The Inevitable Dualism

di Hermlani
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Maschio, 38 anni, bianco.

Rasatura fatta questa mattina con estrema precisione. Mani curate. Abiti perfettamente puliti e stirati anche se acquistati almeno da un paio d’anni. Cura la sua persona e le cose in suo possesso, tuttavia non se la passa bene economicamente.

Taglio di capelli e portamento tipicamente militari. Ha studiato alla Barts. Medico militare.

Volto e mani abbronzate ma non oltre i polsi. È stato all’estero ma non per vacanza. Zoppica quando cammina ma non chiede una sedia per riposare quando è fermo. Se la dimentica. Zoppia psicosomatica. In congedo per essere rimasto ferito, probabilmente in circostanze traumatiche. Eroe di guerra senza famiglia, o almeno non ne è in contatto.

-Afghanistan o Iraq?-

Ci intenderemo bene come coinquilini.







Nota: Salve a tutti! Breve accorgimento: i capitoli vengono pubblicati martedì e venerdì (sarà una long) e ho modificato il rating da rosso ad arancione perché le scene hot saranno negli ultimi capitoli (e avvertirò prima dei capitoli)...per chi cerca proprio quello continuate a seguire la storia e vedrete...
è la mia prima fiction su Sherlock e ho scoperto quanto sia difficile non andare OOC con questo personaggio egregiamente complicato...insomma, andateci piano. Tutte le critiche rimangono bene accette soprattutto per migliorare la storia in sè!
Ah, ovviamente questo prologo non conta come vero e proprio capitolo quindi la vera storia parte dal prossimo, non fermatevi qui!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


1.

Il dottor Watson e Sherlock Holmes condividevano da ben 2 anni un appartamento al 221B di Baker Street a Londra.

In effetti la loro convivenza procedeva piuttosto bene. La zoppia del dottore era sparita nelle prime 24 ore della loro conoscenza, gli incubi erano diminuiti e i problemi economici quasi risolti. C’era stato anche un riavvicinamento con Harry, sua sorella, ormai sobria da ben 6 mesi.

Nel rapporto con Sherlock Holmes non c’erano stati solo alti (trovare teste mozzate in frigorifero, dita nel microonde, senza contare gli esperimenti prettamente chimici che producevano vapori spesso maleodoranti e meno frequentemente velenosi, le nottate passate in bianco a causa del violino e qualche foro di proiettile di troppo nella parete del soggiorno non si potevano certo definire bei momenti per John Watson) ma tutte le scene del crimine e i pericoli che il coinquilino gli procurava erano diventati come una dose della droga più pregiata per lui.

John Watson stimava profondamente il detective suo coinquilino, suo amico. Non solo per la sua intelligenza, dalla quale continuava ad essere genuinamente colpito, ma perché caso dopo caso Sherlock si dimostrava essenzialmente un brav’uomo. Ed era il suo brav’uomo perché si dimostrava tale unicamente quando erano soli. Sherlock era capace di cose che la gente comune non sarebbe mai stata in grado di capire, eppure era così poco istruito ad ascoltare i propri sentimenti che a John faceva tenerezza. Si autodefiniva sociopatico e senza cuore ma una volta (quella volta) gli era saltato addosso per liberarlo da un giubbotto pieno di cariche di esplosivo. In quel momento gli aveva letto la paura nel volto, avrebbe potuto giurare che il cuore dell’amico stava battendo tanto forte che lo aveva sentito.

Anche Sherlock Holmes aveva notato dei miglioramenti nella sua vita dopo aver fatto la conoscenza di John Watson. Non aveva più fatto uso di droghe ad esempio (anche se conservava il suo prezioso cofanetto argentato contenente una siringa di fine ‘800…bisogna conservare il buon gusto anche mentre si fa uso di droga) e quello per suo fratello Mycroft era sicuramente un dato positivo perché era diventato un po’ meno asfissiante con i suoi controlli improvvisi. I casi erano aumentati soprattutto grazie all’attività di Watson e del suo blog. Passava meno ad oziare nel letto (cosa che Sherlock odiava di se stesso perché rivedeva in sé la stessa pigrizia di suo fratello) esclusivamente perché John si alzava presto la mattina e lo chiamava appena aveva recuperato il giornale e il tè era pronto.

John rappresentava per Sherlock un punto di contatto con la gente ordinaria. Pur essendo un mente semplice, era di gran lunga più in sintonia con il genere umano rispetto a quanto non fosse lui (soprattutto con il genere femminile…tutte quelle ragazze, inequivocabilmente attratte dal fascino della divisa o dal medico, eroe di guerra, erano una più noiosa dell’altra). Capiva cose che erano completamente estranee al detective: i sentimenti. John per lui era come una fonte di luce, con la sua empatia e con il suo coraggio lo aveva tirato fuori dalle tenebre in cui era immerso prima di conoscerlo. Sherlock era a conoscenza di tutto ciò pur non facendo nulla per dimostrare la sua gratitudine.

Non erano comunque tutte rose e fiori. Il dottore suo coinquilino che ormai definiva suo amico, (il suo unico amico) era inevitabilmente diventato il suo punto debole. Lo aveva capito Moriarty e probabilmente lo avrebbero capito tutti i criminali dotati di un minimo di intelligenza. La sera (quella sera) in cui John era stato preso in ostaggio da Moriarty, Sherlock aveva provato qualcosa di mai sperimentato prima: paura per un altro essere umano. Le prove erano evidenti: battito cardiaco accelerato, muscoli in tensione, mani sudate. La possibilità di perdere John gli aveva fatto capire che forse quel pazzo, pazzo, pazzo di Jim Moriarty non aveva tutti i torti.

 
(-I’ll burn you. I’ll burn the heart out of you.-
-I’ve been reably informed that I don’t have one-
-But we both know that's not quite true-)

 
-Cucù-

La signora Hudson aveva portato un po’ di pasticcini ai due uomini quella mattina. Non si rendeva conto di come fossero sopravvissuti per tutto quel tempo mangiando solo cibo da asporto, così ogni tanto (praticamente tutte le mattine) saliva le scale e bussava all’appartamento del piano di sopra per portare qualche provvista.

-Non si deve disturbare signora Hudson…- John era seduto sulla sua poltrona con la tazza di tè in mano, vestito di tutto punto e perfettamente in ordine. L’amico, ancora in vestaglia e con i capelli in disordine, era accovacciato sulla poltrona di fronte.

-Perché no John? Probabilmente è preoccupata per noi, pensa che non siamo dei grandi cuochi. Cosa che in effetti è esatta.- Sherlock fece passare lo sguardo da John alla padrona di casa. -Continui pure a portarci i suoi manicaretti. E usi meno zucchero nei biscotti alla cannella.-

-Sherlock caro, non sono la sua domestica e non cambierei quella ricetta neanche per la regina!- il bello della signora Hudson era che non si capiva mai quando diceva sul serio. Portò il vassoio colmo di paste fresche in cucina e aprì il frigorifero. Lo spavento fu tale che il vassoio con tutti i pasticcini rischiò di finire a terra non fosse stato per il tempismo con cui John, prevedendo la reazione di paura e disgusto della padrona di casa (provocata dalla vista di un cuore umano in un barattolo dentro al frigo), si era alzato e aveva soccorso lei e i pasticcini.

-Non si preoccupi è solo un esperimento.-

-Certo, ma almeno si potrebbe tenere lontano dagli avanzi.- disse mettendo una mano sulla spalla di John e abbassando la voce –Ha l’aria stanca stamattina, avete fatto le ore piccole in camera da letto?-

-Signora Hudson noi non…-

-Meglio che vada- non gli fece neanche finire di dire che loro non erano una coppia (non in quel senso almeno) che era già sparita oltre la soglia di casa.
In tutto questo Sherlock era assorto nei suoi pensieri. John ormai poteva capire facilmente quando il detective si perdeva nei meandri della sua mente. Non solo dal fatto che non rispondeva a qualunque stimolo esterno (quello non lo faceva in ogni caso se lo reputava noioso) ma dai suoi occhi. Li aveva osservati attentamente certo che fossero lo specchio dell’anima umana (chi lo aveva scritto?) e quando Sherlock “se ne andava” i suoi occhi, incredibilmente azzurri, perdevano qualcosa.
Ne approfittò per sistemarsi sul divano e iniziare a leggere il giornale che l’altro aveva già finito probabilmente memorizzando ogni singola parola. Solo dopo che ebbe finito di leggere le notizie politiche ed economiche Sherlock riemerse.

-Non ti farà piacere.-

-Cosa?- chiese John accigliato.

-Pagina 24, colonna in basso a destra.- disse il detective senza guardare l’amico…che si trovava a pagina 23 del giornale, in procinto di voltare pagina.

-Ma come sapevi…-

-Non è ovvio? So quanto tempo impieghi a leggere senza distrazioni, so quanto sono lunghi gli articoli che hai letto precedentemente quindi è stato un calcolo abbastanza semplice.-

-Ok lascia stare.-

-Avrei potuto anche dirtelo quando saresti arrivato alla colonna che ci riguarda ma ho previsto che la tua attenzione sarebbe stata catturata dalla fotografia appena voltata la pagina.-

John smise di discutere e tornò a guardare il giornale. Eccola lì, proprio dove aveva detto Sherlock. Una foto di loro due insieme in un piccolo ristorante italiano. Erano stati in quel locale la sera precedente a cena (che lui aveva consumato mentre Sherlock aveva a mala pena toccato cibo).

L’AFFASCINANTE EROE DEL REICHENBACH E LO SCAPOLO WATSON ANCORA VISTI INSIEME IN PUBBLICO

Così recitava il titolo dell’articolo.

Li avevano seguiti, possibile che Sherlock non se ne fosse accorto?

-Avevo notato un tizio con uno stupido travestimento da turista fingersi interessato al menù per poi scattare una foto e andarsene…non pensavo che ci fosse una tale mancanza di notizie in questi giorni a Londra da venire pubblicata. Immagino ti dia fastidio.- disse voltandosi finalmente verso di lui e stringendo gli occhi per catturare ogni mutamento nelle espressioni facciali di John, molto più eloquenti delle sue parole.

-Sherlock non mi dà fastidio che insinuino cose su me e te, non più.- Fronte distesa, occhi al cielo. Rassegnazione. Lieve arrossamento delle guance. Notato anche in precedenti frangenti di contatto fisico. Imbarazzo? -Ma ti rendi conto che sei un investigatore privato e che dovresti essere poco riconoscibile??- Tono di voce alterato temperatura del corpo leggermente più alta. –Poi non capisco perché tu sei “affascinante” e io sono lo “scapolo”.-

-Come, non te lo aspettavi?- John lo guardò con un misto di odio e curiosità. Era incredibile come continuasse a pendere dalle sue labbra, se ne rendeva conto da solo. –È a causa della descrizione che dai di me nel tuo blog se mi definiscono affascinate. Deve essere bello vedermi attraverso i tuoi occhi. E danno a te dello scapolo perché ti sforzi tanto di dimostrare di non essere gay, a quanto pare senza successo.-

-In che modo mi starei sforzando?-  Rossore più evidente. Si sbottona il primo bottone della camicia.

-Bè tutte le ragazze che frequenti, senza mai andare oltre tre appuntamenti, le porti in luoghi molto frequentati e prenoti il tavolo vicino alla finestra ad ogni incontro al ristorante.-

-Tu come..?-

-Mi annoio molto John. Comunque penso che sia proprio il fatto che non ne frequenti nessuna abbastanza regolarmente che fa circolare queste voci su di te.- il viso del coinquilino lentamente tornò alla rassegnazione e poi si rilassò.

-Spero che dopo il processo l’attenzione su di te cali Sherlock.-

Già il processo a cui lo avevano chiamato a testimoniare contro l’imputato James Moriarty.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Era il giorno del verdetto. John si stava preparando per tornare in tribunale.

Avevano discusso ma no, Sherlock non voleva proprio andare. (“A far cosa? So perfettamente quello che dirà il giudice.” aveva detto). Quello che John non sapeva, né poteva sospettare, era che l’amico avesse in realtà anche qualche presentimento sull’esito della giuria. “Non colpevole”. Queste parole continuavano a frullargli in testa. Ma come? Come poteva Moriarty aver convinto l’intera giuria a scarcerarlo senza nessuna difesa? Era convinto che avrebbe sfoderato uno dei suoi ghigni soddisfatti appena gli avessero tolto le manette. Non aveva proprio voglia di vedere il criminale, la sua nemesi, rivolgergli uno di quei suoi sguardi insani, pieni di vanto per la vittoria.

Se n’era accorto, Sherlock, di come lo guardava Jim Moriarty. Era oltraggiosa la lussuria che ne emanava dai suoi scurissimi occhi marroni. Non gli era chiaro ancora se ci fosse qualcosa di natura sessuale nella tensione che avvertiva in lui quando erano nella stessa stanza o se fosse pura sfida intellettuale. In ogni caso quella forma di attenzione non era assolutamente ricambiata. Sherlock non era decisamente dell’idea di avere rapporti con uno psicopatico che lo voleva morto.
Non aveva tuttavia potuto fare a meno di interrogarsi sulla propria sessualità. Apparentemente tutti gli esseri umani ne possedevano una. E lui, con ogni probabilità, era un essere umano. Era stato costretto, prima dalle allusioni di Jim e poi dall’avventatezza di Irene Adler, ad esaminarla. Era giunto alla conclusione che le categorie “etero” o “gay” erano decisamente troppo limitate. La stessa Adler si definiva gay. Eppure non aveva mai nascosto la propria volontà di portarsi Sherlock a letto ed aveva provato che le sue attenzioni erano anche di tipo sentimentale. Per il giovane detective ci poteva essere una sola spiegazione per spiegare la sua mancanza di interesse verso il sesso: il sesso è intimo e per essere in intimità con un’altra persona bisogna esserle legata sentimentalmente, se no il tutto si riduce a mera meccanica (noioso) che può essere riprodotta in maniera autonoma. A causa di una sorta di inevitabile dualismo, Sherlock, non avendo mai provato sentimenti, non aveva mai rivolto a nessuno interessi fisici, a quello poteva provvedere da solo.

Ora però qualcosa stava lentamente cambiando. John era lì, indaffarato a farsi il maledettissimo nodo alla cravatta che non era abituato a mettersi. Sherlock lo stava fissando, lo faceva sempre più spesso, cercando di memorizzare la naturalezza con cui il coinquilino si muoveva, parlava, gesticolava, lui non se ne accorgeva mai. Non faceva niente di premeditato, di calcolato. Ed era perfettamente incapace di farsi un nodo alla cravatta.

-Aspetta che ti aiuti o finirai per strozzarti.-

John diete le spalle allo specchio per guardare Sherlock. Aveva una delle sue facce più stupite. Incredibilmente espressivo John.

-Davvero?! O grazie al cielo, pensavo di dover riguardare il tutorial su YouTube ma sono già in ritardo-

Sherlock si era avvicinato e aveva allungato le mani verso il collo dell’amico. Contatto. Lieve arrossimento delle guance di John. Rapidamente, come se lo avesse fatto milioni di volte (e il dottore sapeva che non lo aveva fatto perché Sherlock non aveva mai messo una cravatta da quando si conoscevano) realizzò un nodo Windsor. Si allontanò di un passo per vedere meglio il suo operato e poi rivolse a John un sorriso. L’amico ricambiò un po’ stranito e si voltò a guardarsi allo specchio. Stava bene. Era raro vederlo in giacca e cravatta e gli donava. Vide allo specchio che l’amico ancora lo guardava.

-Ehm, grazie Sherlock.- prese con sé portafoglio e chiavi di casa e si diresse verso la soglia di casa dove si voltò ancora una volta sorridendo al moro. Affetto, ne dedusse Sherlock. E lo provò anche lui –ci vediamo dopo, andrà bene.- e uscì.

 
*
 
-È stato qui?-

Deduzione o intuito? Incredibile come spesso le due doti spesso portino alle stesse conclusioni. L’intuito però non ha bisogno di prove, di fatti, per arrivare ad una conclusione. Per questo è molto più pericoloso. Come fare a scindere i fatti dall’immaginazione se non sono supportati da prove? Sherlock era convinto che John non avesse notato che il prezioso servizio da tè della sua famiglia era stato utilizzato e poi rimesso con cura maniacale nello stesso punto da dove era stato preso. Ovviamente lui se ne sarebbe potuto accorgere…la povere è eloquente…ma non John. E la mela, l’unico altro oggetto che avesse toccato, era già riposta al sicuro in camera sua. Eppure eccolo lì, ancora sull’uscio della porta, a chiedergli se Moriarty era stato in casa loro.

-Sì.-

-E?-

-Niente, è venuto a vantarsi un po’. Voleva solo farmi vedere quello di cui era capace di fare.- mentire al dottore era abbastanza facile, lo faceva di continuo. Ma questo era diverso. Non gli poteva dire che il consulente criminale più potente al mondo aveva in mente un piano per mandarlo in rovina e che lui non sapeva lontanamente in che cosa potesse consistere. Tutto quello che poteva fare era aspettare la mossa successiva di Moriarty. Ma l’ansia avrebbe distrutto John. Si sarebbe preoccupato per lui e Sherlock non voleva che ciò accadesse.

-Non mi piace che quel maniaco sia entrato in casa nostra…mi dà i brividi.- Sherlock, coricato sul divano, lo osservò rilassarsi e decidersi ad entrare in casa. Si buttò sulla poltrona levandosi le scarpe e allargando la cravatta. –Hai idea di come abbia fatto ad uscire di prigione?-

-Ha comprato la giuria.-

-La giuria della corte inglese è corrotta?-

-Suppongo che la minaccia di morte verso le persone più care sia un motivo valido e comprensibile per accettare di fare quello che ti viene richiesto.-

John aveva gli occhi sbarrati e la bocca semi aperta. Era decisamente stupito. Certo, le azioni di Moriarty erano sempre un tantino sopra le righe…ma proprio per questo c’era da aspettarselo.

-Hai detto una frase molto umana, Sherlock.- disse infine il dottore allargando la bocca in un gran sorriso –Hai davvero empatizzato con quelle persone, sei riuscito a metterti nei loro panni!-

Improvvisamente era il detective a provare imbarazzo. Aveva praticamente ammesso di riuscire a provare sentimenti di fronte a John. Si scatenò il panico dentro di lui, sentì ogni muscolo irrigidirsi mentre la mentre vorticava per cercare un’altra soluzione plausibile. Visto dall’esterno invece Sherlock sembrava caduto in catalessi: perfettamente immobile, non batteva ciglio. Il dottore, con fare pratico lo chiamò per farlo rinvenire ma non ne seguì alcuna reazione, come se l’amico non lo sentisse, o vedesse o fosse consapevole di essere nel suo stesso spazio-tempo. A quel punto John dovette controllare che almeno respirasse e istintivamente lo sguardo gli cadde sul petto del giovane detective. La camicia bianca che Sherlock indossava, quella che gli metteva in risalto i riccioli scuri che cadevano sul colletto, era evidentemente troppo stretta. I bottoni infatti erano tirati e in qualche punto lasciavano intravedere la pelle bianchissima e liscia dei pettorali dell’uomo. Sì, respirava. Consapevole che Sherlock non sarebbe tornato sulla Terra per un po’, John distolse lo sguardo, si alzò dalla poltrona e si diresse dritto a farsi una doccia. Fredda.

Non era la prima volta. Aveva già fatto pensieri simili, aveva già sentito quella sensazione al basso ventre provata tante volte in compagnia di belle donne. Diamine, lui era Mr. Tre Continenti, sapeva perfettamente come funzionava l’attrazione fisica. Ma non poteva permetterselo, non con un uomo e soprattutto non con Sherlock! Il fatto che provasse queste sensazioni per un uomo non era un grosso limite in fin dei conti. Non era di sicuro omofobo lui che aveva assistito al matrimonio di sua sorella con un’altra donna. E poi sapeva che queste cose non si controllano, che non si sceglie da chi essere attratti. E il suo coinquilino era attraente, affascinante e indubbiamente bello. Il problema era che Sherlock era completamente inesperto in campo sia di sentimenti che, probabilmente, di sesso. Probabilmente, perché non osava chiedere. Troppo imbarazzante. Aveva un certo fiuto, il dottor Watson, per certe cose e non gli erano certo sfuggite tutte le volte in cui gli occhi azzurrissimi del detective si erano posati su di lui, non gli era sfuggito il modo in cui l’altro lo studiava e avvertiva allo stesso tempo che Sherlock provava qualcosa per lui. Ma come fare a fidarsi di uno che si definisce sociopatico? Uno che probabilmente si stuferebbe di una relazione esaurita l’euforia iniziale? John Watson non avrebbe rovinato il loro stupendo rapporto d’amicizia a causa dei suoi stupidi impulsi sessuali. Non era neanche detto che sarebbero stati ricambiati.

Chiuse il getto d’acqua, si mise un asciugamano in vita e ne prese un altro per asciugarsi i capelli prima di aprire la porta e trovarsi Sherlock lì davanti. Dannazione.

-Ho empatizzato con quelle persone, credo, perché mi ero trovato nella loro stessa situazione.- incredibilmente sincero, ci era arrivato da solo –Tu sei la persona più cara che abbia al mondo. Tu sei il mio migliore amico, John Watson.-

 
*
 
Quella sera fu impossibile per Sherlock riuscire ad addormentarsi. Aspettò che il coinquilino cadesse nella più profonda delle fasi del sogno (sapeva quanto tempo ci metteva John ad addormentarsi), prese in mano il violino e iniziò a comporre.

Il violino lo aveva sempre aiutato a pensare. Metteva le cose nel giusto ordine, nota dopo nota. E lui aveva cose a cui pensare. Non sarebbe mai riuscito a comprendere il piano di Moriarty senza indizi e l’avversario era stato preciso nel non lasciargliene alcuno. Ma ad una cosa Sherlock poteva facilmente arrivare. Il criminale avrebbe sfruttato la sua debolezza, John. Gli avrebbe impedito di fargli del male, a qualunque costo, anche se questo avrebbe probabilmente comportato la sua morte. Compose tutta la notte, una melodia estremamente triste che gli si rivelava da sola, senza sforzo. Pensava che avrebbe lasciato da solo John in quel mondo pieno di orrendi, bellissimi, crimini. Non ce l’avrebbe mai fatta a sopportare il male del mondo senza la sua compagnia, era troppo emotivo. Candido, luminoso John. Sarebbe tornato a fare il medico pensando di salvare qualche vita. Avrebbe rincominciato ad avere incubi, come quando si erano conosciuti. Forse avrebbe ripreso a zoppicare. Quella melodia era per lui, era il suo biglietto.

Non si rese conto che al di fuori del buio salotto splendevano già le prime luci dell’alba quando ebbe finito di comporre e riprese a suonare da capo l’intera melodia per ascoltarla nel suo insieme. Il sonno di John però si era fatto più leggero e fu svegliato dalle note attutite dalla porta che arrivavano dal piano inferiore. Se Sherlock stava suonando a quell’ora era perché non aveva chiuso occhio per tutta la notte e il dottore lo sapeva bene. Non sapeva però che cosa lo affliggesse. Gli aveva tenuto nascosto qualcosa riguardo all’incontro con Moriarty? Oppure era sconvolto dal turbinio di emozioni che aveva iniziato a provare? John decise di scendere. Appena appoggiò un piede a terra scendendo dal letto la musica si interruppe. Lo aveva sentito. Pazzesco quanto tenesse sempre i sensi in allerta.

Dopo qualche secondo Sherlock riprese a suonare. Ormai l’amico era sveglio, il danno era fatto, tanto valeva concludere. Voltato verso la finestra, lo sentì scendere giù per le scale e lo vide sedersi sul divano con la coda dell’occhio. John buttò la testa indietro e chiuse gli occhi. Gli piaceva quella musica, gli piaceva sentire Sherlock suonare e sembrava che lo stesse facendo per lui, quella musica in qualche modo sembrava sua. L’intera esecuzione del brano richiese una ventina di minuti e John era rimasto lì ad ascoltare. Quando le note terminarono, Sherlock, sfinito, si voltò verso il coinquilino per vedere in quegli ultimi istanti la sua espressione beata. Il biondo aprì gli occhi fissandolo per qualche secondo prima di alzarsi dal divano e avvicinarsi a lui. Gli prese di mano archetto e violino (che Sherlock non avrebbe affidato a nessun altro) e li appoggiò sulla scrivania. Poi prese per mano il detective e lo condusse sul divano. Non c’era bisogno di dire niente, il moro era guidato da John che si sedette nuovamente trascinandolo giù con lui. Con naturalezza Sherlock si coricò su quel divano, appoggiando la testa sulle gambe dell’amico che dopo poco immerse una mano nei suoi riccioli scuri. Si addormentò così quando ormai il sole era quasi sorto, con John che lo accarezzava.






Nota: per caso avevo detto che avrei pubblicato di venerdì? ehm ehm, sì normalmente sono libera il venerdì quindi quello tendenzialmente sarà il giorno ma questa settimana venerdì sarò impossibilitata ad aggiornare quindi ho pensato che fosse meglio anticipare piuttosto che posticipare =) =)
In ogni caso io consiglierei di rivedere gli episodi (se non li ricordate a memoria come me xD) perchè dopo il verdetto c'è un vuoto di ben due mesi! Cosa sarà successo in quel lasso di tempo?...seguite la storia e lo scoprirete la settimana prossima!
-H.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Londra in quelle settimane sembrava essere diventata una quieta cittadina di campagna. Non c’era un solo caso di omicidio, una rapina, un qualsiasi insignificante delitto che fosse degno di nota. Niente, nada, rien, nisba, nothing. NOIA!

Il blog di John ogni tanto attirava qualcuno al 221B ma erano per lo più curiosi. Il mistero più complesso che gli si era presentato era quello di due scrittori che, venuti insieme in casa del detective, si accusavano a vicenda di plagio. Sherlock risolse il caso in circa venti secondi. No, non lesse i libri in quell’arco di tempo. Persino John intuì la soluzione del caso, ma non raccolse le prove, non vide ciò che vide Sherlock: entrambi facevano ben attenzione a non toccarsi, uno arrossiva quando l’altra lo guardava, erano vestiti con buon gusto ma gli indumenti erano stropicciati e soprattutto avevano addosso lo stesso odore. Quei due erano stati insieme e si erano influenzati a vicenda. Avevano rotto proprio a causa dei libri in questione, ognuno pensando che l’altro lo avesse truffato. Quella mattina però, prima di andare a Baker Street si erano voluti incontrare per cercare di risolvere la situazione senza ricorrere al consulente (investigativo, non di coppia). Erano di nuovo finiti a letto insieme. Per questo avevano deciso di sentire l’opinione di Sherlock. Appena l’investigatore elencò le prove John arrossì violentemente e rivolse a Sherlock uno sguardo terribilmente esaustivo: forse aveva esagerato con i dettagli.

Tra i due incredibilmente non c’era stato alcun imbarazzo fino a quel momento. Non avevano più discusso di cosa era successo la notte dopo la sentenza di innocenza di Jim Moriarty e Sherlock era ben cauto a ritornare sulla questione “sentimenti”. Preferiva indagare quell’area sconosciuta senza l’aiuto del dottore. Le uniche cose che si erano prolungate oltre quella notte erano il dolore al collo per Sherlock e il formicolio alla gamba per John. Forse John era quello che aveva cambiato un po’ i suoi modi.
Per esempio quella mattina gli aveva lasciato biglietto con sopra scritto che era andato a fare la spesa, come che se pensasse che se non lo avesse fatto Sherlock si sarebbe preoccupato. Strano come John avesse previsto questa sua reazione, lui stesso non se lo aspettava ma quando si era accorto che l’amico non era in casa si era preoccupato. Poi chissà da quanto era uscito, lui era stato troppo occupato con un esperimento di chimica per accorgersi del mondo circostante. Ma ora l’esperimento era concluso e Sherlock aveva già memorizzato le nozioni apprese (18-36 ore dopo la morte compare una macchia verde nella zona iliaca destra di un cadavere dovuta al combinarsi del pigmento ematico con l'idrogeno solforato dell'intestino e produzione di solfoemoglobina), la noia rincominciava a farsi sentire.

Fu il suono di una biciletta per strada a salvarlo. Il giovane ciclista stava legando la sua bici ad un palo e si stava dirigendo al suo portone. Tempo che la signora Hudson gli aprisse e che l’ospite salisse le scale che Sherlock aveva già sistemato una sedia tra le poltrone del soggiorno, aveva preparato il tè (solo una tazza ovviamente, i clienti non necessitavano di fare colazione a casa sua) e si era seduto al suo posto. Accolse l’ospite con un sorriso. Inquietante.

L’avventore, tale James Damery, era un giovane e bel ragazzo. Indossava indumenti logori, non perché fosse un hipster o un figlio dei fiori, semplicemente era squattrinato.

-La pagherò appena ne avrò i mezzi ma, la prego, deve aiutarmi.-

-Non mi ha ancora detto perché è qui e già mi prega. Suona un po’ melodrammatico…Royal o  London Academy?- non stava più sorridendo, non con la bocca almeno. Si divertiva sempre a mettere in mostra le sue abilità deduttive.

-…la Royal, ma lei come fa a saperlo?-

-Non è ovvio? Lei parla con un accento RP quasi perfetto, ma non è certo un appartenente ai ceti più elevati e questo lo noterebbe chiunque…chi gira per Londra in bicicletta?- Sherlock si girò involontariamente verso la poltrona di John, vuota, come se si aspettasse che da lì provenisse qualche rimprovero. -Scommetto che le è costato anni di pratica. Le sue “a” sono ancora un po’ troppo aperte o sbaglio? E come mai un ragazzo sui 26 anni, proveniente dal nord dell’Inghilterra, giovane e di bell’aspetto dovrebbe imparare un accento utilizzato solo dal 3% della popolazione? Attore sì, ma non solo, ha seguito anche corsi di balletto che le hanno modificato la postura. So riconoscere un ballerino classico in 13 modi diversi, anche se sta fermo. Le scuole di teatro a Londra che hanno nel loro programma per gli attori corsi di balletto sono soltanto due.- lo aveva ovviamente detto tutto d’un fiato, con la solita smania di fare il saputello, avrebbe detto John.

-Wow, lei è davvero un mostro. Mi aiuterà?-

-Valuterò il suo caso e se lo troverò noioso lei potrà tornarsene da dove è venuto.-

Rassegnato, James, spiegò al detective che la sua ex fidanzata, Violet Merville, ballerina che iniziava a farsi strada a Londra, era in procinto di sposarsi con il famoso attore teatrale, Andrew Gruner.

-Il signor Gruner, nonostante ammiri il suo lavoro, è un bugiardo manipolatore. Ha plagiato Violet con il denaro ma lui non potrà mai darle una famiglia. So con certezza che è omosessuale.-

-Che prove hai?-

-Ho fatto la comparsa in uno spettacolo in cui era il protagonista e non ha fatto altro che provarci con me e con i miei colleghi. Purtroppo la voce si è sparsa e ora la sua carriera è seriamente minacciata. Il matrimonio metterebbe tutti a tacere. Mi spiace che ci siano ancora di questi pregiudizi ma a farne le spese non può esserne Violet.-

-Ancora non capisco cosa c’entri lei in tutto questo.-

-Come, non è ovvio? Io la amo ancora!-

-Considero l’amore un semplice difetto chimico. Non capisco cosa ne guadagnerebbe.-

-Sapere che non è felice renderebbe me molto triste, signor Holmes.- spiegò il giovane allibito nel ricevere quel tipo di domande –lei dovrebbe semplicemente raccogliere le prove dell’omosessualità di Andrew Gurner e Violet lo lascerà, ne sono certo.-

Scherlock era pensieroso. Non capiva lo stato d’animo di James ma era sinceramente incuriosito dalla passione del giovane. Era un caso abbastanza interessante da accettarlo? Il suono dell’apertura del portone al piano di sotto lo destò dai suoi pensieri. John. Avrebbe ascoltato la sua opinione e poi avrebbe scelto.

John entrò in casa con tre borse della spesa stracolme. Sherlock calcolò che la massa muscolare del suo amico era sottoposta ad uno stress ancora accettabile quindi non gli sembrò necessario aiutarlo. Il loro ospite invece si alzò e offrì subito il suo aiuto all’ex soldato.

-La ringrazio ma non è necessario.- gli sorrise John. Posò velocemente le buste in cucina e si girò verso Sherlock –Mi sono perso qualcosa?-

 
*
 
Appena James fu uscito di casa, Sherlock prese in mano il cellulare.

-Non capisco proprio perché hai accettato il caso…ti ho detto che non dovremmo immischiarci! E non mi ascolti neanche adesso, che stai facendo al telefono?-

-Andrew Gruner questa sera si esibirà all’Old Vic in uno spettacolo della durata di due ore e mezza. Considerando gli orari delle foto postate dalle sue fan sui social posso dire che normalmente esce dalla stage door verso le 22:40. Mi farò trovare lì.-

-Io stasera non posso, ho un appuntamento.-

-Certo, la ragazza del supermercato ti ha lasciato il suo numero sullo scontrino. Meglio, mi avresti fatto saltare il travestimento.-

 
*

La stage door dell’Old Vic Theater era a dir poco affollata. Per la maggior parte si trattava di ragazzine dai 17 ai 25 anni, urlanti e mezze svestite. C’era da aspettarselo, in fondo l'amore platonico per un personaggio famoso è un fenomeno tipico dell'adolescenza, periodo della vita in cui un certo tipo di attrazione fa parte dello sviluppo psicologico. Non che Sherlock avesse mai provato queste sensazioni, probabilmente non era mai neanche stato un adolescente, ma si era documentato. Scegliere un travestimento adatto a passare inosservato era quindi stato abbastanza complicato. Aveva aspettato che John uscisse di casa per fare delle prove d’abito. Alla fine aveva optato per dei jeans un po’ strappati, rigorosamente a vita bassa (per far vedere il marchio di intimo che aveva deciso di indossare) e una maglietta bianca, scollata a “V” in modo che lasciasse intravedere il petto. Guardandosi allo specchio si ricordò della prima volta in cui aveva incontrato Jim Moriarty…sì, secondo Sherlock gli mancava solo un cartello con scritto GAY sopra.

Tutte le ragazzine avevano foto stampate e biglietti dello spettacolo da far autografare all’attore. Il detective invece aveva in mente qualcos’altro. Si mise al fondo della coda per gli autografi scambiando qualche parola con una o due ragazzine per dimostrarsi eccitato come loro per l’imminente incontro. L’attore uscì dopo pochi minuti d’attesa (Sherlock aveva calcolato bene i tempi) e fu annunciato dalle urla delle numerose ragazze. Iniziò a firmare ogni pezzo di carta che gli venisse dato ma lo faceva in modo veloce, senza guardare in faccia chi aveva davanti. Appena fu il suo turno Sherlock, fingendosi pieno di entusiasmo, abbracciò l’attore e gli fece scivolare in tasca un biglietto con il suo numero dentro.

-Sono il tuo fan numero uno! Sei stato bellissimo e bravissimo stasera sul palco!-

-Sì, si ok.- disse Andrew cercando di liberarsi dalle lunghe braccia del detective che lo tenevano stretto.

-La tua fidanzata non è gelosa di tutti i tuoi fan?-

-Certo che no, ora staccati per favore.- il tono iniziava ad essere alterato.

-Ti ho messo il mio numero nella tasca destra. Chiamami- voce bassa, frase sussurrata all’orecchio. Impossibile essere frainteso. Dopo di che lo lasciò.

L’altro lo guardò un attimo, poi si girò guardandosi intorno…c’erano ancora troppe persone a guardare. Si ricompose e chiamò la sicurezza. Un energumeno vestito di nero, con anfibi ai piedi e occhiali da sole (alle 22:46) prese Sherlock per la maglia e con poca delicatezza lo spinse allontanandolo.

Al detective andava bene così, aveva avuto la conferma che ciò che gli aveva raccontato James Damery era effettivamente la verità. Aveva confermato lui stesso di essere fidanzato  e l’attore era evidentemente omosessuale: usava numerosi prodotti di bellezza per evitare l’invecchiamento della pelle, le mani e le unghie erano lisce e curate, il look casual in realtà decisamente costoso e Sherlock aveva notato che aveva valutato l’idea di farsi un giro con lui poco prima di chiamare di bodyguard. Queste prove però sarebbero state insufficienti non solo di fronte ad una giuria ma anche davanti a Violet Merville.

Mentre Sherlock stava facendo ritorno verso casa un uomo gli si avvicinò.

-Non te la prendere se ti ha respinto…da qualche tempo è molto più cauto con le sue avventure.-








nota: salve! come dicevo nella nota del capitolo 2 questa parte della storia racconta il buco temporale tra di due mesi presente nella puntanta 02x03. L'avventura non è completamente inventata ma prende spunto da "L'avventura del cliente illustre" presente nel "taccuino di Sherlock Holmes...il fatto che io abbia dato a Gruner il nome "Andrew" e che faccia l'attore teatrale a Londra e che sia gay non ha assolutamente niente a che fare con il fatto che sono andata a vedere Hamlet di Andrew Scott quest'estate (o forse sì). Ringrazio tutte le persone che stanno seguendo la storia e sono curiosa di sapere cosa pensate del nuovo capitolo =)
A presto,
-H.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Kevin Winter era da tempo uno degli amanti di Andrew Gruner. Ciò che l’attore non sapeva era che il ragazzo, timido ed impacciato, aveva sviluppato nel tempo una vera e propria ossessione per lui. Si erano iniziati a frequentare quando Gruner era meno famoso e non riceveva tutta l’attenzione mediatica che aveva in quel momento. All’epoca si era permesso di far salire nella sua macchina quel ragazzo che era arrossito quando gli aveva sfiorato la mano. Lo aveva portato a casa sua, avevano bevuto qualcosa ed erano finiti a letto insieme. Erano usciti insieme per un po’ di tempo ma poi la fama dell’attore era divenuta ingestibile ed era emersa la necessità di far rimanere nascosta la loro relazione. In teoria la loro storia si era conclusa lì ma Gruner chiamava Kevin sporadicamente, per passare una o due ore di fugace piacere, tramite numeri privati in modo da non essere rintracciabile. Nonostante lo trattasse come un gigolò Kevin lo seguiva in tutte le sue performance e lo guardava da lontano, come quella sera. Per il ragazzo vederlo era insopportabile e allo stesso tempo vitale come l’aria. Lo amava, o almeno, questo era quello che pensava di provare. Stalking, pensò Sherlock. Al detective era costata non poca fatica ascoltare quella patetica storia mielosa di un amante trascurato ma le parole di Winter gli potevano tornare utili. Aveva un testimone.

-Tutto questo per metterti in guardia- concluse il ragazzo –finché non vorrà fare coming out nessuno di noi ha una speranza con lui, neppure Sherlock Holmes-

Sherlock si stupì che proprio il ragazzo, tra tutti, lo avesse riconosciuto sotto copertura. Abbozzò un sorriso e strinse gli occhi riflettendo su come sfruttare l’occasione.

-In realtà non ci stavo provando con Andrew Gruner questa sera. Stavo raccogliendo prove per far annullare il suo matrimonio imminente.- il viso del ragazzo cambiò sotto lo sguardo di Sherlock. Non poteva perdere l’opportunità di avere il suo lieto fine con la star.

-Se serve a qualcosa mi ricordo che teneva una specie di diario in cui si annotava tutti i suoi appuntamenti. Con me, con altri amanti…mi sono arrabbiato molte volte. Lo tiene nel suo studio a casa.-

-Non penso che sarà possibile avvicinarci così tanto in questo momento.-

-In che altro modo posso aiutarti?-

 
*

Dopo 17 minuti di camminata i due stavano bussando alla porta di Violet Merville, un grazioso piccolo appartamento nel cuore di Londra. Conduceva una vita agiata ma non grazie alla sua famiglia. Lì viveva da sola. E stava aspettando qualcuno perché aprì subito invece di chiedere chi fosse o di guardare dallo spioncino. La ragazza era bionda, minuta, magra ma con muscoli ben evidenti dai vestiti attillati che indossava. La postura e l’eleganza sembravano gridare al mondo che era una ballerina. Orgogliosa e fiera di quello che era e che aveva raggiunto grazie alle sue forze. Sherlock non si stupì quando, dopo che Kevin le raccontò tutto a proposito del suo fidanzato, li sbatté fuori di casa non credendo ad una singola parola.

Fuori dall’appartamento trovarono due uomini grossi almeno il doppio del detective. Non sembravano avere buone intenzioni. Strategia numero uno: scappare in direzioni diverse. Non si rivelò una scelta vincente, almeno non per Sherlock. I due bodyguard infatti non si divisero e lo seguirono nei vicoli stretti e bui di Londra. Poteva significare solo che avevano avuto istruzioni di picchiare lui e non il ragazzo…prevedibile. Imprevisto: un ciclista gli tagliò la strada, i due energumeni lo raggiunsero. Strategia numero due: lottare. L’uomo alla sua destra colpì per primo, con un sinistro micidiale, si scansò in tempo e sfruttò lo slancio del pugno colpendo il gomito del nemico e facendo  arrivare il pugno in faccia all’uomo alla sua sinistra che cadde a terra. L’altro arrabbiato sfoderò un montante destro che gli arrivò sullo stomaco. Era decisamente un pugile, o almeno lo era stato. La sua mente in quel momento non registrò il dolore per concentrarsi sulla sua unica via di fuga: la porta del retro di un locale da cui una ragazza era appena uscita. La porta si era richiusa, rendendo impossibile entrarci ma Sherlock notò che la ragazza, che ignorò i due uomini che si malmenavano come fosse la cosa più normale del mondo, stava accendendo due sigarette…stava per uscire un’altra persona, la porta si sarebbe aperta e lui sarebbe potuto entrare e scomparire mescolandosi tra la gente. Intanto stava per arrivare un altro pugno, questa volta un gancio sinistro. Lo parò, in parte, con il braccio destro (due nocche colpirono uno zigomo ma Sherlock non se ne accorse subito) e colpì forte l’angolo mandibolare sinistro dell’avversario che per qualche secondo si massaggiò il viso. In quel lasso di tempo la porta del locale si riaprì e Sherlock, veloce si infilò all’interno.

Solo dopo che fu in salvo su un taxi diretto verso casa l’adrenalina nel corpo scese e arrivò il dolore, tutto insieme. Sentì il lato destro del viso gonfiarsi e ogni volta che inspirava gonfiando il petto provava dolore…insufficiente perché avesse qualcosa di rotto ma sicuramente una o due costole erano incrinate. Forse essersi conciato così gli sarebbe tornato utile.

Si trascinò fuori dal taxi e su per le scale di casa in modo un po’ teatrale, facendo rumore e tenendosi lo stomaco. John si sarebbe dovuto svegliare nonostante l’ora tarda. E così fece. Allarmato dai rumori si precipitò di sotto a controllare.

-Sherlock! Che diamine ti è successo??- non si preoccupò di tenere il tono delle voce basso…fortunatamente la signora Hudson aveva il sonno pesante.

-Ho il presentimento che il mio travestimento non abbia funzionato a dovere.- rispose con un mezzo sorriso dolorante. Solo in quel momento il dottore si accorse che c’era qualcosa di strano nell’abbigliamento dell’amico. La sua espressione passò dal terrore all’incomprensione –Penso di avere una costola rotta John.-

-Ok, non c’è problema, ti faccio una fasciatura e ti do qualcosa per il dolore.- sapeva essere pratico John. Lo guidò verso la camera da letto e lo fece coricare. Accese la luce di una abatjour e vide meglio la faccia dell’amico, rossa e gonfia. Gli montò una rabbia feroce e improvvisa –Chi ti ha fatto questo?!-

-Un ex pugile…ora fa la guardia del corpo per Andrew Gruner e sembra che non gli importi di oltrepassare i limiti della legalità quando si tratta di picchiare.-

-O mio Dio quindi tutto questo, il travestimento e la costola rotta sono per quello stupido caso?-

-Certo John, pensi che mi vestirei davvero così in giro?- a Sherlock piaceva che il dottore si arrabbiasse così per lui, non ce la faceva a non prenderlo un po’ in giro e a non sorridergli.

-Fortunatamente no, se no la gente parlerebbe ancora di più.- rise e finalmente anche il dottore si rilassò un po’ –ce la fai a toglierti la maglietta?-

Sherlock fece per provarci e poi simulò una smorfia di dolore. Scosse la testa. Era la risposta più credibile.

-Ok, faccio io.-

John prese la maglietta dal basso sfiorandogli inevitabilmente la pancia, Sherlock alzò le braccia e la maglietta fu sfilata. Era incredibilmente bello con gli addominali in rilievo su quel corpo magro. La pelle candida era messa in risalto dai riccioli neri. Gli occhi azzurri lo stavano guardando.

-Ehm, vado a prendere le bende e qualcosa per disinfettarti la faccia. Stai coricato.- doveva rimanere professionale. I pensieri osceni dovevano rimanere sepolti. Ancora per un po’. Poi magari si sarebbe sfogato da solo, in camera sua.

Tornò in fretta e diede a Sherlock un antidolorifico.

-Non farci l’abitudine, non ti prescriverei questa roba se non stessi così male, ok?-

-Va bene dottore.- prese la pillola e la ingoiò da bravo paziente.

John gli passò le bende più volte intorno al costato in maniera rapida e precisa.

-Devono stare per forza così strette?-

-Se non vuoi che la costola calcifichi tutta storta sì.- molto professionale, bravo John.

Poi toccò al viso. Imbevve una garza del disinfettante ospedaliero che utilizzava in ambulatorio, si accovacciò vicino al letto per avere il volto di Sherlock alla sua altezza e gli tamponò la ferita che si era aperta sullo zigomo. In quel momento non gli importò se chi gli avesse fatto quella ferita fosse un ex pugile o Muhammad Ali in persona, avrebbe voluto stritolarlo con le proprie mani. Sherlock aveva chiuso gli occhi, forse iniziava ad essere un po’ stordito dalla pastiglia. Sembrava un angelo. Per un secondo il self control gli mancò. Si porse più vicino a lui e gli posò un bacio sulla fronte.

Fece per allontanarsi ma Sherlock gli prese la mano.

-Resta.- mugulò intontito.

Sherlock aveva espresso ad alta voce quello che era anche il suo desiderio. Rimanere lì, occuparsi di lui per quella notte, proteggerlo. Non poteva dire di no, non voleva. Fece il giro del letto, si coricò e si addormentò guardandolo.







nota: Visto che ho quasi terminato la storia ho deciso che pubblicherò due volte a settimana ;) il giorno aggiuntivo è il martedì! prossimo capitolo in arrivo venerdì come sempre ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


John Watson era un uomo dalla cultura varia e dai molteplici interessi e forse per questo riusciva a destreggiarsi bene anche tra persone di ceto sociale elevato. Nonostante questo, intrufolarsi in casa di un attore fingendosi un collezionista di statuette di porcellana (per le quali Gruner sembrava avere una strana passione secondo le fonti di Sherlock), non fu una grande trovata.

-Buongiorno, sono John Watson, ho un appuntamento per visionare la collezione di porcellane del signor Weunn.- disse il dottore al citofono di una lussuosa abitazione poco fuori Londra.

Cosa ci faceva lì, vestito come se stesse andando a far visita alla regina, gli era poco chiaro. Era stata un’idea di Sherlock. Aveva piagnucolato che stava male, che non poteva andare in giro a risolvere casi in quella condizione e che lui era il suo uomo migliore. Lui aveva provato a ribattere che non gli importava niente di quel caso, che si stava immischiando in faccende private non inerenti alla giustizia ma il moro era riuscito a convincerlo (“O questo o giochiamo a Cluedo!” aveva minacciato).

-Prego, si accomodi pure nel salotto sulla destra.- gli disse un maggiordomo facendolo entrare in casa. Era maestosa.

Prendere un appuntamento era stato piuttosto facile: Sherlock aveva intuito che la star del teatro era troppo esibizionista per tenere nascosta la sua collezione e aveva trovato un sito internet riconducibile ad un ricco ed impegnato uomo di Londra. Era gestito da un certo Gerrard Weunn, acronimo di Andrew Gruner. Gli avevano scritto tramite il blog elogiando la sua collezione e fingendosi collezionisti a loro volta e voilà avevano fissato un incontro in casa dell’attore.

Alle pareti della stanza in cui si trovava c’erano delle vetrine illuminate che contenevano numerose statuette bianche e dipinte. Raffiguravano qualunque cosa, da ballerine a persone in faccende quotidiane, a figure religiose. Impressionante la cura con cui erano pulite e sistemate su quegli scaffali. Secondo il piano di Sherlock lui avrebbe dovuto fare un’offerta per una statuetta (gli aveva dato un libretto degli assegni di Mycroft che gli aveva rubato). Allora Gruner lo avrebbe portato nel suo studio e avrebbero trattato un po’ sul prezzo. John doveva cercare un diario in cui l’attore si scriveva i propri appuntamenti. Il tutto era reso estremamente complicato dal fatto che il dottore non capisse un accidente in materia di porcellane.

-Lei deve essere John Watson! Che piacere! Siamo rimasti in pochi in grado di ammirare la bellezza di simili oggetti.-

-Purtroppo è vero signor Weunn, purtroppo è vero.- rimanere vago era la sua tattica. Poi avrebbe puntato ad una qualsiasi delle statuette (tanto ognuna sarebbe stata un pezzo raro) e avrebbe chiesto se era interessato a vendere.

-Qui può ammirare esempi di manifattura Meissen, Ginori di Doccia e Richard-Ginori, Capodimonte, Sèvres e Limoges e ancora Royal Copenhagen e Bing & Grøndahl.- lo diceva con orgoglio e vanto…a John sembrava solo un enorme spreco di soldi.

-Che pezzi fantastici, la sua collezione è incredibile.- iniziò a studiare i singoli pezzi da vicino per sceglierne uno a caso.

-E lei che cosa preferisce?- cavolo, lo aveva preso in contropiede.

-Per me più bianche sono più sembrano essere scolpite da Dio.- improvvisazione, pensò che Sherlock sarebbe stato fiero. Magari aveva ragione, ce la poteva fare.

-Questa ad esempio- e indicò una statuetta –sarebbe interessato a venderla?-

L’altro si avvicinò ad esaminarla.

-Una Bisquit di Claude Michel del XVIII secolo! Lei ha davvero buon gusto signor Watson.- lo guardò interessato –chissà se mi proporrà un buon affare. Vado a prendere il registro con i certificati di autenticità. Mi aspetti qui.-

Dannazione. Lui doveva entrare nello studio.

-In realtà avrei proprio voglia di sedermi con lei ad un tavolo e magari bere un goccio di Whisky per festeggiare.-

-Non si preoccupi, glielo faccio portare.- se ne stava già andando.

Rapido l’uomo chiuse la porta alle sue spalle. John sentì lo scatto di una chiave.

-Davvero credeva di avermela fatta dottor Watson? Lei e il suo amichetto detective siete piuttosto famosi nei circoli gay. Ma la dovete smettere di indagare su di me e sulla mia vita privata. Forse lo capirete con le maniere forti. Ho qui un gorillone che ha voglia di vendicarsi per la figura da stupido che gli ha fatto fare Sherlock Holmes.-

La porta si stava riaprendo.

Merda.

 
*

John non era un tipo violento di natura ma quando doveva fare a botte sapeva colpire duro. Era un medico, certo, ma era anche un militare. Poteva rompere le ossa chiamandole per nome. Quel giorno sarebbe stato messo alla prova da un ex pugile. Ma non era uno qualunque, era lo stesso che aveva aggredito Sherlock. Gli avrebbe fatto assaggiare i suoi pugni, non aveva dubbi.

Si tolse la bella giacca che indossava e si tirò su le maniche della camicia. Si mise di fianco all’apertura della porta aspettando che si aprisse per prendere il nemico di sorpresa.

La porta si aprì e John fece partire un pugno. Si bloccò in tempo.

-John, è questo il modo di ringraziare per essere venuto a salvarti?-

-Oh, Sherlock, grazie a Dio.- il militare abbassò la guardia.

Fuori dalla porta del salotto John vide stesi a terra di tre uomini: il maggiordomo che gli aveva aperto, Gruner e il pugile.

-Cristo Holmes, che hai fatto?-

-Oh, quello? Non preoccuparti ho solo usato un composto che ho brevettato a base di flunitrazepam e laudano…dormiranno per un po’ e non ricorderanno niente.- aveva l’aria soddisfatta.

-Come sai che funziona?-

-Tu ti ricordi che te lo abbia mai dato?-

-No…- John comprese con un attimo di ritardo di essere stato drogato in precedenza dall’amico per i suoi esperimenti. Subito gli montò la rabbia…non era quello il momento adatto per esplodere in una scenata contro Sherlock. Chiuse gli occhi, sospirò e ritornò alle cose importanti -Ma come hai fatto?-

-Bè, con il maggiordomo è stato semplice, è vecchio, ha i riflessi molto lenti…il resto non era previsto.-

-Quindi avevi previsto di entrare in casa drogando il maggiordomo? E io a che ti servivo quindi?-

-Tu hai distratto Gruner. Magistralmente direi. Guarda.- tirò fuori da una tasca una specie di taccuino. Il diario dell’attore.

-Sei un bastardo, avevi previsto che non mi avrebbe fatto entrare nel suo studio.-

-La cautela non è mai troppa. In ogni caso non avevo previsto che ti riconoscesse, né che ci fosse qui questo gorillone pronto a picchiarti. Quindi sono dovuto intervenire. Potresti ringraziarmi ora.-

John lo guardò storto, prese la sua giacca e uscì dalla casa dell’attore seguito dai lunghi passi dell’amico.

-Sei arrabbiato?-

-No, e perché mai dovrei?- tono sarcastico, a Sherlock non piaceva vedere il dottore arrabbiato ma sapeva che avrebbe capito e che gli sarebbe passata.

-Vieni con me a dare il diario della nostra star a Violet Merville? James Damery dovrebbe già trovarsi a casa sua-

-Sai cosa, ci vediamo a casa. Voglio scolarmi un buon Whisky per davvero.-

 
*

Sherlock consegnò a James Damery il diario di Andrew Gruner contenente le prove dei suoi appuntamenti amorosi. Non rimase ad ascoltare Violet Merville che, disperata, si riconciliò con James, tanto avrebbe letto nei giornali scandalistici l’annullamento del matrimonio di Gruner. Voleva tornare velocemente al 221B per vedere se John era ancora in collera con lui.

Su per le scale dell’appartamento sentì odore di distillato di malto fermentato. Whisky. John aveva mantenuto la parola. Lo trovò seduto sul divano con il bicchiere ancora in mano. La tv era spenta, lo stava aspettando. Probabilmente era in arrivo una sfuriata.

-Ciao- salutò Sherlock. Di solito non lo faceva. Era un segno di pace e amicizia, se John avesse colto avrebbe evitato la sgridata.

Ma John non colse, invece lo guardò in cagnesco, in silenzio. Sherlock si sedette vicino a lui. Si ricordò di quella sera in cui si era addormentato mentre l’altro gli accarezzava i capelli. Non era sicuro di quale fosse il problema ma qualcosa gli diceva che lo avrebbe scoperto presto.

-Tu…ieri sera, hai finto di stare male. Mi hai preso in giro…è stato divertente?-

-Ammetto di aver esagerato un pochino…ma tutto ciò che ho fatto aveva uno scopo- se c’era una cosa che non sapeva fare era scusarsi. Le parole gli erano uscite dalla bocca prima di poter analizzare quale reazione avrebbe potuto avere John.

-Cioè farmi entrare in casa di quel pazzo che tiene un pugile come bodyguard?!?-

-Anche-

-Che vuol dire “anche”?-

Sherlock non riuscì a trattenere un sorriso. John era bello quando si riscaldava. Ed era così ingenuo. Si sporse in avanti e gli diede un bacio sulla fronte. L’altro rimase lì paralizzato. Lui si alzò, si ricompose la camicia.

-Buonanotte John.-

Si stava già dirigendo verso camera sua quando il dottore, ex soldato, si decise a parlare.

-Bastava chiedere sai?-

-Di andare a ficcarti nei guai? Sì, avrei potuto dire che era pericoloso…ma così avrei rovinato l’effetto sorpresa.-

-No, non hai capito.- e si scolò quello che era rimasto nel suo bicchiere. Si alzò e si avvicinò al moro. Sembrò metterci un eternità e mezza. L’altro non si allontanò neanche quando John gli fu abbastanza vicino da poter sentire dall’odore che quello che aveva bevuto era Whisky scozzese del 2009.

Si guardarono negli occhi. I respiri si erano fatti più rapidi, i battiti più ravvicinati, le pupille dilatate. Ogni terminale nervoso pronto a sentire, registrare e memorizzare ogni cosa di quell’attimo. Le labbra si incontrarono a metà strada. Fu un attimo, un bacio a fior di labbra. Poi John si spostò.

-Buonanotte Sherlock.- e salì le scale che portavano in camera sua.

Quella notte Mr. Ultima Parola non poté che ritirarsi in silenzio. 







nota: volevo ringraziare tutti quelli che stanno seguendo la storia perchè siete sempre più numerosi! Ci si riaggiorna mercoledì (ehehe ritorneremo a seguire la trama principale della serie...).
A presto,
-H.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Per Sherlock quella fu una notte strana. Aveva bisogno di pensare ma non poteva usare il violino con il rischio di svegliare John. Senza riuscire a prendere sonno, continuò a girarsi nel letto cercando di placare quella strana sensazione allo stomaco. Si trattava di una sensazione tra il piacevole e il nauseante, una reazione involontaria del sistema nervoso simpatico, probabilmente causata dall’accesso di adrenalina che impediva la corretta affluenza di sangue al tratto digerente per poter dilatare i polmoni (respirazione accelerata) e irrigidire i muscoli. Possibile che un bacio causasse tutto questo all’interno del suo corpo? Avrebbe reagito allo stesso modo se fosse stato qualcun altro a baciarlo? Improbabile, era sempre rimasto distaccato dagli stimoli esterni, perché essere baciato doveva essere diverso che avere una pistola puntata alla testa? Era più plausibile che fosse colpa di John, solo lui fino a quel momento aveva fatto emergere quel poco di umano che era in lui. Solo per lui aveva provato paura, solo con lui aveva compreso l’amicizia. Se Sherlock Holmes fosse mai stato in grado di amare un’altra persona questa sarebbe stata John Watson. In ogni caso non poteva permetterselo…non poteva lasciare che le emozioni, qualunque cosa fossero, gli annebbiassero la mente e la capacità di giudizio, non in quel momento, non con Moriarty che avrebbe sicuramente preso di mira John per colpirlo.
 
*

Anche per John quella fu una notte agitata. Le farfalle nello stomaco non gli davano tregua qualunque posizione assumesse nel letto. Alla fine si arrese a pensare a quello che aveva appena fatto. Aveva agito d’istinto, aiutato da un po’ di coraggio liquido. Baciare le labbra del moro, quelle labbra carnose e disegnate, era qualcosa che avrebbe voluto fare da molto tempo ma che non avrebbe dovuto. Probabilmente aveva mandato Sherlock in confusione sulla questione “sentimenti”. Con lui bisognava andarci con i piedi di piombo, anche dopo che avevano passato una notte nello stesso letto. John non avrebbe voluto farsi trascinare dall’attrazione fisica perché non era detto che Sherlock sarebbe mai riuscito a provare le stesse cose che provava lui. E ormai il dottore era certo di provare qualcosa. Riguardo alla sua sessualità continuava ad essere convinto che il detective si trattasse di un’eccezione in qualche modo…non era mai stato attratto da nessun uomo prima, non in quel modo. Persino in quel momento, al solo ricordo del fugace bacio di poco prima e, soprattutto, del pensiero di quello che realmente avrebbe voluto fare, la sua eccitazione era cresciuta in fretta. Anche quella notte sarebbe stato costretto a sfogarsi un po’ da solo. Ma John non avrebbe più ceduto, avrebbe aspettato un passo, una qualche dimostrazione da parte di Sherlock…non voleva rimanerci scottato o peggio, perdere la sua amicizia.

La mattina dopo come sempre l’ex soldato si alzò presto, si fece una doccia e si vestì. Doveva uscire a comprare delle cose per casa e doveva prelevare perché non aveva più contanti. Meditò un attimo se bussare a Sherlock o se lasciargli un biglietto per avvertirlo ma alla fine non gli sembrò il caso.

Quando tornò a casa, dopo che un  bancomat difettoso e una lussuosa automobile nera lo avevano condotto da Mycroft Holmes, trovò l’amico concentrato su un caso di rapimento di due bambini. Lestrade e Donovan erano venuti al 221B su precisa richiesta dell’ambasciatore degli Stati Uniti, padre dei bambini. Sherlock non gli parlò, né lo salutò. Era come se fosse diventato invisibile. Tutti, compreso John, erano molto allarmati per la scomparsa improvvisa dei due ragazzini. Sherlock invece sembrava eccitato. Risolvere casi era entusiasmante per lui, più il caso era complesso più si divertiva. John lo trovava allo stesso tempo affascinante e insensibile. Dovette rimproverarlo quando lo vide sorridere sulla scena del rapimento.
-Having fun?-

-Starting to..-

-Maybe don't do the smiling. Kidnapped children.-

 
*
 
Arrivato insieme a Lestrade, Donovan, Watson e i poliziotti della scientifica nella scuola dove era avvenuto il rapimento, Sherlock analizzò le camere dei due bambini. Fece attenzione ad ogni singolo dettaglio…forse quella era la tanto attesa mossa di Moriarty. Per quanto il consulente investigativo avesse fatto di tutto per evitare di parlare con John o di guardarlo durante le indagini, non riuscì ad impedire che salisse sul suo taxi, diretto al Barts per effettuare dei test chimici sull’olio trovato sul pavimento della scena del crimine.

-Davvero non senti niente? Sei l’unico che può salvare quei bambini e non sei preoccupato per loro?- la vera domanda era rimasta tra le righe…possibile che non riuscisse a provare nessun tipo di sentimento? Neanche per lui?

-Fortunatamente no, la paura mi rallenterebbe e ci pensa già questo taxi ad andare piano.- rispose Sherlock di colpo sentendosi con le spalle al muro capendo il vero senso della domanda –John, lo sai, considero i sentimenti un difetto chim…-

-Un difetto chimico della parte che perde. Sì, lo so.- con questo John aveva avuto una risposta più che esaustiva.

In macchina scese un silenzio imbarazzante. Ci pensò il dottore a risolvere la situazione, riportando la conversazione sul caso. Lui si limitò a dare ovvie spiegazioni riguardanti il rapimento fingendosi distaccato e insensibile. Fortunatamente poco dopo arrivarono in ospedale e poté riprendere a ragionare sul caso e ad ignorare John.

La maschera cadde solo davanti alla precisa analisi di Molly Hooper, innamorata di lui praticamente da quando si erano conosciuti. Forse non era più così bravo a seppellire e nascondere le sue emozioni.

 
-You’re a bit like my dad. He’s dead. No, sorry…-

-Molly, please don’t feel the need to make conversation. It’s really not your area.-

-When he was dying, he was always cheerful, he was lovely. Except when he thought no one could see. I saw him once. He looked sad.-

-Molly.-

-You look sad. When you think he can’t see you.-

 
Il resto delle indagini fu frenetico. Non c’erano più dubbi che ci fosse Moriarty dietro quella scomparsa, il piano era troppo ben congegnato, troppo elegante, troppo furbo perché si trattasse di qualcun altro. John lo aveva ripreso un’altra volta mentre elogiava l’ideatore di quel macabro progetto. Riuscì a trovare i bambini che vennero tratti in salvo dagli agenti di polizia e portati al sicuro in ospedale. Anche Sherlock si diresse in ospedale insieme ad alcuni membri di Scotland Yard…doveva capire quali fossero le vere intenzioni della mente criminale più potente al mondo. Non si poteva limitare a sfidarlo con quel giochetto, il piano doveva essere più ampio.

Ma non appena entrò nella stanza in cui era tenuta la ragazzina gli fu tutto chiaro. È incredibile come i bambini riescano a produrre urla ad una frequenza così alta e fastidiosa nei momenti meno opportuni. Senza alcun dubbio QUELLO era il vero piano di Moriarty: doveva aver trovato una persona molto simile a lui per fargli commettere il rapimento (nota mentale: probabile presenza di un cadavere simile a lui in obitorio), gli aveva dato un puzzle che solo lui o il rapitore sarebbero stati in grado da risolvere e la bambina avrebbe testimoniato contro di lui. In questo modo tutte le persone a cui negli anni aveva pestato i piedi, o che aveva fatto sentire stupide, gli si sarebbero rivoltate contro facendogli perdere credibilità. Da lì a poco sarebbe stato accusato di rapimento e chissà di quali e quanti altri reati. Chissà se almeno Lestrade sarebbe rimasto dalla sua parte…chissà cosa avrebbe pensato John. Il fedele dottore, l’amico, il suo compagno di avventure, la sua luce. Avrebbe potuto credere alle notizie infamanti che si sarebbero sparse entro pochi giorni se non ore?

Per tornare a casa prese un taxi. Costrinse John a prendere quello dopo, lo lasciò sul marciapiede con un aria da cane bastonato. Non poteva rischiare che riprendesse a parlare, non sapeva se sarebbe riuscito a respingerlo dopo quella giornata…avrebbe solo voluto che John  lo rassicurasse, voleva sentirsi dire cha avrebbe continuato a credere in lui. Ma la minaccia di Moriarty era sempre più incombente…precisamente si trovava nel posto da guidatore del taxi.

 
*

La lealtà per John era un principio morale indiscutibile. E quella notte ne diede ampiamente prova. Aveva colpito il commissario capo perché aveva chiamato “strambo” il suo migliore amico. Si era fatto ammanettare insieme a Sherlock e aveva corso per i vicoli di Londra mano nella mano insieme a lui. Una scarica di adrenalina tale che non avrebbe avuto incubi per i mesi successivi. Anche davanti a Richard Brook non aveva dubitato un attimo di Sherlock Holmes. Nessuna notizia infamante, nessun capo d’accusa, nessuno tra i più elaborati piani di Jim Moriarty potevano convincerlo che Sherlock non fosse la persona di cui si era innamorato.
 
*

Dopo quella notte Sherlock aveva finalmente compreso la trama architettata da Moriarty. Avergli dato tutte quelle informazioni sulla sua vita per incastrarlo si era rivelata un’arma a doppio taglio. Era stato davvero bravo a fondere finzione e realtà a suo vantaggio che dai giornali scandalistici emergeva un quadro di sé quasi del tutto veritiero…non fosse stato per tutti gli omicidi che non aveva mai commesso. Ma John, con suo grande stupore, non dubitò di lui neanche per un attimo.

La priorità del detective in quel momento però non era quella di salvare la sua reputazione ma quella di salvare i suoi amici, possibilmente rimanendo vivo. Calcolò tredici possibili scenari dal suo prossimo incontro con la mente criminale (che secondo il piano sarebbe avvenuto sul tetto del Barts) e, insieme a suo fratello, a Molly Hooper e a un paio di dozzine di senza tetto, studiò tredici diversi metodi per salvare i suoi amici. In ogni caso avrebbe dovuto fingere la sua morte. Finché un solo uomo della rete di Moriarty fosse stato libero e in circolazione la vita di John Watson sarebbe stata in pericolo.
John avrebbe dovuto crederlo morto, come il resto del mondo. Sherlock si rese conto che avrebbe causato un dolore terribile all’amico, al suo compagno. Doveva in qualche modo provare a farsi odiare dal fedele John. Gli avrebbe dato conferma che non provava sentimenti umani….

 
-Mrs Hudson has been shot.-

-What? How?-

-Well, probably one of the killers you managed to attract. Jesus. Jesus. She is dying Sherlock, let’s go.-

-You go, I’m busy.-

-Busy?-

-Thinking, I need to think.-

-You need to..doesn’t she mean anything to you?..You once half-killed a man because he laid a finger on her.-
-She’s my landlady.-

- She's dying... You machine. Sod this. Sod this. You stay here if you want, on your own-

- Alone is what I have. Alone protects me.-

- No. Friends protect people.-

 
Avrebbe provato a convincerlo di essere un semplice illusionista. Avrebbe provato a fargli credere che la persona che amava non era mai esistita.
 
-It’s all true.-

-What?!-

-Everything they said about me. I invented…Moriarty.-

-Why are you saying this?-

-I’m a fake.-

-Sherlock…-

 
Ma qualcosa andò storto…le lacrime gli scesero involontariamente dagli occhi. Il pensiero di tutto quello a cui stava rinunciando a causa di Moriarty lo paralizzò. Non avrebbe più rivisto John per chissà quanto tempo, non avrebbero più risolto casi insieme, non avrebbe più suonato per lui, non avrebbe potuto dirgli che lo amava.
 
-This phone call, it's, um... It's my note. It's what people do, don't they? Leave a note?-

-Leave a note when?-


-Goodbye, John.-





 
nota: non volevo riscrivere l'episodio ma avevo bisgono di entrare un po' più nel dettaglio delle cose che erano successe tra i due protagonisti quindi ho dovuto ripercorrere la fine del 03x02 (le frasi scritte in corsivo allineate a sinistra riprendono le conversazioni nella serie...sono in inglese perché a me piacciono di più e confido nel fatto che gli appassionati di Sherlock ormai abbiano visto le puntate in ogni lingua disponibile xD)...prossimo aggiornamento tra due anni!
ahah no scherzo, sarà venerdì come sempre ;)
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Mary Morstan era la cosa migliore che sarebbe potuta capitare a John dopo la morte di Sherlock. Era stata assunta dallo studio medico per cui lavorava come segretaria ed infermiera circa un anno dopo la tragica caduta dal Barts e lo aveva subito colpito, non per la sua bellezza (Mary era interessante fisicamente ma non bella o giovane come tante delle sue avventure passate) ma per la sua intelligenza. C’era qualcosa in lei, l’incredibile memoria fotografica, la prontezza di riflessi, il sangue freddo, che aveva un qualcosa di familiare. Avevano iniziato ad uscire e la cosa era diventata seria dopo poco. Lo aveva aiutato parecchio in quel periodo difficile. John infatti, oltre ad andare dalla psicologa, continuava a far visita alla tomba di Sherlock tutte le settimane cercando che il ricordo di lui rimanesse vivido. Non c’era giorno in cui non sentisse la mancanza dei suoi modi bruschi, dei suoi esperimenti, delle sue manie da prima donna, dei suoi riccioli neri, dei suoi penetranti occhi azzurri. Ma non ci poteva pensare troppo a lungo. Lui voleva andare avanti, voleva costruire qualcosa con Mary, voleva sposarla e farsi una famiglia.

Nonostante avesse comprato un costoso anello di fidanzamento da un po’ di tempo, la proposta tardava ad arrivare. La psicologa in una seduta gli aveva consigliato di tornare al 221B per cercare di chiudere con il passato e poter andare avanti. E lo avrebbe fatto. Avrebbe seguito le istruzioni della psicoterapeuta e avrebbe rivisto la casa e una delusa e amareggiata Mrs Hudson. Le avrebbe anche detto dell’imminente matrimonio, per rendere la cosa più reale. C’era una cosa che però non sarebbe riuscito a fare, o meglio, a dire: che era stato innamorato di Sherlock Holmes e che una parte di lui lo amava ancora. Ad ogni seduta la psicologa cercava di farglielo confessare, come se potesse servire a farlo stare meglio. Ma John Watson non ne vedeva il motivo, lui sapeva che l’occasione per rilevare quei sentimenti era andata definitivamente persa.

 
-There’s stuff that you wanted to say…but you didn’t say it.-

-Yeah.-

-Say it now.-

-No…Sorry, I can’t.-

 
In qualche modo la psicologa aveva avuto ragione a proporgli quella terapia d’urto. Dopo il fatidico ritorno nella casa John si sentiva più in pace con se stesso. Quella sera avrebbe fatto la sua proposta a Mary Morstan.
 
*
 
Sherlock in quegli ultimi due anni aveva avuto un solo obiettivo: sventrare l’organizzazione criminale di portata internazionale messa in piedi da Moriarty…era stato un sacco di lavoro di gambe da svolgere. Lo aveva fatto non perché glielo aveva chiesto suo fratello (la regina d’Inghilterra) ma per salvare John Watson. Pensava a lui in continuazione. Grazie al suo palazzo mentale riusciva a far diventare i ricordi vividi come la realtà ma non era mai in grado di ricostruire tutti i dettagli e le imperfezioni umane del suo migliore amico, l’uomo che amava.

Dopo la prova di lealtà che gli aveva fornito anche mentre era in punto di (finta) morte, Sherlock era sicuro che John lo stesse ancora piangendo a Baker Street, non potendo evidentemente trovare nessun altro per colmare il vuoto che inevitabilmente gli aveva lasciato dentro. Fu uno shock quando Mycroft, venuto a riportarlo a casa perché Londra era nuovamente in pericolo, gli disse che il suo uomo si era trasferito e che aveva prenotato per due in un ristorante galante per quella sera.

Qualunque fossero stati, i programmi di John Watson sera sarebbero cambiati.

 
*
 
Mary Morstan era andata a rifarsi il trucco. Il suo fidanzato la aspettava al tavolo per farle la proposta di matrimonio. Lei lo sapeva. Lo trovava piuttosto lampante in effetti…il ristorante di lusso, lui vestito in giacca e cravatta (non lo aveva mai visto vestito così bene), un rigonfiamento all’altezza del taschino interno della giacca dato con  ogni probabilità da una piccola scatola contenente un bell’anello. Peccato per i baffi, le sembrava di ricevere una proposta da un vecchio. Ma ci sarebbe stato il tempo per farglieli togliere una volta sposati.

Anche lei si era vestita elegantemente per quella cena. Mentre si guardava allo specchio del bagno del ristorante pensò di avere l’aspetto di una qualunque signora della classe sociale media. Chissà cosa di lei aveva attratto John. Lui stesso le aveva confessato di avere avuto parecchie storie con donne (lo si capiva anche dalla sua esperienza sotto le lenzuola…) ma da quando stavano insieme non aveva mai dubitato della sua fedeltà. John non era un uomo a cui piacevano le cose semplici e ordinarie. Lui, senza rendersene conto, era sempre alla ricerca di qualcosa in grado di dargli il brivido e di sottrarlo alla noia della vita da medico di base…come i film horror che guardava, i libri thriller che leggeva e la fidanzata killer che stava per sposare. Era comprensibile, dopo essere stato un medico militare, non riuscire ad adeguarsi alla vita civile. Ma allo stesso tempo le sue emozioni erano sempre così sincere da commuoverla. Aveva l’aspetto di uno che si sarebbe messo tra lei e una pallottola, senza sapere che, di fronte ad un assassino, lei se la sarebbe cavata molto meglio da sola. Lo amava e non vedeva l’ora di iniziare una nuova vita con lui. Un marito, una casa, magari anche dei figli. Una vita normale che a tanti suoi “colleghi” era stata negata.

Scendendo le scale vide che uno strano cameriere cercava di attirare l’attenzione di John. Senza riuscirci se ne andò via scocciato. Strano. Il suo fidanzato intanto aveva tirato fuori la scatolina ma vedendola arrivare la rimise in tasca. Il momento era giunto. Lei era così euforica che non riuscì a non finire le frasi di lui. voleva che arrivasse in fretta al dunque. Ma lo strano cameriere tornò al loro tavolo e successe l’incredibile. Sherlock Holmes, dato per morto da due anni era, ritornato dalla tomba per interrompere il loro momento.

Mary registrò ogni mutamento nelle espressioni dell’uomo che fino ad un attimo prima stava chiedendo la sua mano e che ora la ignorava. Stupore, felicità e poi rabbia. La tensione nell’aria sfociò in una rissa. John sapeva colpire duro…le dispiacque un po’ per Sherlock. Lui evidentemente si aspettava un’altra reazione…un abbraccio? Da come lo guardava avrebbe giurato che anche lui voleva del contatto fisico ma decisamente non di quel tipo. Le fece subito simpatia con le sue battute fuori luogo, le sue deduzioni, il non riuscire a trattenere quello che pensava (forse il problema dei baffi era risolto), il suo non comprendere niente della natura umana e quella leggera gelosia che gli leggeva negli occhi quando la guardava.
La proposta, contro ogni previsione, la fece lui a John.

 
-London is in danger John. There’s an imminent terroristic attack and I need your help.-

-My help.-

-You have missed this. Admit it. The thrill of the chase, the blood pumping through your veins, just the two of us against the rest of the world…-

 
E, contro ogni previsione, lei sarebbe stata felice che il suo fidanzato salvasse Londra insieme al famoso detective con il berretto. Stranamente eccitante.

Dopo l’ultimo pugno sul naso assestato da John decisero che era meglio tornare a casa. Salirono sul primo taxi libero e John espresse a parole il suo risentimento per il suo amico. Mary però non lo aveva mai visto così felice. A casa avrebbero necessariamente dovuto affrontare l’argomento.

 
*

John era sconcertato. Non poteva credere a ciò che gli era stato chiesto. Non poteva credere che fosse stata proprio Mary a chiederglielo. La pausa durò così a lungo che la donna gli ripeté la domanda.

-Sei innamorato di Sherlock Holmes?-

-Cos..? Ma che ti viene in mente?-

-John, ho bisogno che tu sia sincero. E ricordati che so riconoscere quando menti.-

-Ma perché me lo chiedi?-

Mary alzò le sopracciglia senza rispondere. Come se la risposta fosse evidente. Aveva aspettato che fossero pronti per andare a letto e aveva sfoderato la domanda appena disfatte le lenzuola. Non c’era modo di scappare.

-Tu lo sai che io amo te.- aveva detto credendo ad ogni parola che gli usciva dalla bocca.

-Sì, lo so. Ma sarei una povera illusa se pensassi di essere la prima.-

-Abbiamo già parlato delle nostre precedenti relazioni e se ti ricordi non ti ho accennato a nessuna parentesi omosessuale, neppure con Sherlock Holmes.-

-È proprio questo che mi preoccupa.-

-Cosa?-

-Il fatto che non ne vuoi parlare.-

-Gesù. È perché non c’è niente da dire!-

-A vedervi sembrava il contrario.-

-Mary, ho perso il conto di quante persone hanno insinuato che ci fosse qualcosa tra me e lui ma questo non me lo sarei aspettato da te.-

-John, se vuoi ancora che io diventi tua moglie devi dirmi la verità.-

John si sedette sul letto con aria sfinita. Stava seriamente rischiando di mandare a monte la relazione più importante della sua vita per colpa di Sherlock. Forse era arrivato il momento di confessare quei sentimenti ad alta voce. Lo avrebbe aiutato a chiudere e ad andare avanti, insieme a Mary. Se c’era una persona in grado di capire era lei. Chiuse gli occhi e fece un bel respiro.

-Certo che sono stato innamorato di Sherlock.- disse con gli occhi bassi. Cercò il coraggio di guardala negli occhi per dirle quello che seguiva. Lo trovò –Probabilmente una parte di me lo ama ancora. Ma questo non vuol dire che non ami te. Io ti amo davvero Mary Morstan e vorrei che tu diventassi mia moglie se ancora mi vuoi.-

Incredibilmente Mary stava sorridendo.

-E allora vai a prendere l’anello, che aspetti?!-

Ma lui non andò a prenderlo. Invece prese tra le sue mani il volto di Mary, la sua incredibile donna e la baciò. E i baci si trasformarono presto in coccole lussuriose. Fu il sesso migliore che avessero mai fatto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Durante la giornata Mary aveva passato a John tutti i casi medici più noiosi, schifosi e imbarazzanti che arrivarono nello studio medico. Il lavoro di medico generico non lo soddisfaceva anzi, lo rendeva di pessimo umore. L’unica cosa che stava davvero a cuore alla donna era la felicità di John. E se lui era felice risolvendo casi insieme a quel buffo detective lei li avrebbe fatti riavvicinare, sicura di non correre alcun pericolo. Sperò che i testicoli ritenuti, la candida e le emorroidi fossero abbastanza per fargli capire che quella non era la sua vita. Quando lo vide uscire presto da lavoro fu segretamente soddisfatta del suo operato.

Lei invece trascorse tutto il pomeriggio a smistare pazienti e riempire ricette mediche da far firmare ai dottori. Forse il suo lavoro era noioso ma a lei la noia andava bene. Dopo tutto quello che aveva passato un lavoro noioso era come una manna dal cielo. Soprattutto perché non tutti i conti con il suo passato erano chiusi. Un uomo, o meglio, un rettile schifoso, metteva a rischio la sua copertura. Ci stava lavorando. Si era fatta amica la sua segretaria apposta e aveva già in mente un piano per “far fuori” il suo problema…il mondo non avrebbe comunque sentito la mancanza di un simile individuo.

Non poteva però immaginare che proprio quella sera il suo nemico avrebbe giocato la sua prima mossa. Appena uscita dallo studio medico infatti le arrivò un messaggio. Era un codice, questo era certo, ma lei per risolverlo avrebbe impiegato troppo tempo. Fortunatamente aveva da poco conosciuto una persona in grado di aiutarla.
 
*

John indubbiamente era stato drogato. I sintomi erano chiari: aveva difficoltà nel parlare, nel prestare attenzione, nel ricordare cosa gli fosse avvenuto e la capacità di orientamento nello spazio e nel tempo era debilitata. Si sarebbe ripreso presto. La dose era stata studiata in modo che fosse cosciente al momento del rogo. Chi mai avrebbe potuto essere tanto crudele da bruciare vivo un uomo rendendo carnefici anche le innocenti persone nella piazza intente a festeggiare il 5 novembre?
(-I will burn you.-)
 
No. Lui era morto e la sua rete distrutta, non poteva essere.

Ma allora chi? Chi aveva di nuovo preso di mira John per colpire lui? Che centrasse con l’attacco terroristico che stava cercando di sventare?

A Sherlock non piaceva non sapere le cose, non ci era abituato. Qualcosa però non quadrava.

Dovette rimandare quelle analisi in un altro momento. John era riuscito a dire che voleva essere portato a casa nonostante Mary insistesse per portarlo in ospedale. L’amico aveva guardato il moro cercando un alleato e lo aveva trovato. Non avrebbe osato dargli contro in quel momento. Non dopo che, con ogni probabilità, il dottore era finito nei guai a causa sua. Lo aiutò ad alzarsi ma faceva fatica a stare in piedi. Gli fece passare un braccio intorno alle spalle e si abbassò per essere alla sua altezza. Stare così vicino a John gli fece sobbalzare per un attimo il cuore. L’altro però era a stento cosciente, fortunatamente non si accorse di nulla. Intanto Mary aveva fermato un taxi e, tutti e tre insieme, si diressero a casa Watson-Morstan.

Giunti a casa Mary indicò a Sherlock la camera da letto e andò a preparare un tè caldo per riprendersi (il tè in Inghilterra è notoriamente considerato come una medicina per lo spirito). Il detective condusse John nella camera, lo fece sedere, si chinò per togliergli le scarpe. Lo stava per far coricare e andarsene quando riuscì a formulare una frase di senso compiuto.

-Sherlock...eri nelle fiamme con me?-

-Solo per tirarti fuori.- gli sorrise. Era strano guardare John dal basso verso l’alto. Forse era quello il modo giusto di guardarlo. John era più grande di lui in quasi tutto in fondo.

Il dottore gli posò una mano sulla spalla. Si guardarono negli occhi con gioia e tristezza insieme.

-Sei tornato per salvarmi?-

-Sono andato via per salvarti…- la mano dell’altro si era spostata sul collo e poi sul viso. Quella strana sensazione allo stomaco era tornata, così forte, dopo così tanto tempo. Sentì le proprie guance arrossire. Che strano il corpo umano e i suoi meccanismi di difesa.

-Non andare più via, stai con me.-

-Un’altra volta John…un’altra volta.- gli prese la mano nella sua. Si allungò per posargli un bacio sulle labbra. Si ritrasse appena dopo, si alzò e fece coricare il dottore –Riposati ora…-

-Mi sei mancato Sherlock.-

-Anche tu.- e uscì dalla stanza.

Mary aveva una tazza in mano e un’altra era pronta sul tavolo. Doveva aver preparato il tè anche per lui. Sherlock calcolò lo spessore dei muri della casa, il volume della voce con cui avevano parlato lui e John e capì che la donna aveva sentito tutto. Si trovò improvvisamente in una strana situazione. Per lui era lei l’intrusa nel rapporto con John ma chissà perché si aspettava che la donna si arrabbiasse e se la prendesse con lui. Invece Mary era sorridente con la sua tazza in mano. Sherlock prese la sua.

-Grazie.-

L’altra rise. Inaspettato.

-Grazie a te…non fosse stato per te avrei un fidanzato arrosto ora.-

-Bè è stata una gran fortuna che tu abbia capito che quel messaggio era un codice.-

-Intuito femminile immagino.- Sherlock non capiva quasi nulla della natura femminile. Forse quella storia era pur vera ma non gli tornava…

-La manipolazione è un’altra dote femminile?-

-In che senso scusa?-

-Sei riuscita a convincere John a venire da me…io non ci ero riuscito.-

Il sorriso sul volto di Mary si allargò.

-Ma lui non aveva bisogno di essere convinto. Lui voleva venire da te, io gli ho solo dato una spinta.- e bevve un sorso del caldo liquido ambrato nella sua tazza.

Sherlock la scrutò facendo diventare gli occhi come due fessure.

-E non ti dà fastidio?...tutto questo? Cioè alle altre dava fastidio…e loro non avevano prove.-

-Oh Sherlock, quando sarai sentimentalmente maturo per dare a John quello di cui ha bisogno probabilmente non dovrai più temere la mia concorrenza.-

Che forse voleva dire che non appena avesse trovato il modo di esprimere i suoi sentimenti, John l’avrebbe lasciata. O più semplicemente che con ogni probabilità lei all’epoca sarebbe stata morta. Ma questo Sherlock non lo poteva sapere.
 
*

Sherlock Holmes era definitivamente tornato in vita. Dopo aver sventato un attacco terroristico salvando il parlamento inglese e aver fatto arrestare Moran, lui e John avevano dovuto prendere parte ad una noiosissima conferenza stampa per spiegare il suo coinvolgimento nelle indagini.

Tutto nella vita di John Watson sembrava essere tornato in ordine. Ogni tanto dava la caccia ai criminali di Londra con il suo migliore amico e aveva finalmente fatto la proposta a Mary. La fece in un locale meno lussuoso di quello scelto per il primo tentativo ma aveva l’aria più calda e familiare, come la loro relazione. Si era inginocchiato e aveva pronunciato la frase. A John piacevano le tradizioni.

Era stata lei a sollevare la questione “Sherlock”.

-Sarà terrorizzato all’idea, lo sai?-

-Sherlock?-

-Ma certo, penserà che tu ti stia allontanando da lui per stare con me…magari già mi odia…-

-Non dire sciocchezze, ha detto che era felice per noi.- Il che più o meno era vero considerando che, in risposta al messaggio che gli aveva inviato scrivendogli che aveva finalmente dato l’anello a Mary, aveva ricevuto un semplice “Congrats.”

-Sarà, ma dovresti farlo sentire coinvolto.-

-Coinvolto? Nel nostro matrimonio?-

-Suvvia John avrai bisogno di un testimone!-

-Non sono sicuro che gli piacerebbe.- John aveva già valutato l’idea, in fondo era il suo migliore amico e sarebbe stata la cosa più naturale del mondo. Il problema era che sapeva quanto tutti i rituali che celebravano l’amore lo mettessero a disagio. E poi non riusciva proprio ad immaginarselo tenere un discorso davanti a tutti gli invitati che non fosse per discutere di un omicidio.

-Per te farebbe qualunque cosa.- gli rispose la donna spettinandogli i capelli e dandogli un bacio.

E così aveva chiesto a Sherlock di fargli da testimone.

Era stato orribilmente imbarazzante. Non pensava che dirgli che lui era il suo migliore amico potesse scatenare quel tipo di reazione. Non pensava che l’uomo avesse ancora dei dubbi sull’importanza della loro relazione per John, non dopo quello che gli aveva detto in procinto di saltare in aria a causa di una bomba nel cuore sotterraneo di Londra, non dopo quello che era successo tra loro. Ma Sherlock non smetteva mai di stupirlo.

Un’altra cosa stupefacente fu scoprire quanto efficiente potesse dimostrarsi il detective nell’organizzazione di un matrimonio. Aveva persino trascurato il lavoro preso com’era dai preparativi. Erano lui e Mary a prendere tutte le decisioni. Fortunatamente erano d’accordo quasi su tutto quindi John veniva interpellato davvero raramente. 

Fu quindi una sorpresa ricevere quel messaggio da Sherlock.

(15:33) Baker Street. Dobbiamo parlare del tuo matrimonio. SH

(15:35) Sherlock, sono a lavoro…cosa ci può essere di tanto urgente di cui non abbiamo già discusso?

(15:35) Il Valzer. SH

(15:36) Lo hai scritto tu, so che andrà benissimo. E poi lo sai che non ci capisco niente di musica.

(15:37) Infatti è perfetto. Mi riferivo al ballo John, al tuo primo ballo da uomo sposato. SH

(15:38) Se non credi che sia urgente guardati allo specchio mentre “balli”. SH

(15:40) Come fai a sapere che non sono un bravo ballerino?

(15:41) Vorrei evitare di scrivere un messaggio davvero molto lungo con tutte le prove che ho raccolto in questi anni. Ti basti sapere che sono molte. SH

(15:44) Ok, verrò stasera a fine turno…sai essere estremamente seccante sai?

(15:45) Ma sono più di 10 minuti che mi scrivi. Devo comunque essere più interessante di ciò che accade nello studio medico. SH

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Quando John arrivò a Baker Street trovò l’appartamento come non lo aveva mai visto. Tutti i mobili del soggiorno erano stati spostati contro i muri. Sulla credenza sopra il camino c’era uno stereo. Sherlock era coricato sul divano.

-Cosa hai fatto al soggiorno?-

-Ci serviva una pista John e c’erano troppi mobili.-

-Una pista?-

-Una pista da ballo. Sei più lento del solito stasera.-

-Quindi quando mi hai scritto che dovevamo parlare del mio primo ballo intendevi che volevi farmi un corso accelerato?- Dentro di sé si scatenò il panico. Era del tutto impreparato a quello. Ballare con lui nella loro vecchia casa, da soli, con tutto quel contatto fisico non necessario. Ma Sherlock evidentemente era di un altro avviso.

-Vuoi rovinare il mio Valzer saltellando da una parte all’altra senza il minimo senso del ritmo?- Colpito e affondato. -Su non ti preoccupare, per tua fortuna ci sono io a farti da testimone. Ti posso insegnare.-

-Tu balli?-

-Non sono un ballerino professionista ma non me la cavo male…sapessi quanto è difficile trovare l’occasione giusta per sfoderare questa dote su una scena del crimine.-
Sherlock sorrise e riuscì a strappare un sorriso anche a John.

-Va bene, mi fido…cosa devo fare?-

Il moro si alzò, fece partire un nastro con il Valzer inciso e gli si posizionò davanti.

-Conduci tu.- disse alzando le sopracciglia.

Ce la poteva fare. Gli si arrossarono involontariamente le guance. Deglutì. Posò la mano destra sul fianco di Sherlock mentre lui gli appoggiava la sinistra sulla spalla e con l’altra prese la mano libera del compagno.

-Schiena dritta e ginocchia rilassate. La mano va tenuta all’altezza della spalla. Si inizia con i piedi alla stessa altezza.- John guardò in basso rischiando di dare una testata al moro che lo aveva previsto e si era scansato in tempo –Fai un passo in avanti con il piede sinistro…bene. Ora fai un passo in diagonale con il piede destro in modo da riunire i piedi. Fai un passo indietro con il destro e poi diagonale con il sinistro…vedi è facile.-

Sembrava tutto molto semplice con Sherlock che dettava il ritmo e con gli occhi costantemente fissi sui piedi. Sherlock aspettò che prendesse un po’ di confidenza con quei passi prima di tornare all’attacco e insegnargli dei semplici abbellimenti come giri e combinazioni senza rompere il ritmo. Una volta che John prese confidenza con i passi base restava la parte più complessa.

-Ti devi sciogliere un po’ Capitano…-

-Come? Cos…?-

-Sei impostato come un soldato. Invece dovresti sembrare naturale e leggiadro.-

-Ma io non…-

-Smettila di guardarti i piedi e guarda me.-

John si decise ad alzare lo sguardo e, sebbene titubante, riuscì a tenere il ritmo. Gli occhi di Sherlock sembravano quasi guidarlo. Non aveva bisogno di vedere altro. Ma lo vide. Vide gli zigomi scolpiti, i riccioli che si muovevano impercettibilmente ogni volta che facevano un passo, le labbra carnose proprio alla sua altezza che sembravano chiamarlo. Improvvisamente si ricordò di avere la mano destra a pochi centimetri da un fondo schiena estremamente sodo. Sentì un improvviso afflusso di sangue al basso ventre. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto romantica e eccitante fosse quella situazione e ora non era sicuro di riuscire a nasconderlo.
Sherlock anche lo stava guardando. Sembrava quasi scrutarlo dentro. John fu certo che avesse avvertito la tensione, che avesse compreso quanto fossero desiderate quelle sue labbra. Eppure fece qualcosa di completamente inaspettato. Con la mano appoggiata sulla spalla lo trasse a sé. Continuarono a ballare così, con la testa dell’ex soldato appoggiata alla spalla del compagno più alto. Lentamente John si lasciò andare. Si godette quel ballo, quasi più un abbraccio, un momento prezioso che fino a sei mesi prima non avrebbe mai pensato di poter vivere.  Andarono avanti così, per minuti, forse secoli, prima che Sherlock aprisse bocca.

-John, posso farti una domanda?-

-Dimmi.- gli rispose senza staccare la testa dalla sua spalla.

-Le persone possono provare attrazione fisica senza implicazioni emotive?-

John si tirò su di scatto guardandolo con aria perplessa.

-Sì, certo…ma che cos…- interruppe la frase a metà perché in quel preciso istante la padrona di casa era apparsa sulla soglia del salotto.

-Cucù…- disse un po’ incerta.

I due si separarono all’istante e Sherlock spense lo stereo. Il silenzio però non durò a lungo.

-Dovresti vergognarti giovanotto! Non puoi tenere i piedi in due scarpe! Così finirai per ferire sia Mary che Sherlock!-

-Signora Hudson, si è fatta un’idea sbagliata…- ribattere fu impossibile perché l’altra aveva già iniziato a sgridare Sherlock per il disordine.

-Senti io vado che Mary mi aspetta per cena…spiegale tu, ok?-

Dopo un accenno di consenso da parte di Sherlock John uscì di casa.

 
*

John aspettò che Mary stesse dormendo per prendere in mano il telefono e scrivere a Sherlock. Doveva capire.

(23:42) Oggi hai detto “le persone”…tu non sei una persona comune, quindi non stavi parlando di te stesso. Devo presumere che stessi parlando di me?

(23:42) Eccellente deduzione mio caro Watson. SH

(23:45) Esattamente cosa volevi sapere? Centra con oggi?

(23:47) Quello che ho chiesto John. Volevo sapere se per te attrazione fisica e sentimenti sono collegati o no. SH

(23:48) Ma mi hai già risposto. Hai detto che è possibile provare attrazione senza sentimenti quindi tutto torna. Non c’è bisogno di parlarne ancora. SH

(23:52) Penso che la cosa sia un po’ più complessa di così.

(23:52) Cosa ti torna?

(23:54) John non vorrei offendere la tua intelligenza facendoti l’elenco delle cose che mi hanno portato a credere che tu provi una certa attrazione verso di me. SH
(23:54) Oggi e in altre circa 27 occasioni. SH

(23:55) Non ritenevo possibile che tu potessi provare sentimenti nei miei confronti. La persona più gentile, saggia e coraggiosa che abbia mai conosciuto non potrebbe provare qualcosa per me che sono la persona più sgradevole, maleducata, ignorante e irritante al mondo. Inoltre ti stai per sposare. SH

(23:55) Ma evidentemente le due cose sono separate quindi il tuo matrimonio non corre alcun pericolo. Sì, forse sarà meglio evitare contatto fisico non necessario, ma non dovrebbero esserci problemi. SH

John era sconcertato. La sincerità di Sherlock mentre parlava di attrazione e sentimenti era semplicemente disarmante. Continuava a credere che nessuno lo avrebbe mai amato quando lui lo stava amando più che mai in quel momento. Scrisse il messaggio successivo poi lo cancellò poi lo riscrisse e rimase a fissarlo per un po’ prima di inviarlo.

(00:07) Sherlock, tu cosa provi?

Dopo averlo inviato il cuore gli esplose in petto così violentemente che pensò che avrebbe svegliato Mary. Se Sherlock gli aveva fatto quella domanda era perché non aveva idea di che cosa le persone “normali” provassero in situazioni simili. Questo poteva voler dire che lui non provava niente (decisamente improbabile) oppure che provava tutto. John vibrava all’idea di avere la conferma che tutto ciò che stava sentendo lui lo stava provando anche il detective. Aspettò una risposta con le mani tremanti ma non arrivò.

(00:20) È giusto non rispondere, dovremmo parlarne a voce.

(00:21) Certo che non ci saranno problemi, sei il mio migliore amico.

(00:21) Buonanotte Sherlock.

 
*

Quella mattina Lestrade lo aveva chiamato dopo il ritrovamento di un cadavere in una zona periferica e frequentata da numerosi spacciatori e bande rivali. Si trattava di un uomo a cui avevano sparato in pieno petto. Scotland Yard stava per archiviare il caso come un regolamento di conti o una compra vendita di droga finita male ma l’ispettore si era accorto di uno strano particolare: benché i vestiti fossero sporchi di sangue, non presentavano alcun foro di proiettile.

Sherlock esaminò il corpo. La causa del decesso era evidente. Era anche evidente che l’uomo, un tempo abituato all’uso di eroina, non ne faceva più uso da diverso tempo (le tracce di fori sulle vene erano vecchi di almeno un paio di mesi e le occhiaie evidenziavano un’insonnia prolungata, sintomo di astinenza). Dopo un annusata al cadavere Sherlock, senza dare spiegazioni a nessuno si allontanò. Si diresse verso uno degli spacciatori che si erano nascosti alla vista dei poliziotti e lo salutò come una vecchia conoscenza. Greg fece finta di non vedere e di non capire. Gli passò una mazzetta e si fece dare più informazioni possibili su quell’uomo. Soddisfatto tornò dall’amico ispettore e diede la soluzione al caso.

-Il cadavere, a parte per il sangue, è pulito è profumato. Si era appena fatto una doccia quando la fidanzata è entrata in bagno e gli ha sparato. Era nudo al momento dell’omicidio. È stato rivestito dopo, dalla stessa donna che lo ha portato qui in modo che Scotland Yard archiviasse il caso in fretta.-

-E quale sarebbe il movente?-

-Lei è incinta. Il nostro uomo le aveva promesso di smettere con la droga per il bambino ma qualche giorno fa ha comprato una dose. Per avere queste informazioni bastava interrogare il nostro amico all’angolo.- Greg lo guardò seccato, Sherlock sapeva benissimo che la polizia non poteva interrogare uno spacciatore senza metterlo in gatta buia almeno per una notte e in questo momento non ne avevano proprio il tempo. -Non l’ha usata ma gli è stata ugualmente fatale. La ragazza deve aver approfittato del fatto che fosse in bagno per cercare prove della sua astinenza…invece ha trovato la dose e non ci ha più visto. Se cercate nei cestini troverete l’arma, probabilmente l’ha ripulita dalle impronte. Ma se la prendete subito è facile che troverete tracce di polvere da sparo sulle mani.-

Sherlock si tirò su il bavero e fece per andarsene. Era un po’ annoiato. Quel caso non arrivava neanche al sei. Anche John ci sarebbe arrivato. Ma John non era lì, era con la sua futura moglie…chissà quanto tempo avrebbe resistito prima di cercare un po’ della sua droga.

-Sherlock aspetta.- era Lestrade che lo stava chiamando indietro.

-Ti prego Gathin, smettila di annoiarmi con questo caso ridicolo.-

-Non è per il caso, è per il matrimonio.- aveva deciso di sorvolare sul nome storpiato…ci aveva rinunciato ormai –Stai organizzando un addio al celibato?-

-Un cosa?-

Greg scoppiò a ridere, non poteva credere che Sherlock non sapesse che cosa fosse un addio al celibato eppure sapeva che il suo volto interrogativo era sincero.

-È una festa…una festa per celebrare la fine della vita da celibe di un uomo. È il testimone che la organizza.-

-E di solito che si fa?-

-Bhè si porta fuori lo sposo e lo si fa bere in giro per locali. Ci si diverte insomma.-

-Ah, allora se è così lo dovrò fare…-

-Quindi sono invitato?- chiese Greg. Ma non ricevette risposta.

Sherlock era già immerso nei suoi pensieri cercando cosa potesse far fare a John per celebrare la fine dei giorni delle loro avventure insieme. Mise tutti in modalità silenziosa e ripercorse i casi più affascinanti e i momenti più importanti della sua vita con John. Se per l’ex soldato sarebbe stata una sera di festa per lui sarebbe stata decisamente malinconica.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Sherlock aveva appena vomitato sul tappeto della scena del crimine quando il proprietario della casa si decise a chiamare la polizia denunciando il famoso detective e il suo blogger per ubriachezza molesta.

In qualche modo aiutò Sherlock ad alzarsi e lo portò in bagno a sciacquarsi la bocca per rendersi presentabile di fronte ai poliziotti che stavano arrivando. John ci trovava qualcosa di molto buffo nel vedere l’unico consulente investigativo al mondo così vulnerabile. Non riusciva a smettere di ridere ma probabilmente l’eccessiva ilarità era dovuta all’alcool.

I poliziotti li presero in consegna e li spinsero a sedersi nei sedili posteriori dell’auto della polizia. John, seduto sul posto sinistro alla prima curva si ritrovò contro Sherlock. Era comodo. Appoggiò la testa sulla spalla del moro e lì rimase. Il compagno più alto si adattò alla posizione del biondo allargando il braccio sinistro in modo da tenerlo fermo. Senza accorgersene prese la mano di John nella sua e iniziò a giocarci passando le sue lunghe dita tra quelle dell’altro. Era una di quelle cose che John faceva con le sue ragazze. Sorrise voltandosi verso Sherlock, il sorriso di chi, dopo aver aspettato a lungo un cedimento, aveva appena smascherato la debolezza dell’altro uomo.

L’altro lo guardò con le sopracciglia alzate come per dire “embè?” in un’espressione resa ancora più ridicola dall’alcool. John non poté far a meno di ridere. Sherlock gli sorrise di rimando lasciando un poco trasparire la tenerezza e la devozione che provava nei confronti del dottore.

-Ti amo.- gli disse John. Così, senza preavviso, senza pensarci, senza avere dubbi al riguardo.

Vide i suoi muscoli irrigidirsi e la sua espressione diventare vacua.  In quel momento realizzò che era stato decisamente avventato. Aveva immaginato un milione di modi per dichiarare i suoi sentimenti all’uomo ma non avrebbe mai potuto immaginare di farlo da ubriaco, in stato di arresto in una macchina della polizia, a pochi giorni dal suo matrimonio. La reazione del detective invece fu proprio quella che si sarebbe aspettato. Sherlock era in quello stato di catalessi in cui era già caduto un paio di volte quando avevano affrontato il discorso “sentimenti”. Rimase a guardarlo, come se quella sua espressione fissa e spaventata gli potesse rivelare qualcosa che lui non era in grado di dire. Ma non fu così. John non vide niente. Era ricambiato? Sherlock era nauseato anche solo all’idea? Solo Dio, se esiste, poteva sapere cosa passava nella testa del moro.

John pensò di aver commesso un errore…avrebbe dovuto tenere a freno la lingua. Riuscì a pensare che forse non se ne sarebbero ricordati, che in fondo erano ubriachi marci. Una parte di sé ci sperò, l’altra sperò che ricordassero.
La macchina si fermò. Sherlock si riprese dal suo stato. Scese velocemente dalla macchina e lui e John vennero accompagnati in una cella per la notte. Sherlock si prese il posto sulla brandina, l’unica, della cella. Non diede a John neanche la possibilità di protestare che si mise a dormire (o a far finta). John si sedette per terra appoggiandosi contro al muro cercando di prendere sonno.

 
*

John Watson si godette davvero la festa del matrimonio suo e di Mary Watson (gli piaceva che lei avesse deciso di prendere il suo cognome). Avevano ballato fino a tardi, inebriati dalla felicità di quel momento perfetto. La deduzione di Sherlock era stata una notizia inattesa ma felicissima. Finalmente, quando Mary decise di far riposare un po’ i piedi, John si era guardato intorno.

-Hai visto Sherlock?- chiese a Janine (la ragazza gli era sembrata interessata al suo ex coinquilino, probabilmente avrebbe fatto caso alla sua assenza).

-Chi?- chiese lei, non capendo a causa della musica alta.

-Il mio testimone…alto, capelli scuri e ricci, occhi come il ghiaccio, atteggiamento da sociopatico...-

La ragazza rise, lui un po’ meno.

-L’ho visto andare via dopo il primo ballo.- gli appoggiò una mano sulla spalla e gli si avvicinò all’orecchio –Mi sa che faresti meglio a preoccuparti meno per Sherlock e più per tua moglie…sembra che voglia ballare ancora.-

Dopo un’altra ora di balli, congratulazioni, giochi, alcool e saluti, John e Mary erano sfiniti e da bravi sposini si congedarono per la loro prima notte di nozze.

Arrivati alla soglia di casa, John prese in braccio Mary (fortunatamente il fisico da militare non lo aveva abbandonato), entrò in casa chiudendo la porta con un calcio e posò la sua sposa sul letto. Iniziò a toglierle le scarpe e il velo ma lei lo fermò.

-Devi avere ancora un attimo di pazienza.- disse scendendo dal letto e dirigendosi verso il bagno –Devo prepararti una sorpresa.-

John si lasciò cadere sul letto, stravolto ma felice. Si tolse le scarpe, il gilet e la cravatta ma Mary ancora non aveva intenzione di uscire dal bagno. In uno scatto John prese il suo cellulare. Non voleva farlo di nascosto ma non aveva voglia di discutere…mandò un messaggio a Sherlock.

(02:17) Xk sei andato via così presto?

(02:18) Non dovresti essere impegnato in attività di accoppiamento notturne a quest’ora? SH

(02:18) Risp alla domanda

(02:19) Mi annoiavo e avevo la casella di posta che scoppiava di casi irrisolti. SH

(02:19) Bugiardo

(02:20) Ho solo pensato che voi tre ora abbiate bisogno dei vostri spazi. Non voglio interferire. SH

Con uno sforzo enorme John scrisse il messaggio successivo.

(02:22) Sherlock, tu sei parte della mia vita e lo sarai sempre.

(02:22) Mary lo sa ed è d’accordo.

Che voleva dire tutto e allo stesso tempo niente…cosa sapeva? Non era successo niente. Era d’accordo su cosa? Che provasse quei sentimenti? Bè lei non poteva farci proprio niente…

(02:23) Se quello che dici è vero perché mi scrivi di nascosto? SH

(02:23) Hai scritto messaggi brevi e hai utilizzato abbreviazioni da quindicenne. Non lo hai mai fatto prima. SH

(02:23) Vuoi che ci allontaniamo?

(02:24) Penso che sia necessario. SH

(02:24) Bene.

(02:25) Bene…SH

Dopo ventiquattro ore John sarebbe partito per la sua luna di miele che sarebbe durata due settimane. Non sapeva se avrebbe più scritto a Sherlock al suo rientro a Londra.

 
*

Il matrimonio di John non era stato poi così noioso. Aveva sventato un omicidio e risolto tre casi in un giorno. La questione del discorso era stata molto faticosa ma l’aveva affrontata e superata. John gli era sembrato felice ed era tutto quello che contava. Non contava che una parte di lui era morta dentro quel giorno, non contava che da quel giorno lui si sarebbe sentito tremendamente solo. Ora John aveva una famiglia. Una moglie, un figlio in arrivo…probabilmente non avrebbe più avuto tempo di occuparsi di lui. Per fortuna. Ormai vederlo era diventata una tortura per Sherlock. Sentiva il cuore scoppiargli in petto ogni volta che i loro sguardi si incrociavano, sentiva il desiderio crescere ogni volta che si sfioravano.
Si ricordava, anche se piuttosto vagamente, quello che era successo la sera dell’addio al celibato, di quello che John gli aveva detto e di come lui non avesse risposto (almeno non ad alta voce) ma aveva deciso di non farne parola con l’amico. Il giorno del matrimonio aveva il cuore a pezzi…pazzesco, lui che fino a qualche anno prima un cuore neanche lo aveva. E forse non era il solo. Anche John, quando pensava di non essere visto, aveva l’aria un po’ malinconica. In ogni caso sembrava aver fatto la sua scelta e avrebbero dovuto rispettarla.

Era giusto lasciargli spazio, allontanarsi, lasciargli vivere la sua vita come era giusto che lui vivesse la sua. Janine gli aveva lasciato il numero di telefono scritto su un tovagliolo…strana ragazza. Ci pensò davvero per circa 20 secondi, prima di accartocciare il tovagliolo e buttarlo (in ogni caso non ne avrebbe avuto bisogno visto che aveva memorizzato il numero). La sua vita in fin dei conti erano i suoi casi e la sua casella di posta stava scoppiando. Aveva lasciato indietro il lavoro per il matrimonio di John. Sfortunatamente erano tutti casi che non arrivavano neanche al sei come voto. Li risolse tutti nel giro di un paio d’ore in notturna (tanto non sarebbe comunque riuscito a dormire) senza uscire di casa.

Il giorno dopo il matrimonio Sherlock Holmes era già in preda alla noia.

Provò di tutto per mandarla via: lesse un saggio di matematica dal titolo mooooolto lungo (“Gödel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante - Una fuga metaforica su menti e macchine nello spirito di Lewis Carroll” di Douglas Hofstadter) sperando che gli sarebbe tornato utile per qualche caso, condusse un esperimento su un cadavere all’obitorio per determinare la resistenza delle ossa post-mortem (forse aveva un po’ esagerato quando aveva tirato fuori la sega elettrica) e infine fece un giro per Londra odorando la sua città e cercando qualche nuovo nascondiglio. Non lo trovò. Invece incontrò qualche vecchio spacciatore di sua conoscenza.

Quella sera l’unica stanza illuminata (al neon) dell’appartamento al 221B di Baker Street era la cucina. Sherlock era accovacciato su una sedia davanti al tavolo su cui aveva disposto le dosi di droga. Le aveva ben dosate in modo che non gli fossero letali se assunte correttamente. La prima sarebbe dovuta essere l’eroina, in vena, il procedimento più difficile (il resto era da sniffare, ingoiare o fumare). La siringa di fine ottocento era sterilizzata e pronta, il laccio emostatico a portata di mano, la lista per Mycroft pronta.

Prima che toccasse qualcosa, qualcuno bussò alla porta. Dalla forza usata dedusse che era una donna, minuta e vicina ai sessant’anni nonostante usasse un profumo non adatto alla sua età: “Clair de la Lune”, lo stesso che usava Mary (ma non poteva essere lei perché ne avrebbe riconosciuto il passo…e poi perché si stava godendo la luna di miele con John).
Quando sulla soglia si affacciò Lady Smallwood, Sherlock impiegò qualche secondo per ricordare che lavorava insieme a Mycroft per il governo. Ma non era lì né per il governo né per suo fratello. La donna si trovava a Baker Street per sé stessa, accompagnata solo da una fierezza e dignità tali che colpirono il detective.

-Charles Augustus Magnusenn tiene in pugno l’intera nazione con i suoi ricatti. Stiamo affrontando un’inchiesta interna al governo per stabilire i suoi collegamenti con il primo ministro inglese. Sono sicura che non troveremo niente a cui aggrapparci per incriminarlo. È troppo scaltro e usa le informazioni che ha su di noi per ricattarci.-

-Quindi anche lei ha subito un ricatto…a causa di suo marito?-

-Come lo sa?-

-Si sta toccando nervosamente la fede nuziale senza accorgersene.-

-Giusto, Mycroft mi aveva avvisata.- era un po’ seccata ma soddisfatta per la scelta di averlo assoldato.

-Devo riuscire a trovare un modo per farvi perquisire la sua banca dati?-

-Appledore, signor Holmes, è un fortino inespugnabile…no, in questo momento non mi importa dell’Inghilterra, del governo o della regina in persona. Mi importa solo di non essere più ricattabile. Ha delle lettere. Squallide lettere che mio marito scrisse ad una ragazzina non ancora maggiorenne. Ho bisogno che le recuperi per me.-

-Magnusenn, il colosso dei giornali che ha informazioni per ricattare l’intera nazione e lei rivuole le lettere di suo marito?- la guardò con un grosso sorriso in faccia -Non sarà un compito facile, potenzialmente pericoloso…una persona sana di mente non accetterebbe. Mi piace, accetto il caso.- 







nota: Buongiorno a tutti! C'è qualcuno che ritiene possibile che l'uso di droghe da parte di Sherlock non sia collegato all'allontanamento di John? puahahah io no. Prossimo aggiornamento a venerdì.
xoxo
-Hermlani

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Era una sera piovosa a Londra e il 221B era buio e silenzioso. Sherlock, seduto sulla sua poltrona, era concentrato ad ideare un piano per battere il Napoleone del ricatto. In più le droghe che stava assumendo in quel periodo acceleravano i suoi processi mentali (era davvero felice di avere una scusa per farne uso) quindi era così assorto che non si accorse della presenza di Janine finché lei non gli parlò.

-Ciao Sherl, ti ho portato la cena.- disse accendendo la luce e scoccandogli un bacio sulla guancia.

In effetti si era dimenticato di mangiare e la donna sembrava averlo previsto. Si frequentavano da malapena un mese e già conosceva le sue abitudini alimentari e si presentava a casa quando voleva. La cosa gli seccava notevolmente ma era tutto parte del travestimento da fidanzato che stava indossando.

Dalle sue prime ricerche per il caso Magnusenn aveva scoperto di essere un uomo davvero molto fortunato. Janine, la damigella d’onore di Mary, la ragazza strana che gli aveva lasciato il suo numero, era la segretaria personale per colosso della comunicazione. Buffa coincidenza.

 
(-What do we say about coincidence?-

-Universe is rarely so lazy.-)

 
Tuttavia Sherlock non vedeva altra spiegazione.

Si ricordava ancora il numero a memoria (stramaledetta memoria visiva), le aveva scritto qualcosa tipo “Com’è andata a finire con il patito di fantascienza? SH” e lei aveva fatto tutto il resto. Si erano velocemente messi d’accordo su dove, come e quando incontrarsi. Non c’era stato bisogno di dire che era un appuntamento, entrambi lo sapevano e si erano vestiti (o travestiti) di conseguenza.

Lei era arrivata per prima al famoso ristorante scelto (il “The Ivy”, noto per ospitare frequentemente a cena le celebrità londinesi…fortunatamente Sherlock era in possesso della carta di credito di Mycroft). Lei indossava un vestito scuro, apparentemente nuovo, che le metteva in risalto le forme. Alla vista di Sherlock, si era alzata e lo aveva salutato chiamandolo per nome in maniera un po’ troppo vistosa.

Il detective la inquadrò da subito come arrivista, arrampicatrice sociale e opportunista (il ché per lui era un vantaggio)…per arrivare dove voleva era disposta a lasciarsi trattale male da uomini di ceto sociale più alto, come, appunto, il suo capo. Sherlock sospettò che in qualche modo questo si riflettesse anche sui suoi gusti sessuali. Non avrebbe però voluto averne la certezza, non si sarebbe voluto spingere fino a quel punto perché non riusciva a provare niente per la donna.

-Questa volta mi fai vedere la tua camera da letto?- aveva detto in quello che doveva essere un tono sensuale dopo aver cenato (si era alla fine sforzato di mangiare le patatine fritte che lei aveva preso come contorno alla cena vera e propria).

Era già stata nell’appartamento che una volta condivideva con John Watson ma non avevano mai fatto niente. Le aveva fatto vedere qualche cosa del suo lavoro, qualche esperimento e aveva dovuto cedere a darle qualche bacio, mai niente di più. Invece ora lei si stava spogliando lì nel salotto con lui seduto sul divano a far da spettatore a quello che sembrava essere uno spogliarello per niente improvvisato.

Il vantaggio di essere tornato a far uso di droghe era che aveva sempre qualche sostanza psicoattiva a portata di mano. Gli era risultato estremamente facile versarle un po’ di polverina a base di benzodiazepine nel bicchiere. Il risultato fu che la donna si addormentò ancora in piedi con addosso solo l’intimo. Sherlock la prese al volo non facendola cadere per terra (aveva calcolato il tempo necessario perché la droga facesse effetto) e la portò in braccio nella sua camera. La posò sul letto e chiuse la porta. Lui doveva prepararsi per il secondo travestimento che stava usando in quel periodo: quello del drogato (e questo gli riusciva decisamente meglio).

 
*

John non aveva visto né sentito Sherlock per un mese e gli era sembrata un’eternità. Gli incubi erano tornati, la zoppia era di nuovo visibile e aveva messo su qualche chilo. Londra senza Sherlock era semplicemente noiosa e a John mancava il brivido. Forse per questo quella mattina si era trovato in un covo di drogati a pestare uno spacciatore…mai e poi mai avrebbe immaginato di incontrare così il detective. Evidentemente la lontananza era stata nociva anche per lui. O almeno era quello che aveva pensato prima di vedere come se la cavasse bene con Janine.

John non ci aveva potuto credere. Non ci aveva proprio potuto credere. Sherlock con una donna. Cioè con una donna normale e non con quella svitata di Irene Adler. Quando li aveva visti insieme, la sua prima reazione fu di incredulità. Subito dopo subentrò la gelosia e l’irritazione. Quello era il loro appartamento e quello era il suo uomo…compagno…coinquilino…amico.

Era stato un sollievo scoprire che era tutto parte di un piano, la storia con Janine e la droga. Ma mettersi contro il più potente magnate dei giornali al mondo che teneva sotto scacco intere nazioni con le informazioni in suo possesso non pareva una buona idea a John. Nonostante questo non aveva resistito alla tentazione di unirsi a Sherlock per quelle indagini…sarebbe potuto essere pericoloso.

Il colpo di pistola però fu troppo. Troppo inaspettato, troppo sconvolgente, troppo agghiacciante, persino per lui, medico militare Capitano del Quinto Fucilieri di Northumberland. Non poteva finire così. Non dopo quello che avevano passato, non prima che chiarissero le cose tra loro. John per un istante pensò che non sarebbe sopravvissuto una seconda volta al lutto. La paura di perdere Sherlock un’altra volta gli aveva mandato il cervello in tilt. Gli sembrava di fare tutto a rallentatore quando ogni istante era importante per salvare la vita a Sherlock. Gli premette le mani contro al petto per bloccare per quanto possibile l’emorragia e iniziò a parlargli per mantenerlo cosciente. Non aveva idea di cosa stava dicendo, non gli importava che le frasi avessero un senso.

-Sherlock, non osare morire un’altra volta. Tanto sai che non ci casco più.- le parole suonavano tremendamente disperate ma nessuno se ne poteva accorgere –Non puoi lasciarmi così…tu avevi detto che ci saresti sempre stato per me, non ti ricordi? L’hai detto al matrimonio. Hai fatto un voto…Ti prego, resta con me, dobbiamo ancora fare tante cose insieme, dobbiamo ancora fare tutto…- le parole erano spezzate dai singhiozzi ma non aveva importanza. Non gli importava che i medici del primo soccorso lo vedessero in quello stato, con le lacrime che si mischiavano al sangue che involontariamente si era spalmato sul volto.

All’arrivo dell’ambulanza non lo volle lasciare e non lo lasciò per tutta la notte, durante l’intervento fuori dalla porta della sala operatoria prima e in rianimazione poi. Dormì al suo capezzale. Nonostante fosse un medico e sapesse che il peggio era passato, aveva una paura irrazionale che gli faceva martellare il cuore. Doveva svegliarsi, Sherlock doveva aprire gli occhi e rassicurarlo che andava tutto bene. Era in una fase di dormi-veglia quando finalmente gli occhi azzurro ghiaccio si aprirono e il detective parlò.

-Mary…- la voce era gutturale, bassa e incerta.

E poi non aveva assolutamente senso. John in realtà aveva pensato (e sperato) che la prima parola uscita dalle labbra del moro sarebbe stata il suo di nome.

-Shhhh, Sherlock, non parlare, va tutto bene, sono qui…ce l’hai fatta, il peggio è passato.- stava parlando più per se stesso che per lui anche perché era crollato subito dopo.

Aver pronunciato il nome di sua moglie però  gli era stato utile in un certo senso: gli aveva ricordato di averne una. Corse a chiamarla e a raccontarle i fatti incredibili successi quella sera. Sarebbe venuta a dargli il cambio in ospedale mentre lui sarebbe potuto tornare a casa a lavarsi e cambiarsi. Sherlock sarebbe dovuto rimanere in ospedale per alcune settimane, lui non poteva essere sempre presente. Non poteva immaginare di star lasciando la vittima in compagnia del suo assassino.

 
*
 
 
-John, Magnussen it’s all that matters now. You can trust Mary. She saved my life.-

-She shot you.-

- Er, mixed messages, I grant you-
 
I paramedici lo sedarono per calmargli il dolore e lo riportarono in ospedale. Avevano forse esagerato un po’ con la dose perché l’intontimento causato dalla morfina non passò che la mattinata successiva. Quando riprese totalmente conoscenza vide che John era seduto su una poltrona a leggere uno dei giornali lasciati da Janine.

-Non sei tornato a casa questa notte.- gli disse senza bisogno di chiedere.

-Ciao.- rispose John posando il giornale e avvicinandosi al letto per non far sforzare Sherlock a parlare ad alta voce.

-Non devi continuare a stare al mio capezzale, sto bene, ho fatto tutto solo per avere una dose più forte di morfina.-

John allargò un sorriso malinconico.

-Lo sai che non voglio tornare da Mary dopo quello che è successo ieri notte.- riuscì a dirgli –Posso tornare a Baker Street?-

-Certo che puoi, quella è sempre casa tua.- gli prese la mano, come se avesse bisogno di toccarlo per rendere più autentiche le sue parole. John rispose al tocco girandogli la mano e stringendogli il polso, come se si stesse aggrappando a lui. Calò un silenzio un po’ imbarazzato, fatto di frasi mai finite, sguardi rubati, baci veloci. Durante i giorni appena passati aveva finalmente capito che John era attratto da Mary per lo stesso motivo per cui era attratto da lui: il pericolo. Con ogni probabilità il suo dottore aveva un cuore tanto grande da amare entrambi. Ma lei poteva dargli cose che lui non poteva e, anzi, gliele stava già offrendo…il matrimonio, un figlio. Poteva essere quella giusta per lui, Sherlock lo pensava davvero. Si concentrava su quello perché non voleva far emergere l’altro pensiero: la paura che se anche lui e John fossero andati oltre l’amicizia lui sarebbe stato completamente inadatto e inadeguato ad una relazione e che proprio John che ora lo desiderava così palesemente, si stufasse e lo lasciasse definitivamente. Tolse la mano e cambiò rapidamente discorso –Qualche notizia interessante sul giornale?-

-A parte le abitudini sessuali della coppia più in voga del momento…- si mise a ridere –Sette volte a notte, sul serio?-

-Tu che cosa credi?-

-Oddio che si può arrivare a tre…massimo quattro seguendo una corretta alimentazione.-

-Non voglio il tuo parere medico, dottor Watson, voglio sapere se credi che sia stato a letto con Janine.-

-Bhè l’ho vista uscire seminuda da camera tua e poi ti ha raggiunto in bagno.- Sherlock stava sorridendo divertito –Ma tu non l’hai toccata.-

-Nope.-

-Almeno è stato divertente?-

-Vedere l’incredulità sulla tua faccia? Molto.- …vedere la gelosia ancora di più.






nota: Allora, se non è chiaro a quale punto della trama principale siamo consiglio sempre di rivedere la puntata e ovviamente mi riferisco alla 3x03. Con il prossimo capitolo riempiremo il buco temporale che c'è tra il ricovero di Sherlock e il pranzo di Natale (passa qualche mese perchè rivediamo Mary gofia come una balena eheh) e finiremo così anche la terza stagione..aimè i capitoli più duri si avvicinano! 
A presto,
-Hermlani

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Nelle settimane successive trascorse in ospedale, Sherlock ebbe tutto il tempo per escogitare un piano per entrare dentro Appledore. Battere Magnusenn era diventato il suo chiodo fisso. Purtroppo non poteva far più niente per Lady Smallwood (le lettere scritte da suo marito erano ormai state pubblicate e lo scandalo era divampato in tutto il paese) ma poteva ancora aiutare Mary, e di conseguenza John. Inoltre non vedeva l’ora di dare un pugno sul naso a quello squalo che lo aveva fatto passare per stupido.

La degenza era stata abbastanza lunga ma alla fine i medici del Barts si convinsero a dimetterlo perché avrebbe potuto contare sul monitoraggio di un dottore in casa. Eh sì perché John viveva ancora a Baker Street nonostante Sherlock spingesse per un riavvicinamento dei coniugi Watson. Il moro si sforzò parecchio per non dare il minimo cenno di interesse all’ex soldato, magari così avrebbe smesso di pensare ad un lieto fine tra loro due e sarebbe tornato da Mary.

Avere il dottore a casa in realtà era decisamente una seccatura per il detective. John era diventato più apprensivo del solito. Non gli lasciava fare niente, né testare l’elasticità di un polmone umano (gentilmente concesso da Molly come suo regalo di ben tornato), né fare una semplice passeggiata per i vicoli più pericolosi di Londra. Insomma in quei giorni Sherlock passava da un divano all’altro guardando tv spazzatura.

-John, posso letteralmente sentire i miei neuroni suicidarsi.- sbottò una mattina spegnendo la tv –Ti prego, fammi seguire almeno un caso.-

-Ne abbiamo già discusso. Niente casi fino a quando non ti sarai rimesso completamente- era come avere a che fare con un bambino che faceva i capricci per avere una caramella.

-E allora uccidimi!- urlò in modo molto teatrale buttandosi sul divano con le braccia allargate e la testa indietro.

John lo guardò con un sopracciglio alzato.

-Sul serio John, la mia vita senza un piccolo omicidio, un rapimento, una rapina, non vale la pena di essere vissuta.- supplicò con la faccia più falsamente triste che riuscì a mettere su.

-Solo uno. E fai in modo che non sia troppo rischioso, ok?- gli concesse alla fine. Non poteva proprio resistere a quella faccia depressa sul volto di Sherlock. Gli passò il telefono aperto sulla casella di posta del suo blog. –Scegli.-

 
*

Kate St.Clair era seduta sulla sedia dei clienti che come al solito era posizionata tra le poltrone del consulente investigativo e del dottor Watson. Era arrivata dal Kent nel pomeriggio perché Sherlock Holmes in persona aveva accettato il suo caso. Disperata, si era rivolto all’uomo che aveva la fama di essere un insensibile bastardo perché sembrava essere il migliore nel risolvere casi impossibili.

-Ci parli di suo marito signora St.Clair- cercò di metterla a suo agio John.

-Neville, si chiamava Neville. Si chiama. Si chiamava…non lo so.- iniziò la donna.

-Non sa se suo marito è morto?-

-Bè, è quello che dice la polizia ma io ho ricevuto una lettera scritta di suo pugno con la data di due giorni fa…e lui doveva già essere morto.-

-Signora St.Clair per favore inizi dal principio.-

-Vedete mio marito faceva il giornalista per un piccolo giornale nella nostra città. La paga non è alta ma ci permette di vivere bene. Comunque è capitato che dovesse venire nella capitale ogni tanto per qualche articolo o che so io. Ma negli ultimi mesi era sempre qui…mi sono insospettita. Magari aveva trovato un’amante qui a Londra e mi mentiva a proposito del lavoro. Quindi ho scaricato questa applicazione sul telefono…tenendo il GPS del cellulare interessato attivo potevo vedere i suoi spostamenti.-

John guardò Sherlock come per dire “mi suona famigliare” ma non aprì bocca per non interrompere la donna.

-Così la prima volta che mi ha detto di dover venire a Londra ho messo in atto il mio piano. Quando ho visto che il segnale GPS si era fermato ho controllato l’indirizzo…non era una casa o un ufficio…si trattava di un vecchio edificio disabitato, una specie di covo di drogati sulla riva del Tamigi.-

Le occhiate di John divennero più eloquenti…quel posto lo conoscevano bene entrambi.

-Mi è preso il panico. Neville poteva essere finito in qualche brutto guaio per andarsi a ficcare in un posto tanto malfamato. Così ho chiamato la polizia chiedendo di andare a controllare…quando sono arrivati sul luogo c’erano solo uno spacciatore e un senza tetto. Inoltre hanno trovato in una stanza il telefono di mio marito e successivamente hanno recuperato il suo cappotto dal Tamigi…abbiamo tutti pensato che fosse morto. La polizia ha arrestato il barbone, un certo Hugh Boone, accusandolo di omicidio.-

-Ma due giorni fa le è arrivata la lettera e si è rivolta a noi.- Sherlock stava quasi saltellando sulla sedia per la felicità con la disapprovazione di John.

John le offrì un tè. Quando si fu calmata le dissero che le avrebbero fatto sapere i risvolti del caso appena concluso e il dottore la accompagnò alla porta per congedarla. Quando si girò verso Sherlock vide che stava facendo quella faccia.

-Mi dai sui nervi quando fai così!-

-Così come?-

-Quando mi guardi come per dire “noi abbiamo capito tutto”-

-…ma noi abbiamo capito, no?-

-NO! Sherlock, mi dispiace ma io non ho capito!-

-Bè allora non ti anticipo niente, ti dico solo che stiamo andando a fare una visita in carcere.-

 
*

John impiegò tutto il tragitto di ritorno dal carcere per capire che cosa fosse successo.

La soluzione del caso era stata semplice. Arrivati nella cella di Boone, Sherlock gli aveva chiesto di lavare la faccia al barbone. Lo sporco era risultato poi essere soltanto del trucco utilizzato per camuffare la sua vera identità, ovvero quella di Neville St.Clair. L’uomo aveva dovuto confessare che svolgeva una doppia vita. Durante la stesura di un articolo aveva infatti scoperto che un mendicante poteva guadagnare fino a 300sterline al giorno posizionandosi nei posti giusti di Londra. Aveva così abbandonato il lavoro e aveva iniziato a travestirsi da barbone per mendicare agli angoli delle strade. La sua nuova attività gli sfruttava tanto bene da poter concedere qualche lusso in più a sua moglie ma si vergognava così tanto che le aveva tenuto tutto nascosto. Smascherato, aveva promesso di raccontarle della sua doppia vita in cambio della scarcerazione.

John era arrivato a compatire l’uomo…una volta che avesse rivelato il suo segreto alla moglie, Neville St.Clair avrebbe probabilmente messo fine al suo matrimonio. Non sapeva perché ma quella situazione gli pareva familiare. Le parti erano invertite (e lei nella sua seconda vita faceva il sicario e non la mendicante) ma tra lui e Mary le cose avevano preso quella stessa piega.

-Sei un bastardo.- disse di punto in bianco una volta entrati in casa.

-Come scusa?- rispose Sherlock che aveva appena fatto in tempo ad accovacciarsi sulla sua poltrona.

-Tu hai scelto questo caso apposta!-

-Non dire stupidaggini John, neanche io ho la palla di cristallo.-

-Sarà, ma in qualche modo lo sapevi…tu vuoi che ritorni da Mary e non dire che non è vero, sono giorni che in un modo o nell’altro la metti in mezzo ai nostri discorsi.-

-Dico solo che dovresti darle una seconda possibilità-

-Dove lo hai letto questo?-

-Sarà stato su qualche rivista di psicologia…comunque a me l’hai data.-

-Era diverso.-

-Uhmmm no.-

Discutere con il consulente investigativo era sempre sfiancante, soprattutto quando aveva ragione. Era vero, John si sentiva offeso e ferito perché Mary gli aveva tenuto nascosta la sua vita passata ma non per questo aveva di colpo smesso di amarla. Se aveva davvero chiuso con la vita da sicario potevano rincominciare insieme…l’unica cosa che gli impediva di tornare da sua moglie e il loro figlio era Sherlock. Se lui si fosse deciso a fare un passo in avanti John avrebbe scelto lui eppure, per tutto il tempo in cui erano tornati a convivere, Sherlock era stato ben attento a non dargli niente, neanche la speranza che qualcosa potesse succedere. Stava respirando forte e scuotendo la testa, non gliel’avrebbe data vinta così facilmente.

-Perché fai questo? Perché vuoi che stia con Mary e non con te?- dirlo ad alta voce lo fece quasi tremare.

Il detective evidentemente non se lo aspettava perché di colpo mise via l’aria da gradasso e tornò serio.

-John lo sai che io non provo quel genere di cose.-

-Non è vero, tu provi tutto, e lo provi per me, lo so.-

-E come fai a saperlo? non puoi provare una cosa tanto…-

-PERCHÉ TI HO PRESO IL POLSO!- lo aveva urlato, non voleva urlarlo. Non voleva far spaventare Sherlock che ora lo guardava pietrificato. Ma era vero, lo aveva fatto quando Sherlock era in ospedale, aveva giocato il suo stesso sporco gioco. Gli si avvicinò piano e si strinse a lui passandogli le braccia dietro la schiena in un abbraccio che non venne ricambiato –Scusa, davvero…voglio solo che tu sappia che provo lo stesso.-

Fu dopo qualche istante che Sherlock ritrovò la voce.

-Non penso di esserne in grado John. Non sono pronto…-

-Non dire cavolate, certo che lo sei, lo siamo.-

-No invece. Potrei stufarmi di te nel giro di qualche mese o qualche settimana magari. Non lo so. E non voglio fartelo.- lo disse in modo glaciale, senza il minimo tatto.
John si ritirò e lo guardò negli occhi. Capì che stava dicendo sul serio. Capì che era ora di tornare a casa.

Fece le valigie e se ne andò senza dire una parola. Non odiava Sherlock per come erano andate le cose. Un altro giorno sarebbero stati amici come prima ma non quella sera. Arrivato a casa continuò con il suo mutismo nonostante Mary provasse a fare conversazione. Lei era felice di rivederlo, sapeva che era segno di un possibile riavvicinamento. Lui andò presto a letto di cui occupava il lato destro. Si coricò sul fianco sinistro in modo da dare le spalle a Mary se fosse venuta a dormire. Non riuscì a prendere sonno, invece pensò alle parole esatte da dire a sua moglie. Avrebbe perdonato Mary il giorno dopo, dopotutto era Natale.







nota: il caso della signora St. Clair lo riadattato dal racconto "L'uomo dal labbro spaccato".
ps: ho sempre immaginato John che rivolge contro Sherlock i suoi stessi trucchetti xD
-Hermlani

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Sherlock si fidava di Lestrade. Era un brav’uomo, un po’ lento forse ma era uno dei pochi a non giudicarlo e a volergli bene. Per questo gli aveva chiesto di trovarsi fuori da casa Sandeford quella sera a tarda ora. Gli fu estremamente grato per essere intervenuto nel momento giusto, quando l’uomo con cui aveva fatto a botte gli aveva puntato una pistola addosso vincendo di fatto quel duello. Dopo aver messo in fuga il killer, Lestrade raggiunse Sherlock nell’abitazione dove era avvenuta la colluttazione.

-Cavolo, ci è scappato.-

-Non ne dubitavo.-

-Ho messo in moto i miei uomini per ritrovarlo.- proseguì l’ispettore non dando peso alle parole offensive di Sherlock  -Allora, cosa c’era dentro la Thatcher?-

-Questa- gli fece vedere la chiavetta tenendola in mano e senza dare altre informazioni.

-Bè qualunque cosa sia deve essere importante se quell’uomo è arrivato ad uccidere per recuperarla.- si guardò intorno e vide i segni della lotta appena avvenuta. –Tu stai bene?-

-Sono stato meglio, grazie.- Sherlock, fradicio in mezzo a quel bel salotto, continuava a rigirarsi la chiavetta tra le mani.

-Perché John non è venuto? Sarebbe stato utile nel corpo a corpo.-

-Da qualche tempo a questa parte è del parere che le notte siano fatte per dormire…cosa che poi a casa non riesce a fare perché la bambina lo tiene sveglio.-

-Già, deve essere molto stanco.- rispose Greg, confondendo il tono stizzito di Sherlock con preoccupazione per l’amico.

-Devo andare a Baker Street.-

-Sherlock, mi devi dare la chiavetta, è una prova.-

-Con questa in mano dovresti incriminare Mary per il resto della sua vita. Dovrai far finta di non averla mai vista.-

Lestrade annuì, John gli aveva confidato la situazione di Mary e lui aveva promesso di non comportarsi da poliziotto ma da amico. Accompagnò Sherlock al taxi. Il povero autista non avrebbe voluto farlo entrare, fradicio com’era gli avrebbe rovinato l’auto, ma l’ispettore gli sbatté il suo distintivo in faccia.

-Verrò più tardi a Baker Street per aggiornarti.- disse mentre il taxi partì.

Sherlock non lo stava più ascoltando. Aveva tirato fuori il cellulare e aveva composto velocemente un messaggio.

(23:19) Non importa cosa stai facendo. Baker Street. Adesso. SH

 
*

Dopo l’annunciato ritorno di Moriarty, Sherlock aveva deciso di aspettare la prossima mossa del suo arci nemico. Si era buttato a capofitto nel suo lavoro, risolvendo ogni singolo caso che gli si era presentato, mettendosi un po’ in mostra e facendo girare la testa a John. Era tornato ad essere un bastardo senza cuore poco dopo l’allontanamento dell’ex coinquilino. Lui non credeva neanche lontanamente a quella nuova facciata. Poteva vedere chiaramente quanto si era affezionato a Mary, con cui aveva un bellissimo rapporto (gli sembrava fossero fratello e sorella a volte) e quanto bene volesse alla piccola Rosie. Gli unici momenti in cui Sherlock non badava ai suoi casi erano infatti quelli trascorsi con la bambina.

Incredibilmente lei non era affatto impaurita da quello strano, alto uomo dagli zigomi scolpiti e dallo sguardo penetrante. Lei gli aveva sorriso, fin da subito, e lui le aveva sorriso a sua volta con un nuovo, meraviglioso sorriso che John non gli aveva mai visto rivolgere a nessun altro. Era strano vederlo così, cedere alle suppliche di una bambina che ancora non parlava ma che si faceva capire benissimo. John non se lo sarebbe mai aspettato ma come sempre Sherlock lo sorprendeva.

Era tutto molto bello ma le cose tra loro erano diverse. Insomma, non erano più soli contro il mondo. John non riusciva a stargli dietro, un po’ per l’assurdo numero di casi a cui il detective lavorava contemporaneamente, un po’ per i suoi nuovi obblighi familiari. Gli ritagliava un po’ di tempo ma non era più la stessa cosa. Sherlock stesso gli chiedeva di partecipare alle sue avventure meno frequentemente.

Quando John ricevette quello strano messaggio una fitta di paura lo assalì. Cosa poteva mai essere successo per richiedere il suo intervento così in fretta?  Salutò Mary e la bambina e corse da Sherlock.

Lo trovò con i capelli e i vestiti bagnati seduto davanti al suo computer.

-Sherlock, che è successo??- non riuscì a nascondere l’ansia.

-Tranquillizzati John. Quando dai in escandescenza ragioni ancora meno del solito e mi servi lucido.- disse continuando a guardare lo schermo.

John respirò a fondo, si avvicinò e la vide. Vide che attaccata al computer di Sherlock c’era una chiavetta. La stessa che lui aveva bruciato il giorno di Natale.

-Come hai fatto a prenderla? L’ho vista sciogliersi con questi occhi!-

-Non essere ridicolo, si tratta di un’altra chiavetta.-

-Un’altra? Vuoi dire che ce n’erano altre?-

-Una per ogni membro del piccolo gruppo di sicari privato di cui Mary faceva parte, sì. Le lettere sono le iniziali dei loro nomi. Questa in particolare apparteneva ad Ajay. Suppongo che quelle di Alex e Gabriel siano andate perse.- era ovvio a quel punto che Mary gli aveva mentito sul significato delle lettere.

-Come ne sei entrato in possesso?- John stava cercando di essere pragmatico perché Sherlock aveva ragione. Perdeva la testa quando andava in escandescenza.

-Ricordi il caso delle Thatcher? Era chiaro che qualcuno stava cercando qualcosa che tempo prima aveva nascosto all’interno di uno di quei busti. Pensavo si trattasse della Perla Nera dei Borgia e che ci fosse dietro Moriarty. Mi sono sbagliato- sentire Sherlock ammettere di aver sbagliato era un evento più unico che raro ma John in quel momento non ci fece caso –dentro c’era questa e l’uomo che la stava cercando mi ha puntato contro una pistola dopo che ha capito che conoscevo Mary.-

John lo guardò con aria interrogativa prima che Sherlock si alzasse e gli mettesse una mano sulla spalla cercando il suo sguardo.

-John, Mary è in pericolo. Questo Ajay pensa che lei lo abbia tradito e la vuole uccidere. Che cosa facciamo?-

John crollò sulla sua poltrona portandosi le mani alla testa. Stava andando tutto così in fretta. Scoprire che sua moglie faceva parte di un gruppo di sicari, che uno di questi era tornato dal suo passato per ucciderla. E ora Sherlock gli chiedeva cosa fare?

-Cosa chiedi a me? Sei tu quello dalle idee geniali e dai piani infallibili!-

-Bè, la mia idea era quella di stordire tua moglie e legarla qui nel nostro appartamento per poterla tenere sotto controllo mentre noi ci occupavamo di Ajay, ma ho come il sospetto che tu non gradisca questa opzione- disse sarcastico sedendosi sulla poltrona di fronte a John.

-Perché la dovremmo tenere sotto controllo?- chiese esausto John.

-Perché in questo momento Mary è il bersaglio e cercherà di portare il killer più lontano possibile da te e da Rosie.- incredibile come Sherlock dimostrasse sempre di conoscere sua moglie bene almeno quanto lui –Appena le dirò cosa è successo lei scapperà e inizierà con ogni probabilità un lungo viaggio scegliendo mete completamente a caso per confondere Ajay. Ora, io conosco 58 metodi basati sullo studio dei comportamenti umani per restringere le infinite possibilità date dal caso ad un numero accettabile ma saranno calcoli molto com…-

-Mettiamole un localizzatore GPS nella chiavetta- lo interruppe John.

Lo aveva zittito. La sua era un’idea molto più pratica di quella di Sherlock e lui gliene diede atto come raramente accadeva. John però non si sentiva soddisfatto come avrebbe dovuto, l’ansia di perdere sua moglie era come un terribile macigno sopra i suoi polmoni che non gli permetteva di respirare normalmente. Irrazionalmente per un attimo pensò che fosse colpa sua. Che in qualche modo l’universo gliela stesse facendo pagare per aver anche solo pensato di tradire Mary con un’altra donna.
Quell’estranea sul pullman con cui ormai da un po’ di tempo si scambiava dei messaggi piuttosto espliciti era stato un modo piacevole di scappare dalla monotonia delle sue giornate e la possibilità che Mary lo scoprisse gli dava un brivido che rendeva il tutto molto più eccitante.

Ma se il loro rapporto era in crisi non era solo colpa sua. Sapeva che Sherlock aveva ragione. Mary non avrebbe cercato di risolvere le cose parlandone con lui, suo marito. Avrebbe fatto tutto da sola. Lo faceva sentire inutile e inadatto a stare con lei. Non si era mai sentito così, neanche accanto a Mr. Modestia che tra l’altro in quel momento si stava dimostrando un uomo anche migliore di lui intento com’era a salvare la vita a Mary e a proteggere la sua famiglia.

Il cuore di John ad un tratto batté più forte ricordando quello a cui avevano rinunciato perché proprio Sherlock non si sentiva pronto, lo stesso Sherlock che ora dimostrava di essere molto più umano e sensibile di quanto chiunque altro a parte John lo avrebbe ritenuto capace. Lo guardò per un attimo con malinconia. Era ancora bagnato in pieno inverno, la guancia sinistra era rossa e ogni tanto si massaggiava il costato. Fu lui alla fine ad interrompere il silenzio, forse percependo la tensione che si era venuta a creare.

-Meglio che tu ritorni a casa ora. Puoi dire a Mary che ti ho chiesto in prestito il cellulare…a quest’ora è stanca e magari crederà ad una piccola e realistica bugia.- Sherlock si alzò dalla poltrona. –Aspetterò domani sera per dirlo a lei in modo che non pensi che il nostro incontro sia in qualche modo collegato. Non dovrai dirle niente, lo sai…-

-Devi farti un bagno caldo.- disse John cambiando discorso come se le parole di Sherlock non avessero importanza e invece il bagno fosse vitale.

-Ordini del medico?-

-Sì- rise John facendo calare la tensione. Si alzò e si avvicinò all’amico più alto che rimase immobile confuso. John gli prese una mano tra le sue, era gelida. –Vedi, devi riscaldarti o ti verrà un bel mal di gola.-

Sherlock si scrollò le sue mani di dosso. Era da un po’ che i contatti con John erano ridotti al minimo indispensabile.

-Dottor Watson io sono la mente, il mio corpo è una mera appendice. Non mi interessa di prendermi un malanno.-

-Ma importa a me.- disse John avviandosi verso la porta –Poi sai come si dice, no? Mani fredde, cuore caldo…-

E uscì.

 
*

Come seguendo un racconto già scritto, Mary si era messa in viaggio. Aveva scelto l’aereo come primo mezzo di trasporto per allontanarsi da Londra ed era atterrata a Parigi.

C’era una cosa che le premeva fare prima di essere troppo lontana o troppo impegnata con la sua fuga. Ci aveva pensato a lungo. Non era infatti sicura di riuscire a sopravvivere ai fantasmi del suo passato, soprattutto se quel particolare fantasma si chiamava Ajay. Mary era abbastanza spietata per riuscire a premere il grilletto anche contro un amico in caso di necessità ma il suo ex compagno era in gamba, furbo e fisicamente più forte di lei. Se poi anche avesse risolto la situazione Ajay non sarebbe comunque ormai riuscita (né, in fondo, avrebbe voluto) a fermare Sherlock nella sua indagine per scoprire chi fosse realmente “Ammo” nonostante fosse evidentemente un rischio per la sua incolumità.

Se lei non fosse sopravvissuta a tutto questo le due persone più importanti della sua vita sarebbero state ad un passo dall’autodistruzione. In particolare immaginava che John avrebbe dato la colpa della sua morte a Sherlock che, innocente, sarebbe facilmente precipitato verso l’inferno.

Nell’aeroporto di Parigi dunque Mary raccolse tutto il necessario per mettere in atto il suo piano. Travestita da hostess, rubò ad un giovane in carriera la borsa contenente un pc (facile) e ad un padre di famiglia la valigia con la videocamera per i filmini delle vacanze (molto facile). Aveva solo bisogno di un posto relativamente isolato e tranquillo all’interno di un aeroporto. L’ufficio del capo della sicurezza le sembrò la scelta più ovvia. Si fece aprire fingendo di avere un problema nell’area check-in e appena entrò mise fuori gioco l’uomo (decisamente facile).

Preparò tutto il necessario: la telecamera e i dvd per la masterizzazione, le buste con le quali spedirli, gli indirizzi e le date. Quando si sedette davanti alla telecamera ebbe però un cedimento di nervi, il primo e l’ultimo che si sarebbe concessa.

Lei sapeva cosa ci fosse realmente dietro il legamene di John Watson e Sherlock Holmes, suo marito glielo aveva confessato, con Sherlock non ce n’era stato bisogno. Era palese quanto amasse John, forse l’unico a non rendersene conto pienamente. Ma se lei fosse morta John non avrebbe più voluto rivedere Sherlock. Anzi, sarebbe cambiato, profondamente. Dalla persona più buona, saggia e paziente che aveva conosciuto si sarebbe trasformato in un uomo chiuso, scontroso e arrabbiato con il mondo che non sarebbe stato in grado di crescere al meglio la loro figlia. L’unica persona in grado di potergli dare di nuovo un po’ di pace e serenità sarebbe stata Sherlock. Meritavano un lieto fine. Glielo doveva.

Si lavò la faccia e si ricompose. Accese la telecamera.

 
-I’m giving you a case, Sherlock. Might be the hardest case of your career. When I’m gone, if I’m gone, I need you to do something for me. Save John Watson. Save him Sherlock. Save him. Don’t think anyone else is going to save him because there isn’t anyone. It’s up to you. Save him. But I do think you’re going to need a little bit of help with that, because you’re not exactly good with people. So here’s a few thing you need to know about the man we both love.-

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Non era stato difficile per Sherlock iniziare il processo di autodistruzione. La droga era stata facile da reperire e facile da utilizzare. Ma, se normalmente si vantava per riuscire a mantenere il controllo (gli piaceva dire che “faceva uso” della droga) questa volta esagerò un po’ con il dosaggio, spinto da un dolore che poco tempo prima non pensava di essere in grado di provare. All’inizio aveva resistito all’impulso pensando che da drogato non sarebbe stato per niente d’aiuto a John o alla bambina. Ma lui lo aveva sbattuto fuori dalla sua vita e Mary gli aveva letteralmente detto di andare all’inferno.

Lei aveva ragione, John non si sarebbe fatto salvare. Sperò davvero che però venisse a salvare lui.

Era stato decisamente semplice trovare un super cattivo…e la sua capacità di distinguere cosa fosse reale da cosa non lo fosse stava venendo meno.

 
*

John non aveva mai visto Sherlock in quelle condizioni. Faceva quasi paura: ancora più pallido, ancora più magro, i capelli sporchi, la barba incolta, i segni della droga sul suo volto e sul suo corpo. Ma decise che non gli importava. Non poteva e non voleva occuparsi anche di Sherlock Holmes. Anzi, in fondo era colpa sua se lui era vedovo e se sua figlia era orfana (“non è vero, John, sai che non è vero” gli diceva la voce di Mary nella testa). Se non avesse conosciuto Sherlock forse sarebbe stato un uomo più felice.

Inoltre continuava a fare quegli stupidi trucchi di magia e a predire il futuro. Decisamente irritante.

Ma una parte di John gli diede retta a proposito di Culverton Smith. Era abbastanza inquietante, gli faceva ribrezzo a pelle. Non aveva però le prove che avesse effettivamente fatto qualcosa di male nella sua vita, quelle prove che Sherlock diceva di avere, con cui voleva farlo confessare davanti a sua figlia. Mai e poi mai avrebbe immaginato che fosse talmente allucinato che forse si era immaginato tutto e che sarebbe arrivato ad aggredire il possessore dell’ospedale armato di bisturi.
John non ci aveva più visto. Lo aveva disarmato e poi lo aveva colpito, forte, sempre più forte. Le nocche gli facevano male, avevano preso a sanguinare, come la faccia di Sherlock. Non ci fece caso, non riusciva a smettere, come se tutto il dolore che provava potesse essere riversato nei suoi calci e nei suoi pugni. Alla fine li divisero e Sherlock riuscì a dire finalmente qualcosa di sensato.

 
-No. It’s okay. Let him do what he wants. He’s entitled. I killed his wife.-

-Yes, you did.-

 
Ma non era vero. Niente di tutto quello. Il dolore era rimasto lì ed era accresciuto dal senso di colpa per cose che non avrebbe mai voluto fare. Sherlock non si era neanche difeso e lui lo aveva accusato di una cosa gravissima. L’ex soldato si faceva schifo da solo. Non era affatto l’uomo che tutti gli altri credevano che lui fosse, soprattutto non era più l’uomo che Mary credeva di aver sposato. Mary. Lei gli era sempre accanto, anche nell’auto della polizia. Quando, dopo che la sicurezza aveva fatto irruzione nell’obitorio portandosi dietro i giornalisti, lui si era dileguato cercando di uscire il più velocemente possibile dall’ospedale, aveva trovato Greg già lì ad attenderlo. Aveva l’aria tremendamente dispiaciuta.

-Se Culverton Smith sporge denuncia dovremo arrestare Sherlock. Ti dobbiamo interrogare…qualcuno deve farlo, tanto vale che sia io, no?-

John aveva acconsentito in silenzio ma Mary seduta accanto a lui proprio non voleva stare zitta.

“John, è inutile mentire, non lo hai picchiato per salvare quel viscido di Culverton Smith. Ti fa un po’ schifo e pensi che Sherlock abbia ragione. Lo hai picchiato perché volevi farlo. Ha perso tutto esattamente come te e, al posto di disperarsi o parlarne con qualcuno, si droga ed è euforico per mettere nel sacco un serial killer.” Mary stava sorridendo. “Prova lo stesso dolore che stai provando tu ma non è in grado di esprimerlo in modo normale o comunemente accettabile.”

-Non è il comportamento di un uomo adulto.- le rispose a denti stretti John.

“Ma lui non lo è! Sentimentalmente è come un ragazzino e tutto ciò che prova è più forte e più difficile da sopportare. Non sa come gestirlo. Ha bisogno di te”.

-Non gli posso fare da balia. A mala pena riesco a badare a me stesso. Non riesco neanche a far da padre a nostra figlia.-

“Devi ritrovare il tuo equilibrio John. Te lo può dare solo Sherlock e lo sai. Tu lo ami ancora e nonostante tutto. Per questo sei così maledettamente arrabbiato con lui. Non ci puoi fare niente.”

-Basta Mary, smettila-

“Non riesci ad accettarlo perché provi ancora tropo dolore e ti senti in colpa.”

-Non c’entra niente-

“Stai contraddicendo te stesso, ricordatelo” sghignazzò lei “E poi hai paura che sarebbe tutto troppo complicato con lui, soprattutto dopo averlo visto in queste condizioni. Ma la devi smettere, devi andare da lui, salvalo e salva te stesso.”

Una volta nella sala dell’interrogatorio Mary svanì, lasciandolo solo con Lestrade a fargli mille domande di come erano avvenuti i fatti. Ogni parola che sputava fuori gli faceva male come uno dei suoi pugni e non poteva fare a meno di sfregarsi le nocche indolenzite. Decise che non voleva più farlo, che non voleva più sentirsi così e che Sherlock gli faceva troppo male.

Incurante delle proteste della Mary nella sua testa decise di lasciare Sherlock nel suo brodo e di dirgli addio.

Fortunatamente la Mary del video ritrovato nel 221B di Baker Street fu più convincente.

 
*

-Buon compleanno Sherlock!!!- gridarono tutti insieme appena il detective e il dottore entrarono nella pasticceria.

Sherlock non aveva mai festeggiato il suo compleanno. O comunque non da quando Mycroft aveva deciso che era una cosa troppo stupida festeggiare l’ inevitabilità del lento scorrere del tempo e dell’invecchiamento del corpo e della mente di una persona. Fu quindi molto sorpreso quando, arrivato in pasticceria, vide che si erano riunite per lui tutte le perone che considerava amici.

Non appena John le aveva detto che quel giorno era il compleanno di Sherlock, Molly aveva organizzato una piccola festicciola improvvisata pensando che gli potesse far bene vedere che tutte quelle persone gli volevano bene. Infatti c’erano Greg, la signora Hudson, persino Anderson e la piccola Rosie.

Fu lei la sorpresa più bella. A Sherlock era mancata terribilmente, anche se non lo avrebbe ammesso con nessuno. Quando la bimba lo vide, un grosso sorriso sdentato apparse sulla sua faccina e batté le mani per far festa. Sherlock si trattenne dal piangere (le droghe lo rendevano più emotivo) e si girò verso John come a chiedergli il permesso. Lui fece un cenno con il capo e l’uomo prese in braccio Rosie.

-Stai crescendo in fretta ragazzina, fra un po’ superi il papà.- scherzò.

Gli occhi di Molly e della signora Hudson diventarono lucidi in pochi secondi e la giovane patologa tirò fuori un fazzoletto. Sherlock non ne comprese il motivo.

Mangiarono la torta. Sherlock si sforzò di assaggiarne un po’ per compensare la mancanza di endorfine data dal calo di droghe presenti nel suo corpo ma più che altro imboccò Rosie. Badare a lei lo aiutava a distrarsi dalla crisi di astinenza in arrivo.

-Voi non sapete che cosa faceva quell’essere schifoso. Tra tutti quelli che abbiamo in prigione Culverton Smith è senza dubbio il peggiore…- stava raccontando Greg in una sorta di ringraziamento nei confronti di Sherlock.

Molly, seduta accanto a lui, lo prese per il braccio e si avvicinò per parlargli all’orecchio. Era arrossita un poco.

-Quando vuoi puoi venire il obitorio per fare quell’esperimento con l’acqua di cui mi hai parlato.- gli disse e lui ne fu davvero felice.

Solo una cosa poteva rovinare quella perfetta atmosfera. E successe. Gli suonò il telefono e il nome di Mycroft apparve sul display. Sherlock si alzò dal tavolo per non guastare la giornata a tutti e si diresse verso il bagno, chiudendosi all’interno per un po’ di privacy.

-Stai diventando vecchio anche tu, fratello mio.- esordì.

-È sempre un piacere sentirti Mycroft.-

-Volevo congratularmi per la cattura di Culverton Smith. Un altro drago è stato ammazzato.-

-Sono qui per servire la nazione.-

-Sì, bè, se avessi bisogno di recuperare le forze sappi che la nazione potrebbe averti riservato un posto.-

Sherlock sapeva benissimo di cosa stava parlando il fratello maggiore. Una clinica di recupero. Una di quelle strutture in cui davano droghe meno potenti di quelle che utilizzavano i drogati per farli disintossicare lentamente senza farli andare in astinenza. Ma non era quello che voleva il giovane Holmes. Il dolore andava bene, era il giusto prezzo da pagare per aver fatto quello che aveva fatto, non provarlo sarebbe stato come barare. E poi voleva recuperare più in fretta per poter tornare sul campo ancora una volta.

-Declino cortesemente la tua offerta fratello.-

-Non sono sicuro che il dottor Watson sia disponibile ad aiutarti questa volta.-

-Lascia stare John, ha il diritto di fare ciò che vuole con me. Io me la caverò anche da solo.- e riattaccò per non sentire la risata di Mycroft.

Aprì la porta del bagno per tornare alla festa (la sua festa) ma trovò lì davanti proprio John che entrò e la richiuse. Iniziò a guardarsi intorno ignorando Sherlock e non trovando nulla frugò nella spazzatura.

-Cosa stai facendo John?-

-Controllo che tu non abbia appena preso una dose.-

-E?- aggiunse Sherlock con aria colpevole.

-E non l’hai fatto. Ma Sherlock non potrò controllarti sempre…ho Rosie, il lavoro…-

-Sì John, lo so.- si guardò i piedi –Non preoccuparti per me, sono un casino ma per ora ho chiuso con le droghe.-

Il dottore si avvicinò e lo guardò in faccia.

-Dovrai darti una ripulita…anche in senso letterale- gli disse indicandogli la faccia.

Sherlock rise distogliendo lo sguardo per poi di colpo ritornare serio guardandolo negli occhi.

-Immagino che non sia il momento adatto per dirlo…ma invece tu sei bello.-

John si schiarì la voce, sembrò pensarci un attimo e poi sorrise.

-Torniamo di là, ti va?-









nota: che dire..."The Lying Detective" è probabilmente la mia puntata preferita in assoluto e cercare di inserirmi senza distruggere la trama è stata davvero dura...spero che la storia continui a piacervi perchè bè ormai manca poco...much love,
-Hermlani

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


WARNING: nel presente capitolo sono presenti scene piuttosto esplicite...se pensate che possano urtare la vostra sensibilità, bè, saltatele! A tutti gli altri buona lettura ;)






Erano passati un paio di giorni da quando il caso Culverton Smith era stato chiuso ed era avvenuta una riappacificazione tra gli ex coinquilini del 221B. In realtà dopo la festicciola per il compleanno di Sherlock, John non si era più fatto vedere.

In quel periodo faceva molti più straordinari a lavoro perché un solo stipendio, nonostante fosse arrotondato dalla pensione dell’esercito, bastava appena per pagare la retta del nido di Rosie. Alla prima mezza giornata libera, John decise di andare a Baker Street. Voleva vedere come se la stava cavando Sherlock. E lo voleva rivedere.
Una volta arrivato salì le scale e trovò Sherlock in cucina, chinato sul suo microscopio. Indossava maglietta e pantaloni del pigiama in parte coperti da una delle sue vestaglie.

-Salve John.- gli disse senza distogliere lo sguardo dalla lente –come mai da queste parti?-

-Ehm…ciao…- non sapeva neanche lui come giustificare la visita improvvisa –Sono solo passato a dire ciao.-

-Uhm, e l’hai detto.- alzò la testa finalmente. Aveva ancora la barba che era diventata più lunga e sotto gli occhi aveva i solchi evidenti delle occhiaie. John automaticamente si guardò intorno sperando di non trovare quello a cui stava pensando –Immagino che il mio aspetto non sia dei migliori ma no, non sto facendo uso di droghe, le occhiaie sono causate dall’insonnia dovuta all’astinenza.-

-Come sta andando?- chiese John sedendosi di fianco a Sherlock.

-Il peggio è passato dottore.- gli disse, sforzandosi di sorridere –Anzi, vorrei riaprire il blog, mi sto iniziando ad annoiare.-

-Si può fare se te la senti- John aveva semplicemente reso non visibili i loro contatti sul blog per quel periodo, rendendolo di fatto una semplice raccolta delle loro storie.

-Rimani? Posso offrirti qualcosa se vuoi.-

-Grazie.- acconsentì, soprattutto per premiare l’evidente sforzo di Sherlock di interagire come una persona adulta.

Il moro si alzò e aprì il frigorifero in cerca di qualcosa da offrire a John ma tutto quello che trovò fu delle provette contenenti strati diversi di epidermide umana.

-Tè?-

John rise, gli mancava quell’atmosfera un po’ macabra nelle sue giornate. In un attimo l’acqua nel bollitore raggiunse la temperatura giusta per il tè, Sherlock la versò nelle tazzine decorate con la sagoma dell’Inghilterra e ne porse una all’ex coinquilino.

-Allora hai deciso di tenerla?- John indicò la barba facendo un’espressione quasi disgustata.

-Pensavo mi rendesse più macho.-

-Seriamente?-

Sherlock scosse la testa e allungò una mano verso John. Tremava. Era un altro effetto collaterale dell’astinenza. Era stato stupido a non pensarci, cavolo, lui era un medico!

-E il barbiere è troppo lontano.-

-È dall’altra parte della strada.-

-Appunto.-

John sorrise, affrontare la pigrizia di Sherlock era come fare un tuffo nel passato.

-Se vuoi posso farlo io.- disse alla fine.

 
*

Sherlock era seduto sul bordo della vasca, John, in piedi davanti a lui, aveva in mano la vecchia lama da barbiere che normalmente utilizzava il moro. Si sentiva un po’ come Sweeny Tood. Sperò di non far fare a Sherlock la stessa fine di uno dei suoi clienti.

-Se sbagli guarda che ho donato il mio cervello alla scienza ma gli altri organi difficilmente potranno essere riutilizzabili.-

-Oh, sta zitto.-

John iniziò con cura e decisione, il lavoro preciso di un soldato. Sherlock reagiva ad ogni tocco del biondo istintivamente, inclinando la testa senza che lui dicesse niente. Gli aveva messo la sua vita nelle mani e non avrebbe potuto fare scelta migliore. Qualunque cosa fosse successa, lui avrebbe sempre scelto John Watson.
Era incredibile come lui pensasse che si fosse innamorato di Irene Adler.

(-She’s out there, she likes you, and she’s alive, and do you have the first idea how lucky you are? Yes, she’s a lunatic, she’s a criminal, she’s insanely dangerous, trust you to fall for a sociopath.-)
 
In quel momento non era stato il caso di interromperlo nel suo sfogo ma John non avrebbe potuto prendere abbaglio più grande (era vero, di tanto in tanto le scriveva e una volta si erano perfino incontrati…non erano però andati oltre poiché Sherlock non riusciva proprio a sentire nessun interesse emotivo o fisico per la donna…la trovava divertente, ecco tutto). In compenso le sue parole erano servite a Sherlock per fargli capire che in fondo non avevano l’eternità davanti a loro e che se volevano essere felici forse era giunto il momento. Le mani di John sul collo erano come fuoco sulla sua pelle. Sherlock appoggiò le mani sui fianchi di John che continuò a passare la lama sulle guance del detective come se non se ne fosse accorto o come se fosse la cosa più naturale a questo mondo. Sherlock non si fermò. Fece scorrere le mani sulla camicia, sulla schiena, su e giù, toccando ogni centimetro della schiena da soldato. John aveva quasi finito, gli mancava la parte più difficile, quella dell’attaccatura tra collo e la mandibola, dove, applicando troppa forza, poteva recidergli la carotide. Sherlock lo trovò stranamente eccitante. Preso da quella sensazione sfilò la camicia di John dai pantaloni e toccò avidamente la pelle sottostante. La schiena di John era calda, liscia e ampia.

-Sta fermo o ti mando all’ospedale.-

Sherlock si fermò un istante e John completò la sua opera. Si ritrasse indietro e Sherlock si alzò avvicinandosi al lavandino. Si lavò la faccia e si guardò allo specchio. Dietro di lui c’era John che lo fissava senza più nascondersi. Sherlock si girò verso di lui.

-Graz..-

Ma John si avventò su quelle labbra carnose con un’urgenza trattenuta fino a quel momento per evitare che Sherlock si facesse male. Per evitare che entrambi se ne facessero.

Le labbra dei due uomini rimasero a contatto, ferme, per alcuni istanti, poi John le allargò appena prendendo il labbro inferiore di Sherlock tra le sue. Si staccarono dopo un attimo e ritrovarono il contatto visivo. John prese il coraggio di parlare.

-Devi fermarmi ora se non ne sei sicuro, perché non so se ne sarò più in grado dopo.-

-Non voglio fermarti John.- gli prese una mano –voglio tutto da te….-

John riprese a baciarlo con più foga ora. La sua lingua leccò le labbra di Sherlock che al contatto si aprirono permettendogli di entrare. Le lingue si incontrarono, si accarezzarono, si scontrarono. Solo dopo aver preso abbastanza confidenza con quella nuova danza, Sherlock si azzardò a rimettere le mani sotto la camicia di John, accarezzandogli la schiena. Lui, più veementemente, gli tolse la vestaglia facendola cadere ai piedi, nudi, di Sherlock. Lo spinse contro il lavandino e Sherlock sentì la ceramica dura dietro di sé e un’erezione altrettanto dura contro la sua gamba. John si era staccato appena mettendo il volto tra la clavicola e l’orecchio di Sherlock, respirando il suo odore e baciando il punto sensibile all’attaccatura del collo.

-Dio Sherlock, mi fai impazzire.-

Per Sherlock fu come sentire la più bella melodia di Bach. Aveva buttato la testa leggermente indietro e si era voltato verso la porta. Idea. Prese per mano John e lo condusse in camera da letto.

 
*

La camera da letto di Sherlock era sempre stata decisamente disordinata ma ora, con tutti quei vestiti a terra, lo era ancora di più. Una volta arrivati nella camera i due uomini si erano tolti a vicenda maglietta e camicia. I pantaloni del pigiama di Sherlock furono tolti con estrema facilità mentre per quelli di John, stretti in vita da una cintura, ci volle più tempo. L’impazienza era visibile sul volto di entrambi. Peccato che non si stessero più guardando in faccia. Rimasti in boxer, i due si stavano guardando come per la prima volta. Il corpo di John era proporzionato e ogni muscolo in tensione era evidente. Sherlock invece era asciutto ma meno magro di quanto ci si potrebbe aspettare sapendo quanto mangiasse. Il petto del compagno più alto era glabro e liscio come quello di un ragazzino mentre quello di John i peli ricci e biondi si confondevano con quelli ormai bianchi. Le loro cicatrici erano così simili, quella di John sulla spalla sinistra e quella di Sherlock in pieno petto. Nascoste sotto i boxer, due evidenti erezioni.

Sherlock tornò a cercare le labbra del dottore e gli passò le braccia dietro la testa tirandogli un poco i capelli (gli piaceva da morire il nuovo taglio) mentre John posò le sue poco sopra i boxer del compagno. Così lo guidò verso il letto dove, senza capire bene come, si ritrovarono coricati con John sopra Sherlock. Gli accarezzò il nodoso ginocchio per poi passare all’interno coscia. L’altro istintivamente aprì le gambe ma John decise di prendersela comoda. Accarezzò più volte la coscia del compagno prima di arrivare ai boxer. Finalmente toccò attraverso il sottile strato l’erezione di Sherlock che ebbe un sussulto. Era la prima volta che veniva toccato da qualcun altro in vita sua.

-Sta tranquillo non farò niente che non vorrai.- disse John –Non dobbiamo fare tutto subito.-

-Sono tranquillo perché sono con te. Ho solo paura di non fare bene.-

-Avremo il tempo anche per far pratica.- rispose sorridendo –Io al momento mi sento come alla mia prima cotta.-

Tornarono a baciarsi e John continuò il suo operato. Passò la mano sotto l’elastico e prese nella sua mano sinistra, la dominante, la dura carne del detective. Sherlock, per emulazione, fece lo stesso. Le mani iniziarono a esplorarsi a vicenda e a muoversi, su e giù con un ritmo sempre maggiore. Con esperienza, John gli fece scivolare via le mutande. Si allontanò un attimo a contemplare.

-Dio santo Sherlock.-

Si avventò sulla sue labbra, poi si spostò sul collo e poi su un capezzolo, lasciando una striscia bagnata ma bollente sulla carne del moro che, impotente, ansimò. Questo rese John più frenetico. Arrivato all’erezione di Sherlock ne baciò la punta. Poi scese lungo l’asta lasciando piccoli baci sul tragitto. Ritornò verso l’alto leccandogliela con la punta della lingua e Sherlock non poté trattenere un gemito. Prese l’erezione in mano e se la portò alla bocca. L’accolse, prese la sua forma, la succhiò, premette il viso fino dove riuscì. Sherlock sotto di lui emetteva suoni sempre più forti, sempre più osceni. Si inarcava permettendo a John di prenderlo meglio.

-Non ce la faccio, non resisto.- disse supplicando –Spostati.-

Ma John, sentendolo, mosse più in fretta la mano mentre con la bocca si concentrò sulla sua punta. Quando Sherlock venne, inghiottì parte dello sperma per poi ritirarsi e guardare il volto del moro durante il climax. Si distese di fianco a lui con un’erezione dolorante tra le gambe senza però chiedere niente. Fu Sherlock, quando si fu ripreso dalle scosse date dall’orgasmo, a cercare nuovamente le sue labbra che ormai sapevano di lui. Si coricò sul fianco e posò la mano libera sul ventre del soldato. Arrivò ai boxer e li abbassò. Prese di nuovo in mano il membro di John e lo frizionò per dargli il piacere di cui aveva bisogno. Il biondo si abbandonò alle carezze sconce gemendo nell’orecchio di Sherlock.

-Sì, Sherlock, sì…più veloce, più veloce.-

Sherlock fece come richiesto e poco dopo più schizzi bagnarono il torace del suo compagno. Il detective posò un bacio sulle labbra di John e si coricò guardando come lui il soffitto, eppure non vedendolo affatto. L’unica cosa che poteva vedere era cosa si era perso fino a quel momento.

 
*

Coricati su letto di Sherlock i due avevano perso la cognizione del tempo. Fu John il primo a riprendersi dal torpore post-orgasmico. Guardò l’orologio che teneva al polso e si alzò di colpo.

-Che fai?- chiese Sherlock intontito.

-Alle cinque devo prendere Rosie al nido...- disse, rivestendosi in fretta –scusa, devo scappare.-

Sherlock lo guardò triste ma John sparì in bagno per darsi una veloce ripulita ignorandolo. Non poteva cedere agli occhioni dolci di Sherlock in quel momento o le maestre lo avrebbero di nuovo sgridato per il ritardo. Quando uscì dal bagno Sherlock era ancora nudo nel letto. Con uno sforzo enorme John non gli saltò addosso.

-Ehm, allora ci sentiamo, ok?-

-Sì, ci sentiamo.- rispose Sherlock e a John si strinse il cuore a lasciarlo così dopo quello che era successo.

Ma d’altronde cos’avrebbe dovuto dire? Gli avrebbe dovuto chiedere se allora erano una coppia? Gli avrebbe dovuto chiedere di definire la loro situazione? Sherlock Holmes ne sarebbe stato davvero in grado? E neanche lui voleva farlo…in tutte le sue precedenti relazioni aveva lasciato che le cose prendessero la loro piega in modo naturale, forte del fatto di riuscire a capire cosa volevano da lui le ragazze con cui usciva. Ma Sherlock era imprevedibile e questo lo lasciava disarmato e anche un po’ impaurito.

Prese Rosie al nido e tornò nella sua casa alla periferia di Londra. Rimase tutta la sera a badare a lei, sforzandosi di pensare ai bisogni della bambina e non ai suoi…che tipo di vita avrebbe potuto aspettarla in mezzo ai pericoli e agli psicopatici che Sherlock attraeva come se fosse stato una calamita?

Solo a mezzanotte passata, quando John si era finalmente messo nel letto, il cellulare era vibrato.

(00:06) Mi manchi. SH

Ma poi che razza di vita avrebbe potuto avere Rosie con un padre solo e triste?

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


WARNING: nel presente capitolo è presente una scena piuttosto esplicita...a voi la decisione se saltarla o meno...buona lettura!






I clienti erano finalmente tornati a Baker Street. Purtroppo nessuno dei casi sembrava troppo interessante, quantomeno non per Sherlock che trattava tutti i clienti con una certa sufficienza. Se ne stava seduto sulla sua poltrona con il telefono in mano mentre quegli idioti gli esponevano i loro piccoli problemucci da quattro soldi. Sembrava che neanche li ascoltasse. Cosa che in effetti non faceva dato che gli bastava una veloce occhiata per capire i loro problemi e relative soluzioni.
Sherlock aveva altro a cui pensare. La sera prima aveva iniziato a scambiarsi messaggi con John. Messaggi stupidi che prima non avrebbe neanche letto. Ora invece gli sembravano la cosa più importante del mondo.

(11:48) Cosa fai? SH

(11:50) Ho appena visitato un caso di emorroidi infettate e purulente. Penso che andrò a vomitare.

(11:50) Sicuro di aver scelto il lavoro giusto? SH

(11:52) Vorrei solo che non tutti i miei pazienti avessero malattie così schifose.

(11:53) Cosa fai dopo? SH

(11:54) In pausa pranzo vado a far la spesa. A casa stanno finendo i pannolini.

(11:54) Noioso. SH

(11:55) Intendevo più tardi, dopo il lavoro. SH

(11:57) Non so…vuoi che ci vediamo?

(11:58) Mi stai chiedendo di uscire dottor Watson? SH

(11:59) Bè sì. Se ti va.

(12:02) Certo, Angelo sarà contento. SH

(12:03) Angelo?

(12:05) Sì John, per la cena. Mangiamo da Angelo io, te e Rosie. SH

(12:06) Non far storie per la candela questa volta. SH

 
*

L’atmosfera a cena era stata piuttosto imbarazzata e silenziosa. Fortunatamente con i due c’era la piccola Rosie che adorava pacioccare con il cibo, pappa al pomodoro per l’esattezza. Era terribilmente buffa con il vestitino che aveva scelto per lei suo padre macchiato di pomodoro, il sorriso da cui comparivano i primi dentini, le guance piene e rosse di una bimba sana e i riccioli biondi che le contornavano il viso.

Anche Sherlock più che mangiare stava giocando con il cibo. Il dottore capì che era pensieroso e che avrebbe dovuto dire qualcosa per alleggerire l’atmosfera ma ogni volta che apriva bocca le parole si bloccavano, non volevano proprio uscire… “Quindi stiamo insieme?” “Stiamo facendo sul serio?” “Sei sicuro?”…tutte quelle domande gli sembravano un po’ strane e pure indelicate. John era sicuro che Sherlock provasse forti sentimenti nei suoi confronti, ormai ne aveva la certezza, ma era così inesperto e insicuro nel campo di relazioni amorose che la cosa gli metteva un po’ d’ansia. Per nasconderla tentò di imboccare Rosie che per tutta risposta girò la testa dall’altra parte.

-Posso provare io?- chiese Sherlock

John lo guardò con aria di sfida “Accomodati se credi di far meglio”.

Sherlock prese il cucchiaio in mano e lo fece volare come un aeroplano davanti alla bocca della bambina che cercò di catturarlo  e, riuscendoci,  mangiò il suo primo boccone in tutta la serata. Felice per la sua impresa Rosie batté le mani e pronunciò una delle poche parole che conosceva. “Papà”. Solo che questa volta lo aveva detto rivolta a Sherlock.

Il detective alzò lo sguardo verso John che lo guardava sorridendo. Aveva capito che se il moro era insicuro doveva essere lui a prendere l’iniziativa, così come aveva fatto Rosie.

-Voglio che stiamo insieme sul serio tu ed io. Ti amo Sherlock Holmes. Non ti lascerò più.-

Sherlock arrossì lievemente e sorrise.

-Venite a Baker Street dopo cena?-

 
*

A Baker Street Rosie iniziò a giocare per terra con una lente di ingrandimento portandosela alla bocca. John si versò un bicchiere di Whisky e si sedette sorridente sulla poltrona con Sherlock di fronte a lui che lo guardava serio.

-Tutto a posto?- gli chiese.

-Sì.- rispose un po’ dubbioso –è solo che tutto questo è nuovo…è strano.-

-Strano in senso negativo?- John iniziò ad essere un po’ preoccupato.

-No, potrebbe anche piacermi.- il volto del compagno di fronte tornò ad essere rilassato –Solo prometti di dirmelo se faccio qualcosa di sbagliato, ok?-

-Lo prometto.- sorrise John –Ma non voglio che tu cambi. Sei perfetto così come sei…e Rosie ti adora.-

Intanto la bambina stava faticando a tenere gli occhi aperti continuando a giocare.

-Dovremmo andare.- disse John.

-No, perché? Lei è stanca e noi…rimanete.- gli si era leggermente rotta la voce dall’imbarazzo –Lei potrebbe dormire di sopra, c’è ancora il lettino che avevate portato qui…e tu…-

John gli lanciò un’occhiata maliziosa. Il pomeriggio precedente non avevano avuto che un assaggio di ciò che poteva essere tra loro e non vedeva l’ora di provare il resto.

-Rosie, vieni, andiamo a fare la nanna?-

Ma la piccola scoppiò a piangere appena John la prese in braccio.

-Lascia, la metto a letto io.-

Sherlock la cullò e la bambina si tranquillizzò subito. Diceva che aveva semplicemente trovato il ritmo giusto per conciliare il suo sonno ma era una cosa che riusciva solo a lui. Dopo poco Rosie già dormiva tra le sue braccia. John era estasiato da quella vista. Dopotutto avrebbero potuto avere comunque un po’ di tempo insieme lui, Sherlock e Rosie.

 
*

Quando Sherlock scese, non trovando il compagno nel salotto, entrò in camera sua trovandosi davanti lo spettacolo di John in boxer sul letto che lo aspettava. Sherlock si tolse il vestito che aveva addosso e si rannicchiò vicino a lui. John gli baciò i capelli.

-Sono felice che tu sia qui.- gli disse Sherlock appoggiato sui suoi pettorali.

-Sono felice di esserci.-

John gli alzò il volto con una mano e lo baciò. Fu un bacio lento e passionale. Si assaporarono nuovamente come se fosse la cosa più importante del mondo. Non si staccarono neanche quando Sherlock si mise a cavalcioni sopra il compagno. Si mossero, uno sull’altro, pelle contro pelle, ossa contro ossa. I loro corpi erano perfetti insieme. La giusta temperatura, la giusta ruvidità, il giusto odore. Le loro erezioni si toccavano attraverso i boxer e si sfregavano dando ai due un po’ di piacere ma non abbastanza. Andarono avanti per minuti interminabili prima di levare i boxer e liberare il calore della carne. John prese a baciare con esperienza il collo del compagno più alto, allungando le mani e aggrappandosi ai un glutei sodi e rotondi di Sherlock. Gli dettò il ritmo secondo cui muoversi e, mentre con una mano allargò lo spazio tra le natiche, con l’altra arrivò a toccargli l’apertura. Sherlock emise un gemito strozzato mentre l’altro disegnava dei piccoli cerchi intorno all’ano.

John, con un colpo di reni, invertì le posizioni. Da sopra era molto più semplice stuzzicare l’apertura del compagno. Lui aveva allungato un braccio verso un comodino e ne tirò fuori del lubrificante. Chissà quando lo aveva comprato. John ne mise un po’ proprio sulla carne di Sherlock regalandogli un brivido. Introdusse un dito. Prima la punta. I muscoli del moro si strinsero per poi lasciarlo entrare e muoversi dentro di lui. Con il secondo dito andò meglio. Sherlock voleva sentire di più. Prese entrambe le erezioni con una mano e le masturbò insieme. John reagì affondando le dita senza controllo. Entrambi stavano emettendo versi incontrollati di piacere.

-John, ti voglio dentro.-

Lui rischiò di impazzire ma si sforzò di mantenere un briciolo di controllo. Mise una buona dose di lubrificante sulla sua erezione e si posizionò contro l’apertura ben allargata di Sherlock. Spinse con il bacino. Sherlock urlò e si aggrappò alle lenzuola. John stette fermo.

-Se non vuoi non dobbiamo…- disse John.

-Shhhh, ho detto che voglio.-

-Ok…ok..-

John prese l’erezione di Sherlock in mano masturbandolo e facendogli rilassare i muscoli dello sfintere che si allargarono. L’ex militare riprese a muoversi, controllando le sue spinte, facendo attenzione a fare con calma. Sherlock, le cui lunghe gambe lo tenevano stretto, era incredibilmente caldo e stretto, in vita sua non aveva mai provato niente del genere. Pian piano vide l’espressione di Sherlock mutare da dolore a piacere. Gli affondi divennero più precisi e secchi. Era un dottore, sapeva com’era fatto il corpo umano e sapeva dov’era il punto che poteva portare Sherlock all’apice. Lo colpì, una, due, tre volte. Sherlock stava gemendo come una ragazzina e John lo trovò meraviglioso. Venne sporcando il ventre di entrambi e i suoi muscoli tornarono a contrarsi a ritmo. Il calore e le scosse di piacere che sentiva nel corpo dell’altro furono troppo per John che si svuotò al suo interno.

Sfinito si accasciò sul corpo del compagno più alto. Si addormentarono così, abbracciati e completamente persi uno dell’altro.

 
*

-Ehi Sherlock, svegliati.-

-Uhmmm.-

La notte appena passata era stata impegnativa per entrambi ma John da bravo soldato si era svegliato presto, si era preparato per andare a lavoro e aveva preparato la bambina per il nido. Stava cercando di svegliare Sherlock prima di uscire di casa.

-Io devo portare Rosie al nido e poi vado a lavoro.- il detective finalmente aveva alzato la testa dal cuscino –In pausa pranzo devo andare dalla terapista, poi torno a lavoro ma stacco presto che alle cinque devo prendere Rosie…noi ci vediamo dopo?-

-mm mm.- acconsentì Sherlock.

Era bellissimo con i capelli tutti in disordine e l’aria assonnata. John lo baciò veloce sulla bocca, come se lo facesse da secoli e uscì.

Solo dopo un paio d’ore Sherlock si alzò e si vestì per accogliere i clienti che avevano formato una piccola coda ordinata al suo portone. Sarebbe stata una buona giornata.

Davvero ottima se non avesse trovato il biglietto di Faith Smith.

Un’intuizione istantanea gli oltrepassò il cervello. Come aveva fatto a non accorgersene? Lui che pensava di essere il re del travestimento si era fatto ingannare da un bastone e da un paio di occhiali.

La finta Faith Smith e la terapista di John erano la stessa persona. Come se non bastasse c’era l’inconfondibile firma di Moriarty su quel dannatissimo biglietto.

John era in pericolo.

 
*

John si svegliò a causa delle violente scosse alla spalla. Fu un brusco risveglio. Si ritrovò davanti la faccia di Sherlock preoccupata. La testa gli faceva un gran male. D’istinto si portò una mano alla fronte, dove il dolore era più acuto e ne estrasse una specie di ago.

-Sei solo stato sedato. Non ti voleva fare davvero male.- lo aiutò a mettersi seduto –Ti ha detto chi era? Ti ha lasciato un messaggio per me?-

In quanto a tatto Sherlock non era affatto migliorato. Quella stronza gli aveva appena puntato una pistola alla testa e lui era lì a riempirlo di domande.

-Quanto ho dormito?- chiese al posto di rispondere. La voce gli uscì un po’ rauca ma lui non si sentiva particolarmente intontito.

-Poco più di mezz’ora. Ora mi vuoi dire se ti ha detto qualcosa?-

-Mi ha appena sparato Sherlock! Fammi riprendere un attimo!-

-Era solo tranquillante. E io sono arrivato appena ho capito che eri in pericolo.-

-Come?-

-In realtà non so come ho fatto a non capirlo prima…bè sì forse lo so, ero stra fatto quando sono venuto qui l’altra volta.- disse, parlando velocemente come se volesse sorvolare su quel fatto. -Ho ritrovato l’appunto di Faith. Ho ricordato il suo viso e ho capito che si spacciava anche per la tua terapista.-

-Era anche la ragazza con cui mi scambiavo messaggi…-

-Non vuoi sapere perché ci ha presi di mira?- chiese Sherlock con un mezzo sorriso. Gli piaceva fare sfoggio delle proprie capacità.

-In realtà penso di saperlo.-

-Ti ha detto che è una seguace di Moriarty?- era un po’ contraddetto, la delusione di non stupire John si poteva leggere sul suo volto.

-Per sapere chi è davvero dovremmo parlarne con tuo fratello.-

-Mycroft? Che centra lui?- Sherlock era sempre più indispettito.

-Perché se ho capito bene ha tenuto nascosta tua sorella per tutto questo tempo.- la faccia del detective passò da seccata a perplessa in un battito di ciglia -Dice di chiamarsi Eurus…il vento dell’Est.-

Sherlock rimase in silenzio per un lasso di tempo indefinibile mentre le sue sinapsi lavoravano ai mille all’ora cercando di ricordarsi della suddetta sorella.

-Quel bastardo.- fu la sua sentenza infine.

-Già-

John era riuscito a rimettersi in piedi e Sherlock lo stava guidando all’uscita dell’abitazione dove ad attenderli c’era un taxi.

-Hai chiamato la polizia? Ci sono i proprietari di casa in un sacco nel locale caldaia.-

-Non sei bravo in queste cose eh? No che non chiamo la polizia, non con tutte le tracce che abbiamo lasciato in quella casa…e se lei è davvero chi dici non ne avrà lasciate…-

Entrarono sul taxi diretti a Baker Street.

-E ora?- chiese John.

-Studiamo un modo per farci dire la verità da mio fratello.-

-Forse un modo c’è.- disse il dottore sorridendo

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Le orecchie avevano preso a fischiare a causa del forte rumore provocato dall’esplosione. Per John il collegamento a livello inconscio con le bombe dell’Afghanistan era stato immediato. Quando si erano buttati dalla finestra per lui era stato istintivo proteggersi la testa e rannicchiarsi in modo da contenere i danni provocati dall’urto. Sherlock invece non aveva un istinto da soldato. Impedì alla paura e agli orrori che aveva vissuto in guerra di prendere il sopravvento per rimanere lucido e comportarsi come un medico sul campo.

Riuscì ad alzarsi e cercò immediatamente il compagno. Vide Sherlock cosciente che si stava spolverando i capelli a pochi passi da lui. lo raggiunse e controllò le sue funzioni.

-Smettila John, sto bene, era solo il primo piano.- gli tese un braccio e John lo aiutò ad alzarsi. Stava bene davvero, era pure antipatico come sempre.

Sherlock si avviò verso suo fratello che era seduto sul gradino dell’ingresso di casa con la signora Hudson rannicchiata vicino a lui. Quando Mycroft si accorse che Sherlock li stava osservando, il fratello maggiore degli Holmes fece la sua tipica faccia disgustata e si alzò senza aiutare la povera padrona di casa. Sherlock non ci fece caso, invece gli strinse la mano e gli sorrise.

-Grazie fratello.-

Mycroft alzò un poco le sopracciglia e gli angoli della bocca e poi si finse molto concentrato nel togliere la polvere al suo costosissimo completo.

John aiutò la signora Hudson ad alzarsi e quella gli si buttò al collo piangendo disperata.

-Oh dottor Watson! Guardi che disastro! Un vero disastro! Come farò a pagare le riparazioni?-

-Non si dovrà preoccupare di quello, vero Mycroft?- intervenne Sherlock

-Bè la casa era assicurata contro gli attentati?- si azzardò a dire ma la proprietaria di casa gli scoccò un’occhiata micidiale –Sono sicuro che qualcosa potrò fare-

John, sempre sostenendo la signora Hudson, guardò i due fratelli. Chi doveva pagare per le riparazioni della casa non gli sembrava il problema principale in quel momento.

-Scusate ma vi rendete conto che vostra sorella ha cercato di ucciderci??-

-Hanno una sorella?- gli chiese sbalordita la padrona di casa.

-Sì, è una lunga storia…-

-Che mio fratello si è degnato di raccontarci solo oggi.- continuò Sherlock guardando Mycroft ad occhi stretti.

-Non voleva davvero ucciderci. Se avesse voluto saremmo morti…anzi, non esagero se dico che se davvero è riuscita ad evadere la sicurezza mondiale è in pericolo.- disse Mycrof come un robot.

-Quindi che facciamo?- chiese John guardando Sherlock.

-Semplice, andiamo a Sherrinford.-

-Questo è assolutamente fuori discussione, me ne occuperò io.- disse il maggiore dei fratelli.

-Mi sembra che la situazione ti sia un po’ sfuggita di mano ultimamente.-

-Fratello mio, non è che posso portare con me i visitatori a Sherrinford.-

-Chi ha parlato di visitatori? Io volevo fare il pirata.-

John si trattenne dal ridere. I fratelli Holmes gli facevano sempre quell’effetto quando discutevano.

-Cosa sarebbe Sherrinford?- chiese preoccupata la signora Hudson.

-È una specie di carcere di massima sicurezza per i criminali più pericolosi al mondo- rispose Sherlock senza preoccuparsi di quanto potesse impaurirla.

-Non mi sembra il posto adatto ad una signora della mia età.-

-No, certo, lei non viene con noi.-

-Ma dove vado visto che non ho una casa?-

-Signora Hudson non si preoccupi, per il momento può restare a casa mia. Rosie dorme ancora nella culla ma c’è un altro letto in camera sua. Le chiedo solo di badare a mia figlia mentre non ci sarò.-

La signora Hudson lo abbracciò.

-Non c’era neanche bisogno di chiedere, John caro.-

 
*

Chi era Sherlock Holmes veramente?

I suoi clienti lo chiamavano il detective dal buffo cappello. A lui neanche piaceva quel dannato berretto.

I suoi amici, perché di amici ne aveva qualcuno ormai, lo avrebbero chiamato “grand’uomo”. Non si sentiva tale neanche sforzandosi.

Tante persone a cui stava antipatico si rivolgevano a lui come allo “strambo”. Ecco, forse quella definizione era veritiera, anche se un po’ lo feriva ogni volta.

Suo fratello lo avrebbe descritto con le parole “stupido” o “idiota” o con altri mille sinonimi del genere. Nascondeva solo la sua insicurezza. Sherlock lo avrebbe lasciato fare.

John. Lui lo avrebbe chiamato “il miglior uomo che avesse mai conosciuto”. Glielo aveva sentito dire. Anche se aveva un po’ imbrogliato per sentirlo.

Lui si definiva un sociopatico iperattivo. Ma quella definizione gli stava sempre più stretta.

Era come se la sua vita fino a quel momento fosse stata tutta una grande recita. Interpretare un uomo glaciale, senza sentimenti era il modo che il suo cervello aveva trovato per non farsi travolgere dai traumi infantili. La persona che Sherlock era veramente era stata sepolta in profondità dentro di sé.

(-Tu sei diventato i ricordi che hai di lei-)
 
Ma da quando aveva incontrato John Watson il suo vero “io” stava cercando di emergere. E Sherlock si stava piano piano riscoprendo.

Lui era debole. Si lasciava travolgere dal dolore come un ragazzino ed era spesso malinconico.  

Ma sapeva anche essere forte. Era pronto a tutto per le persone che amava. Lo era sempre stato.  Ora ne era consapevole.
Quello che aveva sempre negato di essere lo rendeva più forte. E proprio grazie a questo sarebbe stato in grado di battere sua sorella Eurus. Era un passo avanti a lei, non perché fosse più intelligente o più furbo, nessuno avrebbe potuto esserlo, ma perché le sue emozioni, la sua connessione con altri essere umani lo rendevano un uomo migliore.

Euros in fondo era una donna sola. Non aveva connessioni con il mondo. Era solo cervello. Non aveva la minima conoscenza di cosa volesse dire essere umano. Era gelosa di Sherlock e del suo modo sensibile di vedere il mondo come lei non sarebbe mai riuscita a fare. Probabilmente lei aveva ragione, suo fratello sarebbe stato l’unico in grado di poterla salvare ma da piccolo le aveva negato le attenzioni di cui necessitava, un po’ perché non la capiva fino in fondo e un po’ perché preferiva la compagnia del suo amico Victor.

Come ora preferiva la compagnia di John. Ma era abbastanza maturo per comprendere che l’unico modo per salvarlo era di dare a lei quello che voleva. Amore fraterno o almeno la promessa d’amore. Finalmente era in grado di dare un contesto emotivo ad Eurus.

Dopo aver risolto l’indovinello inventato da sua sorella tanti anni prima, Sherlock tirò fuori dalla tasca il suo telefono cellulare e compose velocemente un messaggio per Lestrade e gli inviò la sua posizione.

(23:16) Manda qui una squadra e un’ambulanza. Catturerai la criminale più pericolosa al mondo. Manda anche dei rinforzi a Sherrinford. SH

(23:16) COSA?? Ma che stai dicendo? Se tocchi Sherrinford coinvolgi il governo. È grave! Mi vuoi spiegare?

(23:16) Il governo è già coinvolto, mio fratello è stato rapito. Non ho tempo ora, fidati e fai presto. John è in pericolo. SH
Non aveva tempo di discutere oltre. Corse verso la casa incendiata, su per le scale, diretto alla vecchia stanza di sua sorella.

 
-Open your eyes.  I’m here. You’re not lost anymore. Now…You…You just went the wrong way last time, that’s all. This time get it right. Tell me how to save my friend. Eurus. Help me save John Watson. -
 
Appena ebbe l’informazione che cercava inviò a Lestrade le indicazioni per il pozzo al fondo del quale era legato John.

Eurus aveva già capito che la riconciliazione non era altro che un trucco ma non poteva biasimare Sherlock per come aveva deciso di agire.

-Sherlock, mi verrai a trovare?-

-Sì, ma certo. Potremmo stare un po’ insieme ora.-

-E tu mi spiegherai l’animo umano?-

Sherlock quasi rise…lui che spiegava l’animo umano a qualcuno, questa era buona.

-Ci proverò.-

-Tu lo ami?-

-Sì. Sì, lo amo.-

-Com’è?-

-Bellissimo.-

Quando arrivò la polizia si consegnò a loro senza fare resistenza.

 
*
 
John era fradicio. I paramedici lo avevano visitato e gli avevano messo una coperta sulle spalle nella quale aveva cercato di avvolgersi il più possibile per ripararsi dal freddo dell’inverno londinese.

-Andiamo a casa, ok?- gli aveva chiesto Sherlock dopo che Greg li aveva lasciati soli.

Li accompagnarono in macchina due degli ufficiali meno noiosi dell’ispettore. Non fecero domande lungo il tragitto. Greg li aveva istruiti bene.

Arrivarono a casa di John a notte fonda. Sull’uscio di casa il dottore si girò a guardarlo, come se ci avesse riflettuto sopra a lungo.

-Mi spiace ma è meglio se non entri…sai, la signora Hudson e Rosie staranno dormendo a quest’ora e anche se non si svegliassero adesso non vorrei essere riempito di domande domani mattina.-

-Sì, certo, capisco.- la delusione sul volto di Sherlock era ben visibile.

-Sta tranquillo, non è per sempre…è solo che farti dormire nel letto di Mary…è presto.- la voce di John era bassa e un po’ insicura.

-Non ti preoccupare, Mycroft ha talmente tante stanze a casa sua che potrei perdermi…- John lo guardò dispiaciuto. Sherlock lo attrasse a sé, incurante di quanto fosse bagnato, e lo abbracciò –Ho avuto una paura incredibile oggi.-

-A me sei sembrato molto saggio, maturo e coraggioso.- sorrise John.

-Bè essere saggi, maturi e coraggiosi fa schifo.-

John lo tirò in basso per la sciarpa e lo baciò. Era quasi come una promessa. Non lo poteva far rimanere in casa sua, c’erano mille motivi per cui era meglio non farlo, di questo la sua parte razionale era convita. Ma le emozioni e i sentimenti non avrebbero voluto allontanarsi da Sherlock un secondo di più.

-A me piaci saggio, maturo e coraggioso.-

Sherlock lasciò la presa dell’abbraccio, si allontanò di un passo e lo guardò intensamente negli occhi per interminabili istanti, come se stesse soppesando le parole da dire.

-John, io ti amo.-

Glielo aveva davvero sentito dire? Era davvero Sherlock? Era maturato così tanto? John era arrossito violentemente mentre Sherlock lo fissava studiando la sua reazione. E lui invece non sapeva proprio come reagire. Ad un certo punto aprì la bocca facendo uscire le prime parole che gli vennero in mente.

-Non ti farò entrare in casa per questo, lo sai?-

Sherlock rise.

-Sì, lo so, ci ho provato.-

Si girò per andarsene, le mani nelle tasche del cappotto, il bavero ovviamente tirato su. John lo prese per un braccio fermandolo.

 
-Ti amo anche io.- 






nota: ciao ragazzi, innanzitutto volevo dirvi che non c'erano molti spazi in cui inserirsi nella trama dell'ultima puntata quindi mi spiace se si salta molto da un punto all'altro perchè come sempre non è mia intenzione scrivere quello che è già nella serie tv ma il resto...se vi sentite spaesati rivedetevi l'episodio =) che fa sempre bene xD
inoltre, come avrete capito questa storiasi sta per concludere...pubblicherò martedì in serata l'ultimo capitolo con epilogo annesso...spero che vi piaccia!

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


WARNING: nel capitolo è presente una scena piuttosto esplicita...come sempre siete liberi di leggerla o di saltarla ;)




Quella mattina si erano dati appuntamento a Baker Street per fare una specie di sopralluogo, una cernita delle cose che si erano salvate dall’esplosione. Le finestre senza vetri facevano entrare tutto il freddo di Londra nel salotto che ancora odorava di bruciato come in un ossimoro. Il pavimento era ricoperto dalle macerie nere, la carta da parati era diventata nera, i libri e la libreria erano neri…lo scenario era decisamente triste.

Nonostante il freddo Sherlock era già in maniche di camicia quando arrivò John. Sapeva che sarebbe rimasto sconvolto alla vista dell’appartamento e aveva bisogno di trovare qualcosa della loro passata vita insieme che si era salvato. A strappare un sorriso al dottore fu il ritrovamento del teschio di bisonte e delle sue cuffie vintage della Eagle, entrambi intatti.

Fu John, però, a trovare la custodia del violino. Sembrava non aver subito danni. La passò a Sherlock che ne esaminò il contenuto. Il violino era salvo.
-Sai, penso che mia sorella capisca la musica.- disse Sherlock rompendo quel triste silenzio.

-Come mai dici questo?- John era piuttosto stupito. Come poteva Eurus, che non aveva dimostrato alcuna comprensione per la natura dell’animo umano, capire la musica?

-Mi ha fatto suonare una cosa per lei durante il nostro colloquio- Sherlock stava continuando a contemplare il violino…preferiva non guardare in faccia John –Mi ha detto di suonare me stesso.-

-E tu l’hai fatto?- John era sempre più incuriosito.

-No, non ne ero ancora in grado…forse adesso potrei riuscirci. Le ho suonato una cosa che avevo scritto io, una melodia che avevo in testa dall’altra notte…sai quando…insomma, lei ha capito che avevo fatto sesso.-

-E quand’è che avresti composto questa melodia?-

-Quando abbiamo conosciuto Irene Adler. Non so perché ma nella mia testa le due cose sono collegate.-

-Il sesso e la Adler? Bè penso di capirti.- John si passò una mano sul volto e raggiunse il camino, dando le spalle a Sherlock.

-Sei geloso?-

-Io? No, figurati, sapere che colleghi il sesso a lei a non a me perché mi dovrebbe rendere geloso?- John era così inglese a volte nei toni e nei modi…
Sherlock gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro. John stette immobile aspettando delle scuse.

-È vero, collego lei al sesso. Ma il sesso è noioso senza amore.- le ultime parole le sussurrò sul collo del suo compagno –E io amo te, John Watson.-

L’altro rispose inclinando la testa per farsi baciare meglio il collo e allungò una mano verso i capelli scuri del detective che gli stava togliendo il giubbotto al di sotto del quale John portava una camicia. Rosa. Sherlock non resistette a sfilargliela dai pantaloni e ad accarezzare la calda pelle del suo uomo. Il dottore si voltò verso Sherlock e si fece baciare dalle carnose labbra del detective che fremevano ad ogni contatto.

Lui gli stava accarezzando il pacco da sopra i pantaloni per sentire sotto la sua mano l’eccitazione che provocava nel compagno. A quel tocco Sherlock non resistette. Prese in braccio John che gli si avvinghiò con le gambe dietro la schiena senza smettere di baciarlo. Era la prima volta che il Sherlock reagiva in quel modo quasi impetuoso ai suoi tocchi. Lo stava portando verso la camera da letto ma prese male le misure perché fece sbattere contro lo stipite della porta John a cui sfuggì un verso mezzo dolorante e mezzo eccitato.

Si era ritrovato tra lo stipite e Sherlock che gli premeva addosso con la sua erezione. Togliersi i pantaloni divenne un problema urgente. Riappoggiò i piedi a terra e si avventò verso il costoso capo d’abbigliamento che copriva le lunghe estremità del suo compagno. Sherlock gli sfilò la cintura e poi abbassò insieme pantaloni e boxer. Si chinò davanti a lui. John sospirò. Il detective prese in una mano l’erezione del suo compagno. Fece scivolare la carne del prepuzio avanti e indietro più volte prima di portarsela alla bocca. John ne rimase sconvolto. Sentiva la bocca calda e umida di Sherlock accoglierlo e succhiarlo e la sua lingua che leccava il glande. Aggrapparsi ai riccioli neri fu pura necessità per non cadere sulle ginocchia.

-Sherlock…- era l’unica cosa che riusciva a dire.

L’altro invece con una mano si era fatto spazio tra le cosce del biondo. Dopo avergli accarezzato i testicoli si insinuò più in profondità, nello spazio di pelle prima dell’ano. Premette, prima piano poi più forte e sempre più vicino all’entrata. John emetteva dei suoni indecenti. Sherlock non si fece pregare e entrò in lui con un dito.

-Fermo fermo.- John lo tirò su per il colletto della camicia.

-Ho fatto qualcosa che non va? Non ti piace? Non lo devo più fare?- chiese Sherlock preoccupato.

-Oh no. No no no. Io voglio che mi scopi Sherlock.-

Nel breve tragitto verso la camera da letto i pochi vestiti rimasti vennero tolti. Quella stanza era quasi intatta…tanto sembrava sempre che fosse appena scoppiata una bomba là dentro. John si coricò per primo, tirando sopra di sé Sherlock che aveva ripreso a baciarlo febbrilmente. Si staccò solo un attimo allungandosi per prendere il lubrificante e John si rigirò a pancia sotto offrendosi a lui senza pudore né vergogna.

A quella vista Sherlock lasciò perdere il lubrificante, si mise sopra il compagno e iniziò ad adornargli la schiena di baci lascivi che scesero sempre più in basso. Con le mani allargò le natiche di John rendendo accessibile alla sua bocca e alla sua lingua l’apertura. Sherlock usò la saliva come lubrificante naturale per insinuarsi nuovamente nel compagno con uno e poi due dita. John si spingeva verso di lui ancora cercando maggior contatto.

-Devi avere pazienza capitano, o ti farò male.-

Forse l’unico modo per velocizzare le cose era quello di far perdere un po’ il controllo anche a lui. John si rigirò e scese nel letto fino ad avere l’erezione di Sherlock davanti alla faccia. La prese in bocca, succhiandola e poi inumidendola con la propria saliva. Il bacino del moro prese a muoversi a ritmo con John. Fu dopo che emise alcuni gemiti indecenti che John si staccò. Sherlock lo tirò su nel letto in modo da averlo bene sotto poi si mise tra le sue gambe che gli si posarono sulla schiena. Lo baciò quando spinse entrando in lui. John si irrigidì un poco, Sherlock continuò a baciarlo. Gli baciò le lacrime che gli erano scese involontariamente e poi gli occhi, la fronte, le guance e poi ancora la bocca.

John, colpito per quella premura, tornò a rilassarsi permettendo a Sherlock di andare più  fondo. I primi colpi furono quelli più difficili da sopportare ma poi tutto cambiò. L’espressione sulla faccia di Sherlock era impagabile, bastava quella per procurargli l’erezione più dura che avesse mai avuto. Certo, anche i colpi alla prostata contavano. Il suono di un corpo contro l’altro, i gemiti, il sudore…era tutto perfetto.

-Ti amo John- disse Sherlock quasi all’apice –Ti amo, ti amo, ti amo.-

Vennero praticamente insieme, stremati.

Nel letto rimasero abbracciati in silenzio fino a quando i battiti non tornarono normali e la temperatura dei loro corpi scese.

-Pensi che dovremmo dirlo a tuo fratello?- chiese John di punto in bianco.

-Parli come se potessimo nasconderglielo.- rispose Sherlock seccato nascondendo la faccia nel cuscino.

-Ah già, la cosa delle deduzioni.- John non nascose la sua seccatura –Bè c’è una persona a cui dovremo proprio dirlo.-

-La signora Hudson lo ha sempre sospettato.-

-Non lei…mi riferisco a Molly. Molly Hooper.-

Sherlock divenne serio di colpo, forse anche un po’ triste.

-Non so come fare. Cosa è giusto dire, cosa no…mi aiuterai?-

-Penso che sarebbe meglio che tu glielo dicessi da solo…e il prima possibile.-

-Ok.- disse mettendo definitivamente la testa sotto un cuscino.

 
*

Molly era arrivata dieci minuti dopo che John aveva preso il suo taxi per tornare a casa. Le aveva mandato un messaggio di poche parole e lei si era fiondata lì come se non aspettasse che quello. Merda.

Si era vestita bene, aveva messo il rossetto e anche del profumo (aiutava a coprire l’odore dell’obitorio). Si era preparata per lui insomma. Merda, merda.

A Sherlock non piaceva l’idea di spezzarle il cuore. Molly delle volte gli pareva così fragile, quasi sul punto di spezzarsi…poi si ricordava quanto forte lo avesse colpito quando lo aveva preso a schiaffi e il senso di colpa gli si quietava un poco. In ogni caso era una sua carissima amica e si rendeva conto che l’avrebbe fatta soffrire. Un tempo non ci avrebbe fatto caso ma ora era tutto diverso.

-Sherlock…- il sorriso a trentadue denti che aveva in volto si dissolse quando vise il caos infernale che c’era nel soggiorno di casa Holmes –Cosa diavolo è successo?-

-Mi daresti una mano a cercare le cose che non sono esplose o bruciate?-

-Ti volevano uccidere?- chiese allarmata non dando retta a Sherlock –Hai bisogno di aiuto? Sei in pericolo?-

Sherlock le andò vicino e le prese le mani.

-È tutto passato, tutto a posto…ora non può più farci del male.-

-Chi?- la ragazza era diventata rossa per quell’improvvisa vicinanza con il detective che prese nuovamente le distanze allontanandosi di un passo da lei.

-Mia sorella.- Sherlock vide la sua espressione passare dallo spavento all’incomprensione così si affrettò a spiegarsi –Lei si chiama Eurus e io l’avevo completamente rimossa dai miei ricordi…lei è la persona più intelligente del mondo, credimi, ma non capisce le persone, non prova nessun sentimento.-

-Deve essere una cosa di famiglia.- disse Molly, tristemente ironica, iniziando a comprendere come poteva finire quel discorso.

-No Molly, io per mia immensa sfortuna, un cuore ce l’ho.- la ragazza rimase visibilmente colpita da quelle parole –Mi ha usato per delle specie di esperimenti, sono morte delle persone, pensavo avrebbe ucciso anche te.-

-Ha a che fare con quella telefonata, vero?- chieste tristemente.

-Mi aveva detto che c’erano delle bombe a casa tua e che se non fossi riuscito a farti dire quella frase lei le avrebbe fatte esplodere…- Sherlock sperò che quello fosse abbastanza per spiegare…

-Quindi era tutta una messa in scena? Suppongo di doverti pure ringraziare per avermi salvato la vita.- aveva aumentato il volume della voce, aveva iniziato a tremare. Sembrava davvero inferocita. Poi di colpo smise di tremare e si coprì il volto. Sherlock riuscì a vedere solo una lacrima cadere a terra.

-Molly io…mi dispiace.-

-No va bene, hai agito a fin di bene…sono io la stupida.- rispose, asciugandosi la faccia cercando di fare la fredda.

-No no, ma che stupida. Io ti voglio bene, sei mia amica…ma io insomma….ho già una relazione.-

Questo ridestò un po’ della rabbia ancora presente nel suo corpo.

-Chi cavolo è? Se è quella maniaca Sherlock, giuro che sei morto!- lo stava seriamente minacciando con un dito all’altezza della faccia…

-Ehm è John.- ammise, con le mani in alto.

-Oh.-

-Già.- abbozzò un sorriso.

Lei abbassò il dito minaccioso e riprese la solita espressione da ragazza dolce.

-Forse mi sta bene se è John.- disse alla fine.

Sherlock sorrise e la abbracciò.

-Bene, ora che è tutto chiarito mi daresti una mano con questo pasticcio?-

-Mi spiace Sherlock ma ho bisogno di un po’ di tempo…spero che tu capisca.-

Il detective sorrise premuroso.

-Capisco…ci si vede Molly Hooper.-

-Ciao Sherlock.- gli diede un bacio sulla guancia e si dileguò.

 
*

I giorni passarono in fretta e i lavori al 221B procedevano ancora più rapidi (l’impresa ingaggiata da Mycroft era davvero efficiente). La signora Hudson e Sherlock erano tornati a vivere a Baker Street in pianta stabile dopo la prima settimana di lavori…John invece faceva ancora avanti e indietro dal suo appartamento.

La posta si era accumulata da qualche giorno quando trovò il tempo per guardarla. Una lettera in particolare colpì la sua attenzione. C’era scritto “MISS YOU”.
Chiamò Sherlock con il cuore che batteva forte nel petto. Non ne voleva più sapere di Moriarty, i suoi colpi di scena erano quasi diventati un cliché. Cercò di non soffermarsi troppo a lungo con i suoi pensieri alla seconda possibilità, quella secondo cui quello era un altro messaggio di Mary. Non ci voleva pensare perché non avrebbe potuto nascondere a se stesso e a chiunque altro la delusione se non fosse stata lei.

Aspettò Sherlock pazientemente. Lo fece entrare in casa, nella casa che era stata sua e di Mary. L’imbarazzo era palpabile. Gli chiedersi di togliersi il cappotto ma non volle, gli chiese di sedersi e rimase in piedi. John mise il disco nel lettore DVD. Il cuore saltò un colpo quando vide Mary sullo schermo.

 
P.S.: I know you two. And if I’m gone I know what you could become. Because I know who you really are. A junkie who solves crimes to get high. And the doctor who never came home from the war. Will you listen to me? Who you really are, it doesn’t matter. It’s all about the legend, the stories, the adventures. There is a last refuge for the desperate, the unloved, the persecuted. There is a final court of appeal for everyone. When life get too strange, too impossible, too frightening, there is always one last hope. When all else fails, there are two men sitting, arguing in a scruffy flat, like they’ve always been there and they always will. The best and wises men I have ever known, my Baker Street boys, Sherlock Holmes and Dr Watson.




 
nota: scusate il ritardo, ieri proprio non ce l'ho fatta...per l'epilogo dovrete aspettare ancora un pochino...a venerdì ;)

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Capitolo 20
*** EPILOGO ***


John Watson si svegliò sul lato destro del letto matrimoniale che da qualche anno condivideva con Sherlock Holmes. Era coricato sul fianco sinistro dando le spalle al suo compagno. Non ricordava come si fossero addormentati la notte passata. Probabilmente a cucchiaio perché aveva il braccio sinistro di Sherlock sotto il collo. Si chiese se non gli desse fastidio.

Guardò l’ora segnata dalla sveglia che aveva sul comodino su cui c’era una bella foto di Mary sorridente, come se fosse felice di vederli insieme.
Aveva pensato che prima o poi si sarebbe dovuto togliere la fede e metterla vicino a quella foto. Invece non aveva dovuto farlo…Sherlock non gli aveva mai fatto pressioni e poi ad un tratto gli aveva semplicemente detto “Sposami” e lui aveva accettato.

La cerimonia era stata molto semplice, con pochi fronzoli e pochi invitati tra i quali nonostante tutto si c’era da annoverare i genitori di Sherlock e suo fratello Mycroft.

 
(-Are we to expect a happy announcement by the end of the week?-)
 
Ci aveva visto lungo, bisognava concederglielo.

Dopo di ché Sherlock era diventato ufficialmente padre di Rosie (lei lo chiamava papà da quando aveva iniziato a parlare).

Erano le 7 di sabato mattina, Rosie non andava a scuola al sabato per cui avrebbe dormito ancora per un po’ e i clienti non sarebbero arrivati prima di un paio d’ore. John si girò verso il moro per guardarlo mentre dormiva come un angioletto. Non lo avrebbe disturbato per nessun motivo al mondo ma quasi come un riflesso incondizionato Sherlock gli passò intorno anche il braccio destro trattenendolo in un abbraccio ad occhi chiusi, come per impedire che il compagno si alzasse dal letto distruggendo quell’idillio mattutino. Fosse stato per lui sarebbero stati a letto sempre fino a mezzogiorno. John invece continuava a svegliarsi presto nonostante avesse definitivamente lasciato il lavoro allo studio per dedicarsi completamente al blog grazie al quale le entrate al 221B non erano mai state così alte.

Insieme erano diventati di più che il detective con il cappello buffo e lo scapolo John Watson. Erano diventanti una famiglia, erano diventati leggenda.









nota: Salve a tutti...innanzitutto grazie mille a chi è arrivato al fondo di questa mia ff, a chi l'ha seguita dall'inizio, a chi l'ha scoperta dopo, a chi ha commentato e a chi l'ha semplicemente messa tra le storie seguite, preferite, ricordate ecc =) 
Mi dispiace pubblicare questo epilogo da solo oggi mentre era previsto insieme all'ultimo capitolo...ma insomma, meglio tardi che mai! xD 
Spero che il fandom si allarghi sempre più e che le avventure del detective che più amiamo (e che John ama <3) continuino ad accendere la fantasia delle prossime generazioni...intanto mi spero che prima o poi se ne usciranno con una nuova stagione o anche solo con uno speciale di Natale xD
Un bacione a tutti/e
-Hermlani

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