sins without tragedies

di kingstier
(/viewuser.php?uid=961260)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** +I ***



Capitolo 1
*** I ***


Note della traduttrice (Hiraeth): mi rendo conto che finora ho tradotto solo storie angst o con un finale angst e questa è per rimediare – anche perché l’adoro, e a un certo punto mi è capitato di leggere talmente tante fanfiction di Kingsman da dimenticare che il titolo di Galahad è di Harry e non di Eggsy, haha.
 Il link alla storia originale è questo qui, e vi consiglio caldamente di farci un salto se non ve la cavate male con l’inglese. Buona lettura!











sins without tragedies
di kingstier





I



Per la missione in cui lavorano insieme per la prima volta, assegnano loro le coperture di signor Hart e futuro signor Hart.

 Cinque mesi dopo il giorno ignorato con minuzia da tutti, Harry trova nella buca delle lettere un invito da parte di un vecchio amico di scuola. All’interno della busta c’è un biglietto in cartoncino goffrato in oro che richiede cordialmente che Harry faccia all’ospite l’onore di presenziare a una cena sociale: un mucchio di stronzate, in sostanza, e Harry è lì lì per buttarlo dritto nel bidone della spazzatura. Quando si dirige nella sala da pranzo compie cinque passi esatti prima che i suoi occhiali emettano un bip e la voce di Merlino lo informi del fatto che è stato finalmente autorizzato ad andare in missione, la quale ha solo per caso a che fare con l’invito che ha convenientemente ricevuto. Harry è una spia da abbastanza anni per capire che non si tratta di una coincidenza, dato che, dopotutto, la loro posta è ispezionata prima che sia distribuita nelle case offerte a loro dalla Kingsman. (Inoltre più tardi Merlino ammette che tre mesi prima ha intercettato l’invito e lo ha accettato per conto suo).

 E le circostanze sono perfette, davvero, perché Harry cominciava a essere sempre più irrequieto all’idea di passare giorno e notte a firmare documenti, essendo lui Artù. Non si capacita di come Chester riuscisse a stare dietro alle pile infinite di fascicoli ed e-mail e a trovare lo stesso il tempo necessario per infastidirlo a morte. Una delle condizioni che Harry aveva listato a patto di accettare il ruolo era che, per il bene della sua sanità mentale, gli venisse assegnata almeno una missione sul campo al mese. La buona notizia è che era stata approvata, la cattiva è che nessuna delle missioni in cui gli è permesso andare (citando il termine utilizzato da Merlino) ha la minima possibilità di finire in un incendio o in auto che esplodono. Il che significa che, per colpa di una leggera ferita alla testa, al re e secondo agente più anziano della Kingsman sono perlopiù destinate delle missioni di ricognizione a basso tasso d’azione. Meraviglioso.

 Quando Merlino consegna loro i dossier durante la riunione del pomeriggio prima dell’evento, Eggsy dà al suo un’occhiata e solleva un sopracciglio. «Quindi questa è una cena d’alta classe piena di vecchiacci leccaculo?»

 «Mi hai tolto le parole di bocca» risponde Merlino con voce piatta. «Ma sì, lo è».

 «E tu», inclina il capo verso Harry iniziando a ghignare, «entrerai in scena con una mano sul mio dolce culetto fresco? Quello sì che farà venire a tutti un infarto».

 «Oh, lo spero. A queste feste ci si annoia tremendamente e alle vite delle persone che le frequentano occorre un po’ di emozione» replica Harry, gli occhi scintillanti.

 Merlino riflette che forse ha commesso un errore appaiandoli insieme.

 Poiché l’invito è indirizzato al vero nome di Harry, è fondamentale che le loro coperture siano il più somiglianti possibile alla realtà, così da risultare, se qualcuno si incuriosisse e facesse ricerche, che Harry Hart è il proprietario di un negozio di sartoria a Savile Row ed Eggsy futuro Hart è il suo giovane protetto, colui che gli ha rubato il cuore dopo una serie degna di una commedia romantica di timide sbirciate, tocchi tremanti e ingegnosi design di completi. Eggsy considera la farsa un’idiozia, ma la gente abbocca con facilità a questo genere di storielle, per cui.

 Merlino ha deciso di affidare l’incarico a Eggsy un po’ perché lui in fondo è comunque l’ultimo arrivato e perché si tratta della prima missione di Harry sin dall’incidente nel Kentucky (importante e la causa delle precauzioni), ma soprattutto perché Harry ha meno tatto di un bambino di cinque anni ed Eggsy è l’unico che può avere a che fare con lui senza provare l’istinto di strappargli i capelli.

 Mentre sono dentro la navetta sulla via verso il negozio, Eggsy si tiene occupato divertendosi a immaginare i piccoli dettagli di ciò che avverrebbe durante la fase del loro reciproco corteggiamento. «Sì, ma chi ha fatto la prima mossa? Ritengo che dovrei essere io quello che ti ha chiesto di sposarmi. E cosa più essenziale, chi è che nel bel mezzo della notte accompagna fuori JB quando deve pisciare?»

 «Non abbiamo bisogno di una copertura così minuziosa, Eggsy, ma d’accordo. Tu hai fatto la prima mossa, poiché è generalmente disapprovato che un sarto vecchio e morente come me metta gli occhi su un giovanotto come te» spiega Harry, scoccandogli un’occhiata significativa e silenziosa che cerca di comunicargli qualcosa che Eggsy non riesce ad afferrare del tutto. «Sii colui che si è messo in ginocchio, se tanto lo desideri, tuttavia sta a te portare a passeggio il cane».

 «Aaah, Harry, guarda che JB ti vuole bene».

 «Non importa quante volte lo ripeti, ha macchiato il mio miglior paio di oxford». Eggsy alza le braccia in su e Harry si protende in avanti per abbassargliele. «Formerai delle pieghe sulle spalle».

 Eggsy si trattiene dallo stiracchiare gli arti e opta invece per afflosciarsi sul sedile, ignorando Harry che aggrotta le sopracciglia. Sì, ha ragione, non è una cosa molto da gentleman, ma sono soli ed Eggsy la passa liscia.

 Harry fa tsk con la bocca – principalmente per fare scena: Eggsy lo ha beccato più di una volta curvato in modo orribile mentre schiacciava pisolini sulle scartoffie – e si accomoda meglio sulla poltrona, accavallando le gambe fasciate dal tessuto color carboncino. «Cionondimeno, sei sulla pista giusta. Sono i particolari che rendono convincente una copertura e forgiare un’illusione persuasiva è basilare, qualunque sia il reale valore della missione. Detto ciò, è per caso necessario che io sia informato di qualcosa che ti crea disagio?»

 Eggsy solleva un sopracciglio, non confessa che è segretamente disposto ad accettare qualsiasi cosa Harry si prepari a dargli sin da quando ha fatto la sua entrata in scena nel quartier generale con una cicatrice nuova di zecca, e ribatte invece: «Siamo dei professionisti, bello, sono pronto a tutto».

 Harry canticchia. «Bene».

 «E tu? Niente di vietato?»

 «No», Harry sorride lievemente, «agisci come meglio credi».

Oh pensa Eggsy, sì, in effetti c’è una cosuccia che vorrei fare.

 Quando giungono alla sartoria e lo vede, Eggsy ammicca in direzione del loro capo sarto, il cui nome in codice è Elyan. Lui è un grande amico, davvero, gli ha ricucito la cravatta che Gazelle ha tagliato a metà senza neanche accennare alle altre in vetrina, identiche e innumerevoli. E poi quella lì non la usa neanche a lavoro, l’ha nascosta in un posto sicuro a casa sua.

 Fuori dal negozio c’è un taxi che li conduce all’albergo, distante poco più di quindici minuti in auto. Eggsy comincia a eccitarsi: è la prima missione che ha mai avuto con Harry e sarà una figata osservarlo da vicino e dal vivo – fingendo per giunta di essere il suo fidanzato. Quello lo emoziona per motivazioni un po’ diverse. Gli sono già state assegnate svariate missioni di ricognizione, due con Roxy e alcune come riserva di altri Cavalieri (interpretare il ruolo del figlio di Galvano è stata l’esperienza più memorabile, dato che in quella occasione ha utilizzato le granate-accendino), per cui ha una buona idea di che aspettarsi.

 I loro occhiali emettono un bip e la voce di Merlino si diffonde nell’aria, mentre il taxi sterza alla volta di Knightsbridge, verso il luogo d’incontro all’hotel. «Parkers non è ancora arrivato, ma mi sono accertato di procurarvi delle sedie allo stesso tavolo. Gli anelli sono in posizione?»

 «Sì». Eggsy si aggiusta la spessa fascetta nuziale sull’anulare sinistro. Sul metallo c’è un piccolo chiavistello, proprio dove la base del dito si congiunge con il monte di Apollo, che una volta premuto rilascerà la forma diluita di un siero della verità. È stato concepito nei laboratori della Kingsman, ma è più che altro un prototipo dagli effetti mutevoli: un’assicurazione da usare nel caso non riescano a carpire in tempo le informazioni di cui hanno bisogno.

 «Artù?»

 «Sì». Harry si blocca, poi sospira. «Mi chiedo perché non sei con noi stasera. Non hai ricevuto anche tu un invito, o hanno scordato il povero, vecchio Graeme?»

Graeme? mima con la bocca Eggsy. Non gli è mai venuto in mente che Merlino non fosse il suo vero nome.

 «Oh, quell’invito non ha nemmeno sfiorato casa mia. E poi, devo farvi da balia. Siete entrambi noti per comportarvi da diavoli durante le missioni in cui partecipate e non sopporterei la prospettiva di perdere un supervisore solo perché ho messo voi due insieme».

 Be’, non ha tutti i torti.

 «Allora, voi conoscete questo William Parkers?» domanda Eggsy.

 «Fino a un certo punto» risponde Harry. «Frequentavamo la stessa cerchia di amici, potremmo dire. Immagina la mia sorpresa quando il suo nome è spuntato nei nostri database».

 «Quello che intende dire» racconta Merlino a Eggsy con un sussurro cospiratorio, «è che ha centrato Harry dritto in fronte con un pallone durante una partita di calcio. Non l’ha mai superato». Eggsy ride per tutto il viaggio fino all’entrata principale dell’albergo.

 Non appena mettono piede fuori dal taxi, Harry ha già impresso in viso un leggero sorriso di educata indifferenza e raddrizzato le spalle, una postura accorta. È un brusco cambiamento dall’Harry che sedeva sui sedili posteriori del taxi con le gambe chilometriche divaricate di mezzo metro e dall’Harry che ruotava gli occhi quando Eggsy gli dava gomitate all’anca. È una maschera e un’iterazione di se stesso che, grazie agli anni di esperienza, ha sviluppato con la stessa facilità di bere un bicchiere d’acqua. Osservare Harry al lavoro è uno spettacolo, ecco cosa.

 «Tesoro?» Harry gli allunga il braccio.

 Eggsy tenta di reprimere il sorrisone che minaccia di stamparglisi in faccia, troppo da scolaretto per i suoi gusti, e prende Harry per il braccio. La stanza in cui sono condotti è ampia e trasuda lusso da tutti gli angoli. Dal pavimento alle finestre sul soffitto, passando per i cristalli incordati assieme in candelabri e le posate tirate a lucido che splendono sui piatti di porcellana, è l’esatto genere di panorama che uno si aspetterebbe di ammirare in occasione di una festa organizzata da un vecchio riccone ad un passo dalla casa di riposo.

 Sparsi uniformemente per la sala, ci sono una dozzina di tavoli larghi e rotondi ricoperti con tovaglie di raso morbido e dieci sedie allineate lungo la circonferenza di ciascuno di essi. Harry ed Eggsy trovano i loro posti e si accomodano, chiacchierando distrattamente con coloro che siedono accanto a loro mentre attendono che giunga il bersaglio.

 Dieci minuti dopo, Merlino lo avvisa: «Artù, a ore sei».

 Harry si volta e reclina il capo in direzione dell’orecchio di Eggsy, come per sussurrargli qualcosa, poi stabilisce il contatto visivo da sopra la sua spalla. «William» esclama.

 William Parkers, quarantanovenne, proprietario di un’impresa manifatturiera e sospettato di aver tentato di realizzare delle copie delle SIM card di Valentine, è a pochi metri di distanza dal loro tavolo. Gli occorre qualche secondo per identificare il suo interlocutore. «Harry! Be’, non ti ho quasi riconosciuto!»

 «Oh, è trascorso fin troppo tempo». Harry piega la testa verso la sedia libera alla sua destra. «Siediti pure».

 William saluta gli altri convitati assisi al tavolo, prima di sprofondare sullo spazio offertogli e girarsi verso Harry e notare Eggsy. «E lui chi è, tuo figlio?»

 Eggsy impallidisce immediatamente. Quello è un brutto colpo. «No, bello, Harry e io stiamo per sposarci, non è vero, amore?»

 Con naturalezza, Harry circonda con un braccio il busto di Eggsy e si china su di lui, godendosi l’espressione sbigottita di William (e di altri che stanno ascoltando). «Sì, è vero. In effetti, io ed Eggsy dobbiamo estenderti un invito, William?» Merlino nelle orecchie caccia un grugnito esasperato e commenta: Se l’accetta, io non ho intenzione di fingermi il vostro testimone. «Pensavamo di tenere la cerimonia a primavera, la scelta delle composizioni floreali è più vasta in quella stagione, si capisce».

 William batte le palpebre riprendendosi dallo shock e dà una pacca al braccio di Harry, il cui sorriso contiene adesso un’irrilevabile traccia di avversione, e non per colpa dall’assortimento dei fiori. «Ma guardati, vecchio furbacchione. Alla fine ti sei sistemato, eh? Per grande sfortuna, l’azienda non mi dà tregua: i progetti non si approvano e non si costruiscono da soli, per cui ti farò sapere».

 «Lo terrò a mente» replica Harry in un modo che fa intuire a Eggsy che, anche se stessero per sposarsi davvero, William non verrebbe invitato. «E come vanno gli affari?»

 «Bah, sai, le solite cose: della gente mi sottopone dei progetti, non li fa correttamente, e io devo subentrare. Se vuoi che le cose siano eseguite alla perfezione, falle con le tue mani, uhm?» William liquida la faccenda con una scrollata di spalle. Un tic del mignolo di Harry è l’unico indizio dell’arruffamento del suo proprietario al palese cambio d’argomento. «Allora, il nome è Eggsy, giusto? Di cosa ti occupi tu?»

 Eggsy gli parla di come sia stato assunto alla sartoria e di come si siano incontrati lui e Harry e, quando termina una lunga spiegazione sulla tecnica corretta per appendere i pantaloni alle grucce, ovvero al contrario e piegando una gamba cosicché l’orlo tocchi la linea della cucitura, dopodiché piegando sopra di essa l’altra gamba, William procede col rammentare il passato insieme a Harry e l’uomo alla sua destra. Eggsy nota che alcune delle storie raccontate a tavola sono incomplete e tralasciano in maniera imbarazzata nomi vari, e afferra infine che si trattano delle persone che non hanno superato il V-Day. Ne è sconvolto per un attimo, prima di farsi trascinare da Eric alla sua sinistra in una discussione animata sui peperoni della pietanza nei loro piatti.

 Più tardi, dopo che le altre coppie gli rivolgono svariate occhiate interrogative e il suo finto fidanzato gli poggia la mano sinistra sulla coscia, si rende conto di poter baciare Harry. Lui stesso ha sostenuto l’importanza di mantenere le apparenze, e adesso è il momento adatto per farlo e per dissipare i dubbi che hanno gli altri commensali su loro due (sì, comprende, Eggsy è il più giovane tra i presenti e la cosa risalta parecchio, okay). È ironico il modo con cui tutte queste persone abbigliate con i loro completi e le loro gonne eleganti non siano minimamente interessate ai loro partner tanto quanto lo è Eggsy con il suo finto partner. Ma ormai che ha considerato l’idea, non è in grado di smettere di pensarci e l’impulso improvviso gli fa tremare le ginocchia. Eggsy decide di buttarsi dopo che Harry dice qualcosa che fa ridere il gruppo, avvicinandosi a lui e premendogli un gentile e leggero bacio sull’angolo della bocca: è il massimo che riesce a osare.

 Si ritrae per scoprire che Harry ha un’aria positivamente deliziata. Eggsy l’adora, cazzo.

 È stato un semplice e veloce bacetto, neanche sulle labbra, ma che gli fa esplodere il cuore dal petto. Sei un professionista si dice tra sé e sé, trattenendosi a stento dallo sprofondare la faccia nella portata con un nome francese che non sa pronunciare. È consapevole del fatto che il rossore che ha sulle guance non sia provocato dal vino ed è grato che ora come ora Harry sia troppo occupato a cavare informazioni sugli affari di William per accorgersene.

 La donna seduta di fronte a Eggsy, Bridget, se la memoria non lo inganna, sospira. Ha il mento posato sui palmi e lo fissa con dolcezza, come se fosse perfettamente al corrente di quello che gli sta passando per la testa. O forse è l’espressione che ha in viso che lo rende ovvio. Che razza di spia è. «Ancora mi sembra impossibile che tu ti sia accalappiato achy breaky Hart¹».

 «Achy breaky Hart?»

 Merlino sbuffa divertito e tutti coloro che siedono nelle vicinanze ridacchiano. Eggsy si volta con la bocca aperta e con un sopracciglio alzato in direzione di Harry, che aggrotta la fronte, le orecchie rosa. «Achy breaky Hart?» sussurra. Non è implausibile che Eggsy futuro Hart reagisca così, per cui non è che stia uscendo fuori dal personaggio o altro, ma di colpo ha l’impressione di aver fatto bingo con questa missione. E sì, includendo anche il bacio che c’è stato.

 Come salta fuori, il soprannome non ha niente a che fare con la canzone country pop (pubblicata parecchio tempo dopo i loro anni a scuola), ma ha tutto a che fare con il disdegno sfacciato che Harry riservava ai suoi spasimanti e chiunque nutrisse dei sentimenti nei suoi confronti. E per quanto riguardava coloro che avevano avuto una possibilità, a quanto pare le cose non erano mai andate oltre a una breve storiella (ma, ehi, lui tenta di ignorare quella parte, grazie mille). Eggsy ottiene con le lusinghe ancora un altro paio di aneddoti imbarazzanti da Eric alla sua sinistra, mentre Harry registra dei progressi con William, riempiendo a ogni due giri di drink il bicchiere dell’uomo e facendovi cadere dentro alcune gocce del siero quando William inizia a biascicare e a deviare dall’argomento delle SIM card.

 Alla fine conseguono la maggioranza dei dati di cui hanno bisogno ed Eggsy, grazie ai racconti procacciati, si guadagna per qualche mese il diritto di accedere per primo al tè appena infuso nelle cucine del quartier generale.










⁰ Il titolo è un riferimento alla canzone I Write Sins not Tragedies dei Panic! at the Disco.
¹ Achy breaky Hart è un gioco di parole, purtroppo intraducibile, che deriva dal titolo della canzone del 1992 Achy Breaky Heart di Billy Ray Cyrus, dovuta all’omofonia tra cuore in inglese e il cognome di Harry. Mentre la canzone di Cyrus parla di una persona con il “cuore infranto e dolorante” a causa di una ragazza, il soprannome di Harry lo prende in giro per essere uno che spezza i cuori altrui.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


II



Un mese più tardi, durante la loro seconda missione insieme, si baciano ancora.

 Tantissime volte ancora.

 Il loro bersaglio è un uomo che si fa chiamare Anton, un trafficante d’armi che conduce i propri affari esclusivamente in un nightclub a Lisbona. Eggsy non ne conosce il motivo, Merlino potrebbe non averne idea, dato che non l’ha spiegato nel fascicolo che ha consegnato, ed è probabile che anche Harry sia ignaro del perché. Può c’entrare il fatto che gli angoli bui degli edifici ospitano di natura affari loschi, o magari a quel tizio piacciono l’atmosfera del locale e la musica del basso che gli martella nel cranio mentre dà via armi illegali, chi lo sa. Eggsy no di certo.

 Quello che Eggsy sa è che Harry Hart sembra soffrire di una grave allergia ai primi tre bottoni delle camicie che indossa quando non porta la cravatta.

 Ha preso dimestichezza con tale nozione perché trascorre la maggior parte della settimana a casa dell’uomo. L’alloggio che la Kingsman ha assegnato a Eggsy è solo a qualche incrocio più in là ed è all’incirca grande come quello di Harry, ma è meno antico, con meno mobili seriosi e impolverati. Sua madre e sua sorella si sono sistemate con serenità nella nuova abitazione – dove Daisy ha iniziato a sgambettare a velocità record, provocando un innalzamento della pressione sanguigna a Eggsy quando lei barcolla e si avvicina troppo agli spigoli aguzzi dei tavoli – e sono felici. O almeno, Daisy lo è, perché sua mamma diventa molto meno felice ogniqualvolta Eggsy torna dal lavoro con un’andatura zoppicante o con ferite che nessun comune sarto avrebbe, e per questa ragione sceglie di passare le notti da Harry, nella camera degli ospiti che ha reclamato come sua.

 Dal che, be’, deriva il problema. Harry è assolutamente una diva e possiede nientemeno che venti maglioni e cardigan colorati e persino più camicie. Non indossa la cravatta in casa, d’altronde esistono forse persone che lo fanno?, ma non chiude nemmeno i primi tre bottoni della camicia.

 La prima notte del loro appostamento non è malaccio. Harry si è slacciato solo due bottoni e mezzo, il terzo dall’alto che è incastrato a metà dell’asola, ma è uno spettacolo sopportabile.

 Spendono solo un’ora a sorseggiare i loro drink perlopiù annacquati e a vagare per il club prima di scorgere Anton. L’obiettivo ha con sé una valigetta abbastanza piccola da non destare troppa attenzione e indossa dei semplici pantaloni e una camicia elegante abbinata. Quantomeno è discreto. Eggsy scambia un’occhiata con Harry e reclina il capo in direzione della postazione¹ accanto a quella occupata da Anton. «Assecondami, okay?»

 Ingolla un terzo del suo bicchiere e ricorda a se stesso che lui è un professionista con un compito da svolgere, poi afferra il braccio di Harry e si circonda il busto con esso. Harry coglie le sue intenzioni e abbandona il proprio drink su uno dei tavoli nelle prossimità, per poi cominciare insieme ad ondeggiare in un balletto, scimmiottando l’aria carica di energia che li attornia, i petti che si sfiorano ad ogni passo compiuto.

 Anton non rivolge loro nemmeno uno sguardo quando lo superano incespicando e cascando sul divano accanto al suo. Harry si accomoda sul sedile con lo schienale affacciato verso il viso di Anton, per cui attira Eggsy a sé sulle cosce e per una frazione di secondo lo scruta con un’espressione interrogativa. Eggsy annuisce e pensa distrattamente ecco, ci siamo, senza essere pienamente cosciente di cosa significa quel ci siamo.

 A quanto pare, però, significa soltanto Harry che preme la propria bocca sulla sua. Il contatto è asciutto e casto e non è niente più che un lieve accostamento di labbra, letteralmente, eppure Eggsy deve lottare mentalmente per aggrapparsi alla sua sanità. Non c’è spazio per i sentimenti durante le missioni, ma Harry lo sta baciando ed è dalla cena del mese scorso che ha fantasticato a proposito. Le labbra di Harry sono screpolate ma calde e le mani di Eggsy si fanno strada sulla pelle che fa capolino dal colletto…

 «Galahad, otto centimetri alla tua destra» dice Merlino, riscuotendolo dallo stordimento incantato.

 «Ricevuto» sussurra Eggsy. Si risistemano e curvano appena i loro corpi verso destra, affinché gli occhiali di Eggsy abbiano una piena visuale della postazione di Anton senza che la spalla o l’orecchio di Harry gli siano di mezzo.

 Il bacio che riceve in seguito è più delicato, quasi esitante, come un petalo che va alla deriva di uno stagno, formando increspature quasi inesistenti sulla superficie. Eggsy lo ricambia, assicurandosi di restare nell’angolo corretto e tenendo un occhio sul bersaglio, e Harry reciproca con un fervore rinnovato. I baci che seguono a ruota si incalzano in una rapida successione e sono candidi e dolci come il primo.




Durante la terza notte, all’idea di quei dannati tre bottoni e la percezione di essi sotto i suoi polpastrelli, Eggsy rischia di compromettere la missione.

 «Si è allontanato» mormora Harry contro il suo labbro inferiore.

 Eggsy si scosta rimanendo seduto fermamente sulle cosce di Harry, mentre l’uomo traccia con le labbra una linea lungo il suo orecchio (Cristo santo).

 «Anche stanotte aveva con sé solo una valigetta. Lo schema con cui opta dove sedersi è indiscernibile, è possibile che si tratti di una decisione casuale». Harry sbircia da sopra la spalla di Eggsy e osserva l’obiettivo che serpeggia tra la folla e che esce con furtività da una porta laterale.

 «Sicuro che è meglio non seguirlo?»

 «No, Eggsy» replica Harry mentre Merlino ribatte simultaneamente: «Assolutamente no, Galahad».

 Eggsy sospira. Si muove e sta di fronte a Harry e, per estensione degli occhiali, Merlino. «Allora per stanotte abbiamo finito? Oggi ho mangiato solo i biscotti che Roxy mi ha portato dalla Svezia, sto morendo di fame».

 «Riposatevi, domani vi invierò le cimici alla camera d’hotel. Sarete costretti a piazzarle su ogni divano se Anton fa quotidianamente una scelta diversa. Il che equivale a più lavoro per me» borbotta Merlino prima di chiudere.

 «Non sapevo che avessi messo in valigia degli spuntini, perché non me ne hai offerto uno?» Harry si ravvia i capelli in disordine ed Eggsy si sposta e gli si siede accanto invece che sulle cosce.

 «Vuoi scherzare, bello? Tilde li ha preparati appositamente per Roxy, quante volte ti capita di poter affermare di aver mangiato i biscotti di una principessa? Io ne ho ricevuti un po’ perché sono amico di Roxy. E Tilde sostiene che ho le fossette più carine che abbia mai visto» aggiunge Eggsy con un sorrisone.

 «Trovo che le tue fossette siano adorabili, Eggsy» risponde Harry senza batter ciglio.

 Eggsy caccia un verso di derisione per coprire l’imbarazzo che gli agita lo stomaco. «Niente biscotti lo stesso». Salta giù dal divano e si rassetta la giacca. «Sai se qui intorno c’è un ristorante?»




L’euforia iniziale non svanisce, persino quando giunge la quinta notte.

 «Riorganizzare tutti questi file audio è un incubo» borbotta Merlino tra sé e sé, mentre Harry è occupato a togliere il fiato a Eggsy. «E la musica non aiuta, cos’è questa robaccia?»

 Eggsy si stacca un attimo per respirare e ride leggermente. «Se vuoi vivere un vero incubo, dovresti dare un’occhiata a me e mio cugino Dennis dopo qualche pinta di troppo».

 «Preferisco evitare».

 «Peggio per te» replica Eggsy. Avvicina il viso a quello di Harry e picchietta il proprio naso contro la guancia dell’uomo, mantenendo lo sguardo sulla postazione dall’altra parte della sala. Uno dei vantaggi dell’essere seduto sulle cosce di Harry, ignorando le ovvie ragioni, è che possono entrambi sorvegliare ambedue i lati della stanza. Scorge da sotto le ciglia Anton che si sbraccia infuriato in direzione della persona che ha davanti a sé.

 «Niente?» domanda Harry, le mani che gli accarezzano gentilmente il busto.

 «Ha un’aria arrabbiata. Cerca di contenersi per non attirare attenzione, però. Merlino?»

 «Ci penso io» grugnisce lui. «Pare che qualcuno non sia felice che il proprio cliente non si possa permettere di pagare i prezzi stabiliti».

 Quando gli occhi di Anton perlustrano la stanza, Eggsy infila il volto nel collo di Harry e, nel processo, si gode il panorama del petto dell’altro.

 «Per adesso abbiamo quello che ci serve. Provate a collocargli addosso un localizzatore, poi dirigetevi verso il punto d’estrazione».

 «O» ribatte Harry, il suo respiro che increspa i capelli dietro l’orecchio di Eggsy, «stanotte lo seguiamo e recuperiamo le armi. Molto più sbrigativo rispetto a raggrupparsi e cedere a qualcun altro la prossima fase della missione».

 «Voi due siete in ricognizione per una ragione, Artù. Ne riparleremo quando sarai in grado di sparare più di cinquanta bersagli senz’alcuna esitazione». Harry digrigna i denti. «Il jet è in arrivo. Il tempo stimato è di due ore, non fate tardi o tornerete con un volo in classe economica».

 Merlino si scollega evitando di aggiungere ulteriori commenti (malgrado siano entrambi consapevoli che sta continuando ad assistere la situazione attraverso le telecamere) ed Eggsy sussulta una volta notata l’espressione di Harry. Sta senza dubbio vagliando ogni possibile scenario del licenziamento di Merlino – perché il capo è Harry, in caso debba rinfrescarti la memoria –, ma persino Eggsy non è in grado di immaginare un frangente in cui, con la sua assenza, l’agenzia non crolli dopo pochi minuti.

 «Ci riuscirai, okay?» lo rassicura Eggsy, lisciandogli distrattamente il colletto. «Hai solo bisogno di più tempo».

 Harry sospira e china la testa. Appoggia la mandibola sul dorso delle dita di Eggsy e, scuotendo il capo, strofina il mento lievemente ispido contro le sue nocche. È tenero da morire. «Sono ormai trascorsi sei mesi, Eggsy, è passato mezzo anno. Ritengo che sia più che sufficiente».

 «Sei stato in coma per due di quei sei mesi, quelli non contano». Eggsy si rialza in piedi e agguanta un localizzatore, iniziando ad incamminarsi con fare noncurante verso la postazione di Anton e abbassando il tono di voce. «E i medici non ti hanno consentito di toccare le pistole per un altro ancora, per cui in realtà ti sei ripreso da soli tre mesi».

 «Non fa alcuna differenza se sono sei o tre, me la cavo benissimo con la mano sinistra».

 «Sai che non è quello che preoccupa Merlino». Quando raggiungono la postazione, tenendosi a una distanza accettabile, Eggsy allunga un braccio con naturalezza per lambire il divano in pelle di Anton e fa scivolare il localizzatore piazzandolo sul colletto del loro obiettivo. Alzando di un’ottava la voce, sia per mantenere le coperture che per Merlino, esclama: «Amore, rincasiamo?»

 (Arrivano al jet con qualche minuto di ritardo, come tipico di Harry.

 «Come hai fatto a farci arrivare di nuovo in ritardo, ho tenuto gli occhi sull’orologio per tutto il tempo!»)










¹ L’ho tradotto così, ma temo che dire “postazione” non renda affatto l’idea di cosa siano davvero i booth. Sono i classici tavolini con intorno un divano angolare – solitamente in pelle – che sono tipici dei ristoranti e dei locali statunitensi in generale. Per un esempio visuale, cliccate qui oppure più semplicemente qui, dato che sono comparsi nel film Kingsman stesso.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III ***


III



Sin da quando si è impadronito della camera degli ospiti in casa Hart, nel corso dei mesi Eggsy ha sviluppato una sua routine. Si sveglia la mattina, a volte per colpa dell’alito bavoso e puzzolente di JB, e si dirige in cucina per permettere al cane di uscire e per fare colazione. Prepara una tazzina di tè per se stesso e posa accanto ad essa sul ripiano una tazza per Harry: Eggsy ha imparato che Harry di norma preferisce il suo solito tè, ma che durante le giornate no, quando ha un po’ troppo mal di testa, opta invece per un caffè. Nel momento in cui Harry scende dalle scale, Eggsy di solito ha già finito di allestire il pasto ed è lì lì per aggiungere gli ultimi tocchi ai piatti, componendo con il cibo un disegno a sua scelta. Oggi tenta di ritrarre il muso di JB, gli occhi sostituiti da due uova e dei pezzi di pancetta che delineano il contorno della sua testa – è adorabile, tuttavia Harry non si fa scrupoli a fare una faccia e a dare da mangiare i suoi rimasugli a JB sotto il tavolo, nonostante le proteste di Eggsy che insiste che si tratta di autocannibalismo.

 Dopodiché Eggsy riempie di tè un thermos di scorta e porta fuori JB per una corsetta, fermandosi come di consueto al negozio di fiori della zia di Jamal, che si trova a qualche via più in là. Da lei riceve sempre un fiore gratis nelle occasioni in cui le fa visita e lui in cambio ha iniziato a regalarle del tè. Sulla strada di ritorno da Harry, fa una deviazione verso casa sua e lascia il fiore del giorno a sua madre e Daisy, in bilico tra la maniglia e lo stipite della porta. Non è esattamente un dono, quanto più un’offerta di scuse per essere così assente e una maniera per metterle al corrente del fatto che lui sta bene e non è morto in un fosso.

 Una volta arrivato, Harry si veste e pulisce la cucina mentre Eggsy lava i piatti. Quando devono capire a chi appartiene la scarpa di chi, si muovono attorno all’altro a loro completo agio e nessuno dei due batte ciglio quando Harry scioglie e rifà il nodo della cravatta a Eggsy.

 Si separano all’entrata del quartier generale, con Harry che gli stringe la nuca con gentilezza.




Nei giorni in cui non deve esercitarsi in vista di nessuna missione, Eggsy è reperibile a) nel suo ufficio, mentre lavora diligentemente sui suoi resoconti, a volte schiacciando un sonnellino sotto la scrivania, b) al poligono di tiro, mentre corre la campestre o in palestra, c) mentre aiuta Merlino con i nuovi candidati per la sedia di Tristano (adesso che hanno scelto i loro cuccioli è tutto molto più divertente: Eggsy pensa di aver scovato la propria anima gemella, ossia il cavalier spaniel scelto dal candidato di Roxy). O, alternativa più rara anche se non meno piacevole, d) nell’ufficio di Harry, con gli oxford lucidi poggiati sull’angolo della scrivania dell’uomo.

 (Oh, sì, Harry sostiene di non fare favoritismi, ma è Eggsy quello con i piedi sul tavolo del gran pezzo grosso, no?)

 Ultimamente, però, gli altri agenti hanno cominciato a chiedergli dov’è Harry quando non è in ufficio. Eggsy non era consapevole che gli era stato delegato l’incarico di assistente personale di Harry, ma è probabile che la risposta risieda nel fatto che lui sa davvero dove rintracciare Harry, basandosi sull’ora in quel dato istante della giornata.

 «Non credi che sia strano?»

 «Cosa?» risponde Roxy dal punto del materassino in cui sta facendo gli esercizi di stretching. «Tu che convivi con il nostro capo e che scopri che lui, in apparenza, possiede una riserva segreta di maglioni orrendi di Natale?»

 «Okay, quello è stato un incidente e quei maglioni non sono poi così orrendi». Eggsy le spinge il braccio e Roxy casca a terra.

 «Ehi!»

 «La tua postura è ancora troppo rigida! Ti consiglio di fare un po’ di yoga, se vuoi sbarazzarti di tutto quello stress».

 Lei ansima e borbotta imprecazioni contro coloro che se la tirano per la loro capacità di distendere le proprie gambe fino a dietro le orecchie. Si rialza in piedi e piega un ginocchio oscillando solo un po’, prolungando le braccia in fuori.

 «Comunque, intendevo dire che la gente continua a venire da me come se fossi l’uomo che sussurrava a Harry. Non possono domandarlo a Merlino? Ha piazzato telecamere ovunque».

 «È perché siete sposati, idiota». Roxy gli scocca un’occhiata di sbieco.

 «Be’, grazie, Rox… aspetta, è questa la ragione?» Eggsy saltella su un piede per avvicinarsi a lei, l’espressione esterrefatta. «Solo perché in qualche missione abbiamo lavorato insieme sotto la copertura di una coppia?»

 Roxy si dispiega dalla posizione e incrocia le braccia, scrutando il viso di Eggsy mentre lui medita a fondo. «Avete lavorato sotto la copertura di una coppia in ogni missione che vi è stata assegnata».

 Al che, ed è qui che Roxy ha la certezza di averlo perso, Eggsy esibisce un piccolo sorriso imbecille. «Immagina, sarebbe buffo se fossimo realmente sposati, vero?»

 Roxy volge la testa al cielo e riflette che è questo il genere di commenti che lei e la sua offerta di SMS illimitati sono costrette a sorbirsi tutti i santi giorni.




In fondo assomigliano a una coppia di sposini, conclude Eggsy quando Harry entra per portargli dei biscotti e una tazza di caffè.

 «E com’è andata la tua ultima missione?» gli chiede Harry, accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania di Eggsy.

 «Bene, mi sono solo slogato un po’ il polso mentre cercavo di ricaricare le cartucce». Harry alza un sopracciglio ed Eggsy aggrotta la fronte. «Che c’è? Mi stavano sparando contro!» Non confessa di essersi procurato la lesione (se può essere definita così) nel tentativo di imitare una delle mosse di ricaricamento della pistola a mezz’aria di Harry. «L’operazione è stata un successone, d’accordo? Nessun innocente è rimasto ferito, non ci sono state esplosioni, la fuga è stata pulita, e che fa Lamorak? Mi ordina di aggiungere una pagina extra al mio rapporto per spiegare l’origine del graffio sullo specchietto dell’auto!»

 «Hai guidato sul lato sbagliato del tunnel con i fanali spenti e tre macchine che ti inseguivano, non la chiamerei una fuga pulita».

 «Però poi li ho seminati, no?»

 Harry sospira l’equivalente di una risata ed Eggsy la considera una vittoria. Accostando ulteriormente la sedia alla scrivania, Harry si protende in avanti ed estende una mano aperta, il dorso volto all’ingiù. «Poggia qui».

 «Cosa?»

 «Il polso».

 Oh. Eggsy l’osserva, alzando la propria mano e posandola su quella di Harry, molto più grande della sua. L’osserva mentre le dita di Harry gli massaggiano una linea lungo il polso, premendogli e frizionandogli la pelle. Nell’attimo in cui il polpastrello del pollice di Harry prende a lavorare sul suo palmo, Eggsy si rende conto che questa è la cosa più vicina al tenersi per mano che sia mai successa a loro. D’accordo, si baciano durante le missioni e stringono le braccia attorno al collo o al busto dell’altro, ma non si sono mai tenuti per mano prima d’ora.

 «Come si è formato il graffio?»

 «Oh, ehm, ero troppo vicino alla parete, niente di che». Di per sé, non è… non è un gesto veramente intimo, visto che sono al lavoro e Harry sta soltanto provando a migliorare lo stato della sua non-lesione, ma il calore che lui emana gli fluisce nella pelle e gli sgocciola nel resto del corpo, facendogli arricciare le dita dei piedi nelle scarpe.

 Harry canticchia, una mano che culla quella di Eggsy e l’altra che gli traccia le linee del palmo. «Spero di non essere costretto a obbligarti a frequentare delle lezioni di guida. Quella era una delle tue doti più brillanti».

 «Ehi, posso guidare in tondo e tutte le forme geometriche che vuoi, anche usando solo un piede».

 «Auguriamoci di non dover arrivare a tanto». Harry sorride divertito, la pelle agli angoli degli occhi che si increspa. «Stasera sei libero? Non hai ancora guardato Pretty Woman, no?»

 Il caffè e i biscotti che gli ha portato Harry sono immobili sulla scrivania insieme al resoconto incompleto della missione, fuori dalla finestra può sentire gli schiamazzi dei candidati che addestrano i loro cani, e Harry gli sorride così dolcemente che sulle sue guance si creano i rientri accennati di un paio di fossette – ed è allora che Eggsy pensa che sarebbe bello essere sposato per davvero con Harry Hart.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV ***


IV



La loro sesta missione congiunta ha come intento il recupero di un modello di microchip che ritengono miri a divenire il successore delle SIM card di Valentine, i dati ricavati grazie all’alta suscettibilità di William Parkers al vino. Per la gioia di Harry, non si tratta un’operazione di ricognizione, ma non è nemmeno particolarmente carica d’azione. O almeno, non se le cose vanno lisce.

 Al Savoy Hotel si tiene un congresso scientifico della durata di quattro giorni e Merlino assegna loro una camera singola al piano superiore a quello dell’obiettivo. Non sanno se questi, un uomo chiamato Finley, terrà una presentazione sui microchip o se la sua partecipazione al congresso sarà anche solo minimamente legata all’invenzione, ma Eggsy e Harry sono pronti a intervenire nell’evenienza di una seconda possibile catastrofe.

 Senza entrare in contatto con il bersaglio, la prima notte assistono alle conferenze di vari comizianti e prendono parte alla soirée sebbene Finley sia assente. Rimangono per la maggior della cena e si avviano dopo aver atteso il tempo necessario per non apparire maleducati, perché le buone maniere innanzitutto, dopodiché si dirigono con l’ascensore verso il piano dove risiede Finley. La porta della sua stanza è in fondo al corridoio, ma già da lontano Eggsy scorge le sagome delle due guardie che la proteggono. Quanta discrezione.

 Harry si incarica il compito di piazzare qualche cimice, poi si incamminano e si ritirano in camera loro. Durante la prima notte di una missione a medio termine non è insolito non incappare in molto movimento, tuttavia la delusione non è meno. Quando lo confida a Harry mentre si preparano per andare a letto, l’altro gli rivolge un sorriso che, Eggsy ha imparato, cela un divertimento riluttante.

 «Ti aspettavi di salvare una principessa a missione?»

 «Zitto», Eggsy ride, «e no, per tua informazione pensavo più a calarmi dai condotti d’aerazione per hackerare computer, guidare moto o buttarmi da un aereo, sai. La roba glamour».

 «La roba glamour» gli fa eco Harry. «Dunque avrei dovuto raccomandarti l’agenzia di spionaggio di un film. In tal modo, non ti feriresti mai gravemente e non moriresti a causa di incidenti che di norma ridurrebbero le persone a pezzetti».

 «Ah, ah». Sì, come se Harry potesse parlare. L’uomo che ha rivolto il dito medio alla morte e che ha come unica prova della sua resurrezione una cicatrice alla tempia: è più difficile uccidere Harry che uno scarafaggio e la sua cartella clinica lo dimostra.

 «Allora coraggio, signor Spia Glamour, domani mattina ci attende un discorso sulle nanotecnologie». Harry dà un colpetto allo spazio accanto a sé sul letto, togliendosi gli occhiali e piegando le stanghette. «Non sarebbe garbato se ti appisolassi in piedi».

 Addormentarsi accanto a Harry (cosa che deve fare per le prossime tre notti) non è strano quanto avrebbe creduto. All’inizio è imbarazzante, soprattutto per Eggsy, perché cerca di non disturbare Harry standosene rigido nel suo lato del letto. Non gli è problematico, dato che è abituato a trascorrere notti intere mantenendo una singola posizione. È cresciuto dormendo su un letto piccolo, che conteneva il suo corpo a malapena una volta sviluppatosi e minacciava di farlo cadere se lui si agitava troppo.

 È solo una mezz’ora più tardi, quando il respiro di Harry si rilassa, che Eggsy comincia a tranquillizzarsi. Il fatto che condividano le coperte le rende più calde di quanto è abituato, ma non è spiacevole. Anzi, è un po’ confortante.

 (La mattina seguente si risveglia faccia a faccia con Harry, che occupa tanto di quello spazio sul letto da ficcare i piedi gelati contro le ginocchia di Eggsy).

 La quarta notte, dopo aver calcolato le destinazioni di Finley, ideano un piano per irrompere nei suoi alloggi tramite la defenestrazione inversa.

 D’accordo, in realtà non si tratta di niente di così drammatico: si limitano a forzare la finestra quando la camera è vuota.

 «E se ce l’avesse addosso? E lo tenesse, che so, nel portafogli?»

 «Improbabile. Ma se hai ragione, siamo molto sfortunati».

 Eggsy sbuffa, gli occhi che ispezionano l’area circostante alla ricerca di un punto che potrebbero aver mancato. Dal comodino alla sua sinistra solleva un vaso in porcellana blu impreziosito di dettagli e non ci trova niente sotto, per cui lo appoggia gentilmente sulla superficie di legno. Per curiosità e alla cieca ci guarda dentro, e congela. «Cazzo, mi prendi per il culo? È dentro un vaso».

 «Cosa? Tiralo fuori» risponde Harry, iniziando già a rimettere a posto ciò che ha spostato e a pulire le impronte digitali.

 Eggsy capovolge il recipiente e lo agita per rimuovere il microchip, ma non si schioda. Tenta di infilarci la mano dentro, ma il collo è troppo stretto e le sue nocche finiscono per sbatterci contro. «Credo che sia incollato al fondo».

 «Portati via il vaso direttamente» lo sollecita Merlino.

 Harry gli fa il gesto di affrettarsi a uscire dalla finestra. «Non noterà che è sparito?» tentenna Eggsy, passandogli il vaso per scavalcare il cornicione con più facilità.

 «Controllerà il vaso non appena sarà tornato, non fa alcuna differenza». Eggsy annuisce. «Se vogliamo fuggire con la refurtiva prima che se ne accorga, dobbiamo essere astuti ed evasivi».

 «Fottiti» geme Eggsy.

 «Non è questa l’ora per i giochi di parole, Harry» sospira Merlino, dimenticandosi di utilizzare i nomi in codice per l’esasperazione.

 «Non ho idea di cosa stiate parlando». Harry esce dalla finestra chiusa dietro di sé e riprende in mano il vaso.

 «L’ottava finestra alla tua destra, Galahad, la stanza dovrebbe essere vuota».

 «Ricevuto». Eggsy comincia piano a muoversi lateralmente, gli oxford che producono piccoli suoni stridenti sui davanzali.

 «A Elyan non farà piacere quando verrà a sapere come tratti quelle scarpe» osserva Merlino.

 «Sono un po’ occupato adesso, Merlino».

 «Eh» ridacchia Harry.

 «Ah». Tramite i ricetrasmittenti sentono i clic veloci di Merlino che digita qualcosa alla tastiera. «Giusto in tempo. Finley sta per arrivare, è al secondo piano. Sbrigatevi ad andarvene, in meno di venti minuti ci sarà un’auto ad attendervi».

 Eggsy si imbatte in una grossa spina decorativa attaccata alla parete, piazzata tra lui e la finestra che sta cercando di raggiungere come se l’universo gli stesse giocando qualche scherzo malato, e si morde il labbro per trattenersi dall’imprecare. «Non so cosa sia peggio, venire infilzato da questo coso arrugginito del cazzo o cadere e morire».

 «Finley è al quinto piano, Galahad».

 «Vado!» Eggsy si aggrappa alla spina sopra la sua testa, allungando un piede per tastare dubbiosamente il davanzale. Con un piccolo slancio, trasferisce il suo peso da una parte all’altra e spera che la spina non decida di mollare e sgretolarsi. È un’esperienza al contempo imbarazzante e terrificante. Quando giudica stabile il terreno sotto di sé, afferra il vaso che Harry gli porge, scassina la finestra e la apre, balzando al sicuro.

 «D’accordo, andiamo… Harry?» Eggsy dà una sbirciata fuori. «Harry, perché ti sei fermato?»

 «Sembra che io sia stato… compromesso» replica, sebbene Eggsy non capisca perché. Superata la spina, ha solo bisogno di compiere qualche passo più in là per avvicinarsi alla finestra. «Merlino, sono bloccato».

 «A che ti riferisci?»

 Harry inclina il capo affinché i suoi occhiali riprendano la visuale della gamba dei suoi pantaloni incastrata in una spina in basso. Merlino scoppia a ridere, sbigottito, e Harry conta fino a cento per non perdere la calma. «Al diavolo, diamine» sbotta. Gettando ogni prudenza al vento (che si augura non inizi a soffiare più impetuosamente mentre guarda in giù alla prospettiva di morire), Harry strattona via la gamba dalla spina e avverte un senso di irritazione che si accumula e gli invade il corpo quando la stoffa si strappa – quando i suoi interi pantaloni (una delle sue paia preferite, dannazione) si strappano via di netto. Li fissa fluttuare gentilmente e posarsi su una pianta da vaso.

 Eggsy emette uno sbuffo rumoroso e si schiaffa una mano sulla bocca.

 «A Elyan non farà piacere nemmeno questo» sogghigna Merlino.

 I completi della Kingsman sono a prova di proiettile e fatti del kevlar più resistente, ma è chiaro che non difendono i loro agenti dagli oggetti appuntiti come i coltelli, le punte delle penne stilografiche, e nemmeno le spine decorative sui muri degli alberghi a cinque stelle. Chiaro.

 «Harry, stai…» gli chiede Eggsy sganasciandosi dalle risate mentre lui attraversa la finestra.

 «Sto bene, abbiamo il maledetto microchip, rientriamo prima che ci veda qualcuno» asserisce Harry, tentando ma fallendo miseramente di ignorare l’aria fredda che gli colpisce le gambe scoperte, e ignorando la battuta di Merlino Prima che qualcuno si accorga di quanto delicate sono le tue ginocchia, piuttosto. «Cosa fai?»

 «Tu che pensi?» Eggsy posa con attenzione il vaso a terra, assicurandosi che il fondo sia piantato saldo al pavimento perché non si ribalti, poi si apre la cerniera e si sfila i pantaloni. «Sarebbe strano se solo uno di noi due li indossasse, no? Se ci beccano, ci basterà sostenere che abbiamo bevuto un po’ troppo e che li abbiamo persi».

 Harry stringe le labbra e ha l’aria di star per fargli una ramanzina. Invece commenta: «Offende la mia persona vederti con l’intimo giallo a pois e la cravatta blu navy a righe. Non si abbinano per niente».

 Eggsy gli fa l’occhiolino e schiocca la lingua. «Non ha importanza se sei l’unico a cui è riservato questo spettacolo, tesoro» dice, riparando il vaso nella sicurezza della sua ascella e allo stesso tempo dando una pacca sul sedere di Harry.

 «Cristo» geme Merlino. «Datevi una mossa, Finley è a un mero metro e mezzo dalla sua stanza. Nel caso voi piccioncini ve ne siate scordati, siete a corto di tempo».

 «Oh, calmati, Merlino» sospira Harry.

 Percorrono due corridoi, quando cominciano a udire il pesante martellio di passi incombenti. «Dieci secondi» li avverte Merlino mentre Eggsy poggia il vaso a terra e si strappa via la giacca di dosso per coprirlo. Prima ancora che abbia l’occasione di girarsi e tirare Harry a sé per la cravatta, viene spinto contro il muro e Harry gli infila la lingua nella bocca.

 Nella mente di Eggsy si combattono due voci ben distinte: sì, cazzo e no, cazzo.

Sì, cazzo per il dolce aroma alla menta di Harry che Eggsy assapora sul palato, il paradiso, e no, cazzo perché le due guardie accampate davanti alla porta di Finley svoltano l’angolo. Eggsy circonda il collo di Harry con le braccia e spera che le guardie non notino il fagotto evidentemente a forma di vaso che giace accanto ai loro piedi.

 Per fortuna Captain America aveva ragione sulle manifestazioni pubbliche d’affetto¹, perché le guardie abbigliate di nero si soffermano su loro per un momento e poi proseguono per la loro strada. Con la coda dell’occhio, Eggsy li osserva cercare con determinazione di ignorare la coppia che contro il muro limona come un paio di adolescenti.

 Sentendosi un po’ più audace, Eggsy attornia il busto di Harry con una gamba, diminuendo la distanza tra loro due, i nodi delle cravatte conficcati negli sterni dell’altro, e simula un gemito. Quasi scoppia a ridere nel bacio quando percepisce il sorrisetto di Harry sulle labbra al suono del colpo di tosse di una delle guardie.

 Una volta lontani, dopo aver aspettato qualche secondo Eggsy picchietta con il dito sulla nuca di Harry e si ritrae con una risatina ansimante. «Avresti dovuto vedere la sua faccia, quel poveretto era rosso come un pomodoro!»

 «Ne sono certo. Difficile non esserlo con il tuo gusto per la teatralità, mezza calzetta».

 «Teatralità? Ehi! Senti chi parla!»




«Cazzo, sono esausto» annuncia Eggsy non appena messo piede sulla soglia di casa Hart.

 Calcia via le scarpe, facendo però attenzione a non battere insieme i talloni per evitare di disinnescare la punta di metallo avvelenata, e si leva di dosso la giacca. Harry sospira e la raccoglie, avviandosi su per le scale. Eggsy lo segue, strofinandosi gli occhi e scontrandosi contro il corrimano ad ogni sbadiglio.

 Harry apre la porta di camera sua ed Eggsy vi entra barcollante e lascia dietro di sé una pioggia composta dalla sua cravatta, i calzini e i pantaloni. Harry sospira di nuovo, con l’afflitta rassegnazione di un uomo che ha da lungo tempo accettato che è impossibile togliere un vizio del genere all’altro. Guarda Eggsy accostarsi al letto e crollarvi sopra per la faccia, le maniche della camicia spiegazzate e non ancora allentate.

 A quella vista, Harry fa tsk con la bocca. «Troppi bottoni» borbotta Eggsy, «al diavolo».

 «D’accordo, allora» risponde lui e sistema i vestiti abbandonati da Eggsy sullo schienale di una sedia. Si sfila il completo e i calzini e si stravacca sul lato vuoto del suo letto, quello di cui Eggsy non si è appropriato. «Buonanotte».










¹ Riferimento a una scena del film della Marvel Captain America: The Winter Soldier, diretto dai fratelli Russo e uscito nel 2014.
Note della traduttrice (Hiraeth): scusatemi per il ritardo atroce, ma questo mercoledì sono andata a vedere Il cerchio d’oro e ho riniziato a tradurre questa fanfiction subito dopo essere tornata dal cinema. Quanto meraviglioso è quel film? ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V ***


V



A Harry è dato il via libera per la sua prima missione in solitaria e va esattamente come previsto. Ovvero niente affatto bene.

 Merlino gli sbraita nell’orecchio mentre si butta e si rifugia dietro a una catasta di casse, qualche proiettile che gli sfreccia vicino all’orecchio. Nell’aria risuonano vari allarmi e c’è una moltitudine di luci rosse che lampeggiano sul soffitto, i suoni delle linee di produzione che si arrestano con uno stridio e urla troppo lontane per essere udibili.

 «…zzo di volta non ci posso credere come fai a combinare sempre…»

 «Sì, ho capito, avevi ragione, grazie, Merlino» replica Harry circondato dalla nube di pulviscolo che gli vortica intorno. Quello in cui si trova adesso non è solo un magazzino, ma uno vecchio e impolverato, il che è il peggior tipo di magazzino. Dovrebbero stabilire un protocollo sulla pulizia dei luoghi di lavoro, illegali o meno che siano.

 «Certo che ho ragione, cazzo! E non rispondere Io sono Artù, con me quella merda di scusa non funziona più… alla tua sinistra».

 «Te ne sono grato». Harry si gira verso sinistra e tira tre colpi di pistola, la mira ferma e accurata. A questo punto tutti coloro che sono sul posto sin da quando Harry si è infiltrato sono a conoscenza della sua presenza: se non l’hanno capito dai cadaveri sparsi per terra, di sicuro hanno colto l’antifona grazie al rumore degli spari.

 Il deposito in sé, l’unico esistente per quanto ne sanno, è dove si tiene la fabbricazione dei microchip su cui hanno investigato negli ultimi sei mesi. Tutto, dall’invito a cena da parte di una vecchia conoscenza di scuola ai quattro giorni movimentati (anche no) al Savoy, ha condotto a questo. Alla prima missione in solitaria di Harry che è innegabilmente andata a puttane.

 Merlino inspira e si rabbonisce. «Resisti ancora un po’, Galahad ti sta raggiungendo».

 «Sto bene, Merlino, posso gestire la situazione».

 «Ah ah», Merlino schiocca la lingua in segno di disapprovazione, «cos’hai detto meno di trenta secondi fa? Che ho ragione?» Invece di ribattere, Harry fa nuovamente fuoco da sopra la cassa. «Bravo, precisamente».

 «Sì, Harry», Eggsy si unisce alla linea di comunicazione, «non c’è niente di male nell’aver bisogno di manforte».

 «Non intendo che ci sia qualcosa di male nei rinforzi» ansima Harry. «Non ne necessito e basta».

 Eggsy scivola e si ferma davanti alla cassa dove Harry si nasconde, poi spara due volte sopra la sua testa. «So che te la puoi cavare, Harry, ma che razza di marito sarei se permettessi loro di ridurti in un colabrodo?» Fa l’occhiolino e Harry gli rivolge un’espressione che dice Piccolo impertinente.

 Dall’altro lato del magazzino, un’esplosione di minori dimensioni fa fuori due linee inattive di produzione. L’unico avvertimento che ricevono prima di essere investiti da un’ondata di calore è un bagliore di luce.

 «Colpa mia, non mi pento di niente!»

 Be’, addio alla segretezza. «Eggsy, hai ancora qualche granata? Temo di averne portate solo due».

 Eggsy ride e gli passa un’esorbitante manciata di accendini. Merlino agli occhiali è curiosamente silenzioso e loro la prendono come una tacita autorizzazione a procedere. Harry ne ha otto in mano (due che aveva già, le altre sei dategli da Eggsy), ed Eggsy ne ha sette. È un’eccessiva esagerazione e quanto di più indiscreto possibile, ma a Eggsy non sfugge la soddisfatta curva in su che compare sulla bocca di Harry quando si precipitano ad allontanarsi dalla granata detonata.

 Più microchip bruciano e rendono irrecuperabili, meglio è.

 Sono già ben lontani dall’uscita del deposito quando una granata-accendino scatta e scatena le altre, mandando l’intero edificio in fiamme e detriti volanti, la conflagrazione di una potenza tale da far tremare la terra.

 (Quando questo succede, Eggsy compie lo sfortunato errore di correre lungo la riva del fiume: inciampa sui suoi stessi piedi e finisce dritto in acqua).




Eggsy, non Harry (più difficile da uccidere di uno scarafaggio, presente?), è quello che finisce bloccato a letto in infermeria. «Sto bene».

 «Non mi è nuova questa frase» osserva asciutto Merlino. «Sei fortunato a non esserti beccato niente di troppo serio».

 «Esatto, perché allora sono qui con un ago nel braccio invece che essere tornato a casa a dormire?» Può elencare un milione e anche più di cose che preferirebbe fare anziché restare lì come un infermo. Cose come insegnare a JB come stringere la mano (be’, la zampa) a qualcuno e aiutare sua sorella ad accatastare una pila di mattoncini colorati.

 «I suoi parametri sembrano a posto» rimarca Harry, entrando nella stanza e dando una scorsa al portablocco di Merlino.

 «È perché non sono ammalato».

 Merlino scuote il capo. «Di’ al tuo ragazzo¹ di stare fermo la prossima volta: una delle infermiere lo ha quasi pugnalato nell’occhio quando ha tentato di mettergli la flebo».

 Harry alza lo sguardo al cielo, riempiendo un bicchiere di acqua sul comodino e porgendolo a Eggsy. «Secondo le statistiche, Merlino, nove iniezioni su dieci sono praticate nelle vene».

 Eggsy con prontezza rischia di soffocare con un sorso d’acqua e Merlino geme: «Tutti voi, cazzo», per poi girare i tacchi e andarsene.

 «L’hai fatto apposta» tossisce Eggsy, il bicchiere che si agita violentemente e schizza acqua.

 Harry glielo toglie di mano senza batter ciglio. «Fatto cosa?»

 Eggsy tossisce una seconda volta, cercando di sbarazzarsi dell’acquosa impressione che la sua trachea sia otturata. «Hai atteso che bevessi, non te l’ho nemmeno chiesto!»

 «Non è assolutamente vero, non è colpa mia se hai accettato il bicchiere» risponde Harry, con l’aria di essere insultato dalle accuse di Eggsy.

 «Andiamo, Harry, abbi un cuore²».

 La maschera di Harry va in frantumi, che cede e sorride.




In meno di un’ora Harry lo porta a casa e gli sprimaccia un cuscino dietro la schiena quando Eggsy si siede sul divano. La prima volta che è rimasto a dormire, ha scoperto che Harry di rado cucina per sé, salvo per i toast facili e impossibili da sbagliare o le uova strapazzate, e naturalmente il tè e il caffè, ma per il resto si affida sempre al cibo da asporto o esce a mangiare fuori.

 Quella notte ordina per Eggsy una pizza con extra di tutto, e si impossessa di due tranci. Eggsy lo fissa male e fa commentacci sul suo livello di colesterolo, al che Harry se ne prende un terzo per ripicca.

 Eggsy non sta male, è più arzillo di un grillo, che c’è di strano se avverte un pizzicore alla gola? È colpa dell’olio della pizza, mica sua.

 Harry non si ferma a questo, però: gli prepara un bagno e ci aggiunge anche le fottute bollicine, proprio della giusta quantità che gli piace, lascia che JB esca dal retro per la sua escursione notturna, e ha pronti i calzini scaldati per Eggsy quando lui mette piede fuori dalla vasca. È bizzarro perché Eggsy non è abituato a essere coccolato, non ce n’è motivo se si sente in forma al cento per cento, ma non può negare che sia una sensazione meravigliosa avere le coperte rimboccate da Harry, che si adagia accanto a lui sul letto.

 (E sì, okay, quando un colpo di tosse lo sveglia per la terza volta nel bel mezzo della notte, Eggsy finalmente ammette di poter essere giù di tono).

 (Harry lo stupisce la mattina seguente con un piatto caldo di minestra in scatola e una collezione di film).










¹ Ragazzo non nel senso di moroso ma di giovanotto.
² Gioco di parole basato sull’assonanza tra Hart (il cognome di Harry) e heart (“cuore” in inglese), intraducibile in italiano.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** +I ***


+I



«Che ci fate qui?» chiede Eggsy, scrutando i suoi spettatori con sospetto mentre rompe sei uova in una ciotola.

 Roxy scrolla le spalle e protende il busto in avanti sull’isola da cucina per guardarlo sbattere il composto, Parsifal accanto a lei afferra due sedie e le avvicina al bancone. Quando entrambi si siedono, è chiaro che Eggsy non potrà andarsene senza che prima gli facciano un discorso d’incoraggiamento o ricevano qualunque cosa stiano cercando.

 «Gira voce che qualcuno prepari dolci usando le scorte dell’agenzia» afferma Roxy, agitando ammiccante le sopracciglia.

 «E a quanto pare quel qualcuno non è Merlino» rincara Parsifal.

 Le teste di Eggsy e Roxy si volgono di scatto verso di lui. «Merlino?»

 «Cucina quando è stressato».

 «Cazzo» esclama Eggsy, «è per questo che siamo riforniti a dismisura? In tutta la mia vita non ho mai visto tante bocchette decorative in un solo posto. Non ho immaginato ci fosse nemmeno la metà di questa roba finché non ho notato una porta nascosta dietro… be’, c’è una porta nascosta. Vi basta sapere questo».

 Roxy ruota gli occhi con benevolenza e poggia il mento sul palmo. «Cosa festeggi, allora?»

 Eggsy distoglie il viso. «Harry non si è ancora ripreso dalla missione in solitaria della scorsa settimana, è un po’ abbattuto. Mi sono ricordato che una volta ha raccontato che da piccolo le crèmes brûlées erano il suo dolce preferito, per cui».

 «Ah».

 Percival solleva un sopracciglio con aria perspicace. «Sai, l’ultima volta che si è parlato di crèmes brûlées al quartier generale è stato vent’anni fa, quando Artù – Chester, ai tempi – le vietò e giurò: “Mai più!”»

 «Perché?»

 «Faresti meglio a domandarlo a Harry. A proposito» dice Parsifal con un’espressione criptica spingendo gli occhiali sul naso, «quand’è che sono diventate serie le cose tra voi due?»

 «Tra noi non c’è niente». Credo, ma Eggsy non lo aggiunge. Ad essere onesto, preferisce non riflettervi sopra, perché esaminare il piccolo e strano accordo tra lui e Harry equivarrebbe ad aprire il coperchio dei suoi sentimenti, ed Eggsy non è del tutto certo che sarebbero ricambiati. Invece si sforza di pensare a una ragione plausibile per cui vent’anni prima è stato bandito un innocente dessert alla crema inglese.

 «Uhm» mormora Parsifal assottigliando lo sguardo.

 E poiché Eggsy è consapevole di come funziona la prassi, arretra di un passo e tira fuori dal frigorifero due creme già raffreddate. Le sistema in due pirottini di un bianco immacolato dalle basi dorate, decorate con il monogramma della caratteristica K della Kingsman. Ha sorriso quando ha scoperto che Merlino (o qualcun altro, però adesso è sicuro che si tratta di Merlino) si è fatto personalizzare qualche decina di pirottini. Massima discrezione, già.

 «Comunque vi andrebbe di essere i primi ad assaggiare la crème brûlée à la Eggsy?» Non sta evitando l’argomento, è una ritirata strategica. E poi gliel’avrebbe fatta provare lo stesso. Cosparge un pizzico generoso di zucchero e confettini sulla superficie dei dolci, lisciandola con la punta delle dita.

 «Ehm, Eggsy» interviene Roxy, osservando il bruciatore che Eggsy tira fuori da sotto il bancone, «sono al novantanove per cento convinta che ne esistano di più piccoli destinati specificamente ai fini culinari».

 Eggsy ridacchia. «L’ho trovato nella dispensa con l’etichetta Da non maneggiare fuori dalla cucina. È questo il suo utilizzo, ci scommetto il piede sinistro». E conoscendo Merlino, è probabile che lo sia. «Oltretutto è più facile da usare di un accendino. Con uno normale, ci vuole un’eternità».

 Mira da una ragionevole distanza la fiamma ossidrica verso lo zucchero e rilascia.

 Una volta dato un morso, sia Roxy che Parsifal tessono le sue lodi – Eggsy si figura di aver visto Parsifal commuoversi un po’ – ed è la leggera spinta di cui ha bisogno per indurre se stesso a portare un pirottino di crème brûlée appena caramellata all’ufficio di Harry. Entra senza bussare e rivolge all’altro un sorrisetto compiaciuto quando viene accolto da Harry con una faccia impassibile.

 «Non mi do nemmeno la pena di rimproverarti» commenta con voce piatta.

 «Bene! Ecco, Harry, anche i vecchi cagnacci riescono a imparare trucchi nuovi!»

 «Eggsy, sei qui per dimostrarmi che la generazione attuale non è fisicamente in grado di bussare?»

 «Nah, ti», si schiarisce la gola, «ti ho cucinato una cosa». Eggsy rivela il pirottino e il cucchiaio nascosti dietro la schiena e li piazza dritti in fronte a Harry, proprio sopra i rapporti operativi che Harry stava revisionando. «Li facevo tutti i Natali per mia madre. Allora però non erano granché, perché gli ingredienti a disposizione non erano proprio raffinati, ma…» Scrolla le spalle.

 Mentre l’altro batte le palpebre studiando la crème brûlée, Eggsy si prepara. Harry prende il cucchiaio e rompe lo zucchero solidificato con un gradevole crack, servendosi una generosa porzione. I secondi passano mentre Harry mastica lentamente, leccandosi le labbra dopo aver deglutito il boccone.

 Harry sospira e lo contempla come se Eggsy avesse scalato le stelle e gli avesse donato la luna. «Cazzo, Eggsy, potrei sposarti».




Ecco come stanno le cose: Eggsy è al corrente dell’improfessionalità dei sentimenti che nutre per il suo capo, ma non è improfessionale al punto da rifiutarsi di domare le farfalle intente a evadere le sue costole. Il dovere è il dovere e se per la missione è necessario che lui baci Harry fino a perdere la testa allora lo farà senza alcuna esitazione (e se si dà il caso che a lui piaccia fin troppo baciare Harry, sono affari suoi).

 Lo aiuta il fatto che Harry condivide la sua opinione, considerata l’espressione orgogliosa da morire che ha dopo una rumorosa e scomposta sessione in pubblico di sbaciucchiamenti al muro.

 Inoltre, perché lui non si è guadagnato il suo posto da spia per niente, Eggsy è conscio dei pensierini non proprio ammissibili sul posto di lavoro che Harry fa su di lui. Tuttavia non è nei suoi piani parlargli a proposito delle ragioni per cui Harry non ha ancora fatto una mossa (cioè, una vera mossa, quando non fingono di essere una coppia incapace di togliersi le mani di dosso), che sia per via della loro occupazione e della loro natura di colleghi o perché non cerca niente di serio con Eggsy. Non c’è motivo concreto di infrangere le condizioni del muto contratto che li lega.

 Ecco perché, com’è ovvio che sia, il cervello di Eggsy compie la brillante decisione esecutiva di fare esattamente ciò che ha provato a evitare: connette ogni momento speso insieme negli ultimi mesi con il tassello finale del puzzle.

 Diciassette secondi precisi dopo lo scoccare dell’orologio delle due e mezza del mattino, gli occhi di Eggsy si spalancano e lui si rizza sul letto. «Siamo sposati?» farfuglia d’impulso, biascicando le sillabe invece di scandirle.

 Harry gli si scuote accanto e geme, con la sua migliore imitazione di un macinacaffè rotto. «Cosa?»

 «Harry» esclama Eggsy strappando le coperte a Harry, nascostosi sotto di esse fin sopra alla fronte. «Siamo sposati

 «Certo che lo siamo» risponde Harry con voce semplice e pratica, come se Eggsy non si fosse accorto solo adesso della frequenza con cui hanno condiviso il letto per settimane anche al di fuori delle missioni sotto copertura e senza che Harry lo contestasse o gli ordinasse di andarsene. Hanno cominciato a farlo tanti di quei secoli fa che Eggsy ha scoperto alcune delle strane abitudini che contraddistinguono il sonno di Harry: gli piace dormire con il viso sotto il riparo della coperta per non essere colpito in faccia dalla luce, occupa moltissimo cazzo di spazio sul letto con le sue gambe lunghe e i suoi piedi sono sempre congelati, e a volte digrigna i denti inavvertitamente. «No?»

 «Non quando siamo in missione, ma…» Eggsy scrolla le spalle, alza le braccia all’aria e gesticola in direzione dell’area coabitata del letto. «Quando siamo… non in missione» conclude in modo fiacco. «Nel senso di “Eggsy e Harry”».

 Harry batte le palpebre, ancora curvo e i capelli sparsi sul cuscino. «Ho avuto l’impressione che ci stessimo ufficiosamente frequentando da un po’. Eggsy, facciamo il bucato assieme e una volta abbiamo battibeccato nel reparto frutta sulla corretta maturazione delle banane per dieci minuti. L’altro giorno mi hai portato un dolce che non mangiavo da anni».

 Eggsy concede che è trascorso diverso tempo prima che smettesse di negare la verità in fronte a lui. È stordito dall’improvvisa consapevolezza che lui e Harry sono, in via non ufficiale, compagni-barra-sposati. E a quanto pare per Harry un appuntamento consiste nel fare il bucato e lavare assieme i pantaloni.

 «Cosa, e ti sei scordato di menzionare questo dettaglio?»

 «Ti ho detto che spettava a te la prima mossa. Lungi da me importi qualcosa che non volevi».

 «Che… tu!» Eggsy ridacchia, ricordando vagamente la loro copertura da sarti. «È stato sette mesi fa! Non credevo che…»

 «Siamo spie, Eggsy, non insultare la mia o la tua intelligenza asserendo di non sapere cosa stessimo facendo». Harry si siede, scostandosi dal volto il ricciolo che gli ricade contro la cicatrice sulla tempia. «O ho interpretato male il nostro rapporto?»

 «No! Sicuro che desidero stare con te, Harry, sei…» Una litania di vezzeggiativi e soprannomi imbarazzanti gli passa per la mente e lui la blocca prima che giunga alla sua bocca. «Mi piaci un sacco, okay? Voglio quello che vuoi tu».

 Harry sorride, il tipo di sorriso con lo sguardo affettuoso e le fossette, quello per cui Eggsy va completamente pazzo. «Lo stesso vale per me».

 «Avresti comunque potuto darmi una dritta. Saremmo arrivati da un pezzo a questo punto, e anche più, probabilmente» mormora, lasciando che Harry gli prenda la mano e gli baci le dita.

 «Mi scuso: stava a te scegliere cosa farne di noi. Sarebbe inappropriato se un sarto vecchio e morente come me mettesse gli occhi su un giovanotto come te e facesse la prima mossa».

 Davanti a Harry che cita se stesso, Eggsy reprime una risata. «Quando mai ti è importato del galateo, stronzo di merda?»

 «Hai perfettamente ragione, tesoro» replica Harry, sistemandosi contro i cuscini. Si dimena finché non trova una posizione comoda, poi apre le braccia in maniera seducente, invitando Eggsy ad avvicinarsi con un gesto impaziente. «Ora, Eggsy, se siamo della stessa idea e se sei propenso a farlo, vieni cortesemente qui, cazzo».

 «, Harry!»




(Non sono sposati – non ancora, almeno –, ma è un po’ come se lo fossero).

 La mattina dopo, Eggsy scendendo giù per le scale incespica in un paio di pantaloni (suoi o di Harry) e una vestaglia (decisamente di Harry). Per non meno di quattro volte rischia di inciampare su JB quando il carlino si fionda a salutarlo, abbaiando e correndogli intorno alle gambe come un avvoltoio. È solo quando entra in cucina che si rende conto che forse JB non intendeva augurargli buongiorno, quanto piuttosto avvertirlo del caos che regna nella cucina di Harry, da dove proviene la voce di Merlino che rimprovera l’uomo.

 «…mischia la cazzo di… oh, andiamo, puoi mescolare un martini per dieci secondi eppure non sei in grado di montare in modo uniforme la pastella?»

 «Ci sto provando!» Harry in effetti ha l’aria di starci provando. Stringe una ciotola blu con il braccio piegato e ne sbatte furiosamente il contenuto con l’altro. Ad ogni girata fuoriescono in una nuvola di polvere dei grumi di farina ed Eggsy sussulta: sarà un incubo ripulire le credenza, e sarà peggio se Harry rompe la scodella.

 «Stai facendo un casino, ecco cosa» interviene Eggsy, cogliendo l’istante per ammirare con apprezzamento le braccia nude che spuntano dalla camicia consunta di Harry. Tutto molto, molto bello.

 Harry lascia cadere ciò che ha in mano come un peso morto e si volta verso di lui con le labbra serrate e le sopracciglia aggrottate. Ha il grembiule macchiato d’impasto ed Eggsy ha paura di scoprire se ne è rimasto ancora nella ciotola o se l’intero composto è finito sul ripiano. «Mi dispiace, Eggy, temo che questa mattina faremo colazione fuori».

 «Non aspettarti mai che ti prepari i pancake, ragazzo» aggiunge asciutto Merlino.

 «Non credevo che sapessi, uhm, cucinare». Una risata rischia di gonfiarsi all’interno del suo petto, ed Eggsy tenta valorosamente di trattenerla. Pancake.

 «Oh, cucina benissimo, casomai volessi assaggiare una bomba organica» cinguetta la voce di Merlino dal tablet ricoperto di farina sul bancone. Anche quello sarà una rottura da pulire e, dopo che Merlino avrà smesso di sbellicarsi dalle risate, è probabile che loro due ricevano una tirata d’orecchie sul corretto utilizzo degli apparecchi tecnologici della Kingsman.

 «È successo soltanto una volta» ringhia Harry. Getta la frusta nel lavandino e lancia a Eggsy uno sguardo implorante.

 Eggsy non conosce appieno l’estensione delle terribili abilità culinarie di Harry, ma a giudicare dagli sghignazzi incontrollati e dal Harry… Harry, digli dell’incidente in cucina del ’95 soffocato di Merlino, può avanzare un’ipotesi.

 Pensa di aver capito il motivo per cui adesso le crèmes brûlées sono proibite al quartier generale.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3513896