Blonde Hair

di mirianacantali__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ti diamo il benvenuto in questa storia e ti vogliamo informare che la storia che stai leggendo è in corso ed in continua revisione. I capitoli fino al numero quattro che contengono l’asterisco nel titolo sono ancora da correggere. 
Buona lettura, Miriana e Giuls xx
***

Percorrevo, per la terza volta in una settimana, la stessa strada, lo stesso percorso buio e tortuoso che mi avrebbe condotto al luogo che più mi faceva paura, che aveva accolto le mie lacrime e le mie parole gettate al vento, ma che, in quel periodo della mia vita, mi aveva dato conforto più di qualunque persona al mondo. 

E proprio mentre mi avviavo, strisciando le mie vans rovinate sulla strada, alzai gli occhi verso l'alto e osservai le innumerevoli stelle che quella notte illuminavano il cielo. Sorrisi amaramente perché io, luminosa, non lo ero mai stata. O forse sì un tempo, quando i miei capelli ancora biondi incorniciavano il mio viso, quando vicino a me c'era mia madre e anche mio padre, quando nessun problema osava sfiorare i miei pensieri. Quando vivevo in una casa tutta mia e non in una piccola stanza condivisa di un orfanotrofio, da cui quella sera ero uscita di nascosto.

Allora, 17 anni, ero totalmente diversa. Ero cupa, scura, nera. Ero buia. 

Contavo i passi che mi separavano dalla grande struttura alla quale stavo per accedere, quando una folata di vento gelido mi colpì dritta in faccia e una ciocca dei miei capelli blu, sfuggita dalla mia coda alta, si depositò davanti agli occhi. Fu come se quell'aria fredda avesse portato alla mente tanti di quei ricordi da farmi scoppiare la testa. Ed ecco, in quel momento, li rividi. E insieme ai miei genitori, rividi anche me bambina con i miei lunghi capelli dorati sempre pettinati in modo impeccabile.
Eravamo in auto quel maledetto giorno di 7 anni fa, quando io con il mio carattere orribile di sempre, iniziai a piagnucolare perché volevo impazientemente una treccia. "Kayla, per l'amor del cielo, stiamo quasi per arrivare; abbi un po' di pazienza" Mi riproverò mia madre, mentre mio padre sghignazzava per i nostri battibecchi. Ma io sentivo caldo, non sopportavo più quei dannati capelli sulle spalle e poi volevo una delle mie adorate trecce che solo la mia mamma sapeva realizzare. Così iniziai ad urlare, attirando l'attenzione sia di mia madre che di mio padre. Quest'ultimo, distratto però dai miei capricci, non vide l'auto che sfrecciava ad alta velocità verso di noi. Ricordo solo il forte rumore di uno schianto, delle urla e poi nulla, il vuoto più totale.

Era questo l'ultimo ricordo che avevo dei miei genitori e che, puntualmente ogni notte, mi teneva sveglia o in preda agli incubi.
Dopo l'incidente mortale, che mi aveva portato via le mie più grandi certezze, io non avevo più vissuto una vita tranquilla. Avevo imparato a sopravvivere. Mi limitavo a mangiare, bere, persino a ridere ogni tanto; ma tutto ciò che facevo era sempre calcolato mai spontaneo.

Poi iniziarono i problemi, gli assistenti sociali ed infine l'orfanotrofio che fu la mia seconda casa. I primi tempi furono terribili; in fondo ero solo una bambina di 10 anni ignara del destino che la attendeva.

Incontrai Paige, la mia migliore amica, con cui legai fin da subito. Le devo tanto, se non tutto quello che ho e che sono. Dividevamo la stanza, i soldi, i vestiti, le mie paure e le sue incertezze.

Quella sera aveva proposto di accompagnarmi, come del resto tutte le altre volte; ma non aveva insistito perché sapeva che avevo bisogno di stare sola, che quelli erano momenti miei, personali e , con un sorriso triste stampato sul volto ed un forte abbraccio, mi aveva lasciato andare.

Lungo la strada, mi persi nel ricordare che una volta amavo le trecce, mentre adesso portavo sempre delle code o degli chignon disordinati, perché odiavo i capelli sciolti o, più in generale odiavo i miei capelli in tutte le loro forme poiché mi ricordavano che se ero cresciuta da sola, era stata tutta colpa mia e dei miei capricci. Ancora di più odiavo il biondo, quel colore bello e splendente che a me ricordava tanto la perfezione. Ecco perché li avevo tinti e mi ero ripromessa di non portare più trecce in vita mia.

Ero talmente assorta nei miei pensieri che quasi non mi resi conto di essere arrivata. Lo capii dall' enorme scritta che spadroneggiava sul cancello principale: "cimitero di Brooklyn".

Prima di entrare presi un grande respiro e riuscii ad oltrepassare, scavalcandolo, il cancelletto secondario adibito al personale.

Adesso dovevo solamente percorrere ottanta passi, poi girare a destra, altri trenta passi, superare i tre gradini  che avevo di fronte e nuovamente spostarmi sulla sinistra.

Ebbi un piccolo capogiro, ma mi ripresi subito. Ormai li avevo davanti.

Thomas Smith e la moglie Emilee White, 4 aprile 2010 erano le sole parole che comparivano sulla lapide insieme ad una loro foto che li ritraeva abbracciati e felici.

"Ciao mamma, ciao papà" furono le uniche parole che riuscii a dire prima di scoppiare in un pianto quasi isterico che non potevo più fermare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


"Paige, dai svegliati" dissi scuotendo la spalla della ragazza che, stesa sul letto accanto al mio e raggomitolata nelle sue coperte, non aveva la minima intenzione di alzarsi.

La sera precedente, quando rincasai dalla mia 'uscita notturna', la trovai sveglia ad aspettarmi. Io ero sempre stata brava a nascondere le mie emozioni, ma non quella volta; il trucco colato sulle mie guance e il mio viso affranto ne erano una prova. Piansi sulla sua spalla per un tempo che mi parve infinito; ma nessuna delle due aveva intenzione di parlare di ciò che mi era successo mentre ero fuori, soprattutto per due motivi. Il primo era che lei non mi avrebbe mai chiesto i dettagli e il secondo era che io non glieli avrei mai dati di mia spontanea volontà. 

Quella mattina, in particolare, avevamo molta fretta perché ci era stato stato comunicato che il direttore dell'orfanotrofio aveva qualcosa da dirci. E, a quanto pare, sembrava una cosa abbastanza seria. Inoltre non potevamo permetterci, nel modo più assoluto, di arrivare in ritardo. Più che altro, come sai,mi piace essere sempre puntuale. Tra le due però, quella a cui importava arrivare in orario alle lezioni ero solo io, perché lei, se avesse potuto, a scuola non ci sarebbe mai andata.

La mia amica in risposta, dopo aver borbottato qualche imprecazione incomprensibile, si girò sul fianco opposto dandomi le spalle. Io sbuffai com'ero solita fare in questi casi e mi diressi in bagno per finire di prepararmi e sistemare i capelli ormai abbastanza scoloriti in una coda alta, sperando che al mio ritorno in camera, qualche buona ragione avesse spinto Paige ad alzarsi da quel benedetto letto. Purtroppo non fu così ed io fui costretta a giocare la mia ultima carta che, sapevo, sarebbe stata quella vincente.

"Se non ti alzi immediatamente, saremo costrette a saltare la colazione e mi era giunta voce che proprio oggi in mensa ci saranno brioches alla crema e al cioccolato e cappuccino gratis"urlai, conoscendo la sua passione per il cibo e in particolare per i dolci. 

In meno di un secondo vidi la ragazza in questione balzare in piedi sul letto e non potei non ridere a quella visione. Mi si presentò davanti una Paige con i capelli arruffati, il pigiama spiegazzato e gli occhi sbarrati per l'assurdità che avevo appena detto. 

•••

Mezz'ora dopo stavamo per avviarci nella sala riunioni del nostro istituto.

"Sappi che questa me la pagherai cara Kayla." continuava a ripetermi da quando si era svegliata dal suo 'coma' mattutino, mentre io cercavo di ignorarla con scarsi risultati. "E non fingere di non sentirmi" piagnucolava ancora correndomi dietro. "Non puoi alimentare in questo modo le mie speranze, alla 7 di mattina soprattutto, per poi distruggerle come se niente fosse; vai al diavolo, non rivolgermi più la parola ". Improvvisamente mi bloccai sul posto e di conseguenza la ragazza che mi stava dietro andò a sbattere contro la mia schiena. "Ahi! Ma che problema hai Kayla?" esclamò massaggiandosi con la mano la parte lesa della fronte. Mi girai per osservarla; "non puoi essere seria"dissi. Quando però mi accorsi che non stava assolutamente scherzando, scoppiai a ridere in maniera esagerata.

Arrivati davanti l'entrata dell'aula, asciugai le ultime lacrime dovute alle risate che aumentarono quando notai il broncio adorabile posto sul suo volto e poi entrammo. Erano già tutti presenti e per questo fummo costrette ad occupare gli unici posti liberi in prima fila.

"Tutta colpa tua, se ti fossi alzata prima adesso avremmo avuto i posti migliori" le sussurrai senza essere arrabbiata sul serio. Non ottenni una vera risposta da parte sua, ma solo un'alzata di spalle. 

Era pieno inverno, gennaio se non ricordo male, e avevo notato che da qualche tempo all'interno dell'edificio faceva più freddo del solito, i riscaldamenti non funzionavano bene e nessuno si occupava della riparazione. 

Strinsi maggiormente la mia enorme sciarpa attorto al collo e mi ripromisi di indossare qualcosa di più pesante di un semplice leggings ed un maglioncino il giorno seguente, senza sapere che un giorno seguente lì dentro non ci sarebbe più stato.

"Non credi anche tu che in questi giorni ci sia un pò troppo freddo?" chiesi a Paige. "Si, hai ragione, ma non pensare che ti abbia perdonato così facilmente" mi rispose offesa. Io scossi e la testa divertita e stavo per ribattere quando la voce del direttore, interruppe la nostra conversazione. 

Il signor Spencer, che per tutti noi era sempre stato, oltre che un tutore, un esempio di vita e la figura più vicina che ci potesse essere ad un padre, iniziò il suo lungo monologo. "Buongiorno a tutti ragazzi, cercherò di essere il più breve e coinciso possibile. Come sapete questo istituto è molto vecchio; da generazioni la mia famiglia lo gestisce con gioia, perché è sempre un grande piacere aiutare il prossimo. Sono felice di avervi conosciuto e spero di esservi stato d'aiuto, di avervi ascoltato e capito. Siete la mia famiglia, ragazzi" la sua voce si incrinò e i suoi occhi divennero lucidi. 

Cosa stava succedendo?

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Quel giorno compresi che qualunque ostacolo tu avessi affrontato nella vita, il destino crudele sarebbe stato sempre lì dietro l'angolo a ridere delle tue disgrazie. E non essendo ancora contento ti avrebbe sbarrato la strada altre mille volte, sottraendoti quei pochi attimi di felicità che avevi conquistato con tutte le tue forze.
Ed io, a quel punto della mia vita, la voglia di lottare l'avevo completamente persa.

Nell'aula regnava il silenzio; si erano tutti ammutoliti, troppo incuriositi dalla notizia che stava per sconvolgere le nostre vite.
Dopo pochi attimi di debolezza il signor Spencer si ricompose e continuò.
"Ragazzi, dovete sapere che la nostra situazione finanziaria è davvero critica. Io ho cercato in tutti i modi di fare qualcosa" disse e in quel momento lessi nei suoi occhi solo disperazione. La disperazione di chi ci ha provato e ha fallito, di chi ha rischiato ma non ne è uscito vincitore.
"Ci hanno tagliato i fondi, le spese sono ingenti e non possiamo più pagare le bollette, i riscaldamenti non funzionano e l'impianto elettrico è da rifare" disse frustrato passandosi una mano sul viso stanco.
"E quindi..." lo esortò Mike seduto dietro di me. La tensione e la paura rendevano l'aria pesante.

"E quindi l'orfanotrofio verrà chiuso."
La sua voce arrivò ovattata alle mie orecchie e mi lasciò molto più sconvolta di quando diedi a vedere. 
Trattenni il fiato e, come me molti altri, perché nessuno osò fiatare. 
Dopo questo shock iniziale, tutti iniziarono a parlottare tra loro.

La domanda che mi ronzava in testa era solo una: cosa ne sarebbe stato di tutti noi?
E non mi ero nemmeno resa conto di averlo quasi urlato.
Il direttore riprese il microfono in mano e disse: "Ci verrà dato un mese per organizzarci; in questo arco di tempo cercheremo di affidare alcuni di voi a delle famiglie disponibili; mentre altri stanno per diventare maggiorenni e di conseguenza saranno in grado di cavarsela da soli. 
Adesso ognuno vada nella propria classe, di ciò ne parleremo un'altra volta."

Un brusio si alzò tra gli studenti.
"E adesso cosa facciamo Kay?" Mi chiese Paige preoccupata.
Mi si strinse il cuore, perché lei era sempre stata una ragazza forte, sempre pronta per ogni situazione.
"Ci penseremo, ma prima devi accompagnarmi in un posto" esclamai decisa e impassibile.
"Dove?"
"Andiamo dal parrucchiere; devo tingermi i capelli." 

•••

"Cioè fammi capire. Io ti parlo di una cosa seria e tu che fai? Te ne esci con la scusa dei capelli" si lamentò.
Non risposi perché anche se avessi voluto non avrei saputo spiegare ciò che mi passava per la testa. Perciò continuai a camminare, silenziosa e con lo sguardo basso.

Avevamo due caratteri molto diversi. Lei era decisa, sicura e sempre perfetta; aveva un fisico alto e snello, era bellissima anche la mattina appena sveglia quando io invece sembravo una zombie reduce da una guerra con i suoi simili.
Le poche debolezze che aveva le nascondeva dietro ai suoi lunghi capelli neri, sempre 'necessariamente' lisci, e ai suoi occhi altrettanto scuri contornati da una spessa linea di eyeliner. Dietro ai suoi tatuaggi e ai suoi piercing.
Io, invece, ero debole, fragile, sensibile e odiavo essere così.
I miei capelli, ormai esageratamente lunghi e rovinati, erano il mio scudo, una sorta di protezione, il muro che avevo costruito in tutti questi anni e non avrei permesso mai a nessuno di abbatterlo. Senza la mia chioma blu mi sentivo quasi nuda, esposta a tutti. Avevo deciso di colorarli nuovamente perché in questo momento difficile, non volevo che qualcuno mi vedesse per quella che ero: una debole ragazza problematica.

"E poi non è da te saltare la scuola!" disse Paige.
Ed era vero, mi piaceva studiare, l'idea stessa di imparare, di leggere, di ampliare la mia cultura e il mio sapere mi entusiasmava.

Ma fare questo era importantissimo per me e la mia compagna di avventura lo sapeva bene. Infatti, non aveva esitato neanche un istante quando le avevo fatto la proposta di accompagnarmi. 

"Kay" mi chiamò ancora "in realtà ho sempre voluto lasciare l'istituto per ritagliare quegli attimi di libertà che tanto desidero." 
"E quindi? Adesso realizzerai il tuo sogno, no?"
"Non credo, lasciare tutto mi dispiacerà da morire, le nostre abitudini, i nostri amici, la nostra casa."
"Proprio amici non direi" dissi scettica
"Dai Kay non ricominciare con questa storia."
"Sai come la penso e certamente non cambierò idea soltanto perché tra qualche settimana finiremo per strada." 

Di una cosa ero sicura; io lì dentro non avevo amici. Li conoscevo tutti, sapevo i loro nomi, li salutavo anche, ma non potevo considerarli amici; forse conoscenti, ma niente di più.

Beh, Paige è un caso a parte; lei è entrata nella mia vita senza chiederne il permesso, ha avanzato quasi con la forza e alla fine mi ha conquistata.
Ha preso parte delle mie sofferenze e le ha fatte sue, ha gioito con me e ha asciugato le mie lacrime; ed io a quel punto non potevo far altro che tenerla con me.

Non potevo, o forse non volevo affezionarmi. 
'Che senso ha legarsi affettivamente a qualcuno se poi prima o poi tutti se ne andranno?' mi chiedevo e puntualmente arrivavo ad una sola e possibile conclusione. Ovvero di restare comunque soli sopraffatti dal dolore, quello che ti entra sotto pelle e ti macchia per sempre.

Io ero già macchiata, quasi nera e di ulteriore dolore non ne avevo proprio bisogno.

Eravamo diversi noi 'orfani', e anche se non è una bella cosa da sentire, restava comunque una triste verità. 
Tutti noi, cresciuti troppo in fretta, avevamo il dolore negli occhi e il peso di una vita schiacciante sulle spalle. 

Ognuno aveva il suo modo di relazionarsi e il mio era proprio questo.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il mese di gennaio, quello che ci avevano dato a disposizione per organizzarci, passò così velocemente che quasi non me ne resi conto.

Era il 2 febbraio quando, sia io che Paige, fummo presentate alle nuove famiglie.
Non accettai subito l'idea di non vivere più con lei, ma dopotutto stavamo nella stessa città e nella stessa scuola, avrei potuto vederla quando avrei voluto.

"Ragazze prendete tutte le vostre cose e dirigetevi nel salone principale, lì troverete i vostri nuovi tutori. Mi raccomando niente sciocchezze; ne vale il vostro futuro." si congedò la segretaria dell'istituto.
"Stia tranquilla" rispondemmo in coro come se fosse una cosa normale.
Presi le mie valige e il mio zaino con nonchalance e mi diressi insieme a Paige nel luogo in cui ci stavano aspettando.

Quando mi vide, il signor Spencer mi venne incontro seguito da due adulti, un uomo e una donna e un ragazzo.

Lui, con il suo vestito elegante e la sua cravatta,dava l'idea di un signore colto e benestante, forse era un noto avvocato o un ricco imprenditore. Mi sembrava appartenere alla categoria di coloro che andavano sempre di fretta, correndo da un ufficio all'altro con la ventiquattrore sotto braccio. La donna che scoprì successivamente essere la moglie era elegante e raffinata, avvolta dal suo abito in seta e i suoi tacchi alti, con uno chignon perfetto e lineamenti dolci. 

Tutto il contrario di me; jeans neri strappati, maglia che lasciava scoperta la mia pancia piatta, coda alta disordinata e espressione scocciata in volto.

Insomma, sono sicura che la loro prima impressione su di me non fu delle migliori.

"Ciao Kayla, noi siamo John e Susy Adams; da oggi vivrai con noi" mi informò l'uomo cordialmente. 
"Si, ci divertiremo un mondo insieme, mi piace tantissimo cucinare. Ho delle ricette fantastiche per alcuni dolci. Ti piacciono? O forse preferisci il giardinaggio? Tranquilla ci occuperemo anche di quello. Oh come sono felice!" esclamò la signora Susy prendendomi a braccetto. Sembrava una ragazzina esuberante al primo appuntamento.

'Oddio ma questa cosa vuole da me' pensai. 
Kayla cerca di stare calma, ascolta me che sono la tua parte razionale.
Decisi, per una volta in vita mia, di dare ascolto alla mia coscienza e forzai un sorriso.

"Cara, non iniziare ad assillarla già da ora" la riproverò il marito.
"Ehi ma io non sto stressando proprio nessuno, vero? Diglielo anche tu tesoro" si girò verso di me con un broncio sulle labbra. 

Mi lasciai scappare una piccola risata. John non era freddo e distaccato e Susy non era una viziata e fanatica donna di alto rango come poteva sembrare in apparenza
In fondo, ma proprio molto in fondo, mi stavano un pizzico simpatici.
Poi fu il turno del figlio che si presentò dicendomi di chiamarsi Austin ed avere la mia età.

Dopo aver salutato tutti e aver rassicurato Paige dicendole che ci saremmo viste il giorno seguente a scuola, ci avviammo verso quella che da quel momento in poi sarebbe stata la mia nuova casa. 
Durante tutto il viaggio in auto la signora Susy non aveva chiuso bocca nemmeno per un istante.
Ha una parlantina assurda, mi verrà il mal di testa.

Quando abbandonai i miei discorsi mentali per tornare alla realtà, mi trovai di fronte una villa immensa e con un altrettanto grande giardino.
Già mi immagianai seduta sul prato immersa nella lettura di un giallo e involontariamente sorrisi.

Forse non sarà poi così male.

L'interno era ancora meglio, da lasciarti senza parole. Varcata la soglia, mi trovai davanti un salotto dai colori moderni, con divani e poltrone in pelle, una TV al plasma e piante sparse. 
Sulla destra invece si accedeva alla cucina/sala da pranzo dalle dimensioni enormi ed infine sulla sinistra vi erano le scale.

La stanza più bella fu però la mia camera da letto, al piano superiore.
Il letto ad una piazza e mezza saltava subito agli occhi, di fronte vi era una scrivania su cui era appoggiato un computer e una cabina armadio piena di abiti che però non avrei mai usato. 
Non erano nel mio stile. 
Ciò che più mi affascinava era la libreria grigia stracolma di libri di ogni genere e di dvd.
Le pareti invece erano bianche, poi scoprì che i signori Adams volevano fossi io a ridipingerle a mio piacimento. 

Quando finì di disfare i bagagli era ormai sera; non scesi per la cena.

Sentivo la testa pesante a causa dei troppi pensieri che non riuscivo a scacciare.

Le domande erano innumerevoli. 
Ma quella che più premeva era una sola.

Cosa aveva ancora in servo per me Il destino?

Mi addormentati così, con l'intenzione di cercare qualche risposta, ma troppo stanca per riuscirci davvero.

••• 

La mattina seguente mi svegliai presto, in preda all'ansia per il mio primo giorno di scuola al di fuori dell'orfanotrofio.
Feci una doccia veloce, senza lavare i capelli ed indossai i miei soliti jeans strettissimi, un maglioncino enorme per ripararmi dal freddo pungente di febbraio e le mie adorate converse.
Poi sciolsi i capelli, li accarezzai lentamente e ricordo ancora quanta nostalgia e sensi sensi di colpa mi provocarono.
E giuro, io ci ho provato a lasciarli sciolti, ma tutto quel blu stonava con il mio abbigliamento e in generale con me stessa.
Io non ero la solita ragazza ribelle che cercavo di dimostrare, ma era necessario per me crederlo e farlo credere agli altri.

Quando fui pronta, scesi di sotto dove trovai l'allegra famigliola intenta a fare colazione.
Quasi avevo dimenticato di vivere con altre persone. 
"Allora Kayla ti piace la tua stanza? Abbiamo notato che ieri non sei scesa per la cena" mi disse Austin con un sorriso furbo sul volto non appena mi sedetti a tavola. Lo fulminai non lo sguardo.
Avevo la vaga impressione che gli piacesse vedermi imbarazzata o farmi fare figure orribili davanti ai genitori.
"Si scusatemi, ero molto stanca e mi sono addormentata."

Dopo questo aneddoto sconveniente, mi ritrovai seduta sulla sua moto, cercando di evitare in tutti i modi di avere una presa salda sui ferri posteriori.
"Puoi anche tenerti a me, non ti magio mica." Mi disse mentre un ciuffo di capelli castani fuoriusciva dal suo casco.
"Sto benissimo così" mentii spudoratamente, al che il ragazzo davanti a me scoppiò in una risata che fece ridere anche me.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


"Ehi cos'è? Ti sei incantata?" Mi domandò Austin, ridendo di sottecchi.
"Ehm no... stavo solo... cioè.. " staccai con qualche difficoltà i miei occhi blu dal ragazzo che si avvicinava a noi. 
"Piuttosto, invece di farti gli affari miei, perché non mi accompagni in segreteria?" sdeviai il discorso.

La Midwood High School era davvero enorme; mi sarei certamente persa.

Quando si avvicinò ebbi modo di studiarlo meglio. Occhi scuri, pelle chiara ma non troppo, lineamenti perfetti, fisico alto, muscoloso e altrettanto bello.
Aveva un sorriso stampato in volto e lo sguardo sicuro di sé.
Un solo un difetto; i suoi capelli erano biondi, così tanto che quasi ti accecavano gli occhi ed io già li odiavo.
Camminava sotto lo sguardo di tutti e la prima impressione, che poi non si rivelò del tutto sbagliata, fu quella di un ragazzo vanitoso.

"Ehi Austin" abbracciò l'amico e poi puntò i suoi occhi su di me.

"E tu sei?"
"Kayla" dissi disinteressata.
"Piacere Justin" mi informò porgendomi la mano che io non ricambiai. 
"Il piacere non è mio" dissi così apatica che quasi mi spaventai di me stessa. 

I miei complimenti Kayla, davvero. Come primo incontro direi davvero ottimo. 
A volte mi vergogno di essere la tua coscienza.

Justin perse il suo sorrisetto fastidioso e un lampo di confusione attraversò i suoi occhi, mentre gli altri due non la smettevano di ridere.
"Noto anche che sei molto acida" e di nuovo quell'odiosa espressione di superiorità sul viso. 
"Meglio acidi che sentirsi la persona più affascinante esistente sulla Terra"dissi sfidandolo con lo sguardo e dirigendomi verso Paige.

La risata del ragazzo arrivò dopo poco tempo. 
'Oddio già non lo sopporto' pensai.

A quel punto presi Paige per un braccio che nel frattempo era rimasta a guardare la nostra sceneggiata e la trascinai letteralmente via.

Quando però mi ricordai della presenza di Austin, mi fermai di colpo e tornai indietro.
"Ci vediamo durante la pausa pranzo così poi torniamo a casa insieme."

Dopodiché io e la mia amica ci immettemmo nella grande folla di studenti che si dirigevano verso l'entrata.

•••

"Adesso spiegami perché trovi tutte le persone più antipatiche e stupide di questo mondo" chiesi a Paige.
"No spiegami tu quali problemi ti affliggono, perché quello stupido, come lo chiami tu, è il mio fratellastro"
"Non vorrei essere al tuo posto, anche se io non sono stata molto più fortunata" dissi riferendomi ad Austin.

Ad un certo punto qualcuno bloccò il mio polso e mi trascinò verso di sé.
Mi ritrovai a pochi centimetri dal viso della mora al mio fianco. 
"Non ci credo, vorrei essere io a convivere con lui. Ma non vedi quant'è bello?"

In effetti Austin era proprio un bel ragazzo; aveva i capelli castani e gli occhi di un verde quasi magnetico, che sicuramente attirava moltissime ragazze.
Era poco più basso di Justin, ma in ogni caso più alto di me.

'Tutti sono più alti di te' mi ricordava il mio subconscio e in effetti non potevo dargli torto.

"Ti piace eh?" La stuzzicai ridendo.
"Si,no... ehm... cioè. Andiamo sennò arriveremo in ritardo" disse mentre le sue guance si coloravano di rosso.
"Da quando ti importa arrivare in orario?" Vedere Paige imbarazzata era una scena che non si vedeva tutti i giorni, anzi addirittura era la prima volta, ed io quando volevo sapevo essere davvero stronza.
"Stai zitta e cammina" mi riproverò mentre io mi piegavo in due dalle risate.

Mentre cercavamo disperatamente la segreteria per ritirare l'orario delle nostre lezioni Paige mise in atto la sua piccola vendetta.

"E tu che mi dici, non è che Justin..."
"No, non mi piace. Anzi mi dà fastidio anche la sua sola presenza. Che stronzo" la interruppi parlando più a me stessa che a lei.
"Sarà divertente vedervi litigare tutti i giorni" disse decisa come se fosse una cosa ovvia.
"Tutti i giorni? Stai scherzando vero?" 
"Dimentichi che vivo nella sua stessa casa e quindi, a prescindere dalle tue volontà, passeremo molto più tempo insieme di quanto pensi." 
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. 

Fortunatamente riuscimmo a recuperare l'orario delle lezioni e anche le chiavi dei nostri armadietti. 

"Prima ora matematica, non ce la posso fare" disse la mia amica appoggiandosi una mano sulla fronte e facendo finta di svenire.
Scossi la testa, la scuola proprio non le piaceva.

Quando arrivammo, l'aula era già piena, quindi prendemmo posto tra i primi banchi. 

Dopo che l'insegnante fece il suo ingresso in aula, tra gli studenti caló il silenzio.

Non prevedevo nulla di buono.

Avevo l'abitudine di studiare le persone, cogliendone ogni piccolo dettaglio, gesto o comportamento.
Sapevo per esempio che Paige, quando era nervosa era solita toccare le punte dei suo capelli; oppure che quando doveva dirmi qualcosa che sapeva non mi sarebbe piaciuto aveva l'abitudine di mordersi ripetutamente il labbro inferiore.

Mi feci un'idea iniziale anche sulla prof. di matematica, di cui dimenticai subito il nome.
Pensai fosse una di quelle severe e antipatiche e ne ebbi subito la conferma.

"Buongiorno ragazzi"ci salutò scrutandoci uno per uno.
"Vedo che ci sono dei volti nuovi" e nel frattempo si soffermò su di me e sulla mia compagna di banco.
A quanto pare, nessuno si era accorto di noi perché a quell'affermazione tutti si ammutolirono e iniziarono a fissarci.

Odiavo trovarmi in situazioni simili.
Così mi alzai.
"Mi chiamo Kayla Smith e questo è il mio primo giorno alla Midwood".
Quando anche Paige si presentò l'arpia alzò gli occhiali sul naso e disse:"Sapete che siete in ritardo vero? È appena iniziato il secondo semestre e dovrete lavorare molto per mettervi al pari con gli altri. Non penso ci riuscirete. Qui non si gioca, non potete presentarvi quando vi pare e piace. "

Per una volta decisi di frenare la mia indole impulsiva, non volevo attirare ulteriormente l'attenzione.

L'ora di matematica passò con Paige che, dopo aver cercato di stare attenta alla lezione senza riuscirci per più di due minuti, borbottava insulti a discapito della professoressa e io che cercavo in tutti i modi di seguire la spiegazione evitando di ridere alle battutine della mia amica.

•••
Dopo aver affrontato un'ora di chimica e due rilassanti di letteratura ci ritrovammo sedute ad un tavolo della mensa con tre vassoi di cibo davanti a noi. Si perché a Paige uno non bastava.

"Non la sopporto, la sua voce mi fa venire mal di testa. Sai a chi assomiglia? A Shrek; è identica, le manca solo la pelle verde" Disse riferendosi all'insegnate di matematica, mentre io non potevo far altro che ridere.

"Ehi bellissime" ci interrupe una voce fastidiosa che avevo già sentito. 
Era Justin che accompagnato da Austin si accingeva a sedersi al nostro tavolo, provocando uno sbuffo da parte mia e un sorriso ebete sul volto di Paige.

'Oh no, ancora lui' pensai.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


I due si sedettero, come se qualcuno gli avesse dato il permesso; ma a quanto pare l'unica scontenta del fatto ero solo io.

La loro presenza era fastidiosa, anzi più che altro a quella di Austin avrei dovuto abituarmi, quindi poteva andar bene.

Ma lui non lo sopportavo così come i suoi capelli che riavviava costantemente con la mano.

"Uno, due..." mi misi a contare interrompendo il breve discorso instaurato da Paige e Austin.
"Tre, quattro, cinque..." mi guardai intorno mentre i ragazzi seduti al mio tavolo mi guardavano come se fossi un alieno.

"Kayla, ma cosa ti prende?"mi domandò Paige.

Non l'ascoltai e continuai a contare.
"Sei.." 
Austin che probabilmente aveva capito ciò che stavo facendo mi guardava con aria divertita.
"Sette..."
"Non solo sei acida e lunatica, ma anche matta. Guarda tu con chi ho a che fare."

Ignorai anche lui.
"E per finire otto."esclamai fingendomi sorpresa.
"Ci sono otto tavoli liberi, venti sedie vuote e centinaia di studenti in questa mensa; perchè dovete rovinarmi il pranzo, che tra l'altro è l'unico momento di pausa in cui posso rilassarmi?" domandai sarcasticamente, rivolgendo la mia attenzione soprattutto verso Justin, affinché capisse che tra i due, era quello che più mi faceva salire il nervoso.

"Cosa c'è di male, volevo condividere questo meraviglioso pranzo con la mia più grande ammiratrice."
"Si davvero ammiro tantissimo la tua felpa. Avevo pensato di chiederti se potessi regalarmela. È l'unica cosa bella che hai." colpito e affondato.
"Ti consiglierei di farti visitare da un oculista" disse pacato.
'Cosa?'
"Cosa c'entra adesso?"
"Che non vedi bene, se dici che non sono carino. E non lo penso solo io; sono stato eletto per tre anni consecutivi ragazzo più bello della scuola. E poi ho tutte le ragazze che voglio che la pensano diversamente da te" disse fiero di sé come se fosse una cosa di cui vantarsi.

'Tra tutti i difetti che può avere, non puoi puntare sulla bellezza. Davvero come puoi dire una cosa del genere, se la prima volta che l'hai visto stavi quasi per svenire?'
Ignorai anche la mia coscienza.

"Non ci posso credere" stavo iniziando a perdere la pazienza " ma ti senti? Non reputarti così importante perché non lo sei.
E poi a me non piaci, ognuno ha i suoi gusti" buttai fuori tutto d'un fiato.
"Non dire cose che non pe..." fummo interrotti dalle risate dei due che erano con noi e di cui ci eravamo completamente dimenticati, troppo presi dal nostro battibecco.
"Cosa ridete voi?" esclamammo all'unisono, abbastanza irrequieti. 
Uno alzò le braccia in segno di resa e l'altra si impegnò a cessare la sua risata, con scarsi risultati.

A quel punto mi alzai, trascinando la sedia che provocò un sordo stridore.
Sistemai lo zaino in spalla mi avviai verso l'uscita.
Arrivai nel cortile della scuola e continuai ad avanzare senza una meta precisa.

Il cielo sopra di me era scuro, cupo e minaccioso. I nuvoloni neri regnavano sovrani, pronti alla loro interminabile pioggia, e proiettavano un'atmosfera non molto piacevole.
Il tutto coincideva alla perfezione con il mio umore.

Ero fatta cosi, non sapevo affrontare le situazioni, anche quelle più semplici, e preferivo scappare. 
Scegliere la via più facile. 
Scappavo tutte quelle volte in cui decidevo di coprire i miei capelli biondi con quel blu che nemmeno mi piaceva.
Scappavo quando non riuscivo a parlare dei miei genitori, neanche con Paige.
Scappavo continuamente anche da me stessa perché non riuscivo a mostrarmi per quella che ero realmente.

La mia vita è stata sempre un continuo fuggire e nascondersi; riuscirò mai a trovare un punto fermo nella mia quotidianità?

Lo squillo del mio telefono mi riportò alla realtà.
Mi fermai un attimo e lo estrassi dalla tasca esterna del mio zaino.
Erano due messaggi da parte della mia amica.

Da: Paige
'Mi dispiace per prima, ci sentiamo più tardi. Adesso va' a casa a riposarti.'

Il secondo diceva:
Da:Paige
'Senti, non voglio essere egoista, ma Austin accompagnerà me a casa.
Quindi cerca di non lamentarti e arrangiati.
Ovviamente ti voglio bene.'

Alla vista del contenuto, sorrisi spontaneamente; in fondo la mora sapeva come tirarmi su.
Non risposi, mi limitai a posare nuovamente il cellulare, questa volta nella tasca posteriore dei miei jeans.
Sapevo che anche se avessi provato a replicare, conoscendo Paige, non avrei ottenuto nulla; e poi avevo bisogno di fare due passi a piedi e riordinare i miei pensieri. 

Controllai che non avessi ulteriori lezioni e mi avviai sulla strada verso casa.

Non feci nemmeno dieci metri che piccole gocce d'acqua iniziarono a cadere sopra la mia testa.
Non avevo un ombrello, né qualcosa con cui ripararmi. 
A peggiorare la situazione, era il freddo pungente di febbraio che arrivava prepotente sul mio viso e in generale sul tutto il corpo.
Stinsi maggiormente la mia enorme sciarpa al collo e sospirai.

"Posso farcela; in fondo che sarà mai? Non mi lascio spaventare da un po' d'acqua." dissi a me stessa a voce alta.

Hai presente quando ti autoconvinci di una cosa e poi succede puntualmente tutto il contrario? 

Ecco è quello che accadde in quel momento.
Avrei preferito non aver mai parlato perché pochi minuti dopo, la pioggerellina che era stava fino a quel momento, aumentò notevolmente di intensità fino a trasformarsi in un vero e proprio temporale.

Il cielo iniziò a illuminarsi con i lampi e i tuoni provocavano un fastidioso rumore.
Le strade della mia amata Brooklyn erano semi-deserte, se non per qualche auto che sfrecciava veloce sulla pozzanghere che si erano rapidamente formate.

Fortunatamente trovai riparo sotto un balcone e, mentre aspettavo che smettesse di piovere, mi soffermai a guardare l'acqua che cadeva ai miei piedi e che mi aveva inzuppato oltre a scarpe e vestiti, anche l'anima.
E mentre arrivai alla conclusione di amare e odiare la pioggia al tempo stesso, una grande auto nera costeggiò  il marciapiede su cui mi trovavo.

Il finestrino si abbassò lentamente rivelando una chioma bionda e un viso quasi angelico.

"Non è che per caso la mia ammiratrice vorrebbe un passaggio?" La voce di Justin era inconfondibile.

Ignorai il suo commento e nonostante tutto quello che era successo in quella mattinata, non esitai un attimo prima di fiondarmi letteralmente sul sedile del passeggero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Cosa stavo facendo lì, seduta in quella macchina con una delle persone più affascinanti e irritanti esistenti sul pianeta Terra? 

Sinceramente? 
Non lo sapevo neanche io.

Subito dopo essere salita sull'auto, tra l'altro molto bella e costosa, Justin premette il piede sull'acceleratore.

Nessuno dei due osava parlare e quel silenzio era diventato ingombrante, quasi imbarazzante. 
Ma io mi chiedo, non ha una schifosissima radio?

Cosí appoggiai la testa al finestrino e ne approfittai per guardare le strade, i grattaceli, le vetrine colorate dei negozi, quel via vai di gente della mia Brooklyn che sfrecciavano sotto i miei occhi. A volte, pensai, vorrei poter fermare il tempo.

"Come scusa?" La voce del ragazzo accanto a me investì l'abitacolo.
Solo in quel momento mi resi conto di aver parlato a voce alta.
Feci ugualmente finta di niente.
"Cosa?"
"Hai detto qualcosa riguardo il tempo. Cosa intendevi con quelle parole?" Domandò sinceramente incuriosito.
"Beh... no niente. Stavo solo... ecco dando voce ai miei pensieri." Dissi e scommetto di essere diventata rossa come un peperone. 
"Mi hai incuriosito; adesso voglio sapere cosa pensavi".
"No, lascia stare" dissi cercando di nascondere il mio imbarazzo.
"Ho detto che voglio saperlo e, vuoi o non vuoi, lo sapró a tutti i costi, adesso." disse con un sorriso furbo sulla faccia. Mi veniva di prenderlo a sberle. 
Aveva un tono strafottente, quasi volesse dirmi che lui otteneva sempre ciò che voleva.
"Sei solo uno stupido viziato; te lo ripeto il mondo non ruota intorno a te. E se io non voglio rivelarti ciò che penso, sono liberissima di farlo.
Cos'è, mamma e papà non ti hanno insegnato che non tutti sono disposti a soddisfare i tuoi capricci?" Quasi urlai. Questa volta ero rossa per lo sforzo.
La sua reazione non fu proprio come mi aspettavo, ma comunque soddisfacente.

*
Justin's pov
Come si permette?
Io non sono viziato, ne tanto meno voglio esserlo.

"Per tua informazione, stavo solo scherzando. Non mi sarei mai permesso ad obbligarti a dirmi qualcosa di personale. 
E poi lascia fuori da questa storia i miei genitori" dissi con un tono che quasi spaventò anche me e marcando soprattutto l'ultima frase. Strinsi il volante, nessuno poteva anche solo nominare la mia famiglia.
A volte non è tutto rose e fiori come sembra. E la mia famiglia si costruiva su un'unica apparenza: non eravamo la solita famigliola perfetta che vedeva la gente.

Non mi piaceva questo lato duro del mio carattere, però quella volta mi aveva provocato. Questa ragazza mi farà impazzire, pensai.
Ero realmente arrabbiato. Mentre guardavo dritto la strada, cercai di calmarmi.

Dopo qualche momento di silenzio assoluto, guardai Kayla con la coda dell'occhio.
Era rimasta un po' sorpresa dalle mie parole, ma non ne era spaventata.

"Scusami" dissi senza pensarci.
"Non fa niente" mi rispose e divenne improvvisamente timida, come se per qualche istante avesse abbandonato quella corazza da ragazza ribelle che ogni giorno si portava addosso.

Non avevo mai avuto un vero interesse verso di lei, ma in quel momento mi imposi di scoprire cosa nascondeva sotto il suo muro. 

E sorrisi, perché forse in fondo aveva ragione lei. Questo era un mio capriccio e io avrei fatto di tutto per portarlo a termine.

Dopo la nostra piccola discussione, parlarmmo del più e del meno durante il tragitto verso casa sua.
Quando arrivammo mi salutò con un ciao svogliato e scese dalla macchina.
Eccola ritornata la solita stronza di sempre.
Abbassai il finestrino e la richiamai. 
"Almeno un bacio me lo merito".
A quel punto lei mi fece il dito medio e a quel gesto scoppiai letteralmente a ridere.

Era da tanto che non ridevo così, una risata vera e genuina, spontanea. 
E mi sentivo dannatamente bene.

*

Feci girare la chiave nella serratura ed entrai. Sentii delle voci.
"Sono a casa" gridai!
Tolsi il cappotto e la sciarpa e li appesi all'appendiabiti che si trovava all'ingresso.

La mia era una casa grande e molto carina. Mio padre dirigeva una società di trasporti e mia madre bhe... lo aiutava nel suo lavoro.

Quando oltrepassai il corridoio all'entrata dirigendomi verso la cucina trovai Paige e mia madre intenti a preparare una torta.

Erano cosparse di farina dalla testa ai piedi, con le mani sporche di impasto e non si erano minimamente accorte del mio arrivo.
Sghignazzai a quella vista, attirando la loro attenzione.

Le due donne si scambiarono allora uno sguardo fugace e furbo, dopo vidi i loro sorriso complici e compresi cosa avevano intenzione di fare.

Poi ci fu il caos.

La stanza era piena di farina, come d'altronde il mio viso. L'impasto era ormai da rifare perché l'avevo rovesciato, in parte, addosso a Paige. Da parte sua la vendetta arrivò molto presto: la sac à poche stracolma di panna era finita dritta sulla mia testa.

Dopo questa 'piccola battaglia' da cui ne uscii vincitore, mia madre ci cacciò letteralmente dalla cucina.
"Andate a lavarvi, qui ci penso io" aveva detto.
"Non se ne parla Vivian, ti aiuto a pulire. Oddio che casino" Paige aveva provato ad insistere, ma con lei non si poteva competere.

In seguito, ci dirigemmo verso il bagno per darci una sistemata. Mentre salivamo le scale che portavano al piano superiore dove si trovavano le nostre camere e i bagni, sentii Paige sbuffare.

"Che fine ha fatto Kayla? È tutto il pomeriggio che non la sento; le avevo mandato un messaggio qualche ora fa, ma non mi ha ancora risposto".
Non era preoccupata; semplicemente era passata da averla sempre intorno tutta l'intera giornata, a vederla solo la mattina a scuola e dormire in case separate. Doveva ancora farci l'abitudine.

"Sta' tranquilla. L'ho accompagnata io a casa dopo scuola."
"Cosa?" urlò facendomi saltare in aria.
Mi voltai e notai che si era bloccata sullo scalino con il braccio a mezz'aria e la bocca spalancata per lo stupore.


Dopo esserci lavati, ognuno nel proprio bagno annesso alla camera da letto, ci sedemmo in giardino.
Mi ripetette la stessa cosa per almeno mezz'ora, non ne potevo più. 
"Stiamo parlando della stessa persona?" continuava a dire incredula. O cose del tipo:"Cioè vuoi dire Kayla, la MIA Kayla?"

La risposta che riceveva era sempre una: si.
Era arrivata perfino a toccarmi la testa per constatare se stessi delirando a causa della febbre.

Io, in tutto ciò, avevo riso per ogni sua smorfia o espressione incredula.

"Scusami" mi disse quando capì che non stavo scherzando "è solo che non si fida molto delle persone. Non ha nessun amico oltre me ed è straziante vederla così chiusa e diffidente del mondo esterno" concluse afflitta riferendosi alla sua migliore amica.

Il sorriso, che per un attimo aveva lasciato spazio al dolore, ritornò a splendere sul suo viso.
"Raccontami tutto".
E così iniziai a dirle per filo e per segno tutto ciò che era successo nel pomeriggio.

Stavo già iniziando ad affezionarmi a Paige, in fondo era pur sempre mia 'sorella', no?

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Quel pomeriggio, dopo che Justin mi riaccompagnò a casa, ne approfittai per portarmi avanti con lo studio.
Feci tutti i compiti di quella settimana dalla letteratura alla matematica, che odiavo; dalla chimica all'economia aziendale. 
Avevo persino dimenticato di avere il telefono spento e di conseguenza di caricarlo; non mi accorsi nemmeno degli innumerevoli messaggi da parte di Paige.
Erano le sette quando finii di riordinare gli ultimi appunti e riporre tutto nel mio zaino. 
Per me lo studio era importantissimo; ovviamente insieme alla mia più grande passione: la kick boxing.

È uno sport da combattimento che combina tecniche di calci tipiche delle arti marziali ai pugni tipici del pugilato.

Avevo iniziato a praticarla all'età di 10 anni nella palestra dell'orfanotrofio dove ci permettevano di allenarci in presenza di un'istruttore specializzato in questo sport.
Poi il giorno del mio quindicesimo compleanno, due anni fa, ricevetti il più bel regalo della mia vita. 
Paige, dopo aver supplicato per mesi il signor Spencer (il direttore dell'istituto), riuscì a comprarmi un sacco da boxe tutto per me che tenevo appeso in un angolo della mia camera insieme ai miei guantoni e tutta l'attrezzatura.

Quando mi ero trasferita in casa Adams avevo chiesto il permesso di lasciarlo in soffitta e utilizzarlo solo quando ne avessi sentito la necessità. 
Susy, sempre con il suo buon uomore altamente contaggiosso, aveva subito acconsentito. 

Avevo iniziato un po' per gioco, per tenermi in forma e occupare il poco tempo libero che mi restava il pomeriggio.
Ma pian piano era diventato un vero e proprio hobby. 
La Kick boxing era una combinazione, sul ring, di calci e pugni, di concentrazione e forza, di riflessi sempre pronti ma anche molta attenzione, di mosse fatte senza pensarci e altre ben calcolate.

Tutto una contraddizione, insomma.
Un po' come la mia vita.

E poi mi aiutava a calmare la rabbia, a placare le lacrime, a riflettere.

Mentre pensavo che ultimamente, con il trasloco, la nuova scuola, l'adozione, avevo un po' trascurato i miei allenamenti, riempì la vasca per un bagno rilassante. 
I libri, quel pomeriggio, mi avevano davvero distrutta; soprattutto perché dovevo mostrare specialmemte alla prof. Shrek, come l'aveva soprannominata Paige, che potevo riuscire a mettermi al pari con gli altri.

Stetti quasi un'ora nella vasca sommersa dai troppo pensieri che affollavano la mia mente: la scuola, i miei romanzi posti all'interno della libreria in camera, la boxe, i miei 'quasi amici', e poi... beh poi c'era Justin.
Quel giorno avevo scoperto una piccola, nuova sfumatura del suo carattere e devo ammerrere che non era poi così male.

Certo restava comunque un perfetto cretino, imbecille, stronzo e chi più ne ha più ne metta.

Sentii qualcuno bussare alla porta e interruppi quasi bruscamente il flusso dei miei pensieri.
"Kayla, sono Austin. Papà mi ha chiesto di dirti che stasera vuole portarci a cena fuori. Ti aspettiamo giù per le otto." 
"Si, cercherò di sbrigarmi."

A quel punto abbandonai il mio caldo bagno rilassante e avvolsi intorno al corpo un asciugamano; poi asciugai i capelli che avevo precedentemente lavato.
Quando fui abbastanza soddisfatta, andai in camera per vestirmi e presi il telefono per controllare l'orario.
Erano le sette; avevo ancora un'ora per sistemarmi perciò feci tutto con calma. 
Aprii l'armadio e stavo per estrarre i soliti jeans neri ma poi pensai di apparire troppo casual.
Volevo fare una bella figura con i signori Adams, solo che nel mio guardaroba non c'era nulla di elegante.
Niente tacchi, vestitini o pochette.

Alla fine decisi di chiedere aiuto alla padrona di casa.

Indossai un pantalone di tuta e una felpa e mi recai nella sua stanza a chiamarla. Quando mi trovai di fronte bussai e non appena ebbi il permesso entrai
"Susy" dissi non appena la vidi intenta ad indossare un paio di orecchini a dir poco fantastici. Era magnifica; il suo corpo era fasciato da un abito da sera nero lungo fino ai piedi, i capelli raccolti in un'acconciatura elaborata.
"Cara, non sei ancora pronta?"
"Ecco... vorrei che... cioè" balbettai imbarazzata e mi bloccai non appena la sentii ridere. E ora cosa aveva da ridere?
"Kayla, non vergognarti, sai che puoi chiedermi qualunque cosa!" e mi fece l'occhiolino.
"In realtà non ho niente da indossare per questa sera."
Sul suo viso comparve un sorriso così grande che io mi chiesi se non le facesse male la faccia. 
Vorrei non averle mai chiesto aiuto, perché alla mia richiesta balzò in piedi, mi prese a braccetto e mi trascinò letteralmente di fronte il suo guardaroba.
Venti minuti dopo avevo provato minimo dieci abiti, qualche gonna e un paio di camicette. La stanza era un casino; l'armadio era spalancato, il letto sepolto da una miriade di vestiti, sul pavimento erano sparse scarpe di ogni tipo e colore. 
Io ero già stanchissima, non mi piaceva proprio provare o scegliere abiti, ma la signora Susy non era ancora soddisfatta.
"Stai zitta e non lamentarti" mi rimproverava scherzosamente.

Alla fine, dopo innumerevoli polemiche da parte mia, sentii un piccolo urlo
"Ah, l'abbiamo trovaro.Si questo è perfetto. Ti sta d'incanto" continuava a saltellare contenta per la stanza battendo le mani. Sembrava una bambina davanti un cesto pieno di caramelle.
Io, dal canto mio, ero talmente annoiata dal provare un vestito toglierlo e prenderne un altro, che non mi ero nemmeno accorta di ciò che avevo addosso.

Quando mi voltai verso lo specchio mi stupii per la raffinatezza dell'abito. 
Era blu come i miei capelli, lungo fino al ginocchio, aderente al punto giusto, con le maniche a tre quarti in pizzo. Poi abbinai un paio di décolleté bianche e una collana di perle.
Ecco ero pronta. O almeno credevo di esserlo.
"Ora pensiamo al trucco e ai capelli" mi disse infatti Susy.
"No" risposi forse un po' bruscamente e vedi il suo viso incupirsi.
"Ecco non mi piace truccarmi molto e poi i capelli li sistemo in uno chignon, non voglio disturbarti oltre."
"Come vuoi" mi disse dispiaciuta e stava per andarsene quando si girò e "Ah Kayla, ho capito che non ti piacciono i tuoi capelli e non capisco perché; ma mi piacerebbe un giorno vederli sciolti, sulle spalle in tutta la loro lunghezza, perché scommetto che sono davvero lunghissimi. Ti aspetto sotto."

E mi lasciò così, con l'amaro in bocca e gli occhi lucidi. 
Come faceva questa donna ad essere così esuberante, sempre allegra ma allo stesso tempo con un animo così profondo? Me lo chiedevo spesso.
•••

Il viaggio in macchina fu tranquillo.
Austin e la madre non avevano smesso un attimo di parlare o più che altro di litigare per le solite cose tra madre e figlio.
"Vedi che io sono molto ordinato"diceva Austin.
"Si come no. Per questo ieri, quando mi sono sventurata ad entrare nella tua camera sembrava ci fosse stata una guerra."
Io non feci altro che ridere.

La cena si tenne in un ristorante lussuoso. 
Il parcheggio era enorme, per non parlare delle sale interne.
Quando entrammo ebbi modo di guardare più attentamente sia Austin che il padre. Entrambi avevano giacca e cravatta. Stavano bene.

La serata passò tranquillamente e mi stupii del fatto che quella cena era una specie di benvenuto nei miei confronti.
Erano tutti molto simpatici, anche John, che all'apparenza sembrava un duro uomo d'affari, si era rivelato essere divertente e alla mano.
Mi fecero sentire a mio agio, persino Austin che con le sue battutine mi faceva sempre innervosire, quella sera sembrava essere un'altra persona.
Stranamente mi sentivo bene, loro mi facevano stare bene. 
Per la prima volta mi sentii, dopo tanto tempo, far parte di qualcosa; di una famiglia che, con il tempo, sarei riuscita ad amare come loro avrebbero amato me.
C'era qualcosa di forte, un legame particolare, che mi avrebbe impedito, da quel momemto in poi, di separarmi da loro.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Era già passata una settimana da quando io e Paige avevamo lasciato la casa che ci aveva accolto fin da bambine.
E, sinceramente, pensavo che sarebbe stato un incubo. Invece in quel momento mi trovavo bene, stavo con una vera famiglia e frequentavo una scuola dove non tutti gli alunni erano degli orfani.
Odiavo e odio tutt'ora questa parola.
Orfano.
Suona così male, no?
Eppure, anche se non mi piaceva affatto essere definita tale, era la triste e dura realtà.

Cercai di scacciare il pensiero e dopo essermi sistemata in tempi record, mi avviai in cucina per fare colazione e poi recarmi a scuola.
"Buongiorno" salutai Austin che era intento a bere il suo cappuccino.
I suoi erano già a lavoro.
"Oh chi si vede! La mia bellissima sorellina tanto simpatica" lo fulminai con lo sguardo, ma decisi di non replicare, perché di mattina non avevo le forze per farlo.
O sono io strana o gli sono gli altri ad essere super energici appena svegli.
Austin era uno di quelli "strani" per me e in quel momento mi sembrava la copia esatta di Paige.

"Come mai bevi il cappuccino se fino a ieri quando vedevi caffè quasi vomitavi?" domandai scettica.
"Ho letto ch..." 
"No aspetta, tu, Austin Joseph Adams, che leggi? Non è scientificamente possibile" lo interruppi ed ero abbastanza divertita dalla sua faccia fintamente offesa. Infatti a parte 'aver offeso profondamente il suo orgoglio' come diceva lui, avevo anche usato il suo secondo nome che Austin odiava.
"Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Joseph" e lo sentii borbottare qualcosa di incomprensibile. Probabilmente stava  maledicendo sua madre per avermelo detto.
"Comunque stavo dicendo che ho letto da qualche parte" e sottolineò particolarmente l'ultima parte "che il caffè rinforza la mente e aiuta la memoria" mi informò con il tono e l'espressione di qualcuno "so-tutto-io".
"Se lo dici tu" replicai. "Adesso andiamo o faremo tardi" ordinai.
Ormai andare a scuola con lui era diventata un'abitudine.

"E se io non volessi accompagnarti a scuola oggi?" ecco la sua vendetta.
'Non lo sopporto' borbottai infastidita con voce molto bassa, ma dal sorrisetto soddisfatto sul suo viso capii che mi aveva sentito.

Così presi lo zaino e uscì di casa sbattendo la porta. 
Misi gli auricolari e mi incamminai verso scuola, anche se a passo molto lento perché il giorno precedente avevo ripreso, dopo molto tempo, i miei allenamenti e adesso avevo dolori in tutto il corpo.

Poco dopo, nonostante la musica, riuscii a sentire il rombo di un motore affiancarmi.
Mi voltai e vidi Austin che si era fermato e aspettava che io facessi lo stesso.
Ma io ripresi a camminare con passo più veloce e lo sentii gridare: "Kayla, aspetta. Stavo scherzando"
Non volevo fermarmi, ma fui costretta a rallentare poco dopo a causa di una forte fitta alla gamba.
Nel frattempo mi raggiunse e, visto che la mia voglia di opporre resistenza era pari a zero, salii sulla moto.

Nessuno parlò per i primi minuti. Non fu un silenzio imbarazzante perché ormai a quei litigi ci eravamo abituati. Solo che avevamo bisogno di un po' di tranquillità per riordinare le idee e poi riderci sopra, perché in fondo queste erano stupidaggini di nessuna importanza.

"Posso farti una domanda?" gli chiesi tenendo gli occhi chiusi con la testa appoggiata alla sua spalla.
Sono sempre stata molto curiosa e anche in quell'occasione desideravo soddisfare le mie curiosità.
Lo vidi, attraverso lo specchietto retrovisore, annuire.
"Come mai hai deciso di comprare una moto e non una machina? 
Voglio dire l'auto è molto più comoda. Puoi portarci chi vuoi e se piove non ti bagni."

Non mi rispose. La visiera scura del casco non mi permetteva di osservare la sua espressione, ma pensai che era intento a riflettere.

Poi, d'improvviso, accelerò.

E io capii solo dopo la tacita risposta che voleva darmi. 

Perché le emozioni che provavi sopra una moto andavano ben oltre la preoccupazione di bagnarsi per la pioggia o la scomodità del sellino.
Ciò che Austin voleva dirmi era che quando stavi lì sopra ti sentivi davvero libero, ma non tutti potevano capirlo.

'Il vento che ti punge la pelle, la velocità che ti svincola da ogni sicurezza, la schiena abbassata sul manubrio e il polso che vibra, questo è quello che si prova' avrebbe voluto dirmi il ragazzo che stava davanti a me.
Sapeva però che le parole non sarebbero state efficaci, così aveva preferito mostrarmelo.

Quando arrivammo alla Midwood, io scesi e tolsi il casco.
Quando anche lui fece lo stesso mi disse: "Hai capito adesso perché?"

Poi se ne andò, lasciandomi lì e non aspettò nemmeno una mia risposta.
Aveva capito, infatti, che non l'avrebbe mai ottenuta.

•••
Dopo essermi ripresa dal mio stato di trance raggiunsi Paige che mi aspettava davanti l'entrata principale.
Accanto a lei Justin stava immobile in tutta la sua bellezza. Quel giorno era anche più bello del solito. Portava un jeans scuro aderente, una camicia e un giubbotto di pelle. 
I capelli poi... in quel modo scompigliati pensai.
'Si e poi cos'altro? Non è che...'
Ecco che la mia coscienza si faceva sentire, ma in quel momento le fui grata. 
Stavo facendo pensieri poco consoni.

"Tu sei pazzo! Come fai a non sentire freddo? Io sembro un eschimese." Urlavo contro Justin indicando il mio cappotto e la mia sciarpa
"Oh ma buongiorno anche a te. Comunque non è che io non senta freddo, è che.."
"Si si ho capito, è che vestito in questo modo ti senti più figo. Stai tranquillo che non lo sei." dissi con sufficienza.
'Ma sei seria? Ti senti quando parli?'
Zitta coscienza. Shh

Purtroppo la sua vena ironica non era scomparsa, anzi tutto il contrario.
"Oggi il puffo si è svegliato di buono o cattivo umore?" mi provocò.
E poi che razza di soprannome è 'puffo'? 
"Se non la smetti te lo faccio capire da solo" gli risposi acida.
"Non ti piace il nome puffo?. È così carino.
E poi ti si addice. Non capisco perché quel colore di capelli, è bruttissimo. Non potevi farli, che so, neri, castani, biondi o persino il rosa sarebbe sembrato carino. Ma quel blu proprio..." mi disse con espressione divertita e provocatoria.
'Cerca di restare calma' mi ripetevo, mentre la rabbia cresceva dentro di me.
Non volevo dargli nessuna soddisfazione.
"Andiamo Paige? Abbiamo lezione e non voglio perderla" decisi di ignorarlo.
"No dai, aspettiamo ancora qualche minuto prima di entrare" si lamentò 
"Voglio assolutamente vedere Austin. Dov'è? Perchè non è con te?" 
"Ti ho detto di andare" ordinai con tono freddo e distaccato.
Paige mi seguì senza fiatare mentre quel cretino se la rideva sotto i baffi.

"Oh allora ciao mio piccolo puffo" sentì urlare non appena mi allontanai e poi una forte risata.

Mi girai solo una volta per osservarlo quando ormai ero già fuori dal suo campo visivo. Lo vidi circondato da un gruppo di ragazze. Ecco non perdeva tempo.
Anche la mia amica lo vide e mi guardò con uno sguardo sconsolato, quasi compassionevole. 
Ma io non avevo bisogno assolutamente della compassione della gente, tanto meno della sua.
Non mi interessava quello che faceva Justin o con chi stava.

•••

Dopo l'ultima ora di educazione fisica in cui avevo dato il massimo per espellere un po' del mio astio, andai negli spogliatoi insieme alla mia migliore amica per cambiarmi. 
Nel corridoio che separava la palestra dagli spogliatoi vidi Justin con una ragazza mai vista, i capelli scompigliati e la camicia abbottonata male. Lei non era in condizioni migliori.

"Non vedo l'ora di arrivare in mensa; ho una fame" continuava a ripetermi la mia compagna, ma io non le davo ascolto troppo impegnata a trovare un modo per evitare di incontrarlo.
La mia amica non l'aveva ancora visto.

Tirai Paige per un braccio e mi catapultai, nel vero senso della parola, all'interno della prima stanza che vidi.
Ovviamente la fortuna non era dalla mia parte e quando mi girai per capire dove mi trovassi, mi apparvero davanti i ragazzi della squadra di basket.
Alcuni avevano il completo da basket con il simbolo della scuola, altri erano appena usciti dalla doccia ed erano coperti da un solo asciugamano legato in vita. 
Dopo lo shock iniziale, tutti risero, si sentirono anche alcuni fischi e il borbottio di gran parte di loro.
Mi scusai velocemente, in modo quasi incomprensibile, rossa in viso.

Feci per uscire seguita da Paige quando la porta si aprì.
"Ehi capitano, abbiamo visite" ci schernì ridendo un ragazzo con i capelli lunghi  raccolti in una coda.
Tutti lo seguirono a ruota.

Io non osai parlare. 
Ma il ragazzo davanti a me non fu della stessa opinione.

"Kayla, Paige? Cosa ci fate voi qui?"
La confusione che si leggeva sul suo volto di quello che doveva essere il capitano non era poca, mentre io temevo di poter andare in fiamme dalla vergogna.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


A volte certe cose proprio non ce le si aspetta, ci spiazzano e ci lasciano a bocca aperta, senza fiato per pochi secondi o per un'intera vita.
A volte possono causare gioia, altre un po' meno.

Come potevo sapere che Chris fosse il capitano della squadra di basket della mia scuola? Di lui avevo perso le tracce ben 3 anni fa quando, dopo avermi regalato un po' di quella felicità che tanto bramavo, me l'ha letteralmente strappata via nel momento stesso in cui era scomparso dall'orfanotrofio.

Quando cercai lo sguardo di Paige, notai che la vergogna era passata,  sostituita da confusione mista ad una forte rabbia .
Sapevo che cosa avrebbe voluto dirgli, me lo aveva ripetuto spesso dopo la sua scomparsa. 

"È uno stronzo Kayla, non pensare più a lui" o ancora "Ti giuro che se lo vedo lo ammazzo" e così iniziava a delirare tirandomi un po' su di morale.

Dietro di lui non poteva mancare Justin che, nel frattempo, si godeva la scena. 

Non riuscì nemmeno a rispondergli che subito la frustrazione, la rabbia e lo stress accumulato in quei giorni si fecero sentire. 
Lo spinsi oltre la porta e camminai velocemente senza meta per qualche minuto.
Poi feci mente locale; pensai che ero in ritardo per la lezione di matematica e non avevo voglia di litigare con la prof.
L'altra opzione era andare a cercare Paige, ma scartai anche quest'idea perché non volevo correre il rischio di imbattermi nuovamente in Chris. 

"Di sicuro a quest'ora gli starà vomitando addosso tutti gli insulti che  le passano per la mente" pensai.

Così decisi di uscire in cortile e cercare un posto all'ombra sul retro dove nessun professore o collaboratore scolastico mi avrebbe visto.

Ad un certo punto sentì dei passi provenienti dalla mia sinistra e quando mi voltai vidi Justin con aria disinvolta venire dietro di me.
Lo sguardo tranquillo, come per dire "sapevo che ti avrei trovata qui".

Sarei dovuta andar via, come ho sempre fatto, ma non avevo nemmeno le forze.

Non mi infastidí molto la presenza di Chris, ma più che altro la consapevolezza del fatto che quando stavo per alzarmi, per riemergere mi piombava qualcosa addosso, anche minima che mi riportava a terra più ferita di prima.

Quando il ragazzo mi fu vicino, si sedette al mio fianco, a qualche centimetro di distanza. 
Le mie gambe rannicchiate contro il petto, le sue stese per intero.

Il silenzio si fece pesante, imbarazzante; poi fu spezzato dal suono della sua voce. 
"Continuo a dirtelo fa schifo questo colore, perché ti ostini a tingerli?" disse indicando i miei capelli, di un blu molto acceso, che svolazzavano per la brezza mattutina.

A me, invece, piacevano
Mi ricordavano così tante cose; il mare, il cielo, i miei errori, la mia stanchezza sottolineata anche dalla pelle pallidissima.

Per un primo momento lo ignorai ma lui continuò chiedendomi quale fosse il mio vero colore, quello naturale.

"Cosa vuoi Justin? Non ho intenzione di sprecare il mio tempo con te" dissi con tono arrabbiato.
"Sempre acida tu, eh?" 
Si forse lo ero un po' troppo.
"Dov'è Paige?"
"Ti stava cercando" disse e scrolló le spalle come se fosse una cosa tanto ovvia "in realtà ti stavamo cercando tutti."

Tralasciai quel "tutti" e aspettai che continuasse con le solite domande del tipo "Perché sei andata via?", "Conoscevi Chris?", "E Paige, anche lei lo conosce?"

"Non me l'aspettavo proprio, non da te almeno" proferì invece con un filo di voce.
"Cosa? In cosa ti ho così deluso?" Chiesi sarcastica, con un sorriso amaro. Rise piano per un breve lasso di tempo, poi parlò.
"Voglio dire, sei sempre così schietta, sputi sempre ciò che pensi in faccia agli altri, menefreghista verso tutto ciò che ti circonda e poi scappi dai problemi.
Come sei davvero Kayla?" 

Quest'ultima domanda mi spiazzó per un attimo.

Forse lui nemmeno si accorse di ciò che aveva detto, eppure le sue parole mi ronzarono in testa per molto tempo.
Per tutta la mia vita avevo cercato di dare una risposta a questo quesito. 
Ecco, com'ero veramente, non lo sapevo nemmeno io e l'avrei scoperto solo molto tempo dopo.

"Bisogna scoprirlo come sono, perché forse, in fondo, non lo so nemmeno io." dissi senza pensare.
Poi di nuovo silenzio, questa volta molto meno fastidioso.
"È un po' come la teoria delle forme" dissi sognante e con gli occhi leggermente socchiusi.

"La teoria delle forme ma che cavolo..." rise piano lui.

"Si Justin, è uno degli argomenti che più mi ha rapito e mi ha accompagnato per tutta la vita, rivelandosi sempre più vero. Mi sembra che riguardi il pensiero di un famoso poeta italiano.
A volte tendiamo ad indossare delle maschere, a seconda delle circostanze che ci vengono 'imposte' e risultiamo di volta in volta diversi agli occhi altrui.
Ci sforziamo così tanto di piacere agli altri mostrandoci con qualità che in realtà non ci rispecchiano che ci dimentichiamo di come siamo fatti veramente." 
Lo guardai e lo vidi con lo sguardo distante.
Sarà che l'avevo un po' spiazzato con questo discorso? Così decisi di cambiare argomento . 

"Lo incontrai quando avevo quattordici anni."
Avevo deciso di raccontargli questo aneddoto della mia vita, in quel momento avevo bisogno di sfogarmi.
Lui mi guardò con uno sguardo accigliato, non capendomi. 

"Chris intendo. È stato un po' quella folata di aria fresca nella mia vita sempre circondata dal buio.
È stato il mio primo bacio, il mio primo ragazzo, il mio primo forse amore." Dissi sempre con lo sguardo fisso in avanti. 
Justin non osó proferire parola e io non continuai, gli avevo già rivelato abbastanza.

"Adesso vado a cercare Paige, chissà dove si è cacciata" feci per incamminarmi, ma la sua voce mi bloccò.

"E allora se era così importante perché hai tutta questa rabbia verso di lui?" 
Già perché?  Me lo chiedevo anch'io.
Allora rividi Chris qualche anno fa, con i suoi capelli corvini e il suo sorriso affascinante, la sua energia e la voglia di fare tutte le esperienze del mondo.
E poi c'ero io, un'adolescente sempre incazzata con il mondo, il blu dei miei capelli uguale a quello del mio cuore. Era sempre tutto buio, scuro.
Sempre chiusa in me stessa, forse era destino che finisse così.

Io ero già in piedi, mi girai e lo guardai dall'alto "Perché io avrei ostacolato la sua voglia di libertà. Eravamo troppo diversi.
Chris l'aveva capito, io invece no" 

E me ne andai così, con queste parole che riecheggiavano nell'aria, mentre Justin se ne stava seduto nella sua immensa bellezza, con lo sguardo accigliato e confuso.     

•••

Trovai Paige solo alla fine delle lezioni , in mensa dove ci ritrovammo al solito tavolo insieme ad Austin che non sapeva dell'accaduto e Justin che, invece, mi scrutava attentamente mettendomi in imbarazzo.

Dopo aver pranzato tornai a casa, di nuovo a piedi perché puntualmente Austin era impegnato ad accompagnare a casa Paige. 
Ultimamente li avevo visti molto affiatati, ridevano e scherzavano e poi  lei mi non faceva altro di quanto fosse bello, divertente e bravo a guidare la sua adorata moto. 

Che si fosse presa una cotta per lui?
"Si perché tutti gli altri tranne te hanno rapporti sociali" sottolineò la mia coscienza.
"Devi intervenire sempre tu, eh?" 
"Dovresti ringraziarmi per questi interventi" 

Concluso il discorsetto con il mio cervello, mi ritrovai sulla soglia di casa, appoggiai la mia borsa a terra e mi accovacciai per cercare le chiavi. 
Poi sollevai lo sguardo verso l'ingresso di casa dove ad aspettarmi c'era proprio Chris. 

Le mani in tasca, lo sguardo basso quasi imbarazzato, si dondolava sui talloni non sapendo cosa fare. 

"Volevo spiegarti tante cose, se mi darai la possibilità di farlo" e spezzò il silenzio

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