L-Iconoclast, Atto III

di RaidenCold
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'adunanza dorata ***
Capitolo 2: *** La nera regina mortale ***
Capitolo 3: *** Inganno di fantasmi ***
Capitolo 4: *** Uno specchio sul passato ***
Capitolo 5: *** Peccato fosse una menzogna ***
Capitolo 6: *** Ancora tu ***
Capitolo 7: *** Resa dei conti ***
Capitolo 8: *** Immolazione ***
Capitolo 9: *** La voce del dolore ***
Capitolo 10: *** Tifone ***
Capitolo 11: *** L'urlo contro la tempesta ***
Capitolo 12: *** De profundis ***
Capitolo 13: *** Profezia ***
Capitolo 14: *** Tutto scorre ***



Capitolo 1
*** L'adunanza dorata ***


                        Marzo 2013, Kypros:

Subito dopo aver udito la notizia, mi sono recato al tempio.

Lei era là, vestita con un bellissimo abito della sua terra natia,

distesa dentro un feretro in legno, accanto al suo sposo.

Lei era tutto per me.

 

 

Quel giorno le nubi in cielo erano scure come la cenere, eppure da alcuni spiragli uscivano i raggi del sole che fendevano l'aria, dando al Santuario un aspetto ancora più surreale di quanto già non avesse.

Leonidas e Lambda stavano salendo la scalinata che conduceva alla sala del gran sacerdote: erano molto emozionati, sarebbe stato un evento unico.

Si guardarono negli occhi e si strinsero forte la mano l'un l'altro per alcuni istanti; quando se le lasciarono aprirono il portone davanti a loro.

Camminarono lungo il corridoio e si misero nelle rispettive posizioni, Lambda accanto a Bull e Leonidas tra Lun e Ian. Nella loro stessa fila c'era anche Kalos; Leonidas non riusciva a smettere di pensare a ciò che aveva appreso a Delfi e ad Asgard, e il pensiero che lui ed il cavaliere dei gemelli fossero legati in qualche modo ormai lo ossessionava.

Di fronte a loro sull'altro lato del corridoio vi erano gli altri cavalieri d'oro, ad eccezione di Chiron che sedeva sul trono sacerdotale; era la prima volta che Leonidas lo vedeva con l'armatura del Sagittario addosso, e gli parve davvero maestoso con quelle scintillanti vestigia alate.

 

Chiron osservò la sala che splendeva d'oro, tutte le armature scintillavano all'unisono e mai come in quel momento aveva avvertito una tale quantità di cosmo in un luogo solo.

Infine Minerva entrò nella stanza e si diresse verso di lui; Chiron si inginocchiò, lasciò il posto alla ragazza e si mise in fila assieme agli altri cavalieri d'oro.

Minerva indossava uno splendido chitone di seta e portava diversi gioielli dorati su tutto il corpo, collane, bracciali, cinture e anche una specie di coroncina; nella mano destra reggeva uno scettro che rappresentava Nike, la vittoria.

In quel momento era certamente la piena manifestazione della regalità una dea.

“Miei valorosi cavalieri, oggi, dopo quasi trecento anni, le dodici armature d'oro sono riunite in sintonia in questa stanza, e ci fanno udire la loro voce.”

Minerva aveva un atteggiamento talmente maestoso ed una voce così autorevole che a Leonidas non parve nemmeno essere lei.

“Ebbene è infine giunto il momento di avanzare, poiché la nostra battaglia sta per cominciare. Il nostro nemico è Tifone, re di un esercito di mostri, e in questi ultimi anni abbiamo incontrato la sua progenie infernale; il nostro sacerdote, Chiron di Sagittarius mi ha esortato a compiere la prima mossa, dunque, esponi ciò di cui devi parlare.”

Il cavaliere si fece avanti:

“Vi ringrazio divina Atena. Cavalieri, gli ultimi eventi hanno condotto le mie indagini ad un luogo che sembra accomunarli, ovvero la temuta isola di Death Queen. È un luogo maledetto e spesso viene definito un vero inferno su terra: la terra è spaccata ogni giorno dai terremoti ed il cielo è oscurato dalle nubi di cenere vulcanica. La vegetazione è praticamente assente e bisogna cercare a lungo per trovare qualche goccia d'acqua, e dulcis in fundo, è il covo dei cavalieri neri.

Ebbene, ho ragione di pensare che proprio in questo luogo con l'aiuto di questi guerrieri rinnegati da Atena il nemico stia organizzando le sue forze, per questo ho deciso di inviare cinque cavalieri d'oro sull'isola a stanare i nostri avversari.”

Chiron si girò verso la fila di Leonidas:

“Ad eccezione di Bull, che rimarrà qui al santuario, tutti i cavalieri di questa fila si recheranno sull'isola; siete naturalmente liberi di rifiutare l'incarico, ma voi siete cavalieri d'oro, non abbiate paura della tenebre perché ovunque andiate la luce di Atena vi seguirà.”

I cinque ragazzi si avvicinarono al trono prostrandosi dinnanzi a Minerva; parlò, secondo le antiche usanze, Kalos il più anziano di loro:

“Nobile Atena, non ti deluderemo.”

Minerva li esortò ad alzarsi e i cinque cavalieri si rimisero ai loro posti;

“Andate ora.”

Detto ciò i cavalieri si congedarono.

 

Chiron uscì dalla stanza, ed ad attenderlo vi era un uomo dai capelli arancioni con indosso un'armatura d'argento; la maggior particolarità di quel cavaliere era che al posto delle sopracciglia vi erano due curiosi pallini rossi:

“Viene dal Jamir.”- spiegò Lambda a Leonidas- : “Egli è il cavaliere dell'Altare, colui che ha il ruolo di primo ministro del gran sacerdote, è una figura molto rispettata al tempio.”

“Però anche tu vieni dal Jamir, come mai non hai quelle... cose?”

“Solo coloro che appartengono alle caste più nobili li possiedono.”

“Tuo padre però era un cavaliere d'oro...”

La ragazza sorrise:

“Non era davvero mio padre in realtà, però è come se lo fosse dato che si è preso cura di me come una figlia.”

Il cavaliere d'argento si avvicinò a Lambda:

“Sei cresciuta molto, ora questa armatura ti calza alla perfezione! Spero che tu sia abile a ripararle come tuo padre...”

“Non sarò mai abile quanto te grande Kiki.” - rispose lei sorridendo;

“Suvvia, con il tempo tutto si perfeziona. Ad ogni modo non ho ancora avuto modo di conoscere il nuovo cavaliere del Leone...”

Kiki strinse la mano a Leonidas ed il ragazzo si presentò - in modo un po' impacciato:

“Io sono Leonidas, per me è un piacere conoscervi.”

“Spero che vada tutto bene sull'isola di Death Queen,buona fortuna!”

Kiki salutò i due ragazzi ed uscì dal palazzo del sacerdote.

 

“Quindi ti recasti da lui quella notte?”

“Già, mio padre si fidava ciecamente di lui ed anche io; mi ha insegnato a riparare le armature e ad usare i colpi dell'Ariete, è grazie a lui se ora sono un cavaliere d'oro.”

“Non pensavo che tu sapessi riparare le armature...”

“E' una tradizione che i vari cavalieri dell'ariete si tramandano da un po'. Naturalmente io non sono minimamente abile come Kiki o come lo era mio padre; pensa che l'armatura che ora indossi è stata fatta dal loro lavoro combinato!”

“Che cosa?”

“Durante la guerra contro Ade, trent'anni fa, le armature d'oro di Leo, Virgo, Lybra, Sagittarius e Aquarius vennero completamente distrutte da Thanatos, dio della morte al servizio del signore degli inferi. Ciò che mio padre e Kiki avevano a loro disposizione era nient'altro che polvere, eppure attraverso gli antichi scritti dei riparatori di armature, sono riusciti dopo dieci anni di duro lavoro a ridare vita alle cinque armature.”

“Sorprendente... e io che pensavo che niente potesse distruggere un'armatura d'oro!”

“Nulla eccetto un dio.”

“Tifone sconfisse gli dei...”

“Non è ancora nel pieno dei suoi poteri, altrimenti non saremmo qui a parlarne ora ed il mondo brucerebbe nelle fiamme della distruzione.”

“Kiki ti sostituirà alla prima casa dunque mentre saremo via?”

“Pare di sì.”

“E le altre case?”

“Altri quattro cavalieri d'argento, ma come Kiki anche costoro godono di molto rispetto e spesso vengono accostati ai cavalieri d'oro. Probabilmente si tratta di Mime della Lira, Soren di Orione e Tsuru della Gru... il quarto cavaliere però non ho idea di chi possa essere. Ad ogni modo, Deneb sarà la personale guardia del corpo assieme ad altri due cavalieri di bronzo, Yuria di Cassiopea e André di Andromeda.”

“Andrè?”

“Lo conosci?”

“Sì, certo! Era un mio compagno di addestramento, era dai fatti di Metellene che non avevo più sue notizie, spero di riuscire a salutarlo prima di partire.”

Davanti a loro comparve Lun, che come al solito sprizzava energia da tutti i pori:

“Non sto più nella pelle, questa missione sarà incredibile!”

“Lun guarda che probabilmente moriremo. “ - sorrise maliziosamente Leonidas;

“Mpf, tu morirai, io sconfiggerò tutti i cavalieri neri... e senza il tuo aiutooo...”

I due ragazzi scoppiarono a ridere, poi si strinsero vigorosamente la mano:

“Vedrai Lun, di loro non rimarrà nulla.”

“Gli faremo vedere che con i cavalieri d'oro non si scherza!”

 

 

Il vento fece oscillare i petali rossi in modo turbinoso per tutta la scalinata:

«Sta arrivando brutto tempo...» - pensò Kypros accarezzando le sue amate rose.

Entrò nella dodicesima casa ed il profumo dei fiori inebriò le sue narici; adorava quell’aroma, lo faceva sentire al sicuro. Anzi, quella casa era ciò che proteggeva gli altri da lui, la solitudine era la sua fonte di sicurezza.

Per questo provò immenso stupore nel trovare al centro del salone una ragazza dai lunghi capelli smeraldo intenta ad ammirare le sue rose.

“Miia, se non sbaglio.”

La ragazza si voltò spalancando i suoi grandi occhi verdi brillanti:

“C-chiedo scusa, non volevo disturbare, è solo che questi fiori sono bellissimi, non ne ho mai visti di così stupendi.”

“Ti ringrazio.”

“Voi siete Kypros.”

“Dammi pure del tu.” - disse sorridendo.

La ragazza, un po’ imbarazzata, si fece avanti per stringergli la mano, ma il cavaliere d’oro si portò indietro. Ancora una volta.

“Perdonami, non posso avere contatto fisico con altre persone.”

La ragazza abbassò lo sguardo dispiaciuta e rimase per qualche istante in silenzio, poi chiuse gli occhi, perse l’equilibrio e si accasciò a terra.

 

Miia si risvegliò sopra un divanetto, aprì gli occhi e vide Kypros tutto trafelato intento a smanettare un armadio pieno di strane boccette, erbe e strumenti vari, che sembravano appartenere a un farmacista più che ad un cavaliere:

“Da qualche parte deve esserci quella giusta, accidenti!”

Kypros si mise le mani nei capelli e si voltò un istante verso la ragazza, poi tornò a cercare disperato quel che cercava.

Dopo alcuni secondi si rese conto che Miia si era svegliata, ed incredulo si precipitò in ginocchio accanto a lei:

“Grazie al cielo sei viva!”

Kypros sorrise con gli occhi lucidi, poi con la mano si coprì gli occhi e respirò profondamente, come se avesse pianto e stesse cercando di ricomporsi.

“Non capisco… cosa è successo?”

Il ragazzo si alzò in piedi:

“Sei stata punta da una delle mie rose lungo la scalinata che porta al tempio del grande sacerdote.”

Miia si guardò la coscia, dove effettivamente vi era un taglio che aveva forato i pantaloni ed aveva sfiorato le sue carni.

“Solitamente basta essere sfiorati ed in poche ore giunge la morte … eppure tu sei viva.”

Miia rise allegramente:

“Vedi, mio padre ha in sé il veleno dell’idra, ed addestrando me e i miei fratelli ci ha abituato a sopportare tale sostanza mortale. È stato molto doloroso, però mi ha donato immunità; il tuo veleno è leggermente diverso, quindi il mio corpo ha avuto bisogno di abituarvisi e ciò deve avermi destabilizzato per un attimo.”

“Quindi… tu... sei immune al mio veleno?” - domandò sbalordito.

La ragazza annuì e Kypros sospirò sollevato:

“Certo che mi hai fatto prendere un bello spavento...” disse sedendosi mentre si asciugava il sudore dalla fronte.

Miia si alzò in piedi e lo abbracciò; Kypros rimase senza parole con gli occhi spalancati, nonostante avesse addosso l’armatura d’oro riusciva a sentire il calore che il corpo della ragazza emanava:

“Devi aver sofferto molto la solitudine. Posso solo immaginare quanto deve essere doloroso rimanere solo per così tanto tempo...”

“P-prima….” balbettò il ragazzo: “Prima”- riaffermò con tono più deciso: “Avevo una persona… era la mia maestra, il precedente cavaliere dei pesci. La amavo più di ogni altra cosa al mondo… però mi è stata portata via.” - quelle parole uscirono tutte insieme di colpo, come se quell’abbraccio, il primo contatto fisico che aveva avuto con un’altra persona dopo sei anni, avesse aperto un lucchetto nel suo cuore.

Poi respinse la ragazza, non pensava di potersi meritare un tale gesto così all’improvviso, senza conseguenze, senza morte ed orrore.

“Non avere paura, non mi fai male.”

“No è che…”

“Tranquillo.”

Kypros sorrise chiudendo gli occhi, poi le strinse dolcemente la mano:

“Grazie Miia.”

La ragazza ricambiò il sorriso:

“Spero di rivederti presto.”

“Anche io; fa attenzione.”

“Lo farò di certo.”

Gli diede un bacio sulla guancia e se ne andò dalla casa dei pesci;

Kypros sentì battere il cuore dopo tanto tempo.

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Capitolo 2
*** La nera regina mortale ***


Maggio 2015, Kalos:

Oggi divento cavaliere dei Gemelli;

l’odio verso il sangue che scorre nelle mie vene

renderà il mio ruolo ancora più difficile,

ma d’altronde il mio cammino non può che essere questo.

 

“Buona fortuna fratelloni!”

Minerva abbracciò Lun e Leonidas, ed essi arrossirono.

“Dai, ci guardano tutti!” - provò a protestare il minore dei due.

Leonidas avrebbe voluto rimproverarlo con qualcosa in stile :«Non essere scortese!», ma la cosa effettivamente lo metteva in imbarazzo e si limitò ad accarezzare la sorella con aria ebete. Tra le risatine in sottofondo sentì chiaramente quella di Lambda.

“Ora dobbiamo andare sorellina.”

“Leo… fate attenzione!”

“Non ti preoccupare, andrà tutto bene.” - sorrise il ragazzo, mentre Lun impaziente di partire già scalpitava sulla scaletta dell’aereo.

Leonidas si allontanò lentamente, e quando la sua mano non toccò più quella della ragazza, ebbe la sensazione che un abisso incolmabile si fosse formato fra loro; aveva una brutta sensazione. Si voltò un’ultima volta e vedendo il suo viso sorridente si rassicurò.

“Non ti preoccupare, mi occuperò io di quei due.” - disse Lambda accarezzando la spalla della ragazza.

Minerva sorrise:

“Grazie.”

Non aveva mai avuto molte occasioni di parlare con il cavaliere dell’Ariete, per via del suo carattere circospetto, ma grazie a quel piccolo gesto d’affetto ora la sentiva molto più vicina.

Per la prima volta si era resa conto che avevano la stessa età.

 

 

Una coltre di nubi nere avvolgeva l’isola rendendo impossibile il passaggio dei raggi del sole; a generarla era un enorme vulcano che troneggiava tra tutte le aspre montagne di Death Queen.

“Un deserto dimenticato da Dio, pregno di morte in ogni angolo, molti lo definiscono un inferno su terra: di giorno il caldo è talmente insopportabile che tutto il corpo pare bruciare, mentre di notte cala un freddo pungente che ti congela fin dentro le ossa.”

Kalos, nonostante l’usuale possanza, appariva turbato da quel luogo,

Lun deglutì:

“E-e adesso?”

“Fra breve il sole tramonterà, anche se noi non possiamo vederlo per via della coltre di fuliggine che ricopre l’isola, l’unica luce che avremo, sarà la luminescenza dei fiumi di lava. Capirai che è notte quando, come ho appena detto, sentirai le ossa raggelare.”

“Sembra davvero l’inferno… come faremo ad atterrare?” - domandò Miles;

“Con un po’ di fortuna.” - rispose il cavaliere dei gemelli; guardò attentamente gli altri cavalieri sull’aereo, erano spaventati.

Ripensò a quello che gli aveva detto Chiron prima di partire, che per i cavalieri assieme a lui quella missione sarebbe stata la prova finale del loro addestramento e che lui avrebbe dovuto fungere da supervisore in quanto membro più anziano ed esperto della spedizione.

«Devo essere forte, altrimenti come potrò ispirarli? Non posso deluderli.»

La verità è che quella era anche la sua prova finale: l’isola di Death Queen era l’ultimo ostacolo verso il riscatto, finalmente sarebbe stato libero dal suo passato.

Lambda conosceva Kalos da più tempo di tutti tra i presenti sull’aereo, eppure, avrebbe potuto dirgli qualcosa per farlo stare meglio, eppure non aveva il coraggio di parlargli. Chiron aveva ritenuto opportuno non rivelare prima di una missione così importante l’esistenza di Loki al ragazzo; d’altronde anche se avessero parlato di altro, nella mente di Lambda sarebbe rimasta fissa l’immagine di quella ragazza, la sorella del cavaliere dei gemelli di cui quest’ultimo ancora ignorava l’esistenza.

La ragazza guardò Leonidas, che era immerso nei suoi pensieri, più del solito; sicuramente pensava alla donna dai lunghi capelli bruni e sperava di trovare sull’isola le risposte di cui era in cerca.

Miia uscì dalla cabina di pilotaggio:

“Il pilota dice che fra poco atterreremo, allacciate le cinture!”

 

I ragazzi erano scesi dall’aereo e stavano indossando le rispettive armature, tutti tranne Kalos, che si era bardato dell’armatura già prima che atterrassero; scese dal mezzo e questo ripartì dileguandosi tra le nubi nere dell’isola. A quel punto il cavaliere dei gemelli si mise in testa al gruppo:

“Per la sicurezza del capitano l’aereo non ci aspetterà qui, ma parcheggerà in un’isola vicina; quando la missione sarà terminata lo richiameremo e verrà a prenderci. Noi dobbiamo esplorare l’isola e vedere se c’è qualcosa di sospetto… state sempre in guardia, probabilmente i cavalieri neri ci stanno già osservando. Avete bisogno di sapere altro?”

Lambda si fece avanti:

“Per evitare che il pilota corra ulteriori rischi non sarebbe meglio che io teletrasportassi tutti via da qui quando sarà il momento?”

“Purtroppo, su quest’isola c’è una barriera simile a quella del grande tempio che impedisce di utilizzare il teletrasporto.”

Lun alzò la mano impaziente:

“Io non ho capito bene… dobbiamo tipo, andare in giro e pestare a sangue chiunque troviamo? Cerchiamo qualcuno? Oppure… qualcosa?”

“Non lo so cosa troveremo, ma se il nobile Chiron ci ha mandato qui, sono certo che avremo pane per i nostri denti.”

“In pratica stiamo assediando quest’isola.” - commentò in modo pungente Miia.

“Se vuoi metterla in questi termini… sì, è un assedio. I cavalieri neri sono ancora impuniti per i fatti di sei anni fa, e ciò che è accaduto recentemente a Metellene ha riacceso le tensioni tra il Santuario e questo posto. Tuttavia, c’è dell’altro.”

“Tifone?” - domandò Leonidas facendosi cupo.

“Qualcosa legato ad esso. Secondo il mito T ifone è sepolto in Sicilia, molto lontano da qui, tuttavia sembrerebbe esserci un legame tra i cavalieri neri ed i seguaci di quel mostro leggendario.”

“In sostanza: chi cerca trova. Giusto?” - aggiunse Lun.

Kalos annuì, disarmato dalla semplicità del ragazzo albino.

D’un tratto Ian alzò lo sguardo e si guardò attorno con circospezione

“Sta arrivando qualcuno…”

Anche gli altri cavalieri se ne accorsero subito dopo: un piccolo cosmo si stava avvicinando a loro. Non era particolarmente ostile, ma emanava comunque una qualche sorta di energia negativa; per Leonidas e Miles non era una sensazione nuova, avevano già sentito quella presenza la notte dell’attacco a Metellene.

Da una collina rocciosa si avvicinava lento e mesto, ammantato con una tunica nera, un vecchio dai capelli color cenere; nel suo passo ciondolante vi era qualcosa di sgradevole, ma nessuno avrebbe saputo dire di preciso cosa.

L’uomo giunse dinnanzi ai cavalieri; aveva un naso camuso e occhi di fuoco che sembravano uscire dalle orbite; allungò il braccio adunco facendo cenno con la mano ossuta di avvicinarsi, e sorrise, mostrando i pochi denti che gli erano rimasti:

“Benvenuti cavalieri, il mio nome è Sosia; il mio padrone mi ha mandato incontro a voi affinché vi conducessi da lui, venite, non abbiate paura, non è una trappola.” - ridacchiò rauco il vecchio sputacchiando.

Kalos guardò gli altri, affinché lo seguissero.

Il vecchio alzò la mano per fermarli:

“Il cavaliere d’argento e quello di bronzo non sono invitati.”

Miles guardò il cavaliere dei gemelli:

“Ce la caveremo, non preoccuparti.”

Miia fece cenno dando conferma.

I cavalieri d’oro seguirono il vecchio Sosia, che li condusse fino a una strettoia in mezzo a due rupi:

“Seguite la strada, ad un certo punto troverete un tempio: là, il mio padrone vi aspetta.”

Aveva tutta l’aria di essere una trappola, ma per il momento non potevano fare altro che stare al gioco del vecchio; in ogni caso, Lambda aveva eretto una sottile ed invisibile barriera di cristallo per evitare attacchi a sorpresa.

 

Camminarono per circa mezz’ora – di tanto in tanto si poteva scorgere qualche figura nera strisciare sulle rupi – fino a che, come detto da Sosia, trovarono un tempietto in stile greco, completamente nero.

All’entrata vi erano due cavalieri neri, che esortarono i cinque ragazzi a entrare.

La sala interna del tempio era molto simile a quella del gran sacerdote, vi era persino il trono al centro della stanza… sul quale sedeva un uomo, con indosso un elegante completo nero.

Kalos impallidì di colpo.

“Salve, cavalieri d’oro.”

“Non può essere…!” - bisbigliò Lambda.

Leonidas le strinse la mano: non l’aveva mai sentito tremare così tanto.

L’uomo si alzò in piedi e venne incontro al cavaliere dei gemelli, che riuscì a dire solo un’unica, distinta, parola:

“Padre.”

Amphitrion sorrise:

“È passato molto tempo, Kalos."

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Capitolo 3
*** Inganno di fantasmi ***


Mens agitat molem”

Una mente mette in moto tutto l’universo.

(Virgilio, Eneide, 6, 727)

 

“Quante facce nuove… ho sentito che al santuario si sono radunati tutti dodici i cavalieri d’oro! Avrei tanto voluto vedere lo spettacolo delle armature che risuonano in sintonia...”

Amphitrion passeggiava su e giù lungo la sala, talvolta gesticolando, con il suo beffardo sorriso costantemente sul volto.

Nessuno dei presenti osava dire nulla.

La situazione era indescrivibile, assurda per chi fosse stato presente ai fatti di sei anni prima, surreale per chi li aveva solo sentiti raccontare.

“Immagino non vi aspettavate di vedermi, anche io sarei sorpreso al posto vostro.”

Lambda strinse i pugni e sul suo volto comparve una smorfia di profonda collera.

“Sei cresciuta molto, piccola Lambda, però… mi dai ancora l’aria di essere una ragazzina.”

“TI AMMAZZO BASTARDO!”

Leonidas non aveva mai visto la ragazza tanto furiosa; il suo volto pareva persino deformato, tanto era l’odio che stava provando.

Le prese di nuovo la mano, era tesa, sudata e rigida: la ragazza avrebbe davvero potuto uccidere l’uomo in quel momento.

Amphitrion la osservò serio per un istante, poi riprese a camminare con quel suo ghigno stampato in faccia:

“So già perché siete qui, però non so che cosa volete… avanti, ditemi.”

Sarebbe spettato a Kalos il compito di parlare, ma era troppo sconvolto per farlo, così si fece avanti Leonidas:

“Distruggete tutte le armature nere e non mettete mai più piede nel santuario.”

Amphitrion si sedette sul trono, posò il gomito sul bracciolo e portò la mano sulla tempia, poi sorrise divertito:

“Altrimenti?”

“Quest’isola verrà ridotta in cenere.” - sentenziò Leonidas minaccioso.

“Una minaccia un po’ deboluccia, se permetti… come avete potuto vedere qui è tutto cenere in pratica...”

“Allora non ti darà fastidio se ti rompiamo il culo vero?”- si fece avanti Lun.

“Cancer… come al solito è un cavaliere dal temperamento focoso! Non voglio certo sfidare la temibile onda dello Tsei-she ke...” disse Amphitrion alzando le mani fingendo di aver paura.

“Facciamo un gioco. No, non ignoratemi vi prego, l’ho preparato apposta per voi, sarei... tanto dispiaciuto, se non mi deste retta per questa incredibile quanto unica esperienza! Certo alcuni dettagli sono diversi dal progetto iniziale, ma è questo il bello della diretta, non sai mai che cosa aspettarti, io lo trovo estremamente divertente, voi no? Che peccato…”

Kalos finalmente rinvenne dal suo stato di sbigottimento:

“Che cosa vuoi da noi?”

“Molto semplice: ho preparato cinque stanze, ognuna sorvegliata da un guardiano. Se sconfiggerete tutti i guardiani, distruggerò tutte le armature nere, ed io e i cavalieri neri verremo con voi al Santuario come prigionieri.”

“Potremmo ucciderti ora...” - sibilò Lun - “… come possiamo fidarci?”

“Non avete scelta… io non sono neppure qui.”

L’uomo sghignazzando scomparve di colpo, anzi: non era mai stato in quel luogo.

Tutto il palazzo svanì, e al suo posto comparve una caverna, con cinque entrate, su ognuna delle quali vi era un simbolo:

“Sono tutti segni zodiacali...” - constatò Kalos.

“Ariete, Toro, Leone, Vergine, Pesci… non può essere”- Lambda era incredula: “… armature d’oro nere!”

“Quel folle di mio padre si è spinto fino a tal punto… dobbiamo distruggerle tutte.”

Lun si portò davanti a una delle porte:

“Io non vedo il mio segno qua però… che faccio?”

Kalos si fece pensieroso, tornando – apparentemente - calmo:

“Anche se decidessimo di cambiare strada, mio padre ci condurrebbe dove vuole lui, come avete visto, è un maestro delle illusioni. Se avessi saputo che ad aspettarci c’era lui io… io ...”

“Non è colpa tua.”

Leonidas si voltò colpito: Lambda, proprio lei, che fino a poco prima sembrava completamente folle di rabbia, ora accarezzava il braccio del cavaliere dei gemelli. Era comunque scura in volto e decisamente irrequieta; Leonidas sorrise, ancora una volta meravigliato dalla forza d’animo della ragazza.

“Dobbiamo separarci?” domandò Ian leggermente intimorito.

“Preferirei di no, ma ribadisco che siamo nelle mani di un burattinaio formidabile. Proviamo a stare al suo gioco, sconfiggiamo i cinque guardiani e vediamo se rimane fedele ai patti.”

“E se dopo esserci stancati in questi scontri Amphitrion approfittasse per sconfiggerci facilmente?”

“Forse proverà a farlo, ma vi assicuro che sarà tutt’altro che facile…” - Kalos si avvicinò a Lambda:

“Se necessario, Lady Minerva ci ha autorizzato ad utilizzare quella tecnica speciale.”

Lambda sorrise, ma poco convinta:

“Io, te, e…?”

Si voltarono verso Leonidas:

“Vieni qui Leo, dobbiamo spiegarti una cosa...” gli si rivolse Kalos serio.

 

 

 

Una decina di cavalieri neri avevano circondato Miles e Miia. Dietro a loro, un altro gruppo di nemici: in mezzo a loro, solo uno si distingueva per via un’armatura più chiara di quella dei cavalieri neri, che non era nuova ai due ragazzi:

“Quindi Eden è tuo fratello?”

“Sì, devo portarlo via da qui...”

“Tu va da lui, io tengo occupati gli altri cavalieri neri.”

La ragazza si voltò sorridendo verso Miles:
“Grazie mille.”

Miles ricambiò il sorriso con un cenno garbato, poi si mise in guardia.

Mentre Miia correva verso il cavaliere dall’armatura chiara, il colpo del drago nascente travolse i cavalieri neri attorno a loro lasciando la strada libera alla ragazza, che si avventò sul secondo gruppo.

Nel frattempo, i cavalieri attorno a Miles erano stati scaraventati via, tutti eccetto uno, che si ergeva imponente in mezzo al campo di battaglia.

Miles aveva già visto quell’armatura, anche se ora era leggermente cambiata in modo da essere più simile alla sua.

Il cavaliere indossava una maschera che ne celava il volto, ma il ragazzo riconobbe quello sguardo carico di odio, e quegli occhi inconfondibili:

“Dragone nero...”

 

Leonidas attraversò la lunga galleria, e si ritrovò in un cortile polveroso.

In mezzo al cortile alcuni macigni, e su uno di essi, un ragazzo con indosso un’armatura identica alla sua, ma completamente nera.

Aveva i capelli rossicci, e grandi occhi azzurri; era magro e slanciato, ed il viso pareva quello di un ragazzino, con la pelle delicata e liscia.

“Dunque eccoti qua.” - il ragazzo, a dispetto delle apparenze, aveva un timbro di voce profondo e maturo.

“Tu sei il Leone nero...”

Leonidas gli si avvicinò lentamente, e sempre rimanendo in posizione di guardia.

“E tu sei il falso Leone.”

“Come scusa?”

Il ragazzo si alzò in piedi:

“Quell’armatura è mia, toglitela impostore.”

 

I cavalieri neri erano tutti a terra che si contorcevano per il dolore – era stato il «Thunder claw», temibile attacco di Miia.

Solo Eden era stato risparmiato; il ragazzo si era messo in guardia, ma il pensiero di affrontare la sorella maggiore lo faceva tremare.

“V-vattene Miia!” - urlò il ragazzo con voce stridula e balbettante.

Lei si portò poco davanti a lui:

“No… ti porto via da qui. Athos e Alphard sono venuti con me al Santuario, vieni anche tu, ti prego!”

“Non posso… io sono un traditore...”

“Anche noi lo eravamo, ma siamo stati aiutati da valorosi cavalieri che non si sono arresi con noi.”

“Avete tradito nostro padre, l’uomo che ci ha salvati dalle nostre miserabili vite, senza di lui ora saremmo cibo per i vermi!”

“Nostro padre non agisce più da tempo per suo volere, ancora non lo hai capito?”

“Sì lo so!”

Miia si sentì ferita dall’aggressività di Eden, e quest’ultimo vedendo ciò cercò di ricomporsi:

“Papà, il padrone dell’isola… sono tutti servitori di un essere superiore.”

“Tifone.”

“Sì, e ora stanno attaccando il Santuario.”

“Che cosa?!”

“Mi spiace sorellina, ma quel luogo verrà distrutto… se rimani qui nostro padre ti riaccetterà, e potremo essere felici insieme...”

Miia guardò il volto del fratello: gli occhi erano lucidi, a stento tratteneva le lacrime. Dopodiché la ragazza lanciò il suo attacco fulminante.

“Io voglio solo… che nessuno faccia del male a te o ai nostri fratelli...”

Eden cadde in ginocchio e Miia lo afferrò prima che potesse sbattere per terra:

“Scusami fratellino, ma in questo momento non ti rendi conto di ciò che stai facendo, quindi ti porterò con me, e vedrai che potremo cominciare una nuova vita.”

Miia prese in braccio il fratello e si voltò:

vide che Miles e il Dragone nero stavano ancora lottando.

 

Lambda era quasi arrivata alla fine della galleria; all’improvviso si trovò davanti ad un muro invisibile. Chiunque ci sarebbe andato a sbattere ma non lei; tastò il muro di cristallo attentamente, e infine trovò il punto di rottura.

“Molto abile.”

Lambda alzò il capo di scatto, aveva già sentito quella voce.

Uscì dalla galleria e vide che un’imponente figura con indosso un’armatura nera sedeva a gambe incrociate in mezzo a quella specie di cortile; aveva corti capelli biondo paglia, il viso allungato e particolari sopracciglia tonde.

L’uomo si alzò in piedi e guardò la ragazza sorridendo:

“Sei diventata così grande...”

Lambda gli corse incontro e lo abbracciò; rimase a lungo in silenzio.

Il cuor le batteva forte, e cominciò a singhiozzare.

L’uomo la abbracciò dolcemente.

“M-mi sei mancato tanto... papà…!”

“Anche tu piccola mia.” - disse Mhesa dell’Ariete accarezzandola.

 

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Capitolo 4
*** Uno specchio sul passato ***


Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo.”

Se non posso muovere i celesti, smuovero’ gl’Inferi.

(Virgilio, Eneide 7, 312)

 

 

“Siete molto brava a questo gioco, milady.”

Alexander mosse l’alfiere.

“Non prendermi in giro Alex...”

Minerva fissò la scacchiera sbuffando.

Il cavaliere dell’acquario sorrise e si aggiustò gli occhiali:

“Non ti prendo in giro, per gli standard a cui sono abituato sei davvero un avversario interessante, un po’ insicura, ma hai un approccio tutt’altro che puerile.”

La ragazza mosse un cavallo.

“Non devi avere paura di perdere qualche pezzo, è anche così che si ottiene la vittoria.”

“Lo so…”

Alexander spostò la torre.

“Scacco.”

“Se muovo il re… il mio alfiere verrà sicuramente mangiato poi.”

“Il re è il pezzo più importante, deve essere protetto anche a costo di perdite gravi.”

Minerva salvò il re e l’alfiere venne mangiato; dunque la ragazza spostò la regina, e constatò che il suo avversario era in scacco.

“Visto? Non ti sei persa d’animo e ora sono in difficoltà; è stato un sacrificio necessario.”

Minerva sorrise rassegnata:

“Però che senso ha una battaglia vinta in questo modo, se il prezzo è così alto?”

“Noi non siamo pedine in una scacchiera, noi siamo persone.”

Mentre la ragazza decideva quale pezzo muovere, Chiron entrò trafelato nell’undicesima casa:

“Mi spiace disturbarvi, ma lady Minerva deve assolutamente andare nelle sue stanze; siamo sotto attacco.”

 

Difronte a Lun vi era un uomo che stava in piedi a braccia conserte; era enorme , persino più grande di Bull, del quale indossava l’armatura nera. Aveva lunghi capelli grigi e gli occhi del medesimo colore, ed una barba leggermente incolta.

L’uomo guardò il ragazzo albino sorpreso:

“Ma tu non sei Bull...”

“Tu conosci il vecchio?”

“Sei il cavaliere del cancro… perfetto!”

Lun arretrò leggermente e osservò sospettoso il cavaliere:

“Chi sei?”

“Devi usare l’onda infernale dello Tsei-she ke, altrimenti non potrò aiutarti!”

“Ma cosa…”

“Fa presto!”

 

 

Ian camminava nel buio da diversi minuti, tanto che aveva deciso di chiudere gli occhi per esplorare meglio la caverna: era abituato a non vedere, e utilizzare gli altri sensi al buio non gli era difficile.

All’improvviso sentì un cosmo avvolgerlo, un cosmo caldo, familiare.

Titubante seguì quell’aura avvicinandosi lentamente; aprì gli occhi e si accorse di essere uscita dalla galleria.

Si ritrovò difronte ad una donna, dai lunghi capelli biondi, che indossava l’armatura nera della vergine. Lo guardò coi suoi grandi occhi azzurri ed ebbe un sussulto:

“I-Ian...”

Il ragazzo non rispose, era immobile ed osservava la donna con gli occhi sgranati; in cuor suo aveva capito chi aveva di fronte.

“Sei diventato così grande...”- la donna sorrise, e dai suoi occhi cominciarono a scendere lacrime di gioia, ma in quelle lacrime c’era qualcosa di amaro.

“Tu sei… tu sei la mia mamma?”

La donna gli venne incontro e lo abbracciò:

“Sì!” esclamò in lacrime.

“Io non capisco…tu eri scomparsa per sempre...”

“Purtroppo, su quest’isola grava un maleficio indicibile.”

 

 

 

 

“Papà, come è possibile che tu sia vivo?”

Mhesa non rispose; Lambda lo guardò negli occhi:

L’uomo sospirò e lentamente la allontanò da sé:

“Non sono vivo.”

Lambda sgranò gli occhi come se avesse appena visto un fulmine piombare dal cielo sereno dinnanzi a lei:

“Che cosa significa?”

“L’uomo dei gemelli ha imparato a controllare un’arte terribile che viola le leggi fondamentali della natura: la negromanzia.”

“Tu sei...”

“Sono stato resuscitato da Amphitrion assieme agli altri quattro cavalieri d’oro da lui uccisi.”

“Padre… che cosa posso fare per salvarti?”

L’uomo si gettò a terra dolorante, avvolgendosi la testa con le mani:

“S-siamo stati colpiti dal colpo noto come «Demone dell’oscurità», una tecnica di controllo mentale… che… costringe chi la subisce ad eseguire ogni ordine di colui che la scaglia. N-noi dobbiamo eliminare il nostro avversario…”

Mhesa si alzò in piedi e si mise in guardia:

“Dobbiamo combattere Lambda…”

“No… non posso farlo…”

“Adesso ho ancora un po’ di controllo… più esito più il demone dell’oscurità prende il sopravvento… è l’unico vantaggio che posso darti, non sprecarlo!”

“Papà!” - urlò Lambda in lacrime;

“Devi essere forte!”.

Mhesa alzò il braccio bruciando il cosmo, dopodiché lanciò lo Stardust Revolution.

 

 

“Io sarei un impostore?”

Il ragazzo con l’armatura nera indicò Leonidas:

“Non farmi ripetere ciò che ho detto, dammi la mia armatura!”

Leonidas cominciò ad innalzare il cosmo;

“Credi di farmi paura?”- il ragazzo elevò il cosmo a sua volta, e la sua energia travolse Leonidas facendolo persino indietreggiare.

«Un cosmo talmente imponente da muovere ciò che gli sta intorno… non avevo mai avvertito nulla di simile da un essere umano!»

“Tu dovresti sapere chi sono, o la tua disinformazione è pari alla tua stoltezza?”

Leonidas rifletté alcuni istanti, poi ebbe come un’illuminazione:

“Colui che era legato a questa armatura è perito sei anni fa...”

“Era.”

Il ragazzo si avvicinò a Leonidas, e ad ogni suo passo il suolo attorno a lui si disintegrava lasciando solo enormi solchi nel terreno:

“Io sono Heracles, legittimo cavaliere d’oro del Leone, se non intendi darmi ciò che è mio, morrai.”

“Mi spiace, ma ora devo compiere la mia missione, e questa armatura mi serve...”

Leonidas lanciò il «Lightning Plasma»: i fasci di luce avvolsero l’avversario, ma questo sembrava non subire alcun effetto.

“E tu saresti un cavaliere d’oro? Mi fai pena.”

Heracles stese il braccio mimando la posa del Lightning Plasma, ma scagliò un attacco diverso: «Gravity Bolt».

Leonidas sentì il suo corpo venire schiacciato verso il terreno, dopodiché alcune saette turbinarono attorno a lui colpendolo da diversi punti.

L’armatura d’oro lo aveva protetto, ma aveva subito alcuni pesanti danni interni.

“Non mi arrendo per così poco!”

Leonidas si rialzò e lanciò un attacco alla velocità della luce.

Heracles lo schivò ma non si rese conto che il colpo dietro di lui curvò e torno indietro colpendolo; per un istante vacillò, poi si ricompose.

“Sei stato abile, ma manchi di forza, il tuo cosmo è debole. Ora lancerò il Lightning Bolt, attaccò che dovresti conoscere anche tu, e vedremo, in condizione di parità, chi è il più forte.”

Leonidas si asciugò il sudore della fronte – si accorse che era sporco di sangue – poi si mise in posizione di attacco:

“Sono pronto.”

I due leoni bruciarono il proprio cosmo ai limiti estremi delle loro possibilità, si guardarono negli occhi e videro che attorno a loro non vi era più l’isola della regina nera, ma stelle cariche di cosmo, e dietro ciascuno dei due, fece la sua comparsa un feroce leone di pura energia.

Entrambi lanciarono il loro colpo, e tutta la zona venne avvolta da una cupola di luce.

 

 

Kalos continuava a correre nella galleria, in preda ai suoi pensieri:

come era potuto succedere? Suo padre si era preso gioco di lui ancora una volta, e ora non poteva che assecondare il suo gioco.

«Perché, perché?!» continuava ripetersi furioso.

Dopo un po’, si accorse che c’era qualcosa di strano in quel tunnel.

Guardò il terreno e vide le sue stesse impronte andare avanti e poi indietro.

«Un’altra illusione...»

“DANNAZIONE!” - Kalos gridò bruciando il suo cosmo e tutta la grotta venne spazzata via.

Alzò il capo e guardò ciò che aveva di fronte a denti stretti:

il tempietto nel quale si erano trovati era di fronte a loro.

Si avvicinò alla porta sfondandola con un pugno ed entrò furente di rabbia nell’edificio: “Dove sei assassino?!”

Cominciò a distruggere il tempio lanciando colpi qua e la.

Infine si inginocchiò a terra, e quando alzò la testa vide che attorno a lui vi erano solo tenebre.

Dal buio qualcosa di simile a un lampo violaceo lo accecò; cominciò a sentire sonno, e lentamente si accasciò al suolo.

 

Loki si avvicinò al cavaliere dei gemelli, si sedette accanto a lui e gli accarezzò il volto dolcemente:

“Non dovrai più avere paura… ora ti proteggerò io… ti proteggerò per sempre, nessuno ti torcerà più un capello.”

Si sedette accanto a lui, ed infine, dopo averne osservato commossa il volto perfetto, lo baciò sulla fronte.

 

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Capitolo 5
*** Peccato fosse una menzogna ***


Felix qui potuti rerum conoscere causas”

Felice chi ha potuto conoscere le ragioni delle cose

(Virgilio, Georgiche 2)

 

Mhesa giaceva inerme tra le braccia tremolanti dell’amata figlia, le cui gocce di pianto gli bagnavano il petto; il vecchio ariete tossì – uscì del sangue – poi con una mano le accarezzò il volto:

“Sei stata capace di superarmi…” - disse guardandole il viso coperto di sangue e lacrime.

“Non lasciarmi ancora, ti prego!” - esclamò lei con le ultime forze che le erano rimaste in corpo.

“Non sono riuscito a superare i tuoi colpi, sono così orgoglioso che tu sia diventata un tale cavaliere, e una donna così bella… ti chiedo soltanto di perdonarmi per averti fatto soffrire così tanto con i miei attacchi.”

Mhesa tossì nuovamente, poi le asciugò le lacrime con il pollice della mano che le stava accarezzando la faccia.

“Nonostante tutto sono contento di averti rivisto un’ultima volta. Adesso però dovrete affrontare minacce ben peggiori di quanto voi possiate immaginare; nel folle piano di quell’uomo c’è una crudele fatalità.”

“N-non capisco...”

“Leonidas.”

“Come?”

“Devi allontanarti da quel ragazzo.”

“Ma padre, perché?”

“Perché lui sarà per te fonte di grande dolore. Il sangue che scorre nelle vostre vene è troppo simile, e al contempo troppo diverso...”

“Non riesco a capire, ti prego spiegami!”

Mhesa chiuse gli occhi e inspirò, al ché la ragazza per un istante sussultò temendo si fosse riaddormentato per sempre, ma infine la sua bocca si riaprì, e le sue parole caddero sul cuore di Lambda come una pioggia di gelida luce:

“Il sangue che scorre nelle vene di chi ti ha generato, e in quello del padre Leonidas, è frutto dello stesso seme.”

Lambda sgranò gli occhi e alzò il capo; Mhesa le si avvicinò, con le ultime forze, all’orecchio, sussurrò alcune parole e di colpo il suo mondo divenne polvere.

Mhesa cercò di rialzarsi, e la loro posizione si invertì: adesso era lui a reggere tra le braccia insanguinate la ragazza.

“Perdonami, perdonami bambina mia, non avresti dovuto saperlo né qui né ora. Non rimproverarti di nulla, cosa potevi saperne tu?” - le disse stringendola forte; ma lo sguardo della ragazza era ormai vitreo e impassibile, e le sue parole giungevano ovattate, come se fossero lontane e non nel suo orecchio.

“Ti voglio bene Lambda, qualunque cosa succeda, ama sempre la vita. Peccato solo, quella che avevo adesso fosse una menzogna…”

Infine la strinse forte e chinò il capo. Per sempre.

 

 

“Ti ringrazio ancora giovane cavaliere di Cancer.”

Ajax sentì le forze che lo abbandonavano; separare un’ anima dal corpo era cosa facile per Lun, e ora aveva aiutato il vecchio toro a ritrovare la pace.

“Possente Ajax sono io a doverti ringraziare, e non temere, ciò che mi hai detto non sarà disperso; il tuo ricordo riceverà l’onore che si addice a un cavaliere della tua risma. Farò tesoro di ciò che mi hai detto e lotterò per la giustizia, per Athena, fino a ché in me ci sarà un briciolo di vita!”

L’uomo sorrise:

“Sapere che la dea è nelle mani di uomini così valorosi riempie il mio cuore di gioia e speranza.; saluta il mio caro allievo quando lo vedi.”

Dopodiché sorrise ed il suo corpo privo di vita rimase immobile per alcuni istanti, poi fece per cadere, ma prontamente Lun lo afferrò – seppur con un po’ difficoltà data la gargantuesca mole dell’uomo – evitando che sbattesse a terra. In seguito provvide a dargli una degna sepoltura.

 

Il suolo era caldo e polveroso, Leonidas lo sentiva bene, attraverso i suoi vestiti e la sua pelle, niente altro.

Nella sua mente si ripeteva l’immagine di Heracles, che vittorioso si riprendeva la sua armatura lasciandolo a terra tremolante e inerme.

Non ricordava da quanto fosse là, ma a quel punto non riusciva a pensare a null’altro che a quella scena, il suo incubo a occhi aperti, e tanto meno non si accorse del momento in cui perse conoscenza; quando riaprì gli occhi, dinnanzi a lui vi erano due uomini chinati a prestargli soccorso.

Uno, dal volto magro e leggermente scavato, aveva un’aria familiare:

“S-Syd...”

Il primo impulso che ebbe Leonidas fu quello di sollevare le braccia per strangolare il vecchio compagno, ma il suo corpo era ancora paralizzato a seguito dei colpi di Heracles.

L’altro uomo appariva decisamente più vecchio, ed indossava un’armatura che non aveva mai visto; aveva i capelli bruni, attraverso i quali si poteva vedere sulla fronte una lunga cicatrice che scendeva fino all’occhio destro, e una lieve barba incolta che gli dava un’aria vissuta, pur non sembrando un uomo troppo vecchio – a occhio e croce pareva avere sui cinquant’anni.

Syd si alzò in piedi:

“Che cosa facciamo adesso?”

L’altro si alzò a sua volta e si girò di spalle a braccia conserte, pensò per alcuni istanti, e poi rispose con la sua profonda voce:

“Dobbiamo portarlo via da qui.”

Leonidas notò che dalla sua armatura pendevano sulla schiena delle code fatte di strane scaglie dorate, e si domandò a quale costellazione appartenesse quel cavaliere; in qualche modo gli ricordava Hyoga di Asgard.

Syd fece per sollevarlo, in modo da metterlo almeno in posizione seduta:

“N-non mi toccare.” bisbigliò Leonidas minaccioso, ma si rese subito conto che ferito e privo di armatura faceva ben poca paura.

“Tu pensi che io abbia ucciso John vero?” disse mettendolo seduto, ma reggendogli comunque la schiena.

“Me lo ha detto Jude.”

“E tu credi a quel che lui ti ha detto?”

“Allora...”- tossì - “… perché sei scomparso?”

“Non ti facevo così sciocco, Leo. Se ben ricordi non ero l’unico scomparso...”

Leonidas si illuminò di colpo:

“Vuoi dire che...”

“Non sai neppure chi ti sta sostituendo in questo momento alla quinta casa?”

“John è vivo?”

“E’ stato lui a organizzare questa messinscena.”
Leonidas si sentì barcollare, un po’ per la mancanza di forze e un po’ per l’emozione dell’aver appreso quella notizia.

“Aveva capito che saremmo stati traditi e attaccati. Ha finto la sua morte per poter agire più liberamente e stanare i nemici; abbiamo organizzato una squadra per monitorare quest’isola, eravamo noi a passare le informazioni al gran sacerdote.”

L’altro uomo si avvicinò a Leonidas e lo guardò con aria austera:

“Naturalmente sei libero di non crederci, ma in questo momento penso ti convenga farlo.”

A quel punto tutti i presenti avvertirono un enorme cosmo oscuro attorno a loro. Leonidas fu il primo a vederla: la sua armatura era nera come la notte, dall’aspetto affilato e con due enormi ali simili a quelle di un angelo, anch’esse nere.

“Loki.”

La ragazza si fece avanti imperiosa:

“Spostatevi, quel ragazzo deve ora venire con me.”

Syd fece per scattare in guardia, ma l’altro uomo lo bloccò facendogli cenno di stare indietro.

“Sfinge, la principessa nera dell’isola in persona.”

“Le tue formalità non mi interessano, Ikki della fenice, e in questo momento non ho voglia di combatterti.”

Loki alzò un braccio con un gesto repentino, e in un istante sia lei che Leonidas scomparvero sotto gli occhi dei due cavalieri.

“Temevo sarebbe successo… avrei dovuto essere più prudente.”

“Merda, che si fa?”

“Nulla: sono in un luogo dove neanche le ali della fenice possono portarci. Adesso tutto è nelle mani del giovane cavaliere di Leo.”

“Credo che ora dovremmo andare al Santuario...”

Ikki annuì col capo ed i due si misero in viaggio.

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Capitolo 6
*** Ancora tu ***


La faccia sua era faccia d’uom giusto,

tanto benigna avea di fuor la pelle,

e d’un serpente tutto l’altro fusto.”

(Dante Alighieri, Divina commedia, Inferno XVII,10-12)

 

 

Cenere e colonne di fuoco; questo era tutto ciò che il cielo di Death Queen offriva. Da tempo Hana lo osservava silenziosa, in attesa del suo avversario, finché non sentì dei passi, ed ecco dunque il cavaliere del Leone farsi avanti: ma non era il leone che stava aspettando.

Si avvicinò incredula e allungò il braccio, appoggiandogli la mano sul volto: era caldo e carico di vita:

“Sei vivo...”

Egli annuì e la ragazza lo strinse forte a sé:

“Come hai fatto a spezzare il maleficio?”

“Non è spezzato, per il momento sono riuscito a ricomporre la mia anima, che era in parte custodita nell’armatura d’oro, ed il mio corpo. Se voglio tornare completamente in vita devo uccidere il negromante ed impadronirmi della sua anima.”

“V-vuoi affrontare Amphitrion?”

Heracles la guardò negli occhi violacei:

“Vederti in questo stato, con un’armatura immonda… io non lo sopporto, non voglio che le nostre vite vengano umiliate oltre.”

La strinse forte a sua volta, e le diede un lungo bacio appassionato.

“Ti prometto che tornerai a vedere il cielo azzurro, e che vivremo assieme la vita che ci è stata negata.” - le sussurrò dolcemente, dopodiché, si voltò e, cominciò a correre; in pochi istanti raggiunse la velocità della luce.

Hana lo guardò scomparire all’orizzonte:

«Fa attenzione amore mio...» sospirò il vecchio cavaliere dei pesci.

 

Il gruppo camminava indisturbato, in mezzo alla battaglia: polvere, grida, sangue. I drakontoi attaccavano ferocemente, e i soldati ed i cavalieri di Atena reagivano con altrettanta ferocia; quella scena, era un inno al massacro.

Kara si guardò attorno, poi chinò il capo contrita;

“Eravamo pronti a ciò...”- le sussurrò Amphitrion.

“Lo so, mi chiedo se sia necessario.”

“Vorrei poterti rispondere che sono certo lo sia.”

Una risposta vaga. D’altronde non avrebbe potuto aspettarsi altro dall’enigmatico uomo dei gemelli.

Infine giunsero dinnanzi alle dodici case;

“Come siete giunti fino a questo punto?” - domandò pacatamente il cavaliere a guardia della prima casa.

Amphitrion si fece avanti:

“Dovresti saperlo, Kiki dell’altare.”

Kiki sorrise senza allegria:

“Dicono che ci sono Drakontoi per tutto il santuario; i cavalieri di bronzo e argento si stanno dando un gran da fare per combatterli. Naturalmente è solo un diversivo per far giungere voi qui… la progenie infernale.”

“E’ questo il nome che ci avete dato?”

“Direi che calza a pennello, vedendo le vostre armature...”

“Noi le chiamiamo «Daimon», sono molto simili alle vostre armature.”

“Ovviamente, come ti abbiamo insegnato a farle io Mhesa.”

“E pensare che eri un ragazzino persino più piccolo di me...”

“Ti ammiravo Amphitrion.”

“Io sono Gerione.”

Kiki lo guardò sorpreso per alcuni istanti;

“Dunque la stella sotto cui sei nato...”

Amphitrion annuì.

“Mi dispiace...”

“Non dispiacerti, tale è il mio destino, ormai l’ho accettato. So anche che non ci farai passare...”

“E’ così.”

Amphitrion salì la scalinata lentamente:

“In guardia.”

L’uomo caricò in direzione di Kiki, dopodiché portò le braccia indietro ed infine le riportò di scatto in avanti: le sue mani si infransero sul Muro di cristallo di Kiki, che si ridusse in frantumi.

«Lo ha distrutto facendo vibrare le mani cariche di cosmo alla velocità della luce!» pensò Kiki stupito.

Amphitrion ingaggiò un duello corpo a corpo con Kiki; quest’ultimo tentò di allontanarsi il più possibile, conscio della superiorità nelle arti marziali del suo avversario. Una volta allontanatosi a sufficienza, Kiki attaccò con colpi psichici il vecchio amico, che stordito venne scaraventato su un muro del palazzo del montone bianco; senza esitazione il cavaliere dell’altare scagliò infine lo Stardust revolution più velocemente possibile. Ma era troppo tardi: Amphitrion era già dietro di lui.

Kiki chiuse gli occhi:

Galaxian explosion.” - sorrise rassegnato.

Ed ecco il colpo dei gemelli colpire con tutta la sua furia distruttiva il cavaliere dell’altare, che cadde a terra esanime.

“Un colpo capace di distruggere… le galassie…” - sussurrò Kiki, per poi perdere i sensi.

 

Giunsero alla seconda casa; là vi era ad attenderli, a braccia conserte, il colossale cavaliere del toro.

Cerbero si fece avanti:

“Cavaliere del Toro, finalmente ci rivediamo, e questa volta anche io posseggo un’armatura!”

Bull rimase immobile ed in silenzio; Cerbero caricò, e nel mentre i suoi compagni approfittarono per passare dalla seconda casa.

Il Toro cercò di fermarli, ma l’immane forza del suo avversario non gli permetteva di distrarsi;

“Ho incontrato anche l’altro tuo ragazzo sai? Il moccioso del leone: l’ho reso sordo!”

“Sciocco, non hai fatto che rendere Leonidas più forte!” - esclamò Bull colpendolo con tutta la sua forza.

I loro pugni risuonarono a lungo per tutte le case vicine; chi si fosse trovato nei dintorni, avrebbe sicuramente pensato che due montagne si stessero frantumando l’una contro l’altra.

“Si stanno dando da fare...” - commentò Idra.

“Andiamo, non c’è tempo da perdere.”- lo esortò Gerione, mentre entrava nella terza casa, nella sua vecchia casa. Ebbe un sussulto interiore, fuori rimase imperturbabile come al solito; solo Kara capì cosa gli stava passando per la testa. Avrebbe potuto dirgli qualcosa per farlo stare tranquillo, ma non lo fece: lui non aveva bisogno di aiuto, e lei non voleva aiutarlo. O meglio, non poteva.

 

Poco dopo il loro ingresso nella casa, alle loro orecchie giunse un suono, una melodia celestiale; tutti sentirono le loro membra sciogliersi.

Kara si sentì venir meno, e quando stette per cadere, si ritrovò tra un paio di forti braccia. Si rialzò e ringraziò il compagno:

“Grazie Chimera.”

“Figurati.”- rispose il misterioso guerriero che fino a quel momento non aveva detto o fatto nulla; Kara sapeva poco sul suo conto, ma doveva in ogni caso fidarsi di lui, per il buon esito della loro missione.

Dal fondo della casa, giunse lentamente un ragazzo dai capelli biondi, con indosso una scintillante armatura bianca, e con in braccio una lira, che era intento a suonare.

“Dunque c’eri tu qua, Mime della Lira.”

“Non sei più il benvenuto in questa casa, Amphitrion.” - rispose pacatamente il cavaliere d’argento, sul cui volto non traspariva alcuna forma di paura o preoccupazione - “Andatevene subito, e vivrete, altrimenti, assaggerete le mie dolci e fatali note...”

A quel punto avanzò Idra:

“Mi spiace, ma il mio orecchio non è così raffinato da apprezzare la tua musica!”- i pendagli a forma di serpente della sua armatura si allungarono come tentacoli per colpire il giovane, che per risposta emanò dal suo strumento fili di cosmo dorato, i quali si intrecciarono ai «serpenti», bloccandoli.

Nel frattempo Gerione osservò gli altri due compagni che lentamente si accasciavano colti dal sortilegio della lira; era solo questione di tempo che agisse anche su di lui.

 

 

Miles respirava a fatica, parte della sua armatura era andata in pezzi ma fortunatamente le sue ferite non erano gravi.

Di fronte a lui invece, Dragone nero giaceva seduto coperto di sangue, con la schiena appoggiata su una roccia: la sua armatura era in frantumi, e diverse ossa si erano rotte durante il combattimento.

A quel punto il dragone si avvicinò lento e zoppicante verso l’avversario:

“Nonostante i miei sforzi non ti batterò mai, vero Miles?”

Il ragazzo non rispose, si strappò parte della maglietta e cominciò a tamponare le ferite del cavaliere nero.

“Ancora tu… con il tuo animo così gentile ma allo stesso tempo così forte… non potrò mai batterti certo. Ma almeno lasciami qua a morire, la tua pietà mi fa ribrezzo.”

“Dì pure che sono un tipo all’antica, ma non sopporto di vedere una donna in questo stato.”

Melas ridacchiò senza allegria:

“Ho rinunciato da tempo alla mia femminilità, Miles. Conosci la storia delle sacerdotesse guerriere di Atena?”

“Sì: fino a poco tempo fa dovevano indossare una maschera, e se venivano viste da un uomo senza, avevano due scelte, ucciderlo o amarlo.”

“Non ho fatto altro che pensare a quella notte, nessuno mi aveva mai sconfitta, e non solo in battaglia...”- la ragazza tossì e inclinò il busto, ma Miles riuscì a tenerla evitando che cadesse.

“… quando ti ho visto brillare nella notte, splendente come una stella di smeraldo, non potevo fare a meno di guardarti con ammirazione. Io, il comandante dei guerrieri neri, ammaliata dalla luce di un cavaliere… tale pensiero mi riempì di disgusto verso me stessa. A lungo ho pregustato la tua morte, ma ogni volta che il mio pugno trafiggeva il tuo petto, ecco che nella mia mente compariva quello sguardo così dolce e confortante...”

Il cavaliere si inginocchiò abbracciando la ragazza:

“Smettila di soffrire.”- Melas rimase senza parole, e per qualche istante scese il silenzio.

“Non dobbiamo più combattere!”

“E perché mai, dragone?”

Miles sorrise:

“Perché ho deciso che ti renderò felice d’ora in poi!”

La ragazza lo guardò colma di stupore, poi sorrise a sua volta:

“Già, non riuscirò mai a vincere con te...” 

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Capitolo 7
*** Resa dei conti ***


Ottobre 2005, Tsuru:

Mio padre è stato assassinato,

e io non ho potuto fare nulla.

Tutto quel che mi rimane ora,

è vendicarmi del sicario che lo ha ucciso,

per farlo devo diventare più forte,

ma solo allenandomi lontano dalla mia terra

potrò superare il dolore che provo adesso.”

 

 

Minerva sedeva sul trono in silenzio, tamburellando con le dita il bracciolo; le porte del tempio si aprirono, e Deneb entrò nella stanza.

“Nobile Chiron, il nemico ha passato la prima casa; il cavaliere del toro ne sta affrontando uno, mentre gli altri sono ancora tutti nella terza.”

“Stanno avanzando… Mime ha un potere terribile, ma aspetterei ad esultare, la progenie infernale non alzerà bandiera bianca tanto facilmente.”

Chiron avanzò verso la porta:

“Io torno alla nona casa, non posso lasciarla incustodita oltre, Deneb, tu rimani qui con Atena.”

Il ragazzo annuì e il cavaliere d’oro scomparve chiudendosi la porta alle spalle.

Deneb si avvicinò a Minerva e alle sue due guardie del corpo:

“Non abbiate paura milady, i cavalieri d’oro non permetteranno al nemico di farvi del male.”

Deneb spostò lo sguardo verso uno dei due cavalieri là presenti: era una ragazza giovane, dai capelli castani e arruffati, tenuti fino alle spalle.

Aveva grandi occhi verdi, ed indossava un’armatura molto semplice, tendente al celeste;

“Va tutto bene Yuria?” - le domandò André, l’altro cavaliere di guardia.

“Sì...”- rispose timidamente la giovane.

“Non preoccuparti per tuo fratello, è uno in gamba, la sua lira è un’arma invincibile!”

Deneb si avvicinò:

“Che sia invincibile come afferma la sua fama o meno, Mime non è certo uno sprovveduto, anzi, potrebbe anche raggiungere il livello di un cavaliere d’oro.”

“Mime...” - pensò André ad alta voce - : “… non sembra un nome giapponese, come il tuo, né etiope…”

“E’ nordico; mio padre glielo diede in onore di un guerriero con cui combatté tanti anni fa.”

“Mime di Benetnasch è tutt’oggi uno dei più celebri cavalieri di Asgard; e colei che ora indossa la sua armatura è proprio la maestra di tuo fratello, si chiama Reginn e fa parte degli attuali guerrieri divini di Odino.”- aggiunse Deneb.

“Dicono che i guerrieri di Asgard possano competere coi cavalieri d’oro…”

“Spesso è vero André, e credo che Reginn rientri in questa categoria: Mime quindi non può che essere dotato di grande forza e abilità.”- sorrise sicuro il cavaliere del cigno.

 

 

Idra e Gerione uscirono dalla terza casa, portando rispettivamente in spalle Chimera e Echidna; di Cerbero ancora nessuna traccia.

“Non avresti dovuto… immischiarti… Gerione!”- esclamò Idra col fiato corto.

“Avresti subito danni troppo pesanti, e mancano ancora nove case, non essere stupido.”

Gli altri due cavalieri si rialzarono, liberi dall’influsso della lira di Mime.

Gerione aiutò Kara a rialzarsi, poi guardò gli altri compagni:

“Procediamo.”

I quattro giunsero al palazzo del Cancro; un fendente aprì un solco nel terreno, dividendo il gruppo in due.

“Excalibur...” - commentò Chimera - “… andate, ci penso io.”

Nascosto nella quarta casa, Soren di Orione si preparava a lanciare un nuovo fendente contro la progenie infernale, ma gli si parò davanti un uomo con un’armatura mostruosa, dotata di ali, il cui capo era coperto da un casco di fattezze leonine che rendeva impossibile vedere il volto del guerriero; Chimera colpì il cavaliere d’argento con un potente attacco di energia, ma questo lo parò con il braccio.

“Nel mio braccio alberga una sacra spada donatami dal cavaliere del Capricorno in persona, non ti permetterò di recarmi ingiuria empio mostro!”

I due si sbalzarono via a vicenda:

“Tsk… una banale copia di Excalibur.”- commentò Chimera.

“Sarà anche una copia, ma non temere: taglia allo stesso modo!”

 

 

“Non credevo tu fossi vivo...” ridacchiò Gerione.

“Sorpreso, vero? E non immagini neppure dove sono stato per tutto questo tempo...”

“Hai fatto i compiti per bene John, devo ammetterlo.”

“Pensavi davvero che bastassero alcuni sicari per uccidermi? Andiamo vecchio mio, così mi offendi...”

“Ebbene è così, sono stato troppo fiducioso.”- Gerione si girò verso i due compagni: “Andate, John non vi fermerà.”

“Corretto, ma per il semplice motivo che ho piena fiducia del fatto che sarete fermati dai cavalieri delle prossime case; nessuno di voi tre, arriverà alle stanze di Atena.”

L’uomo dei gemelli si mise in guardia, e John fece lo stesso:

“Come mai la casa del leone John?”

“Immagino tu abbia incontrato il mio allievo.”

“Sì, diciamo di sì.”

“Deve aver sofferto molto per la mia «Morte», il minimo che io possa fare per scusarmi al momento è custodire la sua casa mentre lui è in missione.”

“Sei sempre stato un uomo ammirevole.”

 

Idra ed Echidna giunsero alla sesta casa, dove ad attenderli si ergeva orgogliosa una donna con un’elegante armatura argentata che richiamava la figura di un volatile.

“Io sono Tsuru, cavaliere d’argento della Gru; preparatevi, questo posto sarà la vostra tomba.”

Echidna fece cenno ad Idra di restare fermo:

“Hai bisogno di riposare, gli attacchi di Mime ti hanno danneggiato, è meglio che combatta io.”

Idra provò vergogna nel dover mandare qualcun altro a sbrigare il suo lavoro, ed in particolare una donna:

«D’altronde è uno scontro tra dame.» - pensò per consolarsi.

Kara si avvicinò al cavaliere, il cui sguardo la trafiggeva tagliente;

“Tu devi essere Echidna, la regina delle serpi.”- tuonò Tsuru.

“Le tue parole sono cariche di collera…”

“Non rivolgerti a me con tanta confidenza mostro; non avrò alcuna pietà, così come voi non ne avete avuta per mio padre.”

“Tu sei la figlia di Shiryu… vero?”

Tsuru si lanciò all’attacco, ma Kara parò il colpo:

“Non… nominare mio padre, mostro!”

Tsuru prese a colpirla con numerosi e rapidi attacchi, con la stessa impetuosità di una tempesta scatenata:

“Per anni ho pregustato questo momento, il momento in cui avrei vendicato mio padre… ti ucciderò e poi ucciderò tutti i tuoi compagni!”

“E se avessi ucciso io tuo padre?”

Una bugia.

Una bugia di cui Kara conosceva bene le conseguenze; forse la disse per la sua causa, o per i suoi compagni, o forse per auto punirsi.

Tsuru si fermò di colpo:

“T-tu...”

Il cosmo della ragazza cominciò a bruciare, al punto che divenne visibile a occhio nudo: nubi e scariche verdi, ed i suoi occhi illuminati del medesimo colore in modo sovrannaturale.

Kara si dispiacque di vedere una vita tanto giovane consumata per l’odio, odio di cui era in parte responsabile.

Ma non poteva fermarsi: quello era il suo fardello.

 

Idra nel frattempo era sgusciato fuori dalla sesta casa, e si era recato nella settima, non tanto per scappare, ma perché desiderava portare a termine lo scontro iniziato in Messico.

Jun lo aspettava in cima alla scalinata, guardandolo dall’alto:

“Quindi sei tu il mio avversario.” - ridacchiò il cavaliere della Bilancia.

“Non aspettavo altro.”- rispose Idra.

“Mi chiedo come abbiate fatto a giungere alla settima casa… ad ogni modo la vostra corsa finisce qui, tu sei l’ultimo rimasto.”

“Non sottovalutare la… come ci avete chiamato? Ah già, la «progenie infernale»… preparati, in Messico ti ho risparmiato la vita, oggi non sarò altrettanto disattento!”

Idra e Jun si prepararono a combattere alle porte della settima casa.

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Capitolo 8
*** Immolazione ***


Miser Catulle, desinas inpetire et

quod vides perisse perditum ducas.”

Misero Catullo, smetti di fare lo sciocco e

ciò che vedi perduto consideralo perduto.

(Catullo, Carmina 8)
 

 

Leonidas aprì gli occhi, vedendo solo un soffitto sconosciuto.

Per alcuni istanti rimase immerso nel torpore da cui il suo corpo stava tentando di destarsi, poi provò ad alzarsi e fu questa volta il suo stesso corpo a bloccarlo. Su di lui, vi erano ovunque bende coperte di sangue e lividi violacei: questi gli effetti del suo colpo, lanciato da un uomo assai più potente di lui.

Ruotò la testa per cercare di capire dove fosse: sembrava una stanza comune, come quelle della sua casa a Firenze.

Una scrivania, un comodino, un armadio, qualche vestito qua e là… vestiti femminili.

La curiosità di capire dove fosse divenne troppo forte, e con tutte le forze che aveva, provò a mettersi in posizione seduta. Ad ogni movimento, gli pareva che molteplici coltelli stessero infilzando le sue carni lacerandole: non aveva mai provato un dolore così atroce. Riuscì a rimanere seduto solo per pochi istanti, poi i muscoli cedettero e oscillando precipitò dal letto cadendo a faccia in su - solo a quel punto si accorse di essere completamente nudo.

L’unica porta della stanza si aprì, ma paralizzato dal dolore Leonidas non riuscì a vedere chi stesse entrando, che comunque lo prese delicatamente e lo riadagiò sul letto coprendolo affinché non prendesse freddo, e allora poté vederla in volto.

“Loki…”

La ragazza si sedette accanto a lui sul bordo del letto, poi cominciò a fissare il vuoto, come in attesa che accadesse qualcosa.

Dopo qualche istante si voltò lentamente, e sospirando allungò la sua mano accarezzando il volto di Leonidas:

“Non dovevi soffrire così tanto…”

A Leonidas tornò in mente la sera in Grecia in cui avevano cenato assieme, e si ricordò di quell’istante in cui la ragazza lo aveva guardato con un’espressione di dispiacere e amarezza, in un modo insolitamente dolce: ora lo stava fissando con quella stessa espressione.

“Dove sono?”

“Siamo in Sicilia, vicino a Catania; qui è dove viviamo io e la mamma.”

“C’è anche lei qui?”

Loki chinò il capo e il suo viso scomparve nel buio: solo quando la sentì singhiozzare, il ragazzo capì che stava piangendo.

Non capì perché lo fece, ma il suo istinto gli fece scivolare la mano fino a incontrare quella di Loki e stringerla con delicatezza: lei si voltò stupita, ed in quel momento Leonidas vide gli occhi neri come il carbone della ragazza colmi di lacrime, provando un grande senso di affezione nei suoi confronti. Leonidas provò nuovamente a mettersi seduto, e ancora una volta cadde, questa volta tra le braccia della giovane, la quale lo strinse in una sorta di abbraccio, che lui ricambiò:

“Quella stupida, pur di proteggerci...”- singhiozzò Loki- “… pur di proteggerci… non tornerà più…”

 

 

Kara osservò il cavaliere d’argento che gemeva a terra dolorante:

“M-maledizione!” - ringhiò la ragazza con le lacrime agli occhi.

“Mi dispiace per quello che ti è accaduto, ma ho una missione da compiere, e tu non sei in grado di fermarmi...”

Tsuru le afferrò la caviglia, tentando di trascinarsi:

“R-ridammi… mio padre.”- dopodiché perse i sensi.

Kara rimase immobile a fissare quel viso segnato dal dolore, finché non sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla:

“Non è il momento di farsi prendere dai sensi di colpa.”

Amphitrion era lì, con qualche graffio e l’armatura piena di crepe, ma come al solito, imperturbabile:

“Non sei stata tu a uccidere Shiryu, io mi sono preso la sua vita, tu non hai colpe.”

Lei non aveva mai avuto colpe.

Era sempre stato lui a compiere le nefandezze che Tifone comandava; ma dove finivano i peccati di uno e iniziavano quelli dell’altra?

All’interno della casa si udirono pesanti passi:

“Cerbero, sei riuscito a trionfare infine, che brutto aspetto ti ha donato il toro dorato...”- disse Gerione salutando il compagno, la cui armatura era ancora più danneggiata della sua, per non parlare delle ferite: sembrava davvero che un toro lo avesse travolto e calpestato numerose volte.

“Per ora il toro dorme, meglio sbrigarsi prima che si riprenda.”

“Idra dovrebbe ancora essere alla settima casa… ma che ne è di Chimera?”- domandò leggermente perplesso Gerione.

“Io non l’ho visto venendo qui.”

“Significa che non è più alla quarta casa – né alla quinta, dato che neanche io l’ho visto.”

“Non vorrei sbagliarmi, ma credo che ci abbia già superato… mi è parso di vedere qualcosa per un istante mentre combattevo con il cavaliere della Gru.”

“Allora raggiungiamolo.” - Gerione si rimise in testa e guidò i due compagni alla casa successiva.

Quando entrarono nel settimo palazzo, non vi era null’altro che un silenzio assordante; al centro della stanza, Idra ed il cavaliere della bilancia giacevano inermi a terra.

Gerione si avvicinò al compagno caduto, ed in quel momento ebbe modo di constatare che non respirava più.

 

Chimera entrò lentamente nella casa dello scorpione, poi si arrestò e cominciò a guardarsi attorno; dal fondo buio della casa, emerse infine il suo custode.

“Dunque sei tu il primo che assaggerà la mia Cuspide scarlatta.”- si avvicinò Silen con la solita aria di strafottenza.

“Qualche ultima parola, demone?”

“Sei diventata grande Silen.”

La ragazza sussultò.

Nonostante l’uomo con l’armatura nera avesse il volto coperto, riuscì a vedere che i suoi occhi la fissavano, e soprattutto, non era la prima volta che li vedeva: erano un po’ vitrei, ma il loro colore verde era comunque scintillante.

“Chi sei?”- esclamò Silen mettendosi in guardia, pronta a scagliare la cuspide dal dito.

Il ragazzo si levò l’elmo, e Silen poté rivedere quei biondi capelli che non ammirava da tempo; tremolante abbassò le braccia, e si sentì le ginocchia cedere.

“Non può essere… tu dovresti essere morto...”

“Non manca molto, ho solo ricevuto un po’ di tempo in più.”

Chimera si avvicinò, e prese Silen aiutandola a reggersi in piedi:

“No tu non sei lui, sei un illusione, non puoi essere lui!”

“Sono proprio io invece.”

“Zeno...”- la ragazza lo abbracciò: “… sei proprio tu fratello mio?”

il ragazzo annuì impassibile.

“Ma dove sei stato per tutto questo tempo?!”

“Quando arrivò la mia ora, si risvegliò in me uno spirito, di cui scoprii essere l’incarnazione: la mitologica chimera.”

“Tu… sei una progenie infernale?”

“Sì.”- rispose con freddezza.

“Fermati ti prego, non sopravviverai alle prossime case!”

“Se mi lascerai passare, le mie possibilità aumenteranno.”

La ragazza abbassò lo sguardo a terra:

“Io sono un cavaliere di Atena, e anche tu lo eri...”

Rialzò il capo di scatto e lo abbracciò ancora più intensamente:

“Non lasciarmi, sei tutto ciò che mi rimane!”

“Sono già quattro anni che me ne sono andato… mi addolora constatare che il tempo per te si sia fermato, ma come farò ora io, anche tu devi andare avanti.”

“Non ci riesco. Io ci provo, ma un senso a tutto questo non riesco a trovarlo, ho provato a raggiungerti alcune volte in questi anni…”

Silen si levò gli avambracci dell’armatura, rivelando le sue numerose cicatrici all’altezza dei polsi:

“Eppure sei viva; tu devi vivere, Silen.”

La cuspide scarlatta attraversò l’armatura d’oro trafiggendo la ragazza, che sentì solo un lieve pizzico.

Zeno la prese in braccio e la accasciò sul letto sul quale un tempo dormiva, quando era ancora il guardiano dell’ottava casa, infine si recò a quella successiva.

 

 

“Zeno dello scorpione...”

“Zeno della Chimera.”

Chiron si avvicinò di qualche passo al ragazzo:

“Stavi morendo, la tua vita era giunta al termine… per non farti vedere agonizzante, un giorno sei scomparso e sei andato a morire in solitudine; dimmi se ho sbagliato qualcosa.”

“La tua perspicacia non ti tradisce neanche ora, hai descritto quelli che dovevano essere i miei ultimi giorni.”

“Non ho mai sentito di un essere umano che guarisce da una malattia terminale in stadio avanzato, così all’improvviso...”

“Infatti, ho abbandonato la mia umanità: la chimera rappresentata dalla mia armatura, non è solo un simbolo come il tuo sagittario. Ho perso il mio corpo originale molto tempo fa, per mano dell’eroe Bellerofonte, ma grazie al mio signore, esso è rinato in due forme differenti, ovvero la mia attuale persona, Zeno, e questa daimon, la mia armatura.”

“E’ questo che siete, la reincarnazione dei mostri creati da Tifone?”

“In un certo senso è così; questa era la mia sorte, così come quella di tutti i miei compagni.”

“Perché questa obbedienza cieca verso Tifone, e cosa vi spinge ad attaccarci?”

“Il suo sogno.”

“Ho visto le nefandezze che i drakontoi, i cavalieri neri ed oscuri compiono per tutto il mondo, quale sogno richiede tutto ciò?”

“Se vuoi fare una frittata devi sbattere qualche uovo.”

“E’ questo il valore che dai alla vita umana Zeno?!”

“Ciò che stiamo facendo salverà gli umani dall’ipocrisia degli dei in primo luogo, e poi da quella degli uomini stessi. Mi dispiace, dico davvero, che il nostro primo obiettivo sia Atena, io ci credevo nel suo ideale, nell’amore! Ma poi ho realizzato che non era abbastanza… il suo è un sacrificio necessario.”

“Ormai non ragioni più come un essere umano, rivederti in questo stato mi addolora….”- da dietro la schiena Chiron estrasse una freccia dorata, con l’altra mano imbracciò un arco - “…e ancora più mi addolora la consapevolezza che devo sopprimerti, perché il ragazzo che conoscevo è ormai morto.”

Zeno scattò avventandosi sul cavaliere d’oro, il quale usò l’arco come scudo per bloccare gli affilati artigli della chimera.

Cominciarono a scambiarsi numerosi colpi a velocità sempre più crescente, fino a raggiungere quella della luce; ad un certo punto, le loro mani si afferrarono reciprocamente, dando inizio ad una prova di forza tra i due.

In quel momento, i tre compagni della chimera entrarono nella nona casa, e videro enormi ali dorate contro ali nere cineree spalancate in tutta la loro possanza, come a simboleggiare l'eterno scontro tra luce e tenebre:

sì, quella era la sintesi della loro crociata.

Gerione esortò i compagni:

"E' meglio proseguire, questa battaglia sarà lunga e coinvolgerà tutto ciò che le sta attorno."

"Anche se ora è Chimera, Zeno è pur sempre stato un cavaliere d'oro..."- commentò Echidna -"... forse combatteranno la guerra dei mille giorni."

 

Gerione ed Echidna si apprestarono ad entrare nell'undicesima casa; Kara si voltò un istante.

"Qualcosa non va?"

"No niente..."

"Quel Cerbero, che tipo! Ha insistito a tutti i costi per scontrarsi con Diez del capricorno per quel conto che avevano in sospeso da Firenze..."

Gerione si avvicinò all'orecchio della donna:"...ma tu speri che lui non esca vivo da quella casa, vero?"- le domandò quasi sussurrando con tono beffardo.

Kara non rispose ed entrò nel palazzo dell'aquario.

«Certo che tu non vorresti più vederlo, dopo quello che ha fatto al ragazzo...»

Gerione entrò a sua volta: l'intero palazzo era coperto di ghiaccio all'interno, la temperatura era scesa di diversi gradi oltre lo zero.

Seduto su un trono di ghiaccio, vi era il custode dell'undicesima casa, che con sguardo imperturbabile scrutava i due intrusi; di colpo, il ragazzo si alzo in piedi, ed il trono dietro di lui si sbriciolò all'istante.

"Pretendere di affrontarvi entrambi sarebbe sciocco da parte mia, quindi metterò subito in chiaro che uno di voi passerà da questa casa, l'altro tuttavia, vi troverà una funesta morte. Ora, ragioniamo brevemente: verso di te Echidna, suppongo, non ho particolare astio, e che a sconfiggerti sia io o il cavaliere della dodicesima casa, il quale ti assicurò non oltrepasserai, per me non fa alcuna differenza. Al contrario, ritengo sia mio dovere affrontare Amphitrion…"

"...Gerione." - lo corresse l'uomo.

"...Gerione, per una serie di miei interessi puramente personali."

Kara si voltò verso Amphitrion, il quale abbozzò un mezzo sorriso:

"E sia, un passaggio garantito mi sembra un'offerta più che accettabile, sprecarla per futili discussioni sarebbe privo di senso."

Kara attraversò la stanza; poco prima di uscire si voltò e vide Amphitrion sorriderle, questa volta in modo temerario.

Erano passati anni dall'ultima volta che lo aveva visto sorridere in un modo così sincero, senza mascherare ciò che realmente provava. Ripensò a quando erano stati giovani assieme e a quanto lo aveva amato; ricordarle quel momento era l'unico modo che aveva per dirle :«Ti amo ancora.»

Non sapeva cosa provare per lui, forse in cuor suo quell'amore era sopravvissuto nonostante gli anni avessero cambiato l'uomo che amava; sotto la maschera in fondo, quanto poteva essere cambiata la sostanza?

Sorrise malinconicamente: qualunque cosa provasse, probabilmente non avrebbe dovuto aspettare a lungo per riunirsi a lui.

 

 

"E' andata a morire per proteggerci..."- continuò a ripetere Loki in lacrime"

"Perché, perché dovrebbe farlo?"

"Guarda dentro di te Leonidas, sono sicuro che troverai la risposta con facilità...."

Il ragazzo sgranò gli occhi ed il respiro gli si fece pesante:

"Non può essere così...!"

Si portò le mani tra i capelli:
"Non può essere così!"- ripeté affannosamente.

 

Vide davanti a sé l'ultima delle dodici case, e sospirò:

c'era riuscita, la scalata era ormai compiuta, mancava solo un ultimo ostacolo, ma le parole del cavaliere dell'aquario le rimbalzarono in mente: «Non lo oltrepasserai.»

Sospirò, e prima di entrare, ripensò a ciò che stava lasciando e si fece forza: almeno loro sarebbero stati al sicuro, i suoi amati figli Loki, Kalos, e Leonidas.

 

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Capitolo 9
*** La voce del dolore ***


Molti tra i vivi meritano la morte.

E parecchi che sono morti avrebbero meritato la vita.

Sei forse tu in grado di dargliela?

E allora non essere troppo generoso nel distribuire la morte nei tuoi giudizi:

sappi che nemmeno i più saggi possono vedere tutte le conseguenze.”

(J. R. .R. Tolkien, Il Signore degli Anelli)

 

 

 

Kara entrò nella dodicesima casa, e subito il profumo delle rose inebriò le sue narici; rimase in guardia, ma dentro di sé non poté far a meno di provare una piacevole sensazione, amava il profumo dei fiori.

Al centro del palazzo si ergeva fiero il cavaliere dei pesci, uomo di aspetto angelico ma tutt’altro che debole.

I due si scrutarono a lungo, in modo da studiarsi, senza dire nulla, finché Kara ruppe il silenzio:

“Perché ti poni davanti a me, se non intendi uccidermi?”

“Potrei farti la stessa domanda, dato che non emani nessuna intenzione omicida.”

“Ne sei sicuro, cavaliere dei pesci?”

Kypros sorrise:

“Io posseggo la capacità di parlare con le piante, e le mie rose speciali ti hanno analizzato da quando sei entrata, marchiandoti con il loro aroma.

Mi hanno detto che questa persona non vuole fare del male a nessuno.”

“E’ un potere meraviglioso; immagino serva a bilanciare la maledizione del sangue dei pesci...”

Kypros sfoderò una rosa e se la appoggiò tra le labbra- quella era la sua guardia.

“Già, anche tu comprendi che c’è un’enorme differenza tra quello che qualcuno vuole fare, e quello che deve fare.”- e detto ciò anche Echidna si mise in guardia.

 

Il silenzio echeggiò nella decima casa; Diez si avvicinò al suo avversario accasciato al suolo, con un enorme solco lungo tutto il torace.

Rimase immobile per pochi secondi, poi con estrema attenzione gli prese il polso e constatò che non si sarebbe rialzato.

“Ci hai dato un bel po’ di problemi Cerbero, ma infine sono riuscito ad abbatterti, bestia.”- gli ritornarono in mente i fatti di Firenze, e il suo pensiero andò a coloro che avevano perso la vita quel giorno: «Ora potete riposare in pace...»

Avrebbe voluto recarsi subito all’undicesima casa per aiutare Alexander, ma si sentì le gambe cedere e dovette sedersi per riposare.

Udì dei passi e si rialzò di scatto, nel dubbio che ad entrare fosse un nemico; quando vide chi era appena entrato, si stupì- per quanto fosse possibile che un uomo impassibile come il cavaliere del capricorno rimanesse colpito da qualcosa.

“Tsk, prima l’uomo dei gemelli, poi tu… oggi i morti escono dalle tombe?”- sospirò Diez.

 

Kara ansimava affaticata, mentre il suo avversario continuava a ergersi al centro della dodicesima casa, coperto di sangue ma imperturbabile.

“Cessa di attaccarmi, ho capito che non puoi vincermi: sei affaticata, sia nel corpo che nell’animo, ritirati e salva la tua vita.”

Kara colpì con forza il cavaliere dei pesci, scaraventandolo su un muro, che crollò in frantumi addosso a Kypros per via dell’impatto.

All’improvviso, vide le ali della sua daimon andare in pezzi, così come parti dell’armatura stessa, il tutto accompagnato da petali neri che danzavano attorno a lei.

Il cavaliere d’oro riemerse dalle macerie, tastandosi un braccio dolente- Kypros pensò in un primo momento fosse lussato, poi per fortuna si accorse che era solo un lieve stiramento.

Intanto l’armatura di Kara era andata quasi completamente in pezzi, ed i petali neri avevano lacerato parte dei suoi vestiti, cominciando a divorare le carni.

“Queste sono le mie rose nere, le «Pirhanian Rose», che distruggono ogni cosa.”

Kara fece esplodere il cosmo, bruciando i funesti fiori del cavaliere, e con uno scatto si portò addosso a quest’ultimo, infliggendogli un pugno poco sopra l’addome, che spaccò l’armatura d’oro, ed anche qualche costola del ragazzo.

Kypros indietreggiò di qualche passo dolorante, ma non fece in tempo a rimettersi in guardia che subito Echidna lo colpì con una serie di attacchi ad altissima potenza e velocità. Poco prima di sferrare il colpo di grazia però, la donna si sentì venire meno le forze; si accorse che il battito cardiaco era divenuto irregolare, e quando abbassò la mano per tastarsi il petto, constatò che ivi era infilzata una rosa bianca di sublime bellezza, i cui petali si stavano tingendo di rosso scarlatto.

“Quella è la mia rosa finale, la Bloody Rose: assorbirà il sangue dal tuo cuore, e quando sarà diventata completamente rossa, tu… morirai.”

Kara guardò il cavaliere sorpresa, poi abbassò il pugno e sorrise malinconicamente:

“Infine si ferma qui la mia corsa… peccato, avrei voluto vedere il nuovo mondo che sarebbe sorto…”

“Tu volevi davvero vederlo?”

“Che intendi…?”

“Per creare questo mondo, avresti tolto davvero la vita ad Atena?”

La donna chinò il capo.

“Come immaginavo… il tuo proposito è privo di ambizione.”

Kara infine, fece per cadere a terra, ma Kypros la prese e la aiutò ad adagiarsi prima che ciò accadesse; osservò il suo volto, era straordinariamente bello oltre che familiare.

“No, tu non combatti per qualcosa, ma per qualcuno, è l’unico motivo che spingerebbe un animo così gentile a una simile follia...”

Kypros si fermò un attimo, in silenzio, e chiuse gli occhi: poté sentire la battaglia in corso, e non solo quella nelle dodici case, ma anche la funesta carneficina che stava avvenendo lungo tutto il santuario.

«Quanto… dolore… perché?»

Guardò la donna che giaceva accanto a lui, la cui vita si stava lentamente spegnendo.

 

I sensi e con essi la percezione del mondo esterno stavano abbandonando Kara, il cui pensiero continuava ad andare ai suoi tre amati ragazzi:

«Scusami Loki, ti lascio di nuovo sola… e voi, Kalos e Leonidas, non ho potuto essere per voi una buona madre, spero mi possiate perdonare un giorno, e che il mondo in cui vivrete sia pieno di vita e amore…»

Ormai rassegnata ad accogliere in sé l’oblio della morte, sentì qualcosa di freddo appoggiarsi sulle labbra, e poi una sostanza simile all’acqua ma con uno strano retrogusto fruttato scorrerle lungo la gola; si sforzò di aprire gli occhi, e nonostante la vista fosse quasi completamente sfocata, poté vedere una macchia dorata davanti a lei, e quando le tornò l’olfatto poté nuovamente sentire il profumo di rosa che emanava.

Si sentì sollevare, poi qualcosa la avvolse- probabilmente una coperta- e una maschera le venne posata sul volto; venne trasportata fino a sentire il profumo delle rose diventare estremamente intenso, quasi insopportabile, ed infine cadde in un profondo torpore.

 

 

Gerione lanciò un potente attacco energetico, ma Alexander lo congelò e contrattaccò a sua volta, e così il loro scontro continuava ad andare avanti. Combattevano ferocemente e senza tregua: la furia del cavaliere dell’acquario in particolare, aveva colpito persino Amphitrion, il quale di norma rimaneva indifferente all’avversario che aveva di fronte.

Nonostante la sua straordinaria resistenza, il freddo glaciale sprigionato dal custode dell’undicesima casa cominciò a colpirlo con violenza, e in pochi istanti, si sentì congelato fin nelle ossa; allo stesso modo, il Galaxian explosion dell’ex cavaliere dei gemelli aveva colpito Alexander, il cui corpo era coperto di abrasioni, ove l’armatura d’oro non aveva potuto proteggerlo.

«Non ancora Alexander, non cedere fino a quando quell’uomo non sarà morto…!» - continuava a ripetere tra sé e sé quel macabro mantra omicida. che era divenuto l’unica cosa che lo spingeva ad andare avanti in quello scontro consumandte la sua stessa vita.

“Non ti stanchi mai, Aquarius?”

Gerione si preparò a scagliare nuovamente il suo terribile colpo.

“Quando sederò sul tuo corpo privo di vita, avrò tutto il tempo di riposare!”- Alexander alzò le braccia unendo le mani, pronto a scagliare il suo colpo più potente, Aurora Execution, con tutta la potenza che gli era rimasta; quello sarebbe potuto essere il colpo definitivo che avrebbe sancito la vittoria dell’uno o dell’altro.

Sarebbe potuto esserlo, ma non fu così.

Alexander abbassò le braccia, e il suo volto si riempì di stupore – l’ultima delle sensazioni che avrebbe mai potuto cogliere l’uomo più freddo del Santuario – quando vide il torace del suo avversario trafitto da un pugno dorato immerso nel sangue.

Amphitrion si girò lentamente:

“Beh devo dire… che questa… non me l’aspettavo proprio…”

Heracles lo osservava impassibile:

“Credevi davvero che non avrei imparato la tua banale tecnica di negromanzia per applicarla su me stesso?”

“Sapevo che eri un genio, ma mai avrei immaginato fino a questo punto...” - rise senza allegria tossendo qualche goccia di sangue - “… ho proprio sbagliato a inimicarmi un uomo terribile come te, vero?”

Heracles si fece tetro:

“Hai sbagliato a fare incontrare ogni cavaliere con il suo corrispettivo cavaliere nero solo per soddisfare il tuo smisurato senso di megalomania e perfezione.

Hai sbagliato a non pensare che io avessi lasciato un pezzo della mia anima, carica di rancore nei tuoi confronti, nell’armatura, così che una volta indossata il mio corpo tornasse in vita in modo definitivo e autonomo.

Ma più di ogni altra cosa, hai sbagliato a uccidere me e Hana il giorno del nostro matrimonio, stupido bastardo.”

Amphitrion infilò la propria mano nel buco al centro del petto, e quando la riportò fuori, dentro di essa vi era uno strano bagliore carico di energia vitale:

“Prendila, so che Hana non accetterebbe mai un’anima rubata con la forza, quindi ti cedo la mia, per ridarle la vita.”

“Non aspettare che ti ringrazi, uomo dei gemelli.”

“Ovviamente, consideralo... un premio per avermi superato in bravura.”

Porse la mano ad Heracles, che afferrò l’estrema sintesi del suo cosmo e della sua anima.

Amphitrion si accasciò al suolo e chiuse gli occhi:

«Non vedrò mai quello che volevi fare Tifone, ma spero con tutto il cuore che tu riesca a realizzarlo… rendi Kara felice.»

Nella sua mente comparve quella figura velata e possente, che lo guardò dritto nell’animo:

«Lo farò… mio fedele amico».

 

 

Alexander si avvicinò al corpo del suo avversario:

“Sembravi immortale, e ora invece sei qui dinnanzi a me…”- alzò lo sguardo verso Heracles:

“… ho sognato spesso di infierire sul suo corpo, ma non sarebbe decoroso per un cavaliere, dico bene?”- si rialzò.

“Ora sei più alto di me, Alexander.”

“Non che tu sia mai stato un gigante, ma è bello vederti.”

“Ora non c’è tempo per i sentimentalismi, Atena è in pericolo.”

“Solo una persona ha superato questa casa, e Kypros l’ha certamente fermata.”

“E’ peggio di quel che temessi...”

“Che intendi?”

“Quando sono arrivato alla nona casa vi era solo mio fratello, privo di sensi, ma vivo; tuttavia, giunto alla decima, Diez ha detto che quando le tre progenie sono arrivate presso di lui, Chiron stava ancora combattendo con qualcuno...”

“Ciò implica che qualcuno sia riuscito a passare inosservato mentre stavamo combattendo!”

I due cavalieri d’oro si precipitarono alla dodicesima casa, videro che era vuota e presero due maschere per proteggersi dalle rose avvelenate della scalinata che conduceva al palazzo sacerdotale.

Fecero appena in tempo ad arrivare dinnanzi alle porte, per vedere il loro vecchio compagno Zeno aprirle ed entrare nella sala di Atena:

“E’ ferito a morte, cos’avrà intenzione di fare?”

“Non ho certo intenzione di scoprirlo!”- Heracles scagliò il Lightning Plasma, che colpì in pieno la schiena della Chimera.

Zeno si rialzò ansimante e continuò ad avanzare.

“Arrenditi Zeno, ormai la vostra corsa è finita!”- gli intimò Alexander.

Il ragazzo rise in modo lugubre:

“E’ invece, è appena iniziata, perché sono qui, esattamente dove volevo essere!”

Lampi di luce scesero dal cielo, fattosi improvvisamente scuro come fosse notte, e colpirono Zeno, che espanse il suo cosmo fino al limite massimo.

Guardò Atena, poco lontano da lui, che constatava in che stato mostruoso versasse quello che un tempo era un suo fidato cavaliere:

“Perdonami Atena, ma ora che mi hai guardato, sai che sono qui. Ora sai che esisto, che sono la prova che io, che rappresento Tifone sono qui, ovvero: Tifone è qui!”

Heracles rabbrividì, e Alexander ipotizzò cosa stesse accadendo:

“Le daimon non sono semplici armature, ma pezzi dell’anima di Tifone… e ora che questa è entrata in contatta con Atena che lo aveva sigillato sotto l’Etna al tempo del mito, è come se un lucchetto avesse trovato la chiave che lo teneva chiuso.”

Dai lampi accecanti si formò una nube nera, che prese la forma di un uomo ammantato di nero; poi il mantello si strinse attorno al corpo, evidenziandone la forma possente, dalla schiena il fumo si allungò formando gigantesche ali nere, ed infine, il tutto divenne di consistenza fisica sotto forma di sangue, carne, e armatura: il re dei mostri Tifone, era finalmente libero dalla sua prigionia.

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Capitolo 10
*** Tifone ***


???, Tifone:

“Loro… mi odiano.

Loro mi respingono,

mi guardano con gli occhi pieni di terrore.

Perché, lo fanno? Dovrebbero essere la mia famiglia…

Mi vedono come un mostro?

Allora sarò per loro il mostro più terribile di tutti.”
 

 

Il re dei mostri avanzava lentamente verso la dea Atena; Deneb, Yuria e André si misero davanti ad essa per proteggerla.

Tifone spalancò la mano ed i tre vennero scagliati via come colpiti da un vento inarrestabile; Andrè si legò a una colonna con una delle sue catene di Andromeda per non essere sbalzato, poi afferrò con l’altra catena Yuria, salvandola dallo schiantarsi su un muro, sorte che invece toccò a Deneb, il quale tuttavia si rialzò senza aver riportato troppi danni, ma con l’amara consapevolezza di trovarsi dinnanzi ad un avversario oltre ogni immaginazione.

Tifone si avvicinò ulteriormente a Minerva, la quale afferrò la sua arma, lo scettro di Nike, che si tramandava di generazione in generazione ad ogni reincarnazione di Atena.

“Questa volta non c’è il tuo adorato padre a darti man forte, Atena. Ma non temere: dopo che avrò preso la tua testa, mi recherò da lui!”

“Sei un folle! Intendi sfidare l’Olimpo da solo?”

“L’ho già fatto una volta, e ho vinto. Se solo tu non avessi salvato Zeus, ora…”- qualcosa colpì alle spalle il mostro, che sentì contemporaneamente una specie di scossa ed un freddo pungente. Si voltò e vide Alexander ed Heracles:

“Siete rimasti solo in due, cavalieri d’oro… che pena.”- rise beffardo Tifone, che si gettò sui due attaccandoli con ferocia. In pochi secondi distrusse senza problemi intere parti di quelle che erano ritenute le armature più resistenti mai create; con uno scatto i due si allontanarono dal nemico e si rimisero in guardia:

“Ha distrutto più del 50 percento delle nostre armature d’oro, di questo passo non ridurrà solo loro in briciole, ma anche le nostre ossa…” - commento freddamente Alexander cercando di mascherare l’affanno.

“Se avesse voluto avrebbe già distrutto del tutto le nostre armature, sta solo giocando con noi perché non ci ritiene suoi degni avversari.”

Alexander poi allungò lo sguardo verso Minerva, e vide che rimaneva immobile con lo sguardo sbarrato: la giovane dea era paralizzata dalla paura.

Deneb si avvicinò e le mise una mano sulla spalla:

“Atena… ti prego riprenditi, abbiamo bisogno di te!”

“Io… non la vedo…”

“Che cosa?”

“La vittoria… q-quel mostro è terrificante, va oltre ogni mia concezione!”

“Atena… anzi Minerva, anche se la situazione fosse disperata, i tuoi cavalieri combatteranno con te fino alla fine, ma adesso hanno bisogno di vedere che sei con loro. Mi rendo conto che non avendo mai visto una battaglia tutto questo sia scioccante per te, ma ora, proprio in questo momento, i cavalieri hanno bisogno di Atena, il mondo ha bisogno di Atena!”

Minerva chiuse gli occhi ed imbracciò lo scettro:

“Hai ragione.”

Tifone camminava attorno ai due cavalieri d’oro, con un ghigno beffardo:

“Come gli squali nuotano attorno alla preda prima di divorarla…” - sbuffò Alexander. All’improvviso il demonio si scagliò nuovamente all’attacco; i due si misero in guardia pronti ad incassare, ma prima che arrivasse il colpo, videro la loro giovane dea parare il pugno del mostro con il suo scettro.

Heracles sorrise e cominciò a caricare il suo cosmo, Alexander lo seguì;

“Smettila di recare ingiuria ai miei cavalieri, Tifone!”

“Ora ti riconosco Pallade, e proverò più piacere nell’affondare la mia mano nel tuo petto e schiacciarti il cuore mentre ti guardo negli occhi!”

I cavalieri d’oro colpirono lateralmente Tifone, mentre Atena tentò un affondo frontale, ma al loro nemico bastò un’esplosione di cosmo per farli volar via.

Alexander cominciò a ruzzolare per la scalinata che conduceva al tempio, finché si sentì come afferrare e rimettere in piedi; si voltò, ed il grande toro dorato era lì:

“Che tempismo perfetto Richard.”

“Mpf, sono anni che nessuno mi chiama con quel nome e proprio ora te ne esci così?” - sbuffò Bull.

Nel frattempo, per dare ad Atena ed Heracles il tempo di mettersi in sicurezza, i tre cavalieri di bronzo erano tornati all’attacco; tuttavia, Tifone impiego nuovamente pochi secondi per sbarazzarsi di loro, riducendo questa volta le loro armature in polvere. Si avvicinò alla giovane ragazza dai capelli castani, e fece per schiacciarle la testa col piede; quando questo toccò terra, si accorse che il corpo del cavaliere non c’era più.

Yuria aprì gli occhi, ritrovandosi tra le braccia di un volto familiare:

“Zio Ikki…!”

Il cavaliere della fenice aiutò la ragazza a rimettersi in piedi:

“Coraggio Yuria, dobbiamo dare man forte ai cavalieri d’oro.”

Dietro di lui Syd si fece avanti, ed i due caricarono contro l’avversario; vedendoli, pur essendo privo di armatura, anche Deneb si lanciò nuovamente all’attacco. Ma sembrava che Tifone fosse immune a qualsiasi colpo, così, Deneb e Syd caddero sconfitti dopo una coraggiosa carica, mentre Ikki si ergeva imperturbabile con buona parte dell’armatura distrutta.

“Tu sei uno dei cavalieri leggendari che hanno sconfitto Ade… pare però che la fama della tua armatura fosse sopravvalutata.”- lo schernì Tifone.

Ikki ridacchiò:

“Immagino tu conosca la leggenda dell’araba fenice, che risorge dalle sue ceneri?”

Dal terreno si alzò la polvere dell’armatura, la quale si adagiò sul corpo di Ikki: le sacre vestigia erano di nuovo integre, ed il cavaliere delle fenice pronto a combattere.

“Puoi rigenerare la tua armatura tutte le volte che vuoi, ma resterà sempre mediocre ed incapace di ferirmi.”
Ikki rise nuovamente, questa volta turbando lievemente Tifone:

“Come hai detto tu, ho contribuito a sconfiggere Ade… ma vedi, non l’ho fatto con quest’armatura che vedi ora. Ho ricevuto in dono il sangue della precedente Atena, ed ora…”

Il cavaliere innalzò il suo cosmo a livelli estremi, poi l’armatura emise un bagliore infuocato, quando tale luce si placò, l’armatura apparve completamente diversa: grandi ali ed un armatura ancor più potente che copriva quasi tutto il corpo del suo indossatore coprivano ora Ikki della fenice.

“Questa è un’armatura divina Tifone, come quelle che indossano gli dei, e queste sono le mie ali della fenice: Hoyoku tensho!”

Il re dei mostri venne travolto dalle grandi fiamme di Ikki, che avvolsero il suo corpo; ma poco dopo, col suo vento indomabile, Tifone spense quel fuoco ardente:

“Devo ammetterlo, Fenice, a differenza degli altri attacchi che mi sono stati rivolti in questo scontro, dal tuo ho percepito una certa potenza; Tuttavia non ti basterà!”

Tifone scagliò il suo impetuoso vento carico di cosmo ed Ikki venne scaraventato via; tuttavia, una volta allontanato Ikki, comparvero Bull, Alexander ed Heracles, in una strana posa che Tifone non aveva mai visto:

“Prendi Tifone, questo è l’Urlo di Atena!”- gridò Bull, e dai tre cavalieri partì un potentissimo attacco energetico diretto a Tifone, che percepito il pericolo, contrattaccò con il suo cosmo mostruoso.

Infine, dal cielo, Ikki caricò nuovamente, lanciando il suo Hoyoku Tensho al massimo della potenza; con quell’ultimo attacco, l’equilibrio che si era creato tra i due cosmi venne spezzato in favore dei cavalieri di Atena, e l’Urlo di Atena colpì Tifone spazzando via ogni cosa attorno a lui.

Il tempio cominciò a crollare su sé stesso, ed Ikki prese i tre giovani cavalieri di bronzo mettendoli al sicuro, mentre Atena protesse col suo cosmo i cavalieri d’oro dal contraccolpo del loro attacco.

Adagiati i ragazzi, Ikki si avvicinò agli altri, e vide Atena china su uno di loro:

“Alex… svegliati…”- bisbigliò la giovane con gli occhi sgranati. Bull le si avvicinò:

“Il suo cuore non batte più ha usato più cosmo di quanto il suo corpo gli consentisse… se non facciamo qualcosa, la sua vita si spegnerà.”

Atena impose le mani verso il ragazzo, e da esse vi uscì copioso il suo caldo cosmo.

Fece appena in tempo a sentire un flebile battito provenire dal petto di Alexander, che percepì qualcosa arrivare verso di lei, poi udì un grande boato; quando si voltò Tifone si ergeva con le ali nere spalancate dinnanzi a loro, e la mano conficcata nel petto del cavaliere del toro.

 

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Capitolo 11
*** L'urlo contro la tempesta ***


Bull prese il cellulare e rispose:

Chiron?”

Ho cambiato idea.”

Sentiamo.”

Prendi anche i due ragazzi: anche loro hanno un ruolo.”

Va bene, domani li porto al Santuario.”

A proposito di questo… i sicari che hanno ucciso Shiryu, Shun, e gli altri cavalieri sparsi per il mondo, potrebbero colpire Atena saputo che è qui, penso sia meglio farla vivere sotto copertura per ora.”

Cosa intendi?”

Tu e tua moglie non volevate tanto avere dei figli?”

 

Lun correva a perdifiato per la scalinata della dodicesima casa; giunse presso il palazzo di Atena e si levò la maschera per proteggersi dal veleno del roseto dei Pesci, dopodiché, con il cuore in gola si avvicinò al tempio:

“Santo cielo, qua è crollato tutto… Minerva, dove sei!”

Si avvicinò ancora un po’, e quando vide ciò che stava succedendo, il dolore lo attanagliò.

Bull si ergeva a mo’ di scudo con la sua imponenza per proteggere Minerva, la quale per lo sgomento riuscì solo ad allungare il braccio verso di lui:

“P-perdonami… ora dovrai andare avanti senza di me Atena…”

La ragazza esplose in lacrime:

“Papà!”

Il cavaliere sorrise:

“Non dovrei provare questo tipo di affetto per la mia dea… ma non riesco proprio a non volerti bene come una figlia… sono felice che tu mi abbia chiamato così alla fine, mia piccola Minerva.”

Bull alzò lo sguardo e vide Lun arrivare. Lo guardò negli occhi e sorrise, ed egli intese il suo ultimo messaggio: «Proteggila.»

Repentino, il cavaliere del toro si girò verso Tifone, la cui mano gli lacerò il torace nel gesto:

“Folle moribondo… speri di fermarmi?”

“Qualcosa mi inventerò.”- si rivolse a Ikki: “Portali via!”

Il cavaliere della fenice afferrò i quattro cavalieri di bronzo svenuti, mentre Heracles si allontanò con uno scatto tenendo sotto braccio Minerva e Alexander, e a quel punto l’armatura del toro cominciò a brillare:

“Questo è il mio ultimo attacco Tifone: Great Horn!”

Una grande quantità di cosmo investì l’avversario, scagliandolo verso le macerie sotto la quale venne sepolto.

Terminato l’attacco, Heracles si avvicinò al compagno per aggiornarsi sulla situazione: quando arrivò, di lui non c’era alcuna traccia, eccetto l’armatura d’oro che aveva assunto la sua forma totemica.

“Hai usato anche il tuo corpo nello slancio… che cavaliere formidabile…”

Il ragazzo accarezzò l’armatura d’oro, poi alzò il capo accigliato, e vide Tifone rialzarsi incolume dalle macerie.

“Povero sciocco, con quel suo gesto disperato non ha ottenuto nulla.”

“Tu non puoi capire… e mai capirai cosa spinge un uomo di valore a dare la vita per coloro che ama.”

Tifone rise:

“Ti sbagli invece, io non sono come i vostri dei, meschini e crudeli; le sofferenze del genere umano non mi sono indifferenti, ed anche io… ho perso molto in questa battaglia.”

Dal cielo scese Ikki, e si posò accanto al cavaliere del leone:

“Non c’importa niente dei tuoi rimpianti, giacché mettendoti contro di noi hai sancito tu stesso la condanna di chi ti era vicino!”- sentenziò la Fenice.

 

Lun stringeva Minerva a sé, la quale non riusciva a cessare di piangere:

“Sorellona, non possiamo arrenderci, la battaglia non è ancora finita!”

La guardò negli occhi azzurri carichi di lacrime:

“I tuoi cavalieri stanno ancora combattendo, dobbiamo aiutarli!”

“Cosa posso fare? Non sono riuscita a… a impedire che…”

“Ascoltami Minerva, forse esiste qualcosa che potrà ribaltare le sorti di questa battaglia; sull’isola di Death Queen ho incontrata il precedente grande sacerdote, Ajax del toro.”

“Il precedente gran sacerdote?”

“Sì, ed egli mi ha rivelato un segreto molto importante: sulla sommità del grande tempio, svetta la gigantesca statua di Atena. Ma essa non è una semplice statua, perché in essa vi è custodita un’armatura: si tratta della divina corazza di Atena, un’armatura divina!”

“Ho capito, andiamo subito!” - rispose lei asciugandosi le lacrime.

I due cominciarono a correre, e cercarono di passare accanto al combattimento in corso. Tifone si liberò dei due cavalieri e si gettò contro Atena, ma Ikki, non ancora completamente sconfitto gli si parò davanti:

“Non ti avvicinerai ad Atena finché respiro!”

“Allora muori!”

Tifone caricò nella mano una sfera di cosmo lacerante, che colpì il cavaliere all’addome e frantumò persino l’armatura divina che egli indossava.

“N-non riesco a crederci, è immensamente più forte di Ade… dunque è questa la potenza che ha sconfitto Atena e Zeus nell’epoca del mito!”

 

 

Lun e Minerva giunsero dinnanzi alla statua di Atena:

“Che cosa dobbiamo fare ora Lun?”

“Ci serve il tuo sangue, con quello il grande sacerdote potrebbe attivare il potere della statua e liberare la tua armatura.”

“Ma Chiron è alla nona casa, come facciamo?”

Lun si morse il pollice:

“Merda… non ho idea di come si faccia il rituale!”

“Forse io posso aiutarvi.”

Minerva e Lun si voltarono e videro arrivare un uomo dai capelli arancioni e con indosso un’armatura d’argento, pesantemente danneggiata.

“Perdonate il mio ritardo, purtroppo sono rimasto stordito a causa dei colpi dell’uomo dei gemelli.”

“Tu sei… Kiki dell’altare!”- esclamò Minerva.

“Non vedo come possa aiutarci ora…”

“Vedi, giovane cavaliere di Cancer, io svolgo il ruolo di primo ministro del grande sacerdote, ciò significa che in sua assenza posso farne le veci…”

“… e quindi compiere il rituale, ma è fantastico!” - si girò Lun euforico verso Minerva.

“Ora perdonatemi Atena, ma mi serve il vostro sangue.”

La ragazza accennò con risolutezza, e Kiki tirò fuori una daga:

“Al momento non dispongo di altre armi, quindi useremo questa; ancora una volta, mi perdoni Atena!”

Con un guizzo usò la punta del pugnale per incidere un taglio sull’avambraccio di Minerva, la quale strinse i denti e cercò di non gridare per il dolore ma un piccolo guaito le scappò comunque.

“Ecco ora è finita, sei stata bravissima.” - sorrise Kiki mentre con le mani accarezzava il braccio della ragazza, dopodiché, adagiò i palmi imbrattati di sangue divino sulla statua.

Tifone vide un enorme bagliore, si avvicinò e percepì un cosmo enorme,

e quando la luce si affievolì, poté vedere, ergersi dinnanzi a lui, Atena con indosso le sue divine vestigia: un’armatura scintillante dorata coi riflessi azzurri, che faceva apparire persino la docile Minerva come la potente dea della guerra, con lo scettro di Nike in una mano il potente scudo Egida nell’altra.

“Sono pronta Tifone, riprendiamo questo scontro che iniziammo nella notte dei tempi!”

Eccitato da quel cosmo, il re dei mostri si avventò sulla dea, che con lo scudo parò la sua carica, dopodiché affondò lo scettro verso il collo dell’avversario ma egli lo fermò con una mano.

Nel frattempo Lun e Kiki fiancheggiarono la loro dea e colpirono Tifone sui lati, ma i loro attacchi sembravano non scalfirlo.

“Che rabbia, è come se fossimo inutili, non possiamo neanche aiutarla dannazione! - imprecò Lun.

Da dietro intanto giunse un terzo attacco sotto forma di fulmine, che tuttavia Tifone nullificò prima ancora che potesse scalfirlo.

“Ancora tu miserabile, sei forse immortale?!”

Heracles sorrideva con il pugno ancora alzato ed il corpo coperto di sangue e ferite; ormai dell’armatura d’oro del leone rimanevano pochi brandelli.

Kiki si avvicinò al cavaliere e gli appoggiò le mani sulle spalle incredulo:

“Heracles, sei proprio tu?”

“Adesso non c’è tempo per le spiegazioni… ma dimmi, ti hanno per caso ferito alle mani?”

“Perdonami, in realtà questo è il sangue della divina Atena.”

Heracles sorrise:

“Non potevo sperare in meglio.”

Intanto, Atena stava combattendo contro l’implacabile Tifone, e nonostante ora indossasse la sua armatura divina, faticava a stare dietro ai suoi colpi, e non passò molto prima che venisse sopraffatta.

Con il suo vento lacerante, costrinse Atena ad inginocchiarsi per lo sforzo, ed infine si preparò ad affondare i suoi artigli nella ragazza; tuttavia venne colpito da un tuono ruggente che lo scagliò via.

“Questo è l’attacco del cavaliere del leone, ma com’è possibile che sia così potente?” - si voltò e vide Heracles, con indosso nuovamente l’armatura, e questa ora appariva più grande e splendente, oltre che dotata di ali.

“Ora anche io posseggo un’armatura divina Tifone, Gravity Bolt!”

Tifone sentì il suo corpo venire schiacciato a terra e dopo un po’ i potenti fulmini di Heracles lo colpirono, e per la prima volta, accusò il colpo, poi dopo qualche secondo, si rialzò in piedi ansimando:

“Passi l’armatura divina, ma questo cosmo… non può essere quello di un uomo comune, chi sei tu?!”

Heracles sorrise:

“Sono Heracles.”

Tifone lo guardò perplesso, poi ridacchiò a sua volta:

“Capisco! Ma è fantastico, qui ci siete sia tu che Atena, che occasione, che splendida occasione!”

Heracles si avvicinò a Minerva e la aiutò a rialzarsi:

“Coraggio Atena, adesso ci sono io al vostro fianco!”

La ragazza guardò Heracles e per un istante gli parve di vedere in lui suo fratello Leonidas:

“Che ne è stato di colui che indossava quest’armatura, Heracles?”

“Più tardi dovrò spiegarvelo, ma adesso, dobbiamo fermare quel demonio.”

In quel momento, Atena percepì in lui un cosmo straordinariamente potente, ed in qualche modo familiare.

Tifone distese le braccia, e caricò il suo cosmo:
“Finora non ho incontrato degni avversari, ma ora che voi due siete al massimo del vostro potere, finalmente posso sfoderare questo colpo: pneuma foneos!”

Dalle braccia di Tifone partì un impetuoso vento di cosmo, illuminato da una sinistra luce verde; in pochi attimi scatenò una bufera implacabile che lacerava ogni cosa nei dintorni, ma il centro energetico dell’attacco, come un colpo di cannone si scagliava contro Atena ed Heracles.

La dea imbracciò il suo scettro, guardò Heracles che fece un cenno col collo, poi lo scagliò con tutta la forza che aveva in corpo, mentre il cavaliere del Leone carico il Lightning bolt alla massima potenza, e con questo avvolse lo scettro di Nike. Quella potente lancia tonante squarciò il colpo di Tifone, ed infine come un dardo trafisse l’armatura daimon del re dei mostri e gli si incastrò nel petto.

Sconcertato, Tifone si toccò il costato:

“Non è possibile, io sono persino superiore a Zeus, come può il cosmo combinato di queste due sue imitazioni recarmi ingiuria!”

Con violenza estrasse lo scettro dal petto, poi se lo gettò alle spalle:

“Mi congratulo con voi, siete riusciti a scalfirmi, ora provate a sconfiggermi.”

Accanto ad Heracles si fece avanti Lun, il cui cosmo aveva raggiunto i limiti estremi, causando una metamorfosi anche nella sua armatura:

“Perdonami sorellona, ho preso da Kiki un po’ del tuo sangue per poter raggiungere questo livello.”

Infine, da dietro, fece la sua comparsa un giovane ragazzo coi capelli biondi, che teneva gli occhi chiusi, ed indossava l’armatura della vergine:

“Perdonate il mio ritardo amici, so che l’ora è disperata, ed anche io ho perciò chiesto in prestito il potere di Atena al sommo Kiki.”

“Ian, sei tornato anche tu da Death Queen!” - sorrise meravigliato Lun.

Il ragazzo aprì gli occhi, sprigionando il suo cosmo, e così anche quella della vergine divenne un’armatura divina:

“Sì, ed ora intendo aiutarvi a sconfiggere il male ultimo.”

Ian si mise in una particolare posa:

“Mi è stata rivelata l’esistenza di questa tecnica, e sono sicuro che con le armature divine e la dea Atena al nostro fianco, non falliremo.”

Heracles si mise accanto al ragazzo, anch’egli in posa:

“Tu devi essere il figlio di Elizabeth… sono onorato di combattere al tuo fianco. Cancer, tu fa quello che fa Virgo, in posizione speculare!”

“Va bene!”- il ragazzo fece quello che gli aveva ordinato Heracles, ed i tre si prepararono per lanciare l’urlo di Atena, e proprio quest’ultima, si mise dietro a loro per dargli forza col suo cosmo:

“Andate miei cavalieri, colpite il nemico!”

I tre scagliarono il loro formidabile attacco espandendo il loro cosmo ai limiti estremi , il quale dai loro corpi fuori uscì sotto forma di aura dorata che andava condensandosi all’Urlo; a questo si aggiunse il cosmo di Atena che amplificò esponenzialmente l’attacco.

Tifone fece esplodere la sua energia per contrastare quel temibile attacco:

“Non finirà così!” - gridò furente mentre il suo cosmo cresceva talmente tanto da assumere aspetto fisico sotto forma di cataclisma: il cielo divenne completamente nero ed una furiosa tempesta investì tutto il Santuario, sradicando gli alberi, distruggendo le case, e persino sbriciolando parte delle montagne circostanti.

«Se continuano così, tutto il Santuario verrà distrutto…» - rifletté Kiki, che doveva rimanere a guardare lo scontro come uno spettatore, consapevole che se si fosse avvicinato troppo sia il suo corpo che la sua armatura sarebbero andate ridotte in polvere: «Divina Atena, compagni cavalieri, sconfiggetelo, per il bene di questo luogo e di tutto il mondo!»

I tre cavalieri d’oro ed Atena decisero di avanzare oltre che con il cosmo anche con i loro corpi, e mentre i colpi ancora si infrangevano, loro mossero i piedi verso il nemico, e più si avvicinavano più la pressione aumentava, ma non solo per loro: anche Tifone cominciò a sentirsi schiacciare.

“Adesso!” - urlò Atena, e in un istante i tre riversarono tutto il cosmo che era loro rimasto in corpo in un ulteriore attacco, che spinse l’altro addosso a Tifone. Ma dopo essere stato travolto dal primo urlo di Atena, Tifone venne travolto da un secondo colpo della medesima potenza.

Tutto ciò che era dietro a lui si smaterializzò, ed il suo corpo si perse nel cosmo incommensurabile di quell’attacco; il cielo tornò azzurro ed il vento si placò. Dove prima c’era il tempio di Atena, ora vi era solo un gigantesco cratere; persino parte delle montagne che svettavano dietro al palazzo erano state rase al suolo.

Le armature d’oro tornarono al loro aspetto consueto – con sommo piacere di Heracles, anche quella del leone, che era stata distrutta, era nuovamente integra – e allo stesso modo l’armatura di Atena si ritrasformò in una statua, questa volta piccolissima, che si poteva persino impugnare con una mano. I tre cavalieri crollarono a terra esanimi, mentre Minerva si inginocchiò respirando affannosamente; poi guardo il cielo, libero da nubi.

Accarezzò Lun e guardò con le lacrime gli occhi Heracles ed Ian:

“Grazie, miei amati cavalieri…” - e detto ciò, si accasciò accanto a loro priva di forze. Quando giunse Kiki la trovò appisolata accanto al fratello completamente esausta, ma con un sorriso stampato in volto, e vedendo la sua dea così serena, anche lui non poté fare a meno di sorridere.

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Capitolo 12
*** De profundis ***


Dove uno soffre, lì tiene anche la mano”

(Plutarco)

 

La grotta era oscura, fatta eccezione per alcune venature magmatiche che brillavano nelle tenebre, dandole un aspetto estremamente sinistro.

Leonidas continuava a scendere lungo quella scalinata di pietra, e ad ogni passo gli pareva di avvicinarsi sempre più all’inferno… al suo inferno personale. Era molto caldo, ma non sorprendentemente caldo da quanto si potrebbe aspettare dalle viscere di un vulcano: quella via non era un artificio completamente umano.

Dopo un’infinità di scalini, giunse dinnanzi ad un imponente portone semi aperto, sul quale vi erano incise un’enorme numero di scritte in un greco molto arcaico; non riuscì a capire di che materiale fosse fatta quella gigantesca porta.

Lentamente la aprì, e si ritrovò in una specie di tempietto, i cui marmi erano completamente neri – o forse coperti dalla fuliggine vulcanica.

Udì un rumore, e quando si voltò vide una nera figura riversata in un angolo: respirava con affanno ed indossava un’armatura nera dotata di ali, crepata sul torace, da cui usciva del sangue molto scuro. Aveva la pelle chiara, quasi cadaverica, un viso ben proporzionato con labbra sottili, quando respirava mostrava canini particolarmente pronunciati; i suoi capelli erano neri come la pece ed i suoi occhi a guisa di topazio.

“Leonidas, confidavo che tu venissi a trovarmi.” - disse sorridendo.

Il ragazzo non rispose, si limitò a guardarlo con occhi austeri;

“Comprendo il tuo astio nei miei confronti… forse avrei dovuto tenerti con me fin dall’inizio, in questo modo tutto sarebbe stato meno traumatico.”

“Sappi che non provo rancore per il tuo abbandono, anzi dovrei ringraziarti forse; ma non è di questo che ti vengo a rendere.”

“Quanti anni hai, ragazzo? Su rispondi, è una semplice domanda.”

“Diciotto.”

“Questo può essere valido per il tuo corpo, ma vedi, dentro di te vive uno spirito assai più antico…”

“Di che diavolo parli?”

“Vale anche per tua sorella, e per tua madre.”

“Conosco la loro maledizione, mi stai forse dicendo che anche io…”

L’uomo rise sguaiatamente:

“Tu sei mio figlio, ed anche di Echidna, sei nato per essere il mio erede dai tempi del mito!”

“Smettila…”

“Eri un flagello per la Grecia, chiunque udisse il tuo ruggito scappava via terrorizzato e regnavi incontrastato su quel cimitero una volta conosciuto come Nemea.”

“Basta!”

“Se anche non ti raccontassi chi sei, questo non lo cambierebbe di certo, mia creatura implacabile: il mio prezioso leone di Nemea.”

Leonidas si mise le mani tra i capelli e con gli occhi sgranati ed iniettati di sangue lanciava occhiate di rabbia al suo interlocutore:

“Taci Tifone!”

Il sovrano della progenie infernale alzò il braccio ed indicò accanto a sé uno strano contenitore nero, simile ai Pandora Box dei cavalieri:

“Quello è il mio dono per te…”

“Non accetterò i tuoi doni!”

“Allora prendilo come qualcosa che ti appartiene di diritto; prima però vorrei rivelarti una cosa…”

Leonidas si avvicinò incuriosito da quella scatola nera;

“Sai, non era poi un segreto la tua identità…”

“Che cosa vorresti dire?”

“Pensi che al Santuario non fossero al corrente della tua natura? Pensaci, quante volte sei stato inviato fuori sede, lontano dalla tua amata Atena…”

“Il grande sacerdote ha agito in buona fede.”

“Anche il tuo tutore lo sapeva ed è per questo che ha allontanato da te Atena per tutto questo tempo!”

“Non osare parlare di Bull…”

“Sia lui che il vicario di Atena sapevano chi eri, perché esiste una profezia che afferma la distruzione del Santuario dal suo interno per mano di una belva travestita da Cavaliere.”

“Non è vero…”

“Io conoscevo questa profezia, e sapevo che parlava del mio erede, ne ero certo! Così, appena sei nato, ho fatto in modo che ti trovassi nello stesso luogo dove di lì a breve sarebbe rinata Atena; e credo che anche lei – in quanto divinità – ne fosse consapevole, perciò sei sempre stato legato a numerose personalità di spicco del Santuario, non era una coincidenza che la tua famiglia adottiva contasse ben tre cavalieri d’oro!”

Leonidas appoggiò la mano sulla scatola e cominciò a premerne il bordo nervosamente;

“Loro dovevano essere la tua misura di sicurezza, anche il giovane Cancer prima o poi lo avrebbe saputo… quella che chiami famiglia, è in realtà il tuo mastino da guardia.”

“Sono calunnie!”

“E vuoi sapere la cosa più divertente? Quella ragazza con cui ti diverti a scopare è anche figlia del mio fratellastro.”

Mentre lo diceva Tifone cominciò a ridere senza controllo, al ché

Leonidas urlò furioso ed a quel punto dalla scatole fuori uscì l’ultima nefasta daimon del re dei mostri, con la forma di un gigantesco leone nero;

l’armatura si adagiò sul corpo di Leonidas ed egli si ritrovò investito a progenie infernale. Quell’armatura assomigliava alla sue vestigia d’oro – che d’altronde prendevano origine proprio dal mito del leone di Nemea – ma oltre ad averne un aspetto più imponente ed affilato, oltre modo feroce, anche la sensazione che egli provava nell’indossarla era diversa:

era come se un fiume in piena si riversasse vorticoso su di lui caricando la sua forza, un indescrivibile moto di potenza che traboccava dal suo animo.

Tifone osservava compiaciuto la sua creazione:

“Come ti ho sempre sognato…”

Leonidas alzò lo sguardo verso Tifone e con uno scatto alla velocità della luce ci si avventò: la mano del ragazzo, era affondata nel costato del padre.

Egli lo guardava con occhi carichi di rabbia, ma Tifone non poteva fare a meno di sorridere, soddisfatto del suo stesso sangue:

“L’odio che provo per te, padre, non è per ciò che sei… non avrei potuto odiarti anche se fossimo stati nemici… no, io ti odio per ciò che hai fatto. Ti odio perché hai tolto la vita a colui che mi ha fatto da padre, e perché per colpa tua ho perso mia madre dopo averla appena ritrovata: non avresti dovuto dare così poco peso alle loro vite.”

“Anche così mi va bene.”

Leonidas tirò fuori la mano insanguinata dal petto del genitore, dopodiché lo lasciò agonizzante nella sua prigione.

“Gli dei sono menzogneri figlio mio, per questo li ho sfidati… pensa anche a come la tua vita è stata manovrata da loro, così come quella di molti innocenti, anche tu un giorno li odierai come li odio io, ricorda queste mie parole.”

Senza dire una parola, Leonidas si incamminò all’uscita del tempio, e non appena ne fu fuori, con un cenno del suo potere, lo fece crollare.

Ad ogni passo che faceva tutto dietro di lui crollava.

 

 

Heracles si appoggiò ad una parete rocciosa:

“Ti chiederei se hai bisogno di aiuto… ma non mi sembri il tipo.” - commentò Ikki.

“Non preoccuparti Phoenix; comunque grazie, senza le tue ali non sarei mai arrivato qui in così poco tempo, ore se mi permetti…”

Il cavaliere del leone si allontanò da lui, ed Ikki scomparve tra le montagne dell’isola di Death Queen.

Dopo essersi trascinato per qualche centinaio di metri, Heracles giunse infine dove aveva lasciato la sua amata: là giaceva priva di vita e con ancora l’armatura nera addosso.

Le si avvicinò e si inginocchiò accanto a lei, dopodiché dalla sua mano comparve il globo di energia che gli aveva donato Amphitrion, e lo infuse nel suo petto; dopo alcuni secondi, il cuore della ragazza ricominciò a battere, e poco dopo anche il suo respiro tornò.

Aprì lentamente i suoi occhi color nocciola, e quando vide che sopra di lei vegliava Heracles, sorrise e per poco non pianse di gioia:

“Ora nessuno ci separerà più amore mio…”- disse il ragazzo stringendola a sé; così i due giovani si abbracciarono a lungo, in onore della vita che aveva ricominciato a scorrere in loro.

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Capitolo 13
*** Profezia ***


Excelsius multo facilius casus nocet”

A chi sta in alto è molto facile che la caduta provochi danni.

(Publio Sirio)

 

Minerva osservava da dietro una parete di vetro, la stanza in cui era ricoverato Alexander: era attaccato a una macchina che lo teneva in bilico tra la vita e la morte. La ragazza appoggiò la mano sul muro e sospirò, poi sentì una mano che le si appoggiava sulla spalla con delicatezza:

“Sei tu Chiron…”

“Atena, i medici si prenderanno cura di Alex, tu hai fatto già tutto il possibile ed è merito del tuo cosmo se è ancora vivo, vedrai che se la caverà. Hai bisogno di riposare, vieni, ti ricondurrò alle tue stanze.”

“Capisco la tua preoccupazione… come stai tu?”

“Le mie ferite sono irrilevanti in confronto a chi ha combattuto contro Tifone, come te.”

“E tuo fratello?”

“Ancora non ho notizie di lui, ma sono contento che sia vivo.”

“Degli altri invece?”

“Lambda è tornata da Death Queen con Miia e Miles… ma è in uno stato catatonico, non esce di casa e si rifiuta di mangiare o dormire, sembra l’ombra di sé stessa. Kalos e Leo non sono ancora tornati, e nessuno ha idea di dove siano… e come se non bastasse, Silen è di nuovo scappata dal Santuario, e non si hanno più notizie nemmeno di Kypros.”

Atena chinò il capo;

“Lun è tornato a Firenze per stare vicino a Claire e al piccolo Keith… forse dovrei andare anche io.”

Guardò Chiron, col volto pieno di cerotti e lividi, poi sorrise senza allegria:

“Ma il mio posto è qui, non è vero?”

Chiron chiuse gli occhi:

“Ovunque andrai ti proteggerò nobile Atena.”

Nel frattempo, nella stanza lì accanto,

Yuria aprì lentamente gli occhi, poi si guardò attorno e vide Mime che le sorrideva:
“Ben svegliata.” - disse dolcemente il ragazzo.

“Fratellone… sono in ospedale?”

“Sì, sei stata in coma per una settimana.”

“Dove sono gli altri?”

“Tranquilla si sono già svegliati prima di te e ora stanno tutti bene… lo stesso non si può dire delle vostre armature.”

“Per un po’ niente più battaglie vero?”

Mime abbracciò la sorella, che scoppiò a piangere.

 

“Per un cavaliere l’armatura è come parte del proprio corpo, perderla è una dolorosa ferita nell’animo.” - Kiki si avvicinò a Deneb, che silenzioso scrutava il Santuario da un giardino vicino alla prima casa.

“Stia tranquillo signor Kiki, sto bene.”

“Non essere così formale Deneb, ti conosco da quando eri solo un bambino. Ad ogni modo riparerò la tua armatura così potrai indossarla nuovamente: ci vorrà un po’ ma tornerà come nuova.”

Deneb sbuffò sorridendo senza allegria:

“Non è di questo che mi preoccupo…”

“Cosa ti turba allora?”

“Anche se abbiamo vinto, non riesco a togliermi la sensazione che stia arrivando qualche cosa di peggio.”

Kiki si sedette accanto al giovane:

“Non ti mentirò, la tua non è solo una sensazione, vedo il Santuario minacciato.”

“Da cosa?”

“Dall’ira divina… ma anche, e soprattutto, da uomini malvagi.”

“Parli come se già sapessi…”

“Il mio non è un vaticino: da tempo ho timore che accada qualcosa di terribile…”

Deneb ruotò la testa e arricciò le labbra perplesso, poi sbuffò nuovamente:

“Questo è solo l’inizio, vero?”

Kiki fece un cenno appena percettibile:

“Sì.”

 

Chiron sedeva sul trono sacerdotale, facendo il bilancio di ciò era successo fuori dalle dodici case:

“Abbiamo respinto tutti i drakontoi senza perdere cavalieri, ma tra i soldati semplici ed i civili le vittime sono ingenti… il Cloud non se ne starà a guardare, e non appena saprà di questo attacco ci saranno dei problemi per il Santuario.”

Jun sorseggiò il suo Tè, poi appoggiò la tazza sul tavolino e si sedette:

“Siamo senza sei cavalieri d’oro, sette se conti la situazione di Lambda, ho la sensazione che questi non aspettino altro da anni Chiron, dobbiamo stare all’erta.”

Un messaggero entrò dal portone del palazzo:

E dopo aver salutato il cavaliere della bilancia si rivolse a Chiron:

“Grande sacerdote, vengo ora con una notizia urgente!”

“Di che si tratta?”

“C’è stato uno strano avvistamento, in Tessaglia, pare si tratti di una progenie infernale.”

Jun si alzò in piedi stupito:

“Pensavo le avessimo sterminate qui al Santuario maledizione!”

“Pare invece che se ne sia salvata una…” commentò Chiron: “… cosa si sa di questo individuo?”

“Non molto, è comparso in un’aspra radura desertica e là vi è rimasto fin da quando lo abbiamo individuato alcune ore fa, immobile senza muovere un muscolo, tanto che i soldati credevano fosse morto, ma quando si sono avvicinati li ha respinti con la sola forza del suo cosmo. Indossa un’armatura nera, come i suoi compagni, ma la sua sembra raffigurare un leone, proprio come l’armatura d’oro di Leo.”

Chiron sgranò gli occhi e si sentì un brivido lungo la schiena:

“Se non c’è altro puoi andare, grazie.”

Il soldato si congedò ed uscì dalla stanza, poi Chiron si appoggiò una mano sulla fronte mordendosi il labbro:

“Che ti succede?” - gli domandò Jun preoccupato.

“Sta succedendo, tutto quello che ho cercato di evitare per anni sta infine accadendo… ignobile sorte che si abbatte su di me, anzi su tutti noi.”

“Calmati e cerca di spiegare.”

“Ho molta certezza che quel cavaliere con l’armatura nera sia Leonidas.”

“Che cosa? No, è assurdo!”

“Vieni con me amico mio, devo mostrarti una cosa.”

“Voglio venire anche io.”

Jun e Chiron si voltarono, e dietro di loro vi era la giovane Atena, poco nascosta dietro a una colonna.

“Oh nobile Atena perché non mi hai dato retta…”

“Basta Chiron, basta inganni, tu sai qualcosa di estremamente importante e voglio che me lo riveli, non tentare di fermarmi perché te lo comando in quanto tua dea!”

Chiron chinò il capo e si avviò verso la biblioteca:

“Seguitemi.”

Tirò fuori dal suo cassetto privato un vecchio rotolo di carta:

“Questo che vedete, è l’ultimo lascito del sommo Ajax, una profezia che egli ricevette anni fa sull’altura delle Stelle, il luogo dove il gran sacerdote comunica con Atena e gli altri numi.”

Minerva deglutì:

“C-che cosa vi è scritto?”

Chiron indugiò per alcuni secondi, poi resosi conto che a quel punto era impossibile tornare indietro, prese parola:

“Secondo questa profezia, il Santuario verrà rovesciato dall’interno dal seme di un nemico formidabile con un potere superiore allo stesso Zeus.”

“Tifone…” - bisbigliò Jun: “Non vedo comunque cosa c’entri con Leo!”

“Leonidas… non è altri che l’incarnazione di uno dei mostri creati da Tifone, che in quest’epoca ha assunto le fattezze del suo stesso figlio naturale.”

Minerva impallidì:

“Leo è figlio… di Tifone?”

“Sì Atena, mi rendo conto che siate sconvolta e so che non potrete mai perdonarmi per avervi tenuta tutti questi anni lontana da lui senza dirvi il perché…”

“No Chiron, tu non hai colpa, hai agito su direttive che ti erano state affidate e hai fatto ciò che ritenevi giusto.”

Jun si avvicinò all’amico:

“Nessuno può biasimarti, la situazione è troppo grande è complessa per essere gestita da un uomo solo: tale è il fardello del grande sacerdote.

Ma ora non sei più solo e ti aiuterò a risolvere questa faccenda.”

“Andiamo da lui.” - si fece avanti Minerva.

“Atena no, è troppo rischioso e voi siete ancora indebolita per la battaglia!”

“Chiron, qui non si tratta di un nemico, ma di mio fratello… e io farò qualunque cosa per riportarlo a me, ho già perso Bull non voglio perdere anche lui!”

“D’accordo Atena, vi porterò da lui, però devo avvertirvi: non è detto che la persona la quale andiamo ad incontrare… sia la stessa che conosciamo.

Ora in lui si è risvegliata una mostruosa eredità mitologica che forse ha annientato la sua persona, potrebbe persino tentare di…”

“Non importa, se non tentiamo allora sì che saremo noi i responsabili di questa disgrazia.”

“Verrò anche io, le mie ferite sono quasi del tutto guarite, se sarà necessario usare la forza avrete bisogno di me!” - si propose il cavaliere della Bilancia.

“E’ meglio far venire pure Diez, si è ristabilito – anche se zoppica un po’ - ed avere la sua lama sacra al suo fianco mi renderebbe più tranquillo.”

Minerva prese tra le mani il foglio della profezia, poi alzò lo sguardo verso il cielo: «Sto arrivando da te fratello mio…»

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Capitolo 14
*** Tutto scorre ***


Non si può discendere due volte nel medesimo fiume e

non si può toccare due volte una sostanza mortale nel medesimo stato,

ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento

essa si disperde e si raccoglie, viene e va.”

(Eraclito, Sulla natura)

 

La polvere si alzava a causa del vento che soffiava quel giorno; Leonidas ne raccolse un po’, se la strofinò tra le dite e poi la lanciò via.

Guardava quel luogo desolato e senza vita, continuando a ripetersi:

«E’ questo il mio posto».

Percepì uno spostamento d’aria superiore a quelli che c’erano stati fin a quel momento, e davanti a lui, poco lontano, vide comparire tre figure dorate ed una dalla lunga chioma violacea.

Da lontano pensò di conoscerli, poi si disse: «Io non devo conoscere nessuno», ed intanto quelle quattro figure si stavano avvicinando a lui.

Lui le fissava silenzioso, coi suoi occhi sulfurei e taglienti e loro continuavano ad avvicinarsi; poi, arrivate sufficientemente vicino si fermarono e rimasero in silenzio.

“Leonidas…” - parlò la ragazza, che lui ricordava essere Minerva, ma non le rispose e continuò a fissarli con gli occhi sbarrati.

Il cavaliere d’oro del capricorno si fece avanti:

“Con chi stiamo parlando?”

Senza cambiare espressione, aprì lentamente la bocca:

“Flagello di Nemea fui, e ora qui dinnanzi a voi lo sono nuovamente: il Leone del signore dei mostri Tifone, mio padre.”

Il cavaliere del Sagittario si fece avanti:

“Un tempo rispondevi al nome di Leonidas.”

Ed egli con la medesima espressione:

“Tale è il nome datomi in quest’epoca.”

Infine, il terzo cavaliere, quello della Bilancia, si fece avanti:

“Il nostro valoroso compagno, è ancora qui?”

Udite tali parole si alzò con uno scatto furente in piedi:

“Il vostro compagno è solamente una bugia, atta a mascherare la mia vera natura…” - puntò il dito verso Chiron: “… e voi lo avete sempre saputo!”

Minerva si frappose fra i due:

“Siamo qui per aiutarti Leo, ti prego vieni con noi, non è successo niente!”

Il volto del ragazzo si arricciò ed i suoi occhi parvero infiammarsi;

al suo grido, un’immensa quantità di cosmo creò una barriera attorno a lui, sbalzando via tutti i presenti.

Diez aiutò Atena a rialzarsi:

“Non vuole dialogare… per prima cosa dobbiamo distruggere quella daimon!” - il cavaliere prese a correre verso Leonidas e arrivatogli là vicino scagliò la sua sacra Excalibur, che si infranse sull’elmo del ragazzo facendolo aprire in due, e rivelando un piccolo ma sconcertante dettaglio:

la chioma castana del ragazzo era ora completamente nera.

Con un getto di cosmo colpì Diez scagliandolo via, ma questo si rialzò durante la caduta rimettendosi in guardia. Chiron intanto imbracciò l’arco e la freccia del Sagittario e si avvicinò all’amico, mentre Jun rimaneva accanto ad Atena:

“Non temete, riusciranno a farlo rinsavire.”

Ma la ragazza non rispondeva, guardando il tutto sconcertata.

Nel frattempo Leonidas cominciava a muovere i primi passi verso i due cavalieri:

“Andatevene, lasciatemi in pace voglio essere lasciato solo!”- ruggì rabbiosamente.

“Devi seguirci Leonidas, e devi farlo ora, più tempo aspettiamo più questa tua metamorfosi diventa irreversibile.” - sentenziò Diez.

Il cosmo del ragazzo però continuava a crescere in modo incontenibile, e sul suo volto comparve un sorriso sinistro più simile a una smorfia:

“Mi avete ingannato tutti, soprattutto tu Minerva che sei venuta da me per controllarmi, e poi mio padre che mi ha posizionato perché ciò accadesse...”

“Stai farneticando!”- gli urlò Chiron.

“Sparite!” - gridò furioso Leonidas mentre attorno a lui si era creata un’aura nera che andava condensandosi nel cielo formando nubi del medesimo colore.

Minerva guardò sopra di lei:

“Sta succedendo di nuovo, come nello scontro con Tifone, la sua energia cresce in un modo che neanche lui riesce a controllare…”

“Che cosa succede milady?” - domandò scosso Jun.

“Sta creando… un flusso di cosmo.”

“Non capisco…”

“In origine tutte è nato dal Big bang, e la sua forza è presente ancora in noi sotto forma di cosmo… ma se Leonidas continua a bruciarne così tanto

si creeranno le condizioni adatte per…”

“… per un nuovo Big bang…” - concluse il cavaliere della Bilancia; dopodiché si alzò ed andò ad aiutare i suoi compagni.

Atena così rimase sola ad osservare quella massa di cosmo che pervadeva tutto quello che incontrava, fino a sentirsi lei stessa parte di quel mare sconfinato. Filtrato dal flusso di cosmo, ogni cosa che vedeva appariva permeato di un acceso rosso sangue, eccetto i suoi cavalieri divenuti simili a fantasmi luminescenti, e Leonidas che pareva una massa nera super densa che trasbordava di cosmo oscuro.

Decise infine di avvicinarsi anche lei, divenendo a sua volta uno di quei fantasmi di luce, e man mano che si avvicinava le tre luci attorno a sé si spegnevano e lentamente, anche la sua.

Riuscì ad arrivare dinnanzi a quella massa nera che la sua luce era quasi del tutto spenta, ma quando impose le braccia – o delle estensioni del suo corpo che tali parevano – verso di lui, la sua fiamma brillante cominciò ad avvinghiarsi a quella oscura, iniziando una singolare danza di anime, che infine turbinarono in un unico essere.

 

Leonidas si guardò attorno: non capiva dove fosse, sentiva di poggiare la propria pelle su qualcosa, ma se si scrutava attorno vedeva solo luce bianca sconfinata. Era avvolto in una specie di torpore e fluttuava in quella perfetta omeostasi, dove finalmente il suo animo aveva smesso di soffrire.

Prese un grosso respiro e chiuse gli occhi: stava bene.

Poi si sentì stringere da qualcosa di morbido e avvolgente: riaprì gli occhi e sopra di lui, una lunga chioma lilla che lo copriva dalla luce abbagliante del cielo. La pelle calda e morbida di Minerva era appoggiata alla sua, quasi come se si stesse sciogliendo fondendosi con lui

“Adesso dimmi, cos’è che ti turba tanto?” - sorrise la ragazza dolcemente.

“Ho paura… non appena apro il mio cuore a qualcuno poi c’è sofferenza.

Bull non c’è più ed anche mia madre ora mi ha lasciato… Lambda mi spaventa e tutti gli altri mi sembrano solo estranei.”

“Anche io?”

“Dipende.”

“Da cosa?”

“Se sei Minerva o Atena.”

“Ma io sono entrambe…”

“C’è posto solo per una nel mio cuore.”

“Allora sarò quello che tu vorrai…”

“Ho detto cose terribili e tu non mi abbandoni… perché?”

“Perché sei il mio primo legame con questo mondo, la prima persona che mi è sempre stata accanto ed anche se il destino ha voluto separarci, non ho mai smesso di volerti bene: sei il mio primo ricordo.”

“Se rimanessimo qui cosa accadrebbe?”

“Non lo so, probabilmente il nostro cosmo si espanderà fino ai limiti estremi dell’esistenza… forse mentre siamo qui ora tutto il mondo sta venendo avvolto dal nostro cosmo.”

“Tutto diventerà cosmo?”

“Tale è la natura dell’esistenza stessa, un eterno cambio di forma: tutto scorre.”

Leonidas si mise seduto ed abbracciò Minerva appoggiando il mento sulla sua spalla:

“Non desidero altro che restare qui con te per sempre… però sarebbe sola una vittoria illusoria, perché avrei solo nascosto la mia vita senza nessun cambiamento. D’altronde solo dimenticando il proprio passato si ha un futuro… ma anche se continuerò a soffrire, i ricordi felici che ho con te e gli altri, quelli erano veri e nessuno me li porterà via.”

“In questo stesso modo potrai crearne altri.”

“Allora voglio vivere.”

“Ed io sarò con te.”

 

Il flusso di Cosmo stava cominciando ad avvolgere ogni cosa, in poche ore tutto sarebbe tornato alla sua forma prima del Big bang.

«Non è così che deve andare: continuerà in un’altra dimensione

Il cavaliere dei gemelli allungò le braccia e aprì un varco: in pochi istanti, guidato dal suo cosmo, il flussone fu completamente risucchiato, lasciando al suo posto un enorme cratere.

«La fine, ma anche l’inizio, da questo momento, il mondo entra nella sua fase successiva: l’iconoclastia comincia ora.»

Infine il cavaliere d’oro s’incamminò verso il Santuario.

 

 
Postilla:
Anche questo atto è giunto al termine! Aver pubblicato pezzi di una storia così importante per me mi riempie di gioia,
e fremo all'idea di portarvene altri, se avrete il desiderio di leggerli. Ancora una volta, ringrazio con tutto il mio cuore chiunque abbia avuto la pazienza di seguire questa storia che sto raccontando.

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