Fino alla fine del mondo - La mia promessa a te

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** Speranze, bugie e mezze verità ***
Capitolo 3: *** Far ritorno a casa ***
Capitolo 4: *** Il ricordo di te ***
Capitolo 5: *** Come un'onda ***
Capitolo 6: *** Un salto nel passato ***
Capitolo 7: *** Angeli nella notte ***
Capitolo 8: *** Il caso non esiste ***
Capitolo 9: *** Sblocco ipnotico ***
Capitolo 10: *** La fine della mia ricerca ***
Capitolo 11: *** La mia Michiru ***
Capitolo 12: *** Notte di scoperte ***
Capitolo 13: *** A cuore nudo ***
Capitolo 14: *** Il giorno che m'innamorai di te ***
Capitolo 15: *** Il tuo ritorno ***
Capitolo 16: *** Epilogo-1918 ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

Avvertenze: salve, generalmente non ne scrivo, ma devo avvertire chi non avesse letto le Trincee dei nostri cuori, soprattutto nei capitoli finali, che potrebbe trovarsi spiazzato nel seguire le varie situazioni che ho descritto. Perciò nell'eventualità non vi andasse di avventurarvi nella storia precedente, date a questa, una possibilità in più. Grazie e buona lettura.

 

 

Cambiamenti

 

 

 

Nydeggasse Strasse, Palazzo della famiglia Kaiou - centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale – 15/9/1915

 

Il giovane cameriere bussò con discrezione alla porta entrando poi nello studio al cenno di una voce profonda. Richiudendo l'anta e puntando gli occhi al pavimento fece qualche passo avanti attendendo disposizioni. Una delle cose che più davano fastidio a quel bellissimo ragazzo entrato a servizio di una delle famiglie più in vista di Berna da neanche un mese, era proprio quella di dover mantenere sempre lo sguardo basso ogni qual volta interloquiva con persone non appartenenti alla servitù. Un urto di nervi paragonabile al dover tenere la giacca sempre in perfetto ordine anche quando si ritrovava a svolgere mansioni di fatica o lunghe camminate per qualche commissione. Sospirando sommessamente si permise di alzare il mento di quel niente che gli permettesse di osservare il signore della casa ancora piegato sul piano della sua scrivania intendo nella compilazione di uno scritto. Ancora un telegramma. L'ennesimo viaggio all'ufficio postale.

Alzando ancora un po' di più la testa la volto' verso il quadro che sapeva avrebbe trovato alla sua sinistra. Un piccolo oggetto magnificamente composto che ritraeva l'unica erede di quella famiglia e che era il motivo per il quale quel giovane montanaro era stato spinto ad accettare l'impiego in un ambiente completamente astruso e mal digerito dal suo spirito libero. Stirando le labbra iniziò a bearsi dell'immagine che ritraeva una ragazza affascinante, dai lunghi capelli castano chiari, gli occhi di un blu profondissimo e misterioso, il viso dolce, ma deciso, la postura elegante. Era bellissima. Era ossigeno puro alla disperazione che portava nel cuore da settimane. Era ricordo, passione, sentimento travolgente e sincero. Era reticenza e supplizio. Era comprensione, complicità e scoperta. Era tutta la felicità possibile racchiusa in una notte d'amore. In altre parole, era semplicemente e magnificamente Michiru Kaiou.

Continuando a tenere lo sguardo ormai perso in quelle pennellate, il cameriere non si accorse che l'uomo aveva finito di asciugare l'inchiostro dello scritto racchiudendolo in una piccola busta bianca e gli era ora davanti.

Viktor Claus Kaiou, delegato svizzero per gli affari esteri, uomo coltissimo dal carattere arcigno, ma giusto, sospirò a sua volta perdendosi nell'immagine della sua giovane figlia. Assieme alla moglie Flora aveva educato la sua ragazza con severo amore, aprendo il palazzo di famiglia agli intellettuali, agli artisti ed agli scrittori liberali del loro tempo, nella speranza di donarle una mente aperta ed elastica, cercando di non forzarla mai troppo nelle scelte e lasciandola vivere l’esperienze di crescita anche lontano dalla sua ala protettiva. Negli ultimi tempi di scoramento però, l'uomo era arrivato a chiedersi spesso se avesse sbagliato tutto, se non fosse stato meglio tenere Michiru più legata.

“Portate questo all'ufficio postale ed attendete risposta.” Disse lentamente facendo quasi sobbalzare il ragazzo che immediatamente abbassò la testa prendendo la busta tra le dita guantate.

“Si signore.” Rispose prontamente non aggiungendo altro.

Quel giovanotto alto e magro, pallido e con lo sguardo un po’ triste, avrebbe voluto fare qualcosa per lui, perché il dolore di sapere la sua dolce bambina ancora dispersa lo stava portando ad una consunzione spettrale.

Di Michiru non si sapeva più nulla da quando quel pazzo del suo fidanzato aveva avuto la brillante idea di far saltare parte di una strada che, a suo dire, avrebbe dovuto bloccarne la fuga e ricondurla a casa dalla sua famiglia. Se soltanto quella benedetta ragazza gli avesse confessato di non amare più quell'uomo, lui, un padre adorante pronto a tutto per la felicità del suo stesso sangue, avrebbe sbattuto fuori dalla porta Daniel Kurzh e tutta la sua smania arrivista in men che non si dica. Invece no, testarda ed indipendente si era tenuta tutto dentro covando per tanto tempo smanie di libertà femministe, ed ora non rimaneva ai suoi cari altro che continuare a sperare di ricevere qualche buona notizia.

“Avanti andate.” Ordinò al ragazzo dandogli le spalle.

Lui chinò leggermente la schiena in segno di saluto, lambendo con le iridi un'ultima volta il quadro ed uscendo dallo studio sentendosi il solito macigno premuto sul cuore. Iniziando ad incamminarsi con passo leggermente incerto verso la porta di servizio delle cucine si mise la busta nella tasca della giacca accarezzando i suppellettili ed i mobili disposti in buon ordine ai lati del corridoio, pensando a quanta classe e buon gusto trasudassero da quegli oggetti a volte anche antichi. Ogni cosa, ogni angolo presente il quel palazzetto barocco del centro storico di Berna parlava di lei e se da una parte era stato più che consolatorio prendere servizio tra quelle mura, le stesse non facevano altro che aizzargli contro una nostalgia canaglia e vigliacca, portandogli Michiru ogni santa notte per poi strappargliela ad ogni maledetta alba. Ma lo sapeva che sarebbe stata dura quando per pura casualità, parlando con Charlotte, la domestica privata della signora Kaiou, aveva saputo che in quella grande casa stavano cercando un cameriere.

Era rimasto fermo davanti a quel portone con in mano il suo niente fatto di pochi stracci per due giorni, indeciso sul da farsi, voglioso di chiedere, ma terrorizzato dal sapere. E poi il destino gli era venuto incontro con il viso di una giovane ragazzina. Nella vana speranza di avere così quelle notizie che se pur cercando fino allo sfinimento, non era riuscito a trovare, si era presentato speranzoso a colloquio con il signor Viktor ottenendo l’impiego.

Michiru era come scomparsa nel nulla. Nessuna traccia, nessun indizio, se non per una famiglia che si diceva avesse soccorso una ragazza dalle acque del FullerGraft fluss, il fiume che nasceva dall’omonima diga, ma che a sua volta si era trasferita chissà dove.

Se soltanto avessi tra le mani almeno il nome di quella famiglia o un indizio sulla sua nuova destinazione, ti cercherei fino alla fine del mondo come ti ho promesso, amore mio. Pensò non sentendo la voce femminile che stava cercando di attirare la sua attenzione.

“Giò, Giò... stai nuovamente nuotando fra le nuvole?”

Il ragazzo si fermò di colpo attirato da quel nome famigliare spalancando i suoi incredibili smeraldi che, puntualmente, portavano le guancie di Charlotte a colorirsi. “O scusami, non ti avevo sentita.” Si difese.

“Me ne sono accorta. Stai andando all'ufficio postale per conto del signore?” Chiese gioviale e civettuola come sempre mentre il ragazzo le rispondeva muovendo affermativamente la zazzera dorata.

“Non riesce proprio a darsi pace per la scomparsa della signorina Michiru. Speriamo che questa volta riceva buone nuove.”

Buone nuove. Erano quasi tre mesi che in quella famiglia non se ne avevano. Da quando il telegramma fieramente scritto dal Sottotenente dottor Kurzh non era arrivato con l’annuncio di un imminente ritorno a casa suo e di Michiru. Tre mesi d'angosciosa attesa dove Viktor Kaiou si era dipanato tra le ricerche della figlia e le azioni legali atte a distruggere quel folle Dragone austroungarico che gliela aveva portata via.

“Senti Giò sto andando al mercato, se vuoi ci passo io all'ufficio postale, così potrai riposarti un po' la gamba.”

“Ti ringrazio, ma non ce ne bisogno. Ormai è guarita bene ed ho solo bisogno di esercitarla il più possibile. Perciò non preoccuparti.” Le disse strizzandole un occhio.

“Certo che l'incidente che hai avuto dev'essere stato veramente tremendo per farti ancora zoppicare un po'.”

“Si... Tremendo.” Confessò tornando a camminare con la ragazza al fianco verso le cucine. Aveva inventato proprio una bella fantasia; per la verità una delle tante, una cavalcatura imbizzarrita che lo aveva falciato in pieno mentre stava attraversando la strada. Quello che invece era quasi riuscito a togliergli la vita provocandogli lacerazioni e fratture in gran parte del corpo era stato ben altro; un muro d'acqua gelida e potente, piombatogli addosso sul calar di una sera di fine giugno, che ne aveva squassato la pelle lasciandogli cicatrici un po' ovunque.

“Tenou.” La responsabile del personale, donna di un'arguzia fuori dal comune, uscì da dietro un angolo stringendo nella mano una banconota da un franco.

Clementine Rostervart, coriacea bavarese di circa una cinquantina d'anni dei quali più della metà passati a servizio della famiglia Kaiou, non amava vederli insieme, convinta com'era che prima o poi tra i due sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe portato scompiglio all'interno del personale. Si era ritrovata a dover gestire quel ragazzetto troppo bello senza neanche essere stata interpellata dal padrone e questo l'aveva messa subito in uno stato di vigilanza. Dall'alto della sua esperienza Clementine conosceva la servitù e quel Giovanni Tenou tutto sembrava tranne un cameriere. Per quanto riguardasse postura, eleganza, scrittura, lettura, dialettica e capacità d'apprendimento, nulla da dire, ma in quel viso d'angelo c'era qualcosa che proprio non la convinceva. Gli occhi estremamente intelligenti e vispi. Lo spirito troppo libero per ritrovarsi padroni d’alcun chè.

“Tenou che fai ancora qui! Il signore ti ha dato un ordine.”

“Si signorina Rostervart.” Disse afferrando la banconota che gli sarebbe servita per il pagamento del telegramma.

“E tu Chiarlotte vai dalla cuoca a prendere la lista delle cose da comprare. Sbrigati!” Vide entrambi muoversi riprendendo però ancora una volta il ragazzo.

“Tenou. Prima di uscire vai a cambiarti la camicia. E' macchiata! Ricordati che lavori per la famiglia Kaiou e per questo devi sempre mantenere decoro sia nel vestire, che nell'agire, come nel parlare.”

Il ragazzo abbassò obbediente la zazzera prendendo le scale di servizio mentre la collega roteava gli occhi non vista dalla governante. Quante storie!

Così Giovanni salì le tre rampe di scale che lo avrebbero condotto alla soffitta, dove c'erano le camere della servitù e ad ogni alzata sentiva l'aria venirgli meno, vuoi per l'umidità folle che andava appesantendosi ad ogni piano, vuoi per il senso d'oppressione che quel ruolo gli stava dando da quando aveva deciso di interpretarlo. Inforcando l'arcata che dava accesso alla zona maschile ringraziò il cielo di non avere compagni di stanza ed una volta girata la chiave nella toppa della sua porta, entrò come una furia in quelle quattro mura spoglie avvertendo le prime lacrime scivolargli sulle guancie. Togliendosi con un gesto secco i guanti e la giacca nera per scaraventarli sul letto iniziò a sbottonarsi il gilè piazzandosi davanti al piccolo specchio fissando la sua immagine con enorme stizza.

“Pezzo di idiota! - Si disse aprendosi la camicia rivelando le bende che le premevano il seno. - Piantala di essere tanto donnicciola e cerca piuttosto di non tradirti! Lo sapevi che sarebbe stato difficile!” Una casa estranea, una città piena di gente e follemente caotica se paragonata alla solitudine delle montagne, un lavoro non suo ed un ruolo che non le apparteneva.

Serrando i pugni e passandosi l'avambraccio sugli occhi cancellò quell'ennesimo momento di debolezza per concentrarsi sull'unico oggetto che riusciva a darle forza e conforto; una piccola foto sottratta rattamente dallo studio del signor Kaiou un giorno che vi era entrata di nascosto in cerca di indizi sulla sorte della figlia.

Guardando l'immagine di una Michiru di circa diciotto anni, la bionda sorrise piegando la testa da un lato. “Mi manchi da morire sai?” Ma perché si ritrovava sempre da sola a parlare con i ricordi delle persone che aveva amato?

“Non voglio pensare che tu non sia più in questa vita mentre io si amore mio. Non posso! Non devo!” Si convinse riponendo l'immagine nel cassetto del comodino accanto ad un fazzoletto contenente una ciocca di quei capelli che tanto amava toccare, tornando a guardare la sua immagine riflessa. Forse l'ennesimo telegramma spedito del signor Viktor alla polizia locale di Altdorf avrebbe portato qualche buona novità.

“Coraggio Haruka! Hai un compito da portare a termine prima di sera.”

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

Sbatté con rabbia la canna sulla roccia dov'era seduta immettendo aria per evitare di cacciare l'ennesimo urlo. Non era possibile! Perché non riusciva a tirare su che una manciata di pesciolini striminziti che non avrebbero sfamato neanche un cucciolo?! Che cos'è che sbagliava? Quale gesto non compiva? E perché Haruka non era più accanto a lei a prenderla in giro spocchiosa, canzonandola su quanto schifo facesse nell'arte della pesca?

Giovanna sbuffò avvicinando le ginocchia al petto sprofondando il viso nell'abisso della sua solitaria lotta quotidiana. Sapeva che se non avesse imparato a cavarsela in maniera più concreta non avrebbe mai passato l'inverno com'era invece riuscita a fare la sorella l'anno precedente, ma non poteva far altro che impegnarsi, stringere i denti e cercare di andare avanti fino a dove la sua ormai scarsa forza l'avrebbe spinta. Si sentiva stanca e patetica. Non potendo tornare a Bellinzona per via dell'accusa di furto che ancora le pendeva sul capo, aveva deciso di rifugiarsi nella baita di Haruka, dove le sue cose, il suo diario e persino i suoi vestiti, la stavano aiutando a lenire la sofferenza della sua morte. L'aveva cercata tanto la sua bellissima sorellina, su e giù per il greto di quel fiume maledetto, non trovando più alcuna traccia di lei, ne tanto meno di Michiru, che in un primo momento aveva pensato al sicuro insieme ad Ami e Makoto e che invece aveva scoperto successivamente essere accorsa sotto la struttura della diga per aiutare la sua bionda. E quando aveva visto il Sottotenente Daniel Kurzh allontanarsi con il cavallo dell'amica, a Giovanna era apparso tutto drammaticamente cristallino. Michiru non avrebbe mai lasciato Haruka.

Così quella sera aveva perso entrambe e di rimpetto, a distanza di giorni, si era ritrovata suo malgrado ad allontanare anche Stefano, colpevolizzandolo inconsciamente per averle impedito di andare a soccorrere la sorella.

“Lasciami Stefano devo andare. Lasciami!” Gli aveva urlato con tutto il fiato che aveva in corpo divincolandosi come una Erinni pronta a farsi giustizia da sola.

Ma lui no, non le aveva permesso di suicidarsi e così, bloccata anche dal corpo di Minako che tremante le si era stretta al collo iniziando a piangere, non aveva potuto far altro che avvertire la deflagrazione della carica crollando in ginocchio urlando al vento il nome di Haruka. L'avevano salvata, ma Giò non era riuscita a farsene una ragione, soprattutto nei confronti del ragazzo, che paziente aveva cercato di starle accanto, ma che di fatto era stato allontanato neanche troppo velatamente. Si amavano e tanto. Erano diventati amici e complici, ma Giovanna ormai aveva il cuore spezzato e Stefano sentiva di non avere più la pazienza di aspettare.

Afferrando la canna la ragazza si alzò guardando i mulinelli d'acqua. “Sarebbe molto più semplice se trovassi il coraggio di farla finita subito invece che attendere l'inverno.” Disse rammaricata dal suo coriaceo spirito di conservazione.

Toccando il lembo del maglione enorme che poteva indossare solamente con l'aiuto di una cinta stretta alla vita, sorrise alzando le spalle a quel nichilismo. Di carattere sempre allegro e gioviale, iniziava a trovare il suo vittimismo stucchevole e ridondante. In verità Giovanna aveva sempre creduto di essere più forte di così, ritrovandosi ora stupita della negatività con la quale aveva affrontato la scomparsa di Haruka e Michiru. Aveva provato a reagire pensando di seguire Minako e Makoto al nord, verso la frontiera, dove Aino necessitava di avere delle notizie sul ferimento in battaglia del fratello maggiore Wolfgang, ma dopo un primo momento di eccitazione dovuto al cambiamento d'aria, l'abbattimento emozionale l'aveva colpita costringendola a lasciare quelle ragazze che erano state delle buone amiche per tutta la durata del loro viaggio avventuroso. E così si era allontanata anche da loro ripercorrendo a ritroso ed in solitaria, i battuti che quell'improvvisata famiglia d’allegro cicaleccio aveva calpestato, tornando verso la sua Bellinzona. Ed ora le mancava la voce squillante di Usagi, il broncio di Rea, le invenzioni culinarie di Makoto, lo spalleggiarsi con Ami e la forza di un fiore d’acciaio come Minako.

Aveva scelto di essere sola Giovanna, promettendo al suo cuore di non amare più così. Per non soffrire più così e nel provare a guarire o a soccombere definitivamente, aveva deciso di sostituirsi alla sorella, occupando gli spazi di quella baita sorridendo al caotico controllo che Haruka aveva insito nella sua natura, provando a vivere come lei, cacciando, pescando, raccogliendo, leggendo al fuoco serale la miriade di libri che per anni erano stati i suoi amici più cari e scoprendone i lati nascosti grazie alle pagine dei suoi diari. Aveva preso anche l'abitudine d'indossare quel maglione grigio che era stato del nonno e che anche Haruka trovava piuttosto largo, provando ad andare avanti, sapendo da persona adulta qual'era, di stare invece rimanendo ferma.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Wolfgang sorrise alla sorella porgendole le grucce. Se la ginnastica riabilitativa fosse continuata ad andare così bene, in meno di un mese lui e la sua Mina avrebbero potuto far ritorno a Vienna, dove l'intera famiglia Aino stava attendendo di riabbracciarli con ansia. Era da tanto che mancavano da casa, per motivi differenti, anche se entrambi validissimi. La sorella per via degli studi intrapresi a Merano e lui per gli ovvi motivi di una guerra assurda che troppo velocemente aveva preso i connotati di mondiale. Ferito sul Fronte Occidentale mentre stava combattendo per il suo paese, era stato trasferito da un ospedale da campo a quel centro elvetico riabilitativo nella speranza di riappropriarsi di gran parte dei movimenti perduti.

“Ti fa male la protesi?” Chiese la sorella corrugando la fronte spaziosa assumendo quell'aria matura che ormai faceva sempre più parte delle sue espressioni.

“Assolutamente no tesoro.” Rispose lui positivista nonostante avesse dovuto subire la parziale amputazione di una gamba.

Avrebbe potuto andare molto peggio e lui lo sapeva benissimo dopo tutto quello che aveva visto al fronte, in trincea. Perdere una o entrambe le mani, le braccia, la vita o il senno, faceva parte della pariglia da offrire alla sorte per l'occupazione del suolo francese. Anche se a lui poi poco importava di quel paese. Wolfgang Aino si riteneva estremamente fortunato, soprattutto perché conciato in quel modo aveva un certificato medico che lo avrebbe riformato e spedito di corsa a casa. E poi non era ne un contadino, ne un operaio, non aveva bisogno di entrambe le gambe. Di famiglia più che benestante poteva vivere il resto della sua vita anche con una protesi in legno di quercia, per di più neanche troppo invalidante. C'era chi da quel conflitto era uscito sicuramente peggio, sia fisicamente che moralmente. Gli incubi delle granate, il freddo delle trincee, gli assalti alla baionetta con il petto offerto al nemico appostato dalla parte opposta dei reticolati e dietro, alle spalle, la guardia nazionale pronta a colpire ogni barlume d'ipotetica diserzione. E poi la paura di quella nuova arma tanto decantata dalle alte schiere dei gerarchi di mezza Europa; il gas, subdolo fumo sputato addosso dal nemico, mefitica nebbia che entrava nei polmoni incendiandoli e rendeva irriconoscibile gli uomini bruciandone la pelle.

Ebbene si, Wolfgang Aino si riteneva uomo assai fortunato, era ancora vivo, aveva riacquistato il sonno, riusciva a camminare ormai quasi senza stampelle e accanto aveva sua sorella minore, la luce dei suoi occhi. In più nella sezione femminile dell'ospedale era stata ricoverata una ragazza che lo stava particolarmente interessando e visto la tenera simpatia nata tra i due durante le rispettive convalescenze, Wolf sentiva di stare riappropriandosi di quella dignità maschile che un chirurgo da campo gli aveva tolto. A tal proposito Minako non gli stava rendendo la vita facile, anzi, conoscendo abbastanza bene quella ragazza e le pulsioni che battevano nel suo cuore, gli aveva categoricamente proibito di stressarla con approcci troppo confidenziali e richieste di amicizia poco consone alla delicata situazione medica che la giovane bernese stava affrontando.

“Ce la fai ad andare da solo in camera? Vorrei passare da Milena e vedere come se la sta cavando con i bambini.” Chiese la biondina guardando in direzione della struttura mattonata adibita a scuola e centro d'accoglienza.

“Certo vai pure Mina e portale i miei saluti.” Sorridente la vide scuotere severa la testa per poi dirigersi lentamente verso il giardino.

Suo fratello era dolcissimo e non avrebbe mai fatto del male a quella donna, ma Minako glielo leggeva negli occhi che si stava interessando un po' troppo a lei e non poteva, perché non appena la ragazza fosse riuscita a ritrovare il suo essere, il suo passato, Wolfgang inesorabilmente avrebbe finito per soffrirne. Arrivando al padiglione femminile dell'ospedale e svoltato un'altro paio di angoli, si trovò la struttura di quella che era nel tempo diventata una piccola scuola per i ragazzini che avevano genitori, parenti o che erano loro stessi ricoverati. Sforzarsi tutti insieme per tenerli impegnati era molto gratificante, anche se faceva una gran pena sapere come esseri innocenti come quelli avessero dovuto subire gli attacchi della vita già in così giovane età.

Fermandosi alla luce di un sole quasi autunnale, la viennese sorrise trovando l'amica più grande immersa in una delle sue tante lezioni di disegno. Altruista nonostante la spessa fasciatura che ancora le premeva la fronte ricordasse che anche lei era in convalescenza, quella bellissima ragazza dallo sguardo calmo e leggermente assente, rammentò a Minako le lezioni al San Giovanni, quando quella stessa insegnante, questa volta votata alla musica, aveva cercato di far appassionare lei ed Usagi allo studio del violino.

Le mancavano tanto quelle ore spensierate vissute fino alla primavera scorsa, quando una serie di eventi partiti proprio dal ferimento di Wolfgang sul fronte occidentale, aveva spinto lei e le sue amiche più strette ad intraprendere un viaggio che le avrebbe portate tutte a maturare improvvisamente.

“Mina sei qui.”

Scostando lo sguardo dalla donna più grande seduta sul prato assieme ad una decina di bambini, la biondina lo rivolse al verde chiaro della ragazza più alta che le si fermò al fianco appoggiandole una mano sulla spalla.

“Hai parlato con il Dottor Grafft? Ci sono novità Mako?”

“No purtroppo. Tutto come sempre. La sua mente sembra diventata una tabula rasa. E’ incredibile come non ricordi più nulla, ma riesca ancora a trovare dentro di se il suo essere stata un’insegnante.”

“Sai mi sento un verme sia nei suoi confronti, che in quelli dei genitori.” Confessò sospirando.

“Lo sai che ci è stato imposto di tenerle nascosto chi realmente sia. L'ultima crisi è stata devastante. Non riuscirebbe a sopportarne altre tanto dolorose.”

“Si ma... la sua famiglia è conosciuta a Berna. Ci metteremo niente a rintracciarla e a rassicurarla sulla sorte della loro figlia.” A Minako non piaceva quella storia, non capiva proprio perché si dovesse celare anche ai parenti dell’amica il suo essere ancora in vita. Non appena la viennese l’aveva riconosciuta in una delle tante ragazze ricoverate a Muhleberg aveva gioito incredula attendendo con fiducia il suo risveglio dal coma e quando finalmente le sue palpebre erano riuscite faticosamente a riaprirsi al mondo, lo scoprire di non avere più ricordi aveva scioccato tutti. E non era possibile forzarla, perché ogni qual volta le amiche provavano a darle piccole e discrete informazioni sul suo passato, dolori lancinanti prendevano a tormentare quella povera sfortunata.

Così per cercare di non destabilizzarla più di quanto non fosse già, di comune accordo con la Dottoressa Meiou che l'aveva in cura, avevano deciso di lasciarle l'identità con la quale era stata ricoverata.

“Cerchiamo di fidarci dei dottori, in fin dei conti nel campo dei traumi mentali sono i migliori, no? E comunque guarda.” Makoto porse una circolare emanata dallo Stato Maggiore elvetico.

La viennese ne lesse velocemente il contenuto ridendo incredula. “Ma sono impazziti?! Non possono fare una cosa del genere!”

“O si che possono. Lo hanno già fatto.”

 

 

Badgasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale

 

“Come non si possono più inviare e ricevere telegrammi? Cos'è questa novità!?”

Haruka guardò con sgomento l'addetto dell'ufficio postale dimenticando nella mano la busta con il suo contenuto.

“Giovanotto non è certo colpa mia. E’ una disposizione dallo Stato Maggiore. Ogni attività telegrafica e telefonica sul suolo nazionale è sospesa fino a data da destinarsi.”

“Ma… Ma come faremo a comunicare con i piccioni viaggiatori?” Chiese sarcastica sbattendo un pugno sul legno del bancone attirando su di se gli occhi di tutti gli avventori presenti nella stanza.

“Vi prego di calmarvi! Se avete delle rimostranze andate direttamente dai militari e lasciate lavorare chi sta cercando di fare il proprio dovere!” Gli urlò contro sicuramente esasperato dall’ennesima lamentela della giornata. Quella disposizione di sicurezza, indubbiamente avvallata per evitare che informazioni troppo importanti potessero essere preda delle mire dei paesi confinanti, avrebbe inesorabilmente bloccato il paese. Già l’economia, prima del ’14 florida, stava subendo scossoni mai avvertiti prima, adesso ci si metteva anche questa.

Sospirando vinta Haruka borbottò una mezza scusa tornando mestamente sui suoi passi. Uscendo dall’ufficio postale si soffermò a leggere il dispaccio appeso sulla porta d’ingresso scuotendo il capo. Nella fretta di far inviare quello scritto non ci aveva neanche badato.

Maledizione e adesso? Pensò scendendo lentamente i gradini mentre la luce radente del sole le feriva le iridi chiare costringendola ad alzare una mano per schermarsi il viso.

Questa non ci voleva. Sarà sempre più difficile mettersi in contatto con i vari distretti di polizia e gli uomini pagati dal signor Viktor per cercare Michiru. Con passo legnoso iniziò ad incamminarsi verso la casa dei Kaiou cercando di fare il punto. Non è che credesse molto nell’efficacia di quelle ricerche, anche perché ormai erano passate settimane da quando l’ultima nuova era stata recapitata in famiglia. Per lei era solo una folle spesa di denaro e tempo che avrebbe potuto essere investito molto meglio, come stava cercando di fare lei. Erano giorni che provava a forzare la reticenza di Charlotte per appropriarsi di un documento che avrebbe potuto alimentare nuovamente le già scarse fiamme della sua speranza, ma in questo caso sembrava che neanche il suo pur magnetico fascino potesse sbloccare la ragazza.

“Charlotte ho bisogno di entrare nella biblioteca del signore. Devo solamente verificare una cosa!" Le aveva chiesto più e più volte da quando l’idea di consultare le carte agrarie della zona di Altdorf aveva iniziato a formicolarle tra i sogni della notte.

“No Giovanni quella stanza è proibita alla servitù. Solo la signorina Rostervart ha il permesso di entrarvi per mettere ordine." Un timore degno del Barbablù.

E non c’erano state storie. La questione era finita li. Mani in tasca e testa bassa Haruka continuò a muovere un piede appresso all’altro accorgendosi finalmente e con grandissimo rammarico, che la carreggiata principale della Badgasse Strasse era libera dai classici veicoli a motore che tanto le facevano battere il cuore quando riusciva ad uscire da quelle quattro mura. Le macchine erano sparite! L’ennesima costrizione!

Bene! Niente telegrammi, telefonate o spostamenti in macchina! Questo vuol dire che prima o poi da nord o da sud, da est o da ovest qualcuno invaderà i nostri confini. - Si disse fermandosi al centro del marciapiede respirando decisa l’aria del pomeriggio. - Poco male! Io andrò avanti lo stesso e per conto mio. Basta tergiversare! Devo entrare il quella biblioteca e prendere quello che mi serve. Devo capire dov’è finita quella benedetta famiglia.

 

Quella stessa sera a cena nessuno aveva gran che voglia di parlare. Seduti attorno alla grande tavola della cucina, tutta la servitù stava desinando come sempre dopo aver atteso che i signori si fossero ritirati nelle loro stanze. Oltre ad Haruka, Charlotte e la signorina Rostervart, vi erano anche l’autista, con il quale la bionda andava, per ovvi motivi di assonanza veicolare, d’amore e d’accordo, il cuoco e sua moglie. Tutte persone tranquille, gentili ed alla mano, fatta eccezione per la severissima e controllata Clementine, che continuava a guardare Haruka in modo sospettoso. A parte la cameriera e naturalmente Tenou, erano tutti in servizio presso quella casa da sempre. Avevano visto crescere Michiru affezionandosi a lei come ad una di famiglia e si erano avviliti quanto gli stessi genitori nell’apprendere delle nuove disposizioni sulle comunicazioni nazionali. Se prima inviare e ricevere notizie era comunque difficoltoso, adesso sarebbe diventato praticamente impossibile.

Ma ad Haruka quei discorsi non interessavano. Non più ormai. All’uscita dell’ufficio postale si era convinta che avrebbe agito quella notte stessa prendendo il toro per le corna e in un modo o nell’altro sarebbe entrata in quella biblioteca. Dopo aver visto la reazione del signor Kaiou alla riconsegna della missiva, era ancora più decisa ad agire. L’unico problema era l’impossessarsi della chiave che solo il padrone e la governante avevano.

Sorridendo all’ennesima mestolata di spezzatino gettatole energicamente nel piatto da Maria, la cuoca, Haruka sbirciò il grembiule avorio che la signorina Rostervart portava sopra l’abito scuro quando non era in presenza dei signori. Il mazzo di chiavi che in pratica davano accesso a tutte le zone del palazzo erano nella tasca di sinistra, ne era certa. Quella donna era più metodica di una papera in una fattoria. Il problema della ragazza era come riuscire ad impossessarsene. Non poteva certo entrare nella stanza della donna per rubargliele, com’era fuori discussione provare a circuirla per ottenere qualcosa. Se pur bella alla bionda proprio non riuscivano quei trucchetti illusori. E poi le sarebbe sembrato di “tradire” la sua Michiru se si fosse azzardata anche solo ad avvicinarsi ad un’altra donna. Forse avrebbe potuto provare a forzare la serratura. In fin dei conti si era ritrovata già a farlo in vita sua.

“Ruka, ma che cosa stai facendo?” Una Kaiou bagnata fradicia ed esausta dopo una rocambolesca fuga.

“Tranquilla Michi! So quello che faccio!” Aveva risposto forzando con la lama del suo coltello un vecchio lucchetto arrugginito prima che il loro amore avesse trovato compimento nella loro prima notte.

A quel ricordo Haruka affondò il cucchiaio nel piatto ricacciando indietro le lacrime. No, non si sarebbe arresa davanti ad una porta chiusa, ma non poteva trasformarsi in scassinatrice. Sarebbe stata scoperta e cacciata a calci, sempre se non l’avessero messa agli arresti. Diamine qualcosa però doveva pur inventarsi!

Pensa Ruka. Pensa… iniziò a ripetersi come faceva quando doveva trovare la soluzione ad un qualsiasi problema. E poi la vide! La caraffa di vino rosso proprio al centro della tavola.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve…

Chi c’è?

Oddio scrivere è diventata quasi una droga che mi ha azzerato la vita sociale hahaha. Poco male!

Allora, per chi mi avesse seguita nel racconto precedente non dovrebbe essere risultato troppo complicato dipanarsi in quella gran confusione che sono i miei pensieri. Anche se alla fine della seconda pagina credo ci sia stato panico vero! Abbiamo ritrovato una bionda “sana” (ancora non del tutto, ma è di scorza dura e guarirà presto) e salva, ma camuffata da ragazzo, sotto falsa identità (notare la dolcezza di aver scelto il nome della sorellona al maschile, anche se conoscendone la bastardaggine lo avrà sicuramente fatto per comodità), lavorare come cameriere in casa della sua dea, speranzosa di poter trovare anche solo un indizio che le possa far capire se Michi sia sopravvissuta al crollo della diga.

Poi abbiamo Makoto e Minako, finalmente riunitasi al fratello Wolfgang e non iniziate a prenderlo di mira povero ragazzo che già è stato “baciato” dalla sorte abbastanza. Anche se è interessato a Michiru non è il belloccio popò.

Michiru: dolenti note. Naturalmente avete capito che si cela dietro il nome di Milena, giusto? Ricoverata nella stessa struttura dove sono presenti anche le sue due ex allieve, Kaiou sta sopportando la perdita di Haruka semplicemente … non ricordando. Non è stato perciò un errore di battitura chiamarla così. Il motivo c’è e lo concretizzerò meglio più avanti. Pian piano dipanerò tutti i nodi tranquille.

Giovanna: non mi sta prendendo per niente bene la “morte” della sua piccola Ruka. Non possiamo darle torto e mi fa abbastanza tenerezza pensarla andare in giro per la foresta fucile in mano “protetta” dal caldo maglione della sorella.

Spero che questo nuovo arco vi piaccia. Non so quanto lungo verrà, perché ad ogni capoverso mi entrano idee, ma lo scopriremo insieme.

Un inciso. Durante la Grande Guerra in Svizzera furono realmente proibite le telefonate, l’emissione di telegrammi e la circolazione delle auto (direzionate tutte o quasi a Zurigo). Ho anche studiato!!!

A prestissimo

W

 

 

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Capitolo 2
*** Speranze, bugie e mezze verità ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Speranze, bugie e mezze verità

 

 

“Siete un inetto!” Ringhiò la signorina Rostervart alzandosi di scatto dalla sedia mentre la macchia bruna prendeva a farsi largo tra le trame del suo grembiule.

“Possibile che non sappiate tenere a freno l’irruenza delle vostre braccia Tenou!?”

“Scusate signorina, non era mia intenzione…”

“Vorrei ben vedere!” Rispose ad una bionda intimamente soddisfatta per essere riuscita nel suo intento.

“Lasciate che vada subito a metterlo in ammollo o la macchia di vino resterà.” Propose umilissima cercando però di non dimostrarsi troppo zelante. Quella donna era pericolosamente perspicace.

“Non ce n’é bisogno!”

Haruka serrò la mascella cercando di rimanere calma. “Insisto! La colpa è stata mia e non vedo perché dobbiate essere voi a pagare per la mia sbadataggine. Restate pure a tavola non ci metterò molto.”

Slacciandosi il fiocco inamidato con rapidi movimenti Clementine si sfilò il grembiule dal collo gettandoglielo quasi addosso. Ecco come nelle mani di un ragazzino impacciato un gesto di cortesia maschile come quello di rimboccarle il bicchiere, poteva trasformarsi in un inghippo.

“Sbrigatevi prima che si rapprenda!” Ordinò controllandosi il vestito.

Facendo un cenno con la testa schizzò fuori dalla cucina dritta verso il seminterrato. Doveva fare presto. Trovando l’interruttore di quella grandiosa invenzione che era l’energia elettrica, prese a scendere le scale che portavano alle cantine ed alla lavanderia e aprendo la porta di quest’ultima con una spallata estrasse dalla tasca del grembiule l’anello delle chiavi cercando di capire quale fosse quella della biblioteca. Era una stanza molto importante e forse anche la forma della sua chiave lo era.

“E che cavolo…” Ma che! Tutte uguali o quasi!

Pensa Haruka… Pensa… Tornò a ripetersi mentre ne studiava le forme. Poi tra il mazzo ne spiccò una dai dentelli completamente lisci. Una forgia anonima, ma quella particolarità la spinse a pensare ad una sorta di passepartout.

Non soffermandocisi su lo afferrò facendolo uscire dal grosso anello metallico infilandoselo nella tasca della giacca. Prendendo poi ad armeggiare con il catino per i panni riempiendolo d’acqua e sapone lasciò in ammollo il grembiule uscendo. Richiudendosi la porta della lavanderia alle spalle risalì rapidamente i gradini sentendosi sfinita. Spense la luce facendo ripiombare gli ambienti scarni di servizio nel buio e tornò dagli altri in cucina dove consegnò il mazzo alla signorina Rostervart. Ora che forse aveva ciò che le serviva quella notte non avrebbe dormito.

 

 

Illuminata dalla fiammella di una candela Haruka scese al piano terra verso l’una del mattino. Sapeva che Clementine finiva di fare la solita ronda per controllare la chiusura di porte e finestre verso la mezzanotte, perciò non badò ad essere troppo prudente nel calpestare i gradini rivestiti di raso scuro della grande scalinata di rappresentanza che si snodava con un’elegante curva fino all’atrio del palazzo. Pensò solamente a tenersi ben salda al legno del corrimano conoscendo sin troppo bene la debolezza che le sue gambe ancora manifestavano nel compiere movimenti come quello dello scendere.

Arrivata da basso alzò il portacandela illuminando fiocamente prima il portone d’entrata, poi la finestra alla sua destra ed infine la prima di una serie di porte in noce a doppia anta che si aprivano sul piano terra. Stirando le labbra iniziò a camminare sui marmi policromi del pavimento arrivando a quella della biblioteca e guardandosi le spalle prese la chiave dalla tasca provando ad infilarla nella toppa. Girandola ed avvertendo un secco tac sospirò poggiando un attimo la fronte al noce decorato. Era un passepartout! Abbassando la maniglia azzerando la resistenza dell’anta spinse leggermente scivolando all’interno della stanza richiudendosela alla schiena. Sentendo il cuore andare a mille provò a respirare abbondantemente un paio di volte prima di dirigersi al centro dell’ambiente.

Alla luce tremolante della candela tutto sembrava pervaso da ombre scure e minacciose. Scaffalature altissime con una miriade di coste di tomi più o meno voluminosi occupavano tutte le pareti, fatta eccezione per quella dell’entrata e quella che dava verso la strada, dove due enormi finestre dagli scuri semichiusi, lasciavano filtrare la pochissima luce dei lampioni esterni. Andando verso un enorme mappamondo di legno decorato ad intarsi colorati lo studiò per qualche secondo impressionata dalla fattura, spostando poi l’attenzione sulla scrivania che le era accanto. Controllando velocemente gli oggetti presenti sul piano da lavoro e non vedendo nulla di utile continuò la sua silenziosa ricerca alzando maggiormente il braccio destro. Fu allora che le apparve un piccolo leggio con ancora uno spartito aperto sopra e fu come se una pugnalata le venisse inferta a bruciapelo.

Avanzando si ritrovò ad accarezzarne i bordi metallici immaginando fosse il suo. Conoscendo la bravura di Michiru nell’arte del maneggiare uno strumento complesso come il violino se la vide con gli occhi della mente ferma, concentrata, seria davanti a quelle partiture per diverse ore al giorno, mai soddisfatta e sempre spinta ad un perfezionismo che Kaiou aveva insito nel carattere fin dalla nascita.

Scossa dalla necessità di continuare nella sua missione scostò le dita dal leggio come se fosse stato incandescente e stringendo con maggior forza l’anellino ramato del portacandela tra il pollice e l’indice della destra tornò ad osservare la stanza. Le carte agrarie. Doveva capire dove fossero e trovare quella che le interessava. Nelle ultime tre settimane Haruka aveva avuto modo di servire il Ministro per le Attività Agricole quando era venuto a far visita al signor Kaiou, ed in svariate occasioni le era capitata l’opportunità di intravedere i piani di zonizzazione delle colture dei vari distretti elvetici che i due erano soliti consultare per tenere sotto controllo le importazioni, ma soprattutto le esportazioni del settore primario in tempo di guerra. La ragazza ricordò che avevano tagli di circa trenta centimetri per venti, ripiegati come se fossero stati dei voluminosi fogli di carta, perciò ipotizzò che dovessero essere contenuti in cartelline.

Percorrendo il perimetro di ogni singola scaffalatura notò che in ognuna erano presenti degli armadietti chiusi con piccole chiavi argentate. Accovacciandosi iniziò così ad aprirne uno dopo l’altro capendo dalla mole di scartoffie che ci avrebbe messo molto più del previsto.

Speriamo che la candela basti pensò abbandonandola in terra prima di avvertire un suono ritmico di veloci passi proveniente dalla porta. Non riuscì neanche ad alzarsi o a pensare di nascondersi, che l’anta si spalancò e la luce elettrica si accese. Chiudendo gli occhi cercò di proteggerli prima che due sagome note le apparissero davanti.

“Tenou!” La voce alterata della signorina Rostervart riecheggiò nella stanza prima che il perentorio ordine di alzarsi da terra non seguisse il suo nome.

“Ecco signor Kaiou avevo visto giusto! Lo sapevo che in questo ragazzo c’era qualcosa che non mi convinceva.”

Solo dopo alcuni istanti la vista della ragazza tornò ad abituarsi al chiarore delle lampade elettriche riuscendo finalmente ad inquadrare entrambi ancora fermi davanti all’entrata. Gli occhi della donna erano un misto di trionfo e sdegno, mentre quelli dell’uomo erano velati di un qualcosa simile al dispiacere.

“Giovanni perché siete qui?” Domandò Viktor con nel timbro della voce una calma che stonava non poco con l’agitazione della governante.

“Signore…”

“Stavate forse tentando di rubare?” Intervenne Clementine.

“No!”

“Non mentite! A cena mi avete rovesciato addosso il vino di proposito, inducendomi a togliermi il grembiule offrendovi nella mansione tipicamente femminile di andarmelo a lavare, sottraendomi così il passepartout per poi aspettare di agire indisturbato nella notte come il più infimo dei ladri!”

Puntando gli occhi al pavimento Haruka si accorse di avere agito inconsciamente da donna. Si era tradita stuzzicando così la diffidenza dell’altra.

“E’ così che sono andate le cose Giovanni?” Intervenne Viktor avanzando per fermarsi ad un paio di metri da lei. Erano rare le occasioni che chiamava quel giovanotto biondo per cognome. Una stranezza che avvolte stupiva persino l’uomo.

“No signore! - Rispose con forza dovendosi però correggere immediatamente. – Cioè… Non esattamente…”

“Cosa vuol dire non esattamente Tenou!” Incalzò la donna azzittita da un gesto del padrone.

“Signore non dovreste neanche sprecare tempo con questo ladro! E’ palese che sia entrato nella biblioteca per manomettere la cassaforte!”

A quella rivelazione Haruka sgranò gli occhi guardandoli alternativamente. Ecco perché nessun membro della servitù aveva il permesso di accedere a quella stanza. Ora le era tutto chiaro. Ora era veramente nei guai.

“Io… Io non sono un ladro! Non mi permetterei mai di rubare dei preziosi. Ma per chi mi avete preso?!”

“Per quello che siete; un piccolo topo di strada!”

La bionda serrò i pugni incendiando l’orgoglio pronta a dar battaglia, quando il signor Kaiou intervenne domandandole allora perché un semplice cameriere si fosse permesso di architettare tutta quella pagliacciata per accedere senza permesso in una stanza che di fatto gli era preclusa.

“Si è vero ho forzato l’incidente del vino per potermi impossessare del passepartout, ma non sono qui per stupidaggini come dell’oro o dei gioielli!” E nel dirlo rivelò una convinzione talmente innocente che Kaiou sbatté le palpebre stupito facendole cenno di continuare.

“Signore vorrei… vorrei consultare le carte agrarie della zona di Altdorf perché sono convinto di riuscire a capire dove si sia diretta la famiglia che si dice abbia tratto in salvo una ragazza dalle acque del FullerGraft fluss.” Vomitò tutto d’un fiato conscia che il solo sentire il nome di quel corso d’acqua avrebbe provocato nell’uomo un dolore acuto.

Per qualche secondo nessuno di loro parlò poi una voce di donna proveniente dalla porta spezzò quel silenzio quasi irreale.

“Viktor.” Flora Kaiou apparve sull'uscio stringendo convulsamente la destra ai lembi della sua vestaglia di seta rosa.

Venendo avanti fissò la ragazza in un modo indefinito; un misto tra lo sconcerto per la rivelazione e la rabbia per quella ferita ancora aperta. Haruka la guardò piazzarsi a pochi centimetri dal marito deglutendo a quelle iridi blu tanto simili a quelle di Michiru. La figlia aveva molti più tratti somatici in comune con il padre che con la madre, ma da Flora aveva preso gli occhi e soprattutto il portamento e la corporatura.

“Ragazzo badate a non scherzare con noi.” Disse l’uomo diventato improvvisamente freddo e distaccato.

“Non ho alcuna intenzione di arrecare ulteriore dolore alla vostra famiglia signore, ma ribadisco di non essere un ladro.” E quella fermezza lo convinse a dare al giovane un’occasione.

Dirigendosi verso la terza scaffalatura ne aprì un’anta estraendo una cartellina di pelle rigida ed una volta raggiunta la scrivania e sciolti i tre lacci che la chiudevano su se stessa, n’estrasse il contenuto offrendoglielo.

“Ecco ciò che cercavate. Dunque Tenou… stupitemi.“

Respirando pesantemente Haruka lo raggiunse afferrando la piantina e cercando di fare spazio sul piano l’aprì per intero accendendo poi l’interruttore di un’alta lampada bronzea per vedere meglio. Poggiando entrambi i palmi sul pianale s’incurvò sul foglio iniziando a far correre lo sguardo sulle linee, i simboli ed i nomi delle località della zona di Altdorf e del lago FullerGraft.

“Io ti troverò ovunque...”

“Me lo prometti?”

“Si amore mio. Te lo prometto.”

Ricordò piantando gli occhi a quel piccolo segno nero che altro non era che la diga. Tutto era finito li; il loro giovane amore e tutte le loro speranze.

“Dunque?” Intervenne Viktor spazientito.

Muovendo l’indice sul corso d’acqua che zigzagava dividendo in due la valle, la ragazza iniziò a ragionare ad alta voce, parlando più con se stessa che con il suo interlocutore, seguendo un filo logico cogitato durante le eterni notti passate a pensare alla sua dea. “Il lago FullerGraft è un bacino artificiale creato circa trent’anni fa. E’ un’opera importante, ma non molti sanno che venne fortemente voluta non soltanto per diventare la più grande riserva di pesce della zona, ma anche e soprattutto per intensificare lo sfruttamento del grano segalato nero. E’ un cereale molto raro, perché per crescere necessita di tante di quelle accortezze che non sempre vanno a ripagare gli enormi sforzi di produzione. - Viktor la guardò inespressivo conoscendo perfettamente l’argomento. - Dopo il crollo della diga i campi tutti intorno al greto si sono allagati ed i raccolti sono andati perduti.”

“E allora?”

“Signore, sappiamo che la famiglia che si dice abbia tratto in salvo quella ragazza non poteva che abitare nella zona a valle dello sbarramento, giusto? Perciò mi chiedo… e se fossero stati mezzadri o contadini spinti a partire per non morire di fame? I campi saranno inservibili per mesi, perciò le sementi delle nuove piante non potranno essere piantate che in primavera ed intanto? Come potrebbe vivere una famiglia che vede in una terra non più lavorabile la sua unica fonte di sostentamento? Nel nostro paese la coltivazione del grano segalato nero è rarissima e viene prodotta solo in due zone, ma appunto per questo quando il raccolto è buono è assai redditizia. Con la distruzione di una delle due e l’impossibilità di piantare altri cereali io mi sposterei nella zona rimasta e lo farei di corsa.”

“Il valore delle sementi del grano segalato si è triplicato nel giro di poche settimane.”

“Appunto signore e io sono convintissimo che nonostante il pericolo di un’invasione italiana quella famiglia si sia diretta nell’unico posto dov’è ancora possibile produrlo, ovvero la zona di Locarno.” Haruka tamburellò un paio di volte la carta dove campeggiava la città meridionale al confine con il Regno d’Italia.

“Come sapete tutte queste cose?”

“Perché… Perché quel giorno nel quale la diga cedette io ero li e ho visto la devastazione dei campi e la disperazione dei contadini.” Rispose permettendosi di guardarlo fissamente.

“Ma voi chi siete?!” Intervenne Flora Kaiou non staccandole gli occhi di dosso.

Haruka stirò le labbra all’insù alzando leggermente le spalle. “Un semplice cameriere signora.”

“Un semplice cameriere che però sa ragionare vedo.” Ne convenne l’uomo tornando a guardare la cartina.

Quel ragazzo poteva avere ragione, anzi, adesso che la sua semplice linea di pensiero era stata esposta, non riusciva a capire perché non ci avesse pensato. Kaiou sapeva perfettamente quanto in quella zona valesse il terreno al metro quadro e quanto si fosse alzato dopo l’incidente, anzi, in un primo momento il gesto di Kurzh era stato visto dal Ministero come un mero artificio per innalzare ulteriormente il valore di quella particolare coltura.

Meditabondo l’uomo non si accorse della presenza della moglie al suo fianco. “Viktor secondo te il ragazzo…” E lo guardò talmente tanto intensamente da strappargli un leggerissimo sorriso d’intesa.

“Il ragazzo potrebbe aver colto nel segno, anche se mi stupisce che sia tanto ferrato in materia visto che, come affermato e' un semplice cameriere. Come non comprendo perché, avuta questa intuizione, non sia venuto subito a parlarmene inscenando invece tutto questo trambusto.” Disse a Flora.

Haruka si sentì schiacciata all’angolo. Domande lecite e difficilmente eludibili. Cercò di pensare velocemente. Forse avrebbe dovuto provare a sbilanciarsi un po’ per non rischiare di cadere del tutto.

“Allora signor Tenou. Sto aspettando, per lo più tanta dedizione per la nostra famiglia è a dir poco strana visto che state con noi da meno di un mese.”

“Signor Kaiou arrivati a questo punto mi vedo costretto a rivelarle che … - Respirò profondamente continuando a tenere basso lo sguardo. - che ho cercato di trarre conclusioni per mio conto solo ed esclusivamente per non dare a voi ed alla signora speranze che senza apposite verifiche avrebbero potuto arrecarvi solo ulteriore dolore. Comunque vorrei che sapeste che … ho un debito enorme nei confronti di vostra figlia. Come vi ho accennato ero presente il giorno nel quale la diga venne sabotata e grazie alla signorina Michiru riuscii a salvarmi dal muro d’acqua che colpì l’abitato nel quale vivevo. Il suo intervento si rivelò provvidenziale. Riuscendo a dare l’allarme per tempo la signorina salvò tantissime vite. Inclusa la mia.”

Ed in effetti era vero, anche se Haruka intendeva altro. La bionda sapeva che quella donna testarda fino allo sfinimento, con il suo comportamento avvolte anche troppo asfissiante, era riuscita a snidarla dal suo guscio trasformarla in una persona migliore, salvandola da se stessa e dalla sua riluttante paura del mondo, offrendole il suo cuore, la sua anima ed il suo corpo.

“Non si può vivere così mia Ruka. Con la paura costante della gente, dei pregiudizi o di quello che il domani ci riserverà.”

Quando l’acqua era arrivata colpendole, Kaiou l’aveva stretta il più possibile a se cercando di proteggerla con tutta la forza che aveva, ma per Haruka la salvezza vera era arrivata dalla consapevolezza di un amore incondizionato e maturo; il suo.

“Davvero avete conosciuto Michiru?” Chiese Flora sentendosi quasi sollevata ad un leggero assenso dell’altra.

“Si signora e quel giorno mi ripromisi che se ne avessi avuta l’occasione sarei venuto a ringraziare la signorina di persona, ma poi arrivato a Berna…”

“Avete saputo della sua scomparsa e così avete pensato bene di venire a servire nella sua casa?” Si intromise improvvisamente la signorina Rostervart rimasta fino a quel momento in religioso silenzio. Non credeva affatto a tutta quella storia e lo disse apertamente e senza mezzi termini.

“Signori Kaiou perdonate l’ardire, ma per me questo ragazzo non vi sta dicendo tutta la verità! Riconosco che il giovane è dotato di sagacia ed intelligenza e non metto in dubbio che sia d'indole altruista, ma lasciare la sua famiglia, la sua casa e la sua terra, solo per venire a Berna per ringraziare la signorina Michiru, mi sembra assolutamente inverosimile!”

Haruka serrò i denti contrariata. Mai possibile che la governante dovesse sempre metter bocca su tutto! Gettando l’asso provò con la faccia tosta che madre natura le aveva donato.

“Un attimo signorina Rostervart, non ho mai detto che il mio venire a Berna sia stato dettato solo dalla riconoscenza. Ammetto di aver lasciato famiglia, casa e terra, come avete detto voi, anche e soprattutto per cercarmi un’occupazione.”

A quelle parole la donna sembrò stupirsi e calmarsi al tempo stesso.

“Signorina non mi interessa sapere il perché ed il per come questo ragazzo sia stato spinto a Berna. Ora ciò che più conta è riuscire a contattare i professionisti che sto pagando per andare a verificare se l’idea del signor Tenou sia corretta. E non sarà facile visto le nuove disposizioni del Ministero della Difesa.” Tagliò corto l’uomo.

“Signore potrei andarci io!” Se ne uscì Haruka tornando a guardarlo.

“Cosa? Voi?!”

“Signor Kaiou non sono uno sprovveduto e so che sarete d’accordo con me nel pensare che si sia già perso troppo tempo!” Sapeva di stare esponendosi e dalle facce confuse che aveva davanti capiva che stava giocandosi una gran fetta di credibilità con quell’insolita richiesta. Tutto stava sembrando tranne che un cameriere.

Viktor sembrò perplesso, poi capendo che poteva essere una soluzione guardò la moglie trepidante. Era consapevole del fatto che se la figlia non aveva dato ancora sue notizie questo voleva dire solo che con molta probabilità non era più in vita e non poteva più vedere Flora ridotta all’ombra di se stessa struggersi ogni giorno nella speranza che una qualche notizia giungesse a mettere finalmente fine a quell’attesa, come non poteva più lui continuarsi a vedersi davanti agli occhi di un’immaginazione contorta il corpo della sua Michiru morta ed abbandonato chissà dove. Aveva bisogno di risposte, perché quel limbo d’incertezza stava distruggendo quel che restava della sua famiglia.

“Lasciamo che provi Viktor.” Supplicò La moglie stringendogli l’avambraccio e lui accarezzandole il viso di risposta, guardò quel giovanotto fermo come un fuso. Non era affatto convinto della sua buona fede, ma sarebbe stato un idiota non provare anche quella strada.

“Partirete domani mattina. Viaggerete leggero e lo farete per conto della famiglia Kaiou. Vi darò il denaro necessario per le spese, ma la condizione per darvi fiducia e che siate di ritorno con notizie certe entro due settimane. Pensate di potervi riuscire?” Chiese ed Haruka rispose un si signore deciso.

“Siete molto sicuro di voi giovanotto.”

E la bionda lasciò nascere sulle labbra un sorrisetto quasi strafottente. Certamente quell’uomo non poteva lontanamente immaginare che le motivazioni che le stavano dando tanto coraggio fossero spinte solamente dal cuore.

 

 

Andò dritta nella sua stanza pronta a fare i bagagli. Finalmente avrebbe potuto smuovere le acque e tornare a cercare Michiru con qualcosa di concreto nelle mani. In più abituata a spostarsi camminando, l’idea di poterlo fare finalmente in treno le stava gettato addosso una strana euforia. Le piacevano da matti le locomotive, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe riuscita a vederne una da tanto vicino. Ci avrebbe messo niente a scendere da Berna a Lucerna arrivando così a Bellinzona, la sua Bellinzona, dove avrebbe incrociato il famoso locale che qualche mese prima le ragazze aveva perso a causa della scesa in guerra del Regno d’Italia. Era iniziato tutto da quel viaggio interrotto e adesso riprendeva tutto da li; da quella speranza che non voleva proprio abbandonarla.

Aprendo la cassettiera guardò la foto della sua dea sorridendo. Riuscirò a trovarti. Aspettami amore, pensò sapendo benissimo di essere irrazionale nel farlo, ma poco importava. Adesso aveva finalmente una ragione per tornare a respirare.

D’un tratto due tocchi alla porta la costrinsero a richiudere frettolosamente il cassetto chiedendo chi fosse. La risposta le gelò il sangue nelle vene.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 16/9/1915

 

“Mamma Milena, mamma Milena Sigmund è cattivo. Mi ha picchiata!” Piagnucolò la bambina arpionando la gonna a pieghe della donna che sospirando iniziò ad accarezzarla guardando poi in direzione della grande quercia ben piantata al centro del parco che si apriva dietro il corpo principale dell’ospedale.

Sapeva che quel monello biondo molto probabilmente era andato a rifugiarsi sopra i suoi rami, come sapeva che ce le avrebbe prese per l’ennesima volta se la bambina avesse continuato a frignare in maniera tanto convincente.

“Che cos’è successo questa volta?” Chiese accovacciandosi di fronte a quei lacrimoni inconsolabili.

“Voleva i miei biscotti… e se li è presi!”

“Dio mio che pazienza!” Intervenne Minako iniziando a scrocchiarsi in maniera poco femminile le dita delle mani. Generalmente toccava a lei snidare, catturare e punire quel vagabondo.

“Ma glieli hai offerti Rose? Bada, non mentirmi.” Aggiunse l’altra. Quei due bambini proprio non volevano andare d’accordo, un odio-amore talmente frodiamo capace d’incendiare l’ala della foresteria ad ogni alterco.

“Siii… mmm… No! Ma non ce n'era bisogno! Mangia sempre per due quello li!” Rispose fieramente staccandosi dalla ragazza per metter su un musetto degno di una sarapica.

Le due amiche si guardarono scoppiando poi a ridere. “Povero chi se la porterà all’altare.” Sentenziò Minako andando verso la quercia.

“No aspetta! Lascia che gli parli io questa volta. Non mi sembra che ultimamente tu gli sia molto simpatica.”

L’altra si guardò la tibia destra ricordandosi del poderoso calcio ricevuto un paio di giorni prima. Sorrise annuendo. Michiru era meravigliosa nel ruolo di madre e nelle settimane successive al suo ricovero, quando le forze avevano iniziato a tornarle, era diventata il punto di riferimento di tutti i bambini, foresteria inclusa. Un esempio era quella mocciosetta di cinque anni; una francese che alla viennese ricordava per indole ed atteggiamenti la sua amica Rei. Boccoli scurissimi e folti, occhi neri come la pece, incarnato chiarissimo, viso rotondo e paffutello nonostante i frequenti scippi di biscotti ad opera di quel teppista teutone. A differenza della bambina, perfettamente in salute perché era la madre ad essere stata ferita mentre cercava di fuggire con la figlia da un paesino al confine con la Germania, Sigmund era invece un paziente al pari di Michiru e come lei stava cercando di rimettersi più che dalle ferite fisiche, da quelle mentali. Di lui si sapeva poco o nulla. Era stato trovato mentre vagava sul fronte sanguinante e frastornato. Dall’apparente età di undici, dodici anni, aveva saputo dire ai medici da campo tedeschi che lo avevano soccorso solamente il nome. Ed era per questo che il suo comportamento aggressivo, soprattutto nei riguardi degli altri bambini, spesso e volentieri veniva perdonato o al più sottolineato con una sonora lavata di capo.

“Sei sicura di volerti cimentare per l'ennesima volta con la testardaggine di quel ragazzino? Se a me prende a calci a te fa sparire pedissequamente pennelli e tavolozza.”

“E non si sa ancora dove li nasconda.” Disse ridendo l’altra mentre accarezzava Rose affidandola all’amica.

“Tranquilla. Mi piace quel ragazzino. Non so perché, ma non credo sia così cattivo come vuol farci credere.” E lasciandole si diresse con fare sicuro verso l’albero.

Mina le osservò le spalle rabbuiandosi. Certo che provava simpatia per quel teppista, Michiru non poteva saperlo, ma Sigmund assomigliava moltissimo ad una certa ragazzona svizzera che tanto mancava a tutte loro. Zazzera biondo dorata, occhi chiari che tendevano a scurirsi se l’ira prendeva ad impadronirsi della razionalità, corporatura longilinea e flessibile, che gli permetteva di sgusciare in ogni buco, ogni anfratto e di correre dannatamente veloce. La curiosità tipica delle persone intelligenti, ma il carattere di uno stambecco; roccioso, indomito ed avvolte stupido.

Michiru percorse il prato leggermente bagnato di rugiada tenendo fissi gli occhi sull’imponente impalcato di quella pianta arrivando a scorgere la testa del ragazzino pressappoco a metà strada. Fermandosi a pochi metri dal tronco ne incrociò lo sguardo carico di rabbia stringendo le mani al grembo.

“E’ inutile! Non chiederò scusa!” Urlò sistemandosi meglio nell’incavo di due grandi rami.

Alzando gli occhi al cielo lei sospirò di rimando. Più duro di un pezzo di granito.

“Almeno scendi giù.”

“Per farmi picchiare dalla viennese? No grazie.”

“Nessuno ti vuole picchiare Sigi.”

“Beato chi ci crede!” Borbottò abbastanza forte perché la donna potesse sentirlo.

E tutto tacque per diversi minuti tanto che, credendosi vincitore del solito puntiglio, incrociando le braccia al petto si accoccolò ancora più comodamente. Tutto fino a quando la testa della donna non fece capolino tra le foglie gettandolo nel panico.

“Se la montagna non si muove… Allora? Hai intenzione di rimanere abbarbicato come al solito qua su per tutto il santo giorno?”

“Come… - La guardò attonito colpito di un tale mascolino azzardo per poi controbattere come un istrice. - Ma lo sapete che una donna per bene non va in giro a salire sugli alberi? Dov’è che avreste imparato?”

Michiru sorrise tristemente alzando le spalle. E chi poteva saperlo. Lui capì e stranamente si scusò.

“Non era mia intenzione signorina Milena.”

“Ti ho già detto di darmi del tu? Lasciamo perdere tutti questi formalismi stupidi vuoi?”

“Gli altri adulti non vogliono che vi dia del tu.”

“Ma gli altri adulti non sono qui. Sarà il nostro segreto.” Disse strizzandogli un occhio avvertendo la corteccia graffiarle la pianta dei piedi. Bene… era riuscita a salire e neanche lei sapeva come, ma chi l’avrebbe aiutata a scendere?

“Di un po’ è vero che hai preso i biscotti di Rose?”

“Mmmm…”

“Avevi fame?”

“Si.”

“Ma benedetto ragazzo quante volte ti abbiamo detto di chiederle le cose invece che rubarle?!

“Io l’ho chiesto alla cuoca, ma lei mi ha cacciato fuori dalla cucina dicendomi di aspettare l’ora del pranzo!” Con molta probabilità era vero visto il caratterino non certo serafico che quella donna possedeva.

“E tu non potevi insistere provando magari a spiegarle il tuo disagio?”

“No! Altrimenti lo avrei già fatto!” Le urlò contro frustrato accendendosi come una torcia. Negli occhi due scintille disperate.

Che altro avrei potuto fare, sentiamo?!”

Avresti benissimo potuto usare la lingua invece di tirare fuori un'arma!”

Michiru si ritrasse portandosi la sinistra alla tempia smettendo di respirare per qualche istante. Il solito dolore acuto, quella fitta arroventata che fulminea le colpiva la testa a bruciapelo quando frasi prive di senso s’insinuavano in lei senza preavviso o ragione apparente. Ricordi?

“Milena? Tutto bene?”

“S…si. Non preoccuparti, adesso passa.”

Mi vedo costretta a pensare che sia tu a non essere in grado di esprimerti a parole!”

E' questo che pensi di me?”

Avvertendo la mano del ragazzo sulla pelle del braccio scosse la testa allontanando da lei quelle frasi.

E' questo che pensi di me? Che pensi di me… Di me… continuò maledicendosi perché non capiva, non afferrava, sapendo inconsciamente quanto dannatamente importanti fossero quelle frasi illogiche.

“Forse sarà meglio scendere.” Disse lui accovacciandosi tra i due rami.

“Forse… ma credo che dovrai darmi una mano, perché non so assolutamente come si faccia.” E scoppiando a ridere entrambi iniziarono la discesa.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

“Non guardarmi così!” Gli ringhiò contro come se fosse una sua pari.

“Se soltanto ne avessi le capacità te la farei vedere io!” Disse guardando l’ennesimo fallimento che nei piani originari avrebbe dovuto essere una trappola per piccoli animali.

“Ed è inutile sai che tu faccia finta di niente.” Continuò sbuffando nervosamente ammettendo a se stessa che di quell’obbrobrio non avrebbe potuto essere riutilizzato nulla.

“Ma dico io… non mi offenderei se ogni tanto mi portassi qualcosa di commestibile invece che gironzolarmi sempre intorno! Tanto lo so che vai a mangiarti questo mondo e quell’altro quando sparisci. Si vede sai! Guarda che pancetta hai messo su!” Fissandolo in quegli enormi occhi color nocciola si alzò di scatto.

“Ingordo!” Urlò facendolo allontanare di qualche metro.

“Si… scappa, scappa!” Sembrava che accendere e governare un fuoco fosse l’unica cosa che a Giovanna Tenou riuscisse di fare senza tagliarsi, imprecare, avvilirsi o litigare con lui. E si che continuava a seguirla, sempre, giorno dopo giorno, anche se da lontano, come se avesse inteso mettere tra loro una sorta di barriera fisica che non impedisse altro che il contatto visivo. Quando lei si alzava ed apriva la porta della baita lo trovava li, davanti allo spiazzo, seduto come un piccolo soldato a guardia di chissà quale tesoro, fermo fino all’ultimo passo prima del primo gradino. Da quel momento in poi si ritirava di qualche metro, come se dovesse esserci sempre una distanza di “sicurezza”. Se lei indietreggiava, lui avanzava e se lei avanzava, lui inesorabilmente, indietreggiava. Come in una sorta di danza.

Giovanna sapeva perfettamente perché si trovasse ancora li e non fosse tornato dai suoi simili. Dal suo arrivo alla baita non erano passate che poche ore e se l’era ritrovato di fronte, stanco, smagrito e più forastico di quel che ricordasse, ed aveva cercato d’ingraziarselo in tutti i modi, ma non c’era stato verso; da lei non si faceva avvicinare. Ma continuava a starle accanto, a vegliare e questa cosa la faceva uscire fuori dalla grazia divina, perché se da un lato le faceva piacere sapere che fosse sempre a stretto giro, dall’altra non riuscire ad istaurare con lui almeno un contatto, le procurava una frustrazione folle che non faceva altro che sommarsi a tutte le altre già presenti nella sua vita in solitaria.

Camminando lungo il sentiero che l'avrebbe riportata a casa sentì un fruscio proveniente dalla sua destra.

“Ora basta!” Imbracciando il Mannlicher sparò un colpo in aria vedendolo sobbalzare tra il fogliame dei cespugli.

“Lo vuoi capire che Haruka non tornerà più! Fattene una ragione stupidissimo lupo!”

Fattene una ragione Giovanna!

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Mi direte che questo capitolo è un tantino lento, ma potrei anche rispondervi che Haruka sta a Sherlock Holmes come io sto ad Arthur Conan Doyle e non è proprio il caso! (:p) Perciò perdonatemi la lezioncina sulle colture presenti in Svizzera (come facevamo alle elementari), ma dovevo riuscire a trovare un pertugio per ridare speranza a tutta la famiglia Kaiou.

Dunque abbiamo lasciato Haruka sul chi vive ed una governante non affatto convinta della sua buona fede. Clementine potrebbe rivelarsi un’alleata come una serpe. Ai posteri l’ardua sentenza, anche se credo che nutrendo per Michiru ed i suoi genitori affetto e stima, non sia affatto una donna cattiva. La vedo più come una leonessa pronta a difendere la tana.

Intanto Michiru è alle prese con la sua “nuova vita”, anche se la vecchia preme per uscire dalle ombre dell’amnesia, trovando a sua insaputa un piccolo teppista molto simile ad Haruka, sia fisicamente, ma soprattutto, caratterialmente e non so ancora se questo la destabilizzerà o l’aiuterà. Un inciso; Sigmund non è com’era Mattias, ovvero un grillo parlante. Lo vedo più come un piccolo terrorista sabotatore della pazienza altrui.

Infine è ricomparso il “piccolo” Flint che rimanendo in attesa, aspetta fiducioso il ritorno della sua Haruka.

Ciauuu…

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Far ritorno a casa ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino, Usagi Tzukino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Far ritorno a casa

 

 

Stazione di Berna

Svizzera settentrionale – 16/9/1915

 

Il fischio di richiamo per i passeggeri sibilò acuto tra le rotaie della stazione, ma Haruka proprio non se ne accorse. Sapeva di stare facendo una gran brutta figura, ma in realtà poco le importava, perché proprio non riusciva ad impedire ai suoi occhi avidi ed alla sua bocca sbigottita di schiudersi un poco di fronte a quello spettacolo. Si sentiva come una bambina ferma davanti alla cosa più sensazionale del mondo. Ed in realtà per lei lo era, lo era e come, perché mai in vita sua avrebbe sperato di poter toccare con mano quel mostro di ferro brunito dalle ruote motrici rosso fuoco unite da bielle massicce che ben presto ne avrebbero ritmato il movimento. Con il battito del cuore leggermente accelerato di quel tanto da farla respirare più velocemente del solito, gli occhi correvano ubriachi di curiosità lungo tutta la caldaia cilindrica, la camera di fuoco, il comignolo che già sbuffava un denso ed acre fumo scuro, fino alla griglia apripista, bella da mozzare il fiato, anch’essa rossa, accattivante, potente.

Freddy, l’autista di casa Kaiou, se la guardò ridendo piazzandole una poderosa manata sulla schiena. “Come ti capisco amico mio, come ti capisco!” Convenne guardando in direzione delle carrozze dove i passeggeri stavano salendo.

“Padre santissimo… Quello del macchinista deve essere il mestiere più bello del mondo!” Sospirò lei chiudendo finalmente la bocca.

“Credo, ma è meglio che ti dia una mossa Giovanni o rischierai di rimanere sulla banchina come un allocco.”

“Mmmm… Hai ragione. - si scosse staccando a forza il contatto per porgergli la mano. - E’ meglio che salga. Arrivederci Freddy.”

“Mi raccomando Tenou, fai del tuo meglio. Sei la nostra ultima speranza.” Confessò serrandole le dita anche troppo forte.

Lei sorrise afferrando lo zaino da viaggio pronta a dirigersi verso la carrozza “Centoporte” dove avrebbe trovato il suo posto. E così il viaggio riprendeva, ancora in movimento come una falena attratta dalla sua luce.

Issandosi faticosamente sulle scalette e richiusasi la porta alle spalle avvertì il primo scossone ed il fremito motorio dell’asse sotto i piedi ed in un paio di secondi il treno si mise in movimento. Sorridendo e lanciando un’ultima occhiata a Freddy depositò il bagaglio sulla mensola sopra la sua poltrona sedendosi dopo aver salutato con un cenno le due signorine che avrebbero viaggiato con lei.

Certo, non soltanto non si sarebbe mai immaginata di viaggiare in treno, ma addirittura farlo in prima classe poi. Il signor Viktor era stato fin troppo generoso, sia con il titolo di viaggio, sia con il denaro che avrebbe dovuto usare per il vitto, l’alloggio e gli eventuali imprevisti.

“Non badate a spese, Giovanni. Se ci fosse la necessità di sbloccare reticenze e comprare informazioni... Mi fido di voi.” Gli aveva detto consegnandole una busta estremamente robusta.

E lei l’aveva accettata, anche se mal volentieri. Avrebbe tanto voluto dirgli che tutti quei franchi non sarebbero serviti, perché qualunque porta chiusa avesse trovato lungo la sua strada, lei l’avrebbe aperta con la sola forza del suo amore, venendo anche alle mani se fosse stato necessario. Ma naturalmente se lo era tenuto per se.

Sentendo ridacchiare le due ragazze, puntò lo sguardo al vetro cercando di far finta di nulla. Dopo aver condiviso per giorni gli spazi con sette donne, Haruka aveva imparato ad identificare nel corpo femminile gesti che prima di incontrare Michiru e le altre, ignorava. Ora sapeva riconoscere una risata argentina, da una civettuola, uno sguardo innocente, da uno provocante e se quelle due non fossero scese presto, non l’avrebbero lasciata godersi il viaggio in pace.

Certo non poteva dar loro torto; era vestita molto bene, i Kaiou ci tenevano visto che sarebbe andata in giro per loro conto e naturalmente aveva il suo bel fascino da tenere sotto controllo. Sbuffando leggermente si nascose il mento nel palmo della sinistra puntando saldamente il gomito al finestrino cercando di non arrossire, provando a distrarsi guardando le ultime case di Berna scivolare velocemente al di la del vetro. Non aveva dormito che una manciata di minuti e si sentiva stanca, ma al contempo era euforica, perché nel pomeriggio sarebbe arrivata a Bellinzona e se le gambe non l’avessero tradita, sarebbe arrivata alla baita verso l'imbrunire. Il locale per Locarno passava ogni due giorni e tanto valeva approfittarne per prendersi un po’ di tempo tutto per se. Avendo la paga di un mese ed il denaro datole dal signor Kaiou, avrebbe potuto mangiare e riposare in uno degli alberghi del centro città, ma voleva respirare l’aria dei boschi almeno per qualche ora e poi sapeva che nella sua baita, abbandonato in un angolo perché troppo ingombrante, c’era ancora il bagaglio di Michiru e le avrebbe fatto bene toccare le sue cose e magari riuscire a ritrovare tra quegli abiti il suo odore. L’unica cosa mancante sarebbe stata il suo violino. Quanto aveva combattuto per farglielo lasciare alla baita. La prima colossale sconfitta inanellata a favore del carattere coriaceo di quella donna.

Haruka sono anche disposta a dormire per terra, a viaggiare per giorni vesciche ai piedi, a rovinarmi le mani scalando rocce e tirando corde, ma il mio strumento non lo lascio, sia chiaro!

Boia infame..., non si può fare!

E non imprecare, per favore!

Ridacchiò a quel ricordo. Era stata messa a cuccia di fronte a tutte le altre ed era stato più che lampante che Michiru Kaiou, in un modo o nell’altro, l’avrebbe sempre avuta vinta con lei.

Incrociando le braccia al petto e sistemandosi più comodamente sullo schienale di raso, la bionda ricordò anche quello che era accaduto qualche ora prima della sua partenza, La sua dea era nel cuore di ogni componente di casa Kaiou, ma non avrebbe mai immaginato che lo fosse anche per la governante, sempre molto arcigna e severa. Quando Clementine Rostervart era apparsa alla sua porta con gli occhi strani, carichi di un misto angoscioso d’impazienza, speranza e consapevolezza, il viso stanco, i capelli grigi raccolti svogliatamente in un’insolita treccia, lei sempre inappuntabile ed ordinata, Haruka aveva sbattuto le palpebre non credendo che una donna sil fatta potesse compromettersi in quella maniera.

“Signorina… e’ l’alba. Cosa ci fate nella zona maschile?” Aveva sibilato avendo come risposta la richiesta di poter entrare nella sua stanza e la bionda aveva tergiversato sino a quando l’insistenza della governante si era fatta troppo asfissiante per non concedendole quella cortesia.

“E voi Giovanni Tenou, sempre se sia veramente questo il vostro VERO nome,… voi cosa ci fate qui?” E a quella frase era stato chiaro che la battaglia fra le due non poteva ancora dirsi conclusa.

“Non capisco a cosa alludiate signorina, comunque non mi sembra il caso che vi tratteniate oltre nella camera di un uomo.”

“Un uomo?! Non credo proprio che ve ne siano qui.”

Schiacciando i denti gli uni contro gli altri Haruka aveva allora cercato di non farle vedere quanto il colpo fosse stato violento. L’aveva forse scoperta?

“Vi prego di andarvene.”

“Altrimenti cosa farete Tenou? Chiamerete i signori e tutta la servitù così che possiate rivelare loro che in realtà sotto questi panni maschili si nasconde il corpo di una donna?” Ed era stato panico accesosi come goccioline di sudore gelato e battiti impazziti.

“Signore… signore prego, il biglietto.” Voltando la testa di scatto verso l’uomo in divisa, Haruka lo guardò un attimo frastornata prima di alzare le sopracciglia ed estrarre il suo titolo di viaggio dalla tasca della giacca.

“Scusate, ero sopra pensiero. Ecco a voi.”

Prendendolo lui l’obliterò con la pinza ringraziando e portandosi due dita alla visiera del berretto uscì dalla carrozza. Un occhio alla civetteria delle due ragazze e la bionda tornò a sprofondare nella poltroncina alzandosi il colletto inamidato della camicia bianca fin sotto al mento. Dio quanto odiava sentirsi quella stoffa rigida premuta alla carotide. Ma nelle ultime ore era diventato ben chiaro come quel fastidio ed il sollievo che spesso Haruka ricercava togliendosi il cravattino per lasciare il collo libero, l’avessero tradita.

“Sapete Tenou sono figlia di una sarta e fin da giovane ho avuto a che fare con la siluette femminile ed i colli, che sono la prima cosa che in genere osservo in una persona e devo confessarvi che il vostro è particolarmente strano per essere quello di un giovane uomo.” Avvicinandosi, la governante l’aveva costretta ad indietreggiare sulla difensiva.

“N…non capisco…”

“A non capite? Ve lo spiego subito… il pomo di Adamo Giovanni. Voi ne siete completamente sprovvisto.” A quella rivelazione Haruka si era portata la mano alla gola dilatando le pupille.

“Per non parlare poi delle mani, troppo piccole, ed alcuni vostri atteggiamenti tipici di una sensibilità femminile. Ammetto che siete stata molto brava, i capelli portati corti e gli abiti maschili vi hanno sicuramente aiutata ad accentuare la vostra figura androgina, ma sono abituata ad avere a che fare con ragazze da tutta una vita e non è facile ingannarmi.”

Vinta l’altra aveva chiuso gli occhi poggiando le spalle al muro. Dannazione non poteva essere stata smascherata proprio ora che stava per partire!

“Qual è il vostro vero nome?” Si era sentita chiedere.

“Haruka… Haruka Tenou.” Aveva risposto sommessamente abbassando la testa.

“E per il resto avete detto la verità?”

“Si signorina, a parte il fatto che provengo da Bellinzona.”

“E realmente Michiru vi ha salvato la vita?” Un si strozzato.

“E rispondetemi Haruka… Michiru è una vostra… amica?”

“Io non vedo perché tutte queste domande…”

“Perché mi dovete delle risposte! Perché avete ingannato la buona fede degli abitanti di questa casa e perché per vent’anni ho cresciuto quella ragazza come una figlia e credo di sapere su di lei molte più cose di quanto non ne sappia sua madre. Perciò vi chiedo… volete bene a Michiru?”

A quell’ennesima domanda la bionda aveva alzato la testa guardandola intensamente.” Si!” Questa volta vibrato e convinto.

“L’amate?”

E stringendo i pugni aveva mosso impercettibilmente la testa dorata aspettandosi il peggio.

“E.. lei ricambia questo sentimento non è vero?” A quel punto Haruka non era stata in grado di rispondere e non certo perché non credesse nell’amore di Michiru, ma perché non capendo il fine di quella sfilza di domande non voleva comprometterla. Ma tergiversando aveva fatto capire a Clementine ogni cosa.

“Il vostro silenzio vi fa onore Haruka, ma ribadisco di averla cresciuta io quella figliola e lasciate che vi dica di essere molto contenta per lei. Per entrambe.” A quell’affermazione la donna le aveva inaspettatamente accarezzato il viso sorridendo ed andando verso la sedia della scrivania vi si era seduta confessandole poi tante cose, tanti impercettibili segnali che nel tempo le avevano fatto capire come Michiru, che pur non disdegnava la compagnia dei suoi coetanei, fosse più incline all’amore saffico che ad una relazione convenzionale e di come si fosse stupita quando aveva appreso del suo improvviso fidanzamento con Daniel Kurzh.

Così si erano ritrovate a parlare per interminabili minuti nei quali la ragazza le aveva raccontato del loro incontro, del viaggio, del ricatto, della fuga e della diga, di come Michiru si fosse rifiutata di lasciarla sola nel momento più difficile, ferita, impossibilitata a mettersi in salvo, scegliendo di fatto di condividerne la medesima tragica sorte. E la governante l’aveva ascoltata arrivando a consolarla capendo il senso di colpa nell’essere stata involontariamente la causa della scomparsa dell’altra. Haruka aveva trovato un’insospettabile alleata, sentendosi quasi avvolta da quello spirito materno che da due anni ormai non aveva più, mentre Clementine aveva scoperto in quella ragazzona timida una dolcezza ed una forza di spirito incredibili, ed era stato un po’ come se la sua Michiru fosse stata nuovamente a casa.

Così avviluppata da quei ricordi Tenou cedette al sonno lasciando che il ritmico dondolare del treno la cullasse fino a Bellinzona.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro, la dottoressa chiese al suo interlocutore di poter aprire la finestra per lasciare entrare nella stanza un po’ d’aria fresca. Completamente chiuso a riccio lui la guardò voltando maleducatamente il viso continuando a stringersi le braccia al petto. Trenta minuti buttati all’aria, gemelli di tutti quelli che nel corso dei loro incontri li avevano preceduti e fratelli dei futuri che sicuramente sarebbero arrivati l’indomani. Si, perché quel ragazzino proprio non voleva collaborare.

Il dottor Ernest Grafft, titolare della struttura e gran luminare della medicina post traumatica, le aveva dato quell’incarico proprio in virtù del suo essere donna e perciò dotata dalla natura di un certo intuito empatico e del così detto “spirito materno”, ma alla luce dei suoi completi fallimenti giornalieri, Setsuna era più che convinta che continuando così non avrebbe tirato fuori un ragno dal buco. Facendo leva sulla maniglia di ottone aprì la finestra sorridendo al venticello alzatosi dopo pranzo.

“Lo so che vorresti andare a correre fuori Sigmund, ma se non mi aiuti ad aiutarti continueremo a buttare tempo prezioso.” Disse girandosi per poi appoggiarsi alla mensola con entrambi i palmi delle mani.

Nulla. La tecnica che quel bambino stava usando con lei era chiara e ovviamente infantile; un muso messo su dall’inizio alla fine della seduta, occhi bassi o fissi su un particolare qualsiasi presente nella stanza ed un mutismo irritante che però, grazie al cielo, non squassava mai più di tanto i nervi della donna.

“Il suo essere predisposta alla maternità potrà sicuramente aiutarla dottoressa.” Le aveva detto il dottor Grafft affidandole quel caso con una mancanza di rispetto estremamente sessista.

Ecco perché Setsuna Meiou, vent’ottenne prodigio della psicanalisi, allieva del genio freudiano e dei più reconditi lati oscuri dell’essere umano, aveva dovuto in fine scegliere quell’enigmatico ramo della medicina pur essendo molto più talentuosa nella chirurgia, perché di fatto il suo essere donna le precludeva ancora gran parte delle specializzazioni. I tempi non erano maturi perché il sesso femminile campeggiasse al fianco a quello maschile nell’arte medica, ed anche se la guerra aveva involontariamente aperto nuove frontiere al così detto “sesso debole”, portandolo nelle fabbriche, negli uffici, fin anche nei trasporti, lei trovava ancora tanta difficoltà a farsi, non tanto valere, ma semplicemente ascoltare dai suoi colleghi.

E così non aveva potuto far altro che applicarsi ancora di più, spingendosi giornalmente oltre i suoi limiti. Dal carattere curioso, severo, ma sereno, Setsuna aveva sviluppato nel tempo la capacità di analizzare, ripartire, schematizzare e catalogare ogni mente bisognosa d’aiuto le si ponesse davanti, sapendo benissimo che quelle doti affinate con ore e ore di studio e apprendistato, non soltanto non sarebbero servite a farla apprezzare, ma con molta probabilità le avrebbero gettato addosso la plumbea invidia dei colleghi uomini. In più lei era straniera, forgiata alla scuola americana dell’avanguardia sullo studio dell’inconscio e con l’aggravante di essere una gran bella donna.

Di padre newyorchese e madre catalana, Setsuna era cresciuta ed aveva studiato negli Stati Uniti, dove tutto era innovazione e progresso. Al ritorno nella vecchia Europa si era dedicata a mettere in pratica la psicoanalisi e le sue derivazioni, soprattutto nei coinvolgimenti affettivi, cosa questa che aveva finito per assorbirla completamente non lasciandole il cuore libero di innamorarsi pur avendo già avuto parecchi pretendenti. Dalla figura alta e slanciata, i lunghissimi capelli lisci di uno scuro intenso lasciati spesso liberi dalle acconciature modaiole del momento, due occhi castani così caldi da sfiorare sfumature di un rosso quasi terroso, un viso dai lineamenti regolari risaltati dall’incarnato bronzeo della terra di Spagna, non passava certo inosservata, anzi, il magnetismo che esercitava, una sorta di intreccio tra il sensualissimo sangue iberico e la smania progressista della grande mela, la rendevano ambitissima per qualsiasi uomo colto con un minimo di sale nel cervello.

Guardando il ragazzino sorrise benevola. Certo Sigmund non le rendeva le cose facili eppure e nonostante tutto, quel biondino con il suo comportamento al limite dell’arroganza continuava a pungolarle la voglia di un soccorso.

Sospirando silenziosamente incrociò le braccia al petto capendo che anche quella seduta si sarebbe chiusa infruttuosamente. Tanto valeva divertirsi un po’ prima di mollare definitivamente la presa.

“Ho riscontrato che dopo i nostri incontri l’aggressività che dimostri verso gli altri bambini aumenta. Questo vuol dire che forse le nostre conversazioni tendono a farti arrabbiare?” Chiese iniziando ad aumentare il disagio del piccolo.

“Come ho notato che a domande ben precise inizi a dondolarti stringendo e rilasciando i muscoli delle mani. - Aggiustò il tiro e sparò sapendo già come avrebbe reagito. - Non è così… Sigi?”

Due occhi incolleriti le si piantarono contro mentre si alzava di scatto dalla poltrona guardandola con quello che Setsuna sapeva essere una sorta di odio.

“Non permettetevi di chiamarmi così! Solo Milena può farlo. Sono stato chiaro?!”

Non scomponendosi lei ne sostenne lo sguardo e con il calore che da sempre aveva nella voce continuò quasi schernendolo. “ E a cosa dobbiamo tanta dedizione mio piccolo amico?”

Stringendo i pugni fino a farli tremare lui continuò a fissarla per qualche altro secondo per poi schizzare verso la porta, aprirla e sbattersela alle spalle.

Stiracchiandosi la schiena per poi ravvivarsi i capelli la ragazza scrollò le spalle dirigendosi verso la scrivania per iniziare la relazione giornaliera su quell’incontro. Almeno aveva avuto una reazione. Sembrava che Milena per il momento fosse l’unica persona in grado di allacciare con quel teutone una specie di legame, anche se ancora non le era riuscito di capire a quale ramo appartenesse; rispetto, amicizia, ammirazione, amore. Sigmund era inevitabilmente attratto dagli altri bambini e si vedeva che doveva essere cresciuto in una famiglia numerosa e che con molta probabilità aveva frequentato la scuola almeno fino alla quinta classe, perché non poteva esimersi dal partecipare ai giochi o alle varie lezioni che i maestri cercavano di dare ai piccoli ospiti della struttura, ma quando venivano a crearsi interscambi con gli altri ragazzini, la razionalità di quel biondino si spegneva di colpo e la parte animale prendeva il sopravvento facendolo arrivare anche alle mani. L’unica persona che sembrava riuscire in un certo senso a domarlo era Milena, che da par suo aveva già un gran da fare ad evitare al suo passato di riaffiorare.

Forse avete legato tanto perché spinti entrambi dal terrore di ricordare e non posso certo darvi torto si disse rammentando in quale condizione fisica quei due fossero arrivati nella struttura. Come potrebbe essere utile cercare di farvi fare fronte comune verso di me, che rappresento il Cerbero malefico da combattere per non soffrire.

Prendendo dal primo cassetto il fascicolo della ragazza lo aprì leggendone l’intestazione.

“Michiru Kaiou, anni venti, nata a Berna il sei marzo del 1895. Registrata con il nome di Milena Buonfronte. Motivo del ricovero; amnesia temporanea. Causa non fisica.” Sbuffando poggiò la schiena alla poltrona. Con lei la terapia d’urto non aveva funzionato, anzi, era stata anche di un certo danno, ed era talmente evidente che quella ragazza non volesse ricordare nulla di se da lasciarla interdetta sul da farsi.

Il fascicolo di del bambino invece era molto più scarno. Sigmund, apparente età dodici anni. Paese di provenienza: Germania.

“E se stessi prendendo in giro tutti quanti?” Si disse fissando quella pagina inconcludente.

“Forse è ora che inizi a “giocare pesante” con entrambi.”

Alzandosi dalla poltrona ed aggiustandosi il camice bianco si diresse verso l’uscita pronta ad un nuovo alterco con il Dottor Grafft.

 

 

“No signorina Meiou vi ho già spiegato perché i due pazienti in esame non possano essere analizzati simultaneamente e voi da quest’orecchio proprio non sembrate volermi ascoltare.” Le disse quel vecchio bisbetico dalla testa imbiancata e dall’età anagrafica perfettamente collimante con quella celebrale.

Ma perché quell’uomo proprio non riusciva a capire che la psicanalisi aveva compiuto passi straordinari e continuare ad insistere con obsoleti metodi curativi non avrebbe portato a nulla, sia con Sigi, che con Milena. La donna aveva già capito da tempo come per quel medico le idee rivoluzionarie del Dottor Freud fossero un’accozzaglia di baggianate e lo scoprire che lei era stata una sua allieva non aveva fatto che precluderle gran parte dei pazienti presenti nella struttura, anche se tale meschina mosse aveva finito per esaltare intimamente Setsuna, si perché con quelle due così dette “cause perse”, avrebbe almeno potuto sperare di sperimentare tecniche curative di un certo spessore. Sigi e Milena non interessavano all’uomo come invece facevano i reduci del fronte, i mutilati, coloro che necessitavano di approcci standardizzati ed in un certo sento “sicuri”, ed era per questo che le cartelle cliniche di quelle due amnesie erano arrivate sulla scrivania della statunitense senza che neanche avesse dovuto battersi a fil di spada con gli altri colleghi uomini. Come unica donna era per forza di cose “costretta” a ricevere in dote i casi scartati dagli altri ed in quella struttura di medici competenti in materia di psicologia applicata alla perdita parziale o totale della memoria, non ve n’erano certo molti.

“Professore vi prego di lasciarmi provare. Sono sicura che l’ostinazione che quei due manifestano potrebbe essere sfruttata a nostro vantaggio. Me li lasci analizzare in sincrono con una seduta di coppia.”

“Dottoressa Meiou vorrei che non insistesse!” Le ordinò camminando veloce come un furetto per il corridoio del corpo principale che portava alle camerate della degenza maschile.

“Allora siete proprio convinto che la mia idea sia completamente sbagliata?” Lo vide bloccarsi di colpo e quasi non gli franò contro.

Voltandosi e guardandola dai suoi dieci centimetri di inferiorità, le rispose affermativamente lasciandosi inoltre scappare che unire il blocco psichico di quelle due menti non avrebbe fatto altro che umiliarla, ridicolizzando in campo scientifico sia lei che il suo preziosissimo maestro Freud.

“Ora lasciate che vada a svolgere il mio lavoro e vi esorto a fare altrettanto… dottoressa. Con permesso.” Concluse dileguandosi lasciandola conscia dell’ennesima porta sbattutale in faccia.

Che mente ristretta! Pensò infilando le mani nelle tasche del camice scuotendo la testa per niente vinta. Guardando fuori da una delle finestre di quel secondo piano perse lo sguardo al parco con la sua imperiosa quercia. Socchiudendo gli occhi li vide in una delle consuete scene giornaliere; la giovane piantata sotto quelle spire lignee, composta e paziente e quel teppista dal broncio facile abbarbicato sui rami come un cavaliere decaduto trincerato dietro ad una fila di merli diroccati.

Setsuna non era tipo da arrendersi tanto facilmente.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

Haruka piombò con la spalla contro una parete di roccia ordinando al suo corpo di riprendere fiato. Sentiva le gambe tremarle pericolosamente e conoscendo la condizione ancora non del tutto guarita delle sue ferite muscolari, cercò di non badare al suo stupido orgoglio concedendosi il tempo necessario per riprendersi da quell’interminabile salita. Era scesa alla stazione di Bellinzona già da un paio d’ore e se non si fosse data una mossa per arrivare alla baita ce ne avrebbe messe altrettante. Chiudendo gli occhi avvertì il suono dell’acqua del Riavena in lontananza, unito al frusciare delle fronde degli abeti ed al canto di un tenace fringuello alpino. Al senso dell’udito attivò quello dell’olfatto, inalando profondamente l’odore del vento carico dei funghi, della terra umida e della resina dei tronchi guardiani della sua foresta. In altre parole; casa. Era nuovamente a casa.

Ansimando un po’ e guardandosi intorno, riconobbe il posto sapendo che a circa un centinaio di metri, proprio nei pressi del torrente dov’era solita pescare, avrebbe trovato una delle tante fonti della zona. “Coraggio Haruka. Non manca molto.” S’incoraggiò sistemandosi meglio le cinghie dello zaino e riprendendo la marcia.

 

Giovanna lo guardò piegare la testa da un lato non capendo se quel mezzo lupo le facesse più tenerezza o rabbia. Quegli occhi tondi erano sicuramente simpatici e molto accattivanti, ma troppe volte sembravano volerla prendere in giro, come in quel momento, alla sua ennesima esca persa.

“Non ho neanche più la forza d’inquietarmi.” Masticò afferrando un altro lombrico fissandolo disgustata muoversi a scatti tra il pollice e l’indice.

“Flint, ribadisco che se volessi farmi dono di una qualsiasi preda commestibile io non ne sarei affatto dispiaciuta… anzi, sarebbe un modo carino per considerarsi dei vicini di casa quanto meno decenti.” Lo guardò alzarsi sniffando l’aria.

“Mi auguro che tu non stia avvertendo l’odore di orsi o malintenzionati.” Disse infilzando apaticamente la viscida creatura sull’amo mentre lui scattava il collo verso la penombra teso come un tamburo.

“Ecco… Adesso cos’avrà avvertito di tanto interessante…” Sospirò gettando il galleggiante nell’acqua vedendo il lupo correre rapido e sparire nel fitto del sottobosco.

Di qualunque cosa si fosse trattata a lei francamente poco avrebbe importato.

 

Stirandosi la colonna, finalmente rinfrescata la bionda sorrise soddisfatta e goduriosa. Seduta ed indecisa se mangiucchiarsi uno dei tanti panini preparatigli da Charlotte, si guardò accigliata le scarpe e l’orlo dei pantaloni completamente infangati.

“Mamma mia come mi sono ridotta.” Disse ridendoci su iniziando a massaggiarsi le cosce indolenzite. Oltre a tutto il resto, era dannatamente fuori esercizio e le pendenze delle sue montagne non perdonavano.

“Domani mattina avrò dolori dappertutto.” Prendendo il fazzoletto dalla tasca della giacca poggiata poco oltre, lo bagnò nella frescura dell’acqua passandoselo poi sul collo e sulle braccia.

“Mmmm, che meraviglia…” E poi lo vide.

La stava fissando a circa dieci metri. Un lupo dal pelo grigio come la selce, massiccio, dalle zampe robuste, occhi marroni che ricordavano le stecche di cioccolato che lei bramava sin da quando era bambina e sul muso una striscia più scura, praticamente nera, che gli correva dal tartufo del naso fin sopra le orecchie.

Alzandosi lentamente le riconobbe quelle orecchie, quel naso, quegli occhi, quel pelo tanto curioso da suggerirgli un nome come Flint. E lo chiamò.

“Flint… sei tu piccolo?!” Urlò nuovamente stupendosi di non essersi accorta di aver spalancato le braccia per accoglierne il passo rapido.

Con pochissimo lui la raggiunse saltandole addosso facendola cadere all’indietro. “Signore sei tu! Quanto sei cresciuto! Quanto sei bello!” Riuscì ad articolare tra una leccata e l’altra di una lingua bavosa che proprio non voleva lasciarla respirare. Ed unghie premute dappertutto, la coda scodinzolante più dannosa di una frusta e testate, tante e poderose testate d’entusiasmo.

“Fermati, fermati! Basta!” Disse ridendo cercando di allontanarne l’euforia.

“Guarda un po’! Mi hai graffiato tutte le braccia con queste zampacce. Ma che maniere!” Lui si scansò per lasciarla sedere più comodamente godendosi le carezze al collo.

“Sei riuscito a tornare qui da solo! Ma allora sei proprio un cucciolo grande adesso.” Lo sfotté abbracciandoselo stretto. Che splendida sorpresa aveva avuto dalla sorte.

Sentendo il contatto sciogliersi lo vide saltellarle davanti mentre si alzava facendo leva sugli avambracci. E come faceva sempre quando voleva attenzione, lui iniziò a sbatterle davanti le zampe anteriori intervallando un abbaio secco.

“Cosa vuoi!? Ma lo sai che sei cresciuto proprio tanto?” Infilandosi lo zaino alle spalle e prendendo la giacca, tornò a guardarlo orgogliosa come una madre.

“Dai… andiamo a casa.” Ma intenzionata ad andare verso il sentiero che li avrebbe condotti alla baita, lui la bloccò continuando a saltellare scattando a destra e a sinistra puntando quello che portava al Riavena. La ragazza se lo guardò aggrottando la fronte mentre prendeva a correre tra il chiaro scuro della luce finendo per sparire tra i cespugli.

“Ma dove vai?!”

 

Un si urlato al cielo seminascosto dalle fronde riecheggiò confondendosi con il rumore delle acque. Una trota, anche piuttosto grassa, iniziò a dimenarsi accanto ai suoi scarponi mentre lei se la guardava sorridendo tronfia. Il primo pesce pescato degno di questo nome ed a parte lo schifo che avrebbe provato nell'eviscerarlo, quella sera avrebbe mangiato come una regina. Da quando il galleggiante aveva cominciato ad andare affondo ritmicamente, Giò aveva avuto la sensazione che il vento stesse cambiando, che la fortuna fosse tornata e che la malinconia l'avesse abbandonata.

“Ma guarda! Questo pesce potrebbe rivaleggiare benissimo con quelli presi da Haruka ed Usagi.” Ridacchiò slamandolo ed accorgendosi di aver usato ben sette esche per catturarlo.

“Riconosci Giovanna di fare pena, ma ammetti anche di essere stata bravissima nel…” Catturata da una figura in lontananza, si bloccò lanciando poi lo sguardo al Mannlicher poggiato poco vicino.

Un uomo era apparso da dietro gli alberi fermandosi nella penombra. Gonfiando il petto strinse la canna nella destra attendendo. Non amava ricevere visite, perché in genere erano rogne. Gli occhi corsero ai pantaloni marroni come il gilè mezzo slacciato, alla camicia bianca dalle maniche arrotolate ed al cravattino scuro abbandonato sciolto con estrema noncuranza. Questo solo riuscì a vedere di lui. Indecisa, si coprì gli occhi con la sinistra vedendo poi Flint far capolino da dietro le gambe dello sconosciuto ed ebbe l’impressione di non riuscire più a respirare. Da quando conosceva quell’animale aveva visto solo tre persone riuscire ad avvicinarlo; Usagi, Michiru e naturalmente Haruka e solamente quest'ultima spingerlo a seguirla.

Chiudendo gli occhi s’impose di non essere infantile, di non pensarci nemmeno, perché sua sorella non c’era più e non poteva essere lei quella figura dai capelli dorati e dalle spalle fiere che ora le stava andando incontro in piena luce.

“Giovanna…” Si sentì chiamare mentre abbassando la testa sottilissime lacrime iniziavano a rigarle il viso.

Non pensarci, non pensarci… Si disse non avendo più il coraggio di guardare, perché se nel farlo non avesse più trovato quell’immagine, lei sarebbe ripiombata nello scoramento più profondo.

“Giò… Sei tu?!” Continuava ad avanzare Haruka sentendo il fiato corto ed un fremito lungo tutto il corpo. Cosa diamine ci faceva lei li!

Non pensarci, non pensarci… “No..., non può essere…” Disse la maggiore trovando finalmente la forza per ferirsi nuovamente le iridi alla luce.

“Giovanna.” Ancora quella voce, profonda e mai dimenticata e la bionda ormai ferma ad un paio di metri da lei.

Rimasero a guardarsi per secondi interminabili mentre i denti di Haruka forzavano gli uni contro gli altri e gli occhi di Giovanna non la smettevano di lacrimare indecentemente.

“Sei…”

“Viva? Si… così pare. - Rispose non riuscendo a fermare il tremore. - Ma come cavolo… ti sei vestita!?”

L’altra inalò ossigeno. “Ma senti chi parla! Sembri un damerino di città.” Controbatté schiarendosi la voce.

“Stz… Sei dimagrita.”

“Sei ingrassata.”

Non staccando gli occhi da quelli dell’altra, Haruka le arrivò davanti scuotendo leggermente la testa mentre una leggerissima carezza le sfiorava la pelle del viso.

”Sei tornata per darmi noia?”

“Può darsi.” E l’attrasse a se per abbracciarsela forte.

“Sei tornata…”

“Si…”

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccoci.

Abbiamo smascherato colei che aveva bussato alla porta della bionda e spero che non siate rimaste troppo deluse dallo scoprire che sotto i panni arcigni da “signorina Rottermaier” in realtà si cela un grande cuore.

Come spero che il fatto che Michiru in questo capitolo non sia apparsa pressoché per niente non induca a tirarmi qualcosa, perché di contro altare c’è l’entrata in scena di uno dei personaggi della signora Takeuchi per me più belli ed enigmatici, ovvero Setsuna. Avrei voluto cimentarmi a scrivere di lei già da tempo, ma non riuscivo a collocarla nei miei racconti e forse avevo anche un po’ paura di fare una toppata colossale.

Lo so ed ammetto che parlare nuovamente di psicanalisi potrebbe risultare un dejavu, perché ho già affrontato l’argomento in una delle mie ff e proprio con Michiru come protagonista, ma credo e spero che risulti chiara la differenza tra le due storie e le due situazioni.

Passando a quelle due deficienti: della serie “stemperiamo il momento catartico” dicendo a mia sorella una marea di fesserie ed ovvietà!

ciauuuu

 

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Capitolo 4
*** Il ricordo di te ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il ricordo di te

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

Aspettando l’imbrunire sedute sui gradini del portico, avevano goduto dei suoni della natura tutti intorno, come se i loro cuori necessitassero di un tempo più o meno lungo per stemperare la gioia che avevano provato nel ritrovarsi. Soprattutto quello di Giovanna, la cui convinzione sulla prematura morte della sorella l’aveva accompagnata per interminabili settimane, abbattendone lo spirito fino a sfiancarla e ridurla all’ombra di se stessa. Haruka su quella roccia se l’era abbracciata stretta, ascoltandone i singulti increduli e riconoscenti, capendo forse per la prima volta in quale inferno la maggiore avesse vissuto fino a quel momento. Poi si erano guardate sorridendo e sempre in silenzio avevano fatto ritorno alla baita sfinite ed affamate.

Giò allontanò il piatto puntando i gomiti al legno della tavola. Era da un’infinità di tempo che non mangiava così voracemente. La bionda non aveva perso il suo tocco culinario ed una volta provveduto a pulire ed arrostire la trota, si sentì pronta a rispondere a tutte le domande che la sorella le avrebbe inevitabilmente fatto. Erano passati quasi tre mesi dal crollo della diga di FullerGraft, ed era giusto che Haruka le spiegasse cosa l’avesse trattenuta dal far ritorno a casa.

Grattandosi la testa, iniziò a giocherellare con una posata. “Scusami.” Se ne uscì.

“Non preoccuparti Ruka, sono sicura che tu abbia delle motivazioni molto serie.” Disse capendo il disagio dell’altra ed avendo paura di sapere della sorte di Michiru.

“Ti starai chiedendo perché sono tornata a Bellinzona solo ora. - E guardandola di sottecchi continuò. - Sappi che appena ho potuto sono venuta a cercarti, ma non sono riuscita a trovare ne te ne tanto meno le ragazze.”

Giò sorrise mesta ammettendo che dopo le ore, i giorni spesi su e giù per quello che rimaneva del greto del fiume, ormai vinte dall’ineluttabilità degli eventi, il gruppo si era sciolto ed ognuna aveva preso strade diverse. Rei a Parigi, dove l’aveva seguita Usagi, Ami in Italia, al fronte, come crocerossina, Minako e Makoto verso il nord della Svizzera e lei, che in un primo momento aveva deciso di seguirle all’Ospedale riabilitativo di Muhleberg, all’ultimo momento non se l’era sentita, avvertendo la necessità di ritornarsene al sud, dove avrebbe avuto tutto il tempo per razionalizzare il lutto tra le cose che erano appertenute a sua sorella.

“Ho capito.” Disse Haruka poggiando il mento alle nocche delle mani.

“Ha del miracoloso che tu sia riuscita a scamparla. Quando le acque sono andate ritirandosi e la devastazione si è resa visibile, ho capito che le speranze di trovarti illesa non erano molte. Cos’è che ti ha impedito di disinnescare l’ultima miccia?” E nuovamente quella vigliaccheria che non riusciva a farle affrontare il discorso su Michiru.

“Kurzh…” Un livore le accese il verde degli occhi reso ancora più brillante dalle fiamme del camino poco lontano.

“Ero ad un passo dall’imitare Stefano strappando la miccia, quando quel bastardo me lo ha impedito sparandomi. Mi ha colpita al fianco ed ero sicura che mi avrebbe finita, ma evidentemente ha pensato bene di lasciare questo compito all’acqua innescando lo scoppio. Se non fosse stato per… - un sospiro e l’altra intese - per Michiru, io non sarei qui adesso.”

Sfiorandole il braccio con due dita Giovanna prese coraggio e le chiese cosa fosse successo all’amica.

“Non lo so. Quando mi ha trovata ferita, è riuscita a portarmi dietro ad una serie di rocce e alla mia richiesta di mettersi in salvo, testarda come sempre si è rifiutata di lasciarmi nonostante stessi perdendo un’infinità di sangue. Quando la dinamite è esplosa e l’acqua ha colpito il nostro riparo, mi ha stretta forte cercando di tenermi a galla il più allungo possibile. Non so dirti per quanto tempo siamo rimaste abbracciate, ne quanta strada abbiamo fatto spinte dalla corrente, ma ad un certo punto ho sentito chiaramente qualcosa colpirmi la schiena e ho perso sensibilità nelle gambe andando giù. Da li in avanti non ricordo che bolle d’acqua, scuro ed un rumore assordante nelle orecchie.”

“Vi abbiamo cercato per giorni, ma non abbiamo trovato alcuna traccia di voi. La popolazione lungo il fiume era letteralmente sconvolta ed il caos generato da un evento di tale portata, non ha certamente reso facile il reperimento d'informazioni utili.”

“Immagino. Mi hanno trovata a più di dieci chilometri dallo sbarramento. Ero incastrata tra un tronco d’albero e la riva e Dio solo sa come ha fatto il mio fisico a non cedere. Quando tre giorni dopo ho aperto gli occhi, ero più morta che viva. Oltre alla ferita d’arma da fuoco ero ricoperta di tagli, abrasioni, lividi ed il braccio sinistro rotto in tre punti, in più… “ La bionda deglutì cacciando rumorosamente l’aria fuori dalla bocca.

“In più?”

“In più non riuscivo più a muovere le gambe e questo poteva dipendere dal vasto ematoma che avevo sulla schiena. Per giorni ho creduto che se fossi riuscita a sopravvivere, non sarei stata più in grado di camminare. Ero disperata. Le notizie che la coppia di anziani che mi avevano trovata e che mi stavano accudendo, portavano giornalmente, parlavano di morti, feriti, intere famiglie smembrate che avevano perso tutto, campi ormai inservibili ed interi raccolti da buttare via. Mi vergogno di me Giovanna, ma… conciata com’ero e convinta che Michiru fosse morta, mi stavo lasciando andare, quando le voci sul ritrovamento di una ragazza ancora in vita mi hanno fatto nuovamente sperare.”

“O Ruka…”

“Dopo quella notizia e ricominciando a sentire un formicolio sempre più marcato ai piedi, ho ripreso lentamente le forze e quando dopo settimane di allettamento sono stata in grado di stare in piedi, ho dovuto imparare a camminare nuovamente, ed è stata una cosa lenta e parecchio dolorosa, nonché avvilente, perché il mio primo pensiero correva a lei, alla mia Michiru e non… non potevo fare nulla per sapere cosa le fosse successo. Quando sono stata sufficientemente forte ti ho cercata, ma di te, Stefano o le altre ragazze non c’era più traccia. Allora sono andata a Berna, sperando che magari Michiru fosse tornata a casa, ma…”

“Ma?”

Scuotendo la testa Haruka le fece intendere tutto e non rimase altro che concludere il suo racconto. Dalla trasformazione in ragazzo, al prendere servizio in quel palazzo come cameriere, alle notizie infruttuose che arrivavano a Viktor Kaiou, al suo concederle fiducia dandole l’incarico di cercare per suo conto tracce della figlia.

“Ed è per questo che sei tornata a Bellinzona?”

“Già. Sono convinta che potrei trovare notizie nella zona di Locarno, ed ho convinto il signor Kaiou ha lasciarmi provare. Ho la coincidenza dopodomani e ne ho approfittato per respirare un po’ l’aria dei boschi. Berna è soffocante.” Disse sorridendo mentre la maggiore si alzava dalla sedia andando verso il baule posto ai piedi del letto.

“Tu perché sei qui Giovanna? Se proprio dovevi tornare a Bellinzona avresti potuto vivere comodamente a casa, in città, invece di trasformarti in una troglodita e scusami se te lo faccio notare, ma non credo sia una vita che ti si addica molto. Ed io che già ti vedevo sposata con Stefano in attesa del vostro primo figlio.” Cercò di buttarla sul ridere non avendo che un’occhiataccia di risposta.

“Non essere sciocca. Mentre Astorri ha ricevuto un encomio per essere stato tra quelli che hanno tentato di fermare Daniel Kurzh riuscendo a disinnescare una delle due cariche che hanno squarciato la diga, sulla mia testa pende ancora quella benedetta accusa per furto. Ti ricordi? Eccoti la spiegazione del mio vivere da eremita. L’ordine di cattura che aveva quel Dragone può anche essere stato distrutto, ma proprio in virtù del suo arresto, io non sono stata affatto scagionata e di fatto sono ancora una ricercata."

Stringendo le labbra poco convinta Haruka la guardò tirare fuori dal baule una custodia di raso scuro e sentì un fremito.

“Ma quello è…”

“Si Ruka. Il suo violino. Prima di rimettermi in viaggio per Bellinzona sono passata ad Altdorf, all’albergo dove Michiru ci aveva detto di averlo dovuto lasciare e così… eccolo qua.” Glielo porse contenta del sorriso luminoso che stava inondando quel bel viso da santa nordica.

“Quanto abbiamo discusso perché ce lo aveva sempre fra le mani.”

“E quante sconfitte hai ricevuto a suo vantaggio. Michiru era l’unica a farti stare a cuccia.”

Facendo una smorfia, l’altra deviò la commozione che stava provando a quei ricordi chiedendole che fine avesse fatto Stefano e del perché non avessero iniziato una vita insieme.

“Diciamo che, anche sapendo benissimo quanto questo sia stupido ed irrazionale, io non sia ancora riuscita a perdonarlo per avermi impedito di venire a soccorrerti.”

“Se ha avuto questa prontezza allora ha fatto bene Giovanna.”

“Si, ma mettiti nei miei panni e cerca di capire cosa posso aver provato nel sentirmi addosso una tale impotenza e comunque dopo essermi rassegnata alla vostra scomparsa, avevo bisogno di spazi miei e lui non poteva darmeli. In ogni caso ha deciso di partire per il fronte francese senza neanche degnarsi di chiedermi cosa ne pensassi.”

“Giovanna, quell’uomo ha aspettato per più di un anno che ti decidessi ad aprirti al suo amore.” Ma l’altra non rispose alla provocazione, anzi, indicandole di aprire la custodia l’imitò nello spostare il discorso su terreni meno sentimentalmente “pericolosi”.

Quando il diario che Michiru era solita scrivere nelle pause dalla marcia apparve agli occhi della bionda, questi ultimi si dilatarono e nell’afferrarlo le mani ebbero una specie di spasmo.

“Lo riconosci non è vero?”

“Dove diavolo lo hai trovato!?”

“E’ stata Minako a darmelo trovandolo nello zaino di Kaiou. Me lo ha affidato forse nella speranza che un giorno… Bè hai capito.”

Haruka se lo rigirò tra le mani aprendolo a caso. All’apparire di quella scrittura ordinata ed elegante, sorrise ricordando quella dea meravigliosa seduta dove capitava e quando poteva, scrivere concentrata i suoi pensieri, le sue idee e gli avvenimenti della giornata. Non appena la prima frase venne catturata dallo sguardo e formulata nella testa, la bionda richiuse immediatamente il volume bofonchiando un non posso che fece aggrottare la fronte della sorella.

“Che c’è?!”

“Non posso leggere il suo diario! Mi sembrerebbe di tradirla.”

Risedendosi Giovanna le diede ragione, aggiungendo però che in situazioni al limite come quella, per chi rimaneva poteva essere una sorta di profanazione liberatoria. Un aiuto.

“Devo confessarti una cosa Ruka. Io per prima mi sono trovata a leggere i tuoi diari e non perché volessi imitare l’azione viscida che compì nostro padre quando scoprì della tua omosessualità, ma… perché ne avevo un gran bisogno, te lo assicuro e nel farlo mi sono sentita un po’ meno sola ed a volte avevo l’impressione che tu fossi qui con me. Ho anche scoperto lati di te che non conoscevo veramente; teneri, coraggiosi, insospettabili.”

Per una frazione di secondo lo sguardo dell’altra la penetrò freddo per poi addolcirsi nuovamente.

“Scusa.”

Sbuffando la bionda tirò su con le spalle ammettendo che avrebbe dovuto bruciarle quelle fesserie invece che lasciarle in giro.

“Non sono affatto fesserie! Sei tu!”

“Va bene, va bene, lasciamo perdere. Comunque, cosa pensi di fare?” Chiese a bruciapelo fissando il volumetto.

Interdetta l’altra sbatté le palpebre chiedendo spiegazioni.

“E’ chiaro che da sola non sai cavartela e l’inverno qui non perdona Giovanna. Perciò ti chiedo, cosa vuoi fare? Rimanere a morirti di fame o aiutarmi nella ricerca di Michi?”

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 17/9/1915

 

La notte rischiarata da una luna calante quasi del tutto formata era silenziosa e tranquilla mentre l’ombra fulminea si aggirava tra il seminterrato e la cucina. I passi cigolanti dal ritmo ipnotico e sinistro andavano a fondersi con il sibilo della corrente che si rincorreva tra i cardini delle porte della dispensa e della mensa, mentre un delitto pressoché perfetto andava compiendosi ai danni delle scorte alimentari dell’ospedale.

 

 

L’indomani mattina strepitii da zuffa riecheggiarono per i corridoi del corpo principale.

“Non sono stato io! Non sono stato io!” Urlò nuovamente tirando calci peggio di un somaro sul battuto di una fiera mentre le mani poderose di un inserviente gli bloccavano le braccia dietro alla schiena.

“Stai fermo brutto teppista!” Ringhiò l’uomo cercando di non farsi colpire dagli scatti tarantolati di Sigmund.

“Lasciatemi!”

“No, finché non ammetterai di essere stato tu! E ora datti una calmata prima che te le dia.”

“Io non c’entro niente, stupido idiota! E lasciatemi…” Una tacchettata alla tibia ed il ragazzino si sentì finalmente libero di fuggire.

“Bastardo tedesco di mer…”

"Cosa sta succedendo qui?!” Michiru comparve sulla porta della mensa bloccando sul nascere la corsa del bambino.

“Signorina Buonfronte …” Disse l’uomo mettendosi quasi sull’attenti. Di animo semplice provava soggezione di fronte a donne di quella classe.

Abbracciando forte Sigi cercò di calmarlo mentre prendeva ad osservare l’inserviente con un misto di rimprovero e sdegno. “Si può sapere che cos’è tutto questo fracasso? Fino a prova contraria questo è un ospedale! E tu stai buono…” Sussurrò sentendolo tremare di rabbia.

“Questa notte il ragazzino ha rubato in dispensa.”

“Vi ho detto che non sono stato io!” Urlò nuovamente avvertendo dolore alle corde vocali mentre lacrime di frustrazione iniziavano a rigargli le guance.

“A si? E allora perché ti ho pizzicato gironzolare vicino alla cucina? Non sei tu che chiedi sempre di mangiare fuori dall’orario dei pasti?”

“Non è una scusa sufficiente per incolpare una persona.” Attirata dal gran trambusto la dottoressa Meiou venne avanti sicura guardando l’uomo dallo sguardo acquoso.

“Ma dottoressa, chi altri può essere stato se non lui?”

“Cos’è stato rubato sentiamo.”

L’uomo ci pensò su per poi iniziare ad elencare una serie di generi alimentari tra i quali un prosciutto e ben due formaggi.

“Perfetto e secondo voi che se ne farebbe un bambino di tanto cibo?”

“Potrebbe benissimo venderlo al mercato nero!”

“No!” Strillò Sigmund divincolandosi nell’abbraccio di Michiru.

“Non ho bisogno di vendere il cibo per sfamare la mia famiglia!” E con uno strattone abbastanza violento che colpì Michiru sotto al mento riuscì a sciogliersi scappando via come inseguito dal diavolo in persona.

I tre lo guardarono dileguarsi tra il chiaro scuro del corridoio.

“Visto signorine?! Se fosse stato innocente non si sarebbe comportato così!”

Setsuna lo gelò ordinandogli di tacere. “Che questa storia rimanga e finisca qui. Ricordatevi che quel bambino è un paziente della struttura ed esigo che sia trattato con rispetto e considerazione. Non voglio che il Dottor Grafft venga scomodato. Nel caso dovessi ritenere la cosa rilevante sarò io ad informarlo. Sono stata chiara?!”

Piatta e diretta lo vide chinare la testa ed arretrare come una bestia domata per poi imboccare le cucine. Sicuramente quella storia avrebbe avuto ripercussioni su tutta la struttura se non fosse riuscita a bloccarne subito il pettegolezzo.

Michiru si alzò da terra sistemandosi la gonna del vestito mentre l’altra le chiedeva come stesse. “Tutto bene, ma questa storia non mi piace dottoressa Meiou.”

“Sono d’accordo. Inoltre credo non vi sia sfuggita quell’ultima frase, non è così Milena?!” Vide l’altra socchiudere gli occhi e finalmente capì come avrebbe agito nei riguardi di quei due pazienti. Kaiou poteva rivelarsi un’eccellente collaboratrice involontaria e proprio grazie a quel furto ora Setsuna poteva iniziare la sua personale opera di comprensione. Almeno nei riguardi del bambino.

“Cosa intendete supporre dottoressa, che Sigi non abbia affatto perduto la memoria?”

“No, non dico questo, ma è più che chiaro che quel ragazzino ci stia nascondendo qualcosa, non trovate?”

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale

 

Quando Haruka riemerse dal sonno non si rese subito conto di dove si trovasse. Colpita dall’odore di resina proveniente dalle mura della baita e da quello della fuliggine che il camino le aveva lasciato sulla pelle del viso e delle braccia, sentì di aver raggiunto nuovamente una sorta di fragile serenità interiore che l’aveva spinta a riposare bene dopo un’infinità di tempo. Niente incubi, angoscia notturna o palpitazioni dovute alle immagini dell’acqua e del fango che quasi ogni notte tornavano a schiaffeggiarla. Era finalmente riposata e pronta per un nuovo giorno.

Sbadigliando si stiracchiò provando un gran calore proveniente dalla sua sinistra ed un peso sulla spalla. Girandosi si accorse di Giovanna premuta contro. Per non rischiare di svegliarla restò inattiva per qualche minuto pensando alle infinità di cose da fare prima della partenza, come il mettere ordine, il chiudere per bene la baita e prepararla per le nevicate invernali. Non sapeva per quanto l’avrebbe lasciata, se per un paio di settimane, di mesi o per sempre e nell’eventualità che non fosse riuscita a tornare in tempi brevi non poteva lasciarla abbandonata. Una volta costruito il programma delle faccende si allungò nuovamente alzandosi a sedere pronta per scavallare la sorella e scendere, quando qualcosa arpionato all’altezza dell’ombelico la bloccò.

Ma cosa diamine è?! Pensò alzando la coperta e scoprendo la mano dell’altra serrata alla sua maglia.

Forse credendo che il ritorno di Haruka potesse essere frutto di un grottesco scherzo del suo subconscio, o per semplice istinto, la maggiore le aveva afferrato un lembo di cotone come a voler essere sicura di ritrovarla al suo risveglio. Sbuffando la bionda forzò quella morsa desiderosa di andarsi a lavare e sgattaiolando fuori, si richiuse silenziosamente la porta alle spalle non prima di aver afferrato il diario di Michiru. Trovò Flint davanti alle scale ad aspettarla fermo al primo sole del mattino. Forse per la presenza di Giovanna o per una vena selvatica che senza il tocco della bionda aveva ormai acquisito, non aveva voluto entrare al caldo, dileguandosi nella notte per ululare alla luna poco oltre il passo.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 25/5/1915

 

Non avrei mai creduto che potesse esistere una persona tanto testarda, egocentrica e spavalda! Quella Haruka Tenou è… Non so neanche io come poterla chiamare senza rischiare di essere volgare! Ho attinto a tutta la pazienza e all’autocontrollo insegnatomi da mia madre per non esploderle in faccia e dirle cosa realmente penso di lei! Testarda. Testarda. Testarda.

Forse è la sua smisurata bellezza a spingerla a trattarmi come una stupida ragazzina di città o il fascino statuario che sembra innalzarla sul piedistallo di un Olimpo nordico che la porta a pensare erroneamente di sapere tutto, non lo so, ma si è permessa di ridicolizzare le mie idee neanche fossi una poppante in fasce! Testarda! Testarda e cafona.

M.K.

 

Haruka sbottò a ridere serrando gli occhi. Lo sapeva che durante il loro primo incontro (e scontro), Kaiou non era rimasta illesa dal magnetismo del suo sguardo, ma trovarlo scritto di suo pugno non poteva che farle un grandissimo piacere. Certo in quella notte la guida non aveva dato proprio un grande esempio di apertura mentale nel rifiutarsi a priori di aiutare le ragazze a valicare le Alpi, ma addirittura essere etichettata come testarda e cafona

E pensare che tutto mi sentivo tranne che spavalda Michi mia. Ero terrorizzata dalla tua bellezza e me lo sentivo che mi sarei andata ad impelagare in una cosa più grande di me, pensò sfogliando alcune pagine.

 

 

Paese di Tilone - Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 15/6/1915

 

Non posso credere che stia succedendo tutto questo. Daniel mi ha trovata e non appena gli ho confessato di voler rompere il fidanzamento, perché il mio cuore ormai non gli appartiene più, con un bieco ricatto domani mi costringerà a seguirlo a Berna, dove con molta probabilità mi imporrà il matrimonio prima della fine dell’estate. Quanto vorrei poter scappare via, lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare una nuova vita con la mia Ruka. Invece non soltanto non sarà possibile, ma sarò costretta a non vederla mai più.

Sono appena tornata dalla sua stanza. Ho dovuto ferirla. Dirle che non l’amo. Accampare scuse assurde tentando di essere il più convincente possibile.

I suoi occhi! Dio mio quanto erano tristi e delusi i suoi occhi.

Amore mio perdonami, ti prego. Non avrei mai e poi mai pensato di dovermi spingere a questo, ma non voglio che per colpa mia Giovanna debba pagare per il semplice fatto di avere aiutato me e le ragazze.

Mi sento morire se penso che dovrò passare ogni singola notte sola con quell’uomo. Che il Signore mi dia la forza per sopportare tutto questo.

M.K.

 

Deglutendo Haruka chiuse il diario tirando su con il naso. Con Michiru non era più capitato di riparlare di quella notte, quando viso contro viso, la bionda aveva ricevuto una serie di stilettate pressoché ferali da parte di una Kaiou fredda, determinata, mai vacillante nel seguire quell’intimo schema protettivo che avrebbe portato le sorelle Tenou lontano dalle grinfie di Daniel Kurzh.

Quanto doveva aver sofferto nel prendere la decisione di seguirlo, quanta disperazione poteva aver provato nel sapersi prigioniera, trattata come un oggetto nelle mani di un egocentrico omuncolo dal cuore avvizzito.

Povera la mia Michiru, pensò riaprendo il diario alla pagina successiva.

 

Città di Altdorf – Lago dei Quattro Cantoni

Svizzera centrale – 17/6/1915

 

Sto fremendo. E’ quasi ora. Sto aspettando che Stefano mi faccia avere i vestiti e poi sarò libera di tornare dalla mia Ruka. Non so dove potremmo incontrarci, ma sicuramente sarà già nei paraggi.

Oggi ci siamo viste. Era bellissima con quei capelli sempre arruffati, le maniche della camicia perennemente tirate su fino al gomito, il colletto slacciato. E’ riuscita a sabotare l’Alfa che Daniel aveva affittato per arrivare prima a Lucerna. E’ stata semplicemente incredibile! Amo quella donna da impazzire.

Ammetto di avere una gran paura di fallire, ma ce la farò. Scenderò da questa finestra e scapperò via! Mi dispiace solo che dovrò lasciare qui il mio violino. E’ un ricordo di mio nonno, ma non importa. Non posso portarlo con me.

M.K.

 

Svizzera centrale – 18/6/1915

 

E’ quasi ora di ripartire. Questa notte perfetta che ci ha viste unite per la prima volta sta per finire ed io non so come ringraziare il cielo per avermi dato la possibilità di viverla fino in fondo.

Haruka è l’essere più bello e puro che abbia mai conosciuto. Da quando sono stata sufficientemente grande da sapere cosa aspettarmi dalla prima notte di nozze ho provato paura nell’attesa, ma in queste ore è stato tutto così perfetto e semplice da lasciarmi quasi disorientata. Forse perché siamo due donne, non lo so, ma l’amore con lei è stato dolcissimo ed appagante.

Sono semplicemente e puramente innamorata!

M.K.

 

Sorridendo la bionda ricordò quell’interinabile giornata fatta di colpi di scena, cambiamenti di programma, fughe, acqua caduta dal cielo a catinelle e amore. Amore con la A maiuscola, dato, ricevuto, fuso tra la carne e lo spirito di due anime finalmente unitesi per non lasciarsi più.

“E invece quel bastardo alla fine è riuscito a dividerci!”

“A qui sei!?” Giovanna la vide sussultare godendo infidamente per la rivincita di quella prima mattina. Così imparava a sgattaiolare via facendole prendere un colpo al suo risveglio.

“Non ti ho sentita arrivare.” Disse guardandola prendere la bacinella con la quale era solita lavarsi posizionandola con cura sotto il getto della fonte. Ci aveva messo un po’ per abituarsi a quell’acqua ghiacciata che sgorgava libera dietro alla baita, ma adesso non riusciva quasi più a farne a meno.

Togliendosi la maglietta Giò prese il sapone lasciato sulla roccia dall’altra iniziando a lavarsi.

“Cosa stavi facendo?” Chiese.

“Non lo vedi? Quello che in teoria non dovrei fare, ma anche per colpa tua sto facendo!”

Giò la guardò alzando le sopracciglia. Colpa sua? “Non mi sembra di averti costretta.”

“Finiscila. Lo sai cosa intendo dire. Non voglio avere nulla che mi accomuni a Sebastiano, inclusa una cosa tanto abietta come leggere i pensieri di un’altra persona senza permesso.”

“Tu non sei nostro padre, anche se non puoi negare di assomigliargli molto. Comunque quello che fece lui con il tuo diario non ha nulla a che vedere con quello che stai facendo tu con quello di Michiru. Ne con quello che ho fatto io. Ne hai bisogno. Come ne ho avuto bisogno io.” Finì di asciugarsi sedendole accanto.

“Sii più indulgente verso te stessa Ruka. Datti un po’ di tregua.”

La vide poggiarsi una mano sul viso. “E se non dovessimo trovarla? Se tutte le mie congetture fossero solo un inganno? Se fosse morta? Se la mia Michi fosse morta… allora cosa mi resterebbe Giovanna?”

“Haruka…”

“Leggere questo diario è peggio. Molte sensazioni le avevo rimosse.”

L’altra soffiò aria spostando lo sguardo. A questo non aveva pensato. Lei e la sorella avevano due modi molto diversi di affrontare il dolore. Mentre per Giò il ricordo, il crogiolarsi più o meno lungamente nella sofferenza era necessario, per Haruka invece era il movimento e non l’apatia la panacea ad una perdita. Continuare a rimuginare sopra le cose con lei non serviva.

“Credevo di far bene. Dannazione!” Si sentì premuto il diario al grembo e mentre la bionda si alzava la scusò anche se di malavoglia.

“Non importa. Ognuna reagisce alla sofferenza in maniera diversa. Anche da ragazzine, ricordi? Una volta in punizione, tu rimanevi a piagnucolare nella nostra camera, mentre io prendevo la strada della fuga attraverso la finestra.”

“Io non ho mai piagnucolato!” E vedendola alzare una mano la sentì ridacchiare beffardamente.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Ho provato questa cosa per me nuova del far apparire Michiru anche tramite i pensieri scritti nel suo diario e la cosa mi è piaciuta parecchio, primo perché così facendo ho riallacciato il filo (rosso) spezzato con Haruka nell’ultima parte del racconto precedente e poi perché mi intriga parlare ogni tanto in prima persona.

Setsuna invece ha trovato la prima crepa nella corazza di Sigi. Mi domando se quel teppistello sia veramente lo smemorato che vuol far credere. Non so, vedremo. Chissà se è stato proprio lui ha compiere il furto del cibo. Certo di fame ne tiene parecchia.

Nel prossimo capitolo inizierò a fare apparire maggiormente Kaiou. Perciò abbiate un pochino di pazienza. :)

Un bacione e a presto.

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Come un'onda ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Come un’onda

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 18/9/1915

 

 

“Io non ho mai piagnucolato!”

Quella storia proprio non le andava giù! Con un veloce movimento del braccio, Giovanna infilzò l’ennesimo chiodo sull'asse che avrebbe protetto le ante della finestra durante l'inverno, sentendo Haruka borbottare qualcosa di non molto comprensibile riferito al suo essere diventata insopportabilmente appiccicosa.

“Che poi sei sempre stata tu la mammona della famiglia. Forza passami un’altro chiodo.” Disse la maggiore con aria scocciata.

“E allora perché continui a rimuginarci sopra! Sono due ore che insisti con questa storia. Se vuoi che ti dia ragione; ebbene… si, ce l’hai. Ora diamoci una mossa. Siamo già in ritardo sul programma delle cose da fare prima di partire.”

“Mmmm…” Alzando gli occhi al cielo l'altra colpì violentemente la testa inchiodando anche l’ultimo angolo rimasto. Che caratteraccio. Aveva notato come l’assenza di Michiru avesse scatenato in Haruka una testardaggine se possibile, ancora più marcata di prima e come un'onda, l’intrattabilità della sorella andava e veniva a più riprese snervando anche lei.

“Devo ammettere che se come cacciatrice e pescatrice fai schifo, come carpentiere non sei affatto male.” Disse seria Haruka.

“Incredibile! Un complimento! Che cos’altro abbiamo da fare?”

“Ci rimangono piccole cose, ma ora vorrei concentrarmi sul tuo cambio d’immagine.”

Voltandosi verso la bionda ed arretrando il tronco di qualche centimetro, la guardò intuendo. Neanche morta! “Non ho intenzione di viaggiare con uno degli abiti delle ragazze calzato addosso e sia chiaro Haruka, questa volta non mi costringerai a cedere.”

“Non puoi certo andare in giro così.” Disse l’altra indicando con il mento quello che una volta era stato il suo maglione preferito e che di fatto, era diventato una proprietà esclusiva della maggiore.

“Sembra che tu ti ci sia ristretta dentro. Ti rammento che dovremmo dare nell’occhio il meno possibile, perciò…” Aprendo la porta entrò nella baita.

Giovanna la seguì preoccupata. “Perciò?!”

“Perciò scegli. Ami o Usagi. Gli indumenti di Mina sono troppo leziosi e quelli di Rei o Makoto, troppo grandi. Coraggio! Apri quelle valige e scegline uno, ma vedi di far presto, voglio andare a pescare qualcosa prima di cena.”

“E allora vai, chi ti trattiene!”

“Mi trattiene il fatto che se mi allontanassi anche solo di qualche passo so che non combineresti nulla. Sei lenta!"

“Senti chi parla! Nostra signora della frangia perfetta!”

“Giovanna muoviti!”

“Non viaggerò in gonna!”

“E allora resterai qui. Non ho tempo da perdere con queste pupesche ostinazioni!” Ed afferrando la canna, Haruka imboccò la porta e con passo militaresco se ne andò con Flint al fianco verso il torrente.

Dannazione quanto sei intrattabile, pensò la maggiore avendo l’ennesima conferma dell’evidente chiusura mentale di una bionda completamente fuori calibro.

Non era solamente la pressione di dover cercare Michiru a farla reagire sempre bruscamente se non le si dava ragione, ma tutto il contesto. La famiglia Kaiou contava su di lei e per “famiglia” non s'intendeva solamente i genitori della ragazza, ma anche tutti coloro che provavano per lei un affetto profondo e sincero. Poi c’era la questione del suo fingersi uomo, che spingeva Haruka a gesti e comportamentali non sempre facili e a fasce di contenzione premute al petto scomode ed innaturali. Inoltre se nel prendere servizio presso il signor Viktor non aveva dovuto esibire alcun documento di riconoscimento, chi le garantiva che da li in avanti e con una guerra in corso, non ne avrebbe avuto bisogno? E Flint? Non poteva certo portarlo con loro, ne tanto meno legarlo da qualche parte.

Sospirando Giovanna guardò i bagagli delle ragazze lasciati in un angolo. Avrebbe dovuto piegarsi ancora una volta o scatenare l’inferno in terra?

 

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Dritta come un fuso dietro una delle finestre della sua stanza, Setsuna Maiou aggrottò le sopracciglia scure serrando le dita ai bicipiti. Che cos’era quella storia? Ferma nello spiazzo dalla parte opposta del vetro, riparata da un angolo del muro della struttura della degenza femminile, Milena Buonfronte, alias Michiru Kaiou, se ne stava immobile acquattata nell’ombra del crepuscolo fissando il corpo della mensa posto ad una ventina di metri da lei. Non accortasi d’essere osservata, dopo aver raggiunto la sua personalissima postazione di guardia, si era fermata in attesa di qualcosa o di qualcuno ed ora guardinga restava vigile. La dottoressa inspirò pesantemente socchiudendo gli occhi. Che strano, sentiva di aver mancato. Mai possibile che non avesse inquadrato prima la situazione sentimentale che stava coinvolgendo il cuore della giovane insegnante?

“Chi state aspettando con tanta impazienza Michiru?” Disse tra se e se rimanendo nella semi oscurità del suo riparo.

Aveva notato molto chiaramente che nelle ultime settimane tra la ragazza ed il giovane Wolfgang Aino era nata una certa simpatia che li portava spesso a passare insieme ore a disquisire, ma non avrebbe mai creduto che la loro conoscenza fosse già arrivata al punto d’innescare veri e propri incontri clandestini. Era infatti severamente vietato vedersi dopo l’orario della cena, soprattutto all’esterno delle strutture. Eppure Minako era stata abbastanza chiara con la dottoressa. Secondo lei l’insegnante aveva già il cuore impegnato da una persona ed anche se i ricordi tardavano a riemergere, la viennese era più che convinta che Michiru non avrebbe permesso a nessuno di avvicinarla. Questo, unito al suo efficientissimo intuito, aveva avvallato la convinzione di Setsuna che il blocco mentale di Kaiou potesse additarsi al cieco terrore di ricordare la definitiva scomparsa di quel folle amore. Le due ne avevano parlato allungo nei giorni successivi al ricovero dell'insegnante e la dottoressa era stata d’accordo nell’additare quell’amnesia scaturita da un evento fisicamente traumatico, anche ad una forzatura mentale.

“Ed ora invece cosa mi combinate signorina?” Strinse le labbra non capendo.

Si sentiva stranamente indispettita. Era la necessità di comprendere cosa le stesse sfuggendo o qualcosa di profondamente diverso e per lei inaspettato? Era forse gelosa? Perché Setzuna si sentiva nello stomaco una morsa tanto particolare? Provava invidia per l’affetto che poteva essere nato tra due giovani anime sole, lei che si era sempre rifiutata di “perdere tempo” dietro a tali semplici ed umane fantasie? Lei che aveva dedicato anima e corpo alla medicina, ergendola sul piedistallo di un unico vero, grande amore?

Aveva dovuto sacrificare tutto per arrivare dov’era e avrebbe dovuto continuare a farlo, lo sapeva, lo aveva messo in conto ponderando linearmente le sue scelte. Ma se così fosse realmente stato, dall’alto della sua rettitudine avrebbe provato compassione verso se stessa e quella fragilità femminile che proprio non poteva permettersi di avere.

Strofinandosi la fronte sorrise di se tornando ad osservare la scena. Dopo qualche secondo Michiru uscì dalla penombra del crepuscolo attirata da qualcosa e muovendosi con circospezione si diresse verso una delle due porte della mensa. La dottoressa non perse tempo scattando fuori dalla sua stanza. Qualunque cosa avesse trovato in quegli ambienti non sarebbe stata affatto contenta.

Michiru abbassò la maniglia scivolando all’interno. Dopo quel lungo appostamento lo aveva visto entrare furtivo e ratto come una biscia ed ora pretendeva spiegazioni esaurienti. Ma come?! Lo aveva difeso contro tutto e tutti ritrovandosi a seguirlo proprio sul luogo del misfatto? Sentendo un rumore proveniente dalla sua sinistra si abbassò di colpo accovacciandosi tra un paio di sedie di uno dei tavoli rotondi che ospitavano i pasti delle degenze meno abbienti. Rimanendo sempre silenziosamente inginocchiata sul freddo marmo della sala attese che la porta della cucina si aprisse e qualcuno vi entrasse richiudendosela alle spalle.

Facendosi coraggio iniziò a gattonare tra le zampe del tavolo quando qualcosa di duro le urtò la fronte. Il giorno precedente aveva finalmente tolto le bende, ma il taglio al cuoio capelluto era ancora abbastanza sensibile. Le uscì un mugolio doloroso mentre la luce artificiale scaturita dall’impianto elettrico la costringeva a chiudere gli occhi dal fastidio. Una volta riaperti vide quelli increduli e spaventati di colui per il quale era ancora carponi a terra.

“Sigmund!”

“Milena?!”

“Signorina Buonfronte!”

“Dottoressa Meiou?!” Dissero all’unisono i due iniziando a fissarsi alternativamente.

“Alzatevi immediatamente da terra. Mi dovete una spiegazione!” Setsuna li fissò gelida.

Se solamente qualche minuto prima aveva creduto ad un rendez vous amoroso tra la ragazza e il giovane Aino, ora il pensare che potesse essere lei l’artefice del furto nella dispensa, non soltanto la stupiva, ma la deludeva incredibilmente. Così prima di trinciar giudizi attese .

“Che ci fai qui?!” Chiese il bambino all’insegnante non calcolando affatto le richieste dell’altra donna.

“TU cosa ci fai qui!?”

“Mi stavi seguendo? Allora pensi anche tu che sia io il ladro!?” Vomitò il ragazzino alzando pericolosamente il tono di voce.

“Stai calmo e dimmi perché, invece di andare a dormire, ti stavi aggirando nel giardino.”

“Lo faccio tutte le sere!”

“Allora come hai fatto ad entrare se la porta della mensa la notte viene sempre chiusa a chiave?”

“Semplicemente perché non lo era affatto. Ho visto un uomo entrare e l’ho seguito.”

“Io non ho visto nessuno.”

“Il problema è solo tuo!”

“Sigmund!”

“Basta!” Intervenne la dottoressa.

O quei due erano degli attori formidabili o con il furto non c’entravano assolutamente nulla e se da una parte la cosa le faceva un gran piacere, dall’altra complicava tutto a dismisura. Chi era dunque il ladro? E aveva dei complici? Poi un rumore sordo proveniente dall’altro ambiente, molto probabilmente delle pentole urtate l’una contro l’altra, spinsero il bambino ad avventarsi sulla porta della cucina ormai serrata a chiave dall’interno.

“Si è chiuso dentro quel furfante rognoso!”

Setsuna conosceva perfettamente ogni ala dell’ospedale e fu lesta a ricordarsi com’era fatto l’altro ambiente e a correre verso le finestre che si aprivano alla sua destra. Li vide un’ombra correre via attraverso il prato.

“E’ uscito dalla porta sul retro. Seguiamolo!” Disse staccando i palmi dalla mensola scattando con Michiru e Sigmund all’aperto.

Usciti iniziarono a correre tutti e tre intravedendo la sagoma scura di quello che doveva essere per forza un uomo ed anche piuttosto piazzato. Nello stargli dietro la dottoressa ebbe l’impressione di averne già visto le spalle. Possibile che si trattasse di uno degli inservienti che lavoravano alla struttura? Eppure sapeva che per entrare a servizio in quella delicata struttura medica si dovessero possedere delle credenziali abbastanza impegnative. Aggirando una panchina di pietra che Sigmund saltò invece agilmente le due donne si ritrovarono a corto di fiato ed in una zona del parco lontana dalle strutture. Le prime gocce di un cielo plumbeo iniziarono a cadere quando Setsuna decise di fermarsi.

“Non si vede ad un palmo di naso. Rischiamo di farci male. Torniamo indietro. Chiunque fosse avrà già raggiunto e scavalcato il muro di cinta.” Ordinò sperando che quel teppistello biondo per una volta le desse retta.

Ed in effetti con sua gran sorpresa Sigmund arrestò la corsa seguendo le sue direttive. “Dottoressa Maiou io quello l’ho conosco!” Urlò indicando l’oscurità con l’indice tutto eccitato.

“Lo hai visto in faccia?” Chiese lei vedendolo negare interdetto.

“E allora non puoi incolpare nessuno.”

“Ma… Sono sicuro di quello che dico. E’…”

“Sigmund!” Lo bloccò piatta. Il suo retaggio statunitense scattò tacitando il ragazzino. Nessuno era colpevole fino a prova contraria.

“Ci sarà modo e tempo per verificare ciò che affermi, ma non ora. E’ meglio tornare e riposarsi un po’. Sta iniziando a piovere forte. Milena?” Consigliò non potendo certo immaginare cosa il binomio pioggia-oscurità stesse per scatenare nell’altra.

Fissandola preoccupato il ragazzino le andò accanto intuendo.

“Che cos’hai? Il solito mal di testa?” Preoccupato le afferrò una mano.

Scusami. Ho bisogno di riprendere un po' di fiato.”

Stai tranquilla, riposa pure, ma togliti quei vestiti o ti verrà un accidente.”

“Signorina Buonfronte tutto bene?” Setsuna imitò Sigi. Era bianca come uno spettro nonostante la corsa.

Che c'è?! Stai male? Guardati! Togliti questa roba fradicia ti ho detto.”

“Si. - Rispose con un filo di voce. - Non è nulla.” La ferita alla testa le pulsava insopportabilmente. Guardò allora la donna più grande chiedendo tacito soccorso.

“Non preoccupatevi Milena. Adesso rientriamo. Vi darò qualcosa che vi aiuti a dormire.”

L’indomani Setsuna avrebbe iniziato la sua personale opera investigativa ed il ladro non l’avrebbe passata liscia.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 19/9/1915

 

Giovanna apparve sulla porta vestita di tutto punto e con una leggerissima vena omicida nello sguardo. Semplicissimo eufemismo per sottolineare quanto poco le andasse a genio quell’abbigliamento. Per salvare “capra e cavoli” conciliando la sua salute mentale con il precario equilibrio umorale della sorella, aveva scelto il guardaroba di Ami, sapendo che lì avrebbe trovato sicuramente qualcosa di più adatto a lei ed alle sue esigenze di movimento. L’infermiera infatti era un tipo spiccio, soprattutto grazie al suo lavoro e non sarebbe mai andata in giro con merletti, colori sgargianti o cappellini all’ultimo grido. Così la ragazza aveva trovato un sobrio e pratico completo blu scuro, dove ad una gonna pantalone faceva da pan dance una giacchina attillata senza quelle assurde maniche a sbuffo che tanto amavano Usagi e Minako. Una camicetta bianca ed un cravattino coadiuvati da due stivaletti neri con un leggerissimo tacco concludevano l’opera di una più che ritrovata decenza..

Haruka alzò un sopracciglio ammettendo che stesse bene. “Sei carina. E l’ombrellino per ripararsi dal sole, signorina?”

“Haruka… Sono stanca delle tue battutine cretine! Ho già male ai piedi, ho caldo, le calze mi stanno strizzando le cosce e sono armata. Non provocarmi!” Abbaiò lasciandole nelle mani la sua Luger P08 con la quale avrebbero viaggiato.

“Fa quello che devi. Io ti aspetto al bivio.” Ed evitando radici e pietre di ogni dimensione iniziò ad incamminarsi con passo non certo leggiadro.

La bionda sospirò guardando Flint seduto poco lontano e mettendosi l’arma dentro la cintura salì le scale chiudendo la porta a chiave. La storia si ripeteva. Nuovamente in partenza per andare a vivere un’avventura che in tutta franchezza non sapeva come sarebbe andata a finire. Aveva paura e dubitava di se la matura e coriacea Haruka Tenou, ed il dispiacere di lasciare nuovamente la sua casa andava ora a fondersi con l’incertezza di una ricerca complessa e dagli sviluppi totalmente imprevedibili.

Chiudendo il lucchetto ed infilandosi la chiave nella tasta si diresse verso la fonte guardando con la coda dell’occhio il mezzo lupo seguirla. Era giunto il momento di dirsi addio ed anche se un giorno più o meno lontano lei avesse fatto ritorno, con molta probabilità le loro strade non si sarebbero mai più incrociate.

Voltandosi estrasse la pistola armandola. “Sei stato un amico leale, il migliore datomi in sorte, ma è arrivata l’ora di salutarci.” Disse ricordando l’autunno del precedente anno, quando proprio durante la prima nevicata della stagione, lei, sola e fragile, lo aveva trovato tremante rannicchiato fra le radici di un grosso abete.

Un batuffolo grigio con un orecchio alzato e l’altro lasciato penzolante, gli occhi grandi e tondi, caldissimi e spaventati. L’aveva anche morsa di striscio non appena aveva cercato di prenderlo, ma invece d’inquietarsi Haruka aveva guardato il guato forato da quelle zanne bianche sfilandoselo e lasciando che ne annusasse il leggero rivolo di sangue. Lui l’aveva leccato e lei accarezzato la testa issandoselo tra le braccia. Da allora era stato amore, rispetto e complicità.

Deglutendo alzò il braccio armato mentre lui piegava la testa da un lato come sempre guardandola con il suo solito fare curioso. “Ora va!” Ordinò sparando.

Il proiettile andò a conficcarsi a pochi centimetri dalle sue zampe anteriori che scattando lo fecero saltare all’indietro come una molla.

“Coraggio… fila via!” E sparando un secondo colpo lo vide allontanarsi di qualche passo trotterellando verso il fitto della foresta fermandosi però al ridosso dei cespugli..

Si guardarono un ultima volta poi Haruka puntò nuovamente la canna e questa volta lui sparì definitivamente. Chinando il capo poggiando l’indice ed il pollice della sinistra agli occhi la bionda attese qualche istante per poi incamminarsi verso il bivio. Ci volle tutto il suo autocontrollo per non piangere.

 

“Perché non ci riposiamo un po’, si vede che sei stanca, Ruka.”

Dopo due ore circa di marcia Giovanna aveva iniziato ad avvisare nell’andatura della sorella uno strano dondolio, come se zoppicasse da una gamba e più la bionda cercava di non darlo a vedere e più era evidente.

“Abbiamo il treno tra tre ore, dobbiamo far presto.”

“Ho capito, ma cinque minuti di tregua potresti anche concederteli…” Ma non appena gli occhi iracondi della sorella si voltarono per fissarla, si affrettò immediatamente nel trasformare quel singolare in plurale. “Potremmo… Potremmo anche concederceli!”

“No! E muoviti!”

All’altra non rimase che lanciarle una smorfia alle spalle chiedendole quale nome avrebbe scelto di usare da li in avanti.

“In che senso?”

“Nel senso che non puoi certo continuare a chiamarti Giovanni.”

“Perché no? Ormai ci sono abituata.”

“Ruka, ti dice nulla Giovanni… Giovanna? Un po’ ridondante per due fratelli, non trovi?”

La minore si fermò grattandosi la zazzera. “Dannazione!”

“Puoi sceglierti quello che vuoi, tanto non abbiamo documenti.”

“Sai che c’è?! Non mi va di cambiare nome e poi ricorda che viaggio per conto dei Kaiou e loro mi conoscono come Giovanni. Al più mi presenterò come Jo.”

Giovanna la guardò riprendere la marcia incredula. Praticamente un furto d’identità con annesso scasso.

“In realtà Giò sarei io….”

“Ti correggo sorella; tu da oggi in poi sarai solo Giovanna. Niente diminutivi maschili. E vedi di camminare meno da scaricatore di porto e più da donnina per favor..” E l’urlo riecheggiò potente per l’aeree facendo alzare in volo anche una manciata di uccelli.

Scivolando su di una zolla erbosa con il piede destro Haruka si sbilanciò all’indietro volando a mezz’aria per schiantarsi a terra di botto come una palla di piombo. Rimanendo immobile a guardarla l’altra la vide inarcare mento e schiena, serrare mascella ed occhi, cacciare una serie d’improperi, per così dire, abbastanza coloriti, prima di iniziare a scuotere la testa supplichevole.

“No, no, no, NO…” Avvertendo la fanghiglia gelata penetrarle il cotone dei pantaloni e minarle irrimediabilmente la biancheria intima tentò di non muoversi per non aggravare la situazione.

“Tutto… bene?” Chiese sardonica la maggiore. Che cosa meravigliosa era il karma.

“Ti sembra vada… tutto bene?”

Giò sbottò a ridere mentre la bionda si rialzava mostrando un’enorme pacca marrone all’altezza del fondoschiena.

“Dio santissimo Ruka…. Sembra che ti sia rotolata nel fango ballando lo Schuhplattler con un maiale.”

“Be sono contenta di essermi trasformata nel tuo giullare personale. Già che ci sei vorresti anche pagarmi un biglietto?!”

Con le lacrime agli occhi ed una risata ormai incontrollata Giovanna accennò un perché no per poi coprirsi il viso con una mano arpionandosi un fianco con l’altra. “Se tu ci riprovassi anche cento volte non riusciresti a rifarlo.”

Girando il busto e guardandosi il sedere Haruka sospirò sconsolata mentre grumi terrosi si avvinghiavano saldamente al marciume delle foglie creando piccole bolle. Avrebbe dovuto cambiarsi e fare il bucato. Tornando a guardare la sorella asciugarsi gli occhi, stirò le labbra in un sorriso sempre più marcato fino a quando quell’ilarità contagiosa non la catturò portandola a ridere di gusto dopo un’infinità di tempo.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Con lo sguardo perso nel vuoto Michiru se ne stava seduta su di una panchina del parco abbastanza riparata dal sole e dagli occhi curiosi delle altre persone. Sapeva che su di lei giravano varie voci, una su tutte quella riguardante la sventura che la vedeva smemorata e priva di qual si voglia affetto. Ma alla ragazza questo non interessava, perché nonostante le idee che si erano fatti gli altri, era più che certa che da qualche parte qualcuno la stesse aspettando. Meno certa era invece sulla convinzione della dottoressa Meiou che voleva il suo vuoto mentale, dove di tanto in tanto affioravano ricordi mozzati privi di una qual si voglia logica, non tanto alla lesione fisica quanto ad un veo e proprio blocco psicologico.

“Milena, siete voi che non volete ricordare. Il vostro cranio è ormai perfettamente guarito e non v’è nulla che v'impedisca di riappropriarvi dei vostri ricordi.”

Ma non era così. Non era affatto così e perché poi avrebbe dovuto esserlo!? Non era certo felice di scatenare pena nello sguardo altrui, come non si sentiva entusiasta al pensiero che una volta dimessa, non avrebbe saputo dove andare e cosa fare della sua vita. Aveva inteso come le signorine Minako Aino e Makoto Kino la conoscessero, ma non appena provavano a rivelarle alcune tracce sul suo passato, su chi fosse veramente e chi fossero loro per lei, la sua testa non reggeva allo stress e dolori lancinanti sopraggiungevano a spaventarla. Ogni singola volta.

“E non vi suggerisce proprio nulla il fatto che il dolore fisico vi impedisca di ricordare?” Le aveva domandato quel medico ostinato mille e mille volte durante le loro interminabili chiacchierate, come amava chiamarle Setsuna.

In un altro contesto, in un’altra situazione, Michiru avrebbe anche potuto fare amicizia con quella straniera, in fin dei conti era una donna molto intelligente, schietta e capace e sotto quello sguardo serenamente autoritario, nascondeva un animo sensibile e sincero. Ma nella sgradevole posizione di sapersi studiata, analizzata nel profondo come una piccola cavia da laboratorio, Michiru non poteva certo aspettarsi d’imbastire con lei un legame di natura affettiva.

Non sono affatto d’accordo con voi dottoressa Meiou, pensò estraendo dalla tasca della gonna del suo vestito un fazzoletto bianco e verde.

In quella stoffa Michiru sapeva di avere il suo tesoro più grande. Se realmente non volessi ricordare il mio passato, perché terrei ancora con me questo?

La ragazza alzò al sole il ciuffo dorato stretto tra le dita. Di chi erano quei capelli e perché ogni volta che lasciava il suo sguardo su di loro prendeva a tremare avvertendo nel corpo un misto di paura, speranza, desiderio e tristezza?

“Buongiorno Milena.” Wolfgang le sorrise guardandola dolcemente.

“Buongiorno a voi. Vedo con piacere che state provando a camminare senza l’aiuto del bastone.” Rispose invitandolo a sedersi accanto a lei mentre una frase le tornava in mente ed immagini di un verde lussureggiante, di un’acqua cristallina e di un cielo terso prendevano vita nella mente come immagini di un passato neanche troppo lontano.

Non la starai sforzando troppo quella gamba?”

Devo provare a camminare senza l'aiuto delle grucce. Ed è così difficile trovare terreni decentemente pianeggianti, che non mi sembra vero di poterlo fare qui.” Una persona cara. Una situazione molto simile a quella.

“O si, sono fenomenale ed ormai questo mi serve più per divertire i bambini che per rimanere in equilibrio.” Disse lui facendo roteare il legno tra le dita della destra come un novello giocoliere.

Soddisfatto si poggiò allo schienale di pietra guardando il fazzoletto abbandonato sul grembo della giovane donna. Aveva già avuto modo di vederla con quel ciuffo tra le mani, ma non aveva mai avuto la sfrontatezza di chiederle nulla. Questa volta però non poté esimersi dal farlo. Delicatamente cercò le parole più indicate.

“Quell’oggetto è molto importante per voi?”

Una piega amara sulle labbra e lei affermò che pur nell’assurdità di non ricordare a chi appartenessero quei capelli, sentiva che avevano un’importanza pressoché vitale. “E’ curioso e grottesco, non trovate Wolfgang?”

“Triste direi.” Si lasciò scappare chiedendole immediate scusa.

“Non dovete scusarvi. E’ un fatto ed avete ragione.” Sospirò piano riponendo quel piccolo tesoro nel fazzoletto e da li nella tasca.

Un piccolo talismano.” Ricordò in un lampo.

Massaggiandosi con due dita il lato della tempia dove ancora avvertiva la crosta della ferita, gli chiese se anche lui avesse con se un oggetto caro.

“La foto della mia famiglia.”

“E null’altro?” Maliziosa tanto che lui tossicchiò leggermente.

“Non ditemi che nel tornare a Vienna non troverete nessuna persona… speciale ad accogliervi, perché non vi credo.”

Una fragorosa risata marcatamente fatalista e battendo il bastone sul legno della protesi sottolineò quella che grazie ad un chirurgo troppo frettoloso, era ormai la sua grande debolezza. “Con questa non credo che la donna che lasciai sui binari della stazione di Vienna rimarrà fedele alla sua promessa d'amore.”

Umorismo macabro che la ragazza accolse con un’alzata di sopracciglio non capendo. Perché senza parte di una gamba era forse meno uomo?

“Siete di cuore troppo nobile Milena. - Disse alzandosi. - Bando alle tristezze… perché non mi fate un po’ di compagnia passeggiando in questo bel sole?”

Ed annuendo, lei gli afferrò la mano tesa stringendogliela con forza.

 

 

Stazione di Bellinzona.

Frontiera meridionale

 

“Fai l’uomo e vai a prendere i biglietti che ai tuoi pantaloni ci penso io… Jo!”

A Giovanna vedere la sua Ruka vestita in quel modo le piaceva poco, al pari di vedersi riflessa in uno dei tanti specchi che avevano incontrato nella sala del ristorante dove avevano pranzato. Indubbiamente stavano entrambe molto bene, anzi, lei forse anche di più della bionda visto gli sguardi ammirati e i cappelli che da quando erano scese in città, si erano calati per lasciarla passare. Ma non era lei. Non si sentiva proprio lei!

“A sorellona… mi raccomando la piega.” Le suggerì una bionda con un sorriso idiota sulle labbra.

“La piega?” Chiese non afferrando.

“Si, quella dei pantaloni. Mi raccomando. Centrata. Ci tengo.” Ridacchiò prima di sparire verso la biglietteria della stazione.

“Deficiente… Tu e le tue stupidissime idee! Vai a comprare i biglietti, vai!" Mugugnò a mezza voce.

Improvvisamente di ottimo umore, forse per via del sapere Flint ormai libero da vincoli, anche se indubbiamente dispiaciuta per la separazione, per la presenza di Giovanna che comunque le metteva sempre allegria, non altro per la camminata a papera che aveva preso dopo aver calzato gli stivaletti di Ami, o grazie al mezzo litro di rosso tracannato senza ritegno insieme ad un pezzo di quarto di bue al sangue che le aveva infuso sonnolenza e nuova energia, Haruka si diresse alla biglietteria. Dando il resto e controllando l’orario sul grande orologio posto sul muro d’ingresso della sala d’aspetto venne catturata da un vociare di ragazzini proveniente dall’esterno e curiosa si affacciò sulla grande porta di noce scuro che dava sulla strada.

Un drappello di uomini stava passando in fila per due scortando lentamente una camionetta giudiziaria. Al suo interno alcuni ufficiali che, una volta fermato il mezzo, scesero sul marciapiede opposto. Non staccando lo sguardo dal mezzo, Haruka iniziò ad analizzarlo avida come al solito fino a quando questo non ripartì lasciando così libera la visuale. Fu allora che si videro.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Non me lo perdo il viziaccio di finire sul più bello, vero? Ma dai, poi è un capitolo troppo lungo e vi annoiate :p

Scusate… Adesso scateniamo il toto chi sarà? di questa settimana. Uomo, donna, bambino?

Dai, ho cercato di stemperare l’allontanamento di Flint, ed il fatto che Haruka sta per prendere un treno che la porterà (ma solo geograficamente, tranquille) ancora più lontano da Michiru.

Cosa mi dite di Wolf? Visto che non è affatto come il belloccio popò!? A me sta simpatico e poi è veramente un galantuomo. Degno fratello di Minako.

Le sorelle Tenou hanno iniziato a macinare chilometri e come mine inesplose inizieranno a gironzolare senza controllo e per fare le cose più semplici avremo Jo e Giò…

Michi e Setsuna continueranno a mantenere un rapporto professionale o qualcosa cambierà?

“Sigmund!”

“Milena?!”

“Signorina Buonfronte!”

“Dottoressa Meiou?!”

“Ciuchino…” ;p

 

PS Lo Schuhplattler è quel ballo tirolese che si fa in costume. Avete presente?

Ciauuuu

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Capitolo 6
*** Un salto nel passato ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Makoto Kino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

Un salto nel passato

 

 

Quando il chiaro dei loro occhi si incrociò, Haruka ebbe l’impressione che il tempo rallentasse e lo spazio tutto intorno a lei prendesse a dilatarsi a dismisura incontrollato e deformante. Corrugando la fronte sentì l’istante esatto nel quale i suoi battiti cardiaci iniziarono a correre veloci, come tamburi di una galea sotto attacco, mentre una specie di leggerissimo fischio prendeva a ronzarle nelle orecchie avvertendola del balzo vertiginoso appena compiuto dalla sua pressione.

Come un palo piantato nel fango ormai arso dalla calura, lui se ne stava dall’altra parte della strada mentre due soldati parlottavano a poca distanza. Le iridi dilatate, la bocca semi aperta, la classica espressione di una naturale sorpresa ad un’apparizione grottesca e priva di sostanza. Uno spettro, si perché per lui Haruka Tenou era solo e semplicemente questo; uno spettro da scacciare dagli anfratti viscidi di quel che rimaneva della sua coscienza. Perché era li, a guardarlo, vestita in abiti maschili, lei che dopo la pistolettata datale l’estate scorsa avrebbe già dovuto essere all'inferno?

Una spinta e l’uomo iniziò a camminare attraversando con i suoi compagni di sventura la massicciata stradale. Aveva certo vissuto momenti migliori, ma la prigionia non gli aveva arrecato poi tutto questo gran danno, anzi, se non fosse stato per le catene ai piedi e i ceppi alle mani, l’uniforme un po’ sgualcita, la capigliatura priva dell’immancabile cera e la leggera balba, nessuno avrebbe scommesso sulla sua attuale condizione di carcerato. Salendo i primi gradini che lo avrebbero portato all’entrata della stazione, continuò a tenere gli occhi sulla ragazza fino a quando non le fu abbastanza vicino per poterle parlare.

La ragazza deglutì avvertendone perfino l’odore. Non poteva essere! Non così. Haruka non era assolutamente pronta a questo. Aveva sempre avuto il timore che se un giorno il destino li avesse posti nuovamente l’una di fronte all’altro, lei avrebbe commesso un’umana sciocchezza, una follia che sarebbe andata a compromettere tutto il suo futuro. Ed ora quella stessa paura andava via via concretizzandosi nel sorrisetto beffardo messo su dall'uomo. E lei era armata.

Farsi giustizia da sola, farlo per i Kaiou, per Giovanna, ma soprattutto per Michiru, la sua dolcissima ragione di vita che la stava spingendo avanti e ancora avanti, nonostante lui, il suo egocentrismo, la sua gelosia ed il folle gesto che le aveva divise, forse per sempre.

“Muovetevi! Non siamo hai vostri comodi!” Lo strattonò nuovamente uno dei due soldati affidati alla sua custodia mentre lui continuava imperterrito a sorriderle.

“Aspettate un attimo. Vedo che qui c’è una vecchia conoscenza.” Disse l'ex graduato gonfiando il petto.

Haruka stava tremando, ma non lo avrebbe mai dato a vedere. Non staccando il contatto visivo si mise entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni andandogli incontro.

“Se qualcuno mi avesse detto della vostra sopravvivenza non gli avrei mai creduto. Evidentemente quel giorno devo aver commesso uno stupidissimo errore di valutazione.” Ora aveva capito che sotto quella diga avrebbe dovuto ucciderla.

“Evidentemente.” Rispose lei stupendosi di quanto pulita fosse la sua voce. Nessuna increspatura. Nessuna esitazione, come se quel continuo tremore che le stava squassando le carni non esistesse.

“Vi trovo in splendida forma, Tenou.” Aggiunse squadrandola con uno strano scintillio di soddisfazione negli occhi, preludio all’inesorabile frase che da li a pochi istanti avrebbe pronunciato.

“Trovo bene anche voi… Nonostante tutto.” E aspettandosi il peggio la bionda strinse la mascella alzando i pugni del suo cuore.

“Possiamo dire la stessa cosa della signorina Kaiou?”

Haruka cercó di schivare quel colpo bastardo, ma andò a segno lo stesso facendola barcollare. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Mentire? Tacere? Forse temporeggiare per evitare un’altra stoccata?

“Non è cosa che vi debba interessare.” Ma il timbro solo un attimo prima tanto fermo, tremò leggermente e lui lo colse.

“Oh… Allora le voci giuntemi in questi mesi erano dunque vere. Nulla si è salvato da quel crollo… In tutta onestà... non me ne dispiaccio.”

“Avanti Sottotenente, muovetevi!” Ordinò il soldato all’ufficiale allontanandolo.

Con gli occhi iniettati di sangue la ragazza estrasse la destra dalla tasca lasciandola scivolare dietro la schiena. Le dita afferrarono l’impugnatura della Luger pronte a far leva per estrarla dalla cinta quando altre dita, determinate al pari delle sue, ne bloccarono il movimento. Puntando lo sguardo al pavimento Haruka continuò a far sforzo fino a provare dolore al polso, perché la mano di Giovanna si era trasformata in una morsa nervosa.

Avvicinandole la bocca all’orecchio la maggiore cercò di essere il più chiara possibile. “Non fare idiozie! Cosa credi di risolvere ammazzandolo?”

“Lasciami.” Ringhiò.

“Così che tu possa rovinarti la vita? No, sorella.”

“Lasciami ho detto!”

“No! Stammi a sentire; se veramente ami Michiru come dici non puoi permetterti di cedere alla vendetta. Ti ricordi? Non fosti proprio tu a dirmi parole simili quando, quel giorno vicino ad Altdorf, stavo per sparare all’uomo che volva violentarti? Allora io capii. Ora cerca di farlo tu!”

Giovanna si vide puntati contro due smeraldi infuocati, ma non si scompose, perché conosceva fin troppo bene quell’espressione al limite della disperazione per averne paura o soggezione.

Prima di lasciarle definitivamente il polso, passarono svariati secondi nei quali le sorelle Tenou rimasero l’una di fronte all’altra, immobili, occhi negli occhi fino a quando la bionda non pose la sua fronte su quella dell’altra pregando che tutto finisse al più presto.

"Che bel quadretto!"

"Credo che sia il caso che il prigioniero si allontani di qui!" Consigliò Giovanna ai due militi che con noncuranza e non avendo assolutamente compreso la situazione, tornarono a camminare verso una delle banchine.

Così i prigionieri salirono nell’ultimo vagone del treno che li stava aspettando sul primo binario che li avrebbe condotti a Malles e da li, con molta probabilità, a Vienna. Sentito il fischio della partenza, la maggiore lasciò finalmente la pelle bollente dell’altra ritenendo la questione chiusa.

“Scusami Haruka, ma non potevo lasciartelo fare. Lo capisci? Coraggio, andiamo. Il nostro treno arriverà in stazione tra cinque minuti.” Disse allontanandosi di un passo.

“Haruka Tenou non è mai venuta meno ad un debito e ritengo che oggi io abbia saldato con il destino quello che dovevo a quell’uomo, ma Giovanna… sulla tomba di nostra madre..., ti assicuro che se un giorno il caso me lo metterà nuovamente davanti, io gliela farò pagare.”

Ma quella fu l’ultima volta che le strade di Haruka e di Daniel Kurzh ebbero modo di incrociarsi. Non si rividero mai più.

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale – 19/12/1914

 

“Ben tornata signorina Michiru. Spero che il viaggio sia andato bene.” Amorevole come al solito la Governante le prese la borsa a mano aggiungendo al saluto una carezza lieve sulla guancia.

“Benissimo, grazie Clementine, anche se ammetto di essere un po’ stanca e parecchio affamata.” Rispose la ragazza guardandosi intorno. Dei suoi genitori neanche l’ombra. Come al solito non erano riusciti a liberarsi in tempo per venirla ad accogliere al suo ritorno a casa per le vacanze natalizie.

“Non preoccupatevi Michiru, Maria sta preparando il vostro piatto preferito.”

“Meraviglioso. - Esclamò contenta seguendola su per le scale. - Ma i miei genitori?”

“Il signore è stato chiamato al Ministero della Difesa e la signora è dai Roswell per organizzare la raccolta fondi di Natale.”

Ecco, come da programma. Evidentemente non è servito a nulla mandare tre giorni prima il telegramma con data e ora del mio arrivo. Pensò sospirando sommessamente.

“O su via Michiru, non crucciatevi. Li vedrete entrambi questa sera a cena.”

Arrivando sul pianerottolo la ragazza si fermò meditabonda. “Non è questo. Ho una notizia da dargli e mi aspettavo di potergliela comunicare subito.” Brontolò riprendendo a camminare fino alla porta della sua stanza.

“E’ tanto urgente da non poter aspettare?” Chiese la donna sorridendo mentre apriva una delle due ante laccate di bianco lasciandola passare.

Michiru respirò a pieni polmoni sentendosi nuovamente protetta. Finalmente tra le sue cose. Era dall’estate che era lontana e le mancava tutto della sua Berna, della sua casa, ma soprattutto della sua stanza. I libri ordinati sulla scrivania, gli spartiti, le bambole di porcellana che tanto le avevano fatto compagnia da piccola e il quadro sul cavalletto dipinto fino al giorno precedente la sua partenza per Merano.

“No, certo che non è urgente, ma…” Girandosi verso la Governante con le mani serrate dietro la schiena illuminò il viso con un sorriso radioso.

“Signorina Rostervart… vorrei annunciarvi una novità!” Stentorea continuò a guardarla notando con gusto la sua espressione stupita.

“O perbacco. Sono tutta orecchi!” Disse imitandola in quella posa di finta ufficialità.

“L’ho incontrata!”

“Chi, di grazia?”

“Come chi?! La mia anima gemella!”

Dilatando gli occhi Clementine sciolse le mani lasciandole lungo i fianchi. “Mio Dio, ma è fantastico!”

“Lo so! Il nostro incontro è stato incredibile. E’ successo questo autunno, durante un ballo, ma non avrei mai creduto di ritrovarmela davanti al San Giovanni.”

“In Collegio?”

“Si. E' il nuovo medico. O Clementine, credo che presto verrà qui a dichiararsi a mio padre.”

Medico? Pensò la donna interdetta mentre Michiru le afferrava le mani stringendole nelle sue.

“E’ un uomo incredibilmente affascinante. Alto, bello, intelligente e gentile. Credo che i miei genitori ne saranno entusiasti anche se non viene da una famiglia agiata.”

“Ma… non è un po’ troppo presto per accogliere una proposta di matrimonio?”

“E’ per questo che esistono i fidanzamenti.” Rispose ridendo euforica.

La Governante non l’aveva mai vista tanto eccitata e sulle prime rimase parecchio interdetta. Conosceva il cuore di Michiru e le latenti inclinazioni che aveva iniziato a manifestare subito dopo l’adolescenza con conoscenze e letture al limite del proibito. Possibile che si fosse sbagliata tanto, che della sua ragazza non avesse capito nulla?

“Be, se è un uomo tanto perfetto sono contenta per voi.” Espresse semplicemente ricambiando quella felicità e pregando intimamente che non si trattasse di un tremendo abbaglio.

Giunta la sera e salutati i suoi genitori Michiru fece ritorno in camera sentendosi esausta. Il viaggio, la felicità di essere tornata a casa, la novità di quel fantomatico medico finalmente rivelata anche a Flora e Viktor, le avevano prosciugato ogni energia. Così si ritrovò presto in camicia da notte e vestaglia seduta alla sua scrivania, con il tepore del caminetto acceso e la luce della lampada elettrica a scrivere nel suo diario le sensazioni che quell’interminabile giornata le aveva donato.

 

Berna – Palazzo Kaiou – 19/12/1914

 

Sono nuovamente a casa. Ho detto ai miei di Daniel. Sono rimasti di sasso.

Mio padre ha mantenuto un certo decoro, mia madre invece, dopo un primo momento nel quale ho spiegato loro come ci siamo conosciuti e soprattutto il suo lavoro, è esplosa in commenti sfavillanti e ricchi di complimenti, il che mi fa davvero tanto, tanto felice.

In un primo momento devo ammettere di essere stata io a stupirmi. Non credevo che, avvalendosi solamente delle mie descrizioni, reagissero nei confronti di Daniel con tanta benevolenza e se da una parte lo trovo stupefacente, dall’altra mi dà da pensare.

Alla mia rivelazione si sono comportati come se intimamente avessero sempre avuto il terrore che io rimanessi zitella. Soprattutto mia madre. Eppure sono abbastanza graziosa, anzi, a detta degli uomini che mi hanno circondata fino ad oggi, oserei dire anche bella e non immaginavo il fatto che non avergli ancora presentato nessuno li potesse preoccupasse tanto.

Sono perciò contenta anche per loro. Daniel è la scelta migliore che potessi fare. Ammetto di non aver maturato così tanta esperienza da riuscire a fare comparazioni con altri uomini di egual spessore, ma sono sicura di quello che provo e sono incoraggiata dal periodo di fidanzamento che mi servirà per capire meglio il suo carattere.

A volte mi vergogno di me stessa. Quando quella sera i nostri occhi si sono incrociati, ho avvertito un brivido ghiacciato strisciarmi lungo la schiena ed ho provato come una sorta di paura. Poi il valzer in sottofondo, il suo sorriso ed i modi gentili mi hanno convinta che la prima impressione non sempre e' quella che conta. Sono una stupida. Cosa dovrei temere?

Sono certa che più conoscerò il suo essere e più quella sensazione provata quella sera rimarà solo un lontanissimo ricordo.

M.K.

 

 

Tratta ferroviaria Bellinzona - Locarno

Svizzera meridionale – 19/9/1915

 

A volte mi vergogno di me stessa. Quando quella sera i nostri occhi si sono incrociati, ho avvertito un brivido ghiacciato strisciarmi lungo la schiena ed ho provato come una sorta di paura. Poi il valzer in sottofondo, il suo sorriso ed i modi gentili mi hanno convinta che la prima impressione non sempre e' quella che conta. Sono una stupida. Cosa dovrei temere?

Sono certa che più conoscerò il suo essere e più quella sensazione provata quella sera resterà solo un lontanissimo ricordo.

 

Haruka richiuse il diario stringendolo tra le dita di entrambe le mani mentre spostava lo sguardo dalla pelle scura al panorama in movimento fuori dal finestrino. Iniziando ad inalare ossigeno cercò di calmare l’ennesima esplosione di rabbia. Era solo il primo pomeriggio e si sentiva stanca come se avesse lavorato tutto il giorno all’aria aperta. Quelle continue botte d'adrenalina le avevano regalato un mal di testa feroce ed un vago e permanente senso di nausea.

“Avevi detto che ti fa male leggere i suoi pensieri. Allora perché stai continuando a macerarti l’anima?” Sedutale di fronte, Giovanna si sporse accarezzandole una mano.

“Voglio capire. Devo capire come possa essersi innamorata di un bastardo simile.”

“Il cuore di noi donne è complicato e certe volte capita di sbagliare. Purtroppo è un fatto, altrimenti al mondo non ci sarebbero tanti rapporti infelici.”

“No, Michiru l’aveva intuito subito che quell’uomo era pericoloso.”

“Lo ha scritto?” E ad un assenso l’altra posò i palmi sulle ginocchia della sorella scuotendo la testa.

“Alcune di noi sono più intuitive di altre, ma tutte portiamo dentro una sorta di mutuo soccorso o non so, forse d’incoscienza, ed una volta riconosciuto in qualcuno un pericolo, invece di fuggire pensiamo ad un salvataggio.”

“Michi non è così stupida!”

“Non si tratta di stupidità, ma della femminilità insita nella nostra natura. E poi devi contare anche l’ambiente dove è cresciuta e la famiglia. Tu lo sai meglio di me che i nostri genitori, anche dopo i miei vent’anni, non mi hanno mai spinta più di tanto a cercarmi un marito. Forse quelli di Michiru non sono stati altrettanto pazienti.”

“No, non credo sia neanche questo.” Sospirando chiuse gli occhi poggiando la schiena al legno della seduta.

“Allora cosa pensi?”

“Da come si comportò con me praticamente fin da subito, penso che sotto sotto Michiru sapesse bene quale fossero le sue inclinazioni, come lo aveva capito la signorina Rostervart, la donna che l’ha praticamente cresciuta e con molta probabilità anche sua madre. Almeno da quello che leggo qui. Forse è per non deludere i suoi o per sentirsi una ragazza normale che ha accettato la corte di Kurzh pur avendo intuito in lui qualche cosa di oscuro.”

“O forse la combinazione di tutti questi fattori.”

“… Forse.”

“Questo ti fa sentire meglio?”

Haruka torno' a guardarla. “No.”

Giovanna stirò allora le labbra comprensiva. “Povero il mio cavallino di fanteria. - Disse ravvivandole la frangia. - Non sarà questo che ti fermerà, giusto?”

La bionda gonfiò il petto sorridendole a sua volta. “Giusto!”

“Mi auguro veramente con tutto il cuore che la ragazza che stiamo cercando sia lei. Se aveste la possibilità di amarvi sareste una coppia stupenda.” Confessò tornando a sedersi più comodamente.

Haruka arrossì un poco cercando di nascondere l’imbarazzo in quella sua classica posa da finta dura. A braccia conserte accavallò le gambe alzando leggermente le spalle imbronciando il suo bel viso.

Allora per stemperare Giovanna ripensó ad un aneddoto divertentissimo. “Ruka, ti ricordi prima dello scavallo del San Gottardo, quel giorno nel quale Usagi non riusci' a pescare nulla e non avendo trovato di meglio, portasti a Makoto quel ratto gigante facendolo passare per una piccola marmotta?”

Haruka sbotto' a ridere seguita a ruota dall’altra.

Al sapere di avere per cena una marmotta, Kaiou aveva storto il naso cercando di non dare a vedere quanto schifo le facesse l’idea, ma per quieto vivere e vinta dai morsi della fame, aveva dovuto abbassare la testa e fare buon viso a cattivo gioco. Quando pero' si era venuta a scoprire la verità, i quattro cavalieri dell’Apocalisse si erano abbattuti sulla terra.

“Ma tu… tu… tu non sei normale Tenou!” Aveva urlato alzandosi di scatto portarsi una mano alla bocca.

“Perché scusa? E' comunque carne. Non fare la schizzinosa Kaiou."

“La schizzinosa? La schizzinosa! Non si sta parlando della differenza tra un bue ed un asino. Ci hai dato da mangiare un ratto!”

“Ecco, lo sapevo che non avrei dovuto dirti la verità. Guarda Usagi… Lei si che mi da soddisfazione.” E la biondina aveva sorriso continuando a cibarsi della zuppa pietra dello scandalo.

“Usagi!”

“Ma Michiru.... è buona.”

“Per tutti i Santi del Paradiso… è un ratto!” E l’insegnante era schizzata lontana dal fuoco e non si era mai capito se per rimettere il piatto incriminato o sfogare al cielo tutta la sua collera senza più freni inibitori.

Giovanna si asciugò le lacrime. “Quel giorno Michiru uscì proprio di senno, anche se sono convinta che la cosa che più le diede fastidio, non fu ne la tua “innocente” bugia, ne tanto meno il fatto di aver mangiato un ratto, ma la tua faccia di bronzo.”

“Lo so. Glielo feci apposta per vendicarmi delle uova.” Ammise candidamente.

Le uova…

La questione delle uova era nata due giorni prima, sul finire della mattina, quando il gruppo si era reso conto che le gallette ed il pesce non sarebbero più riuscite a sfamare decentemente nessuna di loro. Michiru aveva allora sospirato visibilmente affranta e nel vederla così Haruka era scesa in modalità salvatrice della patria. Chiamando la sorella avevano confabulato per svariati minuti dileguandosi poi verso una fattoria poco distante con un piano ben preciso nella testa.

 

 

Fiume Ticino.

Svizzera centrale – 3/6/1915

 

“Lo vedi?”

“Si. E’ incustodito.” Giovanna tornò ad accovacciarsi tra l’erba dietro un enorme balla di fieno.

“Ottimo. Già che ci stiamo, io ne approfitterei.”

“Haruka non saprei. Finché si tratta di qualche uovo passi, ma addirittura rubare una gallina intera mi sembra eccessivo.”

Alzandosi nuovamente per osservare il pollaio ed i pennuti che ci stavano razzolando intorno, la bionda controbatté a quella reticenza con un tanto sempre di furto si tratta che convinse la maggiore a procedere. Così sgattaiolando fuori dal loro nascondiglio, si mossero furtive fino al recinto e da li, aperto il cancelletto, con due balzi arrivarono alla porta della struttura che ospitava le galline covatrici.

Avendo già notato come quella piccola fattoria fosse tranquilla, ed ipotizzando che gli abitanti fossero ancora nei campi, forti della loro destrezza di giovani donne si avvicinarono pronte per razziare le gabbie quando Giovanna cacciò un grido di dolore alzando velocemente una gamba.

“Sta zitta, vuoi richiamare tutto il vicinato?!” Disse Haruka guardando gli occhi atterriti dell’altra.

“Mi ha beccata!”

“Che?”

“Quella gallina mi ha beccata.” Indicò un pennuto che tranquillamente si stava aggirando a qualche centimetro da lei.

“Ma dai, non dire stupidaggini. Credi forse siano polli da guardia?!”

“Guarda che dico sul… Ahu!” Barcollando colpita una seconda volta, Giovanna franò sulla sorella che si ritrovò sul pavimento del pollaio.

“Dannazione stai più attent… Ahi…” Arpionandosi la mano sinistra con l’altra Haruka si girò sulla schiena. Davanti a loro un piccolo e variopinto plotone d’esecuzione.

“Hai visto!?”

“Ma stiamo scherzando!? Forza! Via, sciò! Levatevi dai pied… Ah!”

Alzandosi di scatto spalle alle gabbie le due si sentirono in trappola.

“Va bene, abbiamo capito. Noi togliamo il disturbo… E’ stato un piacere…” Disse la bionda al fronte dei piccoli occhietti vacui.

“Perché ci fissano così?”

“Giovanna non fare domande cretine. Muoviti!” Afferrandole un lembo del maglione e saltando il drappello inferocito, la minore strattonò l’altra fuori per correre poi verso il cancelletto mentre una massa fulminea di polli iniziava a seguirle rapidi sulle zampette tripartite.

“Corri Giò, corri!” Urlò voltandosi in dietro per controllare la situazione, ma traditore, il suo scarpone destro arpionò una radice schiantandola nella polvere.

Inciampando nel suo corpo, Giovanna la seguì a ruota. “No! Ferme, no!" Implorò, ma fu inutile.

Quando circa quaranta minuto dopo Michiru Kaiou tornò al campo con un sorriso vittorioso stampato indelebilmente sul viso, si trovò a combattere contro l’impulso fortissimo di non scoppiare a ridere di fronte alla scena di due povere anime perse ed una Ami incredula, che armata di disinfettante in una mano e garze nell’altra, poneva rimedio a tagli sanguinolenti e carne viva. Giovanna stravolta e una bionda dallo sguardo omicida sedute in terra come due fanti catturati in battaglia.

“Io me le mangio tutte. Questa notte ritorno li e me le mangio tutte. Una strage. Faccio una strage!" Masticò Haruka boriosa.

“Non ti è bastata?! Io non ho mai visto polli reagire così. Non saranno mica stati addestrati?”

"Nostro nonno diceva sempre che sono bestie intelligenti. Avrei dovuto ricordarmelo." Rispose prima che Michiru non le si parasse davanti stringendo tra le braccia un paniere ricolmo di uova.

Sgranando gli occhi Haruka si alzò lentamente seguita dall’altra. “Dove le hai prese queste?”

“Alla fattoria qui sotto.”

“Come hai fatto?” Fece eco Giovanna contandone una dozzina.

“Come vuoi che abbia fatto? Sono andata a chiederle ai proprietari. C’era una graziosissima nonnina che non ha avuto remore ad offrirmi queste. - E non appena voltatasi concluse con una sonora stoccata. - Io non ho bisogno di rubare per ottenere le cose.”

“Lei non ha bisogno di rubare per ottenere le cose.” Cantilenò Haruka con vocina stridula ripiombando sull’erba per farsi finire di medicare.

L’odore di frittata con erba cipollina serpeggiò tra il campo in men che non si dica e naturalmente ad Haruka e Giovanna fu dato solamente il permesso di odorare.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Nascondendo il naso nell’incavo della mano Michiru starnutì una seconda volta. Sigmund se la guardò sorridendo.

“Qualcuno ti sta pensando Milena.”

“Dici? Io credo sia più plausibile che mi sia presa un’infreddata dopo tutta la pioggia che ci siamo presi ieri sera.”

“Io sto benissimo!” Annunciò impettito continuando a camminarle al fianco lungo il corridoio che li avrebbe portati allo studio della Dottoressa Maiou.

Alzando un sopracciglio la ragazza guardò dall’alto quella zazzera bionda scarmigliata che quasi mai si pettinata a dovere. Quanta pazienza ci voleva con lui e la sua smisurata competitività. Ma Kaoiu aveva più volte dimostrato di saperci fare con lui, perché anche se ancora non riusciva a ricordare, l’esperienza maturata con Haruka la stava portando ora ad essere l’unica, assieme a Setsuna, a saper gestire lo spirito mai domo di quel piccolo teutone. Ma mentre lei cercava di arrivare al suo cuore mediante la comprensione, la dolcezza e la simpatia, il medico aveva scelto una strada diametralmente opposta. Come ogni uomo lasciato ad uno stadio quasi brado, privo perciò della famiglia e degli affetti più cari, Sigmund era poco avvezzo a dar retta al sesso opposto o all’autorità in generale, soprattutto visto la naturale predilezione che dimostrava nel comandare e pretendere obbedienza, ed una volta capitolo, Setsuna aveva semplicemente applicato la regola dell’inversione, cosa che non soltanto le riusciva benissimo, ma la divertiva da matti. Certo “giocare sporco” con un paziente, per di più di quell’età, non avrebbe dovuto procurarle così tanta soddisfazione, ma non poteva farci nulla. Sigmund era diventato per Setsuna una sorta di passatempo ludico – lavorativo.

Bussando alla porta dello studio, Michiru attese risposta e poi entrò seguita dalla buona educazione del bambino che le tenne l'antagonista aperta con fare da uomo navigato.

“Buon pomeriggio Dottoressa Meiou. Voleva parlarci?” Chiese la ragazza osservando la pila di documenti e schede che troneggiavano sulla sua scrivania.

“Si Milena. Prego accomodatevi. Finisco di firmare questi documenti e sono subito da voi. intanto sedetevi pure.” Disse con non curanza pregustandosi la conversazione.

Un paio di minuti e si dedicò interamente ai due.“Bene vi ho chiesto di venire per parlare di quello che è successo ieri sera.” Chiudendo l’ultima cartella poggiò la schiena alla poltrona sorridendo.

Quella donna riusciva a trasmettere una serenità impressionante a tutti coloro che avevano occasione di poterne ammirare la bellezza. Michiru invidiava un po’ questo suo dono.

“C’è poco da dire dottoressa. Abbiamo un ladro e bisogna prenderlo. Quello si sta arricchendo alle spalle dell’ospedale.” S'intromise Il ragazzino.

“Sigi…” Lo riprese Michiru non staccando gli occhi dal calore che emanavano quelli dell’altra.

“Naturale, ma cosa pensi accadrebbe se in giro si venisse a sapere che in una struttura rinomata come questa, avvengono furti che con molta probabilità vanno ad arricchire il mercato nero?”

E mentre lui rimaneva spiazzato iniziando a pensare, Setsuna spostò nuovamente le iridi in quelle di Michiru. “Potremmo pensarci noi tre… e basta. Senza l’aiuto di nessun’altro. Senza interpellare il Dottor Grafft o le autorità competenti. In tal modo limiteremmo eventuali fughe di notizie e scandali vari.”

“E questo vi permetterebbe di studiare i nostri comportamenti in un ambiente non controllato come quello del vostro studio. Non è così?” Aggiunse Michiru modificando radicalmente la sua postura.

Le mani si spostarono dal grembo al petto intrecciandosi saldamente alle braccia. All’altra non sfuggì la chiusura.

“Non ci sto! Non mi faccio studiare io!” Si agitò il bambino penzolando le gambe dalla poltrona.

Setsuna capì di dover cambiare immediatamente strategia o la coalizione tra quei due l’avrebbe schiacciata. Allungando con disinvoltura il braccio sulla scrivania ed iniziando a far tamburellare le dita sul piano, guardò Sigi da sotto la frangia tornando a sorridere. Un sorriso di sfida.

“Molto spesso la psicanalisi ci suggerisce che il rifiuto è solo la sintomatologia di un’insicurezza.”

Lui sgranò gli occhi abboccando con tutte le scarpe. “Io non ho certo paura!”

Ragazzino molto perspicace, pensò lei consigliandogli di non trarre conclusioni affrettate.

“Non ho detto questo. Certo è che dovremmo fare lunghi appostamenti notturni e privarci di parecchie ore di sonno.”

“E allora? Per me non è un problema non dormire o muovermi nel buoi.” Dichiarò tronfio rivelando così la sua naturale immaturità.

“Allora saresti disposto a seguirmi in questa mia impresa?”

“Certamente! Non posso certo lasciarla da sola con quel verme nei paraggi!”

“Ci contavo Sigmund. - Disse rivolgendosi poi alla ragazza che nel frattempo non le aveva staccato gli occhi da dosso. - E voi?”

“Sigi è un paziente e ha bisogno di riposare non di andare in giro la notte con un pericoloso ladro che ormai avrà capito di essere stato scoperto.”

“Signorina Buonfronte sappiamo perfettamente che spesso Sigmund esce di notte dalla camerata per aggirarsi internamente ed esternamente alla struttura. Ieri sera non è stato forse lui a condurci al ladro? Dunque non vedo quale sia il problema. Se al ragazzo qui serve meno sonno degli altri per riacquistare le energie, ben venga.” Una lusinga che al bambino ormai catturato nelle sua rete di manipolatrice fece un gran piacere.

“Dai Milena.” La supplicò incoerentemente non rendendosi conto di essere passato in un batter d’occhio dalla parte del nemico.

“Va bene Sigi, ma tu in cambio dovrai promettermi che una volta che questa storia sarà finita la finirai di girare di solo la notte. Intesi?”

Lui asserì con la testa alzandosi dalla poltrona per andare ad aprire la porta felice come una pasqua. “Signore, io vado a fare i preparativi per questa sera. Ci vediamo subito dopo cena. Arrivederci.” E sparì veloce come una donnola.

“Bene Dottoressa Meiou, è riuscita a raggirarlo in maniera perfetta. Mi complimento con voi. Si vede che siete una professionista.” Fredda come un pezzo di ghiaccio, Michiru si alzò lentamente dalla seduta continuando con una leggera vena di sfida.

“Ma non crediate di fare la stessa cosa con me. Non sono certo una bambina.” E non aggiungendo altro uscì dallo studio.

Interessante. Dunque Michiru Kaiou, non siete poi così docile come tutti credono. Il vostro carattere è complesso e questo non fa altro che stuzzicarmi ancora di più. Pensò strofinandosi il mento iniziando a dondolarsi leggermente sullo schienale della poltrona.

“Ma prima di aiutarvi nella negazione della vostra realtà, devo pensare a quel ragazzino e questa insperata avventura mi servirà per capire di lui molte cose.”

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Io direi – mai mettere a confronto due donne con un carattere tanto forte come quello di Michiru e Setsuna o si rischia di venire risucchiati in qualche altra dimensione. :p

A parte gli scherzi, da par mio non ho ancora capito se si stanno ferocemente sullo stomaco o si ammirano e vorrebbero fare amicizia. Kaiou per adesso è troppo borderline e perciò credo sia più Meiou a tentare.

A costo di ritrovarmi sui denti mattoni e pietrame vario, mi sono permessa di far comparire un’ultima volta (promesso) il dottor “belloccio popò”. Lo dovevo ad Haruka ed anche se le è costato rivederlo almeno ora sa che è caduto in disgrazia e pagherà alla Corte Militare di Vienna tutto il male fatto alla sua Michi.

Per stemperare ho voluto fare un paio di regressioni buffe risalenti al viaggio attraverso le Alpi ed ho provato a spiegare come ha fatto un essere intelligente come Michiru ad innamorarsi di un infamone come Kurzh.

Spero vi sia piaciuto.

Ciauuu

 

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Capitolo 7
*** Angeli nella notte ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Angeli nella notte

 

 

Aspettami… Non camminare tanto veloce!”

Forza marmottina, la strada è ancora lunga. Muoviti.”

Si fermò in debito d’ossigeno sentendosi le gambe pesanti. Stava arrancando come se avesse avuto cento chili piazzati sulla schiena.

Allora? Guarda che ti lascio qui sai?!” Una voce profonda, caldissima, decisa, ma gentile. Una voce che sapeva di conoscere, che sapeva di amare.

Non posso, sono stanca.” Piagnucolò ammettendo l’ovvietà della sua condizione.

Perché non lo capiva? Perché voleva continuare a camminare su per quella scarpata costringendola ad uno sforzo per lei sovrumano?

Ti stai arrendendo forse?” Pungolò freddamente.

No! Non è questo! Ho bisogno solo di riposare!” Guardò in alto, verso la cima della scarpata, a quelle spalle fiere che sapeva di adorare, a quei capelli d’oro liquido che amava accarezzare, a quel corpo che bramava con tutta se stessa.

Se continuerai così finirai con il perderti… amore.”

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 22/9/1915

 

Spalancando gli occhi alle prime luci dell’alba, Michiru avvertì nel petto il cuore correre come un demonio ed i respiri seguirlo ansanti. Rimase per alcuni secondi immobile, come spaventata dal pensiero di muovere anche solo un muscolo, incapace di smettere di tremare. Si concesse ancora qualche respiro facendo poi leva sugli avambracci e da li, riuscendo a sedersi sul letto, controllando quasi apaticamente le quattro mura che componevano la sua stanza. La stava dividendo con un’altra paziente che grazie al cielo non era riuscita a svegliare.

Stringendosi le braccia alla camicia da notte totalmente madida di sudore si rese conto di aver freddo. Devo cambiarmi, si disse cercando di capire perché quello che aveva appena sognato l’avesse ridotta in uno stato tanto pietoso. Non era certo stato un incubo. Oppure si? Che cosa l’aveva destabilizzata tanto?

“Chi sei?” Si chiese ripensando a quelle spalle, a quei capelli, a quella voce, capendo di stare velocemente perdendo il contatto con quell'immagine.

Se continuerai così finirai con il rimanere troppo indietro e ti perderai… amore.

“Amore.” Ripeté piano afferrando quel sostantivo prima che venisse risucchiato dalla veglia, avvertendo subito dopo una dolorosissima fitta alla tempia che le lasciò uscire un grido subito soffocato con il palmo della mano.

Incurvando la schiena in avanti premette la fronte contro le ginocchia provando a non spezzare i respiri. Amore, le riecheggiò come un eco mentre il legame onirico con il sogno si dissolveva definitivamente.

Si gettò su di un fianco raggomitolandosi lacerata da quel pulsare acuto. Aveva la consapevolezza di essere lei su quella salita, come sapeva che quella persona che le stava camminando davanti e che non era riuscita a vedere in volto, era importante, un punto di riferimento, un faro. Ma più di questo non sapeva, non capiva, non ricordava.

Non voglio ricordare, pensò sentendo le prime lacrime di dolore solcarle il viso.

Ti stai arrendendo forse?

Si. Senza di te mi sto arrendendo.

 

Quando Setsuna se la vide davanti capì immediatamente che qualcosa non andava. In quella mattina di pieno sole Michiru era pallida, accompagnata da due visibilissime borse sotto agli occhi ed uno sguardo al limite del disperato puntato al mattonato bianco del corridoio. Il medico corrugò la fronte andandole incontro.

“Milena cosa vi è successo?!” Chiese seriamente preoccupata. Forse avrebbero dovuto finirla di andare in giro a caccia del ladro per gran parte delle notti.

“Dottoressa Meiou… avrei bisogno di un po’ di antidolorifico.” Rispose vergognandosene e per questo non alzando lo sguardo.

Il respiro leggermente affannato tenuto sottocontrollo da una grandissima forza di volontà. Questo era Michiru; tenacia, risolutezza pura, caparbietà fisica.

Setsuna le afferrò un braccio come per sorreggerla, ma l’altra stirando le labbra non accettò il contatto. “Ce la faccio, grazie.”

“Andiamo nel mio studio.” Replicò non scomponendosi.

Dieci minuti più tardi la dottoressa porse un bicchiere con del liquido bianco ad una donna più che scorata. Con mano non certo fermissima la più giovane afferrò il vetro iniziando a bere senza dire una parola.

“Fate adagio Milena, ricordatevi che non è una cura, ma un oppiaceo.” E sottolineò l’ultima parola calibrando la voce in maniera che risultasse chiaro all’altra quanto pericoloso fosse abusare delle proprietà tranquillanti di quella droga.

Setsuna conosceva molto bene il lavoro del Dottor Grafft sulla sindrome da shock post granata che molti soldati al ritorno dalle linee di combattimento spesso presentavano e su come fosse fermamente convinto che i reduci che soffrivano di prolungati periodi d’insogna o incubi notturni, dovessero essere trattati con massicce dosi di oppiacei. Cosa che per la giovane dottoressa era totalmente sbagliata. Vi erano più veterani e soldati diventati dipendenti dopo un periodo ospedaliero che soldati psicologicamente guariti e perciò lei andava sempre molto cauta con quelle somministrazioni.

“So cosa sto assumendo dottoressa Meiou. Non fate altro che ricordarmelo ogni santa volta che ne ho bisogno.” Riconsegnando il bicchiere lasciò una mano sul viso vergognandosi di se stessa. Eppure quella droga era l’unica cosa a farla sentire bene.

Questa volta la questione era seria, molto più delle precedenti. Setsuna si accovacciò accanto alle gambe dell'altra prendendo ad accarezzarle i capelli.

“Milena, cosa vi accade?” Chiese cercando ferma dolcezza nella voce.

“Ho fatto un sogno… e…”

“...E?” Spinse dopo qualche secondo di silenzio.

“E credo ci fosse una persona cara con me, carissima, anche se non sono riuscita a vederne il viso, ma i capelli si, erano dello stesso colore di questo.“ Si toccò la tasta destra dove anche la dottoressa sapeva cosa ci fosse.

“Mi sono sentita chiamare amore. - Puntando sul medico due occhi tra lo stupito e lo spaventato continuò quasi con veemenza. - Questo non dovrebbe essere una cosa bella?”

“Suppongo di si Milena.”

“E allora perché mi sento tanto male. E non parlo solamente del dolore alla tempia, ma di tutto il mio essere.”

“Non ricordate altro?” Ed alla negazione Setzuna iniziò a pensare rapidamente.

“Mi sono già espressa a tal riguardo Milena. A questo punto io consiglio di fare immediatamente una seduta d’ipnosi.”

Gettò a bruciapelo vedendola sussultare leggermente. Aveva già provato ad imporle quella soluzione, ma la ragazza si era sempre rifiutata. In tutta franchezza quella tecnica di mediazione tra il paziente ed il suo passato a Setsuna non sarebbe servita per conoscere generalità o eventi della ragazza comunque già conosciuti tramite le sue ex allieve, ma per tentare di sbloccarla, in un certo senso farla ripartire da quell’empasse del quale non si riusciva a scorgere soluzione.

“Sapete come la penso a tal merito.” Graffiò Kaiou mettendosi sulla difensiva nonostante l’inibitore che aveva appena preso iniziasse a fare il suo effetto calmante.

“Lo so, come so di avervi già detto che senza una scossa non riuscirete a liberarvi da questa spirale di negazione nella quale state bellamente crogiolandovi.”

“Non sono una reduce di guerra, dottoressa. Non trattatemi come una nevrotica traumatica!”

Setsuna si alzò di scattò. Era dotata di tatto e comprensione, ma non sopportava il vittimismo, ne tanto meno che un paziente cercasse di controbattere su campi che non gli appartenevano. “Perché non dovrei, signorina Buonfronte? I traumi non vengono prodotti solo dalle bombe di un mortaio.”

“Perché non lo sono!” Urlò esasperata stringendo i pugni sulle gambe.

“Si che lo siete! - Replicò alzando il tono della voce allo stesso livello dell’altra per non darle l’idea sbagliata di stare cedendole terreno. - E finché non vorrete accettare quest’ovvietà, continuerete a girare in tondo rischiando così di perdervi definitivamente!”

Se continuerai così finirai con il rimanere troppo indietro e ti perderai.

Risentita anche da quel ricordo, Michiru si alzò avvertendo però mollezza nelle ginocchia. Afferrando la traversa trovò un sostegno nella sedia.

“Non ho intenzione di continuare questa conversazione.”

“Vi state dunque arrendendo signorina?”

Ti stai arrendendo forse?

No, non lo so, forse… avrebbe voluto rispondere, ma quel semplice pensiero di secca irritazione non riuscì a tramutarsi in parole. Improvvisamente accerchiata da una coltre scura sempre più densa si sentì mancare la terra sotto ai piedi ritrovandosi priva di coscienza.

 

 

Comune di Locarno

Svizzera meridionale

 

Era il terzo giorno di ricerca e vista l’infruttuosità ottenuta, Haruka stava iniziando a dare cenni d’insofferenza. Appena scese alla stazione di Locarno e trovato un albergo per la notte, carta della zona alla mano, le sorelle Tenou avevano creato una sorta di tabella di marcia, dividendo la zona in veri e propri settori, concentrandosi sulle fattorie e le aziende che coltivavano e lavoravano il grano semolato nero. Erano parecchie, ma nonostante la distruzione dei campi del nord e visti i venti di guerra, non tutte avevano potuto permettersi il lusso di assumere nuovo personale. I confini con il Regno d’Italia erano vicinissimi e per le strade e nei campi si vedevano molti più soldati e carri, che contadini e trattori. Per quanto potesse essere grottesco questo aveva finito per facilitare il compito delle due ragazze, che non avevano però, trovato molto.

La mattina del secondo giorno erano riuscite a sapere che le famiglie scese dalla zona del lago FullerGraft per lavorare il semolato, si erano concentrate tutte nella parte settentrionale dei vastissimi sobborghi della città di Locarno, così ad Haruka e Giovanna non era rimasto altro che macinare chilometri su chilometri tra le frazioni, attirandosi addosso gli sguardi curiosi di molti, soprattutto quando sostavano a dissetarsi in un’osteria o a dormire in una stamberga.

Fu proprio in una di queste, durante la cena del terzo giorno, che la bionda si vide davanti un tizio dalla faccia scaltra, smagrito, con i vestiti che gli pendevano addosso come se fossero stati di un altro. Quando si tolse il cappello rivelando la chioma scura arruffata e sporca ad Haruka suonò un campanello d’allarme.

“Perdonate l’ardire signore, ma ho saputo che state cercando informazioni su una famiglia del settentrione che ha avuto a che fare con il crollo di quella diga nei pressi di Altdorf e credo di potervi aiutare.” E si inchinò di fronte ad entrambe con una reverenza tale che anche Giovanna iniziò a stare sul chi vive.

Portandosi il bicchiere di rosso alle labbra per mandar giù l’ultimo boccone di stufato d’agnello, Haruka fece all’uomo un cenno con la mano invitandolo a sedersi al tavolo con loro.

“Gentilissimo signore. Signora…” Chinando nuovamente la testa si sedette iniziando a stringere convulsamente il cappello.

“Allora? Come siete venuto a conoscenza della nostra ricerca?” Chiese lei passandosi il tovagliolo sulla bocca per dimenticarlo poi al lato del piatto.

“Le frazioni sono piccole e le voci corrono in fretta.” Ammise iniziando a fissare il pane.

Alle due bastò uno sguardo per capirsi e Giovanna sorrise convincente. “Vuole favorire ed essere nostro ospite, signor…”

“Patrizio Bentivoglio. Grazie signora. Molte grazie.” Ed afferrando un pezzo di pagnotta iniziò a cibarsene avidamente.

Facendo cenno all’oste di portare un altro piatto, Haruka spostò il suo per poggiare saldamente gli avambracci sulla tovaglia.

“Avete la mia massima attenzione signor Bentivoglio.”

“Be signore… le notizie che mi sono giunte alle orecchie sono abbastanza confuse e non so se possano esservi d’aiuto.” Disse illuminandosi alla massa fumante postagli davanti dal gestore.

“Questo lasciate giudicarlo a noi.” Intervenne Giovanna avendo il sentore di una enorme presa in giro. Se quel tizio si fosse rivelato uno sciacallo, Haruka avrebbe finito per soffrirne.

“Suppongo che questi potrebbero aiutarvi a far chiarezza nei vostri ricordi, non è così?!” Estraendo cinque franchi dalla tasca del gilè la bionda li posò discretamente affianco al piatto dell’uomo che immediatamente smise di ruminare il boccone.

“O… si signore, si.”

Tirando su un sopracciglio alla velocità con la quale la moneta sparì dalla sua vista, Haruka attese cercando di non dare a vedere quanto stesse fremendo.

“Vi ascolto.”

“Si dice che stiate cercando una famiglia proveniente dalle campagne di Altdorf che abbia salvato una ragazza dal crollo della diga di FullerGraft.” Ingoiò avidamente.

“Proseguite.”

“Dunque, posso dirvi che questa famiglia è quella dei Buonfronte e si da il caso che abbia affittato un podere qui vicino. Da loro vive una ragazza.”

“Sapeste descrivermela?” Haruka non era intenzionata a mostragli la foto di Michiru che teneva gelosamente nella tasca interna della giacca.

“Non l’ho mai vista, però mi è giunta voce che sia molto bella, abbia i capelli scuri, non molto lunghi e mossi, gli occhi chiari e sia in età da marito.”

Giovanna ghignò scuotendo la testa. In pratica l’immagine dei due terzi delle donne svizzere. “Non basta per una moneta da cinque franchi signor Bentivoglio.”

“Neanche se vi dicessi che la ragazza in questione appartiene ad una famiglia borghese piuttosto agiatamente nord del paese, signora?”

A quella dichiarazione Haruka smise di respirare. Poteva trattarsi di lei. Poteva essere la sua Michiru.

“Se volete vi ci porto io. La fattoria è dalla parte opposta del torrente, ma si sta facendo buoi e rischiate di perdervi.”

Giovanna non si trovò d’accordo, non le piaceva quell’uomo, ma la frenesia disperata di Haruka non le lasciò il tempo per parlare. Alzandosi in piedi la bionda fece cenno al loro ospite di sbrigarsi a terminare il piatto. Cinque minuti dopo si trovarono a camminare tra l’erba incolta di un viottolo pietroso che si snodava tra un campo appena arato ed il greto alberato di un piccolo torrente.

“Ruka non mi fido di lui.” Disse la maggiore sotto voce.

“Giovanna è il primo indizio concreto che abbiamo in tre giorni. Nessuno ci ha fornito delle informazioni dettagliate come a fatto lui… perciò sta zitta e seguiamolo.”

“Appunto… potrebbe essere tutto frutto di un bluff. Ormai la voce della nostra ricerca si è sparsa e se non abbiamo ancora trovato nulla vuol dire che non è la pista giusta.” Ma la sorella la fulminò fermandosi di colpo.

“Possibile che tu non capisca che devo aggrapparmi a qualunque tipo d’appiglio?!”

Sospirando per niente convinta l'altra accettò quella disperata spiegazione mentre il signor Bentivoglio le incoraggiava a proseguire verso il ponticello di legno che permetteva di guadare il rivolo.

“Coraggio, non manca molto.” Chiamò lui fermandosi proprio davanti alla sponda.

“La fattoria della quale ci accennavate è quella?” Chiese Haruka vedendo stagliarsi nel declinare del crepuscolo una flebile luce.

“Si signore, ma non credo che serva che io vi accompagni fin li!” Rispose estraendo dalla tasca un coltellaccio a serramanico dalla lama lunga più di dodici centimetri.

“Signor Bentivoglio!” Esclamó Giovanna sgranando gli occhi.

“Mi dispiace, ma io ed i miei compari abbiamo fame.” Sorrise lui all’apparizione di due complici che li avevano seguiti a distanza.

Erano in trappola. “Volete derubarci?”

“Questo sarebbe il piano, signora.” Si intromise uno dei due spalleggiatori armando anch’egli la mano ed avvicinandosi pericolosamente a Giovanna.

La bionda agitò una mano cercando di temporeggiare. Non sembravano cattivi, ma soltanto disperati. “Non c’è bisogno che alziate le lame su di noi, signori.”

“E allora mollate il porta denari.” Continuò l’altro puntando la lama alla gola della sorella.

“Non ci sono problemi, ma non fatele del male.” Haruka abbandonò l’idea d’impugnare la sua Luger. Era in inferiorità ed anche se quei tre sembravano più ruba galline che altro, proprio per questo non poteva permettersi gesti azzardati.

“Spiegatemi una cosa Bentivoglio. - Disse gettandogli il sacchetto di pelle con le monete. - Allora non è vero che in quella famiglia… i Buonfronte, vive una ragazza borghese salvata dalle acque del FullerGraft Fluss.”

Afferrando al volo il bottino lui alzò limpidamente le spalle. “Che fosse una borghese l’ho tirato ad indovinare dai vostri bei vestiti. Non è di tutti i giorni vedere un damerino come voi aggirarsi tra i campi in cerca di una donna. Ho soltanto immaginato che non dovesse trattarsi di una semplice contadina, ecco tutto!”

Idiota, si disse la bionda riflettendo solo in quel momento. Perché Michiru avrebbe dovuto essere classificata dai suoi salvatori come una ricca borghese se al momento del crollo aveva in dosso solo abiti umilissimi da scalata? Nell’ansia di sapere aveva commesso un’enorme errore.

“Comunque signore, vi posso assicurare che per quanto riguarda i Buonfronte… quel disgraziato giorno hanno realmente salvato una ragazza dal fiume, ma ho anche sentito dire che sia morta per le ferite riportate.”

Ad Haruka sembrò di ricevere un pugno in pieno stomaco. “Come morta!”

“Si signore. Con i Buonfronte attualmente abita solo una donna e non è certo una ragazza.”

Ruka, pensò Giovanna vedendo che la sorella aveva avvertito l’urto.

Improvvisamente un colpo di fucile riecheggiò dietro di loro, verso la fine del campo che avevano percorso tutti e cinque per arrivare fino al ponte.

“Che intenzioni avreste, gentili signori?” Una voce abbastanza profonda accompagnò quello sparo seguito dal clic del percussore con l’inequivocabile entrata in canna di un secondo colpo.

“Patrizio, diamocela a gambe.” Urlò il terzo compagno di quella banda scalcinata prendendo la via del ponticello. Abbandonata Giovanna il secondo scomparve correndo all’impazzata dileguandosi in men che non si dica.

“Dunque?” Continuò l’uomo lasciando che dalla sua enorme mole uscisse un’adolescente armato quanto lui.

“Lasciate la scarsella del signore e sparite. Se vi rivedo ancora nei paraggi di casa mia vi farò saltare la testa. Chiaro?!”

Terrorizzato da quel colosso e dall’arma ancora fumante che stringeva tra le mani, Bentivoglio abbandonò il bottino seguendo i due complici lungo il ponte e da li sparendo lungo il greto alberato.

Giovanna schizzò verso la sorella afferrandola per un braccio. “Ruka stai bene?” Le sussurrò sentendo un singulto.

“E’ morta. E’ morta…”

“Non è detto si trattasse di Michiru. Haruka stammi a sentire.”

Ma liberandosi con un gesto brusco dalla presa, la guardò arretrando di un passo. Scuotendo la testa lentamente sentì di aver perso tutte le speranze e voltandosi scappò via prima ancora che il loro salvatore potesse presentarsi.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

“Dov’è Milena? Perché questa sera non è venuta?”

“Sigmund non ti ci mettere anche tu, per favore. - Setsuna voltò la testa prima a sinistra, poi a destra. - Accidenti!”

Dopo notti d'appostamenti andati a vuoto aveva rivisto quell’ombra aggirarsi nei pressi della mensa, ma ora, complice anche una sottile nebbiolina che stava avvolgendo il parco dell’ospedale, l’aveva persa. In più aveva lasciato Michiru a rimettersi dallo svenimento che l’aveva colpita la mattina e questo le metteva una certa ansia. Avrebbe voluto chiedere a Minako di vegliarla, ma la vicinanza con l'ex allieva sembrava proocare piu' danno che beneficio. Perció in quel momento la petulanza del ragazzino era veramente fuori luogo.

“E’ da ieri sera che non la vedo. Che le avete fatto!?”

Cosa le avrei fatto? Si chiese guardandolo tra il serio ed il faceto. “Quella donna è coscientemente in grado di farsi del male da sola senza che intervenga io. Te lo assicuro mio giovane amico.”

Raddrizzando la postura, Setsuna provò ad ascoltare i suoni della notte. Con quella nebbia il ladro non poteva essere andato troppo lontano.

“Allora qualcosa è realmente successo!”

“Sigi stai zitto un attimo!”

Scrutando il muro latteo, la donna chiuse le palpebre affidandosi al senso dell’udito. Il frusciare del vento, i grilli, i rapaci notturni e null’altro. Poi, all’improvviso, un crepitio alle sue spalle, come di un qualcosa sbriciolato sotto la forza di un peso. Forse un rametto o qualcosa del genere. Setsuna si voltò di scatto appena in tempo per vedere e schivare il fendente imposto da un grosso bastone. Accovacciandosi riuscì a spostarsi da un lato.

“Non continuerete a rovinare i miei piani maledetta donna.” Una voce camuffata da un vistoso fazzoletto bianco premuto con maestria su naso e bocca, ed un uomo alto circa un metro e ottanta, dalla corporatura importante, apparve loro uscendo completamente dal tronco d’albero che lo aveva nascosto sino a quel momento.

Cercando di colpire la donna una seconda volta, andò nuovamente a vuoto iniziando ad infuriarsi.

“Avreste dovuto continuare a farvi gli affari vostri dottoressa e non vi sarebbe successo nulla.”

“Siete voi che avreste dovuto calcolare il fatto che il crimine non paga, signor mio. Cosa volete trasformarvi... da ladro in assassino?”

“Avrei da guadagnarne in soddisfazione!” La schernì accompagnando il terzo colpo con un suono gutturale simile a quello di un animale rabbioso.

“State un po’ ferma!”

“Stai fermo tu!” Urlò Sigi rilasciando un calcio poderoso all’altezza del ginocchio sinistro dell'assalitore, che barcollando solo leggermente, ricambiò afferrando il biondino per il collo della camicetta iniziando a strattonarlo.

“E tu che vuoi piccolo bastardo. E’ colpa di voi tedeschi se l’Europa sta bruciando, se per non morire di fame siamo costretti ad ingrassare il mercato nero. Voi per primi siete dei ladri, ladri e porci!”

“Non è vero! Io non ho mai rubato a nessuno.” Si difese arpionandogli l’avambraccio con le piccole mani.

“Scommetto che non è così. Ti ho visto sai come nei primi giorni di ricovero guardavi il pane. Tu hai gli occhi di un ladro e per di più sei anche un bugiardo!” Disse avvicinando il viso a quello dal ragazzino.

“Lasciatelo!” Setsuna cercò d’intervenire dovendo però balzare all’indietro per far fronte all’ennesima bastonata.

“Prima sistemo lui e poi sarò da voi, dottoressa Meiou.”

Ma lanciandosi con le unghie sul viso semicoperto dell’uomo, Sigmund riuscì a graffiarlo sul mento quanto basta per lacerarglielo e sentirsi libero di scappare. Voltandosi toccò il prato scivolando però sull’erba bagnata ritrovandosi in terra.

“Schifoso moccioso!” Sputò tutto d’un fiato portandosi una mano al volto mentre con l’altra brandiva il bastone alzandolo sulla testa con l’intento di scagliarlo contro.

Setsuna si gettò allora sul piccolo abbracciandoselo stretto al petto pronta a fargli da scudo. Sicura di stare per ricevere il colpo chiuse gli occhi sentendo invece una nuova voce, anch’essa maschile, intimare al ladro di fermarsi. Spalancando gli occhi vide Wolfgang Aino bloccare il bastone ormai a mezz’aria con quello da passeggio che usava per sostenersi.

“E’ proprio da vigliacchi prendersela con una donna ed un bambino e vedo con rammarico signor mio, che siamo anche armati!” Allontanando la minaccia con la forza del bicipite colpì di taglio al fianco come se stesse impugnando una sciabola, vedendo così l’arma di difesa piegarsi e spezzarsi in mille pezzi.

“Ops… Non esistono più i bastoni da passeggio di una volta.” Costatò non potendo far altro che avventarsi sull’altro.

“Ma che volete fare moscerino storpio?!” Ridacchiò il suo avversario colpendo con lo stivale il polpaccio di legno. Ma prima che Wolfgang potesse stramazzargli davanti fu talmente lesto d’afferrargli il fazzoletto smascherandolo. Per non farsi riconoscere all’assalitore non rimase altro che darsela a gambe nel fitto della nebbia.

“Sapeva dove colpire la brava persona. Evidentemente conosce bene anche me. - Borbottò rialzandosi a fatica. - State bene dottoressa Meiou?”

Setsuna lo guardò riconoscente sorridendo. “Si signor Aino, grazie. Il vostro intervento è stato provvidenziale.”

“Perdonate, avrei voluto far prima, ma la nebbia e questo non mi hanno affatto facilitato.” Sbatté il piede artificiale in terra un paio di volte.

“Perché siete qui?”

“Ero all’entrata della struttura a godermi un po’ di tabacco post cena, quando vi ho vista vagare nel parco ed essendo un tipo curioso…” Si fermò guardando il tremore del bambino smorzando il sorriso che aveva messo su.

“Che hai Sigi?” Chiese Setsuna accarezzandogli i capelli.

“Non l’ho fatto con cattiveria. Non sono un disonesto, ma avevano fame. Tanta fame.” Articolò stringendo il viso al petto della donna rivelando l’inizio di un’enorme fragilità.

“Cosa stai dicendo?! Chi aveva fame?”

“Loro… la mia famiglia. Dottoressa… io non sono un ladro.” E scoppiando a piangere si rintanò nelle braccia della donna come se fossero state quelle di sua madre.

 

 

Aveva il gelo nelle ossa ed il tepore del fuoco ancora troppo giovane non riusciva a scaldarla. Aveva freddo e voleva le sue mani su di lei. Aveva voglia e desiderava i suoi baci sulle labbra.

Voglio che il tuo corpo mi scaldi. Un desiderio uscitole dalla gola con una voluttà che non avrebbe mai creduto di possedere. Una smania carnale talmente violenta da lasciarla stupita di se stessa.

Sei sicura amore? Quella voce meravigliosa dal timbro velato da una passione repressa e vorace.

Si. Ed il desiderio di essere completamente sua, mentre sentiva fremerne le carni avvertendone il respiro premuto nell’incavo del collo e le mani che correvano ormai senza più freni sulla schiena fino a toglierle la canottiera, ultimo baluardo alla sua nudità. Non sentiva paura o timore, vergogna o timidezza, ma solo calore e pulsione addominale. E poi scambi di pelle, di baci e di carezze date e ricevute. Le sue mani su di lei ed il suo corpo nudo sopra il suo.

Amore mio… sono tua.

Michiru spalancò gli occhi squassata dall’ennesimo tremore. Ansimando si tirò le lenzuola fino al mento guardando l'ormai troppo noto soffitto della sua camera.

Oddio mio, pensò corrugando la fronte sentendo la pelle del petto ancora drammaticamente recettiva ed il basso ventre agitato di vita propria. Si nascose ancor di più sotto la coperta sapendo d'apparire paonazza alle ombre incorporee presenti nella stanza.

Amore mio… sono tua, aveva detto con coscienza sentendolo come semplice e pura verità. Sospirando e provando caldo dappertutto, cercò allora di ragionare su quello che aveva appena sognato. Per lo più sensazioni tattili. Profondamente tattili.

“O mio Dio.” Ripeté pianissimo colpita dalla convinzione di essere stata di un uomo. Eppure in tutta onestà aveva sempre creduto di essere illibata. “E adesso come spiego questo alla dottoressa Meiou?”

Sei sicura amore?

Si. E lo era davvero.

“Non devo più far uso dell’oppio!” Si disse sapendo però che se non stava provando il dolore lancinante che l’aveva pervasa all’alba, dopo una notte simile a quella che stava vivendo ora, il merito era solo di quella stramaledetta droga.

Guardando l’orologio sul comodino constatò che fossero solo le ventuno e che aveva dormito in maniera spropositata per tutto il giorno avendo saltato anche pranzo e cena.

“Dovrei vestirmi per raggiungere Sigi al parco. Sarà preoccupato.” Ma prima che potesse anche solo pensare di sedersi sul bordo del letto, svestirsi della camicia da notte, indossare un vestito ed uscire, le palpebre si chiusero ad una nuova incoscienza riportarla nuovamente in quel vortice di benedetta sensualità.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Il corpo di Kaiou si sta ribellando! Ammutinando direi! Niente inganni della mente; Haruka è presente in lei anche se ancora non la ricorda. Lo so che sono divise già da troppo tempo e vorreste rivederle insieme presto, ma sto cercando di far si che tra loro ci sia comunque un legame. Che siano sensazioni, emozioni o ricordi.

Se da una parte Machi sta cercando di uscirne o meno, perché ancora non ha deciso scientemente se accettare il suo passato, Haruka sta vivendo forse il momento più drammatico del suo viaggio. Adesso molte penseranno che il signor Bentivoglio è un bugiardo, ma in realtà non è così e lo chiarirò all’inizio del prossimo capitolo.

Come inizio a figurarmi anche piuttosto chiaramente il rapporto che sta legando Setsuna e Michiru e ammetto che mi piace molto questo “cordiale non prendersi” che fa di due donne forti due micce inesplose.

In ultima battuta una domanda… Ma Sigi sarà o non sarà un ladro?

A prestissimo!!!

PS Non ho corretto... perdonatemi ;)

 

 

 

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Capitolo 8
*** Il caso non esiste ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il caso non esiste

 

 

Comune di Locarno – Masseria Buonfronte

Svizzera meridionale

 

“Prego signor Tenou, vi farà bene.”

Sorridendo prima al bicchiere d’acquavite e poi alla donna che glielo aveva appena messo davanti, Haruka ringraziò con un cenno del capo tirandone su un paio di sorsi. Al bruciare del liquido nei polmoni inalò ossigeno cercando di trattenere un colpo di tosse.

Appena aveva ricevuto la notizia della morte della ragazza che i Buonfronte avevano salvato dal FullerGraft Fluss si era sentita sprofondare rapidamente nello scoramento più profondo, cedendo a quel risucchio depressivo che sapeva di avere dietro alle spalle dal distacco con Michiru e che sentiva sempre pronto a ghermirla ad ogni passo falso. Quel buco nero nato non appena aveva riaperto gli occhi distesa su di un letto sconosciuto, davanti a persone estranee prodighe nel medicarle un corpo martoriato da mille lacerazioni, fisiche ed emozionali e che l’aveva seguita ovunque, da Altdorf a Berna, da Bellinzona a quella masseria isolata in una campagna come tante. Ora l’aveva catturata e la bionda ne avvertiva la negatività ad ogni respiro o battito del cuore, sapendo intimamente che per continuare a sopravvivere avrebbe dovuto accettarne la compagnia per tutto il resto della sua vita.

Quando dieci minuti dopo la sua fuga, Giovanna, seguita a poca distanza dai loro salvatori, l’aveva vista fare ritorno con passo lento e testa bassa, non aveva potuto far altro che stringerla notando quasi con spaventato stupore la sua compostezza.

“Tutto bene?” Le aveva detto sentendo la sua voce ovattata nell’orecchio premuto con forza sul cotone scuro della giacca.

“Scusa se ti ho lasciata sola Giovanna.” E non aveva aggiunto altro Haruka seguendola pedissequamente fino alla casa della famiglia Buonfronte.

Non avrebbe mai confessato a nessuno, tanto meno alla maggiore, quello che i suoi occhi avevano pianto e le sue labbra detto durante quel lasso di tempo.

“Non sono riuscita a mantenere la mia promessa amore mio. Non sono riuscita a trovarti.” Aveva confessato vinta alle prime stelle di quell’inizio di notte, crollando poi a sedere sul greto di quel piccolo torrente dalle acque canterine. Addosso un senso di colpa lacerante. Solo il sapere la sorella da sola con due perfetti sconosciuti l’aveva spinta a rialzarsi con fatica da quel suo giaciglio improvvisato in cui avrebbe voluto passare tutto il resto della sua esistenza. Lentamente aveva ripreso possesso degli occhi, sciacquandosi il viso ed asciugandosi con il suo fazzoletto per poi ricalcare i passi fino ad incontrare l’altra, con nel cuore la sola voglia di tornarsene immediatamente a casa.

“Bevetelo tutto. E’ forte, ma vi farà bene vedrete.” Insistette la moglie del capo famiglia permettendosi di sorridere ancora una volta a quel giovanotto dal cuore inconsolabile.

Ogni Buonfronte presente in quella stanza pur non conoscendo minimamente quel ragazzo ed il suo cuore ormai spezzato, aveva capito la profonda disperazione che stava trasparendo da ogni centimetro quadrato di quel bellissimo viso pallido di colpo più maturo, da quegli occhi ormai ostinatamente asciutti, da quei gesti lenti e quasi soppesati. E tutti rimanevano in silenzio come in attesa di un qualcosa, di una reazione, provando nel contempo a non disturbare quell’immagine dolce e normale di una sorella che cerca di consolare un fratello affranto.

Di fronte a quella situazione, a quell’interminabile serata, a quel viaggio ed al suo carico di speranza, Giovanna per prima non sapeva bene come comportarsi, scissa tra il doversi controllare in presenza di estranei e l’impellente necessità di stringersi quel cucciolo fiero al petto. Non poteva certo rivelare alla famiglia che li stava ospitando che quel ragazzone biondo vestito di tutto punto da giovane signore di città in realtà fosse una donna al limite della frattura, che stava soffrendo per la perdita del suo amore; la ragazza che quelle stesse persone tre mesi prima aveva estratto dal fango e dall’acqua. Ed allo stesso tempo doveva cercare con tutto il tatto possibile di chiedere cosa ne fosse stato realmente di Michiru.

“Siete gentili a volerci ospitare per la notte, ma non vorremmo arrecarvi ulteriore disturbo signore.” Disse ad un certo punto cercando di spostare l’attenzione da Haruka.

“Nessun disturbo signorina, per carità. Purtroppo dall’entrata in guerra del Regno d’Italia le strade, come avete visto da voi, non sono più molto sicure, perciò è meglio che rimaniate. Domani mattina manderò mio figlio alla locanda per prendere i vostri bagagli.”

“Grazie, ma non credo ci fermeremo ancora. - Una rapida occhiata alla sorella sempre immobile seduta sulla sedia del tavolo del tinello. - Mio fratello Jo ed io siamo venuti qui solo per cercare la vostra famiglia, ma ora che abbiamo saputo quello che dovevamo sapere non v’è più motivo per restare.” Concluse stirando le labbra mentre l’uomo le faceva cenno di sedersi sul divano.

“Questo me lo avete detto anche prima, ma non ho ben capito il perché della vostra ricerca e cosa c’entri la mia famiglia.”

“Dunque, noi…”

“Signore si dice che dopo il crollo della diga di FullerGraft voi abbiate salvato una ragazza dalle acque? E’ vero?” Intervenne piatta la bionda staccando finalmente gli occhi dal liquido trasparente per immergerli in quelli altrettanto chiari dell’uomo.

“Si… è vero. Ma a voi cosa dovrebbe interessare?”

“Si da il caso che io stia cercando delle informazioni su questa ragazza per conto della sua famiglia.”

“Mmmm…. Capisco.” E sospirando andò a sedersi accanto a Giovanna iniziando a preparare il tabacco per la pipa.

“Dunque quel ruba galline ci aveva detto il vero.”

“Si, signorina Tenou. Immagino di si. Non potete sapere quanto queste voci mi diano fastidio. Quel giorno mio fratello ed io facemmo solo ciò che andava fatto.” Accese un fiammifero continuando.

“Alla fine di questo giugno la mia famiglia ha ricevuto una serie di schiaffi dal cielo da non augurarli neanche a quel… ruba galline, come lo avete chiamato voi, ed ammetto che l’unica gioia sia stata trovare quella povera figliola ancora in vita.”

Haruka poggiò allora i palmi sul legno del pianale alzandosi faticosamente. Estraendo la foto di Michiru dalla tasca interna della giacca si avvicinò all’uomo mostrandogliela..

Quelle enormi mani callose ne strinsero i bordi e dopo qualche secondo sorridendo le fece un cenno di soddisfazione. “Non potrei scordarmi di questo viso neanche se fosse Dio in persona ad impormelo.”

“Carlo non bestemmiare!” Lo riprese la moglie esortandolo poi a proseguire.

“Ricordo ogni istante di quelle ore. Io, mio fratello e mio figlio Giacomo eravamo andati nei campi molto prima del solito. Il semolato stava crescendo bene e con la guerra il prezzo al quintale sarebbe lievitato a dismisura. Non potevamo permetterci di fermarci e così avevamo preso a lavorare come bestie ogni giorni più del precedente. La sera che la diga venne giù staccammo tardi come al solito e quando finalmente stavamo facendo ritorno incontrammo mia figlia Milena abbastanza alterata. - Rise al ricordo della sua ragazza sempre pronta a mettere in riga tutti gli uomini della famiglia. - Di norma passavo io a prendere l’asino e le due vacche al greto del fiume, ma quel giorno ero stanco e lasciai che fosse lei a farlo per mio conto. Non badai al fatto che fosse arrabbiata, ne che si fosse fatto tremendamente tardi, ne che avrei dovuto comunque accompagnarla. Se avessi saputo cosa di li a breve sarebbe accaduto, vi assicuro che non l’avrei mai lasciata andare.”

“Dunque avete una figlia signor Carlo.” Chiese Giovanna titubante mentre Haruka tornava a sedersi.

“Avevo. Quando l’acqua colpì la mia casa eravamo già stati avvertiti di un possibile crollo da un gruppo di quattro ragazze a cavallo. - Guardando prima Giovanna poi Haruka l’uomo continuò dimenticando la pipa nel palmo. - Se non fosse stato per loro saremmo morti tutti.”

“Michiru.” Soffiò la bionda e la donna ferma in piedi accanto a lei sorrise. “Allora è questo il suo vero nome. Hai sentito Carlo?!”

“Michiru?” Ripeté lui tornando a guardare la foto dimenticata tra le dita dell’altra mano.

“Si signore… Michiru Kaiou.” Confermò Giovanna.

“E’ un bellissimo nome… E’ merito delle sue accorate parole se ci siamo convinti a raggiungere i pendii prima del crollo. Tutti tranne la mia povera Milena. Di lei non abbiamo saputo più nulla. Con molta probabilità il suo corpo è stato portato a valle perdendosi nel nulla come è successo a molti altri.”

La donna intervenne continuando quello che il marito si stava sforzando di dire. “Fu proprio mentre Carlo e Giacomo stavano cercando Milena che trovarono la vostra Michiru. Ferita ed incosciente, ma viva.”

“La portammo in una fattoria più a monte, dove l’acqua non era arrivata e dove si erano concentrati gran parte degli abitanti della zona. Era sporca di fango e sangue dalla testa ai piedi e solo dopo averle pulito il viso fummo in grado di riconoscerla. Era la ragazza che ci aveva avvertito di una possibile inondazione, che aveva fatto si che gran parte della mia famiglia potesse salvarsi.”

“L'uomo che ha detto di avere notizie su di lei e che poi ha tentato di derubarci, ci ha detto che…”

“Che è morta.” Concluse gelida Haruka guardandolo freddamente. Pronta a ricevere l’ennesima pugnalata strinse la mascella attendendo.

“In realtà no, o almeno è rimasta in vita sino a quando la squadra medica messa a disposizione dal cantone bernese non l’ha portata via. Io non so cosa le sia accaduto dopo, certo è che la ferita alla tempia che aveva era molto profonda.”

“E dove l’avrebbero portata?” Chiese Giovanna accesa di speranza subito repressa dalla sorella.

“Che importanza credi che abbia? Non pensi che in questi mesi il signor Kaiou non abbia già fatto battere a tappeto ogni singola struttura ospedaliera della Svizzera centro settentrionale?!”

Il silenzio si posò su quella stanza prima calda ed accogliente, portando freddo e grigiore. Giovanna sospirò scuotendo la testa. Con molta probabilità era stata la prima azione di ricerca messa in campo da quell’uomo.

“Hai ragione…”

“In realtà, forse una spiegazione del perché il signor Kaiou non sia riuscito ad avere notizie sulla figlia potrebbe essere nel fatto che… Io sia dannato. Mi vergogno di me stesso, ma in quel momento ho creduto davvero fosse la cosa più giusta da fare.” Lasciando la pipa sul tavolino accanto al bracciolo il signor Buonfronte si piazzò la mano sulla fronte continuando a guardare la fotografia.

“Nei tre giorni nei quali Michiru rimase con noi riuscì ad aprire gli occhi soltanto una volta pronunciando flebilmente qualche sillaba incoerente. Un nome di donna e una parola; padre. - Alzandosi dal divano riconsegnò la foto ad Haruka. - Sono stato un egoista. Solo qualche giorno più tardi ho razionalizzato di aver commesso un’enorme sciocchezza, ma ormai il danno era fatto. Avevo appena perso mia figlia ed in cuor mio sapevo che per nessun’altra ragazza sarei stato più un padre e così quando la squadra medica mi ha chiesto le sue generalità io ho detto che si trattava di Milena. Milena Buonfronte. Mi è venuto naturale, come se così facendo la mia ragazza potesse ancora esserlo, non pensando che se la famiglia di quella poveretta l’avesse cercata non l’avrebbe mai potuta trovare. In qualunque struttura sia stata accolta è con quel nome che è stata registrata. Fosse uno spedale o un… obitorio.”

“Ecco perché non l’hanno trovata!” Esplose Giovanna euforica.

“Questo non vuol dire che sia ancora viva.” Tagliò ferale una bionda completamente svuotata di ogni stilla d’energia.

Non ne poteva più. La sorpresa di sapere che l’identità di Michiru fosse cambiata, un po’ come la sua d'altronde, rappresentava senza dubbio una boccata d'ossigeno, ma in tutta franchezza Haruka avrebbe preferito cento mila volte sapere subito, qualunque verdetto fosse stato, invece che trascinarsi stancamente per altri giorni, settimane forse, in giro per il paese alla ricerca di una specie di fantasma. Si sentiva ormai arida come una lampada senza il suo olio da bruciare. La sua fiamma si era estinta.

“Scusate.” Disse la bionda sentendo la necessità di uscire.

Haruka. Giovanna inalò pesantemente alzandosi a sua volta. Quelle persone erano state gentilissime ed avevano salvato la loro Michiru. Non si meritavano di essere trattati così maleducatamente.

Uscendo non prima di aver chiesto al signor Buonfronte una cosa, la vide camminare lentamente verso il ponticello del torrente e correndo la raggiunse.

“Ruka si può sapere che diamine stai facendo?! - Ma l’altra continuò costringendola ad aumentare il passo per bloccarle un braccio. - Ti fermi miseriaccia!”

“E lasciami!” Scattò ancora più bruscamente di un’ora prima.

“Perché ti stai comportando così?”

“Perché sto avendo una crisi di nervi Giovanna e dato che non sono libera di urlare o prendere a pugni un albero, se non vuoi che esploda davanti a quelle brave persone lasciami in pace!” Arpionandosi i fianchi iniziò a camminare in tondo calciando sassi e zolle di terra, inveendo contro tutto e tutti.

“Con chi ce l’hai?”

“Con quello sciacallo di Patrizio Bentivoglio e il suo calpestare allegramente i sentimenti degli altri per puro guadagno, con quel bastardo di Kurzh e… e se lo vuoi sapere anche con te che non me lo hai fatto ammazzare quando potevo!”

Guardandola, l’altra la imitò posando i palmi alla vita. “Ah… E allora prendimi a pugni e facciamola finita.”

“Non stuzzicarmi Giovanna.” Minacciò alzandole l’indice della destra davanti al naso.

Afferrandoglielo con la mano la maggiore lo strinse scuotendo la testa. “Non capisco. E’ viva porcaccia la miseria! La tua Michiru è viva e…”

“Non è detto che lo sia!” Nascondendo il viso in una mano chinò la testa sentendosi gli occhi umidi.

“Perché dici così?!"

“Perché sono passati tre mesi Giò ed in questo lasso di tempo lei non si è fatta viva ne con la sua famiglia, ne tanto meno con me. E la cosa assurda è che abbia più paura nel saperla malata o impossibilitata a tornare a casa, che nell'immaginarla riposare in pace sotto qualche lapide con l’epitaffio Milena Buonfronte.”

Giovanna capì. L’amore che sua sorella provava per quella ragazza era talmente elevato che il solo pensiero di saperla sofferente come era stata lei nel periodo dopo il crollo, le metteva addosso un senso d’impotenza quasi ingestibile.

Posandole una mano sul collo la maggiore sorrise iniziando ad accarezzarle la base della nuca. “Lo vuoi sapere qual è stato il nome che Michiru ha pronunciato?”

E ad un assenso l’altra disse un semplice “Haruka.”

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 23/9/1915

 

Fermandosi davanti al grande albero dov’era solito trovare rifugio dal resto del mondo, Michiru sospirò vistosamente stizzita. Non era neanche li. E si che aveva cercato in tutti gli anfratti a lei noti, tutti i nascondigli ed i posti che quel piccolo diavolo biondo riteneva segreti e che lei invece conosceva benissimo. Dov’era finito? Possibile che la notte precedente fosse stata per Sigmund tanto psicologicamente pesante? Eppure la Dottoressa Maiou aveva minimizzato glissando all’infinità di domande che Michiru era riuscita a porle prima dell’inizio delle visite mattutine in corsia.

Non sapendo più dove cercare la ragazza riprese a camminare con passo riflessivo. La quietezza spesso dimostrata dal giovane medico non la convinceva, non le piaceva, forse perché troppo simile alla sua e perciò spesso e volentieri solo pericolosa apparenza. Fermandosi Michiru sorrise di se stessa. Forse sarebbe stato meglio dire troppo simile a quella che credeva fosse sua, si perché, ora come ora, di se stessa non conosceva praticamente nulla.

Sfiorandosi la pelle nuda del braccio con la mano tornò a camminare ricercando sulla peluria le sensazioni tattili che i sogni notturni le avevano lasciato addosso.

Milena..., davvero credi sia giusto restare in uno stato di limbo per tutto il resto della tua vita? Si disse alzando gli occhi al cielo terso di quella fine di settembre dove le fronde ormai ingiallite si stagliavano contro i raggi del sole mattutino.

Ma poi sarà questo il mio vero nome? Continuando a massaggiarsi il braccio calpestando l’erba via via sempre più alta di quella zona del parco che di norma non era solita frequentare, continuò a dialogare con se stessa.

Quel nome; Milena Buonfronte, non le aveva mai suscitato nulla, ne un fremito d’orgoglio, ne un ricordo, ne una sensazione positiva o negativa che fosse. Il nulla e proprio come se fosse appartenuto ad un’altra persona, a volte nel sentirlo pronunciare, avvertiva fin nel profondo solo un senso di disagio. Ecco, se di emozioni si doveva parlare, quello del disagio era l’unico che sentiva di provare verso quel nome e più i giorni scorrevano ed il suo fisico tornava a rafforzarsi e più l'imbarazzo cresceva. E poi c’era lui, quel ragazzo sceso in lei con tanta intimità da lasciarla sconcertata ogni qual volta aveva occasione di ripensare a quei fili d’oro.

Davvero non vuoi ricordare chi fosse? Tornò a domandarsi chinando il capo vinta da un leggero rossore. Forse la Dottoressa Maiou aveva sempre avuto ragione; forse aveva realmente paura di ricordare chi fosse quel ragazzo e per questo il suo corpo si ribellava ad ogni immagine ritrovata e poi persa, ad ogni sensazione, a qualsiasi notizia che inizialmente Makoto e Minako avevano provato a darle.

Ma se realmente fosse così, perché!? Perché avrei tanta paura di sapere?

Fermandosi ed afferrando il fazzoletto custodito nella tasca destra lo estrasse guardandone il contenuto. E si, il colore della capigliatura di quell’angelo sognato era proprio quello. Allora potresti non essere solo il frutto della mia perversa e castrante fantasia amorosa, pensò alzando il ciuffo all’altezza del viso stringendolo delicatamente tra il pollice e l’indice. Se non avesse avuto quella sorta di talismano non avrebbe neanche preso in considerazione la cosa.

Basterebbe che io mi raffrontassi con la signorina Aino o seguissi le indicazioni della Dottoressa Meiou e tutta questa nebbia sparirebbe. Si… sparirebbe ed io sarei nuovamente libera di essere me stessa. Facendo dietro front decisa forse per la prima volta da quando era stata ricoverata, Michiru fece qualche passo fermandosi però dopo pochissimi metri colta da una stilettata dolorosa proveniente dai tessuti sotto la ferita alla tempia. Bloccando il respiro per una frazione di secondo si sentì colpita da un latente senso d’angoscia. Stringendo il fazzoletto in entrambe le mani iniziò a provare crescente paura. Così tutta la sua grandiosa baldanza era già finita? Poi vide una camicia azzurra muoversi tra le fronde e riponendo il suo tesoro nella tasca la seguì immediatamente immergendosi tra il verde di un piccolo canneto.

“Secondo te cosa sta provando Michiru in questo momento?” Con la sorella stretta all’avambraccio Wolfgang vide la ragazza sparire dietro a delle alte canne.

“Chiamala Milena, Wolf. Non vorrei che te ne uscissi involontariamente quando meno te lo aspetti.”
“Non sono stupido Mina.” Disse tornando a passeggiare pere fare esercizio. Le dimissioni erano ormai prossime.

“Non dico questo. E’ solo che sapendo quale realmente sia il suo nome, io per prima faccio sempre un’enorme fatica a controllarmi le rare volte che riesco a scambiare quattro chiacchiere con lei senza scatenarle dolorosi mal di testa.” Stringendo le labbra la biondina incatenò i suoi occhi chiari in quelli tanto simili del fratello maggiore.

Era il suo cruccio, un dispiacere enorme per Minako non poter dialogare con Michiru com’erano solite fare al San Giovanni senza arrecarle danno o involontari scombussolamenti d’umore.

“Continua ad averne?” Chiese lui sentendosi guardato con sospetto.

“Ma come fratellino, dovresti saperlo no? Passi con lei gran parte delle giornate.”

“O suvvia Minako. Questo non è vero!”

Storcendo la bocca la ragazza puntò gli occhi in terra ribadendo un concetto per lei fondamentale. “Lo sai che Michiru ha il cuore occupato da un’altra persona Wolf e finché non avrà ricordato ed accettato quella perdita non credo sarà in grado di amare ancora.”

“Lo so, lo so, me lo stai ripetendo da settimane. Come io ti ho detto che per lei provo solo una forte simpatia. Comunque…” Si fermò guardandola.

“Comunque?”

“Comunque è un vero peccato. Tu e la signorina Makoto siete realmente sicure che il ragazzo che Michiru ama sia realmente morto nel crollo della diga?”

Tornando a camminare Mina alzò le spalle dissimulando una certa dose d’imbarazzo. Aveva accennato al fratello come l’amore della sua ex insegnante fosse stato una giovane ed affascinante guida alpina dallo spirito indomito e gli occhi di un verde mozzafiato, glissando pero' sul suo sesso e lasciandogli di fatto credere che fosse un uomo. Non era affatto sicura che il suo Wolfgang avrebbe capito.

Vedendola intristita la scosse solleticandole un braccio. “Ehi sorellina, che c’è?”

“Nulla, stavo solo pensando.

“Non è che sotto sotto piacesse anche a te quel tipo?” Chiese punzecchiandola con ilarità.

“O smettila!” Perché poi, non era vero?

Minako aveva sempre adorato Haruka, in ogni sua sfaccettatura caratteriale, anche la più odiosa ed arrogante, non arrivando a provare per lei quello che sentiva Michiru, certo, ma volendole comunque bene come ad una buona amica o una sorella maggiore e si sentiva male ogni volta pensava alla sua fine.

“Mina... Com’era il loro amore?” Chiese a bruciapelo quel fratello di colpo stranamente curioso.

“Bello e forte. Divampato in un istante e destinato a durare per sempre.”

E si che Haruka si era opposta con tutta se stessa all’attrazione che fin da subito aveva provato per Michiru, ostinatamente, con caparbietà, scappando ad ogni occasione come un cucciolo impaurito dallo scoppio di un tuono.

“Si, bello e forte Wolfgang. Erano proprio due anime fatte per stare insieme.” Ribadì chiudendo gli occhi al tepore dei raggi solari.

 

“Perché non te ne vai?!”

“Perché non vieni con me?” Rispose porgendogli la mano.

“Perché non mi va. Voglio stare da solo!”

“Nessuno dovrebbe stare da solo se non si sente bene Sigi.”

“Io mi sento benissimo. Sei tu che ieri hai avuto un mancamento.”

Ma che impertinenza. L’educazione di quel ragazzino vacillava ogni giorno di più e Michiru iniziava a sentirsi francamente stanca di dover lasciar correre ogni santissima volta che sentiva pruderle il palmo della destra. Cercando di distogliere lo sguardo dal viscidume prodotto da minuscole creaturine acquatiche sguazzanti sotto di lei, provò a farlo ragionare.

“Ormai credo che tu mi conosca abbastanza bene da sapere che non mi arrenderò per tanto poco… Sigmund.” Disse decisa stando in bilico tra la melma dell’acquitrino nato dalle ultime piogge e l’ammasso di rocce dove si era rannicchiato per nascondersi.

“La Dottoressa Setsuna mi ha chiesto di cercarti perché vorrebbe parlarti di quello che è successo ieri sera. - Lo sentì grugnire proseguendo. - Cos’è successo ieri sera Sigi?”

“Siamo stati aggrediti dal ladro, ecco tutto.”

“Non dico quello. Ormai lo sa tutto l’ospedale e lascia che ti dica che sei stato molto coraggioso. Sto parlando di quello che è accaduto dopo. Pare che tu abbia avuto una specie di crisi isterica che ti ha portato a piangere per gran parte della notte.”

Incrociando le braccia al petto lui distolse lo sguardo. Una crisi isterica! Non era certo una femmina!

“Allora se già lo sai, perché diavolo me lo chiedi!” Esplose venendo però immediatamente ripreso.

“Non essere insolente e non ti permettere di parlarmi con questo tono!”

“Non sei mia madre Milena e perciò ti parlo come mi pare!”

Michiru aveva sempre avuto un carattere forte e deciso e quello nessuna perdita di memoria poteva oscurarlo. Ormai arrivata al colmo dell’otre della pazienza, facendo leva sui palmi delle mani tornò ben salda sulle gambe girando i tacchi decisa a non concedergli più ulteriore spazio.

“Sai cosa ti dico? Ma fai un po’ come ti pare! Ho anche io la mia bella dose di problemi senza che la tua imbecille cocciutaggine mi seghi ulteriormente la calma.”

Lasciando che la gonna frusciasse tra le erbacce ed i rami bassi degli arbusti, la ragazza iniziò a camminare decisa a non farsi più coinvolgere, quando avvertì nella mano sinistra il calore di quella di un piccolo teutone pentito. Michiru si fermò fissandolo severa mentre lui continuava a tenere la testa bassa come un cane finalmente messo in riga da un padrone stanco. Non concedendogli la ben che minima indulgenza, lei tornò a guardare avanti incamminandosi verso il viottolo battuto che li avrebbe riportati alla struttura principale. Da li a breve Sigmund avrebbe dovuto rapportarsi con un’altra donna; la Dottoressa Setsuna Meiou.

 

 

Tratta ferroviaria Bellinzona, Locarno - Bellinzona

Svizzera meridionale

 

Haruka aprì la cartina posandola sul tavolinetto agganciato alla porta di accesso del loro vagone. Matita alla mano Giovanna si sedette accanto a lei iniziando ad osservare con cura valli e crinali. La prima cosa da tenere a mente era che il territorio da setacciare in cerca della signorina Buonfronte non avrebbe incluso la Svizzera meridionale. Essendo troppo vicini ai confini con il Regno d’Italia, gran parte del Ticino ad oriente e quello Vallese a occidente, potevano essere accantonati. Ma rimaneva pur sempre tutta la parte centro settentrionale della Confederazione e per non rischiare di girare a vuoto e spendere ulteriori energie nervose, le due ragazze avrebbero dovuto essere estremamente razionali.

“Dunque… Dobbiamo decidere se andare verso Berna o verso Zurigo.” Disse Giovanna ringraziando il cielo che di strutture ospedaliere non ve ne fossero troppe.

“Punterei verso Berna. Ricordi che il signor Carlo ci ha detto che la squadra medica che ha portato via Michiru era bernese?”

“Sono stupita! Allora mentre stavi piangendoti addosso hai anche avuto modo di prendere appunti mentali. E brava la mia sorellina.” Sogghignò dandole una leggera spallata cercando di sdrammatizzare. Dopo una buona notte di sonno, Haruka sembrava tornata più vitale e propositiva.

“Stupida. E’ stato solo un momento di debolezza. Non sono solita piangere e lo sai! Comunque a parte gli scherzi, prima di iniziare a girare per case di cura ed ospizi vari, vorrei passare dai Kaiou per aggiornarli sulle ultime scoperte”

“Certo, così facendo riaccenderesti in loro una grande speranza, ma poi ho la paura che vorrebbero proseguire da soli le ricerche o quanto meno aiutarci.”

“E allora? Tanto meglio. Faremo prima.”

“Non direi Ruka. Pensaci… Se come speriamo dovessimo trovare Michiru, sarebbe veramente il caso di avere i suoi genitori presenti?”

La bionda la guardò socchiudendo gli occhi ancora leggermente gonfi.

“Pensaci…”

“Ci sto pensando, ma non capisco Giovanna!”

“Chi sei tu per loro?” Chiese neanche stesse leggendo un paragrafo scritto da sir Arthur Conan Doille.

“Giovanni Tenou.”

“E per la figlia?”

“Haruk… O… Porca puttana….”

“Ecco, adesso che hai afferrato quello che intendevo dire sei ancora sicura di volerli con noi?” Chiese ritornando a studiare i dintorni di Berna.

“Dovrò almeno fargli recapitare una missiva sullo stato di avanzamento delle ricerche. Gliela farò consegnare da un fattorino postale quando saremo arrivate in città e nel suo contenuto eviterò di menzionare troppi dettagli.”

“Credo che questa sia un’eccellente idea. Pensa quanto saranno entusiasti.” Poi un nome di un paese a qualche chilometro dalla capitale catturò l’attenzione di Giovanna. Muhleberg e un ricordo la colpì. Non era li che si erano dirette Minako e Makoto e dove anche lei avrebbe dovuto seguirle?

“E’ curioso. Pensa il caso se Michiru fosse stata ricoverata proprio nella stessa struttura del fratello di Mina.”

Haruka sorrise e questa volta con convinzione. “Giò, il caso non esiste.”

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve! Scusate il leggero ritardo con il quale pubblico.

Allora, scoperto l’arcano della doppia identità della nostra Kaiou, Haruka, non senza prima dare naturali cenni di cedimento strutturale, sta ora puntando dritto dritto sullo spedale di Muhleberg. Adesso, io non so ancora bene come e quando si rincontreranno, ma so per certo che Michiru non potrà certo avere la magica apparizione del suo angelo e riappropriarsi in un batter d’occhio della memoria perduta senza rischiare di avere uno shock, perciò dovrò pensarci su bene.

Con molta probabilità avrò bisogno anche io di avvicinarmi all’evento in maniera, come dire, soft, perciò abbiate ancora un po’ di pazienza ok?!

Per adesso vi auguro buona lettura e spero che questo capitolo Vi sia piaciuto.

Ciauuu

 

 

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Capitolo 9
*** Sblocco ipnotico ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Sblocco ipnotico

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

I caldi e scrutatori occhi di Setsuna Meiou si posarono ancora una volta sulla scena che stava andando consumandosi nel suo studio da cieca dieci minuti. Michiru era riuscita a portarle Sigmund e tutto il suo carico di segreti. Per farlo sentire più a suo agio lo avevano fatto accomodare informalmente sulla sedia accanto alla finestra, dove la dottoressa era solita perdere lo sguardo lontano, alle fronde degli ultimi cipressi di chiusura del perimetro del parco. Ora, torturandosi l’orlo dei pantaloncini con dita nervose, accarezzato dallo sguardo compassionevole di Michiru ancora ostinatamente accovacciata accanto a lui, il ragazzino stava immobile in attesa di quella fatidica conversazione che per tante settimane aveva cercato di eludere dissimulando come meglio gli era venuto uno stato mentale apatico e privo di sostanza.

“Allora sto aspettando Sigmund.” La voce tranquilla della dottoressa irruppe colpendolo quasi fosse stata una bastonata. Contraendo lievemente le spalle lasciò che il mento si schiacciasse contro il cotone della camicetta.

“Vuoi che ti ricordi quali siano state le parole precise? - Serrando le mani dietro alla schiena guardò attraverso il vetro facendo mente locale. - Non l’ho fatto con cattiveria. Non sono un disonesto, ma avevano fame. Corretto?”

Vedendolo muovere impercettibilmente la testa, il medico proseguì cercando tatto. “E sono frasi che hai ripetuto per tutta la notte.”

“Si dottoressa.”

Senza guardarlo lei continuò. “La signorina Milena ed io siamo più che convinte che tu non sia un disonesto. Ma allora spiegami perché hai seguitato a mentirci.”

“Io non vi ho mentito.” Disse prendendo coraggio in quella che ormai era una difesa ad oltranza priva di logica ed appigli. Era stato scoperto. Doveva farsene una ragione ed accettarne le conseguenze.

Non scomponendosi, Setsuna tornò a fissarlo severa. Non poteva e voleva continuare a farsi prendere in giro da un mocciosetto, anche se in gamba e coraggioso come quello.

“Hai parlato della tua famiglia e del fatto di non essere ne un ladro, ne un disonesto, ergo intuisco che tu debba esserti ricordato il tuo passato Sigmund. E’ poi questo il tuo vero nome?”

Dopo qualche secondo di un ovvio silenzio, Michiru gli strinse una mano nella sua costringendolo a guardarla. “Forza… Non aver paura.”

“Non sono qui per costringerti a parlare, ne tanto meno per giudicarti, ma ritengo che tu debba delle spiegazioni anche e soprattutto alla signorina Buonfronte, che da quando ne ha avuto la forza si è sempre prodigata per te non stancandosi mai di stare dalla tua parte.”

Scuotendo nuovamente la zazzera in senso affermativo lui prese allora un grosso respiro iniziando. “Si… il mio nome è Sigmund. Sigmund Rosch e a febbraio compirò tredici anni.”

“Sei di razza germanica?”

“Si. La mia famiglia proveniva da Friburgo, ma quando mio padre fu richiamato al fronte mia madre decise che sarebbe stato più sicuro spostarci più a sud, verso la Svizzera, dove sapeva che avremmo trovato un luogo piu' adatto per me ed i miei fratelli.”

Michiru lo guardò stupita chiedendogli quanti ne avesse e lui rispose tre.

“Io sono il più grande. Poi vengono mio fratello Franz, Jilia e Maria.”

Setsuna iniziò ad ipotizzare cosa fosse accaduto a quelle persone quando Sigmund tornò a raccontare della linea di combattimento occidentale.

“Volevamo raggiungere Basilea. Nostra madre ci faceva viaggiare prevalentemente di notte, anche se al buoi i colpi di mortaio dei focolai di battaglia della frontiera con la Francia erano più visibili e minacciosi. Avevamo paura, ma io cercavo di non pensarci troppo, perché una volta raggiunta la Confederazione saremmo stati tutti in salvo e lontani dalla guerra. Ma dopo qualche giorno di marcia, ci rendemmo conto di esserci persi e avvicinati troppo al fronte ed allora diventò tutto più complicato. Dovevamo restare rintanati nelle fattorie abbandonate o nei boschi nell’attesa che le milizie passassero giornalmente con viveri e munizioni. Io non ne capivo il motivo, visto che erano del nostro esercito, ma mia madre non voleva sentire ragioni.”

“Credo pensasse a proteggervi Sigi. Se la sua intenzione era quella di arrivare alla frontiera svizzera se foste stati intercettati dai soldati, sareste stati immediatamente riportati indietro.” Disse Michiru inginocchiandosi più comodamente sul pavimento.

“Muoverci di notte andò bene fino a quando non terminammo tutte le scorte di cibo. Allora, anche se mia madre non voleva, iniziai ad andare in giro di giorno in cerca di qualcosina e spesso riuscivo anche a trovare cose buone. Gli alberi erano pieni di frutti e nonostante il saccheggio di molte case abbandonate, non tornavo ma a mani vuote. Ma una mattina, mentre stavo perlustrando i dintorni del rudere dove ci eravamo fermati, una serie di colpi di mortaio lanciati dal fronte vicino, colpirono la struttura in pieno. Io rimasi ferito mentre mia madre ed i miei fratelli… I soldati di un nostro contingente mi raccolsero e mi portarono nel loro campo e da li verso l’interno con una camionetta medica. Non so altro. Un paio di giorni dopo ero qui.”

Ricordava tutto Sigmund, tutto fino al momento dell’esplosione. Il dorso brillante del grillo che aveva deciso di seguire tra i fili d’erba ed i fiori di campo, il marrone della terra e quello molto più scuro del bastoncino con il quale lo stava pungolando, il vento caldo dell'estate, il fischio acuto proveniente dall’alto, che si fa sempre più vicino e penetrante, lui che alza la testa ed il tempo che sembra fermarsi per un istante eterno prima che un boato assordante ed un violento spostamento d’aria cambino per sempre la sua vita.

“Quando sei arrivato eri in forte stato confusionale ed è per questo che hanno scelto di ricoverarti. E’ la struttura più indicata e gli accordi internazionali fanno si che in Svizzera si accolgano feriti di ogni paese. Da quando hai iniziato a ricordare, Sigmund?” Chiese Setsuna.

“Che importanza vuole che abbia!” Michiru iniziò ad accarezzargli la schiena fulminandola con una luce critica.

“Per me ne ha signorina. Non pretendo che voi capiate o approviate le mie domande, ma come medico di questa struttura ho la necessità di sapere. Anche se con le migliori intenzioni di questo mondo, Sigi ha mentito e deve capire che il tempo che personalmente ho speso per lui poteva essere direzionato su altri pazienti.”

“Mi manderete via?! - Le interruppe spaventato. - Io non saprei dove andare.”

“Stai tranquillo. Nessuno ti manderà via da qui. Vero Dottoressa Meiou!?” Più un ovvia costatazione che una reale domanda.

Setsuna riconobbe in quelle iridi cobalto lo scintillio proprio di un carattere forte che mai nessuna amnesia avrebbe potuto velare. Intimamente, nel profondo, contro tutto e contro se stessa, Milena Buonfronte era sempre Michiru Kaiou.

“Sigmund, dovresti sapere che quello che viene detto nel mio studio è strettamente confidenziale. Per adesso non ritengo che il Dottor Grafft debba essere messo al corrente sull’evoluzione del tuo quadro clinico.”

Sospirando un poco il ragazzino ammise che la memoria gli era tornata dopo qualche giorno dal ricovero, anche se continuava ad avere dei vuoti, ma sapendo di essere rimasto solo, con un padre al fronte impossibilitato nel prendersi cura di lui, aveva taciuto. Il silenzio tornò ad invadere lo studio. Quanta compostezza in quel semplice racconto, quanta onesta accettazione in quella perdita abissale che avrebbe abbattuto perfino un adulto, ma che non aveva piegato comunque la forza di vivere di un bambino. Michiru ne rimase scioccata. Lei non ricordava, non sapeva perché il suo cervello si stesse rifiutando di ridarle il passato, ma qualunque cosa l’avesse ferita non sarebbe stata peggiore della perdita di una madre e di tre fratelli. Improvvisamente il coraggio dimostrato da Sigi la indusse a prendere in mano le redini del suo destino e a decidere cosa avrebbe fatto del suo futuro.

“Continui a stupirmi piccolo Sigmund. Ti sei tenuto dentro questo dolore per tanto tempo ed è giusto che adesso tu lo condivida. Se ti sentissi ancora di volerne parlare io sono qui e sono sicura che anche la signorina Milena vorrà ascoltarti. Intesi?” Disse il medico chinandosi verso di lui.

“Io non sono un trova lacrime! Sono un tedesco e non sono abituato a frignare!” Se ne uscì stentoreo come un eroe dei Nibelunghi di wagneriana memoria facendo sorridere all’unisono le due.

“Lo sappiamo Sigi, lo sappiamo.” Scompigliandogli i capelli Michiru guardò Setzuna che afferrò al volo. E il signor Rosch?

“Sigmund sai su quale fronte sia attualmente impegnato tuo padre?”

“No dottoressa.”

“Va bene, non importa. Mi metterò subito alla ricerca della sua compagnia. Vedrai, riuscirò a trovarlo e a fargli sapere che stai bene.” Setsuna chiuse qui l’argomento evitando di chiedergli che fine avessero fatto i corpi dei suoi famigliari. L’apparente compostezza del ragazzino non l’aveva tratta in inganno. Con una perdita come quella avrebbe dovuto continuare a lavorare su di lui, adesso più che mai. Ma per ora poteva bastare così.

“Bene, adesso vai a riposare un po’, ricordati che c’è sempre un ladro da mettere nel sacco e per questa sera voglio saperti in perfetta forma. Non vorrai lasciarci da sole spero!? Milena, volete accompagnarlo voi nella sua camera?” Concluse sorridendo al bambino per cercare di distrarlo.

Ormai privo di quell’arroganza difensiva che non aveva fatto altro che sbandierare contro la donna da quando era arrivato, saltò giù dalla sedia e salutandola agitando la mano si diresse con Michiru verso la porta. Di colpo sembrava essere tornato un ragazzino di dodici anni, anche se l’infanzia, quella vera fatta di giochi e compiti pomeridiani, era stata ormai inesorabilmente abbandonata su qualche campo di battaglia del fronte occidentale.

“Sigi aspettami fuori un attimo. Devo chiedere una cosa alla dottoressa. Vengo subito.” E non appena lui fu uscito, richiudendosi l’anta alle spalle ed inalando una buona dose di ossigeno, la bernese guardò l’altra consegnandole di fatto tutto il proprio orgoglio e la reticenza fin li dimostrata.

“Dottoressa, sareste ancora disposta a sottopormi ad una seduta d’ipnosi?"

 

La stanza era in ombra, ma non del tutto oscurata, illuminata dalla lampada da tavolo e dal bruciare di una semplice candela. Setsuna non riteneva necessario criptare totalmente il paziente privando l’ambiente della luce o di tutti i suoni provenienti dall’esterno. Voltandosi verso la ragazza ferma in piedi ad un paio di metri, sorrise cercando di darsi una calmata. Non si aspettava questo, anche se dopo l’ultima crisi, lei per prima aveva tirato in ballo la cosa. Aveva avuto solamente un paio d’ore per prepararsi mentalmente a quella seduta ed in tutta onestà il medico sentiva di non essere ancora del tutto pronta. Aveva assistito a tante di quelle sedute ipnotiche condotte dal suo Professor, com’era solita chiamare il Dottor Freud, che non avrebbe mai avuto problemi ad istaurare un legame con un paziente. Ma Michiru Kaiou era diversa e se non avesse sentito di persona quella richiesta non ci avrebbe mai creduto.

Quella donna non era un tipo collaborativo, ne si fidava di lei, anzi, Setsuna aveva da sempre l’impressione di starle vagamente sullo stomaco. In più, non esisteva un metodo valido di procedere e neppure un sistema.

“Dottoressa, non sembrate soddisfatta della mia richiesta." Affermò l’altra stirando le labbra in quello che era più un ghigno che un segno d’apertura.

Continuando a preparare la stanza Setzuna rispose francamente. “Non vorrei che fraintendeste il mio stupore Milena, ma purtroppo per quello che ho potuto notare dalle nostra modesta conoscenza, non siete affatto un soggetto ubbidiente, ovvero una persona idonea per l’ipnosi. Ma questo non deve affatto scoraggiarci."

“Siete stata voi a tirare in ballo questa cosa.” Disse leggermente stizzita rimanendo inchiodata al pavimento.

“Lo so e ribadisco che sia l’unico modo per velocizzare il vostro processo di guarigione.”

“Questo l’ho compreso bene altrimenti non sarei qui. Lasciate però che prima di procedere io vi faccia alcune domande. - E ad un cenno la ragazza proseguì vergognandosi un poco. - Come mi sentirò dopo? Sono abbastanza adulta per intuire che non potrò mai riacquistare la memoria tutta insieme e con una semplice seduta, ma… sarà doloroso? Intendo… fisicamente. Non vorrei passare per una bambina capricciosa, ma non voglio soffrire ancora se poi non avrò alcun risultato concreto.”

“Sono domande lecite Milena. Ma prego… sedetevi. Dunque, ogni paziente è diverso dall’altro, ma tutti, senza esclusione, dopo una seduta di ipnosi mostrano sempre quiete, rilassatezza ed un senso più o meno marcato d’euforia. In fin dei conti è un sonno indotto. Non dovreste provare alcun dolore fisico e se dovessi accorgermi di uno stato di malessere interverrò risvegliandovi. Per i colpi morali, ovvero quelli che, come vi ho sempre detto a mio modesto giudizio vi hanno bloccato la memoria, beh …”

Michiru si sedette sul comodo lettino di pelle scura provando a rilassare i muscoli della schiena sull’ampio cuscino che la dottoressa le aveva preparato per farla sentire più comoda.

“Come si procederà?” Chiese stringendo le mani al grembo mentre l’altra, notando quanto fosse tesa, le si sedeva informalmente accanto.

“Uno dei metodi che generalmente uso è quello d'indurre un rilassamento progressivo, soprattutto quando tra medico e paziente non c’è confidenza. E questo è purtroppo il nostro caso. E’ una tecnica lenta, ma risulta rassicurante per la maggior parte delle persone che non hanno mai provato l’ipnosi.”

“Perciò dopo questa esperienza ricorderò già qualche cosa?!”

La risposta non era univoca e Setsuna lo sapeva bene. “Vedete ci sono situazioni nelle quali la mente inconscia si comporta in modo protettivo, così che certi avvenimenti, soprattutto se traumatici, non siano immediatamente a nostra disposizione. Questo è il vostro caso, perciò è molto probabile che dopo voi non ricordiate nulla, ne di positivo, ne di negativo.”

Staccandosi di scatto dal cuscino, Michiru la guardò come se avesse appena detto una bestemmia. Ma allora a cosa diavolo serviva?

Afferrandola saldamente per le spalle la dottoressa lasciò che si ristendesse spingendola delicatamente. “State calma. Tutto dipende dalle vostre aspettative. Se realmente vorrete ricordare qualcosa o qualcuno, accadrà.”

“Qualcuno?”

Era quello il pertugio giusto sul quale far forza. “Il mio obbiettivo è un altro. Quello cioè di sbloccarvi l’inconscio così che i ricordi fluiscano lentamente e man mano, con tempi e ritmi stabiliti dalla vostra stessa mente.”

Aspettando qualche secondo che l’altra si calmasse, sorrise ricordando il suo Professor e quell’accento teutone che metteva quando parlava con lei in inglese.

“Setsuna, ricordatevi che per aiutare una mente ferita ogni metodo per approcciarsi all’ipnosi è corretto, ma io amo indurre i pazienti sedendomi dinnanzi a loro invitandoli a fissarmi l’indice ed il medio della destra. Yea. E state attenta a non guidare troppo con il suono della vostra bellissima voce o potreste influenzarli. Domande brevi e precise, mi raccomando.” Battuta simpatica per farle capire di non parlare mai troppo.

Prendendo un grosso respiro, la dottoressa piazzò a circa trenta centimetri dal viso di Michiru due dita chiedendole se fosse pronta.

“Guardatele Milena ed ascoltate il suono dei vostri respiri.”

Setsuna aveva ben chiaro dove volesse arrivare. Dopo che il caso di Milena Buonfronte le era stato assegnato e conosciuto il suo legame con le signorine Aino e Kino, si era fatta raccontare praticamente tutto di lei, stilando così una personalissima ed informale cartella clinica, grazie alla quale, all’insaputa della stessa ragazza, era riuscita ad indirizzare le loro sedute su un unico argomento; ovvero la perdita. Il medico sapeva da sempre di Haruka, della sua morte alle pendici della diga, di quel lato saffico che Kaiou aveva scoperto di possedere durante il viaggio da Bellinzona a Berna, ma aveva trovato nella mente ostinata di Michiru un’avversaria valida, anche se a suo parere sciocca.

Non avendo mai amato, Setzuna non riusciva proprio a capire e questo le faceva passare intere notti insonne china sul piano della sua scrivania. Come si poteva azzerare la memoria per tentare disperatamente di non soffrire per la perdita di un grande amore? Così facendo non andavano perse anche tutte le cose positive e i ricordi lasciati da quella passione?

“Unite ai vostri respiri il movimento della fiamma della candela e stringete le mani a pugno per favore.”

La ragazza ubbidì socchiudendo gli occhi cercando di rilassarsi scivolando lentamente verso l’incoscienza.

Ci volle più del previsto, perché per quanto fosse convinta, il sapersi impossibilitata nel reagire di fronte alla guida di un'estranea le faceva paura, ma una volta abbattuto anche l’ultimo ostacolo della veglia, Setsuna poté costatare la completa rilassatezza dei muscoli di Michiru. Gli occhi chiusi. Il respiro regolare. Afferrandole i pugni tentò di aprirli sentendo opposizione. Un paio di minuti e la paziente iniziò a lacrimare e deglutire più del dovuto facendole capire che era libera di iniziare a guidarla là dove voleva.

“Sapete dove vi trovate?”

“Nell’Ospedale riabilitativo di Muhleberg.”

“Sapete chi siete?”

“Si.”

“Potete dirmi il vostro nome?”

“Michiru Kaiou.” Setsuna provò un brivido nel sentirlo pronunciare con tanta naturalezza. Nessun dolore fisico. Nessuna negazione. Il potere benedetto dell’inconscio.

"Vi piace il parco dell'ospedale?"

"Si, molto."

“Bene, ora siete all'aperto. C’è un sentiero davanti a voi. Vi va di percorrerlo?” All’assenso proseguì con il farle descrivere cosa riuscisse a vedere alla sua destra e alla sua sinistra.

All’inizio gli scenari descritti erano quelli del corpo principale della struttura ospedaliera, poi quelli della mensa ed infine quelli della zona del parco meno curata, ma man mano che Michiru camminava, tutto intorno andava aprendosi in una natura rigogliosa fatta di sottobosco e muschi, di tinte verdi e colori brillanti. Un'ambiente alpino e Setzuna capì.

"Siete uscita fuori dalla cancellata?"

"Si."

Usando il suono, il medico le chiese cosa stesse ascoltando.

“Uccelli. Un cuculo forse. E vento tra le fronde dei pini.”

“Io avverto anche… acqua.” Stimolò.

Respirando pesantemente Michiru scosse la testa affermativamente facendole capire di essere riuscita a condurla dove sperava.

“Un fiume. Non è grande. Ma è rumoroso.”

“Perché?”

“E’ prigioniero.”

Prigioniero? Pensò non capendo.

“Di cosa?”

La ragazza serrò gli occhi abbassando la testa verso sinistra, come se stesse guardando qualcosa. “Un muro… alto. Molto alto, con contrafforti possenti.”

La diga e spinse.

“Siete da sola? Avvertite qualcuno accanto a voi?”

“Non lo so.”

Stringendo le labbra, il medico passò allora al senso tattile iniziando a massaggiarle il dorso delle mani per poi riuscire ad aprirle.

“Avete qualcosa nelle mani?”

“Nnn… no, ma… sono sporche. Le sento viscide.”

Continuando ad accarezzarle delicatamente i palmi con i pollici, le rifece la domanda e questa volta Michiru rispose di si.

“Un fazzoletto. Ho un fazzoletto, ma è sporco…” Ed iniziò ad agitarsi respirando più velocemente.

“Ssss… State tranquilla, non vi accadrà nulla di male. Guardatelo bene e ditemi di cosa è sporco.”

“Di rosso… E’ sangue…”

“Il vostro?”

“No… Ho freddo.”

“Di chi è il sangue Michiru?”

L’altra ansimò. “Respirate affondo. Ci sono io qui con voi. - Le strinse le dita mettendo in gioco l’ennesimo senso. - Avvertite l’odore del sangue?”

“Si. E’ ferroso. E’ troppo… non riesco a fermarlo.”

“Avvertite altri odori?”

Immediatamente sembrò calmarsi ispirando. O si che lo sentiva. Lo sentiva bene l’odore della sua bionda. “Dolcissimo. Leggermente pungente.”

Ma subito dopo, l’inizio di un tremore e lo sbattere velocemente i denti gli uni contro gli altri. “Ho freddo…”

“Cosa vi provoca questo freddo Michiru?”

“L’acqua. E’ dappertutto. E’ violenta e mi spinge verso il basso. Non riesco a stare a galla.”

“Vedete qualcuno accanto a voi. Chi è Michiru?”

Lei mosse la testa colta da leggeri spasmi al petto. Setsuna si trovò a dover decidere in fretta se continuare o fermarsi li. Provò un ultima domanda. Il colore della capigliatura di Haruka. In fin dei conti era l’unico appiglio con il suo passato che Michiru aveva sempre dimostrato di non volere abbandonare.

“Vedo dei capelli biondi come il grano giovane. E’ importante per voi Michiru?”

“E’ la mia vita.”

“Dov’è… ora?”

“Al mio fianco, ma… sei troppo pesante… Non riesco a tenerti… amore.” E a quel parlare improvvisamente con una terza persona, delle lacrime, questa volta di pianto, iniziarono a scivolarle sulle guancie decretando la fine della seduta.

“C’è una luce davanti a voi. E’ calda e rassicurante. Toccatela.”

Alzando una mano a mezz’aria Michiru stirò le labbra tornando a respirare più lentamente. “Ora vi ha completamente avvolta. Camminate al suo interno e continuate a farlo fino a quando ne sentirete il bisogno.”

La riemersione avvenne lentamente come l’immersione, ma serenamente, tanto che quando riaprì gli occhi la ragazza guardò il medico come se stesse aspettando chissà cosa.

“Bentornata.” Disse Setsuna guardandola aggrottare la fronte mentre le asciugava le guance.

“Tutto qui?”

“Cosa vi aspettavate orsi su palle colorate e giocolieri con clave infuocate?!” Ci scherzò su alzandosi per andare a tirare le tende della finestra consigliandole di non muoversi.

“Ma… non è successo niente! Non ricordo assolutamente nulla.”

Ed invece era successo molto, più di quel che la stessa Dottoressa si sarebba mai aspettata per una prima seduta.

“Ve l‘avevo detto che sarebbe stato come un sonno rigenerante. A proposito, come vi sentite?” Chiese mentre appuntava su un foglio qualche frase. Un fazzoletto macchiato di sangue, l’ovvietà che dovesse essere quello della sua Haruka, forse feritasi prima del crollo. Il distacco fra le due doveva essere stato molto più drammatico di quel che Minako, Makoto e la stessa Setsuna avevano supposto.

“Mi sento bene. Come se avessi dormito una notte intera. Quanto è passato?”

“Un’ora scarsa. Credo che tra non molto sarà pronta la cena.”

“Posso alzarmi?”

Tornandole accanto per sedere sul bordo del lettino, la donna le disse di aspettare ancora un poco approfittandone per parlare della seduta. Era prassi farlo con ogni singolo paziente.

“Ditemi onestamente… quando vi chiamo Milena, cosa provate?”

L’altra guardò altrove. “Credo… Credo disagio. Perché?”

“Lasciate che sia io a fare le domande. Comunque ho scoperto che avevate ragione riguardo a quel piccolo talismano che vi portate sempre dietro.” Indicò la tasca destra immediatamente protetta dalla mano dall’altra.

Allora esisti davvero. Non sei solo frutto del mio subconscio libidinoso. Si disse arrossendo ripensando al sogno fatto il giorno precedente.

“Prendeteli, coraggio.” Invitò la dottoressa “cavalcando l’onda” emozionale del momento.

Aprendo il fazzoletto Michiru guardò il ciuffo dorato sospirando. “Sono del mio amore, vero?”

“Credo proprio di si.”

“Perché allora non è qui con me!? Perché non ricordo nulla di lui?”

Lui. Setsuna rimase spiazzata. Oltre ai ricordi di tutta una vita, Michiru aveva azzerato anche le pulsioni sentimentali e sessuali che aveva scoperto di avere verso il proprio sesso e questo avrebbe potuto essere un ulteriore problema da dover affrontare. Come avrebbe preso la cosa la società, la famiglia, gli amici più cari e soprattutto, la stessa Michiru? Non volendo sovraccaricarsi di domande per non rischiare di danneggiare l’altra, fece finta di nulla cercando di rassicurarla ed aiutandola a rialzarsi capì con sua somma soddisfazione che lo sguardo, nei suoi confronti solitamente freddo ed asettico, si era fatto più dolce ed amichevole.

“Mia cara Setsuna, dall’ipnosi si possono ottenere molti benefici anche dal punto di vista del rapporto medico-paziente, yea. Istaurare una seduta sul dialogo, aiuta non soltanto a capire il problema, ma a legare i due individui.” Ricordò del suo Professor Freud.

“Come vi ho già detto tutte le domande avranno una risposta, che sarete voi stessa a darvi. Ora camminiamo un po’. A me è venuta una gran fame e sono sicura che Sigmund ci starà già aspettando per la ronda serale.”

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale – 25/9/1915

 

Per tutto il tragitto dalla stazione centrale alla casa dei Kaiou, Giovanna non fece altro che guardarsi intorno con la classica aria della contadinotta spaesata, tanto da indurre la sorella a riprenderla più di una volta. Con occhi curiosi e camminando all’indietro facendo ondeggiare borsa in una mano e custodia del violino di Michiru nell’altra, cercava di filtrare qualsiasi cosa le sembrasse anche solo vagamente particolare, come le grandi vetrine dei negozi, l’infinità di tombini posti ai lati delle strade, il carico e scarico merci continuo ed un flusso di persone neanche lontanamente paragonabile a Bellinzona o Altdorf.

“Ma la pianti! Mi stai facendo vergognare.” Soffiò la bionda sperando di essere udita nel gran frastuono del marciapiede.

“Come?!”

“Ssss… Che ti urli! - Urlò a sua volta bloccandosi di colpo e facendo girare un paio di passanti. - Cerchiamo cortesemente di evitare di dare troppo nell’occhio?!"

“Scusa. Hai ragione, ma… perché i cavalli portano quelle strane mutande?”

E si ricominciava. Sbuffando Haruka riprese a camminare scuotendo la testa. E se non chiedeva, parlava. E se non parlava, guardava. E se non guardava, chiedeva e guardava insieme!

“Per evitare di sporcare le strade Giovanna. Su pensaci.”

“Ingegnoso! Ma è proprio vero che gran parte delle case hanno l’illuminazione elettrica?”

“Si, te lo avrò ripetuto un centinaio di volte! Coraggio affretta il passo.” Disse guardando il basalto nero scivolarle sotto le suole.

“La fai facile tu! Non devi mica camminare con queste torture ai piedi. Poi fai poco il cittadino, fratellino, perché sono convinta che anche tu quando sei arrivata non riuscivi a staccare gli occhi da tutto questo.”

Haruka rise sapendo quanto l’altra avesse colto nel segno. Appena arrivata in città, alla prima automobile aveva goduto, alla seconda gioito, ma quando avevano iniziato ad essere troppe a sfrecciarle davanti, aveva avvertito sensi di vertigine che non avrebbe mai pensato di avere per dei bolidi tanto perfetti. Troppo baccano e luci, polvere ed esseri umani che spuntavano da ogni dove. Aveva avuto bisogno di alcuni giorni per trovare il coraggio di uscire di casa da sola e quando era riuscita a farlo alla prima consegna affidatale, si era persa vagando per le strade e venendo immancabilmente ripresa dalla signorina Rostervart. Alla seconda uscita, per evitare una carrozza, aveva centrato in pieno un palo dell’illuminazione stradale. Per non parlare del vestiario, del comportamento da tenersi nei dialoghi, il fatto di essersi temporaneamente trasformata in un cameriere ed il vivere nella casa della sua dea dove tutto le ricordava lei.

Già, la sua Michiru. Quando aveva visto il suo ritratto appeso nello studio del padre durante il colloquio d'assunzione a cameriere, l'era quasi venuto un colpo.

“Allora hai capito cosa dire alla ragazza che ti aprirà la porta?” Chiese Haruka svoltando l’angolo ritrovandosi così sulla Nydeggasse Strasse dove troneggiavano alcuni dei palazzetti barocchi più belli del centro città.

“Ho una missiva urgente per il signor Kaiou per conto del signor Giovanni Tenou.” Rispose zelante.

“E te ne vai.”

“E me ne vado.”

Fermandosi accanto ad in portone, la bionda indicò con il mento quello vetrato del palazzo posto dalla parte opposta della carreggiata.

“Quella è la casa di Michiru?!”

“Quella è la casa di suo padre.” Sottolineò con non curanza passandole la busta con poche, ma essenziali spiegazioni che aveva precedentemente scritto sul treno.

“E tu l’hai fatta dormire in un sacco sbattuta per terra?! L’hai costretta a lavarsi con l’acqua ghiacciata, ad arrampicarsi su rocce taglienti e a nutrirsi di topi? Certo non si è innamorata di te per denaro, questo è poco ma sicuro.”

“Giovanna piantala. Dai, tieni.”

Improvvisamente una voce di donna e un nome. “Tenou!”

“Si.” Risposero le sorelle voltandosi all’unisono.

Spalancando gli occhi ed un sorriso via via sempre più marcato, Haruka si ritrovò a salutarla gentilmente.

“Signorina Rostervart… Siete voi!”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi e chiedo subito venia a quelle di voi che dovessero sapere di psicoanalisi. Come sapete non è assolutamente il mio campo, ma essendo anche piuttosto intraprendente, ho voluto cimentarmi in questa prova: una seduta di ipnosi. Naturalmente ho solo lambito l’immenso mondo della mente umana e mi è bastato per sperare di non aver scritto troppe baggianate.

Il segreto di Sigi è stato svelato e purtroppo non è stato assolutamente piacevole, ma le guerre sono così ed è per questo che bisognerebbe pensarci molto molto bene prima di fare i gradassi sulla pelle degli altri ed iniziare conflitti assolutamente privi di logica.

Intanto Giovanna ed Haruka sono arrivate a Berna con il compito di alleviare almeno in parte la trepidazione della famiglia Kaiou, ma la bionda non sa che, una volta ritrovata la sua dea, con molta probabilità si ritroverà a dover ricominciare tutto da capo con lei. O no?

Alla prossima

Ciauuuu.

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** La fine della mia ricerca ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

La fine della mia ricerca

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale

 

Serrando i denti dal dolore, Giovanna fulminò la sorella reprimendo l’impulso di contraccambiare l’ennesimo calcio datole sotto il tavolino deliziosamente apparecchiato del caffè dov’erano state invitate dalla signorina Clementine Rostervart. Mai possibile che non potesse neanche alzare lo sguardo per guardarsi un poco intorno? Era tutto troppo bello e nuovo per lei che, curiosa com’era, avrebbe voluto andarsene in giro a far scoperte, invece di star ferma a farsi venire uno stinco bluastro per colpa di quelle pinne che Haruka aveva il coraggio di chiamare piedi. Sospirando tornò a piantare gli occhi sulle pieghe della sua gonna pantalone non badando alla tazza fumante di te che un cameriere le aveva appena messo davanti, sbirciando di tanto in tanto gli arabeschi con foglie d’Acanto disegnate ai lati dei grandi specchi alle pareti e i vetri delle lampadine accese della famosa luce elettrica che tanto si decantava ultimamente.

Haruka invece sembrava stranamente a suo agio e nella fattispecie appariva incredibilmente cordiale ed alla mano in presenza di quella signora alta e robusta, dallo sguardo severo e dal vestiario impeccabilmente sobrio che ora le stava davanti. Anzi, da come si comportava sembrava si conoscessero da sempre, cosa oltremodo stridente visto il carattere introverso proprio di quell’orso alpino biondo. In più quella donna, che Giovanna aveva intuito essere a servizio dei Kaiou, conosceva il segreto che quell’affascinante giovanotto nascondeva sotto le fasce strette al petto e questo aumentava a dismisura l’irrequietezza della maggiore.

“Dunque Haruka, credo sia il caso che mi presentiate alla vostra accompagnatrice, che vista la somiglianza credo sia una vostra parente. Non è così?” Disse la donna scrutando Giovanna, che pur non essendo bella come la sorella aveva immancabilmente le stesse espressioni facciali, gli stessi atteggiamenti e la stessa corporatura, anche se molto più minuta.

“Si signorina Rostervart. Questa ragazza è mia sorella maggiore Giovanna. Mi sta accompagnando da quando ho fatto scalo a Bellinzona. Anche lei ha conosciuto Michiru, ricordate?”

L’altra sembrò pensarci su poi sorridendo scosse la testa affermativamente. “Certo. Il materiale tecnico per le ragazze.” E Giovanna sgranò su di lei occhi misti di stupore e vergogna.

“Haruka cosa avresti detto alla signorina?”

“Tutto. Lei è la responsabile del personale di casa Kaiou ed in pratica ha cresciuto Michiru e la conosce meglio di chiunque altro. Quando mi ha smascherata… - Abbassò per un attimo lo sguardo piegando all’insù gli angoli della bocca - ... le ho raccontato tutto del viaggio, incluso il tuo furto in caserma.”

Bene. Bel modo di essere presentata. Pur se guidata da una necessità, Giò non andava certo fiera di quel che aveva fatto.

“Che meraviglia.” Soffiò immediatamente ripresa dalla governante.

“Non preoccupatevi signorina Tenou, non sta certo a me giudicare. In fin dei conti senza la vostra decisione, il gruppo del Collegio di San Giovanni non avrebbe mai potuto valicare parte della Alpi.”

L’altra alzò le sopracciglia continuando a provare una vergogna infinita.

“Ma ditemi Haruka, perché siete tornata a Berna? Avete delle novità sulla nostra Michiru?” Chiese la governante serrando le mani alla tazzina di porcellana floreale che conteneva il suo tè.

“Per prima cosa guardate qui signorina. Giovanna è riuscita a ritrovarlo nell’ultimo albergo dove sostò Michiru prima di riunirsi al gruppo.” Alzando la custodia del violino sempre rimasta incollata alla gamba della sorella, la bionda la porse alla donna dopo averla aperta.

Riconosciuto immediatamente il violino che per anni Michiru aveva suonato ogni giorno allietando le ore serali di casa Kaiou, Clementine sfiorò con i polpastrelli la lacca de suo legno.

“Mio Dio… Michiru.”

Michiru prendete l’ombrello, sta per piovere! Ricordò. Quante volte era stata costretta a rincorrere in strada quella benedetta ragazza mentre, noncurante del clima, si recava giornalmente al Conservatorio stringendo nelle mani quella custodia dal contenuto per lei tanto prezioso.

“Ditemi Haruka… ditemi che avete delle novità.” Chiese con il timbro della voce velato d’apprensione.

“Si signorina. E’ sopravvissuta al crollo della diga! E' stata tratta in salvo ed affidata ad una squadra medica proveniente proprio da Berna. Il signor Kaiou non è riuscito ad avere informazioni solo perché è stata registrata con un altro nome.”

“Mi state dicendo che allora è viva! Ma perché non è tornata a casa!?”

La bionda respirò profondamente. “E’ proprio questo che mi da da pensare. Quasi sicuramente è stata ricoverata in una delle strutture ospedaliere di riabilitazione di questo Cantone, ma…” Lasciando morire la frase, continuarono a guardarsi intuendo l’una i pensieri dell’altra.

“Capisco.” Disse Clementine dopo un po’ richiudendo lentamente la custodia.

“Quando ci avete viste, Giovanna stava per consegnare una missiva per il signor Viktor dove, per larghi tratti, lo mettevo al corrente sulle mie scoperte. Sono stata volutamente vaga, perché finché non avrò la matematica certezza della sorte di Michiru, non voglio che lui e la signora si facciano delle illusioni.”

“Haruka, in tempi non sospetti vi diedi già la mia riconoscenza. Ora non posso che rinnovarvi il mio grazie. La lealtà che state dimostrando per la famiglia Kaiou non ha prezzo.”

Giovanna colse affetto in quelle parole. Evidentemente la signorina Clementine era riuscita a vedere nella sorella quell’enorme bellezza che andava ben oltre il mero aspetto fisico e che non tutti riuscivano ad afferrare; come la dolcezza, la comprensione o la lealtà.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 25/9/1915

 

Il musetto impertinente di Sigmund fece capolino da dietro una siepe di Bosso, seguito a ruota da quello di Minako ed infine da un Wolfang ritornato bambino, che accovacciato alle bene e meglio tra terra ed erba, stava provando a nascondere da più di cinque minuti la sua mole dietro le piccole foglie del sempreverde. La loro missione; importantissima. La loro priorità; l’identificazione e la cattura del famigerato ladro della mensa.

Ma da qualche giorno, ovvero dall’aggressione subita da Setsuna e Sigi nel folto del parco, la mano lesta non si era più palesata, anzi, gli unici due individui che per stazza e colore di capelli potevano ricondurre a lui, non si erano più presentati al lavoro, alimentando di fatto i sospetti dell’accresciuta squadra di detective. Dopo il suo proverbiale salvataggio, c'era voluto ben poco perché anche il reduce si unisse a loro, seguito poi a ruota dalla sorella ed ora, forti di ben cinque elementi ed una superiorità numerica schiacciante, l’identificazione dell’uomo con il mento graffiato non avrebbe dovuto piu' rappresentare un problema. Condizionale d’obbligo visto la latitanza lavorativa che avevano dimostrato i due osservati speciali.

“Ma voi li vedete?” Chiese Minako cercando di non impigliarsi i capelli tra i rametti nodosi delle piante.

“No. Questa mattina ho chiesto ad un’infermiera, la quale mi ha detto che sono indisposti.” Rispose il fratello cercando di non sbilanciare il peso del corpo sulla protesi.

“Indisposti un accidente! Uno dei due è sicuramente quel ladro. Vedrete che finché il graffio non sarà guarito non si presenterà più.” Aggiunse lei intimamente eccitata per la nascita di quella piccola banda improvvisata. Le sembrava di essere tornata con le sue amiche a passare libera le ore all’aperto ritagliate nella vita del collegio, quando Mako, Rei e Usagi studiavano ancora con lei al San Giovanni.

“Non gli passerà tanto facilmente Mina, questo è poco ma sicuro. Non ho le unghie di una donna, ma sono andato abbastanza in profondità, te lo assicuro.” Disse fieramente Sigi.

Così tornarono ad osservare lo scarico delle derrate alimentari che alcuni inservienti stavano facendo tra la porta del magazzino ed una camionetta di servizio.

Intanto poco distanti, ignare della spedizione, Setsuna e Michiru stavano amabilmente camminando rilassandosi tra i viottoli di selce che si aprivano nel parco. Il medico aveva detto alla ragazza di dover verificare le condizioni di un paziente per conto del Professor Grafft e le aveva chiesto d'accompagnarla approfittandone per riattivare la circolazione dopo la seconda seduta ipnotica.

Era bastato poco, veramente molto poco, perché Michiru arrivasse ad istaurare con il suo medico un rapporto di fiducia prima di allora inimmaginabile. Quella tecnica di stimolazione del subconscio aveva avuto il potere di avvicinare una titubante e chiusa Kaiou, molto più di quanto Setsuna stessa non avrebbe mai creduto, ed ora si ritrovava per le mani un diamante ricco d'inaspettate sfaccettature. Il fatto che Michiru ricordasse Haruka in alcune caratteristiche fisiche, ma che nonostante la guida sotto ipnosi, non fosse ancora riuscita ad identificarla come una donna, come colei che le aveva fatto battere all’impazzata un cuore ora ferito dalla perdita, rendeva il suo emisfero emotivo ancora più delicato del previsto e questo, se da una parte stimolava una Meiou sempre pronta ad ogni sfida, dall’altra la impensieriva. Sarebbe infatti giunto il momento nel quale Michiru avrebbe dato a quei capelli, a quelle spalle e a quella voce, un volto ed un nome e quel giorno, la verità scioccante dello scoprirsi come una donna dalle tendenze non convenzionali avrebbe potuto provocare in lei uno scossone.

“Non volete proprio dirmi nulla sulla seduta di questa mattina?” Delusa Michiru tornò a guardarla spalancando due occhi pervasi di pietismo adolescenziale.

“Non insistete Milena. Ve l’ho già detto… Non posso intervenire forzando il ritmo scelto dalla vostra mente per ricordare.”

“Lo so, ma sento di essere veramente ad un passo dal riappropriarmi del mio io. Il mio nome, il mio vero nome, è come se lo sentissi premuto sulla punta della lingua, ma non riuscissi a farlo uscire. E’ una cosa frustrante, ve lo assicuro.”

“Si, immagino lo sia, ma non per questo dovete scoraggiarvi.” Afferrandole l’avambraccio, il medico se lo mise sotto il proprio come se l’altra fosse stata una vecchia amica. Non l'era mai accaduto di provare tanto stimolo nei riguardi di un paziente.

Michiru era caratterialmente molto simile a lei, anche se la sua indole era apparentemente più calma e posata, mentre la sua più curiosa e disciplinata, ma sotto sotto erano estremamente compatibili, dagli interessi quali la letteratura, la musica e l’arte, all’approcciarsi con le altre persone, al cercare di riflettere prima di agire. In un certo senso e contro ogni logica istaurata e non scritta nel rapporto medico-paziente, Setsuna aveva preso a sperare già da un po’ di tempo di poter fare amicizia con la bernese e se si era scoperta fredda ed autoritaria con Milena Buonfronte, di contrappasso sentiva una forte attrattiva per la dolcezza e la visione della vita che a tratti stavano riemergendo di Michiru Kaiou.

Accettando quel contatto amichevole ed estremamente informale l’altra tornò a camminare lentamente puntando lo sguardo ai ciuffi verdi che ancora spuntavano ostinatamente tra le pietre del selciato. Sospirando e prendendo a mordersi il labbro inferiore con gli incisivi superiori Michiru sembrò incupirsi all'improvviso. Al medico non sfuggì.

“Perché ho come l’impressione che vogliate chiedermi qualcosa di diverso rispetto agli argomenti trattati durante le nostre sedute?”

Leggermente stupita Michiru la guardò per un attimo tornando poi a piegare il collo in avanti provando vergogna. La dottoressa Meiou conosceva molto di lei, ma anche lei aveva preso ad indagare sull’altra. Setsuna aveva avuto la fortuna di lavorare con il grande Sigmund Freud e non si poteva non conoscere, anche solo per sentito dire, il padre della psicoanalisi e la sua teoria sulla sessualità.

Da quando pochi giorni addietro Michiru aveva iniziato a fare sogni notturni estremamente espliciti riguardanti sfere carnali che di norma non erano propri di una ragazza a modo, si era domandata se avesse dovuto condividerli con l'altra donna o far finta di nulla e tenerseli per se. Era scioccante ritrovarsi tutto d’un tratto a doversi confrontare con scene e sensazioni tattili che lei per prima non sapeva se considerare come ricordi, desideri, invenzioni morbose o tutte e tre queste cose fuse nella libido della propria sopita perversione. Voleva capire e chi meglio di un’allieva di Freud poteva aiutarla? Non sapendo però come affrontare il discorso, provò prendendolo ingenuamente alla lontana.

“Dottoressa... cosa ne pensate delle idee del Professor Freud sulle… - schiarendosi la voce cercò di mantenere un tono asettico - ... pulsioni inconsce?”

“Come?”

“Sss si. Ho letto alcune cose al riguardo… in biblioteca… qualche giorno fa.” Non avendo assolutamente il coraggio di raccontare i suoi sogni erotici a quella donna, aveva cercato di documentarsi da sola confondendosi le idee ancora di più.

“Intendete dire le pulsioni sessuali.” Colpita, affondata e scoppio improvviso d’ilarità.

“Il mio Professor è un uomo straordinario, ma credo si sia fossilizzato un po’ troppo sull’argomento.”

“Cosa intendete dire?”

“Intendo dire che ad oggi, per lui, la sola pulsione inconscia che guida noi esseri umani nella vita, sia quella sessuale. E’ da sempre convinto che dentro ogni persona bruci un’energia riconducibile alla libido e che questa raggiunga il picco massimo sul confine della vita notturna. Ovvero nel sonno.”

Deglutendo Michiru sperò di non essersi colorita le guance.

“Da cosa dipende tanta curiosità? E’ forse riconducibile ai sogni che mi avete accennato di aver avuto e che a questo punto devo supporre siano stati molto più… interessanti di quello che mi avete fatto credere?”

Mordendosi la lingua, Kaiou capì troppo tardi di essersi chiusa la gabbia dietro le spalle. Tanto valeva vuotare il sacco. In fin dei conti quel medico sapeva di lei cose che lei stessa ancora ignorava.

“Diciamo ... Diciamo di si.”

“Mmm… E ditemi Milena, in questi vostri sogni ritroviamo sempre il solito soggetto?” Chiese e l’altra avvampò come conseguenza di una nota maliziosa assolutamente poco professionale.

“Mi giudicherete una donna licenziosa, ma non sogno certo con coscienza. Credo sia stato l’oppio a farmi…” Ma tacque vinta dalle sue stesse parole.

Setsuna sorrise provando quasi tenerezza. Certo che non era colpa sua e comunque non poteva dirsi una colpa ritrovarsi a sognare inaspettate libertà che altrimenti si era solite reprimere per coscienza o buona educazione. Quello che però la stessa Michiru non poteva ancora sapere, era che il soggetto di tali desideri era di fatto una bella donna bionda.

“Voi per prima sapete che l’oppio che ho dovuto somministrarvi per lenire il dolore alla testa, non ha questo potere.”

“Dunque…”

“Nulla Milena. Sono solo sogni… state tranquilla, ed in più non sta a me giudicarvi. Sono però sicura che quando inizierete a ricordare, questi saranno più comprensibili e tutto vi apparirà più chiaro.” Disse sbilanciandosi.

“Credete? Io non riesco a capirne il senso. Se sono stata innamorata di una persona, perché allora non ricordarla invece che avvertire solo sensazioni tattili ed immagini confuse?!”

La dottoressa tirò leggermente su le spalle, affermando che la mente umana è talmente complicata e gli studi intrapresi su di essa ancora elementari, che non avrebbe dovuto stupirsi. In tutta franchezza la motivazione di quel black out poteva essere, anzi per Setsuna era, la negazione della morte di Haruka.

Invase da un sole tiepido continuarono a camminare staccando il contatto. La donna più grande ammise a se stessa che il caso di Michiru avrebbe senza ombra di dubbio affascinato il suo Professor, ancora intento a studiare l’omosessualità.

Così arrivarono al blocco maschile delle camerate mentre alcuni dei bambini, ai quale Kaiou insegnava i rudimenti del disegno, correvano loro incontro. Rose, la più piccola e leziosa di tutti, le arpiono' l'orlo della gonna salutandola con il solito entusiasmo.

“Mamma Milena buongiorno!”

“Buongiorno a te mio tesoro. Come sta il papà?” Chiese lei accarezzandole la guancia.

“Sempre uguale…” Rispose guardando poi Setsuna dal basso verso l’alto stringendosi un poco alla stoffa.

Alta, capelli corvini lunghissimi fermi in una bassa coda di cavallo da un fermaglio d’osso lavorato, occhi castani al limite del rosso, camice bianchissimo e stetoscopio al collo. A quella bambina la dottoressa Meiou metteva da sempre una gran paura.

“Rose, perché tu e gli altri non andate ad aspettare la signorina Milena al parco mentre io le mostro una cosa?”

Titubante la bambina guardò alternativamente le due per poi sorridere staccarsi finalmente dalle gambe di Kaiou e correre via guidando gli altri.

“Mostrarmi una cosa? Credevo doveste fare una visita?"

“Non datevi pensiero, le altre cose possono aspettare. Adesso vorrei portarvi nella sala accoglienza. So che non ci siete mai stata.”

Incuriosita la ragazza la seguì lungo il corridoio voltato che dall’entrata del piano terra portava alla grande sala dove i pazienti erano soliti passare le ore di svago con visitatori e parenti che vivevano nella foresteria. Il ritmico cadenzare dei tacchi di Setsuna si unì ben presto alle note di uno strumento a corda che stavano propagandosi tra gli ambienti asettici delle scale e dei vari uffici. Aggrottando la fronte, Michiru iniziò a rallentare fino a fermarsi del tutto proprio in prossimità della porta d’accesso della stanza da dove proveniva la melodia.

“Un violino?” Disse a bassa voce perdendo lo sguardo nel vuoto come inseguendo un ricordo.

“Esattamente… Un violino.” Confermò invitandola ad affacciarsi.

Visto gli ultimi sviluppi, Setsuna voleva provare a riportare nella vita dell’altra una delle cose che maggiormente amava fare prima dell'incidente, ovvero suonare. Minako e Makoto erano state abbastanza chiare a riguardo; Michiru era stata per due anni la loro insegnante di musica ed il rapporto simbiotico che aveva con essa era profondo e viscerale.

“Questa sala è usata anche come piccolo spazio per chi ama suonare. Come vedete abbiamo un piano a muro ed alcuni strumenti a corda. Chi lo desidera può venire qui quando vuole.”

Rimasero sulla porta fino a quando la donna che stava suonando per alcuni pazienti non ebbe concluso l'assolo. Sorridendo alle due le invitandò ad entrare.

“Dottoressa Meiou che piacere. Non ditemi che suonate anche voi?” Chiese la giovane porgendole lo strumento.

“O no, io no. Adoro la musica e mi affascina, ma non ho mai avuto il tempo per imparare. - Prendendo il violino guardò Michiru immobile dietro di lei. - Prego.” E glielo passò.

Mani nelle mani l’altra lo fissò scuotendo il capo. “Cosa dovrei farci?”

“Nulla che non sappiate già fare.” Tornò a sbilanciarsi.

Afferrandolo la ragazza si stupì di non opporsi, anzi, avvertendo un’insolita rilassatezza sternale, inizio' a respirare più lentamente serrando dolcemente le dita della sinistra sul capo chiave ed alzando nel frattempo l’archetto verso le quattro corde. Poggiando la mentoniera al viso, chiuse gli occhi entrando in un mondo tutto suo, iniziando a suonare come se stesse leggendo le note di una partitura immaginaria. La melodia uscì leggera e cristallina come acqua di fontunte, ricalcando uno stralcio di un notturno di Chopin. Quella specie d’incanto non durò molto, un paio di minuti, ma tanto bastarono perché una volta finita l’esibizione, alcuni dei pazienti che si trovavano seduti sui divanetti e alle sedie dei tavolini, si alzassero entusiasti battendo le mani. Mentre anche le due donne ferme accanto a lei prendevano a complimentandosi, Michiru sembrò non accorgersene. Un po’ stordita lasciò le pupille vagare sulla lacca e le sinuosissime curve che componevano la fascia dello strumento, godendo similmente nel ritrovarsi accanto ad un vecchio amico. Si sentiva bene, rilassata, forse anche leggermente stanca, come dopo un lungo viaggio, sulla strada del ritorno, dove al dispiacere della fine di un'avventura si avviluppa la felicità del ritrovare l’aria di casa. Improvvisamente ebbe una specie di singulto, poi rilasciando un sospiro lievissimo strinse le labbra.

“Dottoressa Meiou…”

“Si.”

“Il mio nome è Michiru,… non è vero?”

 

 

Stazione ferroviaria di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 26/9/1915

 

Poggiando saldamente la suola sul primo gradino metallico della scaletta, Haruka arpionò il telaio della porta respirando l’aria acre prodotta dai freni del treno. Finalmente erano arrivate nella cittadina da dove avrebbero ripreso le loro ricerche ed immancabilmente, il dolore alla bocca dello stomaco che aveva preso a solleticarle la pazienza da qualche giorno, riprese più vivido che mai. Avvertiva fremito di movimento, ansia, speranzosa per un futuro con lei e terrore nel vederselo negato. Tutto insieme. Una gamma di sensazioni via via sempre più forti man mano che quello che sarebbe stato, nel bene o nel male, l’ultimo viaggio, andava concludendosi. Sapeva di aver dato tutto per cercare di portare a compimento la promessa fatta alla sua dea e qualunque cosa avesse trovato, una lapide sulla quale darsi pace o un sorriso dal quale ripartire, non avrebbe dovuto recriminare su niente.

Ti ritroverò amore mio. L’ho promesso, pensò iniziando a scendere verso la banchina. Sentendo la sorella al fianco s’incamminò verso il cancelletto che dalle rotaie portava nella pace di un piccolo giardinetto con una fontana di pietra assalita sul bordo dai colori di centinaia di talli crostosi e da li, mediante un’altra piccola apertura, a quello caotico e chiassoso del mercato rionale che stava inondando tutta la piazza di fronte alla stazione.

“Ooo... questo si che ricorda Bellinzona. Guarda un po’ che bel baccano. Sembra di stare tra i banchi degli ambulanti che il mercoledì animavano il nostro quartiere.” Disse Giovanna sistemandosi meglio il bagaglio tra le mani.

“Forza, andiamo. Ci serve un mezzo per arrivare all’ospedale riabilitativo. Si trova qualche chilometro fuori città.”

Guardandosi intorno, Haruka intravide un paio di carrozze che avevano tutta l’aria di essere pubbliche e facendo un cenno all’altra, si issò decisa lo zaino sulla spalla. Cosi', venti minuti dopo aver lasciato il centro città, iniziarono a scorgere le modeste case dei quartieri periferici ed in poco meno di quaranta minuti, i colori ormai caldi di un autunno ricco di vegetazione campagnola..

“Manca ancora molto per l’ospedale?” Chiese Giò sporgendosi verso il cocchiere che gentilmente le indicò un bivio dove una strada molto più stretta di quella principale che stavano percorrendo, dava accesso ad un filare di alte alberature che terminavano con un portale dal mattonato dipinto con un tenue arancio e due leoni in sommità.

“No signora, l’ospedale è proprio laggiù.”

“Fermi pure qui, grazie.” Disse Haruka infilandosi la mano nella giacca pronta a saldare l’uomo.

“Non volete che vi porti fin dentro signore?” Tirando le redini ed alzando la leva del freno, guardò il biondino con perplessita'.

“No, non preoccupatevi. Va benissimo così. Quanto vi dobbiamo?”

“Mezzo franco. Grazie e vi auguro buona giornata.” Ed una volta saldato, sceso, ed aiutato a scaricare i pochi bagagli, tornò sul sedile rianimando il cavallo con una decisa oscillazione del finimento ed uno schiocco con la lingua.

Giovanna lo guardò allontanarsi non capendo. “Perché hai voluto scendere qui? I bagagli pesano sai.”

“Perdonami, ma ho bisogno di camminare un po’.”

Haruka aveva paura. La maggiore accettò la cosa e senza aggiungere altro la seguì silenziosamente lungo il battuto di sassi e polvere fino a quando un furgoncino, non sopraggiunse alle loro spalle costringendole a spostarsi verso lo steccato che proteggeva la strada dal transito del bestiame. Un FIAT bianco e rosso con un cassonato stracarico di sacchi, le superò in scioltezza oscillando sugli ammortizzatori rumorosi alzando un gran polverone. Voltandosi verso il prato Haruka iniziò a tossire, mentre Giovanna andava a coprirsi gli occhi con il palmo della mano masticando male parole. Pochi metri ed il mezzo si fermò lasciando scendere una ragazza molto alta, vestita di azzurro, un grembiule bianco ed i capelli raccolti da un fazzoletto del medesimo colore.

“Scusate signori, non volevamo impolverarvi. Abbiate pazienza, la strada non è delle migliori.” Disse per poi bloccarsi al contatto visivo.

“Dio del cielo, Giovanna… Sei proprio tu?!”

E l’altra riconobbe Makoto e tutta la sua sorpresa racchiusa in quelle perle verdi chiaro che erano i suoi occhi.

“Mako?! - Sorrise abbandonando i bagagli in terra per abbracciarla e lasciarsi abbracciare. - Che sorpresa! Non credevo di trovarti ancora qui.”

“O si, Mina e Wolf non sono ancora tornati a Vienna e comunque ho deciso che fino a quando il conflitto non sarà terminato, resterò qui a dare una mano.” Finalmente si guardarono.

“Mako… ho una sorpresa. Guarda un po’ chi c’è?!” Scansandosi indicò il ragazzo dietro di lei consigliandole di osservarlo bene.

Posando le mani hai fianchi, Haruka stirò un sorrisetto sghembo montando su la solita aria da guascona. “Non dirmi che ti sei già dimenticata di me, Kino?!”

Ci vollero alcuni secondi prima che, dilatando gli occhi per poi chiuderli di colpo, la ragazza si tuffasse verso l’amica per abbracciarla cedendo alla commozione.

“Sei viva! Sei viva! Haruka….”

 

Minako ebbe la stessa reazione, forse un tantino più inondata di lacrime ed abbracci. Si strinse alla vita di Tenou per così tanto tempo che alla fine, imbarazzatissima e alzando gli occhi al cielo, la più grande non riuscì a riprendere in mano la situazione arpionandole le spalle per staccarsela a forza di dosso.

“Mina dai calmati. Ci stanno guardando tutti. Penseranno che sono colui che si è permesso di sedurre ed abbandonare questa deliziosa biondina.” Disse sentendola ridacchiare per riuscire finalmente a guardarla in viso.

Asciugandole le guance con i pollici tornò a sorriderle scuotendo la testa.

“Non sei cambiata affatto Aino.”

L’altra se la guardò socchiudendo gli occhi ancora lucidi. Perché era vestita così? “Cosa ti è successo Haru? Sembri un giovane uomo.”

“Ssss, non chiamarmi per nome, non in pubblico almeno. E’ una lunga storia che ti racconterò appena avrai un poco di pazienza. Ora ricomponiti dai.” E dandole un buffetto si sentì felice di averla ritrovata.

Pur essendo una solitaria, il periodo nel quale avevano valicato le Alpi tutte insieme, era stato per la bionda uno dei più belli e liberi di tutta la sua vita. Aveva scoperto l’amicizia e la forza del branco, aveva ritrovato l’affetto immenso per la sorella, compreso se stessa e grazie a Michiru, la prorompente felicità dell’amore. Michiru.

“Mina, siamo qui per…” La voce le venne meno incrinandosi paurosamente.

“Milena Buonfronte.” Intervenne Giovanna guardando le due amiche.

“Allora sapete di Michi?!" Esplose Makoto smorzando immediatamente l’entusiasmo al viso contrito della bionda.

Oddio pensò Haruka ingoiando a vuoto.

“Sappiamo che è stata estratta dal fango del fiume ancora viva e ricoverata chissà dove da una squadra medica bernese, per essere registrata poi con il nome di Milena Buonfronte. Ma nulla più Mina. Ti prego… dicci che Michiru è qui.”

La biondina piegò i lati della bocca all’insù annuendo. “Si… E’ stata ricoverata ferita ed incosciente pochissimi giorni dopo il nostro arrivo.”

“E ora dov’è?!” Chiese Haruka con il cuore quasi fuori dal petto.

Le due amiche si scambiarono uno sguardo e poi la viennese le prese la destra invitandola a seguirla. “Vieni Haru.”

 

Michiru si sentì tirare il braccio abbandonando l’affastellamento caotico che erano diventati i suoi pensieri da quando il suo vero nome era finalmente tornato ad accarezzarle le labbra. Sigmund la guardò accigliato ed un tantino offeso.

“Perché non ti sei voltata? Ti sto chiamando dall’inizio del viale.” Le fece notare indicando il dritto corridoio di pietre inghiottite dalle siepi.

“Scusami…”

Stava diventando imbarazzante. Non era il primo che in quelle ultime ore le stava facendo notare quella che ad una prima impressione sarebbe anche potuta essere scambiata per scortesia e non sarebbe stato neanche l’ultimo, perché se prima il nome Milena non le diceva niente, ma comunque indicava la sua persona, ora l’aver ricordato di averne un altro, lo rendeva praticamente inutile.

Nonostante la sua insistenza, la dottoressa Meiou non aveva voluto rivelarle il suo cognome, rimarcando la cantilena del dover lasciare scorrere tutto con naturalezza, ed era perciò ovvio che avesse preso a scervellarsi sul ricordarlo. Per il momento infruttuosamente. Almeno i dolori alla testa sembravano essersi sopiti diventando molto più sopportabili, al limite del fastidio o forse era lei, con la sua determinazione, a non badarci più. Non importava, perché quello che ora Michiru riteneva fondamentale era il ricordarsi della sua famiglia, della sua vita e di lui. Dalla sua esibizione con il violino non lo aveva più sognato il suo giovane amante dalla chioma dorata e dalla voce profonda, ed anche per questo non appena si era lavata e vestita per scendere a fare colazione, non aveva fatto altro che andare avanti ed indietro per i sentieri del parco.

“Che c’è, sei strana!”

“Assolutamente no.”

“Rose mi ha detto che ieri avresti dovuto fare una lezione di disegno e non ti sei presentata. Credevo stessi male. - Vedendola scuotere la testa continuò con ostinazione. - Hai saltato anche la ronda serale. Non si fa così!”

“Ti rinnovo le mie scuse. Si indulgente Sigi, in fin dei conti ho visto che hai messo su una gran bella banda di alleati.” Sfotté tornando a camminare guardando in terra.

Michiru… Michiru e poi… e poi. Accidentaccio!

“Milena!” Il bambino non cedette riafferrandole il braccio e facendola scattare come una molla.

Voltandosi lo guardò nervosissima. “Insomma Sigi, per pietà divina, non lo vedi che ho da fare?!”

Lui si bloccò sgranando gli occhi ed immediatamente accortasi di avere alzato la voce, gli si inginocchiò davanti accarezzandogli il viso.

“Non volevo essere brusca e che… mi sento tanto confusa. Tu hai ricordato mentre io non ancora. Porta pazienza, vuoi?!”

“Non hai ancora fatto progressi nonostante l’aiuto della dottoressa Set?”

“Set? - Baciandogli la fronte gli rivelò la sua prima grande conquista. - Visto che stiamo parlando di nomi, da ora in avanti vorrei che mi chiamassi… Michiru.”

“Michiru? Allora qualcosa l’hai ricordata.” Disse entusiasticamente.

“Si e spero tanto che sia solo l’inizio, tesoro mio.”

Ferma dietro ad un tronco a qualche decina di metri da loro, Haruka cercò di inalare ossigeno emettendo però solo un suono strozzato. Respiri come cavalli imbizzarriti e nel petto il tamburo forzato e velocissimo che spinge le cento braccia di una galea. Non era morta la sua dea, era li, ad un passo da lei, vicinissima, ma in egual maniera lontana anni luce. Avrebbe voluto stringerla, baciarla, guardarla per tutta la vita, ma aveva scoperto di non potere. Non ancora.

“Ha perso la memoria Haru ed è per questo che pur avendo ritrovato la salute non è tornata a Berna, ne tanto meno ha fatto avere sue notizie ai genitori.” Le aveva rivelato Minako mentre la conduceva verso il parco dove sapeva che con molta probabilità l’avrebbero trovata.

“Ma potevate avvertirli voi! Non potete neanche immaginare che pena stiano provando!”

“Lo capisco, ma i medici hanno ritenuto opportuno privarla di ogni tipo di emozione. Ma ti spiegherà tutto la dottoressa che si sta occupando di lei, Haru.”

“Non ricorda proprio nulla?”

“Mi dispiace. Ma adesso che sei qui, si risolverà tutto per meglio vedrai. Sono sicura che la memoria le tornerà e potrete finalmente tornare ad amarvi come se non più di prima!” Dolce e tenera Mina, fiore di Vienna, sempre innamorata dei sogni rosa del cuore.

“Ruka…” Sussurrò Giovanna commossa nel vedere Kaiou alzarsi per chinare da un lato la testa illuminando il viso con quel bellissimo sorriso che tanto faceva sentire a proprio agio le persone. Un’amica preziosissima che l’era mancata più di quanto avrebbe mai pensato.

“E’ viva la mia Michiru.”

“Si. Hai visto? Il viaggio è finito.”

Giovanna… se non ricorda me, noi, credo che dovrò ancora camminare allungo.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi. Haruka ha già capito tutto prima ancora di parlare con Setsuna. Ha capito che non sarà facile. Ha capito che l’amore può riservarti dolore, gioie, ed ancora dolore. Ha capito di non essere sola e che la sua dea sta a cuore a molte altre persone. Ha capito che se pur Michi sia vicinissima, come mai dopo il crollo della diga, è dannatamente lontana. Ma non si arrenderà, non ora.

Ciauuu.

 

 

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Capitolo 11
*** La mia Michiru ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino, Ami Mizuno e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

La mia Michiru

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale

 

Minako le sorrise uscendo dall'ufficio mentre Giovanna la seguì non prima di aver lasciato una carezza sul braccio della sorella. Haruka rimase così sola a fissare le spalle di quella donna sconosciuta; il medico che aveva preso in cura la sua Michiru. Si era presentata a Setsuna Meiou raccontandole tutto di lei, ovvero chi fosse in realtà e chi stesse cercando nella struttura ospedaliera. Non era cosa di tutti i giorni trovarsi davanti una donna travestita da uomo che reclama l'amore di un'altra e per questo motivo Haruka sapeva di dover essere pronta a tutto; male parole, pregiudizi o comprensione totale.

“Haruka Tenou… Dunque siete voi. Devo confessarvi che da quando ho saputo della vostra storia, mi sono spesso soffermata ad immaginarvi e devo dire di essere colpita.” Ammise la donna più grande voltando il tronco accorgendosi di avere assunto la stessa posa militaresca dell’altra. Busto ben dritto e mani serrate dietro la schiena.

Interdetta la bionda corrugò la fronte solcandola con una profonda ruga.

Sorridendole la dottoressa la invitò a sedersi."Suvvia, non fate quell’espressione stupita.”

“Non vedo perché non dovrei. Chi vi ha parlato di me?” Chiese non accettando la seduta. Voleva stare in piedi.

“La signorina Aino, alla quale ho chiesto aiuto per cercare di capire come affrontare l’amnesia che ha colpito Michiru e… Michiru stessa, nel corso delle nostre sedute ipnotiche e nel racconto di alcuni sogni che ha fatto su di voi.”

“Sogni su di me? Allora qualche cosa la ricorda!” Speranzosa accese le labbra spegnendo immediatamente il sorriso una volta ascoltato un deciso no.

“Lasciate che vi ragguagli, ma … sedete per favore, non sono abituata a parlare di cose tanto delicate ferma in piedi.” Disse indicandole la poltrona dalla parte opposta della scrivania ed occupando la sua.

“La signorina Kaiou ha riportato una lesione al cranio abbastanza importante, talmente tanto seria da essere stata soggetta a coma per diversi giorni. Al suo risveglio e con grande sollievo di tutti noi, è riuscita a riacquistare ogni funzione cognitiva e motoria, ma la memoria no. L’incidente nel quale siete state coinvolte, ha scatenato un problema psicologico talmente tanto profondo da cancellarle totalmente il passato, i ricordi… le persone amate. Ora, grazie alle cure, sembra che alcuni frammenti della sua vita stiano riemergendo, ma è purtroppo ancora poca cosa e, soprattutto, totalmente incontrollata."

Rimasta seduta quasi sul bordo della poltrona, la bionda la guardò speranzosa. “Adesso che sono qui le parlerò dei suoi genitori, di quanto la stiano aspettando e quanto la amino, della sua Berna, del conservatorio che frequentava, del violino, delle sue allieve, il suo lavoro a Merano e… di noi.”

Poggiando la schiena, il medico sospirò unendo le dita delle mani. Non era così facile. “Lasciate che vi riveli che se la ferita ha innescato l’amnesia e' solo un avvenimento traumatico a bloccarne il rilascio dei ricordi. Il problema è passato da fisico a mentale. Vedete... l’avere nella nostra struttura due sue ex allieve, mi aveva incoraggiata a credere, come voi, che il ridare a Michiru i suoi ricordi sarebbe stato lungo, ma in un certo senso semplice. Invece abbiamo constatato che al minimo accenno alla sua vita passata, di qualunque genere esso sia, da una persona, ad un nome, dolori lancinanti prendono tutt’oggi a sconquassarle le tempie, tanto che ha bisogno dell’oppio per superare una crisi.”

“Ma… non avete appena detto che sta rispondendo alle cure?”

“Si e questo da qualche giorno. Una settimana circa. Ha iniziato a sognare la causa del suo blocco e questo le ha dato il coraggio di accettare l’ipnosi che in prima battuta aveva categoricamente rifiutato.” Concluse sapendo di dover affondare il colpo.

“Quale sarebbe la causa?” Chiese Haruka contraendo tutti i muscoli della schiena.

“Non vorrei che mi fraintendesse signorina Tenou, ma sarò franca proprio in virtù del sentimento che vi lega a Michiru. - La fisso' cercando tatto. - La vostra presunta morte.”

Spingendo il dorso del pugno destro alla bocca, l’altra puntellò il gomito al bracciolo cercando di assorbire la notizia.

“So del vostro amore, Haruka e come donna posso dirvi che è stato talmente tanto ricambiato, che alla vostra perdita Michiru ha deciso di reagire non ricordandola affatto. Non è un caso raro in psichiatria, ve lo assicuro. Accade molto più spesso di quanto non si pensi che alla morte di una persona cara si reagisca così."

Setsuna vide il momento esatto nel quale le sue parole la ferirono rendendo il suo incarnato, di per se già abbastanza pallido, ancora più chiaro. Minako aveva provato a descriverla fisicamente quella ragazzona bionda dagli occhi carichi di smeraldo; il naso dritto, le spalle fiere, i capelli ribelli sulla fronte e quel modo di guardare il mondo tra il curioso ed il diffidente, ma Setsuna non avrebbe mai immaginato che l’androgina Tenou fosse tanto affascinante. Ora, nonostante fosse attratta dall’emisfero maschile in ogni sua forma, le era un po’ più facile capire Michiru.

Schiarendosi la voce, Haruka cercò di mettere ordine. “Mi state forse dicendo che il mio ricordo le provoca dolore?”

“Non solo il vostro. Comunque grazie anche all'ipnosi, i dolori fisici da qualche giorno si stanno affievolendo e questo la sta spingendo a voler ricordare, ma…” No, così non andava. Doveva essere più chiara.

“Haruka ascoltatemi bene. - Un sospiro e fuse i suoi occhi a quelli dell’altra. - Siete presente nei ricordi di Michiru, sia sotto forma di sogno che nel percorso ipnotico, ma quello che ha ricordato di voi, alcune caratteristiche fisiche, il timbro della vostra voce, fino all’odore della vostra pelle, non le ha impedito di credere erroneamente che voi siate un uomo.”

Alzando le palpebre stupita, l’altra sporse il busto verso il medico. “Come scusi?”

“Ha ormai la certezza di aver donato il cuore e il suo corpo a qualcuno, ma non di essersi scoperta omosessuale e questo ci spinge ad essere ancora più prudenti.”

“Ho capito.” Disse abbassando paurosamente il tono ed una strana quanto già conosciuta rassegnazione, s'impadronì di lei.

Si ricordò allora di quella reticenza per molti versi stupida, usata come scudo al nascere della loro storia, quando l’ostinazione di Michiru era stata più forte di tutte le sue paure.

Io non ho niente. Non sono niente se non uno sbaglio.”

Io non vedo sbagli..., vedo solo splendore, Ruka.”

E la bionda aveva ceduto all’amore tentando di dimenticare tutto il resto della società, il perbenismo che ne guidava i pregiudizi, i tanti cliché che volevano una donna madre, moglie devota e sposa fedele.

“Forse è meglio così.” Se ne uscì impulsivamente non badando alla perfetta sconosciuta che aveva seduta dalla parte opposta della scrivania.

Da professionista qual era, Setsuna non perse tempo bloccando quel disfattismo sul nascere. “Aspettate un attimo Haruka. Vi prego di non arrivare a conclusioni affrettate. Il non ricordarsi di voi come donna, non vuol dire che abbia inconsciamente rinnegato la sua omosessualità.”

“A no?!” Rispose beffarda.

“No!”

Dopo un momento di silenzio la bionda tornò a guardarla. Avrebbe fatto qualunque cosa per aiutare Michiru. “Ditemi cosa fare ed io lo farò dottoressa.”

Sorridendo soddisfatta, Setsuna piegò la testa da un lato gonfiando il petto. “Non offendetevi signorina Tenou, ma i miei studi hanno fatto in modo che io abbia già intuito che tipo di persona voi siate. Protettiva e passionale. Dovrete perciò cercare di fare come vi dico e rimanere lontana da Kaiou fino a quando non sarò io a dirvi il contrario. Ne voi, ne vostra sorella dovrete interferire. Per favore, fidatevi di me. Siamo intesi?”

Scuotendo la testa affermativamente la bionda si sforzò di contraccambiare quel lieve entusiasmo, ma al posto di un sorriso d’apertura, le uscì dalle sue labbra solo una specie di ghigno stanco. Così il patto fu stipulato e l’impellente necessità che Haruka sentiva di avere nello stringere la sua dea al petto, venne sopito per un bene più grande; la sua completa guarigione. Il bizzoso puledro di fanteria si sarebbe accontentata di osservarla da lontano, contando ore e giorni, fino a quando fosse giunto il momento dove le sue braccia avrebbero riaccolto il corpo dell’altra in quella stretta bramata ormai da troppi mesi.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 2/10/1915

 

Era passata una settimana da quando le sorelle Tenou erano arrivate all’ospedale di Muhleberg e seguendo le direttive della Dottoressa Meiou, avevano preso una stanza in una foresteria ad un paio di chilometri dal complesso, dove alloggiavano anche parecchi dipendenti, inclusa Makoto, la quale, come una sorta di espiazione per il gesto che aveva dovuto compiere mesi addietro per salvare Michiru, aveva deciso di dedicarsi come Ami alla scienza medica diventando un'infermiera. La tedesca si era trasformata in una guida virgiliana, descrivendo non soltanto gli ambienti che componevano le varie parti dell'ospedale, ma anche e soprattutto quelli frequentati di solito da Michiru, quali il complesso femminile, la mensa, il parco e da qualche giorno anche la sala accoglienza dove aveva ripreso a suonare. Già, la musica, quel grande mistero che era per tutte loro e che invece aveva tanto pervaso di speranza la Dottoressa Meiou. Come una ragazza colpita da amnesia potesse ricordarsi cose come la lettura di una partitura, il far scorrere il crine dell’archetto sulle corde, o la ritmica, Mina, Giovanna e Mako, proprio non se lo spiegavano. Al pari di Setsuna, soltanto Haruka sembrava non considerarla una stranezza, convinta com’era che la musica era da sempre parte dell'anima di Kaiou e mai nessuno avrebbe potuto strappargliela via da sotto la pelle.

Per quanto riguarda la bionda invece, la si vedeva camminare guardinga e solitaria nel parco in orari assurdi e con qualsiasi condizione climatica. Mani nelle tasche, sguardo basso e camminata lenta. Giovanna aveva cercato più volte di convincerla a non esporsi così alle intemperie, ma quella gran testarda non intendeva ascoltare nessuno, tanto che un giorno, presa da un attacco di nervi, la maggiore l’aveva seguita tra la nebbia mattutina delle cinque costringendola a starla a sentire.

“Ammalarti non la farà guarire prima, anzi costringerà te a letto. Furba!”

“Non voglio buscarmi nulla, se è questo che pensi. Sono le uniche ore nelle quali non c'è pericolo che posa incontrarla e dove non mi state tutte addosso. In mezzo agli alberi del parco ho la possibilità di pensare in santa pace.”

“Ma finiscila di mentire. Puoi ingannare gli altri... non me Ruka! E’ naturale che il sapere tutto su Michi ti abbia sconvolta.”

“Giovanna dico sul serio. Mi scoppia il petto a pensare che sia viva, che stia bene. Alle volte mi fermo a guardarla da dietro qualche angolo, insegnare ai bambini i rudimenti della pittura, beandomi della sua risata. Dio quanto mi è mancato il sentirla ridere, forse più di tutto, inclusi i suoi sguardi carichi d’amore e i suoi baci.”

“Ruka…”

“Sai, in questi ultimi giorni mi sono convinta di una cosa. Anche se non dovesse mai più ricordarsi di me, o accettarmi tra le sue braccia come una volta, arrivero' comunque a farmente una ragione, perché la cosa veramente importante e' che sia viva. Viva nonostante tutto e che possa gioire ancora di questa nebbia, del freddo, del cielo azzurro e del sole.” E due lacrime cariche di una strana felicità avevano preso a solcarle il viso.

Giovanna da buona sorella maggiore era preoccupata, sia per la bionda, sia per l’amica. Aveva conosciuto Sigi e Wolfgang e con loro aveva ritrovato in gusto della compagnia di un gruppo, un po’ come quando da ragazzina scorrazzava con i suoi compagni di scuola per le strade del suo quartiere. Ma per il resto non poteva far nulla; aiutare o stare con Michiru, anzi, non sapendo come avrebbe potuto reagire nel vederla, aveva promesso a Setsuna piu' o meno quello che aveva assicurato Haruka, ovvero di restarsene buona alla foresteria e farsi vedere nei pressi dell’ospedale il meno possibile.

Così passarono un altro paio di giorni e all’insaputa di una Kaiou sempre più attiva, sia sul piano delle sedute ipnotiche, sia sulla ricerca del ladro della mensa, le sorelle Tenou continuarono a fare la spola percorrendo quei due chilometri tra ospedale e foresteria svariate volte al giorno, cercando così di tenersi aggiornate sullo stato di salute della ragazza.

Ma la mattina del terzo giorno, Michiru dovette far fronte ad un insolito quanto sconvolgente incontro. Controllando che ore fossero sul grande orologio della torre che svettava dal corpo principale tra onde di nebbia, si rese conto di quanto fosse presto scuotendo contrariata la testa.

“Vai a letto tardi ed ora ti svegli all’alba? Non va affatto bene Sigi.”

“Michiru lo sai che non abbiamo più tempo. Presto quel furfante guarirà ed il segno che gli ho lasciato non sarà più visibile per inchiodarlo!” Disse lui con convinzione.

Se prima le persone tenute sotto stretta sorveglianza erano due, ora la certezza di chi fosse la mano lesta era ricaduta sull’uomo che qualche settimana addietro aveva incolpato lo stesso bambino; ovvero l’inserviente della mensa. Il collega era tornato al lavoro il giorno precedente e il viso non mostrava alcun graffio.

“Accidenti! Wolfgang doveva rompere la protesi proprio ora?!” Disse lei arpionandosi le spalle con le braccia per cercare di difendersi dal freddo pungente.

“Sono in grado di proteggerti da solo, che credi! Non aver paura.”

“Non ho paura tesoro, ho solo un gran freddo.” Disse sorridendo sicura di se.

“Oggi lo beccheremo quel furbone vedrai! Sono sicuro che non si aspetta di trovare qualcuno bazzicare da queste parti all’alba.”

Camminando verso la parte meno battuta del parco, dove Sigi e Setsuna si erano scontrati con il ladro, avvertirono rumore di foglie calpestate e strusciare di vestiti sui cespugli. Il bambino fermò entrambi alzando un braccio in aria indicando alla ragazza un paio d’alberi alla loro sinistra. Li, tra il chiarore latteo della nebbia, una figura avvolta da cappotto e mantella, apparve loro a circa una decina di metri.

“Michiru lo vedi?” Chiese sottovoce mentre lei si abbassava di colpo per rendersi meno visibile.

“Si. Seguiamolo finché la nebbia non si sarà diradata dandoci la possibilità di vederlo meglio.”

Così fecero, camminando guardinghi ricalcando le orme lasciate dai calzari dell’ombra.

Controllando l’orologio da taschino Haruka gonfiò le guance grattandosi la zazzera. Possibile che si fosse persa? Passi la scarsa visibilità, ma quel parchetto non poteva certo paragonarsi all’immensità dei suoi boschi.

Se non torno per colazione, Giovanna si preoccuperà, mi sgriderà e non la finirà più di rompermi le scatole. Devo sbrigarmi ad uscire da qui, pensò la bionda guardando i banchi alzarsi velocemente verso l’alto dove i primi raggi solari stavano iniziando a filtrare tra le fronde.

Bene. Ancora qualche istante e finalmente ci si vedrà qualcosa. Dovrò cambiare posto per le mie passeggiatine mattutine… Ma un rumore la mise sul chi vive. Non aveva l’autorizzazione per stare li e non aveva nessuna intenzione di dare spiegazioni a chi che sia.

“Ei tu! Fermo dove sei!” Sentì provenire dalle sue spalle. Una voce di bambino che le fece aggrottare la fronte.

Michiru ne bloccò l’irruenza arpionandogli una spalla. “Stai calmo Sigi.” Disse mentre la luce riusciva finalmente ad urtare contro il terreno diradando l’ultima intangibilità della foschia. E lo vide.

Vide le spalle protette da una mantella scura. Vide la postura importante, ma non imponente. Vide l’oro della sua capigliatura ed il respirò le si mozzò rimanendo nella gola per una frazione di secondo. D’istinto si portò la mano al talismano che portava nella tasca della gonna, mentre l’uomo prendeva a correre e Sigmund lo seguiva a ruota libera.

“Fermatevi!”

“No, aspetta… Sigi…” E via anche lei, tra l’erba appesantita dalle goccioline di rugiada e le foglie abbattute al suolo dall’autunno.

Corsero a per di fiato con gli ultimi banchi di nebbia che ancora riuscivano a rendergli la corsa difficoltosa, poi il muro di cinta gli si parò davanti facendo emettere al bambino un grido di rabbia. “Ma porca miseria Michiru! L’abbiamo perso.” Strinse i pugni contrariato respirando con difficoltà.

Ma lei quasi non lo ascoltò. Quei capelli; quei capelli così simili ai suoi sogni. Quei capelli così simili al suo talismano.

Da dietro un grosso tronco d’abete, Haruka cercò di rimanere immobile nonostante necessitasse d'ossigeno. Nel cervello solo il suono assordante dei suoi battiti e nella testa solamente lei.

Vattene. Vattene amore mio, pregò serrando gli occhi tanto da provar male. Schiacciò la schiena alla corteccia fino a quando non li sentì allontanarsi.

 

 

Poche ore dopo, nel pieno di una mattina dal tempo capriccioso che stava paurosamente puntando al brutto, Sigmund calciò un sasso fermo al centro della strada sterrata che portava dall’ospedale alla foresteria, colpendo in pieno un palo della staccionata. Avevano deciso di prendere il famoso “toro per le corna” verificando di persona l’identità del ladro andando dove risiedevano i dipendenti non del luogo.

“Eravamo a tanto così!” Indicò con pollice ed indice contratti.

“Non credo fosse lui.”

“Ancora con questa storia Michiru?! Io non ho visto capelli biondi.”

“Be… io si! E ti dico che non era il nostro ladro. Comunque le chiacchiere stanno a zero. Adesso per prima cosa andremo in foresteria e poi batterò palmo a palmo l’ospedale in cerca dell’uomo di questa mattina. E puoi star certo che lo troverò Sigmund.”

Impressionato da tanta risolutezza il ragazzino la guardò con circospezione. A tratti quella ragazza sembrava un’altra persona; più sicura e determinata. Ma forse era solo la sua vera personalità che stava pian piano riemergendo.

 

 

“Sei sicura di non volere compagnia Ruka?” Chiese Giovanna poco convinta.

“Sicurissima. Non preoccuparti come al solito, non ci metterò molto. Tu invece vai dalla Dottoressa Meiou e fatti dire come sta oggi Michiru.” Non le aveva detto di averla vista gironzolare nel parco alle cinque del mattino con un mocciosetto a rimorchio.

“E mantella e cappotto?” Insistette sistemandole meglio la cravatta al collo.

“Non mi servono. Ho caldo." Alzo' leggermente il mento lasciandola fare.

La bionda aveva deciso di tornare in città per spedire una lettera alla signorina Rostervart. La governante sarebbe stata entusiasta e rattristata al tempo stesso, perché se da una parte Michiru era ancora viva, dall’altra quanto della ragazzina che Clementine aveva cresciuto, avrebbe un giorno potuto far ritorno a casa? In più Haruka sentiva la necessità di non pensare a nulla per qualche ora e approfittando del passaggio di un furgoncino per le consegne, avrebbe trascorso la restante parte della giornata per conto suo, tra le strade ed i negozi del centro. Sorridendo alla sorella per farle poi un occhiolino, si diresse verso il titolare del mezzo issandosi al posto del passeggero. Giovanna li vide partire traballando verso la strada principale.

Arrivati nei pressi della stazione ferroviaria circa mezz’ora dopo, la ragazza scese ringraziando l’uomo assicurandogli che si sarebbero rivisti nello stesso posto verso l’imbrunire.

“Siete sicuro di non volere una mantella? Potrebbe piovere.”

“Va bene così grazie. Sono abituato. Allora, l’ufficio postale è da quella parte?”

“Si, sempre dritto. Ad un paio d’isolati sulla destra. A dopo.” E tornando a schiacciare l’acceleratore svoltò presto un angolo sparendo dietro ad uno stabile.

Respirando a pieni polmoni, Haruka iniziò ad incamminarsi per la strada indicatagli provando per la prima volta da quando era tornata nella sua baita, uno strano quanto improvviso senso di pace. Il sapere Michiru viva le sarebbe bastato per tutta la vita? Si, le sarebbe bastato o almeno avrebbe fatto di tutto per farselo bastare.

Conoscendo ormai a menadito gli uffici postali per via del servizio svolto in casa Kaiou, non ci mise molto per comprare un francobollo ed imbucare quello che, di fatto, in quella Svizzera schiacciata da superpotenze armate fino ai denti, rimaneva l’unico mezzo di comunicazione ancora autorizzato dal Ministero della Difesa; una semplicissima lettera. Uscendo poi senza fretta, si accorse delle prime gocce di pioggia e guardando accigliata il cielo fattosi abbastanza scuro, s’infilò una mano nella tasca estraendo la sciarpa ripiegata che calorosa com’era, ancora non aveva avuto modo e voglia d’indossare. Restando apaticamente sul bordo del marciapiede, iniziò a sistemarsela al collo quando i suoi occhi si posarono su una giovane donna ferma dalla parte opposta della carreggiata, come inchiodata, mani strette al grembo, sguardo fisso su di lei, due iridi di un blu profondissimo e benedettamente conosciuto, i capelli mossi e da subito adorati, anche quando, per cause di forza maggiore, erano dovuti essere tagliati. Non pensò Haruka, avvertendo costrizione ai polmoni, mentre al centro della fronte andava formandosi una profonda ruga.

Dalla parte opposta di due cuori impazziti, Michiru sentì chiaramente uno scoppio d’adrenalina quando, vedendosi fissata quasi al limite della sfacciataggine, avvertì la suola del suo stivaletto scendere il gradino di basalto come attratta da un magnetismo conosciuto. Inizio' cosi' a camminare attraversando la carreggiata noncurante di tutto il resto del mondo, arrivando a fermarsi ad un metro da lui.

“Scusate… io…” Quasi balbettò non riuscendo a mettere due parole in fila.

Cosa voleva dire a quel giovanotto biondo bello come un dio? Che forse lo aveva intravisto tra la foschia del parco dell’ospedale quella stessa mattina e che, rivedendolo sul lato passeggeri di un furgoncino di servizio, lo aveva seguito abbandonando senza coscienza Sigi per la strada della foresteria e saltando sul carro del primo sconosciuto, per poi ritrovarsi da sola e senza denaro in una città che neanche conosceva? Non riusciva a non provare soggezione davanti a quei due smeraldi purissimi. Che cosa le stava succedendo? Una signorina per bene non poteva permettersi di comportarsi in quel modo con un estraneo.

Improvvisamente un nitrito vicinissimo al suo orecchio destro la fece sobbalzare e girare di scatto verso l’enorme muso di un cavallo.

“Ei signorina! Toglietevi dalla strada!” Urlò un energumeno brandendo una lunga frusta dall’alto del suo posto di guida.

Con un rapido movimento del braccio, Haruka le afferrò la vita traendola a se ed issandola sul marciapiede. “Scusate. - Disse al conducente per poi rivolgersi direttamente alla ragazza. - Tutto bene?”

E per Michiru fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso mentre veniva assalita da una vertigine improvvisa. Quella voce calda e profondissima che tanto le aveva sconvolto il mondo dei sogni notturni e quei capelli cosi' biondi da sfidare le sfumature dell’oro zecchino. Non poteva sbagliarsi. Era lui. Avvertendo le dita del ragazzo ancora serrate su di se ricordò a bruciapelo.

Voglio che il tuo corpo mi scaldi.

Sei sicura amore?

Si, ed avvampò facendo un passo indietro liberandosi mentre puro piace andava ad impossessarsi delle narici della bionda, finalmente immersa nella fragranza che la pelle della sua dea emanava da sempre.

“Si… Tutto bene, grazie.” Rispose poco convinta squassata da un fremito.

“Siete sicura?” E sentendosi il timbro drammaticamente roco, Haruka cercò di schiarirselo con un fulmineo colpo di tosse.

Signore del Paradiso quanto sei bella, pensò notando solo in quel momento la leggerezza dei suoi abiti.

“State tremando.”

“Anche voi.” Rispose l’altra ingoiando a vuoto mentre la pioggia andava intensificandosi.

Che figura meschina stava facendo. Il fatto che non ricordasse la sua estrazione sociale non voleva dire che doveva comportarsi da cafona. Porgendo la mano al biondo, sorrise annunciando sicura il proprio nome. Il suo vero nome.

“Michiru…” E si dispiacque un poco di non potergli dire di più.

“Jo.” E si odiò per quella bugia al limite del tradimento, sentendosi poi morire nel toccare da vicino la reale amnesia che l’aveva colpita.

Perché sei qui amore mio? Non dovrei neanche parlarti. La dottoressa è stata chiara… E allora perché il calore della tua mano nella mia mi sta togliendo ogni necessità di fuggire lontano da te?

Sciogliendo il contatto Michiru abbassò lo sguardo sentendo l’esigenza di fare a quel giovane una domanda. “Signore... lo so di apparire sfacciata, ma…”

“Ma?”

“Eravate voi questa mattina nel parco dell’Ospedale riabilitativo?”

Nega! Nega! Nega dannazione. “Credo di si, signorina.” Idiota! Haruka sei un’idiota!

Michiru alzò le sopracciglia incuriosita. “Credete?”

Stirando le labbra puntando il viso al ticchettio della pioggia, la bionda sentì di stare perdendo la partita con se stessa nella determinazione di volerla aiutare seguendo il programma impostole da Setsuna. Dovrete cercare di fare come vi dico e rimanere lontana da Kaiou fino a quando non sarò io a dirvi il contrario.

“La vostra domanda è lecita, ma se veramente volete una dose di sfacciataggine, allora sarò io a darvela. Con il vostro permesso, s'intende. Mi sembra sciocco continuare a star fermi sotto l’acqua. Proprio qui vicino ho visto una pasticceria con una piccola sala da te. Vorreste ripararvi con me mentre ci riscaldiamo con dell’infuso caldo?” Chiese porgendole l’avambraccio aumentando quel sorrisetto furbetto che sapeva di avere come arma.

Al diavolo tutto, imposizioni mediche per prime e nuovamente quella domanda martellante e ferale; il sapere Michiru viva le sarebbe bastato per tutta la vita? No! Non le sarebbe bastato e avrebbe lottato per riaverla. Fino alla fine; alla fine del mondo.

 

 

Il locale era pressoché deserto. Era quasi mezzogiorno e la gente aveva preferito rintanarsi nelle abitazioni invece che rimanere bloccata per chissà quanto tempo dentro i negozi con il rischio di non poter preparare un pranzo decente per tempo. Michiru alzò gli angoli della bocca non appena una tazza di tè caldo le venne servita con estrema professionalità dal biondo.

“Vi ringrazio. Non dovevate disturbarvi.”

Tornando a sedersi, Haruka contraccambiò quel sorriso imponendosi di non essere troppo audace. La conoscenza che aveva di Kaiou avrebbe potuto spaventarla invece che metterla a suo agio. Non doveva dimenticarsi della sua amnesia.

“E’ un piacere. Gradite del latte?” Certo che no, pensò cercando di mantenere la calma attendendo che fosse l’altra a rifiutare.

“No. Preferisco zucchero e limone.” E lasciando che il ragazzo continuasse a servirla si chiese se quei gesti lenti e calcolati non fossero frutto di un mestiere ben specifico come quello del cameriere.

Era bello da mozzare il fiato. Ben proporzionato, ma non tanto muscoloso. Portava i capelli abbastanza corti, con la rasatura sulla nuca molto alta e curata, tutto l'opposto della frangia, lasciata piuttosto lunga ad aprirsi in due proprio al centro della fronte.

“Ora che siamo un po’ più in confidenza, ditemi… cosa ci facevate questa mattina nel parco dell’ospedale? Avete un paziente al quale far visita?”

“Mmmm, non direi proprio un paziente. Diciamo più la sorella di uno di loro. - Poi rendendosi conto dello sguardo quasi al limite del contrariato dell’altra, Haruka si affretto nell’essere più precisa. - Una cara amica sta accudendo il fratello ferito sul fronte occidentale. Ero in zona per conto della famiglia per la quale sto prestando un certo servizio e ne ho approfittato per salutarla e chiederle notizie. Non avrei dovuto entrare nella struttura così presto, ma il parco è molto bello e a me piace da sempre passeggiare nella natura.”

“Capisco.” Ed il lampo di fulminea gelosia che a sua insaputa la bionda aveva visto scintillarle nel blu delle iridi, scomparve.

Intimamente galvanizzata, Haruka accavallò le gambe poggiando la schiena allo schienale in ferro battuto dove aveva lasciato ad asciugare la sua giacca. “E voi signorina Michiru? Cosa ci facevate voi alle cinque della mattina con un bambino al fianco?” Inquisì tornando per l’ennesima volta a fissarla con un’intensità tale da gioire sardonicamente alla nascita di un nuovo rossore.

“L'agente investigativo.” Ammise con titubanza portandosi la tazza alle labbra.

“Scusate?”

Coprendo una risata con le dita, Michiru iniziò a raccontarle della sua condizione di paziente, del ladro, dell’aiuto di Sigi e del loro compito di spie. “Con molta probabilità la chiave di tutto sta nella foresteria. Dovrebbe essere quello il punto nevralgico dello spaccio di alimenti per il mercato nero.”

“Mi sono scelto proprio un posticino niente male per pernottare.”

“Siete qui da solo?”

“No, con mia sorella maggiore.”

“Non è molto che siete arrivato, altrimenti vi avrei notato subit…- Rendendosi conto di essersi esposta svicolò guizzando come un pesce. - Intendevo dire che essendo ricoverata da un bel po’, ormai conosco più o meno tutti.” Tornò a rituffarsi nel caldo liquido sperando di aver evitato la gaffe.

Haruka impedì alle sue labbra qualsiasi movimento, proprio per non dare all’altra ulteriore imbarazzo, ma intimamente godette e non poco per quell’apprezzamento stroncato. Era palese che Michiru provasse per lei qualcosa al limite dell’attrazione, com’era chiaro che la bionda stesse richiamando a se tutti i Santi del Paradiso per evitare di tradirsi.

Iniziarono a parlare del più e del meno mantenendo uno strano quanto forzato equilibrio. “Posso chiedervi come sta procedendo la vostra degenza?”

Terminando il suo tè ed allontanando la tazzina da lei, Haruka cercò di dissimulare con la cortesia di una domanda la pena che aveva nel petto. Michiru stava dialogando con lei come se non la conoscesse e fosse realmente di fronte ad un giovanotto bene educato.

“Meglio, soprattutto da qualche giorno. Non che possa fare salti di gioia, ma almeno i mal di testa che avevo spesso, sembrano essersi leggermente sopiti e vi assicuro che si tratta di un’enorme conquista.” Disse divertita accorgendosi però dell’incupimento preso dal viso del biondo.

“Non datevi pensiero, le ferite fisiche ormai sono guarite e non dispero che anche l’amnesia della quale sto soffrendo presto sarà solo un pallido ricordo.” Istintivamente allungò la mano per sfiorarle le dita.

L’altra la guardò sentendosi bruciare gli occhi. Era così bella e viva, sorridente, speranzosa. Riconosceva la sua dea in alcuni atteggiamenti come il piegare la testa da un lato, la vena di dolcezza negli occhi, la luminosità dei sorrisi, gli atteggiamenti del corpo, ma con altrettanta vivida coscienza, in quella piccola saletta di una cittadina di provincia, Haruka stava notando anche come la fierezza nello sguardo di Kaiou fosse sparita per lasciare il posto ad una specie di stanchezza interiore, di afflizione. Forse dipendeva dalle sue condizioni di salute, da un’ospedalizzazione ormai cronica che aveva finito per svuotarla, ma stà di fatto che alcune cose della sua Michi non le ritrovasse più e questo con il passare dei minuti le stava dando dolore.

“Signor Jo, non vi sarete certo rattristato spero. Guardate, sta spiovendo. Presto tornerà il sole.”

“Cosa? Oh, vero. Forse sarà meglio approfittarne per tornare. Dovevate fare qualcosa qui in città?”

“Io? Ho già trovato quello che stavo cercando.” Ma l’altra non afferrò la finezza.

“Ottimo, allora se mi permettete di fare la strada del ritorno con voi, sarei felice di potervi scortare fino all’ospedale.” Disse alzandosi per costatare come la giacca si fosse già asciugata.

Così Tenou saldò lasciando che Michiru uscisse per prima in strada e posandole la giacca sulle spalle le sorrise sicura.

“Non vorrei che vi raffreddaste.”

“E voi? Scusate se mi permetto, ma ho notato che vi siete toccato spesso la gamba sinistra. Come se vi facesse male.”

“Una vecchia ferita che fa i capricci ogni volta che cambia il tempo. Nulla di grave. Sono abituato al freddo. Vengo dai boschi di Bellinzona.” E la vide abbassare leggermente la testa socchiudendo per un istante gli occhi a quello che sembrava un giramento di testa.

“Tutto bene?” Chiese sfiorandole la vita.

Tornando a guardarla, Michiru la rassicurò. “Non preoccupatevi, solo una leggera fitta. Ecco, vedete? E’ questo che intendevo con enorme conquista.”

Porgendole l’avambraccio, Haruka attese che Michiru glielo sfiorasse con la destra e prendendogliela delicatamente, se la serrò alla camicia iniziando a guidarla verso la strada dove avrebbe avuto l’appuntamento con il furgoncino.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Che mi dite? Io il “famoso” ed agognato (da ben 11 capitoli) incontro me lo sono immaginato così; una strada a dividerle (forse neanche tanto metaforicamente parlando), sotto l’inizio di una pioggerellina, con l’emozione galoppante di una Michiru abbastanza determinata nel sapere che quel ragazzo è il suo ragazzo ed una Ruka in piena crisi comportamentale. Appena Set verrà a sapere che le sue direttive mediche sono state bellamente prese, lanciate e calpestate nel fango del centro della città di Muhleberg, tanto mi da tanto che la bionda riceverà una bella lavata di capo.

Per non parlare del fatto che, prima o poi, Haruka dovrà dichiarare il suo sesso alla sua dea. Avrà il coraggio di farlo subito o andrà gioco forza ad aggravare la situazione procrastinando una cosa che potrebbe scioccare Michiru?

Ma niente timori, come ha detto ad una bionda, per la verità un poco ottusa - Guardate, sta spiovendo. Presto tornerà il sole

PS Per chi si sta domandando di come Kaiou abbia potuto abbandonare Sigmund per la strada in piena campagna, ricordo come quel piccolo teppista sia in grado di cavarsela benissimo da solo ;)

A prestooo

 

 

 

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Capitolo 12
*** Notte di scoperte ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino, Rei Hino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Notte di scoperte

 

 

 

Voltandosi indietro per l’ennesima volta, Haruka non vide altro che una sagoma indefinita che andava scomparendo verso l’orizzonte e mettendosi le mani nelle tasche tornò a camminare lentamente sentendosi la testa tra le nuvole e l’animo confuso. Una volta scese dal furgoncino aveva accompagnato Michiru fino al bivio per la strada dell’ospedale facendo così la conoscenza di quel bimbetto biondo alquanto impertinente che spesso la ragazza si portava dietro. Squadrandola da capo a piedi, Sigi era entrando immediatamente in competizione, iniziando ad interrogarla, poi serrando il polso di Michiru, se l’era trascinata via come un fidanzato geloso. Senza quasi lasciarle il tempo di salutarla. Si erano accarezzate con lo sguardo e sorridendole Kaiou le aveva ricordato con un labiale muto l’appuntamento per l’indomani mattina. Avrebbero passeggiato insieme per il parco in un ora più calda, godendo nuovamente della reciproca compagnia.

Haruka non se l’era affatto presa per il comportamento del piccolo Sigmund, perché quel ragazzino le ricordava dannatamente lei alla sua età. Gelosa, possessiva, sia nei riguardi della madre, ma soprattutto nei confronti della sorella e di ogni giovanotto che dopo l’adolescenza, aveva iniziato a ronzarle intorno. Occhi curiosi e sfacciati, dal carattere protettivo, corporatura longilinea dalle lunghe leve fatte per correre, mento spesso alzato contro il mondo. Sigi era la sua copia sputata.

Guardando l’ultimo spicchio di un sole infuocato che stava calando dietro le montagne in un cielo liberatosi quasi interamente delle nuvole, Haruka si fermò portandosi al viso la giacca dimenticata nell’incavo del braccio ed inalando affondo, si inebriò dell’odore che Kaiou aveva lasciato sulla fodera interna. Non avrebbe avuto il coraggio d’infilarsela neanche se fosse ricominciato a piovere, anzi, l’indomani avrebbe messo un maglione per cercare di mantenere il più possibile intatta quella fragranza ritrovata.

Andando a poggiare la schiena contro una delle traverse della palizzata che correva fino alla foresteria disegnando il bordo stradale, perse gli occhi al tramonto solcato da alcuni uccelli e lì rimase per svariati minuti, impossibilitata nel proseguire dalle ormai scarse energie che l’adrenalina le aveva succhiato via da ogni fibra muscolare. Chiudendo gli occhi continuò ad avere nelle orecchie solo il suono della sua voce e della sua risata. Aveva cercato di fare del suo meglio per non tradirsi, per non spaventarla, per non guardarla come invece sapeva di aver fatto, ma era stata dura soggiogare l’impulso di afferrarla in un abbraccio bramato da mesi e sognato per notti. C’era riuscita, ma ad un prezzo altissimo, spropositato, ed ora era e si sentiva esausta.

Continuò ad immergersi nel calore di quei colori mentre apaticamente la destra accarezzava la stoffa della giacca, fino a quando Giovanna non le comparve davanti con il viso di pietra.

“Ma di... sei impazzita?! Che ci fai qui al freddo in gilet e maniche di camicia?”

“Questa sera il tramonto è bellissimo. Non trovi?” Le rispose indifferente alla sfuriata.

Leggermente spiazzata da tanta dolcezza, Giovanna la staccò a forza dalla traversa gettandole sulle spalle il cappotto che le aveva portato. “Il proprietario del furgoncino ha detto di avervi accompagnate fino al bivio per l’ospedale e visto che si stava facendo tardi e non tornavi ho pensato di venirti a portare qualcosa di più caldo. Devi dirmi qualcosa, Ruka?” Chiese arrampicandosi per andare a sedersi sulla staccionata mentre l’altra tornava a poggiare la schiena alla traversa..

L’uomo le aveva rivelato come il fratello si fosse fatto trovare all'appuntamento in compagnia di una bella ragazza dai capelli scuri, mossi, con due occhi splendidi e Giò aveva immediatamente capito.

“Dimmi che sto pensando male e che non hai fatto nulla di stupido.”

Sospirando Haruka finalmente la guardò scuotendo la testa. “Purtroppo hai ragione… Credo di aver fatto un gran casino.”

“Ruka…”

“Questa volta non è colpa mia. Mi sono o non mi sono allontanata dall’ospedale proprio per evitare di cadere in tentazione?” Chiese abbassando poi il tono della voce come per sussurrarle il più incredibile dei segreti.

“Credo mi abbia seguita, Giovanna. Non ne ho la certezza, perché nonostante l’amnesia cogliere in fallo Michiru era e rimane difficilissimo, ma continua a non saper mentire. Me la sono ritrovata dall’altra parte di una delle strade del centro. In più quel ragazzino, Sigmund, l’ha rimproverata di averlo lasciato solo per inseguire il furgone che abbiamo usato per tornare dalla città.”

“Allora ti ha riconosciuta? Ha iniziato a ricordarsi di te?”

“Si sta ricordando di avermi amata, ma come ha detto la Dottoressa Meiou, si è fatta un’idea distorta sul mio sesso. - Portandosi una mano al viso scosse la testa proseguendo. - Certo, conciata in questo modo non ho fatto che avvallare la certezza che io sia in tutto e per tutto un giovane uomo.”

“Allora sarà meglio che tu le dica la verità e subito, prima che il venire a sapere che sei una donna la sciocchi ancora di più.”

Sentendosi la mano di Giovanna sulla spalla Haruka la guardò sorridendo mestamente. Aveva tutte le ragioni del mondo, ma non sarebbe stata una cosa facile.

Però, che meravigliosa giornata era stata.

 

 

Qualche minuto prima delle undici della mattina successiva, Haruka si diresse verso il punto del parco indicatole per l’incontro, attendendo seduta su di una panchina l’arrivo della sua dea. Non sapeva cosa le avrebbe detto, se sarebbe stata in grado di rivelarle la sua vera identità o avrebbe continuato ad annaspare disperatamente in un sesso non suo, ma sta di fatto che il suo cuore già abbastanza provato dal giorno precedente, aveva iniziato a battere con un ritmo tutto suo già dall’alba e la sudorazione delle mani, di solito abbastanza controllata, non era mai stata tanto imbarazzante. In più si sentiva stranamente a disagio in quel posto quando non era vuoto. Pazienti, visitatori, infermiere e camici bianchi che ogni tanto spuntavano dal nulla percorrendo come monaci guerrieri i viottoli alberati per poi scomparire improvvisamente chissà dove. Lei era il classico corpo estraneo e se non fosse stato per l’immensa voglia che aveva di vedere Michiru, sarebbe schizzata via a gambe levate.

“Haruka!” Sentì improvvisamente alle sue spalle e voltando la schiena vide Minako ferma accanto al tronco di un albero che le stava dando ombra.

“Cosa ci fai qui?” Chiese andando a sederle accanto. Non avrebbe certo dovuto gironzolare per la struttura dopo tutte le raccomandazioni della Dottoressa Meiou.

Conta totalmente ed ingiustificatamente in fragranza di reato, la bionda non poté che alzare le spalle confessando. “Sto aspettando Michiru e ti prego non dirmi niente, non giudicarmi, perché so già di stare sbagliando.”

Contro ogni aspettativa Aino rispose con un'alzata di spalle, affermando sicura che se la grande guida alpina Haruka Tenou aveva deciso così, allora per lei andava bene. Un paio di secondi d’indubbio stupore e la bionda scoppiò a ridere stringendosela con un braccio.

“O Mina! Possibile che tu sia sempre dalla mia parte?!”

“Ringrazia che qui ci sia io e non Rei, altrimenti…”

Abbandonando la stretta Haruka tornò a guardare in terra. “Ieri sono andata in città e mi sono ritrovata Kaiou davanti. E’ stato inevitabile… Non ho potuto, non sono riuscita a sottrarmi a lei… Mi capisci?”

Neanche troppo stupita dalla notizia, l’amica stirò le labbra. “Certo che ti capisco e comunque non devi darmi spiegazioni di alcun tipo. Cerca solo di non farle del male. Intesi? Mi fido di te Haru, lo sai.”

La più grande la guardò alzarsi sistemandosi le pieghe della gonna con un paio di colpi secchi ai fianchi. “ Preferirei morire piuttosto.”

“Lo so, non dico questo. E’ raro vedere un amore forte come il vostro ed è per questo che ho paura che tu non riesca a controllarti. Michi è fragile in questo momento.”

“Ne sono pienamente cosciente Mina. Stai tranquilla.”

“Bene, allora è meglio che vada a cercare Wolfgang prima che sfasci un’altra protesi con la sua ritrovata irruenza. Da quando abbiamo messo su quella specie di squadra di agenti segreti sembra tornato un ragazzino.”

“Si, ho saputo che state cercando un ladruncolo. Dovrò conoscere tuo fratello prima o poi.”

“O non mancherà occasione. Se continua così non riusciremo mai più a tornare a Vienna. A presto Haruka.” E si allontanò proprio mentre Michiru stava sopraggiungendo dalla parte opposta del vialetto.

Alzandosi lentamente, la bionda iniziò ad avvertire pulsazioni crescenti. Quella mattina sembrava più bella del solito nel suo vestito blu che tanto le faceva risaltare gli occhi e l'incarnato. I capelli pettinati ed ordinati con cura tra il nastro di raso rosso che si era concessa per quell’incontro tutto speciale. Ad Haruka era sempre piaciuta quell’acconciatura semplice e composta, anche se vedere il giorno precedente i capelli di Kaiou umidi di pioggia, le aveva dato un fremito totalmente differente da quello che stava provando ora. Forse frutto del ricordo che Haruka aveva della loro prima ed unica notte trascorsa insieme.

“Buongiorno signor Jo. E’ tanto che mi state aspettando?” Chiese spostando lo sguardo dal viso di lui alle spalle di Mina ormai quasi sparita.

“Assolutamente no, signorina Michiru.” Rispose sentendo lo stomaco torcersi a quel nome maschile. Dio come non sopportava la situazione che si era istaurata tra loro.

“Mi fa piacere. Non era mia intenzione disturbarvi.” Disse e la bionda comprese al volo.

In quella momentanea veste da smemorata, Michiru sembrava molto meno portata alla dissimulazione. Cristalline, le sue reazioni erano semplicemente e meravigliosamente cristalline e quel nuovo lampo di gelosia non poté che darle il coraggio necessario per continuare a corteggiarla.

“Minako Aino. Vi ricordate? Ve ne ho parlato ieri. E’ lei l’amica che sono venuto a trovare.”

“La sorella di Wolfgang?! Ma che coincidenza. Il fratello è una piacevole conoscenza tra queste quattro mura grigie e noiose.” E questa volta toccò ad Haruka l’esser gelosa mentre l’altra continuava.

“Vi va se passeggiamo un po’? La giornata è così bella. O la gamba vi duole ancora?" Chiese non accorgendosi del leggero urto nervoso che con quel semplice scambio di battute aveva innescato nell’animo della bionda.

"Mi piace camminare. Prego..." Un gesto gentile con la mano e così s'incamminarono per il viale alberato.

“Jo, posso essere indiscreta nel chiedervi in quale occasione avete conosciuto Mina?”

Haruka deglutì.

L’incidente nel quale siete state coinvolte ha scatenato un problema psicologico talmente tanto profondo da cancellarle totalmente il passato, i ricordi, le persone amate. Dovrete perciò cercare di fare come vi dico e rimanere lontana da Kaiou fino a quando non sarò io a dirvi il contrario. Ne voi, ne vostra sorella dovrete interferire.

Dannazione..., sto facendo un casino! Che cosa mi è saltato in testa! Pensò ricordando la Meiou e le sue accorate raccomandazioni.

“Jo?!”

“S…Si?" Fermandosi si guardarono intensamente

Fuggire! Forse Haruka avrebbe dovuto farlo. Certo, passare per un ragazzo pazzo e sparire dalla sua vita molto più velocemente di come c’era entrata.

“Tutto bene?”

Ma Haruka, così non sarebbe anche peggio? Ormai ci sei dentro e non puoi permetterti di giocare con i suoi sentimenti. E’ palese che provi attrazione per te. Soffrirebbe lo stesso se te ne andassi ora.

“In un viaggio.” Sputò tutto d’un fiato sperando di non scatenarle alcun dolore fisico.

“Un viaggio…” Ripeté l’altra come colta da un lampo ed ebbe la certezza di avervi preso parte anche lei e forse proprio in quell’occasione aveva avuto modo d’innamorarsi di lui. Si, perché di amore si trattava, n'era più che certa.

“Signorina Michiru, io…”

“Ascoltate, forse vi sembrerò sfacciata ed estremamente audace e vi assicuro che credo proprio non sia il mio consueto modo di parlare con persone che conosco appena, ma proprio in virtù della mia momentanea amnesia, vi chiedo di perdonarmi ed essere franco. - Tirando fuori dalla tasca della gonna il fazzoletto dove abitualmente celava al mondo il suo tesoro continuò estraendolo ed alzandolo agli occhi del biondo. - E’ vostra… E’ vostra questa ciocca di capelli, non è vero?”

Una condannata davanti alle canne brunite di un plotone d’esecuzione, ecco come si sentì Haruka nel preciso istante nel quale ebbe la consapevolezza di essersi impantanata senza via di scampo. Non si sarebbe mai aspettata di rivedere quel ciuffo che mesi addietro lei stessa aveva pensato di donarle legandolo con una parte del nastro che stava stringendo ora un’altra ciocca, la sua. Dilatando gli occhi per poi ridurli a due fessure, pregò che la sorpresa non la tradisse.

“Per favore, ditemelo.” E a quello sguardo al limite della supplica provò a temporeggiare.

“Io li ho… sognati…” E fissandoli alternativamente continuò a tenere il braccio alzato sopra la sua spalla fino a quando la bionda non glielo abbassò delicatamente cercando di farla desistere.

“Michiru ascoltatemi, è proprio tanto importante per voi avere una risposta?!”

“E’ vitale! Sento di essere ad un passo dal tornare ad afferrare i miei ricordi. Per favore, aiutatemi.”

Aiutarti! Darei tutto per poterlo fare senza arrecarti dolore, amore mio, si disse ritrovandosi con entrambe le mani strette alle sue braccia.

“Siete ancora in convalescenza. Io non… Non…” E non si accorse di quanto il suo viso stesse venendo sedotto da quello dell’altra fino a quando non sentì chiaro il respiro di Michiru solleticarle la punta del naso.

Kaiou avvertì le dita del ragazzo stringerla ancora di più e chiudendo gli occhi cedette a quell’attrazione come la marea alla luna. Fu un bacio gentile, al limite del rispetto religioso, non molto profondo, ma intensissimo, tanto che Haruka per prima sembrò provare una lieve vertigine quando riaprì le palpebre. Le labbra di Michiru erano sempre le stesse; buone come mosto e calde come il sole sulla pelle.

“Scusatemi. Non avrei dovuto.” Articolò sostenendosi quasi a lei per non essere vinta dal giramento di testa.

Michiru abbassò il mento colta da vergogna. “Non preoccupatevi.” Disse mentre in lei montava la certezza di averla già assaggiata quella bocca e averle già avute strette a se quelle mani.

“Lo sapevo. Non potevo sbagliarmi. Non avete negato e questo bacio ne è la prova, Jo.”

Al sentire quel nome Haruka sbatté le palpebre dolente. La Dottoressa Meiou aveva dunque ragione; non ricordava lei, ma l’atto in se. L’amore per una persona, non la persona stessa e neanche quel contatto era riuscito a scuoterla da tale inganno.

“Devo andare Michiru.” Staccando velocemente le dita dalla sua camicetta provò fortissimo l’impulso di urlare.

“Come? Aspettate…” Interdetta si lasciò convincere da un sorriso accattivante e da parole gentili che la rassicurarono sul loro prossimo incontro.

“Domani alla stessa ora. Arrivederci.” E la bionda scappò via senza guardarsi indietro.

“Ma… Va bene. Vi aspetterò.” Sospirando serrò nel palmo quel ciuffetto rivelatore portandosi la destra all’altezza del cuore.

Haruka corse all’impazzata scattando per circa settanta metri fermandosi solamente una volta trovatasi al “sicuro” accanto alla fontana che si ergeva al centro della piazzola davanti all’entrata degli studi medici. Era senza fiato e le gambe, non ancora del tutto abituate ad un movimento tanto frenetico, la costrinsero a massaggiarsele.

Che diavolo ho fatto! Cosa m’è saltato in testa! Haruka sei un’imbecille! Si rimproverò mentre tornava a riequilibrare busto e fiato.

Poi la vide. Era accanto allo stipite della porta vetrata dell’ingresso dritta come una Gorgone con gli occhi iniettati di sangue. Deglutendo la ragazza capì che il suo gesto amoroso non era passato inosservato e sospirando si diresse lentamente verso la scala in pietra che l’avrebbe condotta all’ennesimo supplizio di quella lunga mattina.

 

 

“Proprio non capisco cosa diavolo avete nel cervello! Haruka credevo d’essere stata sufficientemente chiara, di aver parlato con un’adulta, con una donna responsabile… ed invece…” Sbattendo il pugno sulla scrivania del suo studio, Setsuna si coprì il viso con l’altra mano scuotendo la testa.

“Sono settimane che lavoro su di lei e non credo vi rendiate conto della bomba che potreste avere innescato nella mente di Michiru.”

A quelle parole la bionda, rimasta immobile al centro della stanza, allargò le braccia. “Non ha avuto dolore se è questo che…”

“Fate silenzio! Da quanto tempo va avanti questa storia!?” Un altro colpo alla tavola ed alzandosi di scatto il medico decretò la fine di ogni livello di comprensione.

Haruka si sentì mortificata e per questo non se la prese per quello scatto collerico molto più simile a quello di un genitore ingannato che ad un medico deluso. “Ci siamo incontrate ieri nel centro di Muhleberg. Da parte mia è stata una cosa del tutto fortuita…, ve lo assicuro. Ero andata all’ufficio postale per spedire una lettera e me la sono trovata davanti. Mi ha vista andare in città… e mi ha seguita.”

“Vi ha seguita?”

Haruka scosse la testa. “E come avete detto voi si sta ricordando di me… come uomo.”

“Come uomo. E voi avete pensato bene di baciarla.” Vinta poggiò entrambi i palmi al piano della scrivania e curvando la schiena in avanti lasciò dondolare impercettibilmente la testa.

Non aveva fratelli, ma alla scoperta di un grosso, intollerabile guaio, una sorella maggiore doveva sentirsi pressappoco così. Tradita. Respirando affondo cercò di calmarsi chiedendole perché avesse contravvenuto alle sue direttive.

“E’ stato più forte di me dottoressa. Lo so che non avrei dovuto farlo, ma il vederla, il parlarle, il baciarla… L’ho cercata per così tanto, credendola morta per troppo. Cercate di capirmi. - Gli occhi della bionda si dilatarono diventando lucidi. - Spero solo di non averle arrecato danno.”

“Dovevate pensarci prima di darle la certezza che tutto quello che ha sognato su di voi è stato vissuto ed è a tutt’oggi realtà. Adesso Haruka, siamo veramente nei guai.”

“Perché siamo due donne?” Chiese con un filo di voce sapendo già la risposta.

Guardandola Setsuna sentì la rabbia scemare. In quel momento quella ragazza sembrava più una bambina spaventata che una donna. “Non ci sarebbe nulla di male, ma volevo dare a Michiru il tempo necessario per accettare la cosa. Con il vostro comportamento l’avete esposta pericolosamente alla negazione. Avete accelerato troppo i tempi distorcendo la realtà. Ora non so proprio come prenderà la cosa.”

“Dovro' dirglielo subito?”

“Volete continuare a prenderla in giro? E’ questo che volete fare, signorina Tenou?”

“No.” Un lamento.

“Avete affondato troppo in profondità la lama, ora sta a voi estrarla, con tutto quello che ne conseguirà.”

 

 

Dopo aver girovagato per il parco in assenza di una vera e propria meta, Michiru si sedette al sole di una panchina avvertendo un senso di pesantezza alla testa. Si sentiva come una ragazzina dopo il primo bacio agognato dal più splendido dei compagni di classe; stupida e felice al tempo stesso. Toccandosi le labbra con l’indice sospirò chiudendo gli occhi.

“Che sciocca sono.” Confessò non riuscendo a smettere di provare quell’agitazione interiore al limite della frenesia.

Una volta mostratogli il ciuffo non aveva negato quel giovanotto biondo, iniziando a dipanarsi tra sicurezza e titubanza, tra sfrontatezza e pudore, come se fosse stato indeciso sul da farsi, in lotta con se stesso ed in costante equilibrio sul filo della lama di un rasoio. Muchiru aveva sentito come quelle dita erano andate a stringerle le braccia, aveva visto la scintilla dell’ardore imprigionata nel suo sguardo, si era beata di come il timbro di quella voce profonda le avesse accarezzato le orecchie dandole la certezza del ritrovamento. Non gli era indifferente e non soltanto perché l’aveva baciata. In quegli smeraldi c’era qualcosa di più.

“Amore. Io ho visto amore. Ma allora perché una volta avutane l’occasione non mi ha confessato tutto? Cosa può essere successo tra noi?” Massaggiandosi la tempia iniziò a sentirsi stanca. L’effetto del sonno indotto dall’ipnosi al quale l’aveva sottoposta la dottoressa Setsuna quella mattina presto, sembrava essersi esaurito.

“Certo è bello da mozzare il fiato. Forse solo un po’ troppo magrolino…” Ridacchiando venne distratta da un chiamare lontano e sporgendosi alla sua destra vide Sigi correre tutto scomposto verso di lei.

Sudatissimo le franò addosso arpionandole agitato le ginocchia. “E’ lui! E’ lui!” Urlò facendola ritrarre. L’ennesima rivelazione della giornata?

“Chi tesoro?”

“Come chi!? Il ladro! E’ l’inserviente, Michiru! Questa mattina ha ripreso servizio ed anche se si è fatto crescere un poco di barba, gli abbiamo visto il segno che gli ho lasciato sul mento.”

“Ma chi, quello che serve alla mensa?” Chiese ed il ragazzino sembrò offendersi.

“Ma di… che mi stai prendendo in giro? Stavamo seguendo solo lui! Ti senti bene?!”

“Eeee… si, perché?”

“Perché sembri più svampita del solito.”

“Ragazzino porta rispetto e cerca di spiegarmi.”

Sigmund la prese allora per un polso strattonandola e costringendola ad alzarsi. “Non c’è tempo per le spiegazioni. Dai, andiamo! Wolfgang e Mina ci sta aspettando.”

Corricchiando arrivarono nei pressi della mensa dove con gran sorpresa di Michiru, Minako stava parlando amabilmente con l’inserviente fermo accanto al camion delle consegne con il pianale metallico totalmente avvolto da una cerata verde militare. Appena li vide arrivare, Wolfgang fece loro cenno di far silenzio portandosi l’indice alla punta del naso. Un altro paio di risatine e la biondina salutò l’uomo che senza fretta aprì lo sportello del guidatore e lanciandole un ultimo saluto mise in moto partendo. Guardinga lei fece finta di allontanarsi lentamente per poi andare verso gli altri fermi in prossimità di un muro.

“Potevi anche evitare di sorridere come una cretinetta, Mina. La prossima volta evita di fare tutte quelle smancerie per piacere.”

“Per pietà Wolfgang, evita queste scene da fratello maggiore. Il nostro obbiettivo era un altro, ovvero quello di capire se il pianale del furgone fosse carico di merce.”

“E allora?” Dissero in coro lui ed il bambino.

Trattenendo il fiato per qualche secondo Minako sorrise furbescamente. “Non l’ho capito.”

“O ma andiamo! Non servite proprio a niente voi femmine!” Sbottò Sigmund spalancando le braccia colpito subito dopo da un fulmineo buffetto di Michiru.

“Piantala Sigi, stai esagerando.” Disse severa fissandolo storto.

“Però una cosa sono riuscita ad estorcergli. E’ diretto in città e tornerà solo in tarda serata. Io credo che stia andando a prendere accordi con i suoi agganci, per poi tornare alla foresteria per vendere la merce.”

“Potrebbe essere plausibile, in fin dei conti li è tutta aperta campagna ed è un ottimo posto per non dare nell’occhio.”

“Bravo fratellone! E’ quello che ho pensato anch'io e perciò sapete cosa faremo tutti insieme dopo cena?”

“Una battuta di caccia.” Rispose l’uomo sorridendo soddisfatto.

 

 

“Giovanna spegni la lampada. Ho voglia di dormire.” Disse una bionda esausta voltandosi verso il letto della sorella.

Contrariata la sorella chiuse il libro che stava leggendo sbattendolo poi sul comodino. Da quando era tornata dall’ospedale, Haruka era intrattabile. Scontrosa fino all’isteria, l’aveva trattata da peste grugnendo come un cinghiale ferito ad ogni accenno di dialogo, ed anche se non le aveva detto nulla, Giovanna ci aveva messo poco per figurarsi una disfatta. L’unica cosa che era riuscita a sapere era che Haruka aveva visto sia Michiru che la Dottoressa Meiou e se per la prima i rumori uscitegli dalla bocca erano stati quasi musicali, per la seconda… tutto il contrario.

“Come vuoi!” Prendendo il coraggio a due mani si alzò abbandonando il tepore della trapunta per andare a chiudere la tenda della finestra.

“Domani hai in mente di ricalcare lo stesso programmino di oggi?” Chiese afferrando la stoffa venendo catturata da un movimento già da basso, dove due sagome scure, due uomini, si stavano aggirando accanto ad un camioncino militare.

Che strano, pensò avendo l’impressione di aver già visto quel vecchio Fiat. Continuando ad osservare i due parlottare animatamente capì dai gesti che dovessero essere in disaccordo sul contenuto riposto sul pianale. Mentre il primo alzava la cerata mostrando scatole e sacchi, l’altro agitava nervosamente le mani mimando numeri con le dita.

“Ruka, vieni un po’ qui.”

“Mmm… Neanche per tutto l’oro del mondo!”

“E figuriamoci!” Borbottò continuando a tenere sott’occhio tutto lo spiazzo dietro alla foresteria. La luce era scarsa, ma qualcosa si vedeva e la curiosità si sa, è donna, così Giovanna noncurante del freddo rimase impalata a fissarli fino a quando la luce della lampada non si spense di colpo costringendola a voltarsi di scatto verso il comodino tra i due letti. Inginocchiata sul materasso la sorella terminò la questione spegnendo la fiamma con un soffio rabbioso.

“Haruka!”

“Finiscila e vieni a dormire!”

“O che sei!”

Nascosta tra un canneto di un leggero declivio che andava aprendosi verso un campo coltivato, Michiru guardò la struttura immersa nella penombra della notte, chiedendosi quale fosse la stanza occupata dal suo biondo, concentrandosi così sull’unica finestra da dove proveniva una fievole luce. Non era riuscita a toglierselo dalla testa per tutto il giorno, neanche quando la dottoressa, con la scusa di voler ascoltare un pezzo di violino, non le aveva fatto una sorta di terzo grado sul perché e per come avesse instaurato una conoscenza con un visitatore esterno alla struttura. E lei aveva involontariamente confermato tutto quello che a sua insaputa già Haruka le aveva detto.

Ora sperava di trovare in quell’avventura notturna almeno un paio d’ore di sollievo. Di colpo la luce si spense e stringendo le labbra la giovane tornò a guardare i due uomini che stavano parlottando a circa una trentina di metri da loro.

“Dobbiamo cercare di coglierli in fragranza di reato. Sono sicuro che quel tizio sia l’intermediario che vende la merce dell’ospedale al mercato nero.” Wolfgang parlò talmente a bassa voce che in pratica solamente Minako che gli stava incollata addosso riuscì a capirlo.

“Proviamo ad avvicinarci per sentire di cosa stanno parlando.” Consigliò Michiru accovacciandosi per strisciare verso l’anteriore del camion.

“Si, ma stai attenta a non farti vedere.” Disse lui impressionato da tanta audacia.

Sguisciando acquattata tra l’erba umida, la ragazza uscì dal verde protettivo della parete di canne percorrendo qualche metro. Dilatando gli occhi Giovanna si staccò dal freddo della superficie vetrata per andare ad afferrare i suoi abiti riposti sopra una sedia accanto all’armadio.

“Muoviti Ruka. Muoviti!”

“Per tutti i diavoli dell’inferno Giovanna, ma che c’è ancora!” E di tutta risposta l’altra le lanciò sul viso maglione e pantaloni.

“Alzati da quel letto idiota! Giù da basso c’è la tua Michiru con tutta l’allegra brigata e non mi piacciono per niente quei tizzi che stanno spiando.”

“Chi?!” Saltando dal suo letto a quello dell’altra per scaraventarsi alla finestra e mettere a fuoco, Haruka vide Kaiou con i fratelli Aino ed il piccolo Sigmund fermi tra la vegetazione, puntare l’attenzione a due uomini animatamente presi in una conversazione al limite della discussione.

Infilandosi alla bene e meglio una gonna ed un maglione per coprire la camicia da notte, la maggiore la riprese lanciandole una scarpa sulla schiena. “Ruka per Giove!”

Ed imprecando finalmente la bionda si mosse iniziando velocemente a vestirsi.

 

 

“Ti dico che questa è roba di prima qualità e non intendo scendere sotto la cifra pattuita. Puoi dire al tuo padrone che alle sue condizioni non se ne fa niente!” Ringhiò l’inserviente all’altro.

“Parla piano e stammi a sentire. Ricordati che questi bancali sono merce rubata e che, se il TUO di padrone vuole arricchirsi con il mercato nero, deve stare alle nostre regole, intesi?!” Rispose l’intermediario con accento russo dando una grossa manata al carico.

“Non si cambiano così gli accordi!”

“E allora andate a venderli ad altri queste scatole. Ci sono numeri di matricola ovunque e basterebbe un controllino più accurato da parte della polizia di frontiera, per risalire al vostro ospedale.”

Prendendolo per il bavero l’inserviente lo sbatté violentemente alla traversa del pianale. “Che fai, minacci bastardo!”

“No, è un consiglio di un amico.”

“A… e l'amico saresti tu, carogna?!”

“Ma guarda… Due cani rabbiosi che si azzannano. Non capita tutti i giorni.” Sfotté Wolfgang uscendo dalle canne con un grosso bastone nella mano libera dalla gruccia ed un sorriso per niente rassicurante stampato sulla faccia.

“Potere della guerra, fratello.” Seguì Minako.

“E pensare che si stanno arricchendo sulle spalle di gente che soffre.” Concluse Michiru.

Dopo un primo istante di sorpresa i due scoppiarono a ridere coalizzandosi all’istante. “Lo storpio, il bambino e le due femmine! Allora siamo proprio nei guai, amico mio.” Disse l’inserviente poggiando un gomito sulla spalla dell’altro di gran lunga più basso di lui.

“Non potete neanche immaginare quanto, disonesti!” Urlò Sigi serrando i pugni spezzando così l’ilarità dei due.

“E che vorreste fare, sentiamo?!” Estraendo un coltello a serramanico, seguito nello stesso gesto anche dal compare russo, l’inserviente fece un passo in avanti costringendo Michiru a frapporsi all’istante tra lui e il bambino.

“Badate a minacciar poco signori, mi sembra che abbiate già perso uno scontro, o sbaglio?” Disse Wolfgang guardandoli minaccioso.

“Il mio amico qui non so, ma la mia pica non è mai stata sconfitta da nessuno.” Disse il russo baciando la lama del suo coltello.

“Wolf stai attento.”

“Tranquilla Mina. Sono un’ufficiale dell’Esercito Austroungarico e non ho certo timore di un… temperino da ragazzi.”

“Temperino?! Questa è la mia pica soldatino storpio, attento a come parl...” Ma il russo non riuscì a terminare la frase perché colpito sulla guancia da un grosso sasso.

Dall’oscurità alla loro sinistra un altro paio di dardi schizzarono prendendo in pieno l’inserviente. Uno alla testa ed uno alla coscia.

“Non credevo che le sassaiole alle quali partecipavamo da bambine sarebbero servite a qualcosa.” Ridacchiò Giovanna mentre la sorella le consigliava di prendere meglio la mira.

“E’ il minimo dopo tutte le cinghiate prese da nostro padre, no?!” Replicò Haruka colpendo nuovamente il russo che momentaneamente distratto, non si accorse della bastonata in arrivo dalle braccia di Wolfgang.

Stramazzando al suolo si vide il suo adorato coltello calciato lontano. “State fermo canaglia!”

“Andiamo Giò!” Incoraggiò Haruka partendo alla carica.

“Arrivo.” Ed anche le sorelle Tenou si lanciarono nella mischia.

La bionda fronteggiò faccia a faccia l’inserviente, che muovendo il braccio velocemente cercò di colpirla al busto fendendo l’aria in senso orizzontale al terreno. La ragazza scattò in dietro per poi sferrargli un calcio allo stomaco che però non riuscì a colpirlo per un soffio. Iracondo nel sentirsi in trappola, lui provò ad affondare nuovamente la lama, ma la ragazza balzò da un lato allargando le braccia per poi estrarre la sua pistola da dietro la schiena.

“Ora basta giocare. State fermo e buttate quel coltello… signore.” Disse gelida caricando il cane della Lager puntandola poi verso la testa dell’uomo.

Jo, pensò Michiru stringendo Sigi al grembo avendo la strana sensazione di aver già assistito ad una scena simile, ed improvvisamente, come uscite dal nulla, alcune frammentarie immagini di uno scontro; un energumeno che troneggiava sul biondo stringendolo per il collo della camicia e lei, poco oltre, bloccata per le braccia da un'altra persona.

Sei una ragazza ed anche piuttosto bella. E così giochiamo a fare l'uomo!?”

Lasciala! Ruka…”

Stanne fuori Michiru!”

Lampi dolorosi iniziarono a danzarle nella testa mentre a pochi metri da lei l’inserviente mostrava lentamente al biondo il manico del coltello lasciando cadere nell’erba per poi alzare le mani guardandolo storto. “D’accordo signore. Ecco, ora calmatevi.”

“Io sono calmissimo, siete voi a dovermi dire che cosa sta succedendo. O sbaglio?” Concluse guardando Wolfgang avvicinarsi.

“Sono giorni che cerchiamo di prendere in fallo questa canaglia e devo dire che non credevo che saremmo stati tanto fortunati da catturare anche un suo complice. Mina, guarda se nel cruscotto ci sono le bolle d’accompagno. Voglio proprio vedere chi c’è dietro a tutto questo.”

“Vado.” Ed una volta aperto lo sportello del lato passeggeri e frugato un po’, la ragazza tornò con una serie di fogli timbrati, siglati e controfirmati. Leggendo velocemente l’elenco della merce che comprendeva non soltanto derrate alimentari, ma anche materiale ospedaliero di primo soccorso come bende, garze e siringhe, Minako corrugò la fronte scuotendo la testa.

“Non posso crederci fratello. Potremmo avere per le mani un vero e proprio vaso di Pandora.”

Scoppiando a riderel’inserviente abbassò leggermente le mani consigliando che sarebbe stato meglio per tutti lasciarlo andare.

“Come scusate? Non credo di aver capito bene.” Disse Haruka mentre Wolfgang terminava di controllare le bolle.

“Ha ragione. E’ meglio lasciarli liberi di tornarsene nella fogna alla quale appartengono. Per ora non possiamo fare nulla.”

“Ma come!?” Urlò Sigi trattenuto da Michiru.

“Sta zitto ragazzino! - Impose Wolfgang guardando Haruka dritta negli occhi. - Per favore signore. Abbassate l’arma.”

Non comprendendo assolutamente, ma fidandosi di Aino, la ragazza disarmò la pistola e l’inserviente sparì gettandosi tra i campi seguito dal russo ancora parecchio frastornato dai colpi.

Grattandosi la testa Wolf tornò a leggere i fogli. La firma apposta alla fine di ognuno di loro non lasciava dubbi; nell’ospedale si era creato il circolo vizioso del contrabbando ed il suo fomentatore, colui che si stava arricchendo chissà da quanto tempo sulla buona fede dello stato elvetico, che stava lucrando sui degenti e le loro famiglie, se smascherato avrebbe potuto portare alla deflagrazione di uno scandalo enorme. Per questo dovevano agire con prudenza. Per questo avevano bisogno di più aiuto.

“Tutto bene?” Giovanna si avvicinò alla sorella accarezzandole il braccio ancora armato ormai abbandonato lungo il fianco.

“Si. Tu?” Chiese contraccambiando con un occhiolino illuminando il viso per poi spostare lo sguardo su Michiru, rimasta immobile per tutto il tempo.

Fu in quel momento, quando i loro occhi s’incrociarono, che lasciando morire pian piano il suo sorriso, Haruka capì e neanche lei seppe come, che qualcosa in Kaiou si era improvvisamente spezzato. Un’espressione di ghiaccio al limite del livore e la ragazza si sentì persa.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Il capitolo più lungo che fin’ora abbia mai scritto e lo lascio finire così! Non mi smentisco mai! Dunque il ladro è stato finalmente smascherato, preso e… rilasciato. Ebbene si, la questione “mercato nero” rischia di sfuggire di mano.

Come tutti avevamo intuito, Haruka si è presa una bella lavata di capo da Setsuna che anche troppo calma è stata, mentre Michiru è passata dal sentirsi una scolaretta al primo batticuore ad una donna presa sonoramente in giro. Avrà forse iniziato a ricordare qualcosa?

A prestissimo!

 

 

 

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Capitolo 13
*** A cuore nudo ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

A cuore nudo

 

 

 

Si accorse del leggero tremore alle mani Setsuna Meiou, se ne accorse mentre cercava di trattenere lo stupore, la rabbia, lo sconcerto per quello che stava stringendo tra le dita e che di fatto rendeva uno degli uomini più importanti della struttura ospedaliera per la quale lei stava lavorando con tanta dedizione e sacrificio, un ladro. La firma sulle bolle d’accompagno non lasciava dubbi e lei lo sapeva bene. Conosceva quel tratto aguzzo e leggermente storto verso sinistra, come se fosse stato il suo. Quante volte proprio con quei segni incisi con la punta di un pennino aveva avvallato le sue ricette, le cure per i pazienti. Ora tutto d’un tratto se la ritrovava davanti con ignominia, come una lettera scarlatta pronta ad indicare e giudicare. Come medico aveva fatto un giuramento ed ora quel piccolo uomo lo aveva infranto.

“Dottoressa..., cosa intendete fare adesso?”

Wolfgang dritto in piedi accanto alla sua poltrona la guardò dolente notando su quelle dita affusolate i leggeri segni del disagio.

Si erano presentati nel suo studio di buon mattino, tutti e tre; lui, Minako e Michiru, sapendo il dispiacere che avrebbero provocato nella donna, ma sinceramente impossibilitati a fare altro.

“Vi ringrazio per la premura che avete avuto nel mettermi al corrente prima di avvertire le autorità, signor Aino, ma purtroppo mi vedo costretta ad ammettere di non poter far molto di più che provare ad allontanare l’uomo che serve alla mensa.”

“Come? Ma dottoressa!" Intervenne Minako incredula.

“Lasciala finire, Mina. Dottoressa Meiou volete per favore spiegarci perché non si possa fare altro che continuare a rimanere inattivi diventando di fatto dei complici?”

Setsuna si poggiò allo schienale in pelle sentendosi già stanca prima ancora di aver iniziato la giornata con il consueto giro di visite. “Questa struttura si regge in parte grazie a lui ed agli agganci di vecchia data che ha con il Ministero della Salute. Se fosse invischiato in uno scandalo di tali proporzioni, non soltanto ne rimarrebbe illeso, ma con molta probabilità alcune cose all’interno dell’ospedale cambierebbero di colpo, come la soppressione del fondo per gli orfani di guerra e la foresteria gratuita per i famigliari dei degenti meno abbienti. E’ stato lui a volerli ed è lui che ha trovato i finanziatori.”

“Questo vorrebbe dire che mandare a picco lui equivarrebbe rischiare di far chiudere l’ospedale?"

“Magari tutto l’ospedale no, ma rimarrebbero attive solo alcune sue parti. Quelle inaccessibili ai più.”

“E creare una sorta di coalizione tra medici onesti? Potreste comunque fare in modo che si dimetta per lasciare l’incarico della dirigenza ad un altra persona.”

“Potrebbe essere una soluzione, ma il fatto è… che non so di chi fidarmi. Signor Aino ricordate che sono sempre una donna e non sono molti i colleghi che danno alle mie competenze il giusto credito.”

“Cosa vorrebbe dire? Qui non si tratta di competenze mediche, ma d’integrità e voi ne avete! Lo sanno tutti!” Disse la biondina iniziando a stizzirsi per quella troppa compostezza. Se fosse stato per lei avrebbe già chiamato chi di dovere per farlo sbattere in prigione.

“Vi ringrazio della stima Minako, ma quello che intendevo dire è che lo zoccolo duro del sessismo formato dai medici più anziani non darebbe sufficiente peso alla mia denuncia ed anche se dovessero farlo, non credo che qualcuno di loro si metterebbe contro un primario rischiando carriera e reputazione in nome di una collega donna.” Stirò le labbra abbandonando finalmente i fogli sulla scrivania.

“E’ assurdo!”

“Si, ma è un fatto Mina.” Avvallò il fratello avendo fin troppo chiara la situazione.

“Scusate se insisto dottoressa, ma qui si sta parlando di mercato nero, di fondi statali fatti sparire nel mentre di un conflitto mondiale. Mai possibile che in Svizzera non ci sia un altro organo che possa aiutarci in questa situazione?”

Setsuna guardò Wolfgang dritto negli occhi, una diversità cromatica che in quel momento stava rappresentando due modi di affrontare la situazione.

“Il Ministero della Difesa o quello delle Attività Agricole.” Sentenziò la donna puntando il rosso delle iridi su Michiru fino a quel momento rimasta in disparte come assorta nei suoi pensieri.

Il Ministero della Difesa o quello delle Attività Agricole ripeté mentalmente la ragazza sentendosi improvvisamente e senza apparente motivo, presa in causa.

Perché dottoressa mi guardate così? Pensò disorientata.

“Sono gli unici due organi che superano per importanza tutti i dicasteri elvetici. Se avessimo conoscenze al loro interno, sia dirette che indirette, non faremmo fatica a fare allontanare chi che sia da questa come da ogni altra struttura del paese.” Disse non staccando il contatto da Kaiou. Se soltanto avesse potuto aiutarli. Se si fosse ricordata di suo padre e dell'influenza che aveva.

Su coraggio, andiamo Michiru, so che potete focalizzare. I tempi sono maturi ormai, ma non voglio forzarvi troppo a mano. Dovete aiutarmi voi, pregò Setsuna conoscendo Viktor Claus Kaiou ed il suo lavoro.

“Ed immagino che voi in quanto straniera, non conosciate nessuno.” Proseguì Wolfgang non immaginando i pensieri delle altre due.

“Esatto. Come voi d'altronde.” E sorrise accattivante riuscendo a metterlo in imbarazzo.

“Comunque state tranquilli, qualche cosa mi verrà in mente. Dubito che i furti riprenderanno, almeno per il momento, anzi, sono sicurissima che nel giro di qualche giorno, sia voi che la signorina Michiru sarete dimessi.”

Minako sgranò gli occhi. Come dimessi!

“E già sorellina, sarebbe un'ottima azione di centroattacco. Dividere il nemico per indebolirlo riuscendo così a tenerlo sotto controllo.”

Setsuna si alzò dalla poltrona riafferrando la situazione. “Non fasciamoci la testa prima del dovuto. Per adesso cercate di farvi vedere in giro il meno possibile. Tutti e quattro; Sigi incluso. Voi signor Aino, inizierete a denunciare dolori alla nuova protesi così guadagneremo un po’ di tempo e se dovessero tentare d'imbottirvi d’oppio, fatemelo sapere immediatamente. A dispetto dei medici, ho il rispetto di parecchie infermiere e in più potremo contare anche sulla signorina Kino, che ormai è diventata quasi a tutti gli effetti una di loro. Voi Michiru… - La vide sobbalzare essendosi distratta. - Vi chiedo la cortesia di rimanere altri cinque minuti. Dovrei parlarvi.”

“Anche io dottoressa.”

I fratelli Aino si guardarono per poi congedarsi lasciando sole le due. Appoggiandosi informalmente al piano della scrivania Setsuna stirò un sorriso sghembo incrociando le braccia al petto. Quante cose doveva dirle quella ragazza.

“Dunque?” Gettò sul grande tavolo da poker che ormai era diventato quello strano rapporto tra medico e paziente.

“Non so proprio da dove iniziare, dottoressa.”

“Allora lasciate che sia io a togliervi dall’empasse Michiru. So del vostro incontro accidentale con il ragazzo biondo che da qualche giorno si aggira come uno spettro per il parco in orari assurdi e so che non vi è affatto indifferente. Lo ricordate non è vero?”

Dopo un primo istante di stupore la ragazza confermò e senza neanche troppi pudori. “E’ lui dottoressa, è il ragazzo di quelle immagini dalle sensazioni tanto nitide sognate in quegli oceani di smarrimento che sono le mie notti.”

“E adesso che vedo con sollievo che il dolore fisico è diventato abbastanza sopportabile, posso rivelarvi che si tratta dello stesso soggetto che ricorre spessissimo anche nelle nostre sedute ipnotiche.”

Restarono in silenzio alcuni secondi poi la ragazza più giovane sorrise abbassando la testa. C’era una strana luce nei suoi occhi e non era di certo la gioia che Setsuna si sarebbe aspettata di vedere dopo quella conferma. Evidentemente le paure di una possibile negazione del suo essere, si stavano concretizzando.

“Che cosa c’è Michiru? Dovete dirmi qualcos’altro forse?”

Sei una ragazza ed anche piuttosto bella. E così giochiamo a fare l'uomo!? Michiru scosse la testa. “Sono confusa.”

“Su cosa?”

“Su… di me. - Ed il medico capì. Si stava riappropriando della consapevolezza di sapere che l’oggetto del suo amore, del suo desiderio, fosse una donna. - Sto avendo dei lampi di memoria e quel ragazzo potrebbe non essere quello che penso."

“Parlatevi.”

“Non credo che io voglia sapere da lui qualcosa che riguarda solo me.”

Setsuna allora fece una cosa che non si era mai permessa di fare con nessun paziente, sia per indole, sia per troppa professionalità. Mettendole una mano sulla spalla arrivò quasi a sussurrarle all’orecchio.

“Sapete benissimo che non riguarda solo voi.”

Arrossendo Michiru ammise a se stessa che aveva ragione. Il suo era un tentativo bello e buono di fuga. Fuga da se stessa, dai suoi sentimenti e da Jo, o qualunque altro nome i genitori gli avessero dato alla nascita.

“So che alle undici sarà nel parco ad aspettarvi. Non siete una persona che scappa. Perciò coraggio. Fate quello che deve essere fatto.”

Afferrandole la mano ancora posata sulla sua spalla, Michiru gliela strinse forte e ringraziandola si voltò andando verso la porta. Una volta uscita, Setsuna inalò aria tornando al problema originale guardando poi il piano della scrivania e la firma in calce ad una delle bolle d’accompagno.

Ernest Grafft, lesse per l’ennesima volta e per l’ennesima volta i crampi tornarono a colpirle lo stomaco.

 

 

Massaggiandosi lentamente la stoffa dei pantaloni cercando di dar sollievo alla tensione muscolare delle cosce, Haruka tentò di mettere ordine nel discorso che si era preparata mentalmente già dalle prime ore della mattina. Lo aveva formulato mentre versava l’acqua nella tinozza per lavarsi il viso dalle ombre del sonno. Lo aveva rivisto e corretto mentre si infilava una camicia fresca di bucato guardandosi allo specchio. Lo aveva cancellato e riscritto quando, passo dopo passo, si era recata all’ospedale percorrendo gli ormai noti due chilometri che lo dividevano dalla foresteria. Sempre nella sua mente e sempre con la paura addosso di non essere capita. Quello che aveva visto negli occhi di Michiru la sera precedente l’aveva allarmata lasciandole la netta sensazione che qualcosa in lei fosse cambiato. Haruka aveva amato sin da subito quella donna ed era stata ricambiata, venendo in un certo senso forzata nell’abbandonarsi a lei per vivere la loro storia in piena serenità, ed anche se qualche volta era capitato loro di scontrarsi, Haruka non aveva mai visto uno sguardo tanto freddo.

Se avesse capito che sono una donna? Si chiese ravvivandosi la frangia nelle ultime settimane allungatasi tanto da darle fastidio agli occhi.

“Devo stare calma e cercare di mettere ordine. Parlerò lentamente e risponderò come meglio posso ad ogni domanda che vorrà pormi. Si, farò così.” Disse sbattendo i palmi sulle cosce vedendola arrivare.

Alzandosi aspettò di averla vicina per chinare leggermente la testa in segno di saluto. Dopo quello che c’era stato tra loro la mattina precedente avrebbe potuto abbracciarla, pretendere un bacio o quanto meno accarezzarle gentile un braccio o la vita, ma proprio in virtù di come si erano lasciate la sera prima, preferì che fosse l’altra ad agire.

“Signor Jo… Buongiorno.” Un timbro tagliente che chiarì subito che non sarebbe stato un incontro facile.

“Buongiorno a voi. Spero che siate riuscita a riposare dopo l’avventura di ieri.”

“L’ho fatto benissimo, grazie.” Mentì, perché non aveva chiuso occhio e quando era riuscita a farlo, era stato per brevissime parentesi condite da sogni allucinanti tutti incentrati sul biondo e su quella frase assurda piombatale nel cervello come un macigno; sei una ragazza ed anche piuttosto bella. E così giochiamo a fare l'uomo!? Era ora di capire cosa stesse succedendo e che cosa volessero dire quelle frasi, per la verità anche troppo eloquenti.

“Volete camminare un po’?” Si sentì chiedere dal biondo non accettando.

“Preferirei restare qui. E’ un posto tranquillo per quello che ho da dire e da ascoltare.”

“Giusto.” Sedendosi entrambe, Haruka iniziò a frugare tra la memoria in cerca di quel famoso discorso imbastito e mai del tutto terminato. Avrebbe dovuto aiutarla, ma nella realtà non ne ricordava neanche una parola.

“Dunque, io…” Prendendo a torturarsi il pollice non riuscì a dire altro rimanendo vergognosamente muta.

Maledizione cosa le dico adesso?! Michi scusa, ma sono una donna e ti amo alla follia e so che nel sentirtelo dire proverai sconcerto?

“Vi ascolto.” Incoraggiò Kaiou composta sul bordo della panchina, stranamente molto più lontana di quanto non avrebbe voluto.

“Non… Non è così facile esprimere quello che dovrei ed ho paura che potrei portarvi a dubitare della mia buona fede, Michiru.” Non usò neanche il signorina tanto si sentiva agitata.

Arpionandosi i quadricipiti la bionda respirò affondo provando a calmarsi. “Credo che forse dovrei parlarvi un po’ di me prima. - Una rapida occhiata a quel bellissimo viso e poi schiarendosi la voce punto' l’attenzione al cielo iniziando cosi' con il raccontarle di lei, dov’era nata, chi fossero i suoi genitori e sua sorella. - Bellinzona non è che una cittadina, ma è graziosa ed ha la fortuna di avere dei picchi alpini molto belli e complessi. Sono cresciuto in mezzo ai boschi diventando abbastanza esperto da permettermi il lusso di diventare un capo cordata.”

Tornò a guardarla accorgendosi della completa inespressività che aveva assunto e non riuscendo a sostenerne la durezza distolse nuovamente le iridi. “Questa primavera mi è capitato di aiutare un gruppo di ragazze a valicare parte delle Alpi per arrivare a Berna ed è stata in quell’occasione che ho incontrato la donna più incredibile che abbia mai visto. Di una bellezza rara, sia fisicamente che interiormente, testarda, caparbia, ma anche dolcissima e gentile, una vera dea, che mi ha irretito il cuore spingendomi a fare cose che mai avrei pensato di poter fare. Come, per esempio…”

“Come, per esempio?”

“Come, per esempio continuare a lottare per la mia vita anche quando tutto sembrava perduto.” Cercò un appiglio che però Michiru non volle ancora concederle.

“Continuate.”

Grattandosi il collo obbedì. “Ricordate quando ieri mi avete chiesto dove avessi avuto modo d’incontrare la signoria Aino? Ebbene lei faceva parte delle sei ragazze provenienti dall’Austria che mia sorella ed io abbiamo cercato di accompagnare fino a Berna.”

“E’ dunque la signorina Minako la ragazza che amate? Mi state forse dicendo questo?”

“O Dio no!” Quasi urlò.

“Allora chi e’?!” Intuendo la risposta avvertì il cuore sobbalzare ritrovandosi a stringere nervosamente le mani l’una dentro l’altra.

“E’ l’insegnante che si era presa l’onere di portare Mina dal fratello ferito e le altre al sicuro lontano dalla guerra. Siete voi Michiru.”

Passò quasi un minuto nel quale ognuna delle due restò in completo silenzio, dove si sentiva solo il vento ormai freddo di fine autunno ed il sibilo ondulato dei loro respiri.

Improvvisamente e senza apparenti scosse per una dichiarazione come quella, Michiru riprese implacabile il filo del discorso. “Perciò voi mi conoscevate già? Sapete chi sono e qual è la mia famiglia.”

“Si ed è grazie alla fiducia di vostro padre che dopo tanto cercare sono riuscito a trovarvi.”

“Mio padre?!” E questa volta fu lei ad alzare la voce.

“Vi hanno già detto di avervi trovata nel fango del FullerGraft Fluss, dopo il parziale crollo della diga del giugno scorso, giusto? Ebbene, anche io sono stato tratto in salvo da quell’inferno e appena ho potuto sono andato a cercarvi, perché siete stata proprio voi a salvarmi la vita. Ma neanche la vostra famiglia, i vostri genitori sapevano più nulla di voi. Perciò, di comune accordo con loro, ho continuato le ricerche riuscendo finalmente a trovarvi qui, a Muhleberg.”

“Chi sono i miei genitori?”

“Non sta a me dirvelo Michiru. Credo di aver già fatto troppo danno. Perdonatemi, ma sarà la Dottoressa Meiou a darvi queste informazioni.”

Kaiou sembrò accendersi di colpo inferocita. Stringendo i pugni sulla stoffa della gonna la guardò come se avesse due pugnali al posto degli occhi.

”Sono francamente stanca che nessuno si prenda la responsabilità di mettermi a conoscenza del mio passato!”

”Michiru...”

“Allora ditemi… chi siete voi!?"

Ed ecco il momento della verità, arrivato come un treno in corsa a colpirle in pieno viso entrambe, anche se in maniera del tutto diversa. Si guardarono, poi la bionda raddrizzando il busto le disse con un filo di voce. “Il mio nome è Haruka Tenou e sono la donna che ti ama, Michiru.”

Salve sono Michiru Kaiou e voi dovete essere la guida di cui tanto si decantano le lodi; la signorina Tenou.”

Haruka, solo Haruka. Piacere.”

Solcando la fronte con una ruga, Michiru scosse lentamente la testa mentre una valanga di frasi iniziavano ad accavallarsi nella testa. La testa, la sua povera testa iniziò a farle un male lancinante.

Michiru... se non vuoi raggiungerla all'inferto, fermati immediatamente!” Daniel e la sua follia.

Michi sei qui...”

Oddio Ruka... fammi vedere.” La ferita al fianco, il sangue e poi… un muro d’acqua.

“No, non è possibile.” Con dita tncerte andò a sfiorarle il gilet e capendo Haruka si sbottonò un paio di asole per poi sfilarsi la camicia dai pantaloni mostrandole la cicatrice del colpo di pistola che l’aveva quasi uccisa. Nel vedere quella mezza luna solcata da una linea che era servita alla lama di un coltello per estrarle il proiettile, Kaiou ritirò la sinistra di scatto sentendosi tremare in tutto il corpo.

“Te l’avevo promesso… Ti avrei trovata ovunque. Ma non avrei mai creduto di poterti rivedere viva. Ho sperato, lottato contro me stessa e la voglia che avevo di arrendermi al dolore fisico che quell’incidente mi aveva lasciato sulla carne e sulle ossa, ma alla fine ne sono uscita e ti ho cercata… tanto.”

Io ti troverò ovunque...”

Me lo prometti?”

Si amore mio. Te lo prometto.”

"Ecco perchè avete male alle gambe? È stata la violenza del fiume?“ Disse portando per un attimo la destra alla tempia.

"Si."

"Non potete essere voi il ragazzo biondo dei miei sogni. Voi siete… una donna.”

Sospirando al fastidio crescente che Michiru stava manifestando, Haruka estrasse dalla tasca posteriore dei pantaloni un fazzoletto con all’interno il suo di tesoro. Una ciocca scura legata dallo stesso nastrino bicolore che stringeva quella che possedeva Kaiou. Mostrandogliela le chiese di tirare fuori la sua facendole così notare come le due estremità dei nastrini combaciassero perfettamente rivelando come una volta dovessero essere state un corpo unico.

“Questo ti convince?”

Nella busta troverai un piccolo “talismano” e ti confesso che spero lo porterai con te come io ho fatto con il tuo, rubato alle forbici prima che questo viaggio, il nostro viaggio, iniziasse.”

Quelle parole lette su un foglietto e scritte con infinita dolcezza per incoraggiarla a non cedere alla volontà di Daniel.

“Siete una donna…” Ribadì quasi con una punta d’orrore.

“Si.”

“E ci siamo amate… fisicamente?!”

“Si.”

Ho freddo e voglio che il tuo corpo mi scaldi.”

“No!”

Alzandosi di scatto seguita dall’altra, Michiru fece un passo indietro per allontanarsi. Negli occhi il cieco terrore di una scoperta totalmente sconvolgente. Aveva amato quella donna, ne era sicura, non poteva negarlo ne a lei, ne a nessun’altro e dal momento della loro separazione si era sentita così sola. Ora capiva che cos’era quel vuoto nascosto in profondità, silente, quasi impercettibile, che da quando si era risvegliata dal coma aveva preso ad accompagnarla giorno dopo giorno. Sempre.

“Michiru ascolta…”

“Mi avete ingannata! Non dovevate farmi questo.”

“Non ti ho detto nulla sulla mia natura non per ferirti o approfittarmi di te, ma perché non potevo. La tua memoria.... Non potevamo rischiare di confonderti ancora di più.”

“E allora perché girare per la struttura ed arrivare a presentarsi con un nome fittizio invece di rimanere in disparte aspettando la mia guarigione!?” Un taglio di lama che l’altra avvertì nitidamente. Aveva ragione. Non aveva scusanti.

“Forse per… per debolezza. Le cose mi sono sfuggite di mano. Non sono riuscita a controllarmi e di questo ti prego di perdonarmi, ma a mia discolpa c’è l’amore che provo e che non credevo fosse possibile donare ad un’altra persona.”

“Perdonarvi? Qui non si tratta di una bravata tra ragazzine. Cosa mi avete fatto?! Come vi siete permessa!”

“Per favore…” E fece per sfiorarle un braccio quando la mano dell’altra scattò colpendola in pieno viso.

“Non osate toccarmi!” Un colpo che forse fece più male a lei che alla bionda. Avvertendo le prime lacrime soffocarle gli occhi, Kaiou serrò la mascella imbestialita. Il cuore le stava battendo nel petto con una tale frenesia da renderle difficoltoso anche il solo respirare.

Come poteva avere avuto un simile abbaglio? Ora che sapeva la verità ai suoi occhi era palese che Haruka fosse una donna. Le lunghe ciglia ad incorniciarle gli occhi troppo dolci per essere quelli di un giovane uomo. La pelle del viso troppo morbida per essere il semplice risultato di un’accurata rasatura. Il collo troppo sottile e privo del Pomo di Adamo!

“Non voglio più vedervi.” Disse adirata con se stessa nel provare dolore al solo pensiero di quell’eventualità.

 

 

 

L’aveva vista scappare via non sentendo la forza per poterla inseguire ed anche se avesse potuto, una volta raggiunta cosa le avrebbe detto? Michiru era stata più che chiara ed aveva colpito giù duro gettandole il cuore nel fango come neanche il FullerGraft Fluss era stato in grado di fare. Ora, in piedi a capo chino, con le spalle incurvate e gli occhi ancora troppo fragili per tornare ad aprirsi senza che le lacrime fossero uscite a mortificarla ancora di più, Haruka sentiva di aver perso tutto.

Aveva fatto l’impossibile per lei, spingendosi oltre la soglia del dolore per recuperare le forze e tornare a camminare. Aveva abbandonato il nome che l'identificava come donna, calpestando il suo orgoglio calzando vesti non sue, ordinando ai piedi di andare avanti e ancora avanti, di città in città, di paese in paese, sperando e avendo paura di continuare a farlo ad ogni piccolo barlume di novità, solo per riuscire a mettere un punto a quella storia. Ora il punto c’era stato, ma non per ricominciare, bensì per distruggere quello che di bello avevano creato insieme. Ed era stata proprio Kaiou a metterlo sul loro amore.

Appena riuscì a muoversi riaprendo le palpebre ad un mondo leggermente deformato da una visione liquida, Haruka si fece coraggio dirigendosi verso il viale principale e da li alla strada sterrata diretta alla foresteria. Non riusciva neanche a pensare, a riordinare le idee, ma sapeva di desiderare ardentemente un abbraccio, uno di quelli senza alcun giudizio e senza alcuna aspettativa. Un gesto di sincerità che solo un essere che ti ama veramente può darti. Vide Giovanna poco più avanti che con molta probabilità era stata a far visita a Mina e Mako e non seppe come, ma la vide fermarsi e voltarsi indietro come se fosse stata chiamata.

“Ruka.” Urlo' sorridendole mentre alzava il braccio. E la bionda corse.

Corse con tutta la forza che ancora si sentiva nelle gambe per poi stringersela al petto e scoppiare a piangerle nell’incavo del collo, come una ragazzina, come solo un’altra volta in vita sua l'era capitato di fare; con sua madre, il giorno della sua piena consapevolezza di se.

“Dio Santissimo che cos’è successo?!” Ma nulla, solo lacrime, singulti composti e tanta, tanta vergogna per quell’inaccettabile fragilità femminile esposta senza più alcun tipo di freno.

A Giovanna non servirono parole, sapeva che quella mattina la sorella avrebbe cercato di spiegare tutto a Michiru e vista quella reazione, non ci voleva tanto per capire come Kaiou avesse reagito nello scoprire di essere stata innamorata di una ragazza.

“Ssss, Ruka calmati. Dai.”

Restarono strette allungo poi, sentendosi svuotata di tutto, Haruka tornò a guardarla mentre la maggiore le asciugava gli occhi.

“Voglio tornare a casa!”

“Non essere affrettata. Sono andata a consegnare alla Dottoressa Meiou il violino ed il diario di Michiru. Aspetta qualche giorno. Dalle un po’ di tempo.”

“No Giò, tu non l’hai vista. Nel guardarmi aveva gli stessi occhi di nostro padre. Ho letto disgusto e paura e non voglio più sentirmi respinta da una persona che amo. Appena possibile io tornerò a casa. Tu fai come credi.” E tornata la roccia di sempre, la bionda le lasciò le spalle iniziando ad incamminarsi mani nelle tasche verso la foresteria, lasciando che il vento le soffiasse contro il freddo.

 

 

Da quanto tempo aveva preso a sentirsi tanto male? Da quanto tempo il suo cuore non riusciva a riprendere un ritmo accettabile? Da quanto tempo era ferma in piedi a guardarsi accigliata quella mano che ancora le formicolava? Michiru proprio non lo sapeva, tanto sta che ormai alla soglia del mezzogiorno, sentendo i rintocchi del grande orologio avvertire tutto l’ospedale dell’approssimarsi del pranzo, non si era ancora decisa a muovere un passo.

“Come ho fatto a colpirla?!” Mugolò non capacitandosi di averle potuto fare del male.

“Il mio nome è Haruka Tenou e sono la donna che ti ama, Michiru.”

Le aveva detto con pudore e fierezza e non appena aveva cercato un contatto, lei era scattata come una molla rendendosi conto di quello schiaffo solo dopo avere avvertito bruciore al palmo della destra. Quelle stesse dita che le avevano provocato piacere ed emozione, ora al solo pensiero di averle nuovamente addosso, l’avevano fatta reagire in maniera violenta. E proprio non riusciva a capacitarsene.

“Sono una pazza. - Si disse arpionandosi il viso ridendo istericamente. - Le ho sognate quelle mani e mi hanno fatto tremare di piacere. Ed ora che sono a conoscenza della verità, che il mio lui è in realtà una lei, cosa faccio? La respingo? Padre cielo aiutami. Cosa devo fare?!”

 

 

Non aveva mangiato e non intendeva farlo fino a quando non fosse riuscita a trovare una soluzione a quell’intricato problema. Il contrabbando in una grande e rinomata struttura ospedaliera elvetica? In tempi non sospetti solo una sciocca barzelletta da bettola, ma con una guerra mondiale a premere sui confini e la fame della popolazione, una drammatica realtà.

Con la fronte poggiata ai dorsi delle mani, i fogli compromettenti portati da Wolfgang Aino dimenticati tra i gomiti puntati contro il piano della sua scrivania, Setsuna cercò di non badare al vociare fanciullesco proveniente dall’esterno, dove alcuni bambini capeggiati da Sigi, dopo aver mangiato stavano giocando a rincorrersi. Fosse riuscita a farlo anche lei. Avesse potuto liberarsi di tutte le preoccupazioni per correre serenamente fuori da quella stanza.

“Proprio non avrebbe dovuto Dottor Grafft.”

Se soltanto avesse potuto denunciarlo lo avrebbe fatto quella mattina stessa, di persona, fiduciosa nella legge. Invece forte delle conoscenze che quell’uomo aveva da anni con membri poco raccomandabili del Ministero della Salute, sentiva le mani legate da un ceppo. In una situazione del genere le strade da perseguire erano solo due; o trovare agganci più elevati per denunciarlo senza la paura di fare un buco nell’acqua, o cedere ed andarsene.

Aprendo il secondo cassetto della sua scrivania, prese il fascicolo privato riguardante Michiru e lo aprì leggendo un nome scritto con inchiostro giovane soltanto un paio di giorni prima.

Viktor Claus Kaiou – diplomatico.”

Unico tassello famigliare che per ora la donna era riuscita ad estrapolare dalle giornaliere sedute ipnotiche svolte sulla mente della ragazza. Un diplomatico. Una figura che avrebbe potuto aiutarla a fare giustizia.

Gettando il collo all’indietro sospirò delusa per passarsi poi una mano nel folto della chioma corvina. “Credevo in voi Grafft e dopo la fine della mia specializzazione con il Dottor Freud, vi avevo persino scelto come mentore, come una guida da seguire per diventare un medico migliore. Che stupida illusa.”

In fin dei conti Setsuna voleva solo una figura da emulare, un esempio, un altro Professor con il quale confrontarsi. Nei mesi successivi al suo arrivo in Svizzera, aveva già capito che Ernest Grafft non avrebbe mai avuto lo stesso spessore del suo insegnante newyorchese, troppo ottuso e privo d’intuizione. Ma saperlo addirittura un ladro! Non avrebbe scommesso neanche un franco sull’aprirsi di uno scenario tanto avvilente. Cosa poteva aver indotto un uomo affermato, ben voluto e soprattutto già estremamente benestante di famiglia com’era quel piccolo furetto dai capelli bianchi, a lordarsi le mani nei loschi affari del mercato nero?

Un paio di colpi discreti alla porta e la donna venne strappata dalle sue elucubrazioni. Riponendo velocemente il fascicolo si alzò invitando Michiru ad entrare.

“Come avete fatto a capire che ero io dottoressa?” Chiese richiudendo l’anta cercando di sorriderle.

“Avete un tocco estremamente leggero. Nulla di paragonabile all’irruenza di Sigi, alla giocosità della signorina Aino o alla mascolinità del fratello.”

“Avete un orecchio musicale.”

“Può essere, ma con il mestiere che faccio sono abituata ad ascoltare.” E sottolineò l’ultima parola con forza, perché da quegli occhi umidi era chiaro che qual’cosa nell’incontro con Haruka non era andato per il verso giusto.

“Cos'è successo? Siete riuscita a vederlo? A capire qualcosa di più sul vostro legame?”

“Si…”

“Dunque?” Chiese avvicinandosi.

“Setsuna,… ho bisogno di voi. Aiutatemi, vi prego!” E le braccia andarono a serrarsi al collo dell’altra come una bambina in cerca della madre, non potendo neanche immaginare come Haruka avesse fatto la stessa cosa soltanto un’ora prima.

Irrigidendosi un poco e non essendo assolutamente avvezza ai contatti fisici, Setzuna iniziò comunque ad accarezzarle la testa nella speranza di calmarla. Forse non aveva molta esperienza nei rapporti interpersonali, ma come professionista della mente umana sapeva come agire. Guardando l’armadietto in noce dalle ante vetrate posto accanto alla porta, scorse il contenitore scuro deposto su uno degli scaffali. Quello scrigno del tempo ed il suo contenuto, con molta probabilità avrebbe potuto aiutare Michiru in uno dei momenti più difficili della sua vita.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Stesso copione. Interruzione delle comunicazioni al prossimo capitolo.

Perdonatemi, ma sono “battute” della storia delicate e ho la necessità di far prendere loro un ritmo più lento e ponderato, altrimenti rischio di fare un casino. In questo capitolo ci sono tre cuori, ognuno avvolto in paure, titubanze e desideri, anche se quello messo a nudo è inesorabilmente di Haruka. Non so se qualcuno avesse messo in programma una reazione di Kaiou tanto violenta. In effetti è dall’inizio di quest’avventura che non faccio che pensare al momento del loro vero incontro e non sono proprio riuscita a figurarmelo in altro modo. Per Michiru sta andando tutto troppo veloce; i ricordi che man mano stanno tornando, ma in maniera discontinua e completamente fuori logica, lo scoprire di essere il soggetto dell’amore profondissimo di un’altra persona, il sentire dentro di se di ricambiarlo e la mancanza di coraggio per accettarlo. Non credo che si debba biasimare per quello schiaffo. Come della sua fuga..

Di controparte c’è una bionda vinta, abbattuta, che come unico desiderio ora vuole solo tornarsene a casa. In ultima battuta abbiamo Setsuna e la scoperta della testa d’ariete dalla quale è partito tutto il giro dei furti a danno dell’ospedale. Una scelta difficile quella di denunciare, ma l’unica possibile per un tipo come lei.

A prestissimo!

 

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Capitolo 14
*** Il giorno che m'innamorai di te ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il giorno che m’innamorai di te

 

 

Valle del Ticino, Bodio.

Svizzera meridionale – 28/5/1915

 

Erano partite dalla baita di Haruka già da un paio di giorni e tutto procedeva placidamente. Scarpinate tra le risa del gruppo a fare da contraltare ai grugniti ed al mutismo del capo cordata. Michiru non avrebbe mai immaginato di vivere un’esperienza come quella, totalmente immersa nella natura e nelle vesti di “sorella maggiore” per alcune delle allieve più scellerate che il Collegio del San Giovanni di Merano avesse mai avuto tra le sue fila.

Minako, Makoto e Rei avevano iniziato a punzecchiare la bionda guida alpina sin da subito, cercando di coinvolgerla in discorsi più o meno frivoli sulla moda e i gusti culinari, credendo ingenuamente che la superiorità numerica portasse loro la libertà dell’osare, ma ritrovandosi invece invischiate in una serie di occhiatacce e grufolanti labiali al limite dell’umano. L’insegnante bernese aveva intuito già dal primo giorno che quella montanara alta, slanciata, dagli occhi intensi e sfuggenti, non fosse affatto un'essere docile, anzi, già messa in allerta da Giovanna, aveva trovato conferma alle sue raccomandazioni sentendo però al contempo una strana quanto piacevole attrazione.

Era raro sentire parlare Haruka, ma quando il timbro profondo della sua voce si concedeva era per dire cose giuste ed intelligenti. E più Michiru le camminava accanto e più si ritrovava suo malgrado a fissarla, ingorda, vogliosa di sapere, di conoscere qualche cosa in più su di lei. Tralasciando l’impatto iniziale, dove l'insegnante aveva mal tollerato la spocchia da saputella prima della classe sciolinata da una Tenou assolutamente riluttante nel compiere quel viaggio, una volta iniziata la conoscenza tutto era cambiato.

Il prio giorno dopo la partenza, Kaiou era riuscita ad estorcerle la data di nascita, il ventisette gennaio, il colore preferito, il blu ed il piatto con cui avrebbe potuto barattare la propria eredità con la sorella, ovvero lo stufato di manzo in bianco. Essendo rimasta impressionata dai tanti testi amorevolmente composti sulle scaffalature viste accanto al camino della sua baita, la mattina del giorno successivo, Michiru era passata ad un altro livello, virando decisa sulla cultura e scoprendo che ad Haruka non soltanto piaceva leggere, ma amava più o meno gli stessi autori che amava lei; Melville, London, Verne, ma soprattutto poeti come Edgar Allan Poe ed Oscar Wilde.

Solo verso la conclusione del terzo giorno di marcia, però, quando il sole ancora caldo della fine di giugno le aveva spinte verso un’insenatura del Ticino, Michiru comprese realmente ed in maniera del tutto inaspettata cosa quella ragazza fosse riuscita a fare al suo cuore.

“Ragazze non allontanatevi troppo. Ami per cortesia, ci pensi tu?” Chiese all’infermiera che sorridendo si tolse finalmente le cinghie dello zaino dalla schiena madida per poi riprendere una Usagi completamente fuori controllo.

“Non ti preoccupare, ma tu prometti che riuscirai a capire da quella guida quando potremo finalmente fermarci per la notte.”

Michiru vide l’impercettibile movimento del suo mento spostando gli occhi dal bel viso dell’infermiera, alle spalle della guida che intanto stava parlottando con la sorella cartina della zona alla mano.

“Affare fatto!” E cercando di non far capire alla ragazza quanto quello scambio fosse per lei non soltanto equo, ma anche piacevolissimo, si diresse verso le due guardandosi intorno.

“Scusate.” Disse avvicinandosi con discrezione alle due.

“Vieni Michiru.” Invitò Giovamma, sempre estremamente generosa di sorrisi.

Un suono non bene identificato con la gola, ed Haruka lasciò la carta più veloce della luce. Non si trovava ancora a proprio agio con quelle sei estranee e in particolar modo con lei. Troppo bella. Troppo fine. Troppo diversa.

“Io vado a lavare un paio di cose.” Sbiascicò afferrando il suo zaino emettendo poi un fischio acuto all’indirizzo di Flint seduto guardingo poco oltre.

Rimastaci un po’ male, Michiru chiese all’altra quando si sarebbero fermare per la notte e Giovanna confermò indicando con l’indice una collinetta poco lontana dalla riva.

“Stavamo proprio parlando di questo. Potremmo camminare ancora un pò, ma non siete abituate ed ammetto che anche noi siamo piuttosto stanche. Lì saremo al sicuro e se Usagi riuscirà a pescare qualcosa, sarà una festa.”

“Meraviglioso.” Disse Michiru sorridendo non potendo però impedire ai suoi occhi di tradire quello che le labbra stavano cercando di simulare.

Sensibile osservatrice Giovanna capì. “Non te la prendere. Haruka è fatta così, te l’ho già detto. Ha bisogno di un po’ di tempo per fare amicizia. E’ sempre stato difficile per lei, fin da piccola e negli ultimi tempi questa specie di labilità sociale è andata peggiorando.”

“Sembra che non le sia affatto simpatica.”

Alzando le sopracciglia per metter su una smorfia buffa, l’altra scosse la testa dandole una forte stretta alla spalla. “Ti assicuro che non è affatto così. Tutt’altro.”

“Dici?”

“Dico. Anzi visto che ce n’è la possibilità, se fossi in te io mi armerei di un bel pezzo di sapone per andare a lavarmi qualcosa.” Strizzandole furbescamente un occhio la lasciò per dirigersi verso la collinetta e dare alle altre i rispettivi compiti serali.

Poco convinta Michiru prese allora la cinghia del suo zaino issandosela sulla spalla per iniziare ad incamminarsi verso la riva. Non vedendo la bionda, ma sentendo un gran trambusto provenire da dietro alcuni alti cespugli, li raggiunse spostandone alcuni per guardarvi attraverso. Lì scoprì la vera Haruka.

“Non ci provare con me piccoletto. Lasciala! Lasciala subito!” Ringhiò facendo eco a quello del mezzo lupo con le zanne serrate alla lana bicromata di una calza.

“Se la rompi sono guai. Hai capito Flint!” Con entrambe le mani arpionate all’indumento, le braccia tese in un tiro alla fune improvvisato, la bionda si vide costretta a puntellare lo scarpone destro nella speranza poco plausibile di contrastarne le strattonate.

Incurvando il dorso peloso e scattando la testa a destra e a sinistra, lui indietreggiò facendole perdere quasi un metro buono.

“Cosa diavolo ti è preso!? Non è tempo di giocare. Lo capisci?”

Parole in libertà gettate al vento. L’ennesima frustata con il collo ed Haruka si sentì sbalzata in avanti.

“Imbecille!” Urlò vedendo poi con la coda dell’occhio Michiru e perdendo così il duello.

Lasciando immediatamente la presa, forse perché resasi conto del siparietto a titolo gratuito che lei ed il suo amico a quattro zampe stavano dando, si sbilanciò scivolando con la suola del piede d’appoggio sui primi ciottoli resi viscidi dall’acqua. Intuendo l’ineluttabile catastrofe, Haruka cercò un appiglio e non trovandolo, franò sgraziatamente nella fanghiglia del greto. Kaiou serrò gli occhi avvertendo il tonfo condito da una sonora imprecazione.

Seduta con la leggera corrente a formicolarle la vita, Haruka respirò profondamente guardando l’azzurro del cielo, poi la fuga del mezzo lupo con in bocca la sua preda multicolore, ed infine l’insegnante che nel mentre stava uscendo dal verde del canneto cercando di non riderle in faccia. Fermatasi a pochi centimetri e continuando a mordersi il labbro inferiore, Kaiou allungò un braccio per darle una mano.

“Se vuoi puoi benissimo farlo.” Disse la bionda prima di sospirare.

“Che cosa?”

“Ridere…” E con un permesso non scritto, Michiru scoppiò beando così le orecchie dell’improvvisata rana.

Una risata tanto bella da riuscire a spazzar via quel sottile disagio che stava covando tra loro sin dal primo istante di conoscenza.

“Dai… Ti aiuto.”

Arpionandole la mano fradicia, Michiru fece forza gettando il corpo all’indietro vedendola uscire sgocciolando acqua e filamenti viscosi.

“Oh Haruka…” Piagnucolò scuotendo la testa avvertendo le prime lacrime d’ilarità saltarle agli occhi

“Sono un disastro, non è vero?”

Che figura meschina stava facendo. Sentendo il calore del palmo dell’insegnante nel suo, finalmente si permise di guardarla sentendosi soffocare dal mare che portava il blu di quelle iridi.

“Vedila in questo modo; poteva andarti peggio.” Disse l'insegnante serafica. Era veramente molto bella quella bionda montanara e Michiru si stupiva sempre un po’ ogni volta che Haruka si concedeva al suo sguardo.

“Questa volta hai capitolato.” Continuò togliendole un pezzettino di alga dai capelli.

“E già. Mi sono distratta.” Ammise non riuscendo a sciogliere quel contatto fisico.

“Distratta?”

“Si Kaiou; distratta.” Ed improvvisamente, piegando la testa da un lato, Haruka finalmente sorrise e a Michiru sembrò che il mondo fermasse la sua corsa, gli uccelli smettessero di cinguettare ed il vento di scuotere le fronde dei pochi alberi presenti accanto al greto.

Quel sorriso genuino e a far da contro altare, quella camicia bagnata ed appiccicata al suo corpo come una seconda pelle, la squassarono lasciandole un brivido. In quel preciso istante qualcosa la colpì dentro e capì con cristallina nitidezza di provare affetto per quella ragazzona scorbutica entrata nella sua vita solamente qualche giorno prima. Affetto e forse anche qualche cosa di più.

“Che cosa c’è? Ho ancora della poltiglia in faccia, vero?”

“N… no Haruka.”

“E allora perché mi stai guardando così?”

Sentendosi avvampare, l’insegnante staccò il contatto ritirando la mano temporeggiando come solo una donna sa fare.

“Sarebbe meglio cambiarsi. Vuoi forse che le altre sappiano della tua disfatta?”

“Per carità, ci mancherebbe anche questo. Per oggi credo di aver dato. Con permesso.”

Improvvisamente l’apertura si chiuse e le comunicazioni anche. Nel giro di un pugno di secondi, Tenou si era concessa per poi ritirarsi come un esercito in fuga. Michiru non fece in tempo a controbattere che era già sparita tra la vegetazione in cerca di un posticino appartato per le sue esigenze.

Accidenti che tipino che sei, pensò tirando su con le spalle.

Quella sera stessa, alla luce di un grande fuoco orgoglio di Makoto, una volta finita la cena e suonato qualche pezzo con il suo violino alle ragazze, Kaiou si mise a fare quello che ormai da tempo era diventata una sana e rilassante pratica; scrivere alcune pagine del suo diario. Aveva qualcosa d’importantissimo da mettere nero su bianco e forse, una volta finito e riletto quelle parole composte ed arrotondate, sarebbe riuscita a credere a ciò che il suo cuore stava iniziando a provare.

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 5/10/1915

 

Avida aveva letto per tutto il resto della giornata e gran parte della notte, fino a quando la stanchezza non era sopraggiunta a tacitarle i sensi lasciandola immobile nel suo letto. Poi, verso l’alba, forza e voglia di conoscenza l’avevano rianimata e nuovamente gli occhi erano tornati a scorrere il manoscritto di una parte della sua vita durata circa due anni. Da quando aveva scelto di andare in Austria per insegnare musica e pittura in un collegio femminile per ragazze di buona famiglia, alla primavera appena trascorsa. Ora sapeva chi fosse e grazie al gesto compiuto dalla Dottoressa Setsuna nel ridarle ciò che era suo, capiva.

Capiva Michiru, capiva e sospirava, lasciando che ad ogni pagina letta come su di un libro di storia, gli avvenimenti che aveva descritto si arricchissero di piccoli ricordi ancora molto confusi, che nonostante tutto ed in maniera ostinata, si rifiutavano ancora di uscirle dalla testa. Ora conosceva il nome di suo padre, quello di sua madre e a tratti ne ricordava i volti. Rivedeva vagamente angoli della sua casa, la sua Berna, i suoi amici ed il conservatorio, la signorina Rostervart e il suo starle sempre accanto, la giovane Charlotte. Kurzh.

Nel leggere il suo diario si era forzata nel non saltare subito all’ultimo mese, dove sicuramente avrebbe trovato scritto di lei, concentrandosi nel fare le cose per bene, nel ricomporre disciplinatamente l’enorme mosaico che era Michiru Kaiou, il suo carattere, i suoi sogni, le sue speranze e le paure di una giovane donna dal carattere dolce, ma coriaceo, ponderato e mai domo.

Poi, il venticinque maggio, il giorno dopo l’entrata in guerra del Regno d’Italia, anche lei era entrata nella sua vita con la forza di una bombarda. Si erano scontrate come due cieli al culmine dello zenit, avevano cercato di capirsi, loro esseri diversi, scoprendosi anime affini, ed infine si erano innamorate, ogni giorno di più, sempre di più, fino a colmare quel vuoto che una parte del loro cuore aveva fin dalla nascita. Con sua grande sorpresa, Michiru aveva appreso dalla sua stessa calligrafia com’era stata lei a spingere Haruka tra le sue braccia e non viceversa, accettando senza neanche troppi problemi il suo scoprirsi omosessuale e facendo capitolare una bionda invece perfettamente conscia di se e per questo terrorizzata dal ferirla.

Eppure Michiru ancora non ricordava interamente e rabbiosa con se stessa continuava a leggere e rileggere. Aveva sensazioni forti, quelle si, sprazzi d’immagini, ma nulla di più sostanzioso. Sfogliando andò nuovamente al ventinove maggio, leggendo del suo primo batticuore nel vedere una Tenou inedita, dolcissima, buffa e benedettamente sexy.

 

Quando l’ho vista giocare con il suo Flint ho sentito un affetto incredibile per questa scorbutica bionda che non fa altro che sfuggire come un pesce d’acqua dolce, ma quando è riemersa dalla fanghiglia del fiume dov’era caduta, con la sua camicia irrimediabilmente appiccicata al suo corpo perfetto, ho provato… Non lo so neanche io cosa ho provato, o cosa sto provando adesso, ma di certo non è indifferenza. Vederla sorridere per la prima volta ed in maniera tanto dolce è stato incredibile, ed avvertire il calore del suo palmo nel mio… devastante.

Forse dovrei iniziare a farmi delle domande. O forse no, perché sono abbastanza matura ed intelligente da intuire perfettamente quello che mi sta succedendo. A pensarci bene, sono sicura che la signorina Rostervart avesse già da tempo capito le mie tendenze in campo affettivo, ed è per questo che quando il Natale scorso le ho detto di Daniel è rimasta tanto sorpresa. In fin dei conti mi ha cresciuta come una madre e deve aver visto cose che io stessa non ho saputo scorgere. Una madre. E la mia vera madre? Com’era euforica al sapere che sua figlia fosse interessata ad un giovane ed avvenente medico. Io che per anni ho rifiutato pedissequamente le avance di tutti i figli in età da moglie della Berna “bene”. Devo averle fatto passare parecchie notti in bianco!

Ed invece, mia cara madre, sto provando qualcosa per una donna, una donna incredibile e non credo che potrò continuare a nasconderlo a me, come a lei d'altronde. Ed in verità neanche lo voglio.

 

MK

 

La O di voglio andò deformandosi intrisa da una lacrima. Qualcosa ricordava di quella giornata; il sole, il caldo, la fatica, i colori, lo scintillio del Ticino, l’esuberanza delle sue allieve. Usagi e la sua capigliatura buffa arruffata dal sudore. Minako che la fomentava e le correva dietro. Makoto ed i suoi piani di caccia. Rei e la sua ponderatezza. Il suo spalleggiarsi con Ami. La gentilezza di Giovanna. Persino quel piccolo mezzo lupo sempre guardingo e…

“Haruka…” Chiudendo il diario se lo strinse al petto asciugandosi gli occhi con la manica del vestito.

Haruka è l’essere più bello e puro che abbia mai conosciuto. Da quando sono stata sufficientemente grande da sapere cosa aspettarmi dalla prima notte di nozze, ho provato paura nell’attesa, ma questa notte è stato tutto così perfetto e semplice da lasciarmi quasi disorientata. Forse perché siamo due donne, non lo so, ma l’amore con lei è stato dolcissimo ed appagante.

Sono semplicemente e puramente innamorata! Rilesse nelle pieghe della mente quelle frasi ormai imparate a memoria.

Come aveva fatto a dimenticarsi di lei. Come! Setsuna era stata chiara in merito, cercando di spiegarglielo più volte. Nel suo subconscio era ancora tutto li, ma non poteva pretendere che una vita intera ritornasse al proprio posto senza concedere alla sua mente un po’ di tempo per “guarire”.

“Si, ma io voglio ricordare! Non mi bastano quattro righe. Non mi bastano…”

 

 

Giovanna guardò la sorella terminare di comporre il suo bagaglio e sbuffando cercò di concentrarsi. Si erano svegliate di buon mattino pronte per la partenza, anche se la maggiore avrebbe potuto scommettere denaro sonante sulla nottataccia passata dalla sua Ruka. L’aveva sentita rigirarsi nel letto più e più volte, nevrotica perché l’unico uomo mai bramato in tutta la sua vita, ovvero Morfeo, aveva preso a latitare abbandonandola a pensieri di ogni tipo. Michiru nella testa, nel cuore, nell’anima e sulla guancia, che non faceva altro che dolerle anche se il bruciore era andato scomparendo già da ore.

“Ne vuoi parlare?” Le aveva chiesto Giovanna la sera precedente poco dopo essersi coricate.

E come troppo spesso accadeva, la risposta ricevuta fu un deciso no.

Chiudendo la cinghia del suo bagaglio guardò attraverso il vetro la nebbia salire dal campo sottostante pensando a come tutta quella situazione fosse ridicola. Haruka aveva cercato Michiru per settimane, con addosso la paura che fosse morta, introvabile anche nel corpo, ed ora che invece le più nefaste fantasie erano state vinte dal ritrovamento di colei che tanto amava, ora tutto veniva capovolto e rimesso in discussione.

Sapendo di stare per tornare a giocare con la bestia, la maggiore provò nuovamente a farla ragionare. “Sei proprio sicura di quello che stai per fare, Ruka?”

Nessuna risposta. Indaffaratissima nel piegare dignitosamente un maglione sembrò non averla neanche sentita.

“Se fossi in te proverei quanto meno a parlarle un’ultima volta.” Ancora niente.

“Dopo tutto quello che hai passato, che avete passato, non posso credere che tu voglia arrenderti così! Davvero vuoi accettare di non vederla mai più?!” Giovanna attese prima dell’ovvia esplosione.

Voltandosi di scatto l’altra finalmente si ridestò e non fu piacevole. “Credi quello che diavolo vuoi! E prova a stare un poco più nella tua di pelle, invece che tentare di stare nella mia! Proprio tu parli?! Tu che hai mandato una storia d’amore a puttane senza neanche pensarci su due volte?!”

“Io intendevo dire che…”

“Taci Giò! Per tutti i Santi del Paradiso, taci!” Immediatamente resasi conto di aver parlato a sproposito abbassò la testa chiedendole scusa.

“Lo so che dici quello che dici perché mi vuoi bene e ne vuoi anche a Michiru, ma proprio non ce la faccio a vederla. Mi… mi fa troppo male.” Confessò con voce rotta tornando a voltarle le spalle afferrando l’ultimo paio di calze.

“Fai ciò che ti senti Ruka, ma prima di andare in città vorrei salutare Mina, Mako e ringraziare la Dottoressa Meiou.”

“E’ una questione di buona educazione ed è per questo che verrò con te, ma non ho intenzione di fermarmi più dello stretto necessario.”

“Come credi.”

 

 

Nascondendosi più volte alle ricerche di Wolfgang e del piccolo Sigi, Michiru percorse in lungo e in largo le vie del parco sentendosi un’anima in pena. Voleva vederla, voleva parlarle, ma al contempo sapendo di averle provocato dolore, aveva paura di un rifiuto e di una mortificazione che Haruka avrebbe avuto tutte le giustificazioni ad infliggerle.

Prima di uscire dalla sua camera per provare a mangiare qualcosa per colazione, si era soffermata allungo sull’immagine di se che lo specchio le dava di rimando. Sospirando aveva visto una giovane donna dal volto stanco, sofferente, privo di felicità. Ora conosceva il suo passato, o per meglio dire gli ultimi due anni, ma poi? Aveva avuto tutto il giorno precedente per accettare di avere amato un’altra donna e tutta la notte per cercare di ricomporre i pezzi sparsi del suo io, ma per sapere con matematica certezza di non volerla perdere, era bastato meno di un minuto. Michiru era confusa da morire. Non capiva se quello che l’aveva legata alla bionda fosse ancora presente o meno. Sentiva affetto, ma non riusciva ancora a dargli la necessaria consistenza.

Non sapeva se al rivedere Haruka i sentimenti descritti nel suo diario sarebbero riaffiorati o meno. Come non sapeva se l’altra sarebbe stata tanto generosa nel concederle la possibilità di spiegarsi senza il giusto timore di essere ferita nuovamente. Comunque e senza ulteriori appelli, Michiru non poteva continuare a fuggire dalle responsabilità sentimentali che aveva verso quella ragazza.

Alzando il viso al tepore del sole socchiuse gli occhi mettendo a fuoco quattro figure femminili che stavano parlando a semicerchio a qualche decina di metri da lei. Non riuscì a riconoscerne immediatamente i volti, ma la rara altezza di Setsuna e la lunga chioma bionda di Minako la spinsero ad avvicinarsi. Pochi passi ed inquadrò anche Makoto ed una ragazza mora più bassa. Giovanna, pensò riconoscendone alcuni tratti somatici.

Salutando il gruppetto con un cenno del capo attese che fosse Setsuna ad invitarla sorridendole amabilmente, ma una volta unitasi a loro non le sfuggì l’atteggiamento mesto che ognuna delle altre aveva sul volto, soprattutto Giò, la quale ebbe la possibilità di parlarle per la prima volta dopo l’incidente.

“Michiru…” Disse sfiorandole un braccio. Quanto le era mancata.

“Giovanna…” Ma non riuscì a dire altro.

Anche di lei, come di tutto il resto, ricordava pochissimo, ma bastò per afferrarle la mano e stringergliela forte.

“Come stai? La dottoressa mi ha detto di averti consegnato il violino di tuo nonno ed il diario.”

Sorpresa dalla rivelazione e per la vena confidenziale che la donna più grande stava usando nei suoi confronti, spostò gli occhi su Setsuna, unico momentaneo, ma vero punto di riferimento.

“E’ stata la signorina Tenou ha consegnarmi i vostri effetti personali.”

“Ho ritrovato il violino ad Altdorf, ma per il diario il merito va tutto a Minako.”

La biondina stirò le labbra alzando le spalle. Non aveva fatto poi chissà cosa. “Sono contenta che sia tornato alla sua legittima proprietaria.”

“Ma ditemi Michiru, è servito a qualcosa?” Chiese il medico notando in lei un leggero smarrimento. Continuava ad andare tutto troppo veloce.

“S… si. Un po’. Ma la memoria non sta tornando come credevo avrebbe fatto.”

“Capisco.”

“Si, ma… - Doveva chiedere. - Haruka dov’è?”

Sentendosi parte in causa, Giovanna ponderò ogni singola parola prima di confessarle la loro intenzione di lasciare la città di Muhleberg quella mattina stessa.

“Come… Partite?”

“Si Michiru e credo tu sappia anche il perché.” Disse con dolenza.

“No, no, aspettate un momento. Io devo parlarle… Dov’è?!”

Sentendo la disperazione nella sua voce Giovanna indicò allora il cancello d’accesso alla struttura.

“E’ rimasta il tempo di un saluto e poi e andata via.” Aggiunse Makoto.

“No, non può. Non deve... Scusate.” Ed iniziando a correre verso il vialone principale sentì di stare per perdere il controllo.

Non puoi! Non puoi! Pensò accelerando.

“Michiru…” Giovanna fece per andarle dietro, ma il braccio di Setsuna la blocco.

“Dottoressa?”

“Lasciate che vada. Potrebbe essere un bene… per entrambe.”

Accettando il consiglio della donna, tornò a guardare la figura di Michiru farsi sempre più piccola e sparire dietro il filare di alberi che segnavano la strada d’accesso all’ospedale.

Corse con tutto il fiato che sentiva di poter strappare alla natura. Corse senza pensare assolutamente a nulla tranne al fatto di non volerla vederla andar via. Corse fino ad inquadrarla poggiata con la schiena ad una delle due colonne dipinte d’arancio del portale d’accesso, protetta da uno dei leoni di pietra seduto in sommità, che come un nume tutelale a fauci spalancate ruggiva da anni la sua voce muta al vento.

A testa bassa, le mani dimenticate nelle tasche, una suola poggiata al mattonato, Haruka avvertì l’ansimare di un’altra persona guardando svogliatamente nella sua direzione e quando riconobbe il volto della sua dea, corrugò la fronte non credendo fosse possibile. Rallentando per poi fermarsi in completa assenza d’ossigeno, Michiru incatenò gli occhi ai suoi provando a respirare.

Cosa diamine vuole adesso? Si chiese la bionda mentre l’altra tornava ad avanzare.

“Te ne saresti andata senza… senza… senza dirmi nulla Haruka?” Disse con un filo di voce fermandosi ansante ad un pugno di centimetri da lei.

Interdetta dall’improvviso uso del tu la bionda rimase in stallo senza cambiare minimamente posizione. Come un animale guardingo attese la mossa successiva.

Nel vederla tanto fredda, Michiru avvertì un brivido formicolarle lungo la spina dorsale. Aveva accorciato la frangia dando un tono più composto a quella miriade di fili dorati che erano i suoi capelli e questo sembrava averle addolcito i lineamenti o forse era solamente l’impressione che la verità sulla sua natura stava dando ad una Kaiou in completa assenza di parole.

“Che cosa vuole la signorina Michiru da una come me?” Ferale impugnò il suo acciaio immaginario per colpirla forte, più forte che poteva. Per difesa. Per paura.

“Io… Devo parlarti.”

“Parlarmi? Bene allora. Io sono qui. Sentiamo.” Tornando eretta allargò le braccia stirando un sorriso al limite del grottesco per poi ripiombare le mani nelle tasche assumendo una posa di completo menefreghismo.

Ma la Kaiou di un tempo stava tornando a far capolino e per nulla intimorita ne sostenne lo sguardo chiedendole perdono.

“E di cosa vorrebbe scusarsi signorina?” I ruoli si erano capovolti. Questa volta era Haruka a darle del voi e ad avere il pieno controllo della situazione.

“Lo sai, ma è giusto che io lo riconosca. Di averti ferita, sia con le parole, che con i gesti. Non avrei dovuto.”

“No, non avreste!”

“Non avrei... voluto.”

Haruka non controbatté lasciandola continuare.

“Ho letto il mio diario e adesso so che tutto quello che mi hai detto è semplicemente la verità.”

“Non è mia abitudine andare in giro a raccontare cose tanto intime.”

“Si, lo so.”

Smorzando la freddezza, la bionda le chiese se nel leggere quelle pagine si fosse ricordata qualcosa di loro e Kaiou negò mortificata.

“Poco. Quasi nulla.”

“Capisco. Allora è ora di dirci addio, signorina.” Facendo un passo in dietro le porse la destra sorridendo guascona.

Una stilettata. “Come addio. Non partire. Non andartene.”

Sentendo il cuore accelerare a quella preghiera, Tenou mantenne però il punto. “Perché non dovrei? Ditemi cosa dovrebbe ancora legarmi a questo posto.”

“Noi…” Afferrandole l'avambraccio con entrambe le mani, le impedì qualsiasi idea di fuga. Un passo ed arrivò a toccarle la figura con la propria, fissandola poi intensamente.

“Aiutami a ricordare. Voglio ricordare tutto. Ogni singola frase, ogni singolo sguardo, ogni singola risata…. Ogni singolo tocco.” Disse avvicinando il viso al suo.

Cercando di sciogliersi dalla presa la bionda sbatté le palpebre. “Non intendo soffrire ancora per…”

“Di il mio nome.” Le sussurrò all’orecchio accarezzandole il viso dove l'aveva colpita il giorno precedente.

“Io non…” Ma si bloccò avvertendo la morbidezza delle labbra di Michiru sulle sue.

“Di il mio nome.” Ripeté quasi impercettibilmente.

La bionda tremò. “Michiru…” Sussurrò chiudendo gli occhi.

“Haruka…” E si sciolse ad un nuovo bacio, gemello del primo, ma un po’ più profondo.

“Di il mio nome.”

“Michiru…”

“O Haruka.” Due lacrime le sfuggirono dagli occhi mentre alla vita avvertiva il tocco della bionda.

“Dillo ancora…” Supplicò sentendosi stretta in un abbraccio e la bocca catturata da un bacio di passione.

“… Michi.” Articolò sulle labbra quel suo nomignolo dolcissimo e famigliare che non le aveva più detto da quel dannato giorno.

Nel sentirlo, Kaiou staccò il contatto arpionandole letteralmente il collo.

“Ruka… Mia dolcissima Ruka. Mio amore.” Lasciando che l’odore di lei le pervadesse le narici sentì la testa rapita come da un vortice velocissimo d’immagini e le gambe cedettero scivolando lentamente nell’incoscienza.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ciau. Avrebbe dovuto essere l’ultimo capitolo prima dell’epilogo, ma proprio a fine del capoverso ho pensato di dare a Michiru la possibilità di ricordarsi qualcosa di più e così….

I baci alla sua bionda le hanno innescato il “ritorno a casa” e come la chiave giusta nella serratura della sua mente hanno aperto lo scrigno. Accidenti… è difficile lasciarle andare però ;)

A prestissimo.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Il tuo ritorno ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino, Ami Mizuno e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il tuo ritorno

 

 

 

Quando Setsuna vide Michiru priva di conoscenza tra le braccia di una Tenou agitatissima, comprese che tutte le ansie che aveva manifestato nel giudicare negativamente il comportamento troppo poco accorto di quelle due ragazze, erano giustificate. I ricordi di Kaiou erano tornati a fluire, ma l’impatto era stato troppo violento.

“Dottoressa…” Chiamò Haruka ansimante mentre Giovanna, Minako e Makoto scattavano verso le due.

“Haruka, cos’è successo?!” Chiese la sorella cercando di aiutarla nel sorreggere il corpo dell’amica.

“Non lo so! Non lo so! Sembrava stare bene e all’improvviso mi è svenuta tra le braccia. Dottoressa…”

“State calma. Non è successo niente che non avessi già calcolato. - Cercò di tranquillizzare rivolgendosi poi direttamente all’altra ragazza. - Michiru… Michiru, mi sentite?” Un paio di buffetti sulla guancia, ma nessuna reazione.

“D’accordo. Haruka ce la fate a portarla nella sua stanza?”

“Certamente!”

“Perfetto. Allora andiamo.” E si diressero tutte verso il corpo femminile cercando di fare il prima possibile.

 

 

Ma dove sono?! Michiru si guardò intorno provando a mettere a fuoco l’immagine che le si stava componendo davanti agli occhi. Un’imponente struttura in stile classico, con il corpo principale che al piano terra portava disegnato agli angoli due paraste in bugnato liscio. Motivo ripreso per tutta la superficie, interrotta solamente da tre porte, ciascuna a doppia anta e ripartito nel piano superiore da quattro semi colonne di ordine corinzio, dove all’interno la faceva da padrona l’eleganza di finestre bifore dalla linea estremamente leggera. La composizione architettonica del più antico e rinomato conservatorio di Berna, terminava con la forza espressiva di un impressionante timpano dal fregio decorato con scene della mitologia greca riferite al dio delle arti musicali Apollo.

Deglutendo alla vista di quello spettacolo, Michiru sentì la mano calda del padre stringere la sua in un’avvolgente, dolcissima e confortante sensazione di sicurezza. Guardando l’uomo fermo accanto a lei sorrise avvertendo nel piccolo palmo dell’altra, la maniglietta in ottone della custodia del suo strumento.

Hai paura amore?” Si sentì chiedere con vena scherzosa.

O si, ne aveva eccome e nessuno avrebbe potuto darle la croce per questo. In fin dei conti non aveva ancora compiuto sei anni ed essere stata ammessa in così giovane età alle lezioni di violino di quel conservatorio, non era da tutti.

Contraccambiando il sorriso paterno, Michiru respirò profondamente controllando un’ultima volta la compostezza del suo bel vestitino di tulle color acqua marina, sentendosi così pronta ad affrontare la prima grande sfida della sua esistenza. Un momento da ricordare per tutta la vita.

La piccola Kaiou era una bambina posata e riflessiva, ma possedeva un coraggio nell’agire invidiabile persino per un adulto. Non avrebbe gettato al vento la possibilità di studiare accademicamente con i migliori e neanche la morsa che quella gigantesca struttura le stava dando allo stomaco l’avrebbe fermata.

Ma sono io con mio padre, disse capendo solo in quel momento di stare dialogando con se stessa, nella sua mente, osservando tutto il mondo attorno a lei dal suo corpo di bambina, in quello che era il suo primo vero ricordo.

Rabbrividendo percepì le sensazioni tattili di quella piccola gemma. Guardando se stessa stringersi a suo padre, ricordò quella giornata con vivido entusiasmo. Era primavera inoltrata quando era stata accompagnata da Viktor ad iscriversi, proprio alcuni giorni dopo aver partecipato e passato le audizioni per l’anno accademico che sarebbe iniziato l’autunno successivo.

Una mattina piuttosto calda, ma vuoi la leggerezza del suo vestito ed una certa dose d'agotazione, aveva provato un gran freddo per tutto il tempo. Tempo passato con il suo adorato genitore mentre l’accompagnava con il petto gonfio d’orgoglio paterno nel posto per lei più magico del mondo. Una Michiru piccola ed aperta alla vita, con le dita serrate al compagno fidato di tanti pomeriggi di studio solitario; il violino di suo nonno. Uno dei giorni più belli della sua esistenza; il giorno che aveva conquistato la sua prima vetta.

Kaiou!” Il suo nome chiamato all’unisono dalla voce di due ragazze e si voltò ritrovandosi in un cortile alberato con in dosso l’uniforme alla marinaretta bianca e blu di una scuola. Un collegio forse. Si, il Collegio di San Patrik nei dintorni di Basilea, dove aveva studiato per quasi un lustro; dai nove, ai quattordici anni.

Accidenti! È più di un’ora che ti stiamo cercando! Ma dov’eri?!”

Nella sala della musica.” Disse sapendo perfettamente di stare mentendo a quelle che erano di fatto le sue più care amiche; Margaret e Sofia.

Bugiarda! Veniamo proprio da li!” Le rispose la seconda, più grande di un anno e perciò la saccente del trio.

Guarda che lo sappiamo.” Fece eco Margaret iniziando a punzecchiarla con l’indice su di un fianco.

Cosa?”

Di la verità Michiru, non è che per caso ti eri appartata con l’insegnante di francese?”

Margi, non essere sciocca! Cosa vai a pensare!”

Ma finiscila di fare la santarellina. Sono settimane che il fascinoso Eduard non fa che farti gli occhi dolci e per i corridoi già si vocifera che voglia chiederti la mano, dopo aver parlare con tuo padre.” Rilanciò la pettegola iniziando a far montare l’urto di una Kaiou sempre estremamente riservata.

In più quella notizia era dannatamente falsa e a lei dava un’inspiegabile fastidio che circolasse tra i loggiati. Non provava ne attrazione, ne tanto meno stima per quel francese pompato dai basettoni impomatati, anzi, ogni volta che lo vedeva avvicinarsi con fare lascivo da cicisbeo, che fosse al suo banco, al tavolo della mensa o nel parco, faceva di tutto per toglierselo gentilmente dai piedi.

Michiru fece una tale smorfia di disgusto che immediatamente la mano di Margaret andò a bloccarle il braccio facendole sbilanciare e cadere in terra i libri che le sarebbero serviti per le lezioni pomeridiane.

Perché fai sempre la strafottente con noi? L’esser bella, talentuosa e figlia unigenita di un diplomatico, non ti arroga il diritto di sentirti migliore di noi!”

Margi ha ragione. Perché non vuoi ammettere che il professore ti piace e che saresti lusingata se parlasse con i tuoi genitori?!”

Perché? Lo vuoi proprio sapere Sofia? Perché non c’è assolutamente nulla d’ammettere! Non corro dietro agli occhi cerulei del signor Eduard e comunque sono ancora troppo giovane per una proposta nuziale. Ho altri piani per il mio futuro e non vedo nel matrimonio la completezza di una donna! Ecco perché! Soddisfatte?!” Ringhiò contro entrambe inginocchiandosi per raccogliere i libri.

Sapeva che le amiche non afferravano quel suo liberalismo mentale che per certi versi sfuggiva anche a lei. La visione di un buon matrimonio che pervadeva la stragrande maggioranza delle donne del suo tempo, era senza ombra di dubbio comprensibilissima, più facile e conveniente, soprattutto se appoggiata dalla cospicua dote di un facoltoso genitore, ma la fatica di potercela fare con le proprie forze sfruttando il talento che madre natura le aveva donato, era per Michiru assai più stimolante di una passeggiata verso l'altare. Appoggiata da un carattere libero ed intraprendente, si era sempre chiesta del perché avrebbe dovuto accontentarsi di vivere all’ombra di un uomo o della sua famiglia se poteva puntare alle stelle, ad un appagamento personale fatto di traguardi agognati e raggiunti con il sudore della propria fronte.

Kaiou io proprio non ti capisco…”

Lasciala perdere Sofia, evidentemente la signoria vuole restare zitella a vita e sprecare la sua bellezza a dar lezioni di violino a qualche rampollo della sua Berna. Andiamocene.”

E mentre le guardava andare via, Michiru ebbe la sensazione fortissima che non le avrebbero mai più rivolto la parola, anzi che con il supporto delle altre, sarebbero arrivate addirittura a ghettizzarla e non certo per colpa del professore di francese, ma a causa di un male oscuro chiamato gelosia.

Quel giorno aveva capito che con molta probabilità nella vita sarebbe rimasta da sola, senza amici con i quali dividere le passioni e senza la sua anima gemella, perché se tutti gli uomini fossero stati come quel professore, bene, il nubilato sarebbe stato inevitabile.

Signorina Kaiou stia attenta, quelle ragazzine sono soggetti poco raccomandabili.” La Direttrice del San Giovanni se la guardò accigliata non capendo perché quella giovane appena arrivata da Berna volesse già farsi terra bruciata intorno.

Catapultata dal vortice dei suoi ricordi quattro anni in avanti, lo sguardo preoccupato e leggermente titubante della donna più grande stonò con quello meschino appena sfumato delle sue amiche.

Era chiaro come alcune allieve di quel collegio non fossero ne dotate, ne tanto meno volenterose, ma quei quattro cicloni provenienti dagli altrettanti quattro angoli d’Europa, erano ormai diventate un caso, un problema disciplinare che non aveva fatto altro che mandare fuori di testa ogni singola insegnante avesse tentato con loro, un qualunque tipo d'approccio.

Non saranno certo Gorgoni dotate di bocche sputa fuoco. State pur tranquilla, non mi accadrà nulla.” Le sorrise pronta ad accettare la sfida che la sua nuova vita stava per portarle.

Non aveva neanche finito di disfare i bagagli e già sentiva di stare per mettersi alla prova. Non era stato facile per lei accettare quel posto, lasciare Berna e la sua casa, la famiglia, gli affetti più cari, le sue cose e la comodità di un mondo che bene o male, conosceva e dominava perfettamente, ma lo aveva fatto con gioia e con quello spirito d’avventura che generalmente portava i suoi coetanei maschi a scegliere l'Accademia Militare o ad andarsene in giro per il mondo in un anno sabatico strappato allo studio.

Grazie alle conoscenze di suo padre e ad un’insistenza ai suoi danni a dir poco trapanosa, Michiru aveva finalmente ottenuto il permesso di sciogliersi dal vincolo genitoriale per intraprendere quel viaggio di crescita e ora che sentiva il coraggio stuzzicato da quelle quattro ragazzine, capiva di aver fatto bene ad accettare quel lavoro così tanto lontano dalla sua terra. Era stranamente euforica ed eccitata, anche se gli avvertimenti che la direttrice dell’istituto le stava dando avrebbero scoraggiato chiunque.

Non fraintendetemi signorina Kaiou, non è che mi dispiaccia vedervi tanto risoluta, ma ho paura che non abbiate compreso a pieno quanto quei soggetti siano impossibili.”

Signora Direttrice, ho frequentato un collegio anche io e conosco perfettamente certe dinamiche che fanno del territorialismo e della coercizione la forza di un branco. Vedrete che saprò tener testa alle signorine… - Una rapida scorsa ai nomi scritti sugli ultimi devastanti compiti in classe e proseguì stirando le labbra con fare di sfida. - Aino, Tzuchino, Kino e Hino.”

E perciò sareste voi la nuova insegnante di musica e pittura.” Si sentì dire provando un leggero capogiro.

Dov’era?! Guardandosi intorno ricordò di aver visto la struttura vetrata della serra il giorno precedente, quando aveva aperto la finestra della sua stanza per far cambiare l’aria prima dell’imbrunire. Un forte profumo di fiori la colpì prima che a farlo potesse essere lo sguardo prepotente che ora le stava davanti.

E’ molto bella, non trovate ragazze? Posata, dolce, sicuramente d’ottimo retaggio. Forse un po’ troppo per permettersi il lusso di venire fin qui… nel nostro covo.”

Covo? Pensò l’insegnante cercando di non sorridere. Davanti aveva indubbiamente la femmina Alfa di quel pugno di dissidenti in erba.

Allora sapete chi io sia anche se non ho ancora avuto il piacere di avervi a lezione. Perfetto! Comunque mi presento; il mio nome è Michiru Kaiou. Voi sareste?” Chiese continuando a fissarla la moretta.

Rei Hino.”

La ragazza che viene da Parigi. Molto piacere. Sareste voi a comandare questo gruppo?”

La mora emise un fischio acuto assai poco femminile indietreggiando per poi sedersi con un saltello su una pila rovesciata di enormi vasi.

Sentito ragazze? Vuoi per il mio accento, ma la signorina qui deve aver letto le nostre schede personali. Però cara signorina, sappiate che tra noi quattro non comanda nessuna. Vero Mina?”

Verissimo.” Confermò venendo avanti una ragazza leggermente più alta dell’altra e dai lunghi capelli biondi ordinati grazie ad un piccolo fiocco rosso stretto dietro la nuca.

Le si mise davanti ricoprendo il posto che prima era stato dell’amica consentendo così a Michiru di poterne raccogliere il dolcissimo odore di mughetto proveniente dalla sua uniforme scolastica. Quell’odore riuscì a fondere per una frazione di secondo la scena che stava rivivendo nell’incoscienza del suo sonno, con il ricordo di quando aveva riaperto gli occhi in un letto d’ospedale di Muhleberg e due grandi ed umidi fari azzurri l’avevano guardata come il più straordinario dei miracoli.

Se sapete tutto di noi allora non c’è bisogno che mi presenti.”

E’ sempre buona creanza, signorina Minako Aino.”

Tagliamo la testa al toro.” Una terza ragazza, dalle maniche arrotolate e la divisa in disordine, comparve alle spalle dell’insegnante costringendola a voltarsi di scatto.

Io sono Makoto Kino e quella biondina dalla capigliatura assurda nascosta la giù, è Usagi Tzukino.” Indicò con un pollice.

Ora che abbiamo terminato questi formalismi da vecchie cariatidi, diteci cosa siete venuta a fare qui.”

Respirando pesantemente Michiru cercò di mantenere la calma. Non le conveniva scendere al loro stesso piano raccogliendo provocazioni.

Volevo sapere perché questa mattina non vi siete presentate alla mia lezione.”

Tutto qui? Volete sapere perché abbiamo preferito la botanica alla musica? Be signorina, credo che sia piuttosto chiaro! Tra noi non c’è nessun Mozart ed è perciò una vera e propria perdita di tempo seviziare quei poveri strumenti senza lo scopo ultimo di arrivare a soddisfare il fine orecchio dei nostri genitori.” Rispose Makoto alzando svogliatamente le spalle.

Ma che discorso è?! Primo, se non ci si mette alla prova non si potrà mai sapere se dentro di noi batte il cuore di un Mozart e secondo, io insegno musica non certo per farvi arrivare alla partitura di un’orchestra, ma per farvi aprire la mente a nuove esperienze, per spingervi oltre quelli che pensiate siano i vostri limiti e che invece non lo sono affatto! Non lo capite? Per farvi appassionare a qualcosa che sia un poco di più che due punti all’uncinetto!”

La risata argentina di Usagi irruppe per tutto l’ambiente vetrato. “Usa, smettila!” Comandò Rei.

Vedete signorina, questo è il vostro punto di vista, ma cosa ne penserebbe l’insegnante di economia domestica se venisse a sapere quello che avete appena detto? Per ognuna di voi la sua materia è la più importante di tutte. Cosa vi da la consapevolezza che la musica sia più degna di altre nozioni?”

Sono tutte degne di considerazione, ma signorina Hino... dovete ammettere che il saper suonare uno strumento richiede molta più passione, dedizione e… - Lanciando il guanto di sfida fece un passo in avanti stirando un sorriso sicuro. - … coraggio che saper fare un bel punto a Tombolo.”

Come?”

Avete compreso perfettamente; passione, dedizione e CORAGGIO.” Sottolineò l’ultima parola con la stoccata di una grande schermitrice.

A me piacerebbe provare. Mia madre suona molto bene il piano.”

Usagi ti ho detto di stare zitta! Va bene signorina. Avete espresso il vostro pensiero e ne abbiamo preso atto. Ora potete andare. Credo che sappiate dove si trovi la porta.” Disse la mora e Michiru colse in quegli occhi neri una scintilla. Ne era certa; il giorno successivo le avrebbe avute tutte e quattro in aula pronte a guerreggiare contro di lei per dimostrarle che aveva torto.

Uscì busto bene eretto dalla struttura dal tetto a falda ed il ferro battuto a comporre disegni floreali a protezione dei grandi vetri che lasciavano filtrare la luce del sole, per svoltare l’angolo e ritrovarsi nella quasi completa oscurità, avvolta dal profumo del brodo di pollo e legna bruciata che serpeggiava nell’aria di quel paese montano ai piedi del Passo del San Gottardo.

Dove sei?” Chiese sapendo di essere stata preceduta in quel piccolo spiazzo lontano dalla strada principale dove le donne portavano i loro panni ad asciugare e chiamavano “Aia di San Bartolo”.

Qui Michi.”

Sentì non capendo però da quale parte provenisse quella voce tanto fascinosa.

Non ti vedo. Non si vede niente.”

Una risata ed il consiglio di venire avanti di qualche passo stando però bene attenta alle buche.

La fai facile.” Ancora qualche metro poi solo il canto dei grilli e il richiamo di qualche rapace notturno proveniente dal bosco sottostante.

Ci sei ancora?”

Certo.” Si sentì soffiare nell’orecchio sobbalzando leggermente.

Che c’è?! Ti ho messo paura?”

Michiru sorrise avvertendo due braccia calde e rassicuranti avvolgerla da dietro. Era una sensazione così meravigliosa che si permise di rilassarsi inclinando il collo per poggiarle la nuca all’altezza della sua clavicola.

Paura di te Ruka?”

Sono contenta che tu sia riuscita a venire. Le ragazze si sono già coricate?”

No. Rei ha voluto sfidare le altre a carte. Ti lascio immaginare cosa stia accadendo in quella stanza.” Voltandosi verso la bionda, le lasciò una carezza ringraziandola per l’invito.

Di nulla. Il cielo è talmente nitido che sarà bellissimo guardare le costellazioni insieme.”

Il loro “primo appuntamento”. Un invito sorto spontaneo dal cuore timido di Haruka all’indirizzo della ragazza che le stava completamente facendo perdere la testa. Durante la fase di discesa dei valichi alpini che le avrebbe portate a Berna, in un paese segnato sulle carte con il nome di Tilone, finalmente libere di dare sfogo al loro amore, le due andarono a sedersi su di un tronco poggiando comodamente le spalle al muro di un pollaio addormentato. Abbracciandosi e puntando lo sguardo all’immensità di un cielo talmente carico di stelle, iniziarono a parlare.

Vorrei rimanere qui per sempre.”Disse dopo qualche minuto una Kaiou totalmente appagata dal corteggiamento dolcissimo che da qualche giorno stava mettendo in atto la bionda.

In un piccolo paese sperduto tra le Alpi e per di più con un perenne odore di brodo di pollo? Non vi ci vedo molto, signorina.” Sfotté attendendo il broncio della controparte.

Cosa vuoi dire scusa?”

Voglio dire che le tue mani sono ancora troppo delicate per la dura terra di questa zona.” Prendendole il palmo della destra glielo baciò delicatamente provocandole un brivido.

Che sciocca! Non intendevo questo.”

E allora cosa intendeva dire… signorina?” Chiese spostando la bocca dalla mano al suo collo, respirando affondo l’odore buono che ancora emanava la sua pelle nonostante fossero a fine giornata.

Mmmm… Intendevo dire che vorrei rimanere con te per sempre. Poco importa se qui, a Berna, a Bellinzona o nelle americhe.”

Haruka la strinse nelle braccia posandole il mento sulla spalla e facendosi seria. Anche se l’oscurità non permetteva loro di guardarsi, Michiru avvertì nitido il cambio d’umore nell’irrigidimento della sua postura.

Ruka, che c’è?”

Nulla.”

“Nulla? - Si voltò per cercarla nell’ombra ed una volta trovata le afferrò il viso avvicinandosi. - Credo di sapere a cosa tu stia pensando e lascia che metta subito le cose in chiaro. Anche se sei una donna non intendo nascondermi e sarò pronta a dirlo a mio padre quando vorrai.”

L’altra sospirò lieve. Sarebbe stato meraviglioso se quelle parole si fossero concretizzate una volta arrivate a casa Kaiou, ma Haruka sapeva sin troppo bene come l’omosessualità fosse vista dalla società. Il suo stesso genitore non ci aveva pensato su due volte prima di sbatterla in mezzo ad una strada una volta venutolo a sapere. Il signor Viktor era certamente una persona acculturata, un liberale, ma sempre di un padre si parlava e le speranze che riponeva nella sua unigenita erano le stesse di ogni altro uomo; matrimonio e discendenza.

Non mi credi?”

Sorridendo la bionda le strofinò la punta del naso nell’incavo del collo. “Certo che ti credo, ma da anni non sono più il tipo di donna che fa calcoli a lungo termine, perciò prendiamo le cose giorno per giorno, così come vengono. Vuoi?”

Poco convinta Michiru accettò quella momentanea tregua, sapendo che prima o poi il discorso avrebbe dovuto essere ripreso ed affrontato. Chiudendo gli occhi si appoggiò all’altra lasciandosi guidare alla calma dai suoi respiri regolari e da quel calore che solo il suo petto riusciva a regalarle.

Un petto imperlato di sudore e sangue quasi del tutto abbandonato alle sue braccia. I respiri ansanti, spezzati da gemiti di dolore che ad ogni passo Michiru involontariamente le provocava. Ginocchia che si piegano. Forza che abbandona.

No Ruka mia. Ti prego... ancora un po'. L'inizio del greto è qui vicino.”

Ascoltami, devi andar via. Tu ce la puoi fare... a correre... Vai da Giovanna... alla foresta.”

Ti ho detto che non voglio...”

E' inutile che si muoia entrambe!”

Io non me ne vado senza di te Haruka!”

Sei una pazza...”

Ad essermi innamorata di una gran testarda? O si, lo so. Lo so bene.”

In questa vita o nell'altra?”

In questa vita o nell'altra.”

 

 

“Ruka…” Articolò gemendo leggermente. Dio la testa le doleva in maniera insopportabile.

Cercando di aprire le palpebre, la luce nella stanza la ferì provocandole abbagli multicolori.

“Michi, sono qui.”

“Ruka… L’acqua…”

“L’acqua? Hai sete? Michiru…”

“No, credo si stia riferendo all’incidente che vi ha divise. Il crollo della diga.” Setsuna si alzò dal bordo del letto per andare alla finestra e tirare le tende.

Erano passate più di dodici ore da quando una Kaiou completamente incosciente era stata portata nella sua stanza, spogliata ed adagiata tra le lenzuola del suo letto. Nel trascorrere lento di quel lasso di tempo, Haruka non si era mai o quasi allontanata dal suo capezzale, concedendosi il movimento solo per andare a chiedere informazioni ad una Setsuna un po’ accigliata. Visto come Haruka e Michiru si erano comportate, rientrava in una probabilità abbastanza alta quello che stava accadendo alla mente della seconda; un black out fulmineo e privo di avvisaglie che aveva allarmato tutti.

“La signorina Kaiou si sta riappropriando dei suoi ricordi, anche se non sapremo quanti e quali avrà riconquistato se non dopo averci parlato.” Aveva detto il medico lasciando che due infermiere si prendessero cura di infilarle la camicia da notte e misurarle la temperatura.

La febbre non era apparsa e Michiru sembrava essersi immersa in un sonno senza sogni fino al primo pomeriggio, quando aveva iniziato ad agitarsi parlando flebilmente.

“Maledetta me! E’ colpa mia! Avrei dovuto stare più accorta non avvicinandomi a lei e rimanendo nell’ombra come mi avevate ordinato!” Disse la bionda scostando dalla fronte della sua dea una ciocca della frangia.

“Stare a rimuginarci sopra non serve e poi come vi ho già detto, il “bruciare le tappe” abbandonando la prudenza può essere stato comunque un bene. Michiru ha una mente piuttosto elastica. Coraggio, dobbiamo solo attendere che si risvegli.” Consigliò la Meiou sorridendo a quella povera anima in pena.

“Spero con tutta me stessa che abbiate ragione, ma credo che Michi stia provando dolore.”

“Molto probabilmente. L’equilibrio che aveva trovato si è spezzato di colpo e la testa ha ripreso a farle male.”

“Potete darle qualcosa?”

“Assolutamente no Haruka. Farle assumere una qualsiasi dose d'oppio ora sarebbe devastante. La sua mente deve rimanere vigile, anzi… parlatele, stimolatele i ricordi.” Suggerì.

“Io non… non credo di saperlo fare.”

“Sono sicura di si.” Posando una mano sulla fronte di Michiru, Setzuna stirò le labbra capendo la situazione e notando il disagio della bionda, si congedò con la scusa di dover far fronte alle visite su piano che non era riuscita a svolgere in quella particolarissima giornata.

“Per qualunque cosa fuori troverete l’infermiera. Io sarò nei paraggi. Non vi preoccupate Haruka. Andrà tutto per il meglio.”

“Si, grazie dottoressa.”

Già con la mano sull'ottone della maniglia, la straniera si voltò un’ultima volta. “Parlatele… Lei vi ascolterà.” Ed uscì richiudendosi la porta alle spalle.

“Parlarti?! - Disse rabbuiando il viso. - Non sono mai stata molto brava in questo.”

Poggiando la fronte sulla spalla dell’altra sospirò. “Sei sempre stata tu a pungolarmi, a spronarmi, ad inseguirmi. Io che non volevo neanche lontanamente avere a che fare con una signorina di città come te. Troppo educata. Troppo fine. Troppo e basta. Io abituata al silenzio dei miei monti, invece che alle luci della tua Berna, io che da quando ho scoperto la mia diversità ho creduto fermamente ogni singola notte passata nel mio letto a guardare il soffitto, che mai nessuna donna avrebbe potuto innamorarsi di me, … ora sono io che devo pungolare te. Spronarti. Inseguirti. O Michi…”

Stringendolo con forza si aggrappò al tessuto della camicia da notte come se fosse l’ultimo appiglio presente sulla faccia della terra. Si sentiva così stanca di tutto. Pur se indomita, quei giorni di altalenanti emozioni erano riusciti a sfiancare anche una testa dura come la sua.

“Mi vergogno Michi, ma devo confessarti che dopo aver ripreso conoscenza piena di ferite e priva di te, angelo mio, ho maledetto spesso il giorno nel quale sei entrata nella mia vita. Era facile allora; c’eravamo solamente Flint ed io e nessun altro. Niente dolore o gioia, niente speranze o disperazione, niente labbra morbide da assaporare o carezze da ricevere. Un limbo benedetto e privo di sostanza.”

Tornando a guardarla sorrise tristemente parlandole all'orecchio. “Svegliati Michiru. Svegliati e ritorna da me. Ti prego. Non lo voglio più quel limbo, non lo voglio più.”

Un singulto e si rese conto di stare per cedere. Non amava quel lato fragile di se, ma questa volta non impedì alle lacrime di scivolarle sulla pelle.

“Al diavolo! - Mugolò stizzita abbassando nuovamente il capo. - Ecco, sei contenta? Sto piangendo come una femminuccia ai primi batticuori amorosi. Svegliati per tutte le corna dell’inferno, svegliati! Gesù Cristo, non credere che ti bacerò come un principe delle favole, perché non sono certo il tipo di persona alla quale piace ricalcare favolette da bamb…” Si bloccò sentendosi la zazzera arpionata come da una morsa.

Alzando la testa di qualche centimetro si vide gli occhi socchiusi di Kaiou puntati contro.

“Parla pulito Ruka e ... abbassa la voce... Per favore.”

“Michi?!"

“La Dottoressa Meiou ha detto che dovevi parlarmi, non chiamare a raccolta tutte le schiere celesti.” Strizzando le palpebre serrò di riflesso anche le dita provocando nell’altra un gemito.

“I capelli… Michi…”

“La testa… Mi fa male…”

“Michiru … i capelli…”

"Ti prego... Parla piano."

"Va bene, ma... i capelli. Lasciami i capelli!"

“Oh... Scusami." Stirando le labbra tornò a guardarla aprendo la mano.

Haruka si asciugò frettolosamente le guancie. “Allora eri sveglia.”

“Si, ma non riuscivo ad aprire gli occhi. Che cos’è successo?”

“Sei svenuta.”

“E la diga?”

“La diga?”

Guardando le pareti bianche di quella che da settimane era la stanza che stava dividendo con un’altra paziente, sembrò perdersi per qualche istante, poi come se fosse stata colta da un’improvvisa folgorazione cercò di alzarsi sugli avambracci. “E’ stato solamente un sogno! Kurzh, la diga, il tuo ferimento! Tutto!”

“No Michiru, non ti alzare.”

Gemendo si vide costretta all’immobilità da una forte stretta alle spalle. Tornata per un attimo a quel giorno di giugno di qualche mese prima, ci volle tutta l’autorità di Haruka per farla stare ferma.

“Non capisco. E’ tutto così confuso. “

“Cerca di stare calma. Non è stato un sogno, parte della diga è venuta giù davvero.”

“Ma tu eri ferita, c'era tutto quel sangue ed eri così pesante. Siamo riuscite a scappare?”

“Si e no. Ma questo ora non ha più alcuna importanza. Siamo vive e siamo insieme e ti assicuro amore mio, non lascerò mai più che qualcuno ci divida.”

“Come mi hai chiamata?” Chiese illuminandosi tutta.

Leggermente sorpresa da se stessa, l’altra sbatté le palpebre un paio di volte arretrando il busto mentre Michiru richiamava a se la forza per alzarsi a sedere. Dopo un attimo di ferale imbarazzo, la bionda prese atto della frase appena detta e grattandosi la testa mugugnò. Non era forse vero? Quella donna terribile non le era entrata nell’anima diventando l’amore della sua vita?

“Amore… “ Ripeté espellendo l’aria dai polmoni tornando finalmente a sentirsi completa nell’abbraccio della sua dea.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Ciau. Ho cercato di accelerare la fine del capitolo per approfittare dalla messa on line ed augurarvi buonissimo Natale. L’epilogo di questa storia uscirà l’anno nuovo. Spero di essere riuscita a rendere l’idea della ritrovata memoria di Michiru saltando qui e la tra avvenimenti toccati nel racconto precedente ed assolute novità, come il primo incontro tra lei e le ragazze; un branco di assolute teppiste. ;)

 

 

 
 
 

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Capitolo 16
*** Epilogo-1918 ***


Fino alla fine del mondo

La mia promessa a te

 

Sequel del racconto

le trincee dei nostri cuori

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Setsuna Meiou, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Epilogo - 1918

 

 

Ospedale riabilitativo di Muhleberg

Svizzera settentrionale – 4/11/1918

 

 

Riconoscendo i passi affrettati tipici del suo puledro di fanteria, Michiru sorrise al vetro della finestra dalla quale stava osservando i ragazzini giocare giù da basso e contando mentalmente fino a tre attese la sua irruzione.

“Michiru!” Spalancando la porta la bionda entrò nell’ufficio stringendo convulsamente nelle dita della destra il giornale appena arrivato dalla città.

Possibile che il suo bizzoso amore fosse sempre tanto irruento?! "Fai piano, perché corri tanto?"

“Michi guarda! Leggi qui! L’armistizio tra il Regno d’Italia e l’Impero è stato siglato ieri pomeriggio. La guerra sta finendo!”

L’altra serrò forte le palpebre provando un brivido benedetto e voltandosi piano verso l'altra, stirò le labbra illuminando il blu degli occhi. Quanto avevano atteso quella notizia.

Di fatto, già dal 28 ottobre un ormai allo sbando esercito austroungarico aveva iniziato ad indietreggiare verso la ritirata su praticamente tutti i fronti di combattimento ancora aperti, ma solo con la firma ufficiale apposta in calce al documento di resa del 3 novembre a Villa Giusti, quel passo sanciva l'inizio della fine di un delirio dalle forme apocalittiche. Dopo un lustro d’accesi combattimenti spesso infruttuosi, la guerra iniziava a spegnersi. Ben presto anche altre nazioni sarebbero scese a patti l’una verso l’altra e la vita sarebbe ripresa a fluire libera, anche se nessuno avrebbe mai più dimenticato gli orrori di un conflitto assurdo con milioni di morti disseminati sulle terre di tutto il continente.

“Dio sia lodato.” Soffiò leggendo il titolo d’apertura del quotidiano locale mentre le dita di Haruka andavano a sfiorarle la vita accarezzandogliela lievemente.

“Gli eserciti di entrambi gli schieramenti avevano smesso di sparare già da qualche ora, ma con la firma dell’armistizio c’è l’ufficialità.” La bionda accolse la schiena dell’altra sul proprio petto lasciandole spazio per farle correre gli occhi sulle righe del sommario

Una volta finito di leggere le notizie salienti, Michiru si voltò alzandosi leggermente sulle punte per sfiorarle con le labbra la punta del naso. Presto anche Stefano sarebbe stato di ritorno e Giovanna, partita per Bellinzona qualche mese prima, lo avrebbe atteso per chiarirsi e provare a salvare quel che rimaneva del loro rapporto. La guerra aveva cambiato tutti, in primis i soldati. Neanche ora che grazie all’intercessione come diplomatico del signor Viktor Kaiou, Giovanna era potuta tornare al Comando della loro città natale forte dell’amnistia concessale per l’accusa di furto, sarebbe stato facile tornare all’unione che si era istaurata tra loro. Ma almeno ora c'era una speranza.

Il padre di Michiru era stato splendido, sia con Giovanna che con la struttura ospedaliera che aveva accolto e guarito la sua bambina. Entusiasta nel riabbracciare Michiru e grato al biondo cameriere che l’aveva riconsegnata alla sua famiglia, aveva fatto di tutto per accontentare i desideri di entrambi.

Come aveva ipotizzato Setsuna Meiou in merito al Dottor Ernest Grafft, soltanto grazie all’intercessione del Ministro dell’Agricoltura, grande amico del diplomatico ed avvertito da quest’ultimo di compiere delle indagini approfondite sull’ospedale, era venuta in superficie la torbida melma di un vasto giro di contrabbando operante ormai in gran parte del distretto cittadino. Il Dottor Grafft era stato così posto agli arresti, ma con gran dolore di Setsuna, molti altri suoi colleghi che aveva sempre ritenuto insospettabili lo avevano seguito, lasciando così paurosamente sguarniti molti reparti, da quello di chirurgia d’urgenza a quello riabilitativo, tanto che in un primo momento si era addirittura palesato lo spettro della chiusura. Ed anche in questo caso la famiglia Kaiou era nuovamente intervenuta e per mezzo di una massiva opera d’assunzioni, aveva salvato l'ospedale. Inoltre la stessa Dottoressa Meiou, una delle artefici della scoperta del losco traffico ed eccellente medico, aveva ricevuto un notevole scatto di carriera arrivando alla dirigenza dell’intero reparto di psicoterapia.

Cercando le labbra della sua bionda, Michiru la strinse costringendola ad arretrare di un passo. “Michi… Che ti prende?!”

“Sono felice.” Articolò nella bocca dell’altra non badando al fatto che avesse lasciato la porta aperta.

Stava lavorando in pianta stabile negli uffici dell’ospedale già da un paio d’anni e per tutto questo tempo, l’insegnante non aveva fatto altro che ipotizzare piani d’ammodernamento e migliorie varie da compiersi alla fine del conflitto. Una foresteria interna aperta a tutti, una scuola superiore, una mensa per i più bisognosi. Ora tutto questo avrebbe visto la luce rendendola finalmente orgogliosa e se fosse riuscita a fare le cose per bene ed in tempi brevi, forse anche Sigmund sarebbe potuto tornare da loro.

“Stai pensando al nostro piccolo teppista, non è vero?” Chiese Haruka serrandole le spalle per staccare a forza quel contatto prima che il corpo potesse tornare ad accendersi come ormai faceva indecentemente quasi ogni notte.

“Si. Se riuscirò a fare tutto ciò che spero! avremo anche noi una scuola superiore. Lo sai che Muhleberg ne è sprovvista.”

Sorridendole l’altra iniziò ad accarezzarle il viso chiedendole se lo avesse sentito.

“No, ma questa mattina ho chiamato a casa e mia madre mi ha detto che sta preparando con molto impegno gli esami del primo trimestre. Devo dire che non avrei mai creduto fosse tanto portato per lo studio delle scienze naturali. E’ curioso da morire quel ragazzino.”

Scoppiando a ridere la bionda andò a poggiarsi sul bordo della scrivania che Michiru usava per lavorare. Incrociando le braccia al petto con notevole moto d’orgoglio, sibilò un te l’avevo detto che portò ilarità anche in Kaiou.

E si, era stata Haruka ad accorgersi quasi subito di quanto Sigmund Rosch fosse portato per le scienze, di quanto fosse aperta la sua mente e quanto amasse lo studio. Quando Michiru aveva riafferrato i ricordi di una vita accettando nuovamente se stessa e l’amore di Haruka, Sigi aveva inesorabilmente provato una sorta di gelosia. In fin dei conti aveva considerato il suo rapporto con la ragazza, esclusivo, mentre adesso quel montanaro spilungone era entrato di prepotenza fra loro, dividendoli. Lo scontro tra due caratteri tanto simili era stato inevitabile. Si erano azzuffati verbalmente per settimane, punzecchiandosi ad ogni occasione e per farli andare d’accordo non era valsa a nulla neanche la mediazione di una Michiru al limite della sopportazione. Poi un giorno d’inverno, con la neve alta ed il freddo a gelare le ossa, alla struttura era stata recapitata una lettera recante il timbro dell’esercito tedesco. Setsuna in persona aveva dovuto affrontare la cosa confessando al ragazzino la morte del padre e consegnandogli la piccola croce di ferro di Seconda Classe al valor militare che l’uomo si era conquistato sul campo.

Da quel momento Sigi si era chiuso sempre più in se stesso e per assurdo che fosse, era stata proprio Haruka, ancora nelle false spoglie di Giovanni Tenou, ad aiutarlo di più. Anche lei era orfana di entrambi i genitori e questa cosa aveva finito per unirli azzerando tutto il resto. Iniziando a passare intere giornate assieme dietro a qualche motore o nei lavoretti come tuttofare che la bionda faceva per sbarcare il lunario, si erano scoperti anime affini tanto che una sera, di ritorno dal centro città, lui l’aveva presa totalmente in contropiede facendole una domanda.

“Jo, perché non sposi Michi e mi adottate? Guarda che lo so che vi volete bene, sai!?” E lei lo aveva guardato sgranando gli occhi sconvolta.

Haruka era entrata nella struttura come il giovane aitante Jo ed una volta confessata tutta la verità alla sua dea, non se l’era sentita di sbandierare a tutto il mondo il suo essere donna. Non tanto per se stessa, quanto per Michiru. Questo però l’aveva costretta a continuare quella farsa assurda anche di fronte al bambino.

“Michiru, se la società non accetta che due donne possano amarsi e vivere insieme, vorrà dire che non mi togliero' mai più questi vestiti.” Le aveva detto qualche giorno dopo l’idea di Sigi per poi inginocchiarsi e prenderle la mano sinistra.

“Vuoi farmi l’enorme onore di dividere con me il resto della tua vita, mia dea?”

E commossa Michiru non aveva saputo che dire, perché se da una parte diventare sua moglie sarebbe stata la cosa più bella e completa della sua esistenza, dall’altra avrebbero dovuto mentire a tutti; dalla famiglia Kaiou a Dio e questo ai suoi occhi rendeva l’amore che provava per la bionda un po’ offuscato. In più, non le piaceva affatto l’idea che Haruka dovesse in qualche modo castrare il suo essere donna, sacrificarsi portando avanti un rapporto che sarebbe rimasto saldo anche senza il beneplacito del resto del mondo.

“Non è un problema per me, amore. Sarò Jo per tutta la vita e cresceremo Sigi insieme.”

Il cielo avesse voluto, ma questo progetto a Michiru non aveva convinto fino in fondo.

“Preferirei essere considerata una licenziosa invertita e vivere con te come donna, piuttosto che saperti infelice.”

“Ma io non sono infelice.”

“Si che lo sei Ruka. Lo è il tuo corpo costretto a piagarsi lo sterno portando queste stupide fasce e lo è il tuo spirito, quando gli altri ti chiamano con un nome che non è il tuo.”

“Non m’importa se dovrò fingermi un uomo fino alla fine dei miei giorni! Da mesi ormai non sono più Haruka. Io voglio solo stare con te. Ti prego.”

“Ruka io…”

“Hai forse paura che tuo padre non acconsenta perché tra noi c’è un’abissale differenza di classe?”

“No, non è questo. Gli piaci, lo sai.”

“E allora che cos’è che ti frena, Kaiou!?” Aveva quasi urlato.

“Mi sono innamorata di Haruka e non di Jo! Mi sono innamorata di una donna e non di un uomo e vorrei che agli occhi del mondo non dovesse essere una colpa. Mi alzo la mattina non vedendoti al mio fianco, ma sapendo comunque di aver dormito tra le tue braccia per tutta la notte e mi odio per questo! Non sopporto che tu debba sgattaiolare via ad ogni alba come se avessimo compiuto chissà quale delitto. Vorrei urlare a tutti che ti amo, che amo la dolcissima e testarda Haruka Tenou e non fare invece finta di niente quando accidentalmente incontro il tuttofare Giovanni per i corridoi. Vorrei non dovermi reprimere quando ho voglia di baciarti e Sigi ti vorrebbe lo stesso un gran bene anche se sapesse chi sei in realtà!”

“Se rimanessi un uomo sarebbe tutto più semplice, lo capisci?”

“Certo che lo capisco, ma vuoi veramente vivere sotto la mannaia di un inganno?! Dimmi Ruka, vuoi davvero abbandonare il tuo io e calzare per sempre la vita di un’altra persona? Vuoi davvero che le idee sclerotizzate della nostra società ci costringano a mentire? Vuoi davvero mentire davanti ad un’altare alla presenza di Dio?”

Sospirando pesantemente la bionda aveva abbassato le armi arrendendosi al volere dell’altra. Avrebbe dovuto aspettarselo da lei; troppo onesta e leale verso la sua famiglia, troppo carica d’amore e di rispetto verso la sua Ruka.

Così da quel giorno, Michiru aveva preso a non nascondersi più, sia con i conoscenti, che con la direzione sanitaria. Aveva parlato con ogni medico, infermiere, addetto alle pulizie dell’ospedale. Sarebbero state discrete, non avrebbero sbandierato la loro omosessualità ai quattro venti, ma non si sarebbero nascoste mai più ed Haruka sarebbe tornata nel mondo, anche se avrebbe continuato ad indossare abiti maschili e a fare lavori di fatica.

“Ed i tuoi come stanno?” Chiese la bionda piegando la bocca in un sorrisetto malizioso.

“Bene o almeno è quello che dice mia madre.”

Michiru aveva gettato in tavola le carte dei suoi sentimenti non soltanto con i colleghi della struttura sanitaria, ma anche e soprattutto con i suoi genitori. Armandosi di coraggio lei ed Haruka si erano recate a Berna un paio di settimane dopo il loro confronto e pronte al peggio, spalla a spalla si erano presentate alla porta di casa Kaiou una mattina di buon ora.

“E’ ancora presto, così quando tuo padre ci caccerà a calci saremo in tempo per prendere il treno del pomeriggio.” Aveva borbottato una Tenou per niente convinta mentre l’altra tirava la catenella del campanello attendendo l’arrivo della cameriera.

Haruka aveva già perso il padre e gli amici di una vita e dopo l’alzata di testa della compagna e quell'uscire allo scoperto, la storia si era ripetuta con le conoscenze maschili ed i lavori che svolgeva in città. Se non fosse stato per Setsuna, la bionda non avrebbe avuto più neanche quello come manutentore all’ospedale. Era perciò più che naturale che si sentisse presa tra l’incudine ed il martello, aspettandosi la mareggiata anche questa volta.

“Stai tranquilla e lascia parlare me.” E la porta a vetri era andata aprendosi sui loro visi.

Erano state accolte come sempre tra abbracci e strette di mano. I signori Kaiou adoravano la figlia e da quando mesi addietro l’avevano ritrovata, il loro amore era aumentato a dismisura tanto che Michiru a volte si lamentava perché non si era mai sentita tanto soffocata dalle loro premure.

“Vedrai che dopo la nostra rivelazione sarai di gran lunga meno oppressa Michi.” Le aveva detto sul treno con una mezza frecciatina di sfida negli occhi.

“O piantala con questo disfattismo Ruka! Se permetti conosco i miei genitori meglio di te e posso assicurarti che non faranno scenate. Perciò non fasciamoci la testa prima del dovuto.”

Ed era stato così. Era stato incredibilmente così.

Seduti tutti e quattro sul divano e le poltrone dell’accogliente giardino d’inverno posto sul retro del palazzetto che in genere serviva alla famiglia per svagarsi e passare le ore insieme, Michiru aveva parlato ai genitori con calma, usando la solita posatezza, condita però da una determinazione che aveva stupito una Haruka, invece ferma in un angolo pronta al cataclisma. Non aveva usato chissà quali giri di parole sapendo che al padre indispettivano le persone poco chiare. Linearmente aveva ricalcato la storia che più o meno i signori Kaiou già conoscevano arrivando al dunque in poco meno di cinque minuti, rivelando senza vergogna e con una genuina semplicità come il ragazzo seduto a riccio accanto a lei, fosse in realtà una ragazza.

“Padre, madre, vi chiediamo perdono, parlo per Haruka perché sa benissimo di aver sbagliato a mentirvi sin dall’inizio, ma spero che capiate che lo ha fatto solo ed esclusivamente per me. Per ritrovarmi.”

Al silenzio sceso nella stanza la bionda aveva creduto di annaspare nella melma. “Signori Kaiou io… io lo so che tutto fa pensare ad una colossale presa in giro, ma vi assicuro, non è così.”

“Non è così, signorina?” Una voce tagliente, fredda come il marmo.

“Padre…”

“Taci Michiru e lasciala parlare.” Si era intromessa Flora fulminando la figlia.

“No, non è così. Già una volta avete potuto saggiare la mia buona fede ed ora vi chiedo di fare come allora… in quella notte… nella vostra biblioteca. - Ingoiando a vuoto Haruka aveva poi continuato raddrizzando la postura prendendo coraggio dal calore emanato dal corpo dell’altra. - Quando sono venuta a Berna per cercare notizie su Michiru non mi sarei mai permessa di entrare in casa vostra sotto mentite spoglie, ma… voi stavate cercando un cameriere uomo ed io avevo bisogno di un lavoro e di risposte che solo qui avrei potuto trovare.”

“Perché lo avete fatto signorina? Perché tanta dedizione verso nostra figlia?” Aveva chiesto la padrona della casa e la bionda si era vista puntati contro gli occhi di tutti e tre.

“Perché… perché…”

“Perché mi ama madre ed io amo lei. E’ tanto difficile da comprendere?!” Stentoreo. Pulito. Cristallino.

Chinando la testa Haruka aveva stretto i pugni sulle gambe maledicendosi per non essere stata in grado di mantenere il punto con la compagna. Non sarebbe stato forse meglio mentire a tutto il mondo e trasformarsi in un maschio dalla testa ai piedi invece che sopportare l’ennesima umiliazione?!

“Ditemi signorina... è la verità?”

E lei aveva risposto scuotendo energicamente la zazzera tornando a guardarli.

Schiarendosi la voce Viktor aveva allora sorriso leggermente ammettendo che venire a sapere una cosa del genere per un padre faceva un certo effetto. “ Chi credete io sia, giovane Tenou?”

“Sss… scusi?”

E all’espressione persa di Haruka era intervenuta Flora con lo stesso fare risoluto usato poco prima dalla figlia. “Vedete Haruka, mio marito è un diplomatico abbastanza quotato nel nostro paese e non è certo il primo sprovveduto che si trova a tenere a servizio un ragazzetto di provincia.”

“Madre cosa state cercando di dirci?”

“Che conoscevamo l’identità della signorina qui presente sin dalla sua seconda settimana di servizio in questa casa. Il tempo di richiedere l’albero genealogico della famiglia Tenou al Ministero degli Interni e successivamente il suo certificato di nascita al Comune di Bellinzona.”

Incredula la bionda li aveva guardati alternativamente come se avessero frugato tra i suoi oggetti personali.

“Non vi avremmo tenuta a servizio, anzi, se la vostra buona fede non fosse stata comprovata, sareste stata gettata in prigione, ve lo assicuro. - Alzandosi dalla sua poltrona Viktor si era diretto alla consolle per appropriarsi di un buon sigaro continuando severamente, ma senza dare in escandescenza. - Vedete, tutta la Svizzera ha saputo dai giornali che Michiru Kaiou era stata data per dispersa con il crollo parziale di una diga che il suo stesso fidanzato aveva provocato e che la sua famiglia stava facendo carte false per ritrovarla. Non potete immaginarvi Haruka, quanti sciacalli hanno bussato alla nostra porta prima del vostro arrivo, con false notizie e mani tese per chissà quale guadagno. Abbiamo dovuto tutelarci.”

“Ecco perché non mi sono mai stati richiesti documenti o referenze.”

“Avrebbero potuto essere falsi. Grazie al cielo avete avuto l’accortezza di usare il vostro vero cognome.”Aveva risposto la signora Flora ammettendo quasi con candore che da quando Michiru era scomparsa non c’era stato domestico, impiegato o manutentore che fosse passato a libro paga del marito, che non avesse ricevuto le stesse attenzioni.

“E allora perché mi avete tenuta qui con voi nonostante vi stessi palesemente mentendo?”

“Rispondete voi a me invece; perché fingersi uomo per lavorare in una casa quando avreste potuto farlo come donna in una tra le tante del centro?” Una tirata di sigaro ed espirando fumo Viktor era tornato a sedersi.

“Abbiamo temporeggiato lasciandovi alle attenzioni lavorative dalla signorina Rostervart, attendendo così una vostra mossa. Mossa che avete poi fatto introducendovi nella biblioteca dopo averle sottratto il passepartout.”

Haruka si era allora arpionata la fronte con una mano completamente gelata dalla vergogna. Che figura aveva fatto. I signori Kaiou sapevano tutto e lei aveva continuato a fingere giorno dopo giorno, mettendo tutta se stessa in quella che aveva creduto sin da subito essere una grandiosa idea.

“Che cos’è che vi ha convinti a darle fiducia?”

“Michiru cara, forse la nostra disperazione o… - Flora aveva sorriso alla figlia in maniera dolcissima. -... la purezza che brilla negli occhi in questa ragazza.”

Sentendosi nuovamente presa in causa la bionda aveva alzato la fronte come un cucciolo non capendo cosa stesse realmente accadendo in quella stanza. Avevano forse compreso la diversità sua e della figlia accettando la loro unione?

“Perché non ci avete detto tutto la prima volta che siamo tornate a casa dall’ospedale?”

“Stavamo temporeggiando anche in quel frangente Michiru.”

“In che senso padre?”

“Quando sei tornata a casa, tua madre ed io eravamo felici, riconoscenti al Signore ed al fantomatico Giovanni Tenou per averci restituito la nostra bambina, ma non appena l’euforia del momento è andata stemperandosi, abbiamo iniziato a notare negli sguardi che vi scambiavate un qualcosa di più che semplice conoscenza. Sguardi cara, che non hai mai avuto per nessuno, Kurzh incluso. Vorrei però mettere in chiaro una cosa; a nessun genitore fa piacere l’esser preso in giro o pensare che non potrà mai avere degli eredi perché la sua unica figlia ha tendenze verso il proprio sesso, ma è palese che ci sia amore fra voi. Non so a che grado questo sia arrivato e non lo voglio sapere, però mi fa piacere che anche se a distanza di mesi, tu sia stata onesta. Francamente ero convinto che vi sareste sposate continuando la farsa, ed allora si che avremmo dovuto disconoscerti, Michiru.”

Uno strano singulto ed Haruka aveva piombato il collo nelle spalle dirigendo lo sguardo sull’incredulità dell’altra.

“Ecco perché stavate temporeggiando; volevate vedere come e dove ci saremmo spinte per tentare di stare insieme!”

“Esattamente Michiru.” Aveva concluso Flora comprensiva.

Tutto sommato quell’incontro era stato positivo. Haruka si era sbagliata nell’immaginarsi reazioni incontrollate al limite del disumano e questo aveva fatto piacere ad entrambe le ragazze. Tornando a Muhleberg, si era comunque ripromessa di non farsi illusioni. I signori Kaiou erano ancora giovani, ma presto avrebbero espresso la necessità di un erede e questo avrebbe potuto cambiare la percezione benevola che sembravano aver dimostrato verso le inclinazioni sessuali della figlia.

Proprio per evitare tale comprensibilissimo disagio, Michiru, sempre perennemente protesa in avanti, poco tempo dopo il ritorno alla struttura ospedaliera, aveva avuto un guizzo intuitivo a dir poco sorprendente e parlandone con il padre, lo aveva via via convinto della bontà della sua idea. In effetti, c’era una creatura che avrebbe potuto ricoprire le veci di un figlio maschio. Una creatura irruenta, ma intelligente e capace. Tra tutti la più bisognosa di cure ed affetto.

Sorridendole luminosa Michiru piegò il giornale dando gli occhi al suo angelo biondo. “Mia madre mi ha riferito che Sigi desidererebbe averci entrambe per il Natale. Che dici amore? Ti va di venire a Berna con me per la fine dell'anno?”

Una marcata smorfia e Haruka provò a temporeggiare. Anche se in qualche modo i Kaiou l’avevano accettata, non amava andare da loro. Non sapeva mai come comportarsi di fronte alla signora Flora, o a Charlotte, la quale aveva ormai saputo quale fosse il suo vero sesso, anche se non aveva il permesso di parlarne apertamente. Nonostante amasse da morire la figlia, quando quest’ultima scendeva a Berna con al fianco una Tenou sempre in abiti maschili, ma sicuramente molto meno mascolina negli atteggiamenti, il signor Viktor faceva in modo di stare a casa il meno possibile, anche quando Sigi lo pregava di non lavorare fino a tardi desideroso di vedere la sua nuova famiglia tutta riunita attorno ad un tavolo. Solo con la signorina Rostervart, Haruka sembrava trovarsi a proprio agio e solo con lei riusciva a mettere due parole in fila senza sentirsi una morsa allo stomaco.

Afferrandole i fianchi, la bionda contraccambiò il sorriso non manifestando però lo stesso entusiasmo. “Lo sai che non mi sento tanto per la quale quando vedo i tuoi, Michiru mia.”

“Lo capisco, ma è un desiderio che non puoi non esaudire. Da quando è stato adottato dai miei, sono rari i periodi che Sighi può passare con noi.”

Ingobbendosi un poco, l’altra sbuffò piano sentendosi chiusa in un angolo. Adesso oltre a quella donna terribile che le teneva giornalmente il cuore stretto nel palmo della destra, ci si metteva anche quel teutone. Mai possibile che non riuscisse più a spuntarla contro nessuno al quale teneva?

“Va bene… verro, ma bada che non ho intenzione di cantare stupide canzoncine natalizie o moderarmi a tavola.”

“Vedremo amore, vedremo.” Disse l’altra stringendosela al seno talmente forte da impedirle qual si voglia replica.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve, ed anche questa storia va lentamente ad adagiarsi tra quelle già scritte, anello di congiunzione con quelle che spero verranno.

Sono stata molto combattuta in questo capitolo, lo riconosco. Mi solleticava e non poco, far si che l’unione tra Haruka e Michiru risultasse, come dire, “in piena regola” anche agli occhi del resto del mondo. Ho riflettuto sul fatto che molte donne nel corso dei vari secoli avranno scelto di cucirsi addosso abiti maschili per poter essere libere di amare la propria dea senza essere così giudicate. Però conoscendo Kaiou e la sua integrità, la cosa non mi ha convinta fino in fondo e ho optato per “la verità”. Lei lo sa, Haruka a lungo andare avrebbe finito per soffrire di una situazione, conveniente sotto molti punti di vista socio-lavorativi, ma troppo estrema per essere vissuta per tutta la vita. Inoltre Michiru ama molto anche i suoi genitori. Ingannarli a tal punto sarebbe stato pesantissimo. Meglio rischiare tutto, anche di essere cacciata di casa e diseredata. E così grazie al cielo non è stato.

Ringrazio tutte le lettrici che hanno avuto la pazienza di leggere il mio scritto, che con molta probabilità avrà un terzo racconto, ma non ora. Credo che sia chi legge, che chi scrive, ogni tanto debba tuffarsi in cose nuove.

Per ringraziarvi ho una one-shot calca calda da sfornare legata al primo arco ed in preparazione una cosa abbastanza grossa.

Grazie anche a Ferra10 che mi sta aiutando a dipanare le troppe idee che mi sono venute, ho intenzione di fare uscire a breve “Le gru della Manciuria”, una storia ambientata a Budapest, Ungheria, qualche decennio fa. Credo proprio che per la complessità dei temi che andrò a trattare risulterà il lavoro più faticoso che abbia mai scritto. Speriamo per il meglio.

Vi ringrazio ancora tanto per la dedizione di tutti/e, ma permettetemi di fare un saluto tutto speciale al gruppettino che mi ha incoraggiata maggiormente: HaruMichiLove, Learco87, Yoshika, Ferra10 e HarukaTenou27. Grazie e a prestissimo.

Ciauuu, U BWolf

 

 

 

 

 

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