Ho bisogno di stupire

di mari05
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Ho bisogno di stupire.
Ho un bisogno quasi viscerale di far capire agli altri che so fare qualcosa, che ne sono capace.
Ed è proprio per questo che disegno, scrivo e leggo tanto.
Sì, perché è così appagante sapere che c’è qualcuno che mi ammira, perché è così gratificante vedere gli occhi fieri delle persone che mi guardano.
Essere brava, però, comporta degli svantaggi.Nulla è più pesanti del peso che porto sulle mie spalle, un peso che si manifesta quando vedo che non è abbastanza.
La prof sta guardando lei: sì, ora la sta fissando, ha lo stesso sguardo fiero che un tempo rivolgeva  a me.La cosa brutta è che il suo stupore è durato solo quel tanto di tempo che ha usato per studiarmi, per comprendermi.
Durante quel periodo, il peso che porto sulle mie spalle si è alleggerito talmente tanto che mi è sembrato di volare.
Allo stupore si è susseguito il pretendere qualcosa da me, lo spingermi verso un dirupo di conoscenza da cui sono attratta come una calamita.
Non dimenticherò mai lo sguardo pretenzioso che mi rivolge ogni volta.E ogni volta, il peso diventa sempre più pesante.E non dimenticherò mai neanche quell’altro sguardo, quello che riserva solo e solamente quando non rispondo.Non sono perfetta.
L’ho detto, voglio solo stupire.Ma il tempo dello stupore è finito da tanto.
E io… ho perso la voglia.Ho perso la voglio di vedere i suoi occhi e il suo sorriso.Però continuo. Anche se non ne ho più voglia, continuo a stupire. E, in quei rari momenti, vedere la sorpresa nei suoi occhi color cioccolato e la felicità nel suo mesto sorriso distrugge quel peso con la forza di dieci uomini.
E io torno a vivere.

 
 
Angolo autrice.
Alloooooora!
Questa è la mia prima storia qui, ma sappiate che ne ho in serbo molte altre.
Comunque, ho deciso di scrivere qui un po’ di pensieri relativi a delle esperienze scolastiche puramente (se se certo) casuali. Inutile dire che la storia avrà più capitoli…
Spero che vi possa piacere, detto questo un bacione! ;-)

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Capitolo 2
*** 2 ***


Perché, Perché, perché?
Perché, quando mi ha chiamato, nell’ora di grammatica, non ho saputo rispondere?
Perché ho blaterato cose a caso, colta dall’agitazione in un momento così stupido?
Per ché ha chiamato proprio me, perché proprio io? Perché ha continuato a guardarmi, come per rimproverarmi di non essere perfetta ed impeccabile?
Il suo sguardo pretenzioso e allo stesso tempo deluso mi ha lasciato una cicatrice talmente profonda e visibile che credo non la dimenticherò mai.
Vorrei piangere, gridare, farle capire che mi ha fatto male, che è dalla fine dell’anno scorso che continua a premere, a volere di più, a pretendere qualcosa che non c’è più, che se n’è andato quando ho capito di non essere la migliore, di non essere come lei vuole.
La odio, la odio con tutta me stessa.
Perché proprio io? Perché doveva scegliere me, segnarmi, marchiarmi?
La odio, la detesto, vorrei solo uscire da questo schifo di vita, morire e poi risuscitare e poi sputarle in faccia e dirle basta.
Non voglio essere al centro dell’attenzione, non voglio che mi guardi, che pretendi, che parli.
Ma ho troppa paura di farlo.
E so che peggiorerei solo le cose.
Quindi piango in silenzio, muoio dentro mentre lei mi guarda.
E mi guarda.
E mi guarda.


 
Vorrei morire.
Ѐ l’ora di antologia, la prof sta parlando delle poesie e di come siano legate al rap, ci fa aprire il libro e ci fa andare alla pagina di una poesia molto ritmata.
Poi chiede chi vuole leggerla, ma visto che nessuno si offre decide di leggerla lei.
Le parole sono graffianti, dure, si schiantano contro le nostre orecchie,e ci incantano nel miglior modo possibile.
Dopo chiede nuovamente chi vuole leggerla.
Alzo la mano. Sono la prima.
La prof non è affatto sorpresa, anzi.
Per lei è ovvia una cosa del genere.
Pensando sia semplice, comincio a leggere. Mi blocco quando capisco di star leggendo uno schifo.
Lei mi guarda il suo sguardo è un misto di delusione e rabbia, mi trafigge e mi pugnala, più e più volte.
Mi copro la faccia con le mani. Mi è passata la voglia.
Lei mi incita a continuare, ma, non appena, ricomincio, mi ferma, frustrata e tesa.
Sto perdendo il ritmo, pare. Lei me lo dice più e più volte, e, quando finisco, mi copro nuovamente il viso con le mani: non voglio guardarla.
Anche se mi rivolge rare occhiate fugaci, so che mi fissa, so che vuole vedere la mia reazione.
Io continuo a non volerla guardare, anche se mi fissa.
E continua.
E continua.
E continua.
 
Angolo autrice.
Allooooooooorrrrra!
Piaciuta? Be’, devo ammettere che non è malaccio… comunque, per chi lo volesse sapere, ho unito due “capitoli” (ovvero i foglietti di carta che conservo nel diario scolastico)  visto che erano entrambi molto corti.
Detto questo, vi lascio, un bacione <3
p.s. a breve pubblicherò una ff, preparatevi!

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Capitolo 3
*** 3 ***


“Tu hai dei seri problemi” mi dice ridacchiando.
Non è vero.
Non è affatto vero.
Ho solo domandato com’era vestita… non è normale?
Ѐ normalissimo… no?
Sono solo interessata a saperlo. È una cosa più che normale.
La cosa che invece è strana e bizzarra è l’agitazione e il battito accelerato che sono comparsi  quando  ho saputo che sarebbe venuta.
Un giorno senza di lei è stato come un giorno senza ossigeno.
Eccola. È entrata in classe.
Se fossi stata attaccata a quelle macchine che registrano il battito cardiaco, sarebbe già esplosa nel recepirli.
Finalmente so com’è vestita.
Ha una maglietta turchese e i capelli legati.
Com’è bella.
Traspira cultura già dagli abiti.
Però è tesa come una corda di violino. Lo noto dagli occhi stanchi e pensierosi, e dal modo di fare. E mi dispiace, anche se non so perché.
Ora, durante la lezione, una farfallina che può tranquillamente essere scambiata per falena si è posata sui suoi capelli, e lei scuote il capo per mandarla via.
Tutto questo è così infantile e dolce…
…e io sorrido spensierata.


Angolo autrice
Alloorrraaaaaa! Che ne dite? Credo che questa sia il capitolo più strano che io abbia mai scritto… Mi raccomando recensite! 

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Capitolo 4
*** 4 ***


7.1
Sussulto quando vedo il voto stampato dietro al compito.
La prof aveva detto che i compiti erano stati disastrosi, ma non pensavo così disastrosi.
Non credo di aver fatto tanti errori. Solo un paio di segni rossi nella prima pagina, qualche altra correzione nelle altre due…
…e poi la parte realmente disastrosa.
La grammatica.
Il disastro.
Non ho azzeccato un avverbio.
Neanche uno.
MIO DIO.
CAZZO, QUANTO SONO STUPIDA?
Dio, quando posso essere ottusa per aver sbagliato ben dieci esercizi?
Guardo il suo compito. E bellissimo. Neanche un appunto di penna rossa, neanche uno.
Quanto cazzo sono stupida?
Alzo lo sguardo, e lei è davanti a me. Mi fissa con quegli occhi bellissimi, caldi, che ora sono duri come la pietra.
So che quando ha detto che i compiti erano andati male si riferiva a me.
Anche se ci so ragazzi che hanno avuto voti più bassi del mio, so che sotto sotto si sta riferendo a me.
Cerco di reprimere le lacrime.
Non voglio che mi veda.
Anzi, lo voglio, lo voglio con tutta me stessa desidero che lo sappia, che si senta in colpa, che tolga il voto, a questo punto.
Ma sto zitta.
Taccio perché so che tanto lei lo sa, ammutolisco perché possa vederle.
E dentro di me sgorgano le lacrime.


Angolo autrice.
Allooooorrrraaa!
Vi piace? Eh, vi piace?
Visto che non scrivo un emerita minchia dentro questo angolo, ho deciso di metterci una piccola riflessione su questo brano: ovviamente il 7 non è un voto basso. Semplicemente la protagonista lo vede come un voto bassissimo di fronte alla sua prof preferita perché è abituata a prendere 8,9 e 10.
Quindi, detto questo, vi lascio alle VOSTRE riflessioni, che gradirei scriveste nelle recensioni.

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Capitolo 5
*** 5 ***


So che non avrei dovuto.

So che non avrei dovuto quasi mettermi a piangere, durante l’ora di antologia, mentre la prof leggeva i nomi dei miei compagni di classe e correggeva i loro racconti uno ad uno.

Loro non meritavano di essere chiamati. Io sì.

Sapevo che il mio racconto avrebbe superato di gran lunga quello di qualsiasi altro ragazzo presente in quell’aula.

Ma sapevo anche che lei non l’avrebbe notato.

I nomi continuano a non toccarmi, i loro racconti sono spazzatura rispetto al mio.

Non azzeccano un verbo, un accento, un apostrofo.

Cavolo, vorrei essere lì.

Vorrei essere lì, accanto a lei, sentire il suo respiro mentre ascolta cosa ho da dire.

Ma so che non succederà.

Di solito dalla busta bianca escono solo i ragazzi incapaci, non io. Escono uno dopo l’altro, e sono costretti  a leggere i racconti che probabilmente hanno scritto in fretta e furia mentre andavano a giocare a calcio con i loro amici.

Il numero 10,7,11,12,20 e 19 leggono le loro storie.

Ѐ tutto così… banale. Uno di loro ha addirittura raccontato che ha ricevuto la Ps4 che voleva da tempo.

Dio, vorrei essere lì.

E poi, il mondo si ferma.

Dalla busta bianca esce il mio nome, e lei sorride.

I suoi denti bianchi illuminano la stanza e io sono paralizzata davanti a quello spettacolo.

Comincio a tremare. E se sbagliassi qualcosa? Mi alzo. Comincio a sentire il cuore premere contro il mio petto, l’ansia salire inesorabilmente e un nodo stringermi lo stomaco.

Eccomi. Sono davanti a lei.

Lei sorride di nuovo, un sorriso di circostanza che riscalda la stanza.

Apro il quaderno. Non posso crederci.

Faccio un respiro profondo.

“Leggo io?” chiedo. Lo chiedo sempre, perché so che a volte vuole essere lei a farlo. Ma so che non vuole e che risponderà di no. Ogni volta, mi chiede di leggere, perché vuole semplicemente capacitarsi di quello che ho scritto. Vuole essere… stupita.

Ed è proprio quello che feci.

La stupii.

“Di momenti così ne ho vissuti pochissimi. Davvero, credo che si possano contare sulle dita di una mano tanto sono pochi. Per esempio, quando ho letto quel libro talmente bello che mi è sembrato più di viverlo che di leggerlo, o quando ancora ho scritto l’ultima parola dell’ultima frase dell’ultima pagina del libro che ho paura di pubblicare, o quando ancora… insomma, avete capito.

Di solito, di momenti così ne capitano pochi. Perché sono una che non si fa troppo prendere, io; anche se a volte sono proprio io quella che si fa avvolgere dalle emozioni e che le usa come dei veri e propri vestiti, solo per sapere com’è. Sentirsi felici, intendo.

Ma quel momento, quell’attimo così ordinario e quotidiano, fu inaspettato e sfrontato come una pugnalata in pieno petto. Io e una quarantina di altri ragazzi, armati di strumenti, suonavamo davanti a Lui.

Lui era una persona come le altre, uno dei tanti spettatori della nostra musica.

Lui era uno come tanti.

E mai avevo pensato che nel bel mezzo del brano cominciasse a cantare.

-Ascolto e poi vediamo- aveva detto, allora perché proprio in quel momento ci stava cullando con la sua splendida e meravigliosa voce?

-Calma, non farti avvolgere dalle emozioni. Non distrarti. Continua a suonare- mi dico, ma la tentazione è troppo forte… e la sua voce così bella.

Rimango lì, con lo strumento vicino alla bocca, che mi implora di essere suonato,ma che viene inesorabilmente ignorato da una me troppo attenta a quelle parole.

La sua voce mi bacia, mi accarezza, mi abbraccia, e poi mi molla, mi spintona, si fa pregare, vuole che io mi inginocchi, che mi accasci davanti a lui, trasportata dal ritmo della musica.

Scombussolata da quel momento, mi guardo attorno, e vedo che Mattia mi sta fissando.

Anche lui sa.

Mi chiedo se quando succede a lui ha la mia stessa espressione.

E poi mi porto lo strumento alle labbra, come se niente fosse.”


Quando finisco, tutta la classe è in silenzio. Bastano pochi secondi, e esplodono in un applauso.

Fischi, applausi e grida si propagano nell’aula.

E io sono al centro di tutti quanti.

Mi chiedo perché lei non li faccia finire, e mi giro verso di lei.

Vedo che sorride. Un sorriso sincero, caldissimo e pieno di emozione fa prendere fuoco alle mie guance.

“Ѐ stato… è stato davvero stupendo. Giuro, mi hai quasi commossa mentre lo leggevi!” esclama. Non posso crederci. Mai mi ha detto una cosa del genere. Si è sempre limitata a dirmi “bello, sì, carino”. Mai una cosa di quel tipo.

“Il tuo è un vero è proprio stile! È davvero scritto benissimo, brava!”

Sento le lacrime che vogliono uscire, ma le reprimo immediatamente. È  troppo bello per piangere. È troppo surreale perché delle lacrime possano distruggerlo.

Ѐ un sogno. Semplicemente un sogno.

Quando esco dalla porta, mi sento strana.

Mi tocco sulle spalle, e vedo che il peso non c’è più.

Non c’è più.

E io sto volando.

Sono troppo felice per non gridare. Troppo contenta per non farlo.

“SI Ѐ COMMOSSA!” grido in mezzo alla gente. Tutti si girano a guardarmi. “SI Ѐ COMMOSSA!” ripeto.

“LEI SI Ѐ COMMOSSA, DIO, SI Ѐ COMMOSSA!” comincio a saltare, a urlare, sono troppo euforica per farmi fermare.

Lei  si è commossa.

Si è stupita.

E io con lei.


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Capitolo 6
*** 6 ***


Non avrei dovuto.
Non avrei dovuto mettermi a piangere, durante l’ora di storia, appena finita la verifica di grammatica.
Lei sapeva che non sarei riuscita a completarla. Lei ne era consapevole, ma nonostante questo mi ha dato lo stesso il testo da analizzare, bensì avesse notato più di una volta il mio sguardo che la pregava come a dire “Lasciami, più tempo, te ne prego!” ha lasciato che le consegnassi il mio compito non completato.
Sono cosciente del fatto che lunedì continueremo a farlo, e il fatto che non sono riuscita a finirlo in quei venticinque minuti che ci aveva assegnato sarebbe andato dimenticato, ma nonostante ciò c’è qualcosa, o meglio qualcuno,lei, che continua a spingere sulle mie spalle, continua a spingere, spingere, spingere…
E fu proprio per questo che piansi, durante l’ora di storia, appena finita l’ora di grammatica.
Di solito le lacrime escono, ma non si vedono mai. Escono ma rimangono dentro, tra il cuore e i polmoni; mai sono arrivate così lontano, perché io sono sempre stata in grado di… di asciugarle.
“Ehi, tutto apposto?” mi chiede lui, mentre mi vede piangere.
Mi piace il legame che ho stretto con lui, soprattutto perché finalmente ha trovato una persona vera che lo aiuti.
Ma in quel momento non ho bisogno di lui. Ho bisogno di piangere.
“Niente, non ho niente…”mormoro a bassissima voce, mentre tutti gli altri si girano e spalancano gli occhi.
Tutti. TUTTI.
“Dai, non fare così!”
“è solo un compito, dai…”
“Ma che succede?”
“Non preoccuparti…”
Non li ascolto. Nelle mie orecchie ci sono solamente tutte le critiche, i commenti negativi…
Non è brutto… solo non è come volevo.
Non mi sembra che l’abbia scritto tu… sicura di non averlo copiato?
Troppo pesante… non credo possa piacere ad un pubblico.

In quel momento, mentre la prof di storia cerca di calmarmi dicendomi che non c’è bisogno di piangere per una cosa del genere, è come se assieme alle lacrime stiano uscendo anche i ricordi.
E le urla.
E le grida.
E i sussulti.
Vorrei dire alla prof che non sto piangendo perché non ho finito il compito, o meglio, è quello che può sembrare, ma sto piangendo semplicemente perché so che lei saprà, che si ricorderà per sempre che non l’ho finito.
“NON MI IMPORTA SE SI AGGIUSTERÀ TUTTO. VOGLIO SOLO CHE LEI NON SAPPIA CHE NON L’HO FINITO.”
Ma lei lo sa. Il danno è fatto. La ferita è stata aperta, e tutto il sangue sta schizzando fuori.
Mentre cerco di calmarmi e di sembrare una persona normale che piange solo per un compito, succede una cosa straordinaria.
Lei apre la porta.
E mi vede.
L’ho vista! Sono stata la prima persona su cui ha posato gli occhi! Le sta vedendo? Sì, le sta vedendo, le lacrime? Spero di sì.
Ma, quando penso che si avvicinerà a me e mi dirà che sono la migliore e che non c’è bisogno di preoccuparsi, lei si gira dall’altra parte e chiede se i 3 ragazzi assenti hanno portato le firme dell’avviso.
Ho sperato.
Per quell’attimo, ho sperato che lei lo avesse saputo.
Ma è sempre uguale. Il peso è sempre lì. E i suoi occhi, i suoi occhi bellissimi e profondi e meravigliosi sono ancora lì.
Sì, per questo mi sono messa a piangere, durante l’ora di storia, dopo il compito di grammatica.

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