Scaretale Island

di Vera_D_Winters
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** My darkest hour ***
Capitolo 2: *** We fear Nothing ***
Capitolo 3: *** All in ***
Capitolo 4: *** Face Down ***
Capitolo 5: *** Turning Point ***



Capitolo 1
*** My darkest hour ***


... Molti sono i pericoli annidati nel Nuovo Mondo, tanto ben nascosti come trappole ben congegnate, capaci di distruggere il pirata più temibile in un attimo senza che questi nemmeno se ne accorga.
Scaretale Island è uno di questi pericoli, forse il peggiore di tutti.
Nessuno conosce l'ubicazione di quest'isola, nessuno vi può arrivare di sua spontanea volontà, e sarebbe anche un folle in realtà a volerlo fare. Nessuno può avvicinarsi.
E' l'isola che chiama a sè i suoi agnelli sacrificali per potersi saziare delle loro anime sofferenti.
L'isola sa, l'isola decide, l'isola uccide. 
E se finisci tra le sue spire velenose, tutto ciò che puoi fare è pregare di morire per un dolce sogno, piuttosto che per un incubo lungo interi secoli...

 

 

Sabo non aveva un buon rapporto con il suo denden mushi, e tuttavia da quando aveva scoperto che sua sorella Ann era ancora viva, aveva superato quell'avversione e si era ripromesso di contattare la corvina con una certa costanza.
Nessuno dei due era mai mancato a quell'appuntamento, almeno fino alla settimana precedente.
Inizialmente il rivoluzionario non aveva subito ceduto all'apprensione, la sorella era una pirata, una pirata impegnata con una ciurma che cercava di rimettersi in sesto dopo la sconfitta di Marineford e la morte di Barbabianca, perciò era probabile che fosse stata oberata di lavoro.
Tuttavia a più di una settimana di totale assenza di comunicazione, il biondo cominciava a sentire allo stomaco la stretta morsa della preoccupazione.
Non poteva nemmeno andare a cercarla di persona, la sua squadra era impegnata in una missione, e il capo di stato maggiore non poteva esimersi in alcun modo. I suoi doveri avevano la priorità, o almeno così doveva essere.
Stava dunque fissando con aria assente le onde che si infrangevano contro la carena della nave, perso in quei pensieri che lo rendevano inquieto, quando la voce di Koala si insinuò tra essi, facendolo trasalire.
"Ma quello non è il comandante Marco? Quello della ciurma di tua sorella?"
Stava dicendo la bionda, agitando l'esile mano verso un punto imprecisato del cielo.
Sabo alzò di scatto la testa allora, e con movimenti agili si arrampicò lungo le funi che trainavano la vela maestra, così da sporgersi il più possibile e avere un punto d'osservazione migliore.
E si Koala aveva ragione.
Nell'azzurro del cielo terso si stagliava l'imponente figura della fenice in volo.
In quella forma era davvero impressionante, le fiamme blu gli conferivano un'aura magica e maestosa mentre fendeva l'aria con sicurezza e velocità. Non sembrava possibile che quella creatura tanto bella fosse lo stesso uomo dalla capigliatura stramba e dall'apparenza mite che compariva a volte sui giornali.
Il rivoluzionario però non aveva tempo di stare laggiù a rimirarselo con stupore.
Perchè colui che aveva succeduto a Barbabianca stava viaggiando solo? Dove stava andando?
"Marco la Fenice!!!"
Urlò a gran voce nella speranza di farsi udire nonostante la grande distanza che li separava. Con il suono delle onde e il fragore del vento però come poteva sentirlo?
Per dare forza al proprio grido Sabo allora lasciò che le fiamme del frutto mera mera, il frutto che straordinariamente condivideva con Ann, salissero verso il cielo, richiamando l'attenzione del capitano.
Qualcosa non andava... ora ne aveva la certezza. Il suo brutto presentimento si sarebbe concretizzato a breve.

 

Ann era scomparsa. Semplicemente non vi erano più state notizie di lei, così come se avesse smesso di esistere in qualsiasi parte del globo.
Subito l'apprensione aveva iniziato a serpeggiare per la Moby Dick, soprattutto perchè ancora era viva e sanguinante la ferita che aveva colpito tutti loro a Marineford. 
Il pensiero era corso subito a Teach, ma la fenice la sapeva più lunga di tutti, e studiando le cartine nella propria cabina e confrontandole con la presunta rotta di Ann, aveva capito dove la ragazza si era diretta, e dove probabilmente aveva trovato la via per smarrirsi.
Esisteva una leggenda, una leggenda che narrava di un punto imprecisato nel mare del Nuovo Mondo, il quale inghiottiva navi e pirati. Laggiù non funzionavano timoni, strumenti di navigazione, bussole e Log Pose. Ci si perdeva inesorabilmente e si scompariva chissà dove. 
A questa leggenda si accompagnava la storia di un'isola protetta da questa sorta di punto cieco, collegata alla sparizione delle navi. Tuttavia erano appunto solo leggende, poichè nessuno era mai tornato vivo per parlarne. Esistevano solo i racconti di coloro che avevano visto i propri compagni svanire senza motivo.
E un luogo del genere non poteva forse evitare di richiamare la curiosità della focosa corvina? Assolutamente no. Lei era fatta esattamente per quel genere di pericoli, la richiamavano come una falena con la luce di una lampada ad olio.
Una volta che la Fenice aveva intuito cosa fosse accaduto, si era subito attivato per andare a riprenderla, spiegando la situazione ai comandanti delle sedici flotte che ovviamente si erano opposti. Il capitano non poteva andarsene, a maggior ragione in una missione potenzialmente suicida. Ma loro non capivano che Marco sentiva il bisogno viscerale di andare a riprenderla con le proprie forze. 
Forse non era un comportamento degno del successore di Barbabianca, ma lui DOVEVA.
Jack, colui che lo aveva sostituito come comandante della prima flotta e anche compagno della stessa Ann, era stato a ragione il più scosso e il più deciso a non lasciare che Marco partisse da solo, e alla fine aveva convinto tutti gli altri comandanti a creare una squadra di ricerca che escludesse il capitano.
La fenice aveva dunque finto di arrendersi all'idea, aveva lasciato che i compagni si occupassero dei preparativi per la missione di recupero, e poi nel cuore della notte trafugando le cartine con la rotta da seguire, proprio come un ladro, aveva aperto le ali e aveva semplicemente spiccato il volo.
Lo avrebbero odiato.
Jack non lo avrebbe mai perdonato.
Nemmeno Thatch lo avrebbe mai perdonato.
Probabilmente sarebbero partiti lo stesso anche senza una rotta precisa, avrebbero cercato di seguirlo in tutti i modi, ma sarebbe stato troppo tardi. Quando loro si sarebbero accorti della sua assenza, lui sarebbe già stato molto, molto lontano.

 

La fenice scese in picchiata e si diresse verso la nave dei rivoluzionari sotto lo sguardo di una Koala contrariata e preoccupata al tempo stesso.
Una tempesta, ecco che cosa avrebbe portato quell'incontro, se lo sentiva nelle ossa.
Una volta ripresa la sua forma umana, il capitano dei pirati di Barbabianca si presentò  a lei e ad Hak, mentre strinse la mano a Sabo, come se fossero vecchi conoscenti.
Il capo di stato maggiore aveva dunque avuto contatti con quei pirati, quello che era stato solo un sospetto ora era divenuto una certezza. 
Quando poi i due uomini biondi si allontanarono leggermente da loro e cominciarono a confabulare, il presagio che qualcosa di brutto fosse alle porte fu molto più che un ipotesi. 
Passarono i minuti, la rivoluzionaria continuava a spostare lo sguardo dai due uomini ad Hak, e fu lì lì per esplodere e chiedere una spiegazione, ma venne preceduta dalle parole di Sabo, che finalmente si era ricordato della loro esistenza.
"Devo andare."
"Che... che???? Come devi andare??!!!"
"Devo andare, ma tornerò presto, promesso."
"Ma non puoi! Sabo?! Sabooo!!!!"
Ma ormai Koala protestava al vento poichè il rivoluzionario si era letteralmente arrampicato sul dorso della fenice tornata a quell'aspetto di animale mitologico, e stava partendo verso chissà dove.
Dragon non l'avrebbe affatto presa bene se lo avesse scoperto... dannazione!


Alla fine Marco era stato costretto a portare qualcuno con sè.
In realtà per un attimo aveva pensato di tirare dritto e fingere di non aver udito il richiamo di Sabo, ma quando aveva visto le fiamme, un'idea in lui si era fatta strada, facendolo tornare sui suoi passi. E se la connessione data dal frutto che i due condividevano lo avrebbe portato più facilmente ad Ann? Se in qualche modo le loro fiamme si fossero richiamate a vicenda?
Era un'eventualità che Marco non poteva ignorare.
Perciò eccolo lì a volare con il biondo sul dorso, quel posto che era stato un tempo riservato proprio ad Ann.
Il silenzio regnò tra loro per un tempo infinito mentre la fenice si teneva a una quota più bassa per rendere il volo meno difficoltoso al biondo che non era sicuramente abituato ad altezze elevate, poi però accadde qualcosa che infranse quella calma apparente che li aveva circondati.
Marco si sentì trascinare verso il basso da una forza apparentemente imbattibile che lo tirava sempre più giù. Puntò le ali, cercò di invertire la sua direzione, sentì il rivoluzionario fare del suo meglio per utilizzare anche il proprio fuoco come a frenare la loro discesa in picchiata, ma ogni cosa fu inutile.
L'impatto col freddo dell'acqua fu doloroso, duro e spaventoso. Subito sopraggiunse il senso di debolezza che era tipico di tutti coloro che avevano mangiato un frutto del Diavolo, e poi il senso di soffocamento, mentre nuovamente in forma umana muoveva le braccia in maniera ossessa nel disperato e vano tentativo di restare a galla.
Attimi di terrore di un'agonia fin troppo lunga, prima che tutto divenisse buio.
Il mondo parve ribaltarsi e poi spegnersi, prima che la fenice e il rivoluzionario scomparissero proprio come Ann prima di loro.

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Capitolo 2
*** We fear Nothing ***


Ann era morta.
Era durato forse pochi secondi, ma indubbiamente il suo cuore aveva smesso di battere, la sua coscienza si era spenta, ed ogni rumore di armi che si scontravano, ogni grido bellicoso, ogni lamento dei feriti che aveva intorno, tutto era svanito per lasciarle la pace di un ovattato oblio.
Non che a lei la pace fosse mai piaciuta, ma in quel momento non l'aveva affatto disprezzata.
Era morta. Non a lungo forse, ma abbastanza da far si che il frutto Mera Mera rinascesse altrove, e questo era un altro indizio della sua sicura e momentanea dipartita.
Ann tuttavia era stata strappata alle mani della fredda signora con la falce.
Ann era stata salvata.
La fenice si era risvegliata. Non si sapeva come, non si sapeva perchè, ma le sue lacrime avevano riportato la corvina alla vita sul suolo di una Marineford devastata, tra le macerie di un impero crollato.
All'inizio era sembrata solo una pioggia fastidiosa sul suo viso che stava divenendo freddo, poi però il fuoco di lei aveva richiamato le morbide fiamme blu, e insieme avevano danzato, e si erano unite in circolo, e avevano bruciato e soffiato calore fino al cuore silenzioso di Ann, che con un sussulto era tornata indietro dall'Aldilà, in un viaggio miracoloso che probabilmente non si sarebbe mai ripetuto.
Erano susseguiti poi giorni di coma, giorni in cui il mondo intero l'aveva creduta perduta per sempre, ed infine era giunta la totale guarigione.
Ora però Ann era morta di nuovo. Per forza, o non poteva spiegarsi quel freddo che le stava mangiando l'anima e che lei non avrebbe dovuto sentire.
Forse la grazia ricevuta doveva essere bilanciata da altra sofferenza.
Forse lei aveva dissacrato il nuovo dono della vita andando a cercare il pericolo ed ora meritava una punizione. Non ne aveva idea, ma di certo ciò che stava vivendo era simile alla sua momentanea dipartita a Marineford.
Tremava, tremava dall'interno e intanto cercava di figurarsi una via d'uscita. Indomita la corvina, se c'era una soluzione l'avrebbe trovata poichè non era persona da piangersi addosso inutilmente.
Solo che... non ricordava nemmeno come fosse finita in quella gabbia di cui non vedeva nè inizio nè fine. Nella sua mente le immagini si fermavano a lei che con il suo striker veniva ingoiata dalle acque fredde dell'oceano, poi più nulla a parte quelle pareti che aveva attorno e che sembravano estendersi all'infinito.
"E va bene Ann... cerchiamo di farcela su."
Provò ad alzarsi dopo quell'incitamento a se stessa, ma barcollò sulle proprie gambe e cadde nuovamente a terra, pestando malamente le natiche contro la pietra fredda e dura, imprecando sonoramente.
Ma i problemi non erano finiti.
Le pareti, senza alcuna logica e senza alcun preavviso, cominciarono a muoversi restringendo così lo spazio vitale che circondava la corvina. Lentamente e inesorabilmente l'avrebbero schiacciata.
Senza farsi prendere dal panico Ann provò a richiamare le proprie fidate fiamme, così da rendersi intangibile e magari uscire da quella situazione, ma non vi fu fuoco a correre in suo soccorso. Era come spenta.
E allora sì, sopraggiunse la paura mentre in un ultimo disperato tentativo di salvarsi posava i palmi delle mani contro il muro più vicino, puntando istintivamente i piedi a terra per fermare l'avanzata di quella infida pietra, mossa da chissà quale congegno infernale.

 

Sabo riaprì allarmato gli occhi, ma la luce del sole glie li fece richiudere di botto, non prima di averlo accecato per bene.
Lentamente fece un secondo tentativo, e sbattendo più volte le palpebre per abituarsi questa volta gradualmente al bagliore che lo attorniava, riuscì a spalancare del tutto le iridi chiare.
"Ma che diavolo?!"
L'esclamazione stupita abbandonò con poca grazia le sue labbra mentre si rendeva conto di essere appeso per la giacca alla polena della... sunny. Come diavolo era possibile? Come??? C'era qualcosa di sadico in tutto quello strano concatenarsi di eventi. Andava a cercare Ann e si ritrovava a dover salvare Rufy? Ma poi chi voleva salvare lì appeso come un salame?
Cercò di dondolarsi avanti e indietro per districarsi da quella situazione, ed infine riuscì a sganciarsi dalla criniera legnosa del leone che sovrastava la nave del fratellino, atterrando poi con un ovattato balzo sulla sabbia di quella che pareva un'isola deserta.
Rimessosi dunque in piedi, e dopo essersi levato di dosso i granellini dorati, tornò a guardarsi intorno in cerca della ciurma del fratello.
La nave incagliata e ammaccata però, pareva deserta come tutto il resto di quel luogo.
Mentre si grattava la testa e riemergeva dal lieve shock che lo aveva colpito, si rese conto di aver perso due cose: il suo cappello e il suo accompagnatore, il secondo decisamente più importante del primo.
Con uno scatto e una torsione del corpo si voltò a destra e a sinistra, prima di cominciare a correre per la spiaggia, in cerca del capitano degli ormai ex pirati di Barbabianca.
"Marcooo???? Marco dove sei???"
Andiamo... non poteva essere sopravvissuto solo lui. E anche se così fosse stato il corpo doveva essere da qualche parte... no, non doveva cedere a quel tipo di pensieri.
"Marcooooooooooo! Rufyyyyyyyyyyyyy! Robiiiiiiiiiin!"
Urlò a pieni polmoni il nome dei suoi amici e continuò a cercare senza posa, circondato solo da calda sabbia brillante sotto i raggi del sole, alti alberi dalla chioma verde e florida,  e le onde del mare lievemente mosso. Mare infinito e sconfinato, come se non esistesse nemmeno un'orizzonte cui affidarsi.
 

 

In un luogo molto diverso da quello in cui vagava il biondo rivoluzionario però, Rufy e Nico Robin starnutirono all'unisono.
"Qualcuno deve starci pensando molto intensamente."
Ridacchiò amabilmente la corvina, mentre il capitano annuiva strofinandosi l'indice sotto il naso con la sua inconfondibile risata.
"Spero stiano pensando a quanto sono grandioso."
Non erano mai stati più al sicuro viaggiando a tutta forza verso l'isola di Zou, per ricongiungersi ai loro compagni.


Marco si massaggiò il collo mentre a gambe incrociate cercava di capire dove fosse finito.
Respirava ed era vivo, e questo era ottimo, ma non era per nulla bagnato come avrebbe dovuto essere, e il suo sedere era seduto su qualcosa di troppo morbido.
Cosa ci faceva su un letto? Un letto di un'infermeria? Lui che da tempo immemore non si faceva più nemmeno un graffio...
Intontito e confuso scese dal letto, il rumore dei sandali che risuonava nitido sulle piastrelle nere su cui stava camminando. Non era nemmeno l'infermeria della sua nave quella... Qualcosa non andava.
Lasciò la stanza e percorse un lungo corridoio, accompagnato solo dal rumore dei suoi stessi passi, ma fu costretto a fermarsi di botto con un ansito e un fremito al cuore. Il terrore si impadronì di lui risalendo lungo la sua spina dorsale e raggelandolo lì dove stava mentre i suoi occhi registravano ciò che aveva dinnanzi a sè.
No, non era a casa. Non era mai stato tanto lontano da casa in vita sua...
 

 

Le bestemmie di Eustass Kidda le avrebbero sentite fin sulla luna, poco ma sicuro, ma a lei non importava minimamente. Tutto quello di cui le fregava era uscire da quel cazzo di labirinto. Non un labirinto metaforico, un labirinto vero, fatto di muri del cazzo in pietra, piante rampicanti e dall'apparenza velenosa e sapeva solo il cazzo quale altra diavoleria.
 Aveva già pensato e pronunciato la parola cazzo?
E dove cazzo era la sua fottuta ciurma di inutili e inetti caproni? Perchè ancora non erano venuti a cercarla? Come minimo erano passati giorni da quando era caduta in quel vortice marino che l'aveva trasportata in quel posto di merda dimenticato da tutti e tutto.
Non c'era metallo a cui appigliarsi, non c'era cibo, non c'era acqua, non vedeva se su di lei c'era il cielo, non sapeva se fosse giorno o notte e le gambe le facevano male da quel continuo camminare.
E aveva anche un sonno del diavolo, cazzo.
"Mi state prendendo per il culo????"
Urlò a nemmeno lei sapeva cosa, sollevando i pugni verso l'alto con fare rabbioso.
"Liberatemi subito!!! Ehiiii mi sentite???!!!"
Nessuno le rispose, ma in una stanza apparentemente lontana da quel labirinto infernale, qualcuno effettivamente la sentì.
La sentì forte e chiaro.

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Capitolo 3
*** All in ***


Jewerly Bonney non era persona da urlare in preda al panico, preferiva cavarsela da sola, preferiva agire indisturbata in incognito... preferiva molte cose. Ma in quella situazione avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, perchè lei desiderava uscire dai guai in quel momento e se serviva urlare e fingersi indifesa lo avrebbe fatto. Non sarebbe stata nemmeno la prima volta, come non era la prima volta che pesanti catene stringevano i suoi polsi, il suo collo e la sua vita esile, ma a quei ricordi, a quei pensieri non voleva cedere. Al timore dei suoi carcerieri non voleva soccombere, perciò meglio cercare nuovamente un modo di tirarsi fuori dai guai. Ed eccola di nuovo ad urlare aggiungendo un po' di disperazione in più al suo grido, giusto per essere più credibile.
L'intrigo e l'inganno erano parte della sua strategia di sopravvivenza, poichè in quel mondo di tiranni e presuntuosi dalla forza sovrumana, troppi sottovalutavano le doti della furbizia e dell'ingegno. Volevano essere tutti leoni e squali, dimenticando quanto invece la scaltrezza di una piccola volpe potesse fare la differenza.
E ad ogni modo, anche se lei difficilmente lo avrebbe ammesso, in quel momento il brivido della paura le si era insinuato sotto la pelle e le aveva accelerato i batti del cuore, perciò chiunque fosse stata la donna che stava urlando improperi al cielo, il suo aiuto sarebbe stato realmente gradito, poichè se davvero coloro che ora la tenevano prigioniera erano coloro da cui giù più volte era fuggita, allora davvero più di ogni altra cosa al mondo lei non desiderava restare laggiù a marcire.
Senza contare che le catene per un pirata, che fossero di kairoseki o meno, erano forse la costrizione e la punizione più dolorosa di tutte.

 

Kidda intanto continuava a imprecare vagando a vuoto, almeno fino al momento in cui non udì forte e chiaro un urlo di donna che chiedeva aiuto. 
Chiuse la bocca e raddrizzò la postura mentre si guardava intorno con aria circospetta e attenta tra l'edera rampicante e l'odore nauseante di dio solo sapeva quali fiori di merda adornavano quel labirinto.
Tra quelle pareti poi, la voce rimbalzava e rimbombava come una dannata pallina da ping pong e lei non riusciva a capire da dove arrivasse, cosa che non solo la stava irritando ancora di più, ma le impediva di trovare la via di uscita che stava cercando da ore, giorni... forse anche mesi. Ormai aveva perso la cognizione del tempo.
"Tappati un po' quella dannata fogna, donna - come se lei non lo fosse - non capisco da dove cazzo stai gridando!"
Allo sbraitare della scarlatta, l'eco di quella richiesta d'aiuto cessò.
Tipo per due secondi o poco più.
"Ehi tu! Ti sembrano questi modi di rivolgerti a qualcuno che ha bisogno d'aiuto? Ma sei stupida o cosa? Invece di urlare fai qualcosa!"
La donna urlante ora non pareva più in panico e il suo tono stava finendo di rendere nero l'umore già pessimo della capitana.
"Perchè non fai tu qualcosa invece? Non mi sembri più tanto spaurita e bisognosa d'aiuto!"
Lo stronza finale non venne pronunciato, ma restò sospeso nell'aria sebbene non fosse stato espresso chiaramente.
Ad ogni modo solo lei poteva mettersi a litigare in un labirinto, con qualcuno fuori dal labirinto, per chi dovesse aiutare chi.
"Ma che genio che sei come ho fatto a non pensarci prima?! IDIOTA! Forse sono incatenata no? Altrimenti mi sarei già liberata da sola, senza chiedere l'aiuto di nessuno, soprattutto di un capitan ovvio come te!"
Kidda ormai era furibonda con quella voce di cui non conosceva nè viso nè nome. Se l'avesse avuta sottomano, quelle catene di cui le aveva parlato glie le avrebbe strette intorno al collo e l'avrebbe strangolata con le sue stesse ma...
Mani.
Come aveva fatto a non pensarci prima? Come??? Era davvero stupida. Stupida Kidda.
"Senti stai zitta ok? Sto arrivando. E prega di essere riuscita a scappare dalla tua prigione, perchè se ti troverò ancora legata quando sarò uscita da qui, ti prenderò a pugni su quel brutto muso che sicuramente ti ritrovi."
Ci fu ancora un attimo di silenzio prima che la sconosciuta riprendesse a insultarla, ma Kidda smise di ascoltare e si concentrò sul rumore dei propri pugni che, con forza inaudita, si abbattevano contro l'alta siepe che la divideva dal resto di quel mondo surreale. Il rimbombo di quei colpi probabilmente si poteva udire anche fuori dal labirinto, perchè anche la donna incatenata non fiatò più. Tornò il silenzio intervallato ritmicamente dal rumore di fronde che venivano smosse e dal respiro accelerato della pirata dai capelli di fuoco.
Se l'uscita non esisteva, se la sarebbe creata da sola, punto e basta.
Era un pensiero quasi suicida quello di sradicare a mani nude un enorme muro, che per quanto fatto di foglie e arbusti, era pur sempre compatto e stagno. Nemmeno l'isola si sarebbe aspettata un risvolto del genere, e fu proprio lo stupore a farle perdere la presa su quell'illusione, che sotto i pugni della capitana cominciò a sgretolarsi.
E fu così che Kidda, un pugno dopo l'altro, cominciò a vedere la luce tra le crepe che si stavano creando nel mezzo della siepe colpita.
E così continuò a picchiare come sapeva fare lei, fregandosene delle nocche dell'unica mano buona ormai sanguinanti, e del metallo scheggiato della protesi.
A costo di perdere entrambe le braccia, sarebbe uscita da lì.


Intanto Ann cominciava a vedere la propria vita scorrerle davanti agli occhi.
Aveva provato a fermare almeno lo scorrere di una parete puntando il pugnale in un angolo sotto di essa, ma come poteva una leva tanto piccola fermare un muro di cemento armato?
Tentò ancora di richiamare le fiamme, le pregò di correre in suo soccorso poichè non voleva arrendersi nemmeno davanti a quella situazione disperata, ma non vi fu nulla da fare. Le sue fiamme non ardevano più. E mentre il suo ultimissimo pensiero correva a Jack, l'uomo che amava e che avrebbe amato anche dall'aldilà, i suoi occhi si chiusero nell'amarezza. 
Schiacciata tra quattro stupide pareti era proprio una fine penosa per Portgas D. Ann.

Tuttavia l'isola non aveva ancora finito con lei, e nemmeno con gli altri uomini approdati per ultimi laggiù. 
Ma se il biondo rivoluzionario per ora se la cavava semplicemente correndo nella fitta foresta proprio come faceva da bambino con i suoi fratelli, deciso a non lasciarsi divorare dall'angoscia e dal timore, imponendosi di trovarli e salvarli in qualsiasi guaio si fossero cacciati quella volta, il capitano degli ormai ex pirati di Barbabianca invece vacillava. 
Il giovane coraggioso avanzava, mentre la fenice soccombeva.
La sala in cui i suoi passi l'avevano condotto non era altro che un laboratorio, un laboratorio della marina a giudicare dalle divise degli scienziati e dei soldati che vi lavoravano, un laboratorio in cui si eseguivano esperimenti su coloro che avevano mangiato un frutto del diavolo di tipo zoan, a giudicare dalle persone dalle fattezze in parte animali, incatenate a lunghi pilastri e alle pareti della stanza. Anche gli arti e altri monconi e pezzi di corpi che galleggiavano in enormi vasche dal vetro trasparente contenenti uno strano liquido verde che doveva essere qualcosa tipo formalina, lasciavano poco spazio ai dubbi.
Tra la rabbia e l'orrore, Marco aveva provato a scagliarsi contro quegli aguzzini, ma si era riscoperto ad avere i piedi incollati al pavimento come se stesse vivendo una specie di incubo ad occhi aperti. Immobilizzato, era stato poi trascinato a forza su un lettino da alcuni marines, ed era stato incatenato. Quel materiale però che gli bruciava i polsi e le caviglie non era kairoseki. Non sentiva il corpo indebolirsi a contatto con quel metallo, anzi, la fenice si agitava maestosa dentro di lui. Quel materiale... quel materiale stava forzando la trasformazione.
Dolorosamente, cosa che mai era accaduta in tutti quegli anni in quanto il suo mutamento era indolore e naturale,  le sue mani cominciarono a divenire artigli, e le fiamme blu solitamente fresche e gentili, ustionavano la sua pelle per uscire fuori e divorarlo.
Si morse la lingua per non urlare, mentre le sue labbra si protendevano e si indurivano nella forma del becco giallo della fenice, mentre gli occhi rimanevano quelli umani del pirata. 
E fu proprio mentre spalancava gli occhi per l'ennesima fitta sofferente che nel suo campo visivo comparvero i volti di Akainu e Teach.

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Capitolo 4
*** Face Down ***


Per l'ennesima volta Ann aprì gli occhi, confusa e frastornata.
Si era aspettata il dolore, le ossa maciullate, la fine inevitabile, ed invece non era successo nulla di tutto ciò. Questo fece venire il dubbio alla corvina che qualcosa non andasse. Già non le era stato chiaro come fosse finita all'inizio nella prigione murata, ed ora, ora che aveva davanti agli occhi la piazza di Marineford, era praticamente palese che fosse la sua mente ad essere sotto attacco e non davvero il suo corpo.
Come la stessero tenendo in pugno non le era affatto chiaro purtroppo. Una cosa per volta però.
Le manette ai suoi polsi erano pesanti ma non quanto quelle di kairoseki, le ginocchia le dolevano a causa della posizione in cui era messa al momento, e un vento freddo le sfiorava le spalle scoperte, unica fonte di rumore in quel luogo desolato e apparentemente dimenticato da tutti.
Chi stava giocando con la sua mente che cosa le avrebbe presentato ora per ferirla ancora, indebolirla e cercare di farla cedere?
La morte del suo amato padre? Rivivere quel momento orribile ancora una volta senza poter fare nulla per cambiare le cose?
Rufy che disperatamente corre contro tutti e tutti, nel folle e audace desiderio di salvarla?
I suoi compagni che cadono come mosche sotto i colpi dei Marines?
Akainu nella sua brutale e imbattibile forza?
Quel viscido di Teach con la sua risata gorgheggiante e il suo alito fetido?
Chi? Cosa avrebbe cercato di distruggere la sua psiche?
C...
"No, questo non ha senso."
Un sorriso amaro sfigurò le labbra tirate e pallide della corvina, mentre in mezzo alla piazza, al suono di una corsa leggera, compariva l'unica persona che non aveva partecipato al massacro di Marineford.
Chiunque stesse tenendo le fila di quel gioco crudele, era davvero un sadico bastardo.


Il lungo giaccone blu si fermò con uno svolazzo, frusciando contro i polpacci di un Sabo quanto mai confuso e preoccupato.
Ad un certo punto il dubbio che qualcosa non andasse gli era anche balenato in testa, poichè nella sua corsa forsennata la boscaglia si era tramutata in strada e gli alberi in muri di cemento armato, ma non appena si ritrovò a specchiare lo sguardo in quello di Ann al patibolo, tutto ciò che gli venne in mente fu quello di arrampicarsi e liberarla.
Che il gorgo marino fosse una sorta di varco?
Che trasportasse le persone in altri luoghi del globo?
Spiegazione fantasiose e lontane dalla verità si rincorsero nella mente del giovane, mentre riprendeva la sua corsa urlando a gran voce il nome della sorella.
Uno dei suoi più grandi rimpianti era quello di aver ritrovato i ricordi troppo tardi, di non esserci stato per i suoi fratelli quando avevano avuto più bisogno di loro.
Questo avrebbe dovuto fargli capire che non era un caso che si trovasse proprio lì, ma tanto era il sollievo di averla trovata, che la ragione venne un po' meno, lasciando spazio a sentimenti che non sempre potevano essere imbrigliati sotto il controllo della maturità e del buon senso.
E tuttavia la corsa del rivoluzionario venne arrestata proprio dalla corvina che dopo aver sfruttato l'haki dell'armatura per fortificare i propri polsi aveva frantumato le manette mentre con un paio di balzi saltava a terra, finendo con fronteggiare proprio il fratello, una luce battagliera negli occhi che non aveva alcun senso.
"Ann... ma che cosa...?"
"Se pensano che io abbia paura di fare del male a un fantoccio con le sembianze di mio fratello, allora non hanno capito nulla. Se devo distruggerti per uscire da quest'incubo, ti distruggerò."
A quella dichiarazione d'intenti Sabo spalancò la bocca allibito, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, dovette parare il colpo in arrivo, che se fosse giunto a destinazione gli avrebbe sicuramente rotto il naso. 
"Ann, ma che diavolo fai?"
Sbraitò sempre più basito, arretrando per parare i pugni della sorella.
E così, senza una vera logica, il combattimento ebbe inizio.


Intanto Kidda continuava a cercare di sfondare a suon di calci e spallate il muro d'erba che la teneva imprigionata nel labirinto.
Come un toro aizzato da un velo rosso, ringhiando e grugnendo affannata, incitata da una Bonney ancora in catene che incurante delle minacce ricevute poco prima pregustava l'arrivo della libertà, continuava a colpire imperterrita, furente e inarrestabile.
Quando le nocche erano state troppo malconce, e la mano buona un lago di sangue, aveva sostituito i pugni con il resto del proprio corpo. Il braccio metallico ormai perdeva anche dei pezzi, e non vi era un solo centimetro della sua carne che non le dolesse. Mancava solo che prendesse quella siepe a testate.
"Eddai, muoviti! Quanto ti ci vuole per buttare giù due fiori? Muoviti caprona!"
Più l'altra supernova la istigava ad insulti, più Kidda si caricava.
Bonney questo l'aveva capito, anche se non la conosceva di persona le era bastato poco per intuire chi fosse e come manovrarla, e Kidda dal canto suo si lasciava manovrare come un'idiota.
Ad un certo punto però, quella strategia cominciò a funzionare. 
E quando il muro di rovi cedette, finalmente Bonney e Kidda si trovarono faccia a faccia.


L'unico rimasto solo a combattere contro i propri demoni interiori, che avevano preso vita con i volti di Teach ed Akainu, era Marco, imbrigliato su quel tavolo da sala operatoria con il corpo che sembrava ribellarsi contro se stesso.
L'odio verso di sè, verso quel frutto che solo una volta si era risvegliato riportando Ann in vita, senza però salvare tutti gli altri, il timore di non essere all'altezza, la voglia di mollare tutto, ecco che ogni suo malessere lo lasciava lì disteso tra le sofferenze, mentre le sue fattezze umane ormai lasciavano il posto proprio alla fenice.
Ed un pensiero balenò in quell'ultimo barlume di coscienza umana che gli restava.
Se il resto della sua vita l'avesse passato proprio in quella forma? Per sempre... per tutta l'eternità che gli restava davanti. Volare via dimenticando e venendo dimenticato da tutti...
Avrebbe trovato quella pace che tanto desiderava?
Era un'idea codarda oltre l'inverosimile, ma suonava tanto, tanto confortante...

// finalmente sono riuscita a cambiare nome, ma sono sempre io e spero che questa storia continui ad appassionarvi. Se vi va lasciatemi una recensione <3

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Capitolo 5
*** Turning Point ***


La sveglia di Jack quel mattino non fu affatto delle migliori, e di certo quello che stava per cominciare non era assolutamente un buon giorno. Su di lui era comparsa la faccia di Thatch stranamente pallida, e le parole che erano seguite al suo arrivo erano state percepite solo in parte dalla coscienza del pirata che lottava per svegliarsi. Tuttavia colse le informazioni basilari, e questo lo rese immediatamente cosciente e vigile, nonchè furioso.
Come aveva potuto Marco andarsene senza dire nulla, portando oltretutto con sè le uniche coordinate che avrebbero permesso loro di raggiungere sia il capitano che Ann? Che cosa diavolo gli era passato per la testa? Non glielo avrebbe perdonato, mai. Mai.
Ma quello non era il momento dell'astio e della delusione, era il momento di agire.
"Cerca nella sua camera, deve aver lasciato per forza un indizio. Io intanto faccio preparare una delle navi più piccole e veloci che abbiamo. Partiamo tra un'ora."

 

Mentre Jack e Thatch si preparavano con la loro missione di salvataggio, su Scaretale Island continuavano a susseguirsi incubi e drammi. E risse soprattutto, o principi di risse, come quella in arrivo tra Bonney e Kidda.
La scarlatta avrebbe dovuto immaginare che dietro quella bocca impertinente poteva nascondersi solo lei, Jewerly Bonney. Chi altri poteva essere stato tanto spregiudicato nonostante non fosse stato altro che un topolino in gabbia? Il cattivo temperamento della donna dai capelli rosa era quasi tanto famoso quanto la sua fame perenne.
Ed in effetti anche in catene riusciva a stare scomposta e ribelle, il bel volto fiero e le labbra strette in un qualcosa a metà tra un sogghigno e un ringhio infastidito.
Ma Kidda per quanto potesse condividere con lei alcuni tratti del carattere, sapeva essere molto più brutale, e non riservò alla compagna supernova nessun trattamento speciale o in qualche modo comprensivo. Fu con gratuita cattiveria che le andò sotto a muso duro e l'afferrò per i capelli, costringendola ad alzare il viso verso il proprio, così che i loro occhi potessero scontrarsi: una nube temporalesca dalle sfumature ambrate quelli della rossa, una placida e inamovibile marea quelli della rosata.
Era abituata a pesci più grandi brutti e cattivi di lei che la minacciavano violentemente.
Non le rivolse un'occhiata annoiata solo perchè doveva tenersela buona, e provocarla non era affatto saggio, ma non l'avrebbe assecondata di più.
Le mani di Kidda, o meglio l'unica che era ancora fatta di carne, sanguinava copiosamente, e quella meccanica aveva due dita maciullate, e una vicina a fare la stessa fine delle altre, e almeno di questo Bonney doveva darle atto: era una caprona, ma una caprona testarda, e questo deponeva a suo favore. Perciò fermò sul nascere gli improperi della pirata dai capelli di fuoco, e con voce questa volta pacata, di chi la sapeva lunga, le fece la sua proposta.
"Senti mi potrai picchiare una volta uscite da qui, ok?"
In realtà appena possibile se la sarebbe svignata, ma dettagli.
"Adesso però hai bisogno di me, come io ho bisogno di te. Per uscire da qui, qualsiasi posto sia, dobbiamo essere insieme."
E ad essere sinceri Bonney voleva solo qualcuno che le coprisse le spalle mentre lei cercava di far fronte al mistero in cui erano finite, perchè forse Kidda non l'aveva notato, ma non aveva senso che una prigione e un labirinto fossero adiacenti, così in maniera casuale. Inoltre la rosata non sapeva come l'altra supernova fosse finita laggiù, ma probabilmente non lo aveva fatto in maniera spontanea o cosciente, proprio come Bonney, la quale era naufragata con la sua nave ed al risveglio si era ritrovata lì, incatenata in un luogo che aveva visto e sognato fin troppo. Il dubbio che tutto fosse una sorta di illusione la rendeva inquieta, ma voleva provare a vagliare altre ipotesi prima di focalizzarsi su quella.
"Allora ci stai Eustass? Usciamo insieme da questo casino, poi se vorrai ancora massacrarmi di botte potrai farlo."
E lo sguardo di Kidda diceva chiaramente che sì, lo avrebbe fatto e ne avrebbe anche goduto, ma in quel momento abbassò il capo e mangiò un po' del suo proverbiale orgoglio, mentre si apprestava a liberare l'altra donna.
Tuttavia non fu necessario: le catene che stringevano la giovane svanirono come per magia, e sotto di loro si aprì una voragine oscura che le fece cadere in un baratro che sembrava non avere fine.
L'urlo di sgomento fu un coro inaspettato, mentre le due precipitavano senza freni, proprio come Alice nella sua caduta verso la tana del coniglio bianco.
Era l'isola che si ribellava all'alleanza. Lei desiderava che le sue vittime si scontrassero e si facessero a pezzi con le loro stesse mani quando lei non riusciva in quell'intento.
Perciò non le mandò dalla fenice che stava lentamente soccombendo alla sua stessa mente, no.
Le fece cadere in quella piazza dove due fratelli stavano combattendo all'ultimo sangue.
 

"Ann per amor del cielo vuoi piantarla?!"
Sabo si stava stufando di quella situazione, la sorella non sembrava volerlo minimamente ascoltare ferma in quell'assurda convinzione tale per cui lui era qualcuno da sconfiggere per trovare la libertà. Che le avessero fatto il lavaggio del cervello? Altrimenti non si spiegava affatto quel comportamento. Certo da piccoli avevano passato il tempo a fare a pugni per ogni più piccola cosa, ma da adulti le cose erano cambiate. Erano due persone con una carica precisa e responsabilità precise, e si confrontavano con le parole non con i pugni.
O almeno così era stato da quando si erano ritrovati fino a quel momento.
"Ann, basta!"
Ad un certo punto il rivoluzionario fu costretto a smettere di giocare in difesa e cominciò a colpire a sua volta. Se la sorella non era intenzionata ad ascoltare, l'avrebbe fermata in altro modo.
Vi fu uno scambio di assalti ed i due si ritrovarono a rotolare tra la polvere e la terra battuta, la corvina senza alcuna titubanza, il biondo più reticente: restituiva i colpi che riceveva lasciando lividi ed escoriazioni proprio come quelli che riceveva, ma non riusciva a fare sul serio tanto quanto la sorella.
La scazzottata però venne interrotta prima da un duplice urlo che fece alzare verso lo sguardo dei due fratelli, ora improvvisamente fermi, Ann con ancora le dita strette al bavero della giacca di Sabo che invece aveva posato le mani dietro di sè nell'intento di farvi leva e ribaltare le posizioni che avevano assunto poco prima. Ma nessuno dei due portò a termine l'azione intrapresa.
L'urlo venne accompagnato dalla caduta dal cielo di due donne che finirono proprio sopra i due contendenti, in un groviglio di braccia, gambe, vestiti sgualciti e imprecazioni.
Ann si ritrovò sbalzata leggermente via, i piedi di una sconosciuta praticamente in bocca, piedi che calzavano degli stivali che puzzavano di pioggia e fango, mentre Sabo quasi si ritrovò a soffocare sotto il peso di qualcosa di metallico che gli schiacciava la faccia e gli copriva completamente la visuale. Anche il suo petto sosteneva un peso inaspettato e fastidioso, ma non riusciva a capire cosa lo stesse schiacciando, o meglio chi. Poichè la voce irosa che si levò da chissà dove, apparteneva presumibilmente ad una donna per quanto poco esile e delicata sembrasse.
"Che cosa stracazzo è successo addesso?!"
Il rivoluzionario non si sarebbe espresso in quei termini, ma di sicuro la domanda che si poneva era la medesima, e gli sarebbe anche tanto piaciuto avere una dannatissima risposta.

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