La Teoria del Caos di 92Rosaspina (/viewuser.php?uid=67694)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Colloqui di lavoro alternativi ***
Capitolo 2: *** 2.Cartomanzia e trasmutazioni ***
Capitolo 3: *** 3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa ***
Capitolo 4: *** 4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario. ***
Capitolo 5: *** 5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali ***
Capitolo 6: *** 6. Quando il gatto non c'è... ***
Capitolo 7: *** 7. Signore!...e signori... ***
Capitolo 8: *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown ***
Capitolo 9: *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World ***
Capitolo 10: *** 8. Vasta gamma ***
Capitolo 11: *** 9. Il principe azzurro ha la moto. ***
Capitolo 12: *** 10. Bevi responsabilmente. ***
Capitolo 13: *** 11. 50 sfumature di che casino ho fatto?! ***
Capitolo 14: *** 12. Drago Stellare Maestoso ***
Capitolo 15: *** 13. A volte ritornano ***
Capitolo 16: *** 14- Falle nel sistema - parte 1. ***
Capitolo 17: *** 15. Falle nel sistema- parte due ***
Capitolo 1 *** 1.Colloqui di lavoro alternativi ***
Pharaoh's Kingdom 1
1.Colloqui di lavoro alternativi
Un
sognatore è colui che non sa trovare la propria via se non al
lume della luna; e il suo castigo è che egli vede l'alba assai
prima degli altri.
Oscar Wilde, 1888
- Tutto questo è ingiusto.
Dovresti andarci tu a scaricare la merce, e senza fare storie!-
- Oh davvero? E secondo quale comandamento non scritto?-
- Ieri hai mangiato tutti gli ingredienti dei profiteroles!-
- Bugiardo! Ho solo fatto il mio
consueto assaggio, com'è giusto che sia, prima di cominciare a
preparare i dolci!-
- E hai assaggiato tutti gli ingredienti, mi sembra sensato!-
- Beh, ma alla fine ho preparato il dolce richiesto!-
- Esatto, IL DOLCE! Ti avevamo richiesto TRE porzioni!-
- Beh, io ne ho preparata UNA da tre persone! Che differenza c'è?!-
- C'è una grossa differenza! Accidenti a te...carta-
Quando il dieci di quadri andò a posarsi accanto alla regina di
cuori e al tre di fiori, le speranze di Yusei di restare in partita
crollarono come un castello di carte trascinato dal vento. Con gli
occhi blu sgranati sulle carte che segnavano la sua sconfitta, e le
mani tra i capelli scuri, il giovane si sentì più nudo
che mai, nonostante a coprirlo ci fosse ancora il grosso grembiule
nero. Strinse inconsapevolmente le gambe, mentre sentiva Judai
esplodere in una roboante risata di vittoria con tanto di braccia
alzate in segno di trionfo. Poco distanti da loro, Yuma e Yuya, che a
nominarli insieme sembravano formare un improbabile duo comico
accomunato dalla passione per i capelli colorati, alzarono gli occhi
dal bancone e dai bicchieri che stavano sistemando con cura, per
posarli sul variopinto quartetto che trafficava con le carte su quel
mezzo metro di quercia scura.
C'era Judai, come già nominato poco prima, che sorrideva
vittorioso e allegro come avevano imparato a conoscerlo, i folti
capelli castani che si striavano d'oro sotto i faretti del bancone; a
veramente pochi centimetri di distanza, abbastanza da essere colmati da
uno sganassone che chissà cosa stava trattenendo Yusei dal
rifilargli, il moro aspirante astronomo si sfregava gli occhi con
fervore, curvo su sé stesso più che gli riusciva, con le
ginocchia piegate al petto e solo il grembiule nero a coprirlo dalla
vita a scendere (quando e soprattutto come aveva rimediato tutte quelle
cicatrici sul braccio destro, di grazia?!). Dietro al bancone, invece,
Yugi aveva momentaneamente distolto lo sguardo dalla mano di blackjack
per concentrarsi sul suo smartphone. Le dita scorrevano veloci sul
tastierino virtuale, componendo un messaggio piuttosto lungo: davvero,
quel ragazzo doveva imparare ad essere più sintetico quando
scriveva al telefono. Accanto a lui, in piedi a schiena ben ritta, come
un implacabile giudice infernale, Atem sorrideva ad entrambi i
giocatori, le labbra piegate in quel suo solito, affabile sorriso
sornione, tipico dei professionisti del poker, dei prestigiatori o
delle grandi menti criminali che si mischiavano tra la folla.
- Sembrerebbe che l'incombenza tocchi a te, Yusei-
Anche la voce di Atem era quella bassa e profonda di un narratore
onnisciente, e le sue parole erano quelle sicure e dirette di un abile
stratega e calcolatore. Yuma si lasciò sfuggire un ghigno e si
voltò verso Yuya, l'ultimo arrivato che ancora non aveva avuto
occasione di ammirare il padrone di casa all'opera seriamente: lo sguardo del giovane rimbalzava ora su Yuma, ora su Yusei tutto
rannicchiato sullo sgabello, ora su Judai e infine su Atem,
imperturbabile arbitro di quella insolita sfida, e il ragazzo non
riuscì a non ghignare a sua volta.
Conosceva Atem abbastanza per poter dire, con certezza, che non parlava
mai a vanvera, e che usava con molta accortezza le parole da
utilizzare. E quel “sembrerebbe” era bastato a far drizzare
le antenne di tutti, Yusei incluso che, dopo qualche attimo di tormento
interiore, aveva alzato lo sguardo verso di lui e lo stava osservando
speranzoso, gli occhi scintillanti di un assetato nel deserto che
scorgeva, oltre una duna di sabbia, la vegetazione di un'oasi.
- A ben pensarci, potrebbe però esserci un modo per far ricadere l'onere su Judai-
Agli occhi di un qualsiasi estraneo, non sarebbero apparsi niente
più che due ragazzini troppo cresciuti dai capelli colorati e
quattro pseudo-adulti, di cui uno vergognosamente nudo (o quasi) che si
erano sollazzati in una partita a blackjack, mettendo i loro capi di
vestiario come puntate nel piatto: un modo molto subdolo, ma
imparziale, che Atem aveva per assegnare ingrati compiti ed incombenze
come quella di andare a scaricare la merce in arrivo; a nessuno piaceva
passare tre quarti d'ora e anche più a tirare fuori scatole
dalla cabina di un furgoncino, e men che meno piaceva passare lo stesso
quantitativo di tempo a fare avanti e indietro con i carrelli per
portarle nel deposito del locale.
Ognuno cercava sempre di scaricare la faticosa incombenza sul proprio
collega, e agli inizi la cosa aveva creato accesi diverbi conditi da
frasi a effetto e orribili recriminazioni lanciate da una parte
all'altra del locale; alla fine le baruffe si concludevano tutte con un
giro di bicchieri per tutti, e amici come prima. Ma le discussioni, con
il tempo, erano diventate sempre più intense e accese, e quando
si era cominciato a mettere mano ai preziosi bicchieri di cristallo, e
usarli come improprie armi da lancio, Atem aveva deciso di usare la sua
autorità e, in quanto direttore e anima pensante alla testa del
Pharaoh's Kingdom, aveva annunciato che, da quel momento in poi,
sarebbe stata la sorte a decidere chi avesse compiuto, di volta in
volta, le operazioni di carico e scarico.
In sintesi, metteva mano al suo sabot di carte francesi e metteva i
contendenti faccia a faccia con le due opzioni disponibili: la prima,
la possibilità di scaricare la merce, la seconda, la certezza di
scaricare la merce vestiti solo dell'abito donatogli da Madre Natura
dopo il parto.
Tuttavia, quella volta c'erano stati dei cambiamenti.
Atem aveva astenuto i due ragazzi e il fratello Yugi dal duello,
sostenendo che avesse bisogno della loro presenza nel locale. Yuma e
Yuya erano due pesti in fatto di preparazione di cocktail e bevande: il
primo creava combinazioni di dubbio gusto che spedivano in coma etilico
chiunque osasse avvicinare il naso al bicchiere, il secondo a volte
esagerava con i virtuosismi e le acrobazie, mandando a fracassarsi
qualche calice o, nei casi peggiori, intere bottiglie che gli venivano
sottratte dallo stipendio. Entrambi, però, erano estremamente
svelti nelle preparazioni, e quando gli si davano ordinazioni precise
erano meticolosi e accorti e, soprattutto, efficaci: il Martini del
Pharaoh's Kingdom aveva fama di essere il migliore tra i Lounge Bar
della città. La loro impareggiabile velocità li rendeva
preziosissimi nell'arco della serata, e non era il caso di dimezzare le
loro energie con una fatica intensa come quella dello scarico merci.
In quel periodo, inoltre, avevano urgente bisogno di un addetto alle
ordinazioni e Yugi, per quanto bravo e veloce, a volte non riusciva a
gestirle tutte da solo: la grossa mole di clienti rendeva, spesso e
volentieri, necessaria anche l'entrata in gioco di Atem, armato di
tablet e penna digitale.
Le inattaccabili motivazioni secondo cui il trio era stato esentato
dalla sfida, non erano bastate per fermare le lamentele e le proteste
di Judai, né per arginare il seguente fiume di imprecazioni di
Yusei: non era giusto, diceva il primo, non ci penso neanche, diceva il
secondo tra un'imprecazione e una bestemmia celata.
Atem aveva quindi sorriso sornione, com'era solito fare, e con una
scintilla di maligno divertimento ad illuminargli le iridi ametista
aveva annunciato che, se le cose stavano davvero così, allora
avrebbero entrambi scaricato la merce, entrambi nudi come la mamma li
aveva fatti e senza neanche il grembiule che, in quel momento, si stava
rivelando tanto caro e utile a Yusei.
Ecco quindi come erano finiti, rispettivamente lo chef e il capobar del
Pharaoh's Kingdom, a denundarsi reciprocamente a colpi di carte da
Blackjack.
E la Fortuna si era sporta a baciare la fronte di Judai, quella sera:
il giovane era stato in netto vantaggio fin dalle prime puntate,
costretto a liberarsi semplicemente della pettorina del grembiule, di
gilet e camicia, mentre i vestiti di Yusei avevano iniziato ad
ammucchiarsi uno ad uno su un punto del bancone. Il tonante boato di
risate che aveva seguito il dolce planare dei suoi boxer sul bancone
aveva quasi scosso la vetrinetta alle loro spalle, e Yuya si era
lasciato sfuggire un bicchiere, caduto con un sordo tonfo nel lavello
sottostante.
L'ultima mano giocata aveva decretato la fine dello spietato gioco e
l'apparente vittoria di Judai: tuttavia Atem sembrava avere qualcosa in
serbo per loro, e trovava davvero divertente tenerli bonariamente sulle
spine mentre, in religioso silenzio, Yusei più speranzoso che
mai, lo osservavano tutti prepararsi, con pochi esperti gesti, un
perfetto Martini freddo al punto giusto, merito del ghiaccio grosso e
con la canonica oliva che produsse un delicato, impercettibile
“plop” quando affondò nel bicchiere. Atem fece
scorrere lo sguardo sui suoi colleghi, mentre pollice ed indice della
mano destra regalavano, alla sua miscela, una impercettibile punta di
sale.
- Ma ricorda, Yusei, avrai una
sola possibilità- disse poi Atem, una volta bevuto un sorso del
suo Martini – One call, rispondi o perdi-
- Sono pronto. Cosa devo fare?-
Atem sorrise ancora, questa volta più ampio e suadente. E solo
allora Yusei sentì un brivido partirgli dal retro della nuca e
percorrergli di scatto tutta la schiena, lasciandogli un'ustionante
scia fredda che gli fece leccare nervosamente le labbra.
Non era mai un bel segno, quando Atem sfoderava quel sorriso provocante
e maliardo insieme. Judai stesso si accigliò, arricciando il
naso infastidito dalla possibilità di perdere la sua vittoria.
- Come ben saprai, noi siamo alla
ricerca di un secondo cameriere- spiegò Atem, sorseggiando il
suo Martini tra una pausa e l'altra – Ho affisso un cartello
apposito, all'entrata principale e secondaria del Pharaoh's Kingdom, e
pubblicato un annuncio su un sito specialistico. Ho lasciato
disponibili per i colloqui le due ore precedenti l'orario di
apertura...beh, ecco cosa ti propongo-
Atem si concesse un'ennesima pausa, per accrescere la teatralità
del suo discorso e bere ancora qualche piccolo sorso. Sentiva i loro
sguardi addosso, stavano tutti letteralmente pendendo dalle loro labbra.
Gli piaceva essere al centro dell'attenzione, come un re. O un faraone, per restare in tema con il suo locale.
- Al primo che entrerà da
quella porta...- e gliela indicò, alzando il bicchiere di
Martini verso la porta di vetro – Regalerai un bel bacio sulla
bocca-
Yusei sembrò sgonfiarsi come un gigantesco pallone bucato con
uno spillo. Lo osservò con tanto d'occhi, quasi gli fosse
spuntata una seconda testa bavosa o un terzo occhio in fronte.
- Ovviamente, con
“primo” intendo chiunque varcherà per primo quella
soglia. Potrà essere una ragazza giovane e carina, potrà
essere una vecchia. Potrà anche essere un lui, per quello che ne
sappiamo. Ti esento dai bambini, non vorrei farti finire nei guai per
una goliardata. Ah, ho ragione di pensare che i tuoi colleghi si
godranno il doppio del divertimento se ti vedranno ancheggiare per
bene, quando andrai dalla persona in questione-
Fu come sventolare un drappo rosso sotto il naso di un toro: Yuma
esplose in una grossa risata e per poco non rifilò una
ginocchiata al mobiletto dietro il bancone, mentre Yugi e Judai
scambiarono un vigoroso “cinque”, unendosi al giovane
barman. Yuya sgranò gli occhi prima di scoppiare a
ridere anche lui, mentre Yusei balzò in piedi come se fosse
stato morso da una tarantola.
Atem era un giovane uomo altruista e generoso, sempre pronto ad
offrirti una mano così come a chiuderla e a farla schiantare
sulla tua faccia, dritto sul naso; ma ciò che più
stupiva, di lui, era la perfidia che metteva nelle sue penitenze e
punizioni, roba da far passare un aguzzino come un bimbo delle
elementari che rubava caramelle. Tempo prima, per una scommessa persa,
Yuya si era ritrovato con una mano legata dietro la schiena, mentre con
l'altra preparava i suoi soliti cocktail: era stato faticoso certo, e
anche frustrante in alcuni momenti, eppure lo aveva aiutato a
sviluppare riflessi più pronti e a migliorare le sue acrobazie
con shaker e bottiglie, quindi doveva anche ringraziarlo, in un certo
senso.
Quello che però stava proponendo ora era una cosa che rasentava
l'impossibile: per quanto affabile e gentile, Yusei restava sempre un
ragazzo serio al limite dell'imbronciato, capace anche di stare allo
scherzo ma non così. Chiedergli di avvicinare, in quelle
condizioni poi, un perfetto sconosciuto e addirittura baciarlo...no,
era troppo anche per lui.
- L'alternativa sarebbe...?- chiese Yusei affranto, con un filo di voce.
- La immagini da solo l'alternativa- gli
rispose Atem, suadente – Sarai tu a scaricare la merce e lo farai
solo col grembiule addosso. Anzi, potrei pensare di farti togliere
anche quello-
- Ma-maledizione...-
Fu un infinito attimo di silenzio quello che seguì
l'imprecazione di Yusei, rotto solo dal dolce, ovattato glissare della
porta di vetro.
A ben pensarci sopra, era una cosa da pazzi. Quello che stava facendo
non aveva alcun senso. Tutti, tutti gliel'avevano detto: amiche, amici,
cugini, parentame assortito sostenevano che non servisse, che non ce ne
fosse bisogno, che poteva tranquillamente risparmiarselo. Perché
lavorare per pagarsi gli studi di medicina? La sua famiglia era pronta
a sostenere tutte le sue spese, avrebbe avuto vita facile, tanto tempo
per studiare e sicuramente non avrebbe avuto necessità di
mischiarsi con la “gentaglia”, come suo zio l'aveva
apostrofata.
Forse era stata proprio quella denominazione a far storcere il naso ad Aki.
Gentaglia, l'aveva chiamata. Persone che, a differenza loro, non
avevano avuto la fortuna di nascere a Nuova Domino ma in qualche
pidocchioso, polveroso buco, covo di criminali o piccola cittadina
rurale che fosse. Il solo pensare di avere, in famiglia, qualcuno che
nutrisse così bassi pensieri e opinioni sociali le aveva fatto
ribollire il sangue dalla rabbia.
Era una ragazza dei ceti sociali più alti, era vero, con ogni
bene e fortuna a sua disposizione e un capitale sicuro al quale
attingere in ogni momento: era forse un crimine mettersi in gioco nella
vita vera e provare ad avanzare da sola, con i suoi passi, senza che ci
fosse qualcuno pronto a costruirle la strada usando le banconote come
manto stradale?
La cosa le dava quasi il voltastomaco, a ripensarci.
Aveva lasciato la casa paterna con due valigie, qualche vestito e aveva
anticipato l'affitto di un bilocale in centro, grande abbastanza per
stare comoda da sola. Ma le spese condominiali non si pagavano da sole,
e l'appartamento in sé aveva diversi problemi: una grossa
macchia di umido nel bagno indicava una perdita, e la caldaia si
bloccava spesso quando prolungava di qualche minuto la sua doccia
ristoratrice, lasciandola senza acqua calda del giro di qualche
istante. Per non parlare dell'impianto elettrico che saltava quando
collegava la piastra per capelli e lo stereo insieme.
Tutti difettucci, questi, che richiedevano della manutenzione che il
padrone di casa non intendeva offrirle, anzi. Era chiaro che, se voleva
davvero sistemarli, doveva provvedere lei personalmente a mettersi in
contatto con qualche professionista.
Le servivano soldi, in poche parole. E non aveva alcuna intenzione di
darla subito vinta alla sua famiglia e attingere al suo patrimonio.
Aveva con sé un piccolo fondo economico, quanto bastava per
vivere bene per qualche mese, e doveva correre subito ai ripari se
voleva una seconda entrata.
E quindi eccola lì, a salire la breve rampa di scale che portava
all'accesso al cuore del Pharaoh's Kingdom. La guardia all'entrata
l'aveva quasi respinta, sostenendo che non fosse orario di apertura, ma
quando lo aveva rimbeccato menzionandogli un probabile colloquio di
lavoro si era fatto da parte, silenzioso ed imperturbabile.
Per arrivare alla sala si salire una rampa di scale stretta, ma
sufficientemente illuminata per evitare di inciampare sui gradini. Con
una mano che scivolava sul muro, quasi a cercare un invisibile
sostegno, Aki si sistemò meglio la borsetta sulla spalla
sinistra prima di salire.
A sbarrare l'accesso c'era una porta di vetro opacizzata, che schermava
l'ambiente al di dietro quasi alla perfezione: si individuava qualcosa
dalle porzioni lasciate libere dall'Occhio di Ra impresso su di essa.
Dall'altra parte si udivano delle parole che non comprendeva, complice
l'auricolare che aveva lasciato al padiglione sinistro: se lo
sfilò con un leggero movimento prima di infilare le cuffie nella
borsetta, e colpire delicatamente la porta di vetro con le nocche della
mano destra.
Non le parve di udire risposta. Forse c'era stata, o forse l'aveva
immaginata. Osservò accigliata la superficie opaca della porta
per qualche attimo ancora, prima di farsi coraggio e, preso un bel
respiro quasi stesse per immergersi in una piscina di acqua di cottura,
aprì la porta vetro.
Insomma, cosa vuoi che sia un colloquio di lavoro?, pensò, mentre l'anta glissava dolcemente alla sua destra. Poco conta che sia il primo della tua vita, no?
No?
Appena entrata venne colta da un'improvvisa, quanto allegra sensazione
di caotico ordine. Gli altoparlanti tutt'intorno diffondevano
un'inarrestabile e piacevole motivetto electro-swing che riempiva
gradevolmente il silenzio tutt'intorno. C'erano bassi tavolini, e
poltroncine e divanetti, tutti neri sul lucidissimo pavimento scuro:
molti accenni dorati sulle gambe dei tavolini scolpivano immagini di
scarabei, gatti e rapaci dallo sguardo fiero.
In fondo alla sala, lì dove c'era il palco delle esibizioni, un
gigantesco Occhio di Ra, dipinto in nero sul muro con delle precise,
piacevoli curve, puntava lo sguardo direttamente sul bancone: un grosso
ferro di cavallo, dietro cui erano posizionati vini e alcolici vari. E
lungo tutto il perimetro della sala, sospese a qualche metro di
altezza, alcune balconate dai parapetti in cristallo ospitavano altri
tavoli e sedie, più un paio di zone privè nel fondo. Un
ragazzo dagli occhi ametista aveva alzato lo sguardo su di lei,
giocherellando distrattamente con un ciondolo che aveva al collo, e
quello che sembrava il fratello maggiore, tanta era la somiglianza,
aveva replicato il gesto.
A dire la verità tutti la osservavano ora: dei due che
apparivano più giovani, il primo stava riallacciandosi meglio il
grembiule dietro la schiena, mentre il secondo, con un paio di
occhialetti che spuntavano dall'assurda capigliatura tinta di verde e
rosso, asciugava distrattamente un bicchiere fin quasi a farlo cigolare
tra le sue dita e il panno. Le ci volle qualche secondo per notare che
i suoi occhi riprendevano in maniera inquietante i capelli. Occhi
diversi, come si diceva...? Eterocromatici. Non erano molto frequenti,
soprattutto con un simile stacco di tonalità: verde brillante
uno, rosso cremisi l'altro. Verso di lei si era voltato anche un
ragazzo con occhi e capelli castani, l'unico lì in mezzo ad
avere una capigliatura di un colore umano, e misteriosamente nudo dalla
vita in giù.
L'ultimo a voltarsi fu un figuro alto almeno venti centimetri
più di lei, dai capelli scuri striati d'oro e degli occhi blu
che spiccavano violentemente sulla pelle ambrata: elettrici, quasi
vibranti di energia, la osservavano con un misto di rabbia e nervoso
nello sguardo.
Aki aggrottò la fronte, in un certo senso intimorita dalla
spietatezza del suo sguardo. Strinse il manico della sua borsetta con
forza, quasi a volervi trovare ulteriore coraggio e sostenne la sua
occhiata, indecisa su cosa pensare, dire o fare.
- Buonasera-
A parlare era stato il più grande dei due (apparentemente)
fratelli: il giovane aveva aggirato il bancone, silenzioso come un
vampiro, e le si era avvicinato con poche, fluide falcate. Aki
seguì i suoi movimenti, distogliendo lo sguardo dal giovane
rabbioso.
Non preoccuparti, nonostante il muso da dobermann che si ritrova non morde. Di solito-
Era ovvio che si riferisse al giovane con cui aveva ingaggiato una
silenziosa lotta all'ultimo sguardo, e le sue parole avevano suscitato
qualche divertita risatina messa a tacere da un sordo ringhio. Il
giovane le sorrise affabile, porgendole una mano con fare sicuro.
- Immagino tu sia qui per l'offerta di lavoro-
Oh, almeno uno su sei sembrava capace di ragionare e restare a contatto
con la realtà: Aki ne era sollevata. Sebbene non sapeva cosa
aspettarsi, da un ragazzo con i capelli per metà biondi e per
l'altra metà...che colore era quello?!, sembrava molto cordiale
ed educato. Oltre che possessore dei due occhi più belli che
avesse mai visto. Aki annuì e ricambiò la stretta di
mano, fece per rispondere ma lui la precedette.
- Devo tuttavia chiederti una
gentilezza- le disse poi il giovane, scostandosi leggermente e
rendendola nuovamente bersaglio dello sguardo serio ed imperturbabile
dell'altro – Ci hai interrotti proprio mentre stavamo facendo un
gioco-
Un gioco?! Okay, la faccenda si stava facendo sempre più strana.
I restanti cinque continuavano ad osservarla, ma alternavano spesso lo
sguardo sul loro compagno dai capelli scuri e l'espressione seria.
Troppo seria, in contrasto con quella da buffi giocolieri di tutti gli
altri. Aki osservò l'intera scenetta con scetticismo, cercando
di capire cosa ci fosse di effettivamente divertente.
Poi notò, di fronte al ragazzo castano, una serie di carte
disposte in egual modo per entrambi i colleghi. Poco più in
là, accuratamente ripiegati, stavano diversi capi di vestiario.
Solo allora si accorse che il ragazzo dallo sguardo quasi rabbioso era
a malapena coperto da un nero grembiule che gli scendeva fin poco sopra
i piedi. La giovane sgranò gli occhi, esterrefatta.
- Non ti chiederemo di
partecipare, assolutamente!- esclamò poi il giovane dagli occhi
ametista – Solo, ci serve un piccolo aiuto. Vedi, il nostro Yusei
è uscito sconfitto da una partita a blackjack, ma è
ancora in tempo per evitare la vera penitenza-
Come se andare in giro nudi e coperti solo da un grembiule non fosse abbastanza...
- Ti chiedo gentilmente di restare
ferma dove sei qui, mentre Yusei deciderà come concludere la sua
giornata. Senza paura e preoccupazione, non morde! Dopodiché, se
vorrai, passeremo al colloquio vero e proprio-
Colloquio? Quale colloquio?! Se n'era quasi dimenticata...tutto quello
che vedeva era la surreale immagine di uno sconosciuto, suo coetaneo
probabilmente, data la giovane età, alzarsi dallo sgabello e
sistemarsi meglio il grembiule, passandoci sopra le mani con fare
imbarazzato prima di avanzare verso di lei. Il ragazzo dai capelli
castani gli fischiò dietro, meritandosi un ben poco cortese
gesto della mano destra che suscitò le risate di tutti gli
altri. Il bicchiere che il ragazzo con gli occhialetti stava asciugando
con tanta energia gli sfuggì di mano, sbattendo rumorosamente
contro il mezzo metro di scura quercia che lo separava dal resto della
sala.
Aki seguì con lo sguardo la sua imperturbabile avanzata. Senza
dire una parola, senza neanche muovere un muscolo del volto, il giovane
le si fece vicino, sempre più vicino, fin quando a separarli non
ci fu che un braccio. Aki mosse un piccolo passo verso l'uscita,
incerta e desiderosa di finire quella pagliacciata il prima possibile:
sul serio, cosa stava succedendo? Dov'era finita, cos'era quel covo di
matti?!
Possibile che la sua famiglia avesse ragione? Che lei non fosse fatta
per la vita cittadina, in mezzo alla “gentaglia”? Che il
mondo là fuori fosse davvero pericoloso e inavvicinabile?
Mosse ancora un passo indietro; Yusei colmò di scatto la distanza e la baciò.
Lieve, estremamente pudico, lo stesso bacio che si dà a qualcuno
quando si è bambini, spinti dai genitori a simili esternazioni
affettuose piuttosto che da un vero volere: e lui sembrava davvero un
bambino in quel momento, con le guance rosse di imbarazzo e vergogna e
gli occhi bassi di chi cercava di non sentire le risate divertite e a malapena soffocate di
chi gli stava dietro. Un bambino troppo cresciuto, sicuramente, alto e
ben piantato, con un vago odore di aghi di pino a circondarlo e le
braccia affusolate segnate da alcune cicatrici. Yusei rimase ad
osservarla per qualche secondo ancora, Aki si specchiò per
qualche attimo nelle sue iridi bluastre. Lo sentì chiederle
perdono con una voce incolore, rigido come se qualcuno gli avesse
rifilato una bastonata nel sonno.
Poi si voltò di scatto, con uno sventolio del grembiule nero che
fece trasalire i compagni rimasti al bancone. Aki squittì
sorpresa e si portò le mani al volto, ingabbiando i suoi occhi
al sicuro dietro le dita, quasi sperasse che quel gesto potesse in
qualche modo schermarla da quello che stava vedendo.
Non aveva visto male: oltre al grembiule non aveva NULLA, addosso, che
assomigliasse ad un capo di vestiario! Aki sbirciò cauta da
dietro le dita: scorse la schiena tornita di Yusei allontanarsi a passo
di carica, in direzione dei suoi colleghi urlanti e ridacchianti,
borbottando qualche imprecazione tra i denti che la giovane non
comprese. Pochi attimi passarono, prima che il ragazzo afferrasse una
cannuccia tutta avviticchiata e la lanciasse in direzione del castano,
quasi centrandolo in un occhio e facendolo ritrarre di scatto,
masticando tra i denti furiose imprecazioni. Accanto a lei, il giovane
che l'aveva accolta si lasciò sfuggire un risolino, mentre Yusei
afferrava i suoi vestiti arrabbiato e si dirigeva a grandi passi in un
bagno di servizio.
- Beh Judai, a questo punto credo
che l'oneroso compito di scaricare la merce tocchi a te- disse poi,
rivolgendosi verso il castano che si stropicciava furiosamente l'occhio
destro.
- Guarda, solo perché lo
spettacolo offerto è stato impagabile!- esclamò l'altro,
frenando a stento una risata e sparendo dietro una porticina.
Solo allora il giovane dagli occhi ametista tornò a rivolgersi
verso di lei, riservandole un bel sorriso affabile e sicuro. Aki si
ritrovò a sorridere a sua volta, seppur spiazzata da tutto
quell'insolito teatrino.
- Se sei arrabbiata ti comprendo-
le disse poi – Ti chiedo scusa se ti ho trascinata in questa
pagliacciata ma andavano sistemate delle...cose. Se vuoi e se sei
interessata ancora al posto, posso spiegarti tutto con calma. E senza
denudarci ovviamente-
La testa di Aki si mosse prima che il suo cervello le desse l'input.
Decisamente il colloquio di lavoro più strano della storia.
****
L'uomo che l'aveva accolta si era presentato come Atem, direttore, capo
e padrone dell'idea alla base del Pharaoh's Kingdom. L'Egittologia era
stata la sua materia di studio ai corsi universitari, da cui ne era
uscito con i massimi dei voti e degli elogi: una passione, la sua,
tramandatagli dalla sua famiglia di esploratori, e che si stava
riflettendo sul fratello minore Yugi: il pendaglio che il più
piccolo recava al collo era un piccolo tesoro ritrovato in una delle
ultime spedizioni, e il giovane sembrava molto legato a quella cuspide
d'oro che osservava il mondo con il suo occhio.
Ad osservare Atem, però, si capiva che c'era molto più
dell'egittologo e studioso: aveva dei modi di fare gentili e cortesi,
eppure qualcosa sfuggiva alle percezioni di Aki. Atem sembrava
osservare tutto con il divertito distacco di chi già sapeva e
conosceva, e la rossa non riusciva a decidersi se trovare la cosa ammirevole o
snervante: era sicuramente invidiabile possedere capacità di
analisi tali da fargli individuare la natura di una persona prima
ancora di conoscerla direttamente, ma per certi versi poteva essere
davvero irritante.
Prova delle sue capacità di deduzione gliel'aveva concessa
durante il loro breve, intenso colloquio, quando gli era bastata una
rapida occhiata per intuire, di lei, tante cose che erano poi esatte:
il fisico atletico di chi praticava palestra quanto bastava per
mantenere una forma longilinea, senza appesantirla con eccessiva massa
muscolare, e un'acconciatura ben tornita per rimettere in ordine uno
stato mentale caotico o una vita affettiva poco stimolante. Il nastro
di raso rosso che aveva al collo era molto bello ed elegante, e anche
quel pendente dorato ornato dall'opale verde: un gioiello narcisistico
che colmava, in parte, una carenza affettiva, e allo stesso tempo la
stringeva, come l'abbraccio di una madre troppo invadente e di un padre
troppo possessivo. Si mordicchiava il labbro inferiore spesso,
rivelando un malessere che cercava di nascondere in ogni modo, prima di
passarci sopra la lingua con un fare nervoso.
Le aveva snocciolato tutte queste cose insieme, e Aki si era sentita
improvvisamente rabbrividire dalla testa ai piedi. Nel silenzio che
aveva seguito le parole di Atem, chiusi nel suo piccolo ufficio, la
giovane aveva trattenuto il respiro, arpionata da quello sguardo
indecifrabile.
Poi il giovane era scoppiato in una forte risata, facendola trasalire,
e l'aveva consolata dicendole che sì, l'effetto che creava era
proprio quello. Non era la prima ad essere sottoposta ad un simile
gioco, né probabilmente sarebbe stata l'ultima, e in ogni caso
la reazione generale era proprio quella: il suo interlocutore restava
in silenzio, quasi scioccato dall'evidenza di tutte quelle informazioni
che rivelava, seppur involontariamente, al padrone di casa del
Pharaoh's Kingdom.
A quel punto, quasi delle invisibili catene di diffidenza e tensione
fossero state spezzate, Aki aveva vuotato il sacco. Aveva
ininterrottamente parlato per minuti interi, e Atem era rimasto ad
ascoltarla in silenzio, senza interromperla né fare domande,
attento ed imperturbabile. Mai, per un solo secondo, aveva distolto lo
sguardo da lei, mentre la giovane gli faceva il resoconto delle tante
motivazioni che l'avevano spinta a lasciare la sua lussuosa magione per
farsi una vita lì, nel silenzio onesto dei lavoratori. Il senso
di oppressione della sua nobile famiglia, composta da rampanti avvocati
del diavolo e primari di ordine eccelso, la voglia di mettersi in gioco
e farsi valere per le sue capacità e non solo per il suo nome
nobile e il suo bell'aspetto, il desiderio di dimostrare a suo padre
che anche lei valeva qualcosa, fuori dalle sicure mura di casa, e la
necessità di dimostrare, più a sé stessa che a
chiunque altro, di essere in grado di provvedere autonomamente al suo
sostentamento. Ecco come era finita dalle parti del Pharaoh's Kingdom,
ecco come aveva deciso di mettersi in gioco e servire, piuttosto che
essere servita come faceva da una vita.
Atem aveva ascoltato in silenzio, attento a cogliere ogni sfumatura,
nella voce della ragazza, che avrebbe potuto rivelargli qualche
informazione in più, ma nulla lo fece scostare dalla sua idea
iniziale: quella ragazza aveva, della rosa, anche l'atteggiamento
apparentemente scontroso, non solo il rosso sui capelli. Le sue spine
tenevano alla larga eventuali sprovveduti che provavano ad approcciarsi
senza alcuna cautela, ma chi era in grado di avvicinarsi con garbo e
sicurezza poteva godere da vicino della bellezza dei suoi petali.
Una simile personalità meritava di essere messa in risalto,
così come un uccellino non meritava la triste sorte di animale
imprigionato in una gabbia dorata solo per il suo bel canto.
Quando Aki aveva terminato il suo racconto, era stato allora che Atem
si era momentaneamente congedato, prima di ripresentarsi con una
perfetta divisa da cameriere. Era la più piccola di cui
disponevano, ma essendo una taglia maschile poteva non starle
effettivamente bene: colpa sua, aveva ammesso, che non aveva pensato
alla possibilità di mettere una ragazza a servire i tavoli.
Avrebbe fatto arrivare degli abiti più adatti alla corporatura
femminile nel giro di un paio di giorni, nel frattempo quella divisa
sarebbe andata più che bene. Era stata l'unica volta che si era
concesso di abbassare lo sguardo per osservare le sue calzature,
annuendo e sostenendo che quelle nere scarpe da ginnastica andavano
bene: avrebbe avuto molto da camminare, preferiva che stesse comoda.
Aki aveva ancora il batticuore e la respirazione accelerata, quando
entrò nel camerino di servizio per cambiarsi d'abito e indossare
la sua divisa. Decisamente il colloquio più assurdo della storia
del mondo: Atem non le aveva chiesto nulla di sue eventuali esperienze
pregresse nel mondo del lavoro né del suo (inesistente)
curriculum, né aveva tanto meno approfondito la sua origine
nobiliare. L'aveva conosciuta per quello che era, individuando sue
caratteristiche dai suoi gesti e facendosi dire il resto dai suoi
racconti, e l'aveva accettata. Non era stato minimamente interessato
alla sua facciata di apparenza né al buon nome della sua
famiglia, l'aveva accettata per quello che era e che gli aveva mostrato.
Non sapeva se esserne lusingata o meno.
Terminò di chiudere tutti i bottoni del gilet, prima di
osservarsi allo specchio e decidere che sì, non stava affatto
male con quegli abiti: erano inevitabilmente adatti ad un uomo, e la
camicia bianca si gonfiava troppo in corrispondenza delle braccia,
così come ne sentiva l'orlo salire fastidiosamente sul ventre,
complice il seno in boccio che non l'aveva aiutata particolarmente con
i bottoni. Almeno il gilet aderiva alla perfezione, e nascondeva tutte
le pieghe e piegoline create dalla misura non adatta della camicia, ma
i pantaloni avrebbero necessitato di un orlo alle gambe: Aki non era
esattamente tutta quest'altezza, ma quei pantaloni le sembravano
davvero troppo lunghi.
Si sistemò meglio i capelli rossi, dando un certo ordine alle
ciocche che le accarezzavano lievemente le spalle, prima di decidersi
ad uscire dal camerino e buttarsi nella mischia. L'orologio a parete
dava le otto meno quindici, il locale avrebbe aperto di lì a
breve.
E già mentre risaliva le scale per tornare nella sala, le
sembrava di sentire la frenesia che animava l'intera equipe del
Pharaoh's Kingdom nel terminare gli ultimi preparativi. Come aveva ben
immaginato, quei sei giovani che l'avevano inizialmente accolta non
erano i soli: c'era un intero team di addetti alle pulizie, tecnici per
gli impianti elettrici e di illuminazione, un'intera squadra di veloci
e prestanti cuochi e tantissime altre persone che, sicuramente,
contribuivano alla crescita e alla perfetta resa del Pharaoh's Kingdom,
solo erano molto meno...come dire, vistosi. Aki alzò lo sguardo
verso la zona delle poltroncine: un ragazzino smilzo e scattante come
una donnola, con i folti capelli scuri quasi davanti agli occhi,
posizionava i tavolini e le sedute con la precisione millimetrica di un
geometra. Poi si voltava verso il suo compagno, un tipetto basso e
tarchiato impegnato a ingozzarsi di noccioline, e cominciava a sbuffare
ed imprecargli contro, sostenendo che lui e il suo pancione da gestante
gli stessero rovinando il lavoro: effettivamente, ad ogni passo il
ragazzone urtava qualcosa, spostando inevitabilmente l'arredamento.
Lì dove c'era il palco delle esibizioni, un tecnico stava
spostando un faretto, sotto lo sguardo attento di una donna in
vestaglia con lunghi capelli neri.
Era chiaro, però, che la vera anima del locale fosse proprio
Atem e i suoi fidati collaboratori. E Yusei era già lì,
in posizione dietro il bancone: stava osservando qualcosa al cellulare,
ogni tanto alzava lo sguardo verso i due responsabili dell'arredamento.
Si era rivestito di tutto punto, pronto a cominciare la serata; alle
sue spalle, i due ragazzi che Atem le aveva presentato come Yuma e Yuya
avevano ultimato di sistemare diligentemente le bottiglie sui loro
ripiani, bene allineate come soldatini di piombo. Il primo sembrava
aver fatto a pugni con il pettine, tanto i capelli gli stavano
disordinati e sparati: camminava avanti e indietro per gli scaffali,
studiando le etichette e riallineandole in modo che il nome fosse messo
bene in evidenza; il secondo, che sembrava invece aver litigato con
qualche tintura di troppo, era tutto preso da alcuni esercizi fisici
per sciogliere braccia e spalle. Dal lato opposto del bancone, la porta
a soffietto si apriva e chiudeva senza sosta, e a uscirne era sempre
Judai che, ormai terminato di scaricare la merce, andava a versarsi un
bicchiere di qualche alcolico non ben definito prima di ritornare nelle
cucine e dare disposizioni ai suoi uomini. Ogni tanto Yusei gli
imprecava dietro, sostenendo che stesse facendo troppo rumore, e il
castano replicava facendogli il verso.
- Fanno sempre così quei due. Ti ci abituerai presto-
A parlare era stato Yugi, prima di porgerle il tablet su cui venivano
annotate le ordinazioni. Aki si voltò a guardarlo e lo
ringraziò, prendendo l'apparecchio tra le mani. In pochi attimi
il giovane le spiegò il suo funzionamento, come selezionare il
tavolo, le ordinazioni richieste, e come inviare l'ordine; le
indicò poi il monitor che stava in un angolo del bancone, mai
notato prima. Le spiegò che era da lì che osservavano, di
volta in volta, le ordinazioni, e un simile schermo c'era anche nelle
cucine da cui Judai entrava ed usciva come i matti senza casa.
- A chi ti riferivi prima?- chiese
poi Aki, una volta presa confidenza col palmare – Quando hai
detto che fanno sempre così?-
- A Yusei e Judai- rispose Yugi,
con un'alzata di spalle, la voce bassa e gentile – Si
punzecchiano molto, soprattutto quando c'è di mezzo qualche
compito ingrato come l'andare a scaricare la merce...ma
fondamentalmente si vogliono bene. Hanno solo un modo piuttosto
contorto di dimostrarselo, che va dagli improperi alle cannucce tirate
negli occhi-
- Mi sembravano piuttosto agitati...-
- Ma sì, è solo una pagliacciata-
- Cos'ha in faccia?-
- Oh?-
- Il ragazzo al bancone. Yusei. Cos'ha in faccia?-
E accennò con il capo al volto del ragazzo, ancora concentrato
sul suo telefono: Aki percorse con lo sguardo la sottile linea dorata
che gli attraversava il lato sinistro del volto, dalla linea della
mascella fino a sparire sotto l'occhio.
- Oh! Quello!- notò Yugi,
con una impercettibile punta di sorpresa e di...era disagio, quello
nella sua voce?! - Ah beh, una storia lunga-
- Mi sembra molto strano anche per essere un semplice tatuaggio-
- Non a caso ho detto che è
una storia lunga. Ha avuto qualche trascorso difficile, in passato-
- ...Cos'è, da bambino
voleva un pony ma suo padre non gliel'ha mai comprato, e ora esprime la
sua ribellione con segni strani?-
- Magari fosse così semplice. È una brutta storia, davvero-
Fu allora che Aki lasciò cadere il discorso, scrollando
lievemente le spalle e dimenticandosi velocemente del particolare
appena scorto. Non che potesse turbarla parecchio dopo tutto quello che
era successo e aveva visto: quella semplice linea sull'occhio era
l'ultima cosa che aveva notato, di Yusei. Era più semplice
individuare il suo sguardo imperturbabile e diretto, quasi osservasse
qualcosa di indistinto in lontananza, sperando che l'oggetto bersaglio
della sua attenzione esplodesse.
La sua nuova avventura al Pharaoh's Kingdom si stava svelando ancora
più stramba e interessante di quanto avesse previsto.
****
La serata era iniziata in sordina, con la prima clientela che entrava
nel locale: Aki aveva così avuto modo di verificare il reale
funzionamento del suo tablet, e rompere il ghiaccio con il primo
contatto ad un pubblico di terzi. Yugi l'aveva sempre osservata da
lontano, accorrendo in suo aiuto quando era più necessario e
dandole alcune dritte di tanto in tanto.
La somiglianza con il fratello maggiore era lampante, e non era solo
per un discorso di capigliature tremendamente simili: erano anche gli
atteggiamenti, i modi di porsi verso gli altri, amici o estranei che
fossero, a confermare la loro parentela. La gentilezza che Yugi
riservava agli altri, però, partiva da una certa timidezza di
fondo, cosa che Atem non sembrava neanche conoscere.
Presto il locale si animò ed entrò nel vivo della serata,
e fu subito chiaro il perché Atem avesse deciso di metterla al
lavoro con tanta urgenza: i tavoli e le poltroncine si erano riempiti a
velocità esponenziale, e anche se erano in due a prendere
ordinazioni e correre ai tavoli con vassoi carichi di cocktail, presto
anche Atem si era fatto avanti con il suo palmare a dare manforte.
Judai veleggiava tra i tavoli con i vassoi carichi di cibo: Aki poteva
giurare di averlo visto mettersi in bocca un'oliva ripiena prima di
chiudere la porta a soffietto e dirigersi ad uno dei tavoli vicino al
palco.
Presto anche le esibizioni presero velocemente il via. Ad animare la
serata c'era una compagnia di abili e sensuali danzatrici del ventre, e
la musica electro-swing venne quindi rimpiazzata da ritmi orientali e
percussioni. Troppo impegnata nel suo nuovo lavoro, Aki non poté
ammirare le evoluzioni danzanti delle ballerine, né farsi
abbagliare dai lustrini e dalle sete opalescenti, ma lo spettacolo
doveva indubbiamente essere notevole, a giudicare dall'unica direzione
presa da tutti gli sguardi.
Quando si sedette dietro al bancone per la sua pausa, le gambe le
dolevano per il tempo passato a fare avanti e indietro, e gli occhi
cominciavano a bruciarle dalla stanchezza. Si passò le mani sul
volto, stanca, china sulle ginocchia.
La serata si stava rivelando ancora più faticosa del previsto, e
il fatto che mancassero ancora quattro ore alla chiusura non la aiutava
di certo a rallegrarsi. Il tempo era letteralmente volato, certo, ma
non poteva ancora permettersi di rilassarsi.
Una cosa, però, non poteva negare, ed era che fosse tutto
maledettamente più faticoso di quanto credesse. E non avevano
neanche parlato del compenso...! L'idea di lavorare per niente le si
insinuò nel cervello e le fece contorcere le viscere dalla
rabbia. Forse quella serata non contava, in quanto primo turno? Forse
era considerata “in prova”?
E se non fosse piaciuta? Se nonostante tutto, Atem avesse deciso che
non era tagliata per quel ruolo e l'avesse congedata? Aveva bisogno di
soldi, una necessità disperata: la stessa che impediva al suo
orgoglio di chiedere aiuto alla sua famiglia, incapace di ammettere le
sue difficoltà a chi aveva criticato, fin dal primo momento, la
sua scelta.
Forse stava sbagliando tutto e non se n'era ancora accorta.
- Tè o caffè?-
Aki alzò di scatto la testa, incerta e sorpresa. Di fronte a
lei, accovacciato a terra quasi stesse parlando con un bambino, Yusei
la osservava serio in volto, gli occhi blu malcelati dalle ciocche
scure. Alle sue spalle, Yuma e Yuya continuavano a preparare cocktail a
ritmo di produzione industriale, instancabili aiutanti che osavano
troppo con i virtuosismi su bicchieri e bottiglie.
- ...Eh?-
Fu tutto quello che Aki riuscì a dire, improvvisamente troppo stanca perfino per capire cosa le avesse detto.
- Cosa vuoi, tè o
caffè?- chiese di nuovo Yusei, con lo stesso, identico tono
usato poco prima.
- ...Tè, se non ti spiace-
Senza risponderle, il giovane si alzò, prendendo poi a
trafficare con un grosso bricco posizionato su un fornelletto.
Massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle dita, gli occhi
di Aki si persero a studiare le venature scure delle assi del parquet
consumato dai continui passi, prima che il suo campo visivo venisse
nuovamente invaso da Yusei e una scatola di legno. Il velluto viola
all'interno copriva anche i piccoli divisori, tra cui erano incastrate
alcune bustine di té. Dopo una veloce occhiata, Aki
allungò le dita e scelse una bustina scarlatta, recante le
immagini di quattro frutti rossi.
Con un gesto fluido, dettato più dall'abitudine maturata in
campo lavorativo che per una vera attitudine, Yusei chiuse la scatola e
si alzò in piedi, tornando quindi di fronte a lei con un bricco
di acqua calda dentro cui fece immergere la busta. Lo richiuse e
posò sul ripiano immediatamente accanto, tornando ad osservarla.
- Fa sempre così-
iniziò poi, quasi lei sapesse di chi stesse parlando – Il
giorno di prova capita sempre nel fine settimana, di venerdì o
preferibilmente il sabato: sono i due giorni di massima affluenza del
locale. Già la domenica sera possiamo tirare fiato con
più frequenza. Dice di preferire così, vede subito di che
pasta sono fatti i nuovi arrivati-
Era chiaro che si stesse riferendo proprio ad Atem. Aki annuì
quasi svogliata, in cuor suo aveva già intuito la realtà
dei fatti.
- E direi che te la stai cavando egregiamente, per essere il tuo primo giorno di lavoro-
- Cosa vuoi che sia, spingere un paio di caselle su un tablet...-
- Heh, per una volta che stavo facendo l'educato...-
Aki si morse il labbro e non rispose, abbassando gli occhi e
distogliendoli dalle iridi blu del capobar. Lui rimase ad osservarla
ancora qualche attimo, prima di rialzarsi in piedi; un lieve cozzare di
tazze le fece intendere che stava versandole il tè richiesto.
- Hai mangiato qualcosa, prima di
cominciare?- le chiese poi. La giovane spalancò gli occhi,
dandosi della stupida: tanta era stata l'eccitazione e la voglia di
iniziare che aveva dimenticato di mangiare, ecco perché si
ritrovava completamente senza forze...
- A dire il vero no- rispose infatti, con voce flebile.
- Immaginavo. Biscotti?-
- Magari, grazie-
Finì così a porgerle la tazza di tè e un vassoio
pieno di biscotti che Aki poggiò di traverso sulle sue
ginocchia. La giovane rimase ad osservarlo in silenzio mentre si
rifocillava, bevendo il té a piccoli sorsi e sgranocchiando i
biscotti.
Yusei appariva così serio ed imperturbabile, ora, che non
sembrava avere nulla a che fare con il ragazzo furente rimasto
vergognosamente nudo di qualche ora prima; era anche vero che aveva
avuto tutti i motivi validi del mondo per essere così costernato
e incollerito, non doveva essere piacevole ritrovarsi coperto da un
grembiule e sottoposto ad una penitenza stupida ed infantile...ma chi
poteva essere il burlone che aveva architettato un simile scherzo?
Aki rabbrividì: e se fosse stata anche lei tirata in ballo a
commettere quelle sciocchezze e cimentarsi in quelle ridicole sfide?
Non se ne parlava proprio, di denudarsi di fronte a quelli che erano,
fondamentalmente, degli sconosciuti...figuriamoci se erano tutti uomini!
- Ascolta...-
La voce di Yusei le fece alzare lo sguardo, scrutando ancora quegli
occhi blu che, per qualche motivo, le iniziavano a piacerle. Le sue
iridi avevano una bella tonalità, carica e intensa, e sulla sua
carnagione ambrata risaltavano ancora di più; peccato che avesse
sempre quell'espressione sostenuta...e per quel segno sul volto. La
scia dorata scendeva dalla palpebra inferiore fino alla linea decisa
della mascella, piegando leggermente un paio di volte e allungandogli
la linea dell'occhio con un minuscolo accento dorato proprio vicino al
punto di congiunzione delle due palpebre. Aki non sapeva come
identificarlo: aveva forse un significato particolare? Yugi aveva detto
che c'era una storia dietro quel simbolo, ma a sentirlo parlare non era
una vicenda molto simpatica da raccontare: sembrava che non fosse un
semplice desiderio di ribellione ai rigidi schemi sociali.
Nel dubbio, Aki decise di seguire la sua buona educazione e non
chiedere. Si limitò ad osservarlo mentre si mordicchiava il
labbro inferiore, indeciso su quali parole scegliere: stava forse
nascondendo anche lui qualche malessere?
- Per quanto riguarda quello...scherzo idiota di prima-
Aki annuì, capendo dove volesse andare a parare.
- Sono profondamente dispiaciuto
di averti messo in una situazione di tale imbarazzo- continuò
poi il giovane, passandosi una mano tra i capelli – Ma...penso tu
abbia capito che si è trattata della penitenza di un gioco
scemo. Spero non te la sia presa troppo...col tempo capirai. Scusami se
sono sembrato un po' burbero ma...non è nella mia natura baciare
la prima che passa-
- ...Immagino. Come credo non sia
nella tua natura mostrare a quella stessa persona le tue chiappe nude-
Aki si morse la lingua, dandosi della stupida subito dopo: proprio non
poteva tenerla per sé, quell'uscita al vetriolo, eh? Essere
simpatica a tutti i costi non era esattamente il suo forte...
Yusei la scrutò per qualche secondo, incerto se aveva capito
bene o meno, prima di inarcare un sopracciglio e lasciarsi sfuggire un
mezzo sorriso.
- Credo tu sia la prima a
lamentarsi delle mie chiappe...ma te lo concedo. Potrei aver messo su
qualche chiletto, in questo periodo-
E il rossore che le imporporò improvvisamente le guance gli fece scappare una risata dalle labbra.
****
Il locale aveva iniziato a svuotarsi già dopo le due di notte,
dopo l'ultimo spettacolo delle ballerine. Il ritmo era rallentato poco
a poco, i tavoli vuoti erano aumentati sempre più, finché
anche l'ultima coppia non si era dileguata oltre la porta in vetro; il
lavoro, però, era tutt'altro che finito: ora che la sala era
vuota, era necessario pulire, rassettare, spazzare e sgombrare.
Sostituite le note sensuali della musica orientale con dell'allegro,
ritmato electro-swing che tanto sembrava piacere a tutti quanti,
l'intera troupe del Pharaoh's Kingdom si concentrò nella parte
forse più barbosa del loro lavoro, cercando in tutti i modi di
rallegrare l'attività come meglio riusciva.
Judai faceva avanti e indietro tra i tavoli e le cucine, e proprio non
riusciva a resistere alla tentazione di assaggiare qualcuno degli
avanzi. Piluccando cibo qua e là come un uccellino alla ricerca
di molliche di pane, infilava poi i piatti in una lavatrice che faceva
un gran baccano, a giudicare dall'assordante fischio che Aki udiva
dalle porte a soffietto: il ragazzo sembrava entusiasta della
qualità delle pietanze, nonostante alcune fossero ormai fredde e
molti dolci fossero crollati sotto cucchiaiate troppo poderose, e
andava in giro ad invitare i suoi colleghi in diversi assaggi. Yusei
seguiva il suo viavai senza sosta con lo sguardo, lavando e asciugando
bicchieri e shaker con l'automatismo di chi compieva quel gesto almeno
mille volte a notte; si era arrotolato le maniche della camicia fino ai
gomiti, e solo allora la rossa aveva potuto notare la testa di drago
tatuata sul suo avambraccio destro. Aveva un'espressione diversa ora,
molto più rilassata e meno rigida, quasi riusciva ad individuare
l'ombra di un lieve sorriso a curvargli le labbra. Forse era l'allegra
musica diffusa dagli altoparlanti, o forse era la consapevolezza di
essere vicino alla conclusione del suo turno, ma sembrava aver
finalmente sciolto la sua rigida postura da barman tutto d'un pezzo,
per concedersi qualche minuto di relax in un'attività che
conosceva bene. Si permise anche qualche veloce gioco acrobatico con i
flute che stava sistemando, lanciandoli in aria e afferrandoli al volo
come le palline di un giocoliere. In lontananza, Yuya l'aveva ben
osservato, e aveva cercato di replicare i suoi movimenti, usando
però un paio di sedie che fecero allontanare Yuma di corsa. Il
risultato fu un gran baccano creato dalle sedie che caddero a terra in
sordi tonfi, e per poco Judai non finì colpito da una di esse.
Poi Yuma aveva proposto di fare la stessa cosa con le bottiglie, e
lì la situazione era velocemente degenerata. Bottiglie vuote di
ogni tipo volavano da una parte all'altra della stanza, prontamente
afferrate dalle mani di uno dei due giovani barman che si scambiavano
spesso posizione, come navigati artisti circensi alle prese con delle
clavette. E mentre lei e Yugi sistemavano le poltroncine e spazzavano
il pavimento, Atem se ne stava in disparte in un angolo, ad osservare
tutto quell'allegro trambusto con un lieve sorriso sul volto, come un
amorevole padre che osservava i suoi pargoli fare bordello per casa.
- Ehi, smettila di ingozzarti!-
- Fatti gli affari tuoi, musone!-
- Judai, sei allucinante, giuro-
- Ma dai, cosa vuoi che siano! Sono solo assaggini!-
- Tieni d'occhio i fianchi-
- Oh, lascia stare i miei fianchi tu!-
- Guarda che se ti allarghi troppo le ragazze non ti vorranno più!-
- Non mi sembra di essere quello che ha problemi con le ragazze, qui!-
- Cosa vorresti insinuare?!-
Il bicchiere sfuggì dalle mani di Yusei, e il barman lo
mandò a ruzzolare dentro il lavello mentre alzava
minacciosamente la mano destra, armata di canovaccio bianco. Aki fece
rimbalzare lo sguardo avanti e indietro tra i due, e anche Yuma e Yuya
interruppero il loro lancio di bottiglie, affiancandola velocemente.
Yugi si lasciò sfuggire un risolino.
- Eccoli che cominciano- sussurrò poi – Ora inizia il divertimento-
Aki non sapeva se definire “divertimento” vedere due
ragazzi che si scannavano tra di loro a suon di frecciatine e
insinuazioni: la crew del Pharaoh's Kingdom aveva standard del tutto
inusuali...
- Tu sei quello che a 24 anni non
sapeva cosa volesse dire la parola “fellatio”!-
sbottò Yusei, puntandogli teatralmente contro un indice.
- Ma cosa centra adesso?!- si
difese Judai, morsicando un dolcetto e rientrando in cucina– E
poi dimmi chi è che la chiama così!-
- Tutte le persone di un certo
livello culturale e capacità di raziocinio!- sbraitò il
compagno, a voce alta abbastanza per farsi intendere dal castano.
- Ma per favore, lo sai almeno cosa vogliono dire queste parole?-
- Non sono io quello duro di comprendonio, qui!-
- Senti, o mi spieghi cosa vuol
dire “muro di comprensorio” o per me puoi tranquillamente
buttarti in una discarica insieme alla tua moto!-
- Vuol dire che non capisci un cazzo!-
La porta a soffietto si spalancò nell'esatto momento in cui
Yusei schiantò, con un evidente moto di stizza, il canovaccio
sul lavello dietro al bancone. Judai si pulì le mani sul
grembiule, livido in volto.
- E pensi sia colpa mia?! Sei tu che usi parole difficili!- sbottò poi.
- Parola difficile?! Fellatio è una parola difficile?!-
- Oh per favore, nessuno
più la chiama così ormai! Sembra il nome di un cane!-
- Termosifone-
- Cosa?!-
- Niente Judai, visto e
considerato che non mi capisci ugualmente, ho appena deciso di
comunicare con te attraverso parole a caso. Almeno mi faccio due risate-
- ...seriamente?!-
- Rastrello-
- Io ti strozzo nel sonno-
- Bene, direi che può bastare-
La voce di Atem si levò alta e sicura dall'angolo vicino alla
porta di vetro, interrompendo la schermaglia tra i due colleghi. Aki lo
osservò avanzare con il suo consueto, calmo incedere, lo stesso
con il quale le si era presentato: la sua entrata in scena ebbe il
potere di far serrare le labbra del giovane chef e del barman,
congelandoli nelle loro posizioni.
Impossibile non notare la carica di carisma e autorità che Atem
sembrava sprigionare con la sua presenza. Per quanto lo conoscesse
relativamente da poco, possedeva tutte le caratteristiche ricercate nei
leader: presenza, acume, parlantina sciolta, capacità di
organizzazione e di direzione. Quando lui parlava, tutti si chetavano e
restavano ad ascoltarlo, pronti a ricevere ordini, disposizioni e
consigli per la giornata.
Chissà se anche fuori dalle mura del Pharaoh's Kingdom era
così, se anche dopo aver smesso i panni del ristoratore, era e
restava il leader incontrastato del gruppo.
- Voi due, come mai questi
battibecchi?- chiese poi, in tono serafico, gli occhi socchiusi e il
sorriso sornione, quasi felino – Mi siete parsi molto agitati da
ben prima della sfida a blackjack-
Seguì uno strano silenzio, in cui Yusei e Judai sembrarono
parlarsi solo con gli occhi. Lo facevano spesso, scambiandosi cenni e
gesti che costituivano un codice solo a loro conosciuto. Atem aveva
notato quella loro complicità fin dall'inizio, la stessa di
persone che si conoscevano da molto tempo e che non avevano bisogno di
parole per intendersi. A loro bastava anche solo un'occhiata per
comunicarsi cose come oggi mi sembri particolarmente impedito, smettila
di ingozzarti, avrei fatto meglio a restarmene a casa, avresti fatto
meglio a restartene a casa, se parli ti ammazzo.
Sapeva perfettamente che, nel momento in cui Yusei e Judai avessero
litigato davvero, e per qualcosa di serio, allora sarebbero stati
oggetti pesanti quelli a volare misteriosamente per la sala, e non
frecciatine e insulti gratuiti.
- Allora? Sto aspettando-
- ...Abbiamo ripreso a giocare a
Smash Bros- borbottò Yusei, il capo basso, con aria quasi
colpevole.
Nel silenzio che seguì, solo una domanda balzò in mente
ad Aki: cosa diavolo era Smash Bros? Yuma sembrava saperlo,
perché scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo
il solletico, andando a coricarsi su una poltroncina e tenendosi la
pancia.
- Oh. Un picchiaduro che raccoglie
più personaggi di universi diversi- notò Atem, con un
sorriso e un'alzata di sopracciglio – Ed è questo che ha
guastato i vostri rapporti odierni?-
- Certo! Perché LUI...- e
indicò Judai con un dito, mentre il castano continuava a
cacciarsi in bocca dolcetti e pastarelle – Me lo fa ODIARE! Lui e
quel suo maledetto Capitan Falcon!-
- Ma tappati quella bocca, Ike
passodazeroaottantapercentoinunCOLPO! Fai salire un nervoso...!-
- Ah IO?! Disse quello che vinceva facile tre su tre!-
- Non credo sia colpa mia se tu
sei particolarmente scarso e te la cavi con sì e no due
personaggi!-
- Ma certo, rincara pure! Giuro ti
attacco alla moto senza casco e ti faccio correre sul filo dei duecento
all'ora in autostrada!-
- Come no, fatti sotto!-
- Un goccio, prima?-
- Volentieri, grazie-
La schermaglia finì così com'era iniziata: d'improvviso,
senza una reale ragione se non quella di avere un pretesto per
borbottare e scherzare. Aki si passò la lingua sulle labbra,
guardando ora Yusei che versava del whisky in un paio di bicchierini,
ora Judai che alzava il suo e lo faceva tintinnare contro quello del
collega, di nuovo a Yusei che invitava tutti quanti ad un giro e infine
Atem, che le sorrideva enigmatico come una sfinge.
Chissà se sapeva cosa le stava passando per la testa.
Dove diavolo era approdata?
_______________________________________________________________________________
Io almeno lo so dove sono finita! Su
una nuova sezione che non avrei mai pensato di toccare nell'arco della
mia pseudo-carriera di fanwriter!
Perché intendiamoci, ragazzi: io non ho mai giocato a Yu-Gi-Oh!
nell'arco di tutta la mia vita. Né visto l'anime o letto le
varie trasposizioni manga. Questo almeno fino a qualche mese fa, quando
il ricovero ospedaliero e il lungo periodo di fisioterapia non mi hanno
lasciata piena di tempo libero da usare per recuperare un altro
tassello della mia infanzia. Tassello volutamente scartato all'epoca,
lo ammetto, perché l'idea di un pensiero così buonista e
bimbo come quello del "cuore delle carte" mi faceva girare le balle
già da ragazzina.
Senonché mie conoscenze hanno avuto il coraggio (e il buon
cuore) di aprirmi gli occhi su questa serie, e mettermi al corrente
dell'atroce sfilettatura che questa ha subito dalla censura
(soprattutto tutto quello che riguarda Duel Monster...non si è
salvato praticamente NIENTE...ma anche GX a quel che so): e a quel punto, conscia del fatto che una
cosa come il cuore delle carte non è MAI esistita in tutta la
serie, nominata forse una volta in tutte le 200+ puntate; una volta
compreso che quello che appare come un innocuo gioco di carte per
ragazzini altro non è che un'arma di distruzione di massa, che
per carità non mettetela in mano a Kim altrimenti altro che
missili nucleari; appreso che tutta la storia in sé, soprattutto
la serie 0, mai arrivata in Italia né in America PER OVVI
MOTIVI, è molto più oscura e cupa e violenta di quanto
non appaia al primo sguardo...beh, mettendo insieme tutto questo ho
detto "massì dài, diamoglielo un tentativo".
Me misera. Me tapina. Mi sono letteralmente infognata in un fandom dal
quale non so quando, come e soprattutto SE uscirò.
E cosa succede quando io sprofondo in fandom di varia natura? Semplice,
ci immagino storie alternative sopra! In alcuni casi le scrivo
direttamente.
Questo è uno di quei casi. Una AU scritta davvero di getto,
iniziata col semplice intento di far prendere ossigeno al mio cervello
e alla mia vena creativa con qualcosa di nuovo: una storia che
inizialmente non aveva altro motivo di esistere se non questo, fare da valvola di sfogo.
Come tutte le storie, alla fine la valvola di sfogo si è trasformata in un gigantesco sfiatatoio.
A questo punto è doveroso fare qualche precisazione. Chi
già ha letto qualcosa di mio sa che ADORO farcire ogni capitolo
con qualcosa a cui fare riferimento e analizzare per bene, il che si
traduce in note post-capitolo lunghe quanto il capitolo stesso, a volte.
Come avrete capito si tratta di un'AU che di AU ha poco, alla fine dei
conti: i personaggi sono gli stessi, l'ambientazione anche, ma di Duel
Monsters non se ne sente parlare neanche un po'. Mai esistito in questo
mondo, che ho immaginato come una via di mezzo tra quello originale
delle serie e quello odierno in cui siamo relegati noi miseri mortali.
I nostri impavidi duellanti non si sfidano più a carte ed
evocazioni, ma a portate culinarie e volteggi di bottiglie, in un
locale che farà da principale sfondo alle vicende. Tutti i
protagonisti insieme, a condividere lo stesso tetto! Lavorativamente
parlando.
Come accennato nell'introduzione, potrebbe capitare l'occasione in cui
i personaggi potranno risultare OOC. Finora ho maneggiato solo
scanzonati cacciatori di demoni che hanno fatto del trash un loro
dogma, ho bisogno di tempo per abituarmi a viaggiare su linee diverse.
Farò del mio meglio per
restare fedele alla loro immagine, e sicuramente cercherò di
arricchirla con altri dettagli che trovo su di loro indicati; forse
sarà proprio per questo che in qualche occasione potrei sfiorare
l'OOC. Farò del mio meglio, lo prometto!
In questo locale dall'aspetto un po' glamour un po' esotico ognuno ha
il suo ruolo. E sebbene non siano solo i cinque impavidi duellanti
ad animarlo, ma tutta un'equipe di cuochi, addetti alle pulizie,
luci e altro, sarà su di loro che i riflettori saranno puntati.
Con il tempo appariranno altri personaggi ad animare tutto il cosmo che
ruota attorno al locale: non prometto di farli apparire tutti
tutti...ma quasi.
Ora vi chiederete: perché un locale? Un lounge bar,
perché? Ambientazione audace chiaro, ma perché?
L'idea di far
muoverei dei personaggi all'interno di un locale mi ha sempre attratta
per qualche misterioso motivo, e stavolta non ho proprio resistito. Mi
piace l'idea di poter osservare, da lontano e con discrezione, delle
persone intente a fare altro; magari anche fantasticare sulle loro vite
al di fuori di quella serata di svago che si concedono.
Nella vita reale lavoro in un call center, in una postazione di 1x1 e
con alti divisori a schermarmi dagli sguardi dei colleghi. Forse la mia
curiosità nasce da questo.
Atem e Yugi sono qui raffigurati rispettivamente come fratello maggiore
e minore: lo ammetto, una scorciatoia prevedibilissima per spicciarmi,
in maniera più ragionevole e plausibile possibile, la questione
del rapporto in simbiosi tra i due, oltre alla sconcertante
somiglianza. No, quello che Yugi ha al collo non è il Puzzle del
Millennio! xD ma il riferimento ad esso è molto chiaro.
Enigmatico e sornione uno, gentile e a volte fin troppo disincantato
l'altro: Atem DOVEVA essere il capo dell'intera combriccola.
Poi, in un locale che si chiama Pharaoh's Kingdom era anche palese.
Judai e Yusei, la Starshipping! Sul serio, la quantità di ship
di 'sto fandom è imbarazzante, io manco me le ricordo tutte. Non
serviranno tutte comunque, e sicuro non si parlerà di
Starshipping. Non nel mondo in cui immaginate comunque. I due
interagiranno spesso, SPESSISSIMO. Sappiatelo. E in maniera che non ha
nulla da invidiare con le serie di Yu-Gi-Oh! The Abridged su Youtube.
Questi due hanno richiamato autonomamente un simile rapporto,
considerato quanto sono agli antipodi: uno è schietto e allegro
e sempre in movimento che quasi vorresti strozzarlo nel sonno, e
l'altro è perennemente imbronciato e serio ai limiti del
sopportabile, a volte. Chi però diceva che gli opposti si
attraggono ci ha azzeccato, direi.
Yuma e Yuya, i due Yu al bancone. Ci ho messo un po' per farmi andare
Zexal giù, lo ammetto, ma lo sto studicchiando seriamente e
ammetto che offre degli spunti molto interessanti! Oltre alle
capigliature più improbabili di tutte le serie, credo. Yuma ha
molto potenziale, finché non lo sento parlare con l'audio
americano: in quel caso ho solo voglia di piazzare un esplosivo nelle
fondamenta della sede della 4Kids e congratularli CALOROSAMENTE
dell'infelice scelta fatta in sala di doppiaggio.
Ma ARC-V...ammetto che è stato con il primo episodio di questa
serie che sono ufficialmente entrata in questo loop di carte,
evocazioni e dimensioni e OMMIODDIO. Perché un ragazzino con i
capelli a semaforo che cavalca un ippopotamo rosa con la coda a
cuoricino BASTA, per far risvegliare in me quella curiosità
morbosa che mi fa dire "andiamo avanti, ne voglio ancora!".
Anche per loro il posto dietro al bancone era già bello indicato
con una gigantesca freccia lampeggiante. Il primo così energico
che non riesci a stargli dietro, e il secondo che ha fatto dello
spettacolo e il divertimento il suo marchio di fabbrica!
Non credo sia necessario spiegarvi il perché di "occhi diversi":
chiarissimo riferimento a Drago Pendulum Occhi Diversi, carta
principale del suo deck Artistamico. Che la prima volta l'ho chiamato
Antistaminico e il mio fidanzato sta ancora ridendo ma vabbé.
Aki Izayoi, aaaaah, e qui si scoperchiano tutti i vasi, tutti i
forzieri, lo scrigno di Pandora! Tra i cinque, il suo Rosa Nera
è il mio preferito e per ovvi motivi, anche se se la gioca alla
pari con Polvere di Stelle. E lei stessa, come personaggio, è di
una personalità così articolata e misteriosa che non puoi
fare a meno di chiederti quanto sia effettivamente nascosto, in lei.
Come il più bel bocciolo di rosa nascosto dal roveto più
grande e spinoso del mondo. Bella, ostinata e psicopatica abbastanza da
piacermi. La storia tratterà da vicino anche la sua crescita e
il suo fiorire, tra le altre cose.
Ebbene...questo è il primo capito di un vero e proprio viaggio
nella follia. Per me almeno. La storia è nata quasi per caso,
dopo un lungo periodo di degenza in ospedale. Avevo bisogno di qualcosa
che risvegliasse in me il desiderio di scrivere e la voglia di mettermi
in gioco, oltre che di uscire dai miei tradizionali schemi di atmosfere
cupe, sevizie mentali budelli infernali. Un vero e proprio modo per
"staccare la spina" e mettere il cervello a riposo.
Spero di non avervi annoiati. Spero di non annoiarvi neanche in
seguito, qualora decideste di seguire questa storia. In ogni caso,
sappiate che ogni commento sarà ben accetto! Recensione, MP,
gufo postino, olocron Sith, Strillettera, quello che vi pare. Anche dei
vintage segnali di fumo stile Apaches sul piede di guerra.
O anche una carta. Lanciata di taglio. Non Cilindro Magico, a meno che
non vogliate conoscere la mia collezione di improperi ed insulsi.
Ci si rilegge presto (spero)!
92Rosaspina.
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Capitolo 2 *** 2.Cartomanzia e trasmutazioni ***
2.Cartomanzia e trasmutazioni
Le previsioni sono estremamente difficili. Specialmente sul futuro. Niels Bohr
Uno dei lati positivi del lavorare con orari notturni era che aveva solo il letto ad attenderlo per qualche ora di ristoratrice sonno. Yuya si era abituato presto a quella nuova vita nel crepuscolo: si trovava bene, nei panni di una creatura della notte. Detta così sembrava quasi si definisse un vampiro, ma il paragone era piuttosto azzeccato: lavorava di notte e dormiva di giorno, come le creature succhiasangue che, negli ultimi tempi, avevano sovrappopolato i libri pseudo-romantici per adolescenti che lui si divertiva tanto a ridicolizzare e leggere solo per poterli criticare meglio. Era proprio quando il sole spariva oltre l'orizzonte e lasciava posto al disco argentato, che aveva sempre trovato nuove energie per le sue attività. Quando studiava ancora, gli risultava impossibile concentrarsi sui libri con la luce del giorno: la cosa faceva impazzire quella povera donna di sua madre, che non riusciva a trovare una spiegazione sensata alle abitudini notturne del figlio. Quando pensava a lei, Yuya la ricordava con gioia e con un pizzico di nostalgia: se n'era andato presto dalla casa, appena terminati gli studi superiori, desideroso di trovare una direzione al suo percorso. E lei l'aveva lasciato andare senza fare storie, aiutandolo perfino a trovare casa altrove e inviandogli, ogni mese, un grosso pacco con provviste alimentari di ogni genere. Più volte il giovane le aveva detto di lasciar perdere e risparmiare quei soldi, che lui era in grado di fare la spesa da solo, ma i pacchi continuavano ad arrivare lo stesso e a cadenza mensile. Le aveva parlato del suo lavoro, la donna ne era stata entusiasta: le piaceva l'idea che suo figlio fosse sempre a contatto con altre persone, e che facesse qualcosa che lo entusiasmasse e divertisse. Era sempre stato così, alla ricerca quasi disperata di allegria e sorrisi, e bisognoso di fonti di divertimento che lo facessero sentire...vivo. Era così da molto tempo ormai. - Ehi, non dirmi che vuoi piantare le radici qui!- Yuya alzò lo sguardo da qualsiasi cosa trovasse di molto interessante sul bancone, prima di far entrare Yuma nel suo campo visivo. Il collega si era già cambiato d'abito, ripiegando su vestiti più comodi e che gli conferissero molta più libertà di movimento di un gilet e delle maniche strette di una camicia; lo osservava con aria curiosa, gli occhi che lo scrutavano come alla ricerca di un malanno. - No, figurati...stavo solo pensando- rispose Yuya, scuotendo debolmente il capo. - Aaaah, chissà cosa sta frullando in quella tua testolina, Yu...torniamo a casa insieme? Ti serve ancora il passaggio?- - Magari, grazie- - Ma cos'è successo alla motocicletta?- - Rotta una pinza del freno. E per fortuna me ne sono accorto prima di uscire di casa. Lunedì riposo, credo ci metterò sopra le mani per allora- - Diavolo, bella rottura- - Dillo a me, ho fatto il passaggio di proprietà la settimana scorsa...vado a cambiarmi, ci metto un secondo- Aggirò con velocità il bancone, prima di scendere le scale che portavano ai camerini. Lì l'atmosfera era leggermente più fredda e, in qualche modo triste, priva della vita che caratterizzava invece l'immensa sala del Pharaoh's Kingdom. E tuttavia non era il caso di dire che quei locali fossero male attrezzati: lo stanzone era dotata di ogni comfort possibile, dagli armadietti in perfetto ordine e tenuta a morbidi divanetti su cui passare qualche minuto di pausa, perfino quattro cabine doccia vere, separate l'una dall'altra, e una piccola asse da stiro, corredata da ferro e un piccolo kit di cucito per riparazioni last-minute. Non c'era che dire, tutti i dipendenti del Pharaoh's Kingdom erano trattati davvero bene, molto più di qualsiasi altro locale normale. Aveva prestato servizio in altri locali, prima di approdare nei paraggi del Pharaoh's, facendo esperienza nel campo della ristorazione e apprendendo i segreti del Flair Bartending. Gli riusciva bene destreggiarsi con bottiglie e bicchieri, lanciandoli e riprendendoli al volo mentre preparava cocktail e bevande di ogni tipo, e alla clientela piaceva assistere alle sue evoluzioni; piaceva un po' meno ai suoi precedenti datori di lavoro, che sostenevano che tutti quegli inutili giochetti rubassero tempo prezioso. Neanche a dirlo, quelle parole gli entravano in un orecchio e venivano sparate fuori dall'altro, senza minimamente intaccare le sue intenzioni o azioni; era stato così che era approdato in diversi bar di Nuova Domino, ed era così che aveva conosciuto Atem. Neanche a dirlo, il padrone di casa del Pharaoh's Kingdom era invece rimasto estasiato dalla sua vena acrobatica. In un sabato sera di “collaudo”, affollato e rumoroso, Yuya Sakaki non si era lasciato intimorire dalla numerosa clientela altolocata e aveva portato avanti il suo lavoro, con un allegro sorriso sul volto e gli occhi scintillanti dal divertimento: fin dai primi minuti di lavoro, Atem non aveva avuto dubbi, e l'aveva affiancato a Yuma e Yusei, per dar loro manforte dietro il bancone. Con Yuma formava un buffo duetto che ben si coordinava con i lanci e le acrobazie, anche se non erano mancati gli incidenti dovuti alla loro voglia di strafare e osare: si era perso il conto dei bicchieri rotti e degli shaker sostituiti perché visibilmente ammaccati. Yusei li trattava entrambi come due fratellini, e restava a guardare le loro evoluzioni con fare quasi amorevole, almeno finché le bottiglie non volavano troppo vicino alla sua testa: in quel caso non si faceva scrupoli a richiamarli all'ordine con qualche strillone. Entrare nel Pharaoh's Kingdom era stata la fortuna di Yuya. Aveva trovato la personificazione del concetto di “seconda famiglia”, e aveva rimediato, seppur in parte, al vuoto che sentiva dentro. Certe cose non si dimenticavano facilmente. A volte non si dimenticavano affatto. - Yuya? Hai fatto?!- - Arrivo, arrivo!- Chiuse l'armadietto con uno scatto secco del lucchetto, prima di risalire di corsa le scale pur di non far indispettire il suo collega e amico. Yuma era già con un piede oltre la porta di vetro, mentre giocherellava con le chiavi della sua coupé. La prima volta che l'aveva conosciuto aveva ipotizzato che avesse preso qualche scarica elettrica da bambino, e non era solo per l'improbabilità con cui la sua chioma se ne stava su: era davvero energico e attivo, forse troppo perfino per i suoi stessi standard. L'iperattività di Yuya era ben incanalata in un fine: metteva anima e corpo nel suo lavoro, se l'era cercato quasi, un modo come un altro per tenere il cervello occupato e non rimuginare troppo sul passato. Yuma, invece, ricordava un petardo acceso chiuso dentro un armadio: piccolo, ma capace di fare un gran casino. Tutta la sua energia non sembrava aver direzione, cacciandolo spesso in guai e facendogli commettere errori di valutazione che costavano caro in termini di lanci di bottiglie, parcheggi con l'auto e tante piccole quotidianità. Lo trovava piacevole da avere intorno: dove arrivava lui, arrivava anche una grossa ventata di allegria. Il fatto era che stargli dietro, a lungo andare, diventava davvero difficile. - Okay, andiamo- - Forza! Non sto facendo altro che sognare il letto! Ragazzi, che sabato sera! Uno dei più intensi dell'ultimo periodo! Ehi, che ne pensi?- - Di cosa?...O chi?- - Che domande, della ragazza nuova!- - E glielo disse con tono sufficiente, quasi fosse la cosa più normale del mondo chiedere opinioni su una collega appena arrivata; e magari lo era davvero, ma sul momento Yuya non riusciva a realizzarlo, forse troppo stanco. - Non mi è sembrata male- disse poi, mentre salivano le scale – Anche se non so cosa ci faccia, una come lei, a fare la cameriera- - Eh? Perché?- - Ma dai, l'hai vista bene?! Quella ragazza sarà figlia di qualcuno importante!- - Eeee da cosa lo evinci?- - Ha un portamento diverso da tutte le ragazze finora incontrate, e tutti gli abiti che indossavano non costano certo poco! Fidati, me ne intendo un pochino, e quelli non sono vestiti che potrebbe permettersi una provincialotta- - Non mi intendo di moda, ma ti prendo di parola. Anche se non mi ha dato l'impressione della nobile. Troppo...troppo umile- - Dici?- - Quale principessina viziata si metterebbe a segnare ordinazioni in un locale?- - Lo dici tu che è una principessa! Magari è una ragazza come tutte le altre. Magari non fa affidamento solo sul nome della sua famiglia- Usciti dal Pharaoh's Kingdom, il mattino li accolse...con l'oro in bocca, era il caso di dirlo. Il sole era ormai sorto, stagliandosi in lontananza come un gigantesco globo di fuoco sparato in direzione dell'orizzonte, tingendo di scie arancioni il cielo che ormai andava a schiarirsi. Un altro dei lati positivi di quel lavoro era proprio questo: entrare nel locale che il sole ormai tramontava, e uscire che si levava alto nel cielo. E ora che stava arrivando l'estate, sarebbe stato ancora più facile vederlo sorgere. Yuya trovava un che di poetico, nel modo in cui il sole e la luna si scambiavano giornalmente il loro trono: erano presenti entrambe nel cielo, eppure una si nascondeva quando l'altro si svelava, come due amanti perduti che non volevano incontrarsi ancora. L'immagine della luna, scintillante nel suo abito di luce argentea e immersa nel mare nero del cielo, aveva da sempre suscitato immagini poetiche e romantiche in poeti e artisti; lui, che non si riteneva affatto un poeta ma si sentiva un poco artista, la vedeva più come un gigantesco faro nella notte, che illuminava le acrobazie con cui stava costruendo la sua strada. Tuttavia, vedere il sole sorgere al mattino di ogni nuovo giorno era sempre un piacere. Un simbolo di speranza, un nuovo inizio. - E Alexis è stata tra i grandi assenti, questa volta- notò Yuma, una volta salito in auto e avviato il motore. Yuya rimase ad osservare per qualche secondo il quadro elettrico riempirsi di luci, prima di realizzare cosa il suo amico avesse detto. - Non è venuta? Non me ne sono reso conto- rispose poi, allacciandosi la cintura e sistemandosi meglio sul sedile – Avrà avuto da fare- - Peccato, quando c'è lei intorno mi diverto di più!- - A te piace solo punzecchiarla- - Che male c'è? Sono cose che si dicono! Ehi, ma secondo te Judai se n'è accorto?- - Di Alexis? Oh ti prego, è così palese...!- - Ti ricordo che stiamo parlando di Judai...- - Esatto! Proprio perché stiamo parlando di lui! Andiamo, hai visto come Alex gli va dietro? Se ne accorgerebbe anche un cieco...- Alexis Rhodes era sempre stata una presenza fissa nel Pharaoh's Kingdom: il sabato sera era facile individuarla seduta ad un tavolo singolo, ad osservare con poco interesse le esibizioni dei corpi di ballo e a spizzicare dolcetti qua e là. Una delle poche, se non l'unica persona che Judai serviva personalmente, in nome della loro vecchia, duratura amicizia fin dai tempi della scuola. I due restavano spesso a parlare insieme del più e meno, Yuma gli dava spesso di gomito per indicarglieli: sembravano divertirsi davvero tanto insieme, ridevano e scherzavano, guardavano video stupidi di gattini arruffati sul cellulare di lei e Alexis sembrava davvero presa dal ragazzo. I suoi occhi chiari si illuminavano ogni volta che posava lo sguardo su di lui, e i suoi tentativi di avvicinamento erano così palesi, che solo un tordo o, davvero, un cieco avrebbe potuto ignorarli. Judai non era cieco, ma sembrava davvero fosse duro di comprendonio, come tanto decantato quella sera da Yusei. Eppure tutti i membri del team del Pharaoh's concordavano che la loro fosse davvero una bella coppia, dove lei, così diligente e responsabile, sopperiva alle mancanze idiote dell'altro. - Io ho timore che, prima che Judai se ne accorga, Alexis possa mollare la presa- riprese Yuma, rallentando nel traffico – E sarebbe un peccato. Per entrambi, intendo- - Ehi, e da quando ti intendi di relazioni sentimentali tu?- domandò Yuya, lievemente stupito. - Cos'è, pensavi davvero che fossi ferrato solo in materia di videogiochi?- No di certo, avrebbe voluto rispondere Yuya, ma decise di lasciar perdere, puntando gli occhi sulla colonna di auto di fronte a loro. Uno dei lati negativi dell'avere un lavoro notturno, visto che si parlava precedentemente di pregi, era quello che, una volta usciti dal locale, ci si ritrovava imbottigliati nel traffico mattutino creato da chi aveva turni di lavoro ad orari convenzionali: i letti aspettavano sempre più del dovuto per ricongiungersi ai loro assonnati proprietari. Ed era proprio in quei momenti che la stanchezza si faceva sentire. Risaliva di colpo, intorpidendo sensi e membra, rendendo le palpebre pesanti e calanti sulla vista offuscata dalle luci soffuse del locale. L'adrenalina dell'attività notturna scemava tutta insieme nell'esatto momento in cui ci si posava sul sedile di un auto; almeno il muoversi in motocicletta ti costringeva a restare lucido e attento mentre svincolavi nel traffico, tra le auto che procedevano a passo d'uomo. Uno dei tanti motivi per cui Yuya preferiva una due ruote stava proprio nella sua agilità e velocità: uno come lui odiava stare fermo troppo tempo nello stesso punto, doveva necessariamente muoversi per dare sfogo alle sue energie, e il traffico cittadino era una di quelle cose che metteva a dura prova il suo sistema nervoso. Farsi accompagnare in auto era molto più comodo, ma anche più dispendioso in fatto di tempistica, oltre che più impegnativo dal punto di vista della pazienza. Mentre il sole si alzava ancora, e le strade si popolavano lentamente dei primi lavoratori e le prime serrande si sollevavano, i due colleghi del Pharaoh's Kingdom fecero di tutto per mantenersi relativamente lucidi: mantennero lo stereo acceso su un notiziario mattutino a commentare le ultime novità del mondo, qualche discorso sconclusionato sulla politica tanto per non parlare delle condizioni meteo, commenti sui nuovi successi rock passati in radio, considerazioni sulla serata lavorativa appena trascorsa; Yusei ha davvero tutte quelle cicatrici, non l'avrei mai detto anche se so che ha avuto un passato turbolento, Aki è comunque davvero carina, ha anche un bel colore di capelli! Ho dimenticato di chiedere quale versione di Smash Bros hanno, Yusei e Judai, ehi perché non organizziamo una serata a tema videogiochi a casa mia, chiamiamo tutti, Aki compresa! Non so quanto Atem sia interessato a queste cose, Yugi sicuro...sì, figurati, dove va Yugi sta' sicuro che ci sarà il suo fratellone a fargli da ombra! Ma quand'è che freghiamo le chiavi a Yusei e ci facciamo un giro sulla sua fantastica moto? Non posso mica, è di cilindrata troppo grande per me, e poi non la sfiorerei neanche con un dito! Mi fa quasi paura e Yusei ha un attaccamento morboso per quella moto, se scoprisse qualcosa fuori posto andrebbe su tutte le furie. E mentre scendeva dalla coupé di Yuma e lo salutava agitando il braccio, osservandolo allontanarsi con un rombo della marmitta messa non proprio benissimo, Yuya restò ad osservare il fondo della strada privo di interesse. Sempre così quando si allontanava dalla sua seconda casa, dalla sua famiglia acquisita. Tutta la gioia accumulata in otto, a volte dieci ore di lavoro, se ne andava con i raggi del sole, insieme alle forze e alla prontezza di riflessi. Il come questo fosse possibile, ancora doveva trovare un valido motivo per spiegarselo. Entrò nel palazzo, imboccò subito l'ascensore e spinse il bottone per il quinto piano: con le gambe così intorpidite non se ne parlava neanche, di salire le scale. Era stanco, e aveva davvero troppo sonno per salire più di tre gradini senza sbatterci il grugno contro. Si diede un'occhiata allo specchio verticale all'interno della cabina: i capelli verdi e rossi, arruffati e spettinati dalla foga del lavoro, erano umidicci di sudore. Allungò una mano e abbassò gli occhialetti, lasciandoseli a mo' di collana, prima di stropicciarsi gli occhi con foga. Era stanco. Profondamente stanco e triste. E come un bravo menestrello di corte continuava la sua farsa, allietando il suo pubblico e riguardando poco sé stesso: la sua testa era un turbine di pensieri che sceglieva volutamente di tenere all'oscuro degli altri, chissà perché poi. Sapeva di poter contare su di loro, su quei cinque compagni che l'avevano accolto nel team a braccia aperte e l'avevano fatto sentire a casa per la prima volta da sei anni. Era forse destino dei pagliacci e dei giocolieri, quello di portare allegria e sorrisi pur di negarli a sé stessi? Yuya sbuffò affranto e posò la fronte sul freddo pannello dell'ascensore. Non vedeva l'ora di tornare a lavorare. - Fantastico. Guarda qui che cosa abbiamo...- - Cos'è quella roba?!- - La bolletta della linea internet. Questa è tutta tua- - Eh? E perché?!- - Perché sei tu quello che scarica dai torrent senza alcun limite, sei tu quello che sfora le soglie di navigazione web- - Come se tu non contribuissi con le tue sitcom!- - Questo mese l'ho passato in garage se ben ricordi, quando mai ho avuto modo di scaricare qualcosa?- - Oooh, e va bene! Hai almeno sistemato quel trabiccolo o no?- - No, e sto impazzendo. Non riesco a trovare una mappatura, per la centralina, che mi soddisfi- - Dipende da quello che cerchi, immagino...- Yusei scosse il capo, consegnando al compagno la busta da lettere e chiudendo la cassetta della posta. L'ingresso del condominio risuonava dei loro passi stanchi mentre risalivano le scale fino al primo piano, senza neanche degnare di uno sguardo l'ascensore: due strisce di nastro giallo e nero ne sbarravano l'accesso, a testimoniare che fosse ancora rotto da tre mesi almeno. Anche perché, a dire di Judai, prendere l'ascensore per evitare una scemissima rampa di scale era da disadattati sociali. E pigroni cronici. E sebbene Yusei fosse tutt'altro che pigro, a volte non aveva disdegnato di chiudersi nella cabina d'acciaio: un modo come un altro per riposare le gambe rese stanche da un'ennesima serata passata in piedi. - Serata molto fruttuosa!- esclamò Judai, passandosi una mano tra i folti capelli castani – C'è stato di che divertirsi!- - Certo, peccato fosse tutto divertimento alle mie spalle...- borbottò Yusei, infilando le chiavi nella serratura. - Ah dai, non te la sarai presa davvero?! Alla fine sono io quello che ha faticato a scaricare! Dio, che male alla schiena...non potremmo chiedere ad Atem di assumere qualcuno che sbrighi questa rogna?- - Non l'hai chiesto davvero, vero?!- - E perché no?! Di certo non gli mancano, i fondi...- - Judai, è di Atem che stiamo parlando- - E quindi?- - E quindi sai com'è fatto. Gli piace...giocare con noi- E lo disse con un brivido che gli scosse la schiena, mentre spalancava l'ingresso e lasciava entrare il castano per primo. Il carisma di Atem era tale da spingere chiunque gli fosse intorno a seguire lui e le sue idee: e la cosa, se da un lato poteva essere ammirevole, dall'altro la trovava inquietante. Ammirevole, perché chi non restava affascinato, ammaliato dalla sua sicurezza e il suo savoir-faire in ogni situazione? Qualunque cosa gli succedesse intorno, Atem era capace di mantenere quel distacco necessario che gli permetteva di valutare ogni cosa con freddezza e lucidità: nulla sembrava scalfire la sua sicurezza, e se qualcosa era davvero in grado di turbare il suo animo lo nascondeva davvero bene. Nulla impediva a Yusei, però, di pensare che la mente organizzatrice del Pharaoh's Kingdom approfittasse, anche solo un po', di quella sua brillantezza intellettuale: Atem era uno stratega e un conquistatore della folla e lo sapeva, e probabilmente...anzi, sicuramente faceva leva su questo per ingraziarsi i favori di chi gli stava intorno. E la cosa strabiliante era che non aveva mai deluso le aspettative di nessuno, anzi: era spesso andato controcorrente con le sue decisioni e le sue intuizioni, salvo poi godersi le facce stupite di chi non credeva ai suoi successi. Aveva tirato su il Pharaoh's Kingdom dal nulla, e l'aveva reso il polo di attrazione della clientela più altolocata di Nuova Domino. Eppure c'era qualcosa che gli sfuggiva. - Pensi quindi che lo faccia di proposito?- chiese Judai, lasciando la giacca sul vecchio appendiabiti dietro l'ingresso e spalancando la bocca in uno sbadiglio allucinante – Che lo faccia per un suo divertimento?- - Se la cosa non lo divertisse a sufficienza, penso non ci sprecherebbe sopra tempo prezioso- rispose Yusei, defilandosi in cucina e spalancando il frigorifero – Vuoi qualcosa?- - Voglio solo il letto adesso. Vado a coricarmi- - A più tardi- Rimase ad ascoltare il suono dei suoi passi strascicati sul pavimento, prima di concedersi un sorso d'acqua fresca, lo sguardo perso a studiare la cucina tutt'intorno. L' appartamento che si erano ritrovati a condividere era, in origine, appartenuto ad un vecchio pensionato che la famiglia aveva preferito rinchiudere in una casa di cura, complice la sindrome di Alzheimer che sembrava avergli azzerato tutte le memorie acquisite fino a dieci anni prima. La cosa, seppur non lo ammetteva direttamente, terrorizzava Yusei: l'idea di perdere gradualmente lucidità e ricordi, fino a rendere la sua testa un vecchio disco rotto fermo a tanti anni prima, lo destabilizzava ed inquietava. C'erano tante cose che voleva dimenticare, era vero, ma non voleva che a sparire dalla sua mente fossero proprio i ricordi degli ultimi anni. E sapeva che a parlarne e pensarci adesso, era da suonati come campane: era giovane, un ventiquattrenne nel pieno del vigore e nelle forze, aveva commesso degli errori ma stava anche lavorando sodo per porre loro rimedio. Avrebbe dovuto concentrarsi su questo, sul mettere a posto quell'incasinatissimo puzzle che era stata, finora, la sua esistenza, non arrovellarsi e restare sveglio la notte intera pensando a terribili patologie mentali. Chissà se Judai ci pensava, alla possibilità di invecchiare e dimenticare tutto quello che era stato. Una parte di sé scommetteva di no: quel ragazzo era permeato di fin troppa positività per lambiccarsi il cervello su simili questioni. Un concentrato di bontà e generosità autentici, mitigati solo dalla faciloneria con cui affrontava alcune cose e la mancanza di spirito di osservazione in altre. In cuor suo, non poteva sperare di trovare miglior coinquilino. Magari, se fosse stato meno bravo ai videogiochi... Posò il bicchiere nel lavello, cercando un po' di spazio tra i piatti lasciati dal pranzo del giorno prima. Dovevano decidersi a metterli a posto: magari una volta svegli, dopo il pasto pomeridiano. Fuori dalla porta-finestra, le piantine sul balconcino erano tutte rivolte al sole ormai sorto. Il suo ufficio rievocava la lussureggiante vegetazione di un'oasi del deserto, o almeno era così che Aki Izayoi l'aveva descritto una volta entrata al suo interno, il pomeriggio precedente. Atem aveva sorriso, sinceramente compiaciuto del paragone. Ogni varietà di kentia e potus esistente in commercio era stata racchiusa in quella stanza, illuminata dalla gigantesca vetrata alle sue spalle che lasciava entrare quanta più luce de sole possibile. Gli scaffali in scuro legno di tek, alla destra della sua scrivania, contenenti volumi sull'Egitto e riproduzioni delle sue divinità, avevano molto incuriosito la ragazza dai capelli rossi che aveva deciso di assumere come seconda cameriera in sala. Alla sua sinistra, seminascosto dalle fronde a foglie lunghe della kentia più grande, Yugi si era lasciato momentaneamente cullare dalle braccia di Morfeo, seduto a braccia conserte sul divano in pelle scura. Il lieve tremolio delle palpebre, e il respiro regolare e ritmato, gli fecero però capire che era tutt'ora vigile: stava solo facendo riposare gli occhi dopo una serata passata ad osservare lo schermo di un palmare. Il silenzio che regnava in quell'ufficio era frammentato solo dal ticchettio dell'orologio a parete, sospeso a qualche centimetro di altezza dalla porta. Con noncuranza quasi studiata, Atem fece scivolare una mano in basso, aprendo con delicatezza un cassetto della sua scrivania e mettendo mano ad una piccola scatola: le linee dorate si intrecciavano sul legno scuro, l'occhio di Ra lo osservava benevolo e guardingo mentre i due scarabei riposavano immobili sui fianchi del minuscolo forziere. Fece scattare la chiusura cesellata in forma di Ankh, svelando il mazzo di tarocchi egizi che giaceva all'interno. Alzò di nuovo lo sguardo su Yugi: il movimento non sembrava averlo turbato né destato. In silenzio, tenendo il mazzo per il bordo esterno, separò due carte in una ordinata coppia sul ripiano, il dorso che guardava il soffitto. Parti dalla sinistra, ne voltò la prima. Un giovane e prestante uomo con in mano un bastone. Atem non riuscì a trattenere un sorriso. Il primo Arcano, il Mago creativo, annunciatore dell'arrivo di amici leali che aiutano a sviluppare progetti, e di altri che, alimentati dall'invidia, ostacolano quelle mete. Il principio di nuove iniziative e la nascita di nuove relazioni sociali. La seconda carta, invece lo mise a confrontarsi faccia a faccia con Anubi: il dio dalla testa di sciacallo sembrava scrutarlo con il suo occhio indagatore. Quinto Arcano, il Gerarca, manifestazione della Legge Universale sul piano spirituale. Grandi insegnamenti sarebbero stati conciliati, grandi amori, avventure amorose, un costante andare e venire di cose e fatti. Buoni amici e anche persone che avrebbero causato conflitti. Sorrise Atem, rimettendo le due carte insieme alle altre, riunendole in un ordinato mazzo che mise al sicuro nel suo forziere.
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Le sei del pomeriggio arrivarono molto velocemente. Aki non aveva mai dormito così bene: per la prima volta, dopo tanto tempo, era stata cullata da un lungo sonno ristoratore, senza interruzioni né incubi di sorta, tale che perfino l'allarme della sveglia era sembrato un vago, indistinto campanello che suonava in qualche recesso della sua mente. Si era risvegliata autonomamente, aveva rivolto un'occhiata incerta al soffitto e alla carta da parati giallo sporco che la circondava. Il suo prossimo giorno di riposo l'avrebbe dedicato alle compere, altroché: non aveva intenzione di restare in un buco di appartamento vecchio e malandato. Tanto per cominciare, avrebbe acquistato delle nuove tende: non se ne parlava di restare con quelle polverose veneziane che funzionavano una volta su dieci. Magari avrebbe preso anche dei fiori, tanto per ravvivare e colorare l'ambiente. Meglio quelli finti, forse, per non vederli seccare...ma non avevano il fascino e la delicatezza dei fiori normali. E non avevano neanche il loro profumo. E se avesse preso delle piantine grasse? Non richiedevano cure particolari, davano comunque un tocco di verde all'ambiente e alcune di queste facevano nascere anche bellissimi fiori dai colori accesi. O forse erano meglio le piante carnivore? Erano esotiche, belle da vedere e anche molto utili, in grado di tenere lontani incauti insetti. Urgeva trovare il vivaio più vicino. Il pollice verde di Aki era caratteristica conosciuta a tutti i componenti della sua famiglia: fin da bambina si era mostrata piuttosto abile nel prendersi cura di piante e fiori con costanza e dedizione degni di un giardiniere provetto. Sua madre le raccontava sempre che da piccola parlava alle piante per convincerle a crescere più belle e rigogliose, e che cantava alle rose per farle fiorire prima e più a lungo; piuttosto inquietante era stata, invece, la volta in cui Aki dodicenne aveva scoperto che il suo amato roseto era stato attaccato da bruchi che si erano nutriti delle sue foglie: a quanto pareva la rossa aveva preparato un pesticida naturale, con acqua e grani di pepe grosso macinati, sussurrando terribili maledizioni con folle sguardo assassino. Sua madre sosteneva che, non fosse stato per il fatto che sapesse di cosa la figlia stesse parlando, avrebbe pensato stesse preparando un omicidio. Prendersi cura di piante e fiori era l'unica cosa che sembrava essere politicamente accettata in quella famiglia: niente di strano, niente di eclatante, solo una ragazza col pollice verde. In termini di business, avrebbe potuto aprire una catena di vivai in tutto il continente, oppure entrare nel più redditizio giro degli affari dei concimi e dei pesticidi. L'unico problema che caratterizzava non solo la famiglia Izayoi, ma più o meno tutte le famiglie nobili di Nuova Domino, era che qualsiasi cosa si facesse nella vita dovesse essere necessariamente rivolta al successo economico e alla realizzazione nella società. Si cresceva con quell'idea, fin da bambini si parlava di futuro e di cosa fare da grandi, e ben pochi erano quelli che potevano sperare di poter seguire le proprie ambizioni e preferenze. Nella maggior parte dei casi, il proprio destino era segnato dalla familiare dinastia di avvocati, primari, dirigenti d'azienda, docenti universitari, chirurgi, proprietari di cantieri navali; qualsiasi cosa, bastava che si continuasse la tradizione familiare e si portasse un ingente capitale in famiglia. Crescere e diventare maggiorenni a Nuova Domino era molto difficile, oltre che frustrante e demoralizzante: il passaggi alla maggiore età era il momento in cui era necessario affermarsi nella società, ed era allora che bisognava mettere la famiglia al corrente delle decisioni sul proprio futuro. Di norma era la scusa per preparare un gigantesco ricevimento che coinvolgeva tutti i familiari, per andare poi a raccontare a ognuno di loro i piani sul proprio futuro e spiegare in quale modo avrebbero contribuito al capitale familiare. Anche Aki era stata sottoposta a quel rito di passaggio, se così si voleva chiamare: il ricevimento era stato tenuto nella sua villa di famiglia, nel giardino da lei tanto adorato e curato fin dalla tenera età di quattro anni, quando tagliava via le foglie secche del roseto con le forbicine. Era stato semplice raccontare a tutti che intendeva intraprendere gli studi di medicina: la famiglia Izayoi era più improntata verso la politica, con diversi suoi esponenti a direzione della Nuova Domino, ma più passavano gli anni e più quella posizione diventava di esclusivo appannaggio maschile. Non c'era nulla di male nel sapere che una ragazza si accingeva a studiare per diventare dottoressa, magari primario o chissà cosa. Più difficile era stato far accettare a tutti l'idea che avrebbe fatto tutto da sola e che non avrebbe scelto l'ateneo verso cui voleva indirizzarla il padre: troppo altolocato per i suoi gusti, diceva, si sudava poco e gli esami erano preparati a tavolino, mirando solo a far uscire laureati senza le minime competenze. Qualche cervellone lasciava i banchi universitari, era vero, ma in molti erano lì solo per “fare qualcosa”, nel frattempo che un loro illustre padre o nonno o zio avesse affidato loro le redini dell'azienda. Aki non era un parassita, a lei piaceva guadagnarsi i suoi meriti e onori. A quanto pareva non era un concetto di facile assimilazione, quello di raggiungere i propri obiettivi scegliendo quella che era la via più difficile. Prese il telefono e osservò lo schermo, arricciando il naso e strizzando le palpebre, abbagliata dalla luce dello schermo. Nessun messaggio da nessuno che conosceva, come ben prevedeva. Ancora non gli era andata giù, a quanto pareva. Si mise seduta a bordo del letto, stendendo le gambe e allargando le dita dei piedi; lo sguardo le cadde sulla scrivania poco più in là e sulla pila di libri posata su di esso, e lo sconforto la colpì come una manata in fronte. Per quanto studiare le riuscisse bene, non rientrava esattamente nella lista delle sue attività preferite. Aveva scelto la facoltà di medicina, ma solo per accontentare le aspirazioni familiari di vederla “sistemata” come tutto il resto del parentame: fosse dipeso da lei, non avrebbe fatto nulla di tutto questo. A ben pensarci, non sapeva bene cosa avrebbe voluto fare. Probabilmente, si sarebbe lasciata trasportare dai giorni, chiusa nella prigione di cristallo della sua casa, senza un obiettivo valido o delle aspirazioni. Senza fare nulla, come era stata cresciuta: senza la necessità di fare nulla. C'erano le cameriere a sistemarle il letto quando si svegliava, il cuoco a preparare colazione, pranzo, merenda e cena, e perfino i giardinieri erano diventati sempre più gelosi di lei e del suo dono con le piante e i fiori, al punto da riservarle occhiatacce quando lei si attardava troppo vicino al suo roseto o ai cespugli ben potati. Non era mai bene che una ragazza prendesse troppa iniziativa, in quella società. Aki era sempre stata considerata strana, quello strano che incuteva timore e soggezione. I motivi di tanto riserbo nei suoi confronti non erano chiari neanche a lei, e li aveva sempre imputati alla sua discendenza “nobile”: lei era la ragazza ricca, quella che poteva permettersi tutto con uno schiocco di dita. Una che aveva vita facile, una che non doveva sudare per guadagnarsi il successo e l'ammirazione degli altri. Aveva imparato, con il tempo, a farsi scudo della solitudine e del suo carattere non proprio malleabile. Pochi erano gli amici che aveva considerato tali, e anche questi erano andati persi con il tempo, trascinati via dai loro impegni e obblighi di adulti. Aveva sempre pensato che diventare adulti fosse solo una fregatura colossale. Tanti obblighi, tanti doveri, tante responsabilità: Aki non si era mai sentita pronta a diventare adulta, forse perché non era mai stata realmente bambina. La sua infanzia era stata scandita da rigidi dettami familiari volti a farla diventare una personalità di spicco nell'alta società di Nuova Domino, secondo uno schema unico e infallibile che già aveva funzionato con molti rampolli della famiglia Izayoi. Molti, ma non tutti: e lei faceva parte di quella stretta cerchia di ribelli che aveva deciso di prendere in mano la propria vita e uscire dalle comode e sicure mura familiari, forse per ritrovare sé stessi o, più probabile, per dimostrare che valevano qualcosa anche fuori dalla famiglia. Di quelle pecore nere, come alcuni si riferivano a loro, se ne perdevano volutamente le tracce. Aki era insicura sulla loro sorte, molti erano sicuramente a vivere altrove, altri chissà. E sapeva che, con la sua presa di posizione contro le tradizioni di famiglia, avrebbe attirato su di sé lo stesso destino: poco a poco tutti, nella sua famiglia, l'avrebbero dimenticata, e da una parte sperava che questo avvenisse il prima possibile, così da non avere rimorsi né risentimenti particolari. Dall'altra, sperava sempre di sbagliarsi ed essere piacevolmente sorpresa, un giorno o l'altro. Si alzò dal letto, osservando il cellulare che mandò una singola vibrazione: un messaggio. Subito sfiorò lo schermo per aprirlo, senza neanche fare caso al nome del mittente. La piccola speranza che le era sbocciata in cuore affievolì come la fiammella di una candela, quando si rese conto che no, non era un messaggio da sua madre, né da suo padre o da qualsiasi altro suo familiare; ma glielo riempì con qualcos'altro. Sorpresa, forse. Era Judai, che le augurava un buon risveglio e le ricordava di presentarsi puntuale al lavoro. Concludeva le poche righe di messaggio con qualche emoticon di troppo per i gusti della rossa, ma inconsciamente si ritrovò a sorridere, quasi intenerita. A fine serata, aveva scambiato il numero di cellulare con quello dei suoi nuovi colleghi. Il primo era stato Atem, che le aveva lasciato anche il suo recapito mail, “per qualsiasi emergenza” le aveva detto. E poi Yugi l'aveva seguito a ruota, insieme a Judai e i due Yu, come li aveva ribattezzati lei perché chiamarli Yuma e Yuya le risultava troppo strano senza evitare di sorridere ogni volta. Yusei si era già dileguato nei camerini, a cambiarsi d'abito: a quanto pareva, il barman era ancora imbarazzato da tutta quella paradossale situazione che si era creata prima del loro inizio turno; già le si era presentato con solo indosso un grembiule e un'espressione mutata da seria a maniaca nello spazio di un secondo, chiederle il numero di telefono sarebbe stato come chiedere il permesso per varcare un confine già sfondato per sbaglio con un panzer. O almeno questa era la spiegazione fornita da Judai, alla quale tutti avevano più o meno annuito. Sembrava che quel Yusei fosse molto più riservato, se non addirittura timido di quanto fosse sembrato da quel primo, strambo approccio. Aki sorrise e compose velocemente la risposta, prima di inviarla e dileguarsi nella cabina doccia. L'idea di tornare presto a lavorare le piaceva. Percepiva una strana sensazione, come se nello stomaco ci fosse un palloncino che provava a sollevarla da terra. Conoscere quei sei giovani ragazzi era stata forse una fortuna, per la sua esistenza smorta e grigia. Aveva solo qualche dubbio sul curriculum lavorativo: che avrebbero pensato, gli altri, al saperla lavorare con tizi che si spogliavano a caso durante una partita di blackjack? Scosse il capo, mentre il getto di acqua calda della doccia le martellava la schiena e risvegliava la muscolatura intorpidita dal sonno. A nessuno era mai importato davvero qualcosa di lei, perché avrebbero dovuto cominciare ora? Si fece una doccia veloce, prima di uscire e mettere mano ai suoi asciugamani.
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- Questa qui?- - Lei, sì. È una persona, rivolgiti a lei come si deve...- L'avvenente bionda di fronte a lei ignorò le parole di Atem, tornando a studiarla con attenzione, sfiorandole una guancia con le lunghe dita affusolate coperte dal lungo guanto. La donna le sorrise, seducente come una promessa di eterni amore e felicità. - Oh, ma guardala- disse poi – Questo collo così esile...ha il collo di un cigno, questa ragazza, è piccola come un cardellino- Piccola? Okay, non era esattamente un lampante esempio di altezza fisica ma addirittura definirla piccola...Aki deglutì, infastidita. - Ha molte risorse nascoste, la ragazza- notò Atem, scrutando la donna dai lunghi capelli biondi – Non farti ingannare dalle apparenze- Finalmente qualcuno che diceva le cose come stavano! Ma da Atem non si poteva aspettare altro: quel tipo sembrava capace di sbatterti la verità in faccia come una randellata. Sarebbe stato interessante metterlo alla prova in un confronto con suo padre, o con uno qualsiasi della famiglia Izayoi. Chissà cosa sarebbe successo. - Non lo metto in dubbio. Sai quello che fai, caro il mio Faraone...- Quando poi, finalmente, le porse la mano, una volta sfilatosi il guanto, per stringerla, Aki neanche se ne accorse in un primo momento. Trasalì sul posto e avanzò con la mano incerta, stringendola: era fredda al tatto, eppure piacevole da sentire, con quella liscia pelle di seta. La donna si chiamava Mai Kujaku, e mai nome era stato più evocativo di quello: una donna bella e consapevole di esserlo, la voce di una sirena e le movenze di una gatta. Quando saliva sul palco, ogni sguardo convergeva automaticamente su di lei: Aki non aveva prestato attenzione, troppo concentrata sul suo lavoro, ma aveva ancora i brividi a ripensare a quella potente voce che si destreggiava tra armoniosi vocalizzi, potente più degli strumenti di accompagnamento. Si trovava decisamente a suo agio in mezzo alla folla, più volte aveva lasciato il palco per sfilare tra i tavoli, e avvolta in quel vestito che sembrava un cielo notturno era ancora più bella: seta nera punteggiata da cristalli bianchi, più numerosi sul seno e sul busto. Anche le mani e le braccia erano avvolte nello stesso nero dell'abito, dalle dita fino ai gomiti, ma le spalle erano scoperte, e il collo era impreziosito da un meraviglioso collier che brillava sotto i riflettori colorati. Aveva cantato e intrattenuto la clientela, prima di scendere dal palco per concedersi una meritata pausa; qualche minuto per riposare le corde vocali, prima di ricominciare. Alle sue spalle, la sua band di musicisti si stava sbizzarrendo, improvvisando pezzi musicali briosi e ritmati: il ragazzo biondo al basso sembrava divertirsi parecchio, ed era quello che attirava più sguardi. - Rilassati pure Aki, lei è come Yusei- fece Atem, rendendosi conto che la ragazza aveva misteriosamente smesso di respirare – Sembra pronta a divorarti in un sol boccone, ma non ti torcerà un capello- - Oh, perché devi dire queste cose?- chiese Mai, quasi indispettita: mise su anche un adorabile broncio – Lo sai che ci resto male!- - Devi sapere che Mai è stata una dei primi artisti che ho voluto ad esibirsi qui- il padrone di casa sembrò ignorarla – La incontrai qualche anno fa su una nave da crociera- - Cosa mi stai facendo ricordare...! All'epoca lavoravo come croupier della sala casinò, ma il mio sogno è sempre stato quello di cantare- - Si esibì ad una prova di karaoke, mi colpì molto- - Et voilà, nel giro di qualche giorno lasciai la nave per cantare nel suo neonato locale! È quasi commovente...- Più che commovente, Aki trovava quella storia illuminante: aveva la conferma che lo slancio che aveva spinto l'uomo ad assumerla non era un caso isolato, a quanto pareva gli piaceva circondarsi di persone che lo colpivano, fosse stato per un semplice fattore estetico o mentale. Con suo rammarico, Aki si sentì un po' meno speciale. - Bei tempi quelli della nave da crociera- disse Atem, con un vago sorriso – All'epoca il Pharaoh's Kingdom non era bello come adesso, ma andavo spesso in giro per il continente. Andavo alla ricerca di collaboratori, artisti pronti ad esibirsi al suo interno, gente che avrebbe aiutato a spargere la voce- - Eppure ci sei riuscito- notò Aki – Hai...tirato su questo posto dal nulla. Dovresti esserne fiero- - Lo sono, infatti- - Posso farti una domanda? A costo di sembrare inopportuna- - Chiedi pure- - ...Perché? Voglio dire, perché hai deciso di fondare questo locale? Sempre che tu ne sia il fondatore- - Lo sono. Mi piace osservare le persone- L'espressione che doveva aver attraversato il suo viso doveva essere davvero divertente, perché Mai scoppiò a ridere: la sua risata era dolce e flautata, e aveva il vezzo molto femminile e chic di portarsi il dorso della mano alle labbra, quasi a voler coprirsi dietro di essa. Atem le rivolse un sorriso complice. - Non hai capito male, mi piace osservare le persone- le rispose poi – E conoscerle da lontano. Una persona ha molto da dirti senza che questa usi le parole, basta osservare i loro movimenti, gli sguardi, i vezzi e le particolarità, come porta i capelli o i gioielli che indossa- - ...Come hai fatto con me durante il nostro “colloquio”?- chiese Aki, mimando le virgolette con indice e medio di entrambe le mani; il gesto non sfuggì a Mai, che spalancò le belle labbra rosse e diede di gomito al proprietario del Pharaoh's Kingdom. - Colloooooquio, eh? Ora si chiama così...cos'hai fatto a questa dolce ragazza per conquistarla, eh?- gli chiese lei, gli occhi stretti in uno sguardo da mangiauomini. - Niente di quello che ti sta passando per la testa- rispose Atem, e per la prima volta da quando lo conosceva alla rossa sembrò di captare una nota di disagio nella sua voce. - L'hai mai visto alle prese con le carte da gioco?- domandò Mai, ignorandolo, riservando ad Aki un occhiolino compiaciuto – O con una delle cose che fa sparire e ricomparire?- Sparire e ricomparire? Questa le era nuova...e delle carte da gioco sapeva solo che le usava per infliggere indicibili punizioni a chi batteva la fiacca...Aki scosse il capo, in segno di diniego. - Aaah, un vero peccato! Rimarresti strabiliata dalla sua maestria! Non si capisce come faccia! E a me vengono in mente tante cose da fare, con quelle mani...- - Va bene così Mai, grazie mille- Stavolta Aki ne era sicura, era davvero imbarazzato. - Per rispondere alla tua domanda...- riprese Atem, schiarendosi la voce mentre la bionda cantante stentava a trattenere una risata – Sì, come ho fatto al nostro colloquio...Mai smettila. Mi piace analizzare la persona media, e fare da spalla a chi serve...come mettere a posto chi ne ha bisogno- - Che si traduce in...?- - Si traduce in selezionare la clientela in modi a noi sconosciuti!- esclamò Mai – Ed inscenare lui stesso qualche gioco o spettacolo, quando gli va. Ehi, perché non le fai vedere?- - Non se non le interessa- rispose Atem, rivolgendo una lunga occhiata alla ragazza.
Ancora una volta, Aki si sentì quasi denudata da quei perforanti occhi ametista. Annuì senza rendersene conto, strappandogli un nuovo sorriso. Per qualche motivo si sentì rabbrividire. Non sapeva dirle se la sensazione le piaceva o meno. Poi, senza dire altro, Atem si allontanò, senza congedarsi dalle due donne. Con passo silenzioso si accomodò al suo tavolo privato, tornando a sorseggiare il Martini che poco prima si era preparato al bancone. Aki lo osservò stupita, Mai si lasciò sfuggire un risolino. - Tipico del faraoncino- chiosò poi – Non fa mai le cose che gli chiedi, se non quando ha voglia. E i suoi giochetti non fanno eccezione. Ma li farà, stai tranquilla- - Esattamente cosa devo fare...ora?- chiese Aki, insicura. - Niente zuccherino, proprio niente! Torna pure al tuo lavoro, te ne accorgerai da sola quando farà qualcosa- Mai le riservò un'ultima carezza al volto, prima di dileguarsi in mezzo alla clientela e ad intrattenere qualche conversazione. Aki rimase semplicemente lì, ad osservare entrambi senza dire una parola: Mai che ancheggiava sinuosa ed ipnotica tra i tavoli, e Atem che la osservava svogliato, sorseggiando il suo Martini di tanto in tanto. - Ehi Aki...non vorrei dirti, ma Yugi ha bisogno di una mano- La voce di Yusei la riscosse dal suo improvviso stato di spaesamento. Aki si lasciò sfuggire un piccolo gemito di sorpresa, scattando in avanti come se fosse stata pungolata alle natiche e puntando decisa uno dei tavoli da cui un cliente stava facendo cenno di avvicinarsi. Yusei sorrise, divertito da quella scena. La serata era nel vivo, nonostante fosse una domenica sera la clientela era numerosa e i tavoli pieni, come se nessuno dovesse lavorare il mattino dopo. Gli piaceva osservare le coppie e i gruppi dalla sua postazione: il stare riparato dietro il bancone gli dava un certo vantaggio, era praticamente invisibile a chi stava dall'altra parte, troppo concentrato a scattarsi dei selfie o a osservare le esibizioni. Aki tornò da lui proprio mentre Yuma salvava un lancio di bottiglia troppo azzardato, guadagnandosi un applauso da Yuya. - Un Cosmopolitan, un Mojito e-e un Blowjob- ordinò la rossa, del tutto dimentica del fatto che lui già conosceva le ordinazioni. Tuttavia Yusei non glielo fece notare, fin troppo divertito dal tentennamento con cui aveva elencato l'ultima ordinazione. - Cos'è, ti imbarazza?- domandò poi il barman, riempendo di ghiaccio uno shaker con pochi, semplici gesti – Ehi! Aaaaah, non il Cointreau, mi serve, BESTIE!- La bottiglia di liquore francese atterrò con precisione tra le mani di Yuya, che la porse docilmente al barman. Il giovane riservò un'occhiata omicida ai due colleghi, che trotterellarono alle loro postazioni senza fiatare. Yuma si fece roteare un bicchiere collins tra le mani, cominciando a versare zucchero e piazzare foglie di menta, mentre Yuya aveva già riempito lo shaker con ghiaccio, liquore di caffè, Amaretto e crema Irish. - Non so cosa sia, in realtà- spiegò Aki, facendo spallucce. Yusei le sorrise affabile: era molto tenera quando sollevava le spalle in quel gesto innocente. - Beh, è quello che sta preparando Yuya- le spiegò poi – Liquore di caffè, Amaretto e crema Irish. Ti ha detto se ci vuole anche della panna?- - Non l'ho chiesto, se vuoi vado- - Ahahaha! Non chiedere, ci penso io! La panna ci va sempre, sul Blowjob- - Questa conversazione sta diventando davvero strana- - Ecco qua!- Yuma si piazzò trionfante i pugni sui fianchi, un sorriso sul volto che avrebbe potuto fargli il giro della testa due volte, non ci fossero state le orecchie a contenerlo. Il bicchiere di Mojito che gli stava davanti era da manuale: rum bianco, sciroppo di zucchero, succo di lime, acqua di seltz e ghiaccio spezzato erano attraversati di netto da una cannuccia nera, e le foglie di menta e i pezzi di lime sembravano posizionati al millimetro. Yusei si sporse di poco, lo annusò e sollevò il pollice destro. - La conversazione non diventerà strana a meno che tu non voglia che lo sia- le rispose poi il giovane, prima di cominciare a riempire lo shaker. Vodka pura, dall'odore pungente che le solleticò le narici perfino a quella distanza; succo di mirtillo rosso, succo di lime, e il già nominato Cointreau che Yuya aveva salvato in tempo da un indecoroso volo a terra: Yusei cominciò a versarli nello shaker in dosi calcolate al millimetro. Le bottiglie roteavano troppo velocemente per i gusti di Aki, ma a differenza dei due Yu, il moro dal tatuaggio dorato era molto meno acrobatico, più funzionale. Ogni bottiglia compiva perfette rotazioni nell'aria, afferrata dalla salda presa del barman che sembrava perfettamente a suo agio in quelle azioni. Si permise perfino di fischiettare a tempo con la musica della band, mentre la bottiglia di Cointreau tornava al suo posto. Si era arrotolato le maniche fino ai gomiti, rivelando il tatuaggio: la testa di drago osservava il mondo con sguardo fiero ed impenetrabile, tremendamente somigliante a quello di Yusei. Erano i suoi occhi che la stavano osservando, mentre lo shaker compiva argentei circoli: blu come il mare dove era più profondo, vividi ed intelligenti, vibranti di energia. Aki rimase ad osservarlo, senza spiccicare parola. Stava arrossendo. Lo sapeva, lo sentiva: orecchie e guance avevano raggiunto temperature di fusione del nocciolo, ed era sempre stato un grosso problema per una pallidina come lei. E l'avere i capelli rossi non aiutava affatto! Quand'era così, la similitudine con la testa di un fiammifero acceso era perfetta. E il problema ancora più grosso era che Yusei sembrava essersene accorto. Gli occhi si erano affilati come la lama di uno spadaccino d'altri tempi, arpionati su di lei come un'aquila su una preda. Aki provò l'invitante impulso di parcheggiargli il tablet delle ordinazioni in faccia, chissà cosa la trattenne. È solo perché è un ragazzo carino, le disse la vocina nella sua testa, e in cuor tuo non ti dispiace. Fosse stato qualcun altro a guardarti così ti avrebbe fatta incazzare. Stupida coscienza, aveva ragione anche lei. Yusei non le staccò di dosso gli occhi finché non ebbe terminato di preparare il Cosmopolitan, aggiungendoci un anello di lime a decorazione. Aki si strinse di nuovo nelle spalle e abbassò lo sguardo, sistemandosi meglio una ciocca dietro l'orecchio destro. - Sai perché si chiama Blowjob?- La voce di Yusei la fece rabbrividire per l'ennesima volta nella serata: Aki decise che sì, quella sensazione le piaceva. Alzò lo sguardo: il barman le porgeva il vassoio su cui erano posati Mojito, Cosmopolitan e Blowjob, con tanto di topping di panna montata. Yuma e Yuya stavano rispettivamente alla destra e alla sinistra di Yusei, due grossi sorrisi sul loro volto che le rievocarono in mente l'immagine di inquietanti mascheroni tribali. - Perché si beve senza mani- Aki tentennò per un attimo, barcollando lievemente quando il vassoio le venne posato tra le mani. Si schiarì la gola e si voltò senza fiatare, avanzando a passi piccoli e rapidi verso il tavolo da cui era partita l'ordinazione. Alla sua destra, Yuma fischiò tra il divertito e compiaciuto. - Vuoi già calare i tuoi assi migliori o cosa?- gli domandò poi, con un sopracciglio alzato. - Non montatevi la testa, tu e soprattutto TU- rispose Yusei, indicandoli entrambi con veementi gesti delle mani – L'ho solo punzecchiata un po', ha bisogno di sciogliersi- - Aha...dico, l'hai vista? Sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro per quanto era arrossita!- - Non infuochiamo gli animi, ah?- Un impreciso punto ai piedi del palco andò a fuoco. In un primo momento non se ne rese neanche conto, troppo impegnata a consegnare le bevande senza rovesciarle sul tavolo e rovinare tutto; ma quando Aki si rese conto della fiammata per poco non si fece sfuggire il vassoio dalle mani. Chi era più vicino al punto in cui il fuoco si era alzato scattò dalle sue sedute e si allontanò precipitosamente, arraffando telefonini e borsette e mettendosi a debita distanza. I musicisti sul palco abbandonarono le loro postazioni, portando via con sé gli strumenti: la rossa giurò di aver sentito il biondo bassista ululare un'imprecazione. Tuttavia, nessuno si muoveva. Poco lontano, Yugi era rimasto ad osservare la pira di fuoco che saliva verso il soffitto, senza muovere un muscolo né avvicinarsi all'estintore a poca distanza da lui. Judai si era affacciato dalla porta delle cucine, studiando la situazione da lontano, Yuma e Yuya avevano interrotto i loro giochi con le bottiglie e anche Yusei aveva alzato lo sguardo sulle fiamme, ma nessuno di loro muoveva un passo né chiamava aiuto. Mai si materializzò al suo fianco, sfiorandole un braccio e facendola sussultare: la bionda cantante le fece di nuovo l'occhiolino, corredato da un bel sorriso. Aki gettò un'occhiata inquieta in direzione di Atem: forse lui avrebbe reagito in maniera diversa, confermando che la situazione era potenzialmente pericolosa. Perché nessuno si muoveva? Perché nessuno faceva nulla? Il proprietario del Pharaoh's Kingdom le regalò un altro dei suoi enigmatici sorrisi da sfinge, prima di alzarsi dal tavolo e dirigersi verso la pira. Con calma, si slacciò il gilet, restando solo in camicia nera. Si sfilò l'indumento dalle spalle, e con un fluido gesto lo lanciò in mezzo al fuoco: le fiamme brillarono più intensamente per pochi attimi, poi sparirono, semplicemente. Al loro posto, le piume lucide e nere di un grosso corvo presero il volo: il volatile sfrecciò al di sopra dei tavoli, generando esclamazioni di stupore generale, virò verso il bancone dove si appollaiò, arruffò le penne e gracchiò un paio di volte. Troppo grande perfino per essere un corvo normale, figurarsi per essere nascosto in una manica di camicia o in uno striminzito gilet, il corvo si voltò verso la platea confusa e li osservò, svelando loro un terzo occhio dorato sulla sua fronte. Quando Aki si voltò ad osservare Atem, dallo sguardo che animava i suoi scintillanti occhi d'ametista capì che aveva appena cominciato. Il corvo gracchiò ancora. Tra le mani di Atem, la cintura di brillanti di una giovane donna si tramutò in una lunga fila di neri scarabei che fecero gemere inorridite le signore, salvo poi fare esclamare di stupore ancora una volta: una volta caduti a terra, gli insetti si tramutavano in oro e ossidiana, meravigliosi gioielli perfetti in ogni dettaglio nel rievocare gli insetti tanto cari agli Egizi. L'orologio da polso del misterioso accompagnatore di una avvenente donna si deformò all'inverosimile, quasi fosse stato ripetutamente passato sotto una rovente fiamma, allungandosi e liquefacendosi come il cipollotto dipinto da un pittore dalle idee confuse; e con la stessa semplicità ritornò al suo stadio normale, e così anche gli scarabei regredirono all'originale forma di cintura. L'uomo rimase ad osservare stupito il suo orologio, la donna si rifiutò di indossare ancora la cintura e uscì per qualche minuto, visibilmente spaventata. Atem la ignorò. Alzò la mano destra verso il corvo rimasto sul bancone: l'animale lo osservò guardingo con i suoi tre occhi, gracchiò ancora una volta, poi si sollevò in volo con due poderosi battiti d'ali. Puntò dritto il giovane uomo, e poco prima di schiantarglisi addosso le ali nere mutarono in pieghe e piegoline che gli si strinsero al busto. Atem sollevò una mano e allacciò l'ultimo bottone del gilet. Il silenzio che aveva regnato sovrano fino a quel momento venne rotto da un veemente scroscio d'applausi. Mai rideva accanto a lei, applaudendo a sua volta, la band di musicisti fece ritorno sul palco con circospezione, non sapendo cos'altro aspettarsi. Atem sorrise appena, ma più di questo non fece. Ignorò le ovazioni, gli applausi, i complimenti, e restò ad osservare l'unico uomo che, in fondo alla sala, non lo celebrava, ricambiando il suo sguardo.
****
La lancetta dei minuti aveva da poco superato la mezzanotte, e tutto il sonno che provava fino a qualche momento prima era scomparso nell'esatto momento in cui aveva percepito quella sottile interferenza. Mana si tirò su a sedere di scatto, gli occhi spalancati nel vuoto e il cuore che batteva all'impazzata nel petto quasi a voler uscire. Vi posò entrambe le mani sopra, come se volesse porgli un freno. Quella sensazione...era da tempo che non si faceva strada nel suo corpo. La giovane si guardò le dita con sguardo perso, forse incredulo, sentendole pizzicare lievemente. Lo sguardo si alzò verso la finestra della sua stanza. Il televisore rimasto acceso illuminava la camera di una pallida luce bluastra, un lieve riverbero che si rifletteva sulla superficie della sua sfera di cristallo e la sua collezione di gemme preziose; lo schermo del laptop spuntava a malapena da un'inquietante barriera di fogli e libri. Si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra: a quell'ora i quartieri costieri di Nuova Domino si illuminavano delle mille luci delle insegne colorate, i palazzi e i grattacieli che apparivano come inquietanti mostri dalle centinaia di occhi. Lì, da qualche parte in mezzo a quel labirinto di mura e quel dedalo di strade, un elegante lounge bar dall'esotica ambientazione aveva fatto da sfondo a quella che, agli occhi degli inconsapevoli spettatori, era stata semplice illusione. Un gioco di prestigio di grande effetto, capace di confondere e incantare gli occhi dell'uomo. Mana si lasciò sfuggire un lieve sospiro, spostandosi una ciocca bionda sull'orecchio destro, ignorandola quando la percepì scivolare subito dopo fino ad accarezzarle la guancia. Era da tempo che non percepiva quella sensazione, quella sorta di sottile interferenza energetica che la univa ad Atem da lungo tempo. Qualcosa l'aveva spinto a mettersi in mostra e a usare le sue abilità, quella sera. Senza indugiare oltre girò intorno alla scrivania, spostando colonne di libri una sull'altra e ignorando una torre di volumi che crollava rovinosamente a terra. Fece scorrere con uno scatto uno dei cassetti e portando alla luce il cofanetto in legno di mogano, posandolo in bilico su una pila di libri e scoperchiandolo con un gesto attento. Con delicatezza prese il mazzo di tarocchi marsigliesi, tenendolo per il bordo. Alzò ancora una volta lo sguardo sui grattacieli e i palazzi fuori la finestra, e nel silenzio rotto solo dal brusio del televisore, sintonizzato su un notiziario notturno, Mana dispose le carte in una lunga fila sul tavolo, ora sgombro. Le osservò a lungo, sorvolandole con la mano destra, le dita pallide tese sui loro dorsi, rimuginando tra sé la domanda, quasi assaporandosela tra le labbra e mormorandola a sé stessa. Voltò una sola carta. L'arcano svelato le mostrò l'inquietante immagine di una torre che crollava e di figure che precipitavano. La Maison Dieu, la Torre. Un brivido le attraversò la schiena con la forza di una frustata. Rimise tutte insieme le carte, riordinandole nel mazzo. __________________________________________________________ Siamo già al numero 2? Ma che bello è? Come state tutti? Io sono attualmente impelagata con i miei scritti: l'idea era quella di fare un doppio aggiornamento ma siccome di secondo nome faccio PROCRASTINARE, direi che per questa sera mi accontento. Ditemi che NON sono l'unica, ve ne prego, vi scongiuro perché davvero non SO più dove sbattere la testa. Fosse possibile trasmettere i miei pensieri al PC per osmosi, avrei scritto mille e più storie. Ma siccome tale tecnologia non è ancora disponibile, e io sono una cialtrona senza ritegno e col fondoschiena pesante come uno schermo panoramico, altro non posso fare che rotolarmi nell'autocommiserazione come un maialino nel fango. Capitolo di passaggio questo, si raccontano cose e ne succedono molte altre! Avevo detto che avremmo visto Judai e Yusei interagire tra loro spesso, SPESSISSIMO giusto? Ed ecco svelato il perché! I due duellanti leggendari sono, qui, dei coinquilini che dividono più o meno tutto: pranzo, cena, console, programmi varietà, anche il bagno e il garage! Sebbene dormano in stanze separate perché ognuno ha bisogno dei suoi spazi, e uno dei due russa e l'altro tira calci nel sonno. Provate a indovinare chi fa cosa... La situazione familiare di Aki. Ma che bel quadretto gioioso è uscito fuori? Ammetto di averci messo un po' del mio, solo opportunamente romanzato e modificato per adattarlo meglio ad una società distopica come quella ritratta nella serie 5D'S. Che bordello quella serie, giuro. L'intera dinamica della divisione tra Satellite e Nuova Domino gridava DISTOPIA da ogni lettera. L'Inversione Zero praticamente era un disastro nucleare. I Dark Signers sono praticamente dei non-morti, tra magia nera, la vendetta come veicolo motore delle loro azioni e il fatto di essere tecnicamente morti o quasi. Divine letteralmente DIVORATO da Immortale Terrestre Ccarayhua. Sempre Divine che si divertiva a far torturare ragazzini appartenenti al Movimento Arcadia per aumentare e valorizzare i loro poteri psichici. Gli Immortali Terrestri che assorbivano le anime di civili innocenti. E questa era SOLO la prima stagione. Perché ricordiamoci SEMPRE che è un gioco di carte PER BAMBINI! Mai Kujaku! Che dire di lei? Nella storia anche lei aveva un posto già assegnato con una bella freccia lampeggiante! Bella e preziosa come il pavone che le dà il nome, ruba la bella voce direttamente dalle Arpie del suo deck originale. Si comincia un certo gioco di sguardi dalla parte del bancone! Con lanci di bottiglia come sfondo. Scrivere di loro è divertentissimo. Ultimi ma non ultimi, Atem, Mana e il misterioso ospite che tanto misterioso non è! Perché chi altri può restare ad osservare Atem in perfetto silenzio, immobile e stoico come una statua accanto al Partenone? Ora sappiamo nello specifico cos'è che Atem si diverte a fare, quando è in serata...ma trattasi solo di un assaggino delle sue vere capacità. Illusioni o magia? Sta a voi scoprirlo! Gli altri ci si scervellano sopra già da un po'. E Mana...come non poter tirare in ballo anche li, la Ragazza Maga Nera sua fidata compagna di duelli, sogno adolescenziale di tanti spettatori e mio ennesimo sogno erotico appena intravista? Che meraviglia signori miei. CREDO di aver detto più o meno tutto, ma sicuramente qualcosa è sfuggito. Per ogni cosa, contattatemi pure via recensioni, posta privata, piccioni viaggiatori, qualunque sia il vostro modo! Vi risponderò più velocemente che le mie incasinatissime giornate mi permetteranno! Vi lascio un omaggino nel frattempo: sapete che mi piace disegnare? Ora sì. Ci si rilegge presto!
92Rosaspina
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Capitolo 3 *** 3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa ***
3. Cartomanzia, sfide tra gentiluomini e sguardi d'intesa
Solo gli occhi aperti possono scoprire che l'universo è il libro della più alta Verità. Rumi
- Seto Kaiba?! Seto porcaputtana Kaiba è stato qui questa sera?!- - Yuma, il linguaggio- Yusei roteò gli occhi verso l'alto, mentre continuava a sistemare i bicchieri. Il giovane barman ignorò il suo richiamo, continuando ad osservare Atem con un'assurda espressione in viso, quasi lo avesse visto danzare intorno ad un falò con un gonnellino di paglia e una corona di fiori. Aki faceva rimbalzare lo sguardo su tutti i componenti del team del Pharaoh's Kingdom, senza sapere bene di cosa – o chi – stessero parlando. La serata si era conclusa da una mezz'ora appena, e subito si erano tutti alacremente messi al lavoro per sistemare il locale prima di tornare a casa. Mai Kujaku si era congedata dal suo pubblico prima della fine ufficiale della serata, regalando loro un apprezzatissimo bis; si era trattenuta qualche minuto in più per discutere di qualcosa con Atem, forse per organizzare la prossima serata, e l'aveva salutato lanciandogli un bacio al quale lui aveva risposto con un sorriso, seppur piuttosto tirato. La cosa aveva sinceramente fatto sorridere la rossa: il fatto che un uomo come lui, così tutto d'un pezzo e formale, tentennasse di fronte ad avances a volte neanche troppo velate, lo rendeva più umano di quanto desse impressione. E forse doveva aspettarselo, ma nessuno dei membri del team sembrava particolarmente scosso dalle illusioni di Atem. Nessuno tranne, ovviamente, lei, a cui assisteva per la prima volta e non sapeva cosa pensarne. Erano ben più di illusioni ottiche: uno dei clienti del pub, in preda alla curiosità, aveva tastato con mano uno scarabeo caracollato a terra. L'aveva toccato, quella creaturina era tangibile e dotata di un corpo. Le illusioni non erano tangibili, per quel poco che sapeva. E quel fuoco? Apparso dal nulla! A fine serata Aki aveva imitato molti degli avventori del locale, e aveva scrutato a fondo ogni centimetro della zona antistante il palco: neanche a dirlo, non c'erano grate a scomparsa né mattonelle nascoste. Tutto il pavimento era un unico, liscio mare nero sulla quale le fiamme si erano riflesse, incandescenti lingue che lambivano l'atmosfera e generavano calore vero, intenso: la rossa aveva percepito l'improvvisa vampata prima ancora che si rendesse conto dell'origine delle fiamme. E il gilet di Atem, aaaah, quello era stato il colmo. Gettato nel fuoco, trasformatosi in gigantesco corvo e poi ritornato gilet! Il corvo era ben più grosso del naturale, e a prescindere era impossibile nasconderlo dentro un attillato gilet o nelle maniche di una camicia; forse era stato celato sotto il palco e fatto uscire al momento opportuno? Probabile, ma per quanto avesse cercato Aki non aveva trovato aperture o gabbie nascoste. E anche se il corvo fosse stato abilmente mascherato da un perfetto trucco, il fatto che l'indumento fosse rimasto del tutto illeso dalle fiamme smontava ogni possibile ipotesi. Passava tutto, ma non quello. Quel gilet era stato gettato nel fuoco. E non aveva riportato neanche una bruciatura. Atem lo aveva in seguito slacciato di nuovo, e fatto tastare dalle mani di chi era alla disperata ricerca di qualche abile stratagemma da illusionista: nulla era venuto alla luce, era un semplice, scemissimo gilet nero. Se c'era il trucco, e c'era, doveva esserci, era nascosto davvero bene, tale da non poter essere individuato da nessuna angolazione o sotto alcun tipo di luce. Perché non fosse stato un trucco, allora era magia vera e propria, e di fatto ancora più improbabile. Non ci avrebbe dormito la notte. O il giorno, considerato che la notte era passata da un bel po'. - Seto Kaiba era qui, sì- rispose Atem, preparandosi l'ennesimo Martini al bancone. Doveva proprio piacergli... - Isolato ad un tavolo singolo, poco distante dal palco- - E...e quando è arrivato?!- squittì Yuma, ignorando le richieste di aiuto di Yuya che stava armeggiando con qualche bottiglia di troppo. - Quando la sala era ormai quasi piena. L'ho fatto arrivare da un'entrata secondaria- Un'entrata secondaria?! Aki aggrottò la fronte. - Posso sapere chi è?- domandò la rossa con fare innocente, fermando temporaneamente il suo energico spazzare. - Il presidente della Kaiba Corporation- le spiegò Judai, impegnato in un giro di assaggi, mentre Yuya, che non sapeva più con che cosa reggere le bottiglie vuote, ne aveva presa una con i denti e mugugnava in direzione di Yuma – Multinazionale d'avanguardia, da cui partono tutte le innovazioni in campo videoludico e tecnologico del cazzo di mondo- - Judai, il linguaggio anche tu...- borbottò Yusei. - Ha parlato bocca di rosa...- - Aki, è quell'uomo che hai servito tu- intervenne poi Yugi, notando il suo smarrimento totale. Aki si mordicchiò un angolo del labbro inferiore pensosa, non esattamente rincuorata: in due sere aveva visto più facce diverse che in tutta la sua vita, ricordarsene di una in particolare era davvero difficile. Un uomo che sedeva in solitaria vicino al palco, nascosto da sguardi indiscreti per non attirare troppe attenzioni... E poi capì: la memoria le restituì l'immagine di un uomo giovane e sprezzante, seduto da solo ad un tavolo, che aveva richiesto un White Russian. Una voce bassa e vibrante, quasi ringhiosa. Non l'aveva salutata e non l'aveva chiamata, aveva semplicemente atteso che qualcuno – in quel caso, lei – si avvicinasse per soffiare “Un White Russian” con il tono di voce di chi sembrava pronto a conquistare il mondo. Abbigliamento severo e disciplinato come i suoi capelli, vestito totalmente di nero, dal maglione a collo alto agli stivali. La sedia accanto a lui era occupata dal un trench di un bianco accecante: lungo com'era, Aki immaginava gli dovesse arrivare quasi ai piedi. Per come si era presentato, sembrava in tutto e per tutto un perfetto cattivo di qualche videogioco: probabilmente prendeva troppo sul serio il suo lavoro. Ma era stato ben altro quello che l'aveva inquietata. Aveva due occhi di un profondo blu, belli tanto quanto quelli di Yusei ( e perché le veniva in mente proprio lui ora?! ) ma non c'era nulla dei sentimenti che animavano il barman. Erano occhi duri, spietati, affilati come la lama di un coltello appena passata sulla mola di un arrotino: se gli sguardi avessero potuto uccidere, quel tipo avrebbe scatenato un'autentica strage solo guardandosi intorno in quella sala gremita. E invece li teneva fissi su Atem. Li aveva osservati per il resto della serata: i due si erano scambiati spesso lunghi sguardi, una sfida muta e priva d'armi ma non per questo meno intensa e, forse, pericolosa. Quando le iridi ametista si incrociavano con le sue, Atem restava in perfetto silenzio, immobile come una statua, ad osservare il suo silenzioso opponente. Seto Kaiba non aveva applaudito alla sua dimostrazione, né tanto meno aveva fatto sentire la sua voce altre volte in quella serata; ma la coscienza di averlo presente in sala bastava per far rabbrividire Aki dalla testa ai piedi, e l'idea di averlo avuto a così poca distanza la rendeva nervosa. Perché poi? Non aveva nulla contro di lei a quanto pareva: era più interessato a quello che Mai Kujaku chiamava “il Faraone”. Il suo vortice di pensieri venne arrestato da un improvviso trambusto; mentre riordinava le idee, Yuma si era voltato verso di lei con l'espressione più buffa del mondo, roba che neanche Yuya avrebbe potuto eguagliarlo, e con un balzo a dir poco felino era saltato sul bancone, con tutte le intenzioni di raggiungerla. E ci sarebbe anche riuscito non fosse stato per Yusei: il barman tatuato, accortosi della mossa, si era sporto in avanti e l'aveva precipitosamente tirato di nuovo dietro al bancone, acchiappandolo per il colletto come una mamma gatta fa con i suoi micini. A differenza della mamma gatta, però, Yusei l'aveva anche lanciato via, facendolo atterrare di sedere sul pavimento e provocandogli un grido scontento. - Sei impazzito o cosa?!- sbraitò Yusei, rivolto al giovane collega – I PIEDI SUL BANCONE, SCIMMIA! COS'ERA?!- - Va bene così Yusei, non c'è bisogno di esagerare- Il Faraone aveva parlato. Il giovane barman si voltò verso di lui, ad osservarlo con quelle iridi blu che ad Aki cominciavano davvero a piacere, prima di chetarsi e ricomporsi: il drago aveva sputato fuoco, poi aveva gorgogliato scontento ed era ritornato nel suo antro roccioso. Senza dire altro, Yusei aiutò Yuma a rialzarsi, risistemandogli i vestiti sgualciti dall'improvviso strattone. Quanta forza doveva avere in quelle braccia, per sollevare una persona con quella facilità? Okay, Yuma era piuttosto piccolo e basso di corporatura, di conseguenza appariva come molto leggero; ma ciò non toglieva che avesse sollevato un ragazzo, ormai adulto, di un metro abbondante da terra e l'avesse spedito a sedere dietro il bancone. Aki represse un brivido, e decise di tenersi a debita distanza da quel tipo: cosa avrebbe potuto farle, se avesse deciso di issarla da terra? O di metterle le mani addosso? Poi scosse il capo, dandosi della stupida: perché Yusei doveva desiderare di fare una cosa del genere? - Yusei, tu non capisci!- esclamò Yuma, gesticolando animatamente e sfuggendo alle “amorevoli” pacche con cui il barman lo stava rassettando – Ha avuto l'onore di incontrare Seto Kaiba IN PERSONA!- - Giuro, se non ti dai una calmata...!- brontolò Yusei, rifilandogli un'occhiataccia che lo spedì in soccorso di Yuya. - Resta però la domanda- disse Yugi, pensoso – Cos'è venuto a fare qui? E...e poi come fai a conoscerlo?- - Una storia abbastanza lunga- si limitò a rispondere Atem, scoccando al fratello minore uno sguardo eloquente. Yugi si fece ancora più piccolo, se possibile, e non domandò altro. Aki gonfiò le guance indispettita. Quel locale stava nascondendo già troppe storie lunghe, per i suoi gusti. - Dovremmo preoccuparci?- domandò Judai, porgendo il vassoio degli assaggi ad Aki – Quel tipo non mi è piaciuto affatto- - Voi non correte alcun pericolo- li rassicurò Atem, osservandoli tutti quanti, uno per uno – Quella tra me e Seto Kaiba è una storia che non coinvolge nessun altro se non le nostre persone. Voi sarete al sicuro. È una cosa tra me e lui- - Ma per parlarne così deve essere qualcosa di serio...- avanzò Yugi. - Andrà tutto bene- E gli sorrise, Atem, e come in uno specchio più giovane il sorriso si riflesse sul volto del fratello. Aki ne abbozzò uno a sua volta, pensierosa. Invero, la questione Seto Kaiba sembrava aver gettato in allarme la troupe del Pharaoh's Kingdom. Ovviamente, se Atem era turbato dalla cosa lo nascondeva davvero bene, sotto uno dei suoi serafici sorrisi; ma tutti gli altri risentivano di una sottile agitazione. A sentire Judai, il castano aveva avuto la sua stessa, medesima sensazione, mentre Yusei preferiva non sbilanciarsi troppo, ma era chiaro che quel tipo non rientrava esattamente nelle sue preferenze. Yuma, ovviamente, era agitato per motivi ben diversi da quelli di tutti gli altri, e Yuya provava ansia anche solo a sentir parlare di un tipo del genere. Yugi era letteralmente ammutolito, preferendo che fosse il fratello maggiore a parlare. - E se quel tipo decidesse di acquistare il locale e ci cacciasse?!- ipotizzò Yuya, con voce flebile e tanto d'occhi. Yusei lo fulminò con lo sguardo. - Non dire sciocchezze- lo rimbeccò poi – A che scopo? La sua è un'industria tecnologica, non gli interessano i locali notturni- - Già, ma ha denaro abbastanza per comprare la terra sotto i piedi delle persone- borbottò Judai – Mettiamo caso che voglia fare un dispetto ad Atem-- - Su questo non hai nulla da temere- rispose il Faraone – La schermaglia tra me e Seto Kaiba non è di tipo economico, anzi. È su tutt'altro piano- Tutt'altro piano, eh? Aki sentiva di capirci sempre meno, ma Atem era sincero, lo sentiva. Stava parlando a cuore aperto, e stava rassicurando i compagni sul loro destino. Loro, non suo. Non era a loro che Seto Kaiba era interessato. - Voi non gli interessate- confermò infatti – La faccenda è, resta e resterà tra me e lui. Forse ve lo spiegherò un giorno. Magari quando avremo più tempo e saremo tutti più lucidi- Lo stesso pensiero che l'aveva attraversata qualche attimo prima, Atem lo proiettò sui suoi compagni, e parve funzionare. Nessuno più nominò Seto Kaiba in quella sede, neanche Yuma, sebbene ogni tanto borbottasse qualcosa tra sé. Le pulizie del locale andarono avanti per qualche ora, prima che tutte le poltrone furono sistemate e così anche sedie, tavoli e divanetti, il palco spazzato e le bottiglie e i bicchieri tutti a posto, bancone e cucine rassettate e impianto stereo messo a posto. Fu solo allora che Atem attirò la sua attenzione e le fece cenno di seguirlo senza dirle una parola. Yugi prese in consegna il suo bastone e Aki lo seguì, attraverso una porta nascosta, nel suo ufficio. Il sole nascente stava già inondando d'oro la stanza, e le piccole sculture placcate sugli scaffali brillavano quasi fossero state intagliate nell'oro. Aki chiuse la porta alle sue spalle mentre Atem, in pochi passi, raggiungeva il divano scuro su cui era posato un involucro di plastica contenente degli abiti al suo interno. - Ecco a te la tua nuova divisa- le disse poi, con un sorriso – Questa maschile puoi lasciarla nei camerini, l'addetta della lavanderia passerà a ritirarla domattina. Questa qui ti calzerà a pennello: senza offesa, ma quei pantaloni ti stanno due volte. E non ti valorizzano- - Gra-grazie- soffiò Aki, chinando leggermente il capo, le guance rosse. - Domani Yuya avrà il suo riposo settimanale. Ho pensato che potresti sostituirlo per la giornata. Il lunedì sera non è mai prevista una folta presenza, Yugi sa cavarsela molto bene in questi casi. Ti affiancherò a Yusei, avrai modo di vedere come si lavora dietro il bancone- - Oh. Ehm...va bene- - Sicura? Non mi sembri particolarmente entusiasta- - No no, va benissimo!- Andava bene davvero, certo. Ma l'idea di essere a contatto ravvicinato con Yusei la destabilizzava un po'. Scosse il capo: si stava decisamente lasciando suggestionare troppo da tutto quello che era successo in quelle quarantotto ore. Yusei era una persona normalissima: forse era un po' troppo serio, e con un tatuaggio strano, ma era una persona come lei, in carne, ossa e emozioni. Atem le sorrise sornione, prima di aggirare la scrivania e aprire un cassetto. - Dì un po', Aki, ti hanno mai letto le carte?- La rossa sgranò gli occhi, sorpresa da tale domanda. Seguì con lo sguardo i movimenti del Faraone, mentre lo osservava estrarre, dal cassetto, una preziosa scatola con intarsi dorati e prendere un mazzo di carte. Con un cenno, Atem la invitò a sedersi di fronte a lui. Seppur titubante, Aki accolse l'invito: la curiosità le impedì di imboccare la porta e mandare tutto e tutti al diavolo. Dopo pire incendiarie comparse dal nulla, gilet polimorfici, orologi che si scioglievano e scarabei preziosi, che cosa poteva esserci strano in qualche carta? Con un lieve sorriso che gli curvava le labbra, Atem prese a mischiare il mazzo. Lo fece con gesti accorti e delicati, forse per non intaccare le carte, ma così veloci che presto Aki perse il filo conduttore dei movimenti e preferì concentrarsi sul giovane. Atem osservava un punto indistinto nel vuoto, mentre le sue dita si muovevano leggere e veloci intorno alle carte, voltandole, capovolgendole e mischiandole ancora.
- Conosci i tarocchi, vero?- le chiese poi. Aki annuì – Sentito mai parlare dei tarocchi egizi?- Aki aggrottò lievemente le sopracciglia, ma non riuscì proprio a reprimere un sorriso. Tarocchi egizi in un locale che si chiamava Pharaoh's Kingdom, prevedibile. - In realtà, i più celebri sono i Marsigliesi. Quelli francesi, per intenderci- continuò Atem – Ma si ritiene che l'origine dei tarocchi sia egizia. Sentito parlare di un certo Guillaume Postel?- - No- ammise Aki, in tutta sincerità. Atem fece spallucce. - Postel, nel 1540, pubblicò un libro con una casa editrice francese, chiamato Clef des Choses Cachées. La Chiave delle Cose Occulte. Postel sosteneva di aver ricavato le nozioni al suo interno da antichi manoscritti egizi. Ora, se sia vero o no, nessuno lo sa davvero; di questo libro esistono solo due copie al mondo, una al museo britannico di Londra e l'altra alla grande biblioteca di Parigi; sta di fatto che Postel, in questo suo libro, ci indica, ci descrive e ci insegna le carte dall'antico Tari egizio. Sai cosa dicono, della parola “Tarot” che lui usa per indicare le carte da divinazione?- Aki scosse il capo. - Si dice che “Tarot” viene proprio dal nome di Thot, il dio della Luna, della sapienza, della scrittura e della magia. A lui erano attribuite anche la misura del tempo, la matematica e la geometria. Molto spesso è raffigurato sotto forma di ibis, meno frequente di babbuino- E con un cenno del capo le indicò il lungo rotolo di papiro appeso al muro, alla sua sinistra. Aki si soffermò sulla brillantezza dei colori usati per raffigurare l'antropomorfa divinità, dall'oro delle vesti e dei gioielli al rosso mattone della pelle, fino al verde acceso della testa e il nero del becco. Con la destra sorreggeva un lungo bastone, la sinistra impugnava con fermezza una Chiave della Vita egizia. - Pare che il dio Toth redasse dei libri mitici, quarantadue in tutto, nei quali si troverebbero i misteri dei cieli e le predizioni di eventi planetari futuri. A quanto pare, questi libri sono ora dispersi- - Forse non sono mai esistiti?- azzardò Aki. - Forse. Come forse non erano più libri ma solo uno. Su questi libri ci sono mille e più teorie, tempo fa si pensava fossero nascosti sotto la Sfinge di Giza. Inutile dirlo, non sono mai state rinvenute cripte sotterranee al di sotto. Ma secondo alcuni studiosi, le ventidue figure principali dei tarocchi provengono proprio da questi libri: pare siano pagine staccate- Finalmente Atem smise di mischiare. Le porse allora il mazzo, ben impilato con cura di fronte a lei. Aki alzò lo sguardo: cosa si aspettava che facesse? - Tu credi nella cartomanzia?- le chiese allora il Faraone. - Non ci ho mai provato- ammise la rossa. - E non devi provarci. Quando ti dicono che le carte non mentono, non fidarti. Le carte mentono sempre. E queste...- e con due dita picchiettò il mazzo di fronte a lei – Sono le più infide. I tarocchi egizi sono noti per la loro infallibilità, ma anche per la loro riottosità a mostrarsi a tutti. Questo mazzo mi è stato donato da una cara amica. Ogni volta che lo consultava, accadeva qualche disgrazia; ha provato a disfarsene in ogni modo, ma le ritornava sempre tra le mani, finché non l'ha donato a me, e con me è rimasto- - ...Se è un mazzo porta sfortuna, non andrebbe utilizzato, non credi?- domandò Aki, dubbiosa. Atem non rispose, si limitò a sorriderle ancora. Con un morbido gesto della mano, separò cinque carte dal mazzo, lasciandole con il dorso verso il soffitto. - Dimmi tu. Quale sceglieresti?- - Perché lo stiamo facendo?- - Bella domanda. Secondo te, perché?- - ...Non ne ho idea. Mi hai appena detto di non credere a queste cose, ma mi inviti a scoprire una carta. Perché? - Non credere non vuol dire non ascoltare. Il segreto della conoscenza è proprio questo: allargare le vedute, guardare e conoscere tutto senza porsi limiti. I tarocchi non illustrano mai la verità, ma possono essere intesi come una piantina stradale: ti mostrano le vie, ma sei tu a decidere dove andare. E tu hai bisogno di decidere dove muovere i tuoi passi. Devi cominciare a mettere i piedi fuori dai tuoi rigidi schemi familiari- Un brivido la scosse da capo a piedi. Come diavolo faceva?! Atem sembrava avere una parola pronta su tutto e per tutto, sapeva le cose prima che gli venissero dette. Tutto questo non era spiegabile razionalmente, non era semplice spirito di osservazione o capacità di deduzione. Aki lo osservò a lungo, seduto alla scrivania, a sorriderle armonioso e ad osservarla con il suo terzo occhio...lo stava immaginando davvero?! Senza dire altro, Aki indicò la seconda carta da destra. Senza perdere il suo sorriso, Atem la voltò con un paio di dita. La misteriosa immagine, sconosciuta agli occhi della ragazza, ritraeva una figura femminile che nutriva un leone con le sue mani. La donna dai seni scoperti doveva essere di origini nobili, a giudicare dall'elaborato copricapo e i gioielli che le cingevano braccia, polsi e caviglie, e il lungo abito. Il leone che si nutriva dalle sue mani aperte aveva uno sguardo strano, docile e servile, quasi umano. - Undicesimo Arcano, la Forza- spiegò Atem. - E...e che cosa vuol dire?- domandò Aki, incerta – Cosa rappresenta?- - Il conseguimento di un discorso, e di un obiettivo. A patto che tu sia perseverante e non perda la speranza. Vedi, alcune questioni familiari, insieme a intoppi, infamie e gelosia, potrebbero condurti a perdere degli amici...ma la tua ostinazione sarà degnamente ripagata con nuovi rapporti rigenerativi- Ora Aki aveva davvero paura. Deglutì, la gola improvvisamente secca. Non sapeva più cosa pensare, né di Atem né del Pharaoh's Kingdom né di qualsiasi altra cosa o persona che la circondava ora. - Ovviamente, è solo una traccia- concluse Atem, riordinando le carte e rimettendo a posto il mazzo – Ma a volte è bello avere un'idea di quello che potrebbe succedere, non trovi?- Aki annuì silenziosa, senza più sapere cosa rispondere, la testa improvvisamente leggera come un palloncino. - Direi di averti tediato abbastanza. Vai pure Aki, ci rivediamo stasera- Stasera?! Ah già, era lunedì da sei ore almeno. Aki si congedò dal padrone del Pharaoh's Kingdom e ritornò in sala, la sua nuova divisa tra le mani, stretta al petto quasi volesse trarne conforto. Solo Yusei era rimasto, nel gigantesco salone. Si era già cambiato, probabilmente stava attendendo che Judai terminasse; nell'attesa, si era accomodato su una delle poltroncine, e aveva reclinato la testa all'indietro, ad osservare chissà cosa sul soffitto. Vederlo senza la sua divisa lavorativa era...strano. E va bene, l'aveva visto anche senza quella...ma l'effetto era ugualmente insolito. Ormai lo conosceva come il barman dagli elettrici occhi blu, perfettamente a suo agio dietro il suo bancone, e vederlo in giacca scura, maglietta, jeans e stivaloni aveva un impatto indefinito sulla sua immaginazione. Accanto a lui, su un bracciolo della poltrona, stava un casco rosso. Andava in moto? - Ehi, rosellina- la salutò poi, osservandola da sotto il braccio. - Ro-rosellina?!- mormorò Aki, sorpresa. - Beh, quella che hai al collo è una rosellina, no? Ti sta bene, mi piace- La sua mano sinistra si mosse da sola, Aki si sfiorò con la punta delle dita il nastro di seta nero annodato al collo, e la rosa d'argento e preziose pietre rosse che stava al centro. Un gioiellino stupido, un pezzo di bigiotteria che aveva comprato anni prima in un mercatino, e lui l'aveva notato e gli era piaciuto, e le aveva anche detto che le stava bene...ne era felice. Ne era felice, davvero?! Perché ne era felice?! Era normale essere felici di un complimento? Ma l'aveva fatto lui no? E allora perché si arrovellava il cervello dietro tutte quelle domande?! Aki scosse il capo e si riparò dietro un grosso sorriso un po' tirato; Yusei dovette capire che qualcosa non andava, perché uscì fuori dal nascondiglio del suo braccio e la osservò da capo a piedi, come alla ricerca di un malanno. Tuttavia, non le disse nulla e si limitò a sorriderle, con la guancia destra poggiata sulle nocche della mano. - Stasera puntuale, mi raccomando- la ricordò poi – Ho in mente di fare un po' di cose, con te...- Yusei ebbe bisogno di qualche secondo di troppo, per registrare cosa avesse detto e cosa avesse, con ogni probabilità, inteso Aki. Il giovane barman sbatté un paio di volte gli occhi, innocente, osservando le guance della rossa farsi sempre più...rosse, appunto. Per un attimo, ma solo per un attimo, provò il vergognoso impulso di scoppiarle a ridere in faccia. Ma non si rendeva conto, delle facce che metteva su quando era imbarazzata? Sembrava davvero un fiammifero acceso, con le guance più scarlatte dei capelli...! Ed era molto carina anche così, di una bellezza che non centrava nulla con quella di, ad esempio, Mai Kujaku: non faceva malizie, era molto più riservata e guardinga. Proprio come una rosa, che difendeva i suoi petali con un irto vestito di spine, così lei sembrava mantenere le distanze con tutti gli altri. In quelle due serate aveva dimostrato di lavorare alacremente, eppure c'era stato davvero poco dialogo con lei, quasi nullo. Poteva forse dipendere dal fatto di essersi presentato a lei con indosso solo un grembiule? Qualcosa gli diceva di sì. Non gli piaceva trovarsi nella situazione di dover dimostrare ulteriormente le sue buone intenzioni: per riprendere le parole di Judai, faceva letteralmente SCHIFO ad esternare le emozioni a comando o a fare complimenti appositamente per ingraziarsi qualcuno. Yusei era un tipo che aveva fatto della sincerità un suo dogma: dimostrarsi con lui benevolo e generoso, capace di vivere in mezzo agli altri senza creare guai e totalmente estraneo alle bugie, anche quelle a fin di bene, era la carta vincente per farselo amico. Tradire le sue aspettative equivaleva a fargli illuminare sulla fronte un grosso cartello con su scritto MUORI QUANDO HAI TEMPO, e a dipingersi un bel bersaglio rosso in faccia perché, qualora il suo desiderio non si fosse avverato, ci avrebbe pensato lui a mettere in chiaro le cose e disfarsi di chi aveva tradito la sua fiducia e quella dei suoi compagni. Gli succedeva pochissime volte di trovarsi dall'altra parte della barricata, essenzialmente perché era incapace di fingere qualcosa che non provava. Forse con Aki sarebbe stato più semplice. Come suo collega, c'era tutto l'interesse a creare un bel rapporto collaborativo senza mostrarsi come un lupo mangiadonne. - Con i cocktail, che hai capito?!- sorrise quindi Yusei, mettendosi meglio seduto sulla poltrona – Non ne hai mai preparato uno, vero?- - N-nnnoo...?- rispose Aki, sbattendo gli occhi. - E allora ne approfitteremo per vedere qualcosa insieme! Potrà esserti utile qualora dovesse essere necessario sostituire uno di noi- - Davvero è così difficile come si dice?- - L'importante è usare le giuste dosi. Sprechi meno alcol e ti avvicini di più alla giusta miscela. Sbagliare all'inizio è normale, cominceremo con qualcosa di semplice. Più avanti ti verrà naturale- - E dovrò imparare anche tutte quelle...mosse che fai tu?- - Mosse?- - Ma sì, tutti quei giri che fai fare alle bottiglie e ai bicchieri...- - Ahahah, no, non ce ne sarà bisogno- - La cosa mi rincuora- Rimasero in silenzio per qualche attimo. Dietro di loro, dalla porta che si apriva sulla scala che portava ai camerini, sentirono i passi veloci di Judai, che risaliva i gradini due a due. Anche lui portava un casco con sé, questa volta nero. - Fatto?- chiese Yusei – Bene, noi andiamo Aki. Vai a riposarti, te lo meriti- - Anche voi, ragazzi. Buon riposo- rispose la rossa, con un sorriso che Yusei ricambiò. L'attimo di sospensione in cui Yusei e Aki si scrutarono non passò inosservato al giovane Executive Chef: Judai li osservò con attenzione, facendo rimbalzare lo sguardo prima su uno e poi su un altro. In quel perfetto silenzio, i due si salutarono con gli occhi prima che con la bocca. Il giovane proprio non riuscì a reprimere un sorriso. Fare previsioni adesso era inutile, oltre che azzardato, ma in cuor suo sapeva, sentiva che stava per nascere una bella amicizia. Salutarono entrambi la rossa, prima di aprire la porta di vetro e percorrere le scale che li avrebbero portati fuori. Judai osservò con la coda dell'occhio il collega e coinquilino, prima di scrollare il capo e farsi sfuggire uno sbuffo divertito. E il gesto non passò inosservato a Yusei.
- Cos'hai da ridere?- domandò poi – Non mi sembra di aver detto niente di divertente- - No, pensavo a te e Aki- - ...me e Aki? E quindi?- - E quindi niente, mi sembrate molto carini insieme- - Non capisco dove tu voglia arrivare- - Oh andiamo! Non hai visto come ti guarda? L'hai colpita, Yusei! Ora, non so se sia stato merito di quel bacio a tradimento, o dei tuoi giochetti con gli shaker...per quello che ne so potrebbe essere tutto merito del tuo culetto all'aria. Ma hai colpito la sua attenzione e passa molto tempo ad osservarti- Yusei si fermò in piedi ad un passo dall'uscita dell'edificio. Non accortosi dell'arrestarsi del compagno, Judai avanzò ancora di qualche passo, prima di fermarsi e voltarsi alle sue spalle. Il giovane barman lo osservava con due occhi grandi come palle da biliardo, un'espressione in viso che Judai non sapeva dire se scioccata o traumatizzata. - Io...io...io ti registrerei, Judai!- esclamò poi, scuotendo il capo. - Eh? E perché?! Che ho detto di così strano?- domandò il castano per tutta risposta. - Io non-- Yusei sospirò affranto e mollò la presa, lasciando il compagno senza una valida spiegazione; ma c'era invece da dirgli davvero tanto a quel ragazzo, abbastanza da lasciarlo senza sonno per i seguenti tre giorni. Tutti, al Pharaoh's Kingdom, avevano iniziato a farsi domande sulla reale intensità del rapporto che lo legava ad Alexis; anche Yuma e Yuya si erano accorti, fin da subito, dell'insolita, profonda complicità tra i due amici. Il problema era che Judai stesso non sembrava essersi reso conto di nulla: la serviva personalmente al tavolo, restava a parlare con lei, condividevano risate e racconti, ma proprio sembrava non rendersi conto dei lunghi sguardi che la ragazza gli riservava, né sembrava farsi domande sul perché una ragazza come lei fosse sempre da sola e cercasse sempre e solo lui. E mentre tutti confermavano che la loro potesse diventare una fantastica coppia, lui sembrava pensare tutto fuorché quello. C'era affetto a legarli, ed era molto evidente: Judai sembrava volerle davvero bene...ma non quel bene che sperava Alexis. Ma il problema era ben altro: Judai non sembrava rendersi conto dei sentimenti reali di Alexis, e di conseguenza nessuno avrebbe saputo se li ricambiava o meno, ma il fatto che il castano fosse capace di vedere legami e amicizie dove ancora non erano nate...Yusei non aveva mai compreso sulla base di che cosa faceva quelle sue supposizioni, il fatto era che ci azzeccava sempre; aveva perfino previsto il forte legame che aveva poi unito Yuma a quell'altro pazzo saltimbanco di Yuya, rendendoli amici che si volevano bene alla stregua di fratelli separatisi e riunitisi dopo tanti anni. Perché sembrava incapace di vedere anche quello che lo legava a chi gli stava intorno? Quasi sembrava avesse paura a legarsi profondamente con qualcuno. Sembrava quasi fosse riottoso nel dare completa fiducia a chiunque altro non fosse Yusei. - Andiamo a casa, Jud, abbiamo bisogno di riposo tutti e due- bofonchiò poi il barman, superandolo velocemente in direzione della sua moto. - Su questo sono d'accordo con te. Ehi! Tu non hai fame?- - Hai in mente qualcosa?- - Cornetto caldo prima di tornare a casa?- - Va bene- Figurarsi se Judai si fosse perso la possibilità di mangiare qualcosa che non fosse iperdolce e supercalorico. Con il casco appeso al gomito sinistro, Yusei afferrò saldamente le manopole della moto, si assicurò di avere la folle innestata e sollevò il cavalletto con una leggera pedata; spostata la moto, spingendola come se pesasse quanto un sacco di piume, inserì la chiave di accensione, facendole compiere un primo, mezzo giro. Nel crepuscolo del sole nascente, il quadro elettronico della Bimota si illuminò come un albero di Natale. La lancetta del contagiri si mosse dolcemente, disegnando un incandescente arco arancione tra i numeri blu e quelli rossi della zona del limitatore, mentre il piccolo display del contachilometri scintillava come un minicomputer futuristico. Una volta che tutte le spie furono spente, il barman girò di nuovo la chiave. Al suo fianco, Judai sobbalzò quando sentì la moto scuotersi di dosso il torpore della sosta notturna e ruggire alla luce del giorno. Lo scarico a lato mandò un assordante rombo, i dischi della frizione a secco presero a tintinnare tra loro in quell'assurdo suono che, ogni volta che lo udiva, gli sembrava di sentire il ticchettio di una pallina di ferro che rimbalzava tra le varie parti del motore. Come Yusei fosse venuto in possesso di quella moto, era un mistero. Stando a quello che raccontava, era l'ultimo regalo di un caro amico, ma chissà che razza di amici aveva che potevano permettersi di spendere tanto per una moto che era tutto fuorché economica. Stando ai racconti del barman, la moto in questione era prodotta artigianalmente, e l'innovativa soluzione del sistema di sterzo nel mozzo ruota, a differenza della classica forcella telescopica, si pagava cara. Judai non aveva mai visto una moto del genere se non in qualche gara specialistica in pista, quelle che Yusei guardava spesso in televisione, e in una fiera a tema a cui aveva partecipato per accompagnare il suo amico; e a dirla tutta, ancora non riusciva a decidere se gli piacesse o meno. Era così...diversa da tutte le altre moto in circolazione, da spiccare per la strada come un papavero in mezzo a un campo di margherite bianche. Ma Yusei l'amava con tutto sé stesso, e passava anche ore in quel garage a prendersene cura, lucidarla e migliorarne le prestazioni. L'amava, la coccolava e accarezzava come se fosse una donna: secondo Judai ci metteva molta più passione. Non sarebbe stato affatto scontato, trovarlo a dormire in garage accanto alla sua moto. Infilarono entrambi i rispettivi caschi, Yusei fu il primo a scavalcare la sella e montare su; Judai si arrampicò sul codone poco dopo, sistemandosi meglio che poteva e tenendosi senza vergogna al suo collega. Ci era voluto un po' perché gli passasse l'imbarazzo di un simile gesto. Per ottimizzare le spese degli spostamenti avevano deciso di alternarsi tra l'auto di Judai e la Bimota di Yusei: le prime volte, però, il castano era stato decisamente intimorito dalla due ruote del collega. Non gli mancavano le esperienze in moto, aveva preso parte a diverse uscite come passeggero di qualche suo amico, ma montando su moto completamente diverse: basse, lunghe, comode e borbottanti, con un sellone ampio abbastanza da poterci stare in due e, in alcuni casi, perfino un comodissimo schienalino su cui appoggiarsi nei lunghi tratti. La moto di Yusei era completamente l'opposto, e non era solo per quella strana soluzione ciclistica adottata dalla casa madre: era alta, snella ed essenziale, nuda come la modella di una catena di intimo; bastava girare lievemente la manopola ed ecco che gemeva come una ragazza alla sua prima volta. E il sellino del passeggero, seppur presente, era definibile come striminzito se messo a paragone con quello delle moto turistiche o da passeggio, e anche le pedane erano decisamente rialzate; ma soprattutto, non c'erano schienalini a cui appoggiarsi, e neanche maniglioni alla quale aggrapparsi. La prima volta che era montato su, e Yusei gli aveva detto di tenersi a lui, doveva aver fatto una faccia sconvolgente, perché il barman ci aveva riso sopra tutta la giornata. Si era arreso solo quando aveva scoperto che, su un mostro del genere, non era consigliabile fare affidamento solo al suo equilibrio: ancora ricordava lo scatto al semaforo che l'aveva fatto scivolare giù di sella, e per fortuna che Yusei se n'era accorto, la moto improvvisamente alleggerita, e si era fermato. Judai aveva bestemmiato un paio di volte per la paura e per lo scarico che gli avevano arroventato il polpaccio destro; la voglia di fare l'equilibrista gli era passata quasi subito, ma non quella di tampinare il compagno per costringerlo ad andare piano in città. Con grande scorno di Yusei, c'era da dire, perché a quel ragazzo piaceva tutto tranne che andare piano quando poteva permettersi di girare la manopola del gas. Si immisero nel traffico e dribblarono agilmente le auto già in colonna, facendosi barba dei clacson starnazzanti e degli improperi che gli automobilisti si scambiavano a voce alta dai finestrini. Il rombo della moto era assorbito dal casco, ma Judai proprio non riusciva a fare caso a quell'assurdo ticchettio che scuoteva la frizione: era assordante e fastidioso, creandogli un riverbero metallico che non riusciva ad essere schermato neanche dall'imbottitura del casco. Per non parlare di quando Yusei pigiava la leva della frizione: allora sembrava davvero che i dischi stessero per saltare in aria. Il compagno gli aveva spiegato che tale rumore era imputabile a quella che si chiamava “frizione a secco”. A differenza delle altre due ruote, che usavano un sistema a bagno d'olio per ungere i dischi, la Bimota e qualche altra bicilindrica italiana non aveva nulla che lubrificasse la frizione: ne conseguiva una maggiore efficacia in innesto di marcia, ma a quanto pareva era molto più dura da azionare, e produceva quel caratteristico tintinnio che a molti dava fastidio. A molti, appunto. Non a Yusei, che aveva addirittura rimosso il coperchio originale dai dischi della frizione per porne uno aperto, quasi volesse ascoltarlo meglio. Judai aveva paragonato il suono ad un trattore che trascinava un ceppo di catene su un pavé stradale, Yusei l'aveva cordialmente mandato a quel paese. Doveva però ammettere che era bello, girare per strada senza essere schermati da un abitacolo. Judai non era mai stato troppo un tipo da moto, ma l'assoluta sensazione di libertà donata dalle due ruote gli stava facendo fare diversi pensierini. In futuro, magari, avrebbe preso in considerazione l'idea di adottare una due ruote: sarebbe stato meglio farsi consigliare da Yusei sulla sua prima scelta, sapeva che il suo amico sarebbe stato più che pronto a guidarlo sul nuovo acquisto. Per il momento, scroccava passaggi.
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La prima cosa che udì, di Yusei, era la moto. Nel silenzio che circondava la sala, a due ore dall'apertura, il rombo della sua due ruote sembrò volesse scuotere da cima a fondo l'intero bancone. Aki sollevò gli occhi sui bicchieri, preoccupata di vederli schiantarsi a terra da un momento all'altro. La seconda cosa che sentì, di Yusei, erano i suoi passi nervosi che scendevano la scala. La terza cosa che udì, di Yusei, era la porta di vetro fatta glissare con un gesto nervoso, e dei borbottii che assomigliavano ad imprecazioni. Si voltò verso l'ingresso della sala, ignorando la stretta che percepiva allo stomaco: era così da quando era entrata al Pharaoh's Kingdom e si era cambiata, indossando la sua nuova divisa. Doveva chiedere di farsi sostituire la camicia, riusciva a chiuderla ma con molta difficoltà, e aveva la spiacevole sensazione che i bottoni dovessero saltare da un momento all'altro; il fatto che il gilet, poi, fosse leggermente più scollato di quello maschile non aiutava. Le piaceva, le stava anche bene forse, ma le sarebbe piaciuto anche sentirsi comoda. Aveva atteso Yusei con impazienza, gettando nervose occhiate all'orologio mentre aspettava. E vederlo arrivare così all'improvviso le aveva creato una misteriosa vertigine nello stomaco. Accanto a lui, Judai trotterellava serafico, e la salutò con uno sventolio della mano destra e un grosso sorriso. - Yuma deve ancora arrivare- gli disse Aki, quando Yusei passò accanto al bancone salutandola a bassa voce: era funereo in viso, cosa gli era successo? - Lo so- rispose poi lui – C'è un traffico allucinante, credo ci siano dei lavori in corso. Siamo usciti con la moto- E proprio della moto sembrava quello specchietto che il barman stringeva nella mano sinistra. Aki fece rapidamente due più due. - Non ho avuto neanche il tempo di fargli una foto...!- sibilò Yusei, mentre si dirigeva ai camerini per cambiarsi – Ah, ma se lo ribecco...lo ribalto, lui e quel catorcio di auto che si ritrova!- - Un simpaticone gli ha fatto saltare uno specchietto- spiegò Judai, fermatosi al bancone – Non ha rispettato il semaforo, ha attraversato l'incrocio a gran velocità quasi creando un incidente e Yusei è stato costretto ad una schivata d'emergenza. Purtroppo ci ha rimesso uno specchietto- - Io direi per fortuna, piuttosto- rispose Aki, guardando la porta – Poteva andare molto peggio- - Già, ma cerca di capirlo: Yusei ha un legame speciale con quella moto. Penso non tratterebbe così bene neanche una fidanzata- La cosa le diede fastidio. Lo sentì pungerle fastidiosamente le guance e accelerare i battiti del suo cuore, mentre l'indice destro prese a picchiettare nervosamente sul bancone. Perché? Insomma, che le importava? Erano problemi suoi se preferiva coccolarsi un ammasso di metallo, viti e bulloni invece di una ragazza no? E anzi, doveva anche esserne contenta! Il ragazzo era in ogni caso libero e che cosa stava pensando?! Aki scosse il capo, sbuffando infastidita. Ci mancava solo che il suo cervello le giocasse uno scherzo del genere. Era la stanchezza? Sì, era sicuramente la stanchezza a giocarle simili scherzi: Yusei era – obiettivamente- un bel ragazzo, dotato di un certo fascino e dai modi gentili con tutti; ma da lì a pensare alla fortuna di averlo ancora “libero”, se così poteva dirsi, era completamente fuori luogo e disinteressato. Yusei uscì dai camerini dopo qualche minuto, già vestito di tutto punto, ancora accigliato per via dell'incidente della moto: aveva le labbra strette e contratte in una lieve smorfia cupa e rabbiosa, quella di un bambino a cui si era staccato un pezzo del suo giocattolo preferito. Il giovane girò intorno al bancone e rimase ad osservare qualcosa sul suo cellulare per qualche attimo, prima di collegarlo ad una presa per la ricarica. Prese poi ad arrotolarsi le maniche della camicia fino ai gomiti, per essere più comodo durante la sua prestazione lavorativa: il drago si voltò a guardarla con sguardo serio e concentrato. - Posso vedere?- chiese Aki, senza pensarci due volte. Yusei si voltò ad osservarla per qualche secondo, sorpreso da tale richiesta. Abbassò gli occhi verso il disegno che gli vergava l'avambraccio, poi li rialzò verso la ragazza e annuì senza dire una parola. In silenzio, la rossa colmò la distanza che li separava, e rimase ad osservare il disegno con un certo fascino. Chiunque aveva realizzato quel tatuaggio doveva essere proprio bravo: aveva reso con perfetto realismo ogni più piccola scaglia che gli corazzava il muso, e i suoi occhi fieri avevano una somiglianza sconcertante con quelli di Yusei. Stessa espressione seria e inflessibile, stesso sguardo diretto e imperscrutabile: il drago vegliava sui segreti del mondo con saggezza, pronto a far ardere il mondo in un immenso rogo se fosse stato necessario. E osservandone meglio le iridi, notava piccole sfere bianche al loro interno, minuscole stelle su un cielo notturno. - Molto bello, davvero- notò Aki, passando le dita su di esso: il disegno era appena in rilievo, segno che il tatuaggio era perfettamente rimarginato, tuttavia non doveva essere passato molto tempo da quando l'ago gli aveva colorato la pelle d'inchiostro, a giudicare dalla nitidezza del disegno e delle sfumature – Ha fatto male?- - Solo un po'- rispose lui, con un'alzata di spalle – Si è trattato di un fastidio sopportabile dopotutto- - Ha un significato particolare?- - Mi piacciono i draghi, molto semplice. È un simbolo universale di forza e saggezza: l'ho scelto come guida spirituale in un momento in cui mi sentivo perso- Aki ripensò alle carte di Atem, e a quella che lui aveva definito “piantina stradale”. Qualcosa che mostrava le possibili vie d'uscita, senza fare distinzione tra quelle giuste e quelle sbagliate. Il drago sull'avambraccio di Yusei sembrava osservare tutto il mondo con il distacco di chi ne conosceva già la storia, e le conseguenze delle azioni e degli eventi. Gli sfiorò la pelle con le dita. Il giovane barman sollevò gli occhi blu su di lei, osservandola in silenzio. Come una ragazza come lei ci fosse finita, a fare da cameriera in un posto come quello, restava un mistero. Forse Atem ne sapeva qualcosa di più, sicuramente i due avevano parlato di questo; magari era una ragazza alla ricerca della sua posizione nella società, forse aveva bisogno di conferme per sé stessa più che per la famiglia. Quando era arrivata al Pharaoh's Kingdom, sembrava davvero un piccolo uccellino impaurito e caduto dal nido: l'impressione che le aveva dato era quella di una ragazza scappata da una reggia di cristallo. Vestita di tutto punto, elegante senza essere eccessivamente pacchiana, si era presentata nel locale carica di dubbi e aspettative. Cosa Atem avesse trovato, in lei, non sapeva definirlo, ma qualsiasi cosa avesse percepito l'aveva convinto a farla restare, e Aki non aveva tradito le aspettative in lei riposte: in quelle due serate aveva lavorato alacremente e senza sosta, con un impegno e una dedizione che l'avevano sorpreso e, in un certo modo, intenerito. Quasi avesse qualcosa da dimostrare ad un pubblico sconosciuto, la giovane aveva messo tutta sé stessa in quella nuova mansione. Stando a quel che aveva capito, quella era la sua prima esperienza lavorativa in assoluto, ma la cosa non sembrava aver particolarmente influito. Si era messa in gioco e lo faceva ogni giorno, cimentandosi in nuove esperienze, con lo spirito di avventura e curiosità di chi voleva vedere una parte diversa del mondo: ammirevole, per molti aspetti. La osservò mentre studiava il tatuaggio impresso sul suo avambraccio: gli occhi scorrevano con attenzione sulle linee e sulle sfumature, soffermandosi sui particolari. Li trovava molto belli, così grandi e vividi, di una sfumatura di castano molto calda. E se doveva dirla tutta gli piaceva anche il colore dei capelli: di un rosso che non era troppo acceso, ma verteva più su una gradazione vicina al carminio, apparivano lisci e morbidi, curati e setosi. Stava lottando per non passare le dita tra quelle ciocche, si accontentò di arruffare la sua folta capigliatura scura per frenare il suo impulso. E Aki dovette accorgersi di qualcosa che non andava, perché alzò quei begli occhi su di lui e lo scrutò curiosa. Sì, era davvero carina. E finalmente aveva una divisa che la valorizzava: Atem doveva aver compreso che non era carino farla girare con dei pantaloni che le stavano due volte. Si morsicò l'interno della guancia destra quando gli occhi scesero dalla rosa argentata al collo fino al seno faticosamente contenuto dietro la camicia, con il gilet nero che sembrava sottolinearlo anziché nasconderlo. Yusei cercò frettolosamente un punto qualsiasi dove puntare lo sguardo, fermandosi sulle labbra; infelice scelta anche quella se doveva dirla tutta. Così piene senza essere grottesche, sottolineate appena da un velo di gloss trasparente, due lievi petali di rosa che completavano l'opera ben riuscita del viso gentile ed elegante. Judai l'aveva chiamato feticismo, Yusei non sapeva come definirlo; ma aveva sempre provato attrazione per le labbra femminili nude, senza colori troppo accesi che celassero la loro vera tonalità né stratagemmi artistici per renderle più turgide e gonfie. E per un breve, insignificante attimo, il giovane barman elaborò una teoria tutta sua sul perché Atem avesse acconsentito a farla restare in quel posto. - Ehm- L'osservazione reciproca doveva essere durata chissà quanto; abbastanza perché Judai terminasse di cambiarsi e definire il menù del giorno (anzi, sera), e facesse da silenzioso spettatore a quel reciproco studio di sguardi e gesti. Il castano era in piedi oltre il bancone, le mani giunte dietro la schiena, e osservava prima Aki e poi Yusei, entrambi persi in chissà quale invisibile dialogo. E quando i due si accorsero della sua presenza, e dell'equivocità della loro posizione, Judai dovette lottare con tutto sé stesso per non scoppiare a ridere come un bambino: i due lo scrutarono per qualche attimo, poi tornarono a guardarsi sorpresi, e infine si allontanarono uno dall'altra con uno scatto, quasi fosse apparsa tra i due una tarantola che minacciava di morderli. Judai li assurse subito come coppia dell'anno. - Ehi Yus-- - Non chiamarmi così lo sai che non lo sopporto...!- - Hai fatto caso? Hanno terminato di sistemare la sala da biliardo!- Momentaneamente dimentico dell'orripilante nomignolo usato dal collega, Yusei si voltò istintivamente verso il piccolo corridoio creato dalle piante a foglia larga che si trovava sull'ala sinistra della sala; Aki lo imitò curiosa, sporgendosi dal bancone. - Una sala da biliardo?- chiese la rossa, incuriosita – Davvero? E da quando?- - Da sempre!- esclamò Judai, con un grosso sorriso – Ma è stata chiusa per un po', necessitava di qualche operazione per rinnovarsi. Ora l'hanno riaperta- - Atem non mi aveva mai parlato di una sala da biliardo- - Probabile che non ti abbia detto neanche della terrazza con piscina vero?- - ...N-no...- - Hah! Quando arriverà l'estate ci sposteremo lì. Vedrai, farsi il bagno là dentro in chiusura è fantastico!- Aki sorrise, piacevolmente colpita. Quel posto le piaceva sempre di più. - Ehi, perché non gliela facciamo vedere? Mancano ancora due ore all'apertura, troviamo qualcosa da fare no?- propose Judai, scrutandoli entrambi. - Se Atem non gliel'ha già mostrate va bene- rispose Yusei, girando intorno al bancone- C'è da chiedersi perché però- - Beh, la sala da biliardo era ancora chiusa...e la piscina è bella da vedere quando si entra ufficialmente in estate. Vedrai Aki, sarà fantastico!- Aki sorrise, sinceramente divertita e travolta dall'allegria del giovane chef. Li seguì entrambi verso l'ala sinistra della sala, lì dove c'erano quelle piante a foglia larga, lucide e belle, rigogliose e ben curate: conducevano tutte ad un velo blu che celava, dietro di esso, una sala lievemente più piccola di quella principale, dove stavano cinque tavoli da biliardo che parevano usciti dieci minuti prima dalla fabbrica, con lo scintillante legno scuro delle sponde e i tappeti verde brillante dove, ben raggruppate nei loro triangoli, le palle da biliardo avevano tutti i numeri rivolti verso l'altro. Le stecche stavano tutte impilate negli espositori di legno a muro, ritte come soldatini. Parquet scuro a terra, piante in ogni angolo e una raffigurazione di Iside, molto simile a quella che ornava il bancone, che prendeva tutta la parete: la dea se ne stava inginocchiata al suolo, le braccia aperte e le ali spiegate, ad osservarli benevola ma enigmatica. - Ecco qui!- esclamò Judai, fiero quasi quella sala l'avesse costruita con le sue mani – Hanno messo nuovo parquet, nuovi tavoli e dato una rinfrescata al dipinto di Iside. Questa sera sarà nuovamente aperta per chi vorrà farsi una partita, nel frattempo la collaudiamo!- E senza aspettare una risposta, Judai prese tre stecche dal muro: una la tenne per sé, la seconda la lanciò a Yusei che, colto alla sprovvista, fallì la presa e quella cadde a terra con un acuto cozzare sul parquet, la terza la porse gentilmente alla rossa. - Possiamo farlo? Sicuro?- domandò Aki, incerta. - Ma certo! - rispose Atem, come se fosse la cosa più ovvia del mondo – In fondo, la sala è anche nostra. Su, a te l'onore del primo tiro!- L'urlo di spavento di Judai fu acuto e stridulo: il ragazzo trasalì con tale veemenza da sollevarsi da terra di qualche centimetro e allontanarsi precipitosamente, meritandosi un'occhiata sdegnosa di Yusei e lo sguardo sorpreso di Aki. C'era però da comprendere una simile reazione: Atem era entrato nella sala e si era avvicinato a loro senza che nessuno, dei tre, ne percepisse il contatto, quasi fosse sorto improvvisamente dal terreno o, più probabilmente, fosse sempre stato lì e nessuno se n'era reso conto prima. Il Faraone la osservò con l'ombra del suo consueto sorriso serafico sul volto, una mano sotto il mento quasi a sorreggerlo, e con un cenno del capo la invitò ad avvicinarsi al tavolo. - Sicuro? Si può?- domandò Aki ancora, non del tutto sicura. - Ma certo! Non avere paura, andrà comunque usato. Mai giocato a biliardo?- chiese Atem per tutta risposta. - Qualche volta- - Sai allora come si fa. Prego, il primo tiro è tutto tuo- - Va bene- Nel silenzio che si era creato, Aki si avvicinò al tavolo e tolse il triangolo, svelando le sfere all'intero. La pallina bianca era posizionata a poca distanza dalla sponda, pronta ad essere lanciata con un sapiente colpo di stecca verso le sue compagne. Cosciente del fatto di avere gli occhi di tutti e tre addosso, la rossa si chinò sulla sponda e cominciò a prendere le misure del lancio, facendo scorrere la stecca avanti e indietro nell'incavo tra pollice e indice. Quando diede la stoccata, la pallina bianca schizzò in avanti e colpì le altre con un caratteristico “stock”. La forza impressa nel tiro bastò perché due palline, quelle agli estremi più lontani del triangolo, si muovessero come telecomandate ed entrassero in buca. Salvo poi uscirne come se niente fosse. In un primo momento, Aki pensò che avesse esagerato con la forza e che le palline fossero saltate fuori di conseguenza, ma c'era qualcosa nel loro movimento: era fluido e lento, impercettibile, come se fossero state effettivamente radioguidate. Le due sfere si fermarono lì dov'erano sempre state, ad una perfetta equidistanza dalla sponda sinistra e destra. La rossa le osservò confusa, non sapevo come reagire, poi si voltò verso i tre compagni, pronta a porgere la stecca ad Atem: chissà se voleva anche lui fare quattro tiri. Si rese poi conto che il Faraone non aveva assolutamente bisogno della stecca, per far muovere quelle palline. O almeno era quella la sua impressione. Gli occhi ametista si mossero di poco, e l'indice destro indicò la giovane cameriera: le due sfere si mossero ancora, procedendo dritte sul tappetino verde fino a cozzare con la sponda dove Aki si era fermata. In perfetto silenzio, Atem sorrise in risposta al suo sguardo smarrito, per poi scuotere una volta le spalle in un leggero riso. - Hai ragione- le disse poi – Quelle due erano in buca. Scusami, non ho resistito- Di nuovo gli occhi si mossero, di nuovo l'indice impartì la direzione: e ancora le due sfere si mossero, stavolta con più velocità, per poi separarsi e tornare nelle buche alle due estremità più lontane del tavolo. Aki alzò lo sguardo verso il Faraone...terrorizzata? Più sorpresa e meravigliata che realmente spaventata. Un conto era far apparire dal nulla delle fiamme, un altro era trasmutare un gilet in un corvo, e un altro ancora era muovere delle palline con la forza del pensiero: in mezzo a tutte quelle stramberie, la telecinesi sembrava quella più probabile e realistica. - Di nuovo, scusa ancora- le sorrise Atem, chinando lo sguardo – Mi è davvero difficile resistere alla tentazione- - Che...che cos'era quella?!- domandò la rossa, incerta – Illusione? Telecinesi? Cos'era?- - Solo un esperimento- - Ah?!- Aki stava capendo ancora meno. - Come penso tu abbia presto capito...- le spiegò, avvicinandosi e facendosi porgere la stecca da biliardo – Mi piace indagare sulle persone. Scrutare le loro menti, sondare le loro sicurezze. Mai Kujaku sostiene io sia un inguaribile ficcanaso, ma io ammetto che le meccaniche dell'animo umano mi hanno sempre affascinato, anche più dell'Egittologia. Capire, scoprire come la mente dell'uomo reagisce a determinati stimoli e immagini...lo trovo divertente e stimolante- - ...Quindi tu usi queste...illusioni...per studiare le persone?- - Sì, se ti piace chiamarle illusioni. Sono in realtà esperimenti. Ognuno reagisce in maniera diversa a determinate sollecitazioni. Gli stregoni del passato non erano altro che uomini profondi conoscitori dell'animo umano, e tutto quello che facevano era mirato a scuotere le menti. Tutto il resto...la divinazione, la cartomanzia, l'erbologia...era solo una facciata. Qualcosa che distraesse dalle loro vere intenzioni. Si facevano volutamente passare per ciarlatani, e a volte hanno rischiato e affrontato il rogo. E tutto questo in nome di una scienza che per i più è incomprensibile- Anche quello che stava dicendo Atem era incomprensibile, almeno per lei: cosa voleva dire conoscere l'animo umano? Un concetto poetico senza dubbio, ma a quale scopo? Proprio non capiva il perché di tutti quegli effetti e quelle sceneggiate se, come il Faraone le aveva dimostrato, bastava saper interpretare il linguaggio del corpo per conoscere intenzioni, pensieri e storie delle persone. - Immagino che ognuno debba trovare un passatempo che lo appassioni- concluse poi Atem, chinandosi sulla sfera bianca e sferrando una forte stoccata. La pallina bianca ne colpì altre tre mandandole in buca, prima di tornare lì dov'era partita. Aki non sapeva dire se centrava la telecinesi o meno.
La serata procedeva con il copione ormai consueto del Pharaoh's Kingdom. La clientela era leggermente diminuita, vero, eppure Aki aveva ugualmente la sensazione di essere messa sotto pressione da decisi ritmi e scadenze perfette. O forse era solo l'attività in cui Yusei l'aveva coinvolta. Con un minore numero di avventori, Yugi riusciva a destreggiarsi benissimo tra i tavoli, raccogliendo ordinazioni e a volte trattenendosi con qualche cliente desideroso di informazioni; perfino Judai era più presente in sala che nelle cucine. Aki lo vedeva raggiungere spesso il tavolo dove sedeva una giovane dai lunghi capelli biondi e di una bellezza di prim'ordine. Yuma li aveva raggiunti poco prima che il locale aprisse. Si era precipitato per le scale con una tale velocità che per poco non si era schiantato contro la porta di vetro, aveva frettolosamente salutato tutti e biascicato qualche scusa ad Atem che coinvolgeva il traffico, e i lavori stradali e le amministrazioni comunali che non sapevano lavorare; si era poi cambiato di corsa ed era risalito proprio mentre i primi clienti facevano il loro ingresso. Poi era di nuovo sparito per qualche secondo, borbottando qualcosa su dei medicinali da assumere. Lavorare con Yuma e Yusei era decisamente divertente. Il primo, così energico e gioviale, funzionava da perfetto contrappeso al secondo, sempre serio e ben concentrato: entrambi avevano però una certa complicità di fondo, che li spingeva a scambiarsi battutine e opinioni e esperienze. Yuma sembrava del tutto dimentico del capitombolo che il più grande gli aveva fatto fare quella se-- mattina-, tirandolo bruscamente dietro il bancone, mentre Yusei sembrava aver superato, in parte, il trauma dello specchietto della moto, concentrandosi sulla sua attività e istruendo Aki a dovere. Il primo cocktail che Yusei le fece preparare fu un analcolico, un Virgin Colada: le mostrò quindi i diversi bicchieri e le fece scegliere quello da vino, prima di porgerle finalmente il mano lo shaker argentato che riempì con il ghiaccio. Subito dopo fu la volta del succo di lime, e poi di panna, creme di cocco e succo di mela. Yusei la osservò intensamente per tutto il tempo che la ragazza passò ad agitare il contenitore, con uno sguardo indecifrabile e le braccia conserte al petto. L'idea di essere osservata con tanta concentrazione le seccò la gola e di nuovo percepì le guance farsi sempre più calde e rosse. Stava arrossendo davvero troppo spesso per i suoi gusti, e la colpa era solo di quel ragazzo. Una volta che Yusei le porse il bicchiere da vino riempito di ghiaccio spezzato, colò con attenzione la miscela e, seguendo la sua guida, decorò poi con una ciliegia da cocktail e dell'ananas. E per tutto quel tempo, il dolce odore dei frutti si era mischiato al suo profumo di aghi di pino. Aki sbuffò, esausta neanche avesse terminato di correre una venti miglia; eppure il cuore le stava battendo all'impazzata nel petto con il ritmo di un tamburo tribale, la giovane temeva che il barman potesse addirittura sentirlo. Si sforzò di convincersi che era solo per l'ansia di aver messo finalmente mano ai suoi “ferri del mestiere”...sì, doveva per forza essere così, mentre alle loro spalle Yuma mostrava la sua personale idea di “agitare” uno shaker. Si sentì improvvisamente stupida ed incapace, ad osservare le evoluzioni di cui quel ragazzo era capace con quel contenitore lucente. Lo ruotava, lo lanciava in alto per poi riprenderlo al volo, facendoselo passare sulla testa e riacchiappandolo con la mano dietro la schiena, mentre lei aveva tentennato perfino per prendere il bicchiere di vetro dal suo espositore. Ma a quanto pareva, Yusei era alquanto soddisfatto del risultato ottenuto: sembrava addirittura contento, invitandola perfino a scattare una foto al suo primo analcolico. - Ero convinto mi avresti sfasciato mezzo servizio- commentò poi il barman, beccandosi un lieve manrovescio sulla nuca dalla ragazza. - Ma smettila!- esclamò Yugi, arrivato al bancone per prendere l'ordinazione – Sei stata davvero brava, Aki! Non badare a questo musone- - Io non sono musone!- Musone no, ma un po' permaloso lo era sicuramente, considerando con quanta energia negava quel suo tratto di sé. Aki si lasciò sfuggire un risolino che non sfuggì al ragazzo, voltatosi ad osservarla con occhi fattisi sottili prima di sorriderle a sua volta. Fu andando più avanti con la serata che Aki ritrovò la spigliatezza dei primi due giorni, e riuscì a divertirsi tra bicchieri, muddler, Acqua di Seltz e miscele varie. Yusei continuò a farle preparare analcolici, così da non metterle pressione con l'idea di dover quadrare al millilitro le importanti dosi di alcol. L'idea che si era fatta era che la coccolassero un po' tutti: il giovane barman tatuato sembrava avere molto a cuore il suo stato mentale e le sue insicurezze, chiedendole ogni volta se qualcosa non le fosse chiaro e se si trovasse bene, mentre Yugi si avvicinava spesso al bancone ad interessarsi alla sua nuova, temporanea posizione. Yuma sembrava aver preso il posto di Yuya, quella sera, sbizzarrendosi con continue evoluzioni anche nei tempi morti, in cui non arrivavano ordinazioni e non c'era nulla da preparare. Un paio di volte durante la serata, Judai si era avvicinato con un piatto di dolcetti tutto per lei, che la rossa aveva condiviso poi con i ragazzi del bancone. E anche lei aveva notato quella strana, apparentemente magica complicità che c'era tra Judai e Alexis. Sebbene per lei quella ragazza fosse senza nome, non poteva notare che fosse davvero carina, con quei lunghi capelli lisci e biondi come un campo di grano e il viso pulito e gentile. Elegante nei gesti e nei modi di porsi, i suoi occhi parevano illuminarsi quando si posavano su Judai, che fosse per parlargli o per mostrargli qualcosa al cellulare. In generale, era una sensazione definibile nuova e sconosciuta: se mai aveva avuto tutte quelle attenzioni in passato, ne aveva rapidamente dimenticato l'intensità e i benefici. Per quanto si sentisse sotto pressione, la sensazione suscitata era del tutto positiva: nulla a che vedere con l'idea di svegliarsi la mattina e dover soddisfare le difficili esigenze familiari, lì c'erano solo persone a cui interessava lei stesse bene. Atem si fece vedere solo a fine serata. Quando gli ultimi tavoli si liberarono e la troupe del Pharaoh's Kingdom poté cominciare a sistemare la sala, Aki si pulì soddisfatta le mani sul grembiule che le era stato fornito e sospirò soddisfatta, contenta di come la serata era andata avanti: lavorare con Yusei e Yuma era un vero piacere. Si era sentita guidata, mai abbandonata in qualcosa che, per lei, era relativamente nuovo, e non l'avevano mai fatta sentire di troppo. Sempre più convinta della scelta fatta tempo prima, e del suo nuovo percorso, la rossa perse qualche secondo per postare la foto del suo Virgin Colada sui social network, prima di notare, con la coda dell'occhio, lo sventolio di una giacca scura. Aki alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere la figura di Atem posarsi la giacca sulle spalle, quasi fosse un mantello, e uscire dalla sala ad ampie falcate. Sbatté gli occhi sorpresa, poi si voltò verso Yusei e Yuma, sorpresi quanto lei. Il secondo ad uscire a tutta birra dal salone fu Yugi, infilatosi velocemente un giubbotto. Judai fu il primo a seguirlo, incuriosito dall'improvviso silenzio del Faraone e dal modo in cui Yugi l'aveva seguito. Scambiandosi un veloce sguardo, i tre al bancone decisero di seguirli, non sapendo cosa effettivamente aspettarsi. Ma più scendeva le scale che portavano verso l'uscita e più le concitate voci di chi stava fuori si facevano udibili ed alte. Aki sentì il cuore batterle all'impazzata: era forse successo qualcosa di grave? Una volta uscita fuori, la prima cosa che la investì fu la pungente aria fredda della sera: ad aprile inoltrato non era consigliabile uscire vestiti troppo leggeri, e quella camicina non sembrava scaldare abbastanza. Tuttavia, il freddo passò in secondo piano quando vide ciò che si era preparato per loro al di fuori. Il sole stava lentamente sorgendo: il cielo scuro era vergato da una sottile, fiammeggiante striscia arancione che delimitava l'orizzonte. Poche erano le stelle visibili in alto, e la luna stava andando a riposare dall'altra parte dell'emisfero, per lasciare il posto alla gigantesca stella fiammeggiante. Tutto, però, perdeva di importanza e magnificenza, di fronte a quel terribile drago. Aki sbatté gli occhi un paio di volte, incredula; se li stropicciò con foga, provò anche l'invitante desiderio di darsi un pizzicotto sul braccio, ma quando sentì la pelle del corpo protestare con dolore alla forte pressione dei suoi polpastrelli realizzò che no, non era un sogno, e no, non aveva inavvertitamente ingerito alcun alcolico. Il drago si stagliava contro l'alba fiammeggiante, imponente e maestoso, crudele nei gelidi occhi blu e terribile con la sua chiostra di denti aguzzi. L'animale apparentemente uscito da un bestiario medioevale spiegò le ali e lanciò un terrificante ruggito, prima di sparire in un'esplosione di frammenti bruciacchiati di quella che, in lontananza, aveva l'aspetto di alcuni fogli di carta. Il vento li spostò in massa verso sud, una nube di quei foglietti sorvolò anche la loro zona prima che cominciassero a planare dolcemente verso terra. Gli occhi di Aki si sgranarono dallo stupore quando, una volta che quei pezzetti di cara cominciarono a cadere verso terra e toccarono il suolo, si rese conto che erano banconote; tutte spiegazzate e maltrattate, come se fossero state tutte appallottolate insieme, ma inevitabilmente banconote. Aki mise le mani a coppa e lasciò che una di queste atterrasse tra i suoi palmi con la leggerezza di una piuma: la toccò, passò i polpastrelli sulla ruvida superficie, la mise in controluce per studiarne la filigrana, e constatò con crescente incredulità che erano vere. Non si trattava di fac-simili, quelle erano autentiche banconote di piccolo taglio lasciate in eredità dall'immagine del candido drago dagli occhi blu. Lo stupore era generale. La giovane Alexis, che era a sua volta da poco uscita dal locale per fare ritorno a casa, si era fermata con l'auto all'uscita del parcheggio ed era scesa ad osservare la misteriosa pioggia: anche lei aveva preso una delle banconote e le aveva osservate, e ora stava animatamente parlando al cellulare, sebbene Aki non riuscisse a capire cosa stesse dicendo. L'unico disinteressato alle banconote era proprio Atem. Se ne stava lì in piedi in mezzo alla strada, la giacca sulle spalle e un foglietto stretto tra le mani. Un autentico foglietto, non una banconota come tante che lo circondavano. Gli occhi ametista scorrevano le parole scritte con la calligrafia netta e decisa di Seto Kaiba. A te la prossima mossa. ______________________________ E con il terzo capitolo di questa storia salutiamo (seppur in anticipo) il 2017! Prego tutte le divinità di tutte le religioni, anche quelle che NON conosco, di far finire quest'anno alla svelta. Sul serio, non avete idea del calvario. Chi mi conosce sa cosa ho passato, alcuni l'hanno vissuto in prima persona: io vi ho raccontato solo il raccontabile, risparmiandovi tanti dettagli. Almeno per voi, spero che questo anno vi abbia riservato qualche gioia e qualche gradita sorpresa, dei successi personali gratificanti e tante altre cose belle. A me, personalmente, è bastato poter tornare a camminare senza l'ausilio di deambulatori o marchingegni strani. Ebbene sì signore e signori: anche Seto Kaiba è della partita! Il suo ruolo, al momento anticipato da Atem, verrà reso più chiaro più avanti nella storia: suo rivale nello stesso campo delle illusioni/magie. Sappiamo tutti che, nell'originale, Seto Kaiba sta alla magia come Pippo sta alla Strega Nocciola: come fare allora a fargli credere, a farlo andare oltre le sue stesse superstizioni? Molto semplice, mettendolo in condizioni tali da non poter fare a meno di essa per raggiungere il suo scopo supremo. Quale sia questo? Anche questo lo conoscerete più avanti. Sennò vi spoilero un po' troppo e siamo APPENA al terzo capitolo di una storia che COME TUTTE non so fin dove finirò, fin dove mi spingerò. La moto di Yusei! Allora, parliamone perché qui vanno spiegate un po' di cose: trattandosi del mio universo come di un "ibrido" tra le varie serie, ma comunque ambientato su una base quanto più possibile "reale", ho dovuto cercare un'alternativa valida che non facesse sentire troppo la mancanza della Yusei Go. In realtà, essendo figlia di un papà motociclista che, in gioventù, correva in go-kart e si ribaltava sulle piste da motocross, ed essendo io stessa un'appassionata di motori, la ricerca è durata poco: sapevo già cosa usare! La scelta è ricaduta sulla Bimota Tesi 3D Naked, della casa tricolore Bimota, appunto. Con sede a Rimini, il nome costituisce l'acronimo delle prime due lettere dei tre cognomi dei soci fondatori Bianchi, Morri e Tamburini. Quest'ultimo, conosciuto come "the Michelangelo of Motorcycling" per la bellezza dei suoi modelli, ha disegnato la mitica Ducati 916, tra le altre cose. Come tante case motociclistiche italiane, la Bimota è nata producendo qualcosa di completamente diverso: la Lamborghini produceva trattori, la Ducati radio a transistor, e la Bimota, invece, impianti di riscaldamento e condizionamento. Proprio Tamburini cambiò rotta di produzione, data la sua smisurata passione per le due ruote. Il modello Tesi, la cui visione moderna vediamo in mano a Yusei, è frutto di lunghe sperimentazioni e deve il suo nome alla tesi di laurea presentata dall'ingegner Pier Luigi Marconi (successivamente assunto in Bimota): questa proponeva una motocicletta che al posto della classica forcella telescopica (quella con i due "steli" ad intendeci) presenta un forcellone a due bracci che prevede un azionamento indiretto dello sterzo. Per capirci, le ruote sono collegate direttamente al telaio e non al manubio come le moto classiche, e questo dà alle Bimota un gran vantaggio in termini di stabilità in frenata e ingresso in curva, proprio perché questa soluzione permette una bassa collocazione del baricentro. Altro appunto, a parte i prototipi e un modello da competizione, tutte le Tesi commercializzate sono equipaggiate con motori bicilindrici a L di produzione Ducati. Ad ogni modo si tratta di un mostro di moto che si vede anche molto poco in giro, considerato che il commercio di due ruote in Italia è monopolizzato dalle giapponesi. Purtroppo devo dire: come al solito il nostro artigianato è un po' bistrattato. Ditemi poi se vi sembra una buona erede della Yusei-Go... E chi pensate sia il benefattore di Yusei... Non penso ci sia bisogno di discutere sul misterioso tatuaggio di Yusei. Chiaro riferimento al suo marchio da Signer, e sebbene il drago in questione sia di aspetto più tradizionale e non assomigli, nella mia testa, magari in seguito lo disegnerò, a Polvere di Stelle...il suo riferimento è chiaro. Il tema delle stelle tornerà spesso quando si parlerà di Yusei...prevedibile: come potere diversamente quando si parla di LUI? XD In quanti di voi pensano che la risposta di Seto ad Atem sia forse un po' troppo esagerata? XD Direi che qui è tutto ragazzi! Fatemi sapere che ne pensate in qualsiasi modo! Recensione, MP, post sulla pagina Facebook (ricordo che c'è il link nella pagina di profilo autore) bat-segnale o qualsiasi altra modalità vi venga in mente. Vi risponderò nel più breve tempo che riesco! Un bacio a tutti ragazzi, vi lascio con un altro pseudo omaggio artistico che appena mi si ricarica la penna firmerò tanto per riaffermare la mia paternità xD e vi lascio con l'augurio che questo 2018 che sta per venire vi riservi qualcosa di buono <3 92Rosaspina. |
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Capitolo 4 *** 4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario. ***
4. Gli Amanti, Cenerentola al contrario.
La bellezza, per le donne in ispecie, è un gran tesoro; ma c'è un tesoro che vale anche di più, ed è la grazia, la modestia e le buone maniere.
Carlo Collodi, Cenerentola.
Il quotidiano mostrava, in prima pagina, una foto a colori del drago comparso nei cieli di Nuova Domino quel mattino. La qualità non era eccelsa, forse era stata scattata al volo da un cellulare, ma rendeva bene l'idea di cosa fosse apparso quella mattina all'alba. L'articolo spiegava che l'intera cittadinanza era stata coinvolta in quella che sembrava un' “illusione collettiva”: il traffico era andato in tilt, causando ingorghi apocalittici con gli automobilisti che scendevano dalle auto per raccogliere le banconote sparse al vento. Illusione fino ad un certo punto, perché l'immagine del drago era scomparsa ma le banconote erano tangibili e soprattutto autentiche.
Anche senza quel biglietto capitatogli fra le mani, Atem avrebbe saputo dire con assoluta certezza che si trattava di un'opera di Seto Kaiba: spettacolarità e grande investimento di denaro erano parte della sua firma. Un magnate come lui, a capo dell'azienda leader nel campo dell'intrattenimento videoludico e della tecnologia, non perdeva nulla a lanciare al vento qualche milione in banconote.
Soprattutto se, stando a quello che riportava il quotidiano, rivendicava l'atto come sua iniziativa per promuovere la nuova, imminente uscita targata Kaiba Corporation in fatto di videogiochi: non si parlava di altro da mesi nell'ambiente dell'intrattenimento visivo, e il Dark Magicians stesso aveva deciso di organizzare un evento in concomitanza con l'uscita.
Ovviamente, l'unico a capire il reale messaggio di quell'apparizione fu proprio Atem.
- Pare che lo spettacolino dell'altra sera non gli sia affatto piaciuto- sorrise il Faraone, ripiegando il quotidiano e spostandolo con due dita della mano sinistra – Forse l'ho indispettito-
- Tu sapevi che lui ti stava guardando?- chiese Mana, i gomiti puntellati sul bancone.
- L'ho fatto entrare io nel locale-
- Da quanto tempo va avanti questa sfida, ormai?-
- Dai tempi delle scuole dell'obbligo...credo. Ho perso il conto. Ci siamo sempre scontrati, ma mai in modo così...plateale-
E le mostrò il foglietto arrivatogli. Mana prese il pezzo di carta tra le sue dita gentili, scorrendo con le iridi verdi le parole su di esso scritte. Quel “A te la prossima mossa” era un chiaro segnale: la sfida era tutt'altro che conclusa, anzi era appena iniziata. E il terreno di gioco era vasto abbastanza da perdersi nei meandri delle menti umane.
- Hai paura?- domandò la ragazza, incerta. Una mano avanzò di sua spontanea volontà e si posò sul pugno chiuso di Atem, a riposo sul bancone, sfiorandolo con la punta delle dita ed attirando la sua attenzione. Il Faraone le sorrise, enigmatico come sempre.
- Paura, sì- ammise poi – Ma non per me-
- Uh? Cosa intendi?-
- Non ho idea di quale sia il suo reale limite. Non è la sua abilità ad impensierirmi, ma il suo egocentrismo, la sua voglia di primeggiare a tutti i costi. Potrebbe creare più problemi di quanto non si pensi. E questo...- e rimise sotto gli occhi di Mana il quotidiano – Questo è una chiara dimostrazione dei suoi reali intenti, e del fatto che nulla potrà desisterlo dal suo obiettivo. Neanche l'incolumità delle persone-
- In altre parole, temi che si faccia prendere eccessivamente la mano?-
- Non è un timore, il mio. È una certezza. E non parlo a vanvera, considerato quello che è successo in passato-
Il mazzo di tarocchi marsigliesi di Mana era ancora in mezzo a loro: la giovane l'aveva posizionato, immaginando che lui volesse consultarlo, ma non era ancora stato toccato, fino a quel momento almeno. Gli occhi verdi di lei si posarono prima sulla mano destra di Atem, che tagliò il mazzo in tre per poi riunire il tutto mettendo, in alto, il mazzetto al centro, poi spostò lo sguardo sull'indice e medio posati sul dorso della prima carta, poi sul suo volto impassibile e pensoso. Stava ponendo il suo quesito alle carte, e quando voltò la prima, come lei si aspettava, i suoi occhi non tradirono alcuna espressione.
In cuor suo, già conosceva la risposta, ma voleva scoprire ulteriori pareri. E per quanto dicesse, le carte non mentivano in realtà. La posò sul bancone, il silenzio tra i due rotto solo dalla musica che fuoriusciva dagli altoparlanti.
Gli occhi di Mana si strinsero lievemente, ad osservare la torre scoperchiata da cui scaturiva una fiammata verso il cielo, una gigantesca Torre di Babele abbattuta dal fulmine divino.
La Maison Dieu, La casa di Dio o, più comunemente, la Torre. Simbolo di superbia e presunzione, punite con il castigo.
- Conosco Seto Kaiba troppo bene per non sapere cosa gli passa per la testa, in questo momento- concluse Atem, spostando la carta più a destra e indicando a Mana il mazzo.
- Cosa intendi fare?- domandò allora lei, incerta.
- Non voglio ostacolarlo, ma neanche aiutarlo. Dovrà capirlo da solo. E poi...non intendo privarmi del piacere della sfida. Seto ha lanciato il guanto tanti anni fa, io l'ho raccolto e continueremo con la nostra schermaglia finché ne avremo la forza-
- Non mi piace saperti in pericolo-
- Ma io non sono in pericolo-
- Sai cosa intendo-
- Non mi spezzerò. Non di nuovo-
- Lo so-
Entrambe le mani della ragazza si posarono sulla sua destra, gli occhi che si alzarono quando lui ricambiò la stretta e le sorrise ancora.
L'orologio a forma di ranocchia sul bancone segnalava le cinque e un quarto, e tuttavia Atem non aveva pensato all'apparizione nel cielo fino a quando non era entrato al Dark Magicians. Mentre Yugi passava in rassegna gli scaffali, alla ricerca di qualche interessante videogioco, il creatore del Pharaoh's Kingdom si era impegnato in una lunga discussione con Mana, ponendo quell'illusione collettiva come argomento principale. Mana era l'unica persona, tra le sue conoscenze, capace di andare oltre le superstizioni e le apparenze, forse l'unica persino di tenergli testa, e sebbene si fosse tenuta da parte e non avesse mai partecipato a quel genere di “giochi”, anche lei provava sempre più interesse verso le meccaniche della mente umana, e l'essere appassionata di esoterismi contribuiva molto alla sua visione del mondo e degli eventi. Ad unirli c'era un profondo affetto che si era radicato nel corso degli anni, e le vicende dell'ultimo anno li avevano messi spesso in condizioni di cercarsi e ritrovarsi, lasciarsi per poi riprendersi subito dopo. Atem faceva spesso visita al Dark Magicians anche senza usare Yugi e il suo interesse per i giochi come scusa per farsi vedere, lui e Mana restavano a parlare insieme per ore.
- Pensi potremmo rivederci, una di queste sere?- le chiese a bassa voce, quasi non volesse farsi udire né da Yugi né dalle colleghe di Mana. La giovane si fece sfuggire un furbo sorriso, alzando gli occhi al cielo quasi stesse pensandoci sopra.
- E tutto quest'improvviso desiderio da cosa nasce?- gli chiese poi, tracciandogli qualche cerchio sul dorso della mano con l'indice destro.
- È forse un delitto o un crimine voler passare del tempo con una persona a me cara?-
- E dove mi porteresti, Faraone? Nel tuo...regno?-
- Ti riferisci al Pharaoh's Kingdom? Pensavo a qualcosa di diverso-
- Ma certo che mi riferivo al Pharaoh's Kingdom!- Mana rise, gettando la testa all'indietro, una risata dolcissima quella che suonava dalle sue labbra – È passato tanto tempo dall'ultima volta che sono stata lì, avevate la sala da biliardo ancora in ristrutturazione! E poi vorrei anche vedere come stanno tutti gli altri...-
- Io pensavo a me e te, da soli-
Mana non aveva mai imparato a controbattere a simili risposte, né a difendersi dall'intensità di quegli occhi; e in cuor suo era certa che lui lo sapesse, e lo facesse apposta a farla sentire così piccola e lusingata, forse anche desiderata. Molti l'avevano considerata solo per quel dolce viso innocente sul corpo di un'adulta, lui invece la voleva con sé perché davvero apprezzava la sua compagnia. Tra le altre cose.
- Ma se preferisci, potremmo fare anche così. Potremmo stare al Pharaoh's Kingdom, e poi entrare nel mio regno-
Mana non rispose. Abbassò ancora lo sguardo, celando i begli occhi verdi dietro le impertinenti ciocche dorate che le scivolavano lungo il viso. Alzò una mano e se ne spostò una dietro l'orecchio destro, ben sapendo che entro tre secondi le sarebbe di nuovo scivolata sugli occhi. Senza rifletterci troppo tempo sopra portò le dita sul mazzo, esitò per qualche secondo e voltò la sua carta.
Un uomo tra due donne, e un cherubino che volteggiava sulle loro teste, pronto a scoccare la freccia. Les Amoreux, gli Amanti, l'unica carta che aveva bisogno di davvero poche spiegazioni. Atem sollevò una mano per spostarle una ciocca bionda dietro l'orecchio: la punta delle dita le sfiorò la guancia sinistra, facendole chiudere gli occhi.
Fu lei la prima a porre a contatto la propria fronte con la sua, gli occhi socchiusi e un sorriso che le curvava le labbra. Atem le sfiorò il naso con il proprio, intenerito.
Fu di nuovo lei quella a cercare le sua labbra alla cieca e baciarle, accarezzandogliele morbida e dolce. Il Faraone sorrise ancora contro la sua bocca, una mano salita ad accarezzarle ancora una guancia.
- Ah-
Il lieve colpetto di tosse di Yugi gli fece riaprire gli occhi e lo distolse dal volto di Mana. Atem si voltò quel che gli bastava per vedere il suo fratellino, che attendeva pazientemente il via libera per completare il suo acquisto. Dietro di lui, impossibile dire se compiaciute o sorprese, le tre colleghe di Mana, sempre rigorosamente posizionate in ordine di altezza, li osservavano con grandi occhi colmi di divertimento: la più alta si attorcigliava una ciocca di capelli biondi intorno all'indice destro, la seconda si copriva il sorriso con il cellulare coperto dalla cover rossa, e la terza stringeva tra le mani una console portatile colorata di turchese, come i suoi lunghi capelli.
Iooooo avrei finito!- esclamò Yugi, evitando a tutti i costi di incrociare lo sguardo con Atem, temendo forse qualche rappresaglia o una scarica di insulti per aver interrotto quel momento pseudo intimo. Mana stessa ebbe bisogno di qualche secondo per recuperare lucidità e annuì, riunendo di nuovo il mazzo e spostandolo in modo che non desse intralcio.
In fondo era bello anche osservarla così, a distanza mentre sbrigava il suo lavoro. La giovane ragazza dagli occhi verdi come un incantesimo era l'unica donna che, fino a quel momento, non era scappata via di fronte alle evidenti stranezze di Atem, anzi: le aveva accettate e l'aveva fatto sentire meno “speciale”, meno mosca bianca di come era indicato.
In fondo, non c'era nulla di male a voler approfondire i meccanismi del mondo; ma se in tante l'avevano trovato strano, ai limiti dell'alienato ed ingestibile per quel suo così strano interesse, Mana non si faceva alcun problema, forse perché era lei la prima a voler comprendere il modo in cui il Faraone osservava il mondo.
- A te, Yugi! Passa a ritrovarci presto- lo salutò Mana, consegnandogli la busta contenente i suoi acquisti.
- Grazie mille, Mana! E grazie anche a voi ragazze, è sempre un piacere vedervi!-
- Grazie a te, Yugi!-
- Anche per noi è un grande piacere vederti!-
- Anche se ci piacerebbe fare altro con te...-
Quando il ragazzo trovò evidente difficoltà nel rispondere alle tre coloratissime colleghe di Mana, cominciando ad emettere suoni disarticolati e sconclusionati con il miglior sorriso da ebete in faccia, Atem prese in mano la situazione; o meglio, afferrò il fratello per la giacca e se lo tirò via con una scena degna di un fumetto, scatenando le risate delle quattro ragazze. L'unico momento in cui il Faraone si voltò fu solo per salutare Mana con uno sguardo complice.
- Ahi! Che male, che bisogno c'era?! So camminare da solo!- esclamò poi Yugi, una volta arrivati all'auto. Atem sbloccò la chiusura centralizzata e attese che entrambi prendessero posto e chiudessero le portiere, prima di avviare il motore.
- E da quando in qua riscuoti tutto questo successo col gentil sesso, mh?- domandò invece l'altro, senza tuttavia togliersi il sorriso.
- Ah, da molto più tempo di quanto tu creda! Sarai mica invidioso?!-
- Eppure mi sembravi piuttosto impacciato di fronte a quell'avance chiara come il sole...-
- Sì beh, è che mi hanno preso in contropiede! Avrei saputo rispondere, giuro! Non pensare di essere l'unico ad avere la prerogativa!-
- Ah-ha, ne hai ancora di strada da fare, fratellino...-
- Questo lo dici tu! Io almeno non ho bisogno di giochi di prestigio, mi basta la mia gioviale presenza e la mia gentilezza!-
- Ci infilassi, in mezzo, anche un po' di sale in zucca e decidessi di parlare chiaramente ad Anzu sarebbe un quadretto perfetto!-
- Si beh, questo discorso dovresti farlo a Judai, se proprio ci tieni! Non sono così disperato!-
- Judai non è disperato, Yugi. Mi spiace ammetterlo ma è proprio stupido-
La risata di Yugi scosse tutto l'abitacolo. Atem ridacchiò a sua volta, chiedendo mentalmente scusa a Judai per il divertimento concessosi alle sue spalle.
****
- Oh, bene- sbuffò Aki sarcastica, osservandosi allo specchio.
L'occhio destro era piuttosto arrossato. Forse era entrata della polvere al suo interno che l'aveva irritato, o più probabile che la stanchezza le avesse giocato qualche brutto tiro. E per quanto avesse ridotto il make-up al minimo, con uno strato di mascara e una sottilissima linea di kajal messo tanto per, quando era andata a sciacquarsi la faccia per trovare un po' di sollievo era colato tutto lungo la guancia, disegnandole scie nere sulla pelle alabastrina. Con un gesto carico di nervoso e stizza per l'inconveniente, Aki aprì di scatto la zip della borsa e infilò tutto il braccio al suo interno, alla ricerca del suo beauty-case d'emergenza.
La serata stava cominciando davvero bene, ed ovviamente era sarcastica. Ripulì alla svelta le tracce di trucco sciolto, risistemò l'aspetto dell'occhio con pochi, sapienti gesti, per poi infilare tutto alla rinfusa nella borsa e tornare velocemente in sala.
Yusei era già lì ad aspettarla, insieme a Yuya. Anche per quella sera Atem aveva deciso di schierarla dietro il bancone, per non mantenere scoperta la postazione lasciata libera dall'assenza di Yuma; probabilmente anche il barman tatuato ci aveva messo lo zampino, comunicando che non se la cavava affatto male con gli analcolici.
Ad essere sincera, Aki non sapeva decidere quale delle due attività preferisse: le piaceva molto aiutare Yugi ai tavoli e portare ordinazioni avanti e indietro, trovandolo un ottimo esercizio fisico e un buon stratagemma per svincolare da responsabilità più grosse come il miscelare alcolici. Dall'altra, però, finché si trattava di preparare analcolici fruttati le andava più che bene. E poi era un motivo valido per stare vicino a Yusei.
Ammetteva, più a sé stessa che altro, che la silenziosa e discreta compagnia del barman era molto gradita: per quanto non riuscisse a dare un senso a quel segno dorato che gli attraversava un lato della faccia, lo trovava estremamente affidabile e dedito al suo lavoro. Oltre che, obiettivamente parlando, un piacere da vedere anche per i suoi occhi. Cosa ci trovasse in lui, non riusciva a spiegarselo: forse era per lo sguardo, così severo eppure carico di emozioni e sfumature che, letteralmente, lo faceva parlare con gli occhi, forse era quel persistente profumo di aghi di pino, magari era proprio quell'alone di mistero che gli conferiva quel segno sul volto. Ad ogni modo, stargli accanto era una gioia e un supplizio contemporaneamente.
Una gioia, perché con lui intorno sembrava tutto più colorato e leggero. Un supplizio, perché averlo sempre così vicino, inevitabilmente, la distraeva spesso.
- Eccomi qui!- esclamò Aki, una volta preso posto dietro il bancone. Yusei era in piedi dietro il lavello, le braccia conserte al petto, mentre Yuya stava pulendo con foga i suoi occhialetti.
- Pronta anche stasera?- le chiese lui, l'ombra di un lieve sorriso sulle labbra – Vogliamo continuare con gli analcolici o vuoi provare con qualcosa di più forte, stavolta?-
Eh, bella domanda. Aki soppesò le parole prima di rispondere: l'idea di provare qualcosa di nuovo la eccitava, ma la possibilità di sbagliare la frenava. Alzò gli occhi verso Yusei, scrutandolo quasi aspettasse un suggerimento da lui.
Speranza vana: il barman la osservava senza alcun cambio di espressione, le braccia conserte e il mezzo sorriso sulle labbra, ma gli occhi impietosi non accennavano alcuna possibilità.
- ...Non lo so. Tu che ne pensi?- domandò allora lei, con voce piccola quasi avesse paura a parlare.
- Se vuoi, possiamo cominciare con qualcosa di leggero. Non ti metto subito a fare qualcosa di estremamente complicato...facciamo così: continuiamo con gli analcolici ugualmente, e appena ho qualcosa per le mani che so che potrà riuscirti relativamente semplice, proviamo a farlo insieme, okay? Male che vada, potrò rifarlo in un batter d'occhio...ma almeno ci provi-
- Va bene!-
L'alternativa sembrava interessante e fattibile.
- Okay, allora cominciamo con il vedere un paio di cose-
La preparazione di cocktail era molto meno affidata al caso di quanto potesse sembrare. Ad osservare i tre barman trincerati dietro il bancone, Aki si era automaticamente convinta che le misure e le quantità andassero azzeccate ad occhio, e che solo con l'esperienza si potesse acquisire quella sensibilità e manualità tale da usare sempre le dosi giuste; forse non aveva tutti i torti, in fondo loro facevano quel tipo di lavoro da tanto tempo, lei aveva appena iniziato. La fortuna era stata che Yusei le aveva mostrato che, in realtà, era molto più semplice di quanto apparisse.
Il primo strumento che le insegnò ad adoperare fu il jigger. Aki rimase ad osservare a lungo il misurino segnato all'esterno.
- Ti potrà fare molto comodo all'inizio- le spiegò Yusei – Ma col tempo potresti imparare a fare senza. La misura più piccola contiene 30 millilitri, la più grande 60. Un'oncia è 30 millilitri, due once sono 60. Ora...-
Con un veloce gesto, il barman le mise di fronte due piccoli bicchieri da shot.
- I bicchieri da shot classici contengono un'oncia e mezza. Sono esattamente 45 millilitri. Noi facilitiamo le cose e utilizziamo direttamente bicchieri da un'oncia. È più facile per noi e i nostri clienti si ubriacano di meno...e brutto da dire ma è così, comprano di più-
- Invidiabile strategia di marketing- notò Aki, le braccia conserte al petto.
- Immagino si possa chiamare così. Ora, sentirai parlare molto spesso di “parti”, quando prepari cocktail. Le due once diventano due parti, l'oncia diventa una parte. Ora...-
Ma che bella voce che aveva? Non ci aveva mai fatto caso prima di quel momento, forse perché non aveva mai parlato così a lungo e con tanta concentrazione. Aki sorrise, continuando ad osservarlo mentre le mostrava diversi bicchieri di diverse misure e le spiegava le varie differenze. Da quanto tempo faceva quel mestiere? Da tanto, indubbiamente, a giudicare dalla sicurezza con cui ne parlava. Sembrava davvero sapere il fatto suo...doveva saperlo, per essere all'unanimità nominato come capo bar.
Spostava spesso lo sguardo sul soggetto a cui si stava riferendo in quel momento, fosse stato il bicchiere, il jigger, Judai che lo scimmiottava da lontano o Yuya che sistemava distrattamente qualche bottiglia, mentre Yusei si arrotolava le maniche della camicia fin sui gomiti e scopriva il tatuaggio. Le tornò in mente il modo e la facilità con cui aveva sollevato Yuma il mattino precedente: quanto doveva essere davvero forte? Era tutto fuorché un tipo emaciato e malaticcio, e poi guidava una moto...quanta forza richiedeva, una moto, per essere portata? Che bello, però, che doveva essere saper guidare una rabbiosa due ruote, gestire tutta quella potenza solo con qualche abile rotazione di polso e il peso del corpo sapientemente posizionato! Il vedere il mondo nella sua interezza, entrare a far parte di esso e non farsi schermare dallo stretto abitacolo di un'automobile. Le piaceva vedere il modo in cui i muscoli delle braccia sembravano premere sotto la camicia, e peccato che indossasse un gilet che nascondeva le forme del petto; poteva provare ad intuirle, ma quel gilet era davvero troppo scuro. Aveva delle belle mani, comunque, non ci aveva mai fatto caso: forti e grandi al punto giusto, capaci di afferrare al volo bottiglie e bicchieri come di centellinare le dosi di alcol o girare la manopola del gas. Judai diceva che il barman non avrebbe trattato neanche un'ipotetica fidanzata con la stessa cura e affetto che riservava alla sua moto...ma era davvero il caso di credergli? Magari era qualcosa che aveva detto così, per ridere e prenderlo in giro; in cuor suo ci sperava, sarebbe stato come chiudere un cerchio perfetto su quel ragazzo dal misterioso segno...
- Yus...-
- Oh che diavolo, vi ho detto che questo nomignolo mi dà fastidio!-
- Se mi fai prima finire di parlare, credo che Aki abbia smesso di ascoltarti da un pezzo-
Il silenzio improvviso la catapultò fuori dal suo turbine di pensieri. Aki sbatté un paio di volte i begli occhi castani, rendendosi conto solo ora di avere l'indice destro tra le labbra. Riprese subito compostezza, muovendo qualche lieve passo sul posto, per poi guardarsi intorno, e subito dopo arrossire per il mortale imbarazzo.
Aveva completamente ignorato le parole di Yusei per concentrarsi su qualche sua fantasia di chissà che tipo...! Spostò velocemente lo sguardo da Yuya, i cui capelli sembravano ancora più accesi del solito, forse li aveva ricolorati?, a Yusei che la scrutava quasi alla ricerca di qualche male immaginario, fino a Judai che, a debita distanza dal bancone, aveva smesso di scimmiottare il barman per osservare la rossa, con le mani giunte sulla bocca a nascondere un grosso sorriso malandrino; peccato che i suoi occhi ridessero prima ancora delle labbra.
- Aki? Tutto bene?!- domandò Yusei, incerto.
Oh sì certo Yusei, stavo solo pensando a quanto la tua voce era bella graffiante e a come devi essere muscoloso per poter portare una moto e sollevare gente a caso da terra ma figurati, come funziona allora con questi cocktail?
La rossa scosse il capo, cercando di riprendere contegno e senso di conservazione. Lì successe il disastro.
Dapprima sentì una fastidiosa sensazione che le comprimeva il petto all'altezza del seno: la stringeva con una certa pressione, quasi fossero due mani quelle che la serravano. E poi, senza preavviso, la pressione venne rilasciata tutta d'un colpo, lasciandola libera di respirare. Il bottone schizzò in avanti come un proiettile, sbattendo rumorosamente contro il mobiletto di fronte e tintinnando a terra, Yuya ne seguì la traiettoria con lo sguardo mentre Yusei si guardò intorno alla ricerca della fonte di quel rumore. Muovendosi quasi al rallentatore, Aki abbassò gli occhi su di sé, individuando spuntare, tra i lembi candidi della camicia, il profilo scarlatto delle coppe del suo reggiseno.
Non trovò neanche la forza per urlare dalla vergogna: si abbassò di scatto, accucciandosi sulle sue stesse gambe, le braccia premute al petto e gli occhi sbarrati nel vuoto. Yusei le si inginocchiò subito accanto, preoccupato, mentre Yuya andava alla ricerca del bottone misteriosamente scomparso.
- Aki?! Aki! Che c'è?!- domandò il barman, agitato, posandole le mani sulle spalle – Ti senti bene?!-
No, non si sentiva affatto bene. E lo era da quella mattina anche se aveva cercato in tutti i modi di nasconderlo e non pensarci. Un nodo le strinse la parte bassa del ventre, mentre lei scuoteva il capo.
- Ho...ho perso il bottone...!-
E lo disse con la voce così piccola, e le guance così rosse, che Yusei fu costretto a frenare una forte risata. Non di scherno, ma di tenerezza.
- Io non ritrovo il bottone...!- esclamò Yuya, anche lui inginocchiato sul pavimento, con il petto ben aderente al suolo mentre scrutava il pavimento – Credo sia finito sotto il mobile-
- E allora resterà lì finché non puliranno- concluse Yusei – Vai a lavarti le mani dopo, che hai toccato il pavimento. Aki, hai una camicia di ricambio?-
- Questa è l'unica-
- Ci sono dei kit di cucito, nei camerini- disse Yuya, alzandosi in piedi e spolverandosi le mani sui pantaloni – Ho dei bottoni di riserva, se vuoi puoi usarli! Puoi appuntarne uno nuovo!-
- ...Non so cucire-
- E che problema c'è? Lo faccio io!-
La spontaneità della risposta di Yuya le fece alzare lo sguardo. Il ragazzo le stava regalando un ampio sorriso, mentre si sistemava gli occhialetti.
Se ne vergognava, Aki. Se ne vergognava profondamente, di non saper eseguire autonomamente un'azione così semplice e basilare come il cucito. Non le era mai stato insegnato, così come non le era mai stato mostrato come cucinare o caricare una lavatrice: ci sono le domestiche pagate per fare questo, le dicevano il padre e la madre.
Era cresciuta così, vezzeggiata e preservata da qualsiasi attività potesse implicare anche il più piccolo rischio, dallo scottarsi al bucarsi con un ago piuttosto che scivolare su una macchia d'acqua. E stava imparando, seppur lentamente, a sopperire autonomamente alle mancanze idiote della sua educazione fin troppo privilegiata; ma c'erano tante cose di cui ancora non era pienamente capace, e il confessarlo la faceva sentire stupida e incompetente.
Ancora doveva rendersi pienamente conto che di quelle mancanze nessuno, intorno a lei, ne faceva realmente un dramma.
****
- ...e ma CHE CAZZO!!!-
- AKI?! Tutto-tutto bene?!-
- Uff...sì Yu, sì. Diciamo di sì-
- Sicura?! Che hai da urlare così?-
- Niente Yu...inconvenienti femminili-
- Inconvenienti fem—OH-
- Mh, già. Puoi farmi un favore, già che ci sei? Potresti passarmi la borsa? È quella rossa, dentro l'unico armadietto aperto. Ho dimenticato anche il lucchetto a casa, oggi...-
- Va bene, solo un secondo-
Yuya lasciò la camicia e la scatola di bottoni sull'asse da stiro, andando a spalancare l'armadietto senza lucchetto e prelevando l'unica borsa rossa presente al suo interno, badando a non far cadere le scarpe.
- Ecco qui. Vuoi tutta la borsa o ti serve qualcosa di specifico?- domandò Yuya, rivolto alla porta chiusa del bagno.
- Tutta la borsa, a meno che tu non sappia come sia fatto un assorbente...-
- Tieni-
Yuya schiuse la porta quel tanto che bastava per farci passare la bustina viola. La voce di Aki lo ringraziò impercettibilmente.
- Lo sapevo, c'era un motivo se me le sentivo più gonfie...toh, guarda qui che roba!- sbuffò poi la ragazza, ben chiusa nel bagno. Yuya si voltò a scrutare la liscia superficie in betulla della porta, prima di aprire la scatola di bottoni e scegliere quello più simile agli altri appuntati sulla camicia.
- Questa cosa che vi si gonfiano le tette quando avete le vostre cose non mi è del tutto chiara- buttò poi lì il ragazzo, prendendo ago e filo bianco.
- Sei un maschietto, Yuya, non potresti mai capire il disagio-
- No, infatti, ma da quello che so è una gran rottura. Lo è anche per la mia ragazza-
- ...Tu hai una ragazza?!-
- Certo! Perché questo stupore?-
- No, è solo che...-
Complimenti Aki, si disse la rossa, rialzando intimo e pantaloni e spalancano il rubinetto per lavarsi le mani. Gaffe più grossa non potevi farla. Genio che non sei altro, questa serata è iniziata MALE e minaccia di finire ancora peggio!
- Cos'è, trovi sia strano che un buffone come me abbia una fidanzata?- chiese allora Yuya.
Aki socchiuse la porta del bagno con le mani ancora umidicce. Il ragazzo se ne stava lì, vicino all'asse da stiro, con gli occhialetti calati sugli occhi e l'ago ben sollevato mentre cercava di far passare il filo nella cruna. Non sembrava particolarmente infastidito, a dirla tutta.
E tuttavia dubitava che quegli occhialetti servissero a farlo vedere meglio.
- E tu pensi che sia strano?- domandò allora Aki, rigirando la domanda.
Yuya strinse la lingua tra le labbra in una smorfia di concentrazione.
- Cosa vuol dire strano?- le chiese ancora, facendo finalmente passare il filo.
- ...Immagino voglia dire che non è normale-
- E cos'è normale? Perché una cosa può essere definita “normale” e un'altra no? Cos'è che fa meritare la denominazione di “normale”?-
- ...Immagino che “normale” sia quella cosa che è universalmente accettata da tutti-
- Quindi “strano” vuol dire che una cosa è accettata da pochi?-
- Immagino di sì-
- Mh, interessante spunto di conversazione. Continuiamo per favore-
- Va bene, se insisti...-
Dove voleva arrivare? Aki stessa era ormai curiosa.
A dirla tutta, era incuriosita in generale da quel ragazzino troppo cresciuto, con i capelli a semaforo e gli occhialetti e il serafico volto sempre sorridente. Lo osservò stendere con cura la camicia sull'asse, posizionando il bottone alla stessa distanza degli altri.
- Tu dici che “normale” è una cosa che è universalmente accettata da tutti- riprese Yuya, creando un piccolo nodo all'estremità del filo – Allora potremmo considerare “normali” tutti i crimini del mondo, no? Gli attentati, gli assassini, gli stupri e via dicendo-
- Che dici?! Certo che quelle cose non sono normali!- esclamò Aki, piccata.
- Già, ma sono universalmente accettate da tutti. Tutti sappiamo che esistono questi crimini, tutti sappiamo che c'è gente che li commette, e tutti noi abbiamo accettato la loro esistenza. Di conseguenza, per noi è “normale” parlare di violenze di ogni tipo-
- ...Credo di aver capito cosa vuoi dire. Che i concetti di “normalità” e “stranezza” variano di persona in persona, giusto?-
- Esattamente. Per te, io sono strano? Sincera-
- Beh, normale non sei sicuramente, con quei capelli verdi e rossi...-
- Ahahahaha! Dai, sul serio!-
- Capelli a parte, non vedo niente che non vada bene in te-
- Capisco. Quindi non hai pregiudizi né pretese verso gli altri-
- ...Io sono cresciuta tra queste cose-
- Oh?-
- La mia...la mia famiglia, bada molto all'apparenza, più che alla sostanza. E alla difesa del buon nome. La nostra famiglia sforna avvocati, primari, gente che nella società conta qualcosa, che si fa un nome in tanti ambiti lavorativi. Poco importa se la prospettiva di una vita in studio o in sala operatoria non ti sconfiffera, sei...marchiato, ecco. Predestinato, a vita, a seguire quel determinato percorso che i tuoi genitori e parenti hanno preparato per te-
Yuya alzò lo sguardo verso di lei. Gli occhi diversi la osservarono sporgersi dalla porta del bagno, lo sguardo che puntava il vuoto.
- Ti vengono dati i migliori mezzi- continuò Aki – Frequenti le migliori scuole, i migliori club sportivi, monitorano le tue amicizie per assicurarsi che tu non finisca su cattive strade. E finché stai al gioco va tutto bene...poi metti in moto il cervello, ragioni qualche minuto, capisci che ti stanno plagiando la mente ma è troppo tardi per uscirne, a meno di non fare qualche grosso colpo di testa-
- Cosa si aspettavano, i tuoi genitori, da te?-
- Ma non lo so...forse che restassi con loro e basta. Non hanno mai pensato che le ragazze come me fossero fisicamente pronte a seguire una professione-
- E tu cosa vorresti fare? Stai studiando?-
- Sì-
- Cosa?-
- Medicina-
- Mh, un modo come un altro per tenere buoni mamma e papà?-
- Non lo so. Non lo so più. Pensavo che la strada del medico fosse quella giusta per me, e in un certo senso lo sento ancora, ma ora credo di avere altre priorità-
- Del tipo?-
- Del tipo imparare a cucirmi i bottoni da sola...cucinare senza bruciare per forza anche i surgelati, fare una telefonata senza vergognarmi, imparare ad usare una lavatrice, cose così-
- Quindi imparare quelle cose che sono quotidiane, giusto? Non te l'hanno mai insegnato?-
- Mai. Avevamo le governanti, per queste cose-
- Capisco. Una ragazza ricca che vuole vivere come Cenerentola...beh, questo è davvero strano!-
In pochi, semplici passaggi, Yuya assicurò il bottone all'orlo della camicia. Tagliò via la parte eccedente del filo e porse l'indumento ad Aki, lasciando che chiudesse la porta del bagno per rivestirsi.
- Stare con Yusei ti farebbe bene, lo sai? Anche solo per un po'-
La sentì fermarsi, interrompere volutamente la sua operazione di vestizione per restare in ascolto. Nel silenzio calato tra loro, Yuya poté quasi vedere il volto di lei alzarsi e guardare la porta con espressione stupita.
- Perché?!- domandò poi lei, ingenuamente.
- Perché Yusei è completamente opposto a te- rispose Yuya, le braccia incrociate dietro la testa – Per noi è una specie di lupo solitario con qualche problema. Sa cavarsela benissimo da solo, e sembra estremamente burbero, sempre così serio com'è...ma è pronto a servirti il cuore su un piatto d'argento se la situazione lo richiede. Ha imparato presto a badare a sé stesso. Non ha avuto quella che si definirebbe “una vita facile”-
- Anche Yugi mi ha detto la stessa cosa, il primo giorno che ci siamo conosciuti. Non capisco cosa voglia dire-
- Quello che hai sentito. Ha avuto i suoi problemi, le sue vittorie e tante sconfitte. Quell'aria grezza e accigliata che ha è solo una facciata che ha eretto come difesa, usando questo suo lato del carattere come scudo per difendersi dalle negatività e cattiverie. Un po' come ho fatto io-
- ...Perdonami Yuya, ma tu mi sembri tutto fuorché cattivo o...o burbero, come hai detto tu-
- ...No infatti, non lo sono. Mia madre dice sempre che il mio vero problema è voler indistintamente bene a tutti, e perdonare anche chi mi rema contro, e in effetti è vero. In un certo senso. Ma tanto per le persone sono strano, no? Sono un ragazzo che gioca con bottiglie e bicchieri e che si diverte un mondo anche con le cose più stupide. Chi vuol capire...-
Era chiaro dove volesse andare a parare, e tuttavia quell'attimo di esitazione che aveva avuto a inizio della frase non era passato inosservato. Aki aprì la porta, sistemandosi il colletto della camicia: il bottone era stato sistemato a dovere, e nessuno avrebbe potuto dire che si trattava di un rammendo fatto da un ragazzo che lanciava bicchieri.
- La-La scollatura è evidente lo stesso, ma almeno non rischierai di restare nuda nel bel mezzo del lavoro-
- Grazie, Yuya- rispose Aki, pizzicandogli una guancia e scatenando una forte vampata sulle guance chiare del ragazzo – Sei stato davvero gentile ad aiutarmi-
- Per amici e amiche, questo e altro!-
E lo disse con un sorriso così luminoso da far brillare l'intero quartiere.
- Torniamo su, è quasi ora- disse poi la rossa, incamminandosi verso le scale – Ehi, Yuya! Che tipo è la tua fidanzata?-
- AAAAAAH, aspetta aspetta! Te la mostro subito!-
Fossero stati in un cartone animato, il ragazzo avrebbe iniziato a sparare cuoricini ovunque, perso in chissà quanto grandi nuvole di zucchero filato. Nella realtà dei fatti smanettò velocemente sullo schermo del cellulare, prima di piazzarglielo sotto il naso con la foga dei bambini che mostravano un nuovo disegno alla mamma.
La foto sul profilo Instagram ritraeva Yuya e la sua fidanzata nell'azzurra cornice di un parco acquatico; lo scatto era stato eseguito dalle sapienti mani di una terza persona che li aveva ritratti mentre, quasi fossero dimentichi del resto del mondo, il giovane teneva sollevata la ragazza fino a farle staccare i piedi da terra. Entrambi con due enormi sorrisi sul volto, Yuya con i suoi inseparabili occhialini e quegli assurdi capelli verdi e rossi che, se doveva dirla tutta, non le dispiacevano affatto, sembravano scambiarsi parole d'amore con gli occhi prima ancora che con la bocca. E stretta a lui, in un forte abbraccio che stava ricambiando, la sua fidanzata gli sorrideva, gli occhi blu come il mare e i capelli di una simpaticissima tonalità di rosa.
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Atem si presentò a serata già avviata, comparendo dal nulla come suo solito fare: semplicemente se lo ritrovarono lì, ad osservarli silenzioso ed enigmatico come una sfinge nel deserto, con quello sguardo che tutti, Aki compresa, avevano imparato a decifrare come attento e vigile. Le rivolse un sorriso d'intesa quando incrociò il suo sguardo, mentre a Yusei e Yuya riservò un cenno col capo. Judai sembrò non accorgersi della sua presenza, impegnato com'era a portare piatti avanti e indietro per i tavoli.
- Mi sembra ti sia ambientata molto bene- notò il Faraone, con un lieve sorriso, quando Aki fu abbastanza vicina. La rossa abbassò il tablet che stava scrutando e ricambiò il sorriso d'intesa.
- Dopo l'impatto iniziale, è stato tutto molto più semplice- ammise lei.
- Impatto iniziale, eh? Centra forse quella mano di blackjack?-
Aki dovette arrossire all'istante, perché il Faraone scoppiò in una risata divertita che fece voltare anche Yugi, intento a chiedere qualcosa ai ragazzi dietro al bancone. La rossa spostò il peso da una gamba all'altra, incerta se rispondergli a tono o meno.
Quella mano di blackjack con cui li aveva conosciuti era l'ultima cosa che voleva ricordare, e per diversi motivi: la sua iniziale insicurezza in primis, perché detestava essere così pateticamente impacciata anche se stava affrontando qualche novità. Doveva però anche contare, appunto, quell'assurda scommessa in cui era stata tirata dentro e ultimo, ma non ultimo, Yusei e la sua figura semplicemente coperta da un grembiule.
Non aveva mai visto un uomo nudo...non di persona, almeno: solo in foto, per farsi un'idea “generale” di cosa aspettarsi in futuro. Con tutti i fidanzati che aveva avuto non era mai arrivata a quel punto: a volte per sua intenzione, altre per scelta degli altri, esasperati dal suo atteggiamento remissivo e la sua insicurezza su quel lato della vita di coppia. E sebbene ci fosse una certa curiosità di fondo, non aveva esattamente l'intenzione di soddisfarla subito.
Tuttavia il primo incontro con Yusei era sembrato architettato da chissà quale congiunzione astrale per farle ricordare, con un certo imbarazzo anche, tutte le volte in cui era stata sul punto di “concedersi come una facilotta a qualcun altro”, come spesso commentava aspramente sua zia, quando veniva a sapere di sue nuove conquiste.
In un certo senso, era molto contenta di non essersi subito lasciata andare.
Il fatto era che a volte, ma solo a volte appunto, non le sarebbe dispiaciuto afferrare al volo determinate allusioni o contesti, così come poter rispondere per le rime a simili...non frecciatine, piuttosto pizzichi: Atem riusciva ad essere insospettabilmente delicato ed elegante anche quando si trattava di pungolare qualcuno sul sesso.
- Perdonami- le disse poi, sorridente – Ultimamente mi sto prendendo troppi divertimenti alle tue spalle-
- Fi-figurati- rispose Aki, incapace di controbattere.
- Tuttavia non era per questo che sono giunto qui. Per il momento questo non ti serve-
Con una delicatezza disarmante, Atem le sfilò dalle mani il tablet, prendendo in consegna anche la penna digitale. Aki lo osservò incerta, guardandolo fare cenno a Yugi di avvicinarsi.
Cosa stava pensando di fare?
- Judai deve aver terminato le preparazioni- disse poi il Faraone – Continuerò io con le ordinazioni, ma vorrei che andaste a preparare le stanze. Così potrai farle vedere la seconda parte del locale, Yugi-
Il giovane annuì con vigore, sotto lo sguardo curioso della rossa. Gli occhi di Aki osservarono la figura di Atem allontanarsi tra i tavoli: se n'era andato con un curioso sorriso soddisfatto.
Davvero, cosa stava succedendo? E perché aveva parlato di stanze?
- Vieni dài, ti faccio vedere-
La gentilezza di Yugi aveva un che di sconvolgente: la sua educazione sembrava davvero quella di altri tempi, complice anche una silenziosa, sfuggente timidezza che lo caratterizzava. Avere a che fare con lui era soddisfacente anche per il solo pensiero di avere, accanto, una persona aperta all'ascolto e al dialogo, un po' come Yuya ma in maniera meno sbarazzina e irriverente. Aki lo seguì attraverso la porta a soffietto delle cucine, da dove Judai appariva e spariva come l'uccellino di un cucù.
Quando varcò la soglia delle cucine quasi sembrò di entrare in tutt'altro mondo: non aveva mai visto l'interno delle cucine di un locale se non in qualche trasmissione televisiva a tema, ma non immaginava un tale allegro e movimentato caos. L'aria satura di vapore e profumi la investì con un soffio caldo, mentre un paio di ragazze si scambiavano velocemente di posto per ultimare delle preparazioni. Judai correva da una parte all'altra della sala, dando ordinazioni e assaggiando qui e là, dando suggerimenti e correzioni; li salutò con un ampio gesto del braccio, invitandoli a farsi avanti.
- Questa serata è piuttosto movimentata- commentò lo chef, con un bel sorriso e i capelli lievemente arruffati – Come va Aki? Che ne pensi delle mie cucine?-
- Piuttosto...caotiche- commentò la rossa, con un mezzo sorriso – Toglimi una curiosità...se sei l'Executive Chef del locale, perché è più il tempo che passi fuori dalle cucine che dentro?-
Il gesto con cui Judai si accarezzò la clip metallica agganciata al gilet nero, su cui svettava il suo nome e la nomina di appunto Executive Chef, fu quasi amorevole.
- Fa parte delle particolarità del Pharaoh's Kingdom- spiegò poi – Molto di rado capita che l'Executive Chef esca dalle cucine o si faccia, in generale, vedere; qui la storia è ben diversa. L'Executive Chef è parte integrante della vita del locale, e come guida e rappresentante dell'intero settore della ristorazione è suo preciso dovere mostrarsi in pubblico e metterci la faccia in quello che fa. In fondo, se fai bene il tuo lavoro cos'hai da temere? Al massimo ti fanno arrossire di complimenti-
La rossa schiuse le labbra come a voler dire qualcosa, ma non emise una parola; si limitò a sorridere, sinceramente colpita.
Il Pharaoh's Kingdom si mostrava come un locale d'elite, ma il suo regno sembrava accessibile davvero a tutti.
- Siete qui per le portate da allestire nelle stanze?- domandò poi, con un sorriso fin troppo furbo per gli occhi della giovane – Non vi faccio attendere oltre! Ecco qua-
I due carrelli apparirono quasi per magia al suo fianco, come se li avesse appena evocati: entrambi classici, in metallo lucido, portavano due grossi vassoi con coperchio e una bottiglia di vino custodita al freddo in un secchiello di ghiaccio, insieme a due calici di cristallo. Aki si mise alla guida del secondo, prendendo poi a seguire Yugi attraverso dei corridoi secondari.
Non sapeva bene cosa aspettarsi: forse erano diretti ai privè? Ma ce n'erano due in sala, e di vassoi ce n'erano quattro...ma Atem aveva parlato di stanze: cosa intendeva? Allora il Pharaoh's Kingdom era ancora più grande di quanto pensasse? Quanto realmente era esteso?
Cominciò a farsi una vaga idea di cosa la aspettava solo quando, uscita poi dall'ascensore di servizio, si ritrovò in un lungo corridoio illuminato da luci soffuse. Cinque porte stavano da un lato e dall'altro, tutte di legno scuro e con i numeri svettanti in oro sulla loro superficie. Aki spinse il carrello con più fatica, lievemente ostacolata dalla moquette sul pavimento; seguì Yugi in silenzio, guardandosi intorno incerta sul cosa aspettarsi: il giovane cavò dalla tasca una tesserina magnetica e la passò sul lettore della prima porta.
Quella che si svelò poi ai suoi occhi era un'inconfondibile camera da letto; Aki sbatté le palpebre un paio di volte incredula.
La stanza era immersa in una calda, piacevole penombra, creata dalle soffuse luci al muro e sui due comodini. In quella stanza il bianco e l'oro erano i due colori predominanti, ripreso dalle lenzuola che avvolgevano il letto a due piazze, ma lo sguardo della rossa si era inevitabilmente posato sulla grande, meravigliosa vasca in porcellana che stava proprio di fronte al letto.
- Vieni, il vassoio con i calici e la bottiglia li lasciamo qui sul letto- le disse Yugi, superandola – Non togliere la bottiglia dal secchio del ghiaccio-
- Esattamente cos'è...questa?- domandò la rossa, innocente.
- Non lo immagini? È una camera da letto-
Oh, lo immaginava eccome...ma non pensava affatto di trovare una cosa del genere proprio al Pharaoh's Kingdom. Dire che Aki era sorpresa era poco: cosa succedeva davvero, tra le mura di quel locale?
- Mi sembri sorpresa- notò il ragazzo, sbattendo gli occhi – Vieni, qui su questo tavolo ci mettiamo gli stuzzichini-
- Lo sono- rispose Aki, scoperchiando il piatto d'argento di fronte a lei e sollevandolo – Non mi aspettavo una simile attività qui-
- ...mettiamola così: per Atem l'intimità è qualcosa di sacro. Sia che si tratti della sua che di quella degli altri. E per quanto possa apparire come un burlone ficcanaso che si impiccia degli affari altrui, ha molto a cuore tutti quei momenti di intesa col proprio partner. Gli attribuisce grande importanza-
- ...Credo di aver capito. Ha pensato che ai suoi clienti avrebbe fatto comodo e piacere avere una stanza tutta per loro, per qualche ora, dove nessuno li veniva a cercare o disturbare, giusto?-
- Esatto-
- Sensato. Beh, sotto quest'ottica l'intento è quasi nobile-
Era chiaro anche ad una come lei, così poco smaliziata e vergine nel vero senso della parola, che intorno al sesso ruotavano la stragrande maggioranza delle relazioni sociali. Da lì a trasformarlo in un business vincente ce ne voleva però, soprattutto se si trattava di farlo con una certa eleganza e ricercatezza, senza scadere nel triviale o nell'oltraggioso.
- E non sono mai successi...come dire, guai?- domandò poi la rossa, incuriosita.
- Del tipo?- chiese Yugi di risposta
- Non so, magari aggressioni, qualcosa del genere...insomma, dal momento che due persone entrano in questa stanza, potrebbe succedere di tutto no? Come fate a tenere tutto sotto controllo?-
- Oh. Beh, un po' di tempo fa è successa una cosa del genere, effettivamente. A fine turno, e ti parlo delle quattro di mattina, salì il tipo in reception per pagare la stanza ma non la ragazza che era con lui. La ritrovò una delle governanti, completamente dissanguata-
- ...L'ha pestata?!-
- Magari fosse stato quello. Quel pazzo volle giocare al dottore, usò dei bisturi veri-
Aki rabbrividì al solo pensiero e posò rapidamente il vassoio sul tavolo.
- Fu un brutto quarto d'ora, lo ammetto- sbuffò poi Yugi, rassettando le coperte candide sul materasso prima di sistemarvi sopra il vassoio con la bottiglia di champagne e i calici – Polizia, guardia medica, perquisizione del locale, controllo delle registrazioni, venne analizzato perfino il POS, per verificare le strisciate di carta...alla fine riuscimmo a individuare il tipo-
- Immagino sia finito in galera- concluse Aki, il tono di voce forse troppo duro.
- Ne eravamo convinti anche noi. Invece uno dei cugini di Yuya si ritrovò poi a eseguire un'autopsia su un morto trovato dentro un taxi abbandonato...quel pazzo riuscì a farsi inviare delle foto del cadavere. Non chiedermi perché, lo trovava divertente sbandierarle sotto il naso di Judai, lui è parecchio schizzinoso su cose come sangue, feriti e morti...e scoprimmo che il tizio era stato assassinato. Un colpo di pistola che gli aveva perforato la testa da una tempia all'altra-
- Immagino sia la degna fine per un torturatore di donne. Uno dei cugini di Yuya, hai detto?-
- Mh-hm. Ne ha tre, si somigliano tutti in maniera tremenda ma solo fisicamente, perché caratterialmente non potrebbero essere più diversi. Yuri è il tipo delle autopsie. Lavora come coroner, e nel tempo libero colleziona piante carnivore e ci fa incroci e esperimenti sopra. Yuya dice che a furia di incroci è riuscito a creare una pianta carnivora gigante e una carota viva che ti morde se provi ad accoltellarla. Ora, non so se la storia della carota sia vera, ma quella della pianta carnivora gigante lo è sicuro! Ci ha inviato una foto, ed è davvero enorme! Devi chiedere a Yuya di mostrartela, è da paura!-
Non ne aveva dubbi...cosa aspettarsi da un cugino di Yuya? Un coroner per di più? Per quanto suoi futuri “colleghi” in un certo senso, aveva sempre trovato disturbante l'immagine di un medico che sezionava il corpo inerme di una salma per comprenderne le ragioni della morte, eppure aveva un certo non sapeva cosa, che la irretiva e affascinava come una carezza birichina che le solleticava la nuca e le faceva prudere le mani di risposta. Chissà cosa si provava a poter usare liberamente seghetti, bisturi, tronchesi e altri attrezzi del mestiere senza doversi preoccupare di sbagliare qualcosa e mettere a repentaglio la vita di un paziente.
L'idea di diventare un coroner l'aveva solleticata più volte. Più di quanto lei stessa volesse ammettere.
Forse era solo per qualche suo disappunto isolato nei confronti del genere umano.
La serata procedette poi senza intoppi ed incidenti, in un'atmosfera lavorativa stimolante e allegra come ormai Aki stava abituandosi ad assistere. Un paio di coppie le avevano chiesto informazioni a riguardo delle stanze: la rossa li aveva abilmente indirizzati verso Atem e i suoi eloquenti sguardi maliziosi, gli stessi del direttore di un teatro che osservava compiaciuto la sua opera preferita andare in scena.
Yuya le aveva infine mostrato, con fare divertito, la famosa foto accanto al cugino e alla pianta carnivora gigante. Era davvero grande, quasi quanto una persona di media statura come lo erano Yuya e Yuri: il ragazzo dagli occhi diversi le aveva spiegato che quella pianta apparteneva alla specie Sarracenia, e in natura raggiungeva un'altezza compresa tra i settanta e gli ottanta centimetri. La Sarracenia ibridata da Yuri, invece, superava di slancio il metro pieno e andava a sfiorare senza troppa fatica le spalle del ragazzo con gli occhialetti.
E con sua sorpresa e sgomento, Aki aveva ammesso a sé stessa che Yugi diceva il vero. La somiglianza tra Yuya e Yuri era sconvolgente, anche se c'erano delle differenze peculiari che caratterizzavano il coroner: pallido al punto da sembrare linfatico, con i capelli lievemente più disciplinati di Yuya e colorati in impossibili gradazioni di viola (era forse un tratto distintivo della famiglia?), dava nel complesso un'immagine estremamente raffinata, quasi delicata, come quella di un meticoloso alchimista che si dilettava a miscelare composti e pozioni; ma gli occhi scintillavano fulgidi come agata fucsia, una luce malandrina che rendeva il suo sguardo ancora più impietoso e diretto, come di un rettile che trovava divertimento ad osservare la sua preda contorcersi in agonia tra le sue spire. Era uno sguardo completamente diverso da quello avvolgente e divertito di Yuya, e il lieve sorriso che gli increspava le labbra sottili non aiutava affatto a migliorare la sua impressione.
Il ragazzo dagli occhi diversi le aveva assicurato che la sua era solo una facciata, che sapeva essere anche cordiale e gentile con chi gli andava a genio, ma l'impressione iniziale che aveva avuto di lui era veritiera: Yuri era tutto fuorché un buffo menestrello che abbracciava il primo che passava. Era forse paragonabile meglio ad una delle sue tanto amate piante carnivore: ammaliante, eppure letale. Yuri aveva un fascino tutto suo, ma l'idea che sapesse come vivisezionare un corpo umano, con ogni probabilità facendolo sopravvivere quel che bastava per arrecargli dolore senza ucciderlo, non lo rendeva molto rassicurante. E quel mezzo sorriso che concedeva alla fotocamera non aiutava a far cambiare idea.
In cuor suo sperava di non dover mai incontrare un tipo del genere. Era più bello stare insieme a Yuya e ai suoi giochi con le bottiglie e i sorrisi gratuiti, a Yugi e i suoi modi gentili, a Judai e le sue fisse strane e Yusei e i suoi criptici silenzi. Senza contare Atem e i suoi sguardi silenziosi.
Niente minacce, niente pretese. Solo spontaneità e voglia di stare insieme, nel lavoro e fuori.
Aki aveva un bisogno mortale di tutto questo.
****
Con la nuova alba, Il centro di Nuova Domino si animò nuovamente dell'incessante viavai dei pendolari e dei passanti, delle auto e delle moto in coda e dei cantieri stradali aperti e operativi. Così sarebbe stato fino alla fine della giornata: una cacofonia di suoni e rumori, un ammasso di facce ed espressioni, un groviglio inestricabile di pensieri.
Atem se ne stava ad osservare il mare di fronte a lui, i gomiti appoggiati al parapetto di una pista ciclabile. Il sole che si alzava dalla linea dell'orizzonte dipingeva incandescenti riflessi sulla superficie dell'acqua, striature d'oro che baluginavano a seconda delle increspature. L'incandescente stella portava con sé l'alba di un nuovo giorno, mettendo la parola fine ad un'ennesima notte che, dal punto di vista lavorativo, era stata davvero proficua.
Il foglietto scritto da Seto Kaiba era ormai stato maneggiato con frequenza tale da spiegazzarlo completamente. Quel A te la prossima mossa l'aveva accompagnato per tutta la giornata, notte inclusa.
Non era nel suo stile tirarsi indietro da una stimolante sfida, né tanto meno era sua intenzione farlo a prescindere. Quella tra lui e Seto Kaiba era una rivalità vecchia da anni, dove entrambi si superavano di volta in volta e nessuno dei due riusciva a prevalere sull'altro, ed era proprio questo a preoccuparlo.
Seto Kaiba era una mente a dir poco brillante, che meritava ampiamente tutto il successo guadagnato anche solo per la sua perseveranza ed ostinazione. Bambino prodigio cresciuto in una vasca di squali da commercio, dove nuotavano affaristi, magnati del gran mercato e filantropi, la sua severissima educazione l'aveva reso quello che era ora: una vera e propria macchina da guerra nell'intricatissimo mondo dell'economia e del commercio. Rilevata la Kaiba Corporation da quello che definiva suo padre, aveva immediatamente smantellato la produzione di armamenti bellici e l'aveva trasformata nella più grande, influente e rinomata industria dell'intrattenimento video ludico e della tecnologia d'avanguardia. Un vero e proprio azzardo a ben pensarci, ma come si diceva la fortuna aiuta gli audaci, e l'aver osato tanto era quanto di più audace potersi aspettare, dal neo-conclamato capo di un'azienda leader in un settore proficuo come quello della produzione di artiglieria.
Tutto questo succedeva quando Seto Kaiba aveva dodici anni appena, se ben ricordava. Forse qualcosa in più, magari qualcosa in meno addirittura. Ora, a ventiquattro anni, era il Re incontrastato dell'intrattenimento, un giovane uomo che aveva fatto del successo una costante della sua vita, tanto amato dalla folla quanto temuto e rispettato nell'economia mondiale.
Che cosa ci avesse mai trovato in Atem, non lo sapeva neanche il diretto interessato. Le loro schermaglie erano cominciate presto, ai tempi del liceo, quando entrambi erano costantemente in lotta per il titolo di miglior studente dell'istituto. E dove non riuscivano ad abbattersi con le medie scolastiche, ci provavano nel modo forse più subdolo che potessero conoscere: sperimentando direttamente sulle menti di ignari spettatori, coinvolti a loro insaputa in misteriosi giochi mentali. L'egocentrismo di Seto Kaiba lo aveva portato a sviluppare autonomamente tutta una serie di tecniche per plagiare le masse, e la storiella delle illusioni era solo la perfetta ciliegina sulla torta. Tuttavia, a dispetto di quanto pensasse, Atem non era ancora stato coinvolto in uno scontro in campo aperto.
Sembrava quasi che Kaiba volesse tenere quel duello solo per loro due. Almeno fino a quel mattino in cui aveva sapientemente mascherato la sua illusione come una trovata pubblicitaria, le loro schermaglie erano sempre state silenziose e a distanza, come in una misteriosa guerra fredda combattuta senza armi.
Proprio questo preoccupava Atem. Creare illusioni, sperimentare con la mente di tante persone tutte insieme, poteva diventare davvero pericoloso, per sé stessi e chi stava loro intorno. Già una volta era successo, e sebbene Atem avesse ormai superato quei terribili momenti non voleva che la storia si ripetesse.
Era nel suo interesse, e anche in quello di Kaiba, evitare che le cose degenerassero al tal punto da uscire fuori dal loro controllo.
Tuttavia, il guanto della sfida era stato ufficialmente lanciato, e lui l'aveva raccolto: come diceva sempre Judai, domandare è lecito e rispondere è cortesia.
Con il marciapiede ormai affollato da passanti, pendolari, lavoratori che correvano in azienda e studenti, Atem si separò dal parapetto e riprese a camminare. Controcorrente, come era sempre stato abituato a fare, meritandosi le occhiate sorprese e seccate di chi era costretto a cambiare direzione per evitarlo. Si sistemò meglio la giacca sulle spalle, alzando il colletto.
La stessa giacca si afflosciò sul marciapiede quando lui sparì, come se la terra l'avesse inghiottito.
Il caos fu generale.
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Numero quattro! Chi c'è ancora? Vi sono mancata? Sì? No? Forse? Probabile?
Vi ho lasciato un bel po' per smaltire la sbornia di Capodanno, direi che possiamo permetterci di fare qualche discorsetto più articolato adesso, eh? xD Passato delle belle feste? Fatto casino? Cominciato il 2018 col botto? Io ho rischiato di farlo davvero il botto, o meglio l'incendio, visto che ho quasi mandato a fuoco un albero con una lanterna cinese e un lancio sfortunato...io e le mie tendenze da piromane mai sopite!
Cominciamo col parlare del capitolo, vi va? Che le cose da dire sono parecchio sto giro xD
Mana&Co. E con Co intendo le sue degne colleghe Ragazze Maghe! Hanno tutte costituito quello che è stato il mio primo deck, quello su cui ho imparato, su cui ho lasciato due diottrie quando gli effetti superavano le quattro righe di testo e allora mi appiccicavo la carta al viso pur di leggere. Non sono tutte, vero, nello specifico mancano Kiwi e Bacca: una perché troppo grande e l'altra perché troppo piccola xD
La bionda, l'altra bionda, la mora e la...turchina?! Rispettivamente Maga Nera, Maga Limone, Maga Mela e Maga Cioccolato! Le prime tre sono (ri)comparse gloriosamente anche nel film Dark Side of Dimension. Di Mana ne avevamo già parlato e già si era visto qualcosina, un paio di capitoli fa: è ora chiaro che il rapporto tra lei e Atem viaggia su certi binari...dai, chi è che non li shippa è bugiardo.
Poi, Aki, Yusei, Yuya e Judai e i drink. Non miscelo cocktail di mestiere, anzi, la mia resistenza alcolica è DAVVERO troppo bassa per permettermi di sostenere qualcosa di forte, ma ammetto che l'argomento mi interessa. Non so perché, mi dà l'idea di estivo e divertente, di serate con amici al chioschetto in riva al mare. Non sono tipa da rave party, non so manco come sono fatti...
Ho speso un po' di tempo a documentarmi a riguardo dell'esecuzione dei cocktail, da qui le concise istruzioni di Yusei. Troverete anche qualche cocktail qui e là! Martini a parte, che Atem beve in abbondanza.
Compagnucce, quante di voi hanno lo stesso problema di Aki in quel periodo? XD Io ho una misura molto scarsa, quindi simili inconvenienti non mi capitano mai, ma ho assistito ad una scena simile e quasi ci rimettevo un occhio per colpa del bottone infingardo. Una scusa come un'altra per far cadere Aki in imbarazzo (povera) e per farla restare un po' sola con Yuya.
Confesso di essere particolarmente legata al quel ragazzo coi capelli a semaforo. Non solo perché è stato il vero primo protagonista di una serie di Yu-Gi-Oh! da me conosciuto, ma anche per tutto ciò che ha effettivamente rappresentato e significato. Sorridi nonostante tutto. Anche se tutto va a pezzi intorno a te non perdere mai la speranza, la convinzione di poter fare la differenza e di poter tornare a sorridere come un tempo.
Si è trattato di un pensiero che mi ha a lungo fatto compagnia, e che mi ha a suo modo aiutata ad uscire da un periodaccio che si è protratto piuttosto a lungo. E ora che sono relativamente sicura di quello che diavolo voglio fare nella mia vita, posso solo continuare a seguire quella via.
Anche se nel mio profondo sono più Zarc. Una povera incompresa che, un giorno, finirà con il radere al suolo tutto ciò che la circonda.
Le camere. Beh, il Pharaoh's Kingdom è, letteralmente, il Regno del Faraone. Chi conosce un po' di storia dell'Antico Egitto saprà che gli adorati sovrani, ritenuti figli di Ra, unici intermediari tra gli uomini e le divinità, vivevano in un lusso e in un'opulenza che, come Judai stesso esprimerà in seguito (può contare come spoiler?!), fa concorrenza solo al trash dei video di 50Cent. Oro ovunque, pare che Cleopatra avesse fatto rivestire un'intera nave del prezioso materiale. E tante mogli. E festini che duravano settimane. Atem la mette, ovviamente, su un piano meno discinto e più "romantico", fornendo ai suoi clienti luoghi sicuri dove trascorrere la propria intimità. Relativamente sicuri, considerato quello che è successo poi.
E qui vi illumino subito: anche le controparti di Yuya saranno presenti! Con rilevanza minore magari, ma ci sarà spazio per loro. Per Yuri sicuramente, visto che se n'è tanto parlato in questo capitolo. Così come per Atem e Yugi, qui dipinti come fratelli, io ho optato per la parentela di cugini per le quattro controparti, sempre per, lo ammetto, spicciarmi in maniera plausibile la questione della somiglianza. Ognuno di loro ha la sua professione di riferimento: per Yuri, così sardonico e, a tratti, spietato, avevo già pronto un posticino come coroner. Ho come l'impressione che abbia il giusto sarcasmo e la giusta, studiata noncuranza per questo mestiere. Non mi dà l'idea di un tipo che si impressiona facilmente.
E ovviamente, così per Aki che nell'originale è tanto legata al suo Rosa Nera, anche per Yuri è sviluppato l'interesse per la botanica, in particolare per le piante carnivore. Chiaro riferimento al suo deck Predapianta, di cui c'è anche un piccolo accenno a quella che è Predapianta Banksiorco: non so se sia una carota, la forma sembra suggerirla. Prendiamola per carota.
E infine, la tanto richiesta risposta di Atem. Cominciano a fare sul serio quei due. Prima le fiamme, poi i corvi, poi i draghi e poi una sparizione improvvisa in mezzo alla folla. Stiamo alzando lentamente l'assicella...la situazione potrebbe sfuggire di mano a qualcuno. Indoviniamo chi.
Penso di avervi detto tutto ragazzi! Come al solito, siccome la mia memoria viaggia a scomparti stagni ultimamente non fatevi scrupoli a chiedere! Vi lascio in buona compagnia! <3
92Rosaspina
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Capitolo 5 *** 5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali ***
Pharaoh's Kingdom 5
5. Cavalli d'acciaio e filmini mentali
Una
motocicletta funziona in totale accordo con le leggi della ragione, e
uno studio dell'arte della manutenzione della motocicletta è
veramente uno studio in minatura dell'arte della razionalità
stessa.
Robert M. Pirsig, Lo Zen e l'Arte della Manutenzione della Motocicletta
Il tavolo era perfettamente
imbandito per la colazione, come di consuetudine mattutina: frutta,
fette biscottate, creme di nocciola e biscotti, cornetti caldi con
ripieni assortiti, il tutto posizionato con millimetrica precisione su
una tovaglia di lino così candida da abbagliare. Gli occhi di
Seto Kaiba, però, videro solo il quotidiano accuratamente
ripiegato e la busta bianca posata su di esso.
Proprio non riuscì a
reprimere un sorriso di sfida, al pensiero che la risposta
dell'avversario non si era fatta attendere. Senza indugiare oltre,
aggiustandosi i lembi della vestaglia da camera, prese tra le mani il
quotidiano e la busta, spiegandolo in prima pagina.
Il primo articolo, spezzato solo
dalla pubblicità di una nuova linea ferroviaria targata Kaiba
Corporation, parlava dello sconcertante e misterioso evento accaduto
proprio quella mattina all'alba, nei pressi del lungomare di Nuova
Domino: un giovane uomo era letteralmente sparito in mezzo alla folla,
lasciando solo la sua giacca come testimonianza di sé. Era un
uomo tangibile, in molti asserivano di averlo inavvertitamente urtato
mentre camminava controcorrente rispetto al traffico pedonale, e tutti
i testimoni riferivano che fosse sparito di colpo, come se la terra si
fosse aperta sotto i piedi e l'avesse inghiottito. Le descrizioni
fisiche erano piuttosto confuse, segno che nessuno l'aveva guardato in
viso realmente, ma a Seto non erano necessarie ulteriori informazioni.
Era lui. Lo sapeva, lo sentiva. E
l'unica conferma di cui aveva bisogno stava in quella bianca busta da
lettere. La aprì con un nervoso gesto, infilando un dito
nell'asola di carta e strappandola, per poi sfilare il contenuto. Era
un singolo rettangolo in cartoncino, leggermente ruvido al tatto, su
cui la bella calligrafia di Atem gli dipingeva un chiaro messaggio.
Concludo qui il mio turno.
Seto rimase ad osservare quel
cartoncino per chissà quanto tempo. Era strano rivedere la
calligrafia di Atem, dopo aver interrotto la loro corrispondenza per
tanto tempo: sempre così dannatamente sofisticato e serafico,
quasi nulla potesse davvero smuoverlo o impensierirlo, come se quello
con Seto non fosse nient'altro che – davvero – solo un
passatempo. E la sola idea di essere sottovalutato gli faceva saltare
in blocco il sistema nervoso.
Nessuno si prendeva gioco di Seto Kaiba e della sua determinazione. Eppure quella regola sembrava non valere, per Atem.
- Fratellone, buongiorno!-
Solo la voce di Mokuba riuscì
a scuoterlo dal turbine di pensieri che aveva rapito il suo cervello.
L'unica persona che poteva permettersi di entrare nella stanza di Seto
senza bussare, e senza rischiare il licenziamento in tronco,
trotterellò nella stanza a passi piccoli e rapidi. Doveva essere
sveglio da tempo, a giudicare da come i suoi occhi erano vispi e il
viso luminoso. Vestito di tutto punto come un piccolo, giovanissimo
uomo d'affari, Mokuba rubò subito un cornetto dal tavolo,
azzannandolo con la foga di un anaconda, quasi dimentico di avere una
giacca bianchissima. Seto rimase in silenzio ad osservarlo.
- Chi ti ha fatto il nodo alla cravatta?- gli
domandò poi, indicandola con il quotidiano arrotolato nella mano.
- Io!- esclamò il ragazzo, a bocca mezza piena
– O almeno ci ho provato...si vede tanto?!-
- Mh! Abbastanza...dai, vieni qui, te lo sistemo io-
Strappando un altro morso al
cornetto, Mokuba si avvicinò docilmente al fratello maggiore,
già accovacciato a terra per potergli sistemare la cravatta
più facilmente. Gliela sciolse con un lieve movimento della mano
sinistra, prima di risistemarla con cura.
- Oggi che programmi hai?- domandò il
ragazzino, con una nota di allegria nella voce.
- Sto definendo i dettagli per il lancio del nuovo
videogioco a realtà virtuale- rispose lui – Oggi ho una
riunione di dipartimento. E più tardi ne avrò un'altra
ancora per sistemare i dettagli della linea ferroviaria-
- Da quando in qua ti piacciono i treni? Ahia!-
esclamò Mokuba, quando le nocche della mano destra di Seto gli
colpirono inavvertitamente il naso.
- Alza la testa, Mokuba, altrimenti non riesco- si
spiegò il maggiore, dandogli un piccolo buffetto sulla punta del
naso – Beh, l'idea è quella di creare una linea di
trasporti veloci, e cosa c'è di meglio di una linea ferroviaria
che tocca tutti i punti nevralgici di Nuova Domino e città
limitrofe, a ridottissimo impatto ambientale, silenziosa e alimentata
con energie pulite?-
- E ci saranno anche i controllori?-
Stavolta Seto proprio non riuscì a reprimere una risata.
Mokuba era l'unico essere vivente
capace di far sciogliere, in un sincero sorriso, anche un
“perenne musone” del calibro di Seto Kaiba, così
come era l'unico che poteva permettersi di rivolgergli un simile
epiteto e non, semplicemente, morire. In lui c'era ancora l'innocenza
tipica dei ragazzini, la stessa che Seto aveva perso molto tempo prima
per diventare subito adulto, per nuotare e sopravvivere in una vasca di
feroci squali pronti a sbarrargli la strada per il successo.
Aveva passato brutti momenti da
giovane, e la sua infanzia era stata letteralmente cancellata dalle
esagerate, assurde pretese di un patrigno che aveva disconosciuto
appena possibile; il suo obiettivo, fin da ragazzo, era stato quello di
impedire che Mokuba patisse le stesse sofferenze, subisse lo stesso
distacco e le stesse angherie a cui Seto aveva stoicamente resistito. E
ora che era a capo della più grande multinazionale in fatto di
tecnologia e intrattenimento, aveva riservato a lui tutto quell'affetto
e amore che gli era stato negato fin dal principio, al solo scopo di
tenerlo lontano dai pericoli e cattiverie del mondo e preservare la sua
innocenza.
- Immagino di sì- rispose poi Seto, terminando
finalmente di allacciare la cravatta e prendendo a sistemargli il
colletto di giacca e camicia – Potrebbe rivoluzionare gli
spostamenti da Nuova Domino ad altre città, ma nulla
dovrà essere lasciato al caso-
- E poi? Tornerai a giocare con il tuo amico mago?-
A quella domanda, Seto si
fermò con le mani sulle spalle del fratellino. Lo osservò
a lungo, specchiandosi nei medesimi occhi blu che in lui erano
così vividi e carichi di aspettative. Gli accarezzò i
folti capelli scuri, spostandogli qualche ciocca dal volto.
- Il mio amico mago, eh?- domandò poi –
Beh, immagino di poterlo definire così-
- Cosa farai stavolta? Farai apparire ancora un drago?-
- Ci stavo pensando-
- Dài! Ti prego rifallo, mi
è piaciuto tantissimo quello dell'altra volta!-
- ...l'hai visto anche tu?!-
- Sì beh, mi ero svegliato presto e non
riuscivo a riprendere sonno...allora ho giocato un po' ai videogiochi e
poi ho sentito tutte le persone che urlavano per strada...mi sono
affacciato e ho visto un graaaaaaaaande drago bianco come la neve!-
Questo non se l'aspettava. Era
convinto che Mokuba non avesse assistito di persona a quella scena...il
suo fratellino sapeva delle sue capacità, e dell'eterno
conflitto che lo animava contro Atem, ma mai l'aveva direttamente
coinvolto nei loro giochi di immagini e percezioni.
Un brivido lo scosse da capo a
piedi, alimentato dai ricordi che scorrevano nella testa come la
pellicola di un vecchio film fatta girare ad alta velocità. In
un angolo della stanza, la sua ombra lo osservò con occhi tristi.
****
La prima cosa che udì quando
scese velocemente le scale che portavano al garage, erano le note
ruggenti dei Volbeat farsi più alte e nitide di quando la porta
era semplicemente chiusa.
La seconda cosa che udì fu un
tintinnio tanto alto quanto assurdo, come quello di un gigantesco
sonaglio che veniva scosso. Mentre scendeva le scale, il suono si
ripeté una seconda volta, salvo poi spegnersi come la
precedente. Udì anche Yusei frenare a stento un'imprecazione,
qualcosa sembrava non andare per il verso giusto con la sua moto.
Il terzo suono che sentì fu
il lieve scatto metallico di una chiave che veniva sfilata via e
nuovamente inserita. E di nuovo quel tintinnio si ripresentò,
seguito poi da un sonoro schiocco.
E poi, ci fu un rasposo suono dal
motore, come un singhiozzo rauco e secco. Durò davvero poco,
perché poi le orecchie di Judai si riempirono di un boato
assordante, amplificato dallo spazio ristretto del garage. Yusei
girò con decisione la manopola del gas due, tre, cinque volte:
la moto si scosse tutta, dalla cima del cupolino alla punta del codone,
tremò e urlò, quasi furiosa di essere costretta in uno
spazio così piccolo. Judai gridò e si portò le
mani alle orecchie, sentendo la terra tremargli sotto i piedi e temendo
lo scatenarsi di un terremoto da un momento all'altro.
- AAAAARGH...YUSEI! SPEGNI LA MUSICA, ABBASSA IL VOLUME! YUSEI!-
Impossibile, per il giovane
motociclista, udire il compagno. Troppo concentrato sul suo lavoro, il
giovane diede gas ancora un paio di volte, prima di attendere che la
moto tornasse a girare al minimo per poi spegnerla, e solo allora fu in
grado di udire gli improperi di Judai. Il giovane alzò gli occhi
verso di lui, osservandolo con aria incuriosita, quasi si stesse
chiedendo cosa mai ci faceva lì.
- Ti ho svegliato?- domandò poi preoccupato,
osservandolo nudo dalla vita in su, vestito di quei pantaloni
larghi e morbidi che usava per dormire. Judai si fece sfuggire una
sorta di risata sarcastica.
- Ma no figurati, ero in preda ad un terribile
incubo, meno male che mi hai svegliato!- rispose poi il castano,
sbracciandosi vigorosamente – Ero convinto di trovarmi dentro un
aereo finito in una tromba d'aria, e invece eri solo tu con questo
MOSTRO!-
- Perdonami, non ci ho proprio pensato...è che
mentre facevo colazione ho avuto l'illuminazione, credo di aver trovato
la giusta mappatura per la centralina-
- Ah sì? Una che fa fare meno rumore esiste?-
- Credo di no-
- Bella fregatura...Bah, torno a dormire, cerca di abbassare il volume-
- Tranquillo, tra un po' esco per un collaudo, non ti darò alcun fastidio! Scusami!-
- Ma figurati, che vuoi che sia? Buon cielo che sonno...-
Borbottando qualcosa di
incomprensibile, Judai risalì la scala e chiuse la porta alle
sue spalle, seguito dalle iridi blu del giovane; impossibile, come ogni
volta che lo scorgeva a schiena nuda, distogliere lo sguardo dal
gigantesco occhio che aveva tatuato dietro al collo.
Inchiostrare la propria pelle era diventata una vera e propria moda
negli ultimi anni: Yusei aveva perso il conto degli intrecci tribali
tatuati a ridosso del fondoschiena delle bagnanti al mare, oppure dei
simboli maori che svettavano sulle braccia dei buttafuori ai locali.
Che fosse per moda o per ricordare qualcosa, o qualcuno, ognuno aveva
un motivo più o meno valido per lasciarsi marchiare a vita da un
disegno, bianco e nero o colorato che fosse. Il drago di Yusei
apparteneva a quella categoria di tatuaggi cercati, pensati, studiati e
voluti: un universale simbolo di saggezza e potenza, riverito, temuto e
amato contemporaneamente, insieme alle stelle che tanto amava,
scintillanti tra i suoi occhi.
La grossa iride di Judai invece, seguita da misteriosi segni neri,
sembrava avere per lui un significato particolare e pauroso allo stesso
tempo: il castano gli aveva raccontato fosse una visione frequente in
sogni da ragazzo, quando soffriva spesso di paralisi del sonno e si
ritrovava a boccheggiare in apnea, convinto che un'immensa creatura
malvagia lo stesse schiacciando per privarlo del respiro. Aveva
disegnato quello stesso occhio su molti suoi testi scolastici, e anche
ora, quando si ritrovava a scarabocchiare mentre era al telefono,
quell'occhio compariva. Judai aveva spiegato che la sua immagine in
sogno l'aveva sempre angosciato: tatuarsela addosso, lì dove sapeva che c'era ma non poteva vederla, era un modo come un altro per esorcizzarla.
Pensare che era esistito qualcosa in grado di preoccupare Judai...Yusei
non l'aveva mai ritenuto possibile. Non dopo aver conosciuto Judai di
persona, ed essersi abituato alla sua schiettezza ed altruismo.
Con uno sbuffo di
stanchezza misto a soddisfazione, Yusei spense il computer e
riposizionò la carena sulla moto, prima di rimettere velocemente
a posto tutti i suoi attrezzi ed indossare la giacca, alzando la zip
fino al collo.
E quando si rimise a cavalcioni
della moto, fu come sentirsi improvvisamente a casa. E non casa nel
senso di tetto sulla testa, pasto caldo e letto in cui dormire, ma casa
come luogo in cui ritrovare la propria pace e serenità, la
dimensione nel quale si trovava a suo agio. Il rombo assordante del
motore era musica per le sue orecchie, la velocità era la
medicina per ogni suo male, e il vento che lo sfiorava era una morbida
carezza. Qualcosa che non tutti comprendevano, ma che a lui non
interessava professare come un'assoluta religione come tanti suoi
colleghi motociclisti: era ben felice di poter tenere quelle emozioni
per sé, e di goderne egoisticamente le belle sensazioni.
****
La notte (anzi, mattina) era stata
terribile. Scossa da lancinanti fitte al bassoventre, Aki aveva dormito
poco e niente, contorcendosi tra le lenzuola per interminabili ore e
spostandosi continuamente in bagno.
L'unico momento in cui sentiva di
odiare il suo essere donna era proprio quello. Il dolore era tale da
lasciarla completamente senza forze e priva di alcuna lucidità,
e questo si ripercuoteva sul suo umore, rendendola nervosa e triste,
oltre che a risvegliare una fame da lupi. Seppur con qualche rimorso
per la sua linea, la rossa si infilò in bocca l'ennesimo
biscotto, mentre ultimava di prepararsi.
Aveva in precedenza deciso che il
suo giorno di riposo sarebbe stato dedicato alle compere per la sua
nuova casa, e nulla le avrebbe fatto cambiare idea, neanche un tipico
inconveniente femminile. Non fosse stato altro per distrarsi dalle
fitte al basso ventre...aveva già assunto un antidolorifico, ma
ancora non aveva fatto completamente effetto, e ogni tanto si ritrovava
ad imprecare tra i denti per il dolore mentre con una mano pettinava i
capelli e con l'altra dava fondo alle sue scorte di dolci, mentre
ripassava mentalmente la lista delle cose da comprare.
Le tende anzitutto: proprio non
sopportava più quelle veneziane vecchie e polverose. Aveva
provato a pulire il giorno prima, e aveva passato il resto della
giornata a starnutire: non aveva mai sofferto di allergia alla polvere,
ma la massiccia presenza di questa era tale da recarle un grosso
fastidio. Forse era stata la causa del suo occhio irritato.
E poi dei buoni detersivi. Non aveva
mai usato il forno fino a quel momento, per il semplice fatto che,
incrostato com'era, temeva di mangiare cibi contaminati dal carbone, se
cotti lì dentro. Aveva bisogno anche di una pentola con dei
manici interi.
E poi qualche fiore. Meglio se
finto, non avrebbe così avuto il dispiacere di vederli appassire
inevitabilmente...anche se le mancava il giardino della sua casa.
Sempre così ben curato e
mantenuto, il giardino della magione degli Izayoi era una piccola isola
verde nel mezzo dei grattacieli: suo padre allestiva spesso rinfreschi
e ricevimenti lì, e allora questo prendeva ancora più
vita, tra sommelier e camerieri, tavole imbandite e invitati che
rumoreggiavano tutt'intorno. Ma lei lo preferiva quando poteva
goderselo per sé, nel silenzio e nella pace, a leggere qualche
bel libro o, più semplicemente, stare in pace da sola.
Quella nuova realtà la spaventava e affascinava insieme.
Non pensava sarebbe stato
così...strano vivere da sola. Non c'era più nessuno che
la svegliava, doveva essere lei quella a premurarsi di inserire la
sveglia al giusto orario; così come non c'era nessuno che
caricava per lei la lavatrice o le stirava i vestiti. Si era di colpo
resa conto di quante fossero, le reali mancanze della sua formazione,
che non riusciva a sentirsi pienamente indipendente.
Lo era, in quanto nessuno più
provvedeva al suo sostentamento, ma non così come lei voleva, o
meglio sperava. Si era resa presto conto di essersene andata di casa
per via di un suo capriccio, come tanto l'aveva etichettato suo padre,
e non tornava sui suoi passi per puro orgoglio.
Quanto avrebbe effettivamente resistito?
Ripensò alle parole di Yuya quella sera, con un nodo alla gola.
Quel ragazzo, così atipico
con quella chioma a semaforo e gli occhialetti in testa, aveva una
lucidità che pochi potevano vantarsi di possedere. Era,
letteralmente, uno che faceva lo scemo per non andare in guerra: fare
buffonate, scherzi, battute per la maggior parte tristi e che gli
fruttavano valanghe di insulti - quante gliene aveva sentite
dire, quelle sere...era tutto parte di un'abile sceneggiata che
nascondeva una testa pensante molto fine. E quel discorso della sera
precedente le dava davvero da pensare.
Aveva bisogno di dimostrare a
sé stessa di essere in grado di badare alla sua vita, senza che
nessuno si arrogasse il diritto di darle ordini o imposizioni da lei
non richieste. Aveva bisogno di crederci un po' di più in quello
che faceva.
Non era semplice, quando ti
crescevano con l'idea che non eri niente, senza qualcuno al tuo fianco
che ti spingeva in una determinata direzione.
Ci stava provando: si stava
aggrappando a quell'idea, a quella speranza, con le unghie e con i
denti. Non doveva dimostrare niente a nessuno, se non sé stessa.
Era per lei stessa che resisteva. Per non vanificare la sua speranza di crescere una volta per tutte.
Terminò di applicare il
leggero velo di gloss trasparente e infilò tutto nella borsa da
passeggio, mettendo a posto la busta dei biscotti e chiudendola con una
molletta, per preservarne la freschezza. Nell'attimo in cui uscì
di casa e chiuse la porta con due giri di chiave, il pensiero
andò su Yusei.
Il tappo del serbatoio scintillava
al sole come una gigantesca moneta d'argento caduta a terra. Era stato
lasciato lì, appoggiato al muretto, tra il mazzo di fiori e la
croce bianca. Sull'asfalto c'erano ancora i segni neri degli pneumatici
di un'auto.
Oltre quel muretto c'era la
spiaggia frequentata da alcune coppie a passeggio e gruppi di chiassosi
amici che già provavano i primi tuffi, nonostante l'estate non
fosse ufficialmente cominciata: le alte temperature fuori stagione
spingevano a cercare refrigerio in qualunque modo. Tutti loro erano, con ogni
probabilità, totalmente ignari di quella storia raccontata da
quelle scie scure sull'asfalto. Più o meno come l'incauta automobilista che
aveva davanti.
La piccola utilitaria rossa
frenò bruscamente, costringendo Yusei ad una brusca piega verso
destra che minacciò di concludersi con un capitombolo sul
marciapiede. Tirò con forza la leva del freno, e la Bimota
arrestò la sua corsa un attimo prima di salire il gradino; il
giovane percepì distintamente l'anteriore affondare e la ruota
posteriore sollevarsi di qualche centimetro.
Ci fosse stato Judai con lui avrebbe imprecato fino all'alba del giorno dopo.
Si ritrovò accanto
all'utilitaria rossa: una bionda ossigenata aveva estratto il suo
cellulare dalla borsa e aveva cominciato a scrivere, le dita che si
muovevano velocemente sul tastierino virtuale. In un moto di rabbia,
Yusei picchiò selvaggiamente sul finestrino dell'auto con la
mano guantata, imprecando come un pazzo; la ragazza all'interno
dell'abitacolo trasalì e subito fece per ingranare la marcia, ma
l'auto si spense con una sorta di singhiozzo. Yusei scosse il capo e
lasciò perdere, puntellandosi col piede a terra e inserendo la
marcia. Diede un lieve colpo di gas, la moto ruggì feroce e
avanzò, lasciandosi dietro gli scarichi i clacson furiosi degli
altri automobilisti.
Non aveva mai avuto particolari
risentimenti verso le donne al volante, ma c'erano alcune esponenti, di
tale categoria, alla quale avrebbe volentieri bruciato la patente e
squarciato le gomme dell'auto. Con quale coraggio potevi guidare mentre
scrivevi messaggini al cellulare?!
Era per colpa di simili persone che
girare in moto per la città era diventato davvero pericoloso, e
in generale muoversi su qualsiasi mezzo a due ruote era diventata
un'impresa da veri temerari. L'essere sempre vigili e attenti in strada
era un requisito essenziale per tornare a casa tutti interi, e a volte
non bastava, come nel caso di quello sfortunato motociclista investito
un paio di giorni prima.
A ben pensarci, Yusei aveva
rischiato davvero tante volte, tra automobilisti che azzardavano
parcheggi fuori controllo e altri che non rispettavano le precedenze.
Qualche giorno prima ci aveva anche rimesso uno specchietto, proprio
grazie ad uno di quei simpaticoni più concentrato sul cellulare
che sulla strada.
Era l'unico motivo che lo spingeva a
fuggire dalla città quando poteva. Il poter lasciar andare il
motore a pieno regime, senza preoccuparsi di chi gli stava intorno,
solo lui e la sua due ruote e la strada di fronte, e il vento e il
mondo che, intorno a lui, svaniva in una macchia confusa. E quella
meravigliosa sensazione, come la vertigine di un funambolo in
equilibrio su una fune sospesa nel vuoto, la consapevolezza di essere
vivo.
Mantenne una costante
velocità a passo d'uomo mentre costeggiava il lungomare, la
visiera del casco alzata a godersi il vento. Le giornate si stavano
rapidamente allungando, e anche le temperature si stavano alzando:
l'estate era ancora lontana sul calendario, ma bastava mettere il naso
fuori casa per fare i conti con una realtà diversa.
Fu lui a vederla per prima. Stava
percorrendo il marciapiede in senso opposto al suo, a passo svelto e
deciso e gli auricolari nelle orecchie. Lui la riconobbe subito, lei
procedette per la sua strada per qualche passo, salvo poi insospettirsi
della presenza di un motociclista che si era fermato proprio a qualche
metro dopo di lei. Aki si voltò ad osservare il misterioso
centauro mettere piede a terra e voltarsi verso di lei: forse lo
conosceva?
Fece dietro front e si
avvicinò rapidamente, cercando di individuare il viso celato dal
casco sbirciando sotto la visiera aperta; e finalmente notò due
occhi blu che aveva visto spesso, ultimamente.
- Yusei?!- domandò la giovane, incredula.
- Ma guarda, il mondo è davvero piccolo!-
esclamò il giovane, sorridendo sotto il casco mentre spegneva il
motore – Passeggiata mattutina?-
- ...Beh, la mia idea era di andare a comprare qualcosa-
- Oh, shopping allora!-
- Sì, qualcosa del genere-
- Qualcosa del genere dici...heh, sei davvero una ragazza strana, Aki-
Di nuovo il discorso di Yuya le
tornò in mente: chissà cos'era strano, per Yusei...come
se lui fosse completamente normale per gli schemi sociali. Le parole
del barman acrobatico dagli occhi diversi, tuttavia, sparirono in un
indistinto eco nella sua mente quando Yusei decise di togliersi
finalmente il casco.
Sganciò la chiusura di
sicurezza e se lo sfilò in un unico gesto, con entrambe le mani,
posandolo sul serbatoio della moto. Aki lo osservò reclinare il
capo all'indietro e scuoterlo lievemente, quasi a voler liberare la sua
chioma scura dalla costrizione del casco che l'aveva imprigionato fino
a poco prima, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte; poi si
passò una mano tra i capelli, ravvivandoli un poco, sempre con
quegli occhi seri eppure vividi, carichi, vibranti di energia, lucidi
come dopo una lunga corsa.
Ci mancava solo la musica di
sottofondo, poi poteva tranquillamente passare come la scena di uno
spot pubblicitario di qualche profumo da uomo. E lei era rimasta anche
a guardarlo con tanto d'occhi, persa in chissà quale immagine
proiettata nella sua mente. Modo perfetto per passare come una
deficiente per la seconda volta,
come se già la gaffe rimediata la sera prima non fosse bastata.
Almeno, ora sapeva come fosse Yusei quando era in moto: completamente
assorbito in un mondo a parte, lui e la sua fidata due ruote, e anche
bello da vedere, doveva dirla tutta. La moto era davvero singolare,
aveva qualcosa di diverso da tutte le altre, ma che lei non sapeva
spiegarsi per mancanza di nozioni tecniche, eppure era davvero bella,
così snella e nervosa come un levriero da caccia. E Yusei
sembrava perfettamente a suo agio, avvolto nella sua giacca da moto e
nei suoi stivali, con i jeans che premevano contro le cosce forti e
robuste...okay, l'hai davvero
squadrato, peeeerfeeeetto, se non si è accorto adesso di quanto
tu sia idiota allora è un tardone anche lui.
- Lo so, i jeans sono vecchiotti, ma fanno ancora il
loro dovere, soprattutto quando devo lavorare vicino alla moto-
buttò lì Yusei, notando la direzione del suo sguardo.
Aki cambiò colore nel giro di
un battito di ciglia, stringendo il manico della borsetta con tanta
forza da farsi quasi male.
- Perdonami...non volevo sembrare--
- Non sembri nulla Aki, perlomeno nulla di quello che stai pensando adesso-
E invece lo sembrava davvero, ma per
non metterla ulteriormente in imbarazzo Yusei preferì non
dirglielo: sembrava già intimidita così, dopo la sua
uscita, non era il caso di peggiorare la situazione.
- Cosa stai cercando nello specifico?- domandò
allora Yusei, cercando di interrompere quell'imbarazzante silenzio che
sembrava averla posseduta come un demone.
- Articoli per la casa- rispose prontamente la rossa
– Ho voglia di rinnovare un po' l'appartamento-
- Oh! Vivi da sola?-
- Sì, a poca distanza dal Pharaoh's Kingdom-
- Ecco perché ti sposti sempre a piedi...ehi!
A proposito del Pharaoh's, ci sei stasera?-
Da rossa che era per l'imbarazzo,
Aki divenne pallida nel giro di qualche secondo. Yusei dovette notarlo,
perché fece per mettere il cavalletto e scendere dalla moto per
sorreggerla.
- Per-perché?!- domandò lei, tesa
– Non era oggi il mio giorno di riposo?-
- Ma sì che lo è! Ricordi? Abbiamo
visto ieri che avevamo il riposo sincronizzato!-
Solo allora Aki si permise di respirare ancora, portandosi una mano al petto.
- Per un attimo ho temuto di confondere i giorni...-
- Ti capisco, succede anche a me. Questo scherzo mi
ha fruttato cinque sere di straordinari...alla fine ero cotto. Atem mi
concesse quella volta una settimana di ferie, mi disse chiaramente
“DORMI”. E così fu-
Finalmente sembrò rilassarsi,
e si sciolse in un dolce sorriso che non le vedeva spesso. O meglio,
non le vedeva spesso quando intorno non c'erano i due saltimbanchi,
così come definiva Yuma e Yuya, e neanche Judai e il suo
continuo decantare di paste, dolcetti e stuzzichini. Ed era un peccato
che riservasse quel sorriso solo a pochi e in determinati momenti,
perché era davvero bello vedere quelle belle labbra curvarsi in
quell'espressione divertita e serena.
- Fammi capire, andrai al Pharaoh's anche se è
il tuo giorno di riposo?- domandò Aki, cercando di capire.
- Lo faccio molto spesso- annuì Yusei, con un
sorriso – Mi piace godermi il locale anche così, come se
fossi un cliente. Ed è divertente vedere Judai che sgobba avanti
e indietro-
Di nuovo, la rossa sorrise, più ampiamente di prima.
Sì, era un vero peccato non vederla sorridere così spesso.
- Interessante punto di vista- commentò poi
– Credo lo metterò alla prova anche io-
- L'idea di vedere Judai correre avanti e indietro piace a tutti-
E stavolta rise. Rise davvero, come
se la cosa la divertisse immensamente. Per l'ennesima volta Yusei si
scusò mentalmente con l'amico, per prendersi quel divertimento
alle sue spalle, ma il suono di quella risata ne ripagava lo scotto.
La vista di quelle labbra curvate poteva essere anche più bella della sua moto.
- Allora ci vediamo stasera!- esclamò la ragazza, con aria contenta.
- Direi proprio di sì! Ora
io vado Aki; non prendertela, ma ero nel mezzo di un collaudo...-
- Figurati, mi ha fatto piacere! Complimenti per la moto-
Yusei sorrise e s'infilò il
casco con un unico gesto, facendo scattare la chiusura e riavviando la
moto. Un sordo boato esplose dagli scarichi sotto il codone, facendo
voltare qualche passante e trasalire la stessa Aki, rimasta ad
osservare la partenza. Il giovane le rivolse un ultimo saluto, prima di
ritornare sulla strada e calare la visiera sul casco. Si
allontanò in velocità, allungando vistosamente fino a che
il motore non parve urlare.
Il sorriso non accennava ad abbandonarla.
****
L'assetto della serata era cambiato.
Senza Yusei al bancone, Atem aveva preso il suo posto, rivelandosi
bravo tanto quanto lui. Molto meno acrobatico, evitava volentieri i
virtuosismi e le acrobazie, ugualmente efficace e meticoloso nella
preparazione. Era bello guardarlo mentre miscelava alcol e sciroppi di
ogni tipo, sembrava davvero gli piacesse: nulla sembrava disturbarlo,
né gli applausi delle persone alle esibizioni né i lanci
azzardati dei due Yu alle sue spalle. Solo ogni tanto alzava lo sguardo
per osservarli, quando si rendeva conto che ai due stava per sfuggire
fuori controllo uno dei lanci: in quel caso, i due bartenders tornavano
rapidamente alle loro postazioni, immobili come statue.
Li rimetteva in riga con una sola occhiata. La cosa era davvero divertente.
- Aspetti qualcuno?- le chiese Judai, offrendole un
piatto pieno di dolcetti che Aki accettò con gioia: la voglia di
zucchero non le era passata, anzi...
- Yusei- rispose lei, addentando la prima pasta,
mugolando soddisfatta a sentire l'esplosione di crema pasticciera nella
sua bocca. Judai sgranò gli occhi.
- Yusei? Cos'è, un appuntamento?!-
domandò invece Yugi, sorpreso. Aki alzò gli occhi su di
lui incerta.
La domanda di Yugi non era stupida.
Era un appuntamento, quello? Non ne avevano parlato, da che si
ricordava, e poi figurarsi se, per un'uscita insieme, l'avrebbe portata
al Pharaoh's Kingdom! Magari l'avrebbe fatta entrare in qualche altro
locale di lusso, dove potevano stare soli ed in intimità, no?
Era così che si svolgeva un appuntamento, no?
No?!
- N-no, almeno credo...non lo so...- balbettò
lei, guardandosi intorno come alla ricerca di aiuto.
- Yuuuuuuuuuseeeeiiii!!!-
- Cosa diavolo ti urli, SCIMMIA!-
I due ruggiti fecero alzare gli
occhi di entrambi i due colleghi. Yusei aveva fatto il suo ingresso nel
locale, e la sua presenza era stata segnalata da quella sirena
ambulante che era diventata Yuma. In un attimo, Aki sentì il
proprio morale risollevarsi di colpo e, nello spazio di un secondo,
precipitare nella confusione totale.
Davvero doveva considerarlo un
appuntamento? Si conoscevano appena, ed erano solo colleghi dello
stesso locale...che ne pensava lui? Avrebbe dovuto chiederlo? A saperlo
avrebbe scelto un abito più elegante...!
Non che lui fosse esattamente in
tiro: vestiva in maniera molto simile a quella con cui l'aveva
incontrato quella mattina, cambiando solo maglietta e jeans. La giacca
era la stessa, e doveva aver appena tolto il casco, a giudicare dalla
foga con cui si stava ravvivando i capelli.
Era sempre più bello
guardarlo anche così, al naturale, senza la sua consueta divisa
bianca e nera e riparato dietro il suo bancone.
- Oh, ma guarda chi c'è!- esclamò
Judai, contento – Direi che l'appuntamento è salvo, Aki!-
- Non è un appuntamento!-
Troppo tardi: Judai e Yugi si erano
allontanati, uno a prendere ordinazioni e l'altro verso le cucine,
entrambi ridacchianti come ragazzine del liceo. Aki era scattata in
piedi indispettita, salvo poi voltarsi verso Yusei, che l'aveva
rapidamente raggiunta.
- Ebbene, eccoti qui!- esclamò il giovane
– Che te ne pare? Com'è vedere il Pharaoh's Kingdom come
una persona normale?-
- Beh, bello davvero!- ammise Aki – Completamente diverso-
E senza di te manca qualcosa ma questo non te lo dico.
Ancora quel penetrante profumo di aghi di pino: Aki poteva sviluppare una dipendenza da quel sentore così pungente.
Yusei mollò il casco sulla
sedia e rubò un dolcetto, suscitando la sua espressione sorpresa
e poi lievemente risentita, prima di sciogliersi in una risata. Vederla
in borghese era strano, ma non meno piacevole: i capelli rossi
sembravano implorargli una carezza, e la scollatura della maglietta era
perfettamente riempita senza risultare volgare o eccessiva. Almeno, con
quell'indumento, non rischiava un incidente come quello della sera
prima...ma se le gambe erano sottolineate al punto giusto dai pantaloni
neri aderenti, quelle ballerine ai piedi gli fecero istintivamente
storcere il naso, seppur lievemente.
Ballerine ai piedi, l'unico tipo di scarpa femminile che non era mai
riuscito a comprendere e a farsi piacere. Roba che avrebbe perfino
“smorzato un'erezione”, come una volta aveva detto Yugi,
scatenando occhiate sorprese e scandalizzate tutt'intorno.
Sentire il fratellino di Atem
parlare di ragazze e sesso era raro: non sembrava molto propenso ad
un'attività così maschile come quella di condividere
rispettive conquiste e avventure tra le lenzuola. Qualcosa però
diceva, e questo a tutti quanti loro che lo frequentavano, che quel
ragazzo la sapesse molto più lunga di quanto volesse dare a
vedere: la mole di femmine di cui si ritrovava puntualmente circondato
era quasi imbarazzante. Forse era per il suo essere naturalmente
gentile e disponibile con chiunque, e rispettoso di qualunque forma di
vita lo circondasse? Molto probabile. La delizia di tutte le ragazze,
ma a quanto pareva i suoi occhi guardavano davvero solo una, ed era
quella che si stava esibendo in quel momento sul palco, tra migliaia di
led.
Anzu Mazaki era una cara amica
d'infanzia di Yugi, una delle poche con la quale aveva mantenuto i
contatti anche dopo i tempi del liceo; dopo le scuole dell'obbligo,
avevano perfino continuato gli studi universitari presso la stessa
facoltà, seppur scegliendo due indirizzi diversi. Ed era stato
grazie a Yugi, se la ragazza poteva esprimersi con la sua danza in un
locale di tutto rispetto come il Pharaoh's Kingdom.
Proprio in quel momento si stava
esibendo, con il palco a luci spente perché era lei a crearla,
la luce, con i suoi cerchi. Aki la stava osservando fin dall'inizio,
rapita da tutte quelle movenze e acrobazie: riuscire a gestire un solo
cerchio era già complicato, ma lei arrivava a, letteralmente,
giocarci. Lo faceva roteare intorno a polsi, collo, spalle, ginocchia,
caviglie, e lo lasciava scendere e salire facendo perno sul suo corpo
fasciato stretto dal body nero. Saltava al suo interno, lo lasciava
roteare sulle spalle, lo lanciava in avanti in modo che rimbalzasse
indietro ed entrava al suo interno facendolo risalire al petto con
pochi, semplici movimenti.
E quando le luci erano calate sul
palco era cominciata la vera magia. Il cerchio tra le sue mani, e
quelli posizionati intorno a lei, erano illuminati da centinaia di led
al loro interno, che lampeggiavano e cambiavano colore quasi seguissero
il ritmo dei remix che, a quanto aveva capito, era stato Yuya in
persona a fornirgli. Ecco spiegato anche perché il ragazzo
sembrava incredibilmente energico e attivo, e perfettamente
sincronizzato con i lanci a tempo di musica: sembrava quasi volesse
prendere il posto della ragazza sul palco, e chissà cosa lo
stava trattenendo dal farlo. Ma Anzu sembrava inarrestabile, arrivando
a gestire quattro cerchi contemporaneamente e senza sembrare affatto
affaticata, sempre con il sorriso sulle labbra, gli occhi azzurri
scintillanti e i capelli castani striati di sfumature violette e
azzurre. Più volte Yugi si era distratto dal suo dovere, con
grande gioia di Judai che sembrava divertirsi a prenderlo in giro, che
a sua volta alimentava lo scorno di Yusei che, seduto al tavolo,
scuoteva il capo mentre osservava il castano dipingere cuoricini
nell'aria.
- Non so chi dei due sia peggiore- borbottò
poi, rubando ancora qualche pasticcino – Se Yugi che sembra
rincretinirsi quando è vicino ad Anzu, o Judai che non si rende
conto delle attenzioni di Alexis. Io veramente...bah-
- È molto carina- disse Aki, servendosi a sua
volta – Alexis intendo. E anche Anzu! È così bella
mentre danza...-
- Sono entrambe due bellissime ragazze, con una testa
sul collo come ce ne sono poche, e quei due temporeggiano. Anzi, solo
Yugi temporeggia, perché Judai non ci arriva proprio, la
vedrà solo come amica o che ne so io...ed è questo che mi
spaventa. Il mio timore è che, per quando quei due si saranno
svegliati, Anzu e Alexis potrebbero aver trovato l'alternativa: non
mancano spasimanti, a quelle due. E se succederà, e succederà
di questo passo...avremo non uno, ma ben due deficienti che ci
resteranno come una scimmia di fronte al pannello di controllo di
un'astronave-
- ...Sarebbe?-
- Con la banana in mano-
E stavolta Aki rise. Rise davvero,
divertita e scossa da quel doppio senso neanche troppo velato.
Arrivò perfino a chinarsi sulla pancia, sotto lo sguardo
attonito di Yusei che allargò le braccia e sbuffò
sorpreso.
- Heh, non era neanche un granché come
battuta...- borbottò poi lui, accavallando le gambe.
- Lo so ma come immagine è...è...-
Aki riprese a ridere, senza alcun freno.
Era bello vederla così,
finalmente sciolta e senza quell'espressione tra l'accigliato e il
guardingo, quello sguardo da cerbiatta confusa e spaventata pronta a
fuggire. O a uccidere qualcuno, quasi fosse protagonista di una
versione horror e psichedelica di Bambi.
- Dovresti ridere più spesso- notò poi Yusei – Hai un bel sorriso-
Le parole gli uscirono dalle labbra
prima che lui provasse a fermarle. Il giovane osservò la rossa
rimettersi ben seduta, asciugandosi l'ombra di due lacrime spuntate
agli angoli degli occhi, prima di osservarlo chinando lievemente di
lato la testa.
- Perdonami, non ho capito- disse poi la giovane.
-Quello che ho detto- rispose Yusei – Hai un bel sorriso, e dovresti farlo più spesso-
-...Perdonami ma ultimamente non ho trovato molti motivi per farlo-
- Io te ne ho dato più di uno-
- Ah? Sarebbe?-
- Beh, uno te l'ho dato adesso con la mia
delicatissima uscita. E te ne do sempre quando sono a lavorare con
quelle due bestie laggiù al bancone...- e accennò a Yuma
e Yuya che quasi danzavano con le bottiglie – E non scordiamoci
poi delle mie chiappe al vento della prima volta! Non ti viene da
ridere, a pensarci?-
No, a dire la verità, non le
veniva affatto da ridere. Le risaliva solo una grossa quantità
di sangue in faccia a colorarle le guance, al ricordo di quelle natiche
scoperte degne di un marmo, dannazione a lui che gliele ricordava anche!
- Ma dico sul serio. Sei molto bella, se solo sorridessi un po' di più...-
- Tu mi trovi bella?!- chiese lei, con una nota di sorpresa nella voce.
- Certo! Non te l'ha mai detto nessuno?-
- ...Mi hanno detto che spavento, che inquieto, ma che sono bella mai-
- ...La prima donna al mondo, che conosco, bella e
che non sa di esserlo. Cielo, questa è da segnarsela sul
calendario-
- Davvero è così...strano?!-
Il discorso della sera precedente con Yuya doveva averla davvero condizionata...
- Non è strano, è insolito- rispose poi
il motociclista, servendosi ancora dal piatto – Di solito, una
bella ragazza sa di esserlo, e si compiace del sentirselo dire spesso-
- ...Non so che dirti. Magari me l'hanno detto in tanti ma non li ho mai presi sul serio-
- Per quel poco che ti conosco, è probabile. Cosa ti ha portato qui?-
- Intendi qui al Pharaoh's?-
- Già-
- Lo sai...lo sapete. Avevo bisogno di un lavoro-
- Già, ma da quel poco che so, tu sei una di
quelle poche persone che potrebbe permettersi di avere tutto con poca
fatica-
- Proprio questo è il problema-
Sembrava rabbuiatasi di colpo. Yusei si sporse sul tavolo, attento.
- È tutto così complicato, e
ripetitivo...- sbuffò Aki, la punta delle dita che sfiorava le
tempie – Tutti a dire che sono fortunata, ad essere ricca e
privilegiata e ad avere tutto disponibile e la pappa subito pronta...ma
a quale prezzo? La mia famiglia è un incubo. È da dieci
anni a questa parte che non riconosco più nessuno lì
dentro-
- Perché? Cosa te lo fa dire?- domandò Yusei, sinceramente curioso.
- Ma non saprei, forse le assurde pretese che hanno
nei miei confronti? Come se io gli avessi mai promesso qualcosa...o
come se essere parte di quella famiglia mi rendesse automaticamente
debitrice di qualcosa-
- Mh, credo di aver capito. Genitori apprensivi ed
esigenti che ripongono le loro speranze sulla loro figlia e sperano di
vederle prima o poi ripagate, vero?-
- Sì. Sì, esattamente-
- Quindi te ne sei andata per cercare indipendenza-
- Sì. E per dimostrare di essere in grado di cavarmela da sola-
- A chi?-
- A me stessa-
- A te stessa...o ai tuoi?-
- ...I miei non sono d'accordo con tutto questo. Sono
convinti che non resisterò a lungo. Non sanno neanche che faccio
questo lavoro, e se lo sapessero temo la loro reazione. Non è
quello che si aspettano da me-
- E cosa si aspettano da te?-
- Che diventi un modello da seguire per l'alta
società di Nuova Domino. E che dia loro degli eredi, immagino-
- Bella porcata. Ognuno dovrebbe dare libertà
di espressione a chi gli sta intorno, soprattutto se si tratta dei
figli-
- Possiamo...possiamo evitare di parlare di questo?
Non voglio...non voglio rovinarmi la serata, ecco-
- Hai solo da dirlo, Aki. Aspettami qui, vado a prendere qualcosa-
E rimase ad osservarlo mentre si
dirigeva al bancone e chiedeva un paio di bevande ad Atem. Aki si torse
le mani pensierosa, confusa da tutto quello che stava succedendo.
Era davvero un appuntamento?! Sulla
base di cosa, se si conoscevano appena? Anche se a ben pensarci, non
era quello lo scopo di un appuntamento? Il conoscersi meglio appunto?
Condividere interessi, opinioni, passioni, teorie e discorsi?
Voleva davvero conoscerla meglio? A
che scopo? Non aveva granché di interessante, solo dei capelli
fiammeggianti e un bel seno che, puntualmente, finiva sotto gli occhi
degli esponenti del sesso forte, gli stessi che poi scappavano da lei
trovando mille scuse. Sei troppo intelligente per me, il tuo nome
è troppo importante io per te sono un poveraccio, sei
inquietante, guardi tutti come se ti avessero fatto qualcosa. Non
tutti, in realtà, ma molti sì. Erano stati in molti a
“farle qualcosa”, come dicevano tutti gli altri. Ad
evitarla, a farla sentire inappropriata, sbagliata solo per essere
figlia di una famiglia di magnati.
La famiglia del Pharaoh's Kingdom
era composta dalle prime persone che erano andate oltre le apparenze e
l'avevano accettata nonostante la sua diffidenza iniziale. Davvero
trovavano, davvero Yusei vedeva qualcosa di bello in lei? Le aveva
detto di possedere un bel sorriso, era il caso di ascoltarlo e
sorridere più spesso? Non c'era molto per cui valesse la pena
sorridere, e tutto quello che le era successo negli ultimi tempi
bastava per toglierle qualsiasi voglia di ridere o scherzare...forse
era il caso di lasciarsi tutto alle spalle?
Aveva troncato sul nascere una
discussione molto importante eppure scomoda. Aveva fatto bene? Yusei ne
sarebbe rimasto contrariato?
- Aki? Ci sei o cosa?-
- Ah?!-
Yusei aveva già fatto
ritorno, con un bicchiere azzurro e uno rosso: non sapeva cosa fosse il
primo, ma il secondo era il suo analcolico preferito, quello all'aroma
di fragola.
- E quello cos'è?- domandò, indicando il bicchiere del barman.
- Questo? È un Blue Lagoon-
rispose Yusei, sollevando il bicchiere – Vodka, Blue Curacao,
succo di limone, acqua e ghiaccio. Se vuoi assaggiarlo...-
- Magari dopo!-
Sorrise, la rossa, mentre entrambi alzavano i bicchieri e li facevano tintinnare tra loro.
Forse era il caso di ascoltarlo e lasciarsi andare un po' di più.
Quasi quella che aveva colpito
l'intera Nuova Domino fosse un'epidemia, i quotidiani del mattino
riportarono, in prima pagina, un nuovo evento tanto insolito quanto
spettacolare e, a tratti, inquietante.
A partire dalle otto della sera fino
alle quattro del mattino, moltissimi oggetti in strada avevano
misteriosamente preso il volo, staccandosi da terra anche di metri, e
molti altri erano stati deformati da una forza invisibile che aveva
lasciato i passanti atterriti. Bidoni della pattumiera ritorti su
sé stessi, lampioni curvati ad arte, cartelli stradali che
cambiavano segnaletica d'improvviso mandando il traffico in tilt.
Qualche panchina si era sollevata, portando in alto con sé anche
qualche stanco passante che si era riposato su di loro. Nell'arco di
una serata si erano registrati traffico alle stelle, centralini della
polizia intasati di segnalazioni di oggetti semoventi, crisi di panico
generali e l'intervento di un'ambulanza per soccorrere un uomo colpito
da infarto, terrorizzato da quei misteriosi eventi.
Il quotidiano venne recapitato
nell'ufficio di Atem al Pharaoh's Kingdom. Il Faraone lo trovò
ben piegato sulla scrivania, con una busta chiusa senza sigilli
né firme. Al suo interno, solo un foglietto.
Tocca a te.
_________________________________________________
Eeeeeeeecco qui! Numero cinque, signore e signori!
Ingraniamo, poco a poco! Devo farvi una confessione, ho un pacco di
capitoli già pronti, ma tanti, proprio tanti! Durante il mio
periodo di day hospital, forse complice anche la quotidiana
nullafacenza, sono stata colpita dal più grande flusso di
creatività mai provato, roba che mi ha fatta tirare giù
400+ pagine della storia. Un BOATO se ci pensate. Davvero avevo
così disperatamente bisogno di staccare la spina?! Non me ne
capacito, giuro.
La citazione che fa da apertura al capitolo viene da Lo Zen e L'Arte
della Manutenzione della Motocicletta, opera simbolo di Robert M.
Pirsig, rifiutata da ben 121 editori prima di diventare un cult. Non
è altro se non un viaggio on the road in motocicletta,
contornato da divagazioni filosofiche alla ricerca dell'Io più
profondo. Sicuramente non consigliato per chi non trova molto interesse
in pagine e pagine di trip mentali e discorsi filosofici, ma io l'ho
apprezzato moltissimo.
In fondo muoversi in motocicletta è anche questo. Quando
abbandoni il caos cittadino e ti ritrovi ad attraversare stradine di
campagna, o un lungomare, in solitudine tu e il tuo mezzo, ti ritrovi
con la testa volta a metà tra i tuoi pensieri e l'altra
metà concentrata sul serpentone di asfalto di fronte a te.
Un po' come fare la doccia, che impieghi dieci minuti in tutto ma
trenta abbondanti li passi sotto il getto d'acqua calda a lambiccarti
il cervello sui perché dell'universo. Yusei ce lo illustra bene,
con la sua scorrazzata in solitaria sul suo cavallo d'acciaio.
Solitaria più o meno, visto l'incontro casuale con Aki. Scrivere
di loro mi divertiva un sacco, e lo fa tutt'ora che sto continuando a
portare avanti pagina per pagina la storia: anche nell'originale la
loro storia è controversa, interessante, iniziata con rabbiosi
sguardi di fuoco e stritolate con viticci e finita con il guardarsi
negli occhi quasi a voler scorgere i titoli di coda dell'universo. Alla
fine lei cercava solo una persona fidata su cui contare, e lui qualcuno
da proteggere con tutto sé stesso.
Vogliamo chiamarlo "appuntamento"? XD non lo è, non nel vero
senso della parola: è solo un day off trascorso insieme per
godere il locale con occhi diversi di quelli di un dipendente, a fare
finta di essere clienti per una volta. Ha potuto così conoscere
anche Anzu! L'idea di lei a danzare con i cerchi è venuta fuori
da sé, con la massima naturalezza: chi ha un po' masticato la
serie originale di Duel Monster sa quanto le piace danzare, ma in pochi
sanno quanto a me piacciano i LED hula hoop. Nonostante io non sappia
usarne uno neanche dovesse dipendere la mia vita da questo, ci sono
tantissimi video a riguardo su YouTube e penso di averli guardati
davvero TUTTI. Mi piacciono un sacco.
Ma credo vogliate tutti parlare di LUI. L'unico, inimitabile,
irraggiungibile, inossidabile (???) Seto porcaputtana Kaiba! Qui fa il
suo reale ingresso, in vesti (più o meno) che non sono
esattamente quelle a cui siamo abituati tutti quanti. Tranquillo, forse
troppo, insieme all'unica persona, Mokuba, in grado di poter far
breccia nella muraglia di ghiaccio eretta intorno al suo cuore. Tenete
d'occhio il piccolo Kaiba: tornerà presto a far parlare di
sé.
Tenete d'occhio anche l'ombra menzionata, anche di quella si
parlerà presto. Provate ad indovinare chi è. Provate
anche ad indovinare il tatuaggio di Judai.
Progetto di lasciarvi il prossimo capitolo prima, questo perché
per la fine del mese di Marzo (periodo in cui sembro essermi assestata
con gli aggiornamenti) potrei essere altrove e non avere quindi tempo
materiale per aggiornare. Vedremo. Nel frattempo, se volete parlare con
me, potete farlo attraverso i classici canali! Recensione, MP, sulla
pagina Facebook, come volete! Io sono qui che vi aspetto!
92Rosaspina
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Capitolo 6 *** 6. Quando il gatto non c'è... ***
Pharaoh's Kingdom 6
6. Quando il gatto non c'è...
Gli amanti, quelli veri, non condividono un letto ma custodiscono un segreto.
Pablo Neruda
Come quell'enormi sfingi distese per
l'eternità in nobile posa nel deserto sabbio, essi scrutano il
nulla senza curiosità, calmi e saggi.
Charles Baudelaire
- Per come la vedo io, Atem, sta per sfondare il limite-
- Lo so-
- E cosa pensi di fare?-
- Gli risponderò alla mia maniera. Ma non subito-
- Oh?-
- Ha bisogno di sbollire un po'-
Mana annuì e non rispose, tornando a guardare la strada di
fronte a loro, la borsetta posata sulle gambe. La superstrada scorreva
veloce intorno a loro, mentre la Volvo S90 procedeva come su un
binario. Spostando lo sguardo sul display del computer di bordo, la
giovane individuò il nome del brano sinthwave che stavano
ascoltando.
Quel genere musicale piaceva davvero ad Atem: passava spesso anche per gli
altoparlanti del Pharaoh's Kingdom, quando non c'erano melodie
orientali o musica più commerciale remixata da Yuya.
- Sbollire, dici- disse poi la
giovane, voltandosi a guardarlo – Pensi che uno come Seto Kaiba
possa “sbollire” così facilmente? Facile che vada in
escandescenza per non ricevere nell'immediato una tua contromossa-
- La differenza, tra me e Kaiba,
è che io ho delle priorità. E la mia priorità
attuale è stare con te. Se poi so che al sapersi ignorato si
mette a pestare i piedi come i bambini, meglio per me. Lo trovo
mortalmente divertente-
Mana rise, nascondendo le labbra dietro il dorso della mano destra. Il
modo in cui ne parlava, così sciolto e serafico...sembrava
davvero che la faccenda non lo impensierisse per niente.
Lo conosceva abbastanza bene per sapere che quella che aveva messo su
era un'abile facciata. La situazione lo preoccupava, e a ragione: un
conto era farsi scherzi e giochi mentali tra loro, un altro era
coinvolgere direttamente la cittadinanza. L'articolo del quotidiano
parlava chiaro, menzionando crisi di panico generale e addirittura un
infarto. Non ci era scappato il morto, ma poco ci era mancato.
E forse era questo quello che Atem temeva: che per uno stupido gioco si ripetesse una tragedia.
- Ma è proprio necessario?- domandò Mana, senza smettere di osservarlo.
Atem non si voltò a guardarla, ma sapeva che i suoi occhi si
erano mossi nella sua direzione. Osservava imperturbabile la strada di
fronte a loro, entrambe le mani sul volante, concentrato sulla guida
eppure attento alle parole della compagna.
- Continuare il gioco, dici?- le chiese infatti.
Mana annuì, spostandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio
destro. Era un suo vezzo molto carino, Atem si ritrovava sempre a
sorridere quando lo faceva.
- Solo se nessuno si fa male senza
motivo- rispose poi, enigmatico come il suo solito – Non mi piace
coinvolgere gli innocenti in scherzi crudeli. E quello di ieri sera era
crudele abbastanza. Anche a me piace sperimentare con la mente umana,
ma ho una mia etica-
- Quindi...andrete avanti?-
- Certo. Ma come ti ho detto,
dovrà aspettare per avere qualcosa da me. Il tempo necessario
che io riporti l'assicella ad un livello accettabile-
La sua mano forte e sicura si chiuse delicatamente sulle candide dita
di Mana. La giovane abbassò lo sguardo e ricambiò la
stretta, un brivido che le percorreva la pelle.
- E poi sono con te. Seto Kaiba è fuori dal mio cervello, adesso-
- Oh ma dai, sono più importante perfino del tuo irriducibile nemico?-
- Non ci sono dubbi su questo-
Mana sorrise e portò la sua mano alle labbra, baciandone il
dorso. Atem sorrise, meno enigmatico, più sciolto e affettuoso.
Conoscerla era stata una delle sue più grandi fortune degli
ultimi anni. Quando tutti – e tutte- scappavano da lui,
spaventate dai suoi modi e dalle sue percezioni, per non parlare dei
suoi assurdi giochi mentali e della sua personalissima opinione su
alcuni esponenti del genere umano, lei era rimasta. Non si era tirata
indietro, non era corsa via spaventata, non era sparita dalla
circolazione: era rimasta lì per lui, affascinata da quella sua
mistica presenza e dal modo in cui affrontava il mondo e le sue
insidie.
Atem non avrebbe mai potuto esprimere, a parole, la piena gratitudine
che provava nei suoi confronti per la sua scelta: non era come Yugi,
suo fratello, o come qualsiasi altro membro della sua famiglia. Alla
stregua dei ragazzi del Pharaoh's Kingdom, lei aveva accettato ogni sua
sfaccettatura, da quella più strana a quella più
inquietante e assurda. Aveva guardato oltre l'orlo del baratro e aveva
accettato ciò che c'era sotto.
Solo per questo meritava tutta la sua riconoscenza.
E poi era un vero piacere stare con lei. Era così bella, con i
lunghi capelli biondi, scintillanti come oro che le colava sulle spalle
lungo tutta la schiena, e gli occhi verde smeraldo incastonati
nell'ovale del viso come pietre preziose in un gioiello...e anche nei
modi, sempre gentile e scherzosa, i gesti innocenti di una ragazza che,
per quanto involontariamente, facevano trasparire una malizia degna di
un diavolo: se pensava alle volte in cui Yugi aveva momentaneamente
perso l'uso della parola, a vederla chinarsi sul bancone con la
scollatura in fin troppa bella vista, salvo poi ritirarsi di colpo
quando si rendeva conto di apparire estremamente ambigua, doveva
lottare per non scoppiare a ridere. Era donna e consapevole del suo
fascino, eppure non ne aveva fatto necessariamente un'arma, e la cosa
lo aveva attratto fin dall'inizio, un po' come una calamita. E il suo
essere appassionata di esoterismi vari aveva aiutato la reciproca
comprensione e creazione del loro rapporto.
Stare con lei portava immediatamente una ventata di fresca allegria
nella giornata, e cacciava via tutte le sue preoccupazioni sulle
prossime mosse di Seto Kaiba. Chissà, forse avrebbe
autonomamente compreso di aver esagerato, per una volta.
Figurarsi. Era di Seto Kaiba che si parlava: aveva fatto della
spettacolarità il suo marchio di fabbrica e il suo tratto
distintivo, e il bello era che la gente lo adorava per questo, per quel
suo essere così vicino alla folla eppure così lontano,
irraggiungibile come il sole.
Avrà presto la mia risposta. Al momento non mi interessa.
Rallentò entrando nel traffico cittadino, facendo ritorno alla
sua abitazione. Mana aveva proposto di viaggiare insieme fino al porto,
ad osservare i traghetti salpare: ottima scusa per assaporare uno dei
suoi gelati alla frutta preferiti. L'aveva a lungo osservata mentre
accarezzava cagnolini al guinzaglio e scrutava i gabbiani che volavano
in cielo, bella e graziosa nel suo vestito indaco e gli stivaletti, il
collo impreziosito da un pentacolo in argento che lui stesso le aveva
donato tempo prima. Più tardi, quella sera, l'avrebbe portata al
Pharaoh's Kingdom, se avesse voluto.
Per il momento, voleva esaudire il suo desiderio e portarla nel suo regno.
Posteggiata l'auto in garage, e saliti sul suo attico, Mana era entrata
trotterellando – letteralmente- nell'ampio salone, piroettando su
un piede e guardandosi intorno. L'appartamento che Atem condivideva col
fratello era emblema della sua persona: impeccabile senza essere troppo
rigido, e formale quanto bastava per guadagnarsi rispetto e
ammirazione. Il parquet chiaro del pavimento era coperto da un paio di
tappeti ecrù monocromatici, su cui risaltavano i divani e le
poltroncine neri. Il grosso schermo al muro sembrava uno specchio, ora
che era spento, e le pareti di vetro garantivano una perenne
illuminazione della stanza, oltre che a una vista completa di gran
parte di Nuova Domino. Semplice ma d'effetto, a Mana era sempre
piaciuta.
Avanzò verso il pianoforte a coda mentre Atem chiudeva la porta
alle sue spalle con uno scatto secco. La giovane pigiò qualche
tasto a caso: le note vibrarono tra le pareti a lungo, con un riverbero
perfetto. Yugi suonava il pianoforte da molto tempo, e a quel che aveva
capito era anche piuttosto bravo; non si era mai applicato con
dedizione frequentando rinomate scuole di musica perché, sue
testuali parole, “per me è solo un passatempo, non una
questione di vita o morte”, ma da quando il fratello maggiore gli
aveva fatto dono di quel meraviglioso pianoforte sembrava che suonasse
molto più spesso.
Mana, invece, sapeva cos'era un pianoforte solo perché lo aveva
visto mille volte sulle foto di diversi testi, ma non era capace di
creare un accordo neanche volendo. Chissà, magari applicandosi
avrebbe imparato, ma non era realmente interessata. Trovava più
divertente strimpellare quello strumento a casaccio, e lo fece
finché Atem non le posò entrambe le mani sulle spalle
lasciate nude dal vestito. Di nuovo un caldo brivido le scosse la
schiena, a sentire il suo calore sulla pelle.
- Vuoi restare qui a strimpellare o vieni di là?-
Domanda retorica alla quale non era necessario rispondere. Mana sorrise
e alzò gli occhi, solo per specchiarsi nelle iridi ametista che
la osservavano dall'alto, e sentirsi morire a vedere quel bel sorriso
ornargli le labbra. La sua mano sinistra risalì leggermente il
collo, sfiorandolo con la punta delle dita, lieve come la carezza di un
dio.
Si alzò dal pianoforte solo per tuffarsi dritta tra le sue
braccia, trovando le sue labbra alla cieca e impadronendosene quasi
subito; profumava di dolce e fresco, e quando Atem insinuò le
dita tra i capelli biondi gioì della loro morbidezza.
La guidò con la sua solita sicurezza attraverso il corridoio
fino alla sua stanza, lasciandola solo per chiudere anche quella porta,
eclissando tutto il resto del mondo all'esterno. Mana volle subito
ricordarsi della morbidezza del letto, sedendocisi sopra con un balzo e
molleggiando su e giù come una bambina. Anche la sua camera da
letto rifletteva la stessa personalità del resto della casa:
impeccabile, tirata a lucido dalle sapienti mani di chissà quale
governante. E adorava quelle vetrate che sostituivano le pareti: di
notte proiettavano un magnifico spettacolo di luci e forme, con la
città illuminata.
Osservò Atem mentre si inginocchiava e le sfilava gli stivaletti
dai piedi, posandoli ordinatamente a poca distanza. Non avrebbe mai
fatto completamente l'abitudine a quel gesto, lui che considerava un re
le si inginocchiava di fronte per aiutarla a rivelarsi. Lo aveva sempre
fatto lui, non c'era stata una sola volta in cui fosse stata lei stessa
a spogliarsi di fronte ai suoi occhi; le aveva confessato essere uno
dei suoi piaceri segreti, il liberarla strato dopo strato dai suoi
abiti.
La rimise in piedi, Mana mosse lievemente le dita delle piante a
contatto con il pavimento, inarcò lievemente la schiena quando
avverti la sua mano abbassare lentamente la cerniera dell'abito e
lasciarlo scivolare a terra in un'unica onda indaco. I suoi occhi
ametista tracciarono scie di fuoco sulla sua pelle, sentiva il suo
sguardo addosso mentre lei slacciava i bottoni della camicia uno a uno,
facendogliela scivolare via dalle spalle per poi sfiorargli le braccia
compatte e il petto sodo, decorarglielo con invisibili circoli
tracciati in punta di dita. I modi di fare di un re e il corpo di un
dio, perfetto in ogni sua proporzione, dai muscoli che premevano sotto
la pelle, dando un'impressione di agilità piuttosto che
imponenza, agli spigoli tracciati dalle linee sul ventre che guidavano
lo sguardo ben oltre quello che non era ancora stato rivelato.
Non erano soliti parlare in quei momenti, consci che ogni parola
sarebbe stata vana, persi com'erano nell'esplorazione reciproca dei
loro corpi: ogni bacio, ogni carezza parlava per loro, un linguaggio
segreto che solo loro sapevano interpretare. Entrambi distesi tra le
coltri, presto privi di ogni indumento, Atem tracciò un rovente
sentiero sul corpo della ragazza, dal collo fino al seno, tastandone la
consistenza con le dita, serrandolo tra le mani e facendola tendere
come la corda di un violino. Quando i suoi denti si chiusero sopra la
loro pelle soffice, Mana lasciò andare un delizioso gemito
troppo a lungo trattenuto.
Fare l'amore con Mana la prima volta era stato appagante come poche.
Unirsi completamente a quella che ormai considerava una compagna di
vita, sempre a lui vicina in qualsiasi momento, era la quadratura di un
cerchio perfetto. Bella e innocente com'era, Atem era stato il primo
uomo che la giovane avesse amato davvero e con quella intensità;
il Faraone era stato il primo ad ammirarla nella semplicità del
suo corpo nudo e a liberarla dalla sua innocenza. E nessuno dei due
sembrava desideroso di trovarsi tra le braccia di un'altra persona.
Sempre più impaziente, Mana gli chiuse il labbro inferiore tra i
denti quando Atem fuggì da un suo bacio, salvo poi chiudere gli
occhi e annullarsi nel percorso tracciato dalle sue labbra, dalla gola
al seno che tanto aveva accarezzato poco prima. Mordere, baciare,
stringere tra i denti i capezzoli era diventato parte di un rituale
conosciuto a entrambi, e che nonostante tutto continuava a riservare
brividi e carezze. Mana era ormai persa in un dolce oblio che la
cullava avanti e indietro, e le sue mani accompagnavano quel dondolio
accarezzandola ovunque riuscissero a raggiungerla. Seno, ventre, gambe,
fianchi, labbra, nessun centimetro di pelle venne trascurato da quelle
carezze.
Le mani della giovane affondarono tra i suoi capelli, lui sfuggì
alla loro presa per serrare tra i denti la soffice pelle del ventre,
facendola sobbalzare. Quando sentì la sua mano scivolare in
basso e insinuarsi tra le gambe, esplorarla in profondità, le
dita di Mana si serrarono contro il cuscino che la sosteneva, e quando
fu la sua bocca a sfiorare il suo centro ringraziò di trovarsi
in un attico sospeso a centinaia di metri di altezza dalla strada. La
sua bocca si schiuse in un grido, e nel caos del sangue che le
ribolliva nelle orecchie giurò di averlo sentito soffiare una
lieve risata.
Stava sorridendo, lo sapeva. Lo sentiva contro l'interno delle sue
gambe, lo percepiva contro la sua intimità sempre più
desiderosa: le sue labbra erano piegate in un sorriso tra il sornione e
il soddisfatto, quello che gli curvava le labbra quando si compiaceva
di qualcosa. E sentiva i suoi occhi addosso, osservarla mentre
sprofondava tra le lenzuola cercando appiglio su di esse come se stesse
per affogare.
Si sollevò da lei solo quando arrivò al limite e lo
infranse senza più freni inibitori. Nella cecità del
momento, la vista annebbiata dal piacere e dall'eccitazione,
percepì le sue labbra posarle un bacio sulla fronte liberata dai
capelli d'oro, e un cassetto cigolare all'apertura.
La presa di posizione di Mana lo sorprese piacevolmente: la ragazza si
sollevò di scatto e lo costrinse a ribaltare le posizioni,
inchiodandolo al materasso. Di nuovo le sfoderò quell'ampio
sorriso, a vederla a cavalcioni sul suo corpo, quel sorriso vittorioso
che sapeva scatenare in lei quel lato nascosto che lo sorprendeva ogni
volta. Con un veloce gesto la giovane gli sfilò la bustina dalle
dita.
- Faccio io- gli sibilò, il fiato ancora corto, aprendo la confezione.
- Come vuoi, mia dolce maga-
Non gli rispose neanche, ma non ce n'era bisogno. Era così
carina vederla con quel broncetto...e le sue mani erano deliziose. Un
gemito gli sfuggì dalle labbra quando le dita lo sfiorarono, ma
quando lei gli montò sopra e scivolò sulla sua
virilità, fu come lasciare che una colata di lava lo
incendiasse. Le mani di Atem corsero sui seni, stringendoli fino a
farla gemere inarcarsi, gli occhi chiusi e la pelle candida del collo
in bella vista. In preda ad una frenesia che le aveva visto poche
volte, Mana serrò subito il ritmo, e lui lasciò che lo
guidasse inizialmente senza opporre resistenza, beandosi della vista di
quel corpo perso nel piacere.
Quando decise di prendere in mano lo scettro del comando, Mana
sembrò sprofondare in un vortice. Lasciandosi capovolgere sul
materasso, si aggrappò alle sue forti braccia e lo serrò
con le gambe, la vista annebbiata e i contorni di ogni cosa sfocati.
L'unica cosa che riusciva a distinguere, nella soffusa luce del sole,
era il suo bel volto, e le labbra piegate in un sorriso pieno d'amore.
****
- BUUUUUCA! Ahahah! Yugi, visto che colpo magistrale?-
- Sì Yuya, ho visto-
- No che hai visto, come facevi a
vedere se avevi gli occhi sul telefonino?! Aspetta un secondo che te lo
rimostro!-
- Accidenti a me! Yuma, dove hai
ficcato il kit del cucito ieri sera? Devo fare un rattoppo urgente!-
- Al suo solito posto, Jud!-
- E al suo solito posto non c'è!-
- E allora avrà messo i piedi o che ne so io!-
- Eddai Yu dammi una mano! Ho rotto i bottoni ai polsini della camicia!-
- Continua ad infilartela a
polsini chiusi, mi raccomando! Ehi, ma qualcuno sa se posso attaccare
questa spina qui?-
La sala piombò nel buio nell'esatto momento in cui Aki fece il
suo ingresso: solo la luce d'emergenza, posta sull'ingresso della sala
da biliardo, era rimasta ad illuminare l'ambiente. In contemporanea, Yusei
era uscito dai camerini, trovandosi l'apocalittica immagine dell'intera
sala principale del Pharaoh's Kingdom al buio, Judai che girava con un
polsino rotto, Yugi seduto sullo stesso divano su cui Yuya, in piedi
sullo schienale, giocava a golf improvvisando con un ombrello dal
manico ricurvo, un tappo di sughero e una tazza, e Yuma litigava
pesantemente con le prese elettriche.
- No, ALLORA!- esclamò il
barman, facendo battere le mani tra di loro – Tu, tu, tu, e TU!
Vai a sistemarti la camicia, schioda gli occhi dal cellulare e vieni a
darmi una mano a scaricare, sistema 'ste luci e poi vai a cambiarti e
SCENDI CON I PIEDI DALLA POLTRONA! Non mettertici anche tu!-
- Oh andiamo! Ho tolto le scarpe!-
ribatté Yuya, ancora in piedi sullo schienale e con l'ombrello
in mano.
- Non mi interessa! Ci si devono sedere i clienti lì! SCENDI!-
Non fu necessario un terzo ordine. Chiuso il cellulare, Yugi si
alzò di scatto dalla poltroncina bianca, creando il disastro:
ancora in bilico sullo schienale, il peso di Yuya ribaltò la
seduta e il ragazzo si esibì in un comico tentativo di
equilibrismo prima di cappottare rovinosamente a terra. Yusei si
portò le mani tra i capelli, costernato.
- Vi prego, vi voglio bene, non
posso fare la bambinaia! Siete grandi grossi e vaccinati,
autogestitevi!-
- Così va bene?!-
E di nuovo fu luce in tutta la sala. Yuma si rialzò da terra,
portando con sé il piccolo portatile alla ricerca di una nuova
presa di corrente, mentre Yusei lo osservava sospettoso.
- Mi dici che cavolo stai cercando di fare?!- gli domandò poi, serio in volto.
- Ma niente, volevo mettere un po'
di musica che avevo sul portatile! Ma non riesco a trovare un buon
posto dove collegarlo!-
- Oh cielo Yuma...nella sala da
biliardo, sul soppalco, c'è l'intero impianto stereo con
quindici adattatori! Mettilo lì e pace!-
- Ooookay!-
Gli occhi di Aki rimbalzarono da Yuma che trotterellava nella sala da
biliardo, a Yuya che si alzava velocemente da terra, a finalmente Yusei
che sembrava già voler tornarsene a casa. Judai era sparito
qualche attimo prima, alla ricerca del kit da cucito, mentre Yugi si
stava scusando con l'acrobatico barman mentre questi si infilava di
nuovo le scarpe. La rossa strinse il manico della borsetta, incerta su
cosa dire.
- ...c'è un motivo per
tutta quest'euforia generale?- domandò poi lei, scrutandoli
curiosa.
- Ce n'è più di
uno!- rispose Yuya, alzando le braccia al cielo in segno di trionfo
– Questa sera ci sarà anche Yuzu!-
- Ecco perché sei
così agitato...- notò Yugi, le braccia conserte al petto.
- E il secondo motivo?- domandò ancora Aki.
- Che siamo soli!-
- Soli?!-
- Atem si è preso un giorno
di riposo- spiegò allora Yusei, terminando di arrotolarsi le
maniche della camicia – La serata andrà avanti come tutte
le altre, anche se stasera non sono previste esibizioni di sorta e
siamo senza il capo. Ci sarà gente, ma non come nei fine
settimana: tu e Yugi dovreste riuscire a gestire bene la situazione-
- Oh, va bene-
Questo voleva dire che non avrebbe lavorato a stretto contatto con
Yusei quella sera. Ne era quasi dispiaciuta: si trovava bene ad
armeggiare bicchieri dietro il bancone, e la sua vicinanza era un
valore aggiunto.
Con sua somma sorpresa, constatò che non era affatto a disagio
al doverlo incontrare di nuovo dopo la sera precedente. Avevano parlato
a lungo, si era anche divertita: Yusei aveva dimostrato di avere una
bella testa pensante sul collo, ed era anche in grado di esprimersi
correttamente senza strafalcioni grammaticali...poteva chiedere altro
da un uomo? Dove era stato nascosto fino ad ora?
Tuttavia, non gli aveva ancora chiesto nulla riguardo al misterioso
segno dorato che gli percorreva il viso. Le parole di Yugi e Yuya le
davano da pensare, e forse il giovane non avrebbe reagito bene a sapere
che lei era incuriosita da quella sua caratteristica. Non voleva
rovinare quella bella intesa che si stava costruendo solo per una sua
curiosità scema: aveva quindi preferito il silenzio, e
l'inevitabilità di perdersi nei suoi profondi occhi blu.
Ormai non temeva più neanche di essere vista come strana o
eccessivamente sognante al riguardo: Yusei cominciava a piacerle, e non
c'era altra spiegazione. E le piaceva con quell'intensità
crescente che sbocciava come un fiore: erano forse i suoi sguardi
eloquenti, i suoi modi di fare o di pensare, ma la stava lentamente
rincitrullendo come la più patetica delle protagoniste delle
storie d'amore che tanto piacevano a sua madre.
- Aspetta un secondo- fece poi
Aki, realizzando solo ora il significato delle parole del moro - Atem
riposa questa sera, giusto? E chi farà le sue veci?-
- Occupa lo stesso spazio che
occupo io- rispose Yusei, con un mezzo sorriso che gli alzava appena
l'angolo destro delle labbra.
- Oh davvero? Dev'essere davvero piccolo, perché lo copri tutto tu!-
Il boato di risate che scosse Yuya e Yugi rischiò di trascinare
anche lei, alla vista dello sguardo stupito di Yusei che
boccheggiò come un pesce fuori d'acqua, quasi a voler
rispondere, senza tuttavia riuscire a spiccicare parola. Si
limitò poi a sorriderle in sfida, alzando un sopracciglio:
sembrava davvero divertito.
- Aaah, ecco che la rosa sta
mettendo su le sue spine, eh?- disse poi, la voce resa ad arte roca e
bassa.
Perfetto. Davvero perfetto, ci voleva solo quel basso timbro vocale per
dare il colpo di grazia ai suoi sentimenti già compromessi. Aki
non si scompose, ma fu costretta a dare fondo a tutte le sue energie
per non capitolare ed abbandonarsi a qualche sua mistica visione di
Yusei.
- Beh, come hai visto ci provo, a far rigare dritto queste bestie...-
riprese il barman, scoccando un'occhiata di traverso a Yuya che era
saltato a sedere su una poltrona – Ma senza successo. La colpa
è anche
mia credo, non mi impegno davvero a farlo...in fondo è uno dei
pochi giorni in cui abbiamo più o meno carta bianca-
- Pensavo che Atem vi lasciasse
carta bianca a prescindere- notò Aki, arrotolandosi una ciocca
scarlatta intorno all'indice sinistro.
- Sì, in effetti è
così, ma sai com'è...quello ha occhi e orecchie
dappertutto. Fai una cosa, e sta' pur certa che lui lo saprà.
Non so come faccia a volte-
- Davvero! È quasi
inquietante- affermò Yuma, sopraggiunto in quel momento e
vestito di tutto punto per la sua attività – Come se
avesse un sesto senso! O un terzo occhio, o che ne so-
- Però, quando lui non
c'è ci si diverte di più ovvio!- esclamò Judai,
con i polsini della camicia a posto – Ed è anche uno dei
motivi per cui spostiamo volentieri il riposo, quando sappiamo che lui
non c'è!-
- Della serie, via il gatto e i topi ballano?-
- Esatto!-
- Potrebbe ugualmente passare
più tardi- buttò lì Yugi, passandosi una mano sul
collo – Mi ha accennato a questa possibilità. Ma molto sul
tardi-
- Molto sul tardi vuol dire?- domandò Yuya.
- Che non sarà di sicuro ora. So che doveva vedersi con Mana-
- Oooh...interessante...-
- Yuya, la tua faccia non mi piace-
Non piaceva davvero, e non perché fosse inquietante o cosa: il
giovane aveva affilato le iridi diverse e sfoderato un ampio sorriso
tipico di chi stava facendo due più due. Aki si lasciò
sfuggire un sorriso: l'espressività di quel ragazzo era davvero
divertente.
- Allora potremo tranquillamente
aspettarlo domani sera- concluse Yuya, facendo spallucce con un gesto
soddisfatto – Ha altro a cui pensare adesso-
- Allora questa storia che se la
fa con Mana è vera?!- domandò Yuma, perplesso.
- Ma ceeeeerto che se la fa con Mana! Secondo te che motivo avrebbero, quei due, di starsi così dietro?!-
- Perdonate la mia ignoranza...-
esordì Aki, alzando una mano – Ma chi è Mana?-
- Una cara amica di Atem- rispose Yuma.
- Amica speciale- approfondì Yuya.
- Sì beh, escono spesso
insieme, e da quello che so c'è più di semplice amicizia
tra loro ma non so come definirla...-
- Tu fai sesso con la tua migliore amica, Yuma?-
Fu un lampo: Yuma scattò sul posto ad occhi spalancati, avesse
Yuya rifilatogli uno sganassone sul naso la reazione sarebbe stata la
stessa. Aki non seppe dire cosa attraversò il cervello del
ragazzo, in quel momento, ma sicuramente non era qualcosa di
esprimibile in quella sede senza apparire un depravato.
- N-nooo?!- rispose poi il barman, la gola secca.
- Ecco appunto. Per questo dico che non è una semplice “migliore amica”-
- Non capisco- soffiò
Judai, le braccia conserte al petto – Un uomo può
tranquillamente avere una migliore amica e basta no?! Insomma, io ho
avuto tante relazioni, ma Alexis è sempre stata la mia migliore
amica! Non vuol dire questo?-
Le reazioni dei restanti componenti della crew furono più che
prevedibili: Yusei gli rifilò un'occhiataccia da stenderlo sul
posto, Yuma preferì invece allontanarsi, imitato da Yugi, ma
poco ci mancò che Yuya cavasse fuori dalla tasca una gigantesca
freccia lampeggiante con su scritto “CRETINO”. Judai si
guardò intorno, esasperato, prima di posare gli occhi proprio su
Aki.
- Eh? Aki tu che dici?- le
domandò poi – Tu sei la migliore amica di Yusei giusto?!-
- ...vado a cambiarmi- rispose la
rossa, allontanandosi velocemente dal trio rimasto e imboccando la
porta dei camerini.
Furono proprio loro tre, Yusei, Judai e Yuya, a guardarsi a vicenda e incrociare le braccia al petto quasi contemporaneamente.
- Ma che ho detto di male?- domandò allora il castano, con aria innocente.
- Detto, fatto...Judai,
meriteresti un cazzotto in faccia, giuro- borbottò Yusei,
picchiettandogli la fronte con le dita della mano sinistra.
- Ma potrei sapere il perché, di grazia?!-
- Ecco il perché!-
esclamò Yuya – Perché continui a recitare la parte
di quello che casca dal pero ogni volta!-
- ...Per caso centra Alexis?-
- Continua, sei sulla buona
strada...!- lo incalzò Yusei, le mani giunte di fronte al suo
volto in segno di preghiera.
- Sul serio, tutta quest'ansia di
vedermi accoppiato con lei da dove viene? Siamo ottimi amici dai tempi
della scuola, abbiamo entrambi le nostre vite e--
- E lei vorrebbe averti nella sua!
Ma diavolo, è davvero così difficile per te capirlo?!-
- Me? Lei vorrebbe avere ME nella
SUA vita?! Yusei ma sul serio, ti senti quando parli?! Una come lei con
uno squinternato come me? Ma sei serio o cosa?!-
- Peccato che la signorina sia innamorata di un certo squinternato!-
- Naaaah, ti stai sbagliando!-
- Continua a raccontarti belle
favolette, Jud. Fai il cretino con gli occhi bendati, ma io SO che hai
capito qualcosa. DEVI averlo capito, non puoi essere davvero
così tordo...!-
- Beh, allora mi spiace deluderti,
Yusei, ma devo davvero esserlo, perché io non ci trovo niente di
strano nell'amicizia tra me e Alexis-
- ...Io non dico più niente-
Alzando le mani in segno di resa, Yusei si allontanò dai due,
richiamando Yugi e imboccando una delle uscite secondarie per andare a
completare le operazioni di carico e scarico.
C'erano delle volte in cui Judai sembrava davvero implorargli un pugno,
o comunque di subire qualsiasi tipo di danno fisico. Ed era un peccato,
perché era davvero un ragazzo d'oro, responsabile e accorto come
pochi della sua giovane età...eppure aveva spesso delle uscite
che gli facevano accapponare la pelle dallo sdegno.
Che Alexis morisse per lui era chiaro perfino alle poltrone del
Pharaoh's Kingdom. Se n'era accorta anche Aki, che era con loro a
malapena da cinque giorni...! E l'unico che invece non si rendeva conto
dell'evidenza dei fatti era proprio il diretto interessato, questo
nonostante fosse il primo disposto a gettarsi in mezzo alle fiamme se
questo avrebbe determinato la salvezza della ragazza.
Ah, e poi il modo in cui aveva indicato Aki...il bue che dava del
cornuto all'asino, proprio. Tra lui e Aki non c'era proprio niente,
solo un'amicizia nata per caso e che, sempre casualmente, si stava
consolidando perché era così che succedeva quando due
persone si trovavano bene a lavorare insieme, no? Dover lavorare a
stretto contatto con persone diverse ti metteva in condizioni di
trovare delle affinità sulla quale basare il rapporto, no? Era
anche nel reciproco interesse di una pacifica e duratura convivenza.
Certo, si era reso conto degli sguardi che spesso Aki gli lanciava. E
se proprio doveva dirla tutta, la trovava anche tenera, quando si
perdeva in quegli attimi di silenzio e chissà quali pensieri:
era un vezzo così tipicamente femminile, eppure l'aveva
incontrato davvero in poche ragazze della sua vita.
Forse era l'aria del Satellite che forgiava caratteri molto più stoici e meno svenevoli, anche e soprattutto nelle donne.
E doveva ammettere di trovarla anche...non carina, davvero bella con
quei suoi atteggiamenti tipicamente femminili. Aveva una bella testa
sul collo e ragionava andando oltre ai pregiudizi e agli stereotipi,
forse perché era stata la prima ad esserne vittima
probabilmente; era indipendente e determinata, e salvo qualche
scemenza, come il dover ricucire un bottone, riusciva a cavarsela
tranquillamente da sola nelle più disparate situazioni. Tutti
valori aggiunti a quella che era già una bella ragazza, con il
viso di una dama d'altri tempi, i capelli di fiamma e un corpo che
avrebbe fatto invidia alle casalinghe disperate. E per lui non c'era
alcun problema ad ammettere che sì, Aki gli piaceva come persona.
Magari non così direttamente di fronte alla diretta interessata.
- Yusei, tutto bene?-
- Ah?-
- Stai prendendo quella scatola a calci-
Il giovane imprecò tra i denti, chinandosi e sollevando la scatola tra le braccia.
Aki risalì dai camerini nell'esatto momento in cui Yuya
tornò con i piedi sulla poltroncina, l'ombrello ancora in mano e
la sinistra tesa orizzontalmente sulla fronte, quasi a voler schermarsi da
un invisibile sole per vedere meglio in lontananza. Forse era per lo
stesso motivo che si era abbassato gli occhialetti? Chissà, ma
sembrava che i remix diffusi dagli altoparlanti avessero su di lui
qualche misterioso effetto: non era esattamente un tipo tranquillo, ma
a ritmo di musica diventava davvero impossibile mettere freno alla sua
energia e alle sue pagliacciate. Aki si grattò una guancia
confusa, non comprendendo a cosa fosse dovuta la particolare posizione
di Yuya in quel momento.
Ebbe la risposta quando la porta di vetro glissò dolcemente,
suscitando un estasiato grido di gioia da parte del barman acrobatico.
Yuya saltò velocemente giù dalla poltroncina, e corse a
grandi falcate verso la ragazza che aveva fatto capolino nella sala: la
rossa si lasciò sfuggire un grido di sorpresa quando, a qualche
metro da lei, il ragazzo spiccò un balzo e le saltò
letteralmente addosso, e fu solo per un miracolo divino che non
finirono entrambi lunghi distesi a terra. Dietro la giovane attaccata
da Yuya, Anzu era scattata indietro, forse per non essere travolta a
sua volta.
Se non fosse bastata la chioma di un'improbabile rosa acceso, ci
pensò Yuya a fugarle ogni sospetto. Il giovane barman chiuse le
mani a coppa sul suo volto e le regalò un lungo bacio sulle
labbra, presto ricambiato dalla ragazza che incrociò le sue
braccia al collo. Aki rimase momentaneamente interdetta, Anzu stessa li
sorpassò con un sorriso impacciato.
- Giovinastri- disse poi, facendole l'occhiolino e scoppiando a ridere insieme a lei.
Aveva parlato poco con Anzu, ma aveva subito concluso fosse davvero una
ragazza carina e molto piacevole da avere accanto: con i suoi modi
garbati e la sua positività, non c'era da stupirsi se Yugi se
n'era invaghito tanto, piuttosto da chiedersi perché non si era
ancora fatto avanti, considerando che lei sembrava anche ricambiare
quel sentimento. Possibile che gli uomini del Pharaoh's Kingdom
perdessero la propria iniziativa di fronte alle donne? Escludendo
ovviamente Yuya e Atem.
- Come mai tutta sola oggi?- domandò Anzu, scambiando un paio di baci sulle guance.
- Sono semplicemente da qualche
altra parte- rispose Aki, con un sorriso – Yugi è con
Yusei, sta scaricando-
- Aaaah, ecco perché non lo
vedevo...oh insomma!- esclamò poi, in direzione della coppietta
– Prendetevi una stanza se siete proprio così
benintenzionati!-
- Nessuna stanza! Ne riparleremo
quando torneremo al mio appartamento...- rispose Yuya, terminando di
far volteggiare la ragazza e facendole toccare piede a terra –
Yuzu, vieni qui! Voglio presentarti un paio di persone! O meglio solo
una, Anzu la conosci già!-
E così ecco la giovane fidanzata di Yuya, la ragazza che nello
sfondo del suo cellulare sorrideva con una felicità difficile da
contenere: Yuzu scambiò una stretta di mano con lei,
sorridendole ampiamente e accarezzandola con le dita delle sue, snelle
e raffinate. Forse la vista la ingannava, ma sembrava superare Yuya di
qualche centimetro appena: magari erano i tacchetti delle scarpe? Aveva
due occhi azzurri che brillavano di gioia, e quei capelli rosa
impossibili da non notare erano legati in due voluminosi codini ai lati
della testa: erano davvero belli da vedere insieme, con le chiome
così colorate tutti e due.
- Yuzu ha appena terminato una
sessione di esami piuttosto difficile, e passerà un po' di tempo
qui con noi prima di ricominciare le lezioni!- esclamò Yuya,
stringendosela a sé con un braccio – Per un po' potremo
abbandonare telefoni e conversazioni in webcam!-
- Ho lasciato le valigie nell'auto
di Anzu- disse la giovane, la voce chiara e limpida – Pensi che
potremmo...-
- Già metterle in auto? Certo! YUMA! Guarda un po' chi c'è!-
- Ehi ehi, che diavolo hai da strillare?! Oh per tutti i...!-
Istintivamente, Aki si ritrovò a pensare che quella povera
ragazza doveva essere abituata a quelle reazioni, perché la vide
distintamente cambiare posizione per accogliere al meglio il secondo
salto della serata: Yuma la strinse in una forte presa a mo' di orso,
facendosi sfuggire degli urletti che non avevano molto di virile.
Si conoscevano tutti e tre, a quanto pareva, e da molto tempo a
giudicare dalla confidenza che li animava, e stando alla foga con cui
si erano riuniti doveva essere anche da molto tempo che non si
rincontravano. Aki li osservò con un sorriso sul volto come una
sorella maggiore che guardava i suoi fratellini giocare.
- Ah ecco perché tutto questo trambusto-
A parlare era stato Yusei, alle sue spalle. La rossa trasalì e
si voltò di scatto, osservando il ragazzo farsi avanti insieme a
Yugi. Dovevano aver terminato presto di scaricare: in due si lavorava
meglio e più velocemente, e non sembravano eccessivamente
affaticati. Yugi corse immediatamente da Anzu mentre Yusei trovava
subito posto dietro il bancone, a fissarlo contrariato.
- Voglio dire...- sibilò
poi, scuotendo il capo – Perfino Yuya, ragazzi...e quei due non
sanno che pesci pigliare. Yugi temporeggia, e quell'altro non riesce a
vedere ad un palmo dal suo naso. Senza speranza, davvero...-
- Ehi, che hai da borbottare?- gli
domandò la rossa, sorridendogli mentre si avvicinava al bancone, posando i gomiti su
di esso e osservandolo incuriosita – Dagli del tempo, magari devono trovare un po' di
coraggio-
- Di tempo ne hanno avuto fin
troppo. Devono svegliarsi adesso o rischieranno di restare fregati-
- Cosa intendi?-
- ...Mettiamola così: cosa
faresti, se il ragazzo di cui sei perdutamente innamorata ti ignorasse?
Non notasse tutti i segnali che gli lanci e non capisse quello che
provi realmente? Anzi, per dirla alla maniera di Judai, ti vedesse solo
come una migliore amica?-
- ...Oh. Beh...-
Domanda difficile quella. Anche perché non riusciva a pensare a
nessun altro ragazzo, in quel momento, che non fosse Yusei.
Che cosa avrebbe fatto? In un'ipotetica dimensione in cui lei fosse
stata realmente invaghita del barman, e lui non avesse recepito i suoi
segnali, come avrebbe reagito?
- Io non mollerei- rispose poi,
torcendosi le mani – Insomma, che senso ha cercare conforto in
una persona diversa da quella che vuoi davvero avere al tuo fianco?-
- ...Oh-
Sembrava alquanto...sorpreso?, da quella risposta. Forse non se l'aspettava.
- Immaginavo- disse poi, facendo
spallucce – Forse è perché voi ragazze avete una
visione del tutto romantica delle cose-
- Ne parli come se fosse una colpa-
- Una colpa proprio no, quanto una sciocchezza-
- Tu cosa faresti allora? Se una ragazza respingesse le tue...avances?-
Come se fosse fisicamente possibile...era di Yusei che stava parlando,
quello era capace di mandare in fibrillazione anche Mai Kujaku.
- Di sicuro non risolverei le cose
continuando a tormentarla e magari appostandomi sotto casa sua o
facendo quelle cose da maniaci. Per cui sì, penso che
rispetterei la sua idea e la lascerei stare-
- Mh, e poi? Cercheresti conforto tra le gambe di un'altra?-
- Non metterla come una cosa puramente orientata verso il sesso, Aki-
- E perché non dovrei? Alla fine, gira tutto intorno a quello-
- Vero anche questo, ma non c'è solo quello-
- Saresti il primo, che conosco, a pensarla così-
- Aki, non so sinceramente con quali uomini tu abbia avuto a che fare fino ad ora ma--
- Con nessun uomo degno di questo
nome. Qualche fidanzato, certo, che scappava subito via. Non
sono...abbastanza disinibita e...aperta-
Yusei alzò lo sguardo e la osservò intensamente.
Non aveva capito quello che pensava, vero?
- Ti dà fastidio?- le chiese il giovane – Parlarne intendo-
- No! Perché dovrebbe?-
- Perché ti sei rabbuiata
di colpo. E perché la stai prendendo troppo sul serio, la mia
era solo una domanda-
Aki fece per rispondere, poi scosse il capo e si portò una mano
alla fronte, conscia del fatto che parlare non sarebbe servito a molto.
Era solo una domanda, era vero, ma per qualche motivo quella domanda
l'aveva gettata in uno stato di confusione e panico. L'idea che qualche
suo comportamento venisse travisato la inquietava, soprattutto
perché sapeva di star comportandosi in maniera strana da un po'
di tempo.
Esattamente da quando aveva messo piede al Pharaoh's Kingdom.
E l'idea che Yusei potesse aver capito qualcosa la terrorizzava, non
trovava altro modo in cui spiegarlo. Poche volte aveva provato reale
attrazione per un uomo, e mai con quell'intensità che cresceva a
ritmo esponenziale. Perché poi? Quel ragazzo non aveva fatto
assolutamente niente per ridurla a quel punto...salvo trattarla con
gentilezza tutto il tempo, forse. Ma anche gli altri erano gentili con
lei, Yugi primo tra tutti, e poi anche Judai, che le offriva sempre
dolcetti e le mandava messaggi del buongiorno e della buonanotte. E
Yuma che, qualche sera prima, le aveva insegnato come far girare uno
shaker tra le mani senza farlo cadere a terra ogni volta. E Yuya con la
quale aveva condiviso un discorso insospettabilmente serio e profondo.
Per non parlare di Atem, che si curava così tanto del suo stato
di salute ogni volta.
Cos'aveva fatto, Yusei, di diverso? Okay, le aveva mostrato le chiappe,
e allora? Non era un gesto voluto, era solo nel bel mezzo di una sfida
idiota. E okay, le aveva rifilato quel bacio a stampo che faceva sempre
parte di quella sfida. Assolutamente niente che avrebbe potuto rapirla
in qualche modo, anzi: inizialmente aveva trovato la cosa anche strana,
al limite dell'assurdo.
Qualunque cosa le avesse fatto Yusei, era la stessa che l'aveva fatta
rabbuiare a sapere di dover girare per i tavoli, quella sera, e non
stargli accanto.
- Aki? Tu che ne pensi?-
- Eh?!-
Così persa nei suoi pensieri, non si era affatto resa conto che
Yusei le aveva probabilmente chiesto qualcosa. La rossa si
guardò intorno sperduta, cercando qualcosa al quale aggrapparsi.
Una tenda, uno specchio, qualsiasi cosa l'avrebbe aiutata a sfuggire da
quell'ennesima, potenziale gaffe. Il ragazzo si morse il labbro
inferiore, incerto, prima di avanzare un bicchiere collins ripieno di
analcolico alla fragola.
- Tieni, nel frattempo. Mi sembri
un po' giù di morale- le disse poi, con un lieve sorriso.
- Eh? Ah...grazie-
Fantastico. Davvero fantastico. Ma
dico perché, perché non mi sono chiusa viva in casa, a
circondarmi di gatti e biscotti?!
- Che ne pensi? Dicevo di Yuya e Yuzu-
Aki fece spallucce, stringendo con una mano il bicchiere e portando la
cannuccia alle labbra; il colorato trio era momentaneamente uscito
dalla sala, a sistemare i bagagli della ragazza nell'auto di Yuma.
- Sono molto carini insieme- rispose la rossa. Yusei annuì.
- Già, e devo dirlo: da Yuya non me l'aspettavo. Conoscendolo...-
- Eh? Perché?-
- Perché non è
sempre stato così. So che la scomparsa del padre gli ha causato
parecchi problemi, come se già non ne avesse. Non ne avete
parlato, l'altra sera?-
- N-no...-
- Oh. Non dovevo dirlo allora, non
dovevo proprio dirlo. Bah, fai finta come se non avessi detto nulla,
okay? Non mi sembra giusto raccontare gli affari degli altri-
Aki si strinse di nuovo nelle spalle e non disse altro, restando ad
osservarlo mentre, quasi a ritmo di musica, rimetteva a posto le nuove
bottiglie appena scaricate.
Tirò su con la cannuccia. L'analcolico alla fragola era così dolce che le venne quasi da piangere.
****
- YUYAAAAAAA!!! MANDA GIÙ QUEL CAZZO DI RUM!-
Detto fatto, il ragazzo dagli occhialetti diede fondo a tutte le sue
energie per ingollare il contenuto di quel bicchierino. Aki
riuscì a vedergli il pomo d'Adamo ingrossarsi e scorrergli lungo
la gola come la bolla di una livella, prima che il giovane barman si
producesse nella sequenza di smorfie più singolari e divertenti
della sua vita. Yuma scoppiò a ridere come un pazzo, quasi non
reggendosi più in piedi, Yusei scosse il capo e continuò
a preparare i suoi drink.
Stando a quel che aveva capito, il grosso problema di Yuya, nell'alcol,
era costituito proprio dal Rum: per quanto provasse e riprovasse,
proprio non riusciva a piacergli. Se diluito in cocktails, come nel
caso del Cuba Libre e del Rum Fizz, faceva una carinissima smorfietta
col naso e continuava a bere, ma allo stato puro...per lui era
un'impresa titanica.
Ma non ci si tirava mai indietro di fronte ad una sfida, vero? E mentre
stava sapientemente preparando un Bacardi per il tavolo 5, Yuma gli
aveva piazzato quel bicchiere da shot pieno fino all'orlo sotto il
naso. Dovevano in qualche modo fare posto sugli scaffali, e quella
bottiglia di Rum era quasi finita: quale migliore modo di smantellare
le bottiglie alcoliche se non bersi le loro rimanenze?
Yusei stesso, dopo qualche (debole) tentativo di ricondurre i due alla
ragione, aveva preso qualche goccio, ovviamente di nascosto dai due
barman, e Judai si era servito un bicchierino di Irish Whiskey mentre,
con l'altra mano, portava un vassoio di dolci ad Anzu e Yuzu, sedute ad
un tavolo poco lontano. Mai Kujaku e Alexis Rodhes si erano unite a
loro qualche minuto dopo l'apertura: la giovane cantante, impeccabile
nel suo tubino nero e i capelli lasciati sulle spalle, aveva riempito
di complimenti Yuzu, allo stesso modo di come si era poi congratulata
con Yuya, mentre la sergente, così carina in quell'elegante tuta
da sera, aveva intrattenuto un vivace dialogo con Aki, prima che
cominciasse a servire ai tavoli.
- Va bene Yuma, ora basta! Passami
il Rum, mi serve! Come lo faccio questo Mojito?!- esclamò Yusei,
quasi seccato.
- Aahaha, dillo che vuoi farti un goccio anche tu!-
- Certo, perché sono
così idiota da mischiare gli alcolici insieme! Vuoi vedermi
collassare o cosa?!-
- Pfu! Tu così grande e
grosso? Mi preoccuperei più per Yugi...gli ho dato un goccio di
Vodka Lemon prima ma temo gli stia già facendo effetto-
- Certo, PERCHE' LO FATE BERE A STOMACO VUOTO! Geni del male che non siete altro!-
- Un Malibu Beach e due
Piña Colada- gli riferì Aki, passando accanto al bancone.
- Arrivano- rispose Yusei; era il
caso di ricordare alla rossa che vedeva le ordinazioni sul display? Ma
no, aveva più scuse di avvicinarsi al bancone – Mi fai un
favore Aki? Ce la fai a prendere altre ordinazioni da sola?-
- Direi di sì, è successo qualcosa?-
- Sì, Yugi ha la resistenza alcolica di un pulcino e nessuno se lo ricorda mai!-
- Te lo mando al bancone-
- Grazie! Prima che succeda l'irreparabile...-
Aki scosse le spalle e si incamminò ad ampi passi verso il
fratellino di Atem, ben consapevole che ormai era – forse –
troppo tardi: il giovane era seduto allo stesso tavolo di Anzu e Yuzu,
con il colletto della camicia aperto e la cravatta disfatta, e la
fronte poggiata sul tavolo. Allungando il passo, Aki gli posò
una mano sulla spalla destra, facendogli alzare la testa di scatto.
- Yusei ti vuole al bancone- gli
disse poi – Credo che voglia darti qualcosa. Stai bene?-
- Una...una meraviglia!-
esclamò lui, gli occhi scintillanti e un grosso sorriso sulle
labbra – Sto benissimo! Ho solo i tavoli che mi girano un po'
intorno ma va benissimo!-
- Aaaah, beata gioventù!-
commentò Mai, ridacchiante – Non è tenero, con
quelle guanciotte rosse? Hai la resistenza di un bambino tesoro, non
dovresti bere così...-
- Ma ho preso solo un goccio!-
- A stomaco vuoto, amore-
- Aaaah...-
Un lampo attraversò quel tavolo, e partì dagli occhi
chiari di Anzu e si infranse sul bel volto sornione della cantante. Aki
dovette capire qualcosa, perché si affrettò a far alzare
Yugi dal tavolo e ad accompagnarlo al bancone, privando subito le due
ragazze di un facile bersaglio.
- Volete darvi una calmata o no?!- sbraitò Yusei, all'indirizzo dei due colleghi.
- E perché?! Non stiamo
facendo nulla di male!- esclamò Yuya, infilando una fettina di
ananas in bilico sul bicchiere del Piña Colada.
- A parte fare casino e scolarvi tutte le bottiglie, s'intende-
- Chi è che ha finito la
Tequila? EH?- gridò allora Yuma, i pugni chiusi sui fianchi.
- E NON URLARE, bestia! Non sono sordo!-
- Datemi i bicchieri...- fece Aki,
servendosi autonomamente e posando le bevande sul suo vassoio.
- La situazione mi sta sfuggendo
di mano- borbottò Yusei, facendo rintanare Yugi dietro al
bancone – Aspetta, ti do' qualcosa-
- Ehi, sto bene giuro! Mi ruota la sala intorno ma--
- Piano con le bottiglie!-
- Ma sto bene!-
- Sì come no...-
Yusei scosse il capo costernato, spalancando il piccolo frigorifero e
afferrando la prima lattina di Sprite a disposizione. Gliela
stappò con un gesto secco e gliela piazzò in mano,
invitandolo a bere.
Il nesso ancora non gli era chiaro, ma aveva scoperto, quasi per caso a
dire il vero, che Yugi recuperava lucidità una volta assunta una
buona dose di Sprite. Probabilmente aveva anche letto qualcosa a
riguardo, su Internet, che non gli tornava in mente al momento;
tuttavia, in simili casi non era proprio il caso di farsi problemi e
ripetersi che non tutto quello che trovava sul web era vero. Sapeva che
funzionava e questo gli bastava.
Alzò lo sguardo verso i tavoli: immersa nella luce violacea
della sala, Aki stava diligentemente completando il suo dovere,
prendendo ordinazioni che ogni volta lampeggiavano sul display del
bancone. Yusei prese a preparare la miscela del Firestarter senza mai
staccarle gli occhi di dosso.
Quando aveva un lavoro da fare, Aki perdeva tutta la sua iniziale,
apparente timidezza, e si dedicava anima e corpo al suo ruolo, fosse
stato quello di prendere ordinazioni oppure il preparare miscele al
bancone. Poche volte aveva ritrovato quello spirito di iniziativa e
dedizione, e il fatto che fosse tutto concentrato in quella ragazza
piccola e carina non faceva altro che alzare vertiginosamente i suoi
picchi di attenzione.
In cuor suo, sperò di non averla impressionata o infastidita,
con il loro precedente discorso. Né di averle dato l'impressione
– totalmente sbagliata – di curarsi poco di cose o persone.
- Hai finito di dipingerti cuori per l'aria?-
- Non sono come te Jud, certe cose le riconosco a vista d'occhio-
Lo chef del Pharaoh's Kingdom gonfiò le guance indispettito,
poggiando i gomiti sul bancone. A poca distanza dal moro, Yuya
spedì un bacio alla sua fidanzata con la mano sinistra, prima di riprendere a far
vorticare le sue bottiglie.
- La vedo sempre più spigliata, o sbaglio?- domandò poi – Aki intendo-
- Non sbagli affatto. Sta reggendo
bene il ritmo, per essere una novellina- rispose l'altro, osservandolo
distrattamente.
- Vero! Anche se mi sembra sempre
accigliata per qualcosa...non so, è come se ce l'avesse col
mondo-
- Col mondo no, solo con qualcuno- gli rispose Atem.
Sembrò di vivere un dejà vù. Sorpreso dalla sua
presenza alle spalle, Judai scattò per aria come una molla,
incespicò nei suoi stessi piedi e cadde a sedere sul pavimento,
mentre Yusei trasaliva, preoccupato più dalla reazione del
castano che dall'apparizione del padrone di casa. Alle sue spalle, un
grosso fracasso di vetri rotti testimoniò il fallimento di Yuma
nella sua ennesima presa. Il Faraone sollevò lo sguardo sul
giovane e lo osservò con un sorriso serafico, mentre il barman
si piazzava le mani tra i capelli sparati.
- Temo che questa verrà
detratta dal tuo stipendio mensile, Yuma- concluse poi, con un'alzata
di spalle.
- Ma era vuota!-
- Oh davvero? E come mai? Centra qualcosa con l'attuale stato di Yugi?-
- Iiiiiio non so niente!-
esclamò il giovane chiamato in causa, alzandosi dalla sedia, un
sorriso ebete sul volto e lievemente barcollante sulle sue gambe
– È stato lui!- ed indicò Yuma – Ma non dirlo
a nessuno!-
- Yuma? Cosa mi dici al riguardo?-
- ...è stato lui!-
- Nnnnon pensarci neanche!-
sbottò Yuya, rivolgendogli un gesto poco educato con la mano
destra – Sei tu quello che ha piazzato bicchieri da shot pieni
fino all'orlo sotto il naso di tutti!-
- La cosa si fa interessante...vi prego continuate!-
- Bestie, direi che sia il caso di fine qui!- esclamò Yusei, la gola secca.
- Io ho solo...ehi! Ma-MANAAAA!-
- I PIEDI SUL BANCONE!-
Yuma lo ignorò senza farsi troppi problemi: il giovane barman
saltò fuori dalla sua postazione e si aggrappò stretto
alla ragazza, strappandole una risata, quasi colpendo Aki che aveva
raggiunto il gruppo al bancone con una smorfia preoccupata.
Atem era infine passato a controllare come stavano andando le cose.
Prevedibile, conoscendolo...e si erano fatti trovare in uno stato
pietoso: Yugi mezzo brillo, gli occhi lucidi dal sonno, Judai che
alternava un goccio di Whisky a qualche dolcetto, Yuma che passava
bicchieri di rum a più o meno tutti, Yuya che di quel rum
proprio non voleva saperne, e Yusei che sembrava sul punto di
abbatterli entrambi. Eppure non sembrava particolarmente sorpreso dalla
situazione, quanto divertito: non era sicuramente la prima volta in cui
li coglieva in flagrante, a giudicare dal suo serafico sguardo, e
qualcosa nel cuore di Aki le diceva che non sarebbe stata l'ultima.
Poi posò lo sguardo sulla ragazza assaltata da Yuma, la
misteriosa accompagnatrice di Atem: la giovane dai capelli biondi aveva
gli occhi più verdi che avesse mai visto, e un volto delicato e
diafano su un corpo dalle forme armoniose, sottolineate dall'abito
color indaco.
Lei era quindi Mana, la don—ragazza
che sembrava aver rapito gli occhi del Faraone? Aveva un'aria
così dolce e innocente che strideva dannatamente con la
presenza misteriosa e fascinosa di Atem; eppure doveva aver qualcosa
che aveva attirato la sua attenzione, abbastanza da trattarla con cura
e dedizione più di ogni altra donna nei dintorni. Doveva
ammetterlo, era molto bella, permeata di quell'innocenza, nell'aspetto,
che sembrava ormai perduta, snobbata dalle mode attuali.
- Oh, ma guarda chi c'è!-
esclamò la voce di Mai Kujaku, comparsa alle sue spalle in quel momento
– Ecco il perché di tutto questo caos...-
- Mai!- esclamò la giovane,
sorridendole. Aveva davvero una bella voce – Da quanto tempo?-
- Qualche mese, tesoruccio...ho
girato un po' per il continente, e ora sono tornata all'ovile! Ti trovo
in gran forma!-
Era tremendamente carina persino quando arrossiva lievemente...! Aki
alzò un sopracciglio, scrutando Yusei ancora dietro al bancone,
impegnato nella preparazione di cocktail.
Non sembrava attirato dalla sua presenza...chissà per quale motivo. Era impossibile non notarla, in quella sala.
- E così lei è la
tua accompagnatrice?- domandò Mai, rivolta al Faraone –
Eh...potrei essere quasi invidiosa, ma è una ragazza così
carina...come si fa a resisterle? Un fiorellino intoccato come lei...-
- Mai, fai attenzione a quello che
dici...- borbottò Atem, arricciando lievemente il naso.
- Oh ma dai, si fa solo per dire! Allora tesoruccio, è ufficiale vero? Da quanto?-
- Qualche mese- rispose lei, con
un'alzata di spalle, scegliendo volontariamente di restare sul vago.
- Oooh, un pochino vaga eh?
Fai bene ad esserlo, tienitelo stretto! Non si trova tutti i giorni un
uomo capace di fare certe magie...-
- Mai...!-
- Così come uno storico di
prim'ordine! La sua casa racchiude preziosissimi cimeli, so di una
certa verga da mago da lasciare a bocca aperta!-
- Mai va bene così davvero!-
Qualunque cosa intendesse, doveva aver colpito nel segno, perché
la cantante era esplosa in una sonora risata mentre Mana si tormentava
una ciocca dorata con l'indice sinistro; Yusei stesso aveva alzato gli
occhi di scatto, incuriosito e sorpreso da quell'improvvisa affermazione, graziando Aki dell'ennesima visione del loro profondo
blu.
Poteva diventare davvero una mania.
Yugi, invece, aveva avuto seri problemi a riprendere il respiro dopo
aver rischiato di strozzarsi con la Sprite. Yuya cercò di
aiutarlo a modo suo, sferrandogli forti pacche sul dorso e facendolo
imprecare sdegnato.
- Mi siete davvero mancati!- esclamò Mana – Tutti quanti!-
E lo disse con un grande sorriso sul volto, prima di voltarsi verso la
rossa. Aki la vide sbattere gli occhioni verdi un paio di volte,
sorriderle ancora e porgerle una mano.
- Ciao! Non credo di conoscerti
ancora!- esclamò la biondina, stringendole le dita tra le sue
– Io sono Mana!-
- A-Aki- rispose la rossa, travolta da tanta foga e spontaneità.
Sì, era davvero bella.
__________________________________________________
Come promesso eccolo qui, il numero 6
della serie! In anticipo rispetto alla tradizionale tabella di marcia
di fine mese perché so già che non riuscirò ad
aggiornare per quel periodo!
Sono attualmente impegnata in un rewatch della serie di 5D'S, e i feels
ragazzi, i ricordi, le ansie per i duelli, le risate per le cretinate
di Jack Atlas...le bestemmie per le censure alle prime due
stagioni...aaaah, la nostalgia...
È vero che il vero start è stato dato da Arc - V, ma
ricordo con piacere di quando, più giovincella, facendo zapping
tra i canali, capitava di vedere questi duellanti turbo suonarsele di
santa ragione sulle loro moto a colpi di evocazioni, trappole e magie
veloci. Sapevo si trattasse di Yu-Gi-Oh! perché quel cavolo
di giochino girava praticamente OVUNQUE, tra i bambini delle
elementari, i ragazzi delle medie e gli scafati neo-maggiorenni del
liceo. Ma non mi sono mai addentrata più di tanto nella cosa
fino a qualche tempo fa come ben sapete.
Sto ancora recuperando tutto il tempo perso! xD
Veniamo a noi e a questo nuovo capitolo!
Atem ha le idee molto chiare: va bene lo scherzo, va bene il gioco,
finché non si fa male nessuno. Ha un valido motivo per essere
preoccupato...un VALIDISSIMO motivo. E l'idea che Seto possa fregarsene
dell'incolumità altrui, cosa del tutto plausibile, non gli
sfagiola, per cui ha deciso così: finché non ti
dài una calmata ce ne stiamo buoni buonini, tu nella tua
gigantesca torre e io nel mio attico con la mia Maga.
Mi fate sapere se secondo voi, alla luce delle coccole di alto livello
che si sono scambiati, devo alzare il rating? xD potri farlo ugualmente
in futuro maaaaa vorrei sentire anche voi. Non sarà l'unica
scena a luci pseudo rosse maaaa non saranno tantissime, anzi. E con
ogni probabilità, in futuro potreste ritrovarvi a preoccuparvi
di qualcosa di molto peggio di qualche rotolata tra le lenzuola.
MA! Spostiamoci al Pharaoh's Kingdom, dove in assenza del padrone di
casa i suoi scapestrati colleghi fanno un po' quello che gli pare, con
Yusei che prova, con scarso successo, a tenerli calmini. Come da lui
stesso ammesso, non ci si impegna molto a farlo.
Parliamo del discorso scambiato con Aki: che ve ne pare dei differenti
punti di vista? Ormai è chiaro che la confidenza tra i due stia
arrivando su nuove vette, al punto da scambiarsi simili pareri e
opinioni così, con una naturalezza tale che di primo impatto Aki
ne resta sorpresa. Yusei è un ragazzo tremendamente corretto, lo
sappiamo, ed è quindi facile intuire che se qualcuna avesse la
SCIAGURATA idea di rifiutare un suo corteggiamento lui non insisterebbe
al punto dallo sfociare nella mania.
Anche se pensare a Yusei che CORTEGGIA una ragazza...infattibile. E non credo che ne abbia neanche bisogno! xD
Fa il suo ingresso in scena anche Yuzu! Mi raccomando, tenete d'occhio
questa coppia perché tornerà molto spesso. E la sua
entrata nel gruppo fa ragionare e mette qualche fanalino puntato anche
su Judai e il suo rapporto con Alexis. Rapporto un po' complicato, ma
perché è lui che nella sua ottusaggine lo rende tale, a
ragione però perché, come si scoprirà più
avanti, è un ragazzo che silenziosamente lotta contro le sue
paure.
Ovviamente il detto "via il gatto, i topi ballano" viene preso alla
lettera da questi ragazzacci che si permettono il lusso di BERE in
servizio! Tanto per fare ancora più casino in assenza del capo.
Non rilassatevi, tale affronto non resterà impunito! Atem ha
un'ideuccia a riguardo...niente di potenzialmente pericoloso
ovviamente! Ma forse...disturbante...
Al solito ragazzi! Chi vuole, se avete qualcosa da dirmi, fatevi pure
avanti che non mordo! Prossimamente conto di caricare questa storia
anche su altre piattaforme, e di aggiungere anche qualche disegno in
più! Ne sto preparando qualcuno, per il momento ho un sacco di
schizzi e studi dei personaggi in preparazione. Magari
ricomincerò a pubblicarli!
Vi aspetto!
92Rosaspina
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Capitolo 7 *** 7. Signore!...e signori... ***
Pharaoh's Kingdom 7
7. Signore!...e signori...
Le incantevoli
forme femminili complicano in modo terribile le difficoltà e i
pericoli di questa vita terrena, soprattutto per i loro proprietari.
George du Maurier
- Puoi restare con me anche questa notte, se vuoi-
- Non so se Yugi approverebbe-
- Ma certo che approverebbe, in fondo è amico anche tuo-
- Già, ma considerato come mi stai guardando,
non credo tu abbia molta voglia di dormire-
Atem si lasciò sfuggire una
risata, preferendo prendere un sorso dal suo bicchiere prima di
rispondere. Mana rimase ad osservarlo, con il mento posato sulla mano
sinistra mentre con l'altra girava il suo frullato.
- Forse hai ragione- rispose poi – Forse
dormiremmo poco. Ma la scelta resta tua, non voglio costringerti-
- Oh, sai benissimo che la mia scelta sarà sempre una sola-
Le strinse la mano libera, accarezzandole il dorso con il pollice.
Alle due di notte inoltrate, il
Pharaoh's Kingdom era ancora a pieno regime: sebbene il ritmo delle
operazioni fosse scandito da un blues più raffinato dei remix di
Yuya, l'energia messa nel lavoro era ancora maggiore. Yugi aveva presto
ripreso piena padronanza di sé dopo quella pseudo-sbornia da
Vodka Lemon, tornando a coadiuvare Aki nel servizio ai tavoli. Atem
aveva osservato la rossa con una punta d'orgoglio: nella prima serata
era partita così timida e silenziosa che, in un primo momento,
era stato convinto di aver preso un cosmico abbaglio, e invece si era
rivelata una lavoratrice infaticabile e concentrata. Ennesima prova che
apparenza non faceva rima con sostanza.
- Tu piuttosto...sei sempre convinto?- domandò
Mana ad un certo punto. Atem alzò gli occhi verso di lei, lo
sguardo interrogativo.
- Di cosa?-
- Sai bene cosa-
- ...Oh. Beh, certo che sì! Non sarà il
genere di risposta che invierò a Kaiba, per quello
aspetterò ancora, ma...-
- Pensi che
sia saggio? Farlo attendere intendo. Nessuno può permettersi di
ignorare Seto Kaiba senza subirne le conseguenze...anzi, mi meraviglio
di come non sia già venuto a cercarti, dopotutto-
- Seto Kaiba non si schioda dalla sua candida reggia
per fare la paternale ad una persona che tanto SA che non lo
ascolterà. Aspetterà, quel tipo è capace di grande
pazienza-
- Da come ne parli sembri quasi ammirarlo-
- Togli pure il quasi, lo ammiro davvero. Il mio
più grande rivale, sangue freddo, stoicismo, egocentrismo a
secchiate. Ma non si può negare che abbia guadagnato tutto il
suo successo. Quello che ha fatto, la velocità con cui ha tirato
su il suo impero, è degna di nota-
- Lo trovo molto nobile, da parte tua. Ma se lui non ricambiasse il sentimento?-
- Ha poca importanza-
Mana annuì e prese ancora un sorso dal suo frullato.
- Sei davvero convinto?- domandò poi, piegando
la testa di lato, con un mezzo sorriso.
- Mh! Certo! In fondo, è necessario rimetterli
in riga ogni tanto...e poi è un mio esperimento. Voglio proprio
vedere quanto durerà-
La giovane annuì, vagando con lo sguardo per la sala.
Le era mancato quel posto, lì
dove tutto sembrava concesso e dove la realtà confondeva i suoi
confini con l'immaginazione. Il Pharaoh's Kingdom faceva da ritrovo per
molti eccentrici esponenti dell'alta società di Nuova Domino, e
gli standard qualitativi erano sempre stati molto alti fin dagli inizi:
Atem aveva voluto solo i migliori tra i suoi dipendenti, andando spesso
a selezionarli personalmente da altre attività, spesso del tutto
diverse. Il ragazzo di nome Yusei era stato la sua più grande
scommessa, promossa a pieni voti, e anche la giovane Aki si stava
rivelando molto interessante: era bello vedere quella testa rossa
girare per i tavoli con passo deciso, quasi temerario.
Quei grandi occhi arcuati sembravano
quasi parlare, raccontare una lunga storia fatta di tristezza e poca
stima verso sé stessa: sembrava, però, che il lavorare in
quel locale la stesse aiutando non poco a riacquistare fiducia nelle
sue potenzialità.
Non era ingiusto, coinvolgerla in quello strambo “esperimento”?
- Perché anche lei?- domandò Mana,
incerta – Non è stata coinvolta. Non ha partecipato a
questa...baggianata, come l'hai chiamata tu-
- Beh, te l'ho detto- rispose Atem, facendo
lievemente roteare il Martini nel bicchiere – Si tratta di un
esperimento. Sono proprio curioso di sapere come si comporterà
anche lei-
- Un esperimento dici, eh? Heh...Sei un pessimo esemplare di uomo-
Atem alzò gli occhi ametista su di lei, un'espressione sorpresa sul volto.
- Fisicamente?- le domandò, in tono quasi preoccupato.
- Moralmente-
- Ah! Beh, immagino che dovrò farmene una ragione-
E le sfoderò il suo miglior
sorriso da felino, prendendo ancora un sorso dal suo bicchiere e
schioccando la lingua contro il palato.
- Ottimo- commentò poi.
****
Il mattino lo colse con l'oro in
bocca, o più umanamente con il sole in fronte: l'aver lasciato
la serranda alzata era forse stata una delle mosse meno astute,
facendolo ritrovare nel suo letto irrorato di luce. Quando Yuma
tentò di aprire gli occhi, si ritrovò a sbatterli
furiosamente, la vista oscurata da puntini scuri.
E quando si svegliò, quel mattino, lo percepì subito nell'aria: c'era qualcosa di strano.
Non sapeva come definirla,
effettivamente, ma era una sensazione particolare, insolita, molto
simile a quella che aveva percepito il mattino in cui era rimasto
coinvolto nel suo primo incidente d'auto: ginocchio destro
letteralmente esploso a seguito del contraccolpo dell'impatto, quasi al
suo interno fosse saltata una minuscola bomba ad orologeria,
un'operazione chirurgica di tre ore e mesi di degenza per la
riabilitazione.
Anche adesso la sensazione era
quella che qualcosa fosse stato preparato per lui, lo aspettasse. Il
fatto era che non riusciva a distinguere se questa cosa era buona o
cattiva.
Ancora steso nel letto, il ragazzo
si guardò intorno, stropicciandosi gli occhi semiaperti e
ricordandosi del cerotto all'indice destro: quella sera, per tagliare
un'ananas con troppa foga, per poco non ci aveva rimesso un dito.
Ghignò divertito, al ricordo di quella fantastica serata in cui
erano sembrati tutti in preda ad un'euforia generale: erano queste le
sue serate preferite, dove tutti si divertivano senza alcun freno
insieme alle persone a cui più si teneva.
Fare ritorno in una casa vuota e
solitaria diventava sempre più difficile e triste. Inizialmente
c'era Yuya che, di tanto in tanto, gli teneva compagnia: Yuma lo
ospitava volentieri, e allora restavano ore intere a sfidarsi ad
estenuanti duelli con i videogames o scambiarsi fumetti e film di ogni
genere, dai più divertenti ai più trash. Ora che Yuzu si
era trasferita da lui, seppur momentaneamente, era ovvio che il giovane
dedicasse molto più tempo alla sua fidanzata che al suo migliore
amico.
A ripensare a loro due non si poteva
negare che formassero una coppietta invidiabile. Si conoscevano fin da
bambini, avevano frequentato tutti gli anni della scuola insieme, se
non nelle stesse classi allora a due porte di distanza; si erano visti
crescere, si erano sorretti a vicenda nei momenti difficili. Yuzu era
stata la prima a trovarsi accanto a Yuya, alla notizia della morte del
padre del secondo: era stata lei a tirarlo su e a far sì che il
ragazzo non cadesse in un baratro di pura depressione e ansia. Si erano
voluti bene e rispettati e cercati, anche quando, inevitabilmente,
finivano con l'intrecciare relazioni con persone completamente diverse;
solo nell'ultimo anno si erano resi conto che era inutile cercare
conforto tra le braccia di estranei. Volevano stare insieme, reclamare
proprietà una sull'altro, e amarsi senza più alcuna
riserva perché spaventati dall'idea del “siamo migliori
amici fin da bambini, sembrerebbe troppo strano!”.
Che idiozia. La prima volta che Yuma
l'aveva sentita gli aveva rifilato uno sganassone che ancora se lo
ricordavano, sia Yuya che la sua mano destra.
Un po' li invidiava davvero. Ma solo un po'.
Si stropicciò gli occhi
abbagliati dalla luce del sole, la sottile tenda che si era premurato
mesi prima di installare non bastava, per difendere la stanza dal sole.
Poco più in là, vicino alla scrivania, il filtro
dell'acquario faceva il suo rumoroso dovere, segno che necessitava di
un'operazione di pulizia. Mosse un piede: il joypad della console,
dimenticato sulle lenzuola, cadde a terra con un secco tonfo.
Rimase ancora in silenzio, come ogni
mattina, ad ascoltare i familiari rumori della casa: i lievi
scricchiolii di assestamento degli scaffali di legno, il ticchettio
dell'orologio, il filtro dell'acquario, il lieve campanello con cui il
suo cellulare lo avvisava di aver ricevuto un messaggio.
Afferrò con una mano lo
smartphone, sbloccò lo schermo sbagliando codice due volte di
fila, per poi ritrovarsi di fronte al buongiorno che gli augurava
Kotori. La ragazza gli aveva inviato una foto, un autoscatto realizzato
di nascosto in quella che sembrava un'aula universitaria: osservava lo
schermo con un dolce sorriso e gli occhi vispi, la penna stretta tra le
labbra.
L'unica persona per la quale, a
volte, sembrava valido spendere tutte le sue energie era proprio lei.
Kotori era una delle poche persone che non aveva mai dubitato delle sue
potenzialità, a partire dagli anni scolastici, in cui era
additato come un buono a nulla che presto sarebbe finito su una cattiva
strada, fino a quegli ultimi anni, in cui in molti avevano criticato la
sua scelta di abbandonare i suoi studi universitari per dedicarsi anima
e corpo al suo lavoro. Forse non condivideva alcuni suoi tratti, come
alcuni suoi sbalzi di umore lievemente infantili, ma non l'aveva mai
respinto o criticato per questo, senza però risparmiarsi
bacchettate o sermoni quando serviva. Una ragazza che sapeva rimetterlo
in riga quando serviva, l'unica in grado di farlo. O forse l'unica a
cui era concesso di farlo, chissà.
Decise che sì, era il caso di
rispondere a quel messaggio. Pigiò il tasto corrispondente alla
fotocamera, preparandosi per l'autoscatto.
E fu allora che notò qualcosa che non andava.
I capelli si erano arruffati
parecchio dopo l'abituale doccia post turno, e fin qui niente di
strano: il nero prevaleva sul rosso, nascondendogli parzialmente gli
occhi. Occhi dalle iridi scarlatte che sembravano molto più
gentili di come se li ricordava, eppure si specchiava spesso...e anche
le labbra sembravano più piene e turgide. La maglietta che usava
per dormire, per qualche motivo, si era fatta più stretta nella
zona del petto, forse aveva sbagliato lavaggio? Il giorno prima aveva
avuto qualche acceso diverbio con la lavatrice, le cui manopole non
giravano quanto voleva lui: forse aveva lavato l'indumento ad una
temperatura troppo alta, o bassa, e si era ristretto. Afferrò un
lembo della t-shirt per individuare l'etichetta e verificare la sua
ipotesi.
Qualcuno suonò al suo
campanello, qualche minuto dopo. La signora dell'appartamento di fronte
volle verificare le sue condizioni, dopo aver udito quel terrificante
urlo.
- La testa...buon cielo chi è che la sta usando come tamburo?-
Nessuno stava usando la sua testa
come strumento musicale di qualche etnia tribale, per fortuna: Judai lo
realizzò quando aprì gli occhi e si ritrovò con la
faccia affondata nel cuscino e il petto a contatto con il materasso,
non esattamente la sua posizione preferita per addormentarsi ma
considerato che aveva il sonno parecchio movimentato c'era da
aspettarselo. Sbatté gli occhi, provò a muovere le
braccia e imprecò tra i denti: doveva averle infilate sotto il
cuscino mentre dormiva, perché erano completamente intorpidite,
quasi fossero arti estranei al suo corpo.
Forzò i muscoli delle braccia
a muoversi: solo una minima parte, dalla spalla in giù, era
recettiva. Si rialzò in ginocchio, sfilando a forza le braccia
da sotto il cuscino, osservando le dita delle mani e i palmi
ingrossati, provando a scuoterli per sbloccare la circolazione
sanguigna: subito quella sensazione che non sapeva definire se
piacevole o meno lo attraversò dalla punta delle dita fino alle
spalle, una lenta scarica che gli attraversava gli arti e li
risvegliava, dandogli l'impressione di un esercito di formiche che gli
pizzicavano la pelle, o di altrettanti aghi che lo pungevano per
scuoterlo dal suo torpore. Judai sbuffò soddisfatto, passandosi
una mano tra i capelli.
Dovrò decidermi a spuntarli, stanno diventando davvero troppo lunghi.
La casa era immersa nel silenzio e
nella penombra: la serata aveva prosciugato delle loro energie sia lui
che Yusei...o forse era stato l'alcol? Ad ogni modo, il compagno
dormiva ancora della grossa nell'altra stanza: lo sentiva respirare
rumorosamente perfino con la porta chiusa. Yusei sapeva di russare?
Nella sua testa, Judai era convinto di no. Non sapeva neanche di gemere
nel sonno, quando gliel'aveva raccontato il ragazzo del Satellite aveva
negato con tutte le forze di cui disponeva: si era ricreduto solo
all'ascolto di una registrazione che il castano aveva carpito durante
la notte, in cui improvvisi rochi gemiti piuttosto equivoci si
mischiavano a ben meno imbarazzanti, più inquietanti singulti di
paura. Quel ragazzo aveva un sonno davvero agitato, e stando alle
sue parole era così dai tempi della sua permanenza nella
Struttura.
La sua memoria lo aiutò ad
orientarsi al meglio nei corridoi ancora bui. Fece scorrere la porta
del bagno e cercò a tentoni l'interruttore della luce,
rischiarando la stanza. Subito corse con le mani sotto il lavandino,
aprendone il rubinetto e rinfrescandosi il volto ancora tirato dal
sonno con dell'acqua fredda, per poi alzare la serranda ed avvicinarsi
al sanitario.
Ci pensò su, mordicchiandosi
il labbro inferiore e spalancando gli occhi in un'espressione che,
avesse potuto vederlo Yusei, l'avrebbe definita “da vero
idiota”.
Tornò di corsa al lavandino,
studiando accuratamente il suo riflesso al piccolo specchio che vi
avevano posizionato sopra, e constatando, con crescente orrore, che non
aveva visto male: il suo corpo era diventato irriconoscibile, stravolto
da curve e rotondità prettamente femminili la cui vista lo
fecero impallidire, e per poco non cadde di faccia contro il bordo del
lavandino.
Quel grido abbandonò le sue labbra prima che riuscisse a fermarlo.
- Ma cosa diavolo ha nel cervello quello là!-
Yusei gettò rabbiosamente le
coperte ad un lato del letto, mettendosi velocemente in piedi e tirando
a sé la maniglia della porta con tutte le forze di cui
disponeva, spalancandola di colpo. Immediatamente di fronte, la porta
scorrevole del bagno era chiusa, ma i lamenti di Judai erano
inequivocabili. Il giovane spalancò gli occhi, preoccupato.
- JUDAI!- esclamò, spalancando la porta
scorrevole con una pedata – Che diavolo succede?!-
A vederlo entrare così
precipitosamente il castano si voltò di scatto, salvo poi urlare
ancora alla sua vista, puntandogli teatralmente un dito contro.
- A-Anche tu!- esclamò, allibito – ANCHE
TU! Io non capisco...non capisco! Cos'è una maledizione?! Un
sortilegio?!-
- Mi dici che cosa diavolo--
Non serviva che Judai parlasse, la
risposta era chiara sotto gli occhi di entrambi. Il castano si
portò le mani ai capelli in un gesto di pura disperazione,
mettendo in risalto il bel seno pieno. Gli occhi di Yusei si
soffermarono su un piccolo – più o meno- particolare che
gli fece sgranare gli occhi e imprecare tra i denti.
L'ennesima sua fissa, che Judai
aveva chiamato feticismo e lui non sapeva se catalogarla sotto quella
particolare categoria, riguardava, e a volte si vergognava anche solo a
pensarci, i capezzoli femminili. Perché quando ne vedeva di
grandi e rosei, doveva davvero dare fondo a tutte le sue energie per
non trasformarsi in uno dei tanti esemplari maschili che, alla loro
vista, scollegavano il cervello per dedicarsi ad altro. Il moro
sgranò gli occhi blu, deglutendo abbastanza rumorosamente e
portandosi una mano al bordo della canottiera, divenuto improvvisamente
più stretto sul collo.
- Che cosa diavolo è?- domandò poi,
incredulo. Judai gli rivolse un'occhiataccia che aveva dell'assassino.
- Hai voglia di scherzare?!- sbraitò, livido ( o livida?)
in volto – Mi chiedi anche cosa sono?! Sono TETTE, idiota! E IN
TEORIA sarebbero una prerogativa prettamente femminile! Peccato che ora
le abbiamo anche noi!-
- Mi chiedo perché parli al plurale!-
- Sul serio?!-
Con uno scatto repentino, Judai gli
si fece sotto, il volto contratto da una smorfia accigliata, e aperte
le mani a coppa le chiuse con decisione su entrambi i seni. Yusei
gridò dalla sorpresa, ritraendosi precipitosamente e coprendosi
il petto con entrambe le braccia, salvo poi osservarsi e scambiare
un'ennesima occhiata interrogativa con il castano.
- Io-io non...cosa?!- balbettò poi –
E...e quando?! Ma soprattutto COME?! Che diavolo è successo?!
Dammi un pizzicotto per favore, devo star dormendo ancora...!-
- Ti ho appena strizzato le tette, se vuoi lo rifaccio- propose invece Judai, a muso duro.
- Non posso crederci...sono vere?!-
Le mani gli tremarono
impercettibilmente, quando se le chiuse sui seni abbondanti e ne
tastò la consistenza; si lasciò sfuggire un gemito di
sorpresa, quando percepì le dita scorrere senza problemi sulle
rotondità e affondare nella carne con una certa resistenza. Era
sensibile, percepiva il tocco e reagiva di conseguenza.
E per qualche motivo, Aki tornò a fargli visita nella mente.
- Certo che sono vere, SCIMMIA!- sbraitò
Judai, riprendendo l'epiteto preferito del barman.
- Impossibile! Cosa diavolo è successo?!-
- Bella domanda! La stessa che mi sto facendo io! Ma
cosa vuoi che sia successo di strano in queste ultime ore?! Abbiamo
bevuto durante il lavoro, nient'altro!-
- ...Temi che anche gli altri siano nelle stesse condizioni?-
- Ah non lo so! In cuor mio spero di no, e spero che
'sta roba sparisca alla svelta e mi confermi che è tutto un
sogno!-
- Conosco qualcuno che troverebbe la cosa mortalmente divertente-
- …A chi stai pensando?-
- Anche se non posso credere che l'abbia fatto davvero-
- Yusei? A chi ti riferisci?!-
- E secondo te? Chi è che si diverte a, sue testuali parole, fare esperimenti con le persone?-
Judai si passò nervosamente
la lingua sulle labbra, lo sguardo lontano, alla ricerca della
risposta. E quando la trovò, i suoi occhi castani, più
grandi e arcuati, si spalancarono nel vuoto per poi soffermarsi sulla
figura di Yusei che, perfino in quella forma inequivocabilmente
femminile, non aveva perso la sua aria accigliata.
Sul serio, ma con chi ce l'aveva?
- Atem?!- domandò poi, scettico – E a che scopo?!-
- Vendetta forse?- rispose Yusei, alzando le spalle
– Magari non gli è andata giù la nostra bricconata
di ieri sera...-
- Bricconata...! Ma se abbiamo semplicemente bevuto
in servizio...abbiamo fatto anche peggio, insomma! Ehi, ti ricordi di
quando, invece di entrare nei nostri camerini, ci infilammo in quelli
delle ballerine?-
- Cosa centra, quello fu un errore! Ero appena
arrivato, non sapevo orientarmi bene come adesso! E poi perché
parli al plurale? Fosti tu quello ad aprire la porta sbagliata-
- Sì, ma tu mi seguisti!-
- Era perché dovevo anche io imparare dove andare!-
- Certo, come no...-
- Intanto non fui io quello ad essere bersagliato dall'intero contenuto di una scarpiera-
- No, ma Ishizu ti minacciò con una spada turca-
- Solo perché tu mi spingesti dentro il camerino a furia di agitarti!-
- Continua a raccontartela, Yus-
- Smettila di chiamarmi così!-
Seguì un lungo attimo di
silenzio, in cui i due coinquilini si osservarono senza parlare. Judai
sollevò ancora le mani, puntando al florido seno di Yusei, salvo
poi vedersele schiaffeggiare via con un gesto seccato.
- Che cosa facciamo?- domandò Judai, scuotendo
le mani indolenzite – Non possiamo andare a lavorare così!-
- E invece temo sia proprio quello che lui vuole-
rispose Yusei, passandosi una mano sul collo, per poi intrecciare le
dita nei lunghi capelli scuri – Vorrà ammirare i risultati
del suo lavoro, no?-
- Facesse quello che vuole, basta che poi risistemi le cose!-
- Se lo conosco almeno la metà di quello che
credo, temo ci voglia lasciare così a tempo indeterminato-
- Yusei...forse ho sentito male. Hai detto che muore
dalla voglia di riportarci al nostro stato normale, vero?-
- No-
****
Erano tornati a casa che erano
passate le cinque del mattino: Yuma li aveva riaccompagnati in auto e
li aveva aiutati a scaricare i bagagli di Yuzu, prima di tornarsene
alla sua abitazione per il suo sonno ristoratore.
Vederli lavorare tutti insieme era
un autentico spasso: era così bello constatare quanto quel loro
gruppetto fosse in realtà unito e affiatato anche nelle cose
più semplici, come il coordinarsi per una pausa
dall'attività. Sapeva del ruolo che Yuya svolgeva nei locali
presso cui aveva lavorato, ma non aveva mai assistito dal vivo alla sua
specialità. Il giovane giocava con bicchieri, bottiglie e shaker
con la stessa, spericolata frenesia e spettacolarità del
più acrobatico dei giocolieri: il locale era il tendone del
circo, e lui era la stella dello spettacolo al centro della pista,
illuminato dai riflettori e dalle luci stroboscopiche, con la musica
che rimbombava tutt'intorno e gli dettava un ritmo che lui seguiva con
la naturalezza di una camminata.
Vederlo sorridere dopo tutte le difficoltà attraversate in passato era la sua gioia più grande.
Yuya non era stato sempre
così allegro ed espansivo, così come anche Yuzu aveva
faticato a trovare sé stessa. I due erano cresciuti, e col tempo
molti atteggiamenti erano cambiati, così come molte cose
venivano poi osservate secondo diversi punti di vista; ma dei due,
quello che aveva più rischiato di perdere traccia di sé
stesso era stato proprio Yuya.
Yuzu era nata come una bimba
silenziosa, tanto. Cresciuta solo dal padre, non aveva mai conosciuto
sua madre, e di lei sapeva solo qualcosa che il genitore rimasto le
raccontava. Sebbene fosse circondata di foto che ritraevano la donna,
non era mai stata pienamente capace di associare il volto di quella
donna ad una voce, né di riconoscersi in lei. L'unico suo
riferimento tangibile era quel bracciale d'argento che portava sempre
al polso destro.
Carina e gentile, ma silenziosa,
adorata dagli insegnanti scolastici proprio perché così:
diligente, attenta alle lezioni. Eppure erano tutti preoccupati per
lei, sembrava avesse qualche difficoltà nel fare amicizia con
gli altri bambini.
Poi aveva conosciuto Yuya.
Yuya, per contro, era sempre stato
un bambino scapestrato ed iperattivo, come ogni maschietto che si
rispetti. Giocava a calcetto, correva, saltava e già si
divertiva a far saltare più palline insieme per aria; studiava
poco, ma sapeva farsi perdonare per ogni marachella. Ad oggi, Yuzu non
sapeva dire cosa li avesse fatti avvicinare: forse il fatto di essere
due caratteri diametralmente opposti uno all'altro, o i rispettivi
genitori che si conoscevano, o chissà cosa. Con il tempo, erano
diventati due inseparabili amici che giocavano, studiavano e
combinavano guai sempre insieme.
Le cose erano cambiate dopo.
Crescendo, forse anche grazie alla
vicinanza con Yuya, la ragazza era diventata sempre più
spigliata ed intraprendente. Intelligente e sempre studiosa, era
diventata molto più ciarliera e spontanea, e sebbene i suoi
interessi differissero mortalmente da quelli delle sue coetanee non
aveva faticato a trovarsi altre amicizie: per tutti era la ragazza dei
videogiochi e dei fumetti, delle action figures e dei giochi da tavolo,
ma nessuno l'aveva indicata come strana o chissà cosa,
integrandola anzi quanto più possibile in nuovi gruppi e giri di
conoscenze. Ma Yuya era stato l'esatto opposto: con gli anni, il
ragazzo era diventato più silenzioso e freddo, in parte scosso
da alcuni episodi di bullismo di cui era bersaglio, per non parlare di
improvvisi pestaggi a regola d'arte; e quando suo padre era morto le
cose erano peggiorate a vista d'occhio.
Yuzu si era ritrovata il ragazzo
sotto casa in lacrime, quel terribile giorno di inverno, agitato al
punto che non riusciva neanche a parlare. Faceva freddo, il cielo era
così grigio da sembrare scolpito nel titanio, pioveva a dirotto
e il ragazzo le aveva raccontato del suo scontro ravvicinato con il
capetto della banda della scuola e dei suoi seguaci.
Il tizio non era né grosso
né forte, semplicemente veniva da un quartiere residenziale
molto ricco ed era stato cresciuto con il valore del denaro, e Yuya era
sempre stato ben attento a non farsi coinvolgere da scontri diretti con
lui; tuttavia non era riuscito a sfuggire alla morsa dei suoi
tirapiedi, e quando avevano finito con il pestarsi e gli aveva rotto
gli occhiali da sole, Yuya aveva firmato la sua condanna. Erano seguiti
scontri verbali e a base di minacce da lontano, con il capobanda che lo
minacciava di ritorsioni, Yuya che rispondeva a muso duro, e Yuzu che
sosteneva lui fosse un cretino e doveva smetterla di dare corda alle
loro minacce. Questo finché, un giorno, Yuya non se li era
ritrovati in sette, a corrergli incontro urlando cose che non capiva.
Bloccato da altri due ragazzi sopraggiunti da dietro, il pestaggio
subito in un punto nascosto del parco l'aveva lasciato con un occhio
ammaccato, il naso che buttava sangue e un polso rotto; all'epoca era
convinto di averci anche rimesso una gamba, e il ventre gli doleva
terribilmente per i calci subiti.
Si era trascinato in lacrime a casa
di Yuzu, l'unica persona di cui ormai sentiva di potersi fidare
ciecamente e a cui chiedere aiuto; e lei l'aveva accolto subito e
offerto protezione, e anche suo padre aveva offerto aiuto contro quella
banda di scalmanati. Ma tutto quello che Yuya voleva era tornarsene a
casa e andarsene via da quella città. In un moto di
disperazione, aveva urlato di averne abbastanza di tutti, di essere
bersaglio di prese in giro e di essere tradito da chi considerava amico.
Yuzu era stata male al solo guardarlo.
E le cose erano precipitate. Alla
notizia delle condizioni del figlio, suo padre si era precipitato di
corsa in strada per trovarlo al pronto soccorso. Non era mai arrivato a
casa di Yuzu: la sua corsa si era fermata prima, quando l'auto dietro
di lui, a causa di un guasto all'impianto frenante, l'aveva travolto al
semaforo, spinto in mezzo all'incrocio e facendolo finire in mezzo alle
altre auto transitanti. Qualcuno aveva avanzato l'ipotesi che se l'auto
fosse stata di un modello più recente, e dotata dei moderni
impianti di sicurezza, il padre di Yuya sarebbe sopravvissuto: nessuno
avrebbe potuto dirlo con certezza, la storia aveva seguito il corso che
tutti avevano conosciuto.
Yuya non aveva mai smesso di mortificarsi per questo.
Per molto, troppo tempo, era stato
convinto che la morte del padre fosse sua esclusiva colpa: se fosse
stato più forte, come diceva sempre, e in grado di difendersi da
solo, suo padre non avrebbe dovuto lasciare la sua abitazione per lui,
e non sarebbe rimasto vittima di quella carambola stradale. Sprofondato
in un pauroso stato di ansia e depressione, aveva a stento passato gli
esami di stato e poi si era rinchiuso in casa per mesi, rifiutandosi di
uscire e vedere chiunque, rispondendo poco al telefono e quasi niente
ai messaggi o alle mail, sparendo dai social network e, lentamente,
dalla circolazione.
Era stata lei a cavarlo fuori da
quel turbine di oppressione. Non sua madre, non il resto della famiglia
che si riuniva, ormai quotidianamente, in raccolta nel suo salone, ma
Yuzu, la sua migliore amica dalle elementari, l'unica che mai aveva
smesso di credere in lui. Gli aveva parlato con il cuore in mano quella
volta, gli aveva gridato di essere uno stupido che viveva di ricordi,
gli aveva urlato di farla soffrire con il suo mutismo, stando a quel
poco che si ricordava l'aveva anche picchiato. E a quel punto lui si
era risvegliato.
Aveva preso in mano la sua vita. Suo
padre aveva un piccolo locale in gestione, aveva quindi cominciato a
lavorare lì prima di cominciare a spostarsi, alla ricerca di un
posto che non gli rievocasse troppi ricordi, con la speranza di poter,
un giorno, aprire il suo
bistrot. Aveva conosciuto tante persone, era lentamente tornato quello
di un tempo, il ragazzino sorridente che giocava a lanciare le cose e
riprenderle al volo.
Mai era passato un giorno senza che
non si vedessero o almeno sentissero al telefono. Per anni si erano
resi l'uno il confidente dell'altra, quando quello la trattava male o quella là
lo tradiva con mezzo locale convinta che lui non lo sapesse. E per anni
avevano rimandato quello che entrambi sapevano e avevano capito e che,
eppure, rifiutavano entrambi di accettare, chissà perché.
Solo nell'ultimo anno avevano trovato il coraggio di confessarsi i
reciproci sentimenti: lui era da poco entrato a far parte della crew
del Pharaoh's Kingdom, lei aveva incredibilmente rinunciato ad un
master in sceneggiatura all'estero. Yuya era quasi impazzito, aveva
strillato fino a farsi stridere le corde vocali, incapace di spiegarsi
il perché di quella scelta.
Era stata la seconda volta che Yuzu
aveva pianto di tristezza per causa sua. Come tanto tempo prima l'aveva
chiamato stupido, insensibile e tordo, poco accorto a quello che gli
succedeva, incapace di comprendere i suoi reali sentimenti e non solo,
di negare a sé stesso quello che lui sapeva fin troppo bene; al
suo ennesimo silenzio era partita in quarta, se l'era stretto addosso e
l'aveva baciato.
Quella volta Yuma aveva fatto cadere due bottiglie una dietro l'altra.
Erano stati necessari altri due
giorni prima che Yuya si desse una potente scrollata e la contattasse
per rincontrarla. E ammettesse che sì, lei aveva ragione su
tutta la linea: era uno stupido, un insensibile e un tordo, e tutto il
resto che gli aveva urlato quel giorno al locale e che lui non
ricordava troppo bene. Più di tutto, aveva ammesso tra le
lacrime di volerle molto più che bene, di vederla molto
più che come un'amica o una sorta di sorellina: ormai aveva
accettato l'idea che Yuzu fosse l'unica persona che lui volesse davvero
al suo fianco, e in cuor suo sperava di non aver aperto gli occhi
troppo tardi.
Tra le lacrime sue e quelle del
ragazzo, Yuzu gli aveva risposto che lui avrebbe anche potuto non farsi
affatto avanti, lei l'avrebbe aspettato sempre e comunque.
A distanza di un anno e qualche
mese, a ripensare a tutti quegli eventi, Yuzu non riusciva proprio a
trattenere un sorriso. Aveva riso, aveva pianto, aveva sofferto e alla
fine, come nella migliore delle favole, era tutto finito bene, come
avrebbe dovuto terminare. Con il senno di poi, la conclusione di quella
storia era intuibile da chiunque: si conoscevano da che erano bambini,
erano cresciuti insieme, e lei era stata l'unica persona di cui Yuya
tollerava la presenza, dopo la morte del padre. Per quanto potesse
apparire scontato, che due migliori amici fossero finiti insieme dopo
tanto tira e molla, la realtà dei fatti era molto più
intricata e meno prevedibile.
Si strinse meglio al cuscino, il
volto affondato nella federa, lì dove sentiva ancora il leggero
profumo del suo bagnoschiuma, uno stupido sorriso sul volto. Tra
racconti, risate e coccole di un certo livello avevano dormito
relativamente poco oltre che risvegliato mezzo pianerottolo: Yuya ne
era sembrato piuttosto divertito, Yuzu aveva provato lo stesso
imbarazzo di quella volta in cui erano stati quasi colti in flagrante
dalla madre di lui, quando si erano rivestiti al volo scambiandosi le
magliette.
Doveva riproporgli qualche scambio
d'abito, aveva qualche vestitino che sapeva gli sarebbe stato
divinamente addosso...sempre che non fossero entrambi morti dalle
risate al solo pensiero.
Ci stava mettendo molto, per uscire dal bagno.
E lei aveva un immediato bisogno di usarlo.
Si alzò dal materasso,
pettinandosi distrattamente i capelli rosa con le dita, le gambe
lievemente indolenzite e la maglietta che la copriva il necessario,
prima di bussare alla porta del bagno.
- Yuya?-
Nessuna risposta dall'altra parte. Ma lui era lì, ne era certa: non l'aveva sentito uscire. Bussò ancora.
- Yuya? Tutto bene?!-
- Yuzu?! Non-non entrare per favore! Mi-mi...-
- Yuya, che diavolo...?!-
Ignorando la sua preghiera, Yuzu
abbassò la maniglia e spalancò la porta. Di fronte allo
specchio, Yuya si acquattò di colpo, urlando come una ragazzina.
La giovane rimase senza parole. Si
convinse di star sognando, teoria presto abbandonata quando la pelle
del braccio sinistro rispose con una stilettata di dolore al suo
pizzicotto. Si stropicciò gli occhi, li chiuse e riaprì
un paio di volte, ma Yuya era sempre lì, accucciato sotto il
lavandino, gli occhi diversi grandi e spaventati, coperto solo dai
boxer rossi e le braccia che si circondavano il petto, a nascondere un
seno chiaramente femminile.
Stava sognando. Per forza. Ma il
braccio le doleva ancora, e Yuya continuava a cercare disperatamente di
nascondere il seno piccolo e sodo che gli era sbocciato dalla sera alla
mattina, trovando rimedio nei capelli verdi e rossi, ormai diventati
più lunghi di quelli di lei. Yuzu si portò la mano
sinistra alla tempia.
- Yuya?! Che succede?- domandò poi lei, con la
voce tremante. Lo shock era tale che non sapeva se ridere, urlare,
piangere o perdere i sensi. Nel dubbio non stava facendo nessuna delle
cose, cercando solo di mantenere il contegno che il compagno sembrava
aver perso.
- A saperlo!- esclamò lui -lei,
apparentemente sull'orlo delle lacrime – Mi ero addormentato come
maschio, maledizione! E mi sono risvegliato così! Io-io non...!-
Il telefono che squillava lo fece
trasalire, sferrando una testata al lavandino che gli strappò
un'imprecazione dalle labbra. Lo smartphone lasciato sul davanzale
della finestra brillò un paio di volte, sullo schermo apparve la
foto di Yuma sorridente. Yuzu lo strinse tra le mani, senza sapere cosa
fare.
- Yuma- gli disse poi, mentre Yuya si rialzava molto
lentamente, quasi dovesse verificare di avere qualcosa di rotto –
Vuoi rispondergli?-
Come un burattino guidato da dei
fili invisibili, Yuya le prese il cellulare dalle mani. Osservò
il volto di Yuma sorridergli dallo schermo, e passarono altri tre
squilli prima che decidesse di rispondere.
- Pro-Pronto?!-
- Yuya! Oh cielo, fortuna che sei sveglio!-
esclamò...quella era la voce di Yuma? La ricordava molto
più bassa, forse era un disturbo di linea – Temo abbiamo
un problema-
- Tu dici? Io ne ho due- rispose l'altro,
osservandosi allo specchio e tastandosi i seni, prima di infilare una
mano nei boxer, facendo sbuffare di sorpresa Yuzu – Anzi, direi
TRE!-
- Cazzo-
- Bravo! Proprio quello!-
- Puoi anche cominciare a dirmi bravA-
- Cos...ANCHE TU?!-
- E anche Judai e Yusei. Li ho sentiti poco fa-
- Cos'è successo?!-
- A saperlo...secondo loro centra lo zampino di Atem.
Credono sia una sua illusione...o magia-
- Illusione? Magia?! State scherzando tutti e tre
spero! QUESTE...- e si palpò rabbiosamente il seno, fin quasi a
sentire dolore – Sono TUTTO fuorché un'illusione, cazzo!-
- Ehi, ora che ci penso...Yuzu è lì con te?!-
- Seh-
- E...e anche lei ti vede...sì insomma, ti vede così?!-
- Mi vede e mi tocca!-
- Io non ti ho toccato...!- protestò debolmente Yuzu.
- Beh puoi farlo! Così potrai accertarti di
persona che questo non è un sogno, ma un fottuto incubo!-
- ...Posso? Davvero?!-
- Accomodati-
Con le mani giunte poco sotto il
naso, Yuzu si fece timidamente avanti. Sfiorò le
rotondità del suo fidanzato -cielo, non riusciva neanche a
pensarla quella...prima di
serrare dolcemente le dita su di esse. E quando quelle affondarono con
morbidezza nella pelle, Yuzu si ritirò di scatto, portandosi
entrambe le mani alla bocca, i begli occhi blu spalancati
dall'incredulità.
- ...sono vere...!- gemette poi, quasi senza fiato. Yuya annuì.
- Sentito?!- sibilò poi nel microfono dello smartphone.
- Sentito, sentito. Cazzo, che casino...-
- Cosa facciamo?-
- So
che Judai e Yusei stanno dirigendosi al Pharaoh's Kingdom. Riunione
straordinaria, l'hanno chiamata. Yugi ha il telefono staccato, gli
hanno lasciato un messaggio, e stessa cosa per Aki, anche se penso che
per lei il problema non si presenti. Volete che vi raggiunga in auto,
andiamo insieme?-
- Per forza! Come faccio a uscire così?-
- Vabbé, chi vuoi che ti riconosca per strada?-
- Aaaaah...muoviti e basta! Cinque minuti e sono giù!-
- Allora arriverò tra mezz'ora-
- Sei scemo o cosa?! Ho detto che sono giù tra cinque minuti!-
- E i minuti delle donne sono come gli anni dei cani, vanno moltiplicati per sette...-
- Ricordati che anche tu hai un paio di tette sotto al collo, adesso...-
- Già, vedremo poi chi avrà il seno più bello!-
- Fatti sotto!-
L'inaspettata conclusione della
chiamata fece sbattere di sorpresa gli occhi di Yuzu. Per contro, il
suo fidanzato – o la sua fidanzata? - si fiondò in camera
da letto e spalancò il suo armadio, prendendo letteralmente i
primi abiti che gli capitavano. Ebbe cura di scegliere una maglietta il
più larga possibile, per evitare di sgualcirla con le sue nuove
forme. Yuzu si passò una mano tra i capelli, sospirando
semisconvolta.
Sarebbe stata una lunga giornata, quella.
Nello specifico, non sapeva cosa
pensare al riguardo. Inizialmente era convinta fosse ancora in
quell'assurda fase di dormiveglia che la pervadeva prima del risveglio
effettivo, quella dove stavolta aveva sognato un nobile principe,
armato per la battaglia, che aveva portato a far benzina il suo drago
distruttore. E la bestia sembrava decisamente contenta di bere galloni
di benzina direttamente dal tubo. Perché quel principe aveva il
viso e il corpo di Yusei? Lo stava idealizzando troppo, forse.
Appurato che non ci fossero principi
di sorta nei paraggi, e che i draghi continuassero ad essere una
simpatica leggenda medioevale, si era risvegliata nel silenzio del suo
triste bilocale e si era alzata, pervasa da una strana sensazione
all'inguine.
Subito si era alzata dal letto, e
aveva tirato un grosso sospiro di sollievo nel constatare che le sue
lenzuola non sembravano essere state utilizzate per una scena del nuovo
film di Tarantino; tuttavia la singolare sensazione restava, e non
sapeva esattamente come meglio definirla, se non con un urlo di terrore
una volta specchiatasi in bagno.
Si era seduta a terra per qualche
minuto, convinta di star ancora sognando e devastandosi le braccia di
pizzicotti: inutile dirlo, aveva la pelle indolenzita ma nulla era
cambiato di quel suo rinnovato aspetto mascolino. E sebbene la
lunghezza dei capelli rossi fosse rimasta pressapoco la stessa, il
volto aveva inequivocabilmente assunto tratti più virili, e il
rigoglioso seno del quale doveva ammetterlo, andava orgogliosa, era
sparito sostituito da pettorali maschili più o meno prominenti.
Non aveva abbassato lo sguardo
oltre, sfilandosi le mutandine alla cieca e accontentandosi di tastarsi
con un gesto sospettoso, prima di portarsi le mani al volto costernata.
Ancora seduta sul pavimento, Aki
trasalì quando sentì il cellulare squillare nella stanza.
Si alzò maldestramente in piedi, camminando come se si trovasse
su un tappeto di uova, aggrottando la fronte quando si rese conto che
il cellulare era squillato una sola volta: doveva trattarsi di un
messaggio, forse il buongiorno di Judai.
La consapevolezza di dover
presentarsi al locale in quello stato le creò una vertigine
nello stomaco. Aki afferrò lo smartphone, sbloccandolo
furiosamente con l'intento di contattare Atem: il telefono dall'altra
parte squillò a vuoto per un minuto, prima che si inserisse la
segreteria telefonica. I seguenti tre tentativi fruttarono lo stesso
risultato.
Solo allora si degnò di guardare il messaggio ricevuto.
Come sospettato era di Judai, che le
augurava il buongiorno con un video che definire delirante era poco.
Sia il castano che Yusei erano allo specchio, e indossavano due t-shirt
bianche che differivano solo per la scritta nera su di essa, realizzata
con un pennarello: Judai recava la scritta SEND, mentre sulla maglietta
di Yusei spiccava NUDES. Nell'audio, il moro dichiarava l'intera
situazione umiliante, Judai gli ordinava di rimando di sorridere,
minacciandolo di palparlo se si rifiutava. Concludeva invitando Aki a
raggiungere il Pharaoh's Kingdom al più presto, per una riunione
d'emergenza.
Gli occhi della rossa non si erano
mai alzati dal prosperoso seno di Yusei che deformava la scritta. E non
sapeva se rallegrarsi del fatto che anche i due sembravano vittima di
un'assurda trasformazione.
Cosa diavolo era successo?
Trasalì ancora quando lo
schermo si illuminò di nuovo, segnalando una chiamata da parte
di sua madre. Aki gemette affranta: l'ultima persona sulla faccia della
Terra con il quale avrebbe voluto parlare in quel momento la stava
contattando, e lei era in quello stato e aveva cose ben più
importanti a cui pensare piuttosto che alle sue lamentele.
Il telefono continuava a squillare e
vibrare insieme. Se non avesse risposto adesso, sua madre avrebbe
continuato a mettersi in contatto con lei finché non avesse
ricevuto risposta, e allora avrebbe dovuto sorbirsi un'altra ramanzina
per non avere sempre il cellulare con sé pronta a rispondere
ogni volta: meglio darle la soddisfazione e far sentire la sua voce.
Fece scorrere il dito sullo schermo e portò il ricevitore
all'orecchio.
- Pronto?-
Inevitabilmente venne colta da un
attacco di tosse, causato più dal nervosismo dell'imbarazzante
situazione che altro: quella che era uscita dalle sue labbra era
inequivocabilmente una voce da uomo! Bassa, corposa, quasi rauca: Aki
tossì un paio di volte come se volesse invano schiarirla, per
poi desistere dai suoi tentativi.
- Aki? Tesoro, tutto bene?!- domandò la madre
all'altro capo della cornetta, preoccupata.
- S-sì mamma, sì...ho solo un po' di
mal di gola. Ha fatto molto freddo qui in questi giorni-
- Oh Aki, dovresti riguardarti un pochino tesoro! Sei al caldo? Hai preso qualcosa?-
- Sì mamma-
- Tesoro, vorrei restare a parlare con te ma sono
davvero di fretta! Ascoltami, Suketsune intende presentare
ufficialmente la sua fidanzata alla famiglia-
- Ah, buon per lui-
- E in onore di questo tuo padre ha organizzato un
ricevimento presso la nostra tenuta! Sarebbe carino se ti presentassi-
- Ci proverò, se starò meglio-
- Oh ma certo, vuoi vedere che non ti riprendi per la prossima settimana?-
Prossima settimana?! Era ancora peggio di quanto pensasse. Aki rafforzò la presa sul suo smartphone.
- Oh, l'ideale sarebbe che tu non ti presentassi sola. Sai com'è, per l'immagine-
Benissimo, ora che aveva toccato il fondo non poteva fare altro che scavare.
- E se non avessi nessuno con cui presentarmi?- domandò lei, quasi speranzosa.
- Oh andiamo! Avrai fatto amicizia con qualcuno
lì, no? Ecco, portati un amico! Non serve per forza un fidanzato
Aki, è solo una questione di apparire! Sai come funziona in
famiglia-
- Sì, mamma-
- Oh, e non fare quel tono Aki, sai come vanno le cose...-
- Certo, lo so-
- Devo andare ora. Un abbraccio-
- Anche a te-
Chiuse la telefonata senza troppo entusiasmo, restando ad osservare il soffitto.
****
- Mh. Okay. Bene. Anzi, male. Molto male-
Yusei scosse il capo, costernato,
passandosi entrambe le mani sugli occhi stanchi. Scrutò uno ad
uno i suoi compagni, irriconoscibili in quelle vesti e in quelle
caratteristiche così fuori posto.
Lui e Judai avevano preferito uscire
in auto, evitando la moto per restare più riparati, e nonostante
questo erano stati bersagli di qualche occhiata curiosa dei loro
vicini, sorpresi dall'apparizione di quelle due ragazze sconosciute,
eppure tremendamente familiari. E la situazione aveva rischiato di
precipitare in un vortice vergognoso quando, poco prima di uscire,
Judai era entrato in crisi lagnandosi di non aver nulla da mettersi,
proprio come una ragazza qualsiasi: Yusei non aveva esitato a
rifilargli un cazzotto in testa da spedirlo di faccia contro il suo
letto. Col senno di poi, si era reso conto che il castano non aveva
tutti i torti: nessuno dei loro abiti avrebbe nascosto le prosperose
grazie che qualche misteriosa divinità (o un Faraone?!) gli
aveva improvvisamente donato. Yuma e Yuya non avevano avuto questo
problema, essendo stati in grado di nascondere le loro
femminilità sotto vestiti ampi e larghi che dissimulavano alla
perfezione.
Quando Aki era poi entrata, aaah,
era stato il puro delirio. I due Yu erano finiti con l'abbracciarsi
dallo spavento, osservando terrorizzati la rossa (o il rosso?) che
varcava la porta di vetro del Pharaoh's Kingdom con un'espressione che
mandava lampi e fiammate ovunque: Yusei stesso si rifiutò di
parlarle onde evitare di scatenare la sua ira, limitandosi a salutarla
con un imbarazzato cenno della mano destra.
E ora erano tutti lì, ad osservarsi reciprocamente come ebeti, senza sapere cosa dire né cosa fare.
- Il momento è molto tragico- sibilò
Yusei, aggiustandosi la maglietta che continuava a scoprirgli la
pancia, complice il seno che la ingrossava sul davanti – Quando
vi siete accorti di...di essere in queste condizioni?-
- Appena sveglio- rispose Yuma – Volevo mandare un selfie a Kotori-
- Io mi sono specchiato in bagno- spiegò Yuya
– Non ho percepito nulla di strano, solo un...vuoto, ecco-
- Come se un'importante parte di te fosse andata via?- domandò Judai.
- Esattamente-
- Beh, io ho perso ben due parti importanti di me- soffiò Aki, la voce roca.
- Yuzu, tu l'hai sempre visto così?-
domandò ancora Yusei, rivolgendosi alla ragazza – Judai,
smettila di toccarti-
- Sempre- rispose la ragazza – Beh...sempre dal
momento in cui ci siamo svegliati. Ieri sera era del tutto...normale-
- ...Sicura?-
- Mi stai chiedendo se abbiamo fatto sesso?
Sì, lo abbiamo fatto. E tranquillo, siamo andati perfettamente
ad incastro-
Judai sbuffò una risata,
piegandosi su sé stesso. Yusei fece appello a tutta la sua
pazienza per ignorarlo, prima di voltarsi verso la rossa.
- Aki?- domandò poi, incerto.
- Stessa cosa- rispose la rossa – E c'è
di più: ho parlato al telefono con mia madre, stamani...e ha
trovato la mia voce molto strana. Bassa-
- Quindi abbiamo la seconda conferma che il nostro
cambiamento è percepito anche dalle altre persone, JUDAI
SMETTILA DI PALPARTI INSOMMA!-
- Ma fallo anche tu, musone! Non sai quanto è rilassante!-
- Io non ho parole...dovremmo trovare una soluzione a
questo ENORME problema e tu non fai altro che toccarti! Credo ti sia
abituato troppo presto alla tua nuova identità...-
La porta di vetro scorse dolcemente, facendoli voltare all'unisono.
Nel silenzio che seguì, Yugi
rimase in piedi sulla soglia, completamente stravolto. Si portò
una mano al ciondolo dorato che aveva al collo, incredulo, prima di
scrollare il capo e sbattere gli occhi un paio di volte. Prese un lungo
respiro, poi si voltò alle sue spalle, scambiando dei sussurri
con qualcuno.
Atem e Mana fecero il loro ingresso
nella sala, il primo impeccabile nei suoi pantaloni e camicia scuri, la
giacca posata come di consueto sulle spalle a mo' di mantello, e lo
smartphone in mano, la seconda elegante nel suo abito lilla. Quel
pentacolo che aveva al collo doveva piacerle davvero tanto.
Fu proprio Mana la prima a crollare.
La giovane dagli scintillanti occhi verdi scoppiò in una forte
risata, coprendosi la bocca con entrambe le mani, mentre Yugi spostava
lo sguardo prima su di loro, e poi su Atem, a chiedergli delle
spiegazioni in silenzio.
Aki esplose.
- Cosa diavolo ridi?- ringhiò, muovendo un
passo avanti – Dico, COSA DIAVOLO RIDI?! Questo è un
ENORME problema! Abbiamo cambiato sesso dalla sera alla mattina senza
rendercene conto, come se fosse una cosa normale, non sappiamo
perché, né come, né tanto meno cosa fare per
ritornare quelli che eravamo prima! Tra una settimana ho una riunione
di famiglia e io dovrei presentarmi COSÌ, hai idea del putiferio
che potrebbe succedere? In una famiglia come la MIA poi! Lo trovi
davvero divertente, vero?!-
- Interessante- esclamò Atem, socchiudendo
pigramente gli occhi – Una reazione davvero interessante. Puro
sconforto di fronte ad un drastico cambiamento. Sei una persona
piuttosto abitudinaria, vero? Non ti piacciono le sorprese, soprattutto
quando si tratta di cose che fatichi a controllare-
- Ah no, non stavolta! Ti faccio vedere io brutto--
- Cosa?-
Aki si fermò a pochi passi
dal Faraone. Sbatté gli occhi e si ritrasse di scatto, quasi
qualcosa l'avesse colpita, per poi guardarsi intorno stupita.
- Dimmi pure Aki, cosa volevi dirmi?- le
domandò Atem, con un sorriso. La rossa scosse il capo e
sbatté ancora le palpebre.
- Io...io volevo dirti qualcosa?- si chiese poi,
portandosi una mano alla fronte. I suoi occhi nocciola vagarono nel
vuoto – Non me lo ricordo. Forse non era importante-
- Yuya mi aveva detto che hai avuto problemi con la
camicia, qualche sera fa. Ho provveduto a fartene recapitare una
più comoda, non dovrai avere ulteriori problemi. La troverai nei
camerini, sull'appendiabiti-
- Oh! Grazie-grazie mille!-
Si portò le mani al seno,
poco sopra il cuore, eseguendo un piccolo inchino per poi voltarsi e
dirigersi verso i camerini. Poco prima di entrare rischiò di
scontrarsi con Yusei: il ragazzo indietreggiò e le fece cenno di
avanzare per prima, mentre Yuma scendeva scivolando sul corrimano e
Judai si lanciava sulla prima poltroncina vuota, scrivendo qualcosa al
cellulare. Yuya mormorò qualcosa alla sua fidanzata,
suonò come un “mettiti pure comoda”, alla quale lei
rispose con un dolce sorriso.
Yugi si voltò di scatto verso
il fratello maggiore, sbattendo gli stessi occhi ametista e schiudendo
le labbra, incapace di proferire alcuna parola. Indicò i
colleghi con un ampio gesto delle braccia, poi si voltò ancora
verso di lui, poi osservò Mana e infine tornò di nuovo su
Atem.
- Mi-mi spieghi cos'hai fatto?! Non ho sognato
vero?!- domandò poi il giovane, sull'orlo di quella che sembrava
un'autentica crisi di nervi.
- Sognato cosa?- domandò poi Atem, reclinando lievemente il capo.
Yugi sbatté gli occhi, colpito.
- Cosa?- domandò poi il ragazzo – Non...ti dovevo dire qualcosa?-
- Sì, a quanto pare-
- ...Non ricordo più. Ah beh, probabilmente
non era così importante! Vado a cambiarmi!-
E anche lui imboccò la porta
dei camerini, sparendo alla loro vista. Mana si avvicinò
silenziosamente al Faraone, osservandolo di sottecchi.
- Cosa gli hai fatto, esattamente?- gli
domandò poi, incerta – Capisco che gli hai fatto credere
quello che volevi, ma come hai fatto a risolvere la situazione?-
- ...Mettiamola così-
Atem sorrise soddisfatto, mentre
cancellava dal cellulare la foto dei cinque membri della crew del
Pharaoh's Kingdom, scattata pochi attimi prima.
- Dall'alto della mia saggezza, ho compreso di aver
esagerato- continuò poi, rimettendo in tasca lo smartphone
– E che come esperimento era davvero troppo anche per loro, che
non si meritano sicuramente un simile shock. Per cui ho rimesso le cose
a posto, e ho fatto in modo che nessuno di loro ricordasse di questo...scherzo-
- Chiamalo scherzo...ma la domanda resta. Come diavolo hai fatto?-
- A cosa serve chiederlo? Sai che un bravo mago non rivela mai i suoi segreti...-
Le agitò lievemente un indice
sotto agli occhi, prima di picchiettarle la punta del naso piccolo e
fine. Mana scosse il capo e sorrise, conscia del fatto che non avrebbe
spezzato le catene del suo silenzio.
****
- Yuya, hai fatto?!-
- Eccomi eccomi! Solo un secondo!-
- Okay, al tre, va bene?-
- Dammi un secondo...fatto!-
- Al mio tre, okay? Uno...due...TRE!-
Yuya spalancò la porta del
bagno e uscì nell'esatto momento in cui Yuzu si voltò. Il
silenzio che calò tra i due durò qualche attimo, il tempo
che si rendessero conto del loro stato attuale e scoppiassero a ridere
come due autentici idioti.
L'idea era stata di Yuzu. Gli aveva
detto che era una cosa che voleva provare da un po' di tempo, ma che si
era sempre vergognata di chiedergli per chissà quale motivo,
sebbene sapesse che Yuya non aveva alcun problema a fare simili
“pagliacciate” come lei stessa l'aveva definita. Erano
tornati a casa dopo l'ennesima, divertente serata, lui si era fatto una
veloce doccia e poi avevano iniziato a prepararsi.
A Yuzu stavano davvero bene i suoi
occhialetti: le cingevano perfettamente la testa come un grazioso
cerchietto, e anche la sua maglietta arancione era riempita davvero
bene. Peccato che i pantaloni in stile cargo le nascondessero troppo le
belle forme che aveva, ma a questo si poteva rimediare tranquillamente,
e sembrava che l'idea di Atem di portare la giacca sulle spalle le
fosse davvero piaciuta, perché era così che indossava la
sua giubba bianca e rossa.
Ma Yuya era semplicemente osceno
in quella camicina bianca e la gonna rossa, al tal punto che Yuzu non
riusciva a smettere di ridere. E quando lui si mise anche in posa,
mettendosi di profilo e protendendo di poco il fondoschiena al di
fuori, arricciando le labbra in un bacio, poco ci era mancato che la
ragazza soffocasse dalle risate. La giovane si era sbrigata a
scattargli una foto prima che lamentasse qualche crampo alla spina
dorsale.
- Beh dai, non mi sta mica così male!-
esclamò Yuya, eseguendo una piroetta sul posto: la gonna a
pieghe, già piuttosto corta, si alzò troppo, provocando
un nuovo scroscio di risate – No?-
- Oh cielo Yuya, io non...- provò a dire lei
– Sei fantast—ehi ma quelli sono i miei fermagli! Oh
mio...!-
Come se non fosse bastata la camicia
avvitata e la corta gonna, o le parigine nere, Yuya aveva raccolto
alcuni dei suoi ciuffi verdi in due striminziti codini, fermati con i
suoi fermagli lenticolari blu. Yuzu cadde distesa sul letto, seguita
poco dopo dal ragazzo che le montò sopra: la gonnellina si
alzò ancora, al punto che era semplicemente irrealistico
nascondere i boxer di Star Wars.
- Via questi!- esclamò il ragazzo, togliendosi
i fermagli e lanciandoli con precisione sul comodino – Come ti
senti nei miei vestiti?-
- Ohohoh, molto comoda grazie!- rispose Yuzu, con un
grande sorriso – E tu? Come ti senti nei miei?-
- Molto stretto e sexy! Se ti piace mi vestirò
così più spesso ma solo per te, ho una certa reputazione
da mantenere!-
- Aha...-
- Sul serio, se fai vedere quella foto a Yuma non risponderò di me...!-
-
La tua virilità è al sicuro!- Yuzu si asciugò le
lacrime spuntate agli angoli esterni degli occhi – Lo faremo di
nuovo! Mi diverte un sacco!-
Prima che lui potesse provare a
risponderle, la ragazza gli incrociò le braccia al collo e lo
strinse a sé in un forte abbraccio.
- ...Ti avrei aspettato per
sempre- la sentì soffiargli in un orecchio. Yuya intese subito
cosa volesse dire e rafforzò la presa, chiudendo gli occhi
– Ti avrei amato in qualunque forma tu fossi comparso-
- ...Anche se fossi stato una ragazza svampita e impertinente?-
- Anche se fossi stato un ippopotamo rosa con la coda a cuoricino-
Yuya scoppiò a ridere.
Entrambi sprofondarono in quel bacio.
______________________________________________
Questo è un delirio.
Ai tempi in cui questo capitolo è stato scritto ero ancora in
fase di riabilitazione, ed erano passate più o meno 24 ore dalla
litigata familiare più pesante della mia esistenza. Una cosa
inenarrabile che tutt'oggi, a pensarci, mi fa ribollire il sangue dal
nervoso e dallo schifo.
Avevo deciso di prendere un capitolo e sfruttare le abilità da
illusionista (???) di Atem per proporre, anche se per poco, una
versione genderbend dei nostri protagonisti. Una scusa per farsi
quattro risate alle spalle di 'sti poveracci, lo ammetto.
Tutt'ora non sto passando un bel momento, ma questo per altre
motivazioni al di fuori del contesto familiare. Che brutto lavorare in
un call center. Che-brutto.
Capitolo numero SETTE! Delirante, quanto mi serviva all'epoca per
tenere il cervello impegnato oltre i massacri e gli squartamenti tra
demoni: infilare i duellanti in una strana dimensione in bilico tra il
sogno, l'incubo e l'illusione. Illusione che OVVIAMENTE Yusei e Judai
percepiscono quasi subito, anche se per caso. Son due ragazzi svegli in
fondo, anche se il castano sembra più uno a cui piace
bighellonare.
Mi è stato detto che, a conti fatti, di Judai, Yusei e compagnia
bella se ne sa ben poco: si possono evincere alcune cose da
come si comportano, da come parlano, dal rapporto che hanno tra di loro
e da molte altre cose che sono accennate qua e là. Non è
un caso, è tutto voluto: andando avanti con la storia verranno
resi più chiari alcuni punti, e ci saranno dei capitoli che vi
aiuteranno a far luce su alcuni aspetti delle loro vite prima di
arrivare al Pharaoh's Kingdom. Li potrete leggere molto presto, qui e
là tra gli eventi: si è già accennato qualcosina
su Yuya e Yuzu, presto potremo approfondire proprio loro e vederli in
azione insieme prima di tutto questo, prima di diventare una coppia
effettiva e prima di conoscere il resto dell'allegra brigata del
Pharaoh's Kingdom.
Come al solito, spero di non avervi annoiati. Ci sentiamo in tutti i canali possibili, MP o recensione o come preferite!
92Rosaspina
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Capitolo 8 *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown ***
Pharaoh's Kingdom - Time Travel 1
La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Performapal Showdown
- Quindi questo bacio c'è stato? Tra te e Yuzu intendo-
A volte sembrava che tutto
quello che Yuya facesse, fosse recitare in un grande, gigantesco,
eterno spettacolo fatto di quotidianità scolastica e relazioni
sociali. Gongenzaka sapeva che le sue erano le risposte più
sincere e genuine del mondo, ma proprio non riusciva a trattenere un
sorriso nel fare da spettatore a reazioni come quella.
Conscio della propria forza fisica, di gran lunga superiore a quella
del ragazzo, Gongenzaka calibrò bene il tiro e gli
assestò un pugno diretto tra le scapole, costringendolo a forza
a liberare l'esofago prima che si strozzasse con il grosso sandwich che
aveva addentato con la sua solita grazia di anaconda verde. Yuya
mandò un colpo di tosse da cavernicolo, prese un bel respiro e
si voltò verso il suo compagno di classe, con gli occhi ancora
lucidi dallo sforzo.
- Scusami?!- gli domandò poi, concentrando lo
sguardo sulla punta del naso grosso per evitare di guardarlo dritto
negli occhi.
- Mi sembrava di aver capito di un bacio tra te e Yuzu-
- Ah? A-AAAH QUEEEL bacio! Ahaha, ma no figurati! Era
solo peeeeeeer esigenze di trama! Sì!-
- ...Esigenze di trama, dici? Quindi era a teatro...cosa stavate provando?-
- Una trasposizione teatrale di una poesia di Baudelaire-
- La prof di francese ne sarà contenta-
- Sicuramente la mia pronuncia è migliore di
quella di Shingo, e dopo quello che è successo alla
cioccolateria evitiamo di fingere effusioni anche a teatro-
Stavolta Gongenzaka
scoppiò a ridere quasi qualcuno gli stesse facendo del
solletico, e Yuya si concesse un risolino nervoso, attorcigliandosi una
ciocca scarlatta intorno all'indice destro e mordicchiandosi il labbro
al ricordo di quella tragedia sfiorata.
O meglio, non proprio
tragedia...forse solo per il suo orgoglio maschile ritrovatosi nella
condizione, tutt'altro che semplice e vivibile, di spiegare a sua madre
perché stesse imboccando grosse cucchiaiate di cioccolato e
panna a Shingo con occhi sognanti. Non era assolutamente nulla, solo
una scommessa scema con quell'altro burlone di Sora...una semplice
prova fuori dai confini sicuri dell'aula di teatro della scuola, un
modo per ridere insieme e divertirsi! Ma come al loro solito, Yuya e
Shingo avevano preso quella sfida fin troppo seriamente, e da bravi
attori avevano messo in gioco tutta la loro bravura per fingersi la
tanto occhieggiata coppietta omosessuale in libera uscita alla loro
cioccolateria preferita. Il tutto sotto lo sguardo del diretto
interessato Sora e, ovviamente, di Yuzu che non riusciva più a
trattenere le lacrime dalle risate.
E il bello era anche che la
parte riusciva così naturale ad entrambi da mandare in crisi
Yuya stesso...! Tra lui e quella sorta di principino scappato dalla
più alta torre del suo castello c'era una sintonia particolare,
la stessa che poteva nascere tra due menestrelli di corte che
preparavano insieme uno spettacolo: sempre attenti a quello che l'altro
faceva o diceva, per concludere le sue frasi o anticipare le sue mosse,
si comportavano come un collaudato e riuscitissimo duo comico capace di
strappare un lieve sorriso perfino a Reiji Akaba, il temuto capoclasse
più rigido di una delle sue sciarpe appena estratte dalla
naftalina e dall'amido. E quel pomeriggio alla cioccolateria altro non
era se non un modo per mettere alla prova ed affinare le loro
qualità recitative, camminando mano nella mano, nascosti dalle
giacche, scambiandosi fugaci sguardi piuttosto eloquenti e, alla fine
dei conti, comportandosi come il loro solito, solo scambiandosi
discrete, silenziose coccole che avrebbero riservato ben volentieri ad
una loro fidanzata.
Il problema era nato quando
Yoko, l'avvenente, eternamente giovane mamma di Yuya, era entrata nella
stessa cioccolateria per comprare qualche dolcetto per quella sera, e
aveva colto in flagrante il figlio mentre, con la mano sinistra poco
sotto al cucchiaio, imboccava della cioccolata con la panna a Shingo,
il tutto con due “occhi da orsacchiotto grossi
COSÍ”, aveva commentato Sora prima e sua madre quella
sera, a tavola, rischiando di far morire suo padre prima del tempo a
causa di un infingardo boccone dello stufato andato di traverso.
Tanto per farla quadrata, il
giovane dagli occhi diversi aveva trascorso i seguenti venti giorni
cercando di convincere i suoi genitori che le sue precedenti ragazze
non erano una copertura.
E il bello era che nessuno dei
due sembrava farne un dramma...ma per Yuya, svegliarsi ogni mattino con
sua madre che lo fissava con quello sguardo da “io so che tu sai
che IO SO!” era stato un vero problema.
- Non c'è nulla di divertente in quella
storia, è stata durissima per me- borbottò il ragazzo con
gli occhialetti, storcendo il naso. Gongenzaka riuscì a ridurre
le sue risate ad insensati mugolii, prima di voltarsi a guardarlo
sorridente.
- Allora cambiamo argomento, ti va?- gli sorrise poi – Parliamo di te e Yuzu?-
Ecco, altro campo minato in cui doversi muovere con destrezza, abilità e circospezione.
Tutti sapevano del legame che
li univa reciprocamente, e tutti sapevano che entrambi erano pronti a
dare la vita per la salvezza dell'altro; e tutti sapevano che era ormai
questione di tempo prima che quell'eterna amicizia esplodesse in
qualcosa di più significativo. Perché le premesse c'erano
tutte: erano sempre insieme, nella stessa classe, compivano il tragitto
casa-scuola e inverso insieme, salvo attività extrascolastiche o
corsi di recupero, dove uno andava l'altra lo seguiva e viceversa, non
fosse stato altro per evitare che il reciproco compagno si cacciasse
nei guai; e inoltre stavano anche crescendo, ed inevitabilmente
cominciando a guardarsi con occhi diversi, aiutati da una nuova
consapevolezza e un'acquisita maturità fisica che li portava ad
intrecciare relazioni più o meno durature. Eppure tornavano
sempre l'uno verso l'altra, come un invisibile filo a legarli
indissolubilmente. A volte Yuya si chiedeva se quella storia del filo
rosso del destino avesse qualche fondo di verità.
La proposta era stata, neanche
a dirlo, di Sora: prepararsi, singolarmente o in coppia, come
più aggradava, una poesia di Baudelaire da recitare, tratta
dalla raccolta de I Fiori del Male. Così, a tempo perso, per
giocare e divertirsi e fare qualcosa di diverso. Yuya aveva confessato
di provare una sordida, inaspettata attrazione per quella raccolta di
poesie: non condivideva quasi nessuno dei temi pessimistici
trattati, né la visione cruenta e crudele che l'autore aveva del
mondo, ma qualcosa di quella raccolta di poesie lo attraeva e seduceva
come un canto d'amore e morte, come un elisir.
Yuzu aveva allora interpretato
La Bellezza, ergendosi tra tutti come la personificazione di quell'Arte
che ogni poeta, ogni artista maledetto perseguiva e venerava e amava
segretamente, giorno e notte: bella e imperturbabile come la neve,
eterea ed irraggiungibile e con due occhi che incantavano. Yuya invece
sembrava essere stato dell'umore giusto per recitare La Distruzione, il
poeta maledetto irretito dal Demonio e dalle sue grazie e punito con la
Noia e la desolazione.
Poi avevano interpretato L'Ossesso e lì i pianeti sembravano essersi allineati tutti insieme.
L'unica visione che il ragazzo
dagli occhi diversi condivideva con il poeta era quella di una parte,
della propria persona, ammaliata dal male. C'era chi cercava di
reprimere totalmente quella natura, chi finiva per amarla
smisuratamente, e chi ci conviveva, accettandola ed estrapolandola dal
proprio Ego. E allora lui e Yuzu si erano parlati e confrontati, uno la
parte oscura dell'altra, esortandosi all'unisono ad abbandonarsi ad una
vita di dissolutezze e perdizioni, liberi di pavoneggiarsi tra i folli,
i violenti e i lussuriosi; una provocazione sottile e continua,
culminata poi nell'adorazione a Belzebù. Recitata insieme, ad
alta voce, gli occhi scintillanti e le labbra separate da appena un
soffio.
Si erano uniti in un bacio
pudico e appena accennato, a malapena spezzato da un lieve sospiro,
come se nessun altro a parte loro fosse in quella stanza, su quel
palco. Ad occhi chiusi, fronte contro fronte e le punte dei nasi a
sfiorarsi, erano rimasti così per lunghi attimi, senza che
nessuno richiamasse la loro attenzione o li separasse; solo Shingo era
riuscito a spezzare il loro stato tantrico, imprecando sonoramente per
il cellulare sfuggito dalle mani mentre controllava i messaggi.
E il bello era che nessuno dei
due sembrava davvero imbarazzato dalla cosa. Come se entrambi avessero
silenziosamente accettato di varcare di fronte agli altri, anche solo
per una volta, quel confine tracciato a protezione della loro amicizia,
confine che stava diventando sempre più labile ed indefinito
sotto gli occhi di entrambi, senza che nessuno facesse davvero qualcosa
per fermarsi prima di varcare quella linea.
- Non c'è molto da dire- borbottò Yuya,
stringendosi nelle spalle e finendo velocemente il sandwich – Ci
siamo fatti prendere dalla recitazione, tutto qui-
- Solo?-
- Solo. Non fatevi idee strane-
- Chi?-
- Tutti quanti-
- Ma certo, Yoyo-
- Come mi hai chiamato?!-
Sì, le sue reazioni
erano davvero buffe, e anche gli sguardi stralunati che scoccava.
Gongenzaka gli diede un lieve buffetto sulla testa, scompigliandogli
allegramente i capelli, pregando in cuor suo che nonostante le ormai
evidenti difficoltà di socializzazione di Yuya all'infuori dei
suoi pochi, fidati amici, questoinon perdesse mai la sua allegria e
voglia di sorridere. Il mondo ne avrebbe sofferto.
- Mia madre è arrivata- fece poi, accennando
con il capo all'utilitaria scura che si stava lentamente avvicinando
dal fondo della strada – Ehi, vuoi un passaggio a casa? Dobbiamo
passare per quella via-
- Naaaah, grazie lo stesso...credo mi farò due
passi- rispose Yuya, le braccia incrociate dietro la testa.
- Sicuro? Il tempo non promette bene. Se dovesse cominciare a piovere?-
- Tranquillo, non pioverà-
E poi eccolo lì:
risposta enigmatica, laconica, e sguardo triste e lontano. Gongenzaka
arricciò il naso, scoccandogli un'occhiata curiosa, scuotendo
poi il capo e di fatto rinunciando a cercare di comprenderlo.
Yuya era fatto così,
molti suoi atteggiamenti sembravano largamente incomprensibili, quasi
fosse momentaneamente posseduto da un'altra personalità. A ben
pensarci, la cosa aveva un che di inquietante.
- Come vuoi. Ci vediamo domani allora!-
- Ovvio! Buona giornata Gon!-
Ci credeva davvero in
quell'augurio? Yuya se lo chiese più volte, mentre salutava con
un ampio gesto della mano il suo amico che entrava nell'auto e si
allontanava, sparendo in mezzo al traffico. Sì, ci credeva
davvero, per Gongenzaka sicuramente. Anzi, sperava ardentemente che per
lui il proseguimento di giornata fosse allegro e spensierato.
Lo sperava per tutti i suoi
cari se doveva essere sincero. Non desiderava altro che stessero tutti
bene, che fossero tutti felici e spensierati.
Era un augurio che non
rivolgeva molto spesso a sé stesso ed era così da molti
anni ormai, da quando aveva iniziato a crescere e a rendersi conto che
il mondo degli adulti era molto meno divertente di quello che credeva,
o sperava. E questo senza neanche entrarci davvero nel mondo degli
adulti, perché sebbene l'esame di maturità si stesse
avvicinando lui non sembrava affatto dargli il peso che meritava. Per
quanto la scuola potesse piacergli, per quanto si impegnasse, per
quanto alcune materie gli riuscissero anche bene, Yuya non poteva
nascondere il fatto di essere uno che non badava ai voti: erano numeri
come altri. E nulla più. E aveva tutta la vita per dimostrare, a
sé stesso più che altri, di valere molto più di
quella media scolastica che si ritrovava.
Ma gli bastava scorgere lo
sguardo sempre più spento del padre, ormai oppresso da una vita
passata a lavorare per sostenere la famiglia, e il volto della madre
sempre più tirato e sottoposto a trattamenti cosmetici con tre
tipi di creme antirughe diverse, per rendersi conto che l'essere adulti
coincideva con la fine del divertimento, della spensieratezza e dei
giochi. Ci si doveva uniformare alla società, crescere,
assumersi responsabilità come gestire un lavoro o una famiglia.
In cuor suo, Yuya sperava di
diventare un adulto ben diverso da quelli che lo circondavano, e
intendeva portare con sé quante più persone. Yuzu,
Gongenzaka, Shingo, anche Sora, e tutti quelli per cui provava affetto
e amore.
Era l'unica motivazione che
sapeva darsi, per spiegare quel suo continuo fare silenziosamente da
spugna per le negatività altrui. Discretamente, senza
protagonismi inutili, in un silenzio che aveva un che di disturbante,
conoscendo il soggetto. Ripensò quasi con nostalgia a Yuzu e
agli altri, augurandogli silenziosamente buona giornata nonostante le
nuvole.
Si rese conto che ce l'avevano
con lui solo quando decise di togliersi un auricolare da un orecchio,
incuriosito dal loro frenetico gesticolare in sua direzione. Yuya li
contò rapidamente, facendo scorrere gli occhi diversi su di loro
con fare preoccupato: erano in sette, tutti energumeni dalle spalle
larghe e le facce cattive. Il ragazzo dai capelli colorati non
riconosceva nessuno di loro, non erano del loro quartiere né
della loro scuola. Urlavano, a pieni polmoni: offese, ingiurie,
bestemmie da far venire la pelle d'oca a chiunque. Silenziosamente Yuya
tremò, scosso da un brivido gelato che partì dalla base
della spina dorsale e si arrampicò fino a stringergli la base
della nuca. Il sandwich mangiato poco prima cominciò ad
attorcigliarglisi nello stomaco, le gambe tremolarono quasi fossero di
gelatina, e nella sua testa cominciarono ad echeggiare pensieri carichi
di paura e preoccupazione.
Ce l'avevano con lui, sicuro?
Yuya ripassò mentalmente la giornata appena trascorsa, e anche
quella precedente e la settimana prima, alla ricerca di qualche sbaglio
o sgarbo commesso verso la persona sbagliata, ma niente gli tornava in
mente, forse solo qualche baruffa con i soliti prepotenti della
scuola...nulla per cui effettivamente urlargli contro in quella
maniera. Se fosse passato avanti ignorandoli? Avrebbe potuto indossare
ancora le cuffie, tirare dritto e fingere di non sentirli, per una
volta non alimentare il loro stesso malumore.
La pietra scagliata in sua direzione gli fece abbandonare quell'opzione con la stessa velocità con cui l'ebbe formulata.
****
- ...Yuya?!-
- ...Ehilà-
- ...idiota! TU SEI UN IDIOTA! Guarda in che stato ti
sei ridotto e tutto quello che sai dire è EHILÀ?!-
- Ehi ehi, è tutto a posto! Io--
- Vieni dentro, forza!-
C'erano volte in cui Yuya si
chiedeva da dove Yuzu tirasse fuori tutta quella forza, inaspettata ed
insperabile da una ragazza così minuta e dall'aspetto
così tenero poi. Lui l'aveva sempre
trovata tenera, con i grandi occhi azzurri e i capelli che colorava
sempre di tinte pastello: ultimamente sembrava essere entrata nel loop
delle chiome rosa, forse aveva rivisto qualche puntata di Sailor Moon.
La trovava tenera nella stessa
maniera in cui la temeva, quando aveva questi improvvisi sbalzi di
umore che dipingevano espressioni di sconforto e paura, o rabbia, sul
suo bel viso. E stavolta era davvero spaventata, e Yuya sentiva di
sapere il perché, anche se non poteva guardare bene come fosse
davvero ridotto.
- Ma guardati, accidenti!- esclamò la giovane,
una volta tiratolo dentro casa per un braccio e richiuso la porta alle
sue spalle – Sei fradicio dalla testa ai piedi!-
- Sai com'è, sta piovendo!- protestò il
ragazzo, frenando un gemito di dolore quando lei lo spinse in avanti
verso il bagno.
- E hai ben pensato di uscire e venire a trovarmi
usando un motoscafo?! Esistono gli ombrelli sai?!-
- Non...non volevo--
- Cosa diavolo hai fatto all'occhio?!-
- Ecco-
A Yuzu piacevano tanto gli
occhi di Yuya. Li trovava davvero belli e non solo per la loro
eterocromia, così evidente da dipingergli le iridi in due
tonalità così contrastanti come quelle del cremisi e
dello smeraldo, ma per la luce che li illuminava quando il giovane era
insieme alle persone che più amava. Quasi l'intero mondo gli
sorridesse, Yuya non riusciva a fare a meno di raccogliere quei sorrisi
a braccia aperte e restituirli con gli interessi, e gli occhi finivano
sempre con il parlare e sorridere prima delle labbra.
Vedergli l'occhio destro,
quello cremisi, gonfio al punto da lacrimare ed impossibile da
mantenere aperto, la allarmò e per un attimo fece retrocedere.
Yuzu scosse il capo con forza, afferrandogli il polso destro.
Il suo urlo di lancinante
dolore la fece gridare di sorpresa, quasi perfino lei avesse sentito
quella stilettata fulminante partire dalle ossa sbriciolate del polso e
percorrerle tutto l'arto. Yuya cadde sul ginocchio sinistro, a pochi
centimetri dal lavello, stringendosi al corpo il braccio destro e
mordendosi le labbra con forza per frenare a stento le lacrime. Yuzu
gli fu subito accanto, circondandogli il volto con entrambe le mani e
alzandoglielo, costringendolo a guardarla.
Vederlo piangere era
straziante. E non solo di tristezza, ma stavolta di dolore, dolore vero
e dilaniante. Yuzu sbatté gli occhi un paio di volte,
guardandosi intorno sperduta.
- ...cosa...cosa ti hanno fatto, Yu...!-
Avrebbe voluto abbracciarlo,
ma temeva di fargli troppo male. Yuya tirò su col naso in una
maniera così infantile da stringerle il cuore; si accorse dei
lividi perfino sul collo e degli abiti strappati, e solo in quel
momento riuscì a recuperare lucidità quanto bastava per
tamponargli il naso sanguinante con un asciugamano.
- Non...non lo so, me li sono ritrovati di colpo
tutti addosso...!- bofonchiò lui, la bocca mezzo tappata -
Ero appena uscito da scuola, mi-mi ero salutato con Shingo...e-e ero
rimasto con Gongenzaka che mi aveva proposto di andare via con lui ma
io ho detto n-no, volevo fare due passi...!-
- Chi erano? Yuya, chi è stato?!-
- Non-non lo so...questi non li ho mai visti prima! Non sono della nostra scuola, io non--
Ancora un urlo, quando lei
tornò a sfiorargli il polso, e le fu ormai chiaro che fosse
irrimediabilmente rotto. Yuzu scattò in piedi e chiamò a
gran voce il padre, costringendolo a scendere di corsa le scale e quasi
cadere a due gradini dalla fine.
Yuzu e Gongenzaga, e anche
Shingo e Sora, e più o meno tutti gli amici di Yuya, erano ben
al corrente delle continue schermaglie tra lui e il capetto della
scuola. Un ragazzo di buona famiglia, proveniente dai ceti più
alti di Nuova Domino, uno che non faticava molto ad avere tutto quello
che voleva, cresciuto tra vizi e agi e al momento nel vorticoso turbine
costituito dalla separazione dei suoi genitori. Per gli psicologi
scolastici i suoi atti di violenza erano un modo per somatizzare il
trauma della separazione, per Yuya era tutta una scusa, sebbene si
fosse sempre riguardato dal dire una cosa del genere ad alta voce. Yuzu
conosceva il ragazzo, sapeva che Yuya era tutto fuorché un
attaccabrighe e un litigioso ed evitava lo scontro fisico quanto
più possibile.
Yuya, certo, ma non lo
“spocchioso moccioso viziato” come Sora Shun'in lo aveva
definito, noto per la sua indole capricciosa e piantagrane; il tipico
bulletto con i controfiocchi che trovava il pretesto per litigare con
tutti e per far litigare
tutti, compreso Yuya e uno dei suoi tirapiedi. Yuzu ricordava lo
scontro verbale finito in una colluttazione fisica nell'atrio della
scuola, in mezzo ad altri studenti spaventati del primo anno e i loro
compagni del quinto: niente di così eclatante e violento, Yuya
ne era uscito un po' scapigliato ed era riuscito a rompere gli occhiali
da sole del tizio.
Il problema era comparso in
seguito, quando il capobanda l'aveva preso nel mirino delle sue
minacce, con i messaggi minatori, l'armadietto distrutto e il banco
messo sottosopra. E per quanto fosse bravo a parole, Yuzu non aveva mai
pensato potesse mai arrivare a questo.
Nel tragitto verso il pronto
soccorso, Yuya le aveva poi raccontato per filo e per segno cosa era
davvero successo. Era uscito da scuola, aveva percorso forse un
centinaio di metri o poco meno: Gongenzaka era già entrato
nell'auto della madre e si era allontanato. I primi sette erano
comparsi dall'angolo della strada e gli urlavano contro cose che non
comprendeva: offese indicibili, improperi, minacce confuse tra le
bestemmie. Yuya non aveva inizialmente capito ce l'avevano con lui, si
era rapidamente voltato solo quando un sasso scagliato gli aveva
sfiorato paurosamente la spalla sinistra; e a quel punto si era accorto
degli altri due sopraggiunti alle sue spalle a bloccarlo. Era stato
letteralmente trascinato di peso nel parco accanto alla scuola, portato
in un vecchio gabbiotto della sicurezza abbandonato, dove l'unica cosa
che Yuya ricordava, oltre al tremendo tanfo di urina e acqua stagnante,
erano le percosse subite.
Con un sospiro sconsolato,
Yuzu alzò la mano destra e gli scostò alcune ciocche
ribelli dagli occhi; Yuya chiuse pigramente gli occhi al contatto,
adagiato sulla barella, il braccio destro sostenuto dalla fascia al
collo e il polso ingessato. Il naso aveva smesso di buttare sangue, e
dagli esami era stato confermato che non era rotto, così come
anche il ventre, seppur dolorante, non aveva recato lesioni interne.
Erano in attesa della radiografia alla gamba sinistra, livida e gonfia.
- Come ti senti?- gli chiese la ragazza, facendo
scorrere le dita della destra sulla guancia tumefatta con delicatezza.
Yuya represse un brivido, non seppe dire se di dolore o chissà
cos'altro.
- Una merda- sibilò poi, voltandosi dall'altra
parte - ...Yuzu, credo di non poter più sostenere oltre. Mi
trasferisco, cambio liceo-
- Sei scemo?! All'ultimo anno?! Abbiamo gli esami! Se
proprio volevi dovevi farlo prima! Adesso a che serve?!-
- A non rischiare di essere ammazzato di botte forse?!-
Si rese conto di aver reagito
in modo troppo brusco quando la testa gli restituì una fitta di
dolore, e gli occhi gli mostrarono l'immagine di Yuzu ancora una volta
sull'orlo delle lacrime. Yuya imprecò qualcosa tra i denti, poi
allungò la mano sinistra e le strinse la sua.
- Non dici sul serio vero?- chiese la ragazza, la
voce rotta dalle lacrime. Yuya sospirò affranto, dandosi
sistematicamente del cretino per averla fatta preoccupare ancora.
- Yuzu, no, non dico sul serio- le rispose poi
– Dove vuoi che vada? E poi tu? Senza di me cosa faresti?-
- ...Sei uno stupido-
Solo in quel momento riuscirono a concedersi un sorriso un po' tirato.
- Ehi. Dici che Sora ha ripreso conoscenza dopo aver visto quel bacio?-
La domanda doveva aver colto
Yuzu di sorpresa, perché la vide arrossire vistosamente e
sbattere gli occhi azzurri con fare stralunato.
- Eh?!- squittì infatti, indecisa su cosa rispondere – Che...che vuoi dire?-
- Nnnon so, mi era parso un po'...inquietato?, dalla piega presa dalla situazione-
- Beh, se l'è cercata! Per quel che mi
riguarda la prossima volta possiamo metterci anche più impeto!-
- ...Vuoi davvero rifarlo?!-
Troppo tardi, fregata con le
sue stesse mani. Yuzu sbatté perplessa le palpebre un paio di
volte, e le ci volle qualche secondo in più del previsto per
rendersi davvero conto di quello che aveva appena detto. La bocca le si
spalancò come a voler parlare, ma tutto quello che fu in grado
di emettere fu un suono disarticolato e privo di reale senso. E il
furbo sorriso da diavoletto che Yuya le stava riservando non aiutava
molto a ragionare su una possibile risposta...la ragazza scosse con
veemenza il capo, prima di coprirsi il volto con entrambe le mani e
gemere di frustrazione, facendo scoppiare il ragazzo in una risata.
- Ma-ma cosa mi fai direeee?!- esclamò poi,
ben cosciente di avere le guance della stessa gradazione del rosso che
striava i capelli di Yuya.
- Cosa vuoi che ti dica?! Hai fatto tutto da sola!-
esclamò di rimando lui, ridacchiando come uno stupido.
La ridarella gli sparì nel giro di pochi attimi, quando il padre di Yuzu fece il suo ingresso nella stanzetta.
- Oh, eccovi qui- annotò a
voce alta Shuzo, lo sguardo puntato su Yuya – Credo di essermi
perso per qualche corridoio di troppo. Arriverà il dottore a
dirtelo Yu, ma la gamba sta bene, è solo un po' ammaccata. Un
po' di riposo e tornerà come nuova-
- Bene- si limitò a rispondere lui –
Papà è già arrivato?-
Il cambio di espressione di
Shuzo fu registrato da entrambi i due ragazzi: impossibile non rendersi
conto del lampo improvviso che aveva brillato nei suoi occhi in un
attimo di consapevolezza. Confuso, esitante, quasi parlare gli costasse
un po' di fatica, l'uomo strusciò un piede a terra e si
passò una mano sul volto, sospirando pesante. Yuya piegò
lievemente il capo di lato, con fare curioso.
- Shuzo?-
- Papà? Tutto bene?-
Il lieve cenno di diniego
dell'uomo gettò un brivido freddo lungo la spina dorsale di
Yuya; ignorando le proteste doloranti dei muscoli indolenziti e delle
ossa peste, il ragazzo si tirò a sedere sul lettino, puntando
gli occhi sull'uomo.
- Ecco Yuya...c'è stato un incidente. Non...non so neanche come dirtelo-
Ma il modo lo trovò, in
fondo. Perché notizie del genere non potevano essere comunicate
in nessun altro modo se non in maniera diretta, a costo di suonare
insensibili e brutali.
Yuya era venuto a sapere della
morte del padre mentre il dottore che lo aveva momentaneamente in cura
era sopraggiunto a comunicargli i risultati delle radiografie. Una
carambola stradale a quanto pareva: la pioggia aveva tradito l'impianto
frenante dell'auto dietro quella di Yushio Sakaki, e un incauto
automobilista che attraversava l'incrocio a velocità ben
superiori al limite consentito aveva fatto il resto. Era morto durante
il tragitto in ospedale, per via di una lesione interna che aveva
causato il collasso dei polmoni.
Yuya non aveva mai smesso di
piangere da quel momento. Non un minuto, non un secondo che passava i
suoi occhi diversi erano privi di quella infida, traditrice patina
acquosa che gli oscurava la vista, e quando non era intento a
letteralmente consumarsi gli occhi dal pianto dormiva, dormiva della
grossa, come se il sonno potesse in qualche modo lenire il dolore.
Piangeva fino a consumarsi e si lasciava sopraffare dalla stanchezza,
cadendo addormentato sul divano di casa, nel letto sfatto della sua
stanza incasinata, sulla sedia al tavolo della cucina.
Mai per un secondo Yuzu lo aveva abbandonato.
Per quanto potesse farle del
male vedere Yuya ridotto in quel penoso stato, non pensava minimamente
di lasciare il fianco del suo migliore amico: altro rimedio non
trovava, per farlo stare meglio, se non accollarsi metà della
sua sofferenza. Conosceva Yushio, adorava quell'uomo così
energico e devoto alla famiglia e alla moglie e suo figlio. Perderlo
era un durissimo colpo per Yuya.
Non si sarebbe ripreso facilmente, Yuzu ne era consapevole e cercava di fare del suo meglio per sostenerlo.
Con un sospiro pesante,
allungò una mano e strinse la sinistra di Yuya in una presa
forte ma non dolorosa, alzando lo sguardo per osservarlo in volto.
Impietrito, come se avessero deciso di incidere il dolore sul suo
volto, il ragazzo non scostava gli occhi dal feretro, mentre
sconosciuti uomini in nero varcavano il cancello della casa e
caricavano la scura cassa nella lunga auto.
Yuzu non aveva una grande
passione per il nero. Lo trovava molto elegante in alcune occasioni, ma
l'idea di vestirsi di nero ad un funerale non le era mai piaciuta: le
persone, così tristi e stanche, sembravano uno stormo di corvi
raggruppati per vegliare su un morto. Di fatto non si scostava molto da
quello che era stato fatto fino a quel momento.
Aveva smesso di piovere, ma il
cielo era grigio come la canna di un fucile e l'aria era così
fredda da pizzicare la pelle. Yuzu portò la mano del ragazzo
alle labbra, soffiò un paio di volte per scaldargliela: quello
stupido non aveva indossato i guanti, le aveva tutte intirizzite. Gli
si sarebbero screpolate altroché, ed era un peccato
perché le piacevano le sue mani: erano insolitamente curate per
essere quelle di un ragazzo, ed erano agili ed esperte nel maneggiare
palle da giocoliere, clavette e cerchi durante l'ora di educazione
fisica. Avrebbe dovuto curarle di più, quel testone.
E tuttavia, con tutto quello
che gli stava succedendo, era il minimo che non pensasse ad un simile
necessità. Yuya chinò il capo, nascondendosi dietro il
colletto della giacca, il braccio destro ancora appeso al collo e gli
occhi diversi perennemente fissi sulle solide pareti di legno scuro che
circondavano il corpo del suo amato padre. Alla sua destra, sua madre
osservava la scena apparentemente impassibile: il suo era il
silenzioso, dignitoso pianto di una moglie rimasta vedova troppo
presto, e con un figlio grande che, se possibile, meritava il doppio
delle attenzioni di un bambino. Alla sua sinistra, invece, Yuzu non gli
lasciava mai la mano: la sentiva accarezzarne lievemente il dorso con
le dita, il volto premuto sul suo braccio.
Il ragazzo era sparito agli
occhi dei familiari per tutto il tempo in cui la camera ardente era
rimasta allestita nella loro casa. Era stata Yoko ad insistere
affinché suo marito tornasse a riposare, per un'ultima volta,
nella sua amata casa, ma Yuya non aveva voluto saperne: mai, neanche
una volta, si era affacciato a salutare il padre, come se non volesse
avere il suo volto pallido come ultimo ricordo. E chissà, forse
per lo stesso motivo aveva deciso di non prendere parte alla cerimonia
funebre, quasi non volesse fare i conti con quella realtà e
volesse anzi ritardarla il più possibile.
Yuzu sapeva che questo avrebbe
fatto tutto tranne che aiutarlo a superare il trauma più
velocemente, tuttavia non si era sentita in condizioni di contestargli
tale decisione; e dello stesso avviso era stata la madre, che aveva
deciso di lasciare il figlio a casa a patto che qualcuno restasse con
lui. Chiamare la ragazza era quanto di più caritatevole potesse
fare, in quel momento, per suo figlio.
Perché sembrava proprio che Yuzu fosse l'unica persona di cui Yuya tollerava la presenza, in quel momento.
Seguirono con lo sguardo
l'auto con il feretro e quella di Yoko allontanarsi, fino a sparire in
fondo alla strada, diretti verso il santuario dove Yushio Sakaki
avrebbe cominciato il suo ultimo viaggio. Fu poi Yuya a chiederle un
contatto più ravvicinato, senza parlare, solo con l'avvicinarsi
a lei.
Non servivano troppe parole in quel momento.
Yuzu lo strinse forte a
sé, badando al polso ancora ingessato e scostandosi poi quel che
bastava per osservarlo meglio in viso: gli scostò alcune ciocche
dalla fronte e rimase ad osservare con sguardo contrito gli occhi
diversi tristi, spenti come se qualcuno avesse chiuso delle serrande
dietro le sue pupille. Reso pallido dal freddo e dal raffreddore che si
era buscato, le palpebre arrossate parlavano di un pianto che durava da
giorni, e le guance lievemente più scarne di inappetenza.
Vedere Yuya ridotto in quello stato era da straziare il cuore.
- Entriamo in casa-
Anche la sua voce era triste e
bassa, priva della consueta allegria con cui lo aveva conosciuto e lo
aveva sempre sentito. Yuzu si mordicchiò il labbro inferiore,
tesa e preoccupata e soprattutto scoraggiata.
Quello non era Yuya. Non era
quel ragazzo a cui voleva bene e del quale si stava pian piano
innamorando. Quel Yuya era energico e positivo, pronto a sorridere
anche delle proprie disgrazie e a trovare qualcosa, o qualcuno, per la
quale valeva la pena sforzarsi di lottare e reagire agli imprevisti e
alle difficoltà.
Yuya adesso era solo una
pallida, penosa ombra di sé stesso. Stanco di sorridere ed
essere felice anche quando non lo era, saturo di tutte le
negatività e i calci subiti e non solo in senso metaforico. Con
orrore e quasi rabbia verso se stessa, Yuzu si era accorta che era
così già da tempo. Da tanto il ragazzo aveva
“qualcosa che non andava”, eppure lei aveva sempre messo la
questione in secondo piano, come se in realtà fosse solo un
abbaglio, un' impressione; lei che si definiva tanto legata a lui non
si era accorta di quello che stava davvero succedendo nella sua testa.
Aveva la tempesta dentro e nessuno l'aveva capito. Tranne lei, ma l'aveva ignorato.
Non sapeva se essere delusa da
sé stessa, per aver fallito nel suo compito di amica,
consigliera e sostegno, se delusa da chi diceva di voler bene a Yuya e
non essersi accorto di quello che gli stava succedendo, oppure se
essere amareggiata dall'improvvisa apatia del ragazzo.
- Yuya, hai le mani gelate-
Il ragazzo sbuffò
nervoso, pigiando il tasto corrispondente al terzo piano e stringendo
la ragazza a sé mentre le porte del vecchio ascensore si
chiudevano con un lieve scatto metallico. Lo stomaco gli
sussultò debolmente quando la cabina d'acciaio cominciò
lentamente a salire.
Nel silenzio ovattato
creatosi, Yuya strinse forte a sé la giovane e nascose il volto
tra i suoi capelli colorati, profumati di pulito e fresco. Glieli
accarezzò, e nel passare le dita tra le ciocche lisce e curate
trovò finalmente un po' di sollievo al suo dolore.
- Come ti senti?-
- Come sotto un treno. Ma me la caverò, me la cavo sempre-
Già, lo diceva ogni
volta, ed effettivamente gli era sempre riuscito: era sempre stato
bravo a sgusciare via da guai e punizioni con la sua solita furbizia un
po' maldestra e creativa, con quel sorriso contagioso e bello. Ma
qualcosa si era rotto in quel giocattolo ora, e come il motivetto di un
carillon guasto che ripeteva all'infinito la stessa triste nota anche
Yuya mormorava all'infinito quelle parole cariche di tutto tranne che
speranza.
Quella volta non se la sarebbe cavata, non da solo. E di questo ne erano consapevoli entrambi.
- Vuoi che ti prepari qualcosa?- le domandò
poi, mentre insieme varcavano l'ingresso dell'appartamento e Yuya
richiudeva la porta alle loro spalle – Un té, un
caffé...-
- Un letto per stanotte. Intendo restare da te- rispose Yuzu, senza troppi giri di parole.
- Perché vuoi un letto adesso? Abbiamo sempre dormito insieme-
- Non voglio recare disturbo-
- Ora non dire fesserie. Non hai mai disturbato-
- E invece sì. Ora...ora sono solo d'intralcio-
- Yuzu?-
Era un periodo in cui avevano
tutti i nervi tesi a fior di pelle, ma Yuya stesso non prevedeva una
simile reazione e delle simili parole da lei. Seduta al tavolo della
cucina, stretta nel suo maglione bianco, quello che le aveva regalato
qualche mese prima, Yuzu chinò il capo reprimendo a stento le
lacrime.
- Volevo essere per te un valido aiuto- pigolò
lei, con la voce tremante – Ma non...non sono stata in grado di
aiutarti in niente. Non ho realizzato quanto stessi male, eppure notavo
qualcosa di diverso in te, lo sentivo-
- Era davvero così palese?-
Col senno di poi, Yuya
realizzò che non era esattamente la scelta di parole più
oculata e saggia che potesse fare. Gli argini si ruppero
definitivamente, Yuzu si lasciò sfuggire un singhiozzo che si
trasformò in un pianto e non trovò nulla a cui
aggrapparsi per evitare di essere trascinata via dalla tristezza.
Nulla se non la mano del suo
migliore amico, e le sue braccia, e il suo corpo tutto, in un abbraccio
che più di conforto sembrava il disperato tentativo di mantenere
entrambi a galla.
- Yuzu...buon cielo, calmati ora-
Ma il singhiozzo che la scosse
gli fece capire che non sarebbe stato facile farle riprendere il
controllo. E in un momento come quello, in cui lui si sentiva pronto a
tutto tranne che a sostenere il dolore di una persona a lui cara, il
ragazzo non riuscì a fare altro che rafforzare i proprio
abbraccio e soffocarle il pianto contro la spalla sinistra.
E non poté fare altro
che darsi dello stupido e del debole, perché la causa di tutto
questo era solo sua e delle idee sbagliate che aveva degli altri. Suo
padre se n'era andato nel modo più violento ed improvviso
possibile nel vano tentativo di raggiungerlo e portarlo al sicuro, e
della sua perdita avrebbero sofferto tutti.
- Non devi piangere. Sono forte, e lo sai. Posso esserlo per entrambi-
Glielo disse dopo averla
lievemente allontanata da sé, sorreggendole il volto umido di
lacrime con la sinistra e cercando di guardarla negli occhi devastati
dal pianto. Yuzu tremò nella sua stretta e si aggrappò
con le dita pallide al suo polso, alla ricerca di un sostegno.
- Perché?- domandò poi lei, dopo un
tempo quasi infinito dove solo il meccanico ticchettio delle lancette
dell'orologio scandì il passare dei secondi –
Perché...tutto questo dolore a te? Non...non lo meriti...-
- Immagino debba scontare qualche errore della vita
passata...posso farcela. Ehi Yuzu, hai sentito? Posso farcela, ce l'ho
sempre fatta e anche adesso. Ma tu devi essere con me, va bene? Mi
ascolti?-
Con il pollice sinistro le
asciugò due lacrime rotolate lungo la guancia, fino a bagnarle
l'angolo destro delle labbra. Yuzu annuì con il tremolio di un
uccellino senza orientamento in una giornata d'inverno, i begli occhi
azzurri fissi in un punto impreciso del suo collo.
- Per quel che mi riguarda, può ora andare
tutto il mondo al diavolo. Famiglia, amici, scuola, può anche
sparire--
- Non dire queste cose neanche per scherzo, io--
- Ma voglio che tu resti. Non crollare. Te ne prego. Sono forte abbastanza per tutti e due-
Yuzu alzò il viso e incontrò la sua bocca a metà strada.
Non era il primo bacio che si
scambiavano, tolto quello della famosa reinterpretazione di Baudelaire:
quando erano bambini lo facevano spesso. Yuzu, che era cresciuta senza
mamma e solo con le amorevoli e accorte cure del padre, aveva una volta
osservato i genitori di Yuya scambiarsi un dolce bacio a stampo e gli
aveva chiesto il perché l'avessero fatto, cosa volesse dire quel
gesto: Yuya aveva allegramente risposto, con la tipica innocenza dei
bambini, che quello era un modo che avevano per dirsi “ti voglio
bene”. A quel punto, colpita dalla nuova rivelazione, la bambina
si era fatta coraggio e aveva replicato lo stesso gesto sotto lo
sguardo stralunato di Shuzo, non ancora pronto a vedere la sua bambina
scambiare tenerezze con i maschietti. Agli strilli indispettiti di
Yuya, che chiedeva perché tra un gridolino e l'altro, lei aveva
risposto “Io ti voglio bene!”. E colpito dalla cosa Yuya
aveva ricambiato il gesto, in quel timido innocente silenzio da bambino
che valeva più di mille parole.
Quel gesto per loro
così naturale e sincero, e fondamentalmente innocente, si era
perso con l'ingresso nelle classi medie fino allo sparire negli anni
del liceo, una volta raggiunta la consapevolezza che un simile scambio
di affettuosità poteva implicare anche altro a livello di
rapporti con quella persona. E sebbene entrambi continuassero a volersi
bene e sostenersi a vicenda, la nuova maturità fisica e mentale
aveva inevitabilmente posto un muro di confine tra loro: attraversarlo
anche solo per scherzo avrebbe implicato qualcosa, anche a livello di
pensieri che potevano girare nella testa degli altri.
Non era il primo bacio che si
scambiavano, forse non sarebbe stato l'ultimo: ma la ritrovata purezza
di quel gesto d'affetto così innocente lo colpì come un
pugno allo stomaco. Yuya si separò dalla sua bocca solo per
sfiorarle con le labbra ogni punto raggiungibile del volto, dalla
fronte semicoperta dalla frangia alle palpebre socchiuse e umide di
lacrime salate.
Solo il ronzio del campanello
lo costrinse a interrompere la sua perlustrazione, ma gli occorse
qualche secondo per trovare la forza di separarsi dalla ragazza. E
quando si allontanò, sentì distintamente il suo corpo
farsi freddo e privo di emozioni.
Quella consapevolezza
l'avrebbe accompagnato per lunghi anni, e lui l'avrebbe sempre messa a
tacere, archiviandola in un angolo remoto del suo io razionale nello
scaffale delle “impressioni”; in quel momento badò
solo ad aprire la porta e a placcare l'assalto di Yugo.
Il cugino dal ciuffo biondo
non era mai stato un tipo esattamente pacato nei suoi slanci di
emotività: definibile come la parte chiassona e casinista del
variopinto quartetto di cugini dalla somiglianza di gemelli, Yugo era
più trasparente di una sfera di cristallo quando si trattava di
esprimere i propri sentimenti. Espansivo, schietto, a volte anche
troppo col rischio di essere erroneamente giudicato arrogante e
borioso, era il ragazzo più altruista e sincero che conosceva. E
sincero fu anche l'abbraccio con cui lo strinse una volta che se lo
trovò avanti, finendo quasi soffocato dal colletto in finta
pelliccia della sua giacca, mentre ebbe appena il tempo di registrare
anche la presenza di Yuto e Yuri. Rispettivamente la parte responsabile
e adulta e quella maliziosa e furba del quartetto: tutti e quattro
insieme avrebbero probabilmente costituito l'uomo perfetto, ma nascere
in corpi separati sembrava non costituire alcun problema per i loro
rapporti definibili fraterni.
- Yoko ci ha detto dov'eri finito! Razza di stupido!-
sbottò Yugo, afferrandolo per le spalle e scrollandolo malamente
come un sacchetto di noccioline; con la coda dell'occhio il ragazzo
dagli occhi diversi notò Yuto farsi avanti come a voler
frapporsi tra i due, fu fermato solo da una mano di Yuri sulla sua
spalla – Sono giorni che cerchiamo di metterci in contatto con
te! Non rispondi al telefono né ai messaggi né niente,
perché?!-
Vero, c'era anche quello. Da
quando aveva appreso della morte del padre, Yuya si era letteralmente
isolato dal resto del mondo: aveva spento il cellulare e staccato il
telefono nella stanza, e dai social network era letteralmente sparito
senza leggere neanche uno degli innumerevoli messaggi di cordoglio dei
suoi contatti.
Qualcosa si era inevitabilmente rotto. Sulla vita di Yushio Sakaki era appena calato il sipario,
e lui non aveva fatto neanche in tempo ad inchinarsi di fronte al vasto
pubblico che lo applaudiva della bella esibizione; e la velocità
di quegli eventi aveva travolto anche il figlio, lasciandolo ormai
senza neanche più rabbia da provare o lacrime da versare, o
voglia di stare a contatto di chiunque. Chiunque che non fosse Yuzu.
- Yugo, dài...non è il caso-
borbottò Yuto, alzando al cielo gli occhi grigi seminascosti dai
capelli.
- No, ha ragione- Yuya scosse il capo, abbassando lo
sguardo – Solo che non me la sentivo di...di riprendere subito
contatto con tutti. Immagino mi serviva tempo-
- Come stai ora?- domandò Yuri, con quella sua
voce sempre bassa e pacata, lieve come una carezza: si era sempre
preoccupato molto dello stato di Yuya.
- Diciamo che sto- rispose il
ragazzo dagli occhi diversi, con un'alzata di spalle – Mi
riprenderò, non sono solo per fortuna-
E con un cenno del capo
indicò Yuzu, sopraggiunta alle sue spalle in silenzio, tirando
appena su col naso e stringendogli la mano. Yuya le sfiorò una
guancia prima di stringersela al fianco.
Cala il sipario Artistamico – Trappola Normale
Scegli
come bersaglio un qualsiasi numero di mostri scoperti controllati dal
tuo avversario, fino al numero di Carte Magia scoperte che controlli;
metti quei mostri coperti in Posizione di Difesa.
________________________________________
Ben ritrovati tutti!
Come vanno le cose? Spero sempre di non avervi fatto attendere troppo,
tutti voi che leggete o che approdate per caso su questa storia.
"La Filosofia dei Viaggi nel Tempo", oltre che essere il titolo del
pseudobiblium su cui si fonda il film del 2001 Donnie Darko,
sarà il titolo che accomunerà questa mini serie,
all'interno della storia, di capitoli incentrati su eventi passati, per
qualche motivo significativi, dei protagonisti principali della storia.
Quello che seguirà invece dopo sarà il nome di carte di
gioco, realmente esistenti, in qualche modo legate ai protagonisti e
agli eventi raccontati.
Se le cose vanno per le "lunghe", potrei decidere di renderla una serie a sé stante, vedremo.
Ammetto che avrei voluto battezzare questa miniserie con qualcosa di
più leggero e allegro...ma sarò sincera: ultimamente il
mio umore è realmente a terra. Sto organizzando dei grossi
cambiamenti nella mia vita, e purtroppo si sta prospettando un futuro
nella quale, con ogni probabilità, mancherà una persona
per me molto importante, che ha costituito un punto fermo per 6 anni
della mia vita. E brutto da dire, ma quest'eventualità si sta
concretizzando per i tentennamenti, l'immaturità e l'apparente
indifferenza di questa persona.
Non sto a tediarvi oltre con queste vicissitudini personali, non serve,
e probabilmente non vi interessa neanche; volevo solo darvi un'idea di
cosa mi sta realmente frullando in testa, e del perché ricerchi
stabilità nei miei scritti con così tanta...disperazione?
Non so come chiamarla.
Piccolo appunto: come precedentemente spiegato, i quattro Yu sono qui
ritratti come cugini, per spiegare il perché della somiglianza
così palese. Avrete sicuramente notato come sono belli uniti e
forti tutti e quattro insieme, Yuri compreso che sappiamo, dall'anime,
essere un sadico tendente allo STRONZO vero e proprio...mistero
risolto: il loro rapporto combacia con quello che la versione manga di
Yuya, più grande, più adulta, più smaliziata e
meno tendente al demoralizzarsi, ha con le sue tre controparti! Yuri
stesso si prende molta cura di Yuya, attaccando e aggredendo con
ferocia chiunque gli causi danno in duello.
Il prossimo capitolo farà sempre parte della serie della
Filosofia nei Viaggi del Tempo, dopodiché torneremo alla
quotidianità dei nostri protagonisti! Chissà, forse
riuscirò anche a postarvelo prima del previsto. Vedremo, con me
è tutto possibile.
Fatemi sapere!
92Rosapina
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Capitolo 9 *** La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World ***
Pharaoh's Kingdom - Time Travel 2
La Filosofia dei Viaggi nel Tempo – Smiling World
- ...stai scherzando-
- Assolutamente no-
Per un attimo, Yuto
boccheggiò a vuoto con il comico sguardo stravolto di un pesce
fuori dall'acqua. Incerto su cosa dire o fare, posò con estrema
cura sul tavolo il bicchiere di Cuba Libre che stava sorseggiando,
quasi temesse di romperlo con un solo battito eccessivo di ciglia, si
passò la lingua sulle labbra con fare nervoso e alzò gli
occhi grigi verso il cugino. Per contro, Yuya se ne stava a capo chino
e stretto tra le braccia, i gomiti puntellati sul ripiano e il volto
nascosto come a non voler incrociare lo sguardo con nessuna delle sue
altre parti, come definiva lui i variopinti cugini dannatamente simili
tanto quanto opposti nel carattere.
- Vediamo quindi se è tutto chiaro- si fece
avanti Yuri, al solito impettito e formale al punto da essere
disturbante – A Yuzu, e altri quattro fortunati eletti, è
stata data la possibilità di prendere parte ad un master in
sceneggiatura in una importantissima casa cinematografica francese. Lei
ha rifiutato-
- Sì- confermò Yuya per la terza volta
in quella serata, alzando di poco lo sguardo e abbassandolo subito
dopo, come a voler evitare le impietose iridi del cugino.
- Per quanto avventato come rifiuto, è
tuttavia comprensibile. Prova a razionalizzare-
- L'ho già fatto, più di una volta e
per due giorni consecutivi, e continuo a non capire-
- Si tratta comunque di lasciare tutto e andare in
Europa. Per un tempo limitato certo, ma non è una cosa semplice
e sicuramente non può accettarla di getto-
- Sì ma neanche rifiutarla! Che motivo avrebbe? Cosa la trattiene qui?!-
Con uno sbuffo sconfortato, Yuri si
portò pollice e indice della sinistra all'attaccatura del naso,
chiudendo gli occhi e restando in silenzio: Yuya non sapeva dire se per
ponderare meglio sulle parole da riferire oppure se per recuperare
temporaneamente la lucidità annebbiata dall'alcol. Alla sua
sinistra invece, Yugo stava lentamente abbandonando i tre: con la testa
posata sul tavolo lo studiava con un occhio chiuso e uno aperto,
seminascosto dall'impertinente e disordinatissimo ciuffo biondo. Non
sembrava aver oltrepassato il limite delle sue facoltà, ma per
sicurezza Yuto aveva preferito sfilargli di nascosto il cellulare dalla
tasca della giacca: già una volta era capitato l'invio di
qualche messaggio compromettente in momenti in cui non era propriamente
lucido.
- Hai mai pensato...- riprese poi Yuri, in maniera
così improvvisa che il ragazzo dagli occhi diversi
trasalì nervosamente – Che non è qualcosa, ma
qualcuno a trattenerla qui?-
- ...ci siamo baciati-
Lo aveva effettivamente previsto, ma
in realtà la reazione generale lo lasciò ugualmente
sorpreso: Yugo si rimise ben ritto con la schiena e prese ad osservarlo
di traverso, letteralmente, con il capo esageratamente ripiegato verso
sinistra e lo sguardo sorpreso e lucido di chi aveva esageratamente
alzato il gomito, le guance e la punta del naso lievemente arrossati a
ulteriore conferma del suo stato. Yuri invece, notoriamente quello dai
modi più sofisticati e posati dei tre, aveva allontanato la mano
dal volto e aveva preso ad osservarlo ad occhi ben aperti, lo sguardo
interrogativo prima ancora di effettivamente porre la domanda ad alta
voce; Yuto aveva preferito invece restare in silenzio, rifugiandosi
dietro il suo bicchiere.
- Cioè...mi ha baciato lei- riprese Yuya, non
esattamente sicuro del punto da cui avrebbe dovuto iniziare –
Insomma, abbiamo discusso della cosa, e anche abbastanza pesantemente.
Voglio dire, ha di getto rifiutato un master davvero importante
all'estero! E chissà per cosa poi! Le ho detto che doveva
pensare al futuro, che era per la sua formazione, che non era il caso
di precludersi una simile possibilità per—per dei
sentimentalismi, ecco!-
- Ah-ha. Continua-
Yuya deglutì, la gola fattasi
improvvisamente secca. Dall'altra parte del tavolo, Yuri continuava a
fissarlo con sguardo impietoso, mentre Yugo sembrava essere appena
uscito da un anime demenziale. Solo Yuto sembrava aver conservato un
minimo di compassione per il cugino, eppure il ragazzo dagli occhi
diversi sapeva di non meritarsi tutta quella comprensione.
Di fatto, la colpa era tutta sua e negarlo, o cercare delle giustificazioni a riguardo, era inutile e controproducente.
E ripercorrere tutti gli eventi per
spiegare come le cose erano realmente andate non aiutò affatto
il suo morale, anche perché non fece altro che razionalizzare
tutto quello che, fino a quel momento, si era semplicemente rifiutato
di ammettere.
E dire che non era certo da qualche
giorno che aveva quella consapevolezza, né qualche settimana o
mese: si parlava di anni. E forse da ben prima che Yuzu diventasse uno
dei pochi, se non il più importante punto di riferimento della
sua vita.
Molte cose erano, inevitabilmente,
cambiate con il tempo, e la brusca dipartita di suo padre aveva
letteralmente acceso la miccia di tutta una serie di mutazioni nella
sua vita e di chi gli stava intorno.
Fedele a suo marito in vita
così come in morte, Yoko aveva scelto di non, come le era stato
avanzato da qualcuna delle sue neanche troppo simpatiche amiche,
cercarsi un altro compagno per consolarsi della perdita: aveva
rifiutato di sfilarsi la fede, sostenendo che una promessa era per
sempre, così come il suo amore per l'unico uomo capace di
mettere fine al suo turbolento passato da motociclista sfasciacarrozzerie.
Il cugino Yuri, quello dai modi più sofisticati dei quattro e
con una visione del mondo piuttosto sinistra, aveva chiuso gli studi
liceali con il massimo dei voti, guadagnandosi di diritto una borsa di
studio per la migliore facoltà di medicina legale in America, a
Harvard: aveva completato il programma “pre-medical” in un
anno e mezzo anziché quattro, e gli studi alla Medical School in
poco più di due anni, specializzandosi poi in tutto quello che
riguardava le applicazioni mediche in criminologia e autopsia. Yuri
sosteneva di aver studiato giorno e notte: conoscendo lui e quel suo
cervellone stava mentendo.
Anche Yuto aveva concluso gli studi
superiori con ottimi voti e aveva intrapreso la carriera di
criminologo, trovandosi poi a lavorare nella stessa equipe scientifica
di Yuri. Durante un'ispezione in un locale coinvolto in un violento
omicidio degno di una serie televisiva, il ragazzo dagli occhi grigi si
era ritrovato a dover sedare una rissa esplosa all'improvviso per
motivi non ben chiari, in cui una povera ragazza era quasi rimasta
coinvolta. Aveva così conosciuto Kurosaki Shun e Ruri: il primo,
stando poi alla ricostruzione dei fatti, aveva semplicemente messo a
tacere un galletto di quartiere che aveva avuto l'idea, piuttosto
infelice a dire il vero, di mettere in una stessa frase la sorella di
lui e uccelli di grossa taglia, non necessariamente pennuti. E il
fatto che entrambi i Kurosaki fossero due ornitologi non aveva fatto
altro che rendere l'insulto ancora più inadeguato e sbagliato.
Kurosaki Shun aveva per la sorella
un attaccamento e un senso di protezione paragonabile al morboso;
quando Yuto e Ruri avevano iniziato a frequentarsi sempre più
assiduamente, il giovane aveva rapidamente mangiato la foglia. E
tuttavia non si era mai messo tra lei e il primo e unico ragazzo che
era riuscito a metterlo davvero al tappeto, oltre che ammanettarlo.
Perfino Yugo aveva chiuso gli studi
con una media di tutto rispetto per un ragazzino scapestrato che
passava i pomeriggi in garage e i fine settimana a mangiare fango,
polvere e terreno tra le curve della pista da cross. Ingegneria
meccanica era il percorso di studi scelto da quello che Yuri definiva,
guadagnandosi una valanga di insulti ed epiteti più o meno
disturbanti dal diretto interessato, un “idiota col ciuffo
ossigenato”. Di fatto però, non c'era motivo di stupirsi
che un tipo come Yugo avesse la massima media di voti in un corso di
studi tutt'altro che facile: componenti e sistemi meccanici avevano su
di lui lo stesso effetto di una batteria di fuochi d'artificio, ed
aveva, e questo era innegabile, un innato talento in meccanica. Al suo
corso aveva conosciuto Rin, sparuta presenza femminile in una
facoltà frequentata per lo più da ragazzi. Nuova arrivata
in città, conosciuta quasi per caso grazie ad un incidente nella
mensa universitaria, aveva scoperto essere poi la misteriosa pilota
dalla moto bianca e rosa. Yugo ne era mortalmente attratto, al punto da
perdere la cognizione spazio temporale in sua presenza, ma
un'improvvisa e infantile timidezza gli impedivano di farsi avanti;
allo stesso modo Rin aveva dei sentimenti importanti da confessargli ma
non sembrava in grado di trovare le parole giuste né il coraggio.
Nelle retrovie, sogghignante
spettatore che pregustava lo spettacolo, Yuri definiva lei adorabile
nella sua timidezza, e Yugo un benemerito cretino che perdeva tutta la
sua spavalderia quando si trattava di passare dalle parole ai fatti.
Di fatto, l'unico che aveva faticato
a trovare la sua strada era stato proprio Yuya. La perdita del padre
era stata per lui un durissimo colpo, e per quanto avesse tentato di
non esternarlo troppo, l'evento l'aveva condizionato e scosso.
Aveva a stento terminato gli studi
superiori, diplomandosi con la votazione minima indispensabile, e poi
si era letteralmente trincerato in casa. Chiuso vivo quasi una
reclusione auto condannata per chissà quale motivo: tirarlo
fuori da lì era stato difficilissimo. A nulla erano servite le
parole di Yoko, o i messaggi di Gongenzaka, Sora e Shingo; non erano
state utili neanche le parole di esortazione di Yuto e Yuri, e neanche
le velate minacce di Yugo.
Solo Yuzu era stata in grado di tirarlo fuori dal suo isolamento.
Yuzu era l'unica in grado di
compiere anche l'impossibile per lui. E di questo Yuya era sempre stato
consapevole e cosciente, eppure non aveva mai ragionato bene su quel
pensiero, su quell'evidenza. A ripensarci ora era ben chiaro il
perché.
L'affetto...no, meglio, l'amore che
Yuzu provava per lui era sempre stato vivo e forte, autentico, e lui ci
aveva invece sempre visto una forte amicizia radicatasi negli anni ma,
come in molti casi, destinata inevitabilmente a...non sparire, forse
deteriorarsi un po', anche in risposta alle nuove necessità
dell'età adulta e dei nuovi percorsi che si aprivano per
entrambi.
E quando l'aveva sentita dirgli che
aveva rifiutato quel master di sceneggiatura in Francia, il ragazzo era
letteralmente esploso: insomma, quel master rivestiva per lei
un'importanza speciale, la degna conclusione di un percorso di studi
che non era stato per niente facile! E aveva scelto di boicottarlo
per...
- Un cretino- sibilò all'improvviso Yuto, le
braccia conserte al petto e lo sguardo duro e impietoso – Un
cretino-
- Lo so, non c'è bisogno che me lo ripeti- risposte Yuya, con la testa tra le mani.
- Quella ragazza, la tua migliore amica da una vita,
ha praticamente messo sul piatto dei sentimenti chiari e forti che tu
condividi da altrettanto tempo, e tu non hai avuto niente di meglio da dirle in risposta che quello stupido master?!-
- Non lo definirei tanto stupido- lo rimbeccò
Yuri, una mano posata sotto il mento con fare pensieroso – In
fondo si tratta di un importante punto sul suo curriculum artistico a
cui credo abbia rinunciato con una certa fatica-
- Già, anteponendo a tutto i suoi sentimenti per questo cretino qui-
- Credo abbia valutato anche quelli, ma conoscendo
Yuzu...responsabile com'è credo abbia deciso semplicemente che
la vita in Europa, seppur per breve tempo, non fa per lei-
Yuya non rispose; impossibile dire
perché con certezza, forse era rimasto senza parole, consapevole
del suo errore. O forse era troppo impegnato a sorreggere Yugo che, nel
frattempo, gli era quasi salito in braccio e bofonchiava qualcosa di
non troppo chiaro.
- Insomma, le ho detto che secondo me era una cosa
stupida...abbandonare l'idea del master per della...della nostalgia
fondamentalmente. E lei...lei ha cominciato a sbraitare. Sbraitare e
piangere insieme-
L'immagine in sé era stata
disturbante ai limiti dello strazio. Non gli piaceva vedere Yuzu in
lacrime per qualsiasi ragione, ma sapere di essere lui la causa di
tanto dolore...no, non lo sopportava.
Ed era con orrore che si era reso
conto, in quelle ultime quarantotto ore, che buona metà delle
lacrime da lei versate nell'arco di un'intera vita erano per causa sua.
- E poi?- incalzò ancora Yuto, con una voce che definire spietata era poco.
- E poi nulla, ha cominciato a rinfacciarmi cose
che-che neanche io ricordavo o di cui comunque non mi sono mai reso
conto-
- E immagino tu sia rimasto in silenzio, giusto?-
- Cosa dovevo fare?!-
- Provare ad ammettere quello che già sai?-
- Tu la fai sempre terribilmente facile...-
-
Puoi sempre ribattere ricordandogli dei primi tempi in cui lui e Ruri
stavano conoscendosi...allora era un po' come un paletto piantato nel
terreno- buttò lì Yuri, lo sguardo lontano a guardare
altrove. Yuto si voltò di scatto, rifilandogli un'occhiata
assassina.
- E a quel punto?- chiese allora il giovane dagli
occhi grigi decidendo, per quieto vivere, di ignorare le insinuazioni
del cugino.
- E a
quel punto nulla...- riprese Yuya – A quel punto credo che il mio
silenzio debba averle fatto scattare qualcosa,
perché-perché è stato allora che mi ha baciato-
- Immagino sia stato il suo modo di scrollarti e dirti chiaramente che sei un cretino-
- Grazie per il sostegno Yuto, parlare con te è un piacere a volte-
- Sai cosa intendo-
Lo sapeva eccome Yuya, lo sapeva eccome.
Nonostante la sua indole piuttosto
silenziosa e pacifica, Yuto era conosciuto anche per i suoi modi
schietti e la lingua pelata come la testa di un calvo. Diretto e
sincero al punto di apparire, in molti casi, sfrontato e insolente, era
-purtroppo per molti- un bravo osservatore in grado di comprendere i
sentimenti e le intenzioni di chi gli stava intorno prima che a
realizzarli fossero i diretti interessati. Yuya aveva imparato a temere
i lunghi silenzi con cui il cugino dai penetranti occhi grigi assisteva
ai loro discorsi: era praticamente certo che non facesse altro che
appuntarsi mentalmente ogni parola, ogni pensiero che veniva
pronunciato a voce alta, per essere poi più bravo a rinfacciarli
quando ce n'era bisogno.
Il che, molto spesso, si traduceva in quattro parole piazzate in croce capaci di smontare interi castelli di illusioni e bugie.
- Nnnnon saprei- sbuffò Yuya, arruffandosi i
capelli con foga – Voglio dire...mi piace davvero tanto! Stare
con Yuzu intendo. Mi è sempre piaciuto, insieme a lei mi sento
libero di essere me stesso, possiamo parlare di qualsiasi cosa senza
formalismi o tabù e sembra sempre sapere cosa mi passa per la
testa-
- Aha-
Yuya deglutì, gli occhi
posati sul giovane investigatore: Yuto lo osservava senza battere
ciglio, il volto reso impassibile dalla concentrazione, pronto ad
ascoltare ogni singola sua parola. Accanto a lui, diametralmente
opposto alla sua espressione accigliata, Yuri lo osservava con
l'espressione indolente e sorniona di un grosso felino che studiava i
movimenti di una futura preda.
Uno più inquietante
dell'altro. In quello stato, riverso sul tavolo con la faccia nascosta
dai capelli, Yugo non sembrava altrettanto destabilizzante.
- Tutto quello che voglio è che Yuzu sia
felice- continuò poi il ragazzo dagli occhi diversi – Non
voglio altro che questo. Voglio semplicemente proteggerla da tutto
quello che potrebbe causarle dolore e sofferenza, anche da me se
necessario! Non sopporterei di veder sparire il suo sorriso per causa
mia, lo adoro, e la ammiro sinceramente per come è cresciuta
nonostante la mancanza di una madre e per come ha in questi anni
sostenuto anche me! E vorrei poter fare lo stesso anche io per lei,
insomma...-
- Aha-
- E poi sì, non si può negare è
tanto carina, adoro i suoi capelli sono sempre così morbidi e
profumati! E anche quando si arrabbia ha quel “qualcosa”
che mi attira terribilmente, e lo ammetto, ogni tanto resto a guardarla
senza dire niente perché non mi viene in mente niente di
intelligente da dire e non potrei immaginare la mia vita senza di lei
ma non so come--
- Ne sei innamorato pazzo razza di CRETINO-
Appunto. Yuya si lasciò
sfuggire un sospiro sconsolato, chinando lo sguardo alla ricerca di
qualsiasi caratteristica interessante su quel vecchio tavolo che ancora
traballava, scosso dal forte pugno che Yuto aveva sferrato in un gesto
di puro sconforto. Yugo aveva sollevato il volto e aveva mugolato
qualcosa scontento prima di tornare con la faccia appiccicata al
tavolo, mugugnando qualcosa che sembrava il distorto motivetto di
qualche canzone rock.
Laddove Yugo si lasciava sfuggire
commenti abbastanza coloriti e Yuri osservazioni al limite del
sarcasmo, c'era da temere Yuto e il suo silenzio rotto appena da
monosillabi quanto ti ascoltava parlare: era indice del fatto che stava
architettandosi il bel discorsetto da spiattellarti in faccia, e di
solito era così ben costruito e argomentato che dava l'idea di
esserselo preparato almeno una settimana prima.
Poche cose non riuscivano bene a Yuto, e tra queste rientrava il dire le cose con un certo “tatto”.
- E davvero, c'è da chiedersi cosa ci trovi
Yuzu in un lazzarone scapestrato come te- soffiò poi, affogando
le sue ultime opinioni nell'alcol, Yuya si strinse nelle spalle
sconsolato.
- Grazie mille cugino, avevo proprio bisogno di una
bella iniezione di fiducia...- borbottò poi, con lo sguardo
fisso su Yugo rantolante contro il tavolo
Forse consapevole per merito di
chissà quale sensibilità innata, Yuri trasse un bel
respiro e si alzò strategicamente dal tavolo, asserendo che
fosse giunto il momento di aiutare Yugo a recuperare lucidità. E
mentre lo osservava aiutare ad alzarsi il cugino semi-collassato,
issandoselo letteralmente su una spalla, il ragazzo dagli occhi diversi
non poté non pensare alla velata vigliaccheria del coroner.
Vigliaccheria tuttavia giustificata: le lavate di capo di Yuto straziavano le budella anche solo ascoltandole rivolte ad altri.
- Non era mia intenzione farti riacquistare fiducia-
brontolò poi il ragazzo dagli occhi grigi, per poi aggiungere un
– Idiota- che celava epiteti ben più fantasiosi e
denigratori.
- Ironia questa sconosciuta...-
- Non è il caso di fare ironia. Lei c'è
sempre stata per te e ha sempre avuto un debole per te, ma almeno ha
avuto il coraggio di ammetterlo di persona e proprio al diretto
interessato. Tu non vuoi ammetterlo neanche a te stesso-
Ecco qui, le parole tanto temute da
Yuya che Yuto gli aveva soffiato con lo stesso, freddo distacco di un
antico anatema egizio. Il ragazzo dagli occhi diversi si
stropicciò gli occhi con un gesto stanco.
- Yuto, davvero non mi pare il caso...-
- Ah no? Guarda che se non ti sbrighi lei potrebbe
nel frattempo trovare un'alternativa, l'ennesima-
- L'alternativa a cosa?
- L'alternativa a chi vorrai dire-
- Non saprei. In fondo le sue storie finiscono sempre male-
- Certo, e indovina un po' il perché. Anche le
tue mi sembrano piuttosto turbolente o mi sbaglio?-
- Vero, ma ci sono un sacco di fattori-
- Tutti riuniti sotto il comune denominatore di Yuzu.
Ne sei innamorato alla follia, ma sembri quasi spaventato dalla cosa.
Non lo accetti, ma intanto cerchi lei in ogni ragazza che incontri-
Sì, era decisamente odioso
quando decideva di metterti alle corde utilizzando solo le parole. Yuto
era maledettamente bravo in questo, al punto da chiedersi perché
avesse deciso di entrare in un dipartimento di polizia scientifica
piuttosto che aprirsi un piccolo studio dove ascoltare persone che gli
raccontavano dei loro problemi e angosce.
- Che diavolo- sbuffò poi Yuya, allargando le
braccia in un gesto esasperato – Riesci a renderti conto delle
cose prima ancora che se ne accorgano i diretti interessati. Sicuro di
non volerti dare alla psichiatria?-
- Mestiere troppo “statico”-
- Quello che hai appena detto non ha alcun senso-
- Ragazzi ho perso Yugo-
- Ha senso eccome invece perché...cosa?!-
Tutto quello che Yuri seppe fare in
risposta allo sguardo stralunato del cugino fu semplicemente stringersi
nelle spalle con l'espressione più innocente che gli riuscisse.
Sconfortato, Yuto si stropicciò gli occhi con foga inaudita,
mentre Yuya era semplicemente ammutolito.
- Abbi pazienza Yuri...- soffiò poi il ragazzo
dagli occhi grigi, con l'aria di chi fosse ad un passo dallo sbottare
in una valanga di furiose imprecazioni – Cosa vuol dire che
“hai perso Yugo”?!-
- Quello che ho detto- si limitò a rispondere
l'altro, alzando di nuovo le spalle – L'ho accompagnato in bagno
convinto che dovesse vomitare, mi sono girato un attimo e lui non c'era
già più-
- Non è possibile, non è possibile! Hai controllato nel locale?-
- In tutti i bagni e in tutti gli angoli e a tutti i
tavoli. Anche sotto. Non c'è. Qualcuno dice di aver visto un
pazzoide con il ciuffo biondo imboccare la porta d'uscita, nessuno sa
dire in che direzione-
- Buon Dio-
Yuya si arruffò i capelli, teso e forse imbarazzato.
Yugo ubriaco e a piede libero poteva
essere una potenziale minaccia, più per sé stesso che per
gli altri: l'ultima volta che si era sbronzato ad una festa era stato
ritrovato sul terrazzo dell'appartamento condiviso con Yuri, seminudo
non fosse stato per la collana di fiori e il gonnellino di paglia, e
con due ciglia finte applicate male che gli avevano anche procurato
un'irritazione alle palpebre. Il sadico cugino aveva poi provveduto a
risvegliarlo sparandogli un getto d'acqua fredda in faccia con il tubo
che usava per innaffiare le sue preziosissime piante, non prima
però di aver usato la supercolla per ancorargli ai piedi dei
sandali femminili con tacco alto abbastanza per farlo barcollare ad
ogni passo. Per non parlare poi di quella volta in cui l'aveva
ritrovato nel cortile di Dennis Macfield con improbabili accessori
sadomaso.
Inseguire Yugo a piede libero e ubriaco per la città non era esattamente il passatempo preferito dei suoi cugini.
- Va bene, prendiamo la mia auto- disse Yuto,
alzandosi di colpo dalla sedia – Andiamo a pagare e poi andiamo a
cercarlo. Idea di dove possa essere andato?-
- A quest'ora potrebbe essere ovunque- rispose Yuri,
con l'ennesima alzata di spalle – Spero non sia andato a buttarsi
in mare-
- Potrebbe farlo?!-
- Assolutamente sì-
Yuya scosse il capo scioccato.
- Comunque sei un cretino-
Dai sedili posteriori dell'auto, il
ragazzo dagli occhi diversi individuò Yuri alzare lo sguardo,
fino a quel momento puntato sullo schermo dello smartphone, e puntarlo
sul cugino dai capelli scuri striati di viola.
- ...perché?!- domandò poi, con la
migliore aria innocente che potesse contrargli il volto.
- Perché una cosa dovevi fare. UNA-
- Oh ti prego, non cominciare-
- Yugo è sotto tua diretta responsabilità ora-
- Ehi, non è che perché sei andato a
convivere che ora sei autorizzato a fregartene sai?-
- Ciò non toglie che io debba stare lì col guinzaglio pronto-
- Ma infatti non lo sono neanche io. Yugo è
perfettamente in grado di badare a sé stesso. Tranne quando
è ubriaco- aggiunse poi, dopo un attimo di pausa.
- Altro motivo per prestarci attenzione-
- Senti, è grande maggiorenne e vaccinato,
prima o poi imparerà da solo che non è il caso di
guastarsi il fegato a questo modo-
- Non è una buona scusa per lasciarlo avvelenarsi! O peggio buttarsi a mare!-
- Perché te l'ho detto? Perché tutto questo timore di vederlo affogarsi ora?-
- Perché una volta ci è quasi riuscito!-
- In una pozzanghera sul ciglio della strada-
- Esatto, in una pozzanghera sul ciglio della strada!
Figurati se dovesse incappare in una piscina...-
- Ci siamo persi-
- O peggio se dovesse davvero trovare la strada per cosa Yuya?-
Allo stesso modo di come non era
esattamente piacevole sentirsi spiattellare la verità in faccia,
non era bello sentire Yuto che a malapena riusciva a scandire le
parole, tale era il nervoso che provava. Il ragazzo dagli occhi diversi
si fece più piccolo che gli riuscì, quasi vergognandosi
della sua disattenzione che l'aveva portato a distogliere la sua
attenzione dal navigatore.
- Ho detto, ci siamo persi- ripeté poi il
ragazzo, arruffandosi i capelli bicolore. Yuto arricciò il naso
sconcertato.
- Persi? E perché, dove stavamo andando?!-
- Non stavamo andando al mare?-
- Ma quale mare dannazione!-
- Uno qualsiasi. Alla fine è uguale, sono tutti mescolati-
- Yuri sono a tanto così dal farti male-
- Le tue dita si stanno toccando-
- Esattamente-
-
Comunque devi deciderti a cambiare navigatore- sbuffò Yuya,
sventolandoglielo proprio sotto il naso – Questo è inutile
ormai. Non parla più e le mappe non sono aggiornate-
- Ripeto...- Yuto stava davvero compiendo uno sforzo
titanico per non mandarli entrambi al diavolo, e la cosa sembrava
divertire Yuri – Io non intendevo andare al mare-
- E da dove volevi cominciare a cercarlo?-
- Ma non lo so! Qualsiasi punto, cominciamo a cercarlo nei dintorni e poi ci spostiamo!-
- Con una bicicletta potrebbe muoversi ovunque, anche
in punti impossibili da raggiungere con l'auto-
- Sentiamo, cosa proponi allora Sherlock?-
- Di restare fermi qui a lato della carreggiata finché non ci passa accanto-
- ...questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito-
- Stai a vedere. Ci vorrà poco-
E ci volle davvero poco: lo spazio
di un battito di ciglia stralunato di Yuto e di uno disinteressato di
Yuya, che ormai non si preoccupava neanche più delle teorie
strampalate e delle proposte assurde del cugino dagli occhi affilati.
Yugo passò accanto a loro in sella ad una bicicletta
sconosciuta, gridando qualcosa di incomprensibile con un grosso sorriso
sul volto; Yuto lo seguì con sguardo sbalordito, prima di
tornare a posare gli occhi su Yuri.
- …tu lo sapevi- disse poi, quasi atono. Non una domanda ma un'affermazione.
- Certo- rispose l'altro, chiudendo gli occhi per un attimo appena.
- Come diavolo facevi a--
- Lo conosco. È di Yugo che si tratta. E poi
l'ho intravisto dallo specchietto retrovisore-
- Sento l'impellente bisogno di farti davvero male-
-
Ragazzi per favore!- esclamò Yuya, sporgendosi in avanti verso i
sedili anteriori – Riusciamo a stargli dietro prima di perderlo
di nuovo?-
- Quanto ci tieni a vederlo fare qualcosa di davvero stupido?-
- Voglio solo impedirgli di farsi male inutilmente!-
Intento encomiabile e tuttavia non
condiviso da Yuri, che si limitò a sogghignare mefistofelico e
scuotere il capo, mentre l'auto si avvicinava al ragazzo dal ciuffo
biondo e lo affiancava lentamente. Fu proprio il coroner dallo sguardo
tagliente ad abbassare il finestrino e a sporgersi, attirando la sua
attenzione.
Pietoso fu il primo aggettivo che
gli venne in mente quando il cugino si voltò verso di loro ad
osservarli con occhi grandi come due biglie e il sorriso più
ebete del mondo stampato sul viso. Yuya si portò le mani alla
testa affondandole nei capelli, incredulo.
- Yugo?!- esclamò Yuri, fuori dal finestrino
per buona metà del busto – Che diavolo stai combinando?!-
- Wiiii!-
- Non mi rispondere con wiiii dannazione!-
L'intera scena era così
paradossale da risultargli perfino comica; Yuya frenò a stento
una grossa risata che gli fruttò un'occhiataccia da parte del
suo compagno dagli occhi grigi.
- Dove hai preso quella bicicletta?!-
- L'ho trovata!- esclamò Yugo per tutta
risposta, sbracciandosi vigorosamente e quasi rischiando di cadere dal
sellino – Non è bellissima?-
- Sì sì certo, sarà anche
bellissima ma non è tua! Dove stai andando?!-
- Corroooooo corro via sulle ali della libertà!-
- Completamente andato- Yuto scosse il capo
sconcertato – Reggetevi, gli taglio la strada!-
- Cosa?! NO!-
Non avrebbe mai saputo dire se Yuto
stesse solo scherzando o se intendesse sul serio, ma di una cosa Yuya
era certo: il coroner l'aveva preso sul serio. E troppo anche,
considerato lo slancio con cui gli aveva afferrato il volante e
sterzato di scatto, facendo deviare pericolosamente l'auto a sinistra e
rischiando di farli montare sul marciapiede della corsia opposta.
L'investigatore della scientifica calò con pesantezza il piede
sul freno, costringendo l'auto ad una brusca frenata.
- Dico ma sei fuori di testa?!- sbraitò poi,
voltandosi di scatto verso Yuri – Potevi farci ammazzare!-
- Non mi sembra che tu avessi tanto riguardo anche per Yugo!-
- Non volevo investirlo! Volevo accelerare e
guadagnare metri per sbarrargli la strada e convincerlo a rallentare e
fermarsi! Ma come diavolo ci sei entrato nella scientifica!-
- Scusami se non sono un uomo d'azione e preferisco aprire cadaveri!-
- Questo è ancora più disturbante!-
Con una brusca sterzata, Yuto
voltò l'auto e si rimise all'inseguimento del cugino. In quel
momento Yuya provò l'invitante impulso di scendere al volo.
****
La serata si era conclusa poi nel modo più becero ed ignorante possibile.
Fermo restando che con quel
trabiccolo rubato dal parcheggio del pub, Yugo sembrava letteralmente
imprendibile: più volte era letteralmente sgusciato sotto il
loro naso, infilandosi in qualche vicolo troppo stretto per
l'utilitaria di Yuto e rendendosi irraggiungibile. La cosa aveva quindi
contribuito ad alimentare il malumore crescente del giovane
investigatore, che aveva preso a compiere manovre di guida sempre
più azzardate al punto da far sputare orribili minacce dalla
bocca di Yuri, compresa quella di una penetrazione posteriore che aveva
fatto rizzare i capelli sulla nuca di Yuya.
Come erano poi finiti a parlare
delle relazioni amorose di ciascuno era stato del tutto
incomprensibile. E mentre sterzavano da una curva all'altra si erano
ritrovati a chiacchierare del rapporto tra l'investigatore e Ruri
Kurosaki, schizzato su vette altissime, e sulle relazioni piuttosto
burrascose di Yuya e di Yuri: insospettabile il primo, prevedibile il
secondo, perché il coroner aveva un caratterino per niente
facile da gestire e non tutte le ragazze che provavano una relazione
con lui restavano a lungo. A parte una giovane veterinaria con la quale
nessuno dei due aveva ancora capito quale fosse davvero il legame e
cosa davvero ci fosse tra i due, a parte del sesso abbastanza rumoroso
e corroborante. Al suo solito, Yuri aveva elegantemente eluso tutte le
domande poste.
Alla fine avevano ritrovato Yugo
sdraiato su un marciapiede, abbracciato con l'ostinazione di un koala
ad un cartello di divieto di sosta divelto dal terreno, con tanto di
basamento di cemento ancora presente. E se da una parte chiedersi come
fosse riuscito a sollevare quel cartello dal marciapiede era
fondamentalmente inutile, provare a separarlo da esso si era rivelato
impossibile: la sua presa era diventata irragionevolmente troppo forte
da spezzare, e il chiasso creato dai tre restanti cugini era stato tale
da far sporgere alcune teste dalle finestre dei rispettivi
appartamenti. Non vi era stata altra scelta se non quella di caricare
Yugo in auto con l'intero cartello, costringendo Yuto ad aprire il
portellone del portabagagli per guadagnare spazio; le manovre di
inserimento avevano però portato ad un colpo sul parabrezza con
il basamento di cemento, incrinando irrimediabilmente il vetro.
Il resto del viaggio si era concluso
con Yuto che bestemmiava per il vetro rotto e per il cartello stradale
nell'auto, vilipendio stradale che avrebbe potuto costargli caro in
carriera se qualcuno l'avesse riconosciuto, Yuri che rideva come solo
un sadico pazzo poteva fare, Yugo che dormiva della grossa e Yuya che
si lagnava dicendo di voler scendere dall'auto.
Alla fine si erano accordati con il
riportare Yugo all'appartamento condiviso con il coroner, non prima di
aver in qualche modo nascosto il cartello; e per l'ennesima volta la
scelta era ricaduta sull'appartamento del ragazzo dagli occhi diversi.
Come prevedibile, altri improperi e bestemmie avevano riempito
l'abitacolo, stavolta però sbraitate da Yuya stesso: ne aveva
già sei di cartelli in casa, appesi ai muri come quadri o trofei
di caccia, ma questo era un divieto di sosta su un palo d'acciaio e quaranta centimetri di cemento, come pretendevano di portarglielo in casa?!
A poco erano valse le proteste, e le
imprecazioni erano davvero diventate troppe quando si erano resi conto
che in tre con quel cartello non sarebbero mai entrati nell'ascensore,
il che si traduceva in cinque piani di scale A PIEDI e con quell'affare
in braccio.
Erano scesi giusto in tempo per
vedere Yugo sveglio come un grillo, spostatosi al posto del guidatore,
che suonava il clacson all'impazzata e urlava contro un traffico
inesistente. Yuto aveva ringraziato il cielo di aver portato con
sé le chiavi.
Aveva dormito poco, male ed era
stato perseguitato da incubi bislacchi del quale ricordava davvero
poco, e quando erano giunte le otto del mattino di quello che era il
suo giorno di riposo dal locale si era svegliato e aveva iniziato a
pulire l'intero appartamento da cima a fondo, con la foga disperata di
chi cercava a tutti i costi un motivo per distrarsi e non pensare
troppo a quella valanga di pensieri che gli offuscava il cervello.
Speranza vana: la conclusione
burrascosa della serata si alternava a cadenze regolari con l'immagine
di Yuzu in lacrime che lasciava il locale.
Poco prima di finalmente separarsi
tutti e tre, Yuto aveva ribadito il concetto. Stai rimandando
l'inevitabile e negando l'evidenza, gli aveva detto, sei legato a lei
in maniera del tutto diversa da quella che tu stesso ti imponi di
pensare.
Davvero, c'era da riversargli contro
tutto l'odio del mondo quando ti spiattellava la verità in
faccia a questo modo. Soprattutto perché poi non trovava alcun
modo di negare tali concetti.
L'inverno era arrivato in ritardo
quell'anno, prolungando le piacevoli passeggiate sul lungomare di
ancora qualche settimana; ma quando le temperature erano finalmente
scese in linea con le medie stagionali il freddo si era fatto sentire
ancora più pungente del previsto, costringendo i cittadini di
Nuova Domino ad un tardivo e precipitoso cambio di stagione negli
armadi. E vicino al mare, poi, il freddo era particolarmente vivido,
tale da farlo rabbrividire nonostante il maglioncino a collo alto e la
pesante giacca a doppio petto; anche a coprirsi le labbra con la
sciarpa, Yuya le sentiva secche e dure, già pronte a spaccarsi.
Cosa che detestava, perché poi la tentazione di mordicchiarsi le
pellicine era troppo forte e finiva con il disastrarle ancora di
più.
Con un po' di imbarazzo, una volta
seduti al tavolo del Melodious il ragazzo dagli occhi diversi chiese a
Yuzu del balsamo per le labbra, usando poi i polpastrelli per
picchiettarsene un poco sulla loro superficie già screpolata.
Troppo tardi stavolta.
- Tutto bene?-
Yuya trasse un sospiro mentre si spogliava della giacca e la lasciava sul sedile della postazione libera.
- Sì, credo di sì-
A dire il vero era un no, ma nel suo
solito, stoico, stupido modo di fare Yuya non volle farglielo pesare.
Aveva il tormento scritto in faccia, ma l'ultima cosa che voleva era
che lei lo notasse e se ne dispiacesse.
L'aveva già fatta stare troppo male, d'altronde.
Il fatto era che non potevano andare
avanti così ancora a lungo, e ormai anche lui si era arreso
all'evidenza dei fatti: negare era inutile e controproducente.
Voleva bene a Yuzu, ma quel bene che
non era minimamente paragonabile all'affetto riservato alla sorella o
alla migliore amica. Se n'era reso conto molto tempo prima, quando a
furia di vederla struggersi per storie che andavano al diavolo quasi
prima di cominciare si era ripetuto più volte, con una certa
rabbia anche, che non capiva perché andasse a cercare altrove un
compagno quando lui poteva essere tutto quello che lei voleva e cercava
e desiderava.
Erano cose che diceva così, tanto per avere qualcosa per cui borbottare, per non concentrarsi sulle sue
storie turbolenti e brevi; ma nel suo piccolo aveva sempre creduto
all'idea di starle accanto come qualcosa di ben più
significativo ed importante di un amico d'infanzia.
Yuya sosteneva, anche con una certa
convinzione, che un'amica non era più solo tale se ci finivi col
fare sesso. Con Yuzu era ancora lontano da quel punto specifico, ma non
poteva negare di averci pensato spesso, molto spesso anzi, con la
stessa innocenza di quelli che si lambiccavano il cervello su tanti se
e ma e forse. Non sapeva se l'immaginazione applicasse lo stesso
concetto da lui tanto sostenuto, ma era consapevole che il suo
inconscio gli stava inviando, da mesi – forse meglio dire anni,
dei chiari segnali.
Se c'era una persona che meritava
tutto il suo meglio in qualsiasi cosa – affetto, comprensione,
fisicità e tutto quello che comportava la vita di coppia –
era solo e unicamente Yuzu.
E sperava di non averlo ammesso a
sé stesso troppo tardi, perché non sarebbe mai stato in
grado di perdonarsi un simile errore.
La caffetteria sembrava più
affollata del solito quel giorno: l'inverno aveva spinto molte persone
a cercare riparo in un posto caldo e accogliente, meglio se
distributore di dolci e cioccolata così caldi da essere quasi
roventi. La cioccolata con fragola che gli venne servita fu
inizialmente impossibile da assaporare, tanto era bollente: Yuya ebbe
il coraggio di prendere a malapena una cucchiaiata prima di lasciarla
raffreddarsi. E fu allora che Yuzu parlò.
- Allora!- esclamò poi, sorridendogli morbida – Cosa mi racconti di bello?-
- Cosa? Oh...beh, niente di speciale- si
limitò a borbottare lui, stringendosi nelle spalle – Avevo
voglia di vederti e così...-
- Capisco. Volevi solo stare con me-
- In parte sì-
Tempo due nanosecondi e Yuya provò l'invitante impulso di prendersi a calci DA SOLO.
Ma che razza di risposte erano
quelle?! Ci fosse stato Yuto presente gli avrebbe rifilato un cazzotto
da lasciarlo secco sul tavolo per i due giorni a seguire.
Calmati, stupido. Calmati. E respira.
È solo un'uscita. Un appuntamento.
Non sclererai mica per un fottuto appuntamento vero?!
Più facile a dirsi che a
farsi con tutto quello che era successo. E per un attimo si chiese se
la sua non fosse stata una pessima idea, quella di rivedersi a
così breve distanza dopo tutto quello che si erano detti –
o meglio, strillati in faccia...non sarebbe stato il caso di far
passare un po' di tempo, di far calmare le acque?
Forse. Come forse era più
giusto battere il ferro finché era caldo, sviscerare la cosa
finché c'era tempo, finché l'argomento era ancora di vivo
interesse per entrambi, prima che perdessero interesse nella questione.
A sentire la sua voce al telefono, Yuzu era parsa disponibile ad
incontrarlo, ma c'era qualcosa nel suo tono che l'aveva insospettito:
era come se avesse acconsentito a vederlo più per cortesia che
per altro, come se fosse esausta o...rassegnata, possibile?
Non avrebbe dovuto arrivare a
questo. Non avrebbe dovuto neanche sfiorare quel punto di rottura, e
non solo lui l'aveva fatto, ma ci aveva letteralmente schiantato sopra
una bella manata di egoismo e superficialità.
- Centra forse quella storia del master?-
Aveva perfino l'intelligenza e la
bontà di avanzare il discorso per prima...! Ma che aveva fatto
lui per meritarsi una simile persona? Yuya era sempre più
sconcertato.
- Non proprio...cioè, sì- ammise poi
lui, stringendosi nelle spalle – Insomma, credo di aver forse
esagerato-
- In cosa?-
Non era arrabbiata, almeno
così sembrava; il ragazzo dagli occhi diversi tirò un
sospiro di sollievo e si sfilò gli occhialetti dal capo,
lasciandoli sul tavolo. Si passò una mano sul volto e
tirò il fiato.
- Hai ragione tu-
Fu stavolta Yuzu a stringersi nelle spalle e a guardarlo interrogativa.
- Esattamente in cosa?- domandò poi.
- Sul mio essere idiota-
- ...ti riferisci a qualcosa in particolare?
Perché proprio non...oh. Per il master abbiamo detto. Stiamo
sempre parlando del master giusto?-
- Sì, esatto-
- Yuya, ti ho già detto che--
- Abbi pazienza, Yuzu- cominciò poi il ragazzo
dagli occhi diversi, prendendole entrambe le mani tra le sue e
accarezzandone il dorso – Con tutto il bene che ti
voglio...carine le unghie-
- Cosa?! Oh beh...- la ragazza rimase lievemente
spiazzata dal suo improvviso cambio di argomento, e abbassò gli
occhi ad osservare il delicato, preciso french manicure di appena
mezz'ora prima – Ho trovato una nuova estetista. Ha dei prezzi
leggermente più alti ma i risultati sono migliori. E soprattutto
sa usare le lime senza ogni volta distruggermi le cuticole-
- Ha fatto un bel lavoro, mi piacciono-
- Vuoi fartele anche tu?-
- Cosa?! No dai, non scherziamo...e non cambiamo argomento!-
- Sei tu che hai svincolato!-
- Mi sono distratto, va bene?! Torniamo al punto-
Yuzu non riuscì proprio a trattenere un risolino.
- Il punto è...perché?! Santo cielo non...-
Non riusciva a trovare le parole, era chiaro. Yuzu sorrise e allungò una mano per arruffargli i capelli colorati.
- A parole tue Yuya- lo incoraggiò poi – Ti ascolto-
Yuya non era esattamente definibile
come “prevedibile”. Ogni confronto con lui presentava
sempre delle incognite sul risultato finale, dovute anche e soprattutto
al suo carattere fin troppo sensibile e, a tratti, ansioso. Per quanto
tendesse a prendere la vita quotidiana con una certa, allegra
leggerezza, c'erano delle cose che lo interessavano davvero al punto da
inventarsi paranoie di qualsiasi tipo al riguardo. E tra queste c'era
proprio il legame con le persone a lui più vicine, come i suoi
scapestrati cugini e soprattutto Yuzu.
E lei era sempre stata consapevole
di questo. Era sempre stata ben cosciente della profondità del
legame tra loro e della possibilità che potesse trasformarsi in
qualcosa di più intenso, così come aveva anche accettato
l'eventualità di irrimediabilmente dividersi e andare ognuno per
la sua strada.
Quest'ultima possibilità non
era affatto la sua preferita, ma l'avrebbe accettata nonostante tutto,
seppur con grande dolore.
- A parole mie eh?- lo sentì dire, con un
mezzo sorriso sulle labbra – Allora va bene. A parole mie-
Un attimo di silenzio che lui
impiegò per prendere l'ennesimo respiro, mentre Yuzu prese una
cucchiaiata di cioccolata e la portò alle labbra.
- Ti amo-
Forse fu per la temperatura lavica
della cioccolata servita appena qualche minuto prima, o forse per
quell'improvvisa dichiarazione così spontanea e diretta, ma
tutto quello che riuscì a fare fu mandarsi quasi la cucchiaiata
di traverso. La ragazza si lasciò sfuggire un gemito, coprendosi
la bocca con entrambe le mani.
- Diavolo, Yuzu, tutto bene?! Perdonami, sono stato troppo--
- Non sei stato assolutamente nulla! Lasciami
riprendere un attimo fiato, mi stavo strozzando!-
Quasi si dispiacque di
quell'improvviso scoppio, considerato lo sguardo sperduto che Yuya le
scoccò subito dopo, ma sul momento proprio non le era riuscito
di mantenere il controllo. Yuzu si prese qualche attimo per
riguadagnare fiato, diede un colpo di tosse e poi alzò gli occhi
verso il ragazzo, scrutandolo in silenzio.
Sarebbe stato bello conoscere cosa passava nella sua testa in quel momento.
- Mi ami. Ne sei sicuro- fece poi, con l'idea di
porgli una domanda ma, di fatto, rendendola più un'affermazione,
come se conoscesse già la risposta.
- Sì- rispose allora il ragazzo – E mi
dispiace solo di averci messo tutto questo tempo per...non per non
capirlo, perché-perché era chiaro da un bel
po'...semplicemente ad accettarlo-
- Non lo accettavi-
- No-
- ...perché?-
- Non lo so. Forse temevo di essere troppo...inopportuno?-
- Inopportuno?! Yuya...oh. Non so cosa dire, giuro-
- Beh
sì! Insomma, dopo tutto quello che abbiamo passato...ci siamo
sempre comportati alla stregua di migliori amici! Il nostro rapporto
è del tutto particolare, e all'inizio avevo paura a varcare un
certo tipo di confine-
- All'inizio dici. Cosa ti ha fatto cambiare idea allora?-
- L'idea di perderti. Quando...quando hai detto che
hai rinunciato al master...beh, ho fatto la parte di quello arrabbiato
con te per aver sprecato un'occasione...ma a dire il vero ero
così felice da esplodere-
- Sei un cretino-
Yuya si lasciò sfuggire un risolino sconsolato.
- Hai ragione anche su questo- riprese poi – Ho
negato a me stesso per anni quello che già sapevo e non ho mai
accettato solo per paura, anche se vedevo con i miei occhi che era un
sentimento corrisposto-
Occhi fattisi improvvisamente
più lucidi. Yuzu si sporse leggermente più in avanti sul
tavolo, senza mai interrompere il contatto visivo.
- Spero...spero non sia andato tutto perduto- riprese
poi lui, arruffandosi i capelli con una mano, in un gesto che la
intenerì irrimediabilmente – Hai ragione, su tutta la
linea. Mi hai ferito l'altro giorno al locale, mi hai rinfacciato tutto
quello che sono. E so di-di volerti davvero bene, di volerti al mio
fianco come qualcuno di più importante di un'amica o di una
sorella. Ti devo davvero tutto, forse perfino la vita. E non voglio
più scappare dall'evidenza-
Gli argini si erano rotti. Yuya
aveva fatto una grossa fatica a parlare, e aveva cercato di nasconderlo
dicendole tutto senza pause di sorta, al punto di dover prendere un
grosso respiro una volta finito; ma quelle due lacrime solitarie che
gli avevano solcato le guance parlavano per lui ben più della
sua voce. Qualcosa le si strinse nel cuore al punto da farle quasi male.
- Tutto qui. Spero...spero di non essermi reso conto troppo tardi, di tutto-
Tutto qui diceva lui, tutto qui. Yuzu si morse il labbro inferiore con ferocia, sentiva già il respiro accelerare e gli angoli degli occhi pizzicare.
Quel cretino riusciva perfino a
farla piangere. Per cosa poi? Per la rabbia e lo sconforto di
un'evidenza raggiunta dopo così tanto tempo che neanche lei
ormai sperava davvero più in qualcosa? O forse per il sollievo
di non essere stata respinta dopo tutti quegli anni? Perché
c'era stato questo timore, un grosso macigno che le era pesato addosso
per due giorni e due notti intere, privandola di sonno e
produttività, troppo impegnata a pensare e rimuginare, a crearsi
in testa apocalittiche interazioni dove tutto finiva con il rifiuto.
Aveva avuto paura quando gli aveva
urlato quelle cose in pieno volto, perché tutto voleva fare
tranne svelarsi così, con quell'impeto mosso da pura
negatività e frustrazione. Aveva temuto di aver sbagliato, di
aver commesso un errore imperdonabile che le sarebbe costato davvero
caro.
A quale divinità doveva fare voto perché quel sogno non svanisse d'improvviso?
Una lacrima, solo una le
sfuggì dalle palpebre, quando chiuse gli occhi per un attimo
come a voler ponderare bene sulle prossime parole o azioni. Non disse
nulla, preferì alzarsi, aggirare il tavolo e sederglisi accanto
sullo stesso divanetto, stringendolo a lei con tutta la forza che le
permettevano le sue esili braccia. Preso in contropiede, Yuya non
trovò inizialmente neanche la forza di rispondere a
quell'abbraccio.
- Sai cosa?- gli disse poi, dopo attimi che parvero
ore di silenzio, senza mai separarsi - ...Non riesco neanche a restare
troppo a lungo arrabbiata con te. Forse dovrei esserlo più con
me stessa-
- ...Perché?- domandò allora lui, con un filo di voce.
- Perché avresti anche potuto non farti
affatto avanti, mai. E io ti avrei aspettato sempre e comunque-
Una rivelazione e una consapevolezza
che lo colpirono dritto allo stomaco. Yuya incrociò le braccia
sulla sua schiena, rispondendo finalmente a quell'abbraccio e facendola
aderire a sé ancora di più.
L'idea iniziale era stata quella di
concedersi una passeggiata sul lungomare ad osservare il sole
tramontare; nella realtà dei fatti le previsioni meteo avevano
deciso di fare un grosso dispetto, facendo loro trovare un grigio cielo
temporalesco e raffiche di vento così forti da costringerli a
camminare stretti tra loro per porvi resistenza. E quando le prime
gocce di pioggia avevano cominciato a picchiettargli sulla fronte, Yuya
aveva proposto casa sua come rifugio temporaneo. Almeno finché
le condizioni meteo non si fossero ristabilite aveva detto,
perché l'idea di farla guidare in mezzo a quel temporale non gli
piaceva affatto: ecco come si erano quindi ritrovati a varcare insieme
la soglia del suo bilocale. Yuzu non aveva mai visto prima d'ora la sua
nuova abitazione: aveva da poco lasciato il tetto familiare
condiviso con la sola madre, ma aveva avuto tutto il tempo per
stabilirsi meglio che poteva. E per quanto quella cucina abitabile
fosse piccola, sembrava che ben sopperisse alle sue esigenze abitative:
Yuya era riuscito perfino ad incastrare in un angolo un divano a due
posti e il televisore dove erano collegate le console. Non avrebbe
saputo dire da quanto tempo non aveva occasione di lavare i piatti, ma
dubitava che la ragione dietro quella catasta di stoviglie ammassate
dentro il lavello fosse l'agenda strapiena di impegni.
Eppure le piaceva, quel rifugio
piccolo, accogliente e personale: il poster di Episodio IV al muro, un
ukulele di legno con esotici fiori dipinti a colori vivaci sulla cassa,
un...cartello di divieto di sosta con tanto di basamento di cemento?!
Anzi, più di uno, dai lavori in corso al divieto di accesso fino
ai limiti di velocità: Yuzu si voltò a guardarlo stupita,
Yuya si strinse nelle spalle e si rifugiò dietro uno dei suoi
sorrisi a trentadue denti.
- Ricordi di serate movimentate insieme a Yugo, Yuto
e Yuri- rispose poi – Diciamo che...è capitato
commettessimo reati tali che dovremo attendere che cadano in
prescrizione per poterli raccontare senza conseguenze-
A Yuya piaceva sempre ricorrere a
qualche iperbole nei suoi discorsi: era davvero bravo con le parole. Il
problema era che conoscendolo, e soprattutto conoscendo i suoi cugini,
c'era davvero da chiedersi se stesse volutamente esagerando per
divertimento, oppure se dietro le sue parole si nascondesse un fondo di
verità; nel dubbio, Yuzu frenò a stento una risata mentre
si slacciava il cappotto.
- Dài qui, ci penso io! Ti preparo qualcosa? Una cioccolata calda, del té?-
- Del té andrà benissimo!-
Yuya annuì, imitando la sua
scelta. Di fatto, una seconda cioccolata calda sarebbe stata devastante
per il suo stomaco; mise l'acqua nel bollitore, ma non lo accese.
A ben ripensarci, una tale conseguenza degli eventi era piuttosto prevedibile.
Ora che avevano entrambi messo in
chiaro i reciproci sentimenti verso l'altra parte, non c'era più
motivo di esitare o restare nascosti: Yuya aveva pensato a questo,
quando aveva mollato il bollitore e aveva letteralmente bruciato in due
falcate la distanza che li separava, stringendosela al petto e
affondando il volto tra i capelli colorati, sciolti sulle spalle in
morbide onde rosa. E rafforzò ancora la presa al solo pensiero
di quello che aveva rischiato, ancora una volta, di perdere per un suo
sbaglio, per la sua vigliaccheria.
- Va tutto bene Yuya- la sentì dire con voce
bassa e dolce, accarezzandogli i capelli arruffati – Va tutto
bene-
- Lo so- rispose lui, la bocca premuta contro il suo
collo; la ragazza rabbrividì impercettibilmente, quasi deliziata
da quel contatto – E andrà sempre meglio. Te lo prometto.
Resta con me oggi, e anche stanotte. E anche domani se ti va-
- Anche tutto il fine settimana se vuoi-
Yuya sorrise ampiamente: la prospettiva non era affatto male.
- Però dovrò tornare a prendere delle cose a casa-
- Più tardi ti accompagno-
Sempre che avessero avuto voglia e
forze di uscire dalla casa, perché la sequenza di baci con cui
Yuzu si era avvicinata al suo volto faceva ben intendere quello che
stava per succedere. Il ragazzo sorrise sotto quelle carezze a fior di
labbra, lasciando che lo sfiorasse su ogni punto raggiungibile del
viso, dalle arcate delle sopracciglia alla punta del naso, risalendo un
poco sulle palpebre e scendendo lungo le guance; e forse era sbagliato
provare tanta impazienza, ma quando finalmente la sua bocca raggiunse
il traguardo delle sue labbra non poté che lasciarsi sfuggire un
sospiro soddisfatto e sollevato insieme, racchiudendo il suo viso con
le mani, separandosi poco da lei per poi ritornare sulle labbra schiuse
come petali di un fiore. Le accarezzò leggero con le sue, le
mordicchiò appena il labbro inferiore strappandole un risolino,
e quando si riavvicinarono lo fecero con impeto crescente, tale da
rubarsi il respiro e ridursi in affanno, rendendo quei baci sempre
più audaci come una danza.
L'ultimo confine che si ergeva a
separarli, quel basso muretto che li separava dalla parte degli amanti,
venne scavalcato con un sospiro trepidante e lo scambio di uno sguardo
languido; venne inesorabilmente abbattuto quando Yuya fece scorrere le
mani sotto il maglioncino di lei e le sfiorò la schiena,
accarezzandole la pelle tesa. Yuzu non riuscì a nascondere un
brivido, inarcandosi leggermente e gettandogli le braccia al collo.
Yuya le baciò la tempia destra, fremente.
- Andiamo di là?-
Non ci fu bisogno di rispondergli
verbalmente: Yuzu piegò le labbra in morbido sorriso, poi
spostò le mani sulle sue spalle, e quasi l'avesse letta nei
pensieri il ragazzo la prese con forza alle cosce e la issò come
una bambina, permettendole di allacciare le gambe ai suoi fianchi.
Col senno di poi, Yuya
realizzò che un simile gesto sarebbe stato meglio eseguirlo
quando entrambi fossero stati già nell'altra stanza: non era
solo il camminare con una visuale considerevolmente ridotta, ma
l'intera operazione era resa ancora più difficoltosa dai
continui baci della ragazza, sempre più passionali, quasi
possessivi al punto di lasciargli poco respiro. Quando arrivò al
bordo del letto ce la lanciò letteralmente sopra quasi con
soddisfazione, riprendendo fiato quanto bastava per poterle saltare
addosso, sostenendosi con mani e ginocchia per non schiacciarla
all'improvviso. Yuzu si lasciò sfuggire un gridolino quando il
materasso si abbassò lievemente in risposta alla variazione di
peso, e ridacchiò in risposta al sorriso laido del compagno e
allo sguardo che esprimeva più delle parole.
- Credo abbiamo parecchie cose da recuperare- le
disse poi, accarezzandole i capelli amorevolmente – Tipo qualche
anno-
- Hai forse fretta?- domandò allora lei,
pizzicandogli il naso con pollice e indice della mano destra. Yuya lo
arricciò in una buffa smorfia prima di continuare.
- Fretta no, ma ammetto di essere un po' impaziente dal desiderio-
- Se la cosa può aiutarti, siamo in due ad essere impazienti-
- ...hehe. E questo dovrebbe aiutarmi, eh?-
- Quantomeno dovrebbe aiutarti a tapparti la bocca e usarla per altro-
Yuya alzò un sopracciglio e
sorrise con un'espressione soddisfatta sul volto, stuzzicato da quel
celato, perentorio ordine mascherato da provocazione, e fu allora che
Yuzu razionalizzò finalmente in cosa era andata a cacciarsi.
Per anni Yuya era stato il suo
silenzioso, comprensivo, fidato consigliere in tante sfaccettature
della sua vita, da quella scolastica a quella lavorativa sconfinando
perfino in quella sentimentale: accettandolo finalmente come compagno,
si era automaticamente consegnata in mano alla persona a cui, per tanto
tempo, aveva raccontato cose di sé stessa al punto da essere per
lui come un libro aperto. E di fatto il ragazzo era sempre stato bravo
ad interpretare i suoi stati d'animo e a dire o fare la cosa giusta per
motivarla o risollevarla quando ce n'era bisogno.
Ma il modo in cui ora la stava
guardando e toccando era quello di un esploratore appena approdato su
una terra vergine. Lo percepiva dal tocco delle mani sul suo corpo,
sotto il maglione: sicuro ma non sfacciato, permeato di una delicatezza
che non aveva niente di timido, piuttosto del deliberatamente
provocatorio. Yuzu si lasciò sfuggire una sorta di miagolio
quando l'indumento risalì fino al petto, rivelando il seno
ancora coperto; Yuya gli riservò una lieve carezza con la punta
delle dita, senza mai staccare gli occhi dai suoi. La ragazza represse
a stento un brivido, giurò di aver visto un lampo attraversare
quegli occhi diversi.
Paragonabile al lampo fu invece la
velocità con cui il suo maglioncino sparì in un angolo
indefinito della stanza: la giovane rabbrividì per il contatto
della pelle nuda con la fredda aria casalinga, e quasi avesse previsto
la sua necessità Yuya si affrettò a stringersela al
petto, sollevandola a sedere e allungandole una mano dietro la schiena.
La chiusura del reggiseno
scattò nel silenzio totale, in un momento in cui il respiro si
fermò ad entrambi. Yuzu lasciò che il compagno glielo
sfilasse dolcemente via, ma il modo con cui si andò a coprire
una volta liberata dell'indumento fu un gesto talmente pudico da
intenerirlo. Yuya chiuse le dita sui suoi polsi e la invitò a
scoprirsi, lasciandole un bacio sul dorso di entrambe le mani come
ricompensa.
- Non coprirti, per favore- mormorò,
accarezzandole i capelli fino a sfiorarle le labbra con il pollice
della mano sinistra. Yuzu annuì, lasciandosi sfuggire un sospiro.
- Se tu vuoi...-
- Voglio. Ti dà fastidio?-
- No. Solo che...-
- Sto-sto correndo troppo? Dimmelo se ti sembra di
bruciare le tappe, in qualunque momento! Nessuno dei due è alla
prima esperienza, ma siamo appena--
- Yuuuuya, oooh!-
Yuzu scoppiò a ridere,
intenerita da quella reazione così accorta ed emotiva,
suscitando un suo sguardo stralunato; in un impeto di audacia
sfuggì alla sua stretta sui polsi e gli guidò le mani al
petto. Entrambi vennero scossi da un brivido: Yuya abbassò lo
sguardo, accarezzando con gli occhi le forme arrotondate della ragazza.
Era un seno non troppo grande, sodo
quanto bastava per essere piacevolmente stretto ed incontrare una dolce
resistenza, perfettamente contenuto nel palmo della sua mano. Il
ragazzo dagli occhi diversi chiuse un paio di volte le dita sulle sue
forme con dolcezza, alzando gli occhi sul suo volto e studiandone le
espressioni.
Mai Yuzu gli era sembrata più
bella, con quell'espressione persa di appagamento e abbandono alle sue
carezze, gli occhi concentrati sulle sue mani e le labbra schiuse in
respiri brevi e carichi di trepidazione. Il ritmo perse la sua
sincronia quando fece scivolare le dita della destra sull'areola,
sfiorandola appena con la punta dell'indice.
Si rincontrarono ancora in un bacio,
rubandosi reciprocamente il respiro, stringendosi e accarezzandosi
sulla pelle nuda e sotto la stoffa. La ragazza infilò una mano
sotto la maglia di lui, accarezzandone il ventre affusolato, tirandola
verso l'alto in una muta, inconfondibile richiesta. Yuya si
separò appena da lei e afferrò i bordi della maglia a
collo alto, sfilandosela in un unico gesto.
Per lungo tempo il ragazzo aveva
accarezzato il sogno di diventare attore, tutt'ora dedicava del tempo
in una palestra in cui imparava a scalare, saltare e librarsi in aria
su un trapezio sospeso nel vuoto: diceva che non gli sarebbe spiaciuto
recitare anche in scene d'azione senza controfigura. Con il tempo, il
sogno era lentamente sfumato, e lui aveva preferito darsi alla
recitazione insieme ad una compagnia teatrale; ma il rigore dei suoi
allenamenti era rimasto, e ora le stava restituendo un fascio di
muscoli piacevolmente definiti e non volgari, che premevano contro la
pelle chiara in forme allungate e guizzanti come quelle di un felino,
le braccia tornite e snelle di chi scalava pareti, il torace ampio e
invitante e l'addome definito, con le ossa dei fianchi che disegnavano
due inequivocabili, sensuali linee che guidavano lo sguardo su un unico
punto.
Yuzu deglutì a vuoto:
stentò a riconoscere quello che era un tempo un ragazzino timido
e smilzo. E la sensazione suscitata dal vederlo così era ben
più intensa perfino di tutte le giornate in piscina passate ad
osservarlo tuffarsi dal trampolino con qualcuno del loro gruppo. Ora
aveva quel petto, quelle braccia...aveva Yuya solo per lei, e un
brivido le accarezzò piacevolmente la schiena.
Nessun altro rumore, se non quello
della pioggia che martellava sui vetri, le notifiche audio dei messaggi
ricevuti sui loro cellulari e i loro respiri spezzati. Fu un continuo
cercarsi e sfiorarsi, prolungando apparentemente all'infinito quegli
attimi in cui tutto quello che facevano era conoscersi reciprocamente,
in un piano fisico mai toccato prima per timore di sbagliare e rovinare
un'amicizia costruita dalla più tenera età. E per quanto
il bisogno di sentirsi finalmente uniti in ogni senso diventasse
impellente ogni secondo che passava, in un silenzioso accordo decisero
volutamente di prolungare l'attesa, come se quel gioco di baci e
carezze fosse fin troppo interessante per ignorarlo troppo presto.
La loro prima unione ebbe i ritmi e
la delicatezza della condivisione di uno stato d'animo piuttosto che di
un desiderio. Il sollievo di essersi finalmente ritrovati, la
consapevolezza di iniziare un'esistenza condivisa: nessuno dei due
avrebbe saputo definirlo con esattezza.
- Colpa di Yugo-
Si erano presi qualche minuto di
assoluto silenzio dopo l'amplesso, passato solo a stringersi ed
accarezzarsi con deliberata, appagata svogliatezza; ma quando Yuya
parlò, Yuzu alzò lo sguardo e lo osservò attenta.
A cosa si riferiva?
- Il primo cartello è di un anno fa,
più o meno. Yuto ci aveva invitati a bere in un locale, per
festeggiare l'ingresso nella scientifica- riprese il ragazzo dagli
occhi diversi, senza smettere di sfiorarle i capelli. Yuzu si
separò poco da lui per sollevarsi sul gomito destro – Io,
Yuto, Yugo e Yuri. Ti risparmio le litigate indecenti degli ultimi due-
Yuzu frenò una risata trasformandola in uno sbuffo.
Yugo e Yuri si volevano bene al
punto da uccidere pur di NON ammetterlo. Yugo aveva sempre avuto da
ridire sulla cinica, a volte sardonica vena provocatoria di Yuri,
ritenendolo fin troppo disfattista e in un certo senso sadico,
perché cos'altro poteva essere uno che – letteralmente-
campava della morte degli altri e non solo, si divertiva a
dissezionarne i corpi per capire se ad ucciderli era stato un
proiettile piuttosto che un veleno? A sua volta Yuri pungolava Yugo
sulla sua iperattività e l'indole casinista e, in alcuni casi,
troppo facilona.
Poi Yuri cominciava a chiamare Yugo
in mille modi tranne che con il suo nome vero e allora restava solo da
andare a farsi un giro altrove nell'attesa che sbollissero, non prima
però di aver messo a sicurezza l'ambiente intorno a loro.
L'unico vero, reale difetto di Yugo
era l'avere dei nervi decisamente fragili a volte, e un'inclinazione al
procurare dolore fisico altrui che mai ci si sarebbe aspettata da un
ragazzo allegro e altruista come lui. Riconoscere il momento in cui
stava per perdere le staffe era molto semplice: i suoi respiri si
facevano sempre più lunghi, profondi ed isolati, arricciava il
naso e cominciava a gesticolare con l'enfasi del reboot di un anime
mecha. Chi lo conosceva e si trovava vicino a lui, subito cercava di
far sparire tutti quegli oggetti pesanti e contundenti che aveva a
disposizione nel raggio di mezzo metro. Nelle sue mani, anche un
innocuo temperino poteva trasformarsi in un'arma di distruzione di
massa, tale da far venire l'acquolina in bocca a dittatori coreani con
il pulsante di reset totale delle nazioni sulla scrivania. Yuzu
ricordava fin troppo bene la baruffa di quell'estate in spiaggia
quando, eccessivamente pungolato sui sentimenti provati su una ragazza
del suo corso di ingegneria e appassionata di moto (Rin, si chiamava
così forse?) Yugo aveva cominciato ad agitare la bottiglia
dell'acqua come se fosse un giavellotto, puntando agli occhi affilati
del cugino mefistofelico.
- Insomma, abbiamo cominciato a bere. Tutti, Yuto
compreso anche se nulla di troppo forte. Yugo era parecchio energico
quella sera, aveva un trenta e lode da festeggiare. Siamo usciti dal
pub alle tre di notte passate. Yugo e Yuri erano, non scherzo,
completamente andati. A livello che giravano a braccetto e cantavano
oscenità. Ad un certo punto Yuri si è messo in testa di
insegnare a Yugo a ballare. Ti risparmio anche quello, ti dico solo che
sono finiti a bestemmiare piroettando su un piede solo-
Tutti gli sforzi fatti fino a quel
momento per trattenere le risate si rivelarono vani: Yuzu cercò
di rimediare nascondendo il volto nel cuscino, ma le spalle erano
chiaramente scosse da sussulti. Yuya si prese lunghi attimi ad
osservarla, prima di continuare il suo racconto ed aggiornarla su tutte
le bravate notturne del loro quartetto, senza risparmiarsi ogni
più piccola cretinata e godendosi ogni sua risata.
Era bello vedere il mondo finalmente sorridergli.
– ...pronto?!-
– Oh Yuri! Grazie al cielo sei a casa!-
– Yugo?! Certo che sono a casa, dove vuoi che stia? A che ora conti di tornare, le hai le chiavi?-
– No eeeehm, ecco, non credo tornerò a casa stanotte!-
– Cosa?!...dietro quale gonnella sei corso stavolta? Di chi è questo numero?!-
– Calunniatore! Non dire certe cose non sono il tipo e tu lo sai!-
– Ho un filmato di una festa al quinto anno di liceo che dimostra il contrario-
– Ti avevo detto di cancellarlo!-
– E ho ancora l'indirizzo del tuo vecchio account Myspace. Non stavi male con l'eyeliner-
– Yuri ti uccido!-
– Figuriamoci. Devo venire a prenderti? Dove sei adesso?-
– In questura-
– ...cosa?!-
–
Sai, per la storia dei cartelli stradali. Mi hanno individuato
tramite le registrazioni delle telecamere della zona-
– Mannaggia al demonio Hugo arrivo!-
– Non mi chiamo Hugo mi chiamo Yugo! Ma seriamente?!-
Mondo Sorridente – Carta Magia
Tutti i mostri
scoperti attualmente sul terreno guadagnano 100 ATK per ogni mostro
attualmente sul Terreno, fino alla fine di questo turno.
________________________________________
Così si conclude il piccolo "memorial" dedicato a Yuya!
Come state diavolacci? Stavolta mi sono fatta attendere più del
solito, ma gli impegni in quest'ultimo periodo si stanno sommando uno
sull'altro e con gli studi in mezzo non è semplice conciliare
tutto. Per questo elaborare questo capitolo mi è costato qualche
giorno in più...penso abbiate capito che questi sono capitoli
che sto scrivendo "sul momento", non fanno quindi parte di quel pacco
di capitoli già pronti ma è qualcosa che sto aggiungendo
personalmente in quei punti dove ritengo possano stare bene, in modo da
fare chiarezza su qualche curiosità che possa magari esservi
balenata in mente.
Direi che qui abbiamo recuperato tutto il divertimento e lo
pseudo-trash saltato nel precedente capitolo no? Con Yugo ubriaco in
giro c'è solo da pregare che non si faccia male inutilmente...il
problema è che, come scoprirete più avanti, farsi e fare
scherzi cretini è un po' un'abitudine dei coloratissimi quattro
cugini...solo Yuto se ne tiene bellamente fuori, a quanto pare la sua
ira è temutissima; ma per quanto riguarda Yuri e Yugo, che a
questo punto della storia condividono lo stesso appartamento in maniera
non molto diversa da Yusei e Judai, marachelle e scherzi anche pesanti
sono quasi quotidiani, soprattutto da parte del primo ai danni del
secondo. Ecco spiegato il perché delle scarpe incollate xD
Anche se è chiaro che le tre controparti restanti non saranno
protagoniste allo stesso modo di Yuya, voglio dare risalto anche a loro
nella storia: quindi salutateli qui, ma non disperate che li
ritroveremo più avanti! Sempre tosti e coloratissimi!
Sappiamo ora anche cosa realmente è successo tra Yuya e Yuzu,
cosa li ha realmente avvicinati e come hanno finalmente valicato il
confine tra amicizia e amore. Ci voleva un po' di dolcezza dopo la
conclusione così cupa del precedente capitolo, no? <3
Dal prossimo capitolo torniamo ai giorni nostri! Abbiamo lasciato in
sospeso un futuro ritrovo familiare, e la povera Aki deve ancora
scegliere il suo accompagnatore! Si accettano scommesse...
Ci rileggiamo presto! (spero!)
92Rosaspina
|
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Capitolo 10 *** 8. Vasta gamma ***
Pharaoh's Kingdom 10
8. Vasta gamma
Tutto andrà bene un giorno, ecco la nostra speranza.
Tutto va già bene adesso, ecco l’illusione.
(Voltaire)
- Dio, la comprerei all'istante anche solo per usarla
come fermacarte...è bella da mozzare il fiato!-
Non gli capitava spesso di
accompagnare Yusei in pista, ed essenzialmente per un solo motivo:
quando era circondato dalle moto, quel ragazzo perdeva letteralmente il
senso della realtà e dimenticava perfino la sua presenza al suo
fianco. Judai ci aveva ormai fatto l'abitudine, e anzi trovava
divertente, quasi tenero quell'atteggiamento: era un po' come osservare
il proprio pargoletto che andava irrimediabilmente a perdersi nel Paese
dei Balocchi. Tuttavia non poteva fare a meno di pensare a quanto
potesse lasciare perplesse persone che non conoscevano Yusei e i suoi
pallini.
Yusei era strano e sotto molti punti
di vista, quel strano che non era chiaro se intrigante o inquietante.
Il segreto stava nel dargli tempo di esprimersi e mostrare il suo vero
carattere, quello generoso e altruista di una persona sempre pronta ad
aiutare, ma era un'autentica impresa fare fronte alla sua facciata
esterna silenziosa, impermeabile ed ermetica, con quello sguardo
lontano eppure impietoso, inflessibile e diretto come se si aspettasse
una fucilata alla schiena. Non si sarebbe stupido Judai, a sapere che
in molti avevano rinunciato ad avere un contatto con lui per
quell'impressione iniziale.
E dal momento che si riusciva a fare
breccia nelle sue iniziali difese, si scopriva il ragazzo del Satellite
gentile e sincero, amante delle stelle e cresciuto in mezzo ai motori.
Judai conosceva i suoi trascorsi al Satellite, Yusei gliene aveva fatto
parola senza tralasciare un solo singolo istante della sua vita
sull'isola: sapeva tutto perfino dei campionati di velocità e di
endurance, e di tante altre cose che avrebbe preferito non sapere.
E sapeva che tenere Yusei lontano
dalle due ruote sarebbe stato più improbabile dello svuotare
l'oceano con uno scolapasta. Il rombo dei motori era per lui il canto
mortale delle sirene mangiauomini.
Solitamente, Judai preferiva
starsene a casa anche per un altro motivo: paura, semplicemente. Non
aveva problemi a salire in moto con il suo amico, uscivano regolarmente
insieme per percorrere il tratto casa-lavoro...ma un conto era il
guidare la moto in mezzo al traffico cittadino, a basse velocità
sgusciando via tra le auto in coda, un altro era vedere il suo
coinquilino sguinzagliare duecento cavalli su una pista.
Che poi, Yusei la chiamava pista, ma
al castano pareva un vero e proprio circuito di gara in piena regola,
con corsia box, torre di controllo e tutto il resto. Il motociclista
gli aveva spiegato che, di fatto, la colpa era sua che si ostinava a
chiamarla così, ma quello era un tracciato da competizione a
tutti gli effetti, inserito in quasi tutti i campionati motociclistici
esistenti: la redazione del giornale lo aveva in concessione quando
avevano per le mani qualche interessante supersportiva da provare e
raccontare ai lettori.
Prima ancora di essere un barman e
un aspirante astrofisico, Yusei era un collaudatore di moto sportive. E
forse questa nomina gli calzava a pennello, molto più delle
altre due. A quanto pareva lo faceva come impiego saltuario per una sua
vecchia conoscenza, il capo redattore di un mensile dedicato alle moto
e tutto ciò che girava intorno alle due ruote, dai campionati
mondiali alle nuove norme della sicurezza su strada. Diversi erano i
collaudatori chiamati in collaborazione con la rivista, ognuno
specializzato in una tipologia specifica: c’era chi si dedicava
alle moto da turismo, chi alle cromatissime custom americane,
c’era anche un vecchio rocker piuttosto anonimo che, appesa la
chitarra al chiodo, andava in giro per il mondo a scovare le special
più assurde ed elaborate al mondo. Yusei si occupava,
prevedibile, delle supersportive mangiacordoli, le belve carenate con
centinaia di cavalli a disposizione da liberare tra i nastri
d’asfalto dei circuiti.
Che il suo amico fosse abile in moto
lo sapeva…non si capacitava di come in realtà fosse
così bravo. Silenzioso e pragmatico nella quotidianità,
Yusei si trasformava in un mastino divora tornanti e il solo guardarlo
da uno dei monitor della sala di controllo era una goduria e un
continuo supplizio. Goduria, perché guardarlo condurre con tanta
sicurezza un mostro d’acciaio da duecento cavalli era come
osservare la fine opera di un pittore alle prese con un ritratto, dove
il circuito era la tela da riempire di forme e colori e la moto il
fidato, infallibile pennello: la sicurezza con cui il ragazzo del
Satellite guidava la carenata tra i cordoli era invidiabile, la faceva
apparire la cosa più semplice del mondo, come una tranquilla
passeggiata sul lungomare.
Supplizio, perché il proprio
sistema nervoso era sempre, costantemente messo alla prova
dall’ansia e dalla tensione che si accumulava nel vedere i gomiti
e le ginocchia del ragazzo sfiorare l’asfalto in pieghe ad alta
velocità. Era un po’ come vedere un film horror:
terribile, ma non potevi smettere di guardare, e a lungo andare
sviluppavi perfino una insana attrazione per quelle scene da brivido.
Con Yusei si applicava più o
meno lo stesso concetto. Per quanto la paura di vederlo
irrimediabilmente sfracellarsi a terra gli dicesse di chiudere gli
occhi, c’era qualcosa nel vederlo portare la moto che impediva di
distogliere lo sguardo, come assistere ad un tango su una pista da
ballo: sensuale al punto da apparire indecente ma impossibile da
ignorare. E i passi con cui si muoveva intorno alla moto aveva in tutto
e per tutto l’aria di passi di danza.
La MV Agusta F4 si lasciava invece
ammirare in perfetta quiete, sostenuta dal cavalletto alla ruota
posteriore. E Judai doveva ammetterlo, quella moto era davvero bella al
punto da poter restare tranquillamente parcheggiata in un salotto di
lusso come un pregiato pezzo d’arredamento. La carena pareva
disegnata apposta per amalgamarsi col vento: tutto, di quella moto, era
disegnato, pensato, concepito per la velocità, dal cupolino
sagomato al codino provocante come i fianchi di una modella, vestita
del rosso dell'abito di una mangiatrice di uomini.
- I fazzoletti sono dietro di te, ti dovessero servire…-
- Rally-
- Sì?-
- Una battuta sconveniente-
- Lo so, ma guardati! Sembri un’ape che svolazza intorno a un fiore!-
- Cosa devo farci?! È bellissima!-
- Più della Bimota?-
- …non dirglielo, altrimenti si ingelosisce-
I due scoppiarono in grosse risate,
Judai abbozzò un ghigno tanto per essere della partita ma se
doveva dirla tutta non aveva la minima idea di cosa quei due stessero
dicendo.
Con suo rammarico, doveva accettare
l’evidenza del fatto che i motociclisti vivevano in un mondo
completamente a parte, e tipi come Yusei e Rally sembravano proprio
vivere su un altro pianeta.
Quest’ultimo era, come Yusei,
un trovatello del Satellite, che per anni aveva vissuto sulla
gigantesca isola finché questa non era stata finalmente
ricollegata con Nuova Domino. La ritrovata unione tra le due
città aveva giovato enormemente agli abitanti del Satellite,
sollevandoli finalmente dalla loro condizione di reietti della
società e dando loro la possibilità di osare, di
riprendere in mano la propria esistenza. Da ex ragazzino scapestrato
che rovistava nelle discariche, alla ricerca di pezzi di ricambio,
rottami da assemblare e vecchie motociclette abbandonate al loro
destino, Rally aveva messo a frutto le sue conoscenze meccaniche e le
aveva poi messe a disposizione per diverse riviste del settore
motociclistico, prima di ritrovarsi a collaborare con l’amico di
una vita. Era giovane e pieno di energia e talento, non avrebbe
faticato ad andare avanti.
- Bella e difficile, non mi sembra affatto una moto
da neofiti- osservò Judai, gli occhi puntati sullo scarico che
spuntava sotto il motore.
- Non lo è per niente- confermò Yusei
– Le F4 sono opere d’arte da vedere e anche divertenti da
guidare…se hai il manico giusto. Altrimenti rischi il decollo-
- Verissimo- confermò Rally – Le moto da
corsa non sono mai semplici…ma questa è una delle
più complesse. E soprattutto questo modello, che riprende quella
del Reparto Corse del Campionato Superbike!-
- …aspetta un attimo COSA?!-
Judai sbuffò una risata nel
vedere il suo amico centauro fare capolino da dietro la carena con
tanto d’occhi: giurò di averglieli visti brillare! Rally
lo osservò con un sorriso che non ci fossero state le orecchie
gli avrebbe fatto il giro della testa due volte.
- Ebbene sì! Non chiedermi come perché
non lo so, ma siamo riusciti a mettere le mani sul prototipo del Model
Year 2018! Ricordati che i fazzoletti sono sempre là dietro-
- Rally finiscila, sto per prenderti di parola!-
- Vieni, ti faccio vedere questa meraviglia con
più cura! Guardala, carenatura in fibra di carbonio! E il telaio
è a traliccio in tubi di acciaio! È chiuso nella parte
centrale da leggere piastre in lega di alluminio, che fanno da punto di
ancoraggio del forcellone monobraccio. Così potremo variare
l’altezza del pivot del forcellone posteriore come più ti
aggrada! E ovviamente sospensione anteriore e posteriore sono targate
Ohlins-
- E quei freni? Quello davanti è un doppio disco flottante vero?-
Doppio disco cosa?! Judai sbatté gli occhi perplesso.
- Eeeeesatto! Doppio disco flottante con fascia
frenante in acciaio e flangia in alluminio davanti, disco in acciaio da
210 millimetri dietro. Al posteriore hai una pinza freno Nissin a 4
pistoncini, davanti sei nelle mani di San Brembo protettore dei
pistaioli!-
- Vi lascerò i solchi in staccata…-
- Devi farlo! Vogliamo che fai galoppare a briglia
sciolta tutti i 212 cavalli di cui dispone!-
- Du-duecentododici?!- chiese Judai, allibito – Yusei, la tua Bimota quanti ne ha?-
- Qualcuno di meno...- rispose il giovane, accarezzando ancora la carena.
- Quanto di meno?!-
- La Bimota ha 98 cavalli-
- Che coooooosa?!-
Fossero stati in un fumetto, il
volto di Judai avrebbe ricalcato perfettamente la sagoma distorta
dell’urlo di Munch: Yusei fu quasi in grado di vedergli un
fantasmino lasciargli svolazzando la bocca spalancata e frenò
una risata a stento.
- E tu intendi guidare quel MOSTRO?!-
- Lo trovi problematico?-
- Lo trovo problematico? Lo trovo problematico?! Yus, è ben oltre il doppio della cavalleria della Bimota!-
- Normale, è una moto da pista.
C’è bisogno di tanta cavalleria per poter essere il
più veloci possibile-
- La fai facile tu, a parlarne così!-
- Judai, non è niente di pericoloso. Più o meno-
- Bravo, è quel più o meno che mi inquieta!-
- So quello che faccio. Andrà tutto bene-
Judai sbuffò qualcosa, e
ridusse le sue proteste a mugolii privi di senso mentre scuoteva il
capo, spostando lo sguardo dal suo amico al di fuori dei box, lì
dove la pit-lane si allungava in avanti fino a immettersi nel circuito.
Aveva paura, non poteva negarlo. Per
quanto Yusei fosse bravo, si stava apprestando a domare un mostro che
superava i duecento cavalli, una moto che lui stesso aveva definito
difficile...e non si trattava di condurla a passo d'uomo, ma di correre
come se avesse il diavolo alle calcagna! E insieme a Yusei aveva visto
fin troppe gare motociclistiche, in televisione, per evitare di anche
solo pensare a quanti incidenti potevano capitare nello spazio di un
battito di ciglia.
- Va bene, se tu sei pronto allora monta su e raccontaci di questa meraviglia!-
- Oh, non vedo l'ora!-
E anche cercare di frenare il suo
entusiasmo sarebbe stato inutile e deleterio: poche volte gli capitava
di vedere Yusei così preso e contento, e non si sentiva in grado
di smorzare il suo entusiasmo. Judai incrociò le braccia al
petto, osservando l'amico infilarsi il casco con un veloce gesto: gli
occhi blu spuntarono dalla calotta grandi e vividi come un giovane
innamorato, e si voltò verso di lui.
- Tutto bene?- gli domandò poi. Judai
giurò di vederlo sorridere anche da dietro la mentoniera.
- Yup. Fai attenzione, non esagerare col manico-
- Sul manico non ti prometto niente!-
Judai si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Figuriamoci, pensò quando Rally gli porse un paio di cuffie.
- Indossa queste! Tempo qualche secondo e te le
imposto così da sentire Yusei! Potrai ascoltarlo ma non tentare
di parlargli, quelle sono prive di microfono, non ti sentirebbe-
- Va bene-
Erano comode e leggere, avvolgevano
senza troppi problemi l'intero padiglione auricolare; ma quando Yusei
andò ad avviare il motore la loro protezione sembrò quasi
nulla. Come se alle sue spalle fosse arrivato un colpo di mortaio,
Judai scattò sull'attenti, strappando al collega una risata
amplificata dalle cuffie. Il castano riprese a respirare solo quando la
moto uscì dal box, sparendo dai loro sguardi.
Fu allora che Rally lo invitò
a seguirlo fuori dal box a ridosso del muretto che costeggiava il
rettilineo della linea di partenza; lo guidò con allegria al
riparo dietro una tettoia scura, dietro cui stavano alcuni schermi da
cui era possibile tenere d'occhio diversi punti della pista. Uno di
questi restituiva in tempo reale le immagini della camera on-board, ma
Judai non era molto convinto di voler osservare proprio quel punto di
vista...considerato quanto si stava inclinando in curva e stava andando
anche piano...
- Buon cielo, ha l'agilità di un cane da
caccia!- esclamò improvvisamente Yusei, nelle sue orecchie.
-
Ricordati che la versione da cui sono partiti per questa moto è
quella del 2017. Molte caratteristiche del precedente modello sono
state rifinite- rispose Rally, gli occhi puntati sullo schermo che
restituiva le immagini della on-board.
- Mi piace! L'avantreno è fantastico, è
come toccare la curva con entrambe le mani!-
L'avancosa?! Forse parlava della ruota...Judai preferì restare in silenzio nella sua quasi totale ignoranza motociclistica.
- Mi sembra solo serpeggiare un po' in
frenata...insistere con i freni può essere un azzardo. Il motore
aiuta però molto, basta un colpo di gas e la moto scivola via!-
- Come ti senti in sella?-
- Stretto-
Judai si voltò appena ad osservare Rally ridacchiare.
- Sul serio, per spingere va bene...ma le pedane sono
davvero alte, mi sento come incastrato-
- Sei riuscito a trovare un difetto perfino a questo
gioiello...poi ti lamenti se le tue fidanzate durano poco!-
- Le moto non si lamentano e fanno godere il doppio-
Stavolta Judai si unì alla
risata, scuotendo il capo. Da Yusei c'era da aspettarsela, una simile
affermazione...eppure c'era del vero in quello che Rally aveva
insinuato poco prima.
Sapeva che il ragazzo del Satellite
fosse un tipo piuttosto complicato, ma a volte si stupiva di quanto
realmente strane, forse assurde, fossero alcune sue consuetudini.
A cominciare dalla discutibile
abitudine del dormire nudo. Discutibile perché dimenticarsi di
tale caratteristica ed entrare incautamente in cucina, al mattino,
mentre lui stava versandosi un bicchiere di latte poteva essere
oltremodo traumatico. Almeno per il suo coinquilino, magari una sua
compagnia femminile avrebbe oltremodo apprezzato la cosa...ma sui
gemiti notturni c'era da soffermarsi. E non gemiti di piacere, ma di
paura. Qualcosa di paurosamente vicino ad urla: i primi tempi della
loro convivenza il castano si fiondava nella sua stanza, attirato dagli
insoliti rumori e in un certo senso spaventato, convinto che Yusei
avesse bisogno di aiuto. Stando alle spiegazioni del moro, ne soffriva
dal suo soggiorno nella Struttura; la cosa lo destabilizzava ed
innervosiva, a volte spingendolo a restare sveglio fino a tardi,
finché il suo corpo stesso non rischiava il blackout e lui aveva
appena la forza di spogliarsi per infilarsi tra le coperte.
In un certo senso era come le sue paralisi del sonno.
Aveva poi scoperto che adorava alla
follia qualsiasi cosa avesse un sapore dolce: si sarebbe lasciato
bruciare vivo per dei marsh-mallow, e per la cioccolata avrebbe
volentieri ucciso. Al latte, alle nocciole, bianca, gianduia, ripiena
di arancio o ciliegia, andava matto per qualsiasi ripieno e tipo. Ne
consumava giornalmente quantità industriali, salvo poi fare
esercizio fisico fin quasi a sentirsi male per rimediare allo sgarro.
Il problema era che spesso era
così assorbito dai suoi impegni, universitari e non, da
dimenticarsi di mangiare. Judai aveva perso il conto delle volte in cui
era sceso in garage a portargli il pranzo, e di quanto spesso si era
visto nella condizione, velatamente assurda, di dovergli imboccare la
prima forchettata di qualsiasi cosa per convincerlo a mangiare.
E per quanti bagni o docce facesse,
quel vago sentore di olio motore sembrava non lasciarlo mai andare. Era
a lui caratteristico quasi quanto il suo profumo preferito, quello di
una ignota marca norvegese dalle note di pino silvestre.
Degna di nota, ma conoscendo Yusei
era anche prevedibile, la sua totale fissa, perché Judai non
sapeva in quale altro modo definirla, per tutto ciò che
riguardava l'universo. Era qualcosa che sfiorava il morboso: una
vocazione che lui aveva abbracciato fin da bambino e che aveva
condizionato la sua vita al punto da imperniare il suo percorso di
studi sull'astrofisica. La passione per l'argomento era tale da
invogliarlo a collaborare per un canale podcast che trattava di nuove
scoperte scientifiche. Nnelle sue puntate spiegava, in pillole, tutto
ciò che c'era da sapere sull'universo e illustrava le nuove
scoperte in campo astronomico: i podcast organizzati da Yusei erano
quelle con il più grande numero di download in assoluto
dell'intero canale.
Chissà se Aki sapeva di quei
podcast: Yusei non ne faceva un vanto, così schifosamente umile
com'era, ma Yuya e Yuma non se ne perdevano uno e ne discutevano
ampiamente, a volte anche con lo stesso barman, riempiendolo di domande
a cui lui rispondeva con un trasporto disarmante. Impossibile che
almeno uno dei due non gliene avesse parlato.
Yusei era un autentico concentrato
di altruismo e bontà una volta che riusciva a superare la
naturale diffidenza che nutriva verso le persone, e tuttavia non
sembrava in grado di intrecciare un rapporto duraturo con esponenti del
gentil sesso. L'unica relazione degna di questo nome, da quando si
conoscevano, era durata poco più di un anno, prima che lui
tagliasse volutamente i rapporti con la ragazza dopo aver scoperto
“di essersi ritrovato con il palco di corna di un'alce dietro la
testa”, per riprendere l'espressione di Judai. Il resto delle sue
storie erano state brevi e fin troppo intense e ogni volta restava
solo, ferito ma fin troppo orgoglioso per ammetterlo anche a sé
stesso.
Lui e il resto della crew del
Pharaoh's ci scherzavano volentieri sopra, ma in cuor suo Judai sapeva
che c'era del vero nelle parole che lo stesso Rally condivideva: se
esiste l'anima gemella di Yusei, aveva detto una delle prime volte in
cui si erano incontrati, non è in questa galassia.
Forse era vero. Forse quel ragazzo
era davvero destinato a restare per sempre legato alle sue amate stelle
e alle due ruote. Che poi, quale nesso esisteva tra le due cose? Come
poteva una persona come Yusei, con i piedi saldamente piantati per
terra, avere gli occhi sempre rivolti alla volta stellata e la mente
sempre a scorrere tra i cordoli e le mille luci notturne della
città?
Atem sosteneva fosse una sua forma
di estraniamento dalla quotidianità, una valvola di sfogo che
gli permetteva, di tanto in tanto, di poter uscire dagli schemi
convenzionali a cui la società l'aveva presto abituato. Non era
facile farsi vedere di buon occhio, non quando avevi un'aria
perennemente accigliata e il marchio della Struttura ben in vista sulla
faccia. Potevi essere accorto, diligente, ben educato e discreto quanto
volevi, ma un segno così evidente ti bollava a vita come un
delinquente, uno che aveva infranto la legge in maniera grave
abbastanza per guadagnarsi un soggiorno nel carcere di massima
sicurezza di Nuova Domino. Poco importavano le tue motivazioni.
Chissà se ci pensava mai a
come le cose avrebbero potuto svolgersi, se fosse tutto andato in
maniera diversa. Se non fosse mai finito in prigione, se avesse
proseguito la sua vita sul Satellite...forse sarebbe morto come tanti
prima di lui? Circolavano voci non proprio lusinghiere su quella
gigantesca discarica galleggiante, e il fatto che fosse stata di
recente inglobata nella rete di scambi di Nuova Domino non aveva
migliorato la sua reputazione: ci si addentrava con molta cautela nelle
zone interne dell'isola, e chi lo faceva di sua spontanea
volontà doveva essere pazzo o disperato per non temere le bande
di ladri e criminali letteralmente ghettizzate.
No, figuriamoci: uno sveglio e
svelto come Yusei non avrebbe mai lasciato la pellaccia tra quei vicoli
bui e sgangherati. Con ogni probabilità avrebbe resistito fin
quando l'isola non sarebbe stata ricollegata alla terraferma, per poi
spostarsi e ricominciare da capo nella stessa modalità con cui
era andato avanti in quegli anni: duro lavoro, poca importanza alle
voci, alle porte sbattute in faccia e alle occasioni negate.
Aveva i piedi piantati a terra come
una solida quercia, ma nel suo profondo era più sognatore di un
bambino che diceva di voler fare l'astronauta da grande.
Al momento gli andava bene essere
etichettato come “marziano”, ma quello era l'epiteto che
Judai gli affibbiava per ogni cosa, non solo per la conduzione della
moto. Per lui era un marziano in un po' tutto quello che faceva, dagli
studi alla preparazione dei cocktail fino all'insana manualità
con tutto ciò che fosse meccanico e tecnologico, perfino i siti
web e i codici di programmazione non avevano segreti per lui. A volte
aveva l'impressione che se avesse potuto, il suo cervello avrebbe
letteralmente iniziato a correre al punto che Yusei non sarebbe stato
in grado di stargli dietro.
Un marziano nel vero senso della parola.
Cosa aveva in comune con Aki?
A parte l'aria accigliata
ovviamente...ma quella della ragazza era più condizionata da una
sorta di meccanismo di autodifesa: cresciuta nell'élite
nobiliare di Nuova Domino, le era stato insegnato a temere tipi
tenebrosi come Yusei, stare alla larga da quelli scapestrati tipo Judai
e schernire i buffoni dello stampo di Yuma e Yuya. Nel caso di Yusei si
parlava di vera e propria intolleranza a molte sfaccettature idiote del
resto del genere umano.
Non c'era nulla che li accomunasse,
davvero. Erano letteralmente opposti come il sole e la luna. Nel senso
che Aki era il sole e Yusei la luna. E non un sole e una luna belli da
guardare, perché lei era pronta a fare terra bruciata intorno a
sé e lui...anche.
Ecco, forse una cosa in comune
l'aveva trovata? Ma no, non era giusto esagerare fino a quel punto.
Però era evidente che fossero entrambi agli antipodi e, a ben
pensarci, insospettabilmente vicini allo stesso estremo dello spettro
delle emozioni umane.
Forse definirli opposti non era
neanche giusto...complementari era molto più azzeccato. Perfino
nei colori preferiti sembravamo incastrarsi fin troppo bene! Aki non
faceva mistero della sua predilezione per il rosso, mentre Yusei non
aveva fatto verniciare di blu la Bimota solo perché non prevista
come colorazione dalla casa madre. E la iniziale diffidenza di lei era
ben compensata dalla naturale, guardinga curiosità dell'altro.
E poi quel gioco nascosto di
sguardi, poco più di una settimana prima...Judai avrebbe
volentieri dato un braccio pur di poter rivedere quella scena ancora e
ancora.
Nella testa del castano era tutto
così spudoratamente chiaro, che non ne faceva parola col
compagno solo per non farsi rinfacciare i suoi tentennamenti con Alexis.
Ma poi, perché tutta quella fretta di accoppiare il suo coinquilino e migliore amico?
Tornò ad osservare il monitor
in silenzio, gli occhi puntati sulla figura di Yusei e sulla moto che,
stretta tra le sue gambe, scendeva in piega con una facilità
disarmante, ad angolazioni che sembravano voler annullare le leggi
della fisica tanto care al pilota. Judai scosse il capo,
stropicciandosi gli occhi.
Yusei era un marziano.
E come tale non avrebbe mai potuto comprendere appieno il suo mondo.
****
- Fammi capire, l'hai portata a trecentoventi all'ora?!-
- Sì-
- E la casa ha dichiarato appena trecentodue?!-
- Ehi, si tratta di un prototipo, ricordatelo.
Dopodiché guidata in pista è ovvio che possa dare dei
parametri diversi, dipende anche da chi sta sopra. L'ho portata a
trecentoventi ma urlava da chiedere pietà. Essendo destinata al
mercato delle supersportive da strada metteranno dei limitatori, con
ogni probabilità-
- Quindi sarà la scelta dei fighetti con i
risvoltini che vanno a prendere lo Spritz sul lungomare?-
- Probabile. Io mi tengo stretta la Bimota-
- Oh per fortuna, Dio grazie-
Judai scosse il capo, tornando alla sua bibita.
Finiti i giri in pista, Yusei era
sceso dalla moto più euforico di un bambino e con gli occhi
più grandi e liquidi che gli avesse mai visto: avesse dovuto
dipingere il ritratto della gioia avrebbe avuto la sua faccia e la sua
espressione. Si era preso poi del tempo per discutere con Rally di dati
e rilevamenti: a quanto pareva i computer di bordo e la centralina
mandavano informazioni in tempo reale, quindi si trattava solo di
mettere in chiaro alcuni punti specifici. In seguito la redazione
avrebbe battuto l'articolo; in qualche punto della pista Judai aveva
notato anche gli obbiettivi di alcuni fotografi.
Era sceso dalla MV Agusta solo per
montare sulla sua amata Bimota, e il castano avrebbe giurato di averlo
sentito mormorarle qualcosa che sembrava un “non essere
gelosa”; concedersi poi un tranquillo giro sul lungomare,
con tanto di stop ad un chiosco per rinfrescarsi, era loro parsa la
migliore conclusione della mattinata.
- Pensavo-
Yusei spostò appena gli occhi, senza staccare le labbra dalla Red Bull.
- Ma se volessi prendere una moto anche io?-
Red Bull che rischiò di
andargli bastardamente di traverso. Yusei diede un colpo di tosse e si
voltò ad osservare il compagno con sguardo stralunato,
suscitandogli uno sbuffo divertito.
- Che c'è?- gli domandò poi Judai.
- Come che c'è?! E da quando ti piacciono le moto?!-
- Da sempre, tontolone. Solo che preferisco guardarle piuttosto che guidarle-
- E cosa ti ha fatto cambiare idea?-
- Non saprei a dire il vero...non l'ho proprio
cambiata, diciamo che voglio togliermi la curiosità di provare-
- ...hai rivisto Akira?-
- Mi piacerebbe salire su una delle sportive
giapponesi più retrò! Sai quelle degli anni '80 che
sembravano copiate dai manga...-
- Hai rivisto Akira-
- Dici è meglio se lascio perdere?-
- Lo sai che non ti dirò mai di lasciar
perdere su una cosa che desideri. Dico solo di pensarci bene, passare
dalle quattro alle due ruote non è così facile. E
comunque uscire in moto implica dei rischi-
- Per te o per gli altri? Perché non vorrei
mai essere nei panni del tipo che ti ha fatto saltare lo specchietto,
credo sia morto fulminato, con tutti gli anatemi che gli hai lanciato-
- Lo spero, un imbecille in meno sulle strade-
- Non potevo aspettarmi una risposta diversa...-
Yusei preferì non rispondere a quella sottile provocazione, continuando a bere dalla sua lattina.
- Ehi! Pensavo-
- Di nuovo. A cosa?-
- Aki ti piace-
Non una domanda, ma una
constatazione, come se fosse qualcosa di ormai evidente a tutti gli
spettatori della storia tranne che al diretto interessato. E Yusei
realizzò che forse non era il caso di bere qualsiasi bibita
quando era a chiacchierare con Judai, perché non era la prima
volta che se ne usciva con constatazioni improvvise che puntualmente
gli mandavano tutto di traverso.
E il punto era che non sapeva mai se rifilargli un'imprecazione, strozzarlo o montare qualche bugia per coprire le apparenze.
E poi, era lui a parlare? Seriamente?! Judai?!
- Perdonami, ora questa da dove è saltata
fuori?!- chiese il giovane astrofisico, quasi allucinato, tra un colpo
di tosse e l'altro.
- Ti piace. È evidente- continuò Judai
– E neanche poco. Chiacchieri con lei molto spesso, c'è
una bella intesa. L'abbiamo notato tutti-
- Ma notato cosa?! Non c'è proprio nulla tra
me e lei. Siamo solo due colleghi che passano almeno otto ore a serata
insieme, ringrazia il cielo che siamo in sintonia altrimenti sarebbe
tutto più difficile-
- Vero anche questo-
- Già-
- Tutta questa tensione però mi fa pensare-
- Judai, ascoltami bene-
Con un sorriso amaro il castano
capì di aver tirato troppo la corda e scosse il capo: Yusei si
voltò ad osservarlo con sguardo impietoso, rigido ed impettito
in quell'espressione seria che gli vedeva davvero troppo spesso.
- So bene cosa pensi- disse poi il capobar – E
sì, ammetto che con Aki c'è una bella sintonia, se questo
ti fa stare meglio e alimenta il tuo cuore da pettegolo ficcanaso. Ma
non c'è altro. Non VOGLIO altro-
- ...perché?-
- Perché è meglio così. In fondo
sai anche tu che non sono un granché con le relazioni sociali-
- Stronzate. E noi allora? O vale lo stesso discorso
di Aki? Siamo davvero solo tuoi colleghi? IO sono davvero solo un tuo
collega?-
Yusei si lasciò sfuggire uno sbuffo sconsolato e scosse il capo, finendo in un sorso il contenuto della sua lattina.
- Non intendevo questo. Scusami se ho fatto passare
questo messaggio- gli rispose poi – Ma sai com'è...non
sono un tipo semplice da gestire. E anche io non voglio avere legami
seri e duraturi con una donna. Non ora almeno-
- Perché?-
- Non potrei prendermi cura di lei, non come meriterebbe. E certe cose si fanno in due-
Con un sospiro, Judai annuì e si voltò verso il vuoto.
Tipico di Yusei: anteporre il
benessere degli altri al proprio era il suo tratto distintivo, non
immediatamente visibile come il segno sul volto o il tatuaggio sul
braccio ma allo stesso modo evidente e caratterizzante. Yusei era
così, dava tutto sé stesso in qualsiasi cosa attirava la
sua attenzione, e lo faceva con una discrezione quasi imbarazzante.
Avrebbe preferito uccidersi pur di non ammetterlo, ma i suoi livelli di
empatia erano davvero fuori dagli standard di quel pianeta; ed era una
caratteristica messa in secondo piano solo dalla sua iniziale
diffidenza e scontrosità.
In cuor suo Judai era sempre
più convinto, che la giovane rossa dai grandi occhi da cerbiatta
fosse l'unica in grado di far breccia nell'impenetrabile muro di cinta
del giovane astrofisico. Non Yuma o Yuya, né Yugi e neanche
Atem, per quanto improbabile; neanche lui stesso, nonostante l'evidente
complicità che ormai c'era tra loro. No, era Aki l'unica persona
in grado di fare tanto, con quel suo approccio timido e discreto al
punto da farsi rabbioso e scostante.
- Capito- sorrise poi Judai – Scusami, non volevo metterti in difficoltà-
- Figurati-
- Sicuro?-
- Ehi, è tutto a posto-
Ecco, e poi finiva così. È tutto a posto,
diceva. Il mondo avrebbe potuto crollargli intorno ma lui avrebbe
sempre risposto a quel modo, è tutto a posto. Come se nulla
potesse scuoterlo o sconvolgerlo.
A volte Judai si chiedeva quante
davvero ne avesse passate, in quell'isoletta ora collegata da una
strisciolina di asfalto sospesa sull'oceano.
****
Sei giorni erano passati fin troppo
velocemente, tra serate lavorative e ore di studio concentrate dopo il
risveglio. Aki si era abituata presto a quei nuovi ritmi, e aveva
scoperto che non le dispiaceva affatto avere le giornate così
impegnate.
Quando ancora viveva con la sua
famiglia, le cose erano piuttosto diverse: intere giornate dedicate
allo studio, tra università ed esami, finivano con l'annoiarla e
logorarla. E se, inizialmente, si era sentita in colpa, a rubare
così tanto tempo allo studio per lavorare e riposarsi, i rimorsi
erano passati molto presto. Forse dipendeva dal fatto di non essere
sotto il costante e protettivo sguardo della famiglia, chissà.
L'idea di tornare in quella casa la
inquietava. Non si erano lasciati in chissà quale violento modo,
ma che Aki non avesse più un buon legame con i suoi familiari
era ormai chiaro anche ai muri della sua abitazione. Vista ormai come
la futura poco di buono che avrebbe infangato il buon nome della
famiglia, era convinta che l'avrebbero ignorata, o che perlomeno
avrebbero preferito tenerla lontana da eventi così particolari
come la celebrazione di un fidanzamento.
Di sicuro centrava sua madre.
L'invito non poteva essere partito da Suketsune stesso: il suo cugino
si ricordava a malapena di Aki, e a prescindere qualcun altro avrebbe
preferito non coinvolgerla, per evitare di alimentare inutili malumori.
Manco avesse lo scorbuto.
Ma sua madre le voleva bene...a modo
suo. Iperprotettiva e premurosa, per i gusti di Aki forse troppo, e
tremendamente legata alla figlia, anche questo eccedente secondo
l'opinione della rossa. Avrebbe messo una mano sul fuoco, l'invito era
partito da lei.
Sei giorni erano passati, e mancava ancora l'accompagnatore.
Bella forza. Sua madre le aveva
detto di non presentarsi sola: “per l'immagine della famiglia,
sai com'è”, aveva spiegato, al che Aki aveva annuito senza
fare altre domande. Ma i giorni erano passati e pochi erano i candidati
proponibili, anche pensando alla crew del Pharaoh's Kingdom.
Yuya era da escludere a priori: per
quanto adorasse la compagnia di quel ragazzo, voleva risparmiargli la
crudeltà di un ricevimento così chic e freddo. E poi
aveva una fidanzata a cui pensare: quei due sembravano vivere una
specie di luna di miele, sarebbe stato molto scorretto separarli.
Stesso ragionamento che aveva fatto pensando a Yuma, contando il fatto
che era troppo piccolo rispetto a lei ma soprattutto troppo energico.
Un ragazzo come quello avrebbe creato solo danni.
Judai e Yugi...niente, proprio non
se la sentiva di tirarli in mezzo a quel pandemonio. E stesso discorso
per Yusei, quel ragazzo di sicuro non sarebbe piaciuto a nessuno:
troppo serio, con quella perenne espressione accigliata neanche si
aspettasse una coltellata alle spalle da qualcuno, privo di quelle
caratteristiche da esponente dell'alta società. Era un
lavoratore, serio e fiero del suo mestiere: poco importava che
studiasse astronomia, era sempre e comunque un ragazzaccio che
scorrazzava in moto per la città, che preparava intrugli
alcolici e con la lingua pelata come la testa di un calvo.
Però, l'idea di presentarsi
al ricevimento con lui l'aveva solleticata un po': giusto per vedere le
facce di suo padre e sua madre, un modo come un altro per alimentare
l'incendio del malumore che li stava consumando da quasi dieci anni
ormai.
- Tanto cosa gliene importerebbe?- mormorò a
sé stessa, scendendo le scale – In fondo, sono una pecora
nera. Una che farà poca strada-
Quando fece scorrere la porta di
vetro, la sala del Pharaoh's Kingdom venne spazzata da una potente
raffica di vento: da dove venisse era un mistero, priva di qualsiasi
tipo di finestra. Vento caldo e sabbia, che le pizzicò gli occhi
e glieli fece lacrimare. Se li stropicciò debolmente, cercando
di recuperare la vista mentre gli zoccoli suonavano argentini e nitidi
sul pavimento nero.
La purosangue trottò verso di
lei, in un movimento fluido ed elastico, le gambe come molle. Aki
sbatté gli occhi e li fissò sulla creatura di fronte:
elegante e bella come un'odalisca, scintillante nel suo candido manto,
il collo cinto da preziosi ornamenti, la giumenta frustò l'aria
con la coda un paio di volte, scuotendo il capo con aria altezzosa.
Sotto il candore del suo manto, i muscoli guizzavano sotto la pelle
come animati di vita propria; la cavalla la osservò con i suoi
grandi occhi scuri, liquidi e scintillanti, pura onice incastonata in
una meravigliosa scultura vivente.
Una seconda raffica di vento se la
portò via. Aki sbatté ancora gli occhi, portandosi le
dita alle tempie e massaggiandole con ampi movimenti circolari.
- Atem?!- chiamò.
Il Faraone fece capolino dalla sala di biliardo, con un ghigno malandrino sul volto.
- Ehilà! Spero di non averti spaventata!-
esclamò poi, indicandola con un cenno della testa mentre usciva.
- Cosa...cos'era?!- domandò la rossa, incredula.
- Un cavallo! O meglio, una giumenta. Niente di
particolare, stavo facendo solo un...esperimento. Una prova, per
un'amica-
- Una prova-
Aki annuì, guardandosi intorno con sguardo spaesato.
La sala del Pharaoh's Kingdom era
sempre la stessa: pavimento nero lucido, tavolini, poltrone e divani,
il palco per le esibizioni e l'occhio di Ra che tutto vedeva; ma
qualcosa dava una strana sensazione, quella giornata. Il silenzio
regnava sovrano, lì dentro: non c'era il solito, allegro caos di
quando arrivava al locale e tutti erano già pronti con le loro
divise, a sistemare l'arredamento prima dell'apertura ufficiale. Aki
osservò l'orologio al polso: erano appena le sei e un quarto,
non così tardi...e non era neanche così in anticipo come
pensava.
Quasi qualcuno avesse letto i suoi
ansiosi pensieri, Judai comparve alle loro spalle. Vestito di tutto
punto con la sua divisa, entrò di schianto dentro le cucine,
facendo spalancare sonoramente le porte; Aki lo sentì dare
qualche imperioso ordine e scambiare qualche battuta con i cuochi,
prima che uscisse ancora, stappando con un secco gesto una lattina.
- Birra in lattina?- gli domandò Atem,
attirando la sua attenzione – Lo sai che se Yusei ti vede bere
quella roba, ti uccide?-
- Infatti lo faccio ben lontano da lui- rispose il
castano, facendo spallucce – Ma se continua a mettere il blocco
ai rubinetti, ha poco da incazzarsi-
- Yusei non beve birra in lattina se non strettamente
necessario- spiegò Atem, in risposta allo sguardo curioso di Aki
– Solo dalla bottiglia, anche se preferisce in assoluto la birra
alla spina. Un po' come tutti noi qui...il problema è che la
birra alla spina piace un sacco anche a Yuma-
- Un paio di settimane fa quel nano malefico si
è scolato l'intera botte!- concluse Judai, un grosso sorriso sul
volto – Avresti dovuto esserci, Aki! Yusei era paonazzo, te lo
immagini?! “Ti ammazzo deficiente!” e tutte 'ste cose-
Aki ridacchiò: chissà
perché, ma riusciva a vedere benissimo Yusei nella parte del
barman isterico. Per quanto fosse silenzioso e discreto, i suoi scoppi
erano forse ancora più rumorosi ed inaspettati.
- Ehi Aki! Hai portato con te il costume, vero?!-
domandò Judai, dopo aver preso ancora un sorso dalla lattina. La
rossa annuì, tastando la morbida superficie della sua borsa
– Ottimo! Cambiati, mettiti la divisa e seguici di sopra!-
- Di sopra?!-
Con il braccio che reggeva la
lattina, Judai le indicò il fondo della sala: la pianta di
kensia era stata spostata, e ora si vedeva il muro che voltava l'angolo
e scopriva una scala resa luminosa da alcuni led posizionati sotto i
gradini. Aki sbatté gli occhi: non ci aveva mai fatto caso,
prima.
Era forse lì che si nascondeva la famosa piscina?
Scambiò un'occhiata con Atem,
che le sorrise complice prima di girare dietro il bancone e cominciare
a prepararsi il suo consueto bicchiere di Martini. Aki lo
osservò a lungo mentre miscelava sapientemente ghiaccio, alcol e
sale, creando un cocktail a regola d'arte degno della foto di un
manuale.
Avrebbe potuto chiederglielo? Aki si
diede della stupida quasi subito, a quel pensiero, e corse giù
per la scala che portava ai camerini, sbuffando stressata. Figurarsi se
Atem era persona da stare dietro alle esigenze e alle fisime di una
povera ragazza quasi scappata dalla famiglia: l'avrebbe ignorata, o
più semplicemente le avrebbe riso in faccia e avrebbe poi detto
di no...eppure un uomo come lui sarebbe stato perfetto per contrastare
le gelide occhiate e le frecciate velenose della famiglia: bella
presenza, l'attitudine di un intellettuale, lo sguardo lontano di chi
si elevava, a ragione, su poveri mortali insignificanti e la lingua
affilata e tagliente più di uno stocco. Cos'era, per lui,
partecipare ad un ricevimento di ricconi? Poteva mischiarsi
tranquillamente tra di loro e, se proprio le cose fossero andate male,
avrebbe potuto confondergli le idee con qualche trucchetto dei suoi.
L'idea non era male.
Si ripromise di ripensarci su,
quando finalmente salì sulla terrazza e scoprì che fine
avessero fatto i suoi colleghi. Varcata l'ennesima porta di vetro e
uscita dal cubo di cristallo che sovrastava la scala, Aki rimase un
attimo a godersi la vista.
L'ondata di caldo dell'ultimo
periodo aveva anticipato l'arrivo dell'estate con tale evidenza che
erano stati tutti invitati ad indossare le divise estive; finalmente
Yusei non doveva più passare tutto quel tempo ad arrotolare le
maniche della camicia, e il suo dragone osservava il cielo che sembrava
quasi specchiarsi nei suoi occhi dipinti e in quelli del suo
proprietario. Aki gli rivolse un sorriso e un cenno del capo, prima di
farsi avanti e guardarsi intorno.
Il pavimento in mattonelle bianche
spariva in una piccola rampa di scale che sprofondava nella grande
piscina rettangolare: la sua profondità cresceva mano a mano che
si avanzava, illuminata dai faretti che, sotto il pelo dell'acqua,
disegnavano bianche pennellate di luce. Accanto alla scala, un piccolo
quadrato in marmo nero delimitava quella che doveva essere una vasca
idromassaggio. Molto carino era il piccolo percorso che la piscina
disegnava tra le due piccole costruzioni: la prima, quella più
grande, racchiudeva i camerini e i bagni per i clienti, la seconda,
più piccola e discreta, racchiudeva probabilmente i generatori,
a giudicare dal sibilo attutito che proveniva dalle pareti. In quel
piccolo canale luminoso, grossi parallelepipedi bianchi fungevano da
vasi da cui le palme puntavano verso il cielo; di quegli esotici alberi
la terrazza ne era circondata, spuntavano qui e là così
come i tavolini, le sdraio e le poltroncine. Poco più in
là c'era un altro palco per le esibizioni, dove un grosso
pannello verticale doveva fare da scenografia, e dalla parte opposta
stava il bancone presso cui Yusei aveva già preso posizione.
Judai gli volteggiò (sì, ebbe davvero quell'impressione)
intorno prima di portare due vassoi carichi di stuzzichini ad una
grossa tavola già imbandita e piena di ogni ben di Dio che le
veniva in mente: Yuzu e Anzu, insieme a Mana e ad un'altra ragazza dai
capelli verdi (sul serio, ma proprio non riuscivano ad usare dei colori
umani?!) si erano già create la loro composizione di frutta,
mentre Alexis e Mai stavano tranquillamente a parlare sedute su un
divanetto. L'argomento doveva interessare parecchio la cantante,
perché stava ascoltando la compagna con molto interesse: le
gambe elegantemente accavallate e il mento poggiato sulla mano destra,
seguiva con lo sguardo gli ampi sventolii di mano della bionda dagli
occhi grigi. Yuma e Yuya stavano cercando di sistemare l'impianto
audio, preparandolo per l'esibizione: ogni tanto si sentiva una forte
risata salire dal coloratissimo duo.
Con la bella stagione, apriamo la
terrazza- le spiegò la voce di Atem, sopraggiunto alle sue
spalle – Quattro serate su sette saranno organizzate qui, tempo
atmosferico permettendo ovviamente. Ma direi che questa sarà una
serata fortunata: non ci sono nuvole-
Aki lo imitò e alzò lo
sguardo: incorniciato dalle cime dei grattacieli, il cielo di Nuova
Domino si stava trasformando in una gigantesca tavolozza di colori,
dove l'azzurro e l'oro accecante del sole cominciavano lentamente a
sfumare nel rosso del tramonto. Più in là, gli occhi
erano abbagliati dallo scintillante riverbero del sole sul mare,
lì dove qualche vela solcava temeraria le onde.
Davvero una bella vista.
Stasera ci divertiremo- le promise Atem, allontanandosi poi a rubacchiare qualche scaglia di formaggio dal tavolo.
- Che te ne pare?- domandò Yusei,
affiancandola silenzioso, le braccia incrociate al petto – Non si
sta affatto male, qui-
- Direi proprio di no- annuì la rossa,
sorridendo – Davvero, è un posto fantastico, riserva
continue sorprese-
- Sono contento. Che ti trovi bene, intendo. Ti trovi bene, vero?-
- Yusei, credo tu abbia ormai capito che se una cosa non mi sta bene, lo faccio capire-
- Lo so rosellina, la domanda era retorica.
Ultimamente mi sei parsa...strana. Distratta. Come se qualcosa ti
preoccupasse-
Era anche attento. Davvero, cosa poteva chiedere di più ad uomo? Aki si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo.
Yusei era davvero strano, sotto
molti punti di vista. Non era solo per il suo essere, per la maggior
parte del tempo, silenzioso e accigliato, e non centravano solo il suo
tatuaggio e il segno dorato che gli percorreva il volto: sembrava
capace di leggere le persone bene quasi quanto Atem, con la differenza
che lui non faceva strani giochi con la mente e la percezione altrui. E
l'aveva notato anche vedendolo a confrontarsi con Judai o i due Yu che
l'aiutavano al bancone: Yusei sembrava preoccuparsi sempre molto per
loro, allo stesso modo di come li riprendeva aspramente quando
combinavano qualche guaio dei loro. Per qualche motivo, Aki era
convinta che tutto quel riguardo che nutriva nei loro confronti, Yusei
non lo riservava per sé stesso.
Le cicatrici sulle braccia le davano
conferma. Non erano molte, ma erano piuttosto profonde e brutte: una
gli attraversava diagonalmente il dorso della mano destra, un'altra
spuntava da sotto la stessa manica. Un altro taglio, più lungo e
profondo, gli incideva l'interno dell'avambraccio sinistro, e qualcosa
le diceva che quel bel tatuaggio a forma di testa di drago servisse a
coprire un altro segno.
Perché? Come se li era procurati?
- Ne vuoi parlare?-
La voce di Yusei era sempre bella,
però. Bassa, lievemente vibrante, capace di diventare forte
quando c'era bisogno di dare ordini o richiamare qualche collega
indisciplinato. Sembrava capace di accarezzarla e metterle sicurezza
solo con le parole.
- ...Niente di così particolare- disse poi
lei, scrollando le spalle – Ho sentito i miei, ultimamente-
- Oh. Tutto bene?-
Glielo chiese con quel tono sincero ed interessato di chi sapeva cosa le stava passando per la testa.
- Sì beh, non abbiamo parlato molto, io e mia madre. Andava piuttosto di fretta-
- Sbaglio o non è la prima volta?-
- No, non sbagli-
- Beh, che cosa vi siete dette allora? Cos'è
che ti fa preoccupare così tanto?-
- L'invito ad un ricevimento di famiglia-
- Oh?-
- Un mio cugino intende ufficializzare il suo
fidanzamento, e seguendo la tradizione familiare verrà tenuto un
ricevimento nella tenuta di famiglia-
- Credo di aver capito: è quella roba che si
vede anche nei film? Con i teli bianchi, i sommelier, i camerieri e
tutti vestiti eleganti, a far finta di essere interessati
reciprocamente all'intera faccenda mentre scroccano cibo a buffet e si
vantano di loro meriti gonfiati ad arte?-
Neanche un cavaliere su un destriero
bianco mentre le porgeva un mazzo di rose avrebbe creato quella stessa
vertigine allo stomaco. Aki annuì, passandosi una mano sul collo.
Era anche capace di sfoderare del
sarcasmo così artistico e raffinato, che si stupiva di come non
si trovasse uno stuolo di pretendenti sotto il portone di casa. E lei
si era innamorata di uno così.
Il cuore le mancò un battito.
Innamorata?
Innamorata?!
Un mezzo sorriso le curvò le labbra, gli occhi che vagavano nel vuoto.
Era stato stranamente semplice,
più di quanto pensava, ammetterlo a sé stessa. Se ne
stava innamorando, piano piano, con quella centellinata lentezza di un
fiore che schiude i petali. A furia di conviverci, di passare ore
insieme, e di trovare le affinità mentali più disparate,
se n'era davvero invaghita, come la più stupida e frivola
protagonista di romanzetti rosa.
- Sì, proprio così- rispose Aki,
arricciandosi una ciocca intorno all'indice sinistro.
- Ah beh, buona fortuna allora, sai che barba...-
borbottò Yusei, stringendosi nelle spalle.
Aki prese un profondo respiro,
ignorando il desiderio di fracassarsi il cuore in mille pezzetti
minuscoli. O mettergli le mani al collo, la tentazione era molto forte.
- E mi hanno gentilmente invitata a non presentarmi
da sola- continuò poi, con una lieve nota d'imbarazzo nella voce.
- Sarebbe?-
- Sarebbe che presentarsi ad un ricevimento di
fidanzamento, senza qualcuno al tuo fianco...non è considerato
molto elegante-
- ...Non ha senso questo, lo sai vero?-
- Certo-
- Insomma, dov'è scritta questa regola? Se non
ho nessuno, o nessuna nel mio caso, al mio fianco è
perché forse non la trovo? Non c'è nessuno che sia
realmente disposto a stare con me? Succede, l'anima gemella non si
trova subito...ma non per questo ti meriti di essere eclissata o cose
del genere-
- Io sono eclissata a prescindere, Yusei. Lo sono da
quando ho deciso di staccarmi dal mio nucleo familiare-
- A maggior ragione! Se davvero non sei più
così importante per loro, presentarsi da sola o presentarsi in
compagnia che differenza fa?-
- Non lo so. Bel mistero anche questo-
- Mmmh...hai trovato l'accompagnatore, almeno?-
- Macché. Le uniche persone con cui ho
contatti con abbastanza frequenza siete voi. Non mi è
interessato fare amicizia col vicinato. Tra l'altro c'è quella
specie di arpia del piano di sotto che è convinta io voglia
rubarle il marito, la mia non è una convivenza felice-
- Cosa non si fa per denigrare le ragazze giovani e carine, eh?...vengo io-
Ci mise un po' per registrare il
reale significato di quelle parole, ma quando Aki comprese cosa avesse
realmente detto, sentì le guance andare letteralmente a fuoco
lento. MOLTO lento.
- Co-come?!- domandò poi lei.
- Mi hai sentito, no?- rispose
Yusei, le braccia conserte al petto e un'alzata di spalle – Ti
farò da...accompagnatore. Così non sarai da sola-
- Yusei...no-
- No?!-
- No, davvero. Ti ringrazio per la proposta, sei molto carino ma-ma non posso. Non posso-
- Non puoi cosa? Che vuoi dire?-
- Non posso costringerti a passare una giornata in
quell'assurda casa, con quell'assurda gente e quell'assurda atmosfera
di perbenismo forzato perché si deve apparire perfetti ad ogni
costo! La famiglia felice del cazzo!-
Aveva urlato?! Non se n'era resa conto, ma gli sguardi lanciati dai
suoi compagni parlavano molto chiaro. Aki si lasciò sfuggire un
sospiro, accarezzandosi le braccia lasciate nude dalla camicia senza
maniche.
- Ti ringrazio Yusei, ma...devo farlo da sola-
rispose poi – Tanto non mi importa davvero di cosa pensano, di
me. Io non...Yusei?!-
Si era allontanato senza dirle
niente, tornando al suo bancone, cominciando a preparare qualcosa con
grande foga e senza smettere di guardarla. Con il cielo che imbruniva
alle sue spalle, Yusei sembrava averne rubato il colore con i suoi
occhi, resi affilati dallo sguardo intenso che tanto resemblava quello
del suo drago. Aki rimase in silenzio, incapace di sostenere il suo
sguardo a lungo e spostando i suoi occhi nocciola sulla palma vicina al
bancone.
Tornò da lei con un bicchiere
collins in mano: Aki riconobbe il suo analcolico preferito. Yusei le
fece cenno di prenderlo, la ragazza accettò nonostante la
titubanza iniziale.
- Se non ti importasse davvero di cosa pensano, non
ti ci arrovelleresti il cervello con tanta intensità, o no?- le
domandò allora, le mani sui fianchi.
Aki alzò gli occhi verso di
lui, osservandolo con lo sguardo sperduto di un animale a cui erano
state tagliate tutte le vie di fuga. Yusei si convinse a sciogliersi un
po', se non altro per tranquillizzarla e non apparire come un grosso,
burbero bacchettone mangiatore di ragazze indifese.
Sentiva distintamente gli occhi di
Judai puntati addosso. Quasi gli sembrava di vederlo alle sue spalle,
accanto al tavolo del buffet, a sgraffignare stuzzichini quasi fossero
pop-corn in una sala cinema.
- Ti comporti come se non te ne
importasse niente, e invece te ne importa eccome- incalzò il
giovane – Altrimenti non ci staresti così male. Anzi, con
ogni probabilità avresti silurato l'invito. Avresti inventato
qualcosa del tipo “No no, ho mal di testa” o una di quelle
scuse idiote da femmine e ti saresti risparmiata l'incombenza e
l'umiliazione. E sinceramente, dopo aver ascoltato quel poco che mi hai
confidato--
- Quel poco che ti ho confidato non significa nulla!-
- Ah
davvero? Bocciare ogni iniziativa della figlia non significa nulla?!
Ascoltami bene: mio padre è sparito prima che io potessi
camminare decentemente, e di mia madre ho a malapena una foto, ma qui
non serve un genio per capire che questo è scorretto!...O forse
sono i segni che ho addosso il problema?-
- I...segni?!-
Istintivamente, lo sguardo di Aki si posò sul tatuaggio dorato che si allungava dall'occhio sinistro.
- Ho fatto degli sbagli, è vero- sbottò
poi – E tanti anche, alcuni anche grossi. E ho pagato per
ciascuno di essi. Non mi pento né mi vergogno di quello che ho
fatto, perché era tutto solo per aiutare chi mi stava accanto!-
- Ora sei tu che stai fraintendendo. Non ho pensato a
quello- rispose Aki, con uno sbuffo – Io...io voglio solo evitare
di mettere nei guai gli altri, perché è così che
finisce sempre. Ovunque vada, succede qualcosa!-
- Aki...! Oh santo cielo...! Vie-vieni con me, forza. Dai!-
Incalzata dal barman, la rossa lo
seguì docilmente dietro al bancone, incapace di riconoscersi nel
suo atteggiamento. Chiunque altro le si fosse rivolto con quel tono
avrebbe rischiato di perdere un braccio, come minimo...e lui le aveva
appena sbraitato in faccia, con un'aria non esattamente gentile. Eppure
non si era tirata indietro né aveva provato l'impulso di
rispondergli a tono.
Perché?! Cosa stava succedendole?!
Affranta, prese un sorso di
analcolico: neanche a dirlo, era dolce come quello dell'altra volta. Si
leccò le labbra, confusa.
Non era giusto, non era pronta per una cosa del genere.
- Non so nello specifico cosa succedesse in casa tua-
riprese il giovane, scrivendo qualcosa al cellulare e poi lasciandolo
sul ripiano – Mi hai raccontato il raccontabile, immagino. Quello
che si poteva dire senza esagerare. Ma se stai così male al solo
pensiero deve esserci un motivo valido-
- ...Io non sto male-
- Continua a raccontarti belle favolette, Aki. Guarda che si vede, è palese-
Lo era davvero, e Yusei non
comprendeva il perché tutta quell'ostinazione a volersi chiudere
in sé stessa e privarsi di un contatto umano vero. Altro che
mettere su le spine, Aki era l'unico fiore all'interno di un intricato
groviglio di rovi e faticava a sbocciare.
Eppure era così dannatamente
evidente, che Yusei sentiva il proprio sistema nervoso saltargli in
blocco. Era preoccupata, era visibile in ogni suo sguardo e gesto:
sorrideva ma non più come l'avevano conosciuta, era più
seria e accigliata e restava fin troppo tempo in silenzio. Nei
precedenti giorni, quando l'aveva aiutato al bancone, aveva a malapena
spiccicato parola.
Cosa scattasse, nel cervello delle
ragazze, da far loro rispondere “Niente” alla domanda
“Che c'è?”, Yusei non l'aveva mai capito.
Così come non aveva mai compreso cosa spingesse le persone a
negare i propri malesseri. Ma il cambiamento in Aki era stato
così radicale che l'aveva prima insospettito e poi preoccupato.
- Stai male, e vuoi nasconderlo. Intento nobile ma
vano, perché come avrai capito si vede- rispose poi – E io
non intendo lavorare con una musona-
- Io non sono una musona- lo rimbeccò lei,
protendendo le labbra in un delizioso broncetto che lo fece sorridere.
- No?! E che cosa stai mettendo su adesso? Aki, se
non vuoi che venga dimmelo, liberissima di farlo, rispetterò il
tuo desiderio! Tra l'altro ho sbagliato, lo ammetto, ad autoinvitarmi
come un cretino, ma cosa posso farci? Vedo una mia collega stare male,
preoccuparsi, e mi preoccupo anche io! E adesso perché sei tu,
ma poteva essere chiunque! Poteva essere Yugi, poteva essere Yuma,
poteva essere quel fesso di coinquilino che mi ritrovo...-
Alle loro spalle, Judai imprecò quando gli cadde dalle mani un pezzetto di formaggio.
- Poteva anche essere il tuo gatto per quello che ne so io...-
- Mai avuto gatti, sono animali opportunisti che
considerano le persone mobilio a sangue caldo-
- Aki, era un modo di dire...-
- ...Perdonami-
- Figurati, per così poco! Ma il senso della
storia rimane. Stai male, sei mia collega e amica ed è lecito
che mi preoccupi per te. È così che fanno gli amici,
giusto? GIUSTO BESTIE?-
- Giusto!- esclamarono in coro Yuma e Yuya, ancora a litigare con i vari cavi e fili.
- Così funziona, tra amici. Sempre che tu mi consideri amico, ovviamente-
Eh, bella domanda. Il ragazzo che
popolava i suoi sogni notturni da due settimane, ormai, era
catalogabile come “amico”? Aki si mordicchiò
l'unghia del pollice, poi scosse il capo.
- Proprio perché ti considero un caro amico,
voglio evitarti il supplizio- gli rispose poi – Perché
soffrire in due quando uno basta?-
Yusei sembrò deporre le armi: alzò le mani in gesto di resa e sorrise.
- Non insisterò- disse poi – Ma
qualsiasi cosa, anche se dovessi ripensarci nel cuore della notte, non
farti scrupoli, okay?-
- Okay-
Aveva davvero il sorriso più bello del mondo.
- Ehi, ora che mi viene in mente...hai il cellulare
con te?- le chiese allora in tono curioso.
- Sì-
- Posso?-
- ...Accomodati-
- Puoi sbloccarmelo prima?-
- Cosa vuoi fare?- domandò allora Aki, mentre
inseriva rapidamente il codice di sblocco.
- Solo controllare una cosa. Dammi un secondo...-
Aki rimase ad osservare assorta il volto di Yusei, concentrato sullo schermo: gli occhi blu riflettevano debolmente la sua luce.
- Ehi, non hai il mio numero? E non ti vergogni?-
Glielo disse col sorriso, e Aki
realizzò che le sue capacità di comprensione si erano
notevolmente ridotte. La rossa lo vide digitare velocemente un numero
sulla rubrica e salvarlo, prima di restituirle lo smartphone.
- Ecco qua! Immagino passerai l'intera giornata al
telefono, no?- le domandò poi – Ebbene, se avessi voglia
di farti una chiacchierata, o anche solo di inviare qualche messaggino,
hai anche il mio numero!-
- O-okay!-
- Ora me lo fai un sorriso? Uno dei tuoi, dai...quello bello!-
E se glielo chiedeva così era
impossibile dirgli di no. Le labbra di Aki, appena colorate dal gloss,
si stesero in un dolce sorriso che sembrò riflettersi sul volto
di Yusei.
- Adesso va molto meglio- le disse poi, prima di
alzare lo sguardo e rivolgersi ai due Yu – Ehi voi! Che diavolo
combinate laggiù?!-
- Che cosa vuoi che ti dica! Ho il gomito
sdrucciolevole!- esclamò Yuma, una volta terminato di
districarsi da quello che sembrava un autentico groviglio di fili e
cavi.
- Ma cosa vuol dire!- sbottò Yuya, le mani
infilate tra i capelli bicolore – Esiste una cosa come il gomito
sdrucciolevole?!-
- Certo che esiste! Guarda qua! Guar-- no, devi guardarmi però!
Prendo il cavo...comincio ad arrotolarlo LENTAMENTE intorno alla mano e
al gomito...e alla fine mi ritrovo COSÌ! Ti sembra normale?!-
- Tu non sei normale, Yuma...-
- Ha parlato lo stramboide...il bue che dà del cornuto all'asino, proprio!-
Yusei si scusò frettolosamente con Aki, dirigendosi a passo di carica verso i due Yu.
****
La ragazza dai capelli verdi si
chiamava Kotori e, intuibile, era grande amica di Yuma. Ultimamente si
vedevano poco, a causa del lavoro di lui e degli impegni universitari
di lei, ma quella sera era riuscita a ritagliarsi finalmente del tempo
per andare a trovare il suo migliore amico. Era tremendamente carina e
tenera, molto in confidenza con Yuzu, un po' meno con Mai, ma con la
seconda il problema era generale: nessuna, perfino Anzu, sembrava
capace di reggere le sagaci battutine maliziose della bella cantate che
si sarebbe esibita la seguente serata.
Sul palco, quella sera, c'era di
nuovo il corpo di ballo delle “ventriste”, come le aveva
chiamate Judai. Tra le melodie orientali, le percussioni e i
campanelli, erano una decina le ragazze che muovevano i loro corpi a
ritmo di musica, giocando con veli, trasparenze, ventagli e spade
turche, allietando gli occhi della folta clientela del Pharaoh's
Kingdom. Alcuni di loro erano già in acqua, a rilassarsi tra le
bolle dell'idromassaggio: Aki provava giusto un po' di invidia per
loro, così tranquilli e distesi mentre lei stava lentamente
cominciando a sudare un po' troppo. Fare avanti e indietro a quella
temperatura era molto più faticoso del previsto, e l'avere le
braccia completamente nude non aiutava affatto.
Dovette passare la mezzanotte, prima che Atem decidesse di mostrarsi, a modo suo.
L'aveva visto da lontano: era
rimasto a parlottare con Yugi per qualche attimo, invitandolo ad usare
il cellulare per una foto – o video, con un gesto inequivocabile.
Si era poi chinato a terra e aveva cominciato a slacciarsi le scarpe,
sotto lo sguardo divertito ed incuriosito dei presenti. Chissà
cosa pensavano, in quel momento.
Forse che il proprietario del Pharaoh' Kingdom fosse un po' suonato.
Lasciò le scarpe accanto a
Yugi, intento a riprendere tutta la scena con il suo smartphone; Atem
gli lasciò in consegna anche il suo portafoglio, il telefono e
la giacca. Slacciò uno ad uno i bottoni della camicia, gli porse
anche quella; poi si voltò con un gesto fluido, e si diresse
verso la piscina, sotto lo sguardo incuriosito degli avventori.
Qualcuna fece un sottile commento di apprezzamento, appena
percettibile: con la coda dell'occhio, la rossa individuò Mana
voltarsi verso la voce. Non se la sentiva di giurarci, ma sicuramente
aveva lanciato un'occhiataccia in quella direzione. Totalmente ignaro,
assorto in qualche suo pensiero, Atem mise piede sull'acqua.
In un primo momento, Aki
pensò di aver visto male: sbatté gli occhi incredula,
lasciando ricadere le braccia ai lati del suo corpo e reggendo a stento
il suo vassoio vuoto, ma le esclamazioni di stupore di chi era
lì intorno le fecero intendere che no, non aveva visto male,
stavano tutti guardando la stessa cosa. Atem mosse un passo dietro
l'altro con naturalezza, come se stesse ancora camminando sul
pavimento: l'acqua sotto i suoi piedi nudi vibrava appena, dipingendo
piccole onde circolari che si espandevano piano piano ma non si apriva
per inghiottilo, come se una forza invisibile si concentrasse sotto le
sue piante e lo sostenesse. Arrivò così fino all'altro
lato della vasca, lì dove il fondo toccava il metro e mezzo: si
inginocchiò, portando le ginocchia a contatto con l'acqua:
quella vibrò ancora, senza subire altre variazioni. Atem immerse
le mani nell'acqua, quasi a volerle lavare, le passò entrambe
tra i capelli, inumidendoli un poco prima di alzarsi in piedi e
lasciarsi cadere all'indietro, le braccia spalancate.
L'acqua si spalancò appena la
sua schiena la infranse, e lo inghiottì in un abbraccio
bluastro. Qualcuno si alzò dalle poltrone per osservare meglio,
tutti si avvicinarono al bordo della piscina, aspettandosi di rivedere
Atem risalire. L'acqua ritornò calma e piatta com'era prima del
tuffo, e del Faraone non sembrava esserci traccia, neanche sul fondo
della piscina.
Riapparve sul palco, attirando
l'attenzione generale con un singolo, secco battito di mani:
completamente rivestito di camicia e scarpe, la giacca posata sulle
spalle al suo solito modo, non aveva un centimetro di pelle o indumento
che fosse bagnato o appena umido, come se mai si fosse tuffato. Yugi
trasalì alla scena, si toccò con la mano sinistra le
tasche dove Atem gli aveva infilato portafoglio e telefono, ma fu lui a
cavarli fuori dalle sue tasche e mostrarglieli con un grosso sorriso.
Il ragazzo non smise mai di filmare.
E come la precedente volta, Atem
ignorò gli applausi festosi della folla colpita dalla
performance. I suoi occhi si spostarono lontano, verso l'unico,
silenzioso spettatore che non lo acclamava.
L'intera crew del Pharaoh's Kingdom si gelò sul posto.
Seto Kaiba era rimasto sulla soglia
della porta di vetro; impeccabile nel suo completo nero e la cravatta
blu, osservava Atem da lontano, con due occhi blu che sembravano
inchiodare chiunque sul posto. E nessun altro a parte loro sembrava
essersi reso conto della sua presenza, a parte Atem ovviamente. Scese
dal palco delle esibizioni e scomparì momentaneamente nella
folla, prima di ripresentarsi e fronteggiare il rivale occhi negli
occhi.
Aki si allontanò
prudentemente, osservandoli in disparte. La differenza di altezza tra i
due era lampante: forse era Kaiba ad essere esageratamente alto, e la
sua figura stoica e impassibile contribuiva a far sembrare chiunque
più piccolo, ma torreggiava sul Faraone con sguardo impietoso e
labbra strette. Atem gli rivolse un mezzo sorriso, gli occhi ametista
che scintillavano.
- Di nuovo, buonasera- esclamò poi – A cosa devo il piacere della tua visita?-
- Ti piace sempre perdere tempo con i convenevoli, a
quanto vedo- rispose Kaiba, la voce gelida tanto quanto i suoi occhi.
- E a te piace sempre svincolare da qualsiasi tipo di
parola gentile da rivolgere al prossimo. Certe cose non cambiano mai-
- ...Una settimana è passata, Atem-
- Davvero? Il tempo vola, ragazzi...-
- Ho temuto avessi abbandonato la sfida-
Sfida? Di quale sfida parlavano? Aki
sbatté gli occhi incredula, mentre il Faraone prendeva a
giocherellare con un mazzo di carte dal dorso dorato, uscito da
chissà dove.
- L'idea non mi ha mai minimamente
sfiorato il cervello- rispose Atem, con un sorriso e un'alzata di
spalle, mentre le percussioni scandivano il ritmo della nuova
esibizione – Semplicemente volevo farti sbollire un po' di
adrenalina-
- Sbollire, dici. A me-
- A te-
- Pensi ne avessi bisogno?-
- Il tuo scherzetto è quasi costato un cuore nuovo-
- Cose che capitano-
- Non si gioca con la vita altrui-
- Proprio tu ne parli-
Fu un attimo. Un solo,
insignificante momento sospeso nel tempo, ma fu percettibile a tutti
loro che gli stavano intorno, Kaiba compreso. Per la prima volta da
quando era comparso, il suo inflessibile sguardo era lievemente
vacillato, in risposta alla stilettata inflittagli dagli occhi ametista
del Faraone, rabbuiatosi all'improvviso.
- Sappiamo entrambi come sono andate
le cose- concluse lui – E quale prezzo è stato pagato. Io
non commetterò lo stesso errore una seconda volta, ma non
lascerò certo che sia tu a farlo-
- Se è questo che temi, allora puoi
rasserenarti- rispose Kaiba, sostenendo il suo sguardo - Non intendo
sbagliare, io-
- Felice di sapere che il tuo egocentrismo non ha del tutto ingoiato il tuo buonsenso!-
Il Faraone si sciolse finalmente in
un sornione sorriso; in quel momento, Aki riprese a respirare
autonomamente. Con un veloce, fluido ed elegante gioco di dita, Atem
aprì il mazzo di carte a ventaglio, lo richiuse, lo divise in
tre piccoli mazzetti che fece ruotare sapientemente tra le sue dita,
fino a mostrare a Kaiba un'unica carta.
- Your move- gli disse poi, senza perdere il suo sorriso.
La carta mostrata era un singolare
jolly: il corvo nero se ne stava fieramente appollaiato su una Regina
caduta, posata di traverso su una scacchiera. Kaiba abbassò gli
occhi sulla carta, osservandola impietoso.
Il corvo si voltò verso di lui: tre occhi si schiusero all'unisono.
****
- Quel tipo mi fa paura. Mi fa paura davvero-
mormorò Aki, stringendosi nelle spalle.
- Non piace neanche a me-
confermò Yusei, tornato da una lunga serie di bracciate –
Ma ad Atem sembra stare mortalmente simpatico. Il perché o il
come sia possibile non lo conosco-
Aki si strinse nelle spalle,
continuando a dimenare le gambe nell'acqua, seduta a bordo piscina.
All'altra sponda, dove l'acqua era più profonda, Yuma, Yuya e
Yugi stavano divertendosi con una serie di tuffi sincronizzati, mentre
le tre rispettive compagne si divertivano a scattare foto. Alexis era
seduta ben comoda nella porzione di vasca riservata all'idromassaggio,
e chiacchierava con Judai che, lì vicino, galleggiava sulla
schiena. Atem stava facendo qualche gioco di carte a Mana e Mai, usando
lo stesso mazzo di carte dal dorso dorato.
- Che ti è parso, di questa
serata? Piaciuta?- domandò Yusei, appoggiandosi con i gomiti a
bordo della vasca. Aki gli sorrise e annuì.
- Non avevo ancora visto la terrazza,
non pensavo fosse così bella- rispose poi, l'indice sinistro che
si arrotolava intorno una ciocca scarlatta.
- A fine turno, il bagno qui è d'obbligo. È bello vedere il sole sorgere-
Anche stavolta, Aki non poté
fare a meno di annuire. Sorrise, osservando distratta il volto di
Yusei, a sua volta perso nella contemplazione di qualcosa di
irraggiungibile, un punto lontano a lei non visibile.
Era bello guardarlo anche
così, con il volto assorto in chissà quale pensiero. In
quei momenti, il suo sguardo si scioglieva in un'espressione più
serafica, più rilassata, come un mare che si chetava dopo una
forte burrasca. E del mare aveva il colore degli occhi, l'azzurro
chiaro dell'acqua a riva e il blu profondo del largo: il contrasto che
avevano sulla pelle ambrata era destabilizzante, così come
quello delle sue cicatrici sulle braccia e sull'addome.
Quando l'aveva vista per poco non le
era cascata la mandibola a terra, e con suo grande scorno Judai se
n'era accorto, scoppiando a ridere come un pazzo. In effetti, e questo
lo aveva notato con un certo imbarazzo, i suoi occhi avevano indugiato
troppo sul ventre del ragazzo: solo non se l'aspettava di trovarselo di colpo davanti così, non aveva colpe!
Non era stato un problema, per lei,
mettersi in costume di fronte a degli sconosciuti, lo faceva
periodicamente ogni estate nelle sue giornate al mare, ma sapeva che il
vero problema sarebbe sorto quando anche Yusei li avrebbe raggiunti in
piscina, e così era stato: era rimasta qualche secondo di troppo
ad osservargli il torace piacevolmente affusolato, con i muscoli
addominali in risalto contro la pelle e quelli del petto turgidi e
sodi, ed era stato allora che Judai non aveva potuto fare a meno di
puntare il dito sui suoi occhi scintillanti. Il suo sguardo,
però, era stato attirato anche dal segno che lo attraversava sul
ventre, sfregiandogli la pelle in diagonale poco sopra l'ombelico: ad
occhio superava di poco la decina di centimetri, ma era la sua
estensione a preoccupare. Sembrava che qualcosa avesse scavato a fondo
nel suo corpo una prima volta, infliggendogli il taglio più
grande, prima di sferrargli altri due colpi che si erano richiusi
trasversalmente sulla prima cicatrice: Aki tremava al solo pensiero, ma
quelle sembravano davvero ferite da arma da taglio.
Come se l'era procurate? Yusei aveva
detto di aver commesso degli errori in passato, errori che aveva
pagato: centrava forse qualcosa con le sue cicatrici? E con il segno
dorato sul suo volto?
- A che pensi?- domandò ad un
certo punto il ragazzo, spostando gli occhi su di lei. Aki si riscosse,
sbattendo gli occhi e stringendosi poi nelle spalle, in un gesto che
Yusei le vedeva fare spesso e che trovava piuttosto tenero.
- A domani- rispose poi lei – Alla bella mattinata che mi aspetta-
- Mi prometti di chiamarmi, se succede qualcosa?-
- Cosa dovrebbe succedere?-
- Non lo so, ti stufi o litighi con tutti o sei ad un
passo dallo strangolarli uno dietro l'altro-
Aki scoppiò a ridere,
reclinando il capo all'indietro, gli occhi chiusi. Yusei
puntellò il capo contro una mano e rimase a guardarla,
aspettando che il suo scoppio d'ilarità si arrestasse ma
imprimendosi bene nella mente quell'immagine.
Era raro vederla così
rilassata e sorridente, ed era un vero peccato: non meritava tutte
quelle preoccupazioni, non lei che si mostrava così volenterosa
e moralmente buona. Se la stampò bene in mente la sua figura,
seduta a bordo piscina mentre si sosteneva con i palmi delle mani, il
bel sorriso che la ornava meglio di qualsiasi gioiello, i capelli rossi
che le facevano da cornice e i begli occhi rivolti al sole che nasceva.
Lo sguardo accarezzò le ciocche rosse lasciate più
lunghe, scendendo fino al bel seno ricoperto dal due pezzi rosso.
Judai li stava osservando, e lo
sapeva. Sentiva gli occhi del castano rimbalzare prima su Aki e poi su
di lui, e chissà cosa lo stava trattenendo dal tirargli qualche
insulto.
- Se
succederà qualcosa sarai il primo a saperlo, te lo prometto-
sorrise lei, voltandosi a guardarlo.
- Domani sera sei in turno?-
- No, ho preso l'intera giornata-
- Se non sei stanca ti va di passare? Non saremo in terrazza ma ci divertiremo lo stesso-
- Va bene!-
Aki sorrise, tornando ad osservare il sole sorgere oltre la cima dei grattacieli.
Chissà se anche quello era classificabile come “appuntamento”.
______________________________________________
Numero dieci, qui tutto per voi!
Come vanno le cose ragazzi? Qui sto spadellando tra manuali di
preparazione in vista di un test d'ingresso universitario, sono
impegnata in uno studio matto e disperatissimo e il ventilatore non
basta ad alleviare le mie sofferenze per colpa del caldo...
Vi anticipo subito che il mese corrente verrà due aggiornamenti!
Questo perché il capitolo attuale è stato rivisto e
caricato in ritardo, e per quello che seguirà...beh, con tutto
quello che avrò da fare durante il mese potrei ritardare
ulteriormente la pubblicazione.
Intanto vi mostro qui, tramite link, la meravigliosa MV Agusta F4 Replica del Reparto Corse Superbike!
Vero e proprio capolavoro motociclistico italiano, una delle moto
più belle in circolazione! Yusei era felice come un bambino.
Ragazzi, ammetto di avere carenza di argomenti in questo ultimo
periodo...sono forse troppo stressata e stanca. Ma se avete qualcosa da
chiedermi, potete farlo! Messaggio privato, una recensione, quello che
più vi piace!
Ci sentiamo presto <3
Rosaspina
|
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Capitolo 11 *** 9. Il principe azzurro ha la moto. ***
9. Il principe azzurro ha la moto.
La sveglia suonò troppo presto per i suoi gusti: Aki provò l'invitante impulso di afferrarla e scagliarla a tutta forza contro il muro, ficcare la testa sotto il cuscino e chiudere di nuovo gli occhi, ignorando il suo insistente suono squillante, la giornata che l'aspettava, la sua famiglia che l'attendeva.
Mai con tanta riluttanza aveva lasciato il letto per fare la sua doccia ristoratrice. L'orologio mostrato sul display del telefono mostrava le dieci e un quarto: era andata a dormire cinque ore prima, quando la serata era stata ufficialmente chiusa ed erano tutti usciti dalla piscina per rivestirsi e tornare a casa. Yusei ci aveva tenuto a rinnovarle la sua disponibilità, esortandola a contattarlo se ci fosse stato bisogno; aveva poi aggiunto che poteva chiamarlo o scrivergli a qualsiasi ora, tanto aveva il sonno leggero e avrebbe risposto subito.
Mentre l'acqua calda della doccia risvegliava i muscoli e li scioglieva, Aki cominciò a prepararsi mentalmente alla giornata che l'attendeva. Non aveva esagerato, il giorno prima, con il descriverla a Yusei come un “pessimo spettacolo”.
Non sapeva cosa aspettarsi. I rapporti con i suoi familiari erano diventati a lei incomprensibili, quasi estranei, e tutto da quando aveva cominciato a manifestare diverse idee sul suo futuro, a quella che considerava una tenera età di quattordici anni. Esattamente dieci anni erano serviti, perché il loro rapporto prendesse una piega del tutto imprevista ed incontrollabile.
Un po', e questo doveva ammetterlo, se l'era cercata. Il nome Izayoi sembrava marchiarti a vita: si diventava avvocati del diavolo, ricchi proprietari di qualche industria, qualcuno si era dato alla medicina e in un paio d'anni si era ritrovato a vestire il camice del primario di un intero plesso ospedaliero. Il destino dei nuovi nati nella famiglia sembrava segnato, la strada verso il successo e la realizzazione spianata, in molti casi, a colpi di banconote.
Era la parte della realizzazione che Aki non comprendeva.
Si diceva sempre che il miglior regalo che si poteva fare, ad un figlio, era quello di instradarlo come meglio si poteva verso il raggiungimento del suo obiettivo finale: tutti sviluppavano una propensione ad una certa attività e tutti mostravano, inevitabilmente, delle attitudini che, con il tempo, diventavano sempre più evidenti. Tutti avevano bisogno di esprimersi in un modo a loro congeniale.
Il concetto non sembrava essere molto chiaro alla famiglia Izayoi e a chiunque girasse loro intorno. E la cosa che preoccupava tanto Aki, era che molti di loro non sembravano rendersi conto della cosa: partecipavano inconsapevolmente a quel gioco, gli veniva insegnato a mettere il successo e il buon nome della famiglia al primo posto ex-aequo, come se non ci fosse nient'altro di più importante. Si cominciava dagli anni scolastici fino a quelli universitari, per poi far trovare sedie pronte e comode in qualche ufficio dietro un'insegna altisonante.
Aki non aveva mai pensato a sé stessa come una futura impiegata di ufficio, ma negli ultimi anni aveva avuto seri dubbi perfino su quell'eventualità.
Sua madre, doveva ammetterlo, era molto protettiva, a detta sua anche troppo. Aki non era certo conosciuta per le sue manifestazioni d'affetto, che si limitavano a sorrisi tirati e qualche isolato abbraccio, ma sua madre sembrava il perfetto opposto a quella sua eccessiva rigidità. Con il tempo, il loro rapporto si era logorato, e la rossa non sapeva bene a cosa attribuirne lo scomodo “merito”: forse al fatto di essere cresciuta sviluppando atteggiamenti diversi da quelli sperati, forse alla sua poca propensione a mostrare affetto, che sembrava ereditata da quell'arpia avvizzita della zia Seiko. Forse aveva contribuito anche sua madre, dedicatasi anima e corpo alla direzione della sua catena di cosmetici.
Qualsiasi cosa avesse innescato quella lenta rovina, aveva trovato il suo culmine con la partenza di Aki. E lei lo sapeva, lo sentiva nelle loro voci quando parlavano al telefono, lo leggeva nei loro laconici messaggi: in qualche modo li aveva delusi.
A volte si chiedeva davvero se la sua scelta era quella giusta. Lasciare il nido familiare per cercare fortuna altrove...gli intenti erano nobili, certo, ma come stavano davvero i fatti? Aveva un esame da preparare, e in quei giorni a malapena aveva toccato i libri. E fosse stata stanca e provata dalle ore lavorative a cui era sottoposta avrebbe almeno avuto una giustificazione da usare, ma la realtà dei fatti stava proprio lì.
Non si sentiva affatto stanca. Non era affatto provata dalle sue otto, a volte dieci ore di lavoro notturno; che descritto così sembrava chissà cosa, e invece si trattava solo di portare qualche vassoio ai tavoli e, occasionalmente, di preparare bevande alcoliche. Niente di apparentemente deplorevole o umiliante, ma ovviamente dipendeva dai punti di vista, e quelli dei suoi familiari erano molto particolari.
Uscì dalla doccia proprio mentre il telefono le mandò il singolo segnale sonoro che la avvisava della ricezione di un messaggio. Come di consuetudine mattutina, era Judai che le augurava il buongiorno e le augurava buon riposo, prima di tornarsene a dormire ancora un po'. Aki sorrise, bloccando lo schermo dello smartphone e posandolo sulla piccola mensola sotto lo specchio del lavello.
Judai era un altro tipo che poteva meritarsi tranquillamente la definizione di “strano”, e stavolta senza particolari ripensamenti al discorso avuto con Yuya diversi giorni prima: erano proprio Yusei e gli altri membri della crew del Pharaoh's Kingdom a definirlo così. A prescindere dal fatto che fosse consapevole, o meno, dell'infatuazione di Alexis nei suoi confronti, sembrava che nulla potesse realmente scalfire la sua allegria, né farlo desistere dai suoi buoni propositi. E per quanto, a volte, venisse a tutti voglia di scaricargli un pugno in testa, per la faciloneria con cui trattava certe cose o fatti, gli volevano tutti indistintamente bene per quella ventata di allegria e positività che portava con sé. Sembrava quasi estraneo a cose come la negatività e il malumore: perfino Yuya, che si era rivelato uno dei più inclini a sorridere e scherzare, aveva a volte i suoi momenti no, degli attimi in cui sembrava rabbuiarsi e perdere tutta la sua allegria, e Yuzu era l'unica che sembrava in grado di risvegliarlo dal suo stato.
La crew del Pharaoh's Kingdom era un autentico ricettacolo di fenomeni, questo doveva ammetterlo: sei uomini, poco più che ragazzi, che collaboravano tra di loro e coesistevano tranquillamente nonostante i loro caratteri così contrastanti. Appena approdata in quel locale, Aki si era ritrovata di fronte ad una variopinta realtà fatta di serate nel lounge, spettacoli, sorrisi, sguardi d'intesa, battute e scherzi a volte cretini, come quello del ragno finto nell'armadietto di Yusei. Stando a quello che Judai le aveva raccontato, il ragazzo era, più che aracnofobico, totalmente avverso alla maggior parte delle specie di insetti esistenti al mondo: qualsiasi animale dotato di più di quattro zampe lo faceva gridare inorridito e fuggire a gambe levate mentre imprecava, e poco importava se la bestiolina in questione camminasse, saltasse, volasse o strisciasse.
Per qualche motivo, i suoi pensieri finivano sempre a vorticare intorno a Yusei.
La situazione stava diventando snervante. Forse era solo suggestione, ma la rossa percepiva chiaramente il battito del suo cuore accelerare vertiginosamente quando finiva con il ripensare al suo volto, o al suo sorriso, o alle occhiatacce rifilate ad un impiccione del calibro di Judai.
E neanche a dirlo, la precedente serata in piscina non sembrava affatto averla aiutata, anzi. Non aveva mai, in precedenza, visto il suo corpo per intero, se non quel primo giorno quando gli era capitato di restare con le grazie al vento; ma quella sera era arrivato il colpo di grazia per i suoi ormoni già duramente compromessi. E va bene, aveva intuito qualcosa a furia di osservarlo, ma un conto era immaginare e un altro era ritrovarselo davanti così, senza magliette inutili. La scorsa volta, quando lo aveva incontrato sulla moto, le era tornata in mente la pubblicità di un profumo maschile, ma quella sera i pensieri che le si erano accavallati in testa erano impossibili da esporre senza apparire come una depravata. E il bello era stato che Yusei se n'era anche accorto, accidenti a lui...! Le aveva sorriso allegro, aveva reclinato lievemente il capo e le aveva anche detto “Se vuoi mi avvicino, così vedi meglio”. Roba che Judai gli era spuntato dietro la spalla sinistra come un gufo ficcanaso, gli occhi castani spalancati e le labbra piegate nel mefistofelico sorriso del gatto stregato di una certa favola...
Lui sapeva. Sapeva, o forse se lo immaginava e basta, e ci prendeva anche gusto a punzecchiarla. Eppure lei non riusciva proprio ad esserne infastidita, anzi.
Scorse con il dito sulla rubrica del telefono, scrutando nell'applicazione dei contatti, lì dove Yusei aveva aggiunto il suo numero. Non le aveva chiesto il suo, dandole tutto il diritto di scegliere se concederglielo o meno, e lo trovava un gesto molto carino da parte sua. Sapeva che il modo in cui si erano conosciuti era decisamente atipico, e forse sentiva la necessità di fare un passettino indietro e rimettere a posto quella palizzata che aveva sfondato...non di prepotenza, ma quasi. Ma il suo interessamento era genuino e sincero, e gli era grata per quel suo essere così premuroso verso di lei.
Almeno sapeva che a qualcuno importava qualcosa.
L'auto arrivò sotto il suo palazzo che l'orologio segnava un quarto a mezzogiorno, come pattuito precedentemente per messaggio telefonico: Aki riconobbe dalla finestra l'elegante coupé nera fermatasi di fronte al portone. Si diede una rapida occhiata allo specchio del bagno, prese un profondo respiro e si riappropriò del cellulare sulla mensoletta, prima di afferrare la borsetta e correre verso l'ascensore.
Era ancora in tempo per boicottare tutto. Poteva tranquillamente rimandare indietro l'autista e denigrare l'invito, a costo di litigare: almeno avrebbe impiegato il tempo in qualcosa di produttivo e avrebbe litigato per un valido motivo.
Strinse il telefono nella mano destra con forza.
Sarebbe stata una lunga giornata.
Ritrovò Yusei nel garage, al suo solito, per una volta non concentrato su qualche lavoretto sulla moto: a quanto aveva capito il ragazzo aveva finalmente trovato una buona mappatura per la centralina, e il problema dell'erogazione dell'intera cavalleria a disposizione del bicilindrico era stato finalmente risolto. Tuttavia la musica era a volume alto lo stesso, e lui se ne stava poco lontano dalla sua moto, vicino a quei pochi attrezzi ginnici sistemati lì con il tempo. Prono su un tappetino scuro, con i piedi uniti e le braccia divaricate, scendeva lentamente fino a sfiorare il terreno, la schiena dritta e rigida come una tavola, prima di tendere i muscoli delle braccia e risalire. Era in perfetto silenzio, concentrato sui suoi esercizi, la schiena lucida di sudore quanto bastava per fargli capire che era da un po' che stava allenandosi. Senza dire una parola, conscio del fatto di non essere udito a causa dell'alto volume della musica, Judai scese velocemente gli scalini metallici, bruciò la distanza che lo separava dal suo coinquilino e, una volta vicino a sufficienza, eseguì una mezza piroetta per andare poi a sedersi sulla sua schiena. Yusei sbuffò un'imprecazione, sorpreso, Judai lo zittì quasi subito mentre riprendeva a scrivere sul cellulare.
- Zut! Continua con le tue flessioni, soldato!- esclamò poi, in tono noncurante.
- Fai pena...come Sergente Maggiore Hartman- sibilò Yusei, facendosi forza e sollevandosi ancora, nonostante il nuovo, improvviso peso sulla schiena.
- Non sprecare il fiato, soldato! A quante sei arrivato?-
- Novantadue...con questa qui-
- Miri al cento?-
- Ne faccio sempre cento...!-
- Ah allora scusa. Non ti ho mai visto allenarti-
- Ti ho per caso...risvegliato di nuovo...che stai facendo così lo stronzo?-
- Ma sentitelo! Invece di ringraziarmi...ho aggiunto un carico, no? Così lavori meglio!-
- Il carico...non si siede di schianto...con quello schermo panoramico che hai al posto del culo! CENTO! Scendi IMMEDIATAMENTE!-
- E perché? Sto così comodo...-
Senza rispondere, Yusei staccò una mano dal pavimento, facendosi leva sull'altro braccio, e andrò a stringere tra pollice e indice la pelle direttamente sotto il ginocchio destro di Judai. Il castano si lasciò sfuggire un urlo non proprio virile e scattò in piedi come un soldatino sparato da una molla, liberando il barman dal suo peso. Yusei imprecò, mettendosi in ginocchio sul tappetino, lo sguardo alzato sull'amico che girava intorno alla Bimota.
- Seriamente, ti ho svegliato?- chiese di nuovo Yusei.
- Ma finiscila, ti stavo prendendo in giro!- rispose Judai, rimettendosi il cellulare nella tasca dei vecchi pantaloni – Mi ero risvegliato e avevo mandato il buongiorno ad Aki, ho provato a rimettermi a dormire e non ci sono riuscito, quindi eccomi qui! E pensare che oggi riposo, potrei dormire quanto mi pare, e invece...-
- Tu mandi il buongiorno ad Aki?- domandò allora il compagno.
Inizialmente impegnato nell'osservazione della forcella della Bimota, Judai si voltò a guardare il suo amico. Dal tono di voce era parso...sorpreso, e anche il suo sguardo dava quella sensazione.
- Sempre mandato!- rispose poi, con un'alzata di spalle – Come l'ho sempre inviato sulla conversazione di gruppo. A proposito, dovrei aggiungere anche lei secondo te?-
- Per carità, no! Con Yuma e Yuya che parlano in continuazione di videogiochi, e tu con le tue foto di modelle alternative...-
- Che ne sai, magari piacciono anche a lei!-
- I videogiochi?-
- Le modelle alternative!-
- Judai-
- E va bene, va bene, la smetto. Però mi sembra scorretto, insomma...è una conversazione di gruppo per lavoro, per scambiarci turni e informazioni. Ora che lei fa ufficialmente parte della crew, le farebbe comodo essere inserita-
- Judai, quella ERA una conversazione di gruppo per lavoro. L'avete trasformata in un bordello tra foto, meme stupidi, filmati di videogiochi e video di gattini che spuntano tra le tette!-
- Come se ti dispiacessero, i gatti!-
- Non ho detto questo!-
- E allora non lamentarti!-
- Non mi sto lamentando-
- Ma se l'hai fatto fino ad ora!-
- Okay, come vuoi tu!-
Con un mezzo sbuffo di nervosismo, Yusei si alzò in piedi e arrotolò velocemente il tappetino, gettandolo poi dietro la panca. Dovette colpire qualcosa di metallico, perché questo cadde a terra con un sordo clangore; Judai immaginò una delle preziosissime chiavi inglesi del compagno finire a terra.
- Dormito male?- chiese allora il castano, incuriosito.
- No, dormito splendidamente- rispose Yusei – Sono solo un po' pensieroso. Oggi riposi quindi, me n'ero dimenticato-
- Mi sostituisce Atem-
- E lui quando riposa?-
- Domani sera-
- Okay, allora questo lo ricordavo bene-
- Cos'è, hai voglia di fare baldoria anche tu senza temere di essere bacchettato?-
- No, ho bisogno di saperlo in anticipo, visto che mi servirà qualche ora per meditare-
- Meditare?-
- Perché so che andrò incontro alle fiamme dell'inferno. Gestirvi diventa sempre più difficile-
- Potresti rendere le cose molto più semplici, sai?-
- Mh, e come?-
- Semplice! Non gestendoci!-
- ...Vado a farmi una doccia-
- Eddaiiiii che musone che sei!-
Yusei sventolò una mano con fare seccato, risalendo la scala e tornando nel loro appartamento, imboccando subito la porta del bagno.
Era pensieroso, davvero. E non era del tutto convinto di aver fatto la scelta giusta. Forse avrebbe dovuto insistere un po' di più con Aki, convincerla a farsi accompagnare, almeno per non restare sola con quella gente che, se aveva ben inteso, badava molto all'apparenza e veramente poco alla sostanza dei fatti. Si ritrovò a ghignare maligno, al solo pensare della reazione dei cravattoni ad una sua possibile entrata in scena: casco alla mano, giacca da motociclista, jeans di quarta mano eternamente sporchi di olio motore e quel segno dorato sul volto.
Sarebbe comparso al ricevimento solo per far saltare qualcuno di loro dalle sedie.
Ora che ci pensava, Aki non gli aveva mai chiesto nulla al riguardo, a differenza del novantanove per cento delle persone che incontrava e si fermavano a guardarlo per più di un minuto; e allo stesso modo non gli aveva domandato nulla sulle sue numerose e, accidenti, visibilissime cicatrici. Aveva visto i suoi occhi caderci sopra con una certa frequenza, quindi le aveva notate, eppure non aveva domandato nulla su di esse, e conoscendola c'era un solo motivo che spingeva Aki a non parlarne, a non chiedere di saperne di più. Yusei sorrise al pensiero che quella ragazza si era tenuta le domande per sé, pur di non sembrare inopportuna.
Diede una rapida occhiata al suo cellulare, prima di lasciarlo sulla mensola della finestra e infilarsi nella cabina doccia. Era da poco passato mezzogiorno, e in fondo aveva lasciato il suo numero ad Aki con assoluto disinteresse. Non era tenuta a chiamarlo o a fargli sapere dove fosse.
Sì, forse doveva insistere di più. Almeno non avrebbe passato il resto della giornata a macerarsi nel dubbio e nell'ansia, perché conoscendosi bene avrebbe fatto quella fine. Nemmeno la fresca doccia ristoratrice aiutò ad arrestare momentaneamente il suo flusso di pensieri, tutto rivolto alla giovane dai capelli rossi.
Ripensava a quello che lei gli aveva raccontato nei giorni scorsi, con un moto di amarezza nel cuore.
Yusei aveva davvero un vago ricordo del padre ricercatore, e della madre gli restava solo il volto sorridente impresso su una vecchia fotografia; ma quel ricordo, seppur indistinto, era dolce e luminoso, così positivo che lui aveva, con il tempo, automaticamente associato l'idea della famiglia alla classica immagine del nucleo famigliare felice tra le mura domestiche. Aki l'aveva messo di fronte ad una realtà ben diversa, a suo parere davvero triste: dalle sue parole aveva conosciuto una famiglia fredda e poco disponibile, poco attenta alle esigenze della figlia.
Magari era solo un'impressione. Forse aveva solo inteso male le sue parole, o forse la sua mente gli stava gonfiando ad arte la faccenda; l'idea che lei avesse voluto appositamente enfatizzare troppo la cosa non gli sfiorò minimamente il cervello, sentiva che Aki non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non ne aveva il coraggio.
Poteva essere tutto, ma non una ragazza a caccia di attenzioni.
A farlo uscire dalla doccia fu solo il segnale sonoro del cellulare, e un bestemmione di Judai che si lamentava dell'acqua calda che non gli arrivava al lavello della cucina. Infilatosi alla svelta l'accappatoio sulle spalle, Yusei mise mano allo smartphone e lo sbloccò senza troppo entusiasmo.
Il numero mostrato non era salvato nella sua rubrica.
Arricciando il naso, il giovane aprì il messaggio inviatogli dal numero sconosciuto, socchiudendo gli occhi.
*Questo è il mio numero, segnatelo se vuoi! Sono appena arrivata a casa, che allegria...*
Ci mise qualche secondo di troppo per realizzare, ma quando comprese sentì il suo sorriso farsi ancora più ampio sul volto: almeno sentiva che stava bene. Andò a sedersi sul suo letto e con pochi, veloci gesti, salvò il numero nella rubrica prima di rispondere.
**Già fatto! Che aria tira da quelle parti? È tutto a posto?**
Perché tutta quell'insistenza da parte sua? A volte non riusciva a prevedere neanche le proprie mosse. Aki era sua amica, si era facilmente legato a lei e viceversa, al punto che la giovane gli aveva confessato alcuni dettagli del suo complesso rapporto con la famiglia...ma aveva chiaramente detto di potersela cavare da sola, di poter sostenere tutto questo da sola. Che, magari, stava solo pensando automaticamente al peggio e che la giornata sarebbe invece trascorsa liscia e tranquilla. E lui aveva annuito e detto sì, magari hai ragione.
Lui le aveva offerto la sua compagnia, lei l'aveva rifiutata, a posto così, no?
No?
*Per ora sembra tranquillo. Ci sono già tutti, sembravano aspettarmi.*
Male, molto male. Subito al centro dell'attenzione, ecco come peggiorare le cose. Yusei si grattò la guancia sinistra, accigliato.
Non era affatto tranquillo.
**Non ti avranno fatto storie per il ritardo spero. Può capitare, traffico o cose del genere.**
Eh, magari il traffico, pensò Aki, arricciando il naso e rimuginando tra sé, incerta su cosa scrivere.
Il traffico c'era stato, era vero, ma non era l'unica causa del suo ritardo: era rimasta nascosta nell'ascensore per un tempo non quantificabile, seriamente combattuta tra la consapevolezza di avere un impegno da rispettare e il desiderio di mandare tutto al diavolo, mentre sentiva l'autista di famiglia camminare su e giù per il marciapiede mentre pigiava il pulsante del citofono corrispondente al suo nome.
Era stata davvero tentata dal boicottare tutto.
E invece eccola lì, nel giardino della sua tenuta, curato e maestoso come se lo ricordava: numerosi tavoli erano stati addobbati a festa e con ogni cibaria disponibile, con uno sfarzo e una ricchezza di alimenti da far sembrare minuscolo il generoso banchetto del Pharaoh's Kingdom. Aki aveva passato i primi quindici minuti dal suo arrivo a salutare parenti di cui non ricordava nemmeno l'esistenza, stringendo mani e scambiando sorrisi di circostanza. Pochi attimi e già ne aveva fin sopra i capelli, di quella gigantesca farsa.
Sua madre l'aveva salutata con il suo solito affetto e calore, stringendola forte a sé finché Aki non aveva sentito l'aria mancarle. L'aveva baciata e accarezzata, rimproverata perché si faceva sentire poco, e constatato che sembrava molto dimagrita.
Suo padre, d'altro canto, l'aveva salutata a sua volta, più discreto della moglie ma altrettanto caloroso. E in un primo momento Aki era stata davvero convinta di essersi sbagliata, per una buona volta, di aver pensato male e di essersi fatta condizionare troppo dal passato.
Poi era subentrata zia Sakue e le cose erano precipitate nello spazio di un battito di ciglia.
Zia Sakue non aveva mai nutrito troppa simpatia nei confronti di quella stramba nipote: aveva preso a chiamarla “piccola strega” molto presto, quando Aki, ancora ragazzina, aveva fatto perdere la reputazione della cugina di fronte all'intero plesso scolastico, scoprendo una serie intricata di ricatti e minacce verso altre ragazze meno facoltose e benestanti. L'amore che zia Sakue nutriva per sua figlia Seiko era quasi rivoltante, così come l'ingiustificabile odio che covava per Aki e che, inevitabilmente, l'aveva divisa dal padre suo fratello. Perché cosa poteva fare, suo padre, se non difendere la piccola Aki, a costo di vedere i rapporti con l'amata sorella rompersi e diventare sempre più freddi?
Purtroppo le cose non si erano concluse bene: titolare della fetta più grossa del mercato delle azioni in cui la famiglia Izayoi era coinvolta, Sakue aveva cominciato ad escludere il fratello Hideo dalla gestione del patrimonio familiare, lasciandolo detentore di quelle azioni minori che bastavano appena per non farlo finire in miseria e mettendo a serio pericolo la sua carriera di senatore di Nuova Domino. Con il tempo aveva perso favori di politici e amici, restando politicamente solo, con pochissimi sostenitori che, seppur fedeli, nulla potevano contro i rappresentanti di altri partiti.
E col tempo, suo padre aveva cominciato a puntarle il dito addosso: come se lei fosse stata la colpevole di tutto, venne addirittura additata come una scansafatiche rovinafamiglie, una piccola serpe allevata in seno. Sputò quelle parole intrise di veleno in un momento di collera, e forse non stava ragionando bene con la testa, come lo giustificò sua madre: ma quelle invettive la colpirono nel profondo e la segnarono.
Esclusi dal giro d'affari più grande, i suoi genitori l'avevano, forse inconsapevolmente, resa martire e strumento fisico della loro realizzazione personale: Aki Izayoi era stata quindi trattata come se da lei dovesse partire la rivalsa dell'intera famiglia, come se a causa sua fosse iniziato tutto e fosse necessario che fosse lei quella ad espiare la colpa. Aki non aveva mai saputo che pensare a riguardo di quella storia, ma non si era mai pentita del gesto fatto ai danni della cugina, anzi: aveva sempre ammesso che, fosse tornata indietro nel tempo, l'avrebbe rifatto altre mille volte, e anche di più se fosse stato necessario.
E come se non fosse bastato, le cose erano sensibilmente peggiorate quando erano venute alla luce le reali intenzioni di Aki. Sembrava che quella donna non aspettasse altro che quel segnale: di colpo la giovane Aki Izayoi, pseudo-rampolla di famiglia con un carattere inavvicinabile, si era trasformata in una sfasciafamiglie di mal'affare, irriconoscente verso i valori e le fortune familiari e indegna del nome che portava.
Il bello era che suo padre, a volte, ci credeva anche a quelle scemenze.
*Traffico e altre cose. Qui tira aria pesante, come sempre.*
**Neanche cinque minuti e hai cambiato versione dei fatti.**
Aki sospirò affranta, seduta da sola al tavolo di famiglia, il cellulare stretto tra le mani e quello stupido vestitino elegante che continuava a scoprirle troppo le gambe.
Che Yusei fosse un tipo attento lo aveva capito da un pezzo, ma COSÌ attento...ancora doveva capacitarsi dell'idea che una persona potesse prestare davvero tanta attenzione a quello che diceva. Si arricciò una ciocca intorno all'indice sinistro, mordicchiandosi il labbro inferiore e soppesando le parole.
*Va tutto bene, posso resistere. Si tratta di mezza giornata, alla fine.*
**Sei sicura? Lo sai che posso raggiungerti in ogni momento, basta che tu lo dica.**
Ma si rendeva conto di quello che scriveva?!
*Ti invio la posizione. Fatti avanti.*
Sicuramente lei non se ne rendeva conto...! Inviò il messaggio prima che realizzasse cosa avesse scritto e bloccò all'istante lo schermo del telefono, scioccata.
Era il preludio ad un disastro su tutta la linea.
Rimase ad osservare le lettere sullo schermo, in quella nuvoletta azzurra, per qualche secondo, prima di decidere che sì, ci vedeva davvero bene e sì, gli occhiali potevano ancora aspettare. Yusei lanciò lo smartphone sul materasso, prendendo a prepararsi in tutta fretta.
- Judai!- esclamò, sporgendosi fuori dalla porta – Tu esci con la tua auto, vero?-
- E certo!- rispose l'altro, dalla cucina – Più tardi però, la sera!-
- Non importa! Ho bisogno del tuo casco!-
- Eh? Che devi farci? Non va bene il tuo?-
- Non è per me, idiota! È per un probabile passeggero!-
- Fai come vuoi Yus, non ci sono problemi per me!-
- Ti ho già detto di non chiamarmi così!-
Il cellulare suonò ancora una volta: Yusei si lanciò sul letto e lo afferrò al volo, sbloccandolo e cliccando sul link appena inviato. La piantina stradale dell'applicazione gli mostrò il tracciato da seguire segnandolo in blu, attraverso curve e vicoli in città fino alla superstrada, andando poi ad inerpicarsi su una collina poco lontana dal centro di Nuova Domino. Trentacinque minuti di viaggio.
Ci avrebbe messo molto di meno.
Aki strinse a sé il telefono con tanta forza da sentire un leggero scricchiolio di assestamento. Lo rimise velocemente nella borsetta, alzandosi per sgranchire le gambe e dare qualcosa, al suo cervello, per tenersi impegnato: solitamente, una bella camminata funzionava a dovere, quando si trattava di distrarsi e non pensare a qualcosa.
Solitamente. Non quella volta, con suo grande scorno, che sentiva lo stomaco contorcersi in una terribile morsa che altro che farfalle nello stomaco...si portò una mano al volto, scuotendo il capo quasi scioccata.
Non era stata esattamente la mossa più intelligente che potesse fare. Yusei sapeva solo il raccontabile, e a grandissime linee: non solo, se fosse piombato nella tenuta a testa bassa, come temeva, avrebbe solo peggiorato i rapporti già compromessi. Aki Izayoi sarebbe stata definitivamente indicata come una poco di buono che andava con un mototeppista.
Sfilò di nuovo fuori il cellulare dalla borsetta, lo sbloccò rapidamente e inviò un altro messaggio a Yusei, chiedendogli di ignorarla e restare dov'era, che non c'era bisogno di scapicollarsi per arrivare da lei. Mandò quel messaggio con il cuore divorato dai rimorsi, consapevole del fatto che quel ragazzo si stava preoccupando per lei.
Non meritava tutte quelle attenzioni. Aveva meritato determinate conseguenze, non meritava le difese di una persona come Yusei.
- Aki! Vieni qui, tesoro! Devo presentarti una persona!-
La rossa alzò lo sguardo verso la figura di sua madre, poco lontano; insieme a lei, il semisconosciuto cugino Suketsune e la di lui compagna. Molto bella a dire il vero, impeccabile nell'abito giallo pallido, ma rigida e formale come si richiedeva alle donne della famiglia. Aki si lasciò sfuggire un sospiro affranto, per poi tornarsene dalla madre, mascherando con un sorriso la sua inquietudine.
- Ah, eccoti qui! Resta un po' con noi, sarà più divertente! Ecco, Kochiyo, lei è mia figlia-
Kochiyo, un nome più stupido non poteva essere scelto. Aki scambiò una stretta di mano con lei, tirando lievemente il suo sorriso e imitata a specchio dalla ragazza: la sua curatissima mano era fredda come il marmo.
- Kochiyo è la futura erede della sua azienda familiare- le spiegò la madre, accarezzandole distrattamente i capelli rossi – Quando sarà il momento, prenderà il comando della casa di moda, e tutte le passerelle la vedranno come protagonista insieme ai suoi abiti! Che te ne pare, non è fantastico?-
- Certo. Un bel colpo- asserì Aki, il sorriso di una persona che voleva evitare guai e gli occhi di chi voleva essere lontana da lì anni luce.
- Tu cosa fai invece, cugina?- domandò Suketsune, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni gessati – So che hai preso la facoltà di medicina, me l'ha detto mia madre-
E chissà quante cose carine ti avrà detto zia Sakue, pensò la rossa, ma non lo disse ad alta voce.
- Studio- ammise poi – Sto preparando la prima sessione di esami-
- Ma è vera questa storia?-
- Quale storia?-
- Che lavori in un locale notturno-
Il primo impulso che Aki provò, fu quello di prendere il vassoio d'argento su cui poggiavano le deliziose tartine di caviale e suonarglielo in testa neanche fosse un gong.
Mai, MAI la scelta di parole del suo cugino poteva essere così sbagliata e controproducente. Nel silenzio che si era creato, sua madre aveva irrigidito il sorriso e Kochiyo si era voltata ad osservare il fidanzato. Nei suoi occhi, Aki individuò la stessa, perfida luce di malizia che animava lo sguardo di zia Sakue.
Sapeva cosa aveva detto. E l'aveva fatto di proposito, porgendole quella domanda ad un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da più persone: altri membri della sua numerosa famiglia si voltarono verso di loro, ad osservarli a metà tra il sorpreso e lo sconcertato.
Proprio vero che un frutto non cadeva mai troppo lontano dall'albero su cui cresceva. Aki strinse spasmodicamente la sua borsetta.
- Vero- rispose poi, la gola secca – Faccio la cameriera. A volte capita che serva una mano al bancone e preparo bevande-
- Oh, quindi è questo quello che fai!- esclamò Suketsune, sorpreso – Beh, capisco. È...nobile, da parte tua, voler condividere il lavoro di certa gente-
Ma certa gente cosa?! Aki artigliò la borsetta fin quasi a farsi sbiancare le nocche; sua madre dovette notarlo, perché le posò una mano sulla spalla, in un gentile richiamo.
- Mi piace compiacermi del fatto che sappia cavarmela anche da sola- rispose poi lei, a muso duro, soffiando come un gatto costretto in un angolo da un grosso cane.
- Questo non lo metto in dubbio! Sei sempre stata piena di risorse, cugina. Una solitaria rosa in mezzo ad un ammasso di rovi, bella e irraggiungibile ma, appunto, bella. E forse solo quello-
Di male in peggio. Cosa voleva dire?
- Cosa stai insinuando?- domandò la rossa, ufficialmente sulla difensiva. Il suo sguardo scattò dietro la sagoma del ragazzo, dove la zia, fingendo interesse per il buffet, sembrava ben attenta ai loro discorsi.
- Più che insinuando, mi sto chiedendo...- Suketsune sembrò soppesare le parole da usare, prima di schioccare teatralmente le dita, colpito da quella che sembrava un'illuminazione – Ecco sì, mi stavo chiedendo quanto una camerierina possa contribuire al capitale della famiglia. Insomma, non che ci sia nulla di male, ma ritengo che come titolo sia molto...basso-
- L'unica cosa bassa qui, tra noi due, è la tua umanità, ragazzino spocchioso e viziato che non sei altro-
Sentì sua madre gemere quasi di dolore, e Aki si sforzò di ignorarla, deglutendo e preparandosi alle conseguenze delle sue parole. Perché zia Sakue era lì, e sapeva che offendere uno dei suoi adorati pargoli creava più scompiglio di un'autocisterna lanciata a folle velocità contro un muro di fiamme.
- ...Oh. Ohohoh, questa non me l'aspettavo!- Suketsune si lasciò sfuggire una mezza risata, guardandosi intorno quasi a voler cercare conforto generale -Ero convinto fossi molto più silenziosa e remissiva, cugina, e invece scopro che sai usare le tue spine davvero bene!-
- Non sei l'unico ad avere l'esclusiva di una lingua biforcuta e una faccia da culo- sibilò Aki, per tutta risposta, con sua madre che si voltò di scatto verso di lei e la prese per le spalle.
- Meraviglioso- fu allora che Sakue entrò in scena – Davvero meraviglioso. Ecco come Hideo educa i suoi figli, e i risultati si vedono, eccoli qui! La figlia di un senatore ad un passo da vendere il suo didietro-
Il silenzio portò alle sue orecchie il lontano rombo di una moto farsi sempre più vicino alla tenuta. Il primo pensiero di Aki andò a Yusei.
Era troppo chiedergli di non entrare sfondando il cancello?
Entrare nella tenuta era stato molto più semplice di quanto pensava da principio: era bastato fare il nome di Aki Izayoi e subito quel damerino al cancello l'aveva fatto passare. Troppo facile, effettivamente: chiunque avrebbe potuto farsi avanti così, anche un malintenzionato.
Buon per lui. Percorse il piccolo sentiero di bianco brecciolino, imprecando alla vista delle ruote sporche di polvere, prima di posteggiare lì dove sembrava organizzato il parcheggio: una piccola fiera del lusso, con auto il cui valore non sembrava voler scendere sotto il centinaio di migliaio di yen. Coupé sportivissime, spider eleganti, un paio di Cavallini Rampanti e un grosso SUV che avrebbe scatenato un fiume di imprecazioni da Judai: il ragazzo odiava quella tipologia di auto. Posizionò la moto sul cavalletto, agganciò il casco al manubrio e prese il via verso il gran vociare e la musica d'atmosfera.
La villa Izayoi era proprio come se l'era immaginata: abbarbicata in solitaria su una collina, con una bella vista panoramica di gran parte di Nuova Domino, la costruzione rifletteva lo stile moderno ed essenziale di certe case di lusso, con molte pareti sostituite da grosse vetrate. In fondo, separato da un'alta siepe, l'ingresso del giardino lo catapultò in un mondo verde, rosso e bianco: le rose sbocciate spuntavano tra il fogliame verde scuro come stille di sangue, e il prato ben curato appariva come un'unica, omogenea marea verde brillante. C'erano tavoli imbanditi ovunque, coperti da bianche tovaglie di lino e presentanti qualsiasi tipo di alimento, dai formaggi salati ai salumi, dalla carne al pesce ad alimenti bio, passando per frutta immersa in fontane di cioccolato. Poco più in là individuò un piccolo bancone presso cui un paio di ragazzi stavano preparando delle bevande. Yusei storse il naso, inorridito.
Volete scherzare?! Il Daiquiri alla fragola va nel bicchiere da cocktail! Cos'è quel...COSO?!
Distolse velocemente lo sguardo da quello scempio alcolico, pensando alle facce di Yuma e Yuya di fronte a quell'oltraggio al loro stesso mestiere; alzò gli occhi e la vide, finalmente.
Aveva pregato di trovarla in abiti comodi, pronta per una fuga strategica, ma a quanto pareva non poteva chiedere troppo ad una ragazza che doveva partecipare a una festa di fidanzamento: le sue forme erano abilmente sottolineate dall'abitino nero che le lasciava collo, spalle e braccia scoperte, la vita sottolineata dalla fascia rossa e le gambe accarezzate lievemente dalla gonna che terminava in vezzose ondine. Imprecò mentalmente quando vide i sandali col tacco ai piedi: non erano vertiginosi, ma come diavolo sarebbe salita sulla moto?
Perché aveva automaticamente assunto che sarebbe venuta via con lui? Yusei scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli scuri e dirigendosi a passo svelto verso di lei, impegnata in una discussione con un ragazzo dalla faccia lunga e una donna dall'aspetto arcigno. Che simpatica famigliola, si ritrovò a pensare, davvero un bell'ambiente.
Il pensare determinate non sottolineava la sottile ironia con cui rivolgeva tali complimenti a quella gente: tutto, intorno a lui, profumava di eleganza ostentata e perbenismi forzati, pacifica convivenza d'occasione. Yusei si diede del cretino per non aver insisto con lei, per non averla convinta a lasciarlo stare al suo fianco fin dal primo momento.
E probabilmente non si aspettava che venisse davvero, perché quando finalmente si accorse della sua presenza fece un salto sul posto neanche avesse visto un fantasma. Si voltò verso i suoi famigliari, scoccando loro uno sguardo carico di apprensione prima di partire a passo di carica per afferrarlo per un polso, allontanandosi velocemente da loro. Il ragazzo la seguì docilmente, lasciandosi quasi trascinare dal suo impeto e fermandosi accanto ad un grande roseto. Aki lo osservò dal basso verso l'alto, gli occhi spalancati dalla sorpresa; al ragazzo venne naturale sorridere, ad osservare le belle iridi calde.
Sempre più carina ogni giorno che passava. La cosa rischiava di sfuggirgli di mano.
- Che diavolo...come sei arrivato qui?!- chiese lei in un soffio – Ti avevo detto di restare a casa, che me la cavavo da sola...!-
- Quando me l'avresti detto?! Ma se mi hai inviato la posizione!- ribatté lui, fissandola interrogativo.
- Ecco, guarda qua!-
Con un gesto veloce, Aki gli piazzò il telefono sotto il naso, indicandogli un messaggio inviatogli che lui non aveva letto.
- Ero già in moto- spiegò lui, allontanando l'apparecchio con una mano – Non potevo leggere-
- Eri già in mo-- quanto diavolo sei andato veloce?! Quel messaggio te l'ho mandato neanche quindici minuti fa!-
- Vado meglio se non seguo il navigatore. Fa perdere un sacco di tempo. E ignorando i limiti dove posso sono ancora più veloce-
Io non--
- Se preferisci posso tornarmene a casa-
- NO!-
Urlò e non se ne rese conto, ma non solo: tanto per far quadrare il cerchio, Aki gli afferrò il polso destro con entrambe le mani, quasi temesse davvero di vederlo scappare via da un momento all'altro. Yusei sbatté gli occhi un paio di volte, stupito, Aki lo maledisse per la millesima volta da quando lo conosceva, lui e la sua meravigliosa espressività.
Quel ragazzo aveva il mare negli occhi, e lei rischiava di affogarci dentro ogni dannata volta.
- Resta, ti prego- lo supplicò poi – Ho...ho bisogno di una faccia amica-
- Non devi pregarmi, Aki- la rimbeccò lui – Ma perché non mi hai ascoltato quando era il caso?!-
- Non fare domande idiote, adesso! La situazione è già difficile!-
Vuoi andare via?-
Aki schiuse le labbra pronta a rispondere, ma le parole si rifiutarono di uscire. Lo fissò senza rispondergli, passandosi nervosamente la lingua sulle labbra.
L'idea di andarsene di soppiatto non le aveva neanche sfiorato il cervello, essenzialmente perché le sarebbe stato impossibile: non era in grado di guidare l'auto di suo padre, e poi che cosa avrebbe concluso? Aveva deciso di ballare, e doveva continuare a seguire il ritmo. Eppure, ora che lui era presente, e munito di un suo mezzo di trasporto, perché non farlo? Poteva lasciarsi alle spalle tutta quella gente che guardava il resto del mondo come se fossero l'anello più infimo della catena dell'evoluzione umana, e tornarsene alla sua nuova esistenza di semplice cameriera, ad attendere l'inizio del suo nuovo turno; poteva tornarsene tra quelle persone che l'avevano accettata e la apprezzavano per quello che era in grado di fare, e non per i suoi titoli o per il suo conto in banca.
L'idea era fin troppo allettante per silurarla alla cieca.
- Aki?! Tutto bene?!-
La rossa si voltò di scatto, osservando la figura della madre agitare una mano in sua direzione. Yusei si voltò a sua volta, osservando la donna e notando subito la grande somiglianza tra lei e la rossa: lei e sua madre sembravano davvero due gocce d'acqua, non fosse stato per la lampante differenza d'età. Aki si mordicchiò il labbro inferiore, sospirando.
- Andiamo- disse poi, riprendendolo per il polso destro – Ora dobbiamo continuare la farsa-
- ...A saperlo mi sarei reso presentabile- commentò Yusei, con un mezzo sorriso.
- Non starti a preoccupare per queste cose. E poi lo sei sempre-
- Oh davvero?!-
Aki mugolò qualcosa ma non rispose, allargandogli il sorriso.
- Senti...cerca solo di minimizzare i danni, okay?-
- ...ci proverò-
Aki annuì poco convinta, ma avanzò ugualmente in direzione della madre, pregando con tutta sé stessa che la rinomata schiettezza del capobar non scatenasse una guerra; Yusei la seguì docilmente verso il piccolo trio, trovandosi a confrontarsi occhi negli occhi con un giovane prestante in un impeccabile completo gessato, una ragazza accanto a lui che, a giudicare da come gli era vicina, doveva trattarsi della fidanzata, la madre di Aki e una donna dall'aria di perfetta mangiatrice di poveri sprovveduti. Alta ed eccessivamente scarna per i suoi gusti, i capelli biondo paglierino e gli occhi scuri dall'espressione severa ed implacabile, il suo volto sembrava aver subito un ritocchino di troppo, che aveva coinvolto fronte, zigomi, guance e connessure labiali in un'egregia opera di tiraggio, puntualmente svelata dalla pelle raggrinzita del collo e delle mani ingioiellate. Vestiva con un severissimo maglione a collo alto e maniche lunghe fino ai polsi: puro suicidio pensare di indossare un simile capo con il caldo di quei giorni, e ancora più aberrante pensare che quella fantasia di arabeschi di velluto verde sul tessuto nero potesse piacere. Almeno i pantaloni erano semplicissimi nel loro tessuto nero, ma qualcosa diceva a Yusei che non fossero di materiale leggero neanche quelli.
- Mamma, Suketsune...zia- disse Aki, spingendolo lievemente in avanti: Yusei ebbe la spiacevole sensazione di essere buttato in pasto agli squali – Lui è Yusei, un mio collega e accompagnatore-
- Collega, dici?- ripeté Suketsune, dubbioso – Questo qui ti aiuta a servire le tavolate?-
- Questo qui ha un nome, signor nonhocapitobenecomesichiama- rispose Yusei, a muso duro.
Aki si convinse sempre più che trascinarlo lì in mezzo era stata la peggiore scelta della sua vita. Gli strinse un braccio, attirando la sua attenzione: Yusei rimase ad osservarla per qualche secondo, prima di tornare a rivolgere la sua attenzione al cugino.
L'aria stessa sembrava vibrare di negatività.
- Ah, muso da duro e lingua affilata!- esclamò l'altro – Cos'altro aspettarsi, da un ex galeotto?-
E anche stavolta parlò a voce abbastanza alta da farsi ascoltare da tutti, camerieri compresi. Aki ebbe la terribile sensazione di essere diventata il punto verso cui convergevano tutti gli sguardi: si guardò intorno, e constatò con timore che non aveva sbagliato. Tutti gli invitati si erano voltati ad osservare la coppia appena creatasi, scoccando occhiate sospettose a Yusei e mormorandosi qualcosa, per poi fissare Aki e scuotere il capo con fare rassegnato. La rossa si morse il labbro inferiore con forza.
Cosa voleva dire? Cosa stava succedendo? Come poteva Suketsune parlare così di uno sconosciuto?! La sua perfidia era tale da inventarsi storielle sugli sconosciuti? Alzò lo sguardo su Yusei e trasalì impercettibilmente: il ragazzo non sembrava affatto oltraggiato da quell'insinuazione. Anzi, aveva mantenuto il suo stoicismo e il suo sguardo incatenato agli occhi dell'altro.
- Parli proprio come uno di quelli che ha avuto tutto servito su un piatto d'argento, dalla vita, e non ha mai avuto necessità di sporcarsi le mani- rispose poi il barman, a muso duro.
Aki spalancò gli occhi. Non aveva negato quell'insinuazione?! Okay che non aveva esattamente una faccia da tipo raccomandabile, in quel momento, ma...
- E tu parli come un imberbe moccioso che viene dai bassifondi del Satellite- rispose l'arcigna zia Sakue – Di male in peggio. Questa è davvero l'onta più grande che la nostra famiglia possa subire. Aki, da te mi sarei aspettata di più-
- Cosa si sarebbe aspettata? Magari di vederla con un cravattone come questo qui?- ringhiò Yusei, sempre più nervoso.
Aki lasciò la presa sul suo braccio, costernata.
- Il cravattone, come l'hai chiamato tu, è mio figlio, e si dà il caso che a breve diventerà la persona più influente e importante dell'economia di Nuova Domino! Ha fatto una fortuna con le sue azioni, e presto il suo cantiere navale diventerà il più grande del continente! Mentre tu...- e lo disse rivolgendogli una smorfia disgustata, quasi stesse dialogando con una carriola piena di letame – Cosa sei? Se non un ragazzino gradasso che ha visitato la Struttura?-
La Struttura? Aveva sentito bene?! Aki non ci stava capendo più nulla.
- Sono un onesto lavoratore, signora. Una persona che ha fatto degli sbagli e ha pagato per questi- e si indicò il segno dorato sul volto – E sta cercando di crearsi una nuova vita per uscire da quel marcio. Lei, invece, sembra nuotarci bene, in questo mare di critiche e di arroganza-
- Stai parlando con me per caso?-
- Vede per caso qualche altra arpia smorta che si diverte ad offendere gli sconosciuti? Io no. Quanto ha pagato il suo chirurgo? Perché se lo lasci dire, ha fatto davvero un lavoro di merda-
Aki si passò nervosamente la lingua sulle labbra, concentrata: zia Sakue sembrava aver finalmente vacillato per un attimo, a giudicare dalla sua espressione orrorificata. Lo stesso Suketsune si era voltato a guardarla, incerto.
Aveva forse trovato un punto debole? La tattica degli insulti gratuiti non aveva mai funzionato con una donna come sua zia, ma Yusei era tutto fuorché stupido e poco attento: aveva notato quel qualcosa di strano, di scomposto nell’immagine della donna e lo stava usando a suo pieno vantaggio per ribaltare la situazione.
Sotto certi aspetti, risultava inquietante quasi quanto Atem.
- Da quello che racconta sembra che abbia a disposizione un ingente capitale- continuò Yusei, le braccia ora incrociate sul petto – Potrebbe usare qualcuna delle sue magiche banconote per pagare un chirurgo più meritevole. Che mi dice di quel Cartier al polso?-
Aki abbassò gli occhi sul polso sinistro della donna, posandoli sul prezioso orologio: zia Sakue era andata personalmente a mostrarlo ad ognuno degli invitati, fiera di quel rifinitissimo e, soprattutto, costoso orologio regalatole dalla futura nuora: il quadrante d'argento racchiuso dal piccolo pavone recava due piccole rose rosse dipinte a mano al suo interno, e tanti piccoli brillanti componevano il corpo dell'elegante uccello, il cui occhio scintillava d'ametista.
- A quale bancarella l'ha comprato?-
Era ufficiale, Yusei si era appena creato una nemica per la vita. O forse aveva mandato all'aria un fidanzamento. Sakue ammutolì, finalmente, raggelata da quell'insinuazione.
- Cosa stai insinuando?!- sputò poi, rabbiosa.
- Se sono finito in carcere c'è un motivo...- commentò Yusei, con un mezzo sorriso vittorioso – So riconoscere un falso quando lo vedo, e quell'orologio è solo una vile patacca. Fatta veramente bene, ma comunque una patacca. O pensava che quelli fossero diamanti veri? O che il quadrante fosse di vera madreperla? I diamanti veri hanno riflessi argentei, mentre sui suoi sembra esserci passato un arcobaleno. E quella madreperla presenta un'opalescenza fin troppo omogenea-
Aki trattenne il fiato, a vedere l'espressione di zia Sakue mutare rapidamente da uno sguardo allibito ad una smorfia oltraggiata; prima che la rossa potesse dire qualcosa, o che la donna potesse esplodere in qualche fiume di recriminazioni, Yusei prese gentilmente il polso di Aki e si allontanò velocemente, salvo poi ritornare sui suoi passi dopo qualche secondo.
- Oh, e comunque...- disse poi – Quella storiella di suo figlio futuro magnate dell'economia del continente...provi a raccontarla a Seto Kaiba. È un nostro cliente abituale, lo troverà al Pharaoh's Kingdom-
Indice e medio della sua mano destra entrarono nella tasca interna della sua giacca, e ne uscirono tenendo stretto un piccolo biglietto da visita, un cartoncino dorato su cui le parole erano segnate in nero. Nessuno dei tre si fece avanti per recuperarlo, e fu Yusei ad infilarlo nel taschino del completo del giovane Suketsune.
- E ti prego, anche tu, il fiore all'occhiello è del secolo scorso almeno...-
- Yusei andiamo!-
Senza lasciargli il tempo di continuare, Aki lo prese per mano e se lo trascinò via, fuori dal giardino e lontano dagli invitati. Decine di paia di sguardi curiosi e oltraggiati li seguirono, nel silenzio rotto solo dalla musica d'atmosfera.
Aki stava tremando. E non certo per il freddo, ma per il cosmico guaio in cui si era appena cacciata. Aveva fatto entrare un estraneo in casa...o meglio, era stato l'estraneo ad entrare di sua iniziativa, e aveva lasciato che si prendesse gioco del capitale della famiglia e mettesse a nudo la loro viscida opulenza: due cose che, da sole, bastavano e avanzavano per escluderla dalla famiglia Izayoi. Ma soprattutto, e questo le creava una insostenibile vertigine nello stomaco, Yusei era stato additato come un ex galeotto: era vero, la sua espressione lo rendeva poco avvicinabile, e si capiva chiaramente che non fosse tipo da abbracciare nell'immediato il primo che gli capitava a tiro, ma da qui a definirlo un autentico delinquente ne scorreva, di acqua sotto il ponte.
- Immagino tu voglia sapere-
La voce di Yusei la fece voltare appena, mentre lo guidava lontano dai giardini, non sapeva neanche lei dove.
- Quindi è vero?- domandò poi, arrestandosi di colpo, il fiato corto e le guance arrossate, quasi avesse corso.
- Che sono stato in prigione? Sì-
- ...Perché non me l'hai detto?-
- Non pensavo ti interessasse la cosa. E comunque, non intendo parlarne qui. Dobbiamo andarcene-
Senza aspettare la sua risposta, fu stavolta Yusei a prenderla per mano e portarla via, guidandola verso il parcheggio. La rossa percepì un lungo brivido percorrerle l'intero braccio, dalla punta delle dita fino alla spalla, scorrerle lungo la schiena e imporporarle le guance. Scrollò il capo, cercando di darsi un certo tono.
Non riusciva neanche a guardarlo in viso che subito veniva sopraffatta da quelle emozioni, e la cosa stava diventando snervante.
- Hai un qualche vestito più comodo da metterti?- le chiese Yusei, fermandosi in mezzo alle auto parcheggiate – Un paio di pantaloni, qualcosa...?-
- Sono venuta qui così- rispose lei, indicandosi. Yusei arricciò il naso.
- Speravo in qualche abito più adatto...fa niente, lo faremo andare bene lo stesso. Ecco, tieni questa-
Lasciò momentaneamente lo zaino a terra: doveva esserci qualcosa di pesante dentro, e voluminoso, a giudicare da com'era rigonfio. Con un veloce gesto il ragazzo si tolse la giacca da moto dalle spalle, porgendogliela e invitandola a indossarla.
Poteva morire. Aki sentiva di poter morire dentro in quel momento, risucchiata da quello stesso vuoto che stava devastando il suo stomaco, e sarebbe stata ugualmente felice.
Si voltò, dando a Yusei le spalle e permettendole di indossare la sua giacca. Subito il calore la pervase dalla testa ai piedi, facendola rabbrividire: le stava grande almeno due volte, e le maniche arrivavano a coprirle le mani. Si sentiva estremamente piccola, eppure protetta. Difesa.
- C'è il mio cellulare dentro una delle tasche, se senti qualcosa di strano non preoccupartene-
Il suo cellulare era l'ultima cosa a cui pensava. Mentre il giovane recuperava lo zaino ed infilava la borsetta al suo interno, Aki allacciò la zip della giacca fino al colletto.
C'era il suo profumo sopra, mischiato alla pelle dell'indumento e ai fumi di scarico. Poteva decidere di non toglierla mai più.
Solo quando lui le mostrò un casco integrale nero tornò con i piedi a terra. E lo fece cadendo dalle sue nuvole di zucchero filato con un tonfo da farsi sentire fin su Plutone.
- Devo...devo metterlo io?!- chiese poi, insicura.
- Certo! Non vorrai montare in moto senza?!- domandò Yusei per tutta risposta.
- ...Non sono mai andata in moto in vita mia...!-
- Beh, c'è sempre una prima volta!-
Senza dirle altro, Yusei chiuse lo zaino e glielo assicurò alle spalle. Si prese qualche minuto per assicurarsi che il casco le stesse bene, e per allacciarglielo con le dovute precauzioni, prima di rialzare il cavalletto della moto e inserire la folle per spostarla meglio, facendo forza sui manubri per spingere la moto lontana dal brecciolino. Montò in sella, indossò il casco integrale a sua volta e le fece cenno di salire dietro di lui.
Aki inspirò a fondo, l'imbottitura del casco che le comprimeva i lati del volto: voleva davvero che salisse su quella...cosa?! Non era neanche definibile una sella, quella! Era un pezzettino di tessuto imbottito...chi avrebbe scelto di salire, di sua spontanea volontà, su una cosa del genere?!
Lei, a quanto pareva. Perché senza che realizzasse davvero i suoi movimenti, radiocomandata da chissà quale istinto, o desiderio, alzò una gamba e si issò sul sellino del passeggero, posando i piedi sulle piccole pedane ai lati del telaio. Di fronte a lei, Yusei si alzò la visiera, invitandola a fare lo stesso.
- Devi reggerti a me!- le disse – Con tutta la forza che hai a disposizione! Chiaro? Comoda?-
- Sì! E no, per niente!- esclamò la rossa, aggrappata alle sue spalle.
- Aki, non ci siamo capiti! Devi reggerti a me! Guarda, così-
E con una delicatezza disarmante le prese le mani e gliele mise attorno ai fianchi. Aki chiuse gli occhi e non fiatò, incredula ed incapace di proferire parola.
Non stava accadendo davvero, vero?
Una volta sicuro che la ragazza fosse ben aggrappata a lui, Yusei voltò la chiave d'avviamento: la lancetta del contagiri compì un intero giro e tornò a zero, disegnando una colorata scia arancione che venne sostituita dal blu e dal rosso della zona del limitatore.
Quando poi la Bimota si accese, le venne istintivo aggrapparsi con più forza al ragazzo: la due ruote tremò tutta, dal cupolino al codone su cui era arrampicata, Aki sentiva gli scarichi borbottare sotto di lei. Troppo spaventata perfino per parlare, chiuse gli occhi quanto la moto si mosse in avanti e varcò il cancello, portandola fuori dalla tenuta.
Complimenti Aki Izayoi!, si ritrovò a pensare, ora puoi davvero dire di essere una ribelle!
Fu la mezz'ora più lunga della sua vita. Mai salita su una moto in precedenza, completamente vergine a quell'esperienza, ci vollero parecchie curve prima che decidesse di aprire gli occhi e guardarsi intorno; a sua volta, Yusei preferì non accelerare subito, per darle la possibilità di abituarsi meglio a quella nuova sensazione.
Lo fece quando ormai erano scesi dalla collina e stavano per entrare nella superstrada. In quel momento, Yusei si abbassò la visiera del casco: qualcosa suggerì ad Aki che era meglio imitarlo. Vinse la sua paura e staccò una mano da lui per calarsi il visore trasparente sugli occhi, prima di tornare a stringersi con forza al ragazzo. Solo allora Yusei girò con forza la manopola del gas, e la Bimota sembrò quasi prendere il volo: un improvviso vuoto alla bocca dello stomaco le disse che la ruota anteriore si era leggermente sollevata da terra un paio di volte, in risposta alle brusche scalate di marcia del pilota, e il piccolo display digitale che fungeva da contachilometri sembrava non stare dietro a tutta la potenza sprigionata dal motore.
Qualcosa le disse che, non fosse stato per la sua presenza, Yusei non avrebbe fatto altro che andare e andare, spingendo il motore e infischiandosene di limiti di velocità di sorta: la sua presenza come passeggera, tuttavia, sembrò fermargli il manico, facendolo assestare sulla velocità dei centoquaranta che, su una moto, sembravano pronti a farla volare via dalla sella come una bandierina staccata dall'asta.
E tuttavia, qualcosa di inspiegabile la convinse che, tutto sommato, non era così male: il mondo intorno a loro scorreva veloce e indistinto, come la pellicola di un film mandata avanti alla ricerca di una determinata scena, e le auto intorno a loro sembravano quasi ferme, superate senza difficoltà dalla inarrestabile due ruote. Era una sensazione insolita, quella di correre in strada senza un abitacolo a farle da protezione, a schermarla dal resto del mondo: ora ne faceva parte, di quel mondo che era solita osservare dai finestrini di un'auto, e di fronte a quella potenza e velocità sembrava davvero piccolo, insignificante ed indistinto.
Il suo istinto di sopravvivenza, tuttavia, le impose di non staccare più neanche un dito dal ragazzo, neanche quando la velocità cominciò a diminuire fino al loro ingresso nella città. Qui furono evidenti i vantaggi dell'andare in giro su due ruote anziché quattro: il traffico sembrava non esistere per loro, che superavano le auto incolonnate con una facilità disarmante.
Quando Yusei fermò la moto in pieno lungomare, in un piccolo parcheggio di fronte ad un chiosco, Aki scese maldestramente dalla sella e quasi rischiò di cadere: le gambe indolenzite dalla posizione eccessivamente ripiegata e dalle vibrazioni sembrarono rifiutarsi di sorreggerla, inizialmente, costringendola ad aggrapparsi all'ultimo secondo alle spalle di Yusei, per evitare una rovinosa caduta a terra. Il ragazzo smontò a sua volta, piazzando la moto sul cavalletto.
- Hai bisogno di camminare un po'- le disse poi – Ritrovarsi con le gambe in questo stato è del tutto normale-
Aki non perse tempo neanche ad annuire: sganciò velocemente il casco e se lo sfilò in un unico gesto, riconsegnandolo e dirigendosi verso la spiaggia senza aspettarlo: scavalcò il muretto di cinta con qualche sventolio di troppo dell'abito, che ignorò volutamente, per poi sfilarsi i sandali dai piedi e reggerli con la destra, mentre si dirigeva a passi piccoli e rapidi verso la riva, già popolata dai primi bagnanti. Non prestò attenzione agli sguardi curiosi delle altre persone, voltatesi ad osservare una ragazza dai capelli rossi vestita fin troppo elegante per farsi un bagno o anche solo sostare pigramente in spiaggia, e in più con una grossa e pesante giacca da motociclista. Aki individuò un posto relativamente isolato dalle altre persone e vi si sedette di schianto.
Era stanca. Stanca, provata da quella giornata inspiegabilmente intensa, amareggiata da come le cose erano andate con la sua famiglia, vergognosamente eccitata dal suo primo giro in moto, e soprattutto preoccupata. Preoccupata perché, a conti fatti, quello che credeva di sapere di Yusei era veramente il minimo confessabile, e chissà cosa nascondeva quel ragazzo dal segno dorato. Per quale motivo non gliene aveva parlato? Aki non era tipa da abbandonarsi a pregiudizi di sorta, e lui lo sapeva...o almeno, doveva averlo inteso...perché tenerglielo nascosto?
Poi scosse il capo. Yusei non aveva alcun tipo di obbligo verso di lei: non era tenuto a raccontarle per filo e per segno cosa gli era successo e cosa aveva passato. E tutti avevano dei segreti che volevano tenere per sé, forse per non dare credito alle malelingue o qualcosa su cui spettegolare.
- Si chiamava Team Satisfaction-
Aki trasalì nel sentire la voce di Yusei alla sua sinistra: presa com'era dai suoi pensieri non si era accorta che il giovane l'aveva raggiunta e si era seduto accanto a lei. Aki si voltò a guardarlo, incerta.
- Team Satisfaction, hai detto?- domandò poi. Yusei annuì.
- Gareggiavo in classi minori di corse di motociclismo- spiegò poi – Durante gli anni del liceo. Mi piaceva, mi divertiva un sacco e mi riusciva anche bene, ho collezionato parecchie vittorie insieme ai miei compagni. Erano corse particolari, su strada-
- ...corse clandestine?!-
- Non proprio clandestine...mettiamola così: la vigilanza del Satellite non è mai stata tutto questo granché, e i corpi di sorveglianza sono facilmente corruttibili. C'era una specie di patto, se vuoi chiamarlo così, tra la sorveglianza e noi “ragazzacci” delle moto: potevamo correre quanto ci pareva e dove volevamo, a patto di non causare incidenti gravi-
- Cosa intendi per “incidenti gravi”?-
- Intendo che dovevamo tenere i coltelli a posto-
- ...Oh-
- Erano tempi in cui non esisteva un vero e proprio collegamento tra il Satellite e Nuova Domino. C'era solo una grossa conduttura a fare da ponte tra loro, ed era utilizzata da Nuova Domino per usare il Satellite come discarica. Credo che fra gli uomini che approvarono quel progetto, ci fosse anche tuo padre. Un certo Hideo Izayoi-
Aki abbassò lo sguardo, stringendosi le ginocchia al petto, non troppo sicura di voler rispondere.
Era vero, Yusei aveva ragione: tra le firme di approvazione al progetto della conduttura, c'era anche quella di suo padre. Non aveva mai personalmente gradito l'iniziativa, ritenendo che fosse ingiusto condannare gli abitanti del vecchio Distretto ad un destino di decadenza urbana e isolamento: inutile dirlo, il suo parere era stato caldamente ignorato. Ora era chiaro da dove veniva l'atteggiamento naturalmente cautelativo di Yusei: non sopravvivevi nel Satellite se non eri in grado di combattere o difenderti da solo.
- Le corse erano organizzate lungo tutta l'isola- continuò Yusei – Era fondamentalmente una prova sul tempo: ogni team schierava quattro piloti con rispettive moto, e i primi piloti partivano insieme. Dopo dodici giri partivano i secondi, e così via. Quando tutti avevano completato i dodici giri pattuiti, si faceva il calcolo dei tempi per individuare il team vincitore-
- Mi sembra sensato- notò Aki.
- Era l'unico modo che la vigilanza aveva di tenerci buoni: darci modo di sfogare la nostra rabbia e frustrazione con qualcosa di relativamente innocuo come le corse-
- Nessuno si è mai fatto male?!-
- In parecchi sono morti in quelle gare-
- Oh-
- Le strade non erano come quelle di Domino. Erano sconnesse, vecchie, e gran parte dei tracciati includevano parcheggi su più piani e vecchi cantieri abbandonati. Presto abbiamo perso il conto dei piloti finiti nei pozzi-
Aki rabbrividì e si strinse ancora di più le ginocchia a sé.
- Eravamo un bel gruppetto- al solo ricordo, Yusei si abbandonò ad un sincero sorriso – Io, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler, il nostro leader. Bruno si aggiunse a noi tempo dopo, aiutandoci con una delle nostre moto ingolfate poco prima dell'inizio della nostra gara. “Tempo due minuti e ve la rimetto a posto”, ci disse, e fu di parola: la moto venne rimessa a posto a tempo record, permettendo a Crow di iniziare la corsa-
- Che tipo era? Questo Bruno, intendo- chiese Aki, curiosa.
- Un patito dei motori. Adorava mettere le mani dentro le moto, gli piaceva più di correre. Devo dirlo, non era esattamente un tale stinco di santo, ma in confronto a noialtri tre, lui era davvero una perla di ragazzo, sempre in grado di evitare le risse. Mentre noi...beh, ci siamo scornati parecchie volte. Penso tu abbia visto i miei segni-
- S-sì-
- Mh! Beh, lui era un pacifista, a confronto. Non gli interessava menare le mani, ciò che adorava più al mondo erano le moto e i motori-
- Aveva una moto?-
- Certo! Un chopper strapieno di borchie, cromature e il serbatoio aerografato. Rozzissimo, se l'era costruito lui pezzo dopo pezzo. Gli piaceva elaborare qualche special che faceva partire clandestinamente verso Nuova Domino; altre se le teneva per sé, le più belle. Aveva una sua collezione personale. Era...un tipo, davvero. Con qualche segretuccio di troppo, temo-
- Cosa intendi?-
Yusei si prese qualche attimo di pausa prima di rispondere, rimanendo ad osservare in silenzio il mare di fronte a loro.
- Spacciava- rispose poi – Non così spesso, ma lo faceva. Lo scoprii per puro caso, quando un team avversario decise di metterci i bastoni tra le ruote. Blackwings, così si chiamavano. Una massa di tipacci poco rispettosi delle regole e vogliosi solo di creare problemi. Io e i ragazzi del team abbiamo cercato in tutti i modi di tenerci lontani da loro, ma alla fine riuscirono a punzecchiarci. Jack fece a pugni con uno di loro e fu il perfetto aggancio, era da un bel po' che cercavano il pretesto per guastarci il sangue. Volarono minacce, botte, pugni, fuori i coltelli e, alla fine, fecero saltare fuori che Bruno teneva duemila yen di cocaina nelle borse laterali del suo chopper proprio durante una retata della sorveglianza-
- Du-duemila yen di...-
- In quel momento non so cosa mi passò per la testa. Sapevo solo che il nostro meccanico rischiava di finire in prigione ed era l'unico che conosceva a menadito ogni bullone delle nostre moto. E poi...non so che dirti, non volevo che se la prendessero con lui. Lui smerciava un po' di polvere bianca, ma noi tre avevamo fatto di molto peggio-
- Fammi indovinare: hai fatto ricadere la colpa su di te-
- ...Prima che arrivasse la sorveglianza, presi le dosi e le nascosi nel mio zaino-
- E ci cascarono in pieno?!-
- Se se la bevvero o mangiarono la foglia, questo non lo so. Ottennero però un abitante del Satellite da sbattere in cella e per loro andò bene così. È così che sono finito nella Struttura, ed è da qui che viene il mio marchio-
Aki annuì, leccandosi le labbra.
Il primo dei grandi misteri su Yusei era risolto.
- Rimasi sei mesi nella Struttura- riprese poi – E in sei mesi successe il finimondo. Il nostro team andò letteralmente distrutto. Bruno prese a correre al posto mio, per sostituirmi finché non fossi uscito dalla Struttura. L'intento era nobile, le cose andarono poi diversamente-
- Cosa successe?- domandò la rossa, incerta.
- Kalin morì durante una corsa. Lo fecero schiantare a piena velocità contro un muro. Della sua moto non rimase niente di riconoscibile, lui stesso era diventato dello spessore di una tavola da stiro con la forza dell'impatto. Bruno venne ritrovato nel pozzo di un cantiere qualche giorno dopo, precipitato insieme alla moto. Più morto che vivo e completamente fuori di senno. Finì i suoi giorni in un ospedale psichiatrico. Ad oggi nessuno sa cosa gli sia davvero successo-
- ...Jack e Crow?-
- Loro fecero la migliore scelta della loro vita, credo, la più sensata: mandarono al diavolo l'intero giro. Col Team Satisfaction smembrato, e solo loro due a rappresentarlo, decisero di perseguire l'obiettivo che era un po' quello di noi tutti: uscire dal Satellite. Si allearono con la sorveglianza. Fecero i nomi e cognomi di tutti, ottenendo la grazia e una fedina penale completamente pulita. Venne fatto un repulisti completo dell'intera Satellite prima che venisse costruito il ponte Daedalus. L'ultima notizia che ho, di loro, è il pagamento della mia cauzione, dopodiché sono spariti dalla mia vita, e io dalla loro. Ora gareggiano nei circuiti professionisti. E io...beh, lo sai cosa faccio, preparo cocktail in un lounge bar-
- Non...non li hai più cercati?-
- No-
- No?! E per quale motivo?-
- Perché la mia vecchia vita del Satellite è finita con la creazione del ponte. Il mio...il nostro sogno, era quello di lasciare quella dannata isola, un giorno o l'altro, di poter trovare la nostra strada fuori da quella gigantesca pattumiera galleggiante. E una volta che il ponte è stato completato, e il nostro team disgregato...non c'era più motivo di stare insieme-
- Pensi spesso a loro?-
- Più di quanto chiunque possa immaginare-
Aki sorrise e annuì.
Aveva visto giusto. Per quanto Yusei potesse atteggiarsi a fenomeno, a ragazzo forte e stoico e indipendente, viveva di ricordi e fantasmi del passato che non riusciva ad abbandonare completamente. Quelle persone di cui le aveva parlato...Jack, Crow, Bruno e Kalin...dovevano essere state davvero importanti per lui: parlarne addolciva il suo sguardo accigliato e scioglieva la tensione della mascella, rendendolo meno teso e più rilassato, più...vulnerabile, forse. Abbassata quella maschera che sembrava costituire parte della sua difesa, restava solo un sognatore, come tanti ne aveva prodotti il Satellite. Quegli stessi sognatori che uomini privi di scrupoli avevano relegato su un'isola, come una massa di ratti da scacciare dalle vie di una bella città.
L'idea che anche il nome Izayoi figurasse, tra quei meschini affaristi, le faceva ribollire il sangue.
- Ecco qui- concluse Yusei, con un lieve sospiro – Ora sai tutto di me. Mi sembra strano di come tu non abbia subito riconosciuto il marchio della Struttura-
- Non sapevo neanche cosa fosse- ammise lei, con un certo imbarazzo.
- Capisco. Ti hanno tenuta al sicuro proprio da tutte le brutture del mondo, eh?-
Aki annuì, consapevole che qualsiasi cosa avesse detto non avrebbe mascherato la realtà. Seguì il fluido movimento di Yusei con gli occhi mentre questo si alzava in piedi, stiracchiandosi e pulendosi i pantaloni dalla sabbia. Poi indicò il suo vestito con un cenno della testa.
- Mi dispiace- disse poi – Per il vestito-
- Oh figurati, si sistema- rispose lei – Non sarà un po' di vento e sabbia a rovinarlo-
- E mi dispiace...per quello che è successo con i tuoi-
- Figurati. Anzi, forse dovrei ringraziarti, hai impedito che accadesse il peggio-
- Non sono sicuro di questo-
- Fidati di me-
- ...Volevo fare un'entrata più ad effetto, ma ho pensato che sfondarti il cancello di casa con la moto non fosse esattamente la mossa più intelligente da fare...-
- Hai pensato benissimo!-
La sua risata...era così bello sentirlo ridere, perché non lo faceva più spesso?
Yusei le porse una mano, aiutandola a rialzarsi.
- Vuoi passare a casa a cambiarti?- le domandò poi.
- Perché? Dove vorresti portarmi?-
- Che domande, al Pharaoh's Kingdom!-
Già, che domande. Aki sorrise, al pensiero di tornare in quella che ormai considerava la sua casa.
****
La giornata si era conclusa in maniera del tutto imprevista. Nel bel mezzo della serata, Aki era stata contattata telefonicamente da suo padre: sembrava che l'uomo fosse piuttosto nervoso e volesse delle spiegazioni esaustive al gesto della figlia, che sosteneva l'avesse messo in imbarazzo di fronte alla sua intera famiglia. La chiamata era andata avanti per diversi minuti, e mano a mano Aki diventava sempre più nervosa: i balbettii aumentavano, un pessimo segno, e sembrava che suo padre non volesse sentire ragioni. Yusei era rimasto a osservarla per tutto il tempo, preparando i cocktail alla cieca, incerto se toglierle o meno il telefono dalle mani.
Alla fine, era stata proprio la rossa a mettere fine a quella sceneggiata: Yuya aveva detto che era “esplosa” ma Yusei aveva definito quell'aggettivo riduttivo, in quanto Aki aveva preso a sbraitare poco lontana dall'entrata della sala, facendo voltare metà dei clienti, attirati dalle urla inferocite di una giovane dai capelli rossi che gesticolava come i matti. Aveva chiuso la chiamata con tanta veemenza che per poco il telefono non le era scivolato dalle mani, era andata a risedersi al suo tavolo ed era scoppiata in un pianto dirotto.
Era la prima volta che Yusei la vedeva piangere, e non c'era cosa più brutta di vederla stravolta dalla tristezza e dal dolore. Era corso da lei come attirato da una calamita, lasciando che fosse Yuma a terminare quel Cosmopolitan in preparazione, le si era accovacciato di fronte e l'aveva costretta a guardarlo ed ascoltarlo.
Yusei non era mai stato troppo bravo con le parole, era decisamente più bravo a dimostrare quello che intendeva con i fatti; per cui non si era fatto scrupolo alcuno di stringerle le mani tra le sue ed esortarla ad ignorare tutti quanti, a seguire solo le sue aspirazioni e di fare affidamento su tutti loro in ogni momento. Il capobar era l'unico a conoscere tanti lati oscuri della famiglia di Aki, ma sentiva di poter parlare a nome di tutti i suoi colleghi.
Quando lei l'aveva stretto in quel forte abbraccio, più forte di quello con cui si era serrata a lui sulla moto, si era ripromesso di fare in modo di non farla piangere mai più.
Atem doveva aver assistito alla scena da lontano, perché si era poi fatto avanti e si era offerto di accompagnare Aki a casa: intuito che quella giornata, per lei, non era stata affatto facile, aveva suggerito che quello di cui la ragazza aveva bisogno fosse una bella dormita, del sano riposo. Aki aveva annuito.
Aveva salutato tutti ed era andata via seguendo Atem.
E Yusei non sapeva più cosa pensare.
Durante tutto il tragitto verso casa, non poté fare a meno di ripensare a quella giornata trascorsa e agli allucinanti esemplari della famiglia Izayoi. Persone di tutto rispetto, non c'era che dire: rispettabilissimi politicanti con le mani impastate in affaracci sporchi, fin troppo occupati a difendere le loro poltrone per comprendere qualsiasi sentimento umano. Come aveva fatto, la ragazza, a venire su in maniera totalmente diversa, era un bel mistero; eppure ne era mortalmente contento. Forse era un pensiero piuttosto egoista, ma gli piaceva pensare che Aki aveva da offrire solo il meglio del suo nome.
Era la prima volta che l'aveva vista piangere e non gli era affatto piaciuto. E non avrebbe permesso che sprofondasse nella tristezza una seconda volta.
Gli ci volle qualche minuto, e il completo giro della casa, per rendersi conto che Judai non era tornato.
Solitamente, quando tornava dalle sue serate, il castano lasciava un allucinante casino per tutto l'appartamento, spogliandosi in mezzo al corridoio e dimenticandosi il frigorifero aperto tre volte su quattro: tuttavia non c'erano indumenti sparsi stavolta, e il refrigeratore era perfettamente chiuso.
Ora che ci pensava, non aveva visto neanche la sua auto.
Yusei si passò una mano tra i capelli, sorpreso. Forse era uscito? Ma dove poteva andare, alle sei e un quarto del mattino? Forse a prendere qualcosa con cui fare colazione, lo faceva spesso quando Yusei lavorava...ma no, non avrebbe mai preso l'auto per andare alla cornetteria sotto casa. Dov'era finito? Sapeva che aveva programmato una serata con Alexis, possibile che non fosse ancora tornato?
La risposta gliela diede il telefono che gli squillò nella tasca interna della giacca. Yusei lo recuperò velocemente, rimanendo ad osservare soprappensiero il numero di Judai comparire sopra la sua faccia sorridente: fece scorrere il dito sullo schermo e portò il ricevitore all'orecchio.
- Yusei!- sibilò il castano nella cornetta – Oh per fortuna sei sveglio! Pensavo fossi andato già a dormire!-
- Jud? Dove diavolo sei?! Tutto a posto?- domandò il barman, sorpreso -Mi hai fatto preoccupare! Non ti vedevo da nessuna parte!-
- Ah, eheh, non preoccuparti, è tutto a posto! Sono vivo e vegeto, sano come un pesce! Per ora-
- Che sei vivo e vegeto lo sento, ma cosa vuol dire “per ora”? E perché sussurri?-
- Nnnnon sono da solo-
- Mi dici dove cazzo sei?! Mi sto innervosendo! Sono stanco, voglio andare a dormire! Se è davvero tutto a posto perché mi hai chiamato? Devo venire a prenderti? Ti si è fermata la macchina?-
- Nonono, niente di tutto questo! Sussurro perché non sono solo!-
- E questo l'avevo capito, razza di-- aspetta, con chi sei?-
- Yusei...ti ricordi del discorso della scorsa settimana? Quello cominciato con Atem e Mana e le migliori amiche?-
- ...A grandi linee. Judai, taglia corto ti prego, ho bisogno di dormire...- sbuffò il ragazzo, versandosi da bere del latte.
- Ecco, chi era che diceva che uno non fa sesso con la sua migliore amica se la considera solo questo? Yuya?-
- Yuya, sì, così mi pare. Ma perché—
- Ecco, temo abbia ragione-
- Ma CERTO che ha ragione! Se fai sesso con la tua migliore amica è perché non la vedi semplicemente come tale! Ci vedi qualcosa di più profondo in lei, magari provi attrazione per lei anche in un altro senso! Magari ti piacerebbe averla come compa—
- ...Yusei?! Ci sei?-
Rimasto con la confezione di latte in mano mentre stava per rimetterla a posto nel frigorifero, Yusei fissò lo sguardo su una confezione di salamini scaduti.
Non aveva capito quello che pensava, vero?!
- Judai, dove diavolo sei ora?!- gli domandò poi, chiudendo di scatto il frigorifero.
- ...A casa di Alexis-
La risata gli risalì lentamente la gola, a piccoli singhiozzi, prima di scuoterlo dalla testa ai piedi e farlo cadere seduto sul pavimento. E sentire Judai che sibilava dall'altra parte della linea non aiutava a fermarlo.
- Smettila dannazione, la svegli così! Ti potrebbe sentire!- soffiò Judai, costernato.
- Ma...ma io...cosa...sul serio? TU?! E ALEXIS?!-
- Ehi, è capitato, va bene?! Era un po' brilla quando l'ho riportata a casa e—
- E te ne sei approfittato?! Judai, giuro che—
- No, casomai è stata LEI che ha approfittato di me!-
- ...nnnnon ho capito...-
- Sì che hai capito, fenomeno! L'ho portata a casa, mi ha urlato addosso non mi ricordo che cosa, diceva di stare male e di sentire caldo e che cosa devo dirti, me la sono ritrovata nuda davanti! Sembrava l'apparizione di Venere quando nasce dalla cozza, cazzo!-
- Venere non nasceva da una cozza...-
- Sì, vabbé cos'era, una conchiglia?! Dannazione Yus, che diavolo faccio adesso?!-
- E non chiamarmi così...! Cosa intendi?-
- Se si sveglia e si accorge del nostro stato e si ricorda cosa abbiamo combinato, che ne sai di quello che potrebbe fare?!-
- Judai...io spero tu stia scherzando-
- Fottiti Yusei! Qui la faccenda è seria! Sono finito a letto con la mia migliore amica, e quel che è peggio è che lei vive ancora con suo fratello! Se Atticus viene a saperlo mi appiccica al muro con uno schiaffo, e voi dovrete cercarvi un altro chef!-
- Quello potrebbe essere un problema, effettivamente...-
- ...Oh CAZZO!-
- Judai? Ehi, Jud?! Judai!-
La conversazione si chiuse di scatto, lasciando Yusei con il cellulare in mano, ad osservare il timer del telefono lampeggiare sullo schermo.
Pochi attimi dopo afferrò giacca e casco e si precipitò in garage, imprecando su Judai e sui discorsi a vanvera di Yuya.
Capitolo 11! Finalmente sono tornata!
Lo ammetto, sono decisamente in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia. A dire il vero sonno in ritardo un po’ con tutto, ma sono stata molto impegnata con lo studio per gli esami di accesso universitari e ora sono ufficialmente studentessa di un ateneo padovano!
Capirete quindi che non ho avuto molto tempo da dedicare perfino a me stessa. Con il trasferimento da preparare, le dimissioni da lasciare a lavoro, il cambio di vita e la necessità di adattare le mie abitudini a nuovi ritmi…tutto questo mi ha tenuta lontana dalla tastiera per un po’, impedendomi perfino di pubblicare un aggiornamento pronto ormai da tanto tempo.
Spero che nessuno ne abbia a male!
Torniamo a noi!
Abbiamo in questo capitolo parecchia carne al fuoco…e un’idea più precisa di come sia realmente la famiglia di Aki. Ho qui seguito più o meno le “linee guida” dell’originale, che vedono l’alta società – in realtà tutta Nuova Domino, come una comunità fortemente influenza da ideologie distopiche al limite del razzismo, che disprezza gli abitanti del Satellite considerandola “feccia” di cui è necessario liberarsene. Anche qui ho voluto ripercorrere questa strada, anche se alla base di tutto questo ci sono altre motivazioni che verranno mano a mano scoperte.
Scopriamo qui anche qualche informazione sul passato di Yusei al Satellite! Team Satisfaction altro non è che la denominazione originale del gruppo di Esecutori, formato appunto da Yusei, Jack Atlas, Crow Hogan e Kalin Kessler. Come sappiamo tutti Bruno comparirà solo molto tempo dopo, ma mi piaceva l’idea di dar loro un “collega” esperto di moto al punto dal conoscere a menadito. Purtroppo non troveremo molto su di loro in questa storia, giusto nei ricordi del giovane Fudo, come un perenne memento della sua precedente vita.
Dopodiché, ho deciso di chiudere il capitolo con quella che a tutti gli effetti potrebbe essere considerata una “notizia bomba”: Judai e Alexis insieme?! E parliamo dello stesso Judai giusto? Quello che si batte fieramente il pugno al petto e urla “Io e Alexis siamo due perfetti migliori amici!”. Parliamo di lui vero?!
Parliamo proprio di lui. Sarà tutto chiaro nel prossimo capitolo! Intanto ditemi per favore se riscontrate problemi di impaginazione su questo: non disponendo di un PC vero e proprio ho ottimizzato il mio iPad come piattaforma per disegno e scrittura, ma sto ancora imparando tutti i trucchetti e qualcosa potrebbe essermi sfuggito.
Per qualsiasi domanda o dubbio io sono qui! Recensione, MP o qualsiasi altro modo vogliate usare per contattarmi, io ci sono!
Un abbraccio,
92Rosaspina.
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Capitolo 12 *** 10. Bevi responsabilmente. ***
Pharao's Kingdom 12
10. Bevi responsabilmente.
La
serata procedeva alla grande: Alexis sembrava divertirsi davvero molto,
e Judai aveva ormai perso il conto dei brindisi che si erano concessi.
Seduti uno di fronte all'altra allo stesso tavolo, erano al terzo
bicchierone di Cuba Libre per lei, e ne aveva appena ordinato un
quarto; mentre lui, per quella sera più assennato e consapevole
di doverla poi riaccompagnare a casa, si era fermato al secondo giro di
Rum Fizz, cercando di portarselo più avanti possibile bevendolo
a piccoli sorsi.
Era da un po' che non si
concedevano una serata insieme, solo loro due. Per tutto il mese si
erano visti molto spesso, ma sempre al Pharaoh's Kingdom, quando lui
era in turno e, con suo dispiacere, non aveva molto tempo da dedicarle;
a fine serata poi, arrivava stremato e desideroso solo di una bella
doccia e una sana dormita, e a malapena riusciva a scambiare un saluto
con lei.
A volte ci ripensava, e si
dava sistematicamente del cretino. Sperava sempre che Alexis non se la
prendesse troppo a male ad essere liquidata così velocemente:
non era nelle intenzioni di Judai essere scortese o altro, ma quando
aveva sonno diventava piuttosto burbero e indisponente. La ragazza
sembrava però capirlo, e aveva sempre l'accortezza di lasciarlo
andare quando sapeva che non era il caso.
C'era un motivo perché
a Judai piaceva la sua compagnia, e stava proprio in quella sua
esemplare empatia: lo conosceva meglio di chiunque altro, e sembrava
sapere perfettamente cosa gli passava per la testa ogni volta. Glielo
chiedeva spesso, e Alexis gli rispondeva che era brava ad osservare
certe cose.
Era consapevole del fatto che
la ragazza provasse, per lui, un affetto smisurato, un forte sentimento
di amicizia che non li aveva mai portati a dividersi per tutti quegli
anni, e Judai era fiero di poter contare su una persona come lei. Poche
ragazze potevano rivaleggiare con Alexis su molti aspetti: sicuramente
la sua bellezza, definibile come eterea con quella pelle candida, i
capelli biondi e gli occhi grigi, molto rari ed estremamente
accattivanti, l'ovale del viso ben strutturato e il corpo tornito dalle
ore di palestra, ma fosse stata solo bella non avrebbe attirato la sua
attenzione. Dotata di un'intelligenza viva e acuta, Alexis si era
diplomata con il massimo dei voti e stava rapidamente scalando i
gradini del corpo della polizia di Nuova Domino, ottenendo poco tempo
prima una promozione a Sergente. Appena saputa la notizia, si erano
chiusi in una cantina e avevano bevuto fino a star male: Judai era
stato costretto a prendere due giorni di malattia dal suo lavoro,
Alexis si era stoicamente resa subito operativa.
Bella, intelligente, seria,
responsabile e onesta: tutte qualità di spicco in qualsiasi
essere umano esistente, che avesse un seno o meno. E questo Judai lo
sapeva.
E lo sapevano anche i suoi
amici e colleghi, Yusei in primis, che sembravano così
desiderosi di vederli insieme. Lo chef del Pharaoh's Kingdom aveva ben
chiaro il perché di tanta insistenza, ma per quanto gli fosse
fatto notare non aveva mai visto, in lei, un vero e proprio interesse
in quel senso. Certo, le piaceva stare con lui, uscire, bere qualcosa,
condividere successi o anche solo video stupidi su social network, ma
Alexis aveva una sua ben definita vita privata e Judai aveva a sua
volta la propria.
Che poi questa fosse colma di alti e bassi, era un altro discorso.
Judai sembrava incapace di
mantenere una relazione stabile che durasse più di qualche
settimana. Il motivo non era chiaro neanche a lui stesso: Yusei aveva
ipotizzato che stesse nel fatto che, nel suo profondo, sapeva di volere
una sola persona accanto. Che poi indicasse Alexis come persona, anche
quello era un altro discorso, ma in cuor suo sapeva che il capobar
aveva ragione: la giovane Rhodes era l'unica ragazza con la quale aveva
sviluppato un'affinità tale da sapere entrambi cosa stessero
pensando, in un determinato momento.
Judai aveva sempre
giustificato tale complicità con il fatto di conoscersi fin da
ragazzini e di aver trascorso gran parte degli anni scolastici insieme,
un po' come Yuya e Yuzu. La differenza da questi ultimi era che fosse,
effettivamente, impensabile vedere Yuya con una qualsiasi ragazza che
non fosse Yuzu, e viceversa: il modo in cui si completavano e
sopperivano alle reciproche mancanze era visibile in una coppia su un
milione, ed era per loro impossibile stare senza la loro metà. E
di questo se n'erano effettivamente resi conto, al punto di confessarsi
i reciproci sentimenti e decidere, finalmente, di stare insieme. Atem
aveva scherzosamente profetizzato un loro futuro matrimonio, cosa che
aveva fatto guardare in faccia i due interessati con sorrisi ebeti sul
volto: non era tanto il fatto di pensare all'idea delle nozze, seppur
in giovane età come loro, quanto il fatto che, a prevedere tale
futuro, fosse stato proprio il Faraone.
Quel tipo non parlava mai a
vanvera, né tanto meno riempiva per forza i silenzi se non
sapeva cosa dire. E tutti, tutti sapevano che se aveva espresso tale
pensiero era perché sentiva che gli eventi avrebbero preso una
simile piega. Yuya e Yuzu sembravano momentaneamente più
propensi a divertirsi insieme, scorrazzando in giro e facendo tutte
quelle scemenze da fidanzatini, ma c'era davvero da farsi qualche
domanda quando Atem li osservava con il suo solito, maliardo sguardo
sornione.
Era come se sapesse. Come se prevedesse davvero il futuro.
Per certi aspetti era inquietante.
Una cosa doveva dire, di Atem,
ed era che a differenza del resto della crew del Pharaoh's Kingdom non
sembrava insistere troppo sull'idea di lui e Alexis insieme. Laddove
Yusei, Yugi, e a volte Yuma e Yuya battevano spesso il martello su quel
chiodo, Atem aveva avanzato quell'ipotesi una sola volta, per poi non
ripetersi mai più. Gesto tipico di lui: ogni cosa da lui fatta,
detta o chiesta era un one call, come lui la definiva. Avevi una sola
possibilità di captare il significato intrinseco di un suo gesto
o parola, e spesso questa sfumava subito appena provavi a ripensarci
sopra. Ogni cosa da lui detta o fatta era un po' come le sue illusioni,
o magie come lui stesso le chiamava: coreografiche e d'effetto, ma mai
ripetute una seconda volta. Ripeterle voleva dire dare agli altri la
possibilità di capire dove fosse il trucco, e questo valeva con
i suoi giochi così come le sue parole.
L'unica volta in cui aveva
parlato di lui e del suo rapporto con Alexis, gli aveva detto che se
non avesse lui stesso aperto gli occhi, ci avrebbe pensato lei, in un
modo o nell'altro.
Non sapeva cosa pensare al riguardo.
In quel momento, si
limitò a fissare gli occhi sul volto ridente di Alexis: doveva
aver fatto qualche battuta davvero divertente poco prima, forse aveva
raccontato qualche nuova birbonata di Yuma, perché la giovane
era scoppiata in una grossa risata che le aveva fatto chiudere gli
occhi e reclinare il capo indietro, reggendo il bicchiere di Cuba Libre
nella mano destra. Le guance erano lievemente imporporate, forse per il
calore presente nella sala o, più probabile, per le dosi di
alcol che stava assumendo.
Il 31 Lounge era un locale
poco distante dal Pharaoh's Kingdom, ma su tutt'altro genere: non
offriva la stessa tipologia di intrattenimento, e mirava ad una
clientela meno facoltosa ed esigente. Era un locale molto carino, con
le luci soffuse e la musica adatta, frequentato per lo più da
gruppi di giovani che si ritrovavano tutti insieme soprattutto nel fine
settimana: i muri erano pieni di cornici entro cui erano racchiusi
vecchi vinili, pezzi importanti che avevano fatto la storia del jazz e
del blues, mentre i tavoli erano rivestiti di pagine in bianco e nero
di vecchi fumetti. Il bancone sul fondo non poteva certo rivaleggiare
con quello del Pharaoh's Kingdom per maestosità e capienza di
bottiglie, ma nella sua semplicità era estremamente funzionale
per quei due ragazzi che preparavano bevande. Era una piacevole
variazione ad un territorio già conosciuto, come il regno del
Faraone, rinomato soprattutto per i Cuba Libre e per i cornetti che
sfornava a mezzanotte.
- Certo che quel tuo amico è davvero un tipo
particolare!- esclamò Alexis, ridacchiando e tornando a bere un
sorso – Yuma, intendo-
- Lo è, maledizione- annuì lui,
prendendo un altro sorso dalla sua bevanda – Probabilmente ha
messo il dito in una presa di corrente, da bambino. Non so come
spiegarmi tutta quella sua iperattività-
L'ennesima risata di Alexis a quella battuta un po' scontata gli fece capire che l'alcol le era entrato in circolo.
In realtà, quello che
aveva detto non si scostava molto dal vero: Yuma era sempre stato
carico come una dinamo, troppo per metterlo a prendere ordinazioni ai
tavoli. L'intuizione di Atem era stata giusta: metterlo al bancone a
preparare alcolici gli dava un buon modo per sfogare la sua energia.
Aveva imparato i segreti del Flair Bartending più per passatempo
che per altro, ma da quando aveva scoperto di esserci piuttosto portato
nessuna bottiglia in mano sua restava dritta per più di mezzo
secondo. Allo stesso modo, se si trattava di inventare nuove miscele
era un vero disastro: creava intrugli insapori allo stesso modo con cui
partoriva autentiche distillerie in miniatura, riuscendo a stendere
perfino un tipo con la resistenza di Yusei. Atem dribblava
sapientemente qualsiasi invito ad assaggiare le sue creazioni, ma
spesso gli chiedeva di preparargli un Martini; Judai aveva voluto
provare una sua bevanda auto prodotta e se n'era pentito amaramente.
Al di là della sua
discutibile inventiva in campo alcolico, Yuma era un tipetto davvero
complicato da gestire e governare, e finora solo Yusei sembrava in
grado di tenerlo tra le sue redini senza eccessiva fatica: arginare la
sua iperattività era un arduo compito che avrebbe esasperato
chiunque, soprattutto per i pasticci che questa causava, dentro e fuori
dal locale. Ma averlo intorno era divertente, e la sua assenza si
faceva sentire anche troppo.
- Alexis, non bere così velocemente-
L'unico difetto di Alexis era
che, in alcuni campi, non sembrava conoscere mezze misure; e uno di
questi era proprio l'assunzione di alcol. Più e più volte
era finito con il riportarla a casa che a malapena si reggeva in piedi:
assumeva l'alcol troppo velocemente, e spesso a stomaco vuoto. Questo
si traduceva, spesso e volentieri, in Alexis che diventava brilla nello
spazio di un bicchiere.
Figurarsi cosa poteva
succedere con quattro. E dire che tra i drink a base di rum, il Cuba
Libre era anche molto leggero: conteneva appena due parti e mezzo di
rum bianco contro le sei di Cola, era facilmente tollerato anche da
Yugi che non era esattamente un campione di resistenza alcolica.
Tuttavia, questo valeva se ne veniva assunto un solo bicchiere e con la
dovuta calma, non quattro di seguito.
- Non posso farci nulla, mi piace davvero tanto!-
rispose la ragazza, posando il bicchiere vuoto a metà –
Ehi! Mi togli una curiosità? Ma cosa c'è tra Yusei e Aki?-
- Vuoi la verità?- Judai prese ancora un sorso
prima di continuare – Non l'ho mica capito ancora. Si trovano
bene insieme, li sorprendo a chiacchierare molto spesso. So per certo
che Aki ha preso una bella sbandata per lui, a volte si incanta a
fissarlo e smette perfino di ascoltarlo, persa in chissà quali
nuvole di zucchero filato...ma credo si ucciderebbe piuttosto che
ammetterlo. È una ragazza apparentemente molto riservata-
- Uuuuhm. E Yusei?-
- Beh, Yusei sta molto bene con lei, anche se ha
notato qualche suo strano atteggiamento e a volte la punzecchia per
questo. Le vuole bene, questo è certo...l'ho sentito poco fa, mi
ha detto di essere andato a prenderla dalla casa dei suoi genitori.
Hanno fatto un giro in moto insieme, ad Aki sembra essere piaciuto-
- ...Yusei ha invitato una ragazza a fare un giro sulla sua preziosiiiissima moto?!-
- In realtà, se ho capito bene è stata
più una necessità che un vero piacere-
- Beh, è comunque un indicatore molto
importante questo! Da quello che so Yusei non è molto propenso a
portare passeggeri sulla sua moto, a parte te...-
- Anche io sono una necessità. Non gli piace
perché dice gli compromette la ciclistica della moto-
- La che cosa?!-
- Ma che ne so, quella roba che sanno solo i motociclisti...Alexis, stai bene?-
- Eh? Sì, sì...certo!-
- Hai bevuto troppo in fretta-
- Non è vero!-
- Cominci a strascicare la voce, vuoi che ti porti a casa?-
- Ma non è neanche mezzanotte!-
- Sì, e sei già ridotta ad uno straccio-
- ...Vuoi solo liberarti di me il prima possibile-
- Ma cosa dici?! Ehi, non mettere il muso, adesso-
- Non mi vuoi bene-
- Alexis...oh buon cielo...-
Judai si passò una mano sul volto, costernato, dandosi sistematicamente del cretino.
Alexis amava l'alcol, ma la
sua resistenza ad esso era veramente bassa: troppa, per sostenere
quattro drink ingollati tutti d'un fiato. Non era la prima volta che si
ritrovava in quelle condizioni durante una serata, ma ogni volta gli
sembrava sempre peggio. Più volte era stato costretto a
riportarla a casa sua quasi in braccio, e quella serata minacciava di
finire più o meno allo stesso modo.
- Stai bene? Sei sicura?- domandò Judai,
apprensivo, stringendole una mano; gesto che sembrò illuminare
gli occhi di Alexis dall'interno.
- Sto beeeeenissimo!- confermò lei, con un
grosso sorriso – Ho solo un leggero cerchio alla testa...-
- Sarà l'aureola-
Alexis scoppiò a ridere
ancora: la testa le ciondolò paurosamente da una parte
all'altra, facendogli sgranare gli occhi castani.
Decisamente un pessimo segno.
- Okay, credo sia il caso che ti riaccompagni a casa-
annuì poi, alzandosi in piedi. Alexis lo seguì con i
grandi occhi grigi acquosi.
- Mi accompagni tu? Siiiiii!- squittì poi,
deliziata, alzando le braccia al cielo e attirando gli sguardi di un
paio di ragazze.
- Forza, andiamo al bancone-
- Ma non dovevamo tornare a casa?-
- Certo, ma prima devo pagare-
- Ooooh. Mi alzi tu?-
- Va bene-
Sì, era lievemente
peggio delle altre volte. Judai si chinò verso di lei e la prese
sotto le braccia, mettendola in piedi come una bambola. Alexis
scoppiò a ridere, sostenendo di farle il solletico,
barcollò leggermente e, priva di forze ed equilibrio, gli si
appoggiò addosso, finendo dritta tra le sue braccia. Judai
alzò gli occhi al cielo, sbuffando costernato e dandosi ancora
dell'idiota.
- Perdonami, Alex. È tutta colpa mia, dovevo
controllarti- le disse poi, sorreggendola con sé mentre arrivava
al bancone.
- Controllarmi?! Eeeeehi, non sei mica mio padre!- sbuffò lei, scuotendo il capo.
Faticava perfino a mantenere
gli occhi aperti...Judai si diede del cretino per la terza volta
consecutiva mentre cavava il portafoglio fuori dalla tasca e porgeva un
paio di banconote al ragazzo alla cassa. Era sotto la sua
responsabilità, e lui aveva lasciato che si ubriacasse come una
barbona, avrebbe detto Yusei. La aiutò ad incamminarsi verso la
porta d'uscita: i sandali col tacco non sembravano aiutarla molto nella
camminata...
- Vieni con me. Perdonami, davvero, sono un idiota-
borbottò il giovane, aprendo la porta e uscendo alla svelta dal
locale – Dove vai?! L'auto è di qua!-
- Ah? Oh è vero!-
Alexis cambiò
rapidamente direzione, barcollando sui tacchi: Judai frenò a
stento un urlo quando vide la sua caviglia destra piegarsi sotto il
peso del suo corpo. In un battito di ciglia le fu accanto,
sorreggendola e guidando i suoi passi.
- Che bello! Cavalluccio! Siiiiiii!-
- No no no che cavalluccio AHIA!-
Qualunque cosa la giovane
avesse inteso, aveva preso un granchio grosso come una casa: Judai le
si era avvicinato di corsa e l'aveva rimessa in piedi e lei, per tutta
risposta, era saltellata fin dietro di lui e aveva spiccato un balzo,
montandogli sopra. Fu solo per un suo veloce riflesso che il castano
l'afferrò per le cosce lasciate nude dal vestitino e la sostenne.
- Forza...andiamo!- esclamò poi – Almeno
così non mi finirai lunga per terra-
- Eeeeh! Per così poco...dai, più veloce!-
- No, più veloce cosa?! Non sono un cavallo, dannazione!-
- Uuuffa, non mi diverto così!-
- Non agitarti, non riesco a tenerti sennò!-
In un attimo, Alexis si
quietò. D'improvviso, senza un reale motivo. Judai alzò
la testa, preoccupato, convinto gli si fosse addormentata addosso. E
invece la sentì incrociarle le braccia al collo e strusciare la
testa contro la sua guancia sinistra, prima di guardarsi intorno
completamente spaesata.
- Judai...- lo chiamò poi, la voce ridotta ad
un soffio nel suo orecchio che lo fece rabbrividire – Ma dove
siamo?-
- Andiamo bene...- commentò il ragazzo,
scuotendo il capo – Ti ricordi almeno come ti chiami?-
- Ma certo, sciocchino! Ehi, ma la tua auto è rossa!-
- Sì, lo so Alexis, la mia auto è rossa-
- Uhuuu...il colore della passione! Sei un tipo passionale, Judai?-
- ...Dipende da cosa intendi con
“passionale”. Scendi un attimo, come faccio a farti entrare
in macchina sennò?-
- Oh, ma secondo te cosa intendo con
“passionale”? Ehi, ma che bella la tua auto!-
- Grazie Alexis, me lo ripeti ogni sera quando ti sbronzi-
- Così ben rifinita...e uuuuuh! Guarda il contachilometri!-
Con uno scatto, Alexis avanzò fino a tastare con mano il contachilometri della Mini Cooper, posto dietro il volante.
- Beh? Che ha di strano?-
- Ma come che cos'ha di strano?!-
Alexis si voltò verso
di lui nell'esatto momento in cui Judai entrò nell'abitacolo a
sua volta: la giovane spalancò gli occhi lucidi e gli
sfoderò un ampio sorriso, che il ragazzo trovò
allucinante.
- Il tuo cruscotto è così graaaaaaaaandeeeeeee!- spiegò poi, allargando le braccia per enfatizzare la parola.
- Oh mamma. È peggio di come pensavo-
commentò il ragazzo, avviando il motore – Dai Alexis,
mettiti bene sul sedile, ti accompagno a casa-
- Che bello! Andiamo a casa! Siiiii!-
Judai sospirò. Sarebbe stato un luuuungo viaggio.
Un paio di volte era stato
tentato di spalancare la portiera e farla volare fuori dall'abitacolo,
davvero. Il pensiero era osceno e terribile, ma la pazienza di Judai
era stata esaurita tutta nel giro di mezzo secondo, quando Alexis aveva
fatto cadere il piccolo peluche portafortuna (quello che Yuma definiva
“piccola palla di pelo alata”) dallo specchietto
retrovisore prima di afferrare il volante, pretendendo di guidare
mentre lui pigiava il pedale: la Mini Cooper aveva sbandato un paio di
volte e per poco non avevano rischiato un frontale con un'auto che
viaggiava nel senso opposto. Un conto era ridacchiare a battute
insensate ed agitarsi sul suo sedile, un altro era rischiare di farli
uccidere in un eccesso di iperattività: Judai era esploso in
un'imprecazione che, fosse stato nel locale, gli avrebbe fruttato una
cannonata a base di cubetti di ghiaccio da parte di Yusei, le aveva
strillato addosso e ordinato di restare ferma. A quel punto Alexis era
sprofondata nel sedile, le braccia conserte sotto il seno e lo sguardo
basso.
- Non mi vuoi bene- sibilò ad un certo punto,
senza guardarlo. Judai si voltò appena verso di lei.
- Che diavolo dici?! Certo che ti voglio bene!- esclamò lui, per tutta risposta.
- Visto come mi urli addosso non mi sembra proprio-
- Alexis, dimmi che non stai dicendo sul serio, ti
prego...- Judai staccò le mani dal volante per stropicciarsi la
faccia, esausto ed esasperato – Ti rendi conto di quello che hai
fatto?! Stavamo per causare un incidente stradale!-
- Ma io volevo solo aiutarti!-
- Ma non mentre guido! Si guida uno alla volta!-
- ...Non mi vuoi bene-
- Ancora con questa storia?!-
- Allora perché non mi capisci?-
- ...Alexis, cosa--
- Io ti voglio bene! Un bene che tu non puoi neanche
immaginare! Ma sembra che non te ne importi nulla! Non capisci! Mi
prendi solo in giro-
I volti di Atem e Yusei gli tornarono in mente, scoccandogli un'occhiataccia e una smorfia.
Aveva sentito bene?!
- Alexis, lo so che mi vuoi bene- sbuffò lui,
scuotendo il capo e faticando a trovare le parole – Lo so e me ne
sono accorto-
- E allora perché stai complicando le cose?!-
- Io non complico un bel niente! È solo che--
Judai sbuffò ancora, scuotendo il capo.
- Senti, arriviamo a casa tua e ne parliamo meglio,
okay? Ora devo restare concentrato, sto guidando-
- Quanto manca...?!-
- Poco, dai. Ci siamo quasi-
- ...Aki mi piace tanto!-
Il castano alzò gli occhi al cielo, disorientato da quell'improvviso cambio di discorso.
- Davvero?- domandò lui, cercando di restare sul nuovo argomento.
- Mh-hm! È così carina...! Ha due occhi stupendi, e...e i suoi capelli!-
- Che cos'hanno i suoi capelli?-
- Ma come che cos'hanno?!-
Alexis scattò ben seduta sull'attenti, osservandolo con occhi sgranati.
- Sono rossi!-
esclamò poi, come se gli avesse appena rivelato il segreto
dell'eterna vita – E sai cosa dicono delle rosse, vero?-
- ...Non posso ripeterlo!-
- Dicono...che siano streghe!-
- Ah davvero?-
- Sììì! E che abbiano poteri maaaaagici!-
- Questa mi è nuova...quindi sei convinta che Aki sia una strega?-
- Se lo è, è la strega più bella che io abbia mai visto!-
Ci mancava solo di scoprire
che Alexis giocava per due squadre, e poi Yusei avrebbe avuto tutte le
scuse per fregiarlo del titolo di CRETINO DELL'ANNO. Judai
borbottò qualcosa, continuando a guidare, gli occhi concentrati
sulla strada.
- A te piacciono le rosse, Judai?-
E ora che cavolo di domanda era, quella?!
- ...Perché?!- le domandò lui, per
tutta risposta. Non che le sue, di domande, fossero particolarmente
intelligenti...
- Perché il rosso è un colore che ti
piace!- esclamò lei, con l'allegria e il bel sorriso di una
bambina – La tua giacca preferita è bianca e rossa...anzi,
più rossa che bianca! E-e la tua macchina anche è rossa!
E poi ti piacciono i frutti rossi! Le fragole, le ciliegie...anche
alcuni tuoi boxer sono rossi!-
- ...E tu cosa ne sai di--
- Si vedono quando ti siedi!-
- Oh buon cielo-
- Quindi, se il rosso è il tuo colore
preferito, immagino che anche i capelli rossi ti piacciano, no? E poi
quelli di Aki son davvero beeeeelli! Cioè, sono rossi, ma non
così rossi! Sono...tendenti al viola ecco! Al fucsia! Pensi
siano naturali?-
- Ma credo proprio di no...-
- Allora anche a lei piace il colore rosso! Allora? Ti piacciono i capelli rossi?-
- Beh, cosa vuoi che ti dica, Alex? Sì, mi piacciono-
- Quiiiiiindiiii...se mi tingessi i capelli di rosso, riuscirei a piacerti?-
- Non hai bisogno di quella roba. Mi piaci così, a me-
Un attimo. E quando l'aveva pensata quella?! Judai si voltò brevemente ad osservarla, cauto e sorpreso dalle sue stesse parole.
Alexis era rimasta ad
osservarlo in perfetto silenzio, ma qualcosa, nelle sue parole, l'aveva
fatta sorridere. E non quel sorriso tipico di una sbornia, senza motivo
e quasi idiota: un sorriso vero, dolcissimo, come quelli che gli aveva
sempre riservato. La giovane aveva gli occhi che parevano scintillare.
- Davvero?- chiese poi, la voce morbida.
- Davvero. Sono sincero. Mi piaci Alexis, ma penso
che questo l'avevi già capito da te...che motivo avrei di starti
sempre così dietro? Sei una mia cara amica. La migliore-
Ecco, forse era riuscito a
salvare in corner la situazione. FORSE. O forse l'aveva solo
peggiorata. Judai arricciò il naso, incerto delle sue stesse
parole.
Ora perché gli tornava
in mente il discorso di Yuya e delle migliori amiche che non erano
più solo tali dal momento in cui ci facevi sesso?!
- Allora mi vuoi bene davvero?!-
- Ma certo che ti voglio bene! Ma hai davvero dei dubbi a riguardo?-
- Mmmm...No! Mh, sei davvero il mio più grande amico, Judai!-
- Ah...eh...gra-grazie. Anche tu, Alexis-
Judai si lasciò andare
ad un sospiro soddisfatto e sospettoso insieme, tornando a guardare la
strada con occhi attenti. Se li stropicciò un poco, cercando di
recuperare tono.
L'alcol stava iniziando a
salire anche alla sua testa: la sentiva eccessivamente leggera, e
qualcosa sembrava accarezzargli la testa proprio alla nuca...ah no,
quella era la mano di Alexis.
- Mh, hai dei capelli così moooorbidi,
Judai...- la sentì mormorare poi, sempre con il sorriso sulle
labbra.
Ma Judai non l'ascoltava più ormai, troppo perso nei suoi stessi pensieri.
Aveva davvero rischiato un
grosso scivolone, poco prima: qualche parola di troppo e la situazione
avrebbe potuto davvero diventare troppo strana e facile da
fraintendere. Non che Judai non intendesse quello che aveva detto:
Alexis gli piaceva davvero, e per tanti motivi che si era sempre
ripetuto, e per tante altre qualità per la quale la reputava la
persona più affidabile sulla Terra. E soprattutto gli piaceva
così com'era, senza colorazioni strane o tatuaggi o altre
particolarità dettate dalla moda: era bella così, al
naturale, illuminata dalla sua allegria e gentilezza e non da cosmetici
ipercostosi.
Gli piaceva, però, in
quella maniera che neanche lui sapeva definire: in quella grande
burrasca creata dalle sue relazioni sentimentali piuttosto brevi,
Alexis era il suo unico punto fermo, un faro nella notte presso cui
fare ritorno quando la tempesta si faceva troppo forte. In qualsiasi
momento, lei c'era, c'era sempre stata: per consolarlo, consigliarlo,
sostenerlo e, a volte, alimentare il fuoco del suo bruciante
risentimento. E proprio perché Alexis era per lui speciale, che
non poteva riservarle un trattamento analogo a quello delle altre
ragazze che frequentava: non meritava simili affronti, né di
essere sminuita in quel modo.
E poi, davvero: Yusei li
vedeva come coppia dell'anno, ma con quale occhio poteva mettere una
ragazza come lei con uno squinternato del suo calibro? Un sergente di
polizia con un capocuoco?
Non che non ci avesse pensato...ma
erano sempre stati solo pensieri, appunto, nulla messo in pratica,
anche per non rovinare la loro bella amicizia...perché se fosse
finita per un suo sbaglio o svista o mossa avventata non se lo sarebbe
mai perdonato, neanche in una vita futura.
Alexis contava troppo, per lui.
E più ci pensava, e più ci ragionava, e più gli sembrava di sentire i suoi pensieri con la voce di Yusei.
Arrivarono a casa di Alexis
dopo mezz'ora di viaggio: la giovane aveva parlato per tutto il tempo,
chiedendogli ora di Yugi e Anzu, ora di Yusei e Aki. Sembrava
insospettabilmente lucida nonostante i quattro long drink bevuti, anche
se continuava a strascicare alcune parole. Almeno aveva smesso di
gesticolare con troppa enfasi e aveva desistito dall'attaccarlo ad
abbracci; non ricordava, però, che l'alcol le sciogliesse la
lingua a quel modo.
- Siamo arrivati- le disse, posteggiando la macchina
a pochi centimetri dal marciapiede – Eccoci qui. Vuoi una mano a
scendere, Alexis?-
- Eh? No dai, ce la faccio da sola! Passami solo la borsa...-
Fortuna che, conoscendo lei e
le loro precedenti serate, Judai aveva scelto di non fidarsi troppo:
una volta passata la borsa, era velocemente sceso dall'auto e fatto il
giro, fermandosi di fronte a lei in tempo per prenderla tra le sue
braccia prima che si schiantasse a terra. Alexis sbuffò
frustrata.
- Ooooh...scuuusami- sbuffò poi, alzando la
testa ed osservandolo con occhi lucidi – Ah, ma perché non
riesco a reggere l'alcol, non è giustooooo...-
- Perché non sai bere senza trangugiarlo come un vecchio marinaio, Alexis...-
- Ma che dici?! Non è vero!-
- Aaaah, aiutami anche tu piuttosto, come faccio a rialzarsi se non...Alexis? Alex?!-
Ma lei non l'ascoltava più ormai: fattasi improvvisamente
pesante tra le sue braccia, Judai fu costretto ad accompagnarla
gentilmente a terra per non vederla cadere sul selciato come un sacco
di patate, col rischio magari di farsi male. Gli si aggrappò
alla gamba sinistra come un koala al tronco di un albero, e
scoppiò in una forte risata lì, in mezzo a quel
marciapiede illuminato solo dalla gialla luce di un lampione; una
falena ci svolazzò intorno, facendo vibrare la luce per qualche
attimo.
- Alexis...dai, rimettiti in piedi!- esclamò
Judai, afferrandola per le braccia e cercando di sollevarla –
Forza! Ti accompagno io di sopra, dai, almeno sono sicuro che non ti
farai male...come ti senti? Devi vomitare?-
La giovane scosse il capo,
prima di tornare a ridacchiare. Judai la rimise bene in piedi, senza
mai lasciarla neanche per un secondo; la guidò per qualche
passetto quanto bastava perché riuscisse a chiudere la portiera
con un calcio, e liberò la mano destra per prendere la chiave e
pigiare il bottoncino su di essa: la chiusura centralizzata mise l'auto
in sicurezza.
E una era fatta. Ora veniva la parte difficile.
- Sei sempre al quarto piano, giusto?-
- S-sì...-
- Okay. Hai le chiavi nella borsa?-
- Ceeeeerto...-
- Bene. Cominciamo con l'aprire il portone
allora...attenta al gradino! E ooooplà! Bravissima! Ora, PIANO,
verso l'ascensore, su!-
Perché doveva finire
così ogni benedetta volta?! Con lui che la sorreggeva e la
accompagnava fin dentro casa? Judai si diede del cretino per quella che
era la ventesima volta in tutto l'arco della serata, ripromettendosi di
fare più attenzione in seguito. Magari le avrebbe fatto portare
direttamente un bel bicchierone di latte, la prossima serata: Alexis
l'avrebbe probabilmente odiato a morte, ma almeno lui sarebbe stato
tranquillo e non in preda ad indicibili rimorsi.
Era solo colpa sua se era ridotta ad un ridacchiante straccio che a malapena si reggeva in piedi.
Entrò nell'ascensore
insieme a lei, quasi caricandosela in spalla prima di pigiare il
bottone per il quarto piano. Quando l'ascensore toccò il
secondo, Alexis minacciò di scivolare di nuovo a terra, sorretta
solo dalla sua forte presa. La giovane riprese a ridacchiare quando lui
la mise meglio in piedi, sorreggendola con un braccio e posando gli
occhi sul piccolo display posto in alto sulla pulsantiera.
Quanto diavolo era lento quell'ascensore?!
Il rasposo suono di una zip
che veniva fatta salire e scendere gli fece abbassare gli occhi: Alexis
aveva preso a giocherellare con la cerniera del suo abitino, alzandola
e abbassandola in continuazione, scoprendo casualmente porzioni di seno
sempre più grandi.
E certo, ci mancava solo questa adesso!
Finalmente l'ascensore
arrestò la sua salita, spalancando le sue ante metalliche
direttamente di fronte alla porta d'ingresso dell'appartamento di
Alexis. Judai la guidò gentilmente fuori dal vano ascensore,
accompagnandola di fronte alla porta e attendendo che inserisse la
chiave nella toppa. Solo dopo svariati, infruttuosi tentativi di
inserimento Judai si risolse a prenderle la chiave dalla mano e girarla
lui stesso nella toppa, spalancandola e lasciandola entrare per prima.
Il giovane entrò subito dopo, chiudendosi la porta alle spalle.
- Okay Alex, ci siamo. Hai bisogno di qualcosa? Devi vomitare, vuoi prenderti qualcosa?-
- Ho caldo...-
- E grazie, è l'alcol che ti sta salendo in
te-no no no, eddai, non cadere di nuovo, tieniti suuuu...-
- Non ce la faccio...mi-mi gira tuuuuuutto il mondo! Guarda che bello quel lampadario!-
- Sì Alexis, è il tuo, te lo ricordi? Siamo a casa tua ora-
- Davvero?! Sono a casa mia?!-
Sollevò i suoi occhi
grigi per guardarlo con un misto di sorpresa ed incredulità.
Judai si tirò indietro i capelli, costernato e tuttavia
comprensivo del suo attuale stato. Dandosi ancora del cretino, il
giovane decise di assecondarla.
- Sì Alexis, sei a casa tua- rispose poi,
accarezzandole la testa – Ora, da brava, rimettiti in piedi e--
- Siiiiii! Libera!-
Judai era pronto a tutto, ma
non ad una scena del genere. Rialzatasi in piedi con uno scatto felino,
e traballando pericolosamente sui tacchi (ma quanto si era piegata
quella caviglia?!), Alexis si era diretta a passo spedito verso la
cucina, abbassando completamente la cerniera del vestito e aprendolo
sul davanti, lasciandoselo scivolare via per le spalle e facendolo
ricadere sul pavimento in una informe massa bianca.
Judai lasciò ricadere
le braccia morbidamente ai lati del corpo, fermo sul posto neanche
l'avessero ancorato al suolo con un arpione da caccia alle balene, gli
occhi fissi sulla figura di Alexis che, priva del vestito, se ne
andò ancheggiando (più o meno) in cucina: più di
tutto il resto, Judai fissò gli occhi sulle belle gambe candide,
ulteriormente slanciate dai sandali, e su quel suo fondoschiena sodo e
scolpito messo in risalto dal sottile, minimalista intimo grigio-blu.
La ragazza ebbe anche l'interessante idea di portarsi le mani dietro la
testa ed alzarsi i capelli, tanto per mettere in mostra quella schiena
tornita che culminava in quelle due tenere fossette di Venere.
Judai mandò giù un grosso groppone, sentendo la sua temperatura alzarsi vertiginosamente e non era l'alcol.
- A-Alexis...- pigolò poi, scavalcando l'abito
e seguendola in cucina – Alexis bada a cosa fai! Sei sbronza
marcia, non--
- Aaaaaah! Essere da soli a casa è così bello...!-
- No Alexis, io sono ancora qui se non te ne sei resa conto...-
- Ma certo che lo so!-
- AH LO SAI?!-
- Dammi un secondo e sono subito
da te! Ho solo voglia di...di...ahaaaaa ma cos'è questo? Un
nuovo bricco di latte!-
- ...Potrebbe essere una mossa intelligente-
Poteva esserlo davvero: Judai
aveva sempre risolto i suoi problemi di post-sbornia con un bel
bicchierone di latte. Da quando Yusei gli aveva spiegato che
contrastava la disidratazione e aiutava a riportare i livelli di
zuccheri alla normalità, oltre che a tamponare l'acidità
che irritava lo stomaco, il giovane si premurava sempre di prenderne
qualche confezione in più al supermercato. Solo che poi Yusei
aveva la stessa idea e quindi si ritrovavano con cartoni di latte per
una settimana, da consumare a breve vista la scadenza. Il capobar
andava matto per il latte, Judai un po' meno, ma trovavano ugualmente
il modo di utilizzarlo senza buttarlo.
- Cerca solo di fare attenzione a--
Troppo tardi: nel momento in
cui Alexis aveva aperto la nuova confezione, se l'era portata subito
alle labbra, bevendo direttamente dal cartone. Anche quello era un
gesto che Yusei faceva spesso, con grande scorno di Judai che finiva
col mischiare le confezioni e non sapeva più di chi fosse quale.
Il problema, in quel momento, venne rappresentato dallo scarso senso
delle misure della ragazza che, non proprio in uno stato lucidissimo,
finì col versarsi del liquido sul petto.
Le mani di Judai corsero ai
capelli, in un'espressione di scoramento. Alexis gemette frustrata,
posando la confezione di latte sul lavello della cucina e abbassando lo
sguardo sulle coppe del reggiseno merlettato, ora zuppe di latte.
- Ma guarda tu che idiota che sono!-
Con una rapidità
sconcertante, la ragazza si portò le mani dietro la schiena: il
secco scatto della chiusura del reggiseno risuonò forte come una
cannonata, nel silenzio creatosi tra loro due. E quelle stesse candide,
gentili mani sollevarono le bretelline di nastro rasato e sfilarono via
l'indumento intimo, lasciandolo sullo schienale di una sedia lì
vicino.
Non aveva mai compreso certi
feticismi di Yusei, mai fino a quel momento almeno. Il suo cuore
frullò come se fosse stato immerso in un bicchiere d'aranciata
quando si rese conto che quello era il suo seno naturale, senza
più sostegni, dalla sensuale forma a goccia e soffice anche solo
alla vista, figurarsi al tatto...gli occhi castani del giovane
seguirono il percorso di quelle bianche gocce di latte che giocavano a
rincorrersi sulla sua pelle, seguendo il loro profilo tondeggiante e
sfiorandole l'areola sinistra, grande e chiara.
Sì, ora capiva
decisamente il suo coinquilino. Judai trasse un lungo sospiro,
tremante, spostando il peso da una gamba all'altra: con una certa
apprensione realizzò di aver nuovamente sbagliato il programma
della lavatrice, era l'unica spiegazione plausibile ai jeans stretti.
- Io ho ancora caldo!-
- A-Alexis...a-ascoltami...-
Come parlare ad un muro. La
giovane si aggrappò allo schienale della sedia di fronte a lei,
alzò una gamba e si sfilò velocemente uno dei suoi
sandali, lanciandolo oltre la porta della cucina e sfiorandolo ad un
orecchio. Solo la sua risata gli fece capire che il lancio era stato
puramente casuale. Il secondo sandalo, tuttavia, tracciò una
traiettoria troppo alta, centrando in pieno l'orologio sullo stipite e
staccandolo dal suo supporto, facendolo schiantare a terra.
- Siiiiii! Ah, come è fresco il pavimento!-
- Alexis, datti una calmata! Io...!-
Continuando ad ignorarlo, la
giovane saltellò letteralmente fuori dalla cucina, scappando in
corridoio. Judai si guardò intorno, esterrefatto, incapace di
formulare una frase di senso compiuto.
- Ma...ma...ma io ne ho le palle piene! INSOMMA!-
La voce gli si era alzata
più del desiderato, ma cancellò alla svelta quella
preoccupazione dalla sua testa. Al momento aveva una...no anzi, DUE
faccende ben più importanti da risolvere.
La prima era Alexis. Non
poteva lasciarla in quello stato, i rimorsi l'avrebbero divorato tutta
la notte. Doveva rivestirla, metterla a letto, darle qualcosa contro
futuri bruciori di stomaco, sistemarle i vestiti di cui si era
impropriamente liberata e rimettere a posto l'orologio in modo che, una
volta sveglia, avesse trovato tutto in ordine e soprattutto Atticus non
avesse notato nulla di strano: per quanto i rapporti tra di loro
andassero alla grande, non voleva passare per quello che lasciava la
sua adorata sorellina sbronza marcia e fradicia di latte come una
poppante.
E poi doveva pensare a
sé stesso. Doveva correre a casa, farsi una doccia,
possibilmente GHIACCIATA, e andare subito a dormire e dimenticarsi di
quell'assurda serata in cui Alexis sembrava divertirsi a testare il suo
equilibrio. Il mattino dopo si sarebbe alzato e sarebbe passato alla
cornetteria poco lontana da casa per recuperare qualcosa da mangiare,
per lui e Yusei, e poi l'avrebbe chiamata per sincerarsi che stesse
bene.
Tutto qui. Nient'altro. Niente giri di parole, niente perdite di tempo, e soprattutto niente smanacciate notturne.
Non su Alexis, non sulla sua migliore amica, non sulla persona a cui
più teneva. Glielo doveva come minimo, era ingiusto anche nei
suoi confronti!
Gli ci volle qualche secondo
in più per udire i suoi singhiozzi. Quasi l'avessero colpito in
testa con un randello, Judai si riscosse e seguì la direzione
del pianto, entrando a testa bassa nella stanza di Alexis.
La trovò seduta sul
grosso letto ad una piazza e mezza, la calda luce dell'abat-jour che
svelava la sfumatura salmone delle mura. La ragazza se ne stava
lì, seduta a bordo letto, china sulle ginocchia e le mani a
coprire il volto. In poche falcate il ragazzo bruciò la distanza
che li separava, accovacciandolesi di fronte.
- Alexis?! Che diavolo ti prende adesso? Sbornia triste? Che hai?-
- Tu...tu non mi vuoi-
- Io non cosa?!-
- Non mi vuoi ho detto! Perché? Dopo tutto
quello che ti ho dato? Tutto l'affetto e l'amore che nutro per te non
valgono nulla?-
Judai sbatté rapidamente gli occhi, incredulo.
La situazione cominciava ad assumere toni davvero surreali.
Senza esitare oltre, il
ragazzo le prese le mani, svelandole il volto umido di lacrime e
contratto in una triste smorfia. Gliele strinse tra le sue,
accarezzandone il dorso con i pollici.
- Ehi, che diavolo ti prende adesso?!- le
domandò allora, asciugandole una lacrima scappata dalle sue
ciglia – Ti rendi almeno conto di quello che stai dicendo? Io non
ti voglio bene? Io non ti voglio? Sul serio?!-
- É solo che ogni volta...ogni volta ti vedo
così preso da-da quelle lì che--
- Quelle lì chi?!
Le ragazze che frequento?...A-Alexis, io spero tu stia scherzando,
perché non c'è affatto paragone! Ehi, ascoltami. Guardami-
Finalmente riuscì a
farle aprire gli occhi e rivolgergli uno sguardo umido e sperduto.
Judai sentì il cuore esplodergli in mille pezzi, consapevole
che, per un motivo a lui sconosciuto e, allo stato attuale delle cose,
totalmente privo di interesse, era lui la causa di quelle lacrime.
- Sai come la penso- le disse poi
– E te lo dimostro ogni volta. Ho la mia vita sentimentale,
è vero, così come tu hai la tua...ma alla fine è
sempre da te che torno! E c'è un motivo! Ti voglio bene Alexis,
davvero...sai quello che provo per te. Non mi sognerei mai di fare
qualcosa che ti spezzerebbe il cuore o ti indispettisse. Tengo a te
più di ogni altra persona al mondo, e lo sai, sarei pronto a
cavarmi il cuore dal petto con queste mie stesse mani se da ciò
dipendesse la tua salvezza! E lo sai, come sai anche che puoi contare
sempre su di me, per qualsiasi cosa!-
- Hai...hai detto qualsiasi cosa?-
Qualcosa era cambiato, nel suo
tono di voce e nel suo sguardo. Judai se ne accorse, alzando gli occhi
verso di lei e puntandoglieli addosso, scrutandola in volto alla
ricerca di qualche indizio.
- Sì- disse comunque – Qualsiasi cosa-
- Bene. Molto bene-
Judai rimase ad osservarla, interrogativo.
- Fermami-
Prima che potesse chiederle
spiegazioni, Alexis gli si avventò letteralmente contro: sciolse
le mani dalla stretta delle sue, le mise a coppa intorno al suo volto e
lo costrinse ad avvicinarsi a lei con uno strattone.
Si schiantò contro le
sue labbra senza che gli venne data possibilità di ritirarsi o
controbattere. Fu un contatto immediato, quasi brusco, dal quale lui
non riuscì a fuggire; nell'improvviso caos di sensazioni ed
emozioni, la sentì schiudergli la bocca con la lingua e
costringerlo ad uno scambio precipitoso e quasi rabbioso. Judai
ringhiò qualcosa tra i denti, prima di costringerla a separarsi
da lui.
- Dico, ma che ti salta in mente?!- le sibilò,
scrollandola per le spalle – Ti ha dato di volta il cervello o
cosa?!-
- ...Uao-
Alexis lo guardò con espressione quasi stupida, sbattendo gli occhi.
- Uao cosa?! Mi prendi anche per il culo?!-
- ...Mi hai fermata davvero-
Stavolta fu Judai ad
osservarla come se le fosse spuntata una seconda testa e avesse
cominciato a danzare intorno al fuoco vestita di un gonnellino di
paglia.
- Ma CERTO che ti ho fermata!- esclamò poi
– Cosa diavolo ti dice il cervello per attaccarmi così?!
Come se tu fossi una cretinazza qualunque! Credi che io ti veda
così? Vuoi davvero metterti a livello di quelle là?!-
Non ebbe altra risposta se non
un singhiozzo isolato e un nuovo scoppio di pianto. Fu stavolta lui
stesso a stringersela al petto, alzandosi in piedi e portandola in alto
con sé: Alexis affondò il volto nell'incavo tra collo e
spalla, stringendo i pugni sulla sua maglietta, Judai le
accarezzò dolcemente la testa.
Mai situazione era stata
più surreale di quella. Un attimo prima eccola lì, a
ciondolare visibilmente sbronza, provocandolo involontariamente e
facendolo esaurire dietro le sue idiozie, e un attimo dopo eccola
attaccarlo con la ferocia di una consumata mangiatrice di uomini.
E poi eccola sciolta in lacrime su di lui.
Decisamente non l'avrebbe mai più fatta bere così.
- Ascoltami- le disse poi, sussurrandole in un
orecchio - ...Credo di aver capito cosa intendi. E, ti prometto, TI
PROMETTO che ne parleremo. Okay? Te lo devo-
La allontanò da
sé quel poco che gli bastò per prenderle il volto tra le
mani e asciugarle le lacrime con i pollici. Alexis si morse il labbro
inferiore e abbassò gli occhi, posando le mani sulle sue.
- Meritiamo entrambi di chiarirci reciprocamente. Hai
ragione, concordo su tutta la linea. Ma non possiamo farlo adesso, in
queste condizioni, io stanco e poco lucido e...e tu quasi nuda e
sbronza da fare schifo. Dobbiamo essere entrambi seri e concentrati,
okay?-
Alexis annuì, senza rispondere.
- Facciamo così: vieni al Pharaoh's domani
sera. Atem non c'è, potremo restare a parlare un po' di
più insieme. Ci mettiamo uno di fronte all'altra, da persone
civili e ADULTE quali spero che siamo e- e svisceriamo la cosa. Okay?
Siamo migliori amici Alexis, supereremo anche questa. Ci stai?-
La ragazza annuì ancora, stringendolo a sé più forte che le riuscì.
****
Le era rimasto accanto con
l'intento di aspettare che dormisse per dare una sistemata a tutto il
caos lasciato nell'appartamento, e invece era stato poi lui a cadere
addormentato tra le sue braccia. Nel silenzio innaturale che li
circondava, con solo la vecchia sveglia analogica che dettava il
passare dei secondi, Judai era poi stato risvegliato nel cuore della
notte proprio da Alexis, o meglio dai suoi movimenti fuori e dentro il
letto. Nel dormiveglia l'aveva sentita sgattaiolare da sotto le
lenzuola, allontanarsi a piedi nudi per un tempo inquantificabile,
entrando in un'altra stanza. Aveva sentito qualche cassetto aprirsi e chiudersi,
finché lei non aveva fatto ritorno al letto.
Si era voltato verso la ragazza
quando, con un ginocchio, aveva fatto lievemente cigolare le molle del
materasso, e con una mano aveva acceso di nuovo l'abat-jour.
Stropicciandosi gli occhi, Judai si era voltato verso di lei, sbattendo
le palpebre per metterla meglio a fuoco: gli si era inginocchiata a
fianco, quasi nuda non fosse stato per le mutandine, gli occhi che
parlavano prima della bocca e un piccolo quadratino di plastica stretto
nella sinistra.
Non avrebbe potuto essere più chiara neanche se gli avesse fatto un disegnino.
Era stato in quel momento che
Judai aveva compreso che, muovendosi in quella direzione dove lei lo
aspettava, si sarebbe trovato in un fottuto vicolo cieco. Un altro one call,
come avrebbe detto Atem: poteva darle quello che voleva, consapevole
che poi le cose si sarebbero complicate qualora decidesse poi di
chiuderla lì, oppure provare a farla desistere, illuminandola
con la promessa di sistemare tutto insieme la sera dopo.
Ripensandoci sopra, si era
reso conto di conoscerla già la risposta, ma di volerla
nascondere perfino a sé stesso. Se le raccontava davvero bene,
le storielle.
Quando poi lei, spazientita da
quel silenzio, gli aveva coperto la bocca con la propria, con una certa
timidezza dettata dalla paura di un'altra, plateale respinta come
quella precedente, Judai si era ritrovato a maledire Atem e tutta la
sua stirpe. Perché gli avrebbe fatto comodo un potere come il
suo, come quel suo dannato, invisibile terzo occhio che tutto vedeva,
tutto sapeva e tutto prevedeva; perché gli avrebbe fatto comodo
scrutarsi all'interno e trovare la risposta a quel turbine di domande
che gli stava soffocando il cervello.
Perché la risposta ce
l'aveva dentro, e si rifiutava di accettarla per qualche suo sordido
motivo. Era quella stessa risposta che l'aveva fatto cadere dritto tra
le sue braccia, crogiolandosi con lei in un lungo abbraccio e in tanti,
piccoli baci, soffici e cauti, umidi e lascivi, lasciando parlare i
loro corpi perché le parole erano ormai prive di alcun senso, in
quel momento. Si era lasciato spogliare dalle sue mani dolci e accorte,
alla calda luce di quella singola lampada sul comodino: Alexis era
rimasta in silenzio per tutto il tempo, concentrata mentre lo privava
degli abiti e lei stessa si toglieva quell'ultimo, inutile pezzo di
stoffa che li separava, tornando poi a baciarlo quasi con urgenza,
forse temendo il sorgere dell'alba.
Era ancora più bella,
con quell'espressione assorta sul volto. E Judai non si era affatto
sentito imbarazzato o fuori posto, in quell'atipica situazione: stavano
entrambi oltrepassando quell'unico confine che entrambi avevano
tracciato per anni ma nessuno dei due sembrava rimpiangerlo. In qualche
modo,
il giovane sapeva che era giusto così, che doveva finire
così tra loro.
Non era parsa molto in
confidenza con il sesso orale, almeno a riceverlo: come lei stessa gli
aveva confessato dopo, con un sussurro quasi doloroso, non erano in
molti che mettevano cura o attenzione al suo piacere. Era stato lui a
rompere il ghiaccio, seppur con una certa riverenza, e per quanto lei
poteva essere consenziente nulla aveva impedito che una sua timidezza
di fondo la facesse riparare dietro le sue stesse braccia, nascondendo
le labbra tumefatte dai morsi e gli occhi lucidi di piacere fin quasi a
piangere. Le aveva riservato una dolce carezza e un bacio, quando si
era lasciato scavalcare affinché lei ricambiasse quella cortesia.
Aveva spesso pensato a quelle
mani sul suo corpo, doveva ammetterlo: aveva sempre ricacciato quelle
visioni perché troppo...sporche, per lui. Troppo sporche e
ingiuste, perché non aveva diritti simili su quella che era la
sua migliore amica. Ci aveva spesso pensato, ma sentirle
effettivamente, quelle mani morbide e delicate addosso, era tutta
un'altra storia: nessuna visione o sogno poteva rivaleggiare quella
sensazione di puro calore lì dove le sue mani l'accarezzavano, o
le sue labbra lo baciavano.
Quando poi si era fatta
sovrastare di nuovo, e gli aveva rivolto quel sorriso beato, non era
riuscito a non imitarla a sua volta.
Era affondato nel suo corpo
con una morbidezza esasperante, in cui neanche lui stesso si era
riconosciuto: la paura di sbagliare, di travolgerla, di farle del male
o ferirla in qualsiasi modo gli aveva posto un freno da cui aveva
faticato a liberarsi, ma quell'amplesso fu il più dolce e
desiderato in cui fosse passato. Niente di frettoloso, niente di
furioso, niente di corroborante, solo una morbida onda che li aveva
trascinati via insieme, mordendosi reciprocamente le labbra per non
urlare.
E ora, con l'orologio del
telefono che segnava le sei e un quarto, se ne stava ad osservare il
soffitto, senza sapere come andare avanti.
One call,
lo chiamava Atem. Vicolo cieco del cazzo. Judai si passò una
mano sugli occhi, stropicciandoli con foga e mordendosi l'interno della
guancia destra.
Aveva passato il confine...no
anzi, l'aveva sfondato “a sapienti colpi di bacino” avrebbe
detto un Yuma in pessima forma con le battutacce. E ora quante speranze
aveva di tornare indietro e fare finta che non fosse successo nulla?
Come diceva Yuya, una migliore amica non era solo una migliore amica,
appunto, se ci finivi col fare sesso.
Stava rasentando
l'esaurimento. Non sapeva più cosa fare, dire o pensare. Si
voltò alla sua sinistra, osservando il serafico volto di Alexis,
addormentatasi poco dopo la loro unione, e il suo bel corpo
giunonico malcelato dal lenzuolo. Judai restò a guardarla in
silenzio, indeciso se approfittare della sua immobilità per
riservarle un'altra carezza, restare accanto a lei o andarsene alla
chetichella.
Che cosa diavolo aveva fatto? Se lo stava chiedendo da che si era
svegliato ormai. Quella vaga sensazione di star facendo qualcosa che
non era assolutamente contemplabile si era fatta largo nel cervello a
fatto già compiuto; dubitava però che avrebbe deciso di
fermarsi se l'idea gli avesse attraversato la testa prima, e già
questo la diceva lunga su cosa davvero pensava di tutta quella faccenda.
Mai aveva avuto le idee così chiare su di lei...su di loro,
e la cosa lo destabilizzava al punto da terrorizzarlo. La guardò
ancora, in silenzio, temendo di svegliarla anche solo col respiro. Col
senno di poi si rese conto, non senza un brivido, che avrebbe voluto
vivere quegli attimi ancora una volta, e ancora e ancora. Si
portò le mani ai
capelli, scompigliandoli con foga.
- Accidenti a me!- sibilò, afferrando il
cellulare e selezionando il numero di Yusei per la chiamata.
Perché chiamare proprio
lui, non lo sapeva. Forse perché era la seconda persona di cui
si fidava di più, dopo Alexis: un ragazzo sincero e schietto
come pochi, capace di donarti un abbraccio così come uno
schiaffo e un biglietto sola andata per il Diavolo, se serviva, e senza
farsi alcun tipo di problema. Gli serviva una voce sincera, qualcuno
che potesse aiutarlo a schiarirsi il cervello.
Senza contare il fatto che non
si sentivano da quasi ventiquattro ore, e non era tornato a casa, e
probabilmente era anche preoccupato. Quel ragazzo aveva lo strano,
innato istinto della mamma chioccia: non glielo poteva far notare senza
rimediare un cordialissimo dito medio, ma anche Yusei sapeva che, nel
profondo, il castano aveva ragione.
- Yusei!- sibilò Judai, appena sentì il
suono della linea aperta, portandosi una mano davanti alla bocca
– Oh per fortuna sei sveglio! Pensavo fossi andato già a
dormire!-
- Jud?!- la voce di Yusei era carica di
preoccupazione mista a sollievo nel sentirlo vivo – Dove diavolo
sei?! Tutto a posto? Mi hai fatto preoccupare! Non ti vedevo da nessuna
parte!-
- Aaaah...eheh, non preoccuparti, è tutto a
posto! Sono vivo e vegeto, sano come un pesce! Per ora-
- Che sei vivo e vegeto lo sento, ma cosa vuol dire
“per ora”? E perché sussurri?-
Nell'attimo di silenzio che si
prese per decidere cosa rispondergli, Judai sentì il portello
del frigorifero aprirsi. Gli venne immediatamente voglia di latte.
- Nnnnon sono da solo-
- Mi dici dove cazzo sei?!- ecco che cominciava a
sbraitare...- Mi sto innervosendo! Sono stanco, voglio andare a
dormire! Se è davvero tutto a posto perché mi hai
chiamato? Devo venire a prenderti? Ti si è fermata la macchina?-
- Nonono, niente di tutto questo! Sussurro perché non sono solo!-
- E questo l'avevo capito, razza di...aspetta, con chi sei?-
Eh...non penso mi crederesti.
- Yusei...- Judai si schiarì un paio di volte
la voce – Ti ricordi del discorso della scorsa settimana? Quello
cominciato con Atem e Mana e le migliori amiche?-
- ...A grandi linee. Judai, taglia corto, ti prego, ho bisogno di dormire...-
- Ecco, chi era che diceva che uno non fa sesso con
la sua migliore amica se la considera solo questo? Yuya?-
- Yuya sì, così mi pare. Ma perché--
- Ecco, temo abbia ragione-
- Ma CERTO che ha ragione! Se fai sesso con la tua
migliore amica è perché non la vedi semplicemente come
tale! Ci vedi qualcosa di più profondo in lei, magari provi
attrazione per lei anche in un altro senso! Magari ti piacerebbe averla
come compa--
Silenzio. Improvviso.
Repentino. Quasi gli sembrava di sentire gli ingranaggi del cervello di
Yusei rimettersi febbrilmente in moto, carburati a latte.
Silenzio.
E ancora s i l e n z i o.
- Yusei? Ci sei?-
- Judai, dove diavolo sei ora?!-
Judai sentì il portello del frigorifero chiudersi di scatto.
- ...A casa di Alexis-
La sentì, dapprima
bassa, quasi rasposa, il ringhio sommesso di un vecchio lupo; e poi
qualche singhiozzo, e infine Yusei scoppiò finalmente in una
risata roboante e divertita. E allora Judai seppe che no, il suo
collega non sarebbe stato affatto d'aiuto. Si voltò
istintivamente verso Alexis: la ragazza arricciò il naso nel
sonno, ma non aprì gli occhi.
- Smettila dannazione, la svegli così! Ti
potrebbe sentire!- gli soffiò nella cornetta.
- Ma...ma io...cosa...sul serio?! TU?! E ALEXIS?!-
- Ehi, è capitato, va bene?! Era un po' brilla quando l'ho riportata a casa e--
- E te ne sei approfittato?! Judai, giuro che--
- No, casomai è stata LEI che ha approfittato di me!-
- ...nnnnnon ho capito-
Eh, e quando mai...
- Sì che hai capito, fenomeno! L'ho portata a
casa, mi ha urlato addosso non mi ricordo che cosa, diceva di stare
male e sentire caldo e che cosa devo dirti, me la sono ritrovata nuda
davanti! Sembrava l'apparizione di Venere quando nasce dalla cozza,
cazzo!-
- Venere non nasce da una cozza...-
- Sì vabbé cos'è quella roba,
una conchiglia?! Dannazione Yus, che diavolo faccio adesso?!-
- E non chiamarmi così...! Cosa intendi?-
- Se si sveglia e si accorge del nostro stato, e si
ricorda cosa abbiamo combinato, che ne sai di quello che potrebbe
fare?!-
- Judai...io spero tu stia scherzando-
- Fottiti Yusei! Non è il momento adatto per
psicanalizzare, qui la faccenda è straseria! Sono finito a letto
con la mia migliore amica, e quel che è peggio è che lei
vive ancora con suo fratello!- il solo pensiero risvegliò in lui
un'atavica paura – Se Atticus viene a saperlo mi appiccica al
muro con uno schiaffo, e voi dovrete cercarvi un altro chef!-
- Quello potrebbe essere un problema, effettivamente-
Più in là, oltre
la stanza e il corridoio, la porta d'ingresso si spalancò, e una
voce maschile trillò chiamando Alexis.
Per Judai fu come una doccia gelata.
-...Oh CAZZO!-
-Judai? Ehi, Jud?! Judai!-
Il castano già non
udiva più la voce del suo amico, impegnato com'era a
sgattaiolare fuori dal letto: il lenzuolo gli si avvinghiò
bastardamente a una caviglia, spedendolo dritto per terra, a pochi
centimetri dai suoi pantaloni. Soffiò un'imprecazione,
raccattò tutti i suoi abiti e si nascose dentro il grosso
armadio a muro proprio mentre Atticus faceva il suo ingresso nella
stanza.
- Sooooorellinaaaa!-
Il richiamo stranamente
melodico del maggiore fece destare Alexis: la ragazza sollevò lo
sguardo, mettendo a fuoco la figura di Atticus e la sua improbabile
camicia hawaiana. Ne aveva a decine, tutte diverse per colori, stampe e
materiale, e diventavano parte integrante del suo abbigliamento estivo
insieme alla muta da surf. Alexis rispose al suo buongiorno mugolando
qualcosa e alzando una mano.
- Abbiamo bevuto anche stasera, eh?-
- Mmmmh...-
- Poi mi spiegherai che male ti ha fatto
quell'orologio per staccarlo dalla parete con una scarpa, se volevi
cambiarlo bastava dirlo! Oh, ecco, questo dovrebbe essere tuo!-
Un soffice tonfo le indicò che il suo reggiseno era planato a pochi centimetri dal suo piede sinistro.
- Da quanto tempo sei tornata?-
- Nnnnnon ricordo. Perché?-
- Perché l'auto di Judai è ancora qua
sotto. O meglio, CREDO sia quella di Judai...queste diavolo di Mini
Cooper sono tutte uguali! Ma questa non ha quella palletta di pelo con
gli occhioni allo specchietto, quindi...bah, sarà un modello
simile-
- ...-
- Tutto bene, Alex?-
- S-sì...sì-
- ...Mh! Bene! Vado a farmi una doccia, okay? Ti va
di fare colazione fuori o hai lo stomaco in subbuglio?-
- ...Fammici pensare-
- Tutto il tempo che vuoi!-
Atticus uscì dalla
stanza canticchiando qualche sconosciuto motivetto; fu solo dopo aver
udito lo scrosciare della doccia che Alexis, di slancio, scattò
in piedi mentre Judai spalancava l'armadio, vestito di tutto
punto...come diavolo aveva fatto, dentro l'armadio?!
- Judai!- esclamò Alexis, sorpresa – I-io...-
- Nnnnnon dire niente Alex! Nnnnon dire niente!- la
esortò lui, alzando le mani quasi a volersi difendere da
qualcosa – Ne-ne parliamo stasera al Pharaoh's come promesso,
okay? Fammi andare, prima che faccia una brutta fine!-
Senza indugiare oltre, Judai
coprì la breve distanza che li separava con un ultimo bacio,
prima di uscire in punta di piedi dalla stanza. Alexis lo sentì
chiudersi la porta alle spalle con quanta più dolcezza gli
riusciva.
Poco prima di entrare nella
cabina per la sua ristoratrice doccia, fu quasi per caso che Atticus
Rhodes guardò fuori dalla finestra e notò la Mini Cooper
rossa fare bruscamente retromarcia, sfiorando il paraurti della BMW
dietro di lei in un bacio mozzafiato prima di uscire dal parcheggio e
scattare con uno stridore di gomme; in quell'esatto momento, la moto di
Yusei Fudo frenò bruscamente in mezzo alla strada. Il suo pilota
si voltò, alzando la visiera del casco, prima di dare gas e
costringere la moto ad una brusca girata, puntando il piede sinistro a
terra e facendo pattinare la ruota posteriore, prima di partire con
l'anteriore sollevato all'inseguimento della Cooper.
______________________________________________________________________________________________
Le cose si fanno complicate adesso.
O meglio, le cose erano davvero molto semplici fin dalla prima battuta,
ma un CRETINO a caso (AKA Judai) ha temporeggiato e negato a sé
stesso quello che in realtà ben sapeva da taaaaaanto tempo. E
ora? Come Yuya ha detto tempo fa, una migliore amica non è
più solo questo se finisci col farci...lui ha detto sesso, ma
quello che Judai ha concesso a Alexis qui è amore.
Che poi lui lo neghi a sé stesso con una convizione quasi disperata, quello è un altro paio di maniche.
Numero dodici, signore e signori! Come sta andando? Io sono finalmente
riuscita a mettere le mani su un vecchio portatile che avevo eclissato
in un armadio, in atesa del ritorno del mio fidato PC fisso: c'è
di meglio nel lotto dei netbook attualmente disponibili sul mercato ma
so che c'è anche di peggio e quindi mi accontento di quello che
ho! L'iPad è figo ma per certi lavori di scrittura è
abbatanza scomodo: preferisco usarlo per giocherellarci e per disegnare.
Allora, cosa abbiamo qui? Per
cominciare, lo metto subito in chiaro
anche se credo sia ben intuibile: questo capitolo ha rivissuto la
serata allucinante di Judai in compagnia di Alexis, riallacciandosi poi
allo stesso punto con cui ci eravamo fermati nel precedente capitolo.
Ergo, Yusei che corre a salvare quel disgraziato del suo
coinquilino/migliore amico prima che un certo fratello maggiore ne
faccia sfilacci. Ora sappiamo per filo e per segno cosa diavolo
è successo in questa serata da capogiro dove finalmente Judai ha
ceduto di schianto: pur opponendo una stoica resistenza nulla ha potuto
contro l'evidente forza di un sentimento covato nel tempo. Era in fondo
solo questione di tempo, appunto, perché sfondasse quella
sottile
linea di confine che aveva tracciato per difendere il suo rapporto con
Alexis: meglio tardi che mai si dice, ma ora abbiamo un Executive Chef
in piena crisi mistica che ha bisogno di tanto supporto morale! Non
date nulla per scontato, il ragazzo è davvero in crisi.
Starà a lui trovare il coraggio e le forze per uscirne.
PREMETTO UNA COSA. La storia del
latte come rimedio post-sbronza. RAGAZZI. Vi ricordate del discorso
della Sprite, accennato qualche capitolo fa, come altro rimedio per
"riacchiapparsi" dopo una sbornia? Ecco, quella è una teoria
tutta made in Internet. Stessa cosa con il latte! Di certo latte e
burro sono una mano santa contro il bruciore di stomaco e di gola
conseguente, ma non vi sono assolutamente prove certe che questi siano entrambi dei rimedi contro ubriacature varie.
Ve lo grassetto anche così son sicura che lo leggete. So che
siete tutti in grado di distinguere perfettamente la realtà dei
fatti dei giorni nostri dalle leggende del web, ma qualche avvertimento
in più non guasta mai. Non sia mai che mi venite a cercare sotto
casa perché avete provato a farvi passare una sbronza con del
latte e avete per assurdo peggiorato le cose...
Dopodiché, se vogliamo
parlare di quanto Judai e soprattutto Yusei siano amanti del latte,
beh...quello penso sia ben chiaro xD è Yusei stesso a chiedere
del latte al bancone del pseudo-saloon di una città che fa il
verso ai migliori western di Sergio Leone. Diciamo che ora Judai l'ha
amato ancora di più 'sto latte, considerata la bella visione che
gli ha regalato.
Ragazzi! Non c'è molto da
dire su questo capitolo, in fondo si spiega un po' per sé. Ma se
avete qualcosa da dirmi al riguardo parlate pure, lasciate una
recensioncina o che ne so. Ora che ho un PC effettivo mi sarà
per me molto più semplice rispondervi, e considerato che ho il
netbook quasi sempre con me perché lo porto anche in
università sarò sempre pronta a scrivervi! Studio
permettendo. Oh, ce n'è sempre una eh.
Vediamo chi ha spottato Kuriboh Alato qui!
Un bacione,
92Rosaspina
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Capitolo 13 *** 11. 50 sfumature di che casino ho fatto?! ***
Pharaoh's Kingdom 13
11. 50 sfumature di che casino ho fatto?!
- Sono un cretino-
- E quindici. Arriva a venti e vincerai una bambola gonfiabile con la quale sfogarti-
- E che palle-
- Seriamente, Judai, qual è il problema?-
- Maledizione Yusei! Voglio lamentarmi un po', va
bene? Posso rimproverarmi sulla mia imbecillità senza che tu
debba per forza commentare ogni cazzo di cosa che dico? E andiamo!-
Il pugno di Judai si
abbatté sul tavolino del bar, facendo voltare un paio di ragazze
sedute a qualche metro da loro. Yusei scosse il capo, portandosi la
tazza alle labbra e bevendo qualche sorso di caffellatte.
Inutile dire che il sonno gli
era passato tutto d'un colpo. Il sollievo provato alla notizia che
Judai era vivo e vegeto era stato rimpiazzato da un crescente sospetto,
che l'aveva seguito fin quando, in sella alla sua moto, non aveva
assistito di persona alla precipitosa fuga del compagno dalla casa di
Alexis. Aveva voltato alla svelta la Bimota e l'aveva seguito,
affiancandolo e facendogli segno di stargli dietro, guidandolo fino al
loro bar preferito, quello che sfornava i migliori cornetti caldi del
mattino. Un ambiente piccolo e intimo, dove tante volte si erano
fermati, a fine turno, per fare colazione in santa pace prima di
tornarsene a casa a dormire. Judai si era sempre divertito un mondo a
vedere Yusei fronteggiare la ragazza svampita alla cassa, quella
giovinetta che aveva una cotta epocale per il suo amico; tuttavia,
stavolta era rimasto a fissare la vetrinetta dei cornetti con un vuoto
preoccupante negli occhi. Yusei era rimasto a guardarlo a lungo, quasi
a volergli trovare un malanno, ma proprio non riusciva a capire cosa
gli passava per la testa.
E il fatto che avesse passato
quegli ultimi cinque minuti a maledirsi e darsi del cretino, invece di
spiegargli cos'era successo, non lo aveva certo aiutato a quadrare la
situazione. Il capobar sapeva solo che Judai era finito a letto con la
sua migliore amica, che GUARDA CASO era innamorata persa di quel tordo,
era poi scappato dalla casa di suddetta amica come un ladruncolo e ora,
per qualche motivo, non faceva altro che rimuginarci sopra e darsi del
cretino, come se la cosa lo preoccupasse o mortificasse.
Se prima Yusei aveva sperato
che Judai avesse finalmente messo in moto il cervello, e ragionato
più o meno un minuto per rendersi conto dell'ovvio, tutte le sue
speranze si stavano ora infrangendo verso il muro di silenzio eretto
dal compagno.
- Okay, ricapitoliamo- cominciò poi il moro,
posando la tazza nel piattino e dando un altro morso al suo cornetto.
- Sono un cretino- gemette Judai, scuotendo il capo e
passandosi le mani sul volto, stropicciandosi gli occhi.
- E questo è chiaro, e io dico evviva
l'ossigeno che te ne sei accorto! Dovrei chiedere a Yuya di costruire
davvero una freccia luminosa con su scritto CRETINO e appiccicartela
addosso. Ora, fermati un attimo, interrompi momentaneamente la tua
autocommiserazione e dimmi: cos'è successo, stanotte, con
Alexis?-
Judai si morse il labbro
inferiore, gli occhi fissi sul caffellatte quasi volesse cercarci
dentro qualcosa. La risposta, forse, oppure le parole. Magari quel poco
di dignità che aveva e che aveva vergognosamente perso,
chissà.
La verità era che non
sapeva da dove iniziare. C'erano così tante cose in gioco, che
lui aveva inizialmente ignorato e ora non poteva più fare a meno
di notare, che non sapeva davvero che pesci pigliare.
- ...Ci siamo incontrati- cominciò poi –
E siamo andati al 31. Ci andiamo spesso, è un locale piccolo ma
carino, e a mezzanotte sfornano anche i cornetti. Ha cominciato
a bere, un drink dietro l'altro-
- Cosa ha bevuto?-
- Cuba Libre-
- Quanti?
- ...Quattro-
- Quattro?! Mi prendi in giro?!-
- Affatto. Quattro Cuba Libre uno dietro l'altro.
Avevamo anche gli stuzzichini salati, ma credo non l'abbiano aiutata
granché-
- ...Si è sbronzata-
- Sì. Beh, succede sempre quando beve. Ha una
resistenza all'alcol pari a zero, cosa vuoi che ti dica...-
- Continua. Cos'è successo?-
- Ho deciso di riportarla a casa, in quelle
condizioni rischiava di collassarmi sul tavolo da un momento all'altro.
È stato un viaggio...turbolento, lei era sbronza e rideva per
cose senza senso, si sbracciava, mi prendeva il volante, insomma,
sai...-
- Le cose che fanno tutte le persone ubriache. Poi?-
Poi? Judai prese un grosso respiro, preparandosi ad un'immersione a testa bassa nei ricordi.
- Poi siamo entrati nel suo appartamento, e
lì...lì ha dato il meglio di sé. Ha esordito con
dire che aveva caldo, mi si è spogliata davanti ed è
corsa in cucina. Ha provato a bere del latte finendo col rovesciarselo
addosso, quasi mi centrava lanciando via una scarpa e poi l'ho trovata
a piangere nella sua stanza-
Yusei non rispose, ma sapeva
che lo stava ascoltando. Per quanto si ostinasse a mantenere gli occhi
sul caffellatte, Judai sentiva distintamente le sue iridi perforanti
addosso.
- Ha...ha cominciato a sragionare- continuò
poi – A dire cose senza senso, del tipo che non le voglio bene, e
che non la voglio perché sono più preso dalle altre. Ho
cercato di farla ragionare, le ho detto che non era vero niente, che le
volevo bene come nessun'altra ragazza al mondo...ed è vero, eh!
Sai l'affetto che mi lega a lei!-
- Certo. Continua-
I suoi occhi facevano paura.
Lievemente schermati dalle mani di fronte al volto, le cui solo i
polpastrelli erano in contatto, e da qualche ribelle ciocca scura, gli
occhi blu lo osservavano senza perdersi neanche un battito delle sue
ciglia.
- E lei, per tutta risposta, mi è saltata
addosso. Così, come se fosse una facilona in piena astinenza
sessuale. Io l'ho respinta, perché...non era giusto insomma! Non
era quello che volevo, e neanche lei!-
- Aha-
-
Ha ripreso a piangere, allora le ho promesso che ne avremmo discusso
per bene stasera al Pharaoh's, entrambi a mente lucida e senza alcol in
corpo. Avevo bevuto anche io, e un po' mi aveva fatto effetto, per cui
non ho voluto addentrarmi in un simile discorso in quello stato-
- Più che giusto. Poi?-
-
Poi sono rimasto con lei. Ho detto “resto con lei finché
non si addormenta e poi me ne vado”...e invece mi sono
addormentato con lei. Mi sono risvegliato non so a che ora, con lei
accanto. Ancora nuda e con un preservativo in mano-
- ...Ah-
- Eh. Manco ci fosse bisogno di un disegnino, no?-
- Aspetta un secondo-
- Cosa?-
- Ancora nuda hai detto? Ma perché, quando si è spogliata?-
- Te l’ho detto prima, cretino. Comunque
è stato prima di rovesciarsi il latte addosso-
- ...mi era sfuggito. E tu? Quando lei si è
ripresentata con...questo “disegnino”?-
- E io cosa vuoi che abbia fatto? L'ho...l'ho assecondata-
- Quindi hai davvero fatto sesso con lei?!-
- ...Sì. Ehi, lo so, è stato un errore madornale, però--
- Però cosa, Jud?! Cazzo, era sbronza da fare
schifo! Anzi, direi proprio ubriaca, stando a quello che mi hai detto!
E se lei non ricordasse nulla di quello che vi siete--
- Lo ricorda, tranquillo. Ne abbiamo parlato appena sono uscito dall'armadio-
Solo in quel momento Judai
ritrovò la voglia di sorridere, osservando il gigantesco punto
interrogativo che sembrava sormontare la testa del compagno. Yusei
sbatté comicamente gli occhi un paio di volte, incredulo.
- Dall'ar...madio?!- chiese poi, stupito, incerto se avesse sentito bene o meno.
- Dall'armadio- confermò Judai – Quando
ti ho chiamato, stamattina, e ho interrotto la comunicazione, è
stato perché Atticus è tornato dal turno notturno-
- E quindi ti sei chiuso nell'armadio per AHAHAHAHAH!!!-
- Non c'è un cazzo di divertente!-
Poche erano le cose che
strappavano a Yusei una risata divertita: quel musone dallo sguardo
severo e il delicato umorismo di un taglialegna con l'ascia smussata
trovava da ridere solo in cose estremamente plateali. E l'idea di Judai
chiuso in un armadio per non farsi scoprire dal fratello della sua
migliore amica era plateale abbastanza, più che altro per quello
che gli riportava alla mente.
Un mese prima, o qualche
giorno di meno, Judai frequentava una ragazza di alto borgo, una
giovane universitaria molto carina a dirla tutta, sebbene non avesse
niente di speciale. Yusei l'aveva definita un po' anonima, con quei
capelli castani e gli occhi scuri, e quando Judai gli aveva chiesto di
trovarle un difetto lui ci aveva pensato sopra e aveva indicato il suo
naso, troppo lungo per i suoi gusti; tuttavia aveva ammesso che, nel
complesso, si trattava di una bella ragazza e con una
personalità...interessante, una piccola bibliotecaria a cui
piaceva molto leggere.
Il fatto era che si incontrava
con Judai mentre era già fidanzata con un altro ragazzo, un tipo
che, stando ai racconti del castano, era grosso come un armadio e con
la voce piuttosto rude: la ragazza sosteneva non lo amasse più e
che stesse cercando di lasciarlo in qualche modo. Judai aveva preso ad
incontrarla più per semplice amicizia che altro, avendola
conosciuta in diverse serate al Pharaoh's: inizialmente le piaceva la
sua compagnia, poi aveva scoperto che farci sesso era ancora più
divertente. Il problema si era presentato quando quel bestione di
fidanzato che si ritrovava era tornato a casa prima del previsto, quasi
cogliendoli sul fatto e costringendo il castano ad una precipitosa fuga
nell'armadio di lei: nudo come un verme e con il cellulare in mano,
Judai aveva subito contattato Yusei per metterlo al corrente della
situazione e dettargli testamento, salvo poi inviargli un messaggio
audio per fargli ascoltare quel penoso amplesso a cui era stato
costretto ad assistere dietro le ante. Si era rivestito al buio
nell'armadio, con complicate torsioni e insperata delicatezza, salvo
uscire fuori dalla cabina mentre l'energumeno era andato a farsi una
doccia. Aveva optato per una fuga veloce dalla finestra di lei, era
appena al secondo piano; peccato che la vecchina del piano di sotto
avesse iniziato a strillare come un'arpia dell'Odissea quando lui era
atterrato sul balconcino, prima di prenderlo a bastonate e costringerlo
a scendere di corsa, atterrando tra le misere fronde di un albero e
cascando poi sull'asfalto del marciapiede. Era rimasto a casa una
settimana, assentandosi dal Pharaoh's Kingdom: la caduta non gli aveva
causato particolari problemi per fortuna, ma per qualche giorno si era
sentito tutto ammaccato e, soprattutto, era ricoperto di graffi
lasciatigli dai rami che gli avevano inciso la pelle, senza contare
l’abominevole livido comparso sulla coscia destra. Tutto era bene
ciò che finiva bene, si diceva, e infatti ormai ci ridevano
entrambi su quella storia assurda: Judai non aveva più voluto
sapere nulla di quella tipa, e Yusei aveva preso qualche screenshot
della conversazione nell'armadio e l'aveva salvati sul suo laptop. Non
si sa mai, aveva detto.
E stando a quanto gli aveva
appena raccontato, sembrava che quella di nascondersi negli armadi
altrui e rivestirsi al loro interno fosse diventata una sua
specialità: bastava solo che gli dicesse che era saltato fuori
dalla finestra ed era a posto.
- Se hai finito di ridertela
come un deficiente...- borbottò Judai, azzannando il suo
cornetto con la grazia di un'anaconda verde.
- Eheheh...perdonami. Dai, ti ascolto adesso-
- Ti dicevo, lei ricorda tutto. Siamo rimasti
d'accordo che ne parleremo effettivamente stasera, al Pharaoh's-
- Mh. Ottimo direi, no?-
- Se lo dici tu...-
- E perché no? Avrete
modo di chiarirvi così, no? Tu sicuro avrai modo di fare
chiarezza nel tuo cervello una volta per tutte...-
- Io ho le idee chiare-
- Ma non penso proprio,
altrimenti non staresti qui a flagellarti e darti del cretino! O
sbaglio? Se tu avessi le idee chiare come dici tu, a quest'ora saresti
ancora da lei! Non mi avresti telefonato, forse mi avresti mandato un
messaggino, saresti rimasto con lei, avresti salutato Atticus
direttamente dal letto e avresti ammirato la sua faccia nel vedervi
insieme!-
C'era un motivo se Yusei era
il suo migliore amico, e stava soprattutto in questo: nella schiettezza
delle sue parole, dirette e spietate come una lama rovente piantata
nella carne.
- In questo caso sì, devo concordare con te:
sei un cretino. Ora smettila di fare la lagna o ti faccio dare io una
calmata-
- Non sto facendo la lagna-
- Ti stai dando del cretino da quando siamo arrivati. Il tutto per una ragazzina-
Judai alzò lo sguardo di scatto, fissandolo dalla testa ai piedi mentre terminava di mangiare il suo cornetto.
- Non chiamarla ragazzina- sibilò poi.
- Lo vuoi un consiglio?- gli domandò Yusei, ignorandolo.
- No, non lo voglio-
- Piantala di raccontarti quelle
belle storielline fesse del tipo “siamo migliori amici, non ci
lasceremo mai!”. Le cose non vanno mai come credi, Judai. Quello
di Yuya e Yuzu è stato un caso su mille, ma tu e Alexis, a
quest'ora, potevate benissimo essere uno dalla parte opposta del mondo
rispetto all'altra, completamente dimentichi della vostra esistenza. E
stando ai tuoi racconti lo siete stati, per un bel po’. E se vuoi
la mia opinione—
- Non la voglio-
- E invece la ascolti, visto che è anche gratis—
- Cosa chiedi a fare le cose—
- Se le vuoi davvero bene come tanto decanti, allora fallo e senza misure-
Judai aveva imparato a
temerle, quelle lunghe occhiate dall'alto verso il basso che il suo
collega gli riservava, quando stava facendo qualcosa di insensato e lo
sapeva.
- Solo...è solo che non mi sembra...non so-
- Non ti sembra cosa?-
- Non mi sembra giusto, ecco!
Lei è la mia migliore amica, Yusei, non posso farle del male in
alcun modo! E se qualcosa dovesse guastarsi, in un nostro ipotetico
rapporto “serio”?- domandò, mimando le virgolette
con indice e medio di entrambe le mani.
- Ah, allora ammetti di pensarlo, ogni tanto-
- Ma certo! Chi non fa pensieri sui migliori amici?
Anche tu con Aki, se è per questo...
- Non cambiare discorso adesso!- Yusei
s'irrigidì di colpo – Stiamo parlando di te!-
- Ooooh...non lo so, Yus-
- Non devi chiamarmi così-
- Non...non mi sembra corretto, ecco-
- Corretto amare la tua migliore amica?-
- ...Sì. Voglio dire! Ascoltami un attimo e non alzare gli occhi al cielo cazzo, che nervoso...!-
- NO! Ascoltami tu adesso!-
C'era da dire che, appena
alzava di poco il tono di voce, Yusei metteva leggermente paura. Ma
leggermente, lo stesso timore che poteva incutere un drago che scopriva
che qualcuno aveva rubato delle gemme preziose dal suo inestimabile
tesoro. Judai chiuse gli occhi, mordicchiandosi il labbro inferiore,
pronto a farsi investire dal fiume di parole che avrebbe contribuito a
farlo sentire ancora più idiota.
- Quante volte hai osservato
Alexis andare con altri ragazzi e commentato che non erano giusti per
lei? Che non la rispettavano abbastanza?- gli domandò Yusei,
puntandogli minacciosamente contro la tazza di caffellatte – Ti
rispondo io: SEMPRE! L'hai sempre fatto, e le sei sempre stato accanto
quando lei troncava le sue relazioni per un motivo o per un altro! Hai
sempre guardato i suoi fidanzati con disgusto e pensato che non fossero
giusti per lei, che non la rispettavano, e sai che ti dico? Che hai
ragione su tutta la linea dannazione! Perché TU sei l'unica
persona degna di restare al suo fianco! E nel profondo ne sei convinto
anche tu, perché non ci sarebbe altro motivo, per te, per
andarle così dietro!-
Quattro parole piazzate in
croce. Tanto era bastato, a Yusei, per smontargli tutte le (ormai
poche) illusioni rimaste. E senza neanche andare nello specifico della
cosa, perché in realtà c'era di che parlare anche su
questo.
Judai era sempre stato il
povero idiota che consolava Alexis dalle sue disgrazie sentimentali, la
sua spalla su cui piangere: e lei lo trattava da tale perché era
lui stesso a mettersi in quelle condizioni, perché fino a quel
momento non aveva fatto nulla di concreto per aiutarla davvero, solo
farsi usare come sfogo e muro del pianto.
Per la bontà del cielo, Yusei era qualcosa di sconvolgente a volte. Chissà se lui se ne rendeva conto.
- Continuare a mentirvi a vicenda potrebbe essere solo controproducente-
- Io...io non so che dire. Non ci ho mai
pensato...cioè, ci ho pensato eccome, ma ho sempre pensato che--
- Ecco, il tuo problema è qui, Judai. Pensi
troppo, dannazione. Lo fai raramente, ma sempre quando non devi-
- ...Non so se essere contento o meno, di quello che hai detto-
- Hah! A tua discrezione Jud-
Terminarono la loro colazione
in silenzio, senza più tirare l'argomento in ballo. La testa di
Judai lavorava febbrilmente.
****
L'orologio sullo smartphone
segnava le dodici e mezza appena, ma erano già tutti svegli.
Yuma a parte, che continuava a ronfare sul divano letto. Yuya fece
capolino dalla porta che separava la cucina abitabile dal corridoio,
osservandolo mentre allungava una mano per grattarsi una gamba, sempre
nel sonno.
L'idea era stata di Yuzu:
ritrovarsi tutti insieme nell'appartamento del suo fidanzato, per
passare insieme qualche divertente giornata e farsi compagnia. Kotori
era stata entusiasta dell'idea, Yuma e Yuya neanche a dirlo: avevano
quindi preparato qualche borsone e si erano spostati nell'appartamento
di quest'ultimo, grande abbastanza per ospitare quattro persone senza
farle stare troppo strette. L'idea dello scherzo, però, era
stata proprio di Yuya. Diceva che era da tempo che non aveva modo di
punzecchiarlo, e gli mancava sentire le sue urla ed improperi quando il
compagno gli faceva qualche sorpresa. Faceva parte della loro
complicità e del loro rapporto: ogni tanto si molestavano con
qualche innocente burla.
Ghignando mefistofelico, Yuya
corse in punta di piedi nella stanza da letto: Kotori li aveva
raggiunti poco prima, lasciando Yuma da solo sul divano-letto. La
trovò seduta sul materasso insieme a Yuzu, mentre guardavano
qualcosa sul cellulare e frenavano le risate.
Ma che carine che erano, tutte
e due? Kotori era di una tenerezza disarmante, amica di Yuzu fin dalla
prima tintura dallo stesso parrucchiere prima di conoscere il
fantastico mondo delle colorazioni della Manic Panic, e Yuzu...ah beh,
Yuzu era sempre più bella ogni volta che la guardava, anche con
i capelli sfatti e gli occhi ancora cisposi. Le aveva detto di poter
dormire ancora, che ci sarebbe voluto del tempo prima di mettere in
atto lo scherzo vero e proprio, ma lei aveva insistito: voleva vedere
anche lei di che si trattava, cos'aveva architettato stavolta. Una cosa
semplice e d'effetto, le aveva risposto lui, mostrandole quello che
aveva tutta l'aria di essere un...
- ...un altoparlante
Bluetooth?!- domandò Kotori, anticipando Yuzu e prendendo la
confezione tra le mani, studiandola incuriosita- E cosa dovresti farci?
Non vorrai risvegliarlo con la musica a tutto volume? Non so se
funzionerà...-
- Oh, non proprio-
gongolò Yuya, andando a rovistare dentro un cassetto del suo
scrittoio – L'idea è sì svegliarlo con la musica,
ma non solo! Voglio fare in modo che la musica lo accompagni ovunque
vada!-
- E come farai a--
La risposta le venne piazzata
proprio sotto il naso: Kotori quasi storse gli occhi e fu costretta ad
allontanarsi un pochino per mettere meglio l'oggetto a fuoco, ma quando
si rese conto di cosa fosse seguì Yuzu nelle sue risatine
soffocate dietro le mani. Il ghigno di Yuya si allargò
raggiungendo misure inquietanti, prima che questo cominciasse ad aprire
le confezioni.
- Ma-ma poi si toglierà?-
domandò, asciugandosi una lacrima spuntata all'angolo destro
dell'occhio e spostandosi i capelli verdi sull'altra spalla.
- Ma certo!- le garantì Yuya –
Altrimenti che scherzo sarebbe? Ci dobbiamo ridere sopra, non farci
male inutilmente!-
- ...Mi sembra sensato-
- Preoccupata?-
- Della sua reazione-
- Stai tranquiiiiilla, non lo
sciuperò troppo! Sarebbe carino vedervi finalmente insieme entro
la fine dell'anno, e sarà meglio che lui sia in perfetta forma e
senza cose strane sul corpo!-
- Ma-ma che cosa...!-
- Ahaaaaa, è arrossita, allora avevo ragione! Guardala Yuzu guardala!-
- Nnnnoo ma cosa mi fate dire!-
Kotori quasi ignorò
l'abbraccio con cui Yuzu se la strinse addosso, troppo occupata a
coprirsi il volto per nascondere le guance arrossite dall'imbarazzo.
Sempre così quando ci
si ritrovava a parlare di qualche sentimento nascosto tra lei e Yuma;
col senno di poi, Kotori aveva scoperto che Yuya e Yuzu non erano
esattamente le due persone più silenziose al riguardo, e che
rivelargli un simile segreto era stato, forse, un errore. Non erano
certo corsi a rivelarglielo, non erano tipi da fare bambinate di quel
genere; in compenso si divertivano a punzecchiarla quando possibile,
tra allusioni velate e voli pindarici espressi a voce alta. E ora che
Yuya e Yuzu erano insieme, lei non aveva neanche la possibilità
di ribaltare la situazione con uno dei due: tutto quello che le
riusciva era arrossire e ammutolire, incapace di difendersi da quei due
lestofanti che sembravano sempre desiderosi di rivangare la
realtà.
C'era sempre stata una forte
complicità con Yuma, quell'intesa tipica di due persone che si
conoscevano da tanto tempo e sapevano prevedere uno i pensieri
dell'altra: l'aveva vista in Yuya e Yuzu, e anche in Judai e Alexis. Un
affetto molto forte, un sentimento duraturo che, nel caso della prima
coppia, era sfociato in amore reale, e nella seconda sembrava di vedere
due rette parallele, che viaggiavano insieme senza mai incontrarsi
davvero. Ecco, tra lei e Yuma c'era più o meno lo stesso
feeling: il ragazzo adorava la sua compagnia, e lei si era
profondamente legata a quello stramboide che metteva tanta, troppa
energia in qualsiasi cosa facesse. Parcheggi, drink, videogiochi,
musica, faccende casalinghe, perfino andare a fare la spesa per
comprare un tubetto di dentifricio diventava, per lui, un pretesto
valido per portare un po' di scompiglio e allegria. E col tempo, Kotori
si era resa conto che di quell'energia era davvero difficile farne a
meno.
Stare accanto a Yuma era un
po' come essere posizionati accanto ad un accoppiatore energetico: a
non fare attenzione si rischiava di prendere anche la scossa. Kotori
aveva accettato questo rischio fin dall'inizio.
- Aaaallora, vediamo un po'!-
esclamò Yuya, estraendo il piccolo altoparlante quadrato dalla
confezione e cominciando a studiarlo per bene, facendolo ruotare
rapidamente tra le dita – Qui dice che servono un paio di
batterie ministilo...tipo quelle del telecomando, dovrebbero andare
bene! Yuzu, le ho nel mio comodino!-
Detto, fatto: la ragazza dalla
chioma rosa aprì con dolcezza il primo cassetto del comodino,
mettendoci dentro le mani come se fosse stato il suo. Scostò il
caricabatterie del telefono, un mucchietto di calzini spaiati, una
confezione di preservativi quasi vuota...quello era grave, dovevano
ricordarsi di quell'acquisto...prima di lanciargli dolcemente il
blister contenente un paio di pile nuove di zecca.
- Ora non potrà
più lamentarsi del mondo troppo silenzioso per i suoi gusti!-
esclamò il ragazzo, inserendo le batterie e accendendo
l'altoparlante – Potrà ascoltare tutta la musica che
vuole, dove vuole, quando vuole!-
- Esattamente, dove hai intenzione di
appiccicarglielo?- domandò Kotori, dubbiosa – In fronte?-
- Aha, certo! In bella vista!-
- ...Tu sei un pazzo-
- No, sono solo uno che vuole tanto divertirsi!-
- Divertirsi a spese degli altri!-
- E vabbé, è l'unico effetto collaterale! Restate qui-
Era chiaro che Yuzu e Kotori
non gli avrebbero mai obbedito, troppo curiose com'erano, ma a Yuya la
cosa non diede alcun fastidio, anzi: sogghignò tra sé
quando notò la sua compagna prendere il cellulare e cominciare a
riprendere l'intera scenetta.
Il solo pensiero di aver
rischiato di perderla per sempre gli dava alla testa. Yuzu non faceva
altro che ripetergli che l'avrebbe aspettato per sempre, anche se lui
non si fosse mai più fatto vedere; Yuya non sapeva quanto di
vero ci fosse, in quelle parole, ma non era così curioso di
conoscere la risposta.
Si accovacciò accanto
al divano dove Yuma continuava a ronfare, a braccia spalancate e la
maglietta mezza sollevata a scoprirgli la pancia: con i capelli
lasciati liberi da pettinature strane era quasi irriconoscibile. Quasi
trattenendo il respiro, e tuttavia incapace di reprimere quel grosso
ghigno che gli deformava la faccia, Yuya aprì con delicatezza il
tubetto della supercolla e ne cosparse una buona quantità sul
retro.
L'improvviso squillare del
cellulare di Yuma lo fece trasalire. In una paurosa moviola, il ragazzo
osservò il braccio del suo collega muoversi in direzione del
telefono, a pochi centimetri da lui, per prenderlo e disattivarne la
sveglia, prima di lasciarlo morbidamente cadere sul materasso e tornare
a dormire come se niente fosse. Teso come la corda di un violino, Yuya
si voltò verso le due ragazze: il tenerissimo duo riusciva a
stento a trattenere le risate.
Doveva fare in fretta. Veloce
e preciso. Senza indugiare oltre posò l'altoparlante sulla
fronte di Yuma, attendendo qualche secondo perché questo
aderisse bene, prima di voltarsi e tornare rapidamente nella stanza in
punta di piedi. Yuzu non riuscì a trattenersi oltre e
saltò sul materasso, affondò la faccia nel cuscino e
scoppiò in una forte risata.
A volte pensava di essersi fidanzata con un pazzo. Ma solo a volte.
- E ora diamo il via alle danze!-
Afferrando il suo cellulare,
Yuya settò rapidamente le impostazioni giuste per collegarsi con
l'altoparlante ora ben appiccicato alla fronte di Yuma; qualche attimo
dopo eccolo che scorreva velocemente la playlist del suo smartphone per
selezionare la prima canzone da mettere in riproduzione.
The Vulture dei Pendulum
risuonò a tutto volume per la cucina abitabile. In un primo
momento Yuma non sembrò percepire nulla intorno a sé, ma
quando la canzone entrò nella sua parte più ritmata
sembrò scuotersi completamente: il ragazzo si rizzò a
sedere di scatto, quasi fosse tirato da invisibili fili, e prese a
sbraitare.
- YUYAAAAA!- urlò, con tutto il fiato che
aveva in gola – ABBASSA QUEL CAZZO DI VOLUME!-
- Come ha fatto a sapere che ero
io?!- sibilò Yuya per tutta risposta, coprendosi la bocca
ghignante e fermando la riproduzione musicale.
- Forse perché sei l'unico che conosce che
ascolta i Pendulum?- avanzò Kotori, frenando le risate.
- Aaaah, ma che fa?! Si è riaddormentato?!-
- Aspetta aspetta! Ci provo io! Come ti sei collegato?-
- Vieni, ti faccio vedere!-
Dopo qualche tentativo
fallimentare, anche Kotori riuscì a collegarsi al piccolo
altoparlante, e lo imitò cercando la canzone prescelta nella sua
playlist. Inizialmente non capì cosa cercasse con tanto fervore,
ma quando sentì le familiari note di Gangnam Style non
riuscì più a trattenere le risate, crollando ignobilmente
a sedere a terra mentre Yuma si rimetteva di nuovo seduto, gli occhi
stretti e il naso arricciato in un'espressione indecifrabile. Rimase ad
osservare il vuoto per qualche secondo prima di rendersi conto che
FORSE c'era qualcosa di strano che gli tirava leggermente la pelle
della fronte. Alzò una mano e si tastò comicamente
l'altoparlante bluetooth, prima di voltarsi verso loro tre con sguardo
truce.
- Tutto ma Gangnam Style NO!-
sbottò poi, scattando in piedi – Non la sopporto quella
canzone! Spegnetela! Maledizione! AAAAAHIA!-
- Yuma no! Cazzo, è
incollata!- gridò Yuya tra le risate, quando vide l'amico
afferrare il cubetto con la destra e cercare di tirarlo via.
- Co-COSA?! Come sarebbe a dire?! Yuya razza di DEFICIENTE!-
- AH! NOOOO!-
Troppo tardi per correre a
nascondersi: con una velocità impensabile perfino da un
iperattivo come lui, Yuma saltò giù dal divano letto e
corse letteralmente dal compagno dai capelli verdi e rossi, caricandolo
e sbattendolo di peso sul letto dove Yuzu stava ancora ridendo,
costringendola a piegare le gambe sul petto per evitare di essere
travolta dai due compagni. L'urto lasciò i due senza fiato, e
Yuya scoppiò a ridere come un cretino, con Yuma che non sapeva
se ridere a sua volta o scaricargli addosso il suo migliore repertorio
di insulti.
- Mi hai incollato sta roba alla
fronte?!- sibilò poi, indicandosi con foga l'altoparlante con
entrambe le mani – E mi dici come la tolgo adesso?!-
- Molto semplice! Non la togli!-
- COME SAREBBE A DIREEEE?!-
- Ahahahah! Andiamo, non te la prendere! È uno scherzo innocente!-
- E per uno scherzo innocente devo stare con questo coso appiccicato in faccia A VITA?!-
- Non a vita! Solo per questa sera!-
- IO TI AMMAZZO!-
L'istante dopo, Yuzu e Kotori furono costrette a lanciarsi in mezzo ai due, per evitare il pestaggio.
Pareva proprio che Yuma non l'avesse presa così bene...
Si risvegliò
autonomamente pochi minuti prima che la sveglia le segnalasse le dodici
e mezza. Aki spalancò gli occhi sul soffitto, godendosi per
qualche attimo il silenzio.
Il suo sonno era stato
piuttosto agitato. Dopo quella giornata in cui aveva toccato tutti gli
spettri dello stato d'animo umano, Aki era crollata sul materasso senza
neanche svestirti: si era spogliata nella notte, complice il caldo
soffocante e il ventilatore che le dava davvero poco sollievo, ma
quando si abbandonava tra le braccia di Morfeo i mostri tornavano
subito. I mostri, gli incubi, le insicurezze, decine di immagini
oniriche le bombardavano la testa, in un turbinio di situazioni
paradossali e scollegate tra loro che le avevano disturbato il sonno e
portata ad aprire gli occhi almeno ogni ora.
Si mise lentamente a sedere,
stropicciandosi gli occhi malamente struccati. Le bruciavano un po',
probabilmente aveva anche pianto, ma non se lo ricordava.
Il pensiero corse subito alla sera precedente.
Yusei l'aveva accompagnata a
casa, per cambiarsi d'abito e indossare qualcosa di più comodo
per stare al Pharaoh's. Aveva fatto qualche allegro commento sul suo
appartamento, notando quanto lo stesse arredando bene: aveva aggiunto
delle tende nella camera da letto e nella cucina abitabile, usando le
sfumature di malva per la stanza dove dormiva e le gradazioni del
giallo per la seconda. Yusei si era stupito di quanto fosse piccolo,
quell'appartamento: Aki gli aveva spiegato che, dopo aver vissuto anni
in una casa grande abbastanza per perdersi, aveva volutamente cercato
qualcosa di piccolo e facile da gestire, che le desse un aspetto
più intimo e meno imponente, meno “freddo”.
Erano poi tornati al Pharaoh's
Kingdom, sempre in sella alla sua moto: già il secondo giro aveva avuto
un impatto diverso sulla ragazza, rapidamente abituata alla nuova
situazione. Cominciava davvero a piacerle, e non aveva potuto fare a
meno di notare come la sicurezza di Yusei, già lampante nel suo
lavoro, si rifletteva anche sulla conduzione della moto. La faceva
piegare e curvare con pochi, semplici spostamenti del corpo,
oltrepassando la fitta muraglia costituita dal traffico cittadino come
se non esistesse.
Abbracciarlo per reggersi a
lui non era più stato così strano o imbarazzante: Aki
aveva iniziato a vederla come una necessità. Non c'erano appigli
che le permettevano di restare in sella senza rischiare di essere
sbalzata via ad ogni cambio di andatura, e Yusei non sembrava farne un
problema, anzi. Considerando che lui stesso era stato il primo ad
invitarla ad un simile contatto, Aki aveva seguito di nuovo le sue
indicazioni e si era stretta a lui. Gli aveva restituito la giacca: non le andava che girasse a mezze maniche per far
stare più riparata lei, per cui si era munita di una giacca in
similpelle rossa e aveva reso l'altra al ragazzo.
Eppure era ugualmente riuscita a percepire il suo calore, quando l'aveva stretto. Istintivamente, aveva sorriso.
E l'avere la serata libera
dall'attività lavorativa l'aveva messa in condizioni di poterlo
osservare meglio al lavoro, in quello che sembrava il suo habitat
naturale. Era divertente guardarlo mentre dava ordini a Yuma e Yuya,
mentre cercava di tenerli a bada e li esortava a non perdere tempo in
stupidi giochi o rotazioni eccessive delle bottiglie. Le aveva portato
il suo analcolico preferito, le aveva chiesto se stava bene, le aveva
accarezzato la testa e aveva chiesto ai ragazzi delle cucine di
prepararle un vassoio di dolci. I loro occhi si erano incrociati
spesso, lui dal bancone e lei dal piccolo tavolo singolo a lei
riservatole, un gioco di sguardi e silenziosi dialoghi che nessuno
aveva voluto disturbare. Neanche Atem, quella sera sostituto di Judai:
era rimasto ad osservarli in silenzio, prima uno e poi l'altra, con
l'ombra di un sorriso sulle labbra. Come se aspettasse quella scena.
Purtroppo la serata non aveva
avuto esito tranquillo. Suo padre l'aveva contattata per telefono,
avvisato dell'uscita di scena della figlia durante la festa: le aveva
comunicato che lei e il suo amico teppista avevano quasi rischiato di
far rompere un fidanzamento, complice l'insinuazione di Yusei
sull'effettiva autenticità dell'orologio, confermata poi dopo un
accurato esame dei materiali di cui era composto. La giovane Kochiyo
era entrata in una crisi di panico che l'aveva scossa e lasciata in
lacrime per mezz'ora, zia Sakue l'aveva chiamato su tutte le furie e
aveva sputato veleno come se non ci fosse stata possibilità di
vedere un nuovo giorno. Sua madre era profondamente costernata dal suo
atteggiamento e lui...lui sembrava davvero deluso.
Aki aveva faticato. Aveva
faticato a spiegargli come le cose erano effettivamente andate, cosa
era successo, cosa era stato detto: aveva sudato quando aveva dovuto
spiegare chi fosse Yusei e come mai era con lei, perché lei
frequentasse un ragazzo che aveva visitato la Struttura come gli era
stato comunicato. E infine, quasi a voler mettere la ciliegina sulla
torta, l'aveva rimbeccata ancora sulla sua scelta di vivere un futuro
lontano dalla famiglia, ripetendole che stava sbagliando tutto, che era
un'incosciente irrispettosa e che era il caso che lasciasse perdere e
tornasse a casa.
Lì aveva visto rosso.
Si era alzata, avvicinata alla porta di vetro della sala e aveva
cominciato a sbraitare. Non ricordava neanche cosa avesse detto di
preciso, ma il rabbioso fiume in piena di parole aveva fatto ammutolire
suo padre, dall'altra parte della linea. Si era fermata solo quando si
era resa conto che l'uomo aveva interrotto la comunicazione.
Aveva pianto come troppo spesso le era accaduto in quegli ultimi tempi, e a quel punto Yusei si era fatto avanti.
Non era riuscita a non
guardargli, per l'ennesima volta, il segno dorato che gli percorreva il
lato sinistro del volto: l'aveva osservato bene, il marchio della
Struttura, quella sottile linea dorata che l'aveva bollato a vita come
delinquente, sebbene la storia fosse davvero molto più
complicata e molto meno scontata di quanto appariva. Aveva studiato
tutte le pieghe di quella linea, il modo in cui svettava sulla sua
pelle ambrata come un segnale di pericolo illuminato nella notte: un
carcerato della Struttura, un tipo probabilmente pericoloso, stare alla
larga. Ma tutto quello che aveva visto, e che continuava a vedere, era
solo un giovane uomo che aveva perso tanto e stava faticosamente
ricostruendo la sua vita da zero; e che, nonostante tutto quello che
aveva messo in gioco, tutto lo schifo in cui era passato, trattava le
altre persone con un rispetto fuori dall'ordinario.
Quando le aveva poi promesso
che avrebbe fatto in modo di non farla ma più piangere, ecco,
lì aveva cominciato a raschiare il fondo. Aki era stata scossa
da un nuovo scoppio di lacrime calde e gli si era letteralmente
lanciata tra le braccia. E poco le era importato di tutti gli sguardi
della crew puntati addosso, non aveva badato a quella scomoda
sensazione di essere diventata il centro dell'attenzione, il punto su
cui convergevano tutti o quasi gli sguardi della sala: in quel momento,
aveva solo badato alle mani e braccia di Yusei che risalivano
lentamente la sua schiena, ricambiando poi la stretta con dolcezza. Non
aveva più parlato, limitandosi ad attenderla mentre piangeva
tutte le lacrime che aveva da versare, finché il suo pianto non
si era ridotto a qualche singhiozzo isolato.
Solo allora Atem si era fatto
avanti e le aveva proposto di tornare a casa, di accompagnarla di
persona: era stata indubbiamente una giornata poco piacevole per lei,
quella appena trascorsa, e sebbene non avesse voluto scendere nei
dettagli, Aki aveva capito che lui sapeva. In quel momento le era
tornata in mente quella mattina in cui l'aveva convocata nel suo
ufficio e le aveva mostrato i tarocchi egizi: l'immagine dell'Arcano
della Persuasione le era balzata in mente come un flash fotografico.
Il conseguimento di un
discorso, e di un obiettivo. A patto che tu sia perseverante e non
perda la speranza. Vedi, alcune questioni familiari, insieme a intoppi,
infamie e gelosia, potrebbero condurti a perdere degli amici...ma la
tua ostinazione sarà degnamente ripagata con nuovi rapporti
rigenerativi.
Perdere degli amici, aveva
detto Atem: considerati gli eventi successi ventiquattro ore prima, Aki
poteva dire tranquillamente di aver perso un'intera famiglia, ormai.
Ora che era stato reso pubblico che la figlia del senatore Izayoi
lavorava in un locale notturno (perché sia mai che si dicessero
le cose così come stavano...) e frequentava un bruto che aveva
soggiornato nella Struttura, poteva tranquillamente dire di aver perso
ogni posizione che le spettava nell'alta società.
E il bello era che non gliene importava nulla.
Quando il telefono
squillò, non gli diede neanche peso, convinta che fosse
l'allarme della sveglia; le occorse qualche secondo per leggere il nome
di Atem sul display. Lo sbloccò velocemente e rispose alla
chiamata.
- Pro-pronto?!-
- Buongiorno a te, Aki. Dormito bene?-
La voce calda di Atem le
causò un brivido lungo la schiena. Era così limpida e
chiara che sembrava di averlo davvero a pochi centimetri di distanza.
- ...Diciamo di sì-
rispose poi la rossa, grattandosi la testa e lasciando ricadere il
braccio destro a lato del suo corpo - Ho avuto nottate migliori,
comunque-
- Immaginavo. Non credo sia
necessario ripetertelo, ma se dovesse servire hai tutta la crew pronta
a sostenerti. Non farti scrupoli a parlare di quello che ti preoccupa.
Ovviamente, se te la senti di ripercorrere i momenti e spiegare, e se
te la senti di raccontare certe cose a quelli che sono,
fondamentalmente, degli sconosciuti. In qualunque momento, noi siamo
qui-
- Va...va bene. Grazie-
In quel breve attimo di silenzio che seguì, Aki giurò di averlo percepito sorridere.
- Indovina dove sono ora?- le chiese poi il Faraone, Aki aggrottò le sopracciglia.
- ...a giudicare dall'ora, a casa tua?!- buttò
lì lei, incerta: che razza di domanda era quella?
- Diciamo di sì...sembra che anche tu abbia
cominciato a pensare al Pharaoh's Kingdom come una seconda casa, mh?-
- ...è così palese?-
- Lo consideriamo tutti. È un altro dei motivi
per la quale tutti si ritrovano lì, anche nei giorni di riposo-
- Capisco. Quindi sei al locale?-
- Esattamente, nel mio ufficio. Ho quattro carte davanti, quale di queste volto?-
Fu improvvisamente chiaro cosa intendesse fare. Aki si mordicchiò il labbro inferiore, incerta.
Non aveva mai preso sul serio
quelle robe...strane, come la lettura delle carte o della mano e
affini: le aveva trovate sempre confusionarie e dai significati fin
troppo ampi, e come Atem stesso le aveva confermato ognuno ci leggeva
quello che voleva, in quelle carte. Non aveva molto senso, farsi
predire il futuro da qualcosa che non era una scienza esatta, ma solo
una formula il cui esito dipendeva dagli occhi di chi guardava.
Poi ripensò alle parole
di Atem di quella mattina: le carte erano come una piantina stradale,
le aveva detto. Mostrano le vie possibili, ma non certo obbligatorie.
Un modo come un altro per aprirsi la mente a più
possibilità.
- ...la seconda- gli disse poi, dopo un attimo di pausa – Dalla tua sinistra-
- Mh! Non crederai mai a cosa è tornato!-
- Fammi indovinare? La Persuasione?-
- Esattamente. La previsione della precedente volta è confermata-
Aki sorrise amaramente. Altri guai in arrivo, sembrava dire. E figurarsi.
- Vuoi voltarne un'altra?-
- Quella subito dopo-
- ...Oh. Interessante-
- Cosa c'è di interessante?-
- Sai cosa si è rivelato?-
- No. Cosa?-
- Diciassettesimo Arcano, La Speranza-
Per un attimo fu tentata dal chiudere la telefonata. L'ironia era troppo sottile.
- Che-che cosa vuol dire?- domandò poi, la gola secca.
- Lo sviluppo di intuizione e di
forza. Illuminazione e nascite. Ci sarà anche, se accompagnata
da insoddisfazioni, una piccola soddisfazione in egual misura-
- Mi stai quindi dicendo che potrò vedere quel covo di serpi saltare in aria?-
- Ahahah! Sì, mettiamola
così. Ecco, proprio questa rabbia che ti porti dentro:
verrà quietata, e ci saranno anche riconciliazioni-
- Riconciliazioni, eh? Vorrei proprio vedere-
- Non disperare, Aki: tutte le privazioni del passato verranno debitamente ripagate-
- Tu dici?-
- Certo. Basta che ricordi la Persuasione. O la
Forza. Cambiano i nomi ma non i significati-
- ...Ci proverò-
- Brava, quello che volevo
sentirmi dire! Se poi, oltre che a provare, riesci anche, saremo tutti
più contenti, soprattutto tu. Domani sera hai la serata libera-
- EH?!-
- Non prendermi per filantropo o
chissà cosa: è nel mio interesse che tu mi lavori con la
stessa efficienza dei giorni scorsi, e non puoi attingere a
quell'energia se sei così turbata nell'animo. Avrei preferito
farti riposare stasera stessa, ma io sono assente, ho altre...questioni
urgenti a cui pensare-
Aki ripassò in mente la figura di Mana.
- E tra l'altro, anche Yusei
riposerà domani. C'è meno urgenza di personale nella prossima
serata che in questa. E poi so che vi divertite quando io non ci sono!
Per cui non voglio privarti di questo divertimento!-
Aki ebbe la conferma ufficiale di avere a che fare con un matto.
- Solo, so che ti
chiederò l'impossibile, ma ci provo lo stesso: puoi dare un
occhio a quei mattacchioni e evitare che bevano in servizio?-
- Li minaccerò dicendogli che il Grande Fratello li sta guardando-
- Brava! Peccato che lì
in mezzo solo Yusei abbia letto 1984. Forse lo ha letto anche a Judai, ma non sono sicuro. Per cui ti basterà
ricordargli di un certo Terzo Occhio-
Mentre chiudevano la
comunicazione, Aki ripensò alla mattinata in cui Atem le aveva
letto le carte, nel suo ufficio, e alla strana sensazione di essere
scrutata, effettivamente, da un terzo occhio.
Sembravano tutti prendere quella caratteristica troppo sul serio, per considerarla solo uno scherzo.
****
- ...Io non voglio sapere cosa sta succedendo. Sono
appena arrivato e sono già stanco-
Yusei si stropicciò gli
occhi, costernato, mentre scorreva rapidamente la home di Instagram sul
suo smartphone. Aki si voltò verso la direzione da cui sentiva
quella musica: esattamente dal basso, dalla scala da cui si saliva per
accedere alla terrazza. Judai si voltò ad osservare i due
bartender mentre facevano la loro rumorosa entrata in scena, seguiti da
Yuzu e Kotori. Più di tutto, ad attirare la loro attenzione, fu
Yuma, o meglio il suo profilo che sembrava aver guadagnato una strana
protuberanza cubica. Dovettero attendere che si avvicinasse un po' di
più perché si rendessero conto trattarsi di un piccolo
altoparlante bluetooth. Aki sgranò gli occhi, incredula, mentre
Judai si piegò in due dal ridere e Yugi, intento ad
apparecchiare la seconda metà del bancone, si affrettava a
cercare qualcosa sul cellulare senza smettere di ridere.
- Ahahaha, molto divertente,
massa di squilibrati- commentò Yuma sarcastico, ghignando
beffardo – Divertitevi pure finché non si stacca!-
- Ohohoh, puoi giurarci!-
esclamò Judai, asciugandosi una lacrima spuntata alla base
dell'occhio destro – Preparati per un'infernale serata!-
- Yuya, amico mio...ti voglio un
bene dell'anima, mi getterei nel fuoco per te, ma GIURO a volte ho
voglia di riempirti di cazzotti-
- Oh andiamo dai! Ti stai
divertendo un sacco anche tu!- protestò l'altro, fronteggiandolo
con un grosso sorriso – Hai sparato tutte quelle canzoni idiote
in auto! Questo sbandato ha l'intera discografia apparsa fino ad ora su
tutte le versioni uscite di Dance Dance Revolution! Io non potevo
crederci!-
- Meglio di quell'Oppa Porcaputtanaharottolepalle Style!-
Senza aspettare la sua
risposta, Yuma allungò una mano e artigliò gli
occhialetti del compagno, tirandoli quel che bastava per farglieli
schiantare in faccia. Yuya sobbalzò all'indietro, gridando di
sorpresa, prima di alzargli gli occhialetti e scoppiare a ridere come
un idiota: due invidiabili cerchi rossi gli contornavano gli occhi
diversi.
- Chi ha messo Dark Horse ora?!- sbottò Yuma
tra le risate, quando sentì la musica partire dall'altoparlante.
- Perdonami Yuma, non ho
resistito!- esclamò Yugi, ghignando dietro il bancone degli
stuzzichini, mentre gli mostrava lo smartphone con uno sventolio.
- TU?! Tu non eri quello che ascoltava gli Avenged
Sevenfold a colazione, pranzo, cena e merenda?!-
- Ringrazia Atem, è lui che mi ha azzeccato questa canzone-
- Atem?!- Yuma era semplicemente allibito – Quello che ascolta musica classica?!-
- Se per musica classica intendi i Rhapsody Of Fire, sì, parliamo di quell'Atem-
- Quelli o gli Alestorm-
- Gli Alestorm li ascolto io. Lui sente spesso gli
Orphaned Land, sai...Estarabim, Estarabim!-
- ...e gli piace Katy Perry?!
- Da morire-
- Perdonami ma non lo vedo proprio a cantare California Girls sotto la doccia...-
- Sotto la doccia non canta affatto, infatti-
- Yugi era un modo di dire...-
- Ma gli piace ascoltare e
vedere qualcosa di più leggero e trash, ogni tanto. Avreste
dovuto vederlo quando guardò il video di Wrecking Ball la prima
volta, era lì per morire dalle risate...-
- A proposito, oggi riposa?- domandò allora
Yuya, sfregandosi gli occhi. Aki annuì.
- L'ho sentito questa mattina- spiegò poi.
- Mmmmh. E ti ha anche detto se passava?-
- Non direttamente. Mi ha detto che ha delle questioni urgenti da risolvere-
- Questioni urgenti le chiama ora, eh?-
Yuya arricciò il naso e
si portò una mano sotto il mento, scrutando i compagni durante
quell'attimo di silenzio creatosi.
- Mana- disse poi, facendo spallucce.
- Sì, Mana- lo seguì Yuma.
- Definitivamente Mana- annuì Yusei.
- Assolutamente Mana- confermò Judai.
- Yugi, sei sicuro di voler tornare a casa, stavolta?- domandò Yuma, circospetto.
- Non ci torno, a casa- rispose Yugi, con un'alzata
di spalle – Sono ospite di Jonouchi. Insieme a Honda e Bakura-
- ...ti sei premunito stavolta, eh?-
- Diciamo che voglio evitare errori del passato-
- Potevi approfittarne per imparare qualcosa quella volta, no?!-
- Non ho assolutamente nulla da imparare, fidati-
- Questa conversazione sta diventando davvero strana- notò Aki, incerta.
- Fidati Aki, questa
conversazione è anche troppo tranquilla per i nostri standard-
la rassicurò Yusei, con un sorriso divertito.
- Sul serio, a volte mi ritrovo
ad invidiare la carica erotica di quel tipo- borbottò Judai,
sistemando un piatto sul bancone – Ne è completamente
circondato! Secondo me anche Mai Kujaku ci ha fatto un pensierino
qualche volta!-
- Mai Kujaku è stata la prima, credo- notò Yuya.
- Ah quindi c'è stato qualcosa tra quei due?!-
- Secondo te da dove viene tutta quella confidenza?
Nessuno dei due va a sbandierarlo ai sette mari ma è palese-
- Bah, non mi stupirei se un giorno entrasse al
Pharaoh's con un harem di fanciulle dietro...-
- Ehi, hai presente le ragazze
del Dark Magician? La moretta, la biondina e quell'altra che cambia
colore di capelli ogni settimana, giorno più o giorno meno?-
- La biondina non è Mana? O ce n'è un'altra?!-
- Ce n'è un'altra! E credo se la intende anche con quelle là!-
- Su questo permettetemi di deludervi- avanzò
Yugi – Quelle hanno gli occhi puntati su di me-
Aki sbatté gli occhi
confusa, nel vedere il resto della crew del Pharaoh's Kingdom, comprese
Yuzu e Kotori, voltarsi all'unisono verso il ragazzo e guardarlo tutti
con la stessa, lestofante espressione! La rossa indietreggiò,
quasi spaventata.
Gli standard di conversazione si stavano alzando molto rapidamente...
- Ohoooo, ma davvero! Il
prossimo in linea di successione ricalca bene le orme del maggiore!-
esclamò Yuya, con sguardo scintillante e una mano ad accarezzarsi il mento.
- Anche tu Yugi, cazzo...-
borbottò Judai, scuotendo il capo – Come diavolo fai! Ehi,
chi si ricorda quella cinesina al contrario? Victoria, Vera, come si
chiamava...-
- Vivian-
- Vivian! Quella fu una conquista da ricordare!-
- Quella aveva gusti troppo estremi per me. Quando ha
tirato fuori collare e guinzaglio ho avuto seriamente paura...-
- Poi davanti ad Anzu perdi la facoltà di
pensiero e parola, io non lo so...AHIA! Ma sei matto?!-
Il bicchiere da shot scagliato
da Yusei rimbalzò dalla testa del castano sul tavolo degli
stuzzichini, con una precisione di traiettoria che sembrava calcolata.
Judai si portò una mano al punto colpito, voltandosi a scrutare
il compagno con sguardo assassino.
- Tu devi solo stare ZITTO!-
soffiò Yusei, già armato di un altro bicchiere e pronto
ad un altro lancio – Tu che con Alexis hai le capacità di
comprendonio azzerate!-
- Ma quando mai?! E poi dopo tutto quello che ti ho
raccontato, la pensi ancora così su di me?!-
- Certo! Perché se nasci
tondo non puoi morire quadrato! Per me cretino resti, per il solo fatto
di aver impiegato tutto 'sto tempo per decidere di che morte morire, tu
e il tuo rapporto con Alexis!-
- Ma porcamiseria! Ma ti ho anche spiegato le mie motivazioni! Io--
- Prosciutto!-
- Che bordello!- esclamò Yugi, allargando le braccia.
- Toh, bevici su-
Senza dargli tempo per
rispondere, Yusei gli porse un bicchiere collins, pieno di quello che
Aki riconobbe come un Cuba Libre. La rossa spalancò gli occhi,
sorpresa: quando l'aveva preparato, quello?!
- Proprio del bere vi volevo
parlare- esclamò Aki, dopo un attimo di incertezza – Atem
mi ha chiesto di dirvi che c'è un...un terzo occhio che vi
guarda-
- Il silenzio fu generale, e
molto diverso da quello che li aveva inglobati prima di farsi domande
sull'effettiva vita sentimentale del padrone di casa: era un silenzio
carico di incertezza e tensione, dove Judai alzò lo sguardo su
Yusei e il capobar annuì col capo.
- Bevi quello e basta- gli disse
poi – A tutti quanti, comprese voi due BESTIE...niente
bicchierini in servizio. Facciamo alla chiusura-
Yuma e Yuya non trovarono nulla con cui replicare. Aki rimase ad osservare la scena sconcertata.
E seppe che no, il terzo occhio che aveva intravisto sulla fronte di Atem non era un sogno.
****
Le Harpy Ladies erano un trio
di ragazze dalla bellezza disturbante e lo sguardo perforante, oltre ad
essere dotate di una voce potente e meravigliosamente evocativa. Sul
palco della terrazza del Pharaoh's Kingdom, si stavano esibendo in una
serie di pezzi originali e cover, oltre ad interessantissimi mashups,
accompagnandosi con il violoncello della giovane dai lunghi capelli
rossi, seduta tra le due compagne. Quello, insieme ad altri semplici
strumenti, tra cui un rullante, fungeva da accompagnamento strumentale
alla loro splendida voce. Aki ne era rimasta assolutamente incantata:
tre sensuali ed ammalianti sirene che stregavano occhi e orecchie di
chi le ascoltava, e proprio quel loro sguardo la inquietava: sembravano
pronte a far di un solo boccone chiunque presente in sala.
- Due Cosmopolitan, un Bacardi e uno Strawberry
Mojito- disse la rossa, avvicinatasi al bancone.
- Iiiin arrivo!- esclamò
Yuma, momentaneamente dimentico dell'altoparlante appiccicato alla
fronte. Nell'arco della serata, erano state molte le volte in cui era
stato messo in funzione, facendo esasperare il giovane bartender.
- Atem mi ha concesso la serata libera, domani-
continuò Aki, attirando l'attenzione di Yusei.
- Lo sappiamo- rispose il moro – Ci ha mandato un messaggio in conversazione-
- Conversazione?!-
- Sì, abbiamo una
conversazione di gruppo sui telefoni, in cui ci scambiamo orari e
informazioni lavorative. PURAMENTE LAVORATIVE-
- Uffaaaa, sempre a puntualizzare la cosa...-
borbottò Yuya, mentre terminava di preparare il primo
Cosmopolitan.
- In realtà è
stata creata dopo che la prima conversazione era stata trasformata in
una fiera di tette, gatti e videogiochi-
- ...Non voglio sapere altro-
- Figuriamoci-
Alle sue spalle, Aki
percepì la figura di Judai inchiodare di colpo, quasi qualcosa
gli avesse ancorato i piedi al suolo. La rossa si voltò a
guardarlo, incerta e, in un certo senso, preoccupata. Era impallidito
di colpo, neanche avesse visto un fantasma; ma a fare il suo ingresso
in terrazza era stata semplicemente Alexis, impeccabile e bellissima
nel suo vestitino bianco ottico. Si guardò intorno, scrutando la
folla, e quando si accorse della presenza di Judai si illuminò
di colpo e fece per avanzare in sua direzione, salvo poi fermarsi
quando Judai le fece cenno di restare lì dov'era. Il giovane
chef si slacciò velocemente il grembiule e lo lasciò sul
bancone, senza rivolgere né una parola né uno sguardo a
Yusei o a nessun altro, gli occhi puntati sulla figura della ragazza.
Le si avvicinò a passo
spedito, invitandola ad allontanarsi ulteriormente verso il sentiero
d'acqua, lontani dalla folla e dai compagni. I loro discorsi, complici
la musica e la distanza, divennero incomprensibili.
- Bene, eccomi qui- cominciò Alexis,
spostandosi una ciocca bionda dietro l'orecchio destro –
Come...come va?-
- Bene- annuì Judai, la gola secca – Si
lavora, c'è gente, si passa il tempo-
- Ah-ha, vedo. Mmmh...novità?-
- Nessuna-
- A casa tutto bene?-
- Tutto bene-
- Yusei? La moto?-
- Alla grande-
- Aki?-
- Bene anche lei-
- Bene-
- Già-
Seguì un attimo di
silenzio, carico di incertezza e tensione. Alexis si torse le mani,
tracciò distrattamente un piccolo cerchio con la punta del piede
destro, Judai si mordicchiò il labbro inferiore.
Sapeva che sarebbe finita
così, a fare il gioco degli sguardi e dei silenzi. Sapeva che
quello che aveva fatto avrebbe inevitabilmente causato un punto di
rottura nel loro rapporto. Ora dipendeva tutto da lui, se salvare la
situazione o continuare a battere su quel punto fino a sfondare la
vetrata.
Ormai era da quasi ventiquattro ore che si dava del cretino.
- Ascolta...-
Parlarono insieme,
all'unisono, con una coordinazione che mai si sarebbero aspettati,
neanche si fossero messi d'accordo. Si guardarono in volto, sorpresi, e
la situazione si sciolse un pochino, complice la risata imbarazzata di
Alexis e il sorriso di Judai.
- C'è una cosa di cui devo parlarti-
esordì Alexis, guardandolo timidamente negli occhi.
- Già, anche io-
- Ecco-
- Chi comincia?-
- Tu, la tua cosa è molto più importante della mia-
- E chi l'ha detto?-
- Io. La mia cosa viene dalla fiera delle ovvietà-
- Mh. Punto tuo. Va bene, allora comincio io-
Judai prese un bel respiro, le
mani sui fianchi; strusciò distrattamente un piede a terra, si
stropicciò un occhio, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di
lei.
- Sono un cretino-
- Ma che diavolo stanno facendo?!- domandò
Yuya, incuriosito, gli occhi puntati sulla coppia allontanatasi poco
prima.
- Parlano Yuya, parlano!-
rispose Yuma, accanto a lui, ancora con quello stupido altoparlante
appiccicato in fronte – Ma da qui non si sente un tubo!-
- Ehi, voi due! Bestie!- li richiamò Yusei, quasi infastidito.
- Ehi! Non stavamo facendo nulla di male!-
- A parte ficcanasare come due
comari! Tornate alle vostre posizioni! Mancano un altro Cosmopolitan e
lo Strawberry Mojito, chi ci pensa?-
- Tu!-
- Ma non penso proprio!-
Di nuovo, nella testa di Aki
si formò ancora l'immagine di mamma gatta con i suoi micini:
Yusei si avvicinò ai due colleghi e li afferrò per il
colletto della camicia, sollevandoli entrambi e riportandoli alle loro
postazioni. La rossa trattenne una risata, coprendosi la bocca con un
paio di dita.
- Sono un cretino- ripeté
Judai, meritandosi un'occhiata sorpresa da Alexis – Sono un
cretino perché per tutto questo tempo non voluto accettare
quello che era ovvio. E mi dispiace che sia stata tu quella ad andarci
in mezzo, ma come ti ho già detto sono un cretino e dovrai
aspettartele spesso da me, queste idiozie-
- Judai, cosa--
- Per tutto questo tempo non ho
fatto altro che cercare me stesso in altre relazioni, spesso anche
complicate. Alcune anche pericolose, c'è stato un periodo in cui
me ne andavo con ragazze fidanzate, fai tu. E in tutto questo tempo ti
ho...ti ho ignorata, come un imbecille-
Alexis preferì restare in silenzio, limitandosi ad osservarlo con tanto d'occhi.
- Io ti avviso, sono un vero
fiasco con le relazioni– continuò Judai, prendendole
entrambe le mani tra le sue – Non ricordo i compleanni, e semmai
mi dirai che hai messo la data del nostro fidanzamento come password
del Wi-Fi allora resterò senza internet a vita pur di non
chiedertela ed evitare la figuraccia del cretino a cui sembra non
importare niente. Le mie abitudini alimentari fanno davvero schifo e
non ho pazienza di passare intere giornate in mezzo ai negozi. Non so
riconoscere le almeno dieci sfumature di rosa degli smalti e tiro calci
nel sonno. E in generale sono un tordo che si rende conto delle cose
troppo tardi, quando combina casini allucinanti e rischia di mandare
all'aria le relazioni sociali. Per cui, ammesso che tu voglia davvero
stare ancora con un cretino di questa portata, sappi che è
questo quello che ti aspetta. E anche peggio. Donna avvisata mezza
salvata-
- Hai finito?-
- ...Sì-
- Bene-
La giovane annuì,
passandosi la lingua sulle labbra e mordicchiandosi il labbro
inferiore, lo sguardo basso e le mani ancora strette tra quelle di
Judai.
Gli serrò le dita con forza, quasi facendolo sobbalzare.
- I compleanni non li ricordo
neanche io- cominciò poi – Devo segnarmeli ogni volta sul
cellulare ed impostare un promemoria giornaliero per ricordarmene. Sono
un fiasco con i regali, e odio farli perché non so mai come
uscirmene. La mia password Wi-Fi è sempre stata unoduetrequattro
perché mi secca ricordarmi qualcosa di più complicato. Le
mie abitudini alimentari sono peggio delle tue, sono solo stata
graziata da un metabolismo veloce e da una costanza per gli esercizi in
palestra. Sono anni che non faccio shopping al centro commerciale,
compro tutto online. Il rosa mi fa schifo. Quando dormo sbavo e bagno
tutto il cuscino. E non so cucinare, ogni volta che ci provo rischio di
mandare a fuoco la stanza e chiunque capiti nei paraggi. Per cui,
ammesso e concesso che io scelga di stare con un cretino della tua
portata, sappi che dovrai pensarci tu a nutrire l'uno e l'altra,
perché se aspetti me moriremo entrambi di fame-
- Sembra sensato. Allora? Che si fa?-
- ...Ma come che si fa?!...un tordo. Sei un tordo-
Alexis gli lasciò le
mani di scatto, per stringergli il volto tra le sue e azzerare la
distanza che li separava con un bacio.
Nel caos generale,
l'inequivocabile suono di una bottiglia finita in frantumi
arrivò alle orecchie dello chef. A seguire furono le urla e le
risate di Yuma e Yuya, mentre Yusei cominciò a sbraitargli
contro e a chiedere aiuto per pulire dietro al bancone. Sorrise nel
bacio, al pensiero che il capobar aveva FINALMENTE fallito una presa.
Strinse a sé Alexis, enormemente sollevato dal fatto di non aver
aperto gli occhi troppo tardi.
Col senno di poi, si rese
conto che la sua mossa azzardata della sera prima non gli aveva fatto
perdere nulla, essenzialmente perché non c'era nulla da perdere.
Aveva solo anticipato, con i fatti, quello che provava a parole.
Era strano sentirsi finalmente completi.
****
- Sei sicuro di voler stare ancora qui?-
domandò Aki, muovendo liberamente le gambe nell'acqua, seduta a
bordo piscina.
- Certo- rispose Yusei, seduto
accanto a lei – Dopotutto sono io che ho insistito
affinché Judai se ne tornasse a casa...secondo te cosa staranno
facendo, lui e Alex? Io eviterei di ritrovarmi davanti lo spettacolo-
- ...Avrei giurato che saresti stato pronto quantomeno a origliare-
- Non sono pettegolo come lui, ricordatelo-
Aki annuì e sorrise, voltandosi verso il sole nascente.
A serata finalmente conclusa e
a terrazza sistemata, la crew si stava finalmente concedendo il
sospirato relax in piscina. L'altoparlante appiccicato alla fronte di
Yuma si era poi staccato da sé, complici il sudore e la
supercolla non proprio super usata da Yuya; tuttavia, tanto per
sottolineare che lo scherzo era stato crudele e l'avrebbe pagata,
soprattutto per aver usato quel piccolo altoparlante per sparare
orgasmi a tutto volume quando non c'era musica, il giovane vittima
della marachella aveva trascinato Yuya in un tuffo in piscina mentre
erano ancora vestiti. Roba che Yusei, appena uscito dai camerini, aveva
assistito alla scena e si era schiaffato entrambe le mani sul volto,
scuotendo il capo e borbottando imprecazioni. Judai e Alexis erano
ormai lontani, ma Yuzu, Kotori e Yugi erano rimasti a fare foto stupide
ai due barman bagnati come pulcini, mentre si dimenavano nell'acqua
come ragazzini.
Yusei alzò lo sguardo
sulla ragazza, sorridendo sollevato nel vederla di nuovo rilassata e
sciolta. Sembrava che la giornata di ieri non l'avesse impensierita
troppo, o quantomeno che stesse provando a non pensarci: encomiabile
impegno, si vedeva quanto fosse desiderosa di voltare pagina.
- Hai detto di riposare domani?-
le domandò poi, disinvolto. Aki si voltò a guardarlo, i
due occhi nocciola sbatterono un paio di volte: un gesto talmente
femminile che Yusei provò istantaneamente tenerezza.
- Affermativo- rispose lei, reclinando lievemente il capo, come a volerlo osservare meglio.
- Mh. E se ci vedessimo?-
- Qui al Pharaoh's?-
- Anche. Ma pensavo a qualcosa di diverso, del Pharaoh's-
- Oh?-
- Pensavo ad un giro in moto, insieme. La sera-
- La sera?-
- Immagino che durante il giorno tu abbia delle cose
da fare. Io ho da studiare, sono rimasto un po' indietro-
- Studi? Non me l'avevi detto-
- Davvero? Ero convinto di avertene parlato-
- Mh-hm. Cosa studi?-
- Astronomia e astrofisica-
- Oh, uao! È...insolita, come scelta!-
- Lo so, ma ho questo pallino fin da bambino. Mi piacciono le stelle, tutto qui-
Tutto qui. E lo disse con una
tenerezza disarmante, facendo perfino spallucce. Un capobar,
appassionato di moto, vissuto in quel ciarpame galleggiante che era
stato il Satellite, finito in prigione per i suoi amici, e che
nonostante tutto continuava ad inseguire i sogni del bambino che era
ancora in lui, nascosto da qualche parte.
- Immagino sia anche per questo che ti piace uscire
la sera in moto, vero?- domandò poi Aki – Per vedere le
stelle-
- Già, ma non in
città. Devo spostarmi più lontano, dove so che le luci
cittadine non possono dare fastidio. Belle anche quelle però-
- Va bene-
- Uh?-
- Va bene ho detto. Ci sto. Usciamo insieme-
- Mi prometti di vestirti comoda?-
- Va bene!-
Rise, cogliendo l'allusione all'incriminato vestitino del giorno prima.
Quello poteva essere davvero considerato un appuntamento.
Decise di aprire gli occhi
solo quando il sole diventò più fastidioso. Ancora
avviluppata in un unico, grande bozzolo bianco di lenzuola, Mana si
voltò sul materasso, inspirando sollevata, sorridente.
Atem non era lì, ma
sembrava aspettarla in terrazza, placidamente steso sul divanetto in
tessuto, un modello molto simile a quelli che aveva al Pharaoh's
Kingdom. Contro la luce del sole, Mana riuscì a distinguere la
forma intricata del suo narghilè, posato sul tavolino.
Si districò fuori dalle
lenzuola, indossando la vestaglia da camera bianca che Atem le aveva
lasciato accuratamente piegata accanto a lei, prima di alzarsi in piedi
e uscire sulla terrazza; le gambe indolenzite le davano un'aria
deliziosa, ma temeva che quel segno rosso al collo non sarebbe andato
via molto presto. Quando finalmente raggiunse il Faraone, lui si
accorse della sua presenza e si tirò su, facendole spazio per
farla accomodare a sua volta.
Subito entrò nel caldo
rifugio offerto dalle sue braccia, un sorriso ad incresparle il volto.
Alzò gli occhi verdi verso di lui, osservandolo mentre, con gli
occhi ametista fissi verso l'orizzonte, traeva una boccata dal
narghilè e soffiava via il fumo, con una noncuranza che sembrava
studiata e che, inspiegabilmente, le piaceva davvero tanto, forse
troppo.
- Dormito bene?- le chiese poi,
abbassando lo sguardo per guardarla a sua volta, intrecciando le dita
tra le sue ciocche bionde. Mana annuì, sorridendo.
- Splendidamente- si limitò a risponderle lei, gli occhi che le brillavano.
- Forse ho esagerato un po' stavolta. Le tue compagne
non mi guarderanno più allo stesso modo-
Era chiaro che si riferisse al
segno rosso sul suo collo, quel marchio di possesso che le aveva
impresso in un momento di foga, tra un amplesso e un altro. Mana fece
spallucce, senza tuttavia togliersi quel sorriso dal volto.
- A me non dà fastidio- rispose – Anzi. Mi piace-
- Ti piacciono i morsi. Mh, questa dovrò ricordarmela-
Proprio non riuscì a trattenersi dallo sferrargli un buffetto sul naso, facendolo ridacchiare.
- Come mai già in piedi?- le domandò poi, prendendo un'altra boccata.
- Potrei farti la stessa domanda-
- Mah, ero solo un po' sovrappensiero per i ragazzi-
- Ma dai, se la saranno cavata alla grande!-
- Sicuro. Ho lasciato un messaggio ad
Aki da riferire loro, se sono stati coscienziosi e furbi avranno capito
e avranno fatto i bravi-
- ...A volte sei spaventoso, sai?-
- Lo so! Ma la cosa non mi preoccupa granché-
- No?!-
- No. Al momento sono più concentrato su come
convincere Seto Kaiba a far scendere quelle auto-
Mana annuì, osservando insieme al Faraone le decine di quattro ruote che solcavano l'aria sopra i grattacieli.
_________________________________________________________
Quanto c'è di vero
nell'affermazione "il lupo perde il pelo ma non il vizio"? C'è
tanto di vero ragazzi, ma tanto davvero.
No che mi ero dimenticata di questa storia! Mai potrei dimenticarmi di
nessuna delle mie storie, da quelle che più mi hanno divertito
nel scriverle, come questa, a quelle a cui ho importanti ricordi
legati, a quelle che si sono rivelate profetiche, come una storia a
tema fantasy iniziata nel lontano 2012 e che, complici alcuni
avvenimenti degli ultimi tempi, mi sono decisa a riprendere in mano e
riscrivere, migliorandone forma e contenuti. Non so se anche quella
finirà pubblicata, vedremo come si evolverà.
Sono successe molte cose negli ultimi tempi ragazzi: la mia carriera
universitaria mi ha messa di fronte ad una prima, molto dura sessione
di esami, e quella che sto attraversando adesso è anche peggio
se possibile. In più sono successe cose che mi hanno costretta
ad un veloce trasferimento d'urgenza: almeno mi sono avvicinata al mio
ateneo, a quanto pare con le sfighe qualcosa di buono arriva sempre!
E con questo capitolo chiudiamo finalmente una questione lasciata
aperta da un po' di tempo! Il magico rapporto che unisce Judai e Alexis
è ormai definitivamente decollato, Yuma e Yuya cominciano la
loro epopea di scherzi cretini e potenzialmente pericolosi, Aki e Yusei
continuano il gioco degli sguardi, Yugi continua a essere trattato come
la mascotte del gruppo e Atem pensa a come ricambiare il megascherzone
mattutino di Seto Kaiba. Mi sembra ordinaria amministrazione insomma!
Fatemi sapere! Sto tornando, arranco un po' ma sto tornando! <3
92Rosaspina
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Capitolo 14 *** 12. Drago Stellare Maestoso ***
Pharaoh's Kingdom 14
12. Drago Stellare Maestoso
Ogni atomo
nel tuo corpo viene da una stella che è esplosa. E gli atomi
nella tua mano sinistra vengono probabilmente da una stella differente
da quella corrispondente alla tua mano destra. È la cosa
più poetica che conosco della fisica: tu sei polvere di stelle.
Lawrence Maxwell Krauss
L'articolo riportava, con
grande dovizia di particolari, il paranormale evento che aveva visto
come sfondo uno dei distretti di Domino City: poco dopo le sei e mezza
del mattino, decine di auto in sosta si erano sollevate a decine di
metri d'altezza, muovendosi in cerchio su tutto il quartiere. Nessuno
era rimasto intrappolato all'interno di un abitacolo, ma lo spettacolo
era bastato per congestionare il traffico per almeno un quarto d'ora:
tanto era servito, perché le auto ritornassero con le ruote per
terra. E questo senza che venissero danneggiate in alcun modo: con la
stessa delicatezza con cui si erano sollevate dal suolo, così
erano ritornate ai loro parcheggi, come se nulla fosse successo.
Seto Kaiba sorrise, enormemente soddisfatto. Dal suo smartphone, digitò velocemente un breve messaggio.
Il mio turno è concluso.
Lo inviò senza troppi
preamboli al numero di telefono di Atem, prima di bloccare lo schermo
del dispositivo e tornare a fare colazione. In piedi sul balcone della
sua stanza, con la vestaglia sulle spalle e il telefono posato sul
tavolino accanto a lui, Seto posò lo sguardo sulla linea
dell'orizzonte dipinta dal mare, mentre staccava un piccolo morso dal
suo cornetto.
- Per quanto ancora andrà avanti questa sfida?-
La sua voce gli fece rizzare
il capo, ma non si voltò. Sapeva che era lì, ad
osservarlo dall'interno della sua stanza.
- Finché non verrà decretato il vincitore- si limitò a risponderle.
- Sono cinque anni che state gareggiando per decidere chi, dei due, sia il migliore-
- E impiegheremo altrettanti anni, se sarà
necessario. O questo, o farà quello che dico io-
- Seto...io non potrò tornare indietro, in alcun modo. E tu lo sai-
- Questo lo dici tu-
- Seto...oh-
Solo allora Seto Kaiba si voltò per osservarla, dopo aver masticato lentamente anche l'ultimo pezzo di cornetto.
La sua stanza, essenziale
senza privarsi di eleganza e funzionalità, era vuota: oltre a
lui non c'era nessuno, e la prima voce che sentiva era quella della
telecronista che annunciava il prossimo servizio al televisore lasciato
acceso. Ma la seconda voce, quella che solo lui poteva udire, era calda
e vellutata, flebile come una delicata carezza che troppo gli mancava.
Gli ci volle del tempo, prima
che i suoi occhi potessero distinguere il profilo evanescente della sua
figura. Bella come il più dolce dei ricordi, di fatto
intoccabile: visione mistica, quasi angelica, i capelli candidi le
circondavano il volto diafano come un velo da sposa, gli occhi blu
svettavano come zaffiri incastonati in un gioiello. Vividi, dolci,
eppure eternamente tristi.
- Non puoi rischiare così tanto. Non potete
entrambi- gemette la donna, coprendosi il volto con entrambe le mani
– Te lo chiedo ancora, metti fine a questa disputa. Non è
necessario. Non rischiate di coinvolgere qualcun altro. Già in
due abbiamo pagato per questo-
- Kisara...non posso- scosse il capo lui.
- Perché?!-
- Perché NON LO ACCETTO!-
Il suo fu un autentico grido
di dolore. L'immagine di Kisara sembrò tremare tutta, mentre
indietreggiava con il volto deformato dalla paura. Seto prese un bel
respiro e cercò di darsi un freno.
- Quello...quello che è
successo...- iniziò lui, lo sguardo basso – Non era
previsto. Neanche Atem aveva calcolato un simile rischio. Nessuno dei
due prevedeva...questo-
E la indicò con un vago cenno della mano destra, senza tuttavia guardarla.
- Atem non ha colpa, e lo sai- mormorò Kisara, scuotendo il capo.
- Questo lo dici tu. Lui poteva fare qualcosa per fermare quel...quel pazzo-
- Nessuno poteva prevederlo, Seto. Neanche lui. Non
è onnisciente come può sembrare-
- Non sarà onnisciente, ma tra i due è
quello che ha più contatti con quel...quel mondo. E so che
può fare qualcosa. So che può sistemare tutto-
- Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto-
- Il prezzo più alto lo abbiamo già
pagato. Lui ha ben due vite sulla coscienza e io...io ti ho persa-
- Tu non mi hai persa-
Quella che gli sfiorò
la mano destra sembrò una folata di vento arrivata da
chissà dove: Seto aveva imparato a riconoscerla come una sua
carezza, un suo disperato tentativo di raggiungerlo, toccarlo, sentirlo
ancora vicino a sé.
- Io sono sempre qui con te. Ovunque tu vada- gli mormorò, con un sorriso sul volto.
Seto alzò gli occhi su
di lei, cercando di scrutarla in volto, ma tutto ciò che
riusciva a vedere erano solo i suoi perforanti occhi blu, immensi nella
loro triste dolcezza, e il suo viso quasi confuso tra la luce e la
stanza. Provò ad alzare una mano, a raggiungerla, sfiorarle quel
volto diafano irrorato di luce: le sue dita afferrarono l'aria nel
momento in cui Mokuba fece il suo ingresso nella stanza.
- ...Fratellone?!-
La sua voce risuonò
lontana, come il richiamo di un pastorello alla ricerca della sua
pecorella smarrita. Seto sbatté gli occhi, puntandoli sulla
figura del fratellino appena entrato, vestito sempre più
elegante ogni giorno che passava. Quella mattina aveva scelto un
completo blu scuro, con i profili della giacca bordati in argento, ma
era senza cravatta: la reggeva nella mano destra, di lucida seta
azzurra.
- ...Posso chiederti di darmi una mano con questa?-
gli domandò poi, mostrandogliela – Ho provato a fare come
hai fatto tu l'altra volta, ma non ci riesco-
- ...Prova a mettertela, vediamo dove sbagli-
- Okay!-
Si sedette a bordo del letto,
mentre osservava Mokuba che, di fronte alla grande anta a specchio
dell'armadio, armeggiava sulla sua cravatta, cercando di annodarla:
aveva la punta della lingua stretta tra le labbra, in una simpatica
smorfia di concentrazione.
- Vado bene?- gli domandò, gli occhi fissi sullo specchio.
- Sì, Mokuba-
- Che hai questa mattina? Sei piuttosto...strano-
- Sono solo un po' pensieroso-
- Per cosa? Il tuo trucchetto di stamattina è
riuscito alla grande! Ne parlano tutti i giornali!-
- Non è per quello. Attento a quello che fai, Mokuba. Più giù-
- Più...ooooh! Ecco dove sbagliavo allora-
Seto si lasciò sfuggire un sorriso.
- Non è per il trucchetto hai detto?- chiese
poi il ragazzino – E allora per cosa? C'è qualcos'altro?-
- C'è sempre qualcos'altro, Mokuba. Col tempo capirai-
- ...Bah. Quanti misteri che fai...solo perché non sono alto come te!-
- Non è questione di essere alti, Mokuba! È...oh...-
Seto si passò una mano
tra i disciplinati capelli castani e scoppiò a ridere,
sconcertato da quella battuta. Mokuba gli aveva sempre fatto notare
quanto fosse alto, forse anche troppo per gli standard normali degli
uomini della sua età, e in passato, quando il ragazzino chiedeva
spiegazioni su argomenti che non avrebbe mai potuto comprendere, Seto
gli aveva sempre risposto con un laconico “quando sarai alto come
me capirai”. Un modo come un altro per dirgli che era necessario
diventasse più grande e più maturo per capire certe cose
del mondo dei grandi; ma Mokuba aveva preso quella frase letteralmente
sul serio, e ad avvalorare la sua ipotesi c'era il fatto che Seto si
fosse alzato di un'altra decina di centimetri almeno.
Ma avrebbe mentito a sé
stesso, se non avesse ammesso di adorare quella sua verve ironica e
dissacrante. Chissà da chi aveva preso.
- Impegni per oggi?- gli chiese il minore – Hai
ancora qualche riunione per la linea ferroviaria?-
- Indovinato- rispose lui, aggiustandogli il colletto
della camicia – Il progetto sembra essere piaciuto molto, ma
dobbiamo decidere quali punti andare a toccare. La mia idea era quella
di coinvolgere Nuova Domino e zone limitrofe-
- ...Anche il Satellite, allora?!-
- Anche il Satellite. Potrebbe enormemente facilitare
i trasporti commerciali o gli spostamenti in generale. Quell'isola
è stata ripulita, e della pattumiera galleggiante che era
è rimasta solo la vecchia conduttura. La mia idea è di
smantellare quel tubo gigante e costruirci la linea ferroviaria.
Più pulita, più sicura e più decente-
- Alla gente del Satellite piacerà tantissimo!
Non so alle teste coronate di Nuova Domino...-
- Non mi importa granché di loro. Il mio
intento è di estendere la linea ferroviaria quanto più
possibile, per trarne il maggior profitto e la maggiore
pubblicità. Quelli di Satellite non mi hanno fatto nulla, non ho
motivo per escluderli. E anche se fosse, c'è una cosa al mondo
che si chiama business: di fronte a questo, ingoi qualsiasi malumore tu
possa avere con qualsiasi gente-
- Il business fa parte di quelle cose che
capirò solo quando sarò alto come te?-
- ...Anche-
- Mh! Dev'essere bello! Insomma, capire tutte queste
cose e usarle per avere il mondo tra le tue mani-
- Non userei proprio quest'espressione, ma sì.
Più o meno è così-
- Lo sai che sono capace anche io di reggere il mondo tra le mani?-
- Ah? Figuriamoci, e come faresti, vediamo un po'?-
Detto, fatto: prima che Seto
potesse anche solo pensare di muoversi, Mokuba si avvicinò e gli
racchiuse il volto tra le sue mani piccole, lasciandolo interdetto e
togliendogli ogni parola.
- ...Mokuba, io ho una reputazione- sibilò Seto, dopo qualche attimo di tensione.
- Lo so!- rispose lui, allegramente – E sai
anche tu che con me non attacca, questa minestrina del “Sono un
uomo d'affari tutto d'un pezzo gnegnegne Atem gnegnegne”-
Lo faceva apposta. Seto lo
sapeva, lo faceva apposta: ogni volta che lo vedeva imbronciato o serio
(più del solito almeno), il suo fratellino si inventava sempre
qualche modo per fargli sparire quell'espressione accigliata dal volto
e provare a strappargli uno dei suoi rarissimi sorrisi. E doveva
ammettere che stava migliorando a vista d'occhio. Incapace di
rispondergli in altro modo, Seto allargò le braccia e
lasciò che fosse il più piccolo a stringerlo per primo,
prima di ricambiare la stretta a sua volta.
Alzò lo sguardo: in un angolo della stanza, Kisara sorrise.
Con Yuma e Kotori nell'altra
stanza, a una porta di distanza a separarli, scambiarsi coccole ed
effusioni diventava più difficile e rischioso: il problema era
rappresentato dall'eccessiva sensibilità di Yuzu, che squittiva
(e non usava un termine a caso) anche per un semplice pizzicotto ad un
fianco, figurarsi quindi per baci e carezze più audaci. Avrebbe
rischiato di risvegliarli in pochi minuti: l'unica soluzione era porsi
un freno a tutti i costi e limitarsi, per quanto gli riuscisse.
Nulla però impediva Yuya di serrarla in uno dei suoi forti
abbracci spaccaossa, quelli che la facevano svegliare nel cuore della
notte e lo scostavano alla ricerca di ossigeno: sapeva di essere
davvero invadente quando ci si metteva, per cui non si stupiva se, al
risveglio, si ritrovava separato dal corpo di lei. A volte Yuzu restava
con il volto verso il soffitto, altre invece la ritrovava addormentata
su un fianco, proprio di fronte a lui. Era il momento ideale per
osservarla: quando dormiva era ancora più carina e dolce.
Mai avrebbe pensato che il
rosa potesse stare così bene sui capelli di una persona. Glieli
accarezzò piano, quanto bastava per non farle riaprire gli occhi.
Nella casa regnava il
silenzio. Yuya si stropicciò debolmente gli occhi prima di
allungarsi verso il comodino e afferrare il suo cellulare: il display
gli mostrava l'una meno un quarto. Si svegliavano sempre più
tardi, ma considerato tutto il lavoro che avevano ogni sera era
prevedibile.
Solo allora si ricordò che quella sera anche Yusei sarebbe stato assente, oltre ad Aki.
La cosa lo fece stupidamente
sogghignare. Atem aveva spiegato le ragioni di quella decisione in un
breve messaggio nella conversazione, sostenendo che Aki avesse bisogno
di recuperare il suo stato mentale dei giorni precedenti: e infatti
loro tutti avevano notato un repentino cambiamento nello stato d'animo
della ragazza, manifestatosi poi con un'autentica crisi di pianto due
sere prima. Ci erano voluti diversi minuti perché si calmasse,
perfino Yusei non sapeva che pesci pigliare, e lui sembrava essere
quello più consapevole di ciò che stava passando Aki in
quei giorni: le sue parole erano state chiare e forti, le aveva
promesso di non farla piangere mai più.
Una promessa così importante non si faceva senza una buona motivazione di fondo.
Eppure, nonostante l'evidenza
di un piano molto più contorto, Yuya proprio non riusciva a non
pensare che, sotto sotto, Atem l'avesse fatto apposta a coordinare i
riposi tra quei due. Già la prima serata tra loro sembrava
essere andata molto bene, con i due che sembravano aver da raccontarsi
tutta la vita passata: il rapporto tra i due sembrava consolidarsi
giorno dopo giorno, era davvero interessante osservarli.
Erano una coppietta niente
male: lui serio e pensoso, imbronciato, a volte imbronciatissimo come
diceva Yugi, e lei carina e gentile, pronta a sfoderare artigli
smisurati quando qualcosa non le andava a genio. La sua scenata nei
confronti di un cliente era stata memorabile.
Era successo tutto il sabato
sera scorso, quando Aki sembrava già essere più rabbuiata
del solito: c'era tanta gente, e le ordinazioni si susseguivano a ritmo
esponenziale. Quando uno dei ragazzi del tavolo da cui stava
raccogliendo le ordinazioni aveva azzardato una palpata al suo sedere,
Yuya aveva avuto l'impressione di vedere Aki gonfiare il pelo,
letteralmente, prima di sferrare una potente zampata o, nel suo caso,
uno schiaffo che aveva fatto girare sulla sedia il burlone. Aveva
esaurito gli improperi da utilizzare, e avrebbe potuto continuare per
minuti se non fosse stato per l'entrata in scena di Atem che, notata la
situazione e il gesto, aveva cordialmente invitato i signori ad alzare
i tacchi e andarsene senza neanche prendere la consumazione. “Non
si allungano le mani sulle donne, nel mio locale” aveva detto,
con un tono che avrebbe fatto gelare il sangue ad uno Yeti.
Sarebbe stata una coppietta
davvero interessante da vedere in azione. Per il momento, Yuya si era
fatto bastare la soddisfazione di vedere quel tardone di Judai mettere
finalmente in moto il cervello: grazie all'ossigeno, tanto per
riprendere una delle esclamazioni preferite di Yusei, quel ragazzo
aveva finalmente fatto chiarezza sui sentimenti provati per Alexis, e
la ragazza aveva accolto quella confessione a braccia aperte.
Indubbiamente non aspettava altro, ma gli riusciva semplice immaginare
cosa avesse provato in quel momento.
Tra lui e Yuzu era stato più o meno lo stesso. Ed era davvero felice di come le cose fossero andate.
Le fece dono di un bacio sulla
fronte: Yuzu si mosse impercettibilmente ma non si svegliò.
Allora scostò il lenzuolo che aveva usato per coprirsi, e mise
piede a terra, restando qualche secondo a fissare il vuoto, seduto sul
bordo del letto.
C'era davvero tanto silenzio
nella casa. Stavano ancora tutti dormendo, probabilmente. Si
stropicciò ancora gli occhi e si mise in piedi.
Le fitte partirono dal basso:
le piante vennero colpite simultaneamente in più punti,
facendolo boccheggiare dal dolore e sbilanciare prima in avanti, poi
indietro. Crollò seduto di schianto sul materasso, rimbalzando
un paio di volte; Yuzu mugugnò qualcosa ma non si mosse
né si svegliò. Incredulo, con il torpore del sonno
scemato improvvisamente, Yuya alzò un piede e se lo
osservò per bene, alla ricerca della fonte di tanto dolore tutto
insieme.
- Ma-ma porco tutto il mondo! YUMA! Questa è opera TUA!-
Solo allora si accorse che
qualcuno sveglio, in quella casa, c'era: Yuma e Kotori stavano cercando
di soffocare le loro risate, dietro la porta, senza successo. Il
giovane dai capelli verdi sbuffò adirato, si rimise in piedi e
mosse ampi passi verso la porta.
L'avesse mai fatto. Il dolore
divenne allucinante ed insostenibile, e Yuya si lasciò sfuggire
un grido mentre spalancava la porta e cadeva con un ginocchio a terra.
Dietro di essa, Yuma e Kotori si scostarono di scatto, mentre il
ragazzo, nudo eccetto per i suoi coloratissimi boxer, si era rovesciato
sulla schiena, lamentandosi.
- Solo tu puoi andare in giro
con quei boxer osceni, Yu!- esclamò Yuma, piegato in due dalle
risate. Yuya lo squadrò torvo dal basso.
- Cos'hai contro i miei boxer, tu?!- sbottò poi, amareggiato.
- Sono osceni, ecco cos'ho!-
- Sono di Adventure Time!-
- E sono osceni lo stesso!-
- Si può sapere cosa mi
hai fatto?!- sbraitò il ragazzo, tornando ad osservarsi i piedi
– Ma...ma sono MATTONCINI LEGO?!-
- Sai come si dice Yuya? Chi la fa l'aspetti!-
E senza dire altro, Yuma gli
fece atterrare sul petto nudo lo stesso tubetto di supercolla da lui
adoperato il giorno prima. Yuya lo osservò per bene, poi si
riguardò i piedi, infine fece due più due e, con un urlo
che sembrava un ruggito, si rimise in piedi pronto a balzare addosso a
Yuma; il dolore provato, però, distorse l'urlo in un alto gemito
di dolore corredato da un'imprecazione. Tuttavia nulla gli
impedì di lanciarsi addosso al compagno e trascinarlo con
sé sul divano letto, imprecando in tutti i modi che conosceva e
coinvolgendolo una specie di lotta greco-romana molto rumorosa.
- Io come diavolo faccio a
lavorare con 'sta roba ai piedi, dannazione!- sbraitò il ragazzo
dai capelli verdi e rossi, paonazzo.
- Come io ieri ho lavorato con
quell'altoparlante DI MERDA appiccicato alla faccia, IDIOTA!-
sbottò Yuma per tutta risposta, cercando di difendersi.
- E poi con quale sentimento sprechi dei
preziosissimi mattoncini della LEGO?! Mostro senza cuore!-
Il suono di uno scatto fotografico li fece voltare tutti e tre.
Yuzu si era risvegliata in
seguito al grande trambusto, e attirata dai forti rumori si era diretta
in salotto, vestita con la maglietta di Yuya dei Bad Religion, quella
rossa dove le due suore si scambiavano un bacio saffico, e si era
ritrovata la scena apocalittica di Kotori seduta a terra che non
riusciva a smettere di ridere, e Yuma e Yuya avvinghiati tra loro sul
divano letto, il secondo con le piante dei piedi ricoperte di
rettangolini rossi, gialli e blu. Senza pensarci troppo sopra aveva
alzato il suo smartphone e aveva immortalato i due compagni in uno
scatto decisamente equivoco, con Yuya coperto solo dai suoi
coloratissimi boxer, incuneato tra le gambe di Yuma, che almeno
indossava ancora una maglietta.
Le ci volle qualche secondo di
troppo per capire che il suo fidanzato era sceso di corsa dal divano
letto e si stava dirigendo verso di lei a grandi passi doloranti.
- Vieni qui!- esclamò, paonazzo – VIENI
QUI! DAMMI QUEL CELLULARE, PICCOLAAAAAHIA!-
Yuzu urlò quando il
compagno si schiantò a terra, impossibilitato a camminare. Ormai
senza respiro, Yuma si abbandonò disteso sul materasso, scosso
dalle risate.
La giornata era cominciata sotto i migliori auspici...
- Ogni vagone dovrà avere
a disposizione una cassetta per il pronto soccorso e l'accesso
facilitato per persone con handicap fisici. Rampe, sedili speciali,
qualsiasi cosa possa facilitare loro la salita e la discesa-
L'immagine del prototipo venne
ingrandita a tutto schermo sul grosso LCD al plasma, mostrando il
disegno in vettoriale del vagone di un treno agganciato alla sua
locomotiva: disegnata quasi dovesse tagliare il vento, le linee sinuose
favorivano la sua aerodinamicità e riducevano quanto più
possibile la resistenza aerodinamica, favorendone la velocità
sui lunghi tratti. I canonici colori ormai simbolo della Kaiba
Corporation, il bianco e il blu, erano usati rispettivamente per la
carrozzeria e per le rifiniture, mentre il logo dell'azienda svettava
in lucente argento.
Ho bisogno di buone finiture interne. Niente che possa deteriorarsi col tempo o rovinarsi con atti vandalici-
- Questo potrebbe richiedere un
po' di tempo- ragionò Ishizu, accarezzandosi una ciocca scura
mentre prendeva appunti sul suo tablet – Un materiale a prova di
tagli, bruciature e inchiostri di qualsiasi tipo, quindi?-
- Esattamente. A costo di inventarne uno da zero-
- Capisco. Ci sono alcune
aziende che producono materiali simili: ottima resistenza a trazione,
calore, facili da pulire dagli addetti-
- Le contatti. Analizzi le loro condizioni di vendita
e stringa accordi con la più vantaggiosa-
- Sarà fatto. Per quanto riguarda invece l'estensione della linea?-
- Tutta Nuova Domino e zone limitrofe. Compreso il Satellite-
Ishizu alzò gli occhi
sul CEO della Kaiba Corporation, la penna digitale sospesa a pochi
centimetri dallo schermo del tablet. Incuriosito dal suo silenzio, Seto
Kaiba si voltò ad osservarla, senza battere ciglio.
- Ho sentito bene?- domandò poi Ishizu, incerta – Anche il Satellite?-
- Crede possano esserci problemi, da parte della gente del Satellite?-
- Da parte loro no sicuramente.
Ho più pensiero per le...come le aveva definite l'altra volta?
Le teste coronate di Nuova Domino. Qualcuno potrebbe non essere
daccordo-
- Quello che pensa la gente non
è affar mio. Voglio che la linea ferroviaria si estenda anche al
Satellite e così sarà-
- Ishizu annuì e riprese a scrivere febbrilmente sul tablet.
Seto Kaiba aveva parlato. E
quando parlava, c'era davvero da mettersi l'animo in pace e attendere:
qualsiasi cosa fosse nei suoi desideri, fosse stata la più
assurda o improbabile, non solo veniva realizzata a regola d'arte, ma
si rivelava anche un successo, un veicolo di attrazione per la massa
con lo stesso potere di un alveare su un grosso orso. Quel giovane Re
Mida trasformava ogni sua iniziativa in realtà, portando nuova
ricchezza alle casseforti già piene della società, e
sembrava non esistere un freno per quel ragazzo cresciuto troppo in
fretta. In quella sala conferenze, dove erano solo in tre a discutere
degli ultimi dettagli della linea ferroviaria (due, magari, non sapeva
se Mokuba contasse...), il CEO aveva preso le decisioni più
importanti della sua carriera, veri e propri azzardi che si erano
rivelati i più grandi successi.
Qualunque cosa decidesse, sembrava che gli astri si allineassero per piegare il destino a suo favore.
In quella sala conferenze
sospesa a centinaia di metri dal suolo, a quell'ovale tavolo a cui
sedevano i suoi più fidati collaboratori, Seto Kaiba aveva
annunciato l'inizio dei lavori per la sua linea ferroviaria targata
Kaiba Corporation. Azione lodata da tutti, ma ora che si parlava
seriamente di estenderla anche al Satellite, Ishizu sapeva che le cose
avrebbero potuto complicarsi.
Le famiglie più
benestanti di Nuova Domino erano le stesse che, fino a pochi anni
prima, usavano l'isola come pattumiera galleggiante, sfruttando le
condutture per scaricare rifiuti e liquami e richiedendo maggiore
sorveglianza per impedire che la “feccia” le usasse per
scappare. La creazione del ponte Daedalus aveva suscitato malcontenti e
opposizioni, e la futura notizia della creazione di una linea di
trasporto veloce da e per il Satellite non avrebbe fatto altro che
aggiungere benzina all'incendio.
E questo, Seto Kaiba lo sapeva. Ma non gli importava granché.
****
Poche volte era capitato che
Aki entrasse in profonda crisi per il suo abbigliamento, e questa era
una di quelle rare occasioni. Sbuffando costernata si spogliò
per quella che era ormai la quindicesima volta, sedendosi a bordo letto
e passandosi le mani sul volto, esausta: rischiava di ritardare
all'appuntamento e tutto perché non sapeva vestirsi, e si diede
subito della stupida al pensiero di restarsene seduta sul letto in
contemplazione invece di darsi una mossa e decidere quale abbinamento
usare. Si stropicciò gli occhi, sbuffando ancora una volta.
Ecco, quello poteva essere
definito un appuntamento in piena regola: lei e Yusei, uscire insieme e
da soli, lontani dal Pharaoh's Kingdom. O meglio, lontani solo per un
po': il piano iniziale era quello di fermarsi al locale per prendere
qualcosa e fare un rapido saluto, per poi partire insieme alla scoperta
della Nuova Domino di notte, fino ad arrampicarsi sulle colline a
vedere le stelle.
Davvero molto romantico se ci
ripensava, ma considerando che Yusei era un aspirante astronomo doveva
anche aspettarselo, forse: chissà quante volte si era già
goduto quello spettacolo in solitaria...o magari in dolce compagnia...
Strinse i pugni e si mise di
buona volontà a cercare un abbinamento che la soddisfacesse,
togliendosi dalla testa le smielate immagini di Yusei con qualche
svitata gallina da spennare. Più facile a dirsi che a farsi, e
subito lo sconforto si impadronì ancora di lei: chissà
cosa si aspettava, quello là...su che standard viaggiava? Cosa
si aspettava da una ragazza?
Poi scosse il capo. Era
già decollata per voli pindarici senza neanche ragionare: Yusei
non aveva mai manifestato chiaramente dell'interesse nei suoi
confronti...non in quel senso almeno. Ed era vero, la stava aiutando
ogni giorno, l'aveva letteralmente strappata dalle grinfie della sua
famiglia due giorni prima...ma queste erano cose che si facevano
più che volentieri tra amici, no?
Devo darmi una calmata. Allora, cosa aveva detto? Vestirmi comoda, giusto.
Pantaloni, maglietta e
stivaletti. E giacca, che sulla moto poteva fare freddo. Più
comoda di così non sapeva davvero cosa inventarsi. Diede
un'occhiata all'orologio, e si sbrigò ad indossare gli abiti
scelti: doveva fare presto.
E quando il suo telefono
squillò, proprio non riuscì a trattenere un'imprecazione.
Lo afferrò con un gesto stizzito, e imprecò ancora una
volta quando lesse il nome sul display. Fece scorrere velocemente il
dito prima di portare il ricevitore all'orecchio.
- Mamma?- soffiò nella cornetta – Tutto bene?-
- Tesoro, sì! Come stai? Non ti ho sentita per tutta la giornata ieri...-
Non che avessi tanta voglia di parlare...
- Sto bene, grazie. Mi sto preparando per uscire-
- Ah davvero? Son contenta! Dove vai di bello?-
Avesse potuto si sarebbe presa
a calci da sola. Aki si morse l'interno della guancia, riflettendo
quanto più velocemente le riuscì.
Dire a sua madre che usciva
con quel BRUTO che l'aveva portata via alla festa, aveva rischiato di
far saltare un fidanzamento e sembrava aver perfino soggiornato nelle
comode celle della Struttura non era la mossa più intelligente
da fare, soprattutto con quegli eventi successi a distanza così
breve. Allo stesso modo non era molto carino mentirle, ma almeno poteva
guadagnare tempo.
- Ad un locale- buttò lì poi – Con delle mie amiche-
- Allora sei davvero riuscita a fare amicizia! Sono davvero contenta!-
Sono capace di relazionarmi con gli altri mamma, ma grazie della fiducia.
- Mamma, perdonami, ma se non c'è niente di
importante da dirmi dovrei chiudere, sono in ritardo...-
- Tuo padre è davvero furioso con te, Aki-
Eccolo lì, il reale
motivo della telefonata. Aki chiuse gli occhi e si buttò a
sedere sul materasso, stringendosi l'attaccatura del naso con pollice e
indice della mano sinistra. Fantastico, ora anche sua madre piazzava il
carico.
- Tuo padre è davvero furioso perché
hai mancato di rispetto a tua zia e tuo cugino-
- Ah, io ho mancato di rispetto
a loro?!- sbuffò Aki, roteando gli occhi nelle orbite – E
loro allora? Che mi hanno dato della poco di buono che vende il suo
didietro nei locali?!-
- Ti ricordo che hai scelto tu questa via, Aki...-
- Esatto, l'ho scelta io! E non vedo quale sia il problema!-
- Che non è un mestiere--
- Oh per favore non provarci
neanche a propinarmi la minestrina sciacquata del “non è
un mestiere per una giovane nobile come te!”! Non voglio averci
niente a che fare con la nobiltà se devo diventare come zia
Sakue o quello svitato del figlio!-
- Aki, ma lo sai come sono!-
- Appunto perché lo so! E dovrei lasciarmi ugualmente offendere gratuitamente?!-
- Aki, tesoro, capisco come ti senti--
- No che capisci-
- Sì invece. E credimi,
vorrei davvero che le cose fossero diverse ma sai che non possiamo
permettercelo. Tuo padre soffre molto la tua mancanza, Aki-
- Mh, e quindi? Vorrebbe che tornassi a casa?!-
- La nostra porta è sempre aperta, lo sai-
- E mai più la varcherò. Neanche quel
cretinazzo di Suketsune dovesse sposarsi domani, neanche oggi stesso!-
- AKI! Oh buon cielo...-
- Lascia stare il cielo. Dovevi dirmi solo questo?-
- Tesoro...davvero, sai quanto
ci tengo a te, e quanto amo tuo padre e quanto vorrei che la nostra
famiglia tornasse quella di prima...ma sai che non è possibile-
- Già, lo so. Se me ne sono andata è anche per questo-
- ...Dimmi, tesoro: quel ragazzo...quello che ti
è venuto a prendere l'altro giorno...è davvero un tuo
collega?-
- Sì-
- Ed è davvero stato nella Struttura?-
- Per una serie di sfortunate circostanze, sì-
- Oh. Capisco. Mi dispiace, non sembra una cattiva persona-
- Non lo è-
- Io mi fido di te, Aki, e lo sai. Ma spero davvero che tu non ci deluda-
- Non lo farò-
- Vai pure, tesoro-
- Ciao-
Con un secco gesto, Aki chiuse
la conversazione e lasciò il telefono sul letto, restando ad
osservare ancora il vuoto. Si lasciò sfuggire un sospiro stanco.
Sapeva che sarebbe finita
così. Non aveva mai goduto di troppa fiducia da parte del padre,
che la considerava troppo poco responsabile per tante mansioni, e quel
suo improvviso atto di ribellione non aveva fatto altro che peggiorare
le cose. E la sua uscita di scena dalla festa di fidanzamento aveva
portato ulteriori problemi. Non ce l'aveva con Yusei perché
aveva fatto quasi irruzione nel giardino, certo...ma non poteva negare
che quella sua iniziativa avesse guastato i rapporti già precari
tra lei e la sua famiglia.
La figlia di un senatore
lavorava come cameriera e frequentava un ex galeotto. I cravattoni
dell'alta società avrebbero avuto di che parlare...e la cosa
peggiore era che a lei non importava nulla.
Era la sua famiglia quella al centro dei pettegolezzi, certo...ma si sentiva fuori da quel mondo da molto tempo ormai.
Il telefono squillò ancora. Non lo prese in mano, semplicemente si voltò a guardarlo.
Il cuore le fece un tuffo
degno di un atleta olimpico. Afferrò il cellulare e rispose alla
chiamata, il cuore che aveva aumentato le pulsazioni.
- Yusei!- esclamò – Perdonami! Il tempo
di recuperare la giacca e la borsa e scendo!-
- Ehi ehi, tranquilla!-
ridacchiò Yusei, dall'altra parte – Non scappo da nessuna
parte! Non farmi un capitombolo dalle scale per scendere di corsa eh!
Prenditi il tempo che serve per finire di prepararti!-
Non sembrava infastidito dal
ritardo. Meglio così, si disse Aki, sorridendo sollevata. Forse
era abituato...magari Judai era un ritardatario cronico. Oppure le
ragazze che frequentava in passato erano ancora più
ritardatarie...chissà com'erano, le sue vecchie conquiste.
Magari tutte giovani e carine? Forse tutte studentesse? Lo vedeva bene
a fare la punta alle universitarie, aveva tutte le carte in regola per
piacere a giovani ragazze: un segno dorato in faccia che poteva
indicarlo come probabile bad boy, e solo il cielo sapeva quanto le
femmine adorassero i ragazzi che si atteggiavano da stronzi, per non
parlare delle cicatrici! Sicuramente era un tipo duro...e la moto?
Davvero bella tra l'altro? E se tutto questo non fosse bastato c'erano
i due occhi più belli che avesse mai visto e un corpo
che...cielo, che corpo...
Sono un'idiota.
Aki scosse il capo e si infilò gli stivaletti in corsa, mentre recuperava smartphone, giacca e borsetta.
Aveva perso un po' di tempo
prima di partire: con i precedenti lavoretti fatti alla moto si era
dimenticato di fissare meglio una delle trombe del clacson, e ci aveva
messo velocemente mano per evitare di perdere quel componente per
strada. Aveva ritardato qualche minuto giusto per salutare Judai: il
ragazzo si era affacciato in cucina mentre lui si concedeva il suo
solito bicchiere di latte, e aveva i capelli castani tutti arruffati e
un'espressione così beata da sembrare quasi stupida.
Non poteva negare di essere
contento e sollevato per come le cose erano andate, tra lui e Alexis:
il suo compagno sembrava aver aperto gli occhi giusto in tempo per
accorgersi dell'inevitabile e, fatta chiarezza nel suo cervello, aveva
capito come stavano davvero le cose tra lui e lei. Sicuramente anche
quella notte passata insieme aveva influito molto, ma per Yusei non era
stata altro che la conferma dell'ovvio: Judai nutriva un profondo
affetto per Alexis, e anche lui aveva accarezzato l'idea di stare
insieme di fatto, ma qualcosa l'aveva frenato fino a quel momento,
quando aveva accolto il suo desiderio.
Era contento di come le cose si erano evolute tra loro.
Ci aveva ripensato mentre
usciva dal garage, e durante tutto il tragitto per arrivare fino a casa
di Aki. Era davvero contento di come le cose si erano sistemate per
entrambi.
Lasciò il telefono nella
tasca interna della giacca, tirando di nuovo su la zip e chinandosi sul
casco appoggiato al serbatoio della moto, restando in attesa.
Il palazzo dove viveva Aki non
era esattamente recente, ma la sua facciata ben si amalgamava con
quella delle costruzioni più innovative; a sentire la rossa,
però, neanche gli interni erano tutto questo granché. Aki
aveva infatti messo in conto un po' di spese da fare per sistemare
l'appartamentino, e non si trattava solo di rinnovare l'arredamento ma
anche di chiamare qualcuno a sistemare l'impianto elettrico che stava
saltando troppo spesso: si era inizialmente tirata indietro quando
Yusei le aveva proposto di sistemarglielo a zero spese, salvo poi
accettare l'aiuto.
Aki sembrava davvero estranea
all'idea di essere trattata con gentilezza. E conoscendo i fantastici
esemplari della sua famiglia non gli riusciva difficile capire il
perché.
Sorrise quando la vide uscire
velocemente dal portone: notò con piacere che l'aveva ascoltato
quando le aveva suggerito di vestirsi comoda. E come riuscisse ad
essere così carina anche abbigliata in maniera così
semplice restava un mistero, per lui: pur ammettendo che la base di
partenza non era affatto male, quella ragazza pareva avere un fascino
tutto suo. O forse era quel bel seno stretto sotto la maglietta grigia?
Yusei era indeciso.
- Eccomi!- esclamò Aki, con un gran sorriso
– Scusami, ho dovuto prima rispondere ad una telefonata
urgente...-
- Niente di grave spero- buttò lì
Yusei, lasciando la moto sul cavalletto e smontando rapidamente.
- Mah, se per te una madre che ti ripete quanto il
tuo comportamento abbia deluso la famiglia non è niente di
grave...-
Non perse il sorriso, ma le
sembrò molto più tirato di prima. Yusei si diede dello
stupido per aver tirato di nuovo in ballo l'argomento, e si ripromise
di non parlarne più.
- Aaaah, figuriamoci. Cos' hanno
detto? “Chi è quel bruto sfregiato che ha sputato sentenze
in casa nostra?” e roba del genere?-
- Ebbe l'insperabile risultato
di riuscire a farla ridere. Yusei rimase ad osservarla chiudere gli
occhi e reclinare il capo, le spalle scosse dalle sue risate.
Pensare che esisteva qualcuno
in grado di farla piangere...Yusei strinse i pugni: il pensiero gli
creò un nervoso mai provato prima.
Perché?
- Dai, non pensiamoci-
pronunciò poi, togliendosi con agile mossa lo zaino dalle
spalle, aprendolo e porgendole il casco da indossare – Ho in
mente un bel piano per oggi!-
- Davvero? Sentiamo un po'...- rispose Aki, infilando la borsa nello zaino.
- Giro sul lungomare, ci
fermiamo a vedere il sole che comincia a tramontare e a respirare un
po' di iodio; passiamo al Pharaoh's, ci prendiamo qualcosa, restiamo un
po' e quando si fa abbastanza buio ripartiamo e andiamo a goderci Nuova
Domino di notte, fino a vedere le stelle-
- Sembra divertente!-
- Lo sarà! Metti il casco e monta su, non dimenticarti dello zaino!-
Aki sorrise ampiamente e annuì.
Divertente lo fu davvero, e questo nonostante la poca esperienza che Aki aveva come passeggera.
A furia di portare Judai sul
sellino come una zavorra, Yusei si era rapidamente abituato all'idea di
avere una persona in sella con sé. In passato era una cosa che
cercava di evitare quanto più possibile: non solo perché
la comodità sulle moto che aveva posseduto era ridotta all'osso
per il pilota, figurarsi per il passeggero, ma soprattutto
perché proprio non riusciva a sopportare la presenza di una
persona che poteva mettere a dura prova l'equilibrio della moto con
movimenti bruschi e inappropriati. E poi c'era che preferiva guidare da
solo, con i suoi tempi e i suoi metodi, senza dover avere il pensiero
costante di una persona di cui tenere conto; e doveva anche considerare
il fatto che, ad ogni frenata leggermente più brusca, o al
contraccolpo di un'accelerazione improvvisa, quello dietro andava a
cozzare con la mentoniera del casco contro la sua nuca, e a lungo
andare risultava davvero fastidioso.
Per Aki sentiva di poter fare tranquillamente un'eccezione.
Che poi, se proprio doveva dirla tutta, non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo.
L'idea del giro in moto
insieme era stata un pensiero che gli era balenato in testa con
l'irruenza di un flash fotografico, troppo veloce perfino per
riprenderlo, portarlo dietro e ragionarci sopra. Gliel'aveva chiesto di
getto, a bordo della piscina del Pharaoh's, convinto che lei avrebbe
rifiutato l'offerta.
Quando aveva accettato si era
sentito il cuore frullargli in maniera mai sentita prima, una
sensazione al quale non sapeva dare un nome.
Il cielo solo sapeva per quale
motivo si fosse affezionato così tanto a quella ragazza.
Qualcosa di lei l'aveva colpito, inevitabilmente: forse la sua natura
schiva e gentile, la stessa che nascondeva quell'animo introverso al
limite del rabbioso, o forse era perché trovava ingiusto che una
ragazza con tale iniziativa fosse osteggiata da una famiglia
così complicata. Potevano essere anche mille i motivi, ma
indubbiamente quella giovane l'aveva colpito, più di quanto
volesse ammettere a sé stesso.
Si era guadagnato la sua
fiducia col tempo: Aki era sembrata piuttosto turbata dal loro primo,
rocambolesco approccio al Pharaoh's Kingdom. Non aveva mai valutato
l'idea di mostrarsi coperto solo da un grembiule come tattica di
seduzione, ma qualcosa in quell'assurda situazione sembrava averli
sensibilmente avvicinati. Ragionandoci sopra, Yusei era arrivato alla
conclusione che entrambi possedevano un carattere molto simile: schivo,
serio, rispettoso degli altri finché quello stesso rispetto non
veniva loro negato per il più astruso dei motivi. Aki ci metteva
un po' di femminile innocenza e incolpevole ignoranza, la stessa che
l'aveva fatta crescere senza conoscere come sbrigare le faccende di
casa più semplici, ma l'assicella era stabile su quel livello.
E c'era anche da tenere
presente che, a differenza di altri, non aveva mai chiesto nulla
riguardo alle sue cicatrici e al suo segno sul volto, preferendo un
discreto silenzio ad una scomoda ficcanasaggine. Aveva poi raccontato
di persona del suo soggiorno alla Struttura, e contrariamente a quello
che si aspettava Aki non ne era rimasta spaventata, né turbata
in alcun modo: non le aveva chiesto il perché, ma si era
già fatto una sua idea.
Allo stesso modo sapeva che la
ragazza aveva notato tutte le sue cicatrici: quelle numerose sulle
braccia, e quei tre colpi al ventre che, non fosse stato per il
tempestivo intervento di Jack Atlas, lo avrebbero lasciato agonizzante
sull'asfalto del Satellite. Aveva sicuramente capito che quelle erano
ombre di ferite da arma da taglio, in fondo era un aspirante medico; ma
allo stesso modo di cui non gli aveva chiesto nulla sul segno dorato,
così Aki non aveva domandato nulla a riguardo di esse.
Sapeva che le importava
qualcosa, sapeva che la incuriosivano, eppure lei rispettava il suo
silenzio a riguardo e attendeva che fosse lui a parlargliene.
La cosa lo destabilizzava da una parte e lo inteneriva dall'altra.
E aveva scoperto che ad
intenerirlo erano soprattutto i suoi improvvisi silenzi mentre le
parlava: restava ad ascoltarlo, rapita dalla sua voce come un serpente
verso il flauto di un incantatore, gli occhi persi in chissà
quale fantasticheria. E aveva letto quell'espressione negli occhi di
fin troppe ragazze per non sapere cosa le passava per la testa, in quei
momenti. La differenza era che Aki fosse molto più riservata e
timida al riguardo, e quando veniva riscossa da quei pensieri non
poteva fare altro che scuotere il capo e sbattere gli occhi con
quell'aria innocente che aveva imparato ad apprezzare. La prima volta
che si erano ritrovati in piscina, sulla terrazza del Pharaoh's
Kingdom, ci era mancato poco che le scoppiasse a ridere in faccia: la
rossa era ammutolita, alla sua vista, e la sua punta d'orgoglio
tipicamente maschile l'aveva fatto sorridere divertito, salvo poi
cercare disperatamente un punto, del suo corpo, dove poter posare lo
sguardo con una certa sicurezza. Il punto era che ovunque la guardasse
nulla sembrava salvarlo: gli occhi nocciola che lo osservavano con quel
loro misto di curiosità e impressione, le belle labbra che
apparivano morbide già solo a guardarle, i capelli
rosso-violacei e il collo candido da cardellino...e per chissà
quale grazia divina era riuscito a non soffermarsi troppo su quel seno
florido, ma distogliere lo sguardo era stato davvero difficile. Alla
fine si era accontentato di posare gli occhi sulla saltellante figura
di quel cretino di Judai: mai sua comparsa era stata più
provvidenziale.
Il tuffo in piscina era stato d'obbligo, se non altro per raffreddare certi spiriti bollenti.
Gli ci era voluto poco per
capire che, involontariamente, si era ritrovato in una situazione molto
vicina a quella di Judai con Alexis: con una ragazza, tra i piedi, che
presentava il perfetto connubio tra testa e bellezza. La differenza era
che lui non aveva nulla da rifletterci sopra: il rapporto che c'era tra
il suo amico e la bella biondina era fuori da ogni metro di paragone.
Aki era appena entrata nella sua vita, e sì, ne era attratto, ma
doveva ancora capire in quale misura.
Per il momento si accontentava di sentirsela vicina mentre scorrazzavano in moto.
Già alla terza uscita
sembrava avere molta più familiarità, e sapeva che le
cose non avrebbero fatto altro che migliorare: Aki gli si era stretta
addosso con molta più confidenza e sicurezza, e aveva
assecondato tutti i suoi movimenti lungo la strada, trovandosi a ben
presto a passeggiare a velocità sostenuta per il lungomare.
Yusei alzò la visiera, Aki lo imitò e si voltò in
direzione indicata dal pilota, spalancando gli occhi e sorridendo
estasiata.
Di fronte a lei, Aki riusciva
a distinguere la spiaggia dorata e gli ombrelloni colorati, le persone
in acqua e quelle ancora comodamente sdraiate a prendere il sole: un
caos di voci, risate e musica che si alzava dagli stabilimenti, coperto
dal borbottare della Bimota: ma il vero spettacolo ce l'aveva di
fronte. Il sole cominciava a scendere, e aveva dipinto le nuvole di
incandescenti riflessi dorati, tramutandosi in una gigantesca sfera di
fuoco che si apprestava a sprofondare nell'oceano. Il mare stesso stava
rubando i raggi solari e li stava usando per incoronare d'oro le lievi
increspature sulla sua superficie. Aki non poté fare altro che
godersi quello spettacolo mentre Yusei faceva avanzare la moto, con il
suo solito fare sicuro.
Per qualche motivo, gli si strinse addosso ancora di più.
****
- Ho paura, cosa sto vedendo?!- gemette Yusei,
allibito, le braccia aperte e il casco nella sinistra.
Concluso il loro giro
panoramico sul lungomare, Yusei e Aki si erano fermati al Pharaoh's
Kingdom, come pattuito. Con il sole che si abbassava sempre più,
e l'orario di apertura che si avvicinava, avevano posteggiato la moto
nel parcheggio dei dipendenti ed erano scesi in sala, con l'intento di
prendersi qualcosa prima di ricominciare la loro passeggiata; ma tutto
si sarebbero aspettati tranne un comitato di benvenuto come quello.
Atem e Yugi erano già
presenti, come prevedibile: dei due, il primo si stava preparando un
Martini, apparentemente ignaro di tutto quello che stava succedendo, e
il secondo era appena risalito dai camerini con un paio di pinze in
metallo nelle mani. Suddette pinze avevano attirato lo sguardo di Yuya
che, fatto sdraiare su una poltroncina, prese a dimenarsi con tanta
energia che Judai non fu più capace di trattenerlo e fu
necessario l'intervento congiunto di Yuzu e Kotori. Il castano aveva
quindi alzato le gambe del bartender, aiutato da Yugi, mettendogli bene
in mostra i piedi ricoperti di strani rettangolini rossi, gialli e blu.
- Qualsiasi cosa tu abbia in
mente di fare ti prego NON FARLA!- gridò Yuya, gli occhi spiritati dal
terrore, a Yuma che aveva preso le pinze in consegna.
- Oooh, ma tranquillo collega!-
gli rispose l'altro, con un tono che lo rendeva tutto fuorché
tranquillo - Sarà una cosa molto rapida! Non posso assicurarti
che sia completamente indolore, ma posso fare del mio meglio!-
- Il tuo meglio è il mio pegAHIAAAAA!!! MA SEI MATTO O COSA?!-
Aki sobbalzò a sentire
quell'urlo di dolore misto a rabbia: aveva osservato impotente Yuma che
aveva avvicinato le pinze ad uno dei rettangolini e l'aveva tirato via
con un ghigno divertito. Assolutamente poco divertito sembrava essere
Yuya, che aveva cominciato a snocciolare tutto il suo repertorio di
insulti mentre Yugi e Judai se la ridevano come matti, cercando di
tenergli ferme le gambe.
Atem terminò di
preparare il suo Martini, e si voltò ad osservare i due
motociclisti prima di prenderne un sorso. Yusei e Aki raggiunsero il
bancone proprio mentre Yuya scagliava il secondo urlo della serata.
- Esattamente cosa stanno facendo quelle due
bestie?!- domandò Yusei, attonito. Atem scrollò le spalle.
- Da quello che ho capito,
stanno regolando i conti con degli scherzi- gli rispose poi, facendo
roteare lievemente il drink nel bicchiere – Ciao Aki. Volete che
vi prepari qualcosa?-
- Per me no grazie, sto guidando-
- Oh? Siete in moto? Tu vuoi il tuo solito, Aki?-
- Sì, stiamo facendo un giro insieme. Grazie, se possibile sì- rispose Aki.
- Un giro insieme eh? Mmmh...-
Quando Yuya urlò per la
terza volta, gli occhi ametista di Atem scoccarono una lunga occhiata
prima a Yusei, e poi alla rossa. Aki deglutì, torcendosi le mani
incerta.
Quello sguardo...sembrava
quasi che li stesse leggendo dentro, scrutando nel cuore. E forse
dovette trovare quello che cercava, perché poi sorrise loro
enigmatico e prese a preparare l'analcolico, con Yuya che strillava e
imprecava di sottofondo e gli altri che ridevano.
- Mi raccomando, andate piano- disse loro, sorridendogli.
- Contaci, capo. Ehi, cosa
intendevi prima con “stanno regolando i conti con degli
scherzi”?- domandò Yusei, per tutta risposta.
- Quello che ho detto. Hai presente l'altoparlante di ieri?-
- Sì, e?-
- Beh, pare sia stato uno scherzetto di Yuya, e Yuma non ha fatto tardare la sua risposta-
- ...Mi sembra crudele...insomma, i LEGO sotto i
piedi...non lo farei neanche al mio peggior nemico-
- Perché?- domandò Aki, innocente – Che hanno di strano?-
- Ti è mai finito un LEGO sotto i piedi, Aki?-
- ...No...-
- Come no? Quando ci giocavi?-
- ...Mai giocato con i LEGO-
- Oh diavolo.
È...è più complicato di quanto pensassi...okay, ti
farò vedere anche quelli. Nel frattempo sappi che se ne pesti
uno ti fai davvero male-
- Immagino che incollati alle piante dei piedi siano ancora peggio-
La risata di Yusei
coprì momentaneamente l'ennesimo, ultimo urlo di Yuya. Il
giovane bartender con gli occhialetti aveva i lucciconi agli occhi,
tanta era stata la sofferenza, ma le sue piante dei piedi erano
finalmente libere da quegli infidi mattoncini e poteva muoverli
tranquillamente.
- Mai, mai, MAI!- esclamò
Yuya, una volta liberato dalla presa dei compagni – Se questo
è il dolore di un parto, io non farò MAI figli!-
- Ma che diavolo dici!-
sbottò Yuzu, sferrandogli un buffetto sulla testa – A
confronto di un parto, quello che hai passato è nulla! È
molto peggio!-
- Altro motivo per non fare MAI figli!-
- Guarda che non devi partorire tu!-
- Ah no? E dovresti partorire TU?! A saperti che
attraversi un dolore forte dieci volte più di questo io MUOIO!-
- Yuya...ooooh!-
Incapace di rispondere, Yuzu
scoppiò a ridere tenendosi la pancia mentre il compagno si
rimetteva in piedi con molta lentezza, valutando se fosse tutto intero
o meno. Fu Yuma il primo ad avvicinarglisi, porgendogli la mano.
- Pari patta e pace?- gli
propose, con un sorriso da lestofante: sembrava che strappargli
mattoncini LEGO dai piedi l'avesse davvero divertito...
Yuya lo fissò con
sguardo truce. Sembrò quasi pensarci sopra per un po', indeciso
su quale soluzione adottare, prima di muovere un passo, afferrare il
volto del compagno e schiaffargli un bacio a bocca aperta.
Lo scoppio d'ilarità fu
generale, perfino Atem si concesse una risata nel vedere Yuma dimenare
gambe e braccia come in un fumetto comico. Yuya si separò da lui
con un grugnito, lasciandolo ruzzolare a terra e pulendosi la bocca con
il dorso della mano sinistra.
- ADESSO possiamo dire pari patta e pace!-
esclamò il ragazzo – I miei poveri piedi, che male!-
Aki si ritrovò a doversi asciugare le lacrime mentre Atem le porgeva il suo analcolico.
Decisamente il gruppo di amici più strano al mondo.
****
Una volta tornati in sella,
Aki capì per quale motivo a Yusei piaceva prendere la moto di
notte. L'aria era sensibilmente più fresca, la giacca le stava
tornando molto utile, ma la visiera chiara che durante il giorno le
aveva dato qualche problema si stava rivelando perfetta per osservare
le mille luci di Nuova Domino.
Contro il cielo scuro della
notte, insegne, lampioni, cartelloni pubblicitari e grattacieli
sembravano immersi in una luce propria. In movimento sulla superstrada,
ad una buona velocità sulla corsia di sorpasso, Yusei guidava la
sua moto in un giro panoramico intorno ai distretti di Nuova Domino,
lasciandola godere dello spettacolo offerto dal dedalo di luci che
illuminava la città, trasformandone i ponti sospesi sul canale
in sentieri di luce.
Quando poi si erano
allontanati dalla superstrada, e si erano immersi nella sfera luminosa
del centro di Nuova Domino, lo spettacolo era diventato ancora
più vivo. Traffico a parte, sempre presente con l'avvicinarsi
del fine settimana, si erano concessi un secondo giro sul lungomare, ad
osservare gli stabilimenti animati dalla movida notturna e a guardare
il mare vestito di nero e argento.
Non aveva mai allentato la stretta al suo corpo.
Potevano entrambi abituarsi a quella sensazione.
Erano infine usciti dalla
città: qui Yusei si era arrampicato su stradine e curvoni in
salita, illuminati di tanto in tanto da qualche lampione ma, di fatto,
la strada era principalmente rischiarata dal faro allo xeno della
Bimota. Aki gli si era stretta ancora di più addosso, quasi
impaurita da quell'improvviso buio e silenzio, come se volesse fondersi
con lui.
L'aveva lasciato solo quando
si erano fermati al punto panoramico preferito da Yusei. In cima alla
collina, lontani da tutto e tutti, una piccola area di sosta li mise di
fronte al panorama di cartolina di Nuova Domino e delle sue mille luci.
Scesa dalla moto ed avvicinatasi al parapetto, Aki rimase a guardare
meravigliata la sua città da un'angolazione molto diversa da
quella che conosceva.
- E quello cos'è?-
domandò a Yusei, una volta che anche lui le fu vicino. Il
ragazzo seguì la direzione indicata dal suo indice destro: Aki
puntava una gigantesca costruzione che sormontava un ponte che,
estendendosi sul mare, collegava Nuova Domino ad una città molto
ben conosciuta a lui.
- Quello è il monumento
eretto per simboleggiare l'unione tra il Satellite e Nuova Domino- le
spiegò, indicando i due bracci sospesi che si univano in un
anello dorato – E quello sotto è il ponte Daedalus-
- Non l'ho mai attraversato-
- Non c'è ragione di farlo, se non devi
entrare nel Satellite. La vedi la conduttura?-
- ...Eccola lì! Ehi, è vicinissima al ponte!-
- Già. Se ho capito bene, vogliono
rimpiazzarla col binario di un treno veloce. Più elegante, senza
dubbio-
- E quell'isola laggiù è il Satellite?-
Aki accennò all'agglomerato di luci che, in lontananza, illuminava l'intera isola che aveva fatto da casa a Yusei.
- Proprio quella- annuì
lui – Ora le cose sono molto cambiate, è più
visibile; in passato era talmente satura di rifiuti, smog e
inquinamento da essere circondata da una foschia che la rendeva
invisibile a questa distanza. Ora è stata ripulita e resa
più vivibile-
- ...Ti manca?-
- ...No. No, troppi ricordi,
credo. Non mi spiacerebbe rivisitarla, un giorno, per scoprire cosa
è cambiato e cosa no...ma sto bene così-
Aki annuì debolmente col capo, sorridendogli dolce.
Quando poi sentì le sue
mani sulle spalle il cuore le fece un tuffo dalle parti dello stomaco,
e prese a battere con tanta violenza che temette lui potesse sentirlo.
Yusei la fece dolcemente voltare e le indicò il cielo.
- E qui c'è il vero spettacolo! Guarda come si vede bene il Dragone!-
Tutto quello che poté
fare fu semplicemente restare a bocca aperta, di fronte a quell'immensa
tavolozza nera punteggiata d'argento. La luna piena sembrava illuminare
tutta la collina a giorno, striando strade e alberi di merlettature
argentate. E in quel mare oscuro, in mezzo a quei scintillanti punti di
luce, Aki contò rapidamente le stelle più luminose ed
evidenti: due, tre, cinque, dieci, quattordici in tutto, disposte in
una lunga, sinuosa coda.
- Quella più a sinistra
è Eltanin- le indicò Yusei – Una stella gigante
arancione. Accanto c'è Rastaban, la terza stella più
luminosa della costellazione. Viene dall'arabo Al Ras al Thu'ban, che
vuol dire “la testa di serpente”-
- La seconda più luminosa? È quella lì?-
- Quella, esatto, Al Dhibain
Prior. Viene anche questo dall'arabo e significa “due
lupi”. E l'ultima più luminosa è Delta Draconis.
Lì, invece, quasi alla fine della coda, c'è Thuban.
È il nome arabo che veniva dato per questa costellazione, vuol
dire “il basilisco”. Intorno al 2700 avanti Cristo è
stata la stella polare nord. Intorno ci sono i due Carri, li vedi?-
- ...Eccoli! L'Orsa Maggiore e l'Orsa Minore!-
- Già. Ora sai cosa vengo a fare quando riposo
e non ho voglia di vedere quei brutti musi dei miei colleghi-
Aki scoppiò a ridere,
gli occhi ancora puntati su quelle stesse stelle che Yusei aveva
imparato ad amare. Si sentì sollevato al vederla divertirsi,
meno a disagio.
- Uno spettacolo- mormorò
la ragazza, avvicinandoglisi impercettibilmente. Lei lo vide sorridere
e annuire, gli occhi blu puntati al cielo.
- La mia tappa fissa- le
spiegò – Vengo quassù, spengo la moto, mi appoggio
al parapetto e resto a guardare le stelle. A volte ci passo le ore e
non me ne accorgo-
- Non ti facevo così romantico-
Yusei si lasciò sfuggire una risatina.
- Un ex carcerato che prepara
intrugli alcolici e scorrazza in giro su un cavallo d'acciaio non
è esattamente quello che si definirebbe “romantico”-
le rispose poi, con un'alzata di spalle.
- Magari lo sei davvero, nel tuo profondo-
Yusei scosse le spalle e si
voltò verso di lei, gli occhi scintillanti quasi le avessero
rubate, quelle stelle che stavano in cielo.
- Forse. Chi lo sa- disse poi.
- Non avresti avuto motivo di portarmi fin quassù-
Yusei scosse il capo, sorrise e tornò ad osservare le stelle senza dire una parola.
Era vero, perché
l'aveva portata fin là sopra? Era il suo luogo speciale quello,
il suo rifugio personale, neanche Judai ne era a conoscenza, non ce
l'aveva mai portato. Si rifiutava di pensare di averla portata fin
là sopra perché, sotto sotto, un po' romantico lo era
davvero e quasi aspettava che fosse lei a fare il primo passo.
Rischiava di fare la stessa
fine di Judai e il peggio era che lo sapeva. Cosa doveva aspettarsi,
che gli saltasse al collo e si lanciasse in una smielata dichiarazione
d'amore come in quelle commediucce romantiche che lui e il suo collega
si divertivano a sbeffeggiare?
Il fatto che gli avesse poggiato la testa sul braccio sinistro bastava e avanzava.
Si sentiva in imbarazzo.
Tremendamente, come mai gli era capitato prima. E si odiò per
qualche secondo, e si diede dello stupido, e maledisse il momento in
cui aveva deciso di portarla fin lassù perché non aveva
la più pallida idea di che cosa fare adesso.
Per un attimo la
osservò, con la coda dell'occhio, mentre continuava a tenergli
la testa indolentemente appoggiata al braccio. Osservava la volta
celeste con un sorriso sul volto, e gli occhi nocciola rivolti verso un
punto indefinito sembravano brillarle.
- Grazie per questa serata- gli disse poi, in un
flebile sussurro – Sono stata davvero bene-
Escitene con qualche battuta sugli occhi e sulle stelle e potrai avere una scusa per andare a ucciderti male.
- Anche se hai preso freddo per i tre quarti abbondanti della serata?-
Aki scoppiò a ridere, e
si separò da lui per piegarsi sulla pancia, di nuovo. E Yusei
sorrise sollevato tra sé, resistendo al primo impulso di sparare
qualche romanticheria diabolica che non era proprio da lui. Poi la
sentì aggrapparsi alla sua spalla, alzarsi sulle punte e
scoccargli un bacio sulla guancia, di quelli così forti da
potergli dare una consistenza, quasi toccarli.
A posto. Poteva mandare tutto
al diavolo, l'archivista del cervello, il cricetino sulla ruota, la
sanità mentale, il mondo, anche il paradiso che tanto non se lo
meritava.
E adesso? Che poteva fare?
Che doveva fare?
Restò ancora qualche attimo a guardare le stelle, poi le passò un braccio intorno alle spalle.
Silenzio, tra di loro. Solo qualche isolato frinire di animaletti in mezzo agli alberi, e i lontani rumori della città.
Nessuna parola tra di loro.
Non servivano d'altronde.
___________________________________
Della serie, chi non muore si rivede.
Non ricordo quando è stato
l'ultimo aggiornamento di questa storia...forse quest'estate, o poco
prima. Beh, in ogni caso mi mancava troppo e ho deciso di ridarle
ancora spazio!
Non starò a tediarvi troppo sui motivi del mio ennesimo ritardo,
credo in realtà già sappiate che ho una storia originale
in cantiere che mi assorbe in tutto e per tutto. Conto di pubblicarla
sul sito, ma non troppo presto, voglio studiarmela molto bene. Ci
tengo, ecco.
Ma avevo voglia anche io di rileggermi qualche scanzonata avventura di
questi mitici duellanti nelle improbabili vesti di bartenders!
Fatemi sapere se vi è piaciuto, se avete qualche domanda, o dubbio, o anche solo per imprecarmi dietro per il ritardo xD
Ci si rilegge presto! (spero)
92Rosaspina
|
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Capitolo 15 *** 13. A volte ritornano ***
Pharaoh's Kingdom15
13. A volte ritornano
Il destino, quando apre una porta, ne chiude un'altra. Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro.
Victor Hugo
Aprì
gli occhi solo quando sentì la chiave nella toppa girare sei
volte di seguito, sbloccando tutte le chiusure della porta blindata, prima di
aprirsi e chiudersi con un sonoro scatto metallico. Dalla porta
semiaperta della sua stanza, Yusei notò la figura di Judai
affacciarsi e salutarlo silenziosamente, prima di dirigersi con passo
strascicato in cucina.
Si sfregò gli occhi,
abbandonandosi a un sospiro, godendosi il ventilatore che di tanto in
tanto si voltava in sua direzione e gli gettava aria addosso. Con gli
occhi che vagavano nella penombra della stanza, posò lo sguardo
sulla scrivania ingombra di libri di testo e fogli con i suoi appunti
universitari; perfino da lì riusciva a vedere il colorato
guazzabuglio delle sue annotazioni.
Judai aveva dato un'occhiata ai suoi
quaderni e foglietti un giorno, e si era allontanato dalla scrivania
stropicciandosi furiosamente gli occhi, asserendo di non capire un tubo
della calligrafia del compagno. Su questo doveva dargli ragione: Yusei
stesso, a volte, incontrava difficoltà a decifrare i suoi stessi
appunti. In un vano tentativo di sistemare le cose aveva provato a
utilizzare un sistema fatto di evidenziatori, frecce, freccette,
balloon e post-it, tutti colorati diversamente in base all'argomento:
Yusei asseriva di trovarsi bene, Judai sosteneva che così creava
solo ulteriore confusione.
Yusei non era mai stato un tipo
molto ordinato quando si trattava di materiale scolastico, fin da
ragazzino; diverso discorso era per i suoi attrezzi da meccanico, e per
il telescopio vicino alla sua finestra e per i libri che riempivano le
sue mensole, come anche per i suoi vestiti, ripiegati e riposti in
ordine maniacale nell'armadio. Lui stesso non sapeva spiegare
perché trattasse il suo materiale di studio con così poco
garbo.
Allungò il braccio sinistro
verso il comodino e riprese lo smartphone in mano, sfiorando lo schermo
con il pollice e riaprendo l'applicazione dei messaggi. Senza un vero e
proprio motivo, ancora mezzo intontito dal sonno, rilesse velocemente i
messaggi inviati ad Aki. L'aveva rassicurata una volta giunto a casa e
lei gli aveva augurato la buonanotte, ringraziandolo per la bella
serata trascorsa insieme.
Erano rimasti a guardare le stelle
molto più tempo di quello che si aspettava: Aki ne era rimasta
davvero affascinata, e gli aveva chiesto un sacco di cose, di cui
alcune non aveva una memoria così approfondita e allora avevano
entrambi sbirciato sul cellulare per trovare la risposta. Quando
avevano deciso di fare ritorno al locale, erano da poco passate le due
e un quarto.
Avevano trovato i loro compagni
piuttosto agitati a dire il vero: Yuma e Yuya avevano placcato entrambi
Judai e l'avevano bombardato con un fuoco di fila di domande sul
rapporto tra lui e Alexis, su cosa si erano detti e cosa avevano
deciso; Yugi sembrava invece intento a scappare dalle mire di una
biondina occhialuta che non perdeva occasione di farglisi sotto per
chissà quale motivo, sicuramente molto divertente per i tre
amici del ragazzo seduti allo stesso tavolo della sera prima. Yuzu e
Kotori si stavano mostrando fin troppo complici agli sguardi dei due
fidanzati, e quando Judai non era sotto le loro grinfie le osservavano
con sguardi smarriti. Atem, invece, continuava con il suo lavoro con
diligenza e professionalità, miscelando cocktail e analcolici
senza togliersi quella serafica espressione dal volto. Osservava i suoi
colleghi con fare quasi paterno, ma qualcosa nel suo sguardo aveva
indotto Yusei a credere avesse la testa da tutt'altra parte: stava
macchinando qualcosa.
Aki aveva bissato il suo analcolico,
Yusei si era ritrovato un bicchiere di latte sotto il naso prima ancora
che potesse esprimere qualunque preferenza. Erano rimasti lì
ancora un'oretta prima che decidessero entrambi di tornare a casa,
ormai stanchi e soddisfatti.
Il secondo bacio della serata
l'aveva rimediato appena arrivati di fronte al suo portone: Aki gli
aveva sganciato il casco, gliel'aveva sfilato e gli aveva sfiorato con
le labbra la guancia destra. Gli aveva chiesto di inviarle un messaggio
appena arrivato a casa, di non farla preoccupare.
Quella poteva contare come dichiarazione d'amore? O quantomeno di affetto?
Yusei sorrise, bloccando lo schermo
del telefono e posandolo sul comodino, sospirando quasi soddisfatto e
nascondendosi il volto dietro le braccia.
Almeno l'aveva vista sorridere
davvero, con la testa per una volta libera dalle sue preoccupazioni. La
sua famiglia non era mai stata nominata nell'arco di tutta la serata,
neanche nei momenti in cui avrebbero potuto tranquillamente farlo:
sembrava quasi che Aki avesse trovato molto di meglio che rimuginare
sulle sue vicissitudini familiari. E il ragazzo ne era contento, sapeva
di star lavorando bene sulle sue insicurezze.
Restava ancora un mistero il
perché si fosse preso tanto a cuore la sorte e il benessere di
quella ragazza. Era forse da imputare al suo animo altruista che lo
rendeva sempre propenso a mettersi in gioco per aiutare gli altri?
Molto probabile, così come non poteva negare l'attrazione nei
confronti di Aki.
Ne era invaghito, e fosse stata una
semplice attrazione fisica avrebbe potuto gestirla più
sapientemente, lavorando su sé stesso e imponendosi un limite
che avrebbe sicuramente rispettato; ma qui l'interesse era anche e
soprattutto mentale: Aki era completamente diversa rispetto alle
ragazze da lui incontrate in precedenza, priva di quelle frivolezze da
nobile e animata da una volontà incrollabile nonostante le
evidenti difficoltà. Aveva preso in simpatia quella giovane
accigliata che lottava per dimostrare a qualcuno che sapeva cavarsela
da sola, e aveva scoperto che il solo pensiero di vederla piangere gli
dava davvero sui nervi.
Forse era da lì che veniva
tutta la sua insistenza, il suo desiderio di vederla sempre allegra e
in pace con sé stessa e gli altri. E il suo sorriso...trovava
sempre più triste il fatto che non lo facesse spesso,
così bello e dolce com'era quando le labbra le si piegavano in
quella dolce curva, e il volto tutto si illuminava di gioia, e la sua
espressione mutava in una distesa e gentile.
Doveva davvero sorridere più
spesso. Anche per non vedere più i suoi occhi rabbuiati da
quell'espressione corrucciata e pensosa: erano così belli quella
sera, volti verso l'alto ad ammirare le stelle...Yusei aveva davvero
faticato per non farsi uscire dalle labbra qualche romanticheria idiota
da quattro soldi, aveva visto chiaramente le stelle riflettersi in quei
grandi occhi da cerbiatta che aveva, farglieli brillare quasi avesse
visto tutte le meraviglie del mondo insieme.
La sua amata costellazione del
Dragone gli aveva fatto un gran regalo quella sera, dandogli modo di
contemplare Aki bella e gioiosa come mai l'aveva vista, rilassata come
aveva avuto modo di ammirarla solo in piscina, seduta a bordo vasca a
dimenare le gambe su e giù nell'acqua. Era bella anche
così, illuminata dal sole che nasceva, la pelle alabastrina e il
corpo sinuoso ed elegante, con quelle belle forme che molte volte aveva
ammirato di nascosto, quando lei non lo osservava. Quello stesso corpo
su cui si stava riscoprendo a fantasticare fin troppo spesso,
soprattutto la notte.
Seriamente?!
Yusei sbuffò, quasi seccato,
allargando le braccia e lasciandole ricadere ai lati del suo corpo;
alzò una mano, si strofinò la pancia infilandola sotto la
maglietta, prima di alzarsi e chiudersi in bagno.
Meglio approfittarne subito prima che Judai reclamasse il suo trono.
****
Il quotidiano parlava chiaro: un
uomo era stato visto camminare sospeso a metri di altezza dal suolo,
completamente a testa in giù, sfidando ogni possibile legge
della fisica e della gravità fino a quel momento conosciute.
Anche quell'apparizione era stata vista sul lungomare, e anche in quel
caso le descrizioni fisiche discordavano tra di loro: nessuno era
riuscito a toccare quell'uomo, stavolta, nessuno aveva avuto un vero e
proprio contatto fisico, ma in molti sostenevano si trattasse della
stessa persona che, giorni prima, era sparita in mezzo alla folla
lasciando dietro di sé solo la sua giacca. A seguire c'erano
numerosi articoli che ricapitolavano tutte le apparizioni in cui Nuova
Domino era stata coinvolta fino a quel momento, compreso il drago
bianco dagli occhi blu che aveva scosso l'alba di qualche settimana
prima. Un piccolo dossier sui migliori maghi illusionisti completava
l'opera.
Insieme al quotidiano, era stata
recapitata una busta da lettere. Nessun bigliettino, solo una carta da
gioco dal dorso dorato, come quella che Atem gli aveva mostrato qualche
sera prima sulla terrazza del Pharaoh's Kingdom: appollaiato sulla
Regina caduta, il corvo si era voltato ad osservarlo con i suoi tre
occhi prima di prendere il volo e sparire, letteralmente, come se mai
fosse stato stampato. Seto Kaiba voltò la carta più
volte, rigirandosela tra le dita e osservandola da ogni angolazione, e
così fece con la busta da lettere e il quotidiano, ma il corvo
sembrava sparito.
Seto sorrise tra sé, quasi
ghignando: la sfida stava diventando davvero interessante, e il suo
eterno rivale rispondeva colpo per colpo ad ogni sua mossa.
Infilò la carta da gioco nella busta, ancora; la estrasse una
sola volta per verificare qualche suo cambiamento, ma invano: il corvo
era sparito, lasciando la Regina da sola, reclinata sulla scacchiera.
Chiuse la busta e la posò sul quotidiano ripiegato, tornando a
lavorare sul monitor del suo computer.
Ishizu aveva fatto un ottimo lavoro:
in poco più di ventiquattro ore aveva raggiunto il perfetto
accordo commerciale con un'azienda in grado di fornire loro materiale
tessile di prima categoria, quello che desiderava per la sua linea
ferroviaria; i primi vagoni erano già in fase di assemblaggio, e
i lavori per la costruzione della linea avevano già segnato le
prime tracce: i ponteggi erano comparsi nei punti strategici di Nuova
Domino, circondandola come un gigantesco serpente d'acciaio.
Seto Kaiba e la sua azienda stavano
per mettere a segno un altro, magistrale colpo, in quel gigantesco
bersaglio che era l'economia nazionale.
Quando il telefono squillò
alla sua sinistra, Seto allungò la mano con ancora il suo
sorriso di vittoria sulle labbra. Scrutò un attimo il display,
osservando il numero: l'interno era quello dell'ufficio di Ishizu.
- Ishizu- la chiamò, atono.
- C'è
una persona che chiede espressamente di parlare con lei-
pronunciò la donna, diretta e senza giri di parole come Seto
preferiva.
- Non ricevo visite oggi, men che meno alle sette e zero-cinque-
- Dice di essere stata inviata dal senatore Izayoi in persona-
Il sorriso di vittoria si trasformò in una smorfia seccata.
Un galoppino del senatore Izayoi,
giusto quello ci voleva. Per un attimo ripensò alle parole di
Mokuba e Ishizu stessa, quando gli avevano profetizzato che le
“teste coronate” di Nuova Domino avrebbero avuto di che
ridire, dell'estensione della linea ferroviaria.
- Confronto ravvicinato eh? E va bene, fallo salire su, sentiamo cos'ha da dire-
- Bene-
Gli piaceva lavorare con Ishizu
perché, come lui preferiva, non si perdeva in chiacchiere
sterili e centrava subito il punto delle questioni, come se ci fosse
sempre qualcosa di più importante a cui dedicare attenzione,
che a delle parole messe solo per riempire dei silenzi. Seto si
appoggiò per bene allo schienale, lo sguardo fisso sulla porta
d'ingresso del suo ufficio, prima di decidere di voltarsi ad osservare
il mondo fuori dalla parete di vetro.
I grattacieli di Nuova Domino si
protendevano verso il cielo, tutti troppo piccoli per sfidare la
massiccia presenza della sua torre. Come un'aquila sulla cima di una
montagna, Seto studiava senza battere ciglio il resto della
città da lì, facendo scorrere gli occhi sull'intricata
ragnatela di strade e vie sotto i suoi piedi. Più in là,
a quella distanza piccola abbastanza per non farsi notare, la
gigantesca isola del Satellite galleggiava sull'acqua, ancora per poco
isolata dal suo impero.
Si voltò solo quando
sentì la porta dell'ufficio aprirsi. Ishizu Ishtar, impeccabile
nell'avvitata giacca bianca e la gonna nera che le sfiorava le
ginocchia, gli impenetrabili occhi scuri trincerati dietro la difesa di
una discreta montatura di occhiali che, personalmente, dubitava le
servissero davvero, fece avanzare nel suo ufficio una seconda donna,
che di impeccabile aveva solo la pregiata fattura del suo marziale
tailleur blu. Alta, troppo magra per i gusti di chiunque, i capelli
biondi ripassati a colpi di spazzola e phon più volte; il volto
tirato e messo a lucido, a contrasto con la pelle del collo smorta e
raggrinzita, era sicuramente frutto dell'intervento della mano di un
chirurgo plastico. Al polso destro le scintillava un bell'orologio il
cui quadrante era circondato da un piccolo pavone.
- Sakue Izayou, rappresentante del senatore Izayoi.- annunciò Ishizu.
- Grazie mille, Ishizu. Puoi andare-
- Mi contatti se ha bisogno di qualcosa-
Sicuro, per accompagnare quest'impiastro alla porta,
pensò Seto, ma non parlò né le rispose,
limitandosi ad un piccolo cenno della mano mentre la donna usciva dalla
stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Solo allora Seto puntò i suoi
occhi da squalo sulla donna sedutasi di fronte a lui. Il suo sorriso
era così tirato da sembrare grottesco.
- Grazie per
avermi ricevuta, signor Kaiba- la sentì dire. Perfino la voce
sembrava sputare melenso veleno.
- Non ci
faccia l'abitudine- la rimbeccò lui, scrutandola torvo –
Non è mia abitudine ricevere visite con tale
imprevedibilità-
- Se preferisce, posso tornare sotto appuntamento. Chiedo alla sua segretaria?-
- A che
scopo? Lei è già qui ora, perché tornare a farmi
perdere tempo una seconda volta?-
I gomiti poggiati sulla scrivania,
Seto incrociò le dita tra loro, senza mai spezzare il contatto
visivo con quella donna.
La situazione cominciava davvero a non piacergli.
- Ora
capisco come ha fatto a diventare così forte nell'economia
nazionale. Ha una bella parlantina svelta, signor Kaiba-
- Non si fanno soldi con le chiacchiere-
Aveva volutamente irrigidito la
mascella e reso il tono di voce più freddo e duro, e sembrava
aver funzionato: Sakue Izayoi sembrò vacillare, ma fu solo per
un momento. E non perse mai quel suo grottesco sorriso da mascherone di
cartapesta.
- Immagino di no- disse infatti – Verrò subito al dunque, allora-
- Prego, la ascolto-
- Recentemente, merito anche della magistrale campagna pubblicitaria--
- Il punto, signora Izayoi, il punto-
- ...Bene. Pare che la sua nuova linea ferroviaria si
estenderà fino al Satellite, giusto?-
Seto si irrigidì ulteriormente ma non riuscì a non gonfiare il petto con fare orgoglioso. Ci aveva visto giusto.
- Esattamente- rispose poi – Al posto di quella
grossa conduttura che ormai non serve più-
- Proprio di
questo volevo parlarvi. Il senatore Izayoi, e un consiglio composto
dalle più importanti famiglie di Nuova Domino, vorrebbe
apportare delle modifiche al suo iniziale progetto-
- Modifiche di che tipo?-
- Di estensione. Riteniamo che il Satellite possa essere tranquillamente escluso-
- Davvero? E
al senatore Izayoi e al suo circolo del golf cosa importa, di quanto
lungo sia il mio binario?-
Era davvero divertente vedere le
persone ammutolire in risposta alle sue frecciatine. In quei momenti
Seto capiva cosa provava Atem, quando confondeva le menti delle persone.
- È
stata unanime la decisione di porre questa esplicita richiesta, per
preservare il decoro e la sicurezza di Nuova Domino- continuò la
donna, le dita strette sulla borsetta, impettita sulla sedia come una
statuetta egizia.
- Per il
decoro, possiamo tranquillamente risolvere rimuovendo quella gigantesca
conduttura inutilizzata- rispose Seto, senza cedere con lo sguardo
– Magari installandone una subacquea, più pulita,
più moderna e meno a vista e che ci creda o no, più
rispettosa dell'ambiente di quella tinozza lunga chilometri. Non si
preoccupi per l'inquinamento dei mari, sarà tutto messo in
sicurezza. E per quanto riguarda la sicurezza, appunto, mi risulta che
il Satellite sia stato ripulito da ogni traccia di criminalità
anni fa, o no?-
- Per modo
di dire. Molti dei criminali del Satellite si aggirano a piede libero
su Nuova Domino e dintorni-
- Non confonda i professionisti del bancomat con gli assassini, signora-
- Ci
mancherebbe altro! Io parlo di gente che vive in mezzo a noi e a cui
è permesso condurre una vita normale-
- Parla dei detenuti del programma di riabilitazione?-
- Anche-
- Credo non
viaggiamo sulle stesse frequenze, signora. Lei, il senatore e il suo
circolo del golf. Non credo di essermi spiegato quando prima le ho
chiesto di arrivare dritta al punto-
- Molto semplice, signor Kaiba. Desideriamo che la sua ferrovia escluda il Satellite-
- No-
- Sapevamo che questa sarebbe stata la sua risposta-
Gli occhi blu di Seto si
abbassarono, nel notare un veloce movimento delle mani della donna. Le
sue dita scarne e raggrinzite, nodose come vecchie radici, aprirono la
borsetta e ne estrassero un blocchetto rettangolare di fogli. Sakue
Izayoi lo posò sulla scrivania, lo voltò e lo spinse
verso di lui con le dita, insieme a una stilografica.
- Segni qui
la cifra che vuole- gli disse – La capisco, sa? Si tratta di
affari, e lei parla la nostra stessa lingua-
- Non ci siamo capiti affatto, invece-
Con un gesto seccato, Seto spinse via blocchetto e penna, sollevando gli occhi sulla donna.
La voglia di cancellarle a modo suo quell'orribile sorriso in faccia era tanta.
- Non
è una questione di soldi- le disse poi – Non prendo ordini
da nessuno, tanto meno lavoro su richiesta. Io ho deciso di fare questa
ferrovia, io ho deciso quanto questa debba essere lunga, e così la farò-
- Non si comporti così, signor Kaiba, la
nostra vuole essere una trattativa pacifica-
- La mia no-
- A che scopo? Perché un progetto così imponente come una ferrovia?-
- Perché i videogiochi sono per una determinata fascia di
pubblico. E io voglio giocare con i grandi, signora Izayoi-
- ...Capisco. Mi spiace averla fatta innervosire-
- Ci vuole ben altro per farmi saltare la mosca dal naso-
- ...La ringrazio ugualmente per avermi dedicato del tempo-
- Si figuri. Ha bisogno di qualcuno che la accompagni?-
- Non si disturbi, so trovare l'uscita da sola-
- Va bene. Addio, signora Izayoi. Porti i miei saluti al senatore-
- Arrivederci vorrà dire, signor Kaiba-
Rimase a lungo ad osservare la porta chiusa, senza sciogliere la stretta in cui le sue dita erano serrate.
Allungò una mano e
afferrò la cornetta del telefono, digitando velocemente
l'interno di Ishizu e portandosi il ricevitore all'orecchio.
- Signor Kaiba?-
- Voglio un
dossier completo della famiglia Izayoi sulla mia scrivania. Azioni,
proprietà, influenza politica, anche il codice fiscale se
registrato. Qui sulla mia scrivania. Quindici minuti-
- Sarà pronto in dieci-
- E manda qualcuno ad intercettare quell'impiastro di
donna prima che si perda in mezzo alla torre-
- Sarà fatto-
Abbassò il ricevitore con un gesto nervoso.
La giornata era cominciata decisamente col piede sbagliato.
- Oh, finalmente! Ben svegliato principino! Il latte è lì per te-
- Nnnnh...-
Judai alzò gli occhi castani
al cielo con un lieve sorriso: dimenticava sempre il fatto che le
facoltà di comunicazione di Yusei erano azzerate prima che
avesse assunto la sua dose di latte mattutina.
Al solo pensiero del cartone di
latte nel frigorifero, i ricordi lo assalirono e lo fecero sorridere
come un'idiota; nella sua mente, Alexis provava a sorseggiarne un po'
direttamente dalla confezione, prima di rovesciarsene metà
addosso e indurla a scoprirsi completamente di fronte ai suoi occhi.
Chissà che diavolo di faccia aveva fatto, a vederla denudarsi
pezzo per pezzo di fronte a lui: per fortuna che era brilla abbastanza
da non ricordarsene, altrimenti l'avrebbe preso in giro per mesi.
Ripensò alla giovane con
affetto e con il cuore stretto in una trepidante morsa di gioia,
mordicchiandosi il pollice mentre, seduto al tavolo circolare della
cucina, osservava Yusei lasciarsi cadere a peso morto sulla sedia,
proprio di fronte a lui, con la maglietta e i boxer come unici
indumenti.
- Dormito bene?- gli chiese Judai, mentre il giovane beveva il latte a rapide sorsate.
- ...Bene-
rispose lui, la voce lievemente roca. Aprì il frigorifero per
riappropriarsi del suo cartone di latte, pronto a versarsene un secondo
bicchiere.
- Seriamente Yusei, dovresti darci un taglio con quella roba-
- Bere latte fa bene-
- Sì, ma non nelle quantità in cui le bevi tu-
- Sono un paio di bicchieri la mattina, che vuoi che sia?-
- Anche ieri sera l'hai bevuto-
- Oh, davvero ti preoccupi del mio stomaco?-
- A grandi dosi, il latte ha effetti lassativi-
- Che stronzata-
- Guarda che è vero-
Yusei fece spallucce e si
versò il secondo bicchiere, bevendolo a sorsi più piccoli
e ponderati, quasi lo stesse gustando più di prima.
- Che
penserebbe Aki, se sapesse che bevi latte come un moccioso attaccato
alle tette della mamma?- domandò il castano, stropicciandosi un
occhio.
- Non
avrebbe proprio nulla da pensare, lei- rispose Yusei, poggiato contro
lo schienale: a Judai venne in mente l'immagine di certi giganteschi
pupazzi di plastica sgonfiati e lasciati ad afflosciarsi contro un
muro, insolitamente tristi – Non è che si fa problemi per
un bicchiere di latte-
- Yugi mi ha
raccontato della sua crisi di pianto l'altra sera, quando non c'ero.
Povera ragazza...che cosa brutta dev'essere, ripresa dai genitori per
chissà cosa ogni giorno. Ma tu cos'hai fatto?-
- In
realtà nulla, l'ho solo difesa da un cugino che stava sparando
cattiverie su di lei. E poi sono stato a mia volta attaccato da
quell'arpia della zia-
- ...hanno notato il tuo segno?-
- Ma certo-
- Bella rottura-
- Nessun problema, ormai ci sono abituato-
Lo era davvero. I primi tempi,
quando si era messo di buona volontà a cercare lavoro, aveva
perso il conto delle porte sbattute in faccia solo perché aveva
quello sfregio dorato in faccia. Ovunque andasse era bollato
automaticamente come delinquente, senza dargli possibilità di
raccontare la sua storia né dargli possibilità di far
ricredere suoi futuri datori di lavoro. Aveva vissuto per mesi a spese
di una mensa comune, in una struttura dedicata appositamente alla
reintegrazione degli ex carcerati nella società che metteva a
disposizione, oltre che al vitto, anche l'alloggio: più comodo
di una cella ma molto lontano dall'idea che tutti i loro ospiti
avevano, di casa.
Aveva appena diciotto anni. E mai si
era arreso, mai aveva abbassato il capo: alla ricerca di lavoro di
giorno e studiando sui libri la notte, sognando un corso di laurea che
sperava di autofinanziarsi, Yusei aveva stretto i denti e tenuto duro
fino a incontrare Atem.
A ripensarci, l'incontro avvenuto
con il giovane a capo del Pharaoh's Kingdom era stato molto simile a quello
di Aki: aveva semplicemente risposto ad un annuncio su internet, e si
era presentato al locale all'orario pattuito pur non nutrendo troppe
speranze; insomma, se tutti i precedenti colloqui erano andati male,
come pensava di risollevarsi con quello?
Aveva presto scoperto che Atem dava
davvero poca importanza all'apparenza, e molta alla sostanza, e a
vedere il suo immenso locale sembrava davvero tutto il contrario; era
rimasto subito rapito dalla sua accattivante, sorniona indole e dal suo
spirito di osservazione. Con un semplice sguardo era stato capace di
metterlo a nudo come se fosse stato lui stesso a raccontargli il suo
passato; l'unica cosa che gli aveva espressamente chiesto era il
perché avesse deciso di mettersi in mezzo in quella brutta
questione dello spaccio.
Yusei gli aveva spiegato che aveva
fatto tutto questo per un amico, per aiutarlo a non finire nei guai; un
gesto dettato dall'altruismo e dalla consapevolezza che quel povero
ragazzo, così allegro e sorridente, sarebbe finito dietro le
sbarre della Struttura per aver spacciato un po' di polverina bianca,
mentre Yusei e la sua banda aveva fatto di molto peggio e invece
giravano a piede libero per il Satellite. Lo stesso Yusei aveva
probabilmente qualche pilota sulla coscienza, anche se cercava in tutti
i modi di non pensarci né di farsi troppe domande a riguardo.
Solo allora Atem gli aveva chiesto
da dove provenisse. E quando il giovane gli aveva nominato il
Satellite, non aveva più voluto sapere nulla.
Gli aveva pagato di tasca propria un
corso per bartending, il migliore del continente, chiedendogli di
studiare ed impegnarsi perché, alla fine, aveva un posto di
lavoro da ricoprire. Judai Yuki, che già allora lavorava per
lui, l'aveva preso davvero in simpatia, e anche lui insensibile alla
questione del marchio della Struttura l'aveva ospitato nel suo
appartamentino, prima che i due trovassero qualcosa di più
spazioso da condividere. Yugi era sostanzialmente una versione
più piccola e più ingenua di Atem, eppure ugualmente
gentile e affabile: non gli fu difficile scoprire molti punti in comune
con il giovane del Satellite e diventare amico, nonostante l'iniziale
diffidenza di Yusei. Yuma Tsukumo era stato inizialmente intimorito
dalla sua presenza, ma si era velocemente abituato al suo sguardo
diretto e al suo aspetto serio e anzi, aveva fatto di tutto per
aiutarlo a sciogliersi e farsi le ossa in quello strano, rumoroso
ambiente che era quello della gestione di un bar. Il ragazzo era
chiaramente quello con più esperienza tra i due, uno di quelli
che il lavoro se l'era andato proprio a scegliere, eppure era stato
Yuma stesso a proporre Yusei come capobar.
Yuya Sakaki, l'ultimo arrivato in
quella “combriccola di stramboidi” come l'apostrofava
Judai, aveva osservato il segno dorato di Yusei, aveva arricciato il
naso in una smorfia piuttosto buffa e aveva fatto spallucce; si erano
poi ritrovati a parlare entrambi del proprio, reciproco passato, Yusei
che descriveva la sua vita al Satellite e i motivi del suo soggiorno
nella Struttura, Yuya che lo metteva al corrente dei suoi episodi come
vittima di pestaggi e atti di bullismo vari, del pericoloso baratro
della depressione che aveva rischiato di portarselo via alla morte del
padre. Alla fine del racconto si erano sentiti più leggeri e
vicini.
L'entrata in quella nuova,
imprevista famiglia aveva improvvisamente colmato un vuoto che lo aveva
attanagliato al cuore per mesi.
Segni in faccia o meno, Atem e soci
l'avevano accolto come uno di loro, e mai era stato così grato
al genere umano di averlo messo di fronte a simili persone.
- Yusei? Mi senti?!-
Il giovane sbatté rapidamente
gli occhi quando vide Judai sventolargli una mano sotto il naso. Scosse
debolmente il capo, arricciando il naso.
- Scusami Jud, ero un attimo pensoso. Hai detto qualcosa?-
- Ti ho chiesto come sta Aki. Dopo tutto quello che è successo-
- Bene, direi. Molto meglio rispetto ai giorni scorsi. È tornata quella di prima-
- Oh! Sono contento...ieri sera era davvero rilassata-
- Si notava così tanto?-
- Già! La tua vicinanza le fa davvero bene-
- ...Ora non metterti strane idee in testa-
- Hai voglia
di scherzare?! Mi hai asfaltato gli attributi per ANNI con la storia
tra me e Alexis e ora io non posso commentare?!-
- Ti ho asfaltato gli attributi, per riprendere la tua altolocata espressione...-
- Eccolo che comincia a usare parole difficili...-
- Stai zitto...dicevo,
ti ho rotto le scatole al riguardo perché era PALESE che Alexis
ti moriva dietro, e anche tu hai fatto qualche pensierino su di lei
più di una volta!-
- Beh, non lo nego! Ma tu non fare lo stesso!-
- Io non sto negando davvero nulla!-
- Ah no? Mi hai appena detto di non mettermi idee strane in testa!-
- Perché lo so cosa pensi in queste situazioni!-
- Cosa posso farci? Vi vedo davvero bene insieme!-
Ci si vedeva davvero bene insieme
anche lui, se proprio doveva dirla tutta, ma questo non gliel'avrebbe
mai detto, a costo di sembrare stupido o permaloso o chissà cosa.
Storse lievemente il naso, accigliandosi in un'espressione pensosa.
- Ecco, lo vedi? Ci stai pensando anche adesso!-
- Stai zitto, cosa ne sai di quello che sto pensando?!-
- Te lo leggo negli occhi!-
Si era dimenticato che Judai era
capace di leggere e vedere storie e sentimenti dove ancora non esisteva
palesemente nulla. Yusei scosse il capo, sbuffando a metà tra lo
sconcertato e il divertito.
- Tra l'altro la divisa femminile le sta molto meglio- notò poi Judai, dal nulla.
- E grazie, prima usava una di quelle di Yugi!-
- Lo so lo so! Stavo solo notando la cosa! Forse le sottolinea troppo il seno però-
- Ma che dici?! Va benissimo così!-
- Ho capito, ma uno potrebbe facilmente distrarsi!-
- Basta guardare altrove!-
- Mh, del tipo? Tu hai anche il feticismo delle labbra, figuriamoci...-
- Non è un feticismo!-
- Ah no?! Yusei ti ecciti quando vedi una bocca femminile! E non provare a negarlo!-
- Lo sai almeno che vuol dire feticismo o spari vocaboli a caso come al tuo solito?-
- Non so
nemmeno come tu riesca a resistere, chiunque perderebbe i freni
inibitori con quelle labbra lì! Perfino Alexis ha detto che sono
davvero belle! Mentre tu sembri non avere reazione!-
- Sicuro non l'avrò adesso, sono immune alle
tue stronzate per i prossimi quindici minuti almeno-
- ...ti sei masturbato-
- NO!-
L'improvviso scoppio del compagno fece trasalire Judai sulla sedia.
- Tu...tu sei andato in bagno prima!-
- E certo! Dovevo pisciare!-
- E ci hai messo venti minuti?!-
- ...pisciare con un'erezione è difficile. Oltre che doloroso-
- ...hai almeno tirato l'acqua?-
Judai si alzò di scatto
quando vide il suo compagno sfilarsi velocemente un infradito dal piede e
alzarlo con fare minaccioso; indietreggiò pericolosamente fin
quasi a toccare l'acquario, le mani alzate in segno di resa.
- Oh daaaaaai, non si può neanche scherzare!-
- Vado a farmi una doccia!-
- E chi apre alla porta che suona?-
- Tu! Visto che sei anche vestito decentemente!-
Senza dire altro, il giovane capobar si infilò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle e sbuffando costernato.
Il fatto era che Judai ci aveva
visto davvero lungo: capitava sempre più spesso che, nei suoi
pensieri, Aki si risvegliasse accanto a lui di buon mattino, coperta
solo il minimo indispensabile per non offendere il pudore generale, per
non parlare di quando oniriche visioni notturne la raffiguravano in
mezzo a uno dei suoi amati roseti, coi boccioli rossi come unico
ornamento del suo corpo candido...roba che a pensarci di giorno, a
occhi aperti, rischiava di portare effetti collaterali inaspettati.
Yusei si arruffò furiosamente i capelli sulla testa, sbuffando
costernato.
La situazione cominciava a
sfuggirgli di mano. Si liberò della maglietta in un unico gesto,
prima di restare in ascolto quando sentì la porta di casa
chiudersi.
- Judai?! Chi era?!- lo chiamò, insospettito.
- Ah, è qui dentro?-
- Sì, ma non so se è il caso di entrare adesso--
Il cuore gli fece un balzo tale che
temette di doverlo sputare da un momento all'altro. Yusei si
voltò, pallido come un cencio sbattuto, ad osservare la porta
che si apriva con la lentezza di una moviola.
Quella voce...erano
anni che non la sentiva, ma l'avrebbe riconosciuta tra mille. E quando
l'uomo entrò nella stanzina, e posò gli affilati occhi
violacei su di lui, Yusei rischiò di perdere qualsiasi contatto
con la realtà.
- ...Jack...Atlas?!-
- ...Heh. Ti vedo in forma, Yusei-
Preso un bel respiro e
accovacciatosi di fronte alla lavatrice, Yugi incrociò le
braccia sul petto e rimase con lo sguardo perso nel vuoto, deciso a non
muoversi per la prossima mezz'ora. L'aria della casa era ancora satura
dell'odore di bruciato: anche se le finestre erano state spalancate,
sarebbe occorso più tempo perché l'odoraccio scomparisse
del tutto.
Si era svegliato nel modo più
doloroso possibile, sbattendo la fronte contro la testiera del letto:
cosa impossibile per qualunque essere umano “normale”, ma
non per lui. Appena sveglio e aveva scagliato un'imprecazione
così grossa che Atem, in cucina, si era fatto scivolare il
piattino della tazza sul lavello.
Si era tagliato il pollice destro
con il vetro scheggiato del suo smartphone; niente di serio ma suo
fratello aveva insistito per farglielo disinfettare ed incerottare. Ne
era seguita una precipitosa fuga per le stanze, con lui che fuggiva da
Atem armato di ovatta e acqua ossigenata; Yugi odiava quel tipo di
medicazione. Alla fine il maggiore gli aveva quasi stritolato il polso
in una forte stretta, impedendogli di liberarsi, l'aveva trascinato in
bagno e aveva versato direttamente l'acqua ossigenata sul pollice
ferito.
Il vasetto di vetro posto sulla mensola del salotto aveva guadagnato venti yen nel giro di mezz'ora.
Aveva bruciato, per non dire
carbonizzato, i due croissant alla marmellata che avrebbero
teoricamente dovuto fargli da colazione, trasformando la cucina in un
piccolo inceneritore e costringendolo a spalancare le finestre di tutta
la casa per impedire la diffusione del pungente odore per le stanze.
Per correre a chiudere le porte aveva sbattuto il ginocchio contro lo
stipite della porta della cucina, e quando aveva deciso di prepararsi
il caffè da solo e si era sporto verso la mensoletta dove erano
custodite le cialde aveva urtato il ceppo di coltelli e l'aveva fatto
cadere, evitando l'autocastrazione per davvero pochi centimetri.
La camicia era comunque finita in
lavatrice alla velocità della luce, grazie al caffè
rovente che si era rovesciato addosso.
- Qual è il problema?- gli domandò Atem, alle sue spalle.
Yugi si lasciò sfuggire un
sospiro scontento, scuotendo il capo, mentre chiudeva la lavatrice e
avviava il programma di lavaggio veloce. Appoggiato con la spalla
destra allo stipite, Atem lo osservava dalla testa ai piedi come alla
ricerca di un malanno, le braccia conserte e il volto adombrato dallo
sguardo serio. Yugi lo notò picchiettarsi l'avambraccio sinistro
con l'indice opposto, seguendo il ritmo della musica diffusa dal
salotto.
- Sto...sto bene- rispose Yugi, con un'alzata di spalle.
- Non ti ho chiesto se stai bene, quello lo vedo. Ti ho chiesto qual è il problema-
Yugi si mordicchiò il labbro inferiore.
E lui pensava davvero di farla al
suo fratello maggiore?! Atem lo conosceva meglio di sé stesso,
sapeva in anticipo cosa gli passava per la testa e gli bastava
un'occhiata per capirlo. C'erano delle volte in cui comprendeva quel
senso di vago terrore e soggezione che i suoi amici e colleghi
provavano, quando si ritrovavano a parlare con lui.
- Centra Anzu, forse?
- Seriamente, è così palese?-
Yugi era esterrefatto.
- Beh, non
così come lo faccio sembrare- gli rispose Atem, con un
enigmatico sorriso – Ma qualcosa ti attanaglia fratellino...tu
che sei sempre così positivo e libero da ogni preoccupazione...a
volte ho desiderato essere nella tua testa, sai?-
- Davvero?!-
- Sì,
mi sono sempre chiesto come doveva essere a stare nella testa di
qualcun altro...vivere con i loro pensieri per un giorno-
- ...Tu hai davvero interessi strambi-
- Mi piace
farmi domande su tutto ciò che mi circonda. Mia unica pecca
temo, mi rovino sempre le sorprese-
- ...Non credo di capire ma...va bene-
- Ma non cambiamo discorso, su! Parlavamo di Anzu, fino ad un attimo fa...-
E Yugi ci aveva quasi sperato, che
se ne fosse dimenticato...! La velocità con cui Atem cambiava
discorsi era allucinante, a volte anche lui trovava difficoltà a
stargli dietro.
Neanche a dirlo, Yugi invidiava mortalmente quella sua particolarità.
- Per caso è successo qualcosa tra voi due?- domandò Atem, serafico.
- Ah? No no no no no, ahm...no! Non ancora almeno!-
- Oh, non ancora dici? Quindi stai già “lavorandoci su”?-
- ...In che senso?-
Atem alzò gli occhi al cielo senza smettere di sorridere.
- Pensavo
stessi valutando finalmente l'idea di dirle chiaro e tondo cosa provi
davvero nei suoi confronti- spiegò poi, senza sciogliere la sua
posizione.
- E l'idea è quella! Però--
- Però cosa, Yugi? Cosa ti turba?-
- ...Niente, lascia perdere-
- Se hai bisogno di un consiglio sai che posso dartelo-
- Lo so. Lascia perdere lo stesso-
- Yugi...non migliorerai le cose così-
- Lo so! Lascia perdere e basta!-
- Come vuoi. Sei pronto?-
- Pronto per cosa?-
- Per uscire-
- Do-dove dobbiamo andare?-
- A comprarti un nuovo cellulare. Quello ormai è andato-
- Ma funziona ancora! Ha solo il vetro scheggiato!-
- Con la
quale ti sei tagliuzzato tutt'e dieci le dita negli ultimi quindici
giorni. Non intendo vederti versare più neanche una goccia di
sangue per questa fesseria-
Yugi si grattò la testa,
confuso, poi fece spallucce e ritornò nella sua stanza, pronto
per un veloce cambio d'abito.
Non gli piaceva spendere troppi
soldi per cose che non servissero davvero...videogiochi a parte
ovviamente...e il cellulare era uno di quelli: per quanto l'uso che ne
faceva era davvero intensivo, tra chiamate e messaggi e social network
di ogni tipo, era un tipo che tendeva a sfruttare gli oggetti fino
all'ultimo, preferendo evitare gli sprechi. Atem era l'esatto opposto:
quando una cosa perdeva il suo interesse se ne disfaceva molto
velocemente. Era l'esatto motivo per cui ogni anno portava un
televisore sempre più grande in salotto, e invece restava a
lavorare su quel vecchio laptop di almeno dieci anni fa, esattamente
l'ultima volta in cui aveva acquistato un computer portatile. L'ultimo
televisore dismesso l'aveva invece donato a Judai e Yusei.
La nota positiva era che la
faciloneria di Atem nel cambiare oggetti e arredamenti non si applicava
sulle persone: chi lui sceglieva di far restare al suo fianco era
perché aveva genuinamente stuzzicato il suo interesse. E questo
valeva con i suoi colleghi così come per le donne di cui era
puntualmente circondato.
Che Mana fosse l'unica a resistere alle sue stramberie, tuttavia, era un'altra storia.
Yugi si grattò una guancia
mentre con l'altra mano riallacciava velocemente i bottoni della nuova
camicia. Il pensiero corse inevitabilmente ad Anzu.
Era parsa...strana quei giorni. Un
po' distante, avrebbe detto. Ma forse era solo presa dalla presenza di
Yuzu e Kotori, erano legatissime e ritrovarsi tutt'e tre insieme era,
per loro, il massimo del divertimento. Che poi fosse gelosa e, forse,
un pochino invidiosa della confidenza che Mai Kujaku aveva con tutti,
soprattutto con lui, questo era un dato di fatto: Anzu era legata a lui
da una profonda amicizia, la stessa che gli aveva permesso di mantenere
i rapporti anche con Jonouchi, Honda e Bakura dopo gli anni del liceo;
era però chiaro che ci vedesse qualcosa di più di un
amico, nel ragazzo, allo stesso modo di cui Yugi provava forti
sentimenti nei suoi confronti. E il problema stava proprio lì,
perché entrambi erano timidi abbastanza dall'aspettare che fosse
l'altro a fare la prima mossa.
Si rincorrevano in tondo senza raggiungersi mai.
Terminò di chiudere i
bottoni, la consapevolezza che Anzu si sarebbe esibita quella sera lo
colpì al cervello come una manata in fronte.
Era troppo tardi per darsi malato?
Seduto al tavolo circolare della
cucina, Judai spostava rapidamente lo sguardo da Yusei a Jack Atlas e
da Jack Atlas a Yusei, senza che fosse in grado di spiccicare parola.
Jack Atlas. Il leggendario Jack
Atlas, quel ragazzo di cui Yusei gli aveva tanto parlato in passato,
quel suo compagno di scorribande motocicliste e vero salvatore di Yusei
Fudo era lì, in quella cucina, di fronte al suo compagno di gare
clandestine e rivale. Per qualche motivo se l'era immaginato diverso
dai racconti del suo amico: si era figurato un energumeno grosso,
burbero e rissoso, uno che incuteva rispetto e paura solo a guardarlo,
magari facilmente incline alla rissa e agli scontri fisici.
Della sua impressione, ci aveva
preso davvero poco: Jack Atlas suscitava deferenza con la sua sola
presenza, ma senza opposizione. Circondato da una stoica aura di
freddezza quasi aristocratica, a tratti forse arrogante, scrutava le
persone intorno a lui dall'alto verso il basso e non solo per
un'evidente questione di possanza fisica (seriamente, quanto era
alto?!). Forte dei suoi indiscutibili successi agonistici, sembrava
davvero prendere sul serio quella nomina di Re che gli era stata
affibbiata.
C'era qualcosa di indefinito, in
quell'uomo, che non gli piaceva moltissimo. Forse era solo
un'impressione, ma bastava per metterlo in guardia.
Lo stesso Yusei non sembrava
propriamente a suo agio. Rivestitosi al volo con i primi indumenti
puliti a disposizione, osservava Jack con lo sguardo di chi era
combattuto tra l'alzarsi e andarsene altrove, e chi aveva voglia di
rifilare un cazzotto su quegli affilati lineamenti quasi vampireschi.
Se ne stava con la schiena ben aderente alla sedia, le braccia conserte
al petto e le gambe accavallate, in quella postura che Atem avrebbe
definito “di difesa”; Jack, più disinvolto e
apparentemente divertito dalla scontrosità dell'amico (poteva
ancora definirlo così?), ciondolava svogliatamente una gamba
mentre si guardava intorno.
- Beh, direi
che ti sei sistemato molto bene, caro Yusei- notò, scrutando con
un vago sorriso la cucina – Direi che ti ho lasciato in buone
mani-
- Perché sei qui?- domandò Yusei, a muso duro. Jack
gli scoccò un'occhiata divertita.
- Via via, cos'è quel tono? Ah, sembra ieri
quando ti ho rivisto con quel musetto scazzato...-
- Ti ho chiesto perché sei qui!-
- Va bene va bene, stai calmo! Fumantino come al solito eh?-
- Stare calmo?! Jack hai idea di quanto tempo sia
passato?! Sono quasi SETTE ANNI che non ci vediamo!-
- So contare
Yusei, lo so quanto tempo è passato. Ma fidati, non è per
ricordare i vecchi tempi che sono qui. Ehi, quindi sai anche di Bruno?-
- So che ha tirato le cuoia in un ospedale psichiatrico e tanto mi basta-
- Vero anche questo ma non sai il perché, temo-
- So che era finito nel pozzo di un cantiere abbandonato-
- Precipitato durante una corsa-
- Aveva cominciato a correre?!-
- Cosa
credevi che facesse?! Con te in prigione e Kalin schiantato contro un
muro...perché? A che scopo?-
Glielo chiese quasi Yusei sapesse a cosa si riferisse, e il bello era che il giovane tatuato aveva anche inteso cosa intendesse.
- Bruno era innocente- sibilò Yusei, a muso duro – Ben più di noi-
- Non avevi alcun dovere nei suoi confronti-
- Dipende
dai punti di vista, credo. Avevi detto che non eri qui per ricordare i
bei tempi no? Allora cos'è che vuoi?-
- Molto bene, verrò subito al punto-
Jack sciolse le gambe e si
allungò sul tavolo, i gomiti poggiati a sostegno e gli occhi
violacei fissati sul suo vecchio compagno di squadra. Il Re
arricciò il naso.
Per quanto si impegnasse, non
riusciva a nascondere completamente l'indole ribelle da ragazzo
cresciuto nel Satellite. Glielo leggeva negli occhi: sempre puntati
altrove, verso un punto indefinito alle sue spalle, quasi cercasse un
traguardo o uno scopo.
- Ho bisogno di un pilota-
- Scordatelo-
- Ascolta prima la mia proposta-
- Sai già cosa ti risponderò-
- Il terzo
pilota del nostro team ha avuto un incidente, nell'ultima gara. Una
brutta caduta in curva, la moto gli ha rifilato un high-side che l'ha
sbattuto a terra. Clavicola e gamba destra rotte-
- Oh povera stella-
- Si avvicina l'ultima gara di campionato e siamo
senza un pilota, e rischiamo di perdere il titolo-
- Assurdo! Beh, spero proprio riusciate a trovare un pilota che vi aiuti!-
- Io l'ho già trovato-
- E io ti ho detto di no-
- Dammi una motivazione-
- Non ho niente da rendere a te-
- Ah no?!
Chi è che ti ha tirato fuori da quel cubo di cemento armato che
è la Struttura?! La fatina buona forse?!-
La mente di Yusei dipinse la
distorta immagine di Jack Atlas con ali opalescenti e vestitino di
tulle, con tanto di cappello a cono e velo lucente; non seppe se
scoppiargli a ridere in faccia o chiudersi in bagno a vomitare dal
disgusto. Nel dubbio, affilò ancora di più i suoi occhi,
quasi gli stesse implorando di morire fulminato sul posto.
- Nessuno ti aveva chiesto niente quella volta, Jack-
gli rispose, i denti stretti di un cane rabbioso.
- Tu dici?!
Tutto quello che io e Crow abbiamo fatto è stato anche per te!
Ricordi il nostro sogno? La nostra promessa? Uscire tutti insieme dal
Satellite!-
- E l'abbiamo fatto-
- Esatto!
L'abbiamo fatto! Io e Crow abbiamo applicato l'unica soluzione
possibile! Non dirmi che ce l'hai con noi per aver fatto i nomi della
feccia!-
- Sai cosa me ne importa di quella gente?-
- Un cazzo, come non te ne importava prima. E allora
cos'è tutta quest'ostilità adesso?-
- Ostilità dovuta al fatto che ti presenti qui, dopo quasi
sette anni, pretendi che nulla sia stato e mi chiedi di partecipare ad
una corsa suicida forse?!-
- Non è una corsa suicida!-
- Ah no?!-
- È la Satellite Tourist Trophy-
- AHAHAHAHA!!! Jack ma ti ascolti quando spari queste
cazzate?! Con quale criterio sei venuto da me?-
- Perché sei il migliore dei piloti che io conosca-
- Correzione caro: ero. Molto tempo fa. Tu mi hai superato e di gran lunga-
- Quindi il motivo è questo: invidia e paura. Non vuoi confrontarti con me-
- Non provo nulla del genere per te-
- Probabilmente non provi neanche qualcosa-
- Esci fuori di qui-
- Sei davvero sicuro?-
- FUORI-
- Va bene, va bene-
Jack Atlas si alzò con un
sordo grattare della sedia e un lieve tintinnio degli orecchini, non
notati prima da Judai. Prese la giacca dallo schienale, indossandola
con agile movimento e scoccando un'altra occhiata a Yusei.
Il ragazzo del Satellite era rimasto
seduto, ad osservarlo di traverso. Judai deglutì abbastanza
rumorosamente: l'aria tra i due si tagliava con un coltello.
- Speravo
che il nostro fosse un incontro molto più disteso e piacevole,
Yusei- borbottò poi Jack, incrociando le braccia al petto e
scrutandolo torvo dall'alto – Mi sbagliavo. Credo che la vita
cittadina ti abbia rammollito da una parte e reso più rabbioso
dall'altra-
- Speravo di
non vedere più il tuo brutto muso, Jack Atlas- soffiò
Yusei, senza interrompere il contatto visivo – Mi sbagliavo. A
quanto pare l'erba cattiva non muore mai-
- Avresti avuto più piacere se fossi finito io
in quel pozzo invece che Bruno, vero?-
Stavolta Yusei non rispose, restando
ad osservare il vuoto ad occhi spenti. Jack scosse il capo e si
congedò molto velocemente anche da Judai, senza aspettare che
questi lo accompagnasse alla porta.
Solo quando sentì l'uscio chiudersi alle sue spalle, il castano tirò finalmente un sospiro di sollievo.
- Ragazzi,
che smaltita...!- gemette, tremante – E così lui era il
tanto decantato Jack Atlas?!-
- In carne, ossa e stronzaggine- rispose Yusei, picchiettando con un indice sul tavolo.
- ...Dannazione. Sembra quasi un figlio segreto di Seto Kaiba e Mai Kujaku-
- Judai no ti prego, che immagine...-
- Ho comunque capito poco e niente. Cos'è questa Satellite Tourist Trophy?-
- Una corsa suicida. Non deve importarcene nulla-
- Ma...ehi! Dove vai?-
- Esco in moto. Tornerò per ora di pranzo. Tu dovresti andare a dormire Jud-
- A me è passato il sonno...-
- Sforzati. Ci vediamo dopo-
Senza dirgli altro si alzò
dal tavolo e uscì dalla cucina, fermandosi nella sua stanza solo
quel tanto che gli bastava per infilarsi gli stivali e recuperare
giacca, casco, telefono e portafogli.
L'orologio segnava le otto e un
quarto, eppure era già sveglia, e per niente stanca. Aveva
dormito come un sasso, cullata da dolci sogni fatti di viaggi
interstellari attraverso costellazioni e galassie, accompagnata in moto
da un coraggioso astronauta. Aki si era risvegliata con il miglior
sorriso da rincitrullita che poteva sfoderare, e la testa leggera e
sognante. Solo quando si era messa a tavola, con la tazza di
caffellatte pronta e la brioche calda appena sfornata, si era resa
conto di aver canticchiato tutto il tempo.
Era davvero una bella sensazione.
Addentando con fame la sua brioche,
Aki diede una veloce occhiata al suo cellulare, ripescando i messaggi
di Yusei della sera prima. Aveva esaudito la sua richiesta, per quanto
ansiosa potesse apparire, e le aveva inviato un messaggio appena
arrivato a casa per tranquillizzarla, come a voler dire “Ehi,
sono tutto intero!”. Si erano salutati brevemente, ma lei non
aveva potuto fare a meno di ringraziarlo per la serata.
Era stata davvero bene. Cominciava
lentamente a capire cosa ci trovasse, Yusei, in quei rumorosi cavalli
d'acciaio a due ruote: la sensazione di libertà provata sulla
pelle era qualcosa di emozionante e travolgente allo stesso tempo,
l'esperienza forse più ribelle da lei mai provata in vita sua.
In un'esistenza dove era stata tenuta alla larga da qualsiasi
situazione rischiosa, montare in sella insieme ad un ex galeotto era
quanto più pericoloso ed eccitante le fosse capitato.
Spazzò via la colazione e
prese a sistemare le stoviglie con cura, continuando a canticchiare un
motivetto sconosciuto. Il perché di tanta allegria non sapeva
neanche spiegarselo. Insomma, aveva avuto un appuntamento! Il primo
degno di questo nome da quando conosceva Yusei, ma si trattava
ugualmente di un appuntamento: un modo come un altro per conoscersi
meglio e trovare altri punti in comune. Era più che lecito tra
colleghi e amici, no?
Ma a chi voleva darla a bere?
Viaggiava su nuvole di zucchero filato già dal secondo giorno di
conoscenza, e negarlo non l'avrebbe certo aiutata. Aki scosse il capo,
scacciando l'ennesima visione di Yusei dalla testa.
La sua immaginazione puramente femminile le stava giocando brutti scherzi ultimamente.
Doveva studiare. Sì, niente
di meglio di qualche sana ora sui libri, a studiare e ripassare in
vista dei futuri esami. Ci teneva a fare bella figura e a ottenere
buoni voti, non voleva passare per lavativa o usare il lavoro come
scusa per impegnarsi di meno. Avrebbe finito di sistemare le stoviglie
e avrebbe subito aperto i libri.
Quando il telefono squillò,
nell'altra stanza, si fiondò sul materasso con le mani ancora
umidicce. Staccò l'apparecchio dal caricabatterie e si
precipitò a leggere il nuovo messaggio inviatole da Yusei. In
allegato c'era la foto di una spiaggia: il sole bello alto faceva
scintillare il mare in tutte le sfumature più chiare
dell'azzurro, e quasi le sembrava di udire il coro di voci e musica
salire dai bagnanti.
Viene voglia di farsi un tuffo! Ricordati il costume stasera!
Aki inspirò rumorosamente, sprofondando con il volto nelle lenzuola ancora disfatte e dimenando le gambe.
Lui sapeva. Lui sapeva, lo faceva
apposta a ricordarglielo! Aveva notato il suo sguardo la prima volta in
piscina, quella sua aria da candida verginella che sembrava non aver
mai visto un uomo in semplici braghe! Lo sapeva e riusciva anche a
punzecchiarla a riguardo! Per un solo, brevissimo istante Aki
sentì di odiarlo. Davvero per poco.
Quelle attenzioni cominciavano
davvero a lusingarla più del dovuto: Aki non sapeva ancora
decidere in quale misura lei interessasse a Yusei, e questo la frenava
quando si trattava di interagire con lui. Magari quello era il suo modo
di fare: per quanto apparisse come un tipo serio e integerrimo, poteva
essere effettivamente propenso ad aprirsi una volta presa confidenza
con le persone a lui vicine. Ma no, Yusei era davvero troppo serio per
aprirsi così con tutti...c'era qualcos'altro sotto. Ma cosa?
Anche lui sembrava essere stato bene quella sera, ma in fondo aveva
ammirato le stelle come era solito fare...
Eppure non le sembrava che quel bacio a stampo gli fosse dispiaciuto così tanto, anzi...
Devo mettermi a studiare, sì.
Niente di meglio di qualche sana
nozione di medicina per distrarre il cervello dal misterioso ragazzo
del Satellite, giusto? L'idea era nobile, gli intenti c'erano, nella
realtà dei fatti le cose funzionarono diversamente.
Da qualche giorno non riusciva a
togliersi dalla testa la visione di quelle cicatrici che gli
deturpavano il corpo. Forse il tatuaggio a forma di drago serviva a
coprirne un'altra sul braccio destro, ma tutte le altre erano fin
troppo visibili: la mano destra, l'interno dell'avambraccio, quelle sul
ventre che si intrecciavano tra loro. E più stava a contatto con
lui e più ne individuava altre. Ne aveva una proprio all'interno
del palmo della mano sinistra, dritta e dai bordi regolari, come se
avesse stretto un oggetto particolarmente affilato: la lama di un
coltello, forse? E ne aveva anche una sul collo, sul lato sinistro: ad
occhio, qualcosa gli aveva intaccato la pelle a distanza irrisoria
dalle vene principali della giugulare. Era questione di millimetri, un
poco più a destra e con ogni probabilità quel ragazzo non
sarebbe stato vivo, a quell'ora.
Ripensandoci, Aki non poteva fare a meno di rabbrividire per tutta quella violenza subita.
La gente del Satellite aveva passato
davvero tempi bui, negli anni precedenti: bistrattati dall'alta
società, isolati dalla terraferma, ignorati dalla stragrande
maggioranza delle vie di comunicazione classiche, i suoi abitanti
sembravano essere stati colti dalla stessa, irrefrenabile furia e crisi
collettiva che li aveva resi quello che apparivano agli occhi degli
abitanti di Nuova Domino: una massa di criminali senza scrupoli
né scopo. Yusei apparteneva all'ultima generazione, quella del
cambiamento di rotta, di coloro che avevano tentato l'ultima, disperata
carta che aveva funzionato.
Ammirava quella sua costanza nel
cercare di cambiare il suo futuro, di prenderlo in mano e dargli la
svolta decisiva. Quel ragazzo portava addosso i segni di un'esistenza
violenta e triste, eppure cercava di ignorarli in tutti i modi e di
concentrarsi sul presente, lavorandoci per cambiare il suo futuro. Non
aveva mai smesso di sognare, quel ragazzo delle stelle.
Avrebbe dovuto prendere spunto da
lui. Lavorare nel presente per dare la svolta decisiva al suo futuro.
Dare una sonora lezione a tutti quelli che sembravano non darle alcun
credito.
O forse la lezione doveva darla solo a sé stessa.
Scosse il capo e si mise alla scrivania, aprendo i libri.
- No okay, che cavolo ci fa anche lui qui...Oooooh!-
Yusei sbuffò, ringhiando
qualche imprecazione tra i denti e cominciando a radunare rumorosamente
i bicchieri intorno a sé. In posizione dietro il bancone al
posto di Yuma, Aki si voltò dapprima a guardare il compagno, e
poi seguì con gli occhi la direzione verso cui Yusei aveva
cominciato silenziosamente a scaricare parolacce ed improperi degni di
un amante deluso.
Dei tavoli arredati sulla terrazza,
uno era stato occupato da una coppia di uomini mai visti prima. Il
primo, quello che l'aveva più impressionata, scrutava il resto
della sala con sguardo imperioso e penetranti occhi violacei, molto
più cupi e arroganti di quelli di Atem: glieli scorgeva da sotto
le ciocche bionde accuratamente acconciate. Vestito di bianco e viola,
la prima cosa che l'aveva attirata era stato il paio di orecchini, due
scintillanti A impossibili da non notare. Si era liberato della giacca
e l'aveva delicatamente posata sullo schienale della sedia,
accomodandosi senza degnare di uno sguardo il bancone, lasciando
probabilmente la sua ordinazione al compagno. Quello ad avvicinarsi era
stato un ragazzo sensibilmente più basso del biondo
imperturbabile, con i capelli rossi tenuti indietro da una fascetta, e
il volto segnato da quelli che aveva imparato a riconoscere come marchi
della Struttura. Il giovane si avvicinò al bancone e
picchiettò le nocche sul mezzo metro di quercia scura proprio
dove c'era Yusei, costringendolo a prestargli attenzione.
- Yusei!-
esclamò allargando le braccia – Aaaah, quando Jack me l'ha
raccontato non volevo crederci! Sei in gran forma!-
- Crow- lo
salutò l'altro, alzando gli occhi verso la figura di...lui era
Jack Atlas?! Lo stesso di cui Yusei le aveva parlato?! Quindi
quell'altro doveva essere Crow Hogan...per qualche motivo se l'era
immaginati diversi. Forse più...più cattivi?
- Come stai? È da un bel po' che non ci si incontra!-
- Già! Fammi pensare...mmm da quasi sette anni! Come corre veloce il tempo!-
- Beh, ti vedo in ottima forma!-
- Taglia corto, cosa vuoi?-
Aki aggrottò la fronte,
incerta e stupita. Sbatté un paio di volte gli occhi, incredula
a ciò che stava vedendo.
Quello non era il Yusei che
conosceva. Era schivo e di poche parole con gli sconosciuti, certo, ma
a quanto pareva quelli erano tutto fuorché tali: cosa gli stava
prendendo? Perché li trattava così?
- Dicci cosa
vuoi e sparisci- sibilò Yusei – Il capo ci guarda, non
possiamo chiacchierare a lungo-
- Due Bacardi, se non vi spiace. Sei sicuro che vada tutto bene?-
- Oh sì, sicurissimo! Solo che non mi aspettavo la vostra presenza qui, ecco tutto!-
- Ehi, va bene che abbiamo tagliato i ponti per tutto
questo tempo ma—aspetta. Fammi indovinare-
- Spara-
- Jack è già passato da te questa mattina-
Yusei alzò lo sguardo sul suo ex compagno, osservandolo sorpreso e, in un certo senso, nostalgico.
Era passato davvero tanto tempo.
Troppo, se proprio doveva dirla tutta. Quasi sette anni in cui avevano
completamente perso i contatti: l'ultima informazione che aveva, di
loro, era il pagamento della cauzione per farlo uscire dalla Struttura,
prima di sparire ognuno verso la propria vita. E sebbene non potesse
fargliene una vera e propria colpa, Yusei era piuttosto amareggiato da
come la situazione si era conclusa.
Ogni suo tentativo di mettersi in
contatto con loro rimbalzava come se, dall'altra parte, nessuno dei due
intendesse rispondergli. Almeno ringraziarli per quello che avevano
fatto per lui, un saluto, un addio...completamente spariti dalla
circolazione ed introvabili. Aveva scoperto solo in seguito dei loro
successi nei circuiti professionisti delle corse, e se da una parte ne
era stato contento per loro, dall'altra era rimasto piuttosto
amareggiato di quel loro eterno silenzio.
Aveva impiegato un po' per mandare
giù il boccone. E ora si ripresentavano entrambi, carichi di
speranze e sorrisi, convinti di poterlo riportare dalla loro parte,
cancellare sette anni di lontananza e silenzio per un gioco rischioso
come quello di una corsa nel Satellite?
- Sì-
rispose poi Yusei, mentre terminava di preparare il suo Bacardi. Crow
si lasciò sfuggire un sospiro.
- Aaaah, lo
sapevo...ha dovuto fare di testa sua. Gli avevo detto di aspettare,
l'avremmo fatto insieme...-
- La risposta sarebbe stata ugualmente no-
- ...Anni fa non avresti rifiutato-
- Anni fa, vero. Ma adesso mi tiro indietro. Non
voglio tornare in quel mondo. Ho un'altra vita-
- Non si tratta di farlo per sempre. Solo una volta-
- Questa sola volta potrebbe costarmi cara-
- Sarà tutto in sicurezza Yusei! Facciamo le cose serie noi!-
- Ho già detto di no! Vai ora, non posso
metterci tre quarti d'ora per versarti due Bacardi!-
- ...non spariremo di nuovo, Yusei-
- Io dico di sì invece-
Crow Hogan gli sorrise poco
convinto, prima di allontanarsi con i due Bacardi in mano. Rimasta ad
osservare in silenzio tutta la scena, Aki scrutò Yusei di
sottecchi, incerta su cosa dire o fare.
Un urlo si sollevò dalla
folla, mentre l'acqua della piscina si sollevava in un gigantesco
geyser: l'immenso pennacchio d'acqua salì in cielo quasi volesse
toccare la luna, suscitando esclamazioni di stupore, qualcuno
cominciò a riprendere con il cellulare l'incredibile metamorfosi
della colonna d'acqua.
Toccata dal soffio di un vento
siberiano, il geyser si congelò su sé stesso,
trasformandosi in un'alta e possente scultura di ghiaccio: quella che
sembrava la grottesca, gigantesca mano di una strega si protese verso
il cielo notturno, scintillando alla luce dei fari e della mezzaluna
che sembrava voler ghermire tra le sue dita.
Seto Kaiba tolse la mano dalla
superficie ghiacciata dell'acqua, dandosi una rassettata alla giacca
del suo completo bianco. Si avvicinò a passo deciso ad Atem,
rimasto ad osservare impassibile la scena a poca distanza.
Tutto quello che fece fu
consegnargli una carta da gioco dal dorso dorato. Atem la prese tra le
sue dita senza dire una parola, e fu con quello stesso silenzio che
Seto Kaiba si allontanò verso la scala e sparì,
inghiottito nel buio.
Il corvo fece ritorno. Volò
in cerchio un paio di volte prima di appollaiarsi sulla Regina caduta.
Mosse piano le ali, arruffò le penne e lo scrutò curioso
con i suoi tre occhi.
___________________________________
La Satellite Tourist Trophy non è altro che una citazione alla Isle Of Man Tourist Trophy,
una corsa motociclistica di autentici scavezzacolli suicidi. Si corre
solitamente la prima settimana di giugno sul circuito stradale dello
Snaefell Mountain Course, sull'Isola di Man: trentotto miglia di strade
asfaltate che si snodano lungo tutta la costa dell'isola, strade
adbibiti a circolazione civile che vengono opportunamente chiuse per la
competizione. I piloti si lanciano a velocità folli su salite,
discese, dossi stradali, manto stradale non proprio bellissimo, e ha
fatto parte delle primissime edizioni del Motomondiale prima che
venisse eliminata come corsa perché troppo pericolosa. Vi lascio
un video esplicativo qui ----> https://www.youtube.com/watch?v=LU-ynRoqDEs così potrete vedere di persona di cosa si tratta, e decidere da voi se Jack Atlas e Crow Hogan son dei pazzi o meno.
Come state carucci? La mia sessione invernale si è conclusa
prima del previsto causa Covid-19 o coronavirus come volete chiamarlo,
obbligandomi a posticipare altri due esami a giugno. Volevo darne
sette, alla fine sono diventati cinque, forse un altro lo farò
ad aprile. Devo ancora capire come intendono gestire lezioni ed esami.
Intanto scrivo quello che voglio, aggiorno dove devo, sistemo la mia
stanza incasinata e vado avanti con la mia vita incasinata.
Vediamo qui Seto Porcaputtana Kaiba in azione e direi anche in perfetta
forma! E un primo incontro ravvicinato tra Yusei e il Re, il suo rivale
di sempre. Ho voglia di rivedermi 5D's adesso, ma le idee reclamano
attenzione quindi credo approfitterò del solito momento in cui
il cervello mi si spegnerà, creativamente parlando, per
rivedermi le avventure di Yusei&Co.
Fatemi sapere che ne pensate, ci rileggiamo presto!
Rosaspina
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Capitolo 16 *** 14- Falle nel sistema - parte 1. ***
Pharaoh's Kingdom 16
14- Falle nel sistema - parte 1.
La Scienza dei Computer non riguarda i computer più di quanto l'astronomia riguardi i telescopi.
Esdger Wybe Dijkstra
- Quindi erano loro?- domandò Aki, stupita
– I tanto decantati Jack Atlas e Crow Hogan?-
Vide Yusei annuire senza
metterci troppo entusiasmo, mentre sistemava diligentemente bottiglie e
bicchieri nelle mensole del piano di sotto. La rossa lo scrutò
brevemente, incerta su che stato d'animo attribuirgli.
Il ragazzo del Satellite era
stato pervaso da un malumore che si era impossessato di lui fino a fine
serata. Jack Atlas e Crow Hogan erano rimasti lì fin quasi
all'orario di chiusura, e quando si erano allontanati e l'avevano
salutato aveva risposto loro con qualcosa di paragonabile un grugnito.
Perfino Yuya sembrava aver notato la cosa e aveva fatto molte meno
battute del solito, quasi non volesse infastidire troppo il capobar o
distrarlo dal suo stato pensieroso.
Aki, di sua spontanea
volontà, aveva scelto di non tempestarlo subito di domande. Era
davvero curiosa a riguardo della faccenda, ma l'ultima cosa che
voleva era indispettire o far arrabbiare Yusei più di
quanto già non lo fosse: l'improvvisa apparizione di quelli che
erano suoi vecchi compagni sembrava averlo davvero turbato.
Non era bello vederlo con quell'aria accigliata.
- In carne ed ossa- lo sentì rispondere poi
– Le ultime persone che mi sarei aspettato di rivedere,
soprattutto dopo tutto questo tempo passato-
- Quasi sette anni, davvero?-
- Incredibile, eh? E ora si fanno avanti per risolvere i loro comodacci...figuriamoci-
Aki non aveva capito molto dai
loro discorsi, ma sembrava che volessero coinvolgere Yusei in
qualcosa di davvero grosso e importante, almeno per loro, e il capobar
si era bruscamente tirato indietro dalla questione. In un certo senso,
Aki comprendeva il suo punto di vista: dopo sette anni, o quasi, di
silenzio, nessuno poteva farsi avanti e chiederti un favore in nome di
un'amicizia che sembrava essere stata cancellata dagli eventi, tanto
meno chiamando in causa qualche favore fatto in precedenza; come Yusei
sembrava pensare, non aveva chiesto aiuto a nessuno, ma si era fatto di
proposito carcerare per aiutare un amico.
Che poi le cose fossero finite così male, era un altro conto.
D'altra parte, la rossa non
riusciva a togliersi dalla testa l'idea che quell'improvvisa difesa non
fosse altro che, di fatto, una facciata, una muraglia eretta quasi a
dispetto.
Quei due gli erano mancati,
glielo leggeva negli occhi; quegli stessi occhi che, molto spesso
nell'arco della serata, si erano alzati verso quel tavolo dove i due
conversavano amabilmente e dove avevano firmato anche qualche
autografo, riconosciuti da alcuni appassionati del mondo delle corse.
Lui stesso aveva ammesso di pensare spesso a loro, più di quanto
desse a vedere, e lei aveva notato la malinconia nel suo sguardo
quando, quel passato pomeriggio in spiaggia, le aveva raccontato di
loro.
Yusei era felice di rivederli
e constatare che stessero bene. Ma quello che era successo in passato
era davvero troppo, per non esserne condizionato e cambiare il suo
umore di conseguenza.
- Che cosa pensi di fare con loro?- domandò
Aki, strofinandosi le mani sul grembiule, appena terminato di mettere
tutto a posto. Yusei si strinse nelle spalle.
- Li ignorerò- rispose poi – Come loro
hanno fatto con me per tutto questo tempo. Se davvero hanno bisogno di
un pilota, se lo andassero a cercare da qualche altra parte. Ho chiuso
con le corse. Ho altre priorità ora. Devo studiare, ho da
preparare una tesi-
- Fammi indovinare...sulle stelle?-
Aki provò a cambiare
direzione del discorso, desiderosa di vederlo senza più quello
sguardo cupo ad adombrargli il volto. E sembrò funzionare: Yusei
si voltò verso di lei, gli occhi fattisi improvvisamente
più vispi. Aki sorrise a sua volta, contenta di aver risvegliato il suo interesse.
- Non proprio le stelle!- esclamò lui, alzando
perfino un dito indice con fare professionale – Ma sulle galassie
nane! O meglio, su un buco nero sviluppatosi all'interno di una di
esse!-
- Un buco nero dentro una galassia nana?!-
- Già! È molto più frequente di
quello che pensi, Aki, non pensare. Di buchi neri ne sono stati
scoperti a centinaia di migliaia, veri e propri mostri che fagocitano
tutto ciò che incontrano, con una massa di oltre dieci miliardi
di volte quella del nostro Sole. Nell'ammasso galattico della Chioma, a
300 milioni di anni luce da noi, c'è un buco nero di 21 miliardi
di masse solari-
- Io non so neanche come si scrive, 21 miliardi...-
- Ahahah! Capisci ora cosa abbiamo per le mani? Il
fatto è proprio questo! I buchi neri si trovano sempre in zone
dell'universo molto affollate, regioni popolate da migliaia e migliaia
di galassie: è come entrare in una megalopoli e cercare un bar,
ovunque ti giri ne sei circondato. Ma questo che ho per le mani,
Aki...questo potrebbe davvero rivoluzionare il concetto di studio
applicato fino ad ora-
- Cioè? Vuoi parlarmene? Sempre che non sia top secret...-
- Lo è più o meno, ma non so quanto ti interessi l'astronomia...-
Le interessava invece. Tanto
quanto piaceva a lui: non capiva molto di quello che diceva a volte,
usava dei termini tecnici e faceva dei ragionamenti troppo complicati
per lei che era un aspirante medico, ma a lei andava bene anche solo
sentirlo parlare di questo. Quando discuteva della sua materia di
studio sembrava...illuminarsi. Il bambino che era in lui, quello a
caccia di stelle col suo telescopio, saltava fuori e raccontava
meraviglie di quel cielo stellato su di loro.
- Dimmi allora! Cosa si è scoperto?-
domandò Aki, sorridente, mentre Yusei si slacciava il grembiule.
- Attraverso una serie di lunghe osservazioni e con
l'aiuto di di strutture avanzate che ci hanno messo a disposizione gli
strumenti, e a caro prezzo aggiungerei, è saltato fuori un buco
nero supergigante rinvenuto nel centro di una galassia ellittica-
spiegò Yusei, allargando le braccia con enfasi – E questa
galassia fa parte di un ammasso di solo venti galassie nella
costellazione di Eridano! Capisci? Un buco nero con una massa di 17
miliardi di volte quella del Sole, al centro di una galassia di una
regione spaziale che è semivuota!-
- ...Non credo di capire- borbottò Aki,
grattandosi una guancia incerta. Si stava infilando in un tortuoso
budello, stava per pagare cara la sua curiosità... –
Quindi c'è questo gigantesco buco nero rinvenuto in una galassia
piccola...perdonami, ma la grandezza di un buco nero non sarebbe legata
alla grandezza della galassia che lo contiene?-
Per quanto avesse tirato ad
indovinare, pareva proprio che ci avesse preso: Yusei le afferrò
le mani con impeto, stringendogliele e facendola sobbalzare.
- Esatto!- esclamò poi: Aki aveva ragione, gli
occhi gli brillavano! - E proprio questa è la scoperta! Finora
si era ritenuto che la massa dei buchi neri fosse legata alla grandezza
della galassia o degli ammassi di galassie che li ospitano...ma quello
che stiamo studiando è talmente grande che da solo supera di
gran lunga la massa dell'intera galassia che lo contiene! Molto
probabilmente è nato dalla collisione di due o più
galassie i cui buchi neri si sono uniti, questo non lo sappiamo con
certezza ma è l'ipotesi più plausibile-
- E una cosa del genere è possibile?-
- Possibilissima! Le galassie viaggiano nello spazio,
e quando una di queste passa troppo vicino al centro di una galassia
ancora più grande, questa le “strappa” le sue
stelle. Un caso del genere è stato osservato da uno studio
dell'osservatorio di Mauna Kea nelle Hawaii: quella che è
attualmente la più piccola galassia conosciuta è passata
accanto ad una immensa nel cui centro si trova un buco nero super
massiccio, con il quale finirà poi per fondersi in seguito. Ma
la galassia in questione si trova in una regione spaziale super
popolata, e le collisioni in questi punti sono molto frequenti...quello
che abbiamo per le mani è un evento più unico che raro!
Potrebbe rivoluzionare completamente il nostro modo di studiare i buchi
neri e le galassie tutt'intorno!-
Ma quanto era bello
sentirlo parlare di stelle, pianeti, galassie e buchi neri? Era bello
sentirlo parlare a prescindere, con quella bella voce calda e vibrante,
ma ascoltarlo mentre discuteva della sua materia di studio era
fantastico: sembrava pervaso da un'euforia che aveva visto solo nei
bambini quando finivano di vedere un film particolarmente avvincente,
il volto disteso e sorridente come mai. In pochi attimi sembrava aver
dimenticato la faccenda di Jack e Crow, e per quanto fosse difficile
stargli dietro mentre snocciolava nozioni scientifiche non intendeva
fermarlo: rimase ad ascoltarlo per interminabili minuti, concentrata
unicamente sulla sua voce fattasi allegra e sul volto illuminato di
gioia e passione per i suoi studi.
- Allora andiamo?-
La domanda la colse alla sprovvista. Aki sbatté rapidamente gli occhi, osservandolo lievemente confusa.
- A-andiamo dove?- gli domandò.
- A farci un bagno! L'hai portato il costume vero?-
- Eh? Ah, certo! Ah, quel bagno! Vado a cambiarmi, ci rivediamo sopra!-
- Sopra?-
- ...Non credo stiamo parlando della stessa cosa-
- No, neanche io! Ehi, indossa i tuoi vestiti che
spero siano comodi e raggiungimi al parcheggio!-
Aki annuì senza dire altro, uscendo dal bancone e dirigendosi verso i camerini.
- Seriamente, Yusei...- disse la voce di Judai a poca
distanza – Sei l'unico capace di far innamorare una ragazza
parlando di buchi neri-
- ...Che diavolo dici, anche tu!- sbuffò poi
il capobar, uscendo a sua volta dal bancone – Mi ha chiesto
qualcosa dei miei studi e le ho risposto!-
- Aha, e lei ti ha guardato tutto il tempo come se le
stessi improvvisando uno spogliarello-
- Lo so, me ne sono reso conto-
- L'hai cotta davvero bene...-
- Non era mia intenzione-
- Cosa pensi di fare?-
- In che senso?-
- Come in che senso? Con lei!-
Yusei si mordicchiò il labbro inferiore, dubbioso, non capendo dove il suo collega volesse arrivare.
- Judai, se stai prendendo la palla al balzo per
rigirarti il coltello dalla parte del manico...-
- Ma che stai dicendo! Voglio solo sapere come va tra voi due! Non eri interessato a lei?-
- Certo che lo sono!-
Solo quando si accorse della
birbona espressione di Judai si rese conto del madornale errore
commesso. Yusei imprecò a mezza bocca, scuotendo il capo e,
tuttavia, non riuscendo a reprimere un sorriso.
- Tu sei uno stronzo- sibilò poi - Mi
fai anche ammettere le cose ad alta voce-
- Lo so! Io lo trovo divertente!-
- Io ti ammazzerei volentieri...-
- Aaaah, non lo faresti mai! Sono il tuo migliore amico dopotutto!-
- Conosci molto bene la tua posizione...-
- Ehi, a proposito di amici...Yuya? Che fine ha fatto?-
- Se n'è andato poco prima della chiusura. Ha detto di non sentirsi bene-
- ...Il suo solito?-
- Temo di sì-
Judai annuì, arricciando il naso.
****
Succedeva sempre più di
rado, ma quando capitava Yuya si ritrovava sempre senza difese.
Completamente inerme in balia dei mostri.
Scosse il capo, mise il cavalletto alla motocicletta e si sfilò
casco e occhialetti, prendendo l'uscita del garage. Si
stropicciò gli occhi, stanco, assonnato e quasi arrabbiato con
sé stesso, il cuore stretto e un groppo alla gola che non voleva
saperne di scendere giù.
Era tutto iniziato a metà serata, senza un apparente motivo come
spesso accadeva: di colpo il suo umore cambiava totalmente, facendogli
perdere interesse nella sua attività preferita e proiettandolo
in una dimensione quasi a parte, completamente estranea a quella
terrazza piena di gente. Aveva provato a convincersi che fosse per
l'assenza di Yuma, con scarso risultato: lavorare insieme ad Aki gli
piaceva da morire, era una ragazza gentile e sapeva essere anche
divertente, e poi vederla mentre si perdeva in voli pindarici su Yusei
(perché era palese che
provasse attrazione per quel ragazzo...) gli suscitava una tenerezza
indescrivibile, forse perché in qualche modo gli ricordava Yuzu.
Ecco, Yuzu: aveva provato a ripetersi anche che era per la sua assenza,
rimasta a casa quella sera per portarsi un po' avanti con gli studi. Ma
no, c'era ben altro sotto, e lo sapeva, lo sentiva eppure si rifiutava
di accettarlo.
Non ne poteva più. Era
perfettamente cosciente di quegli sbalzi di umore, e sebbene fossero
diminuiti col tempo, quando tornavano sembrava sempre più
difficile contrastarli. Il mostro diventava sempre più grande e
sembrava possederlo con sempre più facilità.
Provava rabbia quando sentiva le persone intorno a sé usare un termine come depressione
con invidiabile scioltezza. La gente tendeva a minimizzare, quasi
ridicolizzare l'impatto di quel brusco cambiamento emotivo: ogni scusa
era buona per proclamarsi tristi o depressi, il più piccolo
stress quotidiano faceva scattare vere e proprie reazioni di panico.
Essere tristi perché il capo aveva chiesto due ore di
straordinari in più e bisognava rinunciare ad una serata, o
perché i saldi erano iniziati e non c'era più quella
fighissima giacca esposta in vetrina, non aveva nulla a che fare con la
depressione.
E quando Yuya sentiva gli altri sminuire un simile stato d'animo diventava furioso.
Sentirsi spossato, privo
d'interesse, avaro di desideri capaci di accendere le proprie giornate;
sentire l'energia vitale cominciare a mancare e, poco a poco, assistere
impotenti al morire di qualsiasi pulsione che l'aveva fatto avanzare
fino a quel momento. Ecco, quella
era depressione. Quel senso di inadeguatezza a ciò che lo
circondava, che lo attanagliava fin da quella terribile perdita.
Yuzu si sarebbe arrabbiata da
morire a saperlo, ma Yuya non poteva fare a meno di continuare a
mortificarsi per la morte del padre, addossarsene la piena colpa. Aveva
sempre sostenuto che, fosse stato più forte e capace di
difendersi da solo, suo padre non avrebbe trovato necessità di
intervenire e non sarebbe mai uscito di casa; non avrebbe mai preso
l'auto, non avrebbe mai attraversato quel dannato incrocio.
Suo padre sarebbe stato ancora vivo. Vivo, e pronto a guidarlo e consigliarlo, con saggezza e amore come l'aveva abituato.
Ritrovarsi senza di lui di
punto in bianco aveva avuto effetti catastrofici. C'era voluto del
tempo perché uscisse da quel suo guscio, e per quanto si
sforzasse non ne era mai stato fuori del tutto. E quei cambi repentini
d'umore ne erano la prova.
Aveva bisogno di aiuto. Qualcosa che gli desse quel definitivo calcio per rimettersi a posto.
Schiuse dolcemente la porta di
casa, richiudendosela alle spalle. L'appartamento era immerso nel
silenzio totale, ma la finestra della camera da letto era rimasta
semiaperta, a giudicare dalla luce che entrava. Lasciò il casco
e la giacca sull'appendiabiti dietro la porta, sfilandosi gli
occhialetti dalla testa mentre varcava la soglia della stanza.
Yuzu era lì. Tutta
raggomitolata su un fianco come un gatto, aveva intorno a sé
libri, quaderni e penne, e il cellulare stretto nella mano sinistra.
Ecco perché non aveva più risposto ai suoi messaggi:
aveva immaginato si fosse addormentata di colpo, e ci aveva preso. Con
delicatezza e quanto più silenziosamente possibile gli riusciva
raggruppò libri, quaderni e dispense e li posò sulla sua
scrivania; recuperò penne e matite, riponendole con cura
nell'astuccio e mettendolo in cima ai libri impilati sul ripiano. Le
sfilò con dolcezza il telefono dalla mano, posandolo sul
comodino, prima di sedersi accanto a lei, scalciando per liberarsi
delle scarpe ed incrociare i piedi sotto di sé.
Allungò una mano e le
sfiorò delicatamente i capelli che le ricadevano sulla fronte,
riportandoli dietro l'orecchio sinistro. Era ancora vestita con la sua
maglietta dei Bad Religion, i capelli rosa erano lasciati sciolti.
L'unica persona che era stata
in grado di sostenerlo. L'unica che avesse visto davvero il vuoto, il
buio che portava con sé e l'aveva accettato. Yuya a volte si
scervellava, si chiedeva cosa mai avesse fatto per meritarsi una simile
ragazza al suo fianco; quand'era così Yuzu era molto lesta a
fargli recuperare il senno in mille modi, uno più divertente e
piacevole dell'altro. L'ultima volta l'aveva trascinato nell'impresa, a
dire del ragazzo assurda, di creare una torta arcobaleno. Impresa
definita appunto assurda perché vederla cucinare gli scatenava
sempre qualcosa che Yuzu soprannominava scherzosamente come “ben
altro tipo di mostro”. Nove su dieci finivano con l'arrangiarsi
tra il pianerottolo della cucina e il tavolo su cui stavano cucinando,
perché arrivare in stanza era troppo complicato e dispendioso in
termini di tempo; restavano digiuni ma sazi e appagati in ben altro
modo.
Solo lei sembrava in grado di dissipare quella coltre nera che gli stringeva il cuore.
Le si accovacciò
accanto, studiandole il volto disteso e rilassato, prendendole una mano
e portandosela alle labbra. Era stanco, sudato, aveva bisogno di una
doccia, ma abbandonare il suo fianco era l'ultima cosa che voleva
adesso.
Il movimento sembrò
ridestarla. Yuya scorse il lieve tremolio delle palpebre e il loro
lento dischiudersi: quegli occhi blu che ogni volta facevano capitolare
le sue difese si aprirono per osservarlo. Le labbra di Yuzu si
curvarono in un dolce sorriso, la mano sinistra si sollevò per
accarezzargli il volto.
- Yuya- lo chiamò, la voce ridotta ad un soffio – Sei tornato-
Yuya annuì, sorridendo
a sua volta. Accorciò le distanze, la strinse in un forte
abbraccio e la baciò, prima di nascondere il volto tra i suoi
capelli.
Passarono pochi secondi prima
che Yuzu sentì la sua schiena scossa dal primo singhiozzo. Gli
prese rapidamente il volto tra le mani, lo osservò con sguardo
contrito: le lacrime gli stavano già scendendo lungo le guance,
un pianto silenzioso e non per questo meno carico di sofferenza. La
giovane lo chiamò, pizzicandogli le guance, raccogliendo con le
labbra le lacrime salate; Yuya alzò una mano e asciugò
una scia luminosa con il gesto di un bambino.
- Yuya...-
- Mi-mi dispiace...io ci provo a-a non farmi
trascinare ma...è più forte di me. Io-io non credo di
riuscire a superarlo mai!-
- Yuya, vieni qui-
La giovane se lo strinse al
petto con forza, soffocando i suoi singhiozzi e ignorando le sue mani
aggrappatesi alle sue braccia. Pose un bacio sulla fronte, tra i
capelli umidicci; Yuya mollò la presa sulle braccia per
incrociarle alla vita di lei.
- Scusami- lo sentì mormorare – Mi-mi
ritorna ancora tutto, a volte. Non so più cosa fare, Yuzu-
- Non scusarti. Non devi. E non devi arrenderti-
- Non posso andare avanti ancora a lungo-
- Ci sono io con te-
Gli prese di nuovo il volto tra le mani, posandogli un bacio sulle labbra.
- Sei sempre dell'idea di non voler andare a vederlo?- gli domandò.
Yuya scosse con forza il capo.
- Sai che stai rimandando l'inevitabile, Yuya. Sono sei anni ormai-
- Lo so. Ma non riesco. Il solo pensiero mi fa...mi fa...-
- Ehi, basta ora-
Lo scrollò lievemente, prima di sfiorargli il naso con il suo.
- Non vuoi? Va bene- gli disse – E allora non
parliamone più. Facciamo che adesso ci spogliamo e facciamo una
doccia insieme? Ne ho bisogno anche io-
Yuya non rispose verbalmente,
ma si stropicciò un occhio sempre con quel gesto un po'
infantile e annuì con la testa.
Fu lui il primo ad afferrare i
lembi della maglietta di lei e ad alzargliela sulla testa,
sfilandogliela con un unico gesto. Non aveva altro sotto, il caldo
l'aveva portata a coprirsi il minimo indispensabile. Yuya lasciò
che lei gli sfilasse la t-shirt replicando il movimento, prima di
spingerla sul materasso ed incastrarla su di esso col suo corpo. Yuzu
non si tirò indietro, lasciando che le baciasse il volto, le
labbra, il collo, ovunque riuscisse a raggiungerla.
- Yuya...Yuya la doc--
Quando sentì la sua mano chiudersi sulla coscia sinistra le mancò il fiato di colpo.
- Possiamo farla anche dopo. Stammi vicino, ti prego-
- Non pregarmi, lo sai che non c'è bisogno-
Certo che lo sapeva, Yuya; lo
sapeva eccome, eppure non trovava altro modo per ribadire il suo
desiderio, la sua irrefrenabile voglia di starle vicino.
In quei momenti di buio totale, Yuzu era la luce in fondo al tunnel.
****
Quando la Bimota si
arrestò accanto al muretto che separava il marciapiede dalla
strada, ad Aki fu finalmente chiaro cosa Yusei avesse in mente, per
bagno.
Con i costumi da bagno
indossati sotto i loro abiti normali, avevano lasciato velocemente il
Pharaoh's Kingdom, salutando tutti e montando in sella mentre Judai
entrava nell'auto di Alexis. Li avevano superati con un lampeggio di
fanali e una mano alzata, Aki già stretta con sicurezza al
ragazzo.
Avevano passeggiato
tranquillamente per le vie della città, come se avessero avuto
tutto il tempo del mondo a disposizione, la moto che borbottava quieta
sotto le loro gambe. Aki aveva sorriso, osservando il sole che sorgeva
dal mare.
Poi si erano fermati accanto al muretto e Yusei le aveva fatto cenno di scendere. Ed era stato tutto più chiaro.
Scavalcarono agilmente il
muretto, i caschi in mano e Yusei che portava con sé lo zaino,
sostenendo fosse più pesante del solito. Ne cavò due
grossi teli da mare, uno blu e uno rosso, piuttosto vecchi a giudicare
dai colori stinti: li stese con cura sulla sabbia, lasciò lo
zaino proprio nel mezzo.
- Direi che è ora di farsi questo bagno, no?-
Le sue parole suonarono
lontane come un eco indistinto; momentaneamente inginocchiata sul telo
rosso, a controllare se sul cellulare le fossero arrivate delle
chiamate o messaggi, Aki sollevò gli occhi su Yusei, in piedi
accanto al telo blu. Lo osservò liberarsi degli stivaletti da
moto e armeggiare sulla cintura, sfilandosi i pantaloni con un paio di
scalciate.
Non riuscì a distogliere lo sguardo in alcun modo, non che ci avesse seriamente provato...gli
occhi osservarono le sue mani tirare lievemente verso l'alto i lembi
della maglietta: le cicatrici sul ventre biancheggiarono al sole. Si
scoprì con un unico, veloce gesto, il profilo che si stagliava
contro il sole nascente e i capelli lievemente scompigliati, prima di
stiracchiarsi con le braccia alzate e avere la mirabolante e ammirevole
idea di mettere tutti i muscoli in tensione. La rossa trattenne il
fiato.
Benissimo Aki, contenta? Ti ha fatto anche lo spogliarello, cosa vuoi di più?!, si disse, deglutendo e mordicchiandosi il labbro inferiore. Direi che sia il caso di recuperare la lingua che ti è indegnamente cascata a terra, eh?
Osservò Yusei
accovacciarsi per qualche attimo, il tempo di ripiegare accuratamente i
suoi vestiti sotto i suoi occhi sorpresi, prima di rimettersi in piedi
e osservarla con sguardo divertito, le mani sui fianchi. Seriamente, ma
si rendeva conto dell'effetto che le faceva?!
- Allora? Non vieni?- le domandò poi, sorridendole.
Aki prese un respiro, consapevole di avere le guance dello stesso colore dei capelli.
- Dopo- si limitò a rispondere poi – Voglio scaldarmi un po', prima-
- Come preferisci! Ma non metterci troppo, altrimenti
sarà peggio dopo! Io mi tuffo!-
E lo fece davvero. Le rivolse
un ultimo sorriso prima di incamminarsi verso l'acqua, regalandole una
bella vista della schiena tornita. Aki si lasciò sfuggire un
sospiro senza preoccuparsi di essere udita: a quel punto non faceva
più alcuna differenza.
Lo seguì con lo sguardo
entrare in acqua con fare sicuro, senza mai voltarsi, e tuffarsi di
testa sparendo nell'acqua. Riemerse poco più in là,
agitando un braccio per richiamare la sua attenzione ed invitarla in
acqua.
Aki sorrise: sembrava davvero aver dimenticato tutta la faccenda di Jack e Crow. Per un attimo ne fu orgogliosa.
- Dai! Non è così fredda come pensi!-
esclamò Yusei, in piedi lì dove l'acqua era più
bassa.
- E va bene, arrivo!-
Yusei si mise fieramente le
mani sui fianchi, osservandola togliersi velocemente le scarpe e
svestirsi pezzo dopo pezzo. La maglietta fu la prima cosa ad andare
via, lasciata cadere sul telo con una noncuranza che, nella sua mente,
fu tutta studiata. Uscì dai pantaloni con un veloce gesto,
chinandosi quel che bastava per facilitare l'operazione e lasciarli
lì, accanto alla maglietta.
Lo sta facendo apposta?!
Yusei scosse il
capo costernato e si sedette nell'acqua, lasciando che spuntasse fuori
dalle spalle in su. Fin troppo carina in quel due pezzi arancione, Aki
quasi zampettò (sì, gli venne in mente proprio quel
termine...!) fino alla riva, lasciando che le onde gentili della
risacca le bagnassero i piedi; prevedibile, un gesto così
vezzoso e tipico di una ragazza, Aki si lasciò sfuggire un
gemito e si ritrasse un poco, stringendosi nelle braccia.
Doveva forse ringraziarla per mettere meglio in evidenza il bel seno così?! La vista di quella pelle candida gli bastava.
- Non è fredda dici?!- gli gridò dietro
dalla riva – Hai una percezione totalmente sballata delle
temperature, caro mio!-
- Oh andiamo! Buttati e basta e non tergiversare, sarà peggio altrimenti!-
Aki sembrò accogliere
il suggerimento: la giovane si avvicinò risoluta alla riva ed
entrò in acqua, raggiungendolo a grandi passi, le braccia
lievemente alzate quasi avesse paura di toccare l'acqua per lei fredda.
Yusei si alzò dolcemente in piedi, sorridendole contento,
osservandola restituire il sorriso.
Poteva uccidere per uno sguardo simile.
- Non ti tuffi?- le domandò poi, le mani sui fianchi.
Ebbe l'impressione che Aki
fosse più propensa a guardarlo per bene che altro, ma fu solo
un'impressione. Yusei reclinò il capo, divertito.
- Nnnon subito- rispose lei – La trovo ancora fredda-
- Fidati, una volta tuffata sarà meglio, ti ci abitui-
- E grazie al...ooooh...-
Il giovane reclinò il capo all'indietro e scoppiò a ridere, come poche volte Aki l'aveva visto.
- Giuro Aki, quando ti agiti sei davvero troppo carina!-
La giovane spalancò gli occhi. Carina aveva detto? Perfino quando si agitava?!
Prima che potesse totalizzare
ciò che aveva sentito, il giovane allungò una mano su di
lei e la spinse all'indietro; colta di sorpresa, Aki perse l'equilibrio
e cadde a sedere nell'acqua, tra urla e grandi schizzi. Il freddo la
investì di colpo, facendola rimettere immediatamente in piedi,
imprecando tra i denti.
Alle orecchie le giunse la risata di Yusei.
Okay, si stava divertendo un po' troppo per i suoi gusti!
Senza perdere tempo, e
favorita dall'effetto sorpresa visto che il ragazzo sembrava più
preso dal ridere che guardarsi intorno, Aki gli si avventò
letteralmente addosso. Non aveva la sua stessa forza e non poteva
sperare di scagliarlo in acqua con una spintarella come lui aveva
fatto, doveva per forza usare il suo stesso corpo come aiuto.
Ebbe il tempo di registrare la compattezza di braccia e petto, prima che entrambi finissero in acqua.
- Eheh, immagino di essermelo meritato!-
ridacchiò Yusei, una volta riemerso, mentre si stropicciava gli
occhi.
- Te lo sei meritato eccome!- sbottò Aki
– Non potevi aspettare che mi tuffassi di mia spontanea
volontà vero?-
- Aaaah insomma quanto borbotti!-
- Disse il musone patentato!-
Le risate li scossero
nell'acqua, divertiti come ragazzini. Yusei si prese qualche attimo per
osservarla, i capelli umidi e il volto gioioso.
Sempre più bella ogni giorno che passava.
- Come stai?- le domandò lei, reclinando
dolcemente il capo di lato, quasi a volerlo osservare meglio. Per Yusei
fu subito chiaro a cosa si riferisse; fece spallucce, lo sguardo
lontano.
- Meglio- rispose poi – Ancora un po'
amareggiato, ma non come prima. Eh...immagino che dovessi prevederlo,
che le nostre strade si incrociassero di nuovo-
- Ti sono mancati, dì la verità-
- Mortalmente. Forse è per questo che non
accetto che si siano fatti vivi per questa motivazione-
Lo disse con tono sincero,
autentico. Aki si mordicchiò il labbro inferiore: era un gesto
che Yusei le vedeva fare spesso e, neanche a dirlo, gli piaceva da
morire.
- Perché non ne riparlate a mente più
fredda?- domandò la giovane – Detta così su due
piedi può dare effettivamente fastidio...magari aspetta un paio
di giorni e riparlatene no? Non credo ci sia solo quello a spingerli-
- E cosa allora? Sono in battaglia per il titolo di
campioni e gli manca un pilota, e hanno pensato a me. Dopo sette anni
di silenzio-
- Ma ti hanno pensato! Già solo questo vuol
dire che non ti hanno dimenticato, che ti considerano ancora uno di
loro!...Più o meno-
- Brava, è quel più o meno che non mi convince-
-
Ehi, che ne sai? Magari Jack e Crow non hanno potuto mettersi in
contatto con te per tanti motivi...sai come funziona con gli ambienti
professionisti...devi essere iperconcentrato su quello che fai e non
permetterti distrazioni-
- E non mostrarti in pubblico con ex galeotti-
- Questa è una stronzata-
Yusei si voltò di scatto verso la ragazza, sorpreso. Non la sentiva imprecare spesso.
Il fatto era che riusciva a trovarla carina anche quando scaricava insulti ed improperi...la cosa stava davvero degenerando.
- Anche Crow è stato nella Struttura, vero?-
domandò la rossa. Yusei annuì.
- Quando era più giovane, più di una volta-
- Esatto! Eppure lui mostra i suoi segni in mondovisione!-
- ...Non so quanto conti ma credo di aver capito cosa
intendi. Possiamo non discutere di questo, Aki? Per favore-
Aki schiuse le labbra, quasi a voler dire qualcos'altro, poi annuì.
- Come preferisci Yusei- rispose poi – Parliamo
di qualcos'altro allora...non so, delle tue galassie magari, ragazzo
delle stelle?-
- Come mi hai chiamato?!-
- Non ti piace?-
- Al contrario! È solo che è la prima volta che lo sento-
- Mi piace, trovo che ti stia bene! In fondo sei un
aspirante astronomo no? E conosci tutte le stelle del firmamento!-
- Non tutte, magari...-
- Beh, quasi tutte! Ecco, per me sei il ragazzo delle stelle! Che ti piaccia o no-
Il sorriso che le rivolse sarebbe bastato da solo a illuminare l'intera Nuova Domino per le prossime due notti a venire.
- Mi piace- le rispose poi – Mi piace davvero, ragazza delle rose-
- ...E questa da dove viene?!- domandò Aki, stupita.
- Da quando ti ho vista nel giardino di casa tua,
accanto al roseto. Penso che come fiore ti rappresenti davvero bene!-
Le sfiorò il volto con una mano bagnata, facendola sobbalzare.
- Bella e con un caratterino...- commentò Yusei.
- ...Un caratterino eh? E che caratterino avrei io? Ah! Sentiamo un po'!-
Prima che lo decidesse
davvero, Aki colmò la distanza tra loro e gli saltò di
nuovo addosso, trascinandolo ancora in acqua. Tra onde, schizzi d'acqua
e risate, Aki sentì il proprio cuore farsi più leggero ed
abbandonare le preoccupazioni quotidiane.
- ...Io non ho mai provato istinti omicidi-
Il silenzio li circondò
improvvisamente. Seduti tutti quanti allo stesso tavolo, a turno appena
ultimato e con il sole che albeggiava, Yugi osservò uno per uno
i suoi compagni, sbattendo un paio di volte gli occhi ametista: Honda e
Jonouchi sembravano mandarsi saette con gli occhi, mentre Anzu li
osservava a metà tra il divertito e il pensieroso, e Bakura
studiava con grande attenzione la sua bottiglia di birra.
- Che voi sappiate il vetro è commestibile?-
domandò poi il ragazzo – Ho una gran voglia di mordere
qualcosa...-
- Sarebbe preferibile di no!- esclamò Yugi,
stropicciandosi gli occhi e ridacchiando insieme agli altri –
Honda, tocca a te-
- Allora vediamo...io non ho maaaaaai provato
attrazione, di qualsiasi tipo, per una persona del mio stesso sesso.
Jonouchi?!-
Con la mano ferma e chiusa sulla bottiglia, il biondino sollevò lo sguardo sui suoi amici, deglutendo nervosamente.
- Posso spiegare!- esclamò poi, un attimo
prima che Bakura scoppiasse a ridere come un'idiota, dondolandosi sulla
poltroncina – Posso spiegare e tu smettila di ridere! Non sapevo fosse un uomo!-
- MA COSA VUOL DIRE?!- sbottò Yugi, ridendo a sua volta.
- Vuol dire che mi ha confuso le idee! Era
decisamente troppo effeminato! E le luci del locale non hanno aiutato!-
- Uahahah! Yugi, cosa ti sei perso quella volta...!-
esclamò Bakura, tenendosi la pancia – La serata più
divertente della mia vita, giuro!-
- Per te sicuramente! A me son spuntati i capelli bianchi dopo quella!-
- Eh, come ti capisco...è un grosso problema!-
Jonouchi sbatté
rapidamente gli occhi prima di posarli sulla figura di Bakura, che
ghignava dietro il dorso della mano destra; il sole che nasceva gli
striava di scie luminose i capelli candidi, da sempre poco inclini a
lasciarsi disciplinare da un pettine. Il biondino strinse gli occhi in
una smorfia, scuotendo il capo.
Il gioco era, in sé,
molto semplice e stupido, ma come tutte le cose semplici e stupide
risultava mortalmente divertente, oltre che inesauribile fonte di
fesserie dalle più sceme alle più scabrose: quella che
Yugi stava bevendo, a differenza dei compagni, era semplice acqua
liscia, eppure si sentiva allegro e con il cuore leggero, come quella
sera quando Yuma gli aveva allungato il bicchiere di Vodka Lemon a
stomaco vuoto. Jonouchi e Honda avevano già vuotato due
bottiglie, Bakura era ancora alla prima; Anzu, invece, si era tirata
indietro da quel gioco strano e si dilettava a fotografare i suoi
compagni.
Atem sembrava sparito,
dileguatosi poco dopo la chiusura. Aveva lasciato a Yugi le chiavi del
locale, raccomandandosi di non “lasciare casino in giro”;
il ragazzo ne aveva approfittato per godersi l'alba con i suoi amici a
bordo piscina, prima di tornare tutti quanti a casa.
Il come ci sarebbero tornati, però, stava tutto in quel giochino idiota.
Dei tre, quello che meglio
reggeva l'alcol era proprio Jonouchi: un paio di birre non bastavano
per mandargli in tilt reattività e cervello. Bakura, invece,
possedeva minore resistenza, ed era infatti lui quello che si ritrovava
a ridacchiare più spesso per le fesserie. Honda era la perfetta
via di mezzo, eppure anche lui stava cominciando a mostrare segni di
cedimento.
E poi c'era Yugi che non aveva bisogno di una bottiglia di birra per ridursi il cervello a una pappina molle.
Anzu girava loro intorno come
un'ape intorno ad un mazzo di fiori, scattando foto con il cellulare:
chissà perché, ma trovava divertente l'idea di vederli
tutti quanti riuniti ad un tavolo neanche fosse un consiglio di guerra.
Più volte lo scatto fotografico era suonato in direzione di
Yugi, facendogli sollevare lo sguardo.
Era troppo chiederle di non ripararsi dietro quel maledetto smartphone?
Era stata una delle serate
più lunghe e difficili della sua vita: la visita dei suoi tre
amici, e le esibizioni di Anzu ai cerchi, era stata la combo perfetta
per fargli perdere compostezza e farlo sentire come un novellino alla
sua prima giornata di lavoro. Si era perfino scordato quale scheda
aprire sul palmare per segnare gli alcolici! Era stato costretto a
chiedere aiuto ad Aki per ricordarsene!
E ovviamente la rossa aveva
capito. Il come fosse stato possibile, Yugi non sapeva come
spiegarselo: forse era grazie a quell'intuito tipicamente femminile, o
probabilmente l'aveva reso lui palese lanciando spesso e volentieri
sguardi in direzione di Anzu, chi lo sa. Fatto stava che Aki aveva
ridacchiato e aveva fatto un commento che non ricordava benissimo,
qualcosa sul come potevano essere una bella coppietta; era stato
più preso a fulminare con lo sguardo i suoi tre amici che se la
ridevano come idioti, mentre si divertivano ad indirizzargli cuoricini
disegnati nell'aria.
E ancora non riusciva a trovare il coraggio necessario per parlarne direttamente con lei.
A volte si ritrovava ad
invidiare la sicurezza che Atem infondeva in qualunque sua azione; che
fosse stato il preparare una bevanda, scrivere una mail a un
rifornitore o avvicinarsi a una donna, sembrava non conoscere timidezza
o apprensione. Il maggiore gli ripeteva spesso che si trattava di
affrontare le cose un po' come una danza: non poteva certo entrare in
una pista da ballo guardandosi le scarpe, nessuno l'avrebbe preso sul
serio anzi, probabilmente sarebbe stato ignorato dalla stragrande
maggioranza di chi aveva intorno. Allo stesso modo non poteva certo
farsi largo a spintoni e gomitate, a meno di volersi creare subito una
folta schiera di nemici. Semplicemente si mischiava in mezzo alla folla
e lasciava che le cose seguissero il loro corso.
E detta in questo modo
sembrava così dannatamente semplice da apparire stupida, come
cosa, e Yugi sapeva che c'era ben altro sotto, qualcosa che non
riusciva a definire con chiarezza. Non era più il ragazzino
impacciato al punto da sembrare quasi imbranato, anzi: crescendo aveva
aperto gli occhi e si era dimostrato molto più scaltro di quanto
sembrasse in apparenza, pur senza perdere quella gentilezza con cui
trattava esseri viventi e non sulla faccia della Terra.
Eppure con Anzu perdeva quel poco di spigliatezza che aveva in un colpo solo.
Erano amici da tanto tempo: la
giovane aveva subito simpatizzato per quel ragazzino timido e
appassionato di videogiochi e fumetti, assurdamente diligente a scuola
e silenzioso al punto da risultare quasi inesistente agli occhi degli
altri, se non per chiedere aiuto durante verifiche ed interrogazioni;
il come fosse diventato così amico di quei tre scalmanati era un
vero mistero. Bakura era il più calmo e riflessivo di loro,
quindi l'affinità tra i due era giustificabile, ma Honda e
Jonouchi facevano casino come i fuochi d'artificio di Capodanno:
entrambi grossi, chiassosi, sempre lì a fare scherzosamente a
botte, con Honda che sembrava divertirsi fin troppo a punzecchiare il
biondino e scatenare così le sue reazioni fulminee. Anzu aveva
provato un'innata simpatia e tenerezza per Yugi, e avvicinarsi a lui
l'aveva irrimediabilmente messa a contatto anche con quei fenomeni dei
suoi compagni.
La giovane gli sorrise da
dietro lo smartphone, attirando la sua attenzione alle spalle di
Jonouchi. Yugi sorrise a sua volta, preparandosi per l'ennesima foto
mentre il compagno continuava a sacramentare senza freno.
Sapeva che, prima o poi,
avrebbe dovuto prendere il coraggio a piene mani e farsi avanti. Almeno
per cavarsi quel dente e capire come lei la pensava a riguardo.
Col rischio, ovviamente, di
guastare tutto quanto il loro rapporto, perché quante
probabilità aveva che Anzu corrispondesse quel sentimento? Forse
si stava lasciando trasportare troppo dal lieto fine di Judai con
Alexis...
Forse era meglio lasciar stare le cose così com'erano: sicuramente non avrebbe sbagliato e non avrebbe rovinato nulla.
Forse.
I riverberi metallici in
lontananza si fecero sempre più forti ed insistenti, fino a
diventare assordanti e impossibili da ignorare. Yugi si voltò in
direzione del suono, imitato dai suoi compagni; Bakura disse qualcosa
con voce colma di stupore, parole che Yugi non si curò di
registrare.
La torre sede della Kaiba
Corporation svettava su tutti i grattacieli di Nuova Domino:
inconfondibile nella sua lucida superficie a specchio, al suo interno
celava tutti i segreti del mondo videoludico attualmente conosciuto.
Durante la notte era illuminata da fasci luminosi che partivano dal
basso, rendendola un gigantesco parallelepipedo infuso di luce. Quel
mattino, tuttavia, sembrava essere diventata il polo di attrazione di
mille e più oggetti che, in quell'esatto momento, stavano
sorvolando la città per convergere tutti sulla sommità
della torre: Yugi riconobbe lamiere di ferro, vecchi televisori,
piccoli elettrodomestici e beni di ogni tipo sfrecciare tra le
costruzioni. La cacofonia di clacson e urla gli confermò che
sì, l'intera cittadinanza si era accorta di quello strano
fenomeno e si era fermata, come un sol uomo, ad osservare il volo di
oggetti inanimati verso la torre, circondandone la cima in decine di
cerchi come gli anelli di asteroidi di un pianeta ancora sconosciuto.
Yugi conosceva una sola persona capace di spiegare un simile fenomeno.
- Mh, davvero coreografico-
Mokuba alzò i vispi
occhi blu sul fratello, osservandolo dubbioso mentre Seto manteneva lo
sguardo fisso sulla cima della torre, seguendo il movimento ellittico
delle decine di oggetti volanti che ora la circondavano. Le mani
strette sulla maniglia della sua valigetta metallica, il ragazzino si
lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore, affiancando
velocemente il fratello maggiore.
- Questa è opera del tuo amico mago, vero?-
gli chiese poi, con un filo di voce: sapeva che Seto preferiva
mantenere il massimo silenzio, su quella faccenda, quando era intorno
ai suoi lavoratori.
- E chi altri?- lo sentì borbottare –
Vedo che stavolta non ha perso tempo a rispondere...credo che l'idea di
punzecchiarlo nel suo territorio non gli sia piaciuta molto-
Non gli era piaciuta davvero:
Seto aveva notato la scintilla nel suo sguardo, quel lampo che gli
aveva attraversato le iridi ametista in uno sguardo sorpreso, divertito
e infastidito tutto insieme. Il CEO della Kaiba Corporation aveva
iniziato a sfoderare l'artiglieria pesante, e Atem aveva subito
risposto mettendo in gioco i suoi pezzi da novanta.
La sfida si faceva sempre più intensa e divertente. Seto non poteva essere più stimolato di così.
Qualche applauso isolato
partì dalla folla quando gli oggetti volanti sparirono
così com'erano apparsi. Seto si lasciò sfuggire un ghigno
divertito, ripercorrendo le scale di accesso della torre, seguito da
Mokuba.
- E adesso cosa farai?- gli domandò il fratellino, curioso.
- Al momento nulla Mokuba, ho del lavoro da fare-
rispose lui, con un'alzata di spalle – Risponderò, ma
più tardi. Ho delle questioni urgenti da sistemare-
Gli ci volle poco per capire che l'intera torre era precipitata nel caos.
Come uno sciame di api
impazzito per la perdita della regina, l'intero personale della Kaiba
Corporation sembrava in preda ad una frenesia collettiva. Mokuba si
guardò intorno sorpreso da tutta quell'agitazione, Seto strinse
gli occhi sospettoso: decine e decine di camici bianchi entravano e
uscivano in porte e porticine, qualcuno imprecava a briglia sciolta,
altri correvano nei corridoi e davano ordini a destra e a manca.
Qualcuno abbatté un pugno decisamente forte sulla scrivania,
attirando l'attenzione del CEO che si affacciò nella stanza.
Il motivo di quella follia
collettiva fu presto chiaro. Ogni apparecchiatura elettronica al suo
interno sembrava impazzita: gli schermi lampeggiavano come luci
stroboscopiche di una discoteca al ritmo di una musica inesistente, e
qualsiasi comando impartito ai terminali non sortiva alcun effetto.
- Signor Kaiba!-
La voce di Ishizu lo fece
voltare di scatto: perfino la sua segretaria, ben nota per la sua
compostezza e la fredda aura di professionalità che la
circondava, sembrava risentire di quell'agitazione collettiva. Il suo
fedele tablet mostrava gli stessi sintomi delle altre apparecchiature.
- Tutti i nostri terminali sono fuori uso!-
esclamò la giovane, sistemandosi velocemente gli occhialetti
scivolati sulla punta del naso – E anche le apparecchiature
portatili! Non riusciamo a ripristinare i sistemi!-
- ...Quando è stata effettuata l'ultima copia di backup?-
- Ieri mattina, come ha richiesto-
- Mi segua-
Apparentemente indifferente a
tutta quella confusione, Seto scattò in avanti per il corridoio,
percorrendo a lunghe falcate il liscio pavimento in linoleum che
schioccava sotto i tacchi della donna; Mokuba arrancava subito dietro,
con la valigetta metallica che sbatteva rumorosamente contro la sua
gamba destra.
Il CEO della Kaiba Corporation
svoltò per porte e corridoi con la sicurezza navigata di chi
viveva le sue giornate in un autentico labirinto; ovunque la situazione
sembrava ripetersi, con gli schermi dei terminali che lampeggiavano
impazziti. Natale è arrivato in anticipo e non me ne sono
accorto, pensò Seto con una smorfia.
Ishizu passò il suo
badge personale sul tornello accanto alla porta dell'archivio dati:
come prevedibile, il lettore ottico lampeggiò insistentemente in
rosso, e lo fece anche una seconda e una terza volta, finché
Seto non lo sbloccò manualmente, digitando qualcosa sul
tastierino numerico che la donna non comprese e preferì non
guardare. Solo Dio sapeva che razza di accordo di segretezza avesse
firmato prima di ottenere il posto, roba che avrebbe fatto arrossire i
marmittoni di KGB e Area 51 messi insieme: qualsiasi cosa vedeva,
Ishizu aveva la sgradevole sensazione di assistere all'esecuzione di
qualcosa di proibito e inaccessibile ai comuni mortali.
Quell'azienda era un autentico mistero.
La porta si sbloccò con
un sordo clangore e un fischio, scivolando dolcemente di lato. Una
corrente di aria fredda li investì di colpo, Ishizu
rabbrividì stringendosi nella sua giacchetta: per preservare
l'integrità delle apparecchiature elettroniche, la temperatura
della stanza era tenuta costantemente sotto i ventidue gradi, giorno e
notte, estate e inverno, rendendo lampante lo sbalzo percepito nei
corridoi. Le unità olografiche di backup ronzavano
apparentemente senza problemi, ognuna racchiusa dal vetro infrangibile
di dieci centimetri di spessore dei loro contenitori. Un buon segno,
per il momento: se i dati contenuti in duplice copia al loro interno
stavano uscendo, come aveva inizialmente temuto, per essere trasferiti
su un server a loro sconosciuto, ogni singola torre si sarebbe
autonomamente scollegata da ogni tipo di linea, trincerandosi dietro la
sua impenetrabile rete di firewall. Seto si lasciò sfuggire uno
sbuffo divertito.
- Ci hanno provato- commentò poi, ghignando
– Ma non gli è andata molto bene-
- Hanno provato a fare quello che penso?- domandò Ishizu – Un attacco hacker?-
- Aha. E stavano procedendo anche bene: hai detto che
tutte le apparecchiature sono fuori uso, giusto? Che mi dici dei
Mainframe?-
- Mainframe inutilizzabili. Temo anche i super computer-
- Mh. Riporta la situazione a livelli di gestione
accettabili. Non siamo sotto attacco informatico-
- ...Idea su cosa sia successo?-
- Qualcuno ha provato a entrare nei nostri
server, è chiaro. Non ha avuto accesso ai dati ma ci sta
impedendo il normale svolgimento delle operazioni. E ogni minuto perso
è prezioso. La cosa può darci molto fastidio-
- Cosa intende fare?-
- Risolvere la questione di persona. Mokuba, vuoi vedere qualcosa da grande?-
Il ragazzino annuì con convinzione; a Seto non bastò altro, e gli fece cenno di seguirlo.
Buon cielo, cosa sto facendo? Dove sono finito?
Yusaku Fujiki non aveva mai
avuto paura di fare quello che sapeva fare meglio di chiunque altro:
infiltrarsi nella gigantesca rete del web e rintracciare server e
portali inaccessibili si era trasformata, col tempo, nella sua
specialità e principale fonte di sostentamento. Non proprio
legale, anzi, ma assai remunerativo, con cifre di ingaggio che
contavano tre zeri come minimo. Il rischio che la sua sottile opera di
infiltrazione venisse scoperta e che fosse ricondotta direttamente a
lui valeva ogni centesimo guadagnato a rubare dati o distruggerli, in
base alle richieste fatte.
Eppure si aspettava di tutto fuorché quello.
Terminando il suo hot-dog in
pochi morsi, leccando via dalle dita i residui della senape,
tornò a digitare freneticamente sulla tastiera del suo laptop:
lo schermo gli restituiva immagini su immagini di documenti
digitalizzati, stringhe di testo leggibili nascoste
da riservatissime bande larghe nere che impedivano la lettura
completa dei documenti di fronte a lui, rendendoli di fatto
incomprensibili e inutilizzabili da chiunque accedesse da un server
esterno. Una prassi molto conosciuta da Yusaku, che molto spesso si era
trovato a dover aggirare quella che era una semplice, blanda protezione
per evitare violazioni di copyright e furti di dati sensibili.
Violare la sicurezza dei
sistemi informatici gli dava una soddisfazione paragonabile solo a
quella di un orgasmo creato da mille mani che lo toccavano
simultaneamente.
Eppure qualcosa non stava
funzionando quella volta, e per quanto non gli creasse virtualmente
problema lo insospettiva: non riusciva a risalire all'intera sequenza
numerica dell'indirizzo IP, e risalire al nome del dominio sembrava
impossibile. Yusaku digitò ancora sulla tastiera, avviando il
programma di diagnostica che gli permetteva di individuare la fonte da
cui arrivavano tali documenti.
Un'altra finestra si
aprì nello schermo alla sua destra, collegato tramite cavo al
laptop: in quei casi, quando si ritrovava a lavorare con una grande
mole di dati, lavorare su più display era necessario, per
evitare di essere tratti in inganno dalla confusione che si creava
inevitabilmente con tutte quelle finestre aperte simultaneamente.
Inoltre, uno di quegli schermi poteva fungere tranquillamente come
lettore musicale, e ascoltare un vecchio live del 2007 dei Daft Punk si
rivelava sempre molto stimolante. Il display alla sua destra gli
mostrò una lista di dispositivi di rete che si allungava ogni
secondo: gli occhi verdi di Yusaku si posarono sulla lista di router.
Il ragazzo si accigliò
qualche secondo dopo, schioccando infastidito la lingua sul palato: la
traccia si era interrotta prima di arrivare al server da cui erano
partiti quei documenti. Il secondo tentativo andò a vuoto, e
anche il terzo e il quarto.
Non ha senso, si ritrovò a pensare. È
come se questo indirizzo IP non esistesse...possibile che una semplice
azienda produttrice di videogiochi abbia bisogno di tutta questa
segretezza? Cosa stanno nascondendo?!
Si concesse un ultimo
tentativo, ormai divorato dalla curiosità. La ricerca si
bloccò nello stesso punto di tutte le altre. Yusaku
sbuffò, passandosi le mani sul volto in segno di frustrazione.
Era chiaro che quell'indirizzo
IP appartenesse ad un protocollo reso non accessibile al pubblico:
tuttavia trovava strano che un'azienda video ludica utilizzasse gli
stessi, rigidissimi protocolli di sicurezza di un'agenzia governativa o
militare.
La Kaiba Corporation era un'azienda specializzata nella produzione di armamenti bellici prima di darsi ai videogiochi, ragionò Yusaku, accarezzandosi lievemente il mento. Capisco
la segretezza aziendale, molte imprese hanno una rete di firewall da
fare invidia al Pentagono...ma questa?! Questa è roba che ha
davvero del fantascientifico. Mai vista prima d'ora.
Con pochi tasti fece partire un programma di indagine diagnostica.
Devo assolutamente saperne di più.
A lungo andare, la faccenda
rischiava sempre di diventare personale: Yusaku non accettava mai di
non terminare il suo lavoro, e questa era una di quelle volte; poco
importava il reale rischio che si celava dietro l'angolo. Sgranò
gli occhi quando il programma di diagnostica gli mostrò le
impostazioni del firewall usato come protezione dei dati.
Roba seria, molto seria. Troppo
seria, che non giustificava tutti quei soldi che gli avevano offerto.
Yusaku si mordicchiò il labbro inferiore, le dita sospese sulla
tastiera, incerto se continuare o meno.
Gli avevano offerto una
fortuna per un lavoro apparentemente facilissimo, e già questo
era bastato per metterlo all'erta; ma quando era stata nominata la
Kaiba Corporation era stato tentato dal rifiutare. Troppi soldi tutti
insieme per spiare un'azienda video ludica, c'era qualcosa di strano.
Ma la metà del compenso pattuito era stata già ripartita
equamente su ciascuno dei cinque conti bancari da lui gestiti,
ovviamente tutti con nomi diversi per sviare le normali indagini di
sicurezza, e la voce sconosciuta al telefono non sembrava accettare
tentennamenti o domande.
La posta in gioco sta cambiando, qui.
E stava davvero diventando
tutto troppo rischioso anche per lui. Con sgomento si accorse che il
programma di diagnostica continuava ad infrangersi contro firewall e
protezioni, rimbalzando indietro in nodi sempre diversi, sempre
più vicini al punto di partenza delle sue ricerche; Yusaku
digrignò i denti, mettendo rapidamente fine alla ricerca:
qualcuno gli stava manualmente sbattendo le porte dei server in faccia!
Non ne vale la pena.
Il cellulare squillò
accanto alla sua gamba sinistra. Yusaku sbuffò frustrato,
osservando lo schermo dell'apparecchio lampeggiare sotto la dicitura di
“numero sconosciuto”. Quanta impazienza, e meno male che avevo detto che li avrei ricontattati io. Abbassò il volume della musica e rispose alla chiamata.
- Esci immediatamente dai miei server-
La voce dall'altra parte era
molto diversa da quella con cui aveva dialogato la sera prima: maschile
e profonda, limpida, non distorta da quel lieve riverbero metallico che
gli aveva perforato i timpani durante tutta la chiamata. Qualcosa gli
fece ugualmente capire che non centrava nulla con la persona messasi in
contatto in precedenza.
Chiuse la telefonata
nell'esatto momento in cui la porta dell'ingresso si spalancò e
un frenetico scalpicciare lo fece voltare in direzione del corridoio.
Oh. Merda.
Affiancato da un paio di
guardie in tenuta d'assalto, l'uomo entrò nella stanza mentre
allontanava lo smartphone dall'orecchio e lo riponeva in tasca, mentre
con la mano destra consegnava un piccolo laptop al ragazzino accanto a
lui. Alto abbastanza da svettare sulla folla, vestito di nero come a
volersi confondere con le ombre, gli occhi blu erano arpionati su di
lui, attirati come due calamite su un gigantesco polo. Il volto
contratto in una gelida smorfia contrastava in modo inquietante con
quello del ragazzino che lo seguiva, con i suoi stessi occhi blu
fattisi grandi alla vista degli schermi e delle torrette, come un
bambino dentro un negozio di giocattoli.
- Yusaku Fujiki, giusto?- sibilò l'uomo, senza
distogliere lo sguardo da lui per un secondo. Il ragazzo non lo vide
mai sbattere le palpebre.
- Non credo di aver vinto una vacanza alle Barbados, vero?-
Fare lo spiritoso non gli riusciva granché bene.
****
- ...Stiamo scherzando?!-
Con gli occhi carichi di
sgomento e, in un certo senso, rabbia, Yusei alzò il volume del
televisore, continuando ad osservare le immagini al televisore quasi
fosse di fronte ad un film dell'orrore: terribile, ma impossibile da
non guardare. Seduto al tavolo della cucina a poca distanza da lui,
Judai sembrava aver perso ogni traccia di sonno.
Le immagini del notiziario
mostravano una grossa colonna di fumo alzarsi da un cantiere posto
proprio sul ponte Daedalus. I titoli in sovrimpressione parlavano di
danni per decine di migliaia di yen, feriti gravi e due morti:
l'ordigno era esploso quella mattina, danneggiando gravemente due dei
piloni del ponte e coinvolgendo i lavoratori nella deflagrazione,
portando danni anche alla conduttura che, un tempo, faceva da scarico
per i rifiuti di Nuova Domino. Il ponte Daedalus era stato reso
inaccessibile per motivi di sicurezza.
Il Satellite era di nuovo escluso.
Era stato varato un programma
di sostegno per la popolazione del Satellite: la cittadinanza aveva
messo a disposizione numerosi elicotteri e aerei cargo per il trasporto
di beni di prima necessità. Nessuno aveva idea di quanto quella
situazione sarebbe durata: il ponte poteva essere reso accessibile il
giorno dopo come settimane o mesi, se non addirittura anni. Era stato
attivato un numero telefonico a cui inviare delle donazioni per
finanziare il progetto di ristrutturazione del ponte Daedalus, e un
altro contatto per chiunque volesse, in qualche modo, contribuire alle
spese per le esequie delle vittime.
E dire che Yusei aveva sentito
quella detonazione...era in moto con Aki, la stava riaccompagnando a
casa dopo il bagno in spiaggia all'alba. Tremò al solo ricordo
della gioia e serenità che lo aveva posseduto in quel momento,
lontano da sguardi indiscreti e accompagnato solo da quella ragazza che
stava, pian piano, diventando una presenza fissa nella sua testa.
Judai trasalì sulla
sedia quando sentì il pugno di Yusei schiantarsi sul tavolo, e
rabbrividì quando lo sentì imprecare furiosamente al
telefono che squillava. Il giovane afferrò lo smartphone con un
gesto che sottolineava tutto il suo nervosismo e se lo portò
all'orecchio.
- Pronto?!...No Jack, che diavolo vuoi adesso?! Chi
ti ha dato il mio numero?!...LUI?! Ma porcaputtana!-
Judai alzò lo sguardo e
sbatté un paio di volte gli occhi, sorpreso da tutto quel
nervosismo. Yusei era conosciuto proprio per l'eccezionale sangue
freddo che sapeva mantenere nelle situazioni più tragiche e
gravi: perfino nelle serate più affollate non perdeva un
briciolo di quella sua compostezza che tanto lo caratterizzava, e tutti
sapevano che le sue lavate di capo a Yuma e Yuya erano, per lo
più, scenate gonfiate di proposito per riportarli velocemente
all'ordine. Vederlo così adirato e roso dalla rabbia era un
evento più unico che raro: far innervosire Yusei era davvero
difficile, e Jack Atlas era il primo e unico in grado di vantare tale
primato.
Era dalla sera prima che il
capobar non aveva fatto altro che seguire, con lo sguardo, ogni singolo
movimento dei suoi due “amici”, se così potevano
ancora essere definiti. Li scrutava con sguardo indecifrabile,
l'espressione tipica di chi voleva dire qualcosa ma si stava
trattenendo per qualche motivo sconosciuto.
Judai conosceva la storia che
legava Yusei Fudo a Jack Atlas e Crow Hogan; tutti, al Pharaoh's
Kingdom, la conoscevano. E qualcosa gli diceva che anche Aki ne fosse
ormai al corrente.
Vedere Yusei avere a che fare con il passato era un triste spettacolo.
- Beh, taglia corto allora, cosa diavolo
vuoi?...Jack, ho già spiegato il perché del mio
risentimento, non farmi ripetere le cose due volte!...Sì, ho
visto il notiziario, brutto affare davvero. No, devo ancora sentire
Martha, non ho idea-
Martha, l'unico essere umano
che poteva permettersi di rifilare a Yusei una sana tirata di orecchie
e vivere per raccontarlo in seguito. La donna che, per Yusei, era stata
una madre e una confidente era rimasta al Satellite: il giovane la
telefonava spesso, e andava a trovarla di persona almeno una volta al
mese, favorito dal collegamento creato proprio da quello stesso ponte
che era stato chiuso dalla sera alla mattina.
- E con que—no no, levatelo dalla testa! Non abbiamo spazio!-
Judai sbatté gli occhi castani incuriosito, posandoli sul suo amico e coinquilino: che stava succedendo tra quei due?!
- Non è affare mio! Hai soldi no?! Sei
ricco...anzi no, siete ricchi abbastanza per sistemarvi nella suite
imperiale di qualche hotel a cinque stelle nei dintorni! Potreste anche
noleggiare un aereo per tornarvene al Satellite no?...NO NON SE NE
PARLA NEANCHE! QUESTO è davvero TROP-- vecchia amicizia UN
CAZZO!-
La chiamata si concluse con il
sonoro schianto dello smartphone sul tavolo, e una rabbiosa bestemmia
che fece tremare Judai da capo a piedi.
Yusei arrabbiato era davvero un pessimo spettacolo.
- ...Tutto bene?!- domandò poi il castano, la
voce sottile quasi avesse paura di rivolgergli la parola. Yusei non si
voltò.
-
...No- rispose poi, abbandonandosi ad un sospiro e tornando a fare
zapping al televisore: neanche a dirlo, ogni notiziario riportava la
stessa, tremenda notizia.
- Chi era al telefono? Jack?-
- E chi altri?! Atem gli ha dato il mio numero-
- A-Atem?! Ma perché?!-
- E che ne so?! Jack gliel'avrà chiesto
e...aaah, che mi incazzo a fare?! In fondo non è da Atem farsi
domande sul perché di certe cose. Gliel'avrà dato e basta-
- Cosa voleva Jack?-
- Beh, col ponte Daedalus chiuso non possono fare
ritorno al Satellite, apparentemente. Il campionato motociclistico
è momentaneamente sospeso, e né lui né Crow hanno
un posto dove stare-
- E hanno chiesto a te? Cioè, a noi?!-
- A-ha. Non gli ho mentito, insomma Jud dove cavolo
li mettiamo quei due? A malapena abbiamo spazio io e te qui dentro. Ma
io so il vero motivo per cui Jack ci teneva a stare a stretto contatto con me e non intendo lasciarglielo fare-
- Non pensi sia un po' esagerato, ora? Ehi! Dove vai?-
- A fare qualche esercizio- Yusei spense il
televisore e si alzò dal tavolo – Ho bisogno di sbollire,
ma se mi metto sulla moto adesso non sono sicuro di ritornare. Non
tutto intero almeno. Maledizione...una giornata iniziata così
bene...-
- Non credi sia il caso di dormire?-
- Mi è passato il sonno-
Si dileguò prima di
dargli possibilità di rispondere: Judai sentì la porta
che conduceva al garage aprirsi e chiudersi di schianto, facendo
dondolare il vecchio lampadario sospeso sul tavolo della cucina. Si
passò una mano tra i folti capelli castani, confuso e pensieroso.
Mai Yusei era apparso
così turbato come in quel momento: in meno di ventiquattro ore
sembrava aver perso tutta la sua compostezza e il proverbiale sangue
freddo. Conoscendo tutta la storia che c'era dietro, Judai si era
sempre domandato come il ragazzo avesse potuto reagire, se messo di
nuovo di fronte agli amici di una vita passata, e doveva ammettere che
la risposta non gli piaceva neanche un po'. Tutto si aspettava
fuorché quello.
Era pur vero che il
risentimento di Yusei era fondato: dopo quasi sette anni di silenzio,
in cui avevi letteralmente fatturato miliardi e avevi tagliato i ponti
con tutte le tue vecchie amicizie in nome di fama, gloria e successo,
non potevi farti avanti come se vi foste lasciati l'altro ieri e
chiedere subito un favore, neanche di poco conto.
Si trattava di sostituire un
pilota della squadra per una corsa che Yusei aveva definito suicida;
tuttavia Judai aveva trovato quella definizione estremamente riduttiva,
un eufemismo ridicolo, una volta conosciuta la vera natura di quella
competizione.
Jack Atlas, Crow Hogan e il
loro team competevano in quella categoria di motociclismo definita
Endurance. Le competizioni di quel tipo si svolgevano sulla distanza di
più ore e, a differenza delle normali competizioni su due ruote,
la motocicletta era condivisa da più di un pilota. I team
avevano a disposizione anche un secondo mezzo, con le stesse
impostazioni del primo, da utilizzare in caso la prima moto avesse dei
problemi di natura tecnica o elettronica o, più frequentemente,
fosse coinvolta in qualche incidente.
Altra caratteristica che
differenziava l'Endurance da tutte le altre categorie di motociclismo
era anche il fatto che durante le gare avvenivano regolari soste ai
box, per il rifornimento e il cambio degli pneumatici, oltre che dei
piloti.
Suddiviso in più tappe
e diversi circuiti, l'Endurance World Cup trovava la sua conclusione
proprio nel Satellite. E lì stava il grosso problema.
Il Satellite non possedeva una
vera e propria pista: l'isola stessa era la pista su cui si correva.
Chilometri e chilometri di strade pubbliche, normalmente aperte alla
circolazione, che si snodavano tra case, cantieri e costa, con il manto
stradale ridotto a quello che era e nessuna protezione per i piloti in
corsa. Settantasette chilometri da percorrere in piena velocità,
con il contachilometri che sfiorava tassativamente i trecento all'ora,
per dodici ore di corsa in cui i piloti si alternavano alla guida della
loro moto.
Un suicidio collettivo. Il
campionato precedente la Satellite Tourist Trophy aveva collezionato
ben tre decessi in appena ventiquattro ore e tre categorie, eppure
nessuno ne aveva fatto un dramma: le corse avevano proseguito
normalmente, come se la morte di un pilota in gara fosse un
evento all'ordine del giorno. Nessuno sembrava mai farne troppo una
tragedia ed era questa la cosa che metteva Judai in apprensione: quelle
curve mietevano vittime annualmente, e prima che il Satellite venisse
finalmente incluso tra i collegamenti di Nuova Domino chissà in
quanti avevano perso la vita tra quei tornanti.
Chissà quante volte lo
stesso Yusei aveva rischiato di venire inghiottito da quella scia di
morti inutili, necessarie solo per alimentare spettacolo e turismo.
E Jack Atlas e Crow Hogan
rischiavano annualmente la loro vita in quel dedalo di curve. E avevano
proposto a Yusei di fare lo stesso. Solo per fare presenza
avevano detto, perché avevano iniziato il campionato con tre
piloti e dovevano concluderlo allo stesso modo, per scansare una
penalizzazione che li avrebbe portati a vedersi sfumare la
possibilità di giocarsela per il titolo.
Tuttavia, sembrava tutto davvero troppo rischioso.
E Judai avrebbe mentito, se
avesse detto che non riteneva Yusei capace di svegliarsi un mattino,
fare armi e bagagli e seguire i suoi ex compagni in quell'assurda
avventura.
Conosceva bene il suo
inquilino, compagno e collega, e sapeva che il legame che aveva con il
Satellite era del tutto particolare. Yusei conosceva a menadito quelle
stesse curve su cui, da sette anni, piloti di vari team e
nazionalità si sfidavano annualmente: per lui erano la sua vera
casa, il suo vero nido.
E Judai sapeva che il richiamo
dei motori era davvero forte in lui. Lo sapeva, lo sentiva, lo
percepiva in Yusei ogni volta che, insieme sulla moto, ruotava la
manopola del gas e faceva balzare la Bimota nel traffico. Per quanto
quel ragazzo potesse nasconderlo, il suo cuore si nutriva di
quell'adrenalina, quell'eccitazione causata dall'improvvisa spinta del
bicilindrico.
Doveva essere una sensazione
davvero galvanizzante, a cui Yusei aveva provato a dare una spiegazione
anni prima, durante una chiusura del locale: Judai l'aveva guardato
stralunato quando l'aveva sentito affermare che fosse un po' come fare
del sesso con una bella donna. Ci trovava una certa similitudine nel
ricercare i tempi giusti, i momenti in cui poteva lasciarsela sfilare
via e quelli in cui era necessario riprenderla con fermezza, quando
accelerare, quando rallentare, e tutta quella naturalezza che la faceva
dondolare con te fino all'apice. A sentirlo parlare in quel modo, Judai
si era automaticamente convinto di un perverso lato nascosto del
compagno; e il fatto che Yusei, qualche minuto dopo, fosse corso a
vomitare in bagno anche l'anima, grazie all'intruglio alcolico
rifilatogli da Yuma, non bastava per farlo desistere dalla sua idea.
L'amore che Yusei provava per
i motori era paragonabile solo a quello che lo portava sempre ad
osservare le stelle su di loro. E Judai sapeva, quasi temeva che si
trattasse solo di questione di tempo, prima che il ragazzo indossasse
una tuta integrale.
Quando scese in garage, il
castano lo ritrovò sul tappetino in plastica, impegnato in
fluide flessioni sulle braccia. Non aveva acceso la musica, forse per
concentrarsi meglio: si alzava ed abbassava sulle braccia con ritmo
regolare e costante, ma quando si rese conto della sua presenza lo
chiamò a sé. Judai si avvicinò quasi timidamente,
lo sguardo fisso sulla schiena tornita e i muscoli in tensione.
- Siediti- gli ordinò Yusei – Sopra di me- aggiunse poi-
- ...Eh?!-
- Ho detto...siediti su di me. Come hai fatto...l'altra volta-
- ...Okay-
Incapace di dire altro, il
castano obbedì. Si accomodò sulla schiena del compagno
con insolita delicatezza, appoggiandosi lievemente alle sue spalle.
Yusei si voltò appena, osservandolo di traverso.
- Non ci siamo capiti- gli disse poi – Siediti davvero. A gambe...incrociate-
- Cos...oh-
Judai annuì e
obbedì, sfilandosi gli infradito dai piedi e piegando le gambe
sotto di sé. Vacillò per un attimo quando sentì
Yusei abbassarsi sulle sue braccia, per poi risalire con un movimento
fluido e lento.
- Posso guardare il cellulare?- gli chiese poi, incerto.
- ...Quello che vuoi basta che tu stia zitto-
Il castano annuì e non fiatò più.
_______________________________________________________________________________________
Ho pensato, visto che siamo tutti qui bloccati, perché non tenervi ancora un po' di compagnia?
Visto che la
quarantena mi ha messo a disposizione un sacco di tempo libero, ho
ripreso in mano questa storia e la sto continuando...insieme alle altre
trecentomila cose che mi sono organizzata di fare per tenermi
impegnata. Ecco qui un altro aggiornamento per tenervi compagnia! Con
una new entry che, in passato, era stata molto richiesta...eccolo qui,
Yusaku Fujiki in tutto il suo cibernetico e hackerante splendore!
Come state
passando la quarantena? Avete di che tenervi impegnati? Mi raccomando,
fate attenzione e limitate le uscite allo stretto necessario: prima
usciamo tutti da questa situazione e meglio è! Anche per quelli
come me che soffrono a stare chiusi in casa quando fuori ci sono queste
belle giornate...ho bisogno di aria fresca, sole e cavalli, chi mi
conosce sa xD
Ci sentiamo presto! Teniamoci compagnia in questi giorni così difficili!
92Rosaspina
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Capitolo 17 *** 15. Falle nel sistema- parte due ***
Pharaoh's Kingdom 16 - parte 2
15. Falle nel sistema- parte due
L'ufficio di Seto Kaiba sembrava
illuminato di luce propria, quasi divina. Yusaku venne fatto accomodare
alla sedia di fronte alla scrivania del CEO della Kaiba Corporation,
invitato dal fluido gesto di una donna dall'esotica e penetrante
bellezza: i suoi occhi, fregiati di una misteriosa sfumatura di blu e
verde, risaltavano magnificamente sulla carnagione mulatta, e i lunghi
capelli neri apparivano lisci e setosi già solo allo sguardo.
Con quei tratti somatici, e il corpo che intuiva snello e scattante
anche sotto il tailleur bianco e nero, Yusaku trovava che quella donna
stesse meglio su una passerella o fotografata sulla patinata copertina
di una rivista di moda, e non dietro una scrivania...per quanto
l'immagine in sé fosse piuttosto attraente. Era professionale e
fredda, distaccata quanto bastava per incutere ammirazione e soggezione
con un solo sguardo.
Yusaku si sistemò meglio
sulla sedia e attese che a entrare fosse Seto Kaiba in persona. Ishizu
Ishtar non abbandonò il suo fianco per un solo secondo, tenendo
tra le mani quella piccola cartella bianca con su stampato il logo
dell'azienda.
Con suo sommo sgomento, l'irruzione
in casa di Seto Kaiba e del suo gruppo di sorveglianza non si era
conclusa con una sua veloce consegna ad una stazione di polizia: pronto
a far valere i suoi diritti e accusarlo di effrazione di domicilio,
Yusaku era stato invece invitato a fare visita alla sede della Kaiba
Corporation. Era chiaro che stesse per entrare dritto nella tana della
tigre o, per avvicinarsi all'impressione data dal giovane CEO, nella
bocca dello squalo, ma aveva accettato per qualche mistico motivo che
ancora non riusciva a spiegarsi.
Forse perché voleva vedere
quanto realmente fosse grande l'impero di quello che, in teoria, doveva
essere il suo nemico, l'uomo da neutralizzare? E invece aveva la
spiacevole sensazione che il ruolo si fosse insospettabilmente
ribaltato: risucchiato all'interno di quella gigantesca torre, senza il
suo fedele laptop Yusaku si sentiva...sconfitto, forse? Sì,
eppure non prigioniero.
Seto Kaiba fece il suo ingresso
nell'ufficio, seguito da quel ragazzino dai capelli neri vestito come
un uomo d'affari in miniatura: non fosse stato per la statura bassina e
il volto infantile, avrebbe giurato di trovarsi di fronte ad un
vicedirettore. Il ragazzino si accomodò sul divano in pelle
vicino alla vetrata, aprendo su di esso la sua valigetta metallica ed
estraendo una tra le diverse console portatili che possedeva; Seto
Kaiba si accomodò alla scrivania e lo scrutò intensamente
con i suoi occhi blu, il volto lievemente nascosto dalle mani giunte.
Solo in quel momento Ishizu Ishtar si mosse, consegnando al giovane la
cartellina.
- Ottimo- lo sentì mormorare, aprendola e
svelandone diversi fogli stampati all'interno – Vai pure. Ti
chiamerò se avrò bisogno-
Ishizu Ishtar non rispose. Fece un
lieve inchino con il capo, prima di voltarsi e uscire dall'ufficio,
chiudendo la porta alle sue spalle.
- Allora, Yusaku Fujiki-
Seto osservò il ragazzo con
occhio critico: a un primo sguardo dava un'impressione quasi
disturbante. Escludendo le assurde sfumature che gli coloravano i
capelli, e quella che sembrava la divisa di un plesso scolastico,
appariva come un giovane ragazzo appena entrato in carriera
universitaria, stando al dossier che Ishizu gli aveva appena fornito:
lo scorse velocemente con gli occhi, voltò un paio di pagine
prima di soffermarsi su un quadro clinico molto interessante.
Test cognitivi, test per la
funzione psicomotoria, valutazione dello stile di apprendimento e delle
competenze nella vita indipendente, tutti condotti da una struttura
specialistica, gli avevano evidenziato i chiari segni della sindrome di
Asperger all'età di nove anni. Seto alzò lo sguardo sul
ragazzo, osservandolo meglio.
Yusaku Fujiki lo osservava con il
volto privo di qualsiasi espressione, apparentemente disinteressato a
ciò che gli stava intorno. Sapeva che stava ragionando e
valutando, lo sentiva, ma il volto inespressivo non gli dava conferma
di quella sua teoria, e gli occhi verdi osservavano un punto indefinito
alle sue spalle. Seto tornò a leggere il quadro clinico: la
diagnosi precedente era stata riconfermata con un secondo esame in
età adulta.
Sindrome di Asperger: Seto
ricordava di aver letto qualcosa a riguardo, tempo fa, spinto
più dalla curiosità di capire perché tante persone
erano portate ad auto diagnosticarsi un così strano disturbo
autistico ad alto funzionamento. Gli individui portatori di questa
sindrome presentavano difficoltà nelle interazioni sociali,
schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, attività ed
interessi in alcuni casi molto ristretti; tuttavia, a differenza di
altre forme di autismo, non portava a significativi ritardi nello
sviluppo del linguaggio o nello sviluppo cognitivo. Intelligenza,
comprensione e autonomia non erano compromesse dalla sindrome: questo
portava alla teoria che la sindrome di Asperger non dovesse essere
catalogata come una malattia, piuttosto come uno stile cognitivo
diverso, come l'omosessualità. Altre teorie sostenevano che la
combinazione tra sindrome di Asperger e abilità avesse prodotto
persone geniali, le menti più illustri della storia
dell'evoluzione dell'uomo.
Seto posò ancora lo sguardo sul ragazzo, arricciando il naso, dubbioso.
Sicuramente possedeva un cervellino
di prim'ordine, per riuscire a entrare nei server della Kaiba
Corporation e creare tutto quel caos: non era stato abile abbastanza
per aggirare tutte le protezioni e i firewall, ma a suo merito doveva
ammettere di aver fatto un lavoro finissimo, costringendolo a rimediare
anche con una certa velocità. Chissà cosa sarebbe
successo se avesse tardato solo qualche minuto in più.
Cervellino funzionale ma totalmente
privo di empatia e socializzazione: quel ragazzo sembrava andare in
giro con addosso un cartello con su scritto ASPIE a caratteri cubitali.
- In tuo merito, devo ammettere che sei stato davvero
bravo- sibilò Seto, gli occhi blu stretti e ridotti a due
fessure – Non è da tutti riuscire a entrare nei miei
server; l'unico sciocco sprovveduto che ha tentato un attacco hacker
alla mia azienda è finito sul lastrico nel tempo di dire
“SOLDI”. Tuttavia, ho una domanda da porti al riguardo: per
conto di chi?-
Yusaku alzò gli occhi su di
lui, e finalmente Seto notò un tremolio, un lieve cedimento
della sua impassibile facciata. Non si aspettava davvero quella
domanda? Doveva ammettere che sbatterlo subito dietro le sbarre sarebbe
stato più sensato: con la velocità con cui aveva ottenuto
quel mandato che gli aveva permesso di fargli irruzione in casa,
avrebbe impiegato metà del tempo per fargli mettere dei
braccialetti di metallo ai polsi e fargli stampare in faccia un bel
segnetto dorato. Ishizu stessa, poco prima di uscire dall'ufficio, gli
aveva riservato un'occhiata dubbiosa.
Perché permettere al nemico di infiltrarsi in prima persona tra le sue linee?
- ...Sono stato pagato per farlo- rispose Yusaku.
Aveva una voce corposa, bassa, rischiarata da una lieve nota giovanile
che confondeva i pensieri e le domande sulla sua effettiva età.
- Mi sembra chiaro- rispose Seto, serrando le dita
– In fondo è quello che tu sei, no? Un hacker-
- ...Preferisco “consulente informatico”. Dà molto meno nell'occhio-
- Come no. Dovrei farti sbattere in una cella della
Struttura e far buttare la chiave, razza di ladruncolo. Hai anche una
bella faccia tosta, giuro-
Yusaku lo fissò impassibile: sembrava davvero adirato.
- Non faccio mai nomi dei miei clienti- disse poi il
ragazzo – E questo per tre motivi: numero uno, non è
moralmente corretto. Numero due, vengo pagato anche per tenere la bocca
chiusa. Numero tre, è nella mia etica assumermi le piene
responsabilità di quello che faccio e accettarne le conseguenze.
Sono consapevole di non aver scelto un modo pulito per vivere-
- Bene. E io ti darò, allora, tre motivi
perché tu debba deciderti a vuotare il sacco. Numero uno, posso
farti passare dei guai, dei guai molto grossi. Numero due, vedi il
punto numero uno. Numero tre, vedi il punto numero due-
- Le minacce fanno parte della mia professione-
- Non è mio interesse sbatterti dentro-
- Ah no?-
- A che scopo? È evidente che tu sei una pedina-
- E secondo lei è una cosa buona o una cosa cattiva?-
- Sei solo una pedina. Il Re è qualcun altro.
Parliamoci chiaro, Yusaku: non è mio interesse consegnarti alle
autorità, ma non esiterò a farlo a meno che tu non faccia
come dico io-
- ...Mi sta ricattando, forse?-
- Ti sto dando la possibilità di uscire pulito
da questa storia e con una professione vera. Hai indubbiamente del talento, e voglio che tu lo metta al mio servizio-
- Non posso accettare-
- Dammi tre motivi per non farlo-
- In realtà, in questo caso ne basta solo uno: sanno chi sono-
- Allora lavori per più di uno-
- Ho parlato con una sola persona, ma dietro c'è un'intera congrega-
- Interessante...-
Lo era davvero: l'arcigno volto di
Sakue Izayoi gli si materializzò in testa senza che nemmeno lui
volesse dare corpo a quel pensiero. Seto si torse nervosamente le mani;
l'idea che quella donna e il suo circolo di pseudo-filantropi confusi
fosse dietro a tutto quello che era successo in quelle ventiquattro ore
gli dava il voltastomaco dalla rabbia. Non aveva prove che legassero
loro le mani, ma la sua concorrenza era stata già sbaragliata da
anni, i suoi nemici neutralizzati. Chi altri poteva mettergli i bastoni
tra le ruote, se non nuovi avversari palesatesi poco tempo prima?
Non ci si prendeva impunemente gioco di Seto Kaiba.
- Mi perdoni, cosa ci trova di così
interessante?- domandò Yusaku, aggrottando lievemente la fronte.
- Così non funziona, Yusaku. Le domande devo farle io, che c'è ora?!-
Il ragazzo alzò lievemente
un sopracciglio, osservando Seto Kaiba voltarsi verso il telefono che
squillava incessantemente. La sua mano si posò sulla cornetta
dell'apparecchio, gli occhi scrutarono torvi il display per riconoscere
l'interno.
- Ishizu- soffiò poi nell'apparecchio,
trattenendo a stento un ringhio - ...Ah sul serio? Proprio ora?!-
Seguì un attimo di silenzio,
in cui il CEO si voltò verso il ragazzo che stava per mettergli
a soqquadro i server. Yusaku sostenne il suo sguardo con fermezza, non
molto sicuro di cosa stesse succedendo; si voltò ad osservare il
ragazzino seduto al divano, anche lui attirato dall'improvvisa pausa di
Seto.
- E va bene. Fallo salire, parliamo anche con lui. Ehi, Mokuba-
Il ragazzino alzò gli occhi sul maggiore, abbozzando un sorriso.
- Perché non fai fare al nostro ospite un giro
della struttura?- gli domandò poi – Nel frattempo che io
discuto con un amabile signore? Continueremo dopo il nostro piccolo
incontro, Yusaku Fujiki-
Qualcosa, negli occhi di Seto
Kaiba, gli procurò un lieve brivido lungo la schiena. La mente
gli restituì l'immagine di uno squalo bianco che si avvicinava
alla preda con pochi colpi di coda: il CEO della Kaiba Corporation
sembrava pronto ad uno scontro faccia a faccia con un pezzo grosso, a
giudicare da come l'aveva pomposamente definito. Il ragazzino chiamato
Mokuba chiuse la console portatile nella sua valigetta metallica e
scese dal divano, sorridendogli e facendogli cenno di seguirlo.
Spinto alla curiosità, Yusaku lo seguì, congedandosi con un breve inchino del capo.
Nell'esatto momento in cui il
giovane Fujiki lasciò la stanza insieme a Mokuba, Ishizu
accompagnò l'ingresso di un ragazzo troppo cresciuto, dalla
faccia esageratamente lunga, vestito con un pesante completo blu
scuro e una cravatta giallo canarino che gli fecero serrare gli occhi
in uno sguardo carico di disprezzo: ghigno disturbante sul volto da
faina e accostamenti cromatici di dubbio gusto, la combo perfetta per
fargli rizzare tutti i nervi.
- Torno in ufficio- fece Ishizu – Mi chiami se--
- Resta qui, Ishizu. Non le dispiace vero, signor...-
- Suketsune. Izayoi Suketsune- rispose l'altro, con la voce che traboccava viscidume.
Avesse potuto scoppiare a ridere,
Seto l'avrebbe fatto molto volentieri. L'intera storiella era
così divertente da dargli quasi ai nervi.
- Izayoi eh? Nome non nuovo. Prego, si accomodi pure-
lo invitò il giovane, con un cenno della mano – Chiudi la
porta, Ishizu-
- Desidero anzitutto ringraziarla per la cortesia nel
ricevermi- disse Suketsune, mentre la donna chiudeva la porta e si
andava ad accomodare al divano scuro, gli occhi fissi sul tablet e il
pennino che scorreva veloce a scrivere qualcosa – So che è
davvero difficile trovare un momento, per lei, per--
- A voi Izayoi piace davvero tanto gonfiare gli altri di belle parole, eh?-
Le sue risposte al vetriolo
ottenevano sempre l'effetto sperato di destabilizzare il suo
interlocutore, e Seto Kaiba ne traeva un sordido piacere, a mettere in
ginocchio le persone con poche parole; Atem era l'unico che sembrava
immune al suo stesso potere, con suo sommo rammarico. Tuttavia poteva
consolarsi con dei pallidi, eleganti cravattoni vestiti a festa che
cercavano di distrarre uno squalo con delle esche succulente, bene al
sicuro nella loro gabbia di protezione fornitagli dal loro patrimonio.
Le sue fauci erano forti e grandi abbastanza per fare a pezzi qualsiasi gabbia.
- Immagino che mia madre, Sakue Izayoi, sia venuta a farle già visita-
- Ah, era sua madre?!
Non l'avrei mai detto! Sì, abbiamo amabilmente conversato per un
po' l'altro ieri, prima che mi trovassi costretto a far intervenire la
sicurezza per intercettarla: non riusciva a trovare l'uscita dalla
torre-
- Ah, tipico di lei! Con l'età che avanza ha
perso molte cose, il senso dell'orientamento in primis!-
E si abbandonò ad una risata
molto nervosa e forzata. Seto Kaiba lasciò che un ghigno gli
piegasse le labbra, nascondendolo appena dietro le sue mani giunte.
Per quanto gli desse sui nervi, la situazione cominciava ad assumere tratti così grotteschi da apparire divertenti.
- Signor Izayoi, perdoni la franchezza ma sono molto
occupato- sibilò Seto, gelido come un iceberg – Per cui,
se è qui solo per ricalcare le orme di sua madre, allora le
ricordo che quella è la porta: non ho tempo da perdere-
- Ah, ma neanche io signor Kaiba! Neanche io! E sono
qui non certo per rubarle tempo prezioso, ma per proporre un
vantaggioso accordo!-
- Se sarà vantaggioso lo deciderò io. Sentiamo un po'-
E si mise meglio comodo sulla sua
poltrona, senza interrompere il contatto visivo. Giurò di aver
visto Ishizu sogghignare divertita.
- Beh, so che mia madre ha un modo tutto suo di
parlare e fare proposte. Io sono più malleabile e propenso a
scendere a patti: in fondo il successo si raggiunge meglio se si
collabora in due, no?-
- Dopo questa deve darmi tre motivi per non metterla alla porta-
Il pensiero corse, anzi saltò letteralmente a Yusaku Fujiki.
- Oh, gliene darò uno solo, signor Kaiba, ed
è lo stesso motivo per la quale lei è arrivata a
rivestire un così alto ruolo nella società e
nell'economia. Potere, signor Kaiba. E soldi, se capita-
- Ishizu--
- Mi ascolti, signor Kaiba. Sappiamo cos'è
successo al suo cantiere sul ponte Daedalus, una vera tragedia. Quei
poveri uomini...padri di famiglia che si stavano guadagnando
onestamente da vivere, strappati troppo presto alla loro vita-
- Concordo, una tragedia assurda. Ma chi si
è macchiato di tale crimine pagherà, gliel'assicuro. Sono
già partite le indagini-
- Ottimo lavoro, signor Kaiba. Ma non credo che
basti. Il ponte è stato momentaneamente chiuso, e immagino lei
debba riprendere alla svelta i suoi lavori. Il progetto della sua
ferrovia è davvero degno di nota, e la mia famiglia vorrebbe
contribuire a tale realizzazione. Siamo disposti ad assicurare un
ingente capitale a sostegno del suo completamento, e a pagare di nostra
tasca dei corpi di sorveglianza che tengano d'occhio i cantieri giorno
e notte-
- Ma che bravi samaritani. E immagino che la
condizione unica per beneficiare di tali favori sia quella di lasciar
perdere il Satellite, vero?-
- ...Lei è un uomo estremamente intelligente, signor Kaiba--
- LO SO-
Di nuovo quella scintilla di
disagio illuminò gli occhi spiritati di Suketsune Izayoi. Di
nuovo Seto colse il sorriso divertito di Ishizu, malcelato dalla sua
mano destra, mentre fingeva di rimettersi a posto gli occhialetti sul
naso per la decima volta in quei tre minuti.
- E proprio perché lo sono, e sono fermamente
convinto che anche lei abbia un po' di sale in zucca...- riprese Seto
– Che mi sento in dovere di fermarla qui. Sua madre mi aveva
già offerto del denaro, la scorsa volta, per lo stesso motivo-
- Già, ma non c'era di mezzo questo
increscioso problema della sicurezza! Adesso le cose saranno
sicuramente--
- I
miei piani non cambiano. Ponte aperto o no, i lavori procederanno
normalmente, e senza i vostri soldi-
- Ci pensi bene. Signor Kaiba, gli attacchi
potrebbero intensificarsi! E tutto questo per cosa? Per collegare
un'isoletta sperduta ad un simbolo continentale come Nuova Domino? Cosa
penseranno i suoi colleghi? I suoi sostenitori?-
- Pensassi a loro non sarei qui, ora. Voi Izayoi
siete fatti tutti della stessa, identica, molliccia pasta frolla. Molto
male-
- Siamo semplicemente accorti e desiderosi di vedere
le nostre famiglie, e la nostra cittadinanza, al sicuro e lontana dalla
feccia del Satellite-
- Intende quella chiusa al sicuro dietro le sbarre della Struttura?-
- Intendo quella che vaga a piede libero per Nuova
Domino. Conosce il Pharaoh's Kingdom, signor Kaiba?-
Dove voleva arrivare?! Seto storse il naso, guardingo.
- Sì- rispose comunque, con un'alzata di
spalle – Un locale passabile. Idea carina, quella di rievocare
un'oasi nel deserto, ma avrei investito meglio il mio capitale-
- Mmmmh. E sapeva che il suo proprietario dà lavoro a un ex galeotto?-
- Intende forse il capetto del bar? Yusei Fudo, mi
pare si chiami. Un tipo a posto, grande lavoratore. Peccato per quel
segno in faccia, certo, ma come si dice nessuno è perfetto...-
Non traeva alcun vantaggio nel
prendere le difese di Atem e del suo locale, tanto meno dei suoi
lavoratori; ma qualcosa lo spinse a cercare di tenerli fuori da quella
storia.
- Mi sta quindi dicendo che lei è favorevole
alla reintegrazione sociale dei criminali?- domandò Suketsune,
in tono stupito - ...Sono sorpreso, lo ammetto. Non lo aspettavo da lei-
- Ah davvero? E come mai, di grazia?-
-
Perché come ben saprà, le mele marce vanno tolte dal
canestro, prima di impestare tutto il resto-
- Ottima osservazione. Lasci che gliene faccia io un'altra-
Ishizu smise di ghignare. Alzò gli occhi verso di loro, gli occhialetti scivolati sulla punta del naso.
Il tono di voce di Seto Kaiba era definibile spietato.
- Non si fanno soldi a vivere nel passato-
sibilò poi – Quel ragazzo, Yusei, è stato
intelligente abbastanza per capirlo e ridimensionare la sua vita
nonostante questo. Cos'abbia fatto non lo so, per quel che mi riguarda
potrebbe anche aver ammazzato qualcuno, ma sa la cosa divertente?
È che a me non importa. Come non mi importa nulla di tutti
quelli che, come Yusei Fudo, cercano di ritrovare la propria strada.
No, non li ammiro, ma neanche li disprezzo e ostacolo. Ho cose ben
più importanti a cui pensare, piuttosto che a un ragazzo con una
saetta dorata in faccia o alle paranoie di una famiglia di cialtroni-
Ancora seduta al divano, Ishizu si
morse l'angolo destro del labbro inferiore: un gesto che faceva solo
quando la tensione, per lei, si faceva evidente e palpabile, e quindi
piuttosto raro da vederle.
- La ringrazio della visita, signor Izayoi. Porti i
miei saluti a sua madre. Ishizu, accompagna il signore verso l'uscita.
Ah, e appena possibile rimandami qui Mokuba e il signorino Fujiki-
Qualcosa, nell'espressione di
Suketsune, gli fece capire di aver toccato un tasto particolarmente
suscettibile. Seto serrò lo sguardo, seguendo con gli occhi i
rigidi movimenti del giovane Izayoi mentre Ishizu lo accompagnava alla
porta.
Aveva avuto una strana reazione,
quando aveva fatto il nome di Yusaku: tutto il volto gli si era
contratto, e sembrava aver perso del colorito. Gli occhi, invece,
avevano preso a vagare per tutta la stanza, quasi alla ricerca di una
via di uscita che lo portasse fuori da lì.
Perché mai quella reazione?
Non era il comportamento che ci si aspettava, da una persona che, in
teoria, non sapeva neanche di chi stava parlando. Avrebbe capito se
avesse reagito a sentire il nome di Mokuba: il fratellino gli era
sempre intorno anche durante manifestazioni e meetings internazionali,
suo malgrado si era fatto anche lui conoscere...ma Yusaku Fujiki? Un
universitario allampanato, totalmente privo di empatia e esperto in
hackeraggio di sistemi informatici e furti di dati sensibili?
L'illuminazione lo colse al cervello, colpendoglielo con un calcio. Il suo ghigno si allargò ancora.
Aveva ragione, come sempre.
- E questo è il nostro bar! Bello vero?
C'è proprio di tutto, dai dolci ai cornetti ai gelati, e qui
puoi anche ordinare il pranzo se dimentichi di portartelo da casa! In
fondo al corridoio, invece, c'è la nostra palestra! Chi termina
il proprio turno lavorativo può entrare lì dentro e
tenersi in esercizio! Abbiamo anche una piscina riscaldata, e un centro
massaggi!-
Yusaku arrancava dietro quel
piccolo uomo d'affari, che aveva appena imparato a riconoscere come il
fratellino di Seto Kaiba. Nonostante la differenza di dimensioni, e la
zavorra costituita da quella voluminosa valigia metallica, Mokuba
attraversava porte e corridoi con passo spedito ed energico, senza
tentennamenti o smarrimenti. Sembrava conoscere il posto davvero bene,
e per quanto fosse giovane già si comportava come un piccolo
uomo d'affari: vestito di tutto punto, educato e formale, con quel tono
professionale che il fratello maggiore sembrava aver fin troppo
estremizzato.
Aggirandosi per i corridoi della
torre della Kaiba Corporation, Yusaku si era fatto un'idea molto
più grande di dove era andato a ficcanasare: non solo una casa
produttrice di videogiochi, ma un vero e proprio impero monetario di
cui Seto Kaiba ne era il re indiscusso, servito e riverito dalla sua
fedele servitù.
Ancora non riusciva a spiegarsi il motivo per cui avesse scelto di non denunciarlo.
Forse era troppo presto per dirlo,
in fondo avevano interrotto la loro conversazione a riguardo, e in quei
minuti poteva scattare di tutto nella sua testa, anche il desiderio di
fargli piazzare le manette ai polsi. Yusaku si guardò intorno,
individuando diverse uscite d'emergenza e la planimetria della torre
stampata sul piano antincendio.
Se le cose si fossero messe male,
avrebbe dovuto dare fondo a tutta la sua agilità ed inventiva
per scappare da lì.
Non sarebbe stato affatto semplice.
- E tu invece cosa fai?- domandò Mokuba,
curioso - Quello che dice il fratellone è vero?-
- Dipende da cosa dice tuo fratello- si limitò
a rispondere il giovane – Lavoro nell'informatica-
- Ma fai anche cose illecite, giusto?-
- No, mi diverto a passeggiare nei server altrui quando capita-
- ...Stai facendo il sarcastico?-
- No-
- Sul serio?!...Oh, era sarcasmo anche quello!-
Mokuba scoppiò a ridere, prendendo meglio in mano la sua valigetta, osservando Yusaku alzare gli occhi verso il soffitto.
- Sei strano!- esclamò poi il ragazzino, con un furbo sorriso sulle labbra.
Yusaku quasi inchiodò in
mezzo al corridoio, scoccando un'occhiata in tralice in direzione di
Mokuba, scrutando i suoi occhi blu.
Strano, aveva detto. Lui era da
considerarsi strano? Cos'aveva di strano? E va bene, i referti clinici
parlavano chiaro ma non era così “strano”...non come
gli altri sembravano capire. Qualcuno sosteneva lui fosse fin troppo
intelligente, Yusaku la vedeva in maniera molto più semplice:
erano senza ombra di dubbio gli altri che si comportavano in maniera
stupida, lui aveva almeno la briga di mettere il cervello in moto e
ragionare sulle cose.
Era vero, la sua empatia cognitiva
era totalmente assente: non riusciva a contestualizzare pensieri e
intenzioni altrui, e non era in grado di comprendere battute e senso
dell'umorismo nei discorsi, tendendo a prendere le cose troppo sul
serio e, una volta scoperte le reali intenzioni del suo interlocutore,
silurarlo con qualche sarcastica risposta al vetriolo. Semplicemente
non era capace di stare allo scherzo, ma era capace di provare e
condividere sentimenti, così come il desiderio di aiutare chi
gli stava intorno e si trovava in difficoltà...anche senza
sapere come, a volte.
Definirlo apatico e senza
sentimenti era davvero esagerato. Ma sapeva anche che spiegare simili
concetti agli altri era solo una perdita di tempo: in fondo, le persone
ci vedevano solo uno stramboide dai capelli colorati.
- Te la sei presa?- domandò Mokuba, sgranando gli occhi. Yusaku fece spallucce.
- No- rispose poi, la voce incolore – Ci sono abituato-
- Uh? In quanti te lo dicono?-
- Tutti quelli che hanno a che fare con me-
-
Mmmmh. Beh, non sanno che si perdono! Insomma, essere normali è
tremendamente noioooooso! È fantastico possedere un talento
innato e sfruttarlo a tuo vantaggio, non trovi?-
Okay, quello era davvero strano.
- Immagino di sì- commentò Yusaku,
prima di individuare la figura scattante di Ishizu Ishtar avanzare
verso di loro a falcate ampie e decise.
- Signorino Kaiba- la sentì chiamare, a
distanza sufficientemente ravvicinata per farsi udire dal diretto
interessato – Suo fratello ha terminato l'incontro. Può
risalire in ufficio. Anche lei, signor Fujiki-
- ...Devo proprio?- fu il solo commento di Yusaku, storcendo la bocca.
- Temo di sì, signor Fujiki. Questo o le manette-
- ...Passiamo ai ricatti ora?-
- Forse, ma si ricordi che è stato lei a scagliare la prima pietra-
Tanto bella quanto intelligente,
non c'era che dire, con una lingua velenosa come un'aspide. Yusaku
annuì e seguì il giovane Mokuba per i corridoi, in
direzione dell'ascensore.
****
Aki salì le scale che
portavano alla terrazza con passo svelto, infilando velocemente il
telefono nella tasca anteriore dei pantaloni. Esageratamente in orario,
forse anche in anticipo, la rossa si era precipitata a lavoro, pronta
ad una nuova serata in terrazza. Chissà se anche il seguente
mattino ci sarebbe scappato un bagno alla luce del sole, usufruendo
della piscina.
Piscina che era già occupata
da Atem, a quanto poteva vedere: il proprietario del Pharaoh's Kingdom
si stava concedendo una serie di bracciate in stile libero,
immergendosi di tanto in tanto e risalendo con poche, semplici spinte.
Aki rimase ad osservarlo in silenzio, a debita distanza: erano entrambi
soli, probabilmente Atem stesso non si aspettava visite o anticipi dei
suoi lavoratori.
Tuttavia, quando si rese conto
della sua presenza non sembrò affatto turbato, anzi: la
salutò con un ampio gesto del braccio sinistro e si issò
a bordo vasca, uscendo dall'acqua e recuperando alla svelta un grosso
telo che utilizzò per tamponarsi corpo e capelli.
- Sei in anticipo- le disse poi – Anche
più del tuo solito! A cosa devo tutta questa fretta?-
In un primo momento, Aki non rispose, troppo impegnata ad osservare il Faraone che le si avvicinava.
Che Atem fosse un tipo del tutto
singolare le era ormai chiaro, ma alcuni tratti della sua persona erano
davvero misteriosi, a tratti inquietanti. L'unica volta che l'aveva
visto privo di abiti dalla vita in su era stato nel corso della sua
prima serata in terrazza, quando aveva camminato sull'acqua: gli aveva
riservato uno sguardo di sfuggita, concentrata più su come i
suoi piedi si muovevano sulla superficie della piscina e divertita
dall'occhiataccia di fuoco con cui Mana aveva incenerito qualche
misteriosa accompagnatrice. Ma ora che lo aveva fisicamente di fronte,
era impossibile non notare quel segno.
Atem si mostrava come un uomo
giovane e atletico, con un fisico allenato senza apparire troppo
pesante o grosso: l'insieme dei muscoli di petto, braccia e ventre, che
premevano contro la pelle, dava più l'impressione di un uomo
agile piuttosto che forte, una persona che badava al benessere fisico
quel che bastava per stare bene e farsi guardare piacevolmente anche
dagli altri. Eppure era impossibile che nessuno notasse quel suo
gigantesco sfregio.
Se fino a quel momento aveva
pensato che la cicatrice che sfregiava il ventre di Yusei fosse grossa,
ora cominciava davvero a farsi qualche domanda. Il torso di Atem era
vergato da una grande incisione, che partiva dalla parte superiore di
ciascuna spalla: i due segni convergevano in un unico punto, nella
parte superiore dello sterno, per poi scendere lungo la parte anteriore
del torace, deviando a sinistra dell'ombelico.
Una ferita grande, troppo
perché se la fosse procurata a causa di un incidente o di una
rissa: il segno lasciato era di una precisione letteralmente
chirurgica. Aki sbatté gli occhi, incredula: la cosa non dovette
passare inosservata ad Atem, perché il Faraone ricambiò
lo sguardo stupito, seguì la direzione dei suoi occhi e poi
annuì, comprendendo il perché di tanto silenzio e stupore.
Si lasciò perfino sfuggire una lieve risata.
- Storia un po' lunga, devo
dirtelo...- esordì, con un sorriso sornione – Mettiamola
così: tutti sbagliamo qualcosa, prima o poi-
- ...Quella è l'incisione di un esame
post-mortem- mormorò la ragazza, con un filo di voce – Con
quell'incisione si-si...-
- Dillo Aki. Si aprono i cadaveri, giusto?-
La terra sembrò mancarle da sotto i piedi per un breve attimo.
- Ma tu--
- Non sono morto? No, a quanto pare. Ma ho fatto prendere un bello spavento al coroner...-
Aki scosse il capo e si
voltò altrove, decisa a non voler approfondire la questione.
Quegli argomenti la insospettivano e spaventavano contemporaneamente:
aveva capito che Atem non era certo un tipo “normale”, ma
un conto era far apparire e sparire le cose...un conto era ingannare la
morte.
Scosse il capo: a ben pensarci, anche quello sfregio poteva essere un'illusione. Sarebbe stato sensato.
Sicuramente più realistico di un morto deambulante. Era ancora troppo presto per un'apocalisse zombie.
- E allora? Come mai tutta questa fretta?-
domandò ancora Atem, ripiegando accuratamente il telo e
mettendoselo sotto braccio – Forse preoccupata per Yusei?-
- ...Cosa ti rispondo a fare se riesci a leggermi nella mente...-
- Ahaha! Sarebbe interessante Aki, ma temo di non poterlo fare. Non ne sono in grado-
Sì come no, pensò la rossa, mal celando un sorriso.
- E poi significherebbe violare la tua privacy. E io non sono quel tipo di persona-
- Detto da uno che si diverte a fare esperimenti con le persone è strano-
Il sorriso di Atem si
affievolì, piegandogli le labbra in una curva gentile; il
Faraone scrutò Aki con occhio critico, annuendo con il capo.
- Messa così hai perfettamente ragione-
rispose poi, spostando il peso da una gamba all'altra – Non ha
effettivamente senso. Ma vedi...i miei esperimenti vertono su
tutt'altro campo. Mi piace definirmi mentalista, ma non provo alcun
interesse a conoscere i pensieri reali degli altri; ciò che
è di mio reale interesse è la meccanica secondo cui
reagisce la mente umana a determinati stimoli-
- Me l'avevi detto. Mettere le persone di fronte a
diverse situazioni e studiare le loro reazioni, no?-
- Non solo-
- Uh?-
- Vedi, quando tu fai apparire e sparire delle carte
sotto il naso delle persone, o ti diletti in altri giochetti simili, le
reazioni sono più o meno le stesse. Incredulità, stupore,
divertimento, a volte rifiuto, non accettazione di ciò che
è successo, impegno nel cercare di capire, di spiegarsi come e
perché. Sempre le stesse, tutte molto prevedibili a lungo
andare. Quello che a me interessa è come la mente umana reagisce
a degli stimoli a lungo termine-
- Stimoli a lungo termine?-
Aki sembrava piuttosto confusa, e la cosa lo fece sorridere.
Anche lei era divertente da
osservare, un esperimento che stava riuscendo alla stragrande e che,
per quanto ricalcasse la linea d'azione seguita per Yusei Fudo, stava
conducendo a risultati...non inaspettati certo, ma molto interessanti.
- Sai come Yusei è arrivato qui?-
- ...No-
- Mh. Strano che non te l'abbia raccontato-
- Mi ha narrato del suo passato al Satellite, ma cosa l'abbia portato qui...non ne ho idea-
- Capisco. Beh, prendiamoci qualcosa, ti va? Mentre ti spiego-
Senza aspettare la sua risposta,
Atem si avviò verso il bancone, a passi grandi e fluidi. Dopo un
primo attimo di incertezza, Aki lo seguì, le mani strette sul
manico della sua borsetta.
Atem era davvero strano, e sotto
mille punti di vista. E fosse stato per l'assurdo colore dei suoi
capelli, avrebbe anche potuto passarci sopra: insomma, si vedeva di
peggio in giro...ma c'erano tantissimi punti incompresi di quel giovane
uomo.
Trattava tutto con il divertito,
riservato distacco di un narratore onnisciente che già sapeva
come le cose avrebbero raggiunto la loro conclusione: nulla sembrava
sorprenderlo o almeno impensierirlo, o almeno così appariva...se
davvero esisteva qualcosa capace di mandarlo in agitazione, era
dannatamente bravo anche a dissimulare quelle emozioni. Estremamente
colto e intelligente, i modi raffinati e le sue capacità di
deduzione lo rendevano un abilissimo conversatore, capace di pilotare
il discorso e lasciarti privo di difese con poche parole; eppure non ne
faceva necessariamente un vanto, di quella dote, e anzi, quando gli
capitava di farne uso finiva sempre con lo scusarsi. La sua educazione
era esemplare, peraltro riflessa dal fratellino Yugi. Il più
piccolo era più timido e apparentemente ingenuo, e questo
sicuramente influiva sul suo atteggiamento, ma Atem aveva la malizia di
un demonio e le sottili, raffinate arti di un gatto sornione che
cercava coccole. Qualità ineccepibili che gli valevano il
rispetto e la reverenza di chi gli stava intorno, e a volte anche i
timore.
Soprattutto, aveva degli interessi
del tutto particolari. Non si parlava solo di Egittologia, quello era
anche accettabile: in fondo era un argomento di studi come tanti altri,
bastava pensare a Yusei e ai suoi occhi blu perennemente puntati alle
stelle (magari evitando di pensare troppo a quegli occhi, a meno di non
voler concludere nulla nell'arco della giornata...); il fatto stesso di
osservare le persone e le loro reazioni era misterioso ed
apparentemente incomprensibile.
Aki non sapeva mai cosa aspettarsi, da lui.
Avvicinatisi al bancone, Atem
preparò in pochi, esperti gesti, il suo analcolico preferito,
porgendoglielo delicatamente in un bicchiere collins. Cominciò a
preparare il suo Martini solo quando la vide prendere il primo sorso.
- Come Yusei ti avrà raccontato, ha
soggiornato per qualche mese nella Struttura- iniziò Atem,
inserendo il ghiaccio nel bicchiere – Per aiutare un suo caro
amico. All'epoca la vita nel Satellite era tutt'altro che facile:
esclusa dalle normali vie di comunicazione, l'isola era stata
trasformata in una discarica galleggiante dagli illustri cittadini di
Nuova Domino. Yusei è finito dietro le sbarre proprio mentre le
cose stavano lentamente cambiando, e quando si è poi ritrovato
libero, ha avuto grossissime difficoltà a ricominciare da capo.
Vedi, c'è una cosa che mi affascina particolarmente delle
persone, ed è proprio l'affidamento che viene fatto su
pregiudizi e apparenze. Incredibile come un segnetto dorato in faccia
cambi il modo in cui le persone ti affrontano-
Il pensiero di Aki corse alla linea dorata che segnava la guancia sinistra di Yusei. Era stato doloroso doverla subire?
- Il corpo di guardia della Struttura è famoso
per applicare metodi non proprio pulitissimi per la gestione dei
detenuti, eppure indovina un po'? A nessuno pare importare di quello
che succede realmente là dentro: sono tutti considerati
delinquenti all'unanimità, e come tali hanno meritato tutte le
loro sofferenze. Poco importa che Yusei, per dirtene uno, sia finito in
cella per salvare un amico: per la nobiltà di Nuova Domino ha
ampiamente meritato tutto. Il marchio in faccia, le botte, le percosse,
un paio di quelle cicatrici sulle braccia, elettroshock e colpi sparati
con teaser per il solo gusto di farlo-
Istintivamente Aki
rabbrividì, alla parola teaser. La devastante utilità di
quegli aggeggi era nota a chiunque, e qualche anno prima diversi uomini
di giustizia erano stati processati proprio per aver abusato di un
simile marchingegno. Il servizio denuncia del notiziario era stato in
seguito censurato, per via delle sconvolgenti immagini rivelate in
esso, tuttavia era stato trasmesso in onda prima che i filtri mediatici
ne applicassero le dovute restrizioni: Aki ricordava con orrore quel
ragazzo, un pacifico manifestante armato solo di un cartello di
protesta, colpito da tre di quegli apparecchi insieme. Lo shock era
stato tale da provocargli un arresto cardiaco.
Yusei aveva passato anche quello?!
- E come se non bastasse, la beffa si è
aggiunta al danno- riprese Atem, facendo tuffare con grazia un'oliva
nel calice - Il segno che ha sul volto è indelebile, e
automaticamente lo bolla come carcerato. Chi ha a che fare con lui sa
subito, per prima cosa, che ha fatto qualcosa di molto grave che l'ha
portato a farsi un bel viaggetto nella Struttura. E come ben saprai, i
pregiudizi delle persone ti rendono la vita difficile, soprattutto di
fronte a caratteristiche così evidenti. Yusei avrà perso
il conto delle porte sbattute in faccia e dei posti di lavoro persi a
causa di quel simbolo. Devi sapere che è stato varato un
programma di...come si chiama...? Reintegrazione dei galeotti nella
società, ma pare che non a tutti piaccia-
- E...E Yusei fa parte di quel programma?!-
- Ha fatto parte, sì. Ha vissuto per diverso
tempo in questa struttura finanziata dal governo, nell'attesa di
trovare un lavoro e un posto in cui vivere. E come ti ho detto prima,
la gente ha tantissimi pregiudizi-
Aki annuì: non le riusciva
difficile immaginare il povero Yusei dover far fronte a occhiate
maligne, sussurri sospettosi e porte sbattute in faccia solo per quel
segnetto, quello stesso simbolo che lei aveva a malapena notato e non
sapeva neanche cosa significasse, all'inizio.
- E come penso tu abbia capito, a me di tanti pregiudizi non importa un bel cazzo-
La rossa posò gli occhi nocciola sulla figura di Atem, intento a bere qualche piccolo sorso di Martini.
- Mi piace tastare le cose con mano- spiegò
Atem, posando il bicchiere sul bancone e dando una rapida occhiata al
cellulare – Ho voluto di persona constatare quanto fosse
effettivamente cattivo, questo ragazzo che veniva dal Satellite. Sai,
è arrivato qui da noi allo stesso tuo modo: un annuncio di
lavoro al quale lui ha risposto senza neanche troppo entusiasmo. Ora
è il mio capobar. Vedi? Questo intendo, con reazioni dell'animo
umano: Yusei ha passato una giovinezza tutto tranne che semplice, ma ha
volutamente scelto di non farsi condizionare da essa e di guardare
avanti, provare e riprovare senza mai gettare la spugna. E la sua
costanza è stata premiata-
- ...Toglimi una curiosità- fece Aki, dopo un
attimo di pausa – Anche a lui hai letto le carte?-
Atem non rispose direttamente, ma le sorrise. Aki lo prese come un sì.
- ...E quelle carte con cui lui ha avuto a che
fare...- mormorò poi la ragazza – Erano forse la
Persuasione...scusa, la Forza e la Speranza?-
Anche stavolta, il Faraone rimase in silenzio, limitandosi a sostenere il suo sguardo mentre prendeva un altro sorso di Martini.
- Trovo che la vostra possa essere una coppia perfetta, sai?-
Fu combattuta tra il desiderio di
nascondersi sotto qualche poltroncina e il mandare al diavolo il suo
datore di lavoro, insieme a mezza crew del Pharaoh's Kingdom. Insomma,
ma cosa prendeva a tutti quanti?!
Tutta quella voglia di vederli accoppiati ad ogni costo, ma perché?!
- Trovo che entrambi abbiate caratteri molto simili-
spiegò Atem, quasi le avesse letto nei pensieri – Con
qualche tratto distintivo, certo, ma con alcune similitudini lampanti.
Entrambi poco inclini a fare subito amicizia, per tanti motivi.
Entrambi con la testa sulle spalle e propensi a ragionare bene sulle
mosse da eseguire prima di giocare le vostre carte. Entrambi due fedeli
amici una volta compresa la vostra sfera emotiva, ed entrambi
rapidissimi nel mandare le persone al diavolo. C'è chi dice che
gli opposti si attraggono, ma io non ho mai creduto molto a questa
teoria. E tu?-
- ...Non saprei- rispose Aki, con un'alzata di
spalle: la conversazione stava diventando davvero strana...- Immagino
sia un po' come...come l'oroscopo no? La gente tende a crederci solo
quando dà belle notizie. Immagino sia la stessa cosa, dipende da
chi hai davanti-
- ...Hah. Bel pensiero questo. Dico davvero! Non ci avevo mai pensato-
La rossa sbatté gli occhi un paio di volte, stupita.
Davvero era riuscita a superarlo?!
- Come teoria non è affatto male- ammise poi
il Faraone – Ma per concludere il nostro discorso iniziato poco
fa, intendo questo per “stimoli a lungo termine”. Mettere
le persone a confronto con situazioni durevoli, vedere come reagiscono,
come si ridimensionano di conseguenza. L'uomo è una creatura
meravigliosa, con delle capacità di adattamento tutte sue: gli
animali potranno avere una marcia in più, guidati dal loro
istinto di sopravvivenza, ma la capacità di ragionamento e
razionalizzazione dell'uomo non è seconda a nessuno-
- Ma ragionare troppo su alcune azioni potrebbe
portare a conseguenze indesiderate...no? Se Yusei non si fosse fatto
avanti quella volta, per coprire il suo amico, le cose avrebbero potuto
finire diversamente-
- Quello che dici è giusto. Bruno, o come si
chiamava quel tipo, avrebbe scontato la sua pena, dal primo all'ultimo
giorno. E magari Yusei e i suoi amici sarebbero ancora lì, a
scannarsi con la feccia del Satellite. E anzi, il Satellite sarebbe
stato probabilmente fatto affondare nell'oceano. Chi lo sa-
- Tu pensi davvero che il destino di una persona possa cambiare il mondo?-
- Non cambiarlo, ma influenzarlo. E non tutto il
mondo, ma ciò che le sta più vicino e le è
più caro. Prova a pensarci-
E ci provò, davvero, e
concluse che sì, le cose avrebbero potuto prendere una piega ben
diversa per Yusei e gli altri. Probabilmente avrebbero tutti insieme
lasciato il Satellite, oppure sarebbero affondati con esso; forse
sarebbero finiti a correre nello stesso team agonistico: il ragazzo
delle stelle non avrebbe mai conosciuto né Atem, né
Judai, né gli altri.
Tanto meno lei.
O forse le cose avrebbero seguito lo stesso percorso.
- Ci stai pensando davvero?!- domandò Atem,
curioso. Aki annuì – Heh, era così per dire...ma
sono contento di aver suscitato in te una simile reazione. Sei una
brava ragazza Aki, mi piace come ragioni-
Aki non seppe cosa rispondere a quel complimento, limitandosi a sorridere e annuire col capo.
****
- E adesso come sta?-
- Meglio. Abbiamo passato la mattinata insieme, a non
fare nulla. Abbiamo cucinato, guardato un po' di televisione, siamo
stati tutto il tempo insieme e così continueremo. Ora sta
dormendo-
Yuma sbuffò, staccando una mano dal volante e stropicciandosi gli occhi, l'auto che avanzava lentamente.
- Come ti è sembrato?- domandò poi;
l'impianto bluetooth dell'auto mandò un lieve scricchiolio per
l'interferenza con il cellulare di Kotori, seduta accanto a lui, che lo
spense velocemente.
- Bene, dopo- rispose Yuzu, dall'altra parte, la voce
bassa – Stamattina appena tornato è crollato di colpo, mi
ha presa di sprovvista...ma ha recuperato velocemente-
- Davvero? L'hai fatto ingozzare di cornetti
finché non ha iniziato a rotolare?- domandò Kotori,
riordinandosi i capelli in una morbida treccia.
- Naaah, abbiamo preferito direttamente una doccia-
- Cos...ooooooh, caaaaapitoooo...-
ghignò Yuma, svoltando a destra – Beh, felice di sapere
che non ha perso voglia per quello! Non era così grave
dopotutto!-
- Già, ma non va bene uguale- Yuzu sembrava
davvero preoccupata – Le crisi sono diminuite parecchio, ma
restano. Bisogna trovare una soluzione-
- Non vuole andarci dallo psicanalista, lo sai-
- Per carità, mi rifiuto di sbolognarlo ad uno
strizzacervelli che non sa che diavolo è successo. La soluzione
ci sarebbe Yuma, è che lui ha un rifiuto fisiologico per
quest'eventualità-
- Ho capito ragazzi, ma cazzo! Sono passati sei
fottutissimi anni, dovrà pur mettersi col cuore in pace no?-
- Lo sai come è fatto-
Yuma sbuffò esasperato, scuotendo il capo.
Eccome se sapeva come Yuya fosse
fatto. E doveva ammetterlo, quel ragazzo era molto più
complicato di quanto sembrava. Era arrivato al Pharaoh's Kingdom carico
di energia, inventiva e voglia di fare, avevano praticamente legato
subito e stretto una bella amicizia; ma Yuma non poteva negare di aver
notato diverse stranezze in quel ragazzo.
La prima volta che si era trovato a
dover fronteggiare una sua crisi era stato davvero tragico, anche
perché nessuno sembrava realmente in grado di aiutarlo o almeno
di capire cosa stava succedendo: in pieno turno lavorativo, Yuya si era
lasciato sedere a terra, aveva abbracciato le ginocchia al petto ed era
letteralmente scoppiato in un pianto isterico. A volte Yuma credeva di
sognarli, quegli occhi diversi spiritati e sbarrati nell'orrore, i
denti digrignati quasi volesse frenare le grida di dolore, le nocche
sbiancate delle mani e le lacrime che gli scorrevano sul volto,
implacabili e quasi dolorose. Più di tutto, ad impressionarlo
era stato il continuo, sommesso ringhio che gli aveva fatto vibrare la
gola tra i singhiozzi: un cane sperduto che provava ad intimidire
qualche creatura minacciosa.
Quella volta, neanche Atem sapeva
che pesci pigliare. Yuya aveva chiesto di fare una telefonata urgente
col cellulare di qualcuno, poiché era rimasto senza credito sul
suo: era così che tutti avevano conosciuto Yuzu.
La ragazza era piombata nel locale
prima che riusciva, ed era stata lei a tirare Yuya fuori da quel suo
stato pietoso. Si era inginocchiata di fronte a lui, l'aveva stretto
con tutte le sue forze e il giovane si era aggrappato a lei come un
naufrago alla sua scialuppa di salvataggio. Non ricordava cosa lei gli
aveva detto, sapeva solo che, una volta in piedi, Yuya si era asciugato
le lacrime con un gesto così infantile da mettere tenerezza e
aveva chiesto scusa a tutti, riprendendo a lavorare.
Era stato allora che Yuma e gli
altri avevano scoperto delle sue improvvise crisi. La perdita del padre
era una ferita ancora fresca e, apparentemente, insanabile. Con il
tempo, appena acquistata con tutti una maggiore confidenza, Yuzu aveva
raccontato loro che il ragazzo si era rifiutato di presentarsi alla
cerimonia funebre del padre, così come di visitare la sua tomba
in futuro. Addirittura era scomparso per tutto il tempo in cui la
camera ardente era rimasta allestita in casa, non aveva voluto saperne
in alcun modo.
Sapeva che suo padre era morto,
eppure non voleva accettarlo. E sapeva anche che lui non aveva colpe a
riguardo, eppure si addossava tutta la responsabilità
dell'accaduto. Quando entrava in crisi lo ripeteva spesso, quel
“è colpa mia” che stringeva il cuore da una parte, e
faceva incazzare dall'altra.
Yuzu stessa sapeva che c'era un
solo modo per risolvere definitivamente la questione, ma perfino lei
sembrava riottosa a volerlo applicare, essenzialmente perché
nessuno poteva davvero prevedere come lui avrebbe reagito. Poteva
sprofondare in un'ennesima crisi, poteva crollare del tutto, poteva
infuriarsi con tutti e c'era davvero di che avere paura, quando Yuya si
arrabbiava...la situazione avrebbe anche potuto concludersi rapidamente
e nel modo più semplice e felice, ma nessuno ne aveva la
certezza.
Si continuava a peggiorare. E si restava sempre allo stesso punto.
C'era però da dire che
l'arrivo di Yuzu, nella sua vita, era stato provvidenziale; o almeno la
sua entrata ufficiale come compagna. Da quando avevano condiviso
insieme i sentimenti che provavano uno verso l'altra, Yuya era
sensibilmente migliorato: aveva ancora delle ricadute in quel baratro
di tristezza e depressione, ma erano molto più sporadiche, e
soprattutto la voce e la presenza della ragazza lo aiutavano a venirne
fuori molto prima. I margini di miglioramento c'erano, la
possibilità di guarirlo anche.
A costo di trascinarlo per le orecchie sulla tomba del padre, l'avrebbe aiutato.
Non sopportava di vedere il suo migliore amico dover ridursi così.
- Yuzu scusami, dicevi?-
- Dicevo, che stasera contiamo ugualmente di passare!
Almeno vi vede, vede te e gli passa completamente-
- E noi lo accoglieremo a braccia aperte!-
Kotori sorrise, osservando Yuma alzare trionfalmente entrambe le braccia.
- Non esiste tristezza con me intorno!-
esclamò il ragazzo, allegro ed energico come il suo solito:
affermazione che la ragazza non poté fare a meno di confermare
con un cenno del capo – A costo di rifilargli un papagno in
testa, gli inculcherò un po' di buonsenso in quella zucca!
Tsè! Voglio proprio vedere, poi, come farà a stare di
nuovo male! Aaaah, e pensare che si ritrovava la fila fuori casa,
questo!-
- Yuma?!- Kotori si voltò ad osservarlo, stupita – Che diavolo dici?-
- Quello che ho detto! Ahaaaa, perché non lo
sapevi?! Quel ragazzaccio lì parla tanto di Atem, ma anche lui
si è dato il suo bel da fare!-
- ...Stiamo parlando dello stesso Yuya? Quello che gira con i boxer di Adventure Time--
- Ma cos'avete contro quei boxer?!- sbuffò
Yuzu, ancora al telefono – Glieli ho regalati io!-
- Yuzu sul serio?!- domandò Yuma, scioccato
– Cosa ti è passato per la testa?!-
- Mi piacevano! E piacciono anche a lui!-
- Ti rendi conto, Tori?! Parliamo di un tipo che va
in giro con dei boxer improponibili e sacramenta contro i videogiochi,
perde tempo a rotearsi le bottiglie in testa e SOPRATUTTO è
vittima di crisi di depressione! Quello lì aveva LA FILA FUORI
DAL PORTONE DI CASA prima che arrivasse Yuzu!-
- Lui?! Davvero?! Com'è possibile?!-
- Ma che ne so, probabilmente faceva tenerezza con
quel faccino che si ritrova...solo Yuzu non si fa scrupoli a rifilargli
sganassoni quando serve!-
- Ehi, che diavolo dici?!- sbraitò Yuzu,
nell'abitacolo – Io non l'ho mai picchiato! Cerco solo di
risollevarlo come meglio mi riesce!-
- Con modi poco ortodossi!-
- Ma che funzionano sempre! E poi, signorino, vorrei
ricordarti che la storia delle sbarbine che se la facevano con Yuya
è vecchia ormai, e non mi dà neanche più fastidio!-
- Aha, si sente infatti...-
- Pensa a te e a chi ti sta accanto, piuttosto che alle conquiste del tuo migliore amico!-
- ...Non ho capito-
- Hah! Hai visto?! Ehi aspetta, ma sei in vivavoce?!-
- Lo sono sempre stato fin dall'inizio!-
- Merda! Ah ehm ahahah, aaaah Yuya si è appena
svegliato! Vado a fargli qualche coccola, ci vediamo tra qualche ora!
Ciaoooo!-
- NO YUZU ASPE--
Troppo tardi: la comunicazione si
spense prima che Yuma potesse gridare dietro Yuzu, cercando di ottenere
più spiegazioni. Il ragazzo sbatté gli occhi un paio di
volte, scuotendo il capo e sbuffando frustrato.
- Giuro, a volte non la capisco
quando dice certe cose...- borbottò poi – Tu che dici
Kotori? Eh?...Tori?!-
Yuma la osservò preoccupato:
la ragazza non si era voltata a guardarlo né gli aveva risposto,
mantenendo le iridi arancio fisse sulla strada di fronte a loro. Con le
mani strette sulla borsetta posata sulle ginocchia, la giovane
deglutì e si lasciò poi andare ad una risatina nervosa.
Yuma arricciò il naso, confuso.
Cosa stava succedendo a tutti quanti?
- Eheheh...ma tu la capisci Yuzu quando dice queste
cose?- gli domandò poi, la voce tremolante. Yuma si strinse
nelle spalle.
- Non proprio- ammise poi – Più che
altro perché non finisce mai di spiegarsi! Aaaah, che devo fare
con quella...-
Scalò le marce fino a
rallentare vistosamente ed entrò nel parcheggio del personale
del Pharaoh's Kingdom. Mentre posteggiava nel primo spazio libero
disponibile, Yuma ripassò mentalmente le parole della sua amica.
Pensa a te e a chi ti sta accanto,
aveva detto. Beh, lui ci pensava abbondantemente: non aveva mai fatto
fin troppo mistero sull'affetto che lo legava ai suoi amici e a Kotori,
ed era sempre pronto ad aiutarli e prendere le loro difese, in ogni
occasione. Il fatto era che l'aveva detto con un tono che non l'aveva
pienamente convinto: era come se sottintendesse qualcos'altro, che sul
momento gli sfuggiva.
Avrebbe dovuto chiederle qualche
cosetta, appena l'avesse rivista. Scese dall'auto insieme a Kotori,
guidandola con sicurezza attraverso il parcheggio.
La volante della polizia era ferma
proprio di fronte all'entrata del Pharaoh's Kingdom. Non c'era nessuno
al suo interno, l'auto era spenta; tuttavia la sola vista fece scattare
qualcosa nella testa di Yuma. Kotori alzò lo sguardo su di lui,
poi tornò ad osservare la vettura, curiosa e, allo stesso tempo,
preoccupata: cosa stava succedendo? Cosa significava?
- Yuma, tutto bene?- gli domandò poi,
accarezzandogli un braccio – Sei sbiancato-
- Entriamo-
Senza dire altro, Kotori lo
seguì per le scale che portavano alla porta d'accesso del
Pharaoh's Kingdom: le voci si sentivano già qualche scalino
prima. Con un gesto secco, Yuma fece glissare a lato la porta in vetro.
C'erano Atem e Yugi: il secondo era al riparo dietro il bancone, ma
teneva gli occhi puntati sulla scena che si stava svolgendo di fronte a
loro.
Sotto lo sguardo della crew del
Pharaoh's Kingdom, Yusei alzò entrambe le braccia e
lasciò che l'ispettore Trudge completasse la sua perquisizione.
Le grosse mani dell'uomo, prive di guanti per poter sentire meglio se
fosse nascosto qualcosa sotto i suoi abiti, lo tastarono su spalle,
braccia, gambe, fino alle caviglie; rovesciarono il cappuccio della
felpa, rovistarono nelle tasche, estraendone lo smartphone che
consegnò al collega, un tizio alto e allampanato, talmente magro
da sembrare malaticcio.
- Te lo restituiamo, stai tranquillo- borbottò
la guardia, notando lo sguardo di Yusei farsi sottile e omicida.
- Lo spero- sbuffò Yusei – Per quanto
ancora dovrà andare avanti 'sta pagliacciata?-
- Si tratta della prassi, Yusei. E lo sai-
- Prassi che non stavate più ripetendo da un anno ormai. Cos'è successo ora?-
- Fa' silenzio-
Yusei sbuffò ancora,
roteando gli occhi al cielo e osservando con sguardo assassino
l'apparecchio in mano all'ispettore. Seduta a qualche poltroncina di
distanza, Aki osservò la guardia puntare un grosso rilevatore
verso il volto del capobar: il segno dorato venne passato sotto
l'occhio attento dello scanner.
- Vieni qui, non abbiamo finito-
- Oh, cosa c'è ancora?!-
Yusei sembrava molto seccato da
quell'improvvisa perquisizione. Il ragazzo alzò lo sguardo,
incontrando gli occhi castani di Judai: il suo compagno osservava la
scena a braccia conserte, gli occhi stretti e l'espressione impietrita,
concentrata, seria come mai vista prima d'ora. Anche Atem scrutava il
capobar e l'ispettore con sguardo serio ed indecifrabile, perso in
chissà quale pensiero ma ben attento ad ogni movimento delle
mani dell'uomo.
Seduta poco più in là, Aki si torceva le mani, nervosa. Yusei provò un moto di rabbia e tristezza.
Non meritava di assistere ad una simile scena.
- Posa pure l'indice qui-
- Nooo, sul serio?! Mi dà fastidio questo!-
- E piantala, che sarà mai...! Neanche la punturina di una zanzara!-
Sembrava che tra quei due ci fosse
confidenza, molta; Aki li aveva visti e sentiti scambiarsi frecciatine
di continuo, ma qualcosa nei loro occhi le aveva fatto intendere che la
loro fosse la complicità tipica di due persone che si
conoscevano da tempo. In un lampo aveva collegato i racconti di Yusei,
riguardo alla sua permanenza nella Struttura, alle due guardie entrate
nel Pharaoh's Kingdom: il ragazzo rachitico era rimasto sempre in
silenzio, forse era un novellino che aspettava ordini da eseguire, ma
Tetsu Trudge si era fatto avanti senza paura né tentennamenti,
rassicurando tutti su quello che sosteneva fosse un “semplice
controllo di routine”.
Per evitare che qualcuno stesse commettendo cose pericolose o non legali, aveva detto. Ma l'unica persona che aveva voluto perquisire era stata proprio Yusei.
Il giovane frenò a stento
un'imprecazione, quando il piccolo ago trapassò la punta
dell'indice destro, bucandoglielo. Trudge rimase ad osservare il
display per qualche secondo, mentre Yusei si ficcava il dito in bocca,
succhiando un poco.
- Direi a posto- borbottò la guardia – Per tua fortuna-
- Sempre un piacere rivedere la tua brutta faccia
sfregiata, Trudge- ghignò Yusei, le mani sui fianchi.
- Ah-haaa, indovina chi devo ringraziare di questo ricordino?-
La mano sinistra dell'uomo si
indicò la grossa cicatrice che gli sfregiava lo stesso lato del
volto, grossa, profonda, e chiusa anche male: Aki riusciva a vedere
perfino la sottile traccia lasciata dai punti di sutura.
- Andiamo, mi facesti incazzare davvero quella
volta!- esclamò Yusei, scrollandosi nelle spalle.
- Ancora devo capire da dove cacciasti fuori quel coltello-
- Abile gioco di mani. All'epoca ero bravo-
- Adesso non più?-
- Adesso faccio roteare altro, invece di coltelli e lacci. Ti offro qualcosa?-
- Non posso bere in servizio-
- Non devi metterlo per forza a rapporto-
- Finiscila, cretino-
- Posso farti una domanda?-
- Spara-
- Chi?-
Era una domanda che lo stava rodendo da un po', esattamente da quando aveva visto Trudge fare il suo ingresso nella sala.
Non era nuovo a quelle
perquisizioni nel suo posto di lavoro, anzi: si trattava di una prassi
contemplata e prevista, richiesta dal governo per tenere traccia delle
attività degli ex detenuti inseriti nel programma di
riabilitazione. Quando aveva iniziato a lavorare al Pharaoh's Kingdom,
le perquisizioni erano quotidiane, a volte in più orari della
stessa giornata: qualche volta era capitato che entrassero mentre stava
lavorando. Facevano le loro verifiche di routine, lo perquisivano,
controllavano borsa, armadietto e cellulare, constatavano che era tutto
a posto e poi facevano ritorno alla stazione di polizia, contenti di
aver fatto il loro dovere di diligenti tutori della legge. Il teatrino
era andato avanti per mesi, prima che le visite diventassero molto
più sporadiche fino ad azzerarsi del tutto. Era da ormai un anno
che non vedeva più alcun rappresentante della legge varcare
l'ingresso del Pharaoh's Kingdom, e quella visita improvvisa l'aveva
colto di sorpresa.
Era da tempo che non vedeva
più il vecchio Trudge, e doveva ammettere che fosse cambiato
davvero poco da come se lo ricordava: sempre statuario e irremovibile
come una roccia, il volto duro e lo sguardo diretto come un pugno sul
naso. Tuttavia sembrava molto più tranquillo e riflessivo, privo
di quella verve provocatoria che tanto lo faceva innervosire quando
soggiornava nella Struttura.
Quel tipo era in grado di far
saltare il sistema nervoso anche ad un santo, quando si impegnava.
Avvezzo alle violenze sui detenuti come quasi tutti i suoi colleghi,
considerava la gente del Satellite come “feccia”,
“spazzatura”, e questo era quando ci andava piano con gli
insulti. Era cresciuto, era maturato professionalmente, era diventato
il mentore di tante altre reclute che facevano affidamento su di lui
per imparare i segreti del mestiere, e senza apparente motivo si era
anche affezionato a quel ragazzo del Satellite, apparentemente
così scontroso e burbero, relativamente tranquillo rispetto agli
standard a cui era stato abituato: mai aveva causato una rissa, mai
aveva sfidato una guardia, mai aveva cercato guai nella Struttura. Solo
una volta aveva perso le staffe con Trudge, e l'ispettore aveva
assaggiato la lama del coltello con cui Yusei stava affettando lo
spezzatino di maiale nella mensa.
L'unica volta in cui aveva visto
Yusei Fudo all'opera: veloce, fulmineo come il morso di un serpente che
piantava le zanne nella carne. E dovevi essere tale, per sopravvivere
nel Satellite di quegli anni.
- Chi, cosa?- domandò poi Trudge, corrugando la fronte.
- Non cadermi dalle nuvole, non è da te-
rispose Yusei, incrociando le braccia al petto e sostenendo il suo
sguardo – Ormai è un anno che nessuno della sorveglianza
si presenta qui a farmi la perquisizione, quasi mi ero dimenticato la
tua brutta faccia non fosse per Facebook. È chiaro che non mi
consideravate più un problema, e che la mia fedina penale era
ormai pulita. E ora eccoti qui, con un cadetto che sembra travestito da
palo della luce. Perché?-
- ...Sei sempre stato fin troppo intelligente, Yusei.
Questo ti causerà qualche guaio prima o poi. Hai ragione,
abbiamo seguito degli ordini. Ordini che sono partiti da una
segnalazione-
- Quale segnalazione?-
A parlare era stato Atem: il
Faraone aveva mosso un passo, frapponendosi tra l'ispettore Trudge e
Yusei. La differenza di altezza con i due era lampante, eppure entrambi
arretrarono di un passo: l'ispettore sembrò farsi
improvvisamente più piccolo.
- Ci è giunta voce che il Pharaoh's Kingdom
nasconda qualcosa- rispose poi Trudge – O meglio qualcuno. Feccia
del Satellite ingiustamente a piede libero, hanno detto. Insieme ad
altre cose-
- Altre cose del tipo?-
- Qualcosa riguardo ad un giro di prostituzione.
Ovviamente siamo rimasti tutti piuttosto sorpresi: insomma, conosciamo
il locale e chi ci lavora dentro, il nostro Sergente Rhodes ne è
cliente affezionata e sa che cosa c'è qui dentro e cosa
succede...tuttavia abbiamo dovuto accogliere la segnalazione e farci un
giro di ricognizione-
- ...Chi era l'uccellino?-
La voce di Atem si era levata alta
e cupa, nel silenzio creatosi. Aki si alzò in piedi,
avvicinandosi velocemente, il cuore che le batteva forte nel petto.
- Temo di non poter fare nomi- rispose Trudge –
È anche nell'interesse di chi ci ha dato l' indicazione-
- Non mi ripeterò una seconda volta. Chi ha parlato?-
E stavolta Aki ne fu sicura, come
il Tempo che scorre inesorabile e la Morte che si avvicina: il Terzo
Occhio si aprì sulla fronte di Atem, scrutando il volto
impassibile dell'ispettore Trudge: gli occhi ametista del Faraone
scintillarono qualche secondo, quasi avessero rubato la luce dalle
iridi dell'uomo di fronte a lui.
Ci volle poco perché la ragazza capisse che l'uomo era stato ipnotizzato.
- La segnalazione viene da un consiglio che riunisce
le famiglie più importanti di Nuova Domino- disse l'ispettore,
la voce piatta e incolore – A capo del consiglio c'è il
senatore Izayoi-
Il mondo le crollò sulle spalle con la potenza di una valanga.
In una terribile ed inquietante
moviola, gli sguardi di tutta la crew del Pharaoh's Kingdom, Yusei
compreso, si voltarono verso la rossa: nell'agitazione del momento, Aki
non si rese conto dell'espressione di pura sorpresa che animava i loro
occhi. Tutto ciò che la sua testa le riproponeva ora, erano le
parole del sergente Trudge, ripetute come in un playback mandato a
ripetizione.
La segnalazione veniva da un
consiglio che riuniva le più importanti famiglie di Nuova
Domino, e a capo di tutto c'era il senatore Izayoi. C'era suo padre,
maledizione! Suo padre era la mente organizzatrice di quel controllo a
sorpresa, suo padre aveva parlato della presenza di delinquenti al
Pharaoh's Kingdom, suo padre aveva sostenuto ci fosse un giro di
prostituzione!
I ricordi della festa di
fidanzamento di Suketsune le sfilarono nella mente con la
velocità di una vecchia pellicola: la rossa sibilava tra i denti
di lavorare come cameriera, Yusei infilava il biglietto da visita del
locale nel taschino della giacca di Suketsune, sfottendolo per il fiore
all'occhiello.
Era tutto collegato. Era tutto
così palese e ovvio da farle letteralmente schifo: il solo
pensiero che suo padre avesse preferito credere alle parole di un
piccolo serpente come Suketsune le fecero contrarre la mascella e
stringere i pugni dalla rabbia. Prima di rendersene propriamente conto,
Aki imboccò la scala che portava ai camerini, scendendoli in
tutta fretta.
La voce di Yusei la richiamò dall'alto; Aki lo ignorò, reprimendo a stento un singhiozzo di rabbia.
Costernato e scosso, Yusei si
portò le mani tra i capelli, sbuffando esasperato e passeggiando
avanti e indietro per la sala. Si voltò solo per un attimo, per
scrutare i volti di Trudge e Atem: l'ispettore lo osservava a sua volta
con aria indecifrabile, forse scontenta, e il Faraone aveva reso i suoi
occhi affilati come stiletti. Il capobar aveva la percezione di vedere
gli ingranaggi del suo cervello lavorare freneticamente, riflessi dalle
iridi ametista.
Qualcuno aveva insinuato cattiverie
infondate sul suo regno. E la cosa non gli era affatto piaciuta. Con
una punta di sadica gioia nel cuore, Yusei si ritrovò a
ringraziare le stelle di non trovarsi al posto di quei cravattoni.
Era troppo crudele sperare che qualche testa saltasse via?
Non gli servì il cenno che
Atem gli fece col capo, invitandolo a seguire Aki nei camerini: Yusei
si era già liberato velocemente del grembiule che aveva appena
terminato di allacciarsi e si era fiondato verso le scale, scendendole
più velocemente che gli riusciva e spalancando la porta degli
spogliatoi femminili senza troppo garbo.
I suoi singhiozzi si udivano dalla
tromba delle scale. Il ragazzo del Satellite trattenne a stento quella
sfilza di imprecazioni che gli stava risalendo lentamente lungo le
corde vocali: e meno male che si era ripromesso di non farla mai
più piangere...
Poi scosse il capo. La colpa era
interamente sua. Sua e della sua lingua lunga e più tagliente di
un coltello, quando ci si metteva: se quel giorno non avesse
controbattuto alle provocazioni saccenti di quel damerino del cugino di
lei, non sarebbe successo nulla di tutto questo. Trudge sarebbe rimasto
nel suo ufficio a ingozzarsi di ciambelle, lui avrebbe lavorato come
ogni altro giorno e Aki sarebbe rimasta tranquilla.
Ora era di nuovo al punto di partenza.
La ritrovò seduta su una
delle poltroncine messe a disposizione nei camerini, curva sulle
ginocchia e con entrambe le mani che le coprivano il volto, la schiena
scossa da forti singhiozzi. Le si inginocchiò di fronte,
posandole le mani sulle ginocchia.
- Aki?-
Il suo richiamo frenò sul
nascere l'ennesimo singhiozzo, e la rossa fece timidamente spuntare gli
occhi dalle sue pallide dita. Mordendosi il labbro inferiore, Yusei le
accarezzò lievemente un braccio.
- Aki, va tutto bene-
La rossa si strinse ancora di
più tra le braccia e scosse vigorosamente il capo. No, non
andava per niente bene, e poco importava quello che Yusei poteva dirle
in quel momento, nulla avrebbe rimediato a quella tremenda, orripilante
sensazione di sporco e lerciume che sentiva circondarla come un
mantello.
Tra i nomi che avevano richiesto
quell'improvviso controllo c'era quello di Izayoi. C'era il suo nome. E
tra le persone che avevano malignato sul Pharaoh's Kingdom e la gente
che ci viveva dentro c'era anche suo padre, c'era la sua famiglia. Non
aveva più nulla da rendere conto a nessuno, era vero: forse solo
a sua madre, che si preoccupava tanto per lei e la sua
incolumità e salute...ma il resto dei suoi familiari erano fuori
dai giochi: nessuno aveva la minima idea di cosa volesse dire vivere
una simile realtà. Nessuno aveva idea di cosa significasse, per
lei, varcare la soglia del Pharaoh's Kingdom e trovare ad aspettarla i
sorrisi di Yugi, l'allegra ficcanasaggine di Judai e gli sguardi
intensi e lontani di Atem; nessuno aveva idea cosa volesse dire essere
accolta dalla straboccante energia di Yuma o dai buffi giochi di Yuya.
Nessuno sapeva cosa significasse, per lei, incrociare lo sguardo con gli occhi blu del ragazzo delle stelle.
Nessuno sapeva un accidente di
niente, eppure tutti, ma proprio tutti avevano l'ardire di farsi avanti
e sputare sentenze, credere alle parole velenose di quello che, alla
fine dei conti, era un bamboccio viziato e non solo dargli credito, ma
cospirare tutti insieme per metterla nella situazione più
critica ed imbarazzante della sua vita.
Perché li sentiva, li
percepiva distintamente, gli occhi blu di Yusei scrutarla torvo dal
basso verso l'alto. Li sentiva puntarsi sul suo volto nascosto tra le
mani, lo sguardo fosco di un implacabile giudice pronto per una
sentenza di condanna.
- Mi ascolti?!-
La sua voce era carica e tremolante di rabbia. Aki sentì un brivido scuoterle la schiena.
- Non è successo assolutamente nulla-
- Lo dici tu!-
Finalmente uscì dal suo
nascondiglio creato con mani e braccia, svelandosi ai suoi occhi in
quell'assurda, terribile persona che lui sperava di non vedere mai
più. Con gli occhi scintillanti di lacrime e il volto sfigurato
dalla tristezza, Aki gli si presentò con il labbro inferiore
reso gonfio a furia di morsi rabbiosi.
E lei, a guardarlo, ad osservare
quel suo implacabile sguardo truce e il volto serio, quasi arrabbiato,
esplose. Con le mani nascoste tra i capelli rossi, Aki venne scossa da
una serie terribile di singhiozzi, incapace di riprendere fiato.
Spalancò le labbra, inspirò aria a grandi boccate nel
tentativo di riprendere controllo del suo respiro, senza successo.
Yusei sentì il cuore esplodere in mille pezzi. Era anche peggio della volta precedente.
Senza pensarci troppo sopra si
alzò in piedi, costringendola a seguirlo con il movimento, prima
di spalancare le braccia e accoglierla nel caldo rifugio del suo corpo.
Quello fu l'ultimo colpo alle
difese ormai compromesse della rossa: con i pugni stretti sulla sua
camicia, Aki affondò il volto nel suo petto e scoppiò in
un pianto dirotto.
Era decisamente peggio rispetto
alla volta precedente. Impotente, troppo scosso e arrabbiato con
sé stesso perfino per parlare, Yusei non poté fare altro
che stringerla nel suo abbraccio, e sfiorarle la tempia sinistra in un
bacio leggero come un soffio.
Aveva una tale voglia di urlare che sentiva avrebbe tirato giù l'intera volta celeste e le sue amate costellazioni.
- Ehi, ascoltami-
Yusei la allontanò da
sé quel poco che bastava per prenderle il volto tra le mani ed
osservarla con sguardo contrito: la sua espressione addolorata gli fece
contorcere le viscere.
Perché?
- Non è colpa tua. Levatelo dalla testa-
- Aha, certo- sbuffò Aki, ironica, un suono
sommesso spezzato da un altro singhiozzo.
- E invece no! Cosa diavolo stai pensando?-
- Yusei, non hai sentito allora?!- sibilò la
rossa – Tra quelle persone che ti hanno fatto questo...tra quelle
persone che hanno detto certe cose c'è anche mio padre!
C'è anche la mia famiglia!-
- Fatto cosa?! Chiesto ad un agente di perquisirmi?!
Sai quante volte l'hanno fatto? Ne ho perso il conto! È la
prassi, Aki!-
- Che non stavano ripetendo da un anno ormai! E-e ora
ti hanno trattando come un galeotto appena uscito dalla prigione!-
- E tu pensi davvero che per me sia un problema?!-
- Dovrebbe esserlo!-
- E allora non ci siamo, non hai capito nulla. Con i
pensieri di quella gente mi ci pulisco il culo-
Aki trasalì nel sentire
quell'inaspettato turpiloquio. Alzò gli occhi nocciola verso di
lui, che la osservava tenendole le mani sulle spalle.
Era mortalmente serio.
- Senza troppa offesa perché sono comunque i
tuoi familiari...anzi sai che ti dico? Fanculo anche questo!-
esclamò, scuotendo rabbioso il capo – Proprio non capisco
come tu abbia fatto a venire su così...così diversa da
loro! Così umana, dannazione! E tu che gli stai ancora dietro!
Proprio non vuole entrarti in zucca che a loro non gliene importa nulla
di te, eh? Guarda in mezzo a che casino ti hanno piazzato!-
Aki alzò una mano e si
asciugò le lacrime che le scorrevano lungo il viso, disegnando
lunghe scie luccicanti sulle guance. Le spalle vennero scosse da un
altro singhiozzo.
- Ci stai male, e ti capisco, in fondo è della
tua famiglia, ma ora basta! Passa una volta, passa due, passa tre, ma
all'ottantaduesima direi che è il caso di darci un taglio, mh?-
E fu stavolta lui a prenderle il
volto tra le mani e raccogliere le lacrime con le dita, costringendola
ad alzare lo sguardo e fronteggiare i suoi occhi. Aki era confusa,
stravolta dalla tristezza e dalle lacrime, con la punta del naso e le
guance rosse e i capelli scarmigliati, e quando lo guardò con
quei tristi e acquosi occhi da cerbiatta sperduta, Yusei provò
il forte impulso di abbracciarla così stretta da soffocarla.
Si trattenne solo al pensiero di poterle fare fisicamente male, a metterci la forza che intendeva.
- E poi pensi davvero che io mi faccia condizionare
da quello che pensa la gente? E soprattutto temi che io ti guardi con
occhi diversi dopo questa merdata che hanno fatto? Tu non sei loro Aki,
ricordatelo. Sei vittima tanto quanto me. Ehi, ascoltami. Guardami-
Stavolta Aki non poté
davvero sfuggire al suo sguardo. La rossa prese un profondo respiro,
recuperando lentamente controllo di sé e del suo respiro.
Ebbe la percezione di sentire la
pelle della sua fronte andare letteralmente a fuoco, quando
sentì le labbra di Yusei sfiorarle con un bacio. Lungo, molto
lungo, ponderato, desiderato forse da entrambi; il ragazzo si
separò dopo un tempo che ad Aki apparve come infinito, tornando
ad abbracciarla stretta come aveva fatto poco prima.
- Ho promesso che mai ti avrei più vista
piangere- le disse, accarezzandole i capelli – E così
farò. Adesso ti dai una sistemata, ti asciughi queste
lacrimucce, saliamo di sopra e ci mettiamo a lavorare. Chiederò
ad Atem di farti stare un po' con me al bancone, vuoi?-
Yusei sorrise quando la vide
annuire con la testa. Lo sguardo gli cadde sulle sue labbra tumefatte
dai morsi, dove la punta della lingua era passata nervosamente ad
inumidirle mentre i denti tornavano ad inciderle lievemente.
Moriva dalla voglia di baciarle. Il
desiderio di sentire di nuovo, stavolta per davvero, quelle labbra
sulle sue lo stava divorando come un demone interiore: gli occhi non
potevano fare a meno di percorrere quella morbida curva disegnata,
lievemente più colorita della pelle.
Posò la fronte sulla sua, lo
sguardo basso, il respiro di lei, ormai regolarizzato seppure ancora
pesante, che si confondeva con il suo. Sentiva un vago odore di pulito,
un profumo leggero e delicato gli solleticava le narici, e il solo
pensiero di quella bocca...
Datti un contegno, razza di animale.
Poteva farlo no? Era perfettamente in grado. Era grande, maggiorenne, vaccinato e pienamente padrone di sé stesso.
Puoi farcela.
Forza, ragazzo del Satellite!...o delle stelle, come ti chiama lei.
Come se n'è uscita quell'altra volta, oh dannazione potrei
chiedere a tutti di farmi chiamare così...ma no, detto da lei
è tutt'altra cosa...
Puoi farcela. Allontanati da lei ora.
- Yusei?-
Il suo sussurro lo colpì con
l'impatto di una testata. Il ragazzo deglutì nervosamente,
inspirò ma non riuscì a separarsi.
Andiamo, allontanati!
- Dimmi- le rispose poi, la voce roca e la gola secca.
- ...Nulla. Volevo solo dirti grazie-
Va bene, al tre.
- Grazie di cosa?-
Uno.
- Per tutto-
Due.
- Tutto cosa?-
Due e mezzo.
- Tutto quello che hai fatto-
Due e tre quarti.
- Non ho fatto nulla-
- Oh, Yusei...sai bene cos'hai fatto-
...Tre.
Quasi fosse vittima di qualche
beffardo scherzo del destino, fu la stessa Aki a decidere di annullare
la poca distanza rimasta e catapultarsi ancora tra le sue braccia. La
sua bocca si schiantò contro la guancia sinistra attraversata
dal segno dorato, lasciandolo interdetto per un breve attimo.
Sulla guancia. Un bacio a stampo, sulla guancia. Come aveva fatto qualche sera prima.
Quelle labbra così belle e
delineate, quella bocca che sembrava pronta a parlare d'amore e
meraviglie e che troppe volte si ritrovava a sognare durante la notte,
si era posata sulla guancia. E gli aveva lasciato un bacio che non
aveva nulla a che fare con quelli precedenti: delicato, caldo,
lievemente umido di lacrime salate, un petalo di rosa che si posava su
dura roccia granitica.
Neil Armstrong, ti ho battuto. Sono finito sulla Luna senza razzo né tuta spaziale.
Aki si allontanò da lui,
sorridendogli riconoscente prima di precipitarsi nel piccolo bagno a
darsi una rinfrescata. Yusei rimase lì, in piedi in mezzo alla
sala, ad osservare imbambolato un punto impreciso del vuoto, in attesa.
Yuya si presentò a inizio
serata, con gran sorpresa di tutti eccetto Kotori e Yuma, a conoscenza
delle sue intenzioni. La sorpresa fu in qualche modo doppia, capace di
cogliere impreparato perfino Atem, quando il ragazzo con gli
occhialetti gli chiese la possibilità di lavorare quella sera
come straordinario. Sosteneva di aver bisogno di stare con persone a
cui voleva bene, e di poter fare quello che gli riusciva meglio, quella
giocoleria che aveva fatto diventare il suo mestiere.
Yusei aveva colto diversi sguardi
d'intesa tra il ragazzo e Yuzu, seduta al tavolo insieme a Kotori: i
due incrociavano spesso i loro occhi, si sorridevano consapevoli di
chissà cosa e tornavano a concentrarsi su altro. Un po' come tra
lui e Aki, che a cadenze quasi regolari si scambiavano lunghi sguardi
prima di voltarsi, le labbra contratte in un lieve sorriso; tutto
questo con grande gioia di Judai, che davvero non sapeva più
dove girarsi a guardare.
Con sommo sollievo di Yusei, Jack e Crow non si presentarono quella sera.
Con consapevolezza e, a dirla
tutta, una punta di rammarico, Atem si arrese all'evidenza: Seto Kaiba
non gli avrebbe inviato alcuna risposta.
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La quarantena sembra mollare la
presa, ma MI RACCOMANDO: non fate cavolate :) Che questo è il
momento perfetto per farsi sfuggire di mano la situazione e finire
chiusi in casa altri due mesi.
Non vi nascondo che la situazione tutta mi ha messa non pochi pensieri
in testa. Lezioni universitarie online, esami pure, laboratori
annullati, tirocini anche: le ore di attività pratica non si
recupereranno tanto presto, SE sarà possibile recuperarle. E
questo potrebbe costituire una grossa lacuna nella formazione.
Speriamo in bene ragazzi. Voi come state? <3
Rosaspina
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