We Can Live Like Legends - Scelte Discutibili di Quattro Universitari Fuori Sede

di Koori_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** 1.Heartbeat ***
Capitolo 3: *** 2.Wind ***
Capitolo 4: *** 3.Clarity ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Salve a tutti!
Questo è un piccolo esperimento che voglio fare più che altro come sfida con me stessa. Si tratta di una raccolta di one-shot basate su questa challenge trovata qui.
I personaggi qui trattati sono presi in prestito da un lavoro inedito, perciò si tratta di una sorta di AU in cui sono impiegati original characters.
Ho intenzione di seguire i prompt in ordine cronologico, quindi assieme al titolo del capitolo sarà anche indicato l'anno accademico in cui si svolge per aiutare i lettori a farsi un quadro un po' più ordinato della cronologia delle vicende.
Che dire d'altro? Spero che anche voi possiate affezionarvi a questi quattro disgraziati che portano alto il vessillo degli studenti fuori sede!
Qui sotto posto l'immagine con i prompt; per la prima one-shot, "Heartbeat", ci vediamo al prossimo capitolo! :D

Ps: lo so che l'immagine dice "November" e che potrei effettivamente aspettare dieci giorni prima di iniziare a postare. Ma se facessi le cose per bene non sarei me stessa, quindi parto con dieci giorni di anticipo con la consapevolezza che intanto per terminare entro il 30 di Novembre dovrò fare i salti mortali. xD



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Capitolo 2
*** 1.Heartbeat ***





Heartbeat
- 2° ANNO -
 
 



 
In fondo ai piedi.
Dev’essere più o meno lì che gli è finito il cuore, perché di certo non lo sente più nel petto dove dovrebbe essere.
Dovrebbe percepirne il battito, ma c’è solo un fastidioso fischio alle orecchie a ricordargli che è ancora vivo in quel dannatissimo mondo.
Ben lo guarda stranito, seduto sullo sgabello al loro tavolino in caffetteria, fra le mani una pila di fascicoli di cui ignora completamente natura e utilità.
- Shackles, hai compilato il modulo per lo studentato? – ripete, questa volta seriamente preoccupato, il sopracciglio scuro inarcato in una curva elegante che lo terrorizza.
Dopo un anno di convivenza ha imparato a decifrare ogni più insignificante guizzo dei muscoli di Ben e sa bene che questo sguardo significa una cosa sola.
- C’erano… c’erano dei moduli? – balbetta, troppo angosciato per sedersi di fronte a lui. Non lascia nemmeno cadere la borsa a terra come fa di solito, anzi, la tiene ben stretta per la tracolla mentre il suo incubo si srotola davanti a lui come una vecchia pergamena maledetta.
L’amico sgrana gli occhi e spalanca la bocca, mentre lui rimane nella stessa identica posizione, con la stessa identica espressione, in attesa che la morte lo colga e lo sottragga all’infamia.
Ma la morte non giunge, e l’amico spezza il silenzio con aria forse più sconvolta della sua.
- Non ci credo! Ti sei fumato i moduli! Seriamente, Shackles?! La scadenza era la settimana scorsa! – sbotta, schiaffandosi una mano sul volto.
Il ragazzo finalmente trova la forza di sedersi e recupera il cellulare con mani tremanti, filando dritto alla casella di posta.
- Non è possibile! Credevo che l’alloggio fosse nostro di default! E’ assurdo! Potevano almeno mandare una mail! – ma la voce gli muore in gola quando, in data 18 Luglio, la mail dell’Università cita nell’oggetto “RINNOVO AFFITTO STUDENTATO”.
Davanti a lui Ben ha messo su un’aria di rimprovero degna di suo padre.
Shackleton Cook esala un sospiro di pura disperazione e si sdraia sul tavolo, allontanando il cellulare dal volto con un gesto deciso e vagamente melodrammatico.
L’anno accademico è alle porte e non può permettersi di fare il pendolare, contemporaneamente non ha i soldi per sobbarcarsi le spese di un affitto completamente per conto suo.
Ancora con il capo affondato fra le braccia conserte, alza appena lo sguardo sul suo migliore amico, la zazzera bruna tutta in disordine e la sigaretta spenta fra le labbra. Gli ha sempre fatto ridere che uno studente di Medicina fumasse, è una di quelle piccole cose che gli hanno fatto stare simpatico Ben a prima vista.
“I sigari sono mille volte meglio, ma costano una fucilata.” gli aveva spiegato con aria consapevole e Shackleton si era ripromesso di regalargli una scatola di sigari di lusso, un giorno. Ovviamente le sue tasche erano sempre state troppo vuote per prodigarsi in una simile cortesia.
- Non c’è speranza che mi ripeschino, vero? – domanda in un verso simile a un mugolio.
Ben tende le labbra in una linea retta e scuote il capo.
- Hai tutti i primini, gli Erasmus e i ripescati dalla graduatoria dell’anno scorso davanti. Mi dispiace, socio, ma a sto giro rimani a piedi. – commenta con una scrollata di spalle.
Gli concede una pacca sulla spalla e migra pigramente verso il bancone, ritornandone senza fretta pochi minuti dopo con due caffè doppi.
Shackles non ha ancora cambiato posizione, e a un occhio poco esperto potrebbe sembrare un cadavere abbandonato a un tavolino della caffetteria, ma l’odore della bevanda ha il potere di richiamarlo dall’oltretomba.
- Ho una settimana esatta prima che incomincino i corsi. Non troverò mai una casa in sette giorni. – si lamenta affondando la disperazione nel caffè.
Ben assottiglia gli occhi scuri e si porta la destra al mento, le labbra che si tendono nuovamente, questa volta in un ghigno.
- Aspetta. Forse si può ancora rimediare qualcosa… - sussurra, instillando la speranza nel cuore dell’amico.
Quello a cui Shackleton non pensa, troppo concentrato sullo spettro incombente della vita da senzatetto, è che quando Ben ghigna in quel modo non c’è mai da aspettarsi nulla di buono.
 




 
Gwendolynn Wilson è una ragazza mattiniera, lo è sempre stata e certo la presenza di un intruso in casa sua non cambierà le sue abitudini.
Ogni giorno si alza alle sette e fa una doccia veloce, poi mette su il bollitore e rompe un uovo in padella, canticchiando allegra la canzone che hanno passato alla radio la sera prima e che non ne ha voluto sapere di abbandonare la sua testa.
Se fosse un personaggio di fantasia sarebbe di certo una principessa Disney, ma Shackleton è altrettanto sicuro del fatto che se il divano su cui dorme non l’avesse pagato lei di tasca sua, il caffè con cui lo sveglia ogni mattina glielo verserebbe direttamente in faccia.
- In piedi, Shackles! – esclama, sventolandogli la tazzina sotto il naso come fossero sali per far rinvenire una pudica donzella.
Che lui corrisponda o meno alla descrizione poco importa, il caffè gli fa aprire prima un occhio e poi l’altro, ed è con un grugnito davvero poco grazioso che si mette a sedere sul divano della sua migliore amica con i lunghi capelli neri sparati in tutte le direzioni.
- Giorno, Lynn… - biascica senza entusiasmo sollevando lo schermo del portatile  per poi rivolgergli una smorfia schifata quando la schermata si illumina e gli presenta le ventiquattro schede di CercoCasa.uk e Coinquilini.com che ha lasciato aperte la sera prima.
Lynn si appropria del plaid in cui era avvolto e lo sbatte con vigore fuori dalla finestra, per poi piegarlo e appoggiarlo sullo schienale del divano.
- Novità? – domanda, tornando alla padella giusto in tempo per evitare che le uova sbattute si carbonizzino.
Shackleton rabbrividisce, in mutande nonostante ormai Ottobre sia alle porte e sul divano faccia un freddo cane.
Un’occhiata veloce al computer, un sorso al caffè, e anche lui raggiunge il tavolo a penisola, sedendosi con qualche difficoltà sullo sgabello alto.
- Niente di niente. Non capisco perché nessuno risponda! Volete affittarle le vostre stramaledette case sì o no? – sbotta, interrotto a metà da uno sbadiglio e accompagnato da uno sguardo compassionevole della padrona di casa.
Lynn è più giovane di lui di un anno ed è una matricola a Giornalismo e Editoria. Si conoscono letteralmente da tutta la vita, e il fatto che sia l’unica ragazza al mondo con cui Shackles non abbia mai nemmeno tentato di flirtare la dice lunga sul loro rapporto. Più che una donna, Lynn è sua sorella, e più che sua sorella è il suo Angelo Custode.
Ormai vive sul suo divano da un mese e di certo si stabilirebbe lì se ogni notte non fosse costretto a rannicchiarsi per evitare che le gambe gli sporgano dal divano di mezzo polpaccio.
- Scusa, ma non avevi un posto in studentato? – le aveva chiesto quando quel fatidico pomeriggio si era presentato alla sua porta come un naufrago.
Lynn aveva annuito.
- Lo subaffitto a una ragazza di Cheltenham. Così risparmio sull’affitto qui. – era stata la sua impietosa risposta.
Non aveva mai davvero capito perché Lynn avesse deciso di affittare un appartamento tutto per sé nonostante avesse a disposizione una stanza in studentato. Ma d’altronde non capiva nemmeno come mai si fosse iscritta di nascosto a Giornalismo nonostante i suoi la credessero a frequentare i corsi di Diritto assieme a lui.
- Non ti preoccupare, Shackles, fintanto che non troverai una sistemazione vera non ti caccerò di casa. – lo tranquillizza Lynn con un sorriso materno.
Shackleton si stringe nelle spalle e sospira.
- Ti ringrazio, Lynn, ma vorrei davvero una camera da letto come si deve a questo punto. Mi spieghi come faccio a rimorchiare finché dormo sul tuo divano?! –
L’amica risponde a quello sfogo con un’espressione seccata e per un istante di terrore gli sembra che al suo posto ci sia Ben.
- E quel tizio di Medicina? – si informa poi, ficcando il suo piatto nel lavandino e terminando la sua tazza di tè con un sorso.
Shackles, ancora mezzo addormentato, si incanta a fissare gli inquietanti coniglietti azzurri stampati sulla maglietta del suo pigiama e si chiede come possa essere legale che una giovane donna bella come Gwendolynn si abbruttisca con quegli orrori in cotone felpato da tristissima ragazza della porta accanto.
- Almeno io non tengo i calzini quando sono in mutande. – commenta lei, sapendo benissimo cosa gli passa per la testa.
Shackles lancia un’occhiata ai suoi piedi e avvampa, colto tragicamente in fallo.
- Dettagli. Comunque non se n’è più saputo nulla. Il mio vecchio coinquilino mi ha detto che ci sta lavorando, ma a quanto pare sto tipo è terribilmente pignolo per quanto riguarda la scelta dei coinquilini. Sembra che ne abbia già rifiutati quattro. – sospira, consapevole di non avere alcuna speranza con un tipo così.
Lynn alza le sopracciglia e butta l’aria fuori dalle guance in uno sbuffo lungo e modulato.
- Che palle la gente così. Se hai ansia a portarti in casa sconosciuti lascia perdere in principio, no? –
Ma un rumore improvviso li riduce entrambi al silenzio. Sul tavolino, accanto al pc di Shackles, il suo cellulare ha vibrato per notificargli un messaggio.
- E’ di Ben! – esclama il ragazzo, lanciatosi a pesce sul divano in meno di un secondo.
“Ti ho rimediato un appuntamento alle cinque e mezza. Vedi di arrivare puntuale o Alistair non ti apre nemmeno la porta. E per cortesia…”
- Comportati bene! – conclude Lynn anticipando il testo dell’sms.
Per la seconda volta in quella mattina un brivido percorre la schiena di Shackleton: che Lynn e Ben non si siano ancora conosciuti è quasi sacrilego, dovrà rimediare al più presto.
Ma adesso, il sorriso che gli attraversa il volto da guancia a guancia, non ha tempo per pensare a loro.
Forse stavolta è la volta buona!
 




 
Le lezioni sono finite alle quattro.
Si è fiondato da Lynn alla velocità della luce, si è cambiato ed è di nuovo schizzato fuori, ben deciso ad arrivare in orario all’appuntamento.
Ha messo la sua camicia buona e anche la giacca del completo, giusto per sembrare più professionale e certo non perché è scaramantico come pochi altri al mondo. Dopotutto ogni cosa fila sempre liscia quando indossa quella giacca, perché oggi dovrebbe essere diverso?
Ma quando raggiunge l’indirizzo datogli da Ben, la camicia bianca intrisa di sudore e venti minuti di ritardo per un problema con il bus, inizia a pensare che la giacca lo abbia tradito.
La giornata si è incupita, un vento fastidioso ha accumulato nuvole grigie che schermano il tramonto, e nonostante non siano ancora le sei il buio ha già iniziato ad appropriarsi degli angoli sotto le panchine.
Il marciapiede è interamente coperto dalle foglie gialle cadute dagli alberi del viale, e prima di suonare al campanello Shackleton si schiarisce la voce, ben deciso a seguire il consiglio dei suoi due migliori amici ed evitare ogni comportamento stupido.
- Hey, salve! Scusa per il ritardo, ma sai, le star si fanno sempre attendere! –
Alistair Faraday se lo ritrova appoggiato  con l’avambraccio allo stipite della porta, sul volto uno stucchevole sorriso più degno di una caricatura di un giocatore di football americano che di uno studente di Diritto senza un soldo in canna.
Basta l’impercettibile alzarsi del sopracciglio del padrone di casa affinché Shackles decida che brucerà la giacca e se stesso con lei.
- Cook, presumo. – si limita a rispondere, piatto e per nulla impressionato.
Il ragazzo annuisce, in cuor suo desideroso di svanire dalla faccia della terra. Non avrà mai quell’appartamento, morirà di fame e di stenti in mezzo alla strada e i passanti deporranno corone di fiori e moccoli di candela ai suoi piedi come se fosse l’amato procione di quartiere investito dal camion della spazzatura.
 - Faraday. – si presenta, scrutandolo da dietro la sottile montatura rettangolare e stringendogli la mano saldamente ma senza entusiasmo.
Dopo di ciò gli fa segno di seguirlo all’interno e inizia ad elencare ciò che potrebbe essere interessante riguardo all’appartamento.
La somiglianza fra l’uomo e la sua abitazione è quasi impressionante, si trova a pensare Shackles mentre Faraday lo conduce attraverso il corridoio fino al salotto, dove due divani, un tavolino e una televisione sono letteralmente assediati dalle librerie stracolme di volumi.
L’ambiente non è particolarmente luminoso, ma è nettamente meno claustrofobico del previsto. Tutto sommato, guardandolo con più attenzione, sembra perfino più grande di quanto non sia.
Proprio come il salotto, Alistair Faraday non può essere considerato bello, ma nemmeno brutto. L’aggettivo che Shackleton userebbe per descriverlo è piuttosto “antiquato”. Indossa un brutto maglione scolorito dall’uso e dei jeans sicuramente comprati sul mercato almeno una decade prima. Forse appartenevano un tempo a qualche cugino. I capelli sono di un colore indecifrabile e quasi si sente preso in giro quando, ormai convinto che siano castani, Faraday cambia stanza e alla luce diretta delle finestre la sua chioma diventa biondo scuro.
Vi è del rosso, di questo è certo, ma forse dovrebbe piantarla di girargli attorno come un avvoltoio alla ricerca del pantone definitivo e prestare attenzione a quello che gli sta dicendo.
- Il Wi-Fi è compreso nel prezzo, ovviamente. I lavori di casa saranno divisi per turni. –
Shackles annuisce, consapevole che fra dieci minuti avrà già dimenticato tutto.
- Abbiamo solo un bagno, quindi anche quello va usato con criterio, e siccome le nostre camere sono adiacenti ti chiedo la cortesia di limitare il rumore: vado a letto abbastanza presto e gradirei non dover ricorrere al cloroformio per avere tranquillità. –
Shackleton ride alla battuta, ma quando Faraday non si unisce all’ilarità il terrore che fosse serio lo fa sbiancare di colpo.
- Ah… Già… Medicina… - commenta cercando di salvarsi in corner con un ghignetto così debole da sembrare una smorfia di terrore.
Faraday scuote la testa e si incammina verso il corridoio sul quale si affacciano il bagno e le camere.
- Ho mollato la facoltà. Sono a Fisica, adesso. – rettifica mentre gira la maniglia e spingendo piano la porta presenta la stanza non abitata.
E’ molto semplice, ci sono un letto, una scrivania e un armadio, ma può bastare. Dopotutto è di certo meglio del divano di Lynn.
La visita guidata si può considerare conclusa, e Faraday passa all’attacco in un terzo grado che lo coglie in contropiede e gli fa ammettere quanto in effetti sia l’ultima scelta che potrebbe desiderare come coinquilino: chiassoso, disorganizzato e perennemente in cerca di avventure, è quanto di più distante da Faraday possa esistere.
Per non parlare del gusto nell’abbigliamento e nell’estetica generale.
Il padrone di casa incrocia le braccia al petto e sospira, in piedi nell’ingresso con Shackleton già pronto a dileguarsi e a non farsi vedere mai più.
- Beh, Cook, che dire… Senza rancore, sei tutto ciò che non cercavo nel mio annuncio. – confessa con un sospiro.
Quella frase è come la scure del boia: non inaspettata, nemmeno troppo dolorosa, ma comunque pesante e definitiva.
Occasione sfumata, Lynn dovrà sorbirselo ancora per un po’ a girare in mutande e calzini per casa.
- Eh già. Come l’acqua e l’olio, eh? – balbetta, sperando che la sua ironia completamente fuori luogo mascheri la sua disperazione.
E’ a quel punto che succede.
Faraday posa lo sguardo su di lui e per la prima volta da quando ha messo piede nell’appartamento Shackleton ne incrocia la traiettoria, e ancora prima che il ragazzo gli rivolga nuovamente la parola sente il cuore schizzargli fino alle tempie.
Un battito, un altro, centomila ammassati contro le pareti della sua coscienza, pronti a sfuggire alla sua sorveglianza e tradirlo senza ripensamenti.
Sente caldo, un caldo improvviso che gli infiamma le guance e gli fa mancare la terra da sotto i piedi, come se fino a quel momento fosse stato su un tappeto rubatogli con uno strattone improvviso.
- Tuttavia sei amico di Ben, quindi non puoi essere così male. E io ho bisogno di un coinquilino entro la fine del mese, perciò… pensi di riuscire a traslocare in settimana o preferisci il week-end? –
Shackleton lo fissa in silenzio, il battito cardiaco imbizzarrito e le palpebre che sbattono un paio di volte come quelle di un gufo.
- Mi prendi? – domanda in un soffio.
Faraday si stringe nelle spalle e fa il vago, le iridi verde acqua a roteare, forse già pentite della sua scelta.
Annuisce e basta, non ha il tempo di emettere un suono: Shackles gli piomba addosso stritolandolo in un abbraccio spaccaossa dal quale il ragazzo esce imbarazzato e un poco infastidito. Non deve apprezzare eccessivamente il contatto fisico, ma questo Shackleton non lo nota, troppo impegnato a urlargli contro i suoi ringraziamenti e a inchinarsi come un samurai.
Si accordano per il giorno successivo, e il mazzo di chiavi gli piomba fra le mani come un tesoro. Quando esce in strada, il suo primo pensiero va a Gwendolynn.
- LYNN HO TROVATO UNA CASA! – grida nel telefono appena la sventurata risponde alla chiamata, in fondo alla coscienza una vocina che gli dice che dovrebbe offrire una birra a Ben per ringraziarlo del disturbo.
Dall’altro lato della linea sente la ragazza ridere e sospirare.
- Alleluja! Deduco che finalmente potrò liberarmi dei tuoi scatoloni? – domanda, la risata ancora a vibrarle nella voce.
Shackles inchioda al semaforo, così felice e leggero che potrebbe letteralmente prendere il volo.
- Lo sapevo che la giacca portava fortuna! Lo sapevo! – esclama sena degnare l’amica di una risposta, il vento sempre più forte che gli sferza la coda bassa sulla schiena.
Un rombo, solo uno, il tempo di un battito, e il diluvio si riversa su di lui senza pietà, inzuppandolo come un pulcino.
- Più o meno. – biascica, rifilando un’occhiata di rimprovero al cielo sopra di lui.
Dall’altro lato della strada, protetto dal doppiovetro della finestra, Alistair Faraday lo guarda correre verso la fermata del bus, le chiavi di casa ancora strette in pugno e il telefono completamente zuppo che continua a scivolargli dalla mano.
E’ più che sicuro che inaugureranno la convivenza con una bronchite.

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Capitolo 3
*** 2.Wind ***


Wind
- 2° ANNO -
 
 



I pomeriggi si erano fatti più corti, schiacciati dalle nuvole grigie e appesantiti dall’umidità in arrivo dalla costa. Il tempo fino ad allora sembrava aver retto, ma era solo questione di giorni prima che la città venisse fagocitata dal diluvio autunnale.
La lezione di Istologia era saltata, e Ben si era ritrovato con due ore buche da riempire in qualche modo prima di tornare a casa. In effetti avrebbe semplicemente potuto trascinarsi verso il suo monolocale allo studentato e schiacciare un pisolino prima di incontrarsi con Shackles, ma qualcosa aveva deviato i suoi passi verso il parco e si era ritrovato a percorrere il lungo viale alberato calciando con noncuranza le foglie secche.
Di tanto in tanto incrociava qualcuno che portava a spasso il cane o qualche nonnina con le borse della spesa, ma fatta eccezione per quei pochi temerari nessun altro aveva osato avventurarsi al parco.
Quella mattina aveva fatto colazione con Alistair alla caffetteria dell’Università, e già a quell’ora del mattino il vento fuori dalle grandi vetrate del locale fischiava furioso.
Il suo vecchio compagno di corsi era arrivato all’appuntamento con qualche minuto di ritardo, una vera novità, ma le occhiaie spaventose sul suo volto avevano chiarito immediatamente lo stato delle cose.
- Tutto bene? – gli aveva chiesto, conoscendo già la risposta.
Il ragazzo si era tolto gli occhiali e si era sfregato gli occhi con entrambe le mani, incapace di trattenere un mugolio disperato.
- Scusa per il ritardo, Cook ha detto che si sarebbe fatto una doccia e gli ho ceduto il bagno. – aveva spiegato mentre recuperava dal tascone della giacca la tessera della caffetteria.
Ben aveva inarcato un sopracciglio e gli aveva offerto un sorriso sbieco.
- Sempre usare il bagno prima di Shackles. Regola numero uno della buona convivenza! – aveva citato in maniera saccente alzando l’indice e ridacchiando sotto i baffi del desiderio di uccidere negli occhi chiari dell’amico.
- Tre quarti d’ora, Ben. Tre quarti d’ora! Pensavo ci fosse annegato in quella stramaledetta doccia! – aveva sibilato, giusto perché se si fosse lasciato andare e avesse urlato tutto il suo disappunto alle otto del mattino gli altri studenti in caffetteria lo avrebbero linciato senza nemmeno passare dal via.
- E la ragazza! – aveva aggiunto, oltraggiato.
- Oh, la ragazza… - gli aveva dato corda Ben annuendo compunto, mentre in cuor suo stava morendo dal ridere.
- Se l’è portata in casa senza nemmeno avvisare, ti rendi conto?! Io ero lì sul divano a leggermi l’ultimo numero di National Geographic e sbam! La porta si spalanca ed entrano quei due avvinghiati come polpi! – aveva sbottato, questa volta senza curarsi di mantenere basso il tono di voce.
- Tutta la notte sono andati avanti! Ho dovuto mettermi le cuffie! –
Ben non ce l’aveva più fatta ed era scoppiato a ridere davanti all’espressione oltraggiata di Alistair.
- Caro mio, ma è così semplice! L’anno scorso, la prima volta che ho trovato un calzino sulla maniglia, ho aspettato il momento più propizio, mi sono intrufolato in camera, e ho rubato tutti i vestiti di Shackles eccetto l’accappatoio. E li ho nascosti. Per due giorni. –
Missione compiuta, l’amico era scoppiato a ridere assieme a lui, il nervoso sbollito alla luce di quel racconto.
Ancora ridendo era andato a recuperare il suo cappuccino e il caffè di Ben, per poi sedersi nuovamente al tavolo e passarsi una mano fra i capelli.
- Spero di non dover ricorrere a misure così drastiche… - aveva commentato, e per un momento Ben aveva avuto l’impressione che l’avesse creduta solamente una battuta.
Aveva scrollato le spalle, consapevole che non avrebbe certo avuto bisogno di provare la veridicità di quella vicenda quando la vita stessa si sarebbe prodigata affinchè Alistair si rendesse conto da solo della situazione.
- Shackles potrà non sembrare il migliore dei coinquilini, e in effetti non sono certo nemmeno io che lo sia, ma è un bravo ragazzo e gli affiderei la mia vita se fosse necessario. –
- Hai una bassissima opinione della tua vita, Ben. – aveva replicato Alistair con aria cupa.
- Vedrai, è solo questione di conoscerlo meglio. E’ una di quelle persone a cui non si può non volere bene. – lo aveva rassicurato con una pacca sulla spalla e un sorso al caffè, Alistair che roteava gli occhi.
In realtà, se fosse stata una persona caritatevole, sarebbe andato lui a vivere con il suo vecchio compagno di corsi e avrebbe ceduto a Shackleton il suo posto in studentato, ma si dava il caso che Ben non fosse una persona caritatevole. “Sono un medico, non un buon samaritano” era stata la sua presa di posizione quando l’ipotesi del sacrificio aveva fatto capolino alla sua coscienza. Era bastato quello per mettere a tacere il rimorso, e poi aveva come la sensazione che con un po’ di abitudine sulle spalle Alistair e Shackles si sarebbero scoperti ottimi coinquilini. Dopotutto entrambi avevano bisogno di prospettive diverse nelle loro vite.
- In ogni caso per stasera puoi stare tranquillo, andiamo a bere qualcosa insieme dopo cena, vuole presentarmi una sua amica. Starò attento che non torni a casa con sorprese. – lo aveva rasserenato con un ghigno.
- Una sua “amica”… - Alistair aveva mimato le virgolette con le dita, come se la sua espressione scettica non fosse stata già sufficientemente eloquente.
Apparentemente in quella settimana scarsa aveva inquadrato Shackleton alla perfezione.
Ma stranamente quello non era il caso, e Ben si era ritrovato a scuotere la testa e a buttare il peso all’indietro, lo schienale della seggiola a sorreggerlo e le mani incrociate dietro la nuca.
- No, non questa volta! Pare che la tipa sia una sua amica d’infanzia. Come una sorella o robe del genere, off-limits, insomma. –
L’amico l’aveva guardato a lungo, una sottile ruga fra le sopracciglia ad indicare che non credeva davvero che potesse esistere qualcosa di off-limits per Cook.
Si erano salutati così, Ben che era andato a sonnecchiare sulle prime due ore di Chimica 2 e Alistair che si era chiuso in biblioteca per lavorare a chissà quale tesina con due mesi di anticipo sulla consegna, mentre fuori il vento continuava a fischiare.
Ben infilò le mani in tasca e alzò lo sguardo sul cielo plumbeo mentre attorno a lui le foglie secche si alzavano in mulinelli colorati di rosso e di giallo.
Anche se Shackleton gli aveva promesso di offrirgli la birra non aveva tutta quella voglia di uscire con lui, quella sera. Dopotutto nulla gli assicurava che Alistair non avesse ragione: il suo migliore amico aveva trascorso l’ultimo mese in casa di quella fantomatica Lynn di cui non faceva che parlare da quando si era iscritto in facoltà, probabilmente, amica d’infanzia o meno, avrebbero finito per limonare dando la colpa all’alcool e lui sarebbe stato il solito reggimoccolo.
Fu con quel pensiero poco piacevole che le prime gocce di pioggia presero a precipitargli sulla fronte, seguite da altre sempre più violente al punto che in pochi secondi il maglione era già completamente bagnato.
- Fantastico. – commentò a mezza voce, correndo lungo il sentiero fino al gazebo neoclassico che si specchiava sul lago. Avrebbe atteso lì qualche minuto e se il temporale non avesse accennato a diminuire avrebbe telefonato a Shackles e si sarebbe fatto venire a prendere con un ombrello. Dopotutto era in debito con lui di tremila cose, glielo doveva.
Fu a quel punto, entrando finalmente nel cono d’ombra del gazebo e alzando lo sguardo, che la vide.
Non si era accorto della sua presenza, troppo impegnato a imprecare mentalmente contro la pioggia, ma nemmeno lei sembrava averlo notato, appoggiata alla balaustra con gli avambracci e tutta intenta a scrutare qualcosa di cui non colse la natura.
Era senza dubbio la creatura più bella che Ben avesse mai visto, elegante come un giunco, i fini capelli neri sciolti sulle spalle e l’aria assorta. Nonostante venisse spesso al parco non l’aveva mai incontrata prima e quando finalmente la ragazza si accorse della sua presenza, gli occhi neri spalancati e le guance rosse d’imbarazzo, non riuscì a dire nulla, completamente spiazzato.
- Ehm… buongiorno. – balbettò solamente, spostando il peso da un piede all’altro come un perfetto imbecille.
- Non volevo spaventarti, mi… mi dispiace. – continuò, gli occhi della sconosciuta ancora fissi su di lui.
Si vergognò del suo aspetto, della barba di due giorni, della camicia a quadri che gli usciva dai jeans e delle scarpe vecchie e logore. Lei sembrava appena uscita da un film, gli abiti abbinati e il trucco impercettibile ma curato, e lui aveva l’aria di un barbone fuggito dalla mensa dei poveri.
Forse incolpare sempre Shackles della sua scarsa fortuna con le donne non era completamente onesto, si ritrovò a pensare.
- Tranquillo! Ero sovrappensiero! –
La ragazza gli sorrise, la voce dolce eppure percorsa da un fremito di lieve eccitazione.
- E’ la prima volta che vengo in questo parco, è molto bello. – aggiunse, quasi si fosse sentita in dovere di intrattenere un minimo di conversazione di cortesia.
Ben annuì e mosse qualche passo avanti, affiancandola alla balaustra.
- Già. E’ per questo che non ti ho mai vista! – ma come ebbe terminato la frase se ne pentì. Ci mancava solo che sembrasse uno stalker…
La sconosciuta non parve farvi caso e tornò a guardare il cielo, come se la sua presenza non la disturbasse affatto.
Rimase in silenzio qualche istante, poi parlò ancora.
- Sono nuova in città. Non credevo bastasse così poco per sfuggire al caos della metropoli… - fece con un gesto della mano ad indicare il lago davanti a loro, la superficie increspata dal vento di tanto in tanto schiaffeggiata dai rami più bassi dei salici.
Ben sorrise, vagamente malinconico.
- E’ quello che mi ha colpito di qui quando sono arrivato. La vita universitaria è divertente, ma ogni tanto il silenzio manca… - commentò.
- E’ per questo che sei venuta qui da sola? – chiese poi. La ragazza inclinò appena la testa di lato e scoppiò a ridere.
- Questo sì che è un modo bizzarro di provarci! – esclamò.
Il giovane avvampò e incrociò le braccia al petto, distogliendo in fretta lo sguardo e grugnendo qualcosa di incomprensibile.
Che idiota, ma perché non riusciva ad essere padrone delle parole che lasciavano la sua bocca? Che fine aveva fatto il solito Ben dalla risposta pronta e dal cinismo proverbiale?
- Ammetterai che è altrettanto bizzarro trovare una bella ragazza completamente sola in un posto come questo. Di solito il gazebo è roba da coppiette. – riuscì finalmente a replicare, un po’ più se stesso di quanto non fosse stato negli ultimi minuti.
Fu il turno della ragazza di arrossire e di abbassare lo sguardo.
- Non c’è nulla di male a stare bene per conto proprio. – borbottò, e a Ben parve quasi che stesse cercando di giustificarsi.
Era un’ombra strana quella che si era acquattata in fondo ai suoi occhi, e per un attimo ebbe l’impulso di posarle una mano sulla spalla e dirle che non c’era nulla di male e lui stava solo scherzando.
Dopotutto era il primo a recarsi continuamente lì in cerca di solitudine. A lungo andare aveva imparato a farsela bastare.
- No, affatto. L’amor proprio è sottovalutato di questi tempi… - commentò invece, il pensiero immancabilmente rivolto a Shackleton.
La ragazza rise di nuovo, e in quella risata gli sembrò che si conoscessero da sempre.
- C’è chi avrebbe proprio bisogno di sentire queste parole! – rise ancora, nello sguardo un affetto che però mise Ben a disagio.
- Beh, insomma, siamo due eremiti, quindi! – continuò senza notarlo.
- Che ci vuoi fare, la società fa schifo! Il gazebo è decisamente meglio, anche se c’è il rischio di finire come un personaggio di Dostoevskij! –
Questa volta non rise alla sua battuta. Gli dedicò invece uno sguardo intenso e indagatore, come se quella sortita l’avesse di colpo risvegliata da uno stato di torpore, come se le avesse svelato una verità a cui non aveva prestato attenzione.
- Hai letto Dostoevskij? – domandò quasi in un soffio.
Ben si finse offeso da tanto stupore.
- Un uomo che sa leggere! Sacrilegio! – fece, alzando le braccia al cielo fintamente sconvolto.
La ragazza sbuffò cercando di frenare un sorriso e diede le spalle alla balaustra, i capelli imperlati dalla pioggia ora che il vento aveva cambiato direzione.
- Insolito ma affascinante. – gli concesse, criptica.
Poi recuperò l’ombrello dalla borsa e si mosse verso il diluvio.
- Temo che l’elogio al nichilismo debba attendere, mi aspettano altrove e devo rendermi presentabile. – spiegò con un piccolo inchino.
Ben non riuscì a capire se lo stesse facendo per simpatia o per burlarsi di lui.
- E assecondare le convenzioni? Mi deludete, signorina. Mi aspetterei da voi almeno un atto di rivolta! – decise di reggerle il gioco.
La sconosciuta assottigliò gli occhi, le lunghe ciglia ad adombrarle le guance e un ghigno quasi di sfida sulle labbra rosse.
Aprì l’ombrello e abbandonò il gazebo, facendogli cenno di seguirla.
- Ma certo! Rovescerò ogni aspettativa e sarò io a scortare voi all’asciutto! –
Lo studente scosse la testa e si passò una mano fra i capelli scuri e ancora gocciolanti.
Fecero la strada a ritroso stretti sotto l’ombrello azzurro della giovane, attenti a evitare le pozzanghere e accerchiando i cumuli di foglie portate dal vento.
Quando uscirono dal parco, proprio davanti alla fermata dell’autobus, la ragazza drizzò la schiena e si fece seria di colpo.
- Il mio bus, devo andare! –
Non aggiunse altro, non lo salutò nemmeno e si premurò solamente di correre verso il mezzo, balzando a bordo giusto in tempo.
Ben la guardò andare via, l’ombrello stretto in mano e il vento che, spirando in tutte le direzioni, lo stava di nuovo infradiciando dalla testa a piedi.
Un incontro surreale, decisamente surreale.
Fu solo quando l’autobus sparì svoltando oltre l’isolato e una folata più aggressiva delle altre rovesciò l’ombrello piegandone le stecche che Ben si accorse del vero disastro.
Non le aveva nemmeno chiesto il nome.
 




 
La pioggia non aveva cessato un istante di rovesciarsi sulla città, rendendo le strade dei fiumi in piena e i tombini delle paludi gorgoglianti.
Alla fine l’autunno aveva colpito in pieno l’Inghilterra, facendo abbandonare definitivamente ai suoi abitanti ogni speranza di luce e calore per i mesi successivi.
Lynn era arrivata a casa completamente zuppa, i calzini da strizzare e i capelli grondanti appiccicati alla faccia. Come aveva potuto dimenticarsi l’ombrello?!
Si era liberata dei vestiti alla velocità della luce e li aveva scaraventati nella cesta dei panni sporchi, per poi ficcarsi sotto il getto rovente della doccia.
In circostanze differenti quella giornata fredda e buia l’avrebbe messa di cattivo umore, ma qualcosa quel giorno continuava a riportarle sulle labbra un sorriso distratto nonostante gli sforzi, e fu con lo stesso sorriso che accolse Shackles alla porta.
- Dimmi che hai un ombrello di scorta. – fu il saluto del ragazzo.
Lynn percorse la sua figura da capo a piedi, per poi sussultare appena quando notò il cadavere accartocciato che l’amico teneva nella destra. Tese le labbra e scosse la testa, facendogli segno di entrare e andando a recuperare il cellulare.
- Facciamo che chiamo un taxi, ok? – propose.
Shackles si sedette sul divano e buttò il capo all’indietro, stanco morto.
- Grazie a dio sei ricca! – esalò, melodrammatico come sempre.
In tutta risposta gli lanciò in faccia un asciugamano per i capelli e si lasciò cadere accanto a lui, il vestitino di lana arrotolato fin sopra le cosce e le gambe incrociate sul divano.
- Sono solo dieci Sterline, Shackles, sei tu che sei un pezzente. – commentò mentre l’altro nascondeva la faccia nell’asciugamano.
- Ci credo che sono un pezzente, spendo tutti i miei soldi in ombrelli! Questo è già il terzo che faccio fuori questa settimana per colpa di questo maledetto vento! – sbraitò.
Lynn alzò gli occhi al cielo, di nuovo quello strano sorriso a illuminarle il volto.
- Un bel vento di cambiamento… - sussurrò.
Non si era resa conto di averlo pronunciato ad alta voce, perché in tal caso sarebbe stata consapevole che Shackles non l’avrebbe più lasciata in pace.
- Allora è vero! – esclamò infatti.
- E’ successo qualcosa! Qualcosa che non mi hai ancora raccontato! Lo sapevo che quel sorrisetto significava gossip in arrivo! Spara! – continuò alla sua espressione interrogativa.
Lynn si alzò in piedi, come se quel gesto avesse potuto aiutarla a fuggire dalle grinfie dell’amico, le dita che sbloccavano e ribloccavano la tastiera del cellulare spasmodicamente.
- Non è successo nulla, Shackles. – fece, più vaga di quanto non avesse voluto mostrarsi. Fu sufficiente, il ragazzo si alzò a sua volta e la raggiunse al tavolo, poggiandovi i gomiti e rivolgendole un sorriso terrificante.
- Quindi si tratta di un ragazzo. – cinguettò, consapevole di averla messa con le spalle al muro. La conosceva troppo bene per non capire cosa stesse nascondendo.
- Può darsi. – ribatté lei.
Non ebbe risposta se non gli occhi azzurri del giovane piantati nei suoi.
- D’accordo, d’accordo! Oggi ho conosciuto un ragazzo e abbiamo scambiato qualche parola ed è stato un incontro interessante! Tutto qui! Niente scandali di sorta! – sbottò lei, alzando le braccia al cielo e sbuffando sonoramente.
Il cellulare annunciò con un bip che il taxi era arrivato, e la giovane ringraziò ogni pantheon per quel diversivo. Era vero, nonostante il buon umore che le aveva messo addosso, l’incontro di quel giorno non significava niente. Dopotutto non sapeva nemmeno se si sarebbero mai rivisti, che senso aveva fantasticare oltre?
Salirono in taxi in silenzio, Shackles che ogni tanto si faceva sfuggire un risolino e le mollava qualche gomitata e lei che in tutta risposta gli piantava due dita fra le costole e a sua volta rideva dei suoi sibili di dolore.
Quando il tassista li mollò davanti al pub aveva momentaneamente smesso di piovere, cosa di cui l’individuo in piedi davanti alla porta non doveva essersi accorto, dal momento in cui se ne stava ancora al riparo del suo ombrello azzurro dalle stecche tutte scivertate.
- Ben! Piantala di arrivare in anticipo, altrimenti sembro sempre in ritardo! – esclamò Shackleton, marciando sicuro verso lo sconosciuto e battendogli un’affettuosa pacca sulla spalla.
- Tu sei sempre in ritardo, Shackles! – fu il commento di Lynn, ma la sua voce non fu l’unica a pronunciare quelle parole.
Il ragazzo, che aveva chiuso l’ombrello distrutto, aveva parlato esattamente in coro con lei.
Ma non fu quello a far spalancare a entrambi la bocca di stupore, piantati in mezzo alla strada come due ebeti mentre l’amico comune faceva guizzare lo sguardo da una all’altro in cerca di delucidazioni.
- Dostoevskij? – balbettò lei.
- Oddio, non ci credo. – fu la sua replica, prima che entrambi scoppiassero a ridere.
Shackleton incrociò le braccia al petto, mettendo su lo stesso broncio di un bambino a cui viene sottratto il gioco preferito per castigo.
- Aspetta, aspetta! Volete dirmi che vi conoscete già? – biascicò, offeso.
Lynn e Ben si scambiarono uno sguardo imbarazzato, indecisi su come rispondere a quella domanda. Si conoscevano? No di certo, eppure sembrava l’esatto contrario.
- Vabbè, non importa, basta che mi facciate credere di essere stato io a presentarvi, okay? – continuò Shackles nel suo bizzarro infantilismo, portandosi in mezzo a loro e conducendoli verso l’intero del locale.
Il caos del pub li accolse con allegria, circondandoli di caldo e di musica e chiudendo fuori dalla porta il vento impetuoso.
Bastò uno sguardo, un sorriso sfuggevole e un inchino appena accennato e Lynn capì che Shackles non sarebbe mai dovuto venire a sapere dell’incontro di quel pomeriggio, quello sarebbe stato il loro piccolo segreto, una delle tante sciocche e affettuose vendette ai danni dell’amico comune.
Si conoscevano? No di certo, ma avevano tutto il tempo del mondo per rimediare.

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Capitolo 4
*** 3.Clarity ***


Clarity
- 3° ANNO -
 
 



- Lasciatelo dire, Alistair, se ti aspetti chiarezza da Shackleton Cook morirai di fame. –
Quando Gwendolynn Wilson è arrabbiata è meglio starle alla larga. Ogni segno di dolcezza sparisce dal suo volto, i movimenti si fanno bruschi e gli occhi neri diventano due pozze di desiderio di morte.
Altrui, ovviamente.
Alistair sembra essere l’unico dispensato dal genocidio, quel giorno, forse perché entrambi gradirebbero brandire una falce, o almeno una mazza chiodata.
Si dice che gli amici siano la famiglia che ti scegli, in questo caso le scelte di entrambi sono più che discutibili.
- Shackleton Cook, devi sapere, è l’individuo che al mio sedicesimo compleanno si è ubriacato talmente tanto da tentare di limonare con me davanti al tipo che mi piaceva. E sai com’è finita la festa? Io sul divano a tenere il ghiaccio secco sulla fronte di quell’imbecille nella speranza che non mi macchiasse i cuscini di sangue e la love story della mia vita distrutta assieme al suo naso. –
- Io l’avrei ucciso. – commenta Alistair, scuro in volto.
- Gliel’ho rotto io, il naso. – è la pronta e inaspettata rettifica.
Sarebbe quasi una scena divertente, se non fossero in coda alla segreteria studenti di Giornalismo e Editoria circondati da ragazze che probabilmente sono finite a letto con Shackles almeno una volta.
- Shackleton Cook è inoltre la persona che trasforma tutti coloro che entrano in contatto con lui in dei perfetti idioti capaci solo di flirtare compulsivamente e calpestare a pié pari i sentimenti degli altri! – continua, sempre più livida.
Alistair questa volta sorride, facendole segno di avanzare nella fila quando l’ennesimo studente entra in segreteria. Sono lì da quaranta minuti e ormai tutti i presenti sono consapevoli del fatto che Lynn si è svegliata con la luna di traverso.
- Sei sicura che l’invettiva sia tutta per Cook? –
Magicamente la ragazza si calma, le spalle abbassate come lo sguardo.
- Ovvio che no. Sai benissimo con chi ce l’ho. – mormora.
Il ragazzo le prende dalle mani i fogli controfirmati e li riordina attentamente, controllando che tutti gli spazi bianchi siano stati compilati.
- Era solo una stupida scommessa, lo sai. E poi sii onesta, Ben non ti deve nulla. – sa che non è quello che Lynn vuole sentirsi dire, ma al momento si trova fra due fuochi e  probabilmente la verità è l’unica cosa che si possa concedere per non schierarsi né da una parte né dall’altra.
Lei sbuffa, rotea gli occhi e si riappropria dei documenti. Non risponde subito, sta valutando le parole dell’amico e deve convenire che, come al solito, Alistair è il più saggio della baracca.
- Lo so. Lo so che è libero di farsela con chi vuole, ma mettiti nei miei panni! E quel deficiente di Shackles che lo sfida a duello davanti a me come se non sapesse! Diamine, li eviscererei entrambi! – qualche istante di pausa, poi sbuffa ancora.
- Spero che questi tre mesi mi facciano sbollire la rabbia. – fa con un cenno ai fogli della mobilità.
Ora come ora tutto ciò che desidera è filare a Brest per lo scambio internazionale e non pensare a Ben fino a data da destinarsi.
- Io spero di sopravvivere, in questi tre mesi. – borbotta Alistair, non del tutto rassegnato a farsi abbandonare dall’unica persona sana di mente del gruppo.
L’amica gli rivolge uno sguardo affettuoso e gli porta un braccio attorno al collo, poggiando la testa sulla sua spalla in un abbraccio bizzarro.
Fra i due, in effetti, quello messo peggio è lui.
- Sono sicura che ce la farai! E dopotutto sei tu il padrone di casa, se Shackles passa il segno hai tutto il diritto di sfrattarlo! – scherza, stringendolo un po’ di più nell’abbraccio per infondergli coraggio.
Alistair alza al cielo gli occhi chiari e poggia la testa sulla sua, portandole una mano su un fianco.
- Così poi verrebbe a stare abusivamente da te! Io gli ritirerei la copia delle chiavi, Lynn… - e ridono entrambi, il nervoso della mattina che pian piano va via mentre la coda avanza ed è quasi il loro turno.
Gwendolynn non dice più niente.
Per quanto Shackleton sappia essere inopportuno, imbarazzante, fastidioso e casinista, sa benissimo che Alistair non lo caccerà mai di casa. Lo sanno tutti, a dire il vero, eccetto i due diretti interessati.
Sospira, prima di lasciare il suo fianco e scivolare dietro la porta della segreteria studenti per consegnare gli ultimi moduli prima della partenza.
Fra i due, quello messo peggio è decisamente lui.
 

 


 
“Gwendolynn Wilson, sei una gran codarda.”
Shackleton se lo ripete per ore, in bagno davanti allo specchio con l’acqua che scorre nel lavandino.
Non le ha ancora del tutto perdonato l’essere fuggita Oltremanica mollandoli tutti e tre nel peggiore momento possibile, ma la verità è che lui, senza Lynn, è completamente perduto.
Ben è intrattabile da quando la ragazza è partita per la Francia e Faraday lo sta palesemente evitando, cosa che, vivendo nello stesso appartamento, sa essere davvero snervante.
Probabilmente ce l’ha ancora con lui per quella faccenda della scommessa, quando quella sera al pub aveva sfidato Ben a chi riusciva a rimorchiare per primo con il solo risultato di far tornare a casa Lynn in un groviglio di imprecazioni due ore prima del dovuto.
Faraday, gentiluomo come sempre, l’aveva accompagnata in taxi ed era stato ad aspettare Shackleton in cucina, la luce accesa e la caffettiera da due abbandonata sul fornello spento.
Inutile dire che anche la conquista di Shackles per quella sera era rientrata a casa sul sedile posteriore di un’auto non sua.
I toni si erano alzati immediatamente, perché Faraday non aveva alcun diritto di rispedire la giovane a casa, ma il coinquilino gli aveva subito imprecato contro. “Non me ne frega niente delle tue conquiste, ma se Lynn se ne deve tornare a casa in lacrime un’altra volta a causa tua ti giuro che ti spedisco dritto in mezzo alla strada!” era stata la risposta, accompagnata da un minaccioso passo in avanti. Ed erano volati insulti e anche qualche spintone e per un allucinante momento Shackles aveva avuto l’impressione che non stessero più parlando di Lynn. Ma tutto quello era assurdo, così com’era stata assurda la richiesta di maggiore “chiarezza” da parte sua.
Avevano finito per mandarsi a quel paese a vicenda e chiudersi ognuno in camera propria sbattendo la porta, e Shackleton, roso dal senso di colpa e da qualcos’altro che non riusciva a capire, non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
Con Lynn aveva chiarito il pomeriggio seguente, quando era andato a prenderla all’uscita dai corsi con un vasetto di nutella da tre chili e sei tonnellate di scuse, con Faraday, nonostante i suoi tentativi di sdrammatizzare, era stato silenzio stampa fino ad allora.
Si sciacqua ancora una volta la faccia, chiude il rubinetto ed esce dal bagno, filando a capo chino verso la porta con le scarpe in mano.
- Esci? –
La voce di Faraday arriva dalla cucina. Non ha nemmeno alzato gli occhi dal suo libro.
Shackles è ancora inginocchiato nel fallito tentativo di infilare le All-Star prima che il coinquilino si accorgesse di lui.
- Porto Ben a fare un giro. Non ho alcuna intenzione che passi l’intero week-end chiuso in casa a dormire e fumare come ha fatto per il resto della settimana. Lo sai come diventa, poi. –
Non aggiunge altro, prende le chiavi e sguscia fuori di casa alla velocità della luce. Nella fretta nemmeno si accorge che Alistair sta sorridendo.
Per convincere quel pigrone di Ben a uscire di casa gli ha dovuto offrire il pranzo e due pinte, e adesso il suo portafogli piange miseria. Ma l’amico sembra un po’ più di buon umore, e questo basta a fargli dimenticare la spesa.
Sono andati a fare una passeggiata al parco e onestamente fa un freddo cane; Ben però non patisce nemmeno le bastonate, quindi Shackles non può fare altro che seguirlo con le mani ficcate sotto le ascelle e appoggiarsi alla balaustra una volta che raggiungono il vecchio gazebo di marmo.
- Wow, Ben! Sotto il gazebo come le coppiette? Se me lo avessi detto mi sarei messo i vestiti carini! – commenta in falsetto sbattendo le ciglia, lo scappellotto dell’amico che colpisce con precisione chirurgica.
- Quanto sei cretino! Mi domando come faccia Alistair a non averti ancora cacciato di casa! – esclama ridacchiando. Non sa di come stanno andando le cose all’appartamento, Shackles ha preferito non dirglielo. In effetti l’unica ad esserne al corrente è Lynn, ma quando le ha scritto in cerca di consiglio si è limitata a visualizzare senza rispondere.
- Non mi caccia perché a differenza tua lui mi ama davvero! – continua a scherzare, ma il sorriso gli muore veloce sulle labbra, il capo chino a contemplare il lago plumbeo.
E’ arrossito nel pronunciare quelle parole, e sa che Ben se n’è accorto. Grazie al cielo ha la decenza di non aggiungere nulla e, proprio come lui, si appoggia alla balaustra, il cappellino di lana che gli schiaccia i capelli incolti sulla fronte.
Passano qualche minuto in silenzio, a guardare i pesci grassi nuotare avanti e indietro e ogni tanto venire a galla in cerca di briciole.
- Sai, l’ho conosciuta qui, Lynn. – incomincia all’improvviso Ben, senza essere stato interpellato.
- L’anno scorso, in questo periodo. Diluviava. –
Shackleton annuisce e basta. E’ un po’ in imbarazzo, perché quella è la prima volta in un anno che affrontano direttamente il discorso e il fatto che si tratti proprio di Lynn rende tutto ancora più strano.
- Sei stato un po’ un coglione a non venire a salutarla all’aeroporto. – ammette senza mezzi termini per poi stringersi nelle spalle.
Se Ben gli tirerà un cazzotto ne avrà tutte le ragioni.
Ma Ben lo sorprende, accendendosi una sigaretta, l’ennesima, e tirando piano.
- Lo so. E’ che non avrei saputo cosa dirle. –
Shackles inarca un sopracciglio e si volta interamente verso di lui.
- No, Shackles, seriamente! Cos’avrei dovuto dirle? “Scusa”? Perché? Mica stiamo assieme, dopotutto! – sbotta alla fine.
E’ strano vedere Ben alterato. Di solito le uniche cose in grado di fargli aumentare i decibel sono le partitone interdipartimento a PES o i caffè annacquati a colazione.
E Lynn. Ovviamente Lynn.
- Io credo che dovresti dirle le cose come stanno. – anche la serietà sulle labbra di Shackleton è strana, e fa più impressione di qualsiasi altra cosa.
Segue altro silenzio, un pesce cerca di attirare l’attenzione con un guizzo, me nessuno dei due lo degna di considerazione.
- Vorrei solo più chiarezza in questa faccenda. – sospira alla fine Ben, un’altra boccata alla sigaretta e gli occhi sempre cerchiati più stanchi del solito.
Ha un aspetto orribile, sembra un barbone.
- Chiarezza? Ma se passate ogni nanosecondo a flirtare! Vi siete visti? – sbotta lui, a metà fra il divertito e l’oltraggiato.
Ma la replica di Ben lo lascia senza parole per un motivo completamente diverso, un motivo che gli manda le guance in fiamme e gli fa spalancare la bocca come i pesci.
- D’accordo, ma questo non significa che la cosa sia seria. A flirtare siamo capaci tutti, ma come fai a capire se dall’altra parte c’è vero interesse? –
E’ una doccia fredda, quella domanda. Uno schiaffo in pieno viso.
- Perché c’è Lynn, dall’altra parte. E lei è una persona seria, non come me. –
Shackleton si volta e si sfrega le mani l’una contro l’altra, una nuvoletta di vapore appena accennata che lascia le sue labbra.
- Dai, facciamo due passi che mi si sta congelando il culo. E fammi una cortesia, scrivile quando arrivi a casa. –
Ben lo guarda incamminarsi lungo il sentiero e si accorge dalla postura rigida e dal passo veloce che ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire.
Non ce l’ha con lui, è evidente. Ce l’ha con se stesso.
Lo segue, battendogli una pacca sulla spalla e cambiando bruscamente discorso, perché di melensaggine per quel giorno ne hanno già avuta abbastanza.
Non riesce a capire a cosa stia pensando, mentre discutendo di mille altre cose lo precede verso l’uscita con aria distratta, ma può immaginarlo.
Chiunque potrebbe immaginarlo.
Chiunque, tranne Shackles.
 


 

 
Quando ha mollato Ben allo studentato gli ha promesso che sarebbe tornato subito a casa, ma Shackleton Cook è un gran bugiardo e soprattutto è abbastanza idiota da non dare retta al miglior studente di Medicina dell’intera facoltà.
Non che ci voglia un genio per capire che alle sette e mezza, con il sole già sotto l’orizzonte da un pezzo, tutto quello che la sua giacca di pelle può offrirgli è un’ipotermia in tempo zero.
I denti gli battono così forte che si è già morso la lingua due volte, ma è come se non si rendesse nemmeno conto del tempo che passa.
Sta rientrando a piedi, e il gelo gli passa le suole delle All-Star irradiandosi in tutto il corpo, fino al cuore, ma non fa una gran differenza.
Capita, di tanto in tanto, che la vita gli metta di fronte l’evidenza, e quello che Shackleton ha imparato a fare meglio di ogni altra cosa è aggirarla e passare oltre. Forse è per questo che sta continuando a camminare da due ore, perché spera di seminare l’evidenza e lasciarsela alle spalle.
Eppure, se le gambe sfidano gli otto gradi della sera senza demordere, la testa non collabora allo stesso modo.
Il primo anno all’Università era stato come vivere in un film.
Condividere la stanza in studentato con Ben era una continua avventura, fra partite alla play, Just Eat delle quattro e mezza e sbronze epocali. Era come se finalmente avesse trovato il fratello che non aveva mai avuto, e sentimentalismi a parte, credeva davvero, ormai, che Ben facesse parte della famiglia.
Ma rientrare in studentato dopo un giro in città era diverso da tornare a casa, Faraday sul divano a leggere o a guardare qualche documentario del National Geographic che il resto del mondo credeva perso nella notte dei tempi.
Tornare a casa significa sempre avere qualcosa in caldo, dopo gli allenamenti di scherma o le partite di basket coi ragazzi dell’Uni, significa avere qualcuno che lo aspettava sveglio la sera, perché “prima o poi ti sbronzerai talmente tanto che dovrò venire a pagare la cauzione in galera”, significa venire accolti dalla luce accesa e non dal rumoroso russare di Ben.
Se lo studentato era stata una parentesi di folle libertà, l’appartamento ha il gusto meno elettrizzante ma più confortevole di casa.
E questo, Shackleton, non sa proprio come prenderlo.
Vorrebbe prendere le chiavi, ma ha le mani impegnate dal cestello del Cinese e in ogni caso trema troppo forte per riuscire a centrare la serratura. Suona il campanello con il naso, e per un terribile istante ha il terrore che possa staccarsi e cadere sullo zerbino.
Quando Faraday apre la porta vede nel suo volto il riflesso delle sue condizione.
- Santo cielo, Cook! Ma sei pazzo?! Hai le labbra viola! Per carità, entra dentro prima che ti venga un accidente! – gli grida quasi in faccia, afferrandolo per la manica e trascinandolo nell’ingresso senza la minima grazia.
- Pensavo ti fossi fermato a cena da Ben! Non sarai mica andato in giro a piedi? Vieni qua, mettiti davanti al calorifero, ti preparo qualcosa… - è il fiume di parole che l’aspirante Fisico continua a vomitare.
- Ho pre… pre… preso il Cinese… Mi era ri… masto qualcosa dietro la… la tessera del bus… - sorride, le r mangiate dal freddo.
Negli occhi chiari di Faraday vede una preoccupazione che gli scalda il cuore meglio di qualsiasi calorifero. Forse non è più arrabbiato con lui.
- E ho anche noleggiato il dvd di Morgan Freeman che racconta lo Spazio! – aggiunge, cercando di tirare fuori la scatola dalla sua borsa nonostante le mani tremino ancora.
- Mi avevi detto che avevano cancellato gli streaming, no? –
- Sei un cretino, Cook. –
Ma Faraday sta sorridendo, mentre si leva l’orribile maglione di lana e lo infila a forza in testa a Shackleton.
- Hai le braccia corte. – biascica lui, un po’ in imbarazzo per tutte quelle attenzioni ma comunque guardandosi bene dal restituirglielo. Il calduccio che trasmette quell’aborto è incredibile.
Faraday inserisce il dvd nel lettore e si siede sul divano, piazzando le buste del Cinese sul tavolino e indicando con un cenno della testa al coinquilino di sedersi accanto a lui.
Shackles non se lo fa ripetere due volte e si rannicchia sotto il plaid, le gambe lunghe strette al petto e una mano ancora intirizzita che si allunga verso gli involtini primavera.
- La prossima volta che mi vai in ipotermia per farti perdonare ti chiudo la porta in faccia. – è il brusco commento di Alistair, ma entrambi sanno che sta sorridendo, entrambi sanno che non lo farebbe mai.
Quando si risvegliano completamente anchilosati attorno alle quattro, la tv in stand by e nei cartoni del Cinese solo le briciole, hanno troppo sonno per rivolgersi la parola.
Filano entrambi in camera, grati che sia Domenica e non abbiano sveglia presto.
Shackleton non chiude la porta immediatamente, dopo il “notte” biascicato del coinquilino. Lo guarda sparire in fondo al corridoio e solo allora scivola anche lui dentro la sua stanza.
Apparentemente è tornata la pace.
Il buon senso direbbe a Shackleton di fare chiarezza, ma è una parola che lo ha sempre terrorizzato.
Per ora, finchè svegliarsi assieme sul divano a dividere una sola coperta non suona eccessivamente ambiguo, può andar bene così.
Per tutti e due.

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