretto verso casa sua, a piedi perché non aveva mai avuto il tempo... O la passione necessaria per prendere la patente.
No, non era stata per niente una giornata rilassante. Aveva dovuto alzarsi alle quattro per ripassare in vista di quel maledetto esame che avrebbe dovuto svolgere la settimana successiva, poi era corso all'Università, e quando finalmente ne era uscito non aveva nemmeno avuto il tempo di mangiare e si era subito affrettato a recarsi alla sede di quel famoso giornale... Di cui fra l'altro non ricordava nemmeno il nome, dove da un po' di tempo scriveva articoli di politica per guadagnarsi da vivere.
E poi diretto al Musain per quella riunione. E se non fosse stato per la fedele bottiglietta d'acqua che il coinquilino gli aveva saggiamente infilato nella borsa probabilmente non si sarebbe nemmeno ricordato di dover bere e sarebbe morto di sete... A soli ventitré anni... In effetti non sarebbe stata una bella cosa. Doveva ricordarsi di ringraziarlo.

Salì pesantemente le strade che conducevano al suo appartamento, grazie al cielo solo al secondo piano, e spalancò la porta senza bussare.

-Bentornato Apollo, iniziavo a pensare che ti fossi messo a litigare con un poliziotto sui diritti dei cittadini come l'altra volta.

-Non è stata colpa mia!- scattò subito sulla difensiva, mentre Grantaire si avvicinava per sfilargli la borsa e la giacca, funzioni vitali che dopo più di quindici ore di lavoro ininterrotto non era più in grado di svolgere autonomamente.

-Grazie...- mormorò appena, mentre l'altro si affrettava a tornare ai fornelli, dove stava preparando la cena, ormai praticamente l'unico pasto della sua giornata.

-Solo per la giacca? Non devi disturbarti per così poco- sghignazzò il moro.

-No, non solo- si lasciò cadere pesantemente su di una sedia -per tutto. Per la bottiglietta d'acqua, senza penso che oggi sarei letteralmente morto di sete, per la cena, sai che in cucina sono un disastro e vivere di take away non penso che sarebbe il caso. E anche grazie perché mi sopporti, so di essere intrattabile la sera.

-E grazie per tutti i trasporti notturni non me lo dici?- rise nuovamente l'altro, anche se iniziava ad essere irrequieto pure lui.

-Stanotte ti ho letteralmente sollevato dalla scrivania dove ti eri addormentato mentre studiavi e appoggiato sul letto- spiegò.

-Grazie- si affrettò a ripetere il biondo, mentre si alzava per preparare la tavola, ma Grantaire fu più rapido e lo spinse nuovamente a sedere.

-No, stasera faccio io.

-Fai sempre tu...

-Appunto, io... Devo parlarti. Sul serio- spense il gas e si inginocchiò sul pavimento per essere più o meno alla sua stessa altezza.

-Lavori troppo, Enjolras. Così non va bene. E non mangi. Lo vedi come ti sei ridotto? Tra un po' non sarai più nemmeno in grado di parlare! E tu devi parlare, sei un universitario, un leader politico... Capisco come tutto questo possa essere snervante e faticoso. Ma non ti permetterò di ridurti al patimento, hai capito?

-Ne abbiamo già parlato. Ce la posso far...- tentò di alzarsi ma ricadde pesantemente al suolo, esattamente sopra il suo coinquilino, che però fu abbastanza rapido da prenderlo al volo.

-Enjolras no. Domani hai riunioni con gli Amis?

-Ne fai parte anche tu, dovresti saperlo...

-Comunque no- aggiunse, in risposta ad un'occhiataccia da parte del moro.

-E allora salti anche le lezioni all'Università e te ne stai a casa a riposare.

-Ma devo andare al giornale.

-Dai malattia! Non voglio sentire scuse, così non puoi andare avanti!

-Grant...- provò a ribattere, prima che le sue labbra venissero fermate da quelle dell'altro.

-Le labbra dei rivoluzionari non sono fatte per baciare- si lamentò Enjolras, senza però abbandonare la presa sul corpo di Grantaire.

-Lo so... Ma forse è meglio se ne parliamo un'altra volta- gli sussurrò in risposta; la voce resa roca dalle loro lingue che si cercavano.

Afferrò Enjolras per il braccio e lo spinse contro la gamba del tavolo per poter approfondire il contatto, e un po' alla volta anche il Capo si mise a rispondere ai suoi movimenti.

Si stavano baciando contro il piccolo tavolo della cucina, inginocchiati sul pavimento, con il sole ormai tramontato e la luce spenta da un braccio che era accidentalmente finito contro l'interruttore. E nonostante ormai le fiamme dell'amore e della passione li avessero avvolti completamente, e tutta la loro logica fosse andata a fare la penichella, l'unica parola con cui si sarebbe potuto riassumere quel gioco di labbra, occhi e mani che si cercavano sarebbe delicatezza.

Sì, è incredibile quanto un rivoluzionario sappia essere dolce e delicato al momento di amare. Ma forse anche il ragionamento è scientifico.
Un uomo abituato a maneggiare cose leggere, frivole, semplici, come possono essere un computer o una macchina, non nota la differenza fra queste ed un essere umano, e le tratta... Sempre con dolcezza, non dico che un impiegato non sia capace di amare... Ma con... Semplicità, diciamo.
Ma un uomo, che è abituato a vivere, a lavorare con "cose" immense, come possono esserlo un fucile (la guerra, la possibilità di dare la morte, di togliere la vita, non è qualcosa di troppo grande e pesante per un uomo?) o un ideale, qualcosa di mille volte più grande di lui, quando si ritrova con tra le braccia un altro essere umile e "piccolo" come lui, sente di avere in mano un vaso di cristallo, qualcosa così fragile che potrebbe rompersi al minimo movimento errato.

E da qui nascono le piccolezze che rendono così speciale il rapporto fra due rivoluzionari... Che amano qualcos'altro oltre alla Patria. Il tocco delle dita, il tatto, c'è la passione, certo, ma anche la delicatezza, le mani corrono leggere, morbide, le labbra uguali. Gli occhi, abituati alle fiamme feroci dell'ideale, si imporporano di quelle dolci dell'amore, le camicie che hanno conosciuto il contatto con i fucili e il sangue vengono per un istante abbandonate al pavimento, ormai senza più proprietario, e la pelle torna a conoscere altra pelle.

Così quando il giorno successivo l'alba tinse d'oro Parigi, la luce pallida e rosea che si infilò nell'appartamento di Enjolras e Grantaire poté assistere allo spettacolo dei due ragazzi nudi, abbracciati sul pavimento, con finalmente un'ombra di sorriso a colorire l'incarnato pallido di un viso solcato dalla fatica del lavoro, ma anche dalla speranza dell'amore.




  Angolo autrice (scritto in rosso perchè Enjolras mi ispira il rosso);
Dunque, ho iniziato a scrivere questa fanfiction un pochino a caso, lo ammetto, poi mi sono sinceramente appassionata e ho scelto di scrivere una one short per ogni amis, poi su quanto sia bello il risultato finale ho i miei dubbi, ma vabbè...
Comunque, questa era partita dall'idea di mostrare i due lati del carattere del nostro amato Leader (quello da rivoluzionario appassionato e da Enjolras umano e innamorato), poi sono finita sull'Angst e su un Grantaireche si improvvisa salvatore della salute del biondo e gli insegna a prendere del tempo anche per sè stesso.
Premetto che io adoro questa coppia e che mi è piaciuto molto provare io stessa a scrivere qualche scenetta romantica. 
Faccio notare che comunque alla fine non hanno cenato, ma almeno Grantaire ha spento i fornelli, così non andrà a fuoco la casa... :-)
Beh, ho già detto troppo. Per quanto riguarda le informazioni di servizio conto di aggiornare all'incirca due volte al mese, salvo imprevisti.
Grazie in anticipo a chi vorrà farmi sapere cosa ne pensa.
Ora mi eclisso, e torno a sognare di incontrare un francese rivoluzionario.
Lara.

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Capitolo 2
*** II. Combeferre ***


LA VITA SEGRETA DI UN RIVOLUZIONARIO

Parte II: Combeferre.

Lui capiva che fosse difficile mantenere la serietà e la concentrazione durante il lavoro con "l'amore della propria vita" (parole di Grantaire) a fianco, ma certamente i suoi amici avrebbero potuto cercare minimamente di controllarsi.
Anche perché non erano più soli, e alcune occhiate dubbiose dei nuovi membri del partito gli garantivano che non era il solo a notare con apprensione come le scuse 'devo andare alla toilette', 'esco a respirare un po' d'aria fresca', 'vado a prendere una bottiglietta d'acqua alla macchinetta' fossero sempre pronunciate da due persone alla volta.
Così aveva cercato di arginare il più possibile la cosa, visto che non gli andava che prendesse a girare voce che i Les Amis usassero le riunioni del partito per amoreggiare nei gabinetti.
E con il passare dei giorni era proprio diventato un vero e proprio addetto alla sorveglianza... Sui suoi coetanei. E decisamente non era normale che dovesse controllare l'uscita dal bagno e l'entrata nel locale con frasi molto ambigue. 'Ehm... Hai la cintura slacciata... E anche i primi due bottoni della camicia...' ormai era diventato il suo ritornello, tanto che avrebbe persino potuto chiedere all'artista del gruppo di musicargli le parole, così che almeno potesse canticchiarci sopra. No, okay, era una pessima idea.

Anche Enjolras ultimamente era più svampito del solito, e questo lo preoccupava molto. Capiva le follie di Courfeyrac, Bossuet, Bahorel e giù di lì, ma almeno prima non era solo nella sua lotta. Ma da qualche settimana anche il Leader sembrava essersi unito alla rotta generale, e così era ancora più difficile. Soprattutto perché era importante che il Capo mantenesse credibilità. Certo, quando stava sul palco, il tricolore intorno alle spalle, gli occhi infuocati, la mano che vagava libera per sottolineare alcuni concetti, i movimenti appassionati, la voce forte e ispirata, la tensione di tutti i muscoli a tempo con quello che diceva, sembrava veramente un uomo che nella vita ama solamente la patria. Ma poi quando scendeva, tra gli applausi generali, e si avviava verso l'esterno del locale per la pausa che gli era giustamente concessa, cominciavano i problemi, soprattutto per il fatto che Grantaire si affrettava a raggiungerlo con nonchalance.
E così era costretto a fare da cane da guardia anche a lui.

Frenò il flusso dei suoi pensieri, e si concentrò sull'orologio. Tra due minuti la pausa sarebbe finita e avrebbero dovuto tornare tutti nella stanza principale, ma Enjolras non si era ancora fatto vivo. Era andato in bagno, quindi dall'altra parte del muro al quale lui era appoggiato. Bastava chiamarlo.

-Tra due minuti si ricomincia!!- urlò con tutto il fiato che aveva in gola, e per sua fortuna pochi secondi dopo la porta alla sua sinistra si aprì, riversando il moro e il biondino nel corridoio.

-Enjolras, hai la cerniera dei pantaloni abbassata, e vedi di essere serio!- gli sussurrò, non resistendo dall'assesstare un calcio negli stinchi al suo migliore amico.

L'altro sollevò la zip con un movimento fulmineo, arrossendo, sotto gli occhi estremamente divertiti del suo coinquilino. Controllò ancora una volta l'orologio e poi si decise a trascinare nuovamente i due amanti in bagno, spingendoli contro il muro.

Evidentemente l'improvvisa violenza di Combeferre li aveva stupiti, dati i loro sguardi attoniti.

-Non sei veramente tu! Impostore, dimmi cosa ne hai fatto del vero Combeferre!- sghignazzò Grantaire.

-Zitto. Ho pochissimo tempo, non posso perdere nemmeno un secondo. Dunque, io non voglio sapere quello che fate a casa vostra quando siete da soli, anche se purtroppo ne ho una vaga ambizione- se possibile il Leader arrossì ancora di più -ma qui, QUI, pretendo che facciate le persone serie e civili, mi sono spiegato?? Tutti i sottintesi li lascio intendere a voi, e adesso vi prego di affrettatevi che siamo già in ritardo- sibilò, ad un centimetro dai loro volti, tesi in un misto di imbarazzo e timore.

Quando ritornarono tutti nella stanza centrale il commento di Courfeyrac non sfuggì a nessuno: -Si direbbe che 'Ferre li abbia presi a botte...

Il diretto interessato si limitò a incenerirlo con lo sguardo (non ricordava di essere così bravo) e ad andare a sedersi al suo posto.

***

 

-Tesoro, come è andata oggi?

 

-Male- la secca risposta del fidanzato la sbigottì non poco.

 

Si voltò verso il giovane uomo che si era letteralmente lanciato sul divano, afferrando un libro dal tavolino.

 

-Possiamo parlarne?

 

-Forse se leggo mi passerà prima- sbottò lui, senza alzare lo sguardo dalla pagina.

 

Eponine rimase un attimo interdetta sulla porta del soggiorno. Se c'era una persona sempre sorridente e di buon umore al mondo quella era proprio Combeferre. Ma soprattutto lui era irrimediabilmente calmo, e il fatto che si agitasse così la preoccupava non poco.

 

-Cosa sarà mai successo di così terribile- gli sussurrò più dolcemente, sedendosi a cavalcioni sopra di lui.

 

-'Ponine- mormorò affranto, finalmente appoggiando il libro e guardandola negli occhi -ma cosa ho fatto di male per meritare degli amici così perversi?

 

La ragazza ridacchiò, prima di iniziare ad accarezzargli i capelli, conscia di come quel gesto lo rilassasse: -Così giovani?

 

-Beh, giovani... In effetti hanno tutti tra i venti e i trent'anni, non posso biasimarli... Sei tu che sei piccola- sorrise appena, senza però sottrarsi dalla sua mano.

 

Eponine notò come si stesse gradualmente rilassando sotto il suo tocco e questo la rese più tranquilla: -Lo so... Ma vedrai che quando crescerò anche io non ti sembreranno più così distanti da te.

 

-No, non è questo. Tu lo capisci vero cosa significhi passare un quarto d'ora in due al gabinetto?- sbuffò esasperato.

 

-Certo che lo so! Ma scusa, pensi di star parlando con Cosette? Va bene che ho appena quattordici anni, ma mica per questo devo essere così ingenua!

 

-Lo so che tu sei intelligente- si limitò a risponderle il ragazzo baciandola delicatamente -ma su, dai, non parliamone più, che poi passo come pedofilo!

 

La ragazza rise, intrecciando le dita alle sue: -Solo perché hai dieci anni più di me?

 

-Dici solo!- sospirò -'Ponine, sai come tutto quello che vedo o sento dai miei amici mi faccia sentire male. Perché so che loro, per quanto non sia il caso fare determinate "cose" durante l'orario lavorativo, legalmente possono benissimo farle. Ma io... Io... Tu lo capisci vero che tra trent'anni, quando io avrò cinquantaquattro e tu quarantaquattro anni, questo non farà differenza, a parte che io sarò un po' più vecchio... Ma adesso! Adesso tu sei ancora una bambina, mentre io sono già uomo! Ci separa un abisso. Io lavoro, tu vai ancora a scuola. Anzi, hai appena iniziato le superiori, sei ancora così... Piccola- pronunciò l'ultima parola con una dolcezza quasi vertiginosa, ma mista ad uno stato di assoluta tristezza.

 

-Lo so- sussurrò lei, ormai con le lacrime agli occhi -ma questo non mi impedisce di amarti.

 

E dopo questa ultima risposta lo abbracciò teneramente, facendolo cadere sul divano e finendo esattamente sopra di lui.

 

-In compenso in questo modo ti è molto più facile reggermi- scherzò, facendo finire il tutto con una risata.

 

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Capitolo 3
*** III. Courfeyrac ***


LA VITA SEGRETA DI UN RIVOLUZIONARIO

Parte III: Courfeyrac

-Courf?- una voce soave e cristallina lo risvegliò dai suoi pensieri.

-Sì?

-Va tutto bene?

Stava per rispondere che 'sì, certo, andava tutto bene, perché mai preoccuparsi?', ma lo sguardo allo stesso tempo dolce e teso del poeta che era apparso davanti a lui lo fece desistere.

-No, Jehan, non va tutto bene- sospirò, spostandosi leggermente a destra per fargli spazio sul letto.

-Cosa c'è?- insistette l'altro, con quella sua infantile innocenza che lo portava a porre qualsiasi domanda con naturalezza, unita a un paio di immensi occhi azzurro cielo che avrebbero fatto intenerire anche Hitler. Ma vide bene di evitare di diventare geloso del Dittatore, che già una volta aveva terrorizzato il coinquilino con un urlaccio in seguito alla sua genuina affermazione 'io amo Dante'.

Prese tempo cingendo il corpo del ragazzo e facendo aderire la sua schiena contro il proprio petto. Poi prese fiato, una, due, tre volte. No, non funzionava. Tanto valeva andare dritti al sodo.

-Mi hanno bocciato, Jehan.

Percepì la schiena del poeta irrigidirsi all'istante, mentre gli accarezzava nervosamente i lunghi capelli biondi.
L'altro dal canto suo era rimasto spiazzato. Effettivamente avrebbe dovuto farsi venire il dubbio che non fosse andato tutto bene alla laurea di Courfeyrac dato che alla festa che avevano organizzato in suo onore non si era nemmeno fatto vedere e al telefono aveva semplicemente detto che si sentiva davvero poco bene e alla temibile domanda 'come è andata' aveva riso e risposto con un 'come va sempre a me!'. Ma dato che normalmente con un misero sei se la cavava, avevano dato tutti per scontato che fosse andata più o meno così o che semplicemente fosse in vena di scherzare. Solo ora si rendeva conto del nervosismo nascosto in quella risata.
Poi improvvisamente cominciò a tremare.

-Jehan... Cosa succede?

Ma la domanda di Courfeyrac non ricevette risposta. Il giovane si alzò in piedi e corse via piangendo.
Il Centro da parte sua non riusciva a capire. Poteva immaginare che il cuore dolce e generoso del poeta fosse dispiaciuto per lui, ma era impossibile che fosse fuggito via per così poco, anche perché se proprio fosse stato tanto scioccato sarebbe quantomeno rimasto con lui a consolarlo.
Ma in quel momento aveva ben altro a cui pensare.

Da quando era andato all'Università tutto era stato un disastro. A partire dalla morte prematura dei suoi genitori in un incidente stradale. Si era così ritrovato improvvisamente solo, dato che anche sua sorella si era trasferita in America. Di certo il suo ultimo pensiero in quegli anni era stato lo studio, anche se bene o male con i misericordiosi aiuti di Combeferre si era tirato avanti a sei. Poi però la laurea era stata un disastro totale. Non aveva mai perso tempo a mettere giù una tesi decente e si era giusto salvato all'ultimo con una o due notizie copiate da Wikipedia. Come se non bastasse davanti agli esaminatori gli era presa un'ansia improvvisa e aveva letteralmente fatto scena muta. La festa che avevano organizzato per lui i suoi amici era andata a monte, anche se con una scusa o con l'altra non aveva mai raccontato loro come fossero veramente andate le cose. Ora però era nei guai. Dati i suoi pessimi risultati la scuola si era rifiutata di ammetterlo nuovamente, e certamente lui non aveva abbastanza passione per tentare con qualche altra università simile. Aveva scelto Diritto solo perché era la facoltà che frequentava anche Enjolras e così poteva chiedergli sempre gli appunti. E di certo il biondo non era uno che perdeva tempo a spiegargli come fosse indispensabile che studiasse da solo e tutte quelle menate da Combeferre. Semplicemente mandava Grantaire in una cartoleria e il giorno dopo gli lasciava in mano le fotocopie, senza nemmeno rispondere al suo 'grazie'.
Anche dopo 'la caduta' aveva continuato a frequentare il Musain anche se le sue battute si erano fatte sempre più rare, fino a che anche lui non era stato avvolto da un pesante velo di tristezza e malinconia. Un po' alla volta tutti gli Amis avevano finito per accorgersi della sua "crisi", anche se nessuno era mai riuscito a fargli confessare nulla, fino a quel giorno.
Sì, in quel momento il pensiero fu più lampante che mai, adesso l'unica cosa che gli rimaneva era Jehan, e certamente non poteva perderlo.

Si alzò come un fulmine dal letto, infilò il primo cappotto che trovò e si fiondò in strada. Aveva cominciato a piovere e le grosse gocce d'acqua si mescolavano alle lacrime, prima di ricadere sul terreno e unirsi in un ruscelletto che scorreva in centro alla strada. Le pozzanghere erano ovunque, ma lui non aveva tempo per pensare ad evitarle.

Era ormai fuori da circa mezz'ora, quando decise di rifugiarsi un secondo sotto un ponte. Scese lungo la riva della Senna e si sedette su un masso, lasciando che il soprabito fradicio grondasse acqua sui suoi pantaloni ormai completamente bagnati. Si stava facendo buio, e era quasi sul punto di tornare a casa sperando in una miracolosa comparsa del poeta, quando un flebile pianto lo portò a voltarsi. Un giovane uomo circa sui vent'anni era rivolto verso i sassi dell'argine e piangeva contro il muro. Era talmente assorto da non essersi nemmeno accorto del suo arrivo.

-Jehan- mormorò, avvicinandosi a lui.

Il ragazzo indossava solamente la camicia che aveva al momento della sua 'fuga' e tremava di freddo. Courfeyrac si tolse il cappotto e glielo appoggiò sulle spalle.

Il poeta si voltò di scatto. Avrebbe riconosciuto quella voce tra altre mille. Il modo in cui trascinava la "a", e la pronuncia forzata sull' "h" unite al tono dolce e preoccupato, ma allo stesso tempo vivo, energico, come era appunto Courfeyrac.

-Cosa ci fai qui?- gli chiese ancora, abbracciandolo.

L'altro lasciò fare, sopraffatto dai singhiozzi. Rimasero a lungo in quella posizione, abbracciati l'uno all'altro, a piangere in silenzio. Finalmente Jehan si decise a parlare.

-Scusa- sussurrò tra le lacrime.

-E per cosa?

-Quella sera...- il discorso era continuamente interrotto dai singhiozzi -quella sera prima del... Dell... Della laurea... Tu... Tu sei... Tu sei stat... Sei stato con me... Inv... Invece... Invece di studiare... Io ti avevo chiesto... Se fosse il caso... Tu hai detto... Detto... Det... Di... Non... Hai detto di non preoccuparmi... Perché... Perché... Perché sapevi già... Tutto...

Courfeyrac lo strinse più forte. Per quanto fosse abituato al leggendario cuore di Jehan, non riusciva comunque a credere che si stesse scusando per qualcosa che non era assolutamente colpa sua.

-Ma sono stato io a deciderlo! Mi prendo le mie responsabilità!- esclamò, accarezzandogli la treccia -e poi a dire la verità io non la avevo nemmeno una tesi di laurea!

E poi un po' alla volta si lasciò andare e gli raccontò tutto quello che per anni si era tenuto dentro, dalla morte dei suoi genitori alla scelta totalmente casuale della scuola, tutto.

-Jehan- concluse infine, prendendogli la testa per fare in modo che lo guardasse negli occhi -veramente, tu sei l'unica cosa bella che mi sia capitata in questi anni, non posso pensare di perderti. E se ho scelto di passare con te la sera prima della laurea è perché sapevo che comunque non la avrei passata, e così invece che piangere per qualcosa che ormai non potevo cambiare ho pensato di dedicarmi a te. È stata una mia scelta, una scelta che nonostante tutto non rimpiangerò mai.

E per rendere ancora più valide le sue parole avvicinò il viso del poeta al suo, e lo baciò con una foga che non ricordava nemmeno di avere dal giorno della laurea.

-Io ti amo, Jehan- mormorò, asciugandogli le lacrime con i pollici -e voglio che tu smetta di sottovalutarti e prenderti la colpa di tutto.

L'altro annuì, lentamente: -Anche io ti amo, Courf... E ti devo chiedere scusa per non essermi accorto di nulla durante questi anni. Ma ti prometto che d'ora in avanti ci sarò sempre, e ti aiuterò a ripartire da capo.

-Grazie- sussurrò il moro alzandosi in piedi e intrecciando le dita a quelle del biondo -sì, sono pronto a ricominciare.

-Con te- aggiunse poi, baciandogli dolcemente la mano e poi portandola all'altezza del cuore.

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Capitolo 4
*** IV. Bahorel ***


 
LA VITA SEGRETA DI UN RIVOLUZIONARIO

Parte IV: Bahorel.

Erano ormai parecchi anni che frequentava il Musain, ma mai come in quegli ultimi mesi si era sentito soffocare.
Aveva persino iniziato a partecipare solo ad un incontro su due, e anche quando ci andava aveva sempre bisogno di almeno una mezz'oretta di stacco per passeggiare lungo la Senna e prendere fiato.
E purtroppo sapeva perfettamente cosa... O meglio chi, fosse la causa di tanta asfissia.

Infatti da quando tutti gli Amis si erano fidanzati fra di loro; a pare Combeferre, dato che matematicamente essendo loro un numero dispari, uno avrebbe dovuto trovarsi un esterno; il tempo che si ritrovava a passare con Feuilly era aumentato vertiginosamente.
Non che la cosa gli dispiacesse, intendiamoci, ma quando si trovava a meno di un metro di distanza da lui il suo cervello andava completamente in tilt e non c'era modo di recuperarlo, e nessuno doveva SAPERE.

Come se non bastasse dato che tutti avevano preso ad abitare a coppie anche loro due alla fine si erano organizzati, più che altro perché entrambi non navigavano in ottime acque e il fatto di poter dividere l'affitto e la maggior parte delle spese era molto utile. Ma lui aveva sempre avuto l'impressione che il ragazzo lo facesse più per convenienza che per affetto nei suoi confronti. Ma del resto come poteva aspettarsi che una persona saggia, intelligente, perfetta e assennata come Feuilly potesse provare qualcosa per quella specie di criminale che era lui?

Ma il problema maggiore era l'innocenza del suo coinquilino, che non poteva certo immaginare l'effetto della sua vicinanza su Bahorel. Come per esempio la mattina, quando preso da quel soprassalto di gioia e affetto che gli provocava il sorgere del sole (dato che lui era sempre in piedi da prima dell'alba) arrivava addirittura ad abbracciarlo. E lui era sempre costretto a inventarsi una scusa per evitare il contatto fisico, dato che non c'era nulla più del tocco del giovane uomo che potesse peggiorare la situazione disperata dei suoi ormoni impazziti.

Anche perché due settimane prima, esattamente il primo giorno della loro convivenza, non si aspettava tanto slancio da parte della personalità generalmente seria e calma di Feuilly, e quindi non aveva preparato le difese immunitarie. Così quando quello gli era apparso da dietro urlando: -Buongiorno Bahorel!- E lo aveva circondato con le braccia, aveva preso prima a tremare e poi era dovuto scappare in camera sua per evitare che l'altro si accorgesse di come quel semplice gesto gli avesse totalmente tolto la parola e lo avesse portato a sudare come in un altoforno. O, peggio ancora, se fosse rimasto a lungo in quella posizione avrebbe potuto non rispondere più delle sue azioni. E di certo non poteva trattare Feuilly come una semplice prostituta!

Inoltre praticamente da quando "tutto quel casino" (come lo chiamava lui) era nato aveva deciso che il ragazzo non avrebbe mai dovuto scoprirlo, anche perché probabilmente si sarebbe spaventato, offeso o... No, non doveva pensarci. Non ricordava esattamente come fosse cominciato, sapeva soltanto che un giorno si era sorpreso a pensare a quanto fossero belli i suoi occhi, e già lì gli era balenato il dubbio di essersi innamorato. Ma poi si era detto che una persona orribile come lui non sarebbe mai stato capace di qualcosa di tanto bello e delicato, e così aveva dato per scontato che fosse un errore. E quella sera si era infilato in uno di quei bar poco raccomandabili che frequentava di solito e non ci aveva più pensato.

Almeno finché circa una settimana dopo era rimasto incantato a fissarlo mentre teneva un discorso al Musain, o ancora qualche giorno dopo mentre parlava tranquillamente con Jehan. Da lì in poi gli episodi si erano fatti sempre più frequenti, si sentiva quasi uno stalker, ma non poteva fare a meno di guardarlo continuamente. Ormai conosceva ogni minimo movimento delle sue mani, e l'esatta forma (era una sfera schiacciata ai poli) che formava con le dita quando si infervorava durante un discorso, e poi tutti i movimenti leggeri del viso, o addirittura quante volte sbattesse le palpebre al minuto, avrebbe persino potuto scriverci un libro, su Feuilly. Peccato che tutta la passione che tanto lo attraeva fosse solo per la Francia e mai per lui. Certo, anche lui aveva una passione immensa per la Rivoluzione Francese e giù di lì, bastava pronunciare la data '89 per indurlo ad un religioso silenzio e ad una fiamma negli occhi, ma aveva anche altro per la testa. Feuilly, appunto.
Poi un giorno, non ricordava nemmeno la causa, quello gli era passato accanto e gli aveva sorriso. La genuina felicità che ne era scaturita lo aveva portato ad una triste risoluzione: si era innamorato. E adesso era nei casini, concretamente parlando.

Era talmente assorto nei suoi pensieri che non si era accorto di star bruciando la cena.

-Bahorel! Rel! Mi senti? Bahorel! La carne è cotta, tirala via dal fuoco! Bahoreeeell!- stava continuando a urlare la causa di tanto turbamento -Bahorel! Ci sei! Reeeeeeeel!

Infine Feuilly si decise ad afferrare la padella lui stesso, spostandola sul marmo, ma nel fare quel movimento fulmineo sfiorò la mano dell'amico.
Questo mollò di scatto la presa e corse in camera.

-Bahorel! Che è successo! Ti ho fatto scottare! Oddio, scusa, Rel, non volevo, veramente, mi dispiace!

L'uomo però si era già chiuso nella sua stanza, e stava appoggiato alla porta, conscio del fatto che la mano dell'altro stesse bussando dall'altra parte della sua schiena, e per una volta poté essere felice della loro vicinanza, anche se contemporaneamente sicura in quanto lui non poteva vederlo. No, non si era scottato, ma quel minimo contatto era stato molto peggio.
Udì un leggero tonfo, segno che anche l'altro era nella sua stessa posizione. Si lasciò sfuggire un sorriso.

-Rel... Almeno dimmi che va tutto bene!- lo sentì mormorare attraverso il legno.

Ma perché? Perché continuava a chiamarlo con quel maledetto diminutivo? Non capiva che questo gli tagliava i collegamenti cervello-bocca? E non che il cervello in sé fosse messo tanto meglio.

-Bahorel... Perché non mi rispondi? Ti ho fatto qualcosa?

Sì! Certo che gli aveva fatto qualcosa! E ormai qualcosa di incurabile, dato che durava da parecchi anni.

-No- mentì, cercando invano di mantenere ferma la voce -Va tutto bene.

Feuilly, però, per quanto potesse essere ingenuo, non lo era abbastanza per non accorgersi dell'agitazione dell'amico.

-Rel, non prendermi in giro. Comunque se non ne vuoi parlare, va bene, in ogni caso io sono qui, lo sai che puoi dirmi tutto.

Sì, certo. Tutto, tranne l'unica cosa che avrebbe veramente avuto bisogno di dire. Anche se non poteva negare che il tono di voce preoccupato e allo stesso tempo dolce dell'altro gli avesse fatto un certo effetto.

Inspirò profondamente e aprì la porta, conscio del fatto che non avrebbe potuto starsene chiuso lì dentro per l'eternità. Peccato che non avesse valutato le leggi della fisica (si ripromise che le avrebbe studiate, d'ora in avanti!), e che quindi, essendo Feuilly appoggiato al legno, aprendolo quello rischiò di perdere l'equilibrio e cadere a terra.

Non si sarebbe mai ricordato come fossero andate esattamente le cose, probabilmente era stato l'istinto ad agire e non lui, fatto sta che pochi secondi dopo, quando gli era tornato il lume della ragione, era inginocchiato sul pavimento, con il ragazzo tra le braccia.

-G-grazie Bahorel- balbettò quello, cercando di riprendersi -per una volta mi sono visto le piastrelle sotto il cranio!- scherzò, senza mutare posizione.

Rimasero così ancora un po', finché Bahorel non si accorse che il coinquilino aveva chiuso gli occhi e adesso stava dormendo. Lo sollevò delicatamente da terra, prima di entrare in camera sua e appoggiarlo sul letto.

Andò a dormire senza mangiare, ma ancora con il suo profumo intorno e la paradisiaca sensazione della sua schiena contro il suo petto.

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Capitolo 5
*** V. Jehan ***


LA VITA SEGRETA DI UN RIVOLUZIONARIO

Parte V: Jehan.

Non aveva mai avuto un particolare legame con Feuilly. Certo, si erano sempre voluti bene e avevano piacere a stare insieme, ma l'amicizia che provava per lui non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella con Grantaire o con Bahorel. Forse perché erano entrambi due uomini generalmente molto tranquilli e silenziosi, e che quindi si trovavano meglio in compagnia di una personalità più vivace per contrasto.

Ma quel giorno, mentre il Musain era sommerso dal caos, sembravano felici di starsene uno accanto all'altro, seduti ad un tavolo in fondo alla sala, l'uno a scrivere poesie e l'altro semplicemente rilassato per un istante dal lavoro. Non ricordava come fosse cominciata esattamente: probabilmente Joly aveva avuto un attacco di nausea, che poi si era protrasso talmente a lungo che Enjolras aveva perso la pazienza e gli aveva intimato di smettere di inventarsi scuse per non fare riunione. Bossuet era subito intervenuto in difesa del coinquilino, e successivamente anche Grantaire si era inserito a spalleggiare Enjolras. Poi Bahorel e Courfeyrac si erano avvicinati nel tentativo di farli ragionare, mentre Combeferre cercava di mantenere l'ordine fra il resto dei membri del partito.

Ad un tratto percepì il tocco della mano di Feuilly sulla sua.

-Jehan?

-Mmmmh?

-Per favore mi accompagneresti cinque minuti fuori da qui? Già oggi in fabbrica è stata dura e ho un brutto mal di testa. Potresti leggermi qualche poesia. Sempre se non ti disturba.

-Ma certo!

Si erano alzati in silenzio, facendo appena cenno a Combeferre, e poi si erano rifugiati in strada, richiudendosi pesantemente la porta alle spalle.

-Oh! Finalmente un po' di tregua!- aveva esclamato l'artigiano, una volta raggiunta una viuzza secondaria più silenziosa. Da lì avevano preso a camminare in silenzio, fatta eccezione per alcuni brevi minuti in cui Jehan leggeva qualche poesia.

Ad un tratto si erano avvicinati a loro due uomini sulla trentina: -Scusa, posso avere un'informazione?

-Si da del "lei"- sbuffò Feuilly, prima di immobilizzarsi all'istante.

-Oh! Ma certo!- rispose gentilmente il poeta, facendo un passo verso di loro.

-Di cosa avete bisogno?- chiese ancora, avvertendo la presa dell'amico sul suo braccio: -Jehan, sono ubriachi, andiamo via!

Lui lo scacciò con un gesto della mano e tornò a parlare con i due.

-Di soldi!- rise il più basso, un ometto dalla barba inspida e i lunghi baffi rossi.

Improvvisamente vennero immobilizzati al muro dalle braccia forti degli altri due. Certamente qualche altro Amis si sarebbe difeso alla grande da una stupidaggine del genere, bastava una minima spinta e con tutto l'alcol che i due uomini avevano in corpo sarebbero potuti facilmente scappare, ma loro non erano esattamente il prototipo dei palestrato modello, e soprattutto non avrebbero mai sfiorato una mosca, quindi era assolutamente impensabile che facessero il minimo gesto per difendersi.

Feuilly lanciò un'occhiata preoccupata all'amico: -Abbiamo lasciato i portafogli al Musain!

Già, nella fretta di uscire non avevano portato altro che le loro giacche e il quadernetto di poesie di Jehan, dopotutto non pensavano di tornare molto dopo.

-Allora? Tirate fuori i soldi!- ghignò l'altro uomo -oppure non ne avete?

-Signore, a dire la verità, no, è pregato di lasciarci andare!- gli rispose gentilmente Jehan, che a quanto pare non aveva ancora capito che con i criminali, soprattutto se ubriachi, non aveva senso essere così dolci, anche perché stavolta nemmeno i suoi profondi occhioni azzurri avrebbero potuto salvarli se non si fossero decisi a fare qualcosa di concreto.

Improvvisamente quello che lo stava tenendo fermo mutò espressione, guardandolo con profondo odio, e lo fece sbattere contro il cemento duro del muro strappandogli un gemito.

-Signore, veramente, non penso che lei possa guadagnare soldi facendoci del male...- l'altro lo colpì con un calcio.

-Signo...- un altro.

-La prego, non ho mai fat...- continuava a ripetere, sempre più spaventato, ormai con le lacrime agli occhi, ma fermo nella sua convinzione di non alzare un dito su di lui.

-Verament...- stavolta la ginocchiata dell'uomo lo colpì sul cavallo dei pantaloni, facendolo accasciare al suolo.

-Jehan, ti prego, taci!- urlò Feuilly, ormai anche lui percosso dall'altro tipo.

-Jehan! Feuilly!- due voci allarmate li raggiunsero.

-Courfeyrac! Bahor...- riuscì a balbettare l'artigiano prima di cadere a terra anche lui.

Jehan riuscì appena a notare il suo ragazzo che veniva a salvarlo prima di chiudere gli occhi.

***

-Mon amour... Ti prego apri gli occhi!

Una voce rotta dal pianto lo risvegliò lentamente. Vedeva tutto abbastanza sfocato, percepiva solo una grande luce, e sentiva tutti i suoni ovattati, come se si trovasse sott'acqua. A poco a poco riuscì a mettere a fuoco la stanza intorno a sé, che non era altro che quella principale del Musain.
Gli Amis erano radunati intorno a due lettini di emergenza, ottenuti unendo tavoli e tovaglie e imbottendo cuscini con le felpe e le giacche di tutti. Fortunatamente Joly aveva sempre con sé la valigetta del pronto soccorso e così lui e Combeferre si erano divisi i feriti.

Enjolras aveva provato a spiegare al resto dei membri del partito che non era necessario che rimanessero lì ad aspettare il loro risveglio, ma quelli avevano insistito per restare. Adesso anche il Leader sedeva preoccupato poco lontano da lui.

-Jehan!- fu Courfeyrac ad abbracciarlo, coprendogli la visuale con i suoi riccioli scuri -stai bene!

-Io...- provò ad alzarsi a sedere, sotto lo sguardo di tutta la stanza -certo. Non mi ha fatto molto male...

Percepiva ancora il battito accelerato del suo cuore, esattamente da quando il tipo lo aveva spinto contro il muro la prima volta, eppure la sua voce non si era mai incrinata, era rimasto fermo nel suo intento di non fare del male a nessuno.
Ma aveva avuto paura! Oh, come la aveva vista brutta! Fosse stato Bahorel passi, ma lui non era certo abituato a un decimo di tutto ciò! Lui che normalmente appariva a tutti talmente delicato che non solo nessuno non gli aveva mai fatto del male, anzi normalmente non veniva nemmeno toccato. Lo capiva, lui, che quando la gente veniva a contatto con lui si limitava a sfiorarlo, mai a toccarlo veramente, come se fosse qualcosa di talmente prezioso e fragile da poter essere incrinato con la semplice pressione dei polpastrelli.

E anche adesso, che tutto era finito, non poteva impedire al suo cuore di battere all'impazzata, e ai suoi occhi di restare spalancati con espressione terrorizzata. Poi però percepì la stretta di Courfeyrac, e le sue dita che lentamente si intrecciavano alle sue, ma probabilmente non doveva essere stato il solo a notarlo, dato che tutti i nuovi aggiunti al partito avevano iniziato a fissarli ossessivamente.

-Non sono solo amici, vero?- sentì sussurrare, ma quel 'genio incompreso' chiamato anche Courfeyrac pensò bene di togliere il dubbio a tutti quanti, portandosi la sua mano all'altezza del cuore. Il poeta percepì chiaramente il battito accelerato.

-Batte sempre così forte?- si ritrovò a mormorare senza volerlo, ma lo sguardo omicida di Combeferre gli confermò di aver parlato un po' troppo forte.

Volse subito lo sguardo verso l'amato, preoccupato di averlo imbarazzato, invece quello continuava a guardarlo con una dolcezza vertiginosa, che gli provocò un brivido lungo la colonna vertebrale.

-Solo quando lo tocchi tu- sussurrò, sempre troppo forte, ma ormai si erano autonominati gli attori della serata (quantomeno la riunione era saltata per fare posto ad un bello spettacolo, no?), pronunciando il "tu" con un tono così melodioso da sembrare una canzone -e se penso che ho rischiato di non avere più tutto questo...- adesso stava piangendo. Courfeyrac. Che piangeva così raramente che quasi si dubitava che potesse farlo. E in ogni caso mai davanti ad altre persone. Decisamente quella giornata aveva qualcosa di fantascientifico.

In realtà non aveva proprio rischiato di morire, ma la loro drammaticità era persino riuscita a commuovere una ragazza, che adesso singhiozzava silenziosamente in un angolo.

-Ti amo, Jehan- mormorò il moro avvicinandosi a lui e baciandolo teneramente, sotto gli sguardi attoniti dei presenti. Inaspettatamente anche Jehan rispose al suo tocco, infilando una mano fra i suoi riccioli e tirandolo verso di sé. Riuscì a percepire il sorriso di Courfeyrac anche in quella posizione.

Quando si staccò entrambi stavano sorridendo e poi, forse per idea di Grantaire o di qualche altro uomo con un grande senso dell'umorismo partì l'applauso.

Era tutto così perfetto che il piccolo poeta avrebbe quasi potuto definire quei cinque minuti degni di un film, se solo Combeferre non avesse piagnucolato: -E io che cercavo di tenere separati la politica ed il sentimento!

Però inaspettatamente fu Enjolras a zittirlo con un gesto della mano, prima di fiondarsi su Grantaire e baciarlo con foga, facendo aumentare lo stupore generale. Poi intrecciò le dita a quelle dell'artista e si alzò in piedi, per avvicinarsi a lui: -Grazie... Primo perché stai bene, non avremmo potuto immaginare di vederti soffrire- okay, anche Enjolras così gentile era qualcosa da segnare -e perché ci hai dato modo di essere sinceri!

Decisamente solo loro potevano trasformare un semplice incontro di politica in una scena d'amore che avrebbe fatto invidia ai migliori film... Un momento, e Feuilly?

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