How filthy

di Le VAMP
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “I Put a Spell on You” (πρόλογος ) ***
Capitolo 2: *** Infernal (παροδο) – Première Partie ***
Capitolo 3: *** Déchiré (Cuore in me) ***
Capitolo 4: *** Le Val d'Amour (Il Val d'Amore) ***
Capitolo 5: *** Infernal (ἔξοδος) – Deuxième Partie ***



Capitolo 1
*** “I Put a Spell on You” (πρόλογος ) ***


“I Put a Spell on You”[1] (πρόλογος[2])

 

A te, infame dolce bimba che cerca di tracciarmi un sorriso sulle labbra, lancio la mia maledizione per le pene che mi fai provar quando fingi affetto che non provi più.

E allora mi danno.

 

A te, dolce fanciulla che mi fissi in continuazione sperando che finisca in fretta, con l'obiettivo nero che ti riprende e immortala, e mi rende pazzamente geloso per quel terzo occhio che ti osserva e non mi appartiene, a te lancio contro la disperazione eterna perché, in quel momento, mi danno.

 

A te, che ti rabbui alla vista della mia presenza sperando che ti ignori, lancio contro la sfortuna nera perché, in quel momento, mi danno.

 

A te, amante sincera che non menti con lo sguardo quando lacrimi intristita, né mi accontenti mai quando ti domando la passione, che tanto sperava, invece, quella lurida puttana che diceva di esser moglie mia.

 

A te, mia bambina dal viso pallido e stanco, con la mano stretta a quella del giovinetto che, a quanto par, già ha conquistato il cuore tuo, a voi maledico, augurandovi di trovar dolore e sfortune quante ne ho passate io per la colpa di amar il sangue del mio sangue.

 

A te, figlia mia, auguro il peggio e allontanar chi ami con la collera e la vendetta.

Perché chi tenta i buoni e li fa divenir cattivi è peggio del serpente e della mela che vuole esser morsa, e deve essere punito.

 

A voi, bastardi che continuate a sperar,

Io vi danno.

~

 

«Vuole farla suonare al piano?»

«Ma ha appena quattro anni!»

«È così piccina...»

Due cameriere che si erano concesse pochi istanti di pausa stavano parlando di quello spettacolino che avevano davanti gli occhi. Da pochi anni era nata la figlioletta dei loro padroni, erano bastati pochi attimi per affezionarsi a lei: con la particolare vivacità che dimostrava e i suoi occhioni aveva già conquistato la simpatia della famiglia e dei servitori. Era proprio il fatto che fosse piccola che il papà in quel momento pareva non considerare, cercando di iniziarla agli studi del pianoforte. Rivestita di tessuti azzurri sedeva accanto suo padre, schiacciando di tanto in tanto qualche nota con le minuscole mani.

Al contrario di ciò, le monsieur Ardennes aveva un palmo alla tempia, sconsolato. Però non poteva ignorare che fosse buffa.

«Quello non è il sol, Chloé» la ammonì. La bimba guardò nella sua direzione. Dunque le prese la mano e la condusse verso il tasto giusto, il suono la fece sussultare.

«Vedi? Questo è il sol» annunciò soddisfatto. Non ci fu verso: Chloé fece di testa sua e presto schiacciò tutti i tasti che aveva a disposizione; le piaceva molto.

Alain emise un sospiro scuotendo la testa, aspettando che sua figlia smettesse di giocare.

 

“A nove anni il suo corpo cominciò ad essere oggetto di attrazione. Lo percepì mio marito e poco a poco anch'io”

“Egli abbandonò ciò che ebbe sempre amato come una figlia”

“Quando hai questo viso addolorato anch'io soffro, e le mie lacrime non sono in grado di fermarsi”

Si era assopito su di lei, sul suo seno. Erano due figure umane spoglie intrecciate con le lenzuola illuminate dal chiaro di luna in quella notte. In quei due corpi si notava una considerevole differenza di proporzioni, in quanto uno decisamente più giovane e minuto dell'altro.

Chloé, ancora sveglia, si sentiva mancare il respiro a causa del peso che sopportava; una mano era sulla schiena dell'uomo.

 

 

[1]Citazione alla canzone di Jay Hawkins

[2]Prologos, prologo

________________ 

A proposito della citazione: vi rimando alla Moonlight, che è stata la prima canzone ad accompagnarci del gioco, reinterpretata in chiave jazz, quasi "soft", con l'aggiunta di quei due magici strumenti quali la mia cara chitarra elettrica e il sax, che ci rimandano ad un'atmosfera totalmente differente (anche se, per via di questo, ne ha risentito un po' la melodia principale). 

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Capitolo 2
*** Infernal (παροδο) – Première Partie ***


Infernal (παροδο[1]) – Première Partie

Confiteor Deo Omnipotenti
Beatae Mariae semper Virgini
Beato Michaeli archangelo
Sanctis apostolis omnibus sanctis

Se Amélie avesse conosciuto la natura di quell’uomo avrebbe preferito la morte piuttosto che sottostare a quel destino. Dopo i primi mesi di nozze tutto s’era fatto già più marcio e grigio, e di quelle dolci lusinghe che riceveva non ne era rimasto che un ricordo.
La prima guancia rossa se la procurò quando una sera litigò col coniuge che negli ultimi giorni rincasava spesso a tarda ora. La mattina successiva s’era guardata allo specchio: a quella s’aggiungeva la pelle stanca e nera sotto i suoi occhi, ed uno sguardo spaventato mentre la domestica le raccoglieva i capelli. Quella strega, quella falsa, continuava a vantarle la sua bellezza: Amélie sapeva che stava mentendo.
Non sapeva cosa pensare allora, la sua unica convinzione era quella che non avrebbe mai perso il suo orgoglio ed onore: avrebbe tenuto quell’evento per sé, e poi doveva esserci abituata. Una moglie che urlava contro il proprio marito era un pessimo comportamento.

Le cose peggiorarono quando la notte seguente Alain volle farsi perdonare, a tutti i costi.
Amélie non voleva le sue scuse: se solo le avesse accettate, forse avrebbe mantenuto la sua dignità di donna.
S’era trovata spinta giù su quel letto, già piena di rughe in viso e lo sguardo isterico, le tremavano le labbra. Era stato un colpo secco, e con quel colpo aveva perso tutto.
Rendersi conto che le sue volontà non valsero più nulla, che ciò che era rimasto dei suoi diritti si era disperso come fumo, causò la morte dei suoi occhi, puntati verso il soffitto della camera. Poi voltò lo sguardo spento verso le luminose stelle nel cielo, silenziose testimoni dell’accaduto.
Immuni, inette, indifferenti.

Quella mattina preferì non farsi aiutare da nessuno. Non appena ebbe visto le domestiche in volto c’era qualcosa in loro che le diceva di essere una fallita. Le donne...che infami creature che erano.
Ebbene; si erano rivolte a lei con uno strano sorriso quando le ebbero portato la colazione a letto: lo leggeva sulle loro labbra che sapevano del suo fallimento come moglie, e avrebbero tentato di prendere il suo posto.
C’era, fra loro, quella più giovane che la irritava terribilmente: si mostrava così vispa, volenterosa di lavorare...
Quindi s’occupò di pettinarsi allo specchio e poi conciare il viso con trucchi e unguenti, mentre i suoi pensieri erano rivolti a sua madre.
Sapeva che sua madre sarebbe rimasta delusa di quella situazione, gliene avrebbe fatto una colpa. Quella megera era così dura nei suoi confronti che appena ne sarebbe venuta a conoscenza l’avrebbe tempestata di rimproveri, e le avrebbe ripetuto ancora una volta, come se si fosse rivolta a una sciocca, di fare attenzione a tutte quelle domestiche! Sì, in quella casa c’erano troppe donne, troppe vipere pronte a mordere.

Madame Amélie riguardò i suoi comportamenti. Cercò di parlargli, di essere più solare: ogni mattina si offriva di sostenere brillanti conversazioni su qualsiasi tema –eccetto delle ultime esibizioni che il messere avrebbe dovuto sostenere, argomento ch’ella riteneva blando e noioso–, e si rendeva disponibile per discutere sulla beltà dell’arrivo prossimo della primavera, e del cielo azzurro che questa avrebbe portato.
S’accorse che ciò non bastava. Alain aveva compreso che nessuna delle sue gentilezze portava le vesti della sincerità, così tempo dopo fu lei stessa a proporsi per il marito.
S’era ritrovata costretta da quelle spinose circostanze a vestire di velo, e ad accoglierlo a braccia aperte quando giunse sul loro letto matrimoniale: ogni attenzione che riceveva valeva quanto una pugnalata al cuore.
Era terribilmente rigido, già vecchio come suo padre, e incapace di esprimere qualsivoglia forma d’affetto. Reclamava solo la proprietà sul corpo della moglie.
Le stelle, quando il cielo era privo di nuvole, continuavano a brillare per loro.

Ogni mattino che si susseguiva Amélie s’alzava col pensiero di legarsi i capelli. Era sempre da sola in casa e nella sua camera –ignorando la presenza delle domestiche–, il coniuge era già in viaggio per la città a quell’ora, doveva partire di buon’ora per giungere lì prima della tarda mattinata; e così ella trascorreva parte di quelle ore davanti al suo specchio, intenta a contemplare quanto della sua immagine era rimasto di puro, quante rughe s’erano accumulate sul suo collo; poi si riempiva il capo di spilloni per tenere l’acconciatura in ordine.
Evitava le inservienti durante il resto della giornata: quando le passavano davanti gli occhi notava i loro sguardi maligni su di sé. Stavano aspettando che crollasse.
Stavano attendendo la sua morte per poterla sostituire, quelle puttane.

Dunque, il conseguirsi di quelle notti di passione le regalò una splendida bambina. Affrontò da sola perfino i mesi dediti alla gravidanza: sentiva le cameriere bisbigliare, sussurrare preoccupate tra loro. Fu proprio la più giovane a volerla aiutare a camminare tutti i costi, soprattutto durante l’ultimo mese.
Anche in quel contesto si mostrava entusiasta, le chiedeva di continuo il nome che avrebbero dato alla piccina.

Quando le misero per la prima volta sua figlia in braccio lacrimava di gioia. Poté avere quel faccino tutto per lei e lo strapazzò di baci, poi se la strinse forte al petto.
Era sua, la sua bambina, e giurò a se stessa che non l’avrebbe mai data in sposa a nessuno.
Amélie l’amava come ogni altra madre ama i suoi figli, e quando si occupava di allattarla tentava di farla addormentare cullandola tra le sue braccia. Le cameriere cercavano anche loro di donarle delle attenzioni, solleticandone i piccoli piedi e facendosi stringere le dita da quelle minuscole mani, ma la padrona se la teneva per sé.

Madame Amélie conservava quella piccola creatura in una campana di vetro, la teneva al sicuro da suo padre. Quando capitava che il marito volesse prenderla in braccio, ella andava a rifugiarsi in un’altra camera.
Un pomeriggio, con ancora la bambina in braccio, il consorte le arrossò il viso come quella volta, e le rubò sua figlia, tenendola con sé il resto della giornata.
Amélie non riuscì a reagire: si limitò a procurarsi una sedia nel cortile e stare lì a guardar i germogli[2], illuminati dalla luce del sole che calava e andava a ripararsi dietro i monti.

Quell’avvenimento segnò una cicatrice nel rapporto con sua figlia.
Alain si stava vendicando di lei, cercando di passare con la piccina ogni qualvolta trovava del tempo da dedicarle, e quella madre, la notte in cui si svegliava per allattarla, cominciava a vedere in quella neonata solo una piccola parassita che succhiava di continuo il suo latte, e strillava, e le rinfacciava di aver fallito anche come genitrice.
Cercò di scacciare quei vergognosi pensieri.

Senza che se ne rendesse conto questi tornarono a distanza di quattro anni, volati via in un nulla. Erano le prime lezioni di piano per Chloé, da parte di suo padre: Amélie li scrutava da lontano. Quelle manine paffutelle s’accontentavano di far suonare i tasti del pianoforte, non si preoccupavano affatto di susseguirsi in movimenti ordinati per seguire una melodia precisa. Erano terribilmente sincere!

Avrebbe preferito che momenti come quelli fossero durati per sempre: col passare del tempo la piccola Ardennes cominciò ad attirare sguardi sempre più longevi da parte di suo padre.
Un pomeriggio Amélie l’aveva sentita dalla porta chiusa della sua camera rispondere con toni perplessi al genitore: «Otto anni, padre...compiuti quest’anno». Poi la porta s’era aperta, e suo marito era uscito da lì, accorgendosi che lo consorte lo osservava.

Quella stessa sera, ricongiunti nel letto, Alain continuava a spostarle ciocche di capelli dal viso, ponendole poi una domanda improvvisa: «non credi che la nostra Chloé stia diventando proprio una bella bambina?»
Ella si limitò a guardare il vuoto, assorta nelle proprie riflessioni.
Cominciava a divenire, giorno dopo giorno, sempre più cupa e schiva nei confronti di sua figlia.
Un giorno le mostrò un disegno: aveva un visetto da cui sprizzava gioia, allegria, e orgoglio per ciò che aveva rappresentato. Di nuovo. Cominciava a stufarsene. Dopo una prima occhiata Amélie la ignorò, continuando a guardare lo specchio mentre la piccina le tirava una manica sperando di attirare la sua attenzione. Stette lì a far nulla, ed infine la lasciò andare via amareggiata e col capo chino, con lo sguardo rivolto a terra.

Dovette trascorrere un anno perché Chloé comprendesse cosa dovesse fare per strappare via gli occhi di sua madre da quelli riflessi nel vetro incorniciato d’oro da cui si contemplava: «Mamma...» tentò la prima volta.
«Mamma» riprovò ancora, tenendo bassa la voce. Nell’ultimo tentativo vi verso serenità nelle sue parole: «La mamma non deve preoccuparsi: è la più bella del mondo. Non ha bisogno dello specchio».
Fu quando si voltò che difatti vide l’onesto sorriso della sua bambina dipinto sul viso; in pochi mesi era già cresciuta così tanto, già sapeva come trattar le altre donne. Eppure aveva l’animo puro, il suo unico scopo era veder sorridere sua madre. Non aveva nessuna colpa.
Solo allora, dopo anni che fu separata da lei, che se ne riavvicinò prendendo quelle piccole e paffute mani tra le sue, e prendendo a baciarle come non faceva da quando era appena nata.

Quello fu un giorno dannato. Quando la luna prese il posto del sole e suo marito venne a coricarsi, pensò che sarebbe rimasto al suo posto fino al canto del gallo, quando avrebbe dovuto alzarsi per andare in città come suo solito.
Gli eventi erano precipitati in pochi istanti: Alain già si mostrava differente dalle altre notti, particolarmente pensieroso.
Amélie provò a tirarlo verso di sé, ma questi non perse il suo sguardo nel vuoto. Quando gli passò il palmo sulla fronte, con l’intento di accarezzarlo e distrarlo dai suoi lascivi pensieri, non accadde nulla. Più tardi, al contrario, egli s’alzò dal letto. Gli afferrò una mano, ma lui la scacciò, ed allora la voce della moglie divenne gelida, imponendosi possente sul silenzio che aveva regnato nella camera da letto da quella mattina:
«Non osare».

Egli la ignorò e s’apprestò a camminare, ma la donna gli ghermì il braccio. Non riuscì a liberarsene, poiché se la tirò appresso trascinandola sul letto nuziale, e allora dovette ricorrere alla soluzione più vile.
Era la femmina più cocciuta e fastidiosa che avesse potuto conoscere: non se la tolse dalla vista con uno schiaffo, ma dovette colpirla più volte. S’avventò contro di lei come una bestia da abbattere, assicurandosi che non sarebbe stata più in grado di reagire. L’ultimo colpo glielo assestò sulla schiena, ed allora il suo corpo fu un ammasso di carne.  
«La mia bambina...la mia bambina...la mia bambina...»

Madame Amélie continuava così a pregare, a lagnarsi, a piangere sul letto disfatto. Non riusciva a muoversi. Sfogò la propria collera e disperazione in un ultimo grido, vedendo quello andare via e chiudersi la porta alle spalle.
«La mia bambina!» e continuò a lacrimare, bagnando le lenzuola.
Quella notte madre e figlia s’erano ricongiunte per l’ultima volta ascoltando l’una le urla disperate dell’altra.

Da lì cominciò ad avere visione d’una ragazzina dalla folta chioma bianca che le andava ad accarezzar il capo: aveva il volto della sua piccina, e le sorrideva.
Che fosse dannata! No, non poteva rubarle il suo sorriso!


[1] Parados, canto d’ingresso (in riferimento alla struttura della tragedia greca)

[2] Etimologia del nome Chloé

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Capitolo 3
*** Déchiré (Cuore in me) ***


Déchiré” (Cuore in me)

Era stato debole, aveva fallito, eppure non era accaduto altro. Il regno dei morti scomparve dalla dimora maledetta, ma presto Michel d’Alembert dovette imparare a convivere con la ragazzina che non era riuscito a liberare.

Déchiré Je suis un homme partagé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Faut-il que je me coupe le coeur en deux?

Cuore in me
Che sei così spezzato
Cuore in me
Che il corpo ha dilaniato
E separato in due
Due donne sono tue
Tu due metà

Quando non riuscì a conficcarle il pugnale nel petto credette che avrebbe perso la vita. Non l’aveva riconosciuta per quel viso ridotto all’osso, gli occhi bianchi come i suoi capelli. La mancanza di senno si era impossessata di quel corpo che sarebbe dovuto soccombere alla morte, eppure ella rimaneva in vita. Che fosse per un miracolo, o che si trattasse di un’altra maledizione, i tre vissero per giorni nella stessa casa.

Déchiré Je suis un homme dédoublé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Est-ce ma faute si je suis un homme heureux?


Cuore in me
Diviso tra due visi
Cuore in me
Tu che desideri
Prendi e non sai se c'è
In te più colpa o più
Felicità

Da quando si era risvegliato, il viso della piccola Chloé gli si era parato davanti. Era così preoccupata...gli disse di averlo visto svenire e di averlo riportato al piano di sopra. Il pianoforte distrutto si trovava ancora lì. 
Lei non sembrava fare minimamente caso ai capelli bianchi: fu allora che Michel si alzò, le prese le mani, e le promise che l’avrebbe protetta finché tutta quella storia non sarebbe finita. Notando che l’amica continuava a non capire, non poté far altro che piangere sulla sua spalla.
La prima volta che vide gli occhi della ragazzina cambiare, un senso di terrore lo pervase. Stavano perdendo la pienezza della vita, la bellezza delle cose come le vedeva la sua piccola Chloé, e quel vuoto fu accompagnato da un ghigno spietato. Lei era tornata, si era impossessata di nuovo del suo corpo, e lui non aveva fatto nulla per impedirlo.
Per quella notte la vide dinnanzi alla finestra aperta del piano inferiore, con i capelli mossi dal vento e lo sguardo folle prima che abbandonasse la stanza.
Nemmeno quella volta fece nulla per fermarla.
Passarono altre notti, ed ogni volta la vedeva uscire di casa, ed ogni mattino la ritrovava con sé, intenta ad accarezzargli il capo poggiato sulle sue gambe.
Allora continuava a svenire? Ma poi, guardava il suo sorriso innocente. In qualche modo, quella Chloé le impediva di conoscere la verità.
Ma era davvero lei che lo stava accarezzando ora? O l’altra?  

L'une pour le jour Et l'autre pour la nuit
L'une pour l'amour Et l'autre pour la vie
L'une pour toujours Jusqu'à la fin des temps
Et l'autre pour un temps Un peu plus court

Con una al sole
Con l'altra di nascosto
Una è amore
E l'altra è sangue al cuore
Una è sempre
Come l'eternità
Con l'altra il tempo è niente
È vanità  

Una di quelle volte Michel smise di farsi domande, ritenendosi fortunato di poterle vivere accanto. Ebbe modo di riconoscere che si trattava di due ragazzine diverse: con la luna alta in cielo ecco che gli occhi si coloravano del medesimo colore, i denti si mostravano nel loro inquietante sorriso, e spesso la sua risata risuonava nella casa vuota. Non riusciva mai a fermarla, piuttosto si limitava a guardarla perdersi nella sua ingordigia –ogni notte che tornava in quella camera la ritrovava sempre più sporca di sangue–, e lasciava che lo incantasse. Si lasciava ingannare.
Ma poi, quando veniva il canto del gallo ogni mattino ritrovava la sua piccola, dolce Chloé a risvegliarlo, a dirgli che lo trovava addormentato come al solito nella camera del piano inferiore. Trascorrevano l’intero giorno a suonare nel cortile, cercare altri spartiti, poi cenavano.
Prima che si ritirassero per la notte si salutavano, promettendosi di incontrarsi il mattino seguente nella sala del piano, e ogni sera lei gli pregava di trovare un letto comodo in cui riposare, e non sul pavimento dello stanzino al piano inferiore.
Si preoccupava così tanto, la sua piccola Chloé...

Déchiré Je suis un homme partagé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Mais ce n'est pas à moi qu'ça fait du mal

Cuore in me
Tu sei diviso in due
Cuori che
Sono due muscoli
Che mi conoscono
Sono schiacciato ma
La forza è mia

Un mattino egli si risvegliò pronto col riso. La notte precedente la creatura gli aveva portato un braccio umano, ed ora eccolo lì a ridere, ridere a squarciagola, spaventando la piccola Chloé.
Non ricordava esattamente come fosse successo, ma un improvviso senso di adrenalina aveva prevalso sul buon senso. Sapere che quel braccio apparteneva a un essere umano, e ora si trovava lì ai loro piedi, rivelava l’incredibile capacità di Cloé. Aveva il mondo nelle sue mani.
«Era l’ultimo»
Fu la prima notte che la sentì parlare, la voce sembrava quella di Chloé, ma si trattava solo di un’incredibile somiglianza. Il demone che si era impossessato di lei aveva reso la sua voce più roca, più crudele, una delizia per quei tipi di orecchie vinte dal vizio, incapaci di abbandonare i sensi.
Gli stava liberando la strada dai poliziotti che l’avrebbero portato in prigione.

Per cui, quella mattina, non poté far altro che ridere e gioire dell’affetto che gli dimostravano Cloé e Chloé, sebbene quest’ultima cominciava ad indietreggiare terrorizzata. Da allora cominciò a rendersi conto che il suo salvatore, il suo amato Michel, aveva infranto la promessa che le aveva fatto il primo mattino che l’aveva ritrovato.
«Sei spietata, cara Cloé» e le prese il volto fra le mani, vinto dal delirio. Si avvicinava sempre di più.
Si avvicinava sempre di più.  

Déchiré Je suis un homme dédoublé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Est-ce ma faute si je suis un homme normal?

Cuore in me
Ti senti lacerato
Cuore in me
Che ami perché sei
Amato Tu lo sai
L'amore è farlo e tu
Quindi lo fai   


Forse avrebbe dovuto sfruttare, un anno fa, la devozione mostrata da Charlotte. In quei giorni cominciava a realizzare del vantaggio d’esser amati, d’essere apprezzati –e per questo iniziava a compatire suo fratello che ormai non vedeva da…quanto tempo aveva passato in quella casa?– , e così avrebbe potuto evitare la persecuzione dell’occhio rosso. Era stato sciocco.
Una di quelle notti non dormì, ma si occupò di distruggere gli specchi. Non aveva incontrato Cloé, ma aveva visto i frantumi di qualsiasi specchio si potesse nascondere nel piano inferiore, e così decise di compiere la stessa operazione al piano superiore.
Anche le finestre, e qualsiasi oggetto che avrebbe potuto riflettere il suo viso, era andato distrutto. D’un tratto, da uno di quei frammenti, vide apparire due braccia che sentì attorno a sé, che lo strinsero e percorsero le sue spalle, poi il fiato sul collo, e ancora un corpo che percepiva dietro la schiena. Da quello specchio in frantumi intravide ancora quelle pupille piccole e nere, minuscole, due punti neri nel vuoto dei suoi occhi che si nascondevano dietro al viso del ragazzino: anche quello era consumato, mentre le labbra continuavano a distorcersi per ospitar lascivi sorrisi.
Comprese che quell’ultimo specchio avrebbe dovuto distruggerlo meglio.

L'une pour le ciel Et l'autre pour l'enfer
L'une pour le miel Et l'autre pour l'amer
L'une à laquelle J'ai fait tous les serments
et l'autre avec laquelle Je les démens

Con una in Cielo
Con l'altra nell'Inferno
Una è miele
E l'altra è dolce fiele
Una ascolta
Le mie promesse al vento
E l'altra come mento
E le sconfesso


Il gallo cantava ancora, e come se il giorno precedente fosse stato solo un incubo, Chloé continuava ad accarezzargli il viso ad ogni risveglio. Avrebbe per sempre ricordato il suo viso pulito, i grandi occhi viola ricolmi di dolcezza, un desiderio che esplodeva nel suo cuore ogni volta che guardava quelle finestre rotte ed il cielo dorato dell’alba.
Quel mattino decise di dimostrarle tutto il suo affetto per farsi perdonare e le baciò le mani, convincendosi che lei sarebbe stata la sua ultima speranza di accesso al Cielo, e si domandò perché i beati l’avessero abbandonata e condannata a quella triste vita e punita con una dannazione così crudele.
Ricordava che allora lei si ritrasse imbarazzata, l’aveva vista arrossire
Com’era pura e innocente
e poi tentò di alzarsi, ma pareva debole. Fece per andarsene e dargli le spalle, intenta a lasciarlo a terra, ma prima gli pose una domanda molto importante:
«Michel ha visto, per caso, chi ha rotto tutti gli specchi?»
Non rispose immediatamente, attese che la risposta prendesse forma dai suoi ricordi sfocati. Se solo avesse notato il piccolo sorriso isterico che aveva dominato le labbra della ragazzina forse si sarebbe reso conto che lei sapeva tutto.
«No»
«Oh, che peccato»
Così lei fece spallucce e s’allontanò saltellando per la grande sala.

Déchiré Je suis un homme partagé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Faut-il que je me coupe le cur en deux?

Cuore in me
Amato ma spezzato
Cuore in me
L'amore ti ha chiamato
E tu ti spacchi in due
Due donne sono tue
Tu cosa sei?

Non aveva notato cambiamenti nella compagna, pareva la stessa, lo stesso piccolo angelo di sempre. Trascorrevano i loro giorni a suonare, ignorando il tempo che passava e correva via, e i loro ricordi si perdevano.
Un mattino di quelli, tuttavia, al canto del gallo c’era Cloé a tenerlo sulle gambe di quel piccolo corpo.  
E come era bello vedere il suo viso per quel risveglio. Poteva trattarsi della dolce Chloé, o della spietata Cloé, ma il corpo continuava ad essere lo stesso; lo stesso corpo fotografato per quel libro da cui rubò segretamente alcune immagini.
Continuò ad accarezzargli il viso attendendo che si addormentasse di nuovo, non perdendo neanche per un secondo il suo folle sorriso.

Déchiré Je suis un homme dédoublé
Déchiré Entre deux femmes que j'aime
Entre deux femmes qui m'aiment
Est-ce ma faute si je suis un homme heureux?

Cuore in me
Osceno più del sesso
Cuore in me
Per le due donne che
Ami e non sai se c'è
In te più colpa o più
Felicità

Molti continuavano a chiedersi in giro dove fosse quel pericoloso assassino che riduceva in pezzi i cadaveri. Il cocchiere che notti fa l’aveva visto in giro era stato scuoiato, e del suo corpo ora non rimaneva che cenere.
Nessuno sapeva più dove trovarlo, ma il terrore nacque in quei luoghi desolati, annientando la quiete di cui avevano sempre goduto.

Cuore, che
Cuore sei?






 

___________

L'avviso "What if?" è stato inserito per questo capitolo.  

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Capitolo 4
*** Le Val d'Amour (Il Val d'Amore) ***


Le Val d’Amour (Il Val d’Amore)

Il batter del tamburo continuava a tener il ritmo del ballo, mentre Gringoire si spostava tra le prostitute ballerine, accompagnando la notte che il cavalier dorato, Phoebus de Chateaupers, avrebbe passato a spogliar la zingara prima d’esser pugnalato.
E fu un’orgia di corpi struscianti e danzanti.

– Atto I, ventisettesimo brano
 

Non avrebbe voluto mai ascoltare quella fanciulla[1] che gli era andata a pregar, apprensiva, di capir dove andasse suo fratello a notte fonda. Era anche vero che da sola, la ragazza, non avrebbe potuto concluder nulla, e probabilmente sarebbe finita in pericolo se Michel non si fosse offerto di andare a controllare.
Se solo avesse immaginato che Pierre sprecava tempo e denari in quel postaccio sarebbe intervenuto molto prima.[2]

En haut de la rue St-Denis
Il existe un endroit béni
Dont on voit briller les bougies
Dès que vient la tombée du jour

Un po’ nascosto il posto è qui
Il benedetto posto è qui
E le candele vanno giù
Il sole cala e scende giù  

Stava dando spettacolo proponendo interpretazioni villane dei loro maestri, ritto e vispo su uno sgabello del locale a imitar con ampi gesti i paroloni sul ritmo e le note, le chiavi di violino e basso. Vi erano delle ragazze tutt’attorno che ridevano, e clienti intenti a riempir ancora il boccale.
Il primogenito cercò di avvicinarsi senza dare nell’occhio, distolse più volte lo sguardo dal deplorevole scenario che gli si presentava davanti, eppure era inutile: voltati gli occhi a destra ecco che vide uno di quei vecchi intenti a spinger una donna contro il muro e iniziare a consumar.

Là-bas au milieu de la plaine
Il suffit qu'un jour on y vienne
Pour que toujours on y revienne
Au cabaret du Val d'Amour

Ci vieni un giorno e hai nostalgia
Di ritornare e tornerai
Al Val d'Amore troverai
L'amore e tutti i suoi viavai

Quando il pianista chiamò il gemello, avendolo ormai notato, era più rosso in volto di quanto non fosse solitamente. Pareva che si fosse così manifestato nella sua forma completa, col sorriso proteso sulle labbra vinte dall’inettitudine, e con le movenze lente. Lo salutò, domandandogli allegramente perché fosse da quelle parti
«Sai, Collet mi ha chiesto di tenerti d’occhio perché si preoccupava per te, ma non potevo credere che-» ma l’altro non gli diede il tempo di continuare.
«Ah, Collet! Cara ragazza…» e portò un palmo alla fronte, volendo far beffa della propria sbadataggine, ritornando giullare di quella sporca gente «cara innocente ragazza, priva di inventiva, di cattiveria» e poi s’avvicinò ad una di quelle donne, stando per poco a sfiorarne il petto «e anche di altre virtù, oserei dire» ed nacque il riso sulle bocche di tutti.

Au Val d'Amour Les femmes d'amour
Vous font l'amour Pour quelques sous
Pas besoin d'or Ou de bijoux
Pas de discours Ni de mots doux
Que quelques sous Pour faire l'amour
Aux femmes d'amour Du Val d'Amour

Al Val d'Amore tu ti fai
Fare l'amore come vuoi
Non oro né gioielli, no
Discorsi no, dolcezze no
Con qualche soldo chi vuoi tu
Ti fa l'amore sotto e su

Michel credette che provando a prenderlo di peso mentre era così incosciente sarebbe stato sufficiente a metter fine a quella farsa, ma pensò erroneamente, poiché quando cercò di afferrar la sua mano questo era già balzato sul tavolo come un grillo, stando a rider scioccamente.
«Dove mi vuoi portare a quest’ora della notte, eh? A sentir ancora di borbottii sul denaro che manca? A quelli domani!» si chinò, piegando per poco il busto poggiando le mani sulle ginocchia.
«Che tu stai sprecando per questo posto! Non sei in te!»
«E tu, allora?» ed allora si sollevò e cominciò a camminar, marciar sul tavolo di legno, agitando di continuo le mani come facevano i loro insegnanti.
«Dovete sapere, miei diletti studenti, che poter continuare i nostri studi è stato un vero colpo di fortuna: quasi tutti i denari della famiglia li avevamo spesi per farlo uscire di prigione!» e dei mormorii si levarono dalla folla
«Vi presento Michel d’Alembert, l’assassino!» lo indicò col dito accusatore, e stette lì ad udir le reazioni di sgomento, a goder di quelle attenzioni che solo quelle persone riuscivano a donargli. Frattanto il violinista, che non per nulla si sentiva umiliato e deriso, provò a prenderlo per un braccio tentando un’ultima volta di imporre l’ordine sul caos
«Lasciami andare!»
Il gemello s’era ribellato, preferendo allora continuar a camminar avanti e indietro sulla superficie di legno.

Les Andalous, les Juifs, les Maures
Vienn'de partout de tous les ports
les voyageurs et les marchands
Vienn's'y reposer en passant
Les Catalan et les Flamands
Vont y flamber tout leur argent

Qui andalusi, mori, ebrei
Da tutti i porti sono qui
Dal Mar Egeo, dai Pirenei
Qui se la spassano così
I trafficanti e i bottegai
Qui nei dolcissimi carnai

Dunque s’arrestò ancora, pose un pugno sotto al mento, e finse di riflettere. Rivolse ancora la parola al fratello, che cominciava a spazientirsi e lasciarsi vincer dall’ira; ma che per il momento si limitava ad ascoltarlo.
«Credi che sia il solo a venire qui? Vuoi veder i nostri compagni impegnati nelle loro danze ai piani di sopra? Potremmo fargli una gran sorpresa!» e, di nuovo, tra gli spettatori scoppiò una fragorosa risata.

Femmes d'amour qui m'écoutez
C'est le discours d'un troubadour
Qui vient pleurer son mal d'amour
Au cabaret du Val d'Amour

Donne d'amore orecchie a me
Un trovatore piange qui
Parole e lacrime di chi
Per mal d'amore viene qui

Una ragazza di quelle s’avvicinò, con un neo a porsi come una macchia sul viso, domandando in toni maligni e derisori, al loro caro giullare, se davvero suo fratello avesse commesso degli omicidi. Il poveraccio cercò di discostarsene, cominciando a desiderar di andarsene da quel luogo e lasciare lì Pierre, visto che si dilettava tanto con quei malsani passatempi. Prima che potesse prendere qualsiasi decisione, tuttavia, il gemello si chinò ancora e gli prese la mano per porvi delle monete: «Approfittane, fratello. Abbandona la tua ipocrisia!», e vedendo che Michel rifiutava quelle monete, indignato, compì allora il suo atto infame, mettendosi una mano in tasca ed estraendone una foto consumata
«Aspetta, Gisquette, mi dispiace per te ma credo che si senta ancora un bambinello. Continua a cercar corpi più giovani» e fu così che gliela mostrò. Quel dannato gliel’aveva rubata. Quella foto...avrebbe dovuto distruggerla
«L’ho trovata nella tua uniforme, pochi giorni fa»

Battez tambour Aux alentours
Que l'on accoure Au Val d'Amour
Pas de danger Qu'on s'enamoure
Sous les atours Du Val d'Amour
Vous trouverez Sous le velours
Fleurs d'une nuit Bonheur d'un jour

Battete sui tamburi che
Al Val d'Amore amore c'è
Nessun pericolo che sia
Amore che ti porta via
Qui è sul velluto che si va
E sotto c'è la sazietà

Ed era ancora lei, che nemmeno da morta poté nascondersi dagli sguardi altrui, e venne allor mostrata in quella vecchia foto che la denudava per gli estranei, con il pianto pronto a nascer dai suoi occhi: dettaglio che purtroppo era poco considerato, poiché di quell’immagine c’era qualcos'altro di più interessante.
«È così che rendevi più dolci le tue notti in gattabuia?» e così disse, il folle gemello, mentre si rigirava su se stesso per mostrar ai suoi spettatori la foto della sventurata Chloé Ardennes. Tentò di riprendersela, ma quello continuava a giocare.  
Quanto soffriva per lei. Non doveva ascoltare le preoccupazioni di quella lì, ma starsene per i suoi affari e lasciare che scoprisse da sola in che posti e con che gente passasse il tempo quel maligno essere che ora diceva di esser suo fratello!
Se ne fosse andato alla malora, lui e quei vecchi schifosi che ridevano, e quelle donnacce che affogavano nella loro voluttà senza preoccuparsi di recuperar la ragione. Eppure, gli fu impedito di abbandonar la locanda: Pierre l’aveva afferrato per un braccio.
Con un balzo fu giù dal tavolo, ed insistette nel mettergli in mano quelle dannate monete –mentre nell’altra gli restituì la foto–. S’avvicinò al suo orecchio sussurrando, sibilando come il serpente che tentò Eva: «puoi farla rivivere stanotte».
Allora il violinista impallidì, turbato dalle parole del fratello, si lasciò prendere per il braccio e portar a spasso in quel luogo dove aveva mille occhi puntati addosso.

“Quand j'ai le corps en mal d'amour
Sitôt j'accours au Val d'Amour
On n'en ressort qu'au petit jour
Du cabaret du Val d'Amour

“Se la mia febbre è frenesia
Mi vengo a rinfrescare qua
In questa calda fonderia
Del nudo con l'intimità

«Pensa, con queste monete puoi aver a disposizione uno di questi corpi, chiudere gli occhi e credere che lei sia lì con te, pronta ad accoglierti nel suo grembo: non l’ha potuto fare in vita; potrebbe farlo ora!» e per un solo secondo ascoltò quelle lusinghe, immaginando ciò che sarebbe potuto accadere; si rese conto allora di quanto gli mancava!

Mesdemoiselles excusez-moi
J'attends la belle Esmeralda
Elle a cru lire son destin
Entre les lignes de ma main”

Ragazze chiedo scusa a voi
Ma oggi c'è Esmeralda e poi
Lei crede che il suo corpo sia
Già scritto nella mano mia”

«E ancora, immagina gli urli e i sospiri che nascerebbero, e le fiamme, a pensarla lì non come creatura innocente o sofferente, o bisognosa d’esser protetta, ma per una volta senza pensieri o preoccupazioni che non sia quello di cingerti con le sue gambe!» e le palpebre non volevano più sollevarsi, per un attimo fu quasi coinvolto dall’occasione che gli stava venendo offerta, ma tutto cambiò e divenne tenebra quando colse le ultime parole del gemello: «l’unico danno in tutto ciò sarebbe ritornar con gli occhi sani e realizzare che quel volto che stavi baciando apparteneva ad un’altra, ma come unico e solo difetto di quest’affare ci si può passar sopra! Non credi?» e lì Michel abbandonò il sogno, e l’incubo gli impose di svegliarsi e rifiutar, nuovamente, le monete che gli venivano offerte.

Porte du Nord Sur les Faubourgs
Au carrefour De Popincourt
Tous les voyous Tous les filous
Ont rendez-vous Au Val d'Amour
Les gens de Cour S'y déshonorent
On les voit saouls Et ivres morts

Qui sono i gemiti e i fruscii
È qui l'oblio e lo scialacquio
La bella malavita è qui
E qui rinasce chi morì
Rinasce chi d'amor morì
Poi dentro il vino annegherà

Andò via senza nemmeno guardarlo in viso, udì solo che lo stava salutando: «Non temere per me, domani tornerò da voi docile come un agnellino!»
Pareva così distante. Se solo pensava a come si comportava di giorno, come un allegro ed imbranato studente dell’accademia, credeva che probabilmente doveva trattarsi di un’altra persona.
Posti come quelli, se ne rendeva conto in quel momento, potevano trasformare l’animo umano e condannarlo all’inettitudine, all’ozio e al riso ingenuo. Condannavano alla depravazione, e doveva allontanarsene il prima possibile.
S’era avvicinato alla porta, e se la richiuse alle spalle con un violento tonfo.

Au Val d'Amour Les femmes d'amour
Vous font l'amour Pour quelques sous
Pas besoin d'or Ou de bijoux
Pas de discours Ni de mots doux
Que quelques sous Pour faire l'amour
Aux femmes d'amour Du Val d'Amour

È al Val d'Amore che verrà
All'alba quella sazietà
Se al Val 'Amore tu ti fai
Fare l'amore come vuoi
Non oro né gioielli, no
Discorsi no, dolcezze no

Aveva ormai smesso di udir le risate oscene che si condensavano nella locanda, ed il freddo della notte lo costringeva più volte ad arrestar il suo cammino; ma preferiva soffrire in silenzio e patire le sue pene piuttosto che cercar una carrozza, consapevole che i peli ritti della pelle l’avrebbero riportato alla realtà.
Chiuse per un attimo gli occhi, quando li riaprì vide un gatto bianco che lo stava scrutando dal fondo del vicolo. Se solo avesse avuto un coltello...

Au cabaret du Val d'Amour
Se vuoi l'amore il posto è qua
Al Val d'Amore il posto è qua



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[1] Si tratta di Collet (vedi nota 2)

[2] La storia è ambientata anni dopo gli avvenimenti del gioco. Per comprendere appieno, leggere le note d’autore.
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L’avvertimento “Otherverse” è stato inserito per questo capitolo. Pare che abbiano voluto dapprima creare un’altra versione del gioco, in cui la vicenda principale è vissuta dagli occhi di quella gatta spelacchiata di nome Noir (assumendo, tra l’altro, un aspetto umanoide) e aiuta i ragazzini a farsi strada nelle loro disavventure (chiamatasi anche “Chloé’s Requiem –con amore–”, per qualche strana ragione il sottotitolo è in italiano), e poi un prosieguo (dal titolo “Andante”) di queste vicende sotto forma di...credo light novel o manga, accidenti alla memoria! In cui –non si sa come, dato che il destino di Michel non sarebbe stato tanto felice dopo i crimini commessi, a meno che il denaro non abbia fatto la sua parte; senza parlare della loro nuova condizione di orfani, a meno che in queste versioni non siano stati annullati gli eventi inerenti agli omicidi compiuti– ambedue i fratelli una volta cresciuti sono stati ammessi in un’accademia prestigiosa e ne debbono risolvere i misteri causati da un’altra maledizione, accompagnati nuovamente da quella gatta spelacchiata, amabile quanto una dolorosa carie ai denti.  

Collet è la ragazza che, in questo seguito, si legherà a Pierre, da quanto capii, e si presenta dall’immagine e dalle descrizioni che ne danno innocente e goffa (poiché si sa che lasciar un personaggio solitario è di cattivo auspicio, non si può non affiancarlo a nessuno e far sì che costruisca autonomamente la sua strada, no! Delirio!). Qui è citata in quanto simbolo di una mancanza che non può essere colmata, se non dalla ragione –per non farsi sopraffare dal vizio–, mancanza manifestata anche dalla perdita di Chloé, sebbene non sia così recente.

Non ho letto quest’opera (anche perché da quanto ricordo non è stata tradotta nemmeno in inglese), e non credo proprio che i personaggi potrebbero mai essere rappresentati in questo modo (in quell'opera lì intendo.... Non capisco il perché questo loro ultimo indirizzamento verso i "buoni sentimenti" reso in maniera tanto becera almeno secondo me, considerando la bestia di opera videoludica che ti hanno tirato fuori nel 2015...), ma ho scelto di togliergli le maschere che avrebbero indossato.
Quindi ho preferito portar anche qui il vizio, che si contrappone all’ipocrisia del mondo in cui son stati cresciuti questi ragazzi, facendo in modo che i dialoghi ed i gesti ricordassero, in effetti, una forma di recitazione teatrale, piena di ampi movimenti e spostamenti (da qui il balzo sul tavolo del gemello minore).
Il riferimento al brano del musical, oltre che il tema, si apre a questo ambito: la “costruzione della messa in scena”. Un oratore che si fa portavoce delle cose che avvengono, che avverranno e potrebbero avvenire sul palcoscenico conquistando con innato carisma l’interesse degli spettatori.




 

Edit 01/04/2020: PS Si, ai tempi questo capitolo era nato un po' con lo scazzo. :(

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Capitolo 5
*** Infernal (ἔξοδος) – Deuxième Partie ***


Infernal (ἔξοδος[1]) – Deuxième Partie

Mea culpa
Mea culpa
Mea maxima culpa

Fu necessario spendere dei giorni per l’assoluto riposo, ed Amélie non riceveva altre visite che non fossero quelle della giovane cameriera.
Non avrebbe farsi voluto vedere da quella sgualdrina; ah! Sì, glielo leggeva negli occhi che stava ridendo del suo fallimento!
Eppure c’era solo lei, nessun’altro che si preoccupava d’una madre che invecchiava ogni giorno di più e andava decomponendosi in quel letto: sarebbe tornata rapidamente in polvere.

L’unica persona che desiderava tanto vedere, nel tempo in cui fu rinchiusa nella sua camera, era la sua bambina. Ricordava ancora quell’incubo, il suo pianto.
Cercava tanta protezione, Amélie lo sentiva, ma quella notte Chloé fu costretta a crescere in solitudine ed accettare il suo triste destino di donna prima del tempo.
Nel frattempo tenevano la madama al buio, con le tende tirate ed il freddo che cercava di infiltrarsi nelle sue deboli ossa, poiché la luce del giorno non entrava. Continuava ad avere visioni di fuoco e di quella bambina che danzava e rideva di lei, e la cantilena si ripeteva ogni dannata volta: «hai fallito!».

Quando fu in grado di tornare di nuovo in piedi ed uscì dalla camera ebbe davanti gli occhi quelli della sua piccina. Erano cambiati.
Si, era cambiato qualcosa! Quella non era la sua bambina!
Era così vuoto quello sguardo, così vinto e sconfitto dal fato che le si era avventato contro che da allora sua madre non la riconobbe più.

Passò così un anno, forse due –aveva perso il conto dei cicli compiuti dal sole–, e perfino quelle visioni s’erano fatte più deboli poiché i giorni erano divenuti vuoti e tutti uguali l’uno dall’altro.
Si teneva lontana dai compleanni della figlia, da cui sentiva il baccano provenir dalle domestiche che volevano festeggiarla, e nemmeno ricordava più, invece, quanti anni avesse lei.
Per Amèlie incrociare lo sguardo di Chloé, quel giorno, fu fatale: da quando ebbe visto i suoi occhi bugiardi non riusciva più a sostenerli, né ad avvicinarsi alla piccina, perché, sapeva che ormai quella era morta, e di lei non era rimasta altro che la giovane donna che aveva preso il suo posto, divenendo la padrona della dimora e che un giorno l’avrebbe cacciata di casa.

Una sera sentì delle risate acute e stridule dalla camera della sua piccina, e da allora seppe di averla persa per sempre; e mentre l’una rideva, l’altra gemeva e pregava.

“Mia figlia è diventata pazza.
Ciò ha colpito il mio cuore”

Il mattino successivo aveva deciso d’alzarsi presto per dirigersi in città e procurarsi dei libri che avrebbero dovuto ravvivare la sua curiosità verso le proprie paranoie, e se quelle visioni potessero nascondere del vero.
Ne trovò uno particolarmente interessante che prese in prestito e cominciò svelta a leggere. Il nome riportato sulla copertina era: “Leggende sul Diavolo”.

C’era una parte introduttiva che ricordava della storia sulla sua nascita, a proposito di Lucifero, l’angelo più bello e maestoso del Cielo, che voleva prendere il posto di Dio. Riproponeva poi le figure del serpente e del caprone in cui egli si manifestava e delle sue funzioni da tentatore degli uomini, ma non diceva nulla a proposito di visioni su fanciulle danzanti, né sui capelli bianchi: eppure Amélie credeva nella natura demoniaca dei suoi incubi. Per lei nessun sogno o incubo generato da essere umano poteva incoraggiare una madre a temere ed odiare la figlia.

Molte di quelle pagine parlavano di come il demonio si mostrasse favorevole a stipulare contratti con gli uomini per donare loro delle formidabili capacità che andavano oltre natura. Più volte i suoi occhi scorsero su quelle righe...

Quella notte accadde ancora.
Prima fu il bianco dei suoi capelli, tanto quanto il sorriso maligno che si estendeva sulle labbra della ragazzina che agitava le braccia, e poi le pose le mani sul capo dicendole di non rattristarsi, poiché la sua fine sarebbe giunta presto. La madame si svegliò di soprassalto, vinta dal terrore e con la fronte imperlata di sudore.
Allora accadeva, come cominciò a capitare spesso, che udisse dei passi leggeri che fuggivano via, correndo per le scale dal piano superiore.
Quando sentiva la porta aprirsi allor la donna doveva almeno finger di dormire per non destare alcun sospetto, e lì vedeva una figura indistinta, piccola, quelle lenzuola le si attorcigliavano addosso; una mano teneva una candela e con l’altra teneva le vesti di cui era stata privata.
S’avvicinava sempre di più l’età in cui avrebbe lasciato quella casa
Ed Amélie ricordava con nostalgia quelle lenzuola che prima la ricoprivano come ora scivolavano via dal corpo della ragazzina che s’era accucciata vicino al suo letto, a terra, e cercava a tentoni il camice che aveva messo da parte nella camera della madre che con tanto dolore la osservava lì, nascosta, col viso riparato dalle coltri.
Cosa speri di ottenere, cambiandoti qui? Rifletteva allora, con gli stessi quesiti che andava a porsi:
Speri che io ti difenda se lui verrà a cercarti? O vuoi solo accecarmi d’invidia?
Se chiudeva gli occhi rimembrava ancora della sua prima notte di nozze. Un giorno quel rito si sarebbe ripetuto –perché nessuno avrebbe rivelato degli scandali della loro famiglia–, e forse lei sarebbe tornata padrona.

La luce della candela mostrava alla madre la schiena e le spalle bianche, quelle erano le uniche volte in cui Amélie aveva l’umanità per lacrimare ancora, eppure erano di gioia: poiché nonostante le numerose macchie nere che sciupavano il suo candore, ella ed il consorte potevano vantarsi d’esser genitori di una vera bellezza; sarebbe cresciuta come una splendida dama. In tutta quella storia, dopotutto, il danno era che suo marito se n’era accorto molto prima di lei, che la stava riscoprendo solo quelle notti in cui la ragazza voleva dimostrarle tutta la sua fiducia...sembrava tanto dolce e ingenua che i pomeriggi spesi a ridere villanamente nella sua camera parevano mai vissuti.
Ogni notte, come anche quella, Chloé terminava, riponeva adeguatamente vesti e lenzuola, e rimanendo accorta che la luce della sua candela non infastidisse gli occhi della madre le andava vicino e le risistemava le coperte: se ne andava solo dopo aver posto, notte dopo notte, un bacio sulla sua fronte. Purtroppo la donna non ci diede mai peso a questo segno di pace poiché ogni notte continuava a veder come cresceva quel corpo nudo, terribilmente giovane e bello, e l’invidia finì per consumare con arsura tutte le sue lacrime di madre.

Stava per terminare un altro anno e la madama aveva consumato quell’acqua pura, proveniente dal pianto, che le ricordava di essere una donna compassionevole, pareva essersi trasformata in una statua di cera.  
Il viso era arido e scarno, privo della pienezza della carne, mentre invece s’andava a riempire di rughe ancora più velocemente. Un mattino, così, s’era avviata silenziosa verso una carrozza, e lo sguardo era perso e vacuo. Inizialmente aveva intravisto un libro interessante in biblioteca, intitolato “Il metodo corretto per essere una coppia sposata”, ma poi il fato decise di farle cadere ai piedi un altro dalla copertina nera e incorniciata d’oro: “Stregoneria Nera”.
Per soddisfare sia la razionalità, che la sua ardente curiosità, li acquistò entrambi.
Sapeva che avrebbe dovuto affidarsi alle forze maligne.

Aveva comperato una bambola per i prossimi dodici anni che sua figlia avrebbe compiuto l’indomani: sebbene sapesse che oramai s’era quasi fatta una signorina e non ne avrebbe avuto più bisogno Amélie osò, poiché in quella bambola c’erano i segni della fattura che aveva lanciato.
Quella notte i suoi sforzi si rivelarono efficaci, ed ebbe suo marito ricongiunto a lei perché la loro bambina si scoprì improvvisamente ammalata. Dunque se ne sarebbe occupata la cameriera D, visto che era la sua preferita: quella notte sarebbe rimasta lì per lei.
Fu dopo esser stati insieme dopo molto tempo che Alain tornò a confidarsi con la coniuge come non faceva da anni. Era visibilmente turbato; tornò ad esser uomo perché quella notte fu lontano dalla fonte dei suoi istinti, fu lontano dal serpente tentatore.
«Cara, cara Amélie...da quell’ultima volta mi hai visto mutare in bestia, ma sappi almeno che ho cercato di resistere in tutti i modi»
E la moglie non aggiunse nulla. Continuò a guardar la parete, rabbuiando il proprio animo e rimembrando quella notte che si prostrava ancora vivida sulla sua pelle su cui erano riportati i segni lasciati tre anni fa.
«Questa notte che sono stato allontanato da lei mi sono convinto che per tutto questo tempo Lucifero in persona abbia preso possesso della nostra bambina, forse perché invidioso della nostra felicità, invidioso delle nostre virtù, e abbia fatto di tutto per attirarmi verso di lei» ci pensò un istante, inspirò a fondo cercando le parole adatte a continuare
«Non so con esattezza quando sia cominciato ad accadere, ma...quegli abbracci che mi donava, quelle parole dolci che mi rivolgeva prima di andare a dormire...»
Ed allora gli occhi di Amélie tornarono vivi: brillarono, illuminati dal ricordo della ragazzina che ogni notte le mostrava il suo corpo ed ogni notte le baciava la fronte. Cominciò ad esser terrorizzata dall’idea che non ci fosse separazione tra quell’incubo e la realtà, e ciò le fece tremar le mani.
«Ho sempre creduto che lo stesse facendo apposta» ma a questa dichiarazione la madame non seppe come comportarsi. Come avrebbe potuto, la loro piccola Chloé, fare tutto questo da sola? Cosa voleva dire quella danza di cui aveva visione ogni notte?

«Tu arrives maintenant
À l'âge de l'amour»

«Non hai idea di quanto soffrissi dentro nel veder la nostra bambina crescere così in fretta, e nel cogliere la malizia nel suo sguardo, dannazione a lei! Te lo dico; era lei a volermi nel suo letto! No, non fare così Amélie» s’interruppe notando che la consorte ora pareva aver i nervi un po’ troppo deboli, e probabilmente si riferivano a quelle dichiarazioni d’un padre tentato carnalmente da sua figlia
«Credimi quando ti dico che è diventata donna da più tempo di quanto potevamo sapere. Il mio errore è stato quello di vederla come unica responsabile; poiché da questa sera, quando l’ho vista contorta dal dolore a letto, ho capito che il demonio stava dalla sua parte esercitando i malefici per lei: entrambi volevano che passassi anche questa notte con lei, e chissà di cos’altro sarei stato vittima! Ho capito che quella sciagurata, lei con l’aiuto del diavolo, cercava le attenzioni di suo padre»
E solo allora tutto tornò: non poteva di certo essere come prima sosteneva il coniuge; la loro bambina non poteva aver fatto tutto da sola. Ogni cosa che accadeva la si poteva collegare all’aiuto del demonio, al sostegno di Satana che si manifestava nei suoi più profondi desideri in quella creatura danzante fra le fiamme.
Quel corpo che vedeva nell’incubo di fuoco, snello e pallido, vivace nelle sue contorsioni, era il corpo mostratole ogni notte da sua figlia; e quel sorriso che spiccava e si mostrava più bianco della sua pelle resa impura dai segni neri era il sorriso che sarebbe nato sulle labbra di Chloé dopo esser divenuta padrona crudele della loro famiglia. Erano intenzioni peggiori delle inservienti che volevano sostituirla; incestuose e peccaminose, rigettate dal buon senso umano.
Ecco cos’erano quella risa maligne quando la sentiva nella sua camera! Erano le risate d’una strega che si divertiva col Diavolo!  
Comprese solo allora suo marito dopo anni che l’aveva ingiustamente accusato: aveva smarrito la via per colpa delle forze maligne, per colpa di sua figlia, ed ora soltanto lei, in quanto sua fedele consorte e soprattutto in quanto donna rivale d’altra donna, e per questo più resistente alle sue lusinghe –e ora più accorta–, poteva far qualcosa per rimediare
«Temo ora di affrontarla e guardarla ancora negli occhi...
Per questo, Amélie, se dovessi continuare a mostrarmi folle per lei, vittima delle sue stregonerie, ti scongiuro di promettermi di tenermene lontano!» e tanto fu la disperazione con cui pronunciò quelle parole che la spinsero ad afferrargli le mani ed esclamare convinta:
«Prometto molto di più di questo! Giuro qui, ora, su nostra figlia, che farò tutto il possibile per tornare ad essere felici come una volta, lontani dalle sue stregonerie!»
«E so che hai comperato, a proposito di questo, molti libri sull’argomento, non è vero? Lo so, so che potresti liberarci dalle sue catene con cui ci tira a sé!»

Era rinata più determinata, e piena di una forza vitale che non aveva più da tempo.
Rimembrava di aver letto sull’altro libro qualcosa riguardante i filtri d’amore. Si era rivelata efficace la fattura, e allora non si poteva obiettare che la loro bambina s’era davvero venduta al demonio per ricevere le loro attenzioni –attenzioni non solo come genitori, ma quei tipi d’attenzioni pericolose, marchiate dal desiderio– ed allora l’unica soluzione era trattarla come ciò che era: una strega.
Quello stesso pomeriggio stava consultando nella sala del piano inferiore un altro dei suoi libri: questo era nuovo, comperato qualche giorno fa, intitolato “Vari tipi di tortura” e che non aveva mai aperto prima di allora.  
Erano citate delle torture che venivano utilizzate nei confronti delle streghe per invitarle a confessare della loro professione; oppure erano nominate alcune molto antiche come l’abbacinamento, che Amélie considerava migliore di altre che richiedevano certi strumenti di ferro. Vi erano riportate delle crude immagini ch’ella osservava con attenzione ed interesse particolare, soffermando più volte il suo sguardo sulle bocche spalancate delle vittime disegnate. Se ciò sarebbe servito a scoraggiare il demone impossessatosi di Chloé, era pronta ad accettare di vederla patire la medesima agonia.

Tuttavia, mentre s’apprestava a concentrarsi nella lettura, due delle loro domestiche giunsero lì per ultimar le loro faccende, e dai loro chiacchiericci venne a sapere del motivo d’assenza di suo marito: in qualche modo era riuscito a spezzare l’incantesimo, e si era portato sua figlia con sé in città per comperarle un nuovo vestito come regalo di compleanno. Ella non poté far a meno di spostar l’attenzione dalle illustrazioni ai loro visi; il ché, accortesi di ciò, le due acquistarono nuova cautela e smisero di parlare, imbarazzate di quegli occhi gelidi che continuavano a fissarle.

Pochi minuti più tardi lei era lì, con in mano un paio di forbici, nella camera della ragazzina ricolma di giochi e giocattoli a terra e poggiati sui mobili o sul divanetto.
La bambola che le aveva regalato la notte precedente era a terra, probabilmente gettata via da qualcuno. Se n’era accorto.
Ci furono dei cambiamenti nel suo volto scarno e vecchio, e le labbra rosse si stirarono in un sorriso mentre s’avvicinava con le forbici in mano e cominciava a tagliuzzare e sminuzzare quelle belle vesti di seta e merletti; così le tremò il braccio e a poco a poco l’euforia s’impadronì della sua mano. Le labbra taglienti si aprivano e chiudevano per inghiottire senza ritegno quei ricchi costumi acquistati per lei, solo per lei, l’ingannatrice che aveva preso il posto della sua bambina la notte in cui ricevette il seme, solo per lei, che un giorno avrebbe parlato della madre come una vecchia inferme e ne avrebbe riso con altre donnicciole, solo per lei, che continuava a disonorare la famiglia in cui era cresciuta.
Ma le sue dita dovettero arrestarsi poiché l’udito ancora funzionava: sentiva delle voci, ed il portone d’ingresso che si apriva.
Benché si rendesse perfettamente conto dei passi che si avvicinavano, benché sapeva di dover dare la colpa a qualcun altro per le vesti ridotte in cenci e allontanarsi dalle sue colpe, rimase lì ad aspettare che la porta si aprisse; magari la ragazzina. Errò.
Non aprì nessuno, ma udì i respiri di qualcuno che la stava spiando di nascosto.
Fu Amélie ad aprirla e cogliere lì D a cui trattenne il braccio: ella teneva il cappotto della padroncina che stava andando a risistemare, e vide quella donna totalmente consumata dai suoi dolori. Le pupille scure e folli s’ingrandirono terribilmente, rispecchiando il viso terrorizzato di quella dolce cameriera per cui Chloé andava tanto pazza. Ora sì, l’avrebbe sostituita: farsi veder folle da quella domestica sarebbe stato il colpo per la sua rovina, e allora non ebbe altra scelta che infilare le sue forbici nelle sue carni prima che questa potesse gridare aiuto.

S’allontanò dal cadavere, ma le sale principali erano deserte: non vi era né sua figlia, né suo marito. Quando scese le scale per giungere al piano inferiore, tuttavia, non si era resa conto che una delle due spade mancava. D’improvviso sentì una lama conficcarsi nella sua schiena, e lì una voce:
«Ho consigliato alla nostra bambina di attendermi all’ingresso. Le dirò che a causa del tuo brutto malanno non potrai festeggiare il suo compleanno nemmeno per quest’anno» e la lasciò lì a perdere sangue, attendendo che morisse mentre l’inserviente più anziana esitava se avvicinarsi o meno, se aspettare o meno il decesso della sua padrona.
«Ripulite il cadavere e mettetelo nel suo letto. Quando potrò mi occuperò delle spese per i servizi funebri»
Dannato, vero colpevole di quella faccenda! E pensare che avrebbe fatto tutto quello per la loro felicità! Amélie agonizzava ancora su quel pavimento freddo, incapacitata dell’idea che si fosse preso gioco di lei.

Man mano che sentiva la vita fuggire via dal suo corpo ripensò a quando era bambina e giocava a incappar le farfalle nel grande cortile della sua casa. Quella sì che era felicità.
Ah, tutta la tristezza era cominciata da quando aveva preso quel villano per marito; che fosse maledetto lui e quella lurida casa con tutte le arpie che la abitavano!

~

E così gli ultimi mesi di quell’anno trascorsero con padre e figlia rimasti soli col loro amato pianoforte, senza più la compagnia di una madre e di una moglie, nei confronti della quale dovette mostrarsi comprensivo per una sola notte per smascherare le sue intenzioni omicide.
Già da allora era vero che Monsieur Alain dovette proteggere Chloé da qualcuno; fu evento che lo segnò: cominciò a temere per sua figlia, e non solo per la sua incolumità. 

«Esmeralda lo sai
è finita l'infanzia
Io ti guardo con l'ansia
Di non avere occhi abbastanza»  

Si mostrava sicuro nell’organizzare nuovi progetti con quell’uomo, anche quando gli propose per la prima volta di presentargli Chloé poiché ultimamente stava cercando un nuovo pianista: egli non ebbe nulla contro, ma si intimorì quando il collega lo informò che la ragazzina avrebbe accompagnato il violino suonato da suo figlio.

«Tu piccola così
Tua madre se ne andò
La morte la portò
Via nell'Andalusia»

Teneva ancora il suo cadavere della moglie chiuso a chiave nella sua camera, quasi ad attendere impazientemente la sua decomposizione. Quel giorno fu uno scandalo per le altre inservienti trovare il corpo dell’altra cameriera nella stanza della padroncina, che dovettero affrettarsi a coprire e nascondere e poi ripulire il sangue, lasciando lì quelle vesti danneggiate, attendendo che fosse Chloé poi a notarle.
Egli credeva che quelle domestiche sapevano troppo sul conto della loro famiglia, e se la sera che sarebbero giunti degli ospiti si fossero lasciate sfuggir qualcosa, allora si sarebbe dovuto sbarazzare di loro.

«Mi ha messa in braccio a te
E tu con gelosia
Momento su momento
Vegliavi su di me»

Era sempre stata diligente Chloé, non aveva mai fatto niente che una perfetta signorina non dovesse, eppure quando provando ad addormentarsi le erano tornati gli incubi, si era accesa una candela, scrivendo sul suo diario tutto ciò che le era capitato. Era stata quasi tutta la notte a scrivere, piangendo e invocando i suoi amici, ma quelli erano rimasti indietro a quando era bambina. Si ritrovava a stringersi nelle coperte con lo sguardo all'orizzonte e fu lì che vide l'alba per la prima volta, con gli occhi lucidi che tremavano, le labbra dischiuse e le guance graffiate di lacrime.
E poi con il cielo azzurro era arrivata la mattina e con essa le cameriere.

Da quando sua madre non c’era più e nemmeno D le teneva compagnia, la solita routine s’era resa ancora più grigia: una delle inservienti la svegliava e le diceva che era pronto il bagno, accompagnandola verso la bacinella in cui avrebbe dovuto lavarsi.
Chloé aspettava che se ne andasse per denudarsi, non voleva vedesse i segni. Segni che ogni volta erano ricalcati dal suo sguardo nella sua immagine riflessa allo specchio, fissando due tremuli occhi viola, circondati da ciglia stanche e occhiaie spesse, ed i morbidi boccoli che la avvolgevano. Si umettava le labbra, notando quel piccolo taglio che da giorni non guariva.
Scendeva ad osservarsi il collo, era piccolo e pallido: su di esso, alla base della spalla capeggiava un piccolo segno violaceo, che veniva ripetuto anche più in basso, nel solco tra i quasi inesistenti seni, che altro non era che due piccoli rigonfiamenti.
Si fermava ai fianchi arrossati, non avendo mai il coraggio di continuare oltre.
Si immergeva poi nell'acqua notandola tiepida rimanendo a mollo per un po' e giocherellando con il liquido, creando piccole onde con la punta delle dita, i pensieri rivolti lontano.

Ricordava spesso in quel momento l'irruenza di suo padre nell'entrare nella stanza, e l'eco lontano che portava la faceva rannicchiare nella bacinella con il respiro ansante e il cuore a mille. Teneva spesso gli occhi chiusi per paura di trovarselo davanti. Singhiozzava, e rivedeva i suoi occhi affamati ovunque.
«Basta, padre...» soffocava, lasciando che la lacrime scorressero libere sulla suo viso.
Quando si calmò, il fantasma di suo padre diveniva un'oscura presenza che sembrava non toccarla, vegliandola come il diavolo aspettando solo un suo cenno di debolezza per piombarle addosso.
Infine si rivestiva, mettendosi una veste che copriva il più possibile il suo corpo e aspettando infine le cameriere per ultimare i preparativi.

«Esmeralda, lo sai
Nell'uomo c'è un demonio
Stai attenta quando corri
Sui campi e sulla via
»

Lo sapeva che qualcosa sarebbe accaduto!
Da quando quel ragazzino ebbe messo piede nella loro dimora, Alain aveva compreso con un solo sguardo che aveva qualcosa da nascondere.
C’era un’insolita freddezza nei suoi occhi quanto nei modi di fare; che a undici anni, come diceva questi di avere, solitamente non si doveva avere. Appena si strinsero le mani per conoscersi il vecchio ebbe alla memoria i giorni in cui era al posto suo, e a quell’età cercava invece di opporsi a tutte le pratiche adulte che volevano insegnargli: perché quello lì sembrava non aver mai vissuto la sua infanzia?
Poi era giunta sua figlia con loro, e li dovette presentare, accompagnare alla sala in cui avrebbero provato, e lasciarli suonare una volta date tutte le indicazioni.

Rimasto solo nel freddo della propria camera l’uomo era seduto sul letto, a capo chino e con i pugni stretti, stava rimembrando di come sua figlia ebbe annebbiato il suo buon senso quattro anni fa, e questo ricordo fece accrescere in lui la disperazione.
Pareva un tempo interminabile, ma non appena realizzò che i due non stavano suonando più s’era affrettato per andar a controllarli; era arrivato troppo tardi. Quando aveva domandato alla sua Chloé di raggiungerlo nella camera e salutare così quel ragazzino, questo s’era posto in mezzo! Si sentiva terribilmente
impotente mentre quello gli domandava –col garbo nelle parole– di andarsene e lasciarli soli ancora una volta; e lo sguardo della sua bambina rivolto solo a lui. Oh, quello sguardo sarebbe stato solo il primo dei tanti segni.

Prima si trattava di uno sguardo amorevole, poi di un ringraziamento; e la dolcezza sarebbe stata manifestata col corpo, e lì erano dolori! Dalle carezze che un tempo gli donava egli aveva cominciato a fare sogni in cui le sue mani continuavano a scorrergli addosso; ma i più importanti di tutti erano i suoi baci. Era da quelli che aveva compreso, la notte in cui abbandonò la consorte sul letto nuziale, che Chloé stava attendendo solo di accoglierlo in sé.
Alain non avrebbe mai potuto pensare, come sua moglie, che tutto ciò che faceva sua figlia fosse opera di Satana: tutta quella tenerezza non poteva essere compresa da una creatura infernale. L’unico demonio presente in tutta quella faccenda era quella belva nera nata dalle sue viscere che gli impediva di fermarsi anche quando la vedeva in lacrime; quello che la puniva se la scopriva disobbedire, e per quel demonio egli soffriva davvero.
Per colpa di quel demonio sua figlia non riusciva più ad amarlo, per quanto lui cercasse disperatamente di farglielo affermare, con la sua debole voce spezzata, ogni notte in cui entrava in lei.

«Ma oggi non è ieri
Tu non sei più com'eri
Capisci che oramai»

Quando ritornò lì, comprese che Chloé avrebbe voluto mostrare quei segni a qualcun altro, e probabilmente avrebbe fatto crescere un altro demonio in quel ragazzino. Sarebbe stato più grande e terribile del suo, disgrazia! Perché lo leggeva nei suoi occhi aridi che, al suo contrario, il giovane d’Alembert non si sarebbe preoccupato di domare la belva che avrebbe preso forma.
Si vide, alla luce della sala, il tremore di gelosia negli occhi quel padre nel veder quelle mani stringersi e le loro dita intrecciarsi per escluderlo per sempre.

~Hai l'età dell'amore~

Aveva raggiunto nuovamente quell’età in cui sarebbe esposta e donata, quell’età in cui avrebbe desiderato congiungere le carni; ma le sofferenze sarebbero state infinitamente maggiori di quelle provate fino a quel momento.
Con quello schiaffo al viso non voleva solo rimproverarla: anzitutto doveva servire per farle comprendere l’apprensione che provava per lei.
Eppure Alain immaginava che quel gesto sarebbe stato frainteso.

«Ho l'età dell'amore»

Nulla le avrebbe impedito, da allora, di sospirare speranzosa il nome del suo salvatore.

_____

Cito la mia cara socia Lauretta che, quando le ho presentato il breve testo, mi ha parlato di questa sua interpretazione riguardo l’età dell’amore (dal quinto brano di Notre Dame de Paris), scrivendomi, a proposito del padre di Chloé: “in ogni gesto innocente ci vede una sorta di provocazione e con "Hai l'età per amare" si può intendere praticamente la concretizzazione dei pensieri di Alain con l'atto dello stupro, ma che comunque lui lo vede un po' anche come un gesto d'amore”, e che è stata la stessa a scrivere, tempo fa, della scena di quando si lava e vede i segni sul corpo (scena che faceva parte di un suo vecchio sketch su Chloé e a cui mi sono limitata a compiere poche modifiche per accordarmi al testo principale).


[1] Exodus, canto d’uscita

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